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Full text of "Notizie degli scavi di antichità"

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E.  ACCADEMIA  DEI  LINCEI 


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ANNO     GGGVI 


1909 


SEÌK.IE]     dUZlSrTA. 


NOTIZIE  DEGLI  SCAVI  DI  ANTICHITÀ 


VOLUME  VL 


ROMA 

TIPOGRAFIA    DELLA   R.    ACCADEMIA   DEI   LINCEI 

PROPRIETÀ    DEL    CAT.    V.   8ALVIUCCI 
1909 


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NOTIZIE  DEGLI  SCAVI 


Anno   1909  —  Fascicolo  1. 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  ALBATE  —  Tomba  della  prima  età  del  ferro  scoperta  nel  ter- 
ritorio del  Comune. 

Il  giorno  13  ottobre  scorso  un  contadino  di  Albate  venne  in  Milano  ad  offrire  in 
vendita  al  prof.  C.  Vicenzi,  ispettore  del  Castello  Sforzesco,  il  contenuto  di  una  tomba 
della  prima  età  del  ferro,  rinvenuta  in  una  cava  di  sabbia  di  sua  proprietà.  Ricono- 
sciuta r  importanza  della  scoperta,  il  prof.  Vicenzi  se  ne  fece  acquirente  pel  Museo 
archeologico  di  Milano,  e  ciò  allo  scopo  di  non  lasciar  disperdere  dei  cimeli  cbe  gli 
sembravano  di  un  particolare  valore  scientifico.  Quei  cimeli  si  presentavano  tuttavia 
in  cattivissimo  stato.  Chiamato  ad  esaminarli  nella  mia  qualità  di  E,  Ispettore  degli 
scavi,  dopo  alcuni  giorni  di  lavoro  riuscii  a  ricomporre  vasi  e  bronzi,  almeno  in 
parte,  e  vi  riconobbi:  una  situla  di  bronzo  che  venne  usata  per  ossuario;  un  coperchio 
di  cotto  tutto  in  frantumi;  i  frammenti  di  altri  due  vasi,  e,  in  parecchi  pezzi,  1 
frammenti  di  una  specie  di  candelabro  di  terra  cotta,  il  quale,  rimesso  assieme, 
presentava  l' immagine  singolare  di  tre  vasi  a  forma  di  anitra,  dipinti  in  bianco  a 
pennello,  e  sopportati  da  un  unico  piede  cavo.  Neil'  urna  cineraria,  oltre  le  ossa  umane 
combuste,  erano  i  frammenti  di  parecchie  armille  di  filo  di  bronzo  e  di  parecchi  pen- 
dagli a  catenelle,  del  pari  di  bronzo.  Vi  erano  poi  alcune  perle  di  pasta  vitrea;  uno 
specillo  a  cucchiaio  minuscolo;  fibule  rotte,  due  delle  quali  a  grandi  coste,  e  altre 
che  dovevano  essere  decorate  da  ambre  e  coralli  infilzati,  ed  altri  pezzi  minori.  La 
situla  e  le  fibule  richiamano  quelle,  pure  di  Albate,  pubblicate  dal  Baserga  nella 
Rivista  archeologica  di  Como,  anno  1907,  tav.  I,  fig.  5;  e  tav.  III,  figg.  5  e  6. 

Questa  tomba  interessante  va  studiata  e  pubblicata  ;  ciò  che  mi  riserbo  di  fare,  con 
particolare  impegno,  prima  di  esporla  nelle  vetrine  del  Museo.  È  assai  caratteristico 
fra  tutti  il  triplice  vaso  ad  anitre  accostate  e  parallele.  La  scoperta  si  riferisce  ma- 
nifestamente al  VI  0  al  VII  secolo  a.  Cr.,  e  porta  uu  nuovo  contributo  all'opinione 
di  chi  vuol  vedere  nelle  sepolture  della  prima  età  del  ferro  del  Comasco,  le  tombe 

dei  discendenti  dei  palafitticoli. 

P.  Castelfranco. 


COMO,   GERA  —    i    —  REGIONE    XI. 


II.  COMO  —  jVuova  iscrizione  della   Gens  P  lini  a. 

Alle  numerose  iscrizioni  che  la  città  di  Como  già  possiede  della  Gens  Plinia, 
una  nuova  è  venuta  ad  aggiungersi  nel  settembre  del  1907,  durante  gli  scavi  che 
i  fratelli  Pozzi  stavano  facendo  nella  loro  casa  in  via  Maestri  Comacini,  di  fronte 
alla  porta  meridionale  del  Duomo. 

Tornò  in  luce,  alla  profondità  di  m.  1,10,  una  piccola  base  di  colonna,  in  marmo 

bianco  di  Musso,  col  lato  di  m.  0,35,  senza  dubbio  proveniente  da  un  edificio  di 

architettura  lombarda,  la  quale  sulla  faccia  inferiore  reca  scolpita  in  buoni  caratteri 

la  "seguente  iscrizione  : 

D         M 

P    PLINl 

FATI' 

V     S    I| 

Senza  dubbio  si  tratta  di  una  lapide  romana,  usata  nel  medioevo  nella  costru- 
zione di  un  fabbricato.  Essa  venne  donata  dai  proprietari  al  Museo  civico  di  Como. 

A.    GlUSSANI. 

Aggiungo  brevi  note  alla  iscrizione  comunicata  dal  benemerito  ispettore  degli 
scavi  cav.  A.  Giussani  a  questa  R.  Sopraintendeuza.  Non  credo  improbabile  che  il 
personaggio,  cui  la  lapide  si  riferisce,  sia  quel  medesimo  P.  Plinius  Pateniinus  che 
insieme  con  P.  Plinius  Burrus  ci  apparisce  su  la  grande  base  dedicata  al  Genio  di 
ASC...  {C.  I.  L.  V,  5216).  Il  luogo  dove  tale  base  fu  trovata,  su  la  riva  del  lago 
di  Lecco,  poteva  esser  quello  d'una  villa  di  questi  Plinii,  uno  dei  quali  potè  poi 
aver  sepoltura  presso  la  città  di  Como.  Alla  1.  4,  come  fa  notare  il  medesimo  Gius- 
sani,  la  terza  lettera  è  una  I  e  non  una  L,  che  del  resto  non  potrebbe  qui  trovar 
luogo,  trattandosi  di  iscrizione  sepolcrale  e  non  di  lapide  votiva.  Ora,  posto  che  non 
precedano  altre  lettere,  né  seguano  altre  linee  di  scrittura,  come  parrebbe  dalla  fo- 
tografia comunicatami,  mi  sembra  probabile  riconoscervi  il  nome  di  una  Usia,  moglie 
del  defunto,  nome  che  ricorre  in  una  lapide  bresciana  e  in  vari  personaggi  memorati 
nei  titoli  di  Tergeste;  l'iscrizione  potrebbe  quindi  integrarsi  cosi: 

d.       m.        [s] 
jB.  'pUni  [  ?  /■.  om/".] 
faleXrninr^ 
usi\a     ?     uxof\ 

G.  Patroni. 


III.  GERA  —  Iscrizione  dedicata  a  Giove  dagli  Aneuniati. 

Nel  dicembre  1907,  trovandomi  a  Gera,  ebbi  a  riconoscere  murata  in  un  fienile 
di  proprietà  del  sig.  Luigi  Camoccio  una  pietra  di  forma  triangolare,  che  formava 
l'architrave  della  porta  d' ingresso  dalla  strada  comunale  a  quel  fienile,  e  che  recava 
scolpita  in  buoni  caratteri  la  seguente  iscrizione  tuttora  inedita: 

I  O  M 

ANEVNIATES  » 

V       S       L      M 


REO  IONE   XI.  —    5    —  GKRA 

Ho  potuto  acquistare  la  lapide  per  conto  del  Museo  civico  di  Como,  dove  ora 
si  trova,  nella  sala  terrena  dei  marmi  romani. 

Si  tratta  certamente  del  frontespizio  di  uu'edicoletta  dedicata  a  Giove;  ed  io 
ritengo  ch'essa  provenga  dal  Piano  di  Spagna,  che  si  stende  a  settentrione  del  Lago 
di  Como,  fra  lo  sbocco  della  Valtellina  e  quello  della  Valle  di  Chiavenna,  fra  l'Adda 
e  la  Mera. 

In  quella  pianura  infatti  esisteva  sin  dall'età  romana  una  borgata  dalla  quale 
sono  usciti  di  recente  due  altri  marmi  scritti,  e  che  durò  sino  alla  metà  del  se- 
colo XV,  quando  le  inondazioni  dell'Adda  costrinsero  gli  abitanti  ad  abbandonarla. 

Nelle  carte  medioevali  essa  porta  il  nome  di  Olonium,  Orognium,  Adelonium, 
Adalonium,  Alogno,  Anonio.  Da  Anonio  ad  Aneimia  è  breve  il  passo;  ed  io  sono 
di  avviso  che  la  lapide,  di  cui  sto  trattando,  fosse  appunto  dedicata  a  Giove  da  quegli 
abitatori. 

A.    GlUSSANI. 

Importante  davvero  è  questa  nuova  lapide  che  il  cav.  A.  Giussani  comunica  alla 
R.  Sopraintendenza  sugli  scavi  archeologici  in  Lombardia,  poiché  essa  contiene  un 
nuovo  nome  di  popolo  o  una  nuova  forma.  E  dico  nuova  forma,  perchè  non  mi  pare 
che  il  nome  Aneuniates  possa  staccarsi  da  quello  degli  Anauni,  nominati  nell'editto 
di  Claudio  trovato  presso  Cles  trentino  in  Val  di  Non  [G.I.L.  V,  5050).  Sappiamo 
da  Tolemeo  (3,  1 ,  32)  che  il  popolo,  altronde  ignoto,  dei  Bechuni  possedeva  quattro 
città,  tra  le  quali  Anaunium,  che  diede  nome  alla  moderna  Val  di  Non.  Virgilio,  ve- 
scovo tridentino,  parlando  del  martirio  di  Alessandro,  Sisinnio  e  Martirio  chierici  (397 
d.  C),  ci  dà  indicazioni  sul  sito  di  Anaunium,  tra  le  quali  la  distanza  di  venticinque 
stadii  dalla  città  di  Tridenlum  {ep.  ad  Joh.  Chrysost.,  2).  Paolino  (  Vit.  S.  Amhros. 
n.  52)  e  Massimo  Taurinense  {Sem.  81,  82)  nominano  la  valle  o  regione  Anaunia; 
e  Agostino  {ej).  139,  n.  2)  chiama  i  tre  predetti  niartyres  Anaunenses.  Ciò  posto, 
Aneuniates,  idiotismo  dialettale  originato  da  dissimilazione  per  Anauniales,  sarebbe 
una  forma  parallela,  attestata  ora  per  l'età  classica,  dell'altra  Anaunenses,  usata  dagli 
scrittori  cristiani. 

L'ipotesi  del  eh.  Giussani,  se  non  può  dirsi  mancante  di  fondamento,  non  ha 
in  suo  favore  così  perspicue  testimonianze.  Non  bastano  infatti  due  epigrafi  sepol- 
crali, la  cui  scoperta  ed  illustrazione  devesi  al  medesimo  Giussani  ('),  per  attestare 
la  presenza  di  un  vero  borgo  dell'età  romana,  capace  di  dare  un  etnico  proprio  alla 
gente  che  l'abitava;  tanto  più  che  non  infrequente  era  il  costume  di  farsi  seppellire 
nei  propri  fondi  rustici  ;  e  i  personaggi  nominati  nella  epigrafe  sono  magistrati  mu- 
nicipali di  Como  e  portano  la  indicazione  della  tribù  Oufentina;  sono  dunque  co- 
maschi. Della  località  di  Olonium  non  si  ha  notizia  prima  dell'età  longobarda  (')  :  e 
questo  è  senza  dubbio  il  nome  più  autorevole;  mentre,  dato  puro  che  sia  accertata 
l'altra  forma  Anonio,  manca  ogni  indizio  per  ritenerla  originaria  e  genuina  piuttosto 
che  tarda  corruzione  e  confusione  di  nome.  La  nostra  pietra  stessa  poi  indica  non  il 

(')  Periodico  della  Soc.  Star.  Comense,  XIII,  fase.  49;  id.,  //  forte  di  Fuentes,  p.  274  sg. 
(•)  Ceruti,  Olonio:  Cenni  iterici,  in  Rend.  Ist.  Lomb.,  1873,  ser.  2*,  voi.  VI,  fase.  12. 


CUGGIONO  —    6    —  REGIONE    XI. 

sito  della  città  degli  Aneuniati,  ma  quello  di  un  santuario,  ove  gli  Aneuniati  dedi- 
carono un  ex-voto.  È  credibile  dunque  che  la  lapide  appartenga  al  territorio  di  Gora, 
ove  fu  trovata,  e  che  sta  di  fronte  allo  sbocco  della  Valtellina,  limitrofa  alla  Val 
di  Non,  i  cui  abitanti  ben  potevano  dedicare  un'offerta  a  Giove  in  un  luogo  di  culto 
d'una  qualche  rinomanza  che  sorgesse  allora  sulle  rive  del  Lario. 

G.  Patroni. 


IV.  CUGGIONO  —  Tombe  della  prima  età  del  ferro,  trovate  nella 
località   «  il  Ponte  ». 

In  questi  ultimi  tempi,  in  una  cava  di  sabbia,  posta  in  località  detta  «  il  Ponte 
di  Cuggiono  » ,  s'erano  rinvenute  alcune  tombe  della  prima  età  del  ferro,  i  cui  cimelii 
erano  stati,  al  solito,  confusi  fra  loro  e  dispersi  in  varie  mani.  Venni  informato  del 
fatto  dalla  bontà  dell'egregio  sig.  nob.  Luca  Gandaglia,  impiegato  presso  l'Archivio 
Civico  di  Milano. 

Espressi  il  desiderio  di  recarmi  sul  luogo,  e  fui  invitato  dall'egregio  e  compi- 
tissimo signore,  il  dott.  E.  De  Agostini,  medico  del  Comune,  il  quale  offriva  di  mo- 
strarmi quanto  si  era  rinvenuto.  1  cimelii  trovavansi  in  parte  presso  di  lui;  ma  la 
parte  maggiore  e  migliore  si  trovava  e  si  trova  tuttora  presso  l'egregio  sig.  Angelo 
Rossi,  orefice  di  Cuggiono. 

L"  insieme  degli  oggetti  è  rappresentato  nella  fotografia  fedele,  per  quanto  un 
po'  meschina,  che  presentai  agli  egregi  miei  colleghi  della  Comm.  Conserv.  dei  Mo- 
num.  per  la  prov.  di  Milano.  Sono  vasi  di  cotto  e  fibule,  armille,  pendagli,  ecc.  di 
bronzo.  È,  fra  tutti,  assai  notevole  una  fibula  a  sanguisuga,  legata  a  fili  di  oro  puro, 
che  accenna  ad  un'arte  mirabile  e  a  una  certa  ricchezza.  Qualcuno  dei  vasi  imita 
gli  aretini. 

Una  brocca  ricorda  una  forma  rinvenuta  in  altri  tempi  a  Borgo  s.  Siro  di  Pavia. 
La  ricca  fibula  montata  in  oro  fa  pensare  all'altro  notevole  oggetto  da  toletta  rinve- 
nuto a  Rebbio  di  Como. 

In  complesso  nella  maggior  parte  le  tombe  accennano  al  V  e  VI  secolo  av.  Cristo  ; 
nessuna  è  posteriore  all'arrivo  dei  Galli  (400  av.  Cr.).  La  piccola  necropoli  di  Cug- 
giono viene  ad  arricchire  di  un  nuovo  anello  la  catena  delle  necropoli  della  prima  età 
del  ferro,  catena  che,  posta  ad  oriente  del  Ticino,  segna  una  probabile  antica  strada  che 
doveva  collegare  il  Lago  Maggiore  con  Pavia,  la  quale  strada  sarà  stata  assai  pro- 
babilmente il  fiume  Ticino  stesso  e  un  sentiero  nei  boschi  lungo  la  sponda  del  fiume. 

Le  necropoli  sono  quelle  di  Sesto  Calende,  Golasecca,  Coarezza,  Vizzola,  Nosate, 
Turbigo,  Cuggiono,  Magenta,  Albairate,  ecc. 

L'egregio  dott.  De  Agostini  ha  promesso  di  tenermi  al  corrente  delle  ulteriori 
eventuali  scoperte,  e,  possibilmente,  di  chiamarmi  ad  assistere  ai  modestissimi  scavi, 
ed  a  dirigerli. 

P.  Castelfranco. 


ROMA 


7  — 


ROMA 


Y.  ROMA. 
Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  VI.  Proseguendosi  il  grande  sterro  nel  fondo  già  Spithfivev  a  via  Flavia, 
dove  appnnto  avvennero  le  scoperte  segnalate  in  queste  Notizie  (pag.  347),  è  stato 


FlG.  1. 


1:  7 


trovato  un  piccolo  gruppo  di  marmo,  posato  sopra  una  base  circolare  e  rappresen- 
tante un  fauno  che  cavalca  un  caprone.  Di  questo  è  scolpito  soltanto  il  busto  che 
dalla  base  stessa  emerge  dai  fianchi  in  su  (fig.  1).  Il  gruppo  fu  raccolto  in  fram- 
menti, e  manca  della  testa  e  delle  braccia  del  fauno  e  del  muso  del  caprone.  Misura 
m.  0,70  di  massima  larghezza. 


* 


Regione  IX.  Nella  fondazione  di  un  pilone  isolato  sulla  sinistra  del  monu- 
mento a  Re  Vittorio  Emanuele,  s' incontrarono  altri  avanzi  del  tracciato  della  Pia- 


ROMA 


—  8  — 


ROMA 


minia,  già  più  innanzi,  cioè  piti  vicino  a  piazza  Venezia,  riconosciuti  nei  prece- 
denti lavori  {Notizie  1908,  pag.  262).  Dallo  sterro,  alla  profondità  di  m.  4,  furono 
estratti  ì  seguenti  marmi: 

Un  capitello  di  stile  corinzio,  alto  m.  0,40,  male  conservato  e  anche  rotto  nel- 
l'abaco. 

Un  basamento  di  marmo  greco,  appartenente  a  grande  pilastro  con  cornici  e 
plinto  completamente  intagliati  a  ricchi  motivi  di  palmette  e  fiori,  in  uno  stile  puris- 


FiG.  2. 


Simo  (fig.  2).  È  frammentato  nella  parte  sinistra;  misura  m.  0,72  di  lunghezza  e 
m.  0,27  d'altezza. 

Una  lastra  rettangolare  di  marmo  lunense,  alta  m.  0,44,  larga  m.  0,31,  rita- 
gliata sopra  un  rivestimento  di  capitello  di  pilastro,  come  apparisce  dalla  sua  parte 
posteriore.  Anteriormente,  è  contornata  da  rozza  cornice,  e  contiene  una  figura  di 
Priapo  coperta  soltanto  da  breve  clamide  allacciata  alle  spalle.  La  figura  della  ru- 
stica divinità  vedesi  di  fronte;  è  crinita  e  barbata,  appoggia  la  mano  destra  sul  corno 
di  un  montone  e  solleva  coll'altra  mano  la  ronca  (').  Ai  suoi  lati  servono  di  sfondo 
due  alberetti;  e  da  una  parte  è  contrapposto  al  montone  una  specie  di  grossa  conca  o 
rozzo  cratere  (fig.  3). 

Frammento  di  lastra  marmorea  con  avanzo  d'iscrizione  a  lettere  irregolari,  alte 
mm.  35  : 


(')  L'attributo  del  montone  è  più  proprio  di  Priapo  che  di  Silvano.  Cfr.  il  bellissimo  rilievo  di 
Antinoo-Silvaiio  scoperto  a  Torre  del  Padiglione  e  riprodotto  in  queste  Notizie  anno  1908,  pagTsO. 


ROMA 


—   9    — 


ROMA 


Per  gli  sterri  fatti  sulla  fronte  del  monumento  al  Re  Vittorio  Emanuele,  e  propria- 
mente sull'asse  di  questo,  a  sud  del  monumento  antico  esistente  all'angolo  delle  vie  di 
g.  Marco  e  Macel  de'  Corvi,  alla  profondità  di  m.  1  sotto  l'attuale  piano  stradale, 
è  stato  messo  alla  luce  un  angolo  formato  da  doppi  filari  di  parallelepipedi  di  tufo, 


FiG.  3.         1  : 


disposti  uno  nel  senso  della  larghezza  e  due  nel  senso  della  lunghezza.  Ciascun  pa- 
rallelepipedo aveva  lo  spessore  di  m.  0,60,  un'altezza  uguale  e  una  lunghezza  di 
m.  1,20.  Rappresentava  probabilmente  la  platea  del  monumento  su  accennato,  poiché 
l'interno  della  costruzione  a  parallelepipedi  era  formato  con  una  solida  gettata  di 
detriti  di  tufo  e  calce,  la  quale  si  estendeva  fin  sotto  il  monumento;  ed  inoltre  l'in- 
sieme della  stratificazione  aveva  il  medesimo  orientamento  di  questo. 

NoTiziB  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  2 


ROMA 


—   10  — 


ROMA 


Sempre  a  motivo  degli  stessi  lavori  di  sterro,  in  un  cavo  che  corrisponde  all'an- 
golo della  via  Giulio  Romano  con  la  via  di  Marforio  e  alla  profondità  di  m.  1,50  sotto 
il  piano  stradale  fu  scoperto  un  blocco  di  travertino  lungo  m.  1,05,  largo  m.  0,55, 
alto  m.  0,55,  che  trovavasi  in  posto  e  doveva  appartenere  alla  sostnizione  di  un 
monumento  sepolcrale  lungo  la  crepidine  sinistra  della  via  Flaminia. 


Fio.  4. 


1:0 


A  Montecitorio,  nei  lavori  per  la  nuova  Aula  della  Camera  dei  Deputati  verso 
la  via  della  Missione,  si  trovarono  tuttora  al  posto  sei  pilastri  di  travertino  ap- 
partenenti al  recinto  esteriore  del  grandioso  monumento  scoperto  fino  dal  1907 
(Notule  1907,  pag.  527).  Si  trovarono  alla  distanza  di  m.  5,40  l'uno  dall'altro.  A 
capo  allo  sterro,  ma  fuori  posto,  apparvero  due  grandi  blocchi  di  marmo,  ambedue 
angolari,  uno  ad  angolo  re^to  e  con  cornice  a  dentelli  e  gocciolatoio,  l'altro  ad  an- 
golo ottuso  di  160°,  appartenente  ad  un  altro  recinto  del  medesimo  monumento. 
Quest'ultimo  blocco  è  liscio  nelle  faccio  anteriori  ;  ha  poi  la  particolarità  delle  due 


ROMA 


n  — 


ROMA 


faccie  angolari  interne  levigate  e  limitate  sopra 
e  sotto  da  una  cornice.  Il  primo  misura  nei 
due  lati  angolari  m.  1,25  e  1,15  di  lunghezza, 
e  negli  attacchi  dei  filari  lineari  m.  1,00  da  una 
parte  e  m.  1,04  dall'altra,  colla  misura  costante 
di  m.  0,74  di  altezza.  Il  secondo  ha  i  lati, 
dell'angolo  saliente,  uguali  e  lunghi  m.  0,585,  i 
lati  rientranti  pure  uguali  e  lunghi  m.  0,53, 
gli  attacchi  coi  filari  lineari  larglii  m.  0,67,  e 
conserva  la  misura  costante  di  m.  0,74  di  altezza. 

In  vicinanza  di  questi  grandi  frammenti 
architettonici  si  rinvenne  il  tronco  superiore  di 
una  colonnetta  a  modanature  girate  a  spire, 
le  quali  superiormente  si  risolvono  in  due  cau- 
licoli 0  fogliami,  che  contengono  due  grosse  pine. 
Da  una  parte  e  dall'altra,  nei  punti  di  coesione 
delle  pine,  due  rosette  molto  rilevate  (fig.  4).  La 
colonna  spiraliforme  misurava  m.  0,20  di  dia- 
metro ;  doveva  esser  molto  alta  e  necessariamente 
composta  di  due  pezzi,  il  fusto  propriamente  detto 
e  la  decorazione  suaccennata.  Infatti,  nella  parte 
inferiore  vedesi  un  lungo  foro,  fatto  a  trapano, 
largo  mm.  30,  e  avente  lo  scopo  di  fissare  questo 
ornamento  per  mezzo  di  un  pernio,  che  io  credo 
di  legno,  al  fusto  della  colonna. 

Questa  scoltura  singolarissima,  che  deve 
riferirsi  alla  classe  degli  ornamenti  per  giardini, 
trova  riscontro  in  altro  esemplare  più  piccolo, 
ma  completo  e  del  pari  elegante,  esposto  oggi 
nel  Museo  Nazionale  Romano  e  segnato  col 
numero  d'inventario  507.  Proviene  dall'antico 
Museo  del  Palatino.  A  maggiore  schiarimento 
della  decorazione  trovata  a  Montecitorio  stimo 
opportuno  di  porre  accanto  una  riproduzione  del 

fusto  completo  del  Museo  Nazionale  (fig.  5). 

* 

Alveo  del  Tevere.  Alla  profondità  di 
m.  12,  nel  cassone  di  sinistra  del  secondo  pi- 
lone del  nuovo  ponte  Vittorio  Emanuele  fu  sco- 
perta una  secchia  di  rame,  di  forma  molto  ca- 
ratteristica (fig.  6),  cioè  a  corpo  discoidale  piano- 
convesso  e  ad  orlo  breve  ed  eretto,  munito  di 
orecchiette,  entro  le  quali  girano  le  estremità  di 
un'ansa  arcuata.  Dal  medesimo  cassone  si  trassero  due  piedi  fittili,  ambedue  sinistri, 


FlG.  5.  1:10 


ROMA  —    12   —  SOMA 

appartenenti  a  rozze  statue  di  terracotta,  uno  lungo  m.  0,26,  Taltro  m.  0,19;  que- 
st'ultimo con  innesto  per  la  gamba.  Dal  cassone  di  destra  si  estrassero  quattro  anfore 
vinarie  liscie  e  tre  tegole.  Una  con  bollo  C,  I.  L.,  XV,  1434;  le  altre  due  col  bollo 
C,  I.  L.  XV,  516.  Si  estrasse  inoltre  dal  medesimo  cassone  un'altra  anfora  con  bollo 

sul  collo  a  grandi  lettere: 

M  B  J5. 
L-mRC 

Alla  profondità  di  m.  6  dalla  magra  del  fiume,  da  questo  medesimo  cassone 
vennero  fuori  un  rozzo  vaso  di  terracotta  a  pareti  cilindriche  e  con  ansa  a  nastro, 
alto  m.  0,12;  un  piede  sinistro  in  terracotta,  lungo  m.  0,20,  con  sopra  l'innesto  per 
la  gamba;  un  pezzo  di  fistula  aquaria  di  piombo  (diam.  m.  0,12,  lunghezza  ra.  0,80) 


FiG.  6.        i:4 

con  iscrizione  troncata  in  fine  {C.I.L.  XV,  1678).  Alla  profondità  poi  di  m.  9  si 
rinvennero  quattro  anfore  intere,  di  varia  grandezza,  e  due  puntali  di  ferro  (cuspides) 
per  palafitta  a  quattro  ali  (figg.  7,  7a),  grandissimi,  cioè  uno  alto  m.  0,82,  l'altro 
m.  0,60  ('),  e  un  pezzo  di  trave  di  quercia,  che,  per  estrarlo,  convenne  segare  dentro 
il  cassone,  lungo  m,  0,50,  alto  m.  0,32,  largo  m.  0,38,  in  forma  di  grande  cusci- 
netto, 0  banchina  (fig.  8)  spettante  forse  a  spalletta  d'antico  ponte. 

Il  giorno  31  decembre  nel  pilone  del  lato  destro,  a  ra.  8,50  dal  livello  di  magra, 
e  a  monte  del  cassone  corrispondente,  si  rinvennero  due  grandi  frammenti  di  panneggio 
appartenenti  ad  una  statua  di  bronzo,  di  grandi  dimensioni,  ambedue  con  belle  pieghe, 
e  uno,  il  più  grande,  con  fimbria  finale  a  solcature  fatte  con  scalpello.  Misurano  ri- 
spettivamente m.  0,80  e  0,70  di  altezza. 

(')  Gfr.  per  la  forma  e  per  la  struttura  ì  tipi  dati  dal  Durra  (Handbuck  d.  Architektur,  voi.  H. 
pag.  217,  fig.  221). 


ROMA 


—  13 


ROMA 


Inoltre  a  profondità  varia  si  trovarono  un  palo  di  ferro  lungo  m.  1,27  e  un  fram- 
mento di  altro  palo  con  estremità  biforcuta  o  munita  di  piede  per  la  leva  (fig.  9), 


FiG.  7.       1:10 


Fio.  la.       i:io 


una  dolabra  grande  di  ferro,  spezzata  e  ripiegata  su  se  stessa,  con  penna  da  un  lato 


Fig.  8.       i:io 


e  grande  ascia  verticale  dall'altro,  un  vaso  fìttile,  rozzo,  in   forma  di  ciotola,  del 
diam.  di  m.  0,20,  e  una  lucerna  fittile  con  bollo  di  fabbrica    (C.  I.  L.  XV,  6642). 


ROMA 


—   14  — 


ROMA 


Nella  scarpata  che  si  prepara  pei  lavori  di  attacco  del  ponte  alla  riva  destra 
del  Tevere,  si  raccolse  un  plinto  di  statuetta  marmorea,  sul  quale  sono  rimasti  i  piedi 
incrociati  di  una  statuetta,  e  un  rozzo  rilievo,  male  conservato  e  di  piccole  dimensioni, 
dove  sembra  riconoscersi  un  putto  nudo. 


FiG.  9. 


1:4 


Via  Prenestina.  Sul  principio  del  vicolo  Malabarba,  dove  distaccavasi  la 
via  Collatina  dalla  Praenestina,  i  grandi  sterri  che  vi  si  continuano  per  l'allarga- 
mento dei  binari  del  nuovo  scalo  merci,  hanno  restituite  alla  luce  parecchie  scolture 
marmoree,  e  lastre  marmoree  spezzate,  con  avanzi  di  iscrizioni  sepolcrali. 

a)  Frammento  di  marmo  lunense,  scorniciato  sopra,  che  doveva  far  parte  di 
un  sarcofago.  Mostra  scolpita  in  rilievo  una  testina  di  putto,  e  sopra  a  questa  un 
ramoscello  fiorito.  Misura  in  larghezza  m,  0,23;  in  altezza  m.  0,13. 

b)  Pezzo  di  marmo  lunense  grezzo,  sferiforme,  alto  m.  0,18. 

e)  Frammento  d' iscrizione  in  lastra  di  marmo  lunense,  che  conserva  un'  iscri- 
zione sepolcrale  dell'età  degli  Antonini,  posta  ad  un  fanciullo  dalla  pietà  dei  genitori. 


/  D     /     M 
PÀELIMOSC 
Q    V    ANN 
VI  •  D  ■  X'/ 
PÀRENTESP; 
<:iui  -c^ircE 


Misura  in  larghezza   (m.  0,27,  in  altezza  m.  0,22,  ed  ha  lo  spessore  dj  m.  0,02f5). 


BOUA 


—   15   — 


ROMA 


d)  Frammento  di  travertiuo  appartenente  ad  un  cippo  sepolcrale,  in  cui  rimane 
la  leggenda: 

CNMANLIVS 
SOrERICHVS 


Misura  in  larghezza  m.  0,26,  in  altezza  m.  0,20,  ed  ha  lo  spessore  di  m.  0,15. 

e)  Piccolo  plinto  di  statuetta  marmorea,  dove  restano  due  piedi  nudi,  luio 
dei  quali  rotto  per  metà.  Il  plinto  misura  m.  0,32  di  larghezza,  m.  0,20  di  profon- 
dità e  m.  0,10  di  spessore. 

/■)  Fra  i  rottami  di  tegole  e  di  mattoni  se  ne  raccolsero  due  sui  quali  si 
legge  il  medesimo  bollo  (C.  I.  L.  XV,  359). 

g)  Si  recuperò  inoltre  una  lastra  quadrata  di  marmo  lunense  di  m.  0,47  X 
0,47  X  0,02,  bene  conservata,  con  un'  iscrizione  cemeteriale  cristiana  recante  il  con- 
solato di  Flavio  Paolo  giuniore,  cioè  dell'anno  525,  della  quale  diamo  qui  una  ri- 
produzione tratta  da  fotografia: 


Non  può  sorgere  alcun  dubbio  sulla  leggenda  che  dice:  +  hic  requieseit  in  pa\ce 
anelila  C{h)risti  Maxima,  \  qu(a)e  vixit  ann(is)  pl{us)m(inus)  XXV  d{e)p(osi(a) 
Villi  Kal{endas)  lulias  FI.  Probo  luniore  V{iro)  c{lanssmo)  cons{ule),  qu{a)e 
fecit  cum  maritum  suum  ann{os)  VII  m{enses)  VI  ;  amicabilis  fidelis  in  omnibus 
bona  prudens. 


ROMA  —    16    —  ■  BOMA. 


Alla  tenuta  Torre  Tre  Teste,  sulla  medesima  via  Prenestina,  e  più  propriamente 
nel  fondo  denominato  Casa  Koscetta  del  sig.  Angelini  43iovanni,  fu  scoperto  in  occa- 
sione di  lavori  agricoli  un  blocco  di  marmo  lunense,  curvilineo  nella  superficie  esterna 
e  scorniciato  sopra.  Apparteneva  evidentemente  ad  uno  stereobate  di  grande  monu- 
mento, forse  sepolcrale,  della  via  medesima.  Misura  m.  1,14  di  larghezza,  m.  0,52 
di  altezza  e  m.  0,49  di  spessore. 


Via  Collatina.  A  metà  del  vicolo  Malabarba,  il  quale  segue  l'antico  trac- 
ciato della  via  Collatina  (V.  Notizie  1908.  pag.  265).  in  mezzo  ad  una  vera  con- 
gerie di  materiali  provenienti  da  demolizioni  di  fabbricati  romani,  fu  rinvenuto  un 
angolo  di  una  lastra  di  marmo  lunense  (m.  0,27  X  0,17),  scorniciata  e  contenente 
questo  avanzo  d' iscrizione  : 


Con  questa  iscrizione  si  raccolse  un  fondo  di  rozza  lucerna  col  bollo: 

CAE ■ ERC 
1 
Nello  sterro  più  vicino  al  luogo  dove  sorgeva    il  fabbricato  Fumaroli  tornò  in 
luce  un  piccolo  frammento  marmoreo  con   una  tartaruga  in  rilievo,  una  tegola  con 
marca  di  fabbrica  (C. /.  Z.,  XV,  858)  e  una  lastra  di  marmo  lunense  (m.  0,32  X 
0,21  X  0,04)  con  foro  nel  mezzo  e  colla  seguente  iscrizione  a  lettere  regolari: 

V  D      *       M  j#r 
CLO  •  FORT  •  IVLIO 

APRILI    /'7^    COIVGB-M-F 

A.  Pasqui. 


ftBQIONB   I.  —   17  — ■  OSTIA 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

VI.  OSTIA  —  Nuove  scoperte  tra  la  via  dei  Sepolcri  e  le  Terme. 

Si  è  continuato  lo  sterro  della  strada  che  si  stacca  dalla  «  via  dei  sepolcri  »  (')  e 
va  in  direzione  delle  «  Terme  »  (')  (v.  Notizie,  1908,  pag.  468). 

A  destra  un  muro  di  m.  0,55  di  larghezza  divide  la  stanza  n.  7  dalla  seguente, 
che  è  lunga  m.  3,82  e  larga  m.  5,84.  Nel  muro  di  fondo,  a  m.  2,40  dalla  parte  orien- 
tale, si  apre  una  porta  larga  un  metro.  Addossata  al  mnro  meridionale  (quello  che 
dà  sulla  via)  ed  a  quello  occidentale  è  una  vasca  lunga  m.  1,64,  larga  ra.  0,75  col 
muricciolo  largo  m.  0,2.8,  intonacato  a  cocciopisto  e  con  tubo  che  scaricava  l'acqua 
sul  pavimento,  pure  a  cocciopisto,  donde  questa  penetrava  in  un  fognolo,  che  finiva 
nella  grande  fogna  della  strada.  Il  pavimento  è  a  m.  0,25  al  di  sotto  del  piano  stradale. 
Negli  scarichi  di  questa  stanza  si  raccolse  un  mattone  col  bollo  C.  I.  L.,  XV,  330. 

Il  muro  che  divide  questa  stanza  dalla  seguente  n.  9,  è  largo  m.  0,70.  Questa  è  in 
massima  parte  ingombra  per  la  vòlta  caduta,  sopra  la  quale  rimane  parte  del  musaico 
del  piano  superiore,  in  bianco  e  nero  a  quadrati  di  m.  0,23  per  0,23.  Misura  di 
larghezza  m.  5,27,  ed  ha  la  porta  larga  m.  1,46,  distante  m.  1,80  dal  muro  orientale. 
A  m.  3,10  dalla  parete  meridionale,  appoggiato  a  quella  orientale,  si  vede  un  muro  che 
corre  per  m.  2,20  verso  occidente,  e  che  è  stato  tagliato  nella  parte  superiore  a  livello 
del  pavimento. 

Il  muro,  largo  m.  0,65,  che  separa  questa  stanza  n.  9  dalla  seguente,  è  a  cor- 
tina (•').  Anche  una  porta,  che  si  apriva  a  m.  1,80  dal  muro  meridionale,  è  stata  poi 
chiusa  con  muratura  a  cortina.  La  stanza  è  larga  m.  5,95,  lunga  m.  3  sul  lato  orientale 
e  m.  3,23  sull'occidentale  {*).  Nella  parete  meridionale,  a  m.  0,52  dal  muro  orientale, 
si  apriva  una  porta,  larga  m.  1,46,  che  piii  tardi  venne  chiusa  con  piccoli  pezzi  di 
tufo  squadrati  e  con  mattoni  f').  Nella  parete  di  fondo  (settentrionale),  larga  m.  0,60,  a 


(')  È  necessario  tener  bene  presente  che  questi  nomi  molto  spesso  sono  più  che  arbitrari,  e  ven- 
nero adottati,  ])iù  che  per  altro,  per  la  comodità  dei  visitatori.  Ma  io  ora  non  so  quale  altra  denomina- 
zione sostituire  ad  essi.  Il  nome  di  «  Via  dei  sepolcri  »,  con  cui  denoto  questa  strada,  può  avere 
valore  soltanto  sino  a  che  non  verranno  in  luce  altre  vie  consimili;  e  non  saprei  nemmeno  diro  se 
quel  nome  sìa  già  ora  appropriato,  quando  si  osservi,  come  le  tombe  non  abbiano,  nella  massima 
parte,  l'ingresso  su  di  essa,  ma  su  altra  che  corre  piìi  verso  occidente.  Ancora  meno  appropriato  6  poi 
naturalmente  quel  nome,  quando  si  applichi  alla  parte  della  via  che  sta  dentro  la  città.  Ma  d' al- 
tronde anche  quello  di  u  Ostiense  »  non  le  spetta.  Noto  poi  che,  allargato  qui  lo  scavo  e  mossa 
quella  via  meglio  in  luce,  è  risultato  come  essa  continui  sotto  i  campi,  e  quei  muri,  che  sembravano 
interromperla,  appartengano  invece  a  botteghe  (tabernae),  che  si  aprivano  sul  suo  lato  occidentale. 

(")  Per  la  pianta  della  parte  di  queste  terme  già  esplorata  v.  Notizie,  1888,  pag.  738. 

(°)  I  muri  sono  tutti  in  reticolato,  dove  non  è  indicato  diversamente. 

(*)  11  muro  di  fondo  sposta  di  7  gradi  verso  ovest  di  fronte  ai  muri  trasversali. 

(')  A  queste  porte,  chiuse  più  tardi,  venne  generalmente  tolta  la  soglia. 
Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  3 


OSTIA  —    18   —  REGIONE    I. 

m.  3,30  dal  muro  orientale,  si  apre  una  porta,  larga  m.  1,17,  la  quale  mette  in  un  cor- 
ridoio (?),  che  si  prolunga  anclie  dietro  le  stanze  seguenti.  Verso  oriente  questo  cor- 
ridoio è  tagliato  da  un  muro  largo  m.  0,45,  che  lo  separa  da  un  altro  corridoio  (?), 
largo  m.  1,73.  Il  muro  che  divide  questo  secondo  corridoio  dalla  stanza  n.  9  è  per 
m.  2,13  rifatto  in  cortina  in  tempo  posteriore;  e  lo  stretto  passaggio,  di  m.  0,46,  tra 
un  corridoio  e  l'altro,  sembra  aperto  più  tardi  ('). 

La  stanza  n.  11,  che  è  separata  dalla  precedente  mercè  un  muro  largo  m.  0,46, 
è  larga  m.  5,65  e  lunga  m.  3,25.  Nella  parete  verso  la  strada  ha  una  porta,  larga 
m,  1,45,  a  m.  2,02  dal  muro  orientale.  Nella  parete  di  fondo,  a  m.  2,79  da  questa 
ultima,  si  apre  una  porta,  larga  m.  1,31,  che  dà  sul  corridoio  sopra  citato. 

La  stanza  n.  12,  separata  dalla  precedente  da  un  muro  di  m.  0,50,  è  larga 
m.  6,30  e  lunga  nella  parete  orientale  m.  3,40  e  nell'occidentale  m.  3,55.  Nella 
parete  di  fondo,  a  m.  2,33  dal  muro  orientale,  si  apre  sul  corridoio  una  porla  larga 
m.  1,18.  Il  tratto  di  questa  parete  che  va  da  questa  porta  alla  parete  occidentale 
venne  rifatto  posteriormente  in  cortina. 

Un  muro,  largo  m.  0,65,  divide  questa  stanza  n.  12  dalla  seguente,  che  è  larga 
in.  4,92.  A  m.  0,90  dal  muro  meridionale,  si  stacca  da  quello  orientale  un  muro  a 
cortina,  lungo  m.  1,32,  largo  m.  0,77,  con  una  risega  in  reticolato  verso  nord,  larga 
m.  0,25.  A  m.  1,82  da  questo  muro  si  ha  il  muro  di  fondo,  pure  a  cortina,  largo 
m.  0,28;  a  m.  2,22  dal  muro  orientale  si  apre  la  porta  larga  m.  1,15. 

Il  muro  che  divide  questa  stanza  n.  13  dalla  seguente,  largo  m.  0,45,  è  molto 
tardo  e  costruito  con  pezzi  di  muro  più  antico  sopra  alcuni  dei  quali  si  conserva 
l'intonaco. 

La  stanza  n.  14,  larga  m.  4,40  verso  mezzogiorno,  e  m.  3,18  verso  nord, 
mostra  a  m.  0,45  sopra  il  livello  della  strada,  traccie  del  pavimento  tardo,  al  cui 
piano  sono  stati  tagliati  dei  muri  in  reticolato,  uno  che  corre  obliquamente  e  finisce 
nel  muro  meridionale  a  m.  1,23  da  quello  orientale;  un  altro  che  si  stacca  da  que- 
st'ultimo dove  quello  comincia,  cioè  a  m.  2,90  da  quello  meridionale  e  va  parallelo 
a  questo  per  m.  2,26  ;  un  terzo  più  verso  nord,  pui-e  parallelo  a  questo,  distante  dal 
secondo  m.  1,03. 

Nel  muro,  largo  m.  0,48,  costruito  con  piccoli  tufi  squadrati  e  mattoni,  a  m.  2,90 
dal  muro  meridionale,  è  un'apertura  larga  m.  1,07,  che  mette  nella  stanza  seguente 
(15  A),  lunga  m,  4,25,  larga  verso  nord  m.  1,80,  verso  sud  m.  1,92,  correndo  obli- 
quamente il  muro  largo  m.  0,58,  costruito  in  reticolato  con  ricorsi  di  mattoni,  che 
la  divide  dalla  seguente  (15  B).  Nella  stanza  all'angolo  sud-ovest  resta  una  colon- 
nina di  marmo,  del  diam.  di  m.  0,35,  su  mattoni  sovrapposti  l'uno  all'altro;  e  nel 
muro  verso  la  strada  è  un'apertura  (m.  0,75  X  0,27)  a  m.  0,65  sopra  il  piano  di  quella. 

Innanzi  a  questa  stanza,  sulla  via,  comincia  un  muricciuolo,  che  sporge  per 
m.  0,46,  e  corre  per  m.  4,50,  costruito  con  poligoni  stradali,  mattoni,  e  terra. 


(')  Su  questa  parte  posteriore  alla  stanza  poco  di  esatto  si  può  dire,  non  essendosi  qui  aliar- . 
gato  lo  scavo. 


REGIONE    I.  —    19   OSTIA 

La  stanza  seguente  (15  B),  larga  verso  sud  m.  7,60,  conserva  circa  al  livello 
della  strada  il  pavimento  a  oocciopisto,  e  più  in  alto  avanzi  di  un  pavimento  più 
tardo.  Dietro  al  muro  meridionale,  che  prospetta  la  strada,  si  ha  un  altro  muro  a 
cortina,  tagliato  a  livello  della  strada  stessa,  largo  m.  0,60;  tra  i  due  muri,  verso 
oriente,  corre  per  m.  2,15  un  piccolo  canale.  La  stanza  è  attraversata  obliquamente  da 
una  fogna  di  m.  0,24  per  0,27,  a  m.  0,90  sopra  il  pavimento  a  cocciopisto,  che,  a 
m.  2,15  dal  muro  orientale,  entra  nel  muro  meridionale  e  sbocca  sulla  strada  sopra 
il  livello  di  questa,  attraversando  il  suddetto  muricciolo    sporgente,  che  qui  finisce. 

Un  muro  di  tufetti  squadrati  e  mattoni  divide  questa  stanza  dalla  seguente, 
che  è  l'ultima  su  questa  parte  della  strada,  e  che  dà  pure  su  quella  che  corre  per- 
pendicolare a  questa.  Essa,  larga  m.  5,85,  aveva  due  porte,  una,  larga  m.  1,61,  che 
si  apriva  verso  sud  a  ra.  1,85  dall'angolo  della  strada,  ed  una  che  si  apriva  a  m.  1,80 
dall'istesso  angolo  verso  ovest,  chiuse  ambedue  più  tardi.  Ai  lati  della  parete  meri- 
dionale sorgono  nell'interno  due  pilastri,  larghi  m.  0,60,  lunghi  l'orientale  m.  0,52, 
l'occidentale  m.  1,16.  La  stanza  era  pavimentata  con  poligoni  stradali. 

Innanzi  a  questa  stanza  si  ha  un  altro  inuricciuolo  sporgente,  che  comincia  a 
zero  innanzi  al  muro  che  la  divide  dalla  stanza  n.  15,  e  finisce  con  la  larghezza  di 
m.  0,80  di  fianco  alla  porta. 

È  chiaro  da  ciò  che  abbiamo  esposto,  che  tutta  quest'ultima  parte,  a  cominciare 
dalla  stanza  n.  13,  ha  subito  rifacimenti  in  età  relativamente  assai  tarda. 


A  sinistra  1'  ambiente  n.  7,  lungo  m.  7,25,  ha  la  porta  larga  m.  1,50,  a 
m.  0,90  dal  muro  orientale.  Addossato  al  muro  settentrionale,  che  prospetta  la  strada, 
corre  per  m.  3,75,  staccandosi  da  quello,  un  muro  in  reticolato,  largo  m.  0,60,  alto 
un  metro.  A  m.  3,80  dal  muro  orientale,  e  a  m.  1,50  da  quest'ultimo  si  alza  un 
pilastro  in  cortina  di  m.  0,78  per  0,64;  un  consimile  pilastro  in  tufetti  squadrati 
e  mattoni  è  addossato  al  muro  occidentale,  a  m.  1,62  da  quello  settentrionale.  Un 
fognolo,  largo  m.  0,50  con  muri  di  m.  0,30,  attraversa  obliquamente  la  stanza,  en- 
trando nel  muro  settentrionale  a  m.  1,60  da  quello  orientale.  Si  conservano  avanzi 
del  pavimento  a  poligoni  stradali  a  m.  0,60  sotto  il  pi^no  della  strada  e  m.  0,30 
sopra  quello  del  fognolo. 

La  stanza  n.  8,  larga  verso  nord  m.  7,25,  è  divisa  dalla  precedente  da  un  muro 
largo  m.  0,45.  Verso  ovest  è  limitata  da  un  muro  in  reticolato,  largo  m.  0,48,  che 
sposta  di  5  gradi  verso  est  di  fronte  ai  precedenti. 

Qui  abbiamo  forse  il  principio  di  un  nuovo  edificio.  I  muri  trasversali  di 
questo,  il  cui  primo  (o  secondo  ?)  si  stacca  da  quello  settentrionale  immediatamente 
a  contatto  con  quello  che  limita  la  stanza  n.  8  (')  e  che  è  forse  il  primo  del  ntiovo 
edifìcio,  sono  costruiti  in  reticolato;  misurano  m.  0,45  in  larghezza  e  sono  di  10  gradi 
spostati  verso  occidente  di  fronte  ai  precedenti. 

(')  Nel  piccolo  ambiente  ad  angolo,  che  ne  risulta,  avanza  a  m.  4,52  dall'angolo  stesso  un  pi- 
lastro iu  mattoni  di  m.  0,45  per  0,45,  addossato  al  muro  occidentale. 


OSTIA 


—  20 


REOIONE   I. 


La  stanza  n.  9  è  stata  esplorata  interamente.  Essa  per  le  particolarità  della  sua 
costruzione,  somiglia  pienamente  ad  un  Mitreo;  ad  ogni  modo,  presenta  tutti  i 
caratteri  di  un  santuario  dedicato  a  Mitra  o  ad  altra  divinità  orientale.  È  larga 
m.  5,60  e  lunga  m.  12,15. 

Addossato  ai  muri  settentrionale  e  occidentale  si  ha  im  muro  in  tufetti  squa- 
drati e  mattoni,  largo  m.  0,65,  da  cui  a  m.  1,15  dal  muro  settentrionale  se  ne 
stacca  un  altro,  dell'istessa  costruzione  e  larghezza,  che  corre  per  m.  1,80  verso  est. 

A  m.  1,50  da  quest'ultimo  muro,  verso  sud,  si  incontrano  due  gradini,  coperti 
di  lastre  marmoree  irregolari,  mercè  i  quali  si  scende  ad  un  corridoio  centrale  {cella). 


Fiu.  1. 


E  lungo  m 


8,40,  largo  m.  1,90,  ed  è  a  m.  0,50  al  di  sotto  delle  due  ale  (podio), 
le  quali,  larghe  m.  1,80  circa,  hanno  il  piano  in  cocciopisto  inclinato  verso  le  pareti. 
Le  pareti  del  corridoio  sono  coperte  di  intonaco  grossolano  dipinto. 

Il  corridoio  centrale,  che  è  a  circa  m.  0,85  sotto  il  piano  della  strada,  ha  per 
una  lunghezza  di  cinque  metri  il  pavimento  formato  con  lastre  irregolari  di  marmi 
diversi  tolte  da  altra  parte.  Sopra  una  di  esse  leggesi  a  lettere  piccole,  che  paiono 
semplicemente  graffite,  ovvero  sono  molto  corrose  dall'attrito  : 

EXEDR  PECVLIaR  ARPOC/ 


Sembra  nondimeno  che  questo  pavimento  in  lastre  marmoree  sia  di  restauro,  e 
che  in  origine  il  pavimento  fosse  tutto  a  musaico  nero.  Se  ne  è  conservato  un  tratto  no- 


REGIONE    I. 


—   21    — 


OSTIA 


tevole,  nella  parte  meridionale  dell'ambiente,  nella  quale  in  origine  doveva  essere 
l'entrata.  Quivi  in  una  targa  ansata  (m.  0,85  X  0,60)  conservasi  la  seguente  leggenda 
a  lettere  biaucbe  su  fondo  nero,  nella  quale  abbiamo  anche  il  ricordo  di  chi  fece  l'opera  : 

FRVCTVS 
SVIS-IN 
PENDIS 
CONSVM 
MAVIT 

Nel  tratto  del  pavimento  a  lastre  di  marmo,  a  m.  2,60  dai  gradini  e  m.  0,68 


FiG.  2. 


dall'ala  occidentale,  si  è  scoperto  un  buco  rotondo,  del  diam.  di  m.  0,35  in  cui  è 
innestato  una  specie  di  imbuto  in  marmo,  col  foro  minore  nella  parte  inferiore,  alto 
m.  0,29,  del  diam.  interno  alla  bocca  di  m.  0,22.  Lo  ricopriva  un  medaglione  di 
marmo  (diametro  m.  0,34;  spessore  m.  0,59)  finamente  lavorato  (figg.  1,  2)  che  ha 
da  un  lato  la  rappresentanza  di  un  Satiro  che  suona  la  doppia  tibia,  dall'altro  quella 
di  una  Menade  danzante. 

Esaminata  la  terra  al  di  sotto  di  questo  pavimento,  in  un  punto  dove  mancava 
la  lastra  marmorea,  si  sono  scoperti  tre  medii  bronzi  del  secondo  secolo,  una  lastra  di 
marmo  (m.  0,24  X  0,25),  sulla  quale  sono  disegnate  due  piante  di  piedi  (ex-voto),  e 
frammenti  di  anfore  contenenti  lische  di  pesci. 

Il  corridoio,  finisce  verso  sud  con  quattro  gradini,  lunghi  m.  1,77,  alti  i  primi 


OSTIA.  —   22    —  REGIONE    1. 

tre  m.  0,23,  larghi  m.  0,30.  Ad  oriente  dei  gradini  si  ha  un  rettangolo  incavato,  alto 
dal  pavimento  dell'ala  m.  0,84,  largo  come  i  gradini,  e  che  nel  lato  orientale  ha 
un'apertura  larga  m.  0,97  e  un'altra  nel  settentrionale,  dove  si  vedono  dei  pezzi  di 
mattone  messi  a  spiovente.  Ad  occidente,  a  m.  0,70  e  0,48  circa  dai  gradini  stessi, 
a  m.  0,45  dal  muro  occidentale,  e  a  m.  0,35  da  quello  meridionale,  si  ha  una  base  (?) 
in  mattoni  quadrilatera  irregolare  (m.  0,65  X  0,65  X  0,25  X  0,70)  coll'angolo  verso 
occidente  tagliato  in  forma  curva. 

Il  podio  sinistro  non  contìnua  fino  in  fondo,  ma  si  interrompe  lasciando  uno 
spazio  per  un  corridoio  largo  m.  1,23,  che  corre  lungo  il  rettangolo  suddetto.  Esso 
dava  ad  una  porta,  poscia  murata  e  che  si  allargava  accanto  alla  parete  dietro  al  podio 
in  un  piccolo  vano  di  m.  0,54  X  0,30.  La  porta  stessa  non  scendeva  fino  al  piano 
del  corridoio  centrale,  ma  si  formava  all'altezza  del  podio;  ond'è  a  supporre  che  desse 
accesso  a  questo  e  mercè  gradini,  non  più  esistenti,  al  corridoio  centrale. 

In  questo  ambiente  tra  gli  scarichi  della  terra  si  scoprirono  i  seguenti  oggetti  : 
1.  Lastra  di  marmo  venato  (m.  0,36X0,16); 


nJ 


-L-A-^MILiys 
EVSC  ■  EX-  I  M-F^*TÓ^IOV 
IS  ■  SABAZI  VOTVMFECIX/ 


È  la  prima  menzione  del  culto  di  Giove  Sabazio  in  Ostia,  ed  a  questo  nume 
doveva  forse  essere  dedicato  quel  santuario  ('). 

2.  Lastra  marmorea  (m.  0,515  X  0,15  X  0,027)  : 


4 


NVMINI •  Cae  LESTI  • 

P    CLODIVS-  fi  AVIVS- 

VENERA    n    DVS- 

VI  •  V  I  R  •      rt    V  G 

SOMNO-MONITV  S  •  FECIT 


Cfr.  C.  I.  L.  XIV,  1388:  C.  Naevio  P.  f.  Pai.  Clodia  Venerand{o)  Alexandre 
P.  Clodius  Verus  Flavius  Venerand\_u^  fìlio  dulcissimo.  Nel  numen  Cadeste  si 
potrà  forse  riconoscere  Anaitis  (cfr.  Keinach,  Chron.  d'Orient,  I,  1891,  pag.  157: 
ixoìptt  dévdqa  6(mv  Jiòg  .*a/?aftow  xal  'Aqtéfudoi  'Avaehio),  ma  potrebbe  vedervisi 
anche  lo  stesso  Mitra  o  altra  divinità  orientale. 

3.  Testina  barbata  di  alabastro  (m.  0,072),  con  capelli  rialzati  ed  un  foro  in 
alto  sul  capo,  ed  un  altro  sotto  il  collo  (Giove  Sarapide?). 

(')  Si  noti  però,  che  questo  santuario  ha  le  note  caratteristiche  dei  Mitrei,  pure  non  avendoci 
fornito  alcun  altro  indizio  per  attribuirlo  con  certezza  assoluta  a  Mitra  piuttosto  che  ad  altra  divinità 
orientale.  Giove  Sabazio  aveva  a  Roma  un  sacello  sul  Campidoglio  dal  lato  di  Aracoeli  (C.  I.  L.  VI, 
30948,  30949;  cfr.  Gatti,  nel  Bull.  d.  comm.  com.,  1891,  pag.  364).  È  possibile  che  anche  quivi 
sia  stata  venerata  la  coppia  lidia  Sabazio-Anaite,  e  che  il  culto  della  Caelestis  qui  esistente  (Notisier' 
d.  scavi,  1892,  pag.  407)  sia  stato  rivolto  a  questa  divinità  anziché  alla  Tanit  cartaginese. 


REGIONE   I.  —   23  —  OSTIA 

4.  Ermetta  marmorea  (m.  0,151);  testa  barbata  coronata  di  edera. 

5.  Parte  di  vaso  in  alabastro. 


6.  Frammento  di  lastra  marmorea  in  cui  rimane  soltanto  la  sillaba:  'Xj^ 

7.  Basetta  quadrata  marmorea  con  specchio  rientrante  nei  lati,  con  toro  e  parte 
di  colonna  (alt.  m.  0,092). 

8  Frammento  di  colonnina  a  spirale  (m.  0,11X0,115). 

9.  Base  marmorea  di  candelabro  con  parte  di  questo  (alt.  m.  0,14). 

10.  Base  a  forma  di  aretta  (m.  0,185X0,14X0,14). 

11.  Frammento  di  stipite  (m.  0,18X0,11X0,12). 

12.  Peso  di  travertino  (m.  0,075X0,125). 

13.  Coperchio  di  urna  (m.  0,07X0,255X0,28). 

14.  Lamina  di  piombo  con  fori  (rivestitura). 

Nell'angolo  orientale  di  questo  ambiente  sì  scoprirono  i  seguenti  oggetti,  che  rin- 
venuti insieme  ad  avanzi  delle  vòlte  e  dei  muri,  paiono  caduti  dal  piano  superiore, 
mentre  per  la  loro  natura  sembrerebbero  essere  per  lo  più  appartenuti  ad  un  pe- 
ristilio ('): 

1.  Ermetta  di  giallo  (m.  0,21),  rappresentante  una  divinità  femminile  coronata 
(Arianna). 

2.  Ermetta  marmorea  (m.  0,145),  rappresentante  da  un  lato  una  testa  virile 
barbata,  dell'altro  una  testa  femminile  (Bacco  ed  Arianna). 

3.  Id.  (m.  0,18):  testa  barbata  coronata  di  edera. 

4.  Ermetta  di  giallo  (m.  0,156):  testa  con  capelli  divisi  in  tre  zone  e  barba 
egualmente  divisa;  capelli  a  treccie  scendono  sulle  orecchie;  nel  mezzo  della  testa 
in  alto  una  piccola  sporgenza  con  buco  nel  centro. 

5.  Testa  muliebre  marmorea  (m.  0,14),  con  capelli  ravvolti,  che  formano  co- 
rona intorno  alla  fronte,  e  scendendo  sulle  orecchie  si  annodano  alla  nuca,  mentre 
due  treccie  scendono  sulle  spalle. 

6.  Testina  barbata  di  alabastro  (m.  0,072)  con  capelli  rialzati;  un  foro  in 
alto  sulla  testa  ed  uno  sotto  al  collo. 

7.  Undici  lucerne  fittili. 

8.  Tre  pesi  fittili  da  telaio  di  forma  quasi  circolare  (diam.  m.  0,065). 

9.  Frammento  di  una  matrice  in  palombino  (m.  0,002  X  0,077)  per  tessere 
circolari  di  piombo  (diam.  mm.  12);  ne  esistono  quattro  forme,  con  un'aretta  (?)  nel 
centro,  e  coi  relativi  canaletti. 

10.  Una  basetta  circolare  di  giallo  con  perno,  cui  è  innestata  una  base  quadrata 
di  portasanta,  e  su  questa  una  colonnina  di  bigio,  la  quale  doveva  sostenere  forse  una 
statuina  (alt.  m.  0,141). 

Si  raccolsero  inoltre  :  un  pistello  di  marmo,  due  pìccoli  vasetti  di  teiTacotta,  un 
cucchiaio  d'osso  e  sette  monete  dì  bronzo. 

La  prossima  stanza  n.  10,  è  lunga  m.  5,85;  l'altra  n.  11,  misura  m.  5,70  e  la 
seguente  n.  12,  m.  7,25.  Quest'ultima  ha  il  pavimento  in  cocciopisto  a  m.  0,50  sopra 

(')  Anche  Voscillum  che  copriva  il  buco  nel  pavimento  sembra  spettare  ad  un  peristilio. 


OSTIA  —   24   —  RKQIONE   I. 

il  piano  stradale.  Addossate  al  muro  occidentale  sono  due  vasche.  A  m.  3,54  dal 
muro  settentrionale  ed  addossata  al  muro  occidentale  si  conserva  una  soglia  di  tra- 
vertino. Nella  detta  stanza,  che,  come  la  seguente,  era  stata  in  parte  esplorata,  si  rin- 
venne : 

1.  Frammento    di  lastra  marmorea  iscritta  (m.  0,085  X  0,07  X  0,04),  in  cui 
restano  soltanto  hene  visibili  le  lettere:  NO. 

2.  Mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV,  255  a,  377,  1026  è. 

3.  Collo  di  anfora  con  la  marca  sull'ansa: 

□    -N"    DEMO 

4.  Quattro  lucerne  fittili,  di  cui  una  con  la  marca  C.  I.  L.  XV,  G296fl. 

5.  Peso  rettangolare  di  terracotta  (m.  0,105). 

6.  Ciotoletta  fittile  (alt.  m.  0,035;  diam.  m.  0,045). 

Questo  ambiente  era  separato  dal  seguente  n.  12  mediante  un  muro  in  cortina, 
largo  m.  0,65.  Della  stessa  larghezza  e  dell'  istessa  costruzione  sono  anche  i  muri 
successivi,  il  che  potrebbe  accennare  ad  altro  edificio. 

La  stanza  n.  13,  larga  m.  8,90,  aveva  l'accesso  dalla  strada  per  mezzo  di  una 
porta  che  si  apre  a  m.  0,42  dal  muro  occidentale.  Essa  conserva  il  suo  arco,  ma  in 
età  posteriore  venne  chiusa  con  muro. 

Una  porta,  larga  m.  1,15,  di  cui  si  conserva  la  soglia,  e  che  si  apriva  a  m.  1,24 
dal  muro  settentrionale,  metteva  in  comunicazione  questo  ambiente  col  prossimo  (n.  14), 
Il  quale  è  lungo  m.  5,65,  largo  verso  nord  m.  4,60,  verso  sud  m.  3,83.  Il  muro  che 
lo  divide  dal  seguente  corre  obliquamente  con  uno  spostamento  di  10  gradi  verso 
oriente.  Nella  parete  di  fondo,  pure  a  cortina,  esiste  un'apertura,  alta  m.  1,50,  larga 
m.  0,88,  più  tardi  richiusa. 

La  stanza  n.  15,  l'ultima  su  questo  lato,  lunga  come  la  precedente,  è  larga 
m.  8,75  verso  nord  e  m.  9,70  verso  sud.  Aveva,  come  quella  che  le  sta  di  fronte, 
due  ingressi  sulla  strada,  l'uno,  con  soglia  in  travertino,  largo  m.  2,38,  a  m,  0,90 
dall'angolo  verso  nord  ;  l'altro,  largo  m.  3,80,  a  m.  0,79  dallo  stesso  angolo,  verso 
ovest.  Una  vaschetta  (m.  0,68  X  0,09)  trovasi  nell'angolo  sud-ovest.  Nella  parete  di 
fondo,  a  m.  4,48  dal  muro  orientale,  si  ha  un'apertura,  poi  richiusa,  larga  m.  0,92. 

Vi  si  rinvenne: 

1.  Frammento  di  lastra  marmorea  iscritta  (m.  0,135X0,13): 


2.  Frammento  di  cippo  marmoreo  (m.  0,17X0,072X0,145): 

(z^M^ 

3.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,15  X  0,105)  con  lettere  alte  m.  0,073  ; 

MI 


REGIONE   I.  —   25   —  OSTIA. 

4.  Mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV,  211,  541,  692,  1344,  e 

L  •  VIM^EC 

5.  Tre  lucerne  fittili. 

6.  Frammenti  di  tazze  aretine. 

La  via  in  totale  è  lunga  sul  lato  destro  m.  91,  sul  sinistro  m.  85,  e  larga  dopo 
la  risega  m.  4,45.  Essa  corre  verso  nord  ovest. 

A  m.  47  dall'angolo  di  destra,  in  mezzo  alla  via,  sì  è  riconosciuto  un  tombino 
della  fogna  centrale,  la  quale  è  piena  di  terra;  esso  mancava  del  chiusino,  che  era 
sostituito  da  sei  anfore  di  forma  allungata.  A  m.  67  poi  se  ne  scoprì  un  altro. 

Nella  via  medesima  si  sono  osservati  degli  strati  di  terra  battuta,  con  pendenza 
da  nord  a  sud,  specialmente  sotto  ai  muri  che  fiancheggiano  la  strada  ;  essi  sembrano 
formati  quando  la  città  era  in  questa  parte  già  abbandonata.  Sotto  a  tali  strati 
ve  n'ha  un  altro  costituito  da  frammenti  di  anfore  misti  a  calcinacci,  come  nella  via 
che  si  sta  scavando  presso  il  tempio  di  Vulcano. 

Negli  scarichi  della  strada  stessa  si  raccolse,  oltre  a  materiale  di  minor  conto  : 

Terracotta.  Mattoni  coi  bolli  C.  I.  L.  XV,  19  a,  2546  (2  es.),  255  a  (2  es.), 
319  (2  es.),  330,  377  (2  es.),  408  a  (2  es.),  616,  759,  803,  891  (molti  es.),  1027 
(2es.),  1037  a,  1304,  1344,  1347,  1434,  1436,  1655,  e  (cfr.  328): 

©     EXFMARCIANAi 
C  M 

Lucerne  (C. /.  Z.  XV,  6296»,  6350  ed  altre).  Vasi  frammentati,  cioè  fondo  di 
anfora  con  quattro  buchi;  ansa  di  anfora  colla  marca  G.  I.  L.  XV,  2586fl('). 

Marmo,  a)  Frammento  di  lastra  marmorea  iscritta  (m.  0,11  X  0,07  X  0,016)  in 
cui  rimangono  soltanto  le  lettere:    SA  H^. 

b)  Id.  (m.  0,17  X  0,095  X  0,017):  e)  Id.  (m.  0,08  X  0,06  X  0,038): 

/ECI 
-I  A! 
vi  E    ! 


^^ 


d)  Lepretto  in  atto  di  riposo,  su  plinto  (m.  0,11  X  0,152). 

e)  Frammenti  di  una  colonna  del  diam.  di  m.  0,26. 

/)  Parte  superiore  di  colonnina  di  giallo  con  perno  (alt.  m.  0,35;  diam.  m.  0,10). 

g)  Piccolo  capitello  quadrato  (alt.  m.  0,09). 

h)  Trapezoforo  con  testa  leonina  (m.  0,2  X  0,13). 

i)   Chiusino  rotondo  con  foro  (diam.  m.  0,085). 

Bronzo.  Frammento  di  uno  specchio  (m.  0,075  X  0,042),  una  lucerna,  una  ser- 
ratura, chiodi,  aghi  stili  e  monete. 

Piombo.  Asta  cilindrica  (lungh.  m.  0,28;  diam.  m.  0,032),  disco  (diametro 
m.  0,048),  due  pezzi  di  una  conduttura  (diam.  m.  0,03). 

(')  Le  anfore  con  marca  che  altrove  abbondano,  qui  sinora  difettano. 
NoTiziK  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  4 


OSTIA  —  26  —  JtBGlONE  1. 

Si  ebbero  inoltre  nno  scalpello  (m.  0,125),  cavicchio  (m.  0,23)  ed  alcuni  chiodi 
in  ferro;  due  imbuti  (alt.  0,127  e  0,112)  in  vetro,  ed  alcuni  aghi  di  osso. 

La  via  sbocca  su  di  un'altra  che  corre  da  oriente  ad  occidente  e  le  cui  traccio 
si  conoscevano  già  innanzi  al  Teatro  e  presso  le  capanne.  Innanzi  alla  via  che  viene 
da  quella  dei  sepolcri,  si  raccolsero  mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV,  255  a,  616, 
759,  1026  è,  1304  (2  es.),  1347,  1434,  1436  e  un  collo  d'anfora  con  la  marca  C.  I.  L. 

XV,  3041  k. 

* 

Venne  pure  continuato  lo  sten-o  nella  via  parallela  al  tempio  di  Vulcano  (v.  No- 
tizie, 1908)  della  quale  tornò  in  luce  il  piano  a  poligoni  di  selce,  la  crepidine  costi- 
tuita con  pezzi  di  travertino,  il  marciapiede  a  sinistra  e  il  tubo  di  piombo  a  destra. 

Tra  le  terre  piìi  prossime  all'ingresso  si  raccolse: 

Terracotta.  Mattoni  con  i  bolli  C.LL.XV,  361  (5  es.),  555,  803,  1026è, 
1344  e:  SALEXPR  CORST;  frammenti  di  anfore  con  la  marca  di  forma  rettan- 
golare sull'ansa  {CI.  Z.  XV,  2588«,  2589è,  2744^^  (?),  3040c,  3094?w),  inoltre: 


a) 

□  C) 

d) 

□  ^TUm 

9) 

□  LET 

b) 

□  LFCCVFC 

e) 

□  €CCO 

h) 

O  FPAT 

0) 

□  31 

f) 

□  N-C 

i) 

o  IVEC 

l)    Parte  superiore  di  anfora  con  la  scritta  in  nero: 

CT>I 

m)  Altra  simile  con  la  scritta  in  rosso: 

EStf 

Lucerne  varie,  tra  le  quali  una  con  la  marca  C.  I.  L.  6296  è  ed  un'altra  con 
rami  di  edera  in  giro  a  due  leoncini  ai  lati  di  un  cratere,  e  sotto  la  marca  entro 
targa  ansata: 

SAECVL 

Un  frammento  di  vaso  a  vernice  vitrea  verdognola  con  mascheroncino. 

Marmo.  Frammenti  di  un  plinto  con  parte  di  dita  di  una  grande  statua  (m.  0,08 
X0,23  X  0,21).  Frammenti  di  bacinelle. 

Bromo.  Frammento  di  uno  specchio  (m.  0,075  X  0,042).  Aghi,  stili,  chiodi, 
pezzi  di  serrature,  anelli  con  chiave,  rampini  e  monete. 

Ferro.  Rampini,  uno  dei  quali  con  paletto  molto  largo;  chiodi,  di  cui  uno  a 
larga  capocchia.  Un  chiodo  pure  a  grossa  capocchia  si  trovò  infisso  nell'intonaco. 

Nel  quinto  ambiente  a  destra  nell'angolo  nord,  a  m.  0,40  sopra  il  pavimento, 
sopra  uno  strato  di  scarico  si  rinvennero  le  ossa  di  un  pollo,  insieme  a  molti  gusci  di 
uova  ;  evidentemente  queste  uova  rimasero  sotto  le  macerie  quando  precipitò  il  soffitto. 
Accanto  fu  raccolto  un  denaro  di  Antonino  Pio. 

Tra  la  terra  che  fu  estratta  dall'edificio  dei  molini,  quando  ne  fu  fatte  lo  scavo 
si  rinvenne  un  mattone  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  693. 


BEO  IONE   I. 


J7   — 


OSTIA 


Nella  prima  strada  verso  nord,  parallela  a  quella  che  dal  tempio  di  Vulcano  si 
dirige  Terso  il  fiume,  fu  tolta  la  terra  nel  quarto  ambiente  per  chi  viene  dal  Casone 
del  sale.  Fu  scoperto  il  pavimento  a  mosaico  ben  conservato  (m.  4,65  X  4,30)  a  di- 
segno geometrico  in  bianco  e  nero. 


Fio.  3. 


Tra  la  terra  che  ricopriva  questo  mosaico  sì  rinvennero  frammenti  di  anfore  con 
le  marche  sulle  anse: 

a)  LFFG  b)  CPC 

Sul  collo  del  frammento  che  conservava  quest'ultimo  bollo,  correva  una  leggenda 
in  nero. 

Un'altra  anfora  aveva  sul  collo  in  lettere  nere: 

X 

LXXIIII 

Un'altra  poi  alcuni  segni  neri  a  pennello,  poco  decifi-abili. 

Si  raccolse  parimenti  una  lucerna  fittile  con  la  marca  C.  I.  L.  XV,  6502; 
un'altra  simile  a  tre  becchi  (m.  0,56),  attaccata  sul  dinanzi  del  suo  sostegno  qua- 
drato (m.  0,105),  e  un  altro  sostegno  (m.  0,073)  simile,  di  forma  cilindrica  con  due 
lucerne  (m.  0,046). 


VELLETRI  —   28   — 


RBOIONE   I. 


Demolendosi  nel  Castello  il  muro  di  costruzione  recenttj,  il  quale  chiudeva  il 
vano  conducente  all'arco  sopra  la  saracinesca,  si  rinvenne  tra  il  materiale  di  costru- 
zione un  frammento  di  bel  sarcofago  marmoreo  (m.  0,40  X  0,275  X  0,085)  con  resto 
di  scultura  di  soggetto  dionisiaco,  della  quale  è  qui  data  la  rappresentanza  (fig.  3). 

D.  Vaglieri. 


VII.  VELLETRI  —  Frammento  di  lucerna  marmorea  ornata  di  rilievi, 
scoperto  nel  territorio  della  città. 

A  circa  due  chilometri  da  Velletri,  nella  località  denominata  Troncavia  o  Corti, 
tutta  rivestita  di  ubertosi  vigneti,  trovasi  la  proprietà  del  sig.  Giovanni  Paparella. 
Ivi,  nell'anno  1797,  dall'antico  proprietario  De  Santis  fu  rinvenuta  la  statua  colossale 
di  Pallade,  che  ora  adorna  il  Museo  del  Louvre. 

Qualche  tempo  fa  il  sig.  Paparella  volle  rinnovare  una  porzione  della  sua  vigna 
in  prossimità  del  punto  ove,  un  secolo  prima,  era  avvenuto  il  felice  trovamento  della 
bella  statua  ;  e  approfondì  il  lavoro  di  scasso  della  terra  più  di  quanto  le  consuetudini 
del  luogo  non  richiedessero,  colla  speranza  che  in  un  sito  di  tanta  importanza 
archeologica  lo  assistesse  la  fortuna  per  fargli  trovare  qualche  antico  avanzo.  Si  di- 
scese collo  scavo  fino  alla  profondità  di  poco  meno  di  due  metri  dal  piano  della 
vigna;  ed  a  tale  profondità  si  incontrò  da  per  tutto  il  suolo  vergine. 

Dallo  scavo  tornarono  alla  luce  avanzi  di  antichi  muri,  qualche  pezzo  di  condotto 
in  piombo  o  in  terracotta,  frammenti  informi  di  marmo  e  molti  rottami  fittili  ;  ma 
parve  che  ivi  il  luogo  fosse  stato  già  esplorato,  perchè  i  muri  non  conservavano  quella 
superficie  intatta  che  si  suole  riscontrare  in  terreni  non  rimaneggiati. 

In  ogni  modo  il  caso  non  volle  essere  totalmente  avverso,  perchè  si  ebbe  la 
fortuna  di  rinvenire  il  frammento  di  una  lampada  a  più  becchi  {polylichnis)  scol- 
pita in  marmo  greco  di  bellissima  fattura. 

La  lampada  (fig.  1)  misura  m.  0,49  circa  di  diametro.  Essa  aveva  otto  becchi 
per  altrettanti  lucignoli. 

La  parte  superiore  è  formata  da  una  calotta  concava  centrale,  del  diametro  di 
m.  0,22,  profonda  nel  centro  m.  0,035,  destinata  forse  a  contenere  il  recipiente  di 
bronzo  o  di  metallo  che  costituiva  la  vera  lampada,  mentre  il  marmo  non  doveva 
rappresentare  che  la  parte  esterna  decorativa. 

L'orlo  della  calotta  è  limitato  da  un  listello  sagomato  e  da  una  gola  rovescia 
baccellata  di  finissimo  intaglio  (fig.  2). 

Dal  piano  inferiore  della  gola  baccellata  si  protendono  verso  la  periferia  gli 
otto  becchi  limitati  da  un  listello  a  risalto,  che  gira  attorno  all'orlo  sporgente  del 
becco  e  ne  delimita  la  forma,  mentre  nella  metà  dello  spazio  tra  becco  e  becco  ter- 
mina in  una  piccola  ansa  ricurva. 

Le  anse  di  due  becchi  contigui,  riunendosi,  lasciano  uno  spazio  vuoto  a  guisa 
di  V,  entro  cui  poteva  agevolmente  adattarsi  una  delle  otto  catenelle  di  bronzo  de- 
stinate a  tener  sospesa  in  alto  la  lampada. 


REGIONE    I. 


—    29 


VBLLETRI 


Verso  l'estremità  di  ogni  becco  vi  è  un  incassatura  o  incavo  lenticolare,  in  cui 


<^r)!i 


■^:.:4^ 


// 


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FiG.  2. 


doveva  essere  incassata  la  base  di  una  fiamnaella  di  bronzo,  che  con  tutta  probabilità 
doveva  rappresentare  (insieme  cogli  altri)  gli  otto  lucignoli  ardenti  della  lampada. 


VELLETRI 


—    30   — 


REGIONE    I. 


La  faccia  inferiore  (fig.  3),  quella  che  appariva  maggiormente  quando  la  lam- 


FiG.  3, 


Fio.   4. 


pada  era  sospesa  in  alto,  porta  scolpita  nel  centro  la  testa  dell'anguicrinita  Gorgone,  ^ 
fornita  delle  due  ali  laterali. 


REGIONE   IV.  —   31    —  ANTKODOCO 

Dall'estremità  di  ciascun  becco  della  lucerna,  intagliata  a  guisa  di  caule  o  fusto, 
si  svolge  una  foglia  di  acanto  che,  spingendosi  verso  il  centro,  copre  quasi  tutto  lo 
spazio  lasciato  libero  dalla  testa. 

Ad  occupare  poi  il  vuoto  tra  foglia  e  foglia  si  svolgono  alcuni  viticci. 

Il  pregevole  cimelio  è  stato  dal  sig.  Paparella,  consigliere  comunale,  donato  al 
nascente  museo  cittadino. 

A  proposito  di  questa  scoperta  è  utile  ricordare  che  circa  tre  anni  or  sono  nella 
stessa  località  rinvenni  per  caso  a  fior  di  terra  un  frammento  decorativo  in  terracotta 
(forse  un'antefissa),  che  offre  anch'esso  una  testa  di  Gorgone,  di  cui  può  vedersi  la 
rappresentanza  nella  figura  che  qui  se  ne  riproduce  (fig.  4). 

0.  Nardini. 


Regione  IV  (SAMNIUM  et  SABINA), 

SABINI. 

Vili.  ANTRODOCO  —  Milliario  dell'antica  via  Salaria  appartenente 
al  ramo  della  detta  via  che  da  Interocrium  andava  ad  Amiternum. 

A  sei  chilometri  da  Antrodoco,  sulla  via  che  mena  ad  Aquila,  e  precisamente 
un  chilometro  oltre  la  pittoresca  chiesa  di  s.  Maria  delle  Grotte,  nella  località  detta 
Fonte  Canale  o  Vignola,  è  un  terreno  appartenente  al  sig.  Angelo  Tedeschini  del 
fu  Massimo,  di  Antrodoco,  terreno  che  è  in  pendenza  verso  il  torrente  Rapello,  che 
interseca  il  thalweg  di  quell'altipiano. 

Sul  ridetto  terreno,  fino  a  pochi  mesi  or  sono,  esistevano  due  cospicui  avanzi  dei 
muraglioni  di  sostegno  dell'antica  via  Salaria,  del  diverticolo  Interocrium-  Amiternum, 
rasentanti  appunto  la  sponda  destra  del  cennato  torrente.  Uno  di  essi  misurava  m.  86  di 
lunghezza  (');  ma  l'uragano  che,  non  molto  tempo  fa,  accompagnato  da  impetuoso 
alluvione  imperversò  in  quelle  contrade,  facendo  cadere  parte  della  ripa  di  quel 
fondo,  e,  con  essa,  parte  di  questo  grande  muragliene,  asporcò  non  pochi  dei  piil  grossi 
conci,  qualcuno  dei  quali  ora  vedesi  giacente  sul  letto  del  torrente  ;  sicché  di  questi 
due  grandi  resti  della  Salaria  oggi  se  ne  sono  fatti  tre,  ma  più  piccoli. 

Il  primo,  verso  la  Madonna  delle  Grotte,  è  lungo  m.  7,  ed  alto  m.  2,50.  Si 
compone  di  una  fila  di  pietre  di  breccione  piuttosto  lunghe,  alte  m.  0,60,  che  ne  co- 
stituivano le  fondazioni.  Su  di  essa  si  eleva  una  seconda  fila  di  grossi  massi  squa- 
drati, alti  m.  0,93,  dei  quali  il  concio  più  grande  misura  m.  1,57  di  lunghezza.  Il 
resto  è  coperto  da  piante  di  nocciuoli  che  vi  vegetano  sopra,  e  vi  ripendono  nascon- 
dendolo. 


(')  Cfr.  Persichetti,    Viaggio  archeologico  sulla  via  Salaria  nel  circondario  di  Cittaducale. 
Roma,  1893,  pag.  123. 


t 


ANTRODOCO  a  —   32   —  REGIONE   IV. 

Pochi  passi  più  innanzi  trovasi  il  secondo  avanzo,  di  cui  è  visibile  una  sola  fila 
di  blocchi,  per  la  lunghezza  totale  di  m.  9,70.  Il  terzo  è  in  parte  scoperto  ed  in 
parte  tuttora  interrato;  se  ne  veggono  due  sole  fila  di  blocchi,  il  più  lungo  dei  quali 
è  di  m.  1,60,  e  misura  in  tutto  m.  12  di  lunghezza. 

Lo  stesso  succennato  alluvione,  circa  30  metri  avanti  di  arrivare  al  primo  dei 
detti  muraglioni  ed  ancor  più  dappresso  alla  Madonna  delle  Grotte,  produsse  altra 
frana  sulla  ripa  del  predio  Tedeschini,  frana  che  fece  tornare  allo  scoperto  parte  di 
una  colonna  di  grandi  dimensioni. 

Informato  di  ciò,  mi  recai  sopra  luogo,  e  feci  scavare  ed  isolare  dal  terreno 
l'intera  colonna,  che  risultò  un  monolite  dell'altezza  di  m.  2,20.  Ha  una  base  pa- 
rallelepipeda,  lunga  di  fronte  m.  0,95,  e  di  lato  m.  0,83,  alta  m.  0,40.  Sopra  la 
medesima  si  eleva  il  fusto  della  colonna,  alta  m.  1,80,  e  larga  di  diametro  m.  0,65. 
È  di  breccione  talmente  corroso  e  bucherellato,  forse  da  antico  tempo  per  danni  fattigli 
dal  vicino  torrente,  che  l'iscrizione  ne  è  interamente  scomparsa. 

La  figura  e  le  dimensioni  rassomigliano  a  quelle  del  milliario  LXVIIII  posto 
sotto  Augusto  sull'altro  prossimo  ramo  della  Salaria  Interocrium  -  Asculum,  da  me 
rinvenuto  nel  1891,  nella  valle  di  Sigillo,  in  contrada  Masso  dell'orso  ('),  ond'io 
ritengo  fermamente  che  quella  colossale  colonna  sia  un  altro  milliario  della  Salaria. 

E  poiché  Interocrium  cadeva  al  miglio  64  ab  Urbe;  e  da  Antrodoco  al  posto 
ove  è  avvenuta  la  scoperta,  per  la  via  che  ascendeva  rasentando  il  fosso  di  Bapello, 
corrono  sei  chilometri,  il  detto  milliario  deve  riferirsi  al  miglio  LXVI  da  Roma. 

Infatti,  questa  località  Fonte  Canale,  ove  è  tornato  in  luce  tale  milliario,  trovasi 
a  km.  6  da  Antrodoco  ed  a  km.  7,500  prima  di  giungere  al  villaggio  di  Sella  di 
Corno  (*),  dove  fu  rinvenuto  e  dove  tuttora  giace  avanti  la  casa  Mattei  il  mil- 
liario LXXII  ('). 

Quello  scoperto  di  recente,  stando  a  m.  250  oltre  il  casello  o  casa  cantoniera 
della  ferrovia  N.  154  -{-  979,  e  Sella  di  Corno  stando  oltre  al  km.  147  della  stessa 
ferrovia  Castellammare  Adriatico  -  Terni,  la  differenza  di  distanza  fra  Sella  di  Corno 
ed  il  posto  ove  è  stato  trovato  il  ridetto  milliario  risulta  appunto  di  circa  km.  7,500, 
corrispondenti  a  r.  m.  6.  Non  si  può  quindi  essere  in  dubbio  ch'esso  riferivasi  ap- 
punto al  miglio  LXVI. 

Il  milliario  medesimo  è  ora  rimasto  in  situ,  ed  è  visibile  dalla  strada  ferrata 
che  da  Antrodoco  va  ad  Aquila,  e  resta  precisamente  in  fondo  alla  valle,  presso  il 
toiTcnte,  fra  i  caselli  154 -{-979  e  155 -|- 907  della  ferrovia. 

N.  Persichetti. 
Roma.  17  gennaio  1909. 

(')  Cfr.  Persichetti.  op.  cit.  pagg.  64-65. 

(')  Notisi  che  il  villaggio  Sella  di  Corno  chiamarasi  Rocca  di  Corno,  e  dove  oggi  dicesi  Rocca 
di  Como,  si  diceva  Castello  di  Corno. 
(»)  a  I.  L.,  IX,  n.  5956. 


RKOIONB  VII.  —  33  —  ORVIETO 


Anno  1909  —  Fascicolo  2. 


Regione  VII  (ETRURIA). 

I.  ORVIETO  —  Tomba  etrusca  scoperta  presso  il  castello  medievale 
di  Frodo. 

In  una  estesa  proprietà  del  cav.  Vittorio  Bondi  di  Roma,  a  circa  22  km.  da 
Orvieto,  sulla  via  provinciale  che  di  là  conduce  a  Todi,  s' innalza  il  castello  medio- 
evale di  Frodo,  vicino  al  quale  s'aggruppano  alcune  case  rurali.  A  circa  un  chilo- 
metro a  nord  del  castello,  al  disopra  del  moderno  camposanto,  s"erge  il  colle  detto 
della  Madonna.  Ivi,  tagliandosi  il  poggio  a  terrazze  per  piantarvi  una  vigna,  sotto 
all'estremo  cocuzzolo  meridionale  del  poggio  stesso,  alla  profondità  di  oltre  m.  3  dal 
piano  di  campagna,  si  scoprì  una  tomba  etrusca  a  camera,  scavata  nel  terreno  cre- 
taceo. 

Giunto  sul  luogo,  quando  già  la  tomba  era  stata  esplorata  e  in  parte  ricoperta, 
solo  colle  indicazioni  cortesemente  fornitemi  dal  sig.  Calcagni,  agente  del  cav.  Bondi, 
potei  formarmi  un'idea  della  pianta  della  tomba.  Questa  aveva  la  forma  di  una  ca- 
mera quasi  quadrata,  di  m.  8  di  lato,  coperta  da  vOlta,  che  si  trovò  franata:  sul 
lato  occidentale,  ove  era  la  porta  d' ingresso,  larga  m.  0,65,  si  apriva  un  vestibolo 
rettangolare,  accessibile  dalla  china  occidentale  del  poggio  per  mezzo  di  un  corridoio; 
gli  ingressi  del  corridoio,  del  vestibolo  e  della  camera  erano  chiusi  da  rozzi  lastroni 
di  calcare.  Dalla  porta  della  camera,  si  dipartiva,  sotto  il  pavimento,  un  canale  di 
scarico,  che  era  fatto  con  rozzi  sassi  e  lastrette  di  calcare,  e  scendeva  con  leggero 
pendio  verso  ovest. 

In  base  all'esame  dei  materiali  trovati  dentro  la  tomba  già  prima  del  mio  ar- 
rivo sul  posto,  e  dopo  altre  ricerche  che  io  stesso  feci  colà  praticare,  dovetti  con- 
vincermi che  la  tomba  fu  già  altra  volta  rovistata;  infatti  dello  scheletro  nuU'altro 

NoTiziB  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  5 


ORVIETO 


—   34   — 


RBOIONE  VII. 


8i  potè  trovare  se  non  alcune  schegge  di  ossa  impastate  con  la  creta.  Dentro  un  boc- 
cale di  terracotta  si  trovò  un  pezzo  di  altro  fittile;  e  dei  più  pregevoli  vasi  gi'eci, 
per  quante  ricerche  si  facessero,  non  si  poterono  recuperare  se  non  pochissimi  fram- 
menti, i  quali  giacevano  sparsi  in  diversi  punti  della  tomba. 

Gli  oggetti  trovati  erano,  a  quanto  paro,  distribuiti  cosi:  i  bronzi  quasi  tutti 
lungo  il  lato  settentrionale;  un  simpulum   all'angolo   sud-est;   un   altro   all'angolo 

nord-ovest:  il  pomo  massiccio  qui  rappresentato  (v.  fi- 
gura) all'angolo  sud-ovest  in  relazione  con  un'asta  o 
bastone  di  legno  carbonizzato,  di  cui  restava  un  avanzo 
lungo  la  parete  meridionale;  presso  questa  giacevano 
anche  gli  oggetti  di  ferro.  I  fittili  erano  sparsi  un  po' 
da  per  tutto,  a  diverse  profondità. 

L'antico  piano  della  tomba  pare  che  fosse  a  circa 
m.  5  sotto  il  piano  di  campagna. 

Bromo. 

1.  Oenochoe  piriforme,  con  bocca  rotonda  e  manico 
massiccio,  terminante  in  basso  in  un'espansione  cuori- 
forme; frammentaria.  Diani.  della  bocca  m.  0,09. 

2.  Oenochoe  a  doppio  tronco  di  cono  con  becco  rial- 
zato e  ansa  massiccia  ornata  di  strie  longitudinali  ;  fram- 
mentaria. Diam.  del  fondo  m.  0,08. 

3.  Lekane  rotonda  con  orlo  sodo,  liscia;  frammen- 
taria. Diam.  m.  0,27. 

4.  Colum  con  manico  terminante  ad  occhiello  ;  rotto 
nel  fondo.  Lungli.  totale  m.  0,305;  diam.  0,145. 

5-6.  Due  simpula  con  manico  ripiegato  e  bipartito 
alle  estremità,  terminanti  a  colli  di  anitrelle.  Alt.  col 
manico  m.  0,295. 

7.  Una  campanella  liscia;  diam.  m.  0,03. 

8.  Rotula  con  foro  centrale  e  sei  trafori  cuoriformi 
disposti  intorno.   Diametro  m.  0,065. 

9.  Situla  a  tronco  di  cono  rovescio  con  doppio  ma- 
nico; frammentaria.  Diam.  del  fondo  m.  0,15. 

10-11.  Due  chiodi  a  punta  quadrangolare  e  capocchia  a  disco  piatto.  L'uno 
spuntato,  l'altro  lungo  m.  0,075.  Diam.  della  capocchia  m.  0,042. 

12.  Patera  umbilicata,  frammentaria.  Diam.  m.  0,16. 

13.  Frammenti  di  altra  simile. 

14.  Lebete  di  forma  globulare  con  collo  diritto  e  bocca  rotonda;  fatto  con  tre 
pezzi  di  lamina  inchiodata;  sull'omero  restano  pure  inchiodati  gli  occhielli  per  infi- 
larvi il  manico.  Quasi  intero.  Alt.  m.  0,34;  diam.  della  bocca  m.  0,20  circa. 

15.  Grande  piatto  rotondo  in  lamina,  con  zona  depressa  all' ingiro,  presso  l'orlo,  _ 
che  si  ripiega  perpendicolarmente  all'  ingiù  ed  è  rafforzato  in  alto  e  in  basso  da 


RBQIONB   VII.  —   35    —  ORVIETO 

verghette  ornato  di  ovoli.  I  manichi,  piegati  a  semicerchio,  terminano  a  teste  di 
serpente.  Frammentario.  Diam.  m.  0,65  circa;  alt.  dell'orlo  m.  0,035.  Alla  parte 
inferiore  del  piatto  resta  aderente  un  cerchio  di  ferro,  sul  quale  a  uguali  distanze 
si  riconoscono  i  punti  d'attacco  di  aste  ad  esso  perpendicolari;  sembra  dunque  che 
si  tratti  d'un  tripode. 

16.  Pomo  massiccio  sagomato  (v.  figura);  il  puntale  d'innesto,  a  sezione  quadran- 
golare, è  robustissimo  e  perfettamente  preservato  dall'ossidazione,  che  ha  invece  at- 
taccata tutta  la  superficie  del  pomo  stesso  ;  è  chiaro  dunque  che  questo,  anche  entro 
la  tomba,  restò  infilato  in  cima  all'asta  di  legno,  di  cui  si  trovarono  avanzi  carbo- 
nizzati. Lunghezza  del  pomo,  compreso  il  puntale,  m.  0,18. 

17.  Sei  piccoli  pezzi  di  aes  rude. 

Ferro. 

1.  Frammenti  di  aste  cilindriche,  forse  avanzi  dei  piedi  del  tripode  sopra 
ricordato. 

2.  Vari  pezzi  di  un  grosso  coltello  ad  un  solo  taglio. 

Fittili. 

a)  D'impasto  grossolano: 

1-3.  Tre  piattelli  di  argilla  scura;  diam.  da  m.  0,08  a  0,10. 

4.  Piccolo  orcio  di  argilla  scura,  liscio:  alt.  m.  0,07. 

5.  Piccolo  ziro  di  argilla  rossiccia,  liscio;  alt.  m.  0,20. 

b)  Di  bucchero  cinereo: 

6.  Oenochoe  a  bocca  trilobata,  liscia;  alt.  m.  0,18.  Rotta  al  ventre. 

7.  Altre  due  simili,  intere;  alt.  m.  0,13  e  0,135. 

8.  Vasetto-attingitoio  con  ansa  verticale;  alt.  m.  0,07. 

9.  Piattello  senza  piede;  diam.  m.  0,13. 

e)  Di  bucchero  nero: 

10.  Coppa  con  alto  piede  e  corpo  ornato  di  baccellature  verticali  e  di  strie 
orizzontali.  Frammentaria. 

11.  Kantharos  rozzo;  diam.  m.  0,135. 

12.  Coppa  con  basso  piede,  liscia,  diam.  m.  0,11;  conteneva  molti  frammenti  di 
ossa  non  combuste,  impastate  con  terra. 

13.  Altra  simile  con  piede  più  alto,  ora  staccato;  diam.  m.  0,135. 
14-15.  Due  piccole  olle  con  due  anse  verticali;  alt.  m.  0,105  e  0,10. 
16-17.  Due  altre  simili,  con  anse  orizzontali;  alt.  m.  0,095  e  0,09. 

e)  Vasi  etruschi  dipinti  a  imitazione  dei  vasi  greci: 

18.  Piccolo  frammento  di  boccale  con  palmetta,  figura  seduta  e  Sileno  stante, 
a  vernice  bruna  su  fondo  giallognolo. 


ORVIETO  —   36   —  REGIONE   VH. 

19.  Coppa  con  alto  piede,  di  terracotta  giallognola,  grossolana,  ornata  esterna- 
mente di  spirali  a  vernice  bruna.  Diam.  m.  0,11. 

20-25.  Altre  sei  coppe,  dello  stesso  genere,  frammentarie,  ornate  con  serti  di 
edera  o  con  greclie. 

26-28.  Tre  piattelli  con  pieduccio  basso,  ornati  sull'orlo,  l' uno  con  greca,  l'altro 
con  foglie  d'edera  e  il  terzo  con  spirali  ricorrenti.  Frammentari. 

d)  Vasi  greci  dipinti: 

29.  Frammenti  di  un  cratere  a  colonnette  dello  stile  a  f-  n.  In  basso,  zona  ra- 
diata ;  sul  labbro  due  zone  di  foglie  d'edera  ;  sui  manichi  palmette.  Diam.  della  base 
m.  0,17.  Sul  fondo,  all'esterno,  le  lettere  ON. 

30.  Frammenti  di  una  grande  kylix  a  f.  n.  All'esterno,  occhi  profilattici  e  resti  ■ 
di  figure  umane,  sopra  le  quali  si  stendono  rami  fronzuti.  Neil'  interno  sirena  a  corpo 
di  gallinaceo  con  testa  e  braccia  umane,  in  atto  di  suonare  il  doppio  flauto. 

31.  Frammenti  di  skyphos  a  f.  r.,  di  bello  stile  attico.  Si  conservano  solo  in 
parte  due  figure  di  donne  vestite  con  peplo  che  tengono  uno  specchio  nella  destra 
protesa;  altra  figura  muliebre  tiene  nella  d.  una  pisside;  sopra  un  piccolo  frammento, 
resti  di  un  capitello  ionico.  Diam.  del  piede  m.  0,15. 

32.  Kylix  a  f.  r.  di  bello  sfile  attico.  Sull'esterno,  corsa  di  guerrieri,  armati 
con  elmi  attici  e  scudi  rotondi,  la  cui  in.segQa  rappresenta  pure  un  guerriero  con 
scudo,  in  corsa.  Nell'interno,  guerriero  con  elmo  attico,  sormontato  da  grande  ci- 
miero, scudo  e  lancia.  Ne  restano  molti  frammenti. 

33.  Pochi  frammenti  di  altra  kylix  a  f.  r.,  di  stile  attico  finissimo,  con  Sileni 
e  Baccanti. 

Abbiamo  creduto  opportuno  di  descrivere  particolarmente  la  tomba  scoperta  a 
Prode,  non  solo  perchè  gli  avanzi  della  sua  suppellettile,  e  in  ispecie  i  vasi  greci 
dipinti,  accennauo  ad  una  sepoltura  etrusca  non  volgare  della  fine  del  V  o  del  prin- 
cipio del  IV  sec.  a.  Cr.,  ma  perchè,  a  quanto  io  so,  è  la  prima  volta  che  in  quella 
località  si  può  constatare  l'esistenza  di  un  antico  sepolcreto  il  quale  presuppone  la 
vicinanza  di  un  qualche  centro  abitato.  Anche  Prode  adunque  deve  annoverarsi  fra 
le  località  archeologiche  dell'  Etruria,  e  la  recente  scoperta  e'  induce  a  credere  ai 
racconti  della  gente  del  luogo,  la  quale  narra  di  altre  tombe,  di  idoli  e  monete  ri- 
trovate in  quelle  campagne,  e  mostra  una  daga  in  ferro,  a  lama  triangolare,  con  co- 
dolo  per  l'applicazione  del  manico,  di  tipo  assai  primitivo. 

L.  Pbrnier. 


ROMA  —    37    —  ROMA 

II.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  II.  Gli  sterri  che  si  eseguiscono  per  l'ampliamento  dell'Ospizio  Bri- 
tannico, in  piazza  della  Navicella,  hanno  messo  allo  scoperto,  alla  profondità  di  m.  3,70 
un  tratto  di  antica  pavimentazione  a  poligoni  di  basalto.  Sotto  questo  strato,  a  m.  1,20, 
si  trovò  una  fogna,  larga  e  alta  m.  0,40,  sulla  quale  s'innalzava  un  trombino  in  la- 
terizi, di  pianta  quadrata  e  di  ni.  0,45  di  lato.  Il  trombino  era  chiuso  da  lastrone 
di  travertino  molto  corroso.  Indubbiamente  la  pavimentazione  a  poligoni  e  la  fogna 
appartenevano  ad  una  strada,  che  per  l'indicazione  della  fogna  stessa  correva  da  est 
ad  ovest;  ma  i  caratteri  costruttivi  sia  della  strada  che  della  fogna  accennavano  ad 
un'opera  del  basso  Impero. 


Fia.  1. 


Regione  VI.  Via  del  Tritone.  Gettandosi  le  fondazioni  di  un  edificio  della 
Società  italiana  per  imprese  fondiario,  tra  la  via  del  Tritone  e  quella  degli  Avigno- 
nesi,  si  sono  rinvenuti  in  terreno  di  scarico  i  seguenti  oggetti: 

1.  Tre  rocchi  di  colonna  di  pavonazzetto,  lunghi  uno  m.  0,95,  il  secondo  m.  1,15, 
il  terzo  m.  1,58,  e  tutti  e  tre  del  diam.  di  m.  0,44. 

2.  La  parte  inferiore  di  altra  colonna  di  pavonazzetto  (alt.  m.  1,42,  diam.  m.  0,33). 

3.  Rocchio  di  colonna  di  alabastro  verdognolo  (alt.  m.  1,33,  diam.  m.  0,34). 

4.  Altro  rocchio  di  colonna  di  granito  bigio  (alt.  m.  1,36,  diam.  m.  0,30). 

5.  Tre  frammenti  di  una  scultura  in  marmo  bianco  (fig.  1,  2)  rappresentante 
un  cavallo  poco  più  grande  del  naturale,  bardato.  Due  di  questi  frammenti  (fig.  1),  che 
combaciano  e  appartengono  alla  testa  e  alla  parte  superiore  del  collo  del  cavallo,  erano 


ROMA  —  38   —  ROMA 

in  un  muro  a  sacco,  adoperati  come  materiale  di  costruzione;  l'altro  frammento  (fig.  2) 
è  la  parte  inferiore  del  collo.  Il  lavoro  è  buono  e  accurato  ;  i  finimenti  sono  decorati 
da  borchie  a  rosetta  lavorate  con  finezza  di  dettaglio,  come  anche  le  cinghie;  la  cri- 
niei-a  è  a  ciocche,  le  quali  sono  separate  da  forti  scuri,  ottenuti  col  trapano. 

6.  Torso  di  statua  in  marmo  greco  (fig.  3  e  4),  la  quale  ritrae  dalla  spalla  fin 
quasi  le  ginocchia,  una  vigorosa  figura  femminile.  Veste  un  chitone,  con  lungo  apo- 


ria. 2. 


ptygma  di  stoffa  non  molto  leggera,  che  però  lascia  indovinare  le  robuste  forme  ver- 
ginali, cinto  alla  vita  da  due  serpi,  annodantisi  davanti.  Porta  l'egida  a  tracollo, 
fermata  con  le  estremità  sulla  spalla  sinistra  ;  il  gorgoneion,  pur  troppo  rotto,  appa- 
risce sotto  la  mammella  destra  :  pur  quel  che  rimane  di  esso  mostra  che  era  di  tipo 
bello;  ha  le  ciocche  anguiformi,  le  alette  sul  capo,  e  fra  queste  vedonsi  ancora  tracce 
del  nodo  di  due  serpentelli.  La  testa  della  statua  era  riportata,  come  dimostra  un 
largo  incavo  in  alto  del  torso  (vedi  fig.  4):  anche  la  parte  inferiore  della  statua  era 
scolpita  a  parte,  perchè  nel  basso  del  torso  vedesi  parte  di  un  incavo,  lavorato  a  gra- 
dina, con  orlo.  La  statua  rappresentava  evidentemente  un'Atena,  il  cui  braccio  si- 
nistro, come  dimostra  bene  l'attacco,  era  sollevato,  per  reggere  con  la  mano  la  lancia. 
come  p.  es.  nella  celebre  Atena  di  Cassel  (Mtiller-Wieseler,  Denkm.  der  alien  Kunst 
II  240  e  altrove). 

Merita  di  essere  notato  che  le  altre  statue  di  Atena  del  tipo  che  alla  nostra  si 
avvicina,  hanno  l'egida  fermata  sulla  spalla  destra,  e  quindi  il  gorgoneion  si  mostra 


ROMA 


—    39    — 


ROUÀ 


verso  il  fianco  sinistro.  Questa  differenza  dipende  forse  dalla  posizione  che  aveva  la 
statua,  la  quale  nell'edificio,  che  essa  adornava,  mostrava  allo  spettatore  il  fianco 
destro.  Se  così  è  lo  scultore  ha  voluto  che  fòsse  ben  visibile  il  principale  attributo 
della  dea. 


FiG.  3. 


Le  particolarità  dell'egida  e  il  panneggio  sono  di  lavoro  accurato  e  non  senza 
effetto.  Il  torso  apparteneva  dunque  ad  una  statua  di  non  comune  bellezza. 


Regione  XIV.  In  via  del  Muro  Nuovo,  facendosi  un  cavo  per  una  fogna,  alla 
profondità  di  m.  6,30  sotto  il  piano  stradale  moderno  è  stato  messo  allo  scoperto  un 
avanzo  di  antico  pavimento  a  opera  spicata,  limitato  verso  nord-ovest  da  un  muro 
costruito  di  laterizi,  largo  m.  0,60,  appartenente  a  fabbrica  privata. 

Nelle  terre  di  riempimento  fn  rinvenuta  una  grande  tegola  bollo  circolare 
(C  /.  L.  XV,  n.  805)  e  anche  la  parte  sinistra  di  un'iscrizione  sepolcrale  incisa  in 


ROMA 


40  — 


ROMA 


una  lastra  marmorea  (m.  0,295  X  0,195)  che  è  limitata  nell'angolo  inferiore  da  una 
cornice  a  grande  gola  rovescia: 

TI  •  CLAVDIVSy 
FECIT     •      Sii 

flaviae-festae\ 
svaeitemfelicit 
svaekarissimapos  ' 


FiG.  4. 


Via  Appia  antica.  Eseguendosi  alcuni  cavi  per  l'ampliamento  del  fabbricato 
di  proprietà  dei  fratelli  Calabresi  al  secondo  chilometro,  sulla  sinistra  della  via  Appia 
antica,  sono  stati  scoperti  alcuni  avanzi  di  muri  in  laterizi,  dello  spessore  di  m.  0,60, 
ed  una  platea  in  calcestruzzo  con  frantumi  di  selce,  di  tufo  e  di  peperino,  il  tutto 
a  poca  profondità  dal  piano  stradale.  Unica  particolarità  dei  muri  in  laterizi  era^ 
quella  del  paramento  esterno  a  cortina  fatta  con  mattoni  triangolari. 


ROMA  —    41    —  ROMA 


Via  Collatina.  Proseguendosi  i  grandi  sterri  per  i  lavori  ferroviari,  verso 
via  Malabarba,  poco  lungi  dal  punto  dove  fu  rinvenuto  un  tratto  della  via  Collatina, 
tornarono  a  luce: 

1.  Un  piccolo  frammento  di  sarcofago  in  marmo  bianco  (m.  0,28  X  0,20)  nel 
quale  vedesi  una  piccola  mano  con  pezzo  di  panneggio. 

2.  Un  mattone  con  bollo  C.  I.  L.  XV,  541  a  : 

OPVS  DOL  EX  FRED  STATON  COMM  AVG 
DOMIN  N  EX  FIG  MADISP 

3.  Una  lucerna  fittile  col  bollo  AEL  MAX  (C.  I.  L.  XV  6274  b). 

4.  Frammento  di  piccola  lastra  marmorea  (m.  0,09  X  0,55). 


5.  Grande  lastra  marmorea  (m.  0,80  X  0,45  X  0,13),  ridotta  probabilmente  a 
battente  di  porta;  sullo  spessore  leggesi: 


\eyzai/ 


Via  Ostiense.  Negli  sterri  per  la  costruzione  del  nuovo  gazometro  sulla  destra 
della  via  Ostiense,  nell'area  compresa  tra  questa,  il  fosso  della  Garbatella  e  il 
Tevere,  è  stato  scoperto  un  piccolo  tratto  di  strada  antica  a  poligoni  di  selce  alla 
profondità  di  m.  2  sotto  il  piano  di  campagna  e  alla  distanza  di  m.  150  circa  dalla 
via  Ostiense.  L'orientazione  di  questo  tratto  rispondeva  da  nord-est  a  sud-ovest.  Non 
fu  potuta  rilevare  la  larghezza  di  questa  strada,  perchè  nel  tratto  scoperto  manca- 
vano i  limiti  esatti  delle  crepidini.  Alla  distanza  poi,  da  questo  tratto  di  strada,  di 
m.  50  verso  la  via  Ostiense,  nell'approfondire  un  cavo  fu  scoperto  allo  stesso  livello 
indicato  sopra,  e  sulla  stessa  direzione  della  strada  nominata,  un  altro  tratto  di  po- 
ligoni di  selce  per  una  larghezza  massima  di  m.  4.  Neppure  in  questo  tratto  sono, 
state  rinvenute  le  crepidini. 

Sulla  medesima  via  Ostiense,  al  XIV  chilometro,  in  località  Malafede,  in  un 
terreno  dei  sigg.  Devecchi,  che  resta  sopra  una  piccola  altura  sulla  destra  dalla  via 

6 


ROMA 


—   42   - 


ROMA 


medesima,  si  fecero  ultimamente  delle  bonifiche  a  scopo  agricolo.  Al  dire  dei  pro- 
prietari la  spianata  di  quest'altura  nasconde  gli  avanzi  di  grandiose  costruzioni,  che 
dovrebbero  appartenere  ad  un  suburbano  o  villa  rustica.  A  causa  di  alcuni  lavori  per 
la  piantagione  di  arbusti  furono  incontrati  dei  vuoti  sotterranei,  i  quali  erano  in  mu- 
ratura e  coperti  da  grandi  vòlte.  La  posizione  di  questa  località  viene  indicata  dalla 


ScaU  1:20000 


Fio.  5. 


fig.  5.  Il  punto  segnato  con  lettera  A  è  quello  del  fabbricato  ;  l'altro  segnato  con  let- 
tera B  indica  il  luogo  dove  fu  scoperta  la  tomba  descritta  in  queste  Notizie  1908, 
pag.  389. 

Gli  ultimi  lavori  agricoli  intrapresi  sull'altura  segnata  in  pianta  colla  lettera  A 
hanno  messo  allo  scoperto  un  tratto  di  via,  lungo  circa  60  ra.,  ben  conservato  da  cre- 
pidine a  crepidine.  Si  trovò  alla  profondità  di  circa  un  metro  e  in  vicinanza  del 
tracciato  medesimo  della  via  Ostiense,  che  in  quel  punto,  salvo  qualche  leggiero  spo- 
stamento collima  col  tracciato  antico.  Evidentemente  questo  tratto  di  via  ora  scoperto 
rappre.-enta  un  diverticolo  di  via  privata,  che  mnovevasi  dalla  Ostiense  a  scopo  di 
raggiuguere  i  fabbricati  dell'altura  ricordata.  La  fig.  6  offre  la  sezione  di  questa  via, 
rappresentata  da  un  agger  poco  arcuato,  largo  m.  2,10,  limitato  a  distanze  varie  da 
umbones  molto  rialzati.  Oltre  gli  umbones  dovevano  correre  da  ciascuna  parte  le  ere- 


ROMA 


43    — 


ROMA 


pidines  forse  glarea  stratae;  ma  oltre  i  limiti  della  sezione  stradale  selciata  non  si 
fecero  ricerche  speciali  ;  anzi  in  due  punti  il  selciato  medesimo  fu  manomesso,  dicesi 
all'insaputa  dei  proprietari,  dai  coloni  addetti  ai  lavori.  Del  tratto  meglio  conservato 
crediamo  opportuno  di  mostrare  una  veduta  fotografica  colla  fig.  7. 


0 

1-^ 


meiro 


Fig.  6 


La  distruzione  del  selciato  non  si  arrestò  ai  soli  tratti  della  via,  ma  si  estese, 
a  capo  di  questa,  sull'alto  della  spianata,  ad  una  specie  di  piazzale  selciato  come  la 


Fig.  7. 


via  con  poligoni  di  basalto,  il  quale  doveva  rappresentare  il  cortile  del  fabbricato. 
A  detta  dei  signori  proprietari,  intorno  a  questo  cortile,  ed  a  poca  profondità  dal 
piano  di  campagna,  si  trovano  alcune  fondazioni  di  pilastri,  disposte  simmetricamente, 
e  rispondenti  ad  una  pianta  quadrata. 


'm 


ROMA 


—  44  — 


ROMA 


Via  Portuense.  Ad  un  chilometro  dalla  porta  Portese,  nel  costruire  la 
nuova  fogna  sulla  strada  che  muove  dalla  sinistra  della  via  Portuense,  fu  messo 
allo  scoperto  un  muro  a  sacco  avente  la  direzione  da  est  a  ovest,  rivestito  nella  fac- 
ciata, che  guardava  nord,  di  opera  reticolata.  Lo  spessore  del  muro  era  di  m.  0,60. 
Per  gli  stessi  lavori,  in  vicinanza  del  muro  a  reticolato,  e  alla  profondità  di 
m.  2,00  dal  piano  stradale,  furono  trovate  tre  colonne  costruite  con  laterizi,  rico- 
perte d'intonaco  e  scanalate.  Verso  l'imoscapo  misuravano  m.  0,65  di  diametro:  gia- 
cevano spezzate,  tutte  in  una  direzione,  cioè  verso  nord,  ed  erano  distanti  l'una  dal- 
l'altra ra.  2,50  circa.  Le  colonne  e  il  muro  reticolato  accennavano  ad  un'ala  di 
atrio;  anche  i  materiali  raccolti  nello  sterro  sembrano  convalidare 
questa  congettura,  poiché  si  ricuperarono  in  quantità  considerevole 
lastre  di  palombino,  tagliate  ad  ottagoni,  di  m.  0,18  di  massima 
larghezza  ;  tre  frammenti  di  antefisse  variate,  la  più  completa  delle 
^*S  quali,  con  maschera  a  bassissimo  rilievo  e  con  palmetta,  un  fram- 

Jf  mento  di  lastra  fittile  con  incastro  da  inserirsi  in  un  canaletto  e 

^        ^  con  due  ordini  di  archetti  e  di  rozzi  girali  compiti  sopra  da  piccole 

palme.  Queste  decorazioni  conservano  traccio  di  policromia. 

Con  questi  avanzi  di  ornamento  si  raccolse  un  frammento  di 
tegola  con  bollo  rettangolare  {C.I.L.XY,  1444);  una  rozza  e 
piccola  anforetta,  alta  m.  0,18;  una  lancetta  di  bronzo,  sulla  quale 
aderisce  una  laminetta,  che  rappresenta  la  custodia  ;  un  piccolo 
stilo  di  osso  a  fusello  e  un'asticella  di  bronzo  con  estremità  infe- 
riore forata  e  con  due  uncini,  uno  piccolo  in  basso  e  rivolto  in  su,  l'altro  più  grande  in 
alto  e  rivolto  in  giù.  Questo  strano  utensile,  di  cui  molti  altri  esempì  si  conoscono, 
non  è  altro  che  l'ansa  di  una  lucerna  di  bronzo  (fig.  8). 

Propriamente  sulla  via  Portuense,  al  secondo  chilometro,  nel  fare  una  fogna, 
fu  scoperto  per  circa  tre  metri  di  larghezza,  un  tratto  della  via  antica,  a  grandi 
poligoni  di  basalte,  limitato  solo  da  una  parte  con  crepidine  a  filari  dello  stesso 
materiale. 


Fig.  8. 


Via  Prenestina.  Negli  sterri  che  si  eseguono  presso  i  Tre  Archi  per  i 
lavori  ferroviari,  si  è  rinvenuto  un  frammento  di  cippo  di  travertino  (alt.  m.  0,19, 
larg.  m.  0,45)  : 

ti.  Claudi  ti  s 

drusi/f  CA1SAR~\ 

aug.  GERMANlCVsJ 

poni .  max .  t  ?^^^%^ot 


Le  lettere  per  grandezza,  forma  e  disposizione  si  presentano  identiche  a  quelle, 
dei  cippi  terminali  di  pomerio  dell'imperatore  Claudio,  come  ho  riscontrato  sovrappo- 


ROMA 


—  45  — 


ROMA 


nendo  un  calco  cartaceo  di  questo  frammento  sulla  parte  corrispondente  di  uno  di 
questi  cippi  nuovamente  trovato  sulla  Salaria,  e  pubblicato  qui  appresso.  Ritengo  quindi 
che  questo  frammento  appartenga  appunto  ad  uno  di  tali  cippi. 


Via  Salaria.  Eseguendosi  un  cavo  per  costruire  una  fogna  nella  proprietà 
Gabrielli,  in  via  Tevere,  poco  lungi  dal  punto  in  cui  questa  via  forma  una  curva 
prima  di  immettere  in  via  Po,  a  sei  metri  dal  piano  stradale  è  stato  rinvenuto  un 
cippo  di  travertino  della  terminatio  pomerii  fatta  da  Claudio  (cfr.  Mommsen,  Slaals- 
rechi  IP,  pag.  1072  e  seg.;  C.  I.  L.  VI,  pag.  3106). 

W  A  I  il  H  W  O  d 


CIIX 


TICLAVDIVS 

DRVSI  •  F     CAISAR 

AVGGERMANICVS 

PONT- MAX   TRIBPOT 

Villi  IMF- XVI  cosmi 

CENSOR • P ■ P 

A  V  e  i  '  S  ■  POPVLI  •  ROMANI 

f%    N  IBVS  •  POMERI  VM 

AMPLIAdIT  •  TERMINAdlTQ_ 

Altezza  totale  m.  1,95;  altezza  della  parte  iscritta  ra.   1,00;  larghezza  m.  0,64; 
spessore  m.  0,41. 


Fitì.  9. 


Il  cippo  era  al  posto,  e  perciò  non  è  inopportuno  mostrare  il  punto  preciso  in 
cui  trovavasi  (A  nella  piantina,  fig.  9). 


OSTIA  —    46    —  REGIONE    I. 

Altri  cippi  di  questa  stessa  (ermi natio  pomerii,  erano  conosciuti  {C.  I.  L.  VI, 
1231  e  31537);  uno  di  questi  anzi  ((7.  /.  L.  VI,  31537 e  ==  1231  e)  è  stato  scoperto 
poco  lungi  dal  luogo  dove  si  è  rinvenuto  quello  ora  edito  (cfr.  pure  Richter,  To'po- 
graphie  der  Sladt  Rom^,  pag.  65). 


Via  Trionfale.  Preparandosi  la  base  per  piantare  un  grosso  palo  della  cor- 
rente elettrica  in  via  della  Camilluccia,  nella  proprietà  comunale,  65  m.  a  monte  del 
Casale  segnato  col  n.  11,  s'incontrò  una  tomba  a  fossa  rettangolare,  lunga  m.  2,20, 
larga  m.  0,60,  entro  cui  era  stata  calata  una  cassa  dì  legno.  Attorno  ai  lati  lunghi 
della  cassa  erano  fissate  alcune  staffe  di  ferro  larghe  mm.  35,  sulle  quali  appoggia- 
vano le  tegole  disposte  alla  cappuccina.  La  tomba  racchiudeva  uno  scheletro  di  un 
individuo  adulto,  disteso  supino  e  coi  piedi  verso  est.  Non  aveva  alcuna  suppellettile 
ma  soltanto  una  monetina  molto  corrosa,  posta  tra  le  mascelle,  la  quale  indicava, 
secondo  l'antico  rito,  Vobolus  Charontis. 

Sempre  sulla  via  della  Camilluccia,  ma  dentro  la  vigna  segnata  col  n.  13, 
prima  che  il  Comune  di  Roma  espropriasse  una  zona  di  terra  per  l'ampliamento  della 
strada,  i  Padri  Trinitari,  che  posseggono  quel  fondo,  avutane  regolare  licenza,  intra- 
presero alcune  ricerche,  le  quali  non  condussero  che  alla  scoperta  di  un  avanzo  di 
muro  di  rozzissima  struttura,  con  porta  molto  larga,  limitata  da  grande  soglia 
di  marmo. 

A.  Pasqdi. 


Regione  I    (LATIUM  ET  CAMPANIA) 

LATIUM. 

\/  III.  OSTIA  —  Scavi  presso  gli  avanzi  delle  «  Terme  « . 

Nel  punto  in  cui,  sulla  «  via  dei  sepolcri  »  sbocca  l'altra,  ora  completamente 
sterrata,  dinanzi  all'angolo  di  questa  che  è  rivolto  verso  sud-est,  fu  scoperto  al  piano 
stradale  un  muro,  alto  in  media  m.  0,70,  rivestito  d'intonaco  a  cocciopisto  e  formante 
pili  angoli;  sembrerebbe  che  vi  fossero  state  delle  vaschette.  Approfondito  lo  scavo, 
tornò  in  luce  la  parte  inferiore  di  un'anfora  a  largo  ventre,  lesionata.  Dentro  vi  erano 
avanzi  di  legno  carbonizzato. 

Di  fianco  all'anfora,  alla  profondità  di  circa  m.  0,10  rispetto  ai  muri,  fu  raccolta 
una  moneta  di  bronzo  insieme  ad  una  lucerna  con  bollo  (C.  /.  L.  XV  6377,27). 

Messa  completamente  in  luce  la  via,  appare  evidente  che  essa  si  conservò  nel 
suo  stato  soltanto  nel  primo  tratto,  fin  dove  cioè  a  destra  i  muri  sporgono  al  di  fuori. 
Il  secondo  tratto  in  un  certo  tempo  fu  certamente  chiuso  al  pubblico  passaggio;  in 
fatti  dove  essa  sbocca  nell'altra  che  ora  si  sta  esplorando,  all'altezza  però  del  piano 


REGIONB   I.  —    47    —  OSTIA 

stradale,  un  muro  la  chiuse:  allora  furono  murate  le  porte  ai  lati  e  furono  anche 
tolti  i  poligoni  di  selce,  che  trovammo  adoperati  per  altre  fabbriche. 

* 

Nel  sesto  ambiente  a  sinistra,  a  m.  1,20  sotto  il  piano  stradale  si  nota  la  spal- 
letta di  una  porta  entro  muro  ad  opera  reticolata,  altra  prova  evidente  del  rialzamento 
che  ebbero  le  costruzioni.  A  m.  2,40  dal  piano  di  campagna  si  è  constatato  un  forte 
strato  di  materie  incendiate,  sotto  il  quale  si  raccolsero  molte  monete,  per  lo  più  medii 
bronzi  del  II  e  specialmente  del  III  secolo,  che  ora  si  stanno  esaminando  e  con  esse  y 
un  denaro  di  argento. 

Nel  settimo  ambiente  si  notò  lo  stesso  strato  d'incendio,  entro  il  quale  si  rin- 
vennero 141  monete  di  bronzo,  chiodi,  serrature,  anelli  e  borchie  di  bronzo,  aghi  cri- 
nali e  saccali  di  osso,  un  grano  di  collana,  un  anello  di  ferro  con  castone,  un  cam- 
panello di  ferro,  un  fondo  di  vaso  di  terracotta,  al  cui  esterno  è  rappresentata  la  parte 
superiore  di  una  Menade  col  tirso  e  due  fondi  di  vasi  aretini  con  le  marche  : 

a)  C^  S    E  T  V  S  b)        C-NAEI    in  orma  di  piede  amano 

P•COR^EL. 

Tra  gli  scarichi  degli  ambienti  decimo,  undecime  e  dodicesimo  si  raccolsero: 
1.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,31  X  0,29),  opistografa.  Da  un  lato  si 
legge  in  lettere  alquanto  trascurate: 

1    r  ILIO  iv  S'  m 

! 

•ET-MCLODl'o 

^T  clodiae:: 
Kensi    con' 


XB  OCTAVl'a 


NA-ET|AB( 

\ == 


)  clavia 


ABVS  Q\y 

\      mn/ 

Nell'altro  lato  venne  ripetuta  la  stessa  iscrizione,  ma  in  caratteri  migliori: 

\lod 

y  T  S  I  B  « 
>5TESEC[ 
jnL\S  SVIS 
ETMCLODIO 
CvLO-D.'AEZ-^ 


OSTIA 


48  — 


RBeiONB   I. 


2.  Id.  (m.  0,19X0,22): 


NIS-  \\ 
LARVS- 


4.  Id.  (m.  0,14X0,08): 


3.  Id.  (m.  0,106X0,155): 


ALI 
C,Ì^V  1 


5.  Id.  (m.  0,15X0,46): 

\_\r  r^  r  .  1 


Si  ebbero  inoltre  mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV  552,  1029  e,  1344,  1569  a 
ed  il  seguente: 

(J5         OPVS  DOLE 
JALISTSEI^ 

un  collo  d'anfora  coU'iscrizione  dipinta  in  nero: 


/<Aiùc^ 


un  collo  di  vaso  con  testa  virile  barbata;  una  lucerna  cristiana  col  monogramma  di 
Cristo  e  un'altra  comune. 


* 


À  destra  nell'ambiente  15  B,  sotto  la  fognetta,  a  m.  1,25  sotto  il  piano  di  cam- 
pagna :  un  cerchio  in  ferro,  di  ruota,  con  traccio  di  tre  perni,  che  a  questa  l'assicuravano 
(diam.  m.  0,80)  ;  un  mozzo  di  bronzo,  anche  di  ruota,  con  fodera  interna  di  ferro  e 
tra  quello  e  questo  traccio  di  legno  (diam.  esterno  m.  0,117;  interno  m.  0,07);  una 
scatola  quadrilatera  di  ferro  con  pernii  e  traccio  di  legno  nell'interno  (m.  0,08  X  0,08 
X0,04);  ornamento  di  bronzo,  costituito  da  un'asta  e  girali  larga  m.  0,37  (fig.  1),  e 
altri  frammenti  dello  stesso  ;  lamine  sottilissime  di  rivestitura  in  piombo  ;  una  base  cir- 
colare di  bronzo,  con  traccio  dei  piedi  della  statua  che  sosteneva  e  traccie  di  legno 
nell'interno  (diam.  m.  0,40,  alt.  m.  0,065);  un  massello  di  piombo  a  forma  di  zeppa 
con  perno  in  ferro  (lungh.  m.  0,11,  largh.  in  alto  m.  0,07,  in  basso  m.  0,03);  ansa 
attaccata  alla  foglia  di  edera  che  stava  fissata  sul  vaso  (m.  0,15). 


Sterrandosi  la  via,  nella  quale  sbocca  l'altra  sopra  citata,  e  che  venendo  dalle  «  ca- 
panne "  si  dirige  verso  il  teatro,  si  rinvennero,  precipitati  a  terra,  frammenti  di  co- 
lonne di  granito  (diam.  m.  0,55);  e  bei  capitelli  marmorei  (alt.  m.  0,77;  diam.  inf. 


REGIONE   I.  — "49  —  OSTU"^ 

m.  0,55),  e  capitelli  di  pilastro  (m.  0,63  X  1,10  X  0,50)  in  travertino  ('),  oltre  a  colonne 
e  capitelli  di  misura  minore.  Tutto  ciò  indicava  la  vicinanza  di  edifici  maggiori. 

Infatti  a  m.  15  dall'angolo  destro  della  strada  che  viene  dalla  «  via  dei  sepolcri  ", 
di  fronte  allo  sbocco  di  essa,  si  sono  incontrati  dei  pilastri  in  opera  laterizia  che  ap- 
partenevano ad  un  grande  portico,  il  quale,  nella  parte  sinora  esplorata,  formava  la 
fronte  delle  «  Terme  » ,  (v.  Notizie  1 888  p.  738),  ma  si  prolungava  forse,  secondo 
alcuni  indizi,  più  oltre  seguendo  il  lato  occidentale  della  via,  che  ora  si  sta  sterrando. 
Questa  via,  che  potremo  per  ora  chiamare  «  via  del  teatro  » ,  sembra  una  delle  prin- 
cipali, se  non  forse  anche  la  principale  della  città. 


Fio.  1. 


Questi  pilastri,  dei  quali  si  sono  riconosciuti  finora  diciotto,  sono  larghi  ciascuno 
m.  1,20,  e  distano  l'uno  dall'altro  da  m.  3,50  a  m.  4,50.  All'altezza  di  m.  0,97  da 
terra  hanno  ciascuno  una  risega,  larga  m.  0,23,  sulla  quale  posava  evidentemente 
la  base  in  travertino.  Dietro  ai  pilastri  è  un  corridoio  largo  m.  2,70. 

In  corrispondenza  di  ciascun  pilastro,  dopo  il  corridoio,  si  alzano  i  muri  divi- 
sore tra  un  ambiente  e  l'altro.  Uno  di  essi  è  destinato  alla  scala,  ed  ha  a  sin.  la 
prima  branca  di  questa;  il  muro  divisorio  è  decorato  all'esterno  con  una  colonnina  in 
mattoni  del  diam.  di  m.  0,39.  Degli  altri  si  riferirà  quando  lo  scavo  avrà  messo  meglio 
in  luce  la  disposizione  dell'edificio  cui  appartengono. 

I  pilastri  posano  su  un  muro  che  correva  lungo  la  fronte.  Esaminato  questo  in 
un  punto,  di  faccia  allo  sbocco  dell'altra  via,  si  è  constatato  che  scende  per  due  metri 
sotto  il  piano  stradale  e  che  innanzi  ad  esso  sorgevano  altri  muri,  piantati  sulla  terra. 
In  uno  degli  ambienti  così  costituiti,  a  m.  1,14  sotto  il  piano  stradale,  si  rinvennero 
cinque  anfore. 

Q)  Questi  capitelli  si  rinvennero  alla  distanza  di  circa  4  metri  l'uno  dall'altro. 
Notizie  Scavi  1909  —  Yol.  VI.  7 


OSTIA  —   50  —  RBOIONE   1. 


Nel  tratto  di  questa  via  che,  in  gran  parte  non  è  stato  ancora  esplorato,  tra  le 
«capanne»  e  lo  sbocco  dell'altra  via,  in  mezzo  alla  terra  si  rinvenne: 
Frammenti  di  sarcofagi   marmorei  con  le  seguenti  rappresentanze: 

1.  Corsa  di  bighe  nel  circo  (m.  0,285  X  0,40  X  0,037); 

2.  Frammenti  in  cui  vedonsi  dei  prigionieri  (fig.  2).  È  conservata  la  parte  infe- 
riore di  uno  di  essi  che  ha  le  mani  legate  sul  dorso  ;  dalle  sue  spalle  pende  un  manto 
guarnito  di  frangio.  La  sua  catena,  pare  che  lo  tenga  avvinto  ad  un  altra  figura  nuda 
che  lo  precede,  la  quale  nondimeno  non  si  può  dire  se  sia  anch'essa  legata,  pendendo 
il  suo  braccio  destro  libero  in  giù;  tuttavia  l'atteggiamento  curvo  in  avanti  farebbe 
pensare  ad  un  altro  prigioniero  (m.  0,17  X  0,175  X  0,09)  ; 


Fig.  2. 


3.  Parte  del  dorso  e  delle  gambe  di  bella  figura  virile  ignuda  (m.  0,165  X  0,21); 

4.  Parte  di  figura  di  Apollo  rivolto  a  sin.,  con  lira  e  innanzi  ad  esso  una  pianta  di 
lauro  (m.  0,265  X  0,23  X  0,085)  ;  sul  fianco  del  sarcofago  lancia  e  scudo  ; 

5.  Parte  di  figura  nuda  in  moto  verso  destra  e  innanzi  ad  essa  una  pigna  tra 
foglie  e  fiori  (m.  0,46  X  0,33  X  0,09)  ;  in  un  altro  frammento  dello  stesso  sarcofago 

si  vede  un  tirso,  preceduto  dalle  lettere:  M~n7~/ 

6.  Torso  di  figura  vestita  (m.  0,29X0,25X0,13); 

7.  Figura  entro  clipeo  (m.  0,155X0,15); 

8.  Parte  di  cavallo  marino  guidato  da  un  amorino,  forse  coperchio  di  sarcofago, 
(m.  0,25X0,22X0,06); 

9.  Parte  superiore  di  corpo  virile  ignudo  (m.  0,190  X  0,21  X  0,06); 


REGIONE    I.  —    51    —  OSTIA 

10.  Parte  del  torace  di  figura  virile  nuda  col  braccio  sin.  alzato  davanti  al  petto, 
di  difficile  interpretazione.  11  collo  molto  grosso  ed  alto  non  permette  di  conoscere  in 
quale  atteggiamento  potesse  essere  la  testa,  e  lascia  il  sospetto  fosse  stata  di  animale 
(Minotauro?).  Le  penne  che  appariscono  dietro  le  spalle  non  sembrano  riferirsi  alla 
figura  medesima  (alt.  m.  0,115); 

11.  Parte  superiore  di  figura  muliebre  acefala  (m.  0,16  X  0,175  X  0,65); 

12.  Parte  di  pilastro  e  di  figura,  e  sul  lato  sin.  lancia  e  scudo  (m.  0,30  X  0,44 
X0,19); 

13.  Testa  e  parte  del  petto  di  figura  male  conservata  (m.  0,15  X  0,75  X  0,057); 

14.  Parte  di  figura  umana  (m.  0,10  X  0,195  X  0,06); 

15.  Braccio  (m.  0,115X0,11X0,045).  Si  raccolsero  inoltre:  un  frammento  di 
coperchio  di  sarcofago  con  parte  di  persona  sdraiata  (lungh.  m.  0,28)  ;  altri  frammenti 
di  sarcofagi  di  minore  importanza;  frammento  di  grande  statua  marmorea  panneggiata 
(m.  0,14X0,17);  plinto  marmoreo  con  piedini  di  una  statua  e  parte  di  un  tronco  di 
albero  e  di  altro  simile,  su  cui  sta  una  pelle  leonina  (m.  0,23  X  0,19  X  0,125)  ;  fram- 
mento di  un  braccio  marmoreo  (m.  0,205)  ;  una  testa  di  satiro  in  cattivo  stato  (m.  0,19); 
una  testa  di  bambino  con  foro  superiormente  (m.  0,145);  frammenti  di  colonnine; 
parte  posteriore  di  un  quadrupede  (m.  0,13X0,345);  frammenti  di  cornici  mar- 
moree ;  le  seguenti  lastre  marmoree  iscritte  : 

1.  (m.  0,29  X  0,395): 

st/ól- 
F.  L  L I  OTEl' 
oftELLIOT'' 
oBELLIAE  ■/ 

Òbellia-e" 

OBEL  Li/ve 
.       ET  con' 

2.  (m.  0,17X0,18):  3.  (m.  0,135X0,125): 


/NER\\ 
^A'RENTES 

''req.-a/ 


(  D  I  E  P/ 


4.  (m.  0,130X0,105):  5.  (m.  0,195  X  0,11),  (di epoca  tarda): 

yeiPRA^ 


OSTIA 


—  52  — 


RBeiONE  I. 


mattoni  coi  bolli  C.  I.  L.  XV  12,  25,  77,  103,  106  a,  115,  315,  376,  606,  708, 
891  (in  opera  in  un  cornicione  di  terracotta),  992,  1029,  1083,  1348,  1433,  1436, 
1608,  2189  e 


1)  O    EX  PRAED  MATAV 
CLAVD  FpAT'V^ 

tesU  di  Uercarìo 


2)  a 


RVFIO 


3) 


VI  VI 

CCE2 
<       O 

antro  c«rchio  radiato 


un  collo  d'anfora  con  una  palmetta  in  luogo  del  bollo;  una  punta  di  lancia,   uno 
stile  e  lame  di  coltello  io  ferro. 


Nell'istessa  via  tra  Io  sbocco  dell'altra  e  i  pilastri,  in  mezzo  alla  terra  si  raccolse: 
un  torso  marmoreo  di  statuina  muliebre  (Vittoria?)  con  veste  annodata  alla  cìnta 


Fte.  3. 


(fig.  3)  petto  scoperto,  parte  del  manto  che  scende  dalla  spalla  sin.  e  traccio  di  at- 
taccatura (ali?)  nella  parte  posteriore  (m.  0,15);  un  frammento  di  sarcofago  marmoreo, 
su  cui  si  vede  una  piccola  gamba  (m.  0,16  X  0,078)  ;  una  mensoletta,  un  frammento 
di  trapezoforo  e  cornici  in  marmo  ;  lastre  marmoree  con  le  seguenti  iscrizioni  : 
1.  (m.  0,15X0,17): 


Non  è  improbabile  che  sia  frammento  di  lapide  votiva  a  Mitra,  e  debbasi  leggere  nel 
primo  verso:  S{oli)  Hjivicto)  M{itrae). 


RBOIONB   I. 


53  — 


OSTIA 


2.  (m.  0.17  X  0,14X0,08): 


( 


mTnTvm 

MARIVM 


3.  (m.  0,275X0,15): 


SIBIE 


4.  (m.  0,14  X  0,10) 


1 


mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV  12,  25  rf,  40,  129  (2  es.),  319  (2  es.),  466  a,  474, 
693,  1027  (2  es.),  1094  h,  1096  «,  1210,  1226,  1432,  1436  inoltre  in  due  esemplari: 

a)  ©     EXPRVLPI-BIRNICI.EXOFFI 
GATTI-SABINI 

caduceo 

i 

h)  ©    tem'pesina  q.  servi  ^  P  V  D  F 

litian   et  galjLlCN     a.  127 

WÀ 
I 

clie  si  uompléta  con  altro,  qui  appresso  riprodotto  e  con   C.  I.  L.  XV   1842; 


e)  (^  BRF-  FI-ONES 

apro  ci  CATV.LI 

d  OS 


d)  © 


M  R  L  FL  SER 


a.  130 


cioè  di  M.  Rutilio  Lupo  (y.  C.  I.  L.  XV  p.  17); 

e)  O     /RSTI  f) 

M 


O     PICI// 
M 


Tra  i  pilastri  e  negli  ambienti  retrostanti  si  raccolse:  un  frammento  di  basso- 
rilievo marmoreo  (m.  0,365  X  0,135),  su  cui  si  vede  parte  di  una  gamba  bracata  e 
del  piede  con  calzare  e  innanzi  un  cane  in  corsa  con  collare  e  nel  fondo  del  calcagno 
zampa  ferina;  un  frammento  di  statuetta  marmorea  femminile  seduta  (m.  0,175); 
la  parte  anteriore  di  un  piede  marmoreo  posato  sul  plinto,  e  con  sandalo  e  corregge 
(lungh.  m.  0,145);  un  frammento  di  grande    capitello  di  pilabtro  in  marmo  (m.  0,41 


OSTIA  —   54   —  REGIONE   1. 


X  0,  385);  un  frammento  di  bel  fregio  di  un  angolo  smussato  (m.  0,36  X  0.30  X  0,06)  ; 
le  seguenti  iscrizioni  : 

1.  Piccolo  cippo  marmoreo  (m.  0,44X0,20X0,14): 

L  •  H  O  RT 
ENSIVS 
HER  AC 
LIDAN- 
FECIT 

2.  Frammento  di   lastra  marmorea  (m.  0,15X0,115),  opistografa.  L'iscrizione 
più  antica  dice: 

'gelvs-et- 
vs-victor- 

jweRENTlBVS 


E  dall'altra  parte  si  legge: 


M 

s   /£  X  ■  F  •  C  A  N 
CIT-BAEBIVSJ 


3.  Id.  (m.  0,215X0,17); 


FILI  •  FECER 
VNTPATRI 

S  AL  VT AR 

iNCONPA^. 
■R  A  tT'cìTÌ 


4.  Frammento  di  lastra  di  cipollino  (m.  0,38X0,17)): 


A[IE  R  E  N  T  IT^E  óri^ 
fl    N?JNIS  ■XVIIII^ 


5.  Nel  piano  di  posa  di  una  soglia  (m.  0,53  X  0,39  X  0,07)  : 

Looccl 


mattoni  con  i  bolli  C  L  L.  XV  79,  104,  269,  614  ('),  693,  912,  1097  g,  uno  col 
bollo  sopra  riprodotto  dell'ofBcina  di  Cattius  Sabinus. 

{')  Qaesto  in  opera  in  un  eurnicione. 


RBaiONE    I. 


55  — 


OSTIA 


Nel  tratto  della  via  tra  lo  sbocco  dell'altra  e  l'incontro  colla  via  della  Fontana 
a  destra,  vale  a  dire  innanzi  al  portico,  si  rinvenne: 

Due  frammenti  di  rilievi  marmorei,  su  uno  dei  quali  (m.  0,155)  si  vede  la  testa 
di  Diana  (fig.  4),  e  sull'altro  (m.  0,13)  la  testa  coronata  di  una  figura  virile  bar- 
bata (fig.  5). 

Parte  sinistra  di  un  grande  sarcofago  marmoreo  (m.  0,61  X  0,73  X  0,39),  con 
figure  alte  m.  0,67.  Sul  dinanzi  a  sin.  (fig.  6)  si  vede  uomo  un  barbato,  che  cammina 
verso  sinistra  col  viso  rivolto  a  destra.  Ha  una  tenia  nei  capelli;  veste  lunga  tunica 
fermata  da  cinturone,  ed  è  coperto  da  un  manto  che  scondendo  dalla  spalla  sin.  si 


1/ 


Fio.  4. 


FiG.  5. 


avvolge  sul  braccio  sinistro.  Porta  la  destra  al  mento  e  con  la  sin.  regge  un'asta. 
Innanzi  a  lui  si  vede  una  donna  con  corto  chitone  del  tipo  di  Diana  o  Virtus,  ma 
in  atto  di  camminare  rapidamente  verso  destra;  il  braccio  destro  è  sollevato  forse  per 
togliere  una  freccia  dal  turcasso  che  si  vede  dietro  la  spalla  destra.  Essa  è  accompagnata 
da  due  cani.  Questa  figura  farebbe  pensare  al  mito  di  Ippolito.  Nel  lato  sinistro  del 
sarcofago  si  vede  un  uomo  con  capelli  scomposti,  con  corto  chitone,  con  un  oggetto 
sulle  spalle,  in  atto  di  camminare  verso  destra,  ma  vòlto  con  la  testa  a  sin. 

Due  frammenti  (m.  0,15  X  0,12  ;  0,13  X  0,13)  forse  di  stipite  quadrato  mar- 
moreo, in  cui  su  tre  lati  si  vedono  fasci,  fiancheggiati  da  pilum  (?)  e  due  aste, 
alle  quali  superiormente  è  attaccato  un  vexillum  (?).  Alla  sommità  dei  fasci  sini- 
stri una  testa  con  berretto  frigio  ('). 

Lastra  marmorea  (m.  0,195  X  0,175)  con  l'iscrizione: 


I) 


M 

PObNOT 
OLLEGAE 


(')  Sono  rappresentati  nella  fig.  7.  dove  è  aggiunto  anche  il  frammento  (quello  del  mezzo)  che 
appartiene  alla  stessa  scultura,  ma  che,  scoperto  precedentemente,  conservavasi  nella  raccolta  del 
Castello. 


OSTIA 


—  56  — 


REOIONE   I. 


Un  pezzo  di  uno  specchio  di  bronzo  ;  un  manico  di  coltello,  aghi  saccali  e  cri- 
nali di  osso  ecc. 

* 

Nell'istesso  tratto  a  sin.,  dove  s'incontrano  pezzi  di  cornicioni  in  terracotta  e 
volte  cadute,  innanzi  al  secondo  vano,  per  chi  viene  dall'altra  via,  si  vede  un  pilastro, 


FiG.  6. 


posato  sulla  strada,  costruito  con  pezzi  di  marmo  decorativi,  una  colonnina  e  ima 
maschera  scenica  rotta  nel  mento;  è  rozzamente  rivestito  d'intonaco,  con  traccio  di 
pittura  rossa  a  disegno  geometrico.  Qui  presso  si  rinvenne: 

Un  frammento  di  sarcofago  marmoreo  (m,  0,17X0,20X0,04)  su  cui  si  vede 
la  parte  superiore  di  una  vecchia,  con  cuffia,  coi  capelli  che  scendono  sulle  spalle, 
volta  a  destra  e  piegata  innanzi  ;  pare  la  nutrice  quale  si  riscontra  in  scene  di  sar-  ^ 
cofagi  (Medea,  Fedra  ecc.). 


REOIONE    I. 


—  57  — 


OSTIA 


Due  frammenti  di  sarcofago  marmoreo.  Su  uno  (m.  0,36  X  0,41  X0,11)  si  vede 
parte  di  due  donne  e  il  braccio  destro  di  una  terza.  La  donna  a  sin.  ha  tunica  fer- 
mata alla  cinta,  quella  a  destra,  pure  con  tunica,  tiene  la  gamba  destra  accavallata 

sulla  sin.  e  ha  un'asta  appoggiata  al  braccio  destro,  e 
scendente  fino  a  terra.  Sull'altro  frammento  (m.  0,215  X 
0,22)  si  vede  parte  di  una  iìgura  muliebre  con  chitone  e 
himation  e  un  piccolo  avanzo  di  un'altra. 

Altro  frammento  simile  con  testa  di  putto  con  ca- 
pelli e  corona  (m.  0,09). 

Altro  simile  con  testa  di  amorino  e  l'ala  sin.  (m. 
0,195X0,16). 

Altro  di  sarcofago  baccellato  su  cui  sporge  una  bella 
testa  di  leone  con  anello  in  bocca  (m.  0,22  X  0,225). 

Due  frammenti  di  statue  panneggiate  (m.  0,16  X 
0,28;  m.  0,27X0,115). 

Un  busto  virile  senza  testa  (m.  0,34). 

Una  mensola,  frammentata,  ornata  nella  parte  in- 
feriore piana  con  una  ruota  e  un  timone  e  nella  curva 
con  foglie  (m.  0,35  X  0,16  X  0,105). 

Frammento  di  un'urna  marmorea  (m.  0,195  X  0,25 
X  0,50)  con  la  testa  di  Giove  Ammone  agliangoli,  dalle 
cui  corna  partono  nastri.  Nella  fronte  si  ha  Tiserizione: 

DlIS 
M AN I B V  S 
Q  MINVCIQF 
FELICIS- 


Lastra  marmorea  iscritta  (m.  0,14  X  0,115X0,047): 


FiG.  7. 


Id.  (m.  0,08X0,165X0,075): 

Vdv) 


Un  pilastro  per  transenna,  arrotondato  superiormente  (m.  1.07  X  0,38  X  0,30). 
Mattoni  con  i  bolli  C.  1.  L.  XV,  12,  90  a,  115,  319,  376,  847,  933  a,  958  a, 
1432,  1436  e 
,    ,.  ,  b)  (y)     TEMPmwa  tf.  S6'rVI  PVDF 

a)0        bruTlA-m-K-L  >^  TlTlanel  gAl^lCN 

pigna  tra  due  palmette 


1/ 


Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


OSTIA 


—  58 


REGIONE   I. 


Un  frammento  di  decorazione  marmorea  con  foglie  di  quercia  e  bacche  ed  altri 

frammenti  simili. 

♦ 

Nei  campi  fu  raccolto  im  frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,20  X  0,26),  snlla 
quale  si  legge  la  seguente  iscrizione  a  belle  lettere,  incisa  al  posto  di  altra  abrasa  : 

/si  NI 

■/l.v,^ 

In   una  delle  stanze  presso  porta  Romana  fu  raccolta  una  lastra  marmorea 
(m.  0,18  X  0,215)  con  la  seguente  iscrizione: 


J 


NVMFABVS         («te) 
TITVS   AMIN 
NERICVS   DO 
NVM  FECIT 


Il  nome  Aminnericus  è  nuovo,  se  non  erro,  nell'onomastica  latina;  Aminnaracus 
è  il  nome  di  un  cane  in  C.  I.  L.  VI,  29895. 


* 


Presso  lo  stabilimento  delle  macchine  per  la  bonifica  esistono  queste  due  iscrizioni  : 

1.  In  due  pezzi  dello  stesso  blocco  di  travertino  (m.  0,16X0,14;  0,30X0,19 
X0,41): 

Ib  •  F  E  C  I  T  •  L 
.  I  L  I  O  ■  L  •  F  •  it  TA  B  R  I  C  I  A  N  O 

CI)-ET-  LLiekr/oizA  QVE 
\  POSTER IS  1  \ V 

2.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,145X0,14X0,04): 


D.  Vaqlieri. 


REGIONE    I.  —    59    —  CASTELGANDOLFO,    VELLETRl 

^IV.  CASTELGANDOLFO—  Lungo  la  via  che  da  Castelgandolfo  conduce  ad 
Albano  (Galleria  di  sopra),  sul  lato  di  essa  che  guarda  il  lago,  oltre  non  più  di 
cinquanta  metri  dall'edicoletta  sacra,  che  sorge  a  circa  mezzo  chilometro  da  Castel- 
gandolfo ed  è  addossata  a  muri  antichi  in  opera  reticolata,  eseguendosi  i  layori  per 
la  costruzione  del  villino  dell'avv.  Ghersi,  è  stato  scoperto  un  piccolo  tratto  di  mu- 
saico, di  assai  mediocre  fattura,  a  tasselli  bianchi  e  neri  formanti  quadri  di  m.  0,17 
di  lato.  I  quadri  neri  sono  congiunti  l'uno  all'altro  per  gli  spigoli,  secondo  le  dia- 
gonali, così  da  comprendere  delle  croci  bianche  equilatere,  i  cui  bracci  misurano 
m.  0,51. 

Il  musaico  era  già  stato  rotto  in  due  punti  da  muri  posteriori,  i  quali  hanno 
presso  a  poco  la  stessa  direzione  della  via. 

E.  Gatti. 


V.  VELLETRl  —  Scoperte  nel  territorio. 

A.  circa  due  chilometri  da  Velletri,  sulla  sinistra  della  strada  detta  di  Piasm 
di  Mario,  che  in  molti  punti  conserva  il  lastricato  poligonale  di  un'antica  via  romana, 
e  precisamente  in  località  s.  Anna,  il  vignarolo  Pocci,  nell'eseguire  i  consueti  lavori 
agricoli  per  piantagione  delle  viti  ha  rinvenuto  a  m.  0,80  dalla  superficie  del  terreno 
una  specie  di  fossa  contenente  una  cassa  di  piombo,  lunga  m.  1,85,  larga  m.  0,45, 
alta  m.  0,40.  La  presenza  della  cassa,  che  era  stata  internata  nel  terreno  vergine,  fu 
avvertita  primieramente  dalla  giacitura  di  quattro  tegole  bipedali  che  posavano  a  poca 
distanza  dal  coperchio.  Questo  aveva  gli  orli  ripiegati  come  quelli  di  una  scatola  ed 
era  stato  fortificato  nell'interno  da  quattro  sbarre  di  ferro,  disposte  trasversalmente  e 
aggettanti  per  cinque  centimetri  nelle  estremità,  a  fine  di  renderlo  più  solido  e  ma- 
neggevole. Il  fondo  della  detta  cassa  era  in  gran  parte  corroso,  mentre  le  pareti  ed 
il  coperchio,  benché  ricoperti,  specie  nell'interno  da  un  fitto  strato  di  cristallini  di 
piombo,  erano  tuttavia  in  buono  stato  di  conservazione.  La  cassa  di  piombo  non  aveva 
alcun  segno,  e  tanto  meno  portava  l'iscrizione.  Conteneva  uno  scheletro  di  donna  coi 
piedi  rivolti  a  est  e  la  testa  appoggiata  ad  un  embrice  posto  di  traverso  a  mò  di 
origliere. 

Secondo  la  denuncia  fatta  dal  detto  colono,  attorno  allo  scheletro  non  fu  rinve- 
nuta che  una  moneta  molto  corrosa,  la  quale  sembra  riferirsi  all'imperatore  Aureliano. 

0.  Nardini. 


8.   VITTORINO  —  CO  —  RBGIONK   IV. 


Regione  IV  fSAMNIUM  ET  SABINA). 

(LA  TlUil). 

VI.  S.  VITTORINO  (frazione  del  comune  di  Pizzoli)  —  Avanso  di 
antico  edificio,  probabilmente  tempio  di  Ercole,  nell'agro  dell'antica  Ami- 
te rnum,  con  frammenti  architettonici  ed  epigrafe  latina,  in  contrada 
Li  Ferrici. 

A  circa  300  m.  a  nord  del  teatro  dell'antica  Amiternum,  evvi  una  contrada 
ondulata  fra  collinette  e  pianura  chiamata  Li  Ferrici,  facente  parte  del  territorio 
di  s.  Vittorino. 

Ivi,  nella  scorsa  primavera,  certo  Ferdinando  Cima  di  Arischia,  nel  faro  in  ter- 
reno a  lui  appartenente  uno  scassato  per  piantare  vigna,  a  non  molta  profondità  dalla 
superficie  del  suolo,  rinvenne  i  resti  di  antico  edificio  che  probabilmente  fu  tempio 
di  Ercole,  in  prossimità  del  tramite  della  via  Salaria  o  Caeciiia,  che  da  quella  parte 
saliva  verso  i  monti  i  quali  dividono  il  bacino  dell' Aterno  da  quello  del  Vomano. 

11  Cima  poco  si  curò  di  tutto  il  materiale  archeologico  colà  rinvenuto  nella  sola 
parte  scassata  del  terreno,  e  portò  in  casa  sua  ad  Arischia,  ove  lo  conserva, 
soltanto  ciò  che  credette  fosse  il  meglio,  e  cioè:  varii  frammenti  architettonici,  fra 
i  quali  uno  di  fregio  scorniciato  ed  intagliato,  in  calcare;  un  vaso  di  pietra  fram- 
mentato ed  ornato  di  fogliami  ;  grandi  pezzi  di  mattoni  lunghi  m.  0,59,  larghi  m.  0,29, 
e  spessi  m.  0,06;  varie  mattonelle  esagone  di  marmo  bianco,  avanzi  del  pavimento; 
due  monetine  irrriconoscibili,  ed  un  frammento  di  architrave  sul  quale,  al  disopra 
di  una  cornice  e  di  altro  piano  liscio,  si  legge,  in  rozze  lettere: 

R  >  DISP  >  H  >  D  .  D.| 

Questo  frammento,  pure  di  calcare,  è  lungo  m.  0,80,  alto  m.  0,27,  e  spesso  m.  0,15. 

N.  Persichetti. 


SICILIA  —    GÌ    —  S1RACD8A 


SICILIA. 

VII.  SIRACUSA  —  Rìpostif/lio  di  monetine  del  basso  impero. 

Ai  primi  di  gennaio  del  1908  in  contrada  s.  Qiulìano  presso  i  Cappuccini  dt 
Siracusa,  in  tutta  prossimità  al  mare,  in  un  poderetto  di  Vincenzo  Attanasio,  uti 
carapietra  togliendo  la  terra  per  denudare  Itt  roccia,  s'imbattè  a  circa  m.  1  '/j  éi 
profondità  in  una  pentola  fittile,  piena  di  monetine  romane  di  minimo  modulo,  !« 
quali,  parte  per  compera,  parte  per  dono  cortese  del  proprietario,  entrarono  in  numero 
di  1545  a  far  parte  della  raccolta  di  ripostigli  del  Museo.  Conviene  notare  che  il 
ragguardevole  tesoretto  era  stato  nascosto  proprio  a  brevi  passi  dall'  ingresso  di  (ifla 
piccola  catacomba,  a  caso  scoperta  dallo  stesso  operaio  tre  mesi  prima  in  quel  sitd, 
e  poi  da  noi  metodicamente  esplorata;  essa  appartiene  tra  la  fine  del  sec.  IV  ed  il 
passaggio  al  V  ;  era  stata  superficialmente  violata,  e  ne  dirò  in  altra  occasione.  Nella 
grande  maggioranza  queste  monete,  attaso  anche  il  loro  piccolo  modulo,  erano  fruste  e 
logore;  irreconoscibili  e  di  scarto  assoluto  furono  n.  1202  pezzi;  riconoscibili  ma  non 
inventariabili  pezzi  n.  135;  di  buona  conservazione  ed  inventariabili  pezzi  n.  188.  In 
ordine  cronologico  erano  rappresentati  i  seguenti  imperatori: 


Constantinus  Iunior 

.     317-337 

Gratianns.    .    .    . 

.     367-383 

Constans  l    .     .     . 

.     333-350 

Valentinianus  II     . 

.     375-392 

Constantius  II  .     . 

.    823-361 

Theodosius  I.     .     . 

.     379-396 

•           Gallus. 

.     351-364 

Flavius  Victor  .     . 

388 

Valentinianus  I.     . 

.     364-375 

Honorius  .... 

.     395-423 

Valens 

.     364-378 

Arcadius  .... 

.     394-408 

Le  monetine  abbracciano  quindi  appena  un  secolo,  e  quelle  del  periodo  costan- 
tiniano sono  in  grande  minoranza  in  paragone  alle  altre  spettanti  alla  seconda  metà 
del  secolo  IV. 

Nel  410  i  Visigoti  di  Alarico,  presa  e  saccheggiata  Roma,  si  rovesciarono  sul- 
r  Italia  meridionale,  arrestandosi  a  Reggio.  Se  la  Sicilia  andò  immune  da  una  vera 
invasione,  non  fu  però  risparmiata  da  attacchi  di  bande  frazionate  che  superarono 
lo  stretto  ('),  ed  è  probabile  che  anche  Siracusa  abbia  avuto  in  quella  occasione  a 
soffrire.  Porse  i  terrori  di  quell'anno  coincidono  col  sacco  della  piccola  catacomba  e 
col  nascondimento  del  peculio.  La  prima  invasione  dei  Vandali,  funestissima  a  tutta 
r  isola,  cade  nel  440  ;  ma  1'  assoluta  mancanza  di  monete  posteriori  ai  figli  di  Teo- 
dosio ci  obbliga  ad  anticipare  dì  alcuni  lustri  la  data  del  ripostiglio. 

t.  OHài. 

(')  Holm,  Storia  della  Sicilia  nelV antichità,  voi.  Ili,  pag.  506. 


AVOLA  —   62   —  SICILIA 


Vili.  AVOLA  —  Ripostiglio  di  assi  romani. 

Nell'ottobre  del  passato  anno  in  una  contrada  non  precisata  del  territorio  di 
Avola,  venne  trovato  un  ripostiglio  di  n.  186  assi  romani  in  bronzo,  acquistati  poco 
dopo  dal  Museo  di  Siracusa,  senza  che  mi  venisse  fatto  di  conoscere  ulteriori  parti- 
colari della  scoperta.  Non  infrequenti  in  Sicilia  gli  assi  sporadici  ;  mai  però  mi  era  ac- 
caduto in  un  ventennio  di  porre  le  mani  sopra  un  ripostiglio,  che  ho  i-agione  di  credere 
quasi  completo.  E  non  solo  in  Sicilia,  ma  anche  nel  resto  d' Italia  sono  tutt'  altro 
che  frequenti  i  ripostigli  di  assi,  ed  a  differenza  di  quelli  di  denari,  non  rammento 
se  ne  siano  dati  cataloghi  ragionati.  Ho  quindi  creduto  utile  sottoporre  il  tesoretto 
di  Avola  ad  una  sistematica  analisi,  di  cui  qui  presento  i  risultati,  che  altri  potrà 
meglio  sviluppare  sotto  diversi  punti  di  vista. 

A)  Esemplari  anonimi.  (N.  1-74).  Sono  di  varia  ma  per  lo  pivi  di  media 
conservazione;  il  segno  monetale  |  nel  rovescio  è  collocato  sopra  la  prua  di  nave, 
la  quale  presenta  copiose  varietà  di  struttura.  I  pesi  assai  oscillanti  vanno  dai  minimi 
di  gr.  27  78  fino  *  gr.  48  Vs-  Tenuto  presente  che  colla  introduzione  dell'argento 
nel  268  l'asse  librale,  attraverso  il  tipo  trientale,  divenne  ben  presto  sestantario  di 
due  uncie  (=gr.  5472)5  e  col  217  unciale  di  gr.  27  74;  tenuto  ancora  presente 
che  le  oscillanze  di  peso,  e  talvolta  grandi,  sono  frequentissime,  e  non  possono  in 
verun  modo  indicare  altrettante  leggi  di  riduzione;  e  che  prevalse  la  consuetudine 
di  dare  un  peso  alquanto  inferiore  allo  strettamente  legale  ;  ne  traggo  la  conclusione, 
che  parecchi  di  questi  assi  vennero  coniati  fra  il  268  ed  il  217,  la  maggior  parte 
dopo  il  217,  ma  nessuno  nel  sec.  I  a.  C,  quando  (a.  81)  per  la  lex  Papiria  l'asse 
fu  ridotto  a  mezza  uncia,  di  gr.  13,625. 

B)  Esemplari  con  nomi  di  magistrati  monetali.  Pur  sapendo  che 
talune  delle  aasiguazioni  di  questo  gruppo  sono  meramente  congetturali,  data  l' indole 
di  questo  periodico,  io  mi  limito  ad  accettare  i  risultati  delle  più  recenti  ricerche 
scientifiche  ('),  senza  entrare  in  discussioni  di  sorta. 

75)  L.  Aemilius  Paiilus  (234).  Sigla  A'.  Bab.  I,  115.  Peso  gr.  26,9.  Il  peso 
assai  tenue  rende  molto  dubbia  la  anzidetta  interpretazione  della  sigla  e  l'attribu- 
zione al  detto  monetiere. 

76-77)  Aurelius  (244).  Sigla  A/.  Bab.  I,  236.  Due  esemplari  di  gr.  31,6  e  38. 

78)  Cn.  Baebius  Tampilus  (217).  Sigla  TR.  Bab.  I,  251.  Esemplare  di  gr.  29,4. 

79-80)  Caecilius  MeteUus  (217).  Sigla  At.  Bab.  I,  259.  Due  esemplari  di 
gr.  31,8  e  38,8.  Il  Moramsen  (Roem.  Mùnzwesen,  pag.  495)  attribuisce  codesti  assi 
riccamente  unciali  (ei  cita  tre  esemplari  di  gr.  30  l'uno)  ad  un  MeteUus  che  non 
designa  pili  particolarmente. 

81-83)  C.  Clovius  Saxula  (189).  Sigla  C-S/X  in  uno,  S/X  in  due  altri  esem- 
plari. Bab.  I,  362-363.  Pesi  gr.  27;  30,8;  32,5. 

84)  P.  Cornelius  Biasio  (189).  Leggenda  P  •  BLAS.  Bab.  I,  389.  Peso  gr.  35,8. 

(')  Babelon,  Monnaies  de  la  repuòl.  romaine,  Paris,  1885  e  1886,  2  voli;  Bahrfeldt,  Nachtràfe 
und  Berichtigtmgen  sur  Mùnxkunde  der  rotm.  Bepublih,  Wien,  1897  e  1900,  2  voi. 


SICILIA  —   63   —  AVOLA 

85-86)  A.  Caecilius  (189).  Leggenda  A  •  CA.  Bab.  I,  261.  Due  esemplari,  di 
cui  uno  bellissimo  di  gr.  34,8. 

87)  Cn.  Domitius  Ahenobarbus  (179).  Leggenda  CNDOM.  Peso  gr.  26,3. 
Bab.  I,  458. 

88)  M.  Duillius  (217).  Sopra  la  prua  toro  e  di  fianco  la  sigletta  NT,  la  cui 
interpretazione  nei  pezzi  di  tutta  la  serie  fino  all'  oncia  è  assolutamente  congetturale. 
Peso  gr.  29.  Bab.  I,  57. 

89-91)  L.  Furius  Philo  (217).  Sopra  la  prua  Vittoria  volante  con  corona,  davanti 
alla   quale  il  monogramma  T.  Tre  esemplari  di  gr.  29,2;  33,6;  38,8.  Bab.  I,  518. 
92)  Q.  Fabius  Maximus  (?).  Sigla  M.  Peso  gr.  25,6.  Attribuzione  più  che  mai 
■dubbia.  Cfr.  Bab.  1,  479. 

93-94)  L.  Lieinius  Murena  (159).  Leggenda  M^ENA.  Due  esemplari  di 
gr.  23  e  28,3.  Bab.  II,  126. 

95)  Q.  Marcius  Libo  (174).  Sopra  la  prua  Q_^  MRC  e  verticalmente  davanti 
ad  essa  LIBO.  Bab.  II,  18.  Peso  gr.  33,2.  Il  Mommsen  {Roem.  Mùnsw.,  pag.  516) 
dà  in  gr.  25  il  peso  di  12  assi  di  codesto  magistrato. 

96-97)  Malienus  (234).  Sigla  /^.  Due  esemplari  belli  e  freschi  di  gr.  25,2  e  30. 
Bab.  II,  209. 

98-101)  Naevius  Balbus  (218).  Sigla  BA/.  Quattro  esemplari,  di  cui  uno  recusso, 
di  gr.  28,3;  31;  39;  40.  Bab.  II,  245. 

102-103)  Opimius  (224).  Sigla  OÌ^' .  Esemplare  di  gr.  34,3.  Bab.  II,  269. 
Una  seconda  serie  di  conii  di  codesto  magistrato,  non  rappresentata  nel  nostro  peculio, 
ci  dà  la  leggenda  sciolta  OPEI  ;  storicamente  i  due  monetieri  (il  secondo  è  del  209) 
sono  poco  noti,  né  si  sa,  se  il  recenziore  fosse  figlio  o  fratello  del  primo.  Ma  in 
uno  degli  esemplari  di  Avola,  lisciato  e  non  pertanto  di  gr.  37,8,  la  leggenda  che 
s' intravvede  è:  OPEU,  da  riferire,  se  leggo  bene,  ad  una  famiglia  Opellia  nota  (cfr.  De 
Vit,  Onomasticon  s.  v.),  ma  della  quale  non  si  conoscono  monetieri.  Si  avrebbe 
quindi  un  pezzo  nuovo  ed  inedito,  se  non  fosse  che  la  lettura  troppo  incerta  mi  rende 
cauto  neir  annunziare  la  scoperta  di  un  magistrato   monetale  fin  qui  sconosciuto. 

104)  Papirius  Turdus  (214).  Leggenda  TVID.  Esemplare  di  gr.  27.  Bab.  II,  286. 

105)  Pinarius  Nata  (200).  Leggenda  NAT.  Esemplare  di  gr.  21,5.  Bab.  II,  304. 

106)  L.  Plautius  Bypsaeus  (218).  Sigla  bP.  Esemplare  di  gr.  42,7.  Bab.  Il,  320. 
107-108)  C.   Terentius   Varo  (217).  Leggenda  W.O.  Due  esemplari   di  gr.  23 

e  27,7.  Bab.  II,  481. 

109)  C.   Terentius  Lueanus  (214).    Leggenda  CHER-LVC,   al  disotto  di  una 
Vittoria.  Peso  gr.  22,2.  Bab.  II,  484. 

110)  Todillus.  Sigla  TO  con  uccello  sopra    il  T.   Peso  gr.  36,9.  Bab.  I,  58. 

Questo  nome  di  monetiere,  affatto  sconosciuto,  venne  ipoteticamente  creato  da 
A  Visconti,  basandosi  sulla  sigla  iniziale  e  sulla  figura  dell'uccello  (Mommsen, 
Roem.  Mtìnsw.,  pag.  497). 

111-115)  Valerius  (227).  Sigla  W.  Cinque  esemplari  di  gr.  24,4;  29,8;  32,7. 
Bab.  II,  507. 

116)  Sigla  oscura A^V.  Peso  gr.  26,9.  Non  trovo  questa  sigla  fra  il  mate^ 


AVOLA  —   64   —  SICILIA 

riale  edito  dal  Babelon  e  dal  Babrfeldt;  né  oso  proporne  una  interpretazione,  man- 
cando la  lettera  iniziale. 

117-119)  Paestumi?)  (268-217).  Sigla  P.  Tre  esemplari  di  gr.  28;  29;  32,7. 
Bab.  I,  L.  60-61. 

Si  è  creduto  generalmente  dagli  specialisti  della  numismatica  repubblicana  di 
attribuire  ad  alcune  città  del  mezzogiorno,  come  Paestum,  Valentia,  Lucerla,  Croton  ecc. 
una  serie  di  assi,  che  pur  muniti  del  Roma  portano  anche  la  lettera,  o  la  sigla  iniziale 
della  rispettiva  città;  colle  due  prime  guerre  puniche  tale  monetazione  provinciale 
viene  a  cessare  completamente. 

G)  Esemplari  anonimi  ma  con  simboli  (120-126).  Ancora.  Soprala 
prua  il  segno  del  valore  |,  e  davanti  ad  esso  l'ancora.  Sette  esemplari  con  leggiere 
varianti  di  conio  e  con  pesi  oscillanti  di  gr.  26'/»;  28  7<;  34  V»;  35 '/t.  L'ancora 
è  simbolo  molto  antico,  che  appare  già  sui  lingots  di  bronzo,  e  poi  suU'  oro,  l'argento, 
e  su  assi  anonimi  del  per.  268-217. 

127-130)  Farfalla  (268-217).  Il  segno  monetale  è  davanti  la  prua  ;  al  di  sopra 
farfalletta  su  grappolo  con  foglia.  Quattro  esemplari  leggermente  varianti  e  pesanti 
gr.  24;  25;  27;  31,2. 

131-132)  Spiga  (268-217).  Sopra  la  prua  spiga.  Peso  gr.  28,3;  37,5. 

133-135)  Vittoria.  Sopra  la  pnia  Vittoria  con  corona  e  davanti  ad  essa  una 
cuspide  di  lancia.  Peso  gr.  23,6;  31,2;  38,7. 

136-141)  Lupa.  Sopra  la  prua  la  lupa  con  Bomolo  e  Bemo.  Sei  esemplari  pe- 
santi gr.  26,2;  28,5;  38,2. 

142)  Delfino.  Davanti  la  prua  delfino  verticale.   Grosso  esemplare  di  gr.  48,3. 

143-145)  Delfino.  Sopra  la  prua  delfino  orizzontale.   Peso  gr.  26,7;  32;  33,2. 

146)  Grifone.  Sopra  la  prua  grifone.  Esemplare  logoro  di  gr.  27,7. 

147)  Cinghiale.  Sopra  la  prua  cinghiale.  Peso  gr.  86,6. 

148)  Uccello.  Sopra  la  prua  uccello  su  timone.  Bello  esemplare  di  gr.  40. 

149)  Mosca.  Sopra  la  prua  mosca  dai  grossi  occhi.  Peso  gr.  29,8. 
150-151)  Luna  falcata.  Peso  gr.  44  V*  e  46. 

152)  Due  pilei  o  meglio  due  berretti  da  Flamen  (apex).  Peso  gr.  24. 

153)  Corona.  Pezzo  greve  di  gr.  43,5. 

154)  Méta.  Peso  gr.  39,5. 

155)  Bastone  a  nodi  {scipio).  Peso  gr.  43. 

156)  Simbolo  oscuro,  simile  ad  un  breve  cornucopia.  Peso  gr.  44,2. 

D)  (157-186).  Esemplari  logori  con  sigle,  o  lettere,  o  simboli  irricono- 
scibili ed  indecifrabili. 

* 

I  186  assi  di  Avola  sono  in  prevalenza  assi  unciali  di  peso  molto  oscillante, 
coniati  dopo  il  217;  non  mancano  però  quelli  grevi,  biunciali  un  po' scarsi,  conlati 
fra  il  268  ed  il  217.  L'esame  cronologico  dei  monetieri  segnati  in  molti  di  essi  non 
coincide  col  peso  rigoroso  che  dovrebbesi  attendere  nei  pezzi  rispettivi  ;  a  spiegazione 
di  che  valgono  sempre  le  ragioni  addotte  dal  Mommsen  nel  suo  Roem.  Mùmwesen, 
pagg.  422  e  segg.   Il  magistrato  pid  recente  che  abbiamo  riconosciuto  è  quello  dei 


SICILIA  —    65   —  POZZALLO 

un.  93-94,  da  assegnare  al  159  a.  C.  Il  che  dimostra  come  il  ripostiglio  sia  stato 
nascosto  verso  la  metà  del  II  sec.  a.  C.  ;  in  ogni  modo  dopo  che  la  Sicilia  era  stata 
proclamata  provincia  romana.  Allora  anche  nell'isola  la  moneta  di  stato  ed  ufficiale 
era  rappresentata  dai  e.  d.  denari  consolari  e  dagli  assi  colle  rispettive  frazioni  ; 
mentre  la  scarsa  e  scadente  monetazione  erosa  di  alcune  poche  città,  continuata  anche 
dopo  il  210,  non  ebbe  che  un  ristretto  corso  territoriale.  Pezzi  numismaticamente 
nuovi  od  inediti  non  si  affacciano  nel  tesoretto;  il  sospetto  che  i  nn.  103  e  116 
presentino  delle  novità  rimane  sempre  incerto,  attesa  la  deficiente  conservazione  delle 
leggende.  P.  Orsi. 


IX.  POZZALLO  —   Tesoretto  di  grandi  bronsi  imperiali. 

Pozzallo,  fiorente  borgatuccia  sul  mare  africano,  tutta  dedita  al  commercio  ma- 
rino ed  alla  navigazione,  non  vanta  ricordi  dell'  età  classica,  ed  anzi  è  sorta  negli 
ultimi  tre  secoli  intorno  ad  una  robustissima  torre  di  guardia  costiera,  le  più  antiche 
memorie  della  quale  risalgono  ai  tempi  di  Martino  1.  Da  Pozzallo  a  Malta  il  tra- 
gitto è  brevissimo,  donde  l' importanza  che  il  luogo  venne  sempre  più  guadagnando 
dal  sec.  XVI  in  poi.  Lungo  la  costa  sabbiosa  si  hanno  in  più  punti  tracce  di  rovine 
bizantine  e  dell'alto  medio  evo,  ma  sopratutto  a  s.  Maria  di  Focallo,  dove  ancora 
al  principio  del  cinquecento  aveva  notato  il  Fazello  una  chiesetta  bizantina  a  cupola, 
oggi  barbaramente  distrutta. 

L'unico  testimonio  dei  tempi  classici  è  dovuto  ad  una  recente  scoperta.  Sui 
primi  di  agosto  in  contrada  Rizzone,  all'  entrata  del  paese,  costruendosi  una  casa  in 
terreno  del  march.  Corrado  Tedeschi  di  Modica,  gli  operai  rinvennero  nelle  fondazioni 
un  recipiente  fittile,  con  circa  600  monete  romane  imperiali  di  grande  modulo,  le 
quali,  come  sempre  avviene,  andarono  trafugate  e  disperse  tra  gli  scopritori.  Il 
proprietario  potè  a  gran  fatica  ricuperarne  197,  ma  tutte  logore  e  sfiorate  dei  pezzi 
migliori,  e  31  il  Municipio,  in  totale  n.  229,  che  io  ebbi  tra  mano,  e  che  rappre- 
sentano, se  vere  le  voci  che  corrono,  un  terzo  del  ripostiglio.  Eccone  il  catalogo  in 
ordine  cronologico: 

Secolo  I.      Domitianus  (72-96) Pezzi     1 

Secolo  II.    Traianus  (98-117) »  2 

Hadrianus  (117-138)      ....  »  11 

»            Antoninus  Pius  (138-161)  ...  »  10 

»            Faustina  Senior         »  2 

»            M.  Aurelius  (140-180)   ....  »  2 

"            Faustina  Iunior »  4 

L.  Verus  (161-169) »  3 

Commodus  (175-192) »  26 

Secolo  IH.  Sept.  Severus  (193-211).     ...  »  3 

M.  Aur.  Ant.  Caracalla  (196-217)   .  »  1 

Severus  Alexander  (222-235)   .     .  »  36 

»           lulia  Mammaea      ......  »  6 

»            Maximinus  (235-238) »  15 

Da  riportare  pezzi  n.  122 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  9 


AIDONE  —  66   —  SICILIA 

Riporto  pezzi  n.  122 

Secolo  III    Maximus  (235-238) «  1 

Balbinus  (238) »  3 

»            Gordianus  Plus  (238-244)   ...  »  21 

Philippus  Pater  (244-'i49)  ...  »  4 

i>                  »          Filius         »          ...  »  1 

»           Julia  Otacilla »  1 

»            Inclassitìcabili »  76 

Totale  pezzi  n.  "229 

Per  ciò  che  riguarda  lo  stato  di  conservazione  conviene  distinguere  quelle  monete 
che  sono  irriconoscibili  per  la  forte  ossidazione,  da  quelle  consunte  per  logoramento 
e  per  lungo  uso.  Per  la  cronologia  del  ripostiglio  si  noti  che  il  Domiziano  e  tutti  i 
pezzi  di  Traiano,  Adriano,  Antonino,  M.  Aurelio  e  L.  Vero  mostrano  appunto  un 
logoramento  derivante  da  lunga  circolazione.  Sono  invece  freschissimi  due  Alessandri, 
e  due  Filippi  sono  addirittura  fior  di  conio.  L' età  dei  Filippi,  cioè  la  metà  del 
secolo  111,  segna  pertanto  con  ogni  verosomiglianza  il  «  terminus  ad  quem  »  o  Tepoca 
di  sotterramento  del  tesoretto.  Il  quale  abbraccia,  in  progressione  crescente,  monete 
emesse  durante  un  secolo  e  tre  quarti,  e  tutte  contemporaneamente  circolanti;  con- 
suetudine già  riconosciuta  per  quelle  greche  e  per  le  consolari  romane. 

P.  Orsi. 

X.  ÀIDONE  —  Ripostiglio  di  monete  erose. 

È  noto  come  presso  Aidone,  in  contrada  Serra  Orlando,  esistono  ruderi  vastissimi 
di  una  città,  non  per  anco  tocca  dal  piccone  dell'archeologo,  la  quale  si  crede,  ma 
senza  buone  ragioni,  possa  essere  l'antica  Herbita  (').  Da  nessuna  città  della  Sicilia, 
come  da  Serra  Orlando,  provengono  in  tanta  copia  ripostigli  di  monete  repubblicane 
in  bronzo,  od  anche  romano-campane,  segno  che  la  città  perdurò  con  florida  vita 
durante  gli  ultimi  secoli  prima  dell' e.  v.  Ma,  come  sempre  accade,  tali  ripostigli 
vanno  frazionati  e  dispersi,  e  solo  talvolta  mi  fu  dato  di  metter  le  mani  sopra  fram- 
menti di  essi.  Eppure  il  loro  studio,  se  completi,  avrebbe  un  notevole  valore  per  la 
storia  dei  commerci  e  della  circolazione  della  moneta  statale  romana  in  Sicilia,  in 
in  relazione  con  quella  municipale  ;  storia  ancora  lacunosa,  malgrado  i  diligenti  studi 
del  Bahrfeldt  e  di  altri. 

Ora  ebbi  la  fortuna  di  assicurarmi  buona  porzione  di  uno  di  codesti  tesoretti, 
rinvenuto  nell'estate  del  1908.  Sono  n.  48  pezzi  in  bronzo  di  medio  modulo  (mm.  20 
a  22),  che  vanno  così  suddivisi: 

Roma.  Uncia  sostentale.  Adv.  Testa  di  Roma  ade  globulo,  i^  Prua  di  nave 
a  d.  sormontata  da  spiga  sotto  cui  ROMA;  nell' esergo  globulo.    N.  46. 

Syracusae.  Democrazia  (215-212).  Adv.  Testa  di  Apollo  a  sin.  i§  Due  cavalieri 
a  d.  es  SYPAKOZIilN.    N.  1. 

Moneta  greco-sicula  logora  ed  inclassificabile.    N.  1. 

(')  Ranfaldi,  Ricerche  storico-critiche  sulle  cote  di  Sicilia  antica  vertenti  alla  illustrazione 
di  una  diruta  città  siVute  (Piazza  Armerina,  1884);  Pappalardo,  Notizie  1884,  serie  3»,  voi.  Xllf; 
pag.  850;  Orsi,  Rivista  di  storia  antica  di  G.  Tropea,  a.  V,  pag.  52  e  segg. 


SICILIA 


—  G7  — 


BARBAFRANCA 


Le  umie  non  presentano  varietà  di  simboli,  ma  solo  di  lettere  ;  la  conservazione 
ne  è  buona,  mediocre  e  scadente  ;  il  peso  molto  oscillante  fra  i  gr.  5  e  6  '/i  le  indica 
come  iincie  sestantali,  emesse  fra  il  268  ed  il  217.  Il  pezzo  siracusano  pesa  gr.  10 
ed  equivaleva,  a  due  uncie  scarse  ;  esso  segna  il  tempo  approssimativo  nel  quale  il 
peculio  venne  sotterrato,  cioè  negli  ultimi  del  sec.  Ili  a.  C.  Il  numerario  romano 
in  bronzo  venne  dunque  introdotto  nell'isola,  e  vi  aveva  corso,  già  ai  tempi  di  le- 
rone  II,  quando  le  relazioni  fra  Roma  ed  il  monarca  siracusano  furono  amichevoli,  e 
diedero  luogo  anche  a  scambi  commerciali  fra  i  due  stati. 

P.  Orsi. 


XI.  BARRAFfìANCA  —  Tesoretlo  di  piccoli  bronzi  sicelioti  e  romani. 

Una  pronta  conferma  alla  teoria  sopraenunciata  ci  fornisce  un  altro  ripostiglietto 
monetale,  pure  rinvenuto  nella  soorsa  estate  presso  Barrafranca,  ed  assicurato  al 
Museo,  non  posso  dire  se  nella  sua  completa  integrità.  Sono  n.  84  pezzi  di  medio 
modulo,  che  vanno  così  ripartiti: 

Syracusae.  lerone  II  (275-216).  Adv.  Testa  di  Poseidon  a  sin.  i^  Tridente 
affiancato  da  delfini,  di  sotto  lEPilNoZ,  con  sigle  diverse;  conservazione  media  e 
buona.  Peso  medio  gr.  6  '/z  i  equivalente,  in  misura  abbondante  all'  uncia  romana 
dell'asse  sostentarlo.     N.  79. 

Roma.  Quattro  uucie  sestentali  del  tipo  di  quelle  di  Aidone  col  peso  variabi- 
lissimo di  gr.  4,9;  5,7;  6,1;  7,7;  tutte  di  buona  conservazione  ed  emesse  prima 
del  217.     N.  4. 

Roma.  Sestante.  Adv.  Testa  di  Mercurio  a  d.  con  due  globuli.  15  Come  nel- 
r  uncia.  Freschissimo  ma  di  conio  difettoso.  Il  suo  peso  di  gr.  5,9  lo  avvicina  al 
sistema  unciale,  ed  attesa  anche  la  conservazione  lo  ritengo  emesso  poco  dopo  il 
217.     N.  1. 

Anche  il  tesoretto  di  Barrafranca  venne  celato  sul  finire  del  sec.  Ili,  e  ci  dimostra 
la  promiscuità  nella  circolazione  e  nel  commercio  dell'isola  di  monete  statali  romane 
e  siracusane. 


I  ripostigli  di  Aidone  e  di  Barrafranca  dimostrano  la  contemporaneità  di  circo- 
lazione di  monete  greche  della  fine  del  sec.  Ili  colle  monete  romane  in  Sicilia.  A 
conferma  di  questa  tesi  produco  un  disegno  al  vero  di  un  singolare  pezzo  in  bronzo, 
che  proprio  di  questi  giorni  mi  è  stato  presentato,  e  che  non  acquistai  causa  il  prezzo 
pazzamente  elevato  che  si  richiedeva.  È  un  esemplare  recusso,  che  così  descrivo  : 


BARRAFRANCA  —   68   —  SICILIA 

Ado.  Testa  diademata  di  lerone  li  a  sin.,  sulla  cui  parte  inferiore  è  stata  ri- 
coniata una  prua  di  nave,  di  cui  manca,  perchè  non  riuscita,  l'estremità  poppiera  ;  in- 
vece è  nitidissima  al  disotto  la  leggenda  RoMA.  La  testa  del  principe  ha  perduta 
quella  rotondità  e  freschezza  che  si  scorge  negli  originali,  perchè  ammaccata  e  de- 
pressa nella  seconda  coniazione. 

9  Cavaliere  con  lancia,  ad.;  di  sotto  N.  Lungo  il  dorso  e  le  coscio  del  cavallo, 
profilo  di  una  testa  virile  imberbe,  che  per  stile  e  disegno  non  sembra  la  faccia  di 
un  Giano  bifronte. 

La  moneta  originaria,  del  peso  di  gr.  18,1,  non  è  altro  che  uno  dei  noti  e  co- 
munissimi grandi  bronzi  di  lerone  II,  coniati  in  grandissima  quantità  fino  al  216. 
Sopra  di  esso  è  stato  malamente  punzonato  il  dritto  ed  il  rovescio  di  un  asse  ;  seb- 
bene la  bellezza  della  testa  del  verso  lasci  qualche  dubbio,  che  si  tratti  di  una  faccia 
di  Giano. 

Data  l'oscillanza  grandissima  del  peso  dell'asse  nel  passaggio  dal  biunciale  al- 
l'unciale (268-217),  il  bronzo  ieroniano  veniva  a  corrispondere  scarsamente  alla  metà 
di  un  asse  biunciale,  abbondantemente  alla  metà  di  un  asse  unciale;  equivalendo  quindi 
ad  un  semis,  esso  poteva  aver  corso  anche  per  le  mani  di  soldati  e  mercanti  romani, 
ai  quali,  del  resto,  erano  ben  noti  anche  i  pezzi  originali  della  zecca  di  Siracusa. 
Data  ora  la  emissione  grandissima  cosi  degli  assi  romani  come  dei  bronzi  ieroniani, 
e  d'altra  parte  la  estrema  rarità  dei  pezzi  greci  contromarcati,  conviene  credere  che 
questi  sieno  dovuti  non  già  ad  una  disposizione  legale  che  regolava  la  circolazione, 
ma  semplicemente  a  qualche  capriccio  di  zecchiere.  Dove  sia  avvenuta  questa  rico- 
niazione, se  cioè  a  Roma  od  in  Sicilia,  è  un  po'  difiBcile  dire  ;  certo  molto  pro- 
babilmente in  Sicilia,  dove  è  bensì  vero  che  non  conosciamo  emissione  di  assi,  ma 
non  è  inverosimile  che  anche  in  Sicilia  se  ne  siano  coniati,  al  paro  di  quelli  emessi 
in  talune  città  della  Campania,  della  Lucania  e  dei  Brezzii,  che  pur  contrassegna- 
rono col  ROMA  le  loro  emissioni.  Porse  anche  il  nostro  pezzo  rappresenta  un  esperi- 
mento di  zecca,  tentato  subito  dopo  la  presa  di  Siracusa  (212),  per  trar  partito  della 
enorme  massa  di  moneta  erosa  che  circolava  sul  mercato,  e  prima  che  si  addivenisse 
alla  coniazione  degli  scadenti  e  brutti  pezzi  romani. 

In  ogni  modo,  qualunque  sia  la  spiegazione  che  si  vorrà  addurre,  è  certo  assai 
istruttivo  al  caso  nostro  un  altro  pezzo  edito  dal  Garrucci  {Mon.  Rat.  ant.,  tavola 
LXXIX,  fig.  25),  cioè  un  piccolo  bronzo  di  lerone  II  col  tridente,  sopra  il  quale  sono 
stati  battuti  gli  emblemi  dell'uncia  romana  colla  testa  di  Roma,  la  prua,  ed  il  segno 
del  valore  monetale.  Queste  anomalie  di  zecca  provano,  se  non  altro,  la  simultaneità 
di  circolazione  ed  una  approssimativa  corrispondenza  di  valore,  ufficialmente  riconosciuta 
e  consacrata,  fra  bronzi  romani  e  greci.  Se,  dati  gli  eccellenti  rapporti  fra  Roma  e 
lerone,  prima  della  morte  di  costui  (216)  la  circolazione  era  promiscua,  aggregato 
nel  212  il  suo  Stato  alla  restante  provincia  romana,  si  cercò  forse  di  segnare  ufficial- 
mente tale  equiparazione  della  moneta  erosa;  ma  dobbiamo  ritenere  che  la  prova 
non  abbia  avuto  successo. 

P.  Orsi.     , 
Roma,  21  febbraio  1909. 


REGIONE   XI.  —   69   —  PARRÀ  VICINO 


Anno  1909  —  Fascicolo  3. 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  PARRAVICINO  —  Nuovo  masso-avello  della  provincia  di 
Como,  scoperto  presso  la  torre  medievale  della  città. 

Dei  massi-avelli  della  provincia  di  Como  scriveva  nella  Rivista  archeologica 
conense  la  prima  volta,  nel  1872,  il  compianto  can.  Vincenzo  Barelli;  la  seconda, 
nel  1898,  il  dott.  Antonio  Magni,  che  nel  1903  ne  faceva  poi  oggetto  di  una  comu- 
nicazione al  Congresso  internazionale  di  scienze  storiche  in  Roma  ('). 

Sono  tombe  ad  umazione,  scavate  nei  massi  erratici  di  sariszo  e  di  gneiss,  che 
i  ghiacciai  dell'età  quaternaria  hanno  trasportato  dalle  Alpi  sulle  pendici  delle  Pre- 
alpi comeusi. 

Una  ventina  ne  conserva  tuttora  la  nostra  provincia,  compresi  i  due  di  cui  stiamo 
trattando,  e  tre  quella  di  Sondrio;  e  null'altro  di  uguale  finora  si  trovò,  per  quanto 
è  a  mia  notizia,  nel  resto  d' Italia  né  fuori.  Solo  recentemente  se  ne  potè  sospettare 
la  presenza  nel  Portogallo  (*). 

Interessanti  però  esse  sono  già  di  per  sé,  sia  per  la  forma  gigantesca,  sia  per 
l'aspetto  rude  e  maestoso,  sia  per  la  posizione,  in  luoghi  generalmente  romiti,  e  assai 
discosti  dagli  abitati. 

La  tecnica  della  costruzione  è  costante,  sì  da  poterle  senz'altro  ascrivere  tutte 
alla  stessa  età  ed  allo  stesso  popolo. 

Il  masso  non  presenta  altra  lavorazione  che  quella  della  tomba  che  vi  è  scavata, 
cinta  da  un  orlo  rettangolare,  scolpito  in  rialzo,  e  destinato  a  portare  il  coperchio. 
La  forma  della  tomba  è  quella  di  un  avello  comune,  coi  lati  maggiori  rettilinei,  ed 

(•)  /  così  detti  Mani-avelli  della  Provincia  di  Como.  Atti  del  Congresso,  voi.  V,  sez.  IV, 
Archeologia. 

(")  Portogalia,  1906,  tomo  II,  fase.  II,  maggio. 
Notizie  Soavi  1909  —  Voi.  VI.  10 


PARRAVICINO 


—  70  — 


RBOIONB   XI. 


ì  minori  semicircolari.  Spesse  volte  il  fondo  presenta  ad  un  estremo  un  cuscino, 
scolpito  nella  roccia,  su  cui  riposava  la  testa  del  cadavere. 

Le  due  attuali  scoperte  hanno  speciale  importanza,  peicliè  gli  avelli  conservavano 
per  la  prima  volta  avanzi  di  scheletri  umani  ;  una  ancor  maggiore  offre  poi  la  se- 
conda, per  l'esistenza  del  coperchio  originario,  di  cui  in  tutte  le  altre  tombe  simili 
manca  ogni  avanzo. 

Il  13  marzo  1908,  nell'abitato  del  comune  di  Parravicino,  mandamento  di 
Erba,  mentre  si  demoliva  una  casupola,  di  proprietà  del  conte  Antonio  Parravicini, 
ai  piedi  della  torre  pendente  medioevale,  apparve  circa  un  metro  sotto  al  pavi- 
mento un  voluminoso  masso  erratico  in  gneiss  granitoide  (fig.  1),  nel  quale  è  sca- 


FlG.  1. 


vata  la  tomba,  con  dimensioni  di  m.  1,90X1,08X0,41,  senza  cuscino,  coperta  per 
la  maggior  parte  da  un  lastrone  di  gneiss,  grossolanamente  lavorato  a  martello,  e  nel 
resto  da  un  frammento.  Essa  conteneva  del  terriccio,  con  ossa  umane  gettate  alla 
rinfusa,  ed  appartenenti  a  quattro  scheletri. 

Accanto  al  masso  si  scoprirono  pure  due  tombe  ad  umazione,  fatte  di  rozze 
lastre  calcari,  contenenti  pure  ossa  umane. 

Tutte  le  lastre  di  copertura  delle  tre  tombe  presentavano  traccio  di  malta  di 
calce,  sabbia  e  mattoni  pesti.  Nessun  oggetto  nell'  interno  che  valesse  a  determinare 
l'epoca  della  sepoltura;  solo  nella  terra  dell'esterno  furono  raccolte  due  piccole  fu- 
saiuole  di  terracotta  grigiastra. 

Noi  teniamo  per  certo  che  l'avello  del  masso  è  assai  più  antico  delle  due  tombe 
attigue,  e  che  fu  spogliato  per  adibirlo  a  sepoltura  medioevale. 

A.    GlOSSANl. 


REQIONB   XI. 


—  71  — 


PLESIO 


II.  PLESIO  —    Nuovo  masso-avello  scoperto  nel  territorio    del 
Comune. 

Il  27  dicembre  1908,  nel  comune  di  Plesio,  mandamento  di  Menaggio,  il  mu- 
ratore Antonio  Bertarelli  fu  Bernardo,  nel  cavar  sabbia  in  un  suo  campo,  distante 
oltre  cento  metri  dall'abitato,  scopriva  un  masso-avello  alla  profondità  media  di 
m.  0,80  sotterra. 

Originariamente  esso  doveva  essere  tutto  allo  scoperto,  ma  fu  sepolto  dalle  al- 
luvioni in  tempi  remoti,  come  prova  l'esame  del  terreno  e  de'  suoi  strati,  nonché  il 
coperchio  lavorato  in  vista. 


Fio.  2. 


L'avello  è  disposto  in  direzione  da  nord  a  sud,  con  inclinazione  di  m.  0,15;  è 
munito  di  cuscino,  ed  ha  le  dimensioni  di  m.  1,92  X  0,87  X  0,43,  con  orlo  rialzato 
all' ingiro,  largo  m.  0,13  ed  alto  m.  0,08  (fig.  2). 

Esso  era  ancor  munito  del  suo  coperchio  originario,  cioè  da  un  lastrone  di  beala 
di  m.  2,40X1,33X0,14,  lavorato  superiormente  a  due  pioventi,  che  s'incontrano 
in  un  cordone  largo  m.  0,05,  che  ne  costituisce  il  colmo  (tìg.  3). 

Levato  il  pesante  coperchio,  all'  interno  si  trovarono  m.  0,25  di  acqua,  con  un 
centimetro  di  fanghiglia  sul  fondo,  qualche  osso  che  si  spappolò  al  tatto,  nonché 
cinque  corone  di  denti  umani.  Fra  il  coperchio  e  l'avello  nessuna  traccia  di  malta. 


S.    PIETRO    AL    NATISONE 


—    72    — 


REGIONE   X. 


A  noi  sembra  assai  probabile  che  la  tomba  fosse  stata  già  profanata  e  la  sup- 
pellettile funebre  tolta;  e  ciò  supponiamo,  perchè  non  è  possibile  che  una  sepoltura 
così  appariscente  e  gigantesca,  posta  tutta  allo  scoperto,  avesse  potuto  attraversare  i 
secoli  impunemente,  senza  tentare  la  cupidigia  e  la  curiosità  degli  uomini. 

A  quale  età  e  a  quale  popolazione  risalgano  i  massi-avelli,  ninno  ha  saputo  determi- 
nare, ed  anche  l'appello  lanciato  dal  dott.  Magni  nel  1903  è  finora  rimasto  senza  risposta. 

Se  poniamo  mente  alle  loro  proporzioni,  talora  gigantesche,  ed  alla  postura  abi- 
tualmente lontana  dall'abitato  e  lungo  la  china  del  monte,  colla  tomba  troneggiante 
sul  colmo,  il  pensiero  tosto  ricorre  ai  monumenti  megalitici  dell'età  preistorica. 

Ma  se  ci  facciamo  più  da  presso,  e  osserviamo  la  lavorazione  accurata  della  tomba, 
e  l'esatte  proporzioni  dell'incavo  e  degli  altri  particolari  costruttivi,  ci  sentiamo 
trascinati  a  ritenerli  di  periodo  assai  più  recente.  Purtroppo  l'assoluta  mancanza  di 


Fio.  3. 


suppellettile  vieta  di  emettere  un'ipotesi  fondata.  Essa  però,  come  già  dicemmo,  non 
è  insita  nelle  tombe,  ma  dovuta  solo  alla  depredazione  a  cui  nel  corso  dei  secoli  queste 
furono  soggette,  poiché  la  mente  rifugge  dall'attribuire  ad  un  popolo  cristiano  sepol- 
ture isolate  e  sparse  qua  e  là  per  la  montagna,  in  luoghi  romiti,  dove  non  sono,  né 
furono  mai  abitazioni,  chiese  o  cimiteri. 

E  neppure  le  tombe  possono  ritenersi  romane  ;  cosicché  noi  siamo  indotti  ad 
attribuirle  a  qualcuno  dei  popoli  che  abitarono  il  nostro  territorio  nel  periodo  che 
dalla  seconda  età  del  ferro  andò  sino  al  dominio  di  Roma. 

A.    GlUSSANI. 


Regione  X  (VENETI A). 

III.  S.  PIETRO  AL  NATISONE  —  Scavi  e  ricerche  di  antichità 
nel  territorio  del  comune.  Notizia  preliminare. 

Sulle  antichità  di  s.  Pietro  al  Natisene  conoscevasi  finora  soltanto  quel  pochis- 
simo che  ne  era  stato  qua  e  là  pubblicato  dal  Leicht  ('),   dal  Marinoni  ('),    dallo 


(')  Uetà  del  bromo  nella  valle  del  Natisone  in  Atti  del  R.  ht.  veneto  di  se.  lett.  ed  arti, 
t.  ni,  S.  IV;  Bull,  di  paletti,  it.,  voi.  XVU,  1891,  pagg.  172  sgg. 
(*)  Bromi  preistorici  del  Friuli. 


REGIONE  X.  —   73  —  S.    PIETRO   AL  NATISONE 

Zorzi  (')  e  soprattutto  dal  Pigorini  (')  e  dal  Marchesetti  (').  Eppure  s.  Pietro  al 
Natisone,  situato  proprio  allo  sbocco  della  valle  por  la  quale  passava  anticamente 
la  strada  più  importante  che  congiungeva  la  pianura  friulana  con  la  vallata  dell'Isonzo 
e  con  i  paesi  della  Carniola  (■•),  già  per  questa  sua  ragione  topografica  si  raccoman- 
dava per  una  larga  messe  di  ricerche  archeologiche. 

D'altra  parte  i  trovamenti  colà  avvenuti  e  le  scarse  notizie  raccolte  non  lascia- 
vano dubbio  che  non  soltanto  i  Romani,  ma  prima  di  essi  i  Veneti  e  le  popolazioni 
dell'età  del  bronzo  e  fors'anco  i  neolitici  vi  avevano  fissato  loro  stanza. 

Mosso  da  queste  ragioni  io  volli  che  da  s.  Pietro  e  dal  territorio  circostante  e 
finitimo  avesse  inizio  l'attuazione  di  quella  parte  del  programma  scientifico  della 
Sopraintendenza  ai  Musei  e  Scavi  del  Veneto  che  si  prefigge  di  esplorare  gradata- 
mente, mediante  scavi  sistematici  ed  esaurienti,  le  stazioni  primitive,  situate  agli 
sbocchi  dei  valichi  alpini  e  lungo  le  vallate  che  vi  conducono,  onde  meglio  deter- 
minare possibilmente  le  diverse  correnti  di  civiltà  che  dall'Europa  centrale  ed  orien- 
tale scesero  in  Italia  o  che  dall'Italia  vi  risalirono. 

Cominciando  tra  la  fine  di  ottobre  ed  il  principio  di  novembre  p.  p.,  con  una 
serie  di  piccoli  saggi  allo  scopo  di  investigare  anzi  tutto  la  natura  archeologica  dei 
vari  terreni  che  sembravano  meglio  indiziati  per  una  buona  messe  archeologica,  le 
nostre  ricerche,  abilmente  preparate  dall'egregio  direttore  del  Museo  di  Cividale  conte 
prof.  R.  Della  Torre,  e  favorite  dai  proprietari  dei  fondi,  si  estesero  con  diversa  fortuna 
in  parecchie  località  nei  pressi  immediati  di  s.  Pietro,  così  al  monte  come  al  piano. 

Sul  monte  Berda,  clie  sovrasta  a  s.  Pietro  dal  lato  d'occidente,  in  una  insella- 
tura subito  sotto  la  vetta,  a  m.  249  sul  livello  del  mare,  nella  località  Doble,  fondo  di 
Missana  Antonio  fu  Giovanni,  si  scoprirono,  dentro  terreno  rimescolato,  oggetti  della 
prima  età  del  ferro  insieme  con  pezzi  di  mattoni,  coppi  e  frammenti  di  ceramiche 
romane. 

Antichità  invece  esclusivamente  romane  apparvero  in  un  altro  breve  scavo  fatto, 
pure  sul  Berda,  nel  fondo  Sopra  Vina  di  proprietà  Venturini  Cario,  dove  fra  l'altro 
si  mise  allo  scoperto  una  costruzione  rettangolare  di  m.  3  X  5  coi  muri  di  pietrame 
alti  circa  un  metro  e  con  il  pavimento  costituito  dalla  roccia  spianata.  Dentro  di 
essa  si  raccolse  un  asse  repubblicano  consunto  coi  resti  del  nome  famigliare  MA . . . 
{Maecia  o  Maecilia?). 

Al  piano,  dopo  infruttuose  ricerche  nel  fondo  Plaibani  Callisto,  si  passò  in  quello 
di  Missana  Antonio  fu  Antonio,  dove  si  ebbe  la  ventura  di  scoprire  un  tratto  di  una 
estesa  necropoli  di  combusti,  che  in  uno  spazio  di  poco  più  che  cento  metri  quadrati 
restituì  in  pochi  giorni  ben  42  tombe. 

(')  Guida  dei  RR.  Museo,  Archivio  ecc.  di  Cividale.  Cf.  anche  Bull,  di  paletti,  it.,  voi.  XXVI, 
1900,  pag.  291. 

(•)  Bull,  di  paletti,  it.,  voi.  VI,  1880,  pag.  130  sgg.;  XXIV,  1894,  pag.  261. 

(*)  Bull,  della  Soc.  adr.  di  se.  tiat.,  voi.  XIV  e  soprattutto  :  Scavi  nella  tiecropoli  di  s.  Lucia 
presso  Tolmino,  Trieste  1893,  pagg.  177,  181,  239,  242,  245,  247,  248,  250,  257  n.  9,  260,  263, 
265,  266,  268,  269,  276,  293,  295. 

(*)  Cf.  Marchesetti,  Scavi  di  s.  Lucia,  pag.  319. 


S.   PIETRO   AL   NATI80NE  —   74   —  RBOIONE  I. 

Siccome  gli  scavi,  di  pieno  accordo  col  proprietario  del  fondo,  saranno  ripresi 
nel  prossimo  luglio  fino  ad  esaurire  completamente  l'esplorazione  del  fondo  Missana, 
così  riserbo  a  più  tardi  anche  la  pubblicazione  dettagliata  delle  scoperte  avvenute 
nell'autunno  scorso,  limitandomi  qui  ad  una  semplice  notizia  preliminare. 

11  fondo  Missana  trovasi  nell'isolato  costituito  dalla  confluenza  dei  torrenti  Co- 
sizza  ed  Alburna,  insieme  riuniti  nel  Natisene,  a  breve  distanza  a  sud  di  s.  Pietro, 
poco  sotto  la  strada  che  conduce  ad  Azzida  {Algida  ?)  e  propriamente  fra  questa  e 
la  strada  che,  passando  presso  l'antichissima  chiesa  gotica  di  s.  Quirino,  donde  l' in- 
tera località  trae  nome,  scende  direttamente  al  ponte  omonimo. 

Esso  occupa  la  seconda  o  mediana  delle  tre  terrazze  di  conglomerato  che  si 
stendono  fra  il  piede  del  monte  Berda  e  la  riva  sinistra  del  Natisone,  e  sta  quindi 
di  mezzo  fra  la  località  dove  avvennero  nel  1880  i  primi  trovamenti  descritti  dal 
Pigorini  (')  e  quella  donde  tornarono  in  luce  negli  anni  1891  e  seguenti  le  tombe 
della  necropoli  veneta  ricordate  dal  Leicht  e  da  altri  (').  Da  ciò  può  dedursi  che  la 
necropoli  primitiva  estendevasi  in  origine  su  tutto  il  piano  fra  il  monte  ed  il  fiume. 

Anche  la  parte  di  necropoli  scoperta  nel  fondo  Missana  appartiene  alla  stessa 
gente  ed  allo  stesso  periodo  di  tempo  delle  tombe  ricordate  superiormente,  e  coincide 
nell'insieme  con  il  terzo  periodo  atestino  del  Prosdocimi.  Essa  è  analoga  e  coeva  alle 
vaste  necropoli  scoperte  dal  Marchesetti  nella  vallata  dell'Isonzo,  a  Caporetto  e  sopra 
tutto  a  s.  Lucia  di  Tolmino,  la  quale,  come  è  noto,  è  finora  la  più  importante  e 
meglio  esplorata  di  questo  tipo. 

Le  tombe  consistono  in  una  semplice  buca,  scavata  alla  profondità  di  30  a  40 
centimetri  nel  banco  di  conglomerato  che,  come  dissi,  costituisce  i  terrazzi  del  Na- 
tisone. Per  lo  più  mancano  di  copertura,  e  dove  l'hanno  (una  volta  su  cinque)  essa 
è  costituita  da  una  falda  di  calcare,  di  forma  e  dimensioni  diverse.  Solo  una  volta 
(tomba  16)  le  lastre  di  calcare  erano  tre,  ed  un'altra  si  rinvennero  al  loro  posto 
due  ciottoli  (t.  19). 

Le  ossa  combuste  furono  depositate  nella  buca  insieme  colla  terra  di  rogo  ed 
insieme  con  i  caratteristici  vasetti  ad  olla,  per  lo  più  di  argilla  rossa  più  raramente 
bruna,  che  si  trovarono  in  tanta  copia  a  s.  Lucia  (^).  Quasi  costantemente  questi 
vasetti  sono  decomposti  e  ridotti  in  poltiglia.  Spesso  vi  si  associano  piccole  ciotole, 
una  delle  quali  in  un  caso  servì  da  coperchio  dell'olla,  ovvero  peculi  di  argilla  rossa 
0  scura  {*).  In  sei  casi  apparvero,  in  luogo  dell'olla,  vasi  situliformi  più  o  meno 
grandi,  talvolta  ornati  a  cordoni,  analoghi  a  quelli  delle  tombe  atestine  del  terzo  pe- 
riodo. In  un  solo  caso  (t.  33)  apparve  un  grande  ziro  privo  dell'orlo,  alto  centim.  50, 
largo  in  diametro  centim.  44. 

La  suppellettile  di  bronzo,  quasi  tutta  in   frammenti,  consiste  specialmente  di 

(')  V.  sopra  nota  4, 

(*)  V.  sopra  note  1  e  3. 

(')  Cf.  Marchesetti,  op.  cit.,  pag.  147.  Per  la  forma  più  frequente  v.  ivi  tav,  V,  12  (ma  senza 
ornati  impressi). 

(')  Cf.  per  la  forma  delle  ciotole  Marchesetti,  op.  cit.,  tav.  VI,  12, 13;  per  i  poculi  tav.  I.V, 
7,  9. 


REGIONE   X.  —   75   —  CIVIDALE 

fibule  dei  noti  tipi  ad  arco  semplice,  ad  arco  semplice  modanato  a  globetti  (■),  ad 
arco  con  pometti  ovvero  con  piccolo  disco  ('),  a  navicella,  della  Certosa,  ad  arco 
serpeggiante  con  o  senza  disco  infilato  (').  Una  sola  volta  (t.  19)  si  raccolse  una 
grande  fibula  ad  occhiali,  unita  ad  una  fibula  serpeggiante  eccezionalmente  ben  con- 
servata. In  un'altra  tomba  (21)  apparve  una  fibula  tipo  La  Tene. 

Gli  altri  oggetti  enei  di  ornamento  comprendono  anelli  ed  armille  ;  una  spirale 
a  cinque  giri;  due  capocchie  di  aghi  crinali;  un  pendaglietto  in  forma  di  uccello  (■'), 
un  altro  in  forma  di  anello  ornato  di  sferette  alla  periferia,  un  terzo  a  triangolo,  un 
quarto,  maggiore  degli  altri,  a  secchiello  (^).  Si  raccolsero  inoltre  due  gancetti  da 
cintura  (°),  uno  dei  quali  a  lamina  rettangolare  decorata  di  cerchielli  concentrici 
incisi. 

In  ferro  si  ebbe  soltanto  un  coltello  frammentato  dalla  tomba  22.  Dello  stesso 
metallo  si  raccolsero  due  cuspidi  di  lancia  C)  fra  la  terra,  poco  lungi  dalla 
tomba  39. 

Di  pasta  vitrea  tornarono  in  luce  soltanto  due  perline  di  collana,  una  delle  quali 
di  color  giallastro. 

Gli  scavi  furono  sorvegliati  e  condotti,  con  la  sua  ben  nota  abilità,  dal  sopra- 
stante sig.  A.  Alfonsi,  che  su  di  essi  compilò  un  accurato  e  minuzioso  giornale  che  sarà 
pubblicato  a  suo  tempo. 

G.  Pellegrini. 


IV.  GIVI D ALE  —  Necropoli  veneta  riconosciuta  a  Dernazacco,  fra- 
zione di  Gagliano. 

Per  le  ragioni  che  ho  esposto  superiormente  a  proposito  degli  scavi  di  s.  Pietro 
al  Nasitone,  la  E.  Sopraintendenza  ai  Musei  e  Scavi  archeologici  del  Veneto,  cui  ho 
l'onore  di  essere  preposto,  accolse  nel  novembre  p.  p.  col  massimo  favore  la  proposta 
dell'egregio  direttore  del  Museo  di  Cividale  conte  prof.  R.  Della  Torre,  di  eseguire 
un  piccolo  saggio  preliminare  di  scavo  nella  località  di  Dernazacco,  fondo  Pietro 
Domenis,  frazione  di  Gagliano,  a  circa  due  chilometri  a  sud  di  Cividale,  dove  tro- 
vamenti  sporadici  avvenuti  in  passato  avevano  rimesso  in  luce  oggetti  sepolcrali  di 
tipo  veneto-illirico. 

(')  Cf.  pel  tipo,  Marchesetti,  op.  cit,  tav.  X,  3. 

(')  Cf.  per  le  prime,  Marchesetti,  op.  cit.,  taT.  XVI,  6  sg^.  ;  per  le  seconde,  tav.  XV,  1. 

(')  Per  il  tipo  del  disco  cf.  Marchesetti,  op.  cit.,  tav.  XVIII,  6. 

('')  Analogo,  Marchesetti,  op.  cit.,  tav.  XXIV,  3. 

(•)  Cf.  Marchesetti,  op.  cit.,  tav.  XXIV,  32-34. 

(«)  Cf.  per  il  tipo,  Marchesetti,  op.  cit.,  tav.  XXVI. 

(')  Tipo  come  in  Marchesetti,  op.  cit.,  tav.  XXVIII,  1. 


MONTKRIQQIONI  —   76    —  REGIONE   VU. 

Gli  scavi,  coadotti  dal  medesimo  prof.  Della  Torre  dal  19  al  21  novembre, 
ebbero  un  risultato  oltremodo  felice,  assodando  come  appunto  in  quel  sito  esista  una 
necropoli  assai  vasta,  che,  in  seguito  agli  accordi  presi  col  proprietario  sig.Domenis, 
sarà  completamente  esplorata  nell'estate  ventura,  contemporaneamente  a  quella  di 
s.  Pietro  al  Natisene  con  la  quale  presenta  le  più  strette  afi&nità  cronologiche  e 
tipologiche. 

Alcune  piccole  varianti,  dovute  in  parte  alle  condizioni  diverse  del  sottosuolo, 
non  fanno  che  rendere  più  interessanti  le  scoperte  di  Dernazacco.  Così,  per  esempio, 
le  tombe,  collocate  a  maggiore  profondità  (in  media  da  m.  0,60  a  m.  1)  sono  anche 
assai  più  fitte  ed  in  istrati  sovrapposti,  come  dimostra  il  numero  di  20  tombe  sco- 
perte, nei  tre  giorni  di  scavo,  in  un'area  di  appena  10  metri  quadrati. 

Nelle  dette  tombe  si  raccolsero  i  soliti  vasi  di  impasto  rosso  e  scuro  e  molti 
oggetti  frammentati  specialmente  di  ornamento,  e  cioè  varie  fibule  di  bronzo  ad  arco 
semplice,  serpeggiante,  a  navicella,  della  Certosa  ;  armille,  braccialetti  ed  anelli;  due 
pendagli  a  secchiello,  uno  a  rotella  ed  un  altro  a  sfera;  una  capocchia  d'ago  crinale, 
il  tutto  in  bronzo  ;  una  fibula  e  frammenti  di  altri  oggetti  in  argento  ;  due  ascie  (?) 
ed  altri  frammenti  di  oggetti  in  ferro;  alcune  perle  di  pasta  vitrea. 

Anche  di  queste  tombe  di  Dernazacco  sarà  pubblicata  a  suo  tempo  la  descri- 
zione particolareggiata,  unitamente  alla  relazione  sulle  ulteriori  scoperte  che  avranno 
luogo  l'estate  prossima. 

G.  Pellegrini. 


Regione  VII  (ETRURIA). 

V.  MONTERIQGIONI  —  Scoperta  di  un'antica   tomba   in  contrada 
«  la  Chiocciola  ». 

Il  Prefetto  di  Siena  il  26  del  decorso  febbraio  informava  la  Sopraintendenza 
degli  Scavi  d'Etruria  che  in  contrada  ■  la  Chiocciola  •  nel  Comune  di  Monteriggioni 
i  contadini  del  sig.  Tommaso  KajUar,  nel  fare  alcune  fosse  per  piantarvi  gli  ulivi, 
avevano  scoperto  un'antica  tomba  con  copiosi  avanzi  romani  associati  a  ceramiche,  e 
pochi  bronzi.  Recatomi  sul  posto,  potei  constatare  che  la  tomba  in  parola  trovasi 
a  pochi  passi  dal  crocivia  tra  la  nuova  e  la  vecchia  strada  per  Riciano,  nel  podere 
Casale,  in  un  terreno  calcare-ghiaioso  e  leggermente  in  collina,  nel  quale  in  vari 
tempi  furono  fatti  altri  trovamenti  di  tombe  e  di  oggetti  antichi.  Si  tratta  di  una 
camera  sepolcrale  (m.  1,80  X  1,50)  scavata  interamente  in  questo  terreno  non  troppo 
compatto  e  senza  sussidio  di  muratura;  la  parete  di  fronte  all'  ingresso  non  è  piana, 
ma  ha  nel  mezzo  una  specie  di  pilastro  largo  1  m.,  che  sporge  nell'  interno  per  70  cm., 
lasciando  ai  lati  due  vuoti  in  forma  di  nicchie,  nelle  quali  si  prolungano  due  ban- 
chine, alte  m.  0,60  e  lunghe  m.  2  circa,  intagliate  anche  esse  nel  terreno  ;  l' ingresso 


REGIONE   VII.  —   77   —  MONTERIGGIONI 

(alto  m.  0,90  e  largo  m.  0,65),  vólto  a  occidente,  cioè  verso  l'antica  strada  per 
Riciano,  fu  trovato  chiuso  da  sassi  irregolari  ammonticchiati  :  esso  in  origine  doveva 
essere  preceduto  da  dromos,  che  del  resto  è  ora  completamente  appianato.  I  conta- 
dini che  si  accorsero  di  questa  tomba  non  vi  penetrarono  per  l'apposita  apertura, 
ma  sforzando  dal  di  sopra  a  colpi  di  zappa  la  vòlta  in  corrispondenza  della  ban- 
china di  sinistra  e,  calatisi  premurosi  con  la  solita  idea  del  tesoro,  asportarono  subito 
il  contenuto,  ossa  e  suppellettile,  quest'  ultima  per  fortuna  subito  raccolta  e  conser- 
vata nella  villa  Kajllar  dal  fattore  Oiampolini  Sabatino,  il  quale  mi  fornì  tutte  le 
indicazioni  necessarie  intorno  a  questo  trovamento.  Da  tali  notizie  e  dall'esame  degli 
oggetti  che  vi  furono  trovati  potei  rilevare  che  in  questa  tomba  erano  associati  i 
due  riti  della  cremazione  e  dell'  inumazione. 

Sulla  banchina  di  sin.  giaceva  supino  uno  scheletro  di  adulto  in  buono  stato, 
coi  piedi  vólti  a  levante,  mentre  sulla  banchina  di  destra  erano  stati  deposti  tre 
ziri  e  un  vaso  monoansato  con  ceneri  di  cremati;  in  terra,  nello  spazio  tra  le  due 
banchine,  furono  raccolti  undici  teschi  umani  e  altre  ossa  alla  rinfusa,  tanto  da  far 
sospettare  che  esse  fossero  state  colà  accumulate  in  seguito  alla  vuotatura  di  altri 
sepolcri,  visto  che  lo  spazio  non  era  sufficiente  a  contenere  tanti  cadaveri.  Associati 
con  queste  ossa  erano  anche  numerosi  vasetti  fittili,  due  di  bronzo  e  un  ferro  di  lancia. 
La  lista  completa  degli  oggetti  raccolti  in  questa  tomba,  può  cos'i  ricostituirsi. 

Sulla  banchina  di  destra: 

1)  grande  ziro  di  argilla  grezza  pallida,  senza  manichi  e  col  labbro  rovesciato, 
alto  m.  0,45,  diam.  bocca  m.  0.25  ; 

2)  idem  più  piccolo  alto  m.  0,25,  diam.  bocca  m.  0,13  ; 

3)  idem  alto  m.  0,22,  diam.  bocca  m.  0,12; 

4)  vaso  monoansato  della"  medesima  argilla  e  fattura,  di  forma  quasi  sferoi- 
dale, con  stretto  collo  alto  m.  0,18,  diam.  bocca  m.  0,07. 

In  terra,  fra  le  due  banchine,  associati  ai  crani  e  alle  ossa: 

5)  patera  della  stessa  argilla,  grezza,  diam.  m.  0,16; 

6)  calice  frammentario  a  vernice  nera,  alto  m.  0,10; 

7)  aryballos  d' impasto  più  fine  con  strie  orizzontali  di  vernice  bruno-rossiccia 
sul  ventre,  alto  m.  0,09  ; 

8)  alabastron  fittile  frammentario,  d'impasto  simile  al  precedente,  con  strie 
orizzontali  bruno-rossiccie,  alto  m.  0,13; 

9)  bombylios  con  piccolissima  ansa  sotto  il  labbro,  della  stessa  argilla  e  con 
strie  simili  ai  precedenti,  alto  m.  0,10; 

10)  kylix  campana  del  diam.  di  m.  0,15  a  vernice  nera  bluastra,  con  riflessi 
metallici  e  figura  rossa  di  stile  assai  rozzo  nel  fondo  :  giovinetto  nudo  in  movimento 
verso  sin.  con  due  oggetti  lanceolati  simili  a  larghi  coltelli  branditi  nelle  mani; 

11)  piccola  cista  cilindrica  in  bronzo  laminato  liscio,  con  l'orlo  dell'apertura 
rovesciato,  alta  m.  0,08,  diam.  bocca  m.  0,07  circa; 

12)  coppa  di  ramaiuolo  in  bronzo  frammentaria  con  tracce  dell'attacco  per  il 
manico,  alta  m.  0,04,  diam.  m.  0,08  ; 

NoTizM  Sciti  1909  —  Voi.  VI.  11 


CORCHIANO  —   78   —  REGIONE   VII. 

13)  cuspide  di  lancia  in  ferro  molto  corrosa  e  frammentaria  a  foglia  di  uliyo 
con  costola  longitudinale  nel  mezzo,  lunga  m.  0,28; 

14)  vari  frammenti  di  vasetti  e  tazze  di  argilla  grossolana. 

Mercè  questa  suppellettile  si  può  determinare  con  sufficiente  esattezza  l'epoca 
di  tale  tomba.  La  presenza  in  essa  di  prodotti  ceramici  campani,  del  vasetto  cilin- 
drico di  bronzo  in  forma  di  cista  e  degli  unguentari  di  argilla  a  strie  bruno-rossicce 
ci  induce  a  riferirla  alla  seconda  metà  del  sec.  lY  a.  C. 

E.  Galli, 


VI.  CORCHIANO  —  Nuove  scoperte  di  antichità  nell'agro  f olisco. 

Durante  i  mesi  di  gennaio  e  febbraio  avvennero  nell'agro  falisco  le  scoperte 
seguenti  delle  quali  mi  ha  dato  relazione  il  custode  Giuseppe  Magliulo,  residente  in 
Civita  Castellana  collo  speciale  incarico  della  sorveglianza  archeologica  dei  territori 
falisco  e  nepesino. 

Con  lettera  del  17  gennaio  p.  p.  il  Magliaio  riferivami  che  il  sig.  Foglia  An- 
nunzio avevagli  regolarmente  denunciato  che,  nel  far  livellare  il  terreno  dinanzi  alla 
propria  abitazione,  posta  in  vocabolo  s.  Antonio,  nel  comune  di  Corchiano,  era  stato 
messo  allo  scoperto  un  taglio  fatto  nella  roccia  tufacea,  che  a  lui  pareva  un  cunicolo, 
e  da  cui  si  estrasse  un  vasetto  antico  di  terracotta. 

Recatosi  il  Magliulo  immediatamente  in  Corchiano,  potè  constatare  che,  invece 
di  un  cunicolo,  trattavasi  della  scoperta  dì  una  tomba  a  fossa,  che  autorizzai  che 
si  esplorasse  sotto  la  sua  sorveglianza. 

Il  risultato  della  esplorazione  è  stato  pressoché  negativo,  poiché  tranne  il  kan- 
tharos  d'impasto  scuro,  con  anse  intrecciate  sopra  l'attaccatura  dell'orlo  in  pessimo 
stato  di  conservazione,  raccolto  dal  Foglia  stesso,  non  si  rinvenne  nella  fossa  che  un 
piccolo  poculum  semiovoidale  di  argilla  nerastra,  con  ansa  ad  occhietto  e  qualche 
frammento  insignificante  di  tazza  che  il  Magliulo  non  credette  conveniente  nemmeno 
di  raccogliere. 

La  tomba  è  scavata  nel  tufo  e  misura  m.  0,72  di  larghezza,  m.  2,90  di  lun- 
ghezza e  m.  0,30  circa  di  profondità.  Uno  dei  lati  brevi  di  essa,  quello  cioè  dove  si 
raccolsero  i  vasi  suddescritti,  è  tagliato  a  semicerchio,  a  guisa  di  nicchia,  come  per 
meglio  accogliere  il  corredo  fittile  del  defunto. 

1  due  vasi,  di  limitatissima  importanza,  sono  attualmente  conservati  nella  casa 
dello  stesso  signor  Foglia  in  Corchiano. 

Con  successiva  nota  dell'S  febbraio,  il  Magliulo  riferivami  che,  in  seguito  a  voce 
corsa  di  ritrovamento  di  oggetti  antichi,  dovette  recarsi  nuovamente  in  Corchiano  ove, 
eseguendosi  per  conto  di  quel  comune  una  forma  di  scolo  lungo  il  confine  di  un  ter- 
reno appartenente  al  predetto  sig.  Foglia  in  vocabolo  s.  Antonio,  onde  liberare  dalle 
acque  un  tratto  di  strada  comunale,  erasi  scoperta  un'altra  tomba  a  fossa,  che  non 


REGIONE    VII  79    —  CIVITAVECCHIA 

potè  misurare  ed  esplorare  perchè  piena  d'acqua.  Fuori  della  tomba,  sparsi  sul  ter- 
reno, rinvenne  però  i  frammenti  di  un  rozzo  sostegno,  di  creta  giallognola,  ad  una 
sola  bulla,  con  piede  traforato. 

11  Magliulo  diede  ordine  agli  operai,  incaricati  del  proseguimento  della  forma 
di  scolo,  che  in  vicinanza  della  tomba  a  fossa  venisse  sospeso  ogni  ulteriore  lavoro, 
e,  cercato  invano  del  Sindaco,  pregò  il  comandante  la  Stazione  dei  KR.  Carabinieri 
di  far  sorvegliare  il  luogo  della  scoperta,  acciocché  le  disposizioni  da  lui  date  venis- 
sero rispettate. 

G.  A.  Colini. 


VII.  CIVITAVECCHIA  —  Scoperte  ài  antichità  nell'area  antica  Cen- 
tumcellae. 

Neil' eseguire  il  cavo  per  la  posa  della  nuova  condottura  dell'acqua  potabile,  è 
stato  rinvenuto  nella  piazza  Vittorio  Emanuele  II,  a  poca  profondità,  un  grande  ba- 
cino, 0  conca,  pressoché  emisferica,  formata  colla  metà  inferiore  di  un  dolio  di  no- 
tevoli dimensioni.  Il  diametro  di  tale  conca  è  di  circa  m.  1,55,  e  l'altezza  è  di 
circa  m.  1,15. 

Il  dolio  in  origine  servì  per  contenere  cereali,  o  legumi,  o  altri  aridi  ;  non  liquidi, 
perchè  aveva  le  pareti  di  una  terracotta  grossolana  e  porosa,  non  levigata  nell'interno, 
le  quali  si  sarebbero  imbevute  e  avrebbero  lasciato  trapelare  all'esterno  parte  del 
contenuto. 

Questo  grande  recipiente,  forse  prima  clie  ne  venisse  asportata  la  parte  superiore 
subì  una  serie  di  notevoli  riparazioni  eseguite  mediante  piombature  incassate  nello 
spessore  delle  pareti  e  ben  ribattute.  Alcune  di  tali  piombature  sono  disposte  all'in- 
circa  radialmente  attorno  alla  base;  ed  una  è  orizzontale,  lunga  circa  m.  0,70,  con 
parecchie  brevi  diramazioni  a  coda  di  rondine. 

L'oggetto  può  costituire  un  elemento  utile  per  lo  studio  della  topografia  dell'an- 
tica città. 

L'ispettore  onorario  monsignor  avv.  D'Ardia  Caracciolo  provvide  all'estrazione 
e  conservazione  di  esso. 

B.  Mengarelli. 


ROMA 


—    80    — 


ROMA 


Vili.    ROMA. 

Regione  VI.  Iscrizione  votiva  a  Serapide.  Nella  Villa  Massimo,  al  termine 
di  Via  s.  Basilio  nell'area  degli  antichi  Orti  Sallustiani,  demolendosi  un  muro  di 
costruzione  relativamente  recente,  si  trovò  tra  i  materiali  di  fabbrica  una  base  mar- 
morea rettangolare  di  m.  0,60  X  0,50,  ciascuna  faccia  chiusa  da  cornice. 

In  un  lato  si  leggono  ben  conservate  soltanto  le  prime  due  linee  della  seguente  iscri- 
zione votiva,  mentre  le  altre  linee  del  campo  epigrafico  furono  completamente  abrase: 


SERAPIB 
CONSERVATORI 

/"///'//'/////'//////'///// 
/////////////////////////// 


nel  lato  opposto  rimane  quasi  intatta  quest'altra  leggenda  votiva: 


/ 


DEO 


i  N  CVIVS  TVTELA 
/      DOMVS  EST- 


Gli  altri  due  lati  della  base  sono  assolutamente  lisci. 

È  il  titolo  pubblicato  nel  voi.  VI  del  C.  I.  L.,  n.  30797  (=  573)  sull'apografo 
dei  Vignoli  (Col.  Ani  p.  182)  che  vide  l'originale  in  casa  di  Giovanni  della  Mo- 
lata, ma  non  prese  nota  delle  linee  cancellate.  Nella  stessa  casa  il  Ligorio  (Cod. 
Nap.  lib.  34,  p.  34)  trascrisse  la  sola  parte  prima,  indicando  però  i  due  versi  poste- 
riori come  abrasi  (cfr.  C.  I.  L.  VI,  n.  604*). 

Essendo  ora  tornato  alla  luce  questo  marmo  votivo,  ho  creduto  bene  di  trascri- 
verlo e  di  ripubblicarlo,  affinchè  dopo  essersene  perduta  la  memoria  si  sappia  dove  ora 
si  trova,  e  si  sappia  che,  salvo  le  lettere  maucanti  al  principio  del  secondo  verso  della 
parte  seconda  o  posteriore  della  leggenda,  la  pietra  in  tutto  il  resto  è  conservatis- 
sima.  Curiosa  la  coincidenza  che  in  un  titolo  a  Serapide  rinvenuto  in  Carnuntum 
{CI.  L.  Ili,  11157)  ricorre  la  medesima  abrasione  delle  due  linee. 

F.  Barnabei. 


ROMA 


—  81 


ROMA 


Frammento  di  latercolo  militare. 

Fu  portato  recentemente  sul  mercato  antiquario  di  Koma  un  frammento  di  la- 
tercolo militare  che  qui  si  riproduce  Esso  nella  sua  frattura  inferiore,  a  destra, 
combacia  esattamente  con  la  parte  superiore  di  un  grande  frammento  della  stessa 
tavola  marmorea  esistente  nel  Palazzo  dei  Conservatori  (C.  I.  L.,  VI,  32523  è),  dal 
quale  è  qui  aggiunto  a  lettere  inclinate,  quanto  manca  nelle  ultime  otto  linee  del 
nuovo  frammento. 


10 


15 


M   AVREL    MF    POL    Bl> 

M   AVREL    MF    QVI     DASA 

C    IVLIVS   CF    AVG    VALEh\ 

M    AVRE    L    MF    FL       BATIDRVS\ 

C    VALERIVS  CF  QVI    LONGINIAN^ 

M   VLPIV      S  MF  AEL    VICTO   R     MW 

M  AVRELIVS   MF  HAB  LYSIA        S     GERMÀN  ^ 

M    AVREL       MF  CAES  FALAI^VS     GERM      ^~' 

M    AVRE  L      MF  SERG  NASTABVS     BER 

7  VINICI  ANNIANI 

T-^LAVIVS  TF  VLP  FIRMINVS  SCVP 
M  ÀVRÈ  L  m¥  VLP  VALERINV  POET 
M  AVRE  L  MF  CL  AMABILISACVN 
T  AELIVS  TF\VL?  MAXIMVSSCVP 
M  AVRE  L  MF  VO-P  MACEDONIAN  PAVT 
MAVRE  L  MF  f2X  M  A  V  R  V  S  PAVT 
M  AVREL  MF  ANI  I^TICVS  PISTO 
MAVRE  LMF  CL  ^G  \\I  L  A  PESSIN 
M  AVRE  L   MF     VLP  GEMELLI^     PAV 


CORI' 


\ 

7    M\ 

C  O  M  M  O  D  O  ini  et  Victorino  eoi. 
/  a.  183 

CF 


Altezza  massima,  m.  0,47;  larghezza  massima,  m.  0,56. 
Il  lato  destro  e  quello  superiore  sono  terminali;   quindi  la  lastra  formata  dal- 
l'unione di  questo  frammento  con  quello  già  conosciuto  del  Palazzo  dei  Conservatori, 


OSTIA  —   82   —  REQION»   I. 

è  completa  in  alto  e  a  destra.   Anzi  sopra  la  prima  linea  è  un  margine  non  iscritto, 
abbastanza  alto  (m.  0,036). 

Nella  linea  6  il  nome  della  tribù  è  scritto  erroneamente  HAB  invece  di  FAB; 
e  in  questo  errore  il  lapicida  può  essere  incorso  perchè  più  sotto,  nella  colonna  delle 
città  natali  dei  pretoriani,  leggesi  appunto  HAB. 

La  provenienza  del  latercolo  non  è  nota:  la  persona  che  lo  possiede  disse  che 
fu  rinvenuto  nella  campagna  romana;  ma  ciò  non  pare  probabile.  Più  verisimile 
è  che  esso  sia  stato  rinvenuto  in  quella  regione  stessa,  dove  erano  1  Castra  Praetoria. 
Certo  è  che  recentemente  ampi  sterri  furono  fatti  nel  rettangolo  formato  dalle  vie 
Goito,  Castelfidardo,  Venti  Settembre  e  Cemaia,  poco  lungi  cioè  dal  luogo,  dove  tornò 
a  luce  il  frammento  del  Palazzo  dei  Conservatori. 

E.  Ghislanzoni. 


Regione  I  {LA  TIUM  ET  CAMPANIA). 

IX.  OSTIA  —  Nuove  scoperte  tra  la  via  dei  Sepolcri,  le  Terme  ed 
il  Teatro. 

Nell'ambiente  n.  6  a  sin.  della  strada  che  dalla  «  via  dei  sepolcri  »  si  dirige  verso 
le  «  Terme  » ,  essendosi  notata  la  presenza  di  sabbia,  si  è  approfondito  lo  scavo,  ed 
a  m.  1,62  sotto  il  piano  stradale  si  è  incontrato  uno  strato,  alto  m.  0,57,  di  sabbia 
marina,  ivi  depositata  probabilmente  quando  venne  rialzato  il  piano  per  tenere  asciutto 
l'ambiente  superiore.  Sotto  questo  strato  si  rinvennero  pezzi  di  calcinaccio  in  mezzo 
all'acqua;  e  più  sotto  uno  strato  di  sabbia  del  Tevere,  lasciata,  a  quanto  pare,  da 
qualche  inondazione;  e  più  sotto  ancora  tra  la  terra  un  piccolo  frammento  di  vaso 
campano  a  vernice  nera. 

Nell'ambiente  n.  13  sull'  istesso  lato  si  raccolsero  frammenti  di  una  lastra  mar- 
morea scorniciata  (m.  0,55X1,02X0,07)  con  l'iscrizione: 

D-LABERIVS/  /fPAL 
PRONTO-  FECU7  [siBI  ■  ET 
LABERIAEIT/J  Ha   E-LIBERT- 

VXORICL-SVAE  •  RAR  ^  s  s/ MAE  FEMINAE 
ETDVABVS  LABER|>T  /ANTIOCHIDl  ■  ET- 
FRONTINAE •  FILI AB\( s  /ET  •  D  •  LABERIO  •  D •  F  • 

PAL  •  FRONTONI     NEFOTI-    SVO 
ET-LIBERT  LIBERTAB      FOSTERISQ^EOR VM 

In  front- Pxxxx    In  agro  •  P  ■  xxxx  es 


REOIONE  I.  —   83   —  OSTIA 

Si  ebbero  inoltre  :  un  frammento  di  nn'erma  in  giallo  antico  (m.  0,095  X  0,09), 
rappresentante  un  nomo  barbato;  parte  di  colonna  grezza  con  perno  in  ferro  (diam. 
ra.  0,48);  due  macine;  un  frammento  di  collo  d'anfora  con  la  scritta  incisa  e  rubricata: 

ruj  N 

Inoltre  un  vaso  di  bronzo  in  lamina  sottilissima  e  altro  simile;  un  anello  di  legno 
carbonizzato,  diam.  0,023 ;  518  monete  di  bronzo;  lucerne  fittili,  e  borchie  di  bronzo. 
Nell'ambiente  n.  15  tornarono  in  luce  alcuni  frammenti  di  sarcofagi;  un  canale 
d'acqua  in  marmo  con  lo  scolo  a  testa  di  leone  (m.  0,76  X  0,16  X  0,21);  i  frammenti 
di  un  puteale  con  zone  di  foglie,  uno  dei  quali  ha  sull'orlo:  /ecvNx. 

* 

È  continuata  l'esplorazione  della  via  che  dalle  "  capanne  »  si  dirige  verso  il 
teatro  e  che  chiamerò  per  adesso  :  «  via  del  teatro  » .  È  stata  sterrata  per  il  tratto 
che  va  dall'imbocco  di  un'altra  via  che  corre  sul  lato  settentrionale  delle  «Terme» 
e  si  dirige,  a  quanto  sembra,  verso  l'ingresso  della  caserma  dei  vigili  (M,  fino  al- 
l'incontro di  «  via  della  Fontana  »,  per  una  lunghezza  di  circa  ottanta  metri. 

Tra  gli  scarichi  sulla  via  stessa  tornò  in  luce:  un  frammento  di  sarcofago  mar- 
moreo (m.  0,265  X  0,40  X  0,045)  su  cui  si  vede  un  uomo  sdraiato,  vestito  di  corto 
chitone,  il  quale  ha  il  braccio  d.  appoggiato  sul  cuscino  e  tiene  sul  ginocchio  sini- 
stro un  cesto  con  frutta  che  toglie  con  la  sinistra,  mentre  un  altro  cesto  egualmente 
con  frutta  sta  per  terra  ;  altro  simile  baccellato,  con  busto  femminile  male  conservato 
entro  clipeo  (m.0,44X0,49X  0,08);  altri  simili;  un  frammento  di  statua  marmorea 
panneggiata  (m.  0,27  X  0,15);  altro  di  statua  togata  (m.  0,26  X  0,37);  una  testa  di 
delfino  in  marmo  (m.  0,19X0,15);  frammenti  di  cornici  maimoree;  mattoni  con  i 
bolli  C.I.L.,  XV  25c,  71,  315  (2  es.),  319,  552,  847,  958a,  1026è,  1029c, 
1037,  1435;  un  fondo  di  vaso  aretino  con  la  marca  C.  I.  L.,  XV,  6496  e,  i  soliti 
aghi  di  osso  e  di  bronzo  e  le  seguenti  iscrizioni: 

1.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,185X0,145): 

rrrcYMBiùj\ 
y)\NeiAcxAPiN 

CYNZHOVNT 

6TH    AE 

2.  Frammento  di  sarcofago  baccellato  (ra.  0,43  X  0,47  X  0,08)  con  l'iscrizione 
fiancheggiata  da  colonna: 

npoj/ 

HCYjy 
KA 

ka/ 


TbI 


(')  Quest'ultima  vìa  è  disegnata  uelle  Notizie  1888,  pag.  738.  La  chiamerò  «  via  dei  vigili  ». 


OSTIA. 


—  84  — 


REeiONB  1. 


Nel  terzo  vano  a  sinistra  di  questa  ria  verso  il  teatro,  cominciando  dall'angolo 
dell'altra  che  viene  da  quella  dei  sepolcri,  presso  l' ingresso,  all'altezza  del  piano 
stradale,  a  lato  del  tombino  di  una  fogna  che,  venendo  dalla  via,  attraversa  il  vano, 
si  sono  raccolti  tre  frammenti  di  una  grande  iscrizione  marmorea,  il  più  grande  dei  quali 
misura  m.  0,835  X  0,495  X  0,06  portanti  a  belle  lettere  : 


^ 


i  n  V  i  e  t  0     DEOSOLI 
omnipOTENTX 

OCAELESTI 
^M^Mira?   joR  aesenti 
F (S)^\  n  a  à-  L AR  I  B  V S 


Nella  terza  linea  si  potrebbe  pensare  a  {domin]o,  ma  forse  lo  spazio  è  troppo  ; 
non  so  poi  se  nell'ultima,  dove  esiste  il  nome  del  dedicante  si  possa  proporre 
[  Venerd\ndus,  ricordando  il  P.  Clodius  Flavius  Venerandus  dell'  iscrizione  pubblicata 
sopra  a  pag.  22. 


* 


I  due  vani  5  e  6  sull'istes^a  linea  sono  perfettamente  simmetrici:  misurano 
m.  9,77X5,15,  hanno  un  grande  ingresso,  largo  m.  4,35,  con  soglia  in  travertino. 
Nella  parete  di  fondo,  verso  l'angolo  nord-est,  si  apre  una  porta,  larga  m.  1,17  e 
verso  l'angolo  sud-est  le  è  addossata  una  scala,  che,  come  si  vede  altrove,  conti- 
nuando in  legno,  doveva  condurre  al  piano  superiore.  I  muri  sono  a  cortina,  meno 
quello  di  fondo  che  è  in  reticolato  con  ricorsi  di  mattoni.  Alla  metà  circa  della 
parete  settentrionale  del  vano  5  e  di  quella  meridionale  del  vano  6  s'alza  un  pi- 
lastro in  mattoni.  Nel  vano  5,  tra  questo  pilastro  e  il  muro  verso  la  strada,  è, 
addossata  alla  parete,  una  specie  di  cassetta  rettangolare,  costituita  con  lastre  di 
travertino,  messe  a  coltello  (m.  3,75  X  0,32  X  0,52).  Nel  vano  n.  6  il  pavimento  è 
ad  opera  spicata  e  restaurato  più  tardi  con  pezzi  di  lastre  marmoree.  Sotto  al  pa- 
vimento eranvi  anfore  coricate,  l' una  innestata  nell'altra,  che  servivano  forse  per  scolo 
di  acqua. 

L'ingresso  del  vano  5  era  chiuso  con  una  maceria  (fig.  1)  regolarmente  fatta 
con  pezzi  di  tegoloni  e  frammenti  di  lastre  di  marmo  bianco  e  colorato  e  fram- 
menti di  decorazione  marmorea  di  qualche  grande  edificio.  La  maceria  è  stata  fatta 


REOIONB   I. 


—  85 


OSTIA 


quando  la  rdlta  era  ancora  a  posto,  perchè  questa  si  rede  precipitata  sopra  la  ma- 
ceria (')•  Questi  frammenti  fanno  parte  delle  seguenti  decorazioni: 

1.  Lastra  con  due  zone,  la  superiore  (alt.  m.  0,18)  ornata  di  grandi  foglie  di 
acanto  con  rosone  formato  di  simili  foglie  o  di  foglie  d'edera  ;  l' inferiore  (alt.  m.  0,095) 
ornata  di  foglie  di  quercia  ; 

2.  Lastra  con  quadri,  rombi  e  triangoli  con  rosoni  (m.  0,71  X  0,65X0,36); 

3.  Simile,  dorè  il  rombo  è  circondato  da  triangoli,  in  ciascuno  dei  quali  si  vede 
un  delfino; 


Fio.  1. 


4.  Parte  di  architrave,  di  intercolumnio,  con   due   zone  costituite  da  foglie  di 
acanto  e  foglie  d'edera  (lungh.  m.  0,91;  alt.  m.  0,48;  spess.  m.  0,07); 

5.  Simile  con  due  rami  di  quercia  che  si  incontrano  nel  centro  in  un   rosone; 

6.  Frammento  di  grande  lastra  (m.  0,31  X  0.12)   con  ramo  a  girale  e  rosone; 
in  grossezza  questa  lastra  ha  le  seguenti  lettere  rozzamente  incise: 


AMA  PVERV/ 


In  questa  stanza  si  rinvennero  pure  due  colonne  di  marmo  bianco  (m.  2,68  X  0,35)  ; 
due  basi  (diam.  m.  0,35);  un  capitello  di  pilastro  di  arte  fine  (m.  0,29;  largh.  su- 

(•)  Forse  questa  via  fu  riaperta  al  traffico  dopo   qualche  disastro  o  lungo  abbandono:  allora 
fu  fatta  questa  maceria  per  sgombrarla. 


NoTuu  ScATi  1909  —  Voi.  VI. 


12 


OStlA  —   86    —  RBOIONB   1. 

periormente  m.  0,36);  altri  capitelli;  parte  di  colonna  di  bigio  (alt.  m.  0,32;  diam. 
m.  0,35);  frammento  di  colonna  ornata  di  foglie  e  bacche  d'ellera  (m.  0,15  X  0,105); 
mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV  69,  103,  105  a,  315  (in  opera  in  un  arco),  319,  328, 
846,  958 a,  1076;  un  cippo  marmoreo  (m.  0,81X0,35X0,29)  con  l'iscrizione: 

ATAeH • TYXH 
©EilMETAArL 
ZAPAREI  -nK 
AKYAAIOZGE 
OAOTOZ'^YrEP 
AXIAAIOY  -XPY 
Z  A  N  ©O YC 
T  O  Y  •  Y  I  O  Y 
05 

(cf.  le  altre  iscrizioni  greche  ostiensi  e  portuensi  dedicate  a  Sarapide  in  Eaìbel,  In- 
scriptiones  graecae  Italiae  n.  914  sg.);  una  lastra  marmorea  (m.  0,44X0,41)  con 
l'iscrizione  di  epoca  tarda: 


parte  di  bella  statua  di  Bacco  o  di  Apollo  in  marmo,  alta  m.  1  (fìg.  2)  ;  frammento 
di  gamba  di  statua  marmorea  (m.  0,34). 

Particolare  menzione,  per  l'arte  finissima  con  cui  fu  eseguito,  merita  un  sarco- 
fago marmoreo  (m.  1,37  X  0,40  X  0,36)  scoperto  addossato  alla  parete  sud  del  vano  6 
(fìg.  3).  Vi  sono  rappresentate  tre  scene  del  mito  di  Meleagro  (cf.  Robert,  Sarko- 
phagsreliefs,  s.  Meleager;'B.fi\hìg,  Ann.  d.  InsL,  1863,  pag.  81  segg.  ;  Matz,  ib., 
1866,  pag.  76  segg.  ecc.).  La  prima  scena  è  quella  a  destra,  dov'è  rappresentata  l'uc- 
cisione degli  zii  per  opera  di  Meleagro  e  dove,  oltre  Àtalanta,  si  vede  pure  una  statua 
di  Artemide  in  atto,  pare,  di  coprirsi,  come  quella,  il  viso.  Nel  centro  è  la  nota 
scena  della  morte  di  Meleagro  :  la  sorella  qui  chiude  la  bocca  al  defunto  o  vi  mette 
l'obolo.  La  madre  sta  come  negli  altri  esemplari  ai  piedi  del  letto  in  atto  di  maledire  ; 
manca  invece  la  scena  consueta  del  gettare  il  tizzo  sul  fuoco.  Terza  scena  è  qui 
invece  quella  che,  in  forma  simile  ma  non  eguale,  ricorre  altrove  sul  lato  :  la  tomba 
di  Meleagro  sulla  quale  piangono  qui  il  padre  e  una  sorella  (?).  Notevole  è  il  fatto 
che  il  sarcofago  venne  adoperato  già  in  antico,  siccome  vasca  per  quanto  natural- 
mente in  epoca  molto  tarda. 

Un  altro  sarcofago,  però  di  arte  scadente  (m.  1  X  0,385  X  0,30),  fu  trovato  pure 
nel  vano  5,  innanzi  ai  gradini  di  fondo.  Entro  clipeo  sostenuto  da  putti  alati  si  ha 
il  ritratto  del  fanciullo  defunto,  con  un  riccio  caratteristico.  Sotto  si  vedono  due  galli 
e  tra  le  gambe  dei  due  putti  due  maschere,  una  sìlenica  ed  una  di  satiro.  Verso 
ciascun  angolo  un  putto  alato:  quello  a  sin.  tiene  eon  la  d.  un  ramo  e  con  la  sin. 
solleva  due  anitre;  l'altro  tiene  nella  sin.  il  pedum  e  solleva  una  lepre.  Tra  qujsti 
putti  e  quelli  centrali  un  cesto  di  frutta. 


RBGIONE   I. 


—  87  — 


OSTIA 


Su  un  altro  frammento  di  sarcofago  marmoreo  (m.  0,19  X  0,26  X  0,07)  si  vede 
parte  di  due  figure  (camilli?  attori?)  vestite,  (col  ricimum?)  e  con  capelli  pettinati 
in  alto,  delle  quali  una  regge  un  piatto  con  pezzo  della  vittima  (?)  e  l'altra  la  patera 


FtG.  2. 


ed  il  prefericolo.  In  altro  frammento  simile  (m.  0,11X0,14X0,035)  si  vede  parte 
di  figura  virile  seduta. 


* 


I  pilastri,  distanti  l'uno  dall'altro  poco  meno  di  quattro  metri,  venuti  in  luce 
finora  sul  lato  destro  della  via  del  teatro,  per  chi  si  dirige  verso  questa,  sono  di- 
ciannove. Ciascuno  di  essi  presenta  un'aggiunzione  ai  lati. 


OSTIA 


—  88  — 


RBOIONB   I. 


Il  corridoio  dietro  i  pilastri,  nel  quale  non  è  stata  trovata  traccia  del  pavimento, 
e  che  è  stato  esplorato  per  una  lunghezza  di  m.  79,40,  è  largo  circa  m.  4,40,  meno 
dove,  verso  il  centro  della  parte  sinora  esplorata,  sono  stati  addossati  altri  pilastri. 
Innanzi  al  portico  sorgono  dei  muri  piantati  sulla  terra,  i  quali  formano  piccoli  am- 
bienti quadrati,  corrispondenti  alle  tabernae  ;  sembrano  di  costruzione  posteriore  :  sono 
però  tutti  tagliati  al  livello  della  strada,  né  furono  forse  mai  molto  alti,  limitando 
delle  pergulae. 


FiG.  4. 


Negli  scarichi  si  rinvenne: 

1.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,28X0,27X0,032): 

D  M 

M  •  AVRELIO  •  CHRO 
NIO  FILIO  •  DVLCIS 
"  HIMO  •  QVI  VIXIT- 
a«Vo  VNO  •  MES 
\lIIDIEBVSXXII 
hori\-  Il 

2.  Id.  (m.  0,24X0,28X0,07): 


Ti  •  ET  •  C • L 

KiBERTAB  ■  SVIS 

^  •  C  •  L  •  cai/ 
*I  •  vernV 


3.  Id.  (m.  0,605  X  0,095  X  0,07)  con  l' iscrizione  in  grossezza  : 
N  •  FAVSTINA  C  •  CASSIO  HERA 


CLiTO  DVLCISSIMO  FILIO 


m 


ItEOIONE  I.  —   89   —  OSTIA 

4.  Id.  (m.  0,078  X  0,073  X  0,022)  :  5.  Id.  (m.  0,095  X  0,105  X  0,035): 

NEO  •  M 

I 
CIA 

STI 

G.  Id.  (m.  0,18X0,245X0,03):  7.  Id.   (m.  0,23X0,14X0,035) 

con  iscrizione  di  epoca  tarda: 

carissimaV 
vixit  •  annis] 
sibvs  •iiiidifì^ms 

8.  Id.  (m.  0,14X0,215)   ove   rimane   soltanto:   Al/. 

9.  Id.  (m.  0,24  X  0,26)  ove  rimane  la  sola  lettera  E . 

mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.,  XV,  41,  76,  79,  103  (2  es.),  104,  163,  315,  622, 
693,  1033  (2  es.),  1035,  1037  ^  1067,  1104,  1435,  1436; 

parte- inferiore  di  statua  marmorea:  avanza  il  piede  destro  nudo  e  parte  di 
corazza  con  jjierix  (alt.  m.  0,28); 

tre  frammenti  di  statue  panneggiate; 

parte  inferiore  di  urna  marmorea  rotonda  con  avanzo  di  due  gambe  incrociate 
e  di  face  rovesciata  a  d.  di  targa  senza  iscrizione  (m.  0.12;  diam.  m.  0,27). 

* 

Su  questo  corridoio,  per  mezzo  di  porte  larghe  per  lo  più  circa  m.  2,60,  si  aprono 
gì'  ingressi  delle  varie  botteghe,  che  qui  descrivo,  cominciando  da  quella  che  sta  sul- 
l'angolo con  la  via  dei  vigili  (').  Misurano  per  lo  più  circa  sei  metri  di  lunghezza 
per  circa  m.  4,50  di  larghezza.  I  muri  sono  tutti  laterizi  ;  quelli  divisori  hanno  lo 
spessore  di  m.  0,60.  Innanzi  al  muro  di  fondo  corre  una  fogna. 

Il  primo  vano  ha  due  porte,  l'una  sulla  via  dei  vigili,  larga  m.  2,26  con  soglia 
di  travertino;  l'altra  sul  portico.  Nella  parete  di  fondo  c'è  una  porta  chiusa,  larga 
m.  1,18;  in  quella  meridionale  una  finestra,  larga  m.  1,17,  che  dà  nella  taberna 
seguente.  Il  pavimento  era  ad  opera  spicata. 

Il  secondo  ha  pure  una  porta  chiusa  in  fondo  e  pavimento  eguale  al  precedente. 

Il  terzo  ha  la  soglia  di  travertino  nella  porta  che  dà  nel  portico;  fu  però  rial- 
zata in  tempo  posteriore.  Anche  questo  ha  in  fondo  una  porta  chiusa.  Addossato  alla 
parete  occidentale  si  ha  un  muricciolo   e  all'angolo  nord-ovest  un  bagiolo  quadrato. 

Il  quarto  occupa  la  larghezza  di  due  taberne,  ed  ha  pure  doppia  lunghezza;  alla 
metà  però  ha  due  pilastri  addossati  alle  pareti,  mentre  altri  quattro  si  trovano  agli 
angoli.  Comunica  con  le  «  Terme  »  e  precisamente  con  la  grande  sala  dal  bel  mosaico 
per  mezzo  di  una  porta  larga  m.  2,92.  A.nch'es30  aveva   pavimento  in  mosaico,   a 

(')  Per  queste,  come  per  il  portico,  è  notevole  il  fatto  che  non  si  è  avut»  traccia  di  vòlte 
cadute:  il  luogo  ne  fu  forse  liberato  già  in  antico. 


OSTIA  —  90  —  RSaiONK  I. 

quanto  sembra  figurato,  che  però  non  è  stato  ancora  rimesso  in  luce.  Questo  vano  in  ori- 
gine non  aveva  apertura  sul  portico  ;  quella  che  esiste  fu  fatta  solo  piii  tardi  per  una 
larghezza  di  m.  1,56,  ma  cliiusa  poi  un'altra  volta  con  muratura  a  secco,  dalla  quale 
fu  estratto  un  bellissimo  capitello  (m.  0,52  X  0,37),  insieme  con  frammenti  di  cornice 
e  tre  frammenti  di  una  colonna  di  tufo  del  diam.  di  m.  0,57. 

Il  quinto  vano  è  un  corridoio  con  vòlta  largo  m.  2,06,  che  immette  nelle 
«  Terme  » . 

11  sesto,  ha  una  scala  con  sedici  gradini,  larga  m.  1,77.  Addossato  al  muro  che 
divide  questa  scala  dal  corridoio  precedente,  si  ha  all'esterno  una  colonna  a  cortina 
laterizia,  del  diam.  di  m.  0,86. 

Il  settimo  ha  una  porta  nella  parete  di  fondo,  larga  m.  1,19,  e  pavimento  ad 
opera  spicata.  Addossato  alla  parete  verso  il  portico  vi  ha  un  piccolo  semicerchio 
rivestito  di  lastre  irregolari  di  marmo  tanto  nel  pavimento  quanto  nel  muro.  Tra  lo 
scarico,  a  m.  1  sopra  il  pavimento,  fu  trovato  uno  scheletro  umano. 

L'ottavo  è  con  pavimento  ad  opera  spicata  ed  ha,  addossato  alla  parete  di  fondo, 
un  altro  muro.  Sotto  la  soglia  della  porta  passa  un  tubo  di  piombo. 

Il  nono  ha  pavimento  di  lastre  irregolari  di  marmo.  Nel  fondo  ha  una  porta 
larga  m.  1,46:  nella  parete  sinistra  un'altra  porta  larga  m.  1,55.  A  sinistra  entrando, 
una  vaschetta  rettangolare  con  intonaco  a  cocciopisto,  e  innanzi  a  questa  un'  altra 
semicircolare,  rivestita  di  lastre  irregolari  di  marmo,  chiusa  nel  lato  diritto  anche  con 
lastre  simili.  Di  fianco  a  questa,  più  elevato  del  pavimento,  un  piano  inclinato  verso 
la  parete  sud,  a  cocciopisto,  forse  per  lavaggi.  Nell'angolo,  a  destra  entrando,  fu  rin- 
venuto un  piccolo  sarcofago  di  marmo  bianco  lavorato  a  subbia  (m.  1,23  X  0,415 
X  0,34),  coperto  di  tegole,  e  che  conteneva  lo  scheletro  di  un  bambino  ;  all'altezza 
della  mano  destra  fa  raccolto  un  campanello  di  bronzo. 

Il  decimo  ha  tre  porte,  oltre  la  consueta  sotto  il  portico,  dove  la  soglia  fu  rial- 
zata più  tardi  :  una  in  fondo,  larga  m.  2,07,  una  a  destra,  già  indicata  nel  vano  pre- 
cedente, ed  una  a  sinistra,  larga  m.  1,49.  Addossata  agli  stipiti  della  porta  d'ingresso 
sono  due  colonnine  in  laterizio. 

L'undecimo  ha  la  porta  in  fondo,  larga  m.  1,48,  e  altra  a  destra,  indicata  nel 
vano  precedente. 

Il  dodicesimo  ha  la  porta  nella  parete  di  fondo,  larga  m.  1,50,  chiusa  poste- 
riormente. A  sinistra  entrando,  vi  ha  una  grande  vasca,  lunga  m.  2,32,  rivestita  d'in- 
tonaco a  cocciopisto,  con  tre  gradini  verso  ovest.  Lungo  la  stessa  parete  sinistra  dopo 
la  vasca  si  sono  rinvenuti  tre  fondi  di  dolii  rovinati  (alt.  m.  0,55).  In  questa  ta- 
berna  furono  scoperti  tre  pavimenti,  il  superiore  ad  opera  spicata  e  il  medio,  m.  0,43 
più  sotto,  in  mosaico;  dell'infimo,  a  m.  0,50  sotto  il  medio,  non  è  rimasta  che  la 
massicciata.  Addossata  ai  dolii  e  messa  in  opera  come  pavimento  fu  trovata  una  grande 
iscrizione  ridotta  in  frammenti,  spesso  minutissimi  Contiene  l'albo  del  collegio  dei 
fontani,  quibus  ex  senatus  consulto  coire  licei,  per  l'anno  232  d.  C;  è  importante  perchè 
ci  dà  completo  il  nome  dei  consoli  L.  Virio  Lupo  e  L.  Mario  Massimo;  il  testo  sarà 
pubblicato  nel  prossimo  rapporto,  attendendosi  ancora  all'opera  di  reintegrazione.  Sotto 
lo  stipite  sinisti-o  della  porta  passa  un  tubo  di  piombo  del  diam.  di  m.  0,07,  che 


REOIONB   I. 


—  91 


OSTIA 


alimentava  la  vasca;  accanto  a  questa  e  parallelo  corre  un  fognolo  che  serviva  per 
lo  scolo  dell'acqua  ed  aveva  lo  scarico  sotto  la  soglia  della  porta. 

Il  tredicesimo  ha  porta  in  fondo,  larga  m.  3,11,  chiusa  più  tardi,  e  pavimento 
ad  opera  spicata.  Ha  un  baggiolo  in  muratura  addossato  alla  parete  meridionale. 

Nel  quattordicesimo  si  trova  una  scala,  larga  m.  1,54  con  dodici  gradini,  alcuni 
dei  quali  conservano  la  rivestitura  di  lastre  irregolari  di  marmo.  Questa  scala  fu 
chiusa  più  tardi. 

Il  quindicesimo  rappresenta  l'ambiente  sotto  la  seconda  branca  della  scala  ed 
ha  una  porta  a  d.,  larga  m.  2,06,  che  dà  nel  sottoscala,  ed  una  a  sin.,  larga  m.  1,35. 
Qui  fu  raccolta  una  lastra  marmorea  (m.  0,50  X  0,57  X  0,03),  sulla  quale  da  un  lato 
è  scritto: 

cn .  Claudio    seve 
orda 


G5 

VS     P AP        A 

V  S    FRVCTVS 
S-FELICISSIMVS 

V  S    VICTO  R 
iVS  SERVILI  O 

m.    campu  nNvS-AGATHOP 
/vS    BRADV    A 

vs  devte  r 
vs  victo  r 
,vs  hilarv  s 
sfortvnatvs 
.corinThian 
\xs  crispinv  s 

fl,LISTIO 
i   S 


R.  O  '^  II"   X^r\^^^^^^^'^  pompeiano  ii 
COR  V\o  rato  rum 
?■  ANTE  IV: 
M-  CAMPVN^ 
T  •  POMPEI VSC 
P  •  ARRVNTH/ 
Q-VENNIV^ 
MSVLPlCIVSi9h 
L-  LAECANIVS  •  ALEXANDER 


e  sull'altro: 


MMARIVS-  PRIMITIVO    f  {sic) 
CNRVLLIVS     PELI  x 

Q.-CERELLIVS  ÌAKKXuh  a 
ACAEDICIVS-CALLISTlAI-'  u  s 
O  A  N I N I V  S  P  R  I  M  V  s 
Q-TADI  V  S-  CERI  A  Z  2  s 
M- VLPIV  S  FORTVnatus 
M  •  CAMPVNN  •  PRIMIGEl  ni  US 
ìvy^AMPVNN-  RE^jV  tutus 

r1\ 


(PTIMIO^PO 

a  \N    N    0_N__A_ 


OSTIA  —   92   —  REGIONE   I. 

La  prima  iscrizione  è  del  173  d.  C.  ;  e  nessuna  delle  persone  quivi  menzionate 
ricorre  in  altre  iscrizioni  di  Ostia,  per  cui  riesce  impossibile  di  determinare  a  quale 
collegio  spetti  l'albo;  inoltre  i  gentilizi  Campunnius  e  Rullias  sono  nuovi  nell'ono- 
mastica ostiense.  La  seconda  iscrizione  renne  incisa  posteriormente  e  porta  il  ricordo 
di  un  ufficiale  dell'annona;  un  L.  Septimius  Pontianus  Augg.  l.  ricorre  in  CI.  L., 
XIV,  1597. 

Il  sedicesimo  vano  oltre  la  porta  che  comunica  con  l'ambiente  quindicesimo, 
presenta  un'altra  porta  a  sinistra,  ed  una  terza  grande,  larga  m.  3,25,  in  fondo.  Que- 
st'ultima era  stata  murata  in  età  tarda,  ma  con  materiale  cosi  cattivo,  che  fu  dovuta 
riaprire  perchè  il  muro  pericolava.  Addossato  allo  stipite  sinistro  un  quadrato  (vasca  ?), 
rivestito  esternamente  con  intonaco  ordinario  bianco;  ed  all'angolo  sud-ovest  un  muro. 
Quel  quadrato  e  questo  muro  ostruiscono  quasi  interamente  il  passaggio  all'ambiente 
prossimo. 

La  porta  in  fondo  di  questo  vano,  che  è  il  sedicesimo,  immette  in  un  altro 
(tettoia,  pergula  ?),  lungo  m.  5,80  e  largo  m.  3,70,  che  ha  pure  una  porta  a  nord, 
larga  m.  1,47  ed  una  ad  ovest,  larga  m.  1,50.  Il  lato  meridionale,  che  sta  sul  lato 
sinistro  di  via  della  Fontana,  per  chi  viene  dalla  caserma  dei  vigili,  era  completa- 
mente aperto,  avendo  però  una  lunga  soglia  di  travertino.  Il  pavimento  era  ad  opera 
spicata:  sotto  di  questo  passa  un  tubo  di  piombo  del  diam.  di  m.  0,037.  il  quale 
penetra  nell'ambiente  16. 

Il  diciassettesimo  è  quello  che  corrisponde  al  fondo  di  via  della  Fontana,  sulla 
quale  però  non  dava  con  alcuna  porta.  Porte  erano  invece,  oltre  che  nel  portico,  anche 
negli  altri  due  lati,  larghe  m.  1,50;  ma  l'una  poi  chiusa,  l'altra,  come  si  è  detto 
sopra,  occupata,  nella  maggior  parte,  dalla  vasca  e  dal  muro.  Il  pavimento  è  a 
mosaico  bianco  e  nero  a  grossi  tasselli,  in  parte  restaurato  in  antico  con  lastre  irrego- 
lari di  marmo.  Vi  è  scritto  a  grandi  lettere,  non  nel  centro,  ma  piuttosto  verso  la 
porta,  e  in  modo  che  la  scritta  guarda  il  vano  sedicesimo; 

FORTVNATVS 
ATERA  QVOD  SITIS 


/B  I  eratere  B  E 


Si  tratta  evidentemente  di  un'osteria  appartenente  a  certo  Fortunalus,  la  quale 
forse  si  estendeva  anche  negli  ambienti  vicini  ;  l' iscrizione  si  potrà  intendere  presso 
a  poco  così:  \_Hosfes,  tnquìQ  Fortunatus,  [vinum  cr\atera,  quod  sitis,  bibe. 
Negli  scarichi  di  questi  vani  tornò  in  luce: 
1.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,22  X  0,23  X  0,045)  : 


J 


RKGIONB    I.  93    —  OSTIA 

2.  Frammento  di  sarcofago  marmoreo  striato  (m.  0,26  X  0,29  X  0,065)  con  l'iscri- 
zione entro  targa: 

cl\ 

ET-HERM\ 
ET • HEREA 


3.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,08  X  0,095)  : 

e  DO 

\   ^ 

4.  Frammento  di  sarcofago  marmoreo  striato  (m.  0,19  X  0,21  X  0,07)  con  l'iscri- 
zione superiormente: 

ÌLAVIO  •  PA) 

5.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,27  X  0,13  X  0,06): 

VNATE 


6.  Lastra  marmorea  (m.  0,62  X  0,42)  : 

D  M 

LIVIAE  •  A  •  F  •  BERONICES 
MEMORIAM  CONSECRAVIT 
P • LVCRETIVS 
LICINI  AN  VS 
^^CQJilVGI  •  SANCTISSIMAE 

7.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,225  X  0,09  X  0,03)  : 

L  •  VSLLKlLnio 
FILIO-DN/ 

pvllaf/ 

8.  Id.  (m.  0,25X0,25X0,06): 

O  SVLPICIO  FÉ 
\  T I  L I A  n  I  L  A         »ie 
^-^DVLCI 
TQVI  v:/ 

NoTiui  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  18 


OSTIA 


—  94  — 


REGIONE   I. 


9.  Id.  (m.  0,275  X  0,275  X  0,03): 

D  M 

P  •  THVRANIVS 
CRATERVS • ET • 
MECLASIA  BA   / 
SILICE  PTHVRa 
NIO  EVPRA  / 
FILIO    DVl/ 

Qvi  vix;; 

VIMES^ 


10.    Busto  marmoreo  acefalo  (m.  0,19  X 
0,18)  con  r  iscrizione  sul  petto  (fig.  4)  : 


C€YTYXlAl 
HCATONB 
\AJk€TAKAAC 


,7 


l'vIKAAWCr 
/UGTHAA2A| 

roicArA©' 


Fio.  4. 

11.  Frammento  di  coperchio  di  sarcofago  marmoreo  (m.  0,20X0,10)  sul  quale 
si  vede  una  donna  recumbente  sul  letto  con  corona  nella  sin.  e  sotto  l'iscrizione: 


FEMl 


RKaiONE   I. 


—  95  — 


OSTIA 


12.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,21X0,19)  a  grandi  lettere: 


13.  Id.  (m.  0,06  X  0,11  X  0,03),  su  un  lato  della  quale  si  legge: 


e  sull'altro  lato  restano  solamente  le  lettere  C  R . 

14.  Id.  (m.  0,72  X  0,26)  :  15.  Id.  (m.  0,13  X  0,10)  : 


COIVGIDK 
QVAEBIXIj/ 

^  US 


16.  Id.  (m.  0,13  X  0,10)  colla  sola  lettera  M  ; 
mattoni  con  i  bolli   C. /.  Z„  XV,  12,  lOa,  lOi,  269,  315,  328,  361  (2  es.),  Slld, 
1026  a,  1029  e,  1033,  1435,  1436,  1449  è,  1451,  1566  a  e  (cfr.  1842): 


O 


te 


MPESINA  •  Q  •  A  •  C 
ITIAN  "E  GAL 
COS 


O  LCS-CCCP-SP 

pigna  tra  due  palmette 

frammenti  di  sarcofago  con  avanzi  delle  seguenti  rappresentanze:  satiro  recumbente 
che  regge  con  la  destra  la  zampogna  e  avanzo  di  nastro  con  corona  (m.  0,18  X  0,30); 
parte  di  figura  vestita  e  festone  (m.  0,13  X  0,30  X  0,20);  due  braccia,  uno  ignudo, 
l'altro  coperto  di  manto  (m.  0,19  X  0,22);  parte  di  clipeo  con  testa  muliebre  (m.  0,15 
X  0,21);  parte  di  animali  marini  (m.  0,19  X  0,18);  testina  di  leone  (m.  0,13  X  0,12 
X0,06); 

un  bellissimo  busto  marmoreo,  acefalo,  drappeggiato,  adoperato  in  un  muro  a 
secco  (m.  0,31  X  0,33)  ed  un  altro  frammento  di  busto  ; 

un  frammento  di  urna  marmorea  con  coda  di  delfino; 

due  frammenti  di  un  grande  puteale  con  doppia  zona  di  foglie  di  acanto 
(m.  0,23  X  0,32  X  0,065  ;  0,26  X  0,17  X  0,065)  ; 

un  frammento  di  pilastro,  con  colonna  scanalata  da  un  lato  e  nell'altro  su 
onde  parte  di  un  cavallo  marino  (m.  0,21  X  0,225  X  0,15); 


OSTIA  —  96   —  REGIONE  1. 

un  altro  frammento  di  stìpite  sul  quale  sono  scolpiti  a  rilievo  i  lasci,  simili 
a  quelli  del  marmo  pubblicato  sopra  a  pag.  57; 

un  trapezoforo  ornato  sul  dinanzi  di  un'anfora  (m.  0,24  X  0,20  X  0,05). 
E  inoltre:  frammenti  di  capitelli  di  pilastro;  colonnine;  lucerne  {C.  I.  L.,  XV, 
6502);  un  raso  di  terracotta  con  striature  giallognole  orizzontali  (alt.   m.  0,165); 
altro  con  vernice  verdognola  (alt.  m.  0,05)  ;  coperchio  di  terracotta  portante  le  lettere  : 

MP 

incise  con  lo  stile  nella  creta  cruda  ;  frammenti  di  bassorilievi  fìttili  (satiro  che  tira 
un  tralcio  di  vite;  gamba  sinistra  di  figura  con  manto  svolazzante);  femmina  di 
grappa  in  piombo  circolare  con  punte  (diara.  m.  0,035);  anelli  e  un  campanello  di 
bronzo;  un  ago  saccaie  e  un  frammento  di  forcone  in  ferro;  monete. 


La  K  via  dei  vigili  » ,  che  si  stacca  da  quella  >  del  teatro  » ,  passando  sotto  il 
portico,  ha  nel  suo  inizio,  indicato  dai  soliti  paracarri  innestati  nel  muro,  la  lar- 
ghezza di  una  delle  taberne  ;  poscia  si  allarga,  ma  non  subito,  per  arrivare  alla  larghezza 
normale.  Sporge  infatti  sulla  strada  un  ambiente,  che  ha  su  quella  due  piccole 
finestre  a  mo'  di  feritoie  ;  l' ingresso  sempre  sulla  strada,  ma  verso  ovest  sul  muro 
perpendicolare  alla  strada  stessa,  e  un'altra  apertura,  chiusa  poi  regolarmente,  che 
dava  nella  prima  taberna  (v.  sopra  pag.  89).  Di  fronte  all'ingresso,  egualmente 
sull'area  stradale,  è  una  scala.  Tra  questa  e  quell'ambiente  (in  cui  riconosceremo  la 
stanza  di  guardia  pel  portiere)  è  l' ingresso  ad  un  corridoio  che  conduce  direttamente 
alla  grande  sala  delle  «  Terme  »  col  musaico  rappresentante  Posidone  tirato  da  quattro 
cavalli  marini  tra  altri  animali  marini  e  Tritoni  (v.  Notizie,  1888,  p.  739). 

Prosegue  lo  sterro  di  questa  via,  che  sarà  fatto  per  ora  fino  all'  incrocio  dell'altra, 
che  passa  tra  la  «  caserma  dei  vigili  »  e  le  n  Terme  ' . 


In  questo  sterro  si  raccolse: 

1.  Due  frammenti  di  una  lastra  marmorea: 

a)  (m.  0,104  X  0,20)  :  b)  (m.  0,15  X  0,20)  : 

e  AEV  imp'-S-A^tor? 

2.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,24  X  0,19): 


ATTI) 
/CARI/ 


REeiONK   1.  —   97   —  OSTIA 


3.  Id.  (m.  0,12X0,10X0,04): 

4.  Id.  (m.  0,15X0,21): 


ET -cri 

POSTERI] 


5.  Id.  (m.  0,13X0,12X0,03)  in  cui  rimane  solo  la  parola:  VIXIl" 


6.  Id.  (m.  0,13X0,11)  in  cui  si  conservano  solo  le  lettere:  VVMI/ 

7.  Id.  (m.  0,16X0,055)  col  frammento  epigrafico: 


8.  Id.  (m.  0,045  X  0,23)  con  lettere  per  l' incastro  del  bronzo,  incavate  in 
grossezza:  HTCJKAItJjO 

9.  Id.  (m.  0,30  X  0,29  X  0.028)  con  rozzissimo  busto  di  giovane  ballato,  appena 
sgrossato  a  colpi  di  scalpello,  portante  la  leggenda:  BVRDO 

Inoltre:  una  base  di  colonna  (m.  0,25;  diaui.  m.  0,60);  un  frammento  di 
colonna  marmorea  (m.  0,81X0,57);  un  frammento  di  trapezoforo  ornato  di  anfora 
(m.  0,19  X0,15);  frammenti  di  decorazione  in  marmo;  un  peso  di  bronzo  di  gr.  160; 
monete. 

Da  un  arco  caduto  sulla  strada  fu  estratto  un  mattone  col  bollo  C.  I  L.,  XV, 
1116a. 

Innanzi  all'ingresso  delle  «  Terme  »  e  nel  corridoio  su  citato  si  raccolsero  i 
seguenti  marmi: 

a)  un  bel  ritratto  di  giovanotta  (ale.  m.  0,18)  con  capelli  artisticamente  ac- 
comodati e  con  diadema  (tìg.  5); 

b)  una  testa  di  Medusa  in  bassorilievo,  circondata  da  foglie  (alt.  m.  0,115); 
e)  l'angolo  sinistro  di  un  grande  sarcofago  con  figura  virile  nuda,  coronata  (di 

spighe  ?),  volta  verso  d.,  con  la  testa  rivolta  a  sin.,  in  atto  di  sollevare  con  la  d.  una 
lepre  per  le  orecchie,  mentre  con  la  sin.  regge  un  cestino  ;  sul  braccio  sin.  è  appog- 
giato il  manto  fermato  con  nastro  alla  spalla  d.  (m.  0,36X0,19X0,23); 

d)  frammento  di  sarcofago  con  ramo  di  melo  (m.  0,20  X  0,23); 

e)  simile  con  parte  del  clipeo  e  foglia  d'edera  (m.  0,18X0,22); 

/)  angolo    sinistro    di    un'urna    cineraria  con  un  uccello  e  foglia  di  quercia 
(m.  0,047X0,10X0,093); 

g)  due  frammenti  di  lastra  marmorea  con  una  serie  di  circoli  (m.  0,59  X  0,24). 
Si  recuperarono  altresì  le  seguenti  iscrizioni: 


OSTIA 


—  98 


RBQIONE   1. 


1.  In  lastra  marmorea  (m.  0,195  X  0,20): 

D       M 

NONIA 

SYMFERVSA 

FECITSIBl-ET 

LIB-LIB-POST 

EORVM 


Fio.  5. 


2.  Id.  (m.  0,135X0,25X0,03): 


D 

PRA 
E  R  O  "i" 

COLT 
PING| 


RsaioNB  ly.  —  99  —  sdlmona 

3.  Due  frammenti  di  una  lastra  marmorea  con  brutte  lettore: 

a)  (m.  0,25  X  0,19):  b)  (m.  0,15  X  0,085)  : 


Finalmente:  mattoni  con  i  bolli  CI.  L.,  XV,  361  e  762 a;  un  frammento  di 
bassorilievo  fittile  su  cui  si  vede  un  leone  alzato  sulle  gambe  posteriori  e  foglie 
d'edera;  una  lucerna  cristiana  dì  terracotta  ed  un  braccialetto  di  bronzo. 

D.  Vagueri. 


Regione  IV  {SAMNIUM  ET  SABINA). 

PAELIGNI. 

X.  SULMONA  —  Nuove  scoperte  di  antichità. 

In  una  casa  in  via  s.  Cosimo,  di  proprietà  del  sig.  Alessandro  Mastropietro, 
posta  nel  rione  occidentale  della  città,  nell'eseguire  uno  scavo  per  alcune  opere  di 
rinforzo,  sono  venuti  in  luce  due  pavimenti  a  mosaico,  uno  di  tessere  bianche  minu- 
tissime ed  un  altro  a  scacchi,  dì  tessere  bianche  e  nere.  I  lati  dei  quadretti  che 
compongono  il  disegno  di  quest'ultimo  sono  di  cm.  12.  I  due  pavimenti  trovansi  alla 
profondità  dì  m.  1,55  dal  piano  stradale^  sono  abbastanza  vasti  e  s'internano  in  vani 
attigui. 

Altro  pavimento  a  musaico  bianco,  inquadrato  con  una  lista  dì  tessere  nere,  larga 
circa  8  cm.  è  apparso  nell'orto  di  proprietà  del  sig.  Federico  Poillucci,  alla  pro- 
fondità dì  m.  1,28  dal  piano  dell'adiacente  via  Cortìnio,  la  quale  corre  ad  occidente 
parallela  all'asse  longitudinale  della  città.  Sotto  il  pavimento,  rotto  per  la  fondazione 
dì  un  muro,  che  il  proprietario  va  costruendo  per  ampliare  la  propria  casa,  si  sono 
rinvenuti  avanzi  di  tombe  a  tegoloni  ed  a  lastre  dì  pietra  locale,  insieme  con  molti 
cocci,  il  collo  e  la  punta  di  una  grossa  anfora  dì  creta  cotta.  Allargato  lo  scavo  per 
mie  premure,  ho  potuto  assicurarmi  che  il  pavimento  è  rotto  in  due  lati.  Altri  scavi, 
poi,  fatti  praticare  da  me  qua  e  là,  non  han  dato  che  frammenti  di  vasellame  romano 
mischiato  con  terra  vegetale,  calcinacci  e  pezzi  d'intonaco  dipinto  di  rosso. 

Nella  stessa  zona,  e  proprio  a  fianco  della  via,  mentre  il  sig.  Donato  Quattrocchi, 
proprietario  d'una  casa  confinante  con  l'orto  Poillucci,  compiva  lo  scavo  per  una  chia- 
vica dì  scolo,  alla  profondità  di  circa  40  cm.  si  è  scoperto  l'avanzo  di  un  pavimento 
in  laterizio  dì  due  filari  di  mattoni,  sovrapposto  ad  un  solidissimo  strato  di  calce- 
struzzo; e  11  presso,  molti  pezzi  di  tegoloni  ed  un'anfora  in  più  pezzi  col  finale  a 
punta  alta  cm.  72. 

È  da  notare  che  questa  zona  è  tangente  alle  mura  della  città  medioevale  e 
segna  un  tratto  del  circuito  della  città  romana.  P.  Piccirilli. 


ALGHERO  —   100   —  SARDINIA 


SARDINIA. 

XI.  ALGHERO  —  Scoperte  nella  necropoli  a  grotte  artificiali  di 
Cuguttu. 

A  breve  distanza  dalla  città  d'Alghero,  presso  la  cliiesetta  di  s.  Agostino  vecchio, 
dove  la  ferrovia  per  Sassari  interseca  la  strada  provinciale  di  Porto  Conte,  ed  a  poca 
distanza  dalla  spiaggia  del  mare,  si  elevano,  in  direzione  quasi  parallela  alla  costa, 
una  serie  di  leggeri  rialzi  composti  di  una  roccia  tenera,  cioè  di  una  panchina  sab- 
biosa di  iile  lavorazione,  nella  quale  sono  aperte  le  cave  numerose  per  il  mate- 
riale di  costruzione.  La  regione  porta  il  nome  di  Cuguttu.  Questi  rialzi,  antiche  dune 
del  litorale  quaternario,  hanno  fornito  il  materiale  per  gran  parte  della  città  d'Alghero, 
compresi  i  monumenti,  i  bastioni  aragonesi  e  spagnuoli;  ma  ancora  adesso  questi 
materiali  sono  usati;  e  le  cave  per  ottenerli  hanno  perforato  in  ogni  senso  ed  in 
parte  il  sito  sino  ad  una  profondità  talora  di  sei  o  sette  metri,  specialmente  nel 
tratto  vicino  alla  chiesetta  di  s.  Agostino  e  prossimo  alla  strada  accennata. 

Ma  oltre  ad  un'importanza  per  l'edilizia  algherese,  la  regione  di  Cuguttu  ne  ha 
anche  una  notevole  per  l'archeologo.  Già  il  sig.  Roberto  Meiosi,  ufficiale  dei  bersaglieri, 
sino  dal  marzo  del  1873  aveva  quivi  notata  la  presenza  di  tombe  ad  ipogeo,  che  dalla 
descrizione  comunicata  al  sen.  Spano  e  da  questi  edita  nelle  Scoperte  archeologiche 
fatte  nell'anno  stesso  ('),  appaiono  evidentemente  delle  grotte  artificiali  o  domus  de 
gianas,  di  pianta  molto  complessa.  Il  Meiosi  vi  rinvenne,  con  resti  di  scheletri  fram- 
menti di  ossidiana  ed  una  punta  lavorata  di  quarzo. 

Anche  il  sig.  Nissardi,  nelle  sue  esplorazioni  della  Nurra,  aveva  piìi  volte  esa- 
minata la  località,  ed  aveva  anche  acquistato  un'accetta  levigata  di  quella  provenienza. 

Durante  l'esplorazione  della  necropoli  di  Anghelu  Rujn  essendomi  anch'io  più 
volte  trattenuto  in  quelle  cave  avevo  constatato  la  presenza  di  numerose  tombe  di 
pianta  molto  complessa,  di  tipo  simile  a  quella  di  Anghelu  Kiiju;  alcune  anzi  più 
vaste,  tutte  però  frugate  ed  ampliate  dai  cavatori  di  tufo  o  dai  pastori  che  vi  cercano 
rifugio  coi  loro  armenti. 

Le  vive  raccomandazioni  da  me  fatte  ai  cavapietre,  alcuni  dei  quali  erano  stati 
miei  operai  nello  scavo  delle  tombe  di  Anghelu  Ruju,  non  furono  del  tutto  senza 
frutto,  giacché  pochi  mesi  or  sono  ebbi  notizia  che  durante  l'apertura  di  una  nuova 
cava  si  era  tagliata  uua  tomba.  Non  fui  avvertito  in  tempo  per  sorvegliare  lo  scavo, 
che  disgraziatamente  non  fu  fatto  a  scopo  archeologico,  sicché  quando  tornai  ad  Al- 
ghero per  completare  altri  studii  al  Nuraghe  Palmavera  e  ad  Anghelu    Rnju,   non 

(')  G.  Spano,  Scoperte  archeologiche  fattesi  in  Sardegna  in  tutto  Vanno  1873,  pag.  71.  La 
descrizione  del  sig.  Meiosi  è  fatta  con  tale  esattezza  e  precisione  che  non  lascia  dubbio  si  tratti 
di  una  domus  de  gianas  o  tomba  ad  ipogeo,  simile  a  quella  d'Ànghelu  Ruju;  se  la  traccia  da  lui 
indicata  fosse  stata  tosto  seguita,  la  quantità  di  materiale  dell'epoca  eneolitica  sarebbe  stato  /orse 
assai  più  copiosa  per  la  regione  algherese  che  ora  non  sia. 


SARDINIA  —   101    —  ALGHERO 


potei  che  raccogliere  il  materiale  sfuggito  alla  distruzione  e  risitare  quel  poco  che 
rimaneva  delle  tombe  ('). 

Con  la  scorta  delle  notizie  fornitemi  sul  luogo  e  dell'indagine,  posso  riferire 
che  la  tomba  di  Cuguttu  si  componeva  di  un  pozzetto,  di  una  anticella,  di  una  cella, 
a  cai  seguivano  altre  due  o  tre  cellette  nello  stesso  asse.  La  cella  maggis)r3  .aveva 
anche  ai  lati  due  altre  celle  minori.  Rimaneva  ancora,  quasi  completa,  la  cella  a  mi- 
nistra della  detta  cella  maggiore,  di  pianta  rettangolare,  alta  quasi  un  metro  ed  abba- 
stanza vasta.  In  questa  cella,  che  appariva  sezionata  nella  parete  della  cava,  mi  potei 
ancora  arrampicare,  raccogliendovi  varii  frammenti  di  stoviglie  grezze  ed  un  paio  di 
rozze  ascie  da  scavo,  in  calcare  compatto,  di  forma  amigdaloide,  a  punta  smussata 
e  con  traccio  di  sfregamento,  perfettamente  simili  a  quelle  trovate  in  tanto  numero 
nelle  grotticelle  artificiali  di  Anghelu  Ruju. 

La  maggior  parte  della  suppellettile,  secondo  le  notizie  datemi,  sarebbe  stata 
trovata  nella  più  riposta  delle  celle,  nel  terriccio  che  copriva  il  fondo;  ossa  scon- 
volte e  cranii,  che  mi  furono  consegnati  in  frammenti,  giacevano  confusi  in  tutte  le 
celle,  sicché  anche  nelle  tombe  di  Cuguttu  si  ebbero  quelle  stesse  violazioni  che 
deplorammo  per  quelle  di  Anghelu  Kuju,  assai  meno  esposte  alla  vicinanza  di  centri 
abitati. 

La  suppellettile,  che  venne  tutta  quanta  acquisita  per  il  R.  Museo  di  Cagliari, 
presentavasi,  se  non  ricca,  almeno  varia,  come  in  altre  tombe  eneolitiche,  comprendendo 
utensili  ed  armi  in  pietra,  oggetti  d'ornamento  in  rame,  valve  di  molluschi  e  denti 
di  mammiferi,  ed  una  discreta  serie  di  vasi. 

Fra  gli  utensili  in  pietra  classifico  quattro  mazzuoli  in  pietra  rozzamente  scheg- 
giati per  scavo  delle  grotticelle;  due  fra  questi,  in  pietra  calcare  litografica,  hanno 
forma  grossa  al  centro,  con  due  punte;  un'altro  della  stessa  pietra,  ha  forma  appiat- 
tita, con  una  punta  sola  ed  una  testa  tronca;  il  quarto,  in  calcare  grigio,  è  assai  rozzo 
e  grossolano,  con  testa  tondeggiante  ed  una  estremità  appuntita  ;  parrebbe  un  embrione 
di  mazzuolo  con  foro,  se  non  si  trovasse  con  altre  ascie  da  scavo. 

Si  hanno  tre  piccoli  coltelli  in  selce,  due  di  selce  bruna  variegata  (figg.  1,  n.  2) 
e  l'altro  di  selce  bionda:  tutti  e  tre  sono  di  lunghezza  presso  a  poco  eguale  da  80 
a  90  millimetri,  due  sono  leggermente  ricurvi,  alquanto  appiattiti,  con  grandi  scheg- 
giature di  stacco  e  ritocchi  alle  estremità  arrotondate;  uno  è  più  robusto,  con  lina 
specie  di  costola  ed  un  solo  taglio,  come  in  varii  coltelli  delle  tombe  di  anghelu 
Ruju,  che  dette  però  in  genere  coltelli  di  selce  più  grandi.  Oltre  a  questi  coltelli 
completi,  la  tomba  di  Cuguttu  ci  offri  il  frammento  mediano  di  un  coltello,  a  sezione 
triangolare  e  due  taglienti,  in  selce  bruna  e  due  frammenti  di  coltelli  di  ossidiana 
vitrea,   trasparente,  di  grande  fragilità  e  finezza. 

Gli  oggetti  metallici  sono  di  grande  arcaicità;  si  ebbe  un  punteruolo  in  rame 
(figg.  1,  n.  3),  a  sezione  quadrangolare,  grosso  al  centro  con  due  punte  assottigliate  dal- 

(«)  Di  qaesti  pochissimi  dati,  scarsi  ma  non  senza  interesse  debbo  essere  grato  non  solo  al 
sig.  barone  Matteo  Guillot,  ispettore  dei  monumenti  e  scavi,  ma  anche  al  mio  bravo  operaio  cava- 
pietre Sotgiu,  che  si  interessò  di  raccogliere  le  notizie  e  recuperare  la  suppellettile. 

NoTizi»  Scavi  1909  -  VoL  VI.  U 


ALGHERO 


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SARDINIA 


l'ossido,  simili  a  quelle  delle  tombe  I  e  XX  di  Anghelu  Rujii  e  due  braccialetti  o 
meglio  cerchielli  in  sottile  lamina  di  rame,  non  chiusi,  né  da  saldatura  né  da  mar- 
tellatura (tìg.  1,  n.  4,  5).  SoQO  elementi  decorativi  di  grandissima  semplicità,  che  ricor- 
dano quello  della  tomba  XVIII  delia  ricordata  necropoli,  fatto  però  con  filo  piil 
robusto,  e.  più  ancora  gli  esili  anelloni  della  tomba  XII  di  Melilli,  che  l'Orsi  ritiene, 
anche  per  la'  postura  in  cui  li  ha  scoperti,  anelli  crinali  (').  Pure  di  rame  sono  due 
piccoli  anellini  di  lamina  (tìg.  1,  n.  7),  di  mm.  4  di  diametro,  ed  una  spiralina  di  filo 
piatto  in  rame,  di  25  mm.  di  lunghezza,  abbastanza  regolare  e  che  ricorda  quelle 
delle  grotte  francesi,  come  quelle  di  s.  Jean  d'Alcas  ('),  o  quelle  sicule  di  Monte- 


racello  (^)  e  di  Matrensa  {*),  nonché  della  stessa  grotticella  di  Melilli,  che  diede  gli 
anelli  sopra  mentovati  (^). 

Gli  altri  oggetti  di  ornamento  sono  tratti  da  materie  prime,  meno  nobili  o  almeno 
di  più  facile  rinvenimento. 

Coi  pendagli  tratti  dalle  difese  del  cinghiale  e  dai  denti  canini  di  volpe,  ne  ab- 
biamo altri  formati  da  sassolini  di  quarzo  o  di  calcare  compatto  col  foro  del  Uthodomus; 
bottoni  circolari  in  osso  ed  altri  di  valva  di  pectunculus  ;  si  hanno  anche  penda- 
glietti  della  stessa  materia  a  contorno  ellittico  e  quelli  invece  circolari  di  varia 
grandezza.  Si  hanno  anche  perline  ad  olivella  in  osso,  forate  lungo  l'asse  maggiore 
ed  altre  di  forma  cilindrica,  e  con  gli  operculi  di  turbo  rugosus  una  piccolissima 

C)  Orsi,  Bullettino  di  Paletnologia  italiana,  a.  XVII,  pag.  66,  tav.  V,  15. 

C)  Cazalis  de  Fondouce,  Les  demien  temps  de  la  pietre  polie,  tav.  Ili,  13. 

(•)  Orsi,  Bull,  cit.,  a.  XXIV,  tav.  XXV,  fig.  15. 

(*)  Orsi,  ivi,  a.  XXIX,  pag.  147,  tav.  XII,  fig.  13. 

(•)  Orsi,  ivi,  a.  XVII,  pag.  65,  tav.  V,  17.  ' 


SARDINIA 


—   103   — 


ALOHERO 


accettina  per  amuleto,  con  foro  mediano,  a  contorno  trapezoidale  in  steatite  molto 
compatta,  yerdiccia  chiara.  È  questa  la  più  minuscola  fra  le  accettine-amuleto  della 
Sardegna,  non  misurando  che  12  mm.  di  lunghezza  (fig.  2). 

La  ceramica  della  tomba  ha  una  prevalenza  di  vasi  grezzi,  di  rozzo  impasto, 
di  cottura  incompleta,  a  colorazione  o  grigiastra  o  rossa  bruna  ;  non  mancano  gli 
esemplari  più  fini  con  decorazione. 

Il  vaso  più  interessante,  datoci  rotto,  ma  completo,  è  un'olletta  sferoidale 
(fig.  3),  a    fondo  'appiattito,  a   collo    stringentesi   e    bocca   poco   espansa,  con  una 


FiG.  2. 


sola  ansa  a  nastro  che  si  imposta  all'orlo  con  due  cornetti  di  risalto;  è  la  forma 
presso  a  poco  della  oUetta  rinvenuta  nella  grotta  del  Bagno  Penale,  al  capo  s.  Elia  ('). 
La  decorazione  ha  un  sistema  simile  a  quello  dell'accennato  vaso  e  di  altri  della 
necropoli  di  Anghelu  Ruju,  ottenuto  cioè  con  serie  di  piccoli  punti  impressi,  che 
si  staccano  sulla  ingubbiatura  della  superficie  con  la  colorazione  bianca.  La  deco- 
razione, disposta  dal  ventre  in  su,  è  formata  da  tre  fascie  di  linee  orizzontali, 
che  lasciano  libero  uno  spazio  riempito  da  una  serie  di  segmenti  angolari,  nella 
zona  presso  l'orlo,  e  da  una  successione  di  linee  verticali  unite  da  oblique  nelle  due 
zone  più  basse;  al  di  sotto  dell'ansa  è  una  parte  di  decorazione  limitata  da  rette 


(')  Notitie  scavi,  1904,  pag.  34,  figg.  6,  7. 


ALGHERO 


—    104  — 


SARDINIA 


verticali,  dove  le  linee  punteggiate  si  dispongono  a  serie  sovrapposte  concave.  11  ca- 
rattere infine  di  tale  decorazione  ha  una  certa  disinvoltura,  che  dimostra  una  tecnica 
abituale  ed  un  certo  decadimento  in  confronto  a  lavori  più  accurati  e  regolari.  Altezza 
cm.  12,  largh.  alla  bocca  cm.  11. 


Fio.  3. 


Un  altro  vaso  notevole  per  la  forma  è  la  grossa  ciotola  a  fondo  piano  (fig.  4), 
sezione  sferica  inferiormente,  ed  a  tronco  di  cono  in  alto,  con  larga  bocca.  È  munito 


Fia.  4. 


di  una  sola  ansa  a  ponte,  robusta  e  provvista  di  beccuccio  o  appoggia-dito  rivolto  in 
alto:  è  la  forma  che  troviamo  rudimentale  nelle  ciotolette  di  s.  Bartolomeo  di  Ca- 
gliari ('),  ma  che  troviamo  perfettamente  simile  nella  grotta  artificiale  di  Bunna- 
naro  (*)  ed  anche  nella  necropoli  di  Anghelu  Riiju;  ed  è  interessante  per  confronti 
con  oggetti  delle  grotte  siculo  della  Moarda  e  con  quelli  degli  strati  neolitici  cretesi. 


(')  Pinza,  Monumenti  primitivi  della  Sardegna,  ta?  I,  18. 
(•)  Idem,  tav.  IV,  4. 


S4HDINU 


105   — 


ALaHKRO 


Anche  Ciiguttu  ci  restituì  un  esemplare  di  scodelloni  a  tripode,  già  oramai  copiosi 
nelle  grotticelle  sarde  (iig.  5);  non  ha  alcuna  decorazione;  è  liscio,  con  tre  piedi 
corti,  ed  ha  una  forma  più  alta  del  tripode  di  s.  Bartolomeo  ('),  e  ricorda  gli  scodel- 
loni a  tre  piedi  di  Biinnanaro  (*)  e  di  Anghelu  Riiju  ed  i  rozzi  tripodi  delle  grotte 
di  Genna  Luas  ('),  presso  Iglesias,   nella  collezione  di  Gouin,  cosicché  si  può  dire 


Fio.  5, 


che  questa  forma  di  vaso,  per  quanto  non  manchi  di  analogie  con  la  ceramica  eneo- 
litica di  altre  regioni,  come  di  Creta  e  della  Troade,  è  tipica  delle  caverne  e  delle 
grotticelle  artificiali  della  Sardegna. 


Fio.  6. 


Una  rozza  ciotoletta,  alta  cm.  9,  a  fondo  piano  a  pareti  ovoidali  (fig.  6),  a  bocca 
lievemente  restringentesi,  ci  presenta  completo  un  tipo  trovato  solo  in  frammenti 
nella  necropoli  di  Anghelu  Ruju,  cioè  con  lunghe  ed  affilate  anse,  impostate  verti- 
calmente ai  due  diametri  e  perforato  da  un  occhio  regolare;  lungo  l'orlo  il  vaso  è 
decorato  da  un  solco  che  la  spatolatura  successiva,  data  prima  della  cottura,  ha  inter- 

(')  Pinza,  op.  cit.,  tav.  II,  11.  ' 

(•)  Idem,  tav.  IV,  19. 
(»)  Idem,  pag.  34,  fig.  19. 


ALGHERO  —   106   —  SARDINIA 


rotto  in  varii  punti.  Questo  solco  è  trattato  molto  frettolosamente,  e  ricorda  quello 
di  un  vaso  della  tomba  XXX  della  necropoli  di  Anghelu  Kuju,  ed  appartiene  ad 
una  decorazione  assai  frequente  nella  ceramica  rozza  del  secondo  periodo  siculo  e  che 
in  quello  strato,  anche  per  giudizio  del  prof  Colini,  si  collega  a  motivi  dei  prodotti 
neolitici  ('), 

Un'altra  ciotoletta,  spezzata  ma  completa,  ci  offre  un  interessante  esemplare  di 
forma  vascolare  che  dovette  essere  frequentissimo  ad  Anghelu  Ruju  (fig.  7);  ha  il  fondo 
semicircolare  ed  una  concavità  regolare  al  centro  ;  ha  la  costola  netta  e  tagliente,  dove 
si  imposta  la  parte  superiore  del  vnso  che  si  restringe  dapprima  per  espandersi  leg- 


FiG.  7. 


germente  all'orlo  ;  inoltre  l'ansa,  ora  smussata  doveva  essere  una  semplice  linguetta  di 
presa.  Una  ingabbiatura  fine,  abbastanza  liscia  e  continua,  di  color  bruno,  forma  la 


Fio.  8. 


superficie  esterna  ed  interna  della  ciotola,  che  ha  parecchi  confronti  fra  il  materiale 
del  primo  periodo  avanzato  delle  necropoli  siculo  ("),  ma  specialmente  col  materiale 
iberico  eneolitico. 

Un  altro  vaso,  quasi  intiero,  ci  offre  una  forma  tronco-conica,  a  base  pianeg- 
giante, alto  cm.  11,  con  la  bocca  larga  era.  10  (fig.  8).  Questo  vaso,  eseguito 
molto  irregolarmente,  con  la  superficie  ineguale,  ha  due  anse  a  nastro  impostate 
verticalmente  sui  fianchi,  presso  alla  bocca,  ma  in   modo  asimmetrico  e  trascurato. 

(•)  Colini,  nell'ottimo  suo  riassunto  dei  caratteri  della  civiltà  sicula  del  2°"  periodo,  nel  Bull, 
di  paletnol.  ital,  a.  XXX  (1904),  pag.  283. 

(')  A  Melilli,  Sep.  19;  Orsi,  Bull,  cit.,  a.  XVII,  pag.  72,  tav.  V,  24,  a  Valsavoia,  ivi,  a.  X5VIII, 
pag.  22,  tav.  II,  35. 


SARDINIA  —    107    —  ALOHBRO 

Il  tipo  del  vaso  è  frequente  in  Sardegna.  Ne  dettero  saggi  le  caverne  del  territorio 
di  Iglesias  ;  ed  anclie  il  nuraghe  Sianeddu,  presso  Gabras,  ne  offrì  un  esemplare,  ora 
nel   Museo   Preistorico  di  Roma  (')•   In  questo  però  le  anse  sono  in  numero  di  tre. 

La  piccola  ciotoletta  a  fondo  piano  di  parete  ovoidale,  alta  cm.  6,  data  dalla 
figura  9,  ci  presenta  una  forma  assai  comune  in  Sardegna,  anche  per  la  brevis- 
sima ansa  a  tacca,  di  cui  abbiamo  esemplari  nella  caverna  di  ?.  Orreri,  come  nella 
grotticella  di  Bunannaro  (*)  :  anche  le  grotte  sicule,  pure  del  secondo  periodo,  fra  la 
classe  di  ceramica  modesta  presentano  vasi  di  analogo  tipo  (^). 

Questa  forma  era  data  da  un  altro  esemplare,  però  incompleto,  come  il  prece- 
dente di  argilla  grossolana,  poco  liscio  e  di  cottura  ineguale,  che  lo  aveva  colorito 
in  rosso  pallido  (alt.  mm.  65). 

Un  altro  vaso  frammentato,  a  pareti  robustissime,  a  ventre  sferico,  con  leggera 
traccia  di  carena  al  centro,  aveva  la  bocca  irregolare  e  la  superficie  ineguale;  anche 
esso  però,  come  altri  varii  esemplari,  ha  il  fondo  piatto  e  leggermente  concavo. 


FiG.  9. 

Assai  levigata  è  invece  un'altra  ciotoletta,  conservataci  solo  per  una  metà,  co- 
perta da  una  ingubbiatura  resa  bruna  dalla  cottura,  e  con  le  pareti  abbastanza  fini 
ed  ineguali.  Nella  parte  conservata  serba  una  bozzetta  o  bottoncino  sporgente,  che  ricorda 
quelli  di  alcuni  vasetti  del  nuraghe  Sianeddu,  conservati  nel  Museo  di  Cagliari  (*) 
e  che  ha  confronti  anche  nella  ceramica  sicula  del  primo  periodo,  come,  ad  esempio, 
a  Castelluccio  (*). 

La  tomba  ci  diede  altresì  pochi  altri  frammenti  di  stoviglie  rozze,  a  superficie 
rossastra,  appartenenti  a  vasi  di  tipi  semplici,  non  decorati,  ma  dei  quali  non  è 
possibile  determinare  la  forma. 

Per  quanto  scarsi  siano  gli  elementi  offerti  al  nostro  studio  da  questa  tomba  di 
Cuguttu,  e  benché  siano  da  considerarsi  come  frutto  di  una  ricerca  non  sistematica, 
pure  essi  hanno  qualche  valore,  giacché,  tanto  per  la  disposizione  della  tomba,  quanto 
per  gli  oggetti  della  suppellettile  troviamo  somiglianza  colle  costruzioni  dei  sepolcri 
e  colla  forma  degli  oggetti  della  necropoli  di  Anghelu  Ruju;  anche  i  raffronti  col 
materiale  di  Bunannaro,  delle  grotte  di  s.  Elia  mostrano  la  somiglianza  di  alcune 
forme,  come  ad  esempio  del  tripode,  del  vaso  sferoidale  ad  ansa  sollevata  e  quindi 

(•)  Pinza,  op.  cit.,  fig.  127. 

(•)  Idem,  op.  cit.,  tav.  IH,  17;  tav.  IV,  16;  Colini,  Bull,  cit.,  a.  XXIV,  tav.  XVII,  11. 

{')  Orsi,  Pantalica,  Mon.  Accad.  Lincei,  IX,  pag.  81,  tav.  10,  fig.  7. 

(*)  Pinza,  op.  cit,  fig.  124. 

(•)  Orsi,  Bull,  cit.,  a.  XVIU,  Sep.  15,  a  tav.  IV,  15. 


ÀLQHBRO  —   108   —  SARDINIA 

la  nniformità  di  alcuni  tipi  e  la  loro  persistenza  in  tutte  le  parti  della  vasta  isola.  A 
Guguttu,  come  ad  Anghelu  Rtiju,  noi  possiamo  notare  la  parità  di  sriluppo  della 
architettura  delle  tombe,  con  un  carattere  arcaico  e  primitivo,  tanto  della  suppellettile 
metallica  che  della  fìttile.  Anche  qui,  come  al  capo  s.  Elia,  come  nella  vasta  necro- 
poli algherese,  noi  vediamo  persistere  una  decorazione  ad  impressioni,  con  motivi- 
lineari,  di  carattere  simile  a  quello  dei  dolmen,  che  ia  Sicilia  non  comparisce  più 
nelle  grotticelle  eneolitiche  e  dell'età  del  bronzo.  Però  il  carattere  alquanto  trascurato 
della  decorazione  della  oUetta  sferoidale,  riprodotta  nella  fig.  3,  la  comparsa  delle 
forme  di  ciotoline  carenate,  dei  vasetti  ad  ansa  atrofizzata,  ridotta  a  bozza  poco  spor- 
gente, fa  supporre  che  questa  tomba  di  Guguttu  possa  essere  più  recente  di  quelle 
di  Anghelu  Buju;  e  così  possono  spiegarsi  le  analogie  più  strette  e  numerose  che 
siamo  venuti  notando  col  materiale  dato  dai  nuraghi. 

Per  questo  lato  appunto  cresce  Tinteresse  offerto  da  questa  modesta  scoperta, 
perchè  se  per  una  parte  la  tomba  di  Guguttu  si  connette  coll'orizzonte,  abbastanza 
vasto,  rivelatoci  dalla  necropoli  eneolitica  di  Anghelu  Ruju,  per  l'altro  mostra  varii 
punti  di  contatto  e  di  continuità  con  le  forme  dominanti  nella  civiltà  nuragica,  ed  è 
perciò  un  elemento  a  conforto  della  ipotesi  da  me  avanzata  che  la  necropoli  alghe- 
rese  appartenga  alle  genti  che,  in  corso  del  tempo,  dettero  forma  a  quella  civiltà, 
ipotesi  che  per  quanto  attenda  sempre  più  larghe  e  sicure  riprove  nei  fatti  archeo- 
logici, è  in  armonia  con  i  risultati  delle  comparazioni  e  delle  indagini  che  furono 
già  fatte  sul  materiale  eneolitico  sardo  dai  precedenti  studiosi,  quali  il  Pinza  ed  il 
Golini  ('). 

A.  Taramelli. 


(*)  Colini,  Bull,  di  palttnol.  ital.,  ann.  XXVII,  pag.  180;  Pinxa,  op.  cit.,  pp.  74  e  sg.,   139 
e  8g.,  235,  274,  276. 


Roma,  21  marzo  1909. 


—  lod  — 


ROMA  —    10»   —  ROMA 


Anno   1909  —  Fascicolo  4. 


I.   ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  V.  Nel  fare  uà  cavo,  largo  m.  0,60,  per  la  posa  di  tubi  per  aequa 
potabile,  di  fronte  al  Museo  Lateranense,  e  alla  distanza  da  questo  di  appena  12  m.,  fu 
scoperto  un  piccolo  tratto  di  antica  pavimentazione  stradale  a  poligoni  di  basalto,  la 
cui  direzione  veniva  deterrainatada  un  marciapiede,  largo  m.  0,60,  alto  m.  0,24, 
formato  da  lastroni  di  peperino.  La  ria  correva  da  est  a  ovest,  e  trovavasi  a  m.  1,20 
sotto  il  piano  dell'attuale  piazza  s.  Giovanni  in  Laterano. 


Regione  VI.  Via  delle  Tre  Gamelle.  Nell'angolo  formato  da  questa  via  e  dalla 
via  Nazionale,  si  è  asportata  la  terra,  che  riempiva  tutto  lo  spazio  compreso  fra  i 
muri  esterni  della  Scuola  femminile  superiore  Erminia  Foà  Fusinato  e  quelli  che 
limitavano  le  due  vie  ora  ricordate.  Si  sono  scoperti  avanzi  di  selciati  e  di  muri  di 
costruzione  diversa,  disposti  come  vfdesi  nella  piantina  qui  riprodotta  (fig.  1). 

A  chiarimento  della  quale,  avverto  che  i  muri  indicati  con  linee  incrociate  sono 
ad  opera  reticolata.  L'avanzo  di  selciato  a  era  a  due  metri  di  altezza  dal  piano  di 
via  Nazionale,  nel  punto  piìl  vicino;  quello  é  a  m.  1,70  dal  piano  di  via  delle  Tre 
Cannelle.  Lateralmente  a  quest'ultimo  avanzo  di  selciato  erano  due  muri  laterizi  pa- 
ralleli e  assai  vicini,  dello  spessore  di  m.  0,45;  al  più  esterno  di  essi  era  addos- 
sato un  pilastro,  pure  laterizio,  larg)  m.  1  e  aggettante  dal  muro  m.  0,90. 

Nell'ambiente  e  (il  cui  angolo  orientale  deve  essere  stato  distrutto  quando  fu 
costruito  il  muro  che  qui  limita  via  Nazionale),  a  m.  0,50  sopra  il  piano  di  via  Na- 
zionale, era  un  pavimento  a  spina  ii  pesce,  che  terminava  nell'angolo  formato  da 
avanzi  di  muri  laterizi,  che  vedesi  mtro  quest'ambiente.  L'ambiente  e,  limitato  ad 
ovest  da  muro  laterizio  e  negli  altr  lati  da  mura  reticolate,  aveva  a  metri  due  dal 
Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  16 


ROMA 


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ROMA 


piano  di  via  delle  Tre  Cannelle,  un  pavimento  a  spina  di  pesce  ;  e  sopra  questo,  ad 
una  maggiore  altezza  di  m.  1,40,  un  altro  pavimento,  pure  a  spina  di  pesce,  che 
passava  sopra  il  muro  reticolato  /,  e  si  inoltrava  sotto  le  fondazioni  della  scuola  fem- 
minile già  nominata. 

Il  terreno  era  assai  povero  ;  vi  si  rinvennero  solamente  due  tegole  recanti  il  bollo 
C.  I.  L.,  XV,  657  e,  e  due   piccoli   parallelepipedi    di   marmo    (uno  di  m.   0,33  X 


V/a     c/e//e     Tre      Ccin  nelle 


0,20X0,9;  l'altro  m.  0,18X0,15X0,07)  con  in  incavo  rettangolare  lavorato  a  gra- 
dina in  una  delle  facce  maggiori,  profondo  m.  CL015,  lungo  m.  0,115  e  largo  m.  0,09. 
A  ciascun  angolo  delle  due  facce  minori  opposte  era  una  prominenza.  In  uno  di  questi 
due  oggetti,  che  probabilmente  dovettero  servile  come  piccole  basi  di  sostegno  dì 
erme  o  di  piedi  di  mobili,  l'incavo  era  scorniciate  da  tre  lati. 

Si  rinvennero  inoltre,  al  piano  del  pavimelto  dell'ambiente  e,  ma   fuori  posto, 
alcune  soglie  di  porte,  che  avevano  l'incavo  di  s  lorrimento  della  poslis. 


Regione  IX.  Eseguendosi  gli  sterri  per 
di  proprietà  del  prof.  Chiovenda  Giuseppe,  al 
porto  un  tratto  di  antico  selciato,  che  misura  ii 
ghezza.  I  lavori  di  sterro  non  giunsero  a  scopri- 
in  dubbio  se  detta  pavimentazione  fosse  stata  d 
è  distante  m.  15  dall'angolo  del  vicolo  Brunetti 


costruzione  di  un  nuovo  fabbricato 
colo  Brunetti,  è  stato  messo  allo  sco- 

5  di  lunghezza  e  m.  4,50  di  lar- 
e  le  crepidini,  per  cui  resta  tuttora 
una  via  o  di  una  platea  antica.  Essa 
on  via  Ripetta. 


ROMA  —    111   —  ROMA 


Regione  XII.  Via  di  S.  Saba.  Eseguendosi  degli  sterri  nella  proprietà  del- 
l'Istituto per  le  case  operaie,  sono  tornati  a  luce  i  seguenti  oggetti  di  terracotta: 
una  lucerna  eoi  bollo  C.  I.  L.,  XV,  6377 è;  un  frammento  di  lastra  decorativa,  rap- 
presentante una  testina  muliebre  con  corona  e  chiome  disciolte  ;  sei  anfore,  delle  quali 
due  hanno  sull'ansa  il  bollo  C.  I.  L.,  XV,  2581  ;  nove  tegole,  delle  quali  sette  ripe- 
tono il  bollo  C.  I.  L.,  XV,  744,  e  due  con  bolli  illegibili. 


Regione  XIV.  Viale  Trenta  Aprile.  Eseguendosi  un  cavo  per  gettare  le  fon- 
damenta di  un  villino  nel  terreno  di  proprietà  della  contessa  Stalberg,  si  è  scoperta 
una  tomba  in  tegole  disposte  alla  cappuccina,  nella  quale  furono  rinvenute  solo  poche 
ossa  umane.  Poco  lungi  da  questa  tomba,  più  a  monte,  è  tornato  in  luce  un  muro  a 
cortina,  in  direzione  da  est  ad  ovest. 

Via  Campana.  Eseguendosi  gli  sterri  per  la  costruzione  di  una  fogna  a  sud 
della  nuova  stazione  di  allacciamento  Termini-Trastevere,  alla  distanza  di  m.  34,70 


FiG.  2. 


dalla  via  della  Magliana  e  di  fronte  all'Osteria  dei  due  Leoni  di  proprietà  Corsetti, 
si  è  incontrato  un  complesso  di  tombe  a  cassettoni  che  formavano  battente,  sui 
quali  poggiavano  i  tegoloni  che  separavano  ciascun  sepolcro  da  quello  sottostante 
(vedi  pianta  fìg.  2).  Simili  sepolcri  furono  rimessi  alla  luce  presso  la  via  Portuense 
(cfr.  Notisie  1892,  pag.  97). 

Fra  la  terra  si  rinvenne  un  frammento  di  capitello  di  pilastro  in  marmo  bianco 
con  una  palmetta  fra  due  girali  (alt.  m.  0,55,  largh.  m.  0,40). 

* 

Via  Collatina.   Proseguendosi  gli  sterri  per  lavori  ferroviarii,  verso  il  vicolo 
Malabarba,  si  sono  scoperte  due  costruzioni  ad  uso  di  sepolcri. 


ROMA 


—    112    — 


ROMA 


La  prima  di  esse  formava  un  ambiente  di  pianta  rettangolare,  orientato,  i  cui 
muri  perimetrali  composti  di  pietrami  di  tufo  e  di  calce,  erano  ricoperti  da  into- 
naco di  piccolo  spessore  ed  incoerente.  La  vòlta  a  botte,  di  tutto  sesto,  era  inclinata 
verso  la  parete  occidentale  (fig.  3)  e  rivestita  dello  stesso  intonaco  delle  pareti,  deco- 
rata di  semplici  festoni  di  tinta  rossastra,  sui  quali  posavano  qua  e  là  uccelli,  di 
fattura  assai  rozza.  Il  piano  di  questa  camera,  fatto  di  calce  battuta,  era  diviso  da 
muretti  bassi  e  sottili,  intonacati,  stendati  in  alto,  i  quali  formavano  degli  scom- 
parti di  forma  rettangolare,  della  profondità  assai  varia;  come  rilevasi  anche  dalla 
sezione  (fig.  4).  In  ciascuna  parete  era  un  arcosolio  a  tutto  sesto. 


1 1  I  I  1 1 


melri 


Fio.  3. 


Questo  vano  non  aveva  entrata:  di  necessità  quindi  si  doveva  calar  in  esso  da 
un  foro  aperto  nella  vòlta,  la  quale  però  era  in  gran  parte  crollata. 

Ogni  scomparto  ed  ogni  arcosolio  conteneva  ossa  di  più  cadaveri  messi  alla 
rinfusa.  Fra  le  ossa  si  rinvenne  soltanto  una  lucerna  fittile,  senza  bollo,  e  un  fram- 
mento di  vasello  di  vetro. 

A  cinque  metri  di  distanza  da  quello  ora  descritto,  verso  ovest,  sorgeva  un  altro 
sepolcro  in  cui  erano  due  ambienti;  uno  sovrapposto  all'altro.  A  quello  inferiore, 
quadrato  di  m.  4,10  di  lato,  si  accedeva  dal  piano  di  campagna,  per  mezzo  di  una 
scaletta  situata  nell'angolo  nord-est,  la  quale  si  componeva  di  tredici  gradini  lunghi 
m.  0,60,  di  m.  0,29  di  alzata  e  di  ra.  0,27  di  pedata.  L'ingresso,  evidentemente  an- 
tico, perchè  la  scaletta  scendeva  fra  due  muri  reticolati,  era  dalla  part*  opposta  della 
via  Collatina,  ed  a  considerevole  altezza  da  questi.  Nella  parete  est,  sotto  la  scaletta, 
era  un  arcosolio;  due  ve  n'erano  in  quella  nord,  e  fra  questi  un  pilastro,  in  cui  era 
un  loculo  per  due  olle  di  terracotta,  delle  qu4i  rimanevano  solo  piccoli  avanzi. 
Nel  lato   ovest,  presso  l'angolo  nord-ovest,  era  |un  vano  largo  m.   1,10  e   quindi 


ROMA 


—    113   — 


ROMA 


un  brevissimo  corridoio  che  non  si  può  dire  dove  conducesse,  perchè,  dove  finiva,  fu 
solo  rinvenuto  terreno  di  scarico.  Accanto  al  vano  ora  ricordato,  nella  stessa  parete 
ovest,  era  un  pilastro,  simile  a  quello  della  parete  nord,  con  due  loculi  per  due  olle 
ciascuno. 

All'altezza  di  circa  un  metro  dagli  arcosolii,  tutto  in  giro  nelle  quattro  pareti, 
si  trovò  una  serie  di  loculi  allineati,  ciascuno  dei  quali  poteva  contenere  due   olle. 


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tri 


FiG.  2. 


La  vòlta  della  camera  era  a  botte  a  tutto  sesto  e  coperta,  come  anche  i  muri, 
di  iato:iaco  bianco.  Le  olle  erano  state  tutte  rotte  ;  e  non  fu  trovata  neppure  una  tar- 
ghetta iscritta;  ma  ciò  non  deve  sorprendere,  perchè  quella  camera  era  stata,  da  tempo, 
adoperata  dai  padroni  del  luogo  a  ripostiglio  di  strumenti  e  di  prodotti  agricoli. 
Dell'ambiente  superiore  non  rimaneva  che  poco  delle  mura  perimetrali  e  parte  del 
pavimeLto  a  musaico.  La  parte  centiale  di  questo  pavimento  era  costituita  da  un 
rettangolo  di  m,  3,25X2,40,  a  tasselli  bianchi,  disposti  in  fila,  secondo  le  diagonali 
del  rettangolo  stesso;  seguivano  quattro  fasce;  delle  quali  la  prima,  più  interna,  era 
pure  a  tasselli  bianchi,  ma  disposti  in  fila,  secondo  i  lati  del  rettangolo;  la  seconda 
fascia  era  nera:  la  terza  bianca,  e  la  quarta  nera.  Tutte  queste  fasce  erano  di  tre 
ordini  di  tasselli;  seguiva  quindi  un  fascione  nero,  largo  m,  0,21,  i  cui  tasselli  erano 
disposti  come  quelli  bianchi  del  rettangolo  centrale-  Il  musaico  era  abbastanza  fine. 
Non  si  è  potuto  vedere  se  nel  mezzo  del  rettangolo  centrale  fosse  qualche  figura, 
perchè  recentemente  ne  venne  portata   via  una  parte  abbastanza   grande  con  una 


ROMA  —   114  —  ROMA 

sezione  della  vòlta  che  la  sosteneva  per  formare  un  lucernario,  che  illunainasse  un 
poco  l'ambiente  sottostante,  ridotto  a  ripostiglio,  come  s'è  detto.  I  muri  di  questo 
sepolcro  erano  in  opera  reticolata.  Nell'interno  si  è  rinvenuto  solo  un  cinerario  in 
forma  di  tronco  di  colonna,  senza  iscrizione,  alto  m.  0,54  e  del  diametro  di  m.  0,30. 

A  pochi  metri  da  questo  colombario,  si  sono  scoperti  avanzi  di  altro  sepolcro 
quasi  interamente  distrutto. 

Presso  queste  costruzioni  si  sono  rinvenute  nel  teireno,  ad  un'altezza  di  tre  e 
quattro  metri  dall'antica  via  Collatioa,  parecchie  casse  di  terracotta,  coperte  da  tegole, 
con  ossa  umane  :  in  una  sola  di  queste  casse  si  rinvenne  un  vasetto  di  vetro. 

Nel  terreno  presso  queste  tombe  si  sono  trovate  parecchie  tegole  coi  seguenti, 
bolli  conosciuti:  quattro,  C.  I.  L.  XV,  1102*;  uno,  G.  I.  L.  XV,  1102 a;  uno,  C.  I.  L. 
XV,  163;  uno,  G.  I.  L.  XV,  440,  e  uno  C.  I.  L.  XV,  1348*. 

Si  è  rinvenuto  inoltre  un  frammento  di  parete  di  sarcofago,  baccellata,  con  ge- 
nietto  alato  che  si  appoggia  con  l'ascella  destra  ad  una  face  rovesciata,  e  sul  dorso 
della  mano  sinistra  portata  sulla  spalla  destra  posa  il  capo  inclinato.  Si  è  pure  rac- 
colta una  lastra  marmorea  scorniciata  con  la  iscrizione: 

D        M 

L-  POMPO 
NIO  BLÀSTO 
{^ECIT  POMPONIA 
FELICISSIMA 
COLLI  BERTO 
BENEMEREN 

TI     FECIT 

Sempre  sul  terreno  circostante  a  queste  tombe  furono  trovati  un  vasetto  di  vetro  di 
forma  affusolata  e  due  medi  bronzi,  uno  di  Augusto  (Cohen,  248),  l'altro  di  Germanico 
(Cohen,  7). 

Via  Portuense.  Sul  lato  di  questa  via  verso  il  Tevere,  nella  vigna  già  Costa, 
facendosi  un  cavo  per  fogna,  sono  tornate  a  luce  quattro  antefisse  di  terracotta  fram- 
mentate. In  una  vedesi  la  parte  inferiore  di  una  menade  che  cammina  a  sinistra  pre- 
ceduta da  una  pantera  che  volge  indietro  la  testa;  in  un'altra  una  protome  sul  cui 
capo  ha  principio  una  alta  palmetta  (la  protome  è  fiancheggiata  da  girali  e  palmette)  ; 
in  una  terza  vedousi  girali  intrecciati;  in  una  quarta  una  testa  femminile  radiata, 
fiancheggiata  da  due  serpenti. 

Proseguendosi  i  lavori  per  l'allacciamento  della  stazione  di  Trastevere  a  quella 
di  Termini,  si  sono  rinvenute  fra  la  terra  due  tegole  coi  bolli  G.  I.  L.  XV,  1094  e 
e  90  a. 

Via  Salaria.  In  via  Po,  nel  terreno  di  proprietà  dell'avv.  Gervasi,  attigujal 
villino  Peroni  e  alla  cavallerizza  Angelini,  facendosi  uno  sterro,  si  sono  rinvenuti  i. 


ROMA  —    115   —  ROMA 

seguenti  oggetti  di  terracotta:  tre  urne  cinerarie:  due  lucerne  semplici;  una  taiza 
alta  m.  0,08  e  larga  m.  0,10;  un  vasetto  in  forma  di  calice,  alto  m.  0,18  e  largo 
m.  0,11.  Inoltre  è  stata  recuperata  la  seguente  iscrizione: 

V 
C-CAIIRIILIVSC-L 

RLI  PIO 
VIItTIAOL 

CRIISTII 
ATINAIISCL 
INFROTII-PXIl-AXII  (tic) 

Nella  via  di  s.  Filippo,  presso  le  «  Tre  Madonne  »,  fuori  Porta  Salaria,  dove 
recentemente  tornarono  in  luce  sarcofagi  ed  iscrizioni  latine  (Notùie,  1908,  pag.  459), 
giaceva  in  terra,  accanto  ad  un  lavatoio  una  grande  lastra  marmorea,  assai  frammen- 
tata, che  fu  acquistata  per  il  Museo  Nazionale  Romano. 

Da  una  parte  essa  ha  bugne  rettangolari,  eatro  profondi  riquadri  sagomati  adia- 
centi gli  uni  agli  altri;  dall'altra  le  due  seguenti  epigrafi,  scritte  in  senso  inverso: 

\ 

HERENNiVSl\ 
ATOREGRECIVSV 
a)      VAMEXTRAN 

FIDELiSiNPACEDV 
INOVCCoNSQV 


SAI"!  A  IONI 


a)  Ilerennius ....  I  ator  egregius  —  /  uam  extra  n.. ..  /  fidelis  in  pace 
d(epositus)  V...  [nonas  0  kalendas] —  I  irio  v{iro)  e  {larissimo)  con{sule)  o  con- 
s{ulibus)  qu[f\  vixit  ann{is)  p{lus)  m{imis) 

b)  nd  luUus  /  \_dep...  k']al{endas)  februarias. 

I  caratteri  paleografici  della  iscrizione  a  fanno  ritenere  che  essa  sia  del  quinto 
secolo:  ma  non  è  possibile  datarla  perchè  non  pochi  sono  i  consoli  i  cui  nomi  terminano 
in  inus  :  né  è  possibile  dire  se  i  consoli  nominati  fossero  uno  o  due,  mancando  dati 
per  determinare  pure  approssimativamente  la  grandezza  della  lapide. 

A.  Pasqui. 


OSTIA  —    116    —  BBGIONB 


Regione  I  (LATI UM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 


II.  OSTIA  —  Nuove  scoperte  presso  le  Terme. 

Sono  stati  esplorati  i  primi  vani  a  sinistra  di  via  della  Fontana  per  chi  viene 
da  via  del  Teatro,  attraversando  l'osteria  di  cai  si  è  parlato  sopra  a  pag.  92. 

Il  primo  vano  di  m.  6,80  X  4,45  (segnato  con  lettera  A  nella  pianta  pubblicata 
nelle  Notizie  1907,  pag.  214)  sta  proprio  di  fronte  a  quell'ambiente  aperto  intera- 
mente sulla  via,  del  quale  si  è  sopra  riferito  a  pag.  92.  Ha  sulla  porta  d' ingresso, 
larga  m.  2,67,  la  soglia  di  travertino  (') ,  che  però  posa  sullo  scarico,  ed  è  di  m.  0,45 
più  alta  del  pavimento,  il  quale  è  ad  opera  spicata.  Conserva  nel  basso  traccie  di 
intonaco  a  cocciopesto.  Ha  in  fondo  una  porta  larga  m.  1,25. 

Il  secondo  vano,  di  m.  6,80  X  5  (segnato  B  nella  pianta  sopra  citata),  ha  la  porta 
d'ingresso  larga  m.  2,67,  con  soglia  in  più  pezzi  di  travertino,  senza  canaletti  e 
rialzata  più  tardi;  una  porta  in  fondo  larga  m.  1,05;  il  pavimento  in  opera  spicata  ; 
traccie  d'intonaco  a  coccio  pesto,  e  in  alto  la  solita  cornice  di  mattoni,  sottoposta 
al  pavimento  del  piano  superiore.  Nell'angolo  a  destra  avanzi  di  una  vasca  di  m.  1,55 
X  0,80  X  0,13.  Addossata  alla  parete  di  fondo  è  una  costruzione  quadrata,  che  posa 
su  uno  strato  di  scarico,  alto  m.  0,43  ;  è  fatta  con  tufetti  squadrati  e  con  file  dì  mat- 
toni ed  è  ricoperta  di  cocciopesto  (*). 

Tra  questo  vano  e  il  seguente  si  ha  sulla  strada  la  vasca  indicata  nella  pianta 
sopra  detta  con  la  lettera  ff.  Misura  m.  1,56  X  1,15  X  0,80.  È  rivestita  di  in- 
tonaco a  cocciopesto,  coperto  all'esterno  di  colore  rosso.  Il  tubo  di  scarico  è  nel 
lato  nord. 

Il  terzo  vano,  uguale  al  precedente,  ha  nell'angolo  di  fondo  a  sin.  una  scala  con 
cinque  gradini,  a  cortina  di  mattoni  con  intonaco  a  cocciopesto  (m.  0,86  X  0,22X0,25). 
Simile  intonaco  si  ha  in  gii-o  per  un'altezza  di  m.  1,44,  e  più  su  una  scialbatura  più 
fine,  bianca.  Quell'  intonaco  più  rozzo  accompagna  anche  la  scala  nel  suo  tratto  con- 
servato, e  poi  sulla  parete  di  fondo,  dove  era  la  seconda  branca  della  scala  stessa, 
non  più  in  mattoni,  ma  in  legno.  Esso  indica  che  la  scala  medesima  non  doveva 
essere  visibile,  ma  nascosta  probabilmente  da  tramezzo  in  legno.  Al  di  sotto  della 
seconda  branca  l'intonaco  è,  come  nel  resto,  rozzo,  a  cocciopesto  inferiormente;  più 
line  in  alto.   La  scala  conduceva  al  piano  superiore;   la  cornice  in  mattoni  è  a 


(')  Queste  soglie  di  travertino  hanno  di  solito  i  canali  per  le  tavole  di  chiasnra  e  l'incasso 
per  la  porticina. 

(•)  Una  simile  costruzione  si  è  poi  riconosciuta  in  un  ambiente  delle  Terme.  Era  ij^ter- 
namente  piena  di  materiale  di  scarico,  pexzì  di  travertino,  marmo,  calcinaccio  ecc. 


REGIONE    I. 


—    117    — 


OSTIA 


m.  4,50  di  altezza  dal  pavimento.  Sulle  pareti  restano   poche   traccie   di   graffiti; 
spesso  si  tratta  di  semplici  aste  ;  in  un  punto  si  legge  : 

XIIIIII 
t  Al| 
FEO 

Nvn 


Il  quarto  vano  è  eguale  in  tutto  al  precedente;  soltanto  l'intonaco  in  cocciopesto 
mostrasi  coperto  di  tinta  rossa.  Vi  si  raccolsero  frammenti  del  soffitto  a  camera  a 
canna,  con  avanzi  di  affresco,  ed  un  collo  d'anfora  con  la  marca  sull'ansa:  M. 

Il  quinto,  delle  stesse  dimensioni,  ha  lo  stesso  intonaco  a  cocciopesto  per  una 
altezza  di  m.  1,60;  e  più  in  alto  l'intonaco  più  fino,  che  copriva  anche  le  pareti 
del  piano  superiore.  Qui  però  non  vi  è  la  scala,  ma  al  suo  posto  una  vasca  a  coccio- 
pesto  con  colore  nerastro  nell'interno  (m.  1,62  X  1,06  X  0,82).  In  fondo,  era  una  porta 
larga  m.  1,  che  venne  poscia  chiusa.  Quella  d' ingresso  conserva  la  soglia  in  travertino. 

Il  sesto  vano  largo  m.  2,93,  spurgato  per  una  lunghezza  di  m.  7,35,  è  un  corridoio, 
che  doveva  sboccare  nella  via  parallela  a  quella  della  Fontana.  La  porta  è  larga 
m.  2,38  ed  ha  la  soglia  in  travertino.  Un'altra  porta  si  vede  a  sin.,  a  m.  7,35  dal- 
l'ingresso,  la  quale  doveva  mettere  in  una  stanza  alle  spalle  del  quinto  vano.  Nel 
pavimento,  che  è,  come  al  solito  in  opera  spicata,  a  m.  5,25  dall'  ingresso,  sul  lato 
destro,  erano  conficcate  due  grandi  anfore  a  grosso  ventre,  sporgenti  in  fuori  per 
circa  un  quarto.  Si  conserva  anche  qui  la  cornice  in  mattoni  e  parte  delle  pareti  del 
muro  superiore. 

In  questi  vani  si  raccolsero  i  seguenti  frammenti  marmorei  :  un  bel  busto  acefalo, 
femminile  (m.  0,36),  un  frammento  di  testa  virile  (ra.  0,05  X  0,85),  altro  di  sta- 
tuetta di  putto  (m.  0,19).  parte  di  mano  sinistra  di  statua,  un  piccolo  capitello  co- 
rinzio e  inoltre  mattoni  con  i  bolli  C.  I.  Z.,  XV,  1071,  1435  e  una  lucerna  con 
rilievo  raj)presentante  Apollo  citaredo  e  portante  la  marca: 

AVG/// 

Tutto  ciò  in  via  della  Fontana.  Nella  via  del  Teatro,  è  stato  completamente  ripulito 
il  porticato  innanzi  alle  Terme,  sicché  tutto  presentasi  ora  nel  modo  che  vedesi  rappre- 
sentato qui  appresso  (fig.  1). 

Nei  due  ultimi  vani  sotto  il  portico  (nn.  16  e  17,  vedi  pag,  92)  si  raccolse: 
1.  Lastra  marmorea  opistografa  (m.  0,21  X  0,18  X  0,025): 
da  un  lato  si  legge:  e  dall'altro: 


NoTiziK  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


16 


OSTIA 


—   118   — 


REOIONB   1. 


2.  Id.  (m.  0,21X0,36  X0,0«): 

/Irene 
\evhemer        ^ 

BMFECIT  ! 


3.  Grossa  lastra  di  marmo  (m.  0,73 
X  0,34X0,20)  in  cui  rimane: 


1   rs.  e  T 
C  •  S  E  I  L  1) 

c-sIlivs( 

CSlLIVSf 
CSlLIVSC-LÈ\ 


Fio.  1. 


Le  ultime  tre  linee  furono  incise  posteriormente. 

4.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,16  X  0,12  X  0,025),  su  cui  è  graffila 
una  testa  di  cavallo  con  palma  che  s'alza  dalla  fronte. 

5.  Otto  frammenti  di  un  bassorilievo  con  doppia  fila  di  strie;  a  d.  un  pilastro 
ornato,  e  sopra  a  questo  mezza  testa  con  capelli  spioventi  ;  in  uno  dei  frammenti  avanzo 
della  targa,  donde  venne  abrasa  l'iscrizione. 

6.  Frammento  di  antefissa  in  marmo  con  rilievo  rappresentante  una  foglia 
(m.  0,46X0,18X0,11). 

7.  Varie  lucerne  di  coi  una  con  rilievo  rappresentante  un  gallo,  ed  un'altra  a 
dieci  becchi,  a  forma  di  barca,  destinata  ad  essere  sospesa  (fig.  2).  Vi  si  vedono 
in  rilievo,  entro  edicole,  Iside  nel  centro,  Serapide  da  una  parte,  ed  Arpocrate  nella 
opposta.  Altra  lucerna  portante  la  marca  :  V  M I  S  F  (?) 

8.  Due  colli  di  anfore  con  le  marche  C.  I.  L.,  XV,  2586  a  e  2966  sulle  anse. 


REGIONB   I. 


—   119  — 


OSTIA 


9.  Mattoni  con  i  bolli  C.  I.  Z.,  XV,  12,  76,  79. 

10.  Fondo  di  vaso  aretino  con   la  marca:  LiVI   in   pianta  di  piede  umano 
(cf.  C.  I.  L.,  XV,  5031),  e  inoltre  anelli,  anelli  con  chiave  ecc. 


Fio.  2 


Nel  vano  12  (v.  sopra  pag.  90)  si  raccolse  la  lastra  marmorea  (m.  1,17  X 
0,92  X  0,03)  contenente  l'albo  dei  fontani  dell'anno  232  d.  C,  inciso  dopo  abrasa 
un'  iscrizione  precedente  : 


OSTIA 


—  120  — 


RKOIONE    I. 


15 


20 


25 


30 


L-  VIRI   O  •  LVPO-  ETLMARIOMAXIMoCo 

FONTANORVMOiEX-  se- coire-  lic 


a  n   À u  IN  1  V  b,<- HA,    \0  N 

^  1  V  V^K  }fm  ri:  S  ti  INWS 
h  ]^i  V  s  •  M^i/fi  I  s\jv;rv  s  a 

-TI.  CLAUDI '^^-  E  PAG  [a  T  V  S 
TIVLIVS  •    PELI  X 

M:^nr^)f]S  •  DI  O  N  Y  S  I  V  S 
THALAIVAS 


J. 


VO  L  VS^I^tt  s  ^ A  T  V  p-W  i  ,N 
:v^— A^N  T  I  N, 
joe/'^Tl^NIVS  O 

lW/|ivsathen  odor 
pivlivs  ■  geminvs 
p  ivlivsgrvmentinvs 


VPETRONl VS  MYRISMVS  •  IvN 


'//LIVSSATYRVS 

FIVSDALIS 
ILIVS-HILARVS 
(rCCIVS  M  I  T  H  R  E  S 
yiVSCOGNIT  VS 
kVS  HESPER 

Xliberalis 

gru  MENTIN-IVN 

'nvs 

ÌC  I  SSIM 
RTIALIS 

Wgatvs 

'MVS-  VI 


EBS 


F-PETRONLVS-      FELIX- 
0      LVCIVSPOMPEIVSCLy  I  N  T  I  N  V  S 
Gì  VLIVS  •  SATVR VS 
NEVIVS  •     CATVLLINVS    • 
AVRELI VS • VITALIO- 
CAECILIVS- SOTERICVS 
SEXTILLVS   •      SEBERIANVS 

L-FLAVIVS-    ONESIMI    ANVS 


RBOIONB   I.  —   121    —  OSTIA 

Si  ebbero  inoltre  altri  piccoli  frammenti  della  medesima  lastra  marmorea  con 
una  0  due  lettere,  i  quali  non  poterono  essere  collocati  al  loie  posto. 

Sul  testo  epigrafico  vanno  fatte  le  seguenti  osservaziani  :  lin.  1.  Per  quanto 
concerne  i  consoli  del  232  Lupo  e  Massimo  citati  s'ignorava  sinora  di  essi  il  pre- 
nome ed  il  gentilizio  (v.  Vaglieri,  /  consoli,  pag.  169).  Il  primo  può  essere  stato 
il  figlio  di  quello  che  combattè  per  Severo  contro  Albino  (Dio.  Cass.,  75,  6)  e  go- 
vernò la  Britannia  sotto  Caracalla  {Dig.  28,  6,  2,  4).  Un  Virio  Lupo,  discendente 
certo  del  nostro,  fu  console  con  Probo  nel  278  (Vaglieri,  op.  cit.,  p.  232)  e  praefectus 
urbis  nel  278-280;  un  L.  Mario  Massimo  Perpetuo  Aureliano  fu  console  per  la  seconda 
volta  nel  223  (op.  cit.,  pag.  173  seg.). 

lin.  2.  Un  collegio  di  fontani,  che  corrispondono  a  quelli  detti  altrove  fulloties, 
non  si  conosceva  ancora  per  Ostia;  notissimo  è  quello  di  Roma  (Waltzing,  Corpo- 
rations  professionnelles.  II,  pag.  113;  Pernier  in  De  Ruggiero,  Dizionario  epigr., 
s.  V.  «  fuUo  »). 

I,  lin.  8.  Non  intendo  le  ultime  lettere,  che  pure  sembrano  certe.  Esse  o  si 
riferiscono  al  nome  precedente  (cf.  lin.  32)  o  a  quello  della  seconda  colonna. 

lin.  18.    Un  lulius  Grumentinus  ricorre  in  C.  I.  i.,  XIV,  1151. 
lin.  32.   Il  VI  è  certo;  che  sia  errore  per  IV(mor)? 

II,  lin.  3.  Un  Petronius  Felix  in  C.  I.  L.,  XIV,  1461. 

lin.  7.  Un  Aurelius  Vitalio  in  C.  I.  L.,  XIV,  260  in  un  albo  di  collegio  ignoto, 
lin.  8.  Un  Q.  Caecilius  Sotericus  in  C.  I.  L.,  XIV,  714. 

* 

Negli  altri  vani,  sotto  lo  stesso  portico  si  raccolse: 

1.  Lastra  marmorea  (m.  0,14  X  0,185  X  0,02)  con  lettere  piccole  e  brutte: 

D 
CUB  I  L  L  I 
COIVCI  BE 
QJ/ANNIS 


2.  Id.  (m.  0,46  X  0,54  X  0,04)  : 

D  M 

EVPHROSYNELIB 
MERENTISSIMAE 
A-CORNELIVS- 
AMARANTVS  •  L  ■  F  • 

3.  Frammento  di  sarcofago  marmoreo  (m.  0,11  X  0,35),  sul  quale  si  vede  parte 
di  due  figure. 

4.  Id.  (m.  0,12  X  0,18)  con  parte  di  putto  alato. 

5.  Frammento  di  antefissa,  con  un  leoncino  che  esce  da  un  tubo  (m.  0,08  X  0,08). 


f 


OSTIA  T     —    122   —  BBOIONE   1. 

6.  Un'ansa  di  anfora  con  la  marca  incompleta  CCVC,  impressa   due   volte. 

7.  Fondo  di  vaso  aretino  con  la  marca  : 

LTITI         (»ic) 

e  nella  parte  inferiore  un  A  graffito. 

8.  Lucerne,  di  cui  una  con  rilievo  rappresentante  un  amorino. 

Si  ebbero  inoltre  :  un  piatto  di  bilancia  di  bronzo  (diani.  m.  0,04),  un  unguen- 
tario di  vetro  (alt.  m.  0,052),  un"  asta  quadrilatera  di  ferro,  ripiegata  ad  uncino 
(m.  0,27  X  0,35  X  0,035). 


Nel  fare  una  ricerca  di  fianco  ad  uno  dei  pilastri  sotto  il  portico,  a  m.  0,92 
di  profondità  dalla  soglia  della  taberna  n.  1,  presso  la  «  via  dei  vigili  »,  è  venuto 
in  luce  un  frammento  di  ornato  che  conserva  traccio  di  colore  bianco  e  ha  superior- 
mente due  palmette  e  inferiormente  festoni  e  volute. 


Sono  stati  esplorati  anche  i  vani  n.  2,  3  e  4  sulla  sinistra  della  ■>  via  del 
Teatro  »  per  chi  viene  dalla  «  via  dei  Sepolcri  »  partendo  dalla  via  che  le  congiunge 
(v.  pag.  84).  Anche  questi,  come  i  prossimi,  avevano  le  vòlte  ancora  conservate  nel- 
l'epoca in  cui  furono  abbandonati.  Sul  pavimento  si  trovò  uno  strato  di  terra  misto  a 
frammenti  di  vasi.  Negli  scarichi  si  raccolsero  piccoli  avanzi  di  intonaco  dipinto. 

Il  vano  n.  2,  di  m.  9,80  X  5,  ha  la  soglia  in  travertino  sulla  porta  d' ingresso, 
larga  m.  3,85,  avanzi  del  pavimento  fatto  con  lastre  informi  di  marmo  bianco  ed 
una  porta  nella  parete  di  fondo,  che  è  di  opera  reticolata  con  ricorsi  di  mattoni, 
mentre  le  altre  pareti  sono  in  laterizio.  Nell'angolo  sud-est  è  una  scala,  in  opera  re- 
ticolata, con  sei  gradini  (m.  0,23  X  0,20  X  0,99),  che  termina  in  un  pianerottolo 
(m.  1,13  X  0,99),  dal  quale  partiva  la  continuazione  della  scala  che  era  in  legno  (cf. 
sopra  pag.  116).  Nell'angolo  sud-ovest  si  conservano  due  pezzi  di  canale  di  marmo, 
collocati  in  modo  da  formare  un  rettangolo  (m.  1,37  X  0,67).  In  questo  vano  si  raccolse: 

1.  Lastra  di  marmo  (m.  0,10  X  0,13  X  0,26)  col  seguente  frammento  epigrafico, 
a  destra  del  quale  si  vede  la  mano  e  parte  del  braccio  di  una  figura. 


2.  Due  frammenti  di  una  grande  iscrizione: 
a)  (m.  0,22X0,335X0,028):  *)   (m.  0.105  X  0,125): 


(TR^ 


RBOIONB   I.  —    123   —  OSTIA 

3.  Id.  (m.  0,16  X  0.23  X  0,07): 


/CVMQVA- VIXIT 

/LLAQVERELLA   ET 

ECONIVGI  CARISSIMA 
|BVS-  POSTERISQ  EORVM 
'Al-  INAGROPEDXX 

Il  vano  n.  8  probabilmente  fu  in  origine  l'entrata  ad  un  grande  edificio,  non 
essendovi  nell'ingresso  le  spallette.  Poi  fu  diviso  in  due  parti,  delle  quali  l'una  man- 
tenne la  funzione  di  corridoio  di  accesso,  l'altra  fu  ridotta  a  taberna  ('). 

La  taberna,  che  ha  forma  trapezoidale,  avendo  all'ingresso  una  larghezza  di 
m.  2,07  e  in  fondo  di  m.  3,75,  è  lunga  m.  10,40.  Ha  soglia  di  travertino  con  ca- 
naletti, ed  una  porta  a  destra;  una  porta  a  sin.,  aperta  più  tardi,  era  stata  in  seguito 
richiusa  con  pezzi  di  tufo,  marmo  e  cocciopesto.  Il  pavimento  era  a  lastre  informi  di 
marmo. 

Il  corridoio,  scoperto  per  un  lunghezza  di  m.  13,  largo  m.  2,07  ha  nella  parete 
a  sin.  due  porte,  delle  quali  una,  larga  m.  1,79,  mette  nella  prossima  taberna,  l'altra 
in  una  stanza  retrostante  a  questa;  una  terza  mette  nel  vano  n.  4.  Vi  è  un  con- 
dotto formato  con  anfore  {^),  forse  per  acqua  potabile. 

In  questo  ambiente  si  raccolse  un  frammento  di  lastra  di  marmo  (m.  0,275  X 
0,22  X  0,03)  con  iscrizione,  le  cui  lettere,  appena  incìse,  vennero  ornate  con  piccoli 
tagli  trasversali: 


y.Tivs 

C44VM 


L'ambiente  n.  4  (m.  9,78  X  9,87)  ha,  oltre  la  porta  d' ingresso  (m.  3,80),  con 
soglia,  una  porta  in  fondo  (m.  1,28)  ed  una  a  sin.  (m.  1,79).  Il  pavimento  era  a 
tegoloni;  su  uno  di  essi  il  bollo  0.  L  Z.,  XV,  760.  Sotto  il  pavimento  passa  un  tubo 
di  piombo  del  diam.  di  m.  0,03,  che  viene  dal  terzo  vano.  Qui  si  raccolse: 

1.  Lastra  marmorea  (m.  0,19X0,21X0,025): 


SERVICK 

FELICI^ 

FECIT  \ 

SERVI VS  •  sai/ 

ISID/ 

(•)  Sotto  questo  vano  passa  una  fogna  che  attraversa  la  strada.  Nel  vano  stesso   vennero  in 
luce  due  tombini  della  fogna  medesima. 

(*)  Un  condotto  simile  si  è  rinvenuto  nel  vano  n.  6. 


OSTIA 


124 


RBOIONE   I. 


2.  Mattoni  con  i  bolli  C.  L  L.,  XV,  288,  315  (2  es.),  377,  693,  1026  è,  1596  a. 

3.  Due  lucerne  fittili,  di  cui  una  con  due  lepri  in  atto  di  mangiare  un  grappolo 
d'uva  e  sotto  marca  irriconoscibile  (NI CIP  ?),  e  l'altra  col  monogramma  cristiano. 


KiG.  3  a. 


FiG.  3  a. 

4.  Un  collo  d'anfora  col  bollo  sull'ansa:  ISOC. 

5.  Un  peso  di  bronzo  di  forma  piramidale,  alto  m.  0,071,   largo  alla  base 
m.  0,026  X  0,022. 


REGIONE    I. 


—    125    — 


OSTIA 


6.  Un  pendaglio  cilindrico  di  bronzo  (lungh.  m.  0,055  forse  per  amuleto. 

In  parte  da  questo  vano  e  in  parte  dai  prossimi  (segnati  coi  nn.  5  e  6)  pro- 
vengono frammenti  di  un  grande  bassorilievo  marmoreo  dello  spessore  di  5  centimetri. 
In  due  di  questi  (fig.  3  a,  b),  il  primo  (a)  di  m.  0,43  X  0,55  ed  il  secondo  {b)  di 
m.  0,36  X  0,62,  si  vede,  a  d.  di  un  cipresso,  un  satiro,  con  "  nebride,  rivolto  verso 
d.  in  atto  di  danzare  :  regge  con  la  d.  un  bastone  nodoso  con  manico  ricurvo  e  porta 


Fig.  4. 


sulla  spalla  sin,  una  capra  che  regge  con  la  sin.  per  una  zampa.  Sotto  ai  suoi  piedi 
(fig.  3  b)  vedasi  una  serpe.  Altri  frammenti  riuniti  dello  stesso  bassorilievo  (fig.  4) 
che  nel  loro  insieme  misurano  m.  0,54  X  0,48,  mostrano  parte  della  figura  di  una  Me- 
nade danzante,  dalle  vesti  svolazzanti,  che  suona  il  crotalo.  Se  allo  stesso  bassori- 
lievo appartiene  la  testa  femminile  che  si  vede  nella  fig.  5,  dovremo  supporre  che  le 
Menadi  nel  bassorilievo  fossero  state  due  e  che  alla  centrale  appartenesse  il  piede 
e  la  parte  di  veste,  che  si  vede  nel  frammento  fig.  3  b. 


* 


Lungo  l' istessa  via,  procedendo  verso  le  »  capanne  »  a  d.,  dopo  la  via  che  viene 
da  quella  dei  sepolcri,  si  raccolse: 

Notizie  Scavi  1909  -  VoL  VI.  17 


OSTIA 


—  126  — 


RBOIONB   l. 


1.  Frammento  di   grossa   lastra   di   marmo   (m.  0,28X0,35)    con  lettere  poi 
abrase;  ma  di  lettura  che  sembra  certa: 


Or-MISCVMS 
SDIIAIATAM 
mj3«RATORISIIII  C 


2.  Lastra  marmorea  (m.  0,10  X  0,125 
X0,04): 


3.  Id.  (m.  0,125X0,33X0,025): 


/iDRIA 


Nd) 


Fia.  5. 


4.  Frammento  di  bassorilievo  marmoreo,  con  parte  del  piede  sin.  di  una  figura 
e  parte  del  panneggio  (m.  0,26  X  0,125  X  0,06). 

5.  Frammento  di  terracotta  architettonica  con  parte  di  voluta  e  parte  superiore 
di  figura  muliebre  alata  (m.  0,12  X  0,12). 


Nella  «  via  dei  vigili  »  (v.  sopra  pag.  96)  fu  sterrata  la  stanzina  che  si  trova 
a  sin.  dell'  ingresso  delle  «  Terme  »  (guardiole  del  portiere  ?),  ed  è  addossata  alla 
prima  taberna  sotto  il  portico.  Misura  m.  5,76X3,63.  La  porta  d'ingresso  è  larga 
m.  1,19. 

Essa  aveva  la  vdlta  a  botte,  stabilitura  bianca  ordinaria,  e  pavimento  fatto  di 
lastre  informi  di  marmo  e  mattoni.  Accanto  alla  parete  meridionale  passa  una  piccola 
fogna,  nella  quale  si  scarica  un  fognolo  proveniente  dalle  «  Terme  » .  Addossata  alla 
parete  orientale  fa  rinvenuta  una  vaschetta  in  muratura  in  cattivo  stato  di  conser- 
vazione. 


REGIONB   1.  —    127    —  OSTIA 

Levati  alcuni  mattoni  del  pavimento  fu  constatato  come  sotto  di  questo  ne  esisteva 
un  altro  in  mosaico  bianco  e  nero.  Tolto  allora  il  pavimento  superiore  e  tolta  la  va- 
schetta venne  in  luce  il  mosaico  figurato,  purtroppo  in  parte  distrutto,  che  formava 
un  rettangolo  (m.  3,72  X  1,60)  con  una  fascia  nera  di  m.  0,28,  altra  bianca  di 
m.  0,052,  altra  nera  di  m.  0,065  e  in  mezzo  fondo  bianco  con  figure  nere.  La  rap- 
presentanza è  nilotica.  Verso  l' ingresso,  cioè  verso  ovest,  non  rimane  se  non  a  d.  la 
parte  posteriore  di  un  quadrupede  (ippopotamo  ?).  Nel  centro  si  vede  una  barca  lunga, 
snella  (m.  1,63)  con  poppa  a  testa  di  animale:  ma  nulla  rimane  della  rappresen- 
tanza centrale  :  sotto  di  essa,  sorgono  dalla  fascia  meridionale  delle  pianticelle  acqua- 
tiche, talune  con  fiore  di  loto.  Nel  lato  orientale,  e  visibile  da  questo,  si  ha  un  coc- 
codrillo (m.  0,69)  che  insegue  un  pigmeo  itifallico  che  fugge,  tenendo  nella  destra 
un  oggetto  a  due  punte  :  tra  le  due  figure  una  pianta.  Il  lato  settentrionale  è  com- 
pletamente distrutto. 

A  destra  dell'  ingresso  delle  «  Terme  « ,  si  hanno  due  ambienti,  la  cui  porta  si 
apre  sull'area  innanzi  all'ingresso  citato,  di  fronte  all'ambiente  testé  descritto;  nel 
primo  (largo  m.  0,92)  è  una  scala  stretta  che  ha  alla  destra,  dentro  il  vano  stesso, 
un  piano  inclinato  con  superficie  a  cocciopesto;  nel  secondo  (sottoscala?)  è  una 
latrina  (m.  1,42  X  2,90)  con  porta  larga  m.  1,26.  Il  pavimento  con  inclinazione  verso 
il  fondo,  è  a  mosaico  bianco  ;  l' intonaco  delle  pareti  a  cocciopesto.  Innanzi  alla  parete 
di  fondo  si  ha  un  buco  (m.  0,40  X  1,28),  davanti  al  quale  è  un  lastrone  di  travertino 
e  ai  lati  due  spallette,  alte  m.  0,50. 

Nell'angolo  che  la  via  dei  vigili  fa  con  l'altra  che,  costeggiando  la  caserma,  rag- 
giunge la  via  della  Fontana,  è  venuta  in  luce  un'altra  fontana  in  corrispondenza  con 
quella  esistente  all'altro  angolo  dell'edificio.  Essa,  che  misura  nell'interno  m.  1,17 
per  1,29  e  all'esterno  m.  3,30  X  1,90,  conserva  la  vdlta,  il  cui  cervello  è  all'altezza 
di  m.  1,43;  conserva  anche  il  tubo  di  carico  e  quello  di  scarico.  Nel  lato  orientale 
apresi  un  foro  che  attraversa  un  blocco  di  travertino  ;  ma  esso  fu  poi  chiuso  nell'  interno 
con  l'intonaco.  Nel  lato  nord,  che  dà  sulla  via,  esiste  un'apertura  larga  m.  0,85, 
con  parapetto  in  travertino,  per  attingere  l'acqua.  Altre  vasche  esistono  accanto  a 
questa,  verso  est,  ma  sono  tagliate  all'altezza  della  strada.  Al  di  sopra  della  fon- 
tana sale  dalla  strada,  addossato  alla  casa,  dirigendosi  verso  l'angolo  di  questa,  un 
piano  inclinato,  con  sei  mensolette  in  travertino,  sulle  quali  erano  impostati  degli 
archetti,  e  di  cui  le  ultime  due  reggevano  un  ripiano.  Ha  l'apparenza  di  una  scala, 
ma  tale  non  è,  sporgendo  appena  per  m.  0,47  ed  avendo  la  superficie  liscia  ('). 

* 

Dagli  sterri  di  questa  via  si  ebbero  parecchi  frammenti  epigrafici  per  lo  più 
in  lastre  marmoree;  il  solo  n.  6  è  in  travertino. 


(')  Ignoro  la  destinazione  di  questo  piano  inclinato.  Che  sia  stato  nsato  per  far  salire  recipienti 
con  l'acqua  ?  Un  simile  piano  si  ha  pure  nell'altra  via,  che  fa  angolo  con  questa  :  ed  un  altro  se 
ne  Tede  nella  scala  sopra  indicata  accanto  alla  latrina. 


OSTIA . 


—  128  — 


REGIONE    I. 


1.  Id.(m.  0,18X0,19X0,10): 


lELlO 
lAVG 


2.  Id.  (m.  0,10  X  0.075  X  0,034): 


/DR!>, 


3.  Id.  (m.  0,19  X  0,14  X  0,03): 


fo-poiy 


4.  Id.  (m.  0,12  X  0,138),  opistografa: 
a) 


*) 


5.  Id.  (m.  0,108  X  0,125  X  0,017):  6.  Lastra  adoperata  poi  come  soglia 

(m.  0,19X0,16X0,042): 


VD 


R.O  N  I A  •  P    V 


7.  Id.  (m.  0,135  X  0,13X  0,02): 


D 

"~\ 

FRI 

•MI 

PECI)' 

MA- 

K 

0-NE-s| 

9.  Id.  (m.  0,155  X  0,205  X  0,038): 


8.  Id.  (m.  0,178  X  0,168  X  0,07)  : 


M- 
•  TRICLINI 
XTERIORE 
ORVM 


10.  Id.  (m.  0,11  X  0,145  X  0,025): 


ÉSV-S-i-, 


in  x.ACfe 


Abbondarono  i  mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.,  XV,  12  (3es.),  41,  70,  79  (2  es.), 
103  (3  es.),  104  (3  es.),  105,   107  (2  es.),   122*  (2  es.),    125  (2  es.),  129  (2i&s.), 


KEOIONE    I. 


—   129   — 


OSTIA 


277,  326,  328,  350,  361  (4  es.),  377,  607,  637,  693  (3  es.),  891,  958  a  (3  es.),  992  e, 
1014,  1027  (2es.),  1033  (2  es.),  1035,  1037,  1086,  1094  A  (2  es.),  1096,  1106, 
1116  a  (5  es.),  1210,  1304,  1356,  1432,  1434  (3  es.),  1435  (2  es.),  1449  a,  2197  e 
quello  dell'ofBcina  Tempesina  riprodotto  sopra  a  pag.  95  ed  i  seguenti  : 


»)    o 


E  F  P  A   P 
L 


*)       05     PAETIN  ET  APRONIAN  COS 
C  •  P  •  G  •  T  •  T 

e)     O  EXPTS-S   EX  FI/'F-FIONES 
APRO   "E  CATV.LI        a.  130 
COS 


d)      □ 


EX  PRPJ 
PAETIN 


e)     O 


LAGOI  I         "»  ••»«•" 

inc«T*te. 


f)  o 


(cf.  G.  I.  £.,  XV,  106  b). 


a)     □ 


TAB  EVRIP 
ET  APROW 


ERO  •  III  •  'E  AMBIBVL  COS  a.  126 


^)      CD  ASIACO   II  "E  AQyju.     sic  a.  125 

COS-  DE  FIGf 


(cf.  G.  I.  Z.,  XV,  396). 


i)       ©  jSEMPETROK 

[RESEPtN 


Si  scoprirono  poi  i  seguenti  pezzi  marmorei  :  1 .  metà  inferiore  di  statua  fem- 
minile su  plinto,  rinvenuta  sopra  la  soglia  del  vano  n.  6,  capovolta,  adoperata  come 
materiale  per  la  chiusura.  Ha  tunica  e  manto;  si  vede  il  piede  sinistro  con  san- 
dalo. All'altezza  della  coscia  sinistra  avanzo  di  sostegno  (alt.  m.  0,73). 

2.  Erma  di  Bacco,  rinvenuta  nel  vano  n.  4  (alt.  m.,19). 


OSTIA  —    130   —  REGIONE   U 

3.  Frammenti  di  architrave,  rinvenuti  in  opera  per  la  chiusura  tarda  del  vano 
n.  7  (m.  1,17X0,33X0,38). 

4.  Angolo  sin.  di  sarcofago  con  puttino  e  nastro  (m.  0,205  X  0,20). 

5.  Frammento  con  tronco  d'albero  (m.  0,17  X  0,245  X  0,24). 

6.  Frammento  di  decorazione  con  coda  di  delfino  ed  onde  (m.  0,145X0,215). 
9.  Colonnina  a  spirale  con  capitello  dorico  e  base  ed  avanzo  dell'epistilio  e  del 

timpano  (alt.  circa  m.  0,34). 

8.  Avanzi  di  braccia  e  gambe  di  statue. 

Finalmente  meritano  di  essere  ricordati  i  pezzi  seguenti:  a)  Tessera  di  piombo 
(diam.  m.  0,019):  P  entro  corona.  ^  Figura  femminile  vestita,  di  fronte,  con  la 
testa  volta  a  sin.,  con  cornucopia  nel  braccio  sin.  e  reggendo  con  la  d.  protesa 
forse  il  timone. 

b)  Lucerne,  tra  cui  CI.  L.,XY,  6229  a  i23;  pesce;  croce;  cane  corrente;  oca 
e  marca  illeggibile. 

(?)  Frammento  fittile  architettonico  (m.  0,20  X  0,175).  Due  figure  virili  nude 
volte  a  sin.,  con  nebride. 

d)  Id.  (appartenente  forse  al  precedente)  con  palmette  sopra  fascia  (m.  0,125 
X  0,125). 

e)  Anse  di  anfore  con  i  bolli: 

a)  GAn  b)  LFCCVK     (sic) 

f)  Collo  di  anfora  con  le  lettere  in  rosso:  PC| 

g)  Frammenti  di  tazza  di  vetro,  con  costolature  molto  rilevate.  Il  fondo  è  piano 
ed  era  ornato  di  figure  in  oro  che  scomparirono  quasi  subito  a  contatto  dell'aria  :  vi 
si  vedeva  un  putto  alato  in  moto  verso  un  cesto. 

h)  Borchie,  rampini,  aghi,  anelli,  una  striglie  di  bronzo  ecc. 
i)  Scalpello,  coltelli,  arpioni,  chiave  di  ferro. 


A  destra  di  questa  via  sono  apparsi  i  ruderi  di  una  casa  che  sembra  ricca,  con- 
servando begli  avanzi  di  mosaico  e  di  intonaco  dipinto:  non  sarà  però  sterrata  per 
ora.  Ha  l'ingresso  nel  vano  n.  4,  caratterizzato  dai  due  soliti  pilastri  in  mattoni. 
Nel  sottoscala  si  raccolse: 

1.  Un  frammento  dell'angolo  sin.  di  un  sarcofago  con  testa  coperta  di  berretto 
frigio  e  diadema  da  cui  scendono  fascio  e  avanzo  di  un  festone  (m.  0,20  X  0,09  X  0,06). 

2.  Lastra  marmorea  (m.  0,60  X  0,23  X  0,04)  : 


M. 


RBaiONB    I. 


—  131  — 


OSTIA 


Si  è  iniziato  lo  sterro  delle  «  Terme  "  entrando  per  un  antico  ingresso  sulla  «  via 
dei  vigili  »,  distinto  per  i  due  consueti  pilastri  in  laterizi.  Per  esso  si  entra  in 
un  corridoio,  che  dà  nella  grande  sala  col  mosaico  rappresentante  Nettuno  in  quadriga 
in  mezzo  a  Tritoni  e  ad  animali  marini. 


P».  6. 


In  questo  e  nei  vani  a  sinistra  tornò  in  luce: 

1.  Statua  virile,  marmorea,  acefala  con  tunica  e  toga  piegata  sul  braccio  sinistro 
e  sostenuta  con  la  destra.  I  piedi  sono  calzati  (alt.  m.  0,87  ;  fig.  6). 

2.  Lastra  marmorea  (m.  0,23)  con  parte  di  busto  a  rilievo  molto  basso  e  con 

l'iscrizione  sotto:  / 

CILIAE-E>'^ 


3.  Id.  (m.  0,18X0,21  X0,03): 


4.  Id.  (m.  0,14  X  0,10)  con  parte  di  gamba  nuda  e  di  manto  che  séende  dietro 
a  questa  in  bassorilievo. 

5.  Mattone  col  bollo  C.I.L.,  XV,  263.  D.  Vaglibri. 


GALESTRINA 


f 


—  132 


REGIONE   I. 


in.  PALESTRINA.  —  Nuove  scoperte  nell'area  dell'antica  città. 

La  benemerita  Associazione  archeologica  prenestina  ha  eseguito,  nella  fine  dello 
scorso  anno,  uno  scavo  per  ricerca  di  anticliità  nella  vigna  del  signor  Raffaele  Sca- 
valli-Borgia,  posta  tra  le  vie  di  s.  Lucia  e  della  Madonna  dell'  Aquila.  La  località, 
è  quella  che  fu  in  parte  esplorata  nel  1896,  ritenendosi  che  qui  avesse  avuto  la  sua 
sede  l'antico  Foro  prenestino,  che  senza  dubbio  dovè  essere  in  quelle  adiacenze. 


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Fio.  1. 


Esistono  tuttora  in  quel  terreno  ruderi  appartenenti  a  grandiosi  edificii:  uno  di 
essi  (fig.  1,  lett.  A),  quasi  di  fronte  alla  chiesa  della  Madonna  dell'Aquila,  di  strut- 
tura laterizia;  l'altro  (fig.  1,  lett.  B),  a  nord-est  di  questo,  di  struttura  mista  in  la- 
terizio ed  in  opera  reticolata  con  ricorsi  di  mattoni.  Un  altro  edificio  (fig.  1,  lett.  0) 
di  forma  rettangolare  in  opera  reticolata  con  ricoi-si  di  mattoni,  è  quello  scoperto 
nel  1896  (cfr.  Notizie  degli  scavi,  1896,  pag.  330). 

Alcuni  edifici  di  questo  gruppo  erano  manifestamente  destinati  a  scopo  termale. 

Lo  scavo  fu  cominciato  a  nord  del  grande  rudero  (fig.  2,  lett.  A)  che  sorge 
lungo  il  muro  di  cinta  della  vigna.  Alla  profondità  di  m.  2,00  dal  piano  di  cam- 
pagna venne  scoperto  un  piano  formato  con  mattoni  bipedali,  sul  quale  erano  costruiti 
i  soliti  pilastrini  (suspensurae)  formati  con  mattoni  quadrati  di  m.  0,23  di  lato,  equi- 
distanti fra  loro,  che  sorreggevano  il  pavimento.  Tanto  il  pavimento  quanto  le  pa- 
reti dovevano  essere  rivestite  con  lastre  marmoree  policrome,  delle  quali  furono  trjvati 
fra  la  terra  vari  frammenti. 


REGIONE   I. 


—    133 


PALESTRINA 


Pia.  2. 


NoTiziB  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


18 


I 


PALESTRINA  —   134    —  RBGIONB    I. 


Sotto  il  pavimento  si  scoprì  un  piccolo  cunicolo  (fig.  2,  lett.  B)  costruito  con 
pietrame  di  tufo  e  calce,  coperto  a  vòlta,  largo  internamente  m.  0,75  ed  alto  m.  0,65 
con  le  pareti  dello  spessore  di  m.  0,15.  Serviva  per  la  trasmissione  dell'aria  calda; 
e  ciò  si  conferma  dal  fatto  che  le  pareti  e  la  vòlta  del  cunicolo  erano  estremamente 
calcinate  per  l'azione  del  forte  calore  ('). 

A  nord  dell'editìcio  scoperto  nel  1896  (fig.  2,  lett.  C)  fu  riconosciuto  l'ingresso 
largo  m.  4,53  che  metteva  sopra  un  lastricato  a  grosse  lastre  di  travertino  (fig.  2, 
lett.  D),  il  quale  si  estendeva  a  nord-est  dell'edificio  medesimo. 

In  tutta  l'area  esplorata  è  stata  riconosciuta  1'  esistenza  di  una  sovrapposizione 
di  edifici,  vale  a  dire  costruzioni  in  opera  quadrata  a  maggiore  profondità,  in  opera 
reticolata  ed  in  laterizio;  pavimenti  ad  opera  spicata  (fig.  2,  lett.  E),  a  commesso 
di  marmi  (fig.  2,  lett.  P;  costituito  da  lastre  di  cipollino  riquadrate  da  lastrine  di 
portasanta)  ed  in  cocciopisto  ;  e  ricostruzioni  in  rettangoli  di  tufo  con  qualche  mat- 
tone inserito  nella  costruzione  medesima,  di  epoca  tarda. 

Sono  stati  rinvenuti  in  costruzione,  e  cioè  serviti  come  rivestimento  delle  pareti, 
alcuni  frammenti  di  mattoni  che  portano  impresso  il  bollo  di  fabbrica  (C.  /.  L., 
XV,  2329);  delle  tegole  che  ricoprivano  una  fogna  portanti  i  bolli  {C.  1.  L.,  XV,  2314)  ; 
altri  mattoni  raccolti  fra  la  terra  recavano  i  bolli  C.  I.  Z.,  XV,  2306  a,  2313  è, 
2330  fl,  2331  a,  2349,  2365  a.  Tutti  i  bolli  di  fabbrica  rinvenuti  in  quello  scavo 
appartengono  a  figuline  locali  della  fine  del  primo  e  principio  del  secondo  secolo. 

Fra  la  terra  si  raccolse: 

Marmo.  Piccola  base  di  marmo  bianco,  alta  m.  0,14,  diam.  m.  0,17,  servita  per 
sorreggere  un  piccolo  busto;  vi  era  incisa,  entro  una  tabella  ansata,  un'iscrizione 
della  quale  rimangono  le  lettere  : 

\OR  A 

\ra 

Torso  di  statua  virile  in  marmo  bianco,  di  mediocre  scultura,  alto  m.  0,35,  largo 
nelle  spalle  m.  0,40. 

Rocchio  di  colonna  di  granito  orientale,  alto  m.  0,65,  diam.  m.  0,27. 
Frammento  di  lastra  di  marmo  bianco  (m.  0,12 Xm.  0,08)  con  le  lettere: 


Frammento  di  grosso  cippo  marmoreo,  che  misura  m.  0,40  X  0,45.  Nella  parte 
anteriore,  ove  era  l'iscrizione  chiusa  entro  semplice  cornice,  rimane  la  sola  lettera  C  ; 
nel  fianco  destro  vi  restano  lettere  : 

\avg 
Ilicio 

(•)  È  probabilmente  qaesto  l'edificio  indicato  dal  Petrini  siccome  antiche  serrono  presso  la 
chiesa  della  Madonna  dell'Aquila,  donde  proviene  l'iscrizione  C.  I.  L.  XIV  n.  3013  ove  si  ricordano 
i  duoviri  che  rifecero  i  bagni  e  condussero  l'acqua. 


f 


SARDINIA 


—    135   — 


CAGLIARI 


Travertino.  Base  con  semplici  modanature,  alta  m.  0,20  e  con  i  lati  di  m.  0,60 
e  m.  0,65. 

Frammento  di  cippo  funerario,  alto  m.  0,80,  largo  m.  0,15,  sul  quale  rimangono 
le  lettere: 


L  •  L  •  AI 

\  NOC 

\b  vs 

Vem 

\lAE 

AE 

NIA 

Frammento  di  grossa  lastra  di  travertino  (m.  0,45  X  0,43,  dello  spesssore  di 
m.  0,16)  che  doveva  far  parte  del  fregio  di  una  trabeazione.  Vi  rimangono  le  lettere 
alte  m.  0,11: 


O  P  E  R 


Terracotta.  Vari  e  piccoli  frammenti  di  decorazioni  fittili;  tre  pesi  da  telaio. 

E.  Gatti. 


SARDINIA. 


17.  CAGLIAEI  —  Resti  di  edifìcio  termale  scoperti  in  regione  Bo- 
naria, in  fondo  del  sig.  G.  B.  Ravenna. 

La  regione  Bonaria,  situata  nella  parte  orientale  di  Cagliari,  a  breve  distanza 
dal  colle  di  Santa  Maria  di  Bonaria,  tra  la  chiesa  dei  ss.  Cosma  e  Damiano  e  la 
sponda  del  mare,  restituì  in  ogni  tempo,  oltre  a  numerose  tombe  di  età  cristiana,  nu- 
merosi avanzi  di  grandiosi  edifici  di  età  romana,  oggidì  per  la  maggior  parte  distrutti, 
i  quali  furono  già  più  volte  ricordati  dal  La  Marmerà,  dallo  Spano,  dal  Crespi  e  dal 
Vivanet,  ed  identificati  ('),  o  meglio  avvicinati  in  modo  poco  certo,  con  gli  edifici 
di  cui  si  fa  menzione  in  monumenti  epigrafici  rinvenuti  in  quella  regione  o  in  docu- 
menti medioevali. 

A  questa  parte  del  pianeggiante  litorale  lo  Spano  infatti  attribuisce,  non  senza 
esitazione,  il  tempio  di  Bacco,  rispondente  alla  chiesa  di  s.  Saturnino  (*)  ;  il  Fanum 


(■)  La  Marraora,  Anliquités,  pag.  353;  Spano,  5mW.  arcA.  sarrfo,  II,  87  ;  Crespi,  ivi,  Vili,  5,  7. 
(')  Spano,  Guida  di  Cagliari,  pag.  297. 


CAGLIARI  —   136   —  SARDINIA 

Solis,  ricordato  dal  vescovo  Valente  ('),  identificato  con  un  rudere  di  edificio  cir- 
colare, in  fondo  Ballerò,  presso  l'officina  del  gas;  in  regione  Bonaria  egli  mette  anche 
le  ambulationes  del  pretore  Caecilius  ('),  ricordate  in  un'iscrizione  trovata  nel  con- 
vento di  s.  Maria  di  Porto  Grotta,  ora  s.  Bardilio,  e  che  lo  Spano  suppone  accom- 
pagnate da  altri  edifici  monumentali  per  uso  pubblico,  e  specialmente  bagni. 

Certo  si  è  che  la  località  è  aprica  e  prossima  al  mare,  e  che,  essendo  pianeg- 
giante e  ben  riparata,  si  presta  ad  essere  occupata  da  edifici  ampi  e  ben  costrutti  : 
cosicché  lo  Spano  emetteva  l'ipotesi  che  gli  stabilimenti  termali  pubblici  si  trovas- 
sero in  questa  regione,  adducendo  anche  come  argomento  il  nome  di  Dalnearia,  dalla 
cui  corruzione  sarebbe  derivato  l'attuale  nome  di  Bonaria. 

Tale  opinione  del  benemerito  archeologo  sardo  viene  in  un  certo  qual  modo 
confermata  dalla  scoperta  di  un  edificio  termale  avvenuta  in  questi  ultimi  tempi,  e 
dovuta  al  sig.  G.  B.  Ravenna. 

Con  molta  opportunità  detto  signore  pensò  di  eseguire,  a  sue  spese  e  con  il  con- 
senso del  Ministero  dell'istruzione  e  l'assistenza  del  locale  ufficio  degli  scavi,  alcune 
ricerche  nel  podere  di  sua  proprietà,  che  forma  l'ultimo  isolato  tra  la  chiesa  di  san 
Saturnino  o  ss.  Cosma  e  Damiano  ed  il  viale  di  Bonaria,  a  breve  distanza  dalla  sta- 
zione delle  ferrovie  secondarie  e  dalla  spiaggia  del  mare,  che  ora  venne  artificial- 
mente allontanata  in  seguito  agli  scarichi  ed  ai  riempimenti  avvenuti  di  recente. 

Il  sig.  Ravenna,  incoraggiato  da  recenti  scoperte  casuali  di  mosaici  e  di  ruderi 
di  edifici,  volle,  con  atto  di  illuminato  patriottismo,  mettere  allo  scoperto  un  notevole 
tratto  di  edificio  antico,  che  doveva  avere  certamente  vaste  dimensioni  e  mostrava  le 
traccio  di  una  grande  ricchezza  e  suntuosità,  lasciandolo  in  vista,  quale  documento 
pregevole  dell'importanza  e  della  ricchezza  dell'antica  Caralis  imperiale. 

Il  piano  dell'antico  edificio  fu  trovato  a  circa  due  metri  dall'attuale,  profondità 
questa  in  cui  si  ha  in  genere  il  pavimento  dei  ruderi  dell'età  romana  in  tutto  il 
terreno  di  Bonaria. 

La  parte  più  notevole  dell'edificio  messo  a  nudo  dagli  scavi  consiste  in  un 
vasto  ambiente,  rettangolare,  con  pavimento  in  mosaico,  l'atrio  di  una  dimora  o  forse 
la  maggior  sala  di  un  bagno,  di  età  imperiale  romana  (fig.  1  e  fig.  1  a).  Questa  sala 
è  terminata  nelle  due  estremità  di  settentrione  e  di  mezzodì  da  due  grandi  vasche  o 
piscinae,  una  di  queste,  a  settentrione,  semicircolare  absidale,  l'altra,  a  mezzogiorno, 
quadrangolare,  enti  ambe  in  comunicazione  con  la  sala  e  da  questa  separate  da  una 
stretta  transenna,  che  formava  verso  questo  lato  il  bordo  delle  vasche. 

La  dimensione  di  questa  sala,  di  cui  si  potè  delimitare  il  pavimento,  è  di 
m.  8  X  8  ;  la  vasca  semicircolare  ha  il  diametro  di  m.  3,50  ;  quella  quadrangolare, 
m.  4,75  X  3,75. 

L'edificio  ora  scoperto  è  un  chiaro  esempio  del  modo  in  cui  furono  trattati  in 
età  seriore  i  ruderi  di  edifici  romani.  Dopo  che  erano  periti,  in  seguito  a  violente  di- 
struzioni, essi  erano  stati  demoliti,  con  un'azione  lenta  e  metodica,  per  la  ricerca  di 

e)  Crespi,  in  Bull,  archeol.  sardo,  Vili,  pag.  5.  , 

(")  Mommsen,  Corpus  Inscription.  Latin.  X,  7581  ;  Spano,  in  Bull,  citalo,  t.  I,  pag.  95 


SARDINIA 


137 


CAGLIARI 


materiali  da  costruzione,   utilizzati  in  modestissime  fabbriche,   di    cui  rimanevano  i 
resti  incastrati  sopra  alle   fondazioni  ed  alle   murature  originali.   Questo  vandalismo 


-^ 


■^^V 


Fio.  1. 


FiG.  1  a. 


metodico  si  estese  alle    lastre   marmoree  dei  rivestimenti,  alle  grappe  in  bronzo,  ai 
muri  di  laterizi  e  di  blocchi  di  calcare  e  di  tufo:  cosicché  solo  le  fondazioni  ed  in 


CAGLIARI  —   138   —  BARDINIA 

parte  anche  queste,  ed  i  pavìnienti,  sconTolti  pure  essi  dai  pozzi  e  dagli  scavi  seriori, 
poterono  giungere  sino  a  noi.  Invece  ci  sfuggono  quasi  completamente  gli  elementi 
per  conoscere  la  struttura,  la  forma  e  la  decorazione  delle  parti  superiori,  in  modo 
che  solo  possiamo  supporre  che  la  vasca  semicircolare  fosse  coperta  da  una  vòlta 
absidale  e  con  un  tetto  invece  quella  rettangolare.  La  maggior  sala  sembra  fosse 
invece  scoperta,  come  lascerebbe  supporre  la  concavità  regolare  del  pavimento. 

Era  questo  formato  da  un  ampio  mosaico  a  numerosi  scomparti  policromi  figu- 
rati e  si  veniva  leggermente  e  regolarmente  abbassando  verso  il  centro  (vedi 
fig.  1),  dove  fu  scoperto  il  pozzetto  di  forma  rettangolaie,  a  bocca  circolare,  dal 
quale  parte  il  canale  di  scarico,  con  vdlta  in  muratura  che  attraversa  lo  spazio  sot- 
tostante alla  sala,  dirigendosi  verso  occidente  sotto  alle  parti  contigue  del  fabbricato 
a  raggiungere  con  molta  probabilità  la  chiavica  di  una  via  traente  verso  il  mare. 

Di  questa  vasta  sala,  o  atrium,  era  conservato  sino  all'altezza  di  due  metri,  a 
sfiorare  l'attuale  piano  di  campagna,  il  muro  orientale,  regolarmente  costrutto  in 
filari  di  mattoni  e  riquadri  di  tufo  di  modeste  proporzioni.  A  metà  di  questa  parete 
orientale  si  vedevano  gli  stipiti  di  una  porta,  la  quale  dava  passaggio  agli  am- 
bienti situati  verso  questo  lato  dell'edificio,  ma  che  si  presentò  sbarrata  dal  muro 
di  una  costruzione  in  piccole  pietre,  formata  da  due  piccoli  ambienti,  di  carat- 
tere seriore,  ma  molto  antico,  che  si  erano  addossati  all'edificio  romano.  Sono  evi- 
denti le  traccio  di  lastre  di  marmo  verde  antico,  trattenute  da  grappe  di  rame  che 
formavano  lo  zoccolo  di  questa  parete,  come  delle  altre  parti  della  vasta  sala,  rivesti- 
mento che  fu  consunto  dallincendio  che  rovinò  l'edificio  ;  le  parti  superiori  delle  pareti 
dovettero  essere  rivestite  in  stucco,  con  decorazioni  pittoriche,  come  farebbero  pensare 
le  scarse  traccio  rinvenute.  La  parete  occidentale  è  completamente  distrutta;  però 
sull'allineamento  di  essa  rimane  un  muricciolo  di  età  posteriore,  costrutto  di  mate- 
riale frammen tizio  ;  come  pure  rimangono  le  fondazioni  costrutte  in  grossi  riquadri 
di  calcare  tenero. 

All'estremità  settentrionale,  nel  lato  destro  della  sala  semicircolare,  la  sala  pre- 
senta traccio  di  una  porta  la  quale  metteva  ad  un  andito  od  intercapedine  che  gira 
esternamente  all'abside,  racchiudente  la  vasca  semicircolare  :  anche  quest'andito  ebbe 
in  origine  il  pavimento  in  mosaico  policromo  a  disegni  geometrici,  ristorato  con 
lastre  di  marmo  e  larglii  mattoni  bipedali.  L'adito  a  sinistra  di  questa  intercapedine 
non  potè  venire  esplorato,  perchè  gli  gravava  sopra  l'angolo  di  un  fabbricato  costrutto 
pochi  anni  addietro  dal  predetto  sig.  G.  B.  Ravenna. 

Si  disse  sopra  che  la  sala  era  limitata  dal  lato  settentrionale  da  un  abside  rac- 
chiudente un'ampia  piscina  o  vasca  da  bagno  (fig.  1),  separata  dalla  sala  da  una  bassa 
transenna,  in  origine  esternau-ente  rivestita  di  prezioso  marmo  verde,  e  circondata  tutto 
all'ingiro  da  un  prospetto  largo  m.  0,40.  Il  muro  dell'abside  era  conservato  ancora 
per  circa  m.  1,50  al  di  sopra  della  vascii,  e  presentava  tre  nicchie  semicircolari;  tanto 
queste  quanto  la  parte  circolare  hanno  traccio  di  un  piccolo  zoccolo  di  marmo  verde,  e 
di  questo  marmo  erano  anche  le  lesene  ai  lati  dì  ciascuna  nicchia;  il  fondo  invece, 
a  giudicare  dalle  traccio,  era  rivestito  da  lastre  di  marmo  bianco.  Le  due  nicchiette 
laterali  non  pare  contenessero  statue  ;  invece  nella  nicchia  centrale  era  conservata  la 


SARDINIA  —    139    —  CAGLIARI 

parte  inferiore  di  un  basamento,  in  muratura,  rivestito  pur  esso  di  lastre  di  marmo 
bianco,  destinato  probabilmente  a  reggere  una  statuetta;  così  nel  basamento  come  nel 
fondo  della  nicchia  rimanevano  il  canaletto  ed  il  foro  per  la  conduttura  dell'acqua  che 
alimentava  la  vasca. 

Tanto  la  parete  della  vasca  quanto  il  bordo  che  le  girava  d'attorno,  erano  rivestiti 
di  lastre  di  marmo  bardiglio;  quelle  delle  pareti  sono  conservate  in  gran  parte  e  mo- 
strano la  diligentissima  commessura,  come  le  traccie  lasciatevi  dai  vandalici  spogliatori 
dell'edifìcio  per  istrapparle.  Pure  di  marmo  erano  rivestiti  i  due  gradini  che,  paralle- 
lamente al  muro  divisorio,  dalla  sala  scendono  al  fondo  della  vasca,  formato  da  un 
alto  strato  di  battuto  e  provvisto  di  foro  di  scarico  delle  acque  verso  il  cunicolo  del 
centro  dell'atrio.  La  vasca  adunque,  elegante  e  sontuosa  ed  abbastanza  ampia  e  pro- 
fonda, poteva  anche  servire  per  la  natatio,  ed  era  probabilmente  alimentata  dall'acqua 
fredda  proveniente  dall'acquedotto,  non  essendosi  rinvenute  le  traccie  di  canali  di 
piombo  usati  generalmente  per  la  conduttura  dell'acqua  calda;  la  decisione  però  non 
può  essere  data  che  dalla  esplorazione  delle  parti  del  fabbricato  retrostante  all'abside, 
esplorazione  che  non  si  potè  sinora  eifettuare. 

All'altra  estremità  della  sala  non  sono  conservati  che  per  breve  altezza  i  muri 
perimetrali,  quello  cioè  della  parete  orientale;  per  gli  altri  lati  rimangono  solo  le 
pareti  della  vasca  rettangolare,  fiancheggiata  ai  due  lati  da  due  anditi,  o  cubicoli,  di 
cui  solo  quello  di  destra  potè  venire  esplorato.  Era  diviso  dalla  sala  centrale  da  un 
pilastro  sporgente  in  muro,  delle  dimensioni  in  pianta  di  quello  esistente  all'altro 
capo  della  sala,  presso  l'abside,  ma  demolito  sino  al  suoloj  un  tratto  di  soglia  in 
tufo,  un  tempo  rivestito  di  marmo,  indicava  la  porta  di  accesso  a  questo  cubicolo  o 
andito  esistente  accanto  alla  vasca,  dalla  parete  costrutta  tutta  quanta  di  materiale 
laterizio,  rivestita  di  marmo  e  con  pavimento  in  grossi  mattoni.  In  questo  andito,  o 
cubicolo,  si  potrebbe  anche  vedere  uno  spogliatoio,  apodyterium,  separato  iu  origine 
dalla  sala  e  dalla  vasca  per  mezzo  di  velari.  Anche  la  vasca  rettangolare,  costrutta 
in  muratura,  aveva  due  gradini  paralleli  al  lato  verso  la  sala,  rivestiti  in  origine  di 
marmo,  che  fasciava  anche  le  pareti  del  bacino  ed  il  muricelo  o  transenna  che  la 
divideva  dalla  sala,  mentre  la  fronte  di  questa,  volta  alla  sala,  aveva  lo  zoccolo  di 
marmo  verde  come  la  parete  della  sala  e  la  transenna  dell'altra  vasca.  Anche  questa 
vasca  rettangolare  conservava  il  foro  per  lo  sfogo  delle  acque,  aperto  nella  parete 
meridionale,  a  poca  altezza  sopra  il  fondo  di  battuto.  Essendo  distrutta  tutta  la  pa- 
rete attorno  alla  vasca  al  di  sopra  di  essa,  non  si  potè  vedere  se  anche  questa  avesse, 
come  l'altra,  delle  nicchie  con  statue  ;  e  non  essendosi  estesa  l'esplorazione  dietro  le 
spalle  della  vasca,  non  può  dirsi  se  ivi  si  avesse  la  stufa  per  il  riscaldaniente,  o  se 
anche  questa  piscina,  come  l'opposta,  fosse  alimentata  dall'acqua  fredda. 

La  disposizione  di  questa  sala,  con  due  vasche  balnearie  nei  lati  opposti,  ri- 
chiama quella  dei  calidarii  delle  Terme  stabiane  e  delle  Piccole  terme  di  Pompei  (')  ; 
analogie  ancora  più  forti  che  con  queste  terme  pompeiane  e  con  quelle  di  Badenweiler, 
noi  ravvisiamo  con  alcuni  degli  edifici  termali    dell'Africa  settentrionale.  Così  nelle 

(')  Baumeister,  Denkmàler,  pag.  1760,  flgg.  1850,  1851. 


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CAGLIARI  —    140    —  SARDINIA 

terme  grandi  di  Cherchell  (')  abbiamo  un  calidarium  rettangolare  con  abside  ;  nelle 
terme  meridionali  di  Timgad  (')  un  calidarium  con  due  piscine,  una  delle  quali 
semicircolare  ;  anche  nelle  piccole  terme  della  stessa  città  (')  trovansi  due  vasche  nel 
calidarium.  Ma  la  struttura  e  la  disposizione  di  questa  sala  termale  caralitana,  pure 
avvicinandosi  a  quella  dei  calidarii  di  altre  terme  conosciute,  se  ne  discosta  alquanto, 
massime  per  l'assenza  delle  suspensurae  e  per  la  probabile  mancanza  della  copertura 
della  parte  centrale,  cosicché  in  questi  avanzi  noi  potremo  forse  vedere  il  bagno  di 
un'abitazione  privata  anziché  un  pubblico  stabilimento  termale,  per  quanto  però  la 
dimensione  della  sala  e  delle  vasche,  la  ricchezza  della  decorazione,  non  disdicano  ad 
una  terma  di  un  quartiere  cittadino  alquanto  eccentrico,  essendo  di  poco  inferiore  a 
quelle  del  calidarium  delle  piccole  terme  di  Timgad,  con  cui  si  notano,  come  già 
dissi,  notevoli  analogie  per  la  forma  e  la  decorazione.  L'ipotesi  che  si  tratti  di  una 
dimora  privata  può  essere  confortata  dai  resti  delle  dimore  di  età  romana  trovati  a 
Cagliari  stessa  a  Campo  Viale  (*),  i  quali  stanno  ancora  a  provare  che  gli  edifici 
privati  caralitani  erano  riccamente  costrutti  e  decorati. 

Ad  occidente  di  questa  maggiore  sala,  si  poterono  constatare  i  resti  di  altri  cubi- 
coli, distrutti  però  sino  alle  fondazioni,  con  traccio  di  pavimenti  in  mosaico  poli- 
cromo a  disegno  geometrico  ;  questi  cubicoli  apparivano  disposti  lungo  la  parete  occi- 
dentale dell'ambiente  maggiore  e  potevano  essere  o  spogliatoi,  ayodyteria.  o  camere 
da  bagni  singolari.  Pure  ad  occidente  della  sala  si  rinvenne  un'ampia  cisterna 
d'acqua,  larga  m.  3  X  2,50  ed  alta  m.  4  e  tuttora  coperta  da  vòlta  a  botte,  dalle 
pareti  e  dalla  vòlta  intonacate  da  un  rivestimento  tanto  accuratamente  eseguito  che 
tuttora  trattiene  l'acqua.  All'angolo  nord  ovest  è  la  incassatura  o  pozzetto  sporgente 
fuori  dall'orlo  della  cisterna,  pur  esso  intonacato  e  che  serviva  per  attingere  o  ad- 
durre l'acqua  piovana  per  opportuna  riserva  a  quella  dell'acquedotto,  in  caso  di 
guasti  0  di  scarso  deflusso  da  questo. 

Ma  la  maggiore  importanza  di  questo  edificio  viene  data  dal  grande  pavimento 
in  mosaico  della  sala  maggiore  che,  per  quanto  rovinato  dai  cattivi  restauri  fatti  nel 
corso  dell'età  romana,  in  periodo  di  minore  agiatezza  e  di  minor  gusto  artistico  dei 
proprietari,  e  sconvolto  poi  dalla  rovina  dell'edificio  e  da  parziali  scavi  che  lo  misero 
qua  e  là  allo  scoperto,  è  pur  sempre  un  notevole  esemplare  della  tecnica  musiva 
dell'età  imperiale. 

Il  mosaico  in  origine  occupava  tutta  la  vasta  sala,  lasciando  libero  il  pozzetto 
del  centro.  È  a  tasselli  marmorei  policromi  abbastanza  regolari,  ai  quali  si  mescolano 
in  qualche  tratto  dei  tasselli  di  pasta  vitrea  azzurra  :  in  qualche  punto  si  vedono  dei 
restauri  fatti  a  mosaico  negligente,  nei  quali  il  disegno  è  stato  male  ripreso,  o  sosti- 
tuito dal  mosaico  monocromo,   in  alcuni  punti  da  lastre  di  marmo.  Taluni  tratti  del 


(')  Gsell,  Monument»  de  VA/rique,  I,  pag.  213,  flg.  67. 
(")  Ivi,  pag,  220,  flg.  70. 

{')  Ivi,  pag.  225,  flg.  71.  Anche  altre  terme  provinciali,  come  quelle  di  Aosta,  sono  costrutte 
con  queste  disposizioni  di  pianta:  sale  rettangolari  con  absidi  ad  una  estremità  o  anche  all'altra. 
(♦)  Notizie  degli  scavi  1880,  serie  8*,  voi.  V,  pag.  353  e  serie  3*  voi.  VI,  pag.  206. 


SARDINIA 


—   141   — 


CAGLIARI 


disegno  furono  anche  sostituiti  da  zeppe   di  marmo  che  si  avvicinano  alquanto  per 
il  colore  alla  massa  del  mosaico  mancante. 

L'originario  disegno  del  mosaico,  organicamente  concepito  (fig.  1),  è  compreso  e  le- 
gato da  una  larga  fascia  ad  intreccio  di  losanghe  policrome,  racchiusa  da  una  fascia  a 
dentelli,  la  quale  in  origine  girava  su  tutti  e  quattro  i  lati,  ma  era  stata  rotta  e 
sostituita  nel  lato  orientale  da  un  lastricato  marmoreo  ed  a  grossi  mattoni,  da  lastre 
di  marmo  bianco  e  di  bardiglio  e  da  zone  di  mosaico  bianco  nella  parte  meridionale. 


Fio.  2. 


Dall'ampia  fascia  perimetrale  partivano  le  fascio  pure  ad  intreccio  di  losanghe 
policrome  di  minore  larghezza,  che  allacciano  e  distinguono  i  vari  scomparti  rettan- 
golari, nei  quali  si  alternano  i  motivi  decorativi  e  le  piccole  scene  figurate  in  mo- 
saico policromo.  Al  centro  del  mosaico  gli  scomparti  rettangolari  sono  interrotti  da 
un'ampia  fascia  circolare,  dello  stesso  motivo  decorativo  ad  intreccio,  la  quale  gira 
attorno  alla  bocca  del  pozzetto  che  è  limitata  da  un  largo  orlo  di  marmo  bianco.  La 
fascia  circolare  è  racchiusa  in  un  quadrato  di  dentelli,  e  gli  angoli  tra  questo  e  la 
suddetta  fascia  sono  riempiti  da  un  elegante  fiorame  stilizzato.  Àgli  angoli  del  qua- 
drato centrale  la  fascia  ad  intreccio  lascia  luogo  ad  otto  rettangoli  in  marmo  alter- 
nativamente rosso-brecciato  e  verde. 

Il  mosaico  risulta  così  diviso  in  venticinque  scomparti  rettangolari  (fig.  1  e  2)  com- 
preso quello  centrale  con  la  rosa  al  centro;  in  questi  scomparti,  ottenuti  dalla  fascia  ad 

Notizie  Scavi  1909  —  VoL  VL  19 


CASLIARI 


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SARDINIA 


intreccio  e  circondati  da  una  corniciatura  a  dentelli  bianchi,  sono  distribuiti  i  motivi 
floreali  stilizzati  e  quelli  a  figure:  ma  una  certa  libertà  domina  in  questa  composi- 
zione, pure  schematicamente  serrata  nella  maglia  dell'intreccio  decorativo,  cosicché  il 
mosaico  sembra  quasi  imitare  un  grande  tappeto  diviso  in  scomparti  e  fasciato  da  una 
zona  decorativa,  gettato  sul  pavimento  dell'ampia  sala. 

Le  scene  figurate  sono  disposte  parallelamente  al  lato  della  sala  che  era  più 
prossimo,  in  modo  che  fossero  vedute  da  chi  stava  lungo  le  pareti  o  seduto  sull'orlo 
delle  due  vasche. 


Fio.  3. 


Mi  riferisco  per  la  descrizione  del  mosaico  allo  schizzo  schematico  di  pianta  ed 
alle  varie  fotografìe  della  sala  e  dei  particolari  rilevate  dal  sig.  Nissardi. 

Nel  lato  settentrionale  sono  ben  conservate  la  fascia  di  mosaico  a  losanghe  poli- 
crome e  la  cornice  a  dentelli  neri  e  bianchi  su  fondo  cromo. 

Nella  prima  serie  di  scomparti,  prossima  alla  parete  settentrionale  della  sala, 
abbiamo  i  seguenti  motivi,  cominciando  dalla  sinistra  : 

1.  Una  rosetta  a  quattro  foglie  lobate  e  quattro  nodi  floreali  eleganti  su  fondo 
bianco  (fig.  3). 

2.  In  questo  scomparto,  parzialmente  guasto,  è  rappresentato  un  cervo  marino, 
vdlto  verso  sinistra,  natante  sul  mare  ;  è  chiara  la  testa  con  le  corna  ramificate,  ed 


SARDINIA  143    —  CAGLIARI 

i  solchi  azzurri  delle  onde  spiccano  sul  fondo  bianco;  questa  figura  mostruosa  del 
cervo  marino  è  abbastanza  frequente  fra  le  divinità  marine  e  la  troviamo  anche  nel 
sarcofago  delle  Nereidi,  con  la  coda  ritorta  e  finiente  in  pinna  trifida  come  altri 
mostri  marini  (').  La  figura  del  cervo  marino  ha  il  capo  eretto  e  tratto  indietro,  sicché 
nella  parte  guasta  del  mosaico  si  deve  supporre  una  figura,  probabilmente  di  erote, 
che  lo  guidava. 

3.  Nello  scomparto  che  segue  è  una  figurina  di  erote  sopra  delfini  natanti; 
con  la  mano  sinistra  trattiene  le  redini,  agitando  con  la  destra  la  souiica. 

4.  Nel  quarto  scomparto,  parzialmente  guasto,  è  raffigurata  una  nereide  seduta 
su  di  un  mostro,  volto  a  destra,  dalla  coda  ritorta  e  finiente  in  pinna  trifida.  Del 
mostro  è  guasto  il  capo  ;  non  possiamo  perciò  conoscere  se  fosse  un  toro  marino,  o 
un  drago.  La  nereide  ha  il  busto  ignudo  ed  un  velo  attorno  ai  fianchi  ;  leva  il  braccio 
sinistro  appoggiandosi  al  mostro  colla  destra.  Le  onde  del  mare  sono  rappresentate 
da  solchi  azzurri. 

5.  Anche  lo  scomparto  seguente  è  in  parte  guasto.  Rappresenta  un  erote  alato 
sopra  un  defino,  volto  a  destra:  con  le  due  mani  l'erote  tira  le  briglie  ed  il  delfino 
solleva  il  capo  fuori  dell'acqua;  delle  due  figure  però  non  rimangono  che  le  teste  e 
le  ali  dell'erote  variopinte  ed  aperte. 

6.  Anche  alla  estremità  occidentale  di  questa  seconda  serie  di  scomparti  se 
ne  ha  uno  a  disegno  decorativo,  con  una  rosetta  a  quattro  foglie,  con  bocciuoli .  flo- 
reali, analogo,  ma  non  simile,  a  quelli  della  prima  serie. 

7.  Anche  differente,  per  quanto  analoga,  è  la  rosetta  dello  scomparto  che  se- 
gue, molto  guasto  da  una  lacuna  che  danneggia  anche  gli  scomparti  successivi. 

8.  Di  questo  non  rimane  che  la  traccia  di  un  serpente  o  drago  marino,  su 
cui  era  una  figura  di  erote,  ora  completamente  scomparsa. 

9.  Anche  di  questa  scena  rimane  la  traccia  di  un  erote,  esso  pure  sopra  un 
delfino,  con  na  tridente  sollevato  nella  mano. 

10.  L'ultima  figura  di  questa  serie  di  scomparti  è  un  mostro  marino  angui- 
forme, di  cui  non  rimane  che  la  coda;  sopra  di  essa  stava  una  figurina  di  erote, 
quasi  completamente  guasta,  che  sostiene  un'ancora  sopra  le  spalle. 

11.  Nel  primo  scomparto  a  sinistra  di  questo  terzo  filare,  la  scena  è  rivolta, 
come  si  notò  sopra,  verso  l'attigua  parete.  Rappresenta  un  erote  alato,  in  piedi  sopra 
un  delfino  natante  verso  sinistra,  e  trattenendo  con  le  due  mani  le  redini;  una  leg- 
giera clamide  svolazza  dietro  le  spalle  dell'erote.  Anche  in  questo  scomparto  ben 
conservato,  tranne  il  capo  del  delfino,  è  notevole  la  libertà  con  cui  sono  trattate  la 
pastosa  morbidità  delle  carni,  le  svelte  movenze  dell'erote. 

12.  Ornato  cruciforme  a  quattro  foglie  tramezzate  da  gemme  floreali  stilizzate, 
analogo  a  quello  dello  scomparto  1.  Lo  seomparto  centrale  (25)  della  sala  è 
formato,  come  notammo,  da  un  quadrato  composto  da  una  fascia  a  dentelli,  la  quale 
racchiude  una  fascia  circolare  del  consueto  intreccio  circondante  la  bocca  dell'm- 
pluvium,  rivestita  da  marmo  bianco  ;  nei  quattro  angoli  tra   la  fascia  circolare  e  la 

(')  Baumeister,  Denkmàler,  flg.  1216,  da  Clarac,  Mutée  de  tculpture.  tav.  208,  195. 


CAGLIARI 


—   144  — 


SARDINIA 


cornice  quadrata  sono  srolazzi   floreali  dello  stesso  carattere  della  decorazione  delle 
rosette. 

13,  14.  I  due  scomparti  a  destra  della  rosa  centrale  sono  quasi  completamente 
scomparsi  ;  solo  dell'estrema  scena  si  vede  una  parte  di  una  figurina  di  erote, 
sopra  un  mostro  dalla  coda  trifida,  che  viene  colpito  dall'erote  con  la  estremità  delie 
redini.  Il  guasto  del  mosaico  si  estende  alla  testa  del  mostro,  ed  a  parte  della  faccia 
e  del  corpo  dell 'erote. 


15.  Nel  primo  scomparto  della  serie  seguente,  quasi  perfettamente  con- 
servato, è  raffigurato  un  centauro  marino,  ix^voxs'vravQog,  diretto  verso  la  sinistra, 
dalla  testa  virile,  dai  capelli  e  dalla  barba  fluenti  ed  azzurri.  Ha  il  busto  e  le  braccia 
umane  ;  ma  al  busto  si  innesta  il  coi-po  del  cavallo  di  cui  si  veggono  le  zampe  battere 
il  mare.  La  coda  termina,  come  quella  degli  altri  mostri,  ritorta  e  munita  di  larga 
pinna  trifida. 

Il  mostro  marino,  che  pare  stia  cantando  a  bocca  aperta,  porta  sulle  spalle 
un'ancora  a  due  punte,  di  cui  una  trattiene  con  la  destra  (fig.  4).  È  questa  la  figura 
più  ben  trattata  fra  tutte,  sia  per  la  modellatura  che  per  la  verità  delle  tinte.  Questa 
figura  di  centauro   marino,    derivazione  da  quella  del    trìtone  ('),  è  abbastanza  fre- 


(•)  Baumeister,  Denkmàler:  Triton,  pag.  1863,  fig.  1264. 


SARDINIA  —    145    —  CAGLIARI 

quente  nel  tiaso  posidonio,  ed  ha  tratti  simili  a  quelli  dell'Oceano  o  di  Nereo,  ma 
ricorda,  specialmente  per  le  chiome  e  la  barba  azzurre,  Portumnus,  caerulis  barbis 
hispidus  (ApuL,  Melam.,  IV,  31);  non  è  rara  nei  mosaici  e  nelle  pitture  murali  pom- 
peiane, e  nelle  scene  di  divinità  marine  (')• 

16.  Segue  uno  scomparto  con  maldestro  restauro  antico,  ornato  da  un  piccolo 
rosoncino  a  quattro  volute. 

17.  Anche  neirattiguo  scomparto  è  un  fiore  a  quattro  grandi  foglie,  terminate 
da  un  duplice  svolazzo,  con  una  doppia  voluta  nell'intervallo  tra  le  foglie  maggiori. 

18.  Questo  scomparto,  assai  guasto,  conteneva  una  scena  rappresentante  un 
erote  in  piedi,  sopra  un  delfino;  ma  non  sono  più  visibili  che  pochi  resti  del 
braccio  alzato,  che  trattiene  le  redini  e  del  mantello  svolazzante  attorno  alla  figu- 
rina dell' erote. 

19.  L'ultimo  scomparto  di  questa  serie,  pure  guasto,  lascia  scorgere  la  coda 
ritorta  e  trifida  di  un  mostro,  forse  dal  tipo  di  centauro,  di  cui  non  vedesi  che  la 
sommità  del  capo,  dalla  fronte  sormontata  da  corna  a  chele  di  granchio;  il  mostro, 
diretto  a  sinistra,  si  rivolge  indietro,  sonando  uno  strumento  a  due  grosse  canne 
diritte,  una  specie  di  grossa  tibia  marina,  di  proporzioni  assai  più  grandi  che  le  tibie 
consuete  e  simile  piuttosto  ad  una  tuba. 

L'ultima  serie  di  scomparti  ne  comprende  parimenti  cinque,  di  cui  i  due  estremi 
sono  guasti  per  una  buona  metà.  ' 

20.  Lo  scomparto  all'estremità  a  sinistra  serba  traccia  di  una  piccola  rosetta 
a  quattro  foglie. 

21.  Quello  che  segue  ha  pure  una  rosa  a  quattro  foglie  in  croce,  simile  a 
quella  dello  scomparto  17. 

22.  In  questo  riquadro  si  rappresenta  un  delfino,  dalle  grandi  pinne,  che  nuota 
verso  destra  fra  le  onde  azzurre;  sopra  di  esso,  con  un  ginocchio  piegato  e  posato 
sul  dorso  e  l'altra  gamba  diritta  posata  sulla  coda  sta  un  erote,  in  posa  svelta  e 
leggiadra,  che  trattiene  con  la  sinistra  le  redini  e  con  la  destra  afferra  una  ciocca 
del  suo  manto  svolazzante  per  sferzare  il  suo  marino  corsiero. 

23.  Sopra  un  toro  marino  che  batte  l'onda  con  le  sue  esili  gambe,  colla  testa 
volta  verso  sinistra,  è  una  figura  seduta  di  divinità  femminile  dal  capo  adorno  da  una 
Stefano,  dal  busto  nudo,  dietro  cui  è  un  velo  ampiamente  svolazzante  ;  alza  il  braccio 
sinistro  portando  uno  specchio  all'altezza  del  volto,  con  mossa  aggraziata.  In  questa 
figura  noi  potremmo  scorgere  Afrodite  nel  suo  aspetto  di  Thalassia,  ricordando  la 
figura  della  divinità  che  scende  all'Oceano  accompagnata  dalla  sua  schiera  di  divinità 
marine  (talis  ad  Oceanum  pergenlem  Venerem  comitatur  exercilus.  Apul.,  Me- 
tani., IV,  31).  Fa  però  difficoltà  il  fatto  che  questa  figura  si  trova  in  uno  scomparto 
simile  a  quelli  delle  altre,  non  distinto  dalla  posizione  centrale,  né  da  maggiori 
dimensioni,  così  che  meglio  possiamo  chiamare  questa  figura  una  Nereide,  che  riflette 
nel  suo  aspetto  e  nelle  sue  movenze,  come  nella  posa,  l'aspetto  della  divinità  a  cui 
si  accompagna.  Il  guasto  del  mosaico  sul  dorso  è  riparato  con  un  tassello  di  marmo 
azzurro. 

(')  Baumeister  op.  cit.,  Meergòtter,  pag.  911,  fìg.  967. 


CAGLIARI 


I 


—  146  — 


SARDINIA 


24.  L'ultimo  scomparto,  guasto  per  la  caduta  di  un  grande  masso  di  muratura 
dall'attigua  parete,  rappresenta  un  erote  sopra  un  delfino,  vólto  a  sinistra;  una  mano 
è  appoggiata  al  dorso,  l'altra  alzata  con  mossa  vivace  (fig.  5). 

Dai  resti  di  questa  notevole  opera  musiva  noi  ne  dobbiamo  segnalare  anzitutto 
il  carattere  provinciale.  È  evidente  nell'artista  una  maggiore  perizia  nel  trattare  la 
parte  decorativa  che  la  figurata;  non  manca  però  di  un  vigore  impressionista  nella 
cura  di  colpire  l'occhio  con  la  sveltezza  delle  mosse,  con  la  plasticità  della  musco- 


Fio.  5. 


latura:  ma  riesce  talora  trascurato  nei  particolari  e  debole  nel  disegno,  mostrando 
una  ineguaglianza  che  in  certe  figure  tocca  la  scorrettezza,  mentre  in  altre  raggiunge 
un  effetto  di  grazia  e  di  morbidezza. 

È  arduo  determinare  il  carattere  stilistico  del  mosaico  e  precisarne  l'età; 
pure  per  le  analogie  con  alcuni  mosaici  dell'Africa  settentrionale,  tanto  per  il  tratta- 
mento delle  figure,  che  per  la  parte  decorativa,  noi  potremo  riferirlo  al  II  secolo 
d.  Cr.,  epoca  in  cui  largamente  si  diffusero  i  mosaici  figurati  nell'occidente  del  Me- 
diterraneo; potremmo  anzi  trovare  vari  confronti  per  la  scelta  delle  scene  e  per  la 
tecnica,  con  alcuni  mosaici  delle  città  africane,  che  giustamente  furono  dette  il  paese 
classico  del  mosaico  ('). 

C)  Babélon,  Gaiette  archéologique,  1885,  pa?.  99,  tavv,  13,  14;  Delamare,  Monumenti  de 
^Algerie. 


SARDINIA  —    147   —  CAGLIARI 

Noi  vorremmo  vedere  un  nesso  tra  il  soggetto  del  mosaico  a  figure  di  divinità 
marine  e  la  località  della  città  sulle  sponde  del  golfo  ;  ma  dobbiamo  notare  che  tali 
divinità  marine  sono  un  motivo  assai  consueto  nei  mosaici  di  ogni  paese.  Nereidi  e 
delfini,  tritoni  ed  eroti  folleggiano  dovunque  nei  mosaici  di  città  e  di  ville  marine 
e  di  regioni  interne  ;  forse  più  che  con  l'ambiente  marinaro  dobbiamo  vedere  la  re- 
lazione con  lo  scopo  balneare  e  col  carattere  dell'edificio  a  cui  il  mosaico  faceva  da 
pavimento. 

Per  il  carattere  stilistico  della  figura  noi  abbiamo  un  rapporto  col  mosaico  di 
Orfeo,  trovato  in  borgo  di  s.  Avendrace,  ora  nel  museo  di  Torino  (')  ;  per  la  deco- 
razione noi  vediamo  gli  stessi  motivi  che  dominano  nel  ricordato  triclinio  della  casa 
romana  scoperta  a  Campo  Viale,  nella  stessa  Cagliari;  cosicché  dovremo  pensare  ad  artisti 
contemporanei,  della  stessa  scuola,  che  lavoravano  con  identici  modelli  e  con  identica 
maniera. 

Prima  di  chiudere  la  mia  de.scrizione  dell'edificio,  debbo  esprimere  una  parola 
di  plauso  all'egregio  cittadino  cav.  G.  B.  Kavenna,  che  volle  mettere  in  luce  un  no- 
tevole avanzo  del  fasto  e  della  ricchezza  dell'antica  città,  ai  tempi  del  più  bel  fiore 
dell'impero  romano;  e  mi  è  grato  aggiungere  un  augurio:  che  i  lavori  di  scavo  pos- 
sano estendersi  e  proseguire  con  altri  favorevoli  risultati  e  si  possa  provvedere  in 
pari  tempo  con  opportune  opere  tutorie  a  conservare  la  maggior  parte  possibile  di 
questi  nobilissimi  avanzi  (*). 

*«4         A.  Taramelli. 

(')  Spano,  Bullettino  archeol.  sardo,  TV,  pag.  137;  Tarin,  Atti  Accad.  scienze  di  Torino, 
volumi  X-XI,  101. 

C)  Non  è  facile  determinare  l'epoca  in  cui  l'edificio  andò  distrutto  ;  lo  strato  di  macerie  che 
ricopre  i  ruderi  ha  traccie  di  incendio;  ma  la  spogliazione  dei  rivestimenti  farebhe  supporre 
che  l'edificio,  prima  di  essere  incendiato,  fosse  già  stato  manomesso.  Verso  il  secolo  V  di  Cr.  la 
distruzione  dev'essere  già  stata  compiuta,  perchè  nel  materiale  di  riempimento  si  ebbero  monete  di 
Valentiniano  e  di  Arcadio,  e  varie  lampade  cristiane,  col  simbolo  della  croce,  forse  residui  di  mo- 
deste sepolture  scavate  sulle  rovine  del  fastoso  edificio  balneare. 


Roma,  18  aprile  1909. 


REGIONE   X.  —   149  —  ESTE 


Anno  1909  —  Fascicolo  5. 


Regione   X   (VENETI A). 

I.  ESTE  —  Nuove  esploradoni  nella  necropoli  settenlrionale  atestitm. 
Scoperta  di  un  sepolcreto  preromano  nel  predio  Alfonsi. 

Il  15  gennaio  1907,  nel  cortile  della  casa  Alfonsi,  in  via  s.  Stefano,  al  civico 
n.  47,  praticandosi  dei  lavori  per  la  piantagione  di  ortaglie,  si  misero  in  luce  due 
tombe  arcaiche.  Una  di  queste  era  notevole  per  la  sua  forma  pentagonale  e  per  la 
sua  costruzione  a  rozze  lastre  trachitiche.  Racchiudeva  un  ossuario  di  argilla  nera  a 
forma  di  tronco  di  cono  rovescio,  chiuso  alla  bocca  con  ciotola,  dentro  al  quale,  fra 
le  ossa  combuste,  stavano  una  fibula  ad  arco  semplice  ed  un  ago  crinale  di  bronzo. 

Il  terreno  in  cui  avvenne  la  scoperta  confina  a  levante  ed  a  mezzogiorno  con  fondi 
di  proprietà  della  Pia  Casa  di  Ricovero,  e  a  ponente  col  brolo  Muletti-Prosdocimi  ('); 
nelle  quali  località,  negli  anni  1886-87,  si  scoprirono  interessanti  gruppi  di  tombe 
preromane. 

In  seguito  alla  casuale  scoperta,  il  R.  Sopraintendente  ai  Musei  ed  agli  Scavi 
del  Veneto,  prof.  Gherardo  Ghirardini,  istituiti  opportuni  accordi  col  proprietario  del 
fondo,  otteneva  dal  Ministero  l'autorizzazione  di  intraprendere  uno  scavo  regolare. 

Per  varie  circostanze,  cioè  muri  di  confine,  un  pozzo  costruito  nel  centro  del 
terreno  e  per  dover  rispettare  piante  da  frutto,  le  trincee  risultarono  strette,  per  cui 
la  topografia  dello  scavo  riusci  di  scarso  interesse.  Però  anche  qui  si  riscontrarono, 
a  brevi  tratti,  i  recinti  sepolcrali  dei  singoli  gruppi  di  tombe,  e  la  stratificazione  in 
costante  rapporto  con  la  cronologia  delle  tombe  stesse. 

Erano  rappresentati  i  vari  sistemi  di  seppellimento  :  tombe  a  cassetta,  un  grande 
vaso- tomba  e  deposizioni  di  suppellettile  in  semplice  buca. 

(')  A.  Alfonsi,  Noi.  d.  scavi,  1907,  fase.  4»,  pag.  135  sg.  ;  Soavi  nella  necropoli  del  Nord,  flg.  1. 
Nonni  SoATi  1909  —  Voi.  VI.  20 


É3TE 


—  150  — 


RBaiONB   X. 


Le  tombe  scoperte  ascendono  a  trenta.  Alcune  sono  di  poco  conto,  perchè  molto 


Fio.  1. 


guaste,  ma  per  oltre  la  metà  invece  presentano  peculiare  interesse,  per  il  loro  stat« 
di  conservazione  e  per  la  ricca  suppellettile  che  vi  si  rinvenne. 


Fio.  2. 


Soltanto  tre  dì  queste  si  possono  ascrivere  al  II  periodo  arcaico;  cinque  ci  ri- 
portano al  II  periodo  puro,  e  le  rimanenti  al  III. 


REGIONE   X. 


—    151    — 


E8TS 


Del  IV  periodo,  che  è  sempre  il  più  superficiale,  e  perciò  maggiormente  esposto  ai 


JbìG.   3. 


guasti  e  alle  manomissioni,  si  sterrarono  soltanto  i  resti  di  una  grande  tomba  senza 
suppellettile. 


FiG.  4. 


Una  tomba  soltanto  appartiene  all'età  romana.  Conteneva,  pochi  oggetti  così 
distinti:  vasetto  di  argilla  rossastra,  lucernetta  fittile  col  bollo  CAMPILI,  piccolo 
vasetto  di  piombo,  unguentario  di  avorio  tornito  e  un  medio  bronzo  molto  trito, 
forse  di  Adriano. 


ESTB 


—  152  — 


KEaiONB  X. 


La  profondità  alla  quale  giacevano  le  tombe,  dall'attuale  soprassuolo,  è  quasi 
sempre  costante  per  i  singoli  periodi;  per  cui  con  piccole  varianti  le  tombe  del  II 
periodo  arcaico  stavano  a  m.  3,50,  quelle  del  periodo  II  intorno  ai  3  metri,  e  quelle  del 
III  a  m.  2,50.  La  tomba  romana  era  invece  a  m.  1,30. 

Da  questo  gruppo  di  tombe  sceglierò  quelle  che  per  caratteri  speciali  riescono 
più  interessanti,  descrivendole  secondo  i  periodi  ai  quali  appartengono. 

Tomba  n.  6.  Del  II  periodo  arcaico.  Essa  si  rinvenne  in  semplice  buca,  alla  pro- 
fondità di  m.  3,65.  Era  costituita  da  un  elegante  ossuario  fittile  (fig.  1)  a  due  tronchi 


Fio.  5. 


di  cono  opposti,  l'inferiore  molto  depresso,  il  superiore  molto  allungato,  rigonfio  al 
ventre  e  con  strozzatura  nel  punto  dove  s  innalza  il  tronco  di  cono  superiore.  Ha  bocca 
stretta  con  orlo  espanso,  e  piede  rilevato;  sulla  maggiore  rigonfiatura  del  ventre 
s'imposta  un'ansa  a  fettuccia,  piegata  a  stretta  curva,  sormontata  da  due  appendici 
0  cornetti,  percorsa  lungo  la  sua  linea  mediana  da  una  leggera  costola.  La  corrispon- 
dente ansa,  dall'altra  parte  del  vaso,  è  mancante,  e  la  frattura,  al  punto  di  attacco, 
è  di  antica  data.  Nello  spazio  intercluso  fra  le  due  anse,  e  precisamente  sulla  perife- 
ria massima  del  vaso,  sono  distribuite,  ad  eguale  distanza  fra  loro,  sei  bugnette,  tre 
per  parte.  Era  chiuso  alla  bocca  con  una  ciotola-coperchio,  e  un'altra  ciotola  di  gros- 
solana fattura  era  accanto  all'ossuario. 

La  tecnica  e  l'impasto  di  argilla  nericcia  sono  rozzi;  però  le  linee  generali 
danno  un  complesso  armonico  ed  elegante. 

Fra  le  ossa  combuste  si  trovarono:  una  fìbula  di  bronzo  ad  arco  semplice,  tre 
frammenti  di  verghetta  cilindrica  di  bronzo,  forse  resti  dì  un  ago  crinale,  e  una  ^• 
saiola  fìttile. 


BESIONB  X.  —   153   —  BSTE 

Tomba  n.  8  del  III  periodo,  alla  profondità  di  m.  2,30.  Era  costituita  da  un 
grande  vaso-tomba,  chiuso  alla  bocca  con  una  lastra  di  calcare.  Misura  in  altezza 
mm.  480;  ha  forma  allungata  ed  è  ornato  da  cinque  cordoni  che  intercludono  sei 
larghe  zone;  verso  la  bocca  si  restringe,  ed  ha  labbro  breve  e  sporgente  in  fuori. 
Conteneva  un  ossuario  di  rozza  fattura  a  forma  di  tronco  di  cono  rovescio,  tipo  comune 
nelle  tombe  del  IH  periodo.  Fra  le  ossa  combuste  si  scoprì  una  grande  aimilla  di 
bronzo  del  diametro  interno  di  mm.  87.  È  formata  con  una  verga  cilindrica,  termi- 
nante alle  estremità  con  due  ingrossamenti  e  con  una  serie  di  lineette  incise.  Tali  estre- 
mità si  sovrappongono,  dando  così  all'armilla  la  voluta  elasticità. 

Tomba  n.  15  del  III  periodo,  alla  profondità  di  m.  2,60,  formata  da  alcuni  vasi 
accessori  e  da  un  ossuario,  collocato  sotto  una  sfaldatura  di  calcare,  rotto  in  più  pezzi, 
ora  perfettamente  ricomposto. 

Questo  vaso  (figg.  2,  3,  4,  5),  alto  mm,  280,  con  il  maggiore  diametro  di  mm.  300 
e  largo  alla  bocca  mm.  150,  forma  il  vero  cimelio  della  raccolta.  È  foggiato  a  guisa 
di  olla  panciuta  con  piccolo  piede  rilevato,  bocca  stretta,  orlo  breve  arrovesciato  e 
larga  spalla,  dipinto  interamente  a  grafite.  In  questo  fondo  nero  sono  incise,  con 
una  punta  smussata,  undici  figure  di  animali,  tre  di  guerrieri  e  due  di  lottatori,  di- 
pinte a  rosso  con  ocra. 

L'artefice  che  eseguì  queste  rappresentazioni  mostrò  grande  imperizia  nel  trat- 
tare il  disegno.  I  tre  guerrieri  occupano  due  terzi  dell'altezza  del  vaso,  ed  appariscono 
a  distanze  eguali  ;  iu  mezzo  e  sulla  spalla  sono  disposti  gli  animali  e  i  due  lot- 
tatori. 

I  guerrieri  veggonsi  riprodotti  tutti  tre  nello  stesso  atteggiamento  e  nello  stesso 
costume.  Dove  si  manifesta  specialmente  la  ignoranza  dell'arte  è  nella  rappresentazione 
della  testa,  segnata  di  profilo.  Infatti  tre  sgraffi,  pressoché  triangolari,  posti  alla  stessa 
altezza,  indicano  forse  un  dettaglio  del  copricapo  ;  un  terzo  sgraffio,  più  sotto,  l'orecchio  ; 
però  in  una  delle  figure  questo  manca.  Ciascuna  delle  citate  figure  porta  un  elmo 
crestato,  espresso  da  una  linea  arcuata  a  zig-zag  con  un  prolungamento  posteriore  ;  e 
alla  parte  anteriore  veggonsi  due  linee  curve  che  suppongo  rappresentino  la  tubaj  la 
quale,  in  luogo  di  essere  appoggiata  alle  labbra,  dal  nostro  artefice  imperito,  che  forse 
copiava  tale  soggetto  da  qualche  situla  enea,  non  comprendendone  l'uso,  veniva  unita 
quale  ornamento  all'elmo. 

II  corpo  di  ciascun  guerriero  è  interamente  coperto  da  un  grande  scudo  circolare, 
ornato  verso  la  periferia  da  due  linee  concentriche,  entro  le  quali  sono  disposti  cinque 
raggi  ad  elica.  Uno  scudo  simile  è  inciso  con  una  figura  di  guerriero,  sulla  guaina 
di  bronzo  di  un  pugnale,  scoperto  in  una  tomba  del  sepolcreto  Franchini  (^). 

Sporgono  sotto  allo  scudo  le  gambe  atteggiate  al  passo  ;  e  al  lato  sinistro,  in  alto 
spunta  un'ascia  rettangolare,  infilata  ad  un  manico  ;  e  più  sotto  le  punte  di  due  gia- 
vellotti; e  in  corrispondenza  a  queste,  dall'altro  lato,  i  puntali  arrotondati  delle  aste 
alle  quali  i  giavellotti  stessi  sono  fissati. 


(')  A.  Prosdocimi,  Notùie  degli  scavi,  1882,  tav.  VI,  fig.  20. 


E8TB 


—  154   — 


RBaiONE   Z. 


Tali  guerrieri  così  armati  ricordano  quelli  incisi  su  lamine  di  bronzo,  scopei-te 
nella  stipe  votiva  del  tempio  Baratela  in  Este  ('). 

I  due  lottatori,  rappresentati  sulla  spalla  del  vaso,  sono  segnati  colla  più  semplice 
espressione  schematica  della  figura  umana.  Infatti  una  massa  comprende  testa,  petto 
e  ventre;  due  appendici  rappiesentano  le  gambe  e  una  terza  il  braccio,  in  modo  che 
risulta  un  disegno  imperfettissimo,  ma  tale  da  lasciar  capire  che  l'artefice  ha  voluto 


FiG.  6. 


senza  dubbio  esprimere  la  nota  scena  di  lotta,  derivata  da  un  tipo  comune  nelle 
situle  della  villa  Benvenuti,  del  predio  Arnoaldi,  di  Watsch,  in  uno  dei  frammenti 
di  Matrai  e  in  un  frammento  tìttile  a  bassorilievo  di  Este. 

Le  figure  degli  animali,  disposte  sulla  spalla  del  vaso,  partendo  dalla  destra  dei 
lottatori,  sono  un  cavallo,  due  cani,  un  animale  tozzo  che  non  saprei  precisare,  e 
un  altro  cavallo. 

Nelle  due  serie  degli  animali  interposti  fra  i  guerrieri  vedesi  la  figura  di  un  cervo, 
trattata  abbastanza  bene,  mentre  le  altre  figure,  pressoché  eguali  a  quelle  della  spalla 
del  vaso,  sono  sempre  goffamente  espresse,  tanto  da  non  potersi  affermare  la  specie  alla 
quale  appartengono. 


O  G.  Ghirardini,  Notisie  degli  scavi,  1888,  tav.  IX,  figg.  2  a  6. 


REaiONB    X. 


—  165  — 


BSTE 


Questo  ossuario,  unico  nelle  raccolte  atestine,  se  si  eccettui  un  frammento  dì 
vaso  di  terra  fina  rossastra  con  resti  di  figura  di  un  cavallo  alato,  graffita  con  punta 
smussata  ('),  per  cui  uguale  nella  tecnica  a  questo  esemplare,  mi  sembra  di  alta 
importanza,  perchè  è  una  imitazione  sopra  un  fittile  di  arte  certamente  locale,  delle 
più  singolari  scene  espresse  nelle  situle  di  bronzo. 

Accompagnavano  questo  vaso  due  ciotole,  una  delle  quali  gli  serviva  di  coperchio, 


6  a  e  e 

FiG.  7. 

nn  vasetto  a  forma  di  bicchiere,  tutto  ornato  di  fitti  cordoni  e  di  zone  dipinte  a  rosso 
e  nero,  ed  un  piattino  con  appendice  forata. 

In  mezzo  alle  ossa  combuste  si  scoprirono  tre  anelli  di  verghetta  di  bronzo  e 
una  piccola  fibula,  pure  di  bronzo,  del  tipo  Certosa. 

Tomba  n.  13.  Apparteneva  al  III  periodo,  ed  era  formata  con  lastre  di  calcare, 
accuratamente  tagliate,  provviste  degli  incastri  eseguiti  a  scalpello,  per  poter  ottenere 
una  perfetta  chiusura.  Misurava  in  lunghezza  m.  0,80,  in  larghezza  m.  0,77  ed  era 
alta  m.  0,60.  Si  rinvenne  senza  che  la  terra  vi  fosse  infiltrata,  nel  modo  con  cui  è 
rappresentata  nella  fig.  6  ('). 


(•)  A.  Prosdocimi,  Notizie  degli  scavi,  1882,  tav.  V,  flg.  24. 

(•)  Nella  fig.  6,  la  tomba  grande  di  cui  ci  occupiamo  è  quella   che  apparisce  di  fronte;  più 
se  ne  scorgono  tre  altre,  e  a  sinistra  vedesi  la  sfaldatura  di  calcare  che  copriva  l'ossuario  figurato. 


ESTB  —   156   —  RBOIONB   X. 

Conteneva  una  grande  sitala  di  bronzo  a  tronco  di  cono  rovescio  (fig.  7  a),  alta 
mm.  480,  col  diametro  alla  bocca  di  mrn.  350  e  mm.  230  al  fondo.  Tanto  per  la 
forma,  quanto  per  la  tecnica  è  simile  alle  molte  conservate  nelle  raccolte  del 
Museo. 

Consta  di  tre  lamine,  saldate  con  borchie  ribadite,  e  del  fondo,  lavorato  a  parte, 
e  saldato  pure  con  borchie.  Noto  una  particolarità,  che  questo  vaso,  prima  di  esser 
deposto  nella  tomba,  era  stato  adoperato  lungamente  nell'uso  domestico,  logorandosi 
e  rendendo  necessarie  delle  riparazioni.  Queste  furono  ese- 
guite con  fettuccie  di  bronzo,  che  allacciano  le  fenditure  fer- 
mandole con  borchie  ribadite;  ve  ne  sono  parecchie  visibilis- 
sime dalla  parte  interna  del  vaso. 

Era  chiusa  alla  bocca  con  un  coperchio  spezzato,  ora  ri- 
composto, a  forma  di  tronco  di  cono  con  larga  depressione  nel 
mezzo,  rozzamente  sbozzato  da  una  lamina  di  bronzo.  Anche 
tale  coperchio  presenta  in  piii  parti  delle  rappezzature. 

Entro  la  sitnla  stava  l'ossuario  fittile  (fig.  7  è),  uno  dei 
più  eleganti  delle  raccolte  atestine.  È  foggiato  a  tronco  di  cono 
rovescio,  munito  di  piede  rilevato,  ornato  di  sei  cordoni  e  dipinto 
con  una  tinta  unica  color  noce;  chiuso  alla  bocca  da  un  co- 
perchio conico,  fregiato  di  tre  cordoni  e  terminante  con  ele- 
gante presa  ;  ha  la  stessa  tinta  del  vaso,  al  quale  si  adatta  con 
un  controlabbro  che  si  stacca  dalla  parte  interna. 

Nell'interstizio  che  restava  tra  questo  ossuario  e  la  parete 
interna  della  situla  si  trovarono  deposti  i  seguenti  oggetti: 

a)  scettro  tubolare  di  lamina  di  bronzo  accartocciata 
attorno  ad  un'anima  di  legno,  lungo  mm.  260  e  tutto  con 
vaghi  disegni  geometrici  a  sbalzo  ; 

b)  tre  frammenti  di  un  altro  scettro,  simile  al  prece- 
dente, però  con  decorazione  più  semplice  ; 

e)  àscia  di  bronzo  ad  alette,  lunga  mm.  165,  larga  al  taglio  mm.  57,  perfet- 
tamente conservata;  presenta  l'anellino  per  il  passaggio  del  legaccio  che  doveva  fis- 
sarla al  manico,  del  quale  restano  incastrati  fra  le  alette  i  residui  di  legno; 

d)  singolarissimo  arnese  (fig.  8),  che  si  può  ritenere  di  carattere  sacro.  È 
costruito  come  uno  dei  soliti  scettri  tubolari,  con  lamina  accartocciata  di  bronzo, 
ravvolta  attorno  ad  un'anima  di  legno,  che  termina  superiormente  con  un  disco  di 
circa  75  mm.  di  diametro,  formato  con  due  lamine  circolari  saldate  assieme  me- 
diante una  ripiegatura;  fra  le  lamine  risulta  un  vuoto,  entro  cui  sono  messi  dei  sas- 
solini, in  modo  che,  agitando  l'istrumento,  esso  fa  un  rumore  come  di  sonaglio  o  di 
crepitaculum.  Il  disco  è  sormontato  da  una  figurina  schematica  di  uccelletto,  in- 
tagliata in  solida  lamina  e  fissata  al  centro  con  una  punta.  La  decorazione  consiste 
in  tre  circoli  concentrici,  ottenuti  con  perline  a  sbalzo  ;  fra  il  primo  e  il  secondo 
sono  sbalzate  dieci  grosse  bugne  ;  e  fra  il  secondo  ed  il  terzo,  una  fila  di  dodici  co- 
nigli a  stampo. 


RKOIONS   X.  —   197   —  KSTE 

La  parte  inferiore  è  ornata  nella  stessa  maniera,  solo  che  in  luogo  dei  conigli 
sono  ripetute  le  bugne.  Sotto  a  questo  disco  si  stacca  un  pezzo  di  tubo,  lungo 
mm.  45,  e  quindi  si  forma  un  altro  disco  colle  stesse  particolarità  e  colle  stesse  de- 
corazioni del  primo;  indi  continua  il  tubo  che  doveva  formare  il  manico,  lavorato 
con  bugne  a  sbalzo,  ma  che  sfortunatamente  non  è  completo,  causa  l'ossido. che  ha 
distrutta  totalmente  l'esile  lamina  che  lo  formava.  La  lunghezza  complessiva  di  questo 
oggetto  è  di  mm.  190. 

A  fianco  della  grande  situla  si  trovarono:  una  situla  in  lamina  di  bronzo 
(fig.  7  e),  di  forma  elegantissima,  alta  mm.  335,  e  col  diam.  alla  bocca  di  mm.  210. 
Poggia  su  largo  piede  rilevato,  lavorato  a  parte  e  che  si  fissa  al  vaso  mediante  una 
ripiegatura  che  dà  origine  ad  un  cordone.  È  formata  con  una  sola  lamina,  unita 
con  borchie  ribadite  ;  verso  il  piede  si  restringe,  mentre  si  sviluppa  con  graziosa  curva 
verso  la  spalla  che  è  larga  e  sulla  quale  sono  sbalzati  tre  cordoni  ;  il  labbro  è  alto, 
diritto  e  ornato  di  fitte  baccellature  verticali,  in  modo  che  riesce  ondulato.  Anche 
questo  vaso  presenta  delle  rappezzature,  eguali  a  quelle  riscontrate  nella  grande  si- 
tula. Era  chiuso  alla  bocca  con  un  coperchio  a  calotta,  e  funzionava  direttamente  da 
ossuario. 

Fra  le  ossa  si  trovarono  :  un  morso  equino  di  ferro,  a  sbarre  snodate  ;  cinque 
anelli  diversi  di  bronzo  ;  una  graziosa  fìbula  di  bronzo  con  l'arco  rivestito  di  corallo 
rosa-pallido  ;  alcuni  frammenti  di  osso  lavorato  ;  molte  perle  di  ambra  e  di  corallo  di 
forme  e  proporzioni  diverse,  e  due  pendaglietti  di  osso  frammentati,  foggiati  a  figu- 
rine animali,  in  una  delle  quali  si  riconosce  un  ariete. 

Situla  di  bronzo,  simile  alla  precedente,  alta  mm.  835,  col  diametro  alla  bocca 
di  mm.  195,  chiusa  alla  bocca  con  una  ciotola  fittile,  ornata  di  zone  rosse  e  nere, 
che  racchiudeva  un  ossuario  fittile  modellato  a  guisa  di  elegante  olla,  dipinto  a  color 
noce,  chiuso  alla  bocca  da  un  coperchio  di  bronzo  (fig.  7  e),  simile  ad  una  catinella, 
ornato  nel  fondo  da  un  umbone  rilevato,  da  alcuni  circoli  concentrici  e  da  profonde 
baccellature. 

Dentro  l'ossuario  si  trovarono,  sei  fibule  di  bronzo  dei  noti  tipi  serpeggianti,  ad 
arco  rigonfio  e  del  tipo  Certosa,  e  con  esso  parecchi  frammenti  di  fibule  dei  mede- 
simi tipi. 

Infine  sulla  platea  una  coppa  fìttile  ad  alto  gambo,  ornata  di  cordoni,  dipinta 
ad  ocra  e  grafite,  un'altra  coppa  fittile  a  basso  piede  tinta  a  noce,  due  vasetti  a  bic- 
chiere dello  stesso  colore,  e  due  a  zone  rosse  e  nere  e,  una  robusta  ascia  di  ferro 
ad  alette  con  l'occhiello  per  il  passaggio  della  corda. 

A.  Alfonsi. 


Nonni  SoATi  1009  —  Voi.  TL  21 


ALBAtRAtB  —   158  —  RBOIONK  XI. 


Eegione  XI  (TRANSPADANA). 

II.  ALBAIRATE  —  Tombe  dell'età  del  bronzo  scoperte  nella  loóa- 
lità  <t  la  Scamozzina  ». 

I  rinvenimenti  di  tombe  dell'età  del  bronzo,  fatti  alla  Scamozzina,  risalgono  già 
al  1900  e  al  1901  ;  ma  fino  ad  ora  non  se  n'era  data  notizia.  Le  prime  scoperte  essendo 
dovute  al  caso,  molte  urne  cinerarie  e  parecchi  bronzi  andarono  dispersi.  Si  deve  alla 
oculatezza  del  comm.  Pisani-Dossi  se  abbiamo  potuto  avere  preziose  informazioni  su 
questo  ritrovamento  importantissimo  per  la  preistoria  della  Lombardia  occidentale. 

Le  urne,  circa  una  trentina,  parevano  essere  state  sepolte  a  coppie,  una  grande 
ed  una  piccola  ;  esse  contenevano  gli  avanzi  della  combustione,  e  cioè  ossa  incinerate, 
carboni  e  bronzi.  Stavano  a  poca  profondità  nella  terra,  in  buca  semplice,  non  erano 
cioè  riparate  da  pareti  di  lastre  o  di  ciottoli.  Per  lo  più  le  urne  non  avevano  nep- 
pure la  bocca  riparata  da  ciotola,  eccettuatane  solo  qualcuna,  che  aveva  un  coperchio 
a  forma  di  ciotola  a  labbro  rovescio,  con  una  gola  tra  Iorio  e  il  fondo,  da  sembrare 
quasi  un  elmo.  I  bronzi,  molto  interessanti,  sono:  pugnali  triangolari  con  due  chio- 
detti trasversali  alla  base,  uno  dei  quali  ha  un'impugnatura  ad  incassatura  fusa  di 
un  solo  pezzo  con  la  lama  ;  braccialetti  che  erano  aperti  e  di  verga  a  sezione  ovale, 
pianeggianti  all'interno  e  ad  estremità  appuntate,  oltre  qualche  armilla  di  grosso  filo 
tondo;  finalmente  aghi  crinali  a  testa  conica  rovescia. 

Quelle  tombe  richiamano  alla  mente  le  note  tombe  di  Monza,  della  Rogorea  di 
Rogoredo,  di  Coarezza,  di  Crescenzago.  Una  delle  più  piccole  urne,  rinvenute  alla 
Scamozzina,  ricorda  i  cocci  delle  urne  cinerarie  rinvenute  nell'isola  Virginia  (lago  di 
Varese)  ed  esistenti  nella  collezione  Ponti.  Anche  i  pugnali  hanno  delle  analogie  con 
quelli  delle  palafitte  Varesine,  ma  sono  un  po'  più  grandi. 

Dallo  studio  dei  cimeli  della  Scamozzina  io  vengo  alla  conclusione  che  queste 
tombe  siano  fra  le  più  antiche  lasciateci  dai  discendenti  dei  palafitticoli,  e  che  risal- 
gano approssimativamente  al  tempo  in  cui  cessò  nella  Lombardia  occidentale  l'uso 
delle  palafitte. 

Gli  oggetti  rinvenuti  alla  Scamozzina  si  conservano  nella  pregevole  collezionp 
del  comm.  Pisani-Dossi  in  Corbetta. 

P.  Castelfranco. 

Visitai  la  raccolta  Pisani-Dossi  in  Corbetta  il  29  giugno  1904,  quando  non  avevo 
ancora  l'incarico  della  Sopraintendenza  agli  Scavi  di  Lombardia.  Notai  subito  l'im- 
portanza della  scoperta  fatta  alla  Scamozzina  e  non  ancora  pubblicata,  e  seppi  che 
il  eh.  prof.  Castelfranco  aveva  assunto  l'incarico  di  studiarla.  Varie  ragioni  impedi- 
rono per  lungo  tempo  l'egregio  paletnologo  di  condurre  a  termine  il  suo  studio 
particolareggiato,  il  cui  compimento  non  mancai  di  raccomandargli  vivamente.  Sono 
lieto  ora  di  annunziare  che  tale  studio  è  compiuto,  e  che  apparirà  nel  Bullettina  di 
Paletnologia  italiana.  Intanto  aggiungo  qualche  notizia  tolta  dai  miei  appunti. 


RK<MONB   VI.  •  —   159   —  BESTINO 

Le  lame  di  pugnale  in  bronzo  sono  carenate  o  a  costola,  con  corto  codolo;  una 
sola  ha  lungo  codolo  con  margini  rialzati  (impugnatura  ad  incassatura  del  Castel- 
franco). Nella  ceramica  predominano  le  olle  biconiche,  senza  piede  e  senza  manichi, 
ma  munite  di  prese  o  appoggiamano,  con  labbro  leggermente  svasato  e  spalle  ornate. 
Talora  la  forma  è  più  tondeggiante.  Gli  ornati  sono  eseguiti  a  stecca,  o  di  taglio 
(denti  di  lupo  riempiti  di  tratteggio,  talora  in  serie,  talora  contrapposti  e  alternati, 
altra  volta  sovrapposti  in  due  zone  in  modo  che  il  dente  di  lupo  della  zona  supe- 
riore corrisponda  al  vuoto  tra  due  della  inferiore)  ovvero  dì  punta  (festoni  e  linee 
di  punti  incisi). 

G.  Patroni. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

III.  SESTINO  —  Avami  archilellonici  di  un  tempietto  paleo-cristiano. 

Dell'antica  Sestinum,  posta  nell'alta  valle  del  Foglia,  cioè  in  territorio  gallico, 
ma  non  pertanto  dipendente  dalla  Sopraintendenza  degli  scavi  di  Etruria,  con  tutto  il 
territorio  della  provincia  di  Arezzo,  alla  quale  appartiene  il  moderno  comune  di  Se- 
stino  che  occupa  il  medesimo  posto  del  municipio  romano  di  Seslùtum,  si  hanno  no- 
tizie storiche  (')  e  numerose  testimonianze  epigrafiche  (').  Probabilmente  tale  muni- 
cipio risale  ad  un'età  posteriore  alla  guerra  sociale,  perchè  si  sa  che  era  retto  da 
quattuorviri.  Vi  è  ricordo  nelle  iscrizioni  anche  di  seviri  augustales,  nonché  di  un 
curator  rei  publicae,  e  di  altre  magistrature  minori. 

In  Sestine  non  furono  mai  fatte  ricerche  sistematiche  da  parte  delle  autorità  go- 
vernative ;  e  quindi  tutto  ciò  che  in  varie  occasioni  ha  dato  spontaneamente  il  terri- 
torio intorno  al  paese  (epigrafi,  statue  decorative,  cippi  funerari,  frammenti  architet- 
tonici ecc.)  è  rimasto  per  lunga  pezza  abbandonato  nei  luoghi  stessi  dei  trovamenti  ; 
e  solo  in  questi  ultimi  anni  è  stato  in  buona  parte  pietosamente  raccolto  in  un  ma- 
gazzino della  canonica  dall'attuale  arciprete  D.  Damiano  Olivieri. 

Il  paese  è  quasi  tutto  fabbricato  alle  falde  di  una  collina  sulla  cui  sommità 
sorge  la  chiesa  parrocchiale  molto  antica,  dedicata  a  s.  Pancrazio.  Poco  lontano  dal- 
l'abside di  questa  chiesa  il  terreno  ridiscende  verso  la  valle,  formando  una  specie  di 
conca,  limitata  in  basso  dalla  strada  rotabile  in  costruzione,  che  dovrà  unire  Sestine 
a  Belforte  e  a  Pesaro.  Questo  terreno  appartenente  all'arcipretura  ed  un  podere  posto 
a  nord-est  della  chiesa,  confinante  con  la  piazza  che  si  stende  dinanzi  ad  essa, 
sono  le  zone  dove  si  sono  fatti  maggiori  trovamenti. 

Nel  marzo  del  1905,  nei  lavori  per  la  costruzione  della  detta  stiada,  vennero 
fuori  dal   taglio  del  terreno  che  ne  forma  la  ripa  sinistra,  a  circa  m.  250  a  valle 

(')  Plinio,  N.  H.,  Ili,  114;  Stef.  Biz.  ecc. 
(')  G.  I.  L.  XI,  2,  nn.  5996-6025. 


SE8T1N0 


—  160  — 


RIOIONE   TI. 


dalla  chiesa,  alcuni  pezzi  di  un  grosso  cornicione  in  travertino  con  decorazioni  a  ri- 
lievo di  tralci  e  grappoli  d'uva,  e  un  frammento  di  lastrone  pure  in  travertino  con 
un  bel  rosone  rilevato  nel  mezzo. 

Ripigliati  al  principio  di  quest'anno  i  lavori,  nel  costruire  una  fogna,  a  poca 
distanza  dal  primo  trovamento,  comparvero  altri  pezzi  del  medesimo  cornicione  e 
frammenti  di  statue  pure  in  travertino. 

In  seguito  a  tale  nuova  scoperta  mi  recai  sul  posto  alla  fine  dello  scorso  gen- 
naio, ed  ebbi  agio  di  constatare  l'importanza  di  questi  frammenti  architettonici,  rica- 
vati tutti  da  un  limitatissimo  spazio,  e  che  dovettero  appartenere  certo  ad  una  co- 
struzione dei  primi  tempi  cristiani.  Questi  pezzi  giacevano  fra  una  quantità  di  rottami 
di  mattoni,  tegoli,    pietre  ecc.,  a  poco  più  di  un  metro   di    profondità  dal  piano  di 


Fio.  I. 


campagna,  in  uno  strato  di  terra  argillosa  e  nerastra  alto  circa  tre  metri.  Per  assicu- 
rarmi se  lo  stesso  strato  archeologico  continuava  anche  al  di  là  della  strada,  dopo 
aver  fatto  scavare  nel  luogo  del  secondo  trovamento,  estraendo  un  bel  capitello  co- 
rinzio e  altri  pezzi  di  cornicione,  feci  aprire  una  piccola  trincea  10  m.  più  oltre,  nel 
campo  sovrastante;  e  a  m.  1,80  di  profondità  ricomparve  infatti  lo  stesso  amalgama 
di  rottami.  Pare  che  una  grandiosa  frana  avesse  ricoperto  la  campagna  per  più  di  un 
chilometro  di  larghezza,  abbattendo  alberi  ed  edifici  e  sovrapponendosi  al  piano  pri- 
mitivo del  terreno.  Io  credo  che  con  l'esplorazione  completa  di  questo  luogo,  ora  ben 
delimitato,  si  potrebbe  mettere  in  luce  anche  il  basamento  dell'edificio  a  cui  appar- 
tenevano gli  avanzi  decorativi  scoperti,  i  quali  si  possono  così  classificare: 

a)  Circa  cinque  metri  di  cornicione  in  travertino  in  vari  frammenti,  alto  in 
media  m.  0,65;  spess.  inf.  m.  0,20,  sup.  m.  0,37.  È  scanalato  e  a  dentelli  cordo- 
nati nel  mezzo  superiormente,  ed  ha  un  fregio  mediano,  alto  m.  0,23,  di  tralci, 
con  grappoli  d'uva  pineati  e  foglie  trilobate  (v.  fig.  1),  diviso  in  sezioni  da  pila- 
strini a  spirale,  con  la  sommità  fiorita  da  fogliami  di  acanto.  Sopra  uno  dei  pezzi 
che  compongono  questo  cornicione  son  rimaste  tracce  molto  visibili  di  uno  di  tali 
pilastrini  divisori  ;  e  su  un  altro,  all'angolo  sinistro  del  quale  è  rimasta  la  parte  su- 
periore di  uno  di  questi  pilastrini,  si  vede  intatta  una  colomba  che  becca  un  grap- 
polo di  uva.  Nella  parte  inferiore  rotta  di  qualcuno  di  questi  frammenti  si  conser- 
vano ancora  tracce  di  scorniciatura  con  cui  doveva  terminare  tale  decorazione. 
Questo  cornicione  apparteneva  certo  ad  una   costruzione  di  forma   rotonda  o  ovale. 


RKSIONB   yi. 


—  161  — 


8FSTIN0 


perchè  i  rari  pezzi  finora  estratti  hanno  tutti  una  sagoma  concavo-convessa,  ma  non 
molto  accentuata,  tantoché  si  può  supporre  per  tutto  l'insieme  un  diametro  di  m.  otto 
0  dieci.  Con  gli  elementi  dei  quali  possiamo  disporre  è  impossibile  di  calcolarlo 
esattamente.  Due  altri  frammenti  spettanti  alla  stessa  decorazione,  uno  con  grappolo 
d'uva,  su  cui  becca  una  colomba,  e  l'altro  con  un  pesce,  si  vedono  usati  come  materiale 
di  fabbrica  in  un  muro  sottostante  alla  piazza  della  chiesa,  a  destra  di  chi  sale. 

b)  Capitello  d'anta,  di  stile  corinzio  tardo,  con  parte  di  un  pilastrino  scanalato, 
alto  m.  0,60,  diam.   del   pilastrino   m.  0,26  (fig.  2  b).   Questo   capitello   mostra  la 


FiG.  2. 


degenerazione  quasi  dello  stilo  corinzio  classico,  perchè  in  esso,  oltre  alle  foglie  di 
acanto  proprie  di  questo  stile,  sono  aggiunti  altri  elementi  decorativi,  volute  e  spi- 
rali, che  non  si  riscontrano  mai  neanche  nei  capitelli  romani  d'ordine  corinzio,  e  in 
quelli  d'ordine  composto. 

e)  Capitello  simile  al  precedente,  ma  di  colonna,  alto  m.  0,43,  diam.  infe- 
riore m.  0,30,  larghezza  dell'abaco  m.  0,35  (fig.  2  a). 

d)  Frammento  di  cornice  con  decorazione  ad  ovoli  e  dentelli,  alto  m.  0,19, 
lungo  m.  0,48,  dello  spessore  di  m.  0,45  e  m.  0,26. 

e)  Tre  frammenti  di  grosso  lastrone  con  decorazioni  a  basso  rilievo,  lunghi  da 
m.  0,65  a  m.  1,02,  alti  da  m.  0,46  a  0,59  e  spessi  da  m.  0,17  a  0,26.  Sopra  uno 
di  tali  frammenti  è  conservato  in  buona  parte  un  doppio  rosone  rilevato,  del  dia- 
metro di  m.  0,45,  e  su  un  altro  rimane  il  rilievo  rappresentante  la  parte  inferiore 
di  un  pesce  ;  tutti  e  tre  poi  hanno  scanalature  e  rilievi  di  forma  geometrica. 

/")  Altri  pezzi  di  travertino  semplicemente  sagomati  o  scorniciati. 


«BSriNO 


—  162  — 


XEOIONK  VI. 


g)  Parte  inferiore  di  una  statua  muliebre,  panneggiata,  decorativa,  in  traver- 
tino, col  dorso  liscio,  alta  m.  0,44;  fa  corpo  con  uno  zoccolo  alto  m.  0,20  e  largo 
m.  0,55.  Al  disotto  della  veste  lunghissima  sporgono  le  punte  dei  piedi. 

/()  Busto  di  statua  panneggiata  in  travertino,  col  dorso  liscio  come  la  prece- 
dente, alto  m.  0,80.  Ha  il  braccio  destro  al  petto  e  il  sin.  lungo  il  fianco.  Tutta  la 
statua  doveva  essere  di  proporzione  un  po'  maggiore  della  precedente. 

i  )  Due  teste  virili,  dal  viso  di  provinciali  romani,  alte  m.  0,25  (fig.  3  a,  b). 
Sono  anch'esse  di  epoca  tarda  e  di  ai'te  assai  scadente. 


Fia.  8. 


/)  Testa  muliebre  velata,  pure  in  travertino,  col  viso  irriconoscibile,  alta,  con 
parte  del  collo,  m.  0,39. 

Oltre  a  questi  materiali  decorativi,  trovati  nel  medesimo  luogo,  probabilmente 
appartenevano  alla  stessa  costruzione  due  altri  capitelli,  dei  quali  non  si  sa  ora  la 
provenienza  sicura.  Uno,  simile  a  quello  descritto  più  sopra  sotto  la  lettera  e  ed  alto 
m.  0,45,  si  può  vedere  sopra  un  muro  del  giardino  annesso  alla  villa  Maggi  di 
Bestino,  ed  un  altro  quadrangolare  (alto  m.  0,45,  largo  alla  base  m.  0,34  per  lato, 
e  sopra  m.  0,50),  ancora  più  bello  e  più  interessante,  fa  da  sostegno  in  un  sotter- 
raneo della  chiesa  ad  una  volta,  sulla  quale  è  fondato  l'altare  maggiore.  Quest'ul- 
timo, che  vedesi  qui  rappresentato  (fig.  4),  è  della  stessa  pietra  ed  offre  non  dubbi 
riscontri  stilistici  e  tecnici  con  le  decorazioni  geometriche  dei  frammenti  di  grosso 
lastrone  in  travertino,  descritti  sotto  la  lettera  e.  È  di  forma  massiccia,  e  porta  sulle 
quattro  facce,  a  bassissimo  rilievo,  triplici  volute  d'ordine  ionico  tra  una  zona  infe- 
riore di  linee  a  sig-zag  incontrantisi  ad  angolo  acuto,  e  l'abaco  faciente  corpo  col 


RKGIONK   VI. 


—   163 


SESTINO 


capitello  ed  espresso  su  ogni  faccia  da  due  linee  orizzontali  parallele,  che  terminano 
a  spirali  divergenti.  L'incertezza  della  scultura  e  l'irregolarità  delle  linee  rivelano 
una  mano  mal  destra,  e  mostrano  chiaramente  che  la  tradizione  della  vera  arte 
classica  nel  momento  in  cui  esso  fu  scolpito,  si  era  quasi  del  tutto  perduta.  Questo 


FlG.  4 


capitello,  che  ad  un  profano  potrebbe  sembrare  di  gran  lunga  più  arcaico  di  quello 
che  realmente  è,  risale  senza  alcun  dubbio  ai  primi  tempi  cristiani  (IV-V  sec.  d.  C), 
e  deve  riguardarsi  come  uno  dei  più  tipici  esempì  della  scultura  decorativa  di  questo 
tempo. 

Allo  stato  presente  delle  ricerche  in  questo  campo  non  è  possibile,  con  gli  elementi 
che  si  hanno  a  disposizione,  ricostruire  idealmente  in  tutte  le  sue  parti  l'edifìcio  della 
bassa  latinità,  al  quale  appartenevano  tutti  questi  avanzi  così  omogenei  e  in  istretta 
relazione  tra  di  loro.  Non  è  però  inverosimile  il  concludere  che  in  questo  luogo  remoto 
del  territorio  già  dei  Galli  Senoni,  e  perduto  quasi  io  fondo  ad  una  stretta  gola  di 
monti  sulla  sinistra  del  fiume  Foglia,  lontano  dalle  grandi  vie  di  comunicazione,  vi 
fosse  nei  primi  secoli  della  nostra  èra  una  importante  comunità  cristiana,  la  quale 


OSTIA  —  164  —  REGIONE   I. 

poteva  esercitare  le  pratiche  del  nuovo  culto  in  una  quasi  completa  indipendenza;  e 
che  alla  nuova  religione  vi  fosse  dedicato  un  tempio,  senza  dubbio  non  grande,  a  cui 
però  potevano  appartenere  i  frammenti  decorativi  finora  estratti,  su  alcuni  dei  quali 
per  fortuna  sono  visibili  peculiarissimi  e  ben  noti  simboli  cristiani,  come  la  colomba 
ed  il  pesce.  Di  tale  culto  primitivo  cristiano  in  Sostino  fanno  anche  fede  alcune  grandi 
arche  sepolcrali  e  coperchi  di  arche  in  tufo  abbandonati  per  le  strade  o  nei  cortili 
di  case  private,  e  due  bassorilievi  pure  in  tufo,  murati  sulla  facciata  della  chiesa  a 
sin.,  e  sull'architrave  della  porta  del  cortiletto  della  canonica.  Il  primo,  lungo  m.  1,22 
e  alto  m.  0,30,  abbastanza  ben  conservato,  esibisce  una  scena  di  martirio,  l'altro  è 
affatto  irriconoscibile.  Una  esplorazione  sistematica  in  questo  territorio  son  sicuro  che 
darebbe  buoni  risultati,  e  servirebbe  specialmente  ad  illuminarci  sull'arte  decorativa 
dei  bassi  tempi  romani. 

E.  Galli. 


Regione  I   (LATIUM  ET  CAMPANIA) 

LATIUM. 

IV.  OSTIA  —  Nuovi  edifica  rimessi  a  luce  presso  le  Terme  e  la  Ca- 
serma dei   Vigili,  e  sculture  marmoree  quivi  rinvenute. 

L'acqua  che  si  incontra  non  molto  al  di  sotto  del  piano  attuale,  impedisce  che 
si  spingano  le  esplorazioni  fino  alla  maggiore  profondità.  Se,  come  si  spera,  si  potrà 
ottenere,  mercè  lavori  di  bonifica  e  di  drenaggio,  che  sia  prosciugato  il  sottosuolo 
della  città  antica  e  siano  riattivate  le  antiche  chiaviche,  è  lecito  sperare  in  molte  e 
importanti  scoperte  relative  alla  colonia  preimperiale,  a  cui  debbono  essere  attribuiti 
taluni  oggetti  e  frammenti  che  sono  tornati  alla  luce  dal  suolo  ostiense. 

Un  saggio  fatto  ora  sotto  la  via  del  Teatro,  innanzi  a  quella  che  viene  dalla  vìa 
dei  Sepolcri,  ha  fatto  riconoscere,  a  ben  m.  2,15  sotto  il  piano  stradale,  un  pavimento 
in  cocciopisto,  appartenente  a  costruzioni  più  antiche.  È  ricoperto  di  sabbia  lasciata 
dal  fiume. 


La  via  dei  Vigili  corre  nel  suo  primo  tratto,  come  si  è  detto,  tra  le  Terme  a 
sinistra  e  un  grande,  ricco  edificio  a  destra,  il  quale  per  ora  non  sarà  esplorato.  L'in- 
gresso di  questo,  che  sta  quasi  di  fronte  a  quello  delle  Terme,  è,  come  al  solito, 
fiancheggiato  da  due  pilastrini  in  mattoni.  È  largo  m.  3,82,  ed  ha  la  soglia  in  tra- 
vertino. Per  metà  è  costituito  da  una  scala,  i  cui  primi  tre  gradini  sono  in  traver- 
tino, e  per  l'altra  metà  da  un  corridoio. 


RBOIONB   I. 


—   165   — 


OSTIA 


In  questo  corridoio  si  rinvennero  due  frammenti  di  un  gruppo  in  terracotta  di 


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FlG.   1. 


buon  lavoro  a  stecca.   L'uno  (fig.  1)  è  la  testa  con  la  spalla  sinistra  fi  una  figura 


Pio.  2. 

bacchica  coi  capelli  divisi  in  mezzo  e  scendenti  sugli  omeri.  È  recinta  di  una  corona 
di  foglie  di  edera  e  fiori,  e  presenta  dei  fori  per  perni  in  giro  dietro  la  corona  (m.  0,261). 
L'altro  (fig.  2)  è  la  parte  superiore  di  un  bambino,  sostenuto  dalla  mano  destra  di 
una  persona  adulta:  non  vi  sono  tracce  di  ale  (m.  0,13). 

N<mzn  ScATi  1909  -  Voi.  VI.  22 


l/ 


OSTIA  —    166   —  REGIOKB   I. 

Nella  stessa  ria  fa  completato  lo  sterro  dei  vani  a  sinistra. 

Il  vano  n.  3  fu  già  scavato  nel  1888.  Esso  comunica  colla  via  mercè  una  por- 
ticina; ed  il  ha  il  pavimento  a  m.  0,45  al  di  sopra  del  piano  stradale. 

Il  vano  n.  4  (m.  6,30X2,95)  ha  il  pavimento  ad  opera  spicata,  che  riposa  su 
un  piano  di  anfore  collocate  orizzontalmente.  Nel  lato  destro  è  una  porta,  che 
mette  in  un  sottoscala  con  pianerottolo  a  vòlta  reale,  e  con  avanzi  di  intonaco  sulle 
pareti,  a  cocciopisto  nella  parte  inferiore,  bianco  nella  superiore.  Il  pavimento  di  questo 
sottoscala  è  ugualmente  ad  opera  spicata. 

Il  quinto  vano  è  una  scala  con  sedici  gradini  a  mattoni.  Nella  parete  sinistra 
è  il  tubo  per  Io  scarico  delle  acque. 

Il  sesto  vano  (m.  6,30X2,95),  che  sta  sotto  la  seconda  branca  della  scala,  ha 
il  solito  pavimento  in  opera  spicata;  una  finestra,  più  tardi  chiusa,  nella  parete  di 
fondo,  e  nella  parete  destra  due  incavi  per  il  tubo  di  scarico.  Un  muretto,  alto  m.  0,15, 
divide  la  camera  nel  senso  della  lunghezza. 

Il  settimo  vano  (m.  6,30X4,44)  ha  la  soglia  in  travertino  coi  canaletti,  il  pa- 
vimento ad  opera  spicata,  la  porta  sulla  parete  di  fondo  (m.  1,17),  poi  chiusa,  e,  a 
m.  3,95  dal  pavimento,  la  solita  cornice  e  sopra  di  essa  avanzi  delle  pareti  del  piano 
superiore. 

L'ottavo  vano  (m.  6,30  X  4,75)  ha  soglia  in  travertino  coi  canaletti,  e  in  alto 
la  cornice. 

Negli  scarichi  di  questa  via  si  raccolse: 

Marmo.  Frammento  di  sarcofago  con  la  parte  superiore  di  una  figura  muliebre 
Telata,  volta  verso  sin.  (m.  0,245X0,09).  Quattro  frammenti  di  un  oscillum,  nel 
cui  bordo  sono  rappresentate  foglie  e  grappoli  di  uva,  bacche  di  edera,  foglie  di  acanto 
e  nel  mezzo  rimane  la  sola  testa  di  una  figura  con  elmo  (m.  0,51  X  0,15).  Fram- 
mento di  un  bassorilievo  con  la  rappresentanza  di  una  corsa  nel  circo  :  vi  rimane  parte 
dei  due  cavalli  e  di  un  auriga  caduto  sotto  di  essi  (m.  0,18X0,115).  Frammento  di 
tosta  di  leone  (m.  0,085).  Si  ebbero  inoltre  le  seguenti  iscrizioni: 

1.  Lastra  marmorea  (m.  0,124  X  2.  Id.  (m.  0,12X0,135): 

0,112X0,04): 

h  M 

UO  ■  KALED\ 
^     [DO- 

Terracotta.  Frammento  di  orologio  solare  (?)  (m.  0,21  X  0,185).  Tubo  per  filtro 
(m.  0,26;  diam.  m.  0,09).  Una  lucerna,  con  rilievo,  rappresentante  Venere  che  si  pet- 
tina guardandosi  nello  specchio,  e  sotto  la  lettera  I .  Mattoni  con  i  bolli  C  I.  L.  XV, 
12,  71,  79,  103  (2  es.),  105,  109,  125,  129,  187,  361,  662  a,  928  a,  958  a,  1094, 
1435 ffl  (2  es.),  1436,  1636,  2559  ed  i  seguenti: 

a)  O     EX  P  •  /  •  s  •  s  •  earF  •  BR  •  F  •  FI     ONES 

APRO   et   CATU(I 
COS 


REOIONE   1.  167   —  OSTIA 

b)  O         EX  PRAD  MAX  AVG  VIU'IIC 

CLAVDFORTV 

(testa  di  Mercurio). 

e)  (cf.  C.  I.  L.  XV,  2159)  :     , 

©  EX  FIG  SEM   VETKIIIIIII 

MAMER  'E  SE?lllll 


d)  O 


MACRINA 
CILL  •  GÈ 
MA  ? 


Piombo.  Pistola  acquarla,  non  a  posto  (diam.  m.  0,05)  ;  in  più  punti  si  legge  : 

SAP • C • V • 

cioè  S....  A P.  ..  c(/amsm«)  y(/n),  e  dallato  opposto  vedesi  in  rilievo  una  specie 

di  barca  fiancheggiata  da  P  e  da  altri  segni  I  (?)  (fig.  3). 


FiG.  3. 


È  stata  completamente  sterrata  la  via  che  congiunge  quella  della  Fontana  con 
quella  dei  Vigili  e  passa  tra  il  quartiere  di  questi  e  le  Terme. 

Da  due  finestre  a  feritoia  della  caserma  si  è  visto,  come  esse  corrispondano  ad 
ambienti  coperti  da  vòlta,  vuoti,  con  pareti  rivestite  di  intonaco  bianco.  Ma  in  essi 
non  si  potrà  penetrare,  se  non  quando  si  procederà  nello  sterro  della  caserma 
stessa. 

Dal  lato  delle  Terme  si  osserva  nell'angolo  verso  via  dei  Vigili  un  piano  incli- 
nato eguale  a  quello  notato  in  questa  stessa  via  (v.  pag.  127),  e  che  scende  preci- 
samente all'angolo.  Pare  che  esso  finisca  in  una  piccola  fogna. 

Addossati  alle  Terme  sono  riapparsi  alcuni  ambienti  ('). 

Il  primo  di  essi,  che  comincia  sull'angolo  di  via  dei  Vigili  (^),  è  lungo  m.  17,10. 
Ha  le  pareti  con  intonaco  di  cocciopisto  a  cordoncino  inferiormente,  pavimento  a  te- 


C)  In  questi  la  risega  è  superiore  al  piano  stradale,  corrispondendo  al  piano  intemo  dell'e- 
dificio. 

(')  Innanzi  ad  esso  e  sull'asse  della  ria  dei  Vigili,  fu  più  tardi  costruito  un  altro  vano  qua- 
drato addossato  alla  fontana,  le  cui  pareti  ad  intonaco  bianco  hanno  traccie  di  colore  rosso. 


OSTIA  —   168   —  RBQIONB   I. 

goloni,  poi  ricoperto  con  altro  a  cocciopisto  ;  una  porta  nella  parete  est,  poi  chiusa, 
una  nella  parete  nord,  e  un'altra  nella  parete  ovest.  Più  tardi  questo  yano,  che  fu 
forse  in  origine  una  vasca,  fu  diviso  in  tre  mediante  muri  molto  rozzi.  Nella  parete 
est  si  notano  incavi  verticali  per  incastro  (di  tavole?).  Vi  furono  tracciati  dei  graffiti 
nei  quali  pel  modo  con  cui  sono  riapparsi  si  legge  qualche  rara  sillaba.  In  uno  si  ha  : 

ANÒAOMIIICAAPT 
BAL-    IIIINONMAl 

Nella  prima  linea  è  evidente  la  data  ili  ca{lendas)  Apr{Ues),  nella  seconda  l'altra 
ini  non{as)  Mai{as). 

Il  secondo  (m.  3,05  X  7,90)  ha  il  muro  meridionale  in  opera  reticolata,  le  pa- 
reti rivestite  di  intonaco  a  cocciopesto  con  cordoncino,  una  porta  (m.  2,28)  nella  pa- 
rete occcidentale,  e  pavimento  a  tegoloni,  sul  quale  dovette  esservene  un  altro  a  coc- 
ciopisto. 

Il  terzo  (m,  2,55X4,75)  ha  le  pareli  ricoperte  di  intonaco  bianco  con  traccio 
di  una  fascia  rossa.  Nel  centro  della  parete  est  è  una  colonnina  in  mattoni  rivestita 
dell'  intonaco  medesimo.  La  porta  doveva  stare  nella  parete  ovest,  che  è  caduta. 

11  quarto  (m.  5,60  X  2,53),  con  traccio  di  intonaco  a  cocciopisto,  fu  costruito 
innanzi  a  due  porte,  che  furono  poi  chiuse,  una  delle  quali  con  cornice  a  mattoni. 
Parte  di  questa  stanza  è  occupata  da  una  scala  stretta,  addossata  al  muro  delle 
Terme  (')  e  posata  a  metà  su  un  pilastro,  costruito  innanzi  ad  una  di  quelle  porte. 

Dopo  la  scala  è  un  altro  ingresso  delle  Terme,  per  cui  si  accedeva  al  peristilio, 
del  quale  si  parlerà  più  sotto.  Questo  ingresso  ha  i  soliti  pilastrini  in  mattoni;  se 
non  che  le  basi  qui  sono  in  travertino.  Esso  però  fu  più  tardi  ristretto  con  un  pila- 
stro in  muratura,  e  fu  anche  rialzata  la  soglia. 

Dopo  la  porta  si  ha  un  ambiente  simile  a  quello  di  via  dei  Vigili  (guardiole 
del  portiere?),  non  ancora  esplorato. 

Fra  le  terre  di  scarico  che  riempivano  questi  ambienti  si  raccolse  un  embrice 

col  bollo  : 

□    A-EX  FA-ERNI 

C  IVil  •  HILLI 

Si  ebbero  inoltre  delle  lucerne:  C.  I.  L.  XV,  6296 o;  6382 e;  e:  Q  MARCI ,  ed 
altre  lucerne  con  un  quadrupede  in  corsa;  altra  con  un  quadrupede  su  cui  sta  una 
figura,  col  monogramma  cristiano  ed  una  palma  sotto.  Si  raccolse  parimenti  una 
fistula  di  piombo  ;  due  pignattine  di  terracotta  ;  un  frammento  di  specchio  di  bronzo 
e  le  consuete  chiavi,  aghi  di  bronzo  ed  aghi  e  stili  di  osso. 

**  * 

L'ingresso  delle  Terme  dalla  via  dei  Vigili,  mette  in  un  corridoio  con  vòlta  a  botte, 
e  pavimento  a  mosaico  bianco-nero  a  grandi  fasce.  A  destra  una  porta  mette  in  una 

(')  Le  porte  chiuse  davano  accesso  a  corridoi  sotterranei  non  ancora  esplorati,  e  la  scala  al 
piano  soprastante.  Una  finestra  a  feritoia  dava  sul  corridoio. 


RKOIOXB  I.  —  169  —  OITIA 

stanza  già  esplorata  {Notizie  1888,  pag.  738),  e  a  sinistra  due  porte  in  nn'altra,  che 
sta  alle  spalle  delle  taberne  nn.  2  e  3  sotto  il  portico  (v.  pag.  89). 

Questo  vano  (n.  1),  che  misurava  m.  9,17X6,32,  con  pavimento  a  calce  con  pochi 
pezzi  di  cocciopesto,  ha  cinque  porte:  nella  parete  occidentale,  oltre  le  due  suddette, 
una  che  dà  nel  grande  salone  dal  mosaico  ;  nella  parete  orientale  una  che  dà  nel  vano  2 
sotto  il  portico  ;  e  nella  parete  meridionale  una,  più  tardi  ristretta,  che  immette  nel 
vano  seguente  (v.  sotto).  Nell'angolo  nord-est  di  questa  stanza  si  rinvenne  una  costru- 
zione quadrata,  che  posa  su  scarico,  con  muretti  rozzi,  alti  m.  0,72,  vuota  nell'interno, 
ricoperta  da  un  pavimento  a  cocciopisto  (').  Fra  la  seconda  e  la  terza  porta  della  pa- 
rete ovest,  quasi  nel  mezzo  della  stanza,  vennero  in  luce  avanzi  di  muri  rozzi,  che 
posano  su  scarico,  ricoperti  di  intonaco  bianco  ordinario. 

Il  vano  seguente  (n.  2)  fu  già  descritto  (v.  p.  89,  n.  4).  Il  bello  e  grandioso 
mosaico,  bianco  e  nero,  è  quasi  completamente  perduto  nella  parte  orientale,  e 
verso  ovest,  cioè  accanto  alla  porta  che  dà  nel  grande  salone.  Nel  centro  si  vede 
sopra  un  cavallo  marino,  che  va  verso  ovest  cioè  verso  il  grande  salone,  Anfitrite, 
rivolta  verso  est,  la  quale  regge  con  le  mani  un  velo  che  le  passa  dietro  la  schiena. 
La  precede  un  putto  alato  (Imene)  con  fiaccola  accesa,  che  volge  la  testa  verso  di 
lei.  Queste  figure  centrali  erano  circondate  da  Tritoni  festanti.  Uno  di  essi,  verso  nord, 
suona  il  tamburello;  di  quello  verso  ovest  si  vede  la  sola  coda;  di  quello  verso  sud, 
che  sollevava  un  cantaro,  rimane  la  coda  ed  un  braccio  ;  quello  verso  est  è  del  tutto 
perduto.  Questo  mosaico  si  connette  evidentemente  con  quello  del  grande  salone,  nel 
cui  centro  sta  Poseidon  tirato  da  quattro  cavalli  marini. 

Il  corridoio  che  segue,  e  che  comincia  dal  portico  (v.  sopra  pag.  90,  n.  5), 
mette  in  una  stanza  quadrata  (n.  3)  la  quale  misura  m.  4,71  X  4,21  ;  ha  tre  porte, 
una  nella  parete  sud,  una  in  quella  ovest,  che  dà  nel  grande  salone,  ed  una  in 
quella  di  Anfitrite.  Questa  occupa  anche  lo  spazio  dietro  la  scala  (v.  pag.  90,  n.  6). 

Dal  grande  salone  si  entra  in  un  altro  corridoio,  che  è  continuazione  di  quello 
su  indicato  che  viene  dall'ingresso  di  via  dei  Vigili,  e  che  immette  in  un  grande 
peristilio  che  ora  si  sta  sterrando. 

In  questo  vano  n.  3  si  raccolse  un  mattone  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  11 15  a, 
parte  di  plinto  marmoreo  con  piede  sinistro  di  statua  (m.  0,39X0,50X0,10)  ed  una 
base  cilindrica  (m.  0,33). 

Il  primo  ambiente  a  sin.  (n.  4),  alle  spalle  dei  vani  7  ed  8  sotto  il  portico 
(pag.  90),  misura  m.  5,80X8,15;  ha  una  porta  a  nord  (che  dà  nell'ambiente  su  in- 
dicato), una  ad  est  che  mette  nel  vano  7,  e  due  altre  porte,  più  tardi  chiuse,  a  sud. 
Sulla  parete  ovest  rimane  una  porzione  della  cornice  aggettata,  sottostante  al  soffitto. 
Il  pavimento  era  ad  opera  spicata  e  in  un  tratto  sprofondato  nell'angolo  nord-ovest 
fa  vedere  la  fogna  sottostante. 

L'ambiente  che  segue  (n.  5),  il  quale  misura  m.  5,82X4,74,  ha  il  pavimento 
ad  opera  spicata,  e  due  porte  ;  una  ad  est,  che  dà  nel  vano  n.  9  sotto  il  portico, 
l'altra  ad  ovest,  che  dà  nel  peristilio  (*). 

(')  Una  simile  costruzione  è  tornata  in  luce  in  una  taberna  di  via  della  Fontana  (t.  p.  116). 
(')  Le  porte  che  danno  nel  peristilio  miturano  m.  2,65. 


OSTIA 


—  170  — 


RROIONB   I. 


Il  vano  seguente  (n.  6),  che  misura  m.  5,18  X  4,39,  sta  dietro  quello  del  portico 
fiancheggiato  da  due  pilastri  (v.  pag.  90),  e  rappresenta  un  altro  ingresso  all'edificio. 
Oltre  alla  porta,  che  conduceva  al  portico,  ne  ha  una  sul  peristilio,  e  una  a  sud. 


FiG.  4. 


fiancheggiata  da  due  archetti  di  scarico,  poi  chiusa.  Appoggiato  alla  parete  nord  è 
un  muro,  forse  principio  di  una  scala.  Il  pavimento  è  ad  opera  spicata. 

Il  settimo  vano  (m.  5,80  X  4,47)  ha  ima  porta  ad  est,  poi  chiusa,  che  metteva 
Dell'ambiente  n.  11  sotto  il  portico;  una  ad  ovest,  sul  peristilio,  ed  una  a  nord.  Il 
l,avinionto  è  ad  opera  spicata.  Presso  la  porta  che  dà  nel  peristilio  si  vede  una  co- 
struzione rettangolare  (scala?),  coperta  ai  lati  da  lastre  irregolari  di  marmo,  con  in- 
tonaco n  scivolo  in  basso. 

L'ottavo  (m.  5,90  X  3,97)  ha  una  porta  ad  est,  poi  chiusa,  che  dava  nel  vano 
n.  12  del  portico,  uni  a  nord  ed   una  a   sud,  e  una  infine  nel  peristilio.  Addossata 


REQIONB   I. 


—  171  — 


OSTIA 


alla  parete  nord,  all'angolo  nord-est,  è  una  scala  con  cinque  gradini  a  mattoni 
(m.  0,79X0,27  X  0,27)  con  un  ripiano  largo  ni.  1,25,  dove  cominciava  la  solita  scala 
in  legno.  Nel  mezzo  della  stanza,  presso  la  parete  est.  furono  rinvenute  due  lastre, 
una  di  africano  e  l'altra  di  giallo  antico,  che  probabilmente  servirono  siccome  coper- 
tura delia  fogna  Sjtlostaiite. 


^^'^^^^^^^^^^l 

memi 

il 

t-^^^^^^^^H 

FiG.  5. 


Il  nono  (m.  5,80  X  4,35)  ha  un  pavimento  ad  opera  spicata,  una  porta  ad  est, 
che  dà  nel  vano  n.  13  sotto  i  portici,   una  sul  peristilio;  una  a  nord  e  una  a  sud. 

Il  vano  decimo  (m.  5,85  X  5),  ugualmente  con  pavimento  ad  opera  spicata,  ha 
una  porta  (ra.  1,45)  a  sud,  che  mette  nel  largo  in  fondo  alla  via  della  Fontana  a 
sinistra  (v.  pag.  92)  ed  una  (m.  0,90)  ad  ovest,  poi  chiusa,  che  dava  nel  primo 
ambiente  sul  lato  meridionale  del  peristilio.  Neil'  istessa  parete  si  ha  un'apertura 
(m.  0,85)  che  dà  sul  peristilio,  alta  però  quanto  la  parete  stessa.  Si  conservano  nella 
parete  sud  avanzi  della  cornice  aggettata.  Le  pareti  sono  rivestite  di  intonaco  a 
cocciopisto. 


OSTU 


172 


RBQIONK   I. 


Dagli  scarichi  che  riempivano  il  peristilio  si  sono  raccolti  i  seguenti  frammenti 
di  sculture  marmoree. 

a)  Testa  virile  ideale  barbata  con  tenia,  pupille  e  sopracciglio  incise,  e  largo 
uso  di  trapano  nella  barba  e  nei  capelli  (m.  0,38),  nello  stile  del  II-III  secolo  (fig.  4). 

b)  Frammento  di  bassorilievo,  forse  clipeo  di  sarcofago  (m.  0,19).  Vi  si  vede  la 
parte  superiore  di  una  figura  femminile  vestita  di  chitone  e  manto,  che  le  avvolge 


PlG.   6 


la  parte  inferiore.  Sostiene  sulle  due  mani  unite  un  piccolo  bambino,  di  profilo  a  d., 
che,  sollevandosi  col  braccetto  all'omero  sin.  della  madre  e  quasi  arrampicandovisi, 
copre  con  la  testina  la  mammella  sinistra  di  lei  (fig.  5). 

e)  Parte  superiore  di  statua  muliebre,  acefala,  ignuda  (m.  0,14)  (fig.  6). 

d)  Testa  barbata  (Sileno?),  in  cattivo  stato  di  conservazione  (m.  0,115). 

e)  Ermetta  di  giallo  antico,  rappresentante  un  ragazzo  (m.  0,105). 

f)  Frammento  di  gamba  lavorata  a  raspa  (m.  0,30). 

g)  Id.  di  statua  panneggiata  (m.  0,16X0,21X0,13). 
h)  Id.  di  figurina  virile  seduta  (m.  0,058). 

i)  Id.  di  plinto  con  piede  destro  di  una  statua  e  tronco  d'albero  (m.  0,42  X  0,25 
X  0,09). 

l)  Id.  di  altorìliero,  con  la  rappresentanza  di  un  uomo  con  manto  di  stoffa 
sottile,  che  tiene  il  braccio  d.  appoggiato  al  petto  e  regge  con  la  sin.  il  manto 
(m.  0.45). 

m)  Id.  di  sarcofago  baccellato  con  clipeo  (m.  0,50),  entro  cui  si  vedono  due 
busti  che  sorgono  da  una  foglia  di  acanto,  uno,  a  sin.,  di  donna,  l'altro,  a  d.,  di 


REOIONB   I. 


—   173   — 


OSTIA 


uomo  barbato  con  capelli  corti,  togato  (fìg.  7).  Tra  le  due  figure  una  foglia  ;  ai  lati 
del  clipeo  fiori  di  loto  e  rose  (').  Il  lavoro  è  interessante  per  la  ingenua  ricerca  di 
verità.  Dietro  la  lastra  è  scritto  sotto  una  foglia  di  edera: 

GEMELINVS 

n)  Id.  di  sarcofago  con  parte  superiore  di  testa  (con  corona?)    su  cui   posa 
una  mano  (m.  0,10X0,20). 


Fio.  7. 


o)  Id.  con  parte  di  figura  vestita,  apparentemente  distesa  e  altra  più  piccola 
di  bambino  in  moto  verso  sinistra  (m.  0,10  X  0,25). 

p)  Id.  con  parte  di  due  teste  di  cavalli  ed  un'ala  (m.  0,11  X0,16);  si  pensa 
ad  avanzi  di  una  biga  o  quadriga  preceduta  da  un  amorino,  come  p.  es.  nei  sarcofagi 
di  Endimione  o  del  ratto  di  Proserpina. 

q)  Id.  del  fianco  di  un  sarcofago  con  soggetto  non  chiaro  ;  pare  di  riconoscervi 
le  zampe  posteriori  di  un  quadrupede  (m.  0,33X0,15X0,17). 


(')  Di  questo  sarcofago  si  rinvennero  altri  frammenti  in  altri  vani,  anche  lontani.  L'iscrizione 
incisa  dietro  il  rilievo  mostra  ornati  con  rappresentanza  che  la  fronte  del  sarcofago,  segata,  venne 
riadoperata. 

Nomn  Boati  1906  —  Voi  VL  28 


OSTIA 


-   174  — 


RSaiONB   I. 


r)  Angolo  sinistro  di  sarcofago  col  torso  di  figura  virile  nuda  e  parte  di  fe- 
stone, e  sull'altro  lato  egualmente  parte  di  festone  (m.  0,14X0,15X0,04). 

s)  Frammento  di  coperchio  di  urna  cineraria  con  un'aquiletta  su  un  lato  e 
una  corona  lemniscata  sull'altro  (m.  0,31  X  0,33X0,06). 

t)  Urna  cineraria  rotonda  con  targa  ansata  non  iscritta  (m.  0,37x0,35). 

ti)  Parte  di  zoccolo  (?)  triangolare  (m.  0,21  X  0,12).  Su  un  lato  si  vedono 
due  galli  affrontati  ai  lati  di  un  sacco  legato  (fìg.  8);  su  un  altro  sotto  un  tavolino 
una  hydria,  e  sopra  due  uccelli  che  beccano  e  a  d.  un  sacco  legato  (fig.  9). 


FiG.  8. 


Si  raccolsero  inoltre  delle  lastre  marmoree  con  le  seguenti  i.scrizioni  : 
1.  (m.  0,86X0,345): 

L- AELIO  •  AVRELIO 

MODOlMPCAES  •  T 
HADRIANI       ANTONINI- 

PII-  PPFILIO 

M  •  M  A  R 1 V  S  •   M-  F-  PAL-  PRIMITl  ivus 


\ 


DECVR  •  D  E  C  •  A  E  D  •  Il  •  SAC  •  \jf  0  /  A 
FAC    CORPORI  •  TRAIECT  •  RV 

S  •  P  •  D  •  D  •  DED  •  XIII  •  K  •  Oc/  / 
IMP  •  CAES  •  ANTONINOjfl  H  et 
MAVRELIO  •  CAESIIC    OS 


cioè:  L.  Aelio  Aurelio  Co[rH}modo  mp(eratoris)  Caes(ans)    T.  A^HQ  Eadriani 


REGIONE   I. 


—  175  — 


OSTIA 


Antonini  Au\_g(tisti)'\  Pii  p(atris)  p(atriae)  filio.  M.  Marius  M.  f.  Pal(alina)  Pri- 
mit{ivus~\,  decur(ionum)  dec(reto)  aed(ilis)  II  sac(ris)  V[_olk(ant2  fac(iundis)^  cor- 
pori  Traiect(us)  Ru...  s(ua)  p(ecunia)  d(onum)  d(edit).  Ded(icatum)  XIII k.  Oc[^] 
imp(eratore)  Gaes(are)  Antonino  II\_II  et']  M.  Aurelio  Gaes{are)  Go{n)s{ulibus) 
(a.  145  d.  C). 

Non  si  sa  se  Mario  Primitivo  (')  fosse  stato  aedilis  ilerum  o  secundus  sacris 
Voi/cani  faciundis  per  decreto  dei  decurioni. 


FiG.  9. 


Si  conoscono  pretori  primi  {C.  I.  L.  XIV,  306,  373,  432),  un  pretore  secondo  (o 
iterwnfi)  {C.  I.  L.  XIV,  341),  un  pretore  terzo  {C.  I.  L.  XIV,  341),  ma  per  gli  edili 
{C.  I  L.  XIV,  3,  357,  375,  376,  390,  391)  tale  gerarchia  non  è  riferita. 

Il  Traiectus  Ru...  è  ignoto.  Il  corpus,  cui  è  fatto  il  dono  della  statua,  è  si- 
mile al  corpus  traiectus  marmorariorum  {C.  I.  L.  XIV,  425),  traiectus  togatensium 
{C.  L  L.  XIV,  403,  cfr.  lenunctUarii  traiectus  Luculli,  409;  lenuncularii  traiectus, 
254  e  traiectus. .  celi.  Notizie,  1907,  pag.  122). 

La  statua  di  L.  Elio  Aurelio  Commodo,  quello  che  poi  si  chiamò  L.  Vero,  donata 
da  Mario  Primitivo  a  questo  collegio,  fii  dedicata  nel  giorno  natalizio  di  Antonino 
Pio,  nato  il  19  settembre  dell'anno  86. 


C)  Un  Marius  Primitivn*  ricone  nell'albo  di  collegio  ignoto  pubblicato  sopra  a  pag.  91. 


OSTIA 


—  176 


RBOIONB   L 


2.  Id.  (m.  0,135X0,30X0,05): 


HOC  •  SEPVLC 
M  ACILIVS  •  is) 

cessitdon 
sbptimia/ 

TONICES  •  1 
ivMICE  CA 
IV  E  O  B  E  L 
BEAINSE 
ilRTEET 
[OFORT 
NOFILIO 


3.  Id.  (m.  2X0,58X0,075)  con  leggenda  sotto  un  ramo: 

B  MARTINIANVS  cs 


4.  Id.  (m.  0,275X0,25X0,03): 


PNONI 


5.  Id.  (m.  0,39  X  0,47)  con  parte  inferiore  di  busto  muliebre  e  pilastro  scana- 
lato e  sotto  l'iscrizione: 

--LCVLAE  •  AVIAE 

6.  Id.  (m.  0,22X0,105X0,4): 


7.  Id.  (m.  0,53X0,195X0,045): 


^  STLACCTcrVf\ 

Ivgiconpar| 


(sie) 


8.  Id.  (m.  0,14X0,22X0,095)  con  belle  letterere  alte  m.  0,08: 


RBOIONE    I.  —    177   OSTIA 

9.  Frammenti  di  un  puteale  marmoreo  (circonf.  m.  2,35?)  con  una  zona  liscia 
e  sotto  una  di  fiori  e  foglie  (').  Sull'orlo  si  legge  : 


!• 


GVNTAS  «  FECERVNT  •  DE  SVA  PeCVNI 


Guntha  come  nome  di  un  leo  del  culto  Mitriaco  si  ha  in  C.  I.  L.  VI,  737: 
Deo  sancto  Mi(thrae)  sacrathis  (sic)  d(onum)  p(osuerunt)  Placidus  Marcellinus  leo 
antistites  et  Guntha  leo. 

Terracotta.  Mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV,  12  (2  es.),  45,  69,  71,  79  (3  es.), 
103  (3  es.),  105  (2  es.),  109  (8  es.),  115,  125  (2  es.),  129  (2  es.),  228,  277,  315. 
318,  319,  495  (o  496),  552  (2  es.),  606,  693  (2  es.),  760,  846,  925  (2  es.),  939, 
958a(3  es.),  1006,  1027,  1033(2  es.),  1066,  1068,  1095,  1097,  1097 e,  1115  (3 
es.),  1115é?,  1210(3  es.),  1244c,  1434,  1435  (3  es.),  1436  (2  es.),  1449e,  1510e. 
1596 a,  2200  (2  es.);  inoltre: 

a)  (2.es)  ©  EX  PTS-SEXFBRFFIONES 

APRO  ET  CAiy^LI 
COS 

cioè:  Ex  p{raedis)   T.  Sitatili)  S{everi)   ex  f{igulina)  Br{utiana)  F ..   Fi...   Oae- 
s{imus)  Apro  et  Catulli{no)  cos. 

b)  (cfr.  C.  I.  L.  XV,  76-78): 

O  '"///ARRIA  FADS'" 
VL/VFIOl^S 

e)  (cfr.  C.  I.  L.  XV,  622)  : 

©     2VA^T333A3!J3JIVAinx3JOaaviO 
TINA  AVO  MAI  SERVI 

i)  □   expr-ab-caeN 

PAETET  APRO 

e)  a  lettere  incavate: 

a      IlaprobI 

f)  (8  68.)  LCSCCP-SP 

(pigna  tra  dne  palmette) 


(*)  Frammenti  di  questo  puteale  sono  venuti  in  luce  anche   precedentemente    in    altri   ponti 
dello  scavo  fuori  del  peristilio,  altra  prova  della  dispersione   del   materiale  quivi  avvenuta. 


^ 


OSTIA 


—  178  — 


REOIONE   I. 


no  \  CASS| 

g)         Z3  (ìiCASTICJ 

la  prima  lettera  potrebbe  essere  invece  una  corona. 


Fr«.  10. 

h)  (cfr.   C.  I.  L.  XV,  2212)  : 

O     ////AETIN  ET  APROnI 
CPGT-<         1 


»)         C5     DOL  A\ 
CAE 


A)        O 


0 


Y  ARC 
J|lPRO 


IS 


UN 


(eadne««) 


RBOIOKB  I. 


179 


OSTIA 


un  collo   di  anfora   con  la  marca  C.  I.  L.  XV,  1713;    una   anteflssa  con    corsa    di 
quadrighe  (m.  0,39  X  0,32)  guidata  da  un  auriga  circense  con  le  cinghie  di  cuoio  e 


Fio.  11. 

sotto  i  cavalli  una  figura  caduta  a  terra  e  un'anfora  (fìg.  10);  frammento  di  testa 
in  rilievo,  della  quale  rimane  un'orecchia  e  parte  di  elmo  (m.  0,105);  lucerne  (6\  /.  L. 
XV,  6350 <?;  con  marca  illegibile  e  due  lottatori;  uomo  in  atto  di  colpire  con  la 
lancia;  grappolo  d'uva  e  foglie  d'edera  ecc.). 

Bromo.  Piccolo  delfino  su  rettangolo  per  cui  era  incastrato  in  qualche  oggetto 
(m.  0,055);  aghi;  anse  ecc. 

Ferro.  Cuspide  di  lancia  (m.  0,30).  Stilo  da  scrivere.  Altri  arnesi  varf. 


OSTIA 


—  180  — 


BBOIONE   L 


Piombo.  Peso  di  forma  piramidale  (m.  0,053).  Vaso  o  coperchio  a  forma  di  camr 
|>ana^  (m.  0,066  ;  diam.  m.  0,073).  ; .    , 


Fio.  12. 
Si  rinvennero  inoltre  avanzi  di  colore  rosso. 


* 


Il  sesto  vano  a  sinistra  del  peristilio,  per  chi  viene  dal  portico,  formava  il  ta- 
blino  dell'edificio.  Qui  si  rinvenne  : 

1.  Bella  statua  marmorea  (fig.  11)  alta  m.  1,86  su  plinto  ovale.  Rappresenta 
una  bella  donna  giovane,  vestita  di  tunica  e  coperta  del  manto,  che  le  copre  il'capo, 


SEOIONB   I. 


181    — 


OSTIA 


con  sandali  ai  piedi.  Regge  con  la  sinistra  due  papaveri  e  due  spiche.  Manca  parte 
dell'avambraccio  destro  con  la  mano;  il  che  era  stato  riportato  in  antico  (').  I  tratti  del 


Fio.  13. 


viso  (fig.  12)  fanno  riconoscere  il  ritratto  di  persona  della  famiglia  (Sabina  moglie  di 
Adriano  ?)  e  non  una  fìgura  ideale.  I  papaveri  e  le  spighe  dimostrano  che  la  statua 
era  ritratto  di  una  imperatrice  rafiBgurato  sotto  le  sembianze  di  Cerere. 


(')  Si  è  bensì  qui  rinvenato  parte  di  avambraccio  e  della  mano  d.,  che  sembreiebb«ro  do- 
versi adattare  a  questa  statua.  Ma  se  cosi  è,  poiché  il  lavoro  è  pessimo  e  molto  differente  dal  resto 
della  statua,  non  potremmo  se  non  vedervi  che  un  eattivo  restauro  antico. 

Nonni  ScÀTi  1909  —  Yol.  VI.  84 


TERRANOVA   DI   SISARI  —   182   —  REGIONE   HI. 

2.  Statuetta  marmorea  (m.  0,96).  Rappresenta  un  giovane  con  lunghi  capelli,  che 
scendono  sulle  spalle,  annodati  con  nastro  sull'occipite,  vestito  di  tunica  e  manto,  e 
con  i  piedi  calzati.  In  un  seno  del  manto,  che  regge  con  la  destra,  tiene  delle  frutta. 
Con  la  sinistra  regge  il  cornucopia.  La  testa  e  la  parte  superiore  del  cornucopia  sono 
riportati.  A  d.  vi  ha  un  pilastrino  quadrato.  È  del  tipo  del  Genius  o  del  Bonus 
Eventus  (tìg.  13). 

Si  rinvennero  pure  molti  frammenti,  ammucchiati,  di  stucco  bianco,  che  rap- 
presentano cornici,  foglie  e  grappoli  e  che  appartengono  forse  alla  decorazione  del 
soffitto  0  del  piano  superiore. 

D.  Vaglikri. 


Regione  III  (LUCANIA  ET  BRUTTII). 

V.  TERRANOVA  DI  SIBARI  —  Antiche  tombe  d^  età  imperiale 
romana. 

In  una  collinetta  sulla  sponda  sinistra  del  Orati,  a  circa  300  metri  dal  tiume 
e  lontana  un'ora  e  mezzo  di  cammino  verso  levante  dall'abitato  di  Terranova  di  Si- 
bari,  il  campagnuolo  Salvatore  Biscardi,  lavorando  una  sua  piccola  terra,  distrusse 
quattro  sepolture  antiche,  e  dava  mano  a  scoprirne  una  quinta,  allorché  gli  capitò 
sul  posto  una  guardia  campestre  che  gli  ordinò  di  desistere  dallo  scavo  e  denunziò 
il  caso. 

Il  luogo  del  rinvenimento  è  denominato  Contrada  Gelsi,  perchè  in  altro  tempo 
v'era  una  piantata  di  tali  alberi. 

Le  tombe  vedute  dal  Biscardi  stavano  appena  a  40  cm.  sotto  la  terra,  ed  avevano 
le  pareti  formate  da  una  specie  di  muratura  a  ciottoli  fluviali  e  pezzi  di  laterizio 
collegati  con  molta  calce;  sul  fondo  si  distendevano  tegoloui  in  terracotta  ad  orli 
rialzati,  o  di  altri  tegoloni  era  fatta  la  copertura.  Erano  orientate  da  nord  a  sud.  Coi 
resti  umani  pochi  cocci  d'argilla  grezza  lavorati  al  tornio;  qualche  frammento  di  un- 
guentari di  vetro;  ed  in  un  sepolcro  il  seguente  antoniniano  di  Probo  (a.  277-282 
dopo  Or.): 

Dr.  IMP  C  M  AVR  PROBVS  P  F  AVG.  Busto  di  Probo  a  dr.,  con  corona  ra- 
diata, paludamento  e  lorica; 

^  FIDES  MILIT .  La  Fede  in  piedi  a  sin.,  tenendo  poggiate  in  terra  due  insegne 
militari;  nell'esergo,  VI  XX  T. 

La  Direzione  Generale  per  le  Antichità  e  le  Belle  Arti  sollecitamente  ordinava 
all'Ufficio  degli  scavi  di  Taranto  una  immediata  ispezione  ;  e  così  si  potè  ne"  primi 
di  marzo  esplorare  la  metà  ancora  intatta  della  quinta  tomba,  dove  si  sono  rinve- 
nuti nella  testata  a  nord  due  teschi  e  fra  di  essi  un  medio  bromo  di  Massimiano 
Ercole  (a.  286-305  d.  Cr.).  recante  nel  recto  :  IMP  C  M  A  MAXIMIANVS  P  F  AVG 


SARDINIA  —    183    —  CAGLIARI 

e  la  testa  laureata  dell'imperatore  a  dr. ;  nel  verso:  GENIO  POPVLI  ROMANI  e 
il  Genio  in  piedi  a  sin.,  con  patera  nella  dr.  e  il  corno  d'abbondanza  a  sinistra;  nel 
campo  a  dr.  T:  è  molto  ossidato. 

Sul  petto  dello  scheletro  di  sinistra  era  stata  deposta  una  scure  di  ferro  con 
due  tagli  a  tipo  di  bipenne,  della  lunghezza  di  mm.  185. 

Praticata  una  serie  di  saggi  nel  terreno,  si  è  incontrata  un'altra  tomba  soltanto. 
Tagliata  a  fossa  nel  vergine,  sotto  40  cm.  di  terra  vegetale,  essa  apparve  rivestita 
nelle  pareti  con  semplici  ciottoli  messi  a  secco,  senza  collegamento  di  calce  e  senza 
mistura  di  pezzi  di  laterizio:  la  copertura  e  il  fondo  erano  di  tegoloni,  de'  quali  si 
è  potuto  misurare  il  solo  spessore  di  quattro  centimetri.  Il  vuoto  del  sepolcro  mi- 
surava m.  1,80  in  lunghezza,  cm.  50  in  larghezza  e  cm.  40  in  profondità.  Uno  sche- 
letro umano  giaceva  dentro  disteso,  col  teschio  ad  occidente  e  i  piedi  a  levante.  Sul 
lato  sinistro  dalla  parte  del  capo  stava  un  vaso  mediocre,  di  creta  grezza  e  fram- 
mentai'io,  con  corpo  ovoidale  e  traccia  di  manico  verticale  a  nastro  :  vicino  a  codesto 
fittile  si  raccolsero  minuti  frammenti  di  un  vasettino  cilindrico  in  sottile  lamina 
enea,  un  anello  a  bastoncello  di  bronzo  (mm.  2  7»  di  spessore  e  mm.  15  di  luce),  e 
un  fondo  di  piccola  bottiglia  verdastra  di  vetro.  Sparsi  fra  la  terra  della  tomba 
alcuni  pezzetti  di  tazza  baccellata  di  vetro  in  color  verde  iridescente. 

Tutte  le  sei  tombe  occupavano  insieme  uno  spazio  di  terreno  non  maggiore  di 
dieci  metri  quadrati. 

Fuori  delle  tombe  si  è  pure  raccolto,  durante  gli  scavi  di  saggio,  un  anellone 
di  bronzo  a  grosso  bastoncello  tondo  (mm.  5  di  spessore  e  mm.  30  di  luce). 

Evidentemente  per  le  due  monete  imperiali  di  Marco  Aurelio  Probo  e  di  Marco 
Aurelio  Valerio  Massimiano,  le  tombe  debbonsi  riferire  alla  fine  del  terzo  e  al  prin- 
cipio del  quarto  secolo  dell'era  nostra. 

Q.  Quagliati. 

SARDINIA. 

VI.  CAGLIARI  —  Iscrisione  imperiale  romana  e  tombe  di  età  cri- 
stiana, scoperte  in  regione  Bonaria. 

Nella  primavera  dello  scorso  anno  si  apriva,  per  cura  dell'Amministrazione  co- 
munale di  Cagliari,  la  via  Iglesias,  a  breve  distanza  dalla  chiesa  di  s.  Saturnino, 
in  regione  Bonaria  ;  ed  in  quell'occasione  si  incontrarono  colà  alcune  tombe  di  età  cri- 
stiana, che  si  dovettero  rimuovere  per  la  sistemazione  del  nuovo  livello  stradale.  Le 
tombe  erano  per  la  maggior  parte  di  forma  detta  alla  cappuccina  o  a  tettuccio,  con 
grossi  embrici  disposti  a  tenda,  sotto  ai  quali  giaceva  lo  scheletro.  A  detta  dell'as- 
sistente ai  lavori,  le  tombe  non  avevano  suppellettile  di  sorta;  solo  in  una  di  esse 
fu  trovata  in  frammenti  la  interessante  lapide  opistografa,  che  presenta  da  una  parte 
un'  iscrizione  greca  ben  conservata,  e  dall'altra  un'  iscrizione  latina  mutila.  Questa  la- 
pide venne  portata  al  Museo  e  quivi  ne  furono  ricomposti  i  vari  frammenti. 

L'iscrizione  greca  dice  che  la  tomba  fu  posta  ad  una  donna  di  nazione  frigia, 
di  modeste  condizioni,   forse  schiava  o  liberta,  certo  cristiana,  come  viene  attestato  dal 


CAGLIARI  —   184  —  SARDINIA 

monogramma  di  Cristo  in  capo  alla  epigrafe.  L'iscrizione  latina  è  di  carattere  pubblico, 
e  servì  da  principio  per  essere  collocata  sulla  fronte  di  un  edificio  costruito  o  fatto 
restaurare  per  ordine  imperiale  da  uno  dei  prefetti  della  Sardegna,  e  destinato  all'am- 
ministrazione dello  Stato. 

In  un  certo  tempo,  non  servendo  piti  quell'edificio  all'uso  pel  quale  venne  co- 
struito 0  restaurato  quando  vi  si  pose  l'iscrizione,  questa  venne  adoperata  per  altro 
fine  ;  e,  tagliata  la  lastra  in  due  o  più  parti,  una  di  esse,  nella  quale  rimase  un  poco 
meno  della  metà  a  sinistra  della  iscrizione  latina  di  carattere  pubblico,  venne  ado- 
perata per  incidervi  nella  parte  opposta  un  titolo  funebre  greco  cristiano. 

Fermandoci  sulla  parte  che  ci  rimane  della  primitiva  iscrizione,  dobbiamo  innanzi 
tutto  far  notare  che  la  lastra  marmorea  è  decorata  da  una  gola  che  ne  formava  la 
cornice,  entro  la  quale  rimaneva  circoscritto  il  campo  epigrafico.  Le  lettere  in  media 
sono  alte  circa  m.  0,07.  Vi  si  legge: 

HOR) 

IMP • CAESAl 
M  •  AV  R  E  L I  •     /ì 
L  CEION) 

ALI  E  N  V  ; 

PRAEF 
A    SOLOi 


Avendone  mandato  il  calco  al  collega  dott.  prof.  Dante  Vaglieri,  mi  è  grato 
riportare  integralmente  le  osservazioni  che  egli  si  compiacque  di  trasmettermi. 

«  L'iscrizione,  a  quanto  mi  sembra,  appartiene  ai  tempi  di  Caracalla  dopo  la  morte 
di  Settimio  Severo  (a.  211-217),  o  a  quelli  di  Elagabalo  (a.  218-222).  Sembra  infatti  che 
tra  le  parole  imp.  Gaesaris  del  vs.  secondo  e  quelle  M.  Aureli  dei  terzo,  non  si  possa  sup- 
plire se  non  divi  Septimi  f{iln),  se  l'iscrizione  si  attribuirà  a  Caracalla,  o  divi  Magni 
f{ilii),  se  si  attribuirà  a  Elagabalo.  Manca  quindi  più  della  metà  della  lapide  a  destra. 

Per  la  prima  linea  sarebbero  possibili  i  supplementi  hor^rea],  hor\_tos],  hor- 
{ologium].  Gli  horti  sono  però  esclusi,  perchè  si  tratta  di  un  edificio,  come  si  vede 
dall'ultima  linea;  e  per  l'istessa  ragione  sembra  da  escludersi  il  supplemento  horo- 
logium.  Accettando,  come  sembra  evidente,  il  supplemento  horrea  (ed  horrea  esi- 
stevano in  molte  provincie  ;  cfr.  De  Ruggiero,  Disionario,  I,  pag.  484),  bisogna  sup- 
porre, dopo  questa  parola,  tenendo  conto  dello  spazio,  un  epiteto,  come,  a  mo'  di 
esempio,  Augusta,  se  si  crede  che  nelle  due  linee  seguenti  si  indichi  la  proprietà  imperiale, 
ovvero  l'indicazione  dell'ordine  imperiale;  ad  esempio,  iussu,  ovvero,  ex  aucloritate. 

L.  Geionim  Alienus,  per  quanto  io  mi  sappia,  è  finora  ignoto.  Farmi  difficile  che 
nella  seconda  metà  della  quarta  linea  vi  fosse  stata  solo  la  sua  paternità.  Converrebbe 
allora  pensare  ad  un  altro  gentilizio  o  ad  un  altro  cognome.  Alientis  è  il  cognome  del 
famoso  vitelliano  A.  Caecina  ;  il  gentilizio  Gaecina  trovasi  combinato  con  quello  di  Gfiio- 
nius  in  PMilius  Gaeionius  Gaecina  Albinus,  consolare  nella  Numidia  intorno  al  365 


SARDINIA.  185    —  CAGLIARI 

e  ne'  suoi  discendenti.  Si  potrebbe  supporre  clie  già  questo  nostro  personaggio,  che  fu 
cavaliere  e  non  senatore,  avesse  avuto  ambedue  i  nomi.  Senonchè,  secondo  l'iscrizione 
ligoriana  C.  I.  L.  VI  535*,  che  si  ritiene  piuttosto  interpolata  che  falsa,  pare  che 
il  gentilizio  Caecina  sia  venuto  ai  Ceionii  da  Caecinia  Lolliana,  che  sarebbe  stata 
moglie  di  C.  Caeionius  Ru/lus  Volusianus  Lampadius,  prefetto  del  pretorio  nel  355. 
Perciò  credo  inutile  insistere  nel  csrcare  un  supplemento. 

In  complesso  l'iscrizione  va  supplita  così:  ffor^rea]  ....  mp{eratorts)  Cae- 
sar\_is  divi  Septimi  o  Magni  /".]  M.  Aureli  A[ntonini  p.  f.  Aug."]  L.  Ceion\_ius'} 

Alienus,  [v.  e.,  proc{urator)  et}  praef{ecttis)  [_prov{inctae)  Sard{iniaeJ}  a 

solo  [restituii  T\ . 

Sui  governatori  della  Sardegna  vedi  quanto  io  ho  scritto  nelle  Notizie  degli 
Scavi  del  1897,  pag.  280  e  sgg.     D.  Vaolieri  ». 

Io  pure  propendo  a  ritenere  che  si  tratti  di  granai  ;  e  per  questa  attestazione  è 
appunto  prezioso  il  frammento  ora  rinvenuto,  che  ci  fa  conoscere  come  all'età  di  Cara- 
calla  0  di  Elagabalo  esisteva  in  Caralis  un  granaio  imperiale,  posto  sotto  l'ammini- 
strazione del  capo  della  provincia.  Si  vede  perciò  quale  importanza  era  annessa  alla 
raccolta  del  grano  destinato  al  rifornimento  di  Roma,  sia  per  le  frumentationes  fatte 
dall'imperatore  alla  popolazione,  sia  per  il  mantenimento  delle  milizie.  La  notizia 
che  questo  praefectus  della  provincia  avesse  costruiti  o  restaurati  dalle  fondamenta  i 
granai  imperiali,  fa  credere  che  gli  horrea  di  Caralis  fossero  stati  molto  importanti, 
come  del  resto  imponeva  la  natura  della  regione,  ricca  specialmente  di  grano  ed  anche 
la  sua  posizione  allo  sbocco  di  varie  strade  che  si  addentravano  nell'isola,  e  munita 
del  porto  vasto  e  sicuro,  donde  il  grano  poteva,  subito  dopo  la  raccolta,  essere  spe- 
dito ad  Ostia  o  direttamente  a  Roma.  Questi  horrea  Caralitani  dovevano  avere  la 
importanza  pari  a  quella  dei  grandi  magazzeni  di  grano  di  Rusicade  nella  Numidia, 
di  Cartagine,  di  Ergla,  di  vari  centri  delle  Provincie  che  ci  sono  ricordati  dalle  fonti 
storiche  ed  epigrafiche.  È  probabile  che,  questi,  come  altri  granai  provinciali,  fossero 
retti  da  praepositi  Jiorreorum,  coadiuvati  da  funzionari  militari,  che  dirigevano  i 
lavori  di  carico  e  di  scarico,  la  guardia  dei  depositi,  l'imbarco  del  giano,  come  si 
ebbe  nei  granai  di  Alessandria,  sui  quali  gettano  luce  papiri  ed  iscrizioni.  I  granai 
di  Alessandria,  retti  da  procuratores.  avevano  un  numeroso  personale,  anche  militare, 
che  assicurava  la  puntualità  e  la  regolarità  dell'importante  servizio  da  cui  dipendeva 
la  tranquillità  della  capitale. 

Data  la  grande  estensione  della  coltivazione  del  grano  in  Sardegna  e  la  vicinanza 
a  Roma,  si  potrebbe  supporre  benissimo  che  una  consimile  organizzazione  fosse  stabilita 
anche  per  la  Sardegna  stessa,  e  si  accentrasse  in  Cagliari,  dove  potevasi  raccogliere  il 
prodotto  di  gran  parte  della  regione  destinata  alla  cultura  del  grano  ('). 

L'iscrizione  greca,  cristiana,  incisa  nell'altra  parte,  è  quasi  completa,  meno 
qualche  abrasione  alla  fine  delle  linee  e  verso  il  centro,  in  corrispondenza  alle  nu- 

(')  Per  ramministrazìone  degli  horrea  delle  provincie  veggasi  l'eccellente  riassunto  di  G.  Car- 
dinali, in  Dizionario  epigrafico  di  De  Ru<rgiero,  Frumeniatio  pag.  299  sgg.;  per  la  coltivazione 
del  frumento  in  Sardegna,  cfr.  Stefano  Grande,  Corporazioni  professionali  in  Sardegna,  in  Eiv.  di 
storia  antica,  X,  pag.  287  sgg. 


OAGLURI  —   186   —  SARDINIA 

merose  fratture  che  hanno  spezzato  la  lastra  marmorea.  Le  lettere  sono  abbastanza 
regolari  e  ben  disposte.  Ad  aiutare  la  regolarità  delle  linee  si  tracciarono  dei  solchi 
per  ciascuna  linea;  ma  il  lapicida  non  li  ha  in  tutto  seguiti. 
L'iscrizione  dice: 

I 

HAPeeNlKHN  H  N  CCX^ 
eK(l)PYriHC  AAOXON  T6M<" 
PH  AlonT€YCACAeK({>A 
OYC  ACt)lAATo  CHMA  Aer-*' 
ANePoonolCIN  AMMIHC 
eCTIN  o  TYMBOC  oYTo  T€Y 
XeiC  MNHMI  oceCTiN  UJC  oPAC 
eYAlKIHCMNHCGS 

TeAeYTAA€HTUJN 
TPIAKOOTA 


Sottoposi    l'oscuro  e  difficile  testo  alla  indagine  del   chiaro  professore  Federico 
Halbherr,    dell'Università  di    Roma,  il  quale    si  compiacque  di  esaminarla,  interro- 
gando al   riguardo  anche  il  chiarissimo  professore  D.  Comparetti.  Dopo  aver  notate  le 
molte  scorrettezze  del  testo,  il  prof.  Halbherr  soggiunse  che  per  interpretare  l'iscri- 
zione in  via,  se  non  definitiva,  almeno  attendibile,  occorreva  fare  delle  forti  violenze  ed 
ammettere  gravi  scorrettezze.  Anche  per  avviso  del  prof.  Comparetti,  si  dovrebbe  mutare  : 
alla  linea  3,  il  a,  che  è  pure  chiaro,  in  a; 
alla  linea  8,  parimenti  il  A  in  A  ; 
ivi,  MNHC  in  MONHC 

Gli  altri  errori  HTOON  per  €TU)N,  lin.  9;  e  TPIAKWTA  per  TPIAKONTA; 
e  quelli  dovuti  allo  iotacismo,  cioè  A<|>lAATO  per  A(J)€lAATO,  lin.  4;  jeYXeiC 
per  TeYXQelC,  lin.  7,  sono  evidenti.  Inoltre  pare  che  per  la  seconda  parola  della 
linea  7  sia  da  leggere  MNHMH  OC,  non  potendosi  cavare  alcun  significato  con 
MNHMIOC 

Lo  stile  è  del  tutto  barbaro  ;  l'iscrizione  non  pare  sia  metrica. 

La  trascrizione  proposta  dal  prof.  Halbherr  è  la  seguente  :  ' 

IlaqO-svixrjv  rjv  èaypv  ex  ^qvyiìjc  aXoxóv  |  t«  ihoTq  fj  ^tomtvaaOa  ex  qìóovg 
à<feiXaTo-  \  atjfia  rf'lr'  àv^^mnoKStv  'Aiiuir]g  èan'v  ò  \  rvfi^og  ovTog  Tsvx^eig,  UVì^fitj 
og  èativ,  I  mg  ÒQÙg,  fvóixiijg  fióvrjg'  \  Tflsvià  óè  stS>v  tqiuxovta. 

È  dunque  un  modesto  monumento  sepolcrale;  perciò  si  dice  che  questo  ricordo 
è  semplicemente  fatto  per  mantenere  la  memoria  della  rettitudine  della  defunta,  la 
quale  avrebbe  meritato  molto  di  più. 

Mi  è  grato  tributare  pubbliche  grazie  agli  egregi  maestri  che  mi  soccorsero  ;>ella 
interpretazione  dell'epigrafe  ;  ed  esprimo  la  speranza  di  poter  avere  nuovi  documenti 


SARDINIA  —    187    —  CAGLIARI 

dell'età  cristiana  da  quella  regione  di  Bonaria,  la  quale,  dopo  essere  stata  uno  dei 
quartieri  più  ricchi  del  tempo  di  Roma  imperiale,  accolse  le  necropoli  ed  i  cimiteri 
della  decadenza  e  del  periodo  cristiano,  alcuni  dei  quali,  frugati  per  la  ricerca  delle 
reliquie  dei  santi,  restituirono  alla  luce  numerose  inscrizioni  per  la  maggior  parte 
acomparse,  dopo  di  essere  state  non  perfettamente  copiate  dal  Carmona  e  da  altri  che, 
per  scopo  religioso  trattarono  del  rinvenimento  dei  santi  cagliaritani.  È  probabile  che 
molto  di  quel  materiale,  che  nel  Corpus  InscripUonum  Latinarum  è  stato  presen- 
tato come  sospetto,  debbasi  invece  considerare  come  genuino,  e  tornato  realmente  in 
luce  dagli  antichi  sepolcri;  ma  poi,  per  essere  stato  trascritto  da  mano  imperita,  non 
sia  stato  reputato  degno  di  considerazione  da  parte  dei  dotti,  ed  essendone  smarriti 
0  perduti  gli  originali  non  sia  stato  possibile  finora  restituirlo  alla  vera  lezione. 

A.  Taramelli. 

Roma,  16  maggio  1909. 


RBQIÒNB  X.  —   189   —  GALZIQNANO 


Anno  1909  —  Fascicolo  6. 


Regione  X  (VENETI A). 

I.  QALZIGNANO  —  Stazione  preistorica  scoperta  presso  l'abitato. 

A  cura  della  B.  Sopiaiuteddenza  ai  Musei  e  Scavi  del  Veneto,  con  la  guida  e 
dietro  le  indagini  dell'egregio  soprastante  sig.  A.  Alfonsi,  ebbero  luogo  nel  dicembre 
ultimo  nei  pressi  di  Galzignano,  distretto  di  Monselice,  in  provincia  di  Padova,  alcuni 
scavi  diretti  a  riconoscere  lo  strato  primitivo  che,  per  precedenti  occasionali  trova- 
menti  sporadici,  presumevasi  esistere  nei  fondi  dei  signori  fratelli  Sandei,  fondi  deno- 
minati Fosson  e  Terra  Lunga. 

Giacciono  questi  fondi  al  piede  orientale  degli  Euganei,  a  breve  distanza  dal 
paese  di  Galzignano,  nello  spazio  compreso  fra  la  strada  di  Battaglia  e  quella  che  co- 
steggia il  monte  delle  Valli. 

Gli  scavi,  durati  oltre  due  settimane,  permisero  di  stabilire  che  lo  strato  archeo- 
logico sopraddetto  appartiene  all'età  eneolitica,  ed  è  coevo  con  quelli  rinvenuti  in 
passato  in  altre  località  sopra  e  sotto  i  colli  Euganei,  a  Lezzo  Atestino  ('),  in  Val 
Calaona  nel  comune  di  Baone  ("),  a  Marendole  in  quel  di  Monselice  (^),  a  Teolo  {*)  ecc. 

A  giudicare  però  dalle  scoperte  avvenute,  lo  strato  di  Galzignano  sembra  meno 
importante  di  quelli  scoperti  nelle  località  testé  ricordate. 

In  nessun  punto  delle  diverse  trincee  aperto  si  riscontrarono  tracce  di  capanne 
0  di  focolari.  Lo  ceramiciie,  del  solito  rozzo  impasto  impuro,  sono  ornate,  come  a 
Marendole,  di  semplici  bugne  e  cordoni  rilevati.  Mancano  interamente  le  graifite, 
raccolte  così  a  Lezzo  come  a  Baone.  Le  anse  recuperate  furono  :  due  a  cilindro  retto  (cfr. 


(')  Notizie,  190.3,  p.ig.  537  o  scgg. ;  190t,  pag.  147  e  segg.  (Alfonsi);  Bull,  di  paleln.  ital., 
XXXI,  1905,  pag.  72  e  scgg.  (Pigorini). 

C)  Notizie,  1907.  pag.  499  e  segg.  (Alfonsi). 

{')  Bull,  di  paletn,  ital.,  XXIII,  1007,  pag.  CO  e  segg.  (CorJenoiis). 

(*)  Notizie,  1906,  pag.  393  o  segg.  (Moschetti  e  Coidenons). 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  26 


GALZIONANO 


190  — 


REGIONE   X. 


fig.  1  a),  tre  ad  anello  a  fettuccia,  e  due  ad  alette.  In  terracotta  si  raccolsero  inoltre 
una  fuseruola  (fig.  1  e)  ed  un  pezzo  di  grande  anello.  Non  molto  abbondanti  gli 
oggetti  di  selce  :  vari  coltellini  e  raschiatoi  (fig.  1  g.  lì)  ;  una  cuspide  di  freccia  di 
forma  triangolare  (fig.  \d);  un'altra  a  foglia  di  ulivo  (fig.  1/");  una  terza  ad  alette 
e  peduncolo  (fig.  1  e).  La  conoscenza  del  rame  e  del  bronzo  nella  gente  cui  si  deve 
la  stazione  di  Galzignano  è  attestata  dal  pezzo  di  grossa  e  spessa  lamina  a  sezione 


FiG.  1.  —  Oggetti  di  età  primitiva  scoperti  a  Gahigiiano. 


trapezoidale  qui  riprodotta  (fig.  1  b),  e  che  per  la   sua  forma  non  può  essere  altro 
che  il  frammento  di  un'ascia. 

Il  diligente  rapporto  dell'Alfonsi,  che  qui  appresso  si  pilbblica  nella  sua  forma 
originale  di  giornale,  offre  i  minuti  particolari  della  stratificazione  del  terreno  e  l'in- 
dicazione topografica  degli  oggetti  raccolti. 

G.  Pellegrini. 

Giornale  degli  scavi. 

30  novembe  1908.  Fondo  Fossori.  —  In  questo  fondo,  di  circa  un  campo  pa- 
dovano, si  scava  una  prima  trincea  d'assaggio,  lunga  m.  4,  larga  m.  1,50.  Sotto 
30  cm.  di  terreno  arativo,  si  trova  uno  strato  di  20  cm.,  leggermente  torboso;  qnindi 
un  sedimento  archeologico  di  circa  30  cm.  che  poggia  sul  terreno  primitivo  di  natura 


REGIONE   X.  —    191    —  GALZIGNANO 

tufaceo.  È  costituito  da  una  breccia  trachitica  molto  compatta,  e  in  mezzo  ad  essa 
disseminati  numerosi  cocci  di  rozzo  impasto,  alcuni  ornati  di  cordoni,  scheggio  e  ciot- 
toli di  silice. 

1,  2  dicembre.  Si  scava  una  seconda  trincea  nella  parte  alta  dell'appezzamento 
e  si  raggiunge  lo  strato  torboso.  Si  mette  in  luce  il  sedimento  archeologico  e  si  sco  ■ 
prono  abbondanti  cocci  di  rozze  stoviglie,  alcuni  dei  quali  sono  ornati  di  bugne  e 
cordoni.  Notevoli  tra  questi,  una  piccola  ansa  a  cilindro  retto  frammentata  e  una 
fusaiuola  (fig.  1  a-c). 

3  id.  Terza  trincea,  lunga  m.  6,  larga  m.  1,50.  Si  riscontra  la  stessa  stratifi- 
cazione. Numerosi  frammenti  di  vasi  diversi  e  scheggio  di  silice. 

4  id.  Si  continuano  le  ricerche  nella  suddetta  trincea,  raccogliendo  abbondante 
materiale  fittile. 

5  id.  Esaurito  lo  scavo  della  terza  trincea,  se  ne  scavano  altre  tre  di  m.  2  X  1 
a  varie  distanze,  e  in  tutte  e  tre  si  riscontrano  le  stesse  particolarità  delle  precedenti. 

7  id.  Nella  trincea  sesta  si  riscontmrono  le  seguenti  stratificazioni:  terreno  arativo 
ed  alluvionale  m.  0,70  ;  strato  torboso  m.  0,25,  sedimento  archeologico  circa  45  cm. 
In  questo,  alla  profondità  di  m.  1,40,  fra  cocci  di  vasi  diversi,  venne  in  luce  un 
pezzo  di  grossa  lamina  di  bronzo,  forse  frammento  di  ascia  (fig.  1  b). 

10  id.  Si  allarga  la  trincea  dove  sembra  che  il  sedimento  archeologico  aumenti 
d'intensità. 

11  id.  Sono  stati  rimessi  in  luce  numerosi  cocci  di  vasi  diversi,  frammenti  di 
anse  ad  occhiello  e  la  metà  di  un  grande  anello  di  terracotta.  Sebbene  lo  strato 
aumenti  d'intensità,  è  notevole  il  fatto  della  mancanza  di  ossa  di  animali. 

12  id.  Al  termine  della  trincea,  si  incontra  un  grosso  strato  di  cenere  e  carboni. 

14  id.  Allargando  ancora  lo  scavo,  si  constata,  che  lo  strato  archeologico  dimi- 
nuisce d'intensità:  però  si  mettono  in  luce  alcuni  cocci  di  vasi  interessanti  per  le 
decorazioni  a  cordoni,  alcune  anse  a  fettuccia  e  una  a  cilindro  retto  frammentato. 

15  id.  Fondo  Terra  Lunga.  —  In  questo  appezzamento  di  terreno,  i  proprie- 
tari scoprirono  una  freccia  di  silice  rossa,  di  forma  triangolare,  munita  di  peduncolo 
(fig.  le).  Dista  dal  fondo  Fosson  circa  200  metri,  verso  sud,  e  giace  quasi  alle  falde 
del  piccolo  colle  denominato  Mussato.  Si  scavano  due  trincee  sulle  carreggiate,  essendo 
il  terreno  presentemente  coltivato  a  frumento.  In  una  di  queste,  in  quella  piìi  a 
monte,  non  si  riscontra  lo  strato  torboso,  e  alla  profondità  di  m.  1,30  si  trova  un  leg- 
gero sedimento  archeologico,  costituito  da  pochi  cocci  di  vaso,  da  numerosi  nuclei  e 
scheggie  di  silice;  e  in  mezzo  a  queste  si  raccolgono  due  lame  di  coltellini  a  se- 
zione trapezoidale  (fig.  1  g,  h)  e  una  cuspide  di  freccia  di  silice  rossa  (fig.  1  d). 
L'altra  trincea  scavata  più  a  valle  riesce  totalmente  negativa. 

16  id.  Si  scava  un'ultima  trincea  più  a  nord,  e  sotto  alla  torba  si  scopre  lo 
strato  archeologico,  nel  quale  si  raccolgono  scarsi  cocci  di  vasi,  alcune  scheggie  e 
una  punta  di  freccia  di  silice  rossa  (fig.  1  f). 

A.  Alfonsi. 


VICENZA 


—  192  — 


REO  IONE   X. 


II.  VICENZA  —  Scoperte  di  anlichilà  prcisloriche. 

Fuori  porta  Castello  trovasi  il  borgo  s.  Felice,  e  proseguendo  circa  due  chilo- 
metri si  giunge  alla  località  s.  Lazzaro,  dove,  a  destra  della  strada,  sorge  una  for- 
nace da  laterizi,  di  proprietà  della  ditta  Trevisan,  già  Fortunato.  Nella  circostante 
campagna  si  vanno  scavando  estese  e  profonde  trincee  per  poter  estrarre  la  terra  che 
occorre  per  i  bisogni  della  fabbrica. 


FiG.  1.   —   Oggetti  preistorici  scoperti  uel  burgo  s.  Felice  presso  Vicenza. 


Trovandomi  alla  sorveglianza  degli  scavi  della  necropoli  romano-cristiana  di 
s.  Felice,  fui  informato  dal  sig.  Ferruccio  Ronchi,  impiegato  della  suddetta  fabbrica, 
che  nelle  cave  gli  operai  si  imbattevano  frequentemente  in  cocci  di  rozze  stoviglie  e 
in  lame  silicee.  Mi  recai  sul  sito,  e  accompagnato  dal  predetto  sig.  Ronchi  potei 
visitare  le  cave. 

Sùbito  mi  colpì,  in  una  trincea  a  nord  della  grande  tettoia,  una  striscia  di  tetra 
di  color  nerastro  ed  uliginosa,  che  segnava  una  grande  curva  e  che  aveva  una  lar- 
ghezza di  circa  25  metri.  Spiccava  nettamente  nel  rimanente  terreno,  che  è  di  natura 
alluvionale.  Da  questa  striscia,  che  in  sezione  presenta  la  forma  di  una  larga  f(issa, 
venivano  in  luce  grandi  frammenti  di  rozze  stoviglie,  e  qualche  vaso  intatto;  giammai 


REGIONE    VII.  —    193    —  CIVITA    CASTELLANA 

però  alcuno  di  questi  oggetti  venne  raccolto,  e  tutto  andò  sperduto  nel  terreno  rimesco- 
lato. Solo  il  sig.  Ronchi  raccolse  alcuni  strumenti  silicei,  ed  ebbe  la  squisita  gentilezza 
di  offrirli  in  dono  al  Museo  Nazionale  di  Este.  Raccolsi  io  pure  alcune  lame  di  coltelli, 
che  affioravano  nel  terreno,  ma  non  ebbi  la  fortuna  di  scoprire  nessun  coccio  di  vaso. 

Quando  gli  operai  arrivano  al  terreno  grasso,  abbandonano  la  raccolta  di  terra, 
essendo  questo  materiale  inadatto  alla  lavorazione  dei  laterizi  per  la  sua  natura 
ricca  di  sostanze  organiche. 

Questo  sedimento  archeologico  trovasi  alla  profondità  di  m.  2  ;  e  non  ho  potuto 
accertare  il  suo  spessore. 

Come  notizia  preliminare,  in  attesa  di  prossimi  scavi  regolari,  credo  interessante 
presentare  l'elenco  dei  più  importanti  oggetti  che  furono  raccolti,  i  quali  sono  ora 
conservati  nel  Museo  di  Este  e  sono  rappresentati  nell'annessa  figura. 

1.  Freccia  di  silice  biancastra,  lunga  mm.  45,  larga  alla  base  mm.  25,  con 
peduncolo  ed  alette  incavate  a  graziosa  curva  (tig.  1  a).  È  lavorata  a  fini  ritocchi, 
ed  è  notevole  per  la  sua  perfezione  simmetrica  e  per  la  sua  conservazione. 

2.  Cuspide  di  lancia  di  silice  giallo-rossastra,  lunga  mm.  75,  larga  alla  base 
ram.  35,  lavorata  a  minuti  ritocchi  su  tutte  e  due  le  faccio  (fig.  1  b). 

3.  Cuspide  di  freccia  di  forma  romboidale,  di  silice  giallastra,  lunga  mm.  60, 
con  la  massima  larghezza  di  mm.  30,  lavorata  con  ritocchi  da  ambe  le  parti 
(tìg.  1  e). 

4.  Raschiatoio  di  silice  bianco-giallastra,  lungo  mm.  40,  a  sezione  trapezoidale 

(Hg-  !/•)• 

5.  Grande  lama  di  coltello,  di  silice  color  giallo-scuro,  lunga  mm.  115,  larga 
mm.  30,  a  sezione  trapezoidale  (tìg.  1  e). 

6.  7.  Due  frammenti  di  coltello,  di  silice  grigio-nera  (fig.  1  d-g). 

Gli  altri  pezzi  raccolti  sono  frammenti  di  coltellini,  scheggio  e  nuclei  di  silice 
di  vario  colore. 

A.  Alfonsi. 


Regione  VII  (ET R URIA). 

F ALI  SCI. 

III.  CIVITA  CASTELLANA  —  Nuove  esplorazioni  nel  fondo  deno- 
mi?iatò  le  Monache  nell'area  dell'antica  Falerii. 

Dal  9  al  20  febbraio  ultimo  furono  fatte  eseguire  dal  sig.  Ugo  Cardani  alcune 
indagini  archeologiche  in  un  terreno  della  signora  Maria  Geltrude  Hendriclis,  posto 
in  vocabolo  le  Monache,  nell'ambito  dell'antica  Falerii. 

Il  terreno,  conosciuto  sotto  la  denominazione  di  Orto  delle  Monache,  è  limitato 
a  sud  dalla  via  moderna  di  accesso  a  Civita  Castellana,  dalla  rupe  ad  est  ed  a  nord, 
e  ad  ovest  dall'odierno  convento  del  Carmine. 

L'orto  che  fino  a  pochi  anni  fa  costituiva  un  solo  corpo,  è  attualmente  diviso 
in  due  parti  pressoché  uguali,  e  soltanto    quella  occidentale  è  ora  annessa  al  con- 


CIVITA   CASTELLANA 


—  194  — 


RBOIONB   VII. 


vento  del  Carmine  anzidetto.  La  parte  orientale,  che  rimane  separata  dalla  precedente 
mediante  l'ei-convento  di  s.  Chiara,  ora  ospedale  dei  cronici,  ed  un  breve  tratto  di 
muro  che  dal  convento  stesso  va  all'estremo  limite  della  rupe  nord,  è  stata  dalla 
signora  Heudrichs  recentemente  data  in  afiBtto. 

Oltre  ad  un'antica  via  di  accesso  alla  città,  che  è  tagliata  nella  viva  roccia,  è  tut- 
tora visibile  in  questa  parte  dell'orto  una  tomba  a  camera,  scavata  nel  tufo,  presso  il 
ciglio  della  rupe  nord,  ora  adibita  dall'affittuario  ad  uso  di  cantina.  La  vòlta  piana 
della  tomba  è  sostenuta  da  un  pilastro  e  da  una  colonnina  rastremata  in  alto  e  sor- 
montata da  un  capitello  tuscanico,  l'uno  e  l'altra  ricavati  dalla  roccia  stessa.  Pare 
che  la  tomba  avesse   avuto  un   ordine  di  loculi  scavati  su  due  delle  pareti;  ma  a 


Fio.  1. 


FiG.  2. 


causa  del  loro  quasi  interramento,  riesce  difficile  poterne  stabilire  la  forma  e  darne 
le  dimensioni.  La  tomba  è  intonacata,  e  la  sua  costruzione  deve  rimontare  al  periodo 
tra  il  III  ed  il  II  secolo  a.  C. 

Non  è  improbabile  che  altre  tombe  fossero  state  scavale  lungo  il  margine  della 
rupe,  in  vicinanza  di  quella  sopra  descritta;  ma  la  grande  difficoltà  di  poter  fare 
scavi  in  quel  luogo,  soggetto  ai  franamenti,  non  permise  al  Cardani  l'esplorazione 
di  quel  ciglio  di  rupe.  Le  ricerche  si  dovettero  così  limitare  alla  sola  parte  piana,  ove 
furono  eseguiti  vari  tasti,  in  seguito  ai  quali  si  aprirono  tre  trincee. 

Trincea  I.  —  A  circa  45  cm.  dal  piano  di  campagna,  si  è  messo  in  luce  un 
cavo  rettangolare  scavato  nel  tufo,  lungo  circa  m.  2,00  largo  m.  1,50,  discendente 
fino  alla  profondità  di  m.  2,30.  A  questo  livello  il  cavo  si  restringe  nel  senso  della 
lunghezza  fino  a  m.  1,45  per  mezzo  di  due  riseghe  disuguali  che  si  riconobbero  sullo 
stesso  piano  orizzontale.  Questo  vano,  di  minori  proporzioni,  è  stato  spurgato  per 
circa  un  metro  ;  ma  visto,  mediante  un  tasto,  che  esso  discende  ancora  a  grande  pro- 
fondità, non  si  credette  opportuno  continuarne  l'esplorazione.  Dal  cavo  si  estrassero 
soltanto  alcuni  pezzi  di  tufo  squadrati,  e  pochi  frammenti  di  tegole  a  grande  bordo. 


REGIONE   VII.  —   195   —  CIVITA    CASTELLANA 

Trincea  IL  —  Scavata  più  ad  ovest  della  precedente,  questa  trincea  ha  messo 
in  luce  una  calatoia,  costruita  in  corrispondenza  dell'imboccatura  di  un  cunicolo  e 
aderente  ad  una  serie  di  blocchi  squadrati,  posanti  sulla  roccia  che  anteriormente 
servì  per  cava  di  tufo  (fig.  1). 

La  calatoia  su  tre  lati  è  costituita  da  una  doppia  fila  di  parallelepipedi  di 
tufo.  Nella  superiore  di  esse,  in  corrispondenza  dei  due  lati  opposti,  è  interna- 
mente ricavato  un  battente,  sul  quale  posa  e  combacia  perfettamente  un  lastrone  di 
tufo  (m.  0,78  X  0,90),  ora  rotto  in  più  pezzi,  ma  che  probabilmente  doveva  avere 
dei  fori  per  lo  smaltimento  delle  acque,  similmente  ad  un  vero  e  proprio  chiusino 
(fig.  2).  11  cunicolo,  largo   all'imboccatura  m.  0,45  ed  alto  in  media  m.  1,74,  aveva 


Fio.  3. 

origine  proprio  sotto  la  calatoia  e  dirigevasi  a  nord,  verso  la  rupe,  ove  naturalmente 
doveva  scaricarsi.  Un  breve  tratto  del  cunicolo  medesimo,  con  vòlta  franata,  è  stato 
messo  allo  scoperto  oltre  il  filare  di  blocchi  già  menzionato  ;  ed  in  quel  punto  la  lar- 
ghezza di  esso  risultò  di  soli  37  cm.  ('). 

Trincea  III.  —  Un  vano  sotterraneo  scavato  nel  tufo,  a  pareti  curvilinee,  al 
quale  si  discendeva  per  mezzo  di  alcuni  gradini  ricavati  nella  roccia  stessa,  è  stato 
messo  allo  scoperto  colla  terza  trincea  (fig.  3).  Quasi  di  rimpetto  alla  scaletta,  sono 
l'uno  sull'altro  irregolarmente  sovrapposti  alcuni  blocchi  squadrati,  disposti  su  quattro 
file,  come  a  rinforzo  della  vòlta  del  vano  stesso,  in  qualche  parte  ancora  con- 
servata. 

Il  materiale  fittile  frammentario,  rinvenuto  fra  la  terra  di  riempimento  del  sud- 
detto vano,  è  esclusivamente  di  arte   locale,  e  consiste  in  alcuni  piattelli  col  solito 

(')  Una  copiosa  serie  di  cuniculi  ò  stata  già  scoperta  e  rilevata  dall'ing.  R.  Meng-irelli 
nel  sottosuolo  della  città,  e  forma  oggetto  di  uno  studio  speciale  che  egli  si  è  proposto  di  fare 
sulle  opere  di  drenaggio  di  quell'importante  centro  falisco. 


CIVITA    CASTELLANA 


—    196 


KBaiONB   VII. 


profilo  di  testa  femminile,  di  colore  rosso  su  fondo  nero;  in  nnolpe  verniciata  di 
nero,  priva  dell'ansa  ;  in  alcuni  frammenti  appartenenti  a  parecchi  skyphoi  con  profili 
di  teste  muliebri,  palmette  e  girali;  in  un  frammento  di  oinochoe,  a  figure  rosse  su 
fondo  nero,  ove  resta  la  metà  inferiore  di  una  figura  virile  nuda  in  atto  di  inseguire 
una  ninfa,  e  in  sei  contrappesi  da  telaio  forati  superiormente,  imo  dei  quali  con  sei 

impressioni  crociformi. 

* 

In  seguito  ai  tasti  eseguiti  nella  parte  occidentale  dell'orto  che,  come  si  è 
detto,  è  annessa  al  convento  del  Carmine,  si  è  potuto  stabilire  che  la  roccia  tufacea 
generalmente  trovasi  piuttosto  a  grande  profondità  e,  che  in  qualche  punto  raggiunge 


^.SSJ 


Fio.  4. 


persino  i  sei  metri  e  più.  Un  saggio  praticato  in  un  punto,  ove  la  profondità  risultò 
minore,  mise  allo  scoperto  un  tratto  di  cunicolo  antico,  lungo  tre  metri,  discendente 
esso  pure  a  nord  verso  la  rupe,  sezionato  posteriormente  da  una  cava  di  tufo.  Mesco- 
lati al  materiale  di  riempimento,  che  ricolmava  questa  fossa,  si  raccolsero,  oltre  a 
numerosi  pezzi  di  mascelle  di  cane  e  ad  altre  ossa  di  animali,  vaiì  frammenti  appar- 
tenenti a  tazzine  fittili  di  arte  locale,  alcune  grezze,  altre  verniciate  di  nero;  parte  del 
fondo  di  una  kylix,  a  figure  rosse  su  fondo  nero,  con  avanzo  di  una  figura  panneg- 
giata ;  un  frammento  del  fondo  di  altra  ki/lix  greca,  su  alto  piede,  asportato  inten- 
zionalmente, con  la  parte  inferiore  della  figura  di  un  guerriero  nudo,  stringente  nella 
destra  un'asta,  in  atto  di  combattere;  fìaalmente  alcuni  dei  soliti  contrappesi  da  telaio, 
di  terracotta  grezza.  Si  rinvenne  altresì  un  grande  frammento  di  toro  alto  13  cm., 
a  cui  è  unito  inferiormente  un  pezzo  della  tegola  piana,  appartenente  alla  cornice 
frontonale  di  un  edificio,  e  decorato  con  foglie  di  alloro  dipinte  alternativamente  in 
colore  rosso  e  nero. 


RBGIONB  I.  —   197  —  OiSTIA 

La  presenza  di  questo  frammento  arehitettonico  ci  fa  supporre  che  in  quelle  vici- 
nanze dovesse  sorgere  un  tempio,  uno  dei  tanti  templi  di  cui  era  ricca  quell'antica 
città.  Se  esso  sorgesse  lì  vicino,  ove  le  cave  di  tufo  hanno  tutto  distrutto,  o  piuttosto 
sotto  le  fondazioni  dell'ex-convento  del  Carmine,  è  ora  difficile  poter  stabilire. 


Avanzi  architettonici  di  un  altro  tempio,  consistenti  in  tre  pezzi  fittili  di  un 
fregio  con  decorazione  rilevata  a  palmette  e  a  fiori  di  loto,  furono  rinvenuti  qualche 
tempo  fa  nell'eseguire  gli  scavi  per  la  fondazione  di  un  muro  e  di  alcuni  pilastri  a 
sostegno  di  una  tettoia  annessa  al  laboratorio  meccanico  del  sig.  Luigi  Morelli  in 
Civita  Castellana  stessa,  di  rimpetto  alla  stazione  tramviaria. 

Uno  dei  frammenti  di  questo  fregio,  in  cui  è  ancora  conservata  benissimo  la 
colorazione,  fu  regalato  dal  proprietario  al  Museo  di  Villa  Giulia,  e  credo  utile  darne 
qui  un  disegnino  (fig.  4),  differendo  esso  per  la  tecnica  e  per  lo  stile  dai  fregi  architet- 
tonici degli  altri  templi  scoperti  finora  in  Civita  Castellana  e  conservati  nel  Museo  stesso. 

I  detti  frammenti,  secondo  quanto  mi  assicurò  il  sig.  Morelli,  sarebbero  stati 
trovati  alla  profondità  di  circa  un  metro  e  poco  distanti  da  un  cuniculo  attraversante 
il  caro  di  fondazione  di  uno  dei  pilastri  ora  ricordati. 

E.  Stefani. 


Rmmn^  l  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

IV.  OSTIA  —  Nuove  scoperte  presso  le  Terme  e  la  easerma  dei 
Vigili. 

Sono  stati  sterrati  gli  ambienti  nel  lato  meridionale  del  peristilio  delle  Terme,  tra 
questo  e  la  via  della  Fontana. 

Il  primo  di  essi  (m.  6,10  X  3,82),  cominciando  ad  est,  con  una  porta  nella  parete 
orientale  dà  in  quello  spazio  aperto  che  trovasi  in  fondo  alla  via  della  Fontana  a  sini- 
stra (v.  pag.  92).  La  soglia  di  travertino  è  molto  consumata  per  continuo  passaggio. 
Una  porta  che  dava  sulla  via  della  Fontana  venne  piìi  tardi  chiusa;  egualmente  fu 
chiusa  una  porta  nella  parete  ovest.  Sul  peristilio  si  apre  una  porta  larga  circa  m.  2. 
In  alto  verso  l'esterno  è  una  finestra.  La  vòlta,  che  comincia  a  circa  tre  metri  dal 
pavimento,  è  a  botte  e  conserva  traccio  d'intonaco  bianco.  Le  pareti  nella  parte  infe- 
riore hanno  intonaco  a  cocciopisto.  Il  pavimento  è  ad  opera  spicata. 

II  secondo  ambiente  è  una  scala  (m.  1,25)  che  dà  sulla  via  della  Fontana.  Ha 
i  primi  cinque  gradini  in  travertino,  e  gli  altri  in  mattoni.  Il  sottoscala  ha  due  porte, 
una  nella  parete  orientale,  chiusa  più  tardi,  ed  una  nella  occidentale.  La  vòlta  e  le 
pareti  sono  coperte  d'intonaco  a  cocciopisto. 

La  terza  camera  (m.  6,22  X  4,50)  ha,  oltre  la  porta  che  dà  nel  peristilio,  una 
porta  nella  parete  meridionale,  poi  richiusa,  una  nella  orientale,  che   dà  nel  sotto- 

NoTiziK  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  26 


OSTIA  —   198   —  REGIONE   I. 

scala;  una  terza  nella  settentrionale,  egualmente  chiusa  più  tardi.  Nella  parete  occi- 
dentale fu  fatta  un'apertura  regolare,  poscia  rimurala.  In  alto,  nel  centro  della  parete 
meridionale  è  una  finestra  a  feritoia.  La  vòlta  è  a  botte,  e  le  pareti  erano  ricoperte 
d'intonaco  bianco.  Sulla  parete  orientale  e  su  quella  occidentale  a  m.  1 ,90  dal  pavi- 
mento, nella  parte  meridionale  della  stanza,  per  metà  di^  questa,  fu  fatta  una  cornice 
aggettata,  incastrata  nel  muro,  che  doveva  sostenere  il  pavimento  di  un  ammezzato. 

La  camera  seguente  (m.  6,22  X  4,50)  è  in  tutto  eguale  a  questa.  Manca  sol- 
tanto la  finestra  a  feritoia.  Vi  si  notano  le  traccie  di  triplice  intonaco.  Nell'angolo 
nord-est  sorge  un  pilastro  in  mattoni. 

Il  quinto  vano  (m.  6,14X3,12)  è  un  ingiesso  alle  Terme  dalla  parte  di  via 
della  Fontana,  con  grande  soglia  in  travertino  tanto  nella  porta  che  dà  su  questa, 
quanto  in  quella  che  mette  nel  peristilio.  Vi  si  vedono  due   pavimenti  sovrapposti. 

L'ambiente  che  segue  (m.  6,16  X  9,15)  è,  rispetto  all'edificio,  il  tablino.  La  porta 
che  dà  nel  peristilio  è  larga  quasi  quanto  la  stanza  stessa.  Innanzi  alla  parete  me- 
ridionale si  ha  una  base  (m.  0,85  X  1,47  X  1,02),  ampliata  con  due  aggiunte  laterali 
(m.  0,72)  (').  Il  pavimento  era  a  grandi  lastre  di  marmo  bianco. 

Il  settimo  ambiente  (m.  6,28  X  2,90)  con  pavimento  a  mosaico  e  volta  a  botte, 
con  finestra  e  feritoia  in  alto  in  via  della  Fontana,  ha  la  solita  porta  sul  peristilio, 
una  nella  parete  sud,  su  via  della  Fontana,  piìl  tardi  ridotta,  e  una  nella  parete  ovesC 
che  dà  nel  sottoscala  seguente. 

Segue  la  scala  (m.  1,50)  che  dà  sulla  via  della  Fontana  con  i  primi  cinque 
gradini  in  travertino  e  gli  altri  in  mattoni. 

Le  stanze  n.  8,  9,  10,  intercomunicanti  tra  loro  (*),  sono  eguali  alla  seconda 
e  alla  terza,  con  la  stessa  cornice  aggettata,  pavimento  ad  opera  spicata,  con  vòlta 
a  botte,  ed  intonaco  bianco  sopra  quello  a  cocciopisto  nelle  pareti.  La  stanza  u.  8 
ha  una  finestra  a  feritoia  in  alto  e  un'apertura,  fatta  dopo,  che  dà  sulla  scala.  Nella 
camera  n.  10  sporge  in  mezzo  verso  il  fondo  un  baggiolo  (?)  di  m.  1,20  X  1,25. 

L'ultimo  ambiente,  che  sta  sull'angolo,  a  ridosso  della  Fontana,  è  una  grande 
latrina  (m.  5,70  X  6,30)  con  pilastri  in  ciascun  angolo.  Tra  questi  pilastri  corre  una 
piccola  fogna  con  inclinazione  verso  il  centro,  ed  in  comunicazione  colla  fogna  che 
corre  sotto  in  direzione  della  largliezza. 

Le  pareti  della  piccola  fogna  sono  ad  intonaco  a  cocciopisto  ed  il  pavimento  a 
tegoloni  bipedali.  Nel  lato  est  è  un  baggiolo  ;  in  quelli  sud  e  nord  due  altri  baggioli 
per  il  sostegno  delle  tavole,  che  correvano  lungo  le  pareti,  nelle  quali  le  tavole  stesse 
erano  incastrate.  Lungo  le  tre  pareti  innanzi  al  sedile  corre  un  canaletto  di  marmo, 
che  scaricava  nelle  fogne.  I  pilastri  che  stanno  agli  angoli  verso  la  via  della  Fontana 
riposano  su  blocchi  di  travertino.  Verso  la  stessa  via  della  Fontana  si  apriva  una  finestra 
che  venne  poi  murata.  Nel  mezzo  della  stanza  una  vaschetta  quadrata  con  intonaco 
a  cocciopisto.  Le  pareti  sono  ricoperte  d'intonaco  a  cocciopisto  con  traccie  di  colore 

(•)  Probabilmente  su  questa  base  stava  la  bella  statua  della  imperatrice  in  sembianza  di  Ce- 
rere, qui  rinvenuta  (v.  pag.  179).  Forse  sulle  due  parti  aggiunte  stettero  le  due  statuette,  quella 
col  cornucopia  (v.  pag.  181)  pure  qui  rinvenuta,  e  l'altra  colla  cassetta  (v.  pag.  131).  , 

(*}  (Jaella  che  dava  nel  tablino  fu  poscia  chiusa. 


REGIONE   I.  —    199   —  OSTIA 

ia  basso,  e  d'intonaco  bianco  in  alto,  egualmente  con  traccio  di  colore  :  vi  si  vedono 
riquadri  e  vasi  e  in  basso  piante;  molti  sono  i  graffiti.  Il  pavimento  è  fatto  con 
pezzi  di  tegoloni  informi;  sopra  di  esso  ve  ne  fu  forse  un  altro. 

In  questa  latrina,  nell'angolo  nord  ovest,  alla  profondità  di  m.  0,42  dal  pavi- 
mento, s'incontrò  una  tomba  fatta  con  lastre  di  marmo  informi,  appartenenti  a  deco- 
razioni. Una  di  queste  recava  un'iscrizione  sepolcrale  quasi  illeggibile  per  l'attrito 
(m.  0,24  X  0,0 1).  Vi  riappariscono  soltanto  le  traccie  delle  seguenti  lettere: 

I^  M 

P  I  I  I  ////  I  V  O 

iiiìin 

1 1 1  a  n'E' 

i  I  II  1 1^ 
iiiiiiiiii 

Conteneva  lo  scheletro  con  la  testa  rivolta  a  nord. 

Lungo  il  lato  settentrionale  del  peristilio  delle  «  Terme  »  è  un  corridoio  che 
rimane  ad  un  livello  più  basso,  sul  quale  sboccano  ambienti  sotterranei.  In  questa 
parte  lo  scavo  rimane  per  ora  sospeso,  per  ripigliarlo  più  tardi  dalla  parte  della  via 
"dei  Vigili,  donde  ne  sarà  più  facile  l'accesso. 


Dagli  scarichi  del  peristilio  è  tornato  in  luce  quanto  segue: 
Marmo.  —  Parte  superiore  di  una  maschera  silenica  (?)  (m.  0,115X0,255). 
Frammento  di  braccio  di  statua,  riportato  (m.  0,20).  Testa  muliebre  con  capelli 
divisi  nel  mezzo  e  annodati  dietro  la  nuca,  forse  parte  di  sarcofago  (m.  0,038).  Fram- 
mento di  coperchio  di  sarcofago  (m.  0,20  X  0,155  X  0,10)  su  cui  rimane  la  figura 
di  im  Sileno  recumbente  sopra  pelle  felina,  con  manto  che  gli  copre  le  ginocchia 
(fig.  1)  ;  regge  con  la  sin.  una  tazza  e  con  la  destra  solleva,  a  quanto  sembra,  un 
lembo  del  manto  o  di  una  tenda.  Sotto  rimangono  le  lettere:  J^AE. 

Un  frammento  di  coperchio  di  sarcofago  (ra.  0,14X0,08)  con  l'iscrizione: 


OSIMIANO  -PA 


Lastra  di  marmo  iscritta  (m.  0,34  X  0,34  X  0,04),  contenente  un  frammento 
epigrafico  forse  di  una  dedicazione  a  Mitra  col  prezioso  ricordo  di  una  data  conso- 
lare : 


S  V  R  A    '         \\ii 
lewelC  I  O  N  E     '        il  J         a.  107  d.  C. 


OSTIA 


—  200  — 


REGIONE   I. 


Altra  lastra  marmorea  (m.  0,185  X  0,09  X  0,085)  ove  rimane: 


Fio.  1. 


Palombino.  —  Matrice  esagonale  per  nove  tessere  quadrate  di  piombo,  su  cui 
erano  tre  punti  (mm.  8  X  8),  con  canaletto  centrale  e  due  fori  per  fermare  l'altra 
metà  (m.  0,145). 

Terracotta.  —  Lucerne  (  C.  I.  L.  XV,  6296  a  e  altre).  Frammento  di  ansa  co- 
perta di  vernice  a  smalto  verdognolo  con  due  semicerchi  ai  lati  di  una  figura  seduta 
poco  riconoscibile  (m.  0,045).  Coperchio  simile  con  due  zone  di  bugne  e  peduncolo 
(m.  0,076).  Mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV,  12,  71,  79,  103,  104  (3  es.),  105, 
109  (3  es.),  125,  129,  159,  315,  606,  648,  693,  704  a,  939,  958»,  992  a,  994,  1015  a. 


RBOIONE   I.  —   201    —  OSTIA 

1033  (2  es.),  1052,  1076,  1094  (2  es.),  1116»,  1298,  1368,  1435,  1449  a,  1615  a  e 

□     VERO-m-ETAMB-clos 
EX  FVN3  •  BRV  •  T  S  M  S  H jarfr 

che  completa  il  bollo  :  0. 1.  L.  XV,  39  ;   si  ebbe  inoltre  un  esemplare  del  mattone 
dell'officina  di  Cailius  Sabinus  (v.  sopra  pag.  53). 
Bronzo.  —  Un  ditale.  Frammenti  di  serrature. 


In  una  delle  taberne  delle  Terme  sulla  via  dei  Vigili  aprivasi  in  fondo  una  porta 
rozzamente  murata.  Tolto  il  muro,  si  riconobbe  dietro  di  essa  un  vano,  lungo  quanto  le 
taberne  4,  5,  6,  trasformato  in  epoca  posteriore  in  vasca  ;  fu  allora  rialzato  il  pavi- 
mento e  chiusa  quella  porta.  È  rivestito  d'intonaco  a  cocciopisto.  La  volta,  a  botte, 
sulla  quale  rimanevano  traccie  del  pavimento  ad  opera  spicata  del  piano  superiore, 
era  caduta  quando  la  vasca  era  già  piena  di  terra,  che  mostrava  vari  strati 
d'incendi. 

Sotto  il  pavimento  della  vasca  verso  sud,  fu  scoperta  un  piccola  fogna  ;  e  dentro 
ad  essa  uno  scheletro  umano. 

Per  questo  vano  si  spera  di  poter  penetrare  più  agevolmente  in  questa  parte 
delle  Terme,  che  è  forse  la  più  interessante. 

Negli  scarichi  si  rinvennero  mattoni  con  i  bolli   C-  I-  L.  XV,  103,  129,  1368. 

In  una  delle  finestre  a  feritoia  della  caserma  dei  Vigili,  che  danno  sulla  via  di 
comunicazione  tra  la  via  della  Fontana  e  quella  dei  Vigili,  si  vede  in  opera  un  mat- 
tone col  bollo  CI.  L.  XV,  1115». 

Si  è  continuato  lo  sterro  della  grande  via,  oltre  lo  sbocco  di  quella  dei  Vigili, 
verso  le  capanne. 

Sul  lato  occidentale  di  essa  continua  il  portico,  ma  in  peggiore  stato  che  nel 
tratto  precedentemente  scoperto  (')•  Qui  invece  s'incontra  più  volte  il  pavimento, 
che  è  di  cocciopisto. 

Delle  taberne  che  danno  nel  portico  sono  state  interamente  sterrate  soltanto  la 
prima  (all'angolo  di  via  dei  Vigili)  e  l'ottava. 

La  prima  (m.  5,45  X  6)  ha  due  porte  (m.  2,70),  con  soglia  in  travertino  con  i 
soliti  canaletti  ;  una  che  mette  nel  portico,  l'altra  nella  via  dei  Vigili.  Il  pavimento 
è  ad  opera  spicata,  e  sulle  pareti  nella  parte  inferiore  si  conserva  il  consueto  into- 
naco ordinario  a  cocciopisto.  Sulla  parete  nord  rimane  la  cornice  aggettata,  su  cui 
posava  il  piano  superiore. 

Nella  seconda  taberna  manca  la  soglia  in  travertino,  che  si  ritrova  invece  nella 
terza,  nella  quarta  e  nella  quinta. 

(')  Si  è  rinvenuto  qui  un  solo  capitello  in  travertino  insieme  con  pochi  frammenti  di  colonne. 


OSTIA  —   202   —  REGIONE   I. 

Il  sesto  vano  è  un  sottoscala  con  una  scala  che  ha  tredici  gradini  in  mattoni 
(m.  1,57  X  0,30  X  0,23),  e  che  posa  su  un  grande  arco,  ora  in  parte  franato. 

Con  questa  scala  finisce  la  casa  grandiosa,  lunga  m.  30,60,  il  cui  ingresso  fu 
notato  in  via  dei  Vigili,  in  quanto  che  dopo  di  essa  sbocca  nel  portico  una  via  pa- 
rallela a  quella  dei  Vigili.  Anche  qui  i  pilastri  del  portico  hanno  innestate  basi  in 
travertino,  e  gli  angoli  dei  muri  hanno  i  paracarri,  con  battenti  verticali  a  guisa  di 
porta.  Il  principio  della  strada  era  coperto  come  quello  della  via  dei  Vigili. 

Il  vano  ottavo  (m.  5,95  X  4,12)  è  una  taberna  col  pavimento  a  cocciopisto 
ed  una  vaschetta  (m.  0,90  X  0,98  X  0,25)  all'angolo  nord-ovest,  rivestita  d'intonaco 
a  cocciopisto.  Ha  due  porte  sulla  via  sopra  detta,  una  delle  quali  aperta  più  tardi, 
ed  una  nel  portico. 

Dopo  le  prossime  quattro  taberne  (9,  10,  11,  12)  si  apre  un'altra  strada,  larga 
m.  5,  parallela  alle  precedenti  e  che  limita  un'altro  edificio,  lungo  m.  22,60.  Con 
questa  strada  che,  nel  suo  inizio  sotto  il  portico,  ha  il  pavimento  a  cocciopisto,  e 
che  mostra  i  soliti  paracarri,  finisce  verso  questo  lato  il  portico,  il  quale  misura  nella 
parte  scavata,  cominciando  cioè  dalla  taberna  di  via  della  Fontana,  quasi  m.  145. 


Dall'altro  lato  della  strada  del  Teatro  dopo  la  via  che  viene  da  quella  dei 
sepolcri  procedendo  verso  le  capanne,  riapparvero  muri  di  edificii  di  epoca  tarda  di 
cattiva  costruzione  e  presso  che  rasi  al  suolo  ;  proseguendo  poi  se  ne  rinvennero  altri 
in  condizioni  migliori  e  di  buona  fattura.   Cominciando  dallo  sbocco  di  quella  via, 

la  strada  si  allarga  di  due  metri. 

* 

Nella  strada  del  Teatro  si  raccolsero  gli  oggetti  seguenti: 

Marmo.  —  Testa  di  giovinetto  imberbe  (m.  0,18)  di  tipo  evidentemente  ideale 
con  capelli  ricci  che  scendono  sulle  orecchie  e  sul  collo  e  sono  fermati  da  una  tenia. 
Braccio  riportato  di  grande  statua  (m.  0,72).  Parte  inferiore  di  testa  mal  conservata 
(m.  0,17).  Vi  si  raccolsero  inoltre  i  seguenti  frammenti  di  sculture. 

1.  Sarcofago  (m.  1,82X0,52X0,39).  Nel  centro  testa  cornuta  di  Oceano, 
verso  la  quale  si  dirigono  da  ciascun  lato  due  Nereidi  su  mostri  marini,  quelle  di 
mezzo  su  cavalli  che  rivoltano  la  testa  indietro;  quella  a  sin.  su  pantera,  quella  a 
dr.  su  un  grifo.  Sotto  onde  del  mare.  Dall'uno  e  dall'altro  lato  un  grifo  marino  (fig.  2). 

2.  Sarcofago,  con  resti  di  scultura  appena  abbozzata  (m.  2,05  X  0,56  X  0,32). 
Vi  è  la  rappresentanza  del  mito  di  Selene  e  di  Endimione  tra  due  Amorini  con  le 
fiaccole  capovolte.  A  sin.  Endimione,  con  la  sin.  sulla  testa  e  col  pedum  nella  d. 
abbassata,  dorme  sulle  ginocchia  di  Hypnos  barbato  e  coronato,  il  quale  appoggia  la 
d.  sulla  roccia.  Un  Amorino,  che  vola  in  alto  verso  sin.  con  fiaccola  accesa,  solleva 
il  manto  che  avvolge  il  dormiente,  scoprendone  la  parte  superiore.  Accanto  ad  En- 
dimione il  cane.  Un  Amorino  precede  Selene,  volgendosi  verso  questa.  Sopra  di  lui 
sporge  da  un  granchio  la  testa  di  Venere  che  guarda  il  pastore.  Selene  scende  dal 
carro,  dirigendosi  verso  Endimione.  Sul  carro,  che  è  rivolto  verso  d.,  posa  un  Amorino 
con  fiaccola  accesa.  Una  Vittoria  in  piedi  tiene  il  cavallo  per  le  redini. 


RBOIONB    I. 


—   203   — 


OSTIA 


3.  Frammento  di  sarcofago  (m.  0,20  X  0,16).  Resto  di  figura  loricata  con  parte 
di  scudo,  sul  quale  si  vede  la  metà  superiore  di  una  persona  nuda  con  capelli  lunghi, 
vSlta  verso  d.,  con  lancia  nella  d.  e  'braccio  sin"  alzato. 


Fio.  2. 


FiG.  3. 


4.  Id.  (m.  0,265  X  0,24).  Figura  virile  acefala  con  corto  chitone  e  piedi  nudi, 
in  moto  verso  sin.,  con  gerla  sul  dorso,  borsa  al  fianco  e  ronca  nella  mano  sinistra 
(tìg.  3). 


OSTIA 


—  204  — 


RBOIOMB   1. 


5.  Id.  (ni.  0,265  X  0,24).  Ritratto  di  donna  con  tnnica  e  manto  ;  la  d.  è  appog- 
giata al  petto.  I  capelli  divisi  scendono  dietro  le  orecchie  e  sono  raccolti  sull'alto 
della  testa;  a  sin.  avanzo  del  vestito  di  altra  figura  o  del  velario  (tìg.  4). 

G.  Id.  (m.  0,233  X  0,44  X  0,085).  Parte  di  putto  con  nebride  che  attraversa  il  petto, 
fermata  sulla  spalla  d.,  e  manto  con  fiocchi,  svolazzante  in  alto,  che  si  attortiglia  da 
una  parte  al  braccio  sin.  e  scende  dall'altra  innanzi  al  d.  ;  regge  sulla  d.  alzata  un 


Fio.  4. 


cesto  e  con  la  sin.  abbassata  un  grappolo.  A  sin.  il  capo  svolazzante  di  una  tenia. 
Appartiene  forse  ad  un  sarcofago  con  rappresentanza  delle  quattro  stagioni. 

7.  Frammento  di  sarcofago  striato,  di  m.  0,21  X  0,32  X  0,08.  A  sin.  di  un  pi- 
lastro scanalato  parte  di  figura  virile  nuda  con  scudo  e  balteo. 

8.  Frammento  di  m.  0,255  X  0,41  X  0,067.  Presenta  la  metà  superiore  di  una 
figura  virile  volta  a  d.,  con  capelli  ricci,  coperta  di  manto,  in  atto  di  reggere  con 
la  sin.  un  festone  che  le  passa  sul  capo.  A  d.  protome  muliebre  ornata  di  orecchini 
e  chiusa  entro  clipeo. 

9.  Id.  di  m.  0,30X0,21  X  0,155.  È  l'angolo  d.  di  un  sarcofago  striato,  ove  si 
vede  Mercurio  con  clamide  fermata  sulla  spalla  d.  ;  lia  le  ali  nei  piedi  e  nel  peta^; 
regge  nella  d.  la  borsa;  nella  sin.  il  caduceo.  Sul  lato  d.  una  testa  di  grifo. 


KBOIONK    1. 


—    205    — 


OSTIA 


10.  Id.  di  m.  0,30  X0,21  X  0,155.  Parte  superiore  di  figura  virile,  colla  testa 
inclinata  a  sin.,  col  petto  coperto  di  manto.  Regge  con  la  d.  una  face  (?). 

11.  Id.  di  m.  0,34  X0,39.  Parto  di  figura  che  regge  il  manto  con  la  sin.  A  d. 
traccia  di  un'altra  figura. 

12.  Id.  di  m.  0,14  X  0,20.   Parte  di  figura  femminile  seduta,  a  d.  un  quadru- 
pede e  più  in  là  un  giunco. 

13.  Parte  di  cornice,  poi  ridotta  a  lastra.  Amorino  a  cavallo  di  un  pesce. 

14.  Id.  di  m.  0,18  X  0,13.  Testina  muliebre  con  tenia. 

15.  Id.  di  m.  0,045.    Parto  di  Amorino,   recumbente  sul  fianco   d.,  in  atto  di 
reggere  un  festone. 

Si  raccolsero  pezzi  di  lastre  inannoreo  coi  seguenti  titoli  intieri  o  frammentati: 
1.  (m.  0,34X0,20X0,05): 

.'  .'  .'  ./  .'  .'  ./  ./  .'  ./ 
'  .  .'  .'  .'  .'  .'  .'  .'  .'  // 

./  .'  .'  ./  /  /  /  // 


2.  (m.  0,12X0,95X0.03.5): 


3.  (ni.  0  40  X  0.35  X  0,048)  a  grandi 


lettore  : 


(\^AVGG 


I     4.  (m.  0,27X0,40X0,13): 


^L  •  CHARJTO 

•  IDEM  ■  Q  ■  Q 

;t 

RIAE-VXORl 

ALVMNAE 
OGNATO 


^  V  S  Q_V  E 
V  AGR-P-XV 

5.  (m.  0,29  X  0,33  X  0,09)  : 

D  M 

VALENTINODIS 
PENSATORI 
FILI  FECERVNT 
BE  NEME  RENTl 
QVI  BIXIT  ANNIS 
X  L  V 1 1 1 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


27 


OSTIA 


—  206  — 


REOIOMB    'I 


6.  (m.  0,225X0,10X0,023): 


FECITCAPRri 
^.AMXET- 


8.  (m.  0,33  X  0,0.">)  con  l'iscrizione  iu  grossezza  : 

i 
ILAVDIORAPIDI 


7.  (m.  0,21X0,195X0,08): 


M  ' 
M  I  D  I  V  S 

',»VSCEMI 

\berte 

MERENTi 

!- 


9.  Id.  (in.  0,255  X  0,205  X  0,07). 
Da  iiD  Iato: 

D  M 

EGRILI  •  I  VLIA 
NI LYCISCVS 

AMICVS 


Dall'altro  : 

■D    CONCESSA   : 
LOCATRIAAB  / 
EGRILIOTELES 
PORO- AEMILIO 
PICENTIOETQVE 
IIERVFINE 


(sic) 


10.  (m.  0,245X0,10X0,0(57): 


11.  (m.  0,41  X0,41  XO,OG): 


I/Il  AVG 


ETAV, 
PSVO 
H  E  L/' 


12.  (m.  0,21  X  0,155): 


AMLIBTYCHE 
|m  •  HERENNIO 
/   CONlVGl 
Aer  l'NNIO  •  CLADO 
^rT^Ji^O  ET-  HEREN 

nEORVM 

Vxii 


D  M 

HIERON-SOSTRA 
TO-FRATRI  -B-M- 
FECVIX-AN-XXXV 
MEN-V  DIEB    X- 


13.  (111.0,205X0,09X0,035): 

D 

M  •  M  A  N,' 


14.  (m.  0,135  X  0,105  X  0,065): 
CJ  E  R  N  Y' 


DVLCISSIiK 
Nella  lin.  2  la  lettera  N  è  in  litura. 


REOIUNE    I. 


—    207    — 


OSTIA 


15.  (m.  0,255X0,195X0,035): 


IG.  (m.  0,25X0,23X0,048): 


Adrato 

(VNTSIBIET-SVIS 
AGROPXX 


17.  (m.  0,13X0,14): 


18.  (m.  0,21X0,12  X  0,035)  : 


VALERIAE-FILI/ 
DVLCISSIMAE 

ANN-Xyj. 


19.  (rn.  0,105X0,12X0,03): 


21.  (m.  0,247X0,15X0,035): 


20.  (m.  0,15X0,12X0,048): 

D  M 

VIBIA   REPENTINA 

EVTYCHIAE   VER 

NAE  SVAE  FECIT 

VIX  •  AN  •  V 

22.  (m.  0,085  X  0,085  X  0,035)  : 


Travertino.  —  Frammento  di  sarcofago  (m.  0,32  X  0,36  X  0,07),  su  cui  riman- 
gono in  rilievo  la  parte  anteriore  di  un  cavallo  e  la  testa  di  altro  cavallo,  ambe- 
due in  moto  verso  destra. 

Marmo  nero.  —  Pezzo  cilindrico  con  buco  fatto  a  tornio  a  mo'  d'imbuto  da 
un  lato  e  il  principio  di  uno  consimile  dall'altro  (m.  0,43  ;  diam.  m.  0,55). 

Lavagna.  —  Matrice  (m.  0,088  X  0,048  X  0,012).  Da  un  lato  ba  tre  incavi 
circolari  o  canaletto  intercomunicante,  senza  incisioni;  dall'altro  lato  due  zone  pa- 
rallele incavate,  nelle  quali  è  incisa  una  palma,  e  a  due  degli  angoli  opposti  avanzi 
dei  perni  in  ferro. 

Terracotta.  —  Lucerne,  di  cui  una  col  monogramma  del  Cristo.  Mattoni  con 
i  bolli  C.I.L.  XV,  12,  13,  41  (2  es.),  71  (2  es.),  76,  79  {5es.),  103, 104, 107  (2  es.),  109, 
129  (2  es.),  134,  228  (2  es.),  254  6,  319  (2  es.),  361,  475,  552,  635  a,  637  (2es.),  690, 
691,  693  (2  es.),  713,  792,  Siiti,  822,  847,  958a  (5  es.),  961,  992 e/,  I029e  (2  es.), 


OSTIA 


—  208  — 


REGIONE   I. 


1030,  1033  (2  es.),  1066,  1076,  1094,  11 16  a,  1130,  1219,  1220,  1435  (4  cs.),  1436 
(3  es.),  1449 «,  1477,  2185,  2197,  2200,  tre  esemplari  dei  consueti  di  ...  Oncsimus 
delle  figline  Bruttiane  (v.  sopra,  pi^.  166)  e 


1.  CD  Zefyr 

paet.  et  ap  /rON  COS 

a.  123  d.  C. 


3.  CD  EX  F  TE^F  S  AB  CAED  TEG 
SERV  FIRM  PAX  "E  APR  COS 


(cf.  G.  I.  L.  XV,  614). 


2.  O     tempèsmA  QJ  ab.  cacd. 
tUi\Mi^^EGÌ  allic. 

COS 
a.  127  d.  C.  (cfr.  C.J.L.  XV,  1842). 

4.  O  TEMPES  in  AC    feVI  PTD 

TITIAN-EGALLICN  a.l27d.C. 
SOD 


5.  O 


7.  O 


lAC-VIPVDF 

l'EGALLICN       :v.  127d.C. 
cOS 

I 

\CASSI/| 


l)V, 


6.  05       BASSVS  //         \r 


M 


OFFICI  NAT 


8.  O 


DOMIT  LVCILLA 

/////7//INLI 

Hill 


10.  CD 


\ 


3/V\E 


SHA/ 


11.  O  RS-  F    FOMJ 

(cfr.  C.  I.  L.  XV,  1592). 


Tutti  quanti  i  bolli  sopra  riferiti  vennero  rinvenuti  sul  lato  della  via  del  Teatro 
verso  il  portico;,  e  dall'altro  lato  si  raccolsero  i  mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV 
40,  79,  129,  665  ti,  961  (2  es.),  1035,  1130,  2167,  3041^;;  ed  i  seguenti 


1.  O     EX  •  PR  •  DOM  ■  LVCIL  •  For/ VNATI 

qiiadrn])cde  in  corsa  a  d.,  sotto  un  ramo  d'edera. 


o 


palma 
NC 


liron:o.  —  Un  piedino  di  statua  (m.  0,15X0,29).  Una  spina,  Una  palettina 
triangolare  con  manico  ad  a.sta  quadrata.  Cinquantatrò  monete  di  piccolo  niocliilo 
le  quali  vennero  tutte  raccolte  nella  prima  taberna. 


REGIONE   I. 


—  209 


MISENO 


Presento  qui  il  disegno  di  una  pianta  raffigurata  su  frammenti   di   un  vaso  di 
vetro,  rinvenuti  in  via  dei  Vigili  presso  la  Fontana  (fig.  5). 


FiG.  5. 


D.  Vaglieri. 


CAMPANIA. 


V.  MISENO  —  Base  di  statua  con  isermone  onoraria  ad  uno  sio- 
larco  della  flotta  Misenate. 

Nel  luglio  del  1907,  il  tenente  di  vascello  sig.  Oreste  Claves,  comandante  del 
distaccamento  del  Corpo  RR.  Equipaggi  a  Miseno,  avvertiva  cortesemente  la  Dire- 
zione del  Museo  di  Napoli,  che  un  pescatore,  frugando  nell'arena  della  spiaggia 
dentro  il  porto  di  Miseno,  aveva  scoperto  una  base  di  marmo  con  iscrizione.  E  poiché 
il  rinvenimento  era  stato  fatto  nella  zona  militare  di  proprietà  dello  Stato,  dopo  che 
l'egregio  Direttore  comm.  Gattini  ebbe  compiuto  le  opportune  pratiche  presso  il 
Ministero  della  Marina,  la  base  fu  trasportata  nel  Museo  Nazionale  di  Napoli. 

Il  punto  preciso,  dove  essa  fu  rinvenuta,  trovasi  sulla  spiaggia  orientale  del  porto 
interno  a  m.  183  dalla  estremità  del  ponte  della  polveriera,  fra  mezzo  a  ruderi 
romani  sottostanti  al  livello  del  mare,  a  causa  del  noto  abbassamento  di  suolo,  che 
si  verificò  verso  gli  ultimi  tempi  dell'Impero  romano  e  nell'età  di  mezzo. 

La  base  onoraria  a  forma  di  parallelepipedo,  con  cornice  in  alto  e  in  basso 
(alt.  m.  1,34  X  0,59  X  0,73)  reca  sulla  faccia  superiore  gli  incavi,  entro  i  quali  erano 


MISENO  —  210   —  REGIONE   I. 

saldati  i  perni  di  una  statua,  e   sulla  faccia   anteriore  la  seguente   notevole    iscri- 
zione : 

C-IVL    C  FCL- ALEX  ANDRO  • 
STOLARC- CLASS  •  PR  •  MISEN  •  PV 
philippianae  ADAMPLI AT O  • 
I VDIClS  •  DIVI  •  ALEX ANDRl    AVO 
5     CETERORVMQ  •    PRINCIP  •  PRAEP- 
RELIQ-  CLASSPRAETTMISEN  •  eT- 
RAVENN  •  PP  •  VV     EXPEDITIONl  • 
ORIENTALI  •  ADLEC  •  INORDir^ 
DECVR-  SPLENDIDISS  •  CIVITaT- 
10     MISITEMQSPLENDIDIS-  COL- 
ANTIOCHIENS  •  ET  •  SPLENDIDIS  • 
COLMALLOTAR  •  PATRON  QVO 

QVE- CI  VITATI-  CHlL  •  HOM  INI   VERE 
CVNDISSCIVL-  APRI  LI  S  •  VETAVGG 

15         L-DAB-AVREL-    SERAPIONE    ■    TRIBPRAEP 

Sul  lato  della  base,  che  sta  a  sinistra  di  chi  guarda,  leggesi  in  alto  : 
DEDIC      IDIB • MART 

H^'H  PRESENTE    ■    ET    •    ALBINO-   CoS 

Il  consolato  di  C.  Drutlius  Praesens  e  di  C.  Ali...  Albinus,  cado  nell'anno  246, 
essendo  imperatore  Filippo  l'Arabo. 

Lasciando  da  parte  le  cariche  civili,  lulius  Alexander  fu  investito  di  due  gradi 
nell'armata  romana:  fu  praepositus  reliqtiatloni  nelle  flotte  di  Miseno  e  di  Ravenna 
per  una  spedizione  nell'Oriente,  e  fu  stolarchus  della  flotta  di  Miseno,  nella  cui 
qualità  rimase,  fino  alla  morte,  con  poteri  accresciuti  [stolarchus  adampliatus)  per 
concessione  di  Alessandro  Severo  e  dei  successori  fino  a  Filippo  l'Arabo. 

L'ufficio  di  »  praepositus  reliquationi  » ,  che  ben  può  ritenersi  un  incarico  tempo- 
raneo, come  quello  di  ogni  altro  it praepositus  '  (Henzen,  Ann.  Instit.  1850,  pag.  39 
e  segg.),  fu  conferito  talvolta  a  centurioni,  come  attesta  la  lapide  di  C.  Sulgius  Cae- 
cilìanus,  che  da  centurione  della  legione  III  fu  nominato  praepositus  reliquationi 
classis  Misenatium  e  di  poi  primipilo  (Henzen,  6871),  e  l'altra  di  M.  Verecundinius, 


REGIONE    I.  —   211    —  MISENO 


che  da  praeposilus  reliquationi  class.  Misenat.  passò  anch'egli  a  primipilo  (C.  /.  L. 
X,  3345). 

Ma  il  grado  col  quale  lulius  Alexander  prestò  un  lungo  servizio  nella  flotta  di 
Miseno  è  quello  di  «  stolarchus  ».  Nessuna  delle  numerose  iscrizioni  di  classiari,  fino  ad 
oggi  conosciute,  ricorda  uno  stolarco;  e  solo  un'iscrizione  poetica  in  lingua  greca  dà 
il  titolo  di  ffroXócQXTjg  ad  un  comandante  delle  navi  stanziate  nel  Ponto  (').  Eia 
finora  incerto,  se  con  questo  titolo  venisse  grecamente  denominato  il  prefetto  della 
flotta  (Mommsen,  Garrucci)  o  il  comandante  di  una  divisione  (Henzen,  Marquardt)  (-). 
Io  non  credo  che  dopo  la  scoperta  di  questa  iscrizione  resti  più  dubbio  intorno  alia 
dignità  del  titolo  di  stolarco.  Se  passiamo  a  rassegna  le  non  poche  iscrizioni  di  pre- 
fetti della  flotta,  riscontreremo  che  a  tal  grado  si  perveniva  a  traverso  un  cursus 
honorum  lungo  ed  elevato  nella  carriera  equestre  (').  lulius  Alexander  da  semplice 
praeposilus  reliquationi  delle  flotte  di  Miseno  e  di  Ravenna,  poco  più  di  centurione 
e  poco  meno  di  primipilo,  fu  promosso  stolarco;  è  quindi  ovvio  che  questo  titolo 
non  fosse  pari  a  quello  di  ammiraglio,  ma  che  equivalesse,  come  credettero  l'Henzen 
e  il   Marquardt,  a  comandante   di  una  divisione. 

Possiamo  pure  arrivare  a  conoscere,  con  approssimazione,  quale  sia  la  expeditio 
orientalis  accennata  nella  epigrafe.  lulius  Alexander  senza  dubbio  già  era  stolarco 
sotto  Alessandro  Severo,  dal  quale  imperatore  gli  furono  ampliati  i  poteri;  opperò 
bisogna  ricercare  fra  gli  imperatori  precedenti,  nei  limiti  concessi  dall'età  di  lui, 
quale  fosse  stata  la  spedizione  orientale  per  cui  egli  fu  preposto  alla  custodia  ed  al- 
l'amministrazione dei  depositi  navali.  Ed,  ammettendo  che  la  sua  carriera  avesse  avuto 
la  durata  di  quarant'anni,  la  spedizione  orientale  citata  potrebb'essere  stata  quella 
del  194-196  d.  C,  che  procurò  a  Severo  i  titoli  di  Arabicus,  Parthicus,  Adiabenicus, 
0  quella  del  214-217  d.  C,  in  cui  Caracalla  condusse  ad  effetto  il  crudele  tradimento 
ai  Parti  e  si  gloriò  a  torto  d'aver  soggiogato  l'Oriente  {*).  Le  probabilità  sono  per 
questa  seconda,  di  cui  si  fa  menzione  in  un'altra  epigrafe,  a  giudizio  dell'Henzen 
(n.  7420  anji=  C.  I.  L.  Vili,  2564). 

V.  12,  13,  col.  Mallotar{um),  della  città  di  Mallos  in  Cilicia.  Civitati  Chil{ma- 
nensium). 

E.   6ÀBRICI. 

(')  CI.  0.  II,  3694.  Non  tengo  conto  di  un  benefieiarius  itolarchi  [C.  I.L.  X,  3413)  che  non 
ha  nessan  valore  per  la  mia  osservazione. 

(')  Ferrerò,  L'ordinamento  delle  armate  romane,  pag.  33,  che  riporta  la  bibliografia. 

e)  e.  I.  L.  X,  4868.  Sex.  Anlienus  Rufus.  jirimus  pilus  II.  tr.  mil ,  praef.  levis  armat.,  praef. 
castr.,  imp.  caesar.  aug.  et  ti.  caesaris  augusti,  praef.  classis,  praef.  fair.  ;  C.  IL.  II,  1178,  M.  Cal- 
parnins  Seneca  p.  p.  leg.  I  adiutricis,  proc.  provinciae  Lusitaniae  et  Vettoniae,  praef.  clasxis 
Misenensis;  C.I.L.  V,  86.'j9.  P.  Comìnius  Clemens,  fu  diverse  volto  proc.  aug.,  fu  praepofitus  a 
cens.  e  dipoi  praef.  classium  praet.  Misenens.  et  Ravenn.  Cfr.  Forbiger  de  clasaium  italicar.  hist. 
p.  351. 

(')  Hirodian.,  IV,  11:  èxeì  Si  yei'ófiFvo;  (nella  Mes'ipotamia),  àniaTéXXei  r^  re  <tii;  x^jjro)  xn't 
rfi)  Poifialioi'  ifrjl^to,  naanv  àvatoXijf  xe;f£fpfi)ff3«t,  x(à  r^f  ènéxcivit  jinaiXtins  niinag  «ita  riaga- 
xe^atgtjxévai, 


POZZUOLI  —  212   —  REGIONE    1. 


VI.  POZZUOLI  —  Bassorilievi  marmorei  rappresenlanli  soldati  re- 
mani, e  pezzi  di  una  iscrizione  onoraria  latina  del  periodo  degli  Antonini. 

Il  sig.  Pasquale  D'Elia,  nell'aprire  i  cavi  di  fondazione  per  una  sua  casa  da  co- 
struire nel  nuovo  rione  Ricotti  a  Pozzuoli,  rinvenne  alcuni  frammenti  di  un  basso- 
rilievo marmoreo  ed  una  lapide  con  iscrizione.  Il  luogo  della  scoperta  è  compreso 
nell'area  dell'antica  città  romana,  dove  sorgevano  i  più  insigni  monumenti  pubblici, 
a  circa  m.  150  verso  sud-ovest  dall'anfiteatro,  in  direziono  della  stazione  cumana. 

11  D'Elia  narra  di  aver  incontrato  molti  muri  di  epoca  romana  nei  cavi  di  fon- 
dazione, ed  anche  una  via  romana  in  direzione  da  est  ad  ovest,  larga  m.  5  all'incirca. 
sottoposta  di  m.  1,20  al  pavimento  dei  vani  terreni  del  nuovo  edilìzio.  Essendo  stati 
approfonditi  i  cavi,  rinvenne  un'altra  via  romana  due  metri  sotto  il  piano  della  prima 
e  nella  medesima  direzione.  Lungo  il  margine  setteutrionale  di  queste  vie,  nella  terra 
di  riempimento,  gettata  per  raggiungere  il  livello  della  via  più  recente,  raccolse  in 
più  frammenti  una  lastra  rettangolare  di  marmo  bianco,  di  grana  grossa,  con  venature 
grigie,  dello  spessore  massimo  di  cm.  28,  alta  m.  1,60,  larga  m.  1,14.  La  faccia  ante- 
riore è  ripartita  in  due  riquadri  incorniciati  da  un  listello  di  pochi  centimetri,  con 
incasso  profondo  fino  a  cm.  13.  Nessuno  dei  due  riquadri  è  intero,  perchè  la  lastra 
rettangolare,  su  cui  sono  scolpiti,  aveva  sui  fianchi  altre  due  lastre  consimili  le  quali 
completavano  i  riquadri  e  i  rilievi  in  essi  racchiusi  (fig.  1).  Nel  primo,  largo  cm.  48,  è 
scolpita  ad  alto  rilievo  una  mezza  figura  di  soldato  romano  gradiente,  segu'ito  da  un 
altro  soldato,  in  rilievo  più  basso.  Entrambi  hanno  il  capo  scoperto,  guardano  verso 
la  loro  destra,  cioè  a  dire  verso  il  centro  della  rappresentazione;  indossano  tunica  e 
saQuin  ed  hanno  i  calcei  ai  piedi.  Quello  che  sta  innanzi  tiene  poggiata  alla  spalla  con 
la  mano  sinistra  un'asta,  il  cui  ferro  non  è  scolpito  con  precisione;  quello  che  segue 
è  armato  di  scutum  con  decorazione  a  fogliame  e  rami,  fra  cui  uno  scorpione,  e 
poggia  sulla  spalla  destra  l'asta,  che  è  appena  accennata. 

In  questa  figura  osservo  un  particolare  degno  di  speciale  menzione;  essa  ha  la 
mano  sinistra  sporgente  di  dietro  allo  scudo  e  sospesa  per  il  dito  indice  ad  una  doppia 
correggia  che  sporge  da  dietro  al  collo  sulla  spalla.  Intorno  all'ufficio  di  questa  cor- 
reggia si  possono  fare  due  ipotesi:  o  essa  è  legata  alla  faccia  interna  dello  scudo  per 
l'estremo  non  visibile,  ed  allora  lo  scudo  non  è  imbracciato,  ma  semplicemente  sospeso 
alla  spalla  e  trattenuto  col  dito  indice  dal  guerriero;  ovvero  lo  scudo  è  imbracciato, 
ed  allora  l'ufiìcio  della  correggia  sarebbe  quello  di  attenuare  il  peso,  olTrendo  un  so- 
stegno al  braccio  per  mezzo  del  dito  indice  introdotto  nella  sua  curvatura.  Giova  qui 
ricordare  un  brano  di  Polibio  (XVIII,  1),  rjcavato  dal  suo  noto  excursus  intorno  al 
vallo  dei  Romani  e  alla  milizia  romana  confrontata  con  quella  macedone:  Ot  fdv 
ElXrjvsg  fi6Xi<;  avtòàv  xgceTovffi  tSiv  oxsvùùv  sv  tuTg  nogtiuic,  xal  /lóXic  vnont'iovffi 
TÙv  ànò  loviuv  xÓTtov.  'Poafiaìoi  Sé,  xovg  fièv  dvgeohg  rore  òxfT'ffi  toTc  (Txvu'votg  tx 
tSiv  (òfiwv  èjqqtìjnóteg,  raì;  3è  xf^fftr  avcovg  Tovg  yaiCovg  (pégovrsg,  ènidsxovtai 
Tì]v  nuQaxoi^uóìji'  toù  /«^axo?  (').  Nella  prima  ipotesi  il  passo  di  Polibio  calzerebbe 

(')  Su  questo  brano  di  Polibio  richiarab  la  mia  attjiizione  il  collega  ispettore  Spano,  addetto 
alla  direzione  degli  scavi  di  Pompei. 


REGIONE   I. 


—  213"— 


POZZUOLI 


Fio.  2. 


Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


28 


POZZUOLI 


—  214  — 


REGIONE   I. 


perfettamente  al  caso,  nella  seconda  no  ;  ma  potrebbe  anclie  essere  avvenuto  che  al- 
cuni usi  militari  si  andassero  modificando  col  volgere  dei  secoli.  Ad  ogni  modo  non 
può  mettersi  in  dubbio  che  la  cinghia  del  soldato  romano  rappresentata  su  questo 
bassorilievo  serviva  allo  scopo  di  alleggerire  lo  sculum,  pesante  per  le  sue  dimensioni. 


FiG.  2. 


Il  riquadro  di  destra  ci  presenta  un  altro  soldato  romano  di  fronte,  vestito  di 
tunica  e  sagum,  col  cingulum  miliiiae  pendente  sotto  la  cintura.  Al  fianco  destro 
ha  il  parazonio,  e  si  appoggia  col  braccio  alla  lancia;  manca  il  lato  sinistro  della 
figura. 

Questo  rilievo  puteolano  doveva,  con  altri  perduti,  rivestire  un  monumento  pub- 
blico, al  quale  era  addossato  con  grappe  (')•  La  parte  rinvenuta  ci  presenta  il  rilievo 


(')  Restano  i  fori  delle  grappe  sulla  costa  inferiore  della  lastra,  in  corrispondenza  del  piede 
di  scorcio  nel  rettangolo  minore  e  del  piede  destro  della  figura  nel  rettangolo  maggiore,  come  pure 
sulla  costa  superiore,  in  numero  di  tre. 


REGIONE   I.  —   215   —  POZZUOLI 

a  due  piani:  le  figure  sul  davanti  hanno  un  liliero  che  si  stacca  dal  fondo  fino  a 
13  centimetri;  quella  che  rimane  indietro  si  stacca  assai  poco  dal  fondo  e  non  ha  il 
movimento  delle  altre,  anzi  vi  si  nota  qualche  errore  madornale.  Difatti,  mentre  la  per- 
sona è  rappresentata  di  tre  quarti,  la  testa  le  gambe  e  i  piedi  sono  di  pieno  profilo. 
Per  questo  difetto  sembrerebbe  che  l'artista  non  fosse  vissuto  in  un  secolo,  in  cui  il 
bassorilievo  aveva  raggiunto  i  maggiori  ardimenti  in  Roma  e  fuori.  Le  figure  in  alto- 
rilievo sono  assai  più  spigliate  nei  movimenti,  in  special  modo  quella  del  mezzo- 
riquadro di  sinistra. 

La  modellatura  dei  nudi  è  buona;  le  pieghe  delle  vesti  sono  un  po' duro;  alcuni 
dettagli  trascurati.  L'esame  stilistico  del  monumento  non  mi  riporta  più  in  qua  della 

metà  del  secolo  II  d.  C. 

* 

Poco  più  ad  ovest,  anche  sul  margine  settentrionale  della  via  romana  e  nel 
medesimo  strato,  si  raccolsero  i  frammenti  di  una  lastra  marmorea  (m.  0,85  X  0,70) 
con  iscrizione  onoraria,  posta  ad  un  insigne  cittadino,  del  periodo  tra  la  fine  del  II 
ed  il  principio  del  III  secolo  dell'  impero.  È  incisa  in  bellissime  lettere  ;  ed  il  campo 
epigrafico  è  chiuso  da  duplice  cornice. 

La  Direzione  del  Museo  Nazionale  di  Napoli  ne  fece  eseguire  la  fotografia  (fig.  2)  ; 
e  dopo  alcun  tempo  il  sig.  D'Elia  donò  la  lapide  stessa  al  Museo,  ma  con  un  pez- 
zetto mancante;  perciò  si  rende  necessaria  la  pubblicazione  della  fotografia,  la  quale 
ci  dà  il  monumento  più  completo  di  quello  che  oggi  si  conserva. 

L' iscrizione  dice  : 


TcaesioTFilTnlabnPàl- 
anthianovc 

PROCxx-  hered-Tract-  etrvr  •  VMBR- ficenparTcamp- 

PROC  •  FAMIL  •  GLAD    •    P  E  R  •  AEM   •  TRANSP  •    ■■  'v  (?'«?) 

5  DELMATIAM        PROC-  A   I.   i   M    •      l    . 

TRIBLEG-  iT'PARTH-  pFFa-  TRIBLEG 
PRAeFcOHÌi-  AVO  •  THRAC  ■  E  Q.V  1 
TATRONO-    ET-      CVR      •      ABELLINATI 

PVTEOLANI-     PVB 
10         GIVI  ■  l     r^     D    !    G       E    N    A    E 


V.  6,  Irib.  leg.  II  Parth{icae).  L'iscrizione  non   ò  anteriore  a  Settimio  Severo,  ciie 
istituì  la  11  Purthica  (Casa.  Dio.,  55,  24,  4). 

E.    GÀBRICI. 


SESSA    AURUNCA  —   216   —  REGIONE    1. 


VII.  SESSA  AURUNCA  —  Iscrmone  votiva  ad  Iside  e  Serapide 
rinvenuta  nel  territorio  del  comune  e  titolo  funebre  latino  conservato 
nell'episcopio. 

Mons.  Gioranni  Diamare,  roscovo  ed  ispettore  onorario  pei  monumenti  in  Sessa 
Aurunca,  richiamò  l'attenzione  del  Ministero  sulla  epigrafe  seguente,  incisa  sopra  un 
tronco  di  colonnina  d'alabastro  orientale  (alt.  cm.  70,  diam.  cm.  24),  che  egli  rin- 
venne net  tenimento  di  Piedimonte  (frazione  del  comune  di  Sessa  Aurunca)  e  che 
ora  si  conserva  nel  palazzo  vescovile  : 

Q^  B  A  E  B I V  S  •  Q_F 
C-  BIRRIVS-  C  •  F 

DVOVIR 
REDEGERVNT 

ISl  •  SERAPI 
SAC 

La  forma  delle  lettere  riporta  la  iscrizione  al  primo  secolo  dell'Impero,  cioè 
ad  un'epoca  in  cui  erano  penetrati  in  Occidente  i  culti  orientali.  Il  verbo  redegerunt, 
riferibile  a  ciò  che  costituisce  oggetto  della  icrizione,  e  che  fu  consacrato  ad  Iside  e 
Serapide,  pare  che  vada  inteso  nel  senso  di  collegerunt,  frequente  presso  gli  scrittori 
dell'età  imperiale. 

A  destra  della  iscrìzione  fu  tracciata  in  età  seriore  una  maschera  informe  a  sem- 
plice contorno,  la  quale  ha  distrutto  in  parte  la  f  finale  del  primo  rigo. 

* 

Nello  stesso  palazzo  vescovile  si  conserva  un'altra  epigrafe  su  lastra  di  marmo 
(m.  0,36X0,36),  del  secolo  III  che  dice: 

THYMELI   •  HABE 

■  D  •  M  •  S 
TFLPROCVLOHO 
MINIINNOCENTIS 
SIMO  Q_yA.XXXVIIIMBV 
DXXV  FORTVNS'IAci  con 

IV      gì  C5  Btf  M  K  F 

Il  primo  verso  contiene  un  saluto  al  defunto,  dove  ìiabe  sta  per  have,  e  dove 
Thymeli  è  da  intendere  per  il  sigmm  del  defunto  stesso. 

E.  Gabbici. 


RBGIONB    IV.  —    217    —  SAN    VITTORINO,    CAMPANA 


Regione  IV  (SAMNIUM  et  SABINA). 

SABINI. 

vili.  SAN  VITTORINO  (frazione  del  comune  di  Pizzoli)  —  Slek  sepol- 
crale IscrUta,  rmvenuta  in  contrada  la  Costa. 

Nello  acorso  aprile  il  coutadino  Adamo  Giusti,  facendo  dei  lavori  agricoli  sopra 
un  terreno  ciie  tiene  in  fitto  dall'arcipretura  di  s.  Vittorino,  cui  si  appartiene,  in  con- 
trada la  Costa,  a  destra  della  strada  elio  in  salita  conduce  alla  chiesa  parrocchiale 
di  detto  paese,  a  poca  profondità  dalla  superfìcie  del  suolo,  rimise  alla  luce  una 
stele  sepolcrale  in  calcare,  che  da  capo  è  arcuata.  Le  sue  dimensioni  sono:  altezza, 
m.  1,17;  larghezza,  m.  0,43;  spessore  m.  0,17.  In  buon  carattere,  contiene  la  se- 
guente epigrafe: 


IN-FRPXI  II 
M  •  C  A  NI)  L- 
MENO  GENIS 

Detta  stele  oggi  trovasi  giacente    e  capovolta   presso  la  maceria  che  recinge  il 

suddetto  terreno  e  contina  colla  su  accennata  strada. 

N.  Persichetti. 

VESTI  NI. 

IX.  CAMPANA  (frazione  del  comune  di  Fagnano  Alto)  —  Tomba  con 
iscrizione  latina  scoperta  nella  località  denominata  Capo  le  Praia. 

Un  tal  Ascanio  d'Ascanio,  facendo  lavori  agricoli  in  un  terreno  posto  alla  di- 
stanza di  circa  300  m.  dall'abitato,  nella  località  denominata  Capo  le  Prata,  rinvenne 
una  tomba  consistente  in  un  grande  sarcofago  di  calcare  formato  di  un  solo  pezzo  e 
munito  del  proprio  coperchio.  Il  coperchio,  esso  pure  di  un  solo  pezzo,  consiste  in  una 
lastra  lunga  m.  1,15,  larga  m.  0,85  e  dello  spessore  di  m.  0,12.  Sopra  uno  dei 
margini  del  coperchio  stesso  vedesi  incisa,  in  lettere  alte  m.  0,06,  l'iscrizione: 

T-   VARI    T-   F 

Sul  piano  superiore  dello  stesso  coperchio  veggonsi  incise  le  tre  lettere  seguenti: 

P-    C-    A 

Dentro  il  sarcofago  si  rinvennero  quattro  scheletri,  insieme  ad  oggetti  di  sup- 
pellettile funebre,  che  non  si  ritennero  meritevoli  di  essere  conservati. 

Il  sarcofago  stesso  col  suo  coperchio  è  ora  custodito  dallo  scopritore  sig.  d'Ascanio 
nella  sua  casa  nel  paese  di  Campana. 

Benché  il  rinvenimento  fosse  avvenuto  da  qualche  tempo,  nessuno  finora  ne  ebbe 
notizia,  sicché  le  epigrafi  vengono  ora  portate  la  prima  volta  alla  conoscenza  degli 
studiosi.  N.  Persichetti. 


SALA   CONSILINA  —   2l8   —  REGIONE   IH. 


Regione  III  (LUCANIA  ET  BRUTTI I). 

LUCANIA. 

X.  SALA  CONSILINA  —  Cippo  miliare  della  via  Popilia,  recante 
due  iscrÌ2Ìoni  del  basso  impero. 

Nel  novembre  del  1907  il  prof.  Arcangelo  Rotunno,  R.  Ispettore  degli  scavi 
e  dei  monumenti  residente  in  Padiila,  dava  notizia  di  una  importante  scoperta  av- 
venuta nella  località  denominata  Deserte  o  Prefiche  alla  distanza  di  quattro  chilo- 
metri a  nord-ovest  di  Sala  Consilina.  Il  signor  Giacomo  Pezzella  lo  aveva  avvertito 
che  un  suo  colono  in  occasione  di  lavori  agricoli  aveva  colà  rimesso  alla  luce  un 
pilastro  calcareo,  recante  su  due  facce  opposte  due  iscrizioni  di  epoca  tarda. 

Da  una  parte  vi  si  legge:  e  dall'altra: 

imp.  e.  m.  aV  r.  S  A  1^  B  O 

y  AMERIO  D/VAVC 

(/«OCUETIA/O  CI^AVDlo 

INVICTO  «oBA/O 

AVCETIMP  5                           BO/VORP             5 

CAES  ■  N\.  kMK£  yV  A  T  O 

nOVALERI   O  D       /V 

MAXIM  I  A/   O  C  U   A  V  Dio 

PFINVKTO  F  L.  lOBI 

AVCETE    VAL  E  10                                  A    /V    O                 10 

R  I  OC  O  /V  S  T  A     V    C 

A/  T  I  O  ET  CA  U  BO  /VO 

ERIOV  A  UER  R   P    /VA 

I  O  M  A   X    I   M  *  T    O 

I  A/O/VO  BKSS  15 

IMIS  ■  CAESA 
RI  B  VS 

La  contrada  Deserte  trovasi  a  mezza  costa  sul  pendio  dei  monti  che  stanno  ad 
est  della  via  provinciale  fra  Atena  e  Sala,  e  presenta  a  fior  di  terra  numerosi  avanzi 
di  fabbriche  antiche.  La  curiosità  un  po'  spinta  di  persone  interessate  aveva  fatto 
rimettere  in  luce  i  ruderi  di  un  fabbricato  che  ha  tutti  i  caratteri  di  un  grande 
bagno  romano,  con  vasca  pel  frigidarium  di  pianta  semicircolare  e  con  camerette  a 
pareti  vuote  e  pavimento  sospeso,  per  uso  di  tepidarium.  Questi  ruderi  trovansi  in 
prossimità  della  via  denominata  del  Procaccia,  che  è  la  vecchia  strada  che  serviva  di 
comunicazione  fra  Sala  Consiliare  ed  Atena,  prima  che  venisse  costruita  a  valle  la 
odierna  via  carrozzabile.  Si  ritiene  con  fondamento  che  questa  via  del  Procaccia 
seguisse  l'andamento  dell'antica  via  Popilia,  che  da  Capua  andava  a  Reggio,  e  ctfe 


REGIONE    ni.  —    219    —  SALA    CONSIMNA 

si  prolungava  a  mezza  costa  dei  monti  situati  a  nord-est  della  valle  di  Tegianum, 
detta  oggi    Vallo  di  Diano  (cfr.  C.  I.  L.  X,  G950). 

Più  in  alto  v'  è  una  contrada  denominata  Bagni,  e  più  su  ancora  fra'  monti 
fluiscono  le  acque  dolci  di  Fontana  Antica  e  quelle  minerali  del  Salvatore  o  dui  Salice. 
La  tradizione  e  l'esistenza  di  queste  sorgenti  coincidono  quindi  col  fatto  recentemente 
assodato  della  scoperta  degli  avanzi  di  un  edificio  balneare  in  quella  località. 

Il  cippo  fu  rinvenuto  presso  la  vasca,  distante  non  più  di  m.  CO  a  valle  delia 
via  del  Procaccia,  ossia  dell'antica  via  Popilia.  Ha  la  forma  di  un  pilastrino  rettan- 
golare (alt.  m.  1,47,  largii,  cm.  32),  con  gli  spigoli  arrotondati,  fuorché  alla  estremità 
inferiore  per  una  lunghezza  di  cm.  25.  La  superficie  scabrosa,  l'incisione  delle  lettere 
assai  trascurata  e  superficiale,  ed  inoltre  qualche  screpolatura  naturale  della  pietra 
rendono  difiicile  la  lettura  delle  due  iscrizioni. 

Richiamo  l'attenzione  sulle  particolarità  ortografiche  {salho  per  salvo  e  lobiano 
per  loviano)   e  paleografiche   (notevoli  i  nessi  an,  /l,  li.  hi)  di  queste  due  epigrafi. 

La  forma  del  monumento  e  il  contenuto  delle  iscrizioni  dimostrano  essere  il 
pilastro  un  cippo  miliare  di  ima  via  romana,  certamente  la  Popilia,  ciie  fu  restaurata 
in  quel  punto  primieramente  al  tempo  della  tetrarchia,  e  poi,  dopo  un  mezzo  secolo 
da  Gioviano  (a.  363-364  d.  C).  Se  non  che  la  mancanza  del  numero  delle  miglia, 
frequente  in  simili  iscrizioni  della  stessa  età,  ne  diminuisce  l'importanza. 

Fra  le  macerie,  che  colmavano  la  vasca,  si  rinvennero  sette  od  otto  scheletri, 
ed  altri  due  in  una  delle  camerette  del  tepidarium.  Mi  si  assicura  clic  questi  sche- 
letri avessero  accanto  qualche  vaso  di  terracotta.  Pare  che  si  tratti  di  inumazioni 
dell'alto  medio  evo,  oppure  degli  ultimi  tempi  della  decadenza  romana,  quando  quegli 
edifizii  furono  abbandonati  dopo  la  rovina.  Al  tempo  di  Costantino  stavano  ancora 
in  piedi,  essendo  stato  raccolto  un  piccolo  bronzo  costantiniano  sul  pavimento  presso 
una  delle  soglie. 

E.  GÀmuci. 


Rom;i.  20  giugno   10u9. 


ROMA  —  221   —  ROMA 


Anno  1909  —  Fascicolo  7. 


I.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Eegione  VI.  In  queste  Notizie  (1907  pp.  4318  e  504)  fu  registrata  la  scoperta 
d  i  alcuni  avanzi  di  grandiose  costruzioni  appartenenti  ad  una  cinta  urbana  d' età 
preaugustea,  venuti  in  luce  nell'area  ir  cui  dovrà  sorgere  il  palazzo  del  Ministero 
d'Agricoltura  Industria  e  Commercio.  Questi  avanzi  furono  giustamente  messi  in  re- 
lazione con  quei  medesimi  indicati  nelli  Forma  Urbis  del  prof.  Lanciani  e  visibili 
in  parte  lungo  il  viale  d'accesso  alla  gà  villa  Spithoever  sulla  via  Piemonte.  Pei 
lavori  di  sterro,  che  compie  in  questo  luogo  la  società  Sallustiana,  è  stato  messo 
totalmente  al  nudo  il  bellissimo  tratto  d  mura  indicato  nella  precitata  Forma  Urbis, 
lungo  m.  36  e  conservato  in  alcuni  pmti  per  un'  altezza  di  nove  filari.  È  stata  resa 
pure  visibile  la  linea  di  posa  di  detta  costruzione,  formata  da  un  taglio  profondo 
sul  vivo  terreno  vergine  e  inoltre  lo  sjessore  del  muro  che  alla  base  supera  i  tre 
metri.  Il  muro  è  costituito  da  filari  d  tufo  a  lastroni  larghi  m.  da  0,55  a  0,60, 
lunghi  m.  da  0,80  a  0,90  e  alti  m.  da  ♦,20  a  0,27,  stratificati  per  tutta  la  larghezza 
della  costruzione  e  alternati  con  altri  ilari  in  modo  che  la  compagine  riuscisse  inca- 
tenata colla  sovrapposizione  dell'  uno  aU altro  filare,  seguendo  quasi  la  struttura  etrusca 
del  cosidetto  agger  di  Servio,  in  cui  i  filari  messi  per  testa  si  alternano  coi  filari 
messi  per  lungo.  Questo  tratto  di  antiihe  mura,  come  apparisce  dalla  rappresentanza 
che  qui  ne  è  data  (lìg.  1),  è  caratterisico  per  la  diversità  soltanto  apparente  di  due 
costruzioni,  delle  quali  una  rappresenla  la  fondazione,  l' altra  l' elevazione  delle  vere 
e  proprie  mura. 

Queste  due  diverse  stratificazioni  che  sono  parti  di  un  insieme  organico,  si  di- 
stinguono non  per  la  diversità  del  nateriale  o  per  la  differenza  della  costruzione, 
ma  semplicemente  per  il  bozzato  rusico,  quasi  bugnato  a  morse,  che  appartiene  alla 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  29 


ROMA 


—  222  — 


ROMA 


parte  più  bassa  e  pel  bozzato  uniforme,  ben  connesso  e  leggiermente  degradante  a 
scaletta  di  pochi  centimetri  (fig.  2),  che  costituisce  il  vero  alzato  delle  mura.  È  pure 
notevole  che  il  bozzato  rustico  non  si  limita  ad  una  data  altezza,  ma  ora  scende, 
ora  risale  con  una  linea  ondulata.  La  ragione  di  questa  disparità  è  particolarmente 
data  dalla  differenza  di  altezza  della  scarpata  naturale  o  artificiale,  che  formava  il 
piede  delle  mura  all'  esterno  e  che  racchiudeva  le  fondazioni. 


Fio. 


Il  tratto  di  mura  ora  interamenterimeso  a  luce  accenna  nella  sua  estremità 
verso  destra  a  piegare  ad  angolo  molto  aper»  ;  il  che  conferma  la  sua  relazione  coi 
tratti  di  costruzioni  congeneri  ricordati  in  pincipio;  in  modo  che  in  c[uel  punto  può 
facilmente  immaginarsi  in  che  modo  si  svol^  iva  l'antica  cinta  urbana  sull'orlo  del 
profondo  vallone. 


Proseguendo  lo  sterro  a  ridosso  del  dett 


muro  di  cinta  sono  stati  rimessi  alla 


luce  avanzi  di  altre  costruzioni  in  opera  late  izia  e  reticolata. 

In  un  piano,  relativamente  superficiale  r  ipetto  alle  fondazioni  della  cinta,  si 
scoprì  una  scala  compresa  fra  due  muri,  in  oj  ira  reticolata  dello  spessore  di  m.  0,47. 
Detta  scala,  che  misurava  in  larghezza  m.  1,4  >  ed  apparteneva  cogli  altri  avanzi  ad 
un'abitazione  privata,  si  componeva  di  una  pi  Boia  rampa  a  gradini  di  peperino,'la 


ROMA 


—  223  — 


ROMA 


cui  pedata  età  di  m.  0,30  e  l'alzata  di  m.  0,21.  L'intonaco  dei   muri   era  dipinto 
in  rosso. 

Ad  oriente  di  questa  scala  e  distante  m.  7,00  dal  muro  reticolato,  si  scoprì 
un  muro  laterizio,  largo  m.  0,90,  che  limitava  un  pavimento  formato  con  le  con- 
suete suspensurae,  poggianti  sopra  mattoni  bipedali.  Alcune  delle  suspensurae  erano 
costruite  con  mattoni  quadri  ;  altre  con  mattoni  ciicolari.  Però  il  tutto  era  in  pessimo 
stato  di  conservazione  a  causa  della  cattiva  costruzione  dei  fabbricati  ed  anche  per 
la  pressione  del  terrapieno.  - 

Il  piano  del  pavimentò  di  questo  ipocausto  trovavasi 

1  a  m.  8.00  sopra  il  livello  della  via  delle  Finanze.  Proce- 

'j  dendo  lo  sterro  in  profondidà,  cioè  al   livello  stesso  dove 

'i  posavano  i  primi  filari  della  cinta  delle  mura,  s'incontrò 

i|  un  muro  a  sezione  di  cerchio,  largo  circa  m.  0,80,  rozzo 

dalla  parte  convessa,  e  costruito  più  regolarmente  nella 
faccia  concava.  La  posizione  di  questo  muro  ed  il  tempo  a 
cui  si  deve  riferire,  il  quale  sembra  rispondere  al  I-II  secolo 
dell'  impero,  escludono  che  la  cinta  meniana  abbia  tagliato 
fuori  una  parte  di  questo  grande  muro  curvilineo,  cioè  che 
abbia  distrutto  fino  dalle  fondazioni  un'edificio  più  antico. 
Invece  detto  muro  sembra  che  sia  stato  costruito  presso 
il  grande  angolo  formato  dalla  cinta  ricordata,  collo  scopo 
di  trattenere  la  spinta  del  terrapieno  che  in  quel  punto 
saliva  per  grande  altezza  nell'  interno  delle  mura,  come  lo 
indicavano  gli  avanzi  dei  fabbricati  testé  ricordati. 


Regione  VII.  Le  antiche  memorie  intorno  alla  chiesa 
di  San  Marcello  al  Corso  sono  concordi  nell'affermare  che 
i  corpi  di  alcuni  santi  si  trovavano  quivi  deposti  sotto  l'altare 
del  Crocifisso  nella  terza  cappella  a  destra.  I  nomi  di 
questi  santi  ìono  Giovanni  prete,  Blasto,  Diogene  e  Longino. 
L' altare  era  chiuso  sul  dinanzi  da  una  pala  a  mo- 
saico in  ma-mi  diversi  ;  e  di  dietro  era  reso  in  piccola  parte 
praticabile  da  una  porticella  bassa,  che  corrispondeva  ad 
un  angolo  Iella  sagrestia,  dove  appunto  cala  e  si  nasconde 
a  guisa  di  saracinesca  la  tavola  dipinta  dell'altare  per 
mettere  alb  scoperto  il  crocifisso,  che  si  venera  in  quella 
cappella. 

Dinnanzi  allo  spazio  ristretto,  (he  trovasi  di  fronte  alla  porticella,  vedesi  un 
blocco  di  marmo  molto  grande,  sconiciato  e  riconoscibile  per  un  piedistallo  o  cippo 
d' età  romana.  Questo  blocco  non  po'eva  vedersi  che  dalla  sola  parte  posteriore,  poi- 
ché lateralmente  era  stretto  fra  le  Durature  di  sostegno  della  mensa.  Non  si  poteva 


-;  terra 
■oergine 


'■r\^'>- 


0 


1 1 1 1 


1 


melroi 


FiG.   2. 


riconoscere  nel  momento  dove  fosser)  deposti  i  corpi  dei  santi  sopra  accennati,  tanto 


ROMA 


224 


ROMA 


più  che  lo  stesso  blocco  o  cippo  marmoreo  sembrava  messo  a  sostegno  di  un  grosso 
architrave  di  pietra,  sul  quale  poggiava  il  margine  posteriore  della  mensa,  ma 
che  era  spaccato  in  due.  Nondimeno,  escluso  che  i  corpi  dei  santi  fossero  stati  deposti 
nel  pavimento  immediatamente  sotto  il  cippo,  non  rimaneva  che  verificare  se  il  cippo 
medesimo  contenesse  le  reliquie  dei  santi. 

Per  fare  questa  ricerca  il  rettore  della  chiesa  di  San  Marcello  ed  altre  autorità 
ecclesiastiche  deliberarono   di   eseguire   indagini   sotto  l'altare  predetto.   Assecondai 


sui  fianchi  del  cippo  si   trovavano 
er  mezzo  di  specchi  interposti;   con 


questo  desiderio,  perchè  già  mi  ero  accorto  eh 

scolpite  diverse  insegne,  che  potei  riconoscere  ^  ^       ^ 

lo  stesso  mezzo  riconobbi  pure  che  sulla  faccia  corrispondente  alla  fronte  del  cippo 

trovavasi  un  mosaico  grossolano. 

Il  cippo  fu  scoperto  dalla  parte  della  froite,  rimuovendo  la  pala  dell'altare. 
Apparve  scorniciato  così  in  giro  come  nello  zocolo  e  sul  prospetto  dove,  molto  pro- 
probabilmente era  l'iscrizione,  ricoperto  con  un  mosaico  del  secolo  XII,  a  quadrati 
pieni,  alternati  con  quadrati  a  tesselli  di  serpentno,  di  rosso  antico  e  di  giallo  (tìg.  'à). 

Il  cippo  misurava  m.  1,04  di  altezza  m.  d90  di  larghezza  alla  base,  m.  0,J3 
di  larghezza  del  fusto  e  m.  0,48  di  profondità.  Sujponemmo  che  il  mosaico  nascondesse 


ROMA  —   225    —  ROMA 

un'  iscrizione,  ma  ci  accorgemmo  c'ae  anche  altri  per  l' innanzi  avevano  avuto  lo 
stesso  nostro  sospetto,  che  avevano  appurato  togliendo  i  tesselli  di  uno  spartimento 
quadrato  che  trovammo  semplicemente  ricoperto  di  gesso.  Nondimeno  ripetemmo  il 
tentativo,  e  non  senza  rincrescimento  vedemmo  che  il  piano  dove  poteva  essere  incisa 
r  iscrizione  era  stato  scalpellato  a  subbia,  e  approfondito  uniformemente  per  due  cen- 
timetri, facendo  così  scomparire  ogni  tràccia  dell'  iscrizione  medesima.  Ciò  doveva 
essere  stato  fatto  con  l' intento  di  cancellare  ogni  apparenza  di  significato  profano 
che  potesse  rimanere  nel  cippo  e  di  utilizzare  il  cippo  stesso  a  scopo  sacro. 

Infatti  fu  osservato  che  correva  sul  listello  inferiore  della  cornice  e  risaliva  sul 
listello  laterale  la  iscrizione: 

+  HIC  ReC^ESCVNT  CORPORA  SCQ^  lOHI  PRI  BLASTI 
DIOGENI    ET    LONGINU    MARTVRVM 


e  che  il  capitello  del  cippo  era  mobile  e  adattato  nel  medioevo  per  coprire  un  vano 

0  puticolo  scavato  nel  cippo  e  murato.  Ivi  certamente  furono  depositate  le  reliquie 
dei  santi  ricordati  nella  detta  iscrizione. 

Ma  il  cippo,  perdendo  il  suo  titolo  scritto  non  aveva  per  noi  perduto  tutto.  Ho 
detto  che  nei  suoi  due  lati  erano  stati  intravisti  rilievi  rappresentanti  insegne  mili- 
tari. In  ambedue  le  faccio  queste  insegne  erano  perfettamente  uguali,  cioè  avevano 
la  stessa  disposizione  e  perfino  i  medesimi  simboli  e  dettagli.  Nel  mezzo  vedesi 
r  insegna  legionaria  e  da  ciascun  lato  un'  insegna  riferibile  a  un  manipolo  od  a  coorte, 
ed  ognuna  di  queste  insegne  fregiate  coi  simboli  di  meriti  conseguiti  in  guerra.  Sono 
comunissimo  nei  monumenti  le  insegne,  e  sono  distinguibili  nei  vari  ordini  di  milizie  ('); 
ma  rarissimi  sono  quei  monumenti  che  hanno,  come  il  nostro  cippo,  per  esclusiva  rap- 
presentanza le  insegne.  Ciò  rende  piìi  interessante  queste  rappresentanze  poiché  i 
simboli  medesimi  delle  insegne  sono  naturalmente  più  dettagliati  e  più  rispondenti 
al  vero.  L'insegna  legionaria  (fig.  4)  si  compone  di  un'asta  terminata  in  basso  con 
puntale  conico  che  serviva  per  infiggerla  nel  terreno,  e  di  due  manubri  angolari  che 
dovevano  servire  per  impugnarla  solidamente  e  per  fissarla  entro  una  guaina  a  cintura. 

1  simboli,  muovendo  dall'alto,  sono:  la  solita  aquila  veduta  di  fronte  ad  ali  aperte, 
posata  sulla  sbarra  di  una  banderuola  o  drappo  che  è  terminato  da  una  fimbria.  Al  di  sotto 
viene  subito  una  costruzione  rotonda  raffigurante  la  cinta  di  una  città  con  tre  porte 
e  con  merlatura.  Questa  cinta  meniana  dà  il  giusto  significato  alla  corona  di  quercia, 
vittata,  che  viene  subito  dopo,  attraversata  dall'asta  dell'insegna,  attribuendole  così 
il  valore  della  corona  muralis,  conquistata  per  qualche  fortunato  fatto  d'armi  dalla 
legione  cui  si  riferiva  il  signum. 

Sotto  la  corona  viene  una  specie  di  cupola  testudinata,  cioè  coperta  a  squame, 
che  evidentemente  sta  a  significare  una  costruzione  piuttosto  che  una  frangia  o  nappa 

(')  Domaszevrski,  Die  Fahnen  im  rdmischen  licere  in  Abhandlungen  des  archàoloc/.-epi- 
graph.  Semin.  d.  Uaivenitàt  ìVien;  Ile/l  V,  1885. 


ROMA 


226  — 


ROMA 


di    tessuto  come   in   altri   esemplari,    del   tutto   simili,    vuole    riconoscere    il   Do- 
maszewski  (')• 

Cliiudono  la  serie  dei  simboli,  o  dei  munera  applicati   alla  maggiore  insegna, 
una  patera  umbilicata,  una  lunula  e  una  prua  di  nave  rostrata  a  sinistra. 


FiG.  4. 


Le  due  insegne  minori,  che  stanno  ai  lati  di  quella  descritta,  sono  spogliate  della 
banderuola  ;  e  questo  particolare  ci  permette  di  analizzare  la  parte  superiore  del  fusto 
dell'insegna  rimanendo  la  parte  inferiore  inalterata  a  confronto  dell'insegna  prece- 
dente. L' insegna  è  formata  da  un  pilum  con  cuspide  rilevata,  e  perciò  di  metallo, 
infissa  con  la  sua  punta  nella  sbarra  a  T,  sulla  quale  in  altre  insegne  era  distesa  la 
banderuola.  La  punta  del  pilum  naturalmente  passava  attraverso  la  sbarra  e  s' inter- 
nava nel  mezzo  della  mano  aperta  che  caratterizzava  questa  specie  di  insegne.  La 


(')  Op.  cit.  Cfr.  specialmente  le  figure  a  pag.  42  e  43.  In  molte  rlproduziuni  di  esemplari 
d'insegne  questa  specie  di  cupola  è  stata  trasformata  dai  disegnatori  in  'grossi  cercini  o  corone 
di  fogliami. 


ROMA  227    ROMA 

mano  è  sempre  la  destra  troncata  al  polso,  veduta  dalla  parte  della  palma  e  com- 
pletamente aperta,  con  dita  verticali. 

Alla  mano  segue  la  semplice  corona  di  lauro,  vittata  e  traversata  dall'asta,  poi  la 
patera  umbilicata  la  lunula  e  due  cupole  testudinate  messe  a  distanza  l'una  dall'altra. 

I  simboli  di  queste  insegne  non  spiegano  nulla  a  riguardo  delle  milizie  a  cui 
si  potrebbero  riferire,  nello  stesso  modo  che  non  si  potrebbero  riferire  senza  leggenda 
scritta  le  insegne  delle  monete  così  dette  legionarie. 

L'epigrafe  oggi  abrasa,  che  trovavasi  sulla  fronte  del  cippo,  avrebbe  dato  una 
preziosa  spiegazione.  Il  cippo  non  poteva  provenire  da  luogo  molto  lontano,  e  forse 
faceva  parte  di  qualche  monumento  onorario  posto  sulla  via  Tlaminia,  o  nel  vicino 
Campo  Marzio.  Il  luogo  dove  è  avvenuta  la  scoperta,  fu  sede  di  stazione  militare 
avendovi  Augusto  accasermata  nelle  vicinanze  la  Coorte  I  dei  Vigili;  ma  dubito 
molto  che  il  medesimo  cippo  e  in  conseguenza  le  insegne  in  esso  rappresentante 
possano  avere  avuto  relazioni  con  questa  coorte. 

Del  resto  dallo  proporzioni  del  cippo  e  dalla  gravità  delle  sue  membrature, 
dalla  forma  e  dalla  esecuzione  trascurata  e  puramente  decorativa  dei  rilievi,  giudico 
che  esso  debba  riportarsi  al  III  secolo  d.  C. 

Questo  cippo  a  cura  della  Confraternita  del  Crocifìsso  è  stato  isolato  con  oppor- 
tuni lavori,  e  mentre  è  stato  mantenuto  nel  posto  in  cui  fu  scoperto,  si  è  provveduto 
opportunamente  a  renderlo  visibile  mediante  uno  sportello  aperto  nella  pala  del- 
l'altare. 

* 

Via  Collatina.  Proseguendosi  gli  sterri  per  lavori  ferroviari  lungo  la  via 
Collatina,  a  sinistra  di  chi,  seguendo  questa  via,  si  allontana  dalla  città,  presso  il 
Campo  Verano,  si  sono  rinvenute  le  seguenti  iscrizioni  sepolcrali  : 

1.  Lastra  marmorea  fastigiata  (m.  0,60  X  0,40),  portante  nel  mezzo  del  fasti- 
gio due  uccelli  affrontati  rozzamente  scolpiti,  ed  altri  due  agli  angoli  superiori: 

DM 
NAEVIÀ • DANAE • FÉ 
CITDIONYSIO    servi' 
a'nI- SERVO-CONI  VGISV'O 
BENEMERENTI  QvVviXIT- 
ANNIS  •  LXV  •  m.  VII  ■  ITEM  FECIT 
SIBI   ET-LIBERTIS  LIBERTABVSQ.: 
SVIS-ET-EORVMLIBERISPOSTERISQ 

2.  Altra  lastra  marmorea  (m.  0,60  X  0,30)  : 

D      •      M 
MA'^CIAE  •  APRVLUE  FILIAE  INFELICISSÌ 
eTsYNTYCHENI  MAIRI  CONIVGICARIS 

eTfiliseTl-iblibertabvsqposte  eor 
•  dvo- marci  hermes  et  blastvsfcr- 


ROMA 


—  228  — 


KOMA 


Nella  seconda  linea  V  di   APRVLLAE   è  in  rasura  di  L,  e  nell'ultima  linea 
R  di  MARCI  in  rasura  di  C. 

3.  Piccolo  cippo  marmoreo  nel  cui  fastigio  è  una  corona  lemniscata. 

DM 
CAECINIA 
PRIMIGENIA 
FCAECINIAE 
FELICITATI 
V  •    A-  VI 


Via  Salaria.  Via  Po.  Facendosi  un  cavo  in  questa  via,  nel  terreno  del 
sig.  Calderai,  poco  discosto  dalla  cavallerizza  Angelini,  si  sono  scoperte  tre  tombe  a 
cappuccina,  e  un  tratto  di  muro  lungo  m.  3  e  alto  m.  0,49,  formato  di  blocchi  di 
tufo  squadrati.  Accanto  a  questo  muro  si  è  rinvenuto  un  cippo  di  travertino  di 
misura  m.  1,05  X  0,35  X  0,10  e  che  porta  la  iscrizione: 

P  •  TVRPILIVS 
PPLTRVCVNDA 

Tornarono  a  luce  inoltre  un  coperchio  di  urna  cineraria,  a  duo  spioventi,  nel  cui 
timpano  è  scolpita  una  face;  quattro  tegoloni,  dei  quali  due  portano  impresso  il  bollo 
C.  1.  L.  XV,  1035  ed  uno  il  bollo  ib.  813  a  ed  un  quarto  con  bollo  illeggibile. 

Nella  stessa  via  Po,  gettandosi  le  fondamenta  ài  un  villino  di  proprietà  della 
signora  Rosa  Apannati,  si  è  rinvenuta  la  parte  superiore  destra  di  una  lastra  marmorea 
scorniciata  (lungh.  m.  0,31,  largh.  0,15)  nella  quale  si  legge: 


\TVS  •   SIBI    ET 
joos/HiSQSVIS 


A.  Pasqui. 


Alveo  del  Tevere.  Di  una  iscrinione  votiva  che  dicesi  rinvenuta  nel 
Tevere,  e  di  un  titolo  funebre  scoperto  presso  la  via  Portuense. 

11  rev.  P.  don  Leopoldo  de  Feis,  benemerito  degli  studi  di  epigrafia  latina, 
mandò  lo  scorso  giugno  per  le  Notizie  degli  scavi,  due  calchi  cartacei  di  iscrizioni 
che  egli  aveva  potuto  esaminare  in  Roma  sugli  originali  nello  scorso  mese  di  marzo, 
e  delle  quali  fece  anche  gli  apografi,  che  trasmise  unitamente  ai  calchi,  aggiungen- 
dovi le  informazioni  che  potè  raccogliere  sulle  circostanze  che  ne  accompagnarono  il 
rinvenimento,  per  quanto  a  lui  venne  riferito,  e  facendo  preziose  considerazioni  sulla 
loro  importanza. 


ROMA  —   229   —  ROMA 

La  prima  di  queste  iscrizioni  si  disse  trovata  nel  Tevere  verso  s.  Paolo,  senza 
che  però  al  P.  de  Pois  fossero  addotte  testimonianze  o  prove  tali  da  escludere  ogni 
dubbio  sopra  questa  provenienza,  la  quale,  anche  nel  modo  con  cui  fu  enunciata,  si 
mostrava  assai  vaga.  Il  P.  de  Feis  credè  bastasse  per  ora  considerare  questo  titolo 
come  sporadico.  Soggiunse  che  esso  era  inciso  in  una  piccola  base  di  forma  ellittica, 
il  cui  asse  maggiore  è  di  m.  0,30,  e  che  doveva  sostenere  una  statuetta  ad  un  terzo 
circa  del  vero,  sulla  quale  rimanevano  soltanto  i  piedi  nudi  di  una  divinità  che,  stando 
alla  forma  dei  piedi  medesimi  sarebbe  stata  giovanile.  Presso  il  piede  destro  rima- 
neva una  parte  di  un  serpente. 

Il  P.  de  Feis  manifestò  la  probabilità  che  il  nume  quivi  rappresentato  fosse 
stato  Apollo. 

L'iscrizione,  desunta  dal  calco  cartaceo,  confrontato  coU'apografo  eseguito  dal 
P.  de  Feis,  dice: 

CPROCILIVSCALLIST  AS 
V-     S    •    DD- 

Abbiamo  dunque  un  titolo  votivo,  posto  sotto  un  donario,  e  dedicato  ad  una  divi- 
nità salutare,  che  poteva  ben  essere  Apollo,  come  il  P.  de  Feis  suppose.  Però  un 
complesso  di  circostanze,  partendo  sempre  dal  fatto  che  la  scoperta  si  riferisse  al- 
l'alveo del  Tevere,  ci  farebbe  inclinare  a  riconoscere  nella  divinità  a  cui  fu  dedicato 
il  titolo,  piuttosto  Esculapio  che  Apollo,  e  ci  offrirebbe  elementi  per  determinare 
forse  il  luogo  del  rinvenimento. 

Il  concetto  più  probabile,  trattandosi  di  una  divinità  salutare  che  avesse  avuto 
per  attributo  il  serpente,  ed  avesse  avuto  speciale  culto  sul  Tevere,  ci  riporta  ad 
Esculapio  ed  al  santuario  famoso  di  lui  che  sorgeva  sull'Isola  Sacra,  presso  cui  i 
lavori  di  espurgo  nell'alveo  del  Tevere,  per  mezzo  delle  draghe  riportarono  su  dei 
veri  cumuli  di  oggetti  votivi,  molti  dei  quali,  specialmente  i  fittili,  vennero  recente- 
mente esposti  nel  Museo  Nazionale  Romano. 

Non  intendo  prepararmi  la  via  per  voler  dimostrare  la  quasi  certezza  che  la  base 
iscritta,  che  ora,  mercè  la  comunicazione  fatta  dal  P.  de  Feis,  viene  portata  alla 
conoscenza  dei  dotti,  sia  stata  trovata  nei  mucchi  dei  materiali  scaricati  dalle  draghe 
presso  il  ponte  di  s.  Paolo,  dove  da  molti  anni  si  esercita  giornalmente  la  infatica- 
bile ricerca  di  povera  gente  che  vi  si  affanna  a  recuperarvi  qualche  moneta,  qualche 
piccola  pietra  incisa,  qualche  frammento  che  possa  essere  sfuggito  alle  cure  di  quelli 
che  per  conto  del  Governo  erano  addetti  a  sopraintendere  al  lavoro  delle  draghe.  Non 
sembra  ammissibile  che  la  base  di  una  statuetta,  sia  pure  di  piccole  proporzioni, 
fosse  passata  senza  essere  osservata  attraverso  gli  stacci,  nei  quali  vennero  crivellate 
le  melme  estratte  dal  fondo  del  fiume. 

Certamente  ciò  sì  presterebbe  a  conciliare  i  vari  dati  se  si  ammettesse  che  la 
scoperta  fosse  avvenuta  verso  s.  Paolo,  non  però  nel  letto  del  fiume,  ma  nel  cumulo 
degli  scarichi  delle  terre  estratte  per  mezzo  delle  draghe  dal  letto  del  fiume,  ed 
accumulate  presso  il  ponte  della  ferrovia. 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  30 


ROMA  _   230   —  ROMA 

Ma  forse  non  è  necessario  fare  uno  sforzo  di  tanta  immaginazione,  se  si  consi- 
dera che  anche  di  recente  si  fecero  scavi  nel  Tevere  presso  l'Isola  Sacra,  sia  re- 
staurando i  muraglioni  caduti  nella  riva  destra,  quasi  di  faccia  all'Isola,  sia  aprendo 
facile  il  passaggio  al  ramo  sinistro  del  fiume  tra  la  sponda  sinistra  e  l'Isola. 

Sicché  se  la  lapide  votiva  proviene  dal  Tevere,  e  si  riferisce  al  culto  di  Esculapio, 
non  mancherebbero  occasioni  recenti  che  ci  metterebbero  in  grado  di  argomentare  con 
dati  sufficientemente  probabili  sul  tratto  del  Tevere  in  cui  possa  essere  stata  rin- 
venuta. 

* 

Via  Portuense.  L'altra  lapide,  della  cui  conoscenza  siamo  debitori  al  eh. 
P.  de  Pois  è  un  cippo  di  travertino,  alto  m.  0,98,  largo  m.  0,28,  nel  quale,  come 
traggo  dal  calco  confrontato  coU'apografo  fatto  dal  P.  de  Feis,  si  legge: 

D  M 

C-  LOR  ANI  VS 

ABASCANTVS 

FECIT 

LOR ANI AE 

HESIONE 

LIBERTAEET 

CONIVGI  SVAE 

BENEMERENTI 

FIDELISSIMAE 

QVAE  VIXT  MECVM 

A   P  MXLV 

SINE  DELECTO 

VLLO 

Il  titolo  posto  dalla  pietà  del  marito  C.  Loranio  Abascanto  a  Lorania  Esione,  che 
fu  nel  tempo  stesso  sua  liberta  e  sua  consorte,  non  meriterebbe  l'onore  di  alcuna  nostra 
speciale  considerazione,  o  meglio  rientrerebbe  nel  numero  infinito  delle  epigrafi  mortuarie 
comuni,  se  a  dimostrazione  dell'affetto  del  marito  per  la  sua  compagna  benemerita  e 
fedelissima  non  fosse  stata  aggiunta  la  dichiarazione  fatta  dal  marito  stesso  che 
questa  sua  moglie  visse  con  lui  per  circa  quarantacinque  anni  sine  delecto  ullo,  cioè 
senza  che  vi  fosse  stata  mai  distinzione  tra  padrone  e  serva,  cioè  alla  pari,  secondo 
che  l'affetto  e_la  stima  reciproca,  rafforzatisi  per  così  lungo  periodo  di  tempo,  eransi 
«ostantemente  mantenuti;  il  che,  se  è  prova  di  bontà  da  parte  del  marito,  è  docu- 
mento di  virtù  da  parte  della  moglie,  e  ne  costituisce  ir  più  invidiabile  elogio  posto 
sulla  tomba  di  lei. 

L'importanza  di  quest'ultima  parte  dell'epigrafe  venne  bene  rilevata  dal  P.  de  Feis. 

F.  Barnabei. 


REGIONE   I.  —   231    —  OSTIA 


Rkoione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

II.  OSTIA  —  Scoperta  di  un  nuovo  portico  presso  la  via  del  Teatro. 

Al  termine  del  grande  portico,  la  via  del  Teatro  si  allarga  verso  est,  laddove 
nell'altro  lato  tutto  lo  spazio  che  innanzi  a  quel  portico  è  sterrato,  occupato  lì  forse, 
come  si  è  detto,  da  pergulae  e  da  marciapiedi,  qui  è  occupato  dalle  costruzioni. 

Si  incontra  in  prima  linea  un  ambiente  rettangolare  (m.  3,22  X  5,85),  sporgente 
sulla  via,  con  muri  laterizi  e  due  porte,  l'una  sulla  strada  (m.  2,30),  l'altra  (m.  2,10) 
con  soglia  in  travertino,  con  i  soliti  canaletti,  sul  lato  opposto.  Tale  ambiente  forma 
il  lato  settentrionale  del  primo  tratto  della  seconda  via,  parallela  a  quella  della 
caserma  dei  Vigili. 

Segue  un  altro  portico,  che  dà  immediatamente  sulla  strada,  lungo  m.  80,50,  con 
quindici  aperture,  cui  corrispondono  nell'interno  altrettante  taberne  o  scale.  I  pilastri 
misurano  m.  1,80  X  0,78.  Il  pavimento  è  a  cocciopisto.  Lo  spessore  dei  pilastri  e 
dei  muri  delle  taberne  ci  fa  supporre  che  questo  portico,  largo  m.  5,10,  non  avesse 
copertura  a  volta,  ma  un  tetto  a  spiovente,  al  quale  potrebbero  appartenere  i  fram- 
menti di  ombrici,  che  qui  in  grande  numero  si  sono  rinvenuti. 

Delle  costruzioni  che  seguono,  non  si  può  ancora  dire  nulla,  come  poco  si  può 
dire  di  quelle  del  lato  opposto,  che  dovrebbero  essere  notevoli  per  colonne  che  sta- 
vano loro  innanzi  e  per  pilastri.  Si  vede  pure  un  lato  di  un  grande  edificio,  che  è 
forse  quello  dalle  colonne  di  granito,  visto  dal  Visconti  nel  1857  (Ann.  dell' Instituto, 
1857,  pag.  314). 

Risultato  notevolissimo  di  questo  scavo  si  è  che  la  grande  via  non  va  a  finire 
alla  supposta  Porta  Romana,  ma  continua  in  linea  diritta,  allargandosi  notevolmente 
presso  le  capanne.  È  evidente  quindi  che  quella  porta  non  è  la  principale  della  città, 
dovendosi  supporre  principale  quella  che  dà  accesso  alla  via  venuta  in  luce  in  questi 
scavi  e  che  corre  innanzi  alle  Terme  e  al  Teatro,  e  che,  secondo  tutti  gli  indizi,  do- 
vrebbe attraversare  tutta  la  città,  passando  innanzi  a  moltissimi  degli  ediflzi  princi- 
pali, tra  cui  il  Tempio  di  Vulcano,  e  toccando  per  certo  anche  il  Foro.  Essa  è  il 
cardo  di  Ostia.  E  la  «  via  dei  sepolcri  »  che  si  è  supposta  precedentemente  dovesse 
essere  l'Ostiense,  è  una  via  parallela  o  quasi,  che  si  doveva  staccare  dall'Ostiense 
fuori  della  città,  forse  presso  il  fiume  ('). 

(')  Quale  sia  stato  qui  il  corso  preciso  del  fiume  in  epoca  antica,  credo  impossibile  deter- 
minare. Proseguendo  la  linea  di  ambedue  le  vie,  attraverseremmo  «Fiume  morto»,  cioè  il  letto 
del  Tevere  abbandonato  nel  decimosesto  secolo.  È  da  supporre,  che  in  epoca  antica  la  via  Ostiense 
si  fosse  tenuta  sempre  sulla  destra  del  fiume,  nò  mai  lo  avesse  attraversato  :  sicché  mi  sembra  che 
il  largo  gomito  che  esisteva  innanzi  al  Castello  di  Ostia  si  sia  formato  nei  tempi  di  mezzo.  Con- 
siderando come  sia  forte  la  corrosione  delle  acque  dove  il  Tevere  forma  angolo  (del  quale  fatto  si 
ha  pur  troppo  prova  evidente  ai  magazzini,  quel  gomito  si  può  essere  allargato  moltissimo  e  non  in 
molto  tempo.  L'esistenza  di  una  via  parallela  a  quella  dei  sepolcri  fu  già  supposta  dal  Visconti, 
che  ritenue  perù  la  Ostiense  essere  quella  da  lui  scavata. 


OSTIA 


—  232  — 


REGIONE   I. 


Se,  come  è  supponibile,  qui  esistette  la  porta,  essa  deve  trovarsi  tra  le  due  grandi 
capanne  o  sotto  una  di  queste,  cioè  fuori  dell'area  demaniale.  Ad  ogni  modo,  essen- 
dosi qui  presso  dovuto  sospendere  lo  scavo  per  essersi  inoltrata  l'estate,  la  solu- 
zione dì  questo  problema  è  rimesso  alla  futura  stagione. 

È  possibile  che  appartengano  alla  porta,  oltre  i  frammenti  di  una  grande  iscri- 
zione a  belle  lettere,  della  quale  possiamo  sperare  raccoglierne  degli  altri  nell'autunno 
venturo,  questi  altri  pezzi: 


Fio.  1. 


a)  un  frammento  di  coronamento  architettonico  marmoreo  (m.  1,80  X  0,93 
X0,57); 

b)  id.  di  un  archivolto  pure  in  marmo  (m.  0,415  X  0,46  X  0,11); 
e)  ìd.  di  lastra  con  scanalature  (m.  0,66  X  0,40  X  0,105). 

Quivi  presso  vennero  altresì  rimesse  a  luce  unitamente  ad  un  pezzo  di  una 
gamba  di  statua  marmorea  alla  grandezza  del  vero  (m.  0,38).  Alcuni  mattoni  con 
i  bolli  C.  I.L.  XV,  712,  1027,  1133. 

Proseguiti  gli  scavi  sulla  via  si  raccolsero  altri  pezzi  marmorei,  che  qui  vengono 
enumerati. 

1.  Frammento  di  statua  virile  acefala  (m.  0,29),  coperta  di  chitone  e  apoptygma. 
La  veste  si  riunisce,  formando  un  rigonfiamento,  sul  ventre  e  presso  le  gambe.  Sulla 
spalla  d.  una  ciocca  di  capelli  (o  l'aletta  del  berretto  frigio  di  Attis?)  Il  braccio 
sin.  è  posato  sul  fianco  d.,  il  braccio  d.  manca. 

I 


REGIONE    I. 


—    233    — 


OSTIA 


2.  Testa  virile  (m.0,085),  rappresentante  vin  uomo  attempato,  con  capelli  rav- 
viati, che  formano  corona  sulla  fronte.  Sulla  parte  destra  di  questa,  due  buchi  fatti 
col  trapano. 

8.  Ritratto  di  donna  del  III  sec.  d.  C.  (m.  0,35),  con  capelli  divisi,  ondulati, 
che  in  parte  scendono  sulle  spalle,  in  parte  attortigliati  passano  sulle  orecchie  e 
tutti  sono  riuniti  in  treccie  sulla  nuca. 


FiG.  la. 


4.  Parte  di  testa  virile  (m.  0,12),  con  capelli  corti  ed  arruffati. 

5.  Id.  di  testa  muliebre  (m.  0,16;  fig.  1,  1  a),  con  capelli  che,  divisi  in  tri- 
plice treccia  scendono  sulla  nuca.  Ha  sulla  fronte  parte  di  diadema.  Sopra  di  esso 
corrono  dei  buchi  nei  quali  vennero  forse  inseriti  dei  raggi  di  metallo;  sul  diadema 
correva  una  leggenda  di  cui  rimangono  le  sole  lettere. 


PATSO""" 

6.  Busto  acefalo  panneggiato  (m.  0,47). 

7.  Frammento  di  gamba  di  statua  panneggiata. 


OSTIA  —  234  —  REGIONE   I. 

8.  Piede  con  sandalo  e  parte  di  tronco  d'albero  su  plinto  (m.  ^0,19  X  0,25). 

9.  Parte  di  gamba  di  cavallo  di  grandezza  naturale  (m.  0,215). 

10.  Pezzo  cilindrico  forse  residuo  di  una  sedia  (ra.  0,145  X  0,155).  Nella  zona 
superiore  quattro  sfìngi,  affrontate  due  a  due  e  in  mezzo  un  cane  (tìg.  2)  ;  nella  zona 
sottostante,  non  completa,  la  parte  superiore  di  quattro  sfingi  (?)  con  orecchie  di  ani- 
mali (fig.  2a).  Superiormente,  attorno  ad  un  incavo  quadrangolare,  dei  listelli  (avanzi 
di  una  sedia?). 

11.  Parte  superiore  di  plinto  circolare  (m.  0,075 X 0,20),  con  fascia  e  listelli; 
superiormente,  entro  un  ornato  formato  di  foglie,  un  buco  quadrato  dov'era  incastrata 
qualche  cosa. 


Fig.  2. 


12.  Due  frammenti  di  coperchio  di  sarcofago  (m.  0,16  X  0,21  X  0,122;  0,16 
X  0,33  X  0,122).  In  quello  a  d.,  con  l'orlo  conservato,  un  erote  si  curva  in  avanti 
per  posare  a  terra  un  vaso  in  forma  di  cratere,  con  frutta  ;  più  a  sin.  una  figura  mu- 
liebre recumbente  in  terra,  verso  sin.,  con  chitone  e  manto  velificante,  sul  tipo  della 
Tellus.  Quello  a  sin.  è  rotto  ai  due  lati  :  si  vede  un'altra  figura  recumbente  verso 
d.,  col  solo  himation  velificante,  che  lascia  scoperta  la  parte  superiore  del  corpo; 
poggia  sul  ginocchio  sin.  un  vaso  con  frutta,  di  forma  identica  a  quello  dell'altro 
frammento  e  che  viene  recato  da  un  altro  erote,  curvato  verso  terra  e  seguito  da  un 
altro,  di  cui  si  vede  la  sola  testa  piegata  verso  terra  (fig.  3). 

13.  Frammento  di  sarcofago  (fig.  4)  che  misura  (m.  0,82X0,7X0,09).  Parte  di 
Amorino,  con  manto  dietro  il  corpo,  in  atto  di  volare  verso  d.,  per  reggere  il  clipeo  ; 


REGIONE   I. 


—  235   — 


OSTIA 


sotto,  parte  di  groppa  e  coda  di  leone  ;  a  sin.,  sull'angolo,  albero  di  alloro,  su  cui  è 
appeso  un  turcasso.  Vi  si  conserva  un  pezzo  del  coperchio,  sul  cui  angolo  una  ma- 
schera imberbe  e  nel  prospetto  il  principio  di  una  scena  con  varie  figure  alte  m.  0,18, 


FiG.  2a. 


tutte,  meno  una  femminile,^ vestite   di  corta  tunica.  A  sin.  un  uomo   inginocchiato, 


Fio.  3. 


vólto  verso  sin.;  sembra  che  con  la  sin.  attizzi  il  fuoco,  mentre  con  la  d.  versa  da 
un  vaso  del  liquido  in  un  recipiente.  Dietro  a  lui  altro  uomo  in  piedi,  v61to  a  d., 
beve  da  un  rhyton.  Un  terzo,  in  moto  verso  d.,  regge  con  la  d.  un  bicchiere  e  con 


OSTIA 


236  — 


REGIONE   I. 


la  sin.  un  vaso  per  il  collo.  Le  quarta  figura,  femminile,  egualmente  in  moto  verso 
d.,  col  volto  di  fronte,  regge  con  la  d.  all'altezza  del  petto  un  piatto  con  frutta.  La 
quinta  cammina  frettolosamente  verso  d.,  tenendo  la  sin.  sotto  il  manto. 

14.  Frammento  di  sarcofago  (m.  0,25  X  0.27  ;  fig.  6).  Entro  clipeo,  testa  di 
donna  di  età  matura,  con  capelli  divisi  che  scendono  sullo  orecchie  e  sul  collo. 
Doveva  essere  fiancheggiata  da  due  Amorini,  dei  quali  rimane  quello  a  d.,  che  regge 


Fig.  4. 


con  la  sin.  un  nastro  svolazzante.  Il  clipeo,  rotto  a  sin.,  è  sostenuto  a  d.  dalla  mano 
di  una  figura  che  non  si  vede;  dietro  fa  capolino  un  Amorino,  che  guarda  nel  clipeo; 
15.  Frammenti  di  m.   0,10X0,07X0,026,  nel   quale  rimangono   il  braccio 
destro  e  l'ala  di  un  Amorino,  sopra  cui  conservasi  il  resto  epigrafico: 


h 


e  ©  A  N/ 


16.  Angolo  sin.  di  sarcofago  (m.  0,33  X  0,12  X  0,29).  Vi  apparisce  la  parte 
superiore  della  figura  di  un  Amorino,  che  con  la  destra  spinge  un  disco  assicurato 
ad  un'asta.  Sul  lato  sin.  veggonsi  le  gambe  di  un  altro  Amorino  che  regge  un  festone. 

17.  Frammento  di  m.  0,10  X  0,25,  su  cui  rimane  una  parte  di  figura  vft-ile, 


RÉGrONE   I. 


23? 


O'sflÀ 


vista  dal  dorso,  con  la  clamide  che  scende    dalle  spalle,   col  braccio  d.  disteso  in 
alto  e  col  sin.,  intorno  cui  si  avvolge  la  clamide,  pure  disteso. 

18.  Id.  di  m.  0,096  X  0,22  con  parte  di  una  figura  muliebre,  vestita,  la  quale 
ha  il  braccio  sinistro  disteso. 

19,  20.  Due  altri  frammenti,  il  primo  di  m.  0,11  X  0,15  nel  quale  si  con- 
serva una  parte  di  figura  virile  vestita;  il  secondo  di  m.  0,11  X  0,07  con  parte  di 
un  braccio  su  panneggio. 


FiG.  5. 


21,  22.  Due  altri  frammenti  scolpiti.    Nel  primo  che  misura  m.  0,09  X  0,36 

vedesi  una  mano  che  stringe  qualche  cosa,  e  parte  della  figura  di  un  cavallo  che  è 

in  movimento  verso  sinistra. 

Nel  secondo  che  misura  m.  0,14  X  0,34  conservasi  il  rilievo  di  una  ruota  con 

parte  di  una  coda  di  delfino  (?). 

Vi  furono  pure  raccolti  1  seguenti  pezzi  di  iscrizioni: 

1.  Frammento  di  m.  0,59  X  0,20  X  0,06,  nel  quale  a  grandi  lettere  incavate 

per  l'incastro  del  bronzo  rimane: 

j  r  I  a-f\ 


2.  Altro  frammento  che  misura  m.   0,24  X  0,14  X  0,03,  nel  quale   resta  la 
parte  seguente  di  un  titolo  funebre: 

/  M 

li  E  N  X  A 

.ENIVS 


NoTiziK  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


81 


ósTlA  —  238  —  ftEaio}<E  f. 

3.  Id.  m.  0,30  X  0,073  X  0,012  nel  quale  si  è  conservato  solamente  : 


LOCVS  DON 


Terracolla.  Antefissa  (m.  0,13X0,21)  su  cui  è  rappresentata  una  figura  virile, 
nuda,  in  piedi,  tra  due  girali.  11  collo  di  un'anfora  con  la  marca  C.  I.  L.  XV,  3094  m. 
Mattoni  con  i  bolli  C.I.L.  XV,  41,103,  161,  283,  363,  707,  713,  754,  925,  958, 
1030,  1051,  1060,  1219,  e 


©     EX  PRAED  •  MATIDI/t  auG  ex  FIG 
CLAVDI  •  FORTVNATI 

(testa  di  Mercurio) 


Piombo.  Pistola  acquaria  Innga  m.  2,90  del  diam.  interno  di  m.  0,065,  portante 
il  segno  numerale:  Vili. 


Lungo  la  via  del  Teatro  si  sono  trovati  due  pozzi,  forse  scavati  in  epoca  piut- 
tosto recente.  L'uno,  prima  della  via  dei  Vigili  venendo  dalle  capanne,  ha  nel  piano  della 
strada  m.  0,60  di  diametro,  e  piti  in  alto,  a  m.  1,30  dal  piano  medesimo,  m.  0,50.  Il 
puteale  era  formato  mercè  frammenti  di  tegoloni,  messi  in  piano  e  frammenti  lavo- 
rati, cementati  con  terra  e  in  alto  con  duo  frammenti  di  puteali  in  marmo,  l'uno  bac- 
cellato,  l'altro  sfaccettato.  Di  questo  ultimo  si  raccolsero  altri  frammenti  nell'interno 
del  pozzo.  * 

Tra  i  frammenti  lavorati  si  riconobbero  i  due  bassorilievi  seguenti: 

1.  (m  0,165  X  0,205).  Parte  di  figura  virile  con  corta  tunica  e  petto  fasciato 
di  cinghie  (fig.  6),  in  atto  di  reggere  con  la  d.  un'asta  (?),  appoggiata  al  petto,  e  con 
la  sin.  un  vaso  con  manico  a  staffa.  A  d.  è  inciso  un  X;  più  a  d.  forse  l'orlo; 

2.  (m.  0,19X0,22).  Parte  posteriore  della  figura  di  un  toro;  sotto  di  esso 
una  pantera  con  la  testa  sollevata,  rivolta  indietro. 

L'altro  pozzo,  che  misura  m.  0,80  di  diametro,  venne  costruito  con  frammenti 
tolti  da  vecchi  edifizì  e  cementati  con  terra  argillosa.  Nello  espurgarlo  vi  si  è  in- 
contrata l'acqua  alla  profondità  di  m.  2,40. 


Lo  sterro  fu  pure  spinto  nell'interno  delle  Terme  all'angolo  nord-ovest,  dove  si 
incontrarono  vasche,  fatte  in  epoca  più  tarda,  e  corridoi  sotterranei,  la  cui  esplo- 
razione sarà  compiuta  alla  ripresa  dei  lavori. 


REtìlONE   I. 


239  — 


OSTIA 


Fio.  G. 


Fio.  7. 


OSTIA  —   240   —  REGIONE   I. 

Qui  si  raccolse,  oltre  ad  un  mattone  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  G93,  due  framnaenti 
marmorei  di  sarcofagi  baceellati. 

Il  primo  (fig.  7),  che  misura  m.  0,39  X  0,44,  conserva  la  maggior  parte  della 
rappresentanza  che  ne  ornava  il  centro.  Vi  si  vede  la  parte  inferiore  delle  tre  Grazie 
nude  nel  consueto  aggruppamento;  in  terra,  a  sin.,  è  un  vaso  baccellato  per  unguenti 
0  per  acqua,  di  forma  molto  allungata. 

Il  secondo  che  misura  m.  0,40  X  0,48,  conserva  il  seguente  frammento  della 
iscrizione  che  era  incisa  entro  targa  ansata: 

IO- 
IMO- 

vs. 

ilANVS 
llET- 
ONO- 
E  N  T I  • 


Questo  frammento  si  trovò  adoperato  come  parete  di  una  tomba  molto  recente 
ricavata  in  uno  dì  questi  vanì. 


Sulla  via  dei  Vigili,  nell'angolo  della  casa  che  si  trova  a  destra  di  chi  viene  da 
vìa  del  Teatro,  innanzi  ad  una  via  che,  parallela  a  questa,  doveva  sboccare  in  quella 
dei  Vìgili,  costeggiando  quella  casa,  si  è  rinvenuta,  non  in  silu,  una  grande  tazza 
marmorea,  circolare,  per  fontana;  misura  m.  2,30  di  diametro  e  m.  0,(58  di  altezza. 
Nel  centro  di  essa  apresi  un  foro  per  mezzo  del  quale  doveva  salire  l'acqua,  for- 
mando un  getto.  " 


Nell'Isola  sacra,  si  raccolse  un  mattone  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  8(31.  Kra  stato 
messo  in  opera  nella  vòlta  a  cappuccina  di  una  fogna  che  sbocca  nell'attuale  corso  del 
fiume  poco  prima  dell'ultimo  gomito. 

D.  Vagliiìki. 


RKOIONE    I.  —   241    —  NORMA 


III.  NORMA  —  Scavi  mite  terrazze  sostenute  da  mura  poligonali 
presso  l'Abbazia  di   Valvisciolo. 

Nella  campagna  di  scavo  dell'anno  1903  il  prof.  Savignoni  e  l'ing.  Mengarelli, 
dopo  aver  ricercato  con  ogni  diligenza,  rimasta  purtroppo  vana,  la  necropoli  di  Nerba, 
rivolgevano  le  loro  indagini  alle  terrazze  sorrette  da  potenti  mura  a  grosse  pietre 
irregolari,  scaglionate  lungo  il  pendio  del  monte  che  sovrasta  all'Abbadia  di  Val- 
visciolo. Le  ricerche,  rimaste  lungamente  quasi  infruttuose,  condussero  nell'ultimo 
giorno  dello  scavo  al  rinvenimento  di  una  tomba,  rinvenimento  per  alcuni  indizii 
atteso  già  dal  direttore  delle  esplorazioni,  prof.  Luigi  Pigorini  ('). 

Era  pertanto  naturale  desiderio,  che  si  continuassero  le  indagini  ;  e  il  Ministero 
della  Pubblica  Istruzione  acconsentì,  che  esse  venissero  riprese  nel  1905. 

Le  operazioni  di  scavo,  favorite,  come  negli  anni  antecedenti,  con  ogni  cortesia 
dal  rev.  Abate  P.  Stanislao  White,  si  protrassero  dal  15  maggio  al  10  giugno,  e  sì 
praticarono  sui  due  fianchi  del  monte  che  sovrasta  la  Badia  (chiamato,  nella  carta 
dell'Istituto  Geografico  Militare,  monte  Carbolino,  nome  ignoto  agli  abitanti  del 
luogo),  cioè  sul  fianco  settentrionale  conosciuto  coi  nomi  di  Rava  Rosela  nella  parte 
più  alta,  e  di  Pietra  dello  Schiavo  a  mezza  costa,  e  sull'altro  fianco  che  guarda  a 
ponente  verso  la  collina  di  Sermoneta,  e  che  è  chiamato  Monte  della  Gatta. 

I  due  fianchi  sono  separati  da  un  ripido  sperone  roccioso  che  si  protende  verso 
la  pianura  di  Caracupa,  e  sono  muniti  dei  noti  tratti  di  mura  a  grandi  pietre  rudi 
0  appena  sgrossate.  Non  ripeteremo  quanto  già  fu  detto  sulla  costruzione,  sulla  di- 
sposizione e  sullo  scopo  di  quelle  mura,  tanto  più  che  di  esse  darà  più  ampia  illu- 
strazione ring.  Mengarelli,  il  quale  già  ne  ha  fatto  il  rilievo  altimetrico  e  planime- 
trico da  pubblicarsi  insieme  con  quello  delle  mura  simili  esistenti  presso  Palombara 
Sabina.  11  materiale  costruttivo,  quel  calcare  solito  del  periodo  cretaceo  di  cui  è  co- 
stituita l'ossatura  dei  Lepini,  è  preso  dal  monte  stesso  ;  e,  per  distaccarlo,  si  è  fatto 
uso  di  robusti  strumenti  metallici,  come  prova  una  profonda  zeppiera,  che  riscon- 
trammo rinettando  uno  dei  muri  più  bassi  (*).  La  stratificazione  del  banco  calcareo, 
che  talvolta  si  presta  a  un  taglio  tabulare,  tal  altra  no,  ha  fatto  sì  che  in  qualche 
muro  alcuni  massi  abbiano  approssimativamente  forma  di  parallelepipedi,  con  una  ten- 
denza alla  quasi  orizzontalità  dei  filari.  Non  crediamo  però  affatto,  che  questo  possa 
autorizzarci  a  ritenere  questi  muri  posteriori  agli  altri  di  aspetto  più  rozzo,  perchè 
la  maggior  regolarità  non  appare  che  a  tratti,  alternati  nello  stesso  muro  con  tratti 
rozzissimi,  senza  che  vi  sia  ragione  di  ricorrere  all'  ipotesi  di  rifacimenti  posteriori  (')• 

(')  Nut.  scavi  1904,  pag.  407 

(')  Di  tali  zeppiere  identiche  a  quelle  usate  anche  oggi  nelle  cave,  e  che  si  riscontrano  in 
mura  simili,  e  forse  contemporanee  a  quelle  di  Valvisciulo,  si  occupò  il  Giovenale,  /  monumenti 
preromani  dei  Lazio,  in  Diisert.  della  Pont.  Acc.  d'Arch.,  1900,  pag.  13;  cfr.  le  osservazioni  in 
proposito:  Not.  scavi  1901,  pag.  554. 

{')  Cfr.  le  analoghe  osservazioni  fatte  sulle  mura  di  Norba  in  Not.  scavi  1901,  pag.  548; 
cfr.  anche:  Ashby,  Monte  Circeo,  in  Mélanges  de  VÉcolc  Franfaise,  1005,  pag.  176. 


NORMA 


242  — 


REaiONE    I. 


Il  problema  principale  che  ci  proponevamo,  era  d' indagare,  più  largamente  che 
non  si  fosse  potuto  fare  nella  campagna  precedente,  l'età  a  cui  quelle  mura  possono 
risalire.  Si  aprirono  pertanto  trincee  presso  quasi  tutti  i  tratti  di  muro  su  ambedue 
i  fianchi  del  monte,  tralasciandone  solo  alcuni,  a  ridosso  dei  quali  la  roccia  affiora; 
si  fecero  poi  altri  saggi  dove  appariva  che  i  tratti  di  muraglia  erano  caduti,  e  anche 
in  luoghi  dove  non  pare  fossero  mai  esistiti,  procurando,  per  quanto  i  mezzi  lo  con- 
sentirono, di  estendere  le  ricerche  dovunque  il  dilavamento  e  il  ripido  pendìo  del 


Fio.  1.  —  Veduta  del  maro  della'torrazza  contenente 'frammenti  fittili,  e  sovrapposte  ad  alcune  tombe. 


monte  non  avessero  lasciato  affatto  nuda  la  roccia.  In  genere  non  si  ebbe  mai  a  di- 
scender molto  per  trovare  il  terreno  vergine,  e  il  poco  humus  che  lo  copriva  non  fu 
ricco  d'oggetti. 

Le  fosse  aperte  a  ridosso  delle  mura  dal  lato  di  Monte  della  Gatta  non  diedero 
assolutamente  alcun  risultato.  Solo  molto  in  basso  si  rinvennero  dei  cocci  romani,  i 
logori  avanzi  di  una  casetta  e  un  grande  bronzo  di  Tiberio  (Cohen,  Auguslus,  228). 

Sul  lato  della  Rava  Rosela  e  della  Pietra  dello  Schiavo,  da  alcune  trincee  non 
si  ebbe  alcun  risultato;  da  altre  si  ebbe  invece  un  certo  numero  di  frammenti,  di 
cui  ricordiamo  i  più  caratteristici. 

In  una  fossa,  aperta  a  valle  di  uno  dei  muri,  si  rinvennero  a  circa  un  metro  di 
profondità,  un  frammento  di  coltellino  d'ossidiana;  e  a  circa  m.  1,30  un  dischetto,  anche 
esso  frammentato,  d'osso  con  circoletti  incisi,  quali  si  trovano  in  strati  dell'età  del 
bronzo.  »" 


RBiOIONfi   f. 


—  243  — 


NORMA 


Da  un'altra  fossa  pifi  a  monte,  a  pochi  centimetri  di  profondità,  si  ebbe  «n'ansa 
di  anfora  vinaria  romana. 

Questi  oggetti  singoli  e  del  tutto  sporadici  segnano  i  limiti  estrerai  dei  trova- 
menti  in  questo  luogo,  né  si  può  dar  loro  grande  importanza.  Tutti  gli  altri  fram- 
menti rinvenuti,  al  pari  di  quelli  provenienti  dagli  scavi  del  1903,  rientrano  nella 
classe  dei  fittili  che  si  riconosce  propria  della  prima  età  del  ferro.  Nella  grande 
maggioranza  furono  raccolti  nella  terrazza  dove  le  precedenti  esplorazioni  posero  in 


//«e 


^ 


Fio.  2.  —  Sezione  trasversale  della  terrazza  rappresentata  alla  fifr.  1. 

luco  una  tomba  ('),  della  quale  terrazza  diamo  una  veduta  fotografica  (fig.  1)  e  una 
sezione  trasversale  (fig.  2).  Si  trovarono  compresi  fra  le  pietre  e  le  sciiegge  costi- 
tuenti il  materiale  di  riempimento  della  terrazza,  fra  il  muro  anteriore  e  la  roccia 
del  monte,  commisti  a  terriccio  scuro,  ad  avanzi  carboniosi  e  a  gran  quantità  di 
ossa  spezzate  di  varii  animali.  Se  ne  raccolsero  in  buon  numero  anche  fra  le  grandi 
pietre  del  muro;  circostanza  che  prova  la  posteriorità  di  data  del  muro  rispetto  a 
quella  dei  cocci.  Si  ebbero  pertanto  frammenti  di  grandi  vasi  rossastri  a  pareti  piut- 
tosto spesse,  alcuni  dei  quali  con  cordoni  rilevati  lisci  o  forniti  di  intaccature  ;  un'ansa 
biforata  di  tazzetta  d'impasto  nerastro  (tipo  laziale);  frammenti  d' altri  vasi  grezzi 
di  terra  nerastra  e  poco  cotta;  un  fondo  di  vaso  pure  di  terra  nerastra  poggiato  su 


(»)  Cfr.  Not.  scavi  1904,  pag.  412. 


NORMA 


1 


244  — 


RBGIONE   1. 


quattro  piedini;  un  frammento  ornato  da  una  linea  a  zig-zag  impressa  con  uno  stru- 
mentino dentato;  frammenti  di  tre  cosi  detti  rocchetti,  eco. 

Sommamente  interessante  è  il  frammento  fittile  riprodotto  a  fig.  3,  nel  quale 
crediamo  debba  riconoscersi  uno  di  quegli  stampi  d'argilla  noti  sotto  il  nome  di 
pintadera.  Simili  oggetti  sono  apparsi  in  Italia  in  strati  neolitici  della  Liguria  o 
più  raramente  dell'Emilia  (');  non  ne  conosciamo  di  età  più  recenti.  Occorre  però 
non  dimenticare,  che  alcune  delle  antiche  popolazioni  d' Italia  hanno  mantenuto  sino 
in  età  storiche  l'uso  di  dipingersi  il  corpo  o  di  tatuarsi  ('). 


EiG.  3.  -  Frammento  di  pinladera  (?)  rinvenuta  nella  terrazza  rappresentata  alle  flgg.  1  e  2.   2  :  s 


Oltre  a  questi  avanzi  che  si  riferiscono  (specialmente  i  frammenti  comuni  di 
dolii  e  di  grandi  vasi)  ad  abitazioni  e  non  a  suppellettile  funebre,  si  rinvennero 
anche  cinque  tombe  e  una  stipe  votiva. 

Tre  delle  tombe  si  ebbero  dalla  terrazza  stessa,  dove  nella  pre- 
cedente campagna  se  ne  era  rinvenuta  la  prima  (');  im'altra  si 
trovò  più  a  N-E  presso  il  luogo  della  stipe  votiva;  l'ultima  sulla 
roccia  un  poco  a  valle  della  terrazza  ov'era  la  prima.  Riservando 
per  la  numerazione  il  numero  I  alla  tomba  scoperta  nel  1903,  ecco 
la  descrizione  delle  altre. 

Tomba  II  {fig.  4).  Possa  di  forma  trapezoidale  per  l'obliquità 
di  uno  dei  lati  corti  formato  dalla  roccia  viva.  Fu  scoperta  presso 
il  muro  stesso,  ove  si  trovò  la  I,  in  direzione  obliqua  rispetto  al 
muro,  in  modo  che  i  due  angoli  prossimiori  di  essa  ne  distavano 
di  m.  5,60  e  4,35. 

Misura  m.  2,30  di  lunghezza  per  0,80  di  larghezza,  e  circa  0,50 

di  profondità.  La  fossa  era  cavata  in  terreno  di  riporto  contenente 

qualche  frammento  fittile   d'età  mal  definibile,  e  il  piano  di  posa 

del  cadavere  era  a  circa  m.  0,15  sulla  roccia  viva.  Conteneva  uno 

scheletro  in  gran  parte  decomposto,  di    cui  si  riconobbero  alcune 

ossa  lunghe  e  alcuni  denti  con  la  corona  logora.  Si  potè  constatare 

che  il  cadavere,  probabilmente  di  donna  adulta,  era  stato  deposto  supino  nel  terreno, 

stretto  ai  lati  da  un  filare  di  sassi   non    grandi    né  regolari,    addossati   alle  pareti. 

Presso  la  testa  era  un  ammasso  di  frantumi  di  vasi  che  sembra  avessero  costituito: 


Fio.  4. 


-  Tomba  IL 

IMO 


(•)  Colini,  in  Bull.  Pai.  It.,  1902.  pag.  16;  1903,  pag.  228. 
(•)  Mayer  in  Ròm  Mitth.  1897,  pag.  251. 
(»)  Not.  Beavi  1904,  pag.  413  segg. 


RBOIONB   I.  —   245   —  NORMA 

1)  Anforetta  di  tipo  laziale  su  piede  conico  con  due  piccole  ansette  a  profilo 
angolare.  È  decorata  intorno  al  collo  con  una  linea  incisa  a  zig-zag;  le  spalle  sono 
divise  in  riquadri  alternatamente  li'sci  o  decorati  con  triangoli,  croci  iscritte  entro 
rettangoli  dagli  angoli  smussati,  swastike.  Sulla  parte  inferiore  delle  anse  reca  anche 
delle  swastike.  Lo  stato  frammentario  e  incompletissimo  dell'oggetto  non  permette 
una  più  esatta  descrizione  della  decorazione  eseguita  al  solito  con  una  punta  dentata. 
Anforette  simili  si  ebbero  dalla  necropoli  di  Caracupa,  e  una  simile  più  grande  dalla 
tomba  I  di  questa  stessa  terrazza  ('). 

2)  Attingitoio  a  corpo  lenticolare  con  orlo  cilindrico  e  ansa  biforata  con  bu- 
gnette  sul  ventre. 

3)  Scarsi  frammenti  di  una  coppa  a  piede  decorata  con  swastike,  linee  mean- 
driche, ecc. 

Presso  i  fittili  descritti: 

4)  Fuseruola  fittile  esagonale. 
Presso  la  spalla  sinistra: 

5)  Orecchino  o  helix  di  filo  di  rame  ondulato  all'estremità,  del  tipo  cosi  spesso 
rinvenuto  nella  prossima  necropoli  di  Caracupa,  dove  si  rinvennero  costantemente  in 
numero  di  due  ai  lati  dei  cranii  delle  donne  (')  e  in  tante  altre  necropoli  dell'Italia 
media  (^). 

Presso  l'omero  sinistro,  aderente  ai  sassi  del  recinto: 

6)  Un  coltello  di  bronzo  a  punta  acuminata  e  taglio  concavo-convesso,  con 
«ostola  rilevata  sul  dorso  e  breve  codolo  da  inserire  in  un  manico  di  legno  (*).  Lun- 
ghezza m.  0,235.  Notevole  è  un  foro  nell'estremità  inferiore  della  lama  presso  il  taglio. 

Più  in  basso,  quasi  sul  ventre: 

7)  Grande  fibula  di  bronzo  ad  arco  pieno  con  breve  staffa  triangolare.  L'arco 
è  suddiviso  in  zone,  dove  si  alternano  decorazioni  a  fitte  lineette  normali  all'asse, 
reticolati  e  fasci  di  lineette  spezzate.  La  staffa  ha  tutt'  in  giro  una  decorazione  a  sot- 
tilissime striature  che  seguono  la  linea  dell'orlo,  rettilinee  o  a  segmenti  spezzati. 
All'arco  sono  infilati  tre  anelli  digitali  di  bronzo  a  larga  fascia  carenata,  simili  a 
quelli  raccolti  nella  sottostante  necropoli  di  Caracupa  e  in  molti  altri  luoghi  del 
Lazio  (*). 

Tomba  III.  Si  trovò  a  piccola  distanza  dalla  tomba  II  e  più  vicina  al  muro 
della  terrazza  stessa.  Era  a  metà  distrutta,  mancando  tutta  la  parte  inferiore;  alla 
profondità  di  m.  0,70  la  larghezza  era  di  m.  0,70;  la  lunghezza  non  era  determi- 

(')  Cfr.  Not.  scavi  1903,  fig.  19,  pag.  307,  e  1904,  pag.  421,  fig.  10. 

(•)  Not.  scavi  1903,  pag.  289  seg. 

(')  Snessula,  Not.  scavi  1878,  tav.  IV-8;  Verucchio,  ibid.  1898,  pag.  ,^55;  territorio  falisco, 
Mon.  Lincei,  IV,  pag.  348,  ecc. 

(*)  Cfr.  per  la  forma  della  lama  il  coltello  della  tomba  44  di  Caracupa  {Not.  scavi  1908, 
pag.  376,  fig.  46). 

O  Cfr.  Not.  Scavi,  1903,  pag.  317,  fig.  32  e  pag.  336,  fig.  62;  Mon.  Lincei,  XV  passim,  nelle 
tavole  alle  quali  si  possono  aggiungere  esempi  da  Mentana  e  da  Leprignano  nel  Mus.  Preist., 
numeri  d'inv.  70630  e  75227. 

NoTiziB  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  32 


NORMA 


I 


246  — 


REOIONB   1. 


nabile,  perchè  parte  della  tomba  era  stata  asportata.  Le  ossa  molto  decomposte, 
erano  sottili,  e  appartenevano  a  un  individuo  giovane,  probabilmente  di  sesso  fem- 
minile. Del  corredo  funebre  rimaneva: 

Sopra  il  capo: 

1)  Idrietta  (tìg.  5)   a  un'ansa,  di  forma  non   dissimile  dall'ossuario  Villano- 
viano, collo  conico,  labbro  riversato  in  fuori,  ventre  alquanto  rigonfio,  ma  che  si  as- 


FiG.  5.  —  Idrietta  rinvenuta  nella  tomba  III 
di  Valvisciolo.         1:S 


FiG.  0.  —  Idrietta  rinvenuta  nella  vigna  Me- 
luzzi  presso  Marino. 


Bottiglia  poi  rapidamente  in  basso,  e  pieduccio.  Era  riccamente  decorata  ;  sul  labbro 
corre  una  serie  di  denti  di  lupo,  entro  i  quali  sono  due  o  tre  punti,  oppure  due  altre 
linee  ad  angolo  acuto;  sotto  al  labbro  è  una  doppia  serie  pure  di  denti  di  lupo;  alla 
base  del  collo  altre  linee  triangolari  con  punti  incisi  all'intorno;  poco  sopra  al- 
l'enlasis  del  ventre  un  meandro  assai  allungato.  Il  ventre  è  diviso  in  cinque  riquadri 
ornati  che  si  alternano  con  spazii  lasciati  liberi  (fig.  7).  Il  primo,  presso  l'ansa,  pre- 
senta una  swastika  ansata  e  molto  deformata  a  doppia  linea,  con  punteggiatura  me- 
diana e  con  una  piccola  swastika  lineare  in  basso.  Il  secondo,  incompleto,  ha  linee 
doppie  diagonali  con  punteggiature  e  graffiti  angolari  e  verticali  alternati  negli  spazi 
tra  le  diagonali  e  la  riquadratura.  Il  terzo  contiene  una  capricciosa  linea  meandrica, 
cosparsa  di  punti  che  nei  suoi  andirivieni  ricorda  quelle  figurazioni  del  labirinto  che 


REGIONE    I. 


247  — 


NORMA 


conosciamo  dalle  monete  di  Knossós  e  "da  una  oinochoe  graffita  etnisca  (').  11  quarto 
ha  una  croce  ricca  di  punteggiature  e  di  linee  e  di  quadrati  interposti  tra  le  braccia; 
il  quinto,  due  diagonali  con  linee  parallele  formanti  angoli  negli  spazi  adiacenti.  Sotto 
il  ventre  è  ancora  una  serie  di  denti  di  lupo;  al  piede  delle  linee  meandriche. 
Alt.  m.  0,195.  Per  forma,  per  tecnica  e  per  decorazioni  questo  vaso  è  molto  simile 
a  uno  trovato  a  Vigna  Meluzzi  presso  Marino,  ora  nel  Museo  Preistorico  di  Roma, 
num.  d'inv.  63453,  che  riproduciamo  a  fig.  6,  e  ad  altri  della  tomba  I  di  questa 
necropoli  e  delle  tombe  74  e  75  di  Caracupa  {'). 


Fio.  7.  —  Sviluppo  della  decorazione  dell' idrietta  rappresentata  alla  fig.  5. 


1:4 


Ai  lati  del  cranio: 

2)  Frammenti  di  orecchini  o  helikes  in  Ilio  di  rame,  simili  a  quelli  della 
tomba  precedente. 

Sulla  spalla  sinistra: 

8)  Puseruola  esagonale  di  terracotta. 
Sul  ventre: 

4)  Frammenti  di  granuli  d'ambra. 
Tomba  IV.  Fossa  rettangolare  scavata  alla  base  di  una  prominenza  rocciosa  a 
piceo  circuita  di  grandi  pietre  e  riempita  inferiormente  con  schegge,  e  poco  sotto  la 
superficie  del  suolo  con  pietre.  Sul  fondo,  all' ingiro,  era  circuita  da  lastre  irregolari, 
disposte  verticalmente  a  intervalli  e  appoggiato  alle  pareti.  Era  lunga  m.  2,12, 
larga  0,61,  profonda  1,13  (vedi  pianta  e  sezione  trasversale  a  fig.  8).  Conteneva  due 


(')  Ann.   delVIst.,    1881,   pag.    160,   tav.   d'agg-   L-M;   cfr.   Benndorf,    Ueber  das  Alter  des 
Troiaspieles,  in  Reichel;  Ilomerische   Waffen,  1"  ediz.,  pag.  133. 

(•)  Cfr.  Not.  scavi  1903,  pag.  341,  fig.  66,  e  pag.  343,  fig.  68j  1904,  pag.  416,  flg.  hb. 


NORMA 


—  248  — 


REGIONE    I. 


FiG.  8.  —  Pianta  e  sezione  della  tomba  IV.        i;40 


KBOIONB   I.  —   249   —  NORMA 


scheletri  afifrontati,  probabilmente  di  donne  :  quello  di  destra  supino  e  con  la  destra  sul 
bacino  e  con  la  testa  volta  a  sinistra;  l'altro  di  sinistra  di  fianco,  vólto  a  destra 
verso  il  primo.  Parte  del  corredo  deposto  nella  tomba  doveva  forse,  anche  nell'  inten- 
zione dei  seppellitori,  servire  ad  ambedue  i  defunti  ;  un'altra  parte,  riferentesi  piìl  spe- 
cialmente al  vestito  e  al  corredo  personale,  doveva  essere  distintamente  assegnata 
all'uno  0  all'altro:  ma  nello  scavo  non  sempre  ne  apparve  sicura  l'attribuzione.  Così 
le  tre  fibule  rinvenute  si  trovarono  nello  spazio  assai  angusto  tra  i  due  cadaveri,  e 
solo  con  approssimazione  si  può  ritenere  che  l'una  (nell'elenco  n.  5)  appartenesse 
al  cadavere  di  destra,  le  altre  (nn.  6  e  7)  a  quello  di  sinistra.  Diamo  pertanto  la 
descrizione  degli  oggetti,  indicando  il  luogo  dove  furono  trovati. 
Fra  l'estremità  della  fossa  e  le  due  teste: 

I)  Anforetta  d' impasto  rossastro,  di  tipo  laziale,  a  ventre  schiacciato,  con  due 
ansette  a  profilo  angolare,  mancante  di  molte  parti.  Alt.  m.  0,095. 

Presso  le  teste: 
2-3)  Due  paia  di  orecchini  spiraliformi  o  helikes  di  filo  di  rame,  simili  alle 
già  descritte. 

Lungo  l'omero  destro  del  cadavere  di  destra,  esternamente: 

4)  Quattro  fuseruole:  due  più  grandi  e  due  piccole. 
Tra  i  due  cadaveri,  all'altezza  del  petto: 

5)  Fibula  di  bronzo  ad  arco  ingrossato,  in  cui  è  inserito  un  anello  digitale  a 
fascetta. 

6)  Altra  della  stessa  forma,  più  grande,  con  un  anello  digitale  e  un  cerchio 
piatto  a  sezione  romboidale  con  triangoli  graffiti. 

7)  Altra  fibula  grande  come  il  n.  6,  con  due  cerchi  piatti  a  sezione  romboidale 
e  resti  di  una  catenina  di  bronzo. 

8)  Alcuni  grani  di  pasta  vitrea. 
Tra  le  gambe  dei  due  cadaveri: 

9)  Frammento  di  coltello  concavo-convesso. 
Ai  piedi  del  cadavere  di  destra: 

10)  Frammenti  di  un'  idrietta  a  un'ansa,  di  terra  rossastra,  non  decorata,  con 
bugnette  e  costolature. 

II)  Frammenti  di  un'anforetta  di  tipo  laziale  di  impasto  nero  lucidato,  entro 
0  sopra  la  quale  era: 

12)  Una  tazzetta  ad  ansa  biforata,  d' impasto  nero,  in  frammenti. 
Ai  piedi  del  cadavere  di  sinistra: 

13)  Anfora  laziale  di  terra  rossastra  a  superficie  lucidata,  in  molti  frammenti. 
Conteneva: 

14)  Tazzetta  laziale  di  impasto  bruno  con  orlo  piuttosto  alto,  ornato  di  stec- 
cature, tre  bugnette  sul  ventre,  e  ansa  biforata. 

Tomba  V.  Si  rinvenne  presso  il  luogo  ov'era  la  stipe  votiva,  di  cui  si  dirà  ap- 
presso. Era  a  circa  m.  1,40  sotto  il  livello  attuale,  ossia  molto  più  in  basso  del  li- 
vello al  quale  giungevano  i  materiali  sparsi  della  stipe  votiva.  Di  forma  rettango- 
lare, misurava  m.  2,25  X  0,60.   Era  riempita  in  parte  di  sassi  (vedi  pianta  e  sezione 


.IfORMA 


—  250  — 


REGIONE   I. 


fig.  9).  Il  cadavere  appartenente  a  donna  era  disteso  supino  con  le  ossa  frammentate 
e  scomposte,  probabilmente  perchè  fluitate  dall'acqua  che  aveva  invaso  la  cassa  di 


■^i'li,'':.iri'i'i'H!!iNV,','': 


Fig.  9.  —  Tomba  V  presso  la  stipe  votiva  (Pianta  e  sezione  trasversale.        1:25 

legno,  della  quale  apparvero  esigue  tracce.  AH' intorno  erano  alcune  pietre.  Di  og- 
getti si  rinvennero: 
Sopra  la  testa: 
>  ..  '1)  Lebete  liscio  di  rame,  in  frammenti  minuti  assai  guasti  dall'ossido,  entro 
cui  era:  '         ' 


REGIONB  I. 


—   251   — 


Norma 


2)  Una  tazzetta  d'impasto  nero  a  superficie  lucidata,  ridotta  in  frantumi.    ' 
Presso  la  spalla  destra: 

3)  Frammenti  di  anforetta  di  terra  bruna,  tipo  laziale,  entro  o  sopra  la  quale  : 

4)  Una  tazzetta  brunastra,  pure  in  frantumi. 
A  sinistra  del  capo: 

5)  Frammenti  di  un  attingitoio  d' impasto  scuro,  con  ansa  a  nastro. 


PiG.  10.  —  Tomba  VI,  a  cremazione  (Pianta  e  sezione).        1:40 


Presso  la  spalla  sinistra: 

6)  Fibula  di  bronzo  a  navicella  piena,  mancante  di  parte  della  staffa  e  dell'ago. 
Ai  due  lati  del  cranio: 

7)  Orecchini  spiraliformi  o  helikes  di  sottile  filo  d'argento,  in  frammenti. 
Sul  petto: 

8)  Dischetto  di  lamina  di  rame  con  foro  centrale. 
Quasi  presso  il  bacino,  a  destra: 

9)  Pibuletta  di  bronzo  ad  arco  ingrossato. 

10)  Frammenti  decomposti  di  grani  d'ambra,  forati. 

Tomba  VI.  Fu  rinvenuta  a  valle  del  grande  muragliene  della  terrazza,  sotto 
il  piano  della  quale  erano  le  tombe  I-IV.  Scavata  in  una  roccia  che  si  era  decom- 
posta, non  se  ne  poterono  riconoscere  esattamente  le  dimensioni  ;   sembra  però  fosse 


NORMA  —  252   —  RBOIONB   I. 

a  pozzetto.  Era  coperta  superiormente  da  uno  strato  di  pietre  informi,  che  formavano 
come  un  lastricato  rettangolare  di  m.  0,80  di  lunghezza  per  0,40  di  larghezza 
(vedi  fig.  10).  Il  fondo  era  a  m.  0,50  sotto  la  superficie  attuale  del  suolo  e  a 
m.  0,25  sotto  il  piano  di  pietre.  Si  rinvennero  parecchi  frammenti  d'ossa  cremate, 
le  quali  erano  state  deposte  nella  terra,  o  avvolte  da  stoffa,  o  in  un  recipiente  di 
legno  che  si  decompose. 

Di  sepolcri  simili,  a  cremazione,  senza  ossuario,  se  ne  rinvennero  anche  nella 
vicina  necropoli  di  Garacupa  (')•  Insieme  con  gli  avanzi  del  rogo  si  trovò: 

1)  Pugnale  di  ferro  in  frammenti  con  lama  dritta  a  forma  stretta  e  acumi- 
nata, e  guaina  pure  in  ferro  terminata  da  bottone  discoidale.  La  parte  superiore  del 
fodero  e  del  pugnale  erano  decomposti  completamente  dall'ossido.  Un  pugnale  simile 
si  ebbe  dalla  tomba  25  di  Garacupa  (').  Sotto  il  pugnale  si  trovò  un  frammentino 
di  vaso  fittile  arcaico. 

La  stipe  votiva. 

Una  stipe  votiva,  o  meglio  lo  scarico  degli  oggetti  che  essa  conteneva,  fu  rin- 
venuta là  dove  ora  appare  sia  la  estremità  settentrionale  del  sistema  difensivo  del 
colle.  Non  restano  infatti  avanzi  di  muri  delle  terrazze;  però  alcune  balze  quasi 
sempre  continue,  che  seguono  linee  orizzontali  o  poco  inclinate,  e  che  si  raccordano 
a  tratti  conservati  di  muro  più  a  sud,  son  rimaste  ad  indicare  in  modo  evidente  l'an- 
damento di  quelle  costruzioni  prima  della  loro  rovina.  Il  teiTcno,  nel  luogo  della 
stipe  e  per  un  breve  tratto  a  sud,  non  è  roccioso,  ma  formato  da  un'argilla  sab- 
biosa rossa,  che  ricolma  una  sinuosità  sul  fianco  della  montagna  calcare.  Tale  terreno 
costituiva  una  pessima  fondazione,  e  la  corrosione  delle  acque  fece  precipitare  a 
valle  le  muraglie,  di  cui  non  restano  altre  tracce  che  nell'aspetto  a  terrazze  del 
monte. 

Alcuni  frammenti  della  stipe  apparvero  sopra  il  piano  del  suolo  attuale,  che  era  stato 
alquanto  rimosso  per  la  coltivazione:  il  gruppo  piìi  folto  era  a  pochi  centimetri  sotto 
il  piano  di  campagna  ;  se  ne  trovavano  poi  alquanto  più  rari  sino  alla  media  profon- 
dità di  m.  0.80.  Il  luogo  dove  la  stipe  si  rinvenne,  appariva  prima  dello  scavo  come 
un  rettangolo  di  m.  24  X  19,  abbastanza  nettamente  definito  da  macerie  di  sassi  mo- 
derne, che  però  si  pensava  potessero  essersi  sovrapposte  a  resti  di  antichi  muri.  In- 
fatti nell'angolo  in  basso  a  S.  0.  rimaneva  in  posto  un  colossale  pietrone,  le  due  pa- 
reti esterne  del  quale,  a  colpi  di  mazza,  erano  state  ridotte  a  superficie  sensibilmente 
piane.  Tranne  però  questa  grande  pietra,  nessun  altro  tratto  di  muro  antico  fu  po- 
tuto con  sicurezza  riconoscere;  dal  lato  di  N-E  erano  alcune  grandi  pietre, ma  non 
in  situ.  A  monte  nessuna  traccia  di  mura  restava  a  segnare  il  recinto,  colà  dove  la 
stipe  votiva  veniva  a  mancare. 

(')  Cfr.  tombe  5Jm,  6  e  17  di  qnell»  necropoli  in  Not.  tcavi  1903,  pp.  293,  304,  306  e  SII. 
(•)  Noi.  tcavi  1903,  pag,  314. 


RIOIOME  I.  —  253   —  NORMA 

La  stipe  non  si  trovò  raccolta,  ma  dispersa;  anche  nei  punti,  dove  il  coc- 
ciame  appaiTe  più  iìtto.  si  rinvennero  frammisti  parecchi  sassi,  anche  di  grandi 
dimensioni,  e  dei  frammenti  raccolti  nello  stesso  punto  solo  rarissimamente  si  dava 
il  caso  che  due  si  ricongiungessero.  Tale  dispersione  ci  sembrò  però  dovuta  piuttosto 
alle  pioggie  e  a  qualche  superficiale  lavoro  agricolo,  che  non  ad  un  rotolamento  da 
un  luogo  più  alto,  e  perchè  gli  oggetti  si  rinvennero  troppo  fitti,  e  perchè  i  saggi 
praticati  più  a  monte  furono  affatto  negativi.  È  necessario  pertanto  ammettere,  che 
appunto  colà  sorgesse  un  luogo  di  culto  al  quale  la  stipe  si  riferisce.  Dovremo  pro- 
babilmente immaginarlo  come  uno  spazio  recinto  da  muro  o  da  siepe,  sostenuto  da  un 
muraglione  di  terrazza  e  fornito  di  una  o  più  fosse  per  il  deposito  degli  oggetti  votivi  ('). 

La  grande  massa  della  stipe  era  costituita  da  quei  minuscoli  vasetti  di  terra 
che  cominciano  ad  apparire  già  dalle  terremare,  e  che  si  sono  poi  raccolti  a  centi- 
naia presso  tutti  gli  arcaici  luoghi  sacri  (').  Si  rinvennero  poi  un  certo  numero  di 
frammenti  e  qualche  esemplare  intero  di  vasi  protocorintii.  Le  forme  esemplificate 
furono  alabastro,  lekythoi  cuoriformi,  unguentari  a  forme  animali,  qualche  frammento 
di  oinochoe,  e  due  o  tre  piccole  anse  di  kylikes  forse  o  di  pyxides.  Nessuno  dei  frammenti 
0  degli  oggetti  interi  di  questa  categoria  porta  altri  ornamenti  che  non  siano  fasce 
a  vari  colori.  Frequenti  furono  i  frammenti  di  bucchero  nero  per  lo  più  appartenenti 
a  kantharoi  a  pareti  piuttosto  grosse,  in  piccola  parte  ad  olpai  e  ad  holkia,  questi 
ultimi  talora  con  la  caratteristica  decorazione  a  ventaglietti  punteggiati.  Si  ebbero 
pure  frammenti  di  tazze  a  piede  piuttosto  alto,  coppa  emisferica,  labbro  largo  rove- 
sciato al  di  fuori,  di  argilla  pallidissima,  comuni  in  Etruria  e  paesi  vicini,  poco  note 
altrove  (').  I  più  abbondanti  furono  naturalmente,  dopo  i  vasetti  minuscoli,  i  fram- 
menti di  ceramica  grezza  ordinaria,  di  aspetto  per  lo  più  arcaico,  ma  che  non  pre- 
sentano caratteri  tali  da  permettere  una  esatta  datazione.  Earissimi  invece  i  fram- 
menti di  impasto  nerastro  con  decorazioni  graffite,  quali  si  rinvennero  nelle  tombe. 
Tra  i  pochi  è  notevole  uno  che  reca  grafifita  una  testa  d'anatra.  Si  aggiungano  pochi 
frammenti  di  un  vaso  a  superficie  rosso-lucida  con  costolature  e  palmette  impresse 
a  stampa,  e  altro  vaso  rosso  simile,  ma  più  ordinario,  con  linee  serpeggianti  incise. 
Di  suppellettile  metallica  non  si  ebbe  gran  copia  né  gran  varietà;  le  fibule  di  bronzo, 
quasi  tutte  molto  piccole,  erano  ad  arco  ingrossato  o  a  navicella  con  lunga  staffa; 
si  ebbe  anche  qualche  fibula  di  ferro.  D'altro  materiale,  tranne  qualclie  perlina  di 
vetro  e  un  pomello  d'osso,  non  si  rinvenne  quasi  nulla,  come  appare  dalla  descri- 
zione, che  facciamo  seguire,  degli  oggetti  più  interessanti: 

{')  Cfr.  la  definizione  degli  antichi  sacella  data  da  Fesfo,  pag.  318:  loca  deo  sacrata  sine 
tecto;  l'iscrizione  di  Hatria,  C.I.L.  IX,  5019:  sacellum  de  s(enatus)  s(ententia)  saepiundum  cura- 
veruni;  cfr.  anche  Jordan,  Aedes,  templum,  fanum,  delubrum,  in  Hermes,  1879,  pag.  567,  Cabrici, 
Scavi  nel  sacello  della  dea  Nortia  a  Bolsena,  in  Mon.  Lincei,  XVI,  pag.  227,  e  l' interessante  ca- 
pitiilo  dell'  Indiculus  superstitionum  dal  titolo  De  casulis  id  est  fanis  illustrato  dallo  Stara  Tedde 
in  Bull.  Comunale  1907,  pag.  140. 

{')  Cfr.  in  generale  Pigorini,  in  Rendic.  Lincei,  1896,  pag.  449;  Mariani,  in  Bull.  Comunale, 
1896,  pag.  37;  Not.  scavi  1898,  pag.  332;  1904,  pag.  84,  ecc.  Buon  numero  ne  diedero  anche  le 
stipi  della  vicina  Satricum. 

(•)  Cfr.  citazioni  in  Mon.  Lincei,  XVI,  pag.  430. 

NoTiziK  Scavi  1909  -  Voi.  VI.  33 


NORMA 


254 


RBOIONB   I. 


Rame,  bronzo  e  ferro. 

Grande  anello  piatto  ricayato  da  nna  lamina  assai  sottile  di  rame,  decorato  sn 
ambedue  le  facce  di  sottili  striature  oblique  riunite  a  fasci,  alteruatamente  ora  in 
un  senso,  ora  nell'altro  (tìg.  11).  Nello  spazio  tra  due  fasci  contigui  convergenti  sono 


FiG.  11.  —  Anello  piatto  di  rame  proveniente  dalla      Fig.  12.  —  Anello  pendaglio  proveniente 
stipe  votiva.        l  :  2  dalla  stipe  votiva.         2 : 3 

gruppi  di  tre  doppi  circoletti  concentrici  incisi  meccanicamente  cioè  mediante  trapano, 
e  col  centro  segnato  da  un  foro  passante.  L'artefice  non  si  è  curato  che  i  centri  dei 
circoletti,  segnati  su  una  faccia,  coincidessero  con  quelli  della  faccia  opposta,  sicché 
i  fori  dei  centri  si  vedono  molto  avvicinati  fra  loro  in  gruppi  di  sei.  Diam.  m.  0,12. 
Grande  anello  pendaglio  di  rame  (fig.  12),  formato  di  mezzi  anelli  cavi  tenuti 
insieme  da  due  chiodi  pure  di  bronzo  a  capoccliia  ribadita,   ornato  da  solchi  circo- 


Fio.  13.  —  Pendaglini  di  rame.  Fig.  14.  —  Pcndaglino  di  ferro, 

(provenienti  dalla  stipe  votiva)        2:S 

lari  presso  l'attaccatura  dei  due  pezzi.  Diam.  m.  0,05.  Uno  simile  di  Belmonte  Pi- 
ceno conservava,  nell'interno,  del  legno  (')• 

(■)  Not.  scavi  1901,   pag.  233.   Anelli  simili  si  trovarono   anche   nella  vicina  stipe  votiva  di 
Satricum:  Not.  scavi  1896.  pag.  29.  ' 


REGIONE    I. 


—    255    — 


NORMA 


Tre  pendaglini  di  rame  a  guisa  di  bulla  composta  di  due  lamine  sovrapposte  a 
forma  di  cuore  o  di  goccia  {stalagmion)  :  misurano  da  un  massimo  di  m.  0,042  a  un 
minimo  di  m.  0,03.  Due  di  essi  sono  riprodotti  nella  fig.  13. 

Due  pendaglini  semicircolari  e  bombati  (fig.  14)  costituiti  da  una  lamina  cir- 
colare di  ferro  ripiegata  su  sé  stessa  secondo  un  diametro,  forniti  di  appiccagnolo 
pure  di  ferro  (').  Lungh.  m.  0,04. 


PiG.  15.  —  Armilla  di  rame,  proveniente  dalla  stipe  votiva.        i:i 

Alcuni  pendaglini  di  bronzo  pieni,  a  forma  di  sferetta  con  peduncolo  forato, 
oppure  a  sferetta  compresa  fra  tre  cilindretti  forati  nel  senso  dell'asse  maggiore, 
"oppure  a  guisa  di  corpicciuoli  a  sezione  ellittica  con  appiccagnolo. 

Due  armillette  di  rame  piene,  a  tortiglione,  a  estremità  sovrapposte  e  chiodate 
(fig.  15).  Diam.  m.  0,04. 

Un  frammento  di  rotella  di  bronzo  del  tipo  larghissimamente  esemplificato  dal- 
l'età del  bronzo  in  poi  (tìg.  16).  ' 


Fig.  16.  —  Rotella  di  bronzo  proveniente  dalla  stipe  votiva. 


l:i 


Un  nettaungbie  di  bronzo  formato  da  un'asticella  lunga  m.  0,10  con  un  tratto 
elegantemente  incurvato  e  rigonfio  a  guisa  d'arco  di  fibula  presso  l'estremità  supe- 
riore, che  è  terminata  da  una  capocchia  cilindrica  e  fornita  di  un  anellino  per  l'at- 
tacco (fig.  17).  L'altra  estremità  termina  a  forcella,  ora  spuntata;  e  sopra  tutto  note- 
vole è  la  lineetta  formata  da  fitte  e  profonde  solcature  trasversali  che  si  trova  presso 
l'estremità  forcuta.  Lungh.  m.  0,11. 

(')  Simili  anche  nella  stipe  di  Satricura,  a  Falerii:  Montelins,  Civ.  primitive,  li,  tav.  308, 
n.  15;  a  Koma:  Boni,  in  Not.  scavi  1905,  pag.  161;  Pinzaj  in  Mon,  Linai,  XV,  pag.  86. 


NORMA 


—  256  — 


REaiONE   I. 


Un  ago  di  rame  coperto  di  bellissima  patina  verde  lucente  con  grande   cruna 
ellittica.  Liingh.  m.  0,08. 

Due  cuspidi  di  ferro  per  piccole  lance,  o  per  frecce.  La 
più  grande  misura  m.  0,13  di  lunghezza,  di  cui  circa  m.0,05 
sono  presi  da  un  lungo  peduncolo  pure  di  ferro. 

Due  frammenti  di  verghette  di  ferro  sottili,  a  sezione 
quadrangolare,  terminati  a  un'estremità  da  una  specie  di  riccio 
a  due  giri  (teste  di  spiedi?). 

Grande  maniglia  di  ferro  di  forma  rettangolare  con  le 
estremità  ripiegate  a  uncino  e  attorte. 

Le  fìbule  sono  quasi  tutte,  come  si  è  detto,  piccole,  ad 
arco  leggermente  ingrossato,  con  staffa  piuttosto  lunga  (fig.  18): 
qualcima  recava  infilato  un  anellino.  Tra  le  forme  meno  comu- 
nemente rappresentate  ricorderemo: 

Fibuletta  a  navicella  vuota  con  due  globetti  laterali  nel 
punto  di  maggior  espansione  dell'arco  (tìg.  19):  manca  ago  e 
staffa,  l'arco  porta  cinque  incassi  circolari  nei  quali  doveva 
essere  innestata  dell'ambra  o  altra  materia  ornamentale.  Lun- 
ghezza m.  0,027. 

Due  fibulette  ad  arco  duplicato,  mancanti  dell'ago  e  della 
staffa  (fig.  20). 

Altra  simile  con  arco  triplicato  (fig.  21):  la  staffa  non  è  conservata,  ma  dalla 
lunghezza  dell'ago  si  dovrebbe  dedurre  che  essa  pure  fosse  piuttosto  lunga. 

Pomello  rotondo  di  bronzo  destinato  a  decorare  l'estremità  della   staffa   d'una 
grande  fibula  ('). 

Gli  oggetti  di  carattere  più  spiccatamente  religioso  erano: 

Una  minuscola  ascia  a  cannone  in  bronzo,  fornita  di    larghi   trafori  alla  base 


i      f 


Fig.  17.—  Nettaunghiedi 
bronzo,  proveniente  dalla 
stipe  votiva.        2:3 


Fig.  18.  —  Fibula  di  bronzo  (stipe  votiva).     1:1         Fig  19.  —  Fibuletta  di  bronzo  vista 

lateralmente  e  di  sotto  (stipe  votiva).  1 : 1 

(fig.  22).  Il  costume  di  offrire  alla  divinità  delle  riproduzioni  di  armi   si  sa  essere 
stato  largamente  diffuso  e  di  lunga  durata  (').  Lungh.  m.  0,035. 

(■)  Per  la  forma  cfr.  Moiitelius,  Civ.  primitive,  I,  tavv.  XIV-XV,  nn.  204-207  e  213-214. 
C)  Cfr.  già  quest'uso  nell'antica  civiltà  egizia  (Maspero,  Guide  du  musée  de  Cairo,  pag.  180), 
in  Creta  {Animai  of  the  Brith.  School,  VI,  pag.  107  ;  Mon.  Lincei,  XIV,  pag.  705),  ecc.  ;  presso  di  noi 


REGIONE   I. 


—   257   — 


NORMA 


Una  piccola  ascia  di  pietra  verde  rivestita  nel  senso  della  lunghezza  da  una 
fascetta  di  ferro  la  quale  doveva  ternainare  con  un  appiccagnolo  ora  distrutto  (fig.  23). 
È  un'altra  testimonianza  dei  concetti  superstiziosi  che  si  formarono  sulle  armi  di 
pietra,  quando  ne  fu  abbandonato  l'uso,  e  che  durano  in  parte  e  in  certe  regioni 
anche  ora  ('). 

Una  figurina  di  bronzo  dal  corpo  appiattito,  con  la  testa  alquanto  rilevata  e  sor- 
montata da  un  ampio  disco  nel  quale  passa  un  anello  atto  a  tenerla  appesa  (fig.  24). 


Pio.  20.  —  Fibuletta  di  bronzo.  Pio.  21.  —  Fibuletta  di  bronzo, 

(provenienti  dalla  stipe  votiva)        1:1 

All'altezza  dei  piedi  la  lamina  è  stata  leggermente  piegata   in   avanti.    La   figura 
sembra  nuda;  il  sesso  non  è  indicato,  ma  si  direbbe,  per  la  simiglianza   con  altre 


Fio.  22.  —  Ascia  di  bronzo  a  cannone.  Pio.  23.  —  Ascia  di  pietra  con  fascia  di  ferro, 

(provenienti  dalla  stipe  votiva). 

figurine  analoghe,  fosse  il  maschile;  gli  occhi  e  il  naso  sono  espressi  mediante  rilievo, 
le  mammelle,  le  dita  delle  mani  e  dei  piedi  mediante  graffito.  Il  disco  sul  capo 
ha  una  lineetta  spezzata  grafita  tutt' intorno  all'orlo,  e  un'altra  simile  che  fa  ver- 
ticalmente da  diametro.  Tale  disco  si  riscontra,  per  quanto  sappiamo,  in  un'altra 
figurina  simile  forse  trovata  a  Roma  (*)  e  in  alcune  inedite  della  stipe  di  Satricum 
conservata  nel  Museo  di  Villa  Giulia. 


in  Sicilia  (Colini,  in  Bull  di  Pai.  1903,  pag.  172;  Orsi,  ibid.  1905,  pag.  124),  a  Bolsena  (Gàbrici, 
in  Afon.  Lincei,  XVI,  pag.  190),  a  Talamone  (Milani,  Mus.  Topogr.,  pag.  92),  ecc. 

(')  Cfr.  Biirnabei,  in  Mon.  Lincei,  IV,  pag.  361,  tav.  IX,  n.  60;  Pinza,  ibid.,  XV,  pag.  168, 
tav.  XIII,  n.  6;  Pasqui,  in  Not.  scavi  1902,  pag.  324;  Orsi,  in  Rdm.  Quartalschrift,  IX,  pag.  16 
dell'estratto  ;  Bellucci,  Il  feticismo  primitivo  in  Italia,  pag.  17. 

C)  Pinza,  in  Mon.  Lineai,  XV,  pag.  271,  tav.  XVI,  n.  5. 


NORMA 


—  258   — 


RKSIONE   1. 


Pensando  agli  amuleti  egizi  ed  egizio-fenicì  che  giungevano  circa  questo  tempo 
in  Italia,  non  crediamo  impossibile  che  il  prototipo  delle  singolari  figurine  debba 
ricercarsi  nella  valle  del  Nilo  ('). 

Un  frammento  di  figurina  ritagliata  in  una  lamina  sottilissima  di  rame,  e  rap- 
presentante probabilmente  una  donna  con  lunga  veste.  Manca  il  capo  e  parte  delle 
gambe  (^). 

Figurina  di  bronzo   piena   rappresentante    un  capriolo  eoo 
anellino  sul  dorso  da  servire  come  appiccagnolo  (^). 

Futili  votivi  minuscoli. 

Nel  vasellame  minuscolo  di  carattere  prettamente  votivo  si 
riscontrano  le  forme  seguenti: 

1)  piattelli  0  scodellini  senza  anse; 

2)  tazzette  per  lo  più  fornite  di  ansa  cornuta,  le  quali, 
come  si  è  potuto  rilevare  dalle  esplorazioni  recenti  nella  casa  delle 
Vestali,  hanno  costituito  una  delle  forme  più  tenaci  e  persistenti 
nel  vasellame  votivo,  pervenendo  fino  all'età  imperiale  (fig.  25)  ; 

3)  bicchierini  cilindrici  o  più  spesso  a  tronco  di  cono 
non  ansati. 

4)  vasetti  riproducenti  la  forma  di  ollae  o  doHa   ornati 
umana  (stipe  votiva),    di  bugnette  presso  Torlo  0  nel  punto  di  maggior  ampiezza  del 

ventre  (fig.  26); 


Fio.  24.  —  Pendaglino 
di  bronzo    a   figura 


Fig.  25.  —  Tazzetta  fit-    Fio.  26.  —  Diletta  fittile        Fia.  27  e  28.  —  Attingitoi  fittili  (stipe  votiva), 
tile  con  ansa  cornuta  (stipe  votiva)    1  :  i  i  :  i 

(stipe  votica).     i:i 

5)  attingitoi  a  corpo  tondeggiante,  con  unica  ansa  arcuata  (fig.  27): 

6)  attingitoi  (simpula)  a  corpo  conico  con  im'alta  ansa  ad  asticella  verticale 
elevantesi  sull'orlo  (fig.  28)  ; 

(')  Cfr.  Bull.  Pai.  It.  1906,  pag.  105. 

(•)  Altri  esemplari  simili  a  Satricum,  a  Nerba  {Noi.  scavi  1903,  pag.  251),  ecc. 

(»)  Pendagli  di  bronzo  a  forma  di  animalucci  non  mancarono  nella  necropoli  sottoposta  di 
Caracupa  (Noi.  scavi  1903,  pag.  321,  fig.  39  e  pag.  337,  fig.  63).  Altri  esempì  abbiamo  a  Palestrina 
(Pinza,  in  Alon.  Lincei,  XV,  pag.  576,  fig.  169  4);  numerosissimi  sono  poi  nel  Piceno,  in  età  più 
tarda  specialmente  quelli  a  doppia  protome  animale. 


RBQIONS    I. 


—   259    — 


NORMA 


7)  vasetti  imitanti,  in  proporzioni  assai  ridotte,  le  forme  delle  così  dette  tazze 
laziali  a  corpo  depresso,  collo  cilindrico,  bugnette,  e  forse  (nessuna  se  ne  è  rinvenuta 
intera),  con  ansa  biforata  (fig.  29); 

8)  vasetti  conici  ampii  e  profondi  [catino). 

Queste  le  forme  più  comuni  ;  non  mancano  però  le  varietà  derivanti  per  lo  più 
dal  capriccio  del  figlilo.  Citeremo  un  vasetto  basso  e  largo,  leggermente  conico,  nel  cui 
interno  sono  praticati  cinque  grandi  incavi  circolari,  un  altro  piccolissimo  riprodu- 
cente  la  forma  del  kantharos  (imitata  forse  dal  bucchero  che  qui  appare  frequente, 
come  si  è  detto)  e  un  terzo  frammento  imitante  la  forma  di  un  lebete  tripedato. 
Notevoli  sono  dei  piattelli  di  terra  sui  quali  sono  fissati  parecchi  vasettini  delle 
forme  suddette,  quasi  imitassero  la  forma  dei  vassoi  con  più  vasi  sopra,  e  avessero 


Fio.  29.  —  Tazzetta  fìttile  (stipe  votiva). 
i:l 


Fig.  30.  —  Vasetto  fittile  multiplo  (stipe  votiva). 
3:4 


perciò  il  valore  di  oiferta  multipla  alla  divinità  (').  L'unico  intero  ha  soltanto  tre 
vasetti  (fig.  30)  :  degli  altri  parecchi  dovevano  averne  un  numero  maggiore. 

Con  molta  frequenza  si  incontrarono  anche  quei  dischi  di  terra  forniti  su  una 
superficie  di  fitti  incavi  circolari,  nei  quali  si  sono  riconosciuti  dei  modelli  di  liba 
0  focacce  votive  e  i  cui  più  antichi  esemplari  si  ebbero  dalle  terremare  {^).  Anche 
di  questi  uno  solo  era  intero. 

Abbondanti  furono  le  fuseruole  di  forme  diverse:  globulari,  a  doppio  tronco  di 
cono,  poligonali,  coniche  ;  alcune  lisce,  altre  ornate  di  stuccature  o  di  circoletti  in- 
cisi. Similmente  in  buon  numero  si  ebbero  anche  i  così  detti  rocchetti. 

Di  vasetti  d'importazione  greca  si  rinvennero  interi:  una  lekythos  cuoriforme 
ornata  di  fasce  violacee  sul  ventre  e  di  linguette  sulle  spalle,  alta  m.  0,095  ;  tre 
alabastra  di  argilla  giallo-pallida  con  decorazioni  a  fasce  del  tutto  scolorite;  alt. 
media  m.  0,12. 

Frammenti  di  un  balsamario  a  forma  di  cinocefalo  seduto  sulle  gambe  posteriori  ('). 


(')  Cfr.  i  vasetti  multipli  o  xéqvoi,  ellenici,  di  uso  sacrale  (Bosanqaet,  in  Brit.  Sehool 
Annual,  III,  pag.  57;  Rubensohn,  in  Ath.  Mitth.  1898,  pag.  271;  Kuruniotis,  in  'Ecp.  'Jqx-  1898, 
pag.  21. 

(•)  Cfr.  Coppi,  Terramara  di  Garzano,  tav.  LVIII,  nn.  1-2. 

Cj  Sull'origine  di  questo  tipo  sufficientemente  comune  in  tombe  italiane  del  VII-VI  secolo 
av.  C,  cfr.  Pottier,  Catalogne,  11.  p.  428;  Capart,  Les  debuti  de  Vart  en  Égypte,  pag.  179. 


MOEMA  —  260   —  REGIONE  I. 

In  conclusione,  sulle  falde  del  monte  Carbolino  capitavano  nel  periodo  neolitico 
0  eneolitico  alcuni  individui  che  lasciarono  colà  il  frammento  di  lama  d'ossidiana, 
il  dischetto  d'osso  e  forse  la  pintadera.  Nella  prima  età  del  ferro  vi  abitarono  poi 
indubbiamente  delle  famiglie  che  vi  seppellirono  anche  i  propri  morti.  Poche  dove- 
vano essere  e  povere,  come  apparve  e  dagli  scarsi  avanzi  di  suppellettile  e  dalla 
nessuna  traccia  di  costruzioni  e  dalle  loro  tombe  ;  forse  traevano  lassù  il  loro  sosten- 
tamento dal  bosco  e  dal  pascolo  di  capre.  La  maggior  parte  della  popolazione  che 
possedeva  o  lavorava  i  campi,  viveva  certo  più  in  basso,  e  seppelliva  i  suoi  morti 
a  Caracupa,  le  cui  tombe  sono  indubbiamente  contemporanee  a  queste  di  Valvisciolo. 

Per  quel  che  riguarda  i  tratti  di  mura,  l'esame  compiutone  dal  prof.  Savignoni 
e  dall'  ing.  Mengarelli,  e  i  risultati  dello  scavo  dell'anno  scorso  mostrarono  :  primo, 
che  scopo  del  lavoro  fu  la  difesa;  secondo,  che  le  mura  erano  posteriori  alla  tomba  I. 
Questi  risultati  furono  confermati  dagli  scavi  di  quest'anno,  e  per  le  nuove  tombe  e 
per  la  stipe  votiva  che  dimostra,  come  il  luogo  fosse  abitato  e  non  ridotto  a  terrazze 
per  semplice  scopo  di  coltivazione.  Non  crediamo  però  possa  la  costruzione  delle 
mura  esser  posteriore  a  quella  stipe  votiva,  con  la  quale  cessa  qualunque  traccia  di 
vita  su  quella  costa.  Ora,  gli  oggetti  della  stipe  votiva  costituiscono  un  gruppo  non 
soverchiamente  numeroso  né  vario  ;  il  culto  e  l' uso  di  offrir  doni  in  quel  luogo  non 
deve  esser  durato  a  lungo  :  coi  vasetti  protocorintii,  con  le  fibulette  di  bronzo  a  lunga 
staffa  tocchiamo  il  settimo  secolo  a.  C;  con  gli  oggetti  più  recenti,  diffìcilmente  po- 
tremo scendere  oltre  il  sesto.  Le  tombe  possono  risalire  fino  ai  primi  anni  del  VII  o 
anche  toccare  l'VIII  (^).  Sicché  tra  il  VII  e  il  VI  secolo  dovremo  secondo  ogni 
probabilità  porre  la  costruzione  delle  mura.  Naturalmente  non  i  pochi  e  poveri  abi- 
tatori del  monte  avranno  compiuto  il  grandioso  lavoro,  ma  i  ricchi  e  numerosi  pediei 
della  pianura  di  Caracupa,  che  ad  un  certo  tempo  provarono  il  bisogno  di  provvedere 
efficacemente  alla  propria  difesa.  I  relitti  delle  abitazioni  sono  però  sempre  scarsi; 
il  grosso  della  popolazione  seguitava  dunque  a  vivere  nel  piano  vicino  ai  pingui 
campi,  e  solo  in  momenti  di  pericolo  poteva  ritrarsi  in  alto,  dietro  il  riparo  delle 
mura.  Come  più  tardi  Eoma,  cosi  quella  popolazione  (probabilmente  la  volsca)  cer- 
cava già  un'altura  quae  arx  in  Pomptino  esset.  Dopo  il  VI  secolo,  forse  coi  primi 
anni  del  V,  la  costa  cessa  d'essere  non  solo  abitata,  ma  anche  frequentata;  dei  più 
tardi  oggetti  della  stipe  votiva  (fibule  ad  arco  doppio  e  triplo,  buccheri,  figurine  di 
lamina  ritagliate)  si  ritrovano  alcuni  come  primi  nella  serie  dei  doni  votivi  dei  templi 
di  Norba  (*),  sicché  il  termine  della  vita  sul  monte  di  Valvisciolo  viene  a  coincidere 
col  principio  di  essa  sulla  rupe  di  Norba  e  con  la  fondazione  della  colonia  romana  ('). 
Roma  vittoriosa  coloniam  deducebat,  e  deducere  vuol  dire  appunto  portar  via  da  un 

luogo  in  un  altro.  R.  Mengarelli. 

R.  Paribeni. 

(')  Cfr  Savignoni  e  Mengarelli,  La  necropoli  arcaica  di  Caracupa,  in  Nat.  scavi  1903,  p.  298. 
(•)  Savignoni  e  Mengarelli,  in  Notizie  degli  Scavi,  1901,  pag.  530,  538. 
(')  È  attribuita  dagli  annalisti  romani  al  492  a.  Cr.  e  la  data  è  approssimativamente  degna 
di  fede;  cfr.  De  Sanctis,  Storia  dei  Romani,  II,  pag.  105. 

Roma,  15  luglio  1909.  .  ' 


RIGIONE  IX.  —   261   —  BBDAVALLB 


Anno  1909  —  Fascicolo  8. 


Regione  IX  (LIGURIA). 

I.  REDA  VALLE  —   Tombe  della  necropoli  di  Gragnolate. 

Durante  l'inverno  1908-09,  proseguendosi  i  lavori  agricoli,  si  misero  allo  scoperto 
parecchie  tombe  della  necropoli  romana  riconosciuta  nel  fondo  Gragnolate,  della  quale 
riferii  in  queste  Notizie  (anno  1908,  pag.  300).  Due  di  queste  tombe  erano  di  mat- 
toni, a  camera,  come  quella  descritta  nella  su  ricordata  relazione,  ma  divise  da  un  tra- 
mezzo. 11  rito  funebre  era  quello  della  cremazione.  Negli  angoli  erano  disposti  vasetti  di 
vetro,  in  prevalenza  balsamari  a  lungo  collo.  Vi  sono  però  due  boccio,  una  a  sezione 
quadrangolare  e  l'altra  tondeggiante,  alte  rispettivamente  cm.  9  V,  e  0.  Ai  corredi  di 
queste  due  tombe  appartengono  inoltre  uno  specchio  di  bronzo  rotto,  avanzi  di  vetri 
guasti  dal  rogo,  e  uno  spillone  d'avorio  con  testa  scolpita  in  forma  di  busto  muliebre 
con  alta  acconciatura. 

Una  tomba  piccola  conteneva  una  lucernetta  fittile  col  bollo  AP  RIO ,  un  piccolo 
balsamario  vitreo  a  collo  lungo,  una  grande  coppa  vitrea  in  frammenti,  del  diametro 
presumibile  di  cm.  25,  e  un  medio  bronzo  di  Antonino  Pio. 

In  altra  tomba  si  rinvennero  due  lucerne  fittili  e  una  monetina  d'argento  di 
Faustina  minore  (Cohen  ',  95). 

Tre  lucerne  fittili  assai  piccole,  due  delle  quali  col  bollo  GAI,  e  la  terza  col 
bollo  CF,  formavano  il  corredo  di  un'altra  tomba.  Si  trovarono  poi,  sparse  fra  le 
terre,  altre  lucerne,  ma  anepigrafi,  salvo  con  una  col  bollo  NERI. 

Una  sola  tomba,  in  mezzo  a  questo  gruppo,  era  ad  inumazione  ed  era  fatta  con 
muretti  di  mattoni  coperti  da  quattro  tavelloni  (cm.  40  X  62),  messi  di  piatto  e  uniti 
da  coppi.  La  tomba  era  lunga  m.  2  e  non  conteneva  nulla. 

Il  proprietario  del  terreno  sig.  Pianetta,  mi  riferì  che  un  vicino  aveva  trovato, 
un  po'  piil  discosto,  altre  due  tombe  ad  inumazione,  fatte  di  tegoloni  con  bordo 
rilevato,  disposti  a  cassetta,  con  un'anfora  puntuta,  fitta  nel  terreno  sopra  la  tomba. 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  34 


CASTEOaiO  —   262   —  REGIONE   IX. 

al  piede  della  quale  anfora  erano  ammonticchiati  carboni  e  ceneri.  Quest'anfora  do- 
veva in  tempo  antico  emergere  con  la  bocca  fuori  del  terreno,  e  ricevere  la  libazione 
offerta  al  defunto.  Il  medesimo  interessante  rito  dell'anfora  sovrapposta  alla  tomba  fu 
osservato  dal  sig.  Pianetta  in  altre  tombe  del  suo  fondo,  le  quali  erano  costituite  da 
casse  di  legno  con  numerosi  chiodi  di  ferro.  Entro  tutte  le  anfore  c'erano  frammenti 
di  piccole  coppe  grigiastre,  lavorate  al  tornio,  con  ornati  a  zone  sovrapposte  di  colpi  di 
stecca  dati  verticalmente  con  la  punta.  Ceramica  simile  si  rinvenne  pure  nella  tomba. 

Queste  notizie  furono  da  me  raccolte  sul  luogo  stesso  il  24  febbraio  scorso.  Non  ho 
potuto  coordinarle  meglio,  perchè  gli  oggetti  non  furono  tenuti  accuratamente  distinti 
tomba  per  tomba  con  l'indicazione  della  forma  che  aveva  la  tomba  stessa.  Ma  sopra  una 
di  tali  tombe  che  fu  rimessa  a  luce  il  1°  febbraio,  il  sig.  Pianetta  scrisse  una  breve  re- 
lazione, dalla  quale  tolgo  i  dati  seguenti.  Fu  scoperta  un'anfora  puntuta  conficcata 
nel  terreno,  cui  dalla  parte  di  ponente,  a  mezza  altezza,  aderivano  due  ferri,  l'uno, 
del  peso  di  250  gr.,  lungo  cm.  7,  che  pare  una  grossa  capocchia  di  chiodo;  l'altro  lia 
forma  di  scalpello,  lungo  cm.  12,  largo  nei  lati  maggiori  cm.  3  e  nei  minori  2,  pe- 
sante gr.  200.  La  bocca  dell'anfora  era  coperta  da  im  vasetto  di  terracotta  nera, 
sicché  non  vi  si  rinvenne  terra  di  infiltrazione.  Sotto  la  terra,  in  cui  l'anfora  era  con- 
ficcata, esisteva  un  deposito  di  carboni  e  di  ossa  in  forma  di  croce,  misto  a  diversi 
cocci  di  terracotta  con  ornati,  e  contenente  tma  lucernetta,  con  la  monetina  che  la 
suole  accompagnare  in  queste  tombe,  e  un  piattello  vitreo  in  pezzi.  A  poca  distanza, 
quasi  a  mo'  di  corona  alle  tombe  in  muratura  già  prima  scoperte,  si  rinvennero  altri 
sette  depositi  con  la  rispettiva  anfora,  di  forme  disuguali  (panciute  o  cilindriche), 
ma  a  due  a  due  somiglianti. 

Trattasi,  a  quel  che  pare,  di  ceneri  deposte  nella  nuda  terra,  certo  ravvolte  in 
panni,  sulle  quali  sì  era  piantata  l'anfora  vinaria.  Questi  riti  rendono  assai  importante 
la  necropoli  di  Gragnolate,  che  per  gli  oggetti  restituiti  alla  luce,  tranne  alcuni  bei 
vetri,  non  si  può  dire  molto  considerevole. 


Cogliendo  l'occasione  della  visita  agli  scavi  del  fondo  Gragnolate,  vidi  pure  al- 
cuoe  antichità  che  erano  state  trovate  nello  stesso  comune  di  Redavalle,  cavando  la 
terra,  alla  fornace  Bornaghi:  un'olla  piena  di  ossa  combuste;  una  fibula  a  cerniera, 
romana;  un  frammento  della  staffa  di  fibula  gallica  a  bottone  con  materia  bianca 
incastonata  ;  un  anello  a  castone  con  chiave  ;  altri  frammenti  di  bronzi  romani  e  pa- 
recchie monete  riferibili  per  lo  più  ad  Augusto,  alcune  ad  età  repubblicana. 

6.  Patroni. 

II.  CASTEGGIO  —  Avanzi  di  una  villa  romana  e  frammento  epi- 
grafico recante  il  nome  delVantica  Clastidium. 

Nello  scorso  mese  di  giugno,  gettandosi  le  fondamenta  di  una  casa  attigua,  verso 
levante,  a  quella  del  sig.  Aldo  Vandoni,  presso  la  piazza  Vittorio  Emanuele  e  sulla 
via  antica,  detta  comunemente  in  paese  Emilia,  ma  che  più  coiTettamente  dovrebbe 


RBGIONE    IX.  —   263   —  CASTEGQIO 

uominarsi  Postumia  o  Giulia  Augusta,  si  rinvennero  avanzi  di  costruzioni  romane 
che  probabilmente  appartennero  ad  una  villa;  è  noto  infatti  che  l'oppido  antico,  Cla- 
slidium,  era  luogo  munito  sì  da  sostenere  assedi  (come  quello  dei  Galli  nella  guerra 
Annibalica,  536  u.  e.)  e  doveva  corrispondere  alla  parte  alta  del  paese,  detta  Pi- 
stornile. 

Gli  avanzi  messi  allo  scoperto  dalla  nuova  fabbrica  consistono  in  due  muri  di 
opera  laterizia  costruiti  in  angolo,  dello  spessore  di  cm.  70,  che  si  seguirono  per  m.  5 
circa  ciascuno  a  partire  dall'angolo  comune  in  nord-est.  Al  muro  di  oriente  aderiva 
del  colore  a  fresco  (rosso,  bruno-verdognolo),  di  cui  alcuni  frammenti  furono  conservati. 
L'area  segnata  dai  due  muri  era  coperta  di  pozzolana  con  sopra  mattoni  messi  di 
piatto  ;  lungo  il  muro  di  est  però  una  larga  striscia  era  pavimentata  in  marmo  rosso 
di  Verona.  Nella  trincea  di  sud,  verso  la  corte  di  casa  Vandoni,  all'altezza  di  m.  1 
dal  livello  di  quest'area,  si  vedeva  una  striscia  di  lastre  di  marmo  rosso,  tagliate  dagli 
sterratori,  lunga  circa  m.  3  ;  ed  a  livello  dell'area  tracce  di  un  muro  parallelo  a  quello 
di  est  e  distante  da  esso  per  tutto  il  tratto  pavimentato  in  marmo  rosso,  che  proba- 
bilmente quindi  corrispondeva  ad  un  corridoio.  Nell'angolo  sud-ovest  dello  scavo  ap- 
parvero altre  lastre  di  marmo  rosso,  e  un  pavimento  di  opus  signinum  con  insortevi 
piastrelle  di  marmo  bianco  e  rosso,  rettangolari.  Sotto  la  trincea  di  nord,  che  era  limi- 
tata dalla  strada,  un  pavimento  di  tessellatum  nero,  di  lavoro  non  ignobile,  del  quale 
fu  estratto  un  frammento,  continuava  sotto  la  strada  medesima,  che  perciò  deve  aver 
deviato  dal  percorso  antico.  Fra  le  tesselle  nere  sono  irregolarmente  gettati  dei  fram- 
menti di  marmo  gialli,  venati  e  bianchi,  triangolari  o  trapezoidi,  taluni  quadrati 
con  piccoli  dadi  di  smalto,  disposti  in  quincunx,  in  modo  che  un  angolo  dei  piccoli 
quadrati  si  opponga  ad  un  angolo  del  maggiore  ;  talora  uno  dei  piccoli  dadi  è  omesso. 

Lungo  la  stessa  trincea,  all'altezza  di  circa  un  metro,  si  notarono  tracce  di 
legno  carbonizzato. 

Nei  lavori  di  scavo,  oltre  a  vari  frammenti  ceramici,  a  qualche  moneta  ossidata 
e  ad  un  disco  di  piombo,  si  trovarono  una  pigna  di  marmo  bianco,  alta  circa  25  cm., 
e  un  frammento  di  lastra  marmorea  della  lunghezza  massima  di  cm.  31  e  dell'al- 
tezza massima  di  cm.  18,  recante  la  seguente  epigrafe,  troppo  manchevole  per  un 
tentativo  di  supplemento: 

ITTv  Oli- — - — 
VCVNDVS-  L- 
Ri  CLASTlDl 


Non  saprei  però  trattenermi  dall'esprimere  la  impressione  mia,  che  questo  fram- 
mento epigrafico  e  la  pigna,  quale  elemento  decorativo,  appartenessero  ad  un  medesimo 
monumento  sepolcrale,  la  cui  presenza  non  disconverrebbe  alla  villa  dei  proprietari. 
Benché  così  mutila,  la  nostra  iscrizione  porta  chiaramente  il  nome  dell'antico  oppido, 
e  si  aggiunge  così  al  titolo  C.  I.  L.  V.  7357,  per  dimostrare  la  legittima  discendenza 
dell'odierno  Casteggio  dall'antico  Clastidium.  Quest'ultimo  titolo,  ove  il  collegium 
centoitariorum  Placentiaorum  consistentium  Clastidi,  ricordato  ampiamente  secondo 


ALBAl»,    MORTARA  —   264   —  RKOIONB    XI. 

tutte  le  regole  delle  istituzioni  pubbliche,  apparisce  aver  contribuito  alla  erezione 
di  un  monumento  funebre,  suggerisce  il  pensiero  che  anche  nel  nostro  frammento 
potessero  essere  rammentati  allo  stesso  fine,  con  formula  abbreviata,  i  (centona)ri 
Clastidi. 

La  pigna,  alcuni  saggi  d'intonaco  dipinto  e  dei  materiali  dei  pavimenti,  furono 
dati  in  dono  al  Museo  Civico  di  Pavia,  al  cui  conservatore  dott.  Macchioro,  recatosi 
prima  di  me  a  Casteggio,  devo  parte  delle  notizie  relative  alle  costruzioni  della  villa, 
che  non  erano  più  in  tutto  visibili  nel  giorno  8  luglio,  al  momento  della  mia  visita. 

G.  Patroni. 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

III.  ALBATE  —   Tomba  della  prima  età  del  ferro. 

Alla  relazione  già  data  dal  prof.  Castelfranco  in  queste  Notizie  (anno  1909,  p.  3), 
sulla  tomba  della  1»  età  del  ferro,  trovata  nel  territorio  di  Albate  ed  acquistata  pel 
Museo  Civico  di  Milano,  è  da  aggiungere  che  la  suppellettile  ceramica  di  quella  tomba 
(impasto  bruno,  lavorato  a  mano)  consiste  in  una  coppa  ad  alto  piede,  con  labbro  al- 
quanto accollato  e  formante  spigolo  vìvo  ;  in  una  oUetta  con  ornati  impressi  ;  in  una 
specie  di  brocchetto  con  ansa  verticale  a  ciambella  (o  ne  aveva  due?),  pure  munito 
di  labbro  accollato  e  formante  spalla  ad  angolo  vivo.  Infine  l'interessantissimo  «  can- 
delabro »  è  per  me  un  thymiaterion  i  cui  tre  padellini  sono  costituiti  ciascuno  da  un 
vaso-anatra.  Il  prof.  Castelfranco,  che  si  riserbò  la  pubblicazione  e  la  illustrazione 
di  questo  materiale  archeologico,  penserebbe  che  le  fibule  a  grandi  costole,  i  pendagli 
a  catenine  e  le  armille  di  filo  di  bronzo,  che  accennano  a  periodi  piìi  antichi,  fossero 
stati  introdotti  nel  corredo  di  una  tomba  spettante  al  secondo  periodo  di  Golasecca, 
quale  risulterebbe  da  tutti  gli  altri  oggetti.  Ciò  può  essere  avvenuto,  ma  non  esclu- 
derei fenomeni  di  persistenza  e  di  transizione  che  rompono  quelle  rigide  barriere  tra 
periodi  successivi,  le  quali  non  sono  che  una  nostra  forma  mentale,  sorta  dalla  necessità 
della  classificazione  e  della  stratigrafia.  Si  potrebbe  anche  pensare  a  tombe  più 
antiche  già  andate  distrutte  nei  lavori  agricoli,  gli  avanzi  dei  cui  corredi,  trovati  sparsi 
fra  le  terre  presso  la  tomba  rinvenuta  intatta,  sarebbero  stati  confusi  ingenuamente 
col  corredo  di  questa.  In  tal  caso  la  transizione,  con  persistenza  dì  tipi  assai  antichi, 
sarebbe  rappresentata  non  da  una  sola  tomba,  ma  da  un  gruppo  di  sepolcri. 

G.  Patroni. 


IV.  MORTARA  —   Tombe  antiche  in  contrada  Sabbioni. 

A  Mortara,  capoluogo  della  Lomellina,  eseguendosi  alcuni  sterri  in  contrada  Sab- 
bioni (cascina  s.  Albino),  a  destra  dello  stradone  per  Pavia,  a  1200  m.  dalla  città,  a 
200  m.  dal  monumento  ai  caduti  nella  guerra  del  1 849  e  a  80  m.  dalla  linea  dello 
stradale,  si  scopersero,  dall'autunno  1907  all'aitunno  1908,  quattro  tombe  di  tegoloai 


REGIONE   XI.  —   265    —  S.    GIORGIO   LOMELLINA,   ROBBIO 

romani  con  bordo,  fatte  alla  cappuccina,  contenenti  i  nudi  scheletri.  Nel  dicembre  del 
1908,  continuandosi  ad  asportare  sabbia,  ne  venne  alla  luce  una  quinta  ;  nel  gennaio 
del  corrente  anno  se  ne  trovarono  altre  due  vicinissime  alle  precedenti  e  tra  loro: 
una  di  queste  presentava  la  caratteristica  particolare  di  avere  un  letto  di  posa  del  cada- 
vere, costituito  da  otto  tegoloni  collocati  a  due  a  due  coi  bordi  sul  terreno^  in  modo  da 
rimanervi  rilevati,  e  muniti  ciascuno  di  cinque,  fori  disposti  in  quincunx  per  lo  scolo 
delle  materie  in  decomposizione. 

Sul  finire  del  gennaio  1909,  alla  Cascina  Nuova,  sopra  il  dosso  Graraié  (Gra- 
mignaro),  vennero  alla  luce  molti  vasi  romani  e  gallo-romani,  piccole  olle,  scodelle, 
scodellette,  brocchette,  lucerne,  fusaiuole  o  pesi,  tegole  rotte,  ed  una  tomba  completa 
di  tegoloni  a  cappuccina,  contenente  un  vasetto  nero  ad  ornati  graffiti,  un  balsamario 
vitreo,  una  lucerna  di  terracotta  e  una  moneta  consunta,  in  cui  si  decifra...  AN- 
TONINVS...  AVG...,  riferibile  forse  ad  Antonino,  o  a  M.  Aurelio.  Questo  dosso  Gra- 
mignaro  è  sparso  di  rottami  antichi,  che  accennano  ad  un  abitato,  e  il  dott.  Fran- 
cesco Pezza,  che  si  occupa  con  amore  delle  antichità  patrie,  e  cui  devo  tali  notizie, 
suppone  che  il  luogo  possa  identificarsi  con  la  leggendaria  Silva  Puichra,  che  secondo 
tradizioni  medievali  sarebbe  stata  distrutta  dai  Franchi   nella  catastrofe  del  regno 

longobardo. 

G.  Patroni. 


V.  S.  GIORGIO  LOMELLINA  —   Tombe  antiche. 

Nei  primi  giorni  del  novembre  1908,  in  uno  sterro  presso  la  chiesa  di  s.  Rocco 

si  rinvennero  tre  tombe  di  inumati,  protette   da    mattoni  e  tegoloni,  senza  oggetto 

alcuno  di  corredo  funebre. 

G.  Patroni. 


VI.  ROBBIO  —  Tombe  gallo-romane  scoperte  nel  territorio  del 
comune. 

Nel  territorio  di  Bobbio,  in  Lomellina,  verso  la  metà  di  agosto  1908,  per  quanto 
fu  riferito,  si  misero  allo  scoperto  tombe  gallo-romane  di  cotto,  costruite  a  cassetta, 
contenenti  varia  suppellettile  e  alcune  monete  che  andarono  disperse. 

Della  suppellettile,  portata  a  Pavia  da  un  antiquario,  fu  acquistata  dal  Museo 
Civico  la  serie  seguente:  —  Ceramica  fatta  a  mano.  Rozzo  orcio  con  labbro  rientrante, 
tutto  coperto  d'impressioni  fatte  con  l'unghia  nella  pasta  fresca,  alto  cm.  15,  diametro 
della  bocca  cm.  8  V?;  scodellone  liscio  a  labbro  tondo,  alto  cm.  13,  del  diam.  di  cm.  21. 
—  Ceramica  fatta  alla  ruota.  Fiasca  ad  un'ansa,  con  corto  collo  cilindrico  e  corpo 
tondeggiante,  alta  cm.  12  Va-  —  Vetro.  Una  fiaschetta  ad  un  manico,  di  vetro  rosso- 
violaceo,  con  collo  lungo  e  corpo  tondeggiante;  una  boccia  a  corpo  cilindrico,  breve 
collo  e  due  manichi  a  nastro  piegati  ad  angolo,  di  vetro  verde;  altra  simile  con 
manico  ;  altre  senza  manico. 

G.  Patroni. 


PIB7B    PORTO   MORONE.  GERENZAOO    —   266    —  REGIONE    XI. 


VII.  PIKVE  TORTO  MORONK  —  Oggetti  preistorici  rinvenuti  nel- 
l'agro del  comune. 

Presso  Pieve  di  Porto  Morene,  provincia  e  circondario  di  Pavia,  andando  verso 
Zerbo  per  la  strada  La  Rosa,  s'incontrano  terreni  alluvionali  compresi  nell'area  di 
vagazione  del  Po,  che  anticamente  rasentò  il  terrazzo  di  Chignolo,  passando  a  nord 
della  badia  di  Monticelli.  Quivi,  nella  scorsa  primavera,  in  un  movimento  di  terreno, 
furono  rinvenuti  a  non  grande  profondità  i  seguenti  oggetti,  che  potei  osservare 
presso  il  eh.  collega  prof.  T.  Taramelli: 

a)  Ascia  triangolare  di  Lherzolite  (peridotite)  con  levigatura  ad  un'estremità 
del  taglio  non  affilato,  forse  non  finita,  di  aspetto  ciottoloso;  lungli.  cm.  13,  larghezza 
mass,  al  taglio  cm.  7,  min.  alla  penna  cm.  2. 

b)  Ascia  allungata  in  forma  di  cuneo  appuntito,  in  serpentino,  con  segni  di 
profonda  immanicatura  e  taglio  afBlato  ;  lungh.  cm.  14,  largh.  al  taglio  cm.  5'/t. 

e)  Macinello  di  Lherzolite,  spianato  su  due  facce  a  guisa  di  formaggino. 
d)  Fusaiola  o  disco-pendaglio  di  terracotta  chiara,  conica,  coperta  di  bucherelli  ; 
alta  cm.  3  '/s  >  diam.  cm.  4. 

Il  prof.  Taramelli  pensa,  sebbene  con  qualche  dubbio,  che  le  rocce,  di  cui  son 
fatti  i  tre  primi  oggetti,  siano  di  origine  appenninica. 

6.  Patroni. 


Vili.  GERENZAGO  —  Oggetti  preistorici  e  tesoretto  di  monete  d'ar- 
gento galliche  e  romane,  trovati  presso  il  castello. 

A  levante  del  castello  di  Gerenzago,  in  provincia  e  circondario  di  Pavia,  sulla 
via  per  Inverno,  è  tornato  in  luce  un  gruppo  molto  interessante  di  oggetti  preistorici, 
cioè:  un'ascia  di  bronzo  a  cannone  con  alette,  frammentata  e  contorta;  due  cavallucci 
di  bronzo  d'arte  primitiva;  una  magnifica  ascia  di  giadeite  con  penna  aguzzata  e 
viva  costola,  non  adoperata  né  adoperabile  ad  uso  pratico,  ed  evidentemente  votiva. 
Di  questi  oggetti  dirò  più  a  lungo  nel  Bulleltino  di  Paletnologia  italiana. 

Nei  medesimi  terreni  si  trovò,  entro  un'olla  rotta,  un  tesoretto  di  monete  d'ar- 
gento galliche  (le  più  con  la  leggenda  DIKOI)  e  romane  della  repubblica.  Di  esso 
riferirà,  per  incarico  da  me  affidatogli,  il  eh.  prof.  dott.  S.  Ricci,  direttore  del  R.  Ga- 
binetto Numismatico  di  Brera. 

G.  Patroni. 


IX.  PAVIA  —  Tombe  galliche  e  gallo-romane  scoperte,  nel  Corso 
Cavour,  presso  l'edificio  scolastico  di  ponente. 

Quelle  tombe  più  antiche  delle  quali  era  finora  ammessa  l'esistenza  solo  per  vaghi 
indizi  di  trovamenti  spàrsi,  e  che  invano  io  avevo  finora  cercato  a  levante  della  città,  il 
caso  le  ha  fatte  scoprire  dalla  parte  opposta.  Disgraziatamente  però  la  ragguardevole  »up- 


REGIONE    Xr.  —   267    —  PAVIA 

pellettile  non  solo  non  è  frutto  di  esplorazione  sistenaatica,  ma  in  gran  parte  era  stata 
sottratta  dai  lavoranti  al  proprietario  ;  e  solo  più  tardi  fu  recuperata.  Ciò  spiega  come 
io  non  fossi  avvertito  in  tempo  per  notare  sul  luogo  stesso  la  distribuzione  degli  og- 
getti ed  assistere  allo  scavo  delle  tombe. 

L'area  dove  avvenne  la  scoperta  è  quella  della  casa  in  costruzione  del  sig.  Gau- 
denzio Mascetti,  sul  Corso  Cavour  e  presso  la  porta  omonima,  a  destra  dell'edificio 
scolastico  comunale,  anch'esso  in  costruzione,  nella  cui  vasta  area,  di  cui  più  volte 
ebbi  a  visitare  il  cantiere,  non  ostante  lunghissime  e  profonde  trincee,  nulla  si  trovò. 
Si  ha  quindi,  con  probabilità,  il  limite  esterno  di  una  necropoli  assai  più  antica  di 
quella  d'epoca  romana  tarda,  trovata  a  s.  Giovanni  in  Borgo.  Se  la  necropoli  del  Corso 
Cavour  si  estendeva,  ciò  doveva  avvenire  verso  la  città  o  lungo  l'abitato;  il  che  di- 
ranno forse  gli  scavi  che  mi  propongo  d'intraprendere  nelle  aree  vicine. 

Il  rito  osservato  fu  generalmente  la  incinerazione;  ma  si  ebbero  anche  casi  di 
inumazione.  Il  numero  delle  tombe  non  si  è  potuto  assodare,  perchè  gli  operai  ave- 
vano trafugato  il  materiale,  di  nascosto  anche  del  sorvegliante;  ma  a  giudicare  dal 
numero  dei  vasi  e  da  altri  indizi,  come  i  mattoni  antichi  lasciati  sul  posto  o  in 
frammenti,  e  che  costituivano  la  protezione  delle  tombe,  giudico  che  queste  fossero 
almeno  una  dozzina.  Il  luogo  era  poi  stato  occupato  da  abitazioni  nella  antichità 
stessa,  poiché  fra  le  tombe,  ormai  rimaste  sepolte  nel  terreno,  si  erano  cavati  ben 
cinque  pozzi  romani,  rivestiti  di  laterizi  sagomati,  ben  commessi,  che  ho  ancora  po- 
tuto vedere  in  posto. 

La  suppellettile,  pervenuta  al  Museo  Civico,  parte  per  dono  del  sig.  Mascetti, 
parte  per  acquisto,  è  quasi  esclusivamente  costituita  dalla  ceramica,  e  poiché  all'uuo 
0  all'altro  vaso  si  collegano  i  pochi  oggetti  di  altro  genere,  seguirò  qui  un  ordine 
sistematico  stabilito  pei  tipi  dei  vasi  fìttili. 

Vasi  gallici  (preromani) 
(fatti  a  mano,  non  depurati  e  malcotti). 

a)  Uno  scodellone  robusto  a  due  manichi,  alto  cm.  14,  diametro  della  bocca 
cm.  19  (fig.  la).  Servi  di  cinerario,  e  conteneva  un  balsamario  fusiforme  di  tipo 
greco-campano  (fig.  6h)  che  giudico  oggetto  d'importazione,  alto  cm.  15;  uno  ovi- 
forme fatto  a  mano,  locale  (fig.  id)  alto  circa  cm.  7,  e  frammenti  di  due  fibule 
del  carattefistico  tipo,  la  cui  fabbricazione  è  da  me  riferita  alla  Ticiaiim  preromana; 
la  lunghezza  della  meglio  conservata,  che  ha  l'ardiglione  staccato  e  monco,  é  di 
cm.  16  (fig.  &f).  Questo  ritrovamento  conferma  ancora  una  volta  l'attribuzione  da 
me  data.  Tali  fibule,  secondo  la  classificazione  proposta  dal  Déchelette,  dovrebbero 
porsi  nel  periodo  La  Tene  II  (250-100  a.  C);  ma  in  Italia  non  credo,  perora,  che 
questo  tipo  scenda  così  basso  senza  modificazione.  In  ogni  modo  daterei  i  nostri 
esemplari  dal  sec.  Ili  a.  C. 

Il  sig.  Mascetti  ha  pure  donato  al  Museo  Civico  mattoni  e  tegoloni,  che  se- 
condo lui  costituivano  una  cassetta  di  protezione  a  questo  ossuario.  Su  ciò  ho  dei 
dubbi,  perchè  tali  mattoni  (lunghi  44-45  cm.,  larghi  29-30  cm.,  spessi  8  cm.  o  poco 


PAVIA 


—  268  — 


REOIONE    XI. 


meno)  e  tegoloni  (cm.  45  X  63)  hanno  foggia  romana,  durata  assai  a  lungo;  taluni  mattoni 
anzi  sono  muniti  d'un  incavo  di  presa.  Bisognerebbe  dunque,  per  accettare  la  coesi- 


FlG.  1. 


stenza  del  contenente  e  del  contenuto,  o  far  discendere  in  epoca  romana  una  tomba 


Fio.  2. 


che  di  romano  non  ha  nulla,  o  far  risalire  fino  ad  epoca  gallica  quei  tipi  di  laterizi  ; 
ovvero  supporre  che  in  epoca  romana  quell'antica  deposizione,   incontrata  nel  Cavar 


REGIONE   XI. 


—  2C9   — 


PAVIA 


pozzi,  sìa  stata  piamente  protetta.  Sulla  questione  bisogna  attendere  la  risposta  dalla 
zappa. 


FiG.  3. 


b)  Scodellone  simile,  con  labbro  sentito  come  il  precedente,  ma  senza  manichi 
(fig.  2»;  alt.  cm.  13 'Al,  diam.  cm.  26  78. 


PlG.  4. 

e)  Simile,  più  piccolo  (a.  cm.  10,  dm.  cm.  19):  croci  graffite  sul  fondo  e  sul 
venti-e  (  fig.  1  e). 

NoTiziB  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  35 


PAVIA  —  270   —  REGIONE   XI. 

d)  Scodella  a  calotta  liscia,  profonda  cm.  10'/?'  diam.  cm.  21  (fig.  1*). 

e)  Piatto  con  labbro  a  beccuccio,  alt.  8  cm.,  diam.  cm.  29  72  (fig.  2  a). 

f)  Piccolo  orcio  ovoide,  alto  cm.  14,  diam.  alla  bocca  cm.  10,  senza  manichi, 
col  corpo  tutto  impresso  a  circoletti  eseguiti  mediante  l'applicazione  di  una  cannuccia: 
alle  spalle  serie  di  linee  oblique  graffite  a  punta  di  stecca  (fig.  3/).  Conteneva  due 
cucchiaini  di  bronzo,  uno  a  paletta  tonda,  l'altro  allungata,  lunghi  cm.  12  e  12  Vs 
(fig.  6  e,  ^). 

g)  Diletta  più  panciuta,  alta  cm.  1 1  V2 ,  diametro  alla  bocca  cm.  12  V2 1  con  linee 
orizzontali  sul  labbro  segnate  a  stecca,  e  triplice  linea  ondulata  (specie  di  meandro 
ad  onda)  su  le  spalle,  forse  eseguita  con  uno  strumento  a  tre  rebbi  (fig.  3p). 

h)  Diletta  liscia,  a  corpo  più  ventricoso  e  bocca  più  stretta,  alta  cm.  12, 
diam.  alla  bocca  cm.  9  (fig.  3  e). 

i)  Olla  alta  cm.  18,  diam.  cm.  I2V2,  rotta  e  mancante,  col  corpo  tutto  reso 
aspro  a  guisa  di  grattugia,  mediante  un  reticolato  inciso  a  stecca  (fig.  he). 

j)  Brocchetta  alta  cm.  7  '/»  1  diam.  cm.  5  72 ,  con  un'ansa  ;  avente  il  collo 
ed  il  ventre  simili  ad  li  (fig.  3  a). 

Vasi  a  cattiva  vernice  nera. 

Questi  vasi  sono  fatti  al  tornio  e  ben  cotti,  ma  pessimamente  verniciati  di  nero. 
Li  ritengo,  come  dissi  altrove,  imitazione  del  genere  etrusco-campano,  fatta  nell'Italia 
superiore  forse  sotto  influenza  etrusca.  Accompagnano  talora  corredi  preromani,  ma 
continuano  negli  strati  gallo-romani  ;  perciò  li  colloco  qui  : 

Tre  piatti  a  labbro  verticale,  diam.  cm.  20,  18  7».  18.  Il  più  grande  era  accom- 
pagnato da  una  monetina  di  rame  ossidato  e  da  un  medio  bronzo  dell'alto  impero 
(fig.  4  ci,  ^). 

Ritengo  invece  d'importazione,  come  ho  detto,  un  secondo  balsamario  fusiforme 
non  verniciato  (fig.  Qd)  simile  a  quello  della  tomba  innanzi  accennata. 

Ceramica  gallo-romana,  rustica. 

a)  Frammento  di  fiasca  conservante  il  collo  con  l'ansa  (fig.  4/")  alto  cm.  147»' 

b)  Olla  a  due  manichi,  alta  cm.  15  78-  Argilla  gialletta  (fig.  4  è). 

e)  Olla  senza  manichi  a  collo  stretto,  alta  cm.  11 7!'  Su  le  spalle  denti  di 
lupo  obliqui  fatti  con  un  pettine.  Argilla  bruna  (fig.  4  a). 

d)  Anforetta  alta  cm.  14  7s.  gialletta  (fig.  4  e). 

e)  Anforetta  alta  cm.  29,  con  labbro  a  quattro  lobi,  fondo  del  collo  chiuso  e 
forato  a  colatoio  :  tre  giri  di  triplice  cordone  su  le  spalle,  impresso  alla  ruota  con 
pettinino  (fig.  hb). 

f)  Anforetta  priva  delle  anse,  panciuta,  gialletta,  alta  22  cm.  (fig.  ha). 

g)  Bicchiere  bruno  alto  cm.  8  78>  con  labbro  rivoltato  in  fuori  e  distinto  da 
un  cordone  (fig.  4  e). 

h)  Due  peculi  oviformi,  uno  con  labbro  a  guisa  di  toro,  distinto  da  insolca- 
tura, l'altro   con  labbro  svasato,  alti  cm.  9  e  cm.  10  (fig.  3  6,  e). 

i)  Due  tazzine  coralline  a  imitazione  del  genere  aretino;  una  più  rozza,  li^ia, 


REGIONE    XI. 


—   271    — 


PAVIA 


alta  cm.  S'/j,  diam.  cm.  7'  j;  l'altra  più  fina,  alta  cm.  7  V21  diana,  cm.  10,  con  vi- 
ticci graffiti  sulla  parete,  entrambe  prive  di  un'ansa  (fig.  6  a,  b). 


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Fio.  5. 


Fio.  6. 


j)  Lucerna  monolicne,  rozza  con  foro  sul  dischetto  e  piccolo  foro  quadrato  sul 
ponticello,  senza  manico  (fig.  6  e). 


8BRGNAN0,    COMO  —   272   —  RBQIONB   XI. 

L'insieme  di  questo  materiale  (ohe  si  può  ritenere  un  saggio  della  necropoli  occi- 
dentale di  Pavia  da  esplorarsi  più  completamente),  va  dal  sec.  Ili  a.  C.  ai  primi 
imperatori  romani. 

G.  Patroni. 


X.  SERGNANO  —  Tombe  barbariche. 

Descrivendo  in  queste  Notizie  (anno  1908,  pag.  305),  alcune  tombe  barbariche  di 
Sergnano  (circondario  di  Crema,  provincia  di  Cremona),  notai  le  borchie  caratteristiche 
rivestite  di  una  lamina  di  bronzo  dorato  ed  ornate  a  bulino  con  una  fascetta  di  con- 
torno riempita  da  un  grazioso  motivo  a  triangoletti  sovrapposti  e  racchiudente  una 
croce  greca.  Citai  quindi  le  borchie  totalmente  simili,  ancora  infisse  negli  umboni  ferrei 
degli  scudi,  che  diedero  le  tombe  di  Pornovo  s.  Giovanni,  il  cui  materiale  a  me  ed 
ai  miei  cortesi  informatori  di  Milano,  nonché  al  personale  attualmente  addetto  al  Museo 
Civico  di  Milano,  ove  quegli  oggetti  si  conservano,  non  risultava  edito.  Invece  molti 
di  quegli  oggetti  furono  pubblicati,  sotto  la  denominazione  di  Armi  del  Cantacucco, 
in  una  tavola  annessa  alle  Notizie  Archeologiche  Bergomensi,  del  prof.  G.  Mantovani, 
pel  biennio  1882-83,  prima  ancora  che  entrassero  nel  Museo  di  Milano.  Veramente 
da  quanto  il  medesimo  prof.  Mantovani  stampò  nel  fascicolo  seguente  delle  sopra  citate 
sue  Notizie  (anni  1884  serie  3*,  voi.  XIII,  pag.  245  e  1890  pag.  97),  non  si  trat- 
terebbe proprio  degli  stessi  oggetti,  ma  di  una  serie  di  oggetti  simili  e  della  medesima 
provenienza,  i  quali  furono  trovati  nel  1885,  mentre  la  serie  precedente,  trovata  nel 
1883,  sarebbe  andata  a  finire  in  un  museo  di  Germania.  Ad  ogni  modo  mi  duole  assai 
che  la  pregevole  Memoria  del  Mantovani  sia  potuta  sfuggire  a  me  ed  a  parecchi  altri 
studiosi  anche  appositamente  interpellati,  e  ciò  sia  potuto  parere  ingiusta  trascuranza. 
È  invece  un  effetto  della  soverchia  dispersione  del  materiale,  che  andrebbe  tutto 
riunito  0  almeno  richiamato  e  ricapitolato  in  un  periodico  centrale,  come  queste  No- 
tizie degli  Scavi.  Solo  mantenendo  vivo  il  contatto  col  centro,  e  coordinando  il  proprio 
lavoro  a  quello  degli  altri,  possono  evitarsi  simili  inconvenienti. 

G.  Patroni. 


XI.  COMO  —  Scoperta  di  un  mosaico  romano. 

Sulla  fine  del  1908,  nei  lavori  per  la  costruzione  del  palazzo  della  Società  Ban- 
caria Italiana  in  Como,  alla  profondità  di  m.  2,60,  furono  scoperti  gli  avanzi  di  un 
pavimento  romano  a  mosaico,  e  parte  della  base  di  una  colonna,  il  cui  fusto  doveva 
avere  un  diametro  di  m.  0,42.  Alcuni  frammenti  del  mosaico  furono  trasportati  al 
ìluseo  Civico  per  cura  dei  direttori  dei  lavori.  Tanto  mi  comunicò  l'egregio  ing.  cav. 
A.  Giussani  B.  Ispettore  degli  Scavi. 

G.  Patroni. 


REGIONE    XI.  —    278    —  ERBA 


XII.  ERBA  —  Saggio  di  scavi  nella  grotta  denomiìiata  Buco  del 
Piombo. 

D'accordo  con  l'egregio  dott.  cav.  A.  Magni,  R.  Ispettore  degli  Scavi,  che  con 
raro  disinteresse  prestò  la  sua  cooperazione,  questa  Sopraintendenza  voleva  eseguire 
uno  scavo  nella  grotta  denominata  Buco  del  Piombo  sopra  Erba  in  provincia  di  Como. 

In  tale  caverna  (lunga  ben  322  metri  e  alta  all'ingresso  m.  42),  tutta  percorsa 
da  un  torrentello,  oltre  alle  note  ossa  dell'orso  speleo,  trovate  nel  1897  al  fondo,  e 
che  appartengono  ad  un  periodo  in  cui  l'antro  non  poteva  essere  abitato  dall'uomo, 
fu  anche  raccolta  una  cuspide  di  freccia  peduncolata  di  selce  {Atti  d.  Soc.  it.  d.  Se. 
naturali,  Milano,  1885,  anno  28°),  che  faceva  sperare  ulteriori  trovamenti  di  avanzi 
dell'uomo  preistorico. 

Disgraziatamente,  quando  nello  scorso  aprile,  con  pochi  operai  fu  saggiato  il 
suolo,  si  trovò  che  quasi  nulla  avanzava  degli  strati  ai-cheologici,  in  parte  devastati 
dalle  acque  e  portati  via,  in  parte  distrutti  dalle  costruzioni  medievali  che  comu- 
nemente dicono  fortilizi  e  i  cui  avanzi  chiudono  ancora  la  bocca  dell'antro.  La  spa- 
ziosa caverna  anteriore,  dietro  queste  fabbriche,  la  quale  certamente  deve  tuttora 
celare  avanzi  preistorici,  risultò  poi  enormemente  rialzata  di  livello  per  detriti  e 
massi  precipitati  dalla  vòlta  in  tale  quantità,  che  a  rimuoverli  non  sarebbero  bastati 
mezzi  di  gran  lunga  superiori  a  quelli  di  cui  disponevamo.  E  dovemmo  perciò  so- 
spendere i  lavori. 

I  nostri  saggi  hanno  dato  però  alcuni  cocci  di  vasi  fatti  a  mano,  con  argilla  non 
depurata  e  mal  cotta,  che  io  non  dubiterei  di  riferìre  alla  medesima  civiltà  neo-  od 
eneolitica,  cui  accenna  il  rinvenimento  fatto  altra  volta  d'una  cuspide  di  freccia  silicea. 
Uno  di  questi  cocci,  un  labbro  di  capace  scodella,  ha  i  caratteristici  ornati  ad  impres- 
sioni di  polpastrelli  disposti  in  senso  orizzontale,  e  sotto  di  essi  il  principio  di  un 
ornato  a  triplice  solco  (denti  di  lupo?)  inciso  con  pettinino  o  altro  istnimento  a  tre 
rebbi.  Si  ebbero  pure  cocci  romani,  e  cocci  ed  oggetti  medievali  riferentisi  all'epoca 
delle  costruzioni  che  chiusero  la  bocca  della  grotta. 

Gli  avanzi  di  fauna,  esaminati  dal  prof.  Sordelli,  del  Museo  dì  Storia  Naturale 
di  Milano,  diedero  le  seguenti  specie:  bue  {Bos  taurus),  pecora  {Ovis  aries),  capra 
{Capra  hircus),  maiale  {Sus  sp.?),  gallo  {Gallus  bankiva,  domesticus).  Salvo  forse 
qualche  frammento  indeterminabile,  tutte  le  ossa  appartengono  ad  animali  domestici, 
il  che  indica  un'età  non  molto  antica;  però,  stante  l'esiguità  degli  avanzi  raccolti,  in 
confronto  a  ciò  che  doveva  essere  il  deposito  originario,  non  è  il  caso  di  trarne  con- 
clusioni generali  e  molto  meno  di  infirmare  gli  indizi  positivi  fomiti  dai  cocci  prei- 
storici e  dal  ritrovamento  della  freccia  di  selce. 

G.  Patroni. 


MILANO,   RENATE,    CREMONA  —   274   —  REGIONE   X,    XI. 


XIII.  MILANO  —  Avanzi  romani  scoperti  in  via  dell'Orso. 

Nel  ricostruire  una  casa  in  via  dell'Orso,  furono  messi  allo  scoperto  avanzi  delle 
mura  romane  di  Mediolanum.  Il  muro  era  costituito  nella  faccia  esterna  da  lastroni 
per  la  massima  parte  di  sarizzo  e  di  ghiandone.  Furono  anche  tolti  dal  muro  alcuni 
pezzi  sagomati  in  pietra  di  Saltrio  (la  sagoma  era  rivolta  verso  l'interno).  Nel  riem- 
pimento di  calcestruzzo  con  ciottoli  e  mattoni,  che  formava  l'anima  del  muro,  si  tro- 
varono anche  pezzi  di  marmo,  due  dei  quali  già  appartenuti  alla  base  di  un  pilastro 
0  lesena,  ed  uno  recante  una  voluta,  che  parrebbe  frammento  dell'angolo  di  un 
cornicione.  Si  trovarono  pure  in  tale  occasione  una  quindicina  di  anfore  e  alcune  mo- 
nete. A  cura  del  R.  Ispettore  degli  scavi  prof.  Castelfranco  e  dell'ing.  Ferrini  dell'Uf- 
ficio tecnico  municipale,  i  pezzi  che  meritavano  di  essere  salvati  furono  trasportati  nel 
Museo  del  Castello. 

G.  Patroni. 


XIV.  RENATE  —  Tomba  romana. 

In  un  campo  annesso  al  cascinale  Odosa,  frazione  del  Comune  di  Benate,  fu 
trovata  ad  un  metro  di  profondità  una  tomba  che  consisteva  nella  parte  inferiore 
segata  di  un'anfora  puntuta,  la  quale  conteneva  le  ossa  cremate,  una  boccia  di  vetro 
a  sezione  quadrangolare,  un'oUetta  o  poculo  e  un  balsamario  a  collo  lungo  cilindrico 
pure  di  vetro,  ed  una  lucerna  tittile  recante  in  rilievo  il  bollo  ATIMETI. 

Gli  oggetti  furono  salvati  pel  nascente  Museo  Civico  di  Lecco,  a  cura  del  R.  ispet- 
tore degli  scavi  dott.  cav.  A.  Magni. 

G.  Patroni. 


Regione  X  (VENETI A). 

XV.   CREMONA  —  Elmi  di  bromo. 

Dietro  mio  parere  sopra  la  genuinità  e  l'importanza  del  cimelio,  parere  che  ebbi 
ad  esprimere  in  seguito  ad  una  mia  visita  fatta  a  Cremona  il  16  febbraio  scorso,  la 
direzione  di  quel  Museo  Civico  ha  acquistato  un  nuovo  elmo  di  bronzo,  trovato  nella 
foce  dell'Adda  al  confluente  col  Po,  non  lungi  da  Castelnuovo  Bocca  d'Adda. 

L'elmo  è  del  tipo  pileato  etrusco-gallico  (fig.  1),  totalmente  simile  a  quello 
di  Pizzighettone,  del  quale  dissi  in  queste  Notizie  (anno  1908,  pag.  306).  L'apice 
a  pomo  è  schiacciato,  la  calotta  porta  molte  ammaccature  e  mancano  i  paraguance  ; 
ma  sono  conservati  i  pezzi  cui  quelli  si  attaccavano  a  cerniera,  in  lamina  di  bronzo 
ripiegata  sopra  se  stessa  e  fissata  con  due  chiodelli. 

Sul  breve  paranuca,  orlato  quasi  a  spiga,  è  un  foro;  l'orlo  frontale  è  decorato 
da  una  specie  di  astragalo  a  piccolo  rilievo. 


RESIONE   X. 


—  275   — 


CREMONA 


Della  distribuzione  di  questo  tipo  di  elmo  ha  recentemente  fatto  una  lista  il  eh. 
dott.  Paribeni  in  Ausonia  (anno  1908,  pag.  281  e  segg.),  riconoscendone  l'origine  etrusca 


FlG.   1. 


? 


e  l'adozione  per  pai'te  dei  Galli  d'Italia,  due  cose  che  è  merito  del  Brizio  aver  sostenuto 

La  lista  del  Paribeni  è  però  certamente 


validamente  contro  gli  archeologi  francesi 


FiG.   2. 


incompleta  per  l'Italia,  mentre  dubito  che  sia  troppo  larga  per  i  paesi  transalpini, 
non  essendo  separati  dal  tipo  comune  etrusco-gallico  a  calotta  liscia  alcuni  esemplari 
eccezionali,  e  data  la  tendenza  di  alcuni  archeologi  stranieri  (per  es.  del  Beìnach  in 


VIRGILIO 


—  276 


REGIONE  X. 


Darembeig  e  Saglio,  Dici.,  art.  Galea)  a  confondere  il  tipo  pileato   col  conico   per 
favorire  la  teoria  della  fabbricazione  gallica  originale. 

In  questa  occasione  mi  fu  pure  mostrato  un  altro  elmo  di  bronzo  a  semplice  ca- 
lotta liscia,  molto  leggera  (fig.  2),  trovato  nello  sabbie  del  Po,  presso  Brancere, 
nel  1896,  acquistato  dalla  direzione  del  Museo  Cremonese  nel  1906  e  da  me  non 
prima  osservato.  È  munito  di  piccoli  fori  all'orlo  e  nella  calotta,  per  cucirvi  la  fodera 
di  cuoio.  È  molto  ossidato,  ammaccato  e  lacunoso.  G.  P.4.troni. 


XVI.  VIRGILIO  —  Sculture  romane  scoperte  nella  frazione  comu- 
nale Cerese. 

Presso  ring.  Riccotti,  in  Pavia,  oltre  ad  alcuni  oggetti  di  scavo  di  poca  entità, 
vidi  due  sculture  romane  trovate  molti  anni  fa,  in  occasione  di  lavori  agricoli,  a  Ce- 


rese frazione  del  comune  di  Virgilio,  già  Quattroville,  presso  Mantova,  e  delle  quali 
non  era  mai  stata  data  comunicazione. 

Luna  è  un  busto  di  donna  in  marmo,  al  naturale,  lavorato  per  inserzione  in  una 
statua,  di  dietro  greggio,  con  panneggiamento  che  chiude  il  collo  a  pieghe  sommarie. 
Le  forme  del  volto  sono  trattate  con  una  certa  larghezza  (danneggiato  specialmente  il 
naso),  i  capelli  divisi  e  aderenti  al  cranio  formano  come  una  parrucca  di  riccioli  con 
effetti  ottenuti  per  mezzo  del  trapano,  e  scendono  in  ciocche  spiraliformi  ai  lati  del 
collo.  L'età  e  l'espressione  sono  di  nobile  matrona,  non  molto  attempata.  L'accon- 
ciatura e  l'arte  mi  sembrano  accennare  all'età  dei  Claudii. 

L'altra  scultura,  in  calcare,  poco  conservata,  è  una  testa  di  giovane  satiro,  minore 
del  vero,  alta  cm.  21.  G.  Patroni.  .- 


REGIONE   X. 


277    — 


GAMBARA,    GOTTOLENGO 


XVII.  GÀMBARA  —  Pugnale  dell'età  del  bronzo. 

A  Gàmbara,  nel  Bresciano,  in  una  cava  di  ghiaia  fu  trovalo  un  lungo  pugnale 
di  bronzo  (cm.  34  V2)  a  base  irregolarmente  curva,  forata  per  tre  chiodelli  da  fissare 
il  manico,  di  cui  resta  il  segno  sulla  parte  di  lama  che  vi  era  inserita.  La  lama  ha 
robusta  costola  mediana,  ma  non  è  simmetrica,  essendo  da  una  parte  condotta  a  filo 
diritto  e  dall'altiti  ondulata.    L'aspetto    del    metallo,  il  modo  di   immanicatnra,    la 


costola,  fanno  riferire  l'oggetto  all'età  del  bronzo,  in  cui,  benché  rare,  non  mancano 
forme  di  pugnali  capricciose  che  richiamano  il  tipo  afiìne  e  contemporaneo  dei  coltelli 
a  fiamma,  a  costola  dorsale.  Citerò  qui  il  noto  pugnale  carenato,  a  due  tagli  entrambi 
ondulati,  del  tumulo  di  Kerhué-Bras  (Mortillet,  Mus.  préhistor.,  tav.  LXVIII, 
fig.  705). 

G.  Patroni. 


XVIII.  GOTTOLENGO  —  Oggetti  delle  abitasioni  preistoriche  al 
Campo  Castellaro. 

Una  bella  serie  di  oggetti  scavati  nel  noto  campo  Castellaro  a  Gottolengo  nel 
Bresciano,  ove  si  trovarono  avanzi  di  abitazioni  umane,  credute  dal  Marinoni  una  ter- 
ramara,  furono  da  me  acquistati  per  conto  dello  Stato  ed  andarono  in  aumento  delle 
raccolte  governative  del  Museo  Archeologico  di  Milano. 

Sono  pngnaletti  di  bronzo  di  varie  fogge,  tra  cui  uno  rarissimo  con  manico  di 
esso  in  due  metà,  tuttora  conservato  e  tenuto  fermo  dai  suoi  chiodelli;  spilloni;  un 
paalstab  0  ascia  ad  alette  ;  una  testa  di  spillone  in  corno  cervino  ;  un'ascia  di  gia- 
deite;  due  cuspidi  di  giavellotto  in  selce  piromaca. 

G.  Patroni. 


NoTiziK  Scavi  1909  —  Vul.  VI. 


36 


OTRieOLI  —  278   —  REGIONE   VI. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

XIX.  OTRICOLI  —  Avanzi  di  età  romana  scoperti  a  Colle  Rampo 
e  nelle  località  Palomhara  e  Civitella,  ed  oggetti  di  suppellettile  funebre 
preromana  rinvenuti  nel  fondo  Lupacchini,  dove  si  estendeva  l'antica 
necropoli. 

Avendo  ottenuto  dal  Ministero  regolare  licenza,  il  sig.  Giuseppe  Gasparri  potè 
eseguire  scavi  a  ricerca  di  antichità  in  contrada  Colle  Rampo,  nel  comune  di  Otri- 
coli, e  precisamente  nei  fondi  segnati  in  catasto  coi  numeri  784,  480  e  481,  fondi 
appartenenti  alla  minorenne  Annina  del  fu  Nicola  Basili. 

Il  sig  Gasparri,  che  fino  dal  settembre  dello  scorso  anno  erasi  recato  in  Otricoli, 
da  Pitigliano,  suo  luogo  natio,  allo  scopo  di  studiare  il  soprassuolo  di  quell'antico 
territorio  e  poter  stabilire  con  successivi  scavi  sistematici  l'ubicazione  e  l'estensione 
della  necropoli  preromana,  fermò  la  sua  attenzione  su  quella  località  che,  per  la  na- 
tura del  terreno  e  per  la  sua  coltivazione  a  bosco,  parevagli  offrisse  maggiori  proba- 
bilità sulle  altre  di  riuscire  fruttifera. 

La  contrada  Colle  Rampo  è  situata  a  circa  tre  chilometri  a  sud  dell'odierna 
Otricoli,  e  fa  parte  di  quel  vasto  altipiano  denominato  Le  Corone,  compreso  fra  il 
torrente  l'Aja  a  nord,  i  fossi  Vallefigliola  ed  Aja  a  sud,  e  la  via  Flaminia  ad  ovest 
(fig.  1).  Il  lato  dell'altipiano  che  fronteggia  a  breve  distanza  la  predetta  via  è  a  picco, 
ed  è  costituito  da  una  roccia  tufacea  che,  ricorrendo  ugualmente  a  picco  per  circa 
800  metri,  anche  sul  versante  nord,  va  poi  gradatamente  a  perdersi  poco  lungi  dal 
luogo  ove  furono  eseguite  dal  Gasparri  le  indagini  archeologiche.  Queste  vennero  intra- 
prese il  giorno  15  dicembre  ultimo,  e  continuarono  in  quella  località  fino  al  23  del 
detto  mese. 

Si  iniziò  lo  scavo  alla  base  di  una  grande  parete  tufacea,  tagliata  accuratamente 
a  perpendicolo,  presso  il  limite  superiore  del  versante  nord  (fig.  1 ,  A). 

La  parete  lavorata  si  arrestò'  ad  una  profondità  dal  piano  di  campagna  varia- 
bile dai  m.  0,80  ai  m.  1,20,  e  precisamente  ad  uno  strato  vergine,  costituito  da  un 
tufo  turchiniccio  e  friabile.  Fra  la  terra  estratta  dalla  trincea  si  raccolsero  dei  pezzi  di 
mattoni,  alcuni  frammenti  di  vasi  grezzi  di  età  romana,  anneriti  dal  fuoco,  alcune 
ossa  di  bue,  ed  un  piccolo  frammento  di  lastra  marmorea  di  verde  antico. 

In  continuazione  della  prima  trincea  se  ne  apr'i  una  seconda,  piegante  dopo 
alcuni  metri  a  sud,  secondo  l'andamento  della  roccia  che  portava  evidenti  tracce  di 
antica  lavorazione.  Si  misero  in  luce  due  pareti  bene  scalpellate,  perpendicolari  e 
parallele  fra  di  loro,  somiglianti  a  quelle  delle  antiche  vie  di  tombe,  incassate  nella 
roccia  tufacea.  Questo  cavo,  largo  m.  2,65,  fu  continuato  per  una  lunghezza  di  circa 
m.  12,  e  fu  espurgato  completamente  per  un  breve  tratto  fino  al  piano  antico,  che  si 
raggiunse  a  circa  m.  4  sotto  il  piano  di  campagna.  Alcune  tracce,  larghe  10  cm., 
distanti  l'una  dall'altra   un  metro  circa,  incavate  sul  piano   tufaceo  e  parallele   fra 


REGIONE   VI. 


—  279 


OTRICOLI 


di  loro,  permisero  di  poter  riconoscere  lo  scopo  di  questo  grande  taglio,  il  quale  eviden- 
temente fu  utilizzato  per  cava  di  grandi  parallelepipedi  di  tufo. 

Numerosi  saggi   furono  anche  praticati  ai  piedi  di  altre  balze  tufacee,  sul  ver- 
sante nord  della   medesima  località;   ma    anche  questi,    come   alcuni    altri  eseguiti 


Fio.  1. 


sull'altipiano  di  Colle  Rampo,  in  mezzo  alla  fitta  boscaglia,  misero  soltanto  in  evi- 
denza delle  antiche  latomie.  Queste,  assai  probabilmente,  dovettero  fornire  i  mate- 
riali per  la  costruzione  delle  case  nell'antico  centro  preromano  ('),  e  per  la  costru- 
zione di  qualcuno  dei  suoi  sepolcri. 

(')  Che  l'oppido  preromano  sorgesse  sul  poggio  ghiaioso,  ove  è  l'odierna  Otricoli,  non  può 
mettersi  in  dubbio.  Del  suo  antico  recinto,  ad  opera  quadrata,  rimangono  in  posto  pochissimi  avanzi: 
tutto  però,  0  quasi  tutto  il  materiale  adoperato  per  la  recinzione  medioevale  doveva  certamente 
appartenere  all'antico  recinto. 


OTRICOLI  —   280   —  REGIONE   VI. 

Resta  così  provato  che  la  necropoli  preromana  non  si  estese  oltre  il  corso  del- 
l'Aja,  sul  poggio  Colie  Rampo,  ove  rimangono  soltanto  gli  avanzi  di  una  grandis- 
sima tomba  a  camera  a  pianta  irregolare,  forse  di  età  romana,  scavata  nella  roccia, 
allargata  posteriormente  e  ridotta  a  stalla,  ora  in  disuso  (fig.  1,  B).  Sopra  una  delle 
pareti,  benché  in  parte  sezionato  per  l'allargamento  del  sepolcro,  è  ancora  visibile 
uno  dei  loculi  che  originariamente  doveva  avere  la  tomba  disposti  in  piìi  ordini. 

La  licenza  di  poter  scavare  a  Colle  Rampo  era  stata  data  per  un  mese  ;  ma  il 
sig.  Gasparri,  vista  la  infruttuosità  delle  indagini,  e  accolti  di  buon  grado  i  miei  con- 
sigli, rinunziò  a  continuare  le  ricerche  archeologiche  in  quella  località.  Chiese  allora 
ed  ottenne  di  poter  fare  saggi  in  un  altro  terreno,  di  proprietà  della  stessa  Basili, 
posto  in  vocabolo  Palombara,  a  sud  e  poco  lungi  dalla  romana  Ocriculum. 

Le  indagini  furono  intraprese  lungo  la  via  campestre  che,  muovendo  daMa  Fla- 
minia, e  passando  per  Casa  Nuova,  raggiunge  la  chiesuola  di  s.  Vittore,  e  precisamente 
a  circa  metà  della  strada  tra  questa  e  la  casa  predetta  ('). 

Da  un  cavo  aperto  sul  lato  sud  della  strada  menzionata,  a  m.  1,50  di  profondità 
e  a  contatto  del  vergine,  si  misero  in  luce  trentacinque  rozze  lucerne  monolicni,  alcune 
delle  quali  conservano  tracce  di  verniciatura  rossa;  due  fondi  di  vasi  di  vetro  di 
colore  giallognolo,  ed  una  quantità  considerevole  di  frammenti  di  vasellame  assai  rude, 
di  colore  nerastro,  appartenenti  a  vasi  ovoidali  con  orlo  aperto,  a  coperchi  muniti  di 
presa  centrale  ed  a  tazzine.  Si  può  con  certezza  affermare  che  quell'insieme  fram- 
mentario, tutto  di  epoca  romana,  per  la  disposizione  in  cui  si  trovò  e  per  il  terriccio 
al  quale  era  frammisto,  fosse  stato  ivi  scaricato  come  materiale  di  rifiuto. 

Dopo  vari  altri  saggi,  eseguiti  lungo  il  margine  della  stessa  via,  riusciti  com- 
pletamente negativi,  se  ne  fece  uno  piti  a  sud,  nel  mezzo  di  un  prato,  ove  si  notò 
un  leggero  avvallamento  del  suolo  (fig.  1,  C).  A  m.  0,20  da  questo  si  trovarono  alcuni 
pezzi  informi  di  tufo,  collocati  l'uno  vicino  all'altro  ed  a  contrasto  fra  di  loro.  Ri- 
mossi i  pezzi  dal  loro  posto,  si  constatò  che  essi  vi  erano  stati  collocati  a  protezione 
di  un  pozzo  perfettamente  cilindrico,  scavato  nel  tufo,  del  diametro  di  m.  1,05,  mu- 
nito delle  solite  pedarole.  Pino  alla  profondità  di  m.  1,40  il  pozzo  si  trovò  completa- 
mente vuoto.  Il  primo  strato,  d'uno  spessore  di  circa  IO  cm.,  risultò  costituito  di 
grossi  nuclei  di  silice  opalina,  alcuni  dei  quali  mostravano  i  segni  delle  scheggio  loro 
tolte  dalla  mano  dell'uomo. 

Si  estrassero  inoltre  dal  pozzo  vari  frammenti  di  tegole,  scheggioni  di  tufo,  qualche 
pezzo  informe  di  travertino  ed  alcuni  parallelepipedi  leggermente  cuneiformi  di  pietra 
leucitica,  squadrati  e  scorniciati  su  due  delle  loro  facce,  pertinenti  ad  antica  costru- 
zione romana  che,  evidentemente,  dovette  subire  l'azione  del  fuoco,  a  giudicare  dalle 
tracce  da  questo  lasciate  sulla  superficie  dei  parallelepipedi  stessi.  Fra  la  terra  mel- 
mosa estratta  dal  pozzo  si  notò  anche  qualche  pezzo  di  legno  carbonizzato.  Alla  pro- 
fondità di  circa  8  metri  si  rinvenne,  rotto  in  più  pezzi,  un  grande  blocco  di  tufo,  a 
pianta  elitftca  ed  a  sezione  piatta  inferiormente  ed  arcuata  sopra,  costituente  origi- 

(M  Queste  nlteriorì  ricerche  firono  in  parte  sorveffliate  dal  solerte  soprastante  agli  seari 
sig.  Natale  Malavolta,  addetto  al  Museo  di  Villa  Giulia.  » 


RBOIONE   VI. 


—  281   — 


OTRICOLI 


nanamente  la  chiudenda  del  pozzo.  A  m.  12,50  dal  piano  di  campagna  si  dorè 
sospendere  lo  spurgo  del  pozzo,  a  causa  della  presenza  dell'acqua.  Volli  peraltro  scen- 
dervi dentro,  servendon\i  dell'antiche  pedarole  ;  e  potei  constatare  che,  fino  alla  pro- 
fondità di  m.  8,85,  il  pozzo  mantenevasi  perfettamente  cilindrico.  Al  disotto,  ove 
allargasi  a  mo'  di  cupola,  il  pozzo  non  era  più  scavato  nella  roccia  compatta,  ma  in 
un  tufo  assai  più  friabile,  alcune  falde  del  quale  trovai  franate.  Anche  altre  parti 
della  vòlta  del  pozzo  minacciavano  di  cadere,  ed  avrebbero  costituito  un  grave  pe- 
ricolo per  chi  si  fosse  avventurato  a  proseguire  il  lavoro  di  spurgo. 

E  così  questi  saggi  nel  fondo  Palombara  dovettero  essere  sospesi.   Ciò  avvenne 
nel  giorno  18  di  gennaio. 


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FiG.  2. 


Durante  la  mia  permanenza  in  Otricoli  stimai  conveniente  eseguire  una  rapida 
ricognizione  nel  fondo  Lupacchini  dove,  nel  1898,  in  seguito  a  ricerche  regolari  ivi 
praticate  dall'antiquario  sig.  Gaetano  Rofiì,  erano  stati  messi  in  luce  alcuni  sepolcri  (')• 

A  nord-est,  infatti,  della  casa  denominata  di  s.  Nicola  (fig,  1),  a  poco  più  di 
due  chilometri  dall'odierna  Otricoli,  presso  il  limite  di  una  balza  tufacea  prospettante 
il  corso  dell' Aja,  rimane  ancora  visibile  l'ingresso  di  una  tomba  a  camera,  che  trovai 
però  piena  d'acqua  fin  quasi  alla  vòlta. 

L'ingresso,  rivolto  a  levante,  lungo  m.  3,80,  a  pareti  verticali  e  bene  lavorate, 
è  largo  m.  0,70  al  suo  imbocco,  che  è  proprio  sul  ciglio  della  balza,  e  m.  1,30 
presso  la  parete  ove  apresi  la  porta  d'accesso  alla  camera. 

La  porta  è  arcuata  e  rastremata  in  alto,  con  fascia  rientrante,  che  ricorre  quasi 
parallela  allo  spigolo  della  porta  (fig.  2).  La  camera  è  coperta  da  vòlta  e  longitudi- 

(•)  L'ispettore  ing.  R.  Mengarelli  che,  precedentemente  alla  concessione  della  licenza  di  scavi 
ebbe  allora  dal  Ministero  l'incarico  d'ispezionare  quella  regione,  notò  per  primo  l'esistenza  in  quel 
luogo  di  un  sepolcreto  pertinente  all'oppido  preromano. 


OTRICOLI 


—  282  — 


REGIONE   TI. 


naimente  a  questa,  in  corrispondenza  cioè  dell'asse  della  porta  e  del  mezzo  della 
parete  di  fondo,  ricorre  un  fascione  rilevato,  come  una  specie  di  trave,  terminante  ai 
dne  estremi  a  semicerchio. 

Di  un'altra  camera  sepolcrale  si  vedono  i  resti  un  poco  piìi  a  sud  della  prece- 
dente. La  vòlta  e  gran  parte  delle  pareti  di   essa   sono  franate,  e  della  tomba  non 


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Fio.  3. 


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Fio.  Sa. 


rimane  ora  scoperto  che  l'angolo  interno  a  destra  della  porta  ed  un  tratto  del  dromos, 
lungo  m.  1,50,  largo  m.  1,09,  rivolto  anch'esso  ad  est  (fig.  3).  Il  piano  interno  della 
camera  trovasi  ad  un  livello  piil  basso  di  quello  del  dromos,  e  vi  si  scende  per 
mezzo  di  due  gradini  tagliati  sulla  soglia  della  porta  che  è  larga  m.  0,70.  I  due 
gradini  e  il  tramite  sono  attraversati  da  un  canaletto  largo  ra.  0,17  e  profondo  alcuni 
centimetri,  con  sensibile  inclinazione  verso  la  balza.    La  camera  aveva  lateralmente. 


REGIONE   TI.  —   283   —  OTRICOLI 

una  specie  di  zoccolo  e,  sopra  questo,  le  banchine  sopraelevate  di  m.  0,50  dal  piano 
della  tomba  (fig.  3  a). 

Tracce  di  due  altre  camere,  interamente  franate,  sono  alquanto  più  ad  ovest  della 
precedente. 

A  circa  200  m.  più  a  nord  di  questo  gruppetto  di  tombe,  in  fondo  ad  una  leg- 
gera depressione  del  terreno,  sotto  un  grande  nucleo  tufaceo  isolato,  emergente  per 
alcuni  metri  dal  suolo,  mi  fu  mostrato  uno  stretto  ed  angusto  spiraglio  immittente 
ad  una  grande  tomba  a  camera,  in  cui  trovasi  accumulata  una  grande  quantità  di 
sassi  e  di  terra.  La  tomba,  perfettamente  tagliata  nel  tufo  compatto,  è  a  pianta  ret- 
tangolare, larga  m.  5,  lunga  m.  7,42,  con  banchine  ricorrenti  sulla  parete  di  fondo, 
e  sulle  due  laterali,  larghe  in  media  m.  1,52  ed  elevate  dal  pavimento  di  circa 
m.  0,90.  In  basso  un  gradino,  alto  m.  0,28,  largo  m.  0,37-0,45,  corre  parallelo  alle 
suddette  banchine.  Quasi  a  metà  di  ciascuna  delle  banchine  laterali  elevasi  un  pi- 
lastro unito  alla  parete  e  sporgente  da  questa  per  l'intiera  larghezza  della  ban- 
china (fig.  4). 

I  cadaveri  pare  che  non  venissero  deposti  direttamente  sopra  le  banchine,  ma 
fossero  invece  adagiati  sopra  un  piano  ligneo,  collocato  su  apposite  sporgenze  lasciate 
sul  piano  stesso  delle  banchine. 

La  copertura  della  camera,  imitante  il  soffitto  della  casa,  è  a  due  pioventi,  leg- 
germente inclinati  verso  le  pareti  lunghe,  sostenuti  nel  loro  punto  d'unione  da  una 
grande  trave  (columen),  larga  m.  1,04  e  spessa  m.  0,20,  ricavata  dalla  roccia 
stessa  (fig.  4,  sezione  A  B). 

II  dromos  della  tomba,  orientato  a  sud,  è  quasi  completamente  interrato; 
sembra  però  che  dovesse  convergere  verso  la  porta,  a  giudicare  dalla  piccolissima 
porzione  che  di  esso  rimane  ora  visibile.  Della  porta,  larga  poco  più  di  im  metro, 
rimangono  soltanto  gli  stipiti  e  l'accenno  appena  dell'imposta  dell'architrave  che  pare  . 
dovesse  essere  piano.  Un  poco  a  destra  della  porta,  e  alla  stessa  altezza  del  suo  archi- 
trave, è  praticato  un  foro  passante  dall'esterno  all'interno  della  camera,  forse  a  scopo 
di  aereare  la  tomba. 

Estesa  la  ricognizione  nel  predio  Cerqua  Cupa  (fig.  1),  direttamente  a  nord  di  Lu- 
pacehini,  fu  scoperta  una  tomba,  probabilmente  esplorata  in  tempi  recenti,  che,  come 
struttura  diiferiva  completamente  dalle  altre  sopra  descritte.  A  cagione  del  sotto- 
suolo quivi  breccioso,  la  camera  venne  costruita  con  parallelepipedi  di  tufo  per- 
fettamente squadrati  e  bene  connessi  l'uno  coU'altro;  e  vi  si  accedeva  per  mezzo  di 
una  gradinata  discendente,  fatta  anch'essa  con  lastroni  di  tufo.  Essendo  però  la  tomba 
quasi  completamente  ricolmata  per  la  ghiaia  e  la  terra  franatevi  dentro,  non  fu  pos- 
sibile prenderne  le  dimensioni. 

Non  è  improbabile  che  altre  tombe  così  costruite  possano  rinvenirsi  nella  stessa 
località;  credo  anzi  che  tutto  un  sepolcreto  sia  celato  sotto  quel  poggio  ghiaioso  a 
destra  della  Flaminia.  Non  sembra  quindi  azzardata  l'ipotesi  che  il  materiale  ado- 
perato per  la  costruzione  di  quel  genere  di  sepolcri  provenga,  se  non  esclusivamente, 
almeno  in  parte  dalle  antiche  cave  di  Colle  Rampo,  tornate  in  luce  in  seguito  alle 
ricerche  del  Gasparri  e  delle  quali  è  detto  nella  prima  parte  della  presente  relazione. 


OTRIOOLI 


284  — 


REGIONE   VI. 


Oltre  le  cinque  tombe  ancora  visibili  nel  fondo  Lupacchini,  da  me  descritte, 
altre,  delle  quali  ogni  traccia  è  ora  scomparsa,  tornarono  in  luce  in  seguito  agli 
scavi  fatti  quivi  eseguire  dal  sig.  RoflB  nell'anno  1898. 


—  B 


5  m 


Fio.  4. 


Dal  giornale  dello  scavo  redatto  accuratamente  dal  soprastante  sig.  Raffaele 
Fiuelli,  cui  venne  affidata  la  sorveglianza  di  quelle  ricerclie,  ho  potuto  desumere  che 
le  tombe  scoperte  in  quell'occasione  furono  dieci  :  nove  a  camera,  con  banchine  lungo 
le  pareti,  ed  una  a  pozzetto,  trovata  quasi  a  fior  di  terra,  con  materiale  frammen- 
taiio  etrusco-campano.  ' 


RKOIONE   VI. 


285  — 


OTRICOLI 


La  maggior  parte  delle  tombe  a  camere  si  trovò  con  la  vOlta  franata  ;  e  tutti  in- 
distintamente i  sepolcri  mostravano  i  segni  di  depredazione.  Povero  fu  quindi  il  ma- 
teriale che  vi  si  raccolse,  e  questo  si  trovò  o  confuso  sulle  banchine  insieme  ai  resti 
degli  scheletri,  o  spezzato  e  disperso  fuori  della  porta,  lungo  il  dronios. 

Gli  oggetti  consistevano  principalmente  in  vasi  fittili  di  bucchero,  in  vasetti 
corinzi,  in  cuspidi  di  lance,  in  spade  e  pugnali  di  ferro.  Di  oggetti  in  bronzo  un  lebete. 


Fie.  5. 


due  peadaglietti,  un  manichette  ed  un  pezzo  di  aes-rude.  D'argento  soltanto  un  anel- 
lino spiraliforme  in  frammenti. 

La  parte  di  quel  materiale  ritenuta  dal  BofB  meno  importante  fu  da  luì  abbandonata 
nella  casa  della  vedova  Biondi,  ove  egli  abitò;  ed  io,  rintracciatala,  reputai  conveniente 
acquistarla  per  il  Museo  di  Villa  Giulia.  Degli  oggetti  che  la  compongono,  e  che 
trovano  il  loro  preciso  riscontro  nel  giornale  dello  scavo  redatto  dal  Finelli,  credo  utile 
riportare  qui  appresso  l'elenco  particolareggiato,  tanto  più  che  essi  ci  permettono  di  poter 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  37 


OTRICOLI 


—  286  — 


RBGIOME   VI. 


stabilire  che  tutti  i  sepolcri  a  camera  rimessi  in  luce  in  seguito  alle  ricerche  archeo- 
logiche del  1898,  nel  fondo  Lupacchini,  risalgono  all'età  tra  l'VUI  ed  il  VII  secolo 
avanti  l'èra  volgare: 

a)  Karchesion  d'impasto  nero  levigalo,  con  fondo  a  tronco  di  cono,  e  collo  alto 
cilindrico  concavo  con  due  anse  bifore,  elevate  sopra  l'orlo,  rastremate  in  alto  ed  ornate 
ciascuna  superiormente  con  un  disco  sporgente  (fig.  5).  Alla  base  del  collo  ricorre  una 
zona  di  linee  verticali  graffite,  unite  inferiormente  per  mezzo  di  archetti.  Sopra  questa 
zona  una  linea  di  punteggiature  triangolari,  compresa  fra  due  solchi.  Immediatamente 
sotto  l'orlo  due  altri  solchi  racchiudenti  una  linea  serpeggiante  graffita.  La  parte 
media  del  collo  è  ornata  con  lunghi  triangoli  incavati,  obliqui,  curvi  superiormente 
e  compresi  tra  due  fasce  grafSte,  parallele  ai  lati   lunghi,  eongiungentisi  in  alto  e 


Fio.  ha. 


formanti  una  specie  di  onda;  la  fascia  a  sinistra  racchiude  una  linea  punteggiata, 
quella  a  destra  linee  oblique  graffite.  I  due  dischi  delle  anse  sono  superiormente 
ornati  con  una  rosetta  graffita  (fig.  5  a).  È  frammentato  e  mancante  di  una  parte 
del  collo  e  della  metà  inferiore  di  una  delle  anse.  Altezza  mass.  mm.  285. 

b)  Piccola  olpe,  d'impasto  come  il  vaso  precedente,  con  ansa  elevata  sopra 
l'orlo,  mancante  di  una  parte  del  collo.  Sopra  l'omero  è  decorata  con  due  solcature. 
Altezza  mass.  mm.  116. 

e)  Altra  olpe,  eguale  alla  precedente,  priva  però  dell'ansa  e  mancante  essa 
pure  di  una  parte  del  collo. 

d)  Grande  piatto,  di  impasto  come  i  precedenti,  leggermente  concavo,  posato 
su  listello  sagomato,  decorato  sopra  ambedue  le  facce  con  alcuni  cerchi  concentrici. 
Sulla  parte  piana  dell'orlo  ed  esternamente  sotto  questo,  dei  gruppi  di  linee  graffite. 
Presso  l'orlo  sono  altresì  praticati  due  piccoli  fori  circolari  per  il  passaggio  della 
funicella  che  dovette  servire  ad  appenderlo.  È  in  frammenti.  Diam.  mm.  210. 

e)  Tazzina  a  calice,  dello  stesso  impasto  dei  vasi  precedenti,  decorata  ester- 
namente con  due  solchi;  manca  di  alcune  parti.  Altezza  mm.  57.  ' 


REGIONE    VI. 


287   — 


OTRICOLI 


f)  Tazza  a  calice,  di  un  impasto  color  marrone,  decorata  sul  collo  con  una 
solcatura,  e,  sotto  questa,  con  una  serie  di  segni  nella  forma  della  nostra  cifra  nu- 
merale 2,  coricati  orizzontalmente,  eseguiti  a  stecca.  È  frammentata  e  mancante  del 
piede,  presso  il  cui  attacco  rimangono  alcune  linee  radiali  graffite.  Diam.  mm.  150 
(fig.  6). 

/■')  Piede  campaniforme,  lavorato  a  parte,  pertinente  probabilmente  alla  tazza 
su  descritta,  sotto  il  cui  fondo  doveva  essere  inserito  (')•  In  basso,  fra  quattro  leg- 
gere solcature,  è  decorato  con  una  zona  di  triangoli  graffiti,  aventi  il  vertice  rivolto  allo 


Fio.  6.  6  a. 


ingiti,  e  con  due  linee  serpeggianti,  ugualmente  graffite,  poste  verticalmente  tra  l'uno 
e  l'altro  triangolo.  Manca  di  una  parte  dell'orlo  inferiore.  Altezza  mm.  73  (fig.  Qa). 

g,  h)  Due  altri  piedi,  uguali  al  precedente,  d'impasto  scuro,  mancanti  essi 
pure  di  una  parte  del  bordo  inferiore.  Altezza  rispettiva  mm.  70  e  75. 

i)  Piede  e  parte  del  fondo  di  un'altra  tazza  a  calice,  d'impasto  scuro  levigato. 
Il  piede  è  decorato  superiormente  con  un  cordone  rilevato,  sotto  il  quale,  tra  due  gruppi 
di  sottili  linee  graffite,  ricorre  una  serie  di  doppi  cerchietti  concentrici,  impressi  a 
stampa.  Diametro  del  piede  mm.  130. 

k)  Kylix  di  argilla  figulina,  verniciata  internamente  di  colore  rosso,  meno 
una  zona  circolare  nel  fondo.  All'esterno,  dalle  anse  in  giù,  è  dipinta  ugualmente  di 
rosso;  nel  collo  è  decorata  con  due  fasce  del  medesimo  colore.  È  frammentata  e 
mancante  di  un'ansa  e  di  parte  del  corpo.  Diam.  mm.  149. 

(')  Una  tazza  a  calice,  di  bucchero  fine,  con  piede  ugualmente  innestato,  proveni«nte  da  Fa- 
lerii  dalla  tomba  XLIII  del  sepolcreto  di  Celle,  trovasi  esposta  al  Museo  di  Villa  Giulia. 


OTRICOLI 


—  288  — 


REGIONE   VI. 


l)  Alabastron  di  terra  biancastra  a  fondo  piano  (fig.  7).  È  decorato  in  bruno,  con 
due  zone  di  quadrupedi  a  lunghe  code,  correnti  a  destra,  compresi  tra  fasce  oriz- 
zontali di  uguale  colore  (fig.  la).  Intorno  all'orifizio  del  vaso  sono  dipinti  alcuni  tratti 
obliqui  di  color  bruno.  È  stato  ricomposto  da  varii  frammenti,  ed  è  assai  corroso 
alla  superficie.  Altezza  mm.  187. 

m)  Fusaruola  coniforme  di  terracotta 
scura,  ornata  con  solcature  verticali.  Altezza 
mm.  16. 

n)  Pochi  frammenti  di  lamina  di  rame 
assai  danneggiati  dall'ossido,  forse  pertinenti 
ad  un  lebete. 

6)  Gruppo  di  frammenti  in  ferro  molto 
danneggiati,  appartenenti  ad  una  spada  ed  al 
relativo  fodero,  del  quale  vedonsi  ancora 
pochi  resti  lignei  aderenti  ai  frammenti 
stessi. 

p)  Gruppo  di  frammenti  in  ferro  per- 
tinenti a  due  pugnali. 

q)  Cuspide  di  lancia  in  ferro  con  parte 
della  cannula.  È  in  frammenti.  Lunghezza 
mm.  310. 

r)  Frammenti  di  tre  piccole  cuspidi  di 
lance  in  ferro. 

s)  Gruppo  di  frammenti  in  ferro  appar- 
tenenti a  più  cannule  di  lance. 

l)  Frammenti  di  tre  sauroteri  in  ferro. 
Colla  suppellettile  ora  descritta,  prove- 
niente dal  sepolcreto  del  fondo  Lupacchini. 


Fio.  7. 


Fig.  la. 


furono  acquistati  per  il  Museo  di  Villa  Giulia,  sempre  dalla  stessa  signora  Biondi, 
alcuni  frammenti  architettonici  e  scultorii  fittili,  pertinenti  ad  un  tempio  ed  alla 
rispettiva  stipe  di  età  romana,  di  cui  non  mi  fu  possibile  conoscere  1'  ubicazione. 
Essi  sono:  1)  piede  destro  umano,  di  assai  brutta  fattura:  lungh.  mm.  155;  2)  mano 
sinistra  di  bambino,  abbastanza  bene  modellata,  priva  però  di  tutte  le  dita  ;  3)  braccio 
destro  virile  ripiegato;  4)  mezza  testa  votiva  muliebre,  frammentata  nel  collo,  alt^ 


REGIONE    VI. 


—    289    — 


OTRICOLI 


mm.  133;  5)  frammento  di  lastra  con  palmette,  volute  e  dischi  a  rilievo  (fig.  8); 
6)  pezzo  di  decorazione  a  traforo. 

Entro  l'area  della  città  romana,  in  un  terreno  di  proprietà  Marchetti,  situato  in 
vocabolo  Civitelle  (fig.  1,  D),  a  causa  di  un  franamento  del  suolo,  tornò  in  luce  un 
muro  grezzo  cementato,  con  un'apertura  immittente  ad  un  vano  sotterraneo  comple- 
tamente riempito  di  terra,  mescolata  ad  un  copioso  materiale  archeologico  frammen- 
tario. 

Per  impedire  un  possibile  scavo  clandestino,  messomi  in  pieno  accordo  col  pro- 
prietario, permisi  lo  spurgo  di  detto  vano,  che  risultò  coperto  da  volta  a  centro  ribas- 
sato, lungo  m.  5,42,  largo  m.  2.76,  alto  m.  4,30.  Tanto  le  pareti  interne  della  camera, 


Fio.   8. 

quanto  la  volta  sono  prive  d'intonaco,  e  mostrano  la  loro  struttura  consistente  esclusiva- 
mente in  piccoli  pezzi  informi  di  tufo  cementati  con  calce. 

Quasi  nel  mezzo  della  parete  orientale  apresi  una  porta  arcuata,  larga  m.  0,75  ed 
alta  circa  2  metri.  Questa  immetteva  ad  un  secondo  ambiente  che,  essendo  anch'esso 
ricolmo  di  terra  e  di  altro  materiale  archeologico  frammentario,  non  reputai  oppor- 
tuno fare  esplorare  ('). 

Fra  la  terra  estratta  dal  vano,  oltre  a  molte  ossa  di  bue,  di  maiale  e  di  pecora, 
si  rinvennero  numerosi  frammenti  di  anfore  grezze  fittili,  pezzi  di  lucerne,  frammenti 
di  conche  e  di  coperchi  di  vasi,  un  rocchetto  di  terracotta,  un  grosso  chicco  di  col- 
lana in  cristallo  di  rocca,  un  pezzo  d'orlo  di  un  vaso  di  vetro  decorato  con  un  tral- 
cio d'edera  in  rilievo,  parte  dell'orlo  e  del  corpo  di  un  bombylios  di  vetro,  ornato 
sul  corpo  con  un  bastoncello  ondulato,  una  fibula  in  lamina  di  rame,  ad  arco  con 
costola  rilevata  nel  mezzo  e  spilla  snodata  a  cerniera,  tre  cilindretti  di  osso  inter- 

(')  L'essere  i  due  vani  chiusi  da  volta  e  completamente  ricolmati,  mi  fa  ritenere  che  quel 
materiale  di  rifiuto  debha  esservi  stato  scaricato  in  costruzione,  prima  cioè  che  fossero  coperti  con 
volta  quegli  ambienti.  Il  lieve  spessore  delle  pareti  (circa  m.  0,58),  mi  fa  inoltre  argomentare  che 
l'edificio  non  potesse  elevarsi  che  di  poco  e  non  essere  perciò  costituito  che  del  solo  piano  terreno. 


OTRICOLI 


—  290  — 


REOIONE   VI. 


namente  cavi,  muniti  ciascuno  di  foro  laterale  passante  all'interno,  usati  probabil- 
mente come  cerniere  di  mobili,  alcuni  chiodi  di  ferro,  e  due  medi  bronzi,  l'uno  di 
Tiberio  (Coh.  22),  l'altro  di  Augusto  battuto  da  Tiberio  (Cohen*,  Augusto,  n.  228). 

Vi  si  raccolsero  altresì  due  frammenti  di  foglia  d'acanto  pertinenti  ad  un  capi- 
tello di  travertino,  alcuni  pezzi  di  lastre  marmoree  scorniciate,  ed  uno  scheggione  di 
marmo  largo  m.  0,15,  alto  m.  0,14,  sul  quale  rimane  il  seguente  frammento  epigrafico: 

lANi-r' 

EDìTig^ 

Si  ebbero  inoltre  parecchi  frammenti  di  vasi  aretini  a  vernice  corallina,  con  bolli 
già  editi  {CI.  L.  XI,  6700,  200,  359*,  366,  459,  468,  712,  726 a;  XV,  5361,  5449, 5542 c, 
5650  e,  5689,  5779. 

Insieme  a  questi  bolli  editi  se  ne  ebbero  sei  nuovi,  che  sono  riprodotti  nell'an- 
nessa figura  alla  grandezza  doppia  dal  vero: 


C-JZNTU 


e  / 

Richiamata  sopra  di  essi  l'attenzione  del  cav.  A.  Pasqui,  direttore  dell'Ufficio 
per  gli  scavi  di  Roma  assai  versato  nello  studio  dei  fittili  aretini,  egli  ne  scrisse  la 
nota  seguente: 

«  Si  può  dire,  con  certezza,  che  sono  sei  bolli  inediti,  poiché  anche  quello  peren- 
niano  di  Bargathe(o),  è  una  variante  di  quello  del  C.I.L.  XI,  6700,  451  ft: 

a)  Commu(ri)t{s)  C.  Senti. 

b)  Sextus   Vet{t)i  ^ 
e)  M.  Perenni  Bargat{he) 


REGIONE    VI. 


291    — 


OTRICOLI 


d)  Fron{to)  Titi.  Un  tornitore.  Frontone  era  noto  nell'officina  di  L.  Rasinio. 
(C.I.L.  XI,  6700,  530' a. i). 

e)  Sigla  inesplicabile. 

/)  Non  si  presta  ad  una  certa  lettura,  percliè  impresso  soltanto  in  parte.  Io 
non  vi  rilevo  che  :  Pha  .  .ti .  QuIH/.  Azzarderei  troppo  se  volessi  completare  :  Pha  . . . 
ti . .  Quartio  Figulus  » . 

Dallo  stesso  fondo  Civitelle,  ove  furono  rimessi  a  luce  i  due  monumenti  scritti, 


Fio.   9. 


che  dovevano  sorgere  nel  Poro  dell'antica  Ocrieulum,  e  che  vennero  editi  dal  eh. 
prof.  G.  Gatti  in  queste  Notizie  (anno  1908,  pag.  405),  proviene  un  frammento 
di  grossa  lastra  marmorea  iscritta  (m.  0,20  X  0,195),  rinvenuto  circa  un  anno  fa  nello 
scavare  una  buca  per  piantarvi  un  olmo  da  vite.  Trovasi  ora  nella  casa  del  proprie- 
tario del  fondo  sig.  dott.  Gioacchino  Marchetti,  alla  cui  cortesia  debbo  averne  potuto 
eseguire  il  fac-simile  che  qui  ne  presento  (fig.  9).  II  lastrone  ha  lo  spessore  di 
m.  0,07,  ed  è  nella  faccia  posteriore  spianato  a  gradina. 

E.  Stefani. 


ACQDAPBNDBNTB 


—   292    — 


REGIONE    VII. 


Regione  VII  (ETRURIA). 

XX.  ACQUAPENDENTE  —  Cippo  sepolcrale  con  iscruione  latina, 
rinoenuto  nel  territorio  del  comune. 

NtìUa  vigna  della  signora  Anna  Bucciglioni  vedova  Bigerna,  in  contrada  Nun- 
ziatina,  a  circa  un  chilometro  da  Acquapendente,  si  rinvenne,  parecchi  anni  fa,  un 
cippo  sepolcrale  in  lava  basaltica,  con  iscrizione,  che  rimase  finora  inedito. 


I  -!;>-'■ 


i m-O.dff I'' 


Questo  cippo,  a  quanto  si  afferma,  fino  a  qualche  tempo  addietro  era  intiero; 
ma  ora  è  rotto  in  due  grandi  pezzi,  e  manca  di  alcune  parti  iscritte,  come  appa- 
risce dalla  figura  che  qui  se  ne  offre. 

La  vigna,  in  cai  fu  fatto  il  trovamento,  è  sulla  spianata  colla  quale  termina,  in 
alto,  una  collinetta  tufacea. 

Insieme  col  cippo  si  trovano  attualmente  sei  blocchi  parallelepipedi  e  prisma- 
tici di  pietra  basaltica,  forse  appartenenti  al  monumento  funebre  di  cui  il  cippo 
faceva  parte. 

Il  cippo  è  lavorato  soltanto  sulla  faccia  anteriore  e  sulle  facce  laterali,  mentre 
è  grezzo  nella  parte  posteriore;  il  che  dimostra  clie  esso  venne  parzialmente  incas- 
sato sulla  fronte  del  monumento. 

B.  Mengarelli. 


RKGIONE   I.    SARDINIA,  —   298  —  OSTIA,    CAGLIARI 


Regione  I    (LATIUM  ET  CAMPANIA) 

LATIUM. 

XXT.  OSTIA  —  Scoperte  tra  la  via  dei  Sepolcri  e  le  Terme. 
In  una  delle  stanze   presso   porta   Romana  fu   rinvenuta  una  lastra  marmorea 
(m.  0,18X0,215)  con  la  seguente  iscrizione: 

NVMFABVS         (sic) 
TITVS  AMIN 
NERICVS  DO 
NVM    FECIT 

Il  nome  Aminnericus  è  nuovo,  se  non  erro,  nell'onomastica  latina;  Aminnaracus 
ò  il  nome  di  un  cane  in  C.  I.  L.  VI,  29895.  D.  Taglieri. 


SARDINIA. 


XXII.  CAGLIARI  —  Scavi  nella  necropoli  punica  di  s.  Avendrace. 

Dopo  l'anno  1868,  in  cui  un  giovane  e  volonteroso  dilettante,  il  signor  Fran- 
cesco Elena  ('),  aveva  eseguito  uno  scavo  sul  dorso  della  collina  chiamata  di  Tuvixeddu, 
accosto  al  borgo  di  s.  Aveadrace,  presso  Cagliari,  la  vasta  necropoli  punica  carali- 
tana  non  era  stata  sottoposta  ad  indagini  metodiche.  Dopo  le  ricerche  fatte  eseguirà  a 
Nora  dall'ufficio  degli  Scavi  dell'isola  ed  illustrate  dal  prof.  6.  Patroni  ('),  volendo 
meglio  stabilire  i  caratteri  della  necropoli  di  Cagliari,  e  trovare  dei  confronti  con 
quella  di  Nora  e  soprattutto  volendo  indagare  gli  elementi  cronologici  che  permettes- 
sero di  determinare  le  linee  fondamentali  per  lo  studio  del  materiale  punico  carali- 
tano,  era  necessario  che  vi  si  facesse  una  esplorazione  sistematica. 

La  ricerca  fu  diretta  ad  un  lembo  della  necropoli,  situato  nel  versante  occiden- 
tale della  collina,  nella  sua  estremità  settentrionale  più  remota  dal  colle  del  Castello, 
prossima  al  punto  ove  il  colle  di  Tuvixeddu  degrada  verso  il  piano.  Qui,  tra  le  bianche 
rupi  dorate  dal  sole,  si  aprono  numerosi  i  sepolcri  ii  età  punica  e  romana,  e  tra  i 
densi  macchioni  di  cactus,  di  agave  e  di  opunzie  e  gli  agili  pennacchi  delle  palme, 
è  un  suggestivo  richiamo  dell'oriente,  a  cui   si   ispirarono  le  tradizioni  religiose  ed 


(')  Francesco  Elena,  Scavi  nella  necropoli  occidentale  di  Cagliari.  Cagliari,  Timon.  1868. 
(*)  Patroni,  Nora  colonia  fenicia  della  Sardegna,  in  Monumenti  antichi  dei  Lincei,  1904, 
voi.  XIV. 

NoTiziB  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  38 


CASUARI  —   294   —  SARDINIA 

architettoniche,  le  costumanze,  ì  riti  fanebri  del  popolo  che  su  questa  proda  collinosa 
seppellì  i  suoi  morti. 

Furono  aperte  varie  trincee  sul  fianco  del  monte,  in  terreno  di  proprietà  di  certo 
Ibba  Francesco,  a  breve  distanza  dalla  palazzina  delle  scuole  comunali,  in  un  lembo 
coperto  di  terriccio.  Le  trincee,  aperte  per  necessità  pratica  ad  una  certa  distanza 
l'una  dall'altra,  rivelarono  una  fitta  serie  di  tombe,  di  carattere  e  di  tipo  molto  analogo 
tra  di  loro,  strette  a  poca  distanza  l'una  dall'altra,  così  da  far  supporre  che  questo 
lembo  di  cimitero  appartenesse  ad  una  determinata  classe  della  popolazione,  e  fosse 
stato  usato  per  un  periodo  di  tempo  non  molto  esteso,  in  modo  da  permettere  una  re- 
golare disposizione  delle  varie  serie  di  tombe. 

Queste  erano  quasi  tutte  scavate  nel  tufo  tenero  miocenico,  che  forma  il  colle; 
pochissime  erano  rappresentate  da  seppellimenti  superficiali  in  fosse  cavate  nella  terra, 
con  deposiìsione  del  cadavere  nelle  anfore.  Erano  anche  rarissimi  i  casi  di  fosse  sca- 
vate nella  roccia.  La  grande  maggioranza  delle  tombe  era  data  dal  tipico  pozzetto  a 
sezione  rettangolare  ed  anche  leggermente  trapezoidale,  a  bocca  rettangolare,  in  qualche 
caso  circondato  da  un  orlo  di  pochi  centimetri  di  larghezza;  nel  fianco  a  monte  del 
pozzetto,  eccezionalmente  anche  nel  fianco  a  valle,  era  aperta  la  porticina,  che  dava 
così  ad  occidente,  la  quale  permetteva  l'accesso  al  piccolo  ipogeo  o  colletta  sepolcrale. 

La  profondità  media  del  pozzo  era  da  m.  2  a  m.  2,50  ;  molte  tombe  diedero  un 
pozzo  di  tre  e  persino  di  quattro  metri  di  profondità.  La  porticina,  sormontata  da  archi- 
trave, e  talora  da  rudimentali  cornici,  oda  gole  sporgenti  e  spesso  anche  dipinta  di  colore 
rosso,  era  chiusa  in  generale  da  lastra  di  pietra  più  dura,  ovvero  murata  da  blocchi 
di  sassi  e  da  argilla.  La  colletta  generalmente  era  bastante  per  un  solo  deposito; 
in  pochi  casi  era  stata  allargata  per  lasciare  posto  a  due  cadaveri  ;  ma  in  molte  tombe, 
anche  di  strette  dimensioni,  erano  state  fatte  parecchie  deposizioni  che  si  erano  so- 
vrapposte. Invece  alcune  tombe  più  grandi,  con  due  deposizioni,  a  duplice  sede,  erano 
state  usate  per  i  due  originari  cadaveri  e  non  vennero  più  riaperte. 

Il  rito  dominante  appare  essere  stato  la  inumazione;  non  mancarono  per  altro 
alcuni  casi,  per  quanto  isolati,  di  cremazioni.  Queste  erano  generalmente  di  individui 
le  cui  ceneri  raccolte  in  urne  ossuario,  erano  deposte  o  nei  pozzetti  d'accesso  al  se- 
polcro propriamente  detto,  ovvero  in  semplici  buche  aperte  nel  fianco  del  pozzo  ;  era 
ad  ogni  modo  una  forma  di  deposizione  secondaria,  forse  posteriore  e  propria  di  servi 
0  di  poveri,  esclusi  per  qualche  ragione  dalle  sepolkire  nell'ipogeo.  In  un  solo  caso 
le  ceneri,  raccolte  in  una  piccola  cassa  di  pietra,  furono  rinvenute  dentro  l'ipogeo 
in  uno  strato  più  alto  di  quello  ove  stavano  i  resti  del  cadavere  inumato. 

La  suppellettile  data  dai  vari  ipogei,  abbastanza  copiosa  e  varia,  confermò  i  dati 
già  forniti  da  altre  necropoli  sardo-puniche.  La  ceramica  locale  predominava,  con  un 
ampio  corredo  di  anfore  raammate,  di  brocchette,  di  oenochoe,  di  lucerne  a  piattello. 
Si  patere  e  di  balsamarl,  in  terracotta  greggia,  o  con  scarse  decorazioni  a  colore 
scialbo,  a  linee  e  fasce  e  raramente  a  foglietto. 

Copiosa  la  ceramica  campana  di  rozzo  carattere,  per  lo  più  consistente  in  ciotole, 
in  gttttarì  e  piatti  ad  incavo  centrale,  ritenuti  come  piatti  da  pesce  e,  secondo 
taluni,  messi  nelle  tombe   con  qualche  significazione  simbolica,  allusiva  al  culto  di 


SARDINIA  —    295   —  CAGLIAKI 

divinità  funeraria  espressa  sotto  l'aspetto  di  un  pesce  (').  Per  lo  più  abbondava  la 
ceramica  ordinaria  campana,  senza  che  vi  facesse  difetto  qualche  esemplare  di  ceramica 
pili  pregiata,  di  fabbrica  attica  con  decorazione  a  figure,  tra  cui  una  cotyle  con  rappresen- 
tazione di  un  sileno  e  di  una  baccante.  11  pregio  maggiore  è  dato  da  un  piccolo  gruppo 
di  statuette  di  una  divinità  sedente,  di  tipo  ovvio  a  Cartagine,  e  da  un  gruppo  di 
terrecotte  figuiate,  di  tipo  silenico,  che  accrescono  il  numero  di  quelle  già  fomite- 
dalia  Sardegna. 

Scarsi  gli  avori  ed  i  vetri,  se  si  eccettuano  le  conterie  e  le  perle  in  pasta 
vitrea,  numerose  in  ogni  tomba,  e  gli  amuleti  dei  consueti  tipi  di  Bes,  di  serpenti 
urei, -di  divinità  a  testa  di  sparviero,  di  occhi  d'Iside,  ecc.  Più  pregiati  gli  scarabei, 
taluni  in  pasta,  i  più  invece  in  diaspro  ed  in  pietra  dura,  decorati  con  incisioni  tolte 
dal  consueto  ciclo  di  divinità  egizie  o  di  simboli  religiosi  di  quella  origine. 

Gli  ori  erano  rappresentati  da  poche  perline,  da  qualche  orecchino,  e  da  una 
croce  ansata  isiaca.  I  bronzi  da  specchi  e  da  rasoi  del  solito  tipo  a  taglio  trasversale, 
dato  dalle  tombe  di  Tharros  e  di  Cartagine  in  numero  molto  abbondante.  Pure  in 
bronzo  erano  numerosi  orecchini,  e  le  poche  monete  di  modulo  piccolo,  in  gran  parte 
irriconoscibili,  date  dalla  necropoli.  Qualcuna  delle  monete  però,  che  si  potè  deci- 
frare, appartiene  al  ben  noto  tipo  dei  bronzi  punici  con  la  testa  di  Àstarte  ed  il 
cavallo  corrente  nel  rovescio.  Anche  in  questa  necropoli  cagliaritana  si  confermò  l'os- 
servazione fatta  dal  Delattre  per  quella  di  Cartagine,  della  mancanza  cioè  di  monete 
d'oro  nelle  tombe  puniche. 

Anche  il  materiale  epigrafico,  trattandosi  di  modesti  abitatori  della  città,  è 
sommamente  scarso:  una  tavoletta  in  arenaria  con  iscrizione  evanida,  recante  il 
nome  di  un  defunto,  e  nella  tomba  91  due  grandi  anfore  di  terracotta  con  inscrizione 
dipinta  in  rosso.  La  prima  indagine  fattavi  dal  prof  I.  Gnidi,  condurrebbe  alla 
interpretazione  (però  da  lui  data  ancora  per  incerta):  «  Aris  cum  uxore  rf]  Hawwat, 
domtnae  suae  1 .  Sarebbe  una  dedica  alla  divinità  infernale  Hawwat,  ricordata  in  un 
altra  inscrizione  cartaginese  scoperta  nel  1899. 

Gli  elementi  raccolti  dalla  esplorazione  di  questo  notevole  gruppo  di  tombe  (193 
in  tutto)  ci  permisero  perciò  di  formarci  alcune  idee  sulla  industria,  sulla  vita,  sui 
riti  della  popolazione  cartaginese  di  Caralis.  Per  quanto  riguarda  il  rito  funerario  si 
ebbe  in  un  solo  caso  la  certezza  che  il  cadavere,  dopo  la  sua  deposizione  nella  cella 
ipogeica,  fu  avvolto  e  coperto  in  una  bara  senza  fondo,  come  quelle  trovate  nella  necro- 
poli di  s.  Monica  di  Cartagine  ('),  e  come  si  ebbe  esempio  nella  necropoli  caralitana  e 
nella  tomba  di  Sulcis  esplorata,  dalla  Direzione  degli  Scavi,  nel  1906  (^).  A  questa 
bara,  serbata  ai  più  ricchi,  si  sostituiva,  nel  caso  di  più  modesti  depositi,  una  stuoia  di 
canne,  rinforzata  alle  costole  con  argilla.  Si  videro  le  traccie  di  tali  modesti  letti  fu- 


(')  V.  Macchioro,  Ceramica  tardo-fenicia  nel  Museo  civico  di  Pavia,  in  Bull.  Pavese  di 
Storia  patria,  anno  1908,  pag.  318). 

(•)  Delattre,  Les  grands  sarcophages  anthropoìdes,  pag.  13. 

(')  Taramelli,  Scavi  e  scoperte  di  antichità  puniche  e  romane,  nell'area  dell'antica  Sulcis, 
ili  Notizie  degli  Scavi,  1908,  fase.  4,  pag.  155. 


CAOLIàRI  —   296    —  SARDINIA 

nebri  in  quasi  tutte  le  cellette  ipogeiche,  tracce  consistenti  nei  resti  dell'orlo  in  argilla, 
che  ancora  conservavano  le  impronte  del  canniccio. 

Le  tombe,  tanto  fitte  che  spesso  erano  separate  soltanto  da  nu  esile  diaframma 
di  tufo  tenero,  non  erano  indicate  da  stele  figurate  come  le  tombe  di  Nora  e  quelle  di 
Sulcis.  Sopra  tante  tombe  non  si  ebbe  che  una  piccola  ara,  a  forma  di  piramide  tronca, 
colla  faccia  superiore  incavata  dal  foro  di  libazione. 

Alla  profondità  ed  eleganza  di  lavorazione  delle  tombe  non  corrispondeva  sempre 
la  ricchezza  e  la  varietà  della  suppellettile.  Alcune  tombe  molto  profonde,  con  pozzetti 
ben  lavorati,  portelli  sormontati  da  architravi  e  da  cornici,  che  furono  scoperte  assolu- 
tamente intatte,  non  diedero  che  uno  o  due  vasi  locali  ;  mentre  tombe  meno  profonde 
e  quasi  superficiali,  appartenenti  a  donne  ed  a  bambini,  restituirono  suppellettile 
copiosa  e  scelta,  segno  questo  clie  davasi  importanza  al  concetto  di  nascondere  la 
tomba  agli  sguardi  ed  alla  profanazione  altrui,  non  meno  che  a  quello  di  corredarla 
di  materiali  vari  e  di  amuleti  protettori. 

Per  quanto  riguarda  gli  elementi  cronologici  forniti  dalla  necropoli  possiamo,  in 
attesa  di  piìi  diligente  esame  di  tutto  il  materiale,  asserire  che,  pure  non  mancando, 
massime  nella  ceramica,  esempi  di  tipi  arcaici,  come  le  anfore  mammate,  le  broc- 
chette  a  beccuccio  voltato  in  alto,  le  oinochoe  a  bocca  lobata,  pure  questi  si  hanno 
con  materiale  di  provenienza  campana  del  IV  secolo  e  con  terrecotte  figurate  di  tipo 
siceliota,  di  quello  stesso  periodo.  Così  che  quel  lembo  di  necropoli  corrisponderebbe 
al  momento  più  florido  della  vita  di  Caralis  punica,  antecedentemente  a  qualsiasi 
intromissione  di  elementi  romani.  Le  due  o  tre  deposizioni  romane,  di  urne  cinerarie 
in  tombe  alla  cappuccina,  formate  con  embrici,  rappresentano  casi  isolati,  sporadici, 
avvenuti  quando  la  necropoli  punica  era  già  stata  abbandonata,  e  sono  tutte  superficiali. 

Dalla  presente  indagine  rimarrebbe  anche  confermato  il  fatto  che  tutta  la  parte 
superiore  della  lunga  dorsale  collinosa  di  Tuvixeddu,  dalla  Piazza  d'Armi  sino  al 
degradarsi  del  colle  verso  il  piano,  fosse,  durante  il  periodo  punico,  crivellata  da  tombe, 
da  pozzi  sepolcrali  e  da  ipogei,  riservandosi  le  classi  più  ricche  il  tratto  dove  la  roccia 
è  più  dura  a  lavorarsi,  e  le  più  povere  i  lembi  dove  affiora  il  tufo  più  tenero,  sicché 
in  tutto  il  periodo  delia  vita  cartaginese  tutta  la  collina,  nel  suo  versante  occidentale 
almeno,  fu  intieramente  occupata  dalla  necropoli. 

Invece  i  colombari  di  età  romana,  le  tombe  a  camera,  i  cubicoli  si  ebbero  nella 
falda  del  colle  ai  piedi  di  esso,  allineandosi  poco  lontano  dalla  via;  però  alcuni  più  ele- 
vati degli  altri  intersecarono  con  i  loro  tagli  le  modeste  celle  puniclie,  le  quali  pro- 
babilmente fino  da  allora  cominciarono  ad  essere  violate  e  sacciieggiate. 

A.  Taramei.u. 
Roma,  20  agosto  1909. 


REGIONE   IX.  —   297   —  VENTIMIOLIA 


Anno  i909  —  Fascicolo  9. 


Regione  IX  (LIGURIA). 

I.  VENTIMIGLIA  —  Nuove  scoperte  di  antiohità  in  Santo  Stefano. 

Riferendomi  alla  relazione  riguardante  i  ritrovamenti  fatti  nella  regione  Santo 
Stefano,  nella  proprietà  del  generale  Adolfo  Boyer,  ed  edita  in  queste  Notisie  (anno  1901, 
pag.  291),  sono  lieto  di  confermare  che  in  quella  località  fosse  già  un  vicus  o  com- 
pitum  denominato  Aurelianum,  essendo  tuttora  chiamata  Orignana  quella  estesa  zona 
olivata,  nella  quale  fanno  capo  tre  strade,  una  proveniente  da  Ventimiglia,  un'altra 
che  partiva  da  Tenda  ed  una  terza  dal  soprastante  Castel  d'Appio. 

Essendo  stato  proseguito  negli  scorsi  mesi  in  quel  luogo  lo  scavo  di  larghe  trincee, 
a  fine  di  tracciarvi  la  via  ferrata,  che  da  Ventimiglia  deve  condurre  a  Breglio,  giunti 
là  dove  si  trovavano  resti  di  edifici  romani,  vennero  rimesse  in  luce  numerose 
tombe  (più  di  trenta),  formate  ai  lati  di  piccoli  materiali  con  calce,  coperte  di  larghi 
tegoloiii,  di  cui  taluni  col  bollo  MARI,  e  conservanti  intatti  i  cadaveri,  orientati  la  più 
parte  da  occidente  ad  oriente.  11  terreno  circostante  era  un  misto  confuso  di  cocci  di 
anfore,  di  lucerne,  di  diete;  scarsa  si  è  ravvisata  la  suppellettile  funebre,  il  che  lascia 
supporre  che  le  tombe  fossero  già  state  esplorate.  Nell'estremità  nord  del  vico  riap- 
parvero due  ustrini,  indicati  da  terriccio  nero,  viscido  e  untuoso. 

Non  v'ha  dubbio  che  all'antica  edicola  pagana  fosse  stata  quivi  sostituita  dai 
primitivi  cristiani  una  chiesuola,  costruita  con  puddinga  squadrata  a  scalpello,  della 
quale  restano  avanzi.  Tale  chiesuola  fu  dedicata  a  santo  Stefano,  e  presso  di  essa 
pare  che  si  continuasse  a  seppellire  per  lungo  tempo  ;  del  che  farebbero  fede  oggetti 
non  antichi  quivi  rinvenuti. 

Poche  settimane  dopo  si  rinveniva  un'ancora  di  ferro  arrugginita,  lunga  m.  1,10, 
con  largo  anello  aderente  al  fuso,  e  con  le  due  marre  iirtatte,  le  quali  insieme  mi- 

NoTiziR  Soavi  1909  —  Voi.  VI.  39 


tORlHO  —   298    —  REGIONE   XI. 

surano  m.  0,53.  È  sommamente  probabile  che  tale  àncora  da  qualcuno  scampato  dal 
naufragio  fosse  stata  sospesa  come  voto  in  questa  chiesetta  di  santo  Stefano,  la  quale 
continuò  a  rimanere  aperta  al  culto  fino  al  secolo  XVI,  ed  era  designata  come  terza 
stazione  nella  processione  delle  Rogazioni  minori. 

G.  Rossi. 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

II.  TORINO  —   Tombe  di  età  romana  scoperte  in  via   Yillafranea. 

Facendosi  le  escayazioni  per  le  fondamenta  di  una  casa  in  via  Villafranca,  n.  101, 
borgata  s.  Paolo,  di  proprietà  del  sig.  Plevna  Enrico,  vennero  scoperte  nel  luglio 
del  corrente  anno  due  tombe  di  età  romana.  Per  mezzo  dell'ing.  direttore  dei  la- 
vori ne  venne  dato  bensì  avviso  all'Ufficio  tecnico  municipale,  ma  non  all'autorità  com- 
petente, né  si  sospesero  i  lavori,  come  si  sarebbe  dovuto  fare;  anzi  si  distrusse  tutto 
e  si  portarono  in  casa  del  proprietario  gli  oggetti  rinvenuti. 

Avvertito  della  scoperta  dall'Officio  regionale  dei  monumenti,  e  recatomi  ad  esa- 
minare gli  oggetti,  ecco  quanto  potei  raccogliere  dall'esame  di  essi,  e  da  altre  notizie 
avute. 

Si  trattava  innanzi  tutto  non  di  una  tomba,  ma  bensì  di  due  tombe,  poste  una 
vicina  all'altra,  quasi  combacianti,  tutte  e  due  ad  inumazione,  e  che  apparvero  alla 
profondità  di  circa  m.  0,40  dal  suolo  attuale:  l'una  di  pietra  quadrata,  l'altra  in 
mattoni  a  capanna. 

La  prima  tomba,  in  pietra,  misurava  m.  1,20  dì  altezza,  m.  1,47  di  lunghezza 
per  1,17  di  larghezza  ed  era  formata  di  sei  lastroni  di  pietra  lavorata,  dei  quali,  quello 
del  fondo  e  quello  che  serviva  da  coperchio,  erano  dello  spessore  di  circa  cm.  14. 
Gli  altri  quattro  lastroni  che  formavano  le  pareti,  per  la  cattiva  qualità  della  pietra 
(forse  di  Cumiana)  e  per  il  peso  cui  avevano  dovuto  soggiacere,  eransi  sfaldati.  Essi 
erano  congiunti  con  arpioni  di  ferro  impiombati.  La  tomba  era  per  metà  piena  di  terra  ; 
nessuna  traccia  di  ossa  ;  varii  oggetti  di  suppellettile  invece  si  trovarono. 

La  seconda  tomba,  a  capanna,  era  composta  da  venticinque  mattoni  della  solita 
dimensione  (cm.  44  X  30  X  7).  Li  ho  esaminati  attentamente  ad  uno  ad  uno,  per  ve- 
dere se  recavano  qualche  bollo  impresso;  ma  non  ve  ne  rinvenni  alcuno. 

I  mattoni  disposti  cinque  come  pavimento,  dieci  per  le  due  pareti,  dieci  per  il 
tetto,  formavano  complessivamente  una  tomba  della  lunghezza  di  m.  1,50  circa  per 
in.  0,44  di  larghe/.za  e  m.  0,58  di  altezza,  presa  dall'asse  centrale  della  capanna. 
Per  avere  queste  misure  ho  dovuto  ricostruire  in  parte  le  tombe,  perchè,  esse  ven- 
nero demolite  prima  che  io  fossi  sul  luogo.  Anche  questa  seconda  tomba  era  ripiena 
di  terra.  Non  vi  si  rinvenne  traccia  alcuna  né  di  ossa  né  di  oggetti.  Così  almeno  mi 
fa  affermato.  Forse  le  due  estremità  della  tomba  saranno  state  chiuse  con  due  tegoloni; 
potei  però  solo  trovarne  la  metà  di  uno. 

Ecco  la  descrizione  degli  oggetti  che  mi  fu  concesso  di  esaminare  e  che,  secondo 
quanto  mi  asserì  l'assistente  ai  lavori,  appartenevano  tutti  alla  prima  tomba  in  pietra  : 


REGIONE   XI.  —   299  —  GERENZA GO 

a)  anfora  fittile  colle  proprie  anse,  alta  m.  0,54, 

b)  bottiglia  di  vetro,  alta  m.  0,29,  conservata  colle  proprie  anse,  ed  altra 
bottiglia  simile  ma  in  frammenti, 

e)  due  balsamarì  di  vetro,  uno  alto  m.  0,20,  l'altro  alto  m.  0,09, 

d)  una  coppa  di  vetro  del  diametro  di  m.  0,115, 

e)  un  bicchiere  di  vetro, 

/)  lucerna  fittile,  in  frammenti  ricomponibili,  con  rilievo  rappresentante  una 
donna  che  sacrifica  presso  un  candelabro, 

g)  patera  in  bronzo,  conservatissima,  del  diam.  di  m.  0,155,  con  manico  lungo 
m.  0,11,  che  venne  raschiato  nel  lato  destro, 

k)  quattro  strigili  di  bronzo,  ben  conservate,  lunghe  ciascuna  m.  0,23,  tre 
delle  quali  con  manico  bucato  per  farvi  passare  la  correggia  a  cui  si  appendevano, 
ed  una  con  manico  seui^a  foro;  una  poi  raschiata  di  recente. 

G.  Frola. 


III.  GERENZAGO  —  Ripostiglio  di  monete  galliche. 

Nelle  Notizie  dello  scorso  mese  di  agosto  (pag.  360)  il  eh.  prof.  G.  Patroni, 
R.  Sopraintendente  dei  Musei  e  degli  Scavi  di  Lombardia,  riferì  intorno  ad  un  ripo- 
stiglio di  monete  galliche  scoperto  in  Gerenzago,  e  dato  a  me  in  esame. 

Tale  ripostiglio  fu  rinveuuto  dal  sig.  Teobaldo  Benzeni,  a  levante  di  Gerenzago, 
presso  la  via  per  Inverno  in  provincia  di  Pavia,  e  per  mezzo  del  eh.  prof.  Torquato 
Taramelli  pervenne  nelle  mani  del  R.  Sopraintendente  prof.  Patroni. 

Il  tesoretto  consta  di  122  monete  di  argento,  alcune  indecifrabili  per  cattiva 
conservazione,  ma  la  maggior  parte  riconoscibili  e  divise  in  due  grandi  serie:  galli- 
che di  imitazione  delle  dramme  massaliote  e  consolari  romane. 

Le  galliche  sono  in  numero  di  54,  delle  quali  43  d'imitazione  massaliota,  con 
la  leggenda  DIKOI  (').  Delle  altre  undici,  cinque  sono  rimaste  indecifrabili,  ma  sono 
certamente  anch'esse  imitazione  delle  massaliote,  con  la  testa  rozza  di  Diana  a  destra, 
sul  diritto,  e  con  un  leone  gradiente  a  destra,  deformato,  sul  rovescio  ;  due  hanno, 
sopra  il  leone,  segni  ad  asticine  oblique,  ad  imitazione  di  parole  senza  significato  pa- 
lese; quattro  hanno,  sopra  il  leone,  un'altra  epigrafe,  che  in  tre  esemplari  è  mutila, 
e  quindi  poco  comprensibile,  ma  nel  quarto  è  intera  e  retrograda  e  si  legge:  iO>I^QI'1, 
cioè    Virecoi,  forma  gallica  come  Ricoi,  alterazione  di  Virecius,  Viricius  (-). 

La  serie  delle  monete  consolari  romane  abbraccia  34  tipi  diiferenti  su  68  monete, 
di  cui  2  quinari  e  66  denari.  Di  questi  58  furono  identificati  e  8  rimasero  indecifrabili 
porcile  ricoperti  in  tal  modo  di  patina  da  non  far  ravvisare  né  figure,  né  leggende. 


f)  Vedi  Adrien  Blanchet,  Traile  des  monnaies  gauloises,  voi.  I,  pag.  115;  cfr.  pag.  136  e 
213.  —  Vedi  Pompeo  Castelfranco,  in.  Monete  galliche  della  Transpadana,  pag.  7  in  Fascicolo 
omaggio  per  il  Centenario  del  R.  Medagliere  Nazionale  di  Brera.  Milano,  Crespi,  1908. 

(')  Vedi  Adrien  Blanchet,  op.  cit.,  I,  pag.  144-45.  —  Cfr.  Pompeo  Castelfranco,  op.  cit.,  pag.  7. 


OERENZA60 


300    — 


REGIONE    XI. 


Sono  però  tipi  analoghi  a  quelli  identificati  per  lo  stile  e  per  la  tecnica;  quindi 
non  escono  dal  periodo  di  coniazione  degli  altri.  Ecco  il  prospetto  alfabetico  per  fa- 
miglie delle  monete  decifrate: 


Numero 
dei  denari 

Numero 
dei  denari 

i 

Acilia 

(Bab.  I,  p.  103,  n.  4) 

2 

Marcia 

(Bab.  II,  184-85, 8) 

1 

Aelia 

(Bab.  I,  109-10,  3) 

1 

Minucia 

(Bab.  II,  233,  15) 

1 

Afrania 

(Bab.  I,  134-35,  1) 

2 

s 

(Bab.  II,  226-27,  1) 

1 

Anteslia 

(Bab.  I,  146,  9) 

1 

Papiria 

(Bab.  II,  288,  6) 

1 

Aurelia 

(Bab.  I,  242-43,  20) 

3 

Plutia 

(Bab.  II,  329,  1) 

2 

Baebia 

(Bab.  I,  253-54,  12) 

1 

Pompeia 

(Bab.  II,  336,  1) 

1 

Caecilia 

(Bab.  I,  272-73,  38) 

1 

Pomponia 

(Bab.  II,  359-60,  7) 

2 

n 

(Bab.  I,  265-tì6,  21) 

2 

Porcia 

(Bab.  II,  367-68, 1) 

1 

Cassia 

(Bab.  I,  324-25,  1) 

1 

n 

(Bab.  II,  368-69,  3) 

1 

Cornelia 

(Bab.  I,  386-87,  1) 

1 

Sempronia 

(Bab.  II,  430-31,  2) 

2 

Cupiennia  {Ba.]).  I,  443-44,  1) 

5 

Terentia 

(Bab.  li,  483,  10) 

2 

Fabia 

(Bab.  I,  479-80,  1) 

2 

Trebania 

(Bab.  Il,  500-01,  1) 

3 

Furia 

(Bab.  1,  524-25,  18) 

1 

Tullia 

(Bab.  II,  502-503) 

1 

lulia 

(Bab.  II,  2,  1) 

1 

Vargunteia  (Bab.  II,  524-25, 1) 

1 

Maenia 

(Bab.  II,  164-65.  7) 

Si  aggiungano  inoltre: 

3  denari  coi  Dioscuri  a  cavallo,  con  simboli  monetari  (Bab.  I,  47-48). 
2  quinari  coi  Dioscuri,  tipo  idem  (Bab.  I,  48,  21). 

4  bigati  del  tipo  descritto  in  Bab.  I,  40,  6,  con  marca  monetale. 
6  vittoriati  con  simboli  monetari;  tipo  Bab.  I,  49,  24. 

Se  badiamo  all'ordine  cronologico  dei  denari  precitati,  si  ha  il  seguente  prospetto 
degli  ufiBciali  monetari: 


214  a.  C.  C.  Pluti{us)  della  Plulia. 
»       »      C.   Terentitis  Lucanus  della  Terentia. 
P.  Aelius  Paetus  della  Aelia. 
Sipurtus)  Afranius  della  Afrania. 
P.  Cornelius  Sula  della  Cornelia. 
L.  Sempronius  Pitia  della  Sempronia. 
L.  Cupiennius  della  Cupiennia. 
Q.  Minucius  Rufus  della  Minucia. 
M.  Porcius  Lacca  della  Porcia. 
C.  Porcius  Caio  della  Porcia. 
M.  Baebius  Q.  f.  Tampilus  della  Baebia. 
Q.  Fabius  Labeo  della  Fabia. 
M.  Papirius  Garbo  della  Papiria. 
L.   Trebanius  della  Trebania. 


209 
200 

» 

174 
164 
149 


144 


139 


124 

1> 

i. 

119 

» 

i/. 

110 

« 

P. 

109 

H 

c. 

106 

Tt 

L. 

104 

» 

M. 

99 

fl 

Q. 

92 

» 

M. 

H 

» 

L. 

REGIONE    XI.  —   301    —  GERENZAGO 

136  a.  e.  L.  lulius  Caesar  della  lulìa. 
135     »      M.  Tullius  della  Tullia. 
129     »      M.  Aburius  Geminus  della  Aburia. 
Il       n      M.  Acilius  M.  f.  della  Acilia. 
»       »      Q.  Caecilius  Melellus  della  Caecilia. 
»       »       ^e-y.  Pompeius  Fostulus  della  Pompeia. 
1       »      Jlf.    Vargunteius  della    Vargunleia. 

Antestius  Gragulus  della  Antestia. 
M.  Marcius  M.  f.  della  Marcia. 
P.  Maenius  Antiaticus  della  Maenia. 
Cassius  Longinus  della  Cassia. 
Minucius  Thermus  della  Minucia. 
Fourius  L.  f.  Philus  della  Furia. 
Caecilius  Metellus  della  Caecilia. 
Aurelius  Scaurus  della  Aurelia. 
Pomponius  Cn.  f.  della  Pomponia. 

Non  si  può  dire  che  il  ripostiglio  di  Gerenzago  rappresenti  tipi  nuovi  nelle 
monete  consolari  romane,  oppure  tipi  rari.  Esso  ci  riconduce  ad  un  periodo  di  tempo 
abbastanza  lato,  cioè  dal  214  al  92  a.  C.  pei  denari  delle  famiglie,  ma  forse  ancora 
più  su  dal  245  a.  C.  per  la  presenza  dei  denari  e  dei  quinari  coi  Dioscuri,  dei  bigati  e 
dei  vittoriati  coi  simboli  e  con  le  marche  monetarie.  In  ogni  modo  non  oltre  al  94  a.  C. 
si  deve  scendere  per  l'antichità  del  ripostiglio,  cioè  non  oltre  il  I  secolo  a.  C,  quando 
cioè  si  usavano  ancora  e  con  una  certa  frequenza,  come  ci  indica  la  proporzione,  i  de- 
nari del  secolo  precedente,  e  quando  non  era  ancora  spento  interamente  il  ricordo  degli 
usi,  dei  costumi  delle  monete  dei  popoli  gallici  sottomessi  dai  Romani,  come  ne  fa 
fede  la  serie  gallica,  gruzzolo  di  dramme  importanti  per  la  loro  quantità  che  rappre- 
senta poco  meno  della  metà  del  ripostiglio  e  per  l'interesse  delle  leggende.  Si  con- 
ferma intanto  l'esistenza  in  quel  di  Pavia  di  monete  con  la  leggenda  DI  KOI  (da 
leggere  Ricoi)  e  non  DIKO  A  come  vorrebbe  il  Blanchot  (op.  cit,  pag.  136),  o  DI  KO 
come  ripete  di  solito  il  Castelfranco  (op.  cit.,  pag.  6-7). 

Si  conferma  poi  per  la  leggenda  e  per  il  peso  quanto  il  Castelfranco  osservò 
precedentemente,  che  la  leggenda  è  retrograda  e  che  il  peso  è  corrispondente  a  quello 
solitamente  citato. 

Inoltre,  mentre  si  era  trovata  nella  collezione  di  Brera  una  dramma  sola  con 
la  leggenda  ..>I^QIA  (questa  volta  retrograda  come  la  famosa  leggenda  IQIXVQ), 
nel  ripostiglio  di  Gerenzago  se  ne  trovarono  quattro,  di  cui  tre  con  leggende  mutile, 
ma  la  quarta,  come  si  disse,  con  la  leggenda  ancor  più  completa  di  quella  dell'esem- 
plare di  Brera,  e  con  la  medesima  terminazione  gallica  in  O  i . 

S.  Ricci. 


ROMA 


302  — 


ROMA 


IV.  ROMA. 
Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  V.  In  via  di  Porta  s.  Lorenzo,  eseguendosi  lavori  di  sterro  per  le 
nuove  fogne,  che  dalla  stazione  ferroviaria  di  Termini,  traversano  l'area  dello  scalo 
delle  merci  a  piccola  velocità,  si  sono  scoperti  tratti  di  muri  antichi.  Uno  di  essi,  a 
reticolato  di  grossi  cubetti  di  tufo  piramidati,  corre  per  una  lunghezza  di  m.  2  pa- 
rallelo alla  via  di  Porta  s.  Lorenzo.  È  distante  da  questa  m.  26  ed  è  quasi  di  fronte 
al  viale  del  Castro  Pretorio.  Un  altro,  di  costruzione  laterizia,  quasi  di  fronte  a  via 
Marghera,  lungo  m.  6,00  e  dello  spessore  di  m.  0,60,  dista  dalla  predetta  via  di 
Porta  s.  Lorenzo  m.  10,  in  direzione  quasi  normale  a  questa.  Entrambi  i  muri  sono 
ad  una  profondità  di  circa  un  metro  dal  piano  del  piazzale. 

Per  gli  stessi  lavori  di  sterro,  fra  il  2»  e  il  3°  capannone  della  piccola  velocità, 
a  circa  un  metro  dal  piano  attuale,  si  sono  messi  in  parte  a  luce  tre  grandi  ambienti, 
coperti  a  volta  a  botte  di  tutto  sesto,  i  cui  muri  sono  a  pietrame  di  tufo  e  calce  con 
rivestimento  laterizio  ed  hanno  le  spessore  di  m.  2,70,  mentre  le  volte  sono  in  mat- 
toni dello  spessore  di  m.  0,60  con  rifianchi  di  pietrame,  di  tufo  e  calce.  La  parte 
superiore  della  volta  era  stata  anteriormente  tagliata. 

Poco  lungi,  sempre  in  occasione  degli  stessi  lavori,  è  tornata  a  luce  una  grande 
lastra  marmorea  scorniciata,  larga  ra.  0,85  e  alta  m.  0,56,  iscritta  a  belle  lettere: 

D  M 

M  AR  CI  AE     CL-  F     DORIDI 

VIX- ANN -XXVIIIIM- Villi -D-VI 

MARCIADORISMATER 

INFELICISSIMA 

FILIAE  OPTIMAEETPIENTISSIMAE 

TERISQ 

SIBIETSVISPOSEORVM  FECIT 


Alveo  del  Tevere.  Negli  sterri  presso  la  spalla  destra  del  nuovo  Ponte  Vittorio 

Emanuele  fu  raccolta  una  tazza  aretina  a  ver- 
nice rossa  un  poco  sbiadita,  con  due  manichi 
orizzontali,  sostenuti  sotto  da  bastoncello  care- 
nato e  striato.  La  tazza  posa  su  pieduccio  a 
tornio.  Il  campo  di  essa  è  scompartito  egual- 
mente tra  le  anse  con  due  cicogne  impostate 
sopra  un  gruppo  di  fogliami,  guardinghe  e  pronte 
sulla  preda.  Le  cicogne  sono  divise  da  una  spiga 
0  fiore  e  volgono  a  sinistra  (fig.  1).  Ha  un  manico 
spezzato  e  manca  di  una  parte  del  piede.  Misura 

m.  0,095  di  altezza  e  m.  0,090  di  diametro  all'orlo. 
Fig.  1. 


ROMA 


—  303 


ROMA 


Via  Appia  Nova.  Nel  terreno  di  proprietà  del  3ig.  Sante  Ronchetti  suU'Appia 
Nuova,  facendosi  dei  cavi  per  le  fondazioni  di  un  villino  a  m.  5,50  dal  piano  di 
campagna  si  sono  rinvenute  le  seguenti  iscrizioni  sepolcrali  : 


1.  Lastra  marmorea  (m.  0,38X0,37)  : 

nADYTÀC 
KÀIHAIAC  • 
K  lAl  N  I  N  A 
TlAirAYKYTÀ 
T  lAJTE  K  N  lAl 
MNElACXA 
PI  N 

nXovtag  xaì  'Hliàg  Kmnva 

XÓlQlV 

3.  Parte  sinistra  di  una  lastra  mar- 
morea (m.  0,30X0,17): 

MHTPr 
<|)lAu)l 
XPH 
A  I  Oè 
KAITI 

noe 

5.  Lastra  marmorea  scorniciata  : 


2.  Id.  (m.  0,33X0,29): 

CUU(t)POCYNH 
xeKNO  IC    (* 
rÀYKYTÀTOIC 

MN  H  M   H   C 
XAPJJieriOiU-eA— 

2w(pQo<Jvvri  Ts'xvoig  yXvxvta- 
Toig  fivrifirjg  za^tv  èTtoitjffcc 


4.  Altra  lastra  marmorea  (m.  0,3 1 XO,  1 8)  : 
knAMeiHMNH 


M    H     C  X  A  P  I  N 


'Anav-d-trj   /.ivrj/j.rjg  xuQiv 


D  MB 

POCTAVIOSECVNDO 
PHILOSOPHO      EPICVREo 
T-  OCTAVIVS- 
PATRVO- 

La  menzione  della  scuola  le  cui  dottrine  seguiva  il  filosofo,  leggesi  alle  volte 
nelle  iscrizioni  (ad  es.  G.  I.  L.,  VI,  7779;  IX,  48;  X,  2971  =  Dessaa,  Inscript.  lat. 
selectae,  7779-7781).  Per  i  caratteri  la  nostra  lapide  deve  ascriversi  alla  seconda 
metà  del  secondo  secolo  o  alla  prima  del  terzo. 

6.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,22  X  0,22)  : 


RENTI 

ANNOS 
MENSIB-IIII 


BENE  ME 

vixi  r 

XXXXVI 
DIES  '  ni 


(sic) 


ROMA  —   304    —  ROMA 

Via  Collatina.  Nel  fare  i  pozzi  per  la  costruzione  di  un  capauaone  per  le 
merci  nella  nuova  stazione  ferroviaria  fuori  Porta  Maggiore  è  stata  messa  alla  luce 
la  antica  pavimentazione  a  poligoni  di  selce  della  via  Collatina  (vedi  Notisie,  1908, 
pagg.  234  e  265).  Detta  via  segue  in  quel  punto  la  direzione  del  vicolo  Malabarba 
per  un  tratto  di  circa  20  metri.  Conserva  le  crepidini  alte  m.  0,20;  la  larghezza 
della  strada,  senza  le  crepidini  è  di  m.  2,60.  Il  piano  di  questa  via  è  a  m.  3  sotto 
il  piano  del  vicolo  Malabarba,  e  a  m.  1 ,80  sotto  il  piano  della  nuova  stazione  fer- 
roviaria. I  poligoni  di  selce  posano  sul  terreno  vergine.  La  strada  e  le  crepidini  sono 
in  quel  tratto  molto  bene  conservati. 

Nello  sterro  presso  la  via  del  Verano  si  sono  rinvenuti  tre  cassettoni  di  terra 
cotta  con  entro  ossa  umane,  ricoperti  di  tegoli,  ed  un  frammento  di  lastra  scorniciata 
iscritta  (m.  0,19  X  0,19)  : 


CL  kWD\ae 
CRAPTAEC  0 
sic         IVGIBAENJe 

tic       maerent4' 

VIXITANw 
L-  DIEBv's.. 


2.  È  stato  pure  scoperto  un  cippo  di  travertino,  alto  m.  0,60  e  largo  m.  0,89, 
con  la  seguente  iscrìzione  : 

HILARIO  ■  LIBR 

VIX-ANNOSXX 

ANTEROS-  LIBR 

FECIT 


3.  Un  altro  frammento  di  lastra  marmorea,  nel  cui  fastigio  conservasi  ancora 
parte  di  una  figura  virile,  sdraiata,  appoggiata  sul  gomito  sinistro,  assai  rozzamente 
scolpita,  e  con  le  gambe  avvolte  da  un  manto  (m.  0,22X0,23): 


N-TVRPILIO/ 
MARTI A  L I 
?7.ay-im  M-X 


Inoltre  si  rinvenne  un  mattone  col  bollo    C.  I.  L.,  XV  199,   e  un'  anfora  fram- 
mentata. «- 


ROMA 


305  — 


ROMA 


Am:i!T.'.::::':. 


Con  regolare  licenza  sono  stati  eseguiti  scavi  dai  signori  Luzi,  in  una  loro  vigna 
presso  l'antica  via  Collatina,  alla   destra   di   chi  s'allon- 
tana  da  Roma,  poco  lungi   dal   luogo  dove  fu  rinvenuto 
il  bel  sarcofago  pubblicato  in  queste  Notizie  (anno  1908, 
pag.  234  e  segg.). 

Si  sono  scoperti  tre  ambienti  ad  uso  di  sepolcri,  i 
quali  si  presentano  in  pianta  come  vedesi  nella  figura  2. 
Di  questi  tre  sepolcri  quelli  segnati  nella  figura  con  le 
lettere  B  e  C  non  poterono  essere  esplorati  che  in  parte, 
perchè  coperti  dall'  acqua. 

Il  sepolcro  A  è  un  colombario,  conservato  soltanto 
nella  parte  inferiore,  internamente  largo  m.  2,35  e  lungo 
m.  3,80.  Vi  si  accede  da  nord-ovest  per  un  breve  corri- 
doio ostruito  in  età  posteriore,  quando  lo  strato  di  inter- 
ramento era  già  cominciato,  da  un  muro  che  forma  una 
fossa  rettangolare.  L'ingresso,  largo  m.  1,03,  ha  la  soglia 
di  marmo,  dalla  quale  comincia  una  scaletta  di  tre  gra- 
dini rivestiti  di  lastre  marmoree.  Delle  pareti  rimane  sol- 
tanto la  parte  in  cui  correva  l'ordine  inferiore  di  loculi, 
in  ciascuno  dei  quali  sono  due  olle.  Il  pavimento,  quando 
avvenne  la  scoperta,  era  formato  da  tabelle  di  colomba- 
rio spezzate  e  collocate  a  rovescio.  I  muri  hanno  lo  spes- 
sore di  m.  0,60  e  sono  internamente  in  opera  reticolata 
ed  esternamente  di  mattoni  arrotati.  Gli  angoli  esterni 
del  colombario  .sono  stendati. 

Nell'angolo  sud-ovest  di  questo  colombario  era  tuttavia  al  posto  un  cippo  di  traver- 
tino (segnato  nella  piantina  col  n.  3)  alto  m.  0,25  e  largo  m.  0,30,  il  q«ale  reca  l'epigrafe  : 

1-  OATEIVS 

EPAPHRA 
INFRP-XII 
maff.'^F-XIIX 

Questo  cippo  apparteneva  certamente  al  colombario  ora  descritto,  il  quale  pos- 
siamo chiamare  di  C.  Aleius  Epaj)hra.  La  gente  degli  Atei  è  ben  conosciuta. 

Neil'  interno  di  questo  colombario   si  sono  rinvenuti  ancora  al  posto  due  cine- 
rari di  marmo  ;  uno,  in  forma  di  piccolo  cippo  recante  nei  fastigio,  rozzamente  scol- 
pita in  rilievo,  un'aquila  con  le  ali  spiegate  : 
2.  (m.  0,55  X  0,24  X  0,13)  : 

D  M 

FLABIAE 
SOLEMNIDI 

TI-FLABIVS      urcewo 

CHRYSEROS 

CONIVGI 

SVAE-B-M-F 


FiG.  2. 


patera 


NoTiziB  Scavi  1909  —  VoL  VI. 


40 


w 


ROMA  —  306   —  ROMA 

3.  (m.  0,25X0,42X0,31)-  L'altro  porta  scolpiti  nel  timpano  tre  strumenti  di 
officina  di  fabbro-ferraio:  l'incudine,  il  martello  e  le  tenaglie. 

D       •        M        •       S 

♦ 


C  •  SATILLIVS 

C    •     F 

HYMNVS 

SIBI  •  ET 


SATILLIAE 

C  F 

MELLVSAE 

CONJVGISVAE 


4.  Inoltre  si  è  rinvenuta  una  targhetta  marmorea  decorata   da  una  cornice  di 
doppie  foglioline  nella  quale  si  legge: 

SERGIA 
ZOIS 

5.  Altre  lapidi  iscritte,  che  con  ogni  probabilità  appartenevano  a  questo  stesso 
colombario,  formavano  il  piantito  dell'ambiente  A.  Esse  sono: 

ATEIA • ARBVSCIA 

EPAPHRAES  llllllllll 

MARMO  RARI  ATEIAE 

LIBERTA  SELINIONIS 

Sopra  la  parola  ATEIAE  della  terza  linea  era  stata  incisa  altra  breve  parola, 
poi  accuratamente  abrasa. 

6.  Altra  targhetta  marmorea  scorniciata  (m.  0,22  X  0,15): 

TICLAVDIVS 

AVGL 

E  P  O  P  E  V  S 

7.  Altra  targhetta  marmorea  decorata  dì  una  cornice   di  foglioline  stilizzate 
(m.  0,30X0,19): 

OCTaVIA 

C     ■     L 
EVTERPE 

8.  Tabella  marmorea  decorata  di  una  cornice  di  piccole  spirali  ricorrenti  tra  due 
solchi  rettilinei  (m.  0,45  X  0,14): 


TI-CLAVDIVS 

TROPHIMVS 
VIXANN  XXXX 


IVLIALAIS 

CONIVGCARIS 

ET     •     SIBI 


ROMA  —    307    —  ROMA 

9.  Lunga  lastra  di  marmo  (m.  0,95  X  0,13): 

CATEIVSCL  ATEIACL  CATEIVS-CL  C-ATEIVSCL 

NESSVS  CALE  STRATO  ANTHVS 

10.  Targa  marmorea  ansata  (m.  0,32X0,21X0,03): 

C- ATEIVS-  CHIVS 
VIX   ■   ANXIIIMVII 

DIESVIII 
ATEIA  •   ROMANA 


11.  Parte  destra  di  lastra  marmorea,  la  quale,  sotto  la  iscrizione  latina,  portava 
incisi  due  distici  greci  : 


jnnrEPAZO(|)PAnoziZME 

\ZElKONAMHnPOAinH 
OMIOZOYNOMArAPMOI 
EYPEtOAlA(l)YZIZ 

....  X(7Tca  yéqui  b(fQ«  nóffis  (it  | S  elxóva  (irj  nqoXinrj  | 

.  .  ófiiog  ovvofia  yàq  /xoi  \ tvQsto  Sìa  (pvGig 

Quivi  inoltre  si  rinvennero  due  lucerne  fittili,  di  cui  ima  col  bollo  C.  I.  L.,  XV, 
6593  e  e  un  mattone  col  bollo  C.  I.  Z.,  XV,  686. 

Poco  lungi  dal  detto  colombario,  verso  nord,  venne  in  luce  l'angolo  sud-est  di 
altro  sepolcro,  pur  esso  quasi  interamente  devastato  (B  nella  fig.  2),  del  quale  fu 
sospesa  l'escavazione  a  causa  delle  sorgive  pullulanti  sul  luogo.  I  muri  di  questo  se- 
polcro sono  per  fattura  e  spessore  identici  all'altro.  Due  cippi  di  travertino  (segnati 
coi  numeri  1  e  2  nella  fig.  2),  che  erano  ancora  al  posto,  quasi  addossati  alla  parete 
nord-est,  portano  incisa  ambedue  l'identica  iscrizione: 

12.  (alt.  m.  1,10,  largh.  m.  0,35):  13.  (alt.  m.  1,10,  largh.  m.  0,32): 

L  •  CINÒ^s  l.    cinClWS 

T  •  L  •  N  A  S  TTA  t.    l.    n   ASTA 

INFROP-Xljt  INFROF-XII 

IN  AGROPXII L  INAGRO-PXIIX 


Nella  parte  esplorata  di  questo  sepolcro,  evidentemente  il  colombario  del  liberto 
L.  Cincius  Nasia,  furono  rinvenute  le  lapidi  seguenti: 


ROMA 


—  808  — 


ROMA 


14.  Tabella  marmorea  ansata  (m.  0,40X0,18): 

FELIX  ■  V  •  A  •  1  •  ET  •  M  •  VII 
FECIT  •  GALERIA    MOSCHIS 
MATER.FILIOSVO  CARISSIM 
ETSIBI  •  ET  ■      SVIS 

15.  Altra  tabella  ansata,  decorata  in  basso  e  in  alto  di  piccoli  solchi  serpeg- 
gianti (m.  0,30X0,15): 

IVLIA-AGRIPPINAES 
AVGVSTAE  •  L  ■  ZOSIME 
VIX- ANN  •  LXXXVII 

16.  Altra  tabella  marmorea  (m.  0,22X0,14): 

C-COELIOTREPTO 

FATRONVSL  FECIT 

C-COELIVS-MEMOR 

VIX  •  ANN 

XVI 

17.  Parte  sin.  di  altra  tabella  marmorea  (m.  0,10X0,12): 

LAELIVS 
SECVNI) 

18.  Parte  inferiore  di  lastra  marmorea  iscritta  a  caratteri  poco  buoni  (m. 0,21X0,26): 

ALVMNOSVODVL 
CISSIMOETQVIETISS 
FIDELISSIMO      BENE 
MERENTI  -FECIT 


19.  Quattro  piccoli  frammenti: 
m.  0,14X0,09:         m.  0,12X0,08: 


J)  Ci 

N  FON 


I)VL 


m.  0,10X0,15: 


m.  0,09X0,09: 

/TlFEENNI 

\rOREO; 


A  sud-ovest  del  colombario  A  lo  scavo  ha  messo  in  luce  la  parte  orientale  di 
altro  sepolcro  (0  nella  flg.  2),  i  cui  muri  in  opera  reticolata  sono  dello  spessore  di 
m.  0,45  X  0,85.  Nell'angolo  sud-est  era  costruito  un  piccolo  basamento  a  mattoni, 
lungo  m.  0,85,  largo  m.  0,86.  ' 


ROMA 


—  309  — 


ROMA 


Nella  terra  rimossa  per  lo  scavo  si  rinvennero  inoltre  piccoli  e  corrosi  frammenti 
di  sculture,  parte  di  un  angolo  di  sarcofago  che  doveva  essere  di  grandi  dimensioni; 
una  lucerna  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  6693  ;  un  vasetto  sferoidale  con  il  beccuccio  a 
forma  di  cannello  inserito  a  metà  della  pancia  ;  due  vasetti  di  vetro  ed  altri  vasetti 
e  lucerne  fittili  di  rozza  fattura  e  finalmente  un  mattone  col  bollo  C I.  L.  XV,  1000  e. 


* 


Via  Salaria.   L'area  compresa  tra  le  moderne  vie  Salaria  e  Pinciana  ed  il 
Corso  d'Italia  è  ben  nota  agli  archeologi  per  la  grande  quantità  di  iscrizioni  sepol- 


0   t 


_(  metri 


•V 


A^ 


a' 


Af 


Fio.  3. 


crali  che  vi  si  sono  rinvenute  in  ogni  tempo,  provenienti  da  un  vastissimo  sepolcreto 
(cfr.  G.  I.  L.,  VI,  3439,  Nothie  degli  scavi,  1899,  pag.  51,  78,  181  ;  1900,  pag.  499, 
574,  634).  Il  marchese  Alberici  ha  acquistato  recentemente  un  tratto  di  terreno  com- 
preso in  quell'area,  e  precisamente  quello  confinante  con  la  cavallerizza  Angelini, 
con  la  proprietà  del  marchese  Marignoli,  con  la  chiesa  di  s.  Teresa,  e  con  il  Corso 
d'Italia.  Egli  ha  fatto  ivi  eseguire  degli  sterri  per  costruire  un  villino.  Si  sono  così 
messi  allo  scoperto  gli  avanzi  di  tre  colombari,  costruiti  parte  in  muri  di  opera  re- 
ticolata e  parte  in  muri  laterizi,  orientati  come  quelli  scoperti  precedentemente.  Tali 
colombari  hanno  loculi  semicircolari  e  quadrangolari  per  una  sola  olla  e  non  presen- 
tano alcuna  particolare  caratteristica.  Offro  qui  intanto  (fig.  3)  la  loro  pianta,  nella 
speranza  che  di  questo  sepolcreto  romano,  che  si  è  riconosciuto  essere  »  il  più  denso 
che  sia  mai  tornato  in  luce  »  venga  finalmente  pubblicato  un  esatto  rilievo.  11  colom- 


ROMA 


—  810 


ROMA 


bario  meglio  conserrato  è  quello  a  nord-est;  e  all'angolo  nord-est  di  esso,  che  corri- 
spondeva alla  distanza  di  m.  23,90  dal  fianco  occidentale  della  chiesa  di  s.  Teresa, 
fu  rinvenuto  ancora  al  proprio  posto  un  cippo  di  travertino,  alto  m.  0,80  e  largo 
m.  0,30,  nel  quale  era  incisa  la  seguente  iscrizione: 

SOCIORVM 

IN  •  FR-  P  •  XXIV 
1  N  •  AGR  ■  P  •  XXIV 


Fra  la  terra  e  i  muri  rovinati  si  sono  rinvenute  le  seguenti  iscrizioni: 


1.  Targhetta  marmorea  frammentata 
(m.  0,15X0,08): 

JtragadI 

CANTISTll 

3.   Targhetta  marmorea,   mancante 
della  parte  sinistra  (m.  0,14  X  0,11): 

/CALIDIVS 
T-  L- 
/PLOCAMVS 
V 

5.   Cippo  di  travertino  (m.  0,66  X 
0,32): 

V 

CORweLIA-  DL 

NIGELLA 
IN-  FRO-  P-  XII 
IN- AGRPXIV 


2.  Frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0.20X0,12): 

flWTISTIVsA 
M  •   MAC  E  R\ 
k        XXXVIII -ì 


4.  Targhetta  marmorea  (m.  0,19  X 


0,12): 

CESTIACH^IS 

VIXAIVDIESX 
N Y  MPHE    MATER 
FECiT-  ET  •  CESSVSPATER 

6.  Frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0,20X0,12): 

i-A^-r^A\ 

qu\<^\yi-  ANNX 

-Tifili  LlTAVlT-ArJ 

IVLIA  •  PROCLA/ 

B  •  M  •     F    E     C  / 


7.  Stele  marmorea  (m.  0,60  X  0,24): 

D     •     M 
IVLIAETYCHAE 

QVAEVANNIS-LVlE 

DIEIXFLAVIAARE 

THVSACOGNA 

TAESVAE  •  BENE 

MERENTIFECIT 

FILIVXORPIVL 

MEMIANl 


8.  Targhetta  marmorea  (m.  0,18  X 
0,13): 


/■ 


L  A  RT I D  I V  S 
VRBANVS 
NOMENCLATOR 
TR1BMAC-Q_ 
IN  FAMILIA 

Patron!  •s\ 


^/ 


ROMA 


—    311 


ROMA 


9.  Targa  marmorea  ansata  (m.  0,24  X 
0,08): 

SEX  •  LARTIDIVS 

SEXL-DIONISIVS 

MQJIDONATVS-F 

11.  Parte  sinistra  di  lastra  marmo- 
rea (m.  0,12  X  0,12)  : 

libarI 
cl-hil\ 


10.  Parte  sin.  di  targhetta  marmo- 
rea ansata  (m.  0,14  X  0,14)  : 

LARTID'a 


ENTOLIi 
VIX-, 
M 


x-annI 

•V-  DJ 


12.  Frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0,11X0,10): 

\-LIVIA\ 
R  I  S  •  FAVI 
IXIT- ANNOI  s 


13.  Angolo  superiore   destro  di  lastra  scorniciata  (m.  0,16  X0,12): 


L-  NON 

atImi 
vIxan/ 


14.  Lastra  marmorea  scorniciata  (m.  0,49  X  0,21)  : 


NOSTIAOL 

DAPHNE 

ORNATRIXDE 

VICOLONGO 


MNERIVS-M'/ 

QVADRATO/ 
AVRIFEX  •  dU 
VICOLONGO 


Il  Vicus  longus  era  una  importante  strada,  nota  ai  topograti,  la  quale  correrà 
lungo  la  valle  tra  il  Quirinale  e  il  Viminale  (Jordan-Hulsen,  III,  pag.  417  e  428). 
L' indicazione  della  località,  dove  il  defunto  aveva  esercitato  il  suo  mestiere  e  aveva 
la  sua  officina,  aggiunta  al  nome  del  mestiere  stesso,  è  frequente  nei  titoli  sepolcrali 
di  Roma. 

Un'altra  iscrizione  sepolcrale  (C.  /.  L.,  VI,  9736)  proveniente  da  questo  sepol- 
creto (antica  vigna  Pelucehi)  dice:  Nostia  Daphnidis  l(iberta)  Cleopatra  Ornatrix 
de   Vico  Longo. 

15.  Cippo  di  travertino,  frammentato  in  alto;  la  prima  linea  della  iscrizione  si 
supplisce  con  l'aiuto  della  iscrizione  seguente,  n.  16  (m.  0,90  X  0,37)  : 

/.    0  /k  B  r\M  s  l    l 

^x^galata" 
orbiaolacvme 

M-NANEIVSML 

DONATVS 

IN-FR-P-XIMNAGPXII 


ROMA. 


—  312  — 


ROMA 


16.  Altro  cippo  di  travertino  (m.  0,90  X  0,39)  : 

L^RBIV§N/.  l 

CALATA 

ORBIAO  LACVME 

MNANEIVSML 

MENA 

INFR-P-XIMNAGP-XII 


17.  Altro  cippo  di  travertino  fram- 
mentato in  alto  (m.  0,40X0,36): 


18.  Cippo  di  travertino  (m.  0,43X 
0,12): 


M  AG 
FAMILDAT 
SEX  •  PEDVCAEI 
IN-FRONPXVI 
INAGRP  XXIV 


CPLOTIVS 

CCLHERACLEO 

P-XIIIIPXII 


19.  Cippo  di  tufo  (m.  0,52  X  0,27): 


20.    Lastra    marmorea    scorniciata 
(m.  0,28X0,27): 


SOCIORVM 

DISMANIBVS 

CVRATORES 

FECIT-IVLIAHELPIS 

CLiPLOTIVS 

LSEXTIOPHOEBO 

L-  SALVIVS 

CONIVGI-  SVO-BENE 

CALBIVSQ.L- 

MERENTIVIXITANXLV 

DIOGENES 

MEN-IIIIET-SIBIETSVIS 

C-S/a/rs:^STIVS 

POSTERISQVEEORVM 

0,56); 


21.  Cippo  di  travertino  (m.  1,00  X 


VP-SESTIVSPL 
EPITVNCHANVS] 
V-PSESTIVS-P-L 
PAIMPHILVS 
©TVTORIACL 
MRTHA 

INFR-PXII 

IN-AGPXII 


22.  Frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0,13X0,14): 


/LTA 


R I  •  D  E\ 


\ 


AVXOR 
E • FECERVNT  \ 


ROMA 


—  313 


ROMA 


23.  Parte  destra   di   targhetta   an- 


sata: 


CIDIAE-NICE 
MENANDRI    ET 
TERTVLLAEDELICIO 


VIXIT    AN    Vini 


24.  Parte  superiore  di  cippo  di  tra- 
vertino (m.  0,37  X  0,31),  in  cni  leggesi 
soltanto  : 

INFRPXIIX 

IN  •  AG    P  •  XX 


25.  Altro  cippo  di  travertino  fram- 
mentato (m.  0,53X0,37): 


SOCIORVM 

INFRP-XIMNGR 
PXII 


26.  Piccolo  cippo  di  marmo  greco, 
la  cui  iscrizione  è  stata  abrasa  e  quindi 
in  parte  illegibile: 

1 1 1  II  I  II  II  II  I 

I  II  I  Hill  I  II  I 

l////l////AR\tA 
VIX  •  AN-    LX 
///////// FRATRI 
PIISSIMO- ET   B  M 
FECITEMITLOCVM 
INFRPIIMN  AGP  III 


27.  Frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0,15X0,10): 

I  M 

RATEGIDI 
aiVGIET  ^ 
TIS  •  LIBF 

E  R  I  S  ''' 


28.  Parte  inferiore  sinistra  di  lastra 
marmorea  (ra,  0,20  X  0,15): 


DATAF 
DVLCIS 
MO  ■  FÉ 


SI 

cit 


29.  Frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0,12X0,12): 

\oSPITA- LOC(|.> 
I      MARI-   EX 
VMDECRETO) 

/ 


30.  Frammento  della  parte  sin.  di 
lastra  di  travertino  (m.  0,32  X  0,21): 


E.  Ghislanzoni. 


Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


41 


RRGOIO    CALABRIA 


—   314    — 


REGIONE   III. 


Regione  III    (LUCANIA   ET  BRUT  TU). 


V.  REGGIO  CALABRIA  —  Sepolcri  ellenistici  in  conh'ada  Borace. 

Costruendosi  nel  mj^gio  ultimo  scorso  dal  Genio  militare  un  baraccamento  in 
contrada  Borace  sulle  collino,  circa  un  km.  a  nordest  di  Reggio,  vennero  fuori  nelle 
fondazioni  alcune  tombe,  sulle  quali  fu  subito  richiamata  la  mia  attenzione  dal  sin- 
daco della  città.  Inviai  sul  luogo  il  disegnatore  sig.  K.  Carta,  che  era  distaccato 
agli  scavi  di  Locri,  ed  in  pari    tempo   ottenni    dalla  cortesia  del  maggior   generale 


Tommasoni,  comandante  il  presidio,  fotografie  e  disegni  delle  tombe  rinvenute,  abil- 
mente eseguiti  dal  sig.  E.  Frandoni,  capitano  del  2°  reggimento  Alpini.  A  tutti 
questi  signori  esprimo  qui  pubblicamente  la  riconoscenza  mia  e  degli  studiosi. 

I  sepolcri  vennero  in  luce  aprendosi  un  grande  cavo  della  profondità  di  circa 
4  m.  ;  essi  erano  in  numero  di  otto,  ed  appartenevano  a  due  tipi.  I  primi  cinque, 
già  distrutti  all'arrivo  del  Carta,  erano  dei  sarcofagi  di  robusti  tegoloni  quadri,  co- 
perti da  un  doppio  ordine  di  tegoloni  a  piovente,  come  dallo  schizzo  a  fig.  1,  deli- 
neato dal  Carta  sulle  indicazioni  assunte.  Gli  altri  tre  invece  erano  delle  camerette 
rettangolari,  con  volta  a  botte  precisa,  di  ottima  e  solidissima  costruzione,  in  mattoni 
quadri  (lato  cm.  35  a  38  per  em.  9  di  spessore).  Alle  figg.  2  a  5  si  vedono  le  imagini 
fotografiche,  le  planimetrie  e  le  alzate  dei  sepolcri,  eseguite  dal  sig.  capitano  Fran- 
doni ;  e  la  bontà  dei  disegni  non  che  la  ricchezza  dei  dettagli,  ci  risparmiano  una 
lunga  descrizione.  Basti  aggiungere  che  il  suolo  delle  cellette  era  di  terra  compressa, 
e  che  qualcuno  dei  mattonacci  portava  la  marca: 


MEMNoNoX 


RGQIONE   III. 


315  — 


REGGIO    CALABRIA 


Questa  marca  era  già  nota  (Kaibel,  n.  2400,  9)  specialmente  per  le  tegole  se- 


j^^ioi^'-fs.?^;-*^  .^*-v  -■-vJ'^^^^'  $; 


PlG.   2. 


polcrali  delle  antiche  tombe  di  Beggio,    snlla  collina  del    Salvatore  {Notizie,  1883, 


REGGIO    CALABRIA 


316    — 


REGIONE    III. 


pag.  354).  L'officina  laterizia  di  Memnone  era  certamente  reggina,  perchè  la  cerchia 
di  diffusione  dei  suoi  prodotti  non  varca  lo  Stretto,  né  esce  dal  territorio  urbano. 

Assai  più  scarse  sono  le  informazioni  sul  contenuto  dei  sepolcri,  essendosi  nei 
primi  giorni  scavate  tumultuariamente  le  tombe.  Pare  che  ognuna  di  queste  contenesse 
un  solo  cadavere,  il  che  dà  l'idea  di  gente  piuttosto  distinta.  11  materiale  vascolai'e 
è  povero  e  di  tarda  età.  Vi  sono  i  caratteristici  balsamarì  a  fuso,  grezzi,  delle  sco- 
dellette  ansate  grezze,  le  solite  scodelline  semiovolari  nere,  con  coperchio,  per  bel- 
letto, uno  skyphos  nero  tardo,  ad  anse  verticali,  dei  vasetti  neri  costolati  ed  a  bec- 


PlG.  3. 


cuccio,  due  minuscoli  genietti  fittili,  gli  avanzi  di  una  barchetta  e  quattro  capitellini 
corinzii,  alti  intorno  a  cm.  11,  del  migliore  dei  quali  si  dà  la  riproduzione  a  fig.  6. 
Essi  furono  raccolti  nella  grande  tomba  n.  1,  disposti  a  rettangolo  attorno  gli  avanzi 
dello  scheletro,  come  se  decorassero  una  cassa  o  feretro  ;  questo  fa  supporre  che  essi 
effettivamente  facessero  parte  di  una  cassa  lignea  con  colonnette  agli  angoli,  consunta. 
Ed  in  tal  caso  anche  a  Reggio  vedremo  svolto  lo  stesso  concetto  dei  grandi  sarcofagi 
architettonici  di  Gela,  cioè  l'estrema  dimora  del  defunto  decorata  di  forme  architet- 
toniche analoghe  a  quelle  della  casa  dei  viventi,  od  alle  edicole  di  culto,  quasi  il 
morto  fosse,  almeno  nel  concetto  e  nel  sentimento  della  sua  famiglia  e  dei  superstiti, 
un  eroizzato  (Orsi,  Gela,  pag.  520  e  segg). 

Di  codesti  capitellini  il  Museo  di  Seggio  possedeva  già  una  bella  serie,  prove- 
nienti tutti  dalle  necropoli  urbane.  Si  può  anzi  dire  che  essi  siano  una  specialità 
locale,  essendo  apparsi  dentro  sepolcri  delle  contrade  Modena  (Nolisie,  1888,  pag.  752), 
Piano  di  Modena  (ib.,  1907,  pagg.  708-709),  e  Condora  (ib.,  1888,  pag.  753), 
laddove  non  rammento  alcunché  di  simile  da  altre  necropoli  siceliotc  od  italiot*. 


REGIONE   III. 


317 


REGGIO    CALABRIA 


Dall'esame  dello  scarso  contenuto  io  attribuisco  i  sepolcri    di    Borace  ai   se- 


,.--^^',nCr> 


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FiG.  4. 


coli  IV-III,  più  probabilmente  anzi  al  HI  av.  Cr.,  ed  è  eerto  che,  continuando  in  quel 


RBOGIO    CALABRIA 


—   318   — 


RBOIONB   111. 


sito  le  indagini,  si  porrebbe  a  nudo  la  continuazione  del  sepolcreto.  Così  metterebbe 
conto  di  proseguire  la  esplorazione  metodica  della  necropoli  in  piazza  d'Armi.  Perocché, 


FiG.  5. 


malgrado  i  buoni  contributi  recati  alla  conoscenza  delle  necropoli  reggine  da  mon- 
signor Di  Lorenzo  e  dallo  Spinazzola,  noi  fin  qui  non  abbiamo  che  dati  frammentari 


Fio.  6. 


SU  piccoli  gruppi  dalla  fine  del  sec.  V  in  poi.  Ci  manca  invece  completamente  la 
necropoli  arcaica  e  quella  del  V  secolo,  che  pur  recherebbero  tanto  lume  sulla  civiltà 
dell'insigne  città.  K,  se  non  fosso  altro,  la  scoperta  di  queste  necropoli  costituirebbe 
da  sola  uno  degli  attraenti  capitoli  del  programma  della  futura  Sopraintendenza  ar- 
cheologica di  Keggio. 


RBOIONB   III. 


—  319   — 


LOKROI    EPIZEPHYRIOI 


VI.  LOKROI  EPIZEPHYRIOI  —  Quarta  campagna  di  scavi  {1909). 

11  grande  disastro  calabro-siculo.  che  per  parecchi  mesi  ha  paralizzata  ogni  atti- 
vità, non  poteva  non  infinire  anche  sulla  campagna  degli  scavi  calabresi,  iniziata 
solo  alla  fine  di  aprile  e  durata  tutto  giugno.  A  parte  un  periodo  di  ricognizioni  a 
Catanzaro,  a  Cotrone  e  sulla  costa  orientale  (Oioja-Tauro  e  Rosarno),  il  lavoro  effettivo 


FlG.  1. 


di  zappa  venne   anche  in  quest'anno   concentrato  a  Locri,  per  ultimare  e  sistemare 
alcuni  scavi  già  aperti  e  per  iniziarne  di  nuovi. 

a)  Necropoli  sicula  di  Canale.  —  Nelle  ricognizioni  della  primavera  1908 
io  aveva  segnalata  l'esistenza  di  gruppi  di  sepolcri  a  camerette  scavate  nella  roccia, 
ed  in  tutto  analoghi  a  quelli  siculi  di  Sicilia,  nelle  contrade  Patariti,  lanchina  e 
Canale,  a  ponente  (nord-ovest)  di  Locri.  In  quest'anno  decisi  di  attaccare  il  gruppo 
più  numeroso  e  promettente,  quello  del  vallone  Canale,  dove  esplorai  27  sepolcri 
quasi  tutti  intatti,  e  contenenti  ricchi  corredi  vascolari. 

Le  camere  aperte  nell'arenaria  tenera  sono  rettangolari  o  trapezio  (media  m.  2,15 
X  2,30  X  1,20  X  1,90  alt.)  con  porta  sbarrata  da  lastrone  di  pietra  selvaggia  o  da 
maceria,  e  preceduto  sempre  da  un  grandioso  atrio  o  padiglione  (veggasene  un  bello 
esempio  a  fig.  1).  La  cella  ha  banchine  che  corrono  lungo  due,  tre  ed  anche  quattro 


LOKROI-iEPIZKPHYRIOI 


—    320    — 


R  KG  IONE    III. 


lati,  0  contiene  cadaveri  distosi  o  lievemente  piegati,  in  numero  di  2  a  9.  Il  corredo 
consta  soprattutto  di  vasellame,  da  20  a  60  pezzi  per  ogni  cameretta,  vasellame 
che  in  parto  ripete  tipi  della  Sicilia  preellenica,  ed  in  parte  quelli  della  Cnma  ita- 
lica, della  valle  del  Sarno  e  di  Torre  Mordillo,  con  decisa  prevalenza  di  due  forme, 
l'anfora  pseudoVillanova  o  gli  scodelloni  ad  una  o  piìi  anso.  Ma  accanto  a  questo 
ricchissimo  vasellame  indigeno,  ho  anche  raccolto  vari  campioni  di  ceramiche  impor- 


Fio.  2. 


tate,  geometriche  ed  anche  zoomorfe,  del  periodo  dei  commerci  precoloniali,  che  pro- 
cedono e  preparano  la  fondazione  di  Locri  ;  però,  giova  notarlo,  non  un  solo  coccio 
protocorinzio. 

Tra  gli  oggetti  metallici  ricordo  anzitutto  le  lancie,  tutte  in  ferro,  meno  una  in 
bronzo;  ma  parecchie  altre  in  bronzo  erano  state  prima  rinvenute  in  gruppi  circostanti. 
Le  fibule  non  mancano  in  ogni  sepolcro  e  sono  tutte  in  bronzo,  all'infuori  di  un  solo 
esemplare  in  ferro,  ad  arco,  con  rivestimenti  di  osso,  legno  ed  ambra  ;  i  tipi  rappre- 
sentati non  sono  tra  gli  arcaicissimi,  una  sola  ad  arco  depresso,  e  per  lo  più  sono  a 
navicella  grande,  serpeggianti  ad  occhio  (taluna  di  codeste  colossale),  ed  a  quattro  dischi 
spirali.  Due  grandissimi  dischi  spirali  in  bronzo  (diam.  cm.  12)  furono  raccolti  sopra' 
un  cranio,  ed  altri  minori  altrove.  Gli  anelli  ornamentali  e  digitali  sono  per  lo  pi|t 
grossi  ;  di  bronzo  altresì  perlette  discoidali  ed  a  bottino,  bottoncini  e  cappelletto  eo- 
nicho,  frammenti  di  catenelle,  dei  torques,  armille  bracchiali  e  due  patere  a  calotta' 


REGIONE   IH.  —   321    —  I.OKROl    EPIZEPHYRIOI 

di  importazione.  Di  vetro  e  pastiglia  rarissime  perle  ed  uno  scarabeo  con  pseudo- 
greroglifici. 

Quasi  tutto  codesto  materiale  metallico  si  ha  nel  111  periodo  siculo  (M.  Pinoc- 
chito,  Pantalica  III,  ecc.),  e  qualche  tipo  di  fibula,  però  in  forma  più  raffinata  e  gentile, 
anche  nelle  più  arcaiche  tombe  di  Siracusa  e  di  Megara  Hyblaea.  Cronologicamente  la 
necropoli  abbraccia  il  IX  e  l'VlII  secolo,  ed  è  dubbio  se  si  estenda  ai  primi  del 
VII  secolo.  Essa  precedo  di  parecchio  la  fondazione  di  Locri,  e  forse  durò,  ed  in  ogni 
caso  per  pochi  anni,  anche  dopo  di  essa.  Che  popolazioni  siculo  vivessero  nella  Cala- 
bria attuale  lo  attesta  Tucidide  (VI,  2,  4),  ed  è  buona  fonte.  Ad  esso  si  aggiunge 
Polibio,  che  per  essere  stato  esatto  conoscitore  delle  antiche  tradizioni  locresi,  ci  ha 
tramandato  (XII,  5,  6)  particolari  notizie  sopra  un  trattato  di  reciprocità  intervenuto 
tra  i  fondatori  di  Locri  ed  i  Siculi  abitanti  su  quelle  colline,  trattato  a  cui  vennero 
meno  i  Greci.  Il  chiudersi  della  necropoli  che  io  ho  scoperta  alle  porte  di  Locri,  coin- 
cide cronologicamente  coU'impianto  della  città  greca;  ed  io  credo  che  essa  sia  una 
esatta  conferma  al  racconto  di  Polibio,  messo  in  dubbio  anche  nella  parte  sostanziale 
dallo  scetticismo  di  taluni  critici. 

b)  Santuario  di  Persefone.  —  Che  il  grande  santuario  nel  vallone  fra  i  colli 
Abbadessa  e  Mannella,  da  cui  proviene  la  ricca  serie  di  terrecotte  ora  al  Museo  di 
Taranto,  fosse  il  celebrato  santuario  di  Persefone,  credo  di  avere  a  sufficienza  dimo- 
strato in  due  miei  recenti  scritti  ('),  nel  primo  dei  quali  ho  anche  riferito  dei  vasti 
scavi  colà  eseguiti  nella  primavera  del  1908.  La  campagna  di  quest'anno  fu  diretta 
a  risolvere  gli  ultimi  dubbi  che  ancora  rimanevano  intorno  al  santuario  famoso,  il 
quale  era  un  téfieiog  senza  edifìcio  templare. 

Fu  ultimato  lo  sgombero  ed  il  denudamento  di  quanto  ancora  rimane  della  edi- 
cola 0  cella  del  tesoro,  col  suo  pozzetto  centrale  di  costruzione  perfetta  e  robustissima. 
Questa  edicola  tesauriaria  o  vero  drjtravQÓg,  era  di  tanto  appoggiata  al  piede  della 
Mannella,  che  si  sentì  il  bisogno  di  costruirvi  alle  spalle  un  solido  muro  di  sostegno, 
una  parte  del  quale  è  ancora  superstite.  Alla  fig.  2  vedesi  l'insieme  del  monumento, 
quale  esso  appare  a  sgombero  finito,  e  col  suo  pozzo  centrale  quadrato. 

Nella  frana  secolare  lentamente  ealata  dal  colle,  e  che  in  parte  aveva  coperto  il 
rudere,  e  ad  una  altezza  di  circa  4  m.  al  di  sopra  di  esso,  gli  scavi  di  quest'anno 
ci  restituirono  un  terzo  circa  di  un  labrum  o  bacino  marmoreo,  del  diametro  calcolato 
di  cm.  86  (corda  del  frammento  cm.  67  '/j),  di  cui  altri  frammenti  si  erano  ricupe- 
rati nella  precedente  campagna.  L'iscrizione  che  corre  lungo  Torlo,  comecché  mutila 
del  nome  del  dedicante  (fig.  3), 


a   TifiaQs'og  àvs'Orjxs  tài  ^eSn 


si  aggiunge  alla  scarsa  serie  di  quelle  (in  tutto  sei)  in  precedenza  ed  in  varie  epoche 
scoperte  nel  santuario,  togliendo  ogni  dubbio  sul  nome  della  dea  cui  esso  era  sacro. 

(')  Resoconto  sulla  terza  campagna  di  tcavi  locresi,  in  Bollettino  d'arte  del  Ministero  della 
P.  /.,  1909;  Appunti  di  protostoria  e  storia  locrese,  nel  volume  in  onoro  di  Giulio  Beloch.  Am- 
bedae  in  corso  di  stampa. 

Notizie  Scavi  1909  -  Voi.  VI.  42 


LOKROI   BPIZEPHYRIOI 


—   322    — 


RBOIONB  III. 


Oltre  i  lavori  di  sgombero  e  di  isolameuto  definitivo  del  Thesaiuon,  compreso 
lo  spostamento  di  una  piccola  strada,  si  proseguì  la  esplorazione  della  grandiosa  fossa 
di  scarico,  interposta,  lungo  il  vallone,  fra  il  muro-argine  ed  il  muro-briglia.  Però 
la  raccolta  di  terrecotte  plastiche,  di  frammenti  di  pinakes,  o  di  minuti  oggetti 
metallici,  fu  in  quest'anno  assai  meno  copiosa  che  non  nella  campagna  del  1908,  né 
uscirono  tipi  i  quali  non  fossero  per  quella  noti.  Rimane  ora  a  sgomberare  un  ultimo 


FiG.  3. 


tratto  della  grandiosa  fossa,  dopo  di  clie,  il  sacro  lemenos  di  Persefone  si  deve  rite- 
nere esaurito. 

e)  Scoperta  di  un  piccolo  santuario  di  Athena.  —  Sulla  diramazione  orientale 
della  Mannella,  dove  essa  si  stonde  in  una  pianeggiante  terrazza,  cinta  dal  muro 
urbano,  che  sovrasta  la  rientranza  del  vallone  Polisa,  mi  venne  fatto  di  scoprire  le 
tracce  di  un  altro  piccolo  santuario  dedicato  ad  Atena.  Di  guisa  che  nella  ricostru- 
zione del  panorama  monumentale  di  Locri,  noi  dovremo  concepire  questo  sacro  colle 
della  Mannella,  forte  per  natnra  e  per  muri  poderosi,  così  come  una  acropoli,  forse 
collegata  alla  Badessa,  posta  sotto  il  patrocinio  delle  due  principali  divinità  poliadi, 
affermate  anche  dalle  monete,  Persefone  ed  Atena. 

Il  santuario  di  Atena  era  però  assai  più  modesto  dell'altro,  e,  causa  il  dilava- 
mento secolare  del  colle,  arido  e  disalberato,  non  che  per  la  caccia  feroce  data  dai 
villani  alle  pietre,  era  ridotto  anche  ai  minimi  termini.  Esso  aveva  il  suo  temenos,  eoa- 


REGIONE    III.  —    323    —  LOKROl    EPIZEPHYRIOI 

fmante  colle  mura  di  oriente,  lungo  le  quali  si  trovò  un  discreto  numero  di  piccole 
terrecotte,  rappresentanti  Atena  coU'elmo  e  l'egida,  tutte  di  arte  sviluppata.  Negli 
ultimi  giorni,  e  dopo  una  serie  di  tasti,  credo  di  aver  anche  trovato  nel  centro  della 
terrazza  le  fondazioni  del  tempietto,  una  cella  forse  in  antis,  ma  senza  peristilio,  il 
cui  sgombero  definitivo  ho  riservato  alla  prossima  campagna.  In  ogni  modo,  se  i  ri- 
sultati non  sono  stati  in  questo  punto  grandiosi,  né  è  presumibile  lo  sieno  in  avve- 
nire, noi  abbiamo  acquisito  alla  topografia  locrese  un  nuovo  santuario,  ed  una  ri- 
stretta serie  di  terrecotte  coi  simboli  specifici  di  Atena,  terrecotte  tanto  più  rare,  in 
quanto  la  stessa  acropoli  di  Atene  ce  ne  è  stata  singolarmente  avara  (Winter,  Typen, 
I,  pag.  44  e  segg.). 

d)  Necropoli  arcaica  ed  ellenistica.  —  Sulla  ubicazione  delle  necropoli  lo- 
cresi  siamo  informati  solo  per  dati  indiziali,  derivanti  dai  lavori  agricoli  e  da  qualche 
casuale  scoperta.  E  per  la  controversia  cronologica  dell'origine  di  Locri  sarebbe  di 
grande  giovamento  la  piena  conoscenza  della  necropoli  arcaica  e  della  ceramica  che 
essa  racchiudeva.  Gli  è  perciò  che  in  questo  anno  io  presi  in  esame  un  gruppo  di 
sepolcri,  che  si  avvertivano  a  piccola  profondità  nel  declive  alluvionale  della  col- 
lina che  scende  da  Moschetta,  e  precisamente  nella  contrada  denominata  Monaci, 
sotto  Moschetta,  e  ne  esplorai  34.  La  maniera  di  costruzione  di  queste  tombe,  come 
l'epoca  loro,  è  svariata,  perocché  abbiamo  qui  una  necropoli  del  VII  secolo,  nella  cui 
area  si  è  poi  installata  un'altra  necropoli  ellenistica. 

Le  tombe  più  arcaiche  sono  a  dolio,  per  fanciulli  e  bambini,  od  a  cassetta  di 
rozze  lastre  per  adulti  ;  ed  è  da  notare  che  i  dolii  e  le  anfore  globari  sono  identiche 
ai  tipi  di  Gela  e  di  Megara  Hyblaea,  persino  nella  struttura  dei  manichi.  La  ceramica 
raccolta  in  piccola  quantità  è  protocorinzia,  e  viene  rappresentata  dalle  lekythoi  co- 
niclie  a  collo  esile,  e  dalle  piccole  lekythoi  cuoriformi  geometrico-zoomorfe.  Mancando 
gli  esemplari  globulari  più  arcaici  del  tipo  del  Fusco,  come  il  corinzio  sviluppato  col- 
l'aryballos  ed  il  e.  d.  bombylios,  credo  esatta  la  mia  datazione  col  sec.  VII.  Ma  il 
numero  delle  tombe  esplorate  è  ancora  troppo  esiguo,  per  emettere  un  giudizio 
definitivo. 

Le  tombe  del  secolo  IV  e  le  ellenistiche  sono  in  numero  prevalente;  constano  di 
fosse  in  nuda  terra,  o  di  tegole  a  cappuccina,  o  di  cassette  a  costruzione  mista  di 
mattonacci  e  pietra,  od  in  fine  di  casse  a  rozzi  lastroni;  il  loro  contenuto  è  povero, 
nò  hanno  dato  sin  qui  vasi  dipinti.  Sicché  il  problema  delle  necropoli  locresi,  al 
quale  si  connettono  tanti  quesiti  di  cronologia  e  di  arte  industriale,  resta  sempre 
affidato  alle  campagne  avvenire. 

e)  Scarico  di  terrecotte  architettoniche.  —  Ricordavo  d'aver  segnalato,  or  sono 
18  anni,  uno  scarico  di  terrecotte  architettoniche  dipinte,  lungo  il  grande  muro  ur- 
bano settentrionale  che  attraversando  la  piccola  piana  di  Marazà,  lega  il  piede  delle 
colline  col  mare.  Allora  mi  era  stata  vietata  qualsiasi  esplorazione  in  quel  luogo, 
ma  adesso,  eliminati  gli  ostacoli,  mi  fu  dato  di  esaurire  anche  questo  punto  del  pro- 
gramma locrese. 

Siccome  queste  terrecotte,  totalmente  ridotte  in  piccoli  frammenti,  si  trovano  di- 
stribuite non  a  mucchi,  ma  a  strati  lungo  la  linea  interna  del  muro  urbano,  dove  cer- 


LOKROI    EPIZEPHYRIOI 


324    — 


REGIONE   III. 


tatnente  correva  una  strada,  pare  che  abbiano  servito  ad  imbrecciare  questa  via,  che 
correva  su  terreno  mobile  e  sabbioso.  E  siccome  qui  siamo  in  vicinanza  del  gran 
tempio,  da  cui  lo  scarico  dista  appena  400  m.,  è  verosimile  che  tutto  questo  mate- 
riale provenga  dalle  demolizioni  del  tempio  arcaico  in  legno.  A  corroborare  tale  ipo- 
tesi giova  rammentare,  che  nei  vastissimi  scavi,  eseguiti  negli  anni  1889  e  1890  in 

ogni  senso,  dentro  ed  attorno  al  tempio, 


IT  E  I  p  e  o  I 
ìe  kat  vf 

if^iAIN  ETOSI 

/v»  j<omaxov| 


si  rinvennero  due  soli  frammenti  di  terre- 
cotte  architettoniche,  mentre  d'ordinario 
essi  si  raccolgono  a  centinaia  nell'area 
circostante  ai  templi  arcaici  o  distrutti 
0  trasformati.  Tale  assenza  sembra  denoti 
che  tutte  le  piastre  fittili  di  rivestimento 
del  tempio  in  legno  non  furono,  come 
d'ordinario,  abbandonate  sul  posto,  ma 
vennero  raccolte  ed  altrove  esportate; 
donde  la  probabilità  che  almeno  una 
parte  di  esse,  le  più  frammentate,  sieno 
state  adibite  ad  imbrecciare  la  via  di 
circonvallazione  interna. 

Come  arte  questi  frammenti,  che 
facevano  parte  della  sima,  del  geison  e 
delle  cassette,  presentano  le  stesse  for- 
me, gli  stessi  motivi  ornamentali  delle 
siceliote  di  Selinunte,  Gela  e  Siracusa; 
solo  parmi  che  il  modulo  dei  pezzi  sia 
più  modesto,  e  più  stentato  il  disegno. 
Tra  esse  ho  anche  segnalato  qualche  trac- 
cia di  figure  plastiche;  un  orecchio;  e 
poi  l'artiglio  e  la  coscia,  forse  anche  il 
petto,  di  un  grande  rapace,  eseguiti  con 
molto  naturalismo.  Questo  modesto  nucleo  di  placche  architettoniche  arcaiche,  insieme 
cogli  imponenti  esemplari  di  Gioia  Tauro  {Notizie,  1902,  pag.  128)  e  con  qualche  fram- 
mento reggino,  gioverà,  se  debitamente  illustrato,  a  stabilire  i  punti  di  contatto  e 
di  divergenza  fra  l'ornamento  dell'architettura  lignea  italiota  e  quello  della  siceliota. 
f)  Nuova  iscrisione  del  saaluario  di  Perse fone.  —  Al  Museo  Comunale  di  Reggio 
sono  pervenuti  negli  ultimi  anni  per  acquisto  i  resti  della  collezione  Carboue-Grio, 
il  meglio  della  quale  era  però  stato  venduto  alla  spicciolata  dal  proprietario  ancora 
in  vita.  Tra  quegli  oggetti  da  me  ripetutamente  esaminati  prima  del  disastro,  uno 
me  ne  era  sfuggito,  perchè  collocato  senza  indicazioni  in  luogo  riposto  della  saletta 
epigrafica;  e  questo  ora,  dopo  la  ripresa  degli  scavi  di  Locri,  assurge  ad  importanza 
speciale,  in  quanto,  per  esplicita  dichiarazione  del  tìglio  del  prof.  Carbone-Grio,  pro- 
viene da  Locri,  e  precisamente  dall'unica  contrada,  che  nell'ultimo  decennio  ha  for- 
nito, ancor  prima  della  ripresa  degli  scavi  ufficiali  nel  1908,  tanto  e  sì  svariato  mst» 
teriale. 


FiG.  4. 


REGIONE    III. 


—   325    — 


LOKROI    EPIZEPHYRIOI 


È  un  alto  ed  esile  cippo  rettangolare  (tìg.  4),  alquanto  rastremato,  in  calcare  bianco, 
con  grosso  zoccolo  al  piede,  da  piantare  nella  terra,  e  munito  in  testa  di  un  foro 
quadro  (ciu.  5X3X8),  nel  quale  era  infisso  e  saldato  il  donario.  Il  pilastro  mi- 
sura cm.  79  '/j  in  alt.  per  17  e  11  '/a  di  lato  in  alto;  lo  zoccolo  dà  invece  cm.  44 
X  39  X  17.  Nella  parte  superiore  è  inciso  a  letterine  nitide  e  precise  il  titolo  di 
cui  porgo  il  facsimile  (tig.  5),  e  la  cui  lezione  non  presenta  difficoltà:  Tf]  i^«T)  ótxàtt] 
KXsaCvszoi   Nixofiàxov. 


T  El  O  E  O  I 

/^E  KAT  H 

Kaeai/v  ETO^ 

^VKOMAXOY 


FiG.  5. 


Mettendo  in  connessione  questo  nuovo  testo  coi  quattro  altri  da  me  raccolti  in 
0.  e,  e  tutti  provenienti  dal  grande  santuario  esplorato  negli  scavi  del  1908  e  1909, 
non  può  sorgere  dubbio  che  la  divinità  muliebre,  cui  era  sacro  il  cippo  ed  il  donario 
da  essa  sorretto,  non  sia  quella  UsoKfóva  dell'elmo  ora  napoletano  (Roehl,  Imagines, 
538),  da  identiticare  colla  Persefone  delle  fonti  letterarie,  che  ricordano  il  celebre 
tempio  locrese. 

In  ordine  di  tempo  questo  testo  epigrafico  è  il  più  recente  di  tutti  gli  altri, 
ma  in  ogni  caso  non  scende  sotto  la  metà  del  sec.  V  :  lo  dice  la  forma  delle  lettere, 
ed  il  ufi  per  tqc.  Questo  Cleaineto,  che  offre  alla  dea  un  oggetto,  probabilmente  in 
bronzo,  fissato  al  piedistallo,  e  rappresentante  la  decima  del  valore  di  un  prodotto, 
dovuto  alla  benevola  protezione  della  dea,  non  ha  voluto  specificarne  la  natura: 
quindi  non  sappiamo  se  fosse  la  decima  di  rendite  agricole  o  commerciali,  o  di  bot- 
tino di  guerra,  di  una  sostanza  o  d'altro;  ma  data  l'indole  della  divinità,  le  proba- 
bilità maggiori  stanno  per  una  decima  sulla  rendita  del  suolo.  Frequente  ora  l'uso 


LOKROI    EPIZEPHYRIOl 


326    — 


REGIOUE    m. 


di  destinare  alla  divinità  da  parte  dello  Stato,  della  nóhg  o  del  prìncipe  la  decima 
del  bottino  di  guerra,  la  dsxavrj  ànò  tS)v  nolf/iiuv,  ma  più  di  rado  ciò  avviene  da 
parte  di  un  semplice  cittadino,  che  per  lo  piìi  offre  VànaQXV  ^^^  frutto  della  sua 
terra.  Caso  analogo  al  nostro  è  la  scure  in  bronzo  di  s.  Agata  di  Calabria  (Kaibel, 
643)  offerta  come  decima  ad  Hera  da  un  Kyniskos;  una  statuetta  dedicata  ad  Atliena 
da  un  Phillone  di  Paestum  (Kaibel,  664).  Infine  vale  come  esempio  insigne  la  ce- 
lebre statua  nota  sotto  il  nome  di  Apollo  di  Piombino,  pure  offerta  come  decima  ad 
Athena  da  un  certo  Charidamos  (Kaibel,  2274).  Quale  fosse  il  dono  presentato  da 
Cleaineto  non  sappiamo  con  precisione,  ma  tutto  induce  a  credere  che  fosse  una  sta- 
tuetta di  bronzo;  e  noi  restiamo  col  rammarico  di  non  possedere  questo  bel  bronzo 
artistico,  che  la  pietà  di  un  cittadino  riconoscente  aveva  offerto  alla  divinità  po- 
liade  di  Locri. 

g)  Timbri  enei  di  Locri.  —  Non  è  frequente  imbattersi  in  timbri  {signacula)  ori- 
ginali di  bronzo,  adibiti  a  segnare  le  grosse  terrecotte  ed  in  particolare  le  tegole. 
Sono  in  grado  di  pubblicarne  qui  due,  di  accertata  provenienza  locrese. 

Il  primo  è  proprietà  del  quasi  centenario  mona.  Raffaele  Morisciano,  vescovo  di 
Squillace  a  riposo,  residente  a  Bovalino;  è  della  solita  forma  rettangolare  (cm.  7X3), 
con  occhiello  nel  rovescio  e  con  nitide  lettere  del  tempo  dei  Flavii 

C  FLAVII 
CORINTHI 

industriale  fin  qui  sconosciuto. 

Il  secondo  trovato  presso  la  Torre  di  Gerace,  fu  da  me  acquistato  per  il  futuro 
Museo  Nazionale  di  Reggio,  misura  cm.  7  '/»  X  2  V^  »  ha  perduto  l'occhiello,  e,  at- 


FiG.  6. 


tesa  la  forma  delle  lettere  (tìg.  6)  è  posteriore  al  precedente. 
Anche  questo  personaggio  ò  sconosciuto. 


REGIONB   m.  —   327   —  CADLONIA 


VII.  CAULONIA  —   Titolo  greco  di  origine  attica. 

Qiia.NÌ  tutto  le  città  della  Mfigna  Grecia  attendono  ancora  il  loro  esploratore,  e 
di  talune  nemmeno  si  conosce  l'iibicaziono  ed  il  sito  preciso.  Tale  è  il  caso  di  Cau- 
lonia,  intendo  dire  della  Caulonia  antica,  perchè  il  nome  applicato  alla  cittadina 
moderna  nella  valle  dell' AUaro  e  distante  dalla  costa  una  diecina  di  km.,  è  un  bat- 
tesimo arbitrario,  che  data  da  mezzo  secolo,  col  quale  si  pretese  tagliare  nettamente 
una  questione  topografica,  mentre  non  si  è  fatto  che  vieppiù  imbrogliarla.  Infatti 
il  forestiero  che  sale  alla  Caulonia  moderna,  crede  di  trovarvi  in  prossimità  i 
ruderi  dell'antica;  ma  la  neo-Caulonia  chiamavasi  nelle  carte  medioevali,  e  fino 
al  18G0  Castel  Vetere,  e  la  nuova  denominazione  non  fu  che  l'accaparramento  di 
una  discutibile  gloria  storica,  poiché  se  i  neo-cauloniati  affennano,  senza  tema  di 
smentita,  che  la  città  antica  sorgeva  a  M.  Foca  nel  loro  territorio,  le  mine  e  la  ne- 
cropoli che  colà  esistono,  per  quanto  non  ancora  studiate,  sembrano  di  assai  tarda 
età,  né  autorizzano  a  collocarvi  la  città  achea.  In  fatto  altri  studiosi  di  antica  topo- 
grafia la  spostano  assai  più  a  nord,  fra  lo  sbocco  dell'Assi,  e  dello  Stilare,  a  levante 
di  Monasterace,  dove  nelle  contrade  Castello  e  Fontanelle  si  è  effettivamente  rinve- 
nuto molto  materiale  arcaico,  come  é  arcaico  quello  scoperto  al  faro  di  Capo  Stilo 
e  da  me  illustrato  (').  Con  ciò  io  sostengo,  che  la  questione  del  sito  di  Caulonia  ri- 
mane sempre  aperta,  e  si  avvierà  ad  una  soluzione  definitiva,  solo  allorquando  si  fa- 
ranno minuziose  ricognizioni  e  scavi  di  prova  in  quel  tratto  non  lungo  della  costa 
calabrese,  che  va  dallo  sbocco  dello  Stilare  a  quello  dell'AUaro;  il  che  è  segnato 
nel  programma  della  prossima  campagna. 

Interviene  ora  nella  vexata  quaestio  un  nuovo  documento,  in  apparenza  di  va- 
lore decisivo,  ma  che  risulta  negativo  dopo  maturo  esame.  Avendo  visitato  nello 
scorso  giugno  la  neo-Caulonia,  per  vedere  se  e  quanto  di  antico  vi  fosse  stato  rac- 
colto dalla  circostante  campagna,  mi  convinsi  che  essa  trae  origine  da  un  castello 
bizantino  o  normanno  in  fortissima  posizione,  il  quale  dal  sec.  XVI  si  sviluppò 
in  una  florida  borgata  (*).  Dalle  brave  ed  erudite  persone  del  luogo,  parroco 
David  Prota,  e  barone  E.  Asciutti,  appresi  che  in  paese  eelavasi  e  gelosamente  cu- 
stodivasi  da  due  vecchie  signore,  un  marmo  scritto  e  scolpito,  che  mercè  l'intervento 
di  quegli  egregi  signori  riuscii  finalmente  ad  esaminare.  Sopra  una  delle  faccio  esso 
presenta  lo  stemma  dei  Caraffa  di  Roccella  (targa  a  tre  fascio  attraversata  obliqua- 

(')  Notizie,  1891,  pag.  61  e  segg.  Dei  vecchi  scrittori  il  Corcia,  Storia  delle  due  Sicilie, 
voi.  Ili,  pag.  221,  colloca  Caulonia  a  M.  Foca.  Invece  il  Crea,  Dimostrazione  del  sito  dell'antica 
Caulonia  (Napoli,  1826)  la  mette  presso  C.  Stilo-Monasterace.  Il  Lenormant  studiò  la  questione,  ma 
non  arrivò  a  pubblicare  i  risultati  cui  era  pervenuto.  Né  io  ho  potuto  consultare  il  Marincola-Pi- 
stoja  D.,  Di  Caulonia  repubblica  della  M.  Grecia  (Catanzaro,  1826).  Le  ruine  di  M.  Foca,  da  me 
non  ancora  visitate,  furono  giudicate  di  età  tarda  dallo  Swinbumé,  Travels,  voi.  I,  pag.  339  ;  e 
greco-tarde  sono  le  ceramiche  di  là  provenienti  da  me  viste  a  Caulonia. 

(')  Il  parroco  David  Prota  di  Caulonia  attende  da  anni  ad  una  storia  accurata  e  documentata 
di  C.  Vetere,  storia  la  cui  pubblicazione  auguriamo  avvenga  con  sollecitudine. 


CÀULONIA 


—  328  — 


REQIONB    III. 


mente  da  una  sega),  scolpitovi  nel  Cinquecento,  quando  la  pietra  venne  adibita  come 
impresa  di  signoria,  e  collocata  sopra  una  della  porte  del  borgo,  la  porta  Amusa, 
donde  venne  tolta  verso  il  1852,  quando  quella  porta  fu  distrutta.  In  quella  occa- 
sione, abbassatosi  lo  stemma  e  scopertosi  il  titolo  ed  il  rilievo  del  lato  opposto,  esso 
fu  alla  chetichella  sequestrato  e  tenuto  celato  per  oltre  mezzo  secolo  ('). 


l' AAAIE T¥T0TAlnnOYTOYPH2:  I?' 
M AXO Yr  A  !>  T'^IT  T I OY TY  N  W  A  AY 
A 1 1<  hlKAl  E  Y  T...W  lAT  O  E  n  I ZTA  MA 


La  lastra  di  marmo  greco,  di  cm.  71  X  55  '/«  X  9  di  spessore,  esibisce  nella 
faccia  originale  una  edicola  sormontata  da  un  fregio  scritto  e  da  timpano  ad  acro- 
teri;  nel  portale  si  osserva  una  figura  muliebre  di  prospetto,  chiusa  nel  chitone  ta- 
lare e  nell'himation,  al  cui  lato  destro  una  bambina  offre  qualche  cosa  volgendo  lo 
sguardo  in  alto.  La  figura  in  parte  abrasa  non  presenta  finezze  artistiche.   Il  testo, 


(')  Causa  la  pessima  luce  dell'ambiente  non  è  riuscita  una  fotografìa  che  io  devo  alla  cortesia 
dell'iiig.  G.  Abatino,  dell'Ufficio  dei  monumenti  di  Napoli,  dalla  qnale  fu  fatto  trarre  l'unito  disegno, 
controllando  l'epigrafe  sul  mio  apografo.  ' 


REGIONE   III.  —  829   —  CADLOHIA 

chiaro,  dico:  KnXlfffTij  (PiXinrcov  tov  ' Pij(ftfiaxov  raQystriov  yi'»'/,  yiavói'xr]  xal 
Evrvxia  tò  sTtiffra/ia.  Cioè:  Callisto,  moglie  di  Filippo,  figlio  di  Resimaco,  del  demos 
Gargettio  (').  Laudiko  ed  Eutychia  (posero)  la  stele. 

Il  contenuto  di  questo  titolo  funebre  è  molto  sorprendente,  dato  il  luogo  dove 
esao  viene  alla  luce.  Il  mio  amico  prof.  F.  Halbherr,  il  valente  epigrafista  greco 
dell'Ateneo  Romano,  mi  fa  osservare  che  «  l'iscrizione  è  attica,  e  propria  di  Atene. 
«  Se  non  fosse  di  Atene  dovrebbe  essere  di  una  cleruchia  attica;  ma  non  consta  che 
«  in  Calabria  vi  fossero  cleruchie  attiche.  Soltanto  nell'Attica  e  nelle  clenichie  gli 
«  Ateniesi,  vivi  o  morti,  si  chiamano  col  loro  demos.  Fuori  dell'Attica  si  chiamano 
a  'À&ìjvaTog,  'A&Tqvttìoi.  Nell'iscrizione  il  Filippo,  figlio  di  Resimacho,  si  chiama  Gar- 
«  gettio,  cioè  del  demos  attico  di  Gargettos  {demos  della  tribù  Aegels,  più  tardo 
«  della  Autigonis).  Quindi  la  sua  moglie  Calliste  è  morta  nell'Attica  od  in  una  cle- 
«  ruchia,  ed  ivi  è  stata  sepolta  e  sul  suo  sepolcro  è  stata  eretta  la  stele  o  pietra 
«  sepolcrale,  tò  iniacjjna  n.  Se  non  che  in  un  testo  epigrafico  attico,  quale  è  il 
nostro,  è  una  stonatura  la  forma  dorica  ènCatufiu  per  iniatr^^a,  come  sembra  al- 
quanto inusitata  la  menzione  del  ricordo  funebre. 

Le  forme  paleografiche  A  ,  H  ,  /A  indicano  di  già  tempi  tardi,  posteriori  al 
sec.  IV  a.  C,  con  che  conviene  la  riquadratura  architettonica  della  pietra,  lo  stile 
delle  figure,  e  la  povertà  del  lavoro  scultorio  non  che  del  modellato  ('). 

Ma  donde  proviene  il  marmo?  Mistero  completo.  L'unica  contrada  poco  discosta 
da  Castel  Vetere,  che  fornisse  materiale  antico,  era  M.  Foca,  e  saremmo  a  tutta  prima 
indotti  a  supporre,  che  di  là  sia  stato  tratto  nel  sec.  XVI  il  nostro  pezzo.  Ma  dato 
e  non  concesso  che  a  Foca  esistesse  l'antica  Caulonia,  dato,  in  via  di  mera  ipotesi, 
che  di  là  sia  stata  tratta  la  pietra,  essa  dimostrerebbe  che  a  Caulonia  nel  sec.  Ili, 
od  al  più  nel  IV,  esisteva  una  clenichia  attica.  Ma  questa  circostanza  della  storia 
interna  della  città  è  suffragata  da  prove  dirette  o  per  lo  meno  indirette?  Io  credo 
di  no.  A  noi  non  consta  di  cleruchie  dedotte  in  città  siceliote  od  italiote.  E  per 
quanto  la  storia  di  Caulonia,  al  paro  di  quella  di  molte  delle  minori  città  della 
M.  Grecia  sia  oscura  e  lacunosa,  tuttavia  si  può  delineare  nei  tratti  generali.  Noi 
sappiamo  che  essa  fu  presa  e  spopolata  da  Dionigi  nel  389,  saccheggiata  ai  tempi 
di  Pirro  e  distrutta  dai  Romani  nella  seconda  guerra  punica,  dopo  di  che  scompare, 
si  può  dire,  dalla  storia.  I  cleruchi  erano  dei  coloni  che  mantenevano  i  diritti  citta- 
dini della  metropoli  (^)  ;  l'ammettere  ora  la  deduzione  di  coloni  attici  a  Caulonia  nel 


e)  Sili  ifi/xog  in  genere  veggasi  il  denso  articolo  del  von  Schoeffer,  in  Pauly's-Wissowa,  Real 
Encyklop.  der  class.  Altertumswissenschaft,  voi.  V,  pag.  1  e  segg.;  e  per  il  D.  Gargettio,  pagg.  53-54. 

(')  La  forma  del  nostro  monumento  presenta  qualche  lieve  variante  in  confronto  di  quella 
delle  stele  attiche  a  pilastro  rastremato.  Forse  è  una  novità  l'arco  sorretto  dalle  colonnine,  di  solito 
sostituite  da  pilastrini,  che  però  ritrovo  in  una  stele  di  Rhencia  (Le  Bas,  Voyacje  archéologique 
en  Orice,  ed.  Keinach,  tav.  116).  Invece  sono  frequenti  rosette  e  rosoni  negli  Altische  Grabreliefs 
(p.  e.,  nn.  620,  924,  1167,  1318,  1467-69);  nei  quali  troviamo  anche  scene  analoghe  alla  nostra 
(nn.  871,  872.  875,  888).  In  complesso  adunque  composizione  ed  ornamentazione  sono  quelle  del- 
l'Attica. 

(')  Schoem.ann-Lipsius,  Griech.  Alterthùmer,  IV  ed.,  voi.  II,  pag.  98  e  segg. 

NoTiziB  ScATi  1909  —  Voi.  VI.  43 


TERMINI    IMERESE  —   330   —  SICILIA 

IV  0  nel  III  secolo  è  semplicemente  un  assurdo  storico;  dunque  il  marmo  non  pnò 
venire,  né  da  M.  Foca,  né  da  Caulonia,  né  da  qualsiasi  città  greca  della  Calabria 
attuale,  dunque  la  sua  origine  calabrese  va  assolutamente  esclusa.  E  poiché  questo 
monumento  presenta  note  stilistiche  ed  epigi-afiche  attiche,  anzi  ateniesi,  converrà 
meglio  pensare  che  esso  sia  stato  portato  dalla  Grecia  in  Calabria,  forse  nella  seconda 
metà  del  sec.  XV,  quando  sciami  di  Greci  e  di  Albanesi  vennero  appunto  a  stabi- 
lirsi in  Calabria. 

La  cosa  non  è  inverosimile,  ed  è  anzi  confortata  da  un  precedente  in  tutto  ana- 
logo. I  Catanzaresi  avevano  ab  immemorabili  murato  nel  loro  palazzo  municipale  un 
titolo  greco,  che  con  molta  religione  consideravano  siccome  unico  e  prezioso  docu- 
mento dell'origine  greca  della  loro  città,  la  quale,  come  è  noto,  trae  invece  le  ori- 
gini dai  tempi  bizantini.  Ebbene;  fu  il  Lenormant  che  brutalmente  venne  a  rompere 
l'antica  e  vieta  tradizione,  durata  parecchi  secoli,  dimostrando  (')  che  quel  titolo  non 
era  brettio,  ma  attico,  anzi  ateniese,  importato  a  Catanzaro  da  persone  ed  in  epoche 
indeterminabili.  Il  titolo  di  Castel  Vetere  é  un  caso  al  tutto  analogo  ;  esso  non  è 
calabrese,  e  nulla  ha  che  vedere  colla  brettia  Caulonia. 

P.  Orsi. 


SICILIA. 

Vili.  TP]RMINI  IMERESE  —  Antico  anfiteatro. 

Un  blocco  di  pietra,  bene  squadrato  e  collocato  nella  cantonata  di  una  fabbrica 
nell'interno  del  monastero  di  s.  Marco  in  Termini  Imerese,  porta  scolpita  con  note- 
vole accuratezza  l'iscrizione  seguente: 

Delle  sobelle 
mìe   profondo 

Kfì    AMPIO 

FABniCATO    È  QVl 

SOTTO  ANTICO 

TEMPIO 

1735 

E  nel  manoscritto  di  Giovanni  Andrea  Guarino  (Reclusorio  di  s.  Pietro,  pag.  C), 
posseduto  dalla  Liciniana  di  Termini  è  detto  che  quella  iscrizione,  in  cui  la  pietra 
stessa  parla  ricordando  lo  sorelle  sue  rimaste  sotterra,  fu  fatta  porro  dall'architelto 
sacerdote  Filippo  Mola,  perché  rimanesse  la  memoria  di  un  bel  tempio  incontrato 
scavandosi  le  fondazioni  di  alcune  fabbriche  del  monastero,  tempio  che  si  credette 

(•)  La  Grande  Orèce,  voi.  II,  pagg.  271-273.  *= 


SICILIA  —    331    —  TERMINI    IMERESE 

appartenente   alla   Meschita    degli    Ebrei,   i  quali  aveano    in   quel    posto   la    loro 
sinagoga. 

Per  ragioni  speciali  di  opportunità  mi  è  parso  conveniente  di  chiarire  quanto  vi 
fosso  di  vero  in  quelle  tradizioni,  confortate  da  recenti  trovamenti  di  sotterranei  con 
colonne  e  con  pezzi  antichi,  avvenuti  in  quei  paesi.  Sicché,  ottenuto  il  consenso  del 
Municipio,  cui  è  stato  devoluto  il  monastero,  il  27  di  settembre  scorso  principiai  uno 
scavo  in  prossimità  della  iscrizione.  Cominciarono  subito  a  venir  fuori  fabbriche  di  solida 
ed  accurata  opera  romana,  le  quali  non  hanno  nulla  da  vedere  con  antichi  templi  o  con 
la  sinagoga,  ma  appartengono  evidentemente  all'antico  antiteatro  termitano,  monu- 
mento poco  noto,  i  cui  avanzi,  più  o  meno  malmenati,  si  trovano  sparsi  fra  le  case 
e  le  vie  contigue  e  furono  investigati  da  un  benemerito  erudito  terminese,  Baldas- 
sarre Romano,  il  quale  tentò  di  ricomporne  una  pianta  generale  (B.  Romano,  Anli- 
chilà  termitane,  Palermo,  1838). 

I  miei  scavi,  principiati  il  27  settembre,  con  l'assistenza  dell'ispettore  dei  mo- 
numenti prof.  Saverio  Ciofalo,  si  svolgono  presentemente  in  una  zona  libera  di  fab- 
briche, che  è  un  cortile  fra  l'edilìzio  del  monastero  e  il  muro  di  chiusura  dello 
stesso,  ed  hanno  già  dato  risultati  tali  da  servire  di  sicura  base  alla  conoscenza  del- 
l'edifizio  romano  e  ad  una  sua  completa  ricomposizione. 

Sono  ritornate  all'aperto  due  fila  di  piloni  piantati  su  zone  ellittiche  di  accu- 
ratissima muratura,  ed  attualmente  si  lavora  allo  sgombro  del  primo  maenlanum  e 
del  podium.  Nella  parte  inferiore  le  fabbriche  hanno  filari  di  massi  squadrati  con 
grande  precisione,  ai  quali  si  sovrappone  la  muratura  ad  opera  incerta.  Un  pilone 
ha  per  base  un  blocco  enorme  di  m.  1,76  di  lunghezza  per  m.  1,26  di  altezza  ed 
un  metro  di  profondità.  Nell'interno  di  un  pilone  è  addossata  una  colonna  composta 
di  dischi  di  pietra. 

Sotterrati  questi  avanzi  da  parecchi  secoli  nei  cortili  e  nel  giardino  del  mona- 
stero, mostrano  una  notevole  freschezza  di  conservazione,  la  quale  non  si  trova,  pur 
troppo,  nelle  altre  disiecta  membra  dell'anfiteatro  termitano,  che  rimangono  esposte 
nelle  strade  e  nelle  case  ad  ogni  sorta  di  danni  ed  alle  ire  dei  privati  e  fino  a 
quelle  delle  pubbliche  autorità  che  avrebbero  dovuto  tutelarne  la  conservazione. 

Si  è  già  iniziato  il  rilievo  di  una  pianta,  la  quale  renderà  possibile  un'esatta 
descrizione  dello  scavo  eseguito  o  mostrerà  l'insufiBcienza  dello  schizzo  pubblicato  dal 
Romano. 

A.  Salinas. 


SARDARA  —  332    —  SARDINIA 


SARDINIA. 

IX.  SARDAB,A  —  Scoperta  di  una  necropoli  di  età  romana  in  re- 
gione «  Masone  Oneddu  « . 

Nei  primi  dello  scorso  mese  di  giugno,  certo  Luigi  Atzori  Serra,  di  Sardara, 
eseguendo  i  lavori  per  lo  scasso  delle  vigne  in  regione  ^  Masone  Oneddu  »,  a  circa 
tre  chilometri  a  sud-est  del  villaggio  di  Sardara,  metteva  allo  scoperto  alcuue  tombe 
di  età  romana.  La  Direzione  del  R.  Museo  di  Cagliari,  fu  avvertita  della  scoperta 
dal  signor  Sindaco  del  Comune,  cav.  Ernesto  Diana,  che  aveva  con  opportune  indagini 
assodata  l'entità  del  rinvenimento;  e  così  potei  praticare  una  rapida  indagine,  per 
accertare  i  dati  raccolti  dalla  scoperta  fortuita  e  dalla  diligenza  del  colto  e  cortese 
cav.  Diana. 

La  necropoli  si  trova  sopra  un  leggiero  rialzo,  una  dello  prime  ondulazioni  che 
si  elevano  al  di  sopra  della  pianura  del  Campidano,  ai  cui  limiti  è  appunto  il  Co- 
mune di  Sardara,  ed  è  formata  da  una  serie  di  tombe  ad  inumazione,  scavate  con 
molta  regolarità  di  disposizione  nella  compatta  alluvione  formante  il  sottosuolo  del 
colle. 

La  disposizione  delle  tombe,  allineate  in  varie  file  sulla  superficie  o  sul  declivio 
occidentale  del  colle,  è  da  levante  a  ponente,  con  i  cadaveri  disposti  col  capo  a  po- 
nente ed  i  piedi  a  levante.  Le  fosse  sono  talora  coperte  semplicemente  da  lastre  di 
calcare  marnoso,  talora  rinforzate  ai  lati  ed  alle  testate  da  pezzi  di  lastre  vertical- 
mente disposte,  sopra  le  quali  si  posavano  le  lastre  di  copertura  ;  la  profondità  media 
di  queste  fosse  e  della  loro  copertura  era  di  m.  1,60.  Le  tombe  erano  segnate  da 
uno  scheggione  di  pietra,  fitto  nel  suolo  e  risaldato  con  una  o  due  altre  pietre  più 
piccole,  in  modo  che  molto  spesso  rimaneva  nella  posizione  originaria,  sporgente  di 
qualche  poco  dalla  superficie  del  campo,  dando  così  l'indicazione  della  giacitura  delle 
fosse.  Trattavasi  di  tombe  ordinatamente  disposte  con  un  piano  ordinato  e  prestabi- 
lito, poiché  i  saggi  praticati  in  varii  punti  del  colle,  nello  spazio  di  una  sessantina 
di  metri,  avevano  trovato  una  grande  uniformità  di  disposizioni. 

La  suppellettile  rinvenuta  consisteva  in  stoviglie  modeste  di  fabbricazione  locale, 
generalmente  tegami,  piatti,  coppe  di  imitazione  aretina,  anforette  e  balsamarii  in 
terracotta  molto  grossolana  ;  una  tomba  restituì  anche  qualche  balsamario  in  vetro,  un 
bicchiere  in  terracotta  molto  fine,  con  ornati  ad  impressioni,  ed  una  lucerna  mono- 
licne,  decorata  con  una  rozza  figure  di  leone,  ma  sprovvista  della  marca  di  fabbrica. 
Le  monete  in  bronzo,  che  generalmente  si  avevano  sul  petto  del  cadavere,  apparte- 
nevano ad  Augusto  (Cohen,  228).  ad  Adriano  (incerta),  a  Caracalla  (Cohen,  n.  197?) 
a  Giulia  Domna  (Cohen,  153). 

Per  meglio  accertare  i  dati  già  raccolti  l'egregio  signor  sindaco  fece  scavare  in 
mia  presenza  tre  tombe,  verso  il  limite  settentrionale  del  campo.  Eccone  in  breve 
i  dati. 


SARDINIA  —    333    —  SARDABA 

Tomba  I.  Fossa  semplice,  coperta  da  lastioni,  a  m.  1,60  di  profondità;  con- 
teneva un  cadavere  apparentemente  femminile;  per  suppellettile  funeraria,  un  tegame 
a  pareti  verticali  presso  il  capo,  una  brocchetta  monoansata,  un  balsamario,  una  lam- 
pada in  terracotta  monolicne,  con  una  rozza  figura  di  leone  o  di  orso  molto  guasta  : 
presso  i  fianchi  due  monetine  in  bronzo,  assai  consunte,  ma  evidentemente  piccoli 
bronzi  di  età  costantiniana. 

Tomba  IL  La  fossa  era  rivestita  e  ricoperta  di  lastre  di  calcare,  a  m.  1,70  di 
profondità,  ed  il  posto  ne  era  indicato  da  un  rozzo  cippo,  ancora  infitto  nel  terreno; 
essa  faceva  parte  di  una  serie  parallela  a  quella  a  cui  apparteneva  la  tomba  pre- 
cedente. 

Il  capo  dello  scheletro,  come  in  altri  casi,  appoggiavasi  entro  al  tegame  ;  ai 
fianchi  di  esso  era  una  coppa,  con  ossa  di  piccolo  mammifero,  forse  resti  del  pasto, 
un'anforetta  monoansata  di  terra  grigiastra,  un  piatto  ampio  di  terra  rossastra  od  una 
coppa  di  imitazione  aretina;  sul  petto  era  la  moneta,  un  medio  bronzo  di  Augusto, 
molto  consunta. 

Tomba  III.  Apparteneva  ad  una  serie  di  tombe  parallela  a  quella  della  prima 
tomba,  ma  più  bassa  lungo  la  falda  del  colle;  la  fossa  era  semplicemente  coperta 
di  lastroni,  alla  profondità  di  m.  1,60. 

Il  capo  dello  scheletro,  disposto  verso  ponente,  come  gli  altri,  posava  entro  il  te- 
game rozzo,  dalle  pareti  verticali;  lateralmente  ad  esso  era  un  largo  piatto,  a  pareti 
ricurve,  una  specie  di  piccolo  tegame  a  brevi  anse,  ed  una  delle  consuete  coppe  d'imita- 
zione aretina,  con  ampia  bocca  e  piede  stretto,  ovvie  in  queste  tombe  ed  in  quasi 
tutte  quelle  del  periodo  romano  in  Sardegna.  In  queste  tombe  non  si  ebbe  moneta, 
0  almeno  sfuggì  alla  nostra  ricerca,  che  si  dovette  limitare,  anche  in  vista  dell'uni- 
forme semplicità  di  questo  materiale,  alle  brevi  indagini  accennate. 

Si  tratta  adunque  di  una  necropoli  ben  disposta  e  regolare,  di  un  centro  abi- 
tato per  lungo  periodo  nell'età  imperiale  romana,  che  non  ha  nulla  a  che  fare  con 
le  terme  di  Sardara,  le  Thermae  Neapolitanae,  i  cui  ruderi  vennero  in  luce  a 
nord-ovest  del  borgo,  ed  in  parte  furono  utilizzati  alcuni  anni  addietro  per  le  nuove 
costruzioni  termali  di  Sardara. 

La  necropoli  sul  colle  di  Masone  Oneddu,  si  trova  a  circa  dieci  chilometri  più 
a  sud-est  delle  terme;  quindi  dobbiamo  pensare  ad  un  centro  d'abitazione  assai  più 
prossimo;  anzi  la  gente  del  luogo  asserì  che  alcune  rovine  e  ruderi  vennero  in  luce 
pochi  anni  addietro  sul  colle  detto  Bruncu  e  Cresta  (colle  della  chiesa),  che  fron- 
teggia ad  est  il  colle  di  Masone  Oneddu. 

Quale  nome  avesse  questo  eentro  è  assolutamente  impossibile  conoscere  dalle 
fonti.  Forse  sotto  l'attuale  nome  di  Sardara  si  nasconde,  con  forma  poco  mutata,  un 
nome  di  origine  molto  antico. 

Ma  una  esplicazione  su  la  ubicazione  della  necropoli  e  del  relativo  centro  abitato  sul 
colle  di  Masone  Oneddu  viene  fornita  dal  fatto  che  raccolsi  dalla  tradizione  orale,  con- 
servata sul  posto,  che  dà  il  nome  di  Bia  e'  Roma  ad  una  strada,  ora  campestre,  che  ra- 
senta il  colle,  e  staccatasi  dalla  via  romana  Carales  Othocam,  a  poca  distanza  da  Sar- 
dara, muove  con  quell'andamento  sicuro  e  diretto  delle  vie  costrutte  dai  Romani,  verso 


8ARDARA  —   334   —  SARDINIA 


Villanova  Forni.  Il  percorso  della  via  Carales  Othocam  si  vede  abbastanza  chiaramente 
nel  territorio  dei  comuni  di  San  Gavino,  Sardara,  ed  Uras  (');  il  suo  percorso  ret- 
tilineo, è  nel  territorio  Sardarese  perfettamente  visibile  nella  strada  vecchia,  detta 
•  Bia  Aristanis  »  (strada  di  Oristano),  che  è  anche  tracciata  nella  carta  dello  Stato 
Maggiore,  e  si  tiene  parallela  per  molti  tratti  alla  linea  ferroviaria.  Anzi  questa 
strada,  sotto  il  colle  sormontato  dalle  suggestive  e  pittoresche  rovine  del  castello  di 
Monreale,  è  in  qualche  parte  ancora  selciata  da  scheggioni  di  pietra  ben  disposti  : 
e  così  si  incontra  anche  nell'agro  di  Uras.  Ora  la  «  via  e'  Eoma  »,  si  stacca  appunto 
da  questa  via,  lontana  prosecutrice  della  vecchia  strada  romana,  a  breve  distanza 
da  s.  Gavino  ;  muove  fra  i  campi  di  grano,  attraversando  fiumare  ;  si  dirige  accanto 
al  colle  di  Masone  Oneddu,  che  nel  nome  forse  ricorda  appunto  una  «  Mansio  »  di 
strada  romana,  e  poi  si  dirige,  come  dicemmo,  verso  Villanova  Forru.  Io  ritengo  che 
fosse  l'importante  strada  o  diverticolo  che  conduceva  alla  colonia  di  Uselis,  il  cui 
percorso  essere  chiaramente  segnato  da  scoperte   abbastanza  significanti. 

Anticliità  romane  si  vanno  spesso  scoprendo  verso  Baressa,  altre  a  Zeppara,  at- 
tigua ad  Ales,  donde  appunto  proviene  l'iscrizione  di  quel  Bacorus  Sabdaga(mis)  da 
me  edita  in  queste  Notizie  (anno  1906.  pag.  199)  e  rinvenuta  fra  le  rovine  di  una  grande 
villa  di  età  romana.  Da  questi  residui,  che  forse  potrebbero  accrescersi,  percorrendo  len- 
tamente tutto  il  probabile  tragitto  della  strada  romana  attraverso  questa  contrada  della 
Marmilla,  noi  potremo  pensare  ad  un'arteria  che  avesse  congiunti  varii  centri  agricoli 
sparsi  nel  fertile  terreno  delle  colline  della  Marmilla,  una  delle  regioni  più  ricche 
di  grano,  e  die  dovette  nell'età  imperiale  promuovere  l'azione  di  sfruttamento  delle 
risorse  agricole  del  suolo.  Certo  sino  a  questo  punto  la  nostra  constatazione  deve 
per  forza  arrestarsi  a  limiti  cos'i  generici  ;  ma  il  fatto  positivo  della  necropoli,  e  di 
una  necropoli  di  popolazione  stabile  e  numerosa,  ci  fa  credere  alla  presenza  di  un 
vero  gruppo  di  abitazione  stanziata,  corrispondente  all'attuale  borgo  di  Sardara.  Ma 
non  voglio  dire  con  ciò  che  questa  mansio  o  questa  villa,  per  cui  servì  la  ne.;ropoli 
di  Masone  Oneddu,  fosse  stata  la  progenitrice  del  borgo  di  Sardara,  da  cui  dista  più 
di  tre  chilometri. 

Era  un  altro  centro,  isolato,  a  cui  la  strada  romana  diede  origine  e  vita,  mo- 
strandoci anche  per  questo  territorio  la  presenza  di  borghi,  di  fattorie  agricole  ad 
uso  dei  latifondi  imperiali  e  privati,  e  la  intensità  di  cultura  a  cui  fu  sottoposto  il 
paese  per  far  fronte  alle  incessanti  richieste  del  grande  mercato  assorbente  e  consu- 
matore di  Roma.  Certo  che  chi  tiene  nota  dei  numerosi  elementi  monumentali,  come 


(')  Nel  comune  di  Uras  fu  recentemente  rinvenuto,  nei  terreni  di  certo  Luigi  Marelli,  in  re- 
gione Margangionis,  un  tratto  della  via  romana  per  Othoca;  la  larghezza  di  essa,  a  quanto  mi 
riferì  il  sig.  Marelli  con  una  sua  lettera  del  29  giugno,  era  di  G  metri,  selciata  di  grossi  ciotto- 
loni;  quelli  delle  due  filo  laterali,  che  sono  quasi  un  marciapiede,  sono  piìi  grandi  degli  altri.  Anche 
in  prossimità  di  questa  strada,  sempre  in  fondo  Margangionis,  si  scoprirono  tombe  di  età  romana, 
scavate  nella  terra  con  gli  scheletri  disposti  col  capo  a  levante,  coperte  con  lastre  rozze  e  conte- 
nenti modesta  suppellettile  di  brocche  e  di  lucerne. 

A  breve  distanza  dalla  necropoli  si  ebbero  resti  di  case;  indizio  di  una  vera  e  propria  abi- 
tazione di  età  romana,  nel  Campidano  di  Uras,  forse  sempre  nella  pertica  NeapolUana.  , 


SABDINfA  —   335   —  SARDARA 

strade,  rovine  di  costruzioni  ('),  tombe  isolato  o  piccole  necropoli  che  si  trovano 
sparso  nella  pianura  carapidanese,  come  anche  nella  regione  collinosa  della  Mar- 
milla  e  della  Troxenta,  è  facilmente  condotto  a  supporre  che  nel  periodo  romano  im- 
periale la  popolazione  agricola  fosse  molto  numerosa  e  disseminata  in  piccoli  centri 
agricoli,  disposti  lungo  le  strade  principali  e  i  diverticoli  che  ne  irradiavano. 

Fu  una  vita  agricola,  retta  da  norme  adattate  al  clima  isolano,  che  dovè  for- 
mare la  principale  occupazione  di  quel  centro  agrario  che  assai  probabilmente  appar- 
tenne alla  pertica  di  Neapolis,  come  possiamo  desumere  dal  nome  di  Thermae  Nea- 
polilanae,  dato  alle  acque  termali  Sardaresi.  Ma  le  scarse  notizie  delle  nostre  fonti 
letterarie  e  monumentali  non  ci  permettono  di  determinare  se  qui  fossero  stati  latifondi 
imperiali,  se  la  pertica  di  Neapolis  si  stendesse  sino  alla  regione  collinosa  della 
Marmilla,  o  se  ivi  cominciasse  quella  di  Uselis,  sulla  quale  sinora  non  siamo  nep- 
pure molto  largamente  informati.  Certo  elio  la  diffusione  delle  fattorie  agricole  in 
questa  parte  molto  ricca  dell'isola,  che  venne  recentemente  riconosciuta  anche  dal 
Pais  (^)  per  altri  fertili  distretti,  ha  il  suo  riscontro  in  età  preistorica.  Per  quanto 
sinora  non  esplorato  da  questo  punto  di  vista,  pure  non  mancano  nell'agro  di  Sar- 
dara  scoperte  sporadiche  riferibili  a  quel  periodo  della  vita  isolana;  ben  19  nuraghi 
esistono  con  traccio  piìi  o  meno  evidenti  nel  territorio  del  Comune,  ed  uno  di  essi, 
col  nome  di  Nuiateddu  si  eleva  con  pochi  ma  evidenti  resti  a  breve  distanza  da 
Masone  Oneddu,  su  un  colle  che  domina  la  vasta  pianura  circostante  e  ci  presenta 
un  nuovo  esempio  della  persistenza  dei  centri  abitati  dall'età  preistorica  fino  all'età 

romana. 

A.  Taramelli. 

(')  Il  eh.  sig.  F.  Diana,  mi  dice  che  come  ora  la  strada  campestre  che  prende  il  nome  di 
Bia  e'  Roma  serve  por  i  pastori  di  Barbagia  che  scendono  al  Campidano  di  Sardara  e  di  Sanluri  per 
svernare,  cos'i  nell'età  r)mana  dovò  servire  ai  Valentin!  ed  agli  Usellensi  per  il  transito  e  per 
l'accesso  alle  acque  termali.  Egli  mi  fa  osservare  che  la  distanza  da  Masone  Oneddn  alle  Thermae 
Neapolitanae,  che  6  di  oltre  10  chilometri,  esclude  ogni  rapporto  tra  la  nuova  necropoli  e  la  antica  sta- 
zione termale,  che  del  resto  ha  accanto  una  sua  necropoli.  Aggiungo  che  la  zona  fra  le  Thermae 
Neapolitanae,  Collinas,  Vilknova  Forra  e  Sanluri  era  molto  ricca  di  abitazioni  sparse,  come  gli 
stazzi  0  i  furiadroxiu  attuali,  le  quali  spiegherebbero  le  piccole  necropoli  che  si  vanno  ritrovando 
nei  lavori  agricoli  e  simili.  Il  sig.  Diana,  interrogando  i  vecchi  del  paese,  raccolse  notizie  di  sco- 
perte di  tombe  in  regione  «  Turriga  »  e  di  u  Acqua  Salsa  »,  a  breve  distanza  dal  colle  di  u  Masone 
Oneddu  »,  mentre  non  solo  in  contrada  «  Bruncu  e'  Cresia  »  ma  anche  in  quella  di  «  Gutturu  Cra- 
biolus  »  e  «  Santa  Caterina  »  esistevano  ruderi  di  antichi  fabbricati,  in  cui  si  potrebbero  vedere  le 
traccie  di  masserie  romane. 

(•)  Pais,  La  formula  Provinciae  della  Sardegna,  nel  I  secolo  dell'Impero,  secondo  Plinio. 
{Ricerche  storiche  e  geografiche  sull'Italia  antica,  pag.  595).  Sulla  cultura  del  grano  in  Sardegn.a, 
vedi  pag.  620  ;  sui  latifondi  romani  in  Sardegna,  pag.  593.  Sulla  estensione  della  pertica  dei  Nea- 
politani  e  sulla  Civitas  Neapolitanorum,  pag.  594  e  Rend.  Acc.  Lincei,  1893,  pag.  934.  Sopra 
Uselis,  Mommsen,  in  Corpus  Inscr.  Lai.,  X,  n.  7845;  Pais,  La  formula,  ecc.,  pag.  596.  I  confini  tra 
i  territorii  degli  Usellenses,  dei  Neapolitani,  degli  Othocenses  non  si  possono  per  ora  fissare,  come 
non  si  puf)  sapere  se  Neapolis  sia  stata  preceduta  da  Othoca  nel  dominio  di  tutto  il  territorio  di 
cui  esso  poi  prese  una  parte.  Gfr.  Pais,  ivi,  pag.  597. 

Roma,  15  settembre  1909. 


SICILIA  —    337   —  SIRACDSA 


Anno  1909  —  Fascicolo  IO. 


SICILIA. 

I.  SIRACUSA  —  Le  scoperte  del  biennio  7»  1907-721909,  emanano  in 
piccola  parte  da  lavori  casuali,  le  più  da  esplorazioni  fatte  di  proposito.  Esse  non  sono 
gran  fatto  numerose,  meritano  tuttavia  di  essere  qui  descritte,  riservando  per  parecchie 
di  osse  più  ampio  ragguaglio  in  altra  sede. 

I.  Grandi  lavori  al  castello  Furialo.  —  Dopo  le  visite  ripetute  delle  LL.  MM.  il 
Re  dltalia  e  l'Imperatore  di  Germania,  il  Ministero  ha  accordato  fondi  eccezionali, 
coi  quali  negli  anni  1908  e  1909  si  compirono  due  lunghe  e  costose  campagne,  delle 
qnali  riferirò  qui  molto  sommariamente,  occorrendo  un  largo  corredo  di  piante  e  di 
fotografìe  per  rendere  accessibili  in  modo  evidente  i  risultati  conseguiti.  Risultati  che 
in  taluni  punti  modificano  sensibilmente  la  facies  topografica  di  quella  insigne  opera 
militare,  unica  nel  genere,  non  ancora  studiata  ed  illustrata  come  si  conviene,  e  co- 
nosciuta sin  qui  dal  piano  onnai  difettoso  del  Cavallari  (  Top.  arch.  di  Sir.,  Ali., 
tav.  X)  e  dalle  geniali  ricostruzioni  di  L.  Mauceri.  1)  Fa  condotto  a  termine  lo  sgom- 
bero del  Trypilon,  iniziato  nel  1904  [Notizie,  1904,  pag.  284),  e  venne  messa  com- 
pletamente a  nudo  l'opera  a  corno  che  lo  precede,  cogli  sbarramenti  traversali,  desti- 
nati a  rompere  la  massa  compatta  degli  assalitori.  2)  Fu  sgomberata  totalmente  la 
terrazza  tra  il  fosso  mediano  e  quello  interno,  mettendo  in  evidenza  la  lunetta  col 
poco  che  rimane  delle  costruzioni  murarie  pertinenti  alla  medesima.  Sul  fronte  nord 
di  tale  opera  veggonsi  ora  le  radici  della  cortina  bastionata,  che  sbarrava  il  passaggio 
fra  primo  e  secondo  fosso.  3)  La  terrazza  sotto  le  torri  fu  del  paro  in  buona  parte 
liberata  dalla  terra  e  dai  ruderi,  che  formavano  un  ingombro  di  circa  due  metri,  per 
modo  che  le  torri,  prima  affondate  ed  imprigionate  in  un  cumulo  di  ruine,  emergono 
ora  imponenti  dal  piano  originario.  Ed  ora  soltanto  è  possibile  di  meglio  studiare  la 
robusta  cortina  a  contrafforti,  che  chiude  a  mezzogiorno  quella  terrazza.  In  tale  occa- 
sione venne  in  luce  davanti  alle  ton-i  la  fondazione  di  un  poderoso  muro  a  lunetta,  sop- 

NoTizii  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  44 


SIRACUSA  —  338   —  SICILIA 

presso  dai  Greci,  e  preesistente  alle  torri,  o  por  lo  mono  appartenente  al  periodo  in 
cui  era  libero  il  passaggio  fra  torre  e  torre,  ostruito  poi  da  muri  di  grande  spessore. 
4)  Anche  l'interno  del  mastio,  che  era  stato  invaso  da  uno  strato  di  terra,  detriti  e 
massi,  della  potenza  minima  di  un  metro,  venne  per  tre  quarti  ripulito.  Quivi  si 
attendevano  risultati  decisivi  per  la  cronologia  del  castello,  ma  le  nostre  esperienze 
andarono  deluse;  si  rinvennero  bensì  masse  di  ceramiche  grezze,  domestiche  e  culi- 
narie, tutte  di  epoca  ellenistica,  ma  nulla  di  più  antico.  Addossata  poi  alla  cinta  di 
mezzogiorno  vi  è  una  serie  di  casette,  ritenute  abitazioni  della  guarnigione,  le  quali 
invece,  meglio  studiate,  risultarono  seriori  adattamenti,  forse  di  epoca  bizantina. 

Se  molti  punti  oscuri  e  controversi,  non  tanto  sulla  cronologia,  quanto  sull'officio 
delie  singolo  parti,  così  mirabilmente  connesse,  di  questa  insigne  opera  militare,  ven- 
nero chiariti  cogli  scavi  del  1908-09,  altri  rimangono  ancora  insoluti  e  forse  lo  ri- 
marranno per  sempre.  Il  prof.  F.  von  Duhn,  dell'Università  di  Heidelberg,  ed  il 
generale  B.  Rathgen,  specialista  nell'arte  militare  antica,  i  quali  nel  periodo  dei 
lavori  hanno  a  lungo  studiato  il  monumento,  convennero  in  questo  stesso  avviso, 
apparendo  molteplici,  né  sempre  databili,  le  modificazioni,  gli  ampliamenti,  le  ag- 
giunte, e  persino  i  pentimenti,  al  disegno  originario  del  forte. 

II.  Scavi  all' Agorà- Forum.  —  Essendo  imminente  la  permuta  della  attuale 
piazza  d'armi,  con  altro  suolo  che  verrà  dato  dal  municipio,  e  dovendo  l'area  di  detta 
piazza  venir  coperta  da  isole  di  costruzioni  moderne,  era  necessario  stabilire  se  e 
quali  aree  dovessero  riservarsi  come  suolo  monumentale.  Appunto  perciò,  nella  pri- 
mavera del  1908,  ho  fatto  eseguire  una  quantità  di  saggi,  designando  così  alcune 
zone,  che  nella  prossima  applicazione  del  piano  regolatore,  verranno  lasciate  scoperte. 
Quando  ciò  siasi  ottenuto,  si  procederà  allo  scavo  ed  al  denudamento  definitivo  dei 
tenui  avanzi  della  sontuosa  Agorà,  che  tuttora  rimangono  sotto  pochi  palmi  di  terra, 
profondamente  alterati  da  terremoti,  da  mine  e  da  superfetazioni  romane  e  bizantine. 

Di  uno  solo  di  codesti  avanzi  credo  utile  dare  subito  un  cenno  un  po'  detta- 
gliato. Sul  fronte  nord  della  rotonda  che  precede  la  stazione  e  precisamente  nel  sito 
ove  essa  fa  angolo  colla  ruotabile  di  Catania,  i  fratelli  Russo,  edificando  nel  maggio 
1908  una  casa,  s'imbatterono  in  fondazioni  di  fabbriche  ed  in  bellissimi  avanzi  di 
una  strada.  Alla  profondità  di  m.  1,40  dal  piano  di  campagna,  venne  fuori  una  pode- 
rosa banchina  di  grossi  massi,  con  canaletta  incavata  nel  margine  ;  era  questa  la  cre- 
pidine d.  (per  chi  esce  dalla  città)  della  grandiosa  via  lastricata,  che  per  buon  tratto 
affiora  ancor  oggi  nella  piazza  d'armi,  incrociando  ad  angolo  acutissimo  col  corso 
Umberto  I  ;  essa  si  dirigeva  in  linea  retta  verso  il  gruppo  dei  monumenti  suburbani 
dell'Anfiteatro  ed  Ara  Massima.  La  crepidine  apparve  larga  m.  1,70  ed  era  a  doppio 
filare  di  massi,  tanto  che  ritengo  servisse  in  parte  come  fondazione  di  fabbriche,  di 
buoni  pezzi  che  si  trovarono  per  buon  tratto  allineati  lungo  di  essa.  Il  canaletto  rac- 
coglieva l'acqua  scorrente  dalla  convessità  del  basolato,  ma  le  profonde  trincee  di 
fondazione  mi  posero  in  grado  di  studiare  l'intero  spaccato  dell'importante  opera  stra- 
dale, come  risulta  dalla  unita  sezione. 

Il  masso  di  blocchi,  crepidine  e  fondazione  di  case,  faceva  risalto  per  cm.  70-90 
sopra  un  letto   stradale  a  «  conglareatio  ",  cioè  di  grossa  ghiaia  e  sabbia  di  fiume; 


SICILIA 


339  — 


SIRACUSA 


questo  letto  aveva  una  potenza  di  cm.  60  ed  a  sua  volta  si  adaggiava  sopra  uno 
strato  di  scaglie  di  arenaria,  cementato  con  impasto  di  segatura  ed  acqua,  dello 
spessore  di  cm.  15.  Sotto  di  questo,  vi  era  finalmente  il  conglomerato  arenario  ver- 
gine a  circa  m.  2,80  dal  suolo  moderno.  Tra  lo  strato  di  breccia  ed  il  basolato 
terra  di  riporto  compressa:  ed  il  basolato  a  schiena  di  asino,  anziché  di  lava,  di 
pietra  arenaria  conchiglifera  durissima,  detta  «  giuggiolena  imperiale  " .  Non  ho  po- 


t...''.T-.':  ••""-.• 


5       Teri 


riccio  recente 


tute  seguire  in  tutta  la  sua  larghezza  il  bellissimo  avanzo  stradale,  ma  tutto  induce 
a  credere  che  esso  avesse  la  stessa  larghezza  di  circa  m.  13,  riconosciuta  nel  tratto 
superstite  al  centro  della  piazza  d'armi.  In  senso  longitudinale  tali  avanzi  vennero 
seguiti  per  circa  m.  15. 

Abbiamo  qui  pertanto  un  ottimo  saggio  di  una  via  strata  et  conglareata,  se- 
condo l'espressione  romana,  di  una  Xi&óatQwtog  òSóg,  secondo  quella  greca.  A  me 
sorrideva  l'idea  di  attribuire  ai  Greci  la  via  conglareata  più  profonda,  ed  ai  Eomani 
la  via  silice  strata  superiore,  considerando  che  difficilmente  la  grande  arteria  addu- 
cente  ai  monumenti  avrà  subito  attraverso  i  secoli  modificazioni  al  tracciato,  ma 
soltanto  nella  struttura.  Ad  ogni  modo  la  via  basolata  non  è  certo  greca,  ma  romana 
0  bizantina,  e  rammenta,  sebbene  meno  sontuosa,  la  grande  strada  di  Efeso,  dovuta 
ad  Arcadie,  ed  illuminata  da  marmorei  candelabri. 

Ho  cercato  se  qualche  anche  tenue  elemento  veniva  a  corroborare  il  mio  sup- 
posto della  doppia  stratificazione,  ed  in  fatto,  nello  strato  di  ghiaia  ho  notato  eom- 


SIRACDSA 


—  840  — 


SICILIA 


misti  ai  ciottoli  frammentini  di  ceramiche  grezze  rosse  con  tritumi  vulcanici,  da  me 
ritenute  non  solo  greche,  ma  greco-arcaiche.  Non  intendo  dire  che  tale  fatto  abbia  un 
valore  decisivo,  pur  non  essendo  disprezzabile. 

III.  Scavi  al  Teatro  greco.  —  Nel  1891  venne,  a  cura  dell'Amministrazione 
dei  monumenti,  demolita  la  diruta  chiesetta,  che  sorgeva  nella  precinzione  superiore 
del  Teatro  greco,  lato  occidentale,  in  parte  costruita  in  muratura,  in  parte  installata  in 
una  grotta  artificiale,  antica  bensì,  non  però  contemporanea  al  Teatro,  ma,  forse, 
alle  tarde  grotte  sepolcrali  della  via  dei  Sepolcri  (').  In  quella  occasione  venne  tratto 


FiG.  2. 


dal  materiale  di  fabbrica  della  chiesa  stessa  il  magnifico  pezzo  architettonico  in  can- 
dido calcare,  reso  alla  fig.  2,  e  che  qui  ora  per  la  prima  volta  si  pubblica.  È  un 
monolito  lungo  m.  2,52,  prof.  m.  0,85  ed  alto  m.  0,50;  nel  fronte  corre  una 
fascia  decorata  di  triglifi  e  metope  liscie;  essa  è  molto  danneggiata,  e  vi  furono 
abrase  le  regulae  e  le  guttae.  La  faccia  inferiore  presenta  invece  dodici  cassettoni, 
che  formavano  il  succielo.  Il  pezzo  è  importantissimo,  siccome  quello  che  costituisce 
forse  l'unico  avanzo  superstite  della  ricca  decorazione  del  Teatro,  appartenendo,  assai 
probabilmente,  al  sontuoso  colonnato  che  si  ergeva  lungo  la  precinzione  superiore  del 
monumento,  e  che  venne  barbaramente  distrutto,  colla  scena  fino  allora  superstite, 
dagli  ingegneri  militari  di  Carlo  V.  Esso  costituiva,  se  non  erro,  un  pezzo  epistiliare 
fra  colonna  e  colonna,  e  nelle  sue  forme,  completate  da  stucco  e  colore,  ricorda  il 
gusto  e  la  tecnica  in  voga  a  Siracusa  tra  fine  IV  e  III  sec.  a.  C. 

(')  Che  la  grotta  non  sia  di  tempi  classici  appare  evidente.  La  sua  bocca  fa  un  gradino  di 
un  metro  sul  suolo  antistante,  e  nel  prospetto  del  gradino  si  vedono  tagliati  a  mezzo,  alcuni  nic- 
chiotti  quadri,  eguali  a  quelli  dell'attigua  parete  di  prospetto.  Chi  aprì  la  bocca  della  grotta  di- 
strusse adunque  porzione  dell'antica  decorazione  dei  tempi  classici,  il  che  devo  essere  avvenuto  dopo 
l'abbandono  del  Teatro.  r 


SICILIA  —   341    —  SIRACDSA 

Ma  davanti  alla  grotta  ed  alla  parete  a  quadretti,  sulla  spianata  interposta  fra 
questa  e  le  ultime  tracce  delle  più  alte  gradinate  del  Teatro,  vi  erano  delle  masse  di 
terra,  che  costituivano  un  ingombro  e  potevano  anche  racchiudere  avanzi  pregevoli. 
Vi  si  lavorò  a  più  riprese  nel  settembre  e  dicembre  del  1907,  addivenendo  al  denu- 
damento completo  di  quella  terrazza,  la  quale  appare  per  buon  tratto  lastricata  con 
opus  teslaceum  fino  all'ingresso  di  via  dei  Sepolcri,  dove  un  allineamento  di  grossi 
massi  la  separava  nettamente  dalla  strada.  La  parete  rocciosa  fra  detto  ingresso  e  la 
bocca  della  grotta  (per  orientarsi  cfr.  Cavallari,  AH.,  tav.  IX,  n.  6)  è  decorata  di 
numerose  nicchiette  e  di  un  canaletto  di  defluizione  delle  acque.  Kipulendo  il  piede 


FiG.  3. 


di  questa  parete  vi  si  segnalarono  residui  di  ceneri  e  carboni  con  piccoli  vasellami 
riferentisi  a  S^vaiai  ed  a  cerimonie  liturgiche  colà  compiute,  la  cui  indole  credo  di 
avere  in  qualche  modo  chiarito  colle  analoghe  scoperte  da  me  fatte  anni  addietro 
nella  latomia  di  S.  Venera,  le  cui  pareti  sono  pure  tappezzate  di  centinaia  e  centi- 
naia di  quadretti  {Notine,  1904,  pag.  276  e  segg.)-  Ora,  nel  rimuovere  completa- 
mente la  massa  di  terra  che  copriva  la  terrazza,  avvennero  due  ordini,  dirò  così,  di 
scoperte,  parte  rituali,  parte  architettoniche.  Alle  prime  appartiene  una  quantità  di 
rottami  di  ceramiche  grezze  od  a  scadente  vernice  nera,  tra  le  quali  va  anzitutto 
notata  una  dozzina  di  scodelline  a  calotta,  intere  e  rotte,  quasi  tutte  munite  del 
nome  'Isqmv  graffito  ;  veggasi  un  esemplare  completo  a  fig.  3.  Non  vi  è  dubbio  che 
tali  scodellini  appartenessero  a  piccole  libazioni  o  anovòai  rituali,  che  si  compievano 
al  piede  della  parte  decorata  di  nicchie,  appunto  come  è  stato  rilevato  nella  latomia 
di  S.  Venera.  Ed  il  nome  in  esso  inciso  non  è  già  quello  di  un  sacerdote,  di  un 
cittadino  qualsiasi,  ma,  ritengo  io,  proprio  quello  dell'ultimo  glorioso  principe  di  Sira- 
cusa, lerone  II,  appostovi  o  come  data  cronologica,  o  come  ricordo  della  liberalità 


SIRACUSA 


—  342 


SICILIA 


largita  a  quella  confraternita  privata,  che  esercitava  la8sù  il  suo  pìccolo  culto.  Furono 
anche  notati  rottami  di  anfore,  e  copiosi  manubrii  bollati,  di  fabbriche  rodio  ed  in- 
digene, i  quiili  pure  non  saprei  altrimenti  spiegare,  se  non  mettendoli  in  relazione 
colle  cerimonie  anzidette.  Ecco  la  lista  dei  bolli  : 


a)     C3         EniAPXlAAMoY 
ATRI  ANlo  Y 


Duniont  ('),  pag.  86 


*) 

□ 

EniAPXYAlNoy 
ArPIANloy 

e) 

a 

EniAA[^?0 

MAXoY 
nANAMoY 

d) 

a 

Eni   TIMO 

AiKoY 
nANAMoY 

e) 

□ 

E  n  1  E  Y  K  \j>à%svg] 
GÈ  Y[y«<^*fe] 

n 

□ 

<|)IA  ///  OY 

9) 

CD 

M//  AriAoZ 

h) 

o 

hPAKACwo]!: 

i) 

a 

A  P  1  Z  T  A  P  [zof] 

k) 

CZl 

Al  Ima 

yoTAT 

l) 

o 

(rosa) 

EnieE[oToe]oz[?r 

m) 

O 
(rosa) 

APIZTOKC^awws] 

Dumont,  pag.  80 


Dumont,  pag.  285 


Kaibel  2893,  93 


Dumont,  pag.  96 
Kaibel  2393,  124 


Ma  oltre  dei  frammenti  ceramici,  il  cumulo  di  terra  racchiudeva  molti  rottami, 
talvolta   ridotti  a  semplici  scaglie  (segno  di  devastazione  vandalica)  di  membrature 

(')  Alcani  dei  bolli  sembrano  inediti.  Doolmi  non  potermi  valere  dello  studio  di  M.  V.  Nilssoii, 
Timbres  amphoriques  de  Lindos  (Coiicnhague,  1909;  Exploration  arch.  de  Rhodes,  Fondation  Cari- 
sberg,  V),  di  cui  sino  a  questo  momento  è  uscita  la  sola  prima  parte.  ' 


SICILIA 


—  343  — 


SIRACUSA 


architettoniche  in  calcare  bianco,  alcune  delle  quali  con  tracce  di  stucco  e  di  colori  ; 
tali  frammenti  appartengono  a  cornici  con  dentelli,  a  gocciolatoi,  a  y^''^'*  e<l  ^  fascio 
modinate.  11  pezzo  piìi  ragguardevole,  che  riproduco  a  fig.  4,  ò  un  grande  frammento 
di  cornice  con  grondaja,  in  forma  di  testa  leonina,  maggioro  del  vero,  in  calcare  con- 
chiglifero,  rivestito  di  uno  spesso,  tenacissimo  e  candido  stucco.  Il  pezzo  misura  cm.  42 
in  lungliezza,  cm.  2ó  in  altezza;  ha'siiperiormente  un  listello  dipiato  in  rosso  vivo; 
al  centro  sporgo  per  cm.  19  la  poderosa  maschera  leonina,  dal  modellato  largo  e 
vigoroso,  ma  senza  raffinatezze,  perchè  destinata  ad  esser  vista  da  lontano.  La  boera 


FiG.  4. 


aperta  attraversa  la  cornice  in  tutto  il  suo  spessore.  La  scoltura  fresca  ed  integra  va 
ritenuta  all' incirca  contemporanea  del  masso  a  cassettoni  ed  appartenne,  come  quello, 
alla  cornice  del  portico  che  cingeva  la  parte  superiore  del  Teatro,  ove  non  si  voglia 
pensare  a  qualche  edicola  che  sorgeva  sulla  terrazza  al  lato  nord-ovest  di  esso. 

IV.  Grondaia  marmorea  del  tempio  di  Atena.  —  A  contrasto  colla  precedente 
grondaia  di  età  ellenistica,  ne  pubblico  qui  un'altra  analoga,  ma  di  età  molto  più 
antica.  È  l'unico  pezzo  degno  di  nota  che  sia  uscito  dai  grandi  lavori  di  installazione 
dell'acquedotto  e  della  fognatura,  i  quali  hanno  da  tre  anni  a  questa  parte  messo 
sottosopra  molte  vie  della  città. 

Da  codesti  lavori  io  mi  riprometteva  grandi  cose,  ma  le  nostre  speranze  anda- 
rono completamente  deluse.  All'infuori  di  alcuni  avanzi  di  pavimenti  a  mosaico  mo- 
nocromi segnalati  in  piazza  Archimede,  di  molti  pozzi  e  cisterne  in  via  Nizza,  di  un 


SraACDSA 


—  344  — 


SICILIA 


avanzo  di  casa  arcaica  presso  la  caserma  doganale,  e  dello  solite  quantità  di  ceramica 
ovunque  raccolta,  senza  che  vi  sia  tra  ossa  un  pezzo  ragguardevole,  nulla  hanno  dato 
questi  lavori  grandiosi  che  quasi  ovunque  sono  scesi  a  contatto  del  suolo  roccioso  di 
Ortygia. 

Veramente  degna  di  ricordo  è  la  gronda  che  produco  a  figg.  5  e  6  ;  è  in  marmo 
parlo  della  consueta  forma  di  una  grande  testa  leonina  a  tutto  tondo,  prominente  da 
un  pezzo  della  cimasa;  ne  manca  la  metà  inferiore,  staccata  con  un  colpo  netto.  Le 
forme  anatomiche  e  più  quelle  del  pellame  della  giubba  (tre  ordini  di  corte  ciocche 


Fio.  5. 


a  fiamma,  a  margino  ondato),  le  labbra  pure  a  contorno  ondulato,  od  altri  particolari, 
denotano  i  tempi  dell'arcaismo  maturo,  cioè  l'inizio  del  secolo  V.  Lunghezza  massima 
del  pezzo,  compreso  lo  spessore  della  cimasa,  cm.  3'j  '/z!  Ifirgh.  massima  cm.  32; 
alt.  mass.  cm.  IO'/:;  ^^^^  bocca  aperta  corrisponde  un  canale  di  scolo  quadrato.  Il 
pezzo  fu  rinvenuto  nell'aprile  del  1908  nei  lavori  di  condottura  aperti  davanti  la  cat- 
tedrale, donde  la  possibilità  che  esso  appartenga  al  coronamento  del  tempio  di  Atena. 
V.  Statuetta  di  Sileno.  —  Scavandosi  nel  maggio  1908  le  fondazioni  della 
casa  dell'operaio  Salv.  Genovese,  presso  l'argine  ferroviario  nel  sobborgo  di  s.  Lucia, 
Tenne  fuori  una  statuetta  in  saccaroide,  che  fu  acquistata  dal  Museo,  e  che  vedesi  alla 
tìsr.  7. 


SICILIA 


—  345  — 


SIRACOSA 


Rappresenta  essa  un  Sileno  nudo  colla  gamba  sin.  tronca  al  ginocchio  e  la  destra 
spezzata  a  mezza  coscia  ;  la  testa  era  di  proposito  rotta  in  due  verticalmente  e  stac- 
cata dal  collo,  al  quale  però  aderisce  esattamente.  Mancano  ambo  le  braccia,  spez- 
zate all'attacco  delle  spalle  ;  e  quella  d.  mostra  ancora  il  foro  per  un  perno  metallico. 
Alt.  massima  della  figura,  dal  vertice  craniale  all'estremità  della  gamba  sinistra, 
cm.  47. 


FiG.  6. 


La  figura  silenica  ha  il  corpo  abbondante  e  floscio,  coi  grandi  pettorali  turgidi, 
il  ventre  prominente  (pube  e  membro  asportati)  ;  il  petto  superiore,  il  ventre  inferiore 
e  le  coscie  picchiettati,  ad  indicare  il  pellame  caprino.  La  testa  è  coronata  di  fo- 
gliami; ispida  la  barba  con  ciocche  al  trapano.  Pare  che  la  figura  fosse  saltellante 
0  gesticolante,  colle  gambe  piegate,  il  braccio  d.  proteso  ed  alzato,  l'altro  abbassato  : 
essa  puntava  sopra  un  pilastro  o  tronco  d'albero,  di  cui  v'è  l'orma  sul  gluteo  sinistro. 
Plasticamente  il  lavoro  è  molto  povero  e  la  testa  di  rozza  fattura,  trattandosi  di  un 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  45 


SIRACUSA 


—  346 


SICILIA 


pezzo  ducorativo  romano  di  arte  scadente,  che  meriterebbe  appena  di  esser  fatto  co- 
noscere, ove  non  fosso  la  grande  rarità  di  marmi  scolpiti,  anche  romani,  a  Siracusa, 
come,  in  genere,  in  tutta  la  Sicilia. 


Fia.  7. 


VI.  Nuovi  scavi  nelle  catacombe  di  S.  Giovanni,  a)  Estremità  del  «  Decu- 
manus  Maximus  ».  — -  Nellultimo  mio  rapporto  sulla  campagna  del  1906  in  S.  Gio- 
vanni {Notizie,  1907,  pagg.  753-778),  dissi  che  essa  si  era  arrestata  per  difetto  di 
mezzi  all'estremità  orientale  del  grande  decumano,  dietro  il  muro  di  sostegno  eretto 
dal  Cavallari,  per  arrestare  il  franamento  della  vòlta  pericolante.  Così  almeno  aveva 
creduto  il  Cavallari,  e  così  io  aveva  pensato  per  molti  anni,  perchè  l'ambiente  appa- 
riva fino  alla  vòlta  ostruito  di  materiale.  Né  mi  aveva  fatto  cambiare  avviso  un 
primo  tentativo  di  sgombero  fatto  nell'ottobre  1906,  dietro  quel  muragliene.  Nel 
luglio  ed  agosto  del  1907  volli  una  buona  volta  risolvere  il  duplice  problema  che 
sempre  si  affacciava  :  a)  come  si  sviluppasse  il  Decumanus  Max.  al  di  là  dolln  so- 


SICILIA 


—  347  — 


SIRACUSA 


stniziono  Cavallari;  b)  se  il  cenietero  di  S.  Giovanni  avesse  termine  in  quel  punto, 
0  so  in  qualche  modo  si  collegasse  cogli  altri  grandi  cemeteri,  che  si  estendono  ad 
oriente  di  esso.  La  pianta  e  la  sezione  che  allego  (figg.  8  e  9)  integra  quella  del 
Fiihrer,  e  ci  mostra  la  forma  della  regione  sgombrata. 

Premetto  che,  dopo  alcune  settimane  di  lavoro,  quella    che    il   Cavallari  ed  io 
avevamo  sempre  creduta  volta  crollata,  non  risultò  essere  altro   che   un  enorme  cu- 


FiG.^8. 


mulo  di  terra,  proveniente  dall'esterno,  e  penetrata  per  un  lucernario  molto  alto.  Fu 
questiono  di  tempo  e  di  denaro,  ma  riuscii  a  sgomberare  ogni  cosa,  liberando  le 
estremità  del  grande  decumano  e  mettendo  a  vista  i  numerosi  sepolcri  terragni  e  gli 
arcosolì  polisomi  che  lo  circondano.  Credevo  così  di  aver  raggiunto  il  termine  del 
grande  cemetero,  se  non  che  sul  lato  meridionale  venne  a  delinearsi  una  rampa  in 
salita,  che  preludiava  ad  una  uscita  prima  ignorata.  Col  progredire  del  lavoro,  questa 
rampa,  che  prende  le  mosse  da  un  pilastrone,  si  fa  più  ripida  e  passando  sotto  un 
grande  lucernario  diventa  una  vera  scala  a  larghe  pedate,  ognuna  delle  quali  con- 
tiene una  0  più  fosse.  Afiìancata  da  un  pianerottolo  a  gradini  e  fosse,  essa  forma  un 


SIRACUSA 


348  — 


SICILIA 


gomito,  volge  un  po'  a  mezzogiorno,  e  sale  di  tanto  da  uscire  quasi  a  fior  terra, 
prendendo  poi  il  carattere  di  una  galleria  ad  andamento  orizzontale.  Un  saggio  fatto 
nel  giardino  del  sig.  Seb.  Lo  Curcio,  che  sovrasta  all'estremità  orientale  delle  cata- 
combe di  S.  Giovanni,  mi  convinse  che  non  trattavasi  di  un  ingresso  od  uscita  se- 
condaria del  cimitero,  ma  di  una  galleria  molto  superficiale  per  intero  franala,  con 
andamento  in  direzione  di  SE,  cioè  verso  la  non  discosta  villa  Interlandi,  nel  cui 
centro  vi  è  oggi  ancora  una  catacomba  in  parte  franata  ed  ostruita,  e  mai   da  nes- 


FiG.  9. 


suno  esplorata.  Questa  galleria  trovasi  a  circa  G  m.  dal  piano  di  campagna,  ed  ap- 
punto attesa  la  sua  poca  profondità  è  crollata.  Dovrebbesi  ora  aprire  in  trincea  aperta 
il  suolo  alla  profondità  di  m.  6,  per  4  di  larghezza,  e  così  la  si  seguirebbe  fino  a 
qualche  punto  in  cui,  forse  approfondendosi,  si  troverebbe  la  v51ta  intatta,  e  poi  (è 
questo  un  mio  supposto)  il  collegamento  coU'anonimo  ed  inesplorato  cemeteio  della 
villa  Interlandi.  Ma  dovendosi  pagare  rilevanti  danni  agricoli  e  poi  ogni  cosa  rico- 
prire, la  spesa  sarebbe  ingente  e  tale  da  non  doversi  consigliare  nelle  condizioni  at- 
tuali dei  nostri  bilanci.  Lascio  quindi  agli  archeologi  dell'avvenire,  forniti  di  più 
potenti  mezzi  pecuniari,  questa  impresa  da  compiere,  consacrando  per  intanto  il  ri- 
cordo della  scoperta  in  questa  Relazione  ufiBciale.  Se  mai  tale  impresa  si  manderà 
ad  effetto,  può  darsi  che  essa  sia  altamente  rimunerativa,  quante  volte  il  franam^to 


SICILIA 


349  — 


SIRACUSA 


dell'intera  galleria  fosse  avvenuto  nell'epoca  premusulmana;  che  in  tal  caso  loculi, 
arcosolì  e  fosse  del  suolo  si  troverebbero  in  gran  parte  intatti  e  colle  loro  epigrafi 
in  posto. 

Accontentiamoci  per  ora  di  avere  riconosciuto  e  stabilito  i  fatti  seguenti  : 

a)  L'estremità  orientale  del  decumano  massimo  di  S.  Giovanni  termina  a  m.  8, 
dopo  il  muro  di  sostegno  Cavallari;  a  questo  punto  l'ampia  galleria  si  arresta,  e  si 
riduce  ad  un  angusto  cunicolo,  di  cui  porgo  la  sezione  (fig.  10), 
e  che  non  è  altro  se  non  l'acquedotto  greco,  seguito  dai  Cri- 
stiani per  tutta  la  lunghezza  del  decumano  ;  esso  fu  distrutto 
completamente,  meno  che  all'ingresso  occidentale  ed  in  qualche 
tratto  mediano,  dove  se  ne  vedono  ancora  resti  parziali.  L'ac- 
quedotto, uno  dei  tanti  che  alimentavano  Acradina,  ha  una 
luce  rettangolare,  un  po'  allargata  al  centro.  Misura  in  alt. 
mm.  2,45-2,50  per  0,50  di  largh.  massima,  che  si  riduce  a 
m.  0,40  nel  fondo,  dove  è  cementato  fino  a  m.  0,30,  cioè 
sino  al  livello  dell'acqua  corrente.  Essa  è  certo  di  buoni  tempi 
greci,  e  se  i  Cristiani,  quando  tra  fine  sec.  Ili  ed  inizio  del 
IV  aprirono  il  decumano,  poterono  distruggerlo,  ciò  vuol  dire 
che  esso  era  arido  ed  abbandonato,  come  era  deserta  ed  in 
gran  parte  abbandonata  l'Acradina. 

b)  Dall'estremità  della  grande  galleria  una  rampa  in 
salita  con  gradini  adduceva  ad  una  galleria  a  fior  terra,  che, 
secondo  tutti  gli  indizi,  mirava  all'inesplorato  cemetèro  di  villa 
Landolina.  Ho  fatto  sbarrare  l'estremità  della  rampa  con  un 
solido  muragliene  dopo  il  sesto  gradino,  e  da  questo  punto 
dovrebbero  muovere  le  costose  esplorazioni  dell'avvenire. 

Liberata  così  per  intero  quella  piccola  regione  dalle  molte  diecine  di  m.  e.  di 
materiale  archeologicamente  sterile,  perchè  proveniente  dalla  campagna  sovrastante, 
ho  proceduto  alla  ricognizione  delle  fosse  sepolcrali,  segnate  nella  pianta  con  numero 
progressivo,  e  che  in  buona  parte  apparvero  intatte.  Erano  stati  invece  interamente 
vuotati,  e  credo  in  tempi  recenti  perchè  in  qualche  modo  si  poteva  raggiungerli,  tutti 
gli  arcosolì  che  contornano  a  nord  il  decumano.  Ciò  sembra  denotare  che  la  frana 
del  lucernario  abbia  avuto  luogo  nell'epoca  prearaba,  se  buona  parte  dei  sepolcri  del 
suolo  andarono  immuni  da  devastazioni. 

Nell'angolo  NE  del  decumano  si  raccolse  quasi  sul  suolo,  ma  divelta  dal  suo  se- 
polcro, una  lastrina  marmorea  di  cm.  16  X  13,  scritta  a  piccole  e  nitide  lettere,  col 
seguente  epitaffio: 

GT  e  AG YT 
HCGNTPO 
4)lMlU)NA 
nOTOYnAA> 
TIOY 


FiG.  10. 


SIRACUSA  —   350   —  SICILIA 

Il  testo  è  chiaro,  né  abbisogna  di  commenti;  notevole  soltanto  la  rara  indica- 
zione della  patria  della  patria  del  defunto  ànò  tov  Jlakatiov;  vedi  l'analoga  indi- 
cazione di  un  (Dsiówv  ànò  Tetqanvqyiac  in  altro  titolo  di  S.  Giovanni  {RQ.  1906, 
pag.  24).  Il  defunto  non  era  siracusano,  ma  di  un  luogo  denominato  latinamente  tò 
JlalótTiov  =  Palatium,  nome  che  gli  antichi  chorografi  non  ci  hanno  tramandato,  al- 
meno se  si  tratta  di  un  Palatium  di  Sicilia.  In  Italia  si  conosce  soltanto  una  sta- 
zione ad  Palatium  sulla  via  Claudia  fra  Tridente  e  Verona,  presso  l'odierna  Ala, 
ed  un  Palatium  in  Sabina  (cfr.  Porbirger,  Alte  Geographie,  II,  pagg.  322,  456). 
Parecchi  dei  numerosi  Palazzolo  sparsi  in  tutta  Italia  tradiscono  una  origine  consi- 
mile, ma  piuttosto  dell'alto  medioevo  che  romana.  Nel  territorio  siracusano  esiste 
una  contrada  Palazzi  presso  Cassibile,  in  luogo  dove  esistono  grandi  e  profonde  la- 
tomie, contrada  che  da  alcuni  è  stata  identificata  colla  villa  suburbana  della  moglie 
di  Gelone.  Sarebbe  in  tal  caso  il  nome  latino  traduzione  e  ricordo  della  villa  prin- 
cipesca del  sec.  V  a.  C?  Non  oso  dare  risposta  affermativa.  Resterebbe  poi  Palaz- 
zolo, l'antica  Akrae,  la  quale  però,  secondo  tutti  gli  indizi,  manteneva  ancora  nel 
sec.  V  il  suo  nome  primitivo,  laddove  il  secondo  appare  soltanto  ai  tempi  normanni, 
ed  a  quanto  pare,  per  la  prima  volta  nel  libro  di  Edrisi.  Per  concludere,  nulla  di 
positivo  ci  è  dato  dire  su  questo  nome  di  luogo,  che  potrebbe  essere  estraneo  alla 
Sicilia. 

Sep.  1  (arcosolio  sotto  la  rampa).  Fossa  violata,  colma  di  terra,  però  collo  sch. 
a  posto  dal  cranio  ad  0. 

Sep,  2  (ibidem).  Coperto  da  due  tegole  complete  ;  nell'interno  2  sch.  ad  0,  ed 

1  ad  E.  Sopra  le  coperte,  alla  testata  0,  una  lastra  rettangolare  in  parie,  di  cm.  27 
X  19,  a  lettere  grandi  e  regolari,  col  titolo  seguente: 

ENeAAEKiTE 

THMHNIANH 
HXPICTI  ANH 
TEAKTHnPOr» 

NU)NB|oVAltxN 

Anche  qui  tutto  è  chiaro;  l'epiteto  aggiunto  al  nome  della  defunta,  Geminiana 
la  cristiana,  è  sicura  indicazione  della  fede  religiosa,  indicazione  sorprendente  in  un 
cemetero  dove  tutti  erano  cristiani,  e  che  vuol  quindi  denotare  speciali  virtù  della 
defunta,  quasi  una  esaltazione  della  fede  professata  in  vita  e  riconfermata  dopo  la 
morte. 

Sep.  3.  Coperto  di  una  tegola  e  di  una  bella  lastra  in  calcare  ;  alla  testata  E 
una  lastrina  di  bardiglio  (cm.  18  X  18)  col  nome  della  defunta,  Vindemia: 

VINDE 
MIAE 

Nell'interno  un  fondo  di  ampolla  vitrea,  innestato  in    un    blocchetto   di   calce, 

2  sch.  ad  0  ed  1  ad  E. 


SICILIA 


351   — 


SIRACUSA 


Sep.  4.  Coperta  di  una  grande  e  sottile  lastra  calcare,  con  2  sch.  a  ponente  ed 
1  a  levante. 

Sep.  5.  Coperto  di  tegole  sfondate  dalla  pressione  della  terra;  nell'interno  2 
scheletri  col  cranio  a  N,  di  cui  uno  di  fanciullo. 

Sep.  6.  Nella  stessa  condizione  del  precedente,  con  sch.  dal  cranio  a  N. 


e.!  D  DOMI 


Fio.   11. 


Sep.  7.  Come  i  precedenti.  Sul  fondo  sch.  col  cranio  a  N,  presso  il  quale  una 
spessa  lastra  marmorea  (cm.  23  X  19),  a  lettere  barbariche  rubricate,  la  quale  nella 
fronte  scritta  presenta  ancora  la  levigazione  derivante  dall'attrito  dei  piedi,  e  nel 
rovescio  la  calce  che  la  rendeva  aderente  alle  tegole,  assieme  colle  quali  penetrò  nella 
fossa;  ne  dò  il  facsimile  a  fig.  11. 

Giddonis  d[epositio']  vj  K\^a]l\_endas]  decembres.  Il  nome,  come  le  lettere, 
ha  sapore  barbarico. 

Sep.  8.  Senza  coperte  e  pieno  di  materiale;  sul  fondo  4  sch.  col  cranio  ad  0,  ai 
cui  piedi  una  lucerna  intatta  con  cervo  inseguito  da  cane. 


SIRACUSA 


—  352 


SICILIA 


Sep.  9.  Noi  cavo  piccoli  frammenti  delle  tegole  di  chiusa,  2  sch.  col  cranio  ad 
0  ed  una  lastrina  calcare  a  lettore  nitide  e  rubricate,  di  cm.  21  X  11 

-^GT€AgYTH    p 
MÒ.KedONIÀT 
THRPOSNO  BGM 
BPlO'NHMGPÀneN 
THCU^PÀÀITCNOY 

G5 

Non  comprendo  che  cosa  significhi  Sp^  ahs'vov. 

Sep.  10.  Coperto  con  due  tegole  rotte,  racchiudeva  3  sch.  a  ponente. 


FiG.  12. 


Sep.  11.  Copertura  idem,  con  4  sch.  di  adulti  ed  uno  piccolo  ad  0  ;  all'altezza 
delle  mani  una  fibbia  in  bronzo. 

Sep.  12.  Protetto  da  2  tegole  e  da  una  lastra  calcare,  con  2  sch.  ad  0. 

Sep.  13.  Scoperchiato,  però  sul  fondo  2  sch.  a  posto. 

Sep.  14.  Idem;  1  sch.  ad  0. 

Ssp.  15-  Coperto  da  due  tegoloni  ;  conteneva  2  sch.  ad  0  ed  un  frammento  mar- 
moreo (cm.  17X17)  a  pessime  lettere  rubricate  (fig.  12). 

Porse:  ii&v  eì'xoffi  Tf/?ji)r[«.  ' 


SICILIA 


—  353  — 


SIRACUSA 


Sep.  16.  Coperto  di  due  tegole  spezzate,  con  2  sch.  ad  E  ed  1  ad  0,  pili  un  fram- 
mento epigrafico  marmoreo  (cm.  21  '/s  X  17)  penetrato  colla  terra: 


K«XXio\jt~\i]q  ? 


Sepp.  17-18;  scavati  nell'ottobre  lOOG;  cfr.  Notizie,  1907,  pag.  775. 

Sep.  19.  Coperto,  con  2  sch.  ad  E. 

Sep.  20.  Idem,  sch.  ad  E  ed  un  boccale  a  bocca  svasata. 

Sep.  21.  Idem,  con  2  sch.  ad  E,  una  lucerna  logora  ed  un  boccale. 

Sep.  22.  Idem,  con  2  sch.  ad  0. 

Sep.  23.  Idem,  idem. 

Sep.  24.  Arcosolio  negativo. 

Sep.  25.  Coperto,  con  2  sch.  ad  E  ed  uno  ad  0. 

Sep.  26.  Idem,  con  sch.  ad  E. 

Sep.  27.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sep.  28.  Idem,  sch.  a  N  con  mezzo  boccaletto  fittile. 

Sep.  29.  Idem,  4  sch.  a  SO  ed  un  collo  di  bicchiere  vitreo. 


Fio.  13. 


Sep.  30.  Coperto  come  i  precedenti;  una  delle  tegole  di  chiusa  aveva  il  bollo 
rettangolare  di  cui  offro  il  facsimile  a  fig.  13,  e  che  forse  indica  la  fabbrica  di  un 
Sabinns  Valerius.  Tegole  bollate  nei  cemeteri  siciliani  sono  eccezioni,  anzi  per  quanto 
rammento,  una  sola  volta  mi  è  accaduto  di  trovarne  nella  catacomba  Cassia  {No- 
fisie,  1893,  pag.  303,  n.  91).  Non  escludo  che  tegola  e  bollo  sieno  di  tempi  classici. 
Nell'interno  2  sch.  coi  crani  a  NE. 

Sep.  31.  Idem,  con  1  sch.  a  NE. 

Sepp.  32-45.  Tutti  privi  di  coperte  e  con  un  numero  di  scheletri  variante  da 
1  a  3. 

NoTiziK  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  46 


SIRACUSA 


—  354  — 


SICILIA 


li  Sep.  44  conteneva  un  solo  sch.  col  cranio  a  SE  ed  una  belia  tavola  marmorea 
di  cm.  31  X  23,  con  lettere  non  eleganti  ma  decise: 


YriN0C€NeAA6 
KeiT€ZHCACCTH 

SieTeAeYTHceN 

MHNeiOKTUJ 
BPIUJAn  OKA 
A  A  N  Au;N  I  A 
lA 

+ 


'  lavovaQi'cùv 


Subito  dietro  il  muro  Cavallari,  a  d.  di  chi  prende  a  salire  la  rampa,  vi  è  un 
arcosolio  polisomo,  lo  cui  fosse  risultarono  tutte  negativo  ;  sulla  testata  orientale  della 
prima  di  esse  si  osserva  un  cartello  in  rozzo  stucco  bianco,  di  era.  75  X  00,  contor- 
nato da  una  fascia  rossa,  con  grande  monogramma  del  pari  rosso,  sfregiato  dagli 
Arabi  a  colpi  di  piccone;  sotto  di  esso  il  nome  del  defunto: 


* 


xpecroc 

Cosi  si  chiuse  la  campagna  del  1907,  colla  quale  si  è  riusciti  a  definire  una 
buona  volta  il  limite  orientale  del  cemetero  di  S.  Giovanni  ;  perocché  la  gallerìa  che 
si  suppone  esista  crollata  a  fior  di  terra  non  fa  parte  integrale  del  cemetero,  ma  è 
una  via  di  collegamento  con  altro  ancora  inesplorato  delle  villa  Landolina. 

B)  Scoperte  all'ingresso  principale.  —  Nell'autunno  del  1908  per  ripristinare 
il  livello  originario  dell'ingresso  medioevale  al  cemetero  di  S.  Giovanni  si  fece  un 
sensibile  abbassamento  del  suolo,  dal  quale  vennero  fuori  alcuni  frammenti  antichi 
di  varie  epoche,  ma  insignificanti.  Ricordo  soltanto  la  faccia  di  una  testa  marmorea 
muliebre,  probabilmente  di  Afrodite,  buon  lavoro  romano,  e  due  frammenti  epigrafici, 
da  aggiungere  alla  ricca  serie  di  S.  Giovanni. 

Lastra  calcare  di  cm.  16  X  14,  completa  in  alto  ed  in  basso,  ma  rotta  ai  lati: 


/N  V  S  i!  V    B 

fA  \  A   R  V  m 

Contrai^, 

FCBASIkl^e 

ernator? 


Data  la  frammentazione  della  pietra  non  è  facile  stabilire  a  quale  dei  consoli  di  tal 
nome  (a.  463,  480,  486,  527,  541)  essa  vada  assegnata;  cfr.  Vaglieri,  /  Consolidi 
Roma  antica,  pag.  239  e  segg.  , 


SICILIA 


—  355  — 


SIRACUSA 


L'altro  frammento  marmoreo  di  cm.  21  X  15  è  incompleto  a  d.  ed  interiormente. 

ET  E  AB  V  '      (sic) 
C  E  N  A  n   I 
M  H  N  I   A  JTrgdty 

VI.  Ipogei  cristiani  in  contrada  Cappuccini.  ■ —  Per  diverse  mie  procedenti 
pubblicazioni  è  ormai  bene  accertato  che  tutta  la  falda  orientale  dell' Acradina,  dai 
Cappuccini  fin  quasi  alla  caserma  delle  guardie  doganali  di  S.  Lucia,  era  occupata 


Fio.  14. 


da  numerosi  piccoli  ipogei,  appartenenti  a  sètte  cristiane  e  ad  ebrei  (').  Si  direbbe 
che  quella  regione,  prossima  ma  pur  distinta  da  quella  dei  grandi  cemeteri,  fosse 
destinata,  in  periodi  di  confusione  ed  incertezza  religiosa  alle  comunità  dissidenti 
ed  anche  non  cristiane.  Molti  di  quei  piccoli  ipogei  sono  stati  distrutti,  ne  rimane 
però  sempre  un  numero  bastevole  a  dare  una  chiara  idea  della  loro  struttura  e  con- 
formazione. Ai  quattordici  in  precedenza  da  me  illustrati  ne  aggiungo  ora  altri  tre, 
la  cui  scoperta  è  avvenuta  dentro  l'ultimo  biennio. 

(')  Ne  ho  descritti  sette  nella  Roem.  Quartahchrift  fùr  christl.  Alter thumskunde,  1897, 
pag.  475  e  segg  ;  ed  altri  sei  nello  stesso  periodico,  1900,  pag.  187  e  scgg.  Allo  stesso  gruppo  va 
anche  assegnala  la  catac.  Fiihrer,  da  me  pure  illustrata  in  RQ.,  1895,  pag.  463  e  segg. 


SIRACUSA 


—  356 


SICILIA 


A)  Ipogeo  Troj a- Salano.  —  Nell'autunno  del  1907  in  contrada  S.  Giuliano 
sotto  ai  Cappuccini,  nella  proprietà  Troja-Salazzo,  ricca  di  codeste  opere  di  escava- 
zione, ne  venne  alla  luce  una  nuova,  di  cui  porgo  la  pianta  alla  fig.  14,  e  che  venne 
regolarmente  esplorata  a  cura  della  Direzione  degli  scavi.  Alla  pianta  aggiungo  al- 
tresì una  vedutina  ed  una  sezione  (figg.  15,  16),  le  quali  mi  risparmiano  la  descri- 
zione, che,  salvo  piccole  varianti  di  forma  e  dimensione,  è  per  tutti  eguale.     . 


Fia.  15. 


Come  quasi  tutti  quelli  della  circostante  regione  anche  questo  ipogeo  era  stato 
in  epoca  abbastanza  lontana  (Arabi?)  rapidamente  saccheggiato,  scoprendosi  le  fosse, 
sconvolgendo  i  cadaveri  ;  ma  siccome  lo  scopo  dei  visitatori  era  la  ricerca,  delusa,  di 
oggetti  di  valore,  furono  abbandonate  sul  sito  siccome  inutili,  lucerne  in  gran  nu- 
mero, delle  quali  fra  buone,  mediocri  e  consunte  se  ne  raccolsero  138. 

Ciò  premesso,  ecco  il  resoconto  dello  scavo. 

Sep.  1.  Doveva  essere  molto  ragguardevole  perchè  la  sua  forma  peculiare  e  la 
sua  decorazione  non  trovano  riscontro  nemmeno  nei  grandi  cemeteri  di  S.  Giovanni, 
Cassia  e  S.  Maria  di  Gesù  ;  il  fondo  del  sarcofago  era  infatti  rivestito  di  lastre  mar- 
moree, e  la  bocca  ancor  chiusa  da  due  robuste  lastre  calcari,  fissate  alle  guance  con 
grappe  in  ferro  a  |  ',  impiombate,  era  sormontata  in  tutta  la  lunghezza  da  un 
masso  in  pietrame  e  cemento,  in  forma  di  coperchio  di  baule  o  di  feretro,  rivestito 
alla  superficie  di  malta  e  cocciopesto.  Ed  infatti  i  violatori,  nella  loro  opera  fretto- 


SICILIA 


357  — 


SIRACUSA 


Iosa,  non  si  indugiarono  a  rompere  il  resistente  coperchio,  ma  forarono  il  parapetto; 
nell'interno  un  solo  scheletro  rimaneggiato. 


2 


Sep.  2.  Rivestito  di  marmo  nelle  giiancie  sino  a  metà  altezza,  conteneva  4  sch. 
e  13  lucerne. 

Sep.  3.  Due  scheletri  e  3  lucerne. 

Sep.  1.  Due  soli  scheletri. 

Sep.  5.  Due  scheletri  ed  una  lucerna. 


SIRACUSA  —    358    —  SICILIA 

Sep.  6.  Uno  sch. 

Sep.  7.  Sei  sch.  coi  crani  a  S  od  una  lucerna- 

Sep.  8.  Quatto  sch.,  14  lucerne  e  2  in  frammenti. 

Sej).  0.  Quattro  sch.  e  5  lucerne. 

Sep.  10.  Due  sch.  e  5  lucerne. 

Sep.  11.  Un  solo  sch. 

Sep.  12.  Uno  sch.  ed  una  lucerna. 

Sep,  13.  Due  sch.  e  3  lucerne. 

Sep.  14.  Tre  sch.  ed  una  lucerna. 

Sep.  15.  Due  sch.  ed  una  lucerna. 


FiG.  17. 


Sep.  16.  Idem. 

Sep.  17.  Quattro  sch.  e  4  lucerne.  « 

Sep.  18.  Due  sch.  e  3  lucerne. 

Sep.  19.  Due  sch.  e  2  lucerne, 

Come  osservazione  generale  va  notato,  che  tutti  i  sepolcri  erano  stati  violati  e 
gli  scheletri  più  o  meno  rimaneggiati;  un  esatto  criterio  per  la  orientazione  dei  ca- 
daveri vien  dato  dai  capezzali  segnati  in  pianta.  Copiosi  rottami  di  anfore  ovolari, 
per  contenere  la  calce  da  saldare  e  coprire  le  chiuse  dei  sarcofagi,  vennero  ricono- 
sciuti anche  qui,  come  già  in  tutti  gli  altri  ipogei  della  piccola  regione.  Merita  par- 
ticolare attenzione  la  marca  di  un'anfora  ovolare,  alta  cm.  48,  priva  del  fondo  e  spal- 
mata di  calce  nell'interno,  sulle  cui  spalle  è  rubricata  a  guazzo  una  sigla  (tig.  17), 
che  mi  parve  ebraica  od  araba;  totalmente  digiuno  di  lingue  orientali,  inviai  un 
accurato  lucido  della  sigla  a  due  specialisti,  ma  duolmi  che  i  loro  pareri  sieno  dia- . 
metralmente  opposti  (').  Se  l'interpretazione  di  mons.  Lagumina  fosse  sicura,  noi  ci 

(')  Ecco  il  giudizio  del  dotto  mons.  B.  Lagumina,  vescovo  di  Girgenti:  «  Le  lettere  dipinte 
u  nell'anfora  sono  indubbiamente  arabe.  Ma  che  cosa  dicono?  Non  lo  so.  In  un  gruppo  mi  pare  si 
u  liossa  leggere  conto,  perù  non  ne  posso  essere  sicuro.  Credo  che  a  Tunisi  e  ad  Algeri  quelle  an- 
«  fore  scritte  non  dovrebbero  essere  rare  ».  Invece  i  proff.  C.  A.  Nallino  della  R.  Università  H  Pa- 


SICILIA  —  359   —  SIRACDSA 

troveremmo  in  grave  imbarazzo  a  spiegare  la  presenta  di  un'anfora  araba  nell'ipogeo; 
essa  sarebbe  stata  dimenticata  da  Arabi,  introdottisi  colà  per  saccheggiare  le  tombe. 
Se  non  che  la  forma  dell'anfora  è  esattamente  quella  di  tutte  le  altre  che  in  quel 
gruppo  di  ipogei  rinvengonsi,  e  la  calce  viva  clie  aderisce  alle  sue  pareti  denota  che 
venne  adibita  come  recipiente  da  calce,  fatto  sovente  volte  constatato;  astrazion  fatta 
dalle  sigle,  essa  sarebbe  stata  abbandonata  sul  sito,  assieme  alle  altre,  dagli  antichi 
Fossores.  E  si  aggiunga  che  un'altra  anfora  di  egual  forma  ovolare,  cordonata,  reca 
grafflta  sulle  spalle  una  croce  patente  graffita,  ed  allato  di  essa  un'altra  sigla  rossa, 
appena  avvertibile  perchè  smarrita.  Cade  pertanto  il  sospetto  che  si  tratti  di  un  an- 
fora con  sigla,  e  di  età  araba. 

Oltre  le  anfore  si  raccolse  un  insignificante  frammentino  epigrafico  in  cal- 
care, ed  i  rottami  di  alcuni  vetri,  tra  i  quali  avanzi  di  due  bicchieri  svasati,  o 
tronco-conici,  di  tipo  assolutamente  cemeteriale. 

Ma  la  serie  più  ricca  ed  istruttiva  è  data  dalle  lucerne,  in  tutto  n.  138:  la 
maggior  parte  erano  a  terra  nel  piccolo  atrio  e  nel  corridoio,  altre  dentro  le  fosse. 
Ora  che  gli  studi  degli  archeologi  sono  vólti  anche  a  questa  parte  più  umile  ma  non 
meno  utile  dell'arte  cristiana,  gioverà  molto  dare  copiose  riproduzioni  dei  tipi,  come 
contributo  al  Corpus  Lucernarum,  per  il  quale  siamo  allo  stadio  preparatorio.  Al- 
quanto materiale  io  ho  già  pubblicato  nelle  varie  mie  monografie  sulla  Siracusa  cri- 
stiana, ed  osservo  che  mentre  i  grandi  cemeteri  hanno  dato  un  materiale  relativamente 
scarso,  quasi  tutto  di  tipo  africano  od  imitato,  la  necropoli  dei  Grotticelli  ed  il 
gruppo  Cappuccini-S.  Giuliano  ci  hanno  fornito  la  serie  più  ricca  (alcune  centinaia), 
con  tipi  che  nettamente  si  distinguono  da  quelli  dei  cimiteri  maggiori.  Per  i  Grot- 
ticelli vedi  Notizie,  1896,  pag.  334  e  segg.;  per  i  cimiteri  minori  cfr.  RQ.,  1897, 
tavv.  I-III.  In  aggiunta  adunque  ai  materiali  già  editi  da  me  e  dal  Fiihrer  per  Si- 
racusa, dal  p.  Delattre  per  Cartagine  ('),  ed  al  primo  tentativo  di  sintesi  generale 
dal  Bauer  ('),  credo  di  recare  un  utile  e  doveroso  contributo  al  Corpus  delle  lucerne 
cristiane,  divulgando  qui  altro  materiale  inedito. 

La  ricca  serie  del  nostro  ipogeo  va  distinta  in  due  categorie:  le  lampade  di 
creta  rossa  corallina,  di  forma  oblonga  piuttosto  grande,  da  attribuire,  in  massima, 
a  fabbriche  africane;  le  altre  rotonde  ed  oblunghe,  in  creta  chiara,  di  arte  scadente. 


lermo,  ed  I.  Gnidi  di  quella  di  Roma,  hanno  espresso  tutt'altro  avviso:  «  Sono  dolente  di  dover 
«  dare  una  risposta  di  carattere  soltanto  negativo  al  problema  sottopostomi  dal  prof.  Orsi.  Per 
1  maggiore  garanzia  feci  osservare  al  prof.  Guidi  il  facsimile  dei  segni  enigmatici  trovati  su  quella 
«  terracotta  di  Siracusa,  ma  neppure  al  Guidi  riuscì  di  capirne  qualche  cosa.  Solo  una  piccolis- 
«  sima  parte  del  gruppo  maggiore  (che,  molto  da  lontano,  ha  una  vaga  somiglianza  col  Tugra  o 
«  suggello  dei  Sultani  ottomani)  si  potrebbe  avvicinare  a  due  consonanti  arabe;  ma  tutto  il  resto 
«  del  giuppo  non  dice  nulla  assolutamente  né  in  lingue  semitiche,  né  in  persiano  o  turco.  Non  ha 
«  neppur  rapporto  colla  scrittura  araba  »  (Nallino). 

(')  Delattre,  Lampes  chréliennes  de  Carthage  (Lilla,  1891-93);  sono  tutti  tipi  africani,  molto 
diversi  dai  siciliani. 

(^)  Max  Bauer,  Das  Bilderschmuck  frùhchristlicher  Tonlampen  (Greifswald,  1907);  ne  è  per 
ora  uscita  la  prima  parte,  non  illustrata. 


SIRACUSA 


—  360  — 


SICILIA 


2 


SICILIA 


361 


SIRACUSA 


ad  impressioni  e  rilievi,  da  attribuire  a  fabbriche  locali.  Conviene  però  notare  che 
anche  tra  le  primo  vi  sono  contraffazioni  paesane,  avvertibili  alla  creta  più  pallida, 
al  disegno  scadente;  come  tra  le  altre  più  numerose  vi  può  essere  qualche  esemplare 
di  fabbriche  esotiche,  non  ancora  ben  definito.  È  appunto  causa  l'incertezza  che  an- 
córa domina  in  tale  materia,  che  conviene  pubblicare  più  materiale  che  sia  possibile, 
al  fine  di  agevolare  l'opera  di  aggruppamento  e  di  comparazione. 

Appartengono  al  primo  gruppo  16  esemplari,  i  quali  nello  scudetto  centrale  esi- 
biscono i  motivi  seguenti:  pesce,  leone,  gallo,  pavone,  cane  lupetto,  palma,  guerriero 
che  estrae  il  parasonium,  orante  di  prospetto,  monogramma  decussato,  croce  patente, 
croce  a  rosette,  circolo;  sebbene  alcuni  di  questi  soggetti  sieno  ibridi  ed  indifferenti, 
qui  diventano  tutti  cristiani,  perchè  applicati  a  lucerne  postcostantiniane,  quindi  di 
età  e  fabbricazione  indiscutibilmente  cristiana;  solo  per  uno  (Artemide?)  si  affaccia  il 
sospetto  di  paganesimo. 


PlG.    19. 


Assai  mono  agevole  riesce  la  classificazione  della  restante  massa  di  lucerne,  così 
svariate  per  forma,  materia,  tecnica  e  decorazione  :  cercherò  tuttavia  di  addivenire  a 
tale  classifica,  richiamandomi  agli  esemplari  affini  da  me  editi  nella  RQ. 

Due  esemplari  presentano  il  monogramma  cruciforme,  e  due  la  croce  patente; 
uno  dei  primi  è  circondato  di  un  fregio  con  segni  litterali,  che  non  hanno  significato 
(fig  18,  1).  Altri  quattro  esemplari  (=  RQ.,  1897,  tav.  Ili,  fig.  4)  presentano  in  ri- 
lievo la  croce  di  Malta  con  palmette  intercalate  fra  le  braccia  (fig.  18,  •''•■^),  e  sono 
di  forma  circolare  e  di  tecnica  ordinaria;  nel  rovescio  uno  ha  il  segno  speciale  di 
fabbrica  come  RQ.  '97,  tav.  Ili,  fig.  26.  A  fig.  18,  3  presento  una  variante  con  rami 
periati  invece  di  palme.  Cinque  esemplari  sono  repliche  del  tipo  RQ.'97,  tav.  Ili, 
fig.  10  ed  uno  di  essi  presenta  nel  rovescio  la  marca  RQ.  '97,  tav.  HI,  fig.  26. 
Dieci  sono  eguali  alla  fig.  19,  tav.  Ili,  op.  cit.  Tre  ripetono  la  fig.  27,  tav.  Ili, 
op.  cit,  dove  la  fig.  24,  tav.  II,  op.  cit,  ed  altre  due  hanno  una  stessa  rosa  periata. 

Otto  esemplari  corrispondono  al  tipo  a  ricca  perlatura,  che  io  esibisco  alla  fig.  19; 
la  sagoma  della  lucerna  è  ancora  di  sapore  classico,  e  tutti  gli  esemplari  orano  ri- 
Ndtizik  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  47 


SIRACUSA  —    362    —  SICILIA 


vestiti  di  una  vernice  rossa  o  bnina;  nel  rovescio  tali  lucerne  portano  il  marco  di 
fabbrica  RQ.  '97,  tav.  II,  fig.  4,  con  lievi  varianti  (in  una  crocetta  equilatera  nel 
disco),  di  cui  la  più  ricca  io  presento  a  fig.  19.  Tre  lampade,  imitazione  locale  e 
cattiva  delle  africane,  ci  offrono  un  magro  e  cornuto  (?)  quadrupede  corrente,  forse  un 
cane  ad  orecchie  dritte;  una  quarta  il  leone  (=  RQ.  '07,  tav.  I,  fig.  9),  una  quinta 
la  palma.  Un  esemplare  di  forma  classica  esibisce  (fig.  18,  "?)  un  personaggio  mu- 
liebre che  cavalca  un  cervide  corrente  (Artemide?),  ma  nel  rovescio  reca  una  cro- 
cetta equilatera  di  perle.  Classico  è  del  paro  l'esemplare  (fig.  18,  5)  colla  brutta  ma 
singolarissima  rappresentanza  di  una  figura  recumbente,  ai  cui  piedi  un  putto  e  nello 
sfondo  un  albero;  attesa  la  piccolezza  e  la  cattiva  esecuzione  del  soggetto  non  oso 
dire,  ma  non  escludo,  si  tratti  di  una  rappresentanza  fluviale.  Tre  pessimi  esemplari 
corrispondono  esattamente  alla  fig.  3,  tav.  II,  op.  cit.,  e  due  si  avvicinano  alla  fig.  9 


Fig.  20. 

della  stessa  tavola.  Quattro,  colla  marca  del  germoglio  nel  rovescio,  ricordano  il  tipo 
2-3,  tav.  II,  op.  cit.,  ma  i  motivi  sono  variati:  la  treccia,  delle  rosette  (fig.  18,  10), 
dei  giragli,  e  delle  colombe  presso  un  bacino  (fig.  18,  H);  da  notare  la  forma  ancora 
classica  del  manico  a  cuspide.  Due  esemplari  hanno  una  fitta  ruota  di  pavone  (fig.  18, 13). 
Gli  ovvii  motivi  della  rosetta,  del  rombo  semplice  e  doppio  si  hanno  in  quattro  dif- 
ferenti esemplari,  forse  anche  di  fabbriche  differenti  tra  cui  quella  del  germoglio; 
veggasi  a  fig.  18,  12  l'esemplare  più  ricco,  con  mascheretta  scimmiesco.  Un  altro 
motivo  geometrico-floreale  esibisce  la  lucerna  fig.  18,8,  colla  marca  =RQ '97, 
tav.  Ili,  fig.  13.  Una  dozzina  di  esemplari,  con  varianti,  si  richiama  al  tipo  op.  cit., 
tav.  III.  fig.  1  ;  sono  tutti  brutti  e  rozzi,  ed  uno  di  essi  è  replica  esatta  della  fig.  9, 
tav.  II,  op.  cit.  Tre  esemplari,  di  cui  uno  molto  grande,  danno  la  forma  rara  ed 
inusitata  fig.  20,  nota  per  pochi  esempi  siracusani  inediti  e  per  uno  delle  catacombe 
di  Priolo  {Notizie,  1906,  pag.  196,  fig.  6).  Di  tipo  africano  ma  di  creta  e  lavoro 
indigeno  è  l'esemplare  fig.  18  6,  collo  scudetto  sfondato  e  con  una  corsa  di  cavalli, 
divisi  da  cuspidi,  nella  fascia.  La  rozza  lucerna  a  foccacetta  (fig.  18,  ^)  è  decorata 
di  una  margherita.  Elementi  disparatissimi,  fra  cui  il  pesce,  e  distribuiti  senza  cri- 
terio, vedonsi  in  un  esemplate  eguale  a  RQ.  '07,  tav.  Ili,  fig.  21.  Alla  stessa  tecnica 
in  rilievo,  ma  ottenuta  con  punzoncini  mobili,  quasi  tipografici,  spettano  gli  avanzi 
delle  due  grandi  e  bizzarre  lucerne  (fig.  21):  vi  sono  pesci,  meandri,  rombi  e  pal- 
mette,  il  tutto  affastellato  senza  ordine  e  sentimento,  senza  criterio  distributivo,  si  di- 
rebbe col  semplice  proposito  di  riempire  di  ornati  lo  spazio  vuoto  ;  di  tal  genere  singo- 
larissimo avevamo  già  qualche  campione  dalla  stessa  regione  RQ.  '97,  tav.  II,  fig.il. 


SICILIA 


—  363  — 


SIRACUSA 


L'esame  accui-ato  delle  numerose  lucerne  ci  permette  di  aifermare  che  la  piccola 
catacomba  Troja-Salazzo  era  cristiana  ;  d'infiltrazioni  o  residui  pagani  unica  la  lucerna 
con  la  supposta  Artemide.  Nuova  la  foggia  di  copertura  del  primo  sepolcro.  L'epoca 
del  sepolcreto  sta  fra  la  metà  del  sec.  IV  ed  i  primi  del  sec.  V,  al  quale  periodo 
si  riferiscono  se  non  tutti,  certo  la  maggior  parte  degli  ipogei  cristiani  ed  ebraici 
della  contrada  Cappuccini-S.  Giuliano. 


FiG.  21. 


B)  Ipogeo  Attanasio.  —  Negli  ultimi  del  1907,  nella  stessa  contrada  di  S.  Giu- 
liano, e  precisamente  nel  tratto  di  spiaggia  denominato  Pietralonga,  una  cavapietra 
mise  le  mani  sopra  un  altro  ipogeo,  che  per  cortesia  del  proprietario,  sig.  Vinc.  At- 
tanasio, non  solo  venne  da  noi  metodicamente  esplorato,  ma  altresì  chiuso  e  munito 
di  griglia.  L'importanza  di  esso  consiste  non  tanto  nella  sua  forma,  con  corridoio  a 
croce,  ma  nel  fatto  che  era  quasi  totalmente  sgombero  di  terre,  e  con  buona  parte 
dei  sarcofaghi  intatti  e  non  violati,  il  che  avviene  assai  di  rado;  solo  un  piccolo 
numero  ne  era  stato  aperto  dallo  scopritore  e  pochi  altri  in  epoca  antica  non  preci- 
sata. Si  accede  alla  piccola  catacomba  per  una  scala  parte  scavata  nella  roccia,  parte 
in  muratura,  vòlta  ad  oriente. 

Ci  serva  di  guida  nel  nostro  esame  la  pianta  e  sezione  a  figg.  22-23,  dalla 
quale  si  vede  che  l'ingresso  era  in  origine  munito  di  una  porta  in  legno  ad  un  bat- 


SIRACUSA 


—  364 


SICILIA 


SICILIA 


—  365  — 


SIRACUSA 


tente;  del  palo  sul  quale  essa  girava  vedesi    ancora  il  foro  d'innesto  nel  suolo.  La 

esplorazione  poi   delle  singole  fosse 
ha  dato  i  risultati  seguenti: 

Sep.  1.  Coperto  di  due  tegole, 
con  2  schei,  dal  cranio  a  ponente  e 
2  lucerne. 

Sep.  2.  Scoperto  ;  2  sch.  a  po- 
nente ed  1  a  levante. 

Sep.  3.  Scoperto  :  2  sch.  a  po- 
nente. 

Sep.    4.  Idem  ;  1  scli.  a  ponente. 

Sep.     5.  Coperto   di   2   tegole; 

1  sch.  ad  ovest. 
Sep.     6.  Scoperto  con  uno  sch. 

a  ponente. 

Sep.  7.  Scoperto  ;  con  2  sch.  a 
nord  ed  1  a  sud. 

Sep.  8.  Coperto  di  2  tegole, 
con  2  sch.  ad  ovest. 

Sep.  9.  Idem;  con  1  sch.  ad 
ovest. 

Sep.  10.  Idem;  2  piccoli  sch. 
ad  est  e  due  adulti  ad  ovest. 

Sep.  11.  Idem  ;  con  3  tegole  ;  2 
schr^d  ovest. 

Sep.  12.  Scoperto;  2  sch.  adulti 
ed  uno  di  fanciullo,  tutti  ad  ovest. 

Sep.  13.  Scoperto  ;  1  sch.  a  nord. 

Sep.  14.  Coperto  con  2  tegole; 

2  sch.  a  nord. 
Sep.  15.  Idem  ;  2  sch.  ad  ovest. 
Sep.  16.  Idem;    un  bambino  a 

levante  ed  un  adulto  a  ponente. 

Sep.  17.  Scoperto;  con  1  sch. 
a  ponente. 

Sep.  18.  Idem  ;  con  1  sch.  a 
levante. 

Sep.  19.  Idem;  id. 

Sep.  20.  Idem  ;  con  2  sch.  ad 
ovest. 


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Q 

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ca 

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nì 

UJ 


Sep.  21.  Coperto  di  2  tegole;  con  5  sch.  a  sud. 
Sep.  22.  Idem  ;  3  sch.  ad  ovest. 


SIRACOSA 


—  366  — 


SICILIA 


Sep.  23.  Idem;  2  sch.  ad  ovest, 

Sep.  24.  Idem  ;  con  3  tegole  ;  2  sch.  ad  ovest  ed  una  lucerna. 

Sep.  25.  Idem;  con  2  tegole;  2  sch.   ad   ovest. 

Sep.  26.  Idem;  idem. 

Sep.  27.  Idem;  con  3  sch.  ad  ovest. 

Sep.  28.  Idem  ;   con  2  sch.  a'  nord. 

Sep.  29.  Idem;  con  1  sch.  a  nord. 

Sep.  30.  Idem;  2  scli.  col  cranio  ad  est,  nella  mano  d.  di  uno  dei  quali  tre 
monetine  in  bronzo  logore,  per  il  modulo  e  per  la  testa  imperiale  radiata,  certamente 
precostantiniane  e  da  collof^arsi  nell'ultimo  trentennio  del  secolo  III,  piuttosto  che 
nei  primi  del  IV. 

Sepp.  31-33.  Violati,   con    ossa  rimaneggiate. 


FiG.  24. 


Sparsi  sul  suolo  della  catacomba  si  raccolsero  alcuni  boccali  ed  alcune  anfore, 
delle  quali  altre  servivano  per  l'acqua,  altre  rotte  per  contenere  la  ealce  (ancora 
aderente  alle  pareti)  da  saldare  le  chiuse  dei  sarcofagi.  Le  lucerne  erano  alquanto 
numerose,  in  totale  cinquanta,  quasi  tutte  sparse  al  suolo,  pochissime  dentro  le  fosse. 
Nessuna  di  esse  è  fresca  o  di  ottima  conservazione,  e  molte  quelle  logore.  E,  ciò  che 
più  monta,  il  tipo  loro  costante  è  quello  classico  tardo,  anziché  quello  specifico  cri- 
stiano, sia  africano,  sia  indigeno.  Sotto  questo  rispetto  le  lucerne  della  cat.  Attanasio 
si  staccano  così  nettamente  da  quelle  degli  altri  ipogei  della  regione,  da  doverle 
ritenere  tutte  di  età  precostantiniana;  non  una  sola  reca  una  forma  qualsiasi  di 
monogramma,  non  una  sola  un  simbolo  che  senza  riserva  possa  dirsi  cristiano.  Degli 
undici  esemplari  con  figurazioni  più  o  meno  riconoscibili,  è  certo  pagano  uno  con 
corona  di  sapore  al  tutto  classico  e  con  marca  di  fabbrica  evanescente;  due  hanno 
un  leone  od  un  cavallo  correnti.  Gli  altri:  una  scena  del  circo  (bestiari  in  lotta ^on 


SICILIA  —    367    —  SIRACUSA 

un  orso);  un  domatore  di  cavallo;  due  bnsti  di  divinità  (Iside  od  Osiride);  busto  di 
divinità  barbuta  (Giove  Sarapide?);  busto  di  divinità  muliebre;  fijifura  togata.  L'unico 
esemplare  che  porga  materia  a  discussione  è  riprodotto  alla  fig.  24. 

Nello  scudo  circondato  da  un  doppio  giro  di  bulle,  un  pescatore  (indicato  il 
membro)  sopra  uno  scoglio,  che  pesca  alla  lenza,  alla  quale  ha  abboccato  un  pesce; 
nel  rovescio  la  marca  CABAI ,  nuova,  per  quanto  io  ne  sappia.  Scena  di  genere  non 
estranea  all'arte  pagana,  ma  che  per  un  cristiano  poteva  avere  un  recondito  signifi- 
cato simbolico,  ed  in  fatto  il  Bauer,  nella  II  parte  ancora  inedita  dell'op.  cit.  (5^  6,  e) 
ne  ha  raccolte  gli  esempi.  La  lucerna  adunque,  astrazione  fatta  dalla  forma,  può 
essere  tanto  pagana  che  cristiana,  ed  appartenere  alla  classe  delle  ibride,  in  voga 
appunto  nel  sec.  Ili  ed  agli  inizi  del  IV,  sulle  quali  tanto  si  è  ormai  discusso.  A 
ritenerla  però  pagana  io  inclino  per  la  forma,  per  lo  stile,  per  la  marca  di  fabbrica 
e  per  la  nudità  del  personaggio,  non  cinto  da  perizoma. 

Abbiamo  pertanto  un  ipogeo  non  solo  senza  il  menomo  segno  cristiano  tracciato 
sulle  pareti  o  sulle  coperte  (mancanza  rilevata  nell'intero  gruppo  Cappuccini-S.  Giu- 
liano), ma  senza  un  simbolo  specifico  nelle  cinquanta  lucerne  che  racchiudeva.  Mo- 
nete e  lucerne  in  perfetto  accordo  risalgono  alla  fine  del  sec.  Ili,  od  al  più  ai  pri- 
mordi del  IV  ;  e  le  une  e  le  altre  sono  precostantiniane,  e  tale  giudico  anche  l'ipogo. 
A  questo  punto,  e  davanti  tali  risultati,  sorge  la  domanda  se  esso  fosse  cristiano  o 
meno.  Cristiana  ne  è  certo  la  forma,  e  noi  potremo  crederlo  dell'epoca  delle  perse- 
cuzioni, ed  appartenente  ad  una  famiglia  o  comunità,  che  dissimulando  la  propria 
fede  religiosa,  non  ne  ostentasse  i  simboli  né  sulle  pareti,  né  sulle  lucerne.  Cristiani, 
se  non  proprio  ortodossi  sono,  all'infuori  di  qualcuno  ebraico,  gli  ipogei  di  tutta  la 
circostante  regione.  A  me  pare  dunque  diffìcile  di  poter  negare  anche  a  questo,  mal- 
grado le  apparenze  esteriori,  il  battesimo  della  cristianità,  e  l'assenza  di  ogni  sim- 
bolo specifico  spiego  coll'età  precostantiniana  cui  esso  risale. 

Prima  di  lasciare  questo  monumento  conviene  rammentare  che  proprio  a  pochi 
passi  dallo  sbocco  superiore  della  scala,  lo  stesso  cavapietre  che  l'aveva  segnalato, 
scoprì  anche  un  pentolino  con  1545  monetine  in  bronzo  del  basso  impero,  del  periodo 
317-408;  di  tale  ripostiglio  diedi  la  lista  sommaria  nelle  Nolùie,  1908,  pag.  61. 

C)  Ipogeo  Branciamore.  —  Lo  sviluppo  edilizio  che  Siracusa  va  prendendo 
lungo  la  costa  dei  Cappuccini,  fino  a  pochi  anni  addietro  completamente  disabitata,  ha 
provocato  a  breve  distanza  di  tempo  dalle  due  precedenti,  una  terza  scoperta  di  non 
dubbio  valore.  Nella  parte  media  del  declive  meridionale  di  Acradina,  ed  a  poche 
diecine  di  metri  dall'Ipogeo  Attanasio,  aprendosi  nel  settembre  del  1908  un  pozzo 
per  una  nuova  casetta,  proprietà  di  Giov.  Branciamore  ('),  si  venne  a  cadere  colla  canna 
di  esso  nel  bel  mezzo  di  un  piccolo  ipogeo  cemeteriale,  scavato  ad  una  profondità 
alquanto  sensibile  (m.  4,80)  nel  banco  calcare  conchiglifero.  E  devesi  a  questa  circo- 
stanza, se  ostruitisi  in  antico  l'ingresso  e  la  scala,  potè  l'ipogeo  sfuggire  a  violatori 
antichi  e  moderni,  pervenendo  a  noi  perfettamente  intatto.  La  pianta,  la  sezione  e  la 

(')  A  mono  ili  un  anno  di  distanza  la  casetta,  sotto  cui  sta  l'ipoffeo,  Iia  cambiato  padrone; 
essa  trovasi  lungo  il  viale  dei  Cappuccini  ed  è  oggi  proprietà  di  Antonio  Cotronc  fu  Frane,  ex 
ferroviere. 


SIRACUSA 


—  368  — 


SICILIA 


veduta  che  allogo  alle  figg.  2ri-27,  ce  ne  dà  la  forma  esatta,  a  meglio  comprendere  la 
qnale  bastano  poche  parole  esplicative.  L'ingresso  era  dal  lato  di  ponente,  per  mezzo 
di  una  scaletta  che  oggi  coincide  sotto  l'argine  ferroviario.  La  distribuzione  degli  arco- 


Fio.  25. 


solii  è  qui  un  po'  più  complicata  che  non  sia  nello  altre  escavazioni  consimili.  Una 
particolarità  rara  è  data  dai  loculi  quadri  cho  numerosi  tianclieggiano  due  degli 
arcosoli;  in  essi  non  si  riconobbero  tracce  di  urne  od  altro  che  permettesse  di  pre- 
cisarne l'uso:  essi  erano  perfettamente   vuoti.    Nella   catac.  di  S.  Lucia  una  pa*etfl 


SICILIA 


369  — 


SIRACUSA 


contiene  24  di  queste  nicchie,  distribuite  in  tre  ordini  sopra  i  loculi  ad  umazione  ('), 


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e  si  dico  che  una  contenesse  un'urna  con  ossa    non    cremate  di  bambino.  Ciò  viene 
confermato  da   mie    scoperte    del    1890    in    questa   stessa  contrada  {Notizie,  1891, 
e)  Fahrer  J.  et  Schultze  V..  Die  altchritllichen  GrabHàUen.  Sixiliem,  pagg.  37-39. 
NoTizw  ScATi  1909  -  Voi.  VI.  48 


SIRACUSA 


—  370  — 


SICILIA 


pagg.  295,  296),  nella  quale  due  piccoli  ipogei  avevano  numerose  nicchie  quadre,  in 
due  delle  quali  riconobbi  avanzi  di  bambini  non  cremati.  Non  è  perciò  esatto  quanto 
afferma  lo  Schultze  (op.  cit,  pag.  34):  «  In  einigen  dieser  kleinen  Coemeterien 
«  mischen  sich  Aschenurnen  und  Langsgraeber  » ,  non  essendosi  mai  trovate  vere 
urne  ad  incinerazione  per  fuoco.  Suppongo  pertanto  che  anche  nella  catac.  Brancia- 
more  le  nicchie  fossero  destinate  allo  iyxvTQKfuóg  di  bambini.  Nei  grandi  cemeteri 
invece  questi  avevano  i  loro  loculi  anche  minuscoli  {Notizie,  1893,  pag.  280),  ma 
della  stessa  forma  di  quelli  per  adulti. 

L'ipogeo  venne  sottoposto  a  metodica  esplorazione,  appena  ne    fu    segnalata  la 
scoperta,  per  modo  che  nessun  danno  arrecarono  ad   esso  i  cavapozzo,   meno  le  tre 


Fi6.  27. 


fosse  sfondate.  Ed  in  fatti  tutti  i  sarcofagi  apparvero  ermeticamente  chiusi  con  te- 
gole, spalmate  di  un  fitto  strato  di  calce.  Le  lucerne,  numerosissime,  erano  in  origine 
collocate  sopra  le  coperte,  ma  siccome  alcune  di  queste  erano  crepate  od  avevano 
ceduto,  avvenne  che  talvolta  le  lucerne  penetrarono  nelle  fosse. 

Sep.  1.  Coperto  di  tre  tegole,  racchiudeva  3  sch.  ad  0. 

Sep.  2.  Idem,  con  2  scli.  ad  0. 

Sep.  3.  Idem,  con  2  sch.  ad  0  e  10  lucerne. 

Sep.  4.  Idem.  4  sch.  ad  0  ed  una  lucerna. 

Sep.  5.  Idem,  con  2  tegole  ed  1  sch.  ad  0. 

Sep.  6.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sep.  7.  Idem,  con  3  sch.  a  N. 

Sep.  8.  Idem,  idem. 

Sep.  9.  Idem,  idem. 

Sep.  10.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sepp.  11-13.  Distrutti  nello  8cav(>  del  pozzo.  «^ 


SICILIA  —   371    —  SIRACDSA 

Se}).  14.  Coperto  con  due  tegole,  conteneva  2  soli,  o  12  lucerne. 

Sep.  15.  Idem,  3  scL.  a  N  e  4  lucerne. 

Se]ì.  IG.  Idem,  con  4  sch.  a  N. 

Sep.  17.  Idem,  idem,  ed  una  lucerna. 

Sep.  18.  Idem,  con  1  sch.  a  N  ed  una  lucerna. 

Sep.  19.  Idem,  con  1  sch.  a  N  ed  una  lucerna. 

Sep.  20.  Idem,  idem,  ed  una  lucerna. 

Sep.  21.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sep.  22.  Idem,  con  3  sch.  a  N. 

Sep.  23.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sep.  24.  Idem,  con  3  sch.  a  N. 

Sep.  25.  Idem,  con  un  solo  sch.  a  N. 

Sep.  26.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sep.  27.  Idem,  con  3  sch.  a  N. 

Sep.  28.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sep.  29.  Idem,  con  1  sch.  a  N. 

Sep.  30.  Idem,  con  1  sch.  ad  0. 

Sep.  31.  Idem,  idem. 

Sep.  32.  Idem,  idem. 

Sep.  33.  Idem,  con  2  sch.  ad  0  e  2  lucerne. 

Sep.  34.  Idem,  con  2  sch.  ad  0. 

Sep.  35.  Idem,  con  uno  sch.  ad  0. 

Sep.  36.  Idem,  con  2  sch.  ad  0. 

Sep.  37.  Idem,  con  1  sch.  a  N. 

Sep.  38.  Idem,  con  3  sch.  a  N. 

Sep.  39.  Idem,  con  2  sch.  a  N. 

Sepp.  40-41.  Sarcofagi  la  cui  scavazione  venne  iniziata  e  poi  sospesa. 

Sep.  42.  Fossa  per  bambino. 

Decisivo  per  la  determinazione  cronologica  e  religiosa  di  questo  ipogeo  è  l'esame 
delle  124  lucerne  in  esso  raccolte,  dentro  le  fosse,  sopra  le  coperte  o  sul  suolo.  Il 
loro  stato  di  conservazione  è  pessimo;  soltanto  una  oscena  è  fresca  e  poche  altre  in 
mediocre  stato.  Le  forme  sono  svariate,  ma  prevale  a  grandissima  maggioranza  il 
tipo  classico  precostantiniano;  mentre  non  più  di  un  decimo  sono  del  tipo  a  navi- 
cella oblunga,  proprio  al  sec.  IV.  La  fattura  ne  è  in  genere  scadente  meno  in  quelle 
a  soggetti  tìgurati  sviluppati  ;  la  creta  di  toni  svariati  ma  tutti  smorzati  ;  manca  il 
rosso  fiammante  degli  esemplari  genuinamente  africani,  e,  per  assenza  di  bolli,  non 
siamo  in  grado  di  definire  le  altre  fabbriche.  Che  ve  ne  sieno  di  siracusane  è  più 
che  probabile,  ma  altre  non  sono  siracusane  e  forse  nemmeno  siciliane.  Scartati  gli 
esemplari  completamente  logori,  o  privi  assolutamente  di  qualsiasi  decorazione,  e 
perciò  refrattari  a  qualunque  giudizio,  ho  disposto  il  resto  del  materiale  nei  gruppi  che 
seguono,  tenendo  fermo  il  canone  fondamentale,  che  vi  sono  in  prevalenza  tipi  ibridi, 
usati  da  pagani  e  cristiani,  ma   che   specitìcamente  non  è  lecito  chiamare  cristiani. 


SIRACUSA 


—  872  — 


SICILIA 


A)  Soggetti  esclusivamente  pagani.  —  Esemplare  logoro  con  busti  in  pro- 
spetto di  due  divinità,  una  maschile  radiata,  l'altra  muliebre  (luppiter-Iuno,  Helios- 
Selene).  Altro  col  busto  di  Giove-Sarapide  e  di  Iside.  Altro  con  donna  seduta  sopra 
un  quadrupede  corrente,  in  apparenza  cavallo  ma  più  probabilmente  toro  (Europa), 
circondato  da  stelle  (fig.  28).  Altro  colla  testa  di  Iside  in  prospetto,  sormontata  dal 
disco  solare  alato,  e  da  due  lunghe  corna.  Altra  col  busto  di  profilo  di  Artemis- 
Selene.  Altro  col  mite  di  Atteone,  la  testa  colle  corna  cervine,  mezzo  abbattuto  ed 
aggredito  dai  cani  che  lo  addentano,  contro  i  quali  si  difende  a  colpi  di  randello 
(fig.  29).  Altro  molto  logoro,  con  Edipo  davanti  alla  iSfinge.    Altro   con    Fauno,  re- 


Fio.  28. 


Fig.  29. 


canta  il  tirso  sulla  spalla.  Tre  esemplari  con  simplegma  osceno,  derivanti  da  due 
forme  diverse. 

B)  Soggetti  neutri  od  ibridi.  —  Testa  di  guerriero  di  profilo  con  corazza  ed 
elmo  cristato,  come  l'esemplare  R.  Q.,  1897,  tav.  I,  fig.  8.  Puttino.  Scena  circense; 
un  bestiario  soccombentte  sotto  un  orso.  Quattro  esemplari  eguali  nel  soggetto,  ma 
diversi  nella  incorniciatura,  con  una  donna  a  cavallo  di  una  cerva  (forse  Artemide)  ; 
corrispondono  all'esemplare  della  cat.  Attanasio,  riprodotto  a  fig.  18,  7.  Animali  iso- 
lati; leone  in  3  esemplari  diversi;  cavallo  in  2;  cane  in  14,  con  poche  repliche,  gli 
altri  diversi;  àelfino;  pesce  grande  fra  pesci  minori;  gruppo  di  granchio,  Triton  e 
2  pesci;  conchiglia. 

G)  Decorazione  floreale  e  geometrica.  —  Corone  in  varie  foggie  con  bacche 
e  senza  (7  esemplari  con  5  tipi  diversi);  rosetta  al  centro  (5  esemplari);  luna 
falcata. 


8ICIMA  873   SIRACUSA 

La  decorazione  in  forine  svariatissime,  semplici  e  complesse,  si  svolge  quasi 
sempre  nella  fascia  di  contorno  allo  scudetto  centrale  liscio;  40  esemplari. 

D)  Simboli  cristiani.  —  In  tre  esemplari  a  navicella  oblunga,  di  tipo  ma 
non  di  fabbrica  africana  si  vede  il  monogramma  di  Cristo,  logoro  e  consunto,  ma 
sicuro;  in  uno  è  nella  consueta  forma  decussata  ^,  in  due  altri  identici  nella  rara 
forma  a  stella,  che  occorre  bensì  talvolta  nei  mosaici,  ma  che  è  una  vera  eccezione 
sulle  lucerne  (')• 

Riassumo  pertanto  cosi  il  quadro  che  si  delinea  dallo  scrupoloso  esame  delle 
lucerne  dell'ipogeo  Branciamore  :  tre  esemplari  osceni,  otto  (forse  dodici)  con  sog- 
getti mitologici  pagani  ;  tre  soli  con  simboli  cristiani  sicuri ,  tutto  il  resto  con  sog- 
getti indifferenti.  Abbiamo  quindi  un  sincretismo  ed  una  miscela  di  forme,  a  cui 
deve  rispondere  un  sincretismo,  una  confusione,  anzi  una  degenerazione  di  idee.  Lu- 
cerne monogrammiche  associate  a  lucerne  oscene  sembrano  termini  inconciliabili  ;  ma 
due  lucerne  oscene  io  avevo  già  raccolte  nella  cat.  Mezio  I  [R.  Q.,  1897,  pag.  485), 
che  pur  ne  aveva  dato  con  segni  cruciformi;  ed  una  nella  cat.  Fiihrer  {R.  Q.,  1895, 
pag.  484),  che  non  diede  alcun  segno  specificamente  eristiano,  ma  invece  molti  ele- 
menti di  superstizione  pagana.  Questa  delicatissima  questione,  che  meriterebbe  at- 
tento esame,  è  stata  appena  toccata  dallo  Schultze,  che  citando  l'esemplare  C.  Puhrer, 
ma  dimenticando  gli  altri  due,  si  limita  a  dichiararlo  semplicemente  «  hochst  befremd- 
lich  »  (^).  Per  me  la  nuova  scoperta  è  una  conferma  ulteriore  alla  tesi  che  ho  sempre 
sostenuta,  che  cioè  fra  i  grandi  cemeteri  del  gruppo  occidentale  e  quelli  del  gruppo 
orientale  vi  sia  una  grande  differenza  non  tanto  cronologica  quanto  religiosa.  I  primi 
dovettero  appartenere  alla  grande  comunità  ortodossa,  alla  chiesa  direi  così  ufficiale, 
gli  altri  a  sètte  dissidenti  ed  ereticali  germogliate  in  lungo  periodo  di  confusionismo 
ed  anarchia  religiosa,  intorno  al  quale  esposi  alcune  idee  in  R.  Q„  1895,  pag.  485 
e  segg.  Lo  Schultze  (op.  cit.,  pag.  83)  per  il  gruppo  Cappuccini -S.  Giuliano  vuole 
escluse  le  sètte  e  pensa  invece  ad  Ostrogoti  ariani.  Ma  le  ultime  scoperte  non  mi 
sembrano  dargli  ragione.  I  duo  ultimi  ipogei  Attanasio  e  Branciamore  stanno  tra 
fine  III  ed  inizio  IV  secolo,  e  sono  ancora  lontani  dal  VI.  Essi  dovevano  quindi 
appartenere  ad  altre  sètte,  anteriori  agli  Ariani,  ed  ancora  attaccate  al  paganesimo, 
direi  anzi  oscillanti  fra  paganesimo  e  cristianesimo.  E  tale  carattere  si  addice  esat- 
tamente, tenuto  conto  anche  della  cronologia  dei  due  ipogei  tra  metà  sec.  Ili  ed  i 
primi  tempi  costantiniani,  colla  crisi  religiosa  dei  Lapsi  e  degli  Eracleoniti,  che 
afflisse  a  lungo  la  Chiesa  dopo  le  persecuzioni  di  Decio  e  di  Diocleziano.  Cristiani 
vili  e  pusilli,  quanto  pagani  larvati  e  non  convinti,  essi  passavano  dall'una  all'altra 
religione  nei  momenti  di  pericolo,  donde  il  nome  di  Iraditores  e  turificati,  preten- 
dendo poi  rientrare  nel  cristianesimo,  senza  subire  le  pene  canoniche,  appena  cessato 
il  pericolo.  Essi  furono  in  gran  numero  soprattutto  a  Roma,  dove  riuscirono  a  deter- 
minare degli  scismi,  ed  anche  in  Sicilia,  prova  ne  sieno  lo    condanne    lanciate    dai 


(')  Krauss,  R.  E.  d.  coristi.  Alterthùmor,  voi.  II,  pa;,'.  414. 
(')  Die  allchristl.  Grabstaette  Sisiliens,  pag.  275. 


FLORIDIA  —   374   —  SICILIA 

vescovi  di  Lilibeo  e  Panoimo  (').  Non  mi  è  qui  consentito,  né  io  posseggo  la  cona- 
petenza  necessaria,  per  diffondermi  su  questa  astrusa  e  difficile  materia. 

Quello  su  cui  più  clie  mai,  dopo  le  ultime  scoperte  insisto,  si  è  sul  distacco 
dei  grandi  e  piccoli  cemeteri,  in  parte  contemporanei,  ma  pertinenti  a  comunità  cri- 
stiane diverse. 


II.  FLORIDIA  —  Sepolcreto  siculo  con  vaso  miceneo. 

Nel  marzo  del  e.  a.  mi  venne  segnalato  che  presso  Floridia  dei  cavapietra  stavano 
saccheggiando  qualche  tomba  sicula,  entro  cui  avevano  raccolto  un  vaso  dipinto.  Intrav- 
veduto  subito  il  valore  della  scopeiia  mi  recai  sul  luogo  e  constatai  che  all'uscita 
settentrionale  di  via  Archimede,  in  contrada  Tabaccheddu,  in  luogo  perfettamente 
piano,  nei  banchi  di  calcare  arenario  effettivamente  si  aprivano  alcune  tombe  sicule 
con  ingresso  a  pozzetto.  Una  di  esse  era  stata  frettolosamente  scavata  ed  in  parte  di- 
stAitta  dai  cavapietra,  e  poi  ricolmata  ;  siccome  essa  aveva  dato  il  vaso  miceneo  di 
cui  mi  occupo,  credetti  savio  partito  sgomberarla  di  nuovo,  non  fosse  altro,  per  prenderne 
una  pianta  accurata.  Aggiungo  che  dal  proprietario  del  sito,  sig.  avv.  Gius.  Midiri, 
ebbi  la  più  ampia  facoltà  di  ricerca. 

Porgo  a  figg.  30  e  31  la  pianta  e  la  sezione  del  sepolcro,  quali  apparvero  a  lavoro 
ultimato;  la  forma  è  a  ferro  di  cavallo  (assi  m.  2.18  X  2.10),  la  sezione  a  sesto  abbas- 
sato, con  una  altezza  che  valuto  a  poco  più  di  m.  1.60,  essendo  stata  la  calotta  strap- 
pata dai  cavapietra  ;  due  gradinetti  servivano  di  accesso  nel  pozzetto,  e  tre  altri  più 
commodi  di  qui  nella  cella  ;  il  grande  loculo,  nel  quale  un  cadavere  poteva  stare  age- 
volmente disteso,  colle  gambe  appena  rattratte,  è  munito  di  un  capezzale.  I  primi 
violatori  asserivano  di  avervi  trovato  molte  ossa,  cioè  parecchi  scheletri,  ed  io  riuscii 
a  trovarne  ancora  uno  in  posto,  sotto  la  scaletta  a  destra  di  chi  scende  ;  fra  la  terra 
vi  erano  rottami,  assai  logori,  di  una  mezza  dozzina  di  vasi  irrestaurabili  tutti  del 
H  periodo,  ed  in  un  angolo  era  miracolosamente  sfuggito  ai  violatori  antichi  (che  la 
tomba  era  stata  per  intero  rimaneggiata  nell'antichità,  come  la  attigua  n.  2),  il  vasetto 
che  ricuperai  dai  cavapietra,  e  di  cui  porgo  l'imagine  a  fig.  32.  E  un  vaso  miceneo, 
della  forma  a  calamajo,  alto  ram.  95,  dimetro  mm.  1 10,  di  creta  depurata,  a  colora- 
zione giallo-pallida  nitida,  con  fregi  color  marrone  smorto;  vaso  del  III  periodo 
della  ceramica  micenea,  secondo  la  vecchia  classificazione  di  Furtwaengler  e  Loeschcke 
{Mykenische    Vasen,  pag.  viij). 

Una  seconda  tomba,  poco  discosta  dalla  prima,  ora  pure  colma  di  terra  compatta 
e  ne  offro  la  planimetria  (fig.  33)  attesa  la  singolarità  del  pozzetto  genuino.  Questa 


(')  Ijoggasi  in  proposito  la  dotta  radiografia  di  moiis.  Is.  Carini,  /  Lapsi  e  la  deportazione 
in  Sicilia  di  papa  Eusebio  (Koma,  1886).  Questo  sincretismo  pagano-cristiano  6  stato  anche  segna- 
lato nella  necropoli  rusticana  di  Michelica,  presso  Modica,  che  data  dal  pieno  sec.  IV,  dove  però 
esso  trae  origino  da  circostanze  diverse  da  quelle  sopra  esposte.  Cfr.  Orsi,  N.  Bullettino  di  arch. 
cristiana,  a.  1907,  pag.  172  e  segg.  , 


SICILIA 


—  375  — 


PLORIDIA 


risultò  pure  violata  in  data  molto  antica,  dai  Gfoci,  perchè  sul  fondo  nnlla  più  oravi 
del  corredo  originario,  ma  copiosi  rottami  di  anfore  e  bacini  ordinari  greci. 


Sez.A-B 


FiG.  31. 


Porgo  infine  la  pianta  di  una  terza  tomba  (fig.  34),  con  due  grandi  loculi  a  ca- 
pezzale, oggi  completamente  vuota,  a  poche  diecine  di  metri  dalle  precedenti,  presso 
una  noria.  L'ingresso  a  pozzetto  ne  fu  chiuso,  ed  il  proprietario  asserisce  avervi  tre- 


FLORIDIA 


—   376    — 


SICILIA 


vato  solo  due  scheletri  nei  nicchioni,  e  pochi  vasi,  il  che  non  pare  verosimile.  Altri 
sepolcri  infine  vennero  scoperti,  manomessi,  e  poi  o  distrutti,  o  interrotti,  piantando 
l'attiguo  agrumeto,  ma  nulla  appurai  di  quanto  contenevano. 


■^',1    w,» 


Fio.  32. 


FiG.  33. 


Abbiamo  pertanto  presso  l'attuale  Floridia  una  piccola  ed  antichissima  necropoli, 
a  delìniro  la  cui  cronologia  tre  elementi  ci  soccorrono;  il  tipo  sepolcrale,  il  vaso«ii- 
ceneo,  i  cocci  siculi. 


SICILIA  —   377  —  PLORIDIA 

11  vaso  a  calamaio  di  Floridia  è  il  quarto  esemplare  di  tal  genere  rinvenuto  in 
Sicilia  ;  tre  ce  ne  aveva  dato  la  necropoli  di  Thapsos,  dei  quali  uno  quasi  identico  al 
nostro,  a  foglietto  o  trattini  sulle  spalle  (Orsi,  Thapsos,  pag.  18,  fig.  4)  il  secondo  con 
fascia  a  doppio  \j  (Ibidem,  pag.  56,  fig.  52),  il  terzo  completamento  logoro.  Illustrando 
codesti  vasi  e  la  rispettiva  necropoli  io  lio  notato,  che  essi  vanno  costantemente  asso- 
ciati alle  eleganti  anforette  geometrizzanti,  di  cui  sono  sincroni  (Thapsos  ne  ha  dato 
13),  e  così  gli  uni  come  le  altre  abbondano  nella  necropoli  di  Jalysos,  del  sec.  XI-X, 
al  quale  limite  estremo  io  ho  assegnato  Thapsos. 

Io  non  ho  modo  di  riassumere  quella  parte  delle  copiose  scoperte  micenee  degli 
ultimi  anni,  che  interessano  al  caso  nostro;  ma  spigolo  qua  e  là,  fermandomi  a  quelli 
strati  databili  ed  a  quei  sepolcri,  donde  vengono  vasi  analoghi  a  quello  di  Floridia. 
Ed  io  trovo  un  esemplare,  con  foglietto  a  doppio  \j  sulle  spalle,  da  un  sepolcro  di 
Zafor  Papoura  in  Creta  (')  che  appartiene  alla  piena  età  del  bronzo  minoica,  la  quale, 
secondo  i  computi  molto  alti  dell'Evans  (^),  sarebbe  di  parecchio  anteriore  al  secolo  XI. 

Un  esemplare  identico  al  calamajo  di  Floridia  fu  pure  raccolto  in  una  tomba  di 
Micene,  la  quale,  malgrado  la  presenza  di  una  stele  dipinta,  risale,  secondo  l'autorevole 
giudizio  dello  illustratore  (^),  a  parecchi  secoli  prima  dell'ottavo.  Non  tengo  natural- 
mente conto  di  diversi  pezzi  sporadici,  come  ad  esempio  quelli  delle  grottte  sepolcrali 
di  Livato  (^),  della  cui  esatta  esplorazione  nulla  sappiamo. 

Resta  da  esaminare  il  tipo  della  tomba  e  delle  vicine;  non  vi  è  dubbio  che  esse 
non  spettino  alla  seconda  fase  della  civiltà  sicula,  anzi  la  presenza  dei  grandi  loculi 
a  capezzale  me  le  farebbe  portare  verso  la  fine  di  essa;  appunto  perchè  tali  capezzali 
io  non  trovo  al  Plemmirio,  a  Cozzo  Pantano,  Thapsos  ed  a  Matrensa,  mentre  spun- 
tano a  Tremenzano  ed  al  Finocchio.  Sebbene  ciò  non  costituisca  un  criterio  decisivo 
ed  assoluto,  pure  essi  accennano  ad  una  lenta  evoluzione  del  rito,  dallo  scheletro 
rattrappito  a  quello  semidisteso  e  disteso.  Saremo  dunque  alla  fine  del  II  periodo  si- 
culo, con  che  convengono  anche  i  miseri  resti  di  ceramiche  indigene,  spettanti  a  va- 
setti globari  con  anse  acuminate  ed  a  liste  verticali  graffite. 

Per  questo  II  periodo  io  ho  adottata  una  cronologia  moderata,  dal  XIV  al  X 
sec.  a.  C,  non  troppo  persuaso  della  cronologia  eccessivamente  alta  ed  eccessivamente 
bassa  che,  partendo  da  criteri  diversi,  autorevolissimi  scrittori  ne  hanno  recentemente 
proposta  (•''). 

(')  Eyans,   The  préhiUorie  tombs  of  Knosson,  fiij.  100  v;  per  la  cronoloo;ia  cfr.  pag.  135. 

(")  Il  «  late  rninoan  III  »  di  Evans  daterebbe,  secondo  le  sne  vedute  (Essai  de  classi fication 
des  epoques  de  la  civilisation  minoenne,  pag.  10)  dal  1500  in  poi.  Ed  il  Fimmen  nel  suo  recente 
ed  accurato  esame  sopra  Zeit  und  Dauer  der  Krelisch-Mykenischen  Kultur  (1909)  pag.  106  lo 
fissa  del  paro  fra  1400  e  1250. 

(»)  Tsountas,  EcpB/xcQÌe  'àqx"ioK  1896,  tav.  II,  fig.  7,  pag.  22. 

(*)  Revue  ArchéoL,  1900.  II,  pag.  136. 

C)  Il  De  Sanctis  Reo.  fil.  ed  istr.  classica,  1902,  (pag.  23  estr.)  vuol  far  discendere  il  miceneo 
di  Sicilia  fino  all'VlII  secolo.  Il  De  Morgan  invece,  l'eminente  orientalista,  colloca  il  mio  II  per. 
fra  1  secoli  XX  e  XII,  ed  il  III  fra  il  XII  ed  il  IX.  (Revue  anthropol,  1909,  pag.  100).  II  citato 
od  autorevole  studio  del  Fimmen,  fatto  sulla  scorta  di  strati  e  monumenti  egiziani  databili,  giu- 
stifica la  mia  cronologia  media. 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  49 


PLORIDIA 


378  — 


SICILIA 


Abbiamo  pertanto  la  piova  che  anche  presso  Fiori  dia  esisteva  un  sepolcro  siculo 
con  tombe  di  costruzione  piuttosto  grandiosa,  che  si  avvicinano,  anche  per  i  loculi, 
alle  forme  costiere,  e  che  diversificano  da  quelle  montane,  come  Dessueri  e  Pantalica. 
E  sembra  che  questi  gruppi  costieri,  a  preferenza  degli  altri,  sentano  l'influenza  egea 
anche  nella  tectonica,  oltre  che  negli  articoli  commerciali  che  racchiudono.  A  pro- 
posito di  che,  fondatamente  io  penso  che  le  tombe  di  Floridia,  se  intatte,  ci  avreb- 


Fia.  34 


bero  dato  anche  bronzi  bellissimi,  come  spade  o  daghe.  Il  che  ci  metto  in  guardia  su 
ulteriori  scoperte  in  quel  contado. 

Finora  i  vasi  micenei  erano  stati  raccolti  soltanto  lungo  la  spiaggia,  a  Molinello, 
Thapsos,  Cozzo  Pantano  e  Girgonti;  è  questa  la  prima  volta  che  un  vaso  di  tal  ge- 
nere viene  segnalato  a  circa  13  km.  dal  mare.  Ma  Floridia  è  a  pochi  passi  dall'Anapo, 
che  segnava  la  linea  di  comunicazione  dal  mare  itU'immonsa  necropoli  di  Pantalica, 
la  quale  se  non  ha  date  ceramiche  egee,  ha  però  fornito  bronzi  e  tracce  di  oreficerie 
di  egual  provenienza.  E  di  fronte  a  Floridia,  dominando  per  buon  tratto  la  vallata 
dell'Anapo,  sulle  balze  scoscese  di  Castellnccio,  si  stende  un'altra  grande  necropoli 
non  ancora  esplorata,  apparendo  vuoti  tutti  i  suoi  sepolcri.  Ma  dopo  questi  indizi  è 
mio  proposito  tentarvi  dei  saggi,  non  disperando  di  rinvenire  sotto  qualche  frana  dei 
gruppi  non  violati. 


SICILIA 


379  — 


CAMARINA 


III.  CAMARINA  —  V[[I  campagna  ìiella  necropoli  di  Passo  Mari- 


naro. 


A  Passo  Marinaro  essendo  stato  distrutto  dalla  filossera  un  vigneto  sull'area 
della  necropoli,  dove  nelle  precedenti  campagne  io  non  aveva  potuto  lavorare,  ebbi 
dal  nobile  marchese  on.  Anezzo  cortese  invito  di  riprendervi  le  ricerche.  E  fu  così. 


FiG.  35. 


die  con  una  campagna  durata  da  metà  aprile  a  metà  maggio  del  1009,  potei  aggiun- 
gere ai  precedenti  149(>  sepolcri  esplorati  (cfr.  Notizie,  1907,  pag.  484)  altri  147, 
per  cui  a  tutt'oggi  abbiamo  un  complesso  di  1643  tombe,  quante  cioè  nessun'altra 
città  siceliota  od  italiota  può  vantare.  Esse  erano  però  tutte  povere,  o  in  nuda  terra 


OAMARINA. 


—  880  — 


SICILIA 


0  costituite  delle  solite  tegole  a  cappuccina.  Contenevano  piccolo  vasellame  grezzo, 
0  nero,  poche  lekythoi  e  lekanai  figurate  della  Campania,  ma  nessun  vaso  attico 
figurato.  Solo  un  sepolcro  a  cremazione  diede  un  grande  cratere  nero  senza  figure. 

Invece  dai  grandi  lavori  di  bonifica  dell'Hipparis  si  ebbero  due  grandi  e  buone 
terrecotte,  che  voglio  qui  subito  pubblicare.  A  fig.  35  vedesi  la  metà  inferiore  di 
una  statua  fittile  muliebre  grande  un  po'  meno  del  vero,  e  conservata  fino  a  cm.  72 


Fio.  36. 


di  altezza.  Essa  è  vestita  del  peplos  dorico  colV ànómvYfioe,  e  nell'interno  ò  divisa 
da  un  diaframma  verticale,  per  tenere  a  posto  le  pareti  circolari.  La  statua  rammenta 
assai  dappresso  quella  di  Inessa  (Catania),  co.si  dottamente  illustrata  dal  llizzo  (')• 
Il  monumento,  trovato  sotto  la  mandra  Lauretta,  dove  per  la  presenza  di  scarichi  di 
terrecotte  si  deve  arguire  esistesse  un  santuario,  risale  al  secondo  quarto  del  V  se- 

(')  Rizzo,  Di  una  statua  fittile  di  Inessa,  e  di  alcuni  caratteri  dell'arte  siceliota  (Napoli,  Acca- 
demia 1904),  ricostruzione  a  fig.  4  La  stessa  fu  argomento  di  una  Nota  di  W.  Deonna,  Statue  en 
terre  cuite  du  Music  de  Catane.  (Bordeaux,  1907.  Revue  d'études  anciennes  pag.  131  o  segg),  al 
quale  era  ignoto  il  lavoro  dui  llizzo.  r 


SICILIA 


—  381  — 


CAMARINA 


colo  a.  e,  e  nella  grande  arto  si  riconduce  ad  im  vasto  gruppo  di  bronzi  (Ercola- 
nesi)  e  di  marmi  (Olimpia)  di  scuola  peloponnesiaca,  fatti  ormai  argomento  di  molti 
studi  ('). 

Nello  stesso  sito  ed  assieme  alla  statua  precedente  si  raccolse  anche  la  magnifica 
testa  fittile  quasi  al  vero  (altezza  cm.  23),  che  do  nel  dritto  e  nel  rovescio  alle 
tìgg.  36  e  37.  Essa  è  di  arte  nobile  ancora  un  po'  severa,   della  fine  del  secolo  V, 


FiG.  37. 


e  rappresenta  una  divinità  muliebre  coperta  del  modio,  del  quale  non  resta  che  la 
base,  piantata  sopra  una  massa  rigogliosa  di  capelli,  che  bipartiti  scendono  bassi  sulle 
terapia,  disposti  a  ricci  ondati  ed  a  chiocciole,  mentre  sull'occipite  sono  trattati  a 
massa  unita,  con  solchi  a  stecca,  e  con  serpentelli  plastici  sovrapposti.  Del  collo 
manca  tutta  la  parte  anteriore,  lesionato  è  il  naso,  e  tutta  la  superfice  presenta  una 
lisciatura,  derivante  dalla  permanenza  secolare  nel  suolo  fangoso  ;  i  lobi  delle  orecchie 
sono  forati,  per  ricevere  pendenti  metallici. 


(M  L.  Mariani,  Statue  muliebri  vestite  di  peplo.  Uoiiia,   1897    {Bull.    Cam.    Arch.  Munte); 
Idem,  Di  un'altra  statua  muliebre  vestita  di  peplo  (Koma,  1901  ;  ibidem.). 


TERRANOVA  —   382   —  SICILIA 

La  testa  spetta  ad  uno  di  quei  busti  muliebri,  così  frequenti  in  Sicilia,  anzi 
specialità  dell'isola,  quasi  tutti  del  sec.  V,  i  quali  rispecchiano  lo  sviluppo  della 
plastica  indigena  attraverso  un  secolo  e  più,  fino  a  tanto  che  essi  si  immortalano  nei 
medaglioni  di  Cimone  ed  Eveneto;  essi  raffigurano  le  grandi  divinità  della  fecondità 
terrestre,  Demeter  e  Cora,  alle  quali  fu  sacra  l'isola  ('). 


IV.  TERRANOVA  di  Sicilia  (GELA)  —  Tempio  e  necropoli  arcaici. 

L'esplorazione  del  nuovo  tempio  arcaico,  di  cui  ho  riferito,  dandone  la  pianta, 
in  Notine  1907,  pag.  38,  fu  da  me  proseguita  con  una  ulteriore  campagna  durata 
da  fine  novembre  a  tutto  febbraio  1908.  Nulla  vi  è  ora  da  aggiungere  alla  pianta 
dell'edificio,  essendo  state  le  ricerche  volte  a  sgomberare  le  masse  di  sabbie  che  lo 
contornavano,  sopra  tutto  dal  lato  di  levante.  Durante  il  quale  lavoro  si  rinvennero 
con  una  certa  frequenza  tracce  di  ceramica  sicula,  a  testimoniare  che  prima  dell'ar- 
rivo dei  Siculi,  anche  la  collinetta  di  Molino  a  vento  era  occupata  dalle  capanne 
indigene. 

Le  terracotte  architettoniche  continuarono  ad  uscire  in  grande  quantità,  ridotte 
però  in  piccoli  frammenti;  e  con  esse  erano  in  numero  assai  ristretto  piccoli  pezzi 
di  figure  plastiche,  minori  del  vero,  il  che  avvalora  pienamente  il  sospetto  sorto  nella 
precedente  campagna,  che  cioè  il  frontone  orientale  del  tempio,  oltre  che  gli  acroteri, 
avesse  una  decorazione  figurale  in  terracotta  dipinta. 

In  questa  stessa  campagna,  durata  oltre  a  tre  mesi,  si  esplorarono  anche  71  se- 
polcri arcaici  di  una  necropoli,  manomessa  in  parte  già  nell'antichità,  che  si  stendeva 
nel  predio  Ruggieri,  sul  declive  settentrionale  della  collina  di  Gela,  dietro  la  chiesa 
del  Carmine.  I  risultati  però  di  tale  scavo  non  furono  molto  soddisfacenti,  perchè 
quel  terreno  apparve  rimaneggiato,  siccome  troppo  addossato  alla  città,  in  tempi  an- 
tichi e  recenti.  La  necropoli  che  colà  si  estendeva  appartiene  al  secolo  VI,  e  va 
considerata  come  continuazione  di  quella  dell'attiguo  Borgo. 


V.  CENTURIPE  —  Ile  III  campagna  nella  necropoli  al  Casino. 
.  Alla  prima  campagna  del  1906  fatta  nella  necropoli  centuripina  della  contrada 
Casino  {Notizie  1907,  pag.  492)  altre  due  ne  seguirono  negli  anni  1907  e  1908, 
così  che  il  numero  dei  sepolcri  metodicamente  esplorati  sale  oggi  a  163.  La  necro- 
poli, che  verrà  diffusamente  illustrata  in  apposita  monografia,  è  dei  tempi  ellenistici, 
ed  i  nuovi  scavi  hanno  continuato  a  produrre  una  buona  e  svariata   serie  di  quelle 

(')  Ne  ho  dato  la  lista  in  Monumenti  Antichi  dei  Lincei,  voi.  VII,  1897,  pag.  47-67:  aggiungi 
belli  esemplari  da  Notizie,  1902,  pag,  223  e  segg.  Cfr.  iiiicbe  W.  Deonna,  Les  stalues  de  terrecuite 
dans  fantiquité  (Paris,  1907)  pagg.  61-67,  , 


SICILIA  —  383  —  MINKO 

teiTCcotte,  che  formano  la  ricchezza  principale  di  Genturipe.  Di  nessun  valore  invece 
i  vasi,  quasi  tutti  di  fabbriche  locali,  pochi  campani,  nessuno  attico,  della  cui  im- 
portazione non  riesco  a  trovare  traccia  in  Genturipe.  Le  tombe  contenevano  anche 
l'iccoli  bronzi,  non  figurati,  e  qualche  buon  avorio;  sovente  poi  delle  monete,  che  co- 
stituiscono un  documento  sicuro  per  la  valutazione  cronologica.  Anche  in  questi  due 
nuovi  scavi  si  vide  che  una  parte  dei  sepolcri  era  sormontata  da  cippi  e  stele  cilin- 
drici e  quadrati,  di  muratura  stuccata  e  dipinta,  che  supplivano  quelli  in  buona  pietra, 
di  cui  a  Centuripa  v'ò  assoluto  difetto. 


VI.  MINEO  -—  Scoperte  varie. 

Il  locale  ispettore  onorario  cav.  C.  Guzzanti  con  un  piccolo  fondo  concesso  dal 
Ministero  direttamente  alla  cittfi,  lia  eseguito  saggi  in  diverse  contrade,  ma  con  ri- 
sultati quasi  negativi. 

In  contrada  Monte  egli  ebbe  da  una  tomba  sicula  una  mezza  dozzina  di  coltelli 
silicei.  Dallo  stesso  luogo  proviene  anche  un  fittile  curioso,  clie  attesa  la  sua  singo- 
larità io  pubblico  a  fig.  88;  è  un  un  cilindro  alto  cm.  62  e  mezzo,  diametro  cm.  29 
e  mezzo,  a  spesse  pareti,  chiuso  ad  una  estremità,  mentre  l'altra  è  aperta  e  contor- 
nata da  una  cornice  ad  aggetto,  quasi  totalmente  distrutta.  Il  mantello  esterno  è  poi 
decorato  di  tredici  liste  con  dischi  ombelicali  alle  estremità,  altri  dei  quali  sono  di- 
stribuiti quattro  a  quattro  negli  spazi  fra  una  lista  e  l'altra;  da  notare  altresì  due 
fori  nel  corpo  del  cilindro. 

Questo  pezzo  certamente  greco  rammenta  alcuni  tamburi  fittili  con  capitello 
dorizzante  di  Gela  (Orsi,  Gela,  figg.  8  e  91),  di  uso  non  ben  sicuro,  ma  nei  quali 
io  vedo  basi  o  pilastri  per  reggere  oggetti  svariati,  forse  anche  trapezofori  per  uso 
domestico  o  di  santuari  (');  talvolta  però  essi  ebbero  anche  destinazione  diversa, 
come  quella  di  tombe  di  fanciulli,  fatto  da  me  constatato  nella  necropoli  gelose 
(0.  e.)  C). 

Nell'agosto  1908  in  contrada  S.  Croce,  alcuni  km.  a  N  di  Mineo,  venne  scoperto 
da  certi  pastori  una  grande  tomba  di  pezzi,  che  fu  naturalmente  violata.  Essa  con- 
teneva un'urna  di  piombo  con  ossa  cremate,  assieme  ad  una  coppa  ed  uno  scrignetto 
di  bronzo,  e  ad  una  quantità  dei  consueti  vasi  a  fuso.  Gli  oggetti  furono  legalmente 
sequestrati  e  divisi  fra  il  proprietario  del  fondo,  Natale  Mazzone,  ed  il  Museo,  al 
quale  toccò  in  sorte  l'urna.  Siccome  in  quel  punto  esistono  altre  tombe,  segno  di 
una  necropoli,  meritevole  di  esplorazione,  è  bene  che  si  tenga  qui  ricordo  della  av- 
venuta scoperta. 


(')  Pezzi  analoghi  sono  stati  rinvenuti  pure  ad  Atene,  ed  il  Noack  illustrandoli  (Athen. 
Mitlheil.  1907,  pag.  564,  fìg.  37)  li  designa  col  nome  generico  di  «  Untersatze  ». 

{")  Anche  la  necropoli  di  Cnma  ha  dato  dne  esemplari  bellissimi  (inediti  al  Museo  di  Napoli), 
con  pittura  geometrica,  del  scc.  VII  o  VI  inizio. 


MINEO 


—  384  — 


srciLtA 


L'nrna-ossuario  in  robustissima  lamiera  di  piombo  (fig.  39)  ha  forma  cilindrica 
con  tenue  svasatura  in  basso,  ed  è  munita  di  manìglie  a  nastro  cordonato,  desinenti 


FiG.  38. 


iu  mascheroncini  ;  essa  misura  cm.  25  in  alt.,  S8  in  diam.,  ed  assieme  al  coperchio 
pesa  circa  17  kg. 

Il  bacile  (fig.  40)  a  calotta  perfetta  (diam.  era.  20  74)  con  accenno  di  sguscia- 
tura al  labbro,  è  tirato  a  martello  da  una  spessa  lamina  di  rame,  e  può  conside- 
rarsi come  una  patera.  La  casscttina  0  scriguetto  (fig.  41),  per   gioielli  od  aìko  di 


SICILIA 


—  385  — 


MINKO 


Pio.  89. 


[FiG.  40. 

pillili  -^rfA'H?^;.^/»*»/ 


FiG.  41. 


Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


50 


LICODIA    BDBBA,    PATERNO  —   386    —  SICILIA 

simile,  ha  forma  rettangolare  con  pieducei  agli  angoli  inferiori;  ha  toppa  per  chia- 
vetta nel  coperchio,  che  era  girevole  sopra  un  asse  cilindrico  ;  le  dimensioni  sono 
cm.  8  Vj  in  largh.,  cm.  3  'V<  in  alt.,  cm.  5  '/z  in  profondità.  Il  sepolcro  appartiene 
al  sec.  Ili  circa. 


VII.  LICODIA  ETJBEA  —  Camera  sepolcrale  del  IV  'perìodo  siculo. 

Nell'interno  del  paese,  sul  declivio  orientale  del  Calvario,  che,  come  si  sa  {Róm. 
Miltheil.  1898,  pag.  308  e  segg.),  era  occupato  dalla  necropoli  sicula  del  IV  periodo, 
per  lo  sprofondamento  di  un  asino  in  via  Provvidenza  si  scoprì  nel  settembre  del 
1908  una  vasta  camera  sepolcrale,  divisa  da  un  tramezzo  di  roccia,  la  quale  conte- 
neva sepolcri  a  fossa,  a  loculo  ed  a  forno;  quanto  diro  formo  sepolcrali  sicule  e 
greche.  Ed  anche  la  copiosa  suppellettile  di  vasi,  con  qualche  buon  bronzo,  era  mista 
di  articoli  greci  e  siculi.  Certamente  greci  un  colatojo,  una  striglie  ed  un  aryballos, 
conservatissimi,  di  bronzo,  di  più  una  bella  kylix  attica  a  fig.  n.  e  qualche  altro 
vasetto  minore.  Spettano  al  geometrico  siculo  anfore,  crateri  e  scodelloni  ed  oino- 
choai.  La  tomba  della  fine  del  sec.  VI  o  dei  primordi  del  V  è  un  nuovo  documento 
della  evoluzione  della  civiltà  paesana  al  contatto  della  greca,  e  sarà  altrove  illustrata 
col  necessario  corredo  di  figure. 


Vili.  PATERNO  —  Reliquie  sicule  e  sepolcro  del  III- IV  periodo. 

Sul  versante  meridionale  del  colle  di  Paterno,  l'antica  acropoli  di  Hybla,  tras- 
formandosi nell'inverno  1907-08  le  brulle  pendici  rocciose  di  Rocca  Scala  in  agru- 
meto, si  scoprirono  massi  di  ceramica  sicula  del  II  periodo,  scaricate  dalla  vetta  del 
colle  soprastante,  o  pertinenti  a  capanne  primitive,  disposte  sulle  alte  terrazze  attorno 
al  colle.  Ho  fatto  seguire  quel  lavoro  da  operai  dell'Amministrazione,  che  misero  in 
salvo  una  buona  raccolta  ceramica. 

Nel  dicembre  1907  in  contrada  Rigolizia,  non  molto  discosta  da  Rocca  Scala, 
ring.  V.  Spina  si  imbattè  in  una  camera  sepolcrate  sicula  contenente  numerosissimi 
scheletri  e  vasi,  nonché  lancie  in  ferro;  parecchia  roba  venne  trafugata  dai  villani, 
ma  molto  fu  posto  in  salvo  dal  proprietario.  Tra  i  vasi  provalgono  le  grandi  anfore 
indigene,  ma  in  creta  bigia  e  non  dipinte;  singolare  un  askos  configurato  ad  uccello. 
Erano  greci  un  cratere  nero  ed  alcuni  aryballoi  corinzii,  delle  kylikes  a  fasciature 
n.  r.  e  qualche  altro  vaso  minore.  La  tomba  è  sincrona  a  quella  di  Licodia,  e  sta 
fra  il  III  e  IV  periodo  siculo. 


SICILIA  —    387    —  ADERNÒ 


IX.  ADERNÒ  —  Insigne  riposti;) Ito  di  bronsi  siculi. 

Nella  contrada  Mendolito,  presso  Adernò,  si  ripetono  da  anni  singolari  scoperte, 
dovute  non  già  a  metodiche  ricerclie  ma  ai  lavori  agricoli  di  trasformazione  di  quella 
regione  a  lave  brulle  in  lussureggianti  agrumeti.  Il  piccolo  Museo  Adranitano,  do- 
vuto all'opera  zelante  del  prevosto  Salv.  Petronio  Russo,  contiene  parecchi  pezzi  rag- 
guardevoli di  là  provenienti,  tra  cui,  per  recentissimo  acquisto,  una  tegola  scritta  a 
graffito  sulla  creta  fresca  con  un  lungo  rigo  a  lettere  greche,  ma  a  quanto  pare  in 
una  lingua  non  greca,  che  non  altra  potrebbe  essere  se  non  la  sicula.  Perocché  al 
Mendolito  noi  abbiamo  una  grossa  borgata  o  città  di  Siculi,  anonima  ancora,  la  quale 
dal  VII  secolo,  se  non  forse  anche  dalla  line  dell'VIII,  accolse  le  influenze  della 
civiltà  greca  costiera.  Influenza  che  si  attesta  anche  nello  sviluppo  di  singolari  forme 
decorative  architettoniche  applicate  alla  pietra  lava  indigena,  e  che  in  nessun'altra 
città  sicula  io  avevo  sin  qui  osservate. 

Ma  la  scoperta  avvenuta  al  Mendolito  in  sugli  ultimi  del  1908  supera  di  gran 
lunga  tutte  le  precedenti.  In  un  fondo  di  certo  Pietro  Ciaramidaro,  procedendosi  ad 
uno  scavo  di  bonifica,  si  venne  lentamente  distruggendo  un  gruppo  di  abitazioni,  co- 
struite di  pietre  laviche,  le  quali  dall'esame  dei  detriti  ceramici  ordinari,  fatto  da 
me  sul  luogo,  quando  il  lavoro  volgeva  ormai  a  termine  (marzo  1909),  reputo  ap- 
partenenti al  sec.  VII,  il  che  ben  inteso  non  esclude  che  l'abitato  appartenga  anche 
all'VIII  e  che  nelle  sue  origini  risalga  ancora  più  addietro.  Fu  adunque  dentro  una 
di  queste  case  primitive  che  i  villani  si  imbatterono  in  una  grande  giarra  adagiata, 
anzi  spezzata  per  la  enorme  congerie  di  bronzi  grezzi  e  lavorati  che  racchiudeva,  e 
che  formavano  uno  di  quei  depositi,  conosciuti  sotto  il  nome  di  ripostigli.  Già  la 
mole  ingente  di  esso  formato  di  alcune  migliaia  di  pezzi,  parte  lavorati  ed  in  mag- 
gioranza grezzi  ed  informi,  e  del  peso  complessivo  di  quasi  900  kg.,  denota  la  gran- 
diosità e  la  varietà  del  suo  contenuto.  Figura  in  prima  linea  una  serie  di  31  lancia 
grandiose  ed  intatte,  che  si  aggirano  intorno  ai  60  e  più  cm.  di  lungh.;  numero- 
sissimi sono  i  frammenti  degli  esemplari  spezzati,  taluni  dei  quali  derivanti  da 
esemplari  più  piccoli.  Mancavano  totalmente  le  spade  e  figurano  con  rarissimi  esem- 
plari le  scuri  ad  occhio.  Per  compenso  sono  una  assoluta  rivelazione  i  numerosi  cen- 
turoui  rettangolari  in  lamina,  interi  e  frammentati,  ripiegati  ed  accartocciati  e  deco- 
rati a  sbalzo  di  motivi  lineari.  Mai  sin  qui  dalla  esplorazione  di  centinaia  di  se- 
polcri 0  dei  vari  ripostigli  di  bronzi  era  sorto  in  me  ed  in  altri  il  sospetto  che  i 
Siculi,  al  paro  degli  Umbro-Italici,  possedessero  uu  siffatto  oggetto  di  ornamento,  e, 
se  vogliamo,  anche  di  difesa.  Era  altresì  presso  che  sconosciuto  il  vasellame  in  la- 
mina adoperato  dai  Siculi  del  II-III  periodo,  del  quale  ci  erano  noti  solo  due  vasi 
di  una  tomba  di  Caldare.  Ora  invece  possediamo  un  centinaio  di  frammenti  di  vasi 
laminati,  laceri,  compressi,  rattoppati  ed  accartocciati  bensì,  ma  che  tuttavia  smenti- 
scono col  loro  numero  la  vecchia  credenza,  che  questo  genere  di  suppellettile  fosse 
quasi  inusitato  presso  quel  popolo.  Alcuni  di  codesti  vasi,  secchioni  o  mastelli,  erano 
muniti  di  poderose  maniglie  fuse  ad  occhio,  a  funicella,  impostate  verticalmente  sul 
labbro,  di  cui  si  era  avuto  un  unico  indizio  nel  ripostiglio    di    Giarratana,    mentre 


ADERNÒ  —   888    —  SICILIA 

ora  ne  possediamo  alcuni  esemplari  interi  e  frammentaiii.  Scarse  sono  le  fìbule,  a 
navicella  angusta,  serpeggianti  ed  a  bastoncelli,  ma  di  prezioso  ausilio  per  una  ap- 
prossimativa determinazione  cronologica  del  ripostiglio.  Si  aggiunga  una  quantità  di 
piccoli  altri  oggetti  ornamentali  ed  industriali,  interi  e  rotti,  in  parte  di  uso  scono- 
sciuto, che  qui  è  prematuro  il  descrivere.  Tra  i  vari  quintali  di  materiale  informe  di 
fusione  vanno  annoverate  una  trentina  di  formelle  a  frittata  od  a  foccaccetta,  e  copiosi 
frammenti  di  esse. 

Questo  grandioso  ripostiglio  rimette  sul  tavolo  la  questione,  se  si  tratti  di  una 
stipe  sacra  o  di  uua  bottega  di  bronziere,  con  merce  nuova  e  rifiuti  vecchi;  esso 
appartiene  alla  tino  del  II  periodo  siculo,  ed  ai  primordi  del  III,  quanto  dire  ai 
sec.  IX-VIII,  toccando  forse  anche  il  VII  col  momento  del  suo  nascondimento.  Certo 
è  che  esso  è  il  più  grande  dei  ripostigli  rinvenuti  nel  mezzogiorno,  degno  di  stare 
accanto  a  quello  di  S.  Francesco  di  Bologna.  E  dobbiamo  essere  grati  all'on.  Mi- 
nistro della  P.  Istruzione,  L.  Rava,  se  nella  quasi  totale  sua  integrità  esso  è  pas- 
sato ad  accrescere  le  raccolte  siculo  del  Museo  di  Siracusa. 

P.  Orsi. 


Roma,  15  ottobre  1909. 


ROMA  —  389  —  ROMA 


Anno  1909  —  Fascicolo  11. 

I.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  XIV.  Queste  Notizie  ebbero  ad  occuparsi  altra  volta  della  scoperta 
di  alcuni  avanzi  di  costruzioni  e  di  alcuni  marmi  scolpiti  e  scritti,  che  si  riferivano 
ad  un  santuario  dedicato  a  deità  orientali  presso  il  Lueus  Furrinae  (')•  Questi  avanzi 
avevano  stretta  relazione  coi  materiali  scoperti  nel  1906,  presso  il  villino  Wiirtz,  in 
occasione  di  ricerche  delle  sorgive  delle  acque  Furrine,  che  irrigavano  il  Lucus  (*). 
I  lavori  di  esplorazione  erano  condotti  dalla  Società  «  Gianicolo  »  sotto  il  titolo  di 
ricerche  d'acqua,  e  sull'indizio  di  una  sorgiva,  che  sembrava  provenisse  da  uno  degli 
antri  scoperti  presso  la  limitrofa  Villa  Wiirtz.  Così  furono  tirati  innanzi  i  lavori  dal 
giugno  fino  ai  primi  del  dicembre  1908,  quando  per  l'indole  stessa  dei  lavori  e  per 
la  estensione  che  avevano  preso,  non  parve  più  giustificabile  il  motivo  dato  alle  ri- 
cerche, e,  dopo  breve  sospensione,  si  procedette  ad  uno  scavo  più  regolare,  autorizzato 
e  vigilato  dai  funzionari  del  Gova-no. 

Al  momento  di  questa  sosta  dei  lavori,  era  stato  messo  al  nudo  l'intero  sacello 
colla  piccola  ara  triangolare,  già  noto  in  parte  per  le  ricerche  anteriori  (^);  inoltre 
un'area  rettangolare  recinta  da  mitro  e  accessibile  principalmente  da  un  lato  per 
mezzo  di  tre  gradini  marmorei,  costituente  una  specie  di  atrio,  o  meglio  corte  aperta. 
Alcune  opere  di  sondaggio  avevano  fatto  conoscere  che  nel  sottosuolo  di  quest'area 
si  trovavano  stratificate  molte  anfore;  e  gli  scavi  stessi  avevano  messo  in  luce  fram- 


(«)  Mot.  190"^,  pag.  262. 

(')  Not.  1906,  pagg.  248,  433.  P.  GaucUer,  La  source  du  Lucus  Furrinae  au  Janicule,  in 
Mélanges  d'archeologie  et  d'hittoire,  1908,  tun.  XXVIII. 
(')  V.  Not.  1906,  pagg.  262  e  263,  figg.  1  e  2. 

Notizie  Scati  1909  —  Voi.  VI.  51 


ROMA  —   890    —  ROMA 

menti  d'intonaco  dipinto,  e  frammenti  di  marmo  scolpiti  o  scritti,  che  ricorderemo 
a  suo  tempo. 

Lo  scavo,  già  condotto  innanzi  da  circa  un  anno,  aveva  incontrato  grandi  difiS- 
coltà  a  motivo  dell'enorme  terrapieno  che  sovrastava  alle  rovine,  in  ispecie  sopra 
la  cella  del  tempio. 

Un  grande  taglio  era  stato  aperto  da  monte  a  valle,  munito  di  opportune  scar- 
pate; ma  la  pressione  del  terrapieno  era  tale,  che  gli  avanzi  venivano  minacciati  di 
essere  travolti  dagli  scoscendinaenti  della  terra,  e  fu  necessario  proteggere  i  muri  con 
solide  sbarrature  di  legname.  Queste  difficoltà  inceppavano  la  graduale  e  regolare 
esplorazione,  in  modo  che  convenne  sul  principio  procedere  come  erasi  fatto  per  l'in- 
nanzi,  cioè  un  poco  saltuariamente.  Accenno  a  questi  fatti  per  rilevare  che  nel  de- 
scrivere le  scoperte  non  sarebbe  possibile  tenere  l'ordine  cronologico  dei  lavori,  i 
quali,  ripeto,  venivano  spostati  avanti  e  indietro,  a  seconda  delle  difficoltà,  che  si  pa- 
ravano per  lo  sgombro  del  terreno.  Descriverò  quindi  tutti  i  risultati  ottenuti  in 
questo  scavo  nel  periodo  compreso  dai  primi  del  dicembre  1908  al  20  giugno  1909, 
giorno  in  cui  si  tralasciò  ogni  ricerca. 

Occorre  pertanto  porre  sotto  occhio  la  pianta  completa  di  questa  scoperta  (v.  tav.), 
rilevata  con  la  conosciuta  perizia  dal  disegnatore  sig.  E.  Gatti,  addetto  all'Ufficio  Scavi. 
Vi  appariscono  all'evidenza  varie  costruzioni,  che  sono  indicate  da  tratteggio  distinto, 
soggette  a  piani  differenti,  in  parte  rese  libere  da  sovrapposizioni,  e  in  parte  utiliz- 
zate come  posa  di  ricostruzioni.  Queste  riguardano  le  diverse  fasi  subite  dal  santuario 
e  dai  suoi  annessi,  ed  anche  opere  più  antiche  e  d'indole  diversa,  delle  quali  do  su- 
bito notizia. 

A  prima  vista  rileviamo  due  diverse  costnizioDi,  luna  sull'altra;  che,  salvo  lo 
spostamento  già  riscontrato  in  altri  edifici  sacri,  seguono  coll'asse  longitudinale  una 
orientazione  e  quindi  si  riferiscono  a  ediiìcì  che  tvevano  uno  stesso  scopo. 

Il  genere  di  costruzione  ed  i  materiali  designano  vieppiù  lo  spazio  di  tempo 
che  intercede  tra  luna  e  l'altra  costruzione.  Quella  più  bassa,  che  viene  indicata 
nella  pianta  con  le  lettere  A,  A,  nella  sua  massa  rappresenta  un  recinto  rettangolare, 
che  potrebbe  anche  indicare  un  atrio  od  un  semplice  cortile,  come  nello  edificio  su- 
periore, e  forse  in  origine  si  collegava  alla  cella  del  tempio  e  agli  altri  annessi,  i 
cui  indizi  apparvero  nei  saggi  fatti  a  confine,  dentro  il  parco  del  villino  Wiirtz. 

Nell'angolo  a  sinistra  della  parte  anteriore  di  questo  cortile  forma  un  insieme 
organico  un  piccolo  corridoio  pavimentato  di  fine  nosaico  a  larghi  rettangoli  ed  a 
squame  di  tasselli  neri  sul  fondo  bianco  (lett./B).  Al  corridoio  si  accede  per  una 
porta  non  molto  grande,  la  cui  soglia  è  formala  da  mattoni  bipedali,  in  uno  dei 
quali  è  impresso  un  bollo,  che  si  riferisce  al 
XV,  I;  762  è). 

Altra  porticella  ugnale  alla  prima  si  apri  sullo  stesso  muro,  ma  corrisponde 
all'interno  del  detto  cortile.  Ogni  rimanente  a.  questa  costruzione,  che  spetta  al 
tempio  primitivo,  inalzato  dagli  orientali,  resnenli  in  Roma,  rivela  una  tecnica  ac- 
curata e  relativamente  solida,  sebbene  formali  con  semplice  muramento  di  pietre 
e   laterizi  frammentari:  non  così  risulta  la  cstruzione  sovrapposta  (lett.  C,  C),  che. 


.empo   di    Settimio  Severo    (C.  /.  L. 


ROMA 


—  391   — 


ROMA 


essa  pure  in  gran  parte  costituita  da  materiali  frammentari,  non  oifre  che  poca  soli- 
dità a  motivo  della  cattiva  calce,  specialmente  in  quella  parte  che  costituiva  il  vero 
e  proprio  delubro. 

Questa  seconda  costruzione,  i  cui  piani  si  trovavano  a  circa  m.  1,20  sopra  il 
livello  di  quelli  della  costruzione  precedente,  ha,  a  sua  volta,  evidenti  testimonianze 
di  successivi  ampliamenti  o  parziali  trasformazioni.  É  appunto  dalla  maniera  di  co- 
struire che  rilevasi  tale  diversità.  Ad  esempio  la  cella  (lett.  a)  doveva  essere  in 
origine  ben  semplice,  cioè  limitata   all'abside   centrale  {b)  e  ai   due   sacelli    {e,  e), 


Fra.  1. 


ampliata  poi  alla  corsia  trasversale  {d)  e  alla  nuova  porta  (e).  Ciò  rilevasi  princi- 
palmente dalla  diversità  della  struttura  dei  muri,  i  quali  se  in  apparenza  si  rasso- 
migliano a  quelli  della  cella  (fig.  1)  in  sostanza  differiscono  perfino  nella  fondazione 
superficiale,  o  quasi  del  tutto  mancante.  Qui  venne  in  aiuto  un  dato  cronologico  che 
ha  stretta  relazione  colle  due  divene  costruzioni  del  sacrario,  cioè  l'inferiore  e  la 
superiore. 

Nella  nuova  aggiunta  o  trasfornazione  dell'ingresso  della  cella  fu  messa  nella 
porta  esteriore  (e)  una  soglia  di  mamo  con  due  diverse  iscrizioni,  che  si  riferiscono 
a  due  cose  differenti,  cioè  al  doppio  uso  a  cui  servì  il  marmo  stesso.  È  una  tavola 
larga  m.  0,76,  lunga  m.  1,275,  alta  m.  0,065  rappresentante  in  origine  una  mensa 
e  come  tale  dedicata,  forse  nel  primo  empio,  agl'imperatori  Marco  Aurelio  e  Commodo 


ROMA 


—  892  — 


MMA 


dall'orientale  Gaionas,  e  utilizzata   poi  e  dedicata,  come  lime»  sacrum,   da  certo 
Eflanio  Martiale. 

L'iscrizione  dedicatoria  di  Gaionas,  incisa  intorno  al  margine  della  mensa,  era 
stata  nascosta  dal  muramento:  l'iscrizione  poi  dedicatoria  di  Martiale  era  visibile 
sul  piano  della  soglia,  ma  quasi  del  tutto  abrasa  per  l' oso,  in  modo  che  non  tutte 
le  linee  sono  leggibili.  La  prima,  che  è  incisa  con  caratteri  regolari  e  profondi,  dice  : 

PRO  SALVIE  ET  REDITV  ET  •  VICTORIA 

IMPERATORVM  AVG  ANTONINI  ET- COMMODI  CAES  GERMANIO 

PRINCIPIS  IVVENT  •  SARMATICI 

GAIONASCISTIBER  AVGVSTORVM  •  D  •  D  • 

l'altra,  a  lettere  più  grandi,  non  molto  regolari  : 


CÀEFLÀNIVS\      MÀRTIÀLIS       II 
VENERI        1      C  A  E  L  E  S  7'  I 
CVM 


Questo  limen,  tolto  nell'estate  del  1908  e  trasportato  presso  la  Scuola  Francese 
a  Palazzo  Farnese  ('),  solo  nel  gennaio  del  corrente  anno  fu  restituito  e  riunito  agli 
altri  marmi  e  oggetti  antichi,  provenienti  da  questi  scavi,  e  che  si  conservano  nella 
villa  del  sig.  marchese  sen.  Medici  al  Vascello.  Un  disegno  fatto  prima  della  remo- 
zione di  questa  soglia  dal  sig.  ing.  Capellino  della  Società  Gianieolo,  dimostra  all'evi- 
denza come  la  tavola  fosse  stata  adattata  in  mutatura,  compensandone  la  scarsa  lar- 
ghezza con  due  aggiunte  o  lastroni  di  marmo,  i  quali  incastravano  sotto  gli  stipiti 
della  porta,  e  agli  angoli  esterni  avevano  le  iuipronte  dei  cardini  di  una  porta  o  di 
un  cancello. 

Oltre  alle  porte  suddette,  che  si  aprono  e 
recesso  sacro,  non  appariva  nella  parete  del  tenipio  altra  apertura  di  accesso.  Questa 
parte    del   tempio   era   chiusa   sul   dinanzi    dal' atrio  o  cortile    rettangolare,  lungo 


i  seguono  sull'asse  longitudinale  del 


(')  Nicole  et  Darier,  Le  sanctuaire  dei  Dieux  oriittaux 
sgg.  Fu  scoperto  il  19  giugno  1908  e  restituito  1*8  geiiai 


au  Janicule,  Roma  1909,  pag.    10 
1909. 


ROMA  —  893  —  ROMA 

m.  11,45,  largo  m.  9,  a  cui  si  discendeva  dalla  sinistra  per  mezzo  di  tre  larghi 
gradini  di  marmo,  il  che  indicava  che  il  piano  di  campagna  o  di  una  via  di  accesso 
era  più  elevato  del  piano  del  cortile.  Sulla  parete  opposta  vedesi  aperta  una  porti- 
cella  larga  circa  un  metro,  priva  di  soglia  e  semplicissima,  come  quella  che  doveva 
comunicare  colle  adiacenze  del  tempio  riservate  al  culto. 

Un'altra  importante  sezione  del  santuario  più  moderno  era  quella  che  precedeva 
il  cortile  di  contro  alla  cella  ed  ai  recessi,  e  che  evidentemente  aveva  comunicazione 
col  cortile  stesso.  Consisteva  in  un  recinto  ettagonale  (/")  che  formava  il  corpo  piti 
avanzato  del  santuario  e  forse  terminava  sul  dinanzi  a  punta,  con  abside  profondo  (g) 
e  appoggiato  contro  il  muro  divisorio  del  cortile,  e  con  due  recessi  pentagonali  {h,  i), 
i  quali  risultavano  geometricamente  compresi  tra  il  prolungamento  delle  pareti  lunghe 
del  cortile  e  i  Iati  dell'abside  e  del  recinto  ettagonale.  Questi  due  recessi  hanno  la 
loro  porta  di  comunicazione  col  cortile,  e  una  larga  finestra  rispondente  al  piano  del 
detto  cortile,  mentre  i  piani  dell'abside  e  del  recinto  ettagonale  sono  più  bassi  di 
circa  m.  1,10. 

Al  momento  degli  sterri  si  volle  riconoscere  un'impronta  di  gradinata,  che  scen- 
deva dall'una  e  dall'altra  finestra  dei  recessi  sui  fianchi  dell'abside:  e  ciò  spieghe- 
rebbe che  l'accesso  al  recinto  ettagonale  fosse  esclusivamente  dalla  parte  del  cortile, 
in  modo  che  il  tempio  e  questi  sacelli  non  erano  praticabili  se  non  entrando  nel 
cortile  stesso.  E  questo  misterioso  riserbo  è  anche  dimostrato  dall'assenza  completa 
delle  finestre  sia  nel  cortile,  sia  nella  cella  e  suoi  recessi,  sia  nel  recinto  ettagonale 
e  nei  suoi  riparti,  eccezione  fatta  di  un  vano  in  forma  di  finestra  che  apresi  sul  lato 
lungo  della  celletta  pentagonale  di  sinistra  (A). 

L'aspetto  quindi  di  tutto  l'edificio  era  singolarissimo.  Ad  un  capo  del  cortile  la 
cella  con  piccola  abside  in  fondo  e  una  nicchia  centrale,  dove  si  crede  fosse  collo- 
cata la  statua  di  Giove  (?)  seduto  su  trono,  già  semplicemente  ricordata  nelle  rela- 
zioni precedenti  {'),  ma  che  merita  di  essere  qui  riprodotta  appunto  per  il  significato 
che  questa  scoltura  può  avere  in  un  santuario  dedicato  a  deità  orientali  (fig.  2). 
Le  pareti  laterali  della  cella  sulle  quali  si  aprono  le  porte  dei  due  sacelli,  sono 
divise  in  alto  con  quattro  nicchiette  foderate  nelle  centine  con  latercoli  (cfr.  fig.  1). 

Ciascuno  dei  due  sacelli,  dei  quali  per  la  difficoltà  che  imponeva  il  grande  ter- 
rapieno uno  solo  fu  interamente  sgombrato  dalla  terra,  ha  forma  rettangolare,  e  in 
fondo  una  grande  nicchia  e  dalla  parte  opposta  una  nicchietta  piccola.  Nel  luezzo 
della  cella  principale  un'ara  triangolare  costruita  di  mattoni  e  con  incavo  o  nìcchia 
sul  dinanzi.  Anclie  il  corridoio  trasversale  è  diviso  lateralmente  in  due  piccoli  sacelli, 
.  muniti  di  porte,  e  spartito  nella  parete  di  fondo  con  tre  nicchiette  a  mattoni  (cfr. 
fig.  1).  Sull'alto  della  parete  della  cella,  come  in  giro  agli  altri  recessi,  vedesi  for- 
mata con  tre  filari  di  piccoli  mattoni  l'ossatura  della  cornice,  che  serviva  di  appoggio 
alla  copertura  a  vòlta.  Di  questa  non  si  riscontrò  alcuna  traccia  che  potesse  indi- 
care il  sistema  di  costruzione,  ma  si  ebbero  invece  le  testimonianze  di  intonachi 
dipinti  a  vari  colori  e  con  indizio  di  rappresentanze  a  figurine  di  stile  egizio. 

(•)  Cfr.  Not.  1908,  pag.  262  e  263. 


ROMA 


—  894  — 


ROMA 


II  cortile  arerà  le  pareti  elerate  quanto  quelle  della  cella  e  costituiva  quindi 
nn  raro  recinto.  In  alcuni  punti  erano  risibili  gli  avanzi  dell'intonaco  grezzo,  sul 
quale  era  stata  data  una  spalmatura  di  sottile  strato  di  calce  colorita  di  rosso  pal- 
lido e  di  giallastro.  Nel  piano  di  questo  cortile,  che  fu  in  gran  parte  scavato  per 
le  ricerche  del  tempio  più  antico,  apparvero  gì'  indizi  di  un  pavimento  rozzissimo  di 
calce  e  detriti  di  pietre  e  laterizi,  specie  di  rude  opus  testaceum,  ma  non  si  ebbe 
prova  alcuna  che  il  cortile  fosse  coperto  o  tutto  o  in  parte  in  modo  da  prendere 
l'aspetto  di  un  atrio. 


Fio.  2. 


Il  gruppo  del  sacello  ettagonale  e  dei  suoi  recessi  si  trovò  demolito  a  circa 
70  cent,  dall'antico  pavimento.  Era  questo  indicato  dal  livello  costante,  dato  dalla 
rastremazione  della  parete  sul  blocco  di  fondazione. 

Era  però  evidente  il  sistema  di  copertura  usato  per  questo  gruppo  di  vani.  Ma 
la  copertura  di  questi  diversi  e  piccoli  vani  non  era  uniforme,  cioè  vi  è  motivo  a 
dubitare  che  il  vano  ettagonale,  sebbene  chiuso  da  un  alto  recinto,  fosse  sopra  in- 
teramente aperto.  Ciò  dedussi  dai  materiali  raccolti  nei  diversi  vani,  e  che  proreni- 
rano  appunto  dalla  rorina  delle  coperture. 

Consisterano  questi  in  tubi  di  terracotta,  piccoli,  di  forma  cilindrica,  appuntati 
da  una  parte  e  aperti  dall'altra,  in  modo  che  la  parte  appuntata  di  un  tubo  renira 
inserita  nell'orifìcio  dell'altro,  e  si  costituirà  così  una  continuità,  la  quale  si  adattara 
alla  muratura  della  rolticella,  formandone  lo  schema,  che  seguiva  una  linea  spirali- 
forme  (')•  Questi  si  trovarono  solamente  ammucchiati  nell'abside,    che   apresi  in  un 


(■)  Questo  sistema  di  copertura  è  già  usato  nei  monumenti  romani   del  II  e  III   sec.   d«.  C. 


EOMA  —   895   —  ROMA 

lato  del  recinto  ettagonale  e  dentro  ai  due  recessi  pentagonali  (g,  hj  i)  :  nessun  tu- 
betto era  disceso  nel  vano  più  grande  (/). 

Più  che  dalla  mancanza  delle  prove  di  detta  copertura,  il  fatto  che  il  recinto 
ettagonale  fosse  aperto  sopra,  è  dimostrato  dalla  scoperta  di  eccezionale  importanza 
ivi  avvenuta.  Abbiamo  detto  che  il  livello  della  piccola  abside  e  del  recinto  in  que- 
stione si  trovano  molto  più  bassi  dei  due  recessi  pentagonali,  in  modo  che  apparisce 
all'evidenza  che  i  due  recessi  hanno  relazione  col  piano  del  cortile,  gli  altri  due  vani 
restano  a  parte,  quasi  indipendenti.  Inoltre,  le  scoperte  avvenute  in  questi  diversi  vani 
confermano  questa  osservazione,  poiché  alcuni  degli  oggetti  ivi  rinvenuti  sono  propri 
dei  luoghi  aperti,  altri  dei  luoghi  scoperti. 

II  23  dicembre  1908,  sulla  sera,  scavandosi  sotto  il  livello  del  pavimento  antico 
del  recesso  segnato  in  pianta  con  lettera  h,  si  rinvenne  un  tronco  di  colonna  di  bigio, 
e  tra  questo  e  il  muro,  che  divide  il  recesso  dall'abside,  una  statua  di  Bacco  con  poche 
lesioni,  in  modo  che  dalla  sua  giacitura  supina  e  dalla  sua  conservazione  fu  ritenuto 
che  ivi  fosse  stata  con  qualche  cura  deposta  ('). 

La  statua  in  marmo  parlo,  che  ha  preso  una  tinta  uniforme  terrosa,  misura  m.  1,46 
di  altezza.  Kappresenta  Bacco  giovinetto,  interamente  nudo,  in  una  posa  stanca  del 
fianco  destro,  mollemente  incurvato  e  appoggiato  al  tronco  di  olmo,  su  cui  si  avvince 
la  vite.  Ha  la  testa  ricca  di  capigliatura  che  gli  adombra  la  fronte  e  gli  discende, 
divisa  in  due  fiocchi  ondulati,  sul  sommo  del  petto.  Alla  sua  posa  stanca  corrisponde 
la  rilassatura  del  braccio  destro,  che  discende  sino  all'anca  per  sostenere  con  due  sole 
dita  il  Jcantharos,  mentre  ha  l'altro  braccio  sollevato  a  metà,  piegato  in  avanti  e  in 
atto  di  appoggiarsi  al  tirso  (fig.  3).  La  statua  non  ha  che  una  piccola  lesione  nella 
punta  del  naso  e  nel  kantharos,  ma  la  sua  mano  sinistra  innestata  e  imperniata  in 
antico,  non  è  originale  e  inoltre  risulta  eccessivamente  grande,  come  un'altra  prova 
di  restauro  l'abbiamo  nella  sommità  della  testa,  che  è  intassellata. 

Ferma  l'attenzione  nostra  l'avanzo  della  grossa  doratura  che  rivestiva  la  testa 
intera,  le  mani  e  il  kanlharos,  e  questa  doratura  conserva  ancora  traccia  del  processo 
tecnico  che  ha  servito  per  applicarla.  Sotto  alle  foglioline  d'oro  appariscono,  in  quasi 
tutte  le  pai-ti  indicate,  le  tracce  di  uno  strato  sottilissimo,  dato  a  pennello,  di  una 
materia  finissima,  colore  rossiccio  molto  sbiadito,  la  quale  rappresenta  una  specie  di 
'bolo,  che  è,  tecnicamente  parlando,  l'elemento  intermediario  tra  la  lamina  del  pre- 
zioso metallo  e  il  marmo,  poiché  questo  da  solo  non  potrebbe  trattenere  la  doratura. 
Infatti  oggi  manca  detta  doratura  dove  manca  il  bolo  portato  via  dall'umidità  ;  ed 
io  valendomi  dell'opera  del  notissimo  restauratore  del  Museo  Nazionale  Romano, 
sig.  Bardano  Bernardini,  ho  potuto  fissare  tutte  le  laminette  d'oro  sollevate  dall'umi- 
dità ed  anche  attratte  dallo  strato  delle  sostanze  terrose,  a  mano  a  mano  che  queste 


(V.  Durra,  Handbuch  der  Archiktelur,  II,  pag.  298  sgg.,  figg.  .S22-326).  Lo  ritroviamo  pure  in  edi- 
fici medievali,  e  cito  ad  esempio  la  cupola  del  Battistero  e  del  S.  Vitale  di  Ravenna.  (V.  Ricci, 
Guida  di  Ravenna,  pagg.  33,  41). 

e)  Che  fosse  intenzionalmente  ivi   nascosta,  si  rileva  ancora  dal  fatto  che  l'indice  distaccato 
della  sua  mano  destra  si  trovò  riposto  nel  fondo  del  kantharo». 


BOMA 


396  — 


BOIU 


si  prosciugavano,  dopo  che  la  statua  fu  messa  al  coperto.  Allora  osservai  che  riusciva 


Fia.  8.     1:10 


molto  facile  di  fissare  quelle  laminette  laddove  restara  il  bolo  non  appena  questo 
reniva  iniettato  di  sostanza  glutinosa  (')• 


e)  Anche  in  altre  scolture    che  conseTrano  gli   avanzi   della   doratura,  ho  potuto  trovare  Ja 


ROMA 


—  397  — 


ROMA 


La  doratura  indica  chiaramente  che  questa  statua  doveva  essere  coperta  di  indu- 
menti veri  e  propri,  uno  dei  quali  è  presumibile  fosse  un  chiton  talare,  chiuso  al 
collo  e  con  maniche  allungate  fino  ai  polsi.  Questo  vestito  doveva  permanentemente 
coprire  il  simulacro,  cioè  non  essere  adoperato,  come  nei  riti  delle  religioni  greca  e 
romana,  soltanto  in  occasione  di  festività,  essendo  impropria  degli  orientali  la  nudità 
assoluta  nella  rappresentanza  delle  deità  ed  anche  dei  personaggi. 

Riconoscendo  pure  un  eccessivo  sincretismo  religioso  nel  periodo  in  cui  erano 
ammessi  e  favoriti  in  Roma  i  diversi  riti  delle  religioni  orientali,  in  ispecie  al  tempo 


FiG.  4a.       1:4 


di  Elagabalo,  sarebbe  difficile  immaginare  che  fosse  tenuto  in  venerazione  un  simu- 
lacro di  Bacco,  nella  concezione  artistica  più  pura,  che  manifestava  troppo  aperta- 
mente il  significato  religioso  greco-romano,  senza  che  gli  orientali  stessi  non  avessero 
in  qualche  modo  (e  appunto  con  un  vestito  proprio)  truccato  il  simulacro  suddetto. 

Nel  medesimo  recesso  li  era  stata  gettata  a  non  grande  profondità  una  base 
tronca  di  candelabro  triangolare,  di  marmo  lunense,  alta  m.  0,35,  posata  su  plinto 
sagomato  e  decorato  con  tre  figurine  di  ninfe  danzanti,  ora  acefale  e  mutilate  (fig.  4, 


traccia  del  bolo,  sebbene  le  mie  osservazioni  fossero  avvenute  dopo  che  i  marmi  avevano  subito  un 
lavaggio  indiscreto.  Ciò  avvenne  per  la  bellissima  testa  colossale  di  Esculapio,  trovata  nelle  fogne 
delle  terme  Àntoniniane.  A  quello  che  se  ne  è  scritto  (Savignoni,  Notizie  1901,  pag.  25;  Bull  Arch. 


NoTiziK  ScATi  1909  —  Voi.  VI. 


52 


ttOMA 


—  398  — 


ttOMA 


a ,  b,  e).  Il  movimento  della  danza  e  il  ricco  panneggio  rivelano  in  questa  piccola 
scoltura  tutte  le  grazie  dell'arte  neo-attica. 

Nell'altro  recesso  i,  doveva  trovarsi  in  origine  un  secondo  simulacro  di  Bacco, 
ma  molto  più  piccolo  di  quello  descritto.  Vi  si  raccolse  tra  lo  sterro  solamente  il 
kantharos  e  la  mano  sinistra,  che  stringeva  la  parte  superiore  di  un  tirso.  In  questi 
due  frammenti  non  apparivano  indizi  di  doratura.   Queste  statue,  se  sì  tìen  conto 


FiG.  4è.         1:4 


della  forma  dei  due  vani  e  della  disposizione  dei  loro  accessi,  dovevano  essere  col- 
locate a  ridosso  degli  angoli  acuti,  in  faccia  alle  porticelle  che  comunicavano  colla 
corte;  e  forse  alla  prima  servì  di  basamento  quel  tronco  di  colonna  di  bigio  ricordata 
sopra. 

Un'altra  scoperta   importante   avvenne  il  3  febbraio  1909,  dentro  alla   piccola 
abside  posta  tra  i  due  recessi  h,  i.  Vi  si  trovò  in  tre  pezzi  principali  una  statua  di 


Com.  1901,  pag.  147),  si  può  aggiungere  che  tracce  di  bolo  giallastro  e  molto  aderente  riscontrai,  uno 
0  due  giorni  dopo  la  scoperta,  nel  cavo  tra  l'occhio  destro  e  il  naso,  sulla  regione  zigomalA  della 
stessa  parte  e  sul  labbro  inferiore.  Su  questo  bolo  erano  visibilissime  le  tracce  di  oro  ridotto  iu  pul- 
viscolo. » 


ROMA 


—  399  — 


ROMA 


basalto,  d'arte  egizia,  alta  m.  1,30,  rappresentante  un  Faraone.  Sta  sopra  un  plinto 
scorniciato,  in  posa  rigida,  gradiente,  e  colla  gamba  sinistra  spostata  in  avanti  (fig.  5). 
Le  sue  braccia  sono  pareggiate  ai  fianchi  e  chiuse  al  pugno,  dove  apparisce  un  foro 
passante,  sul  quale  restano  le  tracce  di  ossido  di  rame,  che  fanno  supporre  uno  stru- 
mento, 0  un  sistro  od  il  simbolico  fau.  La  statua  appoggia  colla  schiena  e  colla 
gamba  destra  alla  lunga  cartella  (fig.  6),  sulla  quale  non  vi  sono  iscrizioni  :  veste 


Fig.  ic.       1:4 


il  perizoma  aperto  sul  dinanzi  e  tenuto  fermo  da  cintura,  ed  è  coperta  dal  claft 
che  cinge  la  fronte  e,  dopo  una  piega  angolare  sopra  alle  orecchie,  discende  sul  torace. 
Nel  mezzo  della  cinta  frontale  spiccava  Vuraeus,  che  caratterizza  questa  statua  per 
un  simulacro  di  un  re  egiziano.  La  bella  scoltura,  che  sembra  riferirsi  alla  metà  del 
IV  sec.  av.  C,  era  animata  dagli  occhi  interamente  di  smalto  vitreo.  Si  potè  sta- 
bilire che  questa  statua  nella  piccola  abside  posava  entro  una  nicchia,  che  trovavasi 
allo  stesso  livello  delle  porte  di  accesso  dei  sacelli  h,i.  Della  nicchia  restava  solo 
la  traccia  della  pianta.  A  differenza  della  statua  di  Bacco  questo  simulacro  sembra 
che  fosse  stato  abbattuto  con  violenza,  e  non  solo  spezzato  dalla  caduta,  ma  deturpato 
nel  naso,  nella  bocca  e  nella  mano  destra  ;  gli  furono  inoltre  levati  gli  smalti  degli 
occhi  e  quasi  del  tutto  abraso  lo  uraeus.  Un'altra  prova  di  questa  violenta  distru- 


ROMA 


—   400   — 


ROMA 


zione  fu  data  dal   ritrovarsi  il  plinto  ed  i  piedi  di  questa  statua  dentro  il  recesso 
A  in  un  livello  molto  superiore. 

Ma  se  gli  avanzi  architettonici  e  la  detta  scoltura  provano   che   quei  vani  dove 
furono  trovati  erano  coperti  con  muratura  a  volta,  un  monumento  singolare,  e,  senza 


Fio.  5.        l:io 


Fio.  6. 


1  :10 


dubbio,  nuovissimo  nella  storia  delle  scoperte  d'antichità,  prova  tra  le  altre  cose,  che 
il  vano  poligonale  era  ipetrale,  e  che,  a  confronto  degli  altri  vani  coperti,  doveva 
avere  una  eccezionale  importanza  nei  misteriosi  riti,  che  si  compievano  nel  santuario. 
Nel  mezzo  della  cella  poligonale  era  costruita  con  piccole  pietre  una  vasca  a 
pianta  triangolare  equilatera  (fig.  7),  coi  bordi  alti  esternamente  dal  masso  della  fon- 
dazione circa  m.  0,68,  e  internamente  sopra    un  piano  artificiale  m.  0,30.  L'orlo  di 


ROMA 


—   401    — 


ROMA 


questa  vasca  era  un  poco  arrotondato  e,  come  tutto  il  rimanente  che  emergeva  dal 
suolo,  doveva  essere  spalmato  di  cemento  solidissimo,  fatto  con  pesto  di  laterizi  e  con 
calce. 

Questa  vasca  misurava  m.  2,10  di  lato;  aveva  sopra  il  margine  alcuni  incavi 
profondi  e  a  coda  di  rondine,  i  quali  richiamavano  i  sostegni  verticali  di  una  coper- 
tura a  tettoia. 


Fio.  7. 


La  vasca,  poiché  per  tale  appariva,  fu  fatta  non  a  scopo  di  ara,  ma  evidente- 
mente per  contenere  acqua,  e  a  questo  scopo  fu  coperta  di  intonaco  resistente  e  usato 
nell'antichità  per  opere  idrauliche.  Il  piano  della  medesima,  dopo  che  fu  ripulito, 
mostrava  uno  strato  uniforme  e  impermeabile  di  calce,  e  fu  vera  fortunata  combi- 
nazione che  al  momento  del  completo  isolamento  di  questa  vasca  si  trovassero  pre- 
senti il  sig.  dott.  Ghislanzoni,  il  sig.  Edoardo  Gatti,  e  il  sig.  Briziarelli,  l'uno  ispet- 
tore, l'altro  disegnatore  e  il  terzo  soprastante  di  questo  Ufficio,  i  quali,  constatato  un 
vuoto  nel  mezzo  della  vasca,  si  accinsero  colle  proprie  mani  ad  esplorarlo.  Questo 
avvenne  la  mattina  del  5  febbraio  1909,  e  il  risultato  fu  il  seguente.  Il  piano  della 
vasca  era  coperto  uniformemente  da  uno  strato  di  smalto,  che  nascondeva  nel  mezzo 
tre  mattoni  bipedali,  l'uno  all'altro  sovrapposti  e  solidamente  <;ementati.  L'ultimo  di 


ROMA  —   402   —  BOMA 

questi  mattoni  posava  sul  battente  formato  sul  perimetro  di  un  vuoto  rettangolare 
largo  m.  0,41,  lungo  m.  0,61  e  profondo  m.  0,3(33,  il  quale  costituiva  un  pozzetto 
circoscritto  dal  vano  esterno  della  vasca,  in  modo  che  due  angoli  del  pozzetto  erano 
avvicinati  ai  lati  convergenti  del  recinto  triangolai^e  dalla  parte  che  volge  a  oriente. 
Ciò  corrispondeva  all'orientamento  generale  dell'intero  sacrario.  In  fondo  al  pozzetto 
giaceva  una  statuetta  in  bronzo,  distesa  supina  coi  piedi  ad  oriente,  posata  nel  fondo 
murato  del  pozzetto,  che  rimase  libero  dalle  terre  di  infiltrazione,  in  modo  che  il  si- 
mulacro di  bronzo  appariva  isolato  e  come  semplicemente  deposto  di  recente  nella 
sua  cavità.  Questo  fatto  trovava  la  sua  spiegazione  nel  modo  perfetto  con  cui  era 
stato  chiuso  sopra  il  pozzetto  mediante  i  tre  grandi  laterizi.  Il  simulacro  di  bronzo 
era  rappresentato  da  una  statuetta  alta  m.  0,47,  interamente  fasciata,  in  modo  che 
dall'involucro  emergeva  la  sola  faccia,  di  aspetto  giovanile  e  femineo. 

Quella  specie  di  fasciatura  tessile  che  avvolge  la  statuetta,  come  se  avvolgesse 
il  corpo  di  un  neonato,  è  talmente  aderente  al  corpo  da  farne  risaltare  la  forma  in- 
tera, fino  ai  dettagli  delle  gambe  accoppiate;  e  questa  fasciatura  non  sarebbe  stata 
tanto  visibile  se  non  avesse  il  suo  compimento  in  due  grandi  orecchiette,  o  specie  di 
bavero  molto  rialzato  sul  collo  fin  sopra  le  orecchie.  La  statuetta  è  avvinta  da  sette 
spire  di  un  serpente,  le  quali  si  svolgono  risalendo  dalla  parte  sinistra  in  modo 
quasi  simmetrico.  L'ultima  spira  superiore  del  serpente  fascia  e  serra  gli  omeri  e 
risale  di  dietro,  sull'occipite,  mostrando  la  testa,  trasformata  in  dragone  crestato,  sul- 
l'alto della  fronte  (fig.  8). 

L'aspetto  di  questo  simulacro  era  reso  ancora  più  maestoso  con  alcuni  tratti  di 
doratura  nella  testa  del  dragone  e  nelle  sue  spire.  Quando  fu  deposto  nel  pozzetto 
rettangolare,  perfettamente  vuoto,  si  collocarono  entro  ciascuna  spira  del  dragone 
sette  uova  di  gallina,  delle  quali  si  conservano  in  grandissima  parte  i  gusci,  taluni  a 
posto,  altri  discesi  ai  lati,  come  viene  indicato  chiaramente  dalla  fig.  8. 

Ciò  prova  all'evidenza  che  questo  pozzetto  non  fu  giammai  riaperto  dopo  la  de- 
posizione del  simulacro  e  delle  uova.  La  disposizione  della  vasca  triangolare,  quella 
del  pozzetto  e  più  che  altro  quella  del  simulacro,  rispondenti  tutte  alla  più  perfetta 
orientazione,  dimostrano  che  il  deposito  del  simulacro  deve  considerarsi  come  una 
rituale  consacrazione  del  luogo  a  deità  orientali,  o  più  esattamente  a  deità  siriache, 
poiché,  secondo  la  notizia  tramandataci  da  Macrobio  ('),  nel  tempio  siriaco  di  Hiera- 
poli  esistevano  statue  di  deità  femminili  chiuse  nelle  spire  dei  serpenti.  Questa  di- 
vinità è  appunto  l'Atargatis  o  la  Venus  Caelestis  del  culto  siriaco,  alla  quale  si 
conveniva  non  un'ara,  come  alcuni  vogliono  vedere  nella  muratura  triangolare,  ma  una 
vasca  poco  profonda,  coperta  sopra  da  leggiera  tettoia,  i  cui  sostegni  erano  infissi 
nell'orlo,  e  contenente  acqua  lustrale,  nella  quale  i  sacerdoti  nutrivano  alcuni  pesci 
che  erano  tutelari  del  deposito  sacro  e  sacri  essi  pure  (*). 

Giova  ricordare  che  il  santuario  descritto  era  imposto  ad  un'altra  costruzione  più 
antica,  della  quale  non  aveva  utilizzato  nessuna  parte  per  le  sue  fondazioni,  poiché 

(•)  Saturn.I,  18. 

(•)  Cumont,  Les  religioni  orientales  dans  le  paganisme  romain.  Paris,  1909,  pag.  142.      , 


ROMA 


—  403  — 


ROMA 


si  era  obbligato  ad  un'altra  orientazione,  e  aveva  tagliato  i  muri  più  antichi,  andando 
a  cercare  negli  strati  più  profondi  le  proprie  fondamenta.  Questi  dati  di  fatto  ten- 
dono a  farci  dubitare  se  il  sacrario  primitivo  appartenesse  alle  medesime  deità  alle 
quali  appartenne  il  sacrario  descritto  colle  statue  e  col  simulacro  della  divinità.  Ab- 
biamo forse  un  solo  ricordo  di   un  oggetto  che  doveva  appartenere  al  sacrario  più 


FiG.  8.         1: 


antico,  cioè  la  mensa  dedicata  da  Gaionas  alla  memoria  degli  imperatori  M.  Aurelio 
e  Commodo  ;  ma  questa  aveva  nel  nuovo  sacrario  perduto  ogni  carattere  votivo  ed  era 
stata  impiegata  come  semplice  soglia,  con  nuova  inscrizione  dedicatoria.  Altra  iscri- 
zione votiva  di  Gaionas  agli  dèi  nuQsxoi  ('),  doveva  pure  appartenere  al  santuario 
primitivo,  né  altro  di  questo  sappiamo,  se  non  che  fu  in  essere  o  restaurato  negli 


(«)  Cfr.  Notizie  1006,  pp.  248,  433. 


SOMA 


404  — 


ROMA 


ultimi  anni  del  sec.  II,  come  rilevasi  dal  bollo  di  mattone  dei  tempi  di  Settimio  Se- 
vero ricordato  a  suo  luogo.  Ma  a  questa  prima  costruzione  si  collegano  senza  dubbio 
alcuno  le  testimonianze  di  un  rito,  che  non  osservasi  nel  sacrario  piii  recente,  e  di 
alcune  opere  speciali  fatte  per  rendere  il  terreno  sano  e  adatto  a  fondarvi  un  edificio 
sacro. 

Le  testimonianze  di  un  rito  finora   a   noi  sconosciuto,  consistono  in  una  fila  di 
anfore  oleari  {l,  l)  perfettamente  allineate,  e  coricate  per  un  solo  verso  e  col  mede- 


Fio.  9. 


Simo  andamento  di  una  delle  pareti  lunghe  dell'edificio  (fig.  9),  accatastate  in  tre 
ordini  (fig.  10).  Quest'ordine  di  anfore  è  seguito  da  altra  fila  di  anfore  vinarie  {m,  m) 
infisse  verticalmente  nel  terreno,  parallelamente  a  quelle  coricate  (fig.  11).  Inoltre 
quest'ordine  di  anfore  vinarie  era  intersecato  ad  angolo  un  poco  acuto  da  una  fila  di 
anfore  simili  («,  «),  pure  infisse  per  la  punta  (fig.  12). 

Le  anfore  vinarie  avevano  forme  e  dimensioni  differenti;  quelle  oleàrie  erano 
tutte  eguali,  a  corpo  sferiforme;  ma  né  le  une  né  le  altre  contenevano  o  avanzi  di 
deposito  di  vino  o  di  sostanze  oleose,  né  portavano  segni  graffiti  o  colorati  del  con- 
tenuto, né  opercoli  od  altro  che  potesse  fare  supporre  che,  prima  di  essere  deposte, 
queste  anfore  fossero  state  usate. 

Nemmeno  si  rinvenne  nell'interno  di  alcune  (le  quali  si  trovavano  spezzate), 
avanzi  di  sostanze  organiche,  o  di  ceneri  o  dì  ossa  ;  soltanto  nel  terriccio  dove  er^o 


ROMA 


—  405  — 


ROMA 


Pio.  10, 


Fio.  11. 


Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI. 


53 


!10MA 


—  406 


HOMA 


0  coricate  e  infisse,  apparvero  in  copia  notevole  i  frantumi  di  ossa  di  animali,  rico- 
noscibili per  cinghiali,  pecore,  caproni,  vitelli  dalle  piccolissime  corna  e  anche  polli, 
misti  a  terra  grassa  e  talora  rossastra  e  piena  di  carboni,  come  fosse  stata  bruciata. 
Uno  strato  di  cenere  e  di  carboni  sembrava  che  segnasse  il  piano  di  posa  delle  anfore 
infisse  verticalmente.  Da  tutti  questi  fatti  si  arguì  che  le  file  delle  anfore  dovevano 


Fio.  12. 


rappresentare  un  rito  misterioso,  riferibile  al  culto  delle  divinità  venerate  nel  primo 
santuario.  Ma  ammettendo  questo,  bisogna  ammettere  che  quella  funzione  della  depo- 
sizione delle  anfore  fosse  avvenuta  in  un  solo  momento,  cioè  bisogna  escludere  che 
ogni  anfora  rappresenti,  quale  favissa.  una  cerimonia  rituale  compiuta,  inquantochè 
non  è  materialmente  possibile  di  deporre  a  intervalli  di  tempo  una  dopo  l'altra  le 
anfore,  aprendo  ogni  volta  una  buca  nella  terra.  Ciò  viene  escluso  in  modo  assoluto 
dal  trovarsi  le  anfore  tutte  allineate  e  accostate  perfettamente.  Né  si  può  pensare 
che  dette  anfore  fossero  colà  disposte  per  procurare,  come  una  specie  di  vespaio,  il 
prosciugamento  del  grande  recinto  A  A ,  poiché  a  tale  scopo  erasi  provveduto  con  opere 
opportune,  che  giova  descrivere. 

Trovandosi  il  sacrario  dentro  ad  un'insenatura  naturale  del  Gianicolo,  dove  abbon- 
davano le  sorgive  delle  aquae  furrinae,  occorreva  impedire  che  le  acque  stesse  inja- 


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—  407  — 


ROMA 


dessero  gli  edilìzi,  e  in  ispecie  si  arrestassero  dentro  ai  recinti  che  venivano  a  for- 
marsi coi  muri  delle  fondazioni.  Già  per  l'innanzi,  cioè  intorno  agli  ultimi  tempi 
repubblicani,  sembra  che  fosse  stato  provveduto  a  contenere  e  convogliare  le  acque 
con  grosso  muramento  a  parallelepipedi  di  tufo,  i  cui  avanzi  apparvero  a  grande  pro- 
fondità sulla  destra  del  muro  di  cinta  del  cortile  spettante  all'ultimo  santuario 
(v.  pianta,  lett.  D). 

Ai  primi  anni  dell'Impero    risponde   un'opera  veramente  grandiosa,  consistente 
in  una  piscina  circondata  da  muro  a  laterizi,  che  superiormente  era  coperto  da  grossi 


Fio.  13. 


mattoni  o  da  uno  strato  di  cemento  inclinato  verso  l'interno  come  una  sponda  di 
vasca.  Un  lato  di  questa  piscina  sbarrava  la  insenatura  contro  le  scaturigini  del- 
l'acqua, ed  era  forato  con  tre  buchi  circolari  passanti,  appunto  per  raccogliere  le  fil- 
trazioni a  monte.  Su  questo  muro,  che  ad  una  certa  altezza  rientra  con  una  risega 
di  circa  25  cm.,  si  elevò  la  parete  breve  e  anteriore  del  piìi  antico  santuario  (A,  A). 
Alcuni  sondaggi  fatti  da  una  parte  e  in  punti  che  dovevano  corrispondere  all'interno 
di  questa  piscina,  e  dove  apparisce  lo  stesso  recinto  a  mattoni  (E)  ebbero  per  risul- 
tato di  constatare  che  alla  profondità  di  m.  1,80  dal  livello  della  risega  si  trovava 
un  piano  lastricato,  che  rendeva  impermeabile  la  detta  piscina,  costruita  evidente- 
mente per  raccogliere  e  distribuire  una  parte  delle  acque  furrine.  Questa  piscina,  al 
tempo  della  prima  costruzione  del  santuario,  non  doveva  più  funzionare,  forse  perchè 
le  colmate  della  terra  avevano  fatto  rialzare  il  livello  delle  acque,  ma  fu  utilizzata 


ROMA 


—  408  — 


ROMA 


come  smaltitoio  delle  acque  stesse.  Ed  è  per  questo  scopo  che  vediamo  essere  stato 
costi-uito  un  pnticolo  di  muramento  con  bocca  quadrata,  profondo  fino  al  livello  di 
una  fogna,  che  corre  nel  senso  della  insenatura  del  monte,  cioè  verso  il  muro  a  mat- 
toni, dove  si  sfoga,  dopo  un  percorso  leggermente  curvilineo  (v.  pianta  0,  0),  chiuso 
sopra  da  grandi  pezzi  di  anfore  tagliati  nel  rigonfio  del  corpo  (Bg.  13). 

Ma  per  gli  usi  del  santuario  si  condusse  l'acqua  limpidissima  e  fresca  di  una 
delle  sorgive  furrine  per  un  canaletto  murato  e  spalmato  di  intonaco.  Ne  fu  scoperto 


Fio.  14. 


un  piccolo  tratto  (lett.  p)  a  confine  del  terreno  della  Società  del  Gianicolo  col  parco 
Wurtz,  nel  cui  fondo  sono  appunto  le  scaturigini  delle  acque  furrine. 

Il  canale  aveva  per  scopo  di  condurre  l'acqua  sulla  sinistra  del  santuario  più 
antico,  seguendo  ad  angolo  la  cameretta  pavimentata  di  mosaico.  Anche  il  santuario 
più  recente  ebbe  la  sua  conduttura  di  acqua,  ma  dalla  parte  opposta  del  canaletto 
designato,  e  usufruendo  della  sorgiva  stessa  che  nel  primo  santuario  andava  dispersa 
per  la  fogna  descritta. 

Sbarrata  la  piccola  insenatura  coi  muri  di  fondo  della  cella,  era  evidente  che 
l'acqua  dovesse  rialzare  di  livello,  e  infatti  a  pie  della  nicchia  centrale  dietro  all'ara 
triangolare  tuttora  sgorga  un  filo  d'acqua  perenne  e  purissima. 

Le  opere  antiche  debbono  avere  condotto  quest'acqua  dentro  il  canale  di  mura- 
tura che  sbocca  sul  dinanzi  del  santuario  {q,  q). 

Il  mistero  che  avvolge  molti  fatti  che  furono  osservati  in  queste  santuario  dedi- 
cato alle  deità  orientali,  è  reso  anche  più  tenebroso  dal  trovarsi  dentro  e  fuori  ^el 


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409  — 


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santuario  più  recente  (r,  r,  r),  e  perfino  in  un  recesso  della  cella  principale  (s),  mi- 
seri seppellimenti  entro  fosse  scavate  nella  terra  e  coperte  di  tegole  e  di  grandi 
laterizi  (fig.  14). 

Queste  tombe  erano  nascoste  sotto  il  livello  dei  pavimenti,  spesso  accoppiate, 
senza  un  orientamento  stabilito,  talvolta  con  cadaveri  coricati  l'uno  inverso  all'altro, 
ma  piuttosto  normali  alle  pareti  presso  le  quali  si  trovarono  sempre  disposti. 

Vi  sono  molte  prove  che  detti  seppellimenti  fossero  fatti  nel  momento  stesso  in 
cui  era  in  onore  il  santuario;  anzi  un  seppellimento,  colla  sua  disposizione,  prova 
che  anche  durante  il  tempo  in  cui  era  in  piedi  il  primo  santuario,  si  costumava  di 
seppellire  dentro  il  recinto  del  medesimo  (cfr.  pianta,  lett.  t).  Non  so  se  questi  sep- 
pellimenti avessero  alcuna  relazione  colla  scoperta  di  una  scatola  cranica,  deposta 
in  un  incavo    rettangolare  ai   piedi  della  nicchia  centrale  della  cella  {b). 

Si  è  voluto  riconoscere  in  questo  deposito  una  cosa  sacra  inerente  ai  misteri 
del  culto  delle  deità  orientali,  e  perfino  una  testimonianza  di  sacrificio  umano,  ma 
né  io,  né  i  funzionari  addetti  all'Ufficio  Scavi,  ci  siamo  trovati  presenti  a  questa  sco- 
perta, e  nemmeno  abbiamo  veduto  ed  esaminato  quanto  ad  essa  si  riferisce  ('),  poiché 
il  tutto  sarebbe  stato  disperso.  I  cadaveri  deposti  nelle  tombe  debbono  essere  di  per- 
sonaggi e  di  sacerdoti  addetti  al  sacrario  e  forse  non  sono  del  tutto  alieni  a  questi 
seppellimenti  i  due  frammenti  di  un  iscrizione  scoperta  presso  le  tre  tombe  della 
piccola  abside,  di  fronte  alla  vasca  sacra. 


S  A  C  E  R  D  C 


Un'altra  prova  che  i  detti  seppellimenti  siano  del  medesimo  tempo  dei  sacrari, 
l'abbiamo  nell'età  a  cui  si  riferiscono  i  bolli  dei  laterizi,  quasi  tutti  dell'età  di  Com- 
modo e  di  Settimio  Severo,  tutti  noti  {CI.  L.  XV,  179,  224,  662 a,  762 è,  1404), 
eccetto  uno  semicircolare  che  pure  deve  riferirsi  all'età  degli  ultimi  Antonini. 

Altri  bolli  su  tegole  e  su  frammenti  di  laterizi  furono  raccolti  nel  piano  del 
santuario  piìi  moderno  e  si  riferiscono  alle  officine  del  tempo  di  Diocleziano  e  ancora 
più  tardi  (C.  /.  L.  XV,  1552,  1629). 

Oltre  al  materiale  descritto  lo  scavo  del  santuario  del  Gianicolo  non  ebbe  a 
registrare  oggetti  di  singolare  importanza,  né  spettanti  all'edificio  sacro,  né  spora- 
dici. Sono  da  notarsi  solamente  due  frammenti  dì  lastre  marmoree  opistografe  (a,^); 


rcvTTi 


(')  Fu  osservata  dai  sigg.   Nicole  e  Darier,  i  quali    hanno    seguito  e  studiato   lo  scavo  fino 
dall'inizio  delle  ricerche  di  sorgive.  Il  eh.  Gauckler  riporta  una  lettera  dei  prefati  signori  e  com- 


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410  — 


ROMA 


una  basetta  di  marmo  bianco  che  misura  m.  0,38  X  0,26  X  0,18  e  porta  incisa  nel 
fronte,  racchiusa  entro  cornice,  la  iscrizione  {e): 


un  orlo  di  cratere  di  marmo,  su  cui  restano  gli  avanzi  di  una  iscrizione  che  doveva 
circuirlo  (d);  due  frammenti  pure  di  lastre  marmoree  (e ,  f)  con  pochi  avanzi  di 


NVS ■ DECEN 


d 

lettere,  ed  un  pezzo  più  grande  rappresentante  l'angolo  superiore  sinistro  di  una  ta- 
bella di  marmo  (g). 


TORTy 
0 


Nel  terrapieno  si  raccolsero  alcune  monete  di  bronzo,  molto  consunte,  alcuni 
frammenti  di  vasi  di  vetro  e  di  terracotta,  e  poche  lucerne  fittili  di  forma  comunissima, 
0  poche  di  esse  con  bolli  di  fabbriche  sconosciute.  Singolare  tra  tutti  questi  oggetti 
minuti  è  la  metà  di  una  forma  in  palombino,  usata  per  la  fusione  delle  tessere  di 
piombo.  Vi  sono  incise  sei  facce  di  tessere  uguali  l'una  all'altra,  con  rappresentanza 
di  due  pancraziasti  nudi,  che  si  affrontano  coi  pugni  alzati  e  muniti  del  cesto.  Tra 
le  due  figure  sorge  un'anforetta  da  cui  sboccia  un  gruppo  di  foglie. 

A.  Pasqoi. 


menta  la  scoperta  in  Comptes  Rendus  des  séance»  de  VAcadémie  des  Inscriptions,  1908,  p.  510  sq. 
Viene  poi  confermata  con  breve  notizia  questa  scoperta  nella  relazione  dei  sigg,  Nicole  e  Darier 
citata  sopra,  pag.  8. 


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Fvtolit.  Paneti  -  Rom» 


REQIONB  I.  —   411   —  OSTIA 


Regione  I  {LATI UM  ET  CAMPANIA). 

II.  OSTIA  —  Pianta  degli  sterri  eseguiti  negli  anni  1908-09. 

Poche  parole,  dopo  quanto  ho  riferito  nei  singoli  fascicoli  delle  Notizie,  ba- 
steranno ad  illustrare  la  pianta  rilevata  con  molta  diligenza  e  chiarezza  dal  sig. 
Edoardo  Gatti. 

La  prima  via  esplorata  (Notizie,  1909,  pag.  46)  è  quella  che  dalla  continua- 
zione della  via  dei  Sepolcri  nell'  interno  della  città  si  dirige  verso  le  Terme,  via 
conservata  nel  suo  stato  con  il  marciapiedi  solo  nel  primo  tratto  (A  1-7,  Notizie,  1908, 
pag.  468  seg.;  A  8-15  ib.  1909,  pag.  17  seg.  ;  A  lòb  ib.  pag.  48;  B  1-6  ih.  1908, 
pag.  469  seg.;  B  6  ib.  1909,  pp.  47,  82;  B  7-8  ib.  1909,  pag.  19,  47;  B  9  ib.  1909, 
pag.  20  cfr.  Comptes  Rendus  de  l'Acad.  des  inscriptions  et  belles-lettres,  1909, 
pag.  184  segg.;  B  10-15,  Notizie,   1909,  pag.  23  seg). 

Della  grande  via  (via  del  Teatro,  Notizie,  1909,  pp.  48  segg.;  83  segg. ;  104; 
202  segg.)  non  è  rilevato  che  il  tratto  dallo  sbocco  di  via  della  Fontana  (E;  su 
E  1-6  v.  Notizie,  1909,  pag.  116  seg.)  sino  al  punto  dove  cessa  il  grande  portico 
(ib.  pp.  49  segg.  ;  87  seg.).  Nell'ambiente  0  (ib.  pag.  232)  comincia  un  nuovo  por- 
tico più  innanzi  sulla  via;  questo  tratto  ulteriore  sino  alla  porta  sarà  rilevato  in- 
sieme con  gli  scavi  che  si  eseguiranno  in  questa  stagione. 

Poco  si  è  allargato  lo  sterro  sul  lato  meridionale  della  via  (C  2-4  ib.  pag.  122 
seg.;  5-6  pag.  84  segg.).  Sulla  via  stessa  la  lettera  a  indica  gli  ambienti  (pergulae?) 
innanzi  al  portico  (ib.  pag.  88)  ;  la  lettera  b  una  vasca,  e  un  pilastro  (ib.  pag.  56), 
d  ei  e  due  pozzi  (ib.  pag.  238). 

Le  Terme,  che  hanno  sulla  fronte  il  portico  (D  1-17  ib.  pag.  89  seg.;  117  seg.)  (') 
stanno  tra  la  via  del  Teatro,  quella  della  Fontana  ('),  l'altra  dei  Vigili  (ib. 
pp.  96  seg.;  126  seg.)  e  l'altra  che  le  divide  dalla  caserma  (G  1-5  ib.  pag.  167  seg.). 

(')  Un  saggio  nell'ambiente  D  4,  che  contiene  il  frammento  a  mosaico  con  la  rappresentanza 
di  Anfitrite  (ib.  pag.  169),  ha  messo  in  luce  dei  muri  sottostanti,  i  quali  dimostrano  come  in 
origine  questa  stanza  fosse  divisa  al  pari  di  quelle  vicine.  I  muri  scendono  sino  a  m.  3,30  sotto  il 
pavimento  a  mosaico,  sotto  il  quale,  a  m.  0,45,  si  è  notato  un  altro  pavimento  ad  opera  spicata. 
Sotto  quei  muri  si  ha  una  fondazione  di  m.  0,50  su  uno  strato  di  terra  alluvionale,  poco  resistente. 
Tra  lo  scarico  sotto  il  pavimento  si  raccolsero  due  frammenti  di  una  grande  soglia  di  travertino, 
di  cui  il  maggiore  misura  m.  1,15X0,72  e  m.  0,47  e  tre  monete,  un  MB  di  Augusto,  coniato  da 
Tiberio,  un  MB  di  Germanico  ed  un'altra  non  leggibile. 

Un  saggio  fu  fatto  anche  nella  taberna  D  3.  Anche  qui  il  muro  occidentale  scendo  per 
m.  3,30,  sotto  cui  comincia  con  una  risega  la  fondazione.  Anche  qui,  oltre  ad  un  GB  di  Claudio  (?) 
ed  un  frammento  di  un'antefissa  figulina  (m.  0,09  X  0,12  X  0,053)  con  canaletto  superiore  e  con  la 
rappresentanza  di  un  amorino  vòlto  a  sin.,  la  cui  testa  sta  in  linea  con  una  serie  di  palmette  e 
che  tende  innanzi  alle  braccia,  tornarono  in  luce  due  blocchi  di  travertino,  uno  grande  di  forma 
quasi  circolare  (diam.  m.  1  ;  alt.  ra.  0,48^  e  l'altro  cuneiforme,  forse  appartenente  ad  un  arco  (m.  0,75 
X  0,38X0,26X0,17). 

(*)  La  lettera  a  in  questa  via  (ib.  p.  116  seg.)  indica  l'ambiente  aperto,  di  cui  vedi  a  pag.  92. 


SERRI 


—   412   —  SARDINIA 


Sulla  via  dei  Vigili  (P  3-8  ib.  pag.  165  seg.)  a  è  il  guardiole  del  portiere  (ib. 
pp.  96,  126),  h  una  lastrina  (ib.  pag.  126),  e  una  scala  (ib.  pag.  126),  d  il  corri- 
doio che  immette  nelle  Termo  (ib.  pag.  168),  e.  /.  g,  ì>,  ambienti  addos.sati  all'edi- 
ficio e  vasche  (ib.  pag.  126),  i  una  fontana  (ib.  pag.  126). 

Nell'interno  delle  Terme  il  grande  peristilio  I  (ib.  pp.  172  seg.,  199  seg.) 
è  circondato  su  due  lati  da  varii  ambienti  (H  1-10  ib.  pag.  169  seg.;  L  1-11  ib. 
pag.  197  seg.;  L  6  ib.  pag.  186);  sul  terzo,  intorno  all'ambiente  M  (ib.  pp.  201, 
238)  lo  sterro  non  è  completo.  Nel  peristilio  le  lettere  a,  a\  b,  e,  c\  d,  e,  e'  segnano 
dei  pezzi  di  pietra,  immessi  nel  pavimento  con  buchi  per  incastro  forse  di  attrezzi  ; 
a  e  a  sono  eguali  (m.  0,47  X  0,28)  con  tre  buchi,  due,  su  una  linea,  rettangolari 
(m.  0,17X0,07;  m.  0,08X0,08),  il  terzo  circolare  (diam.  m.  0,08);  b  misura 
m.  0,53  X  0,46  ed  ha  un  buco  di  m.  0,29  X  0,25,  curvo  su  un  lato  ;  e  di  m.  0,87 
X  0,65  e  e  di  m.  0,61  X  9,55  hanno  ciascuno  un  buco  quadrato  di  m.  0,12X0,12; 
d,  in  pietra  da  molino,  è  circolare,  col  diam.  di  m.  0,70  e  un  buco  circolare  nel 
centro  (');  e  ed  e'  sono  due  pezzi  di  colonna  con  capitello,  ciascuno  con  due  buchi 
rettangolari  su  una  linea  (m.  0,16  X  0,08;  m.  0,10  X  0,10)  ed  uno  circolare  (dia- 
metro m.  0,09)  ;  in  mezzo  tra  essi  v'  ha  un  altro  pezzo  di  pietra  con  due  buchi 
(m.  0,04  X  0,04). 

D.  Vaglieri. 


SARDINIA. 


III.  SERRI  —  Scavi  nella  città  pre-romana  sull'altipiano  di  S.  Vit- 
toria. 

Fra  i  colli  fiorenti  di  messi  che  circondano  il  ridente  piano  di  Isili  e  le  feraci 
colline  di  Gergei  e  di  Escolca,  si  eleva  erto  e  minaccioso,  con  la  sua  corona  di  sco- 
gliere inaccessibili,  l'altipiano  basaltico  detto  la  «  Giara  di  Serri  ».  Situato  a  non 
grande  distanza  dalla  grande  Giara  di  Gesturi,  colla  quale  ha  comune  la  conforma- 
zione e  la  natura  geologica,  esso  si  presenta  allo  sguardo  come  una  vera  acropoli, 
quasi  inaccessibile  da  ogni  lato,  tranne  che  dall'estremità  orientale  presso  il  borgo 
di  Serri,  sulla  ferrovia  Mandas  Isili,  e  dal  lato  occidentale  dove  è  accesibile  per  uno 
stretto  e  boscoso  vallone,  che  conduce  da  Gergei  ad  Isili.  La  superficie  dell'altipiano, 
per  intero  formata  dalla  colata  di  lava  basaltica  che  in  età  geologica  miocenica,  si 
sovrappose  ai  teneri  sedimenti  di  calcari  marnosi  e  di  arenarie,  è  perfettamente  livel- 
lata; solo  qua  e  là  si  presentano,  quasi  conche  e  laghetti  naturali,  dei  piccolissimi 
bacini  dove  raecolgonsi  le  acque  piovane;  ivi  traggono  a  dissetarsi  le  numerose  mandre 
che  da  novembre  a  maggio  hanno  pascolo  nei  tratti  di  terreno  lasciato  nudo  dalle 
dense  foreste  di  elei  che  rendono  sana  ed  oltremodo  pittoresca  e  suggestiva  quella 

(')  Un  pezzo  simile  è  stato  rinvenato  fuori  posto. 


SARDINIA  —   413   —  SERRI 

naturale  acropoli.  Da  essa,  lo  sguardo  spazia  da  un  lato  sino  ai  monti  della  Barbagia, 
coronati  dal  superbo  massiccio  del  Gennargentu,  dall'altro  degrada  sui  vigneti  e  sui 
prosperi  coltivi  che  fanno  lieta  corona  a  Gergei  ed  Escolca,  ed  abbracciando  i  colli  della 
Trexenta  e  della  Marmilla,  che  contano  tra  i  più  ricchi  paesi  graniferi  del  mondo, 
scende  sino  alla  catena  di  Montevecchio  che  chiude  la  costa  occidentale  dell'isola; 
questa  catena  è  sormontata  dal  severo  profilo  di  M.  Arcuentu,  sacro  un  giorno  ad 
Ercole,  ora  deserto  e  solitario  dominatore  del  mortifero  piano  campidanese. 

All'acropoli  di  Serri,  che,  come  ho  dinanzi  notato,  presentava  dei  caratteri  tanto 
opportuni  per  formare  un  luogo  di  riparo  formidabile  alle  popolazioni  primitive  della 
Sardegna,  bellicose  e  sempre  in  armi,  io  aveva  rivolto  già  sino  dal  luglio  1907  la 
mia  attenzione;  in  una  serie  di  scorrerie  archeologiche  avevo  avuto  la  fortuna  di 
segnalare  i  resti  di  alcuni  edifici  monumentali  che  attrassero  la  mia  attenzione  ed 
eccitarono  vivamente  in  me,  meglio  che  la  curiosità,  il  proposito  di  fare  una  siste- 
matica esplorazione.  I  risultati  che  qui  brevemente  espongo,  riservandomi  un  più 
ampio  studio  a  scavi  finiti  e  dopo  un'indagine  comparativa  più  accurata  dei  monu- 
menti scoperti,  hanno  largamente  sorpassate  le  mie  speranze;  sicché  io  debbo  ricor- 
dare con  gratitudine  il  mio  egregio  amico  dott.  Marogna,  medico  chirurgo  a  Gergei, 
il  quale  mi  invitò  per  primo  a  dirigere  la  mia  ricerca  nelle  vicinanze  del  paese, 
dove  egli,  dopo  la  sua  eroica  condotta  nella  campagna  per  la  libertà  della  Grecia, 
esercitò  la  sua  missione  colla  più  illuminata  e  larga  cura. 

Come  accennai  sopra,  l'altipiano  è  reso  quasi  da  ogni  parte  inaccessibile  da  un 
alto  ciglione,  dove  la  colata  di  lava,  troncata  a  picco  per  lo  sfacelo  delle  sottostanti 
marne  mioceniche,  forma  un  formidabile  bastione,  assolutamente  inaccessibile;  solo 
pochi  sentieri  superano  in  qualche  punto  il  ciglione,  ma  il  passaggio  difficile  può 
essere  facilmente  conteso  da  pochi  uomini,  contro  un  assalitore  assai  più  numeroso. 
Dal  lato  di  Serri  una  cresta  di  roccia  apre  facilmente  la  via  dell'altipiano,  ma  il 
passo  è  precluso  da  un  edificio  nuragico  a  poca  distanza  da  Serri  ;  nel  lato  occiden- 
tale una  conca  di  valle  che  fluisce  al  BauTriga,  sale  con  declivo  relativamente  lene 
sull'altipiano,  offrendo  una  porta  d'accesso  abbastanza  facile  a  scalarsi.  Si  noti  che 
tutto  il  paese  circostante  è  in  ogni  colle,  in  ogni  punto  dominante  allacciato  da  un 
mirabile  sistema  di  costruzioni  nuragiche  che  fa  riscontro  perfetto  a  quello  da  me 
studiato  sulla  maggior  Giara  di  Gesturi  e  che  esporrò  nel  lavoro  riassuntivo  che 
devo  dedicare  a  questa  importante  regione;  ed  è  appunto  un'acropoli  nuragica  della 
più  alta  importanza  questa  Giara  di  Serri,  nella  quale,  a  mio  credere,  trovavano  ri- 
fugio gli  abitanti  dei  piani  di  Isili,  di  Gergei,  di  Escolca,  quando  la  minaccia  li 
costringeva  a  lasciare  i  loro  borghi  nuragici  e  cercar  riparo;  dove,  oltre  alla  formi- 
dabile postura,  serviva  a  dare  maggior  impulso  alla  difesa  il  tempio,  intorno  al  quale 
aleggiavano  sacre  le  memorie  degli  avi,  dove  erano  le  immagini  degli  Dei  tutelari. 

Il  largo  e  relativamente  facile  accesso  all'altipiano  dal  vallone  che  sale  da  Gergei, 
oggi  vigilato  dalla  pittoresca  chiesetta  di  s.  Vittoria,  era  in  età  pre-fenicia,  sbarrato 
da  un  tratto  di  mura  di  recinto,  di  costruzione  megalitica,  rinforzato  ai  due  capi  ed  al 
centro  da  tre  torri  nuragiche,  formando  cos'i  un  esempio  di  fortificazione  preistorica 
finora  non  segnalato  nell'architettura  protosarda  ed  affine  ai  recinti  micenei  della  Beozia 

NoTiziK  Scavi  1909  —  Voi,  VI.  54 


^BRftt 


—  414  - 


SARDINIA 


e  dell'Argolide,  studiati  dal  Noack  e  da  altri  con  ammirevole  esattezza.  Dei  tre  nu- 
raghi di  questo  recinto,  il  più  visibile  prima  dello  scavo  era  quello  dell'estrema  ala 
destra;  ma  appariva  evidente  che  l'edificio  di  maggior  importanza  doveva  essere  stato 
quello  i  cui  resti  imponenti  si  accumulavano  a  pochi  passi  dalla  chiesa  di  s.  Vittoria, 
la  quale,  come  tanti  altri  edifici  medievali  della  Sardegna,  era  sorta  a  spese  del  ve- 
tusto monumento.  Ma  lo  sfruttamento  dei  monaci  cristiani  pare  sia  stato  preceduto 
da  quello  dei  Fenici  e  dei  Romani,  o,  per  parlar  più  esattamente,  dagli  indigeni  del- 
l'età fenicia  e  dell'età  romana,  giacché  nel  corso  degli  scavi  si  misero  in  luce  e  per 


FlG.  1. 


necessità  di    cose  si    dovettero   distniggere,    dei   resti   poco  significanti   di   costru- 
zioni, che  a  spese  di  quella  preistorica  si  elevarono  sopra  e  presso  di  questa. 

Dietro  a  questo  recinto,  che  potè  essere  esattamente  rilevato  dal  geom.  Filippo 
Nissardi,  ispettore  del  Museo,  stendevasi  un  abitato  delle  antiche  popolazioni  sarde, 
le  quali  in  quel  luogo  elevato  e  salubre  e  sopratutto  di  fortissima  postura,  trova- 
rono un'acropoli,  resa  più  sacra  dalla  presenza  di  un  edificio  di  evidente  carattere 
religioso.  Dato  il  grande  silenzio  delle  fonti  documentarie  antiche  sulla  religione,  come 
in  genere  su  tutta  la  vita  psichica  e  sulla  storia  di  questo  popolo  sardo  pre-fenicio, 
tutte  le  speranze  sono  riposte  nei  risultati  dell'esplorazione  sistematica,  che  diradi 
alquanto  le  tenebre  e  raccolga  le  fila  destinate  a  conoscere  il  pensiero,  la  fede,  le 
tradizioni  artistiche  di  un  popolo  numeroso  e  dotato  innegabilmente  di  energie  vivaqj 


SARDINIA 


—  415  — 


SERRI 


e  fattive.  Qualche  tenue  spiraglio  si  è  aperto  con  quest'ultimo  scavo  di  Serri,  che 
incoraggia  a  tentare  più  largamente  e  con  mezzi  più  considerevoli  la  fortuna  degli 
scavi. 

A  pochi  passi  dalla  chiesa  di  s.  Vittoria,  dietro  la  difesa  della  cinta,  appari- 
vano evidenti  tracce  di  un  pozzo  antico.  Ivi  diressi  dapprima  la  ricerca  che  mi  fece 
riconoscere  un  edificio  di  evidente  carattere  sacro.  Questo  tempio  consiste  in  un  pozzo, 
del  diametro  interno  di  m.  2,10  e  dalle  pareti  dello  spessore  di  m.  2,50,  di  forma 


Fio.  2. 


pertettamente  circolare,  in  origine  chiuso  da  una  vòlta  formata  da  anelli  sovrap- 
posti, restringentisi,  e  costruito  in  modo  mirabilmente  perfetto,  in  conci  cuneiformi 
di  lava,  accuratamente  tagliati  e  lavorati  in  corrispondenza  alla  loro  funzione 
statica,  coi  giunti  perfettamente  disegnati  e  la  faccia  a  vista  lavorata  a  gradina  ;  cosi 
che,  prima  dell'iuizio  dello  scavo,  il  pozzo,  costrutto  senza  calce  con  un  arte  muraria 
espertissima,  avrebbe  potuto  ascriversi,  non  già  ai  rudi  costruttori  di  nuraghi,  ma  ai 
delicati  maestri  di  Pisa,  eredi  del  magistero  tecnico  romano. 

Al  pozzo,  che  aveva  il  fondo  costituito  dal  banco  impermeabile  di  lava,  si  scen- 
deva per  mezzo  di  una  scala,  pur  essa  costrutta  con  ogni  cura  nello  stesso  durissimo 
materiale  e  coi  gradini  collegati  nella  muratura  del  pozzo.  L'imbocco  della  scala  av- 
veniva da  una  specie  di  pronao  di   m.  2,60  di  larghezza  e  m.  5,40  di  lunghezza. 


SERRI 


—   416   —  SARDINIA. 


racchiuso  da  due  ali  di  muratura,  costrutta  nello  stesso  carattere  e  contemporanea- 
mente alla  struttura  circolare  del  pozzo  (fig.  1).  L'area  del  pronao,  selciata  di  lastre  in 
calcare  bianco,  recava  dinnanzi  allo  sbocco  della  scala  un  altare  munito  del  foro  di  li- 
bazione, con  canale  di  scarico,  che  si  rinvenne  sotto  al  selciato  di  lastre  di  calcare;  il 
quale  dovette  essere  in  passato  rimosso  più  volte  per  lo  spurgo  della  fossetta,  ove 
dal  foro  dell'ara  raccoglievasi  il  sangue  delle  vittime  che  dopo  qualche  tempo  doveva 
esalare  profumi  sgraditi  anche  alle  nari  poco  delicate  dell'abitante  preistorico.  Un 
altro  altare,  evidentemente  destinato  alla  purificazione  di  colui  che  accedeva  al  sa- 
crificio, trovavasi  presso  l'ala  destra  del  pronao  ed  era  costituito  da  un  bacino  di 
trachite,  forato  nel  centro,  che  per  mezzo  di  un  disco  della  stessa  materia  stava  sopra 
ad  una  fossetta  aperta  nella  lava. 

Sui  due  fianchi  del  pronao  correva  una  specie  di  piccolo  sedile,  di  blocchi  di 
calcare  lavorati  (fig.  1),  probabilmente  una  doppia  tavola  di  offerta,  o  mensa,  in  cui  depo- 
nevansi  i  doni  votivi.  Questi,  in  origine  erano  saldati  per  mezzo  d'impiombature  sopra 
lastre  di  calcare  e  di  trachite,  che  furono  date  in  gran  copia  dallo  scavo.  Alcune  di 
queste  lastre  di  calcare  presentano  una  delicata  modanatura,  nella  faccia  che  doveva 
essere  veduta  ;  si  noti  che  anche  i  gradini  ai  lati  del  pronao,  presentano  delle  sagome 
architettoniche  evidenti,  come  pure  danno  la  prova  di  essere  state  adoperate  per  uso 
di  sedili  0  di  mensa  dopo  aver  servito  in  altro  modo,  sia  in  altro  edificio  che  non 
conosciamo,  sia  nello  stesso  edificio.  Furono  rinvenuti  numerosi  blocchi  di  calcare 
candido  provenienti  dalle  cave  di  Zaurrai,  presso  Isili,  i  quali  presentavano  elementi 
architettonici  del  più  alto  interesse  per  la  storia  dell'architettura  mediterranea;  cor- 
nici, architravi  con  decorazioni  a  goccio  o  a  penne,  e  finalmente  alcuni  capitelli  o 
basi  di  colonne  ad  elementi  geometrici  presentano  motivi  di  una  architettura  che  è 
assolutamente  diversa  da  quella  che  noi  sogliamo  dire  fenicio-punica,  mentre  ha  le 
affinità  più  spiccate  e  suggestive  con  quelle  linee  tectoniche  fondamentali  mediter- 
renee  dalle  quali  è  oramai  dimostrato  che  scaturiscono,  come  due  fiumane  parallele, 
l'arte  egizia  e  la  micenea.  Pur  troppo,  come  diremo  più  innanzi,  noi  trovammo  sol- 
tanto i  resti  di  un  edificio  che  una  furia  barbara  di  assalitori  aveva  profanato  e  scon- 
volto, sicché  non  è  possibile  ancora  tentare,  neanche  lontanamente,  di  ricostruire  colla 
mento  l'aspetto  di  questo  pronao,  del  quale  trovammo  la  pianta;  però  la  dispersione 
del  materiale  avvenuta  durante  il  saccheggio  del  tempio  ci  fa  sperare  che  altri  ele- 
menti architettonici  si  possono  rinvenire  lungo  la  proda  dell'acropoli  e  sotto  gli 
enormi  cumuli  di  rovi  che  sembrano  i  geni  tutelari  di  quelle  solitarie  ed  ignorate 
mine.  Inoltre  noi  siamo  ancora  all'inizio  delle  ricerche  in  questo  campo,  e  molto  dob- 
biamo attendere  dall'esplorazione  di  altri  edifici  religiosi  protosardi  che  oramai  in 
buon  numero   attendono  l'opera  dello  scavatore. 

Non  meno  notevoli  degli  elementi  architettonici  sono  altri  elementi  raccolti  dallo 
scavo  e  che  appariscono  chiari  nella  pianta  dell'edificio.  Tutto  attorno  alla  costruzione 
del  pozzo  sacro,  segue  un  muro  di  costruzione  megalitica  (fig.  2)  senza  dubbio  contempo- 
ranea a  quella  del  pozzo  stesso;  esso  serviva  probabilmente  a  contenere  la  terra  di 
UQ  tumulo  che  copriva  il  tamburo  del  pozzo,  se  pure  non  v'era  in  questa  disposizione 
uno  scopo  idraulico,  attestato  anche  dalla  presenza  di  lastre  di  calcare,    disposte  ^ 


SARDINIA  —   417  —  SERRI 

coltello  e  trovate  tutte  fitte  durante  lo  scavo.  Questa  disposizione,  meglio  che  rive- 
larci la  presenza  di  una  tettoia  circostante  al  pozzo,  crollata  per  il  cedimento  dei 
travi,  può  spiegarsi  con  lo  scopo  di  filtrare  l'acqua  superficiale  e  lasciarla  entrare 
pura  dai  fori  di  drenaggio  scoperti  nel  vano  del  pozzo.  Poiché  è  evidente  che  il  pozzo 
non  servì  come  favissa,  ma  bensì  quale  pozzo  sacro,  al  fondo  del  quale  il  sacer- 
dote e  l'iniziato  scendevano  ad  attingere  l'acqua  lustrale,  che  in  poca  quantità  si 
raccoglieva  nel  fondo  dallo  stillicidio  attraverso  le  pareti. 

La  cupola  però  doveva  sporgere  dal  suolo;  ed,  essendo  composta  principalmente  di 
blocclii  di  calcare  di  perfetta  lavorazione,  doveva  ai  suoi  bei  giorni  brillare  da  lungi 
sulle  rupi  fosche  e  tra  le  negre  elei  dell'altipiano,  brillare  lontano  come  un  simbolo, 
come  un  Palladio,  venerato  e  presente  a  tutta  la  tribù.  Il  nesso  di  questo  edificio  con 
tutta  la  tradizione  architettonica  megalitica  sarda,  è  per  molti  lati  evidente  ;  accennerò 
soltanto  al  carattere  costruttivo  delle  parti  destinate  ad  essere  nascoste  sotterra  e 
più  di  tutto  all'emiciclo  di  grossi  blocchi  di  lava  fiancheggiante  l'ingresso  del  pronao; 
accennerò  anche  ad  una  grande  pietra,  dalla  base  sagomata  e  dalla  sommità  a  foggia 
di  semicircolo,  la  quale  doveva  sormontare  la  porta  d'ingresso  della  scala  e  richiama 
immediatamente  al  nostro  pensiero  la  stela  che  chiude  l'ingresso  delle  così  dette 
«  tombe  dei  giganti  »  di  Sardegna,  le  quali,  come  è  noto,  rappresentano,  al  pari 
delle  antas  portoghesi,  delle  allées  couvertes  della  Provenza,  le  tombe  dei  capi  che 
avevano  le  loro  dimore  entro  ai  borghi  nuragici.  Questi  elementi  dell'architettura 
sepolcrale  nuragica,  conservati  nell'edificio  sacro,  hanno,  come  svolgerò  in  seguito,  la 
più  grande  importanza  per  la  storia  del  culto  e  più  ancora  del  pensiero  religioso  del 
popolo  sardo;  e  mentre  la  loro  immagine  grandeggia  nello  spirito  nostro,  noi  ci  sen- 
tiamo sempre  meno  disposti  a  ritenere,  come  vorrebbero  altri  studiosi,  che  il  pensiero, 
l'architettura  e  tutte  le  altre  arti  fossero  date  dai  Fenici  al  popolo  sardo,  in  com- 
penso delle  catene  che  gli  avvincevano  ai  polsi.  Altri  elementi  importantissimi  si 
ebbero  dallo  scavo,  riferibili  appunto  a  concezioni  religiose  connesse  col  luogo  sacro, 
e  sono  un  blocco  tronco-conico  frammentato,  che  non  è  altro  se  non  un  betilo  della 
forma  stessa  di  quelli  rinvenuti  presso  le  tombe  di  Tamuli,  di  Perdu  Pes  ecc.,  già 
perfettamente  noti.  Non  minore  significato  di  questa  pietra  betilica,  hanno  due  teste 
taurine,  scolpite  in  calcare  bianco  che  mostrano  molta  affinità  di  stile  con  quelle  teste 
di  toro  0  di  bove  che  si  hanno  numerose  nelle  navicelle  di  bronzo  e  nelle  spade  votive 
di  arte  protosarda.  Si  raccolsero  altresì  i  frammenti  di  un  pilastrino  in  calcare  che 
parrebbe,  secondo  l' ipotesi  esposta  dal  chiaro  prof.  Milani  ('),  un  idolo  betilico  del 
Sardus  Pater,  animato  da  alcuni  schematici  elementi  iconici. 

(')  Il  templum  nuragico  e  la  civiltà  asiatica  in  Sardegna  (Eend.  Accad.  Lincei,  Seduta  del 
21  nov.  1909).  Lascio  al  chiaro  prof.  Milani  la  responsabilità  delle  sue  ardite  ipotesi,  che  non  ho 
il  coraggio  di  seguire,  tanto  piii  non  avendo  ancora  veduto  l'altro  suo  studio  Sardorum  sacra  et 
sacrorum  signa  in  Hilprecht  Anniversary  Volume  (Lipsia  1909),  su  cui  egli  si  fonda  ed  a  cui  si 
riferisce.  I  rapporti  con  la  civiltà  asiatica  non  mancano,  a  mio  giudizio,  nelle  civiltà  sarde,  ma  sono 
assai  più  scarsi  di  quanto  il  prof.  Milani  ritiene.  Ad  ogni  modo  io  mi  compiaccio  di  vero  cuore 
che  l'acutissimo  e  dottissimo  collega  abbia  portato  il  suo  studio  sui  nuovi  e  sugli  antichi  ele- 
menti della  civiltà  protosarda,  che  è  quella  sinora  troppo  trascurata,  ma  feconda  di  inattesi 
risultati. 


SERRI 


418  — 


SARDINIA 


Molto  importante  fu  anche  il  materiale  archeologico  rinvenuto  nello  scavo,  pur 
troppo  reso  in  gran  parte  frammentario  per  la  distruzione  ed  il  saccheggio  fatto  dai 
distruttori  del  tempio:  si  ebbero  spade,  pugnali,  aghi  crinali  ed  ornamenti  vari  in 
bronzo,  avorio  ed  ambra;  numerosissime  le  impiombature,  destinate  in  parte  ad  in- 
figgere i  bronzi  votivi  nelle  tavolette  di  calcare  e  di  trachite  trovate  intorno  al  pronao, 
in  parte  a  legare  insieme  a  guisa  di  chiavi  i  vari  blocchi  costituenti  le  parti  deco- 
rative dell'edificio.  Questa  grande  quantità  di  piombo,  che  dopo  il  bronzo  è  il  metallo 


FiG.  3. 


che  più  copiosamente  si  rinvenne  nel  nostro  scavo  è,  a  mio  credere,  la  prova  più  si- 
cura, che  già  in  età  prefenicia,  da  parte  dei  Sardi  si  erano  incominciati  a  lavorare 
quei  vasti  giacimenti  di  galena  che  formano  la  ricchezza  della  Sardegna  ed  atti- 
rarono sopra  di  essa  in  ogni  tempo  gli  avvoltoi  da  preda. 

Ma  gli  oggetti  di  maggiore  interesse  per  il  carattere  religioso  dell'edificio  sca- 
vato e  per  stabilirne  la  cronologia  si  ebbero  a  pochi  passi  dal  pozzo  sacro,  presso  il 
nuraghe  che  sorge  in  prossimità  della  chiesetta  di  s.  Vittoria  e  che,  come  dicemmo, 
formava  l'ala  sinistra  della  difesa  nuragica  dell'altipiano.  Il  nuraghe,  assai  mal  ridotto 
dai  Romani  e  più  ancora  dai  costruttori  della  chiesetta  medioevale,  presentò  elementi 
del  più  alto  interesse  per  confermare  la  destinazione  essenzialmente  militare  di  quelli 
edifici.  Ancora  molto  lavoro  rimane  da  fare,  prima  di  conoscere  perfettamente  le  dispo- 
sizioni di  questo  imponente  edificio;  appare  però  evidente  che  attorno  al  torrione 
principale  vi  fossero  altre  torricelle  collegate  con  quello  e  destinate  alla  difesa,  come 
lo  dimostrano  le  numerose  feritoie  che  traforavano  le  pareti  di  una  di  queste  e  «che 


SARDINIA  —   419   —  SERBI 


molto  evidentemente  servivano  per  colpire  da  ogni    lato    coloro  che  si  avvicinavano 
all'assalto  del  nuraghe  (fig.  3).    . 

Immediatamente  presso  alla  torricella  ed  in  mezzo  alle  ingenti  masse  di  ma- 
teriali di  rifiuto  e  di  ceneri,  che  ritengo  il  risultato  di  incendi  violenti  applicati 
per  conquistare  il  recinto  nuragico  ed  espugnare  la  fortezza,  si  ebbero  anche  nu- 
merose statuette  votive  in  bronzo,  del  noto  tipo  dei  bronzi  sardi,  trovati  in  numero 
abbastanza  copioso  ad  Abini,  presso  Teti,  ad  Uta,  Urzulei,  Senorbì,  Padria  e  in  tante 
altre  località  dell'isola.  Una  di  queste  statuette,  di  dimensioni  molto  notevoli,  ri- 
produce il  tipo  dato  dai  grandi  bronzi  di  Sulci  e  dì  Uta,  del  capo  tribù  orante, 
vestito  di  manto,  colla  corazza  al  petto,  il  bastone  di  comando  nella  sinistra,  la  destra 
levata  in  atto  di  preghiera  (fig.  4).  Altre  statuette  riproducono  offerenti  di  oggetti 
vari  ;  una  però  fra  tutte  la  più  importante,  a  mio  credere,  l'unica  finora  data  dagli 
strati  archeologici  della  Sardegna,  rappresenta  una  madre  orante,  seduta  su  di  un  pic- 
colo trono  ed  avvolta  nel  mantello,  coU'abito  a  falde,  come  quello  delle  donne  micenee, 
reggente  in  grembo,  al  pari  delle  statuette  curotrofe  dell'Egeo,  il  piccolo  infante  itifal- 
lico,  che  alza  anche  esso  la  mano  in  segno  di  preghiera  (fig.  5).  Se  sia  questa  la  donna 
terrena  implorante  la  protezione  della  divinità  sul  bambino,  oppure  la  dea  stessa,  altrice 
divina,  simbolo  di  creazione  e  di  fecondità,  a  noi  è  ancora  ignoto.  Quale  nome  la 
divinità  avesse,  quali  caratteri,  quale  culto  ricevesse  dalle  genti  che  trovarono  sull'al- 
tipiano di  Serri  il  loro  Palladio,  difeso  in  pugne  cruente  ed  ignorate,  ancora  non  pos- 
siamo conoscere.  Forse  per  il  tipo  del  tempio,  che  serba  ricordi  della  forma  tipica 
della  tomba  preistorica  sarda  e  che  è  un  pozzo  atto  a  raccogliere  le  acque  sempre 
pure  in  una  conca  di  durissima  lava,  suggerisce  l'idea  di  una  deità  di  carattere  ctonico, 
infernale,  cui  facevausi  sacrifici  cruènti,  con  offerte  di  animali  e  di  immagini  di  dèi, 
di  uomini  e  di  animali,  divinità  che  ebbe  i  suoi  simboli  e  in  forma  aniconica  o  be- 
tilica,  oppure  con  un  rozzo  schematismo  iniziale,  con  una  figura  che  lontanamente 
richiamava  quella  umana  e  per  altro  lato  trovò  forse  un'altra  estrinsecazione  sensibile 
nella  figura  del  toro,  dell'animale  possente,  fecondo,  immagine  di  forza,  espressione 
di  energia,  evocante  coi  suoi  muggiti  profondi  le  forze  indomite  della  terra  e  dell'etra. 
I  rapporti  psicologici  fra  queste  forme  del  culto, sardo  e  quelle  cretesi,  sono  tanto 
evidenti  che  mi  dispensano  dal  notare  ancora  una  volta  le  affinità  suggestive  fra  gli 
strati  preistorici  delle  due  isole,  che  lo  stesso  mare  bagnava,  che  lo  stesso  ambiente, 
le  stesse  correnti  di  idee,  gli  stessi  rapporti  commerciali,  animavano  e  feconda- 
vano ('). 

A  breve  distanza  dall'edificio  templare,  come  attorno  al  nuraghe,  si  ebbero  alcune 
capanne  che  risalivano  alla  stessa  età  degli  edifici  esplorati  ;  lo  dimostrarono  chiara- 

(')  Il  prof.  Pais  in  uno  scritto  sulla  Civiltà  nuragica,  recentemente  publicato,  non  divide  le 
mie  opinioni  sui  rapporti  tra  la  civiltà  protosarda  e  la  minoica  :  egli  trascura  i  rapporti  evidenti, 
tangibili,  che  si  vanno  scoprendo  ogni  giorno,  per  non  pensare  che  a  rapporti  con  la  Libia,  con 
l'Africa  settentrionale  in  genere.  Non  so  se  il  prof.  Pais  abbia  veduto  i  monumenti  sulcitani,  con 
incisioni,  che  io  ho  pubblicato  nel  1906  nel  Bullettino  di  Paletnogia  italiana,  rivolgendo  il  mio 
pensiero  alle  coste  africane.  Ma  qui  le  ricerche  sono  ancora  un  pio  desiderio,  mentre  a  Creta  gli 
elementi  raccolti  sono  copiosi  ed  accessibili  a  tutti. 


8BRRI 


420  — 


SARDINIA 


mente  i  materiali  rinvenuti,  i  quali  attestano  una  lunga  vita  della  fanniglia  preisto- 
rica, che  nella  modestii  capanna  preparò  le  sue  armi,  macinò  il  suo  grano,  per  lungo 
volgere  di  secoli  accese  il  domestico  focolare;  questo  abbruciò  coli'intensità  del  calore 
delle  sue  fiamme  il  letto  d'argilla  con  cui  il  focolare  era  pavimentato,  mentre  il  resto 


Fio.  4. 


delle  capanne  era  coperto  di  uno  sternito  regolare  di  lastre  calcaree,  le  quali  rende- 
vano perfettamente  asciutto  e  sano  il  localo.  Come  le  capanne  fossero  costrutte  e 
coperte  non  risulta  ancora  perfettamente  chiaro;  se  avessero  un  tetto  di  travi,  con- 
testo di  rami  e  di  frasche,  come  la  capanna  italica,  rappresentata  dalle  urne  capanne, 
oppure  se  fossero  costituite  come  piccoli  nuraghetti  dalla  vòlta  ad  annelli  di  lastre, 
non  possiamo  determinare.  Però  quest'ultima  ipotesi  è  preferibile,  secondo  me,  per  ^ue 


SARDINIA 


—   421    — 


SERRI 


ragioni,  anzitutto  perchè  nelle  capanne  scoperte  presso  il  tempio  si  trovarono  moltis- 
sime lastre  di  calcare,  più  di  quante  occorressero  per  il  pavimento  ;  in  secondo  luogo, 
perchè  tutte  le  antiche  case  di  campagna  dell'agro  di  Serri,  come  d'Isili  ed  in  ge- 
nere come  in  tutte  le  pendici  occidentali  del  Gennargentu,  come  del  resto  in  molte 
altre  partì  da  me  visitate  della  Sardegna,  hanno  il  tetto  formato  con  anelli  concen- 


Pio.  5. 


trìci  e  restringentisi  dì  lastre  di  calcare  o  dì  scisto,  a  seconda  della  natura  del  luogo. 
Ora  chi  conosce,  come  noi,  di  quanti  preziosi  fenomeni  di  persistenza  conservativa  sia 
ricca  la  Sardegna,  e  non  solo  nel  campo  delle  forme,  ma  anche  in  quelle  della  so- 
stanza psicologica,  dovrà  dare  l'importanza  dovuta  a  questa  osservazione,  e  ricono- 
scere nel  cuiii,  0  nella  domu  e'  bingia  del  contadino  sardo  attuale,  il  nipotino, 
l'erede,  il  continuatore  modestissimo  della  vecchia  casa,  che  accolse  l'infanzia  di  un 
popolo  generoso,  cui  la  sventura  impedì  di  cogliere  nel  mondo  la  gloria  di  cui  era 
degno. 

NOTizm  Scavi  1909  -  7ol.  VI.  55 


SERRI  —    422    —  SARDINIA 

A  qualche  distanza  da  questo  tempio  di  divinità  ctonica  se  ne  rinvenne  un  altro 
a  forma  di  recinto  circolare,  di  tipo  altre  volte  incontrato  nella  Sardegna,  cioè  nel 
nuraghe  Losa  di  Abbasanta,  nella  stazione  di  Culmine,  presso  Gonnesa,  messa  in 
luce,  prima  d'ogni  altro,  dall'egregio  sig.  cav.  Ignazio  Sanfilippo,  R.  Ispettore  degli  scavi 
d'Iglesias.  Questo  recinto  di  s.  Vittoria,  troppo  ampio  per  poter  essere  coperto  da 
vòlta,  ricorda  per  talune  disposizioni  i  recinti  di  Hagiar-Kim  a  Malta,  ha  invece  il 
carattere  di  iemenos  ipetrale;  ma  non  essendo  ancora  scavato  nel  suo  interno  non 
posso  ancora  pronunciarmi  sulla  natura  sua.  Così  pure  a  non  molta  distanza  dal 
tempio  si  esplorò  sino  al  fondo  una  cisterna,  o  pozzo,  del  medesimo  periodo  nura- 
gico,  costrutto  come  quello  già  noto  del  nuraghe  Lugherras,  a  cerchioni  sovrapposti 
di  grossi  blocchi  di  basalto,  sigillati  con  compattissima  argilla;  l'esplorazione,  con- 
dotta per  lo  zelo  del  sig.  Nissardi,  sino  a  raggiungere  la  roccia  alla  profondità  di 
cinque  metri,  ci  rivelò  al  disopra  del  materiale  nuragico,  i  cocci  di  ceramica  punica 
del  V-IV  secolo  e  qualche  frammento  di  stoviglia  romana,  che  venne  a  dimostrare 
che  il  pozzo  era  rimasto  aperto  sino  in  età  a  noi  relativamente  vicina. 

L'esplorazione  dell'acropoli  di  Serri,  deve  ancora  proseguire  e  non  è  dubbio  che 
l'indagine  diligente  rivelerà,  sotto  le  sonanti  foreste  di  querele  e  di  nera  ilice,  altri 
elementi  della  civiltà  di  un  popolo,  che  sta  nel  silenzio  dei  secoli  molti,  evanescente 
ed  incerto  ai  lontani  confini  della  storia.  Trovate  le  case,  le  fortezze  ed  i  tempii, 
rimangono  ora  da  cercare  le  tombe,  che  innegabilmente  dovevano  accompagnare  quel 
centro  non  solo  di  culto,  ma  di  vita  e  di  difesa;  e  le  tombe  debbono  dare,  ne  ho 
viva  fiducia,  elementi  preziosi  per  lo  studio  delle  forme  e  più  ancora  dell'intima 
essenza  dell'anima  di  questo  ramo  sardo  della  grande  famiglia  italiana. 

In  un  mio  scritto  di  due  anni  or  sono,  inserito  nel  Memnon,  edito  dal  profes- 
sore Lichtemberg  di  Berlino,  accennai  al  concetto  che  la  grande  uniformità  da  noi 
veduta  e  lamentata  nel  monotono  orizzonte  della  civiltà  sarda,  doveva  forse  attri- 
buirsi, meglio  che  alla  realtà  dei  fatti,  alla  nostra  ignoranza,  la  quale  non  può  ces- 
sare senza  una  più  intensa  opera  di  ricerca  e  di  scavi  ;  e  poiché  la  povertà  dei  pri- 
vati e  la  trascuranza  degli  enti  locali  abbandonano  questa  nobile  ricerca  allo  Stato,  io 
chiudo  questa  breve  relazione  coU'augurio  che  esso,  da  vero  campione  di  civiltà,  da 
vero  tutore  della  cultura  e  della  coscienza  nazionale,  sostenga,  incoraggiato  dai  risul- 
tati ottenuti,  la  modesta  ma  appassionata  opera  nostra.  Lo  Stato  il  quale  profuse 
larghi  mezzi  ed  impiegò  uomini  egregi  al  nobile  arringo  di  svelar  le  pagine  più  an- 
tiche della  civiltà  di  Creta,  ricordi  che  anche  entro  i  confini  della  patria,  nell'isola 
che  al  Gennargentu  eleva  al  sole  d'Italia  le  sue  belle  foreste,  memori  di  libertà, 
e  lungo  il  sonante  Tirreno  stende  le  sue  prode  solitarie,  memori  d'imperio,  sono  ascosi 
tesori  del  più  alto  valore  per  la  storia  delle  vicende  e  del  pensiero  nazionale.  La 
Cenerentola  della  patria  Italiana,  non  fu  tale  nel  passato  remotissimo,  in  cui  si 
formarono  le  popolazioni  mediterranee;  l'isola  vasta,  accolse  una  civiltà  organica  e 
possente,  che  toccò  altezze  di  sviluppo  non  minori  di  quelle  a  cui  attinsero  le  civiltà 
sicula  e  cretese.  Insisto  anche  oggi  in  questa  idea,  che  a  taluno  potrà  parere  una 
gratuita  ipotesi,  appoggiata  a  futili  argomenti,  e  che  domani  forse  alla  luce  degli 
scavi,  potrà  assurgere  a  verità  provata.  Gli  scetticismi  e  le  negazioni  non  sono  mai 


SARDINIA  —   423   —  SERRI 

mancate  all'alba  di  ogni  novello  indirizzo  scientifico  o  filosofico,  né  la  critica  ha  al 
mio  pensiero,  altra  funzione  ed  altro  valore  che  quello  di  meglio  affinare  le  armi  alla 
ricerca  della  verità,  unica,  suprema  mèta  della  scienza. 

A.  Taramela. 

Nota.  —  Mentre  licenzio  alle  stampe  questa  prima  relazione,  sono  intento  ad  una  seconda 
campagna  di  scavi  sull'acropoli  di  Serri,  nella  quale  sono  assistito  anche  dal  dott.  Raffaele  Pet- 
tazzoni,  del  R.  Museo  Preistorico  di  Roma.  Darò  in  queste  Notizie  i  risultati  di  questa  seconda 
campagna,  che  largamente  compensano  i  sacrifici  durati  per  il  disagio  del  luogo  e  del  clima. 
Furono  messe  in  luce  le  difese  dell'acropoli,  la  porta  di  accesso,  il  tempio  ipetrale  con  notevolissimi 
bronzi  figurati  e  con  importanti  elementi  per  il  culto;  furono  segnalate  numerose  dimore,  cisterne 
e  la  casa  del  capo,  notevolissima  per  lo  studio  dello  sviluppo  della  casa  nella  regione  del  Medi- 
terraneo. Le  recenti  ipotesi  del  sig.  Bulle,  del  Mackenzie  ecc.  ecc.,  sulla  casa  preistorica  ricevono 
luce  insperata  da  questi  recenti  risultati  ottenuti  sull'acropoli  di  s.  Vittoria. 


Roma,  21  novembre  1909. 


ROMA 


—  425 


ROMA 


Anno  1909  —  Fascicolo  12. 

ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  I.  Via  di  Porta  S.  Sebastiano.  Nei  lavori  per  la  zona  mo- 
numentale, eseguendosi  uno  sterro  nel  luogo  dove  è  stato  finora  il  semenzaio  comu- 
nale, si  sono  messi  allo  scoperto  muri  a  cortina  di  buona  fattura,  dei  quali  non  si 
crede  utile  dare  ora  la  pianta  perchè  con  lo  sterro  non  si  è  raggiunto  il  piano  antico. 
Nella  terra  di  riporto  si  rinvennero  le  iscrizioni  che  qui  trascrivonsi  : 

1.  Piccola  base  marmorea  (m.  0,40X0,24X0,20): 

P  •  SCANTIVS 

FLORVS 

HERCVLI 

D    •    D 


2.  Frammento  di  lastra  marmorea  scorniciata  (m.  0,40  X  0,27)  ; 


amo  ni 


imp,  caes.  m.  aur.  amoninus 
pitis.   felix.   aug.  ^;ONTI£ 
maxim.     trib.    POT-II 
COS.  ti.  p.  p.  prò  /c  O  S 
imp.   caes.    l.   septi  MISEVERIPII 
pertinacis.     aug.     ar  (ABJaDIAB 
parth.  maxim. 


1 


Notizie  Scati  1909  —  Voi.  VI. 


5.5 


ftOMÀ 


—  426  —  ROMA 


Nella  prima  linea  del  frammento  vi  è  un'  accurata  abrasione,  la  quale  assicura 
che  all'imperatore  ivi  nominato  fu  decretata  la  damnatio  memoriae.  Il  nome  del- 
l' imperatore  scritto  in  secondo  caso  nelle  linee  5  e  6,  era  certamente  quello  di  Set- 
timio Severo.  Per  questo,  il  personaggio  celebrato  nelle  prime  quattro  linee  non  può 
essere  che  l' imperatore  Elagabalo,  il  cui  solo  cognome  Antoninus  fu  martellato  nelle 
iscrizioni  per  decreto  del  senato  {Vita  Elagabali  17).  L'epigrafe  è  quindi  dell'anno 
219  d.  Cr. 

3.  Altro  frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,40  X  0,28)  : 


aw/RPAVÌx 

«K'R-MAXIM^ 

a  VR  •  NATALISAE^ 

/AVR-  VICTORlN[ 

•AVR-  NATALIANI 

jSACR-  AVGV 

AVR-  olimpio/ 

(aEM  •    DIANElv/ 

sANivs  •  vr"^ 

yVS  ■     nJ 


Questo  frammento  sembra  sia  parte  di  una  lapide  contenente  i  fasti  di  un  or- 
dine di  sacerdoti  della  domus  Augusta,  come  fa  ritenere  le  parole  SACR  •  AVGV . . . 
della  settima  linea. 

Si  rinvenne  inoltre  un  frammento  marmoreo,  riproducente  dal  pube  all'ombe- 
lico una  figura  femminile  nuda,  in  grandezza  naturale  ;  un  rocchio  di  colonna,  del 
diam.  di  m.  0,22  e  alto  m.  0,42;  un  frammento  di  statua  marmorea  riproducente 
la  parte  superiore  del  torso  di  una  figura  virile,  pure  questa  in  grandezza  naturale. 

Nella  stessa  via,  presso  l'angolo  formato  dalla  via  di  s.  Sisto  vecchio,  nell'ese- 
guire  un  piccolo  cavo  per  una  fogna  che  dalle  scuderie  comunali  per  il  servizio  delle 
pompe  funebri  immette  nella  marrana,  a  m.  2  sotto  il  livello  stradale  si  è  rinve- 
nuta una  statua  acefala  di  donna  seduta  (tìg.  1),  in  marmo  bianco,  alta  m.  1,08 
e  larga  al  plinto  m.  0,65. 

La  figura  è  vestita  di  lunga  stola,  stretta  intorno  al  seno  da  una  cintura,  men- 
tre la  parte  piìi  bassa  della  persona  è  coperta  dalla  palla.  È  seduta  su  di  un  di- 
phros  pulvinato,  sostenuto  da  un  grosso  balustro  con  doppio  cerchio  rilevato  nel 
mezzo.  Lo  stato  di  conservazione  lascia  molto  a  desiderare  perchè,  oltre  ad  essere 
mancante  di  varie  parti,  la  statua  ha  subito  una  forte  corrosione  per  lungo  passaggio 
di  acque  correnti.  Non  è  possibile  pronunciarsi  circa  la  sua  identificazione,  mancando 
qualsiasi  attributo  dimostrativo;  si  può  tuttavia  supporre  trattarsi  di  una  Musa  (') 

(')  Cfr.  Reinach,  Répertoire,  I,  pag.  178,  n.  5  (Louvre):  II,  pag.  308,  n.  8  (id.). 


ROMA 


427  — 


ROMA 


ovvero  di  una  Fortuna  oi  Abundanlia  (')»  dato  che  la  spalla  sin.,  leggermente  rial- 
zata, fa  credere  aver  dovuto  sostenere  un  oggetto  pesante,  non  eseluso  un  cornucopia. 
L'esecuzione  è  mediocre,  benché  le  pieghe  della  stola  siano  accuratamente  disposte 
e  graziosamente  distribuite. 

Dallo  stesso  cavo  furono  estratti:  una  colonna  di  cipollino  (alt.  m.  2,66;  diam. 
m.  0,32),  ed  un  rocchio  di  colonna  di  bigio  (alt.  m.  1,35;  diam.  m.  0,35). 


Pio.  1. 


Nello  sterro  presso  la  porta  Latina  si  rinvenne  un  frammento  di  cornicione  di 
marmo  bianco  (m.  1,49  X  0,60  X  0,27). 

In  un  cavo,  eseguito  a  fianco  dell'antica  osteria  di  porta  Capena,  sono  venuti 
ìh  luce  alcuni  parallelepipedi  di  tufo  appartenenti  al  recinto  serviano. 

* 

Regione  II.  È  stato  praticato  un  cavo  al  disotto  del  lato  nord-est  del  Claudium 
per  rintracciarne  le  fondazioni,  e  si  scoprirono,  a  circa  8  m.  di  profondità,  otto  gra- 
dini (m.  3,20  X  0,35  X  0,25)  facenti  forse  parte  della  grande  rampa  d'accesso  al 
Claudium  stesso. 


(•)  Reinach,  Repertoire,  I   pag.  223,  n.  5  (coli.  Blnndell). 


SOMA 


—  428  — 


ROUA 


Regione    III.  In  via  Guicciardini,  nel  fare  la  fondazione  della  nuova  scuola 
comunale,  si  rinvennero  i  seguenti  frammenti   di  iscrizioni: 
1.  (m.  0,55  X  0,28  X  0,03)  : 


MART 

ANNOlll 
XXV 


talis 


2.  (m.  0.50  X  0,24X0,04): 


VRELIANO 
N  PACE   «■ 


3.  (m.  0,17  X  0,13X0,03): 


vtxt 


T  •  AN     X 


Sono  anche  venuti  in  luce  due  piccoli  avanzi  di  muri  in  opera  reticolata,  pa- 
ralleli fra  loro  ed  orientati  da  est  ad  ovest.  Furono  scoperti  alla  profondità  di 
m.  3  sotto  il  piano  stradale  ed  hanno  lo  spessore  di  m.  0,60.  La  distanza  fra  di  loro 
era  di  m.  4,55.  À  nord  di  questi  mori  si  vide  una  traccia  di  pavimento  in  opus 
spicatum.   . 


* 


Begione  IV.  Presso  la  Meta  Sudante  è  stata  rintracciata  e  spurgata  l'antica 


fogna. 


Begione  V.  Nel  fare  un  cavo  per  la  fondazione  dell'edifìcio  per  la  Direzione 
generale  delle  Casse  postali  di  risparmio,  nell'area  tra  la  piazza  Dante  e  la  via  Ga- 
lilei, a  m.  19  da  questa,  ed  a  m.  20  dalla  via  Ariosto,  si  è  scoperto  un  tratto  di 
ampio  corridoio  a  vOlta,  lungo  m.  8,  largo  m.  2,50  ed  alto,  fino  all'imposto  della 
vòlta,  m.  1,10,  accuratamente  intonacato  e  dipinto  in  giallo  a  riquadri,  con  pavi- 
mento a  mosaico  bianco.  La  vòlta  a  sacco,  che  ha  lo  spessore  di  m.  0,55,  regge 
un  pavimento  di  coccio  piste. 

In  un  altro  cavo,  distante  m.  3,80  dal  precedente,  si  è  scoperto  per  m.  3  un 
altro  tratto  dello  stesso  corridoio. 

Nello  stesso  cantiere,  a  m.  4  dalla  via  Galilei,  presso  l'angolo  formato  da  questa 
via  con  la  via  Ariosto,  è  stata  messa  in  luce  una  sala  ampia  m.  7,20  X  6,35  ed 
alta  m.  7,30,  con  alle  pareti  avanzi  molto  deperiti,  di  bella  decorazione  pittorica 
policroma,  a  genietti  alati  ed  encarpi.  Il  pavimento  è  a  mosaico  bianco,  fasciato  in 
nero  all'  intorno. 

Si  rinvenne  anche  un  frammento  di  mattone  con  bollo  circolai'e  ad  una  riga 
{C.  I.L.  XV,  1244  rf). 


ROMA  —   429    —  ROMA 


Regione  VI.  In  via  Flavia,  nella  villa  già  Spithoever,  dietro  il  muro  di  opeia 
quadrata  che  venne  rimesso  allo  scoperto,  in  seguito  ad  ulteriori  demolizioni,  si  è 
potuto  vedere  un  cunicolo  in  muratura,  in  direzione  est-ovest  (alto  m.  1,60;  largo 
m.  0,70),  che  si  prolunga  per  circa  20  metri.  Sul  suo  lato  destro  corre  una  piccola 
condottura  laterizia  (m.  0,11  X  m.  0,07). 

In  via  Veneto,  nel  sistemare  il  selciato  di  fronte  al  n.  e.  130,  si  rinvennero  sei 
anfore  di  terra  cotta  di  forma  rigonfia,  alte  m.  0,75,   larghe  m.  0,50. 

In  via  del  Tritone,  nello  sterro  per  la  ricostruzione  del  palazzo  Bachetoni,  si 
rinvennero  :  un  frammento  di  statua  marmorea  rappresentante  un  Satiro,  un'antefissa  di 
marmo  bianco  angolare,  ed  un  frammento  di  copertura  marmorea  con  piccola  antefissa. 

Regione  Vili.  Nello  sterro  eseguito  presso  la  via  di  Marforio  per  i  lavori 
del  monumento  a  Vittorio  Emanuele,  si  è  trovato  quanto  segue  :  un  rocchio  di  colonna 
di  granitene  (m.  1,60  X  0,40);  un  altro  rocchio  di  colonna  di  marmo  bigio  (m.  1,30 
X  0,35)  ;  un  terzo  id.  id.  scanalato  (m.  0,40  X  0,50)  ;  un  capitello  dorico  (m.  0,40 
X  0,35)  ;  una  base  di  marmo  bianco  (m.  0,50  X  0,35)  ;  un  frammento  di  cornice  di 
marmo  bianco  a  fogliami  (m.  0,40  X.  0,20);  due  tegoloni  con  bollo  G.  I.  L.  XV,  179; 
due  id.  con  bollo  C. /.  i.  XV,  211  ;  un  tegolone  con  bollo  C. /.  £.  XV,  315  ;  uno  id. 
CI.  L.^^, òlla;  due  tegoloni  con  bollo  C.I.L.  XV,  700;  un  tegolone  con  bollo 
C.  I.  L.  XV,  731  ;  uno  id.  C.  /.  L.  XV,  81  le;  ed  uno  id.  C.  L  L.  XV,  1008;  due  fra- 
menti  di  cornice  marmorea  (m.  0,50  X  0,29  X  0,25  ;  m.  0,54  X  0,34  X  0,16),  ima  base 
di  colonna  (alt.  m.  0,60  ;  diam.  m.  0,25),  un  frammento  di  fregio  di  marmo  bianco 
(m.  0,40X0,34X0,08),  una  mensola  di  marmo  bianco  (m.  1,00  X  0,54  X  0,16)  ed 
un  frammento  di  colonna  di  marmo  bigio  (alt.  m.  0,40  ;  diam.  m.  0,55). 

Si  trovarono  inoltre,  ancora  a  posto,  una  base  di  colonna  di  marmo  bianco  (alt. 
m,  0,30;  diam.  m.  0,60)  eoa  la  marca  XI  e,  sopra,  un  piccolo  rocchio  di  colonna 
alto  m.  1,00;  si  scoprì  anche  una  fogna  a  cappuccina  alta  m.  1,50  larga  m.  0,50. 

Si  rinvennero  infine  un  grifo  di  marmo  bianco,  acefalo  e  privo  delle  zampe 
(m.  0,40  X  0,21);  una  colonna  in  due  pezzi  di  granitello  (alt.  m.  2,30;  diam.  m.  0,47); 
due  rocchi  di  colonne  di  marmo  bianco  (m.  1,00X0,68;  m.  0,70  X  0,30)  ;  un  fram- 
mento di  colonna  baccellata  (m.  1,30  X  0,37),  ed  un  altro  rocchio  di  colonna  di  por- 
tasanta  baccellata,  (m.  0,25  X  0,25). 

Regione  IX.  Nel  cavo  praticato  sotto  la  via  della  Missione,  nei  lavori  per 
la  nuova  aula  parlamentare,  alla  profondità  di  va.  10,50  dal  livello  stradale  e  presso 
gli  altri  blocchi  marmorei  già  rimessi  in  luce,  si  è  rinvenuto  un  grande  pezzo  di  ba- 
samento in  marmo  lunense,  lungo  m.  4,25,  alto  m.  1,30,  largo  m.  0,70,  che  accenna 
leggermente  alla  forma  ricurva  in  modo  che,  se  fosse  ricomposto  l' intero  basamento, 
avrebbe  un  raggio  di  circa  m.  32. 


ROMA 


—  430  — 


ROMA 


Entro  altri  cavi  eseguiti  per  gli  stessi  lavori,  a  circa  m.  11  di  profondità  dal 
livello  stradale,  si  rinvennero  dieci  grandi  frammenti  architettonici  di  marmo  bianco, 
in  relazione  con  gli  altri  già  messi  in  luce  nella  stessa  località.  Essi  appartennero 
ad  un  edificio  di  grandi  dimensioni  di  forma  poligonale  e  consistono  in  un  pezzo  di 
architrave  (m.  2,37  X  0,60  X  0,75),  in  due  frammenti  di  pilastri  (m.  1,35  X  0,57 
X  0,71  ;  m.  1,35  X  0,57  X  0,42),  in  sei  blocchi  di  basamento  scorniciati  lunghi  rispet- 
tivamente m.  1,73;  1,60;  1,50;  0,95;  0,90;  0,72;  alt.  m.  0,75;  larghi  m.  0,53,  ed 
in  un  altro  blocco  di  basamento  leggermente  rientrante  ad  angolo  ottuso,  scorniciato 
in  alto  ed  in  basso  (m.  1,21  X  0,76  X  0,65). 

Si  estrassero  anche  venti  grandi  blocchi  di  travertino  appartenenti  all'  Ustrinum 
degli  Antonini. 

Proseguendosi  i  detti  lavori,  si  estrassero  dai  cavi  :  un  grosso  peso  di  travertino  di 
forma  piramidale,  con  foro  all'apice  per  la  maniglia,  alto  m.  0,28,  largo  m.  0,13  alla 
base,  m.  0,03  al  vertice  ;  un  frammento  di  capitello  di  pilastro  con  voluta  ionica  a 
decorazioni  vegetali  (m.  0,20  X  0,13  X  0,03),  una  tegola  con  bollo  C.  I.  L.  XV,  314, 
e  tre  frammenti  di  lastra  marmorea  con  parte  di  iscrizione  cristiana  (m.  0,24  X 
0,27X0,06): 


In  piazza  Cenci,  costruendosi  il  villino  Serventi,  si  rinvennero  due  frammenti  di 
lastre  marmoree  con  iscrizioni  : 


1.  (m.  0,25X0,18X0,07): 


2.  (m.  0,48X0,51X0,05): 


IVGI-SMae  > 
MERENTI-ET 
ATTICI  SERM 
ETSIBl  POSTER 


req 

VI 


Wiescit] 

XIT-ANjw 


Regione  X.  È  stata  messa  allo  scoperto  una  parte  del  basamento  dell'arco 
di  Costantino;  e  nel  procedere  con  lo  sterro  verso  la  Meta  Sudante,  si  è  trovato  a 
m.  0,60  dal  suolo  un  tratto  di  antica  strada  a  poligoni  di  selce. 

Nel  demolire  un  muro  in  via  di  s.  Bonaventura,  presso  la  chiesa  di  s,  Seba- 
stianello,  si  è  trovato  un  frammento  di  grossa  lastra  marmorea  (m.  0,36  X  0,18  X 


ROMA 


—   431    - 


ROMA 


0,08)  che  da  una  parte,  oltre  ad  essere  scorniciata,  ha  il  principio  di  un'iscrizione 
imperiale  con  le  lettere  I M  P  ;  ed  al  di  sopra,  in  piano,  si  legge  : 


;OH     X  •  VRBAN   •  ANTONINIAN 
3POMPONIANI 

•  ANNAEVS  •  L- F    CAM  •  PVLCHER  TIB 

BVRR  ENVS    CF-  POLL  •  NIAXIMVS       MVT 
FANNIVS-         CF- POMRVFINVS       VOL 


È  un  frammento  di  latercolo  militare  che  recava  i  nomi  dei  componenti  la 
centuria  di  Pomponianus  della  X  coorte  urbana.  Questa  era  la  prima  delle  quattro 
coorti  urbane  di  stanza  in  Roma  nel  Forum  Suarium,  computandosene  il  numero 
come  continuazione  delle  nove  coorti  pretoriane.  Esse  furono  composte  al  principio, 
come  le  coorti  pretoriane,  di  soldati  reclutati  in  Italia  (Bormann,  Eph.  epigr.  IV, 
pag.  318);  ma  poi,  nella  seconda  metà  del  III  sec,  si  finì  con  l'ammettervi  anche 
i  provinciali  (Mommsen,  Eph.  epigr.  V,  pag.  119;  cfr.  Bohn,  Ueber  die  Heimat  der 
Praetorianer,  app.  2).  Le  coorti  urbane  furono  riordinate  da  Caracalla  che  diede 
loro  l'epiteto  di  Antoninianae  (v.  il  diploma  militare  di  Faventia  dell'anno  216,  esi- 
stente al  museo  Kircheriano.  CI.L.  Ili,  D.XLIX,  pag.  891):  quindi  il  nostro  la- 
tercolo deve  appartenere  al  principio  del  sec.  Ili,  contemporaneo  cioè  o  di  poco  po- 
steriore a  Caracalla,  del  periodo  di  tempo  in  cui  i  militi  delle  coorti  urbane  erano 
ancora  reclutati  in  Italia,  come  ne  fa  fede  la  patria  dei  tre  tramandatici  dal  fram- 
mento, rispettivamente   Tihur,  Mutina  e   Volsinii. 

Venne  anche  in  luce  il  seguente  frammento  di  iscrizione  marmorea  (m.  0,25  X 
0,14X0,05): 


m^CXIT/ 

V_A  T  a/ 


Regione  XII.  Nei  lavori  per  la  costruzione  delle  case  popolari  presso  s.  Saba, 
si  rinvenne:  una  lucerna  fittile  con  figura  d'aquila  ad  ali  spiegate  (nel  fondo  è  il 
bollo  C.  I.  L.  XV,  6416j;  un  frammento  di  statuetta  votiva  in  terracotta,  alta  m.  0,09, 
ed  un  frammento  d'iscrizione  (m.  0,24X0,11): 


ATROH 


ROMA 


—  482  —  ROMA 


Nel  caro  praticato  al  viale  Aventino  per  la  condottura  del  gas,  è  stato  rinvenuto 
uu  frammento  d'iscrizione  su  lastra  marmorea  scorniciatA  (m.  0,27  X  0,20  X  0,04)  : 


IVS-M-LIC 
rELLOSACEljl. 
llNIO- VIXA  m 
W  S  •  M  •  L I B 
IMO- FEC 


Si  rinvenne  inoltre  un  frammento  di  colonna  di  portasanta  scanalata  (m.  0,40 
X  0,20)  ed  un  piccolo  rocchio  di  colonna  di  verde  antico  (m.  0,33  X  0,15). 

Proseguendosi  gli  sterri  per  la  passeggiata  archeologica,  nella  demolizione  di 
un  muro  di  cinta  presso  la  chiesa  dei  ss.  Nereo  ed  Achilleo,  si  raccolsero:  due  ca- 
pitelli di  marmo  bianco  di  stile  ionico  (alt.  m.  0,28;  diam.  m.  0,25),  una  base  di 
colonna  ionica  (m.  0,17  X  0,30),  un  piccolo  plinto  rettangolare  (m.  0,18  X  0,15 
X  0,08),  due  frammenti  di  colonne  scanalate  di  giallo  antico  (alt.  m.  0,22  e  m.  0,18) 
ed  una  tegola  con  bollo  rettangolare  {C.  I.  L.  XV  1269) 

* 

Regione  XIV.  Nelle  sottofondazioni  del  fabbricato  del  sig.  Colafranceschi, 
incontro  alla  chiesa  di  s.  Cecilia,  si  è  rinvenuta  la  seguente  iscrizione  frammentaria 
incisa  su  lastra  marmorea  (m.  0,88  X  0,50  X  0,14)  con  cornice  lungo  il  lato  inferiore. 
È  un  frammento  architettonico,  e  l'iscrizione  doveva  leggersi  in  piano  : 

sepul  CHRO-  SEDILIA-   MARMOREA    •   PEDV^ 
ETORBEM-    CIRCVITI    •    PEDES-n\ 
aagf.  LIBADIVTSVMMRATTABCOGNATIETVETTIA-YPO] 
i/JB-  LIBERTABVSQ^'  SVIS  •  POSTERITATI  •  STVDEN 

ALIQVODSOLACIVM- Vi/ 


È  notevole  la  menzione  della  carica  di  adiut{or)  summ{arum)  rat{ionum) 
(abbuiarti).  11  direttore  del  fisco  imperiale  in  Koma,  fino  alla  metà  del  II  sec.  ebbe 
il  titolo  di  procurator  a  rationibus,  che  da  allora  si  mutò  in  quello  di  procuralor 
summarum  rationum,  avendo  la  parola  summus  il  valore  di  imperiale  (cfr.  Hirschfeld, 
Verte allungsbeamte fi,  p.  32  seg.;  Priedlacnder  :  Sitlengeschichte,  I,  p.  172). 

Egli  era  coadiuvato  nel  suo  ministero  da  un  numeroso  stuolo  di  impiegati  sub- 
alterni, alla  testa  dei  quali  era  il  socius  curarum:  venivano  poi  i  proximi  ed  i 
tabularli  (cfr.  de  Ruggiero:  Disionario  di  epigrafia  latina,  I,  p.  84).  In  sottordine 


BOMA  —    433   —  ROMA 

succedevano  a  costoro  i  rispettivi  adiutores,  e  la  nostra  iscrizione  ricorda  appunto 
un  liberto  di  Augusto,  adiutor  di  un  tabularius  àaX  ministro  delle  finanze  imperiali. 
La  dizione  della  carica  non  è  esatta:  vi  è  la  trasposizione  del  genitivo  tab{ularii) 
0  tab{ulariorum)  summ{arum)  rat{ionum),  come  si  riscontra  in  altre  epigrafi 
menzionanti  lo  stesso  ufficio  (cfr.  C.I.L.  VI,  1115,  8429,  8430;  Eph.  epigr.  V,  1023). 
Si  rinvennero  inoltre,  a  m.  4  sotto  il  livello  stradale,  un  rocchio  di  colonna  di 
marmo  bianco  (alt.  m.  1,05;  diam.  m.  0,45)  e  tre  frammenti  di  iscrizioni  cristiane: 

1.  (m.  0,48  X  0.20  X  0,23)  :  2.  (m.  0,97  X  0,38  X  0,04)  : 


UOCVS      UAVRENTIl'ii 

REDEMTIn' joae^? 

8.  (m.  0,49X0,44X0,07): 


ILOSE 


LO  CVS  VBI  REQVI  es«7 

ANNis  È  PAVS>y Areadiet 

HONORI  V  DOlì         (a.  402?) 


In  via  del  Muro  Nuovo,  facendosi  le  fondazioni  del  nuovo  villino  Ceribelli,  si 
trovarono  due  frammenti  di  lastre  marmoree  con  iscrizioni: 

1.  (m.  0,21  X  0,18  X  0,03)  :  2.  (m.  0,14  X  0,10  X  0,02)  : 

benemerdN  TI     j  kSS^ 

fé'-  - 


Alveo  del  Tevere. 


In  mezzo  alla  melma  ed  alla  sabbia  estratta  dall'alveo  del  Tevere  nel  fare  le 
fondazioni  di  una  delle  pile  del  ponte  Vittorio  Emanuele,  fu  trovata  una  targhetta 
ansata  di  rame,  larga  mm.  140,  alta  mm.  55,  scorniciata  e  iscrìtta  sull'uno  e  sul- 
l'altro lato,  come  vedesi  nelle  figure  che  qui  si  aggiungono  (figg.  1,  2). 

Notizie  Scati  1909  -  Voi.  VI.  56 


ROMA 


484  — 


ROMA 


Da  un  lato  offre  l'iscrizione  (fig.  1): 


Fio.  1. 


cioè:  M.  Ulj)i{i)  Aug{usti)  [lf\b{ert{)  Diadume\nij  proc{uratoris)  praetori{i)  Fide\na- 
iium  et  Rubrensium  \  et  Gallinar{um)  Albarum  sa\crumj  quae  praestu  est  usi  \ 
bus  Caesaris  n(pstri). 


Nell'altro  lato  si  legge  (fig.  2)  : 


Fig.  2. 


cioè:  Glypti  Aug(usti)  lib{erti)  proc{uratoris)  \  praetori{i)  Fidenatium  et  \  Rubren- 
sium et  Gallinaru  \  [m  Albajrum  sacrum,  quae  prae  \  stu  est  usibus  Caesaris  n{pstri). 

La  targhetta  ha  presso  le  anse  un  foro,  pel  quale  doveva  passare  un  chiodo, 
che  serviva  per  tener  fissa  la  lamina  sopra  qualche  oggetto. 

Fu  raccolta  in  due  pezzi,  che  vennero  riuniti,  ma  non  così  completamente  che 
non  rimanesse  qualche  piccolissima  lacuna.  Nella  prima  faccia  (fig.  1),  dopo  la  voce 


ROMA  —   435  —  ROMA 

AVG  resta  un  vuoto  che  cogli  avanzi  della  lettera  B  senza  alcun  dubbio  può  com- 
pletarsi leggendovi  LIB,  come  nel  primo  verso  dell'altra  faccia. 

Su  questa  (fig.  2)  il  principio  della  quarta  linea  fu  probabilmente  abraso,  per 
errore  dell'incisore;  infatti  nella  fine  della  terza  linea  leggesi  chiaramente  GAL- 
LINARV,  e  nel  principio  della  linea  seguente  manca  lo  spazio  per  le  lettere  M  AL- 
BARVM.  Queste  due  parole  nell'altro  lato  della  targhetta  sono  abbreviate  così: 
GALLINAR  •  ALBARVM. 

Abbiamo  dunque  nell'uno  e  nell'altro  lato  della  targhetta  la  medesima  iscri- 
zione, con  la  sola  differenza  che  nel  lato  che  abbiamo  detto  primo  (fig.  1)  leggesi  in 
secondo  caso  il  nome  del  liberto  M.  Ulpius  Diadumenus,  nell'altro  lato  (fig.  2)  leggesi, 
pure  in  secondo  caso  il  nome  di  un  altro  liberto  chiamato  Glyptus. 

Ciò  dimostra  che  la  targhetta  venne  fissata,  o  meglio,  inchiodata  sopra  un  oggetto 
che  appartenne  prima  all'uno  poi  all'altro  di  questi  due  liberti,  i  quali,  l'uno  dopo 
l'altro,  occuparono  l'ufficio  di  procurator  praetorii  Fidenatium,  Rubrensium  et  Gal- 
linarum  Albarum.  Quello  dei  due  che  succedette  all'altro  fece  schiodare  dall'oggetto 
la  targhetta  appostavi  e  ve  la  fece  richiodare  dopo  aver  fatto  nuovamente  incidere 
sul  rovescio  di  essa  la  medesima  iscrizione,  cambiandovi  solo  il  nome,  cioè  mettendo 
il  nome  suo  nel  luogo  ove  nella  prima  iscrizione  era  inciso  il  nome  dell'altro. 

* 

Il  nome  M.  Ulpius  Aug{usti)  lib(ertus)  Diadumenus  dimostra  che  la  persona 
che  lo  portava  era  liberto  di  Traiano;  e  questa  è  per  noi  preziosa  indicazione  del 
tempo  a  cui  devesi  riferire  l'epigrafe. 

Oltre  a  ciò,  tanto  M.  Ulpio  Diadumeno,  quanto  Glipto,  che  si  intitolano  liberti 
dell'imperatore,  appartenevano  certamente  a  quella  categoria-  di  liberti,  i  quali  con 
la  denominazione  di  procuratores  provvedevano  alla  conservazione  di  ville  imperiali 
(Hirschfeld,  Verwaltungsbeamten',  pag.  137  seg.).  E  per  quanto  riguarda  l'uso  della 
parola  praetorium  nel  senso  di  villa  imperiale,  esso  è  abbastanza  frequente  (')•  Un 
editto  che  Claudio  emanò  dalla  villa  di  Baia  porta  la  data:  Idibus  Martis  Bais  in 
praelorio  (C.  /.  L.  V,  5050). 

Le  località  poi  indicate  con  le  parole  Fìdenalium,  Rubrensium  et  Gallinarum  Al- 
barum, ai  sono  ben  note:  e  corrispondono  per  il  senso  alle  espressioni  più  comuni 
ad  Fidenas,  ad  Saxa  Rubra  e  ad  Gallinas  Albas. 

La  nostra  targhetta  adunque  ci  dimostra  (e  questo  non  è  di  poca  importanza 
per  lo  studio  della  topografia)  che  al  tempo  in  cui  furono  incise  le  due  iscrizioni,  il 
predio  della  villa  estendevasi  anche  sulla  sinistra  del  Tevere,  occupando  parte  del 
territorio  dei  Fidenati. 


(')  Per  i  vari  significati  della  parola  'praetorium  vedi  l'articolo  del  Mommsen  in  Hermes  XXXV 
(1900)  pag.  437  segg.  I  passi  di  scrittori  latini,  nei  qiali  quella  parola  ha  lo  stesso  significato  che 
nella  nostra  targhetta,  sono  citati  dal  Cagnat  in  Daremherg  et  Saglio,  Diction.  des  ant.  gr.  et  rom. 
IV  pag.  641  (Praetorium).  Il  Friedlàuder  traduce  pra«toria  in  Giovenale  (I  75  e  X  161):  ^'cAfó'sser. 


ROMA 


436  — 


ROMA. 


È  evidente  che  le  parole  sacrum,  quae  praestu{^)  est  mibus  Caesaria  n{ostri) 
si  riferiscono  all'oggetto  sul  quale  era  affissa  la  targhetta.  Quest'  oggetto  non  poteva 
essere  che  di  legno,  quale  una  barca  od  un  veicolo.  Data  la  grandezza  della  targhetta 
può  obbiettarsi  che  l'oggetto  stesso  non  poteva  essere  molto  grande,  né  trovarsi  lon- 
tano, quale  una  barca  ormeggiata  o  in  mezzo  all'acqua,  perchè  il  monito  della  tar- 
ghetta non  sarebbe  stato  leggibile.  Inclino  a  ritenere  che  la  targhetta  fosse  piuttosto 
applicata  ad  una  rheda  o  veicolo  da  campagna. 


Via  Collatina.  Proseguendosi  i  lavori  della  nuova  stazione  ferroviaria  per 
lo  Scalo  Merci  s.  Lorenzo,  dalla  parte  di  via  Malabarba  si  sono  rinvenuti  i  tre  se- 
guenti cippi  di  travertino: 

1.  (m.  0,54  X  0,37)  :  2.  (m.  0,33  X  0,35)  :  3.  (m.  0,30  X  0,24): 


EPHESIAES-HISP 
OSSA -HIC- SITA 


CHELIA 

DVLCISSIMA 

HAVE 


Q_:TVRAN 
NI     O  N         (tic) 


E  inoltre  due  casse  di  terracotta. 

Per  gli  stessi  lavori  presso  il  Campo  Verano,  nella  proprietà  Torlonia,  sono  tor- 
nate a  luce  due  iscrizioni: 

1.  Lastra  marmorea  rotta  in  più  pezzi  (m.  0,45X0,40): 


q  V  A  E.  „  » 

MV(^   die^S    XIII 
GEm\nia    (MATER 
FE^  i  t 


2.  Frammento  di  cippo  marmoreo  (m.  0,55  X  0,15)  ; 


(')  La  forma  praettu,  invece  di  quella  più  usata  ;)ra«to,  era  già  nota  (cfr.  Stoli  und  Schinolz, 
Latein.  Grammatik  pag.  132). 


ROMA 


—  437 


ROMA 


Via  F 1  a  m  i  n  i  a.  In  un  cavo  trasversale  delle  fondazioni  delle  nuore  case  po- 
polari, a  m.  10  a  destra  della  via  Flaminia,  è  stato  scoperto,  ancora  a  posto,  un  cippo  se- 
polcrale di  marmo  bianco  (m.  0,95  X  0,40  X  0,40),  la  cui  fronte  guardava  esattamente 
il  sud.  È  sormontato  da  un  timpano  e  da  due  acroteri  lisci;  sul  davanti,  chiusa  da 
una  semplice  cornice,  leggesi  l' iscrizione  che  segue  : 


DIS  •   MANIBVS 

TFLAVIOAVGLIB- 

VICTORI-  GALBIAN 

M- VLPIVS- AVO  •  LIB 

PATIENS  •  VICTORIANV 

TABVLARIVS    •    MENSO 

AEDIFICIORVM 

BENE-    MERENTI 

Il  dedicante  è  tabularius  menso{rum)  aedificiorum,  ossia  contabile  della  cor- 
porazione dei  costruttori  o  capimastri  che  costruivano  per  appalto  gli  edifici  secondo 
il  disegno  di  un  architetto  (Plin.,  ep.  X,  28,  29;  C.  I.  L.  VI,  1975,  9622-25).  Ne  è 
ricordato  un  altro  al  C.  I.  L.  VI,  8939.  11  cippo  appartiene  alla  prima  metà  del 
II  sec,  oltre  che  per  la  forma  delle  lettere,  anche  per  il  fatto  che  il  dedicante  è 
liberto  di  Traiano,  mentre  il  defunto  lo  era  stato  di  Vespasiano  o  di  Tito.  I  due 
cognomi  aggiunti,  di  Galbianm  e  di  Victorianus,  ricordano  i  nomi  degli  antichi  pa- 
droni dei  due  liberti,  prima  di  Vespasiano  e  di  Traiano:  così  il  defunto  era  stato 
schiavo  di  Galba,  e  l'altro  di  un  Victor,  che  potrebbe  anche  essere  precisamente  il 
menzionato  nell'epigrafe,  cui  l'antico  e  fedele  servo  dedica  la  memoria. 

Si  rinvenne  inoltre  una  lastra  marmorea  scorniciata  con  epigrafe  sepolcrale 
(m.  0,37  X  0,37  X  0,05)  : 


DIS     MAN 

CALLIMACHO 

VILICO 

SAEPTORV 

OPERPVB 

AGR 


Trattasi  probabilmente  di  un  vilicus  saeptoru{m)  oper{arum)  pub(licarum) 
agr{ariarum),  sopraintendente  o  fattore  di  terreni  dello  Stato  tenuti  a  coltivazione 
intensiva  per  bonifica  o  ad  uso  di  semenzaio. 


ROMA 


—  438  — 


ROMA 


Vennero  poi  in  luce: 

1)  Una  lastra  marmorea  con  iscrizione  (m.  0,32X0,20X0,03): 


DIS-     M  ANIBl 
T  •  FLAVIVS  •  AVG  •  LIB> 
EVANTHmS  •  FECIT  •  SIBI  •  ETN 
VENERIAECONIVGI  SVAEC^ns 
SIMAEETPOSTERISQVESVORYm 


2)    Due   frammenti   di   stele    marmorea    fastigiata   con   timpano    ed   acroterì 
(m.  0,34  X  0,31  X  0,03)  : 

d.  /       M- 

■^    i^EClNVS 
ipRMES 

galene  •  conivgi  • 

dvdcissimae- 
etsanctissimae- 
bene-mereWi-fecI; 

_OyAEVIX^^-^«^SXV- 


3)  Lastra  marmorea  in  due  pezzi  (m.  0,32  X  0,24  X  0,04)  : 


D         MI 
VRBICVS  •  A  NNO 
RVM-    XXXxW 
NYMPHECOl\vGl 
BENE-MEREMTI 


{sic) 


4)  Un  altro  frammento  d'iscrizione  marmorea  in  due  pezzi  (m.  0,21  X  0,23  X 
0,02): 


MES-IIIIDIEBIII 

HOR-  VI 
FECIT- WATER 

FILIAE 
PIENTISSIMAE 


ROMA 


489  — 


ROMA 


5.  Un  piccolo  frammento  d'iscrizione  (m.  0,16X0,17X0,02): 


m. 

LVC1L\  lue 

PRIScJ  ae 

VlXl/r  ami. 


6.  Una  lastra  marmorea  in  più  pezzi  (m.  0,25X0,29),  con  l'iscrizione: 

D  M 

LI- VIAEMARCI 
AETLE  XINIVS 

PAPHNVS 
MA-RITVSFECIT 

7.  Un  frammento  di  targa  marmorea  (m.  0,24X0,13X0,03): 


TìCLAVDIVS   APRI 
CATIAE- EPAGAI 


m 

lis 
'ae 


PIENTISSIMAE  •  B  m.  f. 


8.  Un  frammento  di  lastra  marmorea  scorniciata  (m.  0,20X0,13X0,06): 


RIVS  COH 
CTISSIM( 

QVE-ETSl; 


T^eIvI 
lO•I^(I 


9.  Un  frammento  di  lastra  marmorea  opistografa  (m.  0,18X0,09X0,06): 
da  un  lato  si  legge:  dall'altro: 


L\KE-kVT\chae 
ILI  i\YC?.l\'^  nata 


\vi  E  r\i  •  A^'n 


10.  Un  frammento  di  targhetta  marmorea  scorniciata  (m.  0,18X0,25X0,04): 


C  IVLIVs 


BOMA.  —   440   —  ROMA 

'    11.  Un  frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,15X0,13X0,02): 


!  L  I V  S  ■  W 


AMI 

12.  Un  mattone  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  139. 

Negli  stessi  lavori  di  sterro  si  rinvennero  tratti  di  colombari  con  muri  a  cortina 
e  nicchiette  contenenti  olle  cinerarie.  Si  videro  anche  delle  tombe  a  cappuccina 
franate,  contenenti  teschi  ed  ossa  umane. 

Tornarono  inoltre  alla  luce  un  frammento  di  fregio  a  foglie  di  acanto  (m.  0,40 
X  0,30X0,10)  ed  una  lapide  sepolcrale  scorniciata,  con  timpano  ornato  da  una  co- 
rona di  alloro  lemniscata  : 

(m.  0,96  X  0,45  X  0,08);  vi  si  legge: 

D  M 

GEMINIO 

VIXANVI  DVII 

L  •  IVLIVS  •  EVTYCHVS 

ETIVLIA-TROPHIME 

PARENTES   PIISSIMI 

FECERVNT 

Un'altra  lapide  sepolcrale  (ra.  0,58X0,24X0,03)  ha  l'iscrizione: 

T  I  R  O  N  I 
Oyi  VI- AN- V 

DIE  •  XX  (sic) 

ATHENAIS-MAT 
FILIODVLCFEC 

Si  trovarono  poi  i  seguenti  frammenti  d' iscrizione,  sepolcrali  : 

1.  (m.  0,37X0,22X0,04): 

I 
DIIS-MANIBVS 

M  •  SERVILI  •  VER  ECVNDI 

vixiT- annIislxx 

M  •  SERVILIVS  ■  TELESPHOR 
ET- SERVILI  aVìPTATA 
PATRONO    BE  Ne  ME  REN 
F  E  C  E  R  v/w  T 


ROMA 


—  441  — 


ROMA 


2.  (m.  0,47X0,21X0,03): 


,       MANIBV^:^ 
MBBLASTECOk^  iugi 
«awcTISSIMAE        \ 


4.  (m.  0,09X0,09X0,03): 


M  E  N 

ONI 

IME-F 

IRITl 

3.  (m.  0,19X0,10X0,02): 

\MANIB)ms 

I AVIO  [ 

HERol 

•LINE 

RISSI 

\ 

5.  (m.  0,28X0,35X0,04): 


awNIS-XV-MENV 
Vili         ' 


Si  rinvennero  infine  un  mattone  con  bollo  semicircolare  (C.  /.  L.  XV  659  a)  ed 
una  basetta  marmorea  (m.  0,53  X  0,15  X  0,06)   scorniciata  da   tre   lati,    con  sopra 

l'iscrizione  : 

STYkOBATv^'DIIMI 
NORII 

e  quattro  lucerne  fittili  con  i  bolli;:  C.  I.  L.  XV  6534»,  6583  a,  6593  a,  6741  d. 

* 

Via  Labicana.  Nel  terreno  di  proprietà  del  sig.  Attilio  Vedovi,  50  m.  prima 
del  3°  km.  della  via  Casilina,  sulla  sinistra,  facendosi  alcuni  sterri  per  la  costru- 


\     '     '     ■     'il  rnvin 


Fio.  2. 


zione  di  un  villino,  è  stato  scoperto  a  m.  13  dalla  via  un  vano  formato  da  due  muri 
a  reticolato  in   direzione  nord-est  sud-ovest,  lunghi  m.  9,90,  e  da  un  terzo  cheli 

Nanzm  Scàti  1909  -  Voi.  VI.  67 


ROMA  —   442   —  ROMA 

chiude  a  sud-ovest,  lungo  m.  8  (v.  ftg.  2).  Lungo  le  pareti  interne,  alla  distanza 
di  m.  2  l'uno  dall'altro,  sono  addossati  dei  pilastri  in  laterizio. 

In  epoca  tarda  fu  fatta  una  riduzione  d'ambiente,  addossando  come  rinforzo  alla 
parete  sud  im  altro  muro  a  piccoli  pezzi  di  tufo,  incastrandovi  alcuni  dei  pilastri 
superstiti,  e  dividendo  il  vano  in  due  parti  con  l'elevazione  di  un  muro  divisorio, 
all'altezza  del  terzo  pilastro,  anche  in  piccoli  pezzi  di  tufo,  interrato  da  tre  passaggi. 

Nel  detto  sterro  si  rinvennero  altresì:  un  frammento  di  statua  panneggiata  in 
basalto  nero  (m.  0,20  X  0,25),  un  rocchio  di  colonna  di  breccia  corallina  (m.  0,54 
X  0,29),  un  capitello  marmoreo  corinzio  (m.  0,22  X  0,24),  un  titoletto  marmoreo 
(m.  0,19  X  0,10  X  0,02)  con  l' iscrizione: 


^STRATO/ 


SENTI, 
L-     L- 


ed  un  frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,35X0,38X0,08)  con  l'iscrizione: 


,-CLAV. 

fa  jiTRONO  •  AVESTI 

CLAVDIAE-SOTEftl? 

C:  L  AV  D I O  •  PRI/mo 

ctK  V  D  I  y 

ci 


Via  Nomentana.  Inun  cavo  praticato  nel  lato  ovest  della  già  villa  Patrizi 
si  è  rinvenuto  un  torso  di  marmo  botticino  (fig.  3),  grande  al  naturale  :  rappresenta 
un  uomo  nudo  fino  alla  cintola;  la  parte  inferiore  del  corpo,  fino  alle  ginocchia,  è 
ricoperta  da  un  grembiale  annodato  nel  mezzo  sul  davanti.  Ha  il  braccio  destro  di- 
steso all'  ingiù,  e  la  mano  regge  un  piccolo  drappo.  Vi  si  riconosce  facilmente  un 
victimarius  per  la  somiglianza  del  tipo  con  altri  già  noti,  offertici  da  rappresentanze 
di  scene  sacrificali  (').  Il  grembiale  che  gli  cinge  i  fianchi  è  il  limus  frangiato,  proprio 
dei  popae  e  dei  vidimarii  (*),  cosiddetto  perchè  l'orlo  si  presentava  sul  davanti  della 
persona  in  senso  trasversale.  Il  drappo  tenuto  nella  mano  destra  è  la  mappa  o  man- 
tilium  (^),  salvietta  a  lunghi  peli  adoperata  durante  le  cerimonie  del  sacrificio.  Il 


(')  Brnnn-Bruclcmanii,  Denkmàler,  tav.  268  seg.;  Clarac,  Afusée  de  Sculpt.,  310,  n.  724; 
Monum.  dell" Istituto,  IV,  t.  IX:  Cichorius,  Die  Reliefs  der  Trajanssaùle,  tav.  36,  62,  63,  76; 
Labus.  Museo  della  R.  Accad.  di  Mantova,  I,  tav.  XLVII;  ecc.  ecc. 

(')  Succinetus  poparum  habitu:  Suei,  Calig.,  32;  cfr.  Propert.,  5,  3,  62;  Ovià.,  Fast.,  1,421 
e  IV,  413. 

(•)  Cfr.  Ovid,  Fast.,  IV,  933. 


ROMA 


—  443  — 


ROMA 


torso  in  parola  appartenne  certamente  ad  un  gruppo  rappresentante  una  scena  di  sa- 
crificio; l'arte  con  cui  è  eseguito  è  mediocre  e  di  tipo  puramente  decorativo. 


Fio.  3. 


Si  trovarono  anche  quattro  basi  di  peperino,  simili  ad  altre  già  trovate  nella 
stessa  località  (alt.  m.  0,60;  diam.  m.  0,30);  un  capitello  dorico  (alt.  m.  0,40; 
diam.  m.  0,30)  ed  un  rocchio  di  colonna  scanalata,  di  peperino  (m.  0,40  X  0,80). 

Vennero  poi  in  luce  alcuni  avanzi  di  muri  a  cortina  ed  un  ingresso  di  cunicolo 
a  vdlta,  alto  m.  1,20,  largo  m.  0,80. 

In  via  Bartolomeo  Eustachio  nello  sterro  per  la  costruzione  del  villino  di  pro- 
prietà del  principe  D.  Giulio  Torlonia,  all'angolo  nord-ovest  del  cantiere,  sono  stati 


ROMA 


—   444   —  ROMA 


messi  in  Ince  dei  muri  già  crollati  di  antico  ninfeo.  Si  videro  anche  avanzi  di  fogne 
a  cappuccina  con  tegoloni  bipedali,  aventi  i  bolli  C.  I.  L.  XV,  287  b,  626,  628,  686, 
903. 


Via  Ostiense.  Nel  fare  il  cavo  per  la  nuova  tubatura  del  gas,  fuori  della 
porta  s.  Paolo,  a  m.  1,50  sotto  il  livello  stradale  è  stato  scoperto  un  tratto  di  5  m. 
dell'antica  via  Ostiense  a  poligoni  di  basalto;  si  rinvennero  anche  un  piccolo  rocchio 
di  colonna  di  verde  antico  (lungh.  m.  0,30;  diam.  m.  0,77)  ed  un  frammento  di 
lastra  marmorea  opistografa  (m.  0,24X0,21): 

da  un  lato  si  legge:  dall'altro: 


\/IS  •  SCRIP 


VOLAM-   FIEIl  MANI-nj 


IBI-    L  I  B 


A 


IC    V 


.^. 


TVT 


VM-   PROCV  •  Wia-G4t? 


vm\ 


Nell'angolo  sud-est  del  cavo  per  le  fondazioni  del  nuovo  fabbricato  per  la  Di- 
rezione delle  oflScine  del  gas,  a  m.  2  sotto  il  livello  stradale,  si  è  scoperto,  per  un 
tratto  di  4  m.,  un  altro  resto  della  via  Ostiense,  a  grossi  poligoni  di  lava  basaltina. 


* 


Via  Portuense.  In  via  Privata  3*,  sotto  la  casa  di  recente  costruzione  di 
proprietà  del  sig.  Nazareno  Giorgetti  (v.  fig.  4,  lett.  A),  presso  la  sponda  destra 
del  Tevere,  nel  fare  i  lavori  di  sterro  per  la  cantina,  si  è  scoperto  un  criptoportico 
(fig.  5,  pianta),  il  cui  ciglio  della  vòlta  è  a  m.  2,45  sotto  il  livello  stradale.  Esso 
si  prolunga  nella  proprietà  Giorgetti,  in  direzione  nord-est  sud-ovest  obliquamente 
alla  strada,  per  26  m.,  e  prosegue,  a  detta  degli  operai  del  luogo  che  l'hanno  esplo- 
rato, per  altri  35  m.  circa  e  volgerebbe  poi  a  nord-ovest,  ad  angolo  retto. 

Dai  due  saggi  di  sterro  praticati,  uno  al  tonnine  del  criptoportico  verso  il  Te- 
vere, l'altro  a  m.  10  all'interno,  si  è  potuto  riconoscere  che  esso  è  stato  interrato, 
in  parte  artificialmente  con  terra  di  scarico,  ed  in  parte  dalle  alluvioni  del  Tevere. 
La  sua  altezza  è  di  m.  3,30;  la  larghezza  di  m.  4,20  (fig.  5,  lett.  a-h,  c-d). 

I  muri  a  sacco  poggiano  sull'argilla,  senza  fondazioni,  ed  hanno  il  paramento 
interno  a  reticolato  irregolare;  il  loro  spessore  è  di  m.  2  circa  e  li  ricopre  un  in- 
tonaco di  sabbia  mista  a  calce,  cosparso  sulla  stabilitura.  L' infiltrazione  delle  acque 
l'ha  ricoperto  di  una  forte  incrostazione  calcarea.  Lungo  le  pareti  corrono,  all'altezza 
di  m.  2,10  dal  suolo,  finestre  a  strombo  (fig.  5,  sez.  a-b),  all'interno  larghe  m.  1,30, 
alte  m.  0,95,  profonde  m.  1,90,  che  si  restringono  fino  a  formare  all'esterno  feritoie 
in  piano,  lunghe  m.  0,40  e  larghe  m.  0,25,  chiuse  a  ciascuno  dei  quattro  lati  da 


ROMA 


—  445  — 


ROMA 


massi  squadrati  di  tufo  (fìg.  5,  sez.  c-d),  ed  alternate  a  destra  ed   a  sinistra  alla 
distanza  di  m.  4  l'una  dall'altra  (fig.  5,  pianta). 

Il  criptoportico  termina  a  12  m.  dalla  sponda  del  Tevere  con  una  finestra 
di  fondo,  che  è  simile  alle  altre  nella  forma  e  nelle  dimensioni  ;  ma  il  paramento 
sotto  l'intonaco  è  fatto  con  quadrelli  di  tufo,  mentre  nelle  altre  è  in  muratura. 


Fio.  4. 


L'attuale  pavimento,  che  non  è  certamente  il  primitivo,  è  formato  da  una  mas- 
sicciata di  tetra  battuta,  mista  ad  avanzi  minuti  di  marmi  di  varie  specie  ed  a  pezzi 
di  dolii  e  di  anfore,  che  poggia  sulla  sabbia  ed  è  ricoperta  da  un  sottile  strato  di 
ealce  e  pozzolana. 

I  numerosi  tasselli  fittili  propri  dell'opus  spieatum,  trovati  fra  il  terriccio  aspor- 
tato, fanno  supporre  che  l'antico  pavimento  fosse  di  quella  specie. 

A  m.  1,80  dal  fondo  e  staccato  m.  0,70  dalla  parete  sinistra  del  criptoportico, 
vi  è  poggiato  a  terra  ed  ancora  a  posto  un  tamburo  di  colonna  di  tufo  rivestito  di 


ROMA 


—  446  — 


ROMA 


stucco  alto  m.  0,40,  dal  diam.  di  m.  0,45,  con  sopra  un  capitello  di  marmo  bianco 
abbozzato,  alto  m.  0,30,  dal  diam.  di  m.  0,45,  con  un  listello  lungo  l'orlo  dellabaco 
a  fregio  di  fogliami  cuoriformi.  Il  piano  dell'abaco  del  capitello  è  ad  arte  incavato 
in  tondo,  come  se  avesse  dovuto  servire  di  sostegno  ad  un  dolio  di  grandi  dimensioni. 

In  basso,  sotto  il  pavimento,  a  m.  0,30  dalla  parete  settentrionale  del  cripto- 
portico è  conservato,  a  tratti,  un  piccolo  cunicolo,  largo  ra.  0,22,  di  muratura  a  sacco 
dello  spessore  di  m.  0,20.  L'essere  stato  trovato  ripieno  di  melma  indica  che  servì 
di  scolo  alle  acque. 

Recentemente,  nell'eseguire  una  fogna  in  via  Privata  1*,  200  m.  circa  a  nord 
di  quello  in  parola,  si  è  visto  uà  breve  tratto  di  criptoportico  della  stessa  forma  e 


't^ji,/,^/„/„/„//,/„/„/„/t,//,//,/,.//,/M,/f,A^/i,/f/Ai,/,^/t,/M//,Aj///A,A/. 


a 


a 


D 


a 


a 


jezione 


ab 


Sezione  C-Q 


^/////////fì  'W//M:  '/////////,/J  ''//AÌM/-.V/////////:' '///////////:  V/^/^// 


■  ■  ^'MyjMA  ym^A  wM-Wf^'M^''^'-.  ww^'/'f'm 


ri  anta 


to 


2" -et 


meln 


FiG.  5. 


dimensioni.  Essi  sono  certamente  in  relazione  fra  di  loro  :  si  può  anzi  supporre  che, 
poiché,  come  si  è  detto,  il  criptoportico  della  via  Privata  3*  sembra  voltare  ad  angolo 
retto  verso  nord-ovest,  quello  della  via  Privata  1*  ne  fosse  il  lato  settentrionale.  Forse 
vi  saranno  stati  uno  o  più  bracci  intermedi  staccantisi  dal  trasversale,  con  ingressi 
presso  la  sponda  del  Tevere. 

Questa  serie  di  vasti  corridoi  sotterranei  bene  aerati  ed  illuminati,  servì  presu- 
mibilmente da  magazzino  provvisorio  per  vini  olì  e  grani,  e  l'uso  se  ne  prolungò  in 
epoche  successive,  come  dimostrano  la  struttura  del  reticolato,  che  si  può  attribuire 
al  primo  secolo  dell'impero,  l'intonaco  più  tardo  ed  il  pavimento  rifatto  con  terra 
di  scarico. 

Dagli  sterri  eseguiti  vennero  in  luce,  frammisti  al  terriccio  di  scarico,  insieme  a 
numerosi  ed  insignificanti  frammenti  di  svariata  decorazione  in  marmi  e  di  intona- 
chi dipinti,  ed  a  molti  avanzi  di  grandi  dolii  ed  anfore,  i  seguenti  oggetti:  una  lu- 
cerna fittile  bilione  con  protome  di  Diana  (diam.  m.  0,07),  un  frammento  di  lucerna 


ROMA 


—  447  — 


ROMA 


fittile  con  figurina  di  Sileno,  un  frammento  di  lucerna  fittile  con  la  figura  di  una 
Vittoria  sul  globo  con  una  palma  nella  mano  destra,  una  piccola  tazza  fittile 
(m.  0,09  X  0,04),  un  coperchio  di  grande  dolio  (diam.  m.  0,57  X  0,04)  con  bollo 
(cfr.  C.I.L.,  XV,  2462  seg): 

O         STAMARCIVSLVCIFER 

un  mezzo  coperchio  di  grande  dolio  (m.  0,73  X  0,04)  con  bollo  frammentario  (cfr. 
CI.  L.  XV,  1096 è): 


o 


EVillSTI 
.  .  .  V 


ed  infine  un  fondo  di  tazza  aretina  con  bollo  (C/.  Z.,  XV,  5277). 

Presso  la  via  delle  Mura,  nel  terreno  della  Società  la  Minerva  per  la  costruzione 
di  nuovi  villini  (già  vigna  Merluzzi),  si  è  rinvenuta  una  lastra  marmorea  frammen- 
taria, con  la  seguente  iscrizione  (m.  0,38  X  0,28  X  0,03)  : 


A<{)POAGlCl\àr. 

taiakatexeU.. 

CAN  Yno  nAT 
NIOYKAIMHTI» 
ZHCACANGTH...iW^ 
NAC  TPelC  HA^  «>«?.. 
e  N  N  €  A  •  X  Alr?e 


È  stato  anche  messo  in  luce  per  una  lunghezza  di  m.  12,50  un  antico  muro  di 
recinto,  orientato  da  est  ad  ovest,  di  opera  quadrata  a  parallelepipedi  di  tufo.  Ne 
restano  soltanto  due  filari  in  altezza:  l'inferiore  poggia  sul  terreno  vergine. 

Ciascun  parallelepipedo  è  alto  m.  0,50,  largo  m.  0,55  ;  in  lunghezza  variano  da 
m.  0,70  a  m.  1,40. 


Via  Prenestina.    Nei  lavori  di  sterro  per  il  nuovo  scalo  merci  s.  Lorenzo, 
presso  i  Tre  Archi,  si  rinvenne  un  frammento  d'iscrizione  opistografa  (m.  0,62  X  0,40 
X  0,02)  ;  da  uu  lato  si  legge  : 

SILVANO    SACRVM 


dell'altro  lato  rimane: 


SANCTO 
VS-EPIGONIVS 
A-CVM-MENSIS 
M  •  EX  •  S/oto 


ROMA 


—  448  — 


ROMA 


Nello  stesso  sterro,  presso  la  ria  di   Malabarba  si  trovarono  le  seguenti  lastre 
marmoree  frammentarie  con  iscrizioni  : 


1.  (m.  0,61X0,48X0,03): 


2,  (m.  0,27X0,18X0,04): 


D\ 

M 

L-Q\l!fi\lt 

OCRY 

SEROTIM 

•1  SALBI 

vsgermI 

ANVS 

FRATRIDVL 

GISSI 

MO  •  B     M • 

F- 

il         ^  C-VEHILIOvL 

E  C  FILIO  •  ?USSj/mo 

lA  FECCORN('g;»a 

coni  VGI  SABINA-  mater 
ET  BMETSVw  et 

postert^Q,  U^Ll^EKlabusque 
e  OR  POSTERisgue 

\  EOR  /  um 


3.  (m.  0,14X0,18X0,03): 


4.  (m.  0,22X0,15X0,07): 


c  c 


ONs/ 


SSOET 

IL-EIVS 
TRONIS 
LICISFEC 


5.  (m.  0,11X0,11X0,08): 


^siy 

/A.LVM 


/ 


MO-q^VA 


6.  (m.  0,23X0,20X0,26): 


lABRV 
vINIS 
ÌXI 


7.  (m.  0,25X0,25X0,07): 


8.  (m.  0.18X0,12X0,05): 


LO 

S  I  B  I 


9.  (m.  0,14X0,08X0,03); 


10.  (m.  0,25X0,12X0,03): 


lA, 
NAT 
FILIA 
FECn 


M 
MAE 
IVS 
VS 


ROMA  —   449   —  ROMA 

Vennero  fuori  inoltre:  un  frammento  di  sarcofago  di  marmo  bianco  (m.  0.38 
X  0,20)  con  la  rappresentanza  di  un  amorino  seduto  che  s'appoggia  con  la  destra 
ad  un  cesto  di  frutta,  mentre  un  altro  amorino  abbraccia  il  cesto  ;  un  braccio  di  sta- 
tuetta di  marmo  bianco  mancante  della  mano  (m.  0,17  X  0,04),  un'anfora  fittile 
(m.  1,00  X  0,33),  una  mensola  di  marmo  bianco  con  protome  di  orso  (m.  0,45  X  0,24), 
un  vasetto  aretino  (m.  0,12X0,06)  con  bollo  di  fabbrica  {C.  I.  L.  XV,  5649  w),  un 
altro  vasetto  aretino  a  ciotola  con  bollo  indecifrabile  (m.  0,08  X  0,04),  e  due  bolli  di 
mattone  (C.  /.  L.  XV,  336,  1148). 

In  un  altro  sterro,  sempre  per  i  lavori  del  nuovo  Scalo  Merci  s.  Lorenzo  presso 
il  ponte  della  ferrovia  che  traversa  la  via  Prenestina,  si  rinvenne  quanto  segue  : 

1.  Un  torso  di  statuetta  di  marmo  bianco  con  panneggiamento  che  lascia  sco- 
perto l'avambraccio  (alt.  m.  0,45). 

2.  Una  tomba  a  cappuccina  (m.  1,80X0,50)  con  entro  un' anforetta  fittile 
(m.  0,15  X  0,05)  con  il  rigonfiamento  schiacciato  da  ambo  le  parti. 

3.  Cinque  capitelli  marmorei,  di  cui  tre  di  stile  dorico  (m.  0,30X0,24; 
m.  0,33X0,26;  m.  0,40X0,10),  uno  di  stile  ionico  (m.  0,21X0,34),  ed  uno  di 
stile  composito  (m.  0,44  X  0,50). 

4.  Due  piccoli  rocchi  di  colonna;  il  primo  di  marmo  bianco  (alt.  m.  0,40; 
diam.  m.  0,19),  il  secondo  scanalato,  di  cipollino  (alt.  m.  1  ;  diam.  m.  0,25). 

5.  Tre  coperchietti  di  anfore  fittili,  rozzamente  decorati. 

6.  Due  frammenti  di  mattoni  con  bolli  (C.  1.  Z.,  XV,  896,  1383). 

7.  Molti  fondi  di  tazze  aretine  con  bolli  di  fabbrica  (C.  /.  L.,  XV,  4932  b,  5143  a, 
5285  a,  5370  ?J,  5394  ci,  5423  a,  5449  a,  5456,  5466  ^  5551  a,  5756/),  di  cui  il 
seguente  completa  il  bollo  edito  finora  soltanto  in  parte  al  C.I.L.,  XI,  6701,  19: 


AWTV 
VERN 


8.  Un  frammento  di  lastra  marmorea  iscritta  (m.  0,21X0,14X0,10): 


SVIS  QVE 


Presso  il  casale  di  Tor  Tre  Teste,  a  m.  10  dalla  via,  eseguendosi  lavori  cam- 
pestri, si  è  rinvenuto  un  cippo  sepolcrale  di  travertino  con  iscrizione  (m.  0,60  X 
0,35X0,13): 

LL-A/ILLIOR 

P-LLIRENAI 

ET     OLVMPI 

INFROP-XIIX 

IN-AGRFXX 

In  località  Casa  Rossa  si  trovò  un'anfora  (m.  0,48  X  0,32),   con  entro  un'olla 
fittile  contenente  ceneri  (m.  0,29  X  0,20). 

Notizie  Scavi  1909  —  Voi.  VI.  68 


ROJTA  —    450    —  ROMA 

Via  Salaria.  Proseguendosi  gli  sterri  per  la  costruzione  del  villino  del  mar- 
chese Almerici  presso  la  chiesa  di  s.  Teresa  al  Corso  d'Italia  si  sono  rinvenute  le 
seguenti  iscrizioni  sepolcrali: 

1.  Cippo  di  travertino  frammentato  (ra.  0,22X0,25): 


cAeciliAnoAl 
finemmonim 
càemini  ra.co 
niAe-pliI  Acro 
p- xii -in  fronte 

PXII 


2.  Targhetta  marmorea  frammentata  alla  estremità  (m.  0,52  X  0,07)  ; 


LCALPVRNIVS 
LLSOLERTJS 


3.  Lastra  marmorea  (m.  0,39  X  0,08)  : 

D  M 

CL  A  V  D I  A  E 
SECVNDINAE 
CLAVDIVS  HERA 

DES 
LIBERTAE  BENE 

MERENTI  FÉ 

CIT 

4.  Lastra  marmorea  frammentata  (m.  0,25X0,12): 

VCLODIA 

5.  Cippo  di  travertino  frammentato  in  basso  (m.  0,45  X  0,30)  : 

PIA 
FVRIAP     L   LEPIDA 
CIVLIVSC-  L-  DIOMEd 
C  ALFIVS  C  L-  P^ILERO 


ROMA 


451 


ROMA 


6.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,30  X  0,30)  : 


CS-HILARIA-PROCJ 


V 


7.  Frammento   di   stretta   lastra   marmorea  iscritta  su  tutte  le  quattro  facce 
(m.  0,16  X  0,07  X  0,06)  : 


a)  C-IVLIVS\ 

C-L-EROSCV 


c) 


SALVIVS 


8.  Cippo  di  travertino  (m.  0,80  X 
0,36): 

C-NORBiVVS 
C-LMAMA 

INFR-PXIIII 
IN-AGRP-XII 

10.  Piccola  lastra  di  ardesia  (m.  0,15 
X0,07): 

L  RISIVSL-L 

GALLIO 

V-AXX 

12.  Frammento  di  cippo  di  traver- 
vertino  (m.  0,32  X0,12): 

-IrrBÉR) 
SEXL 
INFROlH 
INAGR 


V) 


d) 


M-VIPS/ 

ML-ATHEN 


i.ntUS 

aeus 


IIVPRO 


9.  Altro  cippo  di  travertino  (m.  0,96 
X0,38): 


LPHILARGVRVS 

PRACO-AL-////NI 
SENTIALL-FLORA 

11.  Altra  lastra  marmorea  (m.  0,16 
X  0,08)  : 

C-VILLI 
GANVMEDis 


13.  Altro  simile  (m.  0,70  X  0,27)  : 

/l  F I N I V  S 
^IF-POL 
IN-FR-P-XII 

IN-AG-P-/// 


14.  Lastra  marmorea  sulla  quale  sono  in  rilievo  due  mani  apotropaiche  aperte: 
quella  a  destra  è  ben  conservata  fino  al  polso  che  è  decorato  di  un'armilla  ;  di  quella 
a  sinistra  rimangono  le  estremità  di  due  dita  (m.  0,32  X  0,24)  : 


ANST\ 
mane  mano 


BOUA 


—  462  — 


BOMA 


Infine  i  tre  seguenti  piccoli  frammenti: 

(m.  0,13  X  0,08)  :  (m.  0,08  X  0,10)  : 


(m.  0,15  X  0,13): 


SEC 
CI 


AVG| 


Nell'angolo  occidentale  delle  fondazioni  dello  stesso  villino  Almerici,  si  scoprì 
a  m.  5  sotto  il  livello  stradale  una  serie  di  cunicoli  alti  m.  0,60,  larghi  m.  0,50, 
in  tutto  simili  ad  altri  già  veduti  in  quei  pressi.  Facevano  parte  del  locale  sepolcreto, 
costituendo  una  rete  di  ipogei  pagani.  Frammiste  alla  terra  apparvero  molte  ossa 
umane. 

Si  rinvennero  anche  molte  iscrizioni  sepolcrali,  intere  e  frammentarie: 

1.  Targhetta  scorniciata  (m.  0,20  X  0,11  X  0,02): 

CFVLVIVS 
FAVSTVS 


2.    Targhetta   ansata    (m.  0,31  X 
0,15  X  0,02): 

AVLTENAALARTIM 
FECITMATRISVAEPIAE 
VLTNIACELIDOET 

VLTNIA  •  RVFILIAE 

SEXAEB  VTIO-  SECVN 

ETEVTICO 

4.  (m.  0,19X0,09X0,03): 

CLNONIVSQj 
FAB    SCVRR/a 


3.  (m.  0,22X0,18X0,03): 


/ANI-  AVR 
IT-  PARE^ 
SSIMISET 
TPOSTERIS 
ORVM 


5.  (m.  0,20X0,16X0,02): 

D  M  S 
SPEDIVXO 
RI-BENEME 
RENTI-ET 


6.  (m.  0,17X0,13X0,03): 


Ga 


lì 


M 

/LLIENO 

ROFILIO 

rfa/CISSIMO 

VIXANN 

Jll  •   DjJ^ — 


7.  (m.  0,22X0,12X0,02): 


RRIACLiLG 
RRIVSQL. 


ROMA 


—  453  — 


ROMA 


8.  (m.  0,12X0,09X0,03): 


9.  (m.  0,20X0,20X0,11): 


TICLAV 


t 


LOGs 
CONt^ 

IBILIBERTIjs 
posle^  R I S  QV  E  •  E  O  rum 


10.  (m.  0,13X0,08X0,02): 


11.  (m.  0,13X0,13X0,02): 


MCA 
C 


\ 


agath] 

APPIAE 

FA 

C  •  IVLIO 

LA 

BENEMER 

12.  (m.  1,15X0,15X0,02): 


LAGATK 
MERFEC 


13.  (m.  0,09X0,10X0,01): 

SEVE! 

QVAEy 
ANNI 


14.  (m.  0,14X0,10X0,03): 


15.  (m.  0,24  X  0,15  X  0,03)  : 


l-  D    M    S 

Ipacvvia^ 

^  e  ARIS/ 


'^ET   SIBI   POSTERIS 

QVE    EOR-    VIX 
ANNVMIIIID-XXIX 


16.  (m.  0,11X0,07X0,03); 


ORE 

NT  H 

^ERT 

17.  (m.  0,12X0,10X0,04): 


V 


S 
RA 


18.  (m.  0,13  X  0,10  X  0,03)  ; 


19.  (m.  0,12X0,12X0,03): 


BVSVIX 
XI 


AE 

AE 

y^NE 

NTIFE 


BOMA. 


—  454  — 


ROMA 


20.  (m.  0,14X0,11X0,04): 


21.  (m.  0,11X0,07X0,02); 


P  R  e/ 

in-f/ 
inV 


/DO 


Avanzi  di  colombari  i  quali  faeevan  parte  del  grande  sepolcreto  che  estendevasi 
presso  la  Porta  Salaria,  si  sono  scoperti  eseguendosi  gli  sterri  per  le  fondazioni  del 
villino  del  maestro  Mascagni  in  via  Po.  I  muri  erano  di  opera  reticolata  e  conser- 
vavano qua  e  là  nicchie  per  due  olle.  Fra  la  terra  si  sono  rinvenute  le  seguenti  iscri- 
zioni : 


1.  Parte  sinistra  di  targhetta  mar- 
morea ansata  (m.  0,15X0,09): 


2.  Cippo  di  travertino  (m.  0,42  X 


0,22): 


,L 


MAEFIO 

M-L  \ 

SECVND 


OSSA 
C-AELANI 

CL 
Al<ENORIS 


3.  Lastra  marmorea  (m.  0,30X0,30): 


D     •       M 

ÀFRÀNIÀPHILO 
TÀERÀE  ÀFRÀNIVS 
ARTIMàSCOIVCI 
BENEMERENTIFECIt 
VIXITANNISXXXX 


4.  Frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0,15X0,14): 


M  •  ATIVS 

ML 
ANTHVS 


.Vi 


5.  Lastra  marmorea  (m.  0,32X0,25)  : 


D  M 

CCAESIO  IVSTO 

FECIT  •  FVFIA 
TERTVLLA  •  COIV 
CI  •  BENEMERE 

NTI 


6.  Cippo  di  travertino  (m.  0,60  X 
0,28): 

M  •  CALPETANVS 

CE-    FOM 

PILIALFQVARTA 

VXOR 

I^f•  PXIMNAGRP-XII 


ROMA 


—  455  — 


ROMA 


7.  Altro  cippo  simile  (m.  0,60  X  0,65)  : 


DECVRIONVM 
ET-FAMILIAE 
LCREPERILFCM 
IN  FR  PXIIX 
INAGRPXII 


8.  Targhetta  marmorea  frammentata  (m.  0,08X0,07): 


H  E  S  P  E  r- 


9.  Cippo  di  travertino  frammentato  (m.  0,42X0,43): 


b  •  L  •  H I L  A  R 

sib/l-Et.syiS 
|MIVS- 


«VIS17 

;ll  V 


TAEVSSIBI 
«/  SVIS  V 

10.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,24  X  0,14)  ; 


M-MANNEIVS 

DBVTER 


11.  Altro  frammento  simile  (m.  0,22 
X0,18): 


T-MANN 
MANNEI 


etu$ 


MANNEIA 


12.  Altro  simile  (m.  0,18  X  0,10): 


JMAGIAl 
/LOCTAVr 


13.  Lastra  marmorea  scorniciata,  frammentata  a  destra  (m.  0,28  X  0,27)  : 


VCNOC 
L • DAEDA 
V  •  A  E  M 

e-cNoci 

EPICONVS 
IVSCN-L-HE 


ROMA 


—   456   —  ROMA 


14.  Grande  lastra  di  travertino  rotta  in  piìi  pezzi  e  mancante  della  parte  infe- 
riore (na.  1,09X0,82): 

V-     CNPACILIVsi  <?NL-HILARVS 

ET      PACI  LIA  AELLAS 

HANC  •     DO      \m  u  m         .  FECIT  •  SIBI 

ET  ■  DIS-  MAN  i  bus     .  T-TIBI 

! 

HOSPES  •  /  A  •  TIBI  •  CONTINGAT  •  SINE  •  DOLORE  •  VIVERE  •  HOC  •  SrMVLACHRVM  •  NE  •  REVELLIS 


La  lettera  che  segue  la  parola  hospes  della  qsinta  linea  non  mi  è  possibile  di 
leggerla:  pare  un  nesso  assai  male  inciso  dove  fu  abrasa  un'altra  lettera.  Si  può  sup- 
plire così  :  hospes  sta,  oppure  hospes,  ita  ecc. 

15.  Cippo  di  travertino  (m.  1,00X0,35): 

QJ.RVSTICELVS 
QJ,  PARAI VS 
CURVSTICELIVS 
CL.LEROSPX5. 
INFPXINAGPX 


16.  Frammento  di  lastra  marmorea  scorniciata  (m.  0,30  x  0,21): 

CSA\ 

A/ 


17.  Lastra  di  travertino  frammentata  con  iscrizione  sulla  cornice  aggettante 
(m.  0,55x0,25): 

VTSCATIDIVS 
TF-MAEFIRiWVS 

IS 
IIX 
XII 


lA 

HEIC 

ST 


ROMA  —    457    —  ROMA 

18.  Cippo  di  travertino  frammentato  nella  parte  inferiore  (m.  0,37  X  0,34): 

V 
TIVICIRIVS 
TIL-ANTIOCHVS 

SIBIETSVIS 
0- POSTVMIA 
-^    0-L-NICE 
m. /XRP-XIIX-IN-A-E/^ 


19.  Parte  inferiore  di  cippo  di  travertino  (m.  0,75X0,34): 


r- 


iNFR  rxii 

INAGRPXII 


20.  Frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,10X0,18): 


/eCérMNTPA 
rentes  «nssiMI 


21.  Altro  frammento  di  lastra  marmorea: 


In  ulteriori  sterri  vennero  in  luce  due  cippi  sepolcrali  di  travertino,  simili  a  due 
altri  già  riportati  ai  nn.  6  e  15. 

1.  Il  primo  (m.  0,70  X  0,30  X  0,10)  2.  Nell'altro  (m.  1,05  X  0,33  X  0,15) 

ha  r  iscrizione  :  si  legge  : 

M-CALPETANVS  Q    RVSTICELIVS 

C-  F-  POM  QJ.PARATVS 

PILIAL-F-QVARTA  Q_:  RVSTICELIVS 

VXOR  Q^L-EROS/// 

InF-P-XIMNAGRPXII  IN-F-PX-INAGPX 

Notizib  ScATi  1909  -  Voi.  VI.  59 


ROMA 


—  458 


ROMA 


Si  rinTeniiero  inoltre: 

1.  Un  cippo  sepolcrale  di  travertino  (m.  1,20  X  0,33_X  0,15): 

LCORNELIVSLL- 

ZETHVS 
ET-    AMPHIO 
CORNELIA  •  L  •  L  • 

ELEVTHERIS 
CORNELIA    LL- 

LAIS  ET 

SIBI  •  ET-  SVIS 
IN  •  FR  .  P  -Villi 
IN-AGR-P-XII 

2.  Altro  cippo  sepolcrale  di  travertino  (m.  0,50  X  0,29  X  0,10): 

IVLIA-C-L- 
FAVSTA 

3.  Un  cippo  sepolcrale  di  travertino  (m.  0,40  X  0,25  X  0,10): 


M-GELLIVS  M-L- 

ARISTO 
DIONYSIALIBERT 

IN  •  F  .  P  •  XVI 
IN-AG-P-XII 


4.  Un  cippo  di  travertino,  ancora  a  posto,  con  l'iscrizione  (m.  1,05  X  0,87  X  0,35): 


CACILIVSO. 

CODRVS 
vMAETENNIA 

LLMELINE 

IN-AGPXII 


ROMA 


—  459  — 


ROMA 


5.  Una  lastra  marmorea  con  iscrizione  (m.  0,33  X  0,21  X0,06): 


D  M 

ANTONIAE-ATHE 
NAIDI  •  VIX  •  ANN    XU 
FECIT    ANTONIAO 
LYMPIASBENEME 
RENTI 


6.  Id.  id.  id.  (m.  0,43X0,26X0,03): 


D    /    M          e 

P.ATTIOJ-CLESTHE 

NEC-SEJIVEIENIVS 

PAR/^YTHIVS 

AftlI  CVS- K  ARIS 

/^SIMVS  •  B  •  M  •  F- 

7.  Id.  id.  id.  (m.  0,33X0,16X0,03): 


COSCONIAOL  CHRESTE 

VlXIT  •  ANNOS  •  XX 

VALERIA  MLSECVNDA 

FILIAE-       FECIT 


Nel  fare  un  cavo  per  le  fondazioni  del  villino  Benci  in  via  Po,  fu  trovato,  a 
m.  10  dalla  strada,  ancora  a  posto,  un  cippo  sepolcrale  di  travertino  (m.  1,48  X 
0,38X0,21)  con  l'iscrizione: 


C -////IVS-CF- LEM- 
CAPITO  SIBI- ET  S  VIS 
0 • SAVERIA  • C  •  F 
IN-FRONTE-P-XII 
IN    AGRO-     P-  XII 


ROMA 


460  — 


SOMA 


Anche  in  via  Po,  nel  cavo  centrale  praticato  per  le  fondazioni  del  villino  Ce- 
lati, sono  stati  vednti  dei  muri  a  reticolato,  di  colombaio  già  manomesso,  con  qualche 
olla  fìttile  ancora  a  posto  ed  altre  numerose  fuori  di  posto,  intere  o  frantumate.  Si 
rinvennero  inoltre  molte  anfore  fìttili  di  varia  grandezza,  e  vasi  anche  fittili  di  varie 
forme  e  dimensioni  ;  un'urnetta  cineraria  di  terra  cotta  (m.  0,20  X  0,27  X  0,23)  ;  un 
bel  vaso  di  vetro  con  manichi  a  doppio  cordone  (m.  0,14X0,13),  ed  una  lucerna 
fittile  con  bollo  C.  I.  L.  XV,  6517  b. 

Vennero  infine  estratti: 

1.  Una  lastra  marmorea  frammentata  con   iscrizione  (m.  0,37X0,18X0,02): 


(«e)       g.  ^^ALLEINVS 
No-      L. 
PAKATVS 


P-FANNIVSP-L- 

HILARVS 
FANNIA-F-L- 

PRIMA 


2.  Un  cippo  sepolcrale  di  travertiio  (m.  1,27  X  0,30  X  0,12): 


MAERIVS 
QJF-    POL 

MERVLA 

INFRPXII 
INAGRPXV 


3.  Un  altro  cippo  frammentario  di  travertino  (m.  0,80X0,33X0,08): 


a/GELLIVS 
AL-    EROS 
INFRO-P-XII 
INAGRP-XIIII 


ROMA 


—  461 


ROMA 


4.  Un  frammento  di  lastra  mar- 
morea con  iscrizione  (m.  0,43  X  0,15  X 
0,04): 


5.  Un  altro  frammento  id.  id.  (m.  0,1 1 
X  0,10X0,02): 


CIVLP 

VIX 

IVGI 

EIVS 


(s 
it 


J 


6.  Un  cippo  di  trayertino,  molto  corroso  nella  parte  superiore,  con  iscrizione 
(m.  0,95X0,34X0,09): 


CN\3/ÀLONIVSQ«J. 
MITRODAS-  SALoWa 
CN_-  CALETYCE  •       .  \^ 
.MARIVS-LLFELIX'v 

)maetenial-l- 
meline •  in  frp- xii 
in -ag-  pxii 


7.  Un  titoletto  di  marmo  bigio  con  iscrizione,  poi  segato  in  quadrato  nel  mezzo 
(m.  0,30X0,22X0,07): 


TV 
NO 
TIB 

N 
N 
SA 

8.  Due  frammenti  di  lastra  marmorea  (m.  0,27  X  0,22  X  0,04), inscritti: 


»xc 


e 
eeoAo  \  ȴ 

eZAM^SHA^ 

aZHNOBl/OC 

onATHp/ 


ROMA 


—  462  — 


ROMA. 


9.  Un  coperchietto  di  marmo  di 
nrna  cineraria,  concaro  al  centro,  con 
cinque  fori  (m.  0,14X0,14X0,02): 


10.  Un  frammento  d'iscrizione  se- 
polcrale (m.  0,13X0,13X0,03): 


CEfVMus 

ARIAI; 

ENTE|^ 


11.  Altro  frammento  id.id.  (m.  0,20 
0,17X0,17): 


12.  id.  id.  id.  (m.  0,44X0,19  X  0,05): 


Si  rinvennero  infine  alcune  tegole  e  mattoni  con  i  bolli  C.  I.  L.  XV,  624,  821  a, 
1042,  1175,  1563 a,  ed  una  lucerna  col  bollo  CI.  L.  XV,  6591  a. 

Nel  terreno  di  proprietà  del  collegio  dei  ss.  Pietro  e  Paolo  in  via  Isonzo,  nel  de- 
molire un  tratto  di  muro,  fu  messa  allo  scoperto  una  lastra  marmorea  in  forma  di 
■tele  (m.  0,60X0,25X0,07);  vi  si  legge: 

ONESIMVS 

TATA  GALATIAE 
VIXIT  ■  AN 
III  •  M  •  Vini 
DIES  •  XII  •  ET  ("c) 

ETSYNTROPHO 
PATACTE- MAIRI 

Si  trovarono  anche  un  frammento  di  sarcofago  con  la  figura  di  un  fanciullo  che 
ha  in  mano  un  otre,-  un  pezzetto  di  cornice  (m.  0,25X0,10),  tre  anfore  fittili,  due 
olle  ed  un  frammento  d' iscrizione  (m.  0,19  X  0,14  X  0,04)  : 


A.  Pasqdi. 


Roma,  19  dicembre  1909. 


463  — 


INDICI 


INDICE   DEGLI   AUTORI. 


Alfonsi  A.  149,  190,  192. 

Barnabci  F.  80,  228. 

Castelfranco  P.  3,  6,  158. 

Colini  G.  A.  78. 

Frola  G.  298. 

Cabrici  E.  209,  212,  216,  218. 

Galli  E.  76,  159. 

Gatti  E.  59,  132. 

Ghislanzoni  E.  4,  69,  71,  302. 

Mengarelli  B.  79,  241,  292. 

Nardini  0.  28,  59. 

Orsi  P.  61,  62,  65,  66,  67,  314,  319,  827,  339, 
374,  379,  382,  383,  386,  387. 

Paribeni  R.  241. 


Pasqui  A.  7,  37,  109,  221,  389,  425. 

Patroni  G.  4,  5,  158,  261,  262,  264,  265,  266, 

272,  273,  274,  276,  277. 
Pellegrini  G.  72,  75,  189. 
Pernier  L.  33. 
Persichetti  N.  31,  60,  217. 
Piccirilli  P.  99. 

Quagliati  Q.  182. 

Ricci  S.  301. 
Rossi  G.  297. 

Salinas  A.  S30. 
Stefani  E.  193,  278. 

Taramelli  A.  100,  135,  183,  293,  332,  412. 

Vaglieri  D.  17,  46,  82,  116,  164,  197,  231,  293, 
411. 


INDICE   TOPOGRAFICO. 


AcQUAPENDENTB  —  Cippo  Sepolcrale  con  iscri- 
zione rinvenuto  in  contrada  Nunziatina 
292. 

Adkrnò  —  Ripostiglio  di  bronzi  siculi  sco- 
perto in  contrada  Mendolito  387. 

AiDONK  —  Ripostiglio  di  monete  in  bronzo 
di  Syracusae  e  romane,  trovato  in  con- 
trada Serra  Orlando  (l'antica  Herbita)  66. 

Albairate  —  Tombe  dell'età  del  bronzo  con 
urne  cinerarie  sepolte  a  coppia,  ed  oggetti 


vari  rinvenute  nella  località  «  la  Scamos- 
sina  »  158. 

Albatk  —  Tomba  della  prima  età  del  ferro 
con  situla  in  bronzo,  vasi  ed  armille  del 
VI  e  VII  sec.  a.  Cr.,  rinvenuta  in  una 
cava  di  sabbia  nel  territorio  del  comune 
3,  264. 

Alghero  —  Necropoli  a  grotte  artificiali  con 
pozzetto  e  suppellettile  eneolitica  scoperta 
in  regione  detta  Cnguttu  100. 

Antrodoco  —  Resti  dell'antica  via  Salaria 
e  railliarìo   di  Augusto    appartenente  al 


—  464  — 


Tamo  della  detta  via  che  da  Interocrium 
andava  ad  Amitemutn,  messi  allo  scoperto 
nella  località  detta  Fonte  Canale  31. 
Avola.  —  Ripostiglio  di  assi  romani  62. 

B 

Babrafranca  —  Tesoretto  di  piccoli  bronssi 
di  medio  modnlo  sicelioti  (lerone  II)  • 
romani,  rinvenuto  presso  la  città  67. 


Caouari  —  Resti  di  edificio  termale  con  pa- 
vimento a  mosaico  policromo  a  scomparti, 
scoperto  in  regione  Bonaria  135;  iscri- 
zione imperiale  ed  iscrizione  sepolcrale 
greco-cristiana,  scoperte  pare  in  regione 
Bonaria,  presso  la  chiesa  di  s.  Saturnino 
183;  ricerca  di  un  lemho  della  necropoli 
punica  sul  versante  occidentale  della  col- 
lina di  Tnviicddu,  accosto  al  borgo  di 
B.  Avendrace  con  ritrovamento  di  copiosa 
ceramica  campana  e  di  altri  piccoli  og- 
getti di  suppellettile  funebre  293. 

Canarina  —  Ricerche  nella  necropoli  di 
Pozzo  Marinaro  con  tombe  a  cappuccina; 
metà  di  una  statua  fittile  muliebre  e  testa 
fittile  della  fine  del  sec.  V  a.  Cr.,  trovate 
nei  lavori  di  bonifica  dell'Hipparis  379. 

Campana  (fraz.  del  comune  di  Fagnano  Alto)  — 
Tomba  con  iscrizione  latina  scoperta  nella 
località   denominata  Capo  le  Prata  217. 

Cabteooio  —  Avanzi  di  una  villa  romana  e 
frammento  epigrafico  sepolcrale  recante 
il  nome  dell'antica  Clastidium,  messi  allo 
scoperto  presso  la  piazza  Vitt.  Emanuele 
sulla  via  detta  Emilia  262. 
■i  Castelgandolfo  —  Piccolo  tratto  di  mosaico 
a  tasselli  bianchi  e  neri,  rotto  da  muri 
posteriori,  messo  in  luce  nella  Galleria 
di  sopra  59.  ' 

Caulonia  —  Titolo  greco  di  origine  attica  di 
ignota  provenienza,  custodito  in  paese  da 
privati,  su  stele  marmorea  con  figure  di 
donna  e  di  una  bambina  327. 

Centuripk  —  Necropoli  centuripina  dei  tempi 
ellenistici  con  suppellettile  funebre  varia, 
esplorata  in  contrada  Casino  382. 

Cividale  —  Necropoli  veneta  con  tombe  con- 
tenenti vasi  ad  impasto  rosso  e  scuro  e 
fibule  di  bronzo,  riconosciuta  Rernazacco, 
frazione  di  Gagliano  75. 


Civita  Castellana  —  Tomba  a  camera  sca- 
vata nel  tufo,  con  materiale  fittile  vario, 
ed  avanzi  architettonici  di  un  tempio, 
scoperti  nel  fondo  denominato  «  le  Mo- 
nache »  nell'area  dell'antica  Falerii  193. 

Civitavecchia  —  Bacino  emisferico  formato 
colla  metà  inferiore  di  un  grande  dolio, 
scoperto  in  piazza  Vitt.  Emanuele  II  79. 

Como  —  Iscrizione  della  gens  Plinia  tornata 
in  luce  in  via  Maestri  Comacini  4  ;  avanzi 
di  pavimento  a  mosaico  romano  272. 

CoRCHiANO  —  Tombe  a  fossa  messe  allo  sco- 
perto in  vocabolo  s  Antonio  78. 

Cremona  —  Elmi  di  bronzo  di  tipo  pileato 
etrusco-gallico,  trovati  nella  foce  del- 
l'Adda, presso  Castelnuovo  Bocca  d'Adda 
274. 

CuGGioNO  —  Tombe  della  prima  età  del  ferro 
contenenti  vasi  di  cotto  imitanti  gli  are- 
tini ed  arniille  di  bronzo  dei  sec.  V  e 
IV  a.  Cr.,  scoperte  nella  località  il  Pon- 
te 6. 

B 

Erba  —  Esplorazione  della  grotta  denominata 
Buco  del  Piombo  e  ritrovamento  di  cocci 
di  vasi  fittili  a  mano  273. 

EsTE  —  Esplorazioni  nella  necropoli  setten- 
trionale atestina  e  scoperta  di  un  sepol- 
creto preromano  nel  predio  Alfonsi  in  via 
s.  Stefano,  con  tombe  a  cassetta  di  vari 
periodi  contenenti  ossuari  fittili  149. 


Floridia  —  Sepolcreto  siculo  con  tombe  a 
pozzetto  contenenti  ceramica  micenea  e 
sicula,  scoperto  in  contrada  Tabacheddn 
374. 


6 


Galzighamo  —  stazione  preistorica  con  ce- 
ramiche di  rozzo  impasto,  scoperta  fra  la 
strada  di  Battaglia  e  quella  che  costeg- 
gia il  monte  delle  Valli  189. 

GÀMBARA  —  Pugnale  dell'età  del  bronzo 
277, 

Gera  —  Iscrizione  dedicata  a  Giove  dagli 
Aneuniati  4. 

Gerenzago  —  Oggetti  preistorici  e  tesoretti 
di  monete  d'argento   galliche   e   romane, 


465  — 


trovati  presso  il  castello  266  ;  ripostiglio 

di  monete   d'argento   galliche  e  romane, 

rinvenuto   presso   la  via   che  va  ad  In- 
verno 299. 
GoTTOLBNGO  —  Oggetti  vari  delle  abitazioni 

preistoriche  trovati  al  Campo  Castellaro 
277. 


LicoDiA  EuBEA  —  Camera  sepolcrale  del  IV 
periodo  siculo  con  suppellettile  fittile  sco- 
perta sul  declivio  orientale  del  Calvario 
386. 

LoKROi  Epizephyrioi  —  Quarta  campagna  di 
scavi  dell'anno  1909:  a)  necropoli  sicula 
con  sepolcri  a  camerette  scavate  nella  roc- 
cia, riconosciuta  in  contrade  Patariti, 
Zanchina  e  Canale  319;  b)  santuario  di 
Persefone  nel  vallone  fra  i  colli  Alba- 
dessa  e  Mannella  321  ;  e)  piccolo  santua- 
rio di  Athena  322;  d)  necropoli  arcaica 
ed  ellenistica  323;  e)  scarico  di  terre- 
cotte  architettoniche  323;  f)  iscrizione 
del  santuario  di  Persefone  325  ;  g)  timbri 
enei  di  Locri  328. 


Milano  —  Avanzi  di  mura  romane  di  Medio- 
lanum  e  rinvenimento  di  anfore  e  di  mo- 
nete 274. 

MiNEO  —  Pittile  a  forma  di  cilindro  trovato 
in  contrada  Monte  ;  tomba  violata  con  ur- 
na di  piombo  scoperta  in  contrada  s.  Cro- 
ce 383. 

MiSENO  —  Base  di  statua  con  iscrizione  ono- 
raria ad  QUO  stolarco  della  flotta  misenate 
dell'a.  246  d.  Cr.  209. 

MoNTERiaoiONi  —  Antica  tomba  a  camera 
con  scheletro  di  adulto  e  ziri  con  .ceneri 
cremate,  scoperta  in  contrada  la  Chioc- 
ciola 76. 

MoRTARA  —  Tomba  a  cappuccina  scoperta  in 
contrada  Sabbioni;  altra  tomba  simile 
con  suppellettile  varia,  venuta  in  luce  alla 
Cascina  Nuova,  sopra  il  dosso  Graniè  264. 


N 


Norma  —  Muri  poligonali  a  grandi  pietre  ru- 
di sorregenti  le  terrazze  sui   fianchi  del 
monte  Corbolino  che   sovrasta   l'abbazia 
Notizie  Scati  1909  —  Voi.  VI. 


di  Valvisciolo  ;  tombe  con  vasi  di  tipo 
laziale  e  suppellettile  varia;  stipe  votiva 
costituita  da  fittili  votivi  minuti  e  da  qual- 
che esemplare  di  vasi  protocorinzi  241. 


0 


Orvieto  —  Tomba  etrusca  a  camera  con  og- 
getti vari  evasi  greci  ed  etruschi, rinvenuta 
presso  il  castello  medioevale  di  Prode,  sulla 
via  provinciale  che  conduce   a  Todi  33. 

Ostia  —  Sterro  della  strada  che  si  stacca 
dalla  via  dei  Sepolcri  e  va  in  direzione 
delle  Terme  17;  scavi  presso  gli  avanzi 
delle  Terme  46;  esplorazione  della  via 
che  dalle  capanne  si  dirige  verso  il  tea- 
tro 82;  esplorazione  dei  vani  a  sinistra 
della  vìa  della  Fontana  e  sterro  di  una 
stanzina  nella  via  dei  Vigili  116;  scavo 
presso  le  Terme  e  la  Caserma  dei  Vi- 
gili 164  ;  sterri  nel  lato  meridionale  del 
peristilio  delle  Terme  1P7;  indagini  presso 
la  via  del  Teatro  e  sterro  nell'interno 
delle  Terme  e  sulla  via  dei  Vigili  231  ; 
epigrafe  dedicatoria  alle  Ninfe,  scoperta 
tra  la  via  dei  Sepolcri  e  le  Terme  293; 
illustrazione  della  pianta  degli  sterri  ese- 
gniti negli  anni  1908-09.  411. 

Otricoli  —  Tomba  a  camera  ed  oggetti  di  sup- 
pellettile funebre  di  età  preromana  rinve- 
nuta nel  fondo  Lupacchini  278;  avanzi 
architettonici  di  età  romana  trovati  in  vo- 
cabolo Givitella  289. 


Palestrina  —  Ruderi  appartenenti  a  grandiosi 
sdifici  destinati  ad  uso  di  terme,  messi  allo 
scoperto  in  una  vigna  tra  le  vie  di  s.  Lucia 
e  della  Madonna  dell'Aquila  132. 

Parravicino  —  Masso-avello  o  tomba  ad  uma- 
zione scavata  in  un  masso  erratico  dell'età 
quaternaria,  apparso  ai  piedi  della  torre 
pendente  medioevale  nell'abitato  del  co- 
mune 69. 

Paterno  —  Rottami  di  ceramica  sicula  del  II 
periodo  scaricati  dalla  vetta  del  colle  di 
Paterno,  l'antica  acropoli  di  Hybla,  e  se- 
polcro siculo  del  III-IV  periodo  scoperto 
in  contrada  Rigolizia  386. 

Pavia  —  Tombe  galliche  e  gallo-romane  ad  in- 
cinerazione e  ad  inumazione  con  suppellet- 

60 


1/ 


1/ 


—  466  — 


tile  di  vasi  gallici,  scoperte  nel  cono  Ca- 
Toar,  presso  l'edificio  scolastico  267. 

PiBTB  Porto  Moronb  —  Oggetti  preistorici 
rinvennti  nell'agro  del  comune  266. 

Plbsio  —  Masso-avello  trovato  nel  territorio 
del  comune  71. 

PozzALLO  —  Tesoretto  di  grandi  bronzi  impe- 
riali rinvenuti  in  contrada  Rìzzone  65. 

Pozzuoli  —  Bassorilievi  marmorei  rappresen- 
tanti soldati  romani,  e  frammenti  di  iscri- 
xioue  onoraria  del  periodo  degli  Antonini 
212, 

R 

Redavallb  —  Tombe  a  camera  della  necropoli 
romana  del  fondo  Gragnolate  261. 

Reggio-Calabria  —  Sepolcri  ellenistici  del 
III  sec.  a.  Cr.  venuti  fuori  in  contrada  Bo- 
race 314. 

Renate  —  Tomba  romana  trovata  al  cascinale 
Odosa,  frazione  del  comune  274. 

RoRBio  —  Tombe  gallo-romane  messe  allo  sco- 
perto nel  territorio  del  comune  265. 

Roma  —  (Regione  I)  Scavi  e  scoperte  nella  via 
di  Porta  s.  Sebastiano  425. 

Id.  presso  l'osteria  di  Porta  Capena  427. 

(Regione  II)  Scavi  e  scoperte  in  piazza  della 
Navicella  37. 

Id.  all'Orto  Botanico  427. 

(Regione  III)  Scavi  e  scoperte  in  via  Guicciar- 
dini 428. 

(Regione  IV)  Spurgo  della  fogna  della  Meta 
Sudante  428. 

(Regione  V)  Scavi  e  scoperte  in  piazza  di  s.  Gio- 
vanni in  Laterano  109. 

Id.  in  via  di  Porta  s.  Lorenzo  802. 

Id.  nell'area  tra  la  piazza  Dante  e  le  vie  Galilei 
ed  Ariosto  428. 

(Regione  VI)  Scavi  e  scoperte  nella  già  villa 
Spithoever  7;  antiche  mura  della  cinta 
urbana  d'età  preaugustea  in  via  Piemonte 
(già  villa  Spithoever)  221,  429. 

Scavi  e  scoperte  in  via  del  Tritone  38. 

Id.  in  via  delle  Tre  Cannelle  109. 

Id.  in  via  di  s.  Basilio  (villa  Massimo)  80. 

Frammento  di  latercolo  militare  esistente  nel 
pai.  dei  Conservatori,  forse  rinvenuto  pres- 
so il  Castro  Pretorio  81. 

(Regione  VII)  Scavi  e  scoperte  nella  chiesa  di 
8.  Marcello  228. 

(Regione  VIII)  Scavi  e  scoperte  in  via  Mar- 
forio  7,  429. 


(Regione  Vili)  Scavi  e  scoperte  tra  le  vie  di 

8.  Marco  e  di  Macel  de'  Corvi  9. 
(Regione  IX)   Id.   in  via  della  Missione  10, 

429. 
Id.  al  vicolo  Brunetti  110. 
Id.  in  piazza  Cenci  430. 
(Regione  X)  Scavi  e  scoperte  presso  l'arco  di 

Costantino  480. 
Id.  in  via  di  s.  Bonaventura  430. 
(Regione  XII)   Scavi    e   scoperte   in   via   di 

s.  Saba  111,  431. 
Id.  al  viale  Aventino  482. 
Id.  presso  la  chiesa  dei  ss.  Nereo  ed  Achilleo 

482. 
(Regione  XIV)  Scavi  e  scoperte   in    via   del 

Muro  Nuovo  39,  433. 
Id.  al  viale  Trenta  Aprile  111. 
Id.  incontro  alla  chiesa  di  s.  Cecilia  432. 
Santuario  dedicato  a  deità  orientali  presso  il 

fjucns  Furrinae,  in  vicinanza  del  villino 

Wflrtz  389. 
Ritrovamenti   nell'alveo  del  Tevere   11,   228, 

302,  433. 
(Suburbio)  Scavi  e  scoperte  nella  via  Appia 

Antica  40. 
Id.  nella  via  Appia  Nuova  303. 
Id.  nella  via  Campana  111. 
Id.  nella  via  Collatina  16, 41,  111, 227,  304,  436. 
Id.  nella  via  Flaminia  437. 
Id.  nella  via  Labicana  441. 
Id.  nella  via  Nomentana  (già  villa  Patrizi)  442. 
Id.  nella  via  Ostiense  41,  444. 
Id.  nella  via  Portuense  44,  114,  230,  444. 
Id.  nella  via  Prenestina  14,  44,  447. 
Id.  nella  via  Salaria  45,  114,  228,  309,  450. 
Id.  nella  via  Trionfale  46. 


S 


Sala  Consilina  —  Cippo  miliare  della  via 
Popilia,  rinvenuto  in  località  Deserto  218. 

S.  GioRoio  LoHELLiNA  —  Tombe  antiche  rin- 
venute presso  la  chiesa  di  s.  Rocco  265. 

S.  Pietro  al  Natibone  —  Parte  di  necropoli 
veneta  con  tombe  a  buca  contenenti  sup- 
pellettile della  prima  età  del  ferro,  messa 
in  luce  sul  monte  Berda  nella  località 
Doble  72. 

S.  Vittorino  (frazione  del  comune  di  Pizzoli)  — 
Avanzo  di  antico  edificio,  probabilmente 
tempio  d'Ercole,  stuperto  presso  il  teatro 
dell'antica  Amiternum,  in  contrada  Li  Per- 


—  467  — 


rici  60  ;  stele  sepolcrale  iscritta  rinvenuta 
in  contrada  la  Costa  217. 

Sardara  —  Necropoli  di  età  romana  scoperta 
in  regione  Masone  Oneddu  332. 

Sbrqnano  —  Suppellettile  di  tombe  barba- 
riche quivi  già  rinvenute  272. 

Serri  —  Avanzi  dell'acropoli  della  città  prero- 
mana e  resti  di  un  tempio  di  divinità 
ctonica  riconosciuti  sull'altipiano  di  s.  Vit- 
toria 412. 

Sessa  Aurunca  —  Iscrizione  votiva  ad  Iside 
e  Serapide  rinvenuta  nel  tenimento  di 
Piedimonte  216. 

Bestino  —  Avanzi  architettonici  di  un  tem- 
pietto paleo-cristiano  rinvenuti  presso  la 
chiesa  di  s.  Pancrazio  159. 

Siracusa  —  Ripostiglio  di  monetine  del  basso 
impero  scoperto  in  contrada  s.  Giuliano, 
presso  i  Cappuccini  61  ;  grandi  lavori  al 
castello  Eurialo  337;  avanzi  dell'agorà  338; 
scavi  al  teatro  greco  339  ;  grondaia  mar- 
morea del  tempio  di  Athena  343;  sta- 
tuetta di  Sileno  trovata  nel  sobborgo 
g.  Lucia  344;  ricerca  del  decumanus 
maximu*  nelle  catacombe  di  s.  Gio- 
.  vanni  346  ;  scoperte  all'  ingresso  prin- 
cipale del  cemetero  di  s.  Giovanni  354. 


Sulmona  —  Pavimenti  a  mosaico  rimessi  a 
luce  in  una  casa  in  via  s.  Cosimo  99. 

T 

Terranova  di  Sibari  —  Antiche  tombe  di 
età  imperiale  romana  scoperte  in  contrada 
Gelsi,  sulla  sponda  sinistra  del  Grati  182. 

Termini  Imerbsb  —  Avanzi  dell'antico  anfi- 
teatro messi  allo  scoperto  nell'interno 
del  monastero  di  s.  Marco  330. 

Torino  —  Tombe  di  età  romana  scoperte  in 
una  casa  in  via  Villafranca,  borgata 
8.  Paolo  298. 


Velletri  —  Frammento  di  lucerna  di  marmo 
rinvenuto  nella  località  Troncavia  28; 
cassa  di  piombo  con  scheletro  di  donna 
scoperta  sulla  sinistra  della  strada  detta 
di  Piazza  di  Mario  59. 

VkntimIglia  —  Tombe  a  cappuccina  rinve- 
nute "nella  regione  s.  Stefano  297. 

Vicenza  —  Oggetti  preistorici  scoperti  presso 
il  borgo  s.  Felice,  in  località  s.  Lazzaro  192. 

Virgilio  —  Busto  di  donna  e  testa  di  gio- 
vine satiro  scoperti  nella  frazione  comu- 
nale Cerese  276. 


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