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Full text of "Notizie degli scavi di antichità"

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ATTI 


DELLA 


R  ACCADEMIA  DEI  LINCEI 

ANNO    CJUCXIl 


1915 


SERIE      Q,TTHL\rTA. 


NOTIZIE  DEGLI  SCAVI  DI  ANTICHITÀ 


VOLUME   XII. 


ROMA 


TIPOGRAFIA    DELLA    R.    ACCADEMIA     DEI    LINCEI 

PROPRIETÀ     UBL     DOTT.     PIO     BKPANI 


1915 


jt  milton  s.  5 
^Library    * 


PC   500^ 

rA.*s 


NOTIZIE   DEGLI   SCAVI 


Anno    1915   —    Fascicolo    1. 


Regione  Vili  (TRANSPADANA). 

I.  RI  MI  NI  —  Avanzi  di  grandioso  edificio  romano,  probabilmente 
di  un  tempio  a  S.  Lorenzo  in  Monte. 

Per  iniziativa  del  direttore  generale  delle  Antichità  e  Belle  Arti,  coram.  Cor- 
rado 1  Licci,  furono  acquistati  per  lo  Stato  e  depositati  nel  Museo  civico  di  Bimini, 
otto  capitelli  romani  d'ordine  corinzio  in  pietra  arenaria,  alti  ciascuno  cm.  75  e  del 
diametro,  alla  base,  di  cm.  65. 

La  decorazione  è  costituita  di  una  fasciatura  di  foglie  d'acanto  alternatamente 
più  o  meno  lunghe,  complicata,  su  ciascuna  delle  quattro  facce,  d'una  coppia  di  cau- 
licoli affrontati  e  sormontata,  nel  mezzo  dell'abaco,  da  un  fiore  a  stella:  sotto  l'abaco, 
ad  ogni  angolo  del  capitello,  doppie  volute  di  pronunciato  schema  conico. 

Di  tali  capitelli  si  è  potuto  sapere,  per  notizie  raccolte  dal  compianto  Direttore 
del  Museo  di  Rimini  prof.  Carlo  Tonini,  che  alla  famiglia  Battaglini  —  dalla 
quale  gli  acquistò  il  Governo  —  erano  pervenuti  per  eredità  del  Soardi  e  che  prima 
di  essere  trasportati  in  città,  circa  un  trent'anni  fa,  essi  si  trovavano  in  un  podere 
che  il  Soardi   aveva   nella  Villa  di  S.  Lorenzo  a  Monte  presso  Binimi. 

E  poiché  il  prof.  Luigi  Tonini,  padre  del  prof.  Carlo  ora  mentovato,  nella  sua 
Storia  di  Rimini  (voi.  II,  pp.  256-7),  parlando  della  chiesa  di  s.  Lorenzo  a  monte 
aveva  dichiarato,  in  seguito  ad  osservazioni  fatte  sopra  luogo,  che  su  quel  poggio 
doveva  sorgere  in  età  romana  un  nobile  edilizio  e  non  di  piccola  mole  ed  anzi 
veramente  un  tempio,  si  presentava  spontanea  l' ipotesi  di  dover  attribuire  a  quel- 
l'edilizio romano  i  capitelli  del  Soardi. 

B,  infatti,  così  il  prof.  Carlo  Tonini  come  l' ing.  Germano,  direttore  dell'Ufficio 
regionale  di  conservazione  dei  monumenti  dell'Emilia,  non  esitarono  ad  attribuire 
i  capitelli  del  Soardi  all'  edificio  romano  che  già  doveva  sorgere  sul  colle  di 
s,  Lorenzo, 


RIMINI  —    4    —  REGIONE    Vili. 

Avendo  poi  la  Direzione  generale  delle  Antichità  disposto  perchè  la  Soprainten- 
denza  dei  Musei  e  scavi  archeologici  in  Bologna  inviasse  siili 'argomento  una  Rela- 
zione per  le  Notizie  degli  scavi,  io,  incaricato  dal  Sopraintendente  prof.  Ghirardini, 
mi  recai  sul  sito  ad  esaminare  la  condizione  delle  cose. 

La  chiesa  di  s.  Lorenzo  trovasi  costruita  sopra  un  bel  poggio  che  domina  lar- 
gamente all'  intorno,  specialmente  verso  nord  ed  ovest. 

Sparse  intorno  alla  chiesa  trovansi  numerose  vestigia  dell'età  pagana.  Infatti 
potei  contare  quattro  tamburi  di  colonne  scanalate  (diam.  cm.  78)  intorno  alla  chiesa, 
ed  altri  quattro  ne  vidi  nel  cortile  dell'annessa  canonica.  Oltracciò,  in  questo  cortile 
osservai  un  pezzo  assai  guasto  di  cornicione  di  marmo  (lungo  cm.  60,  profondo  cm.  68 
ed  alto  cm.  35)  con  doccia  longitudinale  nella  parete  superiore  ed  esibente  sulla 
faccia  anteriore  una  delle  solite  maschere  leonine  ad  uso  di  gronda. 

Una  maggiore  importanza  ha  poi  la  sostruzione  in  calcestruzzo  da  me  scoperta 
in  una  discesa  sotterranea  che  conduce  alla  cantina;  infatti  nel  punto  ove  questo 
corridoio  sotterraneo  maggiormente  si  avvicina  all'area  della  chiesa,  mi  si  presentò 
un  solido  calcestruzzo  romano  di  buona  composizione  che  posava  sul  terreno  vergine 
a  m.  1,10  sotto  il  piano  del  cortile  della  canonica  e  dal  cui  corpo  si  affacciava  alla 
vista  parte  di  un  tamburo  di  colonna  scanalata  (alto  cm.  89),  simile  a  quelli  indi- 
cati sopra. 

Questo  calcestruzzo  è  la  vera  documentazione  dell'antica  esistenza  di  un  edilìzio 
romano  sopra  quel  colle.  E  a  ravvalorarne  l'importanza  contribuiscono  i  tamburi  di 
colonna  e  il  frammento  di  cornicione  da  me  sopra  indicati,  nonché  la  grande  quan- 
tità di  mattoni  romani  usati  nella  costruzione  della  chiesa,  i  quali  con  ogni  ve- 
rosimiglianza dovevano  provenire  dalle  rovine  dell'edilìzio  romano  già  sorto  sul 
posto. 

Un  sommario  esame  faceva  riconoscere  facilmente  che  per  la  massima  parte 
i  muri  della  chiesa  erano  di  materiale  laterizio  romano,  però  di  costruzione 
piuttosto  recente;  ma  notavansi  altresì  alcuni  muri  che  rivelano  una  più  antica 
costruzione. 

E  questi  sono  :  un  muro  con  impostazione  di  volta  presso  l' ingresso  del  cortile 
della  canonica;  un  muro  di  parallelepipedi  d'arenaria  sulla  facciata  della  chiesa  e 
un  tratto  della  parete  di  ponente  della  chiesa  stessa. 

Reputando,  peraltro,  che  per  giudicare  di  alcuni  elementi  tecnici  relativi  alle 
costruzioni  che  si  avvicendarono  su  quel  colle  convenisse  il  concorso  di  un  tecnico 
dell'Ufficio  dei  monumenti,  credetti  opportuno  rivolgermi  all'ing.  Germano,  direttore 
dell'Ufficio  regionale  di  conservazione  dei  monumenti  dell'Emilia,  per  fare  con  lui  un 
sopraluogo  a  S.  Lorenzo  in  Monte. 

* 

Già  prima,  separatamente,  l'ing.  Germano  ed  io,  avendo  visto  così  i  capitelli 
in  Rimini  come  i  tamburi  di  colonne  e  il  frammento  di  cornicione  a  s.  Lorenzo, 
avevamo  concluso  che  quelli  e  questi  dovessero  appartenere  ad  un  medesimo  monu- 
mento; riguardo  poi  all'età  di  detto    monumento,  io,  considerando  lo  sviluppo  e  la 


REGIONE    Vili.  —    O    —  RIM1NI 

trattazione  della  decorazione  dei  capitelli,  giudicai  che  esso  dovesse  riferirsi  al  II  se- 
colo dopo  Cristo  (l). 

Questo  ha  ora  da  mettersi  in  relazione  col  calcestruzzo  di  fondazione  da  me 
mentovato  sopra,  dal  cui  corpo,  come  dissi,  si  affacciava  alla  vista  parte  di  un  tam- 
buro di  colonna  scanalata  simile  a  quelli  sparsi  intorno  alla  chiesa. 

10  argomentavo  che  quel  tamburo  fosse  testimone  della  rovina  dell'edilìzio  romano, 
e  che  quindi  per  il  tempo  di  detta  rovina  potesse  darci  un  terminus  ante  quem 
l'esame  della  natura  del  calcestruzzo  ;  l' ing.  Germano  invece,  avendo  osservato  che  il 
detto  calcestruzzo  a  ciottoli  grossi  e  interi  in  abbondante  e  buon  letto  di  calce, 
ha  i  caratteri  di  una  fondazione  di  muro  della  buona  età  romana,  espresse  la  con- 
vinzione che  il  tamburo  di  colonna  immessovi  non  sia  proveniente  dalla  rovina  di  un 
edilìzio  romano,  ma  bensì  sia  stato  usato  qual  materiale  di  costruzione  nelle  fonda- 
zioni dell'edilìzio  come  pezzo  mal  riuscito  e  di  scarto,  e  che  quindi  il  tamburo,  le 
colonne,  i  capitelli  siano  non  anteriori  ma  contemporanei  a  quelle  fondazioni. 

Quanto  poi  alla  natura  del  fabbricato,  la  grandiosità  delle  proporzioni  di  tale 
edilìzio  —  le  cui  colonne,  a  giudicare  dall'ampiezza  della  ciiconferenza  (m.  2,07)  alla 
base  dei  capitelli  del  Museo  di  Rimini,  dovevano  avere  un'altezza,  compreso  il 
capitello,  di  sei  metri,  se  non  anche  una  maggiore  —  e  la  posizione  dominante 
del  colle  ci  persuasero  a  consentire  nell'opinione  già  espressa  dal  prof.  L.  Tonini 
nella  sua  Storia  di  Rimini  (loc.  cit.)  che  il  fabbricato  in  questione  fosse  un  tempio. 

Ricorderò  infine,  riattaccandomi  a  quanto  dissi  sopra  relativamente  a  muri  di 
antica  costruzione,  che  il  prof.  L.  Tonini  nel  luogo  già  citato  della  sua  Storia  di 
Rimini,  parlando  del  tempio  antico  che  doveva  sorgere  sul  colle  di  S.  Lorenzo,  riferì 
di  aver  veduto  «  più  muri  della  chiesa  che  si  palesano  di  costruzione  antica  « . 

In  relazione  a  tale  espressione  del  Tonini  io  pregai  il  competentissimo  ing.  Ger- 
mano di  prender  meco  in  esame  quei  muri  che  si  palesavano  di  più  antica  costru- 
zione. I  risultati  che  seguono  sono  da  riferirsi  per  la  maggior  parte  al  giudizio  del- 
l'ing.  Germano,  che  qui  pubblicamente  ringrazio  per  la  sua  valida  cooperazione 
nell'esame  tecnico  delle  costruzioni  in  parola. 

I  resti  di  antichi  muri  che  prendemmo  in  osservazione  sono  tre:  un  tratto  di  muro 
addossato  alla  chiesa,  vicino  all'  ingresso  del  cortile  della  canonica,  la  parte 
inferiore  di  un  tratto  del  muro  di  ponente  della  chiesa  e  la  parte  inferiore  della 
facciata. 

11  primo  è  un  ridosso  sul  quale  resta  impostato  un  tratto  di  volta,  ed  è  note- 
vole perchè,  mentre  nella  parte  bassa  è  costituito  di  mattoni  frammentari  romani 
della  buona  epoca,  nella  volta  mostra  mattoni  che  hanno  lo  spessore  (cm.  4-5j  dei 
tempi  della  decadenza.  In  relazione  a  ciò  notasi  che  il  materiale  laterizio,  così  nel 
tratto  verticale  come  nella  volta,  è  legato  insieme  da  quell'impasto  di  calce  con 
sabbia  e  lapillo,  di  uno  spessore  dai  2  ai  4  cm.  che  ben  si  confà  per  il  tempo  (dal 
VI  secolo  fino  verso  il  1200)  con  la  qualità  dei  mattoni  usati  nella  volta. 

(')  Molto  simile  a  quelli  di  Rimini  è  un  capitello  del  Museo  di  Udine,  proveniente  da  Aqui- 
leia,  che  dal  Durm  viene  similmente  attribuito  al  II  sec.  d.  Or.  (vedilo  riprodotto  in  Durm,  ffand- 
buch  der  Architektur,  nel  II  voi.,  2a  ediz.,  della  II  parte  a  pag.  429). 


CHIOSI  —    6    —  REGIONE    Vili. 

Il  muro  di  ponente  è  costrutto  quasi  interamente  di  materiale  laterizio  e  nella 
sua  parte  più  vicina  all'attuale  facciata,  sopra  una  lunghezza  di  circa  m.  10,  mostra 
traccia  di  tre  aperture  o  porte,  le  quali  rivelerebbero  che,  anteriormente  alla  chiesa 
attuale,  la  quale  ha  la  facciata  verso  mezzogiorno  in  quella  stessa  area  esisteva 
una  chiosa  che,  secondo   il   rito  primitivo,   doveva  avere  la  facciata  verso  ponente. 

Il  muro  dell'attuale  facciata  nella  sua  parte  inferiore  è  costituito  con  grossi 
parallelepipedi  di  arenaria,  i  quali  per  le  loro  dimensioni  (alcuni  fino  a  m.  0,20  X  1,50) 
dinotano  di  non  essere  stati  fatti  apposta  per  la  chiesa,  ma  di  provenire  dalla  demo- 
lizione di  un  ricco  edilizio. 

In  qualche  punto  la  detta  costruzione  mostra  un  massimo  di  cinque  corsi  di  blocchi. 

Resta  infine  da  ricordare  che  sopra  il  lato  di  ponente  della  chiesa,  per  un  tratto 
di  circa  m.  12,  il  muro  alla  sua  base  presenta  varii  blocchi  di  areneria  sporgenti 
fino  a  cm.  40  dal  vivo  del  muro;  i  quali,  molto  probabilmente,  sono  i  resti  di  un 
muro  preesistente. 

Ora,  per  conoscere  meglio  le  condizioni  dell'area  ed  eventualmente  determinare 
la  pianta  dell'edilizio  romano  che  sorgeva  sul  colle  di  S.  Lorenzo  a  Monte,  occorre- 
rebbe fare  saggi  di  scavo  lungo  i  muri  della  chiesa;  ma  per  l'esame  istituito  così 
sugli  avanzi  sparsi  come  sui  resti  in  situ,  principalissimo  fra  i  quali  il  calcestruzzo 
di  fondazione  del  sotterraneo,  resta  ormai  fuor  di  dubbio  che  su  quel  colle  all'età 
romana  nel  II  secolo  dopo  Cristo  doveva  sorgere  un  edificio,  al  quale,  come  dissi, 
per  la  sua  grandiosità  e  per  la  posizione  dominante  del  colle,  nessuna  più  conve- 
niente destinazione  si  potrebbe  riconoscere  che  quella  di  un  tempio. 

A.  Negriom. 


Regione  VII  (ET  RUM  A). 
II.  CHIUSI  —  Nuooe  tombe  dell'agro  chiusino. 

a)    Tombe  dipinte  accanto  a  quella  della  Scimia 
sull'alto  di  Poggio  Renzo. 

Nel  giugno  del  1910  fu  ordinata  dal  Sopraintendente  prof.  Milani  una  ispezione 
generale  a  tutte  le  tombe  etnische  a  camera,  dipinte  nell'agro  chiusino,  allo  scopo 
di  constatare  quante  ancora  ne  rimanessero  in  buono  stato  fra  quelle  menzionate  dal 
Dennis  ('),  e  degne  di  essere  riprodotte  in  fac-simile  per  la  costituenda  Galleria  della 

(')  CU.  and  Cernei,  of  Etruria,  II,  pp.  320  sgg. 

Oltre  alle  tombo  dipinte  in  gran  parte  interrate,  tranne  quelle  ben  note  della  Scimia  e  del 
Colle  Casnccini.  che  il  Dennis  ricorda,  bisogaa  tenere  presente  che  anche  altri  ipogei  dell'agro 
chiusino  ebbero  del  pari  decorazioni  pittoriche,  come  si  potè  constatare  durante  l'ultima  ispezione 
del  1910.  Credo  perciò  opportune  di  elencarli  qui  sotto: 

a)  il  grande  e  complicato  ipogeo  di  Poggio  Gaiella  di  proprietà  della  signora    Bianca  Ca- 
snccini ; 


REGIONE   VII. 


—  7  — 


CHIUSI 


pittura  etnisca  nel  Museo  archeologico  di  Firenze.  A  tale  lavoro  preparatorio  seguì  nel 
gennaio  19.11  una  nuova  missione  con  un  programma  più  concreto,  quello  cioè  di 
compiere  intanto  le  riproduzioni  della  celebre  tomba  della  Scimia,  scoperta  nel  1846 
da  Alessandro  Francois  ('),  e  di  qualche  altra  meno  nota. 


Sullo  stesso  Poggio  Renzo,  accanto  alla  tomba  della  Scimia,  ne  fu  aperta  un'altra 
di  più  vaste  proporzioni,  che  occupa  il  cocuzzolo  del  detto  poggio  formato  in  parte 
artificialmente,  e  coronato  forse  in  origine  da 
un  tempietto  o  edicola  sacra,  come  farebbero 
supporre  le  tracce  di  muramenti  a  grandi 
bozze  ivi  riscontrate.  Questa  tomba,  ricordata 
già  dal  Dennis  (*)  ed  aperta  a  più  riprese 
anche  recentemente,  come  assicurano  i  più  noti 
scavini  di  Chiusi,  apparve  interamente  deva- 
stata, e  scavata  in  un  banco  tufaceo  sottostante 
ad  un'estesa  necropoli  arcaica  della  prima  età 
del  ferro,  con  pozzetti  allineati  contenenti  cin- 
erari villanoviani  e  con  tombe  a  ziro  (3).  Poiché 
il  compito  affidatoci  doveva  limitarsi  allo  studio 
e  alla  riproduzione  delle  pitture  parietali,  non 
furono  molto  estese  le  ricerche  nella  terra  che 
ingombrava  la  tomba,  la  quale  per  essere  tutta 
vuotata  avrebbe  richiesto  un  lavoro  lunghis- 
simo e  costo  sissimo,  con  la  quasi  sicurezza 
di  non  rinvenirvi  in  fondo  oggetti  tali  da  giu- 
stificare l' impresa. 

La  tomba  (fig.  1)  è  preceduta  da  un  lungo  dromos  con  tre  nicchiotti  sepolcrali 
lungo  il  suo  corso,  anch'essi  naturalmente  frugati,  e  consta  di  quattro  vani:  un 
grande  vestibolo  centrale  A  di  forma   rettangolare  (m.  4,35  X  3,20).  e  tre   camere 


Fig.  1. 


b)  il  deposito  di  S.  Margherita,  in  vicinanza  della  stazione  di  Chiusi,  di  proprietà  dell'av- 
vocato Claudio  Paolozzi.  Esso  conserva  ancora  tracce  di  pittura  in  rosso  e  nero  in  due  bellissimi 
soffitti  inspirati  alla  tecnica  lignea,  delle  quattro  celle  che  lo  compongono  ; 

e)  probabilmente  anche  la  tomba  esistente  poco  lontano  dalla  casa  colonica  del  podere  Tas- 
sinaia,  formata  da  una  vasta  cella  sepolcrale  scavata  nel  tufo,  con  colonna  riportata  nel  centro  di 
calcare  conchiglifero. 

(')  Cfr.  articolo  illustrativo  di  E.  Braun  in  Ann.  Inst.,  1850,  pp.  251-280;  Mon.  Inst.,  V, 
tavv.  XIV-XVI.  Le  riproduzioni  a  colori  delle  pitture  di  questa  tomba  furono  eseguite  con  grande 
abilità  dal  disegnatore  Guido  Gatti,  e  si  possono  già  ammirare  nel  Museo  di  Firenze. 

(•)  Git.  and  Cemet.  of  Etruria,  II,  pp.  385-6. 

(*)  Questa  necropoli  fu  quasi  interamente  esplorata  dal  can.  Brogi  negli  anni  dal  1873  al  1875 
(cfr.  Bull.  Intt.,  1875,  pag.  216);  ma  due  altri  interessantissimi  ziri  intatti,  ancora  inediti  nel 
Museo  di  Firenze,  furono  scoperti  durante  la  nostra  spedizione,  alla  quale  era  aggregato  anche  il 
dott.  R.  Schiff  per  le  ricerche  in  detta  necropoli. 


CHIOSI 


—  8  — 


REGIONE    VII. 


laterali  B-C-D  anch'esse  rettangolari  (m.  3,10X2;  4,45X3,50;  3X2,30)  e  un 
vano  a  sinistra  sulla  parete  di  fondo  dell'ultima  camera  D,  risultante  di  uno  stretto 
passaggio  irregolare  scavato  nel  tufo  (largo  circa  m.  0,70)  e  di  una  specie  di  pozzo 
cilindrico  (diam.  circa  m.  1,60)  vuotato  ora  per  circa  6  o  7  metri,  come  mostra 
l'unita  piantina. 

Non  si  conosce  la  vera  destinazione  originaria  di  tale  pozzo,  né  fu  possibile 
esplorarlo  completamente  per  non  esporre  gli  operai  di  venire  schiacciati  dalle  frane 
che  con  facilità  si  distaccano  dalla  volta  friabile;  ma  poiché  esso  attraversa  anche 
buona  barte  del  tumulo  costituito  dal  cocuzzolo  di  Poggio  Renzo,  verso    il   centro, 

ritengo  che  fu  fatto  per  calcolare  antecedente- 
mente lo  spessore  del  tufo  in  cui  doveva  essere 
scavata  la  tomba.  Lo  stretto  ed  irregolare  cunicolo 
che  lo  mette  in  comunicazione  con  la  camera 
posteriore  D,  e  quindi  per  mezzo  del  vestibolo  A 
con  l'ingresso  della  tomba,  forse  fu  scavato  e 
certamente  allargato  dagli  avidi  ricercatori  di 
ricchezze. 

Per  la  posizione  della  tomba  e  dei  due  ziri 
ricordati  in  nota,  nell'area  circolare  del  tumulo, 
vedasi  la  fìg.  2. 


* 


Furono  eseguiti  saggi  nei  grandi  ammassi  di 
:  terriccio   e   rottami   che  ingombrano   le  camere, 

•-'  '-'  -  •*  raggiungendo  in  due  di  esse  (C-B)  il  pavimento 
originario,  e  raccogliendo  numerosi  frammenti  di 
vasi  di  diverse  epoche,  da  quelli  a  f.  n.  e  a  f.  r. 
con  graffiti  del  V-IV  sec.  av.  Cr.,  ai  buccheri  tardi  e  alle  ceramiche  campane  e  romane, 
per  lo  più  vasetti  e  balsamarì  tipici  degli  ultimi  tempi  repubblicani,  nonché  un  fram- 
mentino di  manico  di  specchio  in  osso  tornito  e  alcuni  pezzi  di  alabastro,  di  calcare  fetido 
e  di  pietra  serena  spettanti  ad  urne.  Furono  inoltre  riscontrati  in  esse  grossi  fram- 
menti e  qualche  coperchio  di  grandi  arche  di  arenaria  gialla  e  di  pietra  serena, 
lavorate  però  sommariamente,  e  forse  in  origine  allineate  lungo  le  pareti.  Da  tali 
elementi  potuti  raccogliere  si  rileva  che  questa  servì  per  un  lungo  periodo  di  tempo 
ad  accogliere  i  resti  dei  defunti,  sia  inumati  come  fanno  fede  alcuni  frammenti  di 
ossa  umane  raccolti  anche  fra  la  terra  e  le  grandi  casse  di  pietra,  sia  cremati  come 
chiaramente  ci  mostrano  gli  avanzi  delle  urne.  Ma  se  essa  rimane  aporta  per  lungo 
tempo,  forse  fino  al  1I-I  sec.  av.  Cr.,  non  può  dimostrarsi  che  la  sua  origine  sia  più 
recente  di  quella  della  Scimia,  sia  in  base  ai  frammenti  ceramici  più  antichi  raccol- 
tivi, ma  soprattutto  per  l'esame  obiettivo  delle  decorazioni  pittoriche  superstiti. 

I  colori  impiegati  direttamente  sulla  parete  tufacea  furono  quattro:  il  rosso,  il 
nero,  il  giallo  e  il  bleu  ;  e  le  decorazioni  pittoriche  figurate  occupavano  la  zona  più 
alta  delle  pareti,  larga  m.  0,60,  come  in  quella  della  Scimia. 

Esse  non  erauo  copiose    quando,  dopo  un  lungo  lavoro,  si  potè  penetrare    nella 


RES10NK    VII. 


—  9  — 


CHIUSI 


tomba,  per  lo  stato  davvero  miserevole  in  cui  questa  fu  ridotta,  coi  soffitti  caduti, 
tranne  che  nella  camera  a  d.  della  sala  centrale,  con  gli  stipiti  delle  porte  corrosi, 
smussati  e  deformati,  con  le  pareti  sfaldate  in  diversi  punti  ;  tuttavia  da  ciò  che  il 
disegnatore  potè  rilevare,  specialmente  nella  detta  sala  centrale  e  nella  camera  a  d.  B, 
si  può  dedurre  con  abbastanza  sicurezza  che  le  sue  pitture  murali,  come  quelle  della 
Scimia,  furono  prodotte  in  uno  stesso  ambiente  e  periodo  artistico,  precisamente  nel 
secondo  stadio  della  pittura  etnisca,  detto  dello  stile  severo  (sec.  V  av.  Cr.)f). 

Gli  avanzi  più  notevoli  che  si  poterono  riprodurre,  e  che  qui  pubblico    per  la 
prima  volta,  sono  i  seguenti: 

a)  Frontone  nella  sala  centrale  A  sulla  porta  di  comunicazione  con  la  minore 
sala  B,  fig.  3,  indicato  in  pianta  col  n.  1. 


Fio.  3. 


L'architrave  sporgente  ai  due  lati  della  porta  era  segnato  tutt'  intorno  da  una 
larga  riga  rossa  fra  due  sottili  nerastre.  Il  centro  del  frontone  sovrastante  ad  esso 
risulta  di  una  larga  zona  rossa  orlata  di  nero  e  sovrapposta  ad  una  più  sotlile  scura, 
di  una  seconda  zona  rossa  pure  orlata  di  nero,  parallela  alla  prima,  e  di  due  linee 
a  voluto  laterali  scure,  che  uniscono  le  rosse  e  servono  a  distaccare  e  portare  in 
avanti  dal  piano  aetomorfo  del  frontone  tale  ornato,  che  in  relazione  ad  esso  acquista 
l'apparenza  di  una  base  architettonica  da  cui  nasce  un  largo  pilastro  che  dà  luogo 
alla  decorazione  del  soffitto,  ora  quasi  del  tutto  perduta. 

Il  piano  triangolare  del  frontone,  arretrato  così  al  secondo  piano,  è  costituito 
da  una  linea  scura  alla  base  e  da  due  linee  rosse  per  lati  ;  gli  spazi  angolari  sono 
occupati  da  due  fulve  pantere  o  leonesse  in  corsa  l'ima  contro  l'altra. 

Le  pareti  laterali  della  porta  erano  certo  dipinte  con  scene  figurate;  ma  di  esse 
non  rimangono  che  due  teste  giovanili  sul  lato  destro.  Sotto  la  fiera  di  sin.  è  super- 
stite solo  una  lancia  di  color  bleu  (di  ferro?)  con  la  punta  rivolta  in  alto  (cfr.  fig.  3). 
b)  Parete  di  fondo  a  destra  nella  sala  centrale  A  segnata  2  sulla  pianta 
(fig-  4). 

Vi  si  svolgeva  una  scena  di  banchetto  in  correlazione  con  le  due  figure  di  cui 
sono  rimaste  tracce  sulla  parete  destra  (cfr.  fig.  3). 


(')  Cfr.  Martha.  L'Art  Étrusque,  pag.  485. 
Notizik  Scavi  1915  —  Voi.  XIL 


CHIUSI 


—  10  — 


REGIONE    VII. 


Bimane  parte  di  una  kline  con  sopra  un  giovine  recumbente  e  rivolto  a  sin., 
con  mantello  orlato  di  due  balze,  nera  e  bleu,  che  gli  copre  l'addome  e  parte  del 
petto,  con  lituo  giallo  (eneo)  nella  sin.,  e  con  la  destra  rivolta  verso  un  suo  com- 
pagno sdraiato  sulla  stessa  kline  e  rivolto  verso  di  lui,  del  quale  per  altro  non 
rimane  che  la  parte  alta  della  testa  e  del  lituo. 

Una  terza  figura  giovanile  nuda  è  in  piedi  a  destra  della  kline,  in  atteggia- 
mento di  coprirsi  con  un  mantello  scuro  orlato  di  bleu. 


Fig.  4. 


Dinanzi  a  lui  si  vede  una  piccola  trapesa  dai  piedi  torniti  (cfr.  fig.  4).  Tali 
elementi  però  sono  troppo  scarsi  per  tentare  una  ricostruzione  ideale  di  tutta  la 
rappresentazione  che  vi  si  svolgeva. 

Le  figure  sono  tutte  di  profilo  ;  quella  in  piedi  ha  il  busto  di  prospetto,  le  gambe 
di  tre  quarti  a  destra  e  il  viso  di  profilo  a  sinistra;  torsione  questa  tipica  dell'arte 
ancora  arcaica.  Oltre  a  ciò  i  capelli  di  tutte  sono  espressi  a  massa  omogenea  ondu- 
lata solamente  nel  contorno,  e  gli  occhi  sono  di  prospetto. 


Notevole  tuttavia  in  questa  grande  tomba  di  Poggio  Renzo  specialmente  la  cor- 
rettezza del  disegno  nell'esecuzione  delle  figure,  ed  anche  nel  motivo  arcaico  delle 
due  fiere  affrontate. 

e)  Sezione  del  grazioso  ed  originale  ornato  sulla  parete  sinistra  della  sala  B, 
nel  punto  indicato  sulla  piantina  col  3  (fig.  5). 

Il  tratteggio  chiaro  della  figura  indica  il  rosso,  e  il  reticolato  scuro  il  color  nero. 


REGIONE    VII. 


—    11    — 


CHIUSI 


d)  Soffitto  della  sala  minore  B  del  tipo  dell' atrium  tuscanicum  ;  costituito 
da  tre  riquadri  successivi  degradanti  con  cornici  bicrome,  rosse  e  nere,  sul  fondo 
gialliccio  del  tufo,  indicato  nel  disegno  con  le  zone  a  puntini  (fig.  6). 

Tale  soffitto,  come  si  vede    dallo    spaccato  sulla  linea  A-B  della  fig.  6,  rivela 
nella  struttura  dei  successivi  riquadri  sempre  più  piccoli  intersecati  da  lunghe  tra- 


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Fig.  5. 


verse  orizzontali  e  parallele,  fino  all'ultimo  nel  centro  che  tiene  luogo  dell'apertura 
del  compluvium,  una  tecnica  largamente  esercitata  e  progredita  su  materiali  lignei, 
di  cui  il  medesimo  trattamento,  forse  con  gli  stessi  istrumenti.  fu  fatto  anche  sulla 
roccia  tenera  di  origine  alluvionale. 

Dopo  aver  provveduto  a  richiudere  ermeticamente  questa  tomba  di  Poggio  Renzo, 
affinchè  le  ulteriori  possibili  incursioni  non  finissero  di  cancellare  del  tutto  ogni 
traccia  del  suo  primitivo  splendore,  dovendo  rivolgere  l'attenzione  ad  altra  località, 
fu  prescelta  la  tomba  di  Tassinaia  al  confine  fra  le  proprietà  già  Ragnini,  ora  Man- 
nucci,  e  Casuccini,  la  quale  per  essere  stata  aperta  ed  esplorata  fin  dal  1866  (')  e 


O  Bull.  Jnst,  1866,  pp.  193-9. 


CHIOSI 


—  12  — 


REGIONE    VII. 


poscia  richiusa,  essendo  sorta  una  controversia  per  l'accesso  fra  i  due  proprietari,  si 
sapeva  che  le  sue  pareti  oltre  ad  essere  insignite  di  iscrizioni  etnische  ('),  erano 
anche  adorne  di  pitture,  descritte  però  in  modo  troppo  sommario  e  suggestivo  per 
una  nuova  e  più  completa  ricognizione  (2). 


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Fin.  6. 


Per  giungere  fino  alla  camera  sepolcrale  il  lavoro  fu  lungo  e  difficile,  perchè  il 
dromos,  molto  scosceso,  era  totalmente  ostruito  di  terra. 

Superata  tuttavia  questa  difficoltà  resa  più  aspra  dalla  neve  e  dall'inclemenza 
del  verno,  si  potè  giungere   carponi  per  il  ristretto  dromos  (3),  fino  all'unica   cella 


(')  G.  1.  E.,  nn.  1299-1304. 

(*)  Sia  la  relazione  del  comproprietario  del  terreno,  can.  D.  Ragnini,  comunicata  al  Oonesta- 
bile  {Bull.  Inst-,  loc.  cit),  e  sia  l'altra  contemporanea  che  il  can.  Brogi  rimise  con  la  copia  delle 
iscrizioni  scoperte  al  Fabretti  (C.  I.  L,  I,  n.  796  ter,  a-f)  non  spendono  molte  parole  intorno  ai 
particolari  della  decorazione  pittorica,  e  quel  che  dicono  non  è  sufficientemente  esatto. 

(•)  M.  0,60  largo. 


REGIONB    VII. 


—    13   — 


CHIUSI 


funeraria  assai  piccola  ('),  ma  libera  totalmente  dalla  terra.  Essa  apparve  scavata, 
al  pari  di  tutte  le  altre  tombe  simili  di  quella  regione,  nel  tufo  giallastro  ed  assai 
friabile,  con  la  volta  a  botte  e  una  stretta  e  bassa  banchina  lungo  tre  pareti  ('), 
eccettuata  quella  dell'ingresso  (tìg.  7).  La  porta  arcuata  era  in  origine  chiusa  da 
tre  embrici,  due  dei  quali  inscritti  (3),  e  il  dromos,  ora  interrotto  in  parte  da  un 
viottolo  campestre,  fu  rivolto  a  occidente. 

Le  decorazioni  pittoriche  delle  quattro  pareti  interne  non  avevano  certo  subito 
gran  danno  dal  lungo  periodo  di  chiusura  della  tomba  :  qualche  sgraffio  e  cancella- 


rlo. 7. 


tura  deve  attribuirsi  a  coloro  che  la  esplorarono  e  che  urtarono  contro  le  pareti  a 
causa  della  ristrettezza  del  vano.  Anche  le  iscrizioni  dipinte  in  nero  sulle  due  pareti 
laterali  si  erano  conservate  come  furono  vedute  la  prima  volta  dal  Brogi  e  dal  Ra- 
gnini  nel  1866:  quella  di  sinistra  leggibile  per  intero  (4),  mentre  della  contrapposta 
sulla  parete  destra  non  rimangono  che  poche  lettere  (5). 

La  tecnica  delle  decorazioni  pittoriche  è  identica  a  quella  seguita  nelle  più 
antiche  tombe  etnische  della  regione  chiusina;  l'applicazione  cioè  pura  e  semplice 
del  colore  sulla  parete  tufacea,  senza  alcuna  preparazione  per  rendere  la  pittura  più 

(')  Circa  4  mq. 

(•)  Alt.  m.  0,35;  larg.  0,53  e  0.50. 
(s)  C.  I.  E,  nn.  1299  e  1302. 

(*)  C.  I.  E.,  n.  1304:  tinta  tiuswetmal  |  clan  S-anas  \  tlesnal  \  avi:l:s  XIII. 

(*)  C.  I.  E,  n.  1301.  Questa  iscrizione  tende  sempre  più  a  deperire,  e  non  rimangono  ormai 
che    tre  o  quattro  lettere  sicuramente  leggibili, 


CHIOSI 


—  14  — 


REGIONE    VII. 


resistente  e  più  durevole.  I  colori  impiegati  in  tali  decorazioni  sono  solamente  due, 
il  nero  ed  il  rosso. 


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Fio.  8. 


Sulle  due  pareti  laterali  insignite  di  iscrizioni  fìancheggianti  due  piccole  figure 
di  profilo  di  tipo  romano,  maschile  a  sin.  avvolta  in  un  ampio  mantello  e  con  patera 


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sacrificale  in  'mano,  e  muliebre  a  d.,  corre  superiormente  un  fregio  di  rozzi  festoni 
legati  da  tenie  svolazzanti  e  sospesi  idealmente  a  dei  grossi  chiodi  di  ferro  del  pari 


REGIONE    VII. 


—  15  — 


CHIOSI 


dipinti  (cfr.  figg.  8-9).  Schema  di  decorazione  questo  che  tradisce  subito  la  sua 
natura  vegetale  posticcia.  Sulla  paret6  destra  si  vede  anche  un  peculiarissimo  corvo 
che  col  becco  cerca  di  sciogliere  da  uno  dei  chiodi  il  nastro  a  cui  sono  assicurati  i 
festoni.  Su  tutte  e  due  le  pareti,  inoltre,  pende  in  corrispondenza  di  ciascun  festone 
una  lunula  sovrapposta  a  un  piccolo  disco  (solare?),  soppesa  ad  altro  chiodo  mediante 
un  gancio  metallico.  Sul  carattere  cultuale  di  tali  pendagli  forse  di  origine  lignea 
non  può  cader  dubbio. 


'Fin.  10 


La  decorazione  poi  della  parete  dell'  ingresso  e  di  quella  di  fondo  consiste  in 
uno  scudo  rotondo  di  tipo  metallico  orlato,  con  ombreggiatura  lenticolare  ad  espri- 
mere la  convessità,  da  cui  distaccano  due  festoni  simili  ai  precedenti,  sostenuti  da 
altri  chiodi  e  legati  anch'essi  da  nastri  svolazzanti.  Nello  spazio  sovrastante  all'in- 
gresso arcuato,  inoltre  si  vede  a  sin.  dello  scudo  un  rudimentale  schema  di  qnadru- 
pede(boveP),  e,  pare,  un  grosso  chiodo  rosso  (cfr.  fig.  10). 

I  riscontri  che  siffatti  tipi  decorativi  generici  hanno  largamente  nell'arte  romana, 
e  in  ispecial  modo  anche  in  monumenti  funerari  come  i  cippi  in  forma  di  are  ('),  e 


(')  L'opera  di  W.  Altmann.  Die  Róm.  Grabaltàre,  ne  raccoglie  una  quantità  di  esempi;  cfr. 
specialmente,  pag.  60,  fig.  52:  Tomba  delle  Ghirlande  a  Pompei,  e  p.  62  sg.,  fig.  54  sgg.  Cfr. 
anche  Not.  se,  1912,  fase.  3°,  pag.  110,  fig.  7:  festoni  pompeiani  dipinti  scoperti  di  recente. 


CHIUSI  —    16   —  REGIONE    VII. 

il  distacco  completo  che  esiste  tra  essi  e  le  pitture  etnische  di  carattere  e  destina- 
zione funebre,  pongono  questa  piccola  tomba  chiusina  in  un  posto  a  sé.  che  può 
trovare  una  giustificazione  artistica  soltanto  in  un  ambiente  del  tutto  romanizzato. 
Farei  risalire  pertanto  questo  sepolcro  al  sec.  II  av.  Cr.,  più  verso  la  metà  che  al 
principio,  e  lo  riguarderei  come  l'ultima  espressione  deformata  e  come  imbarbarita 
delle  tombe  etnische  dipinte.  Tale  giudizio  è  avvalorato  anche  dal  fatto  che  in  essa, 
come  si  rileva  dalle  relazioni  del  Brogi  e  del  Bagnini  sopra  citate,  vi  fu  trovato 
anche  un  sarcofago  fìttile  che  occupava  tutta  la  banchina  di  fondo,  formato  di  quattro 
pezzi,  due  la  cassa  e  due  il  coperchio,  il  quale  trova  riscontro  nei  similari  sarcofagi 
propri  del  territorio  dell'antica  Tuscania  (ora  Toscauella)  che  si  collocano  appunto 
fra  il  III  ed  il  II  sec.  av.  Cr.  (')• 

Il  suo  interesse  principale  è  però  iconografico  più  che  per  le  rozze  decorazioni 
parietali,  in  quanto  che  le  due  figure  dipinte  a  riscontro  si  riferiscono  con  ogni  pro- 
babilità a  personaggi  ivi  seppelliti.  La  lunga  ed  intera  iscrizione  di  sinistra  che 
rivela  perfino  l'età  del  defonto  {avi:l:s  XIII  =mm  13),  accresce  specialmente 
tale  interesse  nei  riguardi  della  figura  giovanile   che    essa  fiancheggia  (cfr.  fig.  8). 

E.  Galli. 


b)    Altre  esplorazioni  sull'alto  di  Poggio  Renzo. 

Nei  mesi  di  gennaio  e  febbraio  del  1911  dalla  B.  Sopraintendenza  d'Etruria  si 
si  fecero  eseguire  degli  scavi  nella  ben  nota  località  di  Poggio  di  Benzo  presso 
Chiusi. 

Il  prof.  Milani  affidò  all'  ispettore  dott.  Galli  l'esplorazione  del  grande  tumulo 
che  costituisce  il  vertice  del  Poggio  stesso,  ed  a  me  la  ricerca  delle  tombe  primitive, 
che  da  lungo  tempo  si  sapeva  che  esistessero  in  quel  luogo  (*). 

Una  prima  sommaria  ispezione  del  colle  faceva  subito  vedere  quanto  esso  era 
stato  frugato  e  manomesso.  Alla  sua  base  una  vera  corona  di  buche  e  di  avvalla- 
menti era  quanto  rimaneva  delle  numerose  tombe  a  camera,  di  varie  età  che  vi  si 
trovano.  Sul  fianco  ovest  poi,  a  metà  del  colle,  restano  ben  visibili  due  file  paral- 
lele di  piccoli  poggi  che  corrono  da  sud  a  nord,  alla  distanza  l'uno  dall'altro,  di 
circa  tre  metri.  Sono  i  poggetti  che  nel  1875  vuotò  il  canonico  Brogi,  dandone 
notizie  nel  Bollettino  dell'Istituto  di  quell'anno. 

Vari  saggi  tentati  qua  e  là  intorno  al  tumulo  mi  dettero  risultato  negativo; 
ma  intaccando  la  base  del  tumulo  stesso  si  rinvennero  fra  la  terra  di  riporto  vari 
frammenti  di  ossuari  villanoviani,  alcuni  dei  quali   anche  graffiti.  Fra  la  terra   poi 

(')  Cfr.  per  il  tipo  di  detti  sarcofagi:  Milani,  Il  R.  Museo  Archeologico  di  Firenze,  1912,  I, 
p.  62  sgg.,  247  seg.  e  II,  tav.  XCIX-3. 

(")  Bull.  deWhtr  1875,  pag.  218.  Lettera  del  can.  Brogi. 


REGIONE    VII.  17    —  CHIUSI 

che  il  dott.  Galli  scavava  per  riaprire  il  drornos  del  tumulo,  tali  frammenti  erano 
frequenti,  anche  nelle  zone  più  profonde. 

Questo  faceva  pensare  che  le  antiche  tombe  che  si  trovavano  sul  Poggio  Renzo 
fossero  state  in  parte  manomesse  e  distrutte  dai  costruttori  del  tumulo,  che  avevano 
scortecciato  i  fianchi  del  colle,  per  accumularne  la  terra  sulla  cima.  Se  questa,  ipo- 
tesi corrispondeva  alla  realtà,  si  sarebbe  dovuta  incontrare  qualche  tomba  intatta 
sotto  il  tumulo,  la  cui  costruzione  risale  al  secolo  V. 

Partendo  perciò  dalle  tracce  lasciate  dai  pozzetti  vuotati  dal  Brogi,  fu  comin- 
ciata una  trincea  in  senso  radiale  al  tumulo,  seguendo  il  piano  antico,  asportando 
cioè  tutta  la  terra  di  riporto  che  costituiva  il  tumulo  stesso.  Facendo  questo  sterro, 
si  rinvennero  numerosi  frammenti  di  fittili  arcaici,  una  spiralina  di  bronzo,  come 
spesso  se  ne  trovano  nei  sepolcreti  di  tipo  villanoviano,  e  vari  frammenti  di  lastre 
di  pietra,  appartenenti  certamente  a  coperchi  di  ziri  devastati  durante  la  costruzione 
del  tumulo.  Dopo  due  giorni  di  ricerche  in  questo  senso,  venne  alla  luce,  nella  zona 
ovest  del  tumulo,  una  lastra  di  schisto  grigio,  di  poco  più  bassa  del  livello  antico 
del  terreno  e  sepolta  sotto  uno  spessore  di  m.  1,50  di  terra  del  tumulo.  Sembrava 
non  fosse  mai  stata  rimossa,  e  misurava  cm.  75  X  50.  Sollevatala,  apparve  la  bocca 
di  un  ziro,  assai  guasto  pur  troppo,  e  invaso  dalla  terra.  Alcuni  grossi  frammenti 
però  dello  ziro,  cadendo  in  antico  verso  l'interno,  si  erano  giustapposti,  facendo 
ponte,  ed  avevano  preservato  dalla  distruzione  la  suppellettile, che  era  così  costituita: 

a)  Un  ossuario  villanoviano  con  ciotola,  alto  cm.  40,  adagiato  sul  fondo  dello 
ziro,  colla  bocca   rivolta  a  nord,  e  contenente  le  ossa   del    defunto,  mal   combuste. 

L'ossuario  è  in  terra  bruna,  assai  ben  lustrata,  a  pareti  sottili,  e  fatto  a  mano, 
come  del  resto  tutti  i  fittili  di  questa  tomba. 

b)  Due  ciotole  di  bronzo,  del  diametro  di  cm.  12,  con  una  fila  di  perline 
sbalzate  presso  l'orlo.  Erano  deposte  presso  la  bocca  del  cinerario,  ed  una  conteneva 
numerosi  frutti  di  nocciuole  col  guscio  ben  conservato, 

e)  Un  vaso  fittile  sferoidale,  del  diametro  di  cm.  15,  con  bocca  cilindrica  e 
due  anse  di  finissima  pasta  bruna  lustra,  deposto  presso  il  cinerario. 

d)  Due  ciotole  semisferiche,  del  diametro  di  cm.  10,  in  terra  rossastra  con 
due  fori  presso  l'orlo,  e  tracce  di  rozza  pittura  rossa  geometrica. 

e)  Due  ciotolette  con  labbro,  ansate,  simili  nel  resto  alle  precedenti, 

/)  Due  belle  fibule  di  bronzo  a  navicella,  chiuse  una  nell'altra  e  così  riunite, 
con  graffiti  geometrici.  Erano  deposte  fra  il  cinerario  e  la  parete  dello  ziro. 

g)  Un'armilla  di  bronzo  con  graffiti,  del  diametro  di  cm.  7. 

h)  Sopra  il  cinerario  una  sbarretta  di  ferro  piegata,  insieme  a  frammenti  di 
legno,  sembrava  il  resto  di  una  situla  di  legno  con  manico  di  ferro. 

i)  Una  fuseruola  fittile  decorata  a  raggi. 

I)  Fra  le  ossa  combuste,  due  anellini  di  ferro  e  varie  perline  vitree. 
Lo  ziro  stesso  misurava  60  cm.  di  diametro  e  75  di  altezza;  era  provvisto  di 
due  grosse  anse,  una  delle  quali  però,  come    spesso  si  verifica,  era  stata    asportata 
nel  momento  della  deposizione  della  tomba. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  3 


CHIUSI 


—  18  — 


REGIONE    VII 


Continuando  in  varie  direzioni  le  ricerche,  si  rinvennero  alla  base  del  cono 
artificiale  varie  altre  tombe  manomesse  in  antico  e  continuarono  ad  apparire  fra  la 
terra  numerosi  frammenti  fittili  e  di  bronzi  appartenenti  a  queste  tombe  devastate. 

A  circa  tre  metri  dallo  ziro  poc'anzi  descritto,  verso  il  centro  del  tumulo,  in 
un  punto  in  cui  la  naturale  gibbosità  del  terreno  aveva  reso  inutile  l'accumulo  della 


Fta.  1. 


terra  all'epoca  della  costruzione  del  tumulo  stesso,  si  incontrò  una  zona  circolare 
del  diametro  di  m.  1,70,  in  cui  la  terra  appariva  smossa.  Seguendo  in  profondità 
questa  traccia,  fu  rimesso  a  giorno  un  pozzo  cilindrico,  ben  eseguito  della  profondità 
di  3  metri  :  a  questo  punto  apparve  una  grossa  lastra  di  pietra  arenaria  grigia,  roz- 
zamente squadrata  (m.  0,85  X  0,77  e  spessa  0,20). 

Sollevata  la  pietra,  apparve  la  bocca  di  un  grosso  ziro,  in  ottime  condizioni  di 
conservazione,  che  conteneva  le  seguenti  suppellettili: 

a)  Un  ossuario  a  canopo  in  terra  rossa,  alto  cm.  52,  sulla  sua  seggiola  della 
stessa  terra,  e  che  stava  rivolto  a  nord.  L'ossuario  presenta,  appiccicate  ai  suoi 
fianchi,  le  due  braccia  dalle  mani  che  convergono  sul  ventre  del  canopo,  nella  atti- 


RBGIONB    VII. 


—    U> 


CHIUSI 


tudine  ben  nota  nei  canopi  chiusini.  Il  coperchio  del  canopo,  mentre  conserva  la 
forma  sferoidale  dei  coperchi  aniconici,  porta  però  un  naso  assai  rozzo,  coi  fori  accen- 
nati delle  narici,  e  due  occhi  ottenuti  con  due  ditate  nella  pasta:  si  tratta  dunque 
di  un  canopo,  riferibile  al  secondo  gruppo  dei  canopi  chiusini,  secondo  la  classifica- 
zione istituita  dal  Milani,  nel  suo  studio  sui  canopi  chiusini  (Museo  Hai.  di  Ant. 
Class.,  1885,  voi.  I;  Monumenti  etruschi  iconici,  ecc.). 


Fio.  2. 


Ma  quello  che  rende  questo  monumento  di  speciale  interesse  è  la  sua  partico- 
lare decorazione  a  pittura. 

Tanto  il  canopo  che  la  seggiola  sono  dipinti  in  color  bianco  giallastro,  e  sopra 
questa  prima  pittura  fu  eseguita  una  decorazione  in  rosso  e  bruno  per  il  canopo  e 
la  seggiola  e  in  bianco  per  la  testa.  Sul  canopo  la  pittura  consiste  in  una  decora- 
zione a  nastri  rossi,  larghi  circa  un  centimetro,  disposti  come  segue: 

Due  nastri  simmetrici,  partendo  dal  petto  del  canopo,  passano  sulle  spalle,  girano 
dietro  alle  spalle,  e  si  ricongiungono  nello  spazio  che  intercede  fra  le  mani  (fig.  1). 

Su  questo  nastro  sono  sovradipinti,  alla  distanza  di  circa  un  centimetro  fra  di 
loro,  dei  piccoli  tondini  bruni,  che  ci  fanno  credere  che  siasi  voluta  rappresentare 
una  collana  od  un  altro  simile  ornamento. 


CHIOSI 


—  20  — 


REGIONE    VII. 


Una  simile   striscia  rossa,  uniforme  è  dipinta  lungo    lo  spigolo  formato    dalle 

braccia  sul  cinerario,  e  due  anelli  rossi,  forse  rappresentanti  due  armille,  si  vedon 
girare  le  braccia  all'altezza  del  bicipite. 

La  parte  posteriore  del  cinerario  è  decorata  da  cinque  strisce  rosse,  che  cor- 
rono secondo  1  asse  del  vaso,  e  che  sono  tagliate  secondo  il  piano  equatoriale  del 
campo:  forse  indicano  l'abbigliamento  del  defunto  (fig.  2). 


Fig.  S. 


La  testa,  assai  più  sciupata  del  cinerario,  che  non  è  neppure  esso  in  troppo 
buone  condizioni  di  conservazione,  presenta  una  riga  rossa  all'altezza  del  collo  segnato 
da  uno  strozzamento,  ed  una  decorazione  a  zig-zag  sul  collo  stesso.  Sul  cranio  sono 
chiaramente  indicati  i  capelli,  per  mezzo  di  linee  bianche  che,  irradiando  dalla  fionte 
piuttosto  spianata,  arrivano  alla  regione  occipitale.  L'occhio  è  indicato  da  una  infos- 
satura,  fatta  con  una  ditata  e  non  dipinta  a  quanto  pare.  Sulla  seggiola  la  pittura 
è  più  complicata  (fig.  3).  Sulla  spalliera  vediamo  traforati  tre  rosoni  e  quattro 
raggi,  quello  centrale  più  grande  dei  due  laterali.  Questi  rosoni  sono  dalla  pittura 
rossa  completati  in  modo  da  rappresentare  tre  ruote,  sull'orlo  del  sedile  corre  una 
decorazione  geometrica  a  zig-zag,  che  arriva,  come  si  vede  nella  figura,  a  toccare  le 
ruote.  Nei  due  spazi  poi  che  intercedono  fra  le  ruote,  si  vede  una  singolare  rappre- 
sentazione, per  la  quale  rimando  alla  fig.  3. 

Credo  che  si  tratti  di  due  protomi  di  cigno,  sommariamente  eseguite,  come 
credo  che  le  tre  ruote  abbiano  il  significato  di  tre  rappresentazioni  solari:  analoga- 


REGIONE   VII. 


—   21    — 


CHIUSI 


mente  a  quanto  di  solito  vediamo  rappresentato  nei  bronzi,  e  specialmente  sui  centuroni 
di  questa  età  (Déchélette,  Le  mythe  solaire).  La  faccia  posteriore  della  spalliera 
porta  una  decorazione  geometrica  e  sul  sedile  vediamo  un  foro  centrale,  intorno  al 
quale  è  dipinta  una  ruota  a  cinque  raggi.  Fra  le  ceneri  del  canopo  rinvenni  qualche 
perlina  vitrea,  ed  un  frammento  di  rame,  del  peso  di  gr.  11,5  di  forma  grossolana- 
mente quadrilatera.  È  un  frmmento  tolto  da  una  formella  fusa;  i  piani  laterali  di 
rottura  sono  ben  diversi  dalle  due  facce  maggiori,  fuse,  che  appartenevano  alla  for- 
mella. 

Convien  ricordare  che  già  a  Vetulonia  e  a  Tarquinia  si  riuvennero,  in  tombe  a 
pozzetti,  simili  frammenti  di  rame  e  di  bronzo,  che  vennero  dal  Milani  {Due  depo- 


Fig.  4. 


siti  del  bromo  ecc.  ;  Riv.  it.  numism.  1908  e  Notizie,  1908,  pag.  202)  pubblicati 
e  descritti  per  frammenti  di  aes  rude,  destinati  come  obolus  charontis. 

b)  Una  olletta  sferica  a  due  anse,  e  breve  collo  tetralobato  del  diametro  di 
cm.  15.  È  un  bellissimo  campione  di  vaso  fatto  a  mano,  con  pareti  sottilissime  e 
molto  regolari  in  terra  bruna  steccata  con  somma  cura.  La  decorazione  consisteva  in 
laminette  plumbee  applicate  sulla  pasta,  che  ora  però  sono  completamente  alterate 
in  cerussa  presentando  l'aspetto  di  una  polvere  bianca.  Una  fascia  bianca  decora  la 
bocca  del  vaso,  e  sul  ventre  si  vedono,  da  ogni  lato,  quattro  figure  triangolari  a 
dente  di  lupo,  accuratamente  eseguite  (fig.  4b). 

In  corrispondenza  delle  anse  si  notano  due  piccoli  meandri  dipinti  con  preci- 
sione. Questo  vaso,  come  molti  altri  di  questa  tomba,  presenta  ivi  bellissime  tracce 
della  tela,  con  cui  tutta  la  suppellettile  era  fasciata.  Ho  potuto  ben  conservare 
queste  tracce,  come  la  pittura  bianca  purulenta  a  cui  ho  accennato,  ricoprendo  gli  oggetti 
di  un  leggero  strato  di  collodio  molto  diluito  in  etere,  così  anche  ho  trattato  il 
canopo,  la  cui  pittura  si  sfarinava  e  cadeva  rapidamente. 


CHIUSI 


—  22  — 


REGIONB   VII. 


L'olletta  sferica  di  cui  ci  occupiamo  è  di  un  tipo  che  ha  riscontro  nelle  necro- 
poli dell' Etruria  meridionale:  Bisonti  una  e  Pitigliano,  p.  e. 

e)  Una  sorta  di  pisside,  della  forma  delle  nostre  comuni  zuppiere,  del  dia- 
metro di  cm.  20  (fig.  4  e).  È  in  terra  bruna  steccata  con  ogni  cura  e  ben  cotta. 
Il  coperchio  provvisto  di  un'ansa  a  nastro  al  suo  culmine  porta  quattro  bottoni  emi- 
sferici, disposti  regolarmente  verso  l'orlo:  in  corrispondenza  di  ogni  bottone  si  vedono 
sul  coperchio  tre  incavi  circolari,  ottenuti  col  dito  sulla  pasta  molle.  Quattro  simili 
bottoni  sono  in  giro  al  vaso,  e  tanto  l'ansa  del  coperchio  quanto  i  bottoni  sono  dipinti 
in  rosso.  Il  vaso  contiene  delle  ossa  di  lepre. 

d)  Vaso  sferico  a  melone  con  piede  con  due  anse  e  coperchio,  alto  cm.  22 
(ng.  4  a). 


Fio.  5. 


È  della  solita  terra  bruna  steccata,  di  un  tipo  non  infrequente  nelle  tombe  a 
ziro  del  Chiusino.  È  decorato  da  strisce  di  pittura  rossa,  che  corrono  secondo  gli 
spicchi  a  melone  del  vaso  ;  il  bocciolo  del  coperchio  è  rosso,  e  da  esso  partono  cinque 
raggi  rossi,  che  decorano  il  coperchio. 

e)  Un  altro  vaso  simile,  ma  più  piccolo,  alto  cm.  15. 

f)  Tre  tazze  coniche  con  piede,  della  solita  terra  fina  bruna  steccata,  alta 
circa  cm.  10,  del  tipo  comune  nelle  tombe  a  ziro,  con  rozza  decorazione  rossa. 

g)  Tre  tazze  coniche  a  ciotola,  con  piede  (diam.  cm.  15-13)  nella  solita 
terra;  una  ben  conservata  e  due  molto  danneggiate. 

fi)  Due  piccoli  crateri  in  terra  bruna,  alti  ciascuno  cm.  8. 

i)  Due  boccalini  ansati,  alti  cm.  8. 

I)  Due  simili  più  grandi,  alti  cm.  9  e  12,  con  abbondanti  tracce  di  tessuto. 
Eran  disposti  uno  infilato  nell'altro,  ai  piedi  della  seggiola,  davanti  al  canopo. 

>»)  Una  piccola  kylix  tornita,  in  terra  gialla,  decorata  a  striscio  rosse,  del 
diametro  di  cm.  9.  È  del  ben  noto  tipo  protogreco  (fig.  4d). 

n)  Due  tazze  di  bronzo  baccellate  del  diam.  di  cm.  12.  Una  contiene  delle 


ROMA  —   23   —  ROMA 

scaglie  verdi  trasparenti,  forse  di  acetato  di  rame,  conteneva  probabilmente  aceto 
o  vino. 

o)  Ciotola  semisferica  di  bronzo,  con  rilievo  rotondo  nel  fondo,  diam.  18  cm. 

p)  Una  lama  di  ferro  rotta  in  due  pezzi,  lunga  cm.  26.  Era  un  pugnale  col 
manico  di  legno  di  cui  restano  le  tracce,  ed  era  stata  deposta  sotto  la  seggiola  del 
canopo. 

q)  Una  simile  lama  lunga  20  cm.,  trovata  insieme  a  frammenti  vari  di  ferro, 
forse  di  fibule,  sul  fondo  dello  ziro. 

* 

È  da  notarsi  in  questa  tomba  la  presenza  del  vasetto  di  tipo  protogreco,  che 
ce  ne  riporta  la  data  al  VII  secolo,  e  la  quantità  dei  vasi  colorati.  Quasi  tutti  i 
vasi  presentano  tracce  più  o  meno  visibili  di  colorazione.  Se  già  altrove  su  vasi  di 
questo  tipo  e  specialmente  su  ciotolette  di  terra  rossa  si  sono  avvertiti  dei  segni  di 
colore  rosso,  è  però  la  prima  volta  che  si  riscontra  un  canopo  chiusino  dipinto,  ove 
non  si  voglia  tener  conto  di  incerte  tracce  in  color  bruno  notate  talora  su  ossuari 
antropoidi  (Milani,  Monumenti  iconici,  ecc.).  La  tecnica  del  nostro  canopo,  la  sua 
pittura  a  quattro  colori,  le  particolarità  di  fondo  giallastro,  sovradipinto  in  rosso  e 
in  bianco,  ci  richiama  alla  mente  i  fittili  dell'Etruria  meridionale.  Sappiamo  bene 
che  per  quanto  l'ossuario  a  canopo  sia  caratteristico  delle  necropoli  chiusine,  pure  è 
stato  rinvenuto  anche  in  altre  necropoli  a  Cere  e  a  Corneto,  per  esempio. 

Anche  tra  i  vasi  di  accompagnamento,  si  notano  dei  tipi,  ignoti  nella  necropoli 
chiusina  e  frequenti  invece  nel  sud:  così  l'olla  sferica  b,  che  non  ha  riscontri  a 
Chiusi,  non  è  rara  a  Visentium,  dove  era  anche  in  uso.  nei  vasi  delle  tombe  a  ziro, 
la  coloritura  dei  fittili  a  due  o  tre  colori.  Queste  considerazioni  ci  farebbero  sup- 
porre il  materiale  di  questa  tomba  in  parte,  importato  dall'Etruria  meridionale. 

R.  Schipf  Giorgini. 

III.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Via  Salaria.  Fin  dal  gennaio  dell'anno  1912,  nella  proprietà  del  duca 
Leopoldo  Torlonia,  presso  il  miglio  settimo  della  via  Salaria,  nella  tenuta  deno- 
minata Sette  Bagni,  durante  i  lavori  di  bonifica,  nel  deviare  il  cosiddetto  fosso 
delle  Spallette  o  della  Bufalotta,  che  scorre  nella  valle  sotto  il  casale  di  Sette  Bagni, 
a  circa  600  metri  sulla  destra  della  via  Salaria  odierna  si  erano  riconosciute,  sulle 
rive  del  suddetto  fosso,  le  tracce  delle  spalle  di  un  antico  ponticello,  costruito  con 
parallelepipedi  di  tufo.  Il  nome  di  fosso  delle  Spallette  dato  in  quel  tratto  al  fosso 
della  Bufaìotta,  deve  avere  appunto  origine  dall'esistenza  di  quelle  spallo  di  ponte. 

Nel  letto  del  fosso  si  rinvennero  allora  alcuni  oggetti  antichi,  descritti  in  queste 
Notizie  (anno  1912,  pag.  22).  Per  diverse  cause  non  fu  potuto  in  quell'occasione  estrarre 


ROMA 


—  24 


ROMA 


un  grande  blocco  di  marmo,  che  si  riconobbe  fin  da  allora  scolpito,  ma  che  non  era 
possibile  identificare  perchè  tutto  ricoperto  dal  fondo  terroso  del  fosso. 

Con  il  consenso  del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione,  e  con  l'assistenza  del 
soprastante  della  Direzione  degli  Scavi  di  Roma.  sig.  Pietro  Conti,  il  sig.  duca 
don  Leopoldo  Torlonia  ha  fatto  eseguire  a  proprie  spese  uno  scavo  per  ricuperare  la 
scultura  tuttora  sepolta  e  per  liberare  dalle  terre  gli  avanzi  dell'antico  ponte. 


Sosso       oi^U»- 

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Coite    (Re<i^.c«li. 
■       m 


Fio.  1. 


Il  posto  del  ponte  e,  conseguentemente,  dello  scavo  è  nella  piantina  segnato  con 
la  lettera  A  (fig.  1). 

Il  piccolo  ponte  risultò  costruito  con  massi  di  tufo  cuneati  a  più  filari,  sia  nelle 
file  sia  nell'arco,  il  quale  è  di  tutto  sesto.  Le  pile  misurano  in.  4,50  di  spessore,  e 
la  loro  distanza  è  di  m.  4,30.  Dell'arco  non  rimangono  che  le  sole  imposte,  essendo 
tutta  la  parte  centrale  franata  e  caduta  nel  letto  del  fosso,  ove  si  rinvennero  mol- 
tissimi blocchi  di  tufo  rovesciati.  Su  di  esso  doveva  passare  un  diverticolo  che,  stac- 
catosi dalla  via  Salaria  sulla  destra,  si  dirigeva  forse  verso  la  Nomentana. 

Estratto  con  le  dovute  cautele  il  blocco  di  marmo  scolpito,  e  nettatolo  accura- 
tamente della  fanghiglia  che  lo  ricopriva,  si  riconobbe  essere  un  avanzo  di  un  colos- 
sale gruppo  marmoreo,  pregevolissimo  nei  riguardi  dell'arte  (ved.  fig.  2). 

11  gruppo  è  scolpito  in  marmo  pario;  le  proporzioni  delle  figure  sono  grandi 
una  volta  e  mezzo  il  naturale.  Su  di  un  enorme  plinto,  di  cui  mancano  le  parti 
sporgenti,  posa  la  parte  inferiore  della  gamba  destra,  ritratta  indietro  e  sorretta  da 


ROMA 


—   25   — 


ROMA 


un  sostegno,  di  una  figura  virile  la  cui  posa  è  propria  di  chi  sta  combattendo.  Della 
gamba  sinistra,  spòrta  in  avanti,  non  rimane  che  un  frammento  del  femore,  sul  quale 
si  appoggia  una  figura  muliebre,  ferita  sotto  la  mammella  destra,  che,  già  ripiegata 
sulle  ginocchia,  reclina  il  capo  morente.  Di  questa  bellissima  figura  mancano  sven- 
turatamente la  testa  ed  ambo  le  braccia.  È  vestita  di  lungo  chitone  ripiegato  sotto 
la  spalla  destra  in  modo  da  lasciare  libero  il  braccio  destro  per  più   efficacemente 


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Fig.  2. 


pugnare.  Un  lungo  manto  di  tipo  barbarico  le  scende  sul  dorso  sino  a  piedi.  È  armata  di 
corta  spada  tenuta  sul  fianco  sinistro  dal  balteo  che  scende  a  tracolla.  Forse  il  braccio 
sinistro  ne  reggeva  lo  scudo,  poiché  uno  dei  frammenti  del  plinto  ha  l' incavo  che 
lo  teneva. 


* 


Non  è  possibile  in  queste  affrettate  note,  proprie  di  una  semplice  notizia,  illu- 
strare anche  in  modo  sommario  questa  notevolissima  scultura;  occorre  limitarsi  a 
fermare  le  prime  impressioni. 

È  vero  che  mancano  gli  elementi  più  decisivi  che  caratterizzino  lo  stile  e  l'età 
di  una  scultura  ;  tuttavia  colpisce  subito  la  somiglianza  della  composizione  con  l'altra 
notissima,  del  gruppo  del  Gallo  e  della  sua  donna,  del  museo  Boncompagni  Ludovisi. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  4 


ROMA  —    26   ROMA 

Nel  nostro  gruppo  trattasi  però  probabilmente  di  un'  amazzone.  E  si  pensa  a  Pen- 
tesilea  morente,  sostenuta  da  Achille  :  questa  volta  il  guerriero  è  ancora  combattente. 

Anche  lo  stile  permette  di  riconoscere  nell'autore  del  gruppo  uno  scultore  per- 
gameo  ;  e  verosimilmente  trattasi  di  una  copia  in  marmo  di  un  originale  di  bronzo, 
e  ciò  è  indicato,  oltreché  dai  sostegni,  anche  dalla  copia  e  dalla  minutezza  delle 
pieghe  del  chitone  e  del  manto  che  coprono  la  donna.  Che  poi  il  gruppo  sia  stato 
eseguito  in  età  imperiale  ed  a  Roma,  lo  escludono  pienamente  la  qualità  del  marmo 
e  la  fresca  e  perfetta  esecuzione. 

Continuate  le  ricerche  in  fondo  al  fosso  per  ritrovare  il  resto  del  gruppo,  esse 
sono  riuscite  quasi  del  tutto  negative  :  infatti  non  si  è  rinvenuto  che  uno  scheggione 
della  gamba  sinistra  dell'  uomo,  un  frammento  della  coscia  destra,  ed  un  pezzo  del 
polpaccio  sinistro. 

Durante  questa  esplorazione  vennero  in  luce  in  quantità  grandissima  frammenti 
vari  marmorei  di  decorazione  figurata  ed  ornamentale,  ed  avanzi  di  trabeazioni,  pro- 
venienti evidentemente  dalla  villa  romana  che  si  estendeva  sul  prossimo  colle  ed  anche 
dai  vicini  monumenti  della  via  Salaria.  Il  gruppo  forse  decorava  la  detta  villa, 
e  crederei  non  inutile  una  sistematica  esplorazione  di  quella  località.  L' impressione 
è  che  sia  stata  in  quel  luogo  raccolta  una  notevole  quantità  di  materiale  di  marmo 
allo  scopo  di  ridurlo  a  calce,  e  che  il  peso  del  materiale  trasportato  abbia  fatto 
crollare  il  fatiscente  ponticello. 


Tra  gli  oggetti  estratti  nella  nostra  esplorazione,  noterò  :  un  frammento  di  cippo 
marmoreo  rettangolare,  con  su  di  un  fianco  una  patera  e  fogliami  (m.  1,75  X  0,60 
X  0,40)  ;  un  grande  frammento  di  fregio  architettonico  in  marmo  bianco  con  girali 
ricorrenti  di  acanto  (m.  1,25  X  0,60  X  0,38),  ed  in  grande  quantità  frammenti  di 
statue  resi  informi  dall'azione  dell'acqua,  frammenti  di  rilievi  nelle  stesse  condi- 
zioni, frammenti  di  architravi,  di  fregi  e  di  soglie  sempre  in  marmo  ;  poche  monete 
per  lo  più  irriconoscibili;  bracciali  di  bronzo,  lucernette  fittili  ecc.  ecc. 

Riferisco  da  ultimo  un  piccolo  cippo  di  travertino  (m.  0,60  X  0,33  X  0,08)  con 
iscrizione  assai  interessante  per  la  topografia.  Esso  è  stato  trovato  fuori  di  posto 
presso  una  delle  spallette  del  ponte,  ma  doveva  erigersi  ivi  presso.  L'iscrizione  dice: 

TVTEL 
VIAE  FVND 
PETRONIAN 
CARVLLIAN 

P  CCCXII 


Ci  si  rivela  con  questo  titolo  l'esistenza  di  una  via  vicinale  che  divideva  o 
metteva  in  comunicazione  fra  loro  i  due  fondi,  non  denominati  Petroniano  e  l'altro 


OSTIA  —    27    —  REGIONE    I 

Carulliano   Tali  fondi  dovevano  estendersi  in  quella  località.  La  via  in  questione  era 
probabilmente  quella  che  passava  sul  ponticello. 

La  tutel(a)  viae  fund(orum)  Petroniana)  (et)  Carullian(i)  si  riferiva  alla 
manutenzione  di  questa  via,  e  l'indicazione  di  312  piedi  sta  probabilmente  a  mo- 
strare l'estensione  del  tratto  della  via  la  cui  manutenzione  era  a  carico  dei  due 
proprietari  frontisti. 

G.  Mancini. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

IV.   OSTIA   —    Continuazione  dello  scavo  di  via  della  casa  di  Diana. 

Il  disseppellimento  della  porta  republicana  sul  decumano  (Not.  1914,  pp.  426  sq.) 
ha  reso  necessarii  alcuni  lavori  di  sistemazione  vicino  ad  essa.  Si  è  mantenuto  sco- 
perto il  selciato  del  decumano  che  passava  al  di  sopra  della  porta  dopo  che  questa 
perde  la  sua  funzione:  il  basso  livello  di  questo  selciato  e  la  sua  accurata  fattura, 
e,  del  resto,  le  costruzioni  sovrapposte  alla  porta  indicano  che  questa  andò  in  disuso 
forse  in  età  repubblicana:  il  selciato  stesso  non  potrà,  in  ogni  modo,  scendere  oltre 
il  I  sec.  d.  Cr. 

Al  di  sopra  di  esso  si  è  riallacciato  l'ultimo  livello  del  decumano,  cioè  quello 
costantemente  seguito  cominciando  dall'ingresso  della  città  ;  così  il  decumano,  tranne 
la  necessaria  interruzione  su  questa  porta,  ha  ritrovato  una  linea  costante  ininter- 
rotta fino  al  tempio  di  Vulcano  (m.  600  circa). 

È  stata  anche  scoperta  una  parte  del  selciato  di  via  delle  Pistrine,  in  cattivo 
stato:  sopra  di  esso  si  notano  due  scarichi  (circa  cm.  30  ciascuno)  di  sfabbricini, 
scarichi  che  si  accordano  col  rialzamento  di  piani  e  con  le  rozze  aggiunzioni  alle  costru- 
zioni sul  lato  ovest  della  strada.  Questi  rialzamenti,  osservati  in  altre  arterie  della 
città  (decumano,  via  delle  Corporazioni  ecc.),  sono  indici  di  una  vita  ostiense  molto 
tarda,  forse  posteriore  al  suo  abbandono  dopo  il  V  sec.  ;  nulla  ancora  però  prova 
l'esistenza  della  Gregoriopoli  tra  le  rovine  di  Ostia  antica. 


Si  è  data  anche  sistemazione  al  lato  est  dell'area  sacra  del  tempio  di  Vulcano, 
rimettendo  a  posto  il  pavimento  a  lastre  di  marmo,  tolte  per  l'esplorazione  del  sot- 
tosuolo (tabernde  velerei  in  Nolisie,  1914,  pp.  427  sq.)  e  rialzando  quattro  tronchi 
di  colonne  del  porticato  che  la  ornava. 

Lo  scavo  si  è  ristretto  alla  esplorazione  di  via  della  casa  di  Diana  (Noi.  1914, 
pag.  426)  interrata  ancora  per  una  quindicina  di  metri  nel  centro.  L'altezza  delle 
rovine  e  il  loro  stato  di  conservazione  rendono  però,  fin  da  ora,  questa  strada  una  delle 
più  caratteristiche  e  suggestive  di  Ostia.  Sulla  fronte  d'accesso  dal  tempio  di  Vulcano, 


RKGIONR    I. 


—    28    — 


OSTIA 


meglio  conservata  dell'altra  da  via  delle  Pistóne,  le  tabernae  di  un  caseggiato  nel 


FlG.  1. 


lato  sud  della  strada  hanno  richiesto  parecchi  e  difficoltosi  lavori  di  restauro,  per  il 
sostegno  di  alcuni  ballatoi  posti  al  di  sopra  delle  tabernae.Qn&sti  simili  a  quelli  di 
via  della  Fortuna,   poggiano  con   le  loro  volte  su   mensoloni  di  travertino  murati. 


OSTIA 


—  29  — 


REGIONE 


Costruzione  poco  solida  hanno  anche  gli  architravi  delle  tabernae,  essendo  essi  a 
a  piattabanda  ed  avendo  una  lunghezza  di  in.  3,30,  superiore  cioè  alla  portata  di  resi- 
stenza. I  mensoloni  di  travertino  erano  già  stati  rinforzati  in  antico  mediante  mu- 
riccioli a  tufi  rettangolari  e  mattoni  alternati,  rivestiti  di  intonaco. 


Degna  di  menzione  è,  tino  ad  oggi,  una  taberna  con  porta  occupata  sulla  sua 
fronte  da  un  bancone  che  si  protende  anche  verso  il  fondo,  mostrando  così  due  facce 
di  eguale  lunghezza  (fig.  1).  È  rivestita  di  marmi  policromi  già  adoperati,  e  in  cia- 
scuno dei  suoi  lati  è  ricavata  una  vaschetta  cordonata  con  il  foro  di  scarico  per 
l'acqua  che  si  immetteva  con  tubo  trovato  nella  parete  interna  del  bancone. 

Particolarità  degna  di  nota  sono  tre  gradini  di  marmo  poggianti  sul  tramezzo 
della  bottega  all'altezza  del  bancone  stesso,  i  quali  formano  il  terzo  lato  del  bancone 
con  l'ufficio,  pare,  di  reggere  suppellettile  potoria. 

Questa  particolarità  e  le  due  vaschette  per  acqua  fanno  ritenere  questa  taberna 
uno  spaccio  di  bevande. 

Internamente  il  bancone  non  è  rivestito  di  marmi  ;  però  le  pareti  interne  delle 
due  vaschette  erano  formate  da  due  lastre  di  marmo,  una  delle  quali,  spezzata,  porta 
la  seguente  iscrizione  (m.  0,46  X  0,91  X  0,025)  : 


CFVLVIOCFILQVIR 

C-  FVL 

PLAVTO 

P  L 

HORTENS1ANO 

C       P- 

■ 

SOCERO  ET 

DOMINO 

LSEPTIMI-SE 

I  nomi  sono  scalpellati,  ma  la  loro  lettura  è  chiara. 

Abbiamo  dunque  nella  iscrizione  centrale  un  altro  documento  concernente  la 
persona  tristamente  famosa  di  Fulvio  Plautiano  console,  prefetto  del  pretorio,  ecc.,  e 
ccl  matrimonio  di  sua  figlia  Fulvia  Plautilla  divenuto  suocero  di  Caracalla  (Pauly- 
Wissowa,  Real  Enc.,  s.  v.,  col.  270).  Menzionato  in  altre  epigrafi  come  necessarius 
Augg.  (G  /.  L.,  VI,  227,  1074;  XI,  1337;  Oesterr.  Jahresh.,  VI,  Beibl.  15;  Notizie, 
1893,  135;  Comptes  rendus,  1905,  472,  474)  e  ad  finis  Augg.  (G  /.  L.,  Ili,  6075; 
V,  2821),  presentasi  qui  per  la  prima  volta  con  la  parola  socero.  L'iscrizione 
ricorda  entrambi  gli  imperatori  Severo  e  Caracalla,  come  risulta  dalla  parola  domi- 
no(rum)- 


REGIONE   I.  —    30    —  OSTIA 

11  figliuolo  C.  Fulvio  Plauto  Hortensiano,  ricordato  nella  inscrizione  di  sinistra, 
è  conosciuto  per  una  inscrizione  di  Timgad  (Comptes  rendus,  1905,  pag.  474)  dove  è 
detto,  come  nella  nostra,  c(larissimus)  p(uer),  quando  cioè  suo  padre  aveva  già  gli 
ornamenta  consularia. 

La  posizione  dei  nomi  su  questa  lapide  fa  pensare  che  la  lastra  contenesse 
anche  la  menzione  della  figlia,  a  destra  di  quella  del  padre  e  in  corrispondenza  con 
quella  del  fratello. 

Non  fa  del  resto  meraviglia  che  ad  un  personaggio  potente  quanto  e  più  del- 
l' imperatore,  e  al  quale  s' innalzavano  statue  e  si  rendevano  pubblici  onori  (Dio.  75,  14) 
anche  Ostia  tributasse  omaggi. 

11  luogo  in  cui  si  è  trovata  questa  lapide,  che  va  datata  al  principio  del  III  sec, 
attesta  ancora  una  volta  l'abbandono  e  la  spogliazione  di  certi  monumenti  ostiensi 
in  un'epoca  però  in  cui  Ostia  presenta  ancora  vitalità  e  sviluppo. 

Tra  le  inscrizioni,  ricordo  : 

Frammento  di  lastra  marmorea  scorniciata,  a  grandi  e  belle  lettere  (mm.  395 
X  610  X  33)  : 

...GRANIANAM 

1)  ...VSLIBERAM 

. . .  S  T  I  E  N  S  I V  M 


Potrebbe  trattarsi  di  una  donazione  o  di  una  liberazione  di  area  a  favore  degli 
Ostiensi  fatte  da  questo  Maturus  che  può  identificarsi,  io  penso,  con  il  C.  Granim 
G.  /il.  Quir.  Maturus,  ricordato  in  tre  inscrizioni  ostiensi  (C. /.  £.,XIV,362,  363,364); 
tanto  più  che  viene  nella  prima  di  esse  rammentata  la  sua  munificentia  che  gli  valse 
il  decurionato  gratuito. 

Adoperato  a  pavimento  di  costruzioni  piuttosto  tarde,  la  provenienza  di  questo 
frammento  di  lastra  non  ci  dice  nulla  intorno  a  questo  possesso  privato  ostiense. 

Inscrizione  sepolcrale  a  lettere  brutte  e  irregolari  (mm.  365  X  280  X  37)  : 

D  M 

2)  FVRIAE-ITALIAE 
L-MARIVS  EVTYCH 
ESCONFG1  BENE  (sic) 
MERENTI  FECII  ET         (tic) 
FEC1T  ET-  BB  (sic) 

Marmo  id.  id.  (cm.  37  X  33  X  0,044)  : 

AXVNTIa 

3)  CHRYSID... 

COIVGI 
CASTISSIMAE 
BENEMERENTI 

FECIT 
VAL- FLAVIA 
NVS 


OSTIA 


—  31  — 


REGIONE    I. 


Lastra  di  sarcofago  con  tre  putti  coglienti  frutti.  A  destra  della  scena  rozza- 
mente lavorata  a  trapano,  è  inscritto  : 


D  M 

SERVILIOONESIMc 

SERVILII 

ONESIMIAN 

VS  ET 
FORTVN  ATA 

PARENTI 

DVLCISSIMO 

D  M 


Lastra  epistografa  scorniciata    con  lettere  brutte   e   irregolari  (in.  0,48  X  0,25 
X  0,045)  : 


a)  ANVS 

HELICO 
SCLEPIADES 
VS  CALLIMORPHVS 
IVS  •  MERCVRIVS 


*) 


IESIIVS 
AVRELIVS 

BAFVIV 
IVLIV 


PORTES1S 

S  FELI        X 
S  ROMVLVS 


Marmo  id.  id.  (rara.  375X490X35): 


D  M 

PAELIO  •  S  VMF. 
PASSI  DENIAVR. 
CONIVGIKARISSIA. 

FECIT 
CVM-QVEM-VIX-AI>. 
EXCONCESS... 
HERMIAT1S... 


(sic) 


Q.  Calza. 


REGGIO    CALABRIA 


—  32 


REGIONE    III. 


Regione  III  (LUCANIA  ET  BRUTTI l). 

BRUT  TU. 

V.  REGGIO  CALABRIA  —  Scoperta  di  base  onoraria  con  iscri- 
zione dedicata  ad  un  correttore  della  Lucania  e  dei  Bruttii,  del  quale 
mancava  ogni  memoria  epigrafica. 

Procedendosi  agli  scavi  pel  nuovo  palazzo  provinciale,  fra  la  piazza  Vittorio 
Emanuele,  il  corso  Garibaldi,  l'antica  via  Prefettura  e  l'antico  vicolo  Prefettura 
in  Reggio  Calabria,  è  stata  rinvenuta  una  base  marmorea  sulla  quale  si  cominciò 
ad  incidere  una  iscrizione  onoraria  ad  un  Flavius  Oplatus,  com'è  indicato  dalle  lettere 
che  veggonsi  in  fondo  alla  leggenda.  Capovolta  poi,  vi  fu  incisa  la  iscrizione  in 
onore  di  un  correttore  della  Lucania  e  dei  Bruttii  di  nome  Flavio  Zenodoro. 


rVZHNODORO  VCVIle 


DVMfRETVMHESPERIOS 
INTERSICVUOSQEREI^ABANS 
MISCEBIf-rORflSAEQVORAGVR 
GIT|IBVS  SEMPERHONOSNO 
MENQTVVMLAVDESQMANEBAT 
FkHADRIANO  HIERIO 
ZENODOROVC  CORRI^VOET 
BRVf  TORDO  POPVL.OSQVE 
REG  INORVM  AD  SEMPI 
TERNAMMEMORIAM 
EIVSPOSVERVNT     es 

3.VJ40**H 


Reca  ai  lati  l'urceo  e  la  patera. 

Di  questo  Gorrector  Lucaniae  et  Bruttiorum  non  si  conosceva  finora  nessun 
monumento  epigrafico.  Se  ne  aveva  soltanto  il  nome  Zenodorus  datoci  da  Simmaco  ; 
ma  per  un  uomo  che  meritò  l'elogio  posto  su  questa  base  era  troppo  poco  quello  che 
noi  eravamo  riusciti  a  saperne.  La  nuova  leggenda  ci  fa  conoscere  che  egli  si  chiamò: 
Flavius  Hadrianus  Hierius  Zenodorus.  Dovè  esercitare  la  sua  autorità  intorno  al  400  e.  v. 


N.  Potortì. 


REGIONE   Vili.  —   33  —  R1MINI 


Anno  1915  —  Fascicolo  12. 


Regionb'VIII  (CISPADANA). 

I.  RIMINI  —  Di  un  cippo  sepolcrale  figurato  e  inscritto,  scoperto 
fuori  porta  Montanara. 

L'estate  scorsa  si  scoprì  in  Rimini  iu  un  fondo  dei  fratelli  Davide  e  Luigi  Fabbri, 
situato  fuori  porta  Montanara  ad  un  chilometro  dalla  città,  un  cippo  sepolcrale  romano 
in  marmo  bianco,  inscritto  e  figurato. 

Il  cippo,  frammentato  nella  parte  inferiore,  misura  m.  1,01  di  lunghezza,  è  largo 
m    0,43  ed  ha  uno  spessore  di  m.  0,095. 

Come  si  può  riconoscere  dall'annessa  figura  (ved.  fig.  1),  la  sua  fronte  è  divisa  in 
due  compartimenti:  l'inferiore  con  l'iscrizione,  il  superiore  con  un  rilievo,  sormon- 
tati dalla  testata.  L'iscrizione  dice: 

D  •  M 
TFAESELLIO 

ONAGRO 
VETTIAPRIMltVi 
CONIVGIBENEMERE 
POSV1TET-SIBI-  SE 

«IVA 

Il  rilievo  rappresenta  una  scena  di  congedo  fra  i  due  coniugi  ricordati  nell'iscrizione. 

I  due  coniugi  sono  rappresentati  stanti  e  di  prospetto,  con  la  testa  rivolta  l'uno 
verso  l'altro  a  scambiarsi  l'ultimo  sguardo  e  con  una  mano  protesa  reciprocamente 
al  sommo  del  petto  (anzi  il  marito  sembra  aggrapparsi  alla  donna  afferrandone  la 
veste   all'apertura  del  collo)  quasi  a  significare  il  reciproco    attaccamento  e  la  loro 

Notizm  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  5 


RIMINI 


—  34  — 


REGIONE   Vili. 


V 


riluttanza  al  fato  inesorabile.  L'uomo,  leggermente  barbato  e  vestito  di  breve  tunica 
stretta  da  cintura,  tiene  nella  mano  sinistra  abbassata  una  fiaccola  accesa  rovesciata 
che  gli  deve  servire  per  l'oscuro  viaggio;  la  donna  vestita  di  lunga  tunica  similmente 

stretta  da  cintura,  si  accosta  la  mano  destra 
al  seno  per  significare  più  vivo  al  consorte  il 
dolore  del  distacco  ('). 

La  testata  del  cippo,  come  spesso,  è  di- 
visa in  tre  comparti:   un  timpano  con  busto 
di  donna  in  prospetto,   fiancheggiato  da   due 
campi  triangolari,  ornati  ciascuno  di  un  delfino. 
Le  lettere  dell'iscrizione  sono  di  bella 
«  forma  e  di   franca   esecuzione   e  rivelano  un 

'  gusto  coltivato  alla  bella  tradizione  grafica  e 

una  mano  esperta. 

Ben  diverso  però  è  il  caso  per  la  parte 
di  scoltura  del  monumentino.  Basta  infatti 
osservare  la  rozza  architettura  della  composi- 
zione, la  sproporzione  delle  parti  delle  figure 
(ved.  specialmente  le  teste  troppo  grandi), 
il  trattamento  difettoso  di  alcuni  particolari, 
come  p.  es.  «degli  occhi  di  prospetto  nelle 
teste  di  profilo  della  scena  di  congedo  e  degli 
orecchi  rivoltati  in  fuori  come  due  manichi 
d'anfora  nel  busto  del  timpano,  e  in  generale 
il  disegno  e  l'esecuzione  rozza  di  tutto  il  ri- 
lievo, per  riconoscere  in  questo  il  prodotto  di 
uno  scalpellatore  locale  assai  poco  esperto  nel 
trattamento  della  figura  e  delle  composizioni 
figurate. 

Ma  se  saltan  subito  agli  occhi  tali  difetti 
dolla  parte  formale,  non  si  può  tuttavia  negare 
che  il  gruppo  dei  due  coniugi  mostra  un'impronta  di  sentimento  ingenuamente  espresso, 
che  rivela  nell'inesperto  scalpellatore  una  certa  sensibilità  artistica. 

Della  gens  Faesellia  e  della  gens    Veltia  è  abbastanza  frequente  il  ricordo  nelle 
iscrizioni  riminesi  (ved.   C.  I.  L.  XI,  per  la  gens  Faesellia  :  nn.  378,  380,  459  ;  per 


FlG.  1. 


la  gens   Vettia:  nn.  383,  395,  402,  421,  449). 


(')  Rispetto  a  questa  scena  è  da  osservare  che  qui  manca  un  elemento  che  nelle  scene  di 
congedo  dei  rilievi  sepolcrali  romani  —  non  meno,  del  resto,  che  in  certe  rappresentanze  della 
dextrarum  iunctio  —  ricorre  abbastanza  frequentemente:  vale  a  dire  la  porta  dello  Hades.  Ma  se  da 
un  lato  è  vero  che  questo  elemento  non  è  essenziale  per  una  scena  di  congedo  (ved  il  bassorilievo 
di  Perugia,  in  Altinann,  Altargràber,  fig.  162  e  l'altro  del  Laterano,  ibid.,  fig.  188),  dall'attributo 
della  fiaccola  rovesciata  è  pure  reso  evidente  che  la  nostra  rappresentanza  non  può  avere  un'inter- 
pretazione diversa  da  quella  indicata  sopra. 


ROMA  —   35    —  ROMA 

Più  che  i  caratteri  grafici  o  il  contenuto  dell'iscrizione  e  i  caratteri  stilistici 
dei  rozzi  bassorilievi,  a  datare  il  monumentino  può  giovare  un  particolare  realistico 
di  queste  scolture,  e  cioè  l'acconciatura  delle  due  teste  femminili  :  le  quali  hanno 
quella  pettinatura  coi  capelli  disposti  a  diadema  intorno  alla  fronte,  che  è  propria  delle 
donne  dei  tempi  di  Adriano. 

Anche  la  lieve  barba  dell'uomo  ben  s'accorda  con  questa  valutazione. 

Confrontando  le  due  teste  femminili,  non  esito  a  riconoscere  in  esse  una  comunanza 
di  tratti  che  avrebbe  potuto  essere  più  evidente  ove  lo  scultore  fosse  stato  meno  inetto. 

Questa  somiglianza  fra  le  due  teste  m' induce  a  ritenere  che  anche  il  busto  del 
timpano  raffiguri  Vettia  Primitiva  (');  la  quale,  mentre  nella  scena  di  congedo  fa 
il  monumento  per  il  consorte  defunto,  ricorderebbe,  con  l'aggiunta  del  busto  speciale 
nel  timpano,  che  il  monumento  era  anche  per  lei,  ripetendo  col  linguaggio  dell'arte 
quello  che  già  era  contenuto  nell'  iscrizione  sottoposta. 

I  proprietari  sigg.  Fabbri  consentirono  a  rinunziare  alla  quota  di  valore  loro 
spettante  per  legge,  purché  il  cippo  non  fosse  allontanato  da  Kimini;  e  il  Ministero, 
fece  buona  accoglienza  a  detta  proposta,  consentendo  che  il  cippo  venisse  ad  accre- 
scere la  notevole  serie  lapidaria  del  Museo  civico  di  Rimini. 

A.  Negrioli. 


II.   ROMA. 
A)  Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  VI.  In  via  di  porta  Salaria,  a  destra  della  porta  ora  demolita, 
eseguendosi  un  cavo  profondo  circa  un  metro  per  la  costruzione  del  muretto  di  cinta 
all'area  tenuta  in  affitto  dal  prof.  Ettore  Ferrari,  si  sono  rinvenuti  un'anforetta  e 
varii  frammenti  di  vasetti  di  terracotta,  e  un  cippo  di  travertino  centinato  in  alto 
(m.  0,81X0,20X0,12),  non  più  nel  suo  posto  originario,  con  la  iscrizione  seguente: 

M-LICINIVS 

TROPVS 
VIXIT-ANNIS 

xxxx 

FECIT  •  CISBE 
CONTVBERNAL 

Regione  VII.  Continuandosi  i  lavori  in  piazza  Colonna  (ved.  Notizie  1914, 
pag.  419  sq.),  lungo  il  corso  Umberto  I  (via  Flaminia),  a  circa  5  metri  di  profondità 
si  sono  rinvenuti  alcuni  avanzi  di  un  basamento  di  travertino  che  faceva  parte  eviden- 

(l)  Cfr.,  per  un'analoga  ripetizione,  anche  il  bassorilievo  di  Perugia  citato  nella  nota  precedente. 


ROMA  —    36    —  ROMA 

temente  della  porticus  Vipsania.  Si  è  trovato  pure  un  capitello  corinzio  alquanto 
deperito  (m.  0,65X0,75X0,44);  due  mattoni  coi  bolli  C.  I.  /,.,  XV,  957  e  12l7j 
e  due  frammenti  di  marmo  con  iscrizione  : 

1.  (m.  0,18X0,15X0,04):  2.  (m.  0,21X0,75X0,085): 
VAXXXEI  D 

TELIXCOI  C-M 

RISS.R  rVIVO 

r  M  P  P  CON.V 

Sopra  un  terzo  frammento  si  leggono  solo  poche  lettere. 

* 

Via  Casilina.  In  località  Marranella,  facendosi  un  caro  per  la  fondazione  di 
una  casa  di  proprietà  di  un  tale  Francesco  Ortensi,  sulla  sinistra  della  via  Casilina 
all'angolo  con  la  strada  militare,  si  è  rinvenuto  un  frammento  di  altorilievo  in  marmo 
molto  corroso,  con  due  busti  funebri  romani  (m.  0  68X0,80X0,35).  A  sinistra  è 
la  donna  vestita  di  tunica  e  manto  che  le  copre  la  testa,  ed  ha  la  mano  sinistra 
avvolta  nel  manto;  a  destra  è  l'uomo  con  lo  stesso  vestito.  È  mancante  però  del  capo. 
Le  figure  sono  di  prospetto,  ed  il  lavoro  è  scadente. 

A  sinistra  della  medesima  via  Casilina,  nella  proprietà  di  Giuseppe  Emiliani,  per 
mettere  allo  scoperto  una  cava  di  pozzolana,  si  sono  trovati  gli  avanzi  di  un  colom- 
bario che  faceva  sèguito,  in  linea  retta,  agli  altri  già  pubblicati  in  queste  Notizie  1914, 
pag.  375  sq.  Era  di  pianta  circolare,  col  diametro  di  m.  3  50.  Il  pavimento  eia  di 
cocciopesto  tino,  dello  spessore  di  m.  0,04;  nel  centro  si  elevava  una  colonna  in  mu- 
ratura, del  diametro  di  m.  0,90,  rivestita  di  intonaco  rosso  e  conservata  per  circa 
due  metri.  Nel  lato  nord-est  era  la  scala  di  accesso  che  seguiva  l'andamento 
curvilineo  delle  pareti  e  aveva  la  larghezza  di  m.  0,60  ;  i  gradini  avevano  m.  0,30 
di  alzata  e  di  pedata;  l'ultimo,  però,  che  formava  ripiano  col  pavimento,  era  largo 
m.  0,65  e  profondo  m.  0,34. 

Nella  parete  curvilinea,  dipinta  in  bianco  nella  parte  superiore  e  rosso  nella 
inferiore,  che  formava  uno  zoccolo  di  m.  0,90,  erano  conservati  tre  ordini  di  loculi 
per  due  olle  ciascuno.  In  questo  colombario,  stando  alle  parole  del  proprietario  della 
cava,  si  è  rinvenuta  una  sola  targhetta  di  marmo  (m.  0,17  X  0,08  X  0,03)  con  la 
iscrizione  C      ATIL1VS. 

Nella  proprietà  dello  stesso  sig.  Emiliani,  verso  il  vicolo  Carbonari,  si  è  trovata 
una  lastra  marmorea  frammentaria,  scorniciata  e  decorata  a  bassorilievo.  In  un  girario 
di  vite  è  un  Eros  di  prospetto,  con  la  testa  di  profilo  a  destra;  nella  mano  destra 
abbassata  tiene  un  uccello;  sull'avambraccio  sinistro  la  mano  posa  sopra  un  oggetto 
che  per  lo  stato  di  conservazione  non  si  può  definire  con  sicurezza,  ma  che  è  forse  un 
nido  con  uccellini.  Fuori  del  girario,  in  basso,  a  sinistra,  sono  gli  avanzi  di  un  vola- 
tile. In  alto,  nel  centro,  è  un  uccello  di  rapina;  a  sinistra  un  serpentello.  Si  può 
opinare  che  la  destinazione  della  lastra  fosse  funeraria;  lo  stile  poi,  abbastanza  de- 
cadente, permette  di  attribuirla  ad  epoca  tarda. 


ROMA  —    37    —  ROMA 

Si  sono  raccolti  anche  alcuni  frammenti  di  un  vaso  di  terracotta  rossa  verni- 
ciato di  rosso;  e  due  epigrafi  funerarie: 

1.  Lastra  di  marmo  bianco  (m.  0,33  2.  Cippetto  di  travertino,  con  foro 

X  0,24  X  0,03):  nella  parte  inferiore  (m.  1,00  X  0,23  x 

0,15: 

D    •   M   »    S 

COSMI  ATI 

U30N-CON  INFRPXXI1II 

i  VGI-BE  NE  «  ME  I  N- AGR  P  X  X  1 1 1 1 
RENTI'QjVIX 
AN  »  XIX  'M-VIIII 
HOR  -  III 

Prima  di  Tor  Pignattara,  a  sinistra  della  via  Casilina,  facendosi  un  cavo  per  la 
costruzione  di  un  pozzo  nero  in  proprietà  Loreti,  sopra  una  lastra  di  travertino  erano 
impiombati,  con  grappe  di  ferro,  due  cippi  sepolcrali  ambedue  inscritti.  Il  primo  è 
di  marmo  (m.  1,18),  e  reca  l'epigrafe  qui  riprodotta  a).  L'altro  è  di  travertino 
(m.  1,18X0,56X0,32)  e  reca  la  leggenda  su  lastra  di  marmo  incassata  b). 

D         •         M 
a)  DM  b)       HERIAEAPR1CLAE 

HERIAE    ARRYLLAE  Q_VAEV1XIT 

QVAEVIXITANNIS  XVII  ANN -XXVI-M- I1II -D -XX 

MENSIBVSXI  DIEBVSXIII  H  E  R  I  A  ■  Qj  F 

•       HERIA  -QjF-  CELERINA  CAELERINA 

ALVMNAEDVLCISSIMAE  ALVMNAE 

FECIT  DVLCISSIMAE 

B   •  M  ■   FEC 

I  due  cippi,  che  distavano  tra  loro  m.  0,60,  sono  stati  tratti  fuori  dal  cavo. 

* 

Via  Nomentana.  Nella  tenuta  di  Aguzzano,  tra  le  vie  Nomentana  e  Tibur- 
tina,  si  è  rinvenuta  un'ara  sepolcrale  di  marmo,  alta  m.  1,07,  larga  m.  0,59,  profonda 
m.  0,37,  in  mediocre  stato  di  conservazione;  essa  reca  la  leggenda: 

DlIS  MANIBVS 
M   •  ANTONI 
COMMVNIS 
VIXIT  ANNIS  XXIV 

Lateralmente  all'epigrafe  sono  due  teste  di  Ammone  dalle  quali  pende  una  ghirlanda 
di  quercia  e  di  alloro.  Sotto  la  ghirlanda  sono  due  uccelli  in  battaglia.  Quello  che 
sta  a  sinistra  becca  sulla  testa  l'altro    che  tiene    in   bocca   una  cosa  che  per  lo 


ROMA 


-    38    — 


ROMA 


stato  di  conservazione  della  superficie  non  è  facile  definire,  ma  che  si  può  supporre, 
per  raffronti  con  altri  monumenti,  sia  un  insetto  o  altro  animaletto.  Sulla  faccia 
posteriore  è  il  festone  fra  due  teste  di  ariete  assai  logore;  sopra  la  ghirlanda  è 
un'aquila  come  nella  faccia  principale;  e  sopra  di  essa  un  grande  incavo  (m.  0,38 
X  0,24X0  29)  destinato  evidentemente  ad  accogliere  l'olla  con  le  ceneri.  Sui  lati 
minori  si  ripetono  le  ghirlande,  sotto  ciascuna  delle  quali  sta  un  delfino  ;  sopra,  da 
un  lato  la  patera,  dall'altro  il  prefericolo. 

Interessante  nei  particolari  ed  elegante  nella  composizione,  questo  monumento 
appartiene  ad  una  classe  di  are  funebri  di  cui  esistono  numerosi  esemplari  (').  Secondo 
gli  studii  dell' Altmann.    si  deve   attribuire   alla   metà  circa  del  1°  secolo  dell'e.  v. 

P.  Pornari. 


B)    Trovamenti  epigrafici. 
t 

Nel  decorso  anno  il  Museo  Nazionale  Romano  ha  avuto  in  dono  o  acquistato 
presso  antiquari  e  scalpellini  di  Roma  le  iscrizioni  seguenti  che  mi  risultano  inedite. 
Il  gruppo  più  numeroso  pare  che  sia  stato  trovato  in  via  Po  e  regioni  adiacenti; 
per  altre  mi  sono  state  date  altre  provenienze  ;  è  inutile  però,  che  io  aggiunga,  che 
non  posso  garantire  la  esattezza  delle  informazioni  datemi.  Segnerò  l' indicazione 
topografica  solo  per  quelle  iscrizioni  che  mi  si  dissero  provenienti  da  luoghi  diversi 
di  via  Po  ;  per  le  altre  resta  inteso  che  la  provenienza  denunciata  è  la  regione  dei 
sepolcri  tra  la  Salaria  e  la  Nomentana. 

1.  Cippetto  di  marmo  mancante  della  base.  Mis.  m.  0;285X0.18: 


EV/AO/Y 

WV/f  Of  VlT 
ÒOA/Vl\NÌ)J:0 


(*)  Ved.  Altmann,  Roem.  Orabaltàre,  passim  e  specialmente  p.  88  e  segg. 


ROMA  —    39   —  ROMA 

Eufrosynus  posuit  donum  Beo  ara[m]  et  Deum.  Il  piccolo  cippo  ha  nella  parte 
superiore  un  incavo  che  doveva  servire  a  ricevere  la  figurina  del  Dio.  Proviene  dal 
santuario  siriaco  al  Gianicolo  (Notizie  1909.  p.  383)  e  pertanto  il  Deus  potrebbe 
essere  Hadad.  Notevole  la  forma  corsiva  della  erre. 

2.  Parte  superiore  di  ara  marmorea  iscritta  sulla  fronte  e  sul  lato  sinistro,  dove 
è  anche  rappresentata  una  cista  con  un  serpente.  Mis.  m.  0,57X0,54X0,42: 

Lato  sinistro:  Fronte: 

DEDICATVM  PRO  •  SALVTE   ET  •  VICTO 

KALIANVAR  RIA   •  ET  •  REDITV 

TICLAVDIO  IMP  •  L  •  SEPTIMI  •  SEVE 

SEVERO    ET  RI  •  PERT-ET-M- AVREL 

CAVFIDIO  ANTONINI-  AVGG- 

NOCOS 

L'ara  si  dice  proveniente  dal  Testacelo.  La  sesta  linea  dell'  iscrizione  della  fronte 
è  accuratissimamente  erasa,  e  doveva  contenere  il  nome  di  Geta  Cesare  ;  le  linee 
seguenti,  che  si  può  supporre  dessero  il  nome  del  dedicante,  mancano.  L'iscrizione  fu 
posta  il  1  gennaio  dell  anno  200,  quando  Settimio  Severo  era  in  Oriente  a  combat- 
tere coi  Parti.  L'aggiunta  del  nome  dei  figli  all'augurio  prò  reditu  et  Victoria  è 
perfettamente  opportuno,  perchè  l'imperatore,  partendo  nell'autunno  del  197  per  quella 
grande  impresa,  aveva  condotto  seco  tutta  la  sua  famiglia  (').  Non  si  ha  notizia  che 
al  principio  dell'a.  200  qualche  nuovo  avvenimento  giustificasse  la  dedicazione  di 
un'ara  votiva;  molto  probabilmente  si  tratta  di  un  semplice  augurio  di  capo  d'anno 
senza  intervento  di  altre  peculiari  ragioni. 

3.  Piccola  stele  marmorea  stondata  in  alto.  Mis.  m.  0.50X0,25: 

D-M-S 
C  •  MANLIO  •  C  ■  F 
PVBL    CASSIANO 
VERONA- FACI VS 
MILESPERFVRIVM 
VICTORINVMET 
CORNEL1VMREPEN 
TINVM-PRP-R-  (sic) 

INCOHII-PR  >PLACIDI 
IIIIKAVGL  AELIANO  (sic) 

ETP  \STORE-COSMIL 
ANNIIIDIIDECPR 
KMART  IMPLAVRE 
LIO •  VERO- AVG- III 
ETM-VMIDIOQVA 
DRATOCOS-VIX-ANN- 
XXIDIIC  SAVFE1VS 
FELIX-MIL-COH-II   PR 
>-SEVERINICON 
TVBERNALIBM 
FECIT 

(')  Schiller,  Qesch.  der  ròm.  Kaiserzeit,  I,  pag    719. 


ROMA  —   40   —  ROMA 

L' iscrizione  è  interessante,  perchè  ci  conserva  due  date  consolari  e  i  nomi  di  due 
prefetti  del  pretorio.  I  consoli  sono  quelli  della.  163  e  dell'a.  167  d.  Cr.  (').  I  due  . 
prefetti  del  pretorio  Furius  Victorinus  e  Coraelius  Repentinus  sono  ambedue  noti  da 
testi  e  documenti  epigrafici  ;  la  cui  esattezza  si  è  però  dovuta  riconquistare  attraverso 
errate  tradizioni.  Infatti  la  Historia  Augusta  che  nomina  insieme  i  due  prefetti,  scambia 
e  sbaglia  i  loro  nomi  :  Antoninus  Pius  in  locum  Tatti  Maximi  demortui  duos  prae- 
fectos  substituit  Fabium  Repentinum  et  Cornelium  Victorinum  (  Vita  Pii,  8).  La 
iscrizione  più  insigne  relativa  a  Furio  Vittorino  ci  è  pervenuta  in  una  copia  ligo- 
riana  cosi  sospetta  per  errori,  che  il  Borghesi  prima  e  gli  editori  del  Corpus  poi  la 
condannarono  come  falsa,  e  solo  di  recente  la  sagacia  dello  Huelsen  ha  potuto  cor- 
reggerla, e  mostrarla  non  del  tutto  inventata  (*).  Nominati  insieme  da  Antonino  Pio, 
ossia  al  più  tardi  nel  161,  erano  i  due  prefetti  ancora  in  carica  nel  163,  come  mostra 
questa  nostra  iscrizione.  Di  Furio  Vittorino  poi  si  sa  che  egli  morì  tuttora  prefetto 
circa  il  167,  al  principio  della  guerra  marcomannica  (3). 

4.  Piccola  stele  con  fastigio  segnato  5.  Stele  marmorea  misurante  m.0,48 

a  graffito,  nel  centro  corona,  nei  due  acro-  X  0,29: 
terii  le  lettere  DM.   Mis.  m.  0,20  X  DM 

0.26:  TLYCAOIVSTOANN 

D  M  VERCELL1SM1L- 

VERNIO  •  PROBO  COH  •  IIII  ■  PR  •)•  EREN 

milcoh  Imi  nimilann  vini 

PR-7LONGINI  VIX- ANN -XXVII 

MILANNVII  H-     F-     C- 

6.  Stele  marmorea  di  m.  0,47  X  0,32  : 

D     •     M 
PQVINTIOOFNI 
GRINOMEDIOL 
MISSOACAVSIS 
EXCOHVPR  >PRISC1 

PH 
C  •  VIRIVS  •  CATVLLIN  VS 

ET 
SEXBLESENVSLEO 
CONCHORTALES 

(')  Hulsen,  Il  praefectiu  praetorio  Furius   Victorinus  in  Ausonia,  II,  pag.  67. 

(*)  Per  errore  il  quadratane)  nel  nome  dei  primi  consoli  ha  scritto  L,  Aeliano  invece  di 
Laeliano. 

(')  Hitt.  Avq.  Vita  Marci  14  Altri  documenti  dei  due  personaggi  sono  per  Cornelius  Repen- 
tinus una  lettera  di  frontone  Ad  amie.  2,4)  una  fistula  aquaria  (C.I.L.  XV,  7439)  e  l'iscrizione 
di  un  soldato  (0.  /.  L.  VI,  1564).  Per  Furius  Victorinus  l'iscrizione  citata;  un'altra  greca  di  Tiro  in 
Fenicia (Inscr.  graecae  ad  res  romanas  speclantes,  III,  1103)  e  un  papiro  della  collezione  Th.  Reinach 
(Hulsen,  loc.  cit.,  pag.  73). 


ROMA  —   41    —  ROMA 

È  notevole  la  frase  missus  a  causis  =  riformato,  come  diremmo  noi,  in  linguaggio 
tecnico  militare  (')•   Non   conosco   altri  esempii  di  missis  a  causis  tra  i  pretoriani. 

7.  Piccola  stele  marmorea  fastigiata;  negli  acroterii  DM.  Mis.  m.  0,35  X  0,23  : 

L-AVRELIOLF 

IVLIA  DIGNO  AN 

PHIPOLIMILCOH 

VPR)-OCTAVI 

MILANNVVIX 

ANN-XXV-FEC 

LAVRELIVSDI 

ONYSIANVS  •  MIL 

COHIPR)VALE 

RIHERESFC 

La  Amphipolis  patria  del  defunto  pretoriano  è  secondo  ogni  probabilità  la 
Anfipoli  di  Macedonia,  e  non  l'altra  di  Siria  che  appare  solo  come  nome  secondario 
di  Tapsaco  (Plin.,  Nat.  Hist.,  V,  82).  Notevole  è  l'aggiunta  dell'epiteto  Iulia;  par- 
rebbe doversene  dedurre  il  nome  completo  di  Colonia  Iulia  Amphipolis.  Anche  ad 
Anfipoli  cioè  sarebbe  stata  dedotta  una  colonia  di  veterani  da  Augusto,  così  come 
dopo  la  vittoria  di  Filippi  parecchio  altre  ne  furono  dedotte  in  Macedonia  (').  Ma 
che  Anfipoli  sia  stata  colonia  romana,  non  solo  non  è  detto  da  testi,  né  da  epigrafi, 
ma  sembra  anche  debba  escludersi  dalla  sua  monetazione,  che  anche  in  età  imperiale 
reca  sempre  leggenda  greca,  e  non  porta  mai  il  nome  di  colonia  (3).  Contro  questi 
fatti  mi  sembra  non  possa  darsi  valore  alla  nostra  iscrizione,  umile  monumento  privato 
di  povera  gente  non  sempre  perfettamente  informata  delle  condizioni  giuridiche  di 
una  città  lontana  (*). 

8.  Frammento  di  lastra  marmorea.  Mis.  m.  0,45X0,21: 

d  M 

ANIOFELICI-MILCOHVII.PR 

MIL- ANN   li  MENS  •  XI  •  VIX-  ANN 

SUI  FECERVNT 

THALAMVS  •  ET  •  CORNELIA 

p  ARENTES  •  FILIO  ■  PIENTISSIMO 

LIBERTIS-LIBERTABVSQ_ 

pos^RISQ^EORVM 

(')  Cfr.  Cagnat  in  Daremberg-Saglio,  Dictionnaire,  s.  v.  missio,  e  Ann.  ht-,  1885,  p.  246, 
cfr.  il  documento  di  congedo  di  un  soldato  per  infermità  di  occhi  in  Oxyrrh.  Papyri,  I,  n.  39. 

(*)  Troviamo  Colonia  Iulia  Augusta  Cassandra,  Colonia  Iulia  Augusta  Diensis  (Dium),  Colonia 
Iulia  Augusta  Pella,  Colonia  Iulia  Augusta  Philippi. 

(')  Catal.  of  Coins  of  the  Brit.  Mus.  -  Macedonia,  pag.  52. 

(*)  Cfr.  altri  esempii  di  errori  nei  nomi  di  città  dati  dai  latercoli  militari  in  Mio,  1910, 
pag.  256. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  6 


ROMA  —    42    —  ROMA 

9.  Lastra  marmorea.  Mis.  m.  0,50  X  0,30  : 

D  gsM 
QjCOMINIO 
PVDENTIMIL 
COHVIIPR>TERTl 
M  •  VETTIVS  •  EXOR ATVS 
HETCOMFRATRI 
E-es  M  es  •  F 

10.  Lastra  marmorea.  Mis.  m.  0,30X0,25: 

MCARACALLIO-M 
F-NEMLVPO-BO  (*«'<0 

NONIA-MIL-  COH 
IXPR>-VARIMIL 
ANN-IIII-VIX- ANN 
XXII-EX-TESTAM 
FECT- ARRIVS 
APERHERES 

La  tribù  del  defunto  è  stata  erroneamente  dal  lapicida  trascritta   NEM(om) 
invece  di  Lemonia. 

11.  Lastra  marmorea  con  duplice  iscrizione.  Mis.  m.  0,66X0,29: 

DM  DM 

L  •  POPILLIO  •  MAXIMO  ■  M1L  C  VALERIO  •  TVRRA 

COH  •  Villi- PR>- MESSIA  NOMILCOHVIIIIPR- 

MILANNXIIIIVIXANN  > ■  MESSIAMIL- AN  Villi 

XXXII  •  HERES  •  FACIVN  VIXANN  ■  XXVII  •  HERES 

DVM  •  CVRAVIT  FACIVNDVM  •  CVRAVIT 

Dal  nome  del  centurione  si  è  fatto  un  aggettivo  che  si  è  accordato  con  il  so- 
stantivo centuria. 

12.  Piccola  stele  marmorea  mancante  in  basso.  Mis.  m.  0,34  X  0,27  : 

C  •  VELIO  •  C  •  F  •  POL-  FAVEN 
TINO-FAVENTIAMIL- 
COH  •  IXPR->-  MONTANI 
MIL-ANN-VII-VIX-ANN 
XXVICASPO-1VSTVS 
^B  •  TRIBCOH    IXPR- 
TIRONI-  ETMVNICIPI 
T-CAVTVSPF 


ROMA  —   43    —  ROMA 

Molto  singolare  è  il  nome  del  beneficiario  che  pone  l' iscrizione  Caspo  luslus  ('), 
il  quale  è  compatriota  del  defunto,  e  contemporaneamente  a  lui  divenne  soldato. 
Così  almeno  sembra  che  debba  intendersi  la  penultima  linea.  Nell'ultima  linea 
leggerei  testamenti)  cawtò  =secondo  le  disposizioni  testamentarie  ('). 

13.  Stele  marmorea  di  m.  0,50X0,21: 

D  M 

CTITVRIO 
SECVNDO AN 
NIENSIS  VERCeL 
5  LIS  MIL  COH  VIX  (sic) 

VRB  >PROCLI 
MIL-ANNXVII 
FRATERBMF  C 

È  un  male  che  non  si  possa  in  alcun  modo  stabilire  la  data  di  questa  iscri- 
zione che  nominando  a  linea  5  la  coorte  XIV  urbana,  si  riferisce  a  uno  dei  periodi 
in  cui  le  coorti  urbane  furono  aumentate  a  più  di  tre  (3). 

14.  Piccola  stele  marmorea  di  m.  0,37  X  0,21  : 

D  M 

M  •  CORNELIO 

MAXIMO 
MILITICOH 
VIVIG 

15.  Lastra  marmorea  di  m.  0,27X0,19: 

D     •     M 

l  •  tarcvnivs  ■  he 
raclianvs  •  m  •  cl-  pr 
misiITTdacicon 
sardvsban-lxm 
anxxx-hebm-f 

D(is)  M(anibus)  L(uciu$)  Tarcunius  Heraclianus  m{iles)  cl(assis)  pr(aetoriae)  Mi- 
s(enatium)  (quadriere)  Dacico  n(atione)  Sardus  b{ixit)  an(nos)  LX  m{ilitavit) 
an(nos)  XXX  he{res)  b{ené)  m(erenti)  fecit. 

(')  Accanto  a  Caspo  possono  andare  i  gentilizi  latini  Casperius  e   Casponius. 
(*)  Cautus  sostantivo  della  quarta  declinazione  è  raro,  ma  non  inusitato  ;  cfr.  Thesaurus  linguae 
latinae  s.  v. 

(*)  Marquardt-Mommsen,  Manuel  des  antiquités  romaines,  XI,  pag.  206. 


KOM:\  —    44   —  ROMA 

16.  Lastrina  da  colombario  m.  0,32X0,11: 

TICLAVDIVSAVGL 
ELECTER-V-A-XXIIX 

Proviene  da  Porta  Maggiore. 

17.  Lastrina  da  colombario  m.  0,41X0,19: 

D     •     M 
SATVRNINAE  •  SABINAE  ■  AVG 
VIXANXX-MENSII-L-VIBIVS 
CERDO  •  FILI AE  •  B-  M  •  FECIT 

Che  una  schiava  dell'  imperatrice  Sabina  possa  essere  figlia  di  un  cittadino  ro- 
mano L.  Vibius  Cerdo,  si  spiega  agevolmente,  ammettendo  che  questi  sia  stato  egli 
stesso  schiavo,  come  il  cognome  greco  lascia  credere. 

18.  Lastrina  da  colombario  m.  0,43X0,19: 

P  •  VAT1NIVS  •  P  •  F  •  ANI  •  FIRMVS 
PACILIA  O   L  •  LAIS  •  TOSILLARI A 

Tosillaria  è  parola,  a  quanto  so,  nuova  nel  lessico  latino,  che  probabilmente 
indica  una  professione  o  mestiere  che  ha  a  che  fare  con  tondeo. 

19.  Lastrina  marmorea  m.  0,25  X  0,21  : 

D  M 
MAGNAE-IVLIAE 
PROCVLAEORNA 
TRICIBENEMERE 
NTI  •  MVLIERI  •  INCO 
NPARABILIFECIT 
M  •  CAECILIVS  •  CHR 
ESTVS-  ANIMAEIN 
NOCENTISSIMAE 
QVAEVIXITANNIS 
XXII 

20.  Lastra  marmorea  m.  0,37  X  0,15  : 

CORINTHO  ■  SOCIORV 
XXXXGALLIAE 
DONATACONIVGISVO 
BENEMERENTI    FECIT 

Corinthus    era   un   servo   della  società   degli    appaltatori    della  quadragesima 
Galliarum. 


ROMA  —    45    —  ROMA 

21.  Lastrina  in  alabastro  fiorito  di  m.  0,36X0,15  con  bellissimi  caratteri: 

VIRGJNIS  •  HOC  •  TITVLO  •  NOMEN  •  NON  •  DEBV1T  •  ESSE 

QVAECVNCTASARTES  PERBIBITETCECIDIT 

NVNC •  IANVARI A- 1 ACES  ANNOSTER- QVINQVE •  SEPVLTA 

ERIPVIT  MISERAS  ■  INVIDA  FLAMMA  ■  PRECES 

IN  •  TE    CERTABAT  ■  SPECIES  •  FORMATA  •  PVDORE 

ET-  STVDIVM  •  NITENS  •  AD  ■  MAIOR A  •  BONA 

SI  ■  NON  •  FATORVM  •  FRAEPOSTERA  •  IVRA  •  FVISSENT 

MATER  •  IN   HÒC  •  TITVLO  •  DEBVIT  •  ANTE  •  LEGI 


Epitafii  in  versi  si  incontrano  molto  di  frequente  per  coloro  che  sono  morti 
giovani,  quasi  a  significare  con  qualche  cosa  di  più  gentile  delle  fredde  formule 
epigrafiche  il  compianto  maggiore  che  loro  si  deve.  E  lo  spirito  che  muove  tali  brevi 
componimenti,  i  concetti  che  si  esprimono,  si  rassomigliano  molto,  quasi  che  come 
nell'arte,  così  nella  letteratura  gli  antichi  non  avessero,  come  noi,  il  terrore  di  ripe- 
tersi. Naturalmente  non  vogliamo  credere  che  vi  siano  stati  componimenti  identici  al 
nostro,  ma  concetti,  spunti,  movenze  e  frasi  intere  si  ritrovano  in  non  pochi  degli 
analoghi  (').  I  due  versi  ultimi  poi  sono  letteralmente  ripetuti  più  volte  (*). 

22.  Umetta  cineraria  marmorea  di  forma  quadrangolare  recante  sulla  fronte  due 
protomi  di  ariete  dalle  cui  corna  discende  un  festone,  e  agli  angoli  inferiori  due 
maschere  con  alto  oyxog.  Sotto  il  cartello  dell'iscrizione  una  maschera  di  Medusa. 
Mis.  m.  0,26  X  0,26  X  0,33  : 

DIS  MANIBVS 

SOSTRATES 

PHILOMVSVS 

Q_i  VMBRICIMELIORIS 

DISP 

CONTVBERNALI 

CARISSIMAEBM 

Quintus  Umbricius  Melior  che  si  permetteva  di  avere  nella  sua  famiglia  anche 
un  dispensa/or,  ossia  un  cassiere  doveva  essere  una  ragguardevole  o  per  lo  meno  ricca 
persona;  sicché  non  è  improbabile  debba  essere  identificato  con  V Umbricius  Melior 
peritissimo  nell'aruspicina,  profeta  a  Galba  della  prossima  sua  morte,  e  scrittore  di 
cose  attinenti  alla  disciplina  etrusca  (3).  Il  tempo  in  cui  Umbricio  visse  non  scon- 
verebbe  alla  paleografia  dell'  iscrizione  e  all'ornamentazione  dell'urna. 

(')  Buecheler,   Carmina  epigraphica;  cfr.  specialmente  i  numeri  995,  1034,  1050,  1213,  ecc. 
(•)  loc.  cit.,  nn.  1149  seg.,  1212.  1479  seg. 

(»)  Plin.,  Nat.  Hist.,  I,  10;  Tac,  ffist.,  I,  27;  Plut.,  Galba,  24;  Thulin,  Etrusca  disciplina, 
in  Pauly-Wissowa,  Real  Encyclopàdie,  VI,  1,  col.  729. 


ROMA. 


46 


ROMA 


23.  Piccola  stele  marmorea  con  acroterii  ;  nel  fastigio  corona  lemniscata;  più  in 
basso,  in  forte  rilievo,  il  defunto  adagiato  su  un  letto,  con  un  poculo  e  una  corona,  e 
la  iscrizione: 

D  M 

C-  IVLIO- FELICI 

IVLIAHYALINE 

PATRONOETCONIVGI 

SNEMERENTIFECIT 


> 


24.  Piccola  stele  marmorea  m.  0,23 
X0,26: 

D  M 

BABVRIAECHRY 
SIDI  •  FECIT 
BABVRIVSATIMETVS 
CONIVGIBENEMEREST 


25.  Lastrina  di  colombario  m.  0,11 
X0,24: 

C- SEMPRONIO 

MVRM 

TBERVISIVS 

ALEXANDER 

11  cognome  a  lin.  2  non  può  essere 
che  o  Murmilloni  o  un  aggettivo  derivato 
da  murmur. 


26.  Frammento  di  lastra  marmorea 
0,18X0,16: 


27.  Frammento  di  lastra  marmorea 
m.  0,27X0,30: 


DIS  •  M  . . . 
TPVBLICI... 
VIXIT... 
...T  TTVB... 
...VI... 


Dit  JfANIBVS 
. .  Publicì  O  F  L  O  R  O 
..Dtój'T'ANNIS'LXV 
...PwèLICIOFLOROF 
..Vt'XITANNIS-III 
...ZIA    IANVARIA 
..«XORPIISSIMA 
...  VSFFECERVNT 


28.  Lastra  di  marmo  m.  0,36  X  0,36  : 


*      D    es    M     ♦ 

IVLIAE  GEMELLAE 

LSOCELLIVS- FELIX 

CONIVGISANCTAE 
ETCONDISCIPVLAE-  DVLCISSIM 
FECITETSIBI-  CVM  •  QV  A-  VIXIT 
ANNIS  •  XXVII  ■  ET  CASSIAE 

AV  X  E  S I 


L'ultimo  nome  è  aggiunto  dopo,  e  scritto  da  altra  mano  e  con  altro  strumento. 


ROMA  —   47    —  ROMA 

29.  Lastrina  marmorea  di  colombario  m.  0,14X0,29: 

POBLICIA 
CALLIBVLA 

MAT 

30.  Lastrina  di  colombario  m.  0,22  X  0,08  : 

PERGAMVS 

31.  Lastrina  marmorea  scorniciata  m.  0,30X0,21: 

D   ■  M 
SEXTILIAE 
SYMPHERVSAE 

FECIT 
SEXTILIVS 
EVTYCHES 

32.  Lastrina  marmorea  m.  0,30X0,27: 

MVNATIA  •  CN  ■  L-  TERTIA 
MI  •  ET  ■  MEIBVS  ■  ET  •  VIRO 
MEOM-FVRIVSMLANNèALVS 

33.  Stele  marmorea  fastigiata  m.  0,58X0:28: 

D  M 

M-AEMIL1VS  CARPVS 
ETAELANIAHYGIA 
AEMILIAENICE 
ALVMNAE  BENE 
MERENTI-VIX-ANN 
XVIIMENIIIDIEBX 

34.  Lastra  marmorea  m.  0,41  X  0,25  : 

D  M 

ABDATI  ■  COIVG 

FEC  •  DRVNGIA 

HELPISCVMQ^ 

VIXANN-XVI 

ETCRESCES 

COLLIB  EXPA 

RTEFECERBM 

Abdas  è  nome  di  notissima  etimologia  semitica;  Drnngia  invece  (che  devesi 
riaccostare  al  basso  latino  e  basso  greco  drungus,  drungarius,  ÓQoyyaQiog)  sembra 
doversi  piuttosto  riportare  ad  origine  germanica. 


A -L- LARTEMISIA 


ROMA  —  48  —  roma 

35.  Lastrina  da  colombario  m.  0.31  36.  Frammento  di  lastrina  da  co- 

X0,15:  .  lombario  m.  0,22  X  0,12: 

IVLIAE  TERTVLLAE 
P  CINTIVSPLIVCVNDVSFECIT 

37.  Lastrina  marmorea  m.  0,37X0,10: 

DIS  •  MANIBVS 
CHERENNIVSRVFVSFECIT  •  T. 
SVAE  PIISSIMAE  ■  HERENNIAE 
C-FRVFINAEVAVIII 

38.  Lastrina  di  colombario  m.  0,28X0,12: 

M  •  CL-  EVCHRVS 
VIXAX 

39.  Piccola  stele  ricavata  da  un  frammento  di  cornice  marmorea  m.  0,42  X  0,20  : 

D     •     M 
CALATICO  FECIT 
CONIVNXBENE 
MERENTI  •  VIXI 
ANNIS- XXVIII 
MENSE- 1- DIE 
BVS  -VII 

Nella  seconda  linea  sarà  forse  da  leggere,  senza  l'interpunzione,  Calatico. 

40.  Lastra  marmorea  m.  0,37X0,15: 

P  •  CASENVS  •  P  •  ETO  •  L-  CERDO 
L  •  SESTIVS  •  L  •  L  •  CARRES 

FAVSTA-SESTIA 
RUSTIA'  3  •  L-  AMARYLLIS 
iHIXIT  ANNOS  XX 

Singolari  sono  il  nome  Casenus  e  il  cognome  Carré*.  Questo  viene  a  confermare 
l'esattezza  di  scrittura  di  una  iscrizione  di  Luceria,  in  cui  il  nome  Carres  si  pro- 
poneva di  correggere  in  Caris(simus).  [C.  /.  /,.,  IX,  857]. 

41.  Lastra  marmorea  m.  0,30  X  42.  Stele  marmorea  m.  0,50X0,29: 
0,24: 

DM  D         M         S 

SVCESSAQVA  ATI  LIA  NAT  IONE 

EV1XITANNIS  GALLIGAVIXAN 

XIVALERIAAG  XXXV  •  FECIT 

ELE- FECIT -FILI  A  HELLADES  CONIV 

E  •  DVLCISSIMAE  Gì  ■  RARISSIMAE 


ROMA 


—    49 


ROMA 


43.  Tabella  di  colombario  di  m.  0,23X0,11: 

THERMITARION 
ALEXANDRIN 
VIX    ANN    XXIII 

Thermilarion   o   più  correttamente,    &tQ/xov^aQiov,    è  nome  femminile  che  si 
ritrova  non  di  rado  nell'Egitto  greco  e  romano  (l). 


44.    Lastra    marmorea    m.  0.38  X 


0.20: 


45.    Lastra    marmorea  m.   0,32  X 


0.21: 


A  N  T  I  G  O  N  A  E  es  E  T 
ARIADNAE  SORORVM 
DVLCISSIMARVM 


M • TERENTIO 
CARPO    TRPAL 
IVL1A     QVARTA 
CONIVGI    BENEMERENTI 
FECIT   ■  SVO 


46.  Lastrina  marmorea   da   colom- 
bario m.  0,33  X  0,14: 


47.  Lastrina  marmorea   da   colom- 
bario m.  0,35  X  0.22  : 


DIS         MAN 

DOMITIAEIONICE 

CN    DOMIT1VS  •  THREPTVS 

CONIVGI  ■  K-B-M 


Q_HIRRIVS  ■  Q_L-  EVETHANGELVS 
Q_HIRR1VS  •  Q_L-  DVRNIO 
HIRRIA  •  Q_L  •  PHILEMATIO 
CLHIRRIVS  •  Q^L-POM'  CINNA 


48.  Lastra    marmorea    m.   0,47  X 
0,29: 

D      •      M 
CN  LEPIDIO 

HERMETI 

CONIVGI    B-  M 

FLEP1DIADONAT 

VIX- A    XLMII 

49.  Lastrina   da   colombario  fram- 
mentata m.  0,14X0,10: 

LSOCEL... 
NOME 


50. 
0,19: 


Lastra    marmorea    m.   0,46  X 

D  M 

SATYRISCO 
FILIO-DVLCISSI 
MOQVIVIXIT  AN 
NIS- VIMENS1BVS 
VII    D1EBVS-XVIII 
HVIIIFECERVlST 
SATVRISCVS  ET 
EVPHROSYNE 
PARENTESET 
PAELIVS  -ZOSI 
MIANVSAMICV 


(')  Cfr.  ad  es.  Kiiiyon,  Papyri  uf  ihe,  Urit.  Mus.,  pp.  'M,  12ti,  156;  Grenfell  Hunt,  Oxyrrhyn- 
chus  Papyri,  III,  n.  530  ecc. 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  7 


ROMA 


—   50   — 


ROMA 


51.  Lastrina  da  colombario  frammentata  m.  0  20X0,13: 

CAESIVSSPF 

COL-  FAVSTVS 

.  .  .  CAESIAMLPELORIS 
quae  VIXANNXXIV 


52.  Lastrina  da  colombario  m.  0,20 

X0,11: 

N  ARCISSVS 
VIXAXXIVDXUX 


53.    Tabeletta   marmorea  m.  0,14 
X0,12: 

L-SALLVVIVS 
L-LCRYSEROS 


54.  Frammento  di  lastra  marmorea  m.  0,26  X  0,16  : 

M 

DIO  ■  CHRE 

.  .smoFIL-DVLCISSI- 
iyM?  vixi  T-ANN-IIII 
. . .  Chresi  I  NV  S 

55.  Piccolo  timpano  triangolare  in  marmo  m.  0,88  X  0.22  : 

D         M         S 

A- AEGR1LIO- ALIB 

FLORENTINOALVMNO 

DVLCISSIMO  •  QVI  •  VIXANN  •  VI 

MENIIII-D1EXXVHORXIPIENTISSIMO 

FECIT  AAEGRILIVS  TROPHIMVS  •  ET-  SIBI    ET  SVIS 


56.    Lastra   marmorea   m.   0,54  X 


0,26: 


D         M 
C-IVLIO- POLITICO 
FILIO  •  DVLCISSIMO 
C-  IVLIVSALEXANDER 
ET  IVL1AAMPLIATA 
PARENTFS-FECERQVI 
VIXIT  •  ANNIS 
XVIMIIII 


57.  Stele  marmorea  m.  0,40  X  0,27  : 

DIS    MANIB 
Q_POMPONIOALClMO 
POMPONIVS 
RVFINVS    ET 
EVCAERVS 
AMICO  •  OPTIMO 


58.  Lastrone  marmoreo  m.  0,59  X  0,43  : 


D     a     M 
IONICO- Q_VIX1T- ANNIS 
XXXIIIMENSVDIE 
BVS  •  VI  ■  C  •  MOD1VS 
EVPITHES  FRATER 
VNACVMETPAREN 
TIBVSCMODIO 
EVCLIDE  ETMODIA 
ANATOLE    DVLCIS 
SIMOETPIENTISSI 
MO    FECERVNT 


ROMA 


—  51  — 


ROMA 


59.  Lastrone  marmoreo  eoa  iscrizione  in  ottimi  caratteri  m.  0,77  X  0,60  : 

. . .  VS  •  FORTVNATUHI 
. .  iSCIT  a  LANTIO-  MYSTI  •  ET 
CAESONIAE  •  MEROE 

PARENTIBVSSVISET 
ANTIAE  ■  IANVARIAE  •  LIB  •  SVAE 
KARISSIMAE  e  LIBERTIS 
LIBERTABVSPOSTERISQj* 

EIVS 
IN  FRONTE  •  P-  XIX  •  IN  AGRO  •  P-  XII S 

La  lastra  fu  poi  adoperata  come  coperchio  di  una  cassa  o  di  un  piccolo  sarco- 
fago, e  reca  sulla  costola  l'iscrizione 

Q_;  GELLIVS  •  CARPVS  •  VIX  ■  ANN  •  I 

60.  Piccola  stele  stondata  e  mancante  della  parte  inferiore: 

Qj  LVCRETIVS 

Q_FVERVS 

VAIII-ETDXLII 

61.  Lastra   marmorea   scorniciata   m.   0,45  X  0,38.    Dalle   vicinanze   di   porta 
Maggiore  : 

D  M 

TI    CLAVDI 

VlX-ANN.IIl.M.Vlir.DXHIl 

IANVAR1FILPIISS 
TI  •  CLAVDIVS  ■  SYMPHOR 
ET-  CLAVD  •  NICE  ■  PARENT 
FEC  •  SIBI  •  POSTERQJVORVM 

La  linea  3*  è  aggiunta  in  caratteri  più  piccoli. 

62.  Lastrina  marmorea  scorniciata: 


Il  monogramma  è  assai  probabilmente  da  leggersi  Hilarus. 


ROMA 


—  52 


ROMA 


63.  Piccola  stele  marmorea  fastigiata;  nel  timpauo  sono  espressi  una  lira  e  due 
plettri.  Mis.  m.  0,20  X  0,20  : 

AAIMOCIN 

KA€OnATPAC 

<pA€l"UJN 

MNHMHC 

XAPIN 


61.  Lastra  marmorea  di  m.  0,34  X0,29: 


i' 


S^ 


APX  tnK1 


évi) ctSe  xsìtt  (sic)    JeXtfìvoi  &Q%<ov 

n 

L' iscrizione  devesi  attribuire  a  un  aq%mv  avvayiayrjg,  come  mostra  il  segno  del 
candelabro  a  sette  braccia. 


65.  Lastra  di  marmo  cipollino  con  cornice  sul  lato  destro  e  un  vaso  a  due  anse 
graffito  a  destra  dell'  iscrizione  : 

EVENTIA  BONI 

MERITI  QVIVIC 

SITANNXXV 

DX-  QVI  FECVM  MA  AN  Vili 

DXIIIKIVNIAS 


A  linea  4  devesi  leggere  qui  fe(cit)  cum  ma(rito)  etc. 


ROMA  —    53   —  ROMA 

66.  Frammento  di  lastrone  marmo-  67.  Lastrone  di  marmo,  m.  0,87  X 

reo.  Mis.  m.  0,95X0,49:  0,32: 

VINCENTIVS» 
Ctf]LERINVSMARes-Fes  QVIVISITAN  LXXV 

...  DECE  •  Villa   IDOCT  a  MV  DIIII-1N  PACE*- 

68.   Lastra  di  marmo  m.  0,42  X  69.  Lastra  marmorea  di  m.  0,44  X 

0,19:  0,22: 

PAVLINVS  NORIMAEINPACE 

IN  -f.  PACE  QVI  VIXIT  M-  Vili 

70.  Lastra  marmorea  con  lettere  allungate,  appena  graffite  m.  0,48  X  0,14  : 

VOMENSES  DECE 

71.  Lastra  marmora  iscritta  m.  0,56X0,16: 

BENEMERENTI  EN  PACE 
PREIECTICIVS-VIX1TANNIS  0 

Il  nome  Proiecticius  è  uno  di  quei  nomi  ignominiosi  assunti  talora  per  umiltà 
dai  primitivi  cristiani  II  numero  degli  anni  sembra  dato  con  la  nota  numerale  greca 
0  =  70. 

72.  Lastra  di  marmo  bigio  con  iscrizione  a  brutti  caratteri  debolmente  incisi 
m.  0,64X0,26: 


.  ..VSIN  PACE 

t     E 
•  OSXXXVETMENXI 


La  epsilo/i  presso  il  monogramma  costantiniano  non  è  forse  altro  che  un  omega 
girato  di  novanta  gradi. 

73.  Lastra  marmorea  m.  0,73X0,18: 

X  FLABl  ALEONT!  A  Q_V  A  E  V  I  XS  I  T  X 
ANNVSXL  QV  A  E  VIXIT  CVM  VERGINI 
VMSVVWl  ANVSXVIII-  ETDECESSIT-AN 
NORVMq_VADRAGINTA-  1DVS- AVGVSTAS 


ANZIO  —    54    —  REGIONE    I. 


74.  Frammento  di  lastra  marmorea  scritta  sulle  due  facce.  Mis.  m.  0,21  X  0,21  : 

PASCASA 

DEPOSITA 

ANNORVM  sul  rovescio      ASHSA 

ClMENSVM  PSI 

SIIIDIESSIINPACE 


75.  Mattonella  esagonale  di  marmo,  su  cui  è  graffito 


a£  -e 


IX 
M  A  RT I N  A 
X 


Per  la  epsilon  vicino  al  simbolo  cristiano  dell'angolo  sinistro  vedi  l'osservazione 
all'  iscrizione  72 

R.  Pari  beni. 


Regione  I  (LAT1UM  ET  CAMPANIA). 

LAT1UM. 

III.  ANZIO  —  Statua  marmorea  rinvenuta  presso  la  Fornace  vecchia. 

Lungo  le  terrazze  della  villa  Neroniana  sporgenti  sul  mare,  in  località  Fornace 
vecchia  non  lungi  dal  semaforo  di  Anzio,  un  marinaio  semaforista  ha  rinvenuto,  a 
poca  profondità,  una  statua  acefala  di  marmo  greco,  purtroppo  molto  corrosa,  alta 
m.  1,35,  compreso  il  plinto  che  è  di  m.  0,11. 

È  una  figura  femminile  in  piedi,  vestita  di  peplo  con  cintura  attica;  posa  sulla 
gamba  destra,  mentre  la  sinistra  è  leggermente  ripiegata  nel  ginocchio  e  spinta  in 
dietro.  Manca  tutto  il  braccio  destro,  e  del  sinistro  rimane  solo  una  parte  fin  poco 
sopra  il  gomito.  Un  grande  scheggione  di  marmo  deturpa  la  parte  corrispondente 
alla  coscia  e  alla  gamba  sinistra  ;  i  piedi  sono  rotti.  All'attacco  della  testa  e  nella 
parte  superiore  del  petto  la  superficie  è  molto  corrosa.  Il  tergo  è  in  uno  stato  di 
conservazione  relativamente  molto  migliore  della  parte  anteriore. 

Le  pieghe  del  peplo  scendono  parallele,  piuttosto  larghe  e  piatte  nella  parte 
posteriore,  a  cannelli  più  stretti  nell'anteriore,  ove  presentano  un  discreto  gioco  nella 
rientranza  prodotta  dalla  posizione  della  gamba  sinistra.  Si  sente  l'effetto  della  cin- 
tura sulle  pieghe  del  busto,  le  quali  sul  davanti  assecondano  con  una  curva  le  mam- 
melle, e  dietro  sono  convergenti  verso  la  cintura. 

Si  può  affermare  che  la  statua  rappresenta  Athena  senza  egida.  La  pondera- 
zione della  figura  è  quella  propria  del  V  secolo  av.  Cr.  ;  ma  le  forme  svelte  e  slan- 
ciate e  un  leggiero  restringimento  nella  vita,  con  relativa  inclinazione  del  busto,  in- 
ducono a  porre  l'originale,  di  cui  la  nostra  statua  è  una  copia  di  età  romana,  verso 


REGIONE    II.  —    55     -  GADDIANO   PRESSO    LAVELLO 

la  fine  di  quel  secolo  e  attribuirla  al  periodo  di  transizione  fra  l'arte  del  V  e  quella 
del  IV  secolo.  Alle  stesse  conclusioni  conduce  lo  studio  delle  pieghe  del  vestito  che 
non  sono  irrazionali  e  risentono  dei  movimenti  del  corpo. 

La  lavorazione  non  è  disprezzabile,  e  perciò  è  deplorevole  lo  stato  in  cui  è 
ridotta  la  statua,  che  ci  conserva  un  tipo  raramente  riprodotto.  Tra  le  opere  a  me 
note,  che  presentano  somiglianze  con  la  nostra,  la  maggiore  affinità  si  riscontra  in 
una  statuetta  alta  m.  0,55,  scoperta  ad  Epidauro  e  cons.  rvata  nel  museo  di  Atene, 
rappresentante  Athena  con  la  testa  coperta  da  un  elmo  attico  (').  Uguale  è  la  pon- 
derazione della  figura,  e  si  ritrova  anche  la  leggiera  inclinazione  del  busto.  Il  vestito 
è  simile;  le  pieghe  hanno  sulla  coscia  e  la  gamba  destra  leggiere  differenze  nei  par- 
ticolari ma  die  non  turbano  l'effetto  complessivo  e  son  dovute  forse  alla  diversa 
dimensione  delle  statue.  E  poiché  anche  quella  di  Epidauro  è  una  copia  di  età 
romana,  credo  di  non  andare  lontano  dal  vero  supponendo  che  si  tratti  di  due  copie, 
più  o  meno  libere,  di  uno  stesso  originale. 

Chi  guarda  la  statua  anziate  non  può  a  meno  di  notare  le  somiglianze  che  essa 
ha  nel  movimento  con  la  Parthenos  ;  e  tali  somiglianze  vide  già  il  Petersen  nella 
statuetta  di  Epidauro.  Queste,  peraltro,  non  sono  tali  da  permettere  di  parlare  di 
copie  del  celebre  copolavoro  di  Fidia;  piuttosto,  a  me  semba  che  le  due  statue  ci 
conservino  il  ricordo  di  un'opera  stilisticamente  più  giovane  della  Parthenos,  il  cui 
autore  stesse  sotto  l'influsso  dell'arte  fidiaca,  o  che  si  inspirasse  alla  statua  dell'Acro- 
poli, nel  creare  un  tipo  che  le  somigliava  molto  nel  movimento  ma  se  ne  allonta- 
nava nei  particolari  del  vestito  e  nelle  proporzioni. 

P.  Fornari. 


Regione  II    (APULI A). 

IV.  GAUDIANO  PRESSO  LAVELLO  —  Cretaglie  neolitiche  della 
media  valle  dell' Ofanto. 

Oli  avanzi  ceramici,  di  cui  ci  occupiamo,  furono  rinvenuti  dall'on.  senatore  Giu- 
stino Fortunato,  in  una  trincea  aperta  per  la  costruzione  di  quel  tratto  della  via 
che  da  Ponte  a  Poggetto  conduce  a  Venosa,  e  precisamente  nella  località  «  vocabolo 
Gaudiano  » ,  sulla  riva  destra  dell'Ofanto.  Essi  si  trovarono  riuniti  in  un  breve  spazio, 
a  non  molta  profondità  dal  terreno  circostante,  sotto  uno  straterello  d'incrostazione 
calcarea  fogliettato,  sul  quale,  in  tutta  la  media  valle  dell'Ofanto,  viene  a  poggiarsi 
il  sottile  strato  dell'humus  vegetale. 

Sono  in  tutto  un  centinaio  di  frammenti  (il  più  grande  dei  quali  non  oltrepassa 
la  dimensione  di  10  cm.  in  quadro),  e  si  possono  distinguere  in  due  categorie:  la 
prima,  di  quelli  che  spettano  a  vasi  grossolani  e  di  grandi  dimensioni;  l'altra,  di 
quelli  appartenenti  a  vasi  piccoli,  più  raffinati  per  tecnica  e  per  esecuzione. 

(')  'Etf.  àqX ,  1886,  e.  255  sg.,  tav.  12,2  (Stala);  Athen.  Mittheil,  1886,  p.  320  sq.  (Petersen); 
Stais,  Guide  I*,  n.  276,  p.  93  sq. ;  riprodotta  anche  i-i  Beinacb,  Rep.  Stat',  II,  p.  291,  4. 


SAUDIANO   PRESSO   LAVELLO  —   56    —  REGIONE    li. 

Vasi  grossolani;  loro  forma  e  tecnica.  —  I  frammenti  in  parola,  tranne  qualche 
raro  pezzo  di  orlo  e  di  fondo,  appartengono  per  la  maggior  parte  al  ventre  dei  vasi. 
La  convessità  di  questi  ultimi  ci  riconduce  quasi  ad  un'unica  forma  di  un  grande 
vaso  panciuto,  cioè  ad  una  specie  di  grosso  pentolone  o  pithos  a  larga  base,  dell'ap- 
prossimativa altezza  dai  40  ai  50  cm.,  giacché  soltanto  qualche  raro  pezzo  potrebbe 
dare  indizio  di  sagome  coniche  e  cilindracee.  La  parete  di  questi  grandi  vasi  era  di 
spessore  assai  maggiore  di  quanto  comportasse  la  grandezza  del  vaso:  e  tale  spes- 
sore aumenta  ancora  verso  il  fondo,  tanto  da  raggiungere  talvolta  lo  spessore  ordi- 
nario di  un  mattone;  perciò  dovevano  riuscire  di  una  pesantezza  straordinaria.  Erano 
ordinariamente  apodi,  con  fondo  tondeggiante  o  piatto  ('),  più  raramente  forniti  di 
una  specie  di  tacco  o  piastrella,  la  quale  talvolta  si  trova  separata  dal  corpo, 
mediante  una  leggera  strozzatura:  e  questa  forma  embrionale  di  piede  accenna  già 
a  ciò  che,  nell'evoluzione  delle  forme,  diventerà  il  bel  piede  classico.  Anche  la 
mancanza,  in  tutto  il  cumulo  dei  frammenti,  di  qualunque  apofisi  che  possa  accennare 
ad  una  forma  qualsiasi  di  manico,  conferma  che  quei  grandi  vasi  erano  privi  delle 
anse.  Essi  sono  formati  di  un  impasto  argilloso,  abbastanza  depurato,  senza  miscela  di 
sostanze  eterogenee,  cioè  di  quel  tritume  vulcanico  che  si  riscontra  nelle  ceramiche 
analoghe  di  altre  regioni.  Anche  la  sagoma,  abbastanza  regolare,  di  tali  vasi,  data 
la  loro  grandezza,  dimostra  che  erano  plasmati  bensì  a  mano,  ma  con  l'aiuto  di 
forme  primitive. 

Ingubbiatura  ed  ornamenti.  —  Questi  vasi  in  parte  sono  a  superficie  grezza, 
semplicemente  lisciata  a  mano;  in  parte  ingubbiati,  ossia  con  copertura  di  un  sottile 
strato  di  argilla  mista  ad  ocra  gialla,  e  forse  anche,  come  alcuni  credono,  a  qualche 
sostanza  resinosa.  La  superficie  esterna  era  accuratamente  lisciata  a  spatola,  per  modo 
che  l' ingubbiatura,  dopo  la  cottura,  prendeva  un  nitore  quasi  di  vernice.  L' interno 
era  parimenti  tirato  a  politura  ;  e  la  varietà  di  tinta  nera,  grigia,  gialla,  della  parte 
interiore,  dipendeva  dalla  maggiore  o  minore  penetrazione  del  calore.  Una  parte  dei 
grandi  vasi,  sia  di  quelli  a  superficie  ruvida,  sia  di  quelli  coli'  ingubbiatura,  era 
esternamente  decorala  con  ornati  graffiti  od  impressi  di  tipi  differenti,  eseguiti  sulla 
parete  ancor  fresca  del  vaso,  con  arnesi  diversi. 

Tipo  A,  ad  incisioni  rettilinee  più  o  meno  profonde,  sparse  senz'ordine  nella 
superficie  del  vaso  (fig.  1),  ottenute  con  uno  strumento  a  punta. 

Tipo  B,  ad  incisioni  curvilinee,  egualmente  sparse,  senza  alcuna  regola,  sul- 
l'esterno del  vaso,  eseguite  mediante  l'unghia  o  la  punta  ricurva  di  una  conchiglietta 
(%  2). 

Tipo  C,  ad  incisioni  ottenute  con  lo  stesso  mezzo,  ma  con  l'asportazione  di  una 
piccola  porzione  di  argilla,  in  modo  da  lasciare  un  incavo  più  o  meno  spazioso.  Tal- 

(')  Per  la  forma  di  questi  vasi  cfr.  quelli  pubblicati  dallo  Jatta.  tav.  Vili,  nn.  1,  2,  Bull,  paletti. 
it„  1905,  rinvenuti  in  territorio  d'Andria  pure  sotto  un  sottile  straterello  di  crosta  calcarea  ed 
appartenenti  ad  un  sepolcro  di  età  eneolitica.  Ma  la  quantità  dei  vasi  e  la  molteplicità  delle  loro 
forme  ci  distolgono  dall'attribuire  i  nostri  frammenti  ad  avanzi  di  un  sepolcro,  e  ci  fanno  piuttosto 
pensare  ad  un  deposito  o  nascondiglio  :  questione,  questa,  che  non  si  potrà  risolvere  se  non  pra- 
ticando scavi  in  quella  località. 


REGIONE   II. 


—  57  — 


GAUDIANO   PRESSO   LAVELLO 


volta  tali  scalfitture  sono  sparse  senz'ordine  (fig.  3),  tal'altra  disposte  su  linee  binate 
o  rette,  o  leggermente  ondulate  (fig.  4). 

Tipo  D,  a  larghi  zig-zag  probabilmente  tracciati  con  una  punta  ottusa  od  uno 
stecco  (fig.  5). 


Tipo  E,  a  zig-zag  ad  angolo  ricurvo,  assai  più  largo,  cioè  con    duplice   rifini- 
mento a  punta  ed  a  stecco  (fig.  6). 


Pio.  3. 


Fio.  4. 


Vasi  fini.  —  Anche  i  vasi  fini  sono  a  superficie  grezza  ed  ingubbiata";  però 
l' ingubbiatura  di  questi  presenta  vari  colori  e  tale  grado  di  lucentezza,  da  produrre 
l'effetto  quasi  dello  smalto,  il  che  perfino  c'indurrebbe  a  credere  che  al  colore  fosse 
stata  aggiunta  qualche  sostanza  propria  del  vetro.  Fra  i  colori  predomina  il  rossiccio, 
ma  vi  è  pure  il  grigio  ed  il  nero.  Anche  dei  vasi  piccoli,  tanto  quelli  a  superficie 
grezza,  quanto  gli  altri  con  ingubbiatura,  presentano  la  superficie  esterna  decorata 
con  vari  sistemi  di  ornamentazione. 


Notizw  Scavi  1915  -  Voi.  XII. 


8 


GAODIANO    PRESSO    LAVELLO 


—   58    — 


REGIONE    II. 


Tipo  A,  a  zig-zag  rettilinei  assai  serrati  e  poco  profondi,  ottenuti  con  punta  sot- 
tilissima (fig.  7). 

Tipo  B,  a  zig-zag  ricurvi  e  più  profondi  (flg.  8). 

Tipo  G,  a  gruppi  di  linee  a  tremulo,  disposte  quasi  parallelamente  fra  loro  ed 


Fio.  5. 


Fio.  6. 


ottenute  mediante  sottilissimi  fili  metallici  ritorti  a  spirale  o,  come  altri  crede,  con 
incisioni  a  punta  di  conchiglia. 


Fio.  7. 


Fio.  8. 


Tipo  D,  a  tratti  larghi  scalfiti  con  una  figura  arieggiante  la  forma  della  nostra  zeta. 

Per  gli  intelligenti  della  materia,  basterebbe  la  sola  riproduzione  degli  oggetti 
con  la  minuta  descrizione  che  ne  abbiamo  data,  senza  bisogno  di  osservazioni  gene- 
rali, per  comprendere  a  qual  gruppo  archeologico  si  riferiscano  i  nostri  frammenti. 
Il  materiale  fìttile  analogo  a  quello  di  Gaudiano  non  è  nuovo  nella  stessa  Apulia, 
essendo  già  noto  per  gli  scavi  del  Fulo  di  Molfetta  e  per  i  trovamenti  sporadici 
delle  Murge  baresi.  L'analogia  di  questo  materiale  con  quello  proto-siculo  delle  sta- 
zioni di  Stentinello  fu  già  posto  in  opportuno  rilievo  dal  dott.  Mayer  ('). 


(')  Cfr.  Mayer,  Le  stazioni  preistoriche  di  Molfetta.  Relax,  sagli  scavi  eseguiti  nel  1901. 


REGIONE   11.  —   59    —  GAUDIANO   PRESSO   LAVELLO 

Rispetto  alla  cronologia,  la  speciale  categoria  dei  nostri  vasi,  a  mio  avviso, 
potrebbe  assegnarsi  tanto  alla  fine  del  neolitico,  quanto  al  principio  dell'eneolitico. 
Siffatta  attribuzione  cronologica  si  fonda  sul  sistema  della  decorazione,  cbe  è  assai 
più  semplice  nelle  nostre  stoviglie  che  in  quelle  del  Pulo,  dello  stesso  periodo.  Infatti, 
le  ceramiche  eneolitiche  del  Pulo,  oltre  ai  motivi  ornamentali  da  noi  descritti,  altri 
ne  presentano  assai  più  complicati:  cioè  le  linee  catenulate  e  combinate  in  serie;  gli 
ornati  a  scaletta,  a  meandro,  o  a  grandi  spirali;  i  reticolati  a  quadrettini,  a  rombi 
ecc.,  talvolta  con  l'aggiunta  di  bordi  a  pizzo  o  a  sega;  e  sopra  tutto  il  caratteristico 
punteggiato,  coi  vuoti  riempiti  di  materia  biancastra. 

Quanto  all'etnologia  delle  famiglie  che  in  età  eneolitica  lavorarono  la  cera- 
mica in  esame,  non  esito  ad  accostarmi  all'opinione  del  Mayer,  che  le  riannoda  alle 
popolazioni  pre-micenee  delle  coste  dell'Egeo  e  delle  Cicladi.  La  differenza  fra  il 
tipo  di  ceramica  proprio  di  queste  popolazioni,  e  quello  in  uso  presso  i  nostri  indi- 
geni trogloditici  dello  stesso  periodo,  indusse  giustamente  il  Mayer  a  riconoscere  una 
diversità  etnica  fra  gli  abitanti  delle  capanne  del  Pulo,  e  quelli  delle  vicine  grotte. 
I  caratteri  tipici  della  ceramica  esotica  sono  principalmente  l' ingubbiatura  rossiccia 
e  l'inizio  della  decorazione  geometrica,  affatto  rudimentale;  mentre  quelli  delle  grotte 
consistono  specialmente  nei  cordoni  a  rilievo  sul  corpo  del  vaso,  disposti  o  diritti  o 
festonati,  ad  impressione  ottenuta  col  polpastrello  delle  dita  sui  cordoni  stessi  e  sugli 
orli.  Solo  più  tardi,  quando  una  popolazione  di  origine  orientale,  che  aveva  raggiunto 
un  maggior  grado  di  civiltà  ed  un  maggior  sviluppo  nella  ceramica,  venne  a  collo- 
carsi vicino  a  loro,  i  nostri  trogloditi  appresero  da  questa  l'uso  dell' ingubbiatura, 
ed  introdussero,  poco  per  volta,  nelle  loro  ceramiche  il  nuovo  stile  delle  decorazioni 
geometriche. 

I.  Dall'Osso. 


REGIONE   II.  —   61    —  TORINO 


Anno  1915  —  Fascicolo '5. 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  TORINO  —  Lapide  cristiana  ed  antichità  romane  rinvenute  in 
l'orino  durante  l'anno  1914. 

Negli  scavi  per  la  costruzione  d'un  palazzo  nel  terreno  che  il  municipio  di 
Torino  ha  conceduto  alla  Cassa  di  risparmio  di  questa  città,  tra  le  vie  Bertola, 
San  Dalmazzo,  Sauta  Maria  e  Stampatori,  vennero  trovate  alcune  antichità  romane 
die  formano  il  soggetto  principale  di  questa  relazione. 

Primo,  in  ordine  di  data  al  principio  del  1914,  si  rinvenne  un  frammento  di 
lapide  marmorea  iscritta,  di  m.  0,25  X  0,35,  le  cui  lettere  sono  alte  in  media  m.  0,035. 
È  una  iscrizione  cristiana,  che,  sebbene  incompleta,  merita  di  venir  riprodotta  per  la 
sua  rarità,  essendovi  somma  scarsezza  di  tali  iscrizioni  in  questa  regione.  Essa  dice  : 

HIC-IREQV  iescit  in 
SOMNOPA  cis... 
HPQNAEVIX  it 

ANNkPLM»  ... 
■MENONA^M 

Non  vi  ha  dubbio  che  fu  posta  sulla  tomba  di  una  fanciulla,  H(onesta  P(uella), 
come  leggesi  nel  vs.  3  ;  ma  nella  rottura  della  pietra  ne  andò  perduto  il  nome,  il 
numero  degli  anni  vissuti,  ed  altre  indicazioni  ;  e  rimase  incerto  se  la  data  del 
giorno  della  deposizione  fosse  stata  nel  mese  di  marzo  o  in  quello  di  maggio  (pridic 

nones  martias,  o  maias  v.  5). 

* 

Nella  stessa  località  vennero  scoperti,  sotto  alla  via  Santa  Maria,  vari  tratti 
di  una  cloaca  che  già  era  stata  riconosciuta  nella  via  Monte  di  Pietà  in  continuazione 
della  via  stessa  agli  angoli  delle  vie  Boterò,  Genova,  S.  Tommaso  e  Venti  Settembre, 
ed  in  via  delle  Finanze  presso  al  vicolo  del  Teatro. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XIL  9 


TORINO  —   62    —  REGIONE    XI. 


Vari  tratti  di  pavimento  di  via  romana  erano  già  stati  scoperti  sotto  alla  via 
Monte  di  Pietà,  sia  dal  Promis,  sia  dall'  Ufficio  regionale  per  la  conservazione  dei 
monumenti,  in  modo  da  poter  accertare  che  ivi  trovavasi  il  secondo  decumano  a  sud 
del  decumano  massimo,  rappresentato  dall'attuale  via  Garibaldi. 

Anche  in  via  San  Dalmazzo,  all'angolo  della  via  Santa  Maria  erano  state  tro- 
vate fogne,  di  cui  una  imboccava  precisamente  in  quella  ora  rinvenuta,  la  quale  a 
m.  4,35  da  via  San  Dalmazzo  si  trova  alla  distanza  di  m.  4,30  dal  muro  sud  del 
palazzo  Provana  di  Collegno,  ed  a  m.  19,35  è  distante  m.  6,13  dallo  stesso  muro. 
L'ultimo  tratto  di  detta  cloaca  che  si  è  potuto  scoprire  dista  di  soli  m.  23  dalla 
via  Stampatori. 

La  parte  esterna  superiore  di  detta  volta  si  trova  m.  1,85  sotto  il  piano  stra- 
dale della  via  Santa  Maria  e  m.  0,60  sotto  l'antica  strada  romana,  come  si  potè 
riconoscere  da  due  pietre  da  pavimento  di  strada.  Debbo  l' indicazione  di  queste 
scoperte  al  comm.  D'Andrade  ed  all' ing.  Bertea  dell'Ufficio  regionale  per  la  con- 
servazione dei  monumenti  ;  ad  ambedue  esterno  i  miei  sensi  di  gratitudine  per  la  loro 
gentile  comunicazione. 


* 


Un'altra  maggiore  scoperta  venne  fatta  al  principio  di  luglio  in  quelli  scavi. 
Presso  all'ultimo  tratto  di  cloaca  di  cui  si  è  fatto  cenno,  poco  distante  dall'  incrocio 
delle  vie  Santa  Maria  e  Stampatori,  alla  distanza  di  m.  18  dal  muro  della  casa 
Camerana,  che  fa  sèguito  al  palazzo  Provana  di  Collegno,  in  via  Santa  Maria  n.  6 
ed  alla  distanza  di  m.  22  dalla  casa  Mondini  in  via  Stampatori  n.  13,  venne  trovata, 
a  soli  10  o  12  centimetri  sotto  il  livello  della  strada  romana,  un'anfora  piena  di  monete 
romane  che  andò  in  frantumi  per  i  colpi  di  piccone  datile  dallo  scavatore. 

Dall'  impresario  dei  lavori  da  prima,  e  quindi  dal  sindaco  di  Torino,  ebbi  in 
consegna  tutte  le  monete  die  si  sono  potute  raccogliere  e  che  ascendono,  in  totale, 
a  1357  e  comprendono  un  periodo  di  24  anni,  dal  244  al  268  dell'eia  volgare. 

In  esse  sono  rappresentati  12  fra  gli  imperatori,  le  imperatrici  e  loro  tìgli  ap- 
partenenti a  tal  periodo  di  tempo;  e  ne  mancano  altrettanti  e  più  ancora,  perchè  è 
noto  che  sotto  il  debole  regno  di  Gallieno  sorseso  parecchi  tiranni,  essendosi  vari 
generali  dell'Impero  fatti  proclamare  imperatori. 

Può  essere  che  fra  le  monete  che  sono  andate  disperse  fosse  ancora  rappresentato 
qualcheduno  dei  mancanti;  qnelle  a  me  consegnate  risultano  dal  seguente  elenco: 

Filippo  padre  (244-249  d.  Cr.),   Coli.,  1  ediz.,  n.  9. 
Traiano  Decio  (249-251),  Coli.  21. 
Etroscilla,  Coh.  10. 

Treboniano  Gallo  (251-254),  Coh.  24,  37. 
Volusiano  (251-254),  Coh.  70. 

Valeriano  padre  (253-260),  Coh.  17  (3  es.),  23,  35,  41,  83,  92,  113,  119, 
127,  140. 

Mariniana,  Coh.  9. 


REGIONE    XI.  —   63    —  TORINO 

Gallieno  (253-268):  Coh.  28  (23  es.);  34  (10  es.),  39  (18  es.);  41  (14  es.)  ; 
51,  54,  66  (8  es);  67  (6  es.);  72,  110  (2  es.);  Ili  (2  es.);  112  (4  es.);  179', 
121  (22  es);  124,  144,  149,  251  (9  es.);  152  (15  es);  166  (98  es.);  260'  (2  es.); 
264'  (2  es.);  170  (31  es.)  ;  175  (2  es.);  176  (4  es.);  194  (24  es.);  195  (7  es.); 
200,  216  (8  es.);  var.  216  (2  es.);  var.  219,  227  (2  es.)  ;  230  (10  es.);  242  (2  es.); 
249  (77  es.);  25U  (4  es.)  ;  259  (3  es.);  267  (2  es.);  286  (2  es.);  296,  314  (2  es.); 
322,  327  (3  es.);  349,  354  (36  es.);  355  (3  es.);  619',  372  (24  es.);  373  (43  es.); 
var.  373,  693'  (3  es.);  376  (33  es.);  379,  717';  var.  384,  390  (13  es.);  393 
(26  es);  730'  (4  es.);  396,  401,  410,  414  (9  es.);  415  (57  es);  428,  435  (2  es.); 
437,  438  (5  es.);  439  (19  es.);  440  (30  es.);  442  (6  es.);  443  (4  es.);  444  (11  es.)  ; 
464  (56  es.);  467  (3  es.);  864»,  866'  (6  es.);  867',  868'  (2  es.);  476,  500  (106  es.); 
501  (10  es.);  502  (5  es.);  503  (14  es.)  ;  509;  var.  511,  514,  518  (17  es.);  541 
(27  es);  572  (2  es.);  573,  578  (17  es.);  587  (4es.);  613  (6es.);  620;  var.  625, 
649  (5  es.);  656  (44  es.);  var.  656  (2  es.);  1235  (3  es.);  687,  694. 

Da  notarsi  i  seguenti  pezzi  di  Gallieno  mancanti  anche  alla  2a  edizione  del  Cohen: 

1)  Imp.  Gallienus  Aug.  Busto  rad.  a  d.  iy  Felicit.  Aug.  Nel  campo  P .  La 
Felicitas  stante  a  sin.  con  scettro  e  caduceo.  Varietà  di   Cohen',  186. 

2)  Gallienus  Aug.  Busto  rad  ad.  $  Fo?'t.  redux.  Esergo  MS.  La  Fortuna 
seduta  come  Coh.  166. 

3)  Gallienus  p.  f.  Aug.  Busto  rad.  e  corazz.  a  d.  r^  Germanicus  max.  ter. 
Trofeo,  alla  cui  base  sono  due  prigionieri  seduti.  Var.  di  Coh.',  307. 

4)  Gallienus  aug.  Testa  rad.  a  d.  rì)  Indulgent.  aug.  L' Indulgentia  stante 
con  la  destra  levata  e  con  la  patera  nella  sin. 

5)  Varietà  del  n.  194,  cioè  (§  indulgentia  in  luogo  d'indulgenl. 

6)  Bilione  come  l'aureo  n.  196. 

7)  Gallienus  aug.  Busto  rad.  a  d.  ig  leg.  II  adi.  VI  p.  VI  F.  capricorno 
var.  Coh.'  470.  A  Gallieno  si  devono  apporre  ancora  1  esemplare  incuso  e  24  pezzi 
non  classificabili  parche  consunti. 

Salonina:  Coh.  14  (79  es.);  19,  20,  24,  30  (13  es.);  35  (9  es.);  38,  39  (5  es.); 
42  (20  es.);  43  (3  es.);  46  (3  es);  49,  53  (3  es.)  ;  58  (2  es.);  02  (2es.);  63  (2  es.); 
79;  var.  79  (2es.);  82  (3  es.);  83  (4  es.);  87  (5  es.);  91  (2  es.);  92,  93;  94  (2  es.); 
97  (12  es.). 

Da  notarsi  per  Salonina  ancora  i  seguenti  pezzi: 

1)  Salonina  aug.  Busto  di  ad.  a  d.  con  mezzaluna.  $  Pietas  aug.  Salonina 
stante  a  sin.  con  patera  e  scettro 

2)  e.  s  $  Venus  victrix.  Venere  stante  a  sin.  con  elmo  in  mano  ed  uno 
scettro;  ai  suoi  piedi  un  ragazzo  che  le  tende  le  braccia  (cfr.  Coh8.,  126-127);  altri 
4  esemplari  sono  inclassificabili  perchè  consunti. 

Salonino:  Coh.  10  (2  es.);  18,  62',  49  (8  es.). 

Valeriano:  Coh.  1,5. 

Quieto  tiranno  (260-262),  Coh.  5. 


ROMA  —    64   —  ROMA 

In  totale  n.  1357,  in  162  varietà  che  si  possono  aumentare  tenendo  conto  delle 
lettere  dalle  quali  molte  di  esse  sono  contrassegnate  e,  dal  modo  in  cui  sono  disposte 
nel  campo  od  all'esergo. 

Il  tesoretto  non  può  essere  anteriore  al  261,  perchè  in  esso  si  trova  una  mo- 
neta di  Quieto  figlio  di  Macriauo,  che  si  vuole  avesse  usurpato  l' Impero  in  quel- 
l'anno, elevando  alla  stessa  dignità  i  suoi  figli. 

Non  conosciamo  l'epoca  precisa  della  morte  di  Salonina;  si  crede  però  che  essa 
abbia  seguito  le  sorti  di  Gallieno  il  quale  fu  ucciso  in  Milano  al  principio  del  268, 
e  alcuno  ha  anche  pensato  che  dopo  la  sua  morte  siano  state  coniate  le  monete  che 
portano  la  leggenda  AVG  •  IN  PACE,  di  cui  79  furono  trovate  nel  ripostiglio;  se  così 
fosse,  bisognerebbe  ritardar  l'epoca  del  nascondimento  almeno  sino  alla  fine  del  268. 


Prima  di  porre  termine,  debbo  ancora  far  noto  che  nello  scorso  anno  in  via 
Baibarossa,  n.  23,  nella  demolizione  del  palazzo  di  proprietà  dell'Opera  pia  di  s.  Paolo, 
ora  in  ricostruzione,  vennero  trovati  mattoni  dell'età  romana,  tra  cui  due  col  bollo: 


A  I  A  C  I  S 


Uno  di  essi  ha  il  bollo  completo  della  lunghezza  di  m.  0,113  e  dell'altezza  di 
m.  0,032,  con  lettere  alte  m.  0,020,  bollo  già  trovato  altre  volte  in  Torino  e  pub- 
blicato nel  C.  1.  £.,  V,  al  n.  8110,  421. 

Q.    ÀSSANDRIA. 


IL    ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

L'ufficio  per  gli  scavi  di  Roma  e  del  suburbio  ha  dato  notizie  delle  seguenti  scoperte: 
Regione  VI.  In  via  di  Porta  Salaria,  eseguendosi  il  cavo  per  la  posa  delle 
condutture  elettriche,  alla  profondità  di  soli  m.  0,60  dal  piano  stradale,  ed  alla 
distanza  di  m.  20,00  dall'angolo  di  via  Belisario,  verso  V  interno  della  città,  è  stato 
rimesso  in  luce  un  breve  tratto  di  antica  pavimentazione  stradale,  formato  con  i  con- 
sueti poligoni  di  selce. 

Non  è  improbabile  che  tale  avanzo  di  strada  debba  attribuirsi  al  periodo  me- 
dioevale, se  si  considera  che  i  poligoni,  oltre  ad  esser  di  forma  irregolare,  sono  mal 
connessi  fra  loro.  Anche  la  poca  profondità  in  cui  è  avvenuto  il  ritrovamento  avvalora 

tale  ipotesi. 

* 
*  » 

Via  Appia  antica.  A  cura  della  Commissione  di  archeologia  sacra  sono  stati 

eseguiti  dei  saggi  di  scavo  entro  e  presso  la  basilica  di  S.  Sebastiano  allo  scopo  di 

risolvere  i  problemi  topogratici  relativi  alle  vestigia  aposiolorum  ad  Catacumbas.  I 

lavori,  hanno  avuto  esito   fortunato   in    quanto  alle   antichità  cristiane,    per  essersi 


ROMA  —    65    —  ROMA 

scoperta  la  tomba  del  papa  s.  Fabiano  nel  mezzo  della  basilica  oltre  alle  vestigia 
stesse  dei  ss.  Pietro  e  Paolo,  insieme  ad  un  numero  grandissimo  di  graffiti  con  le 
invocazioni  dei  primi  veneratori  dei  due  apostoli. 

Anche  le  antichità  classiche  hanno  avuto  la  loro  parte  non  secondaria  in  questi 
ritrovamenti,  essendovi  stati  scoperti  i  resti  ben  conservati  di  una  villa  romana  con 
sotterranei  dalle  pareti  dipinte,  e,  nel  mezzo  della  chiesa  presso  le  vestigia  aposto- 
lorum,  un  colombario  decorato  in  modo  assai  tino,  a  stucchi  policromati,  dipinti  con 
raro  gusto  nello  stile  che  fu  proprio  del  I  secolo  dell'Impero.  I  resti  della  villa,  che 
sono  stati  scoperti,  si  trovano  al  principio  della  curva  destra  dell'abside,  sotto  il 
matroneo  della  basilica  damasiana,  a  m.  4  sotto  il  livello  odierno. 

Noi  ostante  le  costruzioni  successive,  si  conserva  tuttora  un  notevole  avanzo 
della  muratura,  parte  in  opera  reticolata  e  patte  in  piccoli  tufi  e  mattoni,  intonacata 
con  ottima  calce  levigata  e  dipinta  di  un  bel  rosso.  L'andito,  a  piano  leggermente 
inclinato,  che  dal  retro  del  colombario,  rinvenuto  qualche  tempo  fa  (ved.  F.  Fornari, 
Studi  nomarti,  I,  pp.  355  segg.),  discende  all'aperto,  è  dipinto  a  transenne  rosse 
dinanzi  a  fiori.  Sopra  questa  riproduzione  di  giardino,  si  osservano  le  pareti  bianche 
suddivise  in  riquadri  arcuati  propri  del  IV  stile  pompeiano:  nei  centri  è  rappresentato 
un  piccolo  animale  (un'antilope,  un  cavallo  in  corsa,  un  uccello,  ecc.). 

Dopo  il  corridoio  s'incontra  un  vano  non  ancora  interamente  sgombrato;  a  sinistra 
è  un  altro  vano  con  le  pareti  dipinte  in  rosso. 

* 

Il  pavimento  è  in  mosaico  bianco  o  nero,  di  ricca  fattura,  con  le  tesselle  grosse, 
ornato  a  reticolato  di  mandorle  lentiformi.  In  questo  pavimento  musivo  si  apre  un 
lucernario  quadrato  che  immette  in  varii  sotterranei,  conservati  benissimo  nella  strut- 
tura e  nei  dipinti. 

Il  primo  è  un  piccolo  vano  con  volta  a  crociera,  lunga  m.  4  e  larga  m.  3:  è 
tutta  rivestita  di  calce  e  dipinta  a  riquadri  segnati  in  verde  ed  in  rosso.  Nei  campi 
sono  varie  figure:  genietti,  uccelli,  teste  di  efebi,  cavalli  marini,  delfini,  vasi  di 
fiori  ecc.  Il  lavoro  pittorico  è  di  molto  effetto  benché  affrettato.  Le  linee  sono  trac- 
ciate a  mano  libera,  e  le  figure  sono  eseguite  con  poche  tinte  ma  con  grande  perizia. 
Accanto  a  questo  vano  ve  ne  è  un  altro  più  piccolo,  conservato  ancora  meglio  del 
primo,  il  quale  dà  accesso  ad  un  terzo  tagliato  obliquamente  dalle  fondazioni  del- 
l'abside esterna  della  basilica  primitiva:  questo  vano  è  ricongiunto,  per  mezzo  di 
una  scala,  con  l'aula  superiore,  ove  è  il  pavimento  a  musaico. 

« 

* 

Neil'  interno  della  basilica,  a  metà  della  nave,  e  verso  il  muro  di  destra,  a  pochi 
centimetri  di  profondità  dal  pavimento  della  basilica  primitiva,  e  circa  cm.  0,30  dal- 
l'odierno livello,  vennero  in  luce  i  resti  di  un  colombario  pagano.  Il  vano  di  questo 
colombario  è  piccolo:  misura  m.  2,30  in  quadro.  Il  pavimento,  a  mosaico,  posa  a 
m.  2;98  sotto  il  pavimento  della  chiesa.  La  parte  superiore  fu  spezzata  dalla  costru- 
zione della  basilica. 


ROMA  —   66   —  BONA 

La  porta  d'accesso,  assai  larga,  rimase  chiusa  dalla  costruzione  del  muro  destro 
della  basilica.  In  mezzo  alla  parete  di  fondo  a  m.  0,65  dal  pavimento,  si  stacca 
un'edicoletta  a  nicchia  arcuata,  senza  urna  cineraria.  Due  colonnine  sporgenti  soste- 
nevano l'architrave  dell'arco.  Queste  colonnine  sono  costruite  con  un  nucleo  di  rotelle 
di  laterizi  tagliati,  sovrapposte  e  ricoperte  da  un  intonaco  di  ottimo  stucco  marmoreo 
a  scanalature  ioniche.  Il  fondo  della  nicchia  è  dipinto  in  azzurro. 

Le  due  pareti  laterali  hanno  anch'esse  un'edicola  ciascuna,  fiancheggiate  da  due 
pilastrini  a  scanalature  corinzie  e  capitelli  di  stucco  a  decorazione  floreale  policromata 
in  rosso  ed  in  az/.urro.  Le  nicchie,  con  volticina  a  botte,  contenevano  ciascuna  un'olla 
cineraria.  I  pilastrini  d'Ile  nicchie  sono  decorati  a  pitture  finissime:  un  ramo  di 
foglie  e  fiori,  di  proporzioni  minime  e  semplicissimo,  ma  lavorato  però  con  mano  di 
miniaturista.  Simile  decorazione  elegantissima  fregia  il  frontone  sopra  l'arco  delle 
nicchie,  sotto  l'architrave,  ove  sono  due  festoni  di  finissime  foglie  con  nastrini  e 
piccole  corone  pendenti  ai  nodii. 

Un  altro  festine .  di  foglie  di  vite,  fa  bella  mostra  sul  frontone  basso  di  una 
delle  due  edicole,  sotto  i  pilastri.  Nell'altra  edicola,  invece  delle  foglie  di  vite,  sono 
due  fiaccole  funerarie  incrociate  e  legate  con  un  nastro  rosso  carminio. 

Nelle  nicchie  laterali,  sotto  l'arenazione,  sono  bellissime  cornici  di  stucco  fatte 
allo  stampo  e  dipinte  in  rosso  ed  in  azzurro.  Sotto  ogni  olla  poi  sono  le  targhette 
incorniciate  da  un  doppio  filo  di  stucco  :  ve  ne  sono  di  diversi  colori  e  di  forme  diverse. 
Sulla  tinta  interna  restano  ancora  tracce  di  nomi,  scritti  col  pennello  a  tinta  nera. 
Si  possono  ancora  a  stento  leggere  i  seguenti  nomi: 

1.  CN  •  DOMITI..    ..XIII  2.  Q^SERVAEVS  SVAS... 

3.  CCÀE  LI  HALLI .... 

Il  pavimento  fu  in  tempi  più  tardi  abbassato,  quando  cioè,  cessato  l'uso  della 
cremazione,  si  tornò  all'inumazione  dei  cadaveri.  Le  pitture  di  questa  parte  inferiore 
del  colombario  sono  assai  rozze.  Il  pittore  copiò,  per  quanto  poteva,  la  decorazione 
in  stucco  delle  cornici  dal  resto  del  colombario;  e  nel  fondo  delle  nicchie,  sotto  le 
tre  edicole,  dipinse  una  pianta  stilizzata  con  un  genietto  nudo  sopra  il  fiore. 

Il  colombario  viene  ora  ricoperto,  per  rimettere  a  posto  il  pavimento  della  chiesa, 
con  una  sottile  volta  di  cemento  armato.  Sarà  praticata  una  porta  attraverso  il  muro 
della  chiesa  per  dare  l'accesso  al  colombario  e  rendere  possibile  la  visita  del  grazioso 

monumento. 

* 

*      ¥ 

Via  Appia^nuova.  Nel  fare  lo  sterro  per  la  costruzione:tdi  una  nuova  fogna 
lungo  la  via  delle  Mura,  sulla  destra  uscendo  dalla  porta  S.  Giovanni  e  precisa- 
mente di  fronte  all'antica  porta  Asinaria.  è  stata  incontrata,  alla  profondità  di  m.  5,00 
sotto  il  piano  della  via  odierna,  l'antica  pavimentazione  stradale  a  poligoni  silicei. 

11  tratto  che  è  stato  possibile  di  vedere  ha  una  lunghezza  di  m.  4.00;  è  largo 
m.  1,60  e  dista,  dalla  fronte  delle  mura,  m.  10,50.  Fra  il  terriccio  di  scarico  si 
sono  rinvenuti  in  grande  quantità  rottami  di  vasi  di  varie  epoche  e  forme,  e  cioè: 
vasellame  etrusco  campano,  dolii,  anfore  e  fittili  di  età  imperiale. 


ROMA 


67  — 


ROMA 


Via  Labicana.  Alla  Maranella,  e  precisamente  sul  principio  de\  vicolo  dei 
Carbonari  a  destra,  in  un  terreno  di  proprietà  dei  sigg.  Romeo  Busca  e  Costantino 
Foresi,  presso  il  luogo  della  scoperta  della  serie  dei  colombari  già  descritti  in  queste 
Notizie  (1914,  pag.  375  e  precedenti),  eseguendosi  un  grande  sterro  per  la  sistemazione 
del  terreno  allo  scopo  di  costruire  in  seguito  nuove  abitazioni,  si  rinvennero  fra  la 
terra  le  seguenti  lastre  marmoree  iscritte: 


1.  Targa    marmorea    frammentaria 
(no.  0,24XU  13X0,02): 


d.  vi. 

P-FLAVII-AVGLCER 

VIXIT  AN-XIIII  mens. 
DIEB-XI-     HOr 


2.  Stele  sepolcrale  marmorea  (in.  0,47 
X  0,23  X  0,03)  : 

d.  M 

jBETRONIAE 

HELIADI 

CONIVGl-BENE 

MERENT1    VIXIT 

ANNIS-XXX1I 

D1EBVSXIII 

TFQVIETVS 

FEC1T 


3.  Targa  marmorea  (m.  0  35  X  0,31 
X0,02): 

D  M 

M  •  PLETORIO  •  SEPTIMIANO 

FECIT  CIVLIVS  EVTYCHVS 

FILIO  ■  DVLC1SSIMO 


QVI-  VIXIT-  ANNiS  -Vili 

MENSIBVS  •  U  ■  DIEBVS  TTÌ 

HORA-T 


4    Piccola  stele  sepolcrale  marmo- 
rea (in.  0,30  X  0,15  X  0,025)  : 

D     -     M 
CALLISTO 

QVIVIXITANNWl 
M  VI  •  D1EB  ■  XXII 
POMPEI  A  EPIC 
TESI  S  •  A  LVMNO 
SVAV1SSIMO  •  FEC 


5.   Frammento  di  targa  marmorea 
(m.  0,11  X  0,12X0,02): 

D1S  •       man. 
CN-POMP«'o  Arche 

L A O  •  PO  mp eia 
EPICTESIs 

RARISSIMO  feeit 


6.  Targa  marmorea  (m.  0,16  X  0,28 
X0,03): 

D  M  S 

POMPEIAE    NEREI  DI 
COLLIBERTAE 
C  ARISS1MAE 
CNPOMPEIVSDIAPv 
MENVS- FECIT- ET- SIB1 


7.  Id.  id.  (m.  0,13X0,30X0,03): 


D  M 

M  E  LI  T  I  N  E  N  I 

PHILOCALVS   CONIVGI 

KARISSIMAE-  FECIT 


G.  Mancini. 


VELLETRI  —    68   —  REGIONE   t. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

III.  VELLETRI  —  Saggi  di  scavo  attorno  e  sotto  la  chiesa  di 
S.  Maria  della  Neve  o  delle  Ss.  Stimmate,  e  scoperta  di  un  tempio  volsco. 

Nell'area  dell'antica  arx  veliterna,  poco  lungi  dai  resti  delle  vetuste  mura  che 
la  recingevano,  sorge  la  chiesa  delle  Ss.  Stimmate,  in  origine  detta  Santa  Valle  e 
S.  Maria  della  Neve,  la  quale  nel  1602,  per  essere  stata  concessa  alla  Confraternita 
delle  Ss.  Stimmate  di  s.  Francesco,  assunse  il  nome  che  tuttora  ritiene  (')•  Essa  non 
ha  alcun  pregio  dal  punto  di  vista  dell'arte,  ma  fu  resa  celebre  da  una  scoperta  di 
grande  importanza  archeologica  che  si  fece  nelle  sue  adiacenze  nell'anno  1784  quando, 
costruendosi  il  muro  meridionale  dell'oratorio  annesso  alla  chiesa,  s' incontrarono 
alcune  favisse  di  antico  tempio,  da  cui  si  estrassero  le  famose  terrecotte  borgiane, 
e  la  non  meno  celebre  laminetta  di  bronzo,  scritta  in  lingua  volsca,  che  ora  formano 
magnifico  ornamento  del  Museo  Nazionale  di  Napoli. 

La  scoperta  mise  a  rumore  il  mondo  archeologico  di  allora;  ed  il  card.  Stefano 
Borgia,  insigne  raccoglitore  di  antichità,  non  volle  privare  la  sua  patria  di  cosi  pre- 
ziosi cimelii  e  si  affrettò  ad  acquistarli  per  decorarne  il  suo  già  celebre  museo.  Si 
conservano  tuttora  nella  Biblioteca  comunale  di  Velletri  le  lettere,  con  cui  l' illustre 
cardinale  raccomandò  e  commise  al  fratello  cav.  Giovanni  Paolo  Borgia  l'acquisto 
delle  terrecotte,  che  nell'inventario  dello  stesso  museo  Borgiano,  redatto  dallo  Zoega, 
sono  così  descritte:  «  Antichità  volsche  comprese  in  Iti  tavole,  con  due  busti  di  tutto 
rilievo,  ed  un  frammento  di  cavallo  a  bassorilievo  più  grande,  colorate  pure  ugual- 
mente con  cinque  altri  frammenti  di  cornicioni  simili  ».  La  stima  è  fissata  nella 
somma  complessiva  di  scudi  900  (*). 

In  una  lettera  del  17  novembre  dello  stesso  anno  1784  (3)  il  card.  Borgia  parla 
di  alcuni  doppioni  delle  tavolette  fittili  figurate  volsche  che  egli  ha  inviate  in  dono 
al  cav.  d'Agincourt, 'e  si  lamenta  che  esse  siano  giunte  a  destinazione  rotte  in  frantumi 
per  difetto  $  imballaggio.  In  un'altra  lettera  del  24  dello  stesso  mese  di  novembre, 
egli  si  raccomanda  perchè  «  stiano  bene  al  coperto  per  mantenerne  il  colorito  che 
ne  forma  una  parte  del  pregio  »  ;  e  ci  fa  sapere  che  ha  spedito  una  cassetta  al 
cav.  d'Agincourt  con  altri  frammenti  di  terrecotte  per  risarcirlo  della  perdita  delle 
altre,  e  che  i  pezzi  sono  giunti  bene  (*). 

Infine,  in  un'altra  sua  lettera  dell' 11  luglio  1787,  egli  menziona  ancora  una  volta 
le  terrecotte  volsche  annunziando  che  «  il  sign.  Heeren  si  prepara  a  dare  un  dettaglio 

(')  A.  Fersenghi,   Velletri  e  le  sue  contrade,  1910,  pag.  57. 
(')  Biblioteca  comunale  di  Velletri;  1.  IX,  24. 
(3)  Id.,  1.  VI,  3. 
(*)  Id.,  1.  IX,  28. 


REGIONE   I.  —   69  —  VBLLETRI 

delle  terrecotte  volsche  nella  Gazzetta  delle  belle  arti  di  Gottinga,  per  renderle  più 
note  in  Germania  »  ('). 

Dopo  la  morte  del  card.  Borgia,  i  suoi  eredi  venderono  la  preziosa  collezione 
borgiana  al  re  di  Napoli.  Gioacchino  Murat.  che  la  destinò  al  museo  di  Napoli.  Le 
terrecotte  volsche  trovansi  tuttora,  benché  alquanto  neglette,  nel  Museo  Nazionale 
di  Napoli. 

Intanto  esse  eran  già  state  divulgate  ed  illustrate  in  Italia,  in  un'opera  piut- 
tosto rata,  intitolata  Bassorilievi  volschi  in  terracotta  (pag.  xx,  Roma,  Salo- 
mone 1785).  l'anno  dopo  la  scoperta,  da  mons.  Filippo  Angelo  Becchetti,  con  sette 
tavole  illustrative  disegnate  ed  acquarellate  da  Marco  Carloni. 

Molti  dotti  archeologi  le  illustrarono  nelle  loro  opere  (!),  e  da  ultimo  il 
prof.  Giuseppe  Pellegrini,  ne  ha  trattato  con  molta  dottrina  nel  suo  lavoro  Fregi 
arcaici  etruschi  in  terracotta  a  piccole  figure  (3),  rilevandone  il  pregio  artistico 
e  l'importanza  storica. 

* 

La  scoperta  del  1784  era  di  tale  natura  da  rilevare  l'esistenza,  nel  luogo  ove 
era  avvenuta,  di  un  tempio  volsco,  di  cui,  per  un  caso  fortuito,  le  fondazioni  del- 
l'oratorio della  Confraternita  delle  Ss.  Stimmate  avevano  incontrato  alcune  delle 
favisse  circostanti. 

Va  data  quindi  ampia  lode  all'illustre  prof.  cav.  Angiolo  Pasqui,  direttore  del- 
l'Ufficio per  gli  scavi  di  Roma,  per  ayer  fatto  iniziare  le  indagini  attorno  e  sotto  la 
chiesa  delle  Ss.  Stimmate  allo  scopo  di  rintracciare,  se  fosse  stato  possibile,  dietro 
l' indizio  di  pochi  avanzi  di  muri  a  parallelepipedi  di  tufo  da  lui  riconosciuti  nella 
parte  nord  del  vano  sottostante  all'oratorio,  adibito  ad  uso  di  legnaia  (ved.  pianta, 
lett.  A),  i  resti  del  tempio  volsco  a  cui  appartennero  le  terrecotte  borgiane,  ed 
affidare  al  caso  il  ritrovamento  di  altri  avanzi  della  sua  preziosa  decorazione  fittile. 

Gli  scavi,  quantunque  siano  rimasti  incompleti  per  difficoltà  opposte  da  ragione 
di  statica,  temendosi  per  l'incolumità  dell'attuale  chiesa,  in  più  punti  fatiscente,  ed 
anche  per  ragioni  d'indole  amministrativa,  sono  stati  tuttavia  coronati  da  qualche 
successo,  come  risulterà  dalla  relazione  che  segue. 

Nell'ispezione  di  questo  scavo,  a  me  affidata,  ebbi  un  valido  aiuto  nell'opera 
intelligente  e  disinteressata  prestata  dall'egregio  cav.  ing.  Oreste  Nardini,  ispettore 
ononorario  dei  monumenti  e  scavi  di  Velletri,  il  quale  con  grande  amore  ha  seguito 
e  sorvegliato  l'andamento  dello  scavo,  e  mi  è  stato  largo  di  preziosi  consigli. 

(')  Biblioteca  comunale  di  Velletri  ;  1.  IX,  29. 

(')  Mus.  Bori.  X;  Ingioiami,  Monum.  elr.,  tav.  II,  4;  Abeken  Mittelit.,  pag.  325;  Winckel- 
mann-Fea,  St.  di  art.  d.  dis.  Ili,  V;  D'Agincourt,  Hut.  de  l'art  de  la  décadence:  sculpture 
tav.  XXVI,  n.  20;  Micali,  Monum.,  tav.  LXL  1;  Lenormant,  Chef»  d'oeuvre»  de  l'rat  ant.,  pi.  151; 
Miiller-Wiessler,  Alt.  Denkm.,  tav.  LVIII,  n.  281;  ecc. 

(')  Studi  e  materiali  di  archeologia  e  numismatica  pubblicati  per  cura  di  L.  A.  Milani.  Fi- 
renze 1899,  voi.  I,  pp.  87  e  118. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  10 


VELLETRI 


70    — 


REGIONE    I. 


Lo  scavo  ebbe  principio  il  giorno  17  marzo  1910,  e  fu  chiuso  il  successivo 
4  giugno.  Il  primo  saggio  fu  fatto  nel  mezzo  della  legnaia  sottoposta  all'oratorio 
annesso  alla  chiesa  (ved.  pianta,  lett.  A),  e  subito  vi  si  riconobbe  il  giro  di  una 
favissa  (ved.  pianta,  lett.  a)  scavata  nel  tufo  ed  intonacata  con  calce  dipinta  in  rosso 


(alt.  m.  2,10;  diam.  2,75),  già  esplorata  e  riempita  alla  rinfusa,  forse  nel  1784 
quando  si  spianò  la  roccia  per  fare  il  p:ano  della  legnaia.  Evidentemente  l'orlo  della 
favissa  era  più  in  alto,  ed  essa  fu  necessariamente  dimezzata  per  la  livellazione.  Vi 
si  rinvennero  alcuni  insignificanti  resti  di  fittili  di  varie  epoche  e,  proprio  in  fondo, 
un  vaso  settecentesco  infranto. 

Per  vari  giorni  lo  scavo  procede  negativo  nell'orto  annesso  alla  chiesa  (ved.  pianta, 
lett.  Z?),  tinche,  sterrando  avanti  alla  porticina  che  imette  nella  cripta  sepolcrale 
degli  associati  alla  Confraternita  delle  Ss.  Stimmate,  in  mezzo  ad  una  grande  quan- 
tità di  materiale  vascolare  ivi  gettato  alla  rinfusa,  in  epoca  recente,  fu  rinvenuto  un 


REGIONE    I.  —    71    —  VBLLBTRI 

piccolo  frammento  di  fregio  fittile  con  le  zampe  anteriori  di  due  cavalli  in  corsa  e 
le  gambe  dei  cavalieri,  che  riconobbi  come  facente  parte  delle  terrecotte  borgiane. 
Questo  ritrovamento  rimase  per  allora  sporadico;  fu  tuttavia  un  notevole  indizio. 

L'esplorazione  completa  dell'orto  a  fianco  e  dietro  la  chiesa  risultò  del  resto 
negativa  nei  riguardi  della  pianta  del  tempio;  si  estrasse  però  un'enorme  quantità 
di  resti  di  tegole  e  di  embrici  e  di  vasi  di  varie  epoche  mescolati. 

L'esplorazione  doveva  quindi  proseguirsi  sotto  la  chiesa  e  gli  edifici  annessi.  Si 
cominciò  col  demolire  la  scala  (ved.  pianta,  lett.  C)  che  dalla  sacrestia  (lett.  D)  con- 
duce all'orto,  e  sotto  di  essa  si  rinvenne  un  banco  di  terra  di  recente  scarico  con  i 
soliti  resti  di  tegole,  embrici  e  vasi  in  grandissima  quantità.  A  m.  2,88  di  profondità 
sotto  il  piano  del  pavimento  della  sacrestia  si  trovò  il  terreno  vergine,  finché,  all'an- 
golo formato  dai  muri  della  legnaia  (ved.  pianta,  lett.  A),  si  scoprì  l'orlo  d'una  grande 
favissa  (lett.  b)  il  cui  fondo  fu  raggiunto  a  m.  6,38  dal  piano  suddetto.  L'orlo  era 
circolare,  del  diam.  di  m.  2,10,  mentre  l' interno  aveva  le  pareti  rettilinee  e  formanti 
un  quadrato  di  m.  0,86  di  lato.  Anche  questa  favissa  risultò  già  esplorata  e  mano- 
messa; vi  rimanevano  tuttavia  alcuni  resti  di  antefisse  ed  un'amia,  che  saranno  in 
seguito  particolarmente  descritti.  Vi  si  trovarono  poi  i  soliti  frammenti  di  tegole  e 
di  vasi,  e  gli  avanzi  d'un  rivestimento  fittile  di  pozzo  circolare  con  pedarole,  il  cui 
raggio  fu  riconosciuto  essere  di  m.  0,38. 

L'esplorazione  continuò,  con  esito  negativo,  sotto  il  pavimento  della  sacrestia  del- 
l'oratorio (ved.  pianta,  lett.  D).  Si  voleva  poi  continuare  l' indagine  sotto  il  coro  ove 
è  la  cripta  mortuaria  della  Confraternita  ;  ma  fu  impedita  dalle  difficoltà  che  si  incon- 
trarono per  la  rimozione  delle  casse  mortuarie  ivi  depositata  a  vari  ordini  sovrapposti. 

Si  riprese  allora  lo  sterro  di  quella  parte  della  legnaia  (ved.  pianta,  lett.  A)  ri- 
masta ancora  inesplorata.  Si  riconobbe  che  la  roccia  affiora  per  tutta  l'estensione  della 
legnaia;  e  soltanto  in  un  punto  presso  la  parete  esterna  (ved.  pianta,  lett.  e)  si  trovò 
del  terriccio,  rimosso  il  quale,  subito  apparve  l'orlo  d'una  terza  favissa,  tagliata  quasi 
per  metà  dal  muro  della  legnaia.  Fatto  un  tasto  in  corrispondenza  all'esterno  del 
muro,  si  riconobbe  il  resto  dell'orlo  della  favissa.  Questa  era  profonda  m.  7,91  e  il 
suo  orlo  circolare  aveva  il  diametro  di  m.  2,23.  L' interno  aveva  le  pareti  rettilinee, 
formanti  un  quadrato  di  m.  1,48  di  lato.  Conservava  ancora  le  tracce  dell'  intonaco 
dipinto  di  rosso,  e  di  singolare  aveva  che,  a  m.  1,40  di  profondità  dall'orlo,  sporgeva 
dalla  parete  della  favissa  per  lo  spessore  di  m.  1,30  uno  strato  di  terra,  cotta  dal 
fuoco,  e  rimasto  aderente  alla  parete  stessa.  Era  il  resto  d'un  forno  per  la  cottura  di 
fittili  decorativi.  Anche  questa  terza  favissa  era  stata  in  precedenza  rovistata  e  poi 
di  nuovo  riempita  con  terra  di  scarico  contenente  frammenti  di  tegole  e  di  vasi. 

Le  tre  favisse  suddette  furono  evidentemente  incontrate  e  vuotate  nell'anno 
1784  quando,  come  si  è  accennato,  si  costruì  l'oratorio  annesso  alla  chiesa  delle 
Ss.  Stimmate,  e  proprio  da  esse  si  estrassero  le  famose  terrecotte  borgiane.  Prima 
d' intraprendere  lo  scavo  sotto  il  pavimento  della  chiesa,  in  attesa  di  vincerne  le 
ultime  difficoltà  opposte  dalla  curia  vescovile  di  Velletri,  si  cominciò  lo  sterro   al 


VBLLETRI  —    72   —  REGIONE    I. 

di  fuori  della  chiesa,  nell'angolo  formato  dalla  medesima  con  l' edificio  annessole, 
detto  la  Provveditoria  (ved.  pianta,  lett.  F).  Ivi  si  rinvenne  a  pochissima  profondità  dal 
piano  stradale,  un  muro  (ved.  pianta,  lett.  d)  dello  spessore  di  m,  0,75,  in  direzione 
SE-NO,  formato  da  grandi  blocchi  di  quella  specie  di  conglomerato  detto  occhio  di 
pesce,  per  la  lunghezza  di  circa  m.  5.  Questo  muro  formava  angolo  retto  con  un 
altro,  anch'esso  di  occhio  di  pesce,  dello  spessore  di  m.  0,45,  il  quale,  dopo  aver 
corso  in  direzione  NE-SO,  per  circa  4  metri,  formava  un  nuovo  angolo  retto  con 
un  terzo  muro  (lett.  e)  parallelo  al  primo,  formato  da  blocchi  squadrati  di  tufo 
bigio-cenerognolo,  dello  spessore  di  m.  0,35. 

Addossato  a  quest'ultimo,  a  m.  1,50  dal  muro  della  chiesa,  si  scoprì  un  poz- 
zetto circolare  (ved.  pianta,  lett.  /"),  profondo  m.  2,80  e  del  diametro  di  m.  0,70. 
Era  munito  di  pedarole  e  ripieno  di  terriccio  privo  di  materiale  archeologico. 

L'esplorazione  fu  poi  continuata  sotto  il  pavimento  della  Provveditoria  (ved.  pianta, 
lett.  C),  ove  nell'angolo  a  sinistra  della  porta  d'ingresso,  a  m.  1,04  sotto  il  piano 
del  pavimento  della  chiesa,  si  riconobbe  un  muro  di  blocchi  di  tufo  bigio-cenero- 
gnolo (lett.  g\  dello  spessore  di  m.  0,45,  in  continuazione  di  quello  di  occhio  di  pesce 

già  scoperto  sulla  strada  (lett.  d). 

* 

La  scoperta  più  importante  avvenne  appunto  sotto  il  pavimento  della  Provve- 
ditoria; a  m.  1,84  di  profondità,  si  scoprì  un  muro  di  blocchi  di  selce,  dello  spes- 
sore di  m.  0,55,  in  direzione  NE-SO  (ved.  pianta,  lett.  h)  e  lungo  tutto  il  tratto 
di  muro  compreso  tra  le  due  pareti  laterali  della  Provveditoria  si  rinvennero  infrante 
e  frammentate  tavole  fittili  figurate  del  fregio,  riproducenti  i  motivi  già  noti  delle 
terrecotte  borgiane,   di  cui  si  parlerà  a  suo  luogo. 

L' indagine  si  proseguì  sotto  la  sacrestia  della  chiesa  (ved.  pianta,  lett.  H)  ove  ad 
un  metro  di  profondità  si  rinvenne  un  muro  ad  emplecton  di  scaglie  di  selce  accen- 
nanti a  forma  semicircolare,  in  direzione  sud-nord,  lungo  m.  5  e  dello  spessore  di 
m.  0,80  (lett.  i). 

S'intraprese  finalmente  lo  scavo  sotto  la  chiesa  (ved.  pianta,  lett.  E)  il  quale  di- 
sgraziatamente non  potè  essere  completo  a  causa  delle  opposizioni  delle  varie  fami- 
glie veliterne  che  non  permisero  venissero  profanate  le  numerose  sepolture  dei  loro 
antenati.  Bisognò  qirindi  limitarsi  a  fare  quattro  tasti.  Il  primo  fu  praticato  all'an- 
golo nord-ovest  della  navata,  ove  si  rinvenne  la  continuazione  del  muro  di  selce 
(ved.  pianta,  lett.  h)  già  veduto  nella  Provveditoria.  Il  secondo  tasto  fu  fatto  all'angolo 
sud-ovest  della  navata,  e  si  rinvennero  un  fitto  strato  di  vasellame  italico  mescolato 
a  qualche  vaso  greco,  pochi  frammenti  del  fregio  fittile  ed  altri  della  decorazione 
del  frontone.  A  m.  3,30  di  profondità  si  rinvennero  poi  i  resti  di  due  muri  paral- 
leli in  direzione  SE-NO  (ved.  pianta,  lett.  e),  entrambi  formati  da  grandi  blocchi 
squadrati  di  tufo  giallo  lionato.  Il  primo  aveva  lo  spessore  di  m.  0,75  (lett.  k);  il 
secondo,  distante  dal  primo  m.  0,90,  aveva  lo  spessore  di  m.  0,35  (lett.  /). 

Incastrato  nella  parete  sud  della  chiesa,  che  forma  la  parete  nord  della  legnaia 
(ved.  pianta,  lett.  A),  si  vede  ancora  disposto  in  testata  un  blocco  corrispondente  al 
muro  più  grande  suddetto  (lett.  k).  Il  muro  (l),  invece,  si  estende  entro  la  legnaia 


REGIONE    I.  —    78    —  VELLETR1 


fino  all'orlo  della  favissa  (a).  Un  altro  blocco,  sempre  alla  quota  di  m.  3,30,  è  in- 
castrato nello  stesso  muro,  più  ad  est  (ved.  pianta,  lett.  m),  e  rivela  l'esistenza  di  un 
terzo  muro  parallelo  ai  due  precedenti,  di  cui  però  non  fu  possibile  di  rintracciare  la 
continuazione  entro  la  chiesa  per  le  difficoltà  già  dette. 


In  un  altro  tasto  eseguito  presso  l'altare  laterale  di  destra  si  scoprì,  a  m.  1,90 
sotto  il  piano  del  pavimento  della  chiesa,  la  prosecuzione  del  muro  di  tufo  bigio- 
cenerognolo  (ved.  pianta,  lett.  g),  già  riconosciuto  sotto  l'angolo  della  Provveditoria. 
L'ultimo  tasto  fu  eseguito  presso  l'angolo  nord-est  della  chiesa,  ove,  a  m.  1,90  di 
profondità,  si  scoprì  la  continuazione  del  muro  di  tufo  bigio-cenerognolo  (ved.  pianta, 
lettera  e)  in  direzione  SE-NO,  già  visto  sotto  la  strada  ;  e  di  più  un  altro  muretto 
(lett.  a)  parallelo  al  precedente,  da  cui  distava  m.  0.45,  formato  da  piccoli  paralle- 
lepipedi di  tufo  dello  spessore  di  m.  0.24. 

Si  seguì  l'andamento  di  questi  due  muri  anche  sotto  l'ingresso  della  chiesa  e 
sotto  la  cordonata  che  vi  conduce  (ved.  pianta,  lett.  /).  Si  riconobbe  che,  proprio  sotto 
la  soglia  della  porta  d'ingresso,  si  distaccava  dal  muro  più  grande,  in  direzione 
normale  al  medesimo  NE-SO,  un  muretto  dello  stesso  materiale  e  spessore  dell'al- 
tro già  detto,  più  piccolo,  parallelo  al  precedente.  Lungo  i  detti  muri  si  rinven- 
nero in  grande  quantità  tegole  ed  embrici  infranti. 

Lo  scavo  terminò  con  l'esplorazione  dell'angolo  della  via  della  Neve,  adiacente 
alla  chiesa,  presso  la  scaletta  esterna  della  casa  a  sinistra  della  facciata;  e  si  trovò, 
a  m.  0,60  di  profondità  dal  piano  stradale,  l'orlo  di  una  piccola  favissa  (ved.  lett.  o) 
del  diametro  di  m.  1,83  e  profonda  m.  3,65.  La  si  rinvenne  ripiena  di  rottami  di 
tegole  e  di  embrici  e  di  frammenti  di  vasi  di  varie  forme  ed  età  ;  nel  fondo  stavano 
i  resti  di  lacunari  e  di  antefisse. 

1  tasti  eseguiti  avanti  alla  chiesa,  e  lungo  il  muro  di  cinta  dell'orto  a  sinistra 
della  facciata,  furono  del  tutto  negativi. 

Da  quanto  è  stato  dettò,  ben  si  comprende  che  gli  ostacoli  di  varia  natura,  frap- 
posti al  regolare  andamento  sistematico  dello  scavo,  hanno  impedito  di  procedere  con 
ordine  e  metodo  rigorosamente  scientifico  nell'esplorazione.  È  stato  necessario  di  limi- 
tarsi a  dei  saggi  di  scavo,  con  la  speranza  di  poi  coordinare  i  singoli  risultati. 

Può  ben  darsi  che  un'indagine  completa  avrebbe  potuto  avere  un  esito  più  de- 
cisivo ;  devesi  però  riconoscere  che  il  suolo  sottoposto  alla  chiesa  ed  agli  edifici  an- 
nessi, poiché  è  proprio  nell'area  di  questi  che  sorgeva  l'antico  tempio  volsco,  è  stato 
a  varie  riprese,  e  per  cause  diverse,  talmente  manomesso  da  far  ritenere  che  ben 
poco  di  importante  vi  resti  ancora  sepolto. 

Pianta  del  tempio. 

Quanto  i  nostri  scavi  abbiano  messo  in  luce  della  icnografia  dell'antico  tempio 
volsco,  risulta  dalla  pianta  unita  a  questa  relazione,  rilevata  con  la  consueta  dili- 
genza dal  disegnatore  sig.  Edoardo  Gatti. 


VBLLETRI  —    74   —  REGIONE    I. 

Sarebbe  temerario  il  pretendere  di  giungere  a  delle  conclusioni  precise  in  base  a 
quanto  da  essa  risulta;  ed  è  impossibile  il  tentare  di  completarla,  servendosi  degli 
scarsi  dati  che  fornisce. 

Le  varie  quote  di  profondità,  alle  quali  si  rinvennero  i  muri,  e  la  diversa  qua- 
lità dei  materiali  adoperati  per  erigerli,  permettono  di  stabilire  che  almeno  due 
furono  le  costruzioni  del  tempio,  ciascuna  delle  quali  subì  ampliamenti  e  restauri. 
Né  ciò  reca  meraviglia  quando  si  ponga  mente  alla  poca  consistenza  de'  materiali 
lignei  e  fittili  usati  nella  costruzione  dei  vetusti  templi  etrusco-italici,  ai  quali  un 
incendio  od  una  benché  lieve  scossa  di  terremoto  recava  danni  irreparabili.  Valga 
per  tutti  l'esempio  tipico  del  tempio  della  Madre  Matuta,  scoperto  presso  le  Fer- 
riere nella  tenuta  di  Conca,  nel  luogo  dell'antica  Satricum  ('),  del  quale  si  ricono- 
bero  ben  cinque  successive  trasformazioni  architettoniche,  con  cambiamento  di  orien- 
tazione. 

I  più  antichi  muri  del  tempio  veliterno  sono  quelli  rinvenuti  alla  quota  di 
m.  3,30  di  profondità  (ved.  pianta,  lett.  k,  /.  m),  orientati  da  NO-SE;  i  primi  due 
formati  da  conci  di  tufo  giallo  lionato  (lett.  k,  l  ;  spess.  m.  0,75  e  in.  0,35)  e  fra 
loro  distanti  solo  m.  0,90;  il  terzo  (lett.  m;  spess.  m.  0,35)  in  tufo  bigio-cenerognolo. 

La  forma  primitiva  fu  probabilmente  quella  di  un  tempio  tuscanico  di  piccole 
dimensioni  {vàidwv),  consistente  in  una  cella  rettangolare  con  pronao  sulla  fronte. 
La  diversa  qualità  dei  materiali  adoperati  è  testimonio  di  uu  rifacimento  od  am- 
pliamento. 

Una  completa  ricostruzione  del  tempio  ci  è  dimostrata  dai  muri  a  blocchi  squa- 
drati di  tufo  bigio-cenerognolo,  come  i  precedenti  connessi  a  secco,  nella  pianta 
segnati  con  le  lettere  e,  g,  n  (spess.  m.  0,35  e  m.  0,27),  messi  in  luce  alla  quota 
di  m.  1,90  di  profondità,  il  cui  orientamento  è  spostato  di  pochi  gradi  rispetto  ai 
tre  muri  più  antichi.  Suppongo  che  anche  questo  secondo  tempio  avesse  primitiva- 
mente la  forma  tuscanica  in  antis  di  dimensioni  alquanto  più  grandi  del  primitivo, 
e  che  in  un  successivo  ampliamento  fosse  stato  trasformato  in  tempio  perittero.  Il 
muro  siliceo,  scoperto  sotto  il  pavimento  della  Provveditoria,  alla  quota  di  profon- 
dità di  m.  1,84  (ved.  pianta,  lett.  h),  presso  il  quale  giacevano  le  lastre  fittili  figu- 
rate del  fregio,  avrebbe  appunto  formato  uno  dei  lati  dello  stilobate.  I  due  muri 
ad  «  occhio  di  pesce  ■  (ved.  pianta  lett.  d)  fecero  evidentemente  parte  di  un'ag- 
giunta posteriore,  se  non  della  ricostruzione  di  una  delle  parti  fatiscenti  del  tempio. 

Allo  stato  attuale  de'  resti  murali  del  tempio  non  è  possibile  dire  di  più  sulla 
sua  forma;  non  si  può  neppure  stabilire  quale  fosse  la  direzione  del  suo  asse  longi- 
tudinale: la  disposizione  delle  favisse  (ved.  pianta,  lett.  a,  b,  e)  farebbe  però  credere 
che  esso  fosse  orientato  da  nord-ovest  a  sud-est. 

La  trabeazione,  il  fastigio,  come  anche  l' atrio  ed  il  peristilio,  dovevano  avere 
l'ossatura  di  legname,  sulla  quale  veniva  affissa,  a  mezzo  di  chiodi,  la  decorazione 
fittile  (antepagmenla). 

(')  V.  Barnabei  ed  A.  Cozza,  Di  un  antico  tempio  scoperto  presso  le  Ferriere  nella  tenuta  di 
Conca,  in  Notizie  degli  scavi,  1896,  pp.  28  e  sgg. 


REGIONE   I.  —    75    —  VELLETRI 


Decorazione  fittile. 

Tetto.  —  Il  tetto  era  ricoperto  da  tegole  e  da  embrici  della  consueta  forma  e  dis- 
posizione. Le  tegole  sono  alte  m.  0.62.  larghe  m.  0,47;  lo  spessore  ai  lati,  lungo 
la  risega,  è  di  m.  0,05;  nella  testata  è  di  m.  0,02;  l'aletta  di  connessione  in  basso 
è  lunga  m.  0,07.  Gli  émbrici  hanno  la  stessa  lunghezza  delle  tegole  e  sono  larghi  in 
alto  m.  0,14,  nel  mezzo  m.  0,12,  nella  risega  m.  0,11  ;  questa  è 
lunga  m.  0,06;  lo  spessore  è  di  m.  0.02. 


Frontone.  —  I  due  frontoni  (àério/ia  =  fastigium)  erano 
decorati  con  ligure  fittili  di  cui  rimangono  scarsissimi  avanzi,  e 
cioè  un  braccio  di  figura  umana  (m.  0,22  X  0.07),  con  manica 
che  giunge  fino  alla  metà  del  braccio,  dipinta  in  bianco  con 
doppio  orlo  nero:  una  mano  che  afferra  il  resto  di  un  braccio 
di  un'altra  figura  (m.  0,15  X  0,08);  vari  pezzi  della  parte  poste- 
riore d'un  cavallo,  i  quali,  connessi,  danno  il  frammento  rappre- 
sentato alla  figura  n.  1  (m.  0,43  X  0,20),  dipinto  in  bianco,  rosso 
e  nero.  Rimangono  anche  quattro  frammenti  della  coda  dello 
stesso  cavallo  fittile,  dipinta  in  bianco  e  nero.  Questi  pochi  frammenti  non  permet- 
tono di  stabilire  confronti  con  le  decorazioni  fittili  di  altri  tempi. 

Le  figure  venivano  fissate,  con  chiodi  e  cavicchie,  sul  fondo  dei  due  frontoni. 


Fio  2. 


Acroterii.  —  Ci  resta  un  importante  frammento  di  uno  dei  quattro  grandi  acroterii 
che  ricoprivano  negli  angoli  le  testate  delle  travi  di  fianco.  Rappresentava  una  grande 
testa  di  Gorgone  (ved.  fig.  u.  2):  non  ne  resta  che  la  parte  superiore,  ossia  un  pezzo 
della  fronte  ed  i  capelli  stilizzati  che  la  incorniciano.  Restano  anche  un  breve  tratto 
del  colmareccio  e  la  base  della  punta  che  terminava  in  alto  l'acroterio,  inserita  sul 
culmine  del  giro  formante  l'orlo  del  colmareccio  stesso. 


VELLETRI  —    76    —  REGIONE    1. 

Questo  acroterio  è  molto  simile  a  quello  colossale  del  tempio  di  Gela('). 


Ante  fisse.  —  Le  antefisse  che  lo  scavo  ci  ha  restituito  furono  tutte  rinvenute  entro 
le  favisse.  Esse  sono  di  tre  tipi  diversi,  corrispondenti  forse  a  varie  ricostruzioni  del 
tempio.  Sono  tutte  eseguite  a  stampo  (ectypà). 

1)  Il  tipo  di  antefissa  di  cui  si  rinvenne  un  discreto  numero  di  esemplari,  è 

quello  comune,  a  volto  femmineo  (ved.  fig.  n.  3)  con  bocca  incurvata  a  sorriso,  proprio 

dell'arcaismo  greco.  Hanno  i  capelli  e  le  ciglia  dipinti  in  nero   sul   fondo   naturale 

dell'argilla.  Molto  accurata  ne  è  la  modellatura,  e  sono  rifinite 

a  stecca:  presentano  quindi  un  arcaismo  molto  meno  sentito  delle 

altre  antefisse  dello  stesso  genere  rinvenute  a  Conca  (*). 

2)  Si  rinvennero  anche  alcuni  frammenti  di  una  antefissa 
del  noto  tipo  del  Sileno  o  del  Fauno  che  abbraccia  una  Menade 
od  una  Ninfa;  e  cioè  la  testa  di  questa  con  ricca  capigliatura 
increspata,  rialzata  sulla  fronte  e  disciolta  sulle  spalle. 

I   capelli   e   le  ciglia   sono  dipinti  in  nero.   Si   rinvennero 

anche  il  petto  ed  il  braccio  sinistro  della  stessa  figura,  ricoperti 

in  parte  da  lembi  di   tunica  decorata,  a  linee  ondulate  dipinte 

in  bianco  ed  in  rosso;  ed  un  resto  della  base  dell'antefissa  con  un  brano  dello  stesso 

panneggio. 

3)  Si  rinvenne  anche  un'antefissa  frammentaria  con  protome  silenica  arcaica 
dalla  fronte  rugosa  e  dall'espressione  truce. 

* 

Coronamento.  —  Da  alcuni  frammenti  fittili,  rinvenuti  durante  lo  scavo,  si  può 
riconoscere  che  il  coronamento  del  tempio  era  costituito  da  una  piccola  fascia  a  pal- 
mette  e  girali,  ottenuti  con  lo  stampo  e  colorati,  e  da  una  cornice  strigliata  di  sa- 
goma poco  sporgente,  limitata  alla  base  da  un  piccolo  toro.  La  fascia  e  la  cornice 
dovevano  anche  compiere  la  modanatura  dei  due  timpani.  I  pezzi  rinvenuti  hanno  i 
fori,  i  quali  indicano  che  essi  venivano  fissati  a  mezzo  di  chiodi,  nelle  travature 
lignee  al  disopra  dell'architrave. 

Sima.  —  Il  sima  del  nostro  tempio  era  formato  da  una  serie  di  tegole  a  cornice 
baccellata  su  campo  rettangolare  liscio,  munita,  a  distanze  uguali,  di  mascheroni  di 
tigre  a  fauci  spalancate,  che  servivano  per  lo  smaltimento  dello  acque  del  tetto.  Con 
i  resti  rinvenuti  nello  scavo,  se  ne  è  potuta  ricostruire  una  serie  di  due,  intramez- 
zata, nella  giuntura,  da  un'apertura  semicircolare  corrispondente  al  sesto  di  un  embrice 
(ved.  fig.  n.  4)  (»). 

Ogni  tegola  è  larga  m.  0,50;  l'alzato  è  di  un.  0,17;  la  parte  baccellata  è  alta 
m.  0,07;  il  resto  liscio,  al  disotto,  m.  0,07. 

(')  Ved.  Notizie  degli  scavi,  1907,  pag.  38  sgg.;  cfr.  gli  acroterii  AelVhereion  di  Olympia. 
(*)  Notizie  degli  scavi,  1896,  pag.  31,  fig.  5. 
(*)  Cfr.  Notizie  degli  scavi,  1888,  pag.  424. 


REGIONE   I. 


—    77   — 


VELLETR1 


L'apertura  della  bocca  della  protome  ferina  è  alta  ni.  0,00.  Gli  avanzi  conser- 
vano scarsissime  tracce  di  dipintura  rossa  con  le  rifiniture  in  bianco.  Le  tegole,  per 
tutta  la  larghezza  corrispondente  all'aggetto  che  formava  il  gocciolatoio,  sono  ornate 
a  palmette  e  girali  dipinti  in  bianco  su  fondo  rossastro.  Il  resto,  che  rimaneva  in- 


Pio.  4. 


terno,  poggiato  sulla  travatura  (mutuli),  è  liscio  per  una  lunghezza  di  m.  0,18,  e 
dalla  parte  ornata  è  diviso  mercè  una  fascia  dipinta  in  bianco  (ved.  fig.  n.  5). 


Fio.  5. 


Fregio.  —  Ciò  che  dal  punto  di  vista  artistico  dava  grande  importanza  al  tempio 
veliterno,  e  ne  costituiva  una  specialità,  era  il  prezioso  fregio  che  gli  girava  attorno 
all'esterno.  Le  tavole  fittili  che  lo  componevano,  per  la  perfezione  dalla  tecnica  e  per 
l' influenza  evidentissima  dell'arte  greca  che  corresse  ed  ingentilì  la  rozzezza  che  si 
riscontra  negli  altri  consimili  fregi  di  templi  delle  altre  città  del  Lazio  antico, 
costituiscono  quanto  di  meglio  si  produsse  nel  genere,  e  segnano  il  culmine  di  una 

Notizie  Soavi  1915  -  Voi.  XII.  11 


VELLKTRI  —   78   —  REGIONE   I. 

serie  di  prodotti  artistici  che,  protrattasi  per  secoli,  ebbe  umili  origini,  migliorò,  si 
perfezionò,  per  poi  di  nuovo  decadere.  I  soggetti  figurati  che  vi  sono  riprodotti  sono 
sempre  gli  stessi,  ma  variamente  trattati  dal  punto  di  vista  artistico,  poiché,  doven- 
dosi essi  rinnovare  per  i  continui  restauri  necessari  ai  templi  costruiti  con  legname 
e  decorati  con  terracotta,  si  ebbe,  salvo  qualche  leggiera  variante,  una  continua  ripe- 
tizione dei  tipi  arcaici  su  forme  stanche  e  ritoccate. 

Le  tavole  fittili  sono  formate  da  una  argilla  di  grana  grossa  impastata  con  sabbia 
di  fosso,  contenente  in  notevole  quantità  granelli  di  pirossene,  di  amfibolo  e  di  mica, 
quale  correttivo  alla  poca  resistenza  al  calore  che  ha  l'argilla  pura.  Una  tale  argilla 
è  molto  comune  nel  territorio  di  Conca;  ciò  non  toglie  che  le  tavole  siano  state 
eseguite  sul  posto,  non  adoperandosi  l'argilla  dell'agro  veliterno  per  essere  troppo 
colorata  in  rosso. 

Circa  la  loro  tecnica,  dirò  che  sono  fatte  a  stampo  entro  matrici,  con  leggieri 
ritocchi  o,  meglio,  ravvivamenti  dei  tratti  delle  figure  fatte  a  stecco. 

La  misura  costante  di  ciascuna  tavola  è  di  m.  0,71  di  larghezza,  e  di  m.  0,36 
di  altezza:  lo  spessore  è  di  m.  0,02,  mentre  alla  sporgenza  in  alto  è   di   m.  0,06. 

Il  fregio  si  compone  di  quattro  parti  dall'alto  in  basso:  una  cornice  a  curva 
aggettante  sul  piano  della  lastra,  alta  m.  0,07  ;  una  fascia  bombata  dipinta  a  squame, 
alta  m.  0,08,  sostituita  in  alcune  lastre  da  una  fascia  liscia  ornata  con  una  greca  ; 
una  zona  mediana  su  cui  si  svolge  la  rappresentazione  figurata,  alta  m.  0,20  ;  un 
sottile  listello  rilevato,  liscio,  che  serve  di  base  ('). 

I  frammenti  ricuperati  nel  nostro  scavo  conservano  benissimo  i  colori,  mentre 
le  lastre  esistenti  nel  Museo  Nazionale  di  Napoli  li  hanno  perduti  quasi  completa- 
mente. L'azzurro  predomina  come  colore  di  fondo  ;  il  rosso  è  adoperato  per  le  carni  (*)  ; 
il  nero  per  le  capigliature,  i  finimenti  dei  cavalli  ed  altri  accessori;  il  bianco  per 
le  vesti  e  per  dar  risalto  agli  occhi.  Gli  altri  colori  secondarli  saranno  in  appresso 
particolarmente  indicati.  I  colori  sono  dati  su  di  una  ammanitura  bianca,  cosparsa 
sull'argilla. 

Ciascuna  tavola  contiene  una  rappresentazione  figurata  a  sé.  Lo  stesso  soggetto 
si  mostra  ripetuto  in  altre  tavole  espresso  in  senso  inverso  e  con  cornici  diverse. 

II  fregio  veniva  fissato  sul  fondo  ligneo  per  mezzo  di  chiodi  di  ferro,  fatti  pas- 
sare attraverso  dei  torelli  ni  appositamente  praticati  sulle  tavole. 

Le  tavole  fittili  frammentarie  ora  ricuperate  sono  le  seguenti: 

1)  Parte  destra  di  lastra  fittile  in  quindici  frammenti  (ved.  fig.  n.  6).  Sotto  la 

cornice  a  sgusci  rossi  e  gialli  alternati  corre  un   piccolo   fregio  a  forma   di  fascia 

bombata  a  squame  dipinte  in  rosso,  con  orlatura  bianca. 

La  parte  figurata,  su  fondo  azzurro  oltremare,   rappresenta   una   processione   o 

corteggio  moventesi  da  sinistra  a  destra.  Precede  un  giovane  snello,  lentamente  gra- 

(l)  La  forma  dell'embricazione  ed  il  motivo  delle  squame  hanno  riscontro  nelle  pitture  di 
Vulci  enei  voti  embriciformi  a  figure  nere  e  rosse:  cfr.  Dumont  et  Chaplain,  Lei  eèram.  etc, 
fase.  XIX-XX;  Robert,  'Ey.  dgx-,  1897,  pp.  247  e  sgg. 

(*)  I  colori  azzurro  e  rosso  predominano  anche  nelle  terrecotte  figurate  greche:  cfr.  Schoene, 
Oriech.  Reliefs,  pag.  62. 


REGIONE    1. 


79  — 


VELLETRI 


diente,  vestito  di  corta  tunica  bianca  e  col  capo  ricoperto  dal  nètaaoc,  bianco,  sotto 
il  quale  escono  i  capelli  neri  ricadenti  sulle  spalle:  regge  con  ambo  le  mani  il  ca- 
duceo (xrjQvxfiov).  Segue  una  triga  che  procede  al  passo  maestosamente.  I  cavalli 
del  centro  e  di  destra  sono  calmi  ed  il  loro  incedere  è  regolare  ;  il  cavallo  di  sini- 
stra si  mostra  invece  irrequieto  :  porta  innanzi  una  delle  zampe  anteriori  e  rode  il 
freno.  Hanno  alte  le  teste  ed  il  collo  arcuato:  le  criniere  sono  stilizzate.  Sono  di- 
pinti in  rosso,  mentre  le  briglie  e  la  bardatura,  semplicissima,  sono  in  nero.  Sul  carro, 
mancante  nella  nostra  tavola,  stanno  ritte  due  figure:  quella  anteriore  è  l'auriga  ve- 
stito di  tunica  nera,  che  regge  con  ambo  le  mani  le  briglie  e  nella  destra  ha  il 
manico  dello  stimolo.  La  figura  posteriore,  vestita  di  lunga  tunica  bianca,  appoggia 


Fio.  6. 


la  mano  sinistra  sulla  spalla  dell'auriga,  mentre  il  braccio  destro  è  disteso  lungo  il 
fianco.  Al  lato  sinistro  dei  cavalli  incede  un  altro  giovane  che  accompagna  con  passo 
cadenzato  il  corteggio,  vestito  di  tunica  nera  e  con  le  braccia  serrate,  fino  al  gomito, 
al  torace  e  gli  avambracci  spinti  in  avanti:  con  la  destra  regge  una  lancia. 

Alla  triga  segue  una  biga  tirata  da  due  cavalli  muniti  di  ali,  le  cui  penne 
sono  alternativamente  dipinte  in  bianco  ed  in  rosso.  Queste  ali  sono  evidentemente 
simbolo  di  celerità  (')• 

I  cavalli  aderiscono  al  carro  mediante  un  largo  collare  fissato  al  giogo  con  cor- 
regge di  cuoio  o  corde,  congiunte  ad  un  sottopancia  formato  da  due  altre  corregge 
a  cappio  sul  fianco  dell'animale.  Nella  nostra  tavola  non  rimane  che  la  parte  ante- 
riore dei  cavalli  maestosamente  incedenti. 

2)  Parte  destra  di  lastra  fittile,  simile  alla  precedente  (ved.  fig.  n.  7),  che  com- 
pleta, benché  le  figure  siano  qui  volte  a  sinistra  e  non  a  destra,  il   soggetto    della 

(')  Simili  cavalli  alati  veggonsi  nelle  decorazioni  figurate  di  vasi  di  fattura  ionica.  Cfr.  le 
cosiddette  «  idrie  ceretane  »  :  Dilmmler,  R6m.  Mitth.,  1888,  pp.  173  e  sgg.,'figg.^3,  5.  Cfr.  Micali, 
Man.  ined.,  tav.  37,8;  Mon.  dell'I»t.\ll,  tav.  18,  ecc. 


VELLETRI 


—  80  — 


REGIONE    I. 


tavola  già  descritta.  Infatti  nella  parte  mancante  di  sinistra  eravi  rappresentato  il 
giovane  col  caduceo,  cui  seguiva  la  triga:  di  questa  rimane  soltanto  il  torso  della 
figura  ritta  in  piedi  sul  carro  dietro  l'auriga.  Viene  poi  la  biga  tirata  dai  due  ca- 
valli alati,  nei  quali  è  notevole  la  coda  lunga  tino  a  terra.  Il  carro  è  riprodotto  in 
forma  schematica  di  profilo,  con  una  metà  della  spalliera  ed  una  sola  ruota  a  sei 
raggi.  La  cassa  è  formata  da  una  semplice  piattaforma,  munita  sul  davanti  e  sui 
fianchi  da  un  parapetto  solido  e  piano  che  ha  l'insenatura  caratteristica  dei  carri 
etnischi  ('). 

A  metà  precisa  del  fondo  è  fissata  la  sala  con  le  ruote  :  il  lungo  timone  ha  il 
suo  appoggio  sul  giogo.  Sul  carro  sta  l'auriga,  come  nella  triga  ;    dietro   di    questa 


Fia.  7. 


sta  la  figura  ritta  che  si  appoggia  con  la  mano  sinistra  sulla  spalla  dell'auriga.  La 
biga  è  seguita  da  una  figura  a  piedi  simmetrica  a  quella  che  precede  l'auriga. 

Il  soggetto  figurato  delle  due  tavole  riferite  era  già  noto  per  i  frammenti  di 
tavole  simili  esistenti  nel  Museo  Nazionale  di  Napoli,  e  segnati  con  i  numeri 
inventariali  1031,  103(5,  1043.  Il  Pellegrini,  che  li  studiò,  ha  dato  una  ricostru- 
zione grafica  delle  tavole  intere,  servendosi  dei  varii  frammenti,  completamente  in- 
dovinata, come  dimostrano  le   due   parti    di   tavole   integrantisi,    ora   rinvenute  (2). 

(')  Questa  forma  schematica  e  convenzionale  di  carro,  peculiare  dell'Etruria,  si  mantiene  fino 
ai  più  tardi  tempi  dell'arte  etnisca,  nonostante  il  predominio  dell'arte  greca;  cfr.  Martha,  L'art 
étrusque,  pag.  357,  fig.  246.  Il  carro  greco  ha  sempre  la  ruota  di  quattro  raggi,  mentre  il  carro 
jonico-etrusco  è  a  più  raggi  ;  cfr.  Studniczka,  Jahrb.  des  Insù.,  1890,  pag.  147. 

(*)  Fregi  arcaici  etruschi  in  terracotta  a  piccole  figure,  in  Studii  e  materiali  di  archeologia 
e  numismatica  di  L.  A.  Milani,  voi.  I,  1899,  pag.  101,  fig.  8.  Altro  frammento  dello  stesso  sog- 
getto era  quello  regalato  dal  cardinale  Stefano  Borgia  al  D'Agincourt  (cfr.  id.,  Récueil  de  fragra, 
antique»  en  terre  cuite,  pi.  II,  n.  4)  che  dovrebbe  tuttora  esistere  nel  Casino  di  Pio  IV,  al  Vaticano. 
Anche  la  tavola  fittile  rinvenuta  a  Palestrina  (A.  Pasqui,  Notizie  degli  scavi,  1905,  pp.  124 
e  sg.  fig.  1)  ed  alcuni  dei  frammenti  di  fregio  fittile  rinvenuti  a  Roma  sul  Palatino  in  terreno  di 


REGIONE   1.  —   81    —  VELLETRl 

L'unica  variante  si  osserva  in  due  dei  frammenti  esistenti  nel  Museo  di  Napoli,  e 
consiste  nella  diversa  decorazione  della  cornice  della  tavola  che  è  tutta  strigliata 
senza  la  fascia  bombata. 

Si  può  riconoscere  nel  soggetto  il  passaggio  delle  anime  dei  defunti  ali  'Facies 
condotte,  anzi  precedute  da  un  araldo,  o  meglio,  dallo  stesso  'Eq^r^  ipvxono/xnóg,  od 
anche  semplicemente  un  corteggio  sacro. 

* 

8)  Frammento  costituito  dall'estremità  sinistra  di  una  tavola  fittile  di  forma 
simile  alle  precedenti  (ved.  tìg.  n.  8).  Vi  sono  rappresentate  tre  figure.  Di  una  non 
rimane  che  il  viso  ed  una  mano;  una  seconda  visibile  quasi  per  intiero  è  vestita 
di  lunga  tunica  bianca  ed  ha  un  copri- 
capo a  forma  di  tutulus  parimenti  bianco. 
Entrambi  sono  distese  su  una  xkCvrj,  che 
nella  nostra  tavola  vedesi  appena:  la  figura 
anteriore  regge  con  la  sinistra  un  fiore 
trilobato.  Le  sta  dinanzi  la  terza  figura  che 
è  un  servo,  vestito  di  tunica  succinta  nera 
che  le  porge  con  la  destra  un  vaso  a  forma 
di  oìvoxót],  di  colore  bianco  giallastro, 
mentre  tiene  la  sinistra  levata  in  atto  di 
ossequio.  Dinnanzi  alla  xkivtj  è  una  piccola 
e  bianca  xqàns^a  teTQccTiodoq,  di  cui  non 
vedasi  che  una  delle  gambe,  sotto  la  quale 
è  accovacciato  un  cane  di  colore  bruno,  di 
cui  vedasi   la  parte  posteriore   e  la  coda  .,      g 

curvata  in  alto. 

Questo  frammento  è  completato  dalla  tavola  quasi  intiera  esistente  nel  Museo 
Nazionale  di  Napoli  (numero  d'inventario  1031  )  (')  ed  a  sua  volta  supplisce  ad  una 
lacuna  di  essa.  Infatti  la  tavola  di  Napoli  rappresenta  un  convito  di  quattro  ban- 
chettanti seduti  a  coppia  di  sesso  diverso  su  due  xlìiai  :  ciascuna  coppia  ha  din- 
nanzi una  TQàneZa  con  sopra  piatti  con  vivande.  Tra  le  due  xXTvca  sta  ritto  un 
suonatore  di  doppia  tibia  (tftauAijTifc)  ed  alle  estremità  delle  ta\ole  stanno  due 
servi.  Sotto  ciascuna  delle  due  TQàne£ca  stanno  un  cane  ed  un'anitra.  Però  nella 
xXivrj  di  sinistra  manca  nella  tavola  di  Napoli  quasi  tutta  la  figura  muliebre  non 
rimanendovi  che  parte  del  dorso  e  ed  il  braccio  destro  che  regge  una  coppa.  Di 
guisa  che  la  figura  muliebre  che  vedasi  nella  nostra  tavola  si  completa  figurandola 


scarico  presso  la  casa  detta  di  Livia  nell'anno  1896  (cfr.  Pellegrini,  op.  cit.,  fis.  106)  rappresentano 
un  soggetto  simile,  salvo  qualche  lieve  variante,  ma  trattato  più  rozzamente  che  nelle  tavole  veli- 
terne,  in  cui  la  tecnica  è  perfetta:  cfr.  anche    uno    dei    frammenti    fìttili    rinvenuto    all'Esquilino 
(Bull,  della  Comm.  archeol.  comunale,  1875,  pp.  41-54,  tavv.  VI-VlIIj. 
(')  Ved.  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  105,  fig.  11. 


VELLETRl 


—    82    — 


REGIONE    I. 


col  braccio  destro  ripiegato  in  avanti  che  regge  una  coppa  nella  quale  dovrà  mescere 
il  coppiere  che  le  sta  dinanzi  ('). 

La  scena  rappresenta  uno  di  quei  banchetti  di  carattere  pubblico   che  si  tene- 
vano dopo  i  sacrifici  agli  Dei. 


4)  Di  un'altra  tavola  di  soggetto  diverso  rimane  la  metà  sinistra  (ved.  fig.  n.  9). 
La  cornice  ha  la  consueta  baccellatura,  ma  è  diversa  nella  fascia  intermedia,  la  quale, 


Fio.  9. 


anziché  essere  bombata  e  dipinta  a  squame,  è  piana  ed  ornata  di  una  doppia  greca, 
o  meandro,  a  rilievo,  rossa  e  gialla,  decorata  negli  spazi  liberi  alternatamente  da  una 
rosetta  ad  otto  petali  e  da  un'oca  dipinta  in  bruno.  La  parte  figurata  rappresenta 
una  corsa  di  bighe  (')  ;  di  una  biga  non  vedesi  che  la  parte  posteriore  dei  cavalli 
ed  il  piccolo  carro  a  due  ruote  di  quattro  raggi,  sul  quale  è  l'auriga  che  voltasi  indietro 
per  vedere  quale  vantaggio  ha  sull'avversario  che  lo  segue.  Il  primo  carro  è  inseguito 
infatti  da  un'altra  biga  i  cui  cavalli  sono  slanciati  a  gran  corsa,  eccitati  dall'auriga 
che,  proteso  in  avanti,  rallenta  le  briglie  per  favorire  la  corsa,  mentre  con  la  destra 
stringe  lo  stimolo.  Gli  aurighi  sono  vestiti  di  tuniche  nere,  ed  hanno  un  copricapo 
nero  ;  anche  i  leggieri  carri  sono  dipinti  in  nero.  Sotto  i  cavalli  della  seconda  biga 
corre  una  lepre  dipinta  in  bruno. 


(')  Dello  stesso  soggetto  sono  alcuni  dei  frammenti  di  fregio  fittile  rinvenuti  a  Cervetri  (ora 
al  Louvre)  cfr.  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  97,  fig.  6,  ed  a  Roma  sul  Palatino  nel  1896,  presso  la 
casa  detta  di  Livia  (ora  al  Museo  delle  Terme)  ved.  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  106. 

(*)  Nelle  pitture  vulcentane  di  stile  greco-etrusco  sviluppato  osservasi  la  stessa  decorazione  a 
meandro:  cfr.  No6l  des  Vergers.  VÉtrurie  et  les  étrusques,  III.pl.  XXI-XXIX;  Monwn.  delVhlìt., 
VI,  tav.  31.  Il  motivo  ornamentale  delle  rosette  è  frequente  nei  vasi  ionici,  in  specie  nelle  deco- 
razioni dei  vestiti  e  delle  zone  ornamentali. 


REGIONE    I. 


-  88  — 


VELLBTRI 


5)  Un  altro  frammento  di  lastra  fittile  ci  dà  il  rimanente  della  tavola  ora 
descritta  (ved.  fig.  n.  10),  formando  la  parte  destra  dell'  intiera  tavola,  che  manca 
appunto  alla  precedente.  In  essa  vedesi  una  triga  in  corsa,  guidata  da  un  auriga, 
seguita,  o,  per  meglio  dire,  quasi  raggiunta  da  una  biga,  della  quale  non  vedesi  che 
la  parte  anteriore  dei  cavalli.  L' intera  tavola  comprendeva  adunque  una  triga  seguita 
da  tre  bighe,  che  gareggiano  nella  corsa,  come  potevasi  già  desumere  dai  frammenti 
di  tavole  esistenti  nel  Museo  Nazionale  di  Napoli  (numeri  d' inventario  1031,  1032, 
1045,  1046),  i  quali,  ricostruiti  fanno  conoscere  l'intera  tavola  ('). 


Fio.  10. 


6)  Un  piccolo  frammento  di  lastra  fittile  (ved.  fig.  n.  11)  ci  oftre  due  figure 
sedute  su  sedie  plicatili  (óig>Qog  òxlaótag).  Una  di  esse  è  intiera  e  sembra  di  sesso 
muliebre:  è  vestita  di  lunga  tunica  e,  mentre  l'avambraccio  destro  è  sollevato  in  alto, 
il  braccio  sinistro  è  posato  sul  ginocchio.  Tale  attitudine  è  propria  dei  personaggi 
reali  o,  meglio,  delle  divinità  (*).  L'altra  figura  che  precede  è  anch'essa  seduta  verso 
sinistra,  ma  con  la  testa  volta  indietro,  verso  la  figura  che  la  segue.  Di  una  terza 
figura,  ancora  più  a  sinistra,  rimane  soltanto  parte  del  àigiQog  e  della  persona. 

Fra  le  terrecotte  borgiane  del  Museo  Nazionale  di  Napoli  vi  è  una  tavola  (3) 
in  cui  è  rappresentata  una  serie  di  divinità  ritte  e  sedute,  alcune  riconoscibili  quali 
Apollo  con  l'arco  e  la  freccia,  Zeus  barbato  con  le  scettro  in  mano,  ed  Ermete  con 
il  petaso. 


(')  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  103,  fig.  9.  Una  lastra  decorativa  di  arte  attica  rappresentante 
una  corsa  di  bighe,  e  rinvenuta  sull'acropoli  di  Atene,  ricorda  molto  le  nostre  ;  ved.  Bull,  de  corresp. 
hell.,  1888,  pag.  499,  n.  12. 

(*)  Si  confrontino  i  cilindri  assiri,  i  darici  persiani,  ed  alcune  monete  battute  dalle  colonie 
fenicie  sotto  la  dominazione  persiana  ;  ved.  Layard,  Niniveh,  pag.  329. 

(*)  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  105,  fig.  12. 


VELLKTR1 


84  - 


Regione  I. 


Un'altra  figura  ha  in  mano  il  lituus  e  potrebbesi  riconoscere  per  Vertumnus  ('); 
un'altra  figura  barbata  ha  lo  scottro. 

Gli  Etruschi  avevano  nel  loro  Olimpo  sei  dèi  e  sei  dee,  identificati  con  i  dodici 
Dei  dell'Olimpo  ellenico,  detti  dai  Latini  dii  consentes  o  complices  (*). 

Nella  tavola,  di  cui  rimane  il  frammento  del  quale  ci  occupiamo,  si  è  voluto 
rappresentare  un  consesso  di  divinità  greco-etrusche  (3). 


7)  In  un  altro  piccolo  frammento  di  lastra  fittile  (ved.  fig.  n.  12).  la  cui  fascia 
era  ornata  dalla  greca  della  quale  vedesi  nella  parte  superiore  una  breve  traccia, 
appariscono  due  guerrieri  a  cavallo,  galoppanti  affiancati  ed  armati  di  scudo  rotondo  e 


Fig.  11. 


Fw.  12. 


di  lancia,  con  il  capo  ricoperto  dall'alto  elmo  greco  crestato  a  guanciera  fissa.  I  cavalli 
e  la  carnagione  dei  guerrieri  sono,  come  di  consueto,  dipinti  in  rosso;  sono  in  nero 
invece  le  strie  parallele  delle  criniere  dei  cavalli,  le  lance  e  Yèmarj/iov  dello  scudo 
formante  un  rosone  ad  elica  (4). 

Questo  frammento  fa  parte  di  una  tavola  simile  a  quella  ricostruita  dal  Pelle- 
grini (5)  con  i  frammenti  esistenti  nel  Museo  Nazionale  di  Napoli  (numeri  d' inven- 
tario 1035,  1039,  1040),  rappresentante  un  attacco  di  cavalieri.  In  esso  veggonsi 
tre  coppie  di  guerieri  a  cavallo,  galoppanti  verso  sinistra,  tutti  armati  nel  modo 
descritto.  I  tre  cavalieri  di  sinistra,  oltre  che  della  lancia,  sono  armati  di  una  scure 

(')  La  divinità  precipuamente  venerata  dai  coloni  etruschi  in  Koma,  la  cui  principale  sede  era 
il  vicus  Tuscus,  fu  appunto   Verlumnus;  cfr.  Varr.,  de  ling.  lai.,  V,  46. 

(aJ  Senec,  Quaest.  nat.,  II,  41  ;  Varr.,  de  re  rust.,  I,  1;  Arnob.,  ad  gent.,  111,40;  cfr.  Mttller, 
Etrusker,  II,  pag.  85. 

(3)  Un  frammento  di  questa  stessa  scena,  d'ignota  provenienza,  già  appartenente  alla  colle- 
zione Buonarroti,  esiste  a  Firenze  nel  Museo  Nazionale;  cfr.  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  107.  fig.  13. 

(*)  Cfr.  l'anfora  vulcentana  a  figure  nere  di  stile  attico,  in  Monvm.  dell' ht.,  III.  tav.  24  ; 
l'altra  di  stile  ionicizzante,  anch'essa  vulcentana,  in  Dùmmler,  Roem.  ìlitth.  1887,  tav.  9;  e  l'anfora 
di  Anfiarao  in  Alonum.  dell'Ist.,  X,  tav.  IV-V.  Cfr.  Inghirami,  ilonutn.  etr.,  V,  pag.  2,  tav.  5  e  6; 
Dressel-Milchhofer;  Athen.  Mitth.,  1877,  pag.  16,  n.  2. 

(8)  Op.  cit.,  pag.  104,  fig.  10. 


REGIONE   I.  —   85   —  VELLETRI 

o  di  un  giavellotto  brandito  con  il  braccio  sinistro  portato  in  dietro  in  atto  di  col- 
pire. Anche  il  guerriero  di  sinistra  del  nostro  frammento  ha  il  braccio  sinistro  por- 
tato indietro  e  levato  ;  ma  non  è  dato  sapere  se  brandisce  una  scure  ovvero  un  gia- 
vellotto (»). 

Tutti  gli  altri  numerosissimi  frammenti  di  fregio  fittile  a  piccole  figure,  rinve- 
nuti durante  lo  scavo,  appartengono  a  tavole  simili  alle  già  descritte,  formando  una 
serie  di  duplicati  della  stossa  figura  e  dello  stesso  dettaglio.  Credo  opportuno,  per 
ragioni  di  brevità,  di  non  elencarli. 

Si  è  già  accennato  che  i  fregi  veliterni  segnano  quanto  di  più  perfetto  siasi 
potuto  raggiungere  nella  tecnica  dei  bassorilievi  arcaici  in  terracotta  di  provenienza 
etrusco-laziale.  Si  è  anche  a  più  riprese  mostrato  che  molti  e  prevalenti  sono  in  essi 
gli  elementi  greci,  ionici  e  corinzi,  che  vi  si  riscontrano  fusi  inorganicamente  insieme 
con  un  contenuto  locale  etrusco. 

Si  debbono  certamente  all' influenza  dell'arte  ionica  la  forma  delle  figure  con  la 
loro  rotondità  e  mollezza  caratteristiche  di  quell'arte,  la  forma  dei  carri  (salvo  leg- 
giere varianti),  la  figura  dell'araldo  che  precede  il  corteggio,  i  cavalli  alati  che  trasci- 
nano la  biga,  e  la  figura  barbata  di  divinità.  Ricorda  inoltre  modelli  corinzi,  la  scena 
del  convito  in  tutti  i  suoi  particolari  Sono  invece  elementi  prettamente  etruschi  il 
bastone  ricurvo,  a  forma  semplificata,  del  lituo  sacerdotale,  che  ha  una  delle  figure  di 
divinità,  come  anche  la  forma  di  attacco  della  triga,  più  comune  in  Etruria  che  non 
in  Grecia,  e  la  scure  impugnata  dai  guerrieri  a  cavallo,  di  origine  asiatico-pelasgica. 
Tutto  ciò  ha  benissimo  dimostrato  il  Pellegrini  nel  suo  lavoro  più  volte  citato  (*). 

Mentre  il  Pellegrini  propende  a  credere  che  questi  fregi  siano  stati  eseguiti  da 
artisti  etruschi,  su  suolo  etrusco,  sotto  l'influenza  dell'arte  greca,  il  Savignoni  (3) 
è  invece  del  parere  che  essi  abbiano  un'  impronta  schiettamente  ellenica,  non  al  punto 
però  di  doverli  ritenere  direttamente  importati  in  Italia  dalla  Jonia  o  dalle  colonie 

(')  Un  altro  pezzo  di  questo  fregio  con  il  gruppo  dei  cavalieri  fu  donato  dal  cardinale  Ste- 
fano Borgia  al  D'Agincourt,  e  da  questo  riprodotto  neìl'Hist.  de  l'art  de  la  décad ,  sculpt.,  fi.  XXVI, 
n.  21;  cfr.  Récueil  de  fragm.  ant  en  terre  cuite,  fi.  II,  n.  8.  Esso  dovrebbe  tuttora  trovarsi,  insieme 
con  l'altro  già  ricordato  della  biga  alata,  nel  casino  di  Pirro  Ligorio  al  Vaticano;  ved.  Abeken, 
Mittelit.y  pag.  825,  n.  5.  Dello  stesso  soggetto,  ma  di  carattere  più  arcaico,  sono  le  tavole  riprodu- 
centi  lo  stesso  soggetto,  rinvenute  a  Poggio  Buco  presso  Piiigliano  (cfr.  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  91, 
flg.  2),  a  Conca  (id.,  pag.  95,  fig.  3»)  ed  a  Toscanella  (id.,  pag.  97,  fìg.  5)  ;  cfr.  anche  il  rilievo 
in  marmo  greco  arcaico  rappresentante  una  corsa  di  cavalieri  rinvenuto  sulla  via  di  Cisterna  presso 
Velletri  [G.  Moretti,  in  Ausonia  VI  (1911),  pag.  147  e  segg.,  tav.  VII].  Simili  alle  lastre  borgiane 
sono  invece,  riproducenti  lo  stesso  soggetto,  i  frammenti  rinvenuti  in  Roma  sul  Palatino  presso  la 
casa  di  Livia  nel  1896  (ora  al  Museo  delle  Terme;  Pellegrini,  op.  cit.  pag.  106),  e  nel  decimo  ed 
ottavo  strato  del  terrapieno  del  Comitium  (G.  Boni,  Notizie  degli  scavi,  1900,  pag.  325,  flg.  28  : 
cfr.  D.  Vaglieri  :  Bull,  della  Commiss,  archeol.  comunale  1901,  pag.  128  e  seg.,  figg,  66,  67; 
Helbig.,  Zur  Oeschichte  des  róm.  Equitatus,  in  Abhandlungen  des  K.  Bayer.  Akademie  der  Wis- 
sensch.  Kl.,  XXIII  Bd.,  II  Abt.,  pag.  278  segg.,  fig.  1). 

(•)  Op.  cit.,  pag.  108. 

(*)  In  Roem.  Mitth.,  1906,  pp.  64-84,  tav.  II,  ove  si  tratta  di  alcuni  frammenti  di  fregi  ionici, 
molto  simili  ai  greco-etruschi,  rinvenuti  a  Paleokastro  di  Siria,  nell'isola  di  Creta,  e  conservati  nel 
Museo  del  Syliogos  di  Candia. 

Notui*  Soavi  1915  —  Voi.  HJ.  12 


VBLLETR1  —   86    —  RBGIONB   I. 

della  Magna  Grecia,  ma  eseguiti  da  artefici  greci  venuti  in  Etruria,  ed  in  specie  nei 

grandi  centri  di  Caere  e  di   Tarquinii,  ove  avrebbero  lavorato  per  gli  Etruschi  ('). 

Comunque  sia,  è  veramente  notevole  il  fatto  che  la  migliore  produzione  del  genere 

appartenga  ad  una  città  volsca  ed  alquanto  lontana  dai  grandi  centri  artistici  etruschi 

suddetti. 

* 

Circa  l'età  a  cui  ci  riportano  i  nostri  fregi,  va  innanzi  tutto  notato  che  questi 
prodotti,  dai  primitivi  ai  più  evoluti  quali  i  veliterni,  furono  già  dal  Pellegrini  (2) 
posti  cronologicamente  fra  i  più  rozzi  prodotti  del  «  red  ware  »  e  gli  splendidi  orna- 
menti architettonici  etruschi  del  IV  e  del  III  sec.  av.  Cr.  È  infatti  da  ritenere  che 
i  più  antichi  di  tali  fregi  risalgano  alla  fine  del  VII  ed  al  principio  del  VI  secolo 
av.  Cr. 

I  fregi  del  tempio  veliterno,  che  sono  di  arte  più  perfezionata  e  risentono  moltis- 
simo dell'influsso  dell'arte  greco  ionica  del  VI  sec,  debbono,  a  mio  parere,  assegnarsi 
alla  fine  del  VI  od  al  principio  del  V  sec.  av.  Cr. 

Questa  datazione  è  convalidata  dalla  cronologia  dell'altro  materiale  rinvenuto  in 
questo  scavo  e  particolarmente  dal  materiale  della  stipe  sacra  ed  anche  da  conside- 
razioni storiche  cui  accennerò  in  appresso. 


Stipe  votiva. 

Nel  riferire  la  cronistoria  dello  scavo,  si  è  già  mostrato  che  il  materiale  appar- 
tenente alla  stipe  votiva  del  tempio  volsco  veliterno  si  rinvenne  alla  rinfusa  non  in 
determinati  punti  ma  in  tutta  la  terra  di  scarico  sparsa  intorno  e  sotto  la  moderna 
chiesa  delle  Ss.  Stimmate.  Si  disse,  anche,  che  il  vasellame  si  ricuperò  frantumato  e 
mescolato  in  modo  da  non  permetterne  uno  studio  cronologico  sistematico.  Del  resto 
il  copioso  materiale  rinvenuto  non  presenta  alcuna  nuova  caratteristica,  ma  comprende 
molte  delle  consuete  e  notissime  forme  della  ceramica  laziale,  compreso  qualche  scarso 
esemplare  di  vasi  greci  importati.  Sarà  ora  dato  un  elenco  delle  forme  principali  di 
vasi  rappresentati  nel  materiale  fittile  restituito  alla  luce  dal  nostro  scavo. 


A)  Vasellame  laziale  (in  gran  parte  del  2°  periodo  dell'età  del  ferro:  dal  VII 
al  V  sec.  av.  Cr.)  : 

1)  Dolii  cilindrici  a  labbra  leggermente  svasate,  eseguiti  in  impasto,  con  la 
superficie  lisciata  a  stecco:  di  varie  grandezze. 

2)  Vasi  di  bucchero    dalla  superficie  lucente,   con  le  anse  bifore  sagomate. 

3)  Vasi  con  ansa  a  sagoma  esterna  ondulata. 

4)  Vasi  di  argilla  figulina  lavorati  al  tornio  e  cotti  al  forno,  con  anse  a  due 
asticelle  o  colonnette,  decorati  con  linee  dipinte  a  guazzo  di  colore  rosso. 

(*)  Roem  Mitth.,  1906,  pag.  71. 
(')  Op.  cit.,  pag.  117. 


REGIONE   I.  —    87    —  VBLLETR1 

5)  Ciotole  eseguite  a  mano,  munite  di  anse  a  linguetta  fissate  sulla  maggiore 
sporgenza  del  corpo:  dipinte  a  vernice  rosso-bruna. 

6)  Coperchi  di  vasi  a  calotta. 

7)  Balsamarii  a  forma  di  fuso,  col  piede  ed  il  collo  piccolissimi,  di  argilla 
rossastra  molto  compatta. 

8)  Tazzette  ad  ansa  bifora  semplice. 

9)  Tazzette  ad  ansa  a  due  cornetti. 

10)  Vasi  di  argilla  a  vernice  rosso-bruna  o  nera,  con  motivi  di  decorazione 
svariati  quali,  bugne,  stelle  a  sei  raggi,  strie  orizzontali  finissime,  squame  graffite, 
croci  gammate,  ecc. 

B)  Vasellame  greco  d' importazione  : 

1)  Balsamario  precorinzio  in  argilla  giallastra  ornato  a  zone  brune  continue, 
fra  le  quali  corrono  due  linee  punteggiate,  il  tutto  dipinto  a  guazzo  con  colore  rosso- 
bruno  (alto  m.  0,09). 

2)  Kylix  frammentaria,  a  figure  rosse  su  fondo  nero,  di  bello  stile  attico,  con 
nel  mezzo  rappresentato  un  efebo  nudo  in  atto  di  giuocare  alla  corda:  in  giro  è  la 
leggenda:  HO  NAI?  KAUO?      XA ATO?  (V  sec.  av.  Cr.). 

3)  Kylix  frammentaria  con  i  resti  di  alcune  figure  ritte  all'esterno  ed  all'  in- 
terno del  vaso:  vi  rimangono  le  lettere  EPA(x^»;g?). 

4)  Frammento  di  vaso  greco  con  il  motivo  degli  occhi  profilattici. 

C)  Vasellame  etrusco  campano. 

Si  rinvennero  poi  in  grande  quantità  frammenti  di  vasi  etrusco-campani  a  ver- 
nice nera  lucente,  di  varie  forme  e  dimensioni,  con  il  distintivo  della  palmetta  mar- 
cata sui  fondi.  Quosti  vasi  appartengono,  come  è  noto,  ai 
secoli  IV  e  III  av.  Cr. 

Altro  materiale  fittile  della  stipe  votiva  del  tempio  è 
costituito  da  un  grande  numero  di  fusaiuole  a  piramide  tronca, 
plasmate  in  argilla,  alcune  delle  quali  hanno  granita  sul  lato 
superiore  una  croce  decussata.  Vi  sono  poi  rocchetti  fittili  in 
numero  rilevante. 

Sono  anche  degni  di  nota  un  ex-voto  a  forma  di  arula  (l) 
fittile  decorata  sul   davanti  con  una  maschera  scenica  tra  due  doppi  girali  (ved. 
fig.  n.  13:  alt.  m.  0,14),  ed  un  piccolo  frammento  fittile  di  tetto  di  capanna  laziale 
appartenente  ad  uno  di  quegli  ex-voto  rappresentanti  un  simulacro  di  tempio  della 
forma  di  transazione  dalla  capanna  rotonda  laziale  alla  casa  di  pianta  rettangolare  (') 

Vennero  inoltre  in  luce  una  matrice  di  statuetta  di  Sileno  Pappo,  dalla  lunga 
barba,  corpulento  e  seminudo,  dall'aspetto  goffo  e  ridicolo  (m.  0,18  X  0,07),  ed  un  fram- 

(*)  Un'arnia  simile  si  rinvenne  nella  necropoli  esquilina  ;  esiste  ora  nel  Museo  Capitolino 
(cfr.  Bull,  della  Commiss,  arckeol.  comunale,  1875,  pag.  41  e  segg.,  tav.  VI-VIII,  n.  2). 

(*)  Cfr.  la  stipe  votiva  del  tempio  della  Madre  Matuta  a  Conca:  Notizie  degli  scavi,  1896, 
pag.  100. 


VBLLETRI  —    88    —  REGIONE    I. 

mento  in  rilievo  marmoreo,  l'unico  oggetto  in  marmo  rinvenuto  durante  tutto  lo  scavo, 
in  cui  sono  scolpiti  un  albero  di  olivo  ed  un  Sileno  barbato  cbe  guarda  in  basso 
(m.  0,23X0,10). 

Dall'  insieme  della  precedente  esposizione  si  deduce  che  il  nostro  tempio  volsco 
ebbe  il  suo  massimo  splendore  nel  V  secolo  av.  Cr.,  periodo  che  corrisponde  all'apice 
della  potenza  dei  Volsci  (').  Questo  popolo,  indomabile  e  tenace  nel  conservare  la 
propria  nazionalità,  scese  dal  suo  montuoso  paese,  e  per  la  valle  del  Liri  giunse  tra 
i  monti  Lepini  ed  i  colli  Albani  ove  fondò  Velitrae  in  territorio  già  etrusco,  in  un 
punto  strategico  dominante  il  passaggio  fra  i  due  gruppi  montuosi  (*).  I  Romani  la 
conquistarono  una  prima  volta  nell'anno  494  av.  Cr.,  deducendovi  una  colonia  (3);  ma 
i  Volsci,  uniti  agli  Equi,  ben  presto  la  ricuperarono. 

Nella  prima  metà  del  V  secolo  av.  Cr.  i  Volsci  si  erano  impadroniti  di  molte 
città  latine,  quali  Lavinium,  Labicum,  Pedo  e  Corioli,  e  delle  lontane  città  di 
Anxur,  Satricum  ed  Antium,  minacciando  Roma  stessa;  ma  i  loro  progressi  ven- 
nero arrestati  dal  valore  di  Spurio  Cassio.  Durante  questo  periodo  Velitrae  volsca 
fu  nel  suo  maggior  fiore,  retta  da  magistrati  detti  meddices  {*).  Questo  rifiorire  della 
potenza  volsca  fu  di  breve  durata,  poiché  nell'anno  404  già  i  Romani  avevano  ricon 
quistato  Velitrae  (5)  conducendovi  nuove  coloni  ;  né  valse  a  riacquistare  l' indipen- 
denza volsca  la  grave  ribellione  dell'anno  393  (6),  né  quella,  ancora  più  ardita,  del- 
l'anno 377  quando  i  Volsci  avanzatisi  arditamente  fino  a  Lanuvium,  si  accamparono 
ai  piedi  dei  colli  Albani.  Il  dittatore  Furio  Camillo  li  sconfisse  arrecando  loro  grandi 
perdite  e  rintuzzandone  per  sempre  la  potenza  e  l'ardire  (7). 

G.  Mancini. 


(')  EU.  Pais,  Storia  critica  di  Roma,  II,  pag.  425. 

(•)  Nisseu,  Landeskunde  II,  pag.  632;   cfr.  G.  De  Sanctis,    Storia  di  Roma  II,  pag.   101  e 
seguenti. 

(')  Liv.  II,  30;  Dionys.  VI,  42. 

(*)  Zvetajeff,  Inter,  med.  lat.   n.  46,  tav.  X,  4. 

(')  Diod.,  XIV,  34,  7. 

(•)  Diod.  XIV,  102,  4. 

(')  Liv.,  VI,  22. 


DBCIMOPOTZU  —  89  —  SARDINIA 


Anno    1915  —   Fascicolo   A. 


SARDINIA. 

1.  DEOIMOPUTZQ  (Cagliari)  —  Scoperta  di  un  ripostiglio  di  bromi 
di  età  preromana  a  monte  de  sa  Idda. 

Ancora  una  volta,  come  ad  Abini  presso  Teti,  a  Tadasune,  a  Lei  per  la  Sar- 
degna, al  caso  fortuito  la  nostra  scienza  ed  il  Museo  nazionale  di  Cagliari  sono 
debitori  del  rinvenimento  di  un  importantissimo  ripostiglio  di  bronzi  nuragici,  con 
taluni  oggetti  di  notevole  carattere  miceneo. 

In  attesa  di  completare  con  le  indagini  i  pocbi  elementi  raccolti,  mi  limito  qui 
a  brevi  cenni  sulle  circostanze  e  sulla  località  della  scoperta,  come  anche  sui  carat- 
teri di  essa. 

Negli  ultimi  giorni  del  1914  due  pastori  di  Destilo,  Francesco  Frau  e  Seba- 
stiano Pranteddu,  i  quali  erano  a  svernare  con  le  loro  capre  tra  Siliqua  e  Decimoputzu, 
nel  Campidauo  di  Cagliari,  vennero  in  Museo  a  portarmi  alcuni  oggetti  in  bronzo 
di  carattere  nuragico  (').  Quando  li  ebbi  acquistati  ed  ebbi  così  vinte  le  naturali 
diffidenze  dei  due  montanari,  seppi  da  essi  che  sul  monte  de  sa  Idda,  tra  Decimoputzu 
e  Siliqua,  sorgente  sul  limite  della  pianura  campidauese,  avevano  rinvenuto  una 
grande  quantità  di  oggetti  in  bronzo. 

Fedeli  alla  parola  datami,  il  1°  del  corrente  anno  essi  ritornarono  in  Museo, 
consegnandomi  una  grossa  bisaccia,  piena  di  oggetti,  interi  e  frammentati,  in  bronzo, 
tutti  di  età  nuragica,  dandomi  anche  ritrovo  per  il  giorno  3  gennaio  per  indicarmi 
esattamente  la  località  della  scoperta  e  consegnarmi  altri  frammenti  che  essi 
avevano  raccolto  e  messo  in  disparte,  non  potendo  per  il  grosso  peso  portarmi  tutto 
il  materiale. 

(')  I  due  pastori,  che,  nella  loro  ignoranza  della  legge,  erano  venuti  in  città  per  fare  esami- 
nare se  gli  oggetti  fossero  d'oro  e  qual  ricavo  potessero  trarne,  furono  guidati  al  Museo  dal  signor 
Romualdo  Loddo,  della  R.  Soprintendenza  dei  monumenti,  e  quivi  consigliati  a  rompere  quel  sug- 
gello di  mistero  o  di  reticenza  che  tanto  spesso  circonda  le  scoperte  archeologiche  isolane. 

Notizik  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  18 


DECIMOPUTZU 


-  90  — 


SARDINIA 


Il  3  gennaio,  per  quanto  contrariato  da  un  tempo  poco  favorevole,  fui  al  ritrovo, 
e  con  i  due  pastori  salii  sul  monte  de  sa  Idda,  ricuperando  interamente  la  sup- 
pellettile rinvenuta,  e  procurando  i  dati  precisi  sulla  località  e  sul  rinvenimento, 
che  era  il  dono  augurale  del  capodanno,  offerto  all'archeologia  della  Sardegna  dalla 
buona  fortuna. 

La  località  della  scoperta,  come  ho  detto,  è  il  monte  de  sa  Idda,  (monte  del 
Villaggio),  una  dirupata  costiera  granitica,  la  quale  sorge  quasi  a  picco  dal  palu- 
doso piano  campidanese  di  Decimoputzu,  lungo  la  linea  ferroviaria    da   Cagliari  ad 


$edff*°/- 


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J)ecimom*inntt 


Fio.  1. 


J>  Cri  ól 't'ari 


Schizzo  indicante  il  posto  dove  sorge  il  Monte  de  sa  Idda 
tra  Siliqua  e  Decimoputzu  (Cagliari). 


Iglesias  (fig.  1).  Tutta  la  costiera  della  brusca  collina,  che  merita  tuttavia  il  nome 
di  monte  per  la  qualità  della  roccia  di  cui  è  composta  e  per  il  carattere  alpestre  del 
paesaggio  granitico,  a  pochi  passi  dall'acquitrinoso  e  malarico  piano,  è  fittamente 
sparsa  di  resti  di  ceramiche,  prevalentemente  di  età  nuragica;  sulla  vetta  sorge 
ancora  un  piccolo  edifìcio  di  forma  e  di  struttura  nuragica,  ma  di  scarse  propor- 
zioni, dal  quale  la  vista  si  stende  amplissima  fino  alle  colline  di  Cagliari  ed  allo 
ampio  golfo  (ved.  lo  schizzo  di  pianta,  fig.  1). 

Pochi  metri  al  di  sotto  della  vetta,  dove  uno  scheggione  di  granito  si  drizza 
ancora  naturalmente,  quasi  un  indice  ed  un  segno,  i  due  pastori  desulesi,  sempre 
investiti  dalla  fantasmagoria  di  un  sogno  di  nascosti  tesori,  scavarono  al  di  sotto 
di  una  pietra  che  risonava  a  vuoto,  e  rinvennero,  in  molti  frammenti,  un  grosso- 
lano vaso  di  rozza  argilla,  di  cui  raccolsi  alcuni  pezzi,  ed  entro  a  questo  la  massa 
degli  oggetti  interi  e  frammentati,  da  essi  ritenuti  di  oro.  Il  resto  è  noto. 

Ho  durato  una  certa  fatica  a  smontare  la  fantasia  dei  due  rinvenitori,  riducendo 
la  scoperta  al  suo  valore  umano,  snebbiando  fantasime  ed  illusioni  ;  né  fu  agevole 
di  liberarsi  dalle  pretese  di  altri  pastori,  che  avevano  presentito,  preveduto,  sognato 
la  scoperta,  la  quale  aveva  rapidamente  assunto  le  proporzioni  di  un  tesoro  inaudito, 


SARDINIA  —    91    —  DECIMOPOTZD 

di  cui  io  era  il  rapitore.  Ma  la  fortuna  ed  il  salutare  intervento  dell'autorità  dei 
bravi  carabinieri  di  Siliqua  salvarono,  almeno  ne  ho  la  fede,  l' intero  ripostiglio  al 
Museo  nazionale  di  Cagliari. 

Presento  qui  in  breve  la  descrizione  del  suo  contenuto;  quanto  prima  mi  sarà 
possibile  intraprenderò  una  sistematica  indagine  sul  monte,  tanto  più  che  il  terreno  è 
di  proprietà  pubblica;  intanto  ricordo  che  la  breve  ricerca  condottavi  nella  prima  gita 
mi  permise  di  raccogliere  varii  frammenti  di  scorie,  pezzi  di  vasi  in  terracotta, 
e  avanzi  di  bronzo,  indizii  tutti  che  lassù,  in  quella  località  sicura  e  forte  per  la 
sua  posizione,  poco  discosta  dai  piani  campidanesi,  dove  la  vita  nuragica  si  svolse 
ampiamente,  prima  dell'insediamento  dei  coloni  fenici  di  Carales,  si  ebbe  un'officina 
fusoria  di  età  nuragica,  la  quale  si  giovò  delle  folte  boscaglie  di  leccio  che  rivestivano 
ed  in  parte  ancora  rivestouo  tutta  la  catena  granitica  che  da  Siliqua,  per  monte  Idda, 
si  connette  alle  più  alte  costiere  del  monte  Linas. 

Il  ripostiglio  contiene: 

n.  13  impugnature  di  spade; 

»  51  frammenti  di  lame  di  spade; 

»  2  pugnali  ; 

»  36  accette  intere; 

»  3  frammenti  di  accette; 

»  2  scalpelli; 

i  2  trapani  ; 

»  5  falci; 

»  3  frammenti  di  falci; 

»  3  cuspidi  di  lancia; 

»  3  anse  di  vasi; 

«  38  oggetti  varii,  alamari,  occhielli  ed  altri  oggetti  indefinibili; 

»  10  panelle  di  rame  lenticolari  e  parallelepipede; 

»  12  kg.  di  frammenti  di  panelle  e  frustoli  di  rame  per  la  fondita. 

Tali  bronzi  sono  tutti  di  tipo  e  di  forme  nuragiche;  quelli  di  tipo  nuovo,  o 
almeno  non  presentatosi  sinora  in  Sardegna,  per  il  carattere  del  metallo  e  della  sua 
patina,  per  lo  stile,  o,  meglio,  per  la  tecnica  metallurgica,  sono  senza  dubbio  proto- 
sardi, e  prodotti  dell'industria  locale.  A  questa  convinzione  sono  venuto  dopo  il  primo 
e  sommario  esame  di  questi  bronzi,  né  credo  che  una  ricerca  più  particolareggiata 
e  minuta  sarà  per  condurmi  ad  un  risultato  diverso.  Si  tratta  di  prodotti  locali, 
per  quanto  in  parte  collegati  ed  inspirati  a  modelli  importati  ;  ma  in  nessun  caso  e 
per  nessun  tipo,  sia  di  armi,  sia  di  strumenti,  io  ritengo  che  siamo  di  fronte  ad  una 
diretta  importazione  di  prodotti  stranieri,  né  ad  una  servile  imitazione  di  tali  pro- 
dotti. La  tecnica  fusoria  sarda,  che  nell'età  dei  nuraghi  era  perfettamente  svilup- 
pata e  conscia  di  tutti  i  metodi  e  di  tutti  i  gradi  dei  varii  procedimenti  metallur- 
gici, foggiò  i  suoi  tipi  di  armi,  di  strumenti,  di  ornamenti,  assorbendo  e  modifi- 
cando i  modelli  stranieri  e  adattandosi  una  speciale  serie  di  tipi  caratteristici,,  ai 


DECIMOPCTZU 


92  — 


SARDINIA 


quali  si  attenne  poi,  con  una  specie  di  feticismo  che  diremo  quasi  rituale,  quando 
attorno  a  tutte  queste  forme  arcaiche  (e,  potremo  dire,  arretrate)  del  pensiero,  della 
vita,  della  psiche  sarda,  si  concentrarono  tutte  le  energie  della  schiatta,  in  una 
lotta  incessante  e  non  ancora  spenta,  contro  altre  forme,  altre  concezioni  della  vita. 
Le  accette  del  ripostiglio  appartengono  a  tipi  svariati;  sono  però  tutte  di  pro- 
duzione locale,  giacché  per  la  massima  parte  sono  fresche  di  getto  ed  hanno  ancora 


m  m 


Fio.  2  (2:s). 


Fm.  3  (2:s). 


le  sbavature  di  fusione  ed  il  tagliente  ottuso.  Abbiamo  l'ascia  piatta,  robustissima, 
a  margini  convessi,  e  tagliente  semicircolare;  l'ascia  allungata,  a  sporgenze  sui  lati 
(fig.  2);  l'ascia  a  profondo  solco  alla  base,  con  le  due  orecchiette  alle  costole,  di 
tipo  frequente  nella  penisola  iberica;  abbiamo  l'ascia  a  cannone  a  sezione  rettango- 
lare, di  grandi  proporzioni,  di  tipo  prevalente  in  tutte  le  regioni  del  Mediterraneo 
occidentale,  dall'Andalusia  alla  Scozia,  ma  di  produzione  locale  (fig.  3);  abbiamo 
infine  la  vera  e  propria  scure,  ad  un  solo  taglio  ed  a  viera  aperta,  che  si  connette, 
più  che  ad  altri  tipi,  alle  scuri  protoegiziane  delle  sepolture  della  valle  del  Nilo  ('). 

(')  Per  i  tipi  delle  accette  in  bronzo  della  Sardegna,  cfr.  Giovanni  Pinza,  /  monumenti  pri- 
mitivi della  Sardegna  (Monumenti  antichi  dell'Accademia  dei  Lincei,  voi.  XI),  pp.  170  e  sgg.  Per 
e  ascie  a  cannone  occidentali,  Iohn  Evans,  L'dge  du  bronze,  Paris  1882,  pp.  116  e  sg.,  figg.  129- 
139,  e  pastini.  Cfr.  Dechelette,  Manuel  d'archeologie  préhistorique  ecc.  II,  pag.  248,  fig.  84; 
pag.  252,  fig.  88  e  pauim. 


SARDINIA 


—    93    — 


DECIMOPOTZU 


I  pugnaletti  conservano  il  tipo  arcaico  dei  pugnali  a  lama  triangolare  e  fori 
per  il  codolo,  tanto  frequenti  negli  strati  nuragici;  così  pure  le  punte  di  lancia  non 
hanno  novità  di  tipo  rispetto  a  quelle  offerte  dalla  stipe  di  Abini:  solo  hanno  una 
maggiore  sveltezza,  accostandosi  di  più  ai  tipi  delle  cuspidi  di  lance  cretesi. 

II  migliore  interesse  del  ripostiglio  è  dato  dalle  spade,  sventuratamente  tutte 
raccolte  in  stato  frammentario,  ma  tale  da  permettere  la  ricostruzione  dei  tipi,  tanto 
più  che  rimangono  le  impugnature  e  le  teste  delle  bellissime  armi.  Finalmente  con 
questo  ripostiglio  noi  conosciamo  la  forte  spada  del  guerriero 

sardo.  I  templi,  le  tombe,  i  ripostigli  ci  avevano  sinora  re- 
stituito a  centinaia  le  fini  ed  esili  spade  votive,  o  piatte  a 
costola,  od  a  sezione  rettangolare:  i  famosi  veruti,  armi  da 
caccia  o  da  voto,  troppo  esili  strumenti  in  mano  ad  un  valido 
e  forte  e  combattente  soldato.  Ora,  grazie  alla  scoperta  di 
monte  Idda,  sappiamo  quale  arma  impugnava  il  guerriero  che 
gli  antichi  ricordano  tra  i  più  valorosi,  disciplinati,  combat- 
tivi del  mondo.  La  spada,  robusta  e  solida,  a  risalto  mediano 
ed  a  fini  bulinature,  è  per  lo  più  incorporata  nel  manico, 
con  cui  forma  un  sol  tutto;  l'impugnatura  che  indica  una 
mano  fine,  quasi  femminile,  ha  per  lo  più  i  chiodi  che  do- 
vevano fissare  sull'anima  di  bronzo  il  rivestimento  in  legno, 
in  osso  o  forse  in  avorio.  Le  lame  non  provviste  di  manico 
hanno  una  testa  elegantissima,  con  i  fori  per  l'intìssione  del- 
l'impugnatura. È  difficile  di  sfuggire  alla  prima  impressione 
che  noi  proviamo,  davanti  a  queste  armi,  tanto  simili  a  quelle 
delle  tombe  di  età  minoica  in  Creta,  massime  alle  belle 
spade  della  necropoli  di  Zafer-Papura,  scavate  dall'Evans  ('). 
E  l'immagine  degli  Shardana,  assalitori  dell'Egitto,  ci  balza 
subito  dinanzi,  impugnanti  la  corta  e  robusta  spada  di  guerra. 
Giova  però  fare  giusta  ragione  di  questo  avvicinamento  e 
temperare  con  severa  indagine  la  prima  impressione,  per  non 
essere  da  questa  fuorviati,  nello  spazio  e  nel  tempo  (fig.  4). 

Se  è  innegabile  l'analogia  delle  spade  di  monte  Idda  con  quelle  delle  tombe  di 
Micene  e  di  Creta  minoica,  non  è  però  difficile  di  vedere  che  esse  hanno  una  maggiore 
semplicità  e  praticità;  si  comprende  che  i  Sardi,  venuti  in  possesso  di  esemplari 
egei,  li  abbiano  imitati,  ma  li  hanno  resi  più  forti  e  più  semplici  ;  di  una  spada  di 
lusso  hanno  fatto  una  spada  di  battaglia,  con  la  quale  dovette  fare  conoscenza,  non 
sempre  gradita,  l' invasore  fenicio  dapprima,  punico  poi  (fig.  5).  Data  la  fissità  dei 
motivi  di  ogni  genere  entro  all'ambiente  sardo,  la  persistenza  delle  forme,  delle  vesti, 
come  dell' intima  sostanza  della  vita  sarda,  noi  non  dobbiamo  meravigliarci  che  tipi 


Fio.  4  (2:3). 


(')  Evans,  The  prekistoric  tombt  of  Cnossos,  London  1906,  pag.  56,  figg.  58,  59  e  passim; 
cfr.  René  Dussaud,  Les  civilisations  prchelleniqucs  dans  le  òassin  de  la  mer  Egèe,  2.m«  édit.  1914, 
pag.  50,  fig.  32. 


DEC1M0PDTZC 


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SARDINIA 


e  modelli  di  armi,  per  loro  natura  tanto  persistenti  nel  seno  di  ogni  razza,  si  siano 
conservati  dall'età  micenea  sino  a  quella  a  cui  appartiene  il  ripostiglio  di  monte 
Idda,  di  qualche  secolo  più  recente  di  quella. 

Ma  già  sin  da  ora  noi  vediamo  aperto  un  altro  spiraglio  che  nella  penombra  della 
preistoria  sarda  conduce  un  filo  della  grande  luce  brillante  sul  cielo  della  civiltà 
egea;  non  chiudiamo  a  quello  spiraglio  la  via  per  una  imbelle  restrizione  mentale, 
e  tanto  meno  per  inchinarci  ad  una  moda,  ormai  superata,  che  vuole 
esclusa  la  Sardegna  dalla  vita  pugnace,  fervidissima,  dell'età  che  vide 
tanta  copia  di  avvenimenti  nel  bacino  del  Mediterraneo,  avvenimenti 
che,  pur  non  essendo  tutti  registrati  nei  libri  della  storia,  non  furono, 
per  questo,  meno  efficaci  nello  stanziamento  dello  successive  civiltà, 
fiorite  in  piena  luce  della  storia. 

A  me  duole  di  essere  in  disaccordo  di  idee  con  altri  studiosi,  di 
cui  altamente  apprezzo  il  valore  e  l'acume.  Ma,  avendo  io  la  fortuna 
di  trovarmi  più  direttamente  a  contatto  con  i  monumenti  sardi,  e  di 
studiare  alla  loro  fonte  le  sorgenti  dei  fatti  che  gli  scavi  e  le  ricerche 
vanno  giornalmente  portando  alla  luce,  credo  che  il  lasciare  che  tali 
fatti  parlino  in  tutta  la  loro  evidenza  sia  un  servire  a  quella  verità, 
a  cui  solo  deve  inchinarsi  l'uomo  di  studio. 

Le  medesime  considerazioni  che  ci  sono  fornite  dallo  studio 
delle  spade  di  monte  Idda  scaturiscono  anche  dall'esame  sommario 
degli  altri  oggetti.  Così  le  falci,  pure  accostandosi  a  quelle  dell'età 
del  bronzo  della  penisola  italiana  ('),  hanno  un  carattere  locale,  sono 
più  larghe  e  più  pratiche  (fig.  6);  così  le  lame  di  sega,  solide  ed 
usate  ;  così  gli  aghi  crinali,  dalle  impugnature  robuste  e  dalla  verga 
solida,  che  li  rende  atti  a  colpire  come  pugnali. 

Anche  le  grandi  anse  di  lebeti,  se  possono  compararsi  a  quelle 
dei  vasi  in  bronzo  di  Sicilia,  e  più  ancora,  di  Creta  minoica,  hanno 
una  decorazione  a  motivi  geometrici  o  naturalistici,  ma  semplicissimi 
o  germinati  dalle  imitazioni  di  esemplari  empestici,  la  quale,  come 
già  osservai  altrove,  determinò  la  decorazione  della  ceramica  eneolitica 
"e  nuragica  sarda. 

Ed  all'  Oriente  egeo  ci  richiama  anche  il  tendi-arco  in  bronzo  (fig.  7),  deco- 
rato nella  parte  superiore  da  una  doppia  spirale,  la  quale  per  rudezza  di  caratteri 
si  collega  a  quelle  date  dalla  ceramica  della  grotta  di  S.  Michele  d'Ozieri,  e  come 
queste,  potrebbe  essere  ritenuta  una  germinazione  locale,  affatto  indipendente  da 
modelli  importati  (2),  se  non  avessimo  le  decorazioni  spirali  dell'arcipelago  di  Malta 


Fig.  5  (2:3). 


(l)  Per  le  falci  in  bronzo  della  Sardegna,  vedi  Pinza,  op.  cit.,  pag.  147,  fig.  85.  Cfr.  Dechelette, 
op.  cit,  voi.  II,   pag.  267,  fig.  9ó";  Evans,  op.  cit.,  pp.  212  e  seg.,  fig.  236. 

f)  Taramelli,   La   grotta   votiva   di    S.  Michele   di   Ozieri  (Notizie  scavi,  1915,  fase.  IV, 
pag.  134);  Porro,  Materiali  della  grotta  votiva  di   S.  Michele  di  Ozieri  (Bullettino  di  paletno- 
ogia  italiana,  1915). 


SARDINIA 


95  — 


DECIMOPOTZU 


e  quelle  della  penisola  iberica,  le  quali  indicano  le  tappe  della  grande  strada  di 
diffusione  di  quel  motivo  decorativo,  che  si  insteriliva  e  si  imbarbariva  nel  suo  gra- 
duale cammino  verso  l'Occidente  del  Mediterraneo. 

A  stabilire  il  carattere  del  ripostiglio:  a  chiarire  la  origine  di  esso,  confermando 
le  idee  da  me  precedentemente  espresse  sulla  metallurgia  della  Sardegna  nuragica, 
valgono  le  numerose  panelle  di  rame  rinvenute  nel  vaso  di  monte  Idda.  Alcune  sono 
intere,  di  forma  lenticolare,  pesanti  da  3  a  4  chilogrammi  ;  altre  sono  spezzate  in 
minuti  frammenti;  solo  alcune  hanno  forma  rozzamente  rettangolare  e  dimensioni  più 


Fio.  6.  —  Falce  in  bronzo  (2:3). 


Fig.  7.  —  Tendi-arco  in  bronzo  (2:8). 


grandi;  nessuna  però  accenna  alle  forme  a  nskip]  dei  famosi  pani  di  rame  di  Serra 
Ilixi,  di  provenienza  egea  (').  Sono  invece  tutte  panelle  di  rame  di  provenienza  sarda, 
e  fuse  con  minerale  sardo;  siamo  quindi  di  fronte  alla  fonderia  0  al  ripostiglio  di 
un  fonditore  che  raccolse  tutte  le  spade  rotte  di  una  sola  tribù  ed  i  frammenti  di 
oggetti  vari,  che  si  preparava  a  rifondere  ed  a  ridonare  a  novelle  forme.  Il  non  aver 
trovato  alcun  oggetto  né  punico,  né  tanto  meno  romano,  nel  ripostiglio,  fa  credere  che 
esso  fosse  stato  formato  in  piena  vita  nuragica,  quando  sulla  vetta  di  monte  ldda 
tenevano  ancora  saldo  i  Sardi  primitivi,  che  qui  ergevano  le  loro  vigili  torri  di 
guardia,  in  vista  del  mare,  in  vista  dell'acropoli  caralitana,  su  cui  non  erano  ancora 
piantati  i  tristi  segni  della  signoria  fenicia. 

L'analisi  chimica  potrà  provare  se  il  rame  di  quelle  panelle  sia  0  meno  il  rame 
di  origine  sarda,  come  tutto  porta  a  credere.  Ma  sin  da  ora  mi  è  grato  di  richiamarmi 


(')  L.  Pigorini,  /  pani  di  rame  di  Serra  Ilixi  in  Sardegna  (Bull,  di  paletnologia  italiana. 
anno  XXX,  1904,  pp.  91  e  seg.). 


DECJMOPUTZO  —   96   —  SARDINIA 

alle  osservazioni  da  me  fatte  nelle  antiche  miniere  di  rame  di  rio  Saraxinus,  presso 
Gadoni,  con  la  scorta  dell'amico  ing.  Megy,  ed  ai  dati  raccolti  nella  fonderia  nuragica 
di  Ortu  Commidu  presso  Sardara,  per  riferirmi  solo  alle  più  recenti  scoperte,  le  quali 
provano  in  modo  palese  l' intensa  lavorazione  dei  giacimenti  cupriferi  sardi  in  età 
nuragica  e  la  completa  elaborazione  metallurgica  di  tali  minerali  per  opera  dei  sardi 
stessi,  prima  della  penetrazione  del  più  piccolo  elemento  fenicio  o  cartaginese  negli 
intimi  recessi  della  montagna  sarda.  Perciò  l'orizzonte  preistorico  sardo  non  solo  è 
peculiare  e  diverso  da  quello  della  penisola  italiana,  ma  è  diverso  anche  dal  siculo, 
come  ben  disse  il  Colini.  E  la  diversità  è  in  gran  parte  dipendente  da  un  fatto 
naturale:  la  presenza,  in  Sardegna,  di  quei  giacimenti  cupriferi,  sui  quali  cadde 
l'attenzione  dell'uomo  neolitico  sardo,  che,  non  sappiamo  ancora  per  quali  impulsi, 
probabilmente  egei,  ne  apprese  il  valore  ed  i  metodi  di  sfruttamento.  In  Sicilia  invece 
noi  troviamo  che  le  società  locali,  in  piena  vita  neolitica,  ricevono  le  spade  e  gli 
oggetti  micenei,  e  li  adottano  tali  e  quali  (').  In  Sardegna  non  è  così;  il  modello 
egeo  arriva  anche  qui,  portato  da  quella  corrente  che  dalla  Sicilia  occidentale,  dalle 
baie  di  Drepano  e  Panormo  giungeva  agli  amplissimi  e  sicuri  golfi  di  Cagliari  e  di 
Palmas  :  ma  qui  trova  un  popolo  ed  una  industria  avviata  che  si  impadroniscono  del 
modello,  lo  trasformano,  lo  adattano  ai  propri  usi,  al  proprio  stile,  e,  così  adattato, 
lo  conservano  per  lungo  volgere  di  generazioni.  Per  questo  motivo  lo  studio  del- 
l'archeologia della  Sardegna,  più  che  di  altri  ambienti  preistorici,  si  presenta  difficile 
ed  oscuro,  per  mancanza  di  elementi  storici,  e  per  la  trasformazione  che  qui  hanno 
subito  gli  elementi  preistorici.  Lo  studio  ulteriore  di  questo  ripostiglio  e  delle  rovine 
di  monte  Idda  di  Decimoputzu,  spero  potrà  meglio  chiarire  queste  idee  ;  io  però  sin 
da  ora  credo  che  non  potranno  di  molto  mutarsi,  come  credo  fermamente  che  la 
conoscenza  degli  elementi  raccolti  tanto  a  monte  Idda,  quanto  nelle  miniere  di  Gadoni, 
quanto  ad  Ortu  Commidu  di  Sardara,  potrà  completamente  cambiare  l'ordine  delle 
idee  ancor  vigenti  sulla  Sardegna  primitiva,  idee  fondate  sopra  una  incompleta 
conoscenza  dei  fatti  e  sopra  valutazioni  assolutamente  viete  e,  almeno  per  me,  da 
abbandonarsi  (*). 

Il  rame  delle  miniere  sarde  coltivate  in  età  nuragica  fu  una  grande  forza  per 
la  Sardegna;  ne  plasmò  il  vigore  e  il  carattere  militare,  rese  possibile  la  sua  resi- 
stenza, per  tutta  l'età  micenea,  per  tutta  l'epoca  della  talassocrazia  fenicia,  breve  o 
lunga  che  fosse,  contro  una  efficace  penetrazione  straniera.  Con  le  armi  delle  miniere 
sarde  i  guerrieri  Shardana  tennero  lungi  dalla  loro  terra  i  pirati  protogreci,  i  Fenici, 


(')  G.  A.  Colini,  La  civiltà  del  bromo  in  Italia,  II.  Sicilia  (Bull,  di  Paletnol.  Italiana, 
anno  XXX)  1904,  pag  250  e  seg.  ;  cfr.  Vela  del  bronzo  in  Italia  (Atti  del  Congresso  Internai,  di 
Scienze  storiche  del  1903,  Roma,  1904,  pag.  61  e  passim). 

(*)  Taramelli,  Note  di  preistoria  sarda  (Bull,  di  paletnol.  ital,,  ann.  XXXVI,  1912,  pag.  75 
e  seg.;  Archivio  storico  sardo,  1912,  pag.  367);  Ghirardini,  La  questione  Etrusco  (Prolusione 
al  corso  di  archeologia  alla  TI.  Università  di  Bologna),  1914,  pag.  27,  n.  2.  Cfr.  G.  G.  Porro,  In- 
flussi dell'oriente  preellenico  sulla  civiltà  primitiva  della  Sardegna:  Atene  e  Roma-,  luglio- 
agosto  19  15. 


SARDINIA  —    97    —  V1LLADKBANA 

come  tennero  lungi  i  tìeri  Etruschi;  ma  le  armi  stesse  usate  in  lotte  fratricide  e 
fors'anche  in  imprese  contro  terre  lontane,  delle  quali  altri  e  non  essi  seppero  cogliere 
il  frutto,  si  spuntarono  contro  la  metodica,  lenta  ma  inesorabile  invasione  dei  Carta- 
ginesi. I  quali,  prodigando  carezze  ed  allettamenti  al  vizio,  da  corruttori  senza  genia- 
lità quali  essi  erano,  lentamente  si  assisero,  e  non  senza  lotta,  sulle  prode  di  Sardegna, 
avviluppandola  lentamente,  come  un  serpe,  nelle  loro  spire  mortali.  In  poco  tempo 
essi  isolarono  la  schiatta  sarda  dalle  libere  vie  del  mare,  occuparono  i  fertili  piani 
dei  Gampidani,  respingendo  i  sardi  o  attraendoli  in  un  ibrido  amalgama  di  razze 
affini  ma  diverse,  accaparrandosi  i  commerci  e  le  industrie  minerarie  iglesienti  del 
piombo,  del  ferro  e  dell'argento.  Ma  dalla  soglia  delle  vallate  ricche  di  quel  rame 
che  aveva  attratto  la  loro  ingordigia,  le  superstiti  schiere  dei  Sardi  vegliavano,  strette 
attorno  alle  loro  moli  nuragiche,  sotto  la  tutela  del  loro  dio  Sardus  Pater;  e  per 
almeno  quattro  secoli  l'onda  cupida  dei  mercenari  cartaginesi  provò  indarno  ogni  sforzo 
contro  quei  fieri  discendenti  di  una  razza  indipendente  e  dominatrice.  E  quando  l'aquila 
romana  fugò  dalla  Sardegna  l'ultimo  falco  di  Cartagine,  i  vigili  custodi  e  padroni  di 
quelle  miniere  di  rame  avevano  ancora  serbato  intatta  la  loro  indipendenza,  che  sep- 
pero contendere  per  molti  e  molti  lustri  contro  i  valorosi  soldati  della  Repubblica 
Romana. 

A.  Taramelli. 


II.  VI  LL AURBANA  —  Ripostiglio  di  monete  in  bromo  imperiali 
romane,  scoperto  in  regione  Bidelle. 

Nel  luglio  del  1913  il  bracciante  Pois  Antonio,  rimovendo  delle  grosse  pietre 
nel  terreno  a  pascolo  cespugliato,  di  proprietà  di  certo  Mura  Crispino,  in  regione 
Bidelle,  comune  di  Villaurbana  (Oristano),  rinvenne,  sotto  ad  un  grosso  masso  di  pud- 
dinga, un  gruppo  di  287  monete  in  bronzo,  di  età  romana  imperiale. 

In  seguito  alle  pronte  ed  efficaci  premure  dell'autorità  competente,  anche  per 
cura  del  cav.  uff.  avv.  Elìsio  Pischedda,  r.  ispettore  dei  monumenti  e  scavi  del  cir- 
condario di  Oristano,  l'intiero  ripostiglio  fu  recuperato  per  lo  Stato,  ed  ora  fa  parte 
delle  collezioni  numimastiche  del  Museo  nazionale  di  Cagliari.  Va  tributata  lode  tanto 
al  repertore  Antonio  Pois,  quanto  al  Mura  Crispino,  che  non  vollero  seguire  l'esempio 
di  tanti  corregionali,  i  quali  tacciono  delle  scoperte  fortuite  che  avvengono  e  ne  tra- 
fugano quasi  sempre  e  ne  disperdono  il  frutto. 

Il  ripostiglio,  forse  nascosto  in  una  cavità  della  roccia  e  coperto  da  un  grosso 
blocco  per  toglierlo  alla  vista,  comprende,  come  ho  detto,  287  monete  in  bronzo 
romane  imperiali,  tutti  grandi  bronzi,  se  ne  togli  un  medio  bronzo  dell'imperatore 
Pilippo  padre,  ed  abbraccia  il  periodo  di  tempo  da  Traiano  a  Treboniano  Gallo,  dal- 
l'anno 98  al  254  d.  Cr. 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  14 


VILLAORBANA  —    98    —  SARDINIA 

Sono  rappresentati  nel  ripostiglio  i  seguenti  imperatori  ed  imperatrici: 

Traiano  con   esemplari n.  2 

Adriano  »  »  »  6 

Sabina  »  »  »  1 

Antonino  Pio  »  »  »  12 

Faustina  »  «  »  3 

Marco  Aurelio  «  »  »  10 

Faustina  iuniore  -  »  »  4 

Lucilla  »  »  »  1 

Commodo  »  »  »  5 

Crispina  «  »  ■>  1 

Settimio  Severo  »  »  »  3 

Giulia  Do mna  »  »  «  3 

Elagabalo  »  »  «  1 

Giulia  Maesa  »  »  »  1 

Alessando  Severo  »  »  »  49 

Giulia  Mammaca  »  »  «  18 

Massimino  »  »  ......  *  28 

Massimo  »  »  »  5 

Balbino  «  »  .......  1 

Gordiano  Pio  »  »  »  82 

Filippo  padre  »  »  »  30 

Otacilia  »  »  »  5 

Filippo  iuniore  »  »  »  10 

Traiano   Decio  »  »  •  4 

Ostiliano  »  »  »  1 

Treboniano  Gallo  »  »  »  1 

Totale    n.     287 

n 

Le  monete  più  antiche,  da  Adriano  sino  a  Commodo,  sono  tutte  molto  consunte  ; 
ma  poi,  scendendo  ai  tempi  più  vicini  alla  formazione  del  ripostiglio,  sono  di  una 
conservazione  e  sopratutto  di  una  patina  di  grande  bellezza. 

Il  ripostiglio,  non  solo  è  importante  per  la  conservazione  rara  delle  monete,  ma 
perchè  conferma  la  grande  abbondanza  di  monete  degli  imperatori  Alessandro  Severo, 
Gordiano  Pio  e  di  Filippo,  che  si  riscontra  in  Sardegna.  Questa  abbondanza  di  monete 
è  anche  in  corrispondenza  a  notevoli  opere  pubbliche  che  si  compirono  in  Sardegna 
al  tempo  degli  accennati  imperatori  romani,  benemeriti  per  il  ristauro  di  ponti  e  di 
opere  di  difesa  delle  grandi  arterie  stradali  dell'isola. 

Il  ripostiglio  è  anche  importante,  perchè  raccoglie  alcuni  tipi  di  relativa  rarità. 

Debbo  accennare  il  grande  bronzo  di  Settimio  Severo  che  reca  la  leggenda  al 
rovescio  :  Adventui  Aug.  Felicissimo  e  l' immagine  dell'  imperatore  a  cavallo  prece- 
duto dal  soldato  (Cohen,  n.  8)  ;    il  grande  bronzo  di  Alessandro  Severo,  con  la  leg- 


SARDINIA.  —    99   —  NURAGOS 

genda  P.  M.  tr.  p.  Vili  Cos.  Ili  P.  P.  e  V  imperatore  in  quadriga  (Cohen,  n.  377)  ; 
di  rara  bellezza  e  di  rarissimo  tipo  è  il  grande  bronzo  di  Otacilia:  Saeculares 
Augg.,  con  l'ippopotamo  (Cohen,  n.  55). 

Pure  rari  e  pregiati  sono  alcuni  fra  i  bronzi  di  Antonino  Pio,  di  Elagabalo,  di 
Massimino,  di  Massimo,  di  Balbino,  di  Ostiliano;  sono  anche  da  ricordare,  per  la 
loro  bellissima  conservazione  e  per  la  patina  superba,  i  grandi  bronzi  di  Giulia 
Maesa,  di  Alessandro  Severo,  di  Massimo,  di  Gordiano  Pio,  dei  due  Filippi  ed  i 
rari  esemplari  di  Traiano  Decio. 

Alcuni  esemplari  sono  dei  veri  gioielli  interessanti  per  la  iconografia  e  per  la 
monetazione  dei  vari  imperatori. 

Assai  opportunamente  perciò  la  Direzione  generale  delle  antichità  e  belle  arti 
autorizzò  la  Sopraintendenza  dei  Musei  e  degli  scavi  della  Sardegna  ad  acquistare 
l' intiero  ripostiglio,  che  oggi  accresce  l' importanza  del  medagliere  del  Museo  di 
Cagliari,  offrendo,  con  altri  ripostigli  cartaginesi  e  romani  ivi  conservati,  un  esempio 
di  quel  fatto,  tante  volte  osservato  in  Sardegna,  della  conservazione  e  del  celamento 
di  gruzzoli  più  o  meno  abbondanti  di  monete  di  una  determinata  età,  forse  come 
prova  di  periodi  di  grande  miseria  o  di  gravi  torbidi  nelle  condizioni  interne  del- 
l' isola,  così  spesso  sconvolta  da  rivoluzioni  e  da  repressioni  spietate  (l). 

A.  Taramelli. 


III.  NURAGUS  —  Pozzo  votivo  di  età  preromana,  scoperto  in  regione 
Goni  o  Santu  Millanu. 

Fu  già  data  notizia,  nella  presente  Rivista,  della  scoperta  di  una  statuetta  in 
bronzo  di  arte  protosarda,  rappresentante  una  donna,  o  una  sacerdotessa,  od  una  divi- 
nità femminile,  avvenuta  pochi  anni  or  sono  nelle  vicinanze  del  borgo  di  Nuragus, 
in  regione  Coni  o  Santu  Millanu,  nel  terreno  di  certo  Vincenzo  Trudu,  durante  un 
semplice  lavoro  agricolo  che  mise  in  luce  un  antichissimo  pozzo  (fig.  1),  del  quale  il 
signor  ispettore  Filippo  Nissardi  potè  riconoscere  la  somiglianza  con  i  pozzi  votivi 
di  s.  Cristina,  di  Paulilatino  e  di  s.  Vittoria  di  Serri. 

Per  cortese  permesso  del  proprietario  mi  fu  possibile,  nel  maggio  dell'anno  1914, 
di  procedere  ad  una  sistematica  esplorazione   del  pozzo,  la  quale,  se  fu  sterile  di 

(')  Per  il  rinvenimento  di  tesori  in  Sardegna,  rimando  alla  bella  monografia  di  Melchiorre 
Roberti,  Intorno  alla  scoperta  di  tesori  in  Sardegna  [Archivio  storico  sardo,  VI  (1910)  pag.  391]. 
Questa  interessante  monografia,  che  è  definitiva  per  la  storia  del  tesoro  in  Sardegna,  attraverso  a 
tutti  i  tempi,  ha  un  elenco  completo  di  tutte  le  scoperte  di  tesori  o  di  ripostigli  monetari  avve- 
nuti nell'isola  (a  pp.  419-422;  nota).  Ad  essa  rimando  il  lettore  che  desiderasse  utili  schiarimenti 
su  un  oggetto  che  interessa  non  solo  la  scienza,  ma  altresì  una  delle  più  controverse  eppure  tanto 
vitali  questioni  di  diritto  amministrativo.  Cfr.  sul  presente  ripostiglio,  Rivista  hai.  di  Numismatica, 
1915,  fase.  1°. 


NURAGOS 


—  100 


SARDINIA 


risultato  per  quanto  riguarda  la  suppellettile,  permise  di  rilevare  le  condizioni  e  la 
pianta  del  pozzo  e  riconoscerne  la  identità  con  quelli  sopra  accennati. 

Il  pozzo  predetto  non  era  conosciuto  prima  della  casuale  scoperta  fattane  dal 
contadino  Vincenzo  Trudu  nel  1912;  esso  però  si  trova  in  un'area  interessante  dal 
punto  di  vista  archeologico,  ed  anche  già  precedentemente  visitata  da  varii  studiosi 


°8« 


Pia.  1.  —  Pianta  del.  pozzo  votivo  di  S.  Millanti,  Nuragus  (ril.  Nissardi,  disegno  V.  Mura). 

e  da  me  (').  Esso  si  trova  in  mezzo  a  quella  regione  ondulata  che  si  stende  tra  il 
corso  del  Rio  Mannu  e  la  costiera  orientale  dell'altipiano  della  Giara,  ai  piedi  del 
mammellone  sormontato  dal  grandioso  nuraghe  Coni  o  Santu  Millanu,  e  presso  alla 
diruta  chiesa  di  s.  Elia,  che  è  uno  dei  centri  di  rinvenimenti  di  tombe  dell'età  romana 
e  cristiana  riferite  all'antica  Valentia  ed  al  territorio  dei  Valentini.  Presso  il  pozzo 
antico  è  la  fonte  di  Coni,  che  ha  sempre  acqua  discreta  anche  nei  periodi  di  mag- 
giore siccità,  tanto  che  è  una  delle  preziose  riserve  d'acqua  per  il  villaggio  di  Nuragus, 
situato  a  quattro  chilometri  di  distanza. 


(l)  Notizie  degli  scavi,  1913,  pag.  06.  fig.  2  a,  b. 


SARDINIA  —    101    —  NURAGUS 

Lo  scavo,  sorvegliato  dall'  ispettore  Filippo  Nissardi  e  da  me,  fu  diretto  ad 
isolare  il  pozzo  e  ad  esplorarne  le  adiacenze,  allo  scopo  di  studiarne  la  struttura  e 
cercare  le  traccie  di  depositi  votivi,  per  i  quali  la  scoperta  della  statuetta  in  bronzo 
aveva  fatto  sorgere  tante  speranze.  Ho  già  detto  che  queste  non  furono  mantenute; 
ma  lo  scavo  ci  fornì  un  nuovo  esemplare  di  quell'architettura  che  possiamo  chiamare 
religiosa  protosarda  e  che  rappresenta  il  più  alto  punto  a  cui  pervenne  la  tecnica 
monumentale  dell'antico  popolo  sardo. 

Il  pozzo,  al  quale  mancava  completamente  la  cupoletta  che  in  origine  lo  chiu- 
deva, demolita  da  tempo  antico,  tanto  che  non  ne  rimanevano  neanche  in  posto  le 


Fio.  2.  —  Sezione  del  pozzo  votivo  di  S.  Millanu. 


pietre  lavorate  che  la  componevano,  ha  sezione  circolare,  è  rivestito  in  conci  di  pietra 
lavica  a  faccia  squadrata  disposti  a  corsi  regolari,  senza  malte  cementizie,  con  una 
risega  di  fondazione  che  ne  restringe  alquanto  il  diametro,  ed  una  scaletta  di  accesso 
che  con  5  gradini  scende  dal  piano  del  terreno  sino  alla  risega;  al  disotto  di  questa 
il  pozzo  presenta  una  concavità  semisferica,  come  una  tazza,  nella  quale  si  raccoglie 
l'acqua  della  vena  liquida  che  in  origine  doveva  salire  solo  alla  risega,  quando  l'uso 
del  pozzo  era  continuo  e  giornaliero,  mentre  oggi,  dopo  lo  scavo,  nel  giro  di  24  ore 
sale  all'alto  della  scaletta  e  defluisce  all'esterno  della  campagna. 

La  struttura  e  le  disposizioni  del  pozzo  sono  chiaramente  visibili  dai  disegni 
eseguiti  dal  prof.  V.  Mura  in  base  ai  rilievi  del  signor  Nissardi  (figg.  1,  2). 

Il  suolo  nella  conca  di  Coni  è  costituito  da  un  leggiero  mantello  di  humus  e 
di  detrito  e  da  strati  di  calcari  marnosi  miocenici  ;  il  pozzo  fu  appunto  scavato  attra- 
verso alla  massa  di  terriccio  sino  a  raggiungere  e  ad  incidere  il  primo  strato  roc- 
cioso, sotto  al  quale  scorre  la  vena  liquida  abbastanza  copiosa  e  buona,  per  quanto 


NURAGUS 


102  — 


SARDINIA 


ricca  di  elementi  calcari;  perciò  è  rivestita  la  parte  del  pozzo  che  attraversa  il  terreno 
friabile,  mentre  il  fondo  è  scavato  nella  viva  roccia  e  non  ha  rivestimento  di  sorta. 
La  roccia  locale,  un  calcare  compatto,  fu  impiegata  nella  costruzione  del  gran- 
dioso Nuraghe  s.  Millanti  e  negli  edifici  di  ogni  epoca  che  sorsero  sul  colle  di 
s.  Elia;  il  pozzo  invece  è  per  intiero  costituito  da  roccia  lavica,  compattissima,  il 
basalto  della  colata  lavica  che  forma  il  grande  tavoliere  della  Giara  e  di  tutte  le 


Fio.  3.  ■■—  Veduta  del  pozzo  votivo  di  S.  Millanti,  dopo  lo  scavo.  Sul  colle,  in  distanza,  il  nuraghe. 

prossime  corone  vulcaniche  del  territorio.  Anche  nella  scelta  di  questa  roccia,  difficile 
al  lavoro,  e  che  doveva  essere  qui  portata  da  almeno  una  diecina  di  chilometri  e  da 
regioni  elevate,  si  vede  la  grande  cura  dei  costruttori  e  forse  anche  un  carattere 
rituale,  per  cui  era  impiegata  una  roccia  che  troviamo  già  rappresentata  nelle  costru- 
zioni dei  pozzi  votivi  di  s.  Cristina,  di  s  Vittoria  di  Serri,  di  s.  Anastasia  presso 
Sardara  e  di  Corona  Rubia,  presso  la  estremità  occidentale  della  Giara  di  Gesturi  (1). 
La  costruzione  del  pozzo,  come  risulta  dai  nostri  disegni  e  dalle  fotografie 
(figg.  3,  4),  è  di  modeste  dimensioni,  ma,  in  compenso,  assai  accurata;  il  taglio  delle 


,')  Taramelli  e  Nissardi,  L'altipiano  della  Giara  di  Gesturi:  Nuraghe  Santa  Millanu  in  re- 
gione di  Nuragus,  pag.  71,  figg.  24  u  25. 


SARDINIA 


—    103   — 


NURAGtJS 


pietre  usate  sia  sul  rivestimento  del  pozzo  sia  nella  scala  è  perfetto  sui  quattro  lati 
e  nella  faccia  vista,  cosicché  si  può  dire  che  ogni  pietra  è  stata  lavorata  per  quella 
determinata  parte  dell'edifìcio  in  cui  venne  impiegata.  L'edificio  fu  eretto  di  getto, 


Fio.  4.  —  Scaletta  che  scende  al  pozzo  e  resti  del  selciato  delpiazzaletto  innanzi  al  pozzo. 


secondo  un  piano  prestabilito  e  secondo  una  tecnica  già  tradizionale  ed  agguerrita, 
in  modo  che  si  venne  elevando  contemporaneamente,  a  partire  dalla  risega  di  fonda- 
zione, tanto  il  cilindro  del  pozzo  quanto  la  scaletta  che  accede  al  fondo  del  pozzo 
stesso,  in  modo  che  le  pareti  della  scaletta  ed  i  gradini  sono  collegati  strettamente 
nei  varii  filari  di  cui  si  compone  la  costruzione  isodoma. 


NURAGDS  —    104   —  SARDINIA 

Il  pozzo,  di  sezione  circolare  e  di  forma  leggermente  conica,  ha  il  diametro 
superiore,  dove  è  stato  decapitato  della  cupola,  di  m.  1,20,  e  di  m.  1,33  sopra  alla 
risega  di  fondazione,  al  livello  della  quale  il  diametro  ritorna  di  m.  1,20.  Il  rivesti- 
mento del  pozzo  è  fatto  a  filari  di  basalto  di  circa  m.  0,30  di  altezza:  i  conci  ben 
tagliati  hanno  la  faccia  a  sezione  di  curva,  la  parte  interna  ritagliata  a  coda,  in 
modo  da  incunearsi  nel  corpo  della  struttura  del  muro  che  circonda  tutto  attorno  il 
pozzo,  e  che  è  composto  da  una  spessa  macera  di  massi  di  calcare,  di  quasi  due 
metri  di  spessore,  non  legata  con  alcuna  malta,  ma  assai  accuratamente  disposta 
attorno  alla  tromba  del  pozzo  (lìgg.  1,  3). 

Per  ottenere  l'inclinazione  totale  della  parete,  i  conci  di  ciascun  filare  sono  dis- 
posti in  modo  da  avere  la  faccia  inclinata  verso  il  basso,  ma  ciascun  filare  sporge 
di  qualche  millimetro  all' infuori  del  filare  soprastante  (vedi  sezione  fig.  2).  La  spor- 
genza più  viva  è  quella  dei  massi  del  corso  inferiore  che  forma  la  risega  di  fondazione, 
che  è  di  circa  m.  0,17.  Il  corso  che  compone  la  risega  di  fondazione  è  alquanto  più 
alto  degli  altri  (m.  0,40);  ed  il  suo  giro  completo  risulta  di  soli  tre  massi,  lavorati 
in  modo  da  presentare  l'anello  di  fondazione  appoggiato  alla  roccia.  Di  questi  tre 
grandi  massi  è  notevole  quello  disposto  dal  lato  della  scaletta  di  accesso  al  fondo 
del  pozzo,  per  le  sue  dimensioni,  come  per  la  sua  lavorazione  ;  esso  comprende  circa 
la  metà  della  circonferenza  del  pozzo,  formando  la  soglia  inferiore  della  scaletta,  e 
al  di  sotto  del  taglio  della  risega  presenta  un'ampia  sporgenza,  un  gradino  inclinato 
che  costituisce  per  quasi  un  terzo  il  fondo  del  pozzo  ed  assai  probabilmente  era 
una  pedarola  che  permetteva  di  avanzarsi  al  centro  del  pozzo  ad  attingere  l'acqua 
dalla  conca  del  fondo,  quando  il  livello  di  essa  era  assai  basso  (vedi  sezione  fig.  2). 
Fu  appunto  al  di  sotto  di  questo  gradino  che  il  Trudu  ritrovò  la  statuetta  in  bronzo 
femminile  che  fu  pubblicata  nelle  Notizie. 

L'altezza  completa  del  pozzo  è  di  m.  3,15;  ma  la  parte  conservata  del  rivesti- 
mento è  di  soli  2  metri  circa,  cosicché  la  coppa  scavata  nello  strato  calcare  presso 
la  vena  acquifera  è  di  m.  1,15  di  profondità  media. 

L'accesso  al  fondo  del  pozzo  è  dato  dalla  scaletta  praticata  nella  parte  setten- 
trionale, in  uno  stretto  passaggio  che,  come  accennai  in  principio,  è  fatto  in  costru- 
zione ;  il  corridoio  è  obliquo,  nel  suo  asse,  all'asse  del  pozzo  ;  le  pareti  sono  legger- 
mente inclinate,  allargandosi  gradatamente  verso  il  piede  della  scala  ;  lo  sbocco  su- 
periore è  assai  più  ampio  che  non  quello  basso,  i  gradini  in  basalto,  incuneati  saldamente 
nelle  pareti,  hanno  l'altezza  di  m.  0,22  e  sono  in  numero  di  cinque  dal  ripiano  su- 
periore al  ripiano  costituito  dalla  grande  pietra  della  risega.  In  origine  il  passaggio 
della  scala,  come  quello  del  pozzo  di  s.  Vittoria  di  Serri,  doveva  essere  coperto  da 
lastroni  disposti  a  gradinata,  ora  scomparsi  insieme  con  la  cupoletta  del  pozzo;  questa, 
secondo  il  modello  datoci  da  quella  di  s.  Cristina,  doveva  essere  formata  a  corsi 
gradatamente  più  stretti  a  forma  di  cono  tronco,  rinnovando  lo  stesso  motivo  archi- 
tettonico della  tomba  a  cupola  della  necropoli  Cumana,  illustrata  dal  Pellegrini  ('), 

(')  Pellegrini,  La  necropoli  di  Cuma  (Monumenti  antichi  dell'Accad.  dei  Lincei,  an.  XIII, 
col.  400,  fig.  b). 


SARDINIA  —    105   —  NORAGtfS 

ed  i  motivi  delle  cupole  micenee  ;  di  tali  motivi  architettonici  delle  cupole  ottenute 
dai  lìlaii  successivamente  sporgenti,  con  la  faccia  in  vista  leggermente  inclinata,  il 
motivo  iniziale  fondamentale  è  dato  dalla  cupola  del  nuraghe  sardo. 

Come  fu  osservato,  innanzi  allo  sbocco  delle  scalette  dei  pozzi  di  s.  Vittoria  di 
Serri  e  di  s.  Anastasia  di  Sardara,  anche  davanti  a  questo  pozzo  si  stendeva  un 
piazzaletto  le  cui  traccio  si  rilevarono,  in  seguito  allo  scavo,  per  la  larghezza  di 
quattro  metri  e  la  lunghezza  di  circa  cinque  metri  (fig.  4).  Tale  piazzaletto  era 
ancora  selciato  con  lastre  di  calcare  lamellare  di  non  molta  grandezza  e  dello  spessore 
di  7  od  8  cm.,  messe  in  modo  abbastanza  regolare  e  con  molta  cura.  Il  selciato  era 
disposto  ad  un  livello  di  circa  25  cm.  più  alto  della  soglia  del  gradino  superiore 
della  scaletta;  ma  al  di  sotto  di  questo  piano  ve  ne  era  un  altro,  evidentemente  di 
età  più  antica,  pure  in  lastre  di  calcare,  che  era  meno  conservato  e  meno  continuo 
e  che  era  stato  sostituito  dal  lastricato  soprastante.  Questo  pavimento  più  antico  era 
di  poco  più  alto  della  soglia  del  gradino,  ed  era  perciò  di  una  quindicina  di  centi- 
metri più  basso  del  secondo  pavimento.  Al  disopra  di  questo  si  ebbe  una  moneta  di 
bronzo  di  piccolo  modulo,  di  Claudio  Gotico  ;  ma  cocci  di  stoviglie  romane  si  ebbero 
anche  al  di  sotto  del  primo  strato,  cosicché  possiamo  dire  con  certezza  che  lo  innal- 
zamento del  piazzale  fu  fatto  in  età  romana,  ma  che  il  pozzo  era  stato  frequentato 
anche  in  periodo  precedente  durante  la  stessa  età  romana,  ed  aveva  perciò  servito 
per  lungo  corso  di  tempo  quel  più  antico  selciato,  calcato  prima  dai  Sardi  primi- 
tivi, e  più  tardi  dai  discendenti  di  essi  che  vi  infransero  e  vi  abbandonarono  sopra 
le  stoviglie  più  raffinate,  eseguite  secondo  la  tecnica  ed  i  modelli  romani. 

Lo  scavo  non  fornì,  oltre  a  questi  pochi  frammenti  di  stoviglie,  se  non  una  perla 
in  vetro  bianco,  del  tipo  molto  diffuso  in  Sardegna  nell'età  cartaginese;  altre  perle 
consimili  di  pasta  vitrea  bianca,  gialla  ed  azzurra  e  di  tipo  variegato,  si  ebbero  nello 
sgombero  del  pozzo  fatto  mesi  addietro  dui  proprietario,  e  la  nostra  ricerca  non  ci 
presentò  alcun  oggetto  o  strumento,  né  alcuna  statuetta  di  bronzo  da  mettere  accanto 
alla  interessante  statuetta  femminile,  di  tecnica  sarda  primitiva,  precedentemente  illu- 
strata (').  Ma  questa  bella  statuetta,  non  meno  che  il  tipo  della  costruzione  accuratis- 
sima, ci  provano  in  modo  chiaro  che  il  pozzo  di  Coni  appartiene  a  quella  serie  già 
abbastanza  numerosa  delle  fonti  o  pozzi  sacri  di  s.  Cristina  di  Paulilatino,  di  s.  Vittoria 
di  Serri,  di  s.  Anastasia  di  Sardara,  di  Mazzani  di  Villacidro,  di  s.  Cosma  e  Damiano 
di  Suelli,  per  diro  solo  di  quelle  note  ed  esplorate,  che  erano  sedi  di  culto  e  di 
cerimonie  religiose  nell'età  sarda  preromana. 

Anche  alla  fonte  di  Coni,  dove  sgorgava  un  tenue  filo  di  acqua  limpida,  non 
priva  forse  di  qualità  o  di  attributi  salutiferi,  accorreva  devotamente  la  gente  abi- 
tatrice del  piano  Valentino,  degli  attigui  altipiani,  accolta  all'ombra  della  bella  mole 
nuragica  di  s.  Millanti.  Anche  qui  il  sacerdote  o  la  sacerdotessa,  scendendo  dalla 
stretta  scaletta  alla  penombra  misteriosa  del  pozzo,  attingeva  il  liquido  elemento, 
prezioso  nel  suo  valore  nutritivo  e  fecondatore,  ma  ancora  più  prezioso,  come  lo  atte- 
stava la  squisitezza  del  lavoro  architettonico,  per  un  valore  sopranaturale,  ad  esso  attri- 

(')  Notizie  degli  Scavi,  1913,  pag.  96. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  15 


NDRAGOS  —   106  —  SARDINIA 

buito  dalla  mente  dell'antico  popolo,  ancora  immerso  nell'immaginosa  esplicazione 
delle  forze  e  dei  misteri  della  vita.  Anche  qui  a  questa  fonte,  sgorgante  dalle  viscere 
della  terra  ed  investita,  nella  fantasia  dei  primitivi  abitatori,  di  virtù  emananti  da 
potenze  sotterranee  sopranaturali,  si  saranno  forse  compiute  quelle  cerimonie  di  giu- 
dizii  con  la  prova  dell'acqua  che,  secondo  l'attestazione  degli  scrittori  di  età  romana, 
erano  gli  infallibili  e  sovrumani  definitori  di  controversie  supreme  che  in  altro  modo 
non  potevano  essere  risolte  ('). 

Anche  a  questa  fontana  sacra,  non  fosse  altro  che  per  il  suo  costante  fluire, 
gli  abitanti  del  piano  Valentino  recarono  doni  e  ricordi  di  visite,  di  guarigioni,  di 
prove  ordaliche  superate;  e  ne  abbiamo  una  prova,  pur  troppo  isolata,  nella  statuetta 
in  bronzo  già  ricordata,  la  quale  accosta  questo  santuario  a  quelli  già  noti  di  Abini 
presso  Teti,  di  S.  Cristina,  di  Paulilatino,  di  S.  Vittoria,  di  Serri,  di  S.  Anastasia 
di  Sardara.  che  dettero  tutti  suppellettili  di  ceramiche  e  di  bronzi,  che  costi- 
tuivavo  le  stipi  sacre  del  tempio.  A  Nuragus  la  statuetta  unica  a  noi  pervenuta  è 
prova  eloquente  di  devozione.  Secondo  il  mio  avviso,  essa,  nel  suo  atteggiamento 
ieratico,  nelle  sue  vesti  accurate  e  solenni,  è  una  significantissima  testimonianza  di 
quelle  offerte  alla  divinità  fatte  per  il  tramite  della  sacerdotessa  e  che  avevano  come 
loro  mezzo  l'acqua  della  fontana  e  come  fine  la  propiziazione  della  divinità  stessa  ; 
da  essa  invocavano  salute  e  vigore,  liete  e  larghe  le  mèssi,  feconde  le  greggi  :  invo- 
cavano soprattutto  la  chiara  visione  della  verità  nelle  più  controverse  contese,  di 
quella  verità  che  metaforicamente  e  realmente  scaturiva  dal  fondo  del  pozzo,  il 
meato  donde  scaturivano  le  potenze  catactonie,  dalle  sedi  sotterranee  della  pace 
eterna,  della  beatitudine  infinita,  concepite  forse,  anche  presso  i  Sardi  primitivi,  come 
un  largo  fiume,  o  un  vasto  mare  senza  gorghi  e  senza  tempeste,  nel  quale,  come  nel 
fiume  Lete,  degli  Elleni,  o  nell'Oceano  dell'  «  acqua  pura  »  dei  Babilonesi,  ogni  do- 
lore, ogni  passione  terrena  svaniva  nell'oblio. 

Come  mai,  possiamo  domandarci,  della  stipe  votiva  della  fonte  sacra  di  Coni 
non  ci  sono  pervenute  che  questa  statuetta  e  le  poche  perline  in  vetro  cartaginesi, 
ricordate  nella  nostra  Memoria?  È  ben  véro  che  il  tempio  fu  frequentato  sino  ad 
età  romana  e  la  stipe  potè  essere  andata  dispersa,  senza  lasciare  traccia;  è  ben  vero 
anche  che  essa  può  forse  ancora  essere  nascosta  a  poca  distanza  dal  pozzo,  dove  an- 
cora non  è  giunta  la  nostra  ricerca. 

Io  però  sarei  tentato  di  mettere  in  relazione  questo  pozzo  sacro  con  la  sco- 
perta del  ripostiglio  dei  bronzi  preromani  di  Porraxi  Nioi,  o  di  Valenza,  avvenuta 
ai  tempi  del  commissariato  del  compianto  prof.  V.  Vivanet,  per  merito  del  signor 
F.  Nissardi  (').  Ricordo  che  il  ripostiglio  fu  scoperto  in  un  vaso  di  forma  conica, 
entro  ad  un  recinto  nuragico  di  forma  circolare,  e  comprendeva  pochi  frammenti  di 
statuette  votive,  insieme  con  una  grande  copia  di  frammenti,  talora  minutissimi,  di 

(')  Pettazzoni,  La  religione  primitiva  in  Sardegna,  pag.  12  e  passim.  A  lui  rimando  per  i 
passi  di  Solino,  di  Prisciano  e  di  Isidoro,  che  ci  parlano  di  tale  superstizione.  Tarameli]',  Il  tempio 
nuragico  di  S.   Vittoria  di  Serri.  Monumenti  antichi,  voi.  XXIIl,  1914. 

(')  Notizie  degli  scavi,  1882,  pag.  308. 


SARDINIA  —   107   —  NURAGOS 

strumenti  e  di  oggetti  in  bronzo  dell'età  e  della  industria  protosarda.  Anche  gli 
oggetti  frammentarli,  di  cui  è  costituito  quasi  esclusivamente  il  ripostiglio  di  Va- 
lenza, potevano  valere,  come  è  provato  da  molte  altre  stipi  votive  dell'età  del  bronzo, 
quali  offerte  alla  divinità  ed  al  tempio;  perciò  il  fatto  che  tutto  quel  grandioso 
insieme  di  materiale  metallico  era  essenzialmente  formato  da  detriti  di  armi  e  di 
strumenti  nuragici,  non  può  ostacolare  l'opinione,  dirò  meglio  l'ipotesi,  che  esso 
siasi  formato  in  età  assai  più  prossima  a  noi  di  quello  che  sia  l'età  dei  nuraghi, 
con  lo  spoglio  di  un  deposito  votivo  del  pozzo  sacro  di  Coni. 

Anche  il  Pinza  (')  opinò  che  il  ripostiglio  siasi  formato  in  età  tarda,  forse  ro- 
mana, ed  io  credo  che  egli  avesse  perfettamente  ragione;  orala  fortuna  ci  ha  forse 
messo  sulle  tracce  della  località  sacra  donde  quella  stipe,  almeno  in  parte,  pro- 
viene. Il  saccheggio  della  stipe  avvenne  forse  dopo  la  conquista  romana,  quando  la 
fonte  perdette  il  suo  carattere  sacro,  pure  essendo  usata  tempre  a  scopo  pratico  e 
fosse  utile  in  quella  calda  pianura  di  Valenza.  Forse  l'eredità  sacra  del  tempietto  in- 
digeno trasmigrò  a  qualche  sacello  eretto  alle  ninfe  o  a  qualche  divinità  salutare 
del  pantheon  romano  sull'alto  del  poggio  di  S.  Elia;  forse  anche  nel  culto  al  profeta 
di  Cristo  dobbiamo  scorgere  l'ultima  eco  di  un  culto  primitivo  che  aveva  radici  lon- 
tanissime nel  tempo  e  che  in  un  paese  profondamente  conservatore  tenacemente  si 
attaccava  al  terreno  che  lo  aveva  accolto  all'alba  della  vita  civile  dei  Sardi. 

La  nostra  ricerca  ci  ha  condotto  ancora  una  volta  ad  una  località  consacrata  e 
ad  un  edificio  che  per  l'accurata  sua  costruzione,  per  le  analogie  con  gli  edifici  di 
S.  Cristina,  di  Serri,  di  Mazzani,  di  Sardara,  per  il  ritrovamento  della  statuetta  in 
bronzo,  possiamo  riconoscere  quale  edificio  sacro,  come  uno  dei  tempii  alle  divinità 
delle  acque,  considerate  non  solo  come  elementi  essenziali  della  vita  delle  piaute  e 
degli  animali  e  degli  uomini,  ma  anche  come  emanazioni  di  potenze  catactonie,  templi 
che  furono  non  solo  i  centri  della  vita  religiosa,  ma  anche  le  sedi  delle  cerimonie 
e  dei  giudizi  ordalici,  e  perciò  debbono  essere  ricercati  ed  esaminati  con  ogni  cura 
e  con  ogni  speranza,  come  fonti  per  lo  studio  dell'antica  religione  indigena  e  della 
nostra  conoscenza  sulla  vita  associativa  e  speculativa  dell'antico  popolo  sardo. 

A.  Taramelli. 


(')  Pinza,  /  monumenti  primitivi  della  Sardegna,  pp.  156  e  sg. 


ABBASANTA  —    108   —  SARDINIA 


IV.  ABBASANTA  —  Esploratone  nelle  necropoli  e  nei  luoghi  sacri 
di  età  nuragica. 

Lo  studio,  quasi  essenzialmente  archeologico,  della  Sardegna  preromana  ha  recen- 
temente acquisito,  in  grazia  di  fortunate  esplorazioni  in  varie  località  dell'  isola, 
numerosi  elementi  positivi  per  la  conoscenza  di  quel  periodo  che  precede  le  invasioni 
e  l'insediamento  delle  colonie  fenicio-cartaginesi  nella  Sardegna.  Tuttavia  molti  lati 
del  problema  archeologico  sardo  rimangono  scuri  per  mancanza  di  metodiche  ricerche; 
primo  fra  questi  lo  studio  delle  necropoli  di  quell'età  che  per  comune  consenso  si 
conviene  di  chiamare  nuragica. 

Dalle  Dotizie  delle  fonti  letterarie  e  dai  risultati  delle  indagini  iniziate  dal  Lamar- 
mora,  e  saltuariamente  condotte  in  tanti  decennii,  pochi  elementi  positivi  si  erano 
raccolti  intorno  ai  riti  sepolcrali  della  gente  nuragica.  Era  bensì  noto  il  tipo  della 
tomba  a  corridoio,  detto,  secondo  il  più  comune  termine  isolano,  «  tomba  dei  giganti  »  ; 
era  noto  il  suo  riferimento  cronologico  ed  etnico  alla  civiltà  dei  nuraghi,  messo  in 
rilievo  recentemente  dal  Pinza,  dal  Mackenzie  e  da  alcune  indagini  dell'Ufficio  degli 
scavi  sardi. 

Era  anche  evidente  in  parte  la  corrispondenza  dei  dati  monumentali  a  taluni 
concetti  sul  rito  funebre  e  sul  culto  dei  morti  presso  i  sardi  antichi,  tramandatici, 
negli  scritti  riferiti  ad  Aristotele,  da  Simplicio,  da  Filopono.  Ma  molto  restava  ancora 
da  conoscere,  cioè  se  la  tomba  dei  giganti  fosse  il  solo  tipo  di  sepoltura  dell'età  dei 
nuraghi,  e  se  si  avessero,  e  quali  fossero  le  determinate  specialità  del  rito  e  del  culto 
funerario;  restavano  infine  da  raccogliere  particolari  istruttivi  sulle  necropoli  proto- 
sarde,  sulla  origine  e  la  evoluzione  del  tipo  monumentale  da  una  fase  iniziale  sino 
alle  forme  più  evolute  e  complete,  cogliendo  una  parallela  evoluzione  tipologica  della 
suppellettile  religiosa:  si  doveva  indagare,  in  una  parola,  se  il  tipo  della  «  tomba 
di  giganti  »  ci  apparisse  un  prodotto  di  importazione  accanto  al  grandioso  monumento 
nuragico,  in  modo  da  farci  supporre  una  nuova  ondata  culturale  ed  etnica  invadente 
e  ravvivante  la  Sardegna  nella  piena  età  del  bronzo;  oppure  se  per  entrambi  i  tipi 
monumentali,  tanto  per  quello  eretto  per  la  dimora  dei  viventi,  quanto  per  quello 
destinato  a  sede  dei  morti,  potessimo  cogliere  le  fasi  di  un  graduale  sviluppo,  a  par- 
tire dai  germi  eneolitici  sino  al  grande  fiore  dell'età  del  bronzo,  e  sino  alla  prima 
età  del  ferro,  testimone  del  più  alto  sviluppo  della  tecnica  megalitica. 

Tale  questione  è  parallela  a  quella,  tuttora  aperta,  delle  prime  manifestazioni 
archeologiche  della  civiltà  etnisca  nella  penisola  italiana;  ed  è  da  ritenersi  che  gli 
sforzi  diretti  a  risolverla,  come  avranno  aiuto  dalle  ricerche  praticate  nel  suolo  del- 
l'Etruria,  così  potranno  dare  a  quelle  una  luce  finora  insospettata. 

Le  ricerche  condotte  nell'autunno  del  1914  furono  rivolte  al  territorio  di  Abba- 
santa  e  dintorni  ed  a  quello  di  Laerru,  entrambi  già  abbastanza  conosciuti,  il  primo 
per  le  precedenti  campagne  di  scavo  nel  grandioso  nuraghe  Losa  e  per  la  presenza  di  un 
prezioso  indicatore  nella  persona  del  rev.  teol.  Salvatore  Angelo  Dessi,  r.  ispettore  dei 
monumenti  e  scavi,  mèntore  consueto  ed  ospite  di  tutti  coloro  che,  in  un  modo  o  nel- 


SARDINIA  —   109   —  ABBASANTA 

l'altro,  si  dedicarono  alla  esplorazione  archeologica  del  centro  dell'isola;  il  secondo,  dove 
potevamo  sopratutto  contare  sull'appoggio  e  sull'aiuto  del  geom.  Edoardo  Benedetti, 
r.  ispettore  del  luogo,  appassionato  studioso  di  antichità,  e  conoscitore  del  ricco  e 
vario  territorio  dell' Anglona.  Vada  ad  entrambi  gli  ispettori  la  espressione  pubblica 
della  nostra  gratitudine  per  il  modo  con  cui  le  nostre  ricerche  fuiono  aiutate  ed  indi- 
rizzate, in  territori  spesso  difficili  e  solitati,  in  mezzo  a  popolazioni  ottime,  ma 
diffidenti  e  assillate  dal  bisogno  per  le  recenti  siccità  e  per  la  vigente  piaga  della 
disoccupazione,  ed  affannate  dietro  il  solito  e  terribile  fascino  del  tesoro  nascosto. 

Il  comune  di  Abbasanta  occupa  una  parte  di  quel  vasto  altipiano,  dall'aspetto 
tanto  caratteristico  dell'  isola  sarda,  che  si  stende  quasi  uniformemente  livellato  dalla 
potente  colata  di  lave  basaltiche,  la  quale  traboccò  giù  dal  Montiferro  e  dal  Marghine, 
e  con  lieve  pendìo  dilagò  verso  la  valle  del  Tirso  e  dei  suoi  affluenti.  11  grande  feno- 
meno vulcanico  —  diremo,  più  esattamente,  endogeno  —  che  plasmò  tutta  questa  parte 
della  terra  sarda,  ne  preparò,  ne  prescrisse  quasi  tutte  le  vicende  nel  mondo  vege- 
tale, animale  ed  antropico:  in  pochi  luoghi  nel  mondo  si  avvera,  come  in  questa 
parte  dell'isola,  il  detto  del  poeta,  che  la  terra  «  simili  a  sé  gli  abitator  produce  ». 
Qui  l'antropologia,  come  la  fisionomia  etnica  e  monumentale,  è  figlia  della  terra  e 
dell'ambiente. 

Questo  grande  altipiano  o  banco  lavico  —  che,  ammantando  i  terreni  terziari  sui 
quali  riposa,  si  stende  dai  monti  del  Marghine,  e  dal  Montiferro  al  Campidano  Orista- 
nese  ed  è  lambito  dalla  media  valle  del  fiume  Tirso,  che  lo  separa  dagli  altipiani 
del  centro  dell'  isola  —  abbraccia  i  territori  di  numerosi  comuni,  di  cui  i  principali  ed 
i  più  noti  agli  archeologi  sono  quelli  di  Ghilarza,  Paulilatino,  Bonarcado,  Santu 
Lussurgiu,  Borore,  Abbasanta;  quest'ultimo,  situato  nel  mezzo  dell'altipiano  quasi, 
corrisponde  all'antica  stazione  romana  di  Ad  Medias,  importante  per  il  traffico  del- 
l'antica strada  Caralis-Turres,  ed  alla  quale  dobbiamo  i  materiali  e  le  tombe  di  età 
romana  del  territorio,  e  purtroppo  la  più  antica  e  sistematica  devastazione  degli 
antichi  monumenti  preromani  (fig.  1). 

Tutto  l'altipiano  è  fittamente  tempestato  di  nuraghi,  che  vi  si  contano  a  centi- 
naia; e  come  le  attuali  divisioni  in  vari  distretti  e  comuni  non  corrispondono  a  vere 
differenze  orografiche  ed  idrografiche,  e  quindi  a  confini  naturali  e  precisi,  così  non 
è  neppure  agevole  di  cogliere,  nella  grande  estensione  di  molte  migliaia  di  ettari  di 
un  territorio  in  parte  selvoso  ed  apparentemente  livellato,  una  chiara  norma  per  la 
disposizione  e  distribuzione  dei  nuraghi.  Solo  con  un  lungo  e  non  facile  studio  topo- 
grafico si  può  riconoscere,  in  modo  che  pare  convincente,  come  anche  per  l'altipiano 
basaltico  valgano  quelle  norme  che  sono  state  colte  e  tracciate  per  altri  sistemi  oro- 
grafici dell'  isola,  per  l'adattamento  mirabile  del  sistema  nuragico  alla  topografia  del 
singolo  territorio.  Ciò  sarà  a  suo  tempo  dimostrato.  Per  ora  basta  accennare  che  il 
territorio  di  Abbasanta,  come  quelli  contigui  di  Norbello  e  di  S.  Lussurgiu,  ora  esplo- 
rati, è  collocato  sul  grande  pianoro  percorso  da  fiumare,  quasi  tutte  perenni,  che  par- 
tono dal  Montiferro  maestoso,  e  raggiungono  il  Tirso,  mentre  il  territorio  di  Domusnovas 
Canales,  in  cui  pure  si  estese  in  parte  la  nostra  esplorazione,  è  quasi  completamente 
in  un  canalone  che  dall'altipiano  declina  verso  l'ampia  valle  del  Tirso,  e  che  è  appunto 


ABBASANTA  —    110    —  SARDINIA 

una  delle  vie  naturali  per  scalare  l'altipiano.  Questo  dovremo  tenere  presente  per 
spiegare  le  difese  nuragiche  che  trovammo  disposte  lungo  l'orlo  dirupato  dell'alti- 
piano stesso,  a  difesa  delle  inclusioni  che  potevano  assalire  dalla  grande  valle  del 
Tirso,  la  strada  dei' popoli  e  delle  guerre  di  tutta  la  storia  sarda. 

Lungo  tutta  la  valle  anzidetta  del  Tirso  e  i  valloni  che,  solcando  l'altipiano, 
scendono  ad  essa,  sono  disposte  le  guardie  nuragiche,  in  vista  l'una  dell'altra,  e  di 
esse  vedremo  qualche  interessantissimo  esempio;  nel  centro  dell'altipiano,  nelle  radure 
delle  selve  di  lecci  e  di  sugheri  torreggiano  numerosi  i  nuraghi,  tutti  costrutti  di 
lava  basaltica,  tra  i  quali  primeggiano  il  nuraghe  Losa,  ora  di  proprietà  nazionale, 


Fig.  1.  —  Schizzo  schematico  della  regione  circostante  ad  Abhasanta. 

ed  il  nuraghe  Aiga,    vere  cittadelle  fortificate,  che  sono  maestose   testimonianze  di 
energie  collettive  di  primo  ordine. 

Una  località  vicinissima  all'abitato  di  Abbasanta  è  quella  detta  di  Chirighiddu, 
presso  al  cimitero.  In  questa  regione  furono  esplorate  due  tombe  di  giganti  e  due 
domus  de  ianas,  con  esito  poco  fortunato,  essendosi  scoperti  chiari  segni  di  mano- 
missione. Una  tomba  di  giganti,  formata  da  grossi  blocchi  basaltici,  disposti  su  un 
letto  di  tufo,  era  addirittura  sformata.  L'altra,  di  grandi  dimensioni,  diede  pochi 
cocci  di  tipo  nuiagico,  di  fattura  molto  grossolana,  che  dovettero  appartenere  ad 
enormi  vasi  fatti  a  mano.  Le  domus  de  ianas,  che  non  presentano  grandi  novità 
architettoniche,  diedero  parimenti  avanzi  ceramici  nuragici,  come  un'ansa  a  lingua, 
un  frammento  di  vaso  a  costola  saliente,  del  tipo  di  quelli  della  grotta  di  S.  Michele 
d'Ozieri,  e  un  altro  carenato.  Notevole  è,  accanto  ad  una  delle  domus,  il  tentativo 
di  scavo  di  un'altra,  abbandonato,  evidentemente  per-  la  durezza  della  roccia  basal- 
tica che  non  poteva  essere  intaccata  se  non  da  strumenti  metallici.  Una  delle  due 
domus,  dall'  ingresso  a  rincasso  elegantemente  sagomato,  aveva  ancora  a  posto  un 
lastrone  trachitico  di  chiusura,  combaciante  quasi  perfettamente  con  l'ingresso,  e 
provvisto  di  quattro  sporgenze  mammillari.  Il  materiale  dato  da  queste  domus,  seb- 


SARDINIA  —    111    —  ABBASANTA 

bene  scarso,  è  assai  caratteristico  :  gli  avanzi  ceramici  ed  un  pestello  di  porfirite  ci 
dimostrano  che  queste  domus  sono  opera  della  gente  nuragica,  e  costituiscono  un 
nuovo  elemento  per  la  dimostrazione  della  continuità  di  cultura  in  Sardegna,  dagli 
eneolitici  di  Anghelu  Ruju  ai  nuragici  delle  età  dei  metalli:  una  conferma,  del  resto, 
ce  ne  è  data  dalla  durezza  della  roccia  basaltica,  cbe,  come  abbiamo  detto,  non  può 
essere  stata  intaccata  se  non  da  una  razza  che  conoscesse  l'uso  dei  metalli.  Le  domus 
e  le  tombe  di  giganti  di  Chirighiddu  furono  utilizzate  anche  in  seguito,  come  ci 
dimostrano  frustoli  di  ceramica  punica  e  campana  in  esse  rinvenuti  ;  ma  la  loro  costru- 
zione è  da  attribuirsi  agli  abitatori  del  ciclopico  nuraghe  Chirighiddu,  oggi  rovinato, 
già  sorgente  nelle  immediate  vicinanze,  sul  ciglio  del  burrone  di  Domusnovas  Canales, 
in  posizione  eminentemente  strategica,  e  collegato  con  il  sistema  di  guardia  di  detto 
burrone,  degradante  verso  la  vallata  del  Tirso. 

A  monte  della  via  provinciale  da  Abbasanta  a  Santu  Lussurgin,  e  verso  i  limiti 
settentrionali  del  territorio  abbasantese,  dove  la  colata  lavica  è  più  irta  di  frastagli 
e  più  grandiosa  di  aspetto  e  di  spessore,  in  un  tratto  di  terreno  dove  le  selve  annose 
di  sugheri  e  di  lecci  presentano  una  larga  radura  di  pascoli  e  di  seminati,  in  loca- 
lità singolarmente  suggestiva  e  pittoresca,  si  conservano,  a  breve  distanza  l'ima  dal- 
l'altra, le  due  tombe  veramente  gigantesche  di  Tentorzu  e  di  Su  Pranu.  Si  riscon- 
trarono collegate  al  nuraghe  Mura  Lauros,  che  si  trova  a  sud;  erano  manomesse  fin 
dall'antichità.  Quella  di  Su  Pranu  è  notevole  per  le  tracce  di  sedile  che  conserva 
intorno  all'emiciclo  frontale,  e  per  le  sue  grandiose  dimensioni  :  la  lunghezza  della 
cella,  ben  conservata,  è  di  ben  m.  8,70.  Il  tumulo,  tutto  attorno,  è  segnato  da 
allineamenti  di  pietre,  e  si  conserva  ancora  in  buona  parte.  Anche  la  caratteristica 
stele,  rovesciata  sopra  la  tomba,  è  di  colossali  proporzioni,  raggiungendo  l'altezza 
di  m.  3.  Il  contenuto,  purtroppo,  non  corrispose  all'aspettativa  :  non  si  ebbero  che 
avanzi  di  ceramica  nuragica,  frustoli  di  ossidiana,  e  un'armilla  di  bronzo  sempli- 
cissima. Evidentemente  la  tomba  fu  rinettata  in  età  romana,  alla  quale  risalgono 
gli  avanzi  di  balsamarii  e  di  lacrimatoi  rinvenutivi  e  dovette  essere  utilizzata  dagli 
abitatori  dell'agro  di  Ad  Medias  per  le  loro  povere  sepolture:  fenomeno,  come  di- 
cemmo, comune  in  tutto  qnesto  territorio. 

La  tomba  di  Tentorzu  si  presta  alle  stesse  considerazioni,  sia  per  la  sua  strut- 
tura, sia  per  il  suo  contenuto.  È  notevole  tuttavia,  perchè  in  essa,  al  disopra  del 
corso  inferiore  di  enormi  blocchi,  che  costituisce  la  parete  della  cella,  si  conservano 
gli  avanzi  di  due  altri  filari  lievemente  aggettanti. 

A  non  grande  distanza,  nella  tanca  Pedru  Cossu,  un'altra  tomba  semicoperta 
dal  terreno  fu  potuta  esplorare  soltanto  sommariamente,  essendo  coperta  e  chiusa  da 
enormi  blocchi;  ma  non  si  potè  scavare  per  intero,  data  la  mancanza  di  adeguati  mezzi 
meccanici  in  quella  selvaggia  regione.  In  queste  tombe  si  fecero  pure  saggi  nei 
resti  dei  tumuli,  che  certamente  ricoprivano  le  cella,  per  verificare  se  vi  si  fossero 
compiute  inumazioni  secondarie  ;  ma  l'esito  fu  negativo. 

A  poca  distanza,  in  località  Mesu  Enas,  si  rinvenne  ed  esplorò  un  interessante 
gruppo  di  monumenti  megalitici.  Anzitutto  un  dolmen,  non  grande  ma  ben  conser- 
vato, la  cui  tavola  superiore,  approssimativamente  ovale,    ha   un   asse  massimo   di 


ABBASANTA  —    112   —  SARDINIA 


m.  2,10,  mentre  l'altezza  totale  è  di  m.  1,25.  NelTinterno  si  rinvennero  frammenti 
di  ceramica,  che  ci  permettono  di  riferire  all'età  del  bronzo  l'uso  di  questo  monu- 
mento. A  pochi  passi  di  distanza  è  situata  una  tomba  di  giganti,  la  quale  nel  fondo 
della  cella  presenta  un  enorme  masso  basaltico,  in  cui  si  rinvenne  una  domus  de 
ianas  di  tipo  assai  progredito,  con  breve  dromos,  porticella  a  rincassi  ed  architrave 
sporgente,  ed  una  sola  cameretta.  A  metà  circa  della  cella  della  tomba  di  giganti 
sorgeva,  disposta  verticalmente,  una  lastra  basaltica,  disposta  in  modo  da  dividere 
in  due  camere  la  cella  stessa.  Questo  importante  trovamento  costituisce  un  vero 
anello  di  congiunzione  fra  le  due  forme  di  sepoltura,  e  conferma  le  osservazioni 
fatte  a  proposito  del  materiale  delle  domus  di  Chirighiddu,  dimostrandoci  che 
anche  nell'età  nuragica  si  costruivano,  od  almeno  si  utilizzavano,  le  domus  de  tardar, 
il  cui  tipo  originario  è  eneolitico  (fig.  2). 


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Fig.  2.  —  Monumento  sepolcrale  a  Mesu  Enas,  Abbasanta,  composto  da  una  tomba  di  giganti 
associata  ad  una  domus  de  gianas  (Scala  1:140). 

E  la  vicinanza  del  dolmen  ci  rivela  la  contemporaneità  dei  diversi  tipi  di  mo- 
numenti funebri  della  gente  protosarda.  Infatti  il  materiale  dato  dallo  scavo  dei  tre 
sepolcri  è  identico:  avanzi  ceramici  di  tipo  nuragico,  e  schegge  d'ossidiana,  fra  cui 
una  cuspide  triangolare  di  freccia.  La  transizione  dalla  domus  de  ianas  alla  tomba 
di  giganti  è  manifesta  nel  suo  stadio  iniziale  in  una  domus  poco  distante  dal  gruppo 
sopra  descritto,  in  località  Mura  Iddari.  Nel  lungo  dromos  di  questa  si  notano,  alle 
pareti,  due  scanalature  verticali,  accurate  e  simmetricamente  disposte,  destinate  evi- 
dentemente ad  accogliere  un  lastrone  di  chiusura,  rappresentante  il  rudimento  della 
stele  delle  tombe  di  giganti.  Dal  dolmen  possiamo  adunque  ammettere  essersi  svi- 
luppata ta  tomba  di  giganti,  non  senza  relazioni  con  il  tipo  della  domus  de  ianas 
scavata  nella  roccia.  Quest'ultima  specie  di  sepolcro  ebbe  parallelamente  un'evolu- 
zione propria  ;  ma  in  taluni  casi  l'allungamento  del  dromos  scavato  fu  sostituito  da 
una  cella  artificiale  (Mesu  Enas  e  S  Angrone;  ved.  oltre),  la  quale  non  differisce  in 
modo  alcuno  dai  dolmens  allungati  che  diedero  origine  alle  tombe  di  giganti.  Ma  se 
l'un  tipo  di  costruzione  potè  influire  nelle  fasi  progressive  dell'altro,  ci  è  dato  tut- 
tavia di  riconoscere  che  giunsero  contemporaneamente  al  massimo  loro  sviluppo, 
nella  piena  età  nuragica:  poiché  senza  dubbio  questa  importante  serie  di  monumenti 
è  in  relazione  con  il  nuraghe  Mura  Toffau,  che  torreggia  a  poca  distanza;  né  tale 
relazione  è  puramente  topografica. 

In  località  S'Angrone  si  rinvenne  un  altro  dolmen,  di  blocchi  di  lava  compatta, 
notevole  per  la  enorme  tavola  superiore,  di  forma  quasi  ovale,  della  lunghezza  di 
m.  2,15,  e  dello  spessore  massimo  di  m.  0,65.  Per  la  sua  situazione,    esposta  alla 


SARDINIA 


—  113 


ABBASANTA 


curiosità  dei  pastori  di  tutti  i  tempi,  questo  dolmen  ci  pervenne  assolutamente  privo 
di  suppellettile  (flg.  3,  4).  A  breve  distanza,  lungo  la  vicina  valletta  di  Rio  Bonorchis, 
nella  parete  di  compattissima  trachite,  si  rinvenne  una  vasta  e  bella  domus  de  ianas 
a  cameretta  semplice,  scavata  nella  rupe,  ad  una  certa  altezza  sul  piano  della  val- 
letta. Ciò  che  specialmente  merita  rilievo  in  questo  ipogeo  sono  i  resti  di  un  evi- 
dente dromos  megalitico,  che  fronteggia  la  porta  della  grotticella,  offrendo  un  evi- 
dente parallelo  alla  tomba  di  Mesti  Enas  (v.  fig.  2). 


Fio.  3.  —  Pianta  del  dolmen  di  S'Angrone,  Abbasanta  (Scala  1:25) 


Un  altro  dolmen,  a  tavola  grossolanamente  quadrangolare,  fu  rinvenuto  in  lo- 
calità Mura  e  Putzu.  Per  la  sua  forma  allungata,  per  la  costruzione  delle  pareti  a 
due  assise  di  blocchi,  lo  si  può  considerare  come  una  piccola  tomba  di  giganti.  In 
regione  Scala  Girdu,  presso  la  Tanca  Regia,  si  scavò  con  esito  negativo  una  grande 
tomba  di  lastroni  disposti  a  coltello:  in  essa  si  nota  un  enorme  blocco,  che  serviva 
di  parziale  copertura,  e  che  dà  una  prova  delle  abilità  tecniche  dei  costruttori,  e  li 
fa  accostare  a  coloro  che  seppero  erigere  i  nuraghi. 

Non  meno  grandiosa  è  la  tomba  di  giganti  scavata  in  regione  S'Azzica  (figg.  5  e  6), 
che  offre  un  bell'esempio  di  area  frontale  ben  conservata,  con  gradino  per  sedile  o 
deposito  di  offerte,  caratteristica  inoltre  per  la  distribuzione  dei  blocchi  componenti 
le  pareti  della  cella  in  diversi  corsi  lievemente  aggettanti,  secondo  il  principio  del- 
l'architettura nuragica,  nonché  per  la  curvatura  a  barca  della  pianta  delle  pareti 
stesse,  che  richiama  la  naveta  balearense. 

Questo  è  un  tipo  di  tomba  assai  evoluto,  che  si  può  avvicinare,  oltre  che  a 
tale  classe  di  monumenti,  anche  alle  anta?  portoghesi,  e,    fino   ad   un   certo   punto, 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  16 


ABBASANTA 


—   114   — 


SARDINIA 


alle  grandi  tombe  a  tumulo  con  corridoio  dell'Etruria  meridionale,  come  la  Regulini 
Galassi  di  Cere,  la  Bernardini  di  Palestrina,  la  Cucumella  di  Vulci. 

Un'altra  tomba,  assai  notevole  per  analoghe  disposizioni  architettoniche,  è  quella 
scavata  in  regione  Bobolica.  Nel  greto  della  fiumara  che  scende  dai  fianchi  del  Mon- 
tiferru  e  si  avvia  verso  il  Campidano,  poco  sotto  la  strada  di  Santu    Lussurgiu,    a 


Fig.  4.  —  Dolmen  di  S' Angron%  Abbasanta. 


poca  distanza  dalla  chiesa  e  dal  villaggio  campestre  di  S.  Agostino,  ospitale  resi- 
denza del  chiarissimo  sac.  Dessi,  sgorga  una  bella  copiosissima  fonte,  con  vo- 
cabolo onomatopeico  detta  Bobolica  :  essa  ora  alimenta  di  acque  perenni  la  grossa 
borgata  di  Paulilatino;  ma  una  parte  ne  zampilla  liberamente,  rallegrando  tutta  la 
■attigua  zona  dell'altipiano.  Essa,  un  tempo,  fece  nascere  in  vicinanza  gli  abitati  nu- 
ragici,  dei  quali  rimane  come  un  testimonio  la  tomba  di  giganti  che  appunto  si 
chiama  di  Bobolica.  In  essa  un  solo  corso  di  enormi  blocchi  disposti  a  coltello  forma 
le  pareti,  mentre  il  fondo  è  costituito  naturalmente  da  tre  blocchi   della  colata  la- 


SARDINIA 


—  115  — 


ABBASANTA 


vica  sottostante.  Oltre  alla  grandiosità  ciclopica  della  costruzione,  è  interessante  la 
forma  pronunziatamele  ovale,  a  barca,  della  cella. 


Fig.  5.  —  Pianta  della  Tomba  dei  giganti  di  S'Azzica  (Scala  1:100). 

Come  abbiamo  detto,  in  questa  regione  abbondano  i  nuraghi.  Basterà  ricordare 
il  maestoso  Aiga,  che  conserva  intatti  due  piani  sovrapposti,  ed  estende  la  propria 


~«_^ 


Fig.  6.  —  Sezione  della  tomba  dei  giganti  di  S'Azzica  (Scala  1:60). 

grandiosa  mole  su  ampio  tratto  di  terreno  ;  esso  domina  vasta  zona  di  campagna,  e 
si  collega  con  il  celebre  Losa,  che  spicca  visibile  nella  lontananza.  Anche  l'Aiga, 
come  il  Losa,  è  ricco  di  avanzi  di  varie  età,  fino  alla  romana  tarda:  questa  plaga, 


SANTO    LUSSURGIU  —    116    —  SARDINIA 


dell'altipiano  fu  fittamente  popolata  in  età  punica,  repubblicana  e  imperiale,  da  sem- 
plici agricoltori,  che  si  installarono  nei  nuraghi,  e  seppellirono  i  loro  morti  nelle 
tombe  degli  antichissimi  protosardi.  Un  interessante  esempio  di  questa  rioccupa- 
zione dei  monumenti  megalitici  è  dato  dal  nuraghe  Argiola  Lepore,  sulla  strada  che 
da  Abbassanta  si  dirige  a  Santu  Lussurgiu,  passando  sulla  Tanca  Regia.  Addossata 
e  incorporata  al  nuraghe  è  una  abitazione  odierna,  che  ci  offre  una  suggestiva  ed 
ancor  oggi  vivente  rappresentazione  del  fenomeno  che  verificammo  in  età  romana,  e 
che  ci  privò  della  suppellettile  di  tante  tombe  e  di  tanti  nuraghi.  Nella  prossima 
località  di  Mura  Perdosa  si  notano  ancora  tracce  di  costruzioni  romane. 

Nelle  adiacenze  del  nuraghe  Aiga,  in  località  Calegastea,  ci  fu  dato  rinvenire 
le  tracce  di  un  pozzo  di  carattere  sacro,  che,  per  quanto  assai  danneggiato,  sarà 
prezzo  dell'opera  riconoscere  in  future  esplorazioni;  così  pure,  a  qualche  centinaio 
di  metri  dal  nuraghe  Losa  fu  scavato  ciò  che  rimane  (poca  cosa,  invero)  di  un  pozzo 
nuragico  a  corsi  regolari  di  pietre  lavorate;  il  qual  pozzo  è  un  nuovo  testimonio, 
per  quanto  pervenutoci  in  pessime  condizioni,  del  valore  attribuito  dalla  gente  nura- 
gica  alle  acque  e  della  cura  religiosa  ch'essa  consacrava  alla  loro  raccolta  e  conser- 
vazione. La  presenza  di  questo  pozzo  spiega  il  carattere  perfezionato  della  lavora- 
zione di  molte  pietre  a  cuneo,  rinvenute  durante  lo  scavo  del  nuraghe  Losa,  e  non 
certamente  spettanti  a  questo,  come  da  lungo  si  sospettava,  ma  bensì  trasportatevi  dal 
non  lontano  pozzo. 

Alquanto  più  ad  ovest  di  Bobolica  uu  ampio  solco  dell'altipiano,  percorso  da 
un  torrentello,  divide  ora  il  territorio  di  Abbassanta  da  quello  di  Santu  Lussurgiu; 
del  pari  il  terreno  cambia  aspetto,  poiché  l'altipiano  lavico,  fino  a  questo  punto,  co- 
mincia con  lieve  movenza  ad  alzarsi  verso  la  vasta  montagna  di  Montiferro,  dai 
larghissimi  fianchi,  che  lentamente  si  aderge,  con  un    caratteristico   aspetto,   simile 

a  quello  dell'Etna,  fino  a  notevoli  altezze. 

A.  Taramelli. 

tì.  G.  Porro. 


Y.  SANTU  LUSSURGIU  —  Necropoli  a  «  domus  de  gianas  »  dì 
Fontana  Orruos. 

Proprio  ai  confini  del  territorio  si  presenta  un  piccolo  gruppo  di  colline  a  brusca 
scarpata,  non  più  di  lave  basaltiche,  ma  di  compatte  trachiti,  che  presentano  brulle 
e  dirupate  scogliere,  formando  delle  vere  e  proprie  aeropoli  naturali,  separate  da  vallon- 
celli  acquitrinosi  ed  in  parte  coronate  da  costruzioni  nuragiche.  Una  di  queste  piccole 
acropoli,  visibile  anche  dalla  via  postale  di  S.  Lussurgiu  fra  i  pittoreschi  boschetti 
di  sughero,  è  quella  detta  di  Fontana  Orruos,  a  breve  distanza  dal  nuraghe  Mura  Toffau. 

In  questa  regione,  aggruppate  in  due  distinti  gruppi,  furono  segnalate  ed  esplo- 
rate varie  tombe  ipogeiche,  domus  de  ianas,  di  età  nuragica.  In  tutto,  ascese  il  loro 
numero  a  sei,  di  piccole  dimensioni,  ma  non  prive  di  particolari  architettonici  in- 
teressanti. Prevale  in  esse  la  pianta  circolare,  essendovi  un  solo  caso  in  cui  essa 
sia  pressoché  rettangolare.  Quasi  tutte  hanno  un  dromos  più  o  meno  lungo  ;  due 
constano,  oltre  al  dromos,  di  due  camerette. 


SARDINIA. 


—  117 


NORBELLO 


Gli  ingressi  presentano  i  consueti  rincassi  per  il  lastrone  di  chiusura,  talvolta 
abbastanza  elegantemente  sagomati.  In  un  caso  osservammo  un  canaletto  incavato 
nella  roccia,  normalmente  all'inizio  del  dromos,  e  destinato  senza  dubbio  ad  acco- 
gliere l'acqua  piovana,  e  ad  impedirne  l'accesso  alla  tomba,  analogamente  alle  dis- 
posizioni adottate  allo  stesso  scopo  nelle  necropoli  sicule  di  Thapsos,  Melilli,  ecc. 
Purtroppo  le  domus  erano  aperte  e  frugate,  alcune  fin  dall'antichità-  non  mancano 
infatti  i  soliti  avanzi  di  ceramica  romàna. 

A.  Taramklli. 
G.  G.  Porro. 


VI.  NORBELLO  —  Nuraghi  e  tombe  megalitiche. 
Nel  comune  di  Norbello,  presso  il  margine  del  burrone  di  Domusnovas  Canales, 
si  scavarono  diverse  tombe  di  giganti,   ciascuna  delle   quali   notabile   per   qualche 


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Fig.  1.  — "Tombe  di  giganti  di  Suei  (Norbello). 


particolare.  Così,  in  località  Suei,  una  tomba  presentava  una  eccezionale  regolarità  di 
costruzione,  sopra  tutto  nei  due  blocchi  formanti  gli  stipiti  dell'ingresso  (fig.  1).  Un'altra, 
poco  lontano,  è  la  più  grandiosa  fra  tutte  quelle  da  noi  riconosciute,  raggiungendo 
la  lunghezza  interna  di  m.  11,90.  Presenta  la  forma  caratteristica  a  barca;  e  le  pa- 
reti, di  rozza  tecnica  ciclopica,  sono  lievemente  aggettanti  verso  l'alto.  Speciale  im- 
portanza assume  la  tomba  in  regione  Perdu  Cossu,  sebbene  rovinata  alla  bocca  ed 
al  fondo  della  cella,  per  i  grandi  lastroni  basaltici  di  copertura,  con  tracce   di   la- 


DOMUSNOVAS    CANALBS  —    118    —  SARDINIA 

vorazione,  e  più  ancora  per  due  blocchi  in  essa  rinvenuti:  l'uno,  a  forma  di  pira- 
mide tronca,  con  un  segno  mammillare  rilevato  ;  l'altro,  trovato  in  posto  al  fondo 
della  cella,  per  un  rilievo  di  evidente  carattere  fallico.  Queste  rappresentazioni  si 
possono  avvicinare  a  quelle  delle  pietre  fitte  di  natura  betilica  rinvenute  sull'alti- 
piano di  Macomer  e  presso  Paulilatino,  nonché  a  quelle  segnalate  sul  lastrone  di 
chiusura  della  domus  di  Chirighiddu,  e  hanno  riscontri  in  numerosi  monumenti  del- 
l'età dolmenica;  basta  ricordare  gli  innumerevoli  menhirs  della  Francia.  Natural- 
mente, nelle  tombe  di  giganti  si  tratta  di  sopravvivenza  di  un  culto  aniconico, 
protrattosi  del  resto  anche  in  età  molto  più  tarda  nell'isola,  come  ci  dimostrano  il 
betilo  del  supposto  tempio  di  Tanit  a  Nora,  riconosciuto  dal  Patroni,  e  quelli  raffigu- 
rati sulle  stele  puniche  di  diverse  necropoli  sarde. 

A.  Taramelli. 

G.  G.  Porro. 


VII.  DOMUSNOVAS  OANALES  —  Cittadella  nuragica  di  Nurarchei. 

Uno  dei  punti  minacciati  del  versante  settentrionale  dell'altipianno  di  Abba- 
santa  è  il  già  citato  vallone  di  Domusnovas  Canales,  che  sale  dal  Tirso  :  sull'orlo 
di  esso  furono  segnalati  numerosi  nuraghi,  a  scopo  evidente  di  vedetta  e  di  ricovero 
in  caso  d'assalti.  Tali  sono  i  nuraghi  di  Suei  e  di  Nurarchei,  ai  quali  dedicammo 
una  breve  indagine,  ma  che  meriterebbero,  quando  non  mancassero  i  mezzi,  uno 
studio  esauriente,  trattandosi  di  tipici  e  ben  conservati  esempì  dell'architettura  me- 
galitica protosaida.  Il  nuraghe  di  Nurarchei  specialmente  ci  mostra  in  modo  chiaro 
un  fatto  già  altre  volte  segnalato,  e  cioè  una  piccola  cittadella,  un  vero  e  proprio 
«  blockhaus  » ,  nel  quale  il  torrione  nuragico  costituisce  il  maschio  ed  il  nocciolo 
primitivo;  una  robusta  muraglia  avvolge  tutta  la  torre  e  se  ne  stacca  con  due 
braccia  poderose,  che  giungono  sino  all'orlo  del  diruto  pendìo  dell'altipiano,  racchiu- 
dendo e  rendendo  così  inaccessibile,  senza  un  pericoloso  assalto,  un  tratto  abbastanza 
vasto  di  terreno,  destinato  evidentemente  e  soprattutto  a  ricovero  del  bestiame.  Furon 
messi  in  luce  il  piano  e  l'accesso  del  recinto,  attorno  al  quale  furono  segnalate  in- 
teressanti vestigia  riferite  a  tutta  l'età  nuragica,  dolntens,  tombe  a  cassa  ed  a  corri- 
doio, ed  un  circolo  di  pietre  fitte,  un  vero  cromlech,  di  cui  gli  esempì,  a  quanto  ci 
consta,  sono  ancora  rarissimi  per  la  Sardegna.  Un  dolmen,  avente  il  lastrone  di  co- 
pertura del  diametro  massimo  di  m.  2,30,  ha  tre  pietre  sole  di  sostegno,  compa- 
rativamente piccole.  Un  altro,  a  poca  distanza,  si  prolunga  all' infuori  del  la- 
strone di  copertura  in  modo  da  apparire  quale  una  tomba  di  giganti  rudimentale. 
Un  altro  ancora  è  sorretto  da  quattro  piccoli  blocchi,  stranamente  contrastanti  con 
l'enorme  massa  sovrapposta,  e  sprovvisto  di  pareti  laterali.  Un  quarto,  infine,  in  lo- 
calità Abbamuru,  ha  uno  dei  pilastri  di  sostegno  formato  da  due  pietre  sovrapposte, 
mentre  un  enorme  blocco  laterale,  su  cui  non  poggia  la  tavola  di  copertura,  non 
ha  funzione  statica,  ma  semplicemente  di  parete.  Finora  eccezionali  per  la  Sardegna 
sono,  accanto  ai  dolmens,  le  tombe  a  cassone,  due  delle  quali  sono  di  forma  grosso- 
lanamente rettangolare.  L'una  è  parzialmente  coperta  da   un  lastrone   poggiante  su 


SARDINIA  —    119   —  LAKRRD 

un  grosso  blocco,  a  cui  l'intera  tomba  è  addossata.  L'altra,  a  pochi  passi  dalla 
prima,  e,  come  questa,  formata  da  un  solo  corpo  di  grossi  blocchi  disposti  a  coltello, 
ha  le  pareti  leggermente  inclinate  vgi-so  l'interno,  e  il  fondo  formato  da  rocce  la- 
viche irregolari,  in  situ.  Una  terza  tomba  è  di  forma  grossolanamente  ovale,  con  le 
pareti  formate  da  sette  grossi  blocchi  disposti  a  coltello. 

Tanto  questa,  quanto  la  precedente,  erano  devastate  e  senza  tracce  di  copertura. 
Quest'ultima  ha,  più  delle  altre,  singolari  riscontri  nelle  tombe  a  fossa  dell'altipiano 
palestinese.  I  dolmens  diedero  ordinariamente  avanzi  della  consueta  ceramica  nura- 
gica;  le  tombe  a  cassone  cocci  di  pasta  grossolana,  quarzosa  e  carboniosa,  di  cot- 
tura assai  imperfetta,  a  superficie  nera  liscia,  non  discostantesi  gran  che  neppur  essa 
dal  consueto  tipo  della  ceramica  nuragica. 

A.  Taramklli. 
G.  G.  Porro. 


Vili.  LAERRU  —  Esplorazione  dei  monumenti  megalitici  e  scavi 
nelle  domus  de  ianas  di  Monte   Dltano. 

La  fine  della  campagna  autunnale  del  1914  fu  dedicata  all'agro  di  Laerru  ed 
ai  finitimi  territori  dell' Anglona,  di  questa  ubertosa  contrada  della  provincia  di  Sas- 
sari; fu  scelto  questo  terreno  di  ricerca  per  l'opportunità  di  un  valido  e  intelligente 
aiuto,  offertoci  dal  geom.  Edoardo  Benetti,  e  per  cogliere  anche,  a  tanta  distanza 
dal  territorio  abbasantese,  le  somiglianze  e  le  differenze  nel  materiale  archeologico 
primitivo. 

Come  indicasi  nell'unito  schizzo  schematico  (fig.  1),  la  regione  dell'Anglona,  è 
posta  nella  parte  nord  dell'  isola,  fra  la  Gallura  ed  il  territorio  sassarese;  è  un'aspra  e 
varia  zona,  con  una  sua  propria  caratteristica  fisionomia  geologica  e  geografica,  a 
valloni  profondamente  incisi  ed  ampi,  ed  altipiani  vastissimi  a  contorni  dirupati,  di 
natura  vulcanica  in  gran  parte,  in  parte  anche  di  rocce  sedimentarie  recenti.  Dal 
punto  di  vista  archeologico  poi,  per  quanto  abbia  fornito  vari  elementi  raccolti  nei 
musei  di  Cagliari  e  di  Sassari,  e  nella  privata  collezione  Dessi,  la  regione  è  tuttora 
inesplorata;  e  dal  pochissimo  che  potemmo  osservare  in  questa  breve  esplorazione, 
ostacolata  da  insolito  maltempo,  si  può  dedurre  l' importanza  dei  dati  che  potranno 
essere  raccolti  dall'indagine  intima  e  minuta  di  quelle  valli  e  di  quegli  altipiani, 
oggi  solitari  e  non  completamente  sicuri. 

Lasciando  ad  altro  momento  l'esposizione  di  uno  studio  topografico  dell'Anglona, 
e  dell'  impressionante  coordinamento  del  sistema  nuragico  alla  conformazione  del  suolo. 
che  qui  raggiunge  la  più  chiara  evidenza,  diremo  solo  che  le  valli  interne,  percorse 
dagli  affluenti  del  Coghinas,  lo  sbocco  di  questo  fiume  nel  mare,  come  le  valli  dei 
minori  fiumicciattoli  o  torrenti  che  corrono  al  mare,  quali  il  rio  di  Sorso,  quello  di 
Perdasdefogu,  come  l'altra  valle  percorsa  dalla  strada  per  Castelsardo,  sono  tutte  nel 
loro  percorso  vigilate  da  costruzioni  nuragiche,  come  fu  notato  per  le  valli  del  Tirso, 


LAÈRRU  —    120   —  SARDINIA 

del  Terno,  del  Flumendosa,  e  per  le  spiagge  del  Sulcis,  mentre  altri  allineamenti 
nuragici  seguono  le  strade  naturali  che,  attraverso  l'altipiano  del  Sassittu,  di  S.  Maria 
di  Tergu,  di  Monte  Ossoni,  salgono  dalla  spiaggia  alle  ubertose  valli  interne,  tem- 
pestate di  nuraghi.  E  di  nuraghi  sono  del  pari  fittamente  tempestati  gli  orli  del 
vasto  altipiano,  detto  il  Sassu,  che  separa  l'alta  valle  del  Coghinas  dal  Campo 
d'Ozieri,  altipiano  dove  si  ripete  il  fenomeno  geologico  ed  archeologico  della  notis- 
sima Giara  di  Gesturi. 

Di  questi  nuraghi,  taluni  furono  da  noi  diligentemente  osservati,  nei  dintorni  di 
Laerru,  di  Martis,  di  Bulzi,  di  Sedini,  e,  per  dire  in  breve,  notammo  tosto  i  caiat- 


Fig.  1.  —  Schizzo  di  pianta  dell'Anglona. 


teri  di  somiglianza  ai  nuraghi  di  altre  contrade  dell'isola,  vari  caratteri  notabili 
locali,  di  una  grandiosità,  diremo  quasi,  primitiva,  accompagnata  anche  da  un'accura- 
tezza di  determinati  particolari  costruttivi  della  porta,  delle  scale,  delle  camere 
interne.  Istruttive  furono  le  indagini  dedicate  al  nuraghe  della  regione  Bolentare,  in 
quel  di  Martis,  al  nuraghe  in  regione  Bonora,  nella  vasta  vallata  di  Bulzi,  presso 
a  quel  gioiello  di  arte  romanica  che  è  la  chiesa  di  S.  Pietro  delle  Immagini. 

Ma  nella  regione  dell'Anglona  è  specialmente  interessante  un  tipo  di  insedia- 
mento nuragico  che,  pure  non  essendo  insolito  in  altra  parte  dell'  isola,  qui  appare 
applicato  di  sovente;  il  tipo  cioè  delle  piccole  acropoli  fortificate.  Ne  abbiamo  veduto 
bellissimi  esempì,  ed  altri  ci  sono  stati  segnalati  dal  chiaro  sig.  Bonetti,  che  ci  fu 
guida  preziosa  :  ma  l'esempio  più  luminoso  è  quello  di  Monte  Ultano,  già  ricordato 
dall'egregio  prof.  Pais.  Attorno  a  questo  monte  si  annidano  numerose  leggende  di 
tesori  nascosti,  leggende  che  hanno  una  ragione  nelle  continue  scoperte  di  antichità 
romane,  anche  di  qualche  valore,   che   si  compirono  in  quel   luogo.    Ma   l' interesse 


SARDINIA  —    121    —  LABRR0 

maggiore  è  dato  dagli  avanzi  riferibili  ad  epoca  preromana,  cioè  dalla  costruzione 
che  sorge  all'  ingresso  dell'acropoli,  dai  tratti  di  muro  di  cinta,  e  soprattutto  dalla 
fontana,  a  cupoletta  sotterranea,  scoperta  alla  base  dell'acropoli,  e  che  agli  scopri- 
tori fornì  materiale  di  età  forse  punica,  certo  per  lo  meno  romana  repubblicana,  ma 
che  ad  una  esplorazione  sistematica  potrà  fornire  dati  più  interessanti  e  più  antichi. 

È  così  verificata  anche  nel  territorio  dell'Anglona  l'esistenza  del  tipo  architet- 
tonico della  cupola  nuragica,  sepolta  in  parte  nel  suolo  a  custodia  di  una  fonte,  quasi 
certamente  con  carattere  sacrale.  È  anche  assai  probabile  che  il  ripostiglio  di  bronzi 
preromani  di  carattere  votivo,  venuto  recentemente  in  luce  presso  S.  Maria  di  Tergu, 
a  tre  ore  da  Laerru,  si  riconnetta  con  uno  di  questi  luoghi  di  culto,  disposti  in  vici- 
nanza di  un  pozzo  sacro;  luoghi  di  culto  ormai  abbastanza  numerosi  in  tutta  l'isola, 
e  di  cui  il  tempio  di  S.  Vittoria  di  Serri  costituisce  l'esempio  più  noto  ed  istruttivo. 

Anche  nell'Anglona  si  riconobbe  l'esistenza  di  varie  tombe  di  giganti,  alcune 
delle  quali  imponenti,  e  tutte  attigue  a  nuraghi  ;  ma  si  potè  anche  qui  osservare 
come  in  prossimità  di  nuraghi,  sia  isolati,  sia  riuniti  in  difesa  di  un  altipiano, 
esistessero  domus  de  ianas  ipogeiche,  di  vaste  dimensioni  e  di  aspetto,  perciò,  più 
tardo.  Tali  sono  quelle  situate  ai  piedi  di  Monte  Ultano,  a  poca  distanza  da  Laerru,  in 
località  detta  luogosanto,  dove  sorgono  anche  tre  monticelli,  di  forma  regolarmente 
conica,  la  quale  non  trova  analogia  con  altri  rilievi  orografici  del  territorio,  né  chiara 
esplicazione  geologica  ;  i  quali  monticelli  sono  stati  dal  Benetti  ritenuti  quali  tumuli 
tombali. 

Questa  ipotesi  plausibile,  ma  non  per  anco  dimostrata  dai  fatti,  trova  sostegno 
nella  presenza  di  tombe  di  giganti,  le  quali  effettivamente,  quando  avessero  conser- 
vato il  loro  mantello  di  terra,  disposto  al  disopra  delle  lastre  del  corridoio,  si  pre- 
senterebbero come  veri  e  propri  tumuli.  Ma  l' ipotesi  suggestiva  e  brillante  attende 
di  essere  appoggiata  dai  dati  convincenti,  che  solo  può  fornire  il  piccone.  Siccome  la 
stagione  non  ci  consentiva  se  non  una  breve  indagine,  questa  fu  dedicata  alla  necro- 
poli ipogeica  di  Luogosanto,  situata,  come  dicemmo,  ai  piedi  di  Monte  Ultano. 

Le  domus  de  ianas  quivi  rinvenute  si  differenziano  da  quelle  dell'altipiano  abba- 
santese  per  le  notevoli  loro  dimensioni,  dovute  sopra  tutto  alla  natura  tufacea  della 
roccia  in  cni  furono  scavate,  estremamente  più  lavorabile  del  duro  basalto  abbasan- 
tese.  La  prima  del  gruppo  da  noi  esplorato  è  composta  di  dromos,  lungo  ben  m.  3,00, 
di  una  anticella  quasi  circolare  lunga  m.  2,25,  e  di  una  cella  quasi  quadrangolare, 
di  m.  2,25  di  lato,  a  cui  si  accede  dall' anticella  con  un  gradino  discendente  di 
m.  0,63.  La  cella  raggiunge  l'altezza  di  m.  1,70.  La  seconda  domus  ha  un  dromos 
di  m.  3,20,  un'anticella  più  o  meno  quadrangolare  di  m.  2,00  X  1,80,  e  una  cella 
di  m.  2  X  2,40,  alta  m.  1.60.  Si  nota  nella  parete  di  fondo,  ad  una  certa  altezza, 
una  nicchietta  destinata  con  ogni  probabilità  a  depositorio  di  materiale  funebre.  Una 
terza  domus,  frugata  anteriormente,  fu  da  noi  visitata.  Priva  attualmente  di  dromos, 
presenta  un'anticella  più  o  meno  quadrata,  di  m.  1.20  di  lato,  una  cella  quadrata 
di  m.  2,00  di  lato  e  una  cella  secondaria  laterale,  a  destra  della  principale,  di 
m.  2,80  X  2.20,  di  forma  alquanto  irregolare.  L'altezza  delle  tre  camere  è  di 
m.  1,10. 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  17 


LABRRU  —    122    —  SARDINIA 

La  suppellettile  rinvenuta  nelle  prime  due  domus,  in  mezzo  alla  terra  derivante 
dal  franamento  della  vòlta,  consiste  di  vasi  nuragici  assai  grossolani,  orcioletti  e 
ollette   senza  alcuna   decorazione:  hanno  forme  analoghe  a  quelle  di  altre  tombe  a 

grotte  artificiali. 

* 
*  * 

La  presente  ricerca  non  ha  assolto  completamente  il  suo  compito,  né  risolto  i 
problemi  tutti,  per  lo  studio  dei  quali  è  stata  intrapresa;  ma  non  fu  inutile,  né  priva 
di  risultati,  che  qui  sono  riassunti  brevemente. 

Anzitutto  furono  segnalati  e  rilevati,  solo  nel  territorio  esplorato  di  Abbasanta, 
di  Norbello,  di  Domusnovas  Canales,  numerosi  dolmens  che  erano  non  solo  sconosciuti, 
ma  si  può  dir  quasi  esclusi,  dal  benemerito  Mackenzie,  per  il  territorio  abbasantese. 
Questo  piccolo  grappo  deve  aggiungersi  a  quelli  già  precedentemente  segnalati  da 
questa  Direzione  e  dal  Mackenzie,  in  modo  che  oggi  non  più  si  può  ripetere  quanto 
ancora  venne  asserito  dal  Quantin,  che  la  Sardegna  manca  assolutamente  di  questo 
tipo  di  monumento  megalitico,  abbastanza  frequente  nella  Corsica;  tutto  invece  fa 
credere  che,  col  procedere  delle  esplorazioni  sistematiche  del  soprassuolo,  i  dolmens 
potranno  rivelarsi  più  numerosi  e  complessi  e  diffusi  in  varie  parti  dell'isola. 

Fu  inoltre  osservato  che  questi  dolmens  sono  quasi  tutti  in  vicinanza  ed  in  rela- 
zione con  altri  tipi  di  monumenti  funerarii  megalitici  ed  ipogeici.  Fu  anche  osservato 
un  graduale  sviluppo  del  dolmen  dalle  forme  semplici  della  pietra  grande  posata  su 
poche  pietre  fitte,  ad  una  vera  e  propria  cameretta,  con  le  pareti  completamente 
chiuse,  e  con  la  tavola  sempre  più  alta. 

Ma  nella  campagna  di  Abbasanta  noi  potemmo  anche  sorprendere  nei  due  sepolcri 
di  Mesu  Enas  e  di  S.  Angrone,  ed  in  parte  in  quello  di  Mura  Iddari,  la  fusione  dei 
due  tipi  funerarii,  del  dolmen  e  della  domus  de  ianas  ipogea,  e  il  conseguente  svi- 
luppo di  una  forma  che  potremo  dire  intermedia,  che  è  la  tomba  di  giganti.  Il  dolmen 
a  corridoio  allungato,  appoggiato  alla  fronte  della  domus  scavata  nella  roccia,  fa 
nascere  la  tomba  di  giganti,  a  lunga  cella  o  corridoio  coperto,  che  sorge  sopra  il 
suolo  ;  ma  effettivamente,  per  la  sopraelevazione  del  tumulo  di  terra  al  disopra  di 
essa,  diviene  un  monumento  sotterraneo.  La  fusione  dei  due  tipi  in  uno  solo  era  già 
adombrata  nella  tomba  a  domus  de  ianas  scolpita  nella  rupe  di  Molafà,  presso  Sas- 
sari, ed  in  quella  di  S.  Giorgio,  presso  Olmedo,  segnalata  dal  Dessi,  dal  Mackenzie, 
dal  Prèchac  e  da  questo  Ufficio,  nelle  quali  la  facciata  assumeva  l'aspetto  di  una 
grandiosa  stele  di  tomba  di  giganti,  intagliata  nella  roccia  stessa;  ma  i  monumenti 
ora  segnalati  offrono  un  esempio  della  più  chiara  evidenza  e  del  massimo  interesse, 
e  non  per  la  sola  archeologia  sarda,  poiché  l'esame  delle  forme  preparatorie  che  con- 
dussero dal  dolmen  alle  tombe  dei  giganti  rudimentali,  e  a  quelle,  giandiose  per 
dimensione  e  per  struttura,  di  S.  Azzica  di  Abbasanta,  per  tacere  di  quelle  già  note 
di  S.  Cristina,  di  Goronna,  a  Paulilatino,  di  Srighinadu,  presso  Bauladu,  di  Casti  - 
gadu  S.  Altare,  tra  Olzai  e  Sanile,  e  di  altre  molte,  non  dev'essere,  a  parer  nostro, 
senza  valore  per  lo  studio  delle  origini  del  tipo  della  sepoltura  a  corridoio,  sotter- 
raneo o  coperto  da  tumulo,  proprio  della  Etruria  meridionale  e  del  Lazio,  e  che  ha 
i  suoi  più  noti  esemplari  nelle  tombe  Regulini  Galassi,  di  Cere,  nella  Cucumella  e 


SARDINIA  —    123    —  LABRR0 


nella  Cucumelletta  di  Vulci,  nelle  tombe  di  Monte  Acuto  presso  Formello  nell'agro 
di  Veio,  alle  quali  si  collega  anche  la  tomba  Bernardini  di  Palestrina. 

Lasciando  ad  altro  luogo  lo  studio  di  questo  lato  della  questione  megalitica, 
(he  non  si  deve  ritenere  inutile  nella  indagine  dei  vari  problemi  connessi  alle  origini 
italiche  ed  etnische,  ricordiamo  che,  oltre  ad  aver  rinvenuto  gli  anelli  che  uniscono 
le  due  forme  di  sepoltura  megalitica  ed  ipogeica,  fu  anche  accertata  la  persistenza 
della  domus  de  ianas,  caratteristica  dell'eneolitico  sardo,  come  di  altri  orizzonti 
mediterranei,  nella  piena  età  dei  nuraghi,  vale  a  dire  nell'età  dei  metalli,  poiché  è 
indispensabile  lo  strumento  metallico  per  aver  ragione  del  durissimo  basalto  in  cui 
son  scavate  le  domus  di  Chirighiddu,  di  Mura  Iddari,  di  Fontana  Oruos,  come  tante 
altre,  aperte  nelle  rocce  laviche  recenti  ed  antiche;  in  modo  che  non  solo  per  la 
presenza  della  suppellettile  ceramica  simile  a  quella  data  dai  nuraghi,  ma  anche  per 
la  tecnica  dell' escavazione  esse  appartengono  al  grande  periodo  nuragico. 

Se  si  fanno  abbastanza  chiari  gli  anelli  della  catena  che  dalla  semplice  cella 
dolmenica  conduce  alle  forme  più  evolute,  complesse  e  grandiose  delle  tombe  dei 
giganti,  noi  possiamo  dedurre  che  non  si  tratta  di  un  tipo  importato  già  perfetto 
nell'  isola  sarda,  ma  bensì  di  un  tipo  qui  svoltosi,  parallelamente  all'evoluzione  di 
germi  simili  in  ambienti  analoghi.  E  tale  svolgimento  è  contemporaneo  a  quel  periodo 
in  cui  la  razza  sarda  si  trova  in  possesso  di  mezzi  più  larghi,  dovuti  alla  padronanza 
di  nn'  isola  vasta  e  in  gran  parte  feconda,  quando  i  pascoli  ubertosi  acquistavano  già 
terreno  sui  boschi,  quando  i  seminati  di  grano  e  di  altri  cereali  prendevano  il  posto 
delle  vergini  foreste,  quando  la  terra  interrogata  aveva  dischiuso  il  tesoro  delle  sue 
miniere,  e,  prima  di  tutto,  di  quelle  di  rame,  la  cui  lavorazione  risale,  come  è  ormai 
accertato,  al  più  grande  sviluppo  della  civiltà  nuragica,  della  quale  essa  fu  il  più 
efficace  elemento. 

Nell'una  e  nell'altra  forma  di  monumento  funerario  persiste  l' inumazione,  il  rito 
dominante  in  tutta  la  Sardegna  preistorica  e  protostorica,  che  solo  assai  tardi  cede 
il  passo  alla  cremazione. 

Se  fu  chiaramente  dimostrata  la  connessione  dei  dolmens  e  delle  tombe  di  giganti, 
come  di  moltissime  domus  de  ianas,  ai  nuraghi,  questi  ci  apparvero  in  molti  casi 
(come  a  Losa,  ad  Aiga,  e  a  Mura  Tuftau,  ed  anche  a  N tirarci) ei,  per  limitarci  agli 
esempì  ora  studiati)  come  vere  e  proprie  cittadelle  e  recinti  fortificati,  intorno  ai 
quali  si  accentrano  tutte  le  varie  funzioni  della  vita  sociale  primitiva,  dalla  difesa 
comune,  al  tempio,  alla  tomba. 

Quanto  ai  materiali,  alla  loro  tipologia,  ed  alla  loro  cronologia,  scarsi  ma  non 
inutili  furono  gli  elementi  raccolti,  né  senza  interesse  fu  la  ricerca  nei  riguardi  dei 
concetti  religiosi  connessi  con  la  tomba,  manifestandosi  in  tutte  le  tombe  dei  giganti 
esplorate  l'esplicazione  del  culto  agli  antenati,  nella  grande  area  frontale  ;  il  simbolo 
commemorativo  della  stele  monumentale  nelle  più  evolute;  e  a  Pardu  Sella  di 
Abbasanta  la  conferma  del  culto  dei  betili  mammati,  accanto  ad  una  chiara  e  non 
isolata  espressione  del  culto  fallico,  connesso  quasi  sempre  a  quello  betilico. 

Di  questi  risultati  sarà  data  ampia  e  precisa  relazione  più  tardi,  con  il  corredo 
dei  necessari  sussidi  grafici,  e,  speriamo,  con  il  conforto  di  nuovi  dati  e  di  più  larghi 


OZIBRI 


124    —  SARDINIA. 


materiali,  che  si  spera  di  raccogliere  in  prossime  esplorazioni  nei  paesi  del  centro 
della  Sardegna,  massime  nelle  valli  e  negli  altipiani  ricchi  di  pascoli,  ma  remoti 
dalle  zone  della  cultura  intensiva,  punica,  romana  e  moderna.  Ci  sia  lecito  l'augurio 
che  l'opera  nostra  volenterosa  sia  dovunque  sussidiata  e  sorretta  dal  valido  e  disin- 
teressato aiuto  di  cittadini  distinti,  come  il  valoroso  Edoardo  Benetti  ed  il  modesto 
lìev.  Salvatore  Dessi,  che  segnaliamo  alla  gratitudine  del  paese  e  della  scienza. 

A.  Tarameli,!. 
G.  G.  Porro. 


IX.  OZI  E  RI  —  Grotta  sepolcrale  e  votiva  di  S.  Michele  ai  Cap- 
puccini. 

Nella  fine  del  marzo  1914  il  regio  ispettore  dei  monumenti  e  scavi  di  Ozieri, 
avv.  Antonio  Altana,  riferiva  alla  Soprintendenza  che  in  occasione  di  lavori  di  cava 
di  ghiaia  sull'alto  del  colle  dei  Cappuccini,  attiguo  all'abitato  della  città  di  Ozieri, 
presso  l'attuale  ospedale  civile,  era  venuta  in  luce  una  grotta  con  abbondanti  tracce 
delle  antiche  industrie.  Poiché  la  morbosa  curiosità  e  la  smania  del  tesoro  avevano 
facile  sfogo  per  la  vicinanza  della  grotta  all'abitato,  e  già  si  erano  iniziate  delle 
vandaliche  esplorazioni  in  massa  per  parte  di  cavapietre  dapprima,  poi  della  ragaz- 
zaglia del  luogo,  l'Autorità  dette  ordine  che  l'accesso  della  grotta  fosse  sbarrato  so- 
lidamente in  attesa  della  esplorazione  sistematica. 

Nel  giugno  mi  fu  possibile  di  dedicarmi  alla  esplorazione  della  grotta,  con 
l'assistenza  del  dott.  Porro,  ispettore  del  museo,  e  col  valido  aiuto  dell'avv.  Altana, 
che,  come  provvide  a  preservare  per  quanto  possibile  il  vetusto  deposito,  così  cooperò 
con  ogni  mezzo  alla  buona  riuscita  dello  scavo,  compromesso  dal  vandalismo  che 
l'aveva  preceduto. 

La  grotta  si  trova  sull'alto  del  colle  di  S.  Michele  o  dei  Cappuccini,  che  è  il 
punto  culminante  di  una  costiera  calcare  che  serra  tutto  all'ingiro  l'abitato  di  Ozieri, 
adagiato,  o,  meglio,  arrampicato  nell'interno  di  un  grandioso  circo  di  valle  che  si 
apre  a  nord-ovest  verso  l'altipiano  del  campo  di  Ozieri  ed  è  chiuso  alle  spalle  da 
questa  costiera  calcare,  come  un  ampio  girone  d'anfiteatro.  Questo  ciglione,  di  na- 
tura carsica,  è  sforacchiato  in  varii  punti  da  grotte  e  da  anfratti,  alcuni  ben  cono- 
sciuti da  parecchio  tempo  ;  ma  questa  grotta  dei  Cappuccini,  o  di  S.  Michele  dalla  vicina 
chiesa,  ora  distrutta,  era  stata  già  intravista  un  secolo  addietro  dai  padri  cappuccini 
ed  anzi  si  aveva  un  vago  ricordo,  di  cui  non  è  facile  apprezzare  il  contenuto  reale, 
che  due  frati  vi  si  erano  perduti  e  che  anche  allora  l'Autorità  aveva  ordinato  la 
chiusura  della  grotta.  Ma  di  tale  fatto  si  era  perduta  la  conoscenza  nella  popolazione  ; 
solo  il  tagliapietre  impresario  Ignazio  Langiu  Coro,  che  aveva  stabilito  una  cava  sul 
colmo  del  colle,  aveva  osservato  che  da  varii  spiragli  che  si  aprivano  alla  superficie 
del  suolo  usciva  una  corrente  d'aria  fresca,  segno  di  una  cavità  sotterranea,  ed  aveva 
per  lunghi  mesi  continuato  a  gettare  lo  scarico  dei  materiali  di  cava,  sinché,  abbas- 
sando il  livello  del  piano  roccioso,  venne  a  scoprire  l'accesso  all'antro. 


SARDINIA 


125 


OZIERI 


L'accesso  alla  grotta  avviene  da  una  specie  di  pozzo,  quasi  verticale  (pianta, 
tìg.  la),  assai  angusto  e  che  prima  dei  lavori  di  cava  doveva  avere  una  profondità 
di  6  o  7  metri  ;  dalla  uscita  inferiore  del  pozzo,  che  sbocca  nella  vòlta  della  grotta, 
la  discesa  al  fondo  è  ora  facilitata  dallo  scarico  di  terriccio  e  di  massi  precipitati 
in  vario  tempo  dall'alto;  la  bocca  del  pozzo  poi  fu  rinvenuta  sbarrata  da  due  rozze 


a- 


Fio.  1.  —  Pianta  della  grotta  di  S.  Michele  di  Ozieri. 

colonne  in  granito,  grossolanamente  cilindriche,  incuneate  nella  stretta  apertura:  la 
forma  di  tali  pietre  e  la  natura  della  roccia,  estranea  al  luogo  ed  affiorante  ad  una 
ora  almeno  di  distanza  dal  colle  di  S.  Michele,  suggeriscono  l'idea  di  uua  colonna 
eretta  sulla  bocca  del  pozzo,  come  le  consuete  perdas  fìltas  della  Sardegna,  sia 
come  chiusura  della  grotta,  sia  come  segno  che  ne  indicasse  la  presenza  e  il  carat- 
tere sacro  (fig.  2). 

La  grotta  (vedi  pianta,  tìg.  1)  presentava  un  salone,  con  la  vòlta  inclinata  verso 
il  fondo,  tutta  incrostata  di  stalattiti  e  stalammiti,  alto  al  massimo  da  4  a  5  metri, 
largo  una  trentina  e  lungo  uua  diecina,   con   molti   padiglioni   o   anfratti    lungo    il 


OZIERI  —    126    —  SARDINIA 

piede  ed  un  pozzo  canale,  quasi  a  picco,  che  si  sprofondava  a  destra  dell'ingresso. 
In  fondo  al  salone,  a  sinistra,  si  apriva  uno  stretto  corridoio  di  varii  metri  di 
lunghezza  (e  e),  attraverso  al  quale  si  poteva  avanzare  corponi  ed  accedere  ad  un 
secondo  ambiente,  anch'esso  abbastanza  ampio,  con  varii  padiglioni  ai  lati  e  con 
una  specie  di  pozzo  nel  fondo  che  si  inabissa  per  parecchie  diecine  di  metri  (d  e). 

Anche  da  questa  seconda  camera,  per  mezzo  di  un  ampio  corridoio  (/")  ad  al- 
cova, si  passa,  per  angusta  gola  (g),  ad  un  tortuoso  e  dirupato  canale  (g'),  ricco  di 
incrostazioni  stalattitiche,  che  va  sprofondando  nel  suolo  fra  spaccature,  sino  a  che, 
ad  un  centinaio  di  metri  dall'ingresso,  quella  via  sotterranea  delle  acque  si  inabissa 
in  un  baratro  pauroso  ed  inaccessibile  (g"). 

La  grotta  fu  da  noi  percorsa  in  tutte  le  parti  accessibili  ;  ma  la  esplorazione 
venne  ristretta  alla  prima  ed  alla  seconda  sala  ed  ai  padiglioni  di  esse,  lasciando 
le  parti  più  profonde  dell'antro  dove  il  suolo  umido  era  formato  dalla  roccia,  e 
dove  le  condizioni  della  forte  inclinazione  e  della  grande  umidità  non  permettevano 
la  formazione  di  un  deposito. 

Nella  prima  sala,  dopo  aver  esplorato  il  suolo  dalla  parte  accessibile  e  già 
sconvolto  dalle  vandaliche  ricerche  precedenti,  si  provvide  a  rimuovere  per  quanto 
possibile  il  materiale  disceso  dalla  bocca  superiore  e  dalle  fessure  esistenti  nella 
vòlta  (b  b  b),  e  si  esplorò  tutto  lo  strato  archeologico,  dello  spessore  di  una  quaran- 
tina di  centimetri  e  posante  sul  fondo  roccioso.  In  questo  strato  continuo  di  terriccio 
nero,  di  pietrame  e  di  impasto  di  stoviglie,  si  rinvennero  varii  frammenti  di  ossa 
umane,  sia  di  cranio,  sia  delle  costole,  sia  degli  arti;  ma  il  materiale  venne  rin- 
venuto così  rimestato  e  sconvolto  e  frammentato  che  non  fu  possibile  di  formarsi  una 
chiara  idea  del  giacimento  e  del  suo  carattere,  già  alterato  prima  dalle  curiose  in- 
vestigazioni praticate  al  momento  dell'apertura  della  grotta.  Si  tratta  forse  di  ma- 
teriale gettato  dall'alto,  venuto  ad  accumularsi  più  copioso  sotto  la  bocca,  ma  spia- 
nato poi  e  disperso  per  l'azione  delle  acque  d'infiltrazione  in  tutto  il  piano  della 
grande  sala. 

Anche  nella  seconda  sala,  di  là  dalla  strozzatura  di  cui  dissi  sopra,  fu  pra- 
ticata una  esplorazione,  estesa  ai  varii  padiglioni  e  canali  sboccanti  nella  sala  stessa;  il 
materiale  archeologico  fu  rinvenuto  in  quantità  sempre  minore  ed  in  frammenti 
sempre  più  piccoli,  mano  mano  che  ci  si  allontanava  dal  corridoio  del  primo  salone, 
così  da  far  pensare  che  si  trattasse  di  materiale  travolto  dall'impeto  di  acque  inva- 
denti dall'alto  la  grotta  e  non  depositato  in  origine  in  quel  luogo.  Verso  il  fondo 
di  questa  seconda  sala  si  ebbe  una  massa  di  terriccio  chiaro,  in  apparenza  cenere, 
che  farebbe  credere  ad  una  permanenza  dell'uomo  in  questa  parte  della  grotta  o  per 
temporaneo  rifugio,  o  per  feste  e  banchetti  funebri,  o  semplicemente  per  illuminare 
o  purificare  col  fuoco  il  sotterraneo. 

Ma  la  situazione  della  grotta,  la  difficoltà  dell'accesso  che  in  origine  doveva 
essere  maggiore,  la  mancanza  assoluta  di  luce,  specie  nella  seconda  sala,  l'umidità 
che  nei  momenti  di  pioggia  doveva  essere  grandissima,  sembrano  escludere  che  essa 
potesse  essere  abitata,  se  non  per  i  brevi  momenti  ed  in  circostanze  speciali  e  per 
determinati  scopi,  connessi  con  ragioni  di  superstizione  e  di  culto. 


SARDINIA 


—  127  — 


OZIBRI 


Di  depositi  funerari  si  ebbe  traccia  in  yarii  punti  della  prima  sala,  e  gli  avanzi 
umani  giacevano  alla  rinfusa  dispersi  e  mescolati  nello  strato,  prevalentemente  for- 
mato da  frammenti  di  stoviglie,  e  non  mai  posati  sopra  la  nuda  roccia  e  lo  strato 
antichissimo  di  incrostazione  stalammitica.  Perciò  non  ci  fu  permesso  di  raccogliere 
alcun  dato  sulla  giacitura  e  posa  dei  cadaveri  e  della   loro  suppellettile   funeraria: 


Fio.  2.  —  Monoliti  granitici  all'ingresso  della  grotta  di  S.  Michele. 


solo  potè  accertarsi  il  rito  di  inumazione  che  è  quello  di  tutta  la  civiltà  protosarda. 
Una  porzione  di  cranio  fu  raccolta  verso  il  fondo  del  primo  salone,  nell'angolo  verso 
destra;  altri  frammenti  cranici  e  di  ossa  varie  si  ebbero  in  varii  punti,  rimovendo 
il  piano  inclinato  di  materiale  di  scarico  della  cava.  Queste  ossa  erano  rese  molto 
friabili  dall'umidità;  solo  pochi  frammenti  poterono  essere  raccolti  e  conservati  per 
la  raccolta  antropologica  formata  dal  prof.  Sterzi,  nella  R.  Università  di  Cagliari. 
Verso  il  fondo  della  grotta,  a  sinistra,  dove  il  materiale  archeologico  venne  accu- 
mulandosi maggiormente,  fluitato  dall'acqua,  aiutato  dal  naturale  pendìo  del  fondo 
roccioso,  si  ebbero  alcuni  manufatti  litici,  altri  al  di  sotto  del  cono  di  terriccio;  e 
così  pure  alcuni  dei  migliori  residui  ceramici  si  rinvennero  rotolati  al  fondo  della 
sala  sotterranea,  altri  nelle  parti  meno  sconvolte  da  recenti  incursioni.  Fra  i  manufatti 


OZIERI 


128  — 


SARDINIA 


ricordo  una  piccola  accetta  (fig.  3),  di  mm.  45,  in  roccia  nera  levigatissima,  proba- 
bilmente nefrite,  di  forma  quasi  rettangolare,  molto  schiacciata,  con  taglio  rettilineo 
e  molto  affilato,  in  complesso  un  oggetto  di  perfetta  conservazione,  assai  probabilmente 
di  valore  rituale  meglio  che  di  uso  pratico. 

Ricordo  inoltre  3  coltelli  in  selce  bionda  e  scura  (fig.  3),  della  lunghezza  da 
mm.  130  a  100,  a  lama  ricurva  ed  arcuata,  a  minuti  ritocchi  marginali,  esili  oggetti 
che  ritengo  rituali  ;  alcuni  frammenti  d'altre  lame  più  larghe,  in  selce  bionda  scura, 
si  richiamano  a  tipi  neolitici  forniti  in  larga  misura  dalle  tombe  di  Anghelu  Ruju. 


Pio.  3.  —  Accetta  e  coltelli  in  pietra  della  grotta  di  S.  Michele  (*/»  del  vero). 


Si  ebbe  anche  un  nucleo  di  ossidiana  con  le  scheggiature  di  stacco,  e  alcuni  pezzi  di 
ocra  rossa,  che,  oltre  ad  essere  largamente  impiegata  nella  decorazione  dei  vasi  della 
grotta,  doveva  servire  nelle  cerimonie  del  rito  funebre  protosardo,  come  venne  attestato 
dalle  scoperte  già  ricordate  delle  grotticelle  artificiali  di  Anghelu  Ruju,  presso  Alghero. 

La  ceramica  costituiva  il  più  copioso  elemento  dello  strato  di  avanzi  archeologici. 
Ai  frammenti  di  stoviglie  di  grossolano  impasto,  dalle  pareti  molto  spesse  e  dalla 
superficie  greggia,  si  associavano  in  grande  numero  quelli  appartenenti  a  ceramica 
più  elaborata,  a  pasta  più  fine,  a  pareti  meno  spesse  e  più  uniformi,  a  superficie  più 
fine,  lisciata  a  spatola  ed  ingubbiata,  decorata  da  incisioni  e  da  ornati  impressi  a 
stecco  e  rialzati  con  ocra  rossa. 

Anche  i  vasi  più  fini  conservavano  internamente  impurità  dell'argilla,  piccoli 
ciottoletti  di  quarzo  e  scaglie  di  mica,  alcune  anche  tralucenti  alla  superficie.  La 
più  copiosa  ceramica  aveva  la  pasta  grigia  scura  e  la  superficie  bruna  color  cuoio  ; 
in  qualche  esemplare  l' ingubbiatura  era  quasi  vitrea,  nera  come  un  bucchero,  acco- 


SARDINIA  —    129   —  OZIERi 

standosi  ai  belli  esemplari  della  ceramica  del  nuraghe  Lugherras,  di  Paulilatino. 
In  vari  frammenti  abbiamo  una  ceramica  a  pasta  più  chiara  ed  a  superfìcie  rossastra 
o  rosea,  regolare  e  ben  lisciata  a  spatola:  la  cottura  dei  vasi  è  uniforme  e  tanto 
avanzata  da  renderli  durissimi  e  compatti;  solo  in  qualche  esemplare  più  fine,  sia 
per  la  immissione  di  sostanza  carboniosa  nella  pasta  del  vaso,  o  per  coltura  più 
scarsa,  o  per  maggiore  e  più  diretta  azione  dell'acqua,  la  superficie  si  presentava 
corrosa;  in  genere  però  il  materiale  ceramico  presentava  traccia  di  una  perizia  già 
consumata,  di  una  industria  già  in  possesso  di  metodi  e  tipi  vari  e  tradizionali. 
I  vasi  intieri  o  facilmente  ricomponibili  furono  pochissimi  : 
a)  olletta  a  superfìcie  bruna  lucente  e  piccole  bugne,  a  fondo  semisferico,  con 
netta  carena,  al  di  sopra  della  quale  si  imposta  il  corpo  del  vaso  tronco-conico,  leg- 


Fig.  4.  —  Ceramica  della  grotta  di  S.  Michele  (*/»  dal  vero). 

germente  svasato,  con  breve  orlo  alla  bocca;  sotto  alla  carena  spuntano  due  grandi 
escrescenze  a  lingua,  con  la  traccia  evidente  di  una  terza,  le  quali,  meglio  che  ad 
anse,  debbono  essere  riferite  a  tre  larghi  e  robusti  piedi  che  sostenevano  il  vaso  tenen- 
done il  fondo  sollevato  dal  suolo  (fìg.  4)  ; 

b)  vasetto  a  forma  di  pisside  dal  fondo  largo  e  le  pareti  concave  e  labbro 
leggermente  (fìg.  7,  in  basso)  espanso,  in  terracotta  nerastra,  adorno  sul  fondo  e  sulle 
pareti  da  decorazioni  incise  e  colorate; 

e)  vaso  frammentato  a  cestello,  simile  ad  un  calathos,  dal  fondo  circolare,  le 
pareti  espanse  in  bella  curva  sino  al  labbro  leggermente  svasato;  la  pasta  bruna  è 
friabilissima;  la  superficie  è  decorata  internamente  ed  esternamente  con  incisioni,  a  mo- 
tivi fitomorfì,  e  da  segmenti  di  curva,  di  tipo  finora  nuovo  in  Sardegna  (fìg.  8,  in  basso). 

Questi  soli  erano  i  vasi  presso  che  completi  raccolti  nello  scavo  al  fondo  della 
grotta  e  nello  strato  meno  rimestato. 

Ma  anche  dalla  grande  massa  dei  frammenti  è  possibile  di  riconoscere  una  certa 
quantità  di  forme  e  di  tipi,  alcuni  prettamente  eneolitici,  ma  altri  che  si  presentano 
anche  negli  strati  dell'età  del  bronzo,  della  Sardegna  e  di  altre  contrade  del  Medi- 
terraneo occidentale. 

Abbiamo  così  grosse  pentole  sferoidali,  con  orlo  rinforzato  da  un  cordone  saliente, 
con  grosse  anse  a  bozza  forata  da  canale  ricurvo,  che  sono  tipiche  di  questa  grotta 
Ozierese. 

Notizik  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  18 


OZIKRI 


—  180 


SARDINIA 


Si  hanno  pure  urne  a  ventre  tondeggiante,  collo  allungato,  restringentesi  leg- 
germente verso  la  bocca,  priva  di  orlo:  l'esempio  più  interessante,  fra  tutti  questi 
frammenti,  soprattutto  per  la  sua  decorazione,  è  quello  riprodotto  nella  figura  5  a 
sinistra  in  alto  e  che  ha  certamente  un  carattere  votivo  per  gli  ornati  incisi:  questa 
decorazione,  messa  in  risalto  dal  colore  rosso,  inserito  nelle  incisioni,  ha  un  effetto 
fine  ed  elegante. 

Ricorrono  frequenti  i  frammenti  di  piccole  ollette  ventricose,  con  bocca  stretta 
ed  orlo  affilato,  con  ansa  a  piccola  bozza  forata  da  un  piccolo  canaletto  orizzontale. 

Non  mancano  i  frammenti  che  si  possono  riferire  a  vasi  con  tre  piedi  a  lingua, 
robusti  ed  applicati  al  fondo  del  recipiente. 


Pio.  5.  —  Tipi  di  anse  forate  della  grotta  di  S.  Michele,  con  decorazioni  incise  e  colorate 

(V,  del  vero). 


Forse  a  grosse  scodelle  si  riferivano  alcuni  frammenti  di  ceramica  a  pareti  molto 
spesse,  che  erano  nella  parete  interna  ricoperti  di  un  alto  strato  di  polvere  d'ocra,  che 
pareva  depositata,  traccia  del  contenuto  del  vaso,  forse  con  carattere  votivo  e  d'offerta. 

Numerosi  frammenti  si  riferiscono  a  vasi  dalla  carena  saliente,  a  spigolo  molto 
vivo,  dalla  superficie  levigatissima  e  di  forma  regolare,  per  lo  più  di  color  bruno, 
benché  non  manchino  esemplari  rossastri  e  quasi  rosati.  Questi  vasi  a  carena  sono  di 
due  tipi:  alcuni  sono  piccoli  vasetti,  molto  più  alti  che  larghi,  con  la  carena  o  a 
metà  dell'altezza,  o  verso  il  fondo  ;  altri  sono  assai  bassi  ed  ampii,  specie  di  ciotoloni 
a  fondo  leggermente  ricurvo  ed  a  pareti  molto  basse. 

Altri  frammenti  si  possono  ricondurre  a  vasetti  sferoidali,  con  bocca  stretta  e  fondo 
parimenti  stretto  e  piano,  di  accurata  fattura  e  per  lo  più  decorati  con  motivi  vani. 
Compaiono  le  forme  dei  vasi  cilindrici,  specie  di  pixis  (pag.  129),  di  cui  la  più  in- 


SARDINIA  —    131    —  OZIKRI 

teressante  fu  già  ricordata,  che  doveva  avere  vari  esemplari  consimili  nello  strato; 
talune  a  pareti  verticali,  altre  invece  a  pareti  leggermente  concave  (tìg.  7,  a  sinistra 
in  basso). 

Sono  frequenti  nello  strato  i  vasi  a  calathos,  a  cestello,  dal  fondo  circolare  e 
dalle  pareti  espanse  con  labbro  rivolto,  fatti  ad  imitazione  dei  cestelli  di  vimini,  ai 
quali  si  inspira  anche  la  decorazione  incisa  (figg.  4, 8)  :  alcuni  di  questi  cestelli  sono 
piccolissimi,  con  piccola  ansa  a  bozza  e  foro  di  sospensione;  altri  più  grandi  ed 
eleganti,  come  il  bello  esemplare  ricordato,  che  rappresenta  uno  dei  capolavori  del- 
l' industria  ceramica  protosarda. 

Questi  i  principali  tipi  di  ceramica  presentati  dalla  grotta  di  S.  Michele  ;  ricor- 
diamo ora  brevemente  le  varie  forme  di  anse,  che  costituiscono  una  parte  assai  con- 
siderevole di  quel  grande  gruppo  vascolare  preistorico.  Alcune  di  esse  sono  anse  a 
ponte,  o  molto  robuste,  per  vasi  di  grandi  dimensioni,  oppure  piccolissime  nei  piccoli 
vasetti  (nelle  ciotole  a  carena  e  nei  vasi  a  cestello)  ;  è  appunto  questo  tipo  di  ansa 
di  tali  vasi  che  ne  mostra  il  carattere  di  vaso  da  sospendere,  confermato  anche  dalla 
decorazione  del  fondo,  e  dà  argomento  a  ritenere  che  tanto  la  forma  quanto  la  decora- 
zione di  essi  fossero  inspirate  dagli  esemplari  empestici  (fig.  6,  in  basso). 

Affini  alle  anse  a  ponte  sono  quelle  a  nastro,  largo  e  sottile,  le  anse  a  canale  allun- 
gato, le  anse  a  bitorzolo,  e  quelle,  più  lavorate,  a  linguetta  propria  dei  vasi  a  carena. 

Altri  vasi  hanno  semplici  fori  di  sospensione,  come  le  coppe  o  ciotole  pianeg- 
gianti che  per  la  decorazione  e  per  la  finezza  delle  pareti  e  la  grazia  della  forma 
gareggiano  con  le  belle  coppe  della  Grotta  di  S.  Bartolomeo,  presso  Cagliari,  ed 
hanno  assai  evidentemente  il  carattere  di  offerta  votiva  (fig.  6,  nel  centro). 

La  forma  di  gran  lunga  predominante,  direi  tipica,  di  questa  grotta  ozierese,  è 
quella  dell'ansa  a  grosso  canale,  che  si  incava  molto  profondamente  nello  spessore 
della  parete  del  vaso  ;  detto  canale,  disposto  in  senso  orizzontale  sul  ventre  del  vaso 
in  corrispondenza  alla  carena,  ha  i  due  fori  circolari  abbastanza  ampii  per  il  pas- 
saggio delle  dita,  assai  spesso  accentuati  dalla  decorazione,  ad  incisione  od  a  punti 
impressi,  che  forma  un  caratteristico  elemento  di  questa  ceramica  eneolitica.  In  qualche 
esemplare  si  presenta  un  foro  di  sospensione  che  attraversa  la  base  della  bozza  raggiun- 
gendo il  canale  dell'ansa  (fig.  5.  a  destra  in  basso).  Abbiamo  bensì  uno  stretto  raffronto, 
per  le  forme  a  canale  e  semplici  fori,  con  quelle  date  dagli  scavi  della  Collina  di 
Corradino,  a  Malta,  che  sono  assolutamente  analoghi  a  questi  di  Ozieri  anche  per  il 
foro  di  sospensione  e  presentano  un  interessante  elemento  di  contatto  tra  le  due  isole  (')• 

Varia  ed  interessante  è  la  decorazione  di  questa  ceramica,  conforme  alla  tra- 
dizione eneolitica  in  genere,  ma  con  alcuni  elementi  di  naturalismo  e  di  una  certa 
libertà  che  si  affacciano  per  la  prima  volta  numerosi  nella  ceramica  primitiva  isolana. 

I  motivi  decorativi  di  questa  ceramica  sono  in  parte  conformi  alla  tradizione 
neolitica,  in  parte  più  sviluppati  e  complessi  per  derivazione  da  motivi  empestici,  e 
si  accostano  ai  più  elevati  esemplari  della  decorazione  ceramica  della  fine  del- 
l'eneolitico. 

(')  Pect,  Note  on  the  af/inities  of  the  maltese  pottery.  Pap.  of.  brit.  school  at  Rome,  v»l.  VI, 
pag.  51,  tav.  IX-XIJ. 


OZIKRI  —    132    —  SARDINIA 

Le  forme  decorative  antiche  sono  però  in  grande  minoranza.  Dei  vasi  più  grandi 
taluni  sono  decorati  presso  l'orlo  da  una  costola  o  cordone  soprapposto,  con  una 
serie  di  tacche  parallele  formate  col  dito  o  con  uno  stecco  (fig.  6,  in  basso). 

Pure  rarissimi  sono  gli  ornati  a  zone  di  rettangoli,  in  genere  assai  allungati 
e  riempiti  da  incisioni  irregolari  ;  accompagnati  talora  da  una  serie  di  festoni,  ren- 
denti più  complessa  ed  organica  la  decorazione  del  vaso. 

In  qualche  esemplare,  sia  di  vasi  a  superfìcie  nera,  sia  di  vasi  a  superfìcie  di 
rilievo  color  cuoio,  molto  levigati  dalla  spatola,  la  decorazione  è  formata  da  cordoni 
che  solcano  la  faccia  del  vaso,  spesso  traforati  da  anse  a  sospensione  in  modo  che 
il  vaso  viene  ad  imitare  la  forma  e  l'aspetto  di  un  otre  in  pelle. 

I  vasi  a  carena  salienti  sono  decorati  da  linee  nettamente  e  regolarmente  incise, 
tanto  lungo  la  carena  lucente,  quanto  all'orlo:  assai  spesso  le  linee  sono  date  da  una 
rittissima  taccheggiatura  di  puntini  ottenuti  dallo  stecco  ricurvo;  talora  i  punti 
sono  rotondi  e  staccati,  e  tanto  in  un  caso,  quanto  nell'altro,  rialzati  dall'  immissione 
dell'ocra.  Più  rara  è  la  decorazione  di  linee  a  cerchielli,  ottenuta  da  un  cannello 
(fig.  6,  in  alto). 

Questa  decorazione  a  linee  taccheggiate  —  che  a  prima  giunta  fa  l' impressione, 
che  è  inesatta,  di  ornamenti  ottenuti  con  la  pressione  di  una  corda  —  ha  una  grande 
applicazione  nella  decorazione  della  ceramica  di  Ozieri. 

Come  è  visibile  dalle  fotografie,  tali  ornamenti  sono  disposti: 
a)  a  segmenti  rettilinei  paralleli,  verticali  o  più  spesso   orizzontali,   e  fitta- 
mente accostati; 

h)  a  fasci  di  segmenti  in  curva,  o  rari,  oppure  fittissimi  ed  alternati  a  seg- 
menti nelle  linee  attorno  alle  anse  del  vaso  (fig.  5); 

e)  talora  a  questi  festoni  si  alternano  i  circoli  concentrici,  pure  ottenuti  da 
taccheggiature,  massime  attorno  alle  anse  a  bozza  forata  (fig.  5,  in  alto),  e  rialzati 
dalla  colorazione  ad  ocra. 

In  un  esemplare,  appartenente  ad  una  tazza,  i  segmenti  disposti  a  festone,  sul 
fondo  del  vaso,  in  modo  molto  regolare,  formano  una  decorazione  stellare  simile  a 
quella  delle  tazze  del  Capo  S.  Elia,  a  Cagliari. 

Questa  decorazione  a  segmenti  sopravvive  anche  nella  decorazione  delle  ceramica 
nuragica,  e  ne  abbiamo  qualche  esemplare  nel  nuraghe  Lugherras  di  Paulilatino  ('). 

Un  motivo  decorativo  molto  più  raro,  che  troviamo  in  questa  ceramica  ozierese, 
è  quello  di  zone  circolari  più  o  meno  grandi,  limitate  da  un  cerchiello  inciso  e  la- 
sciate libere  e  levigate  in  mezzo  ad  una  superficie  completamente  graffiata  da  una 
fitta  serie  di  piccoli  solchi  (fig.  4  a  destra  e  fig.  7,  in  alto  a  destra). 

Tutta  una  serie  di  frammenti  è  decorata  da  zone  formate  da  due  linee  incise, 
presso  a  poco  parallele  e  riempite  da  una  fitta  tratteggiatura  di  piccoli  tratti  tras- 
versali, decorazione  che  ad  Ozieri  si  presentava  con  svariatissimi  aspetti: 

a)  zone  ondulate  lungo  i  fianchi  del  vaso  od  imitanti  un  cestello  intrecciato 
di  vimini  (fig.  6,  in  alto); 

(')  Taramolli,  Nuraghe  Lugherras,  in  Mon.  delVAcc,  dei  Lincei,  voi.  XX,  (1910),  pag.  215, 
fig.  26. 


SARDINIA 


—  183  — 


0Z1ERI 


b)  zone  combinate  con  la  struttura  del  vaso,  disposte  orizzontali  lungo  l'orlo 
ed  il  fondo,  con  segmenti  verticali  tra  quelle  due  (figg.  6  e  7)  ; 

e)  segmenti  curvi  di  festoni  disposti  intorno  al  cerchio  del  fondo  del  vaso  ; 
in  qualche  caso  i  festoni  in  curva  si  accostano  a  formare  una  specie  di  decorazione 
stellare  sul  fondo  (fig.  6)  ; 

d)  segmenti  di  queste  zone  presentano  l'aspetto  di  un  ornato  a  zig-zag  che  gira 
tutto  attorno  al  fianco  del  vaso  (figg.  6  e  7,  in  basso),  specie  nelle  pissidi  e  nei  vasi  a 
cestello  ; 

e)  accanto  alle  zone  ad  angolo  abbiamo  le  zone  a  segmenti  curvilinei  ed  a 
cerchi  quasi  completi  o  del  tutto  compiuti,  o  semplici  o  a   più  ordini  concentrici, 


Fig.  6.  —  Ceramica  della  grotta  di  S.  Michele  ('/a  del  vero). 

tracciati  con  qualche  regolarità  :  decorazione  frequente  nei  fondi,  inspirata  da  motivi 
empestici,  ed  eseguita  alla  brava,  con  molta  sicurezza  e  spesso  anzi  con  una  certa 
fretta  e  trascuratezza  (fig.  7,  in  basso)  ; 

f)  finalmente  jn  questo  sistema  di  zone  riempite  da  tratti  si  affaccia,  per  la 
prima  volta  in  Sardegna,  la  decorazione  a  spirale,  a  tre  giri  nel  fondo  del  vaso  a 
calathos  (fig.  8,  a  destra),  ed  a  ben  sei  giri,  molto  regolari  e  ben  accostati,  nel 
fondo  della  bella  pisside  nera  (fig.  7,  a  sinistra)  con  vivo  risalto  di  ocra  rossa. 

Pure  non  escludendo  che  tale  decorazione  possa  essere  venuta  da  contatti  con 
oggetti  industriali  dell'Egeo,  già  provati  per  la  necropoli  eneolitica  di  Anghelu 
Ruju  (')  dalle  statuette  di  divinità  femminili  di  calcare,  di  tipo  se  non  di  prove- 
nienza Egea,  ritengo  però  che  la  spirale  in  vasi  di  Ozieri  possa  essere  una  produ- 
zione locale,  derivata  dalla  imitazione  dei  vasi  o  cestelli  in  vimini,  che  è  evidente 
in  tutti  questi  vasi  decorati  da  zone  a  segmenti.  Forse  tanto   in   Sardegna,   quanto 

(')  Monum.  antichi  dell' Accad.  dei  Lincei   voi.  XIX  (1909),  pag.  479.  fig.  54- 


OZIERI 


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SARDINIA. 


in  altri  ambienti  occidentali,  come  nelle  tombe  di  Citania,  nel  nord-est  della  Spagna, 
nei  doìmens  dell'Orihuela,  nell'Aragona,  della  penisola  iberica  ('),  questo  motivo 
fu  una  germinazione  locale. 

Uno  sviluppo  della  decorazione  a  spirale  ed  un  lieve  ma  significante  accenno 
ad  una  più  libera  imitazione  di  motivi  floreali,  sono  presentati  dalla  tazza  frammen- 
tata e  dal  vaso  a  calathos  raccolti  a  fig.  8,  come  anche  da  altri  fondi  di  vaso,  nei 
quali  la  spirale  sembra  svolgersi  più  ampia  e  libera  con  zone  a  tratteggi  meno 
regolari  e,  direi  quasi,  più  ardite  (fig.  8  in  alto  e  fig.  6).  In  questi  esemplari,  due 
spirali  accoppiate  si  staccano  da  un  caulo,  quasi  imitando  un  motivo  vegetale,  e  si 
dipartono  ai  due  lati,  formando  una  specie  di  palmetta;  nel   vaso    a  calathos,  poi, 


Fio.  7.  —  Ceramica  con  decorazioni  incise  ed  ornati  a  spirale  della  grotta  di  S.  Michele  ('/t  del  vero). 

le  due  volute  a  spirale  avviluppano  nel  loro  centro  una  specie  di  occhio  allungato 
a  mandorla,  quasi  una  foglia,  lasciata  riservata  dal  tratteggio  sul  fondo  del  vaso 
nero,  ottenendo  cosi  un  effetto  molto  elegante  e  presentandoci  il  punto  più  elevato 
attinto,  per  quanto  noi  sappiamo,  dalla  decorazione  vascolare  protosarda. 

Questo  scarso  elemento  naturalistico  non  pare  però  destinato  a  perpetuarsi  ed  a 
svolgersi  maggiormente  nelle  decorazioni  della  ceramica  sarda  dell'età  del  bronzo, 
che  si  inaridisce  in  una  prosocuzione  di  motivi  lineari  e  geometrici,  rivolgendosi 
in  tutto  il  periodo  nuragico  ad  una  più  accurata  preparazione  della  suppellettile 
vascolare,  ad  una  più  larga  e  pratica  varietà  di  forme. 

Per  riassumere  ora  il  criterio  cronologico  che  ci  è  fornito  dal  materiale  raccolto 
in  questa  grotta,  io  credo  che  dall'evidenza  stessa  dei  fatti  esso  possa  essere  fissato 
all'epoca  eneolitica. 

(')  Martin  Sarmiento,  A  arie  Micenica  no  norvest  de  Hitpania,  in  Portugalia  I,  n.  12; 
Reinach,  Anthropologie,  1897,  pag.  19;  E.  P.  Iulio  Furgus,  La  edad  prehistorica  en  Orihuela, 
in  Boletin  de  la  Sociedad  Aragonese  de  Ciencias  naturale»,  1912,  pag.  168,  fig.  10. 


SARDINIA 


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OZIERI 


A  questa  ci  conduce  facilmente  il  piccolo  gruppo  degli  strumenti  litici,  i  quali 
per  le  loro  piccole  dimensioni,  specialmente  dell'accetta  levigata,  hanno  carattere 
rituale  e  votivo  ;  ci  riconduce  in  special  modo  la  ceramica,  che  per  le  forme  e  per  la 
decorazione,  ci  mostra  la  tradizione  eneolitica  più  progredita,  ci  presenta  un  piccolo 
passo  più  innanzi  della  ceramica  delle  grotte  artificiali  di  Anghelu  Ruju,  senza  però 
raggiungere  lo  stadio  della  ceramica  nuragica,  nella  quale,  con  un  progresso  nella 
tecnica  sostanziale  del  vaso,  abbiamo  un  arresto  nello  sviluppo  decorativo,  che  si 
insterilisce  in  pochi  elementi  lineari  e  geometrici. 


Fig.  8.  —  Vasi  a  calathos  ed  a  pisside  della  grotta  di  S.  Michele  con  decorazioni  incise 
ad  ornamentazioni  floreali  ('/t  del  vero). 

Ad  Ozieri,  come  ad  Anghelu  Ruju,  troviamo  le  stesse  forme  di  vasi,  i  tegami 
ed  i  ciotoloni  a  carena,  le  pissidi,  le  scodelle  a  forma  di  calathos,  i  vasetti  sferoi- 
dali; abbiamo  lo  stesso  indirizzo  decorativo  a  linee,  a  zone,  ad  impressioni,  ma  con 
maggiore  ardimento  nella  forma  e  dimensione  dei  vasi,  e  con  maggiore  varietà  e 
libertà  nella  decorazione  nella  grotta  di  S.  Michele,  in  confronto  a  quella  di  Anghelu 
Ruju,  qualità  che  non  hanno  solo  la  spiegazione  nella  destinazione  che  può  aver  avuto 
la  grotta  ozierese,  ma  anche  nell'epoca  che  può  essere  ritenuta  quella  del  più  alto 
grado  della  civiltà  eneolitica,  immediatamente  precedente  a  quella  dell'età  nuragica, 
caratterizzata  da  sviluppi  di  altre  industrie  e  di  altre  forme. 

Credo  che  possa  essere  ammessibile  il  parallelismo  cronologico  tra  il  materiale 
della  grotta  di  Ozieri  e  quello  della  grotta  di  Capo  S.  Elia,  per  restare  in  ambiente 
sardo,  o  debbano  avere  per  questo  riguardo  importanza  i  raffronti  col  materiale  for- 
nito dagli  scavi  recenti  nell'edificio  megalitico  sul  colle  Corradino,  a  Malta,  che  dette 
con  armi  e  strumenti  litici  una  ceramica  analoga,  per  motivi  decorativi  e  per 
forma,  a  questa  d'Ozieri,  il  che  si  può  dire  anche  per  i  materiali  raccolti  nell'edificio 
megalitico  di  Mnaidra,  pure  a  Malta,  dove  la  ceramica  con  ornati  incisi  a  voluta  è 


OZIERI  —    136   —  SARDINIA 

pure  accompagnata  da  materiale  litico  (').  Del  pari  significanti  sono  i  raffronti  con  i 
giacimenti  della  tomba  di  Ifre,  di  Tres  Cabezos,  nella  Spagna  meridionale,  che  appunto 
si  riferiscono  alla  fine  dell'epoca  eneolitica  o  alla  prima  fase  dell'età  del  bronzo  (*). 
Verremmo  adunque  a  quel  periodo  segnalato  dalla  prima  diffusione  degli  oggetti  in 
bronzo,  in  cui  la  civiltà  nel  bacino  occidentale  del  Mediterraneo  assume  una  facies 
originale,  per  quanto  non  immune  da  influenze  dall'Egeo  e  dall'Oriente,  assurgendo 
ad  un  notevole  ed  elevato  grado  di  varietà  e  di  sviluppo. 

Le  condizioni  del  giacimento  rendono  meno  sicura  la  risposta  all'altra  questione 
relativa  alla  natura  ed  al  carattere  del  deposito.  Anche  nella  parte  che  venne  esplo- 
rata al  di  sotto  del  materiale  di  rifiuto  di  cava  caduto  dall'alto,  i  pochi  resti  umani 
giacevano  quasi  alla  superficie,  sconvolti  e  dispersi  e  posati  al  di  sopra  di  uno  strato 
di  cocci,  che  per  la  loro  decorazione  e  finezza  avevano  prevalente   carattere  votivo. 

Forse  questa  grotta,  che  si  inabissa  nel  profondo  della  terra,  risvegliò  nella  fan- 
tasia della  gente  sarda  qui  stabilita  il  concetto  di  una  via  di  comunicazione  col  mondo 
infernale  ;  e  da  ciò,  come  nelle  grotte  sacre  di  Creta,  si  generò  un  culto  ad  una  divi- 
nità catactonia,  culto  che  appare  adombrato  anche  nei  templi  sotterranei  a  pozzo 
della  civiltà  nuragica  protosarda.  Tracce  del  culto  eneolitico  sono  appunto  i  vasi 
votivi  gettati  dall'alto  della  bocca  dell'antro,  e  perciò  frammentati,  frammisti  col  ter- 
riccio e  sconvolti  dalle  acque  piovane,  tanto  nel  piano  del  salone  quanto  nei  susseguenti 
cunicoli  dell'antro.  Su  questo  strato  si  posarono  i  resti  di  uno  o  più  cadaveri  di  per- 
sonaggi più  insigni  e  venerati  ;  ed  il  culto  di  essi  si  associò  e  si  confuse  quasi  nel 
culto  della  divinità  del  luogo,  e  le  offerte  si  accumularono  e  si  accomunarono,  conti- 
nuamente accresciute  e  continuamente  sconvolte  dalle  medesime  cause  perturbatrici. 

Quanto  alle  tracce  di  ceneri  che  si  conservarono  in  basso,  nella  seconda  grotta, 
esse  sono  da  riferirsi  a  qualche  discesa  per  scopo  di  sacrificio  funerario  e  per  ragioni 
igieniche,  meglio  che  ad  una  permanenza  a  scopo  di  abitazione;  si  avrebbero  così  nella 
grotta  di  S.  Michele  gli  elementi  del  culto  dei  morti  e  del  culto  di  una  divinità 
terrestre  catactonia,  che  appare  dominante  in  tutto  il  pensiero  religioso  della  civiltà 
nuragica  sarda.  Anche  la  presenza  delle  due  pietre  granitiche,  ivi  faticosamente  por- 
tate di  lontano  a  designare  il  luogo  consacrato,  corrisponde  ad  un  concetto  fonda- 
mentale di  tutta  l'architettura  sepolcrale  sarda,  delle  grandiose  tombe  megalitiche 
e  delle  pietre  fitte,  denotanti  le  aree  sacre  e  sepolcrali. 

Per  tal  modo  la  grotta  ozierese  ci  offre  qualche  dato  per  collegare  la   civiltà 

nuragica  con  la  precedente  civiltà  eneolitica  e  rivelare  in  seno  a  questa  lo  scaturire 

di  quei  concetti  religiosi  e  culturali,  e  non  solo  di  determinate  forme  di  industria, 

che  ebbero  il  loro    pieno    svolgimento   in   quello  che  è  il  più  elevato    ed    originale 

periodo  della  civiltà  sarda  primitiva. 

A.  Taramelli. 

(')  Peet,  Note  on  the  affìnities  of  the  Maltese  pottery,  «  in  Pap.  of  Brit.  Sch.  at  Rome  », 
voi.  VI:  Colle  Corradino,  pag.  51,  tav.  IX-XII;  Mnaidra,  pag.  103,  fig.  22.  Cfr.  anche  la  ceramica 
dall'ipogeo  di  Hal-Saflieni,  presso  Casalpaula,  a  Malta,  che  ha  gli  stessi  clementi  decorativi  a  zone, 
a  festoni,  a  volute  ed  a  spirale  che  si  ritrovano  nella  ceramica  della  gTotta  di  S.  Michele  (Taglia- 
ferro, The  prehist.oric  pottery  found  in  the  Hypogeum  at  Hai  Saflieni,  Annals  of  archaeology  and 
anthropology,  University  of  Liverpool  1910,  pag.  1  sg.,  tav.  XIII,  cfr.  X-XI. 

(*)  Siret,  Les  dges  prehittoriques  darti  le  Sud-Est  de  VEspagne.,  pag.  90. 


REGIONE   X.  —   137   —  SALETTO   DI   MONTAQNANA 


Anno    1915  —   Fascicolo    5. 


Regione  X  (VENETIA). 

I.  SALETTO  DI  MONTAGNANA  presso  ESTE  —  Di  una  insigne 
iscrizione  latina  riferibile  agli  argini  dell'Adige,  quivi  fatti  dai  soldati 
romani  dopo  la  battaglia  di  Azio. 

Potrei  scrivere  parecchi  fascicoli  se  volessi  narrare  le  difficoltà  che  si  sono  in- 
contrate per  riuscire  finalmente  a  pubblicare  con  esattezza  questo  documento  epigrafico 
latino  di  primissimo  ordine.  E,  benché  per  vincere  queste  difficoltà,  durante  parecchi 
anni  sia  stato  necessario  lottare,  e  non  possiamo  né  anche  oggi  sicuramente  dire  di  averle 
totalmente  superate,  pure,  allo  stato  delle  cose,  è  necessario  contentarsi  di  quanto  finora 
si  è  ottenuto,  essendo  oramai  manifesto  che,  per  riuscire  ad  ottenere  di  più,  ogni 
ulteriore  nostro  sforzo  sarebbe  oggi  assolutamente  vano. 

Trattasi  di  una  iscrizione  latina,  rimessa  a  luce  otto  anni  fa,  pubblicata  parecchie 
volte,  ma  sempre  rimasta  destituita  di  tutti  i  sussidi  necessari  per  poterne  mettere 
in  rilievo  tutta  la  importanza. 

Veramente,  per  quanto  riguarda  la  importanza  del  monumento,  in  massima,  essa 
era  già  stata  dichiarata  dal  primo  editore,  o  dai  primi  editori,  cioè  dai  chiarissimi 
prof.  Alessandro  Prosdocirai  e  prof.  Gherardo  Ghirardini.  Ma  ne  rimasero  incerti,  e 
potrei  dire  confusi,  molti  particolari,  per  la  cui  dichiarazione  è  dovuto  passare  un 
tempo  non  breve  ed  è  stato  necessario  l'aiuto  di  autorevoli  professori. 

L'iscrizione  riguarda  i  lavori  di  bonifica,  o  meglio,  di  arginature  che  vennero 
eseguiti  nel  fiume  Adige  presso  l'antica  Ateste,  l'attuale  città  di  Este,  dopo  la  battaglia 
di  Azio  (31  av.  Or.),  arginature  che  furono  fatte  dai  veterani  romani,  quivi  con- 
dotti in  colonia,  dopo  la  battaglia  sopradetta,  cioè  sulla  fine  della  repubblica.  Per  ciò 
che  si  riferisce  alla  scoperta  del   monumento,   riassumo  le  notizie  comunicate  al 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  19 


SALETTO    DI    MONTAGNANA  —    138    —  REGIONE    X. 

Ministero  dal  prof.  Alessaudro  Prosdocimi  (')  direttore  del  Museo  nazionale  di  Este 
e  degli  scavi,  notizie  da  lui  pubblicate  nel  libro  dell'  ing.  A.  Averone  edito  dal 
R.  Magistrato  delle  acque  per  le  Provincie  Venete  e  di  Mantova  (Mantova,  Aldo  Ma- 
nuzio, 1911)  ed  intitolato:  Sull'antica  idrografia  Veneta,  saggi  di  Antonio  Averone, 
ingegnere  capo  del  Genio  Civile,  pag.  156  e  sg.  Ne  trattarono  anche  il  eh.  prof.  Ghe- 
rardo Ghirardini  in  una  tornata  della  Classe  di  scienze  morali  della  R.  Accademia 
delle  scienze  dell'  Istituto  di  Bologna  (Classe  cit.,  serie  I,  voi.  Ili,  1909-10,  pag.  28), 
ed  il  eh.  prof.  Emilio  Costa  in  una  dotta  Nota  nella  quale  fu  sapientemente  riassunto 
quanto  intorno  a  questa  e  ad  altra  lapide  sullo  stesso  argomento  era  stato  fino  allora 
edito  {La  condizione  giuridica  dei  torrenti  nell'età  romana,  estratto  dal  Bullettino 
dell'Istituto  di  diritto  romano.  Roma  1914,  pag.  16  dell'estratto). 

La  scoperta  avvenne  nel  luglio  del  1907  nei  lavori  che  gli  operai  dipendenti 
dal  cav.  Luigi  Sartori,  proprietario  della  fabbrica  di  laterizi  in  Salotto  di  Monta- 
gnana,  eseguivano  per  la  estrazione  dell'argilla  nel  sito  volgarmente  detto,  anche  in 
vecchi  documenti,  Arzaron,  cioè  grosso  argine.  Cavandosi  quivi  l'argilla,  gli  operai 
incontrarono  uua  lapide  iscritta,  che  giaceva  orizzontalmente  sul  suolo.  Le  mancava 
però  la  parte  inferiore  o  la  base. 

Avvertito  della  scoperta  dal  sig.  avv.  dott.  Valerio  Bossi,  il  prof.  Prosdocimi  inca- 
ricò il  bravo  soprastante  agli  scavi,  sig.  Alfonso  Alfonsi  (2),  di  recarsi  subito  sul  luogo. 
E  l'Alfonsi  non  mancò  di  recarvisi  immediatamente,  dando  così,  come  al  solito,  ampia 
prova  della  sua  diligenza  e  del  suo  vivo  interesse  per  la  tutela  delle  antichità  paesane. 

Presi  infatti  gli  appunti  sul  sito  in  cui  era  tornata  alla  luce  la  lapide  con 
l'iscrizione,  che,  come  si  è  detto,  era  mancante  della  parte  inferiore,  nella  certezza 
che  questa  parte  sarebbesi  scoperta  col  progredire  dei  lavori,  l'Alfonsi  raccomandò  al 
cav.  Sartori  di  far  esercitare  la  maggiore  sorveglianza  sulla  prosecuzione  dell'opera 
dei  cavatori  dell'argilla;  e  subito,  a  breve  distanza  dal  luogo  ove  era  avvenuto  il 
primo  rinvenimento,  si  scopri  la  desiderata  base  del  cippo  colla  parte  inferiore  della 
leggenda.  Questa  parte  inferiore  del  monumento  era  rimasta  fortemente  conficcata 
a  piombo  nel  terreno  argilloso.  Era  evidente  che  quello  fosse  stato  il  posto  originale, 
in  cui  il  cippo  era  stato  infisso. 

Recatosi  sul  luogo  della  scoperta  il  comm.  prof.  Gherardo  Gherardini,  allora  Sopra- 
intendente  ai  musei  ed  agli  scavi  delle  provincie  venete,  ed  esaminata  la  lapide 
riunita  nei  suoi  due  pezzi,  egli  non  tardò  a  riconoscere  il  grande  valore  storico  ed 
archeologico  di  quella  iscrizione. 

I  due  pezzi,  che,  riuniti,  combaciavano  perfettamente,  misuravano  in  altezza 
m.  1,25,  in  larghezza  m.  0,51,  ed  avevano  lo  spessore  di  m.  0,16,  presentando 
integro  un  monumento  di  rarissimo  pregio,  specialmente  per  la  storia  atestina.  Tale 

(l)  Il  prof.  Prosdotimi,  nato  in  Este  il  23  agosto  del  1843,  moriva  a  Gaiarine  il  4  luglio  del 
1911.  Egli  deve  considerarsi  come  il  vero  fondatore  del  nuovo  grande  Museo  di  Este.  Nominatovi 
conservatore  nell'anno  1876,  ne  fu  poi  direttore  fino  da  quando,  nel  1887,  il  Museo  diventò  nazionale. 

(•)  Alfonso  Alfonsi,  allievo  del  prof.  Prosdocimi,  ereditò  da  lui  il  più  fervido  amore  pel  Museo 
e  per  le  antichità  di  Este,  alle  quali  sopraintende  con  sommo  vantaggio  per  gli  studi  delle  anti- 
chità patrie. 


REGIONE    X. 


—  139  — 


SALETTO   DI   MONTAGNANA 


monumento,  per  generoso  dono  del  cav.  Sartori,  accresce  oggi  la  ricchezza  della  rac- 
colta lapidaria  del  Museo  nazionale  di  Este..  Ne  offriamo  qui  la  figura  tratta  da  una 
fotografia  (tìg.  1). 


Fio.  1. 

Vi  si  legge: 

Decuria  \  Q.  Arrunli  \  Stirai  cur(atoribus)  \  Q.  Arruntio  \  C.  Saltello  |  pig(nera- 
tore)  T.  Arrio  \  sum{ma)  h(ominum)  XCIIX  \  in  sing(ulos)  hom(ines)  \  op(eris) 
p(edes)  XLIII  s{umma)  \  p(edum)   ooIdd  CCXIV. 


SALETTO    DI    MONTAGNANA  —    140    —  REGIONE    X. 

Lasciando  ogni  altra  considerazione,  basti  qui  far  notare  che  la  lapide,  rinvenuta 
nel  suo  sito  originario,  ci  è  prezioso  documento  topografico,  e  ci  fa  sapere  che  i  soldati 
romani,  dedotti  in  Ateste  dopo  la  battaglia  di  Azio  (veterani  actiaci).  attesero  ai 
lavori  dell'arginatura  del  fiume,  estendendoli  fino  al  sito  che  corrisponde  all'attuale 
Salotto,  nel  luogo  che  mantenne  il  nome  di  «  grosso  argine  »  (Arsaron),  dove  quindi 
pare  che  fosse  stato  eseguito  il  più  poderoso  lavoro  di  arginatura. 

Questi  operai  dovettero  essere  divisi  in  tante  compagnie  o  squadre  (decurtae), 
ognuna  delle  quali   prendeva  il  nome  da  qualcuno  dei  capi  tra  questi  militari  romani. 

Che  questi  capi,  dai  quali  pigliava  il  nome  ciascuna  compagnia,  fossero  militari 
o  veterani  romani,  non  può  mettersi  in  dubbio  minimamente.  Lo  dimostra  il  nome 
perfettamente  latino  del  capo  della  squadra,  a  cui  appartenne  il  nostro  cippo,  squadra 
che  si  denominò  da  Q.  Arrunzio  Sura  (Decurta  Q(uinti  Arrunti  Surai);  e  lo  con- 
fermano poi  i  nomi  delle  altre  persone  che  ebbero  funzioni  di  soprastanti. 

Abbiamo  infatti  i  nomi  dei  due  curatores  od  amministratori  della  squadra 
stessa,  il  primo  dei  quali  fu  il  medesimo  Q.  Arruntius,  ed  il  secondo  che  si  chiamò 
Q.  Sabellus;  abbiamo  poi  il  nome  del  pig(nerator),  o  di  colui  che  doveva  ricevere 
il  pegno,  e  che  si  chiamò    T.  Arrius. 

Costoro  sopraintendevano  alla  squadra  che  era  composta  di  novantotto  uomini, 
nella  quale  il  lavoro  di  arginatura,  assegnato  a  ciascuno  di  essi,  era  di  piedi  43,  ed 
il  totale  dei  piedi  assegnati  a  tutta  questa  squadra  di  Q.  Arrunzio  era  di  piedi  4214. 

Se  il  piede  romano  corrispondeva  alla  nostra  misura  di  m.  0,2963,  ogni  lavo- 
ratore avrebbe  dovuto  fare  un'arginatura,  da  sua  parte,  per  m.  12,  7409;  e  tutta 
l'opera  attribuita  alla  squadra  di  Q.  Arrunzio  avrebbe  dovuto  misurare  m.  1249,  30  82, 

ossia  poco  più  di  un  chilometro. 

* 

Non  vi  è  bisogno  di  molti  argomenti  per  dimostrare  che  queste  opere  di  boni- 
fica presso  Ateste,  alle  quali  attesero  i  veterani  actiaci,  cioè  i  soldati  romani  che  dopo 
Azio  furono  dedotti  in  colonia  sugli  Euganei,  dovettero  avere  considerevole  esten- 
sione, se  arrivarono  fino  all'attuale  Saletto  di  Montagnana,  sito  abbastanza  distante 
dall'antico  centro  abitato  di  Ateste,  dove  il  cippo  della  squadra  di  Q.  Arrunzio,  rin- 
venuto al  proprio  sito,  non  può  lasciare  alcun  dubbio  che  quivi  si  fecero  le  arginature. 
Vuol  dire  che  il  terreno  di  bonifica  dovè  essere  diviso,  per  riguardo  a  queste  opere 
di  arginatura,  in  tante  sezioni,  od  in  tanti  lotti,  come  diremmo  noi.  Il  che  indica 
che  nella  esecuzione  di  questi  lavori  si  volle  procedere  con  grande  sollecitudine, 
impiegandovi  forze  considerevoli  di  uomini,  e  facendoli  lavorare  contemporaneamente. 

Ciò  è  dimostrato  dal  modo  con  cui  fu  organizzato  il  lavoro,  spartito  in  tante 
compagnie  o  squadre  di  operai,  con  magistratura  addetta  a  ciascuna  squadra,  e  con 
numero  di  lavoratori  proporzionato  allo  spazio  che  doveva  essere  bonificato. 

In  ciascun  punto,  dove  principiava  lo  spazio  assegnato  ad  una  determinata  com- 
pagnia, si  conficcava  al  suolo  il  cippo  colla  indicazione  del  nome  della  squadra  a  cui 
rimaneva  commessa  l'esecuzione  del  lavoro,  colla  indicazione  dei  magistrati  che  vi 
dovevano  sopraintendere,  col  numero  degli  uomini  che  vi  dovevano  lavorare,  infine 
polla  indicazione  del  tratto  di  terreno  che  ciascun  operaio   doveva  bonificare,  e  cor} 


REGIONE    X.  —    141    —  OSPEDALBTTO    EUGANEO 

la  misura  totale  dello  spazio  che  da  ciascuna  compagnia  o  squadra  avrebbe  dovuto 
essere  arginato. 

In  un  certo  momento,  a  chi  guardava  dall'altura  di  Ateste  il  piano  sottostante, 
si  dovè  presentare  allo  sguardo  uno  spettacolo  veramente  grandioso  e,  direi  quasi, 
commovente.  Da  per  tutto  eretti  i  cippi  che  determinavano  i  limiti  del  lavoro  delle 
varie  compagnie,  e  tutto  in  giro  per  grande  spazio  le  compagnie  stesse  intente  al 
lavoro  di  arginatura,  che  doveva  essere  compiuto  colla  maggiore  sollecitudine.  Così 
deve  giudicare  chi  consideri  il  numero  delle  compagnie  nelle  quali  erano  divisi  gli 
operai  che  dovevano  lavorare  contemporaneamente,  e  consideri  lo  spazio  in  cui  si 
doveva  svolgere  questo  lavoro  complessivo. 

* 

Già,  se  si  considera  la  sola  iscrizione  scoperta  a  Saletto,  la  iscrizione  stessa, 
cominciando  colla  indicazione  che  essa  si  riferiva  alla  declina  o  squadra  di  Q.  Arrunzio 
Sura,  ci  dimostra  che  le  decurie  o  squadre  di  operai  tra  i  quali  era  stato  distribuito 
il  lavoro  dovevano  essere  parecchie,  siccome  apparisce  manifestamente.  Trattavasi  di 
bonificare  un  ampio  tratto  di  terreno,  e  di  eseguire  il  lavoro  con  sollecitudine,  cioè 
facendo  lavorare  contemporaneamente  tutte  le  compagnie  o  squadre. 

Questa  sollecitudine  di  lavoro  simultaneo,  che  doveva  essere  eseguito  dalle 
varie  squadre,  poteva  essere  imposta  da  mille  ragioni  che  noi  non  siamo  in  grado 
di  poter  determinare  con  sicurezza  ;  mentre  appariva  sommamente  probabile  che  la 
necessità  di  offrire  una  sede  stabile  e  sicura  ai  nuovi  sopraggiunti,  cioè  ai  coloni 
romani,  rendesse  necessario  di  procedere  colla  massima  prestezza,  opponendo  subito  i 
ripari  per  proteggere  dal  dilagare  dell'Adige  un  cospicuo  tratto  di  terreno,  il  quale, 
sia  per  i  bisogni  dell'agricoltura,  sia  per  altre  necessità  del  cresciuto  numero  degli 
abitanti,  si  fosse  dovuto  tenere  all'asciutto,  e  pienamente  difeso  dai  pericoli  dello 
straripamento  del  fiume. 

Del  resto  è  inutile  di  fantasticare  sui  motivi  che  avessero  imposto  la  esecuzione 
rapida  delle  arginature  nel  tratto  di  terreno  adiacente  alla  città  e  riserbato  per  gli 
usi  agricoli  e  pei  bisogni  edilizi  della  colonia.  Ci  bastano  i  documenti  che  abbiamo, 
per  riconoscere  che  il  lavoro  dovè  essere  eseguito  colla  massima  sollecitudine,  spartito 
in  tante  zone,  e  preposte  a  ciascuna  zona  speciali  autorità  che  sopraintendessero  alla 
esecuzione  dei  lavori,  affinchè  tutto  procedesse  in  piena  regola  e  colle  debite  garenzie 
per  il  municipio  o  per  l'Amministrazione  pubblica  al  cui  vantaggio  l'opera  era  diretta. 


II.  OSPEDALETTO  EUGANEO  —  Di  un'altra  lapide  relativa  alla 
stessa  arginatura  dell'Adige. 

Che  se  potrà  apparire  insufficiente  la  nostra  iscrizione  a  farci  ritenere  la  esistenza 
di  varie  compagnie  o  schiere  impiegate  per  la  sollecita  esecuzione  di  quest'arginatura 
dell'Adige,  possiamo,  in  conferma  della  esistenza  di  esse,  addurre  un  nuovo  impor- 
tantissimo documento  rappresentato  da  una  nuova  iscrizione. 


09PEDALETT0    EUGANEO  —    142    —  REGIONE   X. 

Veramente  non  potrebbesi  dir  nuova,  perchè  fu  scoperta  da  più  di  un  secolo  e 
pubblicata  varie  volte.  Ma  non  ne  fu  mai  compresa  la  vera  importanza,  né  mai  ne  fu 
dato  il  testo  esatto;  ed  è  merito  del  prof.  Prosdocimi  aver  mostrato  la  relazione 
intima  che  essa  ha  colì'epigrafe  di  Salotto  e  quindi  colle  arginazioni  dell'Adige. 

Questa,  che  per  intenderci  continueremo  a  chiamare  nuova  iscrizione,  leggevasi 
murata  sulla  casa  Magia  nella  villa  di  Ospedaletto,  e  quivi  ne  fu  tratto  l'apografo 
inesattissimo  che  servì  alla  pubblicazione  fattane  dall' Alessi  (Ricerche  isìorico- 
critiche  delle  antichità  di  Esle.  Padova,  1776,  pag.  188). 

Non  è  facile  di  immaginare  le  stranezze  alle  quali  diedero  luogo  la  pubblicazione  e 
la  interpretazione  di  questa  lapide,  non  ostante  che  se  ne  fosse  occupato  direttamente  lo 
stesso  Mommsen,  il  quale,  quando  preparava  la  pubblicazione  del  voi.  V,  part.  2a,  del 
G.  I.  L.,  volle  esaminare  egli  stesso  il  monumento  e  copiarlo.  E  per  copiarlo  andò 
al  Cataio,  dove  lo  accompagnò  lo  stesso  prof.  Prosdocimi.  Non  erano  state  ancora 
trasportate  a  Vienna  le  collezioni  del  Cataio  ;  ma  su  questo  non  è  qui  il  caso  di 
fermarsi. 

La  iscrizione  di  Ospedaletto,  sulla  quale  felicemente  tornò  il  Prosdocimi  quando 
si  occupò  della  iscrizione  di  Saletto,  era  spartita  in  tante  parti  quante  ne  aveva  la 
iscrizione  di  Saletto.  Essa  infatti  cominciava  col  nome  della  decuria  o  della  compagnia 
che  avrebbe  dovuto  eseguire  il  tratto  di  arginatura  che  da  essa  era  indicata  ;  portava 
i  nomi  dei  due  curatori,  il  nome  del  pignoratole,  il  numero  degli  uomini  che  formavano 
la  compagnia,  e  che  avrebbero  dovuto  compiere  il  lavoro;  indicava  inoltre  la  lunghezza 
del  tratto  di  argine  che  da  ciascun  operaio  avrebbe  dovuto  essere  compiuto,  ed  il 
totale  dei  piedi  dell'argine  stesso  che  avrebbe  dovuto  essere  eseguito  dalla  intiera 
squadra,  alla  quale  il  cippo  di  Ospedaletto  si  riferiva. 

Abbiamo  adunque  il  documento  di  una  seconda  compagnia  o  squadra  di  operai 
addetti  allo  stesso  lavoro  delle  arginature  dell'Adige;  e  se  dal  sito,  ove  si  trovò  il 
precedente  cippo  iscritto,  possiamo  dire  che  la  squadra  o  compagnia  a  cui  essa  si 
riferiva  può  chiamarsi  la  squadra  di  Saletto,  potremmo  chiamare  dal  nome  di  Ospe- 
daletto questa  compagnia  o  squadra  nuova  che  potremmo  anche  dire  seconda.  Tutto 
ciò  per  comodo  nostro  o  per  nostra  maggiore  intelligenza. 


Se  non  che,  mentre  per  la  prima  squadra  conosciamo  dalla  iscrizione  di  Saletto 
quale  ne  fosse  stato  il  nome,  essendosi  chiamata  come  sopra  è  stato  detto,  Decuria 
di  Quinto  Arrunzio,  per  questa  seconda  squadra,  alla  quale  si  riferisce  la  lapide  o 
cippo  di  Ospedaletto,  ci  rimaneva  oscuro  il  nome  antico. 

Il  Prosdocimi  non  esitò  a  chiamarla  Dec(uria)  Clod(ii)  A(uli)  Na(evii),  cioè 
compagnia  o  squadra  di  Clodio  Aulo  Nevio  ;  e  questa  denominazione  venne  accettata. 
Così  infatti  la  chiamò  lo  stesso  eh.  prof.  Emilio  Costa  che  sopra  ho  ricordato.  Si 
comprende  facilmente  che  in  certi  casi,  ed  in  questioni  di  ordine  assai  secondario, 
nessuno  penserebbe  a  fare  osservazioni  che  apparirebbero  superflue. 

Ma,  se  ben  si  considera,  questa  decuria  non  avrebbe  potuto  portare  il  nome 
di  Clodio  Aulo  Nevio,  come  il  prof.  Prosdocimi  aveva  supposto.  Già  dovremmo  dire 


REGIONE   X.  —    143   —  OSPEDALETTO   EOGANEO 

i  nomi,  perchè  Clodio  e  Nevio  sono  due  nomi.  E  se  si  volesse  per  un  momento 
ammettere  questa  duplicità  di  appellazione,  rimarrebbe  da  spiegare  come  mai  il  nome 
di  Clodio  non  avrebbe  avuto  l'onore  di  un  prenome;  ed  il  nome  di  Nevio,  scritto 
colla  semplice  prima  sillaba,  ci  avrebbe  dato  un  esempio  piuttosto  unico  che  raro.  Senza 
dire  che,  se,  per  quanto  riguarda  i  curatore»,  trovammo  nella  prima  lapide  che  uno 
di  essi  era  stato  lo  stesso  Q.  Arrunlius,  che  aveva  dato  il  nome  alla  decuria,  quante 
volte  qui  si  fosse  voluto  indicare  fra  i  euratores  anche  un  Nevio,  od  uno  dei  nomi  dei 
denomiuatori  della  squadra,  non  si  capisce  perchè  si  sarebbe  andato  a  cercare  un 
A(ulo),  coll'A  senza  punto,  mentre  uno  dei  euratores  era  Quinto  Nevio. 

Si  potrebbero  moltiplicare  i  minuziosi  dubbi;  ma  sarebbe  lo  stesso  che  perdere 
o  far  perdere  il  tempo,  mentre  nel  secondo  verso  della  lapide  si  manifestano  le  tracce 
di  una  I ,  colla  assoluta  mancanza  dei  punti  diacritici  fra  le  tre  lettere  che  seguono. 
Sicché  è  chiarissima  la  lezione  di  CLOD  |  IANA  ,  o  di  compagnia  o  squadra  Clodiana 
che  era  il  nome  di  questa  seconda  squadra,  ovvero  squadra  di  Ospedaletto. 

Intorno  a  queste  parole  manifestai  i  miei  dubbi  all'amico  prof.  Eugenio  Bormann, 
il  quale,  dovendo  tornare  a  Vienna,  fu  da  me  pregato  di  esaminare  la  lapide  originale 
che  non  era  conservata  più  nel  Museo  del  Cataio,  ma  con  tutte  le  altre  antichità 
del  Museo  stesso  era  stata  fatta  trasportare  a  Vienna  per  ordine  dell'arciduca  Fran- 
cesco Ferdinando. 


Se  non  che  rimaneva  nel  testo  della  lapide  di  Ospedaletto  un  altro  punto  incerto. 
Era  quello  che  si  riferiva  al  numero  dei  piedi  di  arginatura  che  avrebbero  dovuto 
essere  eseguiti  da  ciascun  operaio.  Era  detto  nella  lapide,  secondo  l'apografo  del 
Prosdocimi,  che  questi  piedi  dovevano  essere  27;  ma  doveva  esservi  aggiunta  una 
frazione,  e  di  questa  frazione  non  era  stato  riconosciuto  alcun  segno.  Il  Mommsen 
stesso  che  aveva  copiato  l'iscrizione  dalla  lapide  originale  nel  Museo  del  Cataio, 
pur  ritenendo  la  necessità  che  vi  fosse  una  frazione,  si  era  rassegnato  a  riconoscere 
che  questa  frazione  non  fosse  stata  espressa.  Egli  era  stato  costretto  ad  ammettere 
una  serie  di  false  conclusioni,  trascinatovi  dal  primo  errore  che  gli  faceva  ritenere 
l'iscrizione  per  sepolcrale. 

Ma  non  era  il  caso  di  fermarsi  ulteriormente  sopra  di  ciò,  mentre  anche  per 
questo  riguardo  mostravasi  la  necessità  di  consultare  l'originale.  Se  non  che  per 
questo  esame  dell'originale  le  difficoltà  erano  tanto  cresciute  da  sembrare  semplice 
ardire  il  solo  pensiero  di  riuscirvi.  Il  Museo  del  Cataio,  come  ho  detto  di  sopra,  per 
volere  dell'arciduca  Francesco  Ferdinando  di  Austrta  Este  era  stato  trasportato  a 
Vienna.  E  non  era  facile  di  potervi  accedere.  Inoltre  mi  si  diceva  che  nella  parte 
della  Corte  ove  il  Museo  del  Cataio  era  stato  trasportato,  la  nostra  lapide  trovavasi 
deposta  in  sito  di  pochissima  luce,  sicché,  anche  potendovisi  accedere,  sarebbe  stato 
impossibile  farne  una  buona  fotografia.  Però  fortuna  volle  che  io  mi  rivolgessi  all'amico 
prof.  Eugenio  Bormann,  il  quale,  riconoscendo  non  esser  possibile  di  ottenere  una  buona 
fotografia  della  nostra  lapide,  si  contentò  di  poterne  fare  due  calchi  cartacei,  uno 
in  carta  bagnata,  ed  un  altro  in  piombaggine.  E  mentre  il  prof.  Bormann  eseguiva  il 


OSPEDALETTO   EUGANEO 


—  144  - 


REGIONE    X. 


calco  in  piombaggine,  avvenne  il  fatto  che  naturalmente  si  mostrò  sorprendente,  com- 
parve cioè  vicino  alla  cifra  col  numero  dei  piedi,  la  frazione  del  quadrante  pel  quale 

la  leggenda  diventò  piena  ed  integra  come  vedesi 
nella  figura  2,  v.  10,  che  qui  se  ne  aggiunge.  Vi 


-r,— 


0ÌK-CLOD 
•!  AA/A<(V 

RENASI 
ì  VI  0-t;X Iti 

;  o.- piccai 

|  NT  USTI 
.    J_XXXV//i 

, "//N/'ri/vc 

.  Hf?)OXVHv 
i  SQPP 

;    ^c\iiu 


j 


.a» 


Fio.  2. 


si  legge: 

Dec(uria)  Clod  |  tana  Cu  \  r(a(oribus  Q(uinto) 
Nae  |  vio  L(ucio)  Sei  \  o  Pig(neratore)  C(aio) 
Antesti\o  S(umma  \h(ominum  \  LXXXVIII\in 
sing{ulos)  j  h{omines)  p(edes)  XX  VII  quadr antera  \ 
S{umma)  sp(eri)  \  p(edes)  \  <D  ©  CCC  \  XG  Vili. 

In  ordine  poi  alle  misure,  per  quanto  pos- 
siamo dedurle  dai  calchi,  il  cippo  ha  la  larghezza 
di  m.  0,30,  ed  il  suo  campo  epigrafico  è  alto 
m.  0,765.  Le  lettere  poi  sono  di  forma  che  po- 
trebbesi  dire  più  antica  di  quella  del  cippo  di 
Saletto,  in  questo  apparendo  la  E  di  forma  più 
classica,  mentre  nella  lapide  di  Ospedaletto  con- 
siste nelle  sole  due  asticelle  perpendicolari.  Ma 
non  si  può  far  questione  di  età,  essendo  ma- 
nifesto che  ambedue  le  iscrizioni  si  riferissero 
ad  opere  compiute  nello  stesso  tempo,  sicché  è 
a  ritenere  che  per  la  lettera  E.  ambedue  le  forme 
grafiche   fossero   allora  in  uso  simultaneamente. 

Riassumendo,  la  lapide  di  Ospedaletto  ha  tante 
parti  quante  ne  ha  la  lapide  di  Saletto.  ossia 
comincia  colla  indicazione  della  decuria  che  si 
intitolava  da  un  Clodio,  purissimo  nome  romano, 
quindi  decuria  Clodiana.  Ne  erano  curatores  un 
Q.  Naevius  ed  un  L.  Seius  ;  pigneralor  un  C.  An- 
testius;  il  numero  degli  uomini  e  degli  operai  che 
la  componevano  era  di  88,  ed  a  ciascun  operaio 
era  attribuito  un  lavoro  di  27  piedi  ed  un  quarto. 
Trattasi  di  argine  che  da  questa  squadra  Clodiana 
sarebbesi  dovuto  fare,  e  che  doveva  essere  di  2398 
piedi,  il  che  sarebbe  stato  corrispondente  a 
m.  2607,44,  pari  cioè  a  poco  più  di  2  chilometri 


e  mezzo. 
Giustamente   il   Prosdocimi   terminava  una   sua  Relazione  su   questa   scoperta, 
dicendo  che  con  ricerche  bene  condotte  si  potrebbero  rimettere  a  luce  le  altre  lapidi 
commemorative  delle  altre  sezioni  di  arginatura. 

P.  Barnabei. 


Regione  X.  —  145  —  éste 


III.  ESTE  —  Altre  scoperte  di  iscrizioni  latine  nel  territorio  di  Este. 

Nello  scavo  eseguito  a  cura  della  R.  Sopraintendenza  ai  monumenti,  sulla  som- 
mità del  colle  del  Castello,  per  studiare  i  ruderi  del  castello  marchionale,  si  scoprì 
messo  iu  opera  in  un  grandioso  muro,  formato,  nella  sua  totalità,  di  conci  marmorei  e 
trachitici,  un  frammento  di  lapide  di  marmo  di  Verona,  lungo  m.  0,75  e  alto  m.  0,27, 
che  porta  inciso  in  belle  lettere  del  periodo  Augusteo  il  seguente  resto  di  iscrizione: 


.  GENIO  •  AVG  •  COLL 

.  VBENIO  •  C  •  F  •  ROM   LA 

. .  VBC-RVBENIVSC-F-PA 
ME 


Il  nome  Rubenius  è  molto  raro  nella  onomastica  latina;  una  gens  Rubenia 
doveva  però  vivere  e  godere  di  una  certa  notorietà  in  Ateste,  donde  già  si  ebbero 
due  iscrizioni  di  essa  ('),  Le  innumerevoli  iscrizioni  sepolcrali  urbane  non  danno  un 
Rubenius;  un  esempio  se  ne  ha  invece  in  una  iscrizione  cristiana  conservata  nel 
monastero  di  Montecassino  (*). 

Nei  lavori  di  allargamento  del  fabbricato  della  stazione  della  ferrovia,  nello 
scavo  fatto  per  la  fondazione  di  un  edificio  destinato  a  magazzino,  gli  operai  scopri- 
rono, alla  profondità  di  m.  1,50  dal  piano  di  campagna  una  stele  di  pietra  d'Istria, 
che  giaceva  rovesciata. 

Ha  forma  rettangolare,  con  riquadratura  incorniciata,  zoccolo  di  abbassamento 
che  mostra  la  traccia  dell'appendice  rastremata  la  quale  doveva  esser  introdotta  nella 
base,  ed  è  sormontata  da  un  timpano,  racchiudente  una  stella  a  sei  raggi,  fiancheg- 
giato da  due  acioteiì  stilizzati  a  palmetta.  Misura  in  altezza  m.  1,50  X  0,73  X  0,18. 
Nella  riquadratura  è  scolpita  con  belle  lettere  del  periodo  Augusteo  la  seguente 
iscrizione  sepolcrale  : 

Q-  MAGIO-  QF- 
ROMM ACRO 

EX  •  P~R  •  SPECVL  E 
MVTTIALFPRISG 

VXO  R  ■  VIVA 

POSVITSIBI 
ET- SVIS 

Questa  stele  aggiunge  un  nuovo  titolo  militare  a  quelli  già  conosciuti  nella 
colonia  militare  di  Ateste,  ricordando  lo  speculalor  delle  coorti  pretorie  Q.  Magio 
Macro.  La  linea  3  non  può  leggersi  infatti  se  non  ex  praet(orio)  speculator.  La 
formola  abituale  sarebbe  speculator  cohortis  eius  praeloriae;  mala  nostra  formola 
può  essersi  modellata  sul  tipo  delle  parallele  veteranus,  misticius,  evocatus  ex  coh. 

(')  0.  /.  L.  V,  2529  e  2607. 
(')  C.  I.  L.  X,  5330. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  20 


BAONE  —    146   —  REGIONE   X. 

praet.  Un  utile  raffronto  porge  anche  la  dizione  di  un  diploma  militare  di  Vespa- 
siano: nomina  speculatorum  qui  in  praetorio  meo  militaverunt  ('). 

A  poca  distanza  dal  sito  dorè  si  rinvenne  la  stele,  si  misero  in  luce  due  tombe 
a  cremazione  al  riparo  di  embrici  e  di  lastre  calcaree,  che  contenevano  modesta  sup- 
pellettile di  età  romana,  la  quale  per  l'imperizia  degli  sterratori  venne  in  gran 
parte  frammentata.  Furono  ricuperati:  un  ossuario  fittile  di  rozzo  impasto  rossiccio 
a  forma  di  olla;  un  balsamario  fittile;  i  frammenti  di  alcuni  vasetti  di  vetro  ver- 
dognolo, e  un  medio  bronzo  di  Augusto  (il  nome  del  triumviro  è  illegibile). 

Venne  acquistata  dalla  Direzione  del  Museo  un'edicoletta  di  marmo  greco, 
scoperta  da  molti  anni  in  contrada  Salute,  alta  m.  0,45X0,22X0,13.  Due  pila- 
strini, sormontati  da  capitello,  reggono  superiormente  un  timpano,  che  ai  lati  ter- 
mina con  acroterì.  Dentro  la  nicchia,  scolpita  ad  alto  rilievo  è  la  figura  di  Cibele 
sedente.  Tiene  nella  mano  destra  il  tympanum  e  nella  sinistra  la  patera.  Ha  sui  gi- 
nocchi accovacciato  un  piccolo  leone  e  porta  sul  capo  il  calathus  dal  quale  scende 
un  velo  i  cui  lembi  le  ricoprono  le  spalle. 

11  lavoro  di  scoltura  è  mediocre,  ed  è  danneggiato  da  scheggiature  e  da  abrasioni. 

A.  Alfonsi. 


IV.  BAONE  —  Scoperta  di  un  frammento  di  lapide  sepolcrale 
romana  atestina  copiata  e  descritta  dal  benemerito  prof.  A.  Prosdocimi 
e  rimasta  finora  inedita. 

In  Valle  dell'Abate,  sito  montuoso  del  Comune  di  Baone,  distretto  di  Este, 
praticandosi  lo  spurgo  di  una  concimaia,  nel  muro  della  stalla,  a  cui  è  aderente, 
si  scoprì,  usato  come  materiale,  un  interessante  frammento  di  lapide  romana. 

Il  nob.  sig.  Francesco  Franceschetti,  ispettore  pei  monumenti  e  scavi,  proprie- 
tario di  quella  casa  rurale,  si  affrettò  a  darmi  avviso  della  scoperta,  invitandomi 
ad  accedere  sul  luogo.  Con  mia  soddisfazione  rilevai  essere  quello  il  frammento  di 
un  pregevole  titolo  sepolcrale  militare. 

L'egregio  sig.  Franceschetti,  dotto  ed  appassionato  cultore  delle  cose  patrie,  con 
tutta  cura  lo  fece  smurare  e,  con  encomiabile  atto  di  generosità,  ne  fece  dono  al  patrio 
Museo,  ove  figura  nella  ricca  collezione  lapidaria  atestina  della  sezione  romana. 

Il  frammento  è  in  marmo  biancastro  di  Verona,  alto  m.  0,36,  largo  m.  0,46, 
collo  spessore  di  m.  0,22;  interamente  rotto  all' ingiro.  Vi  si  leggono,  in  cinque 
linee,  ed  in  buoni  caratteri,  i  seguenti  resti  d'inscrizione: 

d  m 

S««M   V    N/    ti 
wiARCELLINl  •  Niilit 
cOHORT-  XIIiIVRBAN 
S«M  P  RO  Ni  A  M  A  R  C  E  L 
lina  -MATER  ¥  IL  io 

jsIENTISS    •       F 

(•)  G.I.L.  Ili,  Dipi.  X. 


REGIONE    Vili.  147    —  BOLOGNA 

Nella  ragguardevole  serie  di  lapidi  militari  atestine,  in  una  soltanto  è  fatto 
ricordo  di  altro  milite  di  coorte  urbana,  di  Atheste  e  della  tribù  Romilia,  cui  la 
nostra  colonia,  a  detta  degli  storici,  la  più  importante  della  Gallia  transpadana, 
era  ascritta.  Conservavasi  in  Roma,  nel  palazzo  dei  conservatori. 

La  ricordano:  il  Mommsen  (G.  I.  L.  VI,  3884)  e  il  compianto  nostro  cav.  doti 
Giacomo  Pietrogrande,  nella  sua  lodata  opera  Ateste  nella  milizia  imperiale,  Venezia, 
Visentini,  1888.  pag.  111. 

Prima  di  chiudere  questa  breve  nota  devo  un'osservazione  su  questo  marmo  di 
Val  dell'Abate. 

Esaminandolo,  a  prima  giunta,  leggesi  nella  3*  linea  il  numero  della  coorte  urbana, 
espresso  col  romano  XII  •  I .  Devo  però  notare  che  nello  spazio  vuoto,  tra  la  seconda  e 
la  terza  asta,  e'  è  posto  anche  per  un'altra,  e  traccia  di  questa  si  nota  nella  fotografia. 

Concludendo,  a  mio  avviso  la  coorte  urbana,  cui  apparteneva  Sesto  Munazio 
Marcellino  era  la  XIIII.  Questo  dato  può  fornire  un  indizio  cronologico.  Nei  primi 
tempi  dell'  Impero  le  coorti  urbane  erano  tre  e  portavano  i  numeri  X ,  XI  e  XII  in 
continuazione  del  numero  delle  nove  coorti  pretoriane  (Tac,  Ann.,  IV,  5).  Caligola 
e  Claudio  elevarono  a  dodici  le  coorti  pretorie  (l),  e  allora  furono  cambiati  i  numeri 
d  ordine  delle  urbane,  per  le  quali  sotto  Claudio  si  ha  certa  memoria  ad  es.  della 
coorte  XV  urbana  (').  Si  ebbero  poi  altre  riduzioni  e  aumenti  nel  numero  delle  coorti 
di  queste  milizie,  sicché  più  volte  potè  parlarsi  di  una  coorte  XIV  urbana.  Il  docu- 
mento datato  più  antico,  che  la  ricordi,  è  l' iscrizione  C.  /.  L.  X,  5829,  dell'età  di 
Traiano  ;  ma  la  nostra  epigrafe,  per  la  bellezza  dei  suoi  caratteri,  molto  meglio  sembra 

convenire  al  tempo  delle  riforme  di  Claudio. 

A.  Prosdocimi. 


Regione  Vili  (CISPADANA). 

V.  BOLOGNA  —  Scoperta  di  pavimenti  romani  in  valle  di  Savena. 

A  circa  9  chilometri  da  Bologna,  sulla  via  nazionale  Bologna-Firenze,  nella 
località  denominata  Fornace  di  Sesto  e  precisamente  nel  fondo  Vegetti,  nel  cavare 
da  un  poggio  di  terra  argillosa  il  materiale  necessario  alla  vicina  fabbrica  di  laterizi, 
furono  rinvenuti  avanzi  di  pavimenti  romani. 

Avvertito  della  scoperta,  mi  recai  sul  sito  per  incarico  del  direttore  degli  scavi 
per  l'Emilia  e  per  le  Marche,  e  subito  mi  posi  a  perseguire  le  tracce  dell'edilìzio  che 
quivi  sorgeva. 

Sventuratamente,  i  lavori  di  scavo  per  l'estrazione  dell'argilla  avevano  ormai 
abbattuto  gran  parte  del  poggio,  facendo  rovinare  in  basso  anche  le  fondamenta  del 
fabbricato.  E  quando  questo  Ufficio  fu  avvertito,  poco  più  rimaneva  da  investigare. 

Nel  primo  accesso  sul  luogo  si  potè  constatare  la  presenza  di  due  pavimenti 
contigui  ma  a  diverso  livello,  dei  quali  quello  a  monte   (che  si  elevava  di  ottanta 

(')  Mommsen,  in  Hermes,  XIV,  pag.  34. 
(•)  C.  I.  L.  X,  1765,  6443,  7863,  7952. 


BOLOGNA 


—    148    — 


REGIONE    Vili. 


centimetri  sopra  il  piano  dell'altro)  era  ad  opus  spicatum,  mentre  l'altro  era  a  mat- 
tonelle esagonali. 

Il  primo  era  assai  superficiale,  e  a  ciò  si  deve  se  quanto  non  rovinò  in  basso  per 
l'estrazione  dell'argilla  sottostante,  fu  quasi  totalmente  guastato  dai  lavori  agricoli. 
Perciò  non  se  ne  potè  determinare  l'area. 

Si  potè  invece  riconoscere  l'area  del  pavimento  ad  esagoni  (m.  1,80X2,40), 
perchè  di  questo,  sebbene  fosse  similmente  distrutto  per  gran  parte,  si  conservavano, 


Fio.  1. 


fatti  di  mattoni  comuni,  i  muri  perimetrali  o,  meglio  a  dire,  le  fondazioni  dei  muri 
con  parte  dei  filari  di  sopraelevazione  (fig.  1). 

E  qui  ricorderò  che,  nel  mettere  allo  scoperto  tutto  questo  pavimento,  si  incon- 
trarono manifeste  tracce  di  combustione  e  ciliari  segni  del  crollamento  dell'edilìzio, 
presentandosi,  nelle  macerie  che  colmavano  l'ambito  di  quei  muri,  uno  strato  grosso 
circa  m.  0,30,  comprendente  terra  fortemente  arrossata,  residui  di  legname  carbo- 
nizzato, pezzi  di  intonaco  e  frammenti  di  embrici  e  di  coppi. 

Il  pavimento  ad  esagoni,  come  ho  detto,  era  per  gran  parte  distrutto,  presen- 
tando una  lacuna  che,  dalla  regione  centrale,  si  estendeva  fino  all'angolo  ovest. 

Esso  aveva  lo  spessore  di  m.  0,28  e  si  componeva  di  tre  strati  il  primo  dei  quali 
era  di  mattonelle  esagonali,  il  secondo  di  calcestruzzo,  il  terzo  di  ciottoli  (')."  Posava 

(')  Anche  lo  spicato  dell'ambiente  superiore  aveva  il  doppio  sottostrato  di  calcestruzzo  e 
ciottoli;  più  sotto  seguiva  immediatamente  il  terreno  naturale. 


REGIONE    Vili. 


—  149  — 


BOLOGNA 


sopra  un  pavimento  ad  opus  spicatum  composto  di  due  strati,  il  primo  di  mattonelle 
e  il  secondo  di  calcestruzzo. 

Anche  questo  pavimento  inferiore  era  assai  guasto,  tantoché  mancava  di  gran 
parte  delle  mattonelle,  e  da  un  lato,  quasi  a  rattoppo,  mostrava  alcuni  mattoni 
comuni.  Esso,  come  il  superiore,  si  incorniciava  e  orientava,  per  le  mattonelle  che  lo 
componevano,  con  gli  stessi  muri  perimetrali. 

Ma  il  maggiore  interesse  del  pavimento  inferiore  consisteva  nel  fatto  che  esso 
portava  incastrata  una  bacinella  emisferica,  di  terracotta,  larga  alla  bocca  m.  0,34  ; 


Fio.  2. 


la  quale,  opportunamente   ritagliata  nell'orlo,   così  da  non  emergere  dal  piano  del 
pavimento,  s'affondava  nel  sottosuolo  per  m.  0,25  (tìg.  2). 

Tale  bacinella,  così  incastrata,  richiama  assai  alla  memoria  due  bacinelle  di 
Luogosano  (prov.  di  Avellino)  che  similmente  erano  incastrate  in  due  pavimenti,  l'uno 
all'altro  sovrapposti  (');  ma  più  stringente  apparisce  il  confronto  con  altri  rinvenimenti 
del  Bolognese  e  del  Modenese.  Poiché  la  nostra  bacinella  di  Sesto  non  si  trovava 
al  centro  dell'ambiente,  ma  essa  era  discentrata  ed  avvicinata  ad  uno  dei  lati  lunghi, 
come  cioè  si  riscontrò  nel  pavimento  in  Bologna,  al  nuovo  Mercato  del  bestiame 
fuori  porta  S.  Felice  (2),  e  in  altro  del  Modenese,  già  esistente  sopra  la  terramara 
di  Gorzano  (3). 

(')  Notizie,  1901,  pag.  333  e  segg. 
(a)  Notizie,  1897,  pag.  45,  fig.  1. 

(3)  Coppi,   Monografia  ed  iconografia  della  terra    cimiteriale  o  terramara    di   Gorzano, 
tav.  Ili  n°  2, 


BOLOGNA  —    150   —  REGIONE   Vili. 

Nei  varii  casi  ora  citati  si  osserva  il  sistema  a  doppio  pavimento,  una  cosa  che 
ha  il  suo  riscontro  anche  nella  scoperta  di  Sesto.  Seuonchè  i  due  esempì,  ora  da  ultimo 
citati,  ci  mostrano  che  la  bacinella  si  affondava  dal  pavimento  superiore  nell'infe- 
riore. Qui  invece  noi  la  vediamo  affondarsi  nel  sottosuolo  dall'inferiore;  e  quanto 
al  superiore,  non  possiamo  dire  come  fosse  disposto  nella  parte  che  sovrastava  a  quella 
bacinella,  in  causa  appunto  della  lacuna  che  esso  ivi  presenta. 

Una  cosa  però  mi  pare  evidente  osservando  il  cattivo  stato  di  conservazione 
del  pavimento  inferiore,  ed  è  che  i  due  pavimenti  non  sono  contemporanei  e  che 
l' inferiore,  ad  opus  spicatum,  dopo  aver  subito  rattoppi,  venne  sostituito,  ad  un  livello 
superiore,  dall'altro  di  mattonelle  esagonali. 

Quanto  a  questo  ambiente  dai  due  pavimenti,  osserverò  che  esso  era  attiguo  ma 
non  comunicante  con  l'altro  ambiente  a  monte,  e  che  esso  si  mostrava  perfettamente 
isolato  sopra  gli  altri  lati.  Né  ciò  farà  meraviglia,  quando  si  ricordi  che,  in  cor- 
rispondenza a  quanto  si  manifestò  a  Gorzano,  intorno  all'ambiente  scoperto  a  Bologna 
fuori  porta  S.  Felice  il  prof.  Brizio  non  trovò  nessuna  traccia  sia  di  muri,  sia  di 
pavimenti,  così  da  dover  giudicare  che  esso  «  non  faceva  parte  né  di  una  villa,  né 
di  una  casa  romana,  ma  sorgeva  isolato  ed  aveva  una  speciale  destinazione  che  per 
ora  rimane  sconosciuta  »   ('). 

Che  anzi  la  piena  corrispondenza  del  nostro  coi  due  ambienti  isolati  ora  citati 
è  ragione  ad  imporci  il  massimo  riserbo  nel  giudicare  della  destinazione  delle 
costruzioni  romane  scoperte  a  Sesto;  per  le  quali  (se  non  fosse  la  difficoltà  di  tale 
ambiente  già  comparso  isolatamente)  il  luogo  ameno  sopra  a  un  poggio  in  prospetto 
al  fiume  ci  avrebbe  indotti  a  pensare  volentieri  a  una  villa  romana. 

Comunque  sia,  questa  è  la  prima  scoperta  di  antichità  romane  lungo  il  Savena; 
e  la  medesima,  mentre  giova  ad  aumentare  le  nostre  cognizioni  rispetto  alla  diffu- 
sione presa  dai  Romani  nella  nostra  provincia,  può  giovare  altresì  a  lasciar  supporre 
che  lungo  il  Savena  corresse  una  strada  romana;  della  quale  il  sopravissuto  nome 
di  Sesto  potrebbe  ricordare  una  stazione  al  sesto  miglio  appunto  da  Bologna. 

Esempì  di  tali  sopravvivenze  non  sono  rari  (ved.  ad  es.  Sesto  fiorentino,  Sesto 
cremonese  ecc.,  senza  dire  di  altri  nomi  da  numerali  diversi);  ma  a  tal  proposito  è 
ancor  più  interessante  il  poter  citare  due  stazioni  ad  sextum  (se.  ntilliarium)  della 
Tabula  Peulingeriana,  l'una,  a  sei  miglia  da  Roma,  sulla  via  Clodia,  l'altra,  a  sei 
miglia  da  Siena  (*),  sulla  strada  che  conduce  al  Tirreno. 

A.  Negrioli. 

(•)  Notizie,  1897,  pag.  46. 

(*)  Desjardins,  La  table  de  Peutinger  etc,  pag.  146  «ad  sextum  .XVI  m.  n  (sans  doute  pour 
VI,  9  k)  de  Sena  Julia. 


REGIONE   Vili.  —    151    —  MONZtJNO 


VI.  MONZUNO  —  Tombe  scoperte  in  contrada  Ga'  Nova  nel  comune 
di  Monzuno  in  provincia  di  Bologna. 

Avvertito  dal  sig.  Giulio  Barberi  che  alla  Cà  Nova  presso  Vado  (comune  di 
Monzuno)  in  una  proprietà  del  sig.  Gaetano  Calzolari,  si  erano  scoperte,  in  occasione 
di  lavori  agricoli,  due  tombe  ad  umazione,  mi  recai  alla  Cà  Nova  per  osservare  il 
luogo  della  scoperta  e  a  Vado  per  esaminare  gli  oggetti  del  corredo  funebre  che  il 
proprietario  teneva  presso  di  sé.  Già  per  tre  monete  di  bronzo,  corrose  e  non  iden- 
tificabili nel  tipo,  esibitemi  dal  sig.  Barberi,  mi  ero  persuaso,  prima  di  recarmi  sul 
luogo,  che  si  trattava  di  tombe  romane. 

Sul  sito  trovai  un  giovine  contadino  dal  quale  mi  feci  mostrare  il  luogo  dove 
erano  state  scoperte  le  due  tombe.  Si  tratta  di  un  terreno  in  declivio,  presso  il  fab- 
bricato della  Cà  Nova,  che  in  un'estensione  di  m.  7  X  7  mostra,  sparsi  e  scarsi,  fram- 
menti di  terracotta  pertinenti  a  vasi  romani  comuni. 

I  due  scheletri,  secondo  il  riferimento  del  contadino,  posavano  nella  nuda  terra, 
giacendo  supini,  con  la  testa  a  ponente,  alla  profondità  di   m.  0,25. 

Siccome  però  gli  oggetti  erano  conservati  a  Vado  presso  il  proprietario  del  fondo, 
e  da  lui  potevo  sperare  di  avere  ulteriori  notizie  sulla  scoperta,  mi  recai  a  Vado 
dal  sig.  Calzolari. 

Gli  oggetti  che  vidi  presso  il  Calzolari  sono:  una  lucerna  in  terracotta,  con 
maschera  comica  al  centro  e  col  noto  bollo  FORTIS;  un  vasetto  ovoidale  di  rozzo 
impasto,  alto  m.  0,08,  presso  alla  base  decorato  di  quattro  file  di  steccature  oblique  ;  e 
due  dei  soliti  lacrimatoi  in  vetro  a  goccia  oblunga. 

Dal  sig.  Calzolari  non  potei  raccogliere  alcuna  notizia  sulla  distribuzione  di 
questa  scarsissima  suppellettile  presso  i  due  scheletri. 

Dall'  insieme  del  materiale  esaminato  si  può  dedurre  che  le  due  tombe  fossero 
del  primo  secolo  dell'Impero. 

II  sito  delle  tombe  è  vicino  (200  metri)  alla  strada  per  Castiglione  de'  Popoli  ; 
e  poiché  si  rinvennero  già  in  passato  segni  di  antica  abitazione  lungo  detta  strada 
(ved.  L'Appennino  bolognese,  del  Club  alpino  italiano,  pag.  600),  non  fa  meraviglia 
di  trovare  qui  tombe  romane.  Esse  erano  di  abitanti  del  luogo,  sepolti  in  re  sua, 
in  praedio  suo,  come  quelli  di  Castenaso,  le  cui  tombe  descrissi  nelle  Notizie,  1906, 
p.  113  e  segg. 

A.  Negriom. 


RAVENNA 


—    152   — 


REGIONE   Vili. 


VII.  RAVENNA  —  Sepolcreto  di  bassi  tempi  imperiali,  scoperto 
presso  la  basilica  di  S.  Apollinare  in  Classe. 

Sul  principio  dell'agosto  del  1914  perveniva  alla  Sopraintendenza  degli  Scavi  del- 
l'Emilia la  notizia  che  nel  cortile  della  casa  parrocchiale  di  S.  Apollinare  in  Classe 
presso  Kavenna  si  era  scoperta,  alla  profondità  di  m.  2,  una  tomba  romana  «  entro 
anfore  »  ;  al  che  aveva  dato  occasione  un  piccolo  scavo  per  un  pozzo. 

Acceduto  sul  luogo  per  incarico  del  sopraintendente,  constatai  che  si  trattava  di 
una  tomba  costituita  da  segmenti  d'anfora,  incastrati  a  cannocchiale,  del  tipo  di  altre, 


FlG.  1. 


scoperte  similmente  a  Classe,  nel  1903  e  appartenenti  al  noto  sepolcreto  del  fondo 
Cà  Lunga  che  il  Brizio  descrisse  nelle  Notizie  degli  scavi  1904  a  pag.  177  e  segg. 
e  riferì  alla  metà  del  V  secolo  d.  Cr. 

In  detta  tomba  non  si  rinvennero  che  resti  di  uno  scheletro  incombusto. 

Poiché  era  da  attendersi  che  detta  tomba  facesse  parte  di  un  sepolcreto  e  poiché 
l'ubicazione  del  rinvenimento  dava  la  speranza  di  scoperte  di  non  lieve  momento  ('), 
proposi  ed  ottenni  dal  sopraintendente  di  fare  un  saggio  di  scavo  intorno  alla  tomba 
fortuitamente  scoperta. 

Accordatomi  con  la  Sovraintendenza  dei  monumenti  di  Ravenna  riguardo  alla 
zona  di  rispetto  per  la  basilica  e  tenuto  conto  della  posizione  degli  altri  fabbricati 
circostanti  al  cortile,  ordinai  nel  cortile  stesso  due  trincee  che  s'incontravano  ad 
angolo  retto  nel  punto  ove  era  avvenuta  la  scoperta  casuale  (ved.  fig.  1)  :  la  prima  che, 

(l)  Ved.  Muratori,  //  piccolo  sarcofago  inscritto  di  S.  Apollinare  in  Classe,  in  «  Felix  Ra- 
venna 1918  ». 


REGIONE    Vili. 


—    153 


RAVENNA 


avanzandosi  per  10  metri  verso  la  basilica,  si  arrestava  a  m.  8  dal  fianco  destro  di 
questa;  la  seconda,  di  m.  5,50  per  2,00,  con  direzione  parallela  alla  chiesa  stessa. 

Oltre  alla  tomba  casualmente  scoperta  (a),  se  ne  scopersero,  per  questo  scavo, 
altre  16;  le  quali  erano  situate  a  una  profondità  tra  i  m.  1,80  e  i  2,25. 

Nel  sepolcreto  erano  rappresentati  varii  tipi  di  tombe  (ved.  figg.  2  e  3)  ;  poiché 
mentre  alcune  —  e  veramente  la  maggior   parte  —  erano  a  cassa  rettangolare   con 


Fio.  2. 


pareti  e  coperture  di  mattoni,  altre  erano  ad  anfora  (XIV  e  XVI),  altre  del  noto 
tipo  detto  alla  cappuccina  (III  e  XV),  e  infine  un'altra  (I)  presentava  una  cassa  di 
mattoni  sormontata  da  coperchio  alla  cappuccina. 

Ciascuna  delle  due  tombe  ad  anfora  consisteva  di  un'anfora  sola,  spezzata  per 
l' introduzione  del  cadavere  ;  il  quale,  a  giudicare  dai  resti  trovati,  doveva  essere  di 
un  fanciullo  nella  XIV  e  di  un  adolescente  nella  XVI. 

Nelle  due  tombe  alla  cappuccina,  contenenti  ciascuna  uno  scheletro  lungo  m.  1,50 
con  la  testa  a  nord,  non  c'è  alcun  particolare  da  notare,  salvochè  in  una  (la  III)  il 
cadavere  posava,  oltreché  col  corpo  su  un  letto  di  tegole,  col  capo  sopra  un  fram- 
mento di  embrice. 

Fra  le  undici  tombe  a  cassa,  due  (IV  e  VII)  erano,  come  rivelano  già  le  piccole 
dimensioni,  per  fanciulli,  mentre  le  altre  nove  mostravano  di  appartenere  ad  adulti. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  21 


RAVENNA 


—  154 


REGIONE   Vili. 


Di  queste  nove  tombe,  appena  una  (la  XI)  conteneva  un  solo  scheletro  ;  nelle 
altre  invece,  insieme  con  uno  scheletro  quasi  sempre]  regolarmente  disposto  e  più  o 
meno  conservato,  apparvero  resti  di  scheletri  scomposti,  talora  così  numerosi  che  in 
una  tomba  sola  (la  II)  si  arrivò  a  contare  fino  a  6  teschi. 


Fio.  3. 


Anche  nella  tomba  I,  che  sopra  alla  cassa  rettangolare  si  chiude  con  una  coper- 
tura alla  cappuccina,  riscontraronsi,  oltre  allo  scheletro  di  un  adolescente,  ossa  di  uno 
scheletro  di  adulto  ammucchiate  presso  una  parete. 

È  pertanto  chiaro  che,  come  questa  I,  così  quelle  tombe  a  cassa  servirono,  come 
tombe  di  famiglia,  a  successive  deposizioni. 

Come  si  vede  dalla  pianta  del  sepolcreto,  la  direzione  delle  tombe  non  è  costante, 
essendoché,  mentre  alcune  mostrano  un'esatta  orientazione  da  ovest  ad  est,  o  s'aggi- 


REGIONE    Vili.  —    155    —  RAVENNA 

rano  intorno  a  tal  direzione,  altre  si  orientano  più  o  meno    esattamente  secondo  la 
direzione  sud-nord. 

Nella  costruzione  delle  tombe  notai  F  impiego  di  un  materiale  molto  vario  ;  e 
infatti,  non  soltanto  si  osserva  che  allato  a  un  materiale  tardivo  e  scadente,  che 
mostrasi  specialmente  nelle  tombe  alla  cappuccina,  furono  adoperati,  ora  interi  ora 
frammentari,  mattoni  di  ottimi  tempi  —  fra  i  quali  sono  notevoli  parecchi  pezzi  di 
forma  quadrata  (cm.  55  X  55)  usati  per  le  coperture  delle  tombe  a  cassa  e  special- 
mente qualche  pezzo  che  è  fornito  del  noto  bollo  di  fabbrica  CARTORIAN  (ved. 
C.  I.  L.  XI,  6678)  — ,  ma  notasi  altresì  che  una  delle  tombe  a  cassa  (la  li)  era 
coperta  da  una  lastra  di  marmo  bianco  della  misura  di  m.  2,20  X  0,80. 

Benché  le  tombe  non  mostrassero  tracce  di  depredazione,  non  si  trovò  in  esse 
verun  oggetto,  salvo  nella  I,  ove  presso  al  braccio  sinistro  dello  scheletro  della 
seconda  deposizione  si  rinvennero  frammenti  di  un'armilletta  a  fettuccia  in  osso, 
coperta  di  ossido  di  bronzo,  decorata  di  striature  e  punteggiature. 

Quest'unico  oggetto  ('),  che  ha  ornati  non  véramente  specifici  ma  certamente  non 
repugnanti  ai  tardi  tempi  imperiali,  la  frequenza  dei  riscontri  che  si  possono  istituire 
fra  i  tipi  di  tombe  messi  in  luce  qui  e  nel  sepolcreto  del  fondo  Cà  Lunga  sopra- 
mentovato —  ove  si  rinvenne  uno  strato  inferiore  situato  a  circa  m.  2  di  profondità 
come  l'unico  strato  qui  scoperto  —  e  l'uso  promiscuo,  nella  costruzione  delle  tombe, 
di  materiale  vario,  per  gran  parte  raccogliticcio,  portano  certamente  a  riferire  a  tempi 
bassi  le  tombe  ora  scoperte  ;  ma  dichiaro  che  sarebbe  imprudente  voler  affermare  la 
contemporaneità  di  questo  sepolcreto  con  quello  di  Cà  Lunga. 

La  grande  trincea  pose  in  luce,  sul  lato  meridionale,  un  muro  di  mediocre  costru- 
zione (A  B)  che  si  ripiega  ad  angolo  retto  sotto  la  sponda  sud  ;  e  nella  stessa  trincea, 
sul  lato  nord,  lo  scavo  mise  allo  scoperto  un  muro  (C  D)  di  costruzione  tardiva  —  sopra 
cui  s'impostò  recentissimamente  un  altro  muro  —  con  andamento  est-ovest,  fornito 
di  uno  sperone  (E)  sul  lato  meridionale. 

Neil'  intercapedine  tra  questo  muro  e  la  sponda  settentrionale  della  trincea  parve 
di  poter  riconoscere  sul   fondo  altre  vestigia  di  tombe  (non  segnate  nella  ng.  1). 

Sarebbe  stato  molto  desiderabile  di  poter  estendere  l'investigazione  del  sepol- 
creto col  prolungare  ancora  la  trineea  verso  nord  ;  ma  a  ciò  aveva  fatto  divieto  fin  da 
principio  la  Sovraintendenza  di  Ravenna,  in  relazione  alla  stabilità  della  basilica. 

Quanto  al  muro  C  D  che  per  il  carattere  della  sua  costruzione,  per  la  vici- 
nanza della  basilica  e  per  il  suo  andamento  parallelo  ai  lati  lunghi  della  chiesa 
vien  fatto  volontieri  di  porre  in  correlazione  con  la  chiesa  stessa,  esprimo  il  voto 
che  a  tempo  opportuno,  d'accordo  con  la  Sovraintendenza  dei  monumenti  di  Ravenna, 
si  possa  curare  l'investigazione  della  sua  prosecuzione,  potendosi  da  tale  indagine 
aspettare  importanti  rivelazioni  relative  alla  storia  di  quella  basilica. 

A.  Negrioli. 

(')  Non  voglio  omettere  di  ricordare  che  in  prossimità  della  tomba  XVI,  all'estremità  orien- 
tale della  trincea,  si  trovo  altresì  un  orciuolo  monoansato  di  terra,  alto  cm.  16.  Ma  questo,  se  pur 
fosse  da  porre  in  relazione  con  detta  tomba,  non  potrebbe,  per  assenza  di  caratteri  specifici,  portar 
alcun  contributo  alla  determinazione  dell'età  del  sepolcreto 


COPPARO  —    156    —  REGIONE    Vili. 


Vili.  COPPARO  —  Scoperta  di  tombe  romane. 

Nel  territorio  d'Ambrogio,  Comune  di  Copparo,  avvenue  lo  scorso  maggio  la 
scoperta  di  alcune  tombe  romane,  una  nel  fondo  Dossetti  di  proprietà  del  dott.  Ercole 
Padovani,  quattro  nei  terreni  del  Consorzio  della  grande  Bonifica  Ferrarese  e  vera- 
mente nelle  sponde  della  Fossetta  di  Piumana. 

A  quanto  seppi  da  informazioni  assunte  sul  luogo,  le  tombe  erano  a  cassetta, 
costituite  da  mattoni  comuni,  con  embrici  per  copertura,  e  furono  trovate,  quella 
del  dott.  Padovani  a  cm.  40,  e  le  altre  circa  a  m.  1,50  di  profondità. 

Presso  al  dott.  Padovani,  nella  sua  casa  di  campagna  a  Cesta,  esaminai  gli 
oggetti  che,  secondo  la  dichiarazione  dell'  inventore,  trovavansi  nella  tomba  del  fondo 
Dossetti. 

E  questi  oggetti  sono:  Terracotta.  Un'anfora  segata  all'altezza  del  collo,  che 
già  aveva  contenuto  ossa  combuste  ;  un'urna  biansata;  alcune  brocchette  a  corpo  sfe- 
rico; una  ciotola  aretina  con  timbro  {in  pianta pedis)  a  lettere  consunte:  M(?)-SPA. . .; 
un  fondo  di  piatto  aretino  con  timbro  molto  consumato.  —  Vetro.  Un  bicchiere 
quasi  cilindrico,  alto  circa  cm.  7  ;  un  bicchiere  a  pan  di  zucchero,  cioè  arrotondato 
nell'estremità  più  ristretta;  una  brocchetta  con  corpo  piriforme;  un  coperchio  discoi- 
dale per  olla,  sormontato  da  testina  di  quadrupede;  un  frammento  di  fiaschetta 
color  arancione. 

Di  due  monete  di  bronzo  non  potei  prendere  visione  perchè  conservate  nel 
palazzo  Padovani' a  Ferrara;  ma  seppi,  dal  dott.  Padovani,  in  Cesta,  che  la  corrosione 
ne  aveva  reso  irriconoscibili  così  le  leggende  come  l'effigie. 

Manifestamente  però  si  tratta  della  suppellettile  di  una  tomba  romana  del  primo 
secolo  dell'Impero. 

Gli  oggetti  provenienti  dalle  tombe  della  Fossetta  di  Piumana  si  trovano  con- 
servati parte  in  casa  dell' ing.  Grossi,  parte  presso  il  dott.  Luigi  Fano,  capotecnico 
addetto  alla  Grande  Bonifica. 

Con  l'intervento  del  dott.  Fano  esaminai  gli  oggetti  in  casa  dell' ing.  Grossi, 
che  consistono  nella  solita  suppellettile  fittile  del  I  secolo  dell'Impero:  vasi  fusi- 
formi, fiaschette  biconiche,  vasetti  a  trottola,  olle  biansate,  di  terra  gialliccia  e  ros- 
sastra; un'anfora  segata  sotto  il  collo,  simile  a  quella  del  dott.  Padovani,  e  un  fondo 
di  piatto  aretino  con  la  marca  LSARI. 

I  migliori  oggetti  erano  quelli  conservati  presso  il  dott.  Fano,  e  consistevano  in 
una  fiaschetta  aretina  a  corpo  ovoidale  (priva  di  manico  e  del  beccuccio  laterale) 
con  diaframma  nel  collo  fornito  di  5  fori,  ad  uso  di  filtro;  una  fiaschetta  aretina 
a  corpo  ovoidale  allungato;  un'olla  intatta,  di  vetro  comune,  che  doveva  aver  servito 
per  urna  cineraria. 

Gli  oggetti  rinvenuti  non  hanno  per  sé  una  speciale  importanza;  ma  è  vera- 
raeute  importante  per  la  storia  della  regione  la  scoperta  delle  tombe.  E  ciò  è  non 
solamente  dal  punto  di  vista  della  storia  civile  del  paese,  inquantochè  le  dette  tombe 
darebbero  testimonianza  dell'esistenza  di  vici  o  magari  solo  di  case  rustiche  nell'epoca 


REGIONE    Vili.  —     157    —  SARSINA 

romana  in  queste  contrade,  ma  anche  dal  punto  di  vista  delle  vicende  naturali  della 
terra  stessa,  iuquantochè  si  fa  manifesto  che  quei  terreni,  tino  a  poco  tempo  fa 
coperti  da  acque  paludose,  erano  al  tempo  romano  perfettamente  all'asciutto. 

Evidentemente  la  differenza  di  livello  del  piano  di  campagna  dal  tempo  antico 
all'epoca  attuale  deve  attribuirsi  a  un  assettamento  degli  strati  torbosi  che,  come  è 
notorio,  fanno  parte  del  sottosuolo  di  questa  regione  valliva. 

A.  Negrioli. 


IX.  SARSINA  —  Scoperta  di  un  pavimento  a  mosaico  di  epoca 
romana. 

Entro  le  mura  della  città,  in  un  terreno  del  sig.  Pompilio  Mondardini,  sito  in 
una  delle  parti  più  basse  del  paese,  a  20  metri  dall'abside  della  cattedrale,  facen- 
dosi lavori  di  espurgo  e  di  sterro  in  una  concimaia,  si  mise  ultimamente  allo  sco- 
perto parte  di  un  pavimento  romano  a  mosaico  bianco  e  nero  a  decorazione  geome- 
trica, che  io  visitai  tostochè  giunse  alla  Sopraintendenza  di  Bologna  notizia  del  rin- 
venimento 

Persone  del  sito  che  s'interessano  alla  scoperta  delle  antichità  locali,  quali 
l'ing.  Raggi,  perito  comunale  di  Sarsina,  e  il  sig.  Ugolini,  segretario  del  vicino  Comune 
di  Sorbano,  poterono  assicurare  che  il  detto  mosaico  era  già  stato  scoperto  e  osser- 
vato nel  1892  e  che  allora  esso  si  mostrava  di  una  conservazione  perfetta. 

Ora  il  mosaico  è  assai  disfatto;  e  veramente  tanto  che  nell'area  ora  scoperta,  di 
circa  mq.  10,  esso  è  conservato  per  circa  mq.  2  '/»  in  tre  tratti  separati. 

11  detto  mosaico  è  per  la  massima  parte  a  cubetti  bianchi;  soltanto  sul  lato 
ovest  e  sul  lato  nord  della  cavità  apparvero  fasce  decorate  alternativamente  in  bianco 
e  in  nero. 

Sul  lato  nord  della  cavità  la  fascia  è  costituita  di  rettangoli  e  listelli  neri 
alternati  con  listelli  bianchi;  insieme  coi  rettangoli  vi  si  comprende  una  cornice 
quadrata  a  dentelli  neri,  racchiudente,  pure  in  nero  su  fondo  bianco,  un  ornato  a 
ino'  di  trottola. 

Per  la  asimmetria  della  decorazione  in  questo  piccolo  tratto  ornato,  scoperto  sul 
lato  nord,  non  si  può  stabilire  la  posizione  che  la  decorazione  stessa  doveva  avere 
nel  pavimento  cui  apparteneva. 

Si  può  invece  con  certezza  riconoscere  che  la  fascia  sul  lato  ovest  (tre  listelli, 
uno  bianco  tra  due  neri,  dei  quali  l'esterno  di  larghezza  doppia  dell'altro)  è  una 
fascia  perimetrale. 

Infatti,  subito  di  là  da  questa  fascia  si  scoperse,  affiorante  all'altezza  del 
mosaico,  un  muro  di  ciottoli,  largo  cm.  50,  che  doveva  far  da  fondamento  alla  parete 
dell'ambiente  su  questo  lato;  e  di  là  da  questo  muro  fu  notata  la  presenza,  per 
due  tratti  non  contigui,  di  un  robustissimo  pavimento  di  mattone  battuto  (spessore 
cm.  10),  il  quale,  poiché  si  trova  allo  stesso  livello  del  pavimento  a  mosaico,  pre- 
sumibilmente faceva  parte  dello  stesso  edificio. 


FIANO    ROMANO  —    158    —  REGIONE    VII. 

Non  fu  possibile  di  accertare  se  all'atto  della  prima  scoperta,  che  rimonta  a  più 
di  15  anni  fa,  sia  stata  rinvenuta,  almeno  in  parte,  l'elevazione  del  muro  divisorio 
dianzi  accennato. 

Rispetto  al  quale,  se  esso  nella  parte  emergente  dal  pavimento  non  sarà  stato 
costruito  in  materiale  resistente,  potrà  valere  la  congettura  fatta  dal  Brizio  nella 
esplorazione  di  una  casa  della  Bononia  romana  {Notizie,  1891,  pag.  20),  che  cioè 
la  parete  divisoria  consistesse  in  un  tramezzo  di  legno. 

A.  Negrioli. 


Regione  VII  (ET R  URIA). 

X.  FIANO  ROMANO  —  Scoperta  di  un  sarcofago  marmoreo  con 
iscrizioni  ricordanti  un  parasitus  Apollinis. 

La  scoperta  è  avvenuta  per  caso,  nella  seconda  quindicina  dello  scorso  agosto  1914, 
in  un  terreno  appartenente  alla  locale  Congregazione  di  carità,  in  vocabolo  Sasseta. 


Il  contadino  Giuseppe  Paciotti,  nell'  arare  il  campo,  avvertì  che  il  vomere  si  era 
sprofondato  in  un  incavo.  Preso  da  curiosità,  si  provò  a  rimuovere  la  terra  in  quel 
punto;  e  così  venne  alla  luce  un  sarcofago,  che  stava  rinchiuso  in  una  specie  di 
piccola  cameretta,  di  ampiezza  solo  sufficiente  a  contenerlo,  le  cui  pareti  erano  ri- 
vestite di  modestissimi  e  rozzi  muricciuoli.  Come  fosse  costruita  la  copertura,  non 
saprei  dire,  per  il  fatto  che,  quando  arrivai  sul  sito,  era  già  stata  completamente 
distrutta.  Il  sarcofago,  tolto,  di  lì  a  qualche  giorno,  dal  suo  posto,  fu  depositato  in 
una  camera  terrena  del  palazzetto  comunale.  È  di  fattura  molto  semplice  e  consiste 
in  una  cassa  di  marmo  completamente  liscia,  meno  che  nella  faccia  principale,  la- 
vorata a  specchio  aggettante  tra  le  scorniciature  incavate  lungo  i  quattro  margini, 
e  nel  relativo  coperchio  a  doppio  spiovente,  egualmente  liscio,  con  solo  quattro  piccole 
sporgenze  a  guisa  di  acroteri  ai  quattro  angoli  e  altre  due  consimili,  una  per  parte, 
sul  mezzo  di  ciascuno  dei  lati  lunghi  (v.  figura). 


REGIONE   VII.  —    159  —  PIANO   ROMANO 

Complessivamente  misura:  m.  2,14  circa  in  lunghezza;  m.  0,64  in  larghezza; 
m.  0,42  in  altezza.  Nella  cassa  si  notano  delle  incrinature,  e  il  coperchio  appare 
rotto  in  due  parti,  una  con  linea  di  frattura,  per  quanto  non  levigata,  così  diritta 
da  far  nascere  il  dubbio  che  si  componesse  originariamente  di  due  pezzi.  La  chiusura 
era  fatta,  come  di  consueto,  con  grappe  di  ferro  rivestite  di  piombo  ;  ma  al  momento 
della  scoperta,  secondo  mi  fu  riferito,  il  sarcofago  sarebbe  apparso  di  già  violato,  con 
le  grappe  strappate  e,  nell'  interno,  lo  scheletro  scomposto. 

Se  il  sarcofago  in  discorso  non  presenta  alcuna  importanza  artistica,  viceversa 
non  è  privo  di  interesse  dal  punto  di  vista  antiquario,  grazie  a  tre  iscrizioni  che 
porta  incise  :  due,  rispettivamente,  sulle  facce  lunghe  ;  una  terza  sul  coperchio,  e  cioè 
sullo  spiovente  in  corrispondenza  della  faccia  principale,  quella  adorna  di   cornice. 

Le  riproduciamo  contrassegnandole  con  le  lettere  A,B,  G. 

A)  Sulla  faccia  principale: 

TI-  CLAVDIVS-  AVG  •  L-  PARDALAS 

APOLLINIS  PARASITVS 

EGO    •    SVM  ■  BENE-TIBISIT-    QVI  •  ME  •  LEGISET  •  TIBI 

APOLAVSTIMAIORIS-CONDISCIPVLVS-APOLAVSTMVNIOEUSDOCTOR 

B)  Sulla  faccia  opposta: 

TI  *  CLAVDIVS  •  PARDALAS  •  AVG  •  L-  <P 

APOLLINIS  •  PARASITVS-  AEGO  •  SVM         rie. 
BENE  •  TIBI  •  SIT  •  QVI  ■  ME  •  LEGERIS 

C)  Sul  coperchio: 

QVISQVAE-ME-VEXSAVERIT  sic. 

QVI  SQVAE-  MEO   COR  PORI  •  MANVS  •  INTVLERIT  rio. 

QVARTANAS  DABO  EX-VISOMAGNO 

IMPERIO-IVSSVS-SVM-CVM-VIVEREM 

Ciò  che  a  prima  giunta  si  osserva  nelle  nostre  iscrizioni  è  il  contrasto  tra  il 
bell'aspetto  formale  delle  lettere  e  la  scorrettezza  della  grafia,  alla  quale  si  aggiunge 
pure,  in  qualche  punto,  la  mancanza  di  perspicuità  nella  dizione. 

Quanto  al  valore  delle  epigrafi  medesime,  a  parte  una  certa  singolarità  in  quella 
del  coperchio,  è  notevole  il  fatto  che  con  esse  si  arricchisce  di  un  nuovo  testo 
la  serie,  invero  non  numerosa,  delle  notizie  letterarie  ed  epigrafiche  relative  ai 
parasiti  Apollinis.  Non  è  qui  il  caso  di  riprendere  ex  novo  un  argomento  già  trat- 
tato varie  volte  (')•  Ci  basterà  ricordare  che  i  parasiti  Apollinis  nel  mondo  romano 

(')  W.  Henzen,  Bullettino  dell'  Instituto,  1885,  p.  240  e  sgg.  ;  Th.  Mommsen,  R  omise  he  Mìt- 
theilungen,  1888,  p.  79  e  sgg.;  Merkel,  Prolegomena  ad  Ovid.  Fast.,  p.  CCXXXIV;  Wernicke  presso 
Pauly-Wissowa,  Realencyktop.il,  1,78;  Preller,  Róm.  Mylhologie,  pag.  305,  nota  3a;  Friedlander, 
presso  Th.  Mommsen  -  J.  Marquardt,  Manuel  des  antiquités  romaines:  le  eulte  chez  les  Romains 
(Brissaud),  II,  pag.  270  e  nota  7;  pag.  315,  nota  6;  J.  P.  Wultzing,  Étude  historique  sur  les  cor- 
porations  profe-<ionnelles  chez  les  Romains,  II,  pag.  133;  Alb.  Moller,  Philoiogus,  1904,  p.  342 


FIANO   ROMANO  —    160   —  REGIONE   VII. 

—  a  differenza  dai  Ttaqàaitoi  greci,  i  quali  (senza  contare,  naturalmente,  i  perso- 
naggi dello  stesso  nome  caratteristici  della  commedia)  erano  in  origine  persone  effet- 
tivamente addette  al  culto  di  talune  divinità,  e  poi  furono  anche  persone  addette  al 
servizio  di  alcuni  magistrati  (')  —  altro  non  erano  che  degli  istrioni,  credesi  di 
secondo  rango,  ma  distinti  in  categorie:  mimi  (!),  pantomini  (3),  archimimi  (*),  e 
riuniti  in  collegio  {synodus);  il  quale  collegio  comprendeva  diverse  cariche  e  man- 
sioni ed  evidentemente  anche  una  gerarchia,  come  risulta  dalle  diverse  denomina- 
zioni che  si  riscontrano  nelle  epigrafi:  parasilus  (5),  hieronica  (6),  sacerdos  synodi  ('), 
archierem  sy/iodi  (8),  patronus  parasilorum  Apollinis  (9).  Quanto  all'origine  della 
istituzione,  si  è  congetturato,  non  senza  fondamento  (10),  che  essa  sia  sórta  sul  mo- 
dello dei  sinodi  dei  tecniti  dionisiaci,  che  esistevano  in  Grecia  ("),  e  che  furono  co- 
nosciuti a  Roma  fin  dall'anno  168  av.  Cr.  (").  Che  a  Roma  la  corporazione  degli 
istrioni  si  sia  posta  sotto  la  protezione  di  Apollo,  è  cosa  che  si  spiega  facilmente,  quando 
si  pensi  alla  parte  importante  che  i  suddetti  istrioni  avevano  nei  ludi  Apollinare^  (13). 

Le  iscrizioni  del  sarcofago  di  Fiano  non  apportano  molta  luce  nuova  sul  carat- 
tere generale  dell'istituzione;  ma  ne  apportano  non  poca  rispetto  a  qualche  questione 
particolare. 

*** 

Iscrizione  A.  —  Il  cognome  Pardalas  del  nostro  personaggio,  per  quanto  non 
comune,  ricorre  tuttavia  nella  onomastica  greca  (u). 


e  sgg.;  0.  Navarre,  presso  Ch.  Daremberg-E.  Saglio,  Dictionnaire  des  antiquités  grecques  et 
romaines,  IV,  1,  pag.  832,  nota  42. 

(')  Le  notizie  più  importanti  relative  ai  nagdattot  greci,  di  qualsiasi  specie,  trovansi  presso 
Ateneo  (VI,  234  d  -  248  e).  Cfr.  Navarre,  scritto  cit.  presso  Daremberg-Saglio,  IV,  1,  p.  330  e  sgg. 

{,*)  Fest.,  pag.  326  (ed.  C.  0.  Muller);  G.I.L.,  XIV,  3683. 

(•')  Róm.  Miltheil.,  1888,  pag.  79;  C.  1.  L.,  IX,  344;  X,  3822,  6219;  XIV,  2113,  2977,  4254. 
In  un'iscrizione  di  Roma  (VI,  10114),  che  menzioneremo  in  seguito,  è  ricordato  un  maximus  pan- 
tomimorum. 

(4)  G.  I.  L.,  XIV,  2408,  2988. 

(")  Fest,  pag.  326;  Martial.,  IX,  28;  C.  I.  L.,  VI,  10118;  X,  3716;  XIV,  2113,  2408,  2977, 
2988,  3683,  4198,  4273. 

(8)  Róm.  Mittheil,  1888,  pag.  79;  CI.  L.,  IX,  344;  X,  3716;  XIV,  2977,  4254. 

(')  Róm.  Mittheil.,  1888,  pag.  79;  C.  I.  L.,  X,  3716;  XIV,  2113  {sacerdos  synhodi  Apollinis); 
XIV,  4254  (sacerdos  Apollinis);  VI,  10117  (ton  diapanton  Apollinis  sacerdos). 

(8)  C.  I.  L,  VI,  10117;  XIV,  2977. 

(•)  Róm.  Mittheil,  1888,  pag.  79. 

C°)  Friedlander,  presso  Mommsen-Marquardt,  Man.  des  ant.  rom.  :  le  eulte  (Brissaud),  Il.pag.  315, 
nota  6;  cfr.  Alb.  Muller,  scritto  cit.,  in  Philologus,  1904  p.  359  seg. 

(")  0.  Liiders,  Die  dionysischen  Kùnstler,  Berlin  1873. 

(")  Polyb.,  XXX,  13. 

(,3)  Cfr.  G.  Wissowa,  Religion  und  Cultus  der  Rómer,  Munchen  1902,  pag.  241  ;  Alb.  Moller, 
scritto  cit.  in  PhiloL,  pag.  361. 

(u)  Si  incontra  così  la  forma  IlaQifaXa;  come  l'altra  TlaQtiàXas.  Cfr.  Stephani,  Thesaurus 
Graecae  linguai  (sotto  JZnpdaAffic) ;  Pape-Bonseler,  Wórterbuch  der  griechischen  Eigennamen (ii); 
Fr.  Bechtel  -  A.  Fick,  Die  griechischen  Personennamen  nach  ihrer  Bildung  erklàrt  und  systèma- 
tisch  geordnet,  pag.  317. 


REGIONE    VII.  —    161    —  FIANO   ROMANO 

Il  nome  Ti.  Claudius  può  far  pensare  così  all'  imperatore  Tiberio  (14  37  d.  Cr.), 
come  all'imperatore  Claudio  (41  54  d.  Cr.).  Ammesso  pure  che  si  riferisca  al  secondo 
dei  due  suddetti  imperatori  e  che  perciò  il  nostro  Pardalas  gli  abbia  sopravvissuto 
di  qualche  tempo,  per  la  datazione  rimaniamo  sempre  in  pieno  primo  secolo  d.  Cr. 
Ma  nulla  autorizza  ad  escludere  che  si  abbia  da  pensare  al  primo.  Già  dalle  fonti 
letterarie  risultava  che  nel  primo  secolo  dell'  èra  volgare  esisteva  a  Roma  il  collegio 
dei  parasiti  Apollinis  (')  ;  cosa  che  non  può  sorprendere,  se  è  vero  che  esso,  come 
abbiamo  accennato,  fu  istituito  sul  modello  della  corporazione  dei  tecniti  dionisiaci. 
Ma  i  testi  epigrafici,  che  si  conoscevano  prima,  appartengono  tutti  al  secondo  secolo: 
quindi  il  sarcofago  di  Fiano  contiene  il  testo  epigrafico  più  antico,  finora  noto,  relativo 
ai  parasiti  Apollinis,  riferendosi  alla  metà  circa  del  primo  secolo  e  forse  ad  un 
periodo  un  poco  anteriore. 

Alla  dichiarazione  della  propria  qualità  Apollinis  parasitus  ego  sum,  segue  la 
formula  augurale  bene  libi  sit  qui  me  legis;  alla  quale  si  aggiunge  la  ripetizione 
et  Ubi,  che  ha  valore  di  risposta  da  parte  di  chi  legge.  Indi,  con  singolare  traspo- 
sizione, si  ritorna  alla  persona  del  defunto,  che  riprende  ad  esporre  le  proprie  gene- 
ralità, aggiungendo  alla  qualifica  principale,  già  ricordata,  di  parasitus  Apollinis, 
quella  di  condiscepolo  di  Apolausto  maior  e  l'altra  di  maestro  di  Apolausto  iunior. 

L' interessante  è  che  nella  nostra  iscrizione  sono  menzionati  due  personaggi  di 
nomo  Apolausto,  appartenenti  a  due  generazioni  consecutive;  i  quali  —  come  con- 
discepolo e  discepolo,  rispettivamente,  del  parasitus  Apollinis  Tiberio  Claudio  Par- 
dalas —  mostrano  evidentemente  di  appartenere  alla  stessa  classe  dei  parasiti,  cioè 
degli  istrioni.  È  noto,  pertanto,  come  di  istrioni  di  nome  Apolausto  se  ne  conoscano 
degli  altri,  ma  tutti  vissuti  nel  secondo  secolo  d.  Cr.  Di  essi  il  più  noto  è  il  celebre 
pantomimo  condotto  dalla  Siria  a  Roma  da  Lucio  Vero  e  ucciso  al  tempo  di  Com- 
modo (*).  E  il  nome  di  Apolausto,  in  genere,  pare  non  si  sia  fin  qui  riscontrato  in 
documenti  anteriori  a  quel  secolo  (3).  Ecco  che  ora  dall'  iscrizione  del  sarcofago  di 
Piano  risulta  come  lo  stesso  nome,  e  nella  classe  appunto  degli  istrioni,  fosse  in  uso, 
per  lo  meno,  sin  dalla  metà  circa  del  primo  secolo  dell'era  volgare,  se  non  addirit- 
tura prima  (<). 

A  questo  punto  ci  si  presenta  una  questione.  Dalle  fonti  letterarie  ed  epigrafiche 
conosciamo  i  nomi  di  quasi  tutti  gli  istrioni  che  vi  sono  ricordati  : 
1.  C  Pomponius  (o  C.  Volumnius)  (5). 

(')  Verr.  Flacc.  presso  Fest.,  pag.  326;  cfr.  Alb.  Mflller,  scritto  cit.,  in  Philologus,  pag.  353. 

{')  Julii  Capitol.,  Ver.,  Vili,  IO;  Lampr.,  Comm.,  VII,  2;  Fiorito  ad.  Ver.,  I,  2;  Athen.,  I,  20c. 
Cfr.  Prosopographia  Imperli  Romani,  I  (E.  Klebs),  sotto  Aelius  Aureliu*  Apolaustus  Memphius; 
Pauly-Wissowa,  Realencycl.,  I,  2,  col.  2841;  Friedlander,  Sutengeschichte  Roms,  II",  p.  623  sg. 
Per  le  iscrizioni  ricordanti  lo  stesso  personaggio,  veggasi  appresso. 

(*)  Thesaurus  linguae  Latinae,  II,  sotto  Apolaustus  ("  nom.  serv.  et  cogn.  lib  non  invenitur 
ante  saec.  Il  »). 

(*)  Ciò  si  può  affermare  anche  se  il  sarcofago  appartenga  alla  seconda  metà  del  secolo,  con- 
siderando che  Apol. insto  maior  e  Pardalas  devono  essere  stati  condiscepoli  al  tempo  della  gio- 
vinezza. 

(6)  Fest.,  pag.  326;  cfr.  Alb.  Mailer,  scritto  cit.,  pag.  345. 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  22 


KlANO    ROMANO  —    162    —  REGIONE    VII. 

2.  Latinus  (')• 

3.  M.  Junius  Maior  (*). 

4.  Threptus  (s). 

5.  L.  Acilius  Eutyches  (*). 

6.  M.  Aurelius  Agilius  Septentrio  (5). 

7.  L.  Faenius  Faustus  (6). 

8.  G.  Fundilius  Doctus  (7). 

9.  L.  Aurelius  Pylades  (8). 

10.  M.  Ulpius  Apolaustus  (9). 

11.  L.  Aelius  Aurelius  Apolaustus  Memphius  (10). 

12.  Apolaustus  maior  (sarcofago  di  Fiano). 

13.  Apolaustus  iunior  (sarcofago  di  Fiano). 

Di  un  altro  adlectus  scaenae  e  parasitus  Apollinis  troviamo  ragguaglio  in  una 
iscrizione  di  Roma  (");  ma,  essendo  la  suddetta  iscrizione  frammentaria,  non  ce  ne 
conserva  il  nome.  Prescindendo  da  quest'ultimo,  per  noi  anonimo,  troviamo  dunque 
che  su  tredici  istrioni,  di  cui  fino  ad  oggi  ci  son  noti  i  nomi,  quattro  sicuramente 
portano  il  nome  di  Apolausto.  Ma  si  può  ritenere  che  di  un  quinto  si  abbia  notizia 
indiretta  in  una  delle  iscrizioni  ricordanti  Apolausto  Menno,  nella  quale  il  suddetto 
Apolausto  è  chiamato  senior  ("),  evidentemente  in  contrapposto  a  un  anonimo  iunior 
(con  distinzione  analoga  a  quella  del  sarcofago  di  Fiano).  Computando  nel  novero 
anche  questo  quinto  istrione,  si  viene  alla  percentuale  di  cinque,  su  quattordici,  con 
nome  Apolausto.  Dei  suddetti  cinque,  due  appartengono  al  primo  secolo  d.  Cr.,  i 
rimanenti  al  secondo.  Tutti  poi  si  riferiscono  a  differenti  generazioni. 

Qual*è  la  ragione  della  non  infrequente  ricorrenza  di  uno  stesso  nome  attraverso 
tante  generazioni?  È  ragionevole  di  attribuire  al  puro  caso  che  liberti,  aventi  per  pura 
combinazione  lo  stesso  nome  servile,  abbiano  scelto  in  seguito  lo  stesso  mestiere? 
La  non  comune  frequenza  di  uno  stesso  nome  già  di  per  se  stessa  basterebbe  ad 
escludere  questa  supposizione.  Ma  da  Giulio  Capitolino,  nella  vita  di  Lucio  Vero  (13), 
è  detto  esplicitamente  che    il  pantomimo  condotto   dall'imperatore    dalla   Siria  si 

(')  Martial.,  IX,  28  (cfr.  I,  4,  5;  II,  72,  8;  III,  86,8;  II,  72,  s;  V,  61,  n;  XIII,  2,  s);  Snet, 
Domit.,  15;  Iuv.  1,16;  VI,  44.  Cfr.  Alb.  Mfiller,  scritto  cit.,  pag.  345. 

(•)  Iscrizione  di  Preneste,  G.  1.  L,  XIV,  2988. 

(»)  Iscrizione  di  Tivoli,  G.  I.  L.,  XIV,  3683. 

(4)  Iscrizione  di  Bovillae,  C.  I  L.,  XIV,  2408. 

(s)  Iscrizione  di  Lannvio,  G.  I.  L.,  XIV,  2113;  iscrizione  di  Preneste,  G.  I.  L.,  XIV,  2977. 

(•)  Iscrizione  di  Nemi,  G.  I.  L.,  XIV,  4198. 

(')  Iscrizione  di  Nemi,  C.  I.  L.,  XIV,  4273. 

(8)  Iscrizione  di  Pozzuoli,  Róm.  Mittheil.,  1888,  p.  79  e  sgg. 

(»)  Iscrizione  di  Roma,  G  I.  L„  VI,  10114;  iscriz.  di  Teano  G  I.  L.,  IX,  709. 

(">)  Iscrizione  di  Roma,  Gì.  L.,VI,  10117;  di  Canosa,  C.  I.  L.,IX,  344;  di  Liternum,  C.  I.  L., 
X,  3716;  di  Veio,  G  I.  L.,  XI,  3822;  di  Fondi,  C.  I.  L.,  X,  6219;  di  Tivoli,  C.  I.  L.,  XIV,  4254. 
Per  le  nolizie  di  fonte  letteraria,  ved.  sopra. 

(")  C.I.L.,  VI,  10118. 

(•*)  Iscrizione  di  Veio,  G  1.  L.,  XI,  3822. 

(")  Julii  Capit.,  Ver.  VIII,  10. 


REGIONE    VII.  —    163    —  PIANO    ROMANO 

chiamava  Agrippo  Monti  e  che  dall'imperatore  medesimo  fu  nominato  Apolausto. 
Questa  notizia  non  fa  che  confermare  quello  che  anche  dal  numero  stesso  delle  omo- 
nimie risulterebbe  probabile:  che,  cioè,  non  soltanto  all'istrione  Agrippo  Mentì  (o 
Menfio.  secondo  le  iscrizioni)  sia  stato  imposto  cotal  nome,  ma  che  anche  gli  altri 
omonimi  lo  abbiano  assunto  ad  hoc,  per  lo  meno  la  maggior  parte.  Si  tratta,  evi- 
dentemente, di  un  nome  tradizionale  nella  classe  degli  istrioni. 

Nel  campo  delle  classi  professionali  sembra  non  manchi  qualche  analogia.  Si 
pensi  a  quella  dei  medici,  per  i  quali  era  tradizionale  il  nome  Asclepiade. 

Ma  poiché  nel  nostro  caso  ci  troviamo  nel  mondo  romano  —  e,  del  resto,  quanto 
stiamo  per  osservare  può  valere  anche  per  i  medici  della  stessa  età  romana,  che 
erano  di  origine  servile  (l)  —  non  sembrerà  un  fuor  di  luogo  pensare  alla  analogia 
che,  sotto  un  certo  punto  di  vista,  può  presentare  la  formazione  del  nome  dei  citta- 
dini romani.  Si  sa  bene  come,  di  regola,  il  nome  dei  cittadini  ingenui  si  compo- 
nesse di  tre  parti:  del  prenome,  indicante  la  persona;  del  nome,  indicante  ì&gens; 
del  cognome,  indicante  la  famiglia  (*).  È  chiaro  che  gli  istrioni,  essendo  dei  liberti, 
non  potevano  singolarmente  vantare  l'appartenenza  genuina  a  famiglie  gentilizie.  Ma, 
in  sostanza,  anch'essi  facevano  parte  di  una  particolare  famiglia  che,  agli  occhi  loro, 
non  poteva  non  essere  nobilissima  Non  vi  appartenevano  per  ragioni  di  nascita,  ma 
vi  appartenevano  per  ragioni  professionali.  La  loro  famiglia  era  idealmente  la  classe  ; 
in  forma  più  concreta,  era  la  corporazione  alla  quale  erano  ascritti.  Volendo,  nel 
caso  particolare  degli  istrioni,  precisare  meglio  i  termini  dell'analogia,  si  potrebbe 
dire  che  la  classe  corrispondeva  alla  gens,  la  corporazione  alla  famiglia.  Donde  la 
legittima  ambizione,  da  parte  di  alcuni ladlecti,  di  assumere  un  nome  tradizionale, 
come  tradizionali  erano  i  nomi  delle  famiglie  romane;  un  nome  di  qualche  antico 
membro  chejcon  la  sua  valentia'nell'arte  avesse  illustrato  la  classe  e  il  collegio. 

Il  fenomeno,  certo,  non  è  generale,  dato  che,  per  la  maggior  parte,  gli  istrioni 
finora  noti  portano  nomi  differenti.  Ma  per  il  caso  del  nome  Apolausto  le  omonomie 
sono  parecchie  e  vanno  rilevate.  Non  solo  ;  ma  non  mancano  ragioni  per  credere  che 
altri  istrioni,  e  forse  anche  in  età  anteriore,  portassero  lo  stesso  nome.  Come  si  è 
detto  più  sopra,  dalla  nostra  iscrizione  risulta  che  il  nome  Apolausto  era  in  uso  sin 
dalla  metà,  per  lo  meno,  del  primo  secolo  d.  Cr.  A  meno  che  non  si  voglia  pensare 
che  l' Apolausto  maior  ricordato  sul  sarcofago  di  Fiano  sia  stato  proprio  il  più  an- 

(')  Quando  siamo,  pcr_esempio,  al  caso  del  medico  Asclepiade  figlio  di  Mirone,  ricordato  in 
un'iscrizione  onoraria  di  Pergc,' dell'età  ellenistica  (R.  Paribeni,  Monumenti  antichi  dei  Lincei, 
XXIII,  1914,  tav.  I,  col.  59  e  sgg.),  e  di  altri  medici  greci  dello  stesso  nome  (cfr.  Panly-Wissowa, 
Realencyclopàdie,  II, ~2,  col.  1632  e  sgg.;  n.  37,  43-47J,  non  c'è  ragione  di  dubitare  che  si  tratti 
del  nome  di  nascita.  E  rispetto  al  singolare  rapporto  del  nome  con  la  professione,  si  può  conget- 
turare trattarsi  di  famiglie,  nelle  quali  —  come^avveniva  spesso  nelle  famiglie  degli  artisti  —  fos- 
sero tradizionali  la  professione  di  medico  e  altresì  la  ricorrenza  di  quel  nome.  Ma  quando  passiamo 
ai  medici  liberti  dell'età  romana  (cfr.  Pauly-Wissowa,  Realencycl.,  II,  2,  col.  1041  e  sgg.,  n.  38- 
42),  non  vi  può  esser  dubbio  che  la  frequenza  del  nome  Asclepiade  sia  dovuta  a  scelta  intenzio- 
nale del  nome  stesso  e  successiva  alla  scelta  della  professione. 

(•)  Cfr.  Th.  Mommsen-J.  Marquardt,  Manuel  des  antiquités  romaines  :  la  vie  privte  des  Rq- 
maint  (ved.  Henry),  I.  p.  9  e  sgg. 


FIANO    ROMANO  —    164    —  REGIONE    VII. 

tico  istrione  di  questo  nome,  è  da  supporre    che    qualche    altro    omonimo   lo   abbia 

preceduto. 

* 

*  * 

Iscrizione  B.  Non  è  che  una  ripetizione  abbreviata  della  precedente,  con 
qualche  spostamento  nell'ordine  delle  parole  e  qualche  lieve  variante.  Strana  la  scrit- 
tura aego  per  ego.  Da  notarsi  anche  il  cambiamento  della  forma  qui  me   legis    in 

qui  me  legeris. 

* 

*  * 

Iscrizione  C.  Anche  qui  troviamo  per  due  volte  il  suono  dell'e  reso  col  dit- 
tongo (quisquae).  Altra  singolarità  è  data  dalla  forma  vexsaverit  per  oexaverit.  Ad 
ogni  modo,  l'iscrizione,  tino  alla  metà  della  terza  riga,  è  chiarissima.  Qualche  oscu- 
rità comincia  poi  :  ex  viso  magno  imperio  iussus  sum  cum  viverem.  Dal  contesto 
generale  del  periodo  si  vede  chiaro  che  la  parola  viso  non  può  avere  altro  valore 
che  di  sostantivo.  Ma  il  predicato  magno  ha  da  riferirsi  a  viso  oppure  &impe?Ho? 
La  prima  ipotesi  sembra  da  preferirsi,  tenuto  conto  della  collocazione  stessa  di  quel 
predicato  nella  stessa  riga  con  viso.  Comunque,  a  malgrado  della  scarsa  perspicuità 
di  tutta  l'espressione,  il  significato  generale  delle  parole  di  Pardalas  non  sembra 
dubbio.  Il  defunto  pronuncia  la  terribile  minaccia  di  dare  le  febbri  quartane  (per 
usare  la  stessa  forma  plurale  del  testo)  a  chi  osasse  violare  il  suo  sepolcro,  per 
comando  ricevuto  in  una  grande  visione  che  egli  avrebbe  avuta  mentre  era  in  vita. 
Se  anche  il  predicato  magno  si  riferisce  a  imperio,  il  significato  sostanzialmente 
non  muta. 

Anche  questa  iscrizione  non  manca,  come  si  vede,  di  interesse.  Viene  ad  ag- 
giungersi alla  classe  delle  epigrafi  dettate  a  protezione  dei  sepolcri.  Ve  ne  ha  — 
come  è  noto  —  di  quelle  che  comminano  pene  pecuniarie,  giusta  un  diritto  rico- 
nosciuto e  sanzionato  dalle  leggi  (');  ve  ne  ha  delle  altre  che  indicano  come  i  de- 
funti, o  chi  per  essi,  stimassero  provvedimento  più  efficace  mettersi,  o  metterli,  sotto 
la  protezione  diretta  della  divinità  (*);  e,  come  confidando  nell'immancabile  assenso 
della  divinità,  contro  gli  eventuali  violatori  dei  sepolcri  pronunciano  imprecazioni  e 
minacce  (3),  non  senza,  per  altro,  fare  assegnamento,  anche  sulla  paura  che  le  impre- 
cazioni stesse  avrebbero  fatto  ad  ogni  male  intenzionato.  Defigi  quidem  d'iris  pre- 
cationibus  nemo  non  meluil.  si  legge  in  Plinio  (*). 

Le  iscrizioni  sepolcrali  di  questo  genere  appartengono  a  quella  categoria  di 
testi  di  carattere  magico,  di  cui  fanno  parte  principalmente  le  defixionum  tabellae  (B). 

(')  Cfr.  B.  R  ilide,  Psyche,  W,  p.  340  e  sg.  Sullo  stesso  argomento:  Br.  Iveil,  Ueber  klein- 
asiatische  Grabinichrlften,  Hermes,  43,  1908,  p.  552  e  sgg.  ;  W.  Arkwright,  Penalttes  in  Syrian 
Epilhaphs,  Journal  of  Hellenic  studi.es,  XXXI,  1911,  p.  269  e  sgg. 

(*)  Del  resto  anche  l'imprecazione  era  contemplata  dal  diritto  greco  (cfr.  E.  Ziebarth,  Der 
Flitch  ìm  griechisrhen  Fìecht,  Hermes,  XXX,  1895,  pag.  57  e  segg.  e  nota  5  a  pag    57). 

(')  Cfr.  Rohde,  Psyche  II2,  pp.  240  e  sg  ;  o  nota  2  di  pag.   141. 

(*)  Nat.  hist.  XXVIII,  19. 

(5)  Veggasi,  a  questo  riguardo,  la  prefazione  di  R  Wiinsch  alla  sua  raccolta  delle  de/ixwnum 
tabellae  dell'Attica  (C.  I.  G-,  voi.  Ili,  parte  III),  pp,  1-XXX1I.  Allo  stesso  autore  devesi  inoltre 
la  pubblicazione  di  un  altro  gruppo  particolare  di  documenti  analoghi  :  le  tavole  sethiane  del  già 


REGIONE    VII.  —    165   —  FIANO    ROMANO 


Qualunque  sia  lo  scopo  particolare  a  cui  rispettivamente  mirano,  tutte  hanno  il  loro 
fondamento  comune  nella  magìa. 

L'uso  delle  imprecazioni  ha  un'origine  molto  remota.  E  quale  mezzo  di  prote- 
zione dei  sepolcri,  dal  mondo  pagano  è  passato  anche  nel  mondo  cristiano  (').  Come 
un  concetto  analogo  a  quello  delle  epigrafi  che  mirano  alla  protezione  dei  sepolcri 
bisogna  riconoscere  agli  antichi  testi  caldei  che  venivano  sotterrati  nelle  fondazioni 
degli  edilìzi  e  contenevano  delle  imprecazioni  contro  chi  avesse  attentato  alla  inte- 
grità dei  medesimi  (J),  così  del  tutto  simile  alla  minaccia  dell'iscrizione  del  sarco- 
fago di  Piano,  racchiudente  il  corpo  di  un  parasitus  di  Apollo,  è.  per  esempio, 
quella  della  tarda  iscrizione  cristiana  di  Merida  nella  Spagna  (settimo  secolo)  che 
commina  una  malattia  assai  più  terribile  della  quartana  per  chi  avesse  molestato  il 
sepolcro  del  defunto: 

quisquis  conspicis  hoc  sepul 

ture  opus,  Eolalii  clerici  confessori 

abtus  est  locus  sed  si  quis 

vero  hoc  monumentum  meum 

inquietare  voluerit  sit  anathe 

ma  percussus  lebra  Gezie 

perfruatur'Het  cura  Inda 

traditore  abeat  portio 

nem  et  a  leminibus  ecclesie 

separetur  et  a  communi 

onem  s(an)c(ta)m  sec...  (3). 

Se  l'uso  delle  multe  e  delle  imprecazioni  appare  praticato  più  nell'Asia  Minore  che 
non  nella  Grecia  propria  (4),  questo  si  spiega  con  la  sua  probabile  origine  orientale  (5). 
Non  è  improbabile  che  il  nostro  Tiberio  Claudio  Pardalas  fosse  un  greco  dell'Asia 
minore,  anzi  che  della  Grecia  propria. 

G.  Coltrerà. 


Museo  Kircheriano,  ora  nel  Museo  delle  Terme  (Sethianisehe  Ver/luchungstafeln  aus  Rom,  Leipzig, 
1898.  Va  avvertito  che  la  tavoletta  n.  48  trovasi  nel  magazzino  archeologico  comunale).  Per  le 
iefi.xion.um  tabella»,  veggasi  inoltre  Audollent,  Defixionum  tabellae  etc,  Luteciae  Parisiorum,  1904. 

(l)  Cfr.  V.  Cabrol,  H.  Leclercq,  Monumenta  Ecclesiae  liturgica.  I,  p.  CXVIII  e  sg.  ; -.Leclercq 
presso  Cabrol,  Dictionnaire  d'archeologie  chrétienne,  I,  1,  col.  485  e  sg.  (ad  Sanctos);  Ch.  Michel, 
presso  Cabrol,  Dictionn.,  I,  2,  col.  1932  e  sgg. 

(*)  Perrot  Chipiez,  Hisloire  de  V art  darti  l'antiquité,  II,  pag.  328.  A  questo  riguardo  veggasi 
Ziebarth,  art.  cit.  in  Hermes  (XXX),  pag.  57,  nota  4. 

(3)  Hflbner,  fnscript.  Hispaniae  christianar.  supplementum,  a.  336.  Cfr.  Cabrol,  Dictionn. 
d'arch.  chrét.,  I,  2,  col.  1393  e  sgg.,  fìg.  517. 

(*)  Cfr.  Rohde,  Psyche,  IV,  pp.  340  e  sgg.;  e  nota  2  di  p.  341. 

(5)  Si  è  fatto  accenno  agli  antichi  testi  caldei.  Sulla  magia  dell'antico  Egitto,  ved.  E.  Meyer, 
Set.  Thyphon,  pp.  11,  12,  48;  cfr.  li.  Wiinsch,  Sethianisehe  Verfluchungstafcln,  pag.  73.  Sulla 
magia  assira,  C.  Fossey,  La  Magie  Assyrienne,  Paris,  1902. 


ROMA  166    ROMA 

XI.  ROMA 

Nuove  scoperte  di  antichità  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  III.  Eseguendosi  lo  sterro  per  la  costi uzioue  di  un  nuovo  fabbricato 
di  proprietà  della  signora  Ida  Pucci,  in  ria  Leonardo  da  Vinci,  nell'area  adiacente 
alla  scuola  comunale,  a  m.  3,00  sotto  il  piano  stradale,  sono  venuti  in  luce  degli 
avanzi  di  muri  laterizi.  Alcuni  di  essi  dello  spessore  di  m.  0,75,  sono  orientati  da 
nord  a  sud;  altri  sono  normali  ai  precedenti  e  dovevano  formare  delle  camere,  di  una 
delle  quali  si  potè  misurare  la  larghezza  (m.  2,20). 

Il  fabbricato  antico  doveva  probabilmente  essere  limitato  a  sud  da  un  grosso 
muro,  con  paramento  laterizio,  dello  spessore  di  m.  1.55. 

Si  è  visto  anche  un  piccolo  tratto  di  muro,  largo  m.  0,70.  di  forma  curvilinea, 
di  raggio  abbastanza  ampio. 

Questi  avanzi  si  ricollegano  con  gli  altri  rinvenuti  quando  fu  costruita  la  scuola 
comunale  (v.  Notule,  1906,  pag.  400;  e  1909,  pag.  428). 

* 
»  * 

Regione  VI.  In  via  di  Porta  Salaria,  presso  il  monumento  sepolcrale  di 
Sulpieio  Massimo,  nel  fare  cavi  per  costruzioni  di  case  si  è  rinvenuto  un  frammento  di 

mattone  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  1457. 

* 
*  * 

Regione   Vili.    Proseguendosi   i   lavori  per   la   costruzione  della   galleria  in 

piazza  Colonna,  si  è  rinvenuto:  un  rocchio  di  colonna  di  africano  (m.  1,20X0,45), 

uno  di  serpentino  (m.  0,67  X  0,27)  ed  uno  di  granito  bigio  (m.  2  X  0,68);  una  base 

di  colonna  in  marmo  bianco   (m.  0,30X0,71);   un  capitello  di  marmo  (m.  0  33  X 

0,23)  e  uno  di  travertino  (m.  0,46  X  0,49)  ;   un    frammento  di  sarcofago  di  marmo 

(m.  0,38X0,18);   un  frammento   di   coscia  di    statua  marmorea  (m.  0,29X0,18); 

un  piccolo  residuo  di  vaso  iu  lamina  di  bronzo  molto  ossidato  (alt.  m.  0,14);  cinque 

piccoli  frammenti  di  marmo  con  poche  lettere;  e  un  frammento  di  mattone  col  bollo 

C.I.L.  XV,  2250. 

* 

Regione  XIII.  Eseguendosi  gli  sterri  per  la  costruzione  di  case  popolari  nel 
quartiere  Testacelo,  lungo  la  via  Amerigo  Vespucci,  sono  tornati  in  luce  avanzi  di 
un'antica  strada,  da  ricollegarsi  con  quelli  disegnati  già  dal  Lanciani  (Forma  urbis 
Iiomae,  tav.  40).  La  strada  è  larga  m.  5  e  corre  in  direzione  da  nord-est  a  sud-ovest. 

All'angolo  tra  via  Amerigo  Vespucci  e  via  Romolo  Gessi  si  sono  trovati  avanzi 
di  due  muri  dello  spessore  di  m.  1,05,  che  spiccano  a  m.  3  sotto  il  piano  stradale 
odierno  ed  hanno  la  fondazione  in  calcestruzzo  ;  distano  tra  loro  m.  5,25.  In  con- 
nessione con  questi  sono  altri  avanzi  nella  zona  a  sud-ovest  di  via  Romolo  Gessi. 
Nella  stessa  zona,  verso  la  via  Gustavo  Bianchi,  si  è  trovata  la  fondazione  di  un 
fabbricato,  i  cui  muri  distavano  m.  17,55  nel  senso  della  lunghezza  e  m.  5,20  in 
quello  della  larghezza. 


ROMA 


—  167  — 


ROMA 


Nell'area  delimitata  dalle  vie  Amerigo  Vespucci,  Gustavo  Bianchi,  Giovanni  Branca 
e  Rubattino,  quasi  all'angolo  tra  le  vie  Vespucci  e  Bianchi,  si  sono  rinvenuti,  a  m.  4 
sotto  il  piano  moderno,  avanzi  di  tre  muri  in  opus  incertum  paralleli,  dello  spessore 
di  m.  1,45,  distanti  tra  loro  m.  8,80;  nei  muri  eiano  vani  di  m.  4,45,  a  distanza 
di  m.  2.20  l'uno  dall'altro.  Altri  avanzi  di  muratura  si  rinvennero  verso  la  via  Giovanni 
Branca,  alla  profondità  di  m.  1,70;  il  loro  spessore  variava  da  m.  0,58  a  m.  0,65. 

Nell'area  fra  via  Cristoforo  Colombo,  via  Vespucci  e  via  Gessi,  si  rinvennero 
sette  rocchi  di  colonne  di  alabastro  rozzamente  lavorate.  Le  dimensioni,  per  altezza 
e  diametro,  sono  le  seguenti:  m.  1.80  X  0.94;  m.  1,30  X  0,78;  m.  1  X  0,90;  m.  1,80 
X  0,94;  m.  0,70  X  0,85;  m.  1,70  X  0,84;  m.  1,90  X  0,98.  Fra  i  mattoni  si  raccolsero 
i  bolli  C.  I.  L.  XV,  181,  635  a,  695,  797. 

Iu  via  Amerigo  Vespucci  si  è  trovato  un  piccolo  frammento  di  transenna  in 
bronzo  a  sbarre  incrociate  (m.  0  68X0,24). 


Via    Casilina.   Al  vicolo  dei  Carbonari,   in  località  Marranella,  eseguendosi 
lo  sterro  per  la  costruzione  di  una  casa,  si  è  rinvenuto,  ad  un  metro  di  profondità, 


un  sarcofago  di  marmo  (va.  2,05  X  0,51  X  0,53).  Il  fronte  ha  nel  centro  il  prospetto 
di  un  edifìcio  retto  da  due  pilastri  e  terminato  in  alto  da  un  frontone  con  due  acroterì. 
L'editìcio  Ita  nel  mezzo  una  porta  semiaperta  (porta  Dìlis).  Le  imposte  sono  divise 
in  due  riquadri  ciascuna:  in  quello  superiore  di  sinistra  è  una  squadra;  quello  di 
destra  è  vuoto;  i  due  inferiori  hanno  ciascuno  un  battente  in  forma  di  anello.  A 
sinistra  e  a  destra  due  cartelli  squadrati  ed  ansati  con  le  seguenti  iscrizioni  : 


0  K 

nPKpePNIA  •  riPAKTlKH 
THACYN  KPITWZHCACH 
n  A  C  H  C  '  A  P_€  T  H  C  •  A  2  I  U)  C  • 

€T€CIN-0-T-AI  AIOC- 
nPKpGPNIOCCOOKPATHC 
M  HTPieYCGB€CTATH 


6  K 

Al  AIA-  nPI<p€PNIA  J1PAKTIKH 
ZHCACH-€T€CIN- F-MH-A- 
HM£    ITTAIAIOC-     n  P  I  <P  €  P 
NIOCCOOKPATHC-     KAI  ' 
CAAAOYCTIATYPANNIC 
OYTATPI--  TAYKYTATH 


La  lingua  delle  iscrizioni  ed  i  cognomi  dei  personaggi  attestano  che  si  tratta 
di  greci;  e  molto  probabilmente  ci  troviamo  di  fronte  ad  una  famiglia  di  liberti, 
che  una  liberta  sembra  essere  stata,  per  l'onomastica,  anche  Sallustia  Tyrannis,  moglie 


ROMA 


—  168  — 


ROMA 


di  T.  Elio  Prifernio  Socrate.  Liberti  della  gens  Prifernia,  cbe  fu  probabilmente 
originaria  di  Prifernum  città  dei  Vestini  presso  Aquila,  e  della  quale  sono  noti  tre 
membri  (').  Rispetto  poi  all'altro  nome  Elio,  si  potrebbe  pensare  che  il  nostro  Socrate 
lo  avesse  assunto  in  omaggio  ad  uno  di  quegli  imperatori  che  nel  secondo  secolo  portarono 
questo  gentilizio,  dal  quale  avrebbe  avuto  qualche  favore,  forse  la  stessa  ingenuitas. 
Alle  due  estremità  sono  due  vasi  dal  collo  allungato,  quasi  una  tarda  deriva- 
zione delle  lekytoi   e   delle   loutrophoroi   che   nel   periodo  greco  classico  si  solevano 

collocare  sulle  tombe. 

* 

Nella  tenuta  Torre  Spaccata  di  proprietà  Torlonia,  fra  le  vie  Casilina  e  Tuscu- 
lana,  presso  l'osteria  del  Curato,  facendosi  i  lavori  per  la  costruzione  di  una  via  di 


bonifica  si  è  rinvenuto,  quasi  a  fior  di  terra,  un  grande  sarcofago  marmoreo  (m.  2,30 
X  1,02  X  1,02)  senza  coperchio.  Su  ciascuno  dei  lati  è  inciso  un  grifo.  Sul  fronte  è 
nel  mezzo  il  clipeo  coi  busti  dei  defunti  —  la  donna  ha  il  volto  assai  logoro,  forse 
appena  abbozzato  —  retto  da  due  Eroti  volanti.  Sotto  il  clipeo  sono  due  cornucopie 
incrociate.  Sotto  l'Eros  a  destra  è  l'arco;  sotto  quello  di  sinistra  la  faretra.  Alle  due 
estremità  due  Eroti  funebri  di  tipo  consueto. 

La  composizione  e  il  simbolismo  sono  ovvii;  la  esecuzione  scadente,  e  l'uso,  anzi 
l'abuso,  del  trapano,  inducono  ad  attribuire  ad  epoca  tarda  questo  sarcofago. 


Via  Salaria.  All'angolo  fra  le  vie  Raimondi  e  Paisiello,  nelle  adiacenze  del 
villino  Mayer,  eseguendosi  lo  sterro  per  un  nuovo  fabbricato,  si  è  rinvenuta  un'olla 
funeraria  di  marmo  bianco,  di  forma  ovoidale,  con  robuste  anse,  e  con  coperchio 
conico,  fermato  mediante  piombatura  sulle  anse.  È  liscia  ed  anepigrafe.  L'altezza, 
compreso  il  coperchio,  è  di  m.  0,68. 

P.    FORNARI. 

(')  Dossali,  Prosop.  imp.  rom.,  Ili,  nn.  C90-692,  pag.  94.  Di  questa  famiglia  tratta  B.  Bor- 
ghesi in  un'epistola  al  p.  Garrucci  (Oeuvres,  Vili,  pag.  389  sgg.). 


REGIONE   I.  —    109   —  FRASCATI 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LAT1UM. 

X.  FRASCATI  —  Avanzi  di  una  villa  romana. 

Nella  località  Pratone  dei  Camaldoli,  proprietà  della  principessa  Lancellotti, 
situata  sotto  Tuscolo,  nell'eseguire  le  fosse  per  piantare  castagni,  si  sono  rinvenuti 
avanzi  considerevoli  di  una  villa  di  età  imperiale  e  della  via  che  vi  conduceva. 

Siccome  non  si  sono  fatti  scavi  che  mirassero  a  scoprire  e  collegare  i  resti, 
così  non  è  stato  possibile  di  rilevare  la  pianta  dell'edificio,  e  si  è  potuto  prendere 
visione  esatta  solo  di  quei  ruderi  che  affiorano  o  che  i  cavi,  abbastanza  ristretti, 
lasciavano  vedere. 

La  villa  era  orientata  da  nord  a  sud,  e  costruita  sopra  una  leggera  spianata  a 
mezza  costa.  I  muri,  che  ancora  in  parto  si  vedono,  sono  di  opera  reticolata,  formata 
di  cunei  di  selce,  ed  hanno  lo  spessore  di  m.  0,45  a  m.  0,60.  In  qualche  punto  si 
notano  avanzi  di  una  costruzione  laterizia  più  tarda. 

A  sud  dell'edificio,  cioè  nella  parte  più  elevata  della  villa,  si  trovarono  i  resti 
molto  danneggiati,  di  una  conserva  d'acqua,  divisa  in  più  ambienti,  costruita  in 
calcestruzzo  e  rivestita  di  cocciopesto  del  quale  restano  piccole  tracce.  Da  questa 
conserva  era  alimentata  probabilmente  una  grande  vasca  semicircolare,  del  diametro 
di  m.  13,70,  costruita  in  pietrame  e  rivestita  di  cocciopesto.  Questa  è  discretamente 
conservata,  e  forse  in  origine  era  decorata  di  conchiglie,  se  è  vera  la  notizia,  raccolta 
sul  posto,  che  presso  di  essa  si  trovavano  alcuni  gusci  di  conchiglie.  Ad  est  della 
vasca  giace  per  terra  un  rocchio  di  colonna  di  muratura  stuccata,  lungo  m.  0,90 
e  del  diametro  di  m.  0,48,  che  potrebbe  far  pensare  ad  un  peristilio  che  circondasse 
la  vasca.  A  nord-ovest  sono  avanzi  di  una  camera  col  pavimento  a  mosaico  bianco 
e  nero  a  decorazione  geometrica.  A  nord  dolla  vasca  sono  due  piccoli  ambienti,  uno 
dei  quali  aveva  il  pavimento  formato  da  litostroto  con  tessere  bislunghe  di  color 
bianco,  rosso,  verde  e  giallo  ;  l'altro  di  cocciopesto  sparso  di  tessere  simili  a  quelle 
del  precedente.   Più  a  nord  ancora  è  un'altra  conserva  d'acqua  sotterranea  voltata. 

Notevole  è  un  altro  ambiente  in  cui  si  vedono  due  vasche  per  acqua,  di  pietra 
tusculana,  che  si  incontrano  ad  angolo  retto;  ed  una  terza  vasca  si  vede  a  metà 
scoperta  in  un  altro  punto  della  villa,  poco  distante  dal  precedente.  Ed  in  verità 
sarebbe  stato  desiderabile  che  le  circostanze  avessero  permesso  la  esplorazione  meto- 
dica di  questo  punto  della  villa,  che  avrebbe  messo  in  chiaro  la  destinazione  di 
quelle  vasche. 

A  sud-ovest  è  una  interessante  costruzione  in  reticolato.  Sono  due  alti  muri 
concorrenti  che  fluiscono  in  una  specie  di  piccola  abside  sormontata  da  un  arco.  Ma 
neppure  di  essi  è  possibile  di  riconoscere  la  destinazione. 

Ad  ovest  di  questa  costruzione  sono  gli  avanzi  di  una  parete  curvilinea,  costruita 
anch'essa  in  reticolato  di  selci  con  i  pilastri  laterali  di  selci  parallelepipedi  con 
ricorsi  di  mattoni.  Un  muretto  chiude,  per  l'altezza  di  un   metro,  questa  specie  di 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  23 


LANUVIO  —    170   —  REGIONE   I. 

abside  la  cui  corda  è  di  m.  2,25.  La  parete  era  coperta  di  intonaco,  ormai  in  gran 
parte  caduto  o  scrostato,  su  cui  si  vedono  tracce  di  color  rosso  e  verde  chiaro;  ma 
della  scena  dipinta  non  si  distinguono  più  che  gli  avanzi  di  una  figura  maschile  a 
sinistra  in  alto,  di  profilo  a  destra,  in  atto  di  guardare  verso  il  basso. 

A  sud-ovest  della  villa  si  sono  rinvenuti  gli  avanzi,  ora  distrutti,  della  via  per 
la  quale  vi  si  accedeva  I  poligoni  di  selce  si  trovarono  a  m.  0,80  cirea  sotto  il 
piano  di  campagna. 

La  via  andava  in  direzione  normale  all'edificio,  e  deve  trattarsi  evidentemente 
di  un  diverticolo.  Non  è  possibile,  stabilire,  in  base  a  così  pochi  resti,  il  punto  di 
origine  di  questo  diverticolo;  ma  sarebbe  congettura  non  del  tutto  priva  di  fonda- 
mento il  pensare  che  esso  dipendeva  da  quell'altro  che  dal  XIII  miglio  della  Latina 
saliva  a  Tusculo  ('). 

Fra  le  terre  di  scarico  si  raccolsero  alcuni  frammenti  di  mattoni  e  tegole  col 
bollo  C.I.L.  XV,  593;  e  un  bollo  frammentario  che  può  corrispondere  a  C.I.L. 
XV,  1121  a  o  e,  e  anche  a  1122. 

Chi  fosse  il  proprietario  della  villa,  non  ci  è  dato  conoscere  da  nessun  indizio; 
ma  è  noto,  per  scoperte  avvenute  in  altri  tempi,  che  nel  periodo  repubblicano,  in 
quella  località,  si  trovava  una  considerevole  proprietà  della  gens  Furia  (*). 

F.  Fornari. 


XIII.  LANUVIO  (già  Civita  Lavinia)  —  Antichità  varie  scoperte  nel 
territorio  del  Comune  durante  l'anno  1914. 

Nel  sistemare  il  piazzale  della  tramvia,  nella  parte  alta  del  paese,  si  misero 
meglio  in  luce  quei  ruderi  d'opera  reticolata,  che  in  parte  vedevansi  nell'orto  del 
duca  Sforza  e  che  appartevano  ad  una  dontus  dell'antica  città.  L'ingresso  era  verso  N, 
sulla  via  antica  (di  cui  apparvero  le  tracce  per  oltre  10  metri),  come  faceva  credere 
la  soglia  della  porta  (fig.  1,  A)  trovata  a  posto  con  battente  in  fuori,  aprendosi 
l'uscio  verso  l'interno. 

La  parete  esterna,  non  parallela  del  resto  agli  altri  muri  della  fabbrica,  appa- 
riva in  opus  ineertum  e  sovrapposta  ad  un  avanzo  d'opera  quadrata  a  tre  ordini  di 
blocchi  di  peperino  (fig.  1,  D),  vcrisimilmente  facente  parte  della  sostruzione  del- 
l'antica via,  che  montava  sul  colle  elevandosi  sensibilmente  dal  piano  della  fabbrica. 
Appena  entrati,  a  sinistra,  trovavasi  un  vano  trapezoidale  (fig.  1,  B)  lungo  m.  5  e 
largo  m.  2,25  e  m.  4,  che,  nell'angolo  adiacente  alla  via,  aveva,  incassata  nel  pavi- 
mento ad  opus  spicalum,  una  pietra  di  peperino  (fig.  1,  C)  spessa  m.  0,18,  lunga 
m.  0,80  e  larga  m.  0,60,  con  foro  nel  centro   di  cm.  10  di  diametro.   Rimossa  la 

(')  V.  Grossi-Gondi,  Il  Tmculano  nell'età  classica,  pag.  102  sg. 
(*)  V.  Grossi-Gondi,  op.  cit,  pag.  161  sgg. 


REGIONE    I. 


—  171  — 


LANUVIO 


pietra,  apparve  un  pozzetto  quadrangolare  ricolmo  di  terra  che  doveva  immettere  in 
una  fogna,  trattandosi  certamente  di  uno  scarico  (latrina  ?). 

Questa  parte  della  fabbrica,  con  la  via  antica  ed  i  retrostanti  ambienti  interni, 
venne  abbattuta  per  soddisfare  alle  esigenze  della  tramvia.  Dalla  parte  restata  può 
riconoscersi  come  la  fabbrica  fosse  costruita  nella  boll'opera  reticolata  con  pavimenti 
di  mosaico  a  bianco  e  nero,  tutt'ora  visibile.  Durante  lo  sterro  vennero  in  luce: 

la  parte  inferiore   di   un   catillus   di  mola,  del  diametro  di  m.  0,85,  con  le 
seguenti  lettere  scolpite  esternamente  :  H  O  F  ; 


0    12    3   4    5 
H-i — i — i — ! — |  mitri 


•sismmnssssi 


Pio.  1. 


frammenti  di  marmo  leggermente   scorniciati,  di  cui  uno  presenta  nel  mezzo 
la  lettera  A  ; 

mezza  faccia  barbata,  alta  m.  0,18  (Giano?),  appartenuta  ad  un'erma  mar- 
morea ; 

due  frammenti  di  antepagmento  di  terracotta,  uno  dei  quali  arcaico  con  tracce 
di  colorazione; 

due  piedi  votivi  di  terracotta  frammentati; 

un  campanello  di  bronzo  alto  m.  0,035. 
A  N.  della  via  antica,  tra  la  terra  si  rinvennero  una  mano  destra  fittile  votiva 
(alt.  cm.  17,50)  ed  alcuni  oggetti  di  creta  asciugata  al  sole,  lavorati  a  stampa,  di 
forma  ovoidale  da  imitare  le  susine  e  che  perciò  ritengo  frutta  votive  (alt.  cm.  4,5). 
La  presenza  di  vari  oggetti  votivi  in  queste  adiacenze  va  spiegata  col  fatto  che 
a  poca  distanza  esisteva  il  santuario  di  Giunone  Sospita,  di  cui  quei  fittili  potevano 
essere  pertinenza,  se  pure  non  costituissero  la  merce  di  tabernae  del  genere,  che 
non  dovevano  mancare,  por  le  esigenze  dei  devoti,  lungo  le  vie  adiacenti  al  celebre 
tempio. 


I 


r 


LANUVIO  —    172    —  REGIONE    I. 

Fu  pure  raccolto  un  elegante  gocciolatoio  di  terracotta  raffigurante  una  testa  di 
leone,  alto  m.  0,17;  un'olla  appena  scagliata  all'orlo,  alta  m.  0,45;  un  vasetto  a 
vernice  nera  iridiscente,  di  in.  0,15  di  altezza,  mancante  del  collo  e  delle  anse;  ed 
un  altro  piccolo  vasetto  (alt.  m.  0,065)  di  terracotta  gialla.  Più  a  N  di  questa 
fabbrica  è  stata  rimessa  completamente  in  luce  l'opera  reticolata  già  scoperta  durante 
gli  scavi  eseguiti  da  lord  Savile  negli  anni  1890-1893. 

* 

Nella  vigna  di  Magni  Francesco  alle  Grazie,  fu  rinvenuto  un  importante  late- 
rizio cbe  verso  l'orlo  presenta,  stampata  a  rilievo,  la  seguente  leggenda: 

□         s  A  C  R  A  •  U  A  N  uio 

Può  darsi  che  questo  fittile  (tegola?)  debba  riferirsi  al  celeberrimo  tempio  di 
Giunone  Lanuvina  e  che  sia  stato  impastato  con  argilla  proveniente  dai  campi  che 
costituivano  il  patrimonio  del  tempio  stesso  (Cfr.  App.,  Bell,  civ.,  V,  24;  Ephem. 
epigr.,  IX,  pag.  497,  n.  974,  l). 


Tra  i  sassi  della  maceria  che  circonda  la  vigna  dei  signori  Baccarini  alle  Tre 

Vie  vennero  raccolti  alcuni  resti  marmorei  di   cippi   funerari  che   presentano  due 
incomplete  iscrizioni: 

1.  In  un  sol  frammento  di  m.  0,28  2.  In  tre  frammenti  di  m.  0,25  X 

X  0,26X0,17:  0,35X0,39: 


D    •    M 
.ALEX  AN 


CLAVDIA... 

C0NIV-"  ...B.M 

.lNCOMjoara 

BILIP...  •••, 


Probabilmente  provengono  dalle  tombe  che  trovavansi  allineate  lungo  l'attigua 
via  antica  di  Astura. 

* 

Nel  magazzino  del  muratore  Vincenzo  Giusti  ho  trovato  un  frammento  d'epi- 
stilio marmoreo  di  m.  1,10  X  0,17  X  0,14,  pertinente  a  qualche  sacello  sacro  a  Diana, 
sul  quale  leggesi: 

Knae-sacrvm       philocalI 


Bik 


Nel  sec.  XVI,  da  questo  marmo  fu  ricavato  un  architrave  di  finestra  ;  ed  in  vero 
la  faccia  di  esso,  opposta  a  quella  contenente  l' iscrizione,  apparisce  scorniciata  e 
munita  di  scudo  nel  centro. 


REGIONE    I.  —    173    —  LANCVIO 

Impiantandosi  il  binario  della  tramvia  lanuvina,  nel  punto  in  cui  questa  attraversa 
la  moderna  via  provinciale  per  entrare  in  sede  propria,  lungo  il  versante  occidentale 
del  colle  di  s.  Lorenzo  e  precisamente  avanti  l'oliveto  Frezza,  furono  veduti  ed  in 
parte  divelti,  per  lo  spazio  di  m.  2,  i  poligoni  di  un'antica  via,  riapparsa  anche  più 
a  N  nell'  innalzare  alcuni  dei  pali  che  sostengono  i  reofori  elettrici.  Tali  resti  appar- 
tengono certamente  alla  stessa  via  che  apparisce  avanti  al  cemetero  e  che,  seguendo 
su  per  giù  il  tracciato  della  moderna  via  provinciale,  si  ricongiungeva  coll'Appia 
classica  poco  lungi  dall'antico  cippo  che  segna  il  XIX  miglio. 

Qui  presso,  ad  occidente  della  via  antica,  nella  vigna  dei  signori  Frediani-Dionigi, 
alla  Crocetta,  oltre  un  frammento  marmoreo  di  trapezoforo,  fu  raccolto  un  resto  di 
bollo  su  tegola  (CI.  L.  XV,  1324);  ed  un  altro,  a  lettere  cave  su  un  frammento  di 
mattone: 

O  . . .  L  FÉ  R  •  O  P 

Altri  bolli  su  laterizi  vennero  raccolti  nella  Cesetta  dei  medesimi  signori  ed  a 
levante  della  stessa  via.  Due  sono  già  cogniti  (C.  /.  L.  XV,  òAld  e  1068)  il  seguente 
è  inedito: 

O        CM  ...     ; 

Notevole  pure  un  frammento  laterizio  con  questo  marchio  incavato  |j.  Furono 

veduti,  nell'alto  di  detta  vigna,   dei  muri  reticolati  che  contenevano  pavimenti  di 
mosaico  a  fondo  bianco  con  fascia  nera. 


Il  sig.  A.  Soldi,  nella  sua  vigna  a  Vallefiara,  ha  raccolto  due  fondi  di  vasetti 
a  vernice  rossa  con  i  bolli: 

IJJIV  ATITI 

1.  2.  «•• 

(in  pianta  pedis)  FIGV 

Il  n.  2  può  completare  quello  riportato  nel  C  I.  L.  XV,  5094. 

* 

Sterrandosi  il  colle  di  s.  Lorenzo,  nel  versante  occidentale,  sotto  la  villa  Sforza, 
pure  per  l'impianto  della  tramvia,  sono  stati  scoperti,  nella  vigna  di  Teresa  Frezza 
vedova  Diamanti,  dei  muri  di  sostruzione  per  una  lunghezza  di  m.  24,50,  che  risul- 
tano formati,  verso  il  monte,  da  tìlari  d'opera  incerta,  restati  con  un'altezza  da  4  a 
5  metri,  spessi  m.  1,40  e  larghi  m.  2;  verso  la  facciata,  diretta  da  N-NO  a  S-SE, 
da  un  muro  rettilineo  d'opera  reticolata  spesso  m.  0,75.  Tra  gli  speroni  (ne  sono 
visibili  tre,  distanti  tra  loro  m.  1,75)  ne  furono  posti  irregolarmente  degli  altri  di 
minori  proporzioni.  Nei  rottami  si  osservano  residui  di  pavimento  rosso  con  pietruzze 
bianche  incastonate,  riferibili  evidentemente  alle  fabbriche  elevantisi  sul  piano 
sorretto  da  quello  sostruzioni  e  di  cui  non  mancano  vestigia  nei  terreni  sovrastanti. 


I.ANUVIO  —    174    —  REGIONE    I. 


Dal  sig.  V.  Seratrice  è  stato  donato  per  la  collezione  epigrafica  del  Museo 
civico  questo  titolo  funerario  (un  marmo  di  m.  0,33  X  0,36),  rinvenuto,  molti  anni 
or  sono,  nella  vigna  del  cav.  A.  Centini  a  Pianmairano,  assai  corroso  e  difficilissimo 
a  leggersi: 

D  M 

VELI  •  SILVANI 

ADERENTISSIMI 

MATERFEC 

VIXANN-XVI 

DIES- I 

Un  frammento  di  cippo  di  peperino,  di  m.  0,22  X  0,19  X  0,19,  integro  in  alto, 
fu  raccolto  tra  i  sassi  della  maceria  che  circoscriveva  la  vigna  del  sig.  G.  Minelli 
a  s.  Lorenzo;  e  conserva  questo  resto  di  leggenda: 


HTILIV. 

-ALPLE.. 

..ERCL.. 

...I... 


A.  Galieti. 


SICILIA  —   175   —  SIRACUSA 


Anno  1915  —  Fascicolo  6. 


SICILIA. 

I.  SIRACUSA  —  Scavi  di  piazza  Minerva.  Per  quattro  anni  di  seguito  (1912- 
1915)  e  con  spesa  ingente  ho  condotto  nella  via  Minerva,  che  corre  parallela  al  lato 
settentrionale  del  tempio  di  Athena  in  Ortygia,  una  serie  di  campagne  di  scavi,  i  cui 
risultati  non  mi  perito  a  proclamare  i  più  brillanti  che  mai  siensi  ottenuti  in  Siracusa. 
Lo  scavo  è  stato  di  tale  vastità  ed  entità,  che  non  è  possibile  riassumerlo  nelle  non 
molte  pagine  che  mi  verrebbero  consentite  dalla  mole  delle  Notizie.  E,  d'altro  canto,  tale 
esposizione,  ove  non  fosse  accompagnata  da  un  largo  corredo  di  piante  e  disegni,  torne- 
rebbe in  troppe  parti  inadeguata,  oscura  e,  quindi,  insufficente.  Basti  dire  che  il  solo 
rilievo  planimetrico  dello  scavo  e  dei  ruderi,  col  relativo  diagramma,  alla  scala  di 
1 :  50,  misura  in  lunghezza  m.  2  28.  È  quindi  ragionevole  che  la  pubblicazione  defi- 
nitiva di  questo  grandioso  scavo  stratigrafico,  di  capitale  interesse  storico  ed  archeo- 
logico, venga  riservata  ai  Mon.  ant.  dei  Lincei. 

Tuttavia,  in  attesa  della  ancora  lontana  pubblicazione  definitiva,  m'ingegnerò 
di  esporre,  nel  modo  più  comprensivo  che  mi  sia  possibile,  i  risultati  generali  con- 
seguiti, tenendo  sopra  tutto  presente  il  peculiare  carattere  dello  scavo,  che  in  una  serie 
di  strati  sovrapposti  ci  ha  rivelato  brani  della  storia  siracusana  e  dei  suoi  culti  dal 
sec.  X  av.  Cr.  all"Xl  d.  Or.  (»). 

Lungo  tutta  la  via  Minerva,  ad  una  profondità,  dal  vecchio  piano  stradale  (di 
questi  giorni  sensibilmente  modificato),  oscillante  intorno  ai  3  m.,  si  stende  il  piano 
delle  rocce  vergini,  sul  quale  si  trovarono  sempre  ed  ovunque  adagiati  gli  avanzi 

(')  Si  consulti  anche  il  mio  scrittarello:  Gli  scavi  di  piazza  Minerva  in  Siracusa  (confe- 
renza rientrata),  Siracusa  1913,  che  dà  nn  resoconto  sommario  della  prima  fase  di  essi. 

Notizik  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  24 


SIRACUSA 


178   — 


SICILIA 


coroplastico.  Se  colla  sua  piccola  mole,  di  soli  cm.  57  in  altezza,  esso  scompare 
davanti  al  corrispondente  colosso  di  Corfù,  di  molto  però  lo  supera  per  le  cure  estreme 
della  modellazione  e  per  la  ricchezza  dei  colori. 


Fio.  1. 


Attorno  alla  stessa  edicola  si  ricuperò  una  quantità  di  massi  squadrati,  alcuni 
anche  tagliati  ad  arco  ;  altri  poi  sono  decorati,  su  ambo  le  fronti,  di  grandiosi  giragli 
ionici  colorati  in  rosso  (tìg.  2).  Si  ebbero  altresì  elementi  lapidei  delle  metope,  dei 
triglifi  e  della  cornice.  La  ricostruzione  grafica  di  questo  edificio,  collocando  a  posto  il 
fregio,  gli  acro  te  ri,  e  gli  altri  elementi,  è  opera  estremamente  delicata  e  laboriosa, 
a  cui  sto  attendendo,  in  preparazione  della  pubblicazione  definitiva.  Né  si  devono  di- 


SICILIA 


179 


SIRACUSA 


monticare  i  frammenti,  disgraziatamente  assai  mutili,  di  altre  grandi  figure  fìttili,  viva- 
cemente colorate,  di  cui  non  sono  ancora  in  grado  di  dire,  se  spettassero  a  xaQl(tTVQta 
autonomi  ed  esposti  su  basi,  ovvero  alla  decorazione  frontonale  di  talune  di  codeste 
edicole. 


Un'altra  piccola  costruzione  quadrata  (edicola  ?),  completa  nelle  sue  fondazioni  e 
con  curiosi  particolari  costruttivi,  venne  riconosciuta  davanti  all'albergo  Roma.  E  dal 
lato  opposto,  sotto  le  fondazioni  del  nuovo  Istituto  tecnico  comunale,  spuntò  il  fronte 
meridionale  di  un'altra  poderosa  fabbrica  a  grandi  massi,  che  data  la  sua  estensione, 
non  si  esclude  fosse  un  altro  tempio.  Sciaguratamente  essa  si  addentra  sotto  il  detto 
Istituto,  di  guisa  che  ogni  tentativo  di   definirne  la  forma  e  lo  sviluppo  fu  vano. 

In  fine  si  è  seguito  per  buon  tratto  un  lungo  muro  con  andamento  in  parte 
rettilineo  spezzato,  in  parte  curvilineo,  che  potrebbe  essere  V  ogog  o  recinto  perime- 
trale del  sacro  temenos  arcaico  ;  e  nella  parte  interna  di  esso  si  segnalarono  avanzi 


SIRACUSA 


—  180  — 


SICILIA 


di  almeno  due  altri  piccoli  edifìci  arcaici,  costruiti,  come  tutti  gli  altri,  a  grandi 
massi  ma  di  troppo  menomati  perchè  si  possa  dire,  anche  in  via  di  lata  ipotesi, 
della  loro  forma  primitiva  e  della  destinazione  originaria. 


Fio.  3. 


In  fatto  di  scolturo  marmoree  la  mèsse  è  stata  scarsa  quanto  mai;  ma  nella 
metà  occidentale  di  via  Minerva  si  ricuperò,  negli  strati  superiori,  una  quantità  vera- 
mente impressionante  di  frammenti  di  tegole  marmoree  non  solo,  ma  della  cornice 
suprema  del  tempio  con  becchi  di  civetta,  e  della  sima-grondaia  terminale  con  ma- 
gnifici saggi  svariati  delle  teste  leonine  pure   in   pano,   che  servivano  allo  scarico 


SICILIA  —    181    —  SIRACUSA 

delle  acque  pluviali  dal  tetto.  Un  pezzo  di  primo  ordine,  per  quanto  mutilo  e  defor- 
mato è  la  scoltura  riprodotta  a  fìg.  3,  scoltura  che  era  stata  impiegata  come  materiale 
da  fabbrica  nel  muro  di  una  povera  casa  bizantina  dello  strato  superficiale.  È  una 
Nike  acefala  in  pario,  a  corpo  molto  piatto,  che  incede  ginocchio  a  terra,  col  torace 
di  pieno  prospetto,  vestita  di  chitone  stretto  alle  carni,  con  lunghe  trecce  sulle  spalle 
e  larga  falda  della  chioma  sul  dorso,  il  quale  era  lavorato  sommariamente.  Pare 
certo  trattarsi  di  una  Nike,  dagli  attacchi  delle  ali  ancora  superstiti  sul  dorso  (foro 
per  perno  metallico).  Non  ostante  il  suo  stato  di  estrema  mutilazione,  la  statua  richiama, 
nello  schema  fondamentale  ed  in  molti  particolari,  la  statua  deliaca  di  Mikkiades  ed 
Archermos,  uscita  dalla  scuola  di  Ohio  (').  La  sua  altezza  è  di  cm.  76. 

Di  un'altra  statua  muliebre  marmorea,  di  carattere  piatto  come  la  precedente, 
si  ebbe  la  gamba  sin.  con  un  grande  partito  del  panneggio  teso  fra  le  gambe  aperte; 
questo  frammento  formava  da  coperchio  ad  una  tomba  bizantina. 

Dalla  rapida  e  fin  troppo  concisa  esposizione  che  ho  fatta,  comprenderà  ognuno 
l'altissima  portata  storica  ed  archeologica  di  questo  magnifico  scavo;  che  solo  allora 
verrà  adeguatamente  apprezzato,  quando  si  darà  la  illustrazione  completa  così  dei 
singoli  edifici,  come  del  materiale  raccolto.  Tra  esso  occupa  un  posto  preminente  la 
massa  delle  t.  e.  architettoniche  arcaiche,  la  cui  divulgazione  aprirà  nuovi  orizzonti 
nello  studio  dell'architettura  fìttile,  che  in  Sicilia  ebbe  diffusione  amplissima  e  forse 
anche  la  sua  prima  origine. 

Nuove  scoperte  nella  necropoli  del  Fusco.  Come  è  ben  noto,  essa  comprende 
sepolcri  greci  forse  del  sec.  Vili,  certo  del  VII  e  del  VI  ;  è  una  delle  meglio  cono- 
sciute tra  quelle  di  tutta  la  Sicilia  greca  orientale,  ed  i  suoi  reperti  vascolari  costi- 
tuiscono ormai  uno  dei  caposaldi  per  la  cronologia  delle  ceramiche  dette  protocorinzie 
e  corinzie.  Ma  per  le  epoche  susseguenti  io  avevo  più  volte  lamentato  {Notisie  1905, 
pag.  383)  la  scomparsa,  o,  per  meglio  dire,  la  irreperibilità  dei  sepolcri  del  sec.  V 
coi  vasi  di  stile  rosso,  dei  quali  ben  poco  ci  era  sin  qui  pervenuto  {hotìsie  1891, 
pp.  408  e  segg.  ;  1907,  pp.  744  e  segg). 

Ora  una  inattesa  scoperta  mi  mette  in  grado  di  colmare,  almeno  in  parte,  questa 
lacuna  nella  cronologia  sepolcrale  e  vascolare  di  Siracusa.  Essa  trae  origine  da  un 
insignificante  avvenimento,  il  quale  vale  a  dimostrare  la  fallacità  dei  criteri  a  cui 
talvolta  s'informano  anche  i  più  consumati  esploratori,  dalla  cui  bocca  deve  esulare 
la  formola  «  suolo  esaurito  » ,  perchè,  quando  meno  uno  lo  pensa,  un  fatto  imprev- 
visto  viene  ad  aprirvi  nuovi  campi  ed  a  porgervi  nuove  rivelazioni. 

Io  supponeva  che  i  ricchi  sepolcri  fuscani  del  sec.  V,  comprendenti  anche  il 
glorioso  periodo  dinomenidico,  fossero  stati  distrutti  in  antico,  o  fossero  per  sempre 
celati  sotto  le  alluvioni  dell'Anapo.  Se  codesta  mia  opinione  era,  per  ragioni  che 
non  è  qui  il  caso  di  svolgere,  in  parte  vera,  per  altra  parte  risultò  infondata. 

Nel  maggio  1914  alcuni  cavatori  di  pietra,  avendo  preso  in  gabella  quel  tratto 
della  terrazza  siracusana  del  Fusco  che  si  stende  a  mezzogiorno  della  cabina  elet- 


(')  Perrot,  Histoire  de  l'art,  Vili,  pp.  300  e  segg. 


SIRACUSA  —   182   —  SIOILU 

trica  e  del  deposito  macchine  della  ferrovia  Siracusa- Vizzini,  procedendo  sull'estremo 
orlo  meridionale  di  detta  terrazza  alla  completa  denudazione  della  roccia  per  estir- 
parla, si  avvidero  che  essa  conteneva  numerosi  sepolcri  greci.  Avvertito  della  scoperta, 
organizzai  subito  una  prima  campagna  nel  maggio-giugno  1915,  seguita  da  un'altra, 
più  vasta,  nel  settembre-decembre  dello  stesso  anno.  I  risultati  conseguiti  andarono 
di  là  dalla  mia  aspettativa,  e  qui  vengono  esposti  soltanto  in  modo  sintetico, 
essendo  necessari  grandi  e  copiosi  disegni  per  la  illustrazione  definitiva,  riservata  ai 
Monumenti  antichi  dei  Lincei. 

In  complesso  si  esplorarono  94  sepolcri  (dal  n.  588  al  672,  riattaccando  colla 
vecchia  enumerazione).  Ammaestrato  dall'esperienza,  adottai  questa  volta  il  sistema 
radicale  di  procedere  alla  completa  denudazione  del  banco  roccioso,  il  che  ci  ha  messi 
in  grado  di  esaurire  il  suolo  e  di  nulla  lasciarci  sfuggire. 

A)  Circa  la  Forma  dei  sepolcri  abbiamo:  a)  Pozzetti  n.  16,  per  lo  più 
cilindrici,  assai  di  rado  quadrati,  di  modica  profondità,  per  ricevere  gli  ossuari,  quasi 
sempre  sotto  forma  di  vasi  dipinti  racchiudenti  la  cremazione.  Nei  precedenti  scavi 
del  Fusco  una  parte  di  essi  ci  era  sfuggita,  essendosi  soltanto  tasteggiato  il  suolo 
colle  trivelle.  Col  nuovo  metodo  radicale  si  è  eliminato  questo  inconveniente  ;  e  quando 
si  pubblicherà  la  pianta  del  nuovo  tratto  della  necropoli,  si  vedrà  la  distribuzione 
al  tutto  capricciosa,  né  regolata  da  norma  veruna,  dei  pozzetti  in  rapporto  alle  fosse. 
Detti  pozzetti  erano  in  origine  protetti  da  lastre,  od  anche  da  semplici  tegole,  la 
maggior  parte  delle  quali  apparvero  rimosse  dalle  vicende  agricole  del  soprassuolo. 
—  b)  Grandi  fosse  nella  roccia  n.  61  :  è  questa  la  più  comune  forma  delle  necropoli 
a  fondo  roccioso;  la  fossa  è  per  lo  più  munita  di  controfossa  superiore,  e  la  bocca 
ne  è  chiusa  da  grandi  lastroni  ;  in  casi  eccezionali  si  hanno  anche  fosse  piccole  per 
fanciulli  e  bambini.  Quasi  mai  esse  hanno  le  pareti  rivestite  di  intonaco.  Una  sola 
era  foderata  di  grossi  massi  in  candido  calcare  (n.  631),  ed  una  seconda  (n.  650), 
trattata  in  egual  modo,  aveva  poi  una  copertura  di  tegole  a  piovente.  Il  n.  632  era 
una  tomba  di  pezzame  e  di  tegole  in  coltello,  per  fanciullo,  installata  entro  una 
grandiosa  fossa,  destinata  in  origine  ad  un  adulto.  —  e)  Sarcofaghi  monoliti  se  ne 
riconobbero  solo  due:  il  n.  661  racchiudeva  due  bambini,  ed  era  piazzato  dentro 
una  controfossa,  sui  copertoni  della  fossa  sottostante.  Il  sep.  670  era  un  grandioso 
monolito  (m.  2,30  X  0  98),  con  coperchio  a  spiovente  ed  acroterì,  penosamente  calato 
a  piombo,  certo  mediante  una  capra,  entro  una  fossa  la  cui  bocca  dovette  essere 
protetta  da  copertoni,  in  seguito  strappati. 

B)  Il  Rito  funebre  era  rappresentato  da:  a)  Cremazione  in  33  casi;  per 
lo  più  il  morto,  cremato  a  parte,  veniva  poi  raccolto  in  un  grande  vaso  dipinto,  od 
in  bacile  di  rame;  in  7  casi  però  si  riconobbe  che  il  cadavere  disteso  nella  fossa, 
e  certamente  sopra  una  catasta  di  legno  in  precedenza  apprestata,  v'era  stato  arso, 
senza  procedere  poi  &\\'ossilegium.  —  b)  L'umazione  è  data  da  44  casi  ben  riconosciuti; 
ma  di  qualche  sepolcro,  essendo  scomparsa  ogni  traccia  delle  ossa,  mangiate  dai  sali 
del  suolo,  non  si  è  tenuto  conto  per  i  dati  statistici,  sebbene  la  forma  del  rito  sia 
indirettamente  accertata.  —  e)  Infine  si  ebbe  un  unico  esempio  di  enchytrismós 
infantile  nel  sep.  636. 


SICILIA  —    183    —  SIRACUSA 

C)  I  Corredi  funebri  erano  molto  semplici,  e  vorrei  dire  di  una  così  rigida 
austerità  da  doverla  dire  povertà,  se  non  si  sapesse  che  le  condizioni  economiche 
della  città  erano  in  quell'epoca  floridissime.  Tutto  il  lusso  che  i  Siracusani  si  con- 
sentivano era  quello  di  un  grandioso  sepolcro,  ben  protetto  da  poderosi  lastroni,  o 
di  un  bel  vaso  figurato  per  raccogliere  le  ceneri.  La  necropoli  del  Fusco  (e  siamo 
ormai  presso  ai  700  sepolcri)  mai  ha  dato  un  oggetto  di  oro,  ove  se  ne  tolga  lo 
scarabeo  in  lamina  del  sepolcro  81,  ed  assai  scarsi  sono  anche  quelli  in  argento.  Il 
sec.  V,  che  colla  prima  metà  del  IV  segna  l'apogeo  della  potenza  politica  ed  anche 
economica  di  Siracusa,  è  caratterizzato  dalla  estrema  sobrietà  dei  corredi.  Tutto,  può 
dirsi,  si  riduce  al  vasellame,  il  quale,  povero  o  ricco  che  sia,  ha  il  grande  vantaggio 
di  servirci  come  indice  cronologico  sicuro  dei  vari  gruppi  sepolcrali. 

Due  sole  tombe  (la  621  e  la  636)  ci  hanno  dato  del  piccolo  vasellame  proto- 
corinzio (bombylioi,  piccole  lekythoi  a  cuore  e  kylikes),  che  le  fa  salire  al  VII  sec. 
Il  667  conteneva  bucchero  nero,  bucchero  bigio  e  vasetti  corinzii  :  una  massa  di 
corinzio  frantumato  ha  dato  il  661  ;  un  bacile  in  bronzo  con  due  alabastri  ed  un  bomby- 
lios  cuoriforme  corinzio  il  656.  Pochissimi  sepolcri  hanno  fornito  piccola  ceramica  coeva 
allo  stile  nero  (sec.  VI);  di  tale  età  sono  anche  l'anfora  cineraria  n.  631,  un  bel  cal- 
dajo  di  rame  sferoide  con  maniglie  girevoli  (n.  616),  ed  un  bacile  pure  in  lamiera, 
ma  irrestaurabile  (n.  656).  Il  caldajo  di  bronzo  era  dentro  un  dado  di  pietra  forato  e 
coperto  di  lastra,  collocato  al  centro  di  una  grande  fossa  (m.  2,80  X  1,20  X  1,25), 
la  quale  conteneva  anche  due  crateri  a  campana.  Sono  tre  incinerazioni,  di  cui  la 
prima  difficilmente  scenderà  sotto  il  '500,  mentre  le  altre  due  spettano  alla  prima 
metà  del  sec.  IV  ;  dunque  un  sepolcro,  forse  di  famiglia,  usato  da  due  generazioni  assai 
discoste  quanto  ad  età.  All' infuori  di  questi  sepolcri,  tutto  il  resto  appartiene  allo 
stile  rosso  nelle  sue  varie  fasi  :  quindi  al  V  ed  al  IV  secolo.  Allo  stile  rosso  severo 
assegno  un  solo  cratere  a  colonnette  ;  al  rosso  nobile  e  bello  un'hydria  a  due  registri 
ed  una  seconda  decapitata,  una  pelike  con  grandiose  figure  dionisiache  e  due  crateri; 
tutto  il  resto  rientra  nel  ciclo  midiaco  e  nella  decadenza;  colla  quale  cronologia 
collimano  anche  pochi  vasetti  neri  impressi.  Aggiungo  qui  la  statistica  dei  grandi  vasi 
figurati,  tenendo  pur  conto  di  quelli  pervenutici  in  stato  frammentario,  ed  irrestaurabili 
perchè  incompleti. 

Num. 

Anfora  a  figure  nere 1 

»        a  rotelle 1 

Crateri  a  colonnette  con  figure  r.     .  5 

Pelike  a  figure  r 1 

Hydrie  a  figure  r 3 

Crateri  a  calice  con  figure  r.    .    .    .  2 

»        a  campana  con  figure  r.    .    .  7 

Totale    ...  20 

Come  curiosità  singolare,  anzi  rarissima,  non  va  dimenticato  un  grande  e  spesso 
disco  in  ferro  (diam.  cm.  27),  pesante  alcuni  kgr.,  ed  appartenuto  ad  un  discobolo, 
sotto  il  cui  cranio  era  stato  deposto  a  mo'  di  capezzale. 

Notizie  Scavi  1815  —  Voi.  XII.  25 


SIRACUSA 


—  184  — 


SICILIA 


Che  la  necropoli  fosse  adorna,  nel  soprassuolo,  di  stelai  sculte,  lo  desumo  dalla 
presenza  di  alcuni  pochi  ed  assai  lacunosi  frammenti  plastici,  in  marmo  ed  in  calcare 
finissimo,  pertinenti  tutti  ad  altorilievi,  con  residui  di  figurazioni,  che  dal  poco  che 
si  scorge  pare  si  debbano  tutte  riferire  al  sec.  V.  E  vi  dovettero  essere  altresì  delle 
edicole,  la  cui  presenza  è  rivelata  da  due  grandi  frammenti  di  cornici  in  calcare, 
l'una  con  kymation  lesbico,  l'altra  ad  ovoli,  di  ottimo  magistero. 


Pio.  4. 


Coordinando  ora  queste  fortunate  scoperte  con  quelle  di  quasi  5  lustri  addietro, 
ne  viene  riconferma  alla  topografìa  e  cronologia  della  necropoli,  che  sin  da  allora  io 
aveva  intravveduta  e  delineata.  I  gruppi  più  antichi,  del  periodo  protocorinzio,  corinzio 
e  dello  stile  nero  sono  sulle  piccole  terrazze  a  levante  della  ferrovia.  Nella  spianata 
dalla  ferrovia  fin  verso  il  cimitero  abbiamo  i  sepolcri  del  V  e  IV  secolo;  ma  in  essi 
sono  sporadicamente  interpolati  taluni  gruppetti  più  antichi.  Coll'apppezzamento 
denominato  Tor  di  Conte,  più  verso  ponente,  fino  a  Canalicchio,  si  hanno  le  tombe 
più  tarde  ieroniane  ed  ellenistiche  ;  ma  anche  qui  non  manca  qualche  interpolazione 
antiqniore  o  seriore.  L'area  esaurita  dalle  campagne  di  scavo  1914-1915  appartiene 
in  gran  prevalenza  ai  secoli  V  e  IV. 


SICILIA 


—  185  — 


SIRAC0SA 


Da  ultimo  osservo  che  un  tratto  di  questo  appezzamento  funebre  si  svolgeva 
lungo  una  grande  via,  della  quale  si  riconobbero  tracce  ragguardevoli  impresse  nella 
roccia;  e  altresì  si  vide  che  essa  era  stata  successivamente  obliterata  e  spostata. 

Necropoli  in  contrada  Canaticchio.  Ho  segnalato,  or  non  è  molto  (Notizie 
1913,  pp.  275  e  segg.),  la  scoperta,  quivi  avvenuta,  di  una  camera  funebre  con  molte 
urne  plumbee.  Essendosi  ora  ampliata  di  molto  per  i  lavori  del  porto  la  cava  di 
pietra  colà  esistente,  e  denudandosi  tutto  il  crostone  roccioso,  si  vide  che  esso  era 
pertugiato  da  numerose  e  profonde  fosse  sepolcrali  greche,  disgraziatamente  tutte 
violate  nell'antichità.  Sono  le  consuete  tipo  del  Fusco,  con  risega  per  appoggiarvi  i 
copertoni,  quasi  tutti  scomparsi.  Fino  al  momento  in  cui  scrivo  (giugno  1915),  ne  sono 
state  messe  a  vista  almeno  una  cinquantina,  ma  non  una  colle  coperture  a  posto  o 
col  contenuto  intatto.  Avendo  più  volte  visitato  quella  cava  e  fatti  vigilare  i  lavori, 
ho  recuperato  un'altra  urna  in  piombo  anepigrafa.  In  una  fossa,  in  mezzo  ad  avanzi  sche- 
letrici v'erano  parecchi  vasi  a  fuso  e  due  terracotte  di  soggetto  raro,  vorrei  dira  nuovo  ('), 
che  qui  riproduco  (fig.  4),  di  un  putto  a  cavallo  colla  clamide  svolazzante  (cm.  15  X  14). 
Ma  il  pezzo  più  ragguardevole  che  riuscii  a  salvare  è  la  parte  centrale  di  una  stele 
quadra  (cm.  36  X  25,5)  in  calcare  scelto,  stroncata  in  alto  ed  in  basso,  ma  fortuna- 
tamente conservante  intatto  il  breve  testo  funebre,  che,  attesa  la  bellezza  delle  lettere, 
riproduco  in  facsimile: 


di  A       11   <— ' —      ■     n       M 


Sevoxgiioc  Fio.  5 

' Hcpaiarox/.éov 
MaddaXióirjg 

Le  forme  epigrafiche  coincidono  a  capello  con  quelle  di  un  titolo  di  Ierone  II, 
ed  in  parte  con  uno  di  Gelone  II  (*)  ;  ond'  è  che  alla  metà  circa  del  III  sec.  io 
assegno  anche  il  nostro  epitaffio  (3).  Il  quale  colpisce  per  la  notizia,  che  ci  tramanda, 

('  )  Nuovo  certamente  per  la  Sicilia.  Esso  però  si  accosta  ad  esemplari  di  Cipro  e  della  Troade. 
(cfr.  Winter,  Typen,  II,  pp.  306,6;  301,  »). 

(a)  Kaibel,  Inscriptiones,  n.  2;  Orsi,  in  Rivista  storia  antica  di  0.  Tropea,  an.  I,  fase.  II 
(1896),  pag.  22. 

(a)  È  opportuno  di  rammentare  come  dallo  stesso  predio  di  Canalicchio  derivi  anche  il  titoletto 
da  me  edito  in  Riv.  star,  antica,  an.  1900,  pag.  61  ;  e  da  quello  limitrofo,  propr.  Tarantello,  l'altro 
a  belle  Jettere  'geometriche,  divulgato  da  me  in  Notizie  1907,  pag.  751. 


SIRACUSA 


186  — 


SICILIA 


di  codesto  Xenocrito  di  Massalia,  morto  a  Siracusa.  Egli  era,  probabilmente,  un  mer- 
cante dei  tempi  di  Ierone  II,  quando  le  relazioni  commerciali  di  Siracusa  erano 
vastissime  sui  mari.  Ma  è  la  prima  volta,  che  io  sappia,  di  relazioni  fra  la  dorica  e 
la  focese  città;  prove  meno  dirette  di  commerci  fra  Massalia  e  la  Sicilia  si  hanno 
anche  in  qualche  rarissimo  obolo  massalioto  del  sec.  V,  o  per  lo  meno  anteriore  al 
350  (Head,  H.  N.,  pag.  7),  di  cui  ho  visto  qualche  esemplare  in  giro,  ed  uno  è 
posseduto,  con  accertata  origine  siciliana,  dal  Museo  di  Siracusa. 

Sono  ancora  in  tempo  di   aggiungere   che,   proprio  negli  ultimissimi  giorni  del 
giugno  1915,  un  paio  dei  sepolcri  che   venivano   distrutti  hanno  dato,  assieme  con 


Fio.  6. 


avanzi  scheletrici,  una  certa  quantità  di  materiale,  di  cui  giova  tener  conto  per  la 
cronologia  della  necropoli.  Oltre  ad  un  certo  numero  dei  notissimi  vasetti  a  fuso,  di 
piccole  e  povere  lucernette  e  di  piattelli,  si  ebbe  un  vaso  configurato  in  forma  di 
cagna  o  leonessa  seduta,  con  collare  a  pendagli  ;  e  poi  vi  erano  due  monete  in  bronzo, 
una  dei  tempi  agatoclei  e  l'altra  di  Rhegium  (Garrucci,  M.  I.  A.,  tav.  CXV,  fig.  12), 
ambedue  molto  logore.  Tutto  ciò  conferma  la  cronologia,  che  più  sotto  propongo  per 
questa  necropoli. 

In  Notizie  1913,  pag.  280,  ho  datato  dal  II  sec.  av.  Cr.  l'ipogeo  dalle  urne 
plumbee  ;  ma  la  circostante  necropoli  a  fosse  risale,  almeno  in  parte,  al  III.  Il  gruppo 
di  Canalicchio  non  è  che  l'estrema  propaggine  della  vasta  necropoli  fuscana,  che  si 
stende  sul  lato  sinistro  della  rotabile  Siracusa- Fio  ri  dia.  Dal  primo  appezzamento 
presso  l'ex-osteria  Hejna  (colle  tombe  del  sec.  Vili)  fino  a  Canalicchio  sono  poco 
meno  di  2  km.;  e  tanta  era  appunto  la  lunghezza  della  necropoli  della  Siracusa 
greca,  che  colà  leutamente  si  svolse  io  mezzo  millennio  circa. 


SICILIA 


—  187 


SIRACUSA 


Sepolcro  con  oreficerie  in  contrada  Dammusi.  Nel  febbraio  1912  alcuni  villici, 
eseguendo  lavori  agricoli  per  conto  del  padrone,  in  contrada  Dammusi  oltre  la  Galera, 
in  prossimità  della  rotabile  di  Floridia.  s'imbatterono  in  una  piccola  tomba,  di  cui 
trafugarono  il  contenuto;  esso  però  pervenne  integralmente  al  Museo  mercè  lo  zelo 
dei  nostri  agenti  della  polizia  archeologica.  Il  luogo  della  scoperta  è  un  piano  roc- 
cioso coperto  di  '/« m-  di  humus  con  vigne  ;  i  sepolcri  non  sono  perciò  a  vista,  ma, 
da  saggi  che  vi  ho  fatto  eseguire,  non  risulta  vi  sieno  numerosi.  Quello  scoperto  dai 


Fio.  7. 


villici  consisteva  in  un  piccolo  sarcofago  monolito,  coperto  di  lastrone  e  racchiudente 
uno  scheletro  di  tenera  età,  col  seguente  corredo: 

A)  Pittili.  Due  piccole  lekythoi  aryballiche,  probabilmente  dimane,  a.  cm.  9 
e  9,7.  la  prima  con  reticolato  sul  ventre,  l'altra  con  figura  di  donna  seduta  sopra 
un  masso  bianco;  nella  d.  essa  tiene  un  tirso  b.,  nella  sin.  un  canestro  con  frutta 
ed  una  ghirlanda,  Minuscola  lekane,  sul  cui  coperchio  corona  ad  elementi  bianchi, 
rossi  e  gialli.  Pyxis  ovolare  nera  con  fregi  bianchi  e  rossi  e  raggiera  sul  coperchietto  ; 
alt.  cm.  5,7.  Lucerna  nera  globulare  a  becco  d'anitra.  Piede  di  vaso,  forse  di  lekythos, 
sul  quale  è  graffito  HED;  probabilmente  esso  non  spetta  al  sep.  ma  era  sparso 
nella  terra.  Lotto  di  quattro  minuscoli  vasetti  grezzi,  e  cioè  alabastron,  situlina,  baci- 
nella costolata,  oenochoe,  tutti  con  deboli  tracce  di  nero. 

B)  Oreficerie.  Pariglia  di  minuscoli  orecchini  gemelli,  ognuno  a.  mm.  40 
e  pesante  gr.  4,5  ;  essi  constano  di  un  disco,  munito  di  gancio  nel  rovescio,  e  deco- 
rato, nel  dritto,  di  una  rosetta  centrale  a  minutissima  filigrana.  Dal  disco  pende  una 


SIRACOSA  —    188   —  SICILIA 

microscopica  figurina  a  mm  5,  a  mezzo  busto  (Hermes  con  petaso  ?!  o  donna  con 
capelli  annodati  in  fronte?  od  un  Atis?  Causa  la  grande  piccolezza,  non  torna  agevole 
la  definizione  della  figurina),  alla  quale  è  attaccata  una  piramidetta  a  globuli  e  fili- 
grane; lateralmente  pendono,  da  ogni  disco,  delle  gocciole  auree.  Minuscolo  anello 
digitale  a  tortiglione,  nel  quale  è  montato  uno  scarabeo  girevole,  in  corniola;  esso 
reca  incisa  a  globulo  una  figura  di  animale.  Cinquantotto  perlette  sferiche,  e  due 
tubetti  decorati  di  fogliami  filogranati,  costituenti  in  origine  una  collanina. 

I  due  orecchini,  di  gusto  squisito,  rappresentano  un  «  tour  de  force  »  della  micro- 
tecnica auraria;  difficilmente  si  saprebbe  oggi  ottenere  il  vaghissimo  e  delicato  effetto 
a  cui  arrivarono  gli  artisti,  forse  alessandrini,  che  confenzionarono  questi  gingilli  ('). 
Lo  scarabeino  a  globulo,  se  trovato  isolato,  verrebbe  senza  esitanza  attribuito  al 
sec.  VI  od  ai  primi  anni  del  V  ;  e  siccome  allo  scarabeo,  simbolo  dell'eternità,  si 
attribuivano  virtù  apotropaiche,  niente  impedisce  che  esso  sia  veramente  di  un 
due  secoli  più  antico   della  tomba  e  del  gioiello,  sul  quale  venne  montato. 

Ho  fatto  eseguire  scavi  in  questa  contrada,  nella  speranza  di  trovarvi  una 
necropoli  ;  i  risultati  furono  negativi,  perchè  si  scoprì  soltanto  un  altro  sepolcro  a  fossa 
con  nudo  scheletro.  Escludo  pertanto  la  possibilità  di  una  vera  necropoli,  e,  quanto 
meno,  che  gli  sporadici  sepolcri  di  Dammuso-Galera  rappresentino  la  continuazione 
della  grande  necropoli  fuscana.  È  vero  che  la  Galera  è  in  contiguità  immediata  con 
Canalicchio  ;  ma,  dato  l' isolamento  di  questi  sepolcri,  a  me  pare  di  dovervi  riconoscere 
il  sepolcreto  di  una  fattoria,  il  cui  proprietario,  vivente  forse  all'epoca  del  secondo 
Jerone,  circondò  di  preziose  oreficerie  la  tenera  bambina  immaturatamente  perduta. 

Necropoli  greco-arcaica  a  S.  Lucia.  Nel  1892,  nel  predio  Novantieri,  che  si 
stende  a  mezzogiorno  di  S.  Maria  di  Gesù,  si  rinvenne  casualmente  un  sepolcro 
arcaico  con  buoni  vasi  a  figure  nere,  da  me  editi  in  Notizie  1893,  pp.  122  e  segg.  ; 
allora  non  esitai  a  riconoscere  in  quel  sepolcro  una  traccia  della  necropoli  predino- 
menidica  di  Acradina  bassa,  come  poco  prima  avevo  segnalato  tracce  di  una  necro- 
poli di  Acradina  alta  nel  predio  Odone  (Notizie  1891,  pag.  411).  Il  podere  Novan- 
tieri, poi  Mezio,  poi  Cassola,  è  stato  ora  quotizzato  per  aprirvi  strade  ed  erigervi 
case;  nella  parte  superiore  di  esso  io  avevo  anche  riconosciuto  delle  buone  costru- 
zioni di  età  romana  (Notizie  1902,  pp.  402  e  sgg.). 

Ma,  più  assai  delle  fabbriche,  interessava  sapere  se  effettivamente  esistesse  colà 
una  necropoli  arcaica,  la  cui  presenza  si  sarebbe  collegata  ad  un  quesito  di  topografia 
archeologica,  relativo  allo  sviluppo  della  città  nei  tempi  pie-  e  dinomenidici.  Ho 
perciò  fatto  sempre  tener  d'occhio  i  grandi  cavi  edilizi  che  da  oltre  un  anno  si  ven- 

(')  La  più  grande  rassomiglianza  coi  nostri  hanno  due  pariglie  di  orecchini  del  Museo  Bri- 
tannico (Marshall,  Jewellery  in  the  British  Mmeum,ta.v.  XXX,  un.  1662-1663,  1672-1673),  alquanto 
più  grandi  dei  siracusani.  Il  disco  colla  rosetta,  il  movimento  dei  giragli,  la  forma  delle  fioccaglie, 
la  figurina  mediana  tutta  raccolta,  non  che  la  canestra  conica  finale,  hanno  tanta  identità  da  far 
pensare,  più  che  a  stile  e  gusto  comuni,  ad  una  comune  officina.  E  siccome  quelle  pariglie  vengono 
dalla  Cuma  eolica,  converrà  ammettere  una  fabbrica  orientale;  né  si  esclude  la  possibilità  di  collo- 
carla in  Alessandria,  od  in  una  grande  città  dell'Asia  anteriore,  la  quale  sarebbe  personificata  nel 
microscopico  bustino. 


SICILIA  —    189    —  SIRACUSA 

gono  aprendo  nell'ex-predio  Novantieri;  né  male  mi  apposi.  Nel  luglio  1914,  apren- 
dosi le  fondazioni  della  casa  di  certo  Caucinella,  gli  operai  si  imbatterono  in  una 
filata  di  sepolcri,  le  cui  coperte  apparivano  alla  prof,  media  di  3  m.  dal  piano  di 
campagna.  Nella  più  alta  parte  delle  trincee  si  videro  pavimenti  ellenistici  e  romani 
di  «opus  testaceum»,  segno  che  nel  1II-I  sec.  av.  Cr.  sorsero  delle  case  là  dove 
prima  si  stendeva  una  necropoli,  dimenticata  ed  obliterata.  Le  fosse  sepolcrali,  come 
al  Fusco,  si  aprono  nella  roccia;  sono  profonde  e  coperte  da  poderosi  lastroni;  sovente 
hanno  la  loro  controfossa  superiore.  Ho  potuto  curare  la  esplorazione  sistematica  di 
7  di  codesti  sepolcri,  tutti  allineati  e  paralleli,  in  direzione  E-O,  meno  uno  N-S,  ed 
ho  avuto  i  risultati  soguenti  : 

1)  Sepolcro  infantile  coperto;  cranio  a  levante,  presso  il  quale  un  boccaletto  nero  a 
filetti  rossi  (corinzio  o  rodio),  e  due  skyphoi  corinzi,  uno  dei  quali  con  frisa  di  animali. 

2)  Altro  di  fanciullo,   coperto,   con   cranio  a  levante,  presso  il  quale  tazzina 
corinzia. 

3-5)  Tutti  di  adulto,  coperti,  col  cranio  ad  est,  senza  corredo. 

6)  Di  fanciullo,  scoperto,  cranio  ad  est,  senza  oggetti. 

7)  Per  adulto,  coperto,  cranio  a  levante. 

Data  la  presenza  di  questi  gruppi  di  sepolcri,  non  può  cader  dubbio  che  molti 
altri  non  esistano  in  quei  paraggi  ;  e  di  fatto  un  altro  gruppo  di  una  mezza  dozzina 
venne  in  luce  nell'inverno  1915  in  una  cava  di  pietra  aperta  un  po'  a  settentrione 
dei  primi.  Ma,  dovendo  rivoltare  il  terreno  ad  una  profondità  media  di  m.  3,  ne 
risultava  una  spesa  talmente  ingente  che,  mio  malgrado,  ho  dovuto  rinnuciare  alla 
impresa.  Nel  suolo  soprastante  alle  tombe,  oltre  che  tracce  di  ceramiche  tarde,  ho 
raccolto  anche  frammenti  di  kantharoi  in  bucchero,  il  che,  assieme  col  poco  raccolto 
entro  le  tombe,  basta  a  datare  la  necropoli  per  lo  meno  dal  sec.  VT. 

Tuttociò  dimostra  che  ben  prima  di  Gelone  I  nuclei  di  gente  greca  abitavano 
sulle  pendici  meridionali  di  Acradina  e  vi  inumavano  i  loro  morti;  perciò  la  notizia, 
discussa  fra  i  topografi  ('),  va  rettificata  nel  senso  che  Gelone  1  non  fece  che  con- 
secrare  ufficialmente  uno  stato  di  cose  che  per  eccesso  di  popolazione  si  veniva  len- 
tamente preparando  da  un  secolo,  e  racchiuse  con  un  muro  militare  l'Achradina,  rac- 
cordandola col  sistema  difensivo  di  Ortygia. 

Bicordo,  per  ultimo,  che  in  quel  tratto  del  suolo  della  necropoli,  che  era  stato 
denudato  per  i  lavori  edilizi,  ho  visto  a  contatto  della  roccia  una  lunga  filata  di 
bei  massi  disposti  per  il  lungo,  che  non  mi  fu  dato  chiarire  se  formassero  V  oqo<; 
della  necropoli,  come  parmi  probabile,  o  meno  verosimilmente  il  muro  di  una  casa 
arcaica,  non  ammissibile  nel  sito  stesso  della  necropoli. 

Scoperte  all'anfiteatro.  Occorrendo  alla  Società  per  la  costruzione  della  ferrovia 
Siracusa-Vizzini  alcune  migliaia  di  metri  cubi  di  terra,  parve  alla  Soprintendenza  dei 
monumenti  fosse  questa  una  eccellente  occasione  per  ottenere,  senza  spesa  veruna,  dei 
risultati,  che  altrimenti  avrebbero  costato  migliaia  di  lire.  Fu  perciò  che  si  concesse 

(')  Schubring,  Achradina,  pp.  56  e  segg. ;  Holm-Cavallari,  Topografia  archeoì.  di  Siracusa, 
pp.  180-181. 


SIRACUSA  —    190    —  SICILIA 

gratuitamente  l'asportazione  di  quelle  montagne  di  terra,  accumulate  alla  estremità 
meridionale  dell'anfiteatro,  che  erano  il  materiale  di  risulta  degli  scavi  colà  eseguiti 
circa  un  secolo  addietro.  Si  calcola  che  l' Impresa  Lacchio  &  Waligorski  abbia  aspor- 
tato, nell'estate  del  1914,  intorno  a  m.3  6000  di  materiale. 

Il  lavoro,  sempre  vigilato  da  un  nostro  operaio  di  fiducia,  pagato  esso  pure  dal- 
l' Impresa,  diede  risultati  insperati,  che  sono  di  doppio  ordine  : 

a)  Levati  i  più  alti  cumuli  del  materiale,  cominciarono  ad  apparire  delle 
grandiose  fabbriche  di  epoca  greca,  di  cui  nulla  si  sapeva,  ed  il  cui  carattere  ancora 
non  si  può  definire.  È  tutto  un  sistema  di  poderosi  muri  a  grandi  conci,  nei  quali 
è  evidente  l'opera  di  parziale  distruzione,  perpetrata  dai  Romani,  costruttori  dell'an- 
fiteatro, nel  duplice  intento  di  fare  spazio  libero  all'  estremità  meridionale  del  co- 
struendo edificio,  e  di  ricavare  del  materiale  eccellente  per  la  nuova  opera.  Le  mura 
grandiose,  in  parte  costruite  a  gabbioni  o  ad  emplecion,  mi  hanno  lasciato  molto 
perplesso;  ed  a  lungo  ho  meditato  sulla  loro  indole,  senza  essere  in  grado  di  dare 
ancora  un  giudizio  definitivo.  Mi  seduce  sempre  il  pensiero  che  qui  si  abbiano  reli- 
quie di  vaste  fortificazioni,  che  avrebbero  chiuso  questo  tratto  della  città.  Consta, 
infatti,  che  uno  dei  problemi  della  topografia  siracusana,  rimasto  insoluto,  e  che 
ha  sempre  torturato  gli  studiosi,  è  quello  di  conoscere,  se  e  quali  fortificazioni  nel 
tempo  postdinomenidico  e  dionigiano  chiudessero  il  tratto,  lungo  parecchi  km.,  dallo 
sbocco  di  Ortygia  alla  Portella  del  Fusco.  Nel  quale  non  si  era  sin  qui  riconosciuta 
traccia  di  opere  militari,  che  non  potevano  mancare,  e  che  devono  essere  state  ra- 
dicalmente distrutte,  per  trarne  i  massi  belli  e  squadrati.  Ulteriori  indagini  che  mi 
riservo  di  fare,  rinettando  e  rilevando  i  ruderi,  ed  esaminando  i  testi  storici,  diranno 
se  io  mi  sia  bene  o  male  apposto. 

b)  Il  secondo  aspetto  delle  scoperte  riguarda  il  materiale.  Sotto  gli  scarichi 
degli  scavi  eseguiti  dal  Landolina,  che  diremo  moderni,  ed  erano  archeologicamente 
sterili,  si  adagiavano  grandi  banchi  di  età  ellenistica,  ricchissimi  di  contenuto.  È  dif- 
ficile di  riassumere  in  poche  righe  quanto  essi  racchiudevano;  accanto  a  rifiuti  di  cucina 
(ossa  animali,  frutta  di  mare)  vi  erano  migliaia  di  relitti  fittili.  Predominano  i  ma- 
nichi di  anfore,  ed  erano  centinaia,  quasi  tutti  bollati  ed  in  prevalenza  rodii  ;  docu- 
mento eloquente  degli  intensi  commerci,  ora  totalmente  spenti,  fra  Rodi  e  Siracusa. 
Di  ceramiche  dipinte  pochi  campioni  e  tutti  italioti.  Si  ricuperò  una  bella  serie  di 
frammenti  di  coppe  coralline  o  brune  con  «  emblemata  »  in  rilievo;  esse  apparten- 
gono alla  così  detta  «  terra  sigillata  »  e  derivano  da  ancora  controverse  fabbriche 
orientali.  Molti  esemplari  delle  note  appendici  di  foculi  fittili  con  teste  barbute 
(cfr.  Jahrbuch,  1890,  pp.  118  e  sgg.).  Numerosi  vasetti  a  fiasco  con  scadente  ver- 
nice. Poche  le  terrecotte  figurate  nei  tipi  di  Tanagra  e  Minna;  ed  un  certo  numero 
di  prue  rostrate  di  piccole  navicelle.  Culatte  di  vasi  vitrei,  stili  in  osso  e  quisquilie 
metalliche.  Si  direbbe  che  tutto  ciò  costituisca  i  rifiuti  di  emporio,  ed  anche  di  officine 
ellenistiche;  sono  invece  isolati  due  pezzi,  non  saprei  come  colà  infiltratisi,  cioè  una 
terracotta  architettonica  del  VI  sec.  av.  Cr.,  e  la  matrice  di  una  lucerna  cristiana 
del  V  d.  Cr.  Tutto  questo  materiale  è  meritevole  di  un  coordinamento  e  di  uno 
studio  speciale. 


Sicilia  —  Ì9l  —  Siracusa 

Case  ellenistiche  e  romane  a  S.  Lucia.  Nell'inverno  1912,  lungo  il  viale  Cap- 
puccini ed  in  quello  Buon  Riposo  e  laterali,  constatai,  in  punti  diversi,  modesti  fab- 
bricati greco-tardi,  apparsi  nelle  fondazioni  di  nuove  case.  Un  povero  mosaico  a  di- 
segno lineare  bianco-nero  venne  distrutto.  Ovunque,  oltre  a  rare  tracce  di  stucchi 
modinati,  si  raccolsero  terrecotte  ellenistiche.  La  terra  fertile  di  avanzi  archeologici 
scende  da  m.  2  a  5;  ma,  in  complesso,  questo  quartiere  della  bassa  Achradina  non 
rivela  né  sontuosità  di  forme,  né  ricchezza  di  contenuto,  ed  è  incomparabilmente 
inferiore  a  quanto  hanno  dato  le  case  della  Neapolis  tarentina. 

Nel  marzo  1912,  all'incontro  delle  vie  Galtanissetta  ed  Impellizzeri,  il  signor 
A.  Tamajo  denunziò  la  scoperta,  nel  cortile  di  una  sua  casetta,  di  ruderi  antichi  ;  rico- 
nobbi l'angolo  di  una  casa,  i  cui  muri  non  più  alti  di  '/2  m.,  con  avanzi  di  stucchi 
e  pittura  a  piccoli  rombi,  contornavano  un  pavimento  di  opus  teslaceum,  nel  quale 
era  segnata,  a  piccoli  tesselli  bianchi,  una  fascia  a  meandro,  racchiudente  un  campo 
a  rombi. 

Questo  frammento  di  pavimento  spetta  ad  una  casa  romana,  che  si  sviluppava 
nel  sottosuolo  alla  prof,  di  m.  2,60. 

Casa  romana  entro  la  stazione.  Nei  mesi  di  gennaio  e  febbraio  1915  si  è  pro- 
ceduto allo  scavo  sistematico  di  una  vasta  abitazione  romana  entro  l'ambito  della 
stazione  ferroviaria,  di  cui  già  da  molti  mesi  erano  venuti  in  luce  i  primi  indizi,  in 
occasione  dei  grandi  lavori  per  ampliare  la  rete  dei  binari.  In  quel  sito  esisteva,  in 
mezzo  alla  campagna,  una  elevazione  di  pochi  metri,  sorreggente  una  povera  casa 
rurale.  Fin  dallo  inizio  dei  lavori,  che  per  un  anno  tenni  d'occhio,  io  avevo  sospet- 
tato che  quel  mammellone  fosse  artificiale  ;  il  che  venne  esattamente  chiarito,  quando 
si  pose  mano  a  distruggere  la  casa  ed  il  cumulo,  su  cui  sorgeva.  Infatti,  sotto  di 
esso  si  mise  allo  scoperto  un  edificio  romano,  e  più  precisamente  due  case  attigue. 
Per  ora  si  è  esplorato  il  più  ed  il  meglio  ;  ma  resta  ancora  da  esplorare  una  lunga 
striscia  di  suolo  a  nord,  la  quale  operazione  è  stata  rimandata,  per  mancanza  di 
fondi,  ed  altro  tempo. 

Frattanto  annunzio  che  la  parte  scoperta  della  casa,  la  principale,  era  di  una 
certa  sontuosità;  molti  dei  vani  erano  tessellati  a  mosaici  geometrici,  i  migliori  dei 
quali  vennero,  con  forte  spesa,  staccati.  Le  pareti  di  taluni  ambienti  presentavano 
intonachi  a  più  ordini  sovrapposti,  il  che  denota  lunga  durata  della  casa  e  ripetuti 
rifacimenti.  Pare,  altresì,  che  la  casa  fosse  di  origine  ellenistica,  ma  completamente 
rifatta  dopo  la  deduzione  in  Siracusa  della  colonia  augustea.  Anzi  risulterebbe  che 
due  fossero  le  case,  e  contigue,  in  seguito  unite;  ed  una  conteneva  anche  una  pic- 
cola balina  con  suspensurae. 

Per  imprescindibili  necessità  ferroviarie  si  dovette  sacrificare,  ricoprendolo  sotto 
i  nuovi  binari,  questo  monumento,  unico  nel  suo  genere  a  Siracusa;  ma  se  ne  fece 
un  accuratissimo  rilievo,  da  pubblicarsi  ad  esplorazione  compiuta,  di  quanto  resta 
ancora  da  esumare. 

Scavi  al  castello  Eurialo.  Dei  vasti  lavori  eseguiti  a  più  riprese  all' Eurialo 
è  stato  replicate  volte  parlato  in  Notizie  (1904,  pp.  284  sgg.  ;  1906,  pag.  390; 
1912,  pp.  299  sgg.);  essi  vengono  proseguiti  quando  vi  sieno  residui  disponibili  sul 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  26 


SIRACUSA  —    192    —  SICILIA 

fondo  scavi  o  monumenti.  Così  nell'estate  1911  si  è  precipuamente  lavorato  attorno 
al  bastione,  che  sporge  a  metà  della  cinta  settentrionale  del  mastio,  sopra  il  Tripylon. 
Tale  bastione  constava  di  una  torre  rettangolare  vuota,  da  un  tramezzo  divisa  in 
due  ambienti,  ai  quali  si  accedeva  per  due  nvXidtg,  che  immettevano  a  scale  in 
legno  per  salire  ai  piani  superiori  della  torre,  che  doveva  essere  alquanto  alta.  Al  pie 
di  questa  torre  si  eresse  posteriormente  un  terrazzo  sorretto  da  muro;  ma  siccome  il 
dislivello  fra  la  cresta  della  torre  ed  il  piano  del  terrazzo  risultava  notevole,  met- 
tendo a  repentaglio  la  statica  della  torre  stessa,  venne  in  seguito  sopraelevata  la 
terrazza,  mediante  una  colmata  di  breccia,  che  ostruì  anche  le  due  nidióeg.  Così 
furon  dati  al  piede  della  torre  un  rincalzo  ed  un  consolidamento  sensibili. 

In  una  ulteriore  campagna  dell'agosto  1912  si  è  messa  a  nudo  la  cortina  che 
univa  il  bastione,  di  cui  sopra,  coll'estremo  triangolo  orientale  del  mastio.  E  ne  venne 
fuori  un  avanzo  di  primo  ordine,  dianzi  interamente  sconosciuto.  È  un  muro  a  doppio 
paramento  di  grandi  conci,  con  colmata  di  terra  e  brecciame  noli'  interno,  spesso 
m.  3,30,  alto  per  7-8  filari  di  massi,  ed  attraversato  da  una  angusta  postierla  con 
androne  obliquo,  che  dava  accesso  a  questo  lato  del  castello;  in  tarda  epoca  essa 
venne  rimaneggiata  ed  in  parte  ostruita  dai  Bizantini  e  dagli  Arabi.  Di  oggetti,  come 
sempre  avviene  negli  scavi  dell' Eurialo,  si  trovarono  cose  insignificanti  :  cioè  rottami 
di  dolii  e  di  anfore;  una  vaschetta  ad  angolo  in  pietra,  rozzissima;  ed  il  polpaccio  (?) 
di  una  figura  maggiore  del  vero,  in  calcare,  di  lavoro  estremamente  rozzo.  Con  questa 
scoperta  viene  risolto  un  altro  punto  controverso  nella  topografia  dell'Eurialo  :  quello 
cioè  del  modo  con  cui  era  sbarrata  la  depressione  fra  il  bastione  NE  e  la  punta 
orientale  del  castello.  Che,  prima  del  1912,  di  questo  muro  non  una  sola  pietra 
emergeva  dal  suolo,  sebbene  la  sua  esistenza  fosse  giocoforza  intuire  per  le  necessità 
topografiche  e  militari  del  luogo. 

Artemision  di  Belvedere.  A  più  riprese  lungo  gli  anni  1912  e  1913  mi  vennero 
portate  in  Museo  numerose  terrecotte  frammentizie  provenienti  dalla  contrada  Santuzza, 
a  mezzogiorno  di  Belvedere,  villaggio  che  fa  parte  del  comune  di  Siracusa.  Convinto 
trattarsi  di  una  stipe  sacra,  nel  luglio  1 913  condussi  una  breve  campagna  nel  luogo 
indicato.  Potei  così  stabilire  che  quasi  tutte  le  terrecotte  provenivano  da  una  favissa, 
in  forma  di  fossa  nella  nuda  terra,  di  m.  3  X  4  circa  di  estensione,  e  per  non  più  di 
m.  0,70  in  profondità.  Per  quante  indagini  si  siano  fatte  nel  terreno  Santuzza  e  nei 
circostanti  al  fine  di  rintracciare  le  reliquie  di  un  piccolo  santuario  campestre,  non 
venni  a  capo  di  nulla.  Ma  sulla  esistenza  di  un  modesto  Artemision  rurale  non  può 
cader  dubbio,  perchè  le  alcune  centinaia  di  terrecotte  frammentizie  raccolte  alludono 
tutte  al  culto  di  Artemide  e  di  Cora. 

Fra  di  esse  vi  sono  dei  tipi  rari  ed  altri  al  tutto  nuovi,  interessanti  così  dal 
punto  di  vista  dell'arte  come  della  religione,  i  quali  tutti  richiedono  una  illustra- 
zione dettagliata  e  largamente  figurata,  come  quella  che  altra  volta  diedi  del  sin- 
golare Artemision  di  Scala  Greca,  installato  entro  un  grottone  naturale  {Notizie,  1900. 
pp.  353-387). 

Le  terrecotte  di  Santuzza  hanno  una  grande  aria  di  famiglia  con  quelle  di  Scala 
Greca.  Vi  sono  copiosamente  rappresentate  le  imaginette  muliebri  col  porcellino  e  la 


SICILIA  —    193    —  SIRACUSA 

fiaccola,  ma  abbondano  del  paro  quelle  col  cane  e  l'arco.  Si  ripete  altresì  il  raro  tipo 
di  Scala  Greca  coli' albero  di  palma  (loc.  cit.,  pag.  368).  Oltre  di  ciò  vi  sono  parti- 
colari nuovi  e  persino  qualche  rappresentazione  virile,  d'ordinario  molto  rara.  Le  ter- 
recotte  di  Santuzza  abbracciano  V  intero  sec.  V,  e  sembrano  alludere  ad  un  doppio 
culto  di  divinità  agresti,  quello  di  Demetra  che  in  Sicilia  fa  capolino  ovunque,  e 
quello  di  Artemide,  con  cui  il  primo  talvolta  s' intreccia,  e  che  in  Siracusa  aveva  la 
principale  sede  di  tutta  l' isola  ('). 

Scolture  varie.  Il  quadriennio  è  stato  singolarmente  fecondo  di  opere  plastiche, 
di  cui  a  Siracusa  si  lamentava  tanta  penuria.  Qui  si  riferisce  di  esse  brevemente;  e, 
per  talune,  in  modo  provvisorio. 

A)  Frammento  di  lastra  marmorea  in  pario,  ridotta  alle  dimensioni  di 
cm.  63  X  43  X  6  spessore,  completa  sul  lato  sinistro,  frammentizia  in  tutti  gli  altri. 
A  rilievo  molto  pronunciato  (cm.  5  alt.)  vi  è  scolpita  la  figura  di  un  giovinetto  visto 
quasi  di  pieno  prospetto  (fig.  8).  Il  corpo  ha  forme,  piuttosto  che  carnose,  adipose,  e 
in  ogni  modo,  di  adolescente,  senza  accentuazione  di  muscoli,  e  nemmeno  dei  grandi 
pettorali,  che  d'ordinario  vengono  molto  esagerati.  Il  ventre  gonfio,  come  nei  fanciulli, 
è  sbandato  sul  lato  sinistro;  l'ombelico  è  indicato  da  un  cerchiello,  ed  il  pene  puerile 
è  senza  pube.  Mancano  le  spalle  e  la  testa,  ed  al  braccio  destro  verticale  la  mano,  la 
quale  era  di  riporto,  come  si  deterge  da  un  piccolo  foro  per  il  perno  metallico.  Man- 
cano altresì  i  piedi  colla  metà  inferiore  dei  garetti  ;  e  così  il  braccio  sinistro,  forse 
teso  e  sostenente  ftpamlg  il  mantello.  È  probabile  che  la  testa  di  tre  quarti  o  di 
tutto  profilo  volgesse  ad  altra  figura,  occupante  la  metà  destra  della  placca  mar- 
morea. È  una  scena  di  congedo  funebre,  se  non  vogliasi  ammettere  la  sola  figura 
del  giovanetto  defunto,  la  quale  non  ostante  il  rendimento  molle  delle  carni  e  della 
musculatuia  puerile,  può  ancora  assegnarsi  alla  fine  del  sec  V.  Il  marmo  fu  trovato 
nell'agosto  1014  in  contrada  Taracati,  e  precisamente  in  un  lotto  di  terre  a  N  NO 
dei  Grotticelli,  detto  Zappala,  dove  si  stendeva  una  vasta  necropoli  greca  a  fosse, 
frugata  da  secoli,  che  ora  lentamente  si  viene  distruggendo  dai  picconieri  per  ricerca 
di  pietra. 

Il  gruppo  Grotticelli- Zappala,  per  quanto  insufficientemente  conosciuto,  attesa  la 
quasi  radicale  violazione  di  esso  già  nell'antichità,  comprende  pochi  sepolcri  del 
secolo  V,  e  più,  del  IV;  e  poi  in  prevalenza  sepolcri  posteriori  alla  conquista  romana 
(cfr.  Notizie,  1897,  pag.  490).  Il  pregevole  marmo  che  qui  si  divulga  appartiene  alla 
più  antica  fase  di  questa  necropoli. 

B)  Tórso  virile  in  marmo  greco  a  grana  media  (pentelico  ?),  grande  al  vero, 
che  va  dalla  impostatura  inferiore  del  collo  al  primo  terzo  superiore  delle  coscio, 
misurando  cm.  76  di  altezza  (fig.  9).  Esso  rappresenta  un  corpo  giovanile  vigoroso, 
insistente  sulla  gamba  sinistra,  con  una  corrispondente  lieve  inflessione  del  torace  su 
questo  lato.  Manca  il  braccio  destro,  ed  il  sinistro  verticale,  con  tenue  piegatura  al 
gomito,  punta  il  dorso  della  mano,  in  gran  parte  asportata,  sull'anca.  Una  nebride 
annodata  sulla  spalla  è  portata  a  bandoliera,  ed  essa  scende  con  ampia  falda  aperta  a 

(*)  Ciaceri,  Culti  e  miti  mila  storia  dell'antica  Sicilia,  pp.  173-174. 


SIRACUSA. 


—  194  — 


SICILIA 


coprire  la  coscia  ed  il  fianco  sinistro  ;  davanti,  verso  l' inguine,  penzola  la  testa  del 
cerbiatto,  le  cui  zampe  scendono  davanti  e  dietro  la  spalla  sinistra.  La  fattura  vigorosa 
non  è  scevra  di  difetti  nel  braccio  sinistro  quasi  geometrico,  nell'esagerato  risalto  del 


Fio.  8. 


deltoide,  nel  modellato  e  nella  distribuzione  dei  muscoli  dorsali.  E  poiché  il  rovescio 
della  rigura  è  più  trascurato  del  diritto,  ne  arguisco  si  tratti  di  una  statua  decora- 
tiva, rappresentante  un  satiro  in  riposo  (mancano  però  gli  elementi  caudali)  di  un 
noto  tipo  prassi telico  ('),  un  pò  rielaborato  ma  con  anatomia  alquanto  accentuata. 


(')  Cfr.  l'esemplare  capitolino  apud  Perrot,  Praacittles,  flg,  11,  pp.  47  sgg. 


SICILIA 


—  195  — 


SIRACUSA 


C)  Assieme  col  tórso  fu  rinvenuta  la  testa  satiresca  in  marmo  dello  atesso 
genere,  ed  alta  cui.  19,   che   vedesi    nell'annessa  fig.  10.    Disgraziatamente   essa  è 


Fig   9. 


molto  lesionata,  mancando  il  volto  superiore  dal  naso  in  poi.  Ma  il  viso  colle  gote 
prominenti,  il  mento  quadro,  i  due  barbigli  pendenti  dal  collo  e  le  ciocche  crespe 
dell'occipite,  bastano  a  denotare  il  carattere  della  testa,  la  cui  calotta  craniale  era 
riportata,  come  si  vede  dal  piano  scalpellato  e  dal  foro  per  il  perno.  Sebbene  la  testa 


SIRACUSA 


196 


SICILIA 


non  attacchi  direttamente  col  tórso,  le  probabilità  maggiori  stanno  a  favore  della  sna 
unità  colla  statua. 

I  due  pezzi  si  rinvennero  a  ra.  2  prof,  in  un  terreno  antico  ma  senza  ruderi, 
facendosi  nell'agosto  1912  le  fondazioni  di  una  casetta  lungo  il  margine  destro  della 
rotabile  per  Catania,  poco  prima  del  diverticolo  che  conduce  al  Teatro  greco,  in 
località  detta  S.  Bono,  nell'area  dell'antica  Neapolis. 


Fio.  10. 


D)  Sottile  lastra  marmorea  trapezia  (era.  74  X  62),  spezzata  su  tutti  i  lati 
meno  che  sul  sinistro,  e  rotta  in  quattro  pezzi  che  però  legano  esattamente.  Vi  è  rap* 
presentato  a  mezzo  rilievo  un  giovane  nudo  di  prospetto,  acefalo  (sulle  spalle  sono 
superstiti  le  estremità  di  due  lunghe  chiome),  e  privo  delle  gambe  dalle  ginocchia 
in  poi.  La  clamide  buttata  sul  dorso  lascia  scoperta  tutta  la  parte  anteriore  della 
figura,  ed  è  rissata  alla  spalla  destra  mediante  un  bottone  ;  un  partito  di  essa  viene 
sorretto  dall'avambraccio  sinistro  piegato.  La  mano  sinistra  serra  un  piccolo  rotolo 
(volumea  ?),  mentre  il  braccio  destro,  proteso  obliquamente  ed  abbassato,  tiene  un  fron- 
zuto ramo  di  lauro  colla  estremità  volta  a  terra.  Discreto  lavoro  ellenistico  in  marmo 


SICILIA 


—   19?   — 


SIRACUSA 


grechetto.  Dalle  fondazioni  della  casa  Lamonica-Mareschi  al  fondo  presso  la  stazione, 
nell'area  dell'antica  Agorà  (agosto  1912;  fig.  11). 

E)  Nello  stesso  punto  del  precedente  rilievo  si  trovò  anche  il  frammento  di 
lastra  marmorea  (cm.  57  X  33)  esibito  a  fig.  12,  rotta  in  tutti  i  sensi,  ma  che 
nella  parte  superstite  presenta  a  mezzo  rilievo  una  figura  giovanile,  che  è  quasi  una 
replica  della  precedente,  se  non  che  vi  manca  una  maggiore  porzione  delle  spalle  ed 
un  pò  meno  delle  gambe. 


Fio.  11. 


Nessuno  porrà  in  dubbio  lo  strettissimo  nesso  fra  i  due  rilievi,  i  quali  dovevano 
formare  una  rappresentazione  unica,  forse  un  fregio  di  carattere  ieratico  piuttosto  che 
funebre.  Ma  di  questo  dirò  più  diffusamente  altrove.  Per  ora  osservo  soltanto  che. 
per  quanto  la  scoltura  appartenga  a  tempi  progrediti,  è  ancora  inspirata  a  modelli 
di  assai  buona  età  greca;  cfr.  ad  es.  la  stele  con  figura  efebica  del  Museo  di  Pa- 
lermo, edita  in  Journal  hell.  stud.,  1891,  pag.  47. 

Scolture  rinvenute  alla  stazione.  Durante  i  grandi  lavori  di  ampliamento  ai 
binarii  della  stazione  ferroviaria  di  Siracusa  oltre  la  scoperta  di  una  casa  romana, 
avvenuta  nella  parte  orientale,  della   quale  dico  brevemente  a  pag.  191,  si  ebbero 


SIRACUSA 


—  198 


SICILIA 


talune  notevoli  scoperte  di  marmi  nell'opposto  lato  occidentale,  e  precisamente  dove 
gli  ultimi  binari  si  raccordano  per  prendere  la  direzione  di  Noto.  Quivi,  per  l'im- 
pianto e  la  livellazione  dei  nuovi  binari,  non  solo  si  è  fatto  un  ampio  sbancamento 
di  suolo,  ma  si  è  ancora  scesi  a  notevole  profondità  in  un  terreno  eminentemente 
acquitrinoso.  Sul  margine  meridionale  di  questo  sbocco  ferroviario  venne  fuori,  nello 


Fio.  12. 


strato  superiore,  l'avanzo  di  una  costruzione  a  massi  legati  da  cemento,  che  parvenu 
tarda  e  senza  particolare  interesse. 

Invece,  dall'opposto  lato  di  settentrione,  adagiata  orizzontalmente  sul  suolo  ver- 
gine argilloso,  quanto  a  dire  alla  profondità  di  m.  3  '/t.  si  rinvenne  nel  dicem- 
bre 1914  la  statuetta  arcaica  in  marmo  pario  ('),  alt.  cm.  69,  di  cui  qui  porgo  la 
imagine  e  la  descrizione.  Essa  è  acefala,  e  rappresenta  una  donna   vestita  di  un 

(')  A  me  il  marmo  parve  assolutamente  pario.  Ma  il  collega  Ant.  Taramelli,  le  cui  conoscenze 
petrografiche  sono  di  gran  lunga  superiori  alle  mie,  dichiara  in  modo  esplicito  trattarsi  di  marmo 
di  Nains.  Lasciando  a  lui  la  responsabilità  di  questa  determinazione,  richiamo  alle  conseguenze 
che  ne  verrebbero,  se  essa  fosse  esatta.  Cfr.  B.  Sauer,  Altnaxische  Marmorkunst,  in  Athen.  Mitteil., 
1892,  pp.  37  e  sgg. 


SICILIA  —   ì§9  —  SlftACDSA. 

chitone  talare,  che,  cadendo  ad  ampio  rimbocco,  assume  la  forma  della  pianeta  sa- 
cerdotale cristiana;  sotto  cui  risaltano  le  irte  e  spaziate  poppe.  Sovrapposto  a  questo 


Fio.  13. 

capo  del  vestiario  vedesi  l'himation.   avvolto  a  sciarpa  attorno  le  spalle,  e   discen- 
dente lungo  il  petto  in  due  masse  pieghettate  e  desinenti  a  coda  di  rondine.  Anche 
il  chitone,  teso  fra  le  gambe  divaricate,  è  intessuto  di  lievi  trame  ondulate.  Il  gesto 
Notizi*  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  27 


SIRACUSA  —   200  —  SICILIA 

e  la  mossa  della  figura  son  quali  appaiono  in  numerose  statue  arcaiche.  In  piena  fron- 
talità il  torace,  lieremente  obliquata  la  testa,  come  si  desume  dalla  frattura  del 
collo,  ed  in  corrispondenza  alla  mossa  della  figura,  che  incedeva  sulla  sua  sinistra. 
Manca  l'avambraccio  sinistro,  che  era  di  riporto,  innestato  al  gomito  in  un  cavo  a 
calotta,  ancora  superstite;  l'avambraccio  destro  invece  sporge  nudo  e  lievemente  in- 
clinato sul  petto,  ma  è  privo  della  mano,  la  quale  forse  reggeva  un  oggetto  ma  non 
impugnava  le  falde  della  veste.  Delle  gambe  molto  aperte  e  divaricate,  in  mossa 
veloce  a  sinistra,  la  destra,  puntata  al  suolo,  è  resa  di  pieno  prospetto;  e  così  il 
piede  relativo,  che  calza  una  suola  sottile  ed  è  modellato  con  cura  e  verità  anato- 
mica. Piede  e  gamba  sinistra  sono  invece  in  profilo,  e  del  primo  è  superstite  solo  il 
tallone. 

La  figura  è  sorretta  da  un  piccolo  plinto,  rotto  lateralmente,  e,  a  quanto  pare, 
scalpellato  anche  in  fronte.  Il  rovescio  di  essa,  lavorato  in  modo  al  tutto  sommario, 
lascia  appena  intravedere  la  prominenza  dei  glutei. 

In  complesso  questa  statua  nel  suo  costume  dorico,  che  maschera  e  grava  sulle 
forme  anatomiche,  ricorda  da  vicino  talune  statue  dell'Acropoli  ;  colla  differenza,  però, 
che  alla  loro  piena  frontalità  è  qui  sostituita  una  forte  movimentazione  a  sinistra, 
resa  colle  imperfezioni  proprie  all'arte  del  sec.  VI.  Va  altresì  notato  come  il  corpo 
non  sia  perfettamente  appiombato,  ma  sensibilmente  inclinato  in  avanti 

Intendendo  dare  in  altra  sede  una  adeguata  illustrazione  di  questo  monumento, 
non  mi  dilungo  nel  consueto  scambio  di  comparazioni  con  altre  opere  d'arte  affini 
per  stile  e  soggetto;  mi  limito  a  ricordare  come  l' Artemia  Laphria  di  Calidone  fosse 
analoga  nello  schema,  ma  meno  arcaica  della  nostra  statua. 

A  pochi  metri  dalla  statua  fu  rinvenuta  anche  la  testa  elmata,  nello  stesso 
marmo,  alta  cm.  20,  esibita  alla  fig.  14.  Completamente  imberbe  e  coperta  di  elmo 
aulopida,  nella  cui  cresta  tre  fori  a  trapano  erano  destinati  ai  pernii  metallici 
che  sorreggevano  i  pennacchietti,  non  si  esiterebbe  a  tutta  prima  a  riferirla  alla 
statua,  per  concordanza  di  materia,  di  stile,  di  proporzioni.  Ma  le  due  sezioni  del 
collo  non  si  accordano,  e  converrebbe  supporre  sia  saltata  una  porzione  intermedia  del 
collo  stesso.  Anche  l'ibridismo  delle  fattezze  arcaiche  lascia  àdito  al  dubbio  se  si 
tratti  di  uomo  o,  non  piuttosto,  di  donna;  vero  è  che  la  chioma  tagliata  cortissima 
sull'  occipite  starebbe  per  un  maschio,  ma  questo  non  è  ancora  argomento  decisivo.  Ad 
un  maschio,  cioè  ad  un  guerriero,  apparteneva  certamente  una  coscia  nuda,  col  gi- 
nocchio piegato  e  coperto  del  principio  di  un  gambale;  anche  questa  dello  stesso 
marmo,  della  stessa  fattura  arcaica. 

Ad  ogni  modo,  e  quando  anche  la  testa  appartenesse  ad  una  seconda  statua,  si 
deve  riconoscere  unità  di  età  e  di  stile  colla  prima.  E  poiché  io  propendo  a  vedere 
in  quella  la  figura  frontonale  di  un  piccolo  edificio,  non  è  chi  non  veda  l' importanza 
cui  assurgono  queste  tre  scolture,  anche  per  il  fatto  che  delle  condizioni  della  statuaria 
a  Siracusa  nel  sec.  VI,  nulla  sappiamo.  Ma  di  ciò,  e  dell'edificio  cui  potevano  rife- 
rirsi, mi  riserbo  di  dire  più  diffusamente  altrove.  A  conferma  del  mio  sospetto,  che 
qui  esistesse  un  piccolo  santuario  arcaico,  è  venuta  nel  giugno  1915  una  nuova  inat- 
tesa scoperta. 


SICILIA 


—  201  — 


SIRACUSA 


Proseguendosi  all'estremità  occidentale  della  stazione  lo  sbancamento  delle  terre 
per  ampliare  il  campo  dei  binari,  gli  operai  s' imbatterono  in  un  grande  deposito  di 
terrecotte  ieratiche  frammentate,  tutte  arcaiche,  di  cui  si  esplorò  appena  una  piccola 
parte,  traendone  alcune  centinaia  di  terrecotte  frammentate  ;  erano  una  cinquanntina 
ii   mascherette    con    foro    di    sospensione   (tipo  Orsi  -  Cavallari,  Megara   Hyblaea, 


Fra.  14. 


tav.  IX,  figg.  13-15);  molte  figure  mul.  sedute  (come  op.  eii,  col.  178);  una  cin- 
quantina di  teste  a  niodio  alto  e  medio  riferibili  a  statuette  tipo  precedente  (op.  cit., 
tav.  VII,  figg.  8-13);  una  trentina  di  altre  testoline  arcaiche  o  severe,  tre  pissidi 
a  saliera,  e  qualche  scodellino  ansato,  e  molti  rottami  di  figure.  Tutto  ciò  deriva 
evidentemente  da  una  stipe  sacra,  trovata  a  grande  profondità  (m.  2-3),  ed  in  circa 
al  livello  della  statua  marmorea. 

Scoperta  di  fittili  singolarissimi  nel  porto  grande.  Nell'autunno  del  1913,  fa- 
cendosi dei  dragaggi  nel  porto  grande  per  la  fondazione  delle  colossali  nuove  bulichine 
a  S.  Antonio,  la  direzione  del  Genio  Civile  richiamò  la  mia  attenzione  sopra  taluni 
strani  piccoli  fittili,  estratti  colla  draga  dal  fondo  melmoso.  A  parte  il  framm.  delle 


SIRACUSA 


—  202  — 


SICILIA 


spalle  di  un'anfora  a  lievi  cordonature,  decorata  in  bruno  di  due  ordini  di  denti 
di  lupo,  la  quale  potrebbe  anche  essere  molto  arcaica,  si  tratta  di  una  ventina  di 
vasetti  a  fuso,  in  parte  spezzati  ;  essi  portano,  sul  ventre,  delle  strane  marche  mono- 
grammatiche impresse,  delle  quali   mai  mi  era  accaduto  di  trovare,  nel  mio  quasi 

trentenne  soggiorno  in  Sicilia,  un  solo  riscontro. 
Il  disegno  che  allego  iìg.  15  porge  la  forma,  di 
uno  dei  vasetti,  la  cui  altezza  negli  esemplari 
completi  oscilla  intorno  ai  cm.  19-20.  Al  primo 
disegno  aggiungo  una  serie  di  tutte  le  piccole 
marche,  circolari  e  quadrate,  che  sono  chiare; 
rinunzio  però  a  qualsiasi  tentativo  di  lettura. 
Ma,  oltre  delle  marche  letterali,  ve  ne  sono  due 
figurali,  una  con  una  quadriga  in  fronte,  l'altra 
con  una  nitida  e  delicata  rappresentazione  di 
leone,  la  quale  pare  ottenuta  coli'  impressione  di 
una  gemma  o  di  un  anello  metallico  signatorio. 
Le  piccole  marche  mi  parvero  a  tutta  prima 
bizantine;  ma  la  forma  dei  vasi  è  piuttosto  elle- 
nistica, ed  in  tale  assegnazione  cronologica  mi 
induce  anche  lo  stile  delle  due  figurazioni  e,  sopra 
tutto,  dell'ultima.  Tutti  codesti  vasetti  conten- 
gono, nell'interno,  della  pece  rappresa;  e  per 
quanto  io  mi  sia  torturato  il  cervello  per  trovare 
una  spiegazione  di  questo  loro  contenuto,  non  mi  è  riuscito  di  trovarne  una  soddi- 
sfacente. 

Fislule  acquane  scritte,  da  S.  Lucia.  11  sobborgo  di  tal  nome  si  stende  sul- 
l'area dell' Achradina  meridionale;  ed  i  vastissimi  lavori  edilizi  colà  eseguiti  negli 
ultimi  anni  rivelarono  sovente  cose  antiche,  ma  non  di  quella  entità  che  avrei  attesa 
da  un  suolo  storico  ove  ogni  metro  quadrato  racchiude  detriti  della  vita  soprattutto 
ellenistica  e  romana. 

Nel  dicembre  1914,  facendosi  i  cavi  di  una  della  tante  case  che  colà  vengono 
quotidianamente  a  levarsi,  si  scoprirono  5  pezzi  di  condottura  plumbea,  che  furono 
ben  tosto  assicurati  al  Museo.  Sono  tubi  a  luce  ogivale  (asse  interno  mm.  71);  ma 
due  sono  accompagnati  da  una  iscrizione  in  rilievo,  le  cui  forme  grafiche  sono  rese 
fedelmente  dalla  unita  fototipia. 


Fio,  15. 


0  SM«IL¥M 


Fra.    6. 


È  opportuno  di  avvertire  che  la  forinola  R(es)p(ublica)  Syracusanorum,  secondo 
l'autorevolissimo  giudizio  del  Mommsen  (C.  I.  L.,  X,  pag.  1155)  «  non  populum  si- 
gnificai, sed  populi  patrimonium  » , 


SICILIA  208   —  SIRACUSA 

Fistule  plumbee  erano  state  in  passato  trovate  a  Siracusa;  e  due  ne  possiede  il 
Museo,  ma  anepigrafi.  Le  lettere,  molto  buone,  delle  nuove  fistule,  possono  risalire 
anche  all'età  augustea,  od  a  poco  dopo,  quando  per  la  deduzione  della  nuova  colonia 
si  sentì  il  bisogno  di  ripristinare  qualcuno  dogli  antichi  acquedotti,  traendone  delle 
diramazioni  secondarie  in  piombo. 

Il  Fazello,  citato  dallo  Schubring  ('),  ricorda  come,  verso  il  1552,  nell'istmo  che 
unisce  Ortygia  col  suburbio  si  fossero  trovate  delle  condotture  plumbee  colla  scritta  : 

TI    CL  ■  CAES  •  AVG  ■  GERM  ■ 

Questa  iscrizione  non  è  stata  registrata  dagli  editori  del  C.  I.  L.,  X,  o  perchè  loro 
sfuggita,  o  perchè,  smarriti  gli  originali,  non  si  volle  prestar  fede  al  Fazello.  Ma 
poiché  egli  è  invece  degnissimo  di  fede,  questo  titolo  dovrà  a  suo  tempo  venir  inserito 
nei  supplementi  al  C.  I.  L.,  X.  Lo  stesso  Fazello  ricorda  lunghe  condotture  plumbee,  che 
ai  suoi  tempi  si  scoprirono  fino  a  S.  Maria  della  misericordia,  corrispondente  appunto 
al  quartiere  odierno  di  S.  Lucia.  Probabilmente  trattasi  delle  stesse,  ora  riapparse; 
le  cui  iscrizioni  cronologicamente  non  sono  molto  discoste  da  quella  copiata  dal  Fazello. 
Piccole  scoperte  epigrafiche.  Nell'autunno  1911,  nel  fondo  denominato  Merica, 
al  bivio  delle  rotabili  Belvedere-Floridia,  venne  trovata  una  stele  funebre  in  forma 
di  rozza  colonnina  in  calcare,  grossolanamente  martellata  (alt.  cm.  69;  diam.  cm.  33), 
la  quale  porta  sul  fronte  il  seguente  titoletto,  a  lettere  assai  trascurate: 

<d  I  A  o  I  E  N  E 
XPHCTEXAIPE 

Il  proprietario  del  fondo,  cav.  Eust.  Ortisi,  la  ha  cortesemente  donata  al  Museo. 
Giova  ricordare  che  il  predio  Melica  trovasi  a  pochi  passi  da  quello  in  vocabolo  Cana- 
licchio,  di  cui  parlo  a  pag.  185. 

Dai  lavori  di  sterro  e  ripulimento  degli  ambulacri  e  della  precinzione  superiore 
dell'anfiteatro,  eseguiti  nel  settembre  1912,  è  venuta  fuori  una  lapidetta  marmorea 
di  cm.  22  X  17,  sulla  quale  a  lettere  misere,  e  che  non  potrebbero  essere  peggiori, 
è  tracciato  il  seguente  epitaffio  di  tardissima  età: 

£  I  A  N  A  P  I  C 

e  b  i  M  c  e  n 

ETH^HNCC     m 
TE  PH  C 

Esso  appartiene  a  qualche  installazione  sepolcrale,  forse  cristiana,  collocata 
dentro  le  gallerie  del  diruto  ed  abbandonato  edifìcio. 

Epigrafe  cristiana  di  Anastasio.  La  tavoletta  marmorea  di  cm.  28.5  X  25,  ri- 
prodotta alla  fig.  17,  è  stata  rinvenuta  nell'autunno  del  1914  nelle  terre  a  levante 
della  stazione  ferroviaria,  subito  dopo  il  passaggio  a  livello,  in  proprietà  già  del  dottor 

(')  Die  Beuàsserung  von  Syrakus,  in  Philologus,  XXII  (1865),  pag.  609, 


SIRACUSA 


—  204 


SICILIA 


Mauceri.  E  poiché  essa  è  di  cai-attere  nettamente  funebre,  è  verosimile  derivi  da 
qualche  sepolcro  a  «  formae  »  colà  esistente,  mentre  non  vedo  la  probabilità  che  essa 
provenga,  per  spostamento,  dalle  non  discoste  catacombe  di  S.  Giovanni;  anche  per 


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Fio.  17. 

ciò,  che  il  suo  formulario  di  redazione,  alquanto  strano,  si  discosta  da  quelli  consueti 
nella  epigrafìa  cemeteriale  siracusana,  e  merita  perciò  qualche  breve  commento. 

In    n{omine)  D(pmi)ni  J(e)h(su) . 
Chr(ist)i        Hoc        <est> 
Sepulc 
rum        Anastas 
i[f\     Trapezitae 
-f-  G(hristus).  M{ichael).  G{abriel)  -J- 

11  breve  titolo  si  apre  e  si  chiude  con  una  invocazione  alla  divinità  ed  agli  ar- 
cangeli; non  infrequente  la  prima,  sebbene  in  forme  diverse  e  svariate  (')>  è  assai 
più  rara  la  seconda,  della  quale  possedevamo  sin  qui  un  solo  esempio  a  Siracusa 
(Strazz.,  n.  13).  Questa  forinola  di  origine  siriaca,  come  fu  ampiamente  dimostrato 

(')  Strazzulla  Vinc,  Jnscript.  christianorum  in  Syrac.  catac.  rep.  corpusculwn,  pag.  43, 


SICILIA  —  205  —  SIRACUSA 

dal  De  Rossi  e  da  altri  dopo  di  lui  (l),  allude  forse  alla  origine  orientale  del  defunto, 
il  quale  si  valeva  di  forinole  in  uso  nel  suo  paese  di  nascita.  Che  nei  primi  secoli 
cristiani  vi  fosse  molto  elemento  orientale  in  Siracusa,  soprattutto  nel  ceto  mercan- 
tile, è  del  pari  attestato  dalla  epigrafìa  cemeteriale,  la  quale  o  implicitamente  o 
esplicitamente  ricorda  persone  di  origine  siria  (2).  E  mercatore  era  appunto  il  nostro 
Anastasio,  il  cui  nome,  non  ostante  la  veste  latina,  è  greco;  egli  si  dichiara  trapezila, 
vale  a  dire  argentiere,  ma  al  contempo  cambiavalute  e  banchiere.  Attesa  la  forma 
dei  caratteri  e  la  redazione  latina,  parmi  che  questo  curioso  titoletto  debba  risalire  ai 
tempi  gotici,  dei  quali  la  mèsse  epigrafica  è  molto  scarsa  (3).  Circa  la  presunta  origine 
orientale  di  An.,  si  richiami  per  analogia  l'eloquente  titolo  palermitano  di  «  Petrus 
alexandrinus  negotias  linatarius  »  (C. /.  Z.,  X,  n.  7330). 

Piccole  catacombe  di  sètte  nella  regione  S.  Lucia- Cappuccini.  È  noto  come 
la  falda  rocciosa  lentamente  saliente  dal  Porto  piccolo  fino  ai  Cappuccini,  comune- 
mente detta  Pietralonga,  nell'estrema  decadenza  romana  fosse  divenuta  la  regione 
cemeteriale  delle  comunità  cristiane  dissidenti  e  di  quelle  ebraiche;  mentre  le  grandi 
comunità,  diremo  così,  ortodosse,  aprivano  i  loro  vasti  cimiteri  più  ad  occidente,  a 
S.  Maria  di  Gesù,  nella  vigna  ex-Cassia  ed  a  S.  Giovanni.  Ho  già  fatto  conoscere 
in  diverse  occasioni  una  quautità  di  questi  piccoli  cimiteri  secondari  (■•). 

Ma  nell'ultimo  quadriennio  il  loro  numero  si  è  notevolmente  accresciuto,  per  il 
progredire  dei  lavori  edilizi  in  quella  plaga,  e  le  Soprintendenze  agli  scavi  e  monumenti 
hanno  sempre  provveduto  alla  loro  sistematica  esplorazione,  al  rilievo,  e,  nei  limiti 
del  possibile,  anche  alla  loro  conservazione.  Di  tali  scoperte  si  riferisce  qui  in  modo 
molto  sommario,  perchè  la  pubblicazione  definitiva  delle  varie  centinaia  di  lucerne 
scoperte,  ancorché  limitata  ai  tipi  principali,  richiede  un  lavoro  lunghissimo  di  di- 
segno e  di  fotografia. 

A)  Catacombe  Belloni.  La  principale  di  esse  fu  scavata  nel  luglio  1912 
sotto  la  villa  del  capitano  Belloni,  sul  ciglione  a  mare;  essa  consta  di  un  grande 
ambiente  rettangolare,  a  cui  si  accedeva  da  levante,  con  loculi  nelle  pareti  e 
14  fosse  nel  suolo.  A  tutta  prima  parve  trattarsi  non  di  un  ipogeo  cristiano,  ma 
pagano,  perchè  vi  erano,  oltre  delle  consuete  deposizioni  in  loculi  ed  in  grandi  fosse 
terragne,  anche  deposizioni  di  bambini  in  cassette  fittili,  ed  èyivtQ/ut\iot  di  adulti 
entro  anfore,  il  quale  costume,  tutto  pagano,  non  si  era  mai  riconosciuto  nei 
grandi  cimiteri  cristiani  di  Siracusa.  Ma  poi,  esaminate  le  176  lucerne  intere  e  le 
poche  frammentate  colà  raccolte,  si  ebbe  la  più  strana  miscela  di  tipi,  figurazioni  e 
simboli:  7  hanno  il  monogramma  cristiano,  2  la  croce  periata,  1  il  pesce,  simboli 
tutti  di  non  dubbia  cristianità.  Però  accanto  a  molte  altre  figurazioni,  che  chiame- 
remo di  carattere  indifferente,  se  ne  ebbero  persino  2  col  candelabro  eptaliclino  ed 
ed  una  con  simplegma  osceno.  Dopo  di  che,  non  può  cader  dubbio  sul  carattere  di 

(')  Bull.  arch.  crist.,  1870,  pp.  22-25. 
(•)  Strazzulla,  op.  laud.,  no.  216,  245,  308,  320. 
(*)  Porcellini  -  De  Vit,  Lexikon  tot.  lat.  s.  v. 

(«)  Roemische  Quarlahchrift,  1897,  pp.  475  e  segg.  ;  1900,  pp.  187  segg.;  Notule,  1909, 
pag.  955  e  segg. 


SIRACUSA  —    206   —  SICILIA 

promiscuità  e  di  sincretismo  di  questo  e  di  tutti  gli  ipogei  della  regione,  sul  quale 
ho  avuto  occasione  di  insistere  tante  volte.  In  prossimità  di  questa  catacomba,  e 
sempre  nel  predio  Belloni,  ne  vennero  riconosciute  altre  due,  violate  da  molto  tempo  ed 
adibite  a  ripostigli  ;  ad  ogni  buon  conto,  si  presero  anche  di  esse  rilevamenti  ed  appunti. 

B)  Catac.  Troja-Salazzo.  11  podere  omonimo  contiene  molti  ipogei,  in 
parte  da  me  esplorati  ed  illustrati  in  RQ.,  1900,  pp.  187  segg.,  uno  dei  quali  risultò 
essere  indubbiamente  ebraico.  Nel  novembre  1912  se  ne  esplorò  un  altro  in  forma  di  T, 
con  3  lunghi  arcosolii  polisomi,  che  cadono  sopra  un  piccolo  atrio  centrale  quadrato. 
Le  grandi  fosse  di  detti  arcosolii,  in  numero  di  21,  racchiudevauo  cadaveri  rimaneg- 
giati. Delle  poche  lucerne  raccolte,  una  sola  aveva  una  croce  equilatera  a  treccia;  le 
altre,  elementi  ornamentali  indifferenti.  Si  ricuperò  anche  una  lastra  in  calcare 
(cm.  44X29)  col  titolo: 

ORTHRIS/  PIA  /  SAL\£ 
EPITEYXIS 

P  I       foro       A  N  (sic) 

C)  Catac.  Mance  ri,  esplorata  nel  marzo  1913.  Sopra  un  ampio  corridoio 
centrale,  diviso  da  gradinata  in  due  ripiani,  cadono  6  arcosolì  polisomi,  i  quali  furono 
tutti  negativi,  essendo  stato  l'ipogeo  radicalmente  saccheggiato  nei  secoli  andati. 

D)  Ipogeo  Vallone-Fortuna,  esplorato  nel  novembre  1913.  Sono  due 
grandiosi  stanzoni  contigui,  con  corridoio  di  accesso  a  levante,  i  quali  sembra  avessero 
comunicazione  con  altre  camere,  tutte  interrate,  che  non  si  esplorarono  per  evitare  lesioni 
a  costruzioni  soprastanti,  e  per  eccesso  di  spesa.  Nel  camerone  di  ponente  il  suolo 
è  senza  fosse;  invece  si  hanno,  nelle  pareti,  2-3  ordini  di  loculi.  In  quello  di  levante 
si  aprono  4  grandi  fosse  e  3  minori,  adibite  a  carnai  od  ossuarii  tumultuari;  costu- 
manza questa,  che  non  rammento  di  avere  mai  riconosciuta  nei  grandi  cemeteri  ge- 
nuinamente cristiani.  Aggiungasi  che  in  taluni  loculi  ho  personalmente  constatato 
casi  di  cremazione.  Non  cade  quindi  alcun  dubbio  sul  carattere  pagano  dell'ipogeo, 
che  non  può  chiamarsi  catacomba.  Delle  21  lucerne  raccolte,  alcune  sono  pagane, 
altre  indifferenti,  nessuna  specificamente  cristiana,  non  potendosi  ritenere  tale,  anche 
per  la  forma  circolare  e  per  la  fabbrica,  una  col  delfino  attraversante  una  prua  di 
nave.  Cotesto  ipogeo,  da  assegnarsi  intorno  al  III  ed  agli  inizi  del  IV  sec.  di  Cr., 
è  istruttivo,  in  quanto  ci  mostra  la  forma  dalla  quale  si  svolgevano  gli  ipogei  di 
età  cristiana,  in  mezzo  ai  quali  viene  topograficamente  a  cadere. 

E)  Catacombe  Russo.  Sono  4  pìccole  catacombe,  esaminate  nell'aprile  1914, 
vicinissime  l'una  all'altra,  ma  autonome,  con  aperture  a  levante,  scavate  sull'orlo  della 
balza,  che  precipita  a  mare,  dal  quale  erano  in  origine  più  discoste.  Di  esse,  3  hanno 
la  consueta  forma  a  T,  ed  una  più  spaziosa  a  croce  con  arcosolì  plurisomi.  Le  3  mi- 
nori erano  state  ripulite,  in  passato,  di  ogni  loro  contenuto,  e  però  non  diedero  né 
ossa  ne  lucerne.  La  IV  invece  ci  procurò  una  quarantina  di  lucerne,  tre  delle  quali  col 
monogramma  cristiano. 

F)  Catacomba  Trigilia,  studiata  e  scavata  nel  marzo  1912.  Al  centro  di 
una  cameretta  quadrata  emerge  un  grande  sarcofago  ricavato  dalla  roccia.  Sul  piccolo 


SÌC1LIA  —   20?   —  SIRACÓSÀ 

corridoio,  con  ingresso  a  scaletta  verso  levante,  cadono  normalmente  4  piccoli  arcosoli 
con  10  grandi  fosse.  Le  lucerne  raccolte  dentro  i  sarcofagi  violati  o  fuori,  in  numero 
di  65,  ripetono  forme  ormai  notissime  degli  ipogei  di  questa  plaga.  Una  sola  ha  il 
monogramma  q-  ;  molte  sono  di  carattere  ibrido,  alcune  col  rosario  ed  una  persino 
col  candelabro  eptalichno,  che  male  si  concilia  con  la  croce  di  Cristo.  Ritorniamo 
quindi  al  carattere  sincretitico,  tante  volte  rilevato.  Il  sepolcro  n.  31,  sul  basso  petto 
di  uno  dei  2  scheletri  conservò  un  peculio  di  31  monetine  in  bronzo  di  piccolo  modulo. 
Non  ostante  la  grande  ossidazione,  mi  sembra  doverle  assegnare  ai  tempi  di  Costantino 
e  successori,  per  modo  che  la  catacomba  cadrebbe  intorno  al  350  d.  Cristo. 

Q)  Catacomba  maggiore  Bonaiuto.  È  una  delle  più  belle  e  caratteri- 
stiche dell'  intero  gruppo.  Mercè  accordi  col  proprietario,  il  cav.  maggiore  Seb.  Bonaiuto, 
che  favorì  nel  modo  più  liberale  lo  scavo  (autunno  1914),  e  donò  al  Museo  tutta  la 
sua  quota  di  oggetti,  si  è  provveduto  alla  decorosa  conservazione  e  sistemazione  del 
monumento,  mercè  una  comoda  scala  di  accesso;  è  anche  in  progetto  una  piccola 
installazione  elettrica.  Esaminando  attentamente  la  pianta,  appare  non  improbabile 
che  la  catacomba  risulti  dalla  unione  di  due  corpi,  in  origine  distinti  e  poi  collegati 
mediante  un  lungo  corridoio,  da  levante  a  ponente,  sul  quale  cadono  molti  arcosoli 
polisomi.  Le  fosse,  intorno  ad  una  settantina,  erano  state  frugate  in  passato,  per  la 
ricerca  di  immaginari  tesori.  Vennero  fortunatamente  abbandonate  tutte  le  lucerne, 
in  numero  di  parecchie  centinaia. 

Con  questo  corpo  principale  è  in  immediata  comunicazione  un  altro  corpo  minore, 
di  forma  analoga,  contenente  23  sarcofaghi  e  2  loculi.  Alla  mancanza  di  titoli,  che 
sempre  si  lamenta  in  queste  piccole  catacombe,  supplisce,  in  qualche  modo,  la  copia 
straordinaria  di  lucerne;  191  vennero  registrate  in  inventario,  ed  alcune  altre  cen- 
tinaia erano  logore.  È  una  ricca  serie,  che  colle  svariate  forme  e  figurazioni  getta 
una  vivida  luce  su  questi  misteriosi  cemeteri.  Quanto  a  fabbriche,  sono  rappresentate 
tutte  le  industrie  siracusane,  siciliane  ed  esotiche,  con  bellissimi  campioni  di  quelle 
africane.  Di  decorazione  e  di  simboli  vi  è  tale  ricchezza  che  è  difficile  condensare 
in  poche  righe;  ed  anche  qui  l'analisi  dettagliata  ci  pone  sottocchio  quella  miscela 
di  elementi  che  tradisce  il  carattere  sincretistico  del  cernetelo.  Non  mancano  i  mo- 
nogrammi decussati  e  cruciformi,  e  le  croci  (27  esemplari)  ;  accanto  ai  quali  non  so 
come  conciliare  la  presenza  di  due  lucerne  col  candelabro  giudaico.  Scarse  le  rap- 
presentazioni umane;  più  numerose  quelle  con  animali  simbolici  e  reali  (delfino,  irco, 
cane,  cavallo,  lepre,  leone,  volpe,  oca,  civetta);  copiosissime  quelle  a  decorazione 
geometrica.  Attesa  la  estrema  rarità  del  soggetto,  riproduco  qui  un  grande  esemplare 
africano,  lungo  cm.  14,  disgraziatamente  molto  scorticato.  Nello  scudo,  sopra  un  fondo 
circolare,  simile  ad  una  grande  aureola,  campeggia  la  figura  del  Redentore  ('),  nim- 

(')  Il  soggetto  di  questa  lucerna  si  accosta  a  quello  di  un  esemplare  del  Museo  delle  Terme 
in  Roma,  edito  dal  Venturi,  Storia  dell'arte  italiana,  voi.  I,  pag.  472,  che  sia  qui  rappresentata 
l'ascensione  è  molto  probabile;  a  proposito  di  che  si  consulti  il  recentissimo  ed  opportuno  articolo 
di  E.  T.  Dewald,  Iconography  of  the  ascension  (in  American  Journal  of  archaeology  1915, 
pag.  277  e  segg.),  dal  quale  si  apprende  come  la  composizione,  alquanto  semplificata,  della  nostra 
lucerna,  risponda  a  tipi  orientali. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  28 


SIRACUSA 


—  208  — 


SICILIA 


bato,  vestito  di  tunica,  con  scettro  a  croce  nella  sinistra  ed  un  soggetto  non  chiaro 
(volumen?)  nella  destra  protesa.  Ai  suoi  piedi  sono  prostrati  due  angeli  adoranti 
di  sotto,  due  personaggi  in  corta  tunica,  di  cui  uno  accenna  colla  destra  alla  figura 


Fio.  18, 

soprastante  (gli  apostoli?).  Questo  raro  pezzo  merita  una  speciale  e  diffusa  illustra- 
zione esegetica. 

Di  bronzi  si  ebbe  soltanto  una  cucchiaia,  che  panni  una  «  trulla  »  per  manipolare 
il  cemento  dei  loculi,  e  che  in  ogni  caso  è  oggetto  cemeteriale  di  estrema  rarità. 


SICILIA  —   209   —  STBNTINELLO 


II.  STENTINELLO  (comune  di  Siracusa).  —  Villaggio  preistorico.  Nelle 
Notizie,  1912,  pp.  356-357,  ho  riferito  dei  risultati  ottenuti  dagli  scavi  in  questo 
singolare  villaggio  neolitico,  posto  in  riva  al  mare.  Esso  era  cinto  di  un  grande  fosso 
di  forma  elittica,  scavato  nella  roccia.  Ma  colla  campagna  del  1910  si  era  esplorata 
soltanto  una  piccola  porzione  di  tale  fosso;  ed  io  mi  ero  proposto  di  procedere,  con 
grandi  trincee  saltuarie  ma  contigue,  alla  graduale  esplorazione  di  tutto  quel  vallo 
perimetrale,  non  che  a  tasti   abbastanza  estesi   nell'area  interna  da  esso  racchiusa. 

Metà  di  tale  lavoro  venne  eseguito  nel  gennaio-marzo  1912.  Si  constatò  che 
larghezza  e  profondità  del  fosso  erano  molto  oscillanti  a  seconda  della  resistenza  del 
banco  roccioso  che  si  doveva  attraversare;  abbiamo  in  fatto  avuto,  a  seconda  dei 
punti,  i  massimi,  i  minimi  ed  il  medio  che  qui  indico:  largh.  m.  3.30  X  3.10  prof.; 
largh.  1.55X2.70  prof.;  largh.  2.20  X  1.10  prof.  In  seguito  a  questo  nuovo  scavo 
mi  sono  altresì  formata  la  convinzione  che  sul  ciglio  interno  il  fosso  fosse  coronato 
di  un  muro  rincalzato  da  un  aggere  in  terra  e  cavaticcio.  Mediante  23  grandi  trincee 
si  esplorò  tutta  la  metà  orientale  del  vallo,  fino  alla  strada  provinciale  che  taglia 
circa  a  metà  il  villaggio  da  nord  a  sud.  In  una  prossima  campagna  resta  da  esplo- 
rare, collo  stesso  metodo,  la  metà  occidentale,  fra  la  rotabile  e  la  ferrovia. 

In  questo  grande  movimento  di  terre  si  ricuperò  ancora  una  volta  una  ingente 
quantità  di  materiale  ceramico  «  à  pointillé  »,  il  quale  in  complesso  non  presenta 
novità;  in  mezzo  alle  centinaia  di  frammenti  di  ceramica  grigia  impressa,  uno  solo 
era  a  stralucido  rosso.  Oltre  di  ciò,  si  ebbero  copiose  ossa  animali,  rifiuto  dei  pasti  ; 
e,  commiste  ad  esse,  enormi  patelle  marine,  vertebre  di  grandi  pesci  e  grosse  lumache 
terrestri.  Si  è  notato  che  la  maggiore  quantità  delle  ossa  e  dei  cocci  stava  sul  fondo 
del  fosso,  il  quale,  oltre  che  come  linea  di  difesa,  serviva  come  immondezzaio  di  tutti 
i  rifiuti. 

Ho  poi  condotto  delle  grandi  trincee  nell'area  interna  del  villaggio,  ma  senza 
conseguire  risultati  apprezzabili,  perchè,  essendo  stato  asportato  dalle  acque  il  banco 
di  terra,  in  origine  certamente  assai  più  elevato  (oggi  è  di  appena  un  palmo),  che  rac- 
chiudeva i  fondi  di  capanne,  con  esso  scomparve  anche  ogni  traccia  delle  abitazioni. 
Tuttavia  pervenni  a  riconoscere  un  tratto  di  strada  rozzamente  selciata,  larga  m.  2.80, 
la  quale,  dopo  un  certo  percorso,  si  allargava  a  m.  8-9,  prendendo  quasi  il  carattere 
di  piazza.  Si  ricorderà,  a  questo  proposito,  che  il  compianto  sen.  Mosso  asserì  di  aver 
trovato  un  piazzale  nel  villaggio  siculo  di  Cannatello  presso  Girgenti  (').  Qua  e  là 
si  esumarono  brevissimi  tratti  di  muri  rettilinei,  che  potrebbero  forse  essere  avanzi 
di  capanne;  ma  in  complesso  mancano  di  queste  le  orme  sicure  e  complete,  causa 
l'assenza  di  un  profondo  strato  di  terra.  E  cosi  manca  ogni  indizio  della  necropoli, 
per  quanto  disperatamente  essa  sia  stata  da  me  cercata  in  tutti  i  sensi. 

(')  Ang.  Mosso,  Villaggi  preiHor.  di  Caldare  e  Cannatello  presso  Girgenti  (in  Monum.  ant. 
Lincei,  toI.  XVIII,  pp.  64  segg.). 


PALAZZOLO 


—  210 


SICILIA 


III.  PALAZZOLO  Acreide  (Akraé)  —  Scoperta  di  vaso  greco.  Nel  gen- 
naio 1912,  in  contrada  Fùrmica,  molto  discosta  da  Palazzolo  Acr.,  nella  valle  del  Tel- 
laro,  in  occasione  di  lavori  agricoli  si  trovò  una  pelike  a  tig.  rosse,  alta  cm.  38,  la 
quale  era  piena  di  ossa  cremate,  e  fu  assicurata  al  Museo. 


Fio.  19. 


Se  ne  vegga  la  imagine  qui  accanto. 

In  A)  è  dipinta  una  scena  amorosa  :  una  donzella,  in  chitone  dorico  con  cingolo, 
si  rimira  in  uno  specchio,  che  riproduce  le  sue  fattezze  (').  Ai  lati,  due  giovani  ignudi 
riguardano,  pieni  di  desiderio,  la  fanciulla. 

(')  La  pittura  vascolare  ha  qualche  rara  volta  cercato  di  rendere  il  fenomeno  della  riprodu- 
zione dell'  imagine,  o  del  volto,  nello  specchio.  Vedi  Beinach,  Répertoire  d.  vates  I,  pp.^842  e  411. 


SICILIA 


211  — 


PALAZZOLO 


B)  Garzone,  avvolto  in  clamide  trasparente,  si  puntella  sopra  un  bastone,  ed  è 
affiancato  da  due  giovani  avvolti  in  mantelli.  Sotto  il  piede  è  dipinta  in  rosso  chiaro 
la  sigla  l-P.  Il  vaso,  di  stile  rosso  progredito  (primi  inizi  sec.  IV),  oltre  che  per  la  rarità 
del  soggetto,  collo  specchio  riflettente  la  imagine,  ha  anche  una  certa  importanza 
topografica.  Fumica  dista  di  poco  dal  feudo  di  Castelluccio,  nel  cui  territorio  venne 


Fio.  20. 


un  trentennio  addietro  scoperta  la  grandiosa  biocca  corinzia,  da  me  edita,  in  via  al 
tutto  provvisoria,  in  Notizie  1891,  pag.  B53.  Un  caso  analogo  ci  vien  dato  dal  superbo 
cratere  di  Bimisca,  ma  il  fenomeno  si  ripete  su  più  larga  scala  colle  piccole  ma, 
talvolta,  assai  ricche  necropoli  della  campagna  gelese  a  levante  della  città,  pertinenti, 
più  che  a  villaggi,  a  grosse  e  grasse  fattorie  (l).  Non  altrimenti  panni  s'abbia  da 
spiegare  la  presenza  di  questi  vasi  greci  in  terreni  molto  discosti  dal  centro  di  Akrae. 

(')  Orsi,  Gela,  coli.  731  e  sgg. 


NOTO,    MODICA  —   212    —  SICILIA 


IV.  NOTO  —  Scoperta  di  grande  vaso  greco  in  contrada  Bimisca.  Nel 
gennaio  1915  il  cav.  Pr.  Paolo  Giunta,  proprietario  di  un  terreno  in  contrada  Bimisca, 
a  circa  metà  via  fra  Noto  e  Pachino,  facendo  piantagione  di  alberi,  s' imbattè  in 
un  grande  vaso  greco,  il  quale  serviva  da  ossuario  per  un  cremato.  È  un  cratere  a 
colonnette  di  rilevantissime  dimensioni  (alt.  cm  50,  6;  diam.  bocca  cm.  40)  e  di  per- 
fetta conservazione,  ove  se  ne  tolgano  alcune  piccole  lesioni  nella  faccia  nobile.  La 
decorazione  accessoria  del  labbro,  collo  e  base,  è  quella  consueta  (tìg.  20). 

A)  Amazzonomachia.  Tre  guerrieri  greci  contro  una  Amazzone.  Questa, 
vestita  di  maglia,  di  anassiridi  serrate  alle  carni,  colla  alopeke  in  testa,  inforca  un 
cavallo,  TreQipààtjv,  e  muove,  colla  lancia  abbassata,  contro  due  Greci,  nudo  il  primo, 
salvo  l'elmo  e  lo  scudo,  mentre  l'altro  più  giovane  (forse  un  yperetes),  coperto  di  elmo 
conico  e  di  clamide,  si  appoggia  ad  un  albero;  ambedue  vibrano  la  lancia  contro 
l'assalitrice.  Alle  spalle  della  donna  un  altro  guerriero  greco,  barbuto,  elmato,  cala  un 
fendente,  colla  machaira,  contro  un  avversario  che  non  si  vede.  Prova  che  trattasi  di 
un  dettaglio  di  megalogratìa,  probabilmente  polignotea,  ritagliato  ai  lati,  per  i  fini 
pittorici  del  vaso  (').  11  soggetto  è  notissimo,  e  molte  volte  ripetuto  con  lievi  varianti. 
Nella  sola  Siracusa,  anzi,  questo  tema  ritorna  con  poche  modificazioni  già  in  due 
vasi  (Notizie,  1891,  pag.  408;  1907  pp.  745  sgg.)  e  poi  in  altri  della  regione 
siracusana.  Lo  stile  è  di  una  certa  grandiosità. 

B)  Colloquio    amoroso   di  due  adulti  barbuti,  appoggiati  a  bastoni,  con 
due  giovanetti  ;  tutti  4  i  personaggi  sono  mantellati  ;  stile  negletto  e  corrente. 


V.  MODICA  —  Esplorazioni  varie  sull'altipiano.  Per  corrispondere  alle  vive 
istanze  dell'ora  compianto  comm.  Clemente  Grimaldi,  studioso  ed  amantissimo  delle 
antichità  della  sua  regione,  nell'agosto  del  1912  ho  fatto  eseguire  sull'altipiano  di 
Modica,  da  una  squadra  mobile,  le  seguenti  esplorazioni  :  I)  In  contrada  Gisana  si 
riconobbero  avanzi  di  case  bizantine  e  sei  tombe  corrispondenti  ma  tutte  violate  in 
antico.  II)  In  contrada  Rassabia  presso  Cipolluzza  bellissimi  avanzi  di  case  bizan- 
tine; a  200  m.  da  queste,  molti  sepolcri  a  fossa  scavati  nella  roccia;  se  ne  esplo- 
rarono 8  ma  senza  risultato;  un  villico  asserì  di  averne  scavati  1(3,  raccogliendo 
piccoli  vasellami  (a  fuso),  che  alludono  ad  età  ellenistica,  e  forse  anche  romana.  Ili)  In 
contrada  Michelica,  loc.  Palazzetti,  avanzi  di  case  bizantine  ed  una  piccola  catac. 
tutta  frugata.  IV)  In  contrada  Oreto  un  villano  aveva  trovato  i  rottami  di  una 
bella  hydria  greca  a  fig.  rosse  (venduta  al  comm.  Grimaldi),  adibita  come  cinerario,  e 
racchiusa  in  un  dado  di  pietre;  assaggi  condotti  in  quella  località  ci  rivelarono  la 
presenza  di  una  piccola  necrop.  greca  a  fosse  nella  roccia,  pertinente  ad  una  fattoria  ; 

(')  Circa  la  derivazione  dei  soggetti  di  questi  vasi  dalle  megalografie  di  Micone  nel  Pecile, 
e  del  grande  Polignoto  nel  Theseion,  veggansi  le  mie  considerazioni  nei  citati  luoghi  delle  Notizie 
ed  in  Gela,  pag.  505,  a  proposito  di  un  vaso  firmato  dal  ceramografo  Polignoto.  Cfr.  anche  Pelle- 
grini, Vasi  greci  dip.  delle  necrop.  felsinee,  pag.  XXXIV,  e  nu.  176,  278,  279,  289  ecc, 


SICILIA 


213  — 


MODICA 


ma  di  5  esplorate,  solo  una  ci  diede  un'altra  piccola  hydria  a  f.  r.,  in  cattive  con- 
dizioni ;  le  altre,  dei  vasi  a  fuso.  V)  In  contr.  Scrofani  presso  Cipolluzza  avanzi  di 
case  bizantine  con  un  sepolcreto  della  stessa  età;  si  esplorarono  15  fosse,  che,  come 
quelle  del  vasto  cimitero  di  Michelica  {Notizie  1907,  pag.  486),  erano  chiuse  da 
sfaldature  cementate,  ed  appartenevano  alla  medesima  epoca,  perchè  diedero  fiaschi, 


Fig.  21. 


bicchieri  ed  ampolle  vitree  disfatte,  nonché  boccaletti  e  piatti  fittili.  Nella  stessa 
contrada,  alle  case  della  Corte,  contigue  ad  una  chiesetta  settecentesca,  vi  sono  le 
reliquie  di  un'altra  chiesetta  che  sembra  bizantina.  VI)  In  contrada  Barravitalla 
s'erano  in  passato  rinvenute  le  singolari  ossa  lavorate,  di  cui  in  Notizie  1912,  pag.  36G; 
si  seppe  che  un  contadino  le  aveva  rinvenute  entro  una  tomba  a  fossa  coperta  di 
una  grande  sfaldatura,  ed  erano  accompagnate  da  boccaletti  romani  tardi,  i  cui  cocci 
erano  rimasti  abbandonati  sul  luogo.  In  seguito  a  quella  prima  scoperta,  si  erano 
dal  villano  esplorate  poche  altre  fosse  circostanti,  le  quali  diedero  delle  ampolle  vitree. 
Tutti  questi  elementi,  ancor  che  non  abbiano  una  rilevante  portata  archeologica, 
sono  altamente  istruttivi  per  la  topografia  dell'altipiano,  ossia  per  Yager  motyhanus, 
che  già  in  epoca  greca,  ma  sopra  tutto  nella  romana  e  bizantina,  era  fittamente  costel- 
lato di  piccoli  villaggi  e  di  fattorie.  Allora  si  avverava  colà  il  fenomeno  demogra- 


C0M180  —   214   —  SICILIA 

fico  inverso  a  quello  attuale  ;  nell'antichità,  discentramento  delle  masse  agricole  nella 
campagna  ;  oggi,  invece,  urbanismo  di  esse  nei  grandi  centri  di  Modica,  Bagusa  ecc., 
la  cui  popolazione  è  data  per  3/4  da  villici. 

In  Modica  città,  nell'ottobre  '14  avvenne  una  sorprendente  scoperta.  Nei  gran- 
diosi lavori  di  rettifica  del  torrente  di  Modica  si  rinvenne  a  grande  profondità  un 
piede  equino  di  bronzo,  di  poco  maggiore  del  vero,  oppure  spettante  ad  un  individuo 
di  forme  molto  sviluppate  (fig.  21).  Il  Genio  Civile,  con  lodevole  zelo,  salvò  il  pezzo, 
che  venne  consegnato  al  Museo  di  Siracusa.  Questo  piede  va  da  metà  del  garretto 
in  giù,  ed  è  magistralmente  modellato  colla  indicazione  a  bulino  tenue  della  pe- 
luria che  contorna  la  parte  superiore  dello  zoccolo.  Il  piede,  violentemente  spezzato 
nella  sua  parte  superiore,  è  attraversato  da  un'anima  in  ferro,  che,  uscendo  sotto  lo 
zoccolo,  s'incassava  nella  base  del  monumento,  mediante  un  abbondante  getto  di 
piombo,  tuttora  superstite.  Nel  bronzo  si  osserva  qualche  lieve  tassellatura.  Patina  verde 
chiara  con  escoriazioni  e  qualche  erosione.  Lungh.  secondo  la  curva  esterna,  cm.  44; 
secondo  quella  interna,  cm.  22.  Eccellente  lavoro  ellenisticoromano. 

Più  tardi  venne  messa  in  luce  nei  medesimi  lavori  la  punta  di  una  coda  equina, 
lunga  oltre  un  palmo  ;  trafugata  dagli  operai,  passò  in  proprietà  privata,  ne  fu  dato 
sin  qui  di  rivendicarla. 

Una  statua  equina,  e  forse  equestre,  nella  barbara  Motyka  (si  ricordi  che  essa  è 
città  puramente  sicula)  torna  incomprensibile.  Il  pensiero  corre  tosto  a  qualche  sac- 
cheggio, avvenuto  in  epoca  imprecisabile,  in  una  delle  grandi  città  della  costa,  forse 
nella  stessa  Siracusa.  Non  dissimile  è  la  vicenda  del  braccio  di  un  colosso  in  bronzo 
rinvenuto  nel  sito  dei  «  Castra  Hannibalis  »  presso  Catanzaro,  ed  ora  al  Museo  Nazio- 
nale di  Reggio  Calabria. 


VI.  COMISO  —  Necropoli  e  villaggio  siculi.  Nell'estate  1911  ed  in  quella 
del  '12,  sotto  la  direzione  dell' egr.  ispettore  onor.  dott.  Biagio  Pace  di  Comiso,  si 
condussero  due  campagne  di  scavi  nella  terrazza  soprastante  al  paese,  nella  località 
denominata  Sante  Croci.  Data  la  brevità  di  tempo  e  di  mezzi,  nell'  interno  del  vil- 
laggio siculo  non  si  eseguirono  che  dei  tasti  preliminari,  i  quali  fecero  ad  ogni  modo 
conoscere  la  esistenza  di  un  villaggio  di  capanne,  molto  danneggiate  dalle  culture 
agricole;  esse  avevano  forma  ellittica.  In  una  vennero  stabilite  le  dimensioni  di 
m.  3  X  2,  e  si  riconobbe  il  muretto  perimetrale.  Il  materiale  fittile,  e  la  presenza 
di  coltelli  silicei,  denotano  chiaramente  il  I  per.  della  civiltà  sicula. 

Nel  fianco  meridionale  della  terrazza  si  apriva  la  necrop.  con  camerette  cavate 
nel  calcare  tenero,  della  consueta  forma  irregolarmente  circolare.  Se  ne  esplerò  quanto 
fu  possibile.  Il  materiale  fittile,  tra  cui  una  singolare  anfora,  decorata  mediante  nume- 
rose impressioni  di  foglie  di  oleastro,  appartiene  al  I  od  al  II  periodo;  è  quindi  una 
necrop.  di  transizione.  Necrop.  e  villaggio  saranno  oggetto  di  una  speciale  monografìa 
del  dott.  B.  Pace. 

Nella  cava  Porcara,  che  delimita  a  sud  la  terrazza  delle  S.  Croci,  venne  anche 
segnalata  e  rilevata  una  piccola  catacomba  cristiana. 


SICILIA 


215  — 


CATANIA 


VII.  CATANIA  —  Scoperte  varie  di  carattere  funerario.  I  vastissimi  movi- 
menti edilizi  verificatisi  negli  ultimi  anni  in  Catania,  ma  sopra  tutto  nei  nuovi  quar- 
tieri perimetrali  alla  città,  consigliarono  di  intensificare  la  vigilanza  su  tutti  i  cavi 
di  fondazioni  e  di  alzate;  vigilanza,  che  per  l'angustia  dei  mezzi  pecuniari  non  si 
potè  talvolta  esercitare  colla  dovuta  continuità,  e  che  d'altro  canto  era  resa  sempre 


difficile  dal  partito,  preso  da  costruttori  ed  appaltatori,  di  celare  le  scoperte,  distrug- 
gere ed  interrare  i  ruderi,  sottrarre  gli  oggetti.  Non  pertanto,  mercè  lo  zelo  del- 
l'ispettore onor.  ing.  SciutoPatti,  coadiuvato  dal  custode  Autellitano,  si  è  potuto 
prender  nota  di  una  quantità  di  scoperte,  sulle  quali  qui  riferisco. 

Nell'estate  1913  la  regione  ad  ortaglie  denominata  Orto  del  Re,  già  proprietà 
del  marchese  Toscano,  venne  suddivisa  in  lotti  per  erigervi  un  nuovo  quartiere  urbano 
con  strade  e  villini.  Ciò  ha  dato  luogo  a  parecchie  scoperte.  Nella  proprietà  del 
prof.  Frane.  Guglielmino  del  R.  Liceo  si  riconobbe  una  camera  ipogeica,  di  cui  pre- 
sento sezione  e  pianta  (tig.  22). 

Come  tutte  le  fabbriche  catanesi  antiche,  essa  è  costrutta  in  pezzami  lavici  sal- 
dati coll'ottiino  cemento  vulcanico  della  regione.  Per  una  gradinata  si  accedeva  alla 

Nonna  Soavi  1915  —  Voi.  XII.  29 


CATANIA 


216  — 


SICILIA 


porta,  e  da  essa,  dopo  un  brevissimo  atrio,  in  una  stanza  con  vòlta  a  botte,  sulla 
cui  imposta  si  apriva  un  finestrino  quadro;  quattro  loculi  erano  innestati  nelle  pareti 
e  certamente  destinati  a  ricevere  urne  cinerarie.  La  porta  lapidea  si  trovò  scardi- 
nata ed  abbattuta  da  precedenti  e  credo  antichi  violatori;  essa  era  formata  da  una 
lastra  monolita  in  lava,  di  circa  m.  1,00  X  0,45  X  0,14  spessore,  e  girava  su  incar- 
dinature  di  ferro. 

Nel  prospetto  esterno  ha  un  foro  che  sembra  fatto  per  introdurvi  la  mano,  e 
per  maneggiare  con  facilità  il  battente  ;  altri  fori  ed  intagli  si  hanno,  con  tracce  di 
impiombature,  nella  faccia  interna.  La  vòlta  a  botte  della  cella,  con  finestra  strom 
bata,  era  in  gran  parte  diruta,  ed  anche  la  esplorazione  del  suolo  della  stanza  non 
diede  che  il  fondo  di  un  vaso  rustico,  con  residui  di  cremazione.  Le  pareti,  tutte 
intonacate,  presentano  scarse  tracce  di  pittura  monocroma  in  rosso  ed  in  giallo,  senza 
motivi  ornamentali,  ma  con  semplici  fascio  di  riquadratura  negli  angoli  della  cella, 
e  nella  curva  della  vòlta.  Il  pavimento  era  attraversato  obliquamente  da  un  rozzo 
muricciuolo,  installazione  certo  posteriore  ;  anche  i  quattro  loculi  erano  intonacati,  ma 
nulla  contenevano.  È  verosimile  che  dentro  uno  di  essi  fosse  allogata  l'urna  cineraria 
di  cui  parlo  tosto,  e  che  fu  rinvenuta  a  pochi  passi  dall'  ipogeo,  estendendo  i  cavi 
di  fondazione  per  la  villetta. 

È  una  cassetta  marmorea  di  cm.  45  X  24  X  25  prof.,  con  coperchio  piano  mu- 
nito di  quattro  acroteri  agli  angoli  ;  nel  fronte,  due  lesene  scannellate,  sormontate  da 
capitellucci,  fiancheggiano  una  targa  ansata  col  seguente  titolo: 

4>  A  A  B  I  A  N  O  Z    X  P  H  € 
TOZ  KAI   AMENEZH- 
ETH-      AZ-      M'HN-T- 
H    M    E  ■     I 

Su  qualche  lettera,  e  sopra  uno  dei  capitellini,  si  avvertirono  tracce  di  doratura. 
L'urna  era  piena  di  ossa  cremate.  —  Un'altra  lastrina  marmorea  rotta  lungo  tutto  il 
lato  sin.,  di  cm.  20  X  19,  e  scritta  a  lettere  pessime,  fu  pure  rinvenuta  nel  terreno 
circostante  all'ipogeo  ed  era  anzi  appoggiata  alla  testata  di  un  sarcofago  in  mura- 
tura. Essa  dice: 


k     -      s 

CIA    ■     I  A  I  S 
/IX-  ANNXXVII 
UC1A-VITALIS 
ATER  VIX1I 

NN>  I 


(•le) 


Il  nome  della  defunta  era  probabilmente  Pobli]cia  (od  altro  analogo)  Tais. 


SICILIA 


217 


CATANIA 


In  complesso,  in  immediata  vicinanza  dell'ipogeo  Guglielmino  vennero  ricono- 
sciuti 15  sepolcri,  che  vanno  così  classificati  a  seconda  delle  loro  forme:  Sei  casse  e 
sarcofaghi  in  muratura  coperti  di  tegoloni  o  lastroni  di  lava;  uno  era  internamente 
rivestito  di  lastrine  marmoree.  Presento  qui  a  fianco  la  sezione  corta  di  uno  di  questi 
sarcofaghi,  esplorato  il  30.vj.c13  alla  mia  presenza;  esso  era  in  muratura  cemen- 
tizia colle  guance  intonacate  ;  delle  tegole  a  piovente  e  coperte  di  una  sottile  mura- 
tura ne  formavano  il  coperchio;  dimensioni  m.  2,05X0.65;  orientazione  N-S;  con- 
tenuto un  nudo  sch.  Nelle  terre  che  lo  avvolgevano  (prof.  m.  2)  notai  framm.  di 
ampolle  vitree,  di  vasi  aretini,  di  altre  piccole  ceramiche,  nonché  molte  ossa  ani- 
mali (rifiuti  di  cucina).  —  Due  in  muratura,   con  coverchio  a  baule,  come   quello 


Fio.  23. 


sopra  disegnato.  —  Due  di  tegole  a  cappuccina.  —  Tre  a  fossa  in  nuda  terra.  —  Uno 
a  cremazione,  i  cui  resti  erano  raccolti  in  un  vaso  fittile,  mandato  in  pezzi.  Soltanto 
in  una  delle  tombe  venne  ricuperato  un  boccaletto  oblungo. 

Durante  gli  sterri  eseguiti  per  lo  splateamento  del  terreno  a  sud  del  fabbricato 
della  signora  Carmela  Caniglia  in  Giudice,  gli  operai  si  imbatterono  in  10  sepp.,  di 
cui  2  a  cappuccina  di  tegole,  7  a  fossa  in  nuda  terra,  ed  uno  formato  di  mattoni  a 
cassetta,  contenente  ossa  cremate.  Soltanto  uno  dei  sep.  a  fossa  racchiudeva  una 
bella  pisside  ovolare  con  coperchio  (su  cui  corona  di  ellera)  a  bottone,  che  aveva  una 
complessiva  alt.  di  cm.  16.  Sulle  guance  del  vaso  si  svolge  una  delle  consuete  scene 
elisiache  erotiche,  divisa,  mediante  grandi  palmette,  in  due  campi.  Da  un  lato  fìg.  mu- 
liebre seduta,  col  torace  nudo  fino  alla  cintola,  e  sorreggente  una  canestra.  Dal  lato 
opposto  fig.  virile  nuda,  gradiente,  che  pure  regge  una  canestra  con  frutta.  Nella 
tomba  a  cremazione,  fra  quattro  mattonacci,  vi  erano  invece  le  due  fig.  fìttili,  che, 
attesa  la  loro  singolarità,  a  fig.  24  riproduco:  a)  fig.  mul.  nuda,  seduta,  colla  testa 
coronata  ed  alta  cm.  19,8;  b)  idem  seduta,  vestita  di  un  camicione  trasparente,  e  con 
diadema  in  fronte;  avanzi  del  latte  di  calce;  alt.  cm.  22,2.  Queste  due  terrecotte  sono 
indubbiamente  dei  giocattoli  della  defunta,  la  quale,  dal  calibro  delle  ossa,  si  vide  che 
era  una  fanciulla.  Mai  mi  era  accaduto  sin  qui  di  trovare  in  sepolcri  sicelioti  terre- 
cotte  consimili,  che  invece  troviamo  fin  dal  sec.  V  abbastanza  frequenti  nella  necrop.  di 
Locri,  ed  in  quella  della  sua  colonia  Medma.  L'espressione  punto  patetica,  ma,  invece, 


CATANIA 


—  218  — 


SICILIA 


di  una  ingenuità  infantile,  di  queste  figurine,  e  di  più,  talune  particolarità  tecniche, 
me  le  fanno  ritenere  di  età  ellenistica  avanzata,  e  forse  anche  dei  tempi  romani 
(II  sec.  av.  Cr.).  Nella  stessa  proprietà  Caniglia-Giudice  si  trovò  anche  la  testolina 
di  gladiatore  con  elmo  a  maschera,  a.  cm.  6  1/i,  di  fattura  sommaria,  che  ho  ripro- 


Fio.  24. 


dotta  a  fig.  25,  e  che  allude  indubbiamente  a  costumanze  (gladiatorium  munut), 
e,  quindi,  ad  età  romana. 

A  levante  di  questa  proprietà  viene  a  cadere  quella  Nicotera,  dove  nello  sban- 
camento del  suolo  si  trovarono  4  sepp.  a  nuda  fossa  e  2  di  tegoloni. 

Ad  est  del  lotto  Nicotera,  in  quello  Martinez,  proseguivano  i  sepp.,  e  si  prese 
nota  di  2  a  fossa  e  di  1  in  tegoloni.  Neil' abbassare  poi  la  via  che  passa  a  setten- 
trione dei  fabbricati  Caniglia-Nicotera-Martinez,  si  rinvennero  altri  13  sepp.  (4  a 
cassa  in  muratura,  3  a  cappuccina  di  tegole,  1  a  cassa  di  tegoloni,  3  a  fossa  in 
nuda  terra,  e  2  brocche  ossuario  di  cremati,  una  delle  quali  riproduco,  per  ricordo, 
alla  fig.  26).  In  mezzo  alle  terre  di  tutta  questa  plaga,  già  molto  devastate  e  rima- 


SICILIA 


—  219  — 


CATANIA 


neggiate  nell'antichità,  si  raccolsero  i  seguenti  titoli  funebri  :    Lastra  marmorea  in 
3  pezzi,  di  cm.  38,5  X  29  : 


D  I  S  •  M\  a  iiih  m 
AR-  R-  I- VSb  ine 
TVSFECITELRIDI 
x  F  V  I  S 


Elridius  sembrami  errore  del  lapicida  per  Klpidius;  così  nell'ultimo  rigo  leg- 
gerei [et]  ìuìs.  Certo  la  redazione  del  titolo  con  due  nomi  in  nominativo  è  molto 
irregolare,  e  lascia  àdito  a  dubbiezze. 


Fio.  25 


Fio.  26. 


Frammentino  di  mm.  130X80  a  piccole  lettere: 


Dò  in  facsimile  un  altro  framm.  di  epigrafe  marmorea  di  cm.  24  X  24,  attesa 
la  forma  nitida,  ma  ricercata  e  bizzarra,  delle  lettere  che  lo  riportano,  panni,  agli 
ultimi  tempi  imperiali,  se  non  anche  più  sotto  ancora.  Nel  v.  3  il  xatstédrj  si  rife- 
risce ad  uno  dei  due  nomi  precedenti,  o  meglio  al  nome,  perduto,  di  una  persona, 
della  quale  Dionysios  ed  Eortasios  erano   tigli  (fig.  27). 

Non  molto  discosto,  anzi  contiguo  al  podere  del  prof.  Guglielmino  è  quello  del 
fabbro  Mario  Manòla,  nel  quale  avvennero  diverse  scoperte,  occasionate  esse  pure 
dalla  trasformazione  di  quel  terreno  agricolo  in  area  fabbricabile.  Anzitutto  venne 
fuori  un  buon  tratto  di  una  via  lastricata  con  grossi  selcioni  poligonali  lavici,  com- 


CATANIA. 


—    220    — 


SICILIA 


mèssi  senza  cemento,  sopra  un  letto  di  sabbia  e  piccolo  pezzame;  essa  corre  da 
n.  a  s.  con  forte  declive,  ad  una  prof,  di  poco  oltre  un  m.  dal  piano  attuale  di 
campagna. 

In  vicinanza  della  strada  si  segnalarono  5  sepolcri  a  prof,  variabile  da  m.  1,30 
a  ni.  2,20;  uno  era  a  cassa  in  muratura,  e  4  di  tegoloni;  non  diedero  oggetti  di 
sorta.  Due  aree  di  cremazione,  a  m.  1,20,  contenevano  due  boccali  grezzi.  In  quel 
sito  vi  erano,  oltre  di  ciò,  parecchi  avanzi  di  fabbriche.  A  giudicare  dal  materiale 


Fio.  27. 


impiegato,  dal  sistema  diverso  di  costruzione,  e  dal  costante  impiego  di  cemento,  se 
ne  desume  che  esse  appartengono  a  momenti  molto  diversi  del  lungo  periodo  elle- 
nistico e  romano.  In  un  punto  ho  anche  notati  pochi  conci  di  gran  mole  e  di  buon 
taglio,  che  accennano  ad  un  relitto  di  fabbrica  assai  più  antica  dei  muri  ce- 
mentizii. 

Di  uno  solo  di  questi  ruderi  si  pervenne  a  trarre  una  pianta  parziale  con  se- 
zioni. È  una  costruzione  a  getto  cementizio,  con  robusti  muri  perimetrali,  di  circa 
1  m.  di  spessore,  la  quale  in  origine  doveva  formare  una  cella  funebre  analoga  a 
quella  del  predio  Guglielmino.  Per  quanto  metà  di  essa  l'osse  già  distrutta,  si  vede 
che  la  cameretta  aveva  due  banchine,  con  un  loculo  quadro  in  una  delle  pareti;  è 
verosimile  che  altri  se  ne  aprissero  nelle  circostanti.  Il  pavimento  angustissimo  era 


SICILIA 


221  — 


CATANIA 


formato  di  «  opus  testaceum  » ,  ossia  di  cocciopesto.  Erano  intonacati  i  muri  interni, 
ed  all'esterno  F  intonaco  pare  formasse  soltanto  una  fascia  in  alto  (fig.  28). 

Ma  la  scoperta  più  saliente  avvenne  il  4-5  giugno  1913;  all'estremità  setten- 
trionale della  proprietà  Manòla  apparve  un  grande  sarcofago  marmoreo,  che  conte- 
neva i  detriti  di  due  scheletri,  e  non  altro.  Così  almeno  dichiararono  gli  operai,  i 
quali  esplorarono  il  sarcofago  all'insaputa  del  proprietario.  Il  coperchio,  formato  di 
un  semplice  lastrone,  era  caduto  dentro  la  cassa.   Questa  misura  m.  1,94  X  0,55 


i    i-      i 


Fio.  28. 


X  0,45  alt.  ;  sul  prospetto  sono  scolpiti  due  putti  o  geni  alati,  di  scadentissima  fat- 
tura, i  quali  reggono  al  centro  una  ghirlanda  coli' epitaffio  a  lettere  piuttosto  regolari: 

DVLCITI 
H  A  B  E 

Nei  due  lati  corti,  altri  festoni.  Non  cade  dubbio  che  qui  non  s'abbia  a  nascondere 
il  nome  del  defunto,  seguito  dalla  salutazione  Ave.  Dulcitia  o  Dulcilius  sono  co- 
gnomi romani  di  sapore  cristiano  ('),  adibiti  forse  anche  come  gentilizi.  Si  ha  anche 
la  forma  Duloities  e,  alla  greca,  Dulcitie  (')  ;  nel  caso  nostro  è  possibile  di  integrare 
in  Duleiti(e).  Il  filologo  potrà  studiare  la  evoluzione  delle  forme  classiche  in  quelle 
già  corrotte  della  decadenza  (3).  Di  fatto,  se  il  sarcofago  non  ha  ancora  caratteri 
decisamente  cristiani,  ma  piuttosto  ibridi,  non  è  escluso  possa  anche  essere  cristiano. 
Esso,  in  ogni  caso,  non  parmi  anteriore  al  sec.  IV  d.  Cristo. 

(')  Cfr.  De  Vit,  Onomasticon  totius  latinitatis,  s.  v. 
(*)  De  Rossi,  Roma  sotterranea,  voi.  III,  pag.  121. 

(*)  Cfr.  Maccarrone,  Il  latino  delle  iteri*,  di  Sicilia  (Perugia,  1910)  ;  id.,  La  vita  del  latino 
in  Sicilia  fino  aWetd  normanna  (Firenze,  1915). 


CATANIA 


—  222  - 


SICILIA 


Il  predio  Manòla  conteneva  adunque  la  continuazione  della  estesa  necropoli,  che 
è  stata  avvistata  nelle  terre  limitrofe.  Ma  in  esso,  come  nei  contigui,  sono  avvenuti, 
in  epoche  diverse,  rimaneggiamenti  di  ogni  maniera;  ed  ogni  epoca  ha  lasciato  di 
sé  detriti  e  ricordi,  che  l'archeologo  deve  cautamente  sceverare.  Tra  i  copiosi  rot- 
tami d'ogni  maniera  e  delle  più  svariate  età,  raccolti  dal  Manòla,  mi  ha  destato  una 
certa  sorpresa  l'avanzo  di  un  cratere  attico  a  fig.  rosse  degli  inizi  del  sec.  IV,  con 


Fio.  29. 


figura  di  efebo  (e  forse  anche  di  donna)  sdraiati  su  klinai  ;  ai  piedi  anfora  e  candelabro 
ad  asta  con  piede  a  tripode.  Il  disegno  è  molto  buono,  e  questo  pezzo,  il  più  antico 
che  io  abbia  visto,  deve  provenire  da  scarichi  anteriori  allo  impianto  della  necropoli. 
Cronologicamente  distanti  da  esso  oltre  un  millennio  sono  invece  delle  masse  di  coppi 
pettinati,  che  soglionsi  attribuire  all'età  bizantina.  Ho  anche  visto  alcune  poche 
lucerne,  di  cui  due  a  rosario  ;  un  frammento  di  labrum  marmoreo  ;  bricciole  di  cor- 
nice con  ovolini  in  stucco  ;  ho  visto  ancora  due  soglie  di  porta  (dell'  ipogeo  ?  !)  in 
lava,  e  la  metà  inferiore,  pure  in  lava,  di  un  torcular.  Di  monete  ne  esaminai  una 
ventina,  di  cui  la  metà  almeno  bizantine;  nulla  di  greco,  all' infuori  di  una  Catana 
in  bronzo  ;  delle  romane,  la  più  antica  un  Domitianus.  Tutto  ciò  prova,  come  dissi, 
rimaneggiamenti  e  sovrapposizioni  di  età  disparatissime. 


SICILIA  —   223   —  CATANIA 

Era  già  distesa  la  presente  Relazione,  quando,  trovandomi  a  Une  giugno  1915 
per  alcuni  giorni  in  Catania,  ho  raccolto  altri  elementi  che  la  arricchiscono. 

Dalla  vasta  regione  sepolcrale  di  cui  ci  siamo  intrattenuti,  e  precisamente  dalle 
vicinanze  della  ora  distrutta  chiesa  di  s.  Clemente,  ove  doveva  esistere  qualche 
cemetero  a  •  formae  »  cristiano,  il  prof.  Gioacch.  Basile  ha  ricuperato  e  messo  in 
salvo  due  lastre  marmoree,  con  titoli  cristiani. 

Di  cm.  46  X  81  : 

EN0ÀAEKITE 
EYTYXIC  ZH 
CÀE/H  W  TE  ac 
TATHnPoeiÀlAll       [yovaqCov] 

Frammento  di  fascia  marmorea  classica  di  cm.  39  X  37,  nel  cui  rovescio  è 
tracciata  a  rozze  lettere  la  metà  sinistra  di  un  titolo  inscritto  in  una  targa  ansata. 

E  N  \&àds  xitai 
6.  ò  yTTh" 
T  EÀ  E  YTÒ, 

MEN'THYfH) 

OYK  ATTTTOU/ 

T  H  TtT  S  N  W  lì  [enfciov 


x«]  TATHNYnÀ    [*(av? 


ni. 


TIA    ^     KOYp 


Nelle  fondazioni  del  nuovo  Istituto  Fisiologico  in  via  Androne,  alla  profondità  di 
m.  1,85  si  è  rinvenuta  una  bella  tomba  greca  a  piccola  celia  formata  di  due  assise 
di  conci  calcari,  con  doppio  ordine  di  grossi  copertoni.  Essa  misurava  nel  cavo 
m.  1,99X0,72X1,27  alt.,  e  racchiudeva  brandelli  di  una  cassa  di  piombo  con 
resti  dello  scheletro  incremato  e  vasetti  a  fuso.  Di  una  seconda  tomba  di  massi  ho 
veduto  tracce  in  altro  punto  dello  scavo  ma  ad  un  livello  molto  più  alto.  Non  ostante 
la  bellezza  della  costruzione,  questo  sepolcro  non  è  più  antico  del  sec.  Ili  av.  Cristo. 


La  plaga  dove  avvennero  tutte  le  scoperte  di  cui  ho  riferito,  era  un  terreno 
scoperto,  ad  ortaglie,  che  nel  momento  in  cui  scrivo  (15  settembre  1915)  è  già  tras- 
formato in  un  quartiere  a  villini,  disposti  lungo  una  rete  di  nuove  strade. 

Questa  regione  finisce  ad  occidente  nel  viale  Regina  Margherita  con  S.  Maria 
di  Gesù,  già  noto  per  un  vasto  sepolcreto  a  formae,  da  me  illustrato,  per  quel  tanto 
che  era  possibile,  molti  anni  addietro  {Notizie,  1893,  pp.  385  e  sgg.).  Percorrendo 
rapidamente  questa  plaga,  ho  visto  che  il  suolo  è  cosperso,  anche  alla  superficie,  di 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XLT.  30 


CATANIA 


—    224 


SrcìLiA 


rottami  fìttili  d'ogni  maniera,  per  lo  più  di  tegolami;  in  talune  fondazioni  di  villini 
ho  anche  notato  ruderi  di  solida  fabbrica  cementizia.  È  una  regione  suburbana,  cioè 

certamente  esterna  alla  cinta  murale 
così  greca  come  romana;  una  regione, 
con  la  attigua  di  Cifali  o  Cibali, 
eminentemente  sepolcrale,  e  nota  già 
per  molte  precedenti  scoperte,  anche 
di  ipogei,  di  cui  si  possiedono  bensì 
notizie  vaghe  e  sommarie,  ma  non  già 
illustrazioni  e  rilievi  di  dettaglio  (')• 
Dal  complesso  delle  constatazioni  fatte 
risulta  che  qui  si  stendeva  una  vasta 
necropoli  della  Catana  ellenistica  e 
romana  (a  questi  periodi  si  riferisce 
la  maggioranza  delle  scoperte),  conti- 
nuata in  taluni  punti  anche  nei  primi 
secoli  cristiani.  Resta  così  sempre 
aperto  il  quesito,  che  tanto  agita  gli 
archeologi,  dove  fosse  la  necropoli 
della  Catana  calcidese  dei  sec.  VII  e 
VI,  la  cui  scoperta  costituirebbe  un 
vero  avvenimento  scientifico. 

Bassorilievo  del  sec.  V.  Nella 
primavera  del  1912,  costruendosi  dal 
sign.  Frane.  Papale  una  sua  villa  in 
via  degli  Archi,  gli  operai  s' imbatte- 
rono, alla  profondità  di  m.  2  '/* ,  in 
una  tomba  scavata  nelle  arene  vergini 
quaternarie.  Era  una  cassa  fatta  di 
pezzame,  raccolto  qua  e  là,  racchiu- 
dente uno  scheletro  col  cranio  ad  est. 
Non  fu  possibile  di  conoscere,  se  essa 
contenesse  anche  del  povero  vasellame, 
che  pare  sia  stato  trafugato  e  disperso 
dagli  operai.  In  ogni  modo  erano  cose 
insignificanti.  Di  interesse  storico  ed 
artistico  era  invece  una  sottile  lastra 
marmorea  di  m.  1,51  X  0,59,  la  quale 
formava  una  delle  guance  del  sepolcro,  ed  evidentemente  era  stata  strappata  dalle 
ruine  di  un  edificio  più  antico.    Dentro  una  sobria  cornice  rettangolare  si  svolge, 

(')  Dobbiamo  ad  Ad.  Holm  (Dai  alte  Catana,  tav.  e  pag.  25  e  sgg.)  di  aver  compilato  una 
densa,  per  quanto  assai  sommaria  relazione,  delle  numerose  scoperte  archeologico -epigrafiche,  già 
da  due  secoli  segnalate  in  questo  tratto  del  suburbio  catanese. 


Fio.  30. 


SICILIA  —   225   —  CALTAGIRONB 

a  rilievo  bassissimo  e  piatto,  la  decorazione  floreale,  che  redesi  nella  fototipia  tig.  30. 
Sono  tre  giragli  nascenti  da  un  cespo  di  acanto  foggiato  a  lira,  ed  ognuno  desinente  in 
un  fiore;  intercalati  fra  l'uno  e  l'altro  si  vedono  due  uccelli  ed  una  lucertola  bec- 
canti un  germoglio.  Il  lavoro  di  intaglio  è  completato  in  un  solo  punto  con  due  fori 
a  trapano.  Dal  modo  con  cui  sono  disposte  le  figure  animali,  sembra  che  questa  lastra 
fosse  collocata  verticalmente,  anziché  longitudinalmente,  nell'edificio  da  cui  venne 
strappata,  e  nel  quale  rivestiva  un  pilastro. 

Il  lavoro  floreale  alquanto  curato  ha  però  perduto  ogni  pastosità  plastica  ed  ha, 
invece,  delle  durezze  lignee  ;  esso  rappresenta  una  degenerazione  di  motivi  ornamen- 
tali della  pittura  e  della  scoltura  romano  -  imperiale,  di  cui  ben  per  tempo  s' impa- 
dronirà l'arte  cristiana,  e  molto  più  tardi  quella  romanica.  Mi  difettano  riscontri 
della  regione  siciliana,  ma  abbondano  quelli  di  altre  parti  d' Italia  ('). 

Per  ragioni  di  stile  e  di  modellato  ritengo  prebizantina  codesta  scoltura,  e  la 
attribuisco  ad  età  incerta,  che  si  aggira  intorno  al  sec.  V. 

Nei  rispetti  della  topografia  giova  ricordare  che  via  Archi  si  svolge  a  mezzodì 
del  viale  Margherita,  e  quindi  il  sepolcro  viene  a  cadere  nella  regione  eminentemente 
cemeteriale  di  cui  ho  detto  in  precedenza.  Data  l'età  della  scoltura,  ne  consegue  che 
anche  il  sepolcro,  essendo  ad  essa  posteriore,  coincide  col  periodo  delle  dominazioni 
barbariche. 


Vili.  CALTAGURONE  —  Necropoli  greca  di  M.  S.  Mauro.  Dopo  di  aver 
pubblicato  una  monografia  speciale,  e  copiosamente  illustrata,  sopra  la  anonima  città 
prima  sicula  e  poi  greca,  che  un  tempo  sorgeva  a  M.  S.  Mauro  (*),  nuovi  avveni- 
menti archeologici  richiamarono  colà  la  nostra  attenzione.  Procedendosi  nel  marzo  1913 
al  dissodamento  di  un  lotto  di  suolo  sulla  terrazza  del  Piano  della  Piera,  venne  messa 
a  nudo  una  necropoli  greca,  la  cui  graduale  esplorazione,  man  mano  che  procedevano  i 
lavori  agricoli,  fu  vigilata  da  un  delegato  della  Soprintendenza.  Però  la  dissodazione, 
fatta  esclusivamente  con  intenti  agricoli,  impedì  sovente  di  procedere  a  tutte  quelle 
constatazioni  ed  a  quei  rilievi  che  sarebbero  stati  richiesti  da  un  metodico  esame. 
Si  potè  non  di  meno  prendere  nota  di  circa  300  sepolcri  poverissimi,  per  lo  più  a 
cappuccina  od  in  nuda  terra,  con  frequentissimi  èyxvtqia(ioi  infantili  in  anfore  od  in 
giarre.  Il  vasellame,  assai  scarso,  è  corinzio  od  attico  a  figure  nere,   con  alabastra 

(')  Cito  soltanto  alcuni  caposaldi,  i  quali  segnano  la  graduale  evoluzione  del  motivo.  Deco- 
razioni pittoriche  di  gusto  classico,  ancora  del  li  sec,  nel  cemetero  di  Pretestato  (Kraus,  Geschi- 
chte  der  christl.  Kunst,  I,  pag.  206);  grandioso  sarcofago  di  Costanza,  figlia  di  Costantino  (Kauf- 
mann,  llandbuch  der  christl.  ArchaeoL,  pag.  480).  Sarcofaghi  ravennati  (Venturi,  Storia  arte  ital., 
I,  pp.  221-225).  Per  la  ultima  fase,  quella  romanica,  cfr.  Cattaneo,  L' architettura  in  Italia  dal 
tee.  VI  al  mille  (passim). 

(*)  Di  una  anonima  città  siculo-greca  a  M.  S.  Mauro  presso  Caltagirone  (Roma  1911,  in 
Mon.  antichi  dei  Lincei,  voi.  XX). 


PATBRNÒ 


—  226  — 


SICILIA 


bigi,  rarissime  figurine  e  qualche  traccia  dei  noti  vetri  fenici.  Tutto  accenna  al  VI 
secolo  e  ad  una  popolazione  prettamente  greca. 

I  lavori  agricoli  sulle  colline  di  S.  Mauro  continuarono,  all'  insaputa  della  Soprin- 
tendenza, anche  nell'inverno  1914-1915.  È  certo  che  si  manomisero  molti  sepolcri 
greci,  senza  che  fosse  stato  possibile  con  una  ispezione  di  riconoscere  il  punto  preciso 
dello  scavo  abusivo  ;  si  pervenne  però  a  recuperare  parecchi  buonissimi  vasi  attici  a 
figure  nere  (lekythoi,  piccole  anfore,  coppe,  2  anforette  vitree  ecc.).  Tutto  questo  materiale 
conferma  pienamente  la  mia  tesi  della  presa  di  possesso,  in  epoca  imprecisata,  ma 
forse  fin  dal  sec.  VII,  di  quell'importante  nodo  montano,  strappato  ai  Siculi,  per  opera 
di  Greci,  non  sappiamo  ancora  bene  se  Calcidesi  di  Leontini-Catana  o  Rodii  di  Gela. 


IX.  PATERNO  —  Ripostigli  monetali.  Nell'inverno  del  1915  un  villico 
trovò  un  tesoretto  di  monete  greche  in  contrada  Molinazzo  o  Cala-Cala;  erano  una 
quarantina  di  pezzi,  che,  come  suole  accadere,  vennero  trafugati.  Il  proprietario  del 
suolo  riuscì  a  ricuperare  14  pezzi,  e  cioè: 

Num. 

Messana         tetradr.  arcaici 2 

»  *       di  transizione 1 

Syracusae  »       arcaici 7 

Gela  didr.     arcaico 1 

Agrigentum         »       arcaici .3 

Nella  primavera  del  1914  si  era  ritrovato  (dicesi  dentro  il  paese)  un  altro 
tesoretto  di  denari  consolari;  157  ne  acquistò  il  Museo  di  Siracusa,  i  quali  ho  ragione 
di  credere  rappresentino  la  quasi  totalità  del  ripostiglio. 

Num.  Num.  Num.  Num. 

Acilia  1  Claudia  22  Julia  4  Servilia  3 

Aemilia  6  Cloulia  1  Licinia  2  Silia  1 

Antestia  4  Coelia  4  Lucilia  1  Terentia  1 

Appuleja  4  Cornelia  4  Lucretia  1  Thoria  1 

Aquilia  4  Cupiennia  1  Lutatia  1  Tullia  3 

Acilia  l  Curiatia  1  Manlia  1  Valeria  1 

Baebia  1  Domitia  2  Marcia  2  Vargunteia  1 

Caecilia  1  Fabia  1  Minucia  2  Veturia  1 

Caesia  4  Flaminia  8  Opeimia  1  anonime  8 

Calpurnia  1  Fonteja  1  Papiria  1  inclassificabili       7 

Cassia  1  Fouria  3  Porcia  7 

Cipia  1  Herennia  8  Sergia  1 


SICILIA 


—  227  — 


ADBRNÒ 


X.  ADERNÒ  —  Deposito  di  t.  e.  ieratiche.  Nel  decembre  1913  e  nel 
gennaio  1914,  essendosi  eseguiti  dei  vasti  movimenti  di  terre  nel  cortile  dell'ex -mo- 
nastero di  Maria  e  Gesù,  che  è  dentro  il  paese,  gli  operai  s' imbatterono  in  un  vasto 
deposito  di  t.  cotte,  che  manomisero  alla  chetichella  delle  autorità,  senza  che  si  potes- 
sero fare  osservazioni  scientifiche  di  sorta.  Esso  doveva  constare  di  alcune  centinaia 
di  figurine  modiate  di  Cora,  colla  fiaccola  ed  il  porcellino,  di  arte  negletta  e  povera, 


Fio.  31. 


non  anteriori  al  sec.  IV  e  quasi  tutte  frammentane.  Il  Museo  di  Siracusa  si  procurò 
un  discreto  campionario  di  codeste  t.  e,  ed  un  manichetto  di  boccale  in  bronzo, 
alla  cui  impostatura  inferiore  è  saldata  la  figura  di  un  putto  deteriorato  nel  volto. 
Lavori  di  scavo  e  di  sgombero  lungo  la  cinta  militare  di  Adranum.  Dopo  le 
mura  di  Siracusa,  in  Sicilia  i  più  belli  avanzi  militari  greci  sono  quelli  di  Tyndaris 
e  di  Adranum,  così  malamente  noti  gli  uni  e  gli  altri,  che  meglio  è  considerarli  come 
inediti.  Ma  la  peculiarità  di  quelli  di  Adranum  è  di  essere  costrutti  di  grandi 
conci  lavici,  la  cui  faticosa,  costosa  e  quindi  imperfetta  lavorazione  ha  indotto  in 
errore  precedenti  illustratori  di  quelle  mura  (l),  che  vennero  battezzate  per  ciclopiche 


(')  Petronio-Russo,  flluslrazione  itorico-archeologica  di  AdernO  (Adernò  1897,  pp.  11  e  segg.). 


ADERNÒ 


—  228  — 


SICILIA 


o  pelasgicbe,  quando  non  sono  che  di  tempi  storici  ben  progrediti.  Ad  ogni  modo, 
per  incominciare  una  buona  volta  lo  studio  sistematico  di  queste  ragguardevoli  opere 
militari,  nel  novembre  e  decembre  1911  vi  ho  eseguito  una  campagna  di  una  cin- 
quantina di  giorni.  Sul  lato  orientale  della  cinta  murale  che  si  svolge  nelle  ortaglie 
della  contrada  Cartalemi,  si  sono  sgombrati  m.  120  di  muro,  lasciando  libera  una 
zona  di  riguardo  di  m.  4,50,  con  lodevole  intendimento  acquistata  dal  municipio  di 
Adornò  per  iniziarvi  una  passeggiata  archeologica. 


Fig.  32. 


Le  mura,  come  vedesi  dall'annessa  fototipia  e  dagli  schizzi  grafici,  sono  formate 
da  un  doppio  paramento  di  conci  lavici,  abbastanza  regolarmente  disposti,  e  la  col- 
mata interna  risulta  di  pezzame  amorfo,  buttato  quasi  alla  rinfusa;  lo  spessore  medio 
della  muraglia  è  di  m.  3,33.  In  queste  operazioni  di  sgombero  si  sono  messe  a  nudo 
due  postierle  o  nvXiòsq  della  forma  e  dimensione  date  dallo  schizzo  (fig.  32). 

Nell'opposto  lato  della  città  si  è  isolato  il  magnifico  torrione  addossato  alla 
chiesa  di  S.  Francesco,  demolendo  due  catapecchie  che  lo  mascheravano  sui  fianchi, 
per  modo  che  esso  è  oggi  visibile  sui  tre  lati  della  sua  prominenza  dalla  linea 
muraria  (figg.  33  e  34).  E  si  sono  fatti  altresì  scavi  di  ripulimento,  mettendo  in 
evidenza  due  filari  di  conci  ancora  sprofondati  nel  suolo.  Era  nel  programma  della 
Soprintendenza  di  procedere  al  rilievo  generale  della  fortezza  greca  di  Adranum,  le 
cui  opere,  costruite  tutte  in  materiale  lavico,  diedero  luogo  a  grossi  equivoci  tectonici 
e  cronologici.   Si  doveva  seguire  con  opportuni  scavi,  e  per  quanto  era  possibile,  la 


SICILIA 


—  229 


ADERNÒ 


linea  delle  mura,  in  parte  distrutte  ed  obliterate;  ma  vennero  meno  i  mezzi  pecu- 
niari molto  ingenti  che  abbisognavano  a  ciò,   ed  il  lavoro  fu  pertanto    rimandato. 


Fio.  33. 


Come  è  noto,  fu  Dionigi  che  verso  il  400  av.  Or.  eresse  sulla  attuale  terrazza 
di  Adornò  la  fortezza  di   Adranum  ('),   attorno  ad  un  celebrato  santuario  del  dio 

(s)  Diodoro  Sic,  XVI,  13;  Beloch,  L'impero  siciliano  di  Dionisio  (Roma,  1881,  pag.  i).  Sopra 
Adranum  veggasi  anche  la  eccellente  monografìa  di  N.  Rapisarda,  FI  dio  siculo  Adranos,  in  Archivio 
stor.  sicil.  or.,  an.  XII,  1915,  pag.  186,  il  quale  condivide  interamente  e  corrobora  con  nuovi  argo- 
menti la  mia  tesi  della  doppia  Adranum  sicnla  e  greca. 


CRNTDRIPK 


—  230 


SICILIA 


indigeno  omonimo,  quivi  preesistente,  e  collo  scopo  di  tenere  in  freno  i  turbo- 
lenti Siculi  della  regione.  È  mia  ferma  convinzione,  per  l'esperienza  acquisita  da 
ripetute  visite  ai  luoghi,  che  la  Adranum  sicula  esistesse  nella  contrada  denominata 
Mendolito,  un  8  km.  dalla  città  attuale,  nelle  forre  del  Simeto,  assolutamente  inadatte, 
per  la  loro  bassa  ubicazione  e  per  essere  da  tutti  i  lati  dominate,  all'impianto  di 
una  fortezza  greca.  Laggiù  in  quei  luoghi  impervi,  e  pericolosi,  perchè  quasi  sempre 
infestati  da  malviventi,  ma  di  una  grandiosa  e  quasi  tragica  bellezza  panoramica, 
esistono  aggeri  in  pietre  brutte,  che  pare  formassero  una  rude  cinta  urbana.  Laggiù 
si  trovò  il  grandioso  ripostiglio  di  bronzi  siculi  (Bull.  pai.  Hai.  1910,  pag.  43);  laggiù 


Fig.  34. 


le  due  iscrizioni  siculo,  le  prime  che  si  conoscano  (Notizie  1912,  pag.  416);  laggiù 
bronzi  greci  arcaici  (Ausonia  1913,  pp.  44-57),  e  mille  altri  elementi  rivelanti  la 
civiltà  sicula  nella  sua  ultima  fase  di  evoluzione  nella  greca.  Possiedo  molti  appunti 
e  schizzi  sulla  misteriosa  città;  ma  mi  è  ancora  indispensabile  almeno  una  prima 
campagna  di  scavi,  per  dare  ad  essi  forma  organica  e  definitiva. 


XI.  CENTURIPE  —  Materiale  epigrafico  vario.  Nel  marzo  1912,  dal 
locale  ispett.  onor.  sign.  L.  Scavone -Campagna  venne  sequestrato  il  seguente  materiale 
epigrafico  marmoreo,  rinvenuto  in  scavi  abusivi  in  contrada  Difesa  Castellacelo  sopra 
il  noto  fondo  Casino. 

Lastra  di  cm.  18  X  11:  Idem  di  cm.  17  X  13,5: 


Xqiqa 
ot    Z 


SICILIA 


—  231  — 


CKNTURIPE 


Sei  frammenti  che  attaccano  e   formano  la  parte  superiore  di  un  grande  titolo 
in  lastra  marmorea,  scritto  ad  ottimi  caratteri: 


0,57 


Cx<  '    P  O  M  P  E  I  O 
CN  •  F  -  Q_V  I  R/"     "\'  **A 
D  V  L  C  I  S  Sy 
O  n  r/ 


Alla  stessa  lapide  sembrano  appartenere  altri  due  frammenti  di  cui  porgo  il 
migliore,  di  cm.  14,5X14: 


ROSCJj 


Nell'agosto  1912  vennero  acquistati  i  due  frammenti  seguenti,  pure  centuripini. 
Di  cm.  14  X  13,5  :  Di  cm.  25  X  22  : 


THAd 
X  P  H  C 
C  6  N  € 


TI)    xxX. 


E   Y    elisio... 
A  X  P  H  CUòff  %a 
I  P  €  €  Z  H  Cj  ev 
€  T 

(soìg)    [Kaxayaioiq] 


Nel  febbraio  1914  ho  assicurato  al  Museo  un  altro  lotto  di  otto  frammenti 
epigrafici,  incisi  su  tavolette  marmoree;  sono  molto  mutili  e  qui  pubblico  i  tre 
principali,  deplorando  di  non  aver  potuto  conoscere  la  precisa  contrada  ove  erano 
stati  rinvenuti. 

Frammento  di  cm.  12X10,5:  Idem  di  cm.  12,5X6,5: 


(??)   EiQld 
*V    Xat 


I  KHXP  H  C 
P€  €ZH 


C  I  X  P  l-Cl 
CX€P€) 


i' 


Idem  di  cm.  14,5X13: 


%<* 


IPGsj  €ZH 
£TH  *>  Ì~B 


Il  formulario  di  codesti  tre  frammenti,  degli  altri  ancora  più  mutili,  e  dei 
precedenti  titoli  greci  accenna  all'epoca  imperiale  romana,  e  verrà  poi  adottato 
tal  quale  anche   dalla  epigrafia   cemeteriale   cristiana  dei  tempi  immediatamente 


successivi. 


Noma  Soavi  1915  -  Voi.  XIJ. 


31 


CASTROGIOVANNI 


—    232 


SICILIA 


XII.  CASTROGIOVANNI  —  Esplorazioni  nel  castello  di  Lombardia. 
Nell'estate  del  1912  ed  in  quella  del  1913,  in  seguito  a  vivissime  istanze  di  certi 
signori  Salónia  e  Barberino,  che  presumevano  di  possedere  documenti  rivelatori  di 
un  grande  tesoro  cristiano  o  bizantino,  si  eseguirono  vasti  scavi  nel  cortile  del  grande 
castello  di  Lombardia  o  di  Manfredi,  presso  la  cosiddetta  Rocca  di  Cerere.  Per  quanto 


Fio.  35. 


la  mia  fede  in  tali  tesori  fosse  assolutamente  negativa,  ritenni  opportuno  saggiare  il 
terreno  attiguo  al  tempio  famoso,  tanto  più  che  mai  eransi  eseguite  a  Castrogiovanni 
escavazioni  sistematiche.  Effettivamente  si  mise  allo  scoperto  una  chiesetta  medioevale 
di  S.  Martino,  che  dovette  sorgere  nel  sito  di  una  più  antica,  probabilmente  bizan- 
tina. E  denudando  fino  alla  roccia  il  suolo  ad  essa  circostante,  si  rivelò  una  necropoli 
a  fosse  rastremate,  alcune  delle  quali  arieggiano  persino  la  forma  antropoide,  colla 
cavità  circolare  per  adagiarvi  il  capo  del  morto;  e  tale  era  anche  un  sarcofago  mo- 
nolito, l'unico  colà  rinvenuto.  Quasi  tutte  queste  fosse  hanno  dato  avanzi  scheletrici, 
ma  nessun  oggetto,  il  che  ci  mette  in  qualche  imbarazzo  circa  la  designazione  cro- 
nologica del  sepolcreto,  che  da  un  complesso  di  dati  parmi  però  bizantino. 


SICILIA 


—  233 


A1D0NE 


L'area  di  esso  era  occupata  da  numerosi  piccoli  serbatoi  campanati,  che,  oltre 
di  trovarsi  interpolati  colle  fosse  mortuarie,  appariscono  anche  nel  suolo  della  chie- 
setta, e  spuntano  del  paro  qua  e  là  nei  cortili  del  castello.  Che  questi  serbatoi 
campanati.  i  quali  hanno  una  profondità  oscillante  da  cm.  65  a  m.  1,25,  sieno  ante- 
riori alla  necropoli,  non  v'è  dubbio,  perchè  l'orifizio  circolare  di  taluni  di  essi 
attraversato  dalle  fosse.  Eseguito  il  vuotamento  di  qualcuno,  nulla  diedero.  Non  senza 
ragione  io  penso  che  codesti  numerosi  piccoli  serbatoi,  di  cui  offro  un  campione 
(fig.  35),  fossero  destinati  a  ricevere  grani,  offerti  al  famoso  e  limitrofo  santuario  di 
Cerere,  e  nelle  viscere  della  terra  conservati  fino  al  graduale  loro  consumo  per  i 
molteplici  e  svariati  usi  del  culto  ('). 


Fig.  36. 


XIII.  AIDONE  —  Scavi  nella  anonima  città  a  Serra  Orlando.  Nell'ultimo 
quadriennio  vennero  spinte  alacremente  le  indagini  nella  anonima  città  che  si  stende 
sull'altipiano  di  Serra  Orlando.  Dall'aprile  al 
giugno  1912  si  condusse  un  lunga  e  saltuaria 
campagna,  la  quale  ha  dato  i  risultati  che 
qui  sommariamente  espongo. 

Nella  proprietà  del  villico  Giuseppe  Cal- 
cagno-Giarruso  si  è  messa  a  nudo  e  rilevata 
una  piccola  casa  con  cisterna.  In  quella  di 
Pietro  Ortolano  una  tomba  a  fossa  in  nuda 
terra,  coperta  con  3  lastroni,  diede  4  vasetti 
a  fuso,  3  tazzine,  e  77  astragali  distribuiti 
lungo  il  cadavere,  cremato  in  posto.  Nel  po- 
dere Angelo  Bizza  Cascia  un  sepolcro  a  ca- 
mera, simile  a  quelli  di  Licodia  Eub.,  con  larghe  bauchine  lungo  3  lati  e  fosso  al 
centro,  conteneva  gli  avanzi  di  36  scheletri  e  di  numerosi  vasi,  distribuiti  come  gli 
scheletri,  un  po'  ovunque.  Dall'  esame  dei  fittili,  in  prevalenza  indigeni  (hydrie, 
anfore,  boccali,  scodelle  ecc.),  pochi  attici  (lekythoi  a  figure  nere),  e  di  taluni  piccoli 
bronzi,  si  arguisce  l'età  del  sepolcro,  che,  al  più  tardi  scende  ai  primissimi  inizi 
del  sec.  V.  Quattro  sepolcri  ellenistici  a  fossa  nella  roccia  vennero  esaminati  nella 
località  Ciappino  e  diedero  vasetti  a  fuso  ;  un  sarcofago  fittile  di  m.  1,75  X  0,47 
X  0,47  conteneva,  del  paro,  soltanto  poveri  vasi  grezzi  attorno  ad  uno  scheletro.  Un 
ustrino  diede  rottami  di  piatti  ed  una  litra  di  Siracusa  colla  seppia. 

Altro  gruppo  di  tombe  si  riconobbe  a  Cittadella,  in  proprietà  del  comm.  Sollima. 
Una  cassa  fittile  racchiudeva  lo  scheletro  con  una  taaziua  nera  ed  una  pisside  cam- 
pana. In  complesso,  in  questo  punto  si  esaminarono  15  sepolcri  a  fossa  e  2  ustrini, 
con  scadente  materiale  fittile  indigeno   e  campano;  vi  si  riconobbero  anche  le  basi 

(')  Ovid.,  Fast.,  I,  671  :  «  placentur  frugum  matres  Tellusque  Cerusque  farre  suo  gravidae 
visceribusque  suis.  Officium  commune  Ceres  et  Terra  tuentur:  haec  praebet  causam  frugibus,  i!la 
lucimi  ». 


TERRANOVA  —    234   —  SICILIA 

di  due  monumenti  funebri  in  muratura,  analoghi  a  quelli  di  Centuripe  (necropoli 
Casino): 

In  contrada  Palazzo,  proprietà  Repollini,  si  mise  a  nudo  e  si  rilevò  una  gran- 
diosa scalèa  a  sei  ordini  di  gradini,  sorreggenti  una  vasta  terrazza,  sulla  quale  si 
esplorarono  inizialmente  due  case  di  età  ellenistico-romana.  Ma  tali  esplorazioni, 
molto  costose,  è  d'uopo  proseguire  in  avvenire,  che  certamente  siamo  in  un  punto 
nobile  della  città. 

Si  fecero  anche  le  prime  osservazioni  sull'andamento  ed  il  tipo  delle  mura 
urbane,  costruite  di  conci  calcari  mezzani,  tagliati  e  disposti  alla  foggia  greca. 

Molto  materiale,  soprattutto  fittile,  di  S.  Orlando,  venne  negli  ultimi  anni  intro- 
dotto in  Museo,  e  meriterebbe  una  adeguata  illustrazione.  Qui  mi  limito  a  ricordare 
un  oggetto  stranissimo  e  di  grande  curiosità,  cioè  un  fiaqaimov  o  «  inarsupium  » 
in  forma  di  portafoglio  moderno  (dim.  mm.  145  X  103),  in  spessa  lamina  di  piombo 
accuratamente  ripiegata  (fig.  36),  il  quale  racchiudeva  un  peculio  di  89  denari 
vittoriati,  quasi  tutti  fior  di  conio. 


XIV.  TERRANOVA    SIOULA    —    Tesoretto    monetale   con   gioielli.   Nel 
novembre,  1911  in  contrada  Feudo  nobile  venne  scoperto  da  un  villano  un  piccolo 

tesoro,  raccomandato  entro  un  pentolino.  Esso  con- 
teneva 27  pegasi  o  stateri  di  Corinto,  tutti  in 
mediocre  o  cattivo  stato  di  conservazione,  ed  una 
pariglia  di  superbi  orecchini  d'oro  (alt.  mm.  21 
e  23;  peso  complessivo  gr.  12,2)  che  qui  si  ri- 
producono in  fototipia,  attesa  la  loro  bellezza.  È 
una  forma  molto  ovvia  da  fine  V  a  tutto  il  III  sec; 
ma  questi  esemplari  gelesi  eccellono  per  la  gran- 
FlG  37  dezza  e  finitezza  delle  teste   leonine,  col  collo 

adorno  di  spirali  a  filigrana. 
Tenendo  conto  della   associazione  cogli  stateri  di  Corinto,  tutti  molto  frusti,  è 
lecito  di  ritenere  che  il  tesoretto  sia  stato  sotterrato  durante  le  sanguinose  fazioni  che 
ai  tempi  di  Agatocle  (an.  311)  funestarono  Gela  ('). 

P.  Orsi. 

(')  Holm,  Storia  della  Sicilia  nell'antichità,  voi.  II,  pag.  444  ;  Orsi,  Gela,  pag.  20. 


REGIONE   Vili.  —   235  —  RAVENNA 


Anno  1915  —  Fascicolo  7. 


Regione  Vili  (CISPADANA). 

I.  RAVENNA  —  Avanzi  di  edificio  romano  rimessi  a  luce  fra  il 
tempio  di  s.   Vitale  ed  il  mausoleo  di  Galla  Placidia. 

Nell'agosto  del  1912,  praticandosi  uno  scavo  per  eseguire  opere  di  drenaggio  fra 
il  tempio  di  s.  Vitale  ed  il  mausoleo  di  Galla  Placidia  (fig.  1),  si  fecero  importanti 
scoperte  archeologiche. 

Lo  scavo  verticale,  che  fu  prima  di  modeste  proporzioni  (m.  4,70  per  m.  4,60), 
mediante  opportune  disposizioni  della  R.  Soprintendenza  archeologica  di  Bologna  venne 
di  molto  ampliato  con  pareti  a  scarpata  ed  a  banchina,  evitando  i  franamenti  del  ter- 
reno acquitrinoso  con  opere  parziali  di  puntellature,  e  collocandovi  poi  le  macchine 
per  il  difficile  prosciugamento,  che  rese  possibili  gli  ulteriori  studi  e  lavori. 

A  m.  0  90  di  profondità  dal  piano  attuale  di  s.  Vitale,  quasi  a  livello  del 
piano  antico,  a  due  metri  sul  mare,  tra  il  terreno  di  riporto  non  si  rinvennero  che 
frammenti  di  scodelle,  di  piatti,  di  orci  di  argilla  cruda  od  a  mezza  cottura,  lisci, 
striati,  incisi  a  disegno  geometrico,  con  segni  ondulati,  con  motivi  di  fantasia,  con 
contorni  di  animali,  di  figure  umane,  di  qualche  fiore,  qualche  frutto,  segnati  con 
molta  spontaneità  e  facilità  rudimentali,  senza  pretesa  di  far  dell'arte  ma  che  costi- 
tuiscono altrettanti  motivi  caratteristici  dell'ornamento  nelle  ceramiche  provinciali 
dei  secoli  XV  e  XVI. 

Alcuni  erano  preparati  alla  dipintura;  altri  erano  rifiuto  del  forno;  i  più,  scarti 
di  fabbrica;  molti  poi  avevano  le  vernici  iridescenti  come  le  maioliche  dei  campanili 
e  delle  facciate  delle  chiese.  Altri  poi,  lionati,  erano  marcati  con  l'S  e  il  V  {Sanctus 
Vitalis);  ma,  all' infuori  di  questa,  non  s'è  rinvenuta  nessun'altra  marca  o  contras- 
Nomi»  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  32 


RAVENNA 


—  236 


RKOluNE    Vili- 


segno.  Il  sottosuolo  di  Ravenna,  specie  nei  pressi  di  antichi  chiostri  o  di  fabbriche 
antiche,  offre  con  facilità  simili  trovamenti. 

* 

A  m.  0,65  sotto  il  livello  del  mare  si  rinvenne,  per  primo,  un  lembo  di  mosaico 
bianco  e  nero;  e  fu  l'interesse  suscitato  da  questa  improvvisa  scoperta  che  indusse 
ad  allargare  lo  scavo  per  quanto  lo  consentiva  il  momento.  Fu  messo  infatti  alla 


'.o  J.  S. Vitali 


Mausoleo  Ji  Galla  Ronditi 


FlG.    1. 


luce  l'avanzo  del  pavimento  di  una  sala  in  mosaico  a  tessere  bianche  intorno  ed  a 
tessere  bianche  e  nere,  formanti  motivi  geometrici,  in  un  riquadro  centrale  ;  riquadro 
che  è  conservato  perfettamente,  mentre  della  fascia  bianca  che  lo  circondava  non 
restano  che  frammenti  insufficienti   per  determinarne  la  precisa  estensione. 

Le  tessere  della  striscia  bianca  sono  più  grandi  ;  sono  messe  a  spina,  e  si  frangono 
contro  un  riquadro  di  tre  tessere  bianche,  già  parallele  ai  lati  del  riquadro  centrale. 

Una  fascia  nera  di  sei  tessere  racchiude  uno  spazio  diviso  in  sedici  scomparti- 
menti formati  da  dieci  serie  di  quadretti  neri,  intersecantisi  a  5  a  5  perpendicolar- 
mente; in  mezzo  ai  quali  si  disegna  un  quadrato  maggiore,  obliquo.  Le  figure,  nere 
in  campo  bianco,  sono  contornate  da  una  riga  pure  nera,  che  viene  a  tracciare  degli 
ottagoni  irregolari,  i  quali  hanno  i  lati  opposti  a  4  a  4  eguali  (fig.  2,  leti  A). 

Se  si  considera  la  semplice  eleganza  del  motivo  a  mosaico,  la  regolarità  della 
posa  in  opera  delle  tessere,  tenute  compatte  da  un  mastice  negli  interstizi  e  da  uno 


REGIONE    Vili. 


—    237    — 


RAVENNA 


strato  di  calce  bianca  sopra  un  impasto,  più  grezzo,  di  ghiaietta  e  calce  ;  se  si  tiene 
conto  del  livello  in  cui  è  apparso,  a  m.  2,74  sotto  il  livello  antico  di  s.  Vitale  ed 
a  m.  1,35  sotto  quello  del  mausoleo  di  Galla  Placidia,  ed  a  m.  0,65  sotto  il  livello 
del  mare,  si  può  con  ogni  probabilità  affermare  che  il  pavimento  deve  essere  riferito 
ai  buoni  tempi  imperiali  ;  del  quale  avviso  è  pure  il  eh.  soprintendente  prof.  G.  Ghi- 


Fio.  2. 


rardini,  che  si  recò  a  visitare  lo  scavo.  Questo  riquadro  centrale  misura  m.  2,68  di 
lato.  Le  diagonali  del  quadrato  seguono  quasi  le  direzioni  cardinali. 


* 


Proseguendosi  lo  scavo  a  nord,  vennero  in  luce  altri  avanzi  discontinui  di  mosaico 
a  grandi  tessere  bianche  con  tracce  diverse  di  riquadri  e  composizioni  geometriche 
nere,  in  direzioni  parallele  al  pavimento  sopradescritto  (fig.  2,  lett.  B). 

Notevoli,  fra  questi,  due  frammenti  di  delfini,  di  uno  dei  quali  resta  quasi  in- 
tera la  testa;  dell'altro  la  coda  (fig.  2,  lett.  C). 

Ricorre  anche  un  semplice  motivo  di  crocette  nere  con  una  tessera  bianca  cen- 
trale, disposte  in  fila  secondo  le  direzioni  dei  mosaici  maggiori  (fig.  2,  lett.  D). 

Vi  sono  ancora  larghe  zone  di  restauri  posteriori,  eseguiti  con  negligenza,  i  quali 
male  si  raccordano,  per  le  tessere  diverse,  col  lavoro  originario,  e  ne  interrompono 


RAVENNA  —    238    —  REGIONE   Vili. 

il  tracciato  anteriore.  Sono  meno  compatte  e  confuse,  e  mostrano  punti  neri  sparsi 
fra  le  tessere  bianche. 

Più  ad  est  ancora  limita  questa  prima  zona  un  resto  di  muro,  che  all'estremità 
orientale  piega  ad  angolo  verso  sud,  perfettamente  parallelo  alle  tracce  musive  esi- 
stenti (fig.  2,  lett.  /).  È  fatto  con  mattoni  manubriati,  rossi,  compattissimi,  di  forte 
cottura,  di  43  cm.  di  lato  per  32  e  6  di  spessore,  cementati  con  calce  bianca  e 
sabbia  grossa  di  fiume.  La  tecnica  buonissima;  la  regolarità  costante  del  materiale, 
la  diligente  alternativa  delle  giunture  dei  pezzi,  lo  direbbero  un  muro  dalle  facce  iu 
vista;  ma  se,  come  con  tutta  probabilità  può  ritenersi,  era  muro  che  apparteneva 
agli  ambienti  pavimentati  coi  musaici  scoperti  (la  composizione  dei  delfini,  infatti, 
segue  da  vicino  l'andamento  di  questo  muro),  esso  doveva  essere  intonacato  o  rivestito 
di  marmo.  Ma  di  tutto  ciò  non  si  rinvenne  traccia.  Le  sue  fondazioni  non  si  poterono 
scandagliare  per  la  veemenza  delle  filtrazioni  di  sabbia  ed  acqua. 

* 

A  levante  di  questo  muro,  e  sempre  in  direzione  parallela,  comparve  un  altro 
frammento  di  mosaico  la  cui  composizione  riconoscevasi  quasi  interamente. 

Anche  qui  apparvero  i  resti  di  una  larga  fascia  bianca,  che  racchiudeva  un  ri- 
quadro di  m.  1,30  di  lato,  limitato  da  una  striscia  nera  e  da  una  seconda  striscia 
più  sottile. 

Entro  il  riquadro  sono  inscritti  due  giri  concentrici  di  triangoletti,  in  mezzo 
ai  quali,  entro  uno  spazio  bianco,  è  figurato  un  elegante  vaso  a  doppia  ansa  col  ventre 
baccellato  (fig.  2,  lett.  G). 

I  quattro  pennacchi  racchiudono  una  fogliolina  d'edera  a  cuore,  con  tenie. 

Anche  questi  elementi  decorativi  hanno  una  impronta  prettamente  classica.  La 
tecnica  è  eguale  a  quella  degli  altri  mosaici  (così  almeno  è  apparsa  per  quel  tanto 
che  s'è  potuto  confrontare)  ;  solo  le  tessere  sono  più  piccole,  e  non  escluderei  potes- 
sero essere  di  fattura  un  poco  più  tarda. 

Questo  mosaico  è  di  m.  0,25  meno  profondo  degli  altri,  cioè  è  a  soli  m.  0,45 

sotto  il  livello  del  mare. 

* 

Più  a  levante  ancora,  si  rinvennero  altre  tracce  di  mosaico,  ma  solo  di  restauro 
bianco  con  tessere  nere,  sparse  senza  nessuna  regola  e  nessun  concetto  palese  (fig.  2, 
lett.  H);  poi,  ad  un  leggero  dislivello  più  basso,  si  rinvennero  alcuni  corsi  di  mu- 
ratura a  riseghe,  sconnessa,  frammentaria,  con  impasto  di  mattone  trito;  poi  cocci 
di  anfore  romane;  coperchi  con  marche  indecifrabili;  frammenti  di  marmi,  alcuni 
bianchi,  lavorati  con  tecnica  meno  antica,  altri  in  pavimenti  di  opus  sedile  ;  altri 
ancora  in  rivestimenti  e  zoccolatale,  ma  senza  speciale  carattere  o  singolare  impor- 
tanza; poi  brandelli  di  intonaco  levigato  e  frescato  a  tinte  indefinibili  o  rigato  a 
fasce  rosse  e  gialle  e  verdastre  cupe  e  bianche,  ma  incompleti  troppo  e  quasi  insi- 
gnificanti. 

Più  sotto  ancora  giaceva  uno  strato  di  bei  mattoni  di  grande  misura,  forse  posti 
a  sistemazione  del  terreno  per  un  piano  ài  posa  del  mosaico;  ed  anche  un  avanzo 


REGIONE   VII.  —   239    —  BOLSENA 

di  pavimento  a  piccoli  mattoni  esagoni,  sopra  i  quali  posavano  alcune  grosse  trachiti 
granitiche  (fig.  2,  lett.  /). 

Lo  scavo  s'è  incontrato  con  un  rudero  di  fogna  che  va  da  sud  a  nord  verso  est. 
11  suo  fondo  è  a  m.  1,04  sotto  il  livello  del  mare,  alla  maggiore  profondità  cioè 
dei  resti  scoperti  fino  ad  ora.  Questa  fogna  era  ben  costruita  per  lo  scopo  a  cui  era 
destinata:  era  a  letto  impermeabile,  con  pareti  a  drenaggio  per  l'infiltrazione  dal 
terrapieno  (fig.  2,  lett.  K). 

Non  sono  rari  gli  esempì  di  simili  fogne,  costruite  a  tutti  mattoni  paralleli, 
rinvenute  nelle  più  basse  zone  degli  scavi  del  palazzo  di  Teodorico. 

Lo  sterro  che  si  è  fatto  non  ha  potuto  seguire  un  tracciato  regolare;  molteplici 
muse  hanno  impedito  una  più  larga  indagine;  né  i  trovamenti,  del  resto,  furono  tali 
da  suggerire  uno  studio  sotto  qualche  aspetto  esauriente  e  completo.  Si  può  soltanto 
stabilire  che  non  v'era  nessun  rapporto  di  parallelismo  tra  questi  trovamenti  e  il 
tracciato  delle  antiche  mura  romane  ora  del  Torrione  e  di  porta  Gaza,  e  che  i  mosaici 
scoperti,  per  le  loro  dimensioni  e  disposizioni,  sembra  potersi  argomentare  che  appar- 
tenessero a  vari  ambienti  di  una  casa  romana. 

Dei  muri  divisori,  come  si  è  detto,  è  venuto  in  luce  soltanto  un  piccolo  tratto: 
il  che  dimostra  che  il  materiale  laterizio  deve  essere  stato  asportato,  probabilmente 
iu  tempi  tardi,  per  farlo  servire  ad  altre  costruzioni. 

Tutto  questo  è  ben  noto  ed  è  dimostrato  da  altri  scavi  di  Ravenna. 

G.  Nave. 

Regione  VII  (ETRUR1A). 

II.  BOLSENA  —  Iscrizione  ricordante  un  magistrato  municipale  di 

Volsinii,  rinvenuta  nel  territorio  del  Comune. 

Fu  l'anno  scorso  recuperata  un'iscrizione  latina  che  si  trovava  in  un  pozzo  in 
contrada  Civitale  presso  Bolsena  (').  È  incisa  su  di  un  blocco  di  pietra  viva,  man- 
cante in  basso.  Misura  m.  0,52  X  0,65  X  0,30.  I  caratteri,  data  la  natura  della  pietra, 

sono  abbastanza  chiari: 

L    CAECINA    L 
QjTRPPPRCOS- 

1 1 1 1  V1R  ID- 

SVA  PECV 
NIA       VIAS 

STRAVIT 

L.  Gaecina  L.  \_f{ilius)~\  (*),  q(uaeslor),   tr{ibunus)  p(lebis),  p(raetor)  pr(p)  co(n)- 
s(ule)  (3),  IIII  vir  i(ure)  d{icundo)  sua  pecunia  vias  stravit. 

(')  Debbo  alla  cortesia  del  prof.  Paribeni  l'aver  potuto  studiare  la  suddetta  epigrafe. 

(')  L'iniziale  del  nome  f(ilius)  non  è  incisa  perchè  evidentemente  al  quadratario  venne  a 
mancare  lo  spazio. 

(»)  Praetor  prò  consule,  di  solito,  nelle  iscrizioni,  è  abbreviato  in  pr  •  PRO  COS.  Qui  forse  per 
ragioni  di  spazio,  volendosi  far  entrare  tutte  le  magistrature  in  una  sola  riga,  si  è  usata  una  mag- 
giore abbreviazione. 


BOLSENA  —   240   —  REGIONE    VII. 

Questa  iscrizione,  interessante  non  solo  per  l'età  cui  appartiene  ma  anche  perchè 
ci  dà  il  nome  dei  magistrati  supremi  di  Volsinii,  si  riferisce  agli  ultimi  tempi  della 
repubblica  o  ai  primordii  del  regno  di  Augusto. 

Per  così  datarla,  più  che  ogni  altro  indizio,  è  ragione  sufficiente  il  semplice 
titolo  di  proconsole,  senza  aggiunta  della  provincia:  determinazione,  questa,  che  ai 
tempi  imperiali  non  fu  mai  omessa  ('). 

Altro  dato  non  dubbio  di  età  remota  è  la  mancanza  del  cognome.  Il  gentilizio 
Caecina  appartiene  a  notevole  famiglia  di  origine  etnisca  e  propriamente  di  Volterra, 
che  poi  si  divide  in  più  rami,  e  a  Roma  i  Caecina  apparvero  fin  dall'ultimo  secolo 
della  repubblica  (*). 

Ignoto  è  però  il  L.  Caecina  della  nostra  lapide.  Non  abbiamo  di  lui  altre  no- 
tizie, e  fra  i  personaggi  noti  di  quella  famiglia  non  ne  conosciamo  alcuno  dal  pie 
nome  Lucius. 

Non  si  fa  menzione  né  di  alcuna  magistratura  del   vigintivirato,  né  del  tribù 
nato  legionario,  che  non  furono  a  quel  tempo  condizioni  preliminari  per  potere  occu- 
pare le  magistrature  più  elevate  e  in  primo  luogo  la  questura  (3). 

L.  Caecina  esercitò  la  questura,  il  tribunato  della  plebe  e  la  pretura;  e  nel 
secondo  anno  della  pretura  fu  mandato  con  potestà  consolare  ad  amministrare  una 
provincia.  Fu  inoltre  qualtuorvir  a  Volsinii,  e  durante  il  suo  quattuorvirato  diede 
prova  di  liberalità  facendo  lastricare  a  sue  spese  le  vie  della  città. 

A  proposito  dei  magistrati  di  Volsinii,  scriveva  il  Bormann  (*)  :  «  De  nominibus 
magistratuum  non  prorsus  constat;  nam  quod  dicuntur  li  II  viri  n.  2710  magistratus 
utriusque  generis  coniuncti  qui  theatrum  et  proscaenium  de  sua  pecunia  faciundum 
coeraverunt  rem  non  decidit,  atque  incerta  est  lectio  IlIIvir  n.  2712,  non  integra 
vir  »'«]r.  die.  n.  2713 ». 

Si  può  invece  ora  con  certezza  aifermare  che  a  capo  dello  stato  Volsiniese 
stavano  i  quattuorviri. 

T.  Campanile. 


(l)  Borghesi,  Oss.  num.,  IV,  8  (cfr.  C.I.L.  I,  639,640,  641,  pag.  188;  XIV,  2603). 
(')  C.  1.  L.,  XI,  pag.  325;  Pauly-Wissowa,  Real  Encyclopàdie,  s.  v.  Caecina. 
(*)  Mommsen,  Le  droit  public  romain,  trad.  fr.,  II,  pag.  200  sgg. 
(*)  C.  I.  L.,  XI,  pag.  424. 


ROMA  —   241    —  ROMA 


III.   ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città. 

Regione  IV.  In  via  Baccina,  eseguendosi  un  cavo  per  condottura  elettrica, 
si  sono  rinvenuti  un  rocchio  di  colonna  di  granitello  (m.  1,10X0,32)  e  una  piccola 
base  marmorea  di  forma  cilindrica  (m.  0,20  X  0,45). 

Regione  V.  In  piazza  S.  Croce  in  Gerusalemme  si  è  scoperto  un  frammento 
di  statua  marmorea,  alto  m.  0,80.  Si  tratta  di  una  figura  femminile  di  cui  nel  nostro 
frammento  sono  conservate  solo  le  gambe.  Il  frammento  è  stato  trasportato  nell'^n- 
tiquarium  comunale  del  Celio. 

* 

Regione  VII.  Continuandosi  in  piazza  Colonna  i  lavori  più  volte  menzionati, 
si  è  rinvenuto  un  piccolo  cippo  di  marmo  bianco  (m.  0,43X0,24X0,15),  il  quale 
su  le  facce  laterali  ha  la  patera  e  il  prefericolo,  e  su  la  principale,  scorniciata,  l' iscri- 
zione seguente  : 

PiAELIVS 
(P)HILETVS 

SILVANOi 

eTLARIB  l 

PENATIBJ. 

D   l    D    l 

Di  P.  Aelius  Philetus,  probabilmente  lo  stesso  della  nostra  iscrizione,  e  di 
P.  Aelius  Philetianus  si  conosce  anche  un'altra  iscrizione  in  onore  di  Silvano,  dei 
Lari  e  dei  Penati  (C.I.L.,  VI,  582).  Per  il  culto  di  queste  divinità  insieme 
cfr.  Roscher,  Lexicon,  IV,  e.  850  (Peter),  e  Wissowa,  Relig.  u.  Kult.  d.  Ròmer*, 
pag.  214  e  n.  11. 

Si  sono  rinvenuti  pure  cinque  frammenti  di  lastre  marmoree  con  avanzi  d'iscri- 
zioni.  Sopra  uno  di  essi  (m.  0,34  X  0,27  X  0,03)  si  legge  : 

ET-DElll... 
POSTERISQ^.  . 
SVLP1CIA-ET... 


OSTIA  —   242    —  REGIONE    I. 

Via  Casilina.  In  contrada  Marranella,  facendosi  lavori  per  la  costruzione  di 
una  casa  di  proprietà  del  sign.  Romeo  Busca,  si  è  rinvenuta  tra  la  terra  una  lastra 
di  marmo  bianco  (m.  0,60  X  0,42  X  0,04)  con  la  seguente  epigrafe  sepolcrale  : 

D         M 

THESEVS 

VIX-ANN-IIII 

MENS-III- DIB  XVIII         (liei 

CAMPVTVLEIA 

NOMINATA 
DELICIO  SVO 

Del  nome  Camputuleia  non  si  conoscono,  che  io  sappia,  altri  esempì. 

F.  Fornari. 


Eeoione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LAT1UM. 

VI.  OSTIA  —  Sterri  nell'edificio  detto  delle  Pislrine,  e  presso  la 
casa  di  Diana.  Statuette  di  bronzo  ed  oggetti  vari  rinvenuti  in  un 
santuario  dedicato  a  Silvano. 

Tra  i  molti  edifici  ostiensi  che  i  vecchi  esploratori  visitarono  soltanto  o  solo 
in  parte  scavarono,  era  questo  edificio  delle  Pistrine,  di  cui  tre  dei  sedici  ambienti,  dei 
quali  si  compone,  sembrano  essere  stati  esplorati  intorno  al  1860.  Lo  sterro  delle  nuove 
strade  di  Diana  e  delle  Pistrine,  e  il  programma  direttivo  che  intende  riallacciare 
tutti  i  gruppi  di  rovine  ancora  sparsi,  hanno  ora  portato  a  completare  l'esplorazione 
dell'edificio  suddetto,  con  i  seguenti  risultati: 

L'edificio  (fig.  1)  si  estende  sopra  una  superficie  di  mq.  950,  ed  è  fronteggiato 
da  due  strade  publiclie  e  diviso  dalla  casa  di  Diana  per  mezzo  di  una  viuzza  privata,  o 
da  uno  di  quegli  angiporti  di  cui  doveva  abbondare  Roma  e  che  spesso  era  richiesto 
dal  carattere  delle  costruzioni  ostiensi.  Tale  angiportus  non  è  un  iter  compendiarium 
(Festo,  ep.,  17),  ma  è  a  fondo  cieco  in  modo  da  risultare  il  vero  erede  dell  ambitus 
intorno  all'edificio  delle  Pistrine  di  cui  è  proprietà  esclusiva,  poiché  la  casa  di  Diana 
non  ha  su  esso  neppur  diritto  di  luce.  Esso  serve  quindi  soltanto  ai  bisogni  dell'edificio 
delle  Pistrine  che  vi  mettono  due  vasche  ad  acqua  e  ne  ricavano  anche  degli  ambienti. 
Eccetto  i  nn.  1  e  2,  botteghe  indipendenti,  fronteggianti  la  via  di  Diana,  l'edificio 
può  dirsi  composto  da  una  doppia  serie  di  tabernae,  comunicanti  fra  loro.  I  vastis- 
simi ambienti  (nn.  3  e  4)  contengono  numerose  macine  di  grano  di  lava  di  Rocca- 
monfina,  formate,  come  d'uso,   da  una  meta  fissa  e  da  un  catillus  mobile  (fig.  2). 


R10I0NE    I. 


—  '243  — 


OSTIA 


2 


Notizm  Soavi  1915  —  Yol.  DI. 


83 


OSTIA 


244  — 


REGIONE-  !. 


Il  n.  5  contiene  poi  un  certo  numero  di  macine  differenti  dalle  altre,  erroneamente 
ritenute  finora  macine  per  olio  (fig.  3).  Sono  esse  invece  quelle  machinae  quibus 
farinae  subiguntur  (Paul.,  seni..  Ili,  6,  64)  riprodotte  anche  sul  sepolcro  di  Eurisace. 
Sono  formate  da  una  tazza  cilindrica  con  due  fori  a  differente  altezza  e  affrontati 
sulle  pareti.  Manca  o  uon  è  più  riconoscibile  nel  fondo  della  tazza  l'innesto  per  il 
bastone  centrale,  come  si  ritrova  negli  esemplari  pompeiani. 


Fio.  2. 


Alcune  delle  macine  debbono  essere  state  spostate,  non  essendoci  spazio  per  la 
loro  roteazione,  anche  se  fatta  a  braccia  e  non  con  bestie. 

Gli  ambienti  nn.  6  e  7  contengono  rispettivamente  due  enormi  forni,  di  cui 
rimangono  le  tazze  costituite  da  rettangoli  di  tufo  aderenti  tra  loro,  e  piccola  parte 
delle  volticelle. 


Sono  dunque  raccolte  qui  le  testimonianze  del  triplice  lavoro  di  panificazione 
(la  macinatura,  l' impastatura,  la  cottura)  ;  ed  è  il  primo  edificio  completo  di  questo 
genere  che  apparisce  in  Ostia,  di  cui  conoscevamo  un  corpus  pislorum  (C.  I.  L.  XIV, 
101).  Ricordo  inoltre  che  nel  sec.  IV  il  pane  di  poco  prezzo  (panis  fiscalis)  doveva 
provenire  da  Ostia  per  lo  meno  in  farina,  essendo  chiamato  panis  ostiensis  (Cod.  Theod., 
XIV,  19,  l,  anno  398). 


REGIONE    I. 


—  245  — 


OSTIA 


Senonchè  la  grande  vastità  dell'edificio,  i  numerosi  rifacimenti  che  vi  appaiono, 
e  la  presenza  di  edicolette  in  cotto  sui  pilastri  tra  taberna  e  taberna,  fanno  pensare 
cbe  esso  accogliesse  parecchie  maestranze.  La  sola  edicoletta  conservata  è  quella 
pubblicata  nelle  Notizie  del  1913  (fase.  6,  pag.  206)  con  figurazione  di  arnesi  (archipen- 
zolo,  compasso,  regolo  ecc.)  che  nessun  legame  possono  avere  con  la  panificazione.  Sulla 
muratura  esterna  restano  tracce  di  riquadrature  a  fascia  rossa,  indizi  di  affissi  com- 
merciali o  elettorali,  di  cui  però  nulla  rimane.  Comunque,  ospitasse  o  no  varie  specie 


y- 


Fig.  3. 


di  laboratori,  questo  edificio  così  vasto  è  ancora  maestoso;  e,  malgrado  degli  innu- 
merevoli rifacimenti  da  esso  subiti,  attesta  ancora  una  volta  il  carattere  industre  e 
laborioso  della  popolazione  ostiense.  Che  l'edificio  avesse  almeno  un  piano  superiore, 
lo  attestano  tanto  il  ritrovamento  di  grandi  pezzi  di  muratura  a  cocciopisto,  frammenti 
forse  di  vasche  superiori;  quanto  gli  enormi  archi  del  vano  4  e  dell'angiporto,  costruiti 
forse  appositamente  per  sostegno  e  ampliamento  dell'edificio.  Altre  conferme  ne  sono 
la  presenza  di  due  scale,  non  però  originarie,  e  frammenti  di  mosaici  e  oggetti  pro- 
venienti dal  di  sopra.  Però  nulla  prova  che  questo  supposto  piano  superiore  fosse 
stato  originario. 

L'edificio  è  costruito  con  cortina  a  mattoni  nelle  facciate,  e  nella  muratura  secon- 
daria con  reticolato  a  ricorsi  di  mattone,  meno  resistente  dell'altra;  nell'interno  e 
nella  facciata  su  via  delle  Pistiine  si  notano  parecchi  grossi  pilastri  che  si  ripetono 
nel  lato  opposto  della  strada. 


08TIA 


—  246  — 


REGIONE    I. 


L'importanza  archeologica  di  questo  edificio  non  si  ferma  peróne  alla  grandio- 
sità e  all'uso  di  esso  né  alla  non  comune  attrattiva  che  presentano  oggi  le  sue 
rovine,  specialmente  le  arcate  del  vano  4  e  i  graziosi  archetti  dell'angiporto;  ma 
sopra  tutto  consiste  in  un'abbondante  mèsse  di  piccoli  bronzi  che  esso  ha  dato,  in 
singolari  memorie  di  culto. 


•À 


Fio.  4. 


X 


Nel  sottoscala  piccole  tracce  di  stucco  dipinto  fanno  riconoscere  l'esistenza  di 
un  piccolo  luogo  di  culto,  sebbene  manchi  ogni  possibilità  di  identificazione.  Assai 
più  importante  e  meglio  conservato  è  invece  una  specie  di  larario  ricavato  nell'an- 
giporto, quasi  allo  sbocco  in  via  di  Diana,  mediante  innalzamento  di  muricciuoli. 
Questo  ambiente,  di  m.  6  X  2,  è  pavimentato  a  mosaico  bianco  e  nero  figurato,  di  cui 
rimangono  soltanto  un  vietimarius  nell'atto  di  colpire  e  pochi  resti  dell'ara  innanzi  ad 
esso:  sopra  l'ara  figurata  è  stata  messa  poi  un'aretta  quadrata  in  muratura  (fig.  4). 


REGIONE   I. 


—  247  — 


OSTIA 


Caduto  da  questa,  fu  trovato  un  piccolo  lare  in  marmo,  di  fattura  abbastanza 
rozza,  che  tiene  nella  d.  una  patera  (fig.  5). 

Le  pareti  dell'ambiente  portano  tracce  di  varii  intonachi  sovrapposti.  Il  primo 
sembra  essere  l'usuale  tipo  di  decorazione  parietale  ostiense  a  riquadri  contornati  da 
fasce  e  linee  rosse  ben  visibili  nella  parete  verso  la  strada,  in  cui  apparisce  la  parte 
inferiore  di  una  figura  giovanile  a  corta  tunica,  disegnata  con  simpatica  semplicità, 

forse  un  Lare;  e  nella  parete  destra,  in  cui  sono  due  pesci 
e  una  testina  femminile  con  alucce  al  capo  (fig.  4).  Quanto 
rimane  di  questo  primo  intonaco  non  ci  parla  troppo  di  culto; 
ma  la  nicchietta  nella  parete  di  fondo,  rivestita  dello  stesso 
intonaco,  e  il  mosaico  del  pavimento,  proverebbero  che  fin  da 
principio  l'ambiente  fosse  adibito  a  culto. 

A  questo  primo  intonaco  sono  stati  sovrapposti  altri  di 
cui  rimangono  tracce,  sebbene  la  cattiva  conservazione  della 
parete  ne  renda  difficoltosa  l' identificazione.  Per  quanto  m' è 
riuscito  di  osservare,  può  approssimativamente  ritenersi  che 
le  prime  figure  sovrapposte  al  primo  intonaco  siano  una 
Iside  di  cui  rimane  il  braccio  d.  reggente  il  sistro,  e  un  pic- 
colo Arpocrate  nella  consueta  figurazione  e  che  sembra  anche 
ragionevolmente  doversi  ritenere  compagno  di  Iside  (fig.  6). 
Ad  uno  strato  susseguente  a  questo  sembrano  apparte- 
nere una  figurina  di  giovinetto  reggente  nella  d.  una  pa- 
tera (un  Lare  forse),  e  un'altra  figurina,  per  me  non  identifi- 
cabile, che  si  confonde  con  l'ultima  grande  figura  a  destra 
dell'ultimo  strato  (fig.  7).  A  quest'ultimo  strato,  che  è  il  più 
conservato,  appartiene  una  terie  di  quattro  grandi  figure,  non 
tutte  però  allo  stesso  piauo,  e  anch'esse  in  gran  parte  rovi- 
nate. Sono  però  riconoscibili  in  esse,  da  sin.  a  destra  (fig.  6), 
Juna  figura  virile  acefala  loricata,  nell'atteggiamento  dell'Au- 
gusto di   Prima    Porta;  la  Fortuna  che  porta  la  mano  d.  sul  remo;  la  personifica- 


Fig.  5. 


Fia.  6. 


zione  della  Liberalitas,   cara  agli  Antonini,   nello  stesso  atteggiamento  risultante 
da  parecchie  monete  con  una  tessera  nella  d.  e  il   corno  dell'abbondanza  nella  sin. 


OSTIA  —   248   —  REGIONK    I. 

(cfr.  nel  sarcofago  Aquari  della  via  Latina  una  figura  simile:  Paribeni.  in  Bull, 
d'arte,  III,  fase.  Vili,  pag.  295);  ultima,  una  figura  virile  nuda,  levato  il  braccio  sin., 
in  atto  di  appoggiarsi  ad  un'asta,  e  la  mano  d.  poggiata  sul  fianco.  L'atteggiamento 
ci  riporta  al  modello  lisippeo  di  Alessando  Magno  e  alle  sue  derivazioni  come  il  bronzo 
4el  Museo  delle  Terme  (Paribeni,  Guida,  n.  351);  ma  —  cosa  notevole  — la  posa 
della  mano,  spiegata  sul  fianco,  più  esattamente  ci  riconduce  al  piccolo  bronzo  della 
collezioze  Nelidoff  (Helbig,  Fiihrer,  n.  1347,  fig.  35). 

Questa  varietà  di  figurazioni  non  lascia  precisare  a  quale  specie  di  culto  fosse 
adibito  questo  ambiente:  riesce  sopra  tutto  difficile  pensare  quali,  divine  o  umane, 
persone  si  sia  voluto  raffigurare  sotto  gli  atteggiamenti  delle  due  figure  eroiche  di 
Augusto  e  di  Alessandro. 


Quanto  all'  intere^c  artistico,  ò  cerio  notevolissimo  il  fatto  di  trovare,  iu  pitture 
della  secouda  muta  del  111  secolo  e  in  un  povero  ambiente,  riprodotti  fedelmente 
modelli  statuarii  :  ciò  merita  d'esser  segnalato. 


* 


Tutte  queste  figurazioni  sono  però  secondarie  di  fronte  all'altra  meglio  conser- 
vata, forse  posteriore  e  certo  lavorata  a  parte,  nella  parete  opposta:  Silvano  (fig.  8), 
di  prospetto,  nel  solito  atteggiamento,  con  un  ramo  di  pino  nella  sin.  e  un  falcetto 
nella  destra.  Veste  un  mantello  frangiato  fino  ai  ginocchi;  accovacciato  a  d.  è  il  cane 
col  pelo  a  linee  bianche  e  nere;  a  sinistra  una  colonna.  Tracce  di  doratura  sono  nel 
mantello  e  sul  viso.  Come  colpisce  la  derivazione  da. modelli  statuarii  nelle  due 
figure  citate,  così  in  questo  Silvano,  pittura  rozza  e  tarda,  è  degno  di  nota  l'atteg- 
giamento calmo,  dignitoso  e  severo.  Questo  dio  campestre  è  rappresentato  nella  sua 
piena  virilità  e  maturità,  con  folti  la  barba,  le  sopracciglia,  i  capelli  ;  non  si  può 
quindi  qui  rimproverare  ciò  che  Ovidio  rimprovera  e  che  al  suo  tempo  doveva  essere 
foggia  comune  :  Silvanusque  suis  semper  juvenilior  annis  (Metam.,  XIV,  639). 

Questa  dignità  dei  modelli,  non  solo  si  nota  nel  Silvano  ma  si  annuncia  già 
nelle  figure  summenzionate;  ne  è  andata  perduta,  neppure  attraverso  l'imprecisione 
dei  dettaglila  grossolana  fattura  e  la  povertà  e  l' imperizia  della  colorazione. 


ltKGIONE    I. 


—  249  — 


OSTIA 


11  culto  di  Silvano,  che  sembra  essere  stato  il  principale  in  questo  piccolo  e 
povero  santuarietto,  ha  già  molte  memorie  in  Ostia.  Una  corporazione  ostiense,  forse 
quella  dei  sacomarii  o  pesatori,  portava  il  suo  nome:  collegium  Silvani  aug.  maioris 
{G.I.L.  XIV,  809). 

Non  è  facile  di  supporre  che  questo  collegio  avesse  sede  qui  ;  ma  bisogna  pur  no- 
tare l'affinità  di  questi  sacomarii  con  gli  addetti  a  questo  edificio  di  panificazione. 

Né  mi  par  inutile  di  ricordare  la  frase  poco  chiara  dell'iscrizione  C.I.L.  XIV, 
309  collegium  Silvani  aug(usti)  quod  est  Hilarionis,  iunctus  sacomari(o)  (corretto 
dal  Mommsen  in  functus  sacomarii).  Ma  nulla  in  ogni  modo  ci  dice  che  questo 
edificio  sia  di  cotesto  Hilarion,  né  che  sia  aderente  al  sacomario. 


* 


L'intero  edificio  delle  Pistrine  fu  distrutto  da  un  fuoco  violento,  a  quanto  si 
deduce  da  numerose  tracce  lasciate  sui  dipinti,  nei  frammenti  di  mosaico  e  negli 
oggetti  di  bronzo  ivi  trovati.  A  qual  tempo  risalga  questo  incendio,  ce  lo  dice  un 
gruppo  di  38  monete  trovato  nel  grande  ambiente  n.  3  dell'edificio. 

Il  maggior  numero  di  queste  monete  è  in  cattiva  conservazione,  avendo  subito 
il  fuoco  e  una  profonda  ossidazione. 

Identificabili  sono  i  pezzi  seguenti: 


Traiano  Decio  (Coh.  39) 
Filippo  p.  mb.  spezzato 
Filippo  f.  mb.     .     .     . 
Filippo  f.  mb.  (Coh.  80) 
Gordiano  III  gb.    .     . 
Quintino  (bilione)  (Coh.  63) 
Probo  (bilione)  (Coh.  768) 
Gallieno  (bilione)     .     .     . 


Num. 
1 
1 
1 
1 

2 
1 

1 

2 


Num. 

Claudio  I  mb.  (Coh.  14)  .     .     .  1 

Domiziano  gb 1 

Adriano  gb 1 

M.  Aurelio  gb 3 

M.  Aurelio  mb 1 

Faustina  f.  gb 1 

Lucio  Vero  gb 1 

Iulia  Domna  gb.  (Coh.  20)  .     .  1 

Commodo    gb 1 


Sono  dunque  21  pezzi  riconoscibili  che  assegnano  la  distruzione  dell'edificio  quasi 
alla  fine  del  III  secolo. 

Fatto  notevole  è  che  l'edificio,  dopo  la  distruzione,  non  si  è  ripristinato;  anzi 
pezzi  di  muro  caduti  sulla  strada  sono  stati  ivi  lasciati  e  si  è  camminato  sopra  un 
forte  battuto  di  terra  da  cui  vennero  ricoperti.  Ciò  indica  che  alla  fine  del  III  sec, 
che  è  l'età  a  cui  deve  riportarsi  la  distruzione  dell'edificio,  c'era  in  Ostia  la  possibilità 
di  occupare  altre  aree  ed  altri  edifici  senza  curarsi  di  ripristinare  i  vecchi.  Che,  qua- 
lunque fosse  l'uso  di  questo  edificio,  la  sua  funzione  non  può  essersi  estinta  d'un 
tratto  con  l'estinguersi  della  costruzione. 

In  ogni  modo  la  povertà  della  vita  cittadina,  del  resto  assai  relativa,  se  si  tien 
conto  dei  bronzi  trovati  in  questo  edificio,  viene  sorretta  e  accompagnata  da  una 
intensa  vita  religiosa.  Fossero  pur  poveri  operai  i  costruttori  ed  i  devoti  del  culto  di 


OSTIA 


—  250  — 


REGIONE   t. 


Silvano,  essi  ci  hanno  lasciato  un  piccolo  santuario   in  cui  la  nobiltà  dei  modelli 
risana  l'imperfezione  della  tecnica. 


•  :  •  ■ 


Fio   8. 


All'ingresso  del  santuario  sono  stati  rinvenuti  numerosissimi  frammenti  di  vasi 
di  bronzo,  rovinati  purtroppo  dall'azione  del  fuoco  e  dell'ossido.  Proveniente  forse  dai 
piani  superiori,  si  rinvenne  poi  la  seguente  serie  di  statuette  e  di  altri  piccoli  oggetti 
in  bronzo,  tanto  nel  grande  ambiente  n.  3  (cfr.  pianta)  qnanto  nella  bottega  n.  1 
prospiciente  la  via  di  Diana.  Questa  serie  di  bronzi,  per  il  numero  di  oggetti  di  cui 
si  compone  e  per  l' interesse  che  ciascun  d'essi  presenta,  è  certo  la  più  cospicua 


RB010NE    I. 


—  251  — 


OSTIA 


raccolta  che   sia  venuta  alla  luce  da   quando  furono  iniziati  in   Ostia  gli  scavi 
governativi. 


Fio.  9. 


1)  Due  candelabri  (fig.  9)  di  modello  architettonico  con  piede  in  bronzo  e  fusto 
in  ferro,  perfettamente  conservati,  salvo  in  parte  del  fusto  e  nella  patera  destinata 


Fra.  10. 


a  ricerere  la  lampada  che  manca.  Nel  primo  la  base  è  costituita  da  tre  zampe  ad 
unghie  fesse  ed  a  testa  leonina  che  sfuggono  da  un  piatto  ornato  da  un  disegno  a 
foglie.  Il  secondo  è  costituito  da  tre  zampe  di  grifo  che  sfuggono  ciascuna  da  una 
foglia;  ciascuna  zampa  è  legata  all'altra  da  una  foglia  d'edera. 

Nonzn»  Solvi  1915  —  Voi.  XII.  34 


OSTIA. 


—  252 


REGIONE   I. 


2)  Un  serpente  attorcigliato  in  due  spire,  con  la  testa  alta  (min.  80  X  60) 
(fig.  9). 

3)  Un'ansa  di  vaso   tinionte   da   un   lato   con   una   foglia,  dall'altro  con  ima 
maschera  muliebre  a  ricci  ricadenti  sulle  tempie,  alta  mm.  160  (fig.  9). 


V       r  >' 


. 


Fio.  11. 


4)  Quattro  lucerne  di  bronzo  di  mm.  140  ciascuna  (tig.  10). 

5)  Tre  vasi:  una  oenochoe  a  imboccatura  trilobata  alt.  mm.  140,  largb. 
mm.  120  (fig.  11);  un  vaso  a  doppio  cono  tronco  (mm.  180);  un  piccolo  vasetto 
a  forma  di  bombilios  ornato  da  tre  gruppi  di  circoli  concentrici  sulle  pareti;  sugli 


Fig.  12. 


Fia.  12  a. 


y 


omeri  quest'ultimo  ha  due  gancetti  ai  quali  sono  attaccate  due  catenelle  (mm.  75) 
(fig.  11). 

6)  Uno  scorpione  (mm.  60)  (fig.  12).  Un  disco  a  protome  di  cavallo  (fig.  12  a). 

7)  Pieduccio  campanulato  (mm.  90);  piccolo  calamaio  cilindrico. 

8)  Bustino  di  amorino  (applique)  alato  con  viso  paffuto  e  capelli  ricciuti 
formanti  un  ciuffo  sulla  fronte  :  la  alette  molto  corte  e  le  braccia  attaccate  al  petto 
terminato  da  una  fascia  che  con  dueno  di  nasconde  il  tronco  delle  braccia  (mm.  105) 
(flg.  13);  bustino  di  Giove  Serapide  col  calathos  (fig.  13  a). 


RKGIONE    I. 


—  253  — 


OSTIA 


9)  Piccolo  Giore  con  corona  di  quercia  i  cui  lemnischi  cadono  sulle  spalle; 
una  imperfezione  forse  nella  fusione  ha  incurvato  un  poco  il  petto,  così  da  rendere 
un  po'  gibboso  questo  Giove. 

10)  Un  asse  di  bilancia  con  tre  uncini  di  sospensione  per  la  variazione  del 
peso.  Sono  rimaste  anche  le  catenelle  di  attacco  del  piatto  della  bilancia.  Sull'asse 
le  graduazioni  del  peso  sono  contrassegnate  da  piccole  linee  verticali  (lunghezza 
mm.  190). 


X 


Fio.  13. 


Fio.  13  a. 


11)  Piccolo  piede  di  mobiluccio  o  di  altro,  di  forma  rettangolare  alla  base  e 
circolare  alla  sommità  (mm.  80).  Un  secondo  riproduce  la  stessa  forma  ma  è  di 
grandezza  maggiore. 


Fio.  14. 


12)  Vasettino  di  forma  cilindrica,  ermeticamente  chiuso. 

13)  Una  maschera  gorgonica,  probabilmente  destinata  a  ricoprire  lo  scudetto 
d'attacco  di  un'ansa  (tìg.  14). 

14)  Varii  frammenti  di  laminò  appartenenti  a  rivestitura  di  letto  o  di  sedia 
con  una  greca  ad  intarsio  d'argento  simile  alle  molte  che  furono  già  trovate  sia  a 
Ostia  stessa  sia  a  Pompei. 

15)  Bacinella  rettangolare  con  pareti  ripiegate  a  labbro  il  quale  è  ornato  da 
una  cintura  di  ovuli:  nel  fondo,  due  listelli  diagonali  (mm.  265  X  215  alt.  mm.  35) 
(fig.  15). 


i 


OSTIA 


—  254  — 


REGIONE    I. 


16)  Statuetta  di  Lare  imberbe  con  capelli  ondulati,  vestito  di  tunica  a  corte 
maniche  stretta  alla  vita  da  una  cintura  ;  un  mantello  passante  sopra  la  spalla  sin. 
è  tenuto  dalla  stessa  cintura  ricadendone  al  di  fuori.  La  mano  d.,  protesa  ed  aperta, 


Fio.  15. 


tiene  una  patera;  la  sin,,  abbassata,  portava  forse  un  corno  d'abbondanza.  La  figura 
poggia  sopra  una  basetta  quadrata  ornata  di  un  ramo  di  alloro  le  cui  foglie  e  le 
cui  bacche  erano  in  argento  (fig.  16). 


Fio.  li 


17)  Un'ermetta  di  Priapo  dall'aspetto  sileniforme,  il  quale  regge  tra  la 
nebride,  con  il  braccio  sin.  piegato,  varii  frutti  tra  cui  pomi  e  uva.  Comune  nel- 
l'atteggiamento, è  notevole  per  la  finezza  del  modello  e  per  la  perfezione  dell'esecu- 
zione (fig.  17  a). 


REGIONE   I. 


—  255  — 


OSTIA 


Piccolo  Mercurio  con  petaso  e  calzari  alati:  la  clamide  è  gettata  sulla  spalla 
sin.;  la  mano  d.  regge  la  borsa  (fig.  17 b). 

18)  Statuetta  di  Ercole  fanciullo,  del  noto  tipo  dell'Ercole  capitolino  (Reinacb, 
I,  pag.  461,  3;  Helbig,  F&hrer,  I,  n.  863).  Però  c'è  in  questo,  anche  per  le  minori 
sue  proporzioni,  una  più  graziosa  e  sopportabile  espressione  della  forza  muscolare 
(fig.  18  a). 


* 


Fio.  17  a. 


Fio.  17  b. 


18  a)  Statuetta  di  dea  che  l'egida  fa  riconoscere  per  Athena,  che  impugnava  con  la 
sin.  lo  scudo  e  con  la  d.  la  lancia.  Non  è  comune  il  mantello  fermato  —  non  si 
sa  bene  come  —  sulla  spalla  d.,  il  quale  scende  lungo  il  dorso  fin  quasi  ai  piedi 
e  lungo  la  parte  anteriore  sin.  della  figura,  a  foggia  di  clamide.  Notevole  anche  la 
presenza  di  un  elmo  ridotto  sulla  fronte  a  diadema  e  riconoscibile  soltanto  nella  sua 
parte  più  alta.  L'atteggiamento,  il  vestito  della  figura  e  questa  singolare  riduzione 
del  casco,  riportano  piuttosto  ad  Hera  che  ad  Athena  (fig.  18/>). 

19)  Statuetta  di  Dioscuro  con  pilus  e  clamide  gettata  sulla  spalla  d.  Riproduce 
il  motivo  di  un  piccolo  bronzo  della  collezione  Greau  (Greau,  pi.  XL,  2;  Reinach, 
II,  pag.  109,  6),  ma  è  inversa  la  posa  delle  braccia:  anche  in  questo  bronzetto 
di  Ostia  si  nota  una  maggiore  perfezione  di  modello  e  migliore  esecuzione  (fig.  19). 

20)  Bustino  di  negro  (applique).  Vi  sono  espressi  assai  realisticamente  i 
caratteri  di  razza  ed  individuali  —  perfino  una  bozza  frontale  sopra  l'occhio  d.  — 
ma  con  una  squisita  sensibilità  artistica  che  rende  amabile  questo  giovano  schiavo 


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OSTIA 


—  256  — 


REGIONE    I. 


Fio.  18  a. 


Fio.  18*. 


Fic^fiO. 


REGIONE   I. 


—  257   — 


OSTIA 


etiopico  (tìg.  20).  È  assai  curioso  e  notevole  il  vestito  che  indossa;  sopra  la  tunica 
esso  porta   una  paenula  a  corte  maniche  munita  di  un  cappuccio   (cucullus)  che 

invece  di  cadere  dietro  la  nuca,  viene  riportato 
in  avanti  sulla  spalla  sin.  dalla  mano  del  piccolo 
negro.  Questo  cappuccio  ha  la  forma  di  una  grande 
foglia  triangolare.  Vediamo  qui  uno  schiavo  che 
veste  un'abito  di  fatica,  comune  a  soldati,  a  viag- 
giatori ad  operai,  a  servi,  e,  per  di  più,  munito 
di  cappuccio;  così  nella  traduzione  realisticamente 
artistica  è  prevalsa  la  caratteristica  servile  alla 
caratteristica  della  razza,  a  cui  meglio  s'addiceva 
la  nudità.  Per  questo  singolare  abito,  per  la  ridu- 
zione del  corpo  a  mezzo  busto,  il  piccolo  bronzo 
ostiense  si  distacca  totalmente  dalle  figurazioni 
di  negri  conosciute,  le  quali,  eccetto  il  mirabile 
negro  dormiente  della  collezione  imperiale  di  Vienna, 
sono  per  lo  più  limitate  e  applicate  a  lucerne 
ed  a  vasi  più  spesso  greci  che  romani.  È  dunque, 
il  nostro,  un  modello  fino  ad  ora  sconosciuto  e 
veramente  interessante  per  la  storia  dei  motivi 
artistici,  nel  dominio  dell'aite  romana. 


Fio.  21. 


Oltre  a  questi  numerosi  bronzi,  furon  trovati  nella  taberna  n.  1  sulla  via  di  Diana, 
i  seguenti  due  marmi: 

21)  Piccolo  Eros  dormiente,  comune  nell'atteggiamento  spesso  adoperato  come 
simbolo  funerario  (Reinacb,  I,  pag.  253),  ma  insolito  per  le  sue  piccolissime  dimen- 
sioni (mm.  100)  che  ne  rendono  più  graziosa  la  figurazione  e  più  accurata  la  esecu- 
zione (fig.  21). 

22)  Statuetta  di  Venere  ricostituita  da  più  frammenti  e  mancante  di  non  pochi 
altri  (fig.  22  a,  22  b).  Gli  attributi  presso  la  gamba  sin.  fortemente  poggiata  al 
suolo  (scudo,  elmo,  lorica),  e  la  fascia  che  essa  porta  a  tracolla,  nonché  la  posa  del 
braccio  d.  ripiegato  sulla  spalla  per  modo  che  la  mano,  supponibilmente,  togliesse 
la  fascia,  fanno  riconoscere  in  questa  statua  (alt.  cm.  53)  una  Venere  armata,  il 
cui  migliore  esemplare  è  nella  Galleria  degli  Uffizi  (Amelung,  Fùhrer,  pp.  52 
e  108). 

A  questa  e  ad  altra  simile  del  Louvre  (Venere  vittoriosa,  Reinach,  I,  pi,  343)  ci 
riconduce  anche  la  posa  del  braccio  e  della  mano  destra  ;  ma  occorre  però  notare  che  la 
posa  della  mano  destra,  che  tiene  l'estremità  della  fascia,  piuttosto  che  a  tenere  un 
balteo,  accenna  a  cingere  una  fascia  mammillare;  tanto  più  che  tale  atteggiamento 
permette  la  stessa  mossa  della  mano  d.  (cfr.  Reinach,  IV,  pag.  210,  5).  La  presenza 
di  attributi  così  chiari,  e  che  non  hanno  nessuna  ragione  d'essere  quanto  al  sostegno 
della  spada  che  usciva  sotto  il  gomito,  stanno  a  comprovare  però  la  prima  ipotesi, 


A 


OSTIA 


—  258  — 


RKGIONK   I. 


e  non  escludono  che  il  copista  stesso  li  abbia  aggiunti  non  sembrandogli  sufficien- 
temente chiara  la  sola  presenza  del  balteo. 


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Fio.  22  a. 


Fio.  22  i 


La  maggior  parte  degli  oggetti  trovati  in  questo  edificio  proviene  dal  piano 
superiore.  Essi  attestano  che  durante  il  IH  sec.  c'era  ancora  in  Ostia  una  certa  agia- 
tezza che  permetteva  l'acquisto  di  piccole  e  grandi  opere  artistiche,  assai  interessanti 
e  quasi  sempre  nuove  per  noi,  le  quali  fanno  di  Ostia  una  nuova  fonte  preziosa  per 
ritrovamenti  di  cose  d'arte. 

Q.  Calza. 


REGIONE  XI.  —  259  —  TORINO 


Anno    1915  —   Fascicolo   8. 

Reoionk  XI  (TRANSPADANA). 

I.  TORINO  —  Tracce  di  necropoli  barbarica  presso  la  strada  na- 
zionale Torino- Moncalieri. 

Fin  dall'aprile  1910  la  Sopraintendenza  degli  scavi  per  il  Piemonte  veniva 
informata  di  casuali  ritrovamenti  di  antichità  ripetutamente  avvenuti  in  un  campo 
di  proprietà  della  signora  Ferria-Pasini,  lungo  la  strada  nazionale  Torino-Moncalieri, 
in  regione  Fioccardo.  Presi  in  esame  dall'ispettore  dott.  Barocclli  gli  oggetti  rin- 
venuti, e  raccolti  nella  villa  Ferria-Pasini  a  Cavoretto,  vi  si  riconobbero  alcune  monete 
di  bronzo,  una  delle  quali  di  M.  Agrippa,  un'altra  di  Tiberio,  una  di  Nerone  Druso, 
una  di  Tito,  una  di  Aureliano,  una  di  Probo,  una  di  Costantino,  ed  altre  due  non 
identificabili  a  causa  del  loro  stato  di  poca  conservazione. 

Vi  si  scoprirono  anche  embrici  e  mattoni.  In  uno  di  questi  appariscono  alcune 
lettere  in  carattere  corsivo,  distribuite  in  tre  linee,  senza  che  per  altro  se  ne  possa 
dedurre  alcun  senso. 

Finalmente  meritano  essere  ricordati  quattro  pezzi  di  una  lapide  funebre,  in  uno 
dei  quali  rimangono  chiarissime  le  lettere  terminali  :  T  •  F  •  I . 

Vi  si  rinvenne  pure  un'ascia  di  ferro  ed  uno  «  scramasax  »  del  tipo  di  quelli 
ritrovati  nella  necropoli  di  Testona  ed  in  altri  sepolcri  di  età  barbarica.  Innanzi  a 
questa  scoperta,  poiché,  non  ostante  le  esplorazioni  fattevi  circa  venti  anni  or  sono, 
nel  campo  rimanevano  numerosi  avanzi  di  embrici  e  di  mattoni  antichi,  la  Soprain- 
tendenza ai  musei  ed  agli  scavi  del  Piemonte  si  diede  cura  di  far  eseguire  dei  saggi 
di  scavo,  che  furono  fatti  col  favore  e  l'assistenza  dei  proprietari. 

Questi  saggi,  condotti  metodicamente  in  ogni  parte-  del  campo,  confermarono 
bensì  che  esistette  in  quel  luogo  una  necropoli  barbarica,  ma  che  essa  era  già  stata 
completamente  distrutta.  Infatti  non  vi  si  trovarono  che  un  gancio  da  cinturone  di 
tipo  barbarico,  una  borchia  di  bronzo  e  scarsissimi  frammenti  di  vasi  di  terracotta. 

Tanto  si  deduce  da  una  informazione  data  dall'  ispettore  dott.  P.  Barocelli. 


Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  35 


SALDZZO  —   260   —  "  REGIONE   IX. 


Regione  IX  (LIGURIA). 

II.  SALUZZO  —  Tombe  romane  scoperte  nel  territorio  del  comune. 
In  seguito  a  notizia,  casualmente  avuta,  del  rinvenimento  di  cinque  tombe  romane, 
avvenuto  nel  territorio  del  comune  di  Saluzzo,  per  ordine  del  Soprintendente  mi 
recai  sul  luogo  della  scoperta  il  giorno  28  dello  scorso  maggio.  La  scoperta  era 
avvenuta  sul  contine  del  comune  presso  Torre  San  Giorgio,  a  circa  500  metri  ad 
occidente  della  cascina  Tetti  Monache,  presso  la  riva  destra  del  torrentello  Tepice. 

Due  delle  tombe  erano  rettangolari,  contigue  per  uno  dei  lati  minori,  e  presen- 
tavano ancora,  a  circa  m.  1,20  di  profondità  dal  piano  di  campagna,  il  fondo  di  mat- 
toni disposti  con  regolarità.  Erano  limitate  in  tutti  i  lati  da  muricciuoli,  ora  in  parte 
distrutti,  larghi  m.  0,22,  uno  dei  quali  separava  una  tomba  dall'altra,  costruiti  di 
mattoni  sovrapposti  con  poco  e  taluno  anche  senza  cemento. 

Il  vano  di  ciascuna  delle  dette  due  tombe  misura  in  larghezza  m.  0  87  :  quella 
più  settentrionale  ha  poi  una  lunghezza  di  m.  1,12;  l'altra,  m.  1,41.  Sul  fondo  era 
un  piccolo  strato  nericcio  di  ossa  semi-combuste  e  di  altri  avanzi,  forse  del  rogo. 

In  una  furono  rinvenuti,  secondo  ciò  che  mi  fu  affermato,  due  vasi  di  vetro 
verdognolo  chiaro,  a  forma  di  bottiglia  dal  collo  lungo  e  dal  fondo  piatto,  l'uno  di 
m.  0,155  di  altezza  e  m.  0,10  di  larghezza,  l'altro  di  m.  0,06  di  altezza  e  m.  0,05 
di  larghezza.  Nella  stessa  tomba  sarebbe  stata  rinvenuta  una  lucernetta  fìttile  mo- 
nogene recante  nel  disco  la  figura  di  un  delfino. 

In  un'altra  furono  inoltre  rinvenuti  due  medi  bronzi  imperiali,  troppo  corrosi 
per  essere  identificati. 

A  distanza  poi  di  circa  tre  metri  furono  rinvenute  le  altre  tre  tombe,  pure  di 
combusti,  ma  più  piccole,  formate  con  casse  di  embrici,  e  completamente  distrutte. 

* 

Nel  palazzo  Cavassa  di  Saluzzo,  adibito  dal  comune  a  museo,  insieme  con  la  lu- 
cerna fittile  e  con  le  bottigliette,  di  cui  sopra,  vidi  raccolti  alla  rinfusa  numerosi 
frammenti  di  piccole  e  rozze  coppe  di  argilla  cenerognola,  e  di  vetri  di  colore 
verdolino-chiaro,  e  rottami  di  embrici  e  di  mattoni.  Sopra  un  embrice  leggesi  la 
lettera  V;  sopra  altri  veggonsi  uno  o  più  semicircoli  concentrici  incavati,  impronte 
di  figure  di  animali  e  di  piede  umano.  Due  embrici,  quasi  interi,  misurano  ad  un 
dipresso  m.  0,57  di  lunghezza,  m.  0,44  di  larghezza  e  m.  0,08  di  spessore. 

I  mattoni  sono  di  diversa  fabbricazione  e  di  diversa  misura:  m.  0,30  X  0,22  X 
0,07;  m.  0,325X0,23X0,06;  m.  0,445X0,30X0,07. 

Non  è  escluso  che  accanto  a  queste  sianvi  altre  tombe. 

P.  Barocklli. 


REGIONE   VII.  —   261    —  PERUGIA 


Regione  VII  ( ET R  URIA). 

III.  PERUGIA  —  Scoperta  di  due  orecchini  d'oro. 

Nel  comune  di  Perugia,  e  precisamente  in  un  terreno  del  contadino  Daniele  Sal- 
talippi  presso  la  «  fattoria  Spinola  in  Brilla  »,  avvenne  fortuitamente  la  scoperta 
di  due  orecchini  d'oro  dei  quali  è  oggetto  la  presente  Nota. 

Il  Saltalippi,  lavorando  il  suo  campicello,  nel  maggio  del  1914  rinvenne  uno  degli 
orecchini,  che  raccolse  e  conservò  presso  di  sé,  senza  cercare  altro,  a  quanto  egli 
assicura.  Tornato  poi  nel  novembre  a  lavorare  nel  medesimo  punto  per  la  semina,  ed 
avendo  rimosse  le  zolle  per  una  profondità  di  circa  30  centimetri,  scoprì  il  secondo 
orecchino,  identico  all'altro  trovato  nel  maggio,  e  notò  inoltre  alcuni  rottami  di  vasi 
rozzi  che  egli  trascurò,  ed  un  manico  di  specchio  eneo. 

Si  trattava  evidentemente  di  una  tomba,  secondo  ogni  probabilità  ad  incinera- 
zione, la  quale,  a  cagione  della  sua  poca  profondità,  si  può  supporre  che  fosse  stata 
anche  devastata  in  precedenza,  senza  che  alcuno  se  ne  avvedesse.  Non  si  sa  pertanto 
quale  forma  e  disposizione  avesse  tale  sepolcro;  ma  non  è  improbabile  che  fosse  pra- 
ticato in  una  specie  di  grotticella  artificiale,  scavata  nel  terreno  poco  resistente, 
come  si  verificò  in  molti  altri  casi  simili  nell'agro  di  Chiusi  e  di  Perugia  in  ispecie. 

Comunque,  non  fu  possibile  di  sapere  altre  notizie  concrete  dal  Saltalippi,  che 
portò  gli  orecchini  al  Museo  di  Firenze,  dove  furono  fermati  per  salvaguardare  gli 
interessi  degli  studi  e  quelli  dello  Stato. 

* 

Come  ho  detto,  i  due  orecchini  aurei  che  il  contadino  Saltalippi  esibì,  sulle 
prime  non  senza  un  certo  mistero  e  con  pretese  esagerate,  sono  simili  fra  loro  per  tipo, 
per  grandezza  e  per  lavorazione  (fig.  1);  non  vi  è  quindi  alcun  dubbio  che  essi  faces- 
sero parte  di  un  unico  deposito  funebre  e  costituissero  un  solo  ornamento,  logicamente, 
artisticamente  ed  anche  archeologicamente  indivisibile.  Fu  per  queste  considerazioni 
che  il  Mininistero  accolse  di  buon  grado  la  proposta  di  riscattare,  con  un  compenso 
pecuniario,  la  metà  parte  di  ragion  privata,  dando  così  modo  di  introdurre  nella 
insigne  raccolta  di  oreficerie  etnische  del  nostro  R.  Museo  archeologico  i  due  gra- 
ziosi gioielli  di  recente  scoperti. 

Essi  sono  di  un  tipo  già  noto  in  Etruria  per  esemplari  provenienti  dallo  stesso 
territorio  di  Perugia,  cioè  da  Civitella  d'Ama,  ed  inoltre  da  Viterbo,  da  Bologna, 
da  Volterra,  dalla  regione  tarquiniense  ecc.  (');  e  consistono  in  una  testa  leonina  a 


(»)  Cfr.   Karl  Hadaczek,   Der  Ohrschmuck  der  Oriechen  und  Etrusker,  pag.  75,   nota  2, 
figg.  146-147. 


PERUGIA 


262  — 


REGIONE    VII. 


tutto  tondo,  da  cui  si  stacca  un  arco  ritorto  a  cordone,  che  va  assottigliandosi  e 
in  punta  termina  con  una  pallina.  Due  orecchini  della  stessa  forma  furono  rinvenuti 
nel  territorio  di  Terranova  di  Sicilia  ed  editi  dal  prof.  Orsi  in  queste  Notizie  d.  scavi, 
per  lo  scorso  giugno,  pag.  234.  Il  punto  d' inserzione  dell'arco  nella  testa  di  leone  è 
segnato  da  un  triplice  collarino  e  da  un  poco  di  criniera  stilizzata,  con  ritocchi  a  bulino. 
È  evidente  che  questi  orecchini  si  ottenevano  mediante  la  fusione  in  una  forma,  ma 
venivano  poi  ritoccati  a  mano,  levando  ogni  slavatura  e  rifinendo  i  particolari  più 


Fio.  1.  —  Orecchini  d'oro  scoperti  presso  la  «  fattoria  Spinola  in  Brufa». 


minuti.  La  fotografia  al  vero,  che  qui  pubblico,  è  sufficiente  a  dare  un'idea  precida 
non  solo  del  tipo,  ma  anche  della  sua  tecnica  particolare. 

Questo  tipo  zoomorfo  non  nasce  però  sul  suolo  d' Etruria,  dove  solamente  attecchì 
con  una  estesa  diffusione.  La  sua  origine  va  ricercata  nell'ambito  della  civiltà  gie< a, 
che  lo  generalizzò  —  con  forme  quasi  identiche  alla  nostia  —  a  partire  dal  secolo  V 
av.  Cr.  (').  In  Italia  esso  comparisce  già  nel  secolo  IV  e  dura  per  tutto  il  secolo 
successivo,  al  quale  io  farei  risalire  la  coppia  rinvenuta  dal  Saltalippi.  Questa,  per 
la  grandezza,  per  l'accurata  lavorazione  e  per  il  perfetto  stato  di  conseivazione,  costi- 
tuisce certamente  uno  degli  esempi  più  insigni. 

Ed.  Galli. 


(')  Karl  Hadaczek,  op.  cil,  pag.  46;  cfr.  pag.  47,  flg.  86. 


REGIONE   VII.  —r   268  TREQUANDA 


IV.  TREQUÀNDA  —  Scoperta  di  un  sepolcro  etrusco  nella  tenuta 
«  Belsedere  ». 

Nel  gennaio  del  1911,  in  una  proprietà  del  cav.  Venceslao  de  Gori-Pannilini, 
denominata  «  Belsedere  •  e  posta  nel  comune  di  Trequanda  (prov.  di  Siena),  mentre 
si  lavorava  a  spianare  un  poggetto  di  natura  tufacea,  alla  profondità  di  due  metri 
circa  sotto  il  piano  di  campagna  fu  scoperta  una  tomba. 

Siccome  la  mia  visita  sul  posto  potè  effettuarsi  solamente  un  anno  dopo,  non  fu 
possibile  di  raccogliere  maggiori  notizie  di  quelle  cbe  qui  ho  riunite,  sulla  forma,  orien- 
tazione, vastità  dell'antico  ipogeo,  e  circa  la  giacitura  e  la  distribuzione  dei  mate- 
riali raccolti.  In  compenso  mi  fu  riferito  che  alcuni  anni  avanti,  nella  stessa  tenuta, 
vennero  scoperti,  pure  fortuitamente,  un'urna  di  calcare  fetido,  di  tipo  architettonico 
come  quelle  dell'ultimo  rinvenimento,  e  un  frammento  di  specchio  che  non  vidi. 
Questa  informazione  è  importante,  perchè  confermerebbe  in  quella  zona  la  probabile 
esistenza  di  altri  sepolcri. 

Dal  colloquio,  che  ebbi  con  la  gente  del  luogo,  potei  formarmi  tuttavia  il  concetto 
che  la  tomba  ultimamente  scoperta  constava  di  una  sola  cella  quadrangolare  sca- 
vata nella  roccia,  e  circondata  lungo  le  pareti  da  banchine  per  il  deposito  delle 
ceneri  dei  defunti  e  del  corredo  di  oggetti  rituali.  Quindi  nulla  di  particolarmente 
notevole  intorno  alla  struttura  del  sepolcro,  comunissima  nell'ultimo  periodo  etrusco 
in  tutta  la  vasta  regione  che  costituiva  l'agro  chiusino,  alla  periferia  del  quale  tro- 
vasi appunto  il  comunello  di  Trequanda.  È  possibile  che  la  volta,  poco  resistente, 
fosse  già  franata  in  antico  o  per  la  pressione  naturale  del  terreno  e  per  l'erosione 
delle  acque,  o  in  seguito  a  qualche  tentativo  di  scavini  di  frodo.  Comunque,  fu  potuto 
accertare  che  la  tomba  aveva  subito,  al  momento  della  scoperta,  una  precedente  vio- 
lazione, essendosi  constatato  che  i  materiali  rimastivi  erano  in  disordine,  in  parte  spez- 
zati e  rovesciati,  e,  per  di  più,  non  vi  fu  raccolto  nessun  oggetto  metallico.  Ciò  non 
credo  che  si  debba  solo  imputare  alla  grossolana  e  forse  sommaria  esplorazione  ese- 
guita dagli  inesperti  contadini,  perchè  tutti  furono  concordi  nell'affermare  che  venne 
raggiunto  il  fondo  del  sepolcro. 

Dell'ingresso  e  del  dromos  nulla  seppi  di  concreto;  e  non  potei  fare  neanche 
rilievi  diretti,  per  l'avvenuto  sconvolgimento  del  terreno.  Tuttavia  trovai  conservati 
con  ogni  cura,  nella  stessa  fattoria  di  «  Belsedere  »,  le  urne  e  i  vasi  raccolti  in 
questo  sepolcro. 


* 


Le  urne  sono  in  numero  di  cinque,  tre  delle  quali  in  travertino,  e  due  in  cal- 
care fetido;  si  ebbe  inoltre  parte  di  una  terza  urna  della  stessa  materia  di  queste 
ultime. 


TREQGÀNDA  —   264  —  REGUONE   VII. 

Tutte  poi  sono  di  tipo  architettonico,  con  coperchio  a  doppio  spiovente  e  fron- 
toncini  sui  lati  brevi  ('). 

In  esse  furono  notati  i  soliti  residui  di  ossa  mal  combuste.  Le  casse  delle  tre 
urne  in  travertino  sono  lavorate  assai  rozzamente,  con  le  pareti  lisce  e  i  piedi  tozzi 
ai  quattro  angoli.  Invece  le  due  di  calcare  fetido  sono  particolarmente  notevoli,  perchè 
rivelano  la  loro  dipendenza  da  un  tipo  ligneo  originario.  L' intelaiatura  lignea  è  resa 
infatti  con  molta  evidenza,  come  può  desumersi  dalla  faccia  anteriore  della  cassa 
esibita  nella  fig.  1,  ove  leggesi   l'impronta   qui   appresso   indicata  nella  lettera,  d). 

Ciascuna  di  esse  porta  incisa  sul  coperchio  un'iscrizione  etnisca  da  destra  a 
sinistra,  nella  quale  ricorre  costantemente  il  nome  gentilizio  *pelrus*,  che,  come 
vedremo,  doveva  essere  quello  della  famiglia  proprietaria  dell'ipogeo. 

Nelle  prime  tre  l'epigrafe  si  legge  sullo  spiovente  anteriore  del  coperchio;  nelle 
altre  due,  invece,  le  iscrizioni  furono  quasi  graffite  sull'angolo  destro  della  costola 
pure  anteriore  del  coperchio. 

Le  trascrivo  qui  di  seguito  in  carattere  corsivo  e  nella  disposizione  inversa 
all'originale,  principiando  dall'urna  maggiore  di  travertino: 

a)        aule  :  petr  :  sceva  (*) 

;  .  ;  b)  ?     aules  pe 

turs  (3) 

e)        arnth:  pe 

tr(u)s  aule:  {*) 

d)  arnt      petrus 

e)  vel        petrus  (5) 

(')  Dimensioni  delle  tre  urne  in  travertino: 

a)  m.  0,54X0,40X0,32; 

*)  ».  0,34X0,24X0,32; 

e)  m.  0,32  X  0,30  X  0,30. 
Dimensioni  delle  due  urne  in  calcare  fetido: 

d)  ni.  0,40X0,28  '/aX0,37; 

e)  m.  0,36  X  0,24  X  0,22. 

(*)  Per  i  primi  due  elementi  di  questa  epigrafe,  aule  petr(us),  cfr.  Fabretti,  Gioii,  itti:,  I, 
n.  1157  (da  Perugia),  n.  2027  (da  Sovana);  II,  pag.  222,  n.  1382. 

Per  il  cognome  iceva,  già  noto  in  Btruria  per  altri  titoli  sepolcrali,  cfr.  op  cit.,  I,  un.  125, 
116,  lUbit  (urna  da  Chiusi);  e  II,  pag.  1673. 

(')  Fra  tutte  le  nostre  iscrizioni,  questa  6  la  più  difficile  a  leggersi,  essendo  abrase  molte 
lettere  ed  altre  confuse  con  solchi  e  graffiti  accidentali.  Può  quindi  darsi  che  la  mia  lezione,  per 
quanto  rigorosamente  studiata  e  sostenuta  dalle  altre  epigrafi  concomitanti,  non  sia  esatta  in  qualche 
lettera. 

La  forma  peturt  per  petrus  è  un'ovvia  metatesi  dovuta  all'  ignoranza  del  lapicida.  Il  testo 
giusto  «  petrus  »  si  riscontra  più  volte  intero  in  altre  epigrafi  di  questo  gruppo. 

(*)  Il  prenome  arnth  e  anche  arnt,  come  io  leggerei  nella  iscrizione  d,  è  comunissimo  in 
tutta  l'Etruria.  Nell'opera  citata  del  Fabretti,  li,  pag.  168,  si  ha  già  un  arnth  petrus. 

(5)  Lo  stesso  può  dirsi  del  prenome  etrusco  vel(iut)  e  vel(ia),  per  il  quale  gli  esempì  sono 
innumerevoli.  Un  vel\p»tru  è  ricordato  sopra  un  coperchio  d'urna  in  travertino  proveniente  da 
Chiusi  (cfr.  Fabretti,  op.  cit.,  I,  n.  679;  II,  pp.  1903  seg.). 


REGIONE    VII. 


—   265 


TRKQUANDA 


Senza  bisogno  di  ricorrere  a  delle  ipotesi  circa  i  rapporti  di  parentela  fra  i 
cinque  individui  seppelliti  in  questa  tomba,  si  può  con  assoluta  sicurezza  affermare 
cbe  essi  facevano  parte  di  una  stessa  famiglia,  il  nome  gentilizio  della  quale  era 
già  noto  in  varie  località  dell'  Strana,  compresa  la  regione  chiusina,  come  è  attestato 
dagli  esempì  sopra  addotti  (').  Le  urne  di  Trequanda  perciò   contribuiscono  a  loca- 


Fio.  1. 


lizzare  con  maggiore  precisione  il  ramo  della  famiglia  «  pelrus  »  stabilitosi  nel  ter- 
ritorio di  Chiusi. 

Se  poi  questa  famiglia  etnisca  avesse,  come  parrebbe,  oppur  no  relazione  con 
la  gens  Petronia  di  Roma,  è  una  tesi  che  non  può  essere  trattata  come  si  conviene 
nei  brevi  limiti  della  presente  relazione  (2). 

Vasi  fittili.  —  Con  le  urne  furono  raccolti   anche  alcuni  vasi,  due  dei  quali 
con  iscrizioni  etnische  graffite  sul  corpo. 

a)  Anfora  campana  verniciata  di  nero,  alta  m.  0,30,  frammentaria   alle   anse 
e  sul  labbro. 


(l)  Il  Gamurrini,  nell'appendice  al  G.  I.  I.  del  Fabretti,  registra  questi  altri  esempi  :  petr  - 
n.  84  (territorio  senese)  :  pelr$  -  n.  549  (Val  di  Chiana)  ;  petru  -  nn.  277-279  (Chiusi),  429  (Città 
della  Pieve);  petrus  -  nn.  625  (Orvieto)  e  748  (Ferento). 

(*)  Per  tale  questione  cfr.  W.  Schulze,  Oesch.  lateinischer  eigennamen,  pp.  209,  319-20  ecc. 


TBKQUANDA  —   266   —  REGIONE  VII. 

Intorno  al  rentre,  malamente  grulli  la  da  destra  a  sinistra,  e  confusa  fra  una 
quantità  di  linee  accidentali  senza  significato,  si  arriva  a  leggere,  con  molto  studio 
e  pazienza,  questa  epigrafe: 

lart    petra    chesa  (') 

b)  Orcetto  di  argilla  pàllida,  in  forma  di  situla,  con  due  manichi  verticali,  e 
decorazione  a  fasce  scure  sul  corpo;  alto  m.  0,17  l/t,  frammentato  nella  bocca  e  in 
uno  dei  manichi. 

Fra  le  due  anse  si  notano  i  resti  di  un'epigrafe  granita  pure  da  destra  a  sinistra, 
ma  la  cui  restituzione  è  assolutamente  disperata.  Le  lettere  che  sembrano  più  sicure 
sono  le  seguenti: 

..  n .  a  .  .  us  pi  al 

e)  Due  olle  di  argilla  giallastra,  senza  anse,  alte  rispettivamente  m.  0,21  Vi 
e  m.  0,20,   e  prive  di  qualsiasi  decorazione.  Una  di  esse   fu   levata  in  frammenti. 

Nella  partizione  legale  di  tutti  questi  oggetti  col  'proprietario  del  terreno, 
cav.  Gori-Pannilini,  furono  ritenuti  dallo  Stato,  come  metà  parte  del  ritrovamento, 
l'urna  maggiore  di  travertino  a),  una  delle  due  di  pietra  fetida  d),  e  i  due  vasi  di 
terracotta  inscritti. 

Ma  quando  la  Soprintendenza,  col  parere  favorevole  del  Ministero,  stabilì  di  la- 
sciare in  deposito  la  parte  dello  Stato  per  dare  incremento  alla  sezione  archeologica 
istituita  nel  Museo  di  Pienza  dal  benemerito  fondatore  e  direttore,  can.  cav.  Giov.  Battista 
Mannucci  (*),  anche  il  signor  Gori-Pannilini  volle  contribuire  ad  aumentarne  la  sup- 
pellettile antiquaria,  donando,  della  sua  parte,  l'urna  inscritta  di  calcare  fetido,  il 
frammento  di  urna  analoga  e  le  due  olle  di  terracotta. 

Nella  stessa  sezione  furono  anche  lasciate  dal  Governo,  in  deposito,  le  due  urne 
di  Castelmuzio,  delle  quali  parlerò  nella  noticina  seguente.  Esse  provengono  pure 
dal  territorio  di  Trequanda,  e  si  riferiscono  al  medesimo  periodo  del  trovamento  di 
«  Belsedere  »,  cioè  non  prima  del  secolo  II  av.  Cr. 

Ed.  Galli. 

(')  Per  la  forma  lart  del  diffusissimo  prenome  etrusco  larth,  vedansi  gli  esempi  registrati 
dal  Fabretti,  op.  cit..  II,  pp.  1018  seg.  Quanto  al  gentilizio  petra,  è  chiaro  che  esso  si  riporta  alla 
stessa  f.imiglia  «  petrus  »  di  cui  ho  parlato  innanzi. 

Resta  il  nome  chesa,  femminile,  il  quale,  per  quinto  sia  raro  in  Etruria,  ricorre  tuttavia  in 
un  ossuario  chiusino  (cfr.  Fabri'tti,  op.  cit.,  I,  n.  816;  II,  pag.  833). 

(*)  Nel  Museo  dell'Opera  del  Duomo  di  Pienza  vi  era  già  un  gruppo  di  cose  archeologiche 
raccolte  dal  solerte  canonico  Mannucci,  fra  le  quali  meritano  di  essere  ricordate: 

a)  una  specie  di  olpe  con  tracce  di  vernice  bruna,  alta  0,32,  rinvenuta  nel  1910  nel  podere 
di  «  Campena  »   presso  Pienza,  proprietà  della  mensa  vescovile; 

b)  un'anfora  vinari*  frammentata,  della  stessa  provenienza,  oltre  ad  una  diecina  di  medi  e 
piccoli  bronzi  romani  imperiali  ; 

e)  un  contrappeso  di  stadera,  pure  del  periodo  romano,  in  forma  di  bustino  con  tracce 
evidenti  di  corona  vegetai;,  donato  dal  locale  collezionista  di  antichità,  sig.  Giovanni  Newton. 


CASTEI.MUZIO  —  267   —  RBGIONK   VII. 


V.  CASTELMUZIO  (frazioue  del  comune  di  Trequanda,  in  prov.  di  Siena)  — 
Oggetti  di  una  tomba  etrusco  dell'ultimo  periodo. 

Nel  novembre  del  1912  il  solerte  ispettore  onorario  dei  monumenti  in  Pienza, 
canonico  cav.  G.  B.  Mannucci,  dava  avviso  alla  Soprintendenza  per  le  antichità 
in  Firenze  di  un  rinvenimento  fortuito  di  oggetti  antichi  avvenuto  nella  località 
denominata  «  Gastelmuzio  »  presso  Trequanda,  e  precisamente  in  un  podere  del 
sig.  Galileo  Perugini  di  quel  comune. 

Dalla  prima  notizia  telegrafica  e  da  un  successivo  rapporto  scritto  del  21  dicembre, 
spedito  dal  cav.  Mannucci,  si  potè  capire  che  trattavasi  di  un  sepolcro  dell'ultimo 
periodo  etrusco  (sec.  II-I  av.  Cr.),  analogo  a  quello  messo  in  luce  l'anno  innanzi 
nella  fattoria  «  Belsedere  » ,  pure  presso  Trequanda. 

Ma,  poiché  non  fu  fatto  nessun  accesso  sul  luogo,  null'altro  si  potè  sapere  sul 
tipo  della  tomba.  È  probabile  che  anche  questa  avesse  già  subito  in  antico  una  prima 
violazione,  come  la  tomba  nel  fondo  Gori-Pannilini,  della  quale  ho  esposto  sopra  i 
dati  relativi,  poiché  non  vi  si  rinvennero  che  due  sole  urne  intere,  i  resti  di  una 
terza  urna  in  frantumi,  e  una  piccola  anfora  di  vetro  policroma,  oltre  ad  alcuni 
trascurati  rottami  di  vasi  rozzi  in  terracotta. 

Tutti  questi  materiali  vennero,  a  dire  il  vero,  con  ogni  sollecitudine  messi  subito 
al  sicuro  nella  casa  dall'inventore  e  proprietario 'del  fondo,  sig.  Galileo  Perugini; 
cosicché  sembra  difficile  che  altri  oggetti  di  quel  trovamento  siano  stati  trafugati  o 
dispersi. 

Prima  l' intervento  sollecito  dell'autorità  comunale,  e,  poco  dopo,  l' interessamento 
dell'  ispettore  onorario  Mannucci,  tolgono  qualsiasi  sospetto  sulla  possibilità  di  proce- 
dimenti non  regolari. 

Considerando,  pertanto,  che  del  corredo  originario  del  sepolcro  ben  poco  oramai 
rimaneva,  la  Soprintendenza,  sempre  in  seguito  al  parere  favorevole  del  Ministero, 
fu  d'avviso  di  salvare,  mediante  riscatto  pecuniario,  la  parte  delle  cose  scoperte  che, 
secondo  le  disposizioni  vigenti,  sarebbe  rimasta  di  ragion  privata,  e  specialmente 
il  migliore  oggetto  del  trovamento,  cioè  la  piccola  anfora  di  vetro,  che  venne  conse- 
gnata all'amministrazione  del  R.  Museo  archeologico  di  Firenze;  come  pure  credette 
opportuno  di  lasciare  in  deposito  nel  Museo  di  Pienza  le  urne,  per  non   dissociarle 

da  quelle  di  «  Belsedere  » . 

* 

*  * 

Per  quanto  riguarda  queste  urne,  tanto  le  due  in  buono  stato,  col  solo  coperchio 
frammentario,  quanto  i  resti  della  terza,  sono  di  calcare  fetido,  ed  appartengono  al 
tipo  architettonico  più  semplice.  Imitano  cioè  una  cassetta  rettangolare  con  pareti 
lisce  e  piccoli  piedi  rozzi  ai  quattro  angoli,  sporgenti  un  poco  in  avanti  su  quella 
inscritta,  come  se  fossero  lavorati  a  parte  e  fermati  sull'arca  di  origine  lignea; 
il  coperchio  è  a  foggia   di   tetto  displuviato  (l).   In  entrambe  furono  riscontrati,  al 

(')  Urna  inscritta:  m.  0,52X0,28X0,28;  «ma  anepigrafe:  m.  0,55X0,29X0,30. 
Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  36 


CASTELMUZIO  —  268   —  REGIONE   VII. 

momento  della  scoperta,  pochi  residui  della  imperfetta  combustione  del  cadavere  del 
defunto,  e  niente  altro. 

L'iscrizione  sull'urna  non  è  incisa  nel  coperchio,  secondo  la  più  frequente  con- 
suetudine, ma  bensì  in  basso,  sul  lato  anteriore  della  cassa. 

Essa  consta  di  due  sole  parole  nitidamente  incise  da  destra  a  sinistra: 
fl'v1IQV/12  >l  3  ^1 3  3  cioè  veael  spurina,  e  ci  dà  senza  alcun  dubbio  il  nome  e  il 
gentilizio  del  personaggio,  i  cui  resti  vennero  chiusi  nell'urna. 

Il  nome  proprio  etrusco  di  genere  maschile  venel  e  venelus  era  già  noto  in  titoli 
sepolcrali  di  Orvieto,  Tarquinii  ('),  Val  di  Chiana  ecc.  (*).  E  il  gentilizio  spurina 
e  spurinna,  con  i  suoi  derivati,  ricorre  specialmente  in  epigrafi  perugine  (3). 

Pur  trattandosi  di  una  meschina  tomba  isolata,  la  sua  iscrizione  è  tuttavia 
importante  per  la  storia  di  quelle  famiglie  etnische,  le  quali,  come  questa  spurina, 
ebbero  più  tardi  in  Roma  numerose  ramificazioni. 

Inoltre,  se  mettiamo  in  relazione  la  scoperta  di  «  Castelmuzio  *  con  quella 
precedente  di  «  Belsedere  » ,  si  conferma  sempre  più  la  supposizione  espressa  innanzi, 
che  cioè  nel  territorio  di  Trequanda  esistesse  un  notevole  centro  etrusco,  che  merite- 
rebbe di  essere  metodicamente  rintracciato  e  studiato. 

* 

L'unico  oggetto  cospicuo  del  corredo  funebre  che  fu  tolto  da  questa  tomba,  è, 
come  ho  avvertito  sopra,  la  piccola  anfora  di  vetro  di  tipo  rodio  per  uso  di  balsa- 
mario,  che  qui  riproduco  nella  fig.  1  e  descrivo. 

Essa  è  intatta,  lunga  80  millimetri,  con  corpo  piriforme  e  baccellato  intorno 
all'  ingrossatura.  È  fornita  di  piccolo  piede  e  di  due  manichetti  verticali  ai  lati  del 
collo,  che  termina  con  un  largo  labbro  circolare.  È  di  una  pasta  vitrea  turchina  e 
pochissimo  trasparente,  decorata  sul  corpo  con  una  larga  zona  gialla  e  verde,  con 
altre  sottili  linee  gialle  ed  una  verde  irregolare  nella  parte  inferiore,  e  con  orlatura 
ugualmente  gialla  intorno  al  labbro. 

La  forma  del  vasetto  e  il  tipo  della  decorazione  risalgono  a  certi  prodotti  della 
Fenicia,  dell'Egitto,  di  Cipro  e  di  Rodi,  assai  antichi  (4),  che  attestano  di  una  lunga 
persistenza  industriale  la  quale  incontrò  favore  anche  nei  paesi  occidentali  del 
Mediterraneo,  fino  al  periodo  dell'Impero  romano  (5). 

(*)  Cfr.  Fabretti,  Glost.  ital.,  II,  pag.  1925  ;  Suppl.,  pag.  80,  n.  456. 

(')  Garourrini,  Appendice  all'op.  cit.,  n.  90  (Val  di  Chiana),  386  (Chiusi?),  640  (Orvieto),  860 
(orig.  incerta). 

(»)  Cfr.  Fabretti,  op.  cit.,  II,  pp.  1694  sg. 

(*)  Cfr.  Kisa,  Das  Olas  im  Altertume,  I,  pag.  11,  fig.  5.  —  Vedansi  inoltre  le  osservazioni 
fatte  dal  prof.  F.  Barnabei,  nei  riguardi  sia  della  provenienza  sia  della  tecnica,  per  esemplari 
simili  al  nostro,  usciti  dalla  necropoli  di  Narce,  in  Monumenti  antichi  dei  Lincei,  IV  (1894), 
pp.  316  sgg.,  fig.  159. 

(5)  Cfr.  Kisa,  op.  cit.,  II,  pag.  404,  tav.  II,  n.  4  (anforina  per  forma  e  decorazione,  imitante 
l'alabastro  orientale,  assai  vicina  alla  nostra,  riferibile  al  periodo  tolemaico  e  dell'Impero).  Cfr.  anche 
J.  Morin,  La  verrerie  en  Gaule  sous  l'Empire  romain,  pag.  83,  fig.  86  (notevole  per  l'analogia 
delle  zone  in  bleu,  giallo  e  verde). 


RKGIONB    VII. 


269    — 


CASTELM0Z10 


Appunto  perchè  tali  prodotti  durano  ininterrottamente  dalla  remota  antichità 
fino  a  tempi  assai  tardi,  non  è  possibile  di  prenderli  strettamente  a  base  della  data- 
zione delle  tombe  in  cui  si  rinvengono.  Nelle  necropoli  deU'Etruria  meridionale  essi 
tuttavia  apparvero  con  maggiore  frequenza  (')  che  non  nei  sepolcri  dell'ultimo  periodo 


Fio.  1. 


etrusco  (sec.  III-I  av.  Gr.)  scoperti  nel  territorio  chiusino,  e  in  genere  nelle  regioni 
medie  e  settentrionali  deU'Etruria. 

Pertanto,  rappresentando  pur  sempre  la  nostra  anforetta  un  oggettino  piuttosto 
raro  in  associazione  con  urne  etrusche  inscritte,  ed  essendo  per  sé  pregevole,  essa  con 
sollecita  cura  fu  assicurata  alla  Collezione  dei  vetri  del   li.  Museo  Archeologico  di 

Firenze. 

Ed.  Galli. 


(')  Cfr.  Barnabei,  loc.  su  cit. 


C0RD1GLIAN0  —   270    —  REGIONE   VII. 


VI.  COKDIGLIANO  presso  PONTE  PATTOLI  (comune  di  Perugia)  — 
Tomba  etrusca  scoperta  nel  territorio  del  comune. 

Nell'estate  del  decorso  anno  1914,  in  un  podere  del  sig.  Giovanni  Battista  Bovini, 
denominato  «Casello»,  il  contadino  Luigi  Benvenuti,  detto  Miscolino,  durante  l'ara- 
tura del  campo,  fece  fortuitamente  la  scoperta  di  una  tomba,  della  quale  tratta  la 
presente  Nota. 

La  località  del  trovamento  è  sulla  parte  occidentale  del  colle  che  scende  verso 
il  «  Posso  della  Penna  » ,  però  molto  in  alto,  ossia  poco  sotto  la  vetta  del  colle,  a 
circa  20  metri  al  disopra  della  carreggiata  in  prossimità  della  curva  a  nord.  Tale 
terreno  è  composto  di  un  banco  alluvionale  di  sabbia  con  abbondanti  elementi  cal- 
carei. In  questo  banco  sabbioso  fu  praticato  nell'ultimo  periodo  etrusco  un  nicchiotto 
isolato,  rivolto  ad  ovest,  largo  m.  0,90  e  lungo  m.  0,80  circa,  alto  circa  un  metto. 
È  probabile  che  tale  nicchiotto  avesse  in  origine  una  copertura  a  volta,  che  per  la 
fragilità  della  roccia  presto  dovette  sparire,  data  l'erosione  graduale  e  perenne  del 
greppo.  Dentro  vi  era  un'urna,  sul  cui  coperchio  era  una  figura  recumbente.  11 
contadino  raccontò,  in  proposito,  che  affiorava  già  da  molta  tempo  parte  della  testa 
di  tale  figura;  ma  fu  creduta  un  semplice  sperone  roccioso,   e  non  vi  si  fece  caso. 

Quando  fu  scoperto  il  nicchiotto,  il  quale  non  aveva  traccia  di  dromo*,  si  vide  che 
il  lato  scolpito  dell'urna,  che  esso  conteneva,  era  rivolto  normalmente  ad  occidente, 
col  coperchio  a  posto. 

Innanzi  al  lato  anteriore  dell'urna  furono  trovati  i  vasi  fittili,  che  saranno  de- 
scritti più  oltre.  Nell'urna  furono  solo  notati  avanzi  di  ossa  cremate  in  modo 
sommario. 

L'urna  di  travertino,  assai  lacunoso  in  qualche  punto,  ha  molto  sofferto,  spe- 
cialmente nella  parte  posteriore  della  testa  della  figura  recumbente  sul  coperchio,  ciò 
che  conferma  la  notizia  del  contadino  riportata  sopra.  Avverto  subito  che  la  scultura 
già  assai  trasandata,  sia  nel  personaggio  che  sormonta  il  coperchio,  sia  nella  rap- 
presentazione eroica  sulla  fronte  della  cassa,  appare  anche  più  rozza  a  cagione  della 
pietra  con  superficie  scabra  e  corrosa.  La  fotografia  che  qui  pubblico  (tìg.  1),  piut- 
tosto che  ridurre,  accresce  la  sensazione  sgradevole  in  chi  lasci  da  parte  il  resto  e 
si  occupi  solo  del  lato  formale  del  monumento. 

Il  personaggio,  espresso  a  tutto  tondo  sul  coperchio  (ma,  al  solito,  sommariamente, 
eccetto  che  nella  testa),  è  maschile,  con  mantello  che  lascia  scoperto  il  petto  ed  il 
ventre  (');  ha  la  testa  velata  secondo  il  rito  sacerdotale,  forse  da  un  lembo  dello  stesso 
manto,  ed  inoltre  si  notano  intorno  alla  fronte  tracce  di  una  corona  funebre  (di  ane- 
moni?); dal  collo  pende  una  grossa  torques  composta  di  dischi  uguali  infilati,  forse 

(')  Le  figure  femminili  invece  tulle  urne  sono  costantemente  coperte  fino  al  collo. 


REGIONE    VII. 


—  271  — 


CORDIGLIANO 


d'ambra  nell'  intenzione  di  chi   la  foggiò.   La   sua  attitudine  di  persona  sdraiata  a 

banchetto,  col  gomito  sinistro  sorretto  da  due  cuscini  e  con  patera  ombelicata  d'uso 

lustrale  nella  destra,  è  comunissima  su  monumenti  etruschi  dello  stesso  genere  ;  ma 

resta  sempre  particolarmente  notevole  la  circostanza  della  testa  velala  e  coronata. 

Sul  listello  del  coperchio   si   legge,    da   destra    a   sinistra,  la  seguente  eiigiale 

incisa  con  lettere  rubricate,  alte  in  media  m.  0,035,  e  giunta  fino  a  noi  con  qualche 

abrasione: 

lacafn  : . . .   cafatial  : . . . 


Fio.  1 


La  cassa  è  di  forma  quadrangolare,  coi  piedi  anteriori  semplici  (');  solo  la  fronte 
è  decorata  con  figure  a  bassorilievo,  di  stile  corrente  e  mal  conservate,  come  ho  già  detto 
sopra.  D'origine  epica  è  l'episodio  che  esse  rappresentano,  il  quale  dipende  dalle  Kypria 
e  riguarda  l'uccisione  a  tradimento  del  giovinetto  Troilo  per  mano  di  Achille  col 
concorso  di  Aiace.  Si  tratta  di  un  soggetto  ben  noto  e  studiato  sulle  urne  etrusche, 
non  soltanto  di  provenienza  perugina  (!). 

(')  Altezza  m.  0,46;  larghezza  da  m.  0,54  a  m.  0,56;  il  lato  è  largo  m.  0,40;  l'interno  è 
in.  0,47  X  0,29  X  0,26. 

(a)  Cfr.  Brunn,  Urne  etrusche,  I,  pp.  52-69.  Vedi  specialmente  pag.  54,  e  tav.  LVII  19-20, 
per  il  confronto  con  la  nostra  urna. 


CORDIGLIÀNO  —   272    —  REGIONE   VII. 

La  rappresentazione  è  molto  ridotta  dal  modello  originario:  è  quasi  un  riassunto  pla- 
stico del  momento  culminante  dell'agguato  teso  dal  Pelide  al  più  giovine  dei  figliuoli 
di  Priamo,  quando  recavasi  ad  abbeverare  i  cavalli  fuori  della  città.  Achille,  in  sem- 
bianze giovanili,  con  testa  nuda,  schinieri,  corazza  di  cuoio,  è  sbucato  da  sinistra 
brandendo  nella  destra  la  spada  sguainata,  e  con  l'altra  mano  ha  ghermito  violente- 
mente Troilo  per  i  capelli.  Il  giovine  principe  troiano  è  quasi  del  tutto  nudo,  tranne 
la  clamide  fermata  al  collo  e  svolazzante  indietro,  a  cavallo,  senza  armi,  e,  per  la 
violenza  dell'  improvviso  assalto,  si  piega  e  cerca  invano  di  staccare  la  mano  avver- 
saria. Lo  strappo  del  cavaliere  ha  fatto  ricadere  sulle  zampe  anteriori  il  cavallo,  che 
tenta  di  rialzarsi. 

All'angolo  destro  vedesi  Aiace,  anch'esso  di  aspetto  giovanile,  a  testa  nuda  e 
armato  come  Achille;  ma  imbraccia  inoltre  uno  scudo  circolare,  ed  alza  con  la  destra 
la  spada  all'altezza  della  testa,  come  per  colpire  Troilo. 

Lo  schema  della  nostra  rappresentazione  corrisponde  sostanzialmente  alle  duo 
urne,  pure  perugine,  edite  dal  Brunn  nel  luogo  citato;  ma  ne  differisce  per  l'aspetto 
giovanile  dei  due  guerrieri  greci  (particolare  notevole  :  cfr.  op.  cit.,  pag.  54),  per  la 
omissione  dello  scudo  di  Achille,  e  per  la  posizione  del  cavallo  che  pare  proceda 
dal  fondo  e  resta  perciò  con  le  gambe  posteriori  dietro  a  quest'ultimo  personaggio. 
Però  sono  tutte,  in  fondo,  varianti  di  poco  conto,  che  non  alterano  la  tradizione  arti- 
stica e  concettuale  del  quadro. 

* 

Il  corredo  funebre  di  questa  tomba  isolata,  a  quanto  potei  sapere,  in  tutto  quel 
territorio,  risultò  assai  scarso  e  meschino;  ma,  trattandosi  di  un  trovameli to  fortuito, 
non  si  può  essere  mai  certi  che  qualche  oggetto  non  sia  sfuggito  alla  ricerca,  o  non 
sia  stato  occultato  a  fine  di  lucro.  Per  altro,  il  tipo  e  l'età  di  detto  sepolcro,  età 
che  non  può  risalire  oltre  la  metà  del  III-II  sec.  av.  Cr.,  ci  rassicura  un  poco  in- 
torno alla  sua  originaria  povertà. 

Con  l'urna,  pertanto,  furono  raccolti  i  seguenti  vasi  fittili  di  argilla  grigiastra  e 
mal  cotta  : 

a)  olla  allungata  in  forma  di  piccolo  pithos,  senza  piede  e  con  larga  bocca, 
frammentata,  alta  m.  0,24  l/t,  diam.  della  bocca  circa  m.  0,15:  con  coperchio  pure 
frammentato  ; 

b)  ciotola  con  pieduccio  rudimentale  ; 

e)  frammenti  di  altra  olletta  analoga  e  del  relativo  coperchio  a  ciotola. 

Tutti  questi  fittili  sono  rivestiti  di  una  forte  incrostazione  calcarea.  Nel  vaso  a 
furono  notati  residui  di  materie  bruciate,  forse  riferibili  ad  offerte  funebri.  Di  metalli 
nessuna  traccia. 

La  tomba,  in  sé,  non  presenta  importanza  artistica  ed  archeologica,  a  parte 
però  sempre  l'interesse  topografico  della  scoperta  ed  epigrafico  per  l'iscrizione  sul 
coperchio  dell'urna;  ma,  poiché  nella  collezione  delle  urne  del  R.  Museo  archeologico 


REGIONE    IV.  —   273    —  RIETI 

di  Firenze  (puro  assai  ricca,  come  è  noto)  mancava  un  esemplare  con  scena  simile 
dell'assalto  a  Troilo,  la  Soprintendenza  propose  e  il  Ministero  opportunamente  approvò 
che  fosse  assicurato,  con  la  poca  suppellettile  concomitante,  al  nostro  Museo  etrusco 
centrale. 

Ed.  Galli. 


Regione  IV  (SAMNIUM  ET  SABINA) 

SABINI. 

VII.  RIETI  —  Avarisi  di  antiche  costruzioni,  scoperti  dietro  il 
Palazzo  Comunale. 

Sino  dal  maggio  1913  il  municipio  di  Rieti,  avendo  intrapreso  lo  sterro  di 
un'area  situata  immediatamente  dietro  il  Palazzo  Comunale  e  generalmente  nota 
sotto  la  denominazione  di  Ortaccio,  interessava  le  competenti  autorità  governative 
ad  esaminare  gli  avanzi  di  antiche  costruzioni,  venuti  casualmente  alla  luce  durante 
lo  sterro. 

Le  sollecite  cure  del  Ministero  dell'istruzione  procurarono  al  municipio  di  Rieti 
un  cospicuo  sussidio,  per  mezzo  del  quale,  dopo  varie  vicende,  i  lavori  di  scavo 
furono  ripresi  con  maggior  lena  e  proseguiti  fino  al  18  febbraio  1915. 

Questi  scavi  furono  eseguiti,  per  forza  di  cose,  in  maniera  incompleta.  Lo  sterro 
è  stato  praticato  entro  una  zona  irregolare,  di  una  lunghezza  di  m.  25  per  una  lar- 
ghezza di  m.  15.  La  profondità  massima  dello  scavo,  sino  a  toccare  il  vergine,  è 
di  m.  6,50  dal  piano  di  campagna  (fig.  1).  Descrivo  qui  appresso  i  risultati  della 
esplorazione  finora  compiuta. 

Cominciando  dal  lato  occidentale,  si  osservano  anzitutto  due  lunghi  muri  in  di- 
rezione da  nord  a  sud,  quasi  paralleli  (presso  la  linea  tratteggiata  I-L,  segnata 
nella  pianta).  Essi  sono  conservati,  a  partire  dalla  risega  di  fondazione,  per  un'al- 
tezza di  m.  1,40.  Riposano  sopra  una  fondazione  di  calcestruzzo,  sistemata  a  mezzo 
di  travature  lignee,  orizzontali  e  verticali,  di  cui  rimangono  i  solchi. 

Il  muro  esterno  è  costituito,  nella  parte  inferiore,  da  materiale  laterizio  ;  nella 
parte  superiore,  da  un  reticolato  di  piccoli  blocchi  di  tufo.  Il  muro  interno,  invece,  è 
costruito,  immediatamente  al  disopra  della  fondazione,  in  blocchi  di  tufo  meno  rego- 
lari, su  cui  posano  varie  file  di  mattoni,  sormontati  alla  loro  volta  dal  noto  retico- 
lato. La  distanza  fra  i  detti  muri,  nella  parte  più  settentrionale  dello  scavo,  è  di 
m.  2,80,  mentre  più  a  sud  non  misura  che  m.  2,65.  Lo  spessore  del  muro  esterno 
è  di  m.  0,60,  cioè  di  10  centimetri  maggiore  di  quello  interno.  Quest'ultimo  presenta 
a  nord  un'apertura  regolare,  a  spigoli  squadrati,  per  una  porta  della  larghezza  di 
m.  1,20.  In  senso  perpendicolare  ai  muri  principali  si  notano  dei  muretti  secondari 
(presso  la  linea  tratteggiata  C-D),  costruiti  a  piccoli  blocchi  reticolati  o  irregolari, 
il  primo  all'estremità  nord  dello  scavo,  posto  fra  i  due  muri  in  modo  da  chiudere 


RIETI 


—  274  — 


REGIONE    TV. 


P MsE. 


-   E 


-    C 


-    A 


Fio.  1. 


REGIONE    IV.  —   275    —  RIETI 

quella  specie  di  corridoio;  due  altri  ai  lati  interni  della  porta,  come  per  costituire 
un  ambiente  o  passaggio  separato.  Che  tali  muri  siano  di  costruzione  posteriore,  si 
giudica  dal  fatto  che  non  presentano  alcun  attacco  coi  muri  principali,  e  anzi  sono 
appoggiati  all'intonaco  di  essi,  come  nella  parete  interna  del  muro  più  lungo,  dove 
in  alcuni  punti  l'intonaco  si  conserva  ancora,  di  uno  spessore  notevole  e  dipinto  di 
rosso.  La  lunghezza  complessiva  dei  muri  non  si  può  misurare,  essendo  essi  in  parte 
caduti,  ed  in  parte  internandosi  ancora  nel  terreno.  Il  muro  principale,  nel  quale  è  pra- 
ticata la  porta,  rimane  scoperto  per  una  lunghezza  di  circa  16  metri. 

All'estremità  meridionale  si  osserva  come  il  detto  muro  riposi  sugli  avanzi  di 
un  altro,  composto  di  piccoli  blocchi  irregolari  di  travertino  e  disposto  sopra  una 
linea  diversa  e  sporgente  rispetto  al  primo.  Chiude  la  zona  di  scavo  a  sud  un  muro 
costituito  di  piccoli  blocchi  regolari  di  tufo.  Questo  muro  è  allo  stesso  livello  degli 
altri,  ma  non  forma  angolo  retto  con  quelli. 

L'angolo  sud-est  dello  scavo  e  buona  parte  del  lato  orientale  sono  occupati  da 
numerosi  blocchi  di  travertino,  di  notevoli  proporzioni,  regolarmente  squadrati  (lungo 
la  linea  G-H),  distinti  in  pianta  con  un  ripieno  di  tratti  punteggiati,  la  massima 
parte  sparsi  irregolarmente  sul  terreno.  Quivi  stesso  fu  trovato,  durante  lo  scavo, 
un  tamburo  centrale  di  capitello  corinzio  in  marmo,  il  quale  misura  alla  base 
un  diametro  di  m.  0,90  ed  è  alto  m.  0,55. 

Oltre  ai  numerosi  blocchi  di  travertino  precipitati  dall'alto  e  sparsi  irregolar- 
mente sul  terreno,  altri  ve  ne  sono  regolarmente  disposti  in  senso  da  nord  a  sud  e 
da  est  ad  ovest  all'intersezione  della  linea  A-B,  sopra  un  piano  rilevato  di  terra,  e, 
inframmezzati  ad  essi,  alcuni  rozzi  muri  orientati  allo  stesso  modo,  costituiti  da  ma- 
teriale tufaceo  grezzo. 

Tali  avanzi  appaiono  evidentemente  appartenere  alle  fondazioni  di  un  edificio, 
quale  si  fosse,  di  età  abbastanza  recente,  nelle  cui  fondazioni  fu  messo  a  profitto  il 
materiale  di  un  edificio  molto  più  antico,  qual  è  quello  cui  appartenevano  i  grandi 
e  regolari  blocchi  di  travertino,  alcuni  dei  quali  elegantemente  sagomati.  Uno  dei  grandi 
blocchi,  ancora  in  posto  nella  fondazione  dell'edificio  più  recente,  e  che  misura 
m.  1,76  x  0,82,  con  un'altezza  di  m.  0.47,  segnato  in  pianta,  porta  nel  piano  su- 
periore un  largo  cerchio  incavato,  di  70  centimetri  di  diametro,  destinato  alla  base 
di  una  colonna. 

All'angolo  nord-est  della  zona  di  scavo,  infine,  là  dove  lo  sterro  è  stato  prati- 
cato per  una  profondità  eguale  a  quella  del  corrispondente  angolo  nord-ovest,  si 
sono  rinvenuti  altri  due  muri  maestri  fatti  di  materiale  tufaceo,  paralleli  fra  loro, 
nonché  alla  coppia  di  muri  sopra  accennati  (lungo  la  linea  G-H  e  all'intersezione 
della  linea  E-P).  La  distanza  fra  i  muri  è  di  m.  1,50.  Il  muro  ovest  presenta  una 
porta  con  una  soglia  della  lunghezza  di  m.  1,80;  il  muro  di  fronte  una  porta  cor 
rispondente,  larga  m.  1,60.  Lo  spessore  dei  muri  è  di  m.  0,50.  Anche  questi  por- 
tano tracce  d'intonaco  rosso. 

Notiamo,  ancora,  che  all'estremo  angolo  nord-ovest  dello  scavo,  a  m.  3,80  dal 
piano  di  campagna,  cioè  alquanto  al  disopra  delle  soglie,  si  è  trovata  traccia  di  un 
pavimento  o  battuto  di  calcestruzzo;  e  più  a  nord,  alquanto  al  disotto  delle    soglie 

Notizib  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  37 


RIETI 


—  276  — 


REGIONE    IV. 


delle  porte,  avanzi  di  un  muro  di  calcestruzzo  piantato  nel  vergine.  La  veduta  com- 
plessiva dello  scavo  è  data  dall'annessa  figura,  tratta  da  fotografìa  (lìg.  2),  presa 
dalla  terrazza  superiore  del  Palazzo  Comunale. 


Fig.  2. 


Pochi  e  di  non  grande  importanza  sono  gli  oggetti  rinvenuti.  Il  giorno  4  feb- 
braio furono  raccolti  alla  mia  presenza,  a  circa  tre  metri  dal  piano  di  campagna, 
gli  oggetti  qui  appresso  descritti: 

1.  Frammento  di  rilievo  marmoreo,  con  la  parte  inferiore  di  una  figura  virile 
nuda,  scheggiata  al  malleolo,  volta  a  destra,  coll'asse  della  persona  alquanto  ripie- 
gato dinanzi,  davanti  a  un  tripode  ricolmo  di  frutta.  Nel  fondo,  avanzo  di  altra 
figura  a  bassissimo  rilievo,  con  chitonisco.  Alt.  m.  0,35. 


REGIONE    IV.  —    277   —  RIETI 

2.  Statuetta  di  Mercurio  in  bronzo,  con  ali  ai  malleoli  e  sulle  tempie.  La 
figura,  nuda,  con  drappeggio  pendente  dall'avambraccio  sinistro,  poggia  sulla  gamba 
destra.  Ha  il  braccio  destro  proteso,  tenendo  nella  mano  una  borsa.  Nella  sinistra, 
dalle  dita  ripiegate,  teneva  probabilmente  il  caduceo.  Esecuzione  accurata.  Altezza 
m.  0,065. 

3.  Frammento  di  mattone,  con  resto  di  iscrizione  stampata  su  due  righe 
entro  un  rettangolo: 

LAVI 

....  ORIAfL 


Precedentemente  era  stato  trovato,  degno  di  nota,  un  frammento  angolare  di 
trabeazione,  in  travertino,  con  piccoli  lacunari  e  dentelli.  Si  conserva  un  lacunare 
intero  con  testa  muliebre,  forse  di  Medusa.  Al  margine  superiore  della  trabeazione, 
fregio  di  palmette  e  volute;  all'orlo  inferiore  cimasa  lesbica.  Altezza  m.  0,15;  lar- 
ghezza m.  0,22;  lunghezza  m.  0,34. 

Si  è  rinvenuta  inoltre  una  certa  quantità  di  lastre  marmoree  frammentarie,  di 
varia  qualità  e  di  vario  spessore.  Prevale  il  marmo  bianco,  e  si  hanno  esemplari  di 
marmo  venato,  grigio,  serpentino  verde.  Questi  avanzi  maimoiei  provengono  sema 
dubbio  da  rivestimenti  di  pareti  e  da  pavimenti  incrostati  di  maimo;  sicché  si  è 
tenuti  a  immaginare  l'esistenza  in  antico,  in  quella  località,  di  edifìci  sontuosi. 

Che  gli  antichi  editici  presso  il  municipio,  o  almeno  i  piani  superiori  di  esso, 
fossero  decorati  con  un  certo  lusso,  ci  è  anche  attestato  da  vari  altri  frammenti 
d'intonaco  dipinto,  rinvenuti  fra  le  macerie.  Uno  di  essi,  in  due  pezzi,  alto  com- 
plessivamente m.  0,20,  presenta,  eseguito  su  fondo  rosso,  un  lungo  stelo  verticale 
in  colore  biancastro,  con  brevi  germogli  ai  lati  e  un  gruppo  di  boccioli  a  una  certa 
altezza  dello  stelo.  Altri  frammenti  d'intonaco  presentano  semplicemente  delle  fasce 
bianche  e  color  marrone.  Si  conservano  anche  frammenti  dipinti  in  color  bruno  e 
in  color  giallo  mattone  ('). 

Tutti  gli  oggetti  rinvenuti  durante  lo  scavo  si  conservano  presso  la  Pinacoteca 
municipale  di  Rieti,  affidata  alle  cure  solerti  del  prof.  Colarieti-Tosti. 

Dei  diversi  muri  scoperti  si  possono  considerare  come  più  antichi  i  due  lunghi 
muri  paralleli  situati  a  ponente.  Il  sistema  di  costruzione,  a  strati  di  mattoni  (opus 
lateritium),  alternati  con  file  di  piccoli  blocchi  tagliati  a  losanga  {opus  reticulatum), 
ci  riporta  all'età  romana,  entro  un  periodo  che  va  dal  I  secolo  av.  Cr.  alla  metà 
del  II  secolo  dell'era  volgare.  Di  età  romana  più  tarda  sono  i    muri  secondari  ap- 


(')  Questo  punto  centrale  ed  eminente  della  città  è  noto  ancora  per  altri  rinvenimenti  archeo- 
logici recenti.  Nella  casa  Piselli,  in  via  della  Pescheria,  poco  lungi  dal  luogo  denominato  Ortaceio, 
furono  rinvenuti  durante  i  lavori  d'ampliamento  d'una  cantina:  un  frammento  marmoreo  di  statua 
colossale  (parte  superiore  di  coscia  virile,  con  cinghia  *;  fibbia);  i  resti  di  un  lavimcrto  a  mosaico, 
Bparso  di  rosoncini  di  marmo  colorato;  due  grandi  basi  di  colonne;  residui  di  un  muro  ad  opus 
quadratum. 


RIETI  —    278   —  REGIONE    IV. 

poggiati  di  traverso  ai  primi,  o  paralleli  a  quelli  ;  al  medio  evo  o  ad  età  moderna 
appartengono  i  miseri  avanzi  di  costruzioni  sovrapposte  alle  prime  e  ottenute  col 
rimetter  in  opera  materiali  molto  più  antichi. 

Non  è  poi  facile  determinare  il  genere  di  edifici  di  cui  si  tratta.  Gli  scrittori 
di  cose  locali  sono  d'accordo  nell'asserire  che  qui  presso,  nel  sito  stesso  dov'è  la 
piazza  Vittorio  Emanuele  e  il  Palazzo  Comunale,  fosse  l'antico  Foro  Reatino  ;  nel 
qual  caso,  l'edificio  classico  in  discorso,  essendo  nelle  immediate  vicinanze  del  Foro, 
e  in  ogni  caso  nel  centro  della  città,  può  anche  essere  stato  un  edificio  di  carattere 
pubblico.  Con  tale  edificio  ha  rapporto,  secondo  ogni  verosimiglianza,  il  rinveni- 
mento verificatosi  in  quei  pressi,  molti  anni  fa,  di  una  statua  maimorea  togata, 
già  appartenente  ai  principi  Potenziani  ed  ora  situata  nell'atrio  del  Palazzo 
Comunale. 

Delle  questioni  topografiche  relative  all'antica  Rieti  ha  trattato  recentemente 
in  una  dotta  monografia  6.  Colasanti  (Beate,  Perugia  1911;  estratto  del  Bollettino 
della  B.  Deputazione  oli  storia  patria  per  l'Umbria).  La  cinta  della  città  antica, 
che  il  Colasanti  restituisce  in  pianta,  va  riportata,  almeno  per  quanto  si  riferisce 
al  tratto  compreso  fra  via  Pescheria  e  via  Pennina,  alquanto  più  indietro  e  più  a 
nord.  Il  Colasanti  fa  a  questo  punto  passare  la  linea  delle  mura  al  disopra  della 
stessa  località  Ortaccio  ;  ma  le  attuali  esplorazioni,  tra  i  vari  generi  di  costruzioni 
scoperte,  non  hanno  sinora  messo  alla  luce  neppure  il  minimo  tratto  di  muro  di  cinta. 
La  città  antica,  quindi,  nel  suo  punto  centrale,  dove  pare  foste  situato  il  Foio 
Reatino,  acquista,  ragionevolmente,  un'ampiezza  ed  uno  sviluppo  maggiori  di  quello 
che  sembra  supporre  il  Colasanti,  in  base  a  congetture  e  a  dati  non  del  tutto  sicuri. 

E  mio  convincimento  quindi  ch'egli  restringa  eccessivamente  la  cerchia  della 
città  romana,  facendola  coincidere  rigorosamente  con  quella  molto  limitata,  d'età 
medioevale. 

Soltanto  il  tamburo  di  capitello  marmoreo,  del  quale  abbiamo  fatto  menzione, 
ci  autorizza,  colla  grandiosità  delle  sue  dimensioni,  a  supporre  in  quei  pressi  l'esi- 
stenza, in  antico,  di  un  edificio,  forse  un  tempio,  di  dimensioni  così  straordinarie  e 
dall'aspetto  così  solenne,  quale  una  troppo  modesta  cittadina  di  provincia  non  si 
poteva  permettere  il  lusso  di  avere. 

La  testimonianza  di  Strabone,  relativa  alle  città  sabine,  impoverite  dalle  lunghe 
guerre,  non  è  decisiva.  Rieti  deve  aver  avuto,  alquanto  dopo  l'età  di  Strabone, 
coll'impero  di  Vespasiano,  nato  in  Sabina,  e  dei  Flavi  in  generale,  un  periodo  di 
fioritura  notevole;  gli  avanzi  archeologici  recentemente  scoperti  ce  ne  offrono,  a 
quanto  sembra,  la  prova  monumentale. 

G.  Bendinelli. 


REGIONE   I.  —   279   POMPEI 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

CAMPANIA. 

Vili.  POMPEI  —  Continuazione  degli  scavi  sulla  via  dell'  Abbondanza, 
nei  mesi  da  gennaio  a  maggio  1915. 

II»  Zona  —  Scavo  nella  via. 

Lo  scoprimento  della  via,  arrestato  il  15  giugno  dell'anno  scorso  per  portare 
prima  a  termine  il  disterro  del  criptoportico  della  casa  n.  2,  reg.  I,  ins.  VI,  è  stato 
ripreso  il  giorno  19  gennaio,  ed  oggetto  delle  esplorazioni  sono  stati,  e  sono  anche 

LATO       NORD 
KEG.  Ili     INS  lil 


E&£J       1 


i-mm ■      4     E*a      5- 


> 


REG- II-  |NS- l'I 

Fio.  1. 

ora,  le  fronti  delle  due  isole  opposte,  III  della  reg.  Ili  a  nord,  e  III  della  reg.  II 
a  sud.  Delle  fronti  indicate,  tuttavia,  non  si  sono  finora  scoperte  che  le  parti  alte  delle 
facciate  fino  agli  architravi  dei  vari  ingressi:  e  ciò,  sia  perchè  le  prolungate  piogge 
ed  i  successivi  geli  di  questo  inverno  hanno,  sconsigliato  lo  scoprimento  delle  pareti 
intonacate,  e  sia  perchè  più  tardi  si  è  dovuta  trasportare  altrove  tutta  la  forza  degli 
operai  scavatori.  Il  rilievo  topografico  (tìg.  1)  ritrae,  quindi,  questo  stato  di  fatto, 
e  non  indica  le  eventuali  ulteriori  particolarità  dei  marciapiedi  e  del  selciato  della 
ria,  i  quali  rimangono  ancora  sotterra. 

(19  gennaio).  Reg.  II,  ins.  Ili,  n.  1.  Presso  l'angolo  che  fa  l'architrave  con  lo 
stipite  destro,  si  è  trovato  un  gruppo  di  dodici  monete  di  bronzo,  e  sono  le  seguenti  : 
due  grandi  bronzi  di  Vespasiano  (Cohen,  Vesp.  313  e  433)  ;  medi  bronzi  di  Ottaviano, 
uno  dei  quali  Cohen.  228  ;  uno  di  Claudio  (Cohen,  84)  ;  cinque  di  Vespasiano 
(Cohen,   71  [?],  151,  152,  396  e  411);  tre  di  Tito  Cesare  (Cohen,  326?). 


POMPEI  —    280   —  REGIONE    I. 

(21  gemi.).  Il  battente  destro  della  porta  dell'indicato  ingresso  era  spiegato  sulla 
parete,  come  è  chiaramente  mostrato  da  un  breve  tratto  dell'  impronta  del  legno,  stam- 
pato sulla  cenere:  dietro  l'angolo  sinistro  di  questa  impronta,  in  alto,  si  è  rinvenuto, 
nella  sua  naturale  posizione  verticale,  il  campanello  di  bronzo,  di  forma  cilindrica, 
alto  m.  0,11.  All'esterno,  sulla  parete  fra  lo  zoccolo  e  l'architrave,  sono  ritornati 
in  luce  i  seguenti  programmi  elettorali: 

1.  ATREBIVM  2.  A-VETT(eww) 

3.  L  ■  O  V  I  D  I  V  M 

AED  ■  CRE3CENS  ■  ROG 

Accanto  al  precedente,  se  ne  legge  un  altro  conservato  solo  nella  parte  superiore  : 

4.  Q^POSTVMIVM 

ed  immediatamente  al  disopra  della  fascia  rossa  dello  zoccolo  un  ultimo,  col  quale 
ci  vien  presentato,  e  per  la  prima  volta,  uu  nuovo  candidato: 

5.  (Ti.   Cra)SSIVM  •  FIRMVM  •  AED  (ouf.  d.  r.)  P 

L' integrazione  del  nomen  mi  pare  sicura,  ed  è  a  noi  fornita  da  xm'apocha  Ju- 
cundiana  (  Tab.  Ver.  XXXI),  nella  quale  ricorre  proprio,  come  a  me  sembra,  il  nome 
del  nostro  candidato,  T(i).  Crassius  Firmus;  ciò  rende  inoltre  sommamente  probabile, 
se  non  certo  addirittura,  come  io  ritengo,  che  a  Pompei  sia  da  attribuire,  e  non  già 
ad  Ercolano,  il  suggello  C.  I.  L.  X,  80582g  :   Ti.  Crassi  Firmi. 

(30  id.).  Sopra  l'altra  parete,  a  sinistra,  è  ritornata  in  luce,  accanto  ad  un 
programma  monco,  di  color  nero,  al  disopra  dello  zoccolo  nero: 

6.  CNAVDIVM  BASSVM 
DLVCRETIVMVAL 

questa  acclamazione  di  oscuro  significato: 

7.  M-  SATRIO-  IVSTAE-  L1BERIS  iwenes-si 

— .  MEMORES 

FELICITER  •  DIGNI   LXDFD 


SIMVS 


mentre  sull'alto  dello  zoccolo  leggesi  il  programma: 

8.  TREBIVM- ET- RVFVM 

AED  CF  CRESCENS  CVP1DVS  ROG 


REGIONE   I.  —   281    —  POMPEI 

che  ne  nasconde  un  altro  più  antico,  quasi  in  tutto  leggibile  attraverso  la  dealbatio, 

9.  M-  LICINIVM    M  F 
ROMANVM  [VVENEM-AEDIfta) 
V-  A-S-P-  p-  d-  (r.  p.  0.  V.)  F 

(3  marzo).  All'imboccatura  del  vicolo  fra  le  isole  li  e  III  della  reg.  II,  si  sono 
letti  due  programmi  elettorali,  l'uno  sullo  spigolo  dell'isola  II: 

10.  N  ■  P- R •  AED 

\_N.  P(opidium)  R(ufum)  aed(ilem)~] 

e  l'altro,  di  color  nero,  sullo  spigolo  dell'isola  III: 

11.  C-CVSPIVM-  PANSAM  -&D-Cf 

Reg.  II,  ins.  Ili,  n.  1.  Sullo  zoccolo  nero,  a  destra  dell'ingresso,  è  ritornato  in 
luce  il  programma  : 

12.  POPIDIVM    SECVNDVM 

AED-0(v.  f.) 

il  quale  ne  nasconde  a  destra,  in  parte,  un  altro  più  antico: 

13.  LÀLBVCw 

(aed)  DR?Cf 

(5  id.).  Reg.  Ili,  ins.  Ili,  n.  5.  Dietro  l'architrave  di  questo  ingresso,  in  alto, 
si  sono  raccolte  sette  borchie  di  bronzo  semplicemente  bombate:  delle  quali,  cinque 
di  m.  0,05  e  due  di  m.  0,037  di  diametro. 

(10  id.).  Ivi  stesso,  un  campanello  di  bronzo  alto  m.  0,09,  a  sezione  ellittica, 
dalla  bocca  larga  m.  0,06  di  diam.  mass.  Accanto  al  campanello  si  è  rinvenuta  una 
coppetta  di  bronzo  cilindrica,  alta  m.  0,03,  larga  m.  0,035,  con  cilindretto  nel  mezzo, 
destinato,  come  pare,  a  reggere  lo  stoppino  di  una  lanterna. 

(11  id.).  Reg.  Ili,  in3.  III.  Sulla  parete  esterna,  fra  gl'ingressi  n.  3  e  4, 
in  alto,  si  è  scoperto  il  seguente  programma  steso  sopra  una  tabella  dealbata: 

14.  C-CALVENTIVM 

SITTIVMIÌDRP 

ai  lati  del  quale  si  leggono  questi  altri  due,  il  primo  dei  quali  di  colore  nero: 

15.  L-C-C-fiv-  16.  POP  IDI  VM-  Il  VI  R 
[Z.  C(aecilium)  C(apellam)]                     GRAPHICE  •  VIGVLA 


POMPRI  —   282    —  REGIONE    I. 

Sul  pilastro  sinistro  del  successivo  ingresso  n.  4  è  ritornato  in  luce  l'altro: 

17.  AMPLIATVM-  AEDDIGNVS 
EST  •  GRAPICHAE  •  DORMIS         (tic) 

ETCVPIS 

mentre  sul  pilastro  fra  i  vani  nn.  1  e  2   si   sono  finalmente  letti  questi  altri  due: 

18.  LCSnvROv  19.  CLOLLIVM 

f  FVSCVM-AEDCf 

\_L.  C(eium)  S(ecundum)~] 

Reg.  Il,  ins.  Ili,  n.  6.  Nella  cenere,  in  alto,  davanti  all'  ingresso,  si  è  rinvenuta 
una  chiave  di  bronzo  lunga  m.  0,05,  con  mappa  a  sei  denti,  a  sezione  triangolare, 
con  una  borchia  di  m.  0,05  di  diam.,  liscia  e  incavata  a  tergo,  rilevata  e  spianata 
al  centro  della  faccia  anteriore. 

Altri  scavi  della  via. 

a)  Dal  principio  del  mese  di  marzo  sino  al  giorno  2  aprile,  contemporanea- 
mente allo  scavo  della  via,  che  viene  spinto  sempre  verso  oriente,  è  stato  intrapreso, 
secondo  le  disposizioni  del  sig.  Direttore,  il  disterro  della  parte  alta  dell'  atrio 
della  casa  di  Trebio  Valente  (reg.  Ili,  ins.  II,  n.  1),  con  l'intendimento  di  esplorare 
tutta  questa  casa  tanto  notevole  così  per  la  facciata  ricca  di  programmi  elettorali 
e  di  edieta  munerum  edendorum,  come  per  alcune  pareti  in  parte  riapparse  negli 
scavi  precedenti. 

b)  Erano  così  disposte  le  cose,  allorché  il  giorno  2  aprile  vennero  fuori,  sui 
pilastri  esterni  del  grande  ambiente  n.  6  dell'isola  seguente  (reg.  Ili,  ins.  Ili)  due 
grandiosi  trofei  d'arme  dipinti,  rimessi  completamente  alla  luce  il  successivo  giorno  5 
alla  presenza  di  S.  E.  l'on.  Salandra.  Da  quel  giorno,  sospesa  momentaneamente  ogni 
altra  ricerca,  è  stata  qui  concentrata  tutta  la  forza  degli  scavatori,  e  con  la  fine  del 
mese  un  grande  ambiente,  superbamente  decorato  è  stato  già  interamente  scoperto. 
Di  esso  si  dark  in  seguito  relazione  ;  per  ora  trascrivo  qui  i  programmi  ritornati  in 
luce  sulle  pareti  esterne.  Sul  pilastrino  che  sporge  sulla  via  a  sinistra  del  trofeo  di 
sinistra  leggonsi  questi  due  programmi,  il  primo  dei  quali  di  color  nero: 

20.  L-C-C-D-o*  21.  LPOPIDIVM 

(v.  s.  iscr.  n.  15)  A  ED   •   QF 

Sulla  parete  interna  dello  stesso  pilastrino  si  legge  questo  terzo: 

22.  POPIDIVM 

iTv(tr)    (v)B 


REGIONE   I.  —   283    —  POMPEI 

e  sull'alto  dello  zoccolo,  al  disotto  del  trofeo,  finalmente  quest'ultimo: 

23.  POP1DIVM 

AEDILEM-A-V  SP-P-D-RP-  POPVLVS 

FACITET  ROGAT 

Sull'alto  dello  zoccolo,   al  disotto   del  trofeo  di   destra,  si  leggono  in  colonna 
questi  due: 

24.  L- CEIVM-SECVNDVM     iTvir 

SCYMNIS  •  NEC  •  SINB  •  TRBBIO  INFANTIO  •  SCR 

25.  CN  •  HELVIVM-SABINVM-  AED  Cf 

la  dealbatio  dei  quali,  come  il  colore  delle  lettere,  è  già  caduta  giù  dalla  parete  in 
tanta  parte  da  rendere  leggibile  quasi  in  tutto  un  programma  più  antico  : 

26.  ASVETTIVM  CERTVM 
ASVETTIjVM  {Veruni)  .  .  . 

or 

I  pochi  travamenti  qui  fatti  sono  i  seguenti:  le  lamine  anteriore  e  posteriore 
di  una  serratura  in  bronzo,  larghe  la  prima  m.  0,110  X  0,115  e  la  seconda  m.  0,110 
X 0,090,  raccolte  nel  mezzo  del  vano  d'ingresso  il  giorno  8  aprile;  un  anello  di 
bronzo  dipendente  dall'occhio  di  un  chiodo  di  ferro,  largo  m.  0,05,  striato,  e  un 
cerchietto  semplice,  largo  m.  0,027,  trovati  a  pie  del  pilastro  anteriore  sinistro,  dal 
lato  interno.  Il  giorno  27,  poi,  dal  banco  di  una  cucina,  posta  a  tergo  del  muro 
occidentale  del  grande  ambiente  n.  6  in  corso  di  scavo,  la  regolarizzazione  della 
scarpata  perimetrale  ha  fatto  venir  fuori  i  seguenti  oggetti,  che  vanno  ascritti  al 
n.  5  (reg.  Ili,  ins.  Ili):  Vetro.  Quattro  bottiglie,  delle  quali  una  conica,  strozzata 
alla  base  del  lungo  collo,  alta  m.  0,17;  una  a  pancia  quasi  sferica,  alta  m.  0,15,  e 
due  a  pancia  sferica,  alte  m.  0,09  e  m.  0,10;  un  boccettino  quasi  cilindrico,  alto 
m.  0,09;  una  tazzina  ad  orlo  svasato,  larga  m.  0,11;  diciannove  mezze  sferette 
(pedine?);  un  corrente  di  collana,  forato  e  baccellato;  una  fuseruola  fatta  a  zone 
concentriche  bianche  e  turchine,  larga  m.  0,25.  —  Ferro.  Una  chiavetta  ed  una 
cesoia  a  molla,  monca.  —  Bromo.  Medi  bronzi,  di  M.  Agrippa,  uno  (Cohen,  n.  2); 
di  Tiberio  con  l'effigie  del  padre,  uno  (Cohen,  228)  ;  di  Claudio,  uno  (Cohen,  n.  47)  ; 
di  Galba,  uno  (Cohen,  n.  1(3);  un  grande  bronzo  di  Vespasiano  (Cohen,  n.  239).  — 
Argento.  Un  denario  male  conservato,  d'impossibile  identificazione.  —  Terracotta 
aretina.  Una  scodella  ad  orlo  espanso,  larga  m.  0,178.  —  Terracotta  rustica.  Due 
scodelle  ;  due  pignatte  sferico-cilindriche,  affumicate  ;  due  urcei  panciuti,  monoansati  ; 
un'anforetta  ;  un  boccale  monoansato.  Si  è  raccolto  finalmente  un  pezzo  di  ferro  lungo 
m.  0,29,  largo  m.  0,09,  composto  di  tanti  lunghi  aghi,  o  fili,  allineati  nel  senso 
della  lunghezza  come  per  formare  un  lungo  pettine,  e  fra  loro  ora  in  gran  parte 
saldati  per  l'ossido. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  38 


POMPEI 


284  — 


REGIONE    I. 


Scoperte  fortuite  nella  via. 

(24  gennaio).  Reg.  IX,  ins.  XIII.  Abbattutosi,  in  seguito  alle  prolungate  piogge, 
il  muro  fra  gl'ingressi  nn.  3  e  4  con  le  epigrafi  che  sosteneva  (cfr.  Notizie,  1913, 
pag.  63),  dalle  terre  scoscese  a  tergo  è  venuta  fuori  una  patera  di  terracotta  aretina, 
larga  m.  0,14,  a  breve  parete  cilindrica  e  piede  circolare  poco  rilevato. 

(11  febbraio).  Reg.  IX,  ins.  VII,  n.  1.  Il  gelo,  sopraggiunto  dopo  le  lunghe  piogge, 
ha  determinato  la  caduta  di  un  considerevole  tratto  d' intonaco  rusticamente  imbian- 
cato dall'alto  del  muro  a  sin.  dell'imboccatura  del  vicolo  orientale  dell'isola.  Un 
più  antico  intonaco,  pure  rustico,  è  così  ritornato  in  luce;  e  sopra  di  esso,  in  alto, 
si  è  mostrato  l'avanzo  di  un  lungo  albo  di  ministri  vici  et  compiti,  compagno  del- 
l'altro C.  I.  L.  IV,  n.  60,  monco  però,  essendone  perduta  la  metà  sinistra.  I  soli 
righi  4  e  8  sono  rossi,  i  restanti  neri: 


27. 


io 


•  '  J  CoS 

..  /RBVL 
..  "VICI 

..  iriILVS 

. .  L-  STABILIO 

. .  ^PIT 

..  ;  ILI  ■  L-  SER 

..  INI  •  M-  SER 

..  VRI-  N-  SER 


Fra  l'albo  trascritto  e  lo  zoccolo  restano  tenui  avanzi  di  due  iscrizioni  antiche, 
in  grosse  lettere  per  l'ima  rosse  e  per  l'altra  bianche,  due  -programmata  antiquissima: 


28. 


ALLEl^um 
\B     Q__ 

VOBISMB. . . 


29. 


Reg.  IX,  ins.  XI,  n.  7.  Anche  qui  il  gelo  ha  fatto  cadere  in  minute  scaglie  la 
mano  di  calce,  e  il  dipinto  di  Ercole  che  vi  era  steso  su  (cfr.  Notizie  1912,  pag.  63) 
dallo  stipite  destro  dell'  indicato  vano  d' ingresso,  ma  ha  restituito  alla  luce  un  più 
antico  dipinto  sacro  (fig.  2).  In  cornice  gialla  filettata  di  rosso,  con  festoni  verdi 
appesi  in  alto  e  ricadenti  ai  lati,  vedesi  Minerva  di  prospetto,  stante,  l'asta  nella 
sinistra  levata  in  alto,  l'elmo  cristato  in  capo,  lo  scudo  appoggiato  alla  gamba  destra, 
la  mano  destra  abbassata,  nell'atto  che  versa  da  una  patera  turchina  qualche  cosa 


REOIONB    I. 


—   285    — 


POMPEI 


sopra  l'ara  che  le  è  a  destra.  La  dea  veste  un  peplo  a  fasce  verdi  e  gialle  alterne 
ed  un  manto  il  cui  lembo  ricade  dal  gomito  sinistro;  ha  le  braccia  nude,  gialle 
come  l'elmo  e  lo  scudo.  L'ara  consiste  di  un  dado  giallo  sopra  base  verde  e  toro  bian- 
chiccio, sormontata  da  un  fastigio  pulvinato,  rosso,  su  cui  brucia  la  fiamma  rosso-viva. 


Fio.  2. 


Reg.  Ili,  ins.  1.  Sempre  per  la  caduta  dell'ultimo  intonaco,  dovuta  al  gelo,  è 
ritornato  in  luce,  tra  i  vani  d'ingresso  nn.  1  e  2,  questo  antico  programma: 


30. 


(.e) 


sfòsrffvfy" 


Colgo  l'occasione  per  ripubblicare,  ora  che,  dilavati,  si  leggono  meglio,  in  primo 
luogo  il  programma  Noi.  1912,  pag.  403,  n.  5  (Reg.  IX,  ins.  XIII,  a  sin.  del  n.  1): 


31. 


OVIDIVM 

ETVETTlVM^^Cf 


tì  poi  l'altro  Notizie  1914,  pag,  180,  n.  1  (Reg.  Ili,  ins.  I,  fra  i  nn.  1  e  2): 
32. 


^^ 


(A)buriu(m)  ? 


POMPEI  —    286    —  REGIONE   I. 


II*  Zona  —  Reg.  I,  ins.  VI.  Fine  dei  lavori. 

Essendosi  finito  di  sgombrare  in  tutte  le  sue  parti  il  criptoportico  della  casa 
n.  2,  offro  qui  l'elenco  degli  ultimi  oggetti  che  vi  si  sono  trovati,  cominciando  dai  più 
interessanti,  cioè  dalle  monete  recuperate  tra  i  materiali  di  colmamento,  e  che  de- 
cidono della  cronologia  dell'  interro  eseguito  dagli  antichi.  Topograficamente  descritte, 
le  monete  raccolte  sono  le  seguenti: 

Trincea  (lunga  m.  8,  larga  m.  1-2,  aperta  nel  lato  occidentale  del  giardino): 
un  asse  repubblicano;  una  monetina  campana  e  un  medio  bronzo  imperiale  irricono- 
scibili; un  denario  foderato,  dalle  leggende  in  tutto  perdute. 

V  ambiente  del  lato  meridionale,  a  contare  da  oriente:  un 
quadrante  di  Augusto  col  nome  dei  Illviri  Annius,  Lamia,  Silius  (Cohen,  Od. 
Aug.,  n.  338);  altro  di  Caligola  (Cohen,  n.  6);  altro  di  Claudio  (Cohen,  n  72); 
altro  irriconoscibile;  e  questa  interessante  moyeta:  Vi  teste  di  Augusto  e  di  Livia, 
KAIZAPOZ  ZEBAZTOY  -  9  teste  del  ro  Rhoemetalkes,  trace,  e  della  regina: 
(PO)IMETA(A)KOY  BAZlAEflZ  {British  Mus.  CaL,  Thracia,  pag.  208,  n.  i  ; 
Head,  Hist.  numm.,  1*  ed.,  pag.  244). 

VI  ambiente  dello  stesso  lato:  un  grosso  quadrante  repubblicano;  un 
quadrante  augusteo  imprecisabile;  un  piccolo  bronzo  greco  con  una  corona  nel  1?  e 
un  motivo  floreale  nel  B;;  una  monetina  irriconoscibile. 

Grande  ambiente  all'angolo  sud-est:  un  medio  bronzo  di  M.  Agrippa 
(Cohen,  n.  2);  un  grande  bronzo,  molto  consumato  ma  sicuramente  augusteo  (Babelon, 
Iulia,  n.  982;  un  medio  bronzo  col  nome  del  Illviro  Salvius  Otho  (Bab.,  Iulia, 
n.  326);  un  quadrante  dei  Illviri  Apronius,  Shenna,  Messalla  (Cohen,  Od.,  n.  352); 
un  altro  del  Illviro  Surdinus  (Cohen,  n.  170?);  un  altro  ancora  di  Claudio  (C 
n.  71);  una  monetina  forse  di  Neapolis  [1?  toro.  B:  testa  di  Apollo  (?)  a  sin.]; 
altra  monetina  greca  [1?  testa  barbata  (di  Giove?);  1$  figura  muliebre  in  piedi]; 
altre  due  irriconoscibili. 

Triclinio:  una  monetina  greca;  1?  testa  di  Apollo;  1$  figurina  ritta  in  piedi]; 
un  medio  bronzo  col  nome  del  Illviro  Cn.  Piso  (Bab.,  Iulia,  n.  298);  due  medi 
bronzi  di  Tiberio  con  l'effigie  del  padre  (Cohen,  n.  247);  un  quadrante  di  Claudio 
(Cohen,  n.  70?). 

Cubicolo  adiacente  al  triclinio:  un  medio  bronzo  di  Germanico 
(Cohen,  n.  4). 

Ala  orientale,  presso  la  maceria  eretta  per  sostenere  i  materiali  di  colma- 
mento: un  asse  repubblicano  dai  tipi  molto  consunti. 

Fa u ce  lungo  il  muro  perimetrale  est;  due  monete  di  Nerone  (Cohen, 
nn.  170  e  288). 

Ambiente  rustico  all'angolo  nord-est:  un  medio  bronzo,  forse  di 
Claudio. 


REGIONE    I. 


—    287    — 


POMPEI 


Tralascio  di  riferire  intorno  ai  piccoli  insignificanti  frammenti  di  oggetti  di  osso 
e  di  bronzo  raccolti  con  le  monete  descritte,  e  mi  limito  a  parlare  soltanto  di  due 
interessanti  rasi  di  terracotta  trovati  a  pie'  della  scala  dietro  la  parete  settentrionale 
del  triclinio.  I  due  vasi,  forse  serviti  per  usi  sacri,  sono  un'aretta  circolare  a  grosso 
piede  conico,  vuoto,  e  coppa  poco  espansa  (alt.  m.  0,105;  diam.  m.  0,125);  e  una 
anforetta  a  corpo  sferico-conico  e  largo  orlo,  alta  m.  0,15,  munita  di  due  anse  (una 
manca)  a  nastro  striato,  desinenti  in  giù  in  mascheroni  virili,  barbati,  e  strette  nel 


Fio.  3. 


mezzo  da  un  anelletto  che  vi  trattiene  una  fogliolina  con  l'apice  volto  in  su.  Appli- 
cate, e  fissate  con  la  stecca  ai  margini,  sono  le  due  maschere  al  capo  inferiore  delle 
anse,  come  applicate  sono  le  figure  (formanti  due  gruppi  uguali,  dei  quali  uno  è  solo 
in  parte  conservato)  sulle  due  facce  opposte  della  spalla  del  vaso  :  ciascuna  figurina, 
peraltro,  sta  da  sola.  I  due  gruppi  consistono  di  una  Minerva,  al  centro,  vestita  di 
lungo  chitone  senza  maniche,  elmo  in  testa,  grande  scudo  presso  le  gambe,  nell'atto 
di  adattarsi  l'egida,  e  di  due  figure  muliebri  laterali,  vestite  di  corti  chitoni  che 
lasciano  scoperte  le  estremità,  i  capelli  raccolti  in  grossi  nodi,  le  mani  levate  all'altezza 
della  fronte,  le  teste  levate  in  alto  (cfr.  le  ierodule  di  Atena  in  terracotta  di  tipo 
campano.  Minerva  è  vòlta  a  sinistra;  le  due  figure  muliebri  sono  vòlte  a  destra  (fig.  3). 
E  chiudo  la  rassegna  col  trascrivere  le  epigrafi  lette  sopra  le  anfore  di  terra- 
cotta. Nell'ambiente  all'angolo  sud-est,  di  due  anfore  rinvenutevi,  la  prima  reca  im- 
presso sul  piede,  in  lettere  rilevate,  il  bollo  KEN,  e  la  seconda  reca  sul  collo  questo 
avanzo  in  lettere  nere:  VI  RE 


POMPEI 


—  288  — 


REGIONE    I. 


Nell'ambiente  all'angolo  nord-est  si  sono  rinvenute  sette  anfore,  recanti  rispet- 
tivamente le  iscrizioni  che  qui  appresso  trascrivo,  dipinte,  granite  e  tracciate  col 
carbone: 

1)  in  lettere  nere:  FRONTO  e  col  carbone:  CV 

2)  »  »       FRONTO  »  CV 

3)  »  »        PÀISCV  »  CV 

Sopra  quest'anfora,  dall'altro  lato,  sono  alcuni  segni  tracciati  in  nero  con  pen- 
nello, che  qui  riproduco  in  fac-simile:     A^jN^^O} 

4)  in  lettere  rosse:    T    F    C    e  col  carbone  A  VI 

5)  »         »  T    F    C 

6)  T    F    C  »  AL     graffito:     ATI  A 

7)  »       nere:  T  A  V? 

M  M  Vi 

Rinvenimento  di  uno  scheletro  umano  nel  vicolo  meridionale. 

Per  dare  un  comodo  accesso  alla  casa  scavata  ad  ovest  del  criptoportico  della 
casa  n.  2,  si  è  allargato  lo  scavo  del  vicolo  meridionale  dell' isola;  e  il  movimento 


Fio.  4. 


di  terre  eseguito  ha  provocato,  a  tergo  del  più  orientale  tratto  del  muro  sud  del 
criptoportico,  il  rinvenimento  di  uno  scheletro  umano,  giacente  supino  con  la  testa  a 
nord  e  i  piedi  a  sud.  I  pochi  oggetti  che  recava  con  sé  questo  pompeiano,  che  ha 
ora  col  gesso  ripreso  l'atteggiamento  della  sua  ora  estrema  (fìg.  4).  sono  i  seguenti: 
presso  l'addome,  una  chiave  di  ferro,  due  anelletti  di  bronzo  forse  appartenuti  ad 


REGIONE    I. 


289  — 


CAVA    DEI    TIRRENI 


una  cintura  di  cuoio,  e  un  corrente  di  collana  in  pasta  vitrea,  forato  e  baccellato; 
ad  un  dito  della  mano  sinistra,  un  anello  di  ferro,  nel  cui  castone  è  una  piccola 
gemma  circolare  con  l' incisione  di  una  Vittoria 
alata  che  regge  lo  scudo,  molto  somigliante  alla 
Vittoria  delle  monete  di  Nerone. 

A  qualche  metro  di  distanza  si  è  poi  raccolta 
la  statuetta  mutila,  di  marmo  (alta  ni.  0,50),  della 
quale  diamo  la  riproduzione  (fig.  5):  rappresenta 
una  figura  virile  vestita  di  chitone  lungo  fino  alle 
ginocchia,  di  mantello  e  di  brache,  la  quale  sta 
ritta,  con  le  gambe  incrociate,  e,  appoggiando  il 
gomito  destro  sul  braccio  sinistro  ripiegato  sul 
petto,  porta  la  destra  al  mento.  Dal  berretto  frigio 
che  copre  la  testa  scendono  giù,  lateralmente,  due 
nastri  sulle  spalle  coperte  di  un  massiccio  manto 
dalle  pieghe  alquanto  trascurate.  Per  analoghi 
motivi  statuari,  cfr.  Olarac-Reinach ,  Reperì., 
pag.  505,  n.  4;  pag.  518,  n.  4;  pag.  519,  un.  4 
e  6  barbari  prigionieri. 


M.  Della  Corte. 


pio.  5- 


IX.  CAVA  DEI  TIRRENI  —  Cippo  sepolcrale  romano. 
A  seguito  degli  ordini  telegrafici  impartiti  dalla  Soprintendenza,  mi  son  recato 
in  Cava  dei  Tirreni  frazione  s.  Lucia,  e  precisamente  nella  contrada  denominata 
s.  Giorgio,  fondo  comune  ai  signori  Lamberti  e  Rispoli.  Quivi,  a  pie'  della  casa 
rurale,  fu  iniziato  il  disterro  di  una  piccola  zona,  ed  appena  a  poco  meno  di  un  metro 
dal  livello  del  piano  coltivato,  fu  scoperto  un  cippo  funerario  su  base  monolita  in 
marmo  bianco,  di  bella  grana,  ornato  da  cornice  modinata,  con  cimasa  terminale  e 
pulvinari,  misurante  m.  1,40  X  0,83  X  0,78. 

Sulla  faccia  anteriore  è  scolpita  a  caratteri  augustei    la    iscrizione  che  qui 
riproduco  : 

D  M 

Q^GARGENNIO 

BASSO 

TREBONIALF 

FLACCILLA 

CONMVGI 

-    B  M 


Sulle  facce  laterali  sono  scolpite  la  patera  ed  il  prefericolo. 


CAVA   DEI   TIRRENI  —   290   «—  REGIONE    I. 

Allo  stato  presente  del  piccolo  spazio  di  terreno  scavato,  appena  mq.  sei,  non 
essendovi  ragioni  per  doversene  impedire  il  proseguimento,  si  è  disposto  di  estrarre 
il  cippo  di  cui  riferisco,  il  quale  non  trovasi  in  sita,  ma  fra  i  materiali  di  antico 
riporto. 

G.  Scifoni. 


REGIONE   XI.  —   291    —  PAVIA 


Anno  1915  —  Fascicolo  9. 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  PAVIA  —  Scoperte  di  antichità  preromane,  romane,  cristiane  e 
medievali. 

In  data  13  giugno  1914,  il  conservatore  del  Museo  civico,  dr.  R.  Sòriga,  mi 
riferì  quanto  appresso. 

Nell'eseguire  lavori  di  scavo  per  le  fondamenta  di  una  casa  in  via  Boezio  n.  3, 
ai  primi  di  marzo  passato,  ad  una  profondità  di  circa  mezzo  metro  dal  livello  stra- 
dale, sotto  un  grosso  strato  di  materiale  di  riporto  fu  rinvenuta  una  grande  zona 
di  pavimento  a  musaico,  che  dal  proprietario,  ing.  Mario  Cozzi,  venne  generosamente 
donata  al  Museo.  Detto  pavimento,  indubbiamente  della  prima  metà  del  secolo  XII, 
faceva  parte  dell'antica  chiesa  di  S.  Invenzio  (fondata  nel  IV  secolo,  eretta  in  col- 
legiata nel  1100,  ricostruita  nel  secolo  XVI,  demolita  nel  1846),  sulla  cui  area 
trovasi  la  località  in  cui  venne  fatta  la  scoperta.  Da  quanto  rimane  del  detto  pavi- 
mento, si  può  ritenere  che  esso  facesse  parte  di  un'abside  della  chiesa  stessa  o  di 
qualche  cella  sepolcrale.  Semplice  e  rozzo  n'è  il  disegno  a  cubetti  rossi  e  neri  su 
fondo  bianco,  raffigurante  alternativamente  in  piccoli  tondi,  uccelli  e  animali  fanta- 
stici sobriamente  stilizzati. 

Quindici  giorni  dopo  questo  rinvenimento,  fu  riconosciuta  l'esistenza  di  alcune 
tombe.  Recatosi  sul  posto,  il  dott.  Sòriga  verificò  trattarsi  di  due  tombe  romane 
a  tettuccio,  che  si  trovavano  ad  una  profondità  di  un  metro  e  mezzo  dal  livello  stra- 
dale, frammezzo  ad  un  gran  numero  di  mattoni  ad  incavo,  a  pietre,  ed  a  due  fram- 
menti di  lapidi,  l'una  romana,  l'altra  cristiana.  Pochi  giorni  dopo,  venivano  conse- 
gnati al  Museo  due  altri  oggetti  rinvenuti  a  maggiore  profondità,  e  che,  a  testimonianza 
del  capomastro  degli  sterratori,  si  trovavano  entro  ad  una  tomba  a  cassetta.  Questi 
oggetti  sono:  una  rozza  lucernina  priva  d'ogni  marca  o  segno  caratteristico,  e  un  os- 

Notizw  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  39 


SPINO    D'ADDÌ,    S.    COLOMBANO      ECC.       —    292    —  REGIONE    XI 

suario  sbocconcellato,  del  diametro  di  circa  20  era.  e  dell'altezza  di  15  era.,  di  cera- 
mica affine  a  quella  delle  tombe  di  età  gallica  rinvenute  in  Pavia. 

Nel  frammento  di  lapide  romana,  in  cui  rimangono  le  lettere   degli  ultimi  tre 
versi  di  un  titolo  funebre,  leggesi  nel  penultimo  verso  il  nome  di  una  persona  appar 
tenente  alla  gente    Calpurn(ia),  e  nell'ultimo   la  prescrizione   h(oc)  m(onumentum) 
\Ji~\(eredem)  [ìi~\{on)  [s~](equetur). 

Nel  frammento  cristiano  abbiamo  il  principio  delle  ultime  quattro  righe  del 
titolo  ove  erano  indicati  gli  anni  vissuti  dal  tumulato,  il  giorno  della  sua  deposi- 
zione, il  mese  e  l'indizione. 


IL  SPINO  D'ADDA  —   Tombe  gallo-romane. 

Dissodandosi  i  terreni  boscosi  segnati  in  mappa  del  comune  di  Spino  d'Adda 
coi  numeri  331  e  333,  si  sono  rinvenute,  nel  marzo  1915,  cinque  tombe  gallo-romane. 
L'ispettore  onorario  di  Lodi,  cav.  avv.  Giovanni  Baroni,  che  me  ne  riferisce,  accorse 
sul  luogo  e  potè  constatare  che  le  sepolture  erano  orientate  da  nord  a  sud,  e  che 
dovevano  contenere  avanzi  combusti;  anzi,  presso  le  tombe  risaltavano  sul  color 
giallo-oro  della  terra  cinque  grandi  macchie  nere,  quasi  circolari,  che  contenevano  car- 
boni e  ceneri  per  una  profondità  di  7  ad  8  cm.  (residui  dei  rispettivi  roghi).  Pur- 
troppo, anche  qui  la  ignoranza  dei  contadini  e  la  illusione  di  trovare  tesori  nascosti 
fecero  sì  che  i  vasi  fittili,  di  cui  si  componevano  i  corredi  funebri,  fossero  immediata- 
mente ridotti  in  frantumi,  in  parte  raccolti  dal  cav.  Baroni,  che  potè  inoltre  salvare 
una  monetina  romana  ed  un'arma  in  ferro,  la  quale,  dallo  schizzo  mandatomi,  rico- 
nosco facilmente  per  uno  dei  coltellacci  gallici  a  dorso  arcuato  e  codolo  a  due  chio- 
delli  per  fissare  le  due  metà  del  manico  di  legno.  Questi  coltellacci  a  punta  e  taglio 
concavo  (quindi  arcuati  in  senso  inverso  alle  nostre  sciabole)  sono  comuni  nella 
Transpadana,  e  dovevano  spesso  sostituire  le  assai  più  costose  spade  «  La  Tene  » ,  ser- 
vendo da  arma  e  da  strumento  secondo  il  bisogno.  Il  nostro  esemplare  è  lungo 
cm.  40.  Il  poco  che  di  queste  tombe  si  potè  raccogliere  fu  portato  al  Museo  civico 
di  Lodi. 

* 

III.  S.  COLOMBANO  AL  LAMBRO  —  Rinvenimento  di  un'anfora- 
tomba. 

Addì  20  ottobre  1914,  eseguendosi  scavi  per  lavori  agrari  in  un  fondo  contiguo 
all'abitato  della  frazione  Campagna  nel  comune  di  S.  Colombano  al  Lambro,  di  pro- 
prietà di  certo  Zambelli  Giuseppe,  venne  in  luce  un'anfora  romana  a  corpo  cilin- 
drico molto  allungato  e  fondo  puntuto,  rotta  in  più  pezzi  sconnessi  dall'azione  delle 
radici,  e  adagiata  orizzontalmente.  Tolti  i  pezzi  della  parte  superiore,  apparve  entro 
l'anfora  lo  scheletro  mal  conservato  di  un  fanciullo,  senza  alcun  oggetto.  L'anfora- 
tomba  venne  ritirata  dal  locale  ispettore  onorario  dott.  Piorani,  che  me  ne  diede 
notizia. 


REGIONE    XI.  —    293    —     CASLINO  D'ERBA,  V1MOGNO,  ACQUATE 


IV.  CASLINO  D'ERBA  —  Tomba  gallo-romana. 

Informato  della  scoperta  di  una  tomba  in  Caslino  d'Erba,  circondario  di  Lecco, 
quel  solerte  ispettore  onorario  dott.  A.  Magni  me  ne  avvertì  in  data  15  maggio  1914. 
La  tomba  in  parola  era  stata  rinvenuta  per  caso  da  contadini,  nel  cavare  la  terra, 
ed  era  di  lastroni  grezzi,  lunga  due  metri  e  larga  oltre  il  mezzo  metro,  contenente 
cinque  scheletri  ed  oggetti.  Questi,  provvisoriamente  conservati  dal  parroco,  furono, 
nell'agosto  seguente,  ritirati  dall'ispettore,  il  quale  vi  riconobbe  :  due  piccole  brocche 
del  tipo  solito  gallo-romano;  due  ciotole  e  due  vasetti  a  bocca  ampia,  in  parte  rotti, 
il  tutto  in  terracotta;  inoltre  due  piccoli  coltelli  in  ferro,  spezzati  dalla  ruggine,  e 
quattro  braccialetti  aperti  di  bronzo,  a  nastro  piatto,  sottile,  terminante  a  rozza  testa 
di  serpe  appena  accennata  o  schematica. 


* 

V.  VIMOGNO  —  Tombe  galliche. 

In  principio  del  mese  di  dicembre  1914,  in  territorio  del  comune  di  Vimogno, 
in  Valsassina,  alla  località  Ciarello,  proprietà  dei  fratelli  Beri,  facendosi  trasporti 
di  terra  vennero  in  luce  alcuni  vasi  di  terracotta,  taluno  a  bocca  ampia,  che  si  rico- 
nobbero deposti  fra  rozze  lastre  di  pietra.  Tutto  fu  disgraziatamente  frantumato  e 
disperso  sul  luogo  dagl'ignoranti  sterratori;  ma  è  facile,  da  quanto  essi  descrissero 
d'aver  visto,  argomentare  che  si  trattava  di  tombe  con  suppellettile  funebre.  Si  può 
anche  dire  che  dovevano  essere  sepolcri  gallici,  poiché  quel  segretario  comunale, 
potè  raccogliere  un  frammento  di  bronzo  (unico  oggetto  trovatosi,  oltre  i  vasi,  al  dire 
degli  sterratori)  in  cui  il  r.  ispettore  onorario  pel  circondario  di  Lecco,  cav.  dott.  A. 
Magni,  potè  riconoscere  una  porzione  di  staffa  d'un  fibulone  gallico,  simile  a  quelli 
già  trovati  in  passato  nelle  tombe  della  valle  medesima. 


* 

VI.  ACQUATE  —   Tombe  galliche. 

Pubblica  lode  merita  il  geometra  P.  Garolini,  sovrastante  agli  sterri  per  la 
fondazione  dell'Istituto  dei  vecchi  poveri  in  Acquate  (circondario  di  Lecco).  Egli  notò 
la  comparsa  di  tre  tombe,  tra  lore  vicine,  alla  profondità  di  m.  1,50;  ne  raccolse 
diligentemente  il  materiale,  e  lo  consegnò  al  conservatore  del  Museo  civico  di  Lecco, 
rag.  cav.  Carlo  Vercelloni.  Si  hanno  frammenti  di  vasi  fittili  ed  oggetti  di  ferro: 
una  spada,  due  coltellacci  e  tre  fibule.  A  giudizio  del  Vercelloni,  persona  pratica, 
il  materiale  è  simile  a  quello  rinvenuto  in  una  tomba  di  Barzio,  pure  in  Valsas- 
sina. da  me  illustrato  in  Rivista  archeologica  di  Como,  1907,  fase.  53-55,  e  gal- 
lico senza  alcun  dubbio. 


VELATE  —    294    —  REGIONE    XI. 


VII.  VELATE  —   Tombe  romane  scavate  in    località    «  la  Rasa  « . 

Il  16  gennaio  1915,  abbattendosi  un   castagno   nel   fondo    dei   signori    fratelli 
Tonta  fu  Domenico,  in  località   «  la  Rasa  » ,  territorio  comunale  di  Velate,  nel  Vare- 
sotto, vennero  in  lece  due  tombe  antiche.  Il  cav.  uff.   Vitaliano    Tonta,    accordatosi 
coi  proprietari,  esegui  lo  scavo  di  un  sepolcreto  che  risultò  appartenere  ad  un  pago, 
la  cui  vita  si  estese  fra  il  II  ed  il  IV  secolo  dopo  Cr.  Le  tombe  scavate  furono  42, 
di  cui  31  ad  inumazione,  a  cassa  di  rozze   scaglie  di   sarizzo,   commesse   però   con 
una  certa  cura,  e  munite  di  loculo  o  ripostiglio  per  oggetti,  per  lo  più  alla  sinistra 
del  capo,  che  era  volto  ad  occidente:  questo  loculo  era  una  specie  di  cassetta  qua- 
drata aggiunta  alla  cassa  delle  solite  dimensioni,  e  sporgente   fuori  di  essa.  Le  altre 
11  tombe  erano  di  cremati.  La  suppellettile  era  non  propriamente  scarsa,  ma  povera: 
monete  di  rame,  talora  deposte  in  abbondanza  in  una  medesima  tomba  ;  scarsi  oggetti 
di  bronzo,  semplici  armille  con  capi  a  testa  di  serpe;  non  abbondanti    né    vari   gli 
oggetti  di  ferro,  in  genere  mal  conservati  ;    addirittura  raro  il  vetro,    che  in   Lom- 
bardia offre  belli  e  abbondanti  oggetti  nelle  tombe  della  buona  epoca  gallo-romana; 
comune  la  ceramica  rustica,  senza  ornati,  di  forme  per  lo  più  cilindroidi,  o  svasate 
o  schiacciate  a  ciotola,  di  rado  con  collo  e   bocchino,  al  contrario   di   quanto   suole 
avvenire  nei  buoni  tempi  gallo-romani.  Non  ostante  il  poco  valore   intrinseco,    l'in- 
sieme ha  importanza  locale  per  dimostrare  la   presenza   di   un   pago   d'età  romana, 
forse  di  contadini  che  si  accingevano  a  diboscare  i  monti  del   Varesotto,  in  corri- 
spondenza dell'attuale  Rasa  di  Velate.  Per  accordo   intervenuto   con   la   Sovrainten- 
tendenza  archeologica  della  Lombardia,  e  con  l'approvazione  del  Ministero,   la  sup- 
pellettile di  questo  sepolcreto  costituirà  in  situ  un  museo  locale,  ove  sarà  ordinata 
tomba  per  tomba  a  spese  del  benemerito  cav.  uff.  Tonta. 

Ecco  ora  l'elenco  degli  oggetti. 

Tombe  d'inumati: 

1 .  Un  frammento  di  silice  ;  frammenti  di  ferro  ;  cocci  di  vasi  e  ciotole  di  terracotta  ; 
•  50  tra  P.  B.  e  M.  B.  del  IV  secolo,  indeterminabili  per  l'ossidazione. 

2.  Nel  loculo  cocci  di  vaso. 

3.  Alcuni  chiodi  in  ferro,  un  piccolo  unguentario  di  vetro,  un  M.  B.  di  Co- 
stantino; nel  loculo  due  vasi,  altro  più  piccolo  e  una  ciotola,  il  tutto  in  terracotta. 

4.  Un  chiodo  e  una  fibbia  in  ferro;  nel  loculo  un  vaso  e  una  ciotola. 

5.  Un  coltello  in  ferro,  un  dischetto  di  pietra,  un  piccolo  vaso  ansato;  nel 
loculo  due  vasi,  un  anello  di  bronzo  ed  un  frammento  di  silice. 

6.  Due  piccole  armille  di  bronzo  a  testa  di  serpe;  nel  loculo  un  vaso,  un  fram- 
mento di  vetro  e  un  M.  B.  del  IV  secolo,  ossidatissimo. 

7.  Ferri  cilindrici  acuminati  (?),  qualche  chiodo,  altri  frammenti  indetermi- 
nabili, un  pezzetto  di  pietra  traslucida  e  5  monete  ossidatissime;  nel  loculo  una  cio- 
tola in  terracotta. 

8.  Una  brocchetta  ed  un  vaso  di  terracotta  ;  un  paio  di  cesoie  a  molla,  in  ferro. 


REGIONE    XI.  —    295    —  VELATE 


9.  Frammenti  di  ferro  acuminati  cilindrici,  un  chiodo  e  una  fìbbia-fermaglio 
(da  cinghia?). 

10.  Frammenti  di  ferro  come  sopra,  un  coltello,  alcuni  frammenti  di  lastra  di 
bronzo  e  due  pezzetti  di  silice;  nel  loculo  una  ciotola  a  bocca  stretta  (verniciata 
internamente),  una  ciotola  comune  e  un  vaso,  il  tutto  in  terracotta. 

11.  Frammenti  di  ferro,  un  chiodo,  un  coltello,  un  vaso  ed  una  ciotola  in  ter 
racotta;  nel  loculo  un   vaso  campaniforme  con    anse,    verniciato    internamente,    ed 
altro    vaso  rustico. 

12.  Frammenti  di  ferro  e  un  coltello;  nel  loculo  una  coppa  imbutiforme  e  una 
ciotola. 

13.  Un  chiodo,  un  coltello,  5  P.  B.  di  Costantino  ;  nel  loculo  una  ciotola  e  un 
vaso  verniciato. 

14.  Due  chiodi,  alcuni  frammenti  di  ferro,  un  M.  B.  di  Valente,  residui  di 
carbone  di  legna;  nel  loculo  un  vaso,  altro  mancante  della  parte  superiore,  una  cio- 
tola e  un  coltello. 

15.  Due  frammenti  di  ferro,  un  vasetto;  nel  loculo  un  vaso. 

16.  Un  anello  di  ferro,  due  chiodi,  una  branca  di  cesoie,  alcuni  incisivi 
inferiori,  un  coltello  e  2  M.  B.  indeterminabili  ;  nel  loculo  una  ciotola,  una  broc- 
chetta  con  l'ansa  rotta. 

17.  Frammenti  di  ferro,  alcuni  chiodi,  10  monete  ossidatissime,  resti  di  ossa 
delle  gambe  ;  nel  loculo  un  vaso  a  forma  di  zucca,  altro  comune,  altro  a  due  anse 
verniciato  internamente,  una  ciotola. 

18.  Un  anello  in  ferro,  un  frammento  di  ferro  a  forma  di  S,  un  coltello, 
3  M.  B.  di  Valente,  e  3  P.  B,  indeterminabili  ;  nel  loculo  una  ciotola. 

19.  Una  piccola  armilla  di  bronzo  a  testa  di  serpe,  un  chiodo,  3  P.  B.  e  2 
M.  B.  di  Valente,  una  olletta  ansata  e  una  ciotola. 

20.  Una  piccola  armilla  a  testa  di  serpe,  altra  di  lastra  di  bronzo,  alcune  per- 
line ;  nel  loculo  un  coltello,  una  ciotola,  un  vaso. 

21.  Una  ciotola  e  un  vaso. 

22.  Due  piccoli  anelli  di  bronzo,  due  armille  pure  di  bronzo  a  testa  di  serpe,  una 
fibbia  in  ferro,  un  frammento  di  silice,  5  P.  B.  ossidatissimi,  due  ciotole  e  un  vaso. 

23.  Alcuni  chiodi,  una  piccola  fiala  con  ansa,  tre  armille  di  bronzo  a  testa 
di  serpe,  4  P.  B.;  nel  loculo  un  G.  B.  indeterminabile,  un  coltello,  un  pezzetto 
di  silice  e  un  raso. 

24.  Un  anello  di  bronzo,  nn  frammento  di  coltello,  alcune  perline  e  16  monete 
(tra  le  quali,  alcune  di  Costante  I  e  di  Costante  II);  nel  loculo  due  vasi  ed  una  ciotola. 

25.  Nel  loculo  una  ciotola  e  un  vaso,  questo  verniciato  internamente. 

26.  Una  fiala  con  ansa  rotta,  alcuni  chiodi,  tre  armille  in  bronzo  a  testa 
di  serpe,  due  piccoli  anelli  in  bronzo  e  alcune  perline  ;  fuori  della  tomba  un  vaso 
e  una  ciotola. 

27.  Due  piccole  armille  in  bronzo  a  testa  di  serpe,  residui  di  ossa,  alcuni  denti, 
un  puntale  di  fodero  da  coltello,  una  fiala  in  terracotta  verniciata  (con  bocchetto 
ed  ansa  mancanti)  ed   un   vaso;   fuori  tomba,  protetta  da  una  pietra,  una  ciotola. 


VELATE  —    296    —  REGIONE    XI. 

28.  Alcuni  chiodi,  un  piccolo  anello  di  bronzo,  un  P.  B.  indeterminabile;  nel 
loculo  una  ciotola  e  un  vaso. 

29.  Un  coltello,  una  fibbia  in  ferro,  due  frammenti  di  silice,  4  P.  B.  indeter- 
minabili; fuori   tomba,  due  vasi. 

30.  Alcuni  chiodi,  frammenti   di   ferro,    una   fibbia  e  due  anelli   in    ferro,    10 
P.  B.  indeterminabili  ;  nel  loculo  un  vaso  e  una  ciotola. 

81.  Tomba  completamente  vuota. 

Tombe    a   cremazione: 

32  (1).  Un  ossuario  in  terracotta  con  resti  di  cremazione  e  carbone  di  legna, 
un  G.  B.  di  Adriano,  un  frammento  di  ferro. 

33  (2).  Un  ossuario  come  sopra. 

34  (3).  Un  ossuario,  un  piccolo  vaso  e  cocci  di  ciotola,  3  M.  B.  di  Claudio  II  Gotico 
e  di  Probo,  un  frammento  di  ferro  ossidatissimo. 

35  (l).  Un  ossuario,  cocci  di  ciotole,  3  M.  B.  di  cui  uno  riferibile  a  Probo, 
un  pugnale  di  ferro  ossidato,  altra  moneta  indecifrabile,  frammenti  di  vetro. 

36  (5).  Un  ossuario  con  pochi  resti  di  cremazione  ed  un  grosso  chiodo. 

37  (o).  Un  ossuario  con  pochissimi  resti  di  cremazione. 

38  (7).  Un  ossuario  con  coperchio,  due  ciotole  in  terracotta,  pochissimi  resti  di 
cremazione. 

39  (8).  Un  ossuario,  un  dischetto  di  pietra  ;  un  passante  di  cintura,  rotto,  in 
ferro;  una  ciotola. 

40  (9).  Ossuario  con  resti  di  cremazione. 

41  (lo).  Ossuario  e  vaso  piccolo  ;  pochissimi  resti  di  cremazione. 

42  (11).  Altro  ossuario,  pure  accompagnato  da  piccolo  vaso. 

Si  trovarono  poi  sparsi  fra  le  terre:  vari  frammenti  di  vasi  (in  più  luoghi); 
alcuni  vasi  isolati,  talora  ridotti  iu  frantumi  ;  due  volte  s'incontrò  un  vaso  accompa- 
gnato da  un  altro  minore;  una  volta  un  vaso  accompagnato  da  ciotola;  una  volta  un 
vaso  accompagnato  da  altro  minore  e  da  una  ciotola. 

Per  ora  non  sembra  che  esistano  altre  tombe  in  prossimità  di  queste;  ma  si 
ha  memoria  che  negli  anni  scorsi  s'  incontrarono,  colà  almeno  una  diecina  di  se- 
polcri, il  cui  materiale  andò  quasi  tutto  disperso  ;  e  certamente  in  precedenza  se  ne 
incontrarono  altri,  di  cui  non  si  ha  memoria.  Sicché  ritengo  giustificata  l'ubicazione 
di  un  pago  romano,  per  ora  anonimo,  alla  Rasa  di  Velate.  Si  può  in  ultimo  osservare 
che,  sebbene  la  suppellettile  di  questo  sepolcreto  sia,  come  dicevamo  in  principio, 
molto  povera,  ma  non  propriamente  scarsa  nel  suo  complesso,  tuttavia  non  si  ebbe 
nessun  oggetto  o  particolare  che  permetta  di  intravvedere  una  qualche  diffusione 
anche  parziale,  fra  quei  montanari,  delle  credenze  cristiane. 


RRCUONE  XI.  —  297  —  MILANO,  COMO 


Vili.  MILANO  —  Rinvenimento  di  anfore  in  via  S.  Barnaba. 

In  data  7  gennaio  1914  il  r.  ispettore  onorario  comm.  Pompeo  Castelfranco 
riferiva,  a  questa  Sovrintendenza  archeologica  per  la  Lombardia,  che  nel  mese  di  dicem- 
bre 1913,  praticandosi,  per  la  fognatura  della  città  di  Milano,  scavi  in  via  S.  Barnaba, 
nel  tratto  che  mette  capo  alla  via  Francesco  Sforza,  e  per  un'estensione  di  m.  49,  si 
rinvenne,  alla  profondità  di  circa  m.  4,  una  lunga  serie  di  anfore  collocate  orizzontal- 
mente nel  nudo  terreno  e  ricorrentisi  in  ti  la.  Tali  anfore  erano  vuote  e  di  varia  forma: 
e  cioè  talune  a  fondo  acuminato,  altre  tondeggianti  e  con  bottone  terminale.  Tutte 
quante  poi  presentavano  la  particolarità  di  essere  traversate,  dall'esterno  all'interno, 
ciascuna  da  sei  fori  rozzamente  praticati  col  piccone,  nella  massima  espansione  del 
fondo,  intorno  alla  punta  ed  a  circa  un  palmo  da  essa,  come  si  fosse  voluto  dare  alle 
anfore  stesse  uno  sfogo  di  scarico.  Si  è  pensato  che  tali  anfore  fossero  state  così  forate 
per  una  specie  di  drenaggio;  ad  ogni  modo,  siccome  il  fatto  riusciva  nuovo  anche  a 
chi  ha  lunghissima  pratica  del  sottosuolo  della  città,  si  è  provveduto  a  ritirare  nel 
Museo  del  castello  Sforzesco  alcune  delle  anfore  stesse  meglio  conservate,  a  testimo- 
nianza del  fatto  di  cui  qui  si  fa  memoria. 


* 


IX.  COMO  —  Porta  romana  con  torri  ottagone,  scoperta  sotto  porta 
Torre. 

Il  27  dicembre  1913  il  r.  commissario  del  comune  di  Como  dava  in  appalto 
i  lavori  per  la  costruzione  del  nuovo  palazzo  degli  studi  in  prossimità  di  porta  Torre. 
Iniziati  i  lavori  il  7  febbraio  1914,  mentre  si  scavava  per  far  luogo  ai  sotterranei  del 
costruendo  palazzo,  si  rinvenne  un  gigantesco  pezzo  di  cornicione  marmoreo  delle  cave 
di  Musso,  delle  dimensioni  di  m.  3  X  1  X  0.45,  con  ricche  sagomature  elegantemente 
intagliate,  clic  fu  portato  nel  Museo.  Seguirono  altri  avanzi,  com'esso  evidentemente 
romani,  dei  quali  il  più  notevole  è  un  piedistallo  di  statua  Di  questa  si  rinvenne 
poi  la  testa  con  frammenti  del  torso,  e  numerosi  frammenti  di  zoccoli,  cornici  e  cor- 
nicioni di  marmo,  qualche  piccolo  oggetto  e  monete  imperiali.  In  fondo  allo  scavo 
apparvero  infine  frammenti  di  una  lapide  marmorea  assai  frusta,  i  quali,  ravvicinati, 
mi  diedere  il  seguente  titolo  mutilo: 

P' PLINIO 

PATERNO 

L •  F  •  O VF 

PVSILLIENO 


COMO 


—  298  — 


REGIONE    XI. 


In  una  relazione  edita  dal  eh.  ing.  cav.  A.  Giussani,  r.  ispettore  onorario  per 
gli  scavi  e  monumenti  di  Como,  nella  Provincia  di  Como  del  1°  novembre  1914, 
e  della  quale  mi  giovo,  sono  date  pure  come  lette  sulla  stessa  lapide  alcune  lettere  o 
parole  che  io  non  potei  decifrare,  e  cioè  :  in  principio  dell'ultima  linea  (prima  della 
formula  D-D)  ETPARI;  in  principio  della  penultima,  IN.  Esse  riappariscono  in 
una  integrazione  della  nostra  epigrafe  che  un  dotto  comasco  diede  in  un  altro  giornale 
locale,  l'Ordine  del  9  ottobre  dello  stesso  anno;  la  quale  integrazione  però,  a  mio 
avviso,  non  corrisponde  esattamente  agli  spazi  lacunosi  della  lapide. 


Fia.  1.  —  Pianta  della  porta  romana. 

Devo  invece  osservare  che  questa  nuova  iscrizione  della  gens  Plinia,  trovata  in 
città,  dà  al  personaggio  di  prenome  Publio  il  cognome  di  Paterno  ;  e  però  la  epigrafe 
pubblicata  in  queste  Notizie  nell'anno  1909,  pag.  4,  sarà  ora  da  integrare  assai  più 
probabilmente  col  medesimo  cognome,  anziché  con  quello  di  Paternino  tolto  alla 
grande  base  trovata  in  riva  al  lago  di  Lecco  (C.I.L.,  V,  5216).  Non  sembra  impro- 
babile che  il  nostro  personaggio  fosse  lo  stesso  Plinio  Paterno  cui  Plinio  il  giovane 
indirizzò  alcune  lettere  che  dimostrano  grande  amicizia  (I,  21  ed  altre). 


Ma  più  importante  ancora  fu   la   successiva  scoperta   di   un   grosso  muro,  che, 
allargando  lo  scavo,  si  riconobbe  essere  parte  di  una  torre  romana  di  difesa,  laterale 


REGIONE    XI. 


—    299    — 


COMO 


ad  una  porta,  e  propriamente  a  quella  verso  Milano  ;  porta  che  è  la  venerabile  ante- 
nata della  medievale  porta  Torre.  A  spese  della  Società  archeologica  comense,  con 
sussidii  della  Sovrintendenza  dei  musei  e  scavi  e  di  quella  dei  monumenti,  si  com- 
pletò il  lavoro  spettante  al  Comune,  che  fu  difficilissimo  per  coordinare  le  esigenze 
statiche  del  nuovo  palazzo  degli  studi  con  la  conservazione  e  la  visitabilità  degli 
avanzi  architettonici  romani.  Era  già  noto  che  il  muro  meridionale  del  vecchio  pa- 
lazzo del  Liceo  sorge  sulle  fondazioni  del  muro  romano,  che  corre  parallelo  al  me- 
dievale, arretrandosi  di  m.  28,60  verso  la  città.  La  torre  ora  scoperta  sorge  esternamente 


Fio.  2.  —  Porta  romana.  Dettaglio  del  fornice  occidentale,  con  l' incastro  per  la  saracinesca. 


al  muro  romano,  ad  una  distanza  di  m.  2,40,  ed  è  collegata  al  muro  da  uno  sperone 
dello  spessore  di  m.  3,50  ;  la  torre  stessa  è  ottagonale,  con  vano  interno  di  m.  4,50, 
lati  esterni  di  metri  2,80  e  interni  di  m.  1,80,  muri  spessi  m.  1,20,  sorgenti  da 
un  piano  sottostante  di  m.  3,30  all'attuale  piano  stradale.  Di  fianco  alla  torre,  a 
ponente,  apparve  un  fornice  di  porta  con  luce  di  m.  2,50  e  spessore  di  m.  3,25. 
Le  spalle,  di  grossi  blocchi  d'arenaria  locale,  sorgevano  sopra  un  robusto  zoccolo  di 
sarizzo,  su  cui  si  elevava  un  elegante  basamento  di  marmo  di  Musso,  recingente 
non  solo  la  porta,  ma  anche  la  torre,  con  manifesta  intenzione  di  dare  solennità 
e  fasto  alla  costruzione,  oltrepassandone  di  gran  lunga  l'ufficio  pratico. 

Si  volle,  com'è  naturale,  indagare  l'altro  lato  della  porta,  per  trovare  l'altra 
torre  fiancheggiante:  e  prima  si  rinvenne  un  secondo  fornice   uguale  al  primo;  poi, 

Nonzus  Soati  1915  -  Voi.  XII.  40 


COMO  —   300   —  REOIONE    XI. 

sotto  via  Cantù,  la  seconda  torre,  pur  essa  uguale  e  simmetrica  alla  prima.  La  fronte 
complessiva  di  tutta  la  costruzione  (porta  e  torri)  è  di  ben  26  metri. 

Si  scoperse  pure  il  pavimento  originario  in  lastre  moltrasine,  con  soglie  in  sa- 
rizzo,  di  tutto  il  complesso.  Sono  ancora  visibili  le  rotaie  scavate  dai  carri,  e  restano 
quattro  degli  otto  paracarri  che  difendevano  gli  spigoli  delle  due  porte.  La  torre  di  po- 
nente era  attraversata  da  un  passaggio  per  pedoni,  pur  esso  lastricato,  mentre  quella  di 
levante  non  presenta  tale  disposizione.  Ciò  potrebbe  far  pensare  che  in  un  primo  tempo 
la  porta  non  avesse  torri,  o  non  le  avesse  sporgenti  nella  forma  ora  riconosciuta,  ma 
avesse  invece  quattro  fornici  (disposizione  nota  da  altri  esempi),  due  centrali  per 
carri  e  due  laterali  per  pedoni;  ovvero  avesse  sistemato  architettonicamente  solo 
l'attuale  centro  a  due  fornici,  mentre  lateralmente  e  senza  pretesa  architettonica  (e, 
in  tal  caso  anche,  soltanto  a  ponente)  si  apriva  un  passaggio  pedonale. 

Tale  dubbio  manifestasi  nel  rapporto  da  me  inviato  al  Ministero;  ma  volli  do- 
mandare l'avviso  dell'ing.  Giussani  ;  e  questi,  riesaminati  i  resti  della  porta,  mi  rifeti 
in  data  9  settembre  1915  che  le  osservazioni  per  rispondere  al  mio  quesito  gli  erano 
state  impedite  per  la  torre  di  sinistra  (guardando  dall'esterne  della  città)  dalla  linea 
tramviaria;  ma  nella  torre  di  destra  aveva  potuto  rilevare  che  lo  sperone  cui  si  ap- 
poggia, e  che  si  stacca  dalla  cortina,  forma  con  questa  un  tutto  organico  ;  la  torre 
invece  non  è  legata  con  lo  sperone,  ma  il  Giussani  crede  che  ciò  sia  dovuto  al  fatto 
che  essendo  la  torre  assai  più  alta  della  cortina,  gli  ingegneri  romani  la  tennero  ap- 
posta slegata,  prevedendo  che  avrebbe  fatto  un  maggior  cedimento;  aggiunge  il  Gius- 
sani,  che  egli  stesso  pratica  in  tal  modo  quando  si  tratta  di  edifici  di  differenti  al- 
tezze, in  cui  teme  il  verificarsi  di  crepe.  Quindi  la  slegatura  della  torre  non  indi- 
cherebbe che  essa  sia  anteriore  o  posteriore  alla  cortina. 

Ancor  prima  di  ricevere  tale  relazione  del  Giussani,  e  cioè  nell'agosto,  io  ero 
stato  qualche  tempo  a  Torino,  ed  avevo  ristudiato  le  torri  di  quella  cinta.  E  con- 
fermo quanto  già  asserì  il  compianto  D'Andrade  in  una  relazione  che  disgraziata- 
mente non  è  nota  come  meriterebbe,  perchè  stampata  in  volume  a  parte,  ma  di  cui 
potei  avere  una  copia  in  lettura  presso  l'Ufficio  della  Sovrintendenza  ai  monumenti  ('). 
Ivi  leggesi  a  pagina  9  :  «  Le  torri  delle  porte  e  della  cinta  di  Torino  vennero  co- 
strutte separatamente  e  prima  delle  cortine,  cioè  dei  muri  tra  le  due  torri  «.Mala 
opinione  del  D'Andrade  non  è  in  contraddizione  con  quella  del  Giussani,  poiché  il 
primo  non  intende  ne  può  intendere  che  le  torri  appartenessero  ad  altra  epoca  e  fos- 
sero state  innalzate  senza  relazione  col  piano  delle  mura,  bensì  che,  pur  essendo  esse 
preordinate  al  detto  piano,  furono  nella  faccia  esterna  finite  a  vista,  per  tenerle  sta- 
ticamente indipendenti.  E  l'esempio  di  Torino  è  tanto  più  calzante,  in  quanto  anche 
lì  le  torri  sono  poligonali,  ottagono  le  angolari,  e  a  16  lati  quelle  delle  porte. 

Per  cortesia  dell'  ispettore  Giussani  possiamo  aggiungere  la  planimetria  di  tutto 
l'insieme  della  interessantissima  scoperta,  e  una  veduta  fotografica  (figg.  1  e  2). 
La  vera  importanza  (che  è  assai  grande)   sta,  a  mio  avviso,  non  soltanto   nel  fatto 

(lj  A.  D'Andrade,  Reiasione  deWujfieio  regionale  per  la  conservazione  dei  monumenti  del 
Piemonte,  parte  I,  1883-1891. 


REGIONE    XI.  —    301    —  TALAMONA 

che  un  simile  complesso  architettonico  è  finora  unico  in  tutta  la  Lombardia  e, 
certo,  assai  ragguardevole  per  qualunque  paese;  quanto,  e  più,  negli  indizi  della 
appartenenza  di  questa  costruzione  ad  età  tutt'altro  che  tardissima  e  decadente. 
Di  assegnarla  ad  una  tal  epoca  non  vi  sarebbe  infatti  altra  ragione  se  non  quella 
di  seguire  il  preconcetto  che  di  tutta  l'arte  romana  fa  un'arte  orientale,  che  vede 
nel  palazzo  di  Diocleziano  a  Spalato  un  trasporto  diretto  e  fresco  di  motivi  orien- 
tali, e  però,  seguendo  questa  via,  le  torri  ottagone  dovrebbero  essere  arrivate  a  Como 
dopo  che  a  Spalato,  nel  IV  secolo.  Io  non  seguo  quella  esagerata  teoria,  fortemente 
intaccata  da  ricerche  recenti:  l'attacco  alle  mura,  nel  palazzo  di  Diocleziano,  è  affatto 
diverso  e  più  libero,  mentre  nella  porta  di  Como  rimane  allo  stato  di  tentativo:  la 
struttura  e  la  decorazione  non  sono  a  Como  così  tarde,  mentre  la  forma  ottagona 
meglio  si  spiega  come  un  tentativo  di  variante  della  rotonda,  richiesto  qui  dal  rive- 
stimento con  grandi  lastre  e  blocchi  marmorei,  altrove  favorito  dalla  forma  parallele- 
pipeda  degli  elementi  laterizi.  Toglie  poi  ogni  fondamento  alla  teoria  della  prove- 
nienza orientale  delle  torri  poligonalii,  per  la  via  di  Spalato  e  ai  tempi  di  Diocle- 
ziano, il  fatto  che  la  cinta  di  Torino  è  dell'età  di  Augusto. 

* 

X.  TALAMONA  —  Lama  di  bronzo. 

Stanno  per  compiersi  i  tre  lustri  da  che  risiedo  in  Lombardia,  e,  sebbene  la 
Sovrintendenza  archeologica  della  regione  mi  sia  stata  affidata  alquanto  più  tardi, 
tuttavia  m' interessavo,  anche  prima  che  ciò  divenisse  un  gradito  dovere,  di  quanto 
il  suolo  rendesse  alla  luce.  Con  tutto  ciò  non  ebbi  mai  finora  occasione  di  segnalare 
una  scoperta  d'antichità  nella  provincia  di  Sondrio.  Nel  gennaio  1914  fui  avvertito 
dall'  ing.  L.  Bnzzetti,  r.  ispettore  onorario,  che  nella  estate  precedente,  scavandosi 
per  le  fondazioni  di  una  casa  in  terreno  alluvionale  di  ciottoli  entro  l'abitato  del 
comune  di  Talamona,  il  contadino  Giacomo  Cerri  rinvenne  una  lama  di  bronzo,  che, 
pensando  potesse  esser  d'oro,  spezzò  alla  base  segandone  ripetutamente  tre  pezzi. 
Nnll'altro,  neppure  tracce  o  residui  di  sorta,  si  affermava  fossero  stati  rinvenuti  con 
la  lama,   che,    vista  da  persona  competente,  era  stata  giudicata  dell'età  del  bronzo. 

Pensando  che  si  trattasse  di  una  delle  belle  spade  di  quell'età,  mi  feci  spedire 
la  lama;  ma  con  mia  sorpresa  trovai,  nella  cassetta  inviatami,  una  stretta  lama  a 
due  tagli,  punto  affilati,  lunga  circa  46  cm.  (compresi  i  pezzi  staccati),  ma  della  lar- 
ghezza di  appena  mm.  17  nella  massima  espansione,  ricurva  in  modo  da  rassomi- 
gliare ad  una  sciabola  moderna.  Il  lavoro  è  rozzo;  e  la  base  arrotondata,  senza  codolo 
e  senza  forami  per  chiodelli,  lascia  molto  dubbiosi  intorno  alla  possibilità  di  una 
solida  immanicatura,  della  quale  non  v'è  ad  ogni  modo  alcuna  traccia.  Senza  voler 
contraddire  all'opinione,  certamente  meritevole  di  considerazione,  della  persona  che 
attribuì  l'oggetto  all'età  del  bronzo,  osservo  che  io  non  riesco  a  trovare  in  quella 
età  un  tipo  simile,  né  a  classificare  l'oggetto,  che  trovasi  depositato  nel  Museo  del 
Castello  in  Milano. 

GJ.  Patroni. 


CASTIGLIONE    DELLE    STIV1ERE 


—  302 


REGIONE   X. 


Regione  X  (VENETIA  ET  HISTRIAJ. 


XI.  CASTIGLIONE  DELLE  STIVIERE  —  Tomba  con  ricco  corredo 
di  bronzi  etruschi  e  coltellacci  gallici. 

Nel  febbraio  del  1914  venni  avvertito  che  a  Castiglione  delle  Stiviere  (prov.  di 
Mantova)  era  stata  da  molto  tempo  trovata  una  tomba  con  ricca  suppellettile,  subito  di- 
spersa dai  braccianti,  e  da  privati  acquistata  di  seconda  e  terza  mano.  Dopo  varie 
non  facili  trattative  per  riunire  la  suppellettile,  e  dopo  che  il  Ministero  ebbe  speri- 
mentata contro  il  principale  acquirente  l'azione  per  mancata  denuncia,  che  finì  con 
l'assoluzione  dell'  imputato  e  col  riconoscimento  della  piena  proprietà  di  lui  sopra  gli 

oggetti  in  suo  possesso,  la  maggior  parte  della  suppel- 
lettile, consistente  in  bronzi  e  in  un  piatto  di  terra- 
cotta, venne  acquistata  dal  Ministero  per  le  raccolte 
governative  e  depositate  in  Castello  a  Milano.  Il  signor 
Gaudenzio  Carlotti  di  Cavriana,  poi  nominato  r.  ispet- 
tore onorario,  volle  donare  due  coltellacci  in  ferro  che 
egli  aveva  salvati  e  che  completano  il  corredo  della 
tomba.  Riserbandomi  d' illustrar  questa  con  maggiore 
ampiezza  e  mediante  comparazioni,  dò  qui  le  notizie 
che  si  poterono  raccogliere  sul  rinvenimento,  e  l'elenco 
degli  oggetti. 

La  tomba  fu  trovata  nel  cavar  ghiaia,  presso  Ca- 
stiglione e  su  la  strada  per  Lonato,  in  un  campo  dietro 
il  cimitero.  Consisteva  in  una  fossa  praticata  entro  la 
ghiaia  e  guarnita  di  pietre  a  secco,  in  forma  di  baule 
(per  servirmi  delle  espressioni  da  me  udite),  della  lun- 
ghezza di  circa  m.  2  e  ad  una  profondità  quasi  eguale; 
nel  fondo  della  fossa  era  adagiato  uno  scheletro,  col 
seguente  corredo: 

Candelabro  di  bronzo  con  piede  a  triplice  zampa, 
ornato  da  tre  uccelli,  di  cui  uno  manca,  e  sormontato 
da  una  statuetta  di  giovane  ignudo  reggente  un  altro 
uccello;  attualmente  è  separato  in  tre  pezzi,  ma  nella 
ricomposizione  provvisoria  per  la  fotografia  il  pezzo  pas- 
sante a  imbuto  con  arpioncelli  fu  collocato  a  rovescio 
(fig.  1).  Alt.  complessiva,  circa  cm.  67; 

Brocca  di  bronzo  con  manico  attualmente  stac- 
cato e  suo  coperchio.  Alt.  cm.  18  circa;  diam.  alla 
bocca  cm.  9,5; 

Padella  o  casseruola  di   bronzo,  con  manico  rotto   in  due   pezzi.   Alt.  cm.  7 
circa;  diam.  cm.  22;  lungh.  del  manico  cm.  11  ; 


Fig.  1. 
Candelabro  etrusco  in  bronzo. 


REGIONE    X.  —    303    —  SESTO    CREMONESE 


Gruppo  di  altre  quattro  padelle  di  bronzo,  senza  manico,  più  o  meno  fram- 
mentate. Diam.  della  maggiore  e  meglio  conservata  cm  32  5  ;  della  minore,  mancante 
di  parte  dell'orlo,  cm.  30,5  ; 

Oggetto  sferoide,  schiacciato,  di  lastra  di  bronzo,  composto  di  due  metà  che 
s'incastrano,  una  delle  quali  reca  un  foro  mediano.  Alt.  circa  cm.  9;  diam.  circa 
cm.  21;  diam.  del  foro  circa  cm.  7; 

Piede  di  vaso  in  lastra  di  bronzo  sagomato,  mancante  di  parte  dell'  orlo. 
Diam.  circa  cm.  20;  alt.  circa  cm.  8; 

Oggetto  composto  di  due  lastre  di  bronzo,  sbalzate,  che  s' incastrano,  in 
forma  di  corpo  d'uccello.  Lungh.  mass,  circa  cm.  18;  alt.  mass,  circa  cm.  13; 

Vari  altri  frammenti,  alcuni  dei  quali  lavorati  a  sbalzo  in  forma  di  ali,  ed 
altri  con  vari  ornati  ; 

Tre  frammenti  di  collo  (?)  di  vasi  di  lastra  di  bronzo.  Diam.  del  maggiore 
cm.  8  ;  del  minore  cm.  4,5  ; 

Placchetta  di  lastra  di  bronzo  ornamentale  (applique),  con  borchia  a  sbalzo. 
Diam.  cm.  7  ; 

Scodella  di  terracotta,  lavorata  al  tornio,  in  tre  pezzi.  Alt.  circa  cm.  7; 
diam.  cm.  20; 

Due  coltellacci  in  ferro,  dei  quali  uno  lungo  cm.  50,5,  e  largo,  alla  massima 
espansione,  cm.  5  ;  l'altro  lungo  cm.  44  e  largo  alla  base  cm.  4.  Ambedue  sono  della 
forma  descritta  a  proposito  della  scoperta  di  Spino  d'Adda  (pag.  292). 

La  nostra  tomba  ha  aspetto  d'esser  quella  d'un  capo  gallico  ricca  di  suppellet- 
tile etnisca,  come  quelle  di  Montefortino,  la  cui  necropoli  è  vivamente  richiamata 
dall'  insieme  dei  nostri  oggetti,  addirittura  eccezionali  fino  ad  oggi  per  la  Lombardia, 
Non  v'  ha  dubbio  che,  sebbene  il  territorio  di  Castiglione  faccia  parte  di  quelli  che 
furono  poi  incorporati  nella  decima  regione  italica  (  Venetia  et  flistria),  tuttavia,  per 
l'età  preromana,  noi  ci  troviamo  pur  sempre  in  territorio  dei  Cenomani.  La  fattura 
del  candelabro  è  etnisca,  e,  a  mio  parere,  abbastanza  antica:  il  tipo  è  infatti  ante- 
riore a  quello  dei  candelabri,  anch'essi  etruschi,  trovati  nel  sepolcreto  gallico  di  Mon- 
tefortino, illustrato  dal  Brizio.  Agli  Etruschi  deve  infatti  riferirsi,  secondo  l'avviso 
del  Brizio  che  a  me  pare  da  seguire,  la  massima  parte  degli  oggetti  di  bronzo  ado- 
perati da  genti  galliche  e  loro  vicine.  Il  tipo  delle  padelle  con  lungo  manico  fu  pure 
riscontrato  entro  tombe  galliche  dell'  Italia  e  dell'estero.  Per  i  coltellacci  rimando 
•  alla  mia  comunicazione  della  scoperta  di  Spino  d'Adda;  essi  sono,  per  me,  senza  dubbio 
gallici,  almeno  qui  in  Lombardia,  e  del  medesimo  ferro  delle  spade  La  Tene,  a  cui 
si  associano.  Non  saprei  fino  a  che  punto  sia  plausibile  l' ipotesi,  che  pur  si  pre- 
senta: clie  cioè  l'oggetto  a  corpo  d'uccello  e  le  ali  facessero  parte  d'una  insegna. 


XII.  SESTO  CREMONESE  —  Suppellettile  gallica. 

Il  r.  ispettore  onorario  cav.  dr.  Giacomo  Locatelli  ebbe  a  comunicarmi,  in  data 
15  aprile  1915,  che  a  Sesto  Cremonese,  in  campo  appartenente  al  sign.  Pezzini,  furono 
trovati,  tempo  fa  alcuni  oggetti  che  vennero  acquistati  dal  Museo  civico  di  Cremona. 


POZZOLENGO  —    304   —  REGIONE    X. 

Quanto  mi  si  comunicava  era  sufficiente  a  definire  in  maniera  generale  il  ca- 
rattere e  l'età  degli  oggetti,  che  probabilmente  dovevano  costituire  il  corredo  di  una  o 
più  tombe  galliche.  Ma,  avendo  poi  visitati  gli  oggetti  rinvenuti  a  Sesto,  posso  darne 
la   seguente    descrizione: 

a)  bellissimi  bronzi  di  patina  detta   «  d'acqua  »   (grigio-azzurra,  lucida): 

I  e  2.  Coppia  di  armille  a  semiovoli,  i  minori  pieni,  i  maggiori  vuoti  ;  attual- 
mente ciascuna  in  due  pezzi  staccati,  di  cui  un  tempo  il  minore  si  apriva  a  cerniera 
per  introdurre  più  comodamente  il  braccio. 

3.  Armilla  a  cerchio,  vuota  internamente. 

4.  Coppia  di  armille  con  estremità  modellate  a  zampa  di  cavallo,  di  bronzo  pieno. 

5.  Armilla  di  filo  a  spirale  semplice;  vi  è  infilzato  un  anellino  pure  di  bronzo. 
6  e  7.  Ghiera  frammentata  ad  asticella  (avanzo  di  ardiglione  o  di  spillone)  pure 

frammentata. 

b)  argento: 

8.  Un  torque  a  doppio  filo  ritorto,  rotto  in  due  pezzi. 
e)  ferro  : 

9  a  12.  Tre  lame  di  spade,  di  cui  una  con  la  punta  ripiegata,  la  meglio  con- 
servata lunga  attualmente  cm.  70;  altra  molto  frammentaria. 

13  e  14.  Due  cuspidi  di  giavellotto. 

15  e  16.  Due  morsi  equini,  uno  privo  dei  montanti,  l'altro,  assai  ossidato,  forse 
conservante  un  montante  entro  la  massa  rugginosa. 
d)  ceramica: 

17  e  18.  Una  ciotoletta  rustica  e  un  gruppo  di  frammenti  simili. 

Caratteristico  è  il  braccialetto  ad  ovoli  (o,  meglio,  a  semiovoli),  tipo  che  prende 
uno  sviluppo  considerevole  soprattutto  in  Boemia,  e  che,  secondo  il  compianto  Deche- 
lette,  si  classifica  in  massima  a  La  Tene  li.  Certamente  per  errore  questo  autore  ha 
dimenticato  affatto  l'Italia  fra  i  paesi  ove  questo  tipo  è  rappresentato  {Manuel,  II,  3, 
pag.  1223),  mentre  non  solo  esso  vi  apparisce,  tanto  in  Transpadana  quanto  in  Cispa- 
dana (ved.  p.  es.  Montelius,  Ciò.  prim.  I,  tav.  112,  n.  14,  da  Marzabotto),  ma  vi 
ha  discreto  sviluppo.  Gli  altri  oggetti,  e  specialmente  le  spade  (per  quanto  si  può 
giudicare  dalle  sole  lame  mal  conservate)  non  contraddicono  alla  indicazione  strati- 
grafica data  dalle  armille. 

* 

XIII.  POZZOLENGO  —  Suppellettile  tombale  romana. 

II  sign.  Gaudenzio  Callotti  di  Cavriana,  ora  r.  ispettore  onorario  pel  circondario 
di  Castiglione  delle  Stiviere  (Mantova),  e  già  da  parecchio  tempo  noto  come  raccoglitore 
di  cimelii  della  battaglia  di  S.  Martino,  mi  comunicò  essere  a  sua  notizia  che  nel  co- 
mune di  Pozzolengo  (Brescia),  presso  la  trattoria  del  Garofano,  è  venuta  in  luce  in 
questi  ultimi  mesi  un'urna  cineraria  romana  di  marmo  bianco,  senza  ornati  e  di 
forma  comune.  A  distanza  di  due  metri  e  più  (quindi,  secondo  ogni  probabilità,  in 
relazione  con  tomba  o  tombe  diverse),  si  rinvennero  due  lucerne  e  due  monetine  cor- 
rose. Di  questa  tomba  o  tombe  non  fu  visto  cinerario;  e  certo  poteva  anche  trattarsi 
di  deposizioni  nella  nuda  terra,  con  perdita  dei  resti  scheletrici. 

G.  Patroni. 


SARDINIA  —   305   —  ViLLANOVA   TRUSCHEDDU 


SARDINIA. 

XIV.  VILLANOVA  TRUSCHEDDU  (prov.  di  Cagliari)  —  //  nuraghe 
di  Santa  Barbara  donato  allo  Stato. 

È  grato  compito  della  Soprintendenza  degli  scavi  della  Sardegna  di  illustrare 
brevemente  il  nuraghe  di  Santa  Barbara,  in  Comune  di  Villanova  Truscbeddu,  che 
per  generoso  dono  del  cav.  uff.  Antonio  Oppo  Palmas  è  di  recente  venuto  in  possesso 
dello  Stato. 

I  lavori  di  sgombero  all'esterno  e  gli  scavi  condotti  entro  l'edificio,  per  cura 
del  benemerito  sig.  Oppo  Palmas  e  con  un  sussidio  del  Ministero  dell'Istruzione, 
hanno  permesso  di  farci  una  chiara  idea  del  grandioso  edificio  nuragico,  del  quale 
l'egregio  sig.  Azeglio  Berretti,  disegnatore  del  Museo  nazionale  romano,  ha  preparato 
gli  uniti  rilievi,  che  rendono  più  efficace  la  presente  relazione  (fig.  1). 

L'attenzione  degli  studiosi  era  già  stata  richiamata  sul  nuraghe  di  S.  Barbara 
da  un  breve  rapporto  da  me  edito  nelle  Notizie  degli  Scavi  del  1903,  pp.  493  e  seg., 
e  corredato  da  uno  schizzo  di  pianta  dovuto  al  sig.  Filippo  Nissardi.  Gli  sterri  eseguiti 
in  seguito  non  hanno  fatto  che  confermare  l' interesse  di  quel  monumento  megalitico. 

II  nuraghe  sorge  sopra  un  leggiero  rialzo  di  terreno,  a  poca  distanza  da  Villa- 
nova  Trnscheddu,  a  destra  della  valle  del  Tirso,  e  precisamente  allo  sbocco  di  una 
valletta  che  dall'alto  dell'altipiano  di  Paulilatino  degrada  lentamente  verso  la  detta 
valle.  Esso  nuraghe  fa  parte  di  una  serie  di  costruzioni  nuragiche,  disposte  in  vista 
l'una  dell'altra  e  situate  a  non  grande  distanza  fra  loro,  le  quali  hanno  lo  scopo 
evidente  di  sorvegliare  tutta  la  predetta  valletta  di  Villanova  e  di  impedire  l'accesso, 
lungo  il  suo  corso,  all'alto  del  vasto  e  fertile  altipiano  di  Paulilatino  di  Abbasanta. 

Fra  i  vari  edifici  di  questo  sistema,  il  nuraghe  di  S.  Barbara,  collocato  quasi 
allo  sbocco  della  valletta  in  quella,  assai  più  ampia,  del  Tirso,  sopra  un'  altura  che 
domina  così  la  valle  confluente  come  un  tratto  delle  due  sponde  della  valle  maggiore, 
compie  la  funzione  di  chiave  e  di  guardia  della  valle,  come  dimostrano  anche  il 
carattere  ed  il  tipo  dell'edificio. 

Questo  nuraghe  appartiene  ad  un  tipo  di  nuraghi  complessi  ;  risulta  cioè  di  una 
torre  T  (fig.  1,  3),  rinforzata  alla  fronte  da  un  recinto  R,  munito  di  una  torre  difen- 
siva T'  (fig.  1,  3,  4).  È  questo  un  tipo  abbastanza  frequente,  di  cui  abbiamo  già  dati 
due  esempì,  editi  nei  Monumenti  dei  Lincei,  di  Lugherras,  presso  Paulilatino  e  di 
Palma  vera,  presso  Alghero  ('). 

È  evidente  lo  sviluppo  successivo  dell'edificio.  Si  ebbe  dapprima  la  torre  co- 
nica T,  poi  il  recinto  con  la  sua  torre  difensiva  T',  che  venne  applicato  alla  torre  pri- 

(')  Monumenti  antichi  dei  Lincei,  anno  1909,  voi.  XIX,  Palmavera;  anno  1910,  voi.  XX, 
Lugherras.  Anche  taluni  dei  nuraghi  dell'altipiano  della  Giara  di  Gesturi  presentavano  lo  stesso 
tipo,  ma  essi  furono  rilevati,  ma  non  scavati,  come  i  due  qui  accennati.  (Cfr.  Taramelli-Nissardi 
in  Monumenti.  Anno  XVIII,  fig.  6,  7,  11,  26). 


VILLANOVA    TRUSCHEDDD 


306 


SARDINIA 


mitiva  in  tempo  molto  posteriore  alla  costruzione  della  più  antica  parte  dell'edificio; 
questo  intervallo  di   tempo  fra  le  due   costruzioni  è  provato  da   uno   strato  archeo- 


W^rr:-7  , 


Fio.  1.  —  Nuraghe  di  Santa  Barbara,  presso  Villanova  Truscheddu  (ril.  A.  Berretti). 
Leggende    della    figura    I. 

In  alto,  Sezione  del  Nuraghe  di  Santa  Barbara,  lungo  la  linea  A-B. 
In  basso,  Pianta  del  Nuraghe  al  piano  terreno: 
T  Torre  primitiva.  —  a  Celletta  di  guardia  dell'ingresso.  —  b,  e  Cellette  laterali  della  cella 
maggiore.  —  d  Sedile  presso  al  focolare.  —  e  Focolare.  —  R  Recinto  aggiunto  di  fronte  al  Nu- 
raghe. —  /Porta  d'ingresso  al  recinto.  —  g  Celletta  di  guardia  alla  porta.  —  h  h  Feritoie 
del  recinto.  —  t  Porta  d' accesso  dal  recinto  alla  torre  7".  —  7"  Torre  aggiunta  a  difesa  del 
recinto.  —  l,  m  Cellette  laterali  o  nicchie  della  torre  7".  —  n,  n  Feritoie  della  torre  7".  — 
o  Resti  del  focolare  della  torre  7".  —  p,  q  Resti  di  costruzioni  di  età  romana  entro  al 
recinto  R. 


logico  di  notevole  spessore,    ricco  di  avanzi   di   pasto   e   di  frammenti  di  ceramica, 
sottostante  al  livello  della  soglia  della  porta  di  accesso  alla  torre  aggiunta. 

Tutto  attorno  al  maggior  nucleo  nuragico  esisteva  un  villaggio  nuragico.  Fra  i 
cumuli  di  pietre  ed  i  rovi  si  poterono  segnalare  i  resti  di  capanne  rotonde,  di  tipo 


SARDINIA 


—    307    — 


VILT.ANOVA   TRUSCHKDDtJ 


nuragico,  costrutte  però  con  materiale  più  piccolo,  con  la  parte  di  fondazione  in  muro, 
mentre  la  copertura  doveva  essere,  come  le  moderne  capanne  di  pastori,  in  frascame. 


Fio.  2.    —   Nuraghe    Santa    Barbara   (ril.  A.  Berretti). 

Leggende    della    figura  2. 

a  Spioncino  corrispondente  al  corridoio  che  dalla  porta  d' ingresso  conduce  alla  cella  centrale.  — 
b  Corridoio  che  dalla  camera  sbocca  al  disopra  della  scala  e.  —  e  Scala  che  dal  corridoio 
dopo  l'ingresso  saliva  alla  sommità  del  Nuraghe.  —  d  Scala  che  scende  alla  camera  situata 
sopra  il  corridoio. 


La  torre  principale  T,  a  tronco  di  cono,  è  una  costruzione  abbastanza  regolare, 
in  blocchi  di  compatta  lava  basaltica  o  di  trachite,  non  lavorati,  ma  disposti  a  filari 
regolari  molto  accuratamente,  in  modo  da  formare  le  pareti  gradatamente  coniche  e 
poderose  e  di  una  grande  continuità  (fìg.  4). 

Questo  torrione  aveva  in  origine  due  piani  ;  ma  ora  conserva  il  solo  piano  infe- 
riore, quasi  completo  sino  alla  serraglia  della  volta. 

Notizie  Soavi  1915  —  Voi.  XIL  41 


VILLANOVA    TROSCHEDDU 


—  308  — 


SARDINIA 


L' ingresso  alla  torre  si  apre  verso  levante  (fig.  1,)  ;  è  ampio,  alto  circa  due 
metri  e  sormontato  da  un  poderoso  architrave  con  la  finestrella  di  scarico  e  di 
luce;  inette  al  corridoio,  o  andito  della  cella,  che  nella  parete  a  destra  di  chi  entra 
presenta  la  consueta  nicchia  (fig.  1,  a)  per  la  guardia  e  nella  parete  sinistra  l'aper- 
tura per  la  scala.  Nella  volta  dell'andito,  formata  dall'aggetto  graduale  dei  corsi  delle 
pareti,  noi  ravvisiamo   una   specie  di  spia,   o   caditoia,   che   si   apre  nel    pavimento 


Fio.  3.  —  La  torre  principale  T,  veduta  da  Est. 


della   cameretta    praticata   al    di  sopra  del   corridoio  di   accesso  alla  cella    prin- 
cipale. (Vedi  la  sezione  a  fig.  1,  in  alto,  e  fig.  2  a). 

Questa  cella  principale,  che  ha  un  diametro  di  m.  7  circa,  conserva  la  volta  a 
cupola,  abbastanza  regolare  e  pressoché  completa,  e  due  nicchie  ai  due  lati  (fig.  1,  b,  e); 
si  presentò  al  fondo  della  cella,  sopra  al  fondo  roccioso  che  ne  costituisce  il  pavi- 
mento, un  focolare  (fig.  1,  e),  formato  da  un  circolo  di  grosse  pietre,  disposte  rego- 
larmente, accanto  al  quale  era  un  sedile  (fig.  1,  d),  pure  di  varie  pietre.  Questo 
focolare,  con  molte  ceneri  e  carboni  ed  avanzi  di  ossa  di  mammiferi  e  di  ceramica, 
richiama  un  fatto  analogo  riscontrato  nella  cella  principale  del  nuraghe  Palmavera,  ed 
è  un  argomento  di  importante  valore  per  la  determinazione  dell'uso  dell'edificio 
nuragico. 


SARDINIA 


—  309  — 


VILLANOVA    TRDSCHEDDU 


La  scala  che  sale  al  piano  superiore  muove  dal  lato  sinistro  del  corridoio  e  si 
svolge,  seguendo  la  curva  della  torre,  entro  allo  spessore  della  muratura  megalitica 
(fig.  2  e). 

In  seguito  ai  lavori  di  scavo,  si  seguì  questa  scala  sino  al  suo  sbocco  sull'alto, 
al  livello  dell'estradosso  della  volta  che  chiudeva  la  cella  principale.  A  questo  livello 
la  torre  ora  mozza:  cosicché  rimane  incerto  se  qui  si  avesse  una  terrazza  pianeggiante, 
oppure  un  altro  piano  con  cameretta  a  volta,  sull'asse  della  camera  del  primo  piano. 


Fio.  4.  —  Le  due  torri  T  e   7"  cui  recinto  R,  vedute  da  mezzogiorno. 


I  lavori  di  scavo  misero  in  evidenza  un'altra  piccola  scaletta  (fig.  2  d),  la  quale 
dall'alto  del  piano  superiore,  o  terrazza  che  fosse,  scendeva,  in  direzione  opposta  a 
quella  della  scala  principale,  stretta  e  ripida,  ad  una  piccola  celletta,  a  pianta  elit- 
tica  e  volta  ad  aggetto,  chiaramente  visibile  nella  sezione  a  fig.  1  in  alto.  Questa 
cella  era  praticata  nello  spessore  della  robusta  muratura  del  nuraghe;  sopra  al  cor- 
ridoio di  accesso  alla  camera  principale  e  nel  pavimento  di  essa,  che  formava  appunto 
il  soffitto  dell'andito,  era  praticato  un  foro  il  quale  doveva  servire  come  spia  e  come 
piombatoia  per  osservare  e  per  colpire  dall'alto  chi  fosse  entrato  oltre  alla  soglia 
della  porta  della  torre  nuragica  (fig.  2  a).  Tale  disposizione  difensiva,  che  ha  no- 
tevole importanza  come  elemento  atto  a  chiarire  lo  scopo  della  costruzione  nuragica, 
fu  già  osservata  in  altri  nuraghi,  come  nel  nuraghe  Mannu,  da  me  esaminato  nella 
Tanca  Grixoni  Tola,  presso  Ozieri  ;  ma  doveva  essere  abbastanza  frequente  nei  nuraghi, 
il  che  spiega  la  frequenza  delle  cellette,  generalmente  di  modeste  proporzioni,  che 
sono  praticate  nell'  interno  della  compagine  del  muro,  al  di  sopra  dell'andito  di  in- 
gresso alla  camera  principale. 


VILLANOVA    TRDSCHEDDD 


—   310   — 


SARDINIA 


Ricordo  di  aver  osservalo  recentemente  tali  esempì  nel  nuraghe  Bonóra,  presso 
Bulzi,  ed  a  poca  distanza  da  questo,  nel  nuraghe  di  S.  Giorgio,  che  domina  la  rupe 
trachitica  di  fronte  alla  chiesa  medioevale  di  quel  nome,  presso  a  Perfugas.  Ma  nel 
nuraghe  di  S.  Barbara,  grazie  al  lavoro  di  scavo,  è  più  evidente  ed  istruttivo  che  non 


Fig.  5.  —  La  porta  d'ingresso  al  recinto  R,  veduta  dall'esterno. 


in  tutti  gli  altri  casi  questo  provvedimento  difensivo,  che  precede  la  piombatoia  dei 
monumenti  medioevali. 

Come  si  vede  dalla  nitida  sezione  dovuta  al  sign.  Berretti,  dalla  colletta  sopra 
l'andito  la  scala  continua  sino  a  raggiungere  la  scala  principale;  in  modo  che  il 
difensore  aveva  a  disposizione  un'altra  via  di  scampo,  quando  fosse  stato  sorpreso  o 
sopraffatto  dall'assalitore  (fig.  1,  in  alto). 


SARDINIA 


—    311    — 


VILLANOVA    TROSCHEDDD 


La  parte  aggiunta,  e  che  comprende  il  muro  del  recinto  R  e  la  torre  T"  che 
fronteggia  la  torre  principale,  fu  fatta  di  getto  e  si  vede  chiaramente  dove  la  cor- 
tina del  recinto  si  appoggia  ai  fianchi  della  torre  primitiva.  Questa  costruzione  se- 
condaria, fatta  allo  scopo  di  rendere  più  forte  la  torre  nuragica  e  di  aumentare  lo 


Fig.  6.  —  Porta  d'ingresso  alla  torre  aggiunta  7". 


spazio  interno  difeso,  pur  essendo  costrutta  in  grandi  blocchi  di  lava,  è  alquanto 
meno  regolare  che  non  la  costruzione  della  torre  più  grande,  in  modo  da  rivelare  una 
minore  accuratezza  di  lavoro  o  anche  una  maggior  fretta,  imposta  dal  bisogno  di 
una  difesa  urgente.  Tale  fatto  venne  osservato  in  altri  nuraghi  complessi,  specie 
nel  nuraghe  Lugherras,  di  Paulilatino,  ed  in  altri  della  Giara  di  Gesturi. 


VILLANOVA    TRUSCHEDDU  • -- —    312    —  SARDINIA 

Come  ho  accennato  più  sopra,  tale  costruzione  secondaria,  ma  pur  sempre  antica, 
tenne  dietro  all'epoca  del  primo  impianto  della  toure  Duragica  con  un  intervallo  di 
tempo  non  indifferente,  tanto  che  si  iormò  uno  strato  di  rifiuti  archeologici  alto  quasi 
un  metro  e  che  si  trovò  presso. eh»  in  tutto  il  piano,  del  recinto  interno,  al  di  sotto 
del  livello  rappresentato  dalla  soglia  della  torre  aggiunta. 

Attraverso  alla  cortina,  alta  ancora  oltre  a  3  metri,  di  questo  recinto,  sul  lato 
meridie  naie  si  trovò  la  porta  di  accesso  al  recinto  stesso  (fig.  5,  cfr.  fig.  1  /'),  munita  di 
poderoso  architrave,  alta  circa  m.  2,  e  custodita  da  una  nicchia  di  guardia,  molto 
profonda  (fig.  5,  cfr.  fig.  \g).  Il  recinto  racchiuso  da  questa  cortina  è  ampio  m.  10; 
presenta  dunque  uno  spazio  abbastanza  sufficiente  per  raccogliere  derrate  e  forse  anche 
bestiame  in  momento  di  pencolo;  nel  muro  della  cortina,  di  fronte  alla  porta  e 
proprio  accanto  al  punto  di  attacco  alla  parete  della  torre  nuragica,  si  notarono  due 
ampie  feritoie  (fig.  3,  cfr.  fig.  1,  h.  h)  che  però  si  restringono  alla  bocca  e  che  per- 
mettono di  sorvegliare  sia  il  fronte  del  recinto  sia  il  fianco  della  torre  nuragica 
principale. 

Interessante  è  anche  la  torre  agginnta  frontale  T',  a  cui  si  accede  unicamente 
dall'interno  del  recinto,  con  porta  ampia  ed  alta,  (fig.  1,  i),  non  munita  di  nicchie 
di  guardia  (rìg.  6).  Anche  questa  torre  ha  una  cella  coperta  di  volta,  formata  dal- 
l'aggetto dei  corsi,  quasi  per  intiero  conservata,  ed  è  munita  tutto  all'  ingiro  da  sei 
grandi  feritoie  (rìg.  1,  «),  strette  ed  allungate  e  capaci  di  accogliere  ciascuna  un  difen- 
sore. A  questo  esempio  si  possono  mettere  accanto  quelli  già  illustrati  del  nuraghe 
Losa,  presso  Abbasanta,  e  del  nuraghe  presso  il  tempio  di  S.  Vittoria,  di  Serri,  i 
quali  tutti  mettono  in  luce  il  carattere  di  vigilauza  e  di  difesa  dell' edificio  nuragico. 

Anche  nell'interno  di  questa  torre  miuore,  la  quale  tra  le  feritoie  presentava 
due  nicchie  incavate  nel  muro  (fig.  1,1,  m),  si  ebbe  un  circolo  di  pietre  abbastanza 
regolarmente  disposte  (fig.  1,  o),  che  aveva  carattere  di  focolare,  come  quello  rin- 
venuto nella  cella  maggiore. 

La  suppellettile,  che  fu  acquistata  nello  scavo  delle  torri  e  del  recinto,  appar- 
tiene al  consueto  modesto  ma  eloquente  bottino  degli  strati  nuragici.  Alla  massa  di 
ceneri  e  di  carboni  (più  abbondante  attorno  ai  due  focolari,  ma  sparsa  però  in  tutto 
lo  strato),  alle  ossa  di  animali  domestici,  andavano  uniti  i  frammenti  e  specialmente 
le  anse  di  rozzi  vasi,  di  impasto  grossolano,  per  lo  più  di  olle,  di  tegami,  di  grossi 
ziri  di  forme  già  note  in  tutti  gli  strati  nuragici.  Si  ebbe  qualche  frammento  di 
oggetti  di  bronzo,  varie  teste  di  mazza  e  pestelli  in  pietra,  schegge  di  selce  e  di 
ossidiana  e  soprattutto  molta  cenere,  indizio  di  focolari  accesi  per  lungo  lasso  di 
tempo,  sia  nelle  due  celle  nuragiche,  sia  nel  recinto. 

Prove  di  vita  lungamente  vissuta  in  edificio  fortificato  vennero  adunque  raccolte 
anche  in  questo  nuraghe  di  S.  Barbara.  Ma  gli  scavi  dettero  anche  la  prova  di  un 
altro  fatto,  cioè  della  persistenza  della  vita  entro  al  nuraghe  durante  l'età  romana. 
Come  è  evidente  dai  disegni  che  qui  presento  (tig.  1  p,  q),  lo  spazio  del  recinto 
venne  per  metà  occupato  dalle  mura  di  una  casetta  p ,  costrutta  in  pietre  di  piccole 
dimensioni,  legate  con  molta  argilla,  con  pavimento  di  terra  battuta,  munita  di  una 
porta  eh*  comunicava  con  l'altra  parte  del  recinto,  q. 


SARDINIA  —    313   —  VILLANOVA    TRUSCHKDDD 

Anche  le  pareti  del  recinto  erano  rabberciate  da  lavori  di  fasciatura,  sempre 
in  piccole  pietre,  con  i  quali  si  erano  ristrette  anche  le  feritoie  del  recinto,  sempre 
a  scopo  di  rendere  abitabile  e  riparata  questa  casupola  di  età  romana,  praticata 
entro  al  recinto. 

A  questo  periodo  secondario  della  vita  entro  al  nuraghe  appartengono  una  serie  di 
frammenti  di  ceramica  romana  ed  alcune  piccole  monete  in  bronzo  che  attestano  che 
la  vita  si  protrasse  fino  a  tarda  epoca  dell'  Impero  romano.  A  questa  dimora  romana 
si  riferiscono  anche  numerose  tombe,  che  in  vari  periodi  furono  rinvenute  tutto  attorno 
al  nuraghe:  tombe  modeste,  come  fu  umile  la  vita  di  questi  tardi  abitatori  delle 
gigantesche  moli  degli  avi. 

Probabilmente,  anche  nella  prima  parte  del  recinto  R,  verso  la  porta,  segnata 
in  pianta  con  la  lettera  q,  sorse  in  età  romana  una  dimora;  ma  le  tracce  erano  meno 
evidenti  che  non  in  p,  come  pure  non  mancarono  entro  le  due  torri  nuragiche  T  e 
T\  che  in  tutti  i  tempi  servirono  di  rifugio  a  genti  della  campagna. 

Per  felice  concorso  di  favorevoli  circostanze  si  potè  così  conoscere  la  struttura  e 
lo  vicende  di  un  notevole  edificio  protosardo  ;  e  mi  è  caro  di  esprimere  la  gratitudine 
degli  studiosi  per  un  atto  così  nobile  dell'egregio  cav.  uff.  Antonio  Oppo-Palmas,  che 
ha  così  bene  meritato  e  degli  studi  archeologici  e  del  suo  paese.  Dato  il  grande 
numero  di  monumenti  nuragici  esistenti  nel  suolo  sardo,  soltanto  con  l'interessamento 
e  la  buona  volontà  dei  privati  sarà  dato  di  moltiplicare  le  indagini,  e  sarà  possibile 
così  di  raccogliere  più  numerosi  dati  per  lo  studio  della  primitiva  vita  dei  Sardi. 

A.  Tarameli.!'. 


REiilONK    XI. 


—   315   —  SILLAVKN«0 


Anno  1915  —  Fascicolo  IO. 


Regione  XI   (TRANSPADANA). 

I.  SILLAVENGO  —  Oggetti  di  suppellettile  funebre  appartenenti  a 
tombe  di  età  romana,  rinvenuti  nel  territorio  del  comune. 

Sono  stati  recentemente  raccolti  nel  K.  Museo  di  antichità  di  Torino  una  cas- 
seruola di  bronzo  (diam.  cm.  11  ;  lungh.  del  manico  cm.  9)  e  tre  medi  bronzi  impe- 
riali: uno  di  Julia  Mammaea  (Cohen,  Med.  imp.,  22);  un  secondo  di  Faustina  Madre 
(Coh.,  138),  ed  un  terzo  irriconoscibile. 

A  quauto  venne  assicurato,  questi  oggetti  furono  rinvenuti  poco  tempo  fa  nel 
territorio  del  comune  di  Sillavengo  (Novara)  insieme  a  numerosi  frammenti  laterizi 
di  età  romana,  appartenenti  a  tombe  dell'età  stessa. 

È  noto  che  per  l'addietro,  sulla  sinistra  della  Sesia,  tra  Sillavengo,  Carpignano, 
e  Fara  Novarese  si  rinvennero  parecchie  volte  tombe  romane  ad  incinerazione,  per- 
tinenti anche  all'età  di  Augusto  e  di  Tiberio,  riunite,  per  quanto  si  seppe,  a  piccoli 
gruppi.  Di  esse  alcuni  materiali  trovansi  nel  Museo  di  Novara  ('). 

Di  una  tomba  raccolse  qualche  notizia  il  compianto  prof.  E.  Ferrerò,  che  ne 
pubblicò  e  raffigurò  un  vasetto  coperto  di  una  vernice  verde  chiara  all'esterno  e  gialla 
all'  interno  (2).  Vasi  romani  di  eguale  vernice,  ma  di  forma  e  ornamentazione  diverse, 
conservati  nel  Museo  di  antichità  di  Torino,  provengono  da  Piobesi  Torinese  (3), 
Palazzolo  Vercellese,  e  Tortorolo  (frazione  di  Mede  Lomellina). 

P.  Barocblli. 

(')  Ponti,  /  Romani  ed  i  loro  precursori  sulle  rive  del  Verbano,  ecc.  Intra,  1889,  pag.  139; 

Rusconi  in  Memorie  novaresi,  pag.  12,  e  Origini  novaresi,  pag.  96  (Novara  1877;  ecc.). 

(2)  Atti  della  Soc.  piem.  d'arch.,  VII,  pag.  275,  tav.  VII. 

(*)  Notizie  degli  scavi,  1902,  pag.  50. 


Noma  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  42 


AREZZO  —   316   —  REGIONE   VU. 


Regione  VII  (ETRURIA). 

II.  AREZZO  —  Scavi  eseguiti  nell'area  dell'  Anfiteatro  Romano 
dal  novembre  1914  all'aprile  1915. 

Nota  della  Soprintendenza  archeologica  per  l'Etruria. 

Si  è  chiuso  nella  primavera  di  quest'anno  il  primo  periodo  di  scavi  sistematici 
eseguiti  nell'antiteatro  romano  di  Arezzo,  promossi  con  lodevole  zelo  dalla  locale  Società 
degli  Amici  dei  monumenti,  e  condotti  con  grande  perizia  sotto  la  direzione  del  bene- 
merito vice-presidente,  ing.  Umberto  Tavanti,  il  quale  espone  nella  seguente  relazione 
i  risultati  finora  ottenuti. 

La  R.  Soprintendenza  archeologica  per  l'Etruria  favorì  di  buon  grado  l'inizia- 
tiva degli  Amici  dei  monumenti  di  Arezzo,  e  cooperò  aftinché  il  Ministero  (pur  nelle 
ristrettezze  delle  presenti  circostanze)  trovasse  modo  di  sussidiare  largamente,  come 
in  realtà  fu  fatto,  tale  utile  impresa. 

Inoltre  la  Soprintendenza,  pur  avendo  lasciato  la  direzione  tecnica  dei  lavori 
all' ing.  Tavanti,  non  mancò  di  farli  sorvegliare  permanentemente,  nei  periodi  in  cui 
lo  ritenne  opportuno,  da  un  custode  governativo,  e  di  inviarvi  ad  intervalli  un  ispet- 
tore dell'  Istituto,  per  tutti  quei  suggerimenti  e  consigli  intesi  a  rendere  sempre  più 
utili,  dal  punto  di  vista  scientifico,  i  lavori  in  corso. 

Questi  primi  scavi  hanno  rimesso  alla  luce,  per  un  buon  tratto,  la  struttura  del- 
l' insigne  edificio  che  risale  al  primo  periodo  imperiale,  e  che  in  realtà  mostrarsi  meglio 
conservato  di  quanto  potevasi  supporre  in  base  ai  pochi  ruderi  emergenti  dal  terreno. 
Cosicché  possiamo  ritenere  che,  quando  i  resti  dell'anfiteatro  d'Arezzo  saranno  total- 
mente rimessi  in  luce  (e  l'ulteriore  esplorazione  è  vivamente  desiderabile),  la  serie 
degli  antichi  anfiteatri  d'Italia  si  arricchirà  di  un  esemplare  assai  cospicuo,  almeno 
per  le  dimensioni  ;  e  l' illustre  città  di  Arezzo  acquisterà  una  nuova  attrattiva  monu- 
mentale. 

Se  anche  le  parti  che  ancora  restano  celate  nel  terreno  non  conservassero  più, 
come  quelle  fino  ad  oggi  rimesse  in  luce,  i  resti  degli  originarii  ornamenti  marmorei, 
varrebbe  tuttavia  la  pena  di  metterli  allo  scoperto  per  poter  studiare  e  conoscere  a 
fondo  la  distribuzione  dei  vani  e  le  altre  particolarità  costruttive,  che,  in  base  ai  soli 
elementi  ora  emersi,  non  è  possibile  di  determinare. 

Ma  poiché  ancora  non  fu  raggiunto  il  livello  antico  nella  parte  interna,  e  restano 
da  esplorare  più  che  due  terzi  della  periferia,  non  è  escluso  che  possano  rinvenirsi 
in  seguito  elementi  artistici  e  cronologici,  i  quali  accrescano  il  valore  della  scoperta. 

Tanto  fu  comunicato  in  un  rapporto  della  Soprintendenza  degli  scavi  d'Etruria 
in  data  22  settembre  del  volgente  anno. 


REGIONE    VII. 


—    317    — 


AREZZO 


Relazione  del  direttore  dei  lavori. 

Gli  avanzi  dell'anfiteatro  aretino  (v.  pianta,  fìg.  1)  occupano  l'area  demaniale,  cono- 
sciuta comunemente  col  nome  di  «  orti  di  S.  Bernardo  »  situata  a  valle  della  città. 

I  pochi  resti  di  muraglie  e  di  volte,  che  finora  apparivano  al  di  sopra  del  piano 
naturale  del  terreno  (tìg.  2),  non  potevano  dare  un'  idea  sufficiente  dell'  importanza  di 
quell'edificio,  uno  dei  più  notevoli,  senza  dubbio,  della  Arezzo  romana;  ed  il  desiderio 
di  rimettere  allo  scoperto  tutto  quanto  giaceva  nascosto  sotto  quel  terrapieno  fu 
sempre  vivo  nella  cittadinanza  aretina.  Ma  a  ciò  si  opponeva  l'abbondanza  d'acqua 
cho  rendeva  assolutamente  inesplorabile  il  sottosuolo  in  quella  località. 


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Fig.  1.  —   A.  Sepolture  barbariche.     B.  Frammento  di  vòlta.     C.  Pavimento  a  lastroni. 
D.  Canale  di  scolo.    E.  Saracinesca  in  pietra.     F.  Ambiente  con  canale  di  scolo. 


Senonchè,  dovendosi  costruire,  or  sono  alcuni  anni,  una  nuova  fogna  per  il  risa- 
namento della  parte  bassa  dell'abitato,  venne  subordinata  la  profondità  di  tale  fogna 
a  quella  che  presumibilmente  era  da  ritenersi  che  avesse  la  platea  dell'anfiteatro;  e, 
così,  compiuta  la  fogna  che  percorre  anche  la  vicina  via  Margaritone,  e  con  oppor- 
tuno braccio  di  diramazione  raggiunge  il  perimetro  della  zona  dell'anfiteatro,  è  ora 
stato  possibile  di  effettuare  i  desiderati  scavi. 

Questi  ebbero  principio  il  giorno  19  del  mese  di  novembre  del  decorso  anno  1914 
ad  iniziativa  della  Società  aretina  degli  Amici  dei  monumenti,  la  quale,  coadiuvata 
efficacemente  dal  Ministero  della  pubblica  istruzione,  dal  comune  di  Arezzo,  dalla 
Confraternita  dei  laici  e  da  altri  Enti  locali,  è  già  riuscita  a  mettere  allo  scoperto  una 
zona  di  ben  780  metri  quadri  di  superficie  dell'antico  edilìzio,  sui  7500  circa  che 
complessivamente  sono  occupati  dalle  rovine  di  esso  e  dal  convento  costruito  sopra 
una  parte  delle  medesime. 


AREZZO 


318   — 


RBGIONE   Ttl. 


La  zona  scoperta  (fìg.  1)  corrisponde  ad  un  tratto  della  periferìa  ellittica  del- 
l'edifizio  verso  nord-ovest  e  comprende  le  subcostruzioni  dei  maeniana  o  delle  gra- 
dinate superiori,  con  le  relative  scalee  di  accesso  e  coi  vomitoria  che  mettevano  in 
comunicazione  l'ambulacro  esterno  con  quello  interno. 


Fio.  2. 

Da  quanto  finora  è  stato  rinvenuto  apparisce  che,  in  quel  tratto,  la  fronte  esterna 
del  monumento  venne  tutta  disgraziatamente  distrutta  fino  alla  base,  e  finora,  nel 
tratto  scavato,  non  si  è  rinvenuto,  di  tutto  quello  che  fu  la  fronte  esterna  e  l'ambulacro 
adiacente,  altro  che  qualche  grosso  frammento  di  cornice  in  pietra  e  qualche  blocco 
murario  di  volta  a  sacco  precipitato  disordinatamente  al  suolo  (fig.  1,B  fig.  2). 

Nello  scavo  non  si  sono  ritrovati,  almeno  per  ora,  oggetti  di  importanza  note- 
vole. Soltanto  alcune  sepolture  di  età  barbarica  (una  diecina  in  tutte)  sono  apparse 
distribuite  alla  base  dei  muri,  con  prevalenza  di  orientamento  verso  levante  (fig.  1  A). 


REGIONE    VII. 


319 


AREZZO 


Alcuni  frammenti  di  grosse  lastre  marmoree  trovati  nello  sterro  attestano  che 
l'edifizio  non  doveva  essere  del  tutto  privo  di  decorazioni,  benché,  da  quanto  finora 
è  apparso,  si  possa  ormai  esser  certi  che  nella  costruzione  fu  prevalentemente  adope- 
rata per  le  gradinate,  per  le  cornici  e  per  ogni  altro  particolare  architettonico,  la 
pietra  arenaria. 

Le  murature  sono  in  gran  parte  rivestite  a  quadrelli  di  pietra  (opus  reticulatum) 
alternati  da  fascioni  orizzontali  di  mattoni,  come  riscontrasi  nelle  costruzioni  del  periodo 


Fio.  3. 


imperiale  (fig.  3).  Le  volte  sono  a  gettata,  e  gli  archi  sono  costruiti  con  grandi 
mattoni  alternati  a  conci  di  pietra  (fig.  2).  L'edifizio  ha  dunque  tutte  le  caratteri- 
stiche delle  costruzioni  del  primo  e  del  secondo  secolo  dopo  Cristo,  e  per  la  sagoma 
delle  cornici,  come  anche  per  altri  particolari  finora  apparsi,  è  da  ritenersi  che  la  sua 
edificazione  risalga  alla  prima  metà  del  secondo  secolo. 

Le  sue  dimensioni  sono  considerevoli,  avendo  un  diametro  esterno  maggiore 
di  121  metri;  di  poco,  quindi,  inferiore  a  quello  delle  arene  di  Nimes,  e  di  Arles. 

Gli  scavi  finora  praticati  hanno  confermato  quanto  del  resto  era  già  noto  sulle 
devastazioni  subite  dal  monumentale  edilizio.  Le  stratificazioni  di  scaglie  di  pietra 
rinvenute  qua  e  là,  alternate  agli  scarichi  del  terreno  di  riporto,  tradiscono  i  luoghi 
preferiti  nei  bassi  tempi  dagli  scalpellini  per  la  rilavorazione  del  pietrame  che  l'opera 
romana  forniva  loro  in  abbondanza. 


AREZZO 


—  320  — 


REGIONE    VII. 


E  così  financo  il  magnifico  lastricato  a  larghe  e  grosse  pietre  squadrate  che  doveva 
circondare  l'edifizio,  e  di  cui  è  stato  messo  allo  scoperto  un  breve  tratto  in  prossi- 
mità dello  sbocco  della  fogna  moderna  di  scolo  (fig.  1,  G),  veniva  disfatto  ed  asportato, 
come  furono  disfatti  ed  asportati  per  la  maggior  parte  i  blocchi  di  pietra  costituenti 
le  gradinate. 

Ad  onta  però  di  tutte  le  rovine  arrecate  all'editizio  nei  tempi  barbarici  ;  ad  onta 
della  devastazione  dovuta,  nella   metà   del  1500,    al  granduca  Cosimo  I  che,   oltre 


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Fio.    i. 


a  tanti  altri  monumenti  aretini,  depredò  anche  quest'anfiteatro  per  costruire  la  sua 
cinta  di  fortificazioni,  e  non  ostante  l'ultima  rovina  che  sul  finire  del  secolo  XVIII 
recò  il  vescovo  Marcacci  a  quei  poveri  avanzi,  considerati  da  esso  pure  come  cava 
di  materiali,  resta  ancora  abbastanza  da  giustificarne  il  discoprimento,  e  non  pochi 
particolari  interessanti  sono  già  venuti  in  luce  per  confortare  l'opera  così  felicemente 
iniziata  dall'aretina  Società  degli  Amici  dei  monumenti. 

Così,  ad  esempio,  si  è  trovata,  di  fronte  ad  uno  dei  vomitorta,  una  saracinesca 
in  pietra  (fig.  1,  E)  la  quale  sembrerebbe  che  stesse  a  confermare  la  strana  e  poco 
verosimile  tradizione  popolare  che  nell'anfiteatro  aretino  si  tenessero  anche  degli 
spettacoli  nautici. 

Un  altro  particolare  notevole,  messo  allo  scoperto  con  gli  scavi  finora  eseguiti, 
è  un  grande  doccione  in  pietra  ricorrente  lungo  tre  lati  di  uno  degli  spazi  quadri- 
lateri compresi  fra  due  muri  radiali  consecutivi  (fig.  1,  F  e  fig.  4). 


ROMA  321    ROMA 

Gli  avanzi  di  alcuni  condotti  di  terracotta  rinvenuti  nel  mezzo  di  quel  vano,  ad 
un  livello  più  basso  dei  doccioni,  e  un  tratto  di  fognatura  che  dal  vano  stesso  si  pro- 
lunga verso  l'ambulacro  esterno,  non  sono  bastati  per  ora  a  far  comprendere  in  modo 
sicuro  quale  fosse  la  destinazione  di  quell'ambiente,  che  venne  riadattato,  in  età  poste- 
riore, a  qualche  uso  diverso  dall'originario,  come  fa  ritenere  l'apertura  a  sbrano  pra- 
ticata nel  suo  lato  di  fondo. 

Gli  scavi  sono  stati  sospesi  anche  in  considerazione  dello  speciale  momento  che 
al  presente  attraversa  la  vita  nazionale.  Ma,  comunque,  presto  saranno  ripresi,  con 
l'augurio  che,  non  venendo  a  mancare  neppure  in  avvenire  l'aiuto  del  Ministero  della 
pubblica  istruzione,  mostratosi  finora  così  benignamente  favorevole  a  questo  lavoro, 
l'opera  potrà  essere  condotta  avanti  con  alacrità  e  con  resultati  sempre  maggiormente 
favorevoli. 

U.  Tavanti. 


III.    ROMA. 
Nuove  scoperte  nell'area  dell'antica  città. 

Regione  I.  Al  n.  20  di  via  Porta  S.  Sebastiano,  in  una  tenuta  della  signora 
marchesa  Casali  del  Drago,  eseguendosi  alcuni  lavori  agricoli,  si  è  scoperto  un  sar- 
cofago marmoreo  che  misura  m.  1,55  X  0,46  X0,40.  La  faccia  principale  è  baccellata, 
e  nel  centro  ha  una  targa  con  l'iscrizione:  ' 

D     •      M 

CORNELIA 

PROCVLA • CORNE 

LIO  •  OCTAVIANO 

FILDVLCISSIMOQVIVIXIT 

ANN  •  Vili -MENS- VIII 

DIEB  •  VII 


Regione  VI.  In  via  Toscana,  eseguendosi  i  lavori  per  la  costruzione  di  un 
palazzo,  si  son  rinvenuti  un  grosso  frammento  di  capitello  corinzio  in  marmo  bianco 
(m.  0,65  x  0>40)  ed  un  frammento  di  ornato  in  marmo,  toccato  dal  fuoco  (m.  0,25 
X  0,25). 

Regione  VII.  Continuandosi  i  lavori  della  nuova  galleria  in  piazza  Colonna 
sono  venuti  in  luce  alcuni  piccoli  frammenti  di  ornati  in  marmo  bianco  ed  un 
rocchio  di  colonna  in  marmo  bigio,  di  m.  0,35  X  0,17.  Si  sono  anche  rinvenuti  alcuni 
frammenti  di  iscrizioni  in  marmo: 


ROMA 


—  322  — 


ROMA 


1.  (m.  0,89X0,37X0,05): 


.BLILIO-SEX-F 

■  PRISCO 

. . .  >COH-VIIIPR 


2.  (m.  0,20X0,21X0,07): 


3.  (m.  0,26X0,15X0,04): 


TILIVS-  RA 

DIS 

ET   VIBIA 

I  AVD 

S  O  R  O  R  I  S  V  (de) 

RIAL 

AVIA  SVI 

* 
*  * 

PO 

Regione  IX.  Continuandosi  i  lavori  di  sistemazione  del  nuovo  edificio  del 
Parlamento  Nazionale,  in  via  della  Missione,  in  un  cavo  sotto  il  palazzo  della  Mis- 
sione, a  circa  12  metri  dall'odierno  piano  stradale  si  è  rinvenuta,  non  a  posto,  una 
magnifica  base  marmorea  di  colonna  corinzia. 


Il  plinto  misura  m.  1,60  di  lato,  ed  ha  il  diam.  del  toro  superiore  di  m.  1.25. 
I  lati  del  plinto  sono  leggermente  concavi  e  presentano  ripetuta  la  medesima  decora- 
zione, in  forma  di  fregio  incorniciato. 

Nel  centro  del  fregio  è  un  tripode  in  mezzo  a  due  grifi  affrontati,  ognuno  dei 
quali  posa  una  zampa  su  di  esso.  Ciascuno  dei  grifi  termina  stilizzato  in  fusto  di 
acanto,  il  quale  si  abbassa  con  dolce  curva,  segue  per  breve  tratto  la  cornice  infe- 
riore del  plinto,  e  poi  risale  e  si  dirama  in  due  girari,  entrambi  con  una  rosetta  in 
mezzo.  Alle  estremità  del  fregio  sono  due  grifi,  in  tutto  simili  ai  centrali  ma  rivolti 
in  direzione  opposta.  Anche  essi  terminano  in  fusti  di  acanto  che  si  diramano,  simili 
ai  precedenti,  coi  quali  si  toccano  intrecciandosi  e  formando  una  decorazione  non 
interrotta.  Nel  concetto  dell'artista,  anche  i  due  grifi  dell'estremità  dovevano  posare 


ROMA  —    323   —  ROMA 

la  zampa  sopra  un  trìpode;  ma  questo  non  fu  mai  eseguito,  poiché  la  base  rimase 
incompiuta  (solo  due  lati  del  fregio  ebbero  l'ultima  mano)  e,  come  è  naturale,  gli 
angoli  si  dovevano  lavorare  per  ultimo.  Il  toro  inferiore  è  costituito  da  una  magnifica 
corona  di  alloro  con  fasce  trasversali.  La  scozia  è  tutta  ornata  con  foglie  di  acanto. 
Il  toro  superiore  è  liscio. 

L'effetto  d' insieme  di  questa  base  è  sommamente  gradevole,  in  quanto  che  la 
decorazione,  sebbene  ricca,  non  è  punto  sovraccarica,  e  la  moderazione  del  rilievo  e 
la  correttezza  del  disegno  rendono  armonica  la  composizione.  In  ciascun  lato  del 
plinto,  il  motivo  dei  girari  di  acanto  è  in  realtà  uno  solo  che  si  ripete  quattro  volte, 
ma  gli  elementi  sono  combinati  così  bene  che  non  producono  nessuna  monotonia 
mentre  non  hanno  quell'effetto  di  pesantezza  e  di  confusione  che  sarebbe  nato  dal- 
l'affollarsi  di  diversi  motivi  di  decorazioni  in  piccolo  spazio.  L'esecuzione  è  veramente 
mirabile;  le  foglie  di  lauro  del  toro  inferiore  si  direbbero  gettate  dal  vero;  tale  è  la 
precisione  con  cui  sono  resi  gli  orli  e  le  nervature  ;  il  marmo  è  trattato  sempre  con 
grande  leggerezza  e  con  uso  assai  moderato  di  trapano. 

Peraltro,  nessun  elemento  di  questa  decorazione  è  nuovo  ;  tutti  trovano  riscontri 
numerosi  in  monumenti  romani  di  età  imperiale.  La  corona  di  alloro  del  toro  ha  una 
stretta  somiglianza  con  quella  sulla  quale  posa  la  colonna  Traiana.  L'innesto  del- 
l'elemento animale  con  quello  vegetale  si  vede  in  un  frammento  di  fregio  del  Poro 
Traiano  ora  nel  museo  Lateranense,  in  cui  due  Eroti,  come  nel  caso  nostro  i  grifi, 
terminano  in  girari  di  acanto  (');  ed  il  motivo  dei  grifi  affrontati,  che  posano  la  zampa 
■su  qualche  oggetto  centrale,  si  trova  anche  in  un  altro  frammento  del  medesimo 
fregio  (*),  dove  però  l'oggetto  non  è  un  tripode  ma  un  vaso  con  foglie  di  acanto; 
e  così,  per  citare  qualche  altro  esempio,  si  vedono  i  grifi  nella  porta  di  via  del 
Gesù  (3)  i  cui  pezzi  si  attribuiscono  al  II  sec.  dell'era  volgare. 

Gli  esempi,  che  si  potrebbero  addurre,  di  decorazioni  simili  a  questa,  sono  assai 
numerosi  nell'arte  romana  così  del  primo  come  del  secondo  secolo  dell'  Impero.  I  mo- 
tivi sono  comuni  perchè  erano  ripetuti  frequentemente  ;  e  perciò  non  è  agevole  sta- 
bilire con  precisione  la  data  del  monumento  fondandosi  sulle  sole  qualità  di  fattura, 
le  quali  possono  dipendere  talvolta  piuttosto  dall'abilità  dell'esecutore  che  dalle 
.  caratteristiche  del  tempo.  Tuttavia  il  trattamento  abbastanza  ricco  dell'acanto  nel  fregio 
del  plinto  e  le  somiglianze  della  corona  del  toro  con  quella  della  colonna  Traiana 
m' inducono  a  porre  la  nostra  base  piuttosto  nel  periodo  traianeo  che  non  in  quello  di 
Augusto;  ma,  comunque  sia,  quest'opera  è  certamente  del  miglior  tempo  imperiale. 

La  origine  di  questi  motivi  decorativi  però  non  si  deve  cercare  nell'arte  romana. 
Girari  di  acanto  che  si  diramano  da  un  cespo,  come  nel  fregio  del  nostro  plinto,  si 
trovano  nelle  cornici  dell' Artemision  di  Magnesia  (4)  costruito  da  Ermogene  sul  finire 
del  secolo  III  av.  Or.  E  come  esempio  di  girari  che  racchiudono  rosette  addurrò  il  toro 

(')  Gusman,  Art  décoratif,  tav.  105. 
(*)  Gusman,  op.  cit.,  tav.  46,  2. 
(")  Gusman,  op.  cit,  tav.  89. 

(*)  Ved.  Humaun,  Kohte,  Watzinger,  Magnesia  am  Maeander,  fig.  65.  Per  la  data  ved.  pag.  22 
(Kohte). 

Nomi*  Soavi  1915  —  Voi.  III.  48 


OSTIA  —   324   —  REGIONI!   I. 

superiore  di  una  base  di  colonna  del  Didimeo  di  Mileta  (1),  che  si  può  attribuire 
allo  stesso  III  secolo.  Il  toro  della  colonna  assume  la  forma  di  una  corona  di  foglie 
già  nello  stesso  Artemision  di  Magnesia  (') ;  e  una  ghirlanda  sta  a  base  di  un'anta 
del  tempio  di  Zeus  a  Labraunda  in  Caria  (3). 

Le  comparazioni  dunque,  che  si  potrebbero  moltiplicare,  ci  portano  verso  l'oriente 
ellenistico,  e  in  quella  cerchia  artistica  si  deve  cercare  la  genesi  di  questa  decorazione, 
composta  di  elementi  greci  e  orientali  (4)  assimilati  e  combinati. 

Il  fatto  che  questa  base  non  fu  mai  compiuta,  cioè  che  non  fu  messa  in  opera, 
rende  assai  difficile  la  ricerca  per  la  identificazione  del  monumento  cui  era  destinata. 
Nelle  vicinanze  del  luogo  della  scoperta  si  sono  rinvenuti  in  altri  tempi  gli  avanzi 
di  due  ustrini  imperiali  (5);  ma  nulla  ci  consente  di  affermare  che  la  nostra  base 
fosse  destinata  ad  uno  di  essi. 

F.  FORNARI. 


Regione  I  (LATI VM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

IV.  OSTIA  —  Lepergulae  e  i  maeniana  delle  case  ostiensi. 
Un  nuovo  santuario  mitriaco  nella  casa  detta  di  Diana. 

Tra  i  molti  fattori  dell'importanza  archeologica  di  Ostia,  la  storia  dell'architet- 
tura privata  imperiale  e  la  storia  delle  religioni  rappresentano,  forse,  i  principali. 
Giacché,  non  soltanto  è  importante  l'esistenza  stessa  di  questi  due  fattori  in  una  città 
genuinamente  romana,  ma  l'importanza  è  accresciuta  dalla  loro  mancanza  o  rarità 
in  altri  centri  archeologici.  Dell'architettura  privata  imperiale,  assai  poco  mostra 
Roma,  prodiga  più  di  monumenti  pubblici,  e  poco  Pompei  per  l'arresto  della  sua 
vita  in  tempi  ancora  piuttosto  alti,  e  per  l'uniformità  dei  suoi  modelli  di  architetto- 
nica privata.  La  storia  delle  religioni,  in  quanto  fenomeno  di  concentrazione  di  culti 
differenti,  trova  in  pochi  luoghi,  rispetto  a  Ostia,  una  cosi  sensibile  illustrazione,  se 
non  altro  per  il  numero  e  la  compiutezza  dei  monumenti  che  lo  rispecchiano. 


(')  Ved.  Noack,  Baukunst  d.  Altertums,  tav.  55  a. 

(')  V.  Humann,  Kohte,  Watzinger,  op.  cit.,  fig.  35.  Si  tratta  però  del  toro  superiore  e  non 
dell'  inferiore. 

(*)  V.  Durra,  Baukunst  d.  Oriechen,  fig.  330  ;  per  il  tempio  cfr.  pag.  421  seg. 

(4)  L'origine  orientale  del  grifo  non  ha  bisogno  di  dimostrazione.  Il  grifo  con  testa  di  uccello 
si  trova  in  Egitto  fin  da  tempo  assai  antico  (cfr.  Pauly-Wissowa,  Realene.,  VII,  e.  1904  seg.  — 
Prinz  e  Meyer,  Hist.  de  Vantiquitè,  trad.  frane.  II,  pag.  125),  usato  anche  come  elemento  puramente 
decorativo.  Il  grifo  in  posizione  araldica  è  comunissimo  nell'arte  cretese  e  cipriota  (cfr.  Dussaud. 
Civilis.  prehéllen.',  pag.  314). 

(s)  Cfr.  Studi  romani,  I  (1913)  p.  3  e  segg.  (Mancini). 


KKGIONE    I. 


325  — 


OSTIA 


A  questi  due  principali  fattori,  i  recentissimi  scavi  offrono  nuovi  e  interessanti 
monumenti. 

Completando  lo  scavo  della  casa  detta  di  Diana,  di  cui  ho  già  dato  notizia  e 
pianta  (Notizie,  1914,  fase.  7,  pp.  244segg.),  furono  trovati  sopra  il  selciato  della 
via  omonima  vari  pezzi,  di  considerevole  grandezza,  di  ballatoi  esterni  appartenenti 
alla  casa  suddetta,  di  tipo  completamente  nuovo  in  Ostia  stessa. 


Via.  1. 


Di  questi  terrazzi  esterni,  pergulae  o  maeniana,  di  cui  parlano  molto  gli  antichi, 
Ostia  aveva  chiaramente  rivelato  un  solo  tipo,  non  ancora  mai  illustrato,  costituito 
da  una  serie  di  volte  a  botte  sostenute  da  grandi  mensole  di  travertino  incassate 
fortemente  nella  facciata  delle  case  in  corrispondenza  dei  muri  trasversali.  Una  sem- 
plice cornice  di  mattoni,  sporgenti  circa  cm.  20,  serve  di  coronamento. 

Non  essendovi  alcuna  traccia  che  faccia  supporre  l' uso  del  legno,  bisogna  pen- 
sare che  anche  il  parapetto  di  questi  terrazzi  fosse  in  muratura. 

Il  pavimento  è  formato  (poiché  essi  sono  conservati  anche  in  questo  elemento)  da 
un  piano  di  tegoloni  bipedali  rivestiti  di  cocciopisto  (fig.  1).  Un  altro  tipo,  il  più 
semplice  e  il  solo  che  rivela  Pompei,  è  in  legno  formato  da  un  piano  di  travi  oriz- 
zontali, distanti  circa  un  metro  tra  loro,  incastrati  nella  muratura  e  sostenenti  o  un 


OSTIA 


—  326 


REGIONE    I. 


semplice  impalcato  di  legno  o  un  tavellonato  di  mattoni  bipedali.  Di  questa  forma 
di  ballatoi  le  sole  tracce  che  abbiamo  in  Ostia  sono  gli  incastri  dei  travi  nel  muro, 
in  una  casa  opposta  alla  casa  di  Diana. 

I  ballatoi  ora  trovati  appartengono  invece  ad  un  tipo  differente.  Sono  formati  di 
un  grande  guscio  a  monta  rialzata  con  la  linea  d' imposta  orizzontale  e  le  genera- 
trici dell'  intradosso  parallele  a  questa  linea.  Sono  dunque  terrazzi  sporgenti  in  facciata 
che  poggiano  sopra  pennacchi  di  cui  rimangono  tracce  evidentissime.  Quando  la  linea 
d' imposta  taglia  a  metà  l'apertura  di  un  vano,  allora  si  richiede  l' uso  della  lunetta. 

Nella  casa  di  Diana  vediamo  come  le  finestre  del  primo  piano  verrebbero  tagliate 
ad  un  terzo  della  loro  altezza  dall'  imposta  di  questo  grande  ballatoio  :  questo  viene 
quindi  lunettato  per  sviluppare  liberamente  il  motivo  delle  finestre  (fig.  2).  Il  coro- 


Fio.  2. 


namento  di  questo  terrazzo  è  costituito  da  una  cornice  di  mattoni  e  formato  da  un 
piano  di  tegoloni  bipedali  rivestito  di  cocciopisto.  Il  frontalino  del  gocciolatoio  è 
formato  da  piattabando  con  le  imposte  in  corrispondenza  del  piedritto  del  guscio. 

Tale  nuova  struttura  risulta  assai  bene  dai  numerosi  frammenti  trovati,  specie 
dal  più  grande  di  essi  che  è  il  frammento  d'angolo  della  casa  di  Diana.  Questo,  che 
conserva  anche  intatto  l'angolo  interno  verso  la  stanza,  oltre  a  farci  conoscere  esat- 
tamente il  posto  che  occupava,  ci  rivela  l'esistenza  di  questo  grande  ballatoio  su 
entrambe  le  facciate  libere  della  casa  di  Diana.  Tali  frammenti,  di  eccezionale  im- 
portanza, sono  stati  accuratamente  conservati  e,  non  potendo  rimetterli,  per  ora 
al  loro  posto  originario  al  secondo  piano  della  casa,  sono  stati  rialzati  dalla  strada 
su  muriccioli  a  macera. 

Terrazzi  di  questa  forma,  che  sembra  genuinamente  romana  ed  era  finora  sco- 
nosciuta, si  sarebbe  tentati  di  identificarli  con  quei  maeniana  romanensia  ricordati 
nell'editto  edilizio  di  Zenone  che  proibisce  l'uso  di  balconi  in  legno,  e  prescrive  invece 
quello  tu  (fx^ficcti  twv  Xeyoixévmv  gufiavioioùv.  E  la  cosa  sarebbe  anche  probabile, 
dato  che  questi  sono  meno  pericolosi  per  gli  incendi. 


REGIONE    I.  —    327    —  OSTIA 


Essi  si  sviluppano  al  secondo  piano,  e  non  è  improbabile  che  si  ripetessero  anche 
negli  altri.  Vi  si  accedeva  dall'  interno  delle  stanze  :  quelle  che  avevano  porta  d'uscita 
su  essi,  avevano  anche,  accanto  alla  porta,  una  finestra. 

Per  la  prima  volta,  dunque,  noi  conosciamo  e  possiamo  farci  chiaro  ed  esatto 
concetto  di  queste  pergulae  e  di  questi  maeniana  che  erano  stati  finora  un  grave 
inceppo  alla  comprensione  delle  case  private  romane.  Ostia  ne  rivela  tre  tipi  diffe- 
renti, e  forse  gli  unici  esistenti  nel  mondo  romano,  nelle  case  di  una  sola  strada, 
cioè  della  .via  di  Diana. 

È  doveroso  di  segnalare  che  sulla  via  antica  non  ancora  scavata  conducente  dal 
casone  del  Sale  alla  via  di  Diana,  nel  primo  scavo  diretto  dal  prof.  Vaglieri  fu 
veduto  un  frammento  di  terrazzo  simile  a  quelli  oggi  rinvenuti  e  probabilmente  appar- 
tenente alla  stessa  casa  di  Diana  o  alla  sua  adiacente.  11  Taglieri  così  la  descrive 
(Notizie,  1908,  pag.  330):  «...  un  grande  e  bel  pezzo  di  cornicione  in  terra  cotta, 
lungo  m.  4,50  rivestito  d'intonaco  bianco  (nell'intonaco  si  notò  una  ciotola  murata 
di  terracotta  rossiccia  a  smalto  vitreo  verdognolo  del  diam.  di  m.  0,15.  Serviva  forse 
di  decorazione?),  che  da  un  estremo  finiva  ad  angolo  ottuso  e  che  sembra  parte  di  un 
terrazzo  perchè  superiormente  ha  uno  strato  di  fine  cocciopisto  su  cui  potevano  esservi 
state  lastre  di  marmo  o  mosaico  » . 

Tale  frammento  giace  tuttora   sulla  strada  e  sarà  presto  rialzato. 

L'angolo  nord-est  della  casa,  segnato  con  la  lettera  m  nella  pianta  già  pubblicata 
(Nolùie,  1914,  fase.  7,  pag.  345),  ci  ha  riservato  la  sorpresa  di  un  santuario  mitriaco.  ^ 

Questo  angolo  consta  di  due  ambienti  pressoché  eguali,  coperti  a  volta  a  crociera 
(alti  m.  3,35)  simile  a  quella  degli  ambienti  terreni  della  casa  già  descritta  (Nolisie, 
id.  id.,  pag.  349). 

11  primo  ambiente  (vedi  tìg.  3,  lett.  A)  comunica  tanto  coll'attiguo  a  sinistra 
quanto  col  corridoio:  misura  m.  5,95X3,74.  Da  questo  primo  ambiente  si  accede 
al  secondo  B,  di  m.  5,96  X  3,96,  per  mezzo  di  una  porta  posta  all'angolo  della  parete 
divisoria:  nel  centro  di  questa  vi  era  invece  in  origine  una  finestra  alta  dal  suolo 
m.  0,98.  Nella  parete  di  fondo  del  secondo  ambiente  vi  è  una  cornice  alta  da  terra 
m.  2,50;  su  tutto  l'aggetto  di  questa  si  innalza  il  muro. 

I  due  ambienti  sono  pavimentati  a  mosaico  con  un  disegno  pressoché  uguale  a 
circoli  (tìg.  3,  A  e  B)  e  decorati  con  affreschi  del  solito  tipo  ostiense  di  cui  riman- 
gono varie  tracce.  Va  subito  notato  che  i  due  ambienti  sono  privi  di  luce:  se  il 
primo  A  ne  riceve  poca  e  indiretta  dalle  due  porte,  il  secondo  è  completamente 
buio.  Questa  oscurità,  che  potrebbe  ammettersi  per  ambienti  destinati  a  magazzini,  è 
invece  inspiegabile,  data  la  presenza  di  mosaici  e  di  dipinti  e  la  possibilità  di  aprire 
almeno  qualche  feritoia  sulla  parete  est  che  dà  sopra  un  angiporto,  e  di  aprire  delle 
finestre  nel  contiguo  grande  ambiente  ad  ovest. 

Tale  stranezza  e  la  presenza,  in  essi,  di  un  santuario  mitriaco,  farebbero  supporre 
che  anche  in  origine  essi  fossero  destinati  a  qualche  culto  analogo,  sebbene  di 
questo  non  siano  rimaste  tracce,  né  sia  spiegabile  la  presenza  di  mosaici  e  dipinti 
che,  per  le  nostre  conoscenze,  non  s'addicono  a  nessun  culto,  e  che  sono  anteriori 
alla  creazione  del  santuario  mitriaco  quale  a  noi  si  presenta. 


OSTIA 


328  — 


REGIONE   I. 


In  ogni  modo,  se  V  identificazione  di  questi  ambienti  è  dubbia  in  origine,  è  chia- 
rissima in  seguito.  L'oscurità  di  essi  ha  favorito  la  loro  trasformazione  in  mitreo  che 
è  avvenuta  mediante  le  seguenti  modificazioni.  La  porta  nella  parete  ovest  del  primo 
ambiente  è  stata  chiusa  rimanendo  per  l' ingresso  la  sola  porta  sul  corridoio  ;  la  fine- 


Fio.  3. 


stra  posta  nel  centro  della  parete  divisoria  è  stata  trasformata  in  porta;  i  mosaici 
sono  stati  ricoperti  da  due  podia,  costituiti  da  uno  strato  di  terra  battuto  fermato 
da  due  rozzi  muricciuoli  (alt.  cm.  60)  lungo  le  pareti  dei  due  ambienti.  Il  podio  in 
corrispondenza  con  la  porta  era  diviso  in  due  dalla  parete  divisoria  ed  era  troncato 
più  su  dell'  ingresso  per  lasciare  il  passaggio  ;  l'altro  podio,  opposto,  passava  nella 
porta  della  parete  divisoria  ed  occupava  tutt'  intera  la  lunghezza  dei  due  ambienti 


REGIONE   I. 


—  329  — 


OSTIA 


(nel  primo  ambiente  questi  podio  non  sono  conserrati).  In  mezzo  ai  due  podio,  corre 
una  striscia  di  terra,  una  specie  di  guida  formata  da  uno  strato  di  detriti  e  di  calce, 
guida  la  quale  va  da  una  estremità  all'altra  dei  due  ambienti  e  cbe  nasconde  il 
mosaico  risibile  invece  sotto  i  due  podii  :  all'estremità,  verso  la  parete  esterna  del 


Fio.  4. 


primo,  c'è  in  essa  un  foro  circolare  (fig.  3 a)  in  cui  è  messo  un  piccolo  dolio  che 
sostituisce  quindi  la  fossetta  per  il  sangue  del  sacrifìcio,  che  si  trova  in  molti  mitrei. 
All'estremità  opposta,  questa  guida  si  ferma  innanzi  ad  una  edicola  in  muratura  spor- 
gente dal  muro  m.  0,90  (fig.  3,  C),  costituita  da  una  base  piena  rivestita  di  intonaco 
bianco,  sulla  quale  si  sviluppa  una  nicchia  ruota,  della  stessa  grandezza  e  profondità 


OSTIA  —    330   —  REGIONE    I. 

della  base,  con  coronamento  superiore  a  mattoni.  Nel  lato  destro,  poggiato  alla  base, 
era  uu  solo  gradino.  Successivamente,  però,  a  questo  gradino  sono  stati  aggiunti  altri 
due  quando  il  piano  di  posa  dell'edicola  è  stato  rialzato  da  un  rozzo  muricciuolo, 
e  tra  la  base  e  la  nicchia  sono  state  poste  due  mensole.  Nella  muratura  piena  della 
base  dell'edicola  è  stato  trovato  un  vuoto,  presso  la  parete  di  fondo,  murato  più  tardi, 
quasi  un  ripostiglio. 

Le  pareti  della  nicchia  sono  rivestite  d' intonaco  colorato,  quasi  tutto  caduto. 
L'edicola  intera  misura  m.  3,20  in  altezza  e  m.  1,70  in  larghezza  (fig.  4). 

Questa  edicola  ricorda  un  poco  quella  scoperta  in  Ostia  stessa  dal  Visconti 
(Annali  Istituto,  1864,  pag.  147,  tav.  K),  verso  il  1860,  nel  cosiddetto  palazzo  im- 
periale. Questa  odierna  è  però  completamente  vuota  nella  parte  superiore  e  manca 
della  buca  ad  uno  dei  lati,  sebbene  il  vuoto  ritrovato  indichi  qualche  cosa  di  simile. 
Inoltre  nella  faccia  esterna  della  base  appaiono  due  ermette  in  marmo  :  l'ima  virile 
a  sinistra,  riproducete  un  tipo  non  ben  definito  di  Bacco  barbato  coronato  di  pampini 
e  con  vittae  sulle  spalle.  È  incastrato  in  un  foro  rettangolare  lasciato  aperto.  L'altra 
è  una  testina  muliebre  coronata  anch'essa  di  pampini  (?),  ma  tutta  chiusa  nel  rive- 
stimento di  stucco  bianco,  in  modo  da  far  risaltare  soltanto  il  prospetto  del  viso. 
Questo  imprigionamento  può.  o  essere  stato  causato  dal  cattivo  stato  di  questa  testina, 
resa  visibile  soltanto  nella  parte  meglio  conservata,  o  anche  voluto  per  esigenze  di 
culto. 

Sopra  l'ermetta  virile  sono  graffiti  nello  stucco  alcuni  nomi  la  cui  decifrazione 
tanto  a  me  quanto  al  prof.  Paribeni  che  mi  ha  prestato  il  suo  aiuto  sagace  e  cortese, 
è  rimasta  piuttosto  oscura. 


1  IE 

M 

V  L  AS 

MÌV 

BABENVS 

SMAXS 

BECTON 

BINVXII 

PROCLVS 

BINVIMI 

6  RM  ES 

D  V  X  %  1 1 1 

FORTVNIV 

ADA  l\DA 

MAXIMVS 

BINVXII 

Sembrano  nomi  propri,  in  maggioranza  non  romani;  ma  non  tutti  sono  chiari. 
È  da  notare  che  alla  fine  di  quasi  tutte  le  righe  ci  sono  delle  cifre  precedute  dal 
segno  %  più  o  meno  ben  fatto,  che  credo  possa  rappresentare  il  segno  consueto  del 
denarius. 

I  nomi  sarebbero  dunque  seguiti  dalle  offerte  fatte  dagli  adoranti.  Quali  esse 
siano  non  so:  ma  tre  nomi  sono  seguiti  dalla  parola  BINV.  Dato  che  la  divinità 
sembra  più  o  meno  un  Bacco,  può  essa  interpretarsi  vino?  Sappiamo  che  nel  culto 
mitriaco  l'oblazione  del  pane  e  dell'acqua  fu  sostituita  con  libazioni  anche  di  vino 
(Cumont,  Myttères  de  Mithra,  1,  pag.  320). 


REGIONE   I.  —   881    —  OSTIA 


Innanzi  all'edicola  sta  un'aretta  quadrata  (om.  78  X  35  X  44)  con  nel  centro  un 
foro  passante  da  parte  a  parte  (diam.  cm.  20),  contornato  da  una  corona  di  foglie  e 
bacche  di  lauro  (diam.  cm.  31),  e  sopra  a  questa  è  incisa  la  seguente  iscrizione: 

M   LOLLIANVS  : 

CALLINICVSPATER 

ARAMDEODODE 

Questo  Lollianus  Callinieus  è  conosciuto  per  un'altra  iscrizione  ostiense  trovata 
presso  il  teatro  e  posta,  come  riferisce  il  Gatti  {Notizie  1899,  pag.  62  =  Eph.  epigr., 
IX,  433),  «  sopra  un  pezzo  di  epistilio  od  architrave,  probabilmente  spettante  a  una 
edicola  » . 

Dice  :  (l)olliano  .  Callinico  .  Patre .  (p)etronius  Felix  Marsus  Signum  Arima- 
nium  do  .de . d. 

Signum  Arimanium  equivale  a  signum  dei  Arimanii;  e  Arimanius,  il  dio  iranico 
Ahriman,  è,  com*è  noto,  identificato  nel  mondo  greco  con  Hades  ed  è  ricordato  nel 
culto  mitriaco  per  tre  iscrizioni  {Q.I.L.  VI,  47;  III,  3414-3415)  (Aquincum). 

Si  è  dunque  tentati,  per  l'eguaglianza  delle  persone  nelle  due  iscrizioni  ostiensi, 
di  vedere  se  questo  nuovo  santuario  mitriaco  possa  essere  dedicato  ad  Arimanio,  o  se, 
per  lo  meno,  questa  divinità  non  vi  fosse  presente. 

Neil'  iscrizione  ostiense  del  Gatti  manca  il  prenome  del  pater  mitriaco  :  il  chiaro 
epigrafista  la  pone  verso  il  II  secolo,  mentre  questa  odierna  dovrebbe  mettersi,  per 
varie  ragioni,  nel  terzo.  Ma  è  noto  quanto  scarso  valore  abbiano  le  assegnazioni  di 
tempo  in  epigrafia  se  basate  soltanto  sui  caratteri  paleografici:  anche  in  questa  odierna 
i  caratteri,  del  resto,  sono  abbastanza  buoni. 

Onde  non  mi  par  di  dover  dubitare  che  il  Lollianus  Callinieus  possa  essere  la 
stessa  persona  nelle  due  iscrizioni,  per  quanto  una  manchi  del  prenome. 

Colpisce  dunque  il  fatto  che  proprio,  patre  Callinico,  un  devoto  ponga  un  signum 
ad  Arimanio  che  non  sappiamo  bene  come  fosse  rappresentato  ma  che  non  doveva 
però  mancare  di  imagini,  se  nella  iscrizione  di  Roma  fu  trovato  l'attacco  di  una  sta- 
tuetta (C.  I.  L.  VI,  47). 

Anche  nel  piano  di  posa  dell'aretta  ostiense  vi  è  traccia  di  un  attacco  circolare. 
Ed  è  da  notare  che,  per  quanto  il  santuario  mitriaco  ora  trovato  si  sia  presentato  in 
abbastanza  buono  stato  di  conservazione,  nessuna  traccia  e'  è  della  presenza  del  con- 
sueto rilievo  di  Mitra. 

L'unico  posto  in  cui  potrebbe  essere  stato  è  la  parete  di  fondo  della  nicchia 
descritta;  ma  non  solo  nessuna  traccia  d'attacco  qualsiasi  ho  trovato,  pur  dopo  un 
attento  esame  della  parete,  ma  questa,  che  si  presenta  ora  intonacata  di  bianco  con 
sbavature  in  azzurro,  sembra  essere  stata  rivestita  d' intonaco  policromo  di  cui  rimane 
qualche  pezzo  nella  parte  inferiore.  Tale  intonaco,  pur  riuscendo  difficile  il  dire  se  sia 
stato  mantenuto  lì  per  tutta  la  vita  del  santuario  (il  quale  ha  subito  qualche  tras- 
formazione), impedisce  di  pensare  che  sia  stato  coperto  dal  consueto  rilievo  del  dio 
Mitra. 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  44 


OSTIA 


332  — 


REGIONI    1. 


In  questo  nuovo  mitreo  ostiense  si  notano  dunque  le  seguenti  particolarità  : 

1)  probabile  assenza  del  rilievo  di  Mitra; 

2)  probabile  identità  del  sacerdote  Callinicis  con  quello  ricordato  in  un'altra 
iscrizione  ostiense  menzionante  un  signum  Arimanium; 

3)  presenza  di  due  ermette,  virile  e  muliebre,  di  tipo  bacchico. 

La  mancanza  del  rilievo  mitriaco  può  indicare  soltanto  la  povertà,  manifesta  per 
più  segni,  di  questi  cultori  mitriaci. 

La  presenza  delle  due  ermette,  e  la  possibilità  che  possa  essere  stato  qui  venerato 
questo  dio  Arimanius,  porterebbero  a  identificar  quelle  per  la  coppia  infera  di  Hades 
e  Proserpina,  ricordata  nei  culti  mitriaci  (Cumont,  op.  cit.,  pag.  140).  In  questo  caso 
bisogna  però  credere  che  gli  adoranti  non  conoscessero  neppur  vagamente  l'imagine 
artistica  di  queste  due  divinità  le  quali  non  si  prestano  affatto  a  tale  identificazione; 
oppure  non  avessero  a  disposizione  nessun'altra  effìgie  di  divinità,  più  cònsona  allo 
scopo,  di  quelle  che  vediamo. 

In  ogni  caso,  questo  nuovo  speleo  mitriaco  ostiense,  simile  agli  altri  nelle  sue 
linee  generali,  presenta  la  particolarità  di  queste  due  ermette  la  cui  spiegazione  è 
da  sperare  venga  chiarita  con  altri  monumenti. 

Trovamenti  non  ce  ne  furono:  degni  di  menzione  e  attinenti  al  culto  sono  soltanto 
un'aretta  in  travertino  frammentata  e  due  tufi  a  foggia  di  piccole  roccie  che  appaiono 
in  quasi  tutti  i  mitrei  ('). 


(')  Mentre  era  in  corso  di  stampa  questa  relazione,  si  è  trovata,  a  non  molta  distanza  dalla 
casa  di  Diana,  in  una  taberna  prospiciente  il  decumano,  una  lastra  di  marmo  spezzata,  opistografa 
(mm.  250X290X21): 


a)       ...NO     CALLINICO. 
...  RONIVS-FELIX.. 
.  .  .  VM  ■  D  EO  • 
•  DE  •  D  • 
...ATVS-XIN... 
FEC1T . . . 


*) 


M  •  M  •  C  A  E  R  . 
N  I M VS  •  ET  •  , 
VS  • SACERD, 
TES  SOLIS. 
THKONVS . . 
FEC  .  , 


Non  mi  par  dubbio  che  questa  lastra  debba  provenire  dal  vicino  mitreo.  e  conferma  il  raffaz- 
zonamento da  esso  subito  in  tarda  epoca.  Mentre  l'ara  in  esso  conservata  è  stata  trasportata  da  altro 
luogo  o  mantenuta  in  situ  tale  quale  era,  questa  lastra,  pur  appartenendo,  come  l'ara,  al  materiale 
cultuale  dello  speleo  riferibile  a  Lolliano  Gallinico  padre,  è  stata  riadoperata  per  una  nuova  in 
scrizione. 

La  faccia  a  conferma  le  due  inscrizioni  citate  nel  testo;  ed  è  chiara,  eccetto  le  lettere  atus  . 
xin  della  penultima  riga,  di  cui  non  mi  si  presenta  reintegrazione.  I  caratteri,  come  quelli  del- 
l'ara, sono  di  buona  epoca  e  regolari. 

L'inscrizione  b,  a  lettere  brutte  e  irregolari,  dovrebbe  essere  spezzata  poco  più  che  nel  mezzo, 
per  quanto  male  si  giudichi  data  l'irregolarità  dei  caratteri. 

I  dedicanti  sono  due  Marci  Caerellii,  di  cui  l'uno  è  forse  M.  Caer^ellius  Hiero~\nimus  che 
ricorre  nell'onomastica  ostiense  (C.  I.  L.  XIV,  70).  Dato  lo  spazio  che  rimane  nella  lastra,  la  parola 


FEGIONE  ì.  —   838   —  OSTIA 

Estranea  a  questo  culto  e  al  santuario  stesso,  ma  degna  di  menzione  e  di  studio, 
è  una  iscrizione  trovata  sopra  una  delle  facce  dell'ara  mitriaca  summenzionata. 
Quest'ara  è  stata  adattata  allo  scopo,  scalpellando  il  prefericolo  e  la  pàtera  che  sono 
sulle  due  facce  laterali,  incidendo  sulla  faccia  posteriore  l'epigrafe  riferita  e  facendovi 
un  foro,  passante  da  parte  a  parte,  contornato  da  una  corona  ;  di  più  scalpellando  il 
rilievo  che  si  trovava  sulla  faccia  anteriore  e  ora  non  identificabile,  accompagnato 
dalla  seguente  iscrizione  rimasta: 

(a)QVAE  SALVIAE 
HERCLI    SACR 

Al  principio  della  prima  riga  dell'epigrafe  non  può  mancare  che  una,  al  massimo 
due  lettere. 

Ugualmente  certo  è  il  Q_di  cui  rimane  tutta  la  coda,  la  quale  dunque  impe- 
disce di  pensare  a  qualsiasi  altra  lettera. 

Onde  l'unica  integrazione  apparisce  essere  questa:  aquae  salviae  herculi  sacr(um) 
o  sacr(ae). 

Ostia  ci  riserva  sempre  delle  sorprese,  ma  questa  poi  sembra  essere  un  enigma 
epigrafico.  Aquae  Salviae  sono,  è  noto,  le  Tre  Fontane  presso  la  via  Laurentina 
(Nibby,  Analisi,  t.  Ili,  pag.  268;  cfr.  Nissen,  Landeskunde,  11,  547).  Tale  deno- 
minazione risulta  però,  anzitutto,  nel  martirologio  di  Adone,  documento  di  scarso 
valore,  ed  è  riferita  all'anno  362.  La  mancanza  di  altre  notizie  non  ci  autorizza  natu- 
ralmente a  rifiutare  una  maggiore  antichità  a  tale  denominazione  la  quale  anzi  par- 
rebbe meno  recente  di  quanto  ci  è  tramandata  (osserva  W.  Schulze,  Zur  Geschichte 
latein.  Eigennamen,  pag.  471,  nota  4:  «Die  Form  beweist  dass  der  Name  alt  ist: 
bezeugt  ist  er  freilich  erst  spat  »  ).  Ma  la  difficoltà  non  sta  nel  far  risalire  più  o 
meno  in  alto  la  denominazione  ad  aquas  Salvias;  piuttosto,  nella  inconsueta  forma 
con  cui  essa  si  presenta. 

Non  ci  si  sente  in  grado  di  accettare  questo  nominativo  di  località  Aquae 
Salviae,  sia  pure  un  pago  privato  che  pone  un  cippo  ad  Ercole;  e  sembra  d'altra 
parte  di  non  poter  pensare  in  alcun  modo  ad  un  dativo  singolare  all'acqua  Salvia 
(et)  Herculi  sacrum.  Si  può,  infine,  pensare  forse  a  questa  forma  barocca:  aquae 
Salviae  Ferculi  sacr(ae),  senza  alcun'altra  indicazione?  Non  credo:  né  so  se  ci  sia 
altro  vocabolo  da  sostituire  ad  (a)quae. 

Comunque  sia,  gli  adepti  mitriaci  hanno  adattato  al  loro  culto  un  cippo  toglien- 
dolo ad  altro  luogo.  Se  sono  davvero  le  Tre  Fontane  queste  Aquae  Salviae,  il  cippo 
ha  camminato  parecchio.  G.  Calza. 


tacerà  della  terza  riga  non    andrebbe  unita   col  tes  della   quarta  [sacerd(o)tes]  ma  starebbe  a  6è, 
e  il  tes  potrebbe  completarsi  [antisti~\tes. 

Notevole  è  la  voce  thronu(m)  che  mi  par  nuova  nel  linguaggio  mitriaco;  e  se  la  lastra  deve 
riportarsi  al  roitreo  descritto,  nulla  v'è  in  esso  a  cui  possa  riferirsi.  A  meno  che  un  trapezoforo  a 
zampa  e  testa  di  leone  di  alabastro  venato,  trovato  nella  casa  di  Diana  (Notizie,  1914,  fase.  7, 
pag.  254),  non  facesse  parte  di  questo  trono.  Mi  par  difficile:  e  ne  resterebbe  oscura  anche  la  col- 
locazione. 


POMPEI  —    384   REGIONE    I. 


CAMPANIA. 

V.  POMPEI  —  Scavi  sulla  via  dell'Abbondanza  durante  il  mese  di 
giugno. 

a)  Via. 

Si  è  lavorato,  nella  prima  settimana  del  mese,  continuando  lo  scavo  sulla  via 
e  precisamente  sul  principio  delle  fronti  opposte  di  due  nuove  isole,  IV  della 
reg.  Ili  a  nord,  e  IV  della  reg.  II  a  sud.  Di  queste  due  nuove  isole  null'altro  per  ora 
si  è  toccato  se  non  gli  spigoli  occidentali,  e  nella  loro  parte  alta,  per  modo  che  non 
vi  è  stato  luogo  ad  importanti  rinvenimenti.  In  seguito  alle  nuove  disposizioni  date 
dalla  direzione,  si  sono  poi  continuati  gli  scavi  in  due  altri  punti,  e  ne  descrivo 
qui  l'andamento. 

r 

b)    Reg.  Ili,  ins.  II,  n.  1  (casa  di  Trebio  Valente). 

Lo  scavo,  qui  ripreso  il  giorno  8,  si  è  contenuto,  e  si  contiene  tuttora,  nell'atrio  ; 
e  con  la  fine  del  mese  lo  sgombro  delle  terre  ha  raggiunto  tale  profondità  da  mostrare 
per  due  terzi  scoperte  la  parete  rustica  orientale  dell'atrio  e  quella  del  bel  salone  a 
fondo  nero  occupante  l'angolo  sud-est,  mentre  ha  soltanto  toccato  la  elegante  parete 
del  tablino,  di  cui  si  è  scoperto  il  fregio  a  fondo  bianco  (muro  orientale).  Contempo- 
raneo alle  opere  di  scavo  procede  qui  il  lavoro  di  restauro,  ed  è  già  così  un  fatto 
compiuto  il  raddrizzamento  e  il  consolidamento  del  muro  orientale  del  salone  a  fondo 
nero,  che  pericolava,  e  il  collocamento  delle  spranghe  di  ferro  al  posto  degli  antichi 
architravi  sui  vani  d' ingresso  finora  incontrati.  Quantunque  l'atrio  si  sia  trovato  occu- 
pato da  terre  vegetali  insolitamente  alte,  in  profondità  m.  4  a  4,50  dal  piano  della 
campagna  coltivata  (il  che  accenna  senza  dubbio  ad  antiche  esplorazioni  qui  con- 
dotte), le  eleganti  pitture  del  tablino  e  del  salone  lasciano  bene  sperare  così  per 
l' importanza  dell'edificio  come  per  l' instrumentum  domesticum,  legati  al  nome  di  un 
nobile  cittadino  qual  dovè  essere  Trebio  Valente. 

e)    Reg.  Ili,  ins.  Ili,  n.  6  (x). 

Esaurite  le  ricerche  nella  prima  zona  di  terre  impegnata  per  lo  scavo  del  gran 
salone  sulla  via,  essendosi  determinata  la  necessità  di  restituire  alla  luce  tutti  gli 
annessi  a  nord  (due  ambienti  rustici  furono  già  sgombrati  il  mese  scorso),  si  è  aperto, 
col  giorno  1 9,  un  saggio  di  scavo  di  m.  8  X  8  di  larghezza,  immediatamente  a  nord 
del  binario  della  «  Decauville  »  proveniente  dalla  casa  di  Trebio  Valente,  per  scen- 

('J  Vedi  pianta  a  pag.  279,  fig.  1. 


«■«IONE    I.  —    335    —  POMPEI 

dere  di  là  sopra  i  più  settentrionali  annessi  dell'edifìcio.  Il  saggio  in  parola  è  giunto, 
con  la  fine  del  mese,  fino  alla  profondità  di  m.  4  ;  ma  non  ha  ancora  lasciato  scoprire 
alcun  muro.  Gli  annessi  ad  immediato  contatto  col  grande  salone,  nei  quali  ancora 
lavoravasi  nei  primi  giorni  del  mese,  sono  per  ora  due  ambienti  piccoli,  e  un  ambiente 
grande  appena  toccato,  tutti  rustici,  i  quali  si  aprono  sopra  uno  spazio  scoperto  ani- 
mato da  una  piscina,  terminato  ad  oriente  da  un  basso  muro  perimetrale  a  schiena 
d'asino,  e  posto  ad  un  livello  che  supera  di  un  metro  il  livello  del  pavimento  del 
salone. 

Oggetti  raccolti  e  iscrizioni  scoperte  durante  il  mese. 

Reg.  Ili,  ins.  Ili,  n.  6  (grande  ambiente  dei  trofei)  :  Sopra  la  parete  interna, 
destra,  del  pilastrino  posto  a  sinistra  del  trofeo  di  sinistra,  si  è  scoperto  (giorno  1°) 
un  saluto  tracciatovi  con   pietra  rossa: 

1)  PeLÀGio   FvscXe 

Sàlvtgm 

Osservate  attentamente  le  pareti  del  grande  ambiente  con  l' intento  di  scoprirvi 
qualche  iscrizione  giaffita.  la  fatica  non  è  stata  completamente  perduta,  perchè  sul 
primo  pilastro  sporgente  dalla  parete  orientale  (contando  da  sud),  al  disopra  di  una 
testina  virile  di  profilo  a  sin.,  egregiamente  graffila,  ho  letto  (giorno  5)  il  nome, 
parimente  graffito, 

2)  MVTv  («) 

Sul  riquadro  seguente,  immediatamente  a  sinistra  del  pilastro  indicato,  vedesi 
poi  tracciato  da  mano  molto  inesperta  un  altro  disegnino  graffito,  esprimente,  di  pro- 
filo a  destra,  la  figura  di  un  uomo  in  armi. 

Nel  secondo  degli  ambienti  rustici  aperti  sullo  spazio  scoperto  a  nord,  si  sono 
rinvenute  parecchie  anfore  di  terracotta,  fra  le  quali  tre  iscritte. 

Sulla  prima  anfora  sono  i  seguenti  segni  : 

3)  sopra  un'ansa,  graffito,  X;  sul  collo,  in  carbone,  XXV;  dall'altro  lato,  in  car- 
bone, due  anse  verticali  incrociate  con  tre  aste  orizzontali. 

4)  Sulla  seconda,  sul  collo,  graffito,  X  ;  sotto  un'ansa,  in  carbone,  X  ;  sul  collo, 
in  carbone,  due  aste  verticali  incrociate  con  tre  aste  orizzontali. 

5)  sulla  terza,  sul  collo,  graffito,  X;  sulla  spalla,  tracciata  col  pennello,  in 
lettere  nere,  l'epigrafe: 

F  L  A  C  Flac(co 

TA/R  T*ur(omenitanum)  (vinum) 

L  C  H  L.  C{orneli)  ;  H(ermerotis)  ? 

cfr.  CI.L.  IV,  indices,  pag.  744. 


POMPEI 


—  336  — 


REGIONI!    I. 


Sulla  via,  in  alto,  nello  strato  di  cenere,  al  punto  d' intersezione  col  vicolo  ad 
oriente  dell'isola  III  della  reg.  Ili,  il  giorno  8,  si  è  trovato  uno  smoccolatoio  di 
bronzo,  appartenuto  ad  una  lucerna:  consiste  in  un'asta  a  corpo  tondo  rastremata, 
lunga  m.  0,09,  dalla  quale  si  partono  due  bracci  ad  uncino  ed  è  appesa  ad  una  ca- 
tenella a  spina  di  pesce  desinente  in  su  in  un  anelletto. 

Reg.  Ili,  ins.  il,  n.  1.  Nel  vestibolo,  a  m.  2  circa  dal  pavimento,  il  giorno  18, 
si  è  raccolto  un  dischetto  di  bronzo  largo  m.  0,025  il  quale,  per  i  tre  forellini  che 
reca  nella  periferia,  mostra  essere  stato  o  il  fondo  di  un  vasetto  cilindrico,  o  l'estre- 
mità di  un'asta  a  corpo  tondo.  Ivi  stesso,  il  giorno  19,  un  quadrante  di  Claudio 
(Cohen  n.  70). 

Reg.  IX,  ins.  XI,  n.  1.  È  stato  deliberato  di  deviare  le  acque  piovane  dal  tergo 
della  parete  su  cui  è  il  dipinto  dei  XII  Dei.  Nel  movimento  di  terre  si  è  rinvenuta 
una  grossa  lucerna  di  terracotta,  larga  m.  0,14,  monolychne,  con  ansa  ad  anello:  essa 
reca  nel  disco  la  Triade  seduta  in  troni  (Giove,  Minerva,  Fortuna),  e  nel  fondo,  in 
pianta  pedis,  la  marca  L  V  C.  Ivi  stesso,  il  giorno  26,  un  medio  bronzo  di  Nerone 
col  tipo  della  Vittoria  alata  (cfr.  Cohen,  n.  288). 

M.  Della  Corte. 

Scavi  durante  il  mese  di  luglio. 

A)  Lo  scavo  della  via  dell'Abbondanza,  sospeso  dal  principio  dello  scorso  giugno, 
è  stato  ripreso  il  giorno  20  di  questo  mese  di  luglio.  Ma,  procedendosi  soltanto  alla 


* 


Pro.  1.  —  Reg.  Ili,  ins.  Ili,  n.  1. 

rimozione  della  parte  alta  del  materiale  eruttivo,  tra  l' isola  IV  della  regione  III  e 
l'isola  IV  della  regione  II,  altro  non  è  tornato  a  luce  che  la  parte  superiore  delle 
pareti,  verso  occidente,  e  niente  di  notevole. 

B)  Reg.  Ili,  ins.  Ili,  n.  1  (scavo  della  casa  di  Trebio  Valente;  pianta  in  figura  1). 
Lo  scavo  di  questa  casa,  che  nel  mese  scorso  fu  appena  iniziato,  è  stato  condotto 


REGIONE    1.  —   337   —  POMPEI 

abbastanza  innanzi,  essendosi  scavate  quasi  due  terze  parti  dell'atrio  (fig.  1,  a),  del 
quale  resta  sepolto  solo  il  lato  di  sinistra  (occidentale)  ;  una  stanzetta  b,  immedia- 
tamente a  destra  delle  fauces  e;  il  grande  salone  d,  ad  oriente  dell'atrio  e  del  quale 
era  già  apparso  un  pò  delle  pareti  ;  un  cubiculum  e,  a  settentrione  di  questo  e  con 
ingresso  dall'atrio  ;  la  parte  anteriore  di  un  corridoio  /",  a  destra  del  tablino. 

L'atrio,  che  era  tuscanico,  piuttosto  piccolo,  ha  pareti  grezze,  pavimento  di  signino 
molto  ordinano,  impluvio  rettangolare  con  sponda  modanata,  il  tutto  parimenti  di 
signino. 

Alla  stanzetta  b  si  accede  dall'atrio  per  un  vano  che  conserva  l' impronta  delle 
mostre  di  legno.  11  suo  pavimento,  posto  alquanto  più  in  basso  di  quello  dell'atrio, 
era  è  di  calcestruzzo  con  vari  frammentini  di  marmo  messi  alla  rinfusa;  la  coper- 
tura era  formata  da  una  leggiera  volticina,  della  quale  rimangono  tracce  evidenti. 
Più  in  alto,  nelle  pareti  settentrionale  e  meridionale  appariscono  gli  alveoli  per  le 
travi  che  sostenevano  l' impiantito  di  un  ambiente  superiore.  Le  pareti  sono  decorate, 
nel  campo  principale,  con  grandi  rettangoli,  tutti  rossi  in  quella  di  fronte  (meridio- 
nale) e  paonazzo  tra  due  verdi  in  quella  di  destra.  La  spartizione  è  fatta  con  can- 
delabretti  bianchi  esilissimi,  che  arrivano  fin  sulla  parte  alta  delle  pareti,  la  quale 
parte  alta,  separata  dai  grandi  rettangoli  per  mezzo  di  una  fascetta  nera  e  di  una  gialla 
con  in  mezzo  una  terza  verde,  e  da  una  cornicetta  bianca,  è  decorata  con  rettango- 
letti  bianchi  e  verdi,  molto  allungati,  in  campo  rosso,  con  leggiera  decorazione  floreale. 
Lo  zoccolo  è  quasi  del  tutto  andato  a  male. 

Nel  salone  d,  in  un  tempo  più  antico,  si  accedeva  per  un  vano  nella  estremità 
destra  della  parete  orientale  dell'atrio;  poscia,  murato  questo  vano,  si  entrava  nel 
salone  attraversando  la  stanzetta  b,  per  un  vano  aperto  nella  parete  orientale  di  questa. 
Detto  salone,  di  forma  rettangolare,  era  coperto  da  una  grande  volta,  della  quale  si 
conservano  tracce,  ed  illuminato  da  un  finestrino  quadrato  nell'alto  della  parete  meri- 
dionale. Il  pavimento,  è  di  calcestruzzo  come  quello  della  stanzetta  b.  Le  pareti  recano 
una  elegante  decorazione  di  3°  stile  su  fondo  interamente  nero,  la  quale  è  uguale  nelle 
pareti  opposte  (fig.  2).  Nel  centro  di  ciascuna  parete  il  solito  baldacchino  formato  da,  colon- 
nine bianche  esilissime  dal  capitello  ionico,  sorreggenti  una  leggiera  trabeazione  piana. 
La  parte  alta  dei  baldacchini  invade  il  fregio  ;  e  su  di  essa  posano  leggiere  architet- 
ture fantastiche,  come  parimenti  architetture  leggiere  ornano  il  campo  del  fregio.  Ai 
lati  dei  baldacchini,  nelle  pareti  corte  una  riquadratura  per  parte;  in  quelle  lunghe 
due,  divise  da  una  specie  di  alto  ed  esile  candelabro  giallo,  invadente  il  fregio.  Nel 
campo  sotto  i  baldacchini,  e  nel  centro  di  ciascuna  riquadratura,  un  animale  fanta- 
stico volante,  oppure  un  cervo,  una  pantera,  un  pappagallo,  un  cigno,  un'aquila,  ecc.. 
Lo  zoccolo  è  diviso  in  riquadrature  di  diversa  forma  e  grandezza,  limitate  da  sottili 
fascette  colorate,  e  in  corrispondenza  delle  divisioni  del  campo  principale. 

Nel  cubicolo  e,  a  settentrione  del  salone  testé  descritto,  si  entra  per  un  basso 
vano  nella  estremità  sinistra  della  parete  orientale  dell'atrio.  Esso  era  coperto  da 
una  leggiera  volticina,  della  quale  rimangono  le  tracce  su  le  due  pareti  corte  orien- 
tale e  occidentale.  Il  pavimento  è  di  calcestruzzo  molto  ordinario  ;  le  pareti,  a  fondo 
bianco,   tranne  nello  zoccolo  che  è  nero,   hanno  il  campo  principale   scompartito  in 


POMPEI 


—  338  — 


REGIONE    I. 


Fio.  2. 


REGIONE    I. 


—  339 


POMPEI 


grandi  riquadrature  per  mezzo  di  sottili  fascette  verticali  celesti  con  ornati  neri  e 
filettature  nere.  Una  fascia  rossa  divide  il  campo  principale  del  fregio,  il  quale  non 
reca  altro  ornato  che  leggiere  fascette  e  filettature.  Nell'alto  della  parete,  ove  è 
l'ingresso,  un  finestrino  quadrato. 


* 


:  ■  ■  ;    ..  •  i  .. 


Durante  lo  scavo  si  rinvennero  i  seguenti  oggetti: 

Nell'atrio,  e  propriamente  nella  parte  bassa  di  esso  presso  le  fauces,  un  pilastro 
di  tufo,  sostegno  di  qualche  mensa  o  di  altro,  a  corpo  rettangolare,  modanato  alla  base, 


■..::.     :  '    !Ì 


Fra.  8. 


alto  m.  0,40  ;  una  monetina  di  bronzo,  irriconoscibile  nei  particolari.  Presso  l' impluvio, 
un  frammento  di  una  grondaia  di  terracotta  con  testa  di  leone;  altra  grondaia  con 
testa  simile,  molto  danneggiata.  Trattasi  evidentemente  delle  grondaie  cadute  dal 
compluvio.  Presso  l'entrata  della  stanzetta  b,  due  grossi  chiodi  di  bronzo. 

Nella  stanzetta  b,  un  mortaio  di  marmo  bianco  molto  alto  e  stretto,  rotto  in  un 
lato;  un  frammento  di  cornice  di  marmo  bianco. 

Nel  grande  salone  d  una  borchia  circolare  di  bronzo,  larga  m.  0,07,  con  relativo 
perno;  piccolo  guarda-spigolo  di  bronzo  coi  relativi  forellini  pei  chiodetti,  apparte- 
nente a  qualche  cassetta  o  ad  altro  mobile  ;  parallelepipedo  di  marmo  bianco,  lungo 

Notizw  Soavi  1915  -  Val.  XII.  45 


POMPEI 


—  340  — 


REGIONE    I. 


m.  0,17,  largo  ni.  0,083,  alto  m.  0,055,  munito  superiormente  di  una  maniglia  di 
marmo  stesso,  impostata  sopra  due  sporgenze  a  forma  di  mammelle.  Vaso  di  bronzo 
per  versare,  alto  m.  0,175,  a  pancia  quasi  sferica,  fondo  piatto,  basso  collo  slargato 
in  alto  e  in  basso,  bocca  imbutiforme,  ansa  verticale  impostata  sul  labbro  e  sulla 
pancia.  Nel  cubicolo  e,  e  più  esattamente  nell'angolo  nord-ovest  di  esso,  verso  il  suolo, 
vari  oggettini,  i  quali  verosimilmente  dovevano  essere  raccolti  in  un  cofanetto  di  legnò, 
a  cui  doveva  appartenere  una  piccola  serratura  di  bronzo  e  una  borchietta  decorativa, 
trovate  con  gli  oggetti  che  qui  descrivo  : 

1)  recipiente  circolare  di  bronzo  interamente  aperto  di  sopra,  alto  m.  0,064, 
largo  0,115,  con  grosso  beccuccio  per  versare  e  a  fondo  piatto; 


Fis.  4. 


Fio.  5. 


2)  attingitoio  di  argento,  alto  0,09,  a  recipiente  circolare  tutto  aperto  di  sopra, 
con  alto  manico  verticale,  piatto,  decorato  superiormente  con  una  graziosa  pelta 
(fig.  3); 

3)  cucchiaio  di  argento,  lungo  m.  0,155,  con  manico  diritto  a  corpo  circolare 
terminante  con  una  piccola  sfera; 

4)  cucchiaino  di  argento,  lungo  m.  0,13; 

5)  ago  crinale  di  argento,  rotto,  terminante   in  piede  suino,  lungo   m.  0,10; 

6)  parte  estrema  di  ago  crinale  di  argento  terminante  con  una  manina  ; 

7)  frammento  di  altro  ago  crinale; 

8)  unguentario  di  agata  tornita,  alto  m.  0,044,  di  forma  cilindrica  legger- 
mente rastremato  in  alto  e  in  basso,  con  alto  collo  cilindrico  alquanto  slargato  verso 
la  spalla  e  la  bocca  (fig.  4); 

9)  unguentario  di  cristallo  di  rocca  lungo  m.  0,05,  a  forma  di  cicala,  rotto 
nella  parte  anteriore,  munito  di  tappo  parimente  di  cristallo  (fig.  5); 

10)  due  orecchini  di  oro,  privi  di  gancetto,  di  forma  semicircolare  e  a  corpo 
semicircolare  rastremato  da  una  parte  e  dall'altra,  rotti  e  schiacciati  ; 

11)  piccolo  cristallo  rettangolare,  arrotondato  negli  angoli  e  nei  due  piani, 
di  color  cobalto,  forse  castone  di  qualche  anello. 


REGIONE    I. 


—  841  — 


POMPEI 


Nello  stesso  ambiente  (fu  trovata)  una  lucerna  di  bronzo  monolychne  (fig.  6), 
a  corpo  molto  allungato  (m.  0,205),  con  ausa  a  doppia  attaccatura,  decorata  nella  parte 


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Fio.  6. 


anteriore  con  una  raascheretta  di  Aminone.  Questa  ha  tratti  di  un  negroide:  naso 
camuso,  barba  corta  e  ricciuta,  occhi  piccoli,  fronte  bassa.  Spiccano  le  grosse  corna 
di  ariete. 

G.  Sparo. 


POMPEI  —   342    —  REGIONE   I. 


Continuazione  degli  scavi  lungo  la  via  dell 'Abbondanza  durante  il 
mese  di  agosto. 

a)    Scavo  della  Via  propriamente  detta. 

Le  esplorazioni  eseguite  durante  il  mese  di  agosto  si  sono  contenute  tra  le  fronti 
delle  due  isole  opposte,  IV  della  reg.  Ili  a  nord,  e  IV  della  reg.  II  a  sud;  e  si  sono 
limitate  ai  soli  strati  alti  (terreno  vegetale  e  cinereo)  che  vengono  rimossi,  mentre 
lo  strato  di  lapillo  viene  lasciato  intatto.  Circoscritti  in  tali  limiti  i  lavori,  quel  che 
si  è  potuto  restituire  alla  luce  durante  il  mese  sono  soltanto  le  sommità  delle  fac- 
ciate dei  primi  edificii  delle  isole  indicate,  e  per  una  lunghezza  di  m.  12,  rispetti- 
vamente: dovendosi  pertanto  differire  ad  altro  tempo  un  rilievo  planimetrico,  offro  qui 
un  breve  cenno  dei  monumenti  per  ora  visibili. 

Isola  a  nord:  Reg.  Ili,  ins.  IV,  n.  1.  Facciata  di  un  edificio  rustico,  del 
quale  manca  tutta  la  muratura  al  disopra  del  disfatto  architrave. 

n.  2.  Facciata  di  un  altro  edificio  rustico  con  ampia  tettoia  a  protezione  del- 
l'antistante marciapiede.  Si  vanno  diligentemente  liberando  quelle  tegole  che  mostransi 
di  poco  spostate  dal  loro  sito  originario,  essendo  le  altre  da  ricercare  nel  sottoposto 
strato  di  lapillo;  la  muratura  di  questa  facciata  è  purtroppo,  a  tergo,  in  gran  parte 
disgregata. 

Isola  a  sud:  Reg.  II,  ins.  IV,  n.  1.  Tutta  la  fronte  di  questo  vano  d'in- 
gresso era  fornita  in  alto  di  un  grande  balcone  i  cui  parapetti,  della  solita  leggiera 
muratura,  si  raccoglieranno,  almeno  in  parte  come  è  sperabile,  nello  strato  di  lapillo 
ancora  intatto.  Ciò  che  per  ora  è  visibile  del  balcone  è  una  parte  del  parapetto  orien- 
tale, al  quale  sono  appoggiate,  capovolte,  sei  anfore  di  terracotta,  e  la  sola  impronta 
di  attacco  del  corrispondente  parapetto  occidentale. 

n.  2.  La  facciata  che  segue  verso  oriente  è  solida,  ma  rustica,  e  non  oltre  par- 
ticolari degni  di  nota. 

b)    Reg.  II,  ins.  II,  n.  1.  Casa  di  Trebio  Valente. 

Anche  in  questa  casa  attualmente  in  corso  di  scavo,  i  lavori  compiuti  du- 
rante il  mese  di  agosto  si  sono  contenuti  negli  strati  alti,  ma  hanno  investita  in 
ampiezza  la  rimanente  parte  dell'atrio  ancora  intatta,  cioè  i  lati  settentrionale  ed 
occidentale  con  la  corrispondente  porzione  del  vicolo  che  costeggia  quest'ultimo  lato. 
Riferendomi  alla  pianta  inserita  nel  rapporto  del  mese  scorso,  alla  quale  non  possono 
farsi  nuove  aggiunte  allo  stato  attuale  delle  scoperte,  noterò  partitamente  i  progressi 
qui  fatti  in  questo  mese: 

Tabi  ino.  Lo  scavo,  condotto  in  profondità  fino  all'altezza  del  fregio,  ha  fatto 
scoprire  nella  parete  nord  una  grande  finestra  che  prendeva  luce  ed  aria  dal  retro- 
stante ambulacro  del  peristilio:  essendosi  subito  provveduto  ad  assicurare  la  sovra- 


REGIONE    I. 


—  343  — 


POMPBI 


stante  fabbrica  mercè  l' inserzione  di  spranghe  di  ferro  al  posto  dell'antico  architrave, 
il  bel  fregio  di  questa  parete    (fig.  7)  consistente   in   due  vaghi  tralci  di   vite  con 


K 


2 


grappoli  bianchi  e  rossi  cui  «ercano  di  addentare  con  naturali  e  agili  movenze  quattro 
cerviatti,  è  definitivamente  assicurato.  La  parete  orientale  è  integra  meno- nella  estre- 


POMPBT  —   344    —  RBCUON8   I. 

mità  settentrionale,  dove,  per  un  fosso  stretto  e  profondo  praticato  dall'alto  in  epoca 
imprecisata,  notasi  una  discontinuità;  la  parete  opposta  è  per  metà  abbattuta  in 
dentro,  ma  si  vanno  recuperando  i  frammenti  della  sua  decorazione  dipinta  per  il 
necessario  restauro. 

Ala  e  salone  ad  occidente  del  tablino.  Vi  si  sta  scavando  da  pochi  giorni 
e  vi  si  è  pervenuto  in  profondità  fino  all'altezza  del  fregio  delle  pareti  elegantemente 
dipinte  a  fondo  bianco. 

Vicolo  occidentale.  Esso  si  va  sgombrando  contemporaneamente  per  evitar 
carico  alle  pareti  degli  ambienti  descritti,  ma  non  vi  si  osservano  per  ora  particolari 
notevoli. 

Oggetti  raccolti  ed  iscrizioni  scoperte  durante  il  mese. 

Reg.  Ili,  ins.  Il,  n.  1.  Sopra  il  collo  di  un  urceo  di  terracotta,  trovato  nell'atrio 
il  mese  scorso,  leggo  (3  agosto)  la  seguente  piccola  iscrizione  nera: 

1.  G-FLOS        \_Ga{ri)fl,os] 

e  sopra  il  collo  di  un'anforetta,  mancante  dell'orlo  e  delle  anse,  trovata  pure  essa 
nell'atrio  il  mese  scorso,  leggo  quest'altra  piccola  iscrizione  greca: 

2.  KAimcTfir 

lK(Xavòlov)  U{e!)<rT(o)v  ?]  ;  cfr.  C.  I.  L.  IV,  nn.  6399  segg. 

Nei  cumuli  di  terre  scaricati  da  scavi  precedenti  presso  l'anfiteatro,  si  è  trovato 
un  corrente  di  pastavitrea  azzurro,  forato  e  baccellato. 

Reg.  III,  ins.  II,  n.  1.  Dall'alto  dell'ambiente  rustico  posto  ad  oriente  delle 
fauees  sono  venuti  fuori  un  boccettino  di  vetro  alto  m.  0,065,  ed  un  anello  di  bronzo 
da  borchia,  striato,  largo  m.  0,05. 

Nel  tablino,  all'altezza  del  fregio,  nel  mezzo  del  vano  d' ingresso,  si  è  raccolto 
un  bronzo  destinato  a  decorare  l'estremità  a  sezione  quadrata  di  un'asta  di  legno 
appartenuta  forse  ad  un  mobile:  consiste  di  un  involucro  a  sezione  quadrata,  alto 
m.  0,052,  dal  quale  sporge,  ripiegato  a  ino'  di  uncino,  un  pollice  umano  alto 
m.   0,05. 

Dagli  operai  addetti  allo  scarico  ad  oriente  dell'anfiteatro  è  stata  raccolta  e  con- 
segnata all'ufficio  (12  agosto)  una  interessante  moneta  greca,  imperiale,  rara  a  quel 
che  a  me  sembra,  non  essendomi  riuscito  di  trovarne  il  preciso  riscontro  :  è  del  pro- 
console L.  Mindius  (Pollio?)  governatore  della  Bitinia  (fig.  8).  Per  l'integrazione 
della  leggenda  cfr.  Morelli,  Famiglia  Mindia,  n.  1  ;  Bckhel,  Doctrina  numorum 
velerum,  voi.  II,  Bithynia,  pag.  401,  e  De  Vit,  Onom.  s.  v.  Mindius:  il  tipo  del 
R>  però  differisce  da  quello  della  moneta  nota  al  Morelli,  poiché,  in  luogo  del  busto 
di  Minerva  galeata,  la  nostra  moneta  reca  il  busto  di  una  imperatrice. 


REGIONE    I. 


—  845 


POMPEI 


V  Testa  di  imperatore  (coi  tratti  di  Traiano?)  AYTO(KPATOPOZ  KAIZA- 
POZ? ZEBA)ZTOZ     TEPMANIK- 

9  Busto  velato  di  imperatrice  a  dr.  ;  come  Demeter,  con  davanti  2  spighe  e  il 
frutto  del  papavero  Eni  •  A- MINAlOY- ìl  ( AN0Yn)ATOYTTATP(nNOZ) . 


Fio.  8. 


Nel  Catalogo  del  British  Museum  sono  registrate  le  monete  del  proconsole  della 
Bitinia,  della  stessa  famiglia,  L.  Mindius  Balbus  (Bithynia,  pag.  153,  n.  10,  cfr. 
tav.  XXXI,  14,  di  Nicaea,  e  pag.  180,  n.  6,  di  Nikomedia;  cfr.  Index,  V,  pag.  234). 


Fio.  9. 


L'Eckhel  (loc.  cit.)   ripete   dal  Morelli  quella  di  L.  Mindius  Pollio,  dell'età  dei 
Claudi.  La  presente  moneta  non  è  più  precisamente  identificabile,  nò  databile. 

Reg.  Ili,  ins.  II,  n.  1.  Sul  pilastro  orientale  del  tablino  si  ò  scoperta  una  piccola 
iscrizione  lievemente  granita,  della  quale  dò  la  riproduzione  in  fac-simile  non  essen- 
domi riuscito  di  leggervi  altro  che  il  nome  Seppia  nel  primo  rigo  (fig.  9). 

3. 

M.  Della  Corte. 


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REGIONE   VH.  —   847   —  OBRVETERI 


Anno  4915  —    Fascicolo   11 


Regione  VII  (ETRURIA). 


I.  CERVETERI  —  Nuove  esplorazioni  nella  necropoli  di  Caere. 
Tombe  di  età  posteriore  al    V  sec  av.  Or.,  e  cippi  sepolcrali. 

La  necropoli  di  Caere  si  estende  sugli  altipiani  e  sui  declivi  delle  colline  che 
sono  intorno  al  vasto  pianoro  sul  quale  sorgeva  l'antica  città,  di  là  dalle  profonde 
valli  che  ne  formano  il  limite  naturale  ad  est,  a  sud  e  ad  ovest,  e  di  là  dalla 
fossa  artificiale  munita  di  mura  che  ne  segnava  l'estremità  settentrionale. 

Mediante  gli  scavi  che  si  sono  eseguiti  durante  un  quinquennio,  per  conto  del 
Ministero  della  Pubblica  Istruzione,  nella  tenuta  della  «  Banditacela  »  del  principe 
don  Alessandro  Buspoli,  e  col  favore  del  principe  stesso,  si  è  rimesso  in  luce  un 
gran  numero  di  tombe  di  tutte  le  età  comprese  fra  l'epoca  detta  «  villanoviana  »  e 
il  principio  dell'era  moderna. 

Fatta  eccezione  per  poche  ricerche  sporadiche,  la  maggior  parte  del  lavoro  è 
stato  dedicato  all'esplorazione  sistematica  di  una  limitata  zona  del  sepolcreto  della 
«  Banditacela  »  sull'altipiano  ad  ovest  della  città. 

Ivi  sono  state  rimesse  in  luce  poche  tombe  a  fossa  arcaiche,  riferibili  ad  un'epoca 
coincidente,  o  quasi,  con  quella  dei  cinerari  villanoviani,  di  cui  qualcuno  potrebbe 
anche  riapparire  coll'estendersi  delle  ricerche,  fra  le  fosse,  come  è  avvenuto  in  altri 
sepolcreti  arcaici  a  nord  e  a  sud-est  della  stessa  Caere. 

Evidentemente  i  più  antichi  sepolcri  a  fossa  ed  a  pozzetto,  cioè  ad  inumazione 
ed  a  cremazione,  furono  distrutti  per  far  luogo  alle  grandi  e  ricche  tombe  a  camera 
scavate  nella  viva  roccia  tufacea,  ai  tumuli,  e  alle  vie  sepolcrali. 

Le  più  antiche  tombe  a  camera  finora  scoperte  sono  riferibili  alla  seconda  metà 
dell' Vili  secolo  av.  Cr.  Le  più  recenti  possono  attribuirsi  ai  primi  tempi  del  periodo 
imperiale 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  46 


CERVETERI  —    348    —  REGIONE    VII. 

Anche  i  sepolcri  dell'  Vili,  VII  e  VI  secolo  furono  talvolta  abbattuti  per  dare 
attuazione  a  un  nuovo  «  piano  regolatore  »  di  strade  longitudinali  e  trasversali  pro- 
fondamente incassate,  il  quale  ebbe  il  suo  inizio  verso  il  IV  secolo. 

Mentre  nel  periodo  anteriore  al  IV  sec.  le  tombe  a  camera,  o  isolate,  o  raggrup- 
pate, o  riunite  anche  entro  tumuli,  erano  disseminate  irregolarmente  sull'altipiano; 
nel  seguente  periodo  la  posizione  di  esse  fu  rigidamente  disciplinata,  in  modo  che 
le  vie  sepolcrali  formassero  un  sistema  non  dissimile  da  quello  delle  vie  urbane.  Così, 
mentre  nell'  interno  delle  tombe  era  riprodotta  architettonicamente  la  casa  dei  vivi, 
all'esterno  si  aveva  pure  un  insieme  che  raffigurava  in  qualehe  modo  la  città  dei  vivi. 

La  figura  1  offre  la  planimetria  di  una  parte  dell'area  esplorata,  con  due  antichi 
tumuli,  con  una  parte  della  via  sepolcrale  principale,  e  colle  vie  II  e  III. 

Le  figure  2,  3  e  4  presentano  delle  vedute  della  via  sepolcrale  principale,  e  le 
figure  5  e  6  offrono  alcune  particolarità  delle  vie  II  e  III,  quali  appariscono  dopo 
l' escavazione. 

Riserbandoci  di  dare  prossimamente  un'ampia  illustrazione  dei  sepolcri  e  dei  mo- 
numenti sepolcrali  di  età  anteriore  al  IV  secolo,  come  anche  delle  suppellettili  funebri 
in  essi  rinvenute,  esporremo  qui  brevemente  le  caratteristiche  essenziali  delle  tombe 
di  età  più  tarda. 

Queste  erano  scavate,  come  si  è  detto,  ai  lati  delle  strade.  Vi  si  accedeva  mediante 
brevi  gradinate  incassate  al  di  sotto  del  piano  stradale.  Avevano  la  porta  chiusa 
esternamente  con  lastroni  tufacei  sovrapposti.  Spesso  fra  i  lastroni,  e  fra  questi  e  le 
pareti,  le  commessure  erano  riempite  di  argilla  per  impedire  all'acqua  di  filtrare 
nell'  interno. 

Questo  medesimo  sistema  di  chiusura  fu  sempre  usato,  anche  nelle  tombe  più 
antiche. 

Neil'  interno  le  tombe  del  IV  secolo,  e  quelle  di  età  posteriore,  presentano  un 
unico  ambiente,  di  solito  abbastanza  grande,  per  contenere  molti  cadaveri. 

Esse  raffigurano  una  camera  con  soffitto  a  due  pioventi,  sorretti  nel  mezzo  da 
un  largo  columen  e  con  tessitura  di  travicelli:  il  tutto  scolpito  nel  tufo. 

Tutto  in  giro  ricorre  una  banchina,  sulla  quale  erano  deposti  i  morti.  Dei  loculi 
venivano  scavati  nella  parete  di  fondo  e  nelle  pareti  laterali,  allorché,  dopo  aver 
occupato  coi  cadaveri  tutta  la  banchina,  occorreva  provvedere  il  posto  per  deporre 
altre  salme. 

Le  più  grandi  tombe  hanno  il  soffitto  diviso  in  tre  navate  sostenute  in  mezzo 
da  due  pilastri,  e  presentano  più  ordini  di  banchine,  ovvero  banchine  larghissime 
sulle  quali  i  morti  eran  disposti  trasversalmente,  oltre  a  un  numero  notevole  di  loculi 
scavati  nelle  pareti. 

A  questa  specie  di  vasti  sepolcri  appartengono  le  ben  note  tombe  dei  «  Tar- 
quinii  »,  dei  «  Rilievi  »,  detta  anche  degli   «  Stucchi  »  e  dell'»  Alcova  ». 

Mentre  i  seppellimenti  del  periodo  anteriore  comprendevano  di  solito  gruppi  di 
più  camere  riproducenti  le  varie  parti  di  una  casa,  e  specialmente  il  triclinio  e  i 
cubicoli,  e  contenevano  pochi  morti  deposti  sopra  letti  scolpiti  nella  roccia,  e  corri- 
spondevano perciò  a  tombe  di  famiglia  e  ad  un  periodo  di  tempo  limitato  ;  quelli  invece 


REGIONE   VII. 


—   349    — 


CERVETERI 


VIA      I 


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Fio.  1.  —  Planimetrìa  di  nna  parte  dell'area  esplorata. 


CKRVBTBRI 


—    350    — 


RBOIONB    VII. 


di  età  più  tarda  eran  destinati,  benché  formati  da  una  sola  camera,  a  tutta  una  paren- 
tela e  durante  un  periodo  piuttosto  lungo.  Difatti,  dopo  aver  deposto  in  una  tomba 
tutte  le  salme  che  vi  potevano  esser  collocate  regolarmente,  si  trovava  ancor  modo 
d' immettervene  altre.  Il  posto  occorrente  si  faceva  gettando  le  ossa  dei  morti  che 
da  maggior  tempo  erano  stati  sepolti,  insieme  colla  rispettiva  suppellettile  funebre, 
in  un  puteolo  che  all'uopo  si  scavava  nel  piano  della  tomba. 

Non  si  sa  se  dagli  etruschi  venissero  adottati  processi  per  arrestare  o  rallentare 
la  putrefazione  dei  cadaveri:  ma  da  alcune  circostanze  abbiamo  potuto  aver  la  prova 


Fio    2.   —    Veduta  della  via  sepolcrale  principale. 


che  nei  sepolcri  più  antichi  si  usavano  profumi  liquidi  per  attenuare  il  fetido  odore 
emanante  dai  morti,  fino  a  che  di  questi  non  rimanevano  che  gli  scheletri,  in  seguito 
alla  completa  decomposizione  delle  carni.  E  certo,  per  lo  stesso  scopo,  si  usò  in  ogni 
tempo  circondare  i  morti  di  fiori  e  di  piante  odorose,  fra  le  quali  gli  etruschi  sembra 
preferissero  il  mirto,  se  deve  giudicarsi  dalle  evidentissime  impronte  di  ossido,  lasciate 
da  foglie  di  mirto  che  appariscono  sulle  facce  ancora  rilucenti  di  uno  specchio  di 
bronzo  ben  conservato  che  si  è  rinvenuto  recentemente  in  una  tomba  del  III  sec.  a.  C. 
La  vista  delle  camere  sepolcrali  di  epoca  tarda,  allorché  erano  ricolme  di  cada- 
veri, alcuni  già  ridotti  a  scheletri,  ed  altri  nei  varii  stadi  della  decomposizione,  tutti 
ancora  avvolti  nelle  loro  vestimenta,  quali  più,  quali  meno  conservate,  e  ancor  mu- 
niti dei  loro  ornamenti,  e  circondati  dal  vasellame  del  rispettivo  corredo  funebre, 
doveva  esser  qualche  cosa  di  orribilmente  ripugnante,  che  può  aver  solo  riscontro  in 
certi  spaventosi  costumi  funebri  di  alcuni  luoghi  nel  medio  evo. 


REGIONE    VII. 


—  351  — 


CERVETERl 


Ogni  volta  che  in  un  sepolcro  si  doveva  depone  una  salma,  i  lastroni  formanti 
la  chiusura  della  porta  venivano  rimossi,  e  si  presentava  allora  l'orrida  visione  dei 
cadaveri  in  precedenza  sepolti,  accompagnata  dalle  rivoltanti  esalazioni  della  decom- 
posizione. 

Non  si  creda,  però,  che  le  poche  lastre  di  tufo  sovrapposte  e  appoggiate  all'esterno 
contro  la  porta  delle  tombe  ne  costituissero  da  sole  la  chiusura,  perchè  chiunque, 
anche  senza  il  sussidio  di  leve  o  di  altri  strumenti,  e  soltanto  con  lo  sforzo  delle 
braccia,  avrebbe  potuto  in  pochi  istanti  abbattere  quelle  poche  lastre  e  render  libero 
l' ingresso. 


FiG.  3.   —  Altra  veduta  della  via  sepolcrale  principale. 


Il  sistema  di  chiusura  era  però  completato  colla  terra  che  si  addossava  alle 
lastre  stesse,  e  che  formava  al  disopra  del  piano  delle  vie  sepolcrali  uno  strato  con- 
tinuo di  due,  tre  o  più  metri  d'altezza.  In  tal  modo,  non  soltanto  le  porte  delle 
tombe  (alle  quali  si  scendeva,  come  si  è  detto,  con  brevi  gradinate  incavate  al  disotto 
del  piano  stradale)  rimanevano  totalmente  rinterrate;  ma  l'architrave  di  esse  si  tro- 
vava pure  coperto  da  terra  per  un'altezza  di  un  metro  e  mezzo,  e  più. 

Lo  strato  di  terra  di  grande  spessore  rendeva  la  chiusura  relativamente  sicura, 
perchè  occorreva  un  lavoro  notevole  di  escavazione  per  poter  raggiungere  l'ingresso 
delle  tombe:  escavazione  che  si  doveva  ripetere  ad  ogni  nuovo  seppellimento,  e  che 
difficilmente  poteva  esser  compiuto  dai  ladri  con  un  colpo  di  mano  e  senza  che  essi 
rischiassero  di  essere  scoperti. 

?Le  vie  sepolcrali  si  presentavano  come  larghe  fosse  incassate  nel  tufo  colle  pareti 
verticali  superiormente  regolarizzate,  e  compiute  da  muri  ad  opera  quadrata.  Niuna 
apertura  appariva  che  interrompesse  la  continuità  delle  pareti.  E  poiché  poteva  riuscir 
talvolta  disagevole  il  ritrovare  il  punto  preciso  corrispondente  alle  porte  delle  tombe, 
ed  un  errore  avrebbe  potuto  causare  un  inutile  maggior  lavoro  di  sterro,   così  la  posi- 


CERVETBRI 


—  352  — 


REGIONE    VII. 


zione  di  esse  era  determinata  da  segni  esterni,  visibili,  incisi  sulle  pareti  al  disopra 
del  piano  di  terra. 

Tali  segni  consistevano  in  croci  o  in  lettere,  come  i  seguenti: 

X  ,+  ,*  ,   i, 

Stili'  ingresso  di  alcune  tombe,  sempre  in  vista,  erano  incise  iscrizioni  indicanti 
la  famiglia  o  la  gente  cui  esse  appartenevano. 


Fio.  4.  —    Gruppo  di  tombe  della  via  sepolcrale  principale. 


Sopra  la  porta  di  una  tomba  della  via  sepolcrale  I,  presso    l'angolo  della    via 
sepolcrale  11,  si  legge  la  seguente  iscrizione  a  grandi  caratteri: 

2AqCHA/!iMAHA 

Sopra  una  tomba  a  sud  del  tumulo  I  è  incisa  la  seguente  iscrizione  incompleta: 

Sopra  due  lastroni  caduti  dalla  parete  a  sud  della  via   sepolcrale  II  è  grafita 
l'iscrizione  che  qui  si  riproduce: 

[vojAì^avNfi:) 

S' intende  sempre,  come  già  si  è  ripetuto,  che  quanto  qui  si  espone  si  riferisce 
soltanto  a  tombe  non  anteriori  al  IV  sec.  av.  Cr. 


RKG10NK    VII. 


—    358    — 


CERVETKRI 


Oltre  ai  segni  o  alle  iscrizioni  esterne  di  riconoscimento,  tali  sepolcri  avevano 
spesso,  pure  all'esterno,  e  solo  eccezionalmente  nell'interno,  dei  cippi  o  stele  che 
dovevano  indicare  le  persone  che  vi  erano  sepolte. 

I  cippi  avevano  in  genere  forma  di  colonnette,  ovvero  di  piccoli  sarcofagi, 
o  di  casette  con  tetto  a  due  pioventi,  di  peperino  o  di  nenfro,  o,  più  spesso,  di  un 


Fio.  5.  —   Veduta  della  Via  sepolcrale    II. 


calcare  saccaroide  o  amorfo,  friabilissimo,  detto  «macco»,  ed  erano  inseriti  e  l'issati 
con  malta  di  calce  entro  incassi  appositamente  praticati  su  lastroni  di  peperino,  e 
più  raramente  di  tufo.  Ma,  ridotti  alla  loro  più  semplice  espressione,  i  cippi  sepolcrali 
di  questa,  come  di  altre  necropoli  etnische,  consistevano  alcune  volte  in  pietre  liscio 
e  tondeggianti,  di  lava,  trachite  o  altra  roccia  dura,  di  forma  all'  incirca  ovoidale 
od  elissoidale  schiacciata.  Queste  pietre  talvolta  erano  state  regolarizzate  artificial- 
mente, nel  qual  caso  potevano  aver  prima  servito  quali  pesi  di  bilancia,  riconoscibili 
pel  foro  con  resti  di  piombatura  con  cui  era  stato  fissato  il  gancio  per  appenderle; 
ma  più  spesso  erano  miseri  ciottoli  naturalmente  arrotondati,  raccolti  nell'alveo  dei 
prossimi  fossi.  E  non  di  rado  il  sepolcro  di  un  bambino  era  indicato  da  una  piccola  e 
informe  scheggia  di  pietra. 


0BKVETER1 


—  354  — 


KKOIONK    VII. 


Anche  tutti  questi  cippi  rudimentali  erano  fissati  su  lastre  «  portacippi  »  in  fori 
appositi,  come  i  cippi  di  forma  regolare,  coi  quali  erano  talvolta  frammisti.  Però  essi 
dovevano  riferirsi  agi'  individui  più  umili,  ai  servi,  o  ai  tìgli  dei  servi,  per  ricordare 


Km.  6.  —  Veduta  dulia  Via  sepolcrale  III. 


i  quali  non  si  era  creduto  necessario  compiere  un  qualsiasi  lavoro,  ma  si  eran  collocati 
soltanto  dei  segni  che  nulla  costavano,  e  che  eran  posti  ad  indicare  anonimi  e  miseri 
esseri  umani  che  erano  scomparsi  dal  mondo,  e  la  cui  memoria  non  doveva  perdurare. 
Ciascuno  dei  lastroni  «  portacippi  »  recava  un  maggiore  o  minore  numero  di 
cippi  di  varie  dimensioni,  dell'uno  o  dell'altro  tipo,  cioè  a  colonnetta,  a  sarcofago,  od  a 
casetta,  o  costituiti   da   semplici   ciottoli.  Moltissimi   ne   sono  stati   ritrovati,  quasi 


REGIONK    VII. 


355 


CERVETERI 


sempre  in  pezzi,  e  senza  i  cippi,  i  quali,  distaccatisi  dai  rispettivi  incastri,  andaron 
dispersi  in  mezzo  alla  terra. 


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Fio.  7.  —  Lastrone  «porta-cippi». 

Le, figure  7  e  8  rappresentano  due  «  portacippi  »,  e  le  figure  9  e  10  rappresen- 
tano alcuni  cippi  inseriti  nel  rispettivo  sostegno. 


Fio.  8.  —  Altro  lastrone  «porta-cippi». 


Soltanto  alcuni  cippi  molto  piccoli,  non  inscritti,  si  trovarono  tuttora  in  posto. 

I  cippi,  raggruppati  sopra  uno  o  più  lastroni,  dovevano  esser  collocati  sullo 
strato  di  terra  che  ricolmava  per  notevole  altezza  le  vie  sepolcrali,  ai  lati  dei  luoghi 
sotto  cui  erano  le  porte  delle  tombe.  Quelli  che  si  sono,  eccezionalmente,  rinvenuti 

Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  47 


CKRVETERI 


-  356 


REGIONE    VII. 


entro  le  tombe,  erano  isolati,  sprovvisti  di  supporto,  e  ciascuno  di  essi  stava  ad  indi- 
care il  luogo  occupato  sulle  banchine,  o  entro  i  loculi,  da  una  singola  persona. 


Fio.  9.  —  Gruppo  di  cippi  inseriti  in  un  lastrone  di  sostegno. 

I  cippi  scolpiti  a  colonnetta,  ovvero  a  sarcofago,  dovevano  esser  tutti  inscritti, 
col  nome  dei  morti  cui  si  riferivano.  Quelli  su  i  quali  nulla  attualmente  si  legge,  o 


Pio.  10.  —  Altro  gruppo  di  cippi  inseriti  in  un  lastrone  di  sostegno. 


portavano  dipinta  l' iscrizione,  che  perciò  facilmente  scomparve  ;  ovvero  subirono  una 
corrosione  superficiale,  per  effetto  della  quale  sparirono  i  caratteri  che  vi  erano  stati 
incisi. 

Dn  cippo  con  iscrizione  dipinta  con  ocra  rossa  fu  scoperto  in  una  tomba  della  via 
sepolcrale  II,  tomba  appartenente  alla  famiglia  Magilia  (vedi  cippo  n.  41). 

Specialmente  i  cippi  di  macco  bianco,  che  è  materia  molto  disgregabile,  perdettero 
le  iscrizioni  in  tutto  o  in  parte,  in  conseguenza  dell'alterazione  della  loro  superficie. 


REGIONE    VII 


857  — 


CERVETER1 


Soltanto  i  piccolissimi  cippi  riferibili  a  bambini,  e  che  si  sono  trovati  su  piccole 
tombe  a  fossa  o  a  cassa,  fuori  dei  sepolcri  a  camera,  sulle  vie,  e  che  ricordano  il 
subgrundarium,  ossia  il  luogo  in  cui  a  Roma,  fuori  delle  case,  erano  deposte  le  ossa 
di  neonati,  non  dovevano  essere  inscritti. 

Di  tutti  i  cippi  inscritti  si  è  fatta  una  raccolta,  la  cui  grande  importanza  per 


i 


Fio.  11.  — Cippo  con  sommità  a  forma  di 
cocuzzolo  di  testa  di  uomo  laureata. 


Pio.  12.  —  Altro  cippo  cou  serto  di  edera 
alla  sommità. 


l'onomastica  etnisca  e  latina,  e  per  la  cognizione  delle  gentes  e  delle  famiglie  che 
costituivano  la  popolazione  di  Caere,  non  può  sfuggire  ad  alcuno. 

Di  ciascuno  di  essi  perciò  offriamo  la  descrizione  accompagnata  dall'apografo 
della  rispettiva  iscrizione. 

Un  importantissimo  fatto  è  apparso  dallo  studio  della  forma  dei  cippi  in  rela- 
zione colle  epigrafi  che  trovansi  su  di  essi. 

Tutti  i  cippi  a  forma  di  colonnetta  si  riferiscono  a  maschi;  tutti  i  cippi  a 
forma  di  casa  o  di  sarcofago,  o  di  forma  parallelepipeda,  sono  di  femmine. 

Questa  sembra  una  importante  peculiarità  delle  più  tarde  tombe  della  necropoli 
cerite,  fra  il  IV  sec.  e  il  principio  dell'  Impero.  Nondimeno,  la  ragione  della  distin- 
zione dei  cippi  degli  uomini  e  di  quelli  delle  donne  si  può  ritrovare  nella  stessa 
loro  forma. 


CERVETER1 


-    358    — 


REGIONE    VII. 


La  colonnetta  non  è  che  la  rappresentazione  schematica  e  stilizzata  dell'uomo. 
In  origine  questo  doveva  esser  raffigurato  da  una  statuetta  eretta;  ma  poi  la  rappre- 


Fio.  13.  —  Cippo  con  serto  di  edera  alla 
sommità. 


Fig.  14.  —  Cippo  con  sommità  a  forma 
di  capocchia. 


Fio.  15.  —    Cippo  a  colonnetta  del  tipo 
più  comune. 


Fio.  16.  —  Altro  cippo  a  colonnetta  del 
tipo  più  cornane. 


sentazione  di  esso  direnne  più  sommaria,  e  soltanto  qualche  accessorio  lo  ricordava, 
tinche,  per  successive  semplificazioni,  ne  rimase  il  simbolo  in  un  cilindro  di  pietra. 


RBQIONK    VII.  —    359    —  CBRVETKRI 

A  provare  in  modo  materiale  e  irrefutabile  quest'asserto,  presentiamo  il  cippo 
rappresentato  nella  tig.  1 1  e  distinto  col  n.  23  nel  seguente  elenco,  la  cai  sommità 
rappresenta  il  cocuzzolo  di  una  testa  umana  capelluta  circondata  da  una  corona  di 
foglie  e  bacche  di  lauro  legata  dietro  con  nastro  ricadente.  Forse  si  voleva  con  la 
corona  indicare  il  morto,  che  era  l'etrusco  A.  Campanes,  come  se  fosse  ornato  per 
prender  parte  al  banchetto. 

E  questa  medesima  indicazione  si  volle  dare  probabilmente  coi  cippi  recanti  i 


Fig.  17.  —  Altro  cippo  a  colonnetta  con  iscrizione  intomu  alla  baso. 


nn.  24  (ved.    tig.  12)  e  56  (ved.  tig.  13),  i  quali,  pur  non  presentando  il  cocuzzolo 
capelluto,  sono  circondati  alla  sommità  da  un  serto  di  edera. 

Un  cippo  a  colonnetta  (n.  135),  venuto  testé  in  luce,  è  compiuto  superiormente 
da  una  specie  di  capocchia  sferi  forme  che  deve  rappresentare  in  modo  rudimentale  una 
testa  umana  (tig.  14). 

I  cippi  più  semplici  sono  quelli  indicati  coi  nn.  26,  48  e  102  (tigg.  15  16  e 
17).  Essi  son  formati  da  un  cilindro  liscio  con  piccolo  zoccolo  rotondo. 

L'uso  di  dare  alle  stele  funerarie  degli  uomini  la  forma  di  colonne,  con  o  senza 
i  simboli  di  coloro  cui  erano  dedicate,  fu  certo  tolto  dai  greci.  Fra  i  tanti  esempì, 
che  di  questo  rito  possono   trarsi  dalle  pitture  vascolari  attiche,  basterà  ricordare 
seguenti  : 

Sopra  un  crater  della  collezione  Millingen  al  Museo  di  Napoli  è  la  rappresen- 
tanza di  Elettra  assisa  in  atteggiamento  di  dolore  sopra  una  base  che  sostiene  una  co- 
lonnetta sormontata  da  un  olmo  (ved.  collez.  Millingen,   Museo  di  Napoli,   tav.    14 


CERVETERI 


360  - 


REGIONE    VII. 


Fio.  18.  —  Elettra  sulla  tomba   di    Agammenone,    con  colonna  sormontata  da  elmo    (da    un  vaso 
della  collez.  Milli ugeh). 


Fio.  19.  —  Donne  recanti  offerte   alla  tomba  di    l'roilo,  con  colonna  su    basamento    (da  un  vaso 
della  già  collezione  Carelli,  ora  al  Louvre). 


REGIONE    VII. 


—    361 


CERVETERI 


e  15).  Sulla  colonnetta  è  l'iscrizione:  ATAMEMNilN  (fig.  18).  In  questo  caso  la 
testa  del  defunto  è  indicata  dall'elmo,  anziché  dalla  corona. 


l-^'1--:i\tv\\  y,;-\  \ 


Fio    20.  —  Cippo  a  forma  di  sarcofago. 

Sopra   uno   stamnos   della    collezione   già   Carelli   (tìg.    19)    a   Napoli,   ora    al 
Museo  del  Louvre,  sono  raffigurate   dello  donne  intente  a  portare  offerte  alla  tomba 


Fio.  21.  —   Altro  cippo  a  forma  di  sarcofago. 


di  Troilo,  la  quale  sopra  terra  è  formata  da  due  parallelepipedi  sovrapposti  sormon- 
tati da  una  colonnetta  su  cui  è  scritto:  TPX1IAO  (ved.  Peintures  des  vases  antique?. 
recueillies  par  Millin  et  Millingen,  et  publiées  par  Sai.  Keinach,  pi.  17). 

Abbiamo  visto  che  la  forma  dei  cippi  destinati  a  ricordare  le  donne  era  nomini- 
mente,  a  Caere,  quella  di  un  piccolo  sarcofago  displuviato,  il  quale,  come  si  sa,  imi- 
tava in  modo  schematico  la  forma  della  casa  (ved.  nn.  76  e  31,  figg.  20  e  21).  Però 


CERVETERI 


362   — 


REGIONE    VII. 


qualche   volta    essi   riproducevano  addirittura  la  casa  (ved.  nn.   122  e  95,  tigg.  22 
e  28),  sempre  del  tipo  a  due  pioventi  con  gronda  sporgente. 


Fio.  22.    —  Cippi  a  forma  di  casetta. 

Soltanto  in  un  cippo  rinvenuto  sul  terreno   nella   necropoli  a  nord  di   Caere,  è 
riprodotta  la  casa    col    tetto   a  quattro   spioventi.   Questo  cippo   (fig.  24)    è   anche 


Fio.  23.  —  Cippo  a  forma  di  casetta  con  grande  sporgente. 


caratteristico,  perchè  sopra  un  lato  di  esso  è  indicato  l' ingresso  rettangolare  aperto, 
colla  porta  a  una  partita  ripiegata  contro  la  parete. 

Nella  forma  più  rudimentale  i  cippi  delle  donne  erano  costituiti  da  parallelepi- 
pedi stretti  e  alti,  terminati  superiormente  con  due  pioventi,  ovvero  con  superficie 
a  baule;  ma  senza  nessun  rilievo  o  sporgenza  (ved.  nn.  45,  46  e  62,  fig.  25,  26 
e  27). 


REGIONE   VII. 


—   363 


CERVETERI 


Alcune  volte  la  stele  sepolcrale  delle  donne  consisteva  in  una  semplice  lastra 
parallelepipeda. 

Negli  ultimi  scavi  fu  scoperto  un  cippo  di  macco  molto  corroso,  a  forma  di 
casetta  (rtg.  23)  sopra  una  delle  cui  fronti  si  riconosce  una  testa  muliebre  scolpita 
a  rilievo  :  ciò  che  conferma  ancor  più  esser  questo  tipo  di  cippi  riferibili  alle  donne. 

Forse  si  prescelse  la  forma  della  casa  per  ricordare  le  donne,  perchè  appunto 
nella  casa  esse  svolgono  la  loro  attività,  e  vi  trascorrono  gran  parte  della  loro  vita  (1). 


Fio.  24.  —  Cippo  a  forma  di  casetta  con  tetto  a  quattro   pioventi  e  con  porta  aperta. 

Del  resto  i  sarcofagi  fastidiati,  imitazione  della  casa,  o  in  legno,  o  in  pietra,  erano 
probabilmente  destinati,  nelle  tombe  anteriori  al  IV  sec,  a  ricevere  i  cadaveri  delle 
donne. 


Figo.  25  e  26.  —  Cippi  a  forma  di  casetta  del  tipo  più  rudimentale. 


A  conferma  di  questa  ipotesi  sta  il  fatto  che  in  ogni  cubicolo  delle  tombe  a  più 
camere  del  VII,  VI  e  V  secolo  si  sono  rinvenuti  quasi  sempre,  nella  necropoli  di  Caere, 
due  differenti  letti  funebri:  l'uno,  di  solito  a  sinistra,  entrando,  con  le  gambe  scol- 

P)  Anche  gli  antichissimi  sepolcri  a  fossa  o  a  pozzetto  con  cinerario  villanoviano  erano  talvolta 
distiuti,  all'esterno,  da  cippi  a  forma  di  casetta.  Senonchè  questa  non  era  la  casa  quadrata  con 
tetto  displuviato;  ma  la  capanna  col  tetto  testudinato.  Se  ne  dà  un  esempio  nella  flg.  29  che 
rappresenta  un  frammento  di  cippo  tufaceo  rinvenuto  nella  necropoli  arcaica  del  Sorbo  a  sud  di 
Caere. 


Notum  Scavi  1915  -  Voi.  XII. 


48 


CERVBTERI 


—    364 


REGIONE    VII. 


pite  a  rilievo;  e  l'altro,  sul  lato  opposto,  pure  scolpito,  ma  a  forma  di  sarcofago  con 
le  testate  a  doppio  piovente. 

E  poiché  è  verosimile  che  in  ogni  cubicolo  fossere  deposti  due  coniugi,  così 
sembra  probabile  che  il  marito  fosse  collocato  sul  letto  munito  di  piedi,  e  la  moglie 
sul  sarcofago. 


Fig.  27.  —  Altro  cippo  a  forma  di  casetta 
del  tipo  più  rudimentale. 


Fio.  28.  —  Cippo  a  forma  di  casetta,  con 
testa  muliebre  sulla  fronte. 


Finora  nessuna  tomba  intatta  di  quel  periodo  si  è  trovata  che  ci  abbia  permesso 
di  controllare  con  sicurezza  l'ipotesi  esposta;  ma  l'ulteriore  svolgersi  degli  scavi  ci 
offrirà  certo  l'occasione  di  definire  la  questione. 


Fio.  29.  —  Frammento  di  cippo  a  forma  di  capanna  con  tetto  testudinato. 


Dna  parte  dei  cippi  scolpiti  che  sono  stati  raccolti  presentano  iscrizioni  con  caratteri 
etruschi;  e  gli  altri  presentano  iscrizioni  con  caratteri  latini.  È  però  evidente  che 
non  sempre  i  cippi  con  epigrafi  etnische  sono  più  antichi  di  quelli  con  epigrafi  latine  : 
e  dall'esame  della  forma  delle  lettere  apparisce  che  in  un  periodo  di  transizione  i 
caratteri  etruschi  avevan  perduto  la  rigidità  primitiva,  per  l' influenza  latina.  Ed  è 
pure  evidente  che  le  epigrafi  latine  offrono  nei  caratteri  molta  varietà  di  forma,  dalla 
più  arcaica  fino  all'imitazione  dei  caratteri  monumentali. 


REGIONE   VII.  —    365    —  CERVETERI 

Nei  cippi  etruschi,  concordemente  con  la  forma  a  colonnetta,  o  a  sarcofago,  cioè 
a  seconda  che  essi  appartengono  a  uomini  o  a  donne,  la  filiazione  è  indicata,  come 
nelle  latine,  dopo  il  gentilizio  col  prenome  del  padre;  ma  seguito,  nei  cippi  a  colon- 
netta, dalla  parola  CUflM,  intiera  o  abbreviata,  corrispondente  a  filius;  ovvero,  nei 
cippi  a  sarcofago,  dalla  parola  SSJ',  intiera  o  abbreviata,  corrispondente  a  filia. 

Così  l'equivalenza  delle  parole  CUArl  e  fìlius,  e  SSJ'  e  filia,è  provata  in  modo 
irrefutabile. 

I  cippi  dei  quali  si  dà  qui  appresso  l'elenco  sono  divisi  in  due  gruppi:  l'uno 
relativo  al  periodo  dello  scavo  fra  il  25  maggio  1910  e  il  12  maggio  1912;  e  l'altro 
relativo  al  successivo  periodo,  non  ancora  chiuso. 

Tutti  i  cippi  del  primo  periodo,  già  furono  acquistati  dallo  Stato.  Essi  sono 
contraddistinti  nell'elenco  seguente  colle  lettere  A  e  B  che  corrispondono  ai  numeri 
d'inventario  22509  e  29510  del  Museo  Naz.  di  Villa  Giulia  e  coi  numeri  che  vanno 
dall'I  al  79  che  corrispondono  ai  numeri  dal  22511  al  22589  dello  stesso  inventario. 

La  prima  notizia  delle  stele  inscritte  delle  forme  particolari  della  necropoli  di 
Caere  fu  comunicata  dal  Dennis  e  dal  Mommsen  nel  1847  (').  Quella  notizia  si  riferiva 
a  poche  stele  che  andarono  disperse,  ma  delle  quali  due  furono  rinvenute  durante 
le  recenti  esplorazioni  (ved.  cippi  nn.  103  e  106). 

Pochi  cippi  provenienti  dalle  manomissioni,  più  che  dalle  esplorazioni,  fatte  dai 
signori  Calabresi,  dal  Boccanera  e  da  altri  nella  stessa  necropoli  trovansi  raccolti 
sotto  il  portichetto  al  primo  piano  del  palazzo  del  principe  Buspoli  in  Cerveteri. 

Una  quarantina  di  cippi  della  stessa  origine,  che  erano  stati  trasportati  in  Roma 
nella  villa  Celimontana  del  marchese  Campana,  si  trovano  ora  nel  Museo  del  Louvre. 
In  gran  parte  essi,  per  la  forma  tabulare,  o  di  casetta,  o  di  sarcofago,  sono  riferibili 
a  donne.  Alcuni  non  sono  inscritti. 

Le  iscrizioni  relative  a  tali  pietre  sepolcrali  si  trovano  riprodotte  ed  illustrate  nel 
Corpus  Inscriplionum  Latinarum,  nella  Sylloge  Inscriptionum  Latinarum  del  P.  Gar- 
rucci  e  negli  Annali  dell'Istituto  di  corrispondenza  archeologica  (*). 

Però  mai  in  passato  fu  rilevato  che  le  pietre  funebri  dei  tipi  peculiari  del  sepol- 
creto di  Caere  possono  dividersi  in  due  classi  :  l'una  a  forma  di  colonnetta  riferibili 
ad  uomini  ;  e  l'altra  a  base  rettangolare  (tavole  e  simulacri  di  casette  o  di  sarcofagi 
fastigiati)  riferibile  a  donne. 

(')  Cfr.  Bullettino  dell'fst.  di  corrispondenza  archeologica  per  Vanno  1847,  pp.  55  e  63. 
Cfr.  anche  Fabretti,  Corpus  Inscrip.  hai.,  1867,  nn.  2347  e  2391,  e  Appendice,  1880  (Gamnrrini), 
nn.  820,  823,  824. 

(8)  Cfr.  C.J.L.,  voi.  I,  anno  1863,  pag.  256,  nn.  1314  a  1840  con  gli  apografi  dell'Henzen  e 
e  del  Ritsche  ;  id.,  voi.  XI,  parte  la,  anno  1888,  pp.  541  e  seguenti,  nn.  3633  a  3692  cogli  apografi 
del  Brizio,  dell'Henzen,  del  Keep,  del  Keibel.ecc.  ;  Sylloge  intcriptionum  latinarum  edidit  Raphael 
Garruccius,  Torino,  1877;  e  Annali  dell'Istituto  di  corrispondenza  archeologica,  anno  1855, 
pag.  77,  colle  illustrazioni  e  gli  apografi  dell'Henzen. 


CERVETERI  —    366   —  REGIONE    VII. 


PRIMO    PERIODO    DI    SCAVO 
DAL   15   MAGGIO    1910   AL    12   MAGGIO   1912. 

(I  numeri  tra  parentesi  sono  dell'  inventario  del  Museo  di  Villa  Giulia). 

Cippi  sporadici. 

A.  Cippo  di  macco  rinvenuto  sopra  tetra  sull'altipiano  della  Banditacela  ad  est 
del  tumulo  I.  Ha  forma  di  colonnetta,  di  cui  resta  soltanto  la  parte  superiore  del 
diam.  di  circa  mm.   170,  con  la  seguente  iscrizione  in  giro  (22509): 

C  •  M  A  N  L  I  V  S  •  C  •  F  •  L  •  N 

B.  Cippo  sporadico   ritrovato   sopra  terra,   lungo   la   via   fra   Monte   Pelato   e 

Monte  Ercole,  di  peperino,  a  forma  di  colonnetta,  con  rozza  base:  altezza  mm.  210, 

diametro  alla   base   mm.  127,   diametro  alla   sommità   mm.  110,    con   la   seguente 

iscrizione  (22510): 

M*  MAGILI  »  M  »  LA  COME 


Via   sepolcrale  I. 

1.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  con  base  campanulata,  in  due  pezzi.  Altezza 
mm.  475.  diametro  della  base  mm.  310;  diametro  della  sommità  mm.  135,  con  la 
seguente  iscrizione  incompleta  (22511): 


p.  carnpanes  p[.  c(lan)~\ 


2.  Frammento  di  cippo  a  colonnetta,  di   macco  bianco,   su  cui  rimangono  le 
seguenti  lettere  incise  (22512)  : 


3.  Cippo  di  macco  bianco  friabile,  a  colonnetta  con  base  campanulata;  altezza 

mm.  550,  diametro  della  base  mm.  380,  e  della  sommità  mm.  220,  con  i  seguenti 

resti  di  iscrizione  (22513): 

LF 


4.  Cippo  di  macco  poroso  a  forma  di  piccolo  sarcofago  a  due  pioventi;  altezza 
mm.  150,  lunghezza  mm.  296,  spessore  mm.  95,  con  iscrizione  molto  corrosa,  quasi 
illeggibile  (22514): 


5.  Cippo  di  macco  friabilissimo  a  forma  di  sarcofago  a  due  pioventi,  su  uno 
dei  quali  sono  tracce  di  iscrizione  illeggibile.  Altezza  mm.  185,  lunghezza  mm.  200, 
spessore  mm.  95  (22515). 


RKG10NB    VII.  —    367    —  CERVETBRI 

6.  Cippo  di  macco,  alto  ram.  191,  lungo  inni.  270,  dello  spessore  di  nini.  157,  a 
forma  di  sarcofago  a  due  pioventi,  su  uno  dei  quali  si  legge  la  seguente  iscrizione,  in 
parte  distrutta  (22516): 

^W^^^Wm,  li  H  u 

*fl»£»]fl s(«X?) 

7.  Frammento  di  cippo  di  travertino  a  forma  di  sarcofago,  altezza  min.  178.  spes- 
sore mm.  135,  a  due  pioventi,  sopra  uno  dei  quali  si  legge  (22517): 


ram-9{a]  .... 


(l) 


8.  Cippo  di  macco  a  forma  di  sarcofago,  lunghezza  mm.  225.  larghezza 
mm.  115,  altezza  mm.  145;  sulla  faccia  superiore  rimangono  soltanto  le  ultime  due 
lettere  dell'iscrizione  (22518): 

9.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  molto  corroso,  mancaute  di  base,  altezza 
mm.  510,  diametro  mm.    190,   con   i  seguenti  resti  d'iscrizione  (22519): 

SK€  • L •  Ffli 

10.  Frammento  di  cippo  di  macco  a  colonnetta  altezza  mm.  235,  diametro  alla 
sommità  mm.  140,  con  il  seguente  resto  di  iscrizione  (22520): 


/  Caml{_pati(u$Y\  /  / 

11.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  senza  iscrizione,  frammentato  (22521). 

12.  Cippo  di  macco  a  forma  di  sarcofago  displuviato,  lunghezza   mm.  535,  al- 
tezza mm.  230,  con  la  seguente  iscrizione  (22522): 


vineii.  v.  [s(e%)~\ 

13.  Cippo  di  macco  friabilissimo  a  colonnetta  cilindrica  con  piccola  base,  al- 
tezza ram.  490,  diametro  alla  base  mm.  330,  diametro  alla  sommità  mm.  130,  con 
la  seguente  iscrizione  (22523): 

C    CAMPATI  •  M-F 


(')  Questo  frammento  fu  rinvenuto  sull'altipiano  della  necropoli  della  «  Banditacela  »    a  sud 
del  grande  tumulo  che  si  eleva  sopra  la  nota  tomba  «degli  Scudi  o  delle  Sedie». 


OERVBTRRI  —    868    —  RKGIONK    VII. 


14.  Cippo  di  macco  a  forma  di  colonna,  altezza  mm.  510,  diametro  mm.  210,  con 
la  seguente  iscrizione  (22524): 

L    CAMr-ATI.cY^ 

15.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  colonnetta,  altezza  mm.  195.   diametro  alla 
sommità  mm.  95,  frammentato,  con  la  seguente  iscrizione  (22525): 

/vTb®WPfNA  •  tt  •  L  •  HEL 

M(arcus)  L[ep]tina  M{arci)  l(ibertus)  Hel(ius?) 

Iti.  Cippo   di    macco   a   colonnetta,   altezza   mm.  472,   diametro   alla   sommità 
mm.   150,  in  due  pezzi  e  corroso,  con  la  seguente  iscrizione  (22526): 

*C  CAMPATI  LFHOfW 

C.  Campatila»)  L.  f.  Ho{ratidxtribu) 

17.  Cippo   di    macco   a   colonnetta,   altezza   mm.  430,   diametro   alla   sommità 
mm.  175,  corroso,  con  l'iscrizione  (22527): 


a«Fifl-imfl:>#i 

e.  campane[f\.  /  / 


18.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  altezza  mm.  490.  diametro  alla  sommità 
mm.  160,  in  frammenti,  con  la  seguente  iscrizione  (22528): 

M-CA/APILIM  FMAR 

19.  Lastra  rettangolare  di  macco,  lunga  mm.  410,  larga  mm.  235,  grossa 
mm.  60,  molto  corrosa,  con   la  seguente   iscrizione   sulla   faccia   superiore  (22529): 

MVRRIA 

20.  Lastra  rettangolare  di  macco,  lunghezza  mm.  360,  larghezza  mm.  345,  spes- 
sore mm.  55,  con  la  seguente  iscrizione  sopra  una  delle  facce  maggiori  (22530): 

T1TINIALF- 

21.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta,  rotto  alla  sommità,  altezza  mm.  225,  diametro 
superiore  mm.  150.  con  la  seguente  iscrizione  (22531): 

CABVRIVF      1 

22.  Cippo  di  nenfro  a  forma  di  sarcofago,  con  tetto  a  due  pioventi,  lunghezza 
mm.  370,  altezza  mm.  215,  spessore  mm.  130,  molto  deteriorato,  con  la  seguente  iscri- 
zione incompleta  (22532): 


REGIONE   VII.  —    369   —  C1RVETBRI 

23.  Cippo  sepolcrale  di  macco  a  colonnetta  la  cui  sommità  riproduce  la  parte 
superiore  di  una  testa  umana  capei  luta  con  serto  a  foglie  di  lauro  legato  posterior- 
mente con  nastro.  Altezza  mm.  560  (ved.  fig.  11).  Intorno  alla  base  è  la  iscrizione 
seguente  (22533): 

24.  Cippo  sepolcrale  di  macco  a  forma  di  colonnetta  a  base  attica,  in  parte 
frammentata,  ornata  superiormente  di  corona  a  basso  rilievo.  Altezza  mm.  560,  dia- 
metro mm.  145,  rotto  alla  sommità  (ved.  fig.  12)  (22534). 

Esso  reca  un'iscrizione  che  sembra  dovesse  girare  tutt' intorno  alla  colonnetta 
a  metà  dell'altezza,  in  modo  che  il  principio  e  la  fine  di  essa  si  Ravvicinassero.  E 
poiché  la  parte  mediana  dell'  iscrizione  manca,  essa  si  presenta  come  segue  (22534)  : 

e  che  si  può  ricostruire,  a  giudizio  del  prof.  Bormann,  cosi: 

L<\A[ampati?(us)']  L.  f(ilius)VOL{tinia  tribù) 

25.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  su  piccola  base.  Altezza  mm.  390,  diametro 
della  base  mm.  235,  diametro  della  sommità  mm.  110,  con  la  seguente  iscrizione 
sulla  colonnetta  (22535): 


D-4.-ZAV\-\i^-\\/\ 


26.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  (ved.  fig.  15),  alto  mm.  205,  diametro  alla  som- 
mità mm.  113,  con  la  seguente  iscrizione  sulla  colonnetta  (22536): 

LARVNTISVRO 

27.  Cippo  di  nenfro,  su  piccola  base,  alto  mm.  205,  diametro  della  base 
mm.  126,  diametro  della  sommità  mm.  95,  con  la  seguente  iscrizione  sulla  colon- 
netta (22537): 

P'GAVILl  »P*L*STA 


Via   sepolcrale  II. 

28.  Cippo  di  nenfro,  a  colonnetta  con  piccola  [base,  molto  deteriorato  e  scheg- 
giato. Altezza  mm.  135,  diametro  della  base  mm.  105,  diametro  della  sommità 
mm.  105,  con  l'iserizione  (22538): 


AV-UJALvi 


29.  Cippo  di  nenfro  con  colonnetta  cilindrica  su  piccola  base,  altezza  nini.  245,  dia- 
metro della  base  mm.  230,  con  la  seguente  epigrafe  incisa  (22539): 

L*T1TI*SEX*F 


CERVETBRl  —   370   —  REGIONE   VII. 


30.  Cippo  di  nenfro  con  sommità  fastigiata  e  sfaccettata,  lunghezza  mm.  280,  lar- 
ghezza mm.  100,  altezza  mm.  195,  con  la  seguente  iscrizione  (22540): 

CANNIA*  A  *F 

31.  Cippo  di  nenfro  a  forma  di  sarcofago  displuviato  con  gli  orli  superiori  a 
rilievo  (lig.  21).  Altezza  mm.  290,  lunghezza  m.  390.  con  la  seguente  iscrizione 
sopra  un  piovente  (22541): 


XQwmiwji  forno 


32.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  a  piccola  base,    altezza   mm.  330,   con    la 
seguente  iscrizione  sulla  parte  mediana  (22542): 

MLEPTiNA>SP*F 

33.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  con   bottone  rilevato  sulla   sommità,  altezza 
mm.  250,  con  la  seguente  epigrafe  sulla  parte  mediana  (22543): 

P  *  G  A  V  I  L I  *  P  *  F 

34.  Cippo  di  calcare  venato  a  cono  tronco,  campanulato  alla  base,  alto  mm.  265, 
con  la  seguente  epigrafe  intorno  alla  base  (22544): 


i§n?vesv-;}  o 


35.  Cippo  di  nenfro  a  forma  di  sarcofago,  con  iscrizione  su  due  linee,  l'una 
sopra  un  piovente  e  l'altra  sulla  sottostante  parete  verticale.  Lunghezza  mm.  280, 
altezza  mm.  190  (22545): 

LIPTINlAMlA 
STATI  A 

30.  Cippo  di  nenfro  a  forma  di  sarcofago  baulato.  Lunghezza  mm.  275,  lar- 
ghezza mm.  85,  altezza  mm.  175,  con  la  seguente  iscrizione  sui  pioventi  (22546): 

M  AGILI  A*L*L 

SI3VT 
Magilia  L.  I.  Laeis 

37.  Cippo  di  peperino  a  colonnetta,  con  la  seguente  opigrafe  a  metà  del- 
l'altezza (22547): 

LMAGILILLPILEMO 

(')  Il  nome  «li  ursus  ricorre  anche  in  una  delle  camere  di  un  sepolcro  che  si  apre  nel  tratto 
più  a  nord  finora  scoperto  della  via  sepolcrale  principale.  Ivi  si  legge  sopra  una  parete: 


REGIONE   VII.  —   371    —  CERVETER1 

38.  Cippo  di  peperino  a  colonnetta,  altezza  inni.  240,  diametro  alla  base 
min.   140,  diametro  alla  sommità  min.  120,  con  la  seguente  epigrafe  (22548): 

LMAGILILL 

39.  Cippo  di  macco  bianco  friabile,  a  forma  di  colonnetta  con  piccolo  toro  alla 
base,  alto  inni.  210,  diametro  alla  base  mm.  110,  diametro  alla  sommità  mm.  95,  con 
la  seguente  iscrizione,  pure  di  un  membro  della  famiglia  Magilia  (22549)  : 

j  Mag]ili{us)  L.  I.  /// 

40.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta,  altezza  mm.  295,  diametro  alla  base  mm.  156, 
diametro  alla  sommità  mm.  125,  con  la  seguente  iscrizione  (22550)  : 

CCiPIMLDIOCL- 

41.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta,  altezza  mm.  190.  diametro  alla  base  mm.  105 
e  alla  sommità  mm.90.  con  la  seguente  iscrizione  ad  ocra  rossa  a  metà  altezza  (22551)  : 

h  MAGILIL-iH 

42.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  piccolo  sarcofago  fastigiato,  mancante  però 
di  una  parte.  Lunghezza  mm.  105,  altezza  mm.  122,  spessore  mm.  70.  Sopra  uno  dei 
pioventi  è  la  seguente  iscrizione  (22552)  : 

rvfinI 

Rufin[ià] 

43.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  colonnetta,  mancante  della  base,  diametro 
mm.  95,  con  la  seguente  iscrizione  (22553): 

L'A»VNT^F'BVCO 
L.  A[rlpinl[i(us)  S.  f.  Buco 

44.  Cippo  di  peperino  a  colonnetta  tronco-conica  fornita  di  piccola  base,  altezza 
mm.  305,  diametro  alla  base  mm.  230,  diametro  alla  sommità  mm.  150,  con  la 
seguente  iscrizione  sulla  colonnetta  (22554): 

L  MAGILIVSLL  N  5TA 

45.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  sarcofago  displuviato  (ved.  fig.  25),  con  le 
seguenti  iscrizioni  sui  pioventi  (22555): 

pam) 

MAGILIA    LL 
Magilia  L.  I.  Celido 

46.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  sarcofago  displuviato  ma  spianato  alla  som- 
mità, lunghezza  mm.  278,  larghezza  mm.  95,  altezza  mm.  172  (ved.  fig.  26).  Sopra 
un  displuvio  evvi  la  seguente  iscrizione  (22556): 

VICIRIA    C   F 
Notizie  Scavi  1915  -  Voi.  XII.  49 


Cekveteri  —  372  —  regione  vii. 


47.  Cippo  di  peperino  simile  al  precedente,  lunghezza  mm.  220.  altezza  mm  210, 
spessore  min.  72.  con  la  seguente  epigrafe  sui  displuvii  (22557): 

LEPTINIA  *M-L 
Leptinia  M.  I.  Bario, 

48.  Cippo  di  nenfro  a  forma  di  colonnetta  (ved.  tìg.  16),  mancante  in  parte 
della  base,  altezza  mm.  215,  diametro  della  base  mm.  132,  diametro  della  sommità 
mm.  113,  con  la  seguente  iscrizione  presso  la  sommità  (22558): 

/VCIP1MLP1LEROS 

49.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  allargantesi  in  alto.  Altezza  mm.  175,  diametro 
della  base  mm.  120,  e  alla  sommità  mm.  115,  con  la  seguente  iscrizione  (22559): 

LMAG1L1LL  ACIBA 

50.  Cippo  di  arenaria  a  forma  di  sarcofago,  con  sommità  fastigiata  e  sfaccet- 
tata, con  iscrizione  sulla  sommità  e  sopra  un  displuvio.  Altezza  mm.  155,  lunghezza 
mm.  200,  spessore  mm.  77  (22560): 


MAGILIA 

L 

L 

RODA 

51.  Cippo  di  peperino  a  colonnetta  con  basetta  a  listello.  Altezza  mm.  205,  dia- 
metro alla  base  mm.  105,  diametro  alla  sommità  mm.  90,  con  la  seguente  iscrizione 
(22561): 

LMAGILILLPAM 

52.  Cippo  di  travertino  a  forma  di  colonnetta  bassa  tronco-conica.  Altezza 
mm.  152,  diametro  alla  base  mm.  215,  diametro  alla  sommità  mm.  162.  con  la 
seguente  iscrizione  (22562): 

LMAGILILLPILIPIO 


Via  sepolcrale  III. 

58.  Cippo  di  nenfro  a  forma  di  sarcofago  displuviato.  Lunghezza  mm.  820,  lar- 
ghezza mm.  92,  altezza  mm.  295,  con  la  seguente  iscrizione  (22563): 

TARC1A<C<F 

54.  Cippo  a  forma  di  sarcofago  con  sommità  sfaccettata.  Lunghezza  mm.  225, 
larghezza  mm.  50,  altezza  mm.  122,  molto  corroso.  Sopra  un  displuvio  evvi  la  se- 
guente iscrizione  (22564): 


REGIONE    VII.  —    373    —  CERVBTER1 


Via  sepolcrale  IV. 

55.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  in  frammenti.  Altezza  mm.  380,  con  la  seguente 
iscrizione  sulla  base  (22565): 


efwm-MN 


56.  Cippo  di  macco  friabile  a  colonnetta,  decorata  in  alto  da  due  linee  orizzon- 
tali comprendenti  un  serto  di  foglie  e  bacche  di  edera  a  bassorilievo,  e  da  un  fiore 
con  cinque  grandi  petali  alternati  con  altrettanti  più  piccoli  sopra  la  sommità  spia- 
nata (ved.  fig.   13).  Alt.  mm.  280.    Esso  reca  la  seguente  iscrizione  incisa  (22566): 

APVB» 


57.  Cippo  di  macco  a  colonnetta.  Altezza  mm.  225,  diametro  alla  base  mm.  200, 
con  la  seguente  iscrizione  sulla  base  (22567): 


■r^-l^Tà 


58.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  ;  mancante  di  parte  della  base  sagomata,  altezza 
mm.  250,  con  la  seguente  epigrafe  sulla  colonnetta  (22568): 


m-A-n 


59.  Cippo  di  macco  friabile,  a  forma  di  lastra  rettangolare,  con  sommità  fastigiata 
e  sfaccettata,  e  con  iscrizione  in  parte  corrosa.  Altezza  mm.  170,  lunghezza  mm.  305, 
larghezza  mm.  80  (22569): 


MRT1SIADF 


60.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  con  piccola  base.  Altezza  mm.  225.  diametro 
alla  base  mm.  136,  con  la  seguente  iscrizione  sulla  colonnetta  (22570): 

A    CAECILILF 

61.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  con  piccola  base.  Altezza  mm.  215,  diametro 
alla  base  mm.  120,  con  la  seguente  iscrizione  sulla  colonnetta  (22571): 

A    CAECILIAF 
STATI 

A.  Caecili(us)  A.  f.  Stati{us) 

62.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  sarcofago  con  due  pioventi  e  spianato  alla 
sommità  (ved.  fig.  27).  Lunghezza  mm.  230,  altezza  mm.  210.  Sopra  uno  dei  disDluvii 
è  la  seguente  iscrizione  (22572): 

FABRIC1A 


CERVETERI 


—  374  — 


REGIONE    VII. 


63.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta,  mancante  in  parte  della  base.  Altezza  min.  340, 
diametro  della  base  min.  242,  con  la  seguente  epigrafe  sulla  colonnetta  (22573): 

QLEPT1NAQL- 

64.  Cippo  di  peperino  costituito  da  una  lastra  rettangolare  cogli  spigoli  superiori 
smussati.  Altezza  min.  185,  lunghezza  mm.  260,  spessore  mm.  80,  con  la  seguente 
epigrafe  sulla  sommità  sfaccettata  (22574): 


AT1LIA   A   LSCVRA 


65.  Cippo  di  macco  friabile  e  corroso,  a  colonnetta  con  base  campanulata, 
sulla  quale  è  scolpita  la  seguente  iscrizione.  Altezza  min.  450,  diametro  alla  base 
mm.  290,  diametro  alla  sommità  mm.  138  (22575): 


3o-fi>ii\i\wm 


66.  Cippo  di  marmo  molto  corroso,  a  forma  di  sarcofago  displuviali,  con  iscrizione 
su  di  un  piovente.  Lunghezza  mm.  228,  altezza  mm.  170,  spessore  mm.  95  (22576): 

ANTOBLAES1 

67.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  campanulata  alla  base,  molto  corroso  e  con 
pochi  resti  di  iscrizione.  Altezza  mm.  380,  diametro  della  base  mm.  228,  diametro 
della  sommità  mm.  180  (22577). 


%^'inm 


68.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  come  il  precedente,  con  iscrizione  intorno  alla 
base.  Altezza  mm.  405,  diametro  alla  base  mm.  280,  e  alla  sommità  mm.  150  (22578). 


O  '/M-e^flVI-TTI 


69.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  simile  al  precedente,  con  iscrizione,  in  parte 
sparita,  intorno  alla  base.  Altezza  mm.  405,  diametro  alla  base  mm.  345,  diametro 
alla  sommità  mm.  130  (22579). 

v.  punc[es] 

70.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  con  base  a  listello,  molto  corroso.  Altezza 
mm.  305,  diametro  della  base  mm.  250,  diametro  della  sommità  mm.  192,  con  le 
seguenti  tracce  di  iscrizione  sulla  base  (22580): 


».->/•  8*1 

(Forse  la  lettera  fra  i  due  S  è  una  4), 


REGIONE    VII.  —   375   —  CERVETBK1 

71.  Cippo  di  peperino  a  colonnetta  con  base  a  listello  e  con  iscrizione  scolpita 
a  metà  dell'altezza.  Diametro  della  base  mm.  150,  e  della  sommità  unii.  116  (22581). 

L*LEPTINA»Q*F  »TERTI 

72.  Cippo  di  nenfro,  di  forma  simile  al  precedente.  Altezza  mm.  220,  diametro 
alla  base  mm.  145,  diametro  alla  sommità  mm.  1 10,  con  la  seguente  iscrizione  (22582)  : 

C    FABRICICLEROS 

73.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  con  piccolo  zoccolo.  Altezza  mm.  250,  diametro 
alla  base  mm.  160,  diametro  alla  sommità  mm.  150,  con  la  seguente  iscrizione  (22583): 

L-CAECILI*Q»F* 

74.  Cippo  di  nenfro  simile  al  precedente.  Altezza  mm.  260,  diametro  alla  base 
mm.  180,  diametro  alla  sommità  mm.  158,  con  la  seguente  iscrizione  (22584): 

L-PVPI-/VF*POUO 

75.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  con  zoccolo,  mancante  della  parte  superiore 
e  molto  corroso.  Altezza  mm.  400,  diametro  della  base  mm.  360,  diametro  della 
sommità  mm.  190  (22585). 


^kDI^I^C'i  « 


Via  sepolcrale  V. 

76.  Cippo  di  peperino  a  sarcofago  fastigiato  (ved.  tìg.  20),  cogli  spigoli  superiori 
sporgenti.  Lunghezza  mm.  812,  altezza  mm.  230,  spessore  mm  134,  con  la  seguente 
iscrizione  sopra  un  piovente  (22586): 

ram&a  tamsni  v.  s(e%) 

77.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  con  piccolo  zoccolo.  Altezza  mm.  270,  diametro 
della  base  mm.  165,  diametro  della  sommità  mm.  105,  con  la  seguente  iscrizione 
(22587): 

yvt  i-r  inivs-/vf 

78.  Cippo  di  peperino  a  colonnetta  bassa  con  zoccolo.  Altezza  mm.  285,  diametro 
della  base  mm.  210,  diametro  della  sommità  mm.  165,  con  la  seguente  iscrizione  (22588): 

/AMTiyVI  »OF 

(l)  In  un'altra  camera  della  stessa  tomba  in  cui  è  l'iscrizione  Marce  Ursus  (ved.  nota  del 
n.  34)  è  incisa  a  grandi  lettere  la  seguente  iscrizione  che  richiama  colla  seconda  parola  la  parte 
finale  di  quella  qui  riprodotta: 


CERVETERl  —    376    —  REGIONE    VII. 

79.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  mancante  della  parte  superiore  e  molto  corroso. 
Diametro  della  base  mm.  245    Reca  pochi  avanzi  di  epigrafe  (22589): 


SECONDO  PERIODO  DI  SCAVO,  CIOÈ  DOPO  IL  19  MAGGIO  1912. 

Via  sepolcrale  principale. 

Presso  la  tomba  I: 

80.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  con  base  campanulata  e  listello.  Altezza  totale 

mm.  619,  diametro   superiore  mm.  190,  diametro    della  base  mm.  350.  Vi  sono    i 

seguenti  resti  d' iscrizione  : 

MM    MV  l«Vli 

M.  Mu[nm  ?  (ms)] 

Presso  l'ingresso  della  tomba  III: 

81.  Cippo  di  macco  a  forma  di  colonnetta  a  base  campanulata  con  listello.  Al- 
tezza totale  mm.  380,  diametro  superiore  mm.  250,  diametro  inferiore  mm.  360, 
listello  alto  mm.  85.  Attorno  alla  base  è  la  seguente  iscrizione: 


l/\<\  OJ/l-fl/t 


82.  Altro  cippo  simile,  di  macco.  Altozza  mm.  290.  diametro  superiore  mm.  140, 
diametro  della  base  mm.  215.  Reca  tracce  di  epigrafe  etnisca  sulla  base: 


83.  Grossa  lastra  di  macco  bianco  di  forma  quadrata.  Altezza  mm.  290,  larghezza 
mm.  290,  spessore  mm.  85.  Reca  sopra  una  faccia  la  iscrizione  seguente: 


84.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  a  base  campanulata  con  zoccolo.  Altezza  totale 
mm.  300,  diam.  superiore  mm.  190,  diam.  base  mm.  270,  alt.  listello  mm.  85. 


85.  Altro  cippo  a  colonnetta  simile.  Altezza  totale  mm.  290.  diametro  superiore 
mm.  180,  diametro  della  base  mm.  280.  Intorno  alla  base  v'è  l'iscrizione: 

/  aQ&ras.  m  :  arca,  sa  \ 


RBGIONE    VII.  —   377   —  OKRVBTBRI 

86.  Cippo  di  macco  di  forma  rettangolare,  con  sommità  displuviata.  Altezza  mas- 
sima mediana  nini.  270,  altezza  su  i  lati  mm.  240,  larghezza  mm.  100,  lunghezza 
mm.  370.  Sopra  un  displuvio  reca  l' iscrizione  : 

87.  Cippo  a  colonnetta  di  macco  bianco  a  base  campanulata.  Altezza  totale 
mm.  360,  diametro  superiore  mm.  170.  diametro  inferiore  mm.  340.  Presenta  tracce 
d'iscrizione  sulla  base: 

/  alif]ras.  m.  e 

88.  Cippo  a  colonnetta  simile  al  precedente.  Altezza  totale  mm.  520,  diametro 
superiore  mm.  154.  diametro  della  base  mm.  330.  Reca  sulla  base  tracce  d'iscrizione: 

I  ai]^ras.  v.  e. 

89.  Cippo  di  macco,  a  forma  di  colonnetta  campanulata  a  listello.  Altezza 
mm.  460.  diametro  superiore  mm.  140,  diametro  inferiore  mm.  260,  listello  alto 
mm.  35.  A  metà  circa  dell'altezza  presenta  l' iscrizione  : 

A*ATILI*A*F*I 


90.  Cippo  simile  Altezza  totale  mm.  364,  diametro  superiore  mm.  153,  dia- 
metro della  base  mm.  290,  altezza  del  listello  mm.  30.  Sulla  base  vi  sono  i  seguenti 
resti  di  iscrizione  : 


Via  sepolcrale  V. 

Tomba  ìli,  presso  lo  zoccolo  del  tumulo  I  a  sud: 

91.  Cippo  di  nenfro,  a  forma  di  colonnetta  a  zoccolo.  Altezza  mm.  290,  dia- 
metro superiore  mm.  130,  diametro  della  base  mm.  240,  altezza  dello  zoccolo  mm.  60. 

CBLAESI-CL 

92.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  con  zoccolo.  Altezza  totale  mm.  115,  diametro 
superiore  mm,  115,  diametro  della  base  mm.  180,  altezza  dello  zoccolo  mm.  40, 
colle  seguenti  tracce  di  iscrizione: 

M.  Lip[tenà]  M.  I. 


CERVETERI 


—    378    — 


REGIONE   VII. 


Via  sepolcrale  principale. 
Tomba  I: 

93.  Cippo  di  travertino  a  colonnetta  su  base  scorniciata.  Altezza  totale  nini.  180, 
diametro  superiore  nini.  100,  diametro  della  base  mm.  165,  altezza  del  listello 
nini.  28,  altezza  totale  della  base  mm.  41. 

Q    PVPI    MF 
Tomba  II: 

94.  Cippo  di  travertino  a  colonnetta  su  base  campanulata  a  listello.  Altezza  to- 
tale mm.  280,  diametro  superiore  mm.  170,  diametro  della  base  mm.  265,  altezza 
del  listello  mm.  40. 

95.  Cippo  di  macco,  a  forma  di  edicola  rettangolare  con  tetto  displuviato  (ved. 
fig.  23).  Altezza  massima  mm.  205,  lunghezza  della  base  mm.  240,  larghezza  della 
medesima  mm.  125.  Sopra  un  lato  del  displuvio  vie  la  iscrizione  seguente: 


•^M-lvWrM-VoHfl? 


96.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  con  piccolo  zoccolo.  Altezza  totale  mm.  260, 

diametro  superiore  mm.  110,  diametro   dello   zoccolo   mm.   175,  altezza  del  listello 

mm.  65. 

MARLIPTENAQ-F 

97.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  campanulata  su  listello.  Altezza  mm.  270,  dia- 
metro superiore  mm.  120,  diametro  della  base  mm.  215. 

OCIPIiC<FRVFVS 
Tomba  III: 

98.  Cippo  di  tufo  a  base  rettangolare  con  una  risega  nel  mezzo  :  altezza  totale 
mm.  520.  Parte  superiore  mm.  380  X  350  ;  inferiore  mm.  375  X  485. 


hupni  munii 


REGIONE   VII.  —   379    —  CERVBTBRI 


Tomba  del  Triclinio. 

Presso  la  «Tomba  del  Triclinio»,  Dell'allargarne  l'accesso: 
99.  Parte    inferiore  di  cippo  di  macco  a  colonnetta  con  zoccolo.  Diametro  supe- 
riore mm.  160,  diametro  della  base  min.  280.  Sullo  zoccolo  vi  è  la  iscrizione: 


^ji<n*n£\/wo>w 


100.  Cippo  di  nenfro,  a  forma  di  edicola  displuviata.  Altezza  mediana  mm.  168, 
ai  fianchi  mm.  146,  larghezza  mm.  110,  lunghezza  mm.  265.  Reca,  sopra  un  lato  del 
displuvio,  l' iscrizione  : 


NAVCLITIA  LA 


Tomba  dei  Tarquinh. 

Presso  la   «Tomba  dei  Tarquinii».  nell'allargarne  l'accesso: 

101.  Parte  inferiore  di  un  cippo  a  colonnetta  di  macco.  Diametro  superiore  mm.  162, 
interiore  mm.  265,  altezza  del  listello  mm.  65.  Ha  la  seguente  iscrizione  intorno 
alla  base: 

102.  Cippo  di  macco,  a  colonnetta  campanulata  su  piccolo  zoccolo  (fig.  17).  Altezza 
totale  mm.  420,  diametro  superiore  mm.  160,  diametro  della  base  mm.  360,  altezza 
del  listello  mm.  67.  Reca  la  seguente  iscrizione,  in  parte  corrosa: 


vfìwmjyjfì 


103.  Frammento  di  cippo  di  macco  a  colonnetta  su  zoccolo  scorniciato.  È  in  due 
pezzi.  Altezza  totale  mm.  452.  diametro  superiore  mm.  230,  diametro  della  base 
mm.  245,  altezza  della  cornice  mm.  62.  Porta  i  seguenti  resti  d'iscrizione  ('): 

■tQVITI*C*F*GAÌ.Ll 

/  Tà]rquiti(us)   C.  f.  Oalli(us) 

(*)  Nel  fiulUtttittino  di  corrxap.  arr.h.  dell'anno  1847,  pag.  63,  il  Mommsen  aveva  riprodotto  come 
sepue  l'inscrizione  del  cippo  descritto,  che  era  andato  poi  disperso: 

[QVITICFCA 


ma    la    nuova    lezione,  anche   secondo    il    Bormann,   è    più  esatta    e    completa.    Evidentemente,  il 
Mommsen  non  aveva  trovato  una  delle  due  parti  del  cippo. 

Notizie  Soavi  1915  -  Voi.  XII.  50 


CERVETERI  —  380   —  REGIONE   VII. 

104.  Frammento  di  cippo  di  macco,  a  base  rettangolare.  Altezza  mm.  190,  lar- 
ghezza 56.  lunghezza  mm.  110.  Nella  parte  superiore  ha  la  iscrizione  (') 


LATIr* 


Latin{ia) 

105.  Cippo  di  macco,  a  colonnetta  campanulata,  sopra  zoccolo.  Altezza  totale 
mm.  490,  diametro  superiore  mm.  240,  diametro  della  base  mm.  390 ;  altezza  dello 
zoccolo  mm.  58,  intorno  al  quale  gira  la  iscrizione: 

106.  Frammento  di  cippo  di  nenfro,  con  iscrizione  incompleta  (*). 

\ARCNA-LT-Pl» 

107.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  campanulata,  con  resti  di  iscrizione: 

e-  av(ule?)  tarx[na]  /  [c,~] 

108.  Cippo  di  macco  rettangolare,  a  forma  di  edicola  fastidiata,  con  una  iscrizione 
assai  corrosa: 


109.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  campanulata  con  iscrizione  incompleta: 

M    TARCIMj 


110.  Cippo  di   macco  a  colonnetta  con  zoccolo.   Sul  quale  porta  la  seguente 
iscrizione  : 


o-u-ttom* 


(')  Il  nome  di  latinia  trovasi  anche  dipinto  in  rosso  nella  «  Tomba  degli  Stucchi». 

(*)  Nel  Bullettino  di  corr.  arch.  del  1847,  pag.  6  V,  si  trova  il  seguente  apografo  più  com- 
pleto, ma  inesatto,  dovuto  al  Mominsen,  della  stessa  iscrizione  testé  ritrovata,  della  quale  però  una 
parte  è  andata  perduta. 

M-TARCNAL-r-rLMIMINVS 

Ma  la  nuova  lettura  della  parte  rimasta  è  ora  assolutamente  sicura,  anche  a  parere  del  Bor 
mann,  e  perciò  la  iscrizione  si  può  reintegrare  così  : 

M  .TARCNA-LT-PL/vMMINVS 
M    Tarcna  L.  f.  Pl{e)m.ninw 


REGIONE    VII. 


—    381    — 


CERVETERl 


111.  Cippo  di  macco  a  forma  di  edicola  fastidiata.  Sopra  uno  dei  pioventi  è  la 
iscrizione  : 


{tan%v)il  pan&ni 

112.  Cippo  di  macco  a  forma  di  colonnetta  campanulata.  Tracce  di  iscrizione: 

B 


Tomba  dell'Alcova. 

Presso  la  «Tomba  dell'Alcova»,  nell'allargarne  l'accesso: 
113.  Frammento  di  cippo  di  macco  recante  la  iscrizione: 


/fr-2«FIMSfl 


Tomba   ori  Sarcofagi. 

Nella  «  Tomba  dei  Sarcofagi  » .  entro  un  puteolo  : 
114.  Frammento  di  cippo  di  macco,  di  forma  a  parallelepipedo  irregolare.  Altezza 
mm.  170,  l.nghezza  mm.  140,  spessore  mm.  100. 


Via  sepolcrale  IL 

115.  Cippo  di  macco,  a  forma  di  colonnetta  campanulata  a  listello.  Altezza  totale 
mm.  250,  diametro  superiore  mm.  160,  diametro  della  base  mm.  255,  altezza  del 
listello  mm.  35.  Ha  resti  d'iscrizione  intorno  alla  base: 


^vJ^A//àm 


» 


116.  Cippo  di  macco  a  colonnetta  con  base  a  guscio.  Altezza  totale  mm.  400, 
diametro  superiore  mm.  180,  diametro  della  base  mm.  255.  Tracce  d' iscrizione  : 

vi 


CERVBTBRI  —    882    —  REGIONE    VII. 

117.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta,  molto  deteriorato  nella  parte  superiore  dove 
sono  pochi  resti  di  iscrizione.  Altezza  totale  min.  280,  diametro  superiore  mm.  145, 
diametro  della  base  210,  altezza  del  listello  mm.  50. 


*  n 


Via  Sepolcrale  principale. 

1 18.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  sarcofago,  altezza  massima  min.  195,  larghezza 
mm.  105,  lunghezza  mm.  245.  Ha  una  iscrizione,  a  lettere  graffite,  molto  deteriorato. 


pyp  il    a C V/A 
wmm 

Pup(ia?)  L.  I.  Aciffia) 

119.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  sarcofago  con  sommità  displuviata.  Altezza 
mediana  mm.  220,  altezza  ai  lati  mm.  180,  larghezza  mm.  95,  lunghezza  mm.  250. 
Reca  alcune  lettere  graffite  leggermente  e  quasi  sparite. 


AN  IA 


120.  Cippo  di  macco,  a  colonnetta  largamente  campanulata,  su  listello.  Altezza 
totale  mm.  195,  diametro  superiore  mm.  105,  diametro  della  base  mm.  215,  altezza 
del  listello  mm.  30.  Reca  su  la  base  l' iscrizione  incompleta  : 

forse:  tn.  tar{%nas)  Il 

121.  Cippo  di  macco,  a  forma  di  colonnetta  con  base  formata  da  zoccolo  e  guscio. 
Altezza  mm.  480,  diametro  superiore  mm.  195,  diametro  della  base  mm.  400,  altezza 
della  cornice  mm.  100,  altezza  del  listello  min.  70.  Iscrizione  molto  corrosa  e  quasi 
sparita: 

Tomba  VI  (lato  Est): 

122.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  sarcofago  displuviato  (tìg.  22  b).  Altezza  me- 
diana mm.  270,  altezza  ai  lati  mm.  220,  larghezza  mm.  160,  lunghezza  mm.  349. 
Sopra  uno  dei  pioventi  è  incisa  la  seguente  iscrizione  : 


REGIONE    VII.  —    383    —  CERVETERl 

123.  Cippo  frammentato  di  macco,  a  colonnetta,  ma  a  sagoma  rientrante  in  modo 
da  formare  come  un  cilindro  restriugentesi  lievemente  a  metà  dell'altezza.  Altezza 
mm.  270,  diametro  superiore  mm.  180,  diametro  della  base  260. 


^.'HVW^&JlkHYv', 


Tomba  V: 

124.  Frammento  della  base  di  grande  cippo  di  macco,  a  colonnetta,  sul  quale  ri- 
mane la  seguente  iscsizione  incompleta: 


\j-^HV^/|-|Wl.>^ 


Tomba  IX: 
125.  Cippo  di  macco,  a  colonnetta  campanulata  a  listello.  Altezza  mm.  280,  dia- 
metro superiore  mm.  195,  diametro  della  base  mm.  300,  altezza  del  listello  mm.  62. 
Reca  tracce  di  iscrizione  appena  visibili  : 


m^\\A^\:V\My\f\o^\m 


Scavo  a  nordovest  della  «Tomba  dei  Rilievi»,  o  degli  «Stucchi»: 

126.  Cippo  di  nenfro,  a  base  corniciata.  Altezza  mm.  158,  diametro  superiore 
mm.  68,  diametro  della  base  mm.  90,  altezza  della  cornice  mm.  30.  Ha  la  seguente 
iscrizione  incompleta: 

MQ    SOMNT1 

Di  fronte  al  tumulo  I: 

127.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  sarcofago  con  tetto  a  due  pioventi  che  com- 
prendono una  striscia  orizzontale.  Altezza  mediana  mm.  175,  altezza  ai  lati  mm.  160, 
larghezza  mm.  127,  lunghezza  mm.  172. 

\\MPATIA    C    F- 

C~\ampatia  G.  /'. 

128.  Cippo  di  macco,  a  colonnetta  campanulata  su  listello.  Altezza  mm.  122,  dia- 
metro superiore  mm.  140,  diametro  della  base  mm.  254.  altezza  del  listello  mm.  30. 
Reca  una  iscrizione  incompleta  e  leggibile  solo  in  parte. 


ìt 


?A>-  Ani  \/lAf 

forse  :  /  apus[iyi  ca 


CERVBTERI  —    384    —  REGIONE    VII. 

A  sinistra  dell'ingresso  della  tomba  I: 
129.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  casetta  displuviata.  Altezza  mediana  mm.  176. 
altezza  laterale  mm.   153.  larghezza  mm.  85,  lunghezza  mm.  265. 


il-W'V 


SffQVNDA  •  RVI'I 


Sequada  Bufici  M.  f. 

130.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  casetta  con  tetto  a  due  pioventi  che  compren- 
dono una  striscia  orizzontale.  Altezza  mediana  mm.  275,  altezza  laterale  mm.  246, 
larghezza  mm.  Ilo,  lunghezza  mm-  305.  Sopra  un  piovente  ha  la  iscrizione: 

SANQVINIA-C-  F 

Tomba  XIX: 

131.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  colonnetta  su  listello.  Altezza  mm.  240.  diametro 
superiore  mm.  122,  diametro  inferiore  indefinito,  altezza  della  cornice  mm.  49 

A'COSVTI 


Via    sepolcrale  VI. 

Tomba  III: 

132.  Cippo  di  nenfro  in  forma  di  colonnetta  a  lavoro  molto  irregolare.  Altezza 
mm.  310,  diametro  superiore  mm.  115.  diametro  inferiore  mm.  147,  altezza  del 
listello  mm.  75. 

CSTATORILF 

Presso  il  muro  che  sovrasta  l' ingresso  della  «  Tomba  dei  Tarquinii  »  : 

133.  Parte  inferiore  di  cippo  di  macco,  a  colonnetta,  con  base  campanulata  e  listello. 
Altezza  mm.  145,  diametro  della  base  mm.  285.  altezza  del  listello  mm.  54.  Intorno 
alla  base  ricorre  la  seguente  iscrizione: 


wmmV(\<\'Q<iA\ 


Via  sepolcrale  principale. 

Presso  le  porte  delle  tombe  I  e  II  : 
134.  Cippo  di  macco  a  colonnetta,  a  base  campanulata,  altezza  mm.  275,  dia- 
metro alla  base  mm.  280,  diametro  alla  sommità  mm.  120,  con  la  seguente  iscrizione: 

■R  E  C I  L I  *  C  ♦  *m 

I  py-eeili(ut)  G.f. 


REGIONE   VII.  —   385   —  CBRVETERI 


Antica  cava    di   tufo. 

Pia  la  «  Tomba  dei  Rilievi  »   e  lo  zoccolo  del  tumulo  1  : 
135.  Cippo  di  macco,  a  colonnetta,  terminante  superiormente  con  rigonfiamento 
sferico,  e  con  basetta  sagomata  ionica.   Alt.  mm.  492,  diam.  del  rigonfiamento  sfe- 
rico mm.  102,  diam.  della  colonnetta  sotto  il  rigonfiamento  mm.  98,  diametro  della 
base  mm.  222.  Reca  la  seguente  iscrizione: 

ACOPONIVlfe 
aWTINIVS 

A.    Goponiu[s]  \_f]itinius 


CIPPI  RINVENVTI  RECENTEMENTE  IN  VARII  LUOGHI. 

Presso  la  stessa  «  Tomba  del  Triclinio  » ,  in  mezzo  alla  terra  : 

136.  Grande  cippo  di  macco,  a  forma  di  colonnetta  troncoconica,  con  base  a  listello: 
alt.  mm.  685,  diam.  della  base  mm.  390,  diam.  alla  sommità  mm.  220.  Manca  un 
pezzo  della  base.   Sulla    parte  conservata  si  legge: 

Sul  prolungamento  dello  scavo  nella  «  Via  Sepolcrale  principale  ».  a  nord  della 
«  Tomba  dei  Rilievi  »  o  degli  «  Stucchi  »  : 

137.  Cippo  di  nenfro  a  colonnetta  cilindrica,  con  base  a  listello,  alt.  mm.  270. 
diam.  mm.  120  alla  base  e  mm.  94  alla  sommità,  colla  seguente  iscrizione  a  metà  circa 
dell'altezza,  che  sembra  girasse  tutto  intorno,  in  modo  che  il  principio  e  la  fine  si 
riavvicinassero  : 

«^MVSI'P-l'SERA-PW 

forse:     P.  N usi(us)  P.l.  Sera 

Via  sepolcrale  II  (ad  est  della  via  principale): 

Presso  il  gruppo  di  tombe  con  pozzetto  di  accesso  : 

138.  Cippo  di  peperino  a  forma  di  colonnetta  cilindrica  cou  lieve  entasi,  e  con 
base  a  listello.  Altezza  mm.  254,  diam.  alla  sommità  mm.  132,  diam.  della  base 
mm.  143.  A  due  terzi  circa  dell'altezza  evvi  la  seguente  iscrizione: 

GTITINf.*CP*CÀSTR 


CERVBTER1  —    386    —  REGIONE   VII. 


Via  sepolcrale  III    (a  est  della  ria  principale): 

Presso  la  porta  della  I  tomba,  a  sinistra  della  via: 

139.  Cippo  di  peperino  a  colonnetta  mancante  della  parte  superiore,  con  base  a 
listello.  Alt.  iiiin.  375,  diam.  base  nini  220,  diam.  in  corrispondenza  della  frattura 
min.  160.    Reca  la  seguente  iscrizione  incompleta: 


A 


;  A  R  N  h 

L.  S i(us)  L.  I.  Barna 

H.  Mbnoarblli. 


Le  iscrizioni  dei  cippi  ceretani,  qui  pubblicati,  rappresentano  un  contributo  non 
indifferente  all'onomastica  latino-etnisca  e  allo  studio  delle  relazioni  etniche  e  politiche 
tanto  disputate  fra  le  popolazioni  antiche  dell'Etruria  e  del  Lazio.  Il  benemerito 
ing.  Mengarelli  le  ha  trascritte,  e  in  gran  parte  disegnate,  con  la  massima  cura  — 
valendosi  anche  di  fotografìe  — .  quando  gli  originali  erano  nella  condizione  migliore 
per  essere  studiati  ;  e  dalle  conversazioni  avute  con  lui  mi  sono  fatta  la  persuasione 
che  poco  o  nulla  potrebbe  aggiungere  alle  sue  conclusioni  una  nuova  autopsia. 
Qui,  approfittando  dell'ospitalità  gentilmente  offerta  dagli  Editori  delle  Notizie, 
esporrò  per  sommi  capi  alcune  osservazioni  che  mi  sembrano  scaturire  da  un  primo 
esame  dei  materiali. 

Anzitutto  le  nuove  iscrizioni  sono  strettamente  apparentate  per  età  luogo  e  con- 
tenuto con  quelle  già  edite  dal  Fabretti  (C.  I.  It.  2347-2391)  e  dal  Bormann  (CI.  L.  XI, 
3635-3692);  e,  come  i  tegoli  graffiti  di  Chiusi,  corrispondono  all'ultimo  periodo  della 
civiltà  etrusca.  quando  la  lingua  e  le  istituzioni  etnische  cedono  il  posto  alla  lingua 
e  alle  istituzioni  romane  ;  e  d'altra  parte,  per  i  materiali  a  cui  appartengono  e  per  il 
loro  ufficio,  trovano  esatto  riscontro  nei  cippi  di  Volsinii  e  di  Tuscania  e  in  quelli 
di  Preneste. 

La  constatazione  del  Mengarelli,  che  i  cippi  a  forma  di  colonnetta  spettano  ad 
uomini  e  quelli  a  forma  di  sarcofago  a  donne,  è  confermata  chiaramente  dai  nomi. 
Dalle  iscrizioni  qui  riportate,  non  tenendo  conto  di  quelle  troppo  incerte  o  frammen- 
tarie, si  deducono  i  nomi  di  127  individui:  uomini  e  donne  libere  99,  liberti  e  liberto  28. 
Tra  questi  i  nomi  di  carattere  etrusco  sono  47:  35  uomini  e  12  donne;  ma  il  tipo 
onomastico  più  comune  è  quello  che  si  compone  di  prenome,  nome  e  indicazione  della 
paternità  tanto  nelle  iscrizioni  etnische,  quanto  in  quelle  latine.  I  nomi  del  tipo 
C  Campati(us)   M.  f.  (n.  13),  m.  pinces.  la.  e.  (n.  68)  sono  50.  Corrispondentemente 


RBGIONE   VII.  —   387    —  CBRVETKRI 

tra  le  donne  vi  sono  17  nomi  in  cui  appare  l'indicazione  del  padre  o  del  marito; 
ma  va  notato  che,  mentre  i  nomi  femminili  latini  constano  in  maggioranza  del  solo 
gentilizio  (Campatia  C.  /".,  n.  127),  quelli  etruschi  mostrano  insieme  al  gentilizio  il 
prenome  {Oan%vil  Puitinia  l.  s.  n.  31).  E  come  nel  latino  gli  appellativi  filius  e 
Alia  sono  abbreviati  con  /".,  così  nelle  nostre  iscrizioni  etrusche  clan  e  se%  si  mostrano 
abbreviati,  conforme  all'uso  locale,  con  e.  e  s.  (v.  E.  Lattes.  Saggio  di  un  indice 
lessicale  etr.  in  Mem.  R.  Acc.  Arch.  ecc.  di  Napoli,  II  (1911)  pag.  256);  mentre 
si  sa  che  il  più  delle  volte  la  paternità  è  indicata  nell'etrusco  dalla  semplice  aggiunta 
del  prenome  del  padre. 

Per  ciò  che  riguarda  le  particolarità  grammaticali,  noto  alcuni  fenomeni  già 
avvertiti  in  altri  testi:  omissione  delle  aspirazioni  (es.  Pilemo  37,  Pileros  48, 
Gelido  45,  Tarcnn  109  ecc.);  consonante  semplice  in  luogo  della  doppia  {Buco  43, 
Cosuti(us)  131,  Polio  74,  Scura  64);  ae  in  luogo  di  a,  Laeis  (n.  36)  per  Lai* 
(cfr.  Saeturnus  per  Salurnus  in  C.  I.  L.  I,  48;  avule  n.  102  accanto  ad  aule  (vedi 
altro  es.  in  Noi.  Scavi,  1898,  pag.  440),  come  in  altri  testi  cavili,  cavinei  per 
calle,  cainei;  calpurenas  (pag.  352)  accanto  al  comune  Calpurnius  ecc. 

Circa  le  particolarità  epigrafiche,  per  i  testi  etruschi  osservo:  v  (3)  in  luogo  di 
u  (V)  in  mvras  (n.  55)  accanto  a  (m)uras  (n.  57).  e  viceversa  ì  col  suono  della 
spirante  f,  in  luogo  di  8,  in  ruvus  apparente  per  rufus  (n.  123,  cfr.  n.  65  e 
n.  97);  s  quadrilinea  nei  nn.  85,  101,  136;  il  segno  ì  usato  qualche  volta  promi- 
scuamente per  3  (nn.  23,  94);  interpunzioni  a  tre  punti  (nn.  102,  114).  a  tre  e 
due  punti  (n.  31),  a  tre  e  un  punto  (n.  76),  a  tre,  due  e  un  punto  (n.  85),  a  trian- 
goletti  (nn.  27,  29,  30,  32,  33:  36,  71,  73,  74,  78,  82,  88,  89,  103),  a  crocette  (nn.  107, 
120,  134),  ad  angoletti  (n.  53),  a  crocette,  angoletti  e  punto  (n.  97);  interpunzione 
congiuntiva,  secondo  a  me  pare,  nel  n.  25. 

Maggior  discorso  meriterebbe  l'esame  degli  elementi  onomastici  —  prenomi  gen- 
tilizi e  cognomi  —  in  relazione  coi  nomi  più  o  meno  già  noti  dell'Etruria  e  del 
Lazio  antico.  Basta  per  ora  rammentare  il  gentilizio  Sanquinia  n.  130,  Tarda  n.  53, 
Tarcna  n.  106,  Tarquitius  n.  103  ecc.  la  tomba  dei  Tarquinii  e  la  vicina  città  di 
Tarquinia;  e  per  le  relazioni  più  lontane,  accanto  ad  axunas  del  n.  124  la  donna 
menzionata  nel  titolo  Prenestino  (C.  I.  L.  XIV,  3313)  Aconia  Numeriana  Tuschi 
fi.Ua  Caere  \_patria~\. 

B.   NfJGARA. 


Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  51 


ROMA  —   388   —  ROMA 

II.   ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Via  Labicana.  In  seguito  ai  lavori  di  sterro,  che  l'Ufficio  speciale  del  Genio 
Civile  sta  eseguendo  per  il  tracciato  del  nuovo  tronco  della  strada  di  bonifica  n.  6, 
tra  la  via  Casilina  e  la  Prenestina,  a  circa  duecento  metri  sulla  sinistra  di  quella, 
sono  stati  messi  allo  scoperto  alcuni  avanzi  di  antiche  costruzioni  in  opera  retico- 
lata, di  buona  struttura. 

L'ubicazione  di  queste  corrisponde  alla  località  oggi  conosciuta  col  nome  di  Due 
Casaletti,  nella  tenuta  Quarticciolo  o  Casa  Rossa,  di  proprietà  del  Capitolo  di  S.  Maria 
Maggiore,  a  circa  il  7*  chilometro  della  via  Casilina. 

Erano  già  visibili  alcuni  resti  di  muri,  i  quali  affiorano  alla  superficie  del  ter- 
reno, tanto  che  il  senatore  Pietro  Rosa  delineò  nella  Carta  archeologica  del  Latto  ('), 
da  lui  eseguita  tra  gli  anni  1850-1870  nella  proporzione  di  1:20000,  una  parte  di 
antico  edificio  da  attribuirsi  ad  una  villa  rustica  (*). 

La  Direzione  degli  scavi  di  Roma,  allo  scopo  di  meglio  identificare  tale  costru- 
zione, ha  proceduto  ad  una  sistematica  esplorazione  la  quale,  sebbene  siasi  dovuta  limi- 
tare ad  una  determinata  superficie,  per  non  danneggiare  troppo  il  campo  coltivato  a 
grano,  pure  è  stata  sufficiente  a  far  riconoscere  l'uso  a  cui  era  destinato  quell'antico 
fabbricato. 

L'esplorazione  ha  proceduto  in  modo  che  sono  stati  isolati  i  muri  e  liberati  dalla 
terra  i  vani  in  essi  compresi,  fino  a  giungere  al  piano  dei  pavimenti  i  quali  si  tro- 
vano a  m.  0,60  sotto  quello  di  campagna.  La  parte  esplorata  dell'edificio,  verso  nord 
ed  adiacente  al  casale  moderno  (vedi  pianta,  fig.  1),  consiste  in  alcune  camere  formate 
con  muri  dello  spessore  di  m.  0,45  in  opera  reticolata  di  tufo.  Quasi  tutte  le  camere 
hanno  il  pavimento  a  mosaico  di  mediocre  fattura,  e  le  pareti  dovevano  essere  rive- 
stite con  lastre  marmoree,  di  cui  qualche  frammento  rimaneva  ancora  al  posto. 

La  stanza  A,  lunga  m.  7,75,  larga  m.  5,80.  aveva  il  pavimento  a  mosaico,  in 
gran  parte  deteriorato,  formato  con  tasselli  bianchi  che  ne  costituiscono  il  fondo  in 
cui  sono  rappresentati  disegni  geometrici  a  tasselli  neri.  È  composto  di  un  fascione 
nero  all' ingiro,  largo  m.  0,48,  che  comprende  dei  semicircoli  bianchi  di  m.  0,44  di 
diametro;  indi  una  fascia  nera  larga  m.  0,105  ed  altra  bianca  larga  m.  0,085,  la 
quale  racchiude  il  campo  a  motivi  geometrici,  costituiti  principalmente  da  grandi 
esagoni,  di  m.  0,58  di  lato,  nel  cui  centro  è  raffigurato  una  specie  di  rosone  a  sei 
foglie  di  gradevole  effetto  artistico. 

La  stanza  B,  larga  m.  4,70,  ha  nella  parete  est  una  sporgenza  angolare,  in  modo  da 
formare  all'esterno  un  piccolo  vano  D,  le  cui  pareti  misurano  m.  2,20  di  lunghezza. 

(')  La  Carta  archeologica  del  Lazio  del  senatore  P.  Rosa  trovasi  nella  R.  Direzione  degli  acari 
di  Roma,  che  ne  fece  acquisto  nel  1906. 

(•)  Cfr.  Ashby,  Topography  of  the  Roman  Campagna,  I,  pag.  231. 


ROMA 


—  389  — 


ROMA 


Il  pavimento  della  stanza  B  è  in  opera 
tassellata  con  faseione  nero,  largo  m.  0,38,  che 
ricorre  lungo  le  pareti  ;  quindi  segue  una  pic- 
cola fascia  a  tasselli  bianchi,  larga  m.  0,08, 
la  quale  comprende  tutto  il  piano  formato 
con  tasselli  neri,  in  cui  sono  disposte  simme- 
tricamente delle  piccole  rosette  a  tasselli 
bianchi,  disposti  a  guisa  di  croce  greca,  equi- 
di*tanti  fra  loro  m.  0,14. 

Il  pavimento  del  vano  D  è  anch'esso  a 
mosaico  a  fondo  nero,  con  sottili  fasce  larghe 
m.  0,02,  a  tasselli  bianchi,  che  s' incrociano 
normalmente  fra  loro,  formando  tanti  quadrati 
che  misurano  m.  0,14  di  lato.  È  contornato 
da  una  fascia  bianca  larga  m.  0,02,  una  nera 
larga  m.  0,05,  altra  bianca  larga  m.  0,045; 
segue  un  faseione  nero  largo  m.  0,21  ed  altra 
fascia  bianca  larga  m.  0,06;  infine  quattro 
fasce,  due  nere  larghe  m.  0,04  e  due  bianche 
larghe  m.  0,03  che  si  alternano  fra  loro;  il 
tutto  è  limitato  da  fascia  nera  fino  alle  pareti. 

La  stanza  C,  contigua  alla  precedente, 
conservava  quasi  intieramente  il  pavimento  a 
mosaico,  formato  con  tasselli  neri  costituenti 
il  fondo,  il  quale  è  limitato  da  una  sottile 
fascia  a  tasselli  bianchi,  larga  m.  0,02,  seguita 
da  fascia  nera  larga  m.  0,045  ;  quindi  altra 
bianca  larga  m.  0,085  ed  infine  un  faseione  a 
tasselli  neri,  largo  m.  0,24  che  corre  lungo  le 
pareti.  11  campo,  a  tasselli  neri,  è  solcato  da 
sottili  fasce  a  tasselli  bianchi,  larghe  m.  0,02, 
che  s'intersecano  in  modo  da  formare  tanti 
rombi,  i  cui  assi  misurano  m.  0,30  il  mag- 
giore, e  m.  0,20  il  minore. 

Questo  pavimento  era  adagiato  sopra  uno 
strato  di  cocciopesto,  dello  spessore  di  m.  0,12, 


Ni 


"5 


ROMA  —    390    —  ROMA 

il  quale  poggiava  sopra  un  piano  di  mattoni  bipedali.  sostenuti  da  pilastrini  (suspensu- 
rae)  formati  con  mattoni  quadrati  di  m.  0,20  di  lato  e  distanti  m.  0,45  l'uno  dall'altro. 

La  stanza  E,  di  piccole  dimensioni  (m.  3,54  X  1,55)  aveva  il  pavimento  a  mosaico 
eguale  a  quello  sopra  descritto  del  vano  D. 

Da  questa  stanza  si  comunicava  a  quella  F  mediante  un  iugresso  largo  m.  1,12, 
e  quest* ultima  doveva  avere  anch'essa  il  pavimento  in  opera  tassellata,  del  quale  però 
non  rimaneva  che  il  solo  strato  di  calce. 

Lo  spazio  compreso  tra  le  camere  B  ed  E  aveva  il  pavimento  formato  con  mat- 
toncini  {opus  spicatum),  che  si  prolungava  anche  nel  corridoio  fra  le  camere  A  e  B. 
Questo  ampio  spazio  aveva,  nel  lato  nord,  un  ingresso  largo  m.  1,55  la  cui  soglia 
era  costituita  da  un  frammento  di  cornice  marmorea,  nella  quale  era  ricavato  uella 
faccia  liscia,  il  battente  largo  m.  0,10,  alto  m.  0,10;  conservava  pure  alle  due  estre- 
mità i  fori  circolari  per  i  cardini  della  porta. 

Esternamente  al  detto  ingresso,  si  rinvenne,  rivestito  con  calce  e  aderente  al 
muro,  un  grosso  dolio  fittile  molto  frammentato,  del  diametro  massimo  di  m.  1,40, 
alto  m.  1,15. 

Dietro  la  stanza  A  fu  scoperto  un  pozzo  G  a  sezione  circolare,  del  diametro  di 
m.  0,60  ;  la  parete  interna  era  rivestita  superiormente  con  lastre  di  tufo,  in  cui  erano 
praticate  le  consuete  pedarole,  le  quali  continuavano  anche  nella  parte  inferiore  del 
pozzo  scavato  nella  roccia  tufacea.  11  pozzo  fu  liberato  dalla  terra  fino  a  raggiungere 
la  profondità  di  m.  9,50  sotto  il  piano  di  campagna,  e  fra  lo  scarico  che  lo  riem- 
piva fu  recuperato  un  torso  di  statua  marmorea  di  Dionysos,  alto  m.  0,70,  largo  alle 
spalle  m.  0,50;  mancano  la  testa,  le  braccia  e  le  gambe. 

A  sud  di  questo  insieme  di  costruzioni,  furono  fatte  anche  delle  ricerche,  dove 
altri  resti  di  muri  reticolati  emergevano  dal  piano  di  campagna  prima  che  fosse  ini- 
ziato il  tracciato  per  la  nuova  strada  di  bonifica. 

Queste  ricerche  posero  allo  scoperto  una  vasca  a  pianta  semicircolare,  del  dia- 
metro di  m.  4,47,  con  le  pareti  rivestite  d' intonaco  di  fine  cocciopesto  e  con  il  pavi- 
mento a  mosaico  di  tasselli  tutti  bianchi.  Questo  mosaico  era  costruito  sopra  uno 
strato  di  cocciopesto,  che  poggiava  sopra  mattoni  bipedali,  sostenuti  dai  soliti  pila- 
strini in  laterizio.  Due  di  quei  mattoni  avevano  impressi  i  bolli  di  fabbrica  (C  /.  L. 
XV,  711,904»)  di  figuline  esercitate  nei  primi  decenni  del  secondo    secolo  d.  Cr. 

Adiacente  alla  vasca  suddetta,  furono  riconosciute  alcune  stanze,  formate  con 
muri  reticolati  dello  spessore  di  m.  0,45;  non  rimaneva  nessuna  traccia  dei  pavi- 
menti che  sono  stati  distrutti  dai  continui  e  profondi  lavori  agricoli  ivi  eseguiti. 

Il  risultato  della  compiuta  esplorazione,  come  è  stato  dichiarato  precedentemente, 
ha  potuto  determinare  che  il  complesso  delle  costruzioni  esistenti  in  quella  località, 
appartengono  ad  una  villa  rustica,  costruita  sul  principio  del  secondo  secolo  d.  Cr., 
come  lo  confermano  i  bolli  dei  mattoni  rinvenuti  in  opera;  l'edifìcio  ha  subito  una 
trasformazione  in  età  posteriore,  e  ciò  è  dimostrato  dalle  parziali  suddivisioni  di 
vani  con  murature  diverse  da  quelle  originarie. 

E.  Gatti. 


RRGIONE   I.  —  891    —  ALIFB 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA) 

CAMPANIA. 

III.  ALIFE  —  Iscrizione  onoraria  latina  rinvenuta  entro  la  città. 

ir 
Nella  città   quadrata   di  Alife.  la   vetusta  AUif'ae  (cfr.   C.  I.  Z.Tpag.  214)  ('), 

che  conserva  le  antiche  mura  romane  e  le  quattro  porte  alle  estremità  delle  vie  del 
cardine  e  del  decumano  che  ancora  la  dividono,  in  una  piazzetta  accanto  alla  porta 
della  casa  del  sig.  Mariano  Di  Caprio,  in  via  Francesco  Trutta,  trovasi  fissata  al 
suolo  una  lapide  romana  iscritta  che  ivi  presso  fu  recentemente  scoperta. 

Questa  lapide,  di  cui  manca  una  parte,  è  di  pietra  calcare  di  Dragoni,  e  pre- 
senta intorno  una  semplice  scorniciatura  formata  da  un  listello  e  da  una  gola.  Vi 
si  legge: 

LPVLLA... 

VEL-  GAI... 
T  I  Q_V . . . 
XV-VIRS... 

RICIAS  •  FAM... 
PRAETAEDC... 
AA-AFFPRAEF..  . 
CVRATRPPRAEi... 
ALLIFANOR-DE... 
LVSQjALLIFAN.  .  . 
...AMANTIS... 
...P  N  FC... 


L'iscrizione  deve  probabilmente  leggersi  e  completarsi  così: 

L{ucio)  Pulla[ieno  L(ueii)  f(ilio)~]  Vel{ina)  Gar[cjilio  . . .  Ari]tiquo  xv  oir(o)  s(a- 
cris)  [f(aciundis)  ledo  in  paQricias  fam[ilias  ab  imp  . . .  oppure  a  divo  . . .] 
praet{ori)  aed(ili)  c(uruli)  \_q(uaestori  1 II  viro']  a(uro)  a(rgealo)  a(eeri)f  (landò) 
f(eriundo)  praef(ecto)  \i(uri)  d(icundo) . . .]  curatori)  r(ei)  p(ublicae)  Prae- 
[nettinorum~\  [idem  r(ei)  p(ublicae)~\  Allifanor(um)  de[curiones  popu]lusq(ue) 
Allifan(orum)  amantis\$imo~]  patro[nó~\. 


(')  Per  quanto  riguarda  la  partizione  regionale,  mi  attengo  a  quella  generalmente  accettata, 
che  pone  Allifae  nella  regione  I,  mentre  il  Mommsen  preferì  includerla  nella  regione  IV. 


ALIFK  —    392    REGIONE    1. 

Le  iscrizioni  ci  fanno  conoscere  un  Gargilius  Antiquus  proconsole  d'Asia  sotto 
Adriano  (*)  ;  un  Lucius  Pullaienus  Gargilius  Antiquus  legato  di  Marco  Aurelio  e  Lucio 
Vero  in  Tracia  (2)  ;  un  Gargilius  Antiquus  quindecemvir  sacris  faciundis  nel  204  (3); 
un  L.  Pullaienus  Gargilius  Antiquus  console  in  epoca  ignota  e  patrono  di  Tugga  (*). 
Quest'ultimo  potrebbe  anche  essere  una  sola  persona  con  uno  dei  precedenti.  Il  nostro 
personaggio  non  può  essere  identico  al  L.  Pullaieno  legato  di  Tracia,  perchè  mentre 
quegli  occupò  nel  vigintivirato  l'ufficio  di  decemvir  litibus  iudicandis,  e  fu  poi 
tribuno  della  plebe,  il  nostro  fu  triumviro  monetale  ed  edile  curule.  Potrebbe  ritenersi 
tutt'uno  col  proconsole  d'Asia  sotto  Adriano,  e  la  nostra  iscrizione  sarebbe  stata  in 
tal  caso  redatta  prima  che  il  personaggio  avesse  raggiunto  il  consolato  e  quell'alto 
governo  di  provincia.  Degli  uffici  ricordati  nella  nostra  lapide  nessuno  sconverrebbe 
a  questa  ipotesi,  se  non  forse  la  cura  reipublicae  due  volte  rivestita  a  Praeneste  e 
ad  Allifae.  È  noto,  infatti,  che  i  curalores  reipublicae  cominciano  ad  apparire  sotto 
Traiano,  e  probabilmente  negli  ultimi  anni  di  queir  imperatore  (5)  ;  e  alquanto  singo- 
lare sarebbe  che  il  Gargilio  Antiquo,  il  quale  chiuse  col  proconsolato  d'Asia  la  sua 
carriera  sotto  Adriano,  ma  quasi  tutta  l'aveva  compiuta  sotto  Traiano,  avesse  per  due 
volte  rivestito  un  ufficio  di  nuova  istituzione  e  di  straordinaria  e  certamente  ancora 
rara  applicazione.  Meglio  pertanto  potrebbe  pensarsi  ad  una  identità  del  nostro  col 
personaggio  ricordato  nell'  iscrizione  dell'anno  204,  il  quale  fu,  come  il  nostro,  quin- 
decemviro  sacris  faciundis  ;  a  meno  che,  come  anche  è  possibile,  il  nostro  sia  diverso 
da  tutti  i  suoi  omonimi  precedentemente  noti. 

La  frase  lectus  o  allectus  in  palricias  familias  si  trova  in  alquante  iscrizioni  (8). 
Un  curator  civitatis  Praenestinae  è  dato  dall'  iscrizione-  C.  I.  L.  XIV  2919;  la  frase 
decurione»  populusque  Allifanorum  trova  riscontro  nella  analoga:  ordo  et  populus 
Ailifanorum  dell'iscrizione   C.  I.  L.  IX,  2387. 

R.  Mbngarelli. 


(')  Rvmsay  in  American  journal  of  arck.,  1887,  pag.  345;  cfr.  CI.  L.,  Vili,  11451. 

(*)  C.  1.  L.,  Ili,  7394. 

(*)  C.  I.  L.,  VI,  32329. 

(')  Rev.  archéol,  1893,  toI.  XXII,  pag.  342. 

(")  De  Ruggiero,  Diz.  epifjrofico,  II,  pag.   1348. 

(•)   C.  I.  L,  VIII,  11338;  XIII,  1673;  XIV,  3902  ecc. 


SARDINIA  —   393  —  LABRRtT 


SARDINIA. 

IV.  LAERRU  —  Indagini  nei  tumuli  con  tombe  di  gigante  in  regione 
di  Bopitos,  nelle  tombe  di  Luogosanto  ed  in  vari  monumenti  del  territorio. 

A  mezz'ora  di  distanza  da  Laerru,  sulla  vecchia  via  mulattiera  che  conduce  a 
Sedini  ed  a  Bul/.i.  si  nota  una  regione  collinosa,  a  piccoli  mammelloni  calcari,  attra- 
verso ai  quali  si  insinua  la  via. 

Il  più  notevole  di  questi  mammelloni  è  il  Monte  Ultano,  su  cui  si  hanno  i  resti 
di  un'acropoli,  in  parte  cintata  con  costruzioni  di  tutte  le  epoche,  dalla  nuragica  alla 
romana.  A  piedi  di  essa,  verso  nord-ovest,  è  la  breve  conca  di  Luogosanto,  dove  in 
un  terreno  di  certo  Manca  Antonio,  e  proprio  attorno  ad  un  risalto  roccioso,  è  la 
necropoli  a  tombe  ipogeiche,  o  domus  de  gianas,  in  parte  esplorate,  o,  meglio,  riesa- 
minate nel  novembre  del  1914,  con  l'assistenza  del  sign.  E.  Bonetti  e  del  compianto 
Dr.  Porro  (1), 

Ritorneremo  fra  poco  a  questa  località  di  Luogosanto.  A  nord-est  di  questa,  di 
contro  all'acropoli  di  Monte  Citano,  e  sui  fianchi  opposti  della  valletta,  sorgono  vari 
mammelloni  di  forma  tondeggiante:  uno.  tra  questi,  più  alto,  circa  30  m.;  altri  due 
situati  più  in  alto  sul  fianco  della  valle,  ma  un  po'  meno  elevati  del  primo,  i  quali 
hanno  un'apparenza  di  tumuli  artificiali. 

Essendo  stata  dal  Benetti  manifestata  l' idea  che  essi  fossero  dei  tumuli  sovrap- 
posti a  tombe  a  corridoio  o  «  dei  giganti  »  ,  ho  ritenuto    di    tentarne  l'esplorazione. 

Condusse  l'esplorazione  l'egregio  amico  Edoardo  Benetti,  R.  Ispettore  onorario; 
e  dalle  sue  notizie  desumo  i  dati  che  io  ebbi  a  verificare  sul  posto. 

Il  più  grande  di  tutti  i  tumuli,  più  prossimo  alla  strada  accennata,  fu  solcato 
da  vari  ordini  di  trincee;  si  rivelò  quale  monticello  affatto  naturale  e  privo  di  tracce 
di  lavoro  e  di  materiale  umano. 

Dei  più  prossimi  mammelloni,  due  non  coprono  ma  sorreggono  sulle  loro  som- 
mità le  tombe  di  giganti,  messe  in  luce  dalla  presente  indagine,  l'una  apparentemente 
completa,  l'altra  franata  nella  sua  parte  anteriore.  Tanto  l'uno  quanto  l'altro  di  questi 
mammelloni,  in  roccia  tenera  calcare,  sono  così  regolari  che  si  direbbero  quasi  lavo- 
rati artificialmente,  perchè  sull'alto  di  essi  spiccasse  la  tomba  che  a  sua  volta  doveva 
essere  ammantata  da  un  cumulo  di  terra. 

La  I  tomba  (fig.  1)  si  rivela  come  una  cella  rettangolare  di  m.  6,95  di  lun- 
ghezza e  di  m.  2,40  di  larghezza,  costrutta  con  lastroni  regolarmente  disposti.  La 
parete  è  spessa  m.  0,60,  cosicché  la  celletta  presenta  le  dimensioni  di  m.  1,80X5.10. 
Le  pareti  della  cella  erano  formate  da  lastroni  deposti  in  piedi  e  conservati  per  l'al- 
tezza di  circa  1  m. ;  la  parte  superiore  era  crollata  e  rovinata;  i  lastroni  in  parte 
erano  entro  la  cella,  in  parte  rovinati  giù  per  il  fianco  del  tumulo. 

(')  Notizie  degli  scavi,  1915,  fase.  4°,  p.  119  sq. 


LABRRU 


394  — 


SARDINIA 


L'accesso  alla  colletta  avveniva  dalla  piccola  porticina,  larga  m.  0,50.  Dinanzi 
alla  fronte  della  tomba  si  ebbe  una  specie  di  piattaforma,  larga  come  tutta  la  parete 
del  sepolcro  ed  ampia  un  metro,  formata  da  lastroni  ben  connessi;  innanzi  alla  porta 
fu  poi  rinvenuta  una  bella  lastra  in  calcare,  di  forma  rettangolare,  larga  quanto  la 


Fio.  1.  —    Pianta  e  sezione  della  Tomba  di  Bopitos,  presso  Laerru  (disegno  Berretti). 


porta,  ben  lovigata,  la  quale  era  solcata  da  un  largo  o  profondo  solco  sull'asse  me- 
diano della  porta,  A  questo  corrispondeva  una  regolare  fossetta  o  pozzetto  rotondo, 
di  m.  0,35  di  diametro,  scavato  nel  fondo  roccioso  fra  le  pietre  che  formavano  la 
piattaforma  e  la  pietra  rettangolare. 

Come  risulta  da  queste  disposizioni  e  dalle  materie  carboniose  che  furono  rin- 
venute nella  fossetta,  si  ha  qui  un  pozzetto  per  sacrifici  funerari  che  è  notato  per 
la  prima  volta  nelle  tombe  dei  Giganti  e  può  essere  accostato  al  pozzetto  dell'anti- 


SARDINIA 


—  895  — 


LABRRU 


cella  della  tomba  ipogeica  o  domus  de  gianas  di  Tonara  ( ')  come  pozzetto  sacrificale 
dell'atrio  del  pozzo  sacro  di  Serri  (2). 

A  questo  importante  indizio  di  un  culto  funerario,  datoci  da  questa  tomba,  non 
corrisponde  però  la  suppellettile.  La  colletta,  dicemmo  innanzi,  era  sconvolta  per  la 
rovina  del  coperchio.  Però  verso  il  fondo  della  cella  il  terriccio  compatto  serbava  i 
resti  di  quattro  cadaveri  di  adulti  :  i  crani,  abbastanza  ben  conservati  e  di  tipo  doli- 


Fio.  2.  —  Pianta  e  sezione  della  tomba  II,  in  regione  Bopitos,  Laerru  (disegno  Berretti). 


cocefalo,  stavano  al  disopra  della  massa  delle  vertebre,  delle  coste,  del  bacino  e  dei 
resti  dei  femori  e  delle  tibie,  in  modo  da  dare  l' idea  che  i  cadaveri  fossero  in  ori- 
gine deposti  entro  la  cella,  in  posizione  seduta  od  accoccolata.  La  suppellettile  era 
ridotta  a  pochi  frustoli  di  ceramica  rozza  appartenenti  ad  ollette  ed  a  piatti  dalle 
pareti  poco  alte. 

La  II  tomba  (tig.  2)  esplorata  era  anch'essa  sul  colmo  di  un  mammellone;  per 
la  frana  di  questo  era  crollata  tutta  la  parte  anteriore,  comprendente  la  parete  del- 

(')  Notine  degli  tcavi,  1911,  pag.  388,  figg.  1-8. 

(*)  Monumenti  antichi  dei  Lincei,  voi.  XXIII,  anno  1914,  pag.  838,  tav.  Ili,  figg.  14-15. 

NoTizm  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  52 


LAKRRU  —    396    —  SARDINIA 

l'ingresso;  ignoriamo  quindi  se  anche  questa  tomba  avesse  la  piattaforma  anteriore 
con  la  pietra  munita  di  solco  o  di  fossetto  per  sacrificio  come  la  tomba  n.  I.  Rimane 
però  quasi  per  intiero  la  cella  che  conserva  la  larghezza  di  m.  2,40  e  la  lunghezza 
di  m.  5,20,  di  accurata  struttura,  in  blocchi  o  lastroni  regolari,  disposti  a  fila,  ritti 
a  coltello,  bene  uniti  verso  la  celletta,  la  quale  si  allarga  leggermente  verso  il  centro, 
m.  2,10,  ed  è  stretta  dai  due  capi  m.  1,80.  Anche  questa  cella  ha  perduto  la  ori- 
ginaria copertura  in  lastroni  ed  era  sconvolta;  conteneva  i  resti  di  almeno  dieci  inu- 
mati :  per  tre  scheletri  si  potè  accertare  la  loro  giacitura  accovacciata,  simile  a  quella 
data  dalle  precedenti  tombe.  Insieme  con  molti  cocci  di  rozze  stoviglie  questa  tomba 
dette  un  vasetto  intiero,  lavorato  a  mano,  di  forma  quasi  emisferica,  con  quattro 
ansette  forate  poste  sotto  l'orlo,  con  un  coperchio  semicircolare,  sormontato  in  alto 
da  una  ansetta  forata,  di  tipo  non  molto  comune  nella  ceramica  di  Sardegna.  Degli 
altri  vasi  non  si  potè  ricostruice  la  forma  di  nessuno,  né  di  altra  suppellettile  si 
ebbe  traccia. 

È  indubitato  che  anche  le  due  tombe  di  Bopitos,  data  la  loro  struttura,  il  rito 
e  le  tracce  del  materiale  in  esse  contenuto,  si  debbono  connettere  alla  sepoltura 
dell'età  nuragica  ed  al  tipo  della  tomba  a  corridoio,  o  tombe  di  giganti.  Ma  stanno 
esse  alla  fine  o  all'inizio  dell'evoluzione  seguita  da  questo  tipo  di  sepolcro  caratte- 
ristico della  Sardegna?  Io  crederei  che  siano  alla  fine;  l'area  frontale  ridotta  ad  una 
breve  piattaforma  nella  tomba  I  con  la  sua  ben  lavorata  pietra  sacrificale,  le  ben 
costrutte  pareti,  la  posizione  dominante,  e  forse  anche  l'adattamento  del  fianco  del 
mammellone,  stanno  ad  indicare,  a  mio  avviso,  non  il  periodo  iniziale  della  tomba 
a  corridoio,  a  cui  apparterrebbero  quelle  di  Mesu  Enas,  di  Cutzu  e'  Molas  (x)  ecc., 
sull'altipiano  di  Abbasanta  (2),  ma  la  fine  dell'evoluzione,  segnata  dalla  diligente  la- 
vorazione della  cella  e  dagli  elementi  esterni,  ridotti  ed  atrofizzati,  delle  ali  e  del- 
l'area frotale. 

Ma  i  soli  criteri  evolutivi  e  di  tecnica  architettonica  non  sono  sufficienti  a 
datare  cronologicamente  e  tipologicamente  queste  due  sepolture,  che,  per  quanto  a  noi 
pervenute  in  stato  incompleto,  non  sono  però  prive  di  interesse. 

Ho  più  sopra  ricordato  che  la  località  di  Luogosanto,  ai  piedi  di  Monte  Ultano, 
presenta,  scavato  nell'orlo  di  un  piccolo  pianoro  dalle  erte  pareti,  un  gruppo  di  tombe 
ipogeiche,  o  domus  de  gianas,  di  grandi  dimensioni,  di  cui  fu  già  dato  un  breve 
cenno  descrittivo  in  un  altro  rapporto  (8). 

Esaminando,  nel  corso  della  esplorazione  compiuta  nel  giugno,  la  superficie  del 
pianoro,  accanto  al  luogo  dove  è  il  prodromos  della  più  grande  delle  tombe  scavate, 
si  trovarono,  nello  spazio  di  circa  dieci  metri  in  quadrato,  25  incavi  tondeggianti, 
aperti  nella  superficie  della  roccia  tufacea  assai  tenera.  Rinettati  diligentemente  questi 
pozzetti,  alcuni  dei  quali  erano  aggruppati  uno  accanto  all'altro,  altri  più  sparsi,  si 
vide  che  essi  erano  tutti  circolari,  del  diametro    di   22-40  cm.   e  profondi   20-80, 

(*)  Notizie  degli  scavi,  1915,  fase.  4°,  p.  108  gq. 
(')  Notizie  degli  scavi,  1915,  fase.  4°,  p.  109  gq. 
(•)  Notizie  degli  scavi,  1915,  fase.  4°,  p.  119  sq. 


SARDINIA 


—  397 


LAERRD 


ma  che  per  l'erosione  della  superficie  del  piccolo  altipiano,  servito  sempre  come  aia, 
la  profondità  di  questi  pozzetti  in  origine  doveva  essere  maggiore  (fig.  3  a,  b).  Essa 
era  stata  almeno  dimezzata,  mancando  in  tutti  l'orlo  superiore,  come  mancavano  affatto 
le  tracce  degli  operculi  di  qualsiasi  natura.  La  fotografìa,  qui  aggiunta,  mostra 
l'aggruppamento  e  l'aspetto  di  tali  pozzetti  ;  in  due  di  essi  fu  trovato  il  fondo  delle 
due  olle  in  terracotta,  rozzi  vasi  cinerari  di  una  ceramica  dello  stesso  impasto  e  dello 
stesso  tipo  di  quella  rinvenuta  nelle  attigue  domus  de  gianas.  Non  si  ebbero  tracce 


Fig.  3  a.    -  Tracco  dei  pozzetti  di  tombe  a  cremazione,  presso  Luogosanto  (Laerru). 

né  dei  resti  dei  cadaveri  cremati,  né  della  suppellettile,  così  che  non  abbiamo  che 
questo  tenuissirao  indizio  di  un  piccolo  gruppo  di  tombe  a  cremazione,  il  cui  carattere 
arcaico  parrebbe  attestato  dalla  rozzezza  dei  frammenti  raccolti  delle  urne  cinerarie. 
La  comparsa  di  un  rito  funerario  a  cremazione,  insueto  alla  Sardegna  primitiva, 
potrebbe  valere  come  indizio  di  una  invasione  di  nuove  genti  che  si  infiltrarono 
accanto  agli  abitatori  nuragici,  e  come  segno  dell'affacciarsi  di  quei  Galli  a  cui  fa 
pensare  il  nome  di  Gallura,  dato  alla  parte  settentrionale  montuosa  dell'isola  Sarda. 
Il  nome  di  Gallura,  come  osserva  il  Pais  (l),  è  forse  la  continuazione  del  nome  di 
GatiUenses  che  troviamo  ricordati  tra  i  popoli  della  Sardegna,  nel  decreto  del  pro- 
console L    Elvio  A^rippa,  del  60  d.  Gr.,  riportato  dalla  tavola  in  bronzo  di  Ester- 


(')  l'uis.  La    u  formula  provinciae  »  della  Sardegna.  Ricerche  storiche   e  topografiche   sul- 
l'Italia antica,  pag.  591. 


LABRRO 


898  — 


SARDINIA 


zili  (C.  I.  L.  X,  7852).  Ma  dobbiamo  osservare  che  quei  Galillenses  del  decreto 
accennato  dovevano  abitare  nel  centro  dell'  isola,  non  lungi  da  Esterzili,  dove  la 
tavola  di  bronzo  che  li  ricorda  è  stata  rinvenuta,  cioè  nel  Gerrei. 

Anche  il  Para,  che  scrisse  tre  secoli  prima  della  scoperta  del  bronzo  nella 
Corograpfiia  sarda,  pag.  87,  ricorda  la  curatoria  di  Gerrei,  seu  Gallila  dieta,  ripe- 
tendo l'indicazione  anche  nel  trattato  di  Rebus  sardois,  III,  pag.  87:  «  Gallili  nunc 
Gerrei  dieta  » .  Per  quanto  non  sarebbe  impossibile  che  anche  qualche  altro  gruppo 


Fio.  3b.  —  Tracce  di  altri  pozzetti  di  tombe  a  cremazione  presso  Luogosanto  (Laerru). 


di  popoli  Galillenset  potesse  trovarsi  nelle  parti  che  nel  medio  evo  furono  dette 
Gallura,  noi  non  abbiamo  di  ciò  alcuna  testimonianza  ;  così  pure  possiamo  accennare 
solo  come  una  congettura  che  il  nome  di  Galillenses  possa  avere  qualche  rapporto 
con  quello  dei  Galli  e  possa  valere  come  una  base  a  spiegare  la  presenza  di  necro- 
poli a  cremazione,  di  carattere  preromano,  nell'Anglona.  Ad  ogni  modo,  l' indizio  di 
tale  necropoli  di  tale  tipo  e  rito  non  è  trascurabile  e  deve  essere  segnato  e  seguito, 
in  mezzo  al  grande  predominio  di  necropoli  ad  inumazione  che  caratterizzano  la 
Sardegna  primitiva. 

Segno  qui  alcuni  brevi  appunti  sui  nuraghi  più  vicini  a  Luogosanto,  tra  Laerru 
Bulzi  e  Sedini. 

Una  delle  linee  di  comunicazione  naturali  che  danno  accesso  dalla  costa  setten- 
trionale dell'isola  al  fertile  piano  dell' Anglona,  ancora  oggi  uno  dei  più  ricchi  di 
grano,  per  la  vallata  di  Sedini  sbocca   nel   piano  interno  verso  Bulzi.    Qui  appunto 


SARDINIA 


—  899 


LAKRRD 


raggiunge  il  piano  o  ralle  interna  dell' Anglona,  seguendo  il  corso  di  un  torrente  che 
dal  valico  di  Sedini  scende  verso  Perfugas  al  Cogbinas.  Questa  via  non  solo  è  segnata 
da  costruzioni  nuragiche  nel  suo  percosso  dal  mare  al  valico,  ma  anche  entro  al  piano 
stesso,  sino  al  Coghinas.  Troviamo  qui  uno  dei  tanti  esempii  di  valichi  o  di  valli 
vigilate,  nel  loro  percorso  dal  mare  al  centro  dell'  interno  paese,  da  vedette  nuragiche. 


Fio.  4.  —  Il  nuraghe  Agnltu,  di  Laerru. 


Ricordo  qui  alcune  di  queste  costruzioni  allineate  lungo  il  corso  del  torrentello 
che  esce  dalla  stretta  di  Sedini  con  una  abbondante  vena  d'acqua  quasi  perenne, 
molto  profondamente  incassato  entro  alle  pareti  di  rupi  trachitiche;  esso  presentava 
quindi  una  via  facile  per  chi  voleva  raggiungere  il  cuore  della  vallata.  In  questa  via 
appunto  vigilavano,  come  vedette  disposte  in  posizione  dominante  ed  iu  vista  tra  di 
loro,  le  costruzioni  nuragiche,  di  alcuna  delle  quali  dò  qui  un  breve  cenno. 

Mentre  Monte  Ultano,  che  fu  indubbiamente  un'acropoli  fortificata  in  età  nura- 
gica,  dominava  tra  le  due  conche  di  Bulzi  e  di  Laerru,  invece  al  guado  del  torrente 
di  Bulzi  a  breve  distanza  del  suo  sbocco  nel  piano,  di  fronte  alla  bella  chiesetta 
pisana  di  S.  Pietro  delle  Imagini,  è  il  nuraghe  detto  Malosa  o  di  S.  Pietro,  a  torre 
circolare,  preceduta  da  un  recinto  di  lastroni  infissi  nel  suolo. 


LAERRO 


—  400  — 


SARDINIA 


Costrutto  in  grandi  massi  di  trachite  compatta,  ha  la  porta  d'ingresso  ora  ottu- 
rata dalla  rovina;  però  la  cella  è  accessibile  dall'alto,  e  presenta  la  pianta  rettan- 
golare, con  le  pareti  a  piombo  sino  all'altezza  dell'architrave  della  porta  d' ingresso 
e  di  una  nicchia  laterale,  pure  a  pianta  rettangolare.  Al  di  sopra  dell'architrave  però 
le  pareti  tondeggiano,  e,  per  mezzo  di  embrionali  pennacchi  o  architravi  angolari,  si 


Fio.  5.  —  Porta  d'ingresso  del  nuraghe  Agultu. 

passa  alla  consueta  forma  di  volta,  ad  anelli  circolari,  che  vanno  restringendosi  gra- 
datamente verso  la  volta.  Questa  camera,  dalle  pareti  composte  di  grandi  massi  paral- 
lelepipedi, che  hanno  reso  facile  e  for.s'anche  suggerito  la  disposizione  della  cella  a 
pianta  rettangolare,  ha  le  più  stringenti  analogie,  per  le  sue  disposizioni,  con  la 
cella  del  tumulo  della  Petriera,  di  Vetulonia  ('),  che  è  appunto  rettangolare  con  vdlta 
circolare,  posata  su  pennacchi  agli  angoli. 

A  breve  distanza  da  questo  curioso  nuraghe,  nel  mezzo  del  piano  di  Bulzi,  stanno 
le  maestose  rovine  del  grande  nuraghe  di  Bonora,  nel  tenimento  dei  fratelli  Oggiano, 


(l)  Montelius,  Civilisation  primitive  de  l'Italie,  tav.  199,  figg.  1  e  3.  Si  confronti  anche  la 
tomba  del  diavnlino,  pure  di  Vetulonia,  ricostruita  nel  Museo  di  Firenze.  —  Milani,  Museo  archeo- 
logico di  Fireme,  I,  pag.  288. 


SARDINIA  —    401     —  LABRRd 

composto  in  origine  da  una  cella  centrale,  con  almeno  tre  torri  aggiunte.  Esso  è 
un'esempio  di  edifìcio  nuragico.  dominante  il  centro  di  una  pianura  fertile  di 
coltivi. 

Più  a  valle,  sempre  lungo  il  corso  dello  stesso  torrente,  è  il  nuraghe  Sàrula, 
a  torre  conica,  a  due  piani;  la  rovina  della  parete  lascia  visibile  la  sezione  della 
scala  che.  dal  corridoio  di  accesso  alla  cella  del  piano  inferiore,  sale  alla  cella  del 
primo  piano,  mostrandone  l'accurata  struttura.  1  gradini  sono  saldamente  innucleati 
nel  corpo  del  muro,  le  pareti  verticali  per  l'altezza  di  circa  2  metri,  poi  con  pietre 
sporgenti  a  ciascuno  dei  lati,  per  restringere  il  vano,  su  cui  posano  le  grosse  lastre 
che  chiudono  il  corridoio,  coprendo  tutta  la  scala  che  si  avvolge  a  spirale  entro  lo 
spessore  della  muraglia. 

È  un  evidente  esempio  di  quella  tecnica  rudimentale,  ma  poderosa,  basata  sul- 
l'accurata disposizione  dei  massi  e  sul  contrasto  delle  spinte,  la  quale  rese  possibile 
di  praticare  il  passaggio  di  tali  scale,  o  cordonate,  entro  a  gallerie.  Dello  spessore 
della  parete  del  torrione  nuragico. 

Più  a  valle  di  questo  nuraghe,  sempre  lungo  il  predetto  torrente,  dove  questo 
è  incassato  tra  alti  dirupi  t  rachitici  prima  di  sboccare  nella  bella  conca  di  Perfugas, 
di  fronte  alla  monumentale  chiesa  di  S.  Giorgio,  sorge  un  poderoso  nuraghe,  detto 
appunto  di  S.  Giorgio.  Esso  sta  sul  ciglio  del  burrone,  a  guardia  di  quel  passaggio, 
attraverso  al  quale,  lungo  il  solco  del  vallone,  era  possibile  una  invasione  verso  il 
piano.  Il  nuraghe,  che  fa  contrasto  con  la  grazia  della  chiesetta  pisana-aragonese, 
sorge  sulla  sponda  opposta  ad  essa,  sul  ciglio  del  burrone,  e  conserva  la  grandiosa 
torre  di  accurata  struttura  di  massi  trachitici.  La  parete  verso  il  lato  dell' ingre  so, 
al  di  sopra  della  porta,  è  franata  in  parte,  ma  rimangono  evidenti  la  pianta  e  la  sezione 
di  una  cameretta  a  volta,  praticata  entro  allo  spessore  della  muraglia  al  di  sopra  del 
corridoio  di  accesso  alla  camera  principale  a  difesa  dell'  ingresso.  Un  consimile  fatto 
fu  segnalato  al  nuraghe  di  S.  Barbara,  di  Villanova  Truscheddu  (')  ed  anche  nel 
nuraghe  Mannu,  in  territorio  di  Ozieri,  nella  tenuta  dei  signori   Tola. 

La  bella  costruzione  del  nuraghe  S.  Giorgio  chiude  la  linea  di  vigilanza  allo 
sbocco  del  rio  di  Bulzi  al  piano  di  Perfugas  e  si  connette  alla  linea  dei  nuraghi  che 
stanno  lungo  il  corso  del  Coghinas.  Da  questa  linea  era  vigilata  tutta  la  via  dal  mare 
verso  il  piano,  nei  punti  in  cui  era  più  facile  ad  un  ardito  manipolo  invasore  nascon- 
dersi ed  appiattarsi  in  modo  che  l'assalto  proditorio  fosse  per  quanto  possibile 
impedito. 

Pure  in  vicinanza  di  Laerru.  su  una  delle  vie  che  conducono  dal  territorio  di 
questo  comune  a  quello  di  Martis,  ma  attraverso  alla  montagna,  sta  il  nuraghe 
Agultu,  di  cui  qui  offro  una  immagine  (fig.  4),  col  particolare  della  porta  (fig.  5). 
Le  due  fotografie  mostrano  la  poderosità  rude  delle  pareti,  assai  inclinate,  dell'edificio 
e  la  forma  e  le  dimensioni  della  porta,  che  ha  un'altezza  di  oltre  due  metri,  ed  è 
sormontata  da  un  architrave  monolito  di  grande  spessore. 


(')  Vedi  Notitie  dagli  Soavi,  1915,  fase,  di  settembre,  pag.  306. 


LAERRU  —   402    —  SARDINIA 

L'esempio  di  consimili  allineamenti  di  difese  potrebbe  essere  ripetuto  per  altre 
delle  vie  naturali  valicanti  la  montagna  dalla  spiaggia  del  mare  alla  vallata  interna 
del  Coghinas.  ma  mi  basti  ora  di  segnalare  questo  chiaro  allineamento  della  valletta 
di  Balzi,  nel  suo  pescorso  sino  al  Coghinas,  dal  quale  si  rivela  che  alla  ricchezza 
del  suolo  che  si  doveva  difendere,  all'accanimento  degli  assalti  nemici,  corrispondeva 
anche  la  complessa  e  molteplice  difesa  degli  edifici  nuragici,  dei  quali  è  tanto  più 
evidente  lo  scopo  militare  e  strategico  quanto  più  è  possibile  di  studiarne  particolar- 
mente la  postura  e  la  intima  relazione  con  le  linee  naturali  del  suolo. 

A.  Tarameli.i. 


REGIONE   X.  —    403   —  CERVIGNANO   PRESSO   AQUILE1A 


Anno  1915  —  Fascicolo  12. 

Regione  X  (VENETI A  ET  HI  STRIA). 

VENETIA. 

I.  CERVIG NANO  presso  AQUILEIA  —  Da  una  reiasione  del  sotto- 
tenente comm.  Ugo  Ojetti  intorno  ad  un  pavimento  in  musaico  scoperto 
in  Cervignano. 

Il  giorno  15  dello  scorso  decembre,  scavandosi  le  buche  pei  pali  di  sostegno  di  una 
baracca  militare  in  Cerrignano,  nella  piazza  detta  della  Pesa  Pubblica  e  precisa- 
mente dal  lato  verso  la  chiesa  parrocchiale,  furono  rinvenute  tracce  d'un  pavimento 
a  mosaico  alla  profondità  di  circa  settanta  centimetri  sotto  il  piano  stradale. 

Il  mosaico,  policromo,  è  a  larghe  tessere,  d'epoca  tarda  del  sesto  o  del  settimo 
secolo,  e  può  anche  appartenere  all'abbazia  benedettina  che  fu  elevata  in  Cervignano 
nel  668  sotto  il  titolo  di  san  Michele  Arcangelo  che  fu  la  prima  sede  dei  monaci  di 
S.  Benedetto  nel  Friuli,  ed  ebbe  nel  912  da  re  Berengario,  con  diploma  datato  da 
Pavia,  la  conferma  dei  suoi  beni  nell'Aquileiese.  Ancora  l'attigua  moderna  chiesa 
parrocchiale,  cui  è  solo  pregio  d'arte  e  di  storia  il  campanile  dell'undicesimo  secolo, 
è  dedicata  a  san  Michele  Arcangelo.  Il  fiume  Aussa,  allora,  quasi  lambiva  la  torre 
campanaria  e  questi  edifici  sacri. 

Del  mosaico  sono  stati  per  ora  scoperti  pochi  metri  quadrati  con  un  fregio  a 
treccia  nera  su  fondo  bianco  e  un  tondo,  con  una  palmetta  rossa  nel  centro,  inserito  in 
un  quadrato,  agli  angoli  del  quale  (due  soli  ne  sono  finora  visibili)  stanno  due  colombe, 
come  si  vedono  in  molti  mosaici  d'Aquileia  tanto  ricchi  ed  originali  nel  rappresentare 
uccelli  e  altri  animali.  Il  mosaico  è  intatto,  salvo  due  fori. 

U.  Ojetti. 


Notizib  Soati  1915  —  Voi.  XII.  53 


AREZZO  —   404   —  REGIONE    VII. 


Regione  VII    (ETRURIA). 

II.  AREZZO  —  Scoperte  archeologiche  nel  terreno  del  manicomio, 
in  località   «  Duomo   Vecchio  » . 

Nell'eseguire  alcuni  lavori  nel  terreno  annesso  al  manicomio  provinciale  di  Arezzo, 
e  precisamente  sulla  piccola  altura  dove  sorgeva  il  «  Duomo  Vecchio  « ,  si  rinvennero, 
nell'agosto  1911,  svariati  frammenti  antichi  che  per  la  loro  natura  possono  così 
aggrupparsi  : 

a)  parecchi  grossi  blocchi  di  tufo  locale  arrotondati  negli  angoli  dalle  intem- 
perie, e  dal  vario  uso  cui  furono  adibiti,  spettanti  in  origine  presumibilmente  ad  una 
costruzione  etrusca  o  romana.  Furono  trovati  qua  e  là  sparsi  nel  terreno,  a  poca  pro- 
fondità. Ma  altri  simili  parallelepipedi  si  vedono  pure  incorporati  nelle  moderne  fab- 
briche esistenti  su  quel  poggetto; 

b)  alcune  tombe  ad  inumazione  scavate  nel  terreno,  rivestite  di  muriccia  e 
coperte  da  lastroni  che,  per  la  descrizione  avutane  e  per  i  resti  che  io  stesso  potei 
esaminare,  riferirei  al  periodo  barbarico  ; 

e)  frammenti  di  vasi  campani  e  romani  e  piccola  lancia  di  ferro  lunga m.  0,15  '/», 
spettanti  a  sepolture  più  antiche,  pure  ad  inumazione,  come  fanno  fede  alcuni  resti 
di  scheletri  scoperti  insieme.  Tali  tombe  però  dovettero  essere  distrutte  in  antico, 
poiché  i  frammenti  giacevano  sparsi  nel  terreno  ed  a  poca  profondità; 

d)  la  fronte  di  un'urna  romana  in  marmo  bianco  lunense  (0,55  X  0,51  X  0,25 
circa),  in  più  punti  corrosa  e  rotta. 

Vi  è  nel  mezzo  uno  specchio  epigrafico  rettangolare,  limitato  da  piccola  cornice, 
ma  rimasto  liscio.  Sulla  sommità  di  questo  specchio  rimangono  sicuri  avanzi  di  una 
quadriga  in  corsa  verso  destra.  Agli  angoli  si  vedono  due  candelabri  ardenti,  impostati 
sul  dorso  di  sfingi  accovacciate  su  are  che  presentano  protomi  di  gorgoni  sulle  facce 
visibili,  teste  di  arieti  agli  angoli,  e  che  sono  a  loro  volta  sorrette  da  tre  piccole 
sirene  ognuna.  Sui  lati  furono  scolpite  piante  di  lauro  con  bacche,  e  pellicani  che 
beccano  le  radici. 

Probabilmente  quest'urna  si  rese  inservibile  durante  la  lavorazione  per  improvvisa 
rottura,  perchè  rimane  interrotto  l'incavo  per  accogliere  le  ceneri  e  vuoto  lo  specchio 
epigrafico.  Il  cospicuo  frammento  potuto  salvare,  che  per  lo  stile  delle  decorazioni  a 
rilievo  riferirei  al  sec.  II-III  d.  Cr.,  era  nascosto  nel  muro  di  una  vecchia  fabbrica  il 
quale  venne  demolito; 

e)  frammento  di  grosso  embrice  a  margini  rialzati  (0,38  X  0,28),  con  avanzo 
di  bollo  figulino  impresso, 

C  •  SCEVNIVS  •  REStitutus      FECit  C) 

{*)  Cfr.  noi  C.  1.  L.  XI  2,  pag  1045,  n.  216,  altro  bollo  della  stessa  officina  di  Seminio  Resti- 
tnto  proveniente  pure  da  Arezzo. 


REGIONE    VII. 


—  405 


AREZZO 


f)  alcuni  frammenti  di  marmo  con  decorazioni  a  trecce  scolpite,  spettanti  forse 
al  portale  del  vecchio  duomo. 

g)  frammento  di  colonna  scannellata  in  tufo. 

In  base  a  tutti  questi  elementi,  sebbene  erratici  e  sparsi,  credetti  di  poter  infe- 
rire che  quel  posto  si  presterebbe  ad  una  ricerca  sistematica. 

L'occasione  fortunatamente  non  si  è  fatta  aspettare  a  lungo,  poiché  il  dott.  Mario 
Salmi,  egregio  studioso  di  storia  dell'arte,  ottenuti  con  molta  liberalità  il  permesso 
e  l'appoggio  dell'  illustre  direttore  del  manicomio,  prof.  Pieraccini,  e  in  seguito  a 
parere  favorevole  della  Soprintendenza  regionale  per  i  monumenti,  si  è  accinto  —  con 


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Fio.  1. 


Tombe  barbariche  della  località  «Duomo  Vecchio». 


lodevole  fede  —  a  rintracciare  le  vestigia  del  Duomo  Vecchio  per  rilevarne  la  strut- 
tura e  la  forma,  e  confrontarle  con  una  vecchia  pianta  dell'edificio  conservata  nella 
Galleria  degli  Uffizi. 

Nuove  scoperte  archeologiche  nel  terreno  del  manicomio  ^provinciale. 

Il  dott.  Salmi  farà  seguire  alle  sue  odierne  ricerche  nel  terreno  uno  studio  gene- 
rale intorno  ai  risultati  ottenuti,  non  trascurando  certo  di  esporrete  condizioni  topo- 
grafiche e  d'ambiente  in  cui  sorse  la  prima  cattedrale  d'Arezzo,  scopo  precipuo  delle 
sue  indagini.  Intanto  possiamo  notare,  non  essendo  ancora  compiuto  il  lavoro  di  scavo, 
ciò  che  fu  rimesso  in  luce  durante  il  mese  di  settembre  del  1915. 

Data  la  natura  tufacea  del  poggetto,  in  molti  punti  e  specie  verso  il  culmine 
dove  ora  sor^e  la  cappella  del  manicomio  affatto  privo  di  terra  coltivabile,  i  saggi 
di  scavo  furono  intrapresi  sul  lato  di  nord- est.  Quivi,  nello  strato  del  terriccio  allu- 


AREZZO  —   406   —  RBGIONK   VII. 

vionale  depositatosi  sulla  roccia,  alto  un  paio  di  metri,  oltre  a  resti  di  antichi  mura- 
menti riferibili  al  Duomo  ed  a  fabbriche  posteriori,  sono  comparse  alcune  altre  tombe 
barbariche  (io  tutto,  fino  ad  oggi  7  settembre  1915,  sei)  analoghe  a  quelle  scoperte 
nel  191 1  poco  lontano.  Sono  del  solito  tipo  a  cassa  rettangolare  (da  m.  2,20  X  0,68  X  0,65 
a  1,50  X  0,35  X  0,30),  però  la  maggior  parte  scavate  nel  tufo,  e  le  altre  con  risar- 
cimenti a  muriccia  solo  nelle  lacune  del  masso.  Quattro  di  esse  sono  lastricate  con 
frammenti  di  marmi  antichi  e  di  mattoni  romani  raccolti  sul  posto  ;  qualcuna  con  un 
pezzo  di  tegolo  per  capezzale;  una  chiusa  da  lastre  di  marmo,  ugualmente  antico; 
un'altra  del  gruppo  più  orientale  aveva,  per  copertura,  degli  embrici  posti  a  doppio 
spiovente,  come  nei  comuni  sepolcri  dei  bassi  tempi  romani.  Su  uno  di  tali  embrici 
si  legge  una  grossa  M  segnata  con  la  pressione  del  dito  sull'argilla  fresca.  Alcune 
di  esse  sono  orientate,  altre  no.  Il  livello  di  giacitura  non  è  uniforme  per  tutte  ;  ma 
bisogna  tener  conto  del  declivio  della  collina  e  dell'erosione  delle  acque  in  tanti 
secoli. 

La  fotografia  che  qui  si  pubblica  mostra  chiaramente  qual'è  la  loro  struttura 
e  tipo. 

Non  vi  furono  riscontrati  che  frammenti  d'ossa  di  inumati  ;  ma  nessuna  di  esse 
era  intatta  (').  Siccome  aderiscono  quasi  ai  muri  esterni  delle  più  tarde  costrnzioni,  e 
qualcuno  anzi  è  da  essi  tagliato,  evidentemente  tutti  questi  sepolcri  vennero  danneg- 
giati e  sconvolti  dai  nuovi  lavori.  Ciò  è  la  prova  migliore  che  essi  non  furono  pra- 
ticati intorno  al  Duomo,  ma  preesistevano  già,  come  si  rileva  anche  dalla  scoperta 
del  1911.  Ci  troviamo  quindi  in  presenza  di  un  vero  e  proprio  sepolcreto  barbarico, 
adattato  alle  condizioni  del  terreno,  cioè  con  la  maggior  parte  delle  fosse  scavate  nel 
tufo  anziché  a  costruzione,  come  nei  più  frequenti  casi  per  tale  periodo. 

Dalla  pianta  e  dalle  fotografie  che  arricchiranno  lo  studio  del  dott.  Salmi  si  rile- 
veranno poi  la  posizione  delle  tombe  e  gli  altri  elementi  che  interessano  l'archeo- 
logia e  la  storia  del  vecchio  duomo. 

Ed.  Galli. 

(')  Il  31  ottobre  1915,  tornato  ad  Arezzo,  potei  constatare  che  era  stata  scoperta  un'altra  tomba 
del  sepolcreto  barbarico  del  «  Duomo  Vecchio  »,  a  circa  4  m.  verso  nord  del  precedente  gruppo, 
in  rapporto  al  quale  notasi  un  dislivello  di  circa  1  metro;  ma  ciò  dipende  forse  dall'abbassamento 
del  terreno  richiesto  dalle  costruzioni  sorte  in  quel  posto. 

Quest'ultima  tomba  era  perfettamente  orientata  ed  intatta,  con  cadavere  supino,  forse  femmi- 
nile, e  con  tracce  di  scoliosi  nella  colonna  vertebrale  secondo  il  giudizio  dell'egregio  dott.  A.  Are- 
tini del  manicomio,  che  segue  questi  lavori  con  molta  passione.  Come  le  altre,  non  conteneva  però 
nessun  oggetto  di  corredo  funebre.  Il  sepolcro  consisteva  di  una  cassa  rastremata  verso  i  piedi,  di 
struttura  a  muricciuoli,  e  coperto  da  due  lastroni  quadrangolari  e  altre  pietre  informi. 

Misurava  in  lunghezza  m.  2  ;  e  in  larghezza  da  m.  0,55  a  0,23.  Giaceva  a  m.  1  sotto  il  piano 
attuale   di  campagna. 


ROMA  —    407    —  ROMA 


III.  .ROMA. 
Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Continuandosi  gli  sterri  in  piazza  Colonna,  si  è  rinvenuto  un  cippo  frammentato 
in  travertino  (0,39X0,32X0,18)  con  l'iscrizione: 

PAPIRIA  CF 

MASSONIS 

FILIA 

LAETORIAE 

Inoltre  è  tornato  alla  luce  un  pezzo  di  marmo  con  la  seguente  iscrizione  fram- 
mentata: (0,30  X  0,17  X  0,04): 

D 
L.  MEM 
MEMIA\ 
ET  SIBI  LIBER 
BVSQVE    PO 
E  O   R 

Sono  poi  riapparsi  quattro  frammenti  di  marmo  con  poche  lettere  ;  un  frammento 
di  mattone  eoi  bollo  C.I.L.  XV,  958  a\  un  frammento  di  gamba  di  statua  di 
marmo  bianco  (0  26X0  19),  e  due  frammenti  di  ornati  architettonici  (0.32  X  0,10 
X0,07  e  0  22X0,10. 

Si  sono  pure  trovati  due  capitelli  marmorei  di  ordine  corinzio;  uno  (m.  0.31  X 
0,28  X  0,23)  in  cattivo  stato  di  conservazione  ;  l'altro  (m.  0.48  X  0,45  X  0,32)  in 
buono  stato;  un  frammento  di  base  di  statuetta  in  marmo  bianco  con  avanzi  di  una 
pelle  di  leone  (m.  0,23X0,15),  un  frammento  di  plinto  su  cui  rimane  il  piede  di 
una  statua  (m.  0,26  X  0,18),  e  un  lastrone  di  portasanta  (m.  0,77  X  0,62  X  0,14). 
Un  frammento  di  mattone  contiene  il  seguente  bollo  circolare: 

EX  •  PR  •  ARR  •  FAD  CEP  •  PRO .  .  . 
PAETINO  ET  APRON  [ia]{no) 

cos 

È  una  terza  variante  di  quello  riportato  nel  C.  I.L.  XV,  90. 

Via  Casi  lina.  A  destra  del  vicolo  dei  Carbonari,  in  località  Marranella, 
facendosi  lo  sterro  per  la  costruzione  di  una   casa  di  proprietà  del    sig.  Guglielmo 


ROMA  —   408    —  ROMA 

Mazzola,  si  è  rinvenuta   una  targa  di  colombario  in  marmo  bianco  (m.  0,44  X  0,22 
X0,07)  con  la  seguente  iscrizione: 

P  VEIDIVS  ■  P  L- ASTRAGALVS 

0-VElDIA    PL-  EVGENEACONIVx 

SIBI    •    ET       SVEIS 

Via  Cassia.  Nella  tenuta  del  Pino,  sulla  destra  della  via  Cassia  fra  il  14° 
e  il  15°  km.,  in  proprietà  del  sign.  ing.  P.  Ceribelli,  facendosi  alcuni  lavori  agricoli 
si  e  rinvenuto  un  cippo  sepolcrale  di  marmo  bianco  (m.  0,82  X  0,34  X  0,bl),  con 
base  e  cimasa  scorniciate.  Sulle  facce  laterali  sono  la  patera  e  il  prefericolo;  su 
quella  principale  la  seguente  epigrafe: 

NVMERI 
ARMODIAE 
TVLLIAEAR 
SINOEC-L 

TVLLIVS 
TVLL1ANVS 
SORORIKA 
RISSIMAE 

F.  Fornari. 


Via  Nomentana.  Frammenti  di  sculture  d'ossidiana  rinvenuti  nell'area 
di  villa  Patrizi.  -  In  alcuni  pacchi  di  frammentucci  dei  più  svariati  oggetti  antichi 
rinvenuti  negli  sterri  della  villa  Patrizi  per  la  costruzione  del  palazzo  delle  ferrovie 
ritrovai  quattro  frammenti  di  ossidiana  pertinenti  almeno  a  due  figure  umane  (').  Sono 
due  nasi,  l'uno  grande  al  naturale,  l'altro  più  piccolo,  e  due  piccole  parti  di  teste 
con  capigliatura  virile  a  piccole  ciocche  ondulate,  il  tutto  di  perfetta  e  squisita  fattura. 

Le  grandissime  difficoltà  tecniche  dovute  superare  per  ottenere  delle  forme  umane 
da  una  materia  per  le  sue  note  condizioni  di  sfaldatura  così  ribelle  a  qualunque 
taglio,  e  la  conseguente  estrema  rarità  di  figure  di  questo  minerale,  mi  sembrarono 
meritassero  ai  nostri  frammenti  una  menzione.  Non  so  se  siano  in  altri  musei  con- 
servate altre  antiche  sculture  di  ossidiana  ;  che  però  anche  in  età  classica  esse  do- 
vessero essere  assai  r.re,  si  deduce  dalla  menzione  che  ne  fa  Plinio,  e  che  non  è  fuori 
di  luogo  ripetere: 

«  In  genere  v i tri  et  obsiana  numerantur  ad  similitudinem  lapidis  quem  in  Aethio- 
«  pia  invenit  Obsius  nigerrimi  coloris.  aliquando  et  translucidi,  crassiore  visu  atque 


(')  Per  accertarmi  della  esatta  identificazione  del  materiale  feci  ricorso  alla  cortesia  e  alla 
dottrina  dell' ing.  Vittorio  Novarese  del  R.  Istituto  geologico,  che  ringrazio.  Non  è  naturalmente 
possibile  di  designare  il  luogo  di  provenienza  del  materiale. 


REGIONE    I.  —   409    —  POZZUOLI 

«  in  speculis  parietum  prò  imagine  umbras  recidente.  Gemmas  multi  ex  eo  faciunt, 
«  vidimus  et  solidas  imagines  divi  Augusti,  capaci  materia  huius  crassitudinis,  dica- 
li vitque  ipse  prò  miraculo  in  tempio  Concordiae  quatuor  obsianos  elephantos.  Remi- 
li sit  et  Tiberius  Caesar  Heliopolitarum  caeremoniis  repeitam  in  hereditate  Sei  eius 
«  qui  praefuerat  Aegypto,  obsianam  imaginera  Menelai,  ex  qua  apparet  antiquior 
«  materiae  origo.  mine  vitri  similitudine  interpolata  «  (Plin.,  Nat.  Hist.,  XXXVI,  67). 

Al  giudizio  enunciato  da  Plinio  nell'ultima  proposizione  citata  non  si  può  forse 
consentire;  è  più  probabile  che  si  siano  ottenute  prima  figure  a  tutto  tondo  in  vetro 
per  fusione  e  che  poi  siasi  tentata,  naturalmente  non  con  lo  scalpello  ma  con  la  ruota, 
la  ritrosa  materia  del  vetro  vulcanico  (')• 

Merita  da  ultimo  ricordare  che  molti  anni  or  sono,  ponendosi  mano  ai  lavori  per 
la  costruzione  di  case  nell'area  della  villa  Ludovisi  e  proprio  nella  via  che,  costeg- 
giando la  villa,  conduceva  a  porta  Salaria,  ossia  sull'asse  della  odierna  via  Bon- 
compagni,  fu  rinvenuta,  a  profondità  archeologica,  notevole  quantità  di  ossidiana  bruta 
e  più  ancora  di  quella  specie  di  lava,  contenente  nuclei  di  ossidiana,  che  è  chiamata 
perlite  di  Lipari.  Di  quest'ultima  materia  si  ritrovò  un  blocco  pesante  quasi  una 
tonnellata.  La  notizia,  che  ritengo  inedita,  mi  è  stata  favorita  dal  sig.  barone  Ales- 
sandro Ostini  che  ebbe  agio  di  assistere  a  quei  lavori. 

R.  Paribeni. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

CAM PAN 1 A 

IV.  POZZUOLI  —  Rovine  di  un  secondo  anfiteatro. 

I  lavori  della  ferrovia  direttissima  Roma-Napoli,  nell'attraversare  il  territorio 
di  Pozzuoli,  al  nord  di  questa  città  volgendo  da  occidente  ad  oriente,  si  sono  im- 
battuti, non  appena  con  un  cavalcavia  oltrepassata  la  strada  nuova  della  Solfatara, 
in  alcuni  ruderi  antichi,  tra  i  quali  hanno  dovuto  aprirsi  un  varco  (fig.  1), 

Tali  lavori  hanno  richiamato  l'attenzione  di  questa  Sopraintendenza  sovra  quei 
ruderi  e,  se  non  fu  possibile  di  impedire  che  essi  li  attraversassero  in  trincea,  si  potè 
trarne  il  vantaggio  di  esaminarli  in  condizioni  migliori  pel  loro  riconoscimento.  Così 
che  ora  noi  siamo  in  grado  di  sciogliere  uno  dei  più  importanti  quesiti  della  topo- 
grafia puteolana,  identificando  ed  ubicando  uno  dei  suoi  più  grandiosi  monumenti. 
E,  mentre  sarà  doverosa  cura  che.  almeno  in  parte,  esso  sia  restituito  alla  luce  e 
conservato,  diamo  qui  per  ora  una  breve  notizia  della  scoperta,  riserbandoci  di  comu- 
nicare via  via  quanto  gli  ulteriori  studi  scavi  ed  assaggi  permetteranno  di  precisare 
intorno  al  prezioso  rinvenimento. 


(')  Figure  in  vetro  a  tutto  tondo  sono  note  in   numero  assai  scarso,  e  tutte  sono  di  propor- 
zioni molto  piccole.   Cfr.   Amelung,   Weiblicher  Kopf  aus  Qlas,   in  Róm.  Mitth.,   1905,  pag.  131. 


POZZUOLI 


—  410 


REGIONE    I. 


I  grandiosi  ruderi  trovansi  a  non  più  di  cento  metri  a  nord  del  noto  monumen- 
tale anfiteatro  puteolano,  a  dritta  di  chi  risale  la  strada  nuova  della  Solfatara.  Se- 
polti sotto  una  ricchissima  e  potente  vegetazione,  nascosti  da  viti  alte  e  da  alberi 
fronzuti  presso  che  eternamente  virenti,  dove  di  alcuni  metri  emergenti  per  rovina 
e  franamento  a  valle  di  altre  loro  parti,  come  nel  lato  volto  a  mezzodì,  dove  affio- 


FlG.  l. 


ranti,  come  nel  lato  di  occidente,  dove  appena  segnati  sul  suolo  da  linee  rilevate 
visibili  solo  ad  una  attenta  ricerca,  come  nel  lato  volto  a  settentrione,  quei  resti 
antichissimi  non  hanno  richiamato,  così  come  meritavano,  l'attenzione  degli  studiosi 
e  dei  dotti.  Gli  scrittori  locali,  fra  cui  alcuni  eccellentissimi,  non  ne  fanno  parola  (1). 
11  Beloch  non  ne  ha  notizia  (').  Il  Dubois  ne  dà  finalmente  una  sommaria  descrizione, 
ma,  ingannato  della  forma  che,  a  veder  suo,  le  rovine  assumevano  ad  oriente,  deviò 


t1)  Loffredo,  Antichità  di  Pozzuoli  ecc.,  Napoli  1580;  Mazzella,  Sito  ed  antichità  di  Poz- 
zuolo,  Napoli  1571;  Iorio,  Guida  di  Pozzuoli  e  contorno,  1817,  pp.  22  e  30;  Paladini,  Storia  di  Poz- 
zuoli, Napoli  1828;  De  Criscio,  Notizie  istoriche,  arch.,  togogr.  ecc.  dell'antica  Pozzuoli,  Na- 
poli 1881.  Cito  i  principali.  Neppure  il  Paoli,  Antiquit.  Puteo!.,  Gumis,  Bah  existentium  reliquiae, 
Napoli  1768,  ne  ha  traccia. 

(*)  Beloch.  Campanien,  Brcslan  1890  (2*  ediz.),  pp.  88-144. 


REGIONB   I.  —   411    —  POZZUOLI 


le  sue  giuste  considerazioni  generali  nella  errata  conclusione  che  potesse  trattarsi  di 
un  teatro  (*). 

Le  rovine  sono  attraversate  dalla  trincea  ferroviaria  in  direzione  da  ovest  ad  est. 
A  dritta  (fig.  1),  sgombrate  da  vepri  e  foltissime  cadute  di  edera,  sono  visibili  dieci 
arcate  che  si  dispongono  ad  ellissi  ed  banno  una  larghezza  costante  da  pilastro  a 
pilastro,  nella  parte  più  esterna,  di  m.  3,60:  delle  volte,  rastrematisi  ad  imbuto 
e  tutte  convergenti  verso  un  centro  sepolto,  sono  sostenute  da  quegli  archi  e  s'inter- 
nano nelle  terre:  sulle  arcate  la  fabbrica  elevasi,  sempre  ad  opera  incerta,  fin  dove 
essa  attaccavasi  alle  altre  superiori,  ora  precipitate  e  coperte.  Le  arcate,  che  conti- 
nuano senza  interruzione  nel  numero  di  dieci,  oltre  un  frammento  dell'undecima,  non 
sono  poi  per  un  tratto  visibili  :  poi  ne  compaiono  altre  tre,  oltre  un  frammento  della 
quarta  ;  ancora  dopo  una  nuova  interruzione,  una  di  esse  si  mostra  adibita  a  cellaio 
e  un'altra  le  è  accanto,  tutta  visibile  ;  poi  scompaiono  nuovamente  dove  sepolte,  dove 
precipitate,  fin  che  quasi  nella  estremità  dell'asse  orientale  una  ne  riappare  che  appena 
s'intravvede  sotto  l'alta  ripa.  A  sinistra  la  rovina  è  più  grande  e  si  sarebbe 
detta  non  identificabile;  ma  un  saggio  di  scavo  ha  messo  alla  luce  tre  delle  arcate, 
delle  quali  due  tenute  su  da  pilastri  e  riempimenti  operati  in  tempi  posteriori  e 
recenti  ;  poi  l'edifizio  scompare  mostrando  solo  in  rilievo  sul  suolo  la  sua  ellissi  set- 
tentrionale; poi  una  grande  buca,  da  noi  sondata,  lascia  apparire,  sempre  sulla  stessa 
curva,  il  sottostante  ambulacro  ;  ed  infine,  dove  l'estremità  dell'ellissi  orientale  con- 
giungesi  da  questa  parte  con  l'altra  emiellissi,  prima  la  trincea,  poi  uno  scavo  da 
me  condottovi  hanno  permesso  di  mettere  allo  scoperto  un  breve  tratto  della  cavea. 

Così  fu  possibile,  mediante  un  paziente  lavoro  di  rilievo,  compiuto  dal  funzio- 
nario di  questo  Istituto  sign.  Francesco  Scardamaglia,  misurare  e  disegnare  tutta  l'el- 
lissi della  rovina,  stabilirne  definitivamente  la  forma  e,  quindi,  la  destinazione,  e 
dar  notizia  dell'orientazione  sua  e  delle  sue  dimensioni,  che  non  molto  potranno  va- 
riare quando  saranno,  per  gli  scavi,  conosciuti  tutti  i  dati  del  solenne  monumento. 

Esso  è,  dunque,  come  la  perfetta  disposizione  ellittica  delle  rovine  hanno  mo- 
strato, un  anfiteatro  di  discrete  proporzioni  (fig.  2  A).  Ha  l'asse  maggiore  in  direzione 
di  nord-nord-est  sud-sud-ovest,  e  misura,  per  quel  che  allo  stato  presente  se  ne  può 
stabilire,  m.  130  in  lunghezza  per  95  approssimativamente  in  larghezza:  non  pos- 
siamo per  ora  dar  dell'arena  alcuna  certa  dimensione,  ma  essa  non  dovette  —  attenen- 
doci, per  approssimazione,  a  quelle  dell'antiteatro  di  Pompei,  cui  questo  presso  che 
si  eguaglia  —  misurare  assai  più  che  69  metri  in  lunghezza  per  34  o  35  in  larghezza. 
L'altro  anfiteatro  puteolano  (fig.  2B)  è  alquanto  più  grande  ed  è,  come  si  vede,  in 
direzione  del  tutto  diversa.  Le  arcate  sopra  descritte  sono  in  opera  incerta,  ma  le 
parti  di  essa  superstiti  sono  così  degradate  che  nulla  per  ora  possiamo  dire  del  loro 
rivestimento  :  possiamo  soltanto  dire  che  esse  sostenevano,  intorno,  i  gradi  della  cavea 
e  che  ad  altre  legavansi  esteriormente  in  giro,  tutte  precipitate,  verso  il  mezzogiorno, 
dove  la  collina  sensibilmente  degrada. 


(')  Dnbois,  Pouzzoles  antique,  Paris  1907,  pp.  190,  103,  839. 

Notizim  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  54 


POZZUOLI 


—  412 


REGIONE    I. 


Ad  oriente,  un  saggio  di  scavo  praticato  lungo  la  trincea  ferroviaria  (fig.  2  e) 
ha  messo  in  luce  un  tratto  della  parte  alta  della  cavea  (summa  cavea),  che  ci  per- 
mette di  dare  qualche  maggior  notizia  del  nostro  monumento.  Intorno  intorno,  dietro 


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Pio.  2. 


di  essa,  girava  un  ambulacro  in  opus  retieulatum  largo  m.  2,44,  alto  (dal  pavimento 
all'intradosso  della  volta)  m.  3.  Il  pavimento  è  un  battuto,  assai  spesso,  di  calce- 
struzzo. Una  cunetta  per  lo  scolo  delle  acque  gira  lungo  il  muro  di  destra,  incavata 
in  quel  battuto  per  m.  0,35.  Degli  stretti  vomitorl  ad  arco,  alti  m.  2,  larghi  m.  0,75, 
distanti  l'un  dall'altro  m.  7,55,  si  aprivano  nella  parete  sinistra  di  questo  ambulacro 
sulla  cavea,  dando  accesso  ai  vari  cunei.  La  nostra  fig.  3  mostra  la  parete  ad  opus 
retieulatum  coperta  di  stucco,  dietro  cui  corre  l'ambulacro,  uno  dei  vomitorii  ad  arco 
che  danno  accesso  alla  summa  cavea,  la  scaletta  fra  due  cunei  e  i  gradi  dei  cunei 


REGIONE    I. 


413 


POZZUOLI 


stessi.  Questi  vomitorii  dovettero  essere  tutt'in  giro  in  numero  di  quaranta,  e  non 
meno  di  quarantuno  quindi  i  cunei  in  questa  parte  alta  dell'anfiteatro.  I  gradi  super- 
stiti della  scaletta  dissepolta  misurano  in  media  cm.  70  in  larghezza  per  cm.  61  in 


Fio.  3. 


lunghezza  ;  e  non  minore  è  la  larghezza  dei  gradi  dei  cunei.  Ma  tali  particolari,  di 
cui  lo  scaro  ci  ha  dato  un  saggio,  saranno  meglio  accertati  in  seguito.  Questi  ba- 
stano a  dare  una  prima  idea  del  nuovo  anfiteatro  puteolano. 

Pozzuoli,  la  ricchissima  e  potente  città  della  Campania,  ebbe  dunque  due  anfi- 
teatri? Ormai  ciò  appare  chiarissimo  dalla  nostra  ricerca.  Ma,  prima  di  questo,  un 


POZZUOLI 


—  414  — 


REGIONE    I. 


singolarissimo  monumento,  un  vaso  di  vetro  rinvenuto  ad  Odemira  nel  Portogallo, 
aveva  rivelato  la  presenza  di  due  anfiteatri  in  Pozzuoli  (fig.  4).  11  Jordan  però,  nel 
pubblicarlo,  tolse  in  gran  parte  fede  a  quella  preziosa  rappresentazione,  non  in  rap- 
porto alla  verità  di  essa,  ma  nei  riguardi  della  sua  precisione  topografica.  Che  anzi, 
pei  due  anfiteatri  ivi  raffigurati,  argomentò  che  essi  volessero  semplicemente  fare  allu- 
sione ai  due  generi  di  spettacoli  di  un  unico  edifizio  di  quella  specie  (').  Il  Beloch 
non  mise  in  dubbio  che  il  vaso  di  Odemira  volesse  rappresentare  due  anfiteatri  effet- 
tivamente esistenti  allora  in  Pozzuoli,  e  pose,  inoltre,  in  giusto  rilievo  le  ragioni  per 
le  quali  fosse  dovuto  esistere  in  Pozzuoli,  prima  che  il  noto  monumentale  anfiteatro 
costruito  al  tempo  dei  Flavii,  un  altro  anfiteatro  più  antico:  credette,  però,  che  si 
dovesse  cercarlo  nella  parte  bassa  della  città  (*).  Il  Dubois,  infine,  aderendo  all'opi- 
nione del  Beloch  sulla  esistenza  dei  due  anfiteatri  e  sulla  fede  da  accordare  alla  rap- 


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Fio.  4. 


presentanza  del  vaso  di  Odemira,  non  si  decise  ad  accordar  fede  intera  anche  alla 
precisione  topografica  di  quella  rappresentanza.  Così,  pure  avendo  notato  che  le  nostre 
rovine  avrebbero  corrisposto  assai  bene  a  quelle  indicazioni,  e  rigettata  l'opinione  del 
Beloch  che  dovesse  cercarsi  l'altro  anfiteatro  nella  città  bassa,  concluse,  per  suo  conto, 
che,  data  la  forma  delle  nostre  rovine  là  dove  son  toccate  dalla  via  Vigna,  dovesse 
piuttosto  vedersi  in  questa  parte  orientale  delle  rovine  la  scena  e,  nel  resto,  l'emi- 
ciclo di  un  teatro  (3). 

La  verità  è  che  della  precisione  topografica  di  quella  rappresentanza  contempo- 
ranea non  avrebbe  dovuto  mai  dubitarsi  e  che  il  nostro  trovamento  viene  a  confer- 
marne tutta  la  veridicità,  non  solo  rispetto  ai  due  anfiteatri,  ma  anche  agli  altri 
edilìzi  di  Puteoli  in  essa  indicati.  L'artefice  può  aver  scelto,  nel  rappresentare  quella 
veduta  del  grande  emporio  campano,  i  maggiori  edifici  compresi  nella  zona  rappre- 
sentata; ma  essi  dovettero  da  lui  esser  disposti  come,  da  un  punto  scelto,  essi  suc- 
cedevansi  ed  eran  collocati  nella  realtà.  L'opus  pilarum  è  rappresentato  difatto  come 
visto  dal  mare  e  da  vicino,  tutto  a  destra  protendentesi   nelle   acque  e  con  la  ric- 


C)  Archatologische  Zeitung,  1868  (XXVI),  tav.  LT,  pp.  91  e  seg. 

(•)  op.  cit.,  pp.  137-138. 

(»)  op.  cit.,  pp.  190-193  e  339. 


RBGIONK    I.  415   POZZUOLI 

chissima  serie  dei  suoi  adornamenti  :  gli  archi,  le  colonne,  la  grande  porta  sulla  ripa. 
Il  teatro  è  in  basso,  presso  che  su  questa  ed  a  sinistra  ;  né  vi  è  dubbio  che  ivi  esso 
debba  cercarsi.  Ed  uno  degli  anfiteatri  è  più  in  alto,  come  nel  secondo  ripiano  della 
collina,  dove  esso  è  effettivamente.  E  l'altro  è  ancor  più  sopra,  verso  il  nord,  come 
in  un  terzo  ripiano,  ed  è  ivi  che  in  effetti  noi  oggi  lo  abbiamo  rinvenuto. 

Nel  vaso  d'Odemira,  l'anfiteatro  che  risponde  alla  grandiosa  costruzione  del  tempo 
dei  Plavii  porta  rappresentato  nel  centro  un  flagello,  mentre  l'altro  ha  una  palma. 
Dobbiamo  noi  ritenere  che  l'uno  fosse  più  specialmente  destinato  ai  giuochi  delle 
bestie  feroci,  mentre  il  nostro  servisse  a  quelli  dei  gladiatori?  È  possibile  di  ritenerlo 
pei  tempi  posteriori  ;  e  la  costruzione  dell'arena  nell'anfiteatro  già  noto  può  giustifi- 
care un  più  speciale  uso  ai  giuochi  delle  belve.  Ma  certo  è  che  questi  furono  cele- 
brati anche  in  quello  da  noi  ora  scoperto.  Che  anzi  le  rovine  che  ora  tornano  in 
luce  sono  illustri  per  avvenimenti  storici,  di  gran  lunga  più  importanti  e  famosi  (  '  ). 
Celeberrimi  ludi  chiama  Svetonio  i  giuochi  che,  ai  tempi  di  Augusto,  davansi  in 
Pozzuoli  nel  nostro  anfiteatro  (l'altro  ancora  non  era  sorto)  ;  e  la  frequenza  degli  spet- 
tatori su  quei  gradi,  di  cui  noi  abbiamo  oggi  finalmente  scoperto  un  lembo,  era  così 
grande  che  un  senatore  romano,  in  uno  di  quegli  spettacoli,  non  riuscì  ad  esservi 
accolto.  L'iniuria  fu  grave  e  mosse  Augusto  a  correggere  ed  ordinare  il  costume  del- 
l'assistere agli  spettacoli  teatrali  (*). 

Ma  un  avvenimento  anche  più  grande  ci  attesta  la  celebrità  del  nostro  anfi- 
teatro nel  mondo  romano,  poi  che,  quando  Teridate,  destinato  re  dell'Armenia,  con 
la  moglie  i  figliuoli  ed  altri  principi  venne  in  Italia  per  ricevere  il  diadema,  Ne- 
rone fece  ivi  in  onor  suo  celebrare  i  giuochi  gladiatoria  Ne  sostenne  le  spese  il  suo 
liberto  Petrobio;  la  magnificenza  ne  fu  così  grande,  che  per  un  giorno,  nessun  altro 
entrò  nell'anfiteatro  che  non  fosse  di  Etiopia,  uomini  donne  fanciulli;  uè  basta:  che 
lo  stesso  Teridate,  per  onorare  il  liberto,  dal  suo  seggio  saettò  le  fiere,  e  due  tori 
in  un  sol  colpo  ferì  ed  uccise  (3). 

V.  Spinazzola. 


(■)  La  verità  del  vaso  d'Odemira  va  fino  al  punto  di  segnare  sotto  l'anfiteatro  superiore  una 
sostruzione,  un  muro  di  sostegno  che  certamente  l'anfiteatro  da  noi  scoperto  ebbe  effettivamente. 
Esso,  quindi,  acquista  un  grandissimo  valore  per  la  topografia  degli  altri  monumenti  in  esso  indi- 
cati, il  solarium,  le  thermae  Trajani,  il  theatrum,  i  quali  vanno  cercati  là  dove  la  rappresentanza 
li  pone.  E  s»  questo  è  rappresentato  col  dorso  dell'emiciclo  volto  a  chi  guarda,  questo  è  partico- 
lare tutt'altro  che  trascurabile  e  insignificante  per  la  ricerca. 

(•)  Svet.  Aug.  44. 

(3)  Dion.  Casa.  LXIII,  3. 


POMPEI  —    416    —  REGIONE    I. 


V.  POMPEI  —  Continuazione  dello  acavo  nella  via  dell'Abbondanza 
durante  il  mese  di  settembre  1915. 


a)   Scavo  della  via  propriamente  detta. 

Si  è  continuato  a  scavare  per  rari  altri  metri  la  parte  alta  della  via,  rimuovendo 
soltanto  il  terreno  vegetale  e  la  cenere,  senza  che  però  comparisse  neanche  la  parte 
alta  delle  fronti  degli  edificii  di  quelle  isole. 

b)    Scavo  della  reg.  Ili,  ins.  II,  n.  1  (casa  di  Trebio  Valente). 

È  stato  terminato  interamente  lo  scavo  dell'atrio  {a  in  tig.  1),  del  quale  rima- 
neva coperta  dal  materiale  eruttivo  ancora  buona  parte  della  metà  occidentale.  E 
con  questa  parte  dell'atrio  sono  stati  dissotterrati  inoltre  gli  ambienti  g,  h,  l,  sul  lato 
sinistro  di  esso;  inoltre  l'ala  sinistra  m  ed  il  tablino  n,  del  quale  precedentemente 
era  stata  scavata  soltanto  la  parte  anteriore;  inoltre  è  tornato  in  luce  il  corri- 
doio f,  in  tutta  la  sua  lunghezza,  a  noi  già  noto  nella  sola  parte  verso  l'atrio,  e  la 
cucina  o. 

La  parte  occidentale  dell'atrio  ha  pareti  rustiche,  come  quelle  degli  altri  lati. 
Unico  ornamento  di  esso  erano  le  mostre  esterne  degli  stipiti  del  tablino,  dipinte 
a  fondo  nero  con  sopra  dei  graziosi  filari  verticali  di  foglioline  d'edera.  Immediatamente 
a  sinistra  dell'atrio  si  apre  su  di  esso  una  stanzetta  g.  dalle  pareti  rustiche  tranne 
un  alto  zoccolo,  il  quale  senza  avere  il  fondo  dipinto,  è  però  diviso  in  riquadrature 
per  mezzo  di  sottili  fascettine  nere.  Segue  a  sin.  nell'angolo  sud-ovest  dell'atrio,  e 
con  accesso  da  questo,  una  scaletta  h  a  due  branche,  che  montava  a  un  piano  superiore. 
La  prima  branca,  addossata  alla  parete  occidentale,  in  muratura,  è  tuttora  conser- 
vata; della  seconda  che  era  in  legno  e  addossata  alla  parete  orientale,  si  vede  la 
traccia  su  questa.  Il  sottoscala  era  adibito  ad  apotheea. 

Il  cubicolo  l,  che  si  apre  sul  lato  in  parola  dell'atrio,  è  uno  dei  più  interessanti 
ambienti  tra  quelli  finora  scavati  di  questa  casa.  Con  pavimento  di  calcestruzzo,  ha  le 
pareti  decorate  nel  2°  stile,  e  presenta  tracce  evidenti  della  volticina  sopra  il  posto  del 
letto  dinanzi  alla  parete  settentrionale  e  della  piattabanda  sulla  parte  anteriore  (vedi 
in  fig.  2).  Le  pareti  sono  divise  in  grandi  rettangoli  rossi  nel  campo  principale;  in 
piccoli  rettangoli  imitanti  dei  marmi  variopinti  nel  fregio  ;  in  rettangoli  variamente 
colorati  e  di  media  grandezza  nello  zoccolo.  La  parete  settentrionale,  dinanzi  alla 
quale  era  posto  il  letto,  è  decorata  inoltre  con  la  imitazione  di  due  graziose  colonnine 
poggianti  sullo  zoccolo,  dal  fusto  baccellato,  dal  capitello  corintio,  nella  parte  alta 
del  quale  è  una  testina  umana.  Nelle  due  pareti  ai  lati  di  questa,  e  presso  questa, 


REGIONE    I. 


417  — 


POMPEI 


due  altre  colonne,  però  elevantisi  fin  quasi  dal  suolo,  con  fusto  parimenti  baccellato. 
con  capitello  a  larghe  foglie,  e  tutte  e  quattro  decorate  con  larghe  foglie  nella  parte 
inedia  e  nella  parte  bassa  del  fusto. 


fO  A( 


Fio.  1. 


L'ala  sinistra,  m,  ha  pavimento  di  signino,  e  le  pareti  con  decorazioni  di  3°  stile 
a  fondo  bianco,  tranne  nello  zoccolo  che  è  rosso  e  decorato  con  le  solite  piante.  Il 
campo  principale  è  diviso  in  riquadrature,  tre  per  ciascuna  parete,  mediante  esili 
colonnine  gialle,  ciascuna  delle  quali  reca  nel  mezzo  un  uccello  beccante  una  pian- 
ticella o  un  frutto.  La  riquadratura  media  della  parete  di  fronte  reca  però  una  pan- 
tera di  profilo  a  destra.  Nel  fregio  leggiere  architetture  fantastiche,  decorate  con  lunghi 
festoni. 

Il  tablino  n,  come  si  è  già  detto  nel  precedente  rapporto  (pag.  342),  comuni- 
cava col  peristilio  solo  per  mezzo  di  un  grande  finestrone.    Le  pareti  laterali,  delle 


POMPEI 


418  — 


REGIONE    I. 


quali  già  era  tornata  in  luce  la  parte  alta,  ora  completamente  liberate  dal  materiale 


Fio.  2. 


eruttivo,  mostrano  pienamente  la  loro  bella  decorazione  di  3°  stile.  Purtroppo  la 
parete  di  sinistra  è  stata  trovata  rotta  in  più  parti  ed  abbattuta;  ora  però  si  sta 
procedendo   al   restauro   dei  pezzi  qua   e   là   rinvenuti.    Il  campo  principale  di  eia- 


RRGIONB  I.  —  419   —  POMPEI 

scuna  però,  reca  nel  mezzo  un  baldacchino  sorretto  da  quattro  esili  colonnine, 
bianche  le  anteriori,  bigiognole  le  posteriori,  col  fondo  nero  in  mezzo  al  quale  un 
quadretto  rettangolare  (m.  0,36  X  0,315)  I  due  spazi  rettangolari  ai  lati  del  baldac- 
chino sono  rossi,  e  ciascuno  reca  nel  centro  una  graziosa  Psiche  volante.  Quella  destra 
della  parete  sinistra,  la  sola  relativamente  ben  conservata,  è  rappresentata  nell'atto 
di  sonare  la  cetra.  Quella  di  destra  della  parete  opposta  pare  sonasse  i  cròtali.  Il 
fregio  è  bianco  e  decorato  con  architetture  fantastiche,  festoni  e  maschere  sospese. 
Nel  mezzo  poi  un  quadretto,  che  esibisce  su  fondo  nero  un  uccello  beccante  frutti 
(così  almeno  sulla  parete  destra).  Tra  il  fregio  e  le  grandi  riquadrature  è  una  piccola 
fascia  nera  su  cui  uccelli  e  frutti. 

Il  quadretto  sotto  il  baldacchino  della  parete  di  destra  esibisce  un  grosso  Sileno 
sdraiato  a  destra,  nudo  tranne  un  manto  rosso  avvolto  intorno  alle  gambe,  il  quale, 
appoggiato  col  gomito  sinistro  a  un  rialzo,  eleva  la  destra  che  forse  stringeva  un 
vaso.  In  fondo  monti  e  alberi. 

Il  quadretto  opposto,  frammentato  nell'angolo  inferiore  destro,  rappresenta  Dionyso 
sdraiato,  forse,  su  un  rialzo  roccioso.  Questi,  nudo,  tranne  un  manto  verde  foderato 
giallo,  che,  cadendo  dalla  spalla  sinistra,  scende  giiì  avvolgendogli  la  parte  inferiore, 
stringe  con  la  sinistra  il  tirso  appoggiato  alla  spalla  corrispondente,  e  con  la  destra 
una  patera,  con  la  quale  porge  da  bere  alla  sua  pantera.  Il  dio  è  coronato  di  pam- 
pini; ha  i  capelli  cadenti  in  riccioli  sul  collo;  ha  fattezze  quasi  muliebri;  guarda 
in  alto  a  sinistra.  A  destra,  forse  sospesa  a  un  tronco,  una  maschera  gialla  ;  in  fondo 
un  monte  a  sinistra,  un  albero  verso  il  centro. 

Lo  zoccolo  è  nero  e  decorato  con  filettature  bianche. 

Oggetti. 

In  questa  stessa  casa,  presso  la  parete  sinistra  dell'atrio,  una  patera  di  bronzo 
dal  labbro  decorato  con  striature  verticali  ;  basso  piede  circolare  ;  ansa  piatta  orizzon- 
tale con  foro  di  sospensione,  decorata  con  un  globetto  nella  estremità  ;  lunga  m.  0,23, 
larga  m.  0,13.  Presso  lo  stipite  destro  dell'ala  sinistra,  insieme  con  gli  avanzi  di 
una  cassetta  (?)  di  legno,  i  seguenti  oggettini  di  bronzo  :  due  anellini  per  tenda, 
larghi  m.  0,03  ;  due  altri  larghi  m.  0,023  ;  un  quinto,  largo  m.  0,02,  che,  allargato 
in  una  parte,  sembra  piuttosto  un  anello  per  dito;  due  anellini  riuniti  insieme  da 
un  perno,  lunghi  totalmente  m.  0,04;  piccolo  cilindro,  alto  m.  0,015,  decorato  con 
striature,  e  con  vuoto  quadrato  all'interno. 

Pure  nell'atrio,  a  destra  del  primo  vano  di  sinistra,  una  catenella  di  bronzo  munita  di 
un'asticella  in  un'estremità,  asticella  alla  quale  è  sospeso  un  anello.  In  fondo  al  tablino, 
due  avanzi  di  catenella  di  bronzo;  altra  catenella,  alla  quale  sono  sospesi  un'asti- 
cella munita,  nelle  estremità,  di  anelletti  di  sospensione,  e  un  lungo  anello  parimente 
di  sospensione,  foggiato  a  8,  al  quale  sono  infilati  due  anelli  semplici.  Inoltre  due 
anelletti  riuniti  da  un  perno;  un  cilindretto  alto  m.  0,02,  decorato  con  striature.  Ade- 
renti al  piede  della  parete  destra  dell'ala  sinistra  si  trovano  tuttora,  ad  essa  legati 
dall'ossido,  una  accetta  doppia  di  ferro  con  tagli  in  direzioni  opposte,  e  una  ronca 
parimente  di  ferro.  Q.  Spano. 

Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  85 


POMPEI  —   420   —  REGIONE    T. 


Continuazione  della  esplorazione  nella  predetta  via  dell'  Abbondanza. 
Scavi  eseguili  nel  mese  di  ottobre  1915. 

À)  Scavo  della  via  propriamente  detta. 

Avendo  la  on.  Direzione  stabilito  di  riprendere  le  esplorazioni  nella  parte  bassa 
delle  terre  che  tengono  tuttora  per  metà  sepolta  la  via  tra  le  fronti  opposte  delle 
isole  III  della  reg.  II  a  sud,  e  III  della  reg.  Ili  a  nord,  si  è  dovuto,  nella  prima 
quindicina  del  mese,  aprire  una  trincea  in  discesa  e  collocarvi  i  binarii  della  fer- 
rovia Decauville  fino  a  raggiungere  l'estremità  occidentale  delle  indicate  isole.  Di 
qui  dunque  si  è  ripreso  ora  il  disterro  dello  strato  di  lapillo  interrotto  18  mesi  fa 
(cfr.  rapporto  del  mese  di  giugno  1914),  e  nella  seconda  quindicina  si  sono  scoperti 
alcuni  programmi  elettorali  che  saranno  or  ora  riprodotti. 

B)  Scavo  della  casa  n.  1.  ins.  II.  Reg.  IH  (casa  di  Trebio  Valente). 

Portatosi  a  compimento  lo  scavo  dell'atrio,  si  è  investita,  a  nord,  un'altra  zona 
di  terra  dell'ampiezza  di  m.  6,  e  propriamente  quella  che  nasconde  il  lato  meridio- 
nale del  peristilio  del  quale  ora  cominciano  a  vedersi  sporgere  tre  colonne,  rivestite 
di  stucco  bianco,  a  tergo  del  tablino.  Mentre  qui  il  disterro  ha  appena  raggiunto  lo 
strato  del  lapillo,  si  è  interamente  sgombrato  quell'ambiente  ad  occidente  del  tablino, 
solo  in  parte  scavato  il  mese  scorso,  e  che  ora  è  chiarito  essere  uriexedra,  aperta 
per  tutta  la  sua  ampiezza  nell'angolo  sud-ovest  del  peristilio,  lìexedra  in  parola,  di 
pianta  rettangolare  e  dal  pavimento  di  signino,  reca  sulle  pareti  una  nobile  decorazione 
di  III  stile  (fig.  3),  ha  decorazione  consistente  in  uno  zoccolo  nero  scompartito  in  riquadri 
mercè  semplici  listelli  ;  in  un  fregio  a  fondo  bianco  con  rare  prospettive  architetto- 
niche animate  da  festoncini,  maschere  pensili  aquile  e  grifi  ad  ali  spiegate;  e  in 
una  zona  intermedia  sobria  ed  elegante.  Questa  consta,  per  ciascuna  parete,  di  tre 
grandi  riquadrature  (verde  quella  di  mezzo,  rosse  le  laterali)  contornate  da  fascioni 
neri  adorni  di  fregi  gialli,  e  fra  loro  separate  da  snelle  colonnine  bianche  dai  fregi 
metallici.  Al  centro  delle  riquadrature  medie  campeggiano  gruppi  di  oggetti  e  vasi 
agonistici;  al  centro  delle  laterali,  fagiani  e  cigni  volanti.  Chiude  in  alto  la  zona 
intermedia  una  fascia  sulla  quale  sono  rappresentati,  in  tanti  quadretti  a  fondo  nero 
(4  per  ogni  parete),  gruppi  di  colombi  apricanti  e  beccanti,  o  di  anitre  natanti  nello 
stagno  (fig.  4;  cfr.  fig.  3,  in  alto,  ad.);  e  quadrupedi  in  caccia,  come  una  pantera 
che  raggiunge  e  sbrana  un  cerviatto,  un  cane  che  sta  per  lanciarsi  su  d'un  coniglio 
(fig.  3,  in  alto,  a  sin.). 

Travamenti,  iscrizioni. 

(6  ottobre).  Durante  il  lavoro  per  l'apertura  della  trincea  avanti  indicata, 
verso  l'estremità  orientale  dell'isola  IV  della  reg.  II,  si  è  raccolto,  nelle  terre 
alte,  il  collo    di    un  oleate  di  terracotta,  alto  m.  0,10  e  di   forma  conica,    il   cui 


REGIONE    1. 


421  — 


POMPBl 


Fio.  3. 


POMPEI 


—  422  — 


BIGIONE    1. 


orlo,  rientrando  per  quattro  lati,  risulta  a  quattro  beccucci  :  alla  base,  slargata,  reca 
un  giro  di  unghiature  che  si  ripete  a  metà  dell'altezza  in  un  altro  cordone  slargato; 
fra  i  due  cerchi  di  unghiature  la  superficie  è  inoltre  decorata  di  uno  zig-zag  a  stretti 
angoli  verticali,  praticato  con  la  stecca  nella  creta  ancora  molle.  Il  collo  così  de- 
scritto fu  lavorato  a  parte,  e  poi  saldato  alla  superfìcie  sferica,  tornita,  del  recipiente, 
del  quale  si  conservano  solo  tenui  avanzi. 


Fio.  4. 


(9  ottobre).  Reg.  II,  ins.  Ili,  n.  5.  Davanti  ^a  questo  ingresso,  all'altezza  dell'ar- 
chitrave, si  è  rinvenuta  una  boccettina  di  vetro,  alta  m.  0,073.  Sopra  il  pilastro  si- 
nistro del  successivo  vano  d' ingresso  n.  6  è  ritornato  in'luce^il  seguente  programma 
elettorale  : 


1) 


C  •  CALVENTIV'M 
SITT1VM  •  MAGNVM 
ÌTVIR.l   D-Cf 


(14  idem).  Reg.  II,  ins.  Ili,  n.  5.   Sulla  parete  a  d.  dell'  ingresso,  in  alto,  si 
è  letto  il  programma  evanido,  nero, 


2) 


VETTIVMjfIRMM 
ÀEDCf 


RBG10NK   I.  —   428   —  POMPBI 

(14  ottobre)  A  sin.  dell'ingresso  n.  3  della  stessa  isola,  in  alto,  si  è  scoperto 
un  programma  antiquissimum,  la  cui  lezione  è  sicura  tenendo  presente  il  programma 
C.  I.  L.,  IV,  n.  42  (cfr.  Addit.,  pag.  190)  : 

3)  M-W-IIVOVF 

cioè:  M.   Tul(ium)  IIv(irum)  o.  v.  f.   Sopra  una  tabella   biansata  bianca,  la  quale 
copre  quasi  in  tutto  il  precedente  programma,  quest'altro  fu  tracciato: 

4)  CN  •  HELVIVM-SABIN 
AED  •  CRESCENS  •  ROG 

A  sinistra  del  n.  5,  tracce  evanide,  di  quest'altro,  nero: 

5)  VETTIVM 

(16  idem).  Reg.  Ili,  ins.  III.  Sul  pilastro  di  tufo  tra  i  vani  d'ingresso  n.  1  e  2, 
si  è  scoperto  un  programma  pertinente  a  N.  P(opidio)  H(ufo),  la  cui  abitazione  non 
doveva  trovarsi  molto  lontano  di  qui,  vista  l'acclamazione  dei  suoi  vicini: 

6)  N  '  P  R-  IIVIR 

VICINI-  ROG 

Immediatamente  al  disotto  del  precedente   programma,  questo  altro  si  è  letto: 

7)  A  ■  SVETT1VM  ■  VERVM 
AED  •  G/  •  •  ■  CT  •  •  VS 
VETERARIVS    ROGAT 

Sono  riusciti  inutili  i  reiterati  tentativi  di  leggere  il  nome  di  questo  pompeiano 
(ciabattino?):  per  Veterarius  =  veteramentarius,  qui  circa  res  velerei  occupatur, 
sarcitor,  speciatim  qui  veteres  calceos  refìcit.  Cfr.  Forcellini,  Lex.,  s.  v. 

Da  un  operaio  è  stato  raccolto,  in  terreno  di  riporto,  presso  porta  Stabiana,  un 
medio  bronzo  di  Antonia  Drusi,  coniato  sotto  Claudio  (Cohen,  Ant.  D.,  n.  6). 

(18  idem).  Reg.  II,  ins.  III.  Sul  marciapiede,  davanti  al  n.  1,  si  è  trovato  un 
medio  bronzo  di  Claudio  (?)  contorto,  dal  tipo  della  Libertas  Augusti  (Cohen,  CI., 
cfr.  n.  47). 

Sulla  parete  a  sin.  dell'indicato  ingresso,  una  ulteriore  ispezione  ha  permesso 
ora  una  più  completa  e  definitiva  lettura  del  progr.  n.  9  del  rapporto  di  gennaio  1915: 

8)  ML1CINIVMMF 
ROMANVM  •  IVVENEM  ■  AEDI  [leni] 
V  ASPPDR[p.  o.  v]¥ 


POMPEI  —    424    REGIONE    l. 

A  sinistra  di  questo  programma  vedonsi  scarse  tracce: 

9)  VERVM^ 

Reg.  II.  ins.  II,  n.  5.  Sulla  parete  a  d.  del  vano  d'ingresso  si  sono  letti  i 
seguenti  quattro  titoletti  graffiti,  l'uno  dall'altro  staccati  : 

10)  FIRMVS  11)  SIIPTVNVS 
12)           M6LGS                                          13)  SAòJ(»w)S 

Sull'  alto  zoccolo  a  destra  del  successivo  n.  4,  una  ulteriore  ispezione  della 
parete  ha  condotto  a  leggere  correttamente  l'epigrafe  già  pubblicata  nel  rapporto  del 
mese  di  maggio  1914,  al  n.  36,  in  questo  modo: 

14)  vicinTirivs 

(20-30  ottobre).  Reg.  Ili,  ins.  II,  n.  1.  Nel  cubicolo  di  II  stile  sul  lato  occi- 
dentale dell'atrio,  accurate  e  più  volte  ripetute  ispezioni  delle  pareti  hanno  condotto 
allo  scoprimento  di  alcune  iscrizioni  graffite,  alcune  delle  quali  tracciate  in  lettere 
meno  che  capillari  e  quasi  invisibili. 

Sul  riquadro  rosso  della  parete  orientale  si  legge: 

15)  X    K    FE^RÀ 
VRSA  PEPERIT   D1EM 

IOV1S 

ed  immediatamente  a  sinistra: 

16)  X  K  FEÒvR 

ssalitAst 
trvlAam  arggntcam 

D    H      C 

mentre  al  disotto  si  legge  quest'altra: 

17)  X     K 

NONGMÒJIIS 
SALITA  €ST 

V.  A     LUANA  A      (??) 

Sul  riquadro  destro,  rosso,  della  parete  settentrionale,  in  grosse  lettere,  alte 
m.  0,02, 

18)  NTiAs  {Antiat?) 


REGIONE   I.  —   425    —  POMPEI 


e  più  sotto,  all'  estremo  margine  destro,  oltre  a  deboli  tracce  di  lettere  incompren- 
sibili, 

19)  vjAlgn    DoIiiiin 
nàlgns  romina  essgm 

SALVJTGM  ROGÀM(«A*'?) 

Sul  riquadro  destro,  rosso,  della  parete  opposta,  finalmente,  delle  lettere  alfa- 
betiche senza  nesso  : 

20)  A 

ABMHV 

Degna  di  considerazione  è  l'epigrafe  19.  Che  la  casa  appartenesse  ad  A.  Trebio 
Valente,  era  cosa  già  accertata  dal  testo  di  parecchi  programmi  elettorali  scoperti 
sulla  facciata  esterna  (cfr.  Notizie  1914,  pp.  76,  109,  110.  152  e  153);  la  pic- 
cola iscrizione  19  ce  ne  viene  ora  a  dare  la  conferma:  essa  infatti  è  un'apostrofe 
che  una  donna  rivolge  precisamente  al  proprietario    Valens. 

Sulla  parete  occidentale  dell'ambiente  rustico  all'angolo  sud-ovest  dell'atrio, 
presso  i  gradini  della  scala,  fu  tracciata  col  carbone  l'epigrafe 

21)  LAS 

M.  Della  Corte. 

* 

Continuatone  dello  scavo  nella  predetta  via  dell'  Abbondanza,  durante 
il  mese  di  novembre  1915. 

a)    Scavo  della  via  propriamente  detta. 

Continuandosi  il  lavoro  già  cominciato  nell'ottobre  scorso,  cioè  di  togliere  il 
lapillo  che  tuttora  ingombrava  la  parte  bassa  della  via  tra  l' isola  III  della  regione  III 
a  settentrione,  e  l'isola  III  della  regione  li  a  mezzogiorno,  detta  via  è  stata  esplo- 
rata per  la  lunghezza  di  circa  otto  metri.  Nel  fare  ciò,  sono  tornate  a  luce  le  seguenti 
iscrizioni. 

Sul  pilastro  di  tufo  a  destra  del  vano  n.  2  isola  III,  regione  III,  sopra  uno  strato 
di  pittura  bianca,  in  lettere  nere: 

!>  C'LOLLIVM 

FVSCVM  »  AED  >  0/> 

Sul  pilastro  a  destra  del  vano  n.  4,  is.  Ili,  reg.  Ili,  sopra  uno  strato  di  calce, 
in  lettere  rosse: 

2)  ceivìc:;.?. 


POMPEI  —    426   —  REGUONB   I. 

Sotto  lo  strato  di  calco,  su  cui  è  questa  iscrizione,  compariscono  appena  appena 
le  lettere  nere  di  una  più  antica  iscrizione: 

3>  mPIDIVMAED 

R>D>0>V>F> 
Più  giù,  in  grandi  lettere  nere,  sbiadite  : 

4>  SITTIVM 

Di  fronte,  a  destra  del  vano  n.  2,  is.  Ili,  reg.  II,  in  lettere  nere  sopra  uno  strato 
bianco  : 

5)  CEIVM'iwvm, 

bENEMERENTEM  > ROG 
Sul  pilastro  a  sinistra  dello  stesso  vano,  in  lettere  rosse,  direttamente  sul  tufo  : 

6>  L>C>S>T!>VIR>OP 

Immediatamente  al  disotto,  sopra  uno  strato  bianco,  in  lettere  nere: 

7>  HOLCONIVM 

D>I>D>D>R>P>0>V>F> 

Oggetti. 

Immediatamente  dietro  la  soglia  del  vano  testé  mentovato,  n.  2,  is.  Ili,  reg.  II, 
il  giorno  10  del  mese,  è  stata  rinvenuta  una  grande  quantità  di  oggetti,  i  quali 
erano  evidentemente  contenuti  in  una  cassa  di  legno  caduta  a  piombo  dal  piano 
superiore  per  il  crollamento  dell'  impiantito.  La  esistenza,  per  il  passato,  di  questa 
cassa,  è  stata  provata  dalla  impronta  lasciata  nella  terra  da  uno  dei  suoi  lati,  il  quale 
era  esternamente  decorato  con  zone  verticali  rilevate,  a  mò  di  lesene.  Fo  qui  l'elenco 
degli  oggetti.  Bromo  :  Casseruola  a  recipiente  cilindrico,  leggermente  arrotondato,  alto 
m.  0,06,  decorato  con  striature  orizzontali  sotto  il  labbro  ;  con  manico  orizzontale 
piatto,  arrotondato  nella  estremità,  che  è  munita  di  foro  di  sospensione;  lunghezza 
m.  0,22.  Casseruola  quasi  simile  alla  precedente  alta  m.  0,085,  lunga  in.  0.243.  Cola- 
brodo a  recipiente  quasi  emisferico  dai  forellini  formanti  una  specie  di  stella  al  centro 
con  intorno  un  meandro  e  dei  cerchi  orizzontali;  il  manico,  orizzontale  e  piatto,  forma 
una  specie  di  maniglia  nella  estremità  decorata  con  piccole  volute;  lunghezza 
m.  0,305  —  Ferro:  Lucerna  monolychne,  lunga  m.  0,12,  priva  di  qualsiasi  orna- 
mento —  Vetro  :  Grande  e  bella  coppa  di  vetro  turchino,  rotta,  inferiormente  emisfe- 
rica, cilindrica  nella  parte  superiore,  decorata  con  grosse  baccellature  verticali  rastre- 
raantisi  di  sotto  verso  il  centro  esterno;  altezza  m.  0,085,  diametro  m.  0,187.  Coppa 
di  vetro  incolore,  a  recipiente  inferiormente  emisferico,  cilindrico  in  alto,  con  labbro 


RBGIONB   I.  —   427   —  POMPEI 

a  risvolto  esterno,  basso  piede  circolare;  diametro  m.  0,11.  Coppa  quasi  simile  alla 
precedente,  rotta,  diametro  m.  0,105.  Coppa  della  stessa  forma,  di  vetro  verde;  dia- 
metro 0,075.  Coppa  dello  stesso  tipo,  parimente  di  vetro  verde;  diametro  m.  0,07. 
Coppa  dello  stesso  tipo,  di  vetro  incolore  con  labbro  a  risvolto  esterno  ;  diam.  0,07. 
Coppa  uguale  alla  precedente,  rotta  in  più  pezzi.  Coppa  di  vetro  azzurro  a  recipiente 
inferiormente  emisferico,  molto  rigonfio  e  sporgente  in  fuori  nella  parte  superiore,  con 
basso  piede  circolare;  diam.  della  bocca  m.  0,12.  Coppa  di  vetro  verdognolo  a  reci- 
piente cilindrico,  labbro  sporgente  orizzontalmente  in  fuori,  rotta  in  più  pezzi  ;  dia- 
metro della  bocca  m.  0,125.  Piccola  coppa  di  vetro  turchino  con  recipiente  a  tronco 
di  cono  capovolto;  labbro  a  imbuto;  basso  piede  circolare  ;  diam.  della  bocca  m.  0.68. 
Coppa  di  forma  e  colore  simili  alla  precedente,  ma  più  piccola;  diam.  della  bocca 
m.  0,075.  Coppa  di  vetro  azzurrognolo,  nella  forma  simile  alla  precedente;  diam.  della 
bocca  m.  0,085.  Coppa  di  vetro  turchino,  piccolissima,  con  basso  recipiente  cilindrico, 
largo  labbro  sporgente  orizzontalmente,  fondo  piatto;  la  superficie  esterna  è  decorata 
con  un  sottilissimo  cordoncino  bianco  a  spira,  parimente  di  vetro;  diam.  esterno  della 
bocca  m.  0,083.  Graziosa  coppa  di  vetro  color  granato  oscurissimo,  di  forma  semio- 
voidale, priva  di  anse,  e  di  piede,  senza  labbro  sporgente  ;  diam.  della  bocca  m.  0,082. 
Utensile  di  vetro  verdognolo  a  recipiente  cilindrico  con  fondo  rientrante,  interamente 
aperto  di  sopra,  con  labbro  orizzontale  spoi gente  in  fuori;  aveva  un'ansa  sola,  della 
quale  rimane  solamente  un  poco,  piatta  e  slargantesi  nell'attaccatura;  il  vaso  aveva 
quindi  la  forma  di  una  casseruola;  è  rotto  nel  labbro;  diam.  esterno  della  bocca 
m.  0,105,  altezza  m.  0,064.  Piatto  di  vetro  azzurrognolo  con  bassa  parete  legger- 
mente inclinata  all'esterno;  diam.  esterno  della  bocca  m.  0,22  (fig.  5).  Piatto  di  vetro 
verdognolo,  a  fondo  alquanto  imbutiforme,  poggiante  sopra  basso  piede  circolare;  ha 
bassa  parete  e  labbro  con  risvolto  esterno;  diam.  esterno  della  bocca  m.  0,164.  Piattino 
di  vetro  leggermente  rossiccio,  uguale  nella  forma  al  precedente;  diam.  esterno  della 
bocca  m.  0,117.  Piattino  di  vetro  color  granato  chiaro,  uguale  nella  forma  al  prece- 
dente; diam.  esterno  della  bocca  m.  0,12.  Tre  fondi  di  bottigliette  di  vetro  azzur- 
rognolo, arrotondati,  senza  piede  —  Terracotta  aretina  :  piatto  con  parete  verticale 
a  sezione  prismatica,  con  basso  piede  circolare;  sul  fondo  interno,  in  pianta  pedis, 

CN  •  RM 

diam.  esterno  della  bocca  m.  0,175  —  Terracotta  ordinaria:  piattino  di  argilla  quasi 
cruda,  con  parete  laterale  imbutiforme,  labbro  orizzontale  sporgente  in  fuori,  con 
vernice  color  castagno;  diam.  esterno  della  bocca  m.  0,164;  sul  fondo  interno  la 
marca 

TMIC(?) 

Piattino  quasi  simile  al  precedente,  con  marca  illeggibile  sul  fondo  interno;  diametro 
esterno  della  bocca  m.  0,14.  Piattino  della  stessa  forma,  verniciato  in  nero  lucido, 
con  un  dischetto  impresso  nel  centro  decorato  con  una  stella  (tutti  e  tre  i  piattini 
recano  sul  labbro  in  rilievo  un  motivo  a  doppia  voluta);  diam.  esterno  della  bocca 
m.  0,112.  Piattino  dello  stesso  tipo,  parimente  verniciato  in  nero  lucido,  con  marca 
Notizie  Scavi  1915  —  Voi.  XII.  66 


POMPEI  —   428   —  REGIONE   1. 

illeggibile  sul  fondo  interno;  diametro  esterno  della  bocca  m.  0.10.  Piattino  della 
stessa  forma  con  vernice  color  castagna,  marca  illeggibile  sul  fondo  interno,  due  volu- 
tine sul  labbro;  diam.  esterno  della  bocca  m.  0,08.  Vasettino  di  uguale  argilla 
a  tronco  di  cono  capovolto,  fondo  piatto,  tutto  aperto  di  sopra,  con  basso  labbro 
a  parete  verticale;  è  dipinto  a  vernice  nera  lucida;  sul  fondo  interno  è  impresso  un 
dischetto  recante  una  stelletta;  diam.  esterno  della  bocca  m.  0,126.  Vasettino  uguale 
al  precedente,  tranne  nel  labbro  che  è  inclinato  all'esterno  ;  diam.  esterno  della  bocca 
m.  0,137.  Vasettino  del  tipo  dei  due  precedenti,  come  il  primo  a  basso  labbro  ver- 
ticale, e  verniciato  in  nero;  diam.  esterno  della  bocca  m.  0,082.  Vasettino  del  tipo 


■     Fin.  5. 

dei  precedenti,  con  recipiente  alquanto  arrotondato  ;  labbro  orizzontale  decorato  con 
doppie  volutine  in  rilievo;  vernice  nera;  diam.  esterno  della  bocca  m.  0,07.  Tazzina 
di  terracotta  rossiccia  a  corpo  quasi  sferico,  fondo  piatto,  con  un'ansa  sola  a  corpo 
circolare,  impostata  verticalmente  con  doppia  attaccatura;  decorata  nella  pancia  con 
filari  orizzontali  di  piccoli  incavi  fatti  a  colpi  di  stecca  ;  alt.  m.  0,084.  Diam.  esterno 
della  bocca  m.  0,065.  Marmitta  di  terracotta  rossiccia  ordinaria,  cilindrica  in  alto, 
a  cono  rovesciato  nella  parte  inferiore;  con  labbro  orizzontale,  sporgente;  diam.  della 
bocca  m.  0,28.  Coperchio  di  terracotta  ordinaria,  a  forma  quasi  di  cupola,  largo  m.  0,14. 
Altri  otto  coperchi  a  segmento  sferico,  con  pometto  in  alto:  il  più  largo  misura 
m.  0,15.  Vaso  per  versare  a  pancia  quasi  ovoidale  alto  collo  cilindrico,  con  un'ansa 
sola  a  nastro,  impostata  sulla  spalla  e  sotto  la  bocca  ;  altezza  m.  0,335.  Vaso  simile 
al  precedente,  alto  però  m.  0,375,  recante  in  nero,  sull'alto  della  pancia, 

r-F-KOM[>] 

KÀV[n] 

[ex]   O  F  F I C  [tna\  Il  UH     (Cfr.  C.I.L.1V,  Suppl.  II,  5687,  ecc.) 

Il  giorno  12,  nel  vano  n.  3,  is.  Ili,  reg.  Il,  a  circa  due  metri  dal  suolo,  una 
campanella  di  bronzo,  cilindrica,  alta  m.  0,09. 


REGIONE    III.  —    429    —  REGGIO   DI   CALABRIA 


b)   Scavo  della  casa  n.  1,  ins.  II,  reg.  Ili  (casa  di  Trebio  Valente). 

È  tornata  in  luce  buona  parte  del  lato  anteriore  del  peristilio;  però  il  suolo 
antico  resta  ancora  interrato  per  un'altezza  maggiore  di  un  metro.  Si  è  liberata  la 
parte  superiore  di  tutte  le  colonne  del  portico  anteriore,  le  quali  sono  quattro,  e  di  due 
dei  lati  destro  e  sinistro.  Queste  colonne  sono  collocate  a  lunghi  intervalli  ;  sono  di 
mattoni  con  rivestimento  di  stucco  bianco,  senza  baccellature.  La  sola  colonna  del 
lato  destro  conserva  il  suo  capitello,  che,  parimente  di  stucco,  arieggia  il  tipo  dorico. 
Su  le  due  colonne  di  destra  —  una  delle  quali  è  quella  della  estremità  destra  del 
portico  anteriore,  colonna  angolare  —  si  è  conservata  la  trabeazione  in  muratura, 
sotto  la  quale  è  stato,  naturalmente,  rimesso  l'architrave  di  legno,  trabeazione  la 
quale  conserva  nella  parete  interna  i  fori  circolari  pei  travicelli  già  sostenenti  il  tetto 
dell'ambulacro  destro,  tetto  del  quale  si  vanno  rinvenendo  numerose  tegole  più  o 
meno  rotte.  Tanto  l'ambulacro  anteriore  quanto  quello  di  destra  sono  larghi,  in  media, 
ra.  3.55.  L'ambulacro  di  sinistra  è  invece  largo  appena  m.  1,10.  Le  pareti  del  peri- 
stilio conservano  solo  in  parte  la  decorazione  dipinta,  sparita  quasi  in  tutto  con  la 
caduta  dello  intonaco.  Questa  decorazione  è,  nel  campo  principale  (il  solo  del  quale 
possiamo  giudicare),  a  fondo  nero  con  riquadrature  limitate  da  fascettine  cilestri.  Nulla 
avanza  del  fregio,  dal  quale  le  riquadrature  erano  separate  da  una  fascia  rossa.  Dietro 
l'ambulacro  sinistro  comparisce  un  piccolo  ambiente  comunicante  per  un  piccolo  vano, 
con  l'ambulacro  stesso,  e,  per  un  altro  vano  parimente  piccolo,  col  prolungamento  che 
l'ambulacro  anteriore  forma  a  sinistra,  dinanzi  all'elegante  stanza  che  trovasi  ad  occi- 
dente del  tablino. 

Sulla  colonna  nell'angolo  sud-ovest  del  peristilio  è  dipinta  una  M  alta  m.  0,035; 
sotto  di  questa,  una  S  alta  m.  0,05,  a  sinistra  della  quale  pare  sia  dipinta  una  I . 

G.  Spano. 


Regione  III  (LUCANIA  ET  BRUTTI1). 

BRUT  TU. 

VI.  REGGIO  DI  CALABRIA  —  Forma  fittile  acquistata  pel  Museo 
civico. 

Poco  tempo  addietro  venne  acquistata  pel  locale  Museo  civico,  su  proposta  del 
prof.  comm.  P.  Orsi,  la  parte  superiore  di  una  forma  fittile  che  qui  riproduco  (fig.  1). 

Fu  data  assicurazione  che  fosse  stata  rinvenuta  sulle  alture  sovrastanti  a 
Reggio. 

Interessante  è  la  presente  matrice  per  l' imagine  che  serve  a  riprodurre.  Essa  è 
di  un  guerriero  combattente,  molto  simile  a  quella  già  nota  che  vedesi  sul  rovescio 
di  alcune  monete  dei  Mamertini  (').  Il  giovine  porta  in  testa  l'elmo  ;  al  braccio  sinistro 

(')  Head,  Hittoria  numnrum*,  pag.  156;  Hill,  Coins  of  ancient  Sicily,  pag.  217,  tav.  XIV  19; 
Tropea,  Numutmatica  ticeliota  del  Multo  Mandralisca  in  Cefali,  pp.  27  seg. 


REGGIO    DI    CALABRIA  —   430    —  REGIONE    III. 

lo  scudo  ;  con  la  mano  destra  abbassata  impugna  la  lancia,  spingendosi  verso  la  parte 
destra.  Diversamente  che  nelle  monete,  ha  di  più  indosso  la  clamide  svolazzante. 

Tanto  nella  forma  quanto  nei  conii,  nei  quali  essa  almeno  nei  trattati  che  ho 
a  disposizione)  è  indicata  col  nome  generico  di  guerriero  combattente  ('),  non  esi- 
terei a  riconoscere  la  figura  di  un  giovine  Marte,  ossia  di  quella  divinità  che  ebbe 
culto  fiorente  (*),  e  forse  massimo  (3),  presso  i  Mamertini. 


Fio   l. 

Circa  la  provenienza,  essa  non  sorprenderebbe  per  nulla  se  fosse  realmente  dalle 
alture  di  Reggio,  essendo  stati  i  Mamertini  non  solo  congiunti  ma  anche  alleati  dei 
Campani,  che  pure  governarono  questa  città  (4). 

N.  Potortì. 

(')  Head  e  Tropea,  loc.  cit.;  in  Hill,  loc.  cit.,  non  vedo  descritta  la  figura. 

(*)  Ciaceri,  Miti  e  culti  della  Sicilia  antica,  pag.  175. 

(3)  Da  Marnerà,  forma  osca  di  Mars,  deriva,  come  è  risaputo,  il  nome  dei  Mamertini  (cfr.  in 
proposito  Mommsen,  Die  unteritalischen  Dialecte,  pag.  276;  Zvetaieff,  Inscriptionet  Italiae  infe- 
riori* dialecticae ,  pag.  128);  e  molto  frequente  è  la  testa  della  medesima  divinità  nel  dritto  delle 
monete  dei  Mamertini  stessi. 

(*)  Polibio,  I,  7,8;  id.,  Ili,  26,  6;  Diodoro,  XXII,  1,  a,  seg. ;  Livio,  XII,  28,  81-82;  Mommsen, 
Storia  romana  (trad.  Sandriui),  I,  pag.  398;  De  Sanctis,  Storia  dei  romani,  II,  pag.  396  (cfr.  anche 
Pauly-Wissowa,  II  Real.  Bncyclopaedie  ser.,  1,  col.  500;  Head,  loc.  cit.).  Per  la  dominazione  campana 
in  Reggio,  cfr.  anche  quanto  io  stesso  ho  ricordato  in  queste  stesse  Notizie,  1918,'pag.  160,  ed  in 
Neapolit,  II,  pag.  103;  ivi  anche  la  bibliografia. 


SICILIA  —   431    —  MOZIA 


SICILIA. 

VII.  MOZIA  —  Prime  note  sugli  scavi  eseguiti  negli  anni  1906-1914. 

La  storia  delle  diverse  opinioni  sul  sito  di  Mozia,  la  conferma  dell*  idea  del 
Cluverio  che  dovesse  identificarsi  con  l' isoletta  di  S.  Pantaleo  nello  «  stagnone  »  di 
Marsala,  ed  infine  una  larga  ricostruzione  degli  avvenimenti  storici  e  della  topografia 
di  questa  colonia  fenicia  della  Sicilia,  fornirono  larga  materia  trent'anni  or  sono  ad 
un  libro  assai  minuzioso  del  Coglitore  (')  nel  quale  furono  anche  raccolti  gli  elementi 
archeologici  allora  noti. 

Trattavasi  però  di  ben  poca  cosa:  qualche  avanzo  delle  mura,  un'epigrafe  fenicia, 
un  rilievo  di  toro  sbranato  da  due  leoni,  ed  alcuni  modesti  oggetti  di  bronzo  o  di 
terracotta,  trovati  casualmente  od  in  alcuni  saggi  di  scavo  condottivi  dalla  Commis- 
sione di  Antichità  di  Sicilia  e  da  Enrico  Schliemann  (2). 

Null'altro  si  fece  per  molti  anni  ;  ma  anche  per  la  storica  isoletta  dovea  giun- 
gere l'ora  dell'indagine  sistematica. 

Nel  1906  infatti,  il  comm.  Giuseppe  Whitaker.  che  da  lungo  tempo  ne  vagheg- 
giava l'esplorazione,  dopo  averla  laboriosamente  riscattata  dai  piccoli  proprietari  che 
l'occupavano,  potè  iniziare,  sotto  la  direzione  del  suo  vecchio  amico  Antonino  Salinas, 
dei  grandi  lavori  di  scavo. 

In  ben  nove  campagne  sono  stati  così  messi  in  luce  notevoli  ruderi  ed  un  ma- 
teriale scientificamente  assai  pregevole,  che  ora  trovasi  raccolto  ed  ordinato  sul  posto 
in  un  decoroso  Museo  (3).  Grande  è  il  servizio  reso  alla  scienza  da  questa  nobile 
impresa  che  merita  il  plauso  incondizionato  degli  studiosi  perchè  sfugge  anche  ad 
ogni  più  diffidente  chauvi/iisme,  essendo  dovuta  bensì  ad  un  Inglese,  che  è  però  nato 
fra  di  noi.  e  della  Sicilia  si  è  reso  largamente  benemerito,  seguendo  un'ormai  cente- 
naria tradizione  di  famiglia. 

In  seguito  a  tali  fortunate  ricerche,  il  comm.  Whitaker,  in  cui  alla  liberalità 
è  pari  un'  illuminata  passione,  ha  scritto  su  Mozia  un  libro,  che  verrà  pubblicato  non 
appena,  con  qualche  ulteriore  ricerca,  saranno  chiariti  alcuni  importanti  problemi  topo- 

(')  I  Coglitore,  Mozia,  studi  storico-archeologici,  in  Archivio  storico  siciliano,  n.  s.  a.  VIII- 
IX.  Palermo  1884;  2»  ed.  con  3  carte  top.  Catania,  1894,  in  8°. 

(*)  Cfr.  rispettivamente:  Houel,  Voyage  pittoresque  des  isles  de  Sicile  ecc.  I.  pag.  17,  tav.  IX; 
Ugdulena,  Sulle  monete  punico  sicule.  Palermo,  1857,  pp.  47  segg.;  Schoenc,  Arch.  Zeitung, 
1871,  tav.  51,  pp.  133-134;  Cavallari,  Bull,  della  Commissione  di  antichità  e  belle  arti,  n.  IV, 
pag.  6  e  25.  V;  pag.  12;  VIII,  pag.  ì  ;  Schliemann,  Mykenae,  pag.  85.  I  saggi  della  Commissione 
furono  condotti  nel  1869,  quelli  dello  Schliemann  nel  1876.  Dell'antica  bibliografia  moziese 
vanno  anche  ricordati  i  seguenti  lavori:  De  Luynes,  Recherches  sur  Vemplacement  de  l'ancienne 
ville  de  Molya,  in  Annali  deWIstit.  1855,  pp.  92  segg.  ;  Schubring,  Motye-Lilybaeum,  in  Philo- 
logus,  a.  XXIV. 

(*)  In  questo  Museo  trovasi  raccolto  anche  un  nucleo  insigne  di  oggetti,  provenienti  dalla 
necropoli  di  Lilibeo. 


MOZIA 


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SICILIA 


grafici  e  sarà  possibile  rilevare  una  grande  pianta  degli  scavi.  Nell'attesa,  son  molto 
lieto  di  potere,  aveudo  potuto,  per  sua  cortese  concessione,  studiare  le  rovine  e  gli 
oggetti,  esporre  qualche  osservazione  sui  risultati  più  salienti  ottenuti  finora. 


Sono  state  anzitutto  ricercate  e  scoperte  le  mura  (').  Il  nucleo  fondamentale  ed 
originario  di  tutta   la  fortificazione  è  costituito  da  una  antica  cinta  difesa   da  circa 


Fio.  1. 

venti  torri  quadrangolari  che  segue  il  circuito  intero  della  isoletta.  Essa  è  costruita 
di  scaglio  di  calcare  dell'Isola  irregolarmente  disposte,  qua  e  là  parzialmente  accre- 
sciuta e  modificata  con  tecnica  poco  dissimile.  Quasi  una  metà  di  questo  circuito, 
quella  che  è  rivolta  verso  la  terraferma,  venne  in  seguito  rinvigorita  da  un  poderoso 
rivestimento  di  eccellente  opera  isodoma  (vedi  fig.  1  e  2),  il  quale  compiutamente 
risponde  alle  costruzioni  della  migliore  epoca  greca;  esso  comincia  ad  est  presso 
la  casa  detta  della  piccola  scala,  e  finisce  ad  ovest  presso  la  necropoli  (').  Ma  altri 
tratti,  come  riparazioni  o  rinvigorimenti,  si  trovano  anche  a  ponente. 


(*)  palle  mura  di  Mozia,  ricordate  più  volte  da  Diodoro  (XIII,  63,  4,  XIV,  51,  1,  8,  5,  6);  fu 
tratto  mólto  materiale  nel  sec.  XVIII,  per  la  costruzione  delle  grandi  saline  di  terraferma.  Il  cav. 
Giuseppe  Lipari  Cascio,  issai  amoroso  cultore  delle  antichità  moziesi  e  benemerito  ém/ueXt]rrjs  del 
Museo  Whitaker,  mi  assicura  che  il  Senato  di  Marsala  emanò  verso  il  1741  un'ordinanza  vietante 
di  cavare  nuovi  materiali  dalle  rovine. 

(2)  Fra  i  numerosi  riscontri  che  potrebbero  citarsi,  ricordo  quelli  viciniori  di  Selinunte: 
Salina»,  in  Notule  d.  scavi,  1894,  pag.  13,  tig.  12.  Il  tratto  cui  si  riferiscono  le  nostre  figg.  1-2,  esi- 


SICILIA 


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MOZIA 


In  questo  tratto,  rivolta  precisamente  a  nord  nord-est  si  apre,  fra  un  notevolis- 
simo sistema  di  costruzioni,  una  porta  detta  per  brevità  Porta  nord. 

Qui  troviamo  anzitutto  due  poderose  torri  quadrate  costrutte  in  grossi  massi 
irregolari  e  mal  connessi,  che  fiancheggiano,  immediatamente  sulla  spiaggia,  l'accesso 
n e  11  '  isola  di  una  lunga  diga,  ricordata  nelle  fonti  ('),  ora  sommersa  per  una  trentina 
di  centimetri,  che  servì  ad  unire  la  città  alla  terraferma.  Queste  due  torri,  costruite 
in  direzione  normale  a  quella  della  diga,  costituiscono  una  vera  opera  avanzata,  ed 


Fio.  2. 


io  credo  probabile  non  ostante  l'apparente  antichità  della  tecnica,  che  siano  posteriori 
anche  al  rinvigorimento  di  tipo  isodomo. 

Superate  queste  torri,  la  strada  di  accesso,  in  cui  si  notano  ancora  i  profondi 
solchi  scavati  dalle  ruote  dei  veicoli,  penetra  nella  linea  delle  fortificazioni  attra- 
verso una  porta  gemina  (vedi  fig.  3),  costruita  di  bei  conci  squadrati  di  arenaria. 
Questa  porta  che  si  apre  su  un  asse  alquanto  spostato  rispetto  alla  diga,  non  è 
soltanto  duplice  in  quanto  a  doppia  luce,  ma  anche  perchè  ognuno  dei  due  passaggi 


stente  a  nord-est  presso  la  postierla  di  fig.  5,  sorge  sopra  una  risega  ed  è  costituito  di  tre  assise 
sopra  terra  alte  dal  basso  in  alto  rispettivamente  era.  62;  57;  45.  La  parte  superiore  è  invece  di 
piccole  pietre. 

Nello  stadio  definitivo  di  queste  costruzioni  bisognerà  tener  presenti  i  raffronti  offerti  dalle 
mura  fenicie  di  Erice,  sulle  quali  si  vedano  le  preziose  osservazioni  tecniche  del  Salinas,  Notiti» 
degli  Scavi,  1883,  serie  3a,  voi.  XI,  pp.  254  segg. 

(')  Mi?  erev^v  xetQonoli]Tov,  Diodoro,  XIV,  48, 2. 


M0Z1A 


484  — 


SICILIA 


aveva  una  chiusura  esterna  ed  una  interna.  Ancora  più  indietro  sullo  stesso  asse  si 
apre  una  seconda  porta,  anch'essa  divisa  da  un  pilone  centrale,  ma  interrotta  nel  suo 
spessore  non  più  da  due,  ma  da  tre  porte,  a  doppia  imposta,  che  giravano  su  car- 
dini dei  quali  uno,  di  bronzo,  in  forma  di  bacinella,  è  stato  rinvenuto  in  posto  ed 
è  ora  conservato  nel  Museo. 


Fio.  3. 


Oltre  lo  sbarramento  avanzato  delle  due  grandi  torri  di  riva,  due  sistemi  di  porte 
chiudevano  dunque  l'entrata  in  città;  il  primo  richiama  vivamente  la  disposizione 
del  Dipylon,  ateniese  (').  mentre  il  secondo  può  darci  un'idea  per  quanto  non  del 
tutto  corrispondente,  di  quello  che  doveva  essere  Yexapylon  dell'Epipole  di  Siracusa  (*) 
per  il  quale  non  è  da  pensare  ad  una  porta  a  sei  luci,  che  avrebbe  offerto  una  ma- 
nifesta debolezza  difensiva. 


(')  Judeich,  Topogr.  von  Athen,  pag.  237.  Il  sistema  di  aperture  divise  in  due  da  un  pilastro 
centrale  (fiéxtonov)  è  assai  diffuso  nell'architettura  greca.  Cfr.  Durra,  Die  Baukunst  der  Griech., 
1910,  pag.  176. 

(•)  Cavallari,  Topogr.  archeol.  di  Siracusa,  atlante,  tav.  X,  nn.  25  e  26;  ma  il  rilievo  va 
corretto  dopo  gli  sgomberi  definitivi  dell'Orsi,  ancora  del  tutto  inediti. 


SICILIA 


—  435]- 


M0Z1A 


Sarà  molto  interessante  poter  chiarire,  con  ulteriori  scavi,  la  relazione  di  queste 
porte  con  il  resto  della  cinta  e  la  loro  cronologia,  almeno  relativa.  Da  alcuni  indizi 
a  me  non  pare  improbabile  che  la  fortificazione  primitiva  qui  facesse  uno  sperone, 
per  difendere  la  porta  secondo  quel  sistema  largamente  adoperato  nella  più  antica 
architettura  militare,  che  permetteva  ai  difensori  di  colpire,  da  questi  corpi  avanzati, 


Pro.  4. 


il  fianco  destro  degli  assalitori,  sprovvisto  della  difesa  dello  scudo.  In  altre  parole 
io  penso  che  in  origine  Porta  Nord  fosse  una  porta  Scéa  (1).  Soltanto  in  seguito,  in 
varie  riprese  essa  avrebbe  assunto  il  suo  carattere  attuale  a  sistema  molteplice  di 
sbarramenti,  che  venne  ad  obliterarne  la  primitiva  disposizione. 

Alla  Porta  Nord,  l' ingresso  nobile  della  città,  corrisponde  a  sud  un'altra  porta 
assai  più  stretta.  Sotto  le  mura  ai  suoi  lati,  si  son  rinvenuti  alcuni  veri  e  propri 
merli  di  tufo  arenario  (vedi  fig.  4),  con  intonaco  bianco,  alti  m.  0,96.  larghi  m.  0,92 
e  dello  spessore  di  m.  0,41  ;  essi  giacevano  in  posizione  quasi  orizzontale,  precipitati 


(')  Non  occorrono  citazioni  per  le  celebri  -xaial  nilai  di  Troia.  Si  veda  la  spiegazione  di 
questo  sistema  difensivo  in  Vitruvio,  I,  5,2.  Fra  gli  esempi  monumentali  ricordo  quello  antichissimo 
di  Tirinto  (cfr.  Schuchardt,  Schliemann's  Ausgrabungen,  II  ed.,  pag.  129),  e  quello  siciliano  di  Scala 
Greca  a  Siracusa  (Orsi,  Not.  d.  Scavi,  1893,  pag.  171). 

Nanni  Soavi  1915  —  Voi.  XII.  57 


MOZIA 


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dai  bastioni  l'ano  vicino  all'altro,  sicché  non  cade  dubbio  sulla  loro  pertinenza  alla 
sommità  delle  mura.  È  noto  che  i  merli  furono  adoperati  dagli  antichi  architetti 
militari  (1);  ma,  ch'io  sappia,  qui  per  la  prima  volta  appare  questa  forma  arcuata. 
che  sarebbe  suggestivo  ricollegare  ai  tipi  medievali  di  Oriente. 


Fio.  5. 


Nella  cinta  eran'praticate  forse  alcune  altre  uscite  minori  ;  pare  cosi  che  sia  una 
antica  postierla,  obliterata  da  costruzioni  posteriori,  quella  che  venne  scoperta  negli 
ultimi  anni  a  nord-est  (vedi  fig.  5).  Dall'alto  delle  mura  conducevano  poi  in  basso, 
verso  l'esterno,  fino  al  livello  delle  acque,  alcune  scale  (vedi  fig.  6)  che  vanno  con- 
siderate come  veri  e  propri  imbarcaderi  rivolti  verso  la  terraferma;  in  molti  punti 
dunque,  come  è  sempre  avvenuto  nelle  città  marittime  fortificate,  i  bastioni  di 
Mozia  dovevano  sorgere  immediati  sulle  acque. 


(')  Cfr.  Durm,  Die  Bauk.  d.  Oriech.,  1910,  pag.  209  ;  per  la  Sicilia  :  Fougères-Hnlot,  SélinonU, 
pag.  168. 


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MOZIA 


Nelle  mura  di  nord-ovest  si  è  riscontrata  una  larga  breccia  presso  la  quale  un 
numero  rilevante  di  frecce  di  bronzo,  in  gran  parte  curvate  dall'  urto  violento  sulle 
pietre,  attesta  una  mischia.  Non  è  da  escludere  che  qui  vada  riconosciuta  la  breccia 
aperta  da  Dionisio,  di  cui  parlano  le  fonti  (Diodoro  XIV,  51). 


|Fig.  6. 


Da  Porta  Nord  aveva  origine  una  strada  interna  che  è  presumibile  giungesse 
tino  a  Porta  Sud.  La  parte  di  questa  via  che  si  è  finora  scoperta,  dà  assai  presto 
in  una  vasta  piazza,  col  pavimento  di  terra  battuta,  forse  il  Mercato.  Quivi  si  è 
trovata  una  bottega  di  vasaio,  con  il  forno,  una  bella  serie  di  anfore  già  cotte  ed 
alcune  masse  di  creta  costituite  da  vasi  non  riusciti  e  prima  della  cottura  nuora- 
mente  impastati,  non  tanto  però  che  non  se  ne  vedano  le  tracce  della  primitiva 
lavorazione, 


MOZIA 


—  438 


SICILIA 


Fino  a  questa  piazza  giungerà  un  assai  notevole  edifìzio  di  grossi  conci  di  are- 
naria, le  cui  rovine,  fra  un  groviglio  di  costruzioni  di  epoca  diversa  che  le  hanno 
profondamente  perturbate,  sono  apparse  nel  luogo  chiamato  Cappiddatsu.  Le  grandi 
dimensioni  e  la  nobiltà  della  costruzione  fanno  pensare  ad  un  edifìcio  di  carattere 
pubblico;  ma  l'uso  ne  rimane  incerto;  non  è  da  escludere,  anche  per  la  sua  posi- 
zione elevata,  che  si  tratti  di  un  tempio,  di  cui  però  fino  ad  ora  manca  ogni  documen- 
tazione ('). 

Nell'interno  della  città  i  saggi  più  notevoli  sono  stati  compiuti  nella  regione  sud- 
est. Qui  è  venuto  in  luce  un  gruppo  di  case  di  cui  il  punto  più  chiaro  è  costituito  da 
un  peristilio  di  m.  8  X  7,  coi  lati  nord  ed  ovest  del  portico  coperti  da  un  pavimento 


Fra.  7. 


a  mosaico  le  cui  tessere  sono  costituite  da  quei  ciottolini  (cuticchie)  lunghi  da  un 
centimetro  a  tre,  che  si  trovano  in  abbondanza  nella  spiaggia  di  Marsala,  presso 
il  porto. 

Sul  fondo  di  ciottoli  neri,  sono  rappresentati  con  ciottoli  bianchi  dei  rombi,  una 
greca,  e  due  gruppi  di  animali  :  un  leone  o  pantera  che  salta  addosso  ad  un  toro, 
e  due  cani  affrontati.  Per  la  datazione  di  questo  mosaico  ci  soccorre  quel  sicuro 
terminus  ante  quem  costituito  dalla  distruzione  della  città  nel  397  av.  Cr.  per  opera 


(')  Fra  queste  rovine  si  è  trovato  un  bomisco  di  terracotta  portante  a  rilievo  il  solito  gruppo 
del  toro  atterrato  dai  leoni,  e  nello  strato  più  superficiale  l'unica  ansa  di  anfora  rodia  per  ora 
segnalata  nell'Isola;  è  rettangolare  e  reca  l'iscrizione: 

Eni     AAMOKAEOY2 
YAKINSIOY 

Ofr.  Nilsson,  Timbres  amphoriques  de  Lindo»,  in  Bulletin  de  VAcad.  royale  dei  Sciences  de  Da- 
netnark,  Copenaghen,  1909,  pp.  37-180. 

A.  luoghi  di  culto  richiamerebbero  tre  altari  (v.  fig.  7),  di  forma  del  tutto  simile  a  quello  di 
Hagiar  Kim  in  Multa  (Perrot-Chipiez,  III,  pag.  229)  scoperti  in  diversi  punti  dell'Isola  di  Mozia, 
mai  però  sicuramente  in  sito, 


SICILIA  —   439   —  MOZIA 

di  Dionisio  il  Vecchio  (Diodoro,  XIV,  47  segg.)  ;  nel  materiale  di  colmata  si  rinven- 
nero poi  frammenti  assai  numerosi  di  ceramiche  a  figure  rosse.  Trattasi  di  un  edilizio 
costruito  forse  negli  ultimi  anni  di  esistenza  di  Mozia,  sopra  uno  più  antico,  del  quale 
si  sono  constatate  le  fondazioni,  ed  il  cui  piano  resta  più  basso  di  circa  mezzo  metro. 
Fra  queste  rovine  si  son  trovati  alcuni  tamburi  e  capitelli  di  colonne  doriche  con 
avanzi  di  stucco;  sono  di  tre  moduli  diversi,  ed  i  capitelli  si  direbbero  anche  di  due 
diverse  epoche  per  il  differente  profilo  del  loro  echino.  Il  pavimento  del  portico,  seb- 
bene la  tecnica  differisca  alquanto  da  quella  del  mosaico  vero  e  proprio,  ne  costituisce 
uno  dei  più  interessanti  ed  antichi  tentativi,  da  avvicinare  con  quello  di  tecnica  del 
tutto  analoga,  esistente  nel  pronaos  del  tempio  di  Zeus  in  Olimpia  ( ') 

Questa  casa  signorile  ci  fa  pensare  alla  notizia  di  Diodoro  sulla  bellezza  degli 
edilizi  di  Mozia  {xfy  xaXXsi  x&v  oixt&v  ;  XIV,  48,  2).  L'accenno,  contenuto  altrove, 
che  le  case  di  questa  città  fossero  alte  quanto  le  torri  a  sei  telai  (XIV,  51,  1  e  7), 
non  deve  però  indurci  in  errore.  L'altezza  delle  macchine  da  guerra  di  Dionisio  non 
era  certamente  esagerata;  il  raffronto  di  esse  con  gli  edilìzi,  va  principalmente 
riferito  a  quelli  che  stavano  nelle  case  presso  le  mura  (*).  È  constatazione  assai 
interessante  quella,  compiuta  un  po'  dapertutto  lungo  il  circuito,  di  avanzi  di  case 
costruite  con  abbondante  sussidio  di  legna  e  di  mattoni  crudi,  sopra  e  vicino  ai 
bastioni.  È  naturale  che  queste  case  viste  dal  mare  apparissero  insolitamente  elevate; 
ma  non  dobbiamo  pensare  che  esse  fossero  tutte  eccezionalmente  sontuose,  se  molte 
erano  coperte  non  già  di  tegole,  ma  da  un  battuto  di  terra  e  di  frasche  o  canne 
sostenute  da  travi.  Si  sono  infatti  scoperti  un  po'  dapertutto  nell'area  della  città,  e 
numerosi  campioni  sono  conservati  nel  Museo,  delle  grandi  masse  di  questa  terra 
argillosa,  che  presentano  le  impronte  di  canne  regolarmente  disposte  e  di  giunchi  e 
talvolta  anche  di  foglie  di  chamaerops  humilis  e  di  ramoscelli  di  ulivo  con  cui 
furono  in  contatto.  Dobbiamo  quindi  immaginare  il  paesaggio  di  Mozia  con  molte  case, 
a  tetto  piano  di  terra  battuta,  foggia  di  copertura  ancor  oggi  largamente  diffusa  in 
Oriente  e  che  trova  la  sua  ragion  di  essere  in  condizioni  climatiche.  E  certamente 
fra  queste  case  si  svolgevano  quelle  strette  vie,  fra  le  quali  i  difensori  opposero  alle 
soldatesche  di  Dionisio  un'ultima  resistenza  dopo  l'espugnazione  dei  bastioni. 

Tra  due  abitazioni  esistenti  presso  la  piccola  scala  a  nord-est  vicino  le  mura,  si 
nota  una  specie  di  vicoletto  a  fondo  cieco,  largo  in  principio  cm.  95  ed  in  fondo  cm.  82, 
che  non  mi  pare  fosse  destinato  a  contenere  una  scala  di  legno,  ma  piuttosto  a  ser- 
vire di  separazione  fra  due  case,  secondo  un  uso  che  riscontriamo  frequente  negli 
edilìzi  romani  di  un  altro  stabilimento  fenicio  di  Sicilia:  Solunto  (3). 

Nella  regione  meridionale  della  città,  in  una  bassura  invasa  dalle  acque  marine 
che  veniva  chiamata  la  Sali/iella,  nel  1906-1907  fu  messo  allo  scoperto  un  bacino 

(*)  Cfr.  Ausgrabungen  xu  Olympia:  Bauwerke,  pag.  18. 

(')  Diodoro  (che  in  questa  narrazione  deriva  forse  da  Timeo)  parla  di  case  interne,  alte  anche 
esse  quanto  le  torri  a  sei  telai,  in  cui  gli  abitanti  si  asserragliarono  per  l'ultima  disperata  difesa. 
È  evidente  però  che  deve  trattarsi  di  qnalche  casa  più  nobile. 

(')  Cfr.  G.  Salemi-Pace,  Solunto  in  Nuovi  annali  di  costruzioni,  arti  ed  industrie,  a.  II-III. 
Palermo,  1870-1872,  tav.  I. 


M0Z1A  440    SICILIA 

rettangolare  di  circa  1500  mq.  limitato  da  bordi  in  bella  fabbrica  e  comunicante 
col  mare  per  un  canale  largo  tino  a  7  metri.  Il  comm.  Whitaker  vi  riconobbe  subito 
un  piccolo  kothon  analogo  a  quello  assai  celebre  di  Cartagine  ('). 

Le  mura  a  nord-ovest,  presso  la  breccia,  si  allontanano  alquanto  dalla  spiaggia 
e  sono  costruite  sopra  un  campo  funebre  cbe  si  estende  ai  due  lati,  interno  ed  esterno. 
La  priorità  di  questa  necropoli  rispetto  alle  mura  si  è  potuta  constatare,  con  ogni 
cura,  per  mezzo  di  saggi  nello  spessore  occupato  dal  bastione,  sotto  il  quale  sono 
apparsi  i  sepolcri  in  serie  non  interrotta. 

È  questa  la  più  antica  necropoli  di  Mozia.  che  presuppone  o  una  cinta  di  mura 
più  limitata,  o.  più  facilmente,  una  città  aperta  perchè  mura  non  occorrevano  al 
primitivo  impianto;  eerto,  durante  il  periodo  non  breve  nel  quale  essa  fu  in  uso  non 
tutta  V isola  era  occupata  da  abitazioni.  Il  sito  di  questa  necropoli,  vivamente  ci 
richiama  quello  della  Byrsa  a  Cartagine  (2). 

I  sepolcri  qui  esplorati  sono,  nella  quasi  totalità,  a  cremazione.  Le  ceneri  e  le 
ossa  combuste  sono  raccolte  talvolta  in  pozzetti  quasi  cubici,  di  cm.  20  di  lato  in 
media,  scavati  in  piccoli  blocchi  di  arenaria,  o  costituiti  da  quattro  scaglie  poste 
di  coltello,  e  più  frequentemente  in  olle  di  terracotta,  sepolte  poi  insieme  ad  altri 
vasi  più  piccoli.  La  nostra  tìg.  8  mostra  alcuni  di  questi  gruppi  all'atto  dello  scavo. 
Le  tombe  erano  contrassegnate  da  stele  di  pietra  arenaria,  rinvenute  in  buon  numero 
nell'  interno  o  fra  il  materiale  delle  mura,  che  vogliono  rappresentare  schematicamente 
l'edicola  col  botilo  uno  o  gemino  (vedi  fig.  ;•).  Una  soltanto  presenta  un  betilo  già 
antropomorfo  (3). 

II  materiale  rinvenuto  in  questi  sepolcri  che  chiameremo  del  I  periodo  di  Mozia 
consiste  principalmente  in  vasi  ;  abbiamo  oltre  le  olle  cinerarie  globari.  delle  bot- 
tiglie e  degli  ariballi  terminanti  con  una  caratteristica  bocca  a  fungo,  delle  olpai  a 
bocca  trilobata,  dei  boccalettV  (vedi  tìg.  8  e  10).  Questa  ceramica  di  creta  gialla  o 
rossastra,  decorata  talvolta  di  strisce  di  color  bruno  o  rosso  lucido,  ottenute  con  una 
specie  di  scadente  vernice  soprapposta,  sono  di  un  carattere  assolutamente  peculiare 
di  Mozia  ed  offrono  dei   richiami   soltanto  relativi   con  le  ceramiche   di  altri  centri 

(')  Per  la  questione  del  porto  di  Cartagine  rimando  a  (Meltzer)  Kahrstedt,  Gesch.  der  Kar- 
thager,  III,  1913,  pp.  17  sgg. 

Noi  possiamo  al  piccolo  bacino  di  Mozia  dare  con  ogni  diritto  il  nome  di  Kothon,  perchè 
KtA9a>v  divenne  presso  gli  antichi  nome  comune;  secondo  una  glossa  di  Festo  (apud  Paol.  Diac. 
pag.  37):  «  Cothones  appellantur  portus  in  mari  interiores  arte  et  manu  facti». 

Noto  di  passaggio  che  il  suggestivo  richiamo  dubbiosamente  proposto  dal  Fougères  (Séli- 
nonte.  pajfr'175,  n.  1)  del  Kothon  a  proposito  del  Gorgo  Cottone  di  Selinunte,  costituisce  uno  dei 
più  istruttivi  esempi  del  pericolo  che  presentano  i  riferimenti  toponomastici;  Cottone  in  Selinunte 
è  derivato  infatti  dal  nome  del  proprietario. 

(*)  Sulla  necropoli  della  Byrsa,  cfr.  bibliografia  in  Meltzer,  Eabrstedt,  Geteh.  der  Karthager, 
I,  pag.  542;  III,  pp.  9  sgg. 

■('■)  Stele  simili  si  trovano  un  pu'  dapertutto  nelle  località  fenicie  e  puniche.  Una  bella  seri' 
di  Sulcis  in  Sardegna,  esiste  nel  Museo  di  Cagliari  (Taramelli,  Guida,  pag.  45). 


SICILIA 


—  441  — 


MOZU 


fenici.  Qualche  olla  presenta  una  partizione  a  triglifi  con  metopa  ornata  di  clessidre, 
che  ricorda  i  prodotti  del  geometrico  siculo  (*). 


Fio.  8. 


Oltre  questa  ceramica  propriamente  moziese.  in  molte  tombe  si  trovano  alcune 
rozzissime  eiotole  a  pareti  irregolari,  lavorate  senza  tornio.  Si  può  supporre  che  questi 


(*)  Cfr.  Orsi,  in  Roem.  MiUeiL,  XIII,  pp.  305  seeg.;  XXIV,  pp.  59  segg. 


MOZIA 


-442  - 


SICILIA 


vasi  avessero  una  particolare  funzione,  forse  nel  rogo,  per  contenere  aromi;  ad  ogni 
modo  la  loro  presenza  fra  ceramiche  tanto  progredite,  è  un  prezioso  ammonimento 
per  il  valore  dei  criteri  troppo  assoluti,  nella  cronologia  degli  oggetti  di  tipo  primi- 


Fio.  9. 


tivo.  I  nostri  vasi  infatti,  presi    isolatamente,  si  direbbero   piuttosto  provenienti  da 
uno  strato  preistorico  dei  più  antichi. 


Pio.  10. 


Maggiore  importanza  ha  la  presenza  assai  diffusa  in  queste  tombe  di  numerosi 
vasi  protocorinzi  (x):  vi  sono  aryballoi,  bombylioi,  lekythoi  cuoriformi,  tazze  zonate, 
dai  quali  la  nostra  necropoli  è  con  ogni  sicurezza  datata  tra  il  750  ed  il  650  av.  Cr.  (*). 


(')  I  tré  tipi  si  trovano  riuniti  assai  spesso.  Ecco  un  sepolcro  tipico  (n.  1  ;  16  maggio  1912); 
anfora  ossuaria  mammellare  di  fabbrica  locale,  alta  era.  60  ;  ciotola  di  tipo  primitivo  ;  bombylios 
protocorinzio.  Noto  che  vasi  corinzi  sono  stati  rinvenuti  anche  nei  sepolcri  della  Byrsa  a  Carta- 
gine; cfr.  Gsell.,  Mélange»  d'arch.  et  d'histoire,  1899,  pag.  40. 

(*)  Per  la  cronologia  del  protocorinzio  fissata  appunto  tra  il  750-650  sono  capitali,  com'è  noto, 
le  ricerche  dell'Orsi  nelle  necropoli  di  Siracusa  (Fusco)  e  di  Megara  Iblaea;  cfr.  Not.  d.  Scavi  1893, 
pag.  450;  Monum.  antichi  dei  Lincei,  I,  pp.  780  segg.  Vedi  anche  Walters-Birch,  Hittory  oj  aneient 
pottery,  I,  pp.  306-10. 


SICILIA  —   443   —  MOZIA 

Alcuni  sepolcri  contengono  anche  armi,  collane  di  pasta  vitrea  del  solito  tipo  (') 
e,  rarissimamente,  qualche  monile  di  ambra  ed  anche  di  argento  o  di  oro. 

Tra  queste  tombe  di  cremati  è  apparso  qualche  sarcofago,  con  ossa  inumate, 
e  materiale  ceramico  identico;  sono  i  sepolcri  di  quelli  fra  i  moziesi,  che  primi  adot- 
tarono il  rito  dell'  inumazione  (*). 

È  particolarmente  istruttivo  seguire  in  base  alle  scoperte,  rigorosamente  ed  am- 
piamente accertate,  questo  passaggio.  11  progredire  del  nuovo  rito  imponeva  di  ricer- 
care per  la  necropoli  un  sito  più  lontano  e  più  ampio  che  non  fosse  quello  tìu  allora 
occupato  ;  è  un  fenomeno  che  riscontriamo  anche  a  Cartagine.  Per  la  nuova  necropoli 
fu  scelta  la  località  della  terraferma  oggi  chiamata  li  Birgi,  ove  i  sepolcri  sono  in 
prevalenza  dentro  sarcofagi. 

11  materiale  è  costituito  di  vasi  a  figure  nere  e  rosse,  vetri  policromi,  qualche 
bucchero,  e  poi  anche  vasi  a  vernice  nera  con  decorasi*,  ni  in  bianco,  in  rosso  sovrap- 
poste. Esso  riporta  l' àxfirj  della  necropoli  a  tutto  il  sec.  V,  con  punte  nel  VI  e  nel  IV; 
si  tratta  cioè  della  necropoli  del  II  periodo  di  Mozia,  quando  la  vita  della  città  è 
già  vivamente  pervasa  di  elementi  greci  e  l'industria  ellenica  vi  tiene  assolutamente 
il  campo.  Alcune  epigrafi  sepolcrali  in  caratteri  greci  arcaici,  che  saranno  illustrate 
in  seguito,  confermano  questa  cronologia  e  costituiscono  coi  loro  nomi  semiti,  rive- 
stiti di  forme  greche,  un  nuovo  e  tipico  documento  per  la  natura  della  civiltà  locale. 

Il  legame  di  successione  cronologica  tra  le  due  necropoli  non  potrebbe  essere 
meglio  documentato;  a  Birgi  alcuni  sarcofagi,  i  più  antichi,  contengono  materiale 
ceramico  identico  a  quello  della  necropoli  dell'Isola.  Sono  notevoli  alcune  rarissime 
cremazioni,  in  olle  cinerarie  e  con  materiale  simile  a  quello  del  I  periodo.  Come 
nella  necropoli  sull'Isola  abbiamo  sorpreso  l'apparire  dei  primi  esemi  ì  di  innovazione 
nel  rito  sepolcrale,  così  qui,  sulla  terraferma,  sorprendiamo  i  ritardatari,  ancora  legati 
alla  vecchia  tradizione. 

Un  gruppetto  di  sepolcri  nell'  Isola,  presso  i  bastioni  di  Porta  Nord,  ci  riportano 
agli  ultimi  tempi  di  esistenza  della  città;  non  è  improbabile  che  si  tratti  dei  morti 
durante  l'assedio. 


Gli  scavi,  di  cui  fin  ora  abbiamo  dato  un  cenno  dal  punto  di  vista  topografico, 
hanno  il  merito  di  porre  e,  talvolta  di  chiarire,  alcune  questioni  cronologiche  e  sto- 
riche di  grande  importanza  (3). 

(»)  Cfr.  Perrot-Chipiez,  Bist.  de  l'art,  III,  tav.  X. 

(*)  Non  tocco  qui  per  nulla  la  questione  che  sorge,  a  proposito  del  rito  sepolcrale  originario 
dei  semiti,  che  secondo  la  tradizione  scritta,  sarebbe  invece  quello  dell'  inumazione. 

(*)  Fra  il  materiale  che  ha  importanza  artistica  ricordo  due  rilievi  di  sfingi  in  tenero  calcare, 
alcuni  bomiskoi  di  terracotta  con  figure  di  animali,  e  qualche  statuetta,  pure  di  terracotta.  Fra  le 
ceramiche  un  bel  frammento  (inventario  n.  2383)  di  vaso  a  figure  rosse,  di  stile  Midiaco. 

Si  è  rinvenuto  anche  qualche  nuovo  tipo  monetale  di  Mozia,  fra  cui  un  tetra»  di  argento  coi 
tipi:  Dr.  Testa  muliebre  di  prospetto  imitata  dal  tipo  siracusano  di  Eucleidas  e  Kimon.  R[.  Chicco  di 
frumento  fra  quattro  globetti. 

Fra  i  ruderi  di  una  casa  a  ponente  si  sono  rinvenuti  numerosi  pezzi  di  corallo,  di  cui  un  chicco 

Notizib  Scavi  1915  —  Voi.  XII  58 


MOZIA  —    444   —  SICILIA 

Mozia,  con  Panormo  e  Solunto,  è  uno  dei  tre  luoghi  della  Sicilia  in  cui  una  tra- 
dizione storiografica  di  valore  non  dubbio,  qual'è  quella  di  Tucidide  (VI,  3),  ci  assi- 
cura l'esistenza  di  uno  stabilimento  fenicio.  È  noto  che  sovrattutto  in  epoca  di  furori 
glottologici,  i  Fenici  in  occidente  ebbeio  nella  storiografia  una  parte  esagerata,  e  mentre 
se  ne  elevò  straordinariamente  la  cronologia,  se  ne  trovarono  dovunque  fattorie  com- 
merciali e  colonie.  La  reazione  dovuta  sovrattutto  al  Beloch  ('),  distrusse  numerosi 
castelli  in  aria,  ma  esagerò  negando  al  commercio  fenicio  anche  presso  di  noi,  ogni 
importanza. 

L'argomento  principale  in  base  al  quale  la  crociata  fu  spinta  fino  a  tal  punto, 
è  l'assenza  di  oggetti  di  carattere  spiccatamente  fenicio  nello  più  antiche  necropoli 
della  Sicilia.  A  dir  vero  questa  considerazione  non  potrebbe  avere  valore  decisivo, 
perchè  bisogna  tener  presente,  come  ha  notato  il  Columba.  che  i  generi  di  cui,  prin- 
cipalmente si  occupava  il  commercio  fenicio  erano  tessuti,  vetri,  profumi,  di  cui  come 
è  naturale,  non  è  facile  ritrovare  gli  avanzi  (2);  né  è  detto  d'altro  canto  che  i  Fenici 
siano  stati  degli  industriali,  oltre  che  commercianti.  Sicché  dall'assenza  di  oggetti 
di  carattere  artistico  fenicio  (che  nessuno  saprebbe  del  resto  dire  in  che  cosa  vera- 
mente debbano  consistere)  per  doppio  motivo  non  possiamo  ricavare  che  non  sono  mai 
esistiti  quei  loro  commerci,  che  la  tradizione  scritta  ci  afferma. 

Lo  scavo  della  nostra  necropoli  ad  incinerazione,  illumina  in  modo  definitivo  tutto 
questo  problema,  sovrattutto  nei  riguardi  della  Sicilia.  Infatti  il  materiale  rinve- 
nutovi, è,  a  parte  le  terrecotte  di  fabbrica  locale,  certamente  non  destinate  all'esporta- 
zione, assolutamente  identico  a  quello  delle  meglio  conosciute  necropoli  arcaiche  delle 
città  siceliote. 

A  Mozia  gli  oggetti  di  carattere,  non  dico  fenicio,  ma  semplicemente  orientale, 
sono  né  più  né  meno  quegli  stessi  di  Siracusa  (Fusco)  e  Megara  Iblaea:  le  stesse  paste 
vitree,  gli  stessi  scarabei  con  pseudo  geroglifici,  gli  stessi  ornamenti  muliebri,  lo  stesso 
vasellame  protocorinzio  (8).  Siccome  sarebbe  un  po'  forte  negare  l'esistenza  dei  Fenici 
a  Mozia,  ne  risulta  che  la  tradizione  scritta  che  estendeva  a  tutta  l'Isola  la  loro  atti- 
vità commerciale,  non  può  venir  considerata  come  una  comune  amplificazione,  priva 


di  collana  (inv.  2933)  è  stato  raccolto  presso  il  kotlion  ed  un  pezzo  è  apparso  anche  in  una  tomba 
punica  del  Lilibeo  (inv.  n.  3279).  Non  è  certamente  per  caso  che  questi  primi  documenti  dell'antico 
uso  del  corallo  son  venuti  fuori  da  quella  parte  della  Sicilia  più  vicina  al  luogo  di  pesca,  nella 
quale  questa  industria  veramente  tradizionale,  nei  secoli  XVII-XVIII  diede  prodotti  artisticamente 
assai  notevoli.  Il  corallo  siciliano  è  ricordato  anche  dalle  fonti  antiche  (Plinio  XXXII,  21  ed  Hesych. 
s.  v.  xooaXXùs  nagà  lixeXoìs  etc). 

(')  Rhein.  Afuseum,  1893,  pp.  111-132;  cfr.  anche  Orsi,  in  Atti  del  Congresso  internazionale 
di  sciente  itoriche,  Roma  1904,  voi.  V,  pp.  97-108. 

(')  Columba,  I porti  della  Sicilia,  pp.  128  »egg.  Di  recente  la  stessa  idea  ha  manifestato  il 
Bywanck,  De  Afagnae  Oraeciae  kistoria  antiquissima.  Hayae  Comitis,  1912,  pag.  34. 

(•)  Orsi,  Megara  Hyblaea,  in  Monumenti  ant.  dei  Lincei,  I,  coli.  125,  254-5;  Necropoli  del 
Fusco,  in  Notine  d.  Scavi,  1893,  pp.  452;  458  nota;  459  nota  ;  469;  471  nota;  Not.d.  Scavi  1895, 
pp.  116-7;  Monum.  ant.  dei  Lincei,  XVII,  col.  207,  etc. 


SICILIA  —    445   —  MOZIA 

di  valore  storico,  per  il  fatto  che  uè  manca  la  documentazione  sotto  forma  di  oggetti 
di  carattere  peculiare  ('). 

D'altro  canto  il  materiale  della  nostra  necropoli,  costituisce  un  caposaldo  per  la 
cronologia  di  questa  attività  commerciale  dei  Fenici,  che  non  ci  appaiono  più.  come 
si  credeva,  precursori  antichissimi  dei  Greci.  Alcuni  saggi  stratigrafici,  dimostrano 
infatti,  che  questa  necropoli  segue  senza  intermedii  agli  avanzi,  assai  scarsi,  delle 
popolazioni  primitive  prefenicie,  cioè  scheggio  di  selce  e  di  ossidiana,  corna  di  cervo, 
cocci  di  tipo  neolitico,  apparsi  cosi  nell'Isola  stessa,  come  nell'Isoletta  di  S.  Marina, 
e,  sulla  terra  ferma,  in  contrada  Tre  Pini  (2). 

* 

Abbiamo  accennato  a  questi  avanzi,  che  ci  dimostrano  come  l'Isola  aresse  avuto 
qualche  abitante,  anche  prima  dello  stabilimento  fenicio.  Degli  altri  indizi  ci  atte- 
stano parimenti  che  dopo  la  distruzione  del  397  completata  l'anno  seguente,  da 
Imilcone  (3)  il  luogo  dovette  venir  frequentato  da  contadini  e  da  marinai. 

Trattasi  di  qualche  frammento  di  vaso  aretino  o  della  Gallia  (4)  di  un  vasetto 
di  terra  nerastra  decorato  a  stecca,  che  ci  richiamano  all'età  romana  e  bizantina  (5), 
e  di  una  piccola  epigrafe  araba  che  ci  attesta  la  presenza  dei  Musulmani  nell'  isola, 
da  loro  chiamata  Zeiebui  e  Gisira  Malbugi  (6).  Ma  nulla  accenna  ad  una  qualsiasi 
forma  di  vita  cittadina.  Lilibeo  sorta  a  due  passi  sulla  terraferma,  ereditò  la  funzione 
e  l'importanza  di.  Mozia  (7).  Da  questo  punto  di  vista  il  397  av.  Cr.  segna  per  gli 
avanzi  monumentali  dell'isola,  un  terminus  ante  quem  di  valore  assoluto. 

Solo  a  Cappiddassu,  che  è  il  punto  in  cui  si  è  sovrapposto  maggior  numero 
di  rovine,  esiste  una  cisterna,  nelle  cui  volte  sono  adoperati  dei  vasi  di  terracotta  che 

(')  Il  sistema  di  trarre  conseguenze  di  carattere  etnografico  dal  materiale  archeologico,  nasconde, 
anche  per  l'età  storica,  molti  pericoli.  Possiamo  ricordare  per  la  Sicilia  l'esempio  molto  istruttivo 
di  nn  altro  popolo  orientale,  gli  Arabi,  della  cui  dominazione  non  sapremmo  certamente  parlare  in 
base  ai  monumenti  figurati  che  mancano  quasi  del  tutto;  ove  non  avessimo  le  fonti  scritte,  scam- 
bieremmo,  tntt'al  più.  per  arabo,  il  seguente  periodo  normanno. 

Quanto  ai  Fenici  non  sarà  inopportuno  notare  come  tutti  i  loro  prodotti  più  sicuri,  ci  offrano 
un  eloquente  documento  delle  loro  attitudini  artistiche;  la  loro  arte  è  sempre  un  riflesso  di  quella 
dei  popoli  con  cui  vennero  a  contatto.  In  Sicilia  le  monete  delle  loro  città  sono  un'imitazione  sempre 
più  perfetta  di  quelle  greche;  l'affermazione  di  razza  si  limita  a  qualche  simbolo  ed  all'epigrafe. 

(*)  Qui  è  apparso  il  fondo  di  una  capanna,  con  pavimento  di  terra  battuta,  ed  avanzi  di  ossi- 
diana, a  15  metri  dalla  strada  che  va  ai  tre  Pini  verso  Birgi. 

Nell'Isola  si  sono  rinvenuti  tre  cucchiai  di  terracotta  del  tipo  di  quello  di  Villafrati,  in  von 
Andrian,  Pràhiitorische  Studien  aus  Sicilien,  suppl.  a  Zeitschr.  far  Ethnologie,  Berlin  1878 
tav.  IV,  n.  8. 

(»)  Diod.  XIV,  55,  4. 

(*)  cfr.  Déchelette,  Le»  vaie*  ceramiquet  orné»  de  la  Gaule  Romaine,  Paris  1904. 

l'I  cfr.  Orsi,  in   Byzant.  Zeitschrft.,  XIX,  pag.  86. 

(•)  Coglitore,  pag.  174;  la  piscina  qui  ricordata  dal  Coglitore  come  moresca,  è  invece  il  mobile 
kothon  di  cui  abbiamo  parlato.  L'iscrizione  è  pubblicata  in  Amari,  Le  epigrafi  arabiche  di  Sicilia,ll, 
pag.  181. 

(')  Diod.  XXII,  10,  4. 


MOZU  —   446  —  SICILIA 

a  me  sembrano  medievali  (').  Questa  cisterna  dunque,  insieme  alle  costruzioni  più 
superficiali  circostanti,  appartiene  con  ogni  probabilità  a  quel  metochi  di  S.  Pantaleo 
che  insieme  ad  una  grancia  è  ricordato  in  diplomi  normanni,  come  dipendenza  del 
Monastero  Basiliano  di  S.  Maria  della  Grotta  di  Marsala  (*). 

San  Pantaleo,  il  più  recente  nome  dell'  Isola,  deve  risalire  appunto  all'età  nor- 
manna ed  è  probabile,  come  ha  proposto  il  Coglitore  (3),  che  sia  una  traduzione  fone- 
tica del  nome  Uavralsifiav  che  V  Isola  merita  senza  dubbio,  per  la  ricca  vegeta- 
zione cui  alimenta  la  pingue  terra  delle  sue  rovine  (4). 

B.  Pack. 


(')  Tale  uso,  proprio  sovrattutto  delle  costruzioni  dei  tempi  imperiali  e  bizantini  (cfr.  ad  es. 
in  Ravenna,  C.  Ricci,  11  mausoleo  di  Galla  Plaeidia,  Roma  1914,  pp.  58  segg.),  si  riscontra  in 
Sicilia  nelle  volte  della  Chiosa  normanna  della  Maitorana  di  Palermo;  cfr.  Salinas,  Rassegna  archeo- 
logica Siciliana,  in  Rivista  Siculo,  dicembre  1871. 

(')  Pirri,  Sicilia  Sacra,  II,  pp.  883  ;  1003  segg.;  Amico,  Lexicon  Topogr.  Sieulum  II,  s.  v. 
Pantaleon. 

(*)  Op  cit,  pag.  67,  che  però  spiega  xatà  natta  Xeifitbv  :  u  luogo  tutto  umido,  ricco  di  erba; 
«  volendo  con  ciò  significarsi  che  quest'isola  si  trova  in  mezzo  quasi  ad  un  prato,  ad  una  palude, 
«  piuttosto  che  ad  un  mare  »,  il  che  non  ostante  le  alghe  dello  Stagnone,  invocate  dal  Coglitore, 
non  mi  sembra  verosimile. 

(*)  Tale  denominazione,  in  rispondenza  a  simili  condizioni  di  terreno,  dovette  essere  comune 
nel  mondo  bizantino.  Io  ricordo  una  verde  conca  nell'isola  di  Patmos,  recante,  proprio  per  questo, 
il  nome  Hago  Pantaleimon;  cfr.  Pace,  Ricordi  classici  dell'isola  di  Patmos,  in  Annuario  della 
scuola  d'Atene  e  delle  missioni  italiane  in  Oriente,  I,  1914.  pag.  372. 


—  447  — 


INDICI 


INDICE  DEGLI  AUTORI 


Alfonsi  A.  Iscrizioni  latine  di  Este,  pp.  145  e 
146. 

Assandria  G  Lapide  cristiana  ed  antichità  ro- 
mane rinvenute  in  Torino  durante  l'anno 
1914,  pp.  61-64. 

Barnabei  V.  Iscrizione  latina  di  Saletto  di  Mon- 
tagnana  presso  Este  riferibile  agli  argini 
dell'Adige,  pp.  137-141.  Lapide  di  Ospeda- 
letto  Euganeo  relativa  all'arginatura  del- 
l'Adige, pp.  141-144. 

Barocklli  P.  Tracce  di  necropoli  barbarica  presso 
la  strada  nazionale  Torino-Moncalieri,  p.  259. 
Tombe  romane  scoperte  nel  territorio  di  Sa- 
luzzo,  p.  260.  Oggetti  di  suppellettile  fu- 
nebre di  età  romana  rinvenuti  a  Sillavengo, 
p.  315. 

Bendi  neli.i  G.  Avanzi  di  antiche  costruzioni  sco- 
perti a  Rieti  dietro  il  palazzo  comunale, 
pp.  273-278. 

Calza  G.  Continuazione  dello  scavo  di  via  della 
Casa  di  Diana  in  Ostia,  pp.  27-31.  Sterri 
in  Ostia,  nell'edificio  detto  delle  Pistrine  e 
presso  la  Casa  di  Diana;  statuette  di  bronzo 
e  oggetti  vari  rinvenuti  in  un  santuario 
dedicato  a  Silvano,  pp.  242-258.  Le  per- 
gulae  e  i  maeniana  delle  case  ostiensi  ;  un 
nuovo  santuario  mitriaco  rinvenuto  nella 
casa  detta  di  Diana,  pp.  324-333. 

Campanile  T.  Iscrizione  ricordante  un  magistrato 
municipale  di  Volsinii  rinvenuta  nel  terri- 
torio di  Bolsena,  pp.  239-240. 


Cultrera  G.  Sarcofago  marmoreo  di  Fiano  Ro- 
mano con  iscrizioni  ricordanti  un  parasilus 
Apollinis,  pp.  158-166. 

Dall'Osso  I.  Cretaglie  neolitiche  nella  media 
valle  dell'Ofanto.  pp.  55-59. 

Della  Corte  M.  Scavi  a  Pompei  sulla  via  del- 
l'Abbondanza, pp.  279,  289,  334-336,  342- 
34«,  416-425. 

Pornari  F.  Nuove  scoperte  in  Roma  e  nel  su- 
burbio, pp.  35-38,  166-168,  241-242,321-324, 
407-408.  Statua  marmorea  rinvenuta  ad  Anzio 
presso  la  Fornace  Vecchia,  pp.  54-55.  Avanzi 
di  una  villa  romana  a  Frascati,  pp.  169  e  170. 

Galieti  A.  Antichità  varie  scoperte  a  Lanuvio 
durante  l'anno  1914,  pp.  170-174. 

Galli  E.  Nuove  tombe  dell'agro  chiusino,  pp.  6- 
16.  Scoperta  di  due  orecchini  d'oro  a  Perugia, 
pp.  261-262.  Scoperta  di  un  sepolero  etrusco 
a  Trequanda,  pp.  263-266.  Oggetti  di  una 
tomba  etrusca  di  Castelmuzio,  pp.  267-269. 
Tomba  etrusca  scoperta  a  Cordigliano  (Pe- 
rugia), pp.  270-273.  Scoperte  archeologiche 
in  Arezzo  in  località  «  Duomo  vecchio  », 
•    pp.  404-406. 

Gatti  E.  Scoperte  in  Roma  e  nel  suburbio,  pp.  388- 
390. 

Mancini  G.  Scoperte  in  Roma  e  nel  suburbio, 
pp.  23-27  e  64-67.  Tempio  volsco  di  Velletri, 
pp.  68-88. 

Menoarelli  R.  Nuove  esplorazioni  nella  necro- 
poli di  Caere  (Cerveteri),  pp.  347-386.  Iscri- 


—  448  — 


zione  onoraria  latina  rinvenuta  nella  città  di 
Alife,  pp.  391-392. 

Nate  G.  Avanzi  di  edificio  romano  a  Ravenna, 
pp.  235-239. 

Negkioli  A.  Avanzi  di  grandioso  edificio  tornano, 
probabilmente  di  un  tempio,  a  s.  Lorenzo 
in  Monte  presso  Rimini-,  pp.  3-6.  Di  un 
cippo  sepolcrale  figurato  e  iscritto,  scciperto 
a  Rimini  fuori  porta  Montanara,  pp  82-35. 
Scoperta  di  pavimenti  romani  presso  Bolo- 
gna, pp.  147-150.  Tombe  scoperte  in  con- 
trada Ca'  Nova  nel  comune  di  Monzuno 
(Bologna),  p.  151.  Sepolcreto  di  bassi  tempi 
imperiali  a  Ravenna,  pp.  152-155.  Tombe 
romane  a  Copparo.  pp.  156  157.  Pavimento 
a  mosaico  di  epoca  romana  a  Sarsina,  pp.  157- 
158. 

Nogaka  B.  Iscrizioni  di  cippi  ceretani,  pp.  336- 
387. 

Oietti  U.  Pavimento  in  mosaico  scoperto  in  Cer- 
vignano  (Aquileia),  p    403. 

Orsi  P.  Scavi  in  Siracusa,  pp.  185-208.  Villaggio 
preistorico  a  Stentinelln  (Siracusa),  p.  209. 
Scoperta  di  vaso  greco  a  Palazzolo  Acreide, 
pp  210-211.  Scoperta  di  grande  vaso  greco 
a  N«to,  p.  212.  Esplorazione  sull'altipiano 
di  Modica,  pp.  212-214.  Necropoli  e  villaggi 
siculi  di  Comiso,  p.  214.  Scoperte  varie  di 
carattere  funerario  a  Catania,  pp.  215-225. 
Necropoli  greca  di  M.  S.  Mauro  a  Caltagi- 
rone,  pp.  225-226.  Ripostigli  monetali  a 
Paterno,  p.  226  Deposito  di  terrecotte  iera- 
tiche a  Aderno,  pp.  227-230.  Materiale  epi- 
grafico vario  a  Centuripe,  pp.  230-231. 
Esplorazioni  nel  Castello  di  Lombardia  a 
Castrogiovanni,  pp.  232-233.  Scavi  nella 
anonima  città  a  Serra  Orlando  (Aidone), 
pp.  233-234.  Tesoretto  monetale  con  gioielli 
a  Terranova  Sicula,  p.  234. 

Pack  B.  Prime  note  sugli  scavi  di  Mozia  nel 
19^6  1914.  pp.  431-446. 

Paribem  R  Trovamenti  epigrafici  in  Roma, 
pp.  38-54.  Frammenti  di  sculture  d'ossidiana 
rinvenuti  presso  Roma  sulla  via  Nomentana, 
pp.  408,  409. 

Patroni  G.  Scoperte  di  antichità  preromane, 
romane,  cristiane  e  medioevali  a  Pavia  : 
pp.  291-292.  Tombe  gallo-romane  a  Spino 
d'Adda,  p  292.  Rinvenimento  di  un'anfora- 
tomba  a  S.  Colombano  al  Lamino,  p.  292. 


Tomba  gallo-romana  a  Caslino  d'Erba, 
p.  293.  Tombe  galliche  a  Vimogno,  p.  293. 
Tombe  galliche  ad  Acquate,  p.  293.  Tombe 
romane  scavate  a  Velate  in  località  «  la 
Rasa*,  pp.  294-296  Rinvenimento  di  anfore 
a  Milano  in  via  S.  Barnaba,  p.  297.  Porta 
romana  con  torri  ottagone  scoperta  sotto 
porta  Torre  a  Como,  pp.  297-301.  Lama  di 
bronzo  scoperta  a  Talamona,  p.  301.  Tomba 
Con  ricco  corredo  di  bronzi  etruschi  e  col- 
tellacci gallici  a  Castiglione  delle  Stiviere, 
pp  302-303.  Suppellettile  gallica  a  Sesto 
Cremonese,  pp.  303-304.  Suppellettile  tom- 
bale romana  a  Pozzolengo,  p.  304. 

Porro  G.  G.  Vedi  Taramelli  A.  e  Porro  G.  G. 

Prosdocimi  A.  Frammenti  di  lapide  sepolcrale 
romana  atestina,  pp.  146-147. 

Putortì  N.  Forma  fittile  acquistata  per  il  museo 
Civico  di  Reggio  di  Calabria,  pp.  429- 
430. 

Schief-Giorgini  R.  Nuove  tombe  dell'agro  chiu- 
sino, pp.  16-23. 

Scifoni  G.  Cippo  sepolcrale  romano  a  Cava  dei 
Tirreni,  pi>.  289  290. 

Spano  G.  Scavi  sulla  via  dell'Abbondanza  a 
Pompei,  pp    336-^41  e  425-429. 

Spinazzola  V.  Rovine  di  un  secondo  anfiteatro 
a  Pozzuoli,  pp.  409-415. 

Taramelli  A.  ripostiglio  di  bronzi  di  età  pre- 
romana presso  Decimopntzu  (Cagliari)  pp.87- 
97.  Ripostiglio  di  monete  in  bronzo  impe- 
riali romane  in  Villaurbana (Oristano)  pp.  97- 
99.  Pozzo  votivo  di  età  preromana  a  Nura- 
gus,  pp.  99-107.  Grotta  sepolcrale  e  votiva 
di  Ozieri,  pp.  124-136.  Il  nuraghe  di  S.  Bar- 
bara in  comune  di  Villanova  Truscheddu 
(Cagliari)  donato  allo  Stato,  pp.  305-313. 
Indagini  in  vari  monumenti  del  territorio 
di  Laerru,  pp.  393402. 

—  e  Porro.  Necropoli  e  luoghi  sacri  di  età  nn- 
ragica  di  Abbasanta,  pp.  108-116.  Necropoli 
a  u  domus  de  gianas  »  di  Santu  Lussurgiu, 
pp.  116-117.  Nuraghi  e  tombe  megalitiche 
di  Norbello,  pp.  117-118.  Cittadella  nura- 
gica  di  Nurarchei  a  Domusnovas  Canales, 
pp.  118-119.  Monumenti  megalitici  e  «do- 
mus de  ianas  n  di  Laerru,  pp.  119-124. 

T  avanti  U.  Scavi  eseguiti  nell'area  dell'anfitea- 
tro romano  di  Arezzo  dal  novembre  1914 
all'aprile  1915,  pp.  316-321. 


—  449  — 


INDICE  TOPOGRAFICO 


Arbasanta  —  Esplorazione  nelle  necropoli  e  nei 
luoghi  sacri  di  età   nuragica,    pp.  108-116- 

Acquate  —  Tombe  galliche,  p.  293. 

Adehnò  —  Deposito  di  terrecotte  ieratiche, 
pp.  227-280. 

Aidone  —  Scavi  nella  anonima  città  a  Serra 
Orlando,  pp.  233-234. 

Ai.ife  —  Iscrizione  onoraria  latina  rinvenuta 
entro  la  città,  pp.  391-392. 

Anzio  —  Statua  marmorea  rinvenuta  presso  la 
Fornace  vecchia,  pp.  54-55. 

Arezzo  —  Scavi  eseguiti  nell'area  dell'anfiteatro 
romano  dal  novembre  19 14  all'aprile  1915, 
pp.  316-321.  Scoperte  archeologiche  nel 
terreno  del  manicomio  in  località  «  Duomo 
vecchio»,  pp.  404-406. 


B 


Baone  —  Scoperta  di  uu  frammento  di  lapide 
sepolcrale  romana  atestina.  pp.  146-147. 

Bologna  —  Scoperta  di  pavimenti  romani  in 
valle  di  Savena,  pp    147-150. 

Bolsena  —  Iscrizione  ricordante  un  magistrato 
municipale  di  Volsinii,  rinvenuta  nel  terri- 
torio del  comune  ;  pp.  239-240. 


Cava  dei  Tirreni  —  Cippo  sepolcrale  romano 
pp.  289-290. 

Centuripe  —  Materiale  epigrafico  vario,  pp.  280- 
231. 

Cerveteri  —  Nuove  esplorazioni  nella  necro- 
poli :  tnmbe  di  età  posteriore  al  V  sec. 
av.  Cr.  e  cippi  sepolcrali,  pp.  347-387. 

Cervignano  (Aquileia)  —  Pavimento  in  mosaico, 
p.  403. 

Chiu8i  —  Nuove  tombe  dell'agro  chiusino,  pp.  6- 
23. 

Comiso  —   Necropoli   e  villaggi  siculi,    p.  214. 

Como  —  l'orta  romana  con  torri  ottagono  sco- 
perta sotto  porta  Torre,  pp.  297-301. 

Copparo  —  Scoperta  di  tombe  romane,  pp.  156- 
157. 

Cordigliano  (Perugia)  —  Tomba  i-trnsca  sco- 
perta nel  territorio  del  Comune,  pp.  270- 
273. 


D 


Decimoputzu  (Cagliari)  —  Scoperta  di  un  ri- 
postiglio di  bronzi  di  età  preromana  a  monte 
di  Sa  Idda,  pp.  89-97. 

Domusnovas  canales  —  Cittadella  nuragica  di 
Nurarchei,  pt>.  118-119. 


£ 


Caltagirone  —  Necropoli  greca  di  M.  S.  Mauro, 
pp.  225-226. 

Cablino  d'Erba  —  Tomba  gallo-romana,  p.  293. 

Castelmuzio  —  Oggetti  di  una  tomba  etnisca 
dell'ultimo  periodo,  pp.  267-269. 

Castiglione  delle  Stiviere  —  Tomba  con 
ricco  corredo  di  bronzi  etruschi  e  coltel- 
lacci gallici,  pp.  302-303. 

Castrogiovanni  —  Esplorazione  nel  Castello 
di  Lombardia,  pp.  232-233. 

Catania  —  Seoperte  varie  di  carattere  funera- 
rio, pp.  215-225. 


Este  —  Scoperte  di  iscrizioni  latine,  pp.  145- 
146. 

Fiano-Romano  —  Scoperta  di  un  sarcofago  mar- 
moreo con  iscrizioni  ricordanti  un  paratitut 
Apollinis,  pp.  158-165. 

Frascati  —  Avanzi  di  villa  romana,  pp.  169, 
170. 


G 


Gandiano  presso  Lavello  —  Cretaglie  neo- 
litiche della  media  valle  dell'Ofanto,  pp.  55- 
59. 


—  450  — 


Laerru  —  Esplorazione  dei  monumenti  mega- 
litici e  scavi  nelle  domus  de  ianas  di  Monte 
Ultano,  pp.  119-124.  Indagini  nei  tumuli 
con  tombe  di  gigante  in  regione  di  Bopi- 
tos,  nelle  tombe  di  Luogosanto  ed  in  vari 
monumenti  del  territorio,  pp.  393-402. 

T/ANUvio  —  Antichità  varie  scoperte  durante 
l'anno  1914,  pp.  170-174. 


M 


Paterno  —  Ripostigli  monetali,  p.  226. 

Pavia  —  Scoperte  di  antichità  preromane,  ro- 
mane, cristiane  e  medievali,   pp.  291,  292. 

Perugia  —  Scoperta  di  due  orecchini  d'oro, 
pp.  261,  262. 

Pompei  —  Continuazione  degli  scavi  sulla  via 
dell'Abbondanza,  nei  mesi  da  gennaio  a  no- 
vembre 1915,  pp.  279-289,  334,  345,  416-429. 

Pozzolengo  —  Suppellettile  tombale  romana, 
p.  30 1. 

Pozzuoli  —  Rovine  di  un  secondo  anfiteatro, 
pp.  409-415. 


Milano  —  Rinvenimento  di  anfore  in  via  S.  Bar- 
naba, p.  297. 

Modica  —  Esplorazioni  varie  sull'altipiano 
pp   212-214. 

Monzuno  (Bologna)  —  Tombe  (.coperte  in  con- 
trada Ca'  nova,  p.  151. 

Mozia  -  Prime  note  sugli  scavi  1906-1914, 
pp.  431-446. 


K 


Norbello  —  Nuraghi  e  tombe  megalitiche 
pp.  117-118. 

Noto  —  Scoperta  di  grande  vaso  greco  in  con- 
trada Bimisca,  p.  212. 

Nuragus  —  Pozzo  votivo  di  età  preromana 
scoperto  in  regione  Coni  o  Santu  Millanu 
pp.  99-107. 


Ospedaletto  EiGANEO  —  Lapide  relativa  al- 
l'arginatura dell'Adige,  pp.  141-144. 

Ostia  —  Continuazione  dello  scavo  di  via  della 
Casa  di  Diana,  pp.  27-31.  Sterri  dell'edifi- 
cio detto  delle  Pistrine  e  presso  la  casa  di 
Duina;  statuette  di  bronzo  e  oggetti  vari 
rinvenuti  in  un  santuario  dedicato  a  Silvano, 
pp.  242-258.  Le  pergulae  e  i  maeniana  delle 
case  ostiensi;  un  nuovo  santuario  mitriaco 
nella  casa  detta  di  Diana,  pp    324-333. 

Ozieri  —  Grotta  sepolcrale  e  votiva  di  S.  Mi- 
chele ai  Cappuccini,  pp.  124-136. 


Palazzuolo-Aerbide  —  Scoperte  di  vaso  greco, 
pp.  210-211. 


Ravenna  —  Sepolcreto  di  bassi  tempi  imperiali 
scoperto  presso  la  basilica  di  S  Apollinare 
in  Classe,  pp.  152-155.  Avanzi  di  edificio 
romano  rimessi  a  luce  tra  il  tempio  di 
S.  Vitale  e  il  mausoleo  di  Galla  Placidia, 
pp.  235-239. 

Reggio  di  Calabria  —  Forma  fittile  acquistata 
per  il  Museo  Civico,  pp.  429,  430. 

Rieti  —  Avanzi  di  antiche  costruzioni  scoperte 
dietro  il  Palazzo  comunale,  pp.  273-278. 

Rimini  —  Avanzi  di  grandioso  edificio  romano, 
probabilmente  di  un  tempio  a  S.  Lorenzo 
in  Monte,  pp.  3-6.  Di  un  cippo  sepolcrale 
figurato  e  inscritto,  scoperto  fuori  porta 
Montanara,  pp.  32-35. 

Roma  —  (Regione  1).  Sarcofago  con  iscrizione 
scoperto  in  via  Porta  S  Sebastiano,  p.  321 . 

(Regione  III)  Fabbricati  antichi  in  via  Leonardo 
da  Vinci,  p.  1-66. 

(Regione  IV)  Frammenti  marmorei  rinvenuti  in 
via  Bacchia,  p.  241, 

(Regione  V)  Frammento  di  statua  scoperto  in 
piazza  S.  Croce  in  Gerusalemme,  p.  241. 

(Regione  VI)  Ritrovamento  in  via  di  Porta  Sa- 
laria, p.  35.  Pavimentazione  stradale,  ivi, 
p.  64.  Mattone  con  bollo,  ivi,  p.  1 66.  Fram- 
menti marmorei  rinvenuti  in  via  Toscana, 
p.  321. 

(Regione  VII)  Marmi  e  iscrizioni  ritrovate  in 
piazza  Colonna  ;  pp.  35,  36,  166,  241,  321, 
322,  407. 

(Regione  IX)  Base  marmorea  rinvenuta  in  via 
della  Missione,  pp.  322-324. 

(Regione  XIII)  Strada  e  fabbricato  antico  in  via 
Amerigo  Vespucci,  pp.  166,  167. 

(Suburbio).  Via  Appia  Antica  —  Tomba  del 
papa    S.    Fabiano   e    vetligia    apostolorum 


—  451  — 


scoperte  entro  e  presso  1 1  Basilica  ili  S.  Se- 
bastiana, pp.  64,  6">.  Avanzi  di  villa  romana 
e  colombario  scoperti  ivi,  pp.  65,  66. 
Via  Appia  Nuova  —  Antica  pavimentazione  stra- 
dale lungo  la  via  ilelle  Mura,  p  66. 
Via  Casilina  —  Altorilievo  in  marmo  scoperto 
in  località  Mammella,  p.  36.  Colombario  a 
sinistra  della  via,  p.  36.  Rilievo  marmoreo 
e  iscrizioni  presso  il  vicolo  Carbonari, 
pp.  36-37.  Cippi  sepolcrali  rinvenuti  presso 
Tor  Pignattara,  p.  37.  Sarcofago  con  iscri- 
zioni greche  rinvenuto  in  località  M arra- 
ngile pp.  167,  16S  Iscrizione  sepolcrale  rin- 
venuta ivi,  p.  "42.  Targa  di  colombario  rin- 
venuta ivi,  pp.  407-408. 

Via  Casilina-Tnscolana  —  Sarcofago  coi  busti 
dei  defunti  rinvenuto  nella  Tenuta  Torre 
Spaccata,  p.  168. 

Via  Cassia  —  Cippo  sepolcrale  rinvenuto  nella 
tenuta  del  Pino,  p.  408. 

Via  Labicana  —  Lastre  sepolcrali  iscritte  tro- 
vate alla  Marranella,  p.  67.  Avanzi  di  villa 
rustica  in  località  «  Due  Casaletti  »,  pp.  388- 
390. 

Via  Nomentana  —  Ara  sepolcrale  rinvenuta  nella 
tomba  di  Aguzzano,  pp.  37,  38.  Frammenti 
di  sculture  di  ossidiana  rinvenuti  nell'area 
di  Villa  Patrizi,  pp.  408,  409. 

Via  Po  e  altrove  —  Iscrizioni  onorarie  e  se- 
polcrali, pp.  38-54. 

Via  Salaria  —  Scavi  e  scoperte  nella  tenuta 
«  Sette  Bagni  »,  pp.  23,  27.  Olla  funeraria 
di  marmo  rinvenuta  tra  le  vie  Raimondi  e 
Paisiello,  p.  168. 


Sili.avbnoo  —  Oggetti  di  suppellettile  funebre 
appartenenti  a  tombe  di  età  romann,  p.  815. 

Sikacu8a  —  Scavi  di  piazza  Minerva,  pp.  175-181. 
Nuove  scoperte  nella  necropoli  del  Fusco, 
pp.  181- 185.  Necropoli  in  contrada  Cana- 
licchio,  pp.  185,  186.  Sepolcro  con  oreficerie 
in  contrada  Dammussi,  pp.  187,  188  Ne- 
cropoli greco-arcaica  a  S.  Lucia,  pp.  188, 
189.  Scoperte  nell'anfiteatro  pp.  189,  190. 
Case  ellenistiche  e  romane  a  S.  Lucia, 
pp.  191,  192.  Artemision  di  Belvedere» 
pp.  192,  193.  Sculture  varie,  pp.  189-197. 
Sculture  rinvenute  alla  stazione,  pp.  197-201. 
Scoperta  di  Aitili  singolarissimi  nel  Porto 
grande,  pp.  201-203.  Piccole  scoperte  epi- 
grafiche, pp.  203-205.  Piccole  catacombe 
di  sètte  nella  regione  di  S.  Lucia-Cappuc- 
cini, pp.  205-208. 

Spino  d'Adda  —   Tombe  gallo-romane,  p.  292. 

Stentinello  (Siracusa)  —  Villaggio  preisto- 
rico, p.  209. 


T 


Tai.amonb  —  Lama. di  bronzo,  p.  301. 
Terranova  Sioula   —    Tesoretto  monetale  con 

gioielli,  p.  234. 
Torino  —  Lapide  cristiana  ed  antichità  romane 

rinvenute   durante    l'anno  1914,   pp.  61-64. 

Tracce  di  necropoli  barbarica  presso  la  strada 

nazionale  Torino-Moncalieri,  p.  259. 
Treguanda  —  Scoperta  di  un  sepolcro  etrusco 

nella  tenuta  «  Belsedere  »,  pp.  263-266. 


S 


Saletto  di  Montagnana  (EsteI  —  Di  una  in- 
signe iscrizione  latina  riferibile  agli  argini 
dell'Adige,  pp.  137-141. 

Saluzzo  —  Tombe  romane  scoperte  nel  territorio 
del  Comune,  p.  260. 

Santu  Lussurgiu  —  Necropoli  a  domut  de 
gianas  di  Fontana  Orruos,  pp.  116,  117. 

Sarsina  —  Scoperte  di  un  pavimento  a  mosaico 
di  epoca  romana,  pp.   157,  158. 

S.  Colombano  al  Lambro  —  Rinvenimento  di 
un'anfora-tomba,  p.  292. 

Sesto  Cremonese  —  Suppellettile  gallica, 
pp.  303,  304. 


Velate  —  Tombe  romane  scavate  in  località 
«  La  Rasa  »,  pp.  294-296. 

Vellktri  —  Saggio  di  scavo  attorno  e  sotto  la 
chiesa  di  S.  Maria  della  Neve  o  delle 
SS.  Stimmate,  e  scoperta  di  un  tempio 
toIsco,  pp.  68-88. 

Villanova  Truschkddu  (Cagliari)  —  Il  nura- 
ghe di  Santa  Barbara  donato  allo  Stato, 
pp.  305  318. 

Villaurbana  (Oristano)  —  Ripostiglio  di  mo- 
nete in  bronzo  imperiali  romane,  scoperto 
in  regione  Bidello,  pp.  97-99. 

Vimogno  —  Tombe  galliche,  p.  293. 


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