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ATTI
DELLA
R ACCADEMIA DEI LINCEI
ANNO CJUCXIl
1915
SERIE Q,TTHL\rTA.
NOTIZIE DEGLI SCAVI DI ANTICHITÀ
VOLUME XII.
ROMA
TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI
PROPRIETÀ UBL DOTT. PIO BKPANI
1915
jt milton s. 5
^Library *
PC 500^
rA.*s
NOTIZIE DEGLI SCAVI
Anno 1915 — Fascicolo 1.
Regione Vili (TRANSPADANA).
I. RI MI NI — Avanzi di grandioso edificio romano, probabilmente
di un tempio a S. Lorenzo in Monte.
Per iniziativa del direttore generale delle Antichità e Belle Arti, coram. Cor-
rado 1 Licci, furono acquistati per lo Stato e depositati nel Museo civico di Bimini,
otto capitelli romani d'ordine corinzio in pietra arenaria, alti ciascuno cm. 75 e del
diametro, alla base, di cm. 65.
La decorazione è costituita di una fasciatura di foglie d'acanto alternatamente
più o meno lunghe, complicata, su ciascuna delle quattro facce, d'una coppia di cau-
licoli affrontati e sormontata, nel mezzo dell'abaco, da un fiore a stella: sotto l'abaco,
ad ogni angolo del capitello, doppie volute di pronunciato schema conico.
Di tali capitelli si è potuto sapere, per notizie raccolte dal compianto Direttore
del Museo di Rimini prof. Carlo Tonini, che alla famiglia Battaglini — dalla
quale gli acquistò il Governo — erano pervenuti per eredità del Soardi e che prima
di essere trasportati in città, circa un trent'anni fa, essi si trovavano in un podere
che il Soardi aveva nella Villa di S. Lorenzo a Monte presso Binimi.
E poiché il prof. Luigi Tonini, padre del prof. Carlo ora mentovato, nella sua
Storia di Rimini (voi. II, pp. 256-7), parlando della chiesa di s. Lorenzo a monte
aveva dichiarato, in seguito ad osservazioni fatte sopra luogo, che su quel poggio
doveva sorgere in età romana un nobile edilizio e non di piccola mole ed anzi
veramente un tempio, si presentava spontanea l' ipotesi di dover attribuire a quel-
l'edilizio romano i capitelli del Soardi.
B, infatti, così il prof. Carlo Tonini come l' ing. Germano, direttore dell'Ufficio
regionale di conservazione dei monumenti dell'Emilia, non esitarono ad attribuire
i capitelli del Soardi all' edificio romano che già doveva sorgere sul colle di
s, Lorenzo,
RIMINI — 4 — REGIONE Vili.
Avendo poi la Direzione generale delle Antichità disposto perchè la Soprainten-
denza dei Musei e scavi archeologici in Bologna inviasse siili 'argomento una Rela-
zione per le Notizie degli scavi, io, incaricato dal Sopraintendente prof. Ghirardini,
mi recai sul sito ad esaminare la condizione delle cose.
La chiesa di s. Lorenzo trovasi costruita sopra un bel poggio che domina lar-
gamente all' intorno, specialmente verso nord ed ovest.
Sparse intorno alla chiesa trovansi numerose vestigia dell'età pagana. Infatti
potei contare quattro tamburi di colonne scanalate (diam. cm. 78) intorno alla chiesa,
ed altri quattro ne vidi nel cortile dell'annessa canonica. Oltracciò, in questo cortile
osservai un pezzo assai guasto di cornicione di marmo (lungo cm. 60, profondo cm. 68
ed alto cm. 35) con doccia longitudinale nella parete superiore ed esibente sulla
faccia anteriore una delle solite maschere leonine ad uso di gronda.
Una maggiore importanza ha poi la sostruzione in calcestruzzo da me scoperta
in una discesa sotterranea che conduce alla cantina; infatti nel punto ove questo
corridoio sotterraneo maggiormente si avvicina all'area della chiesa, mi si presentò
un solido calcestruzzo romano di buona composizione che posava sul terreno vergine
a m. 1,10 sotto il piano del cortile della canonica e dal cui corpo si affacciava alla
vista parte di un tamburo di colonna scanalata (alto cm. 89), simile a quelli indi-
cati sopra.
Questo calcestruzzo è la vera documentazione dell'antica esistenza di un edilìzio
romano sopra quel colle. E a ravvalorarne l'importanza contribuiscono i tamburi di
colonna e il frammento di cornicione da me sopra indicati, nonché la grande quan-
tità di mattoni romani usati nella costruzione della chiesa, i quali con ogni ve-
rosimiglianza dovevano provenire dalle rovine dell'edilìzio romano già sorto sul
posto.
Un sommario esame faceva riconoscere facilmente che per la massima parte
i muri della chiesa erano di materiale laterizio romano, però di costruzione
piuttosto recente; ma notavansi altresì alcuni muri che rivelano una più antica
costruzione.
E questi sono : un muro con impostazione di volta presso l' ingresso del cortile
della canonica; un muro di parallelepipedi d'arenaria sulla facciata della chiesa e
un tratto della parete di ponente della chiesa stessa.
Reputando, peraltro, che per giudicare di alcuni elementi tecnici relativi alle
costruzioni che si avvicendarono su quel colle convenisse il concorso di un tecnico
dell'Ufficio dei monumenti, credetti opportuno rivolgermi all'ing. Germano, direttore
dell'Ufficio regionale di conservazione dei monumenti dell'Emilia, per fare con lui un
sopraluogo a S. Lorenzo in Monte.
*
Già prima, separatamente, l'ing. Germano ed io, avendo visto così i capitelli
in Rimini come i tamburi di colonne e il frammento di cornicione a s. Lorenzo,
avevamo concluso che quelli e questi dovessero appartenere ad un medesimo monu-
mento; riguardo poi all'età di detto monumento, io, considerando lo sviluppo e la
REGIONE Vili. — O — RIM1NI
trattazione della decorazione dei capitelli, giudicai che esso dovesse riferirsi al II se-
colo dopo Cristo (l).
Questo ha ora da mettersi in relazione col calcestruzzo di fondazione da me
mentovato sopra, dal cui corpo, come dissi, si affacciava alla vista parte di un tam-
buro di colonna scanalata simile a quelli sparsi intorno alla chiesa.
10 argomentavo che quel tamburo fosse testimone della rovina dell'edilìzio romano,
e che quindi per il tempo di detta rovina potesse darci un terminus ante quem
l'esame della natura del calcestruzzo ; l' ing. Germano invece, avendo osservato che il
detto calcestruzzo a ciottoli grossi e interi in abbondante e buon letto di calce,
ha i caratteri di una fondazione di muro della buona età romana, espresse la con-
vinzione che il tamburo di colonna immessovi non sia proveniente dalla rovina di un
edilìzio romano, ma bensì sia stato usato qual materiale di costruzione nelle fonda-
zioni dell'edilìzio come pezzo mal riuscito e di scarto, e che quindi il tamburo, le
colonne, i capitelli siano non anteriori ma contemporanei a quelle fondazioni.
Quanto poi alla natura del fabbricato, la grandiosità delle proporzioni di tale
edilìzio — le cui colonne, a giudicare dall'ampiezza della ciiconferenza (m. 2,07) alla
base dei capitelli del Museo di Rimini, dovevano avere un'altezza, compreso il
capitello, di sei metri, se non anche una maggiore — e la posizione dominante
del colle ci persuasero a consentire nell'opinione già espressa dal prof. L. Tonini
nella sua Storia di Rimini (loc. cit.) che il fabbricato in questione fosse un tempio.
Ricorderò infine, riattaccandomi a quanto dissi sopra relativamente a muri di
antica costruzione, che il prof. L. Tonini nel luogo già citato della sua Storia di
Rimini, parlando del tempio antico che doveva sorgere sul colle di S. Lorenzo, riferì
di aver veduto « più muri della chiesa che si palesano di costruzione antica « .
In relazione a tale espressione del Tonini io pregai il competentissimo ing. Ger-
mano di prender meco in esame quei muri che si palesavano di più antica costru-
zione. I risultati che seguono sono da riferirsi per la maggior parte al giudizio del-
l'ing. Germano, che qui pubblicamente ringrazio per la sua valida cooperazione
nell'esame tecnico delle costruzioni in parola.
I resti di antichi muri che prendemmo in osservazione sono tre: un tratto di muro
addossato alla chiesa, vicino all' ingresso del cortile della canonica, la parte
inferiore di un tratto del muro di ponente della chiesa e la parte inferiore della
facciata.
11 primo è un ridosso sul quale resta impostato un tratto di volta, ed è note-
vole perchè, mentre nella parte bassa è costituito di mattoni frammentari romani
della buona epoca, nella volta mostra mattoni che hanno lo spessore (cm. 4-5j dei
tempi della decadenza. In relazione a ciò notasi che il materiale laterizio, così nel
tratto verticale come nella volta, è legato insieme da quell'impasto di calce con
sabbia e lapillo, di uno spessore dai 2 ai 4 cm. che ben si confà per il tempo (dal
VI secolo fino verso il 1200) con la qualità dei mattoni usati nella volta.
(') Molto simile a quelli di Rimini è un capitello del Museo di Udine, proveniente da Aqui-
leia, che dal Durm viene similmente attribuito al II sec. d. Or. (vedilo riprodotto in Durm, ffand-
buch der Architektur, nel II voi., 2a ediz., della II parte a pag. 429).
CHIOSI — 6 — REGIONE Vili.
Il muro di ponente è costrutto quasi interamente di materiale laterizio e nella
sua parte più vicina all'attuale facciata, sopra una lunghezza di circa m. 10, mostra
traccia di tre aperture o porte, le quali rivelerebbero che, anteriormente alla chiesa
attuale, la quale ha la facciata verso mezzogiorno in quella stessa area esisteva
una chiosa che, secondo il rito primitivo, doveva avere la facciata verso ponente.
Il muro dell'attuale facciata nella sua parte inferiore è costituito con grossi
parallelepipedi di arenaria, i quali per le loro dimensioni (alcuni fino a m. 0,20 X 1,50)
dinotano di non essere stati fatti apposta per la chiesa, ma di provenire dalla demo-
lizione di un ricco edilizio.
In qualche punto la detta costruzione mostra un massimo di cinque corsi di blocchi.
Resta infine da ricordare che sopra il lato di ponente della chiesa, per un tratto
di circa m. 12, il muro alla sua base presenta varii blocchi di areneria sporgenti
fino a cm. 40 dal vivo del muro; i quali, molto probabilmente, sono i resti di un
muro preesistente.
Ora, per conoscere meglio le condizioni dell'area ed eventualmente determinare
la pianta dell'edilizio romano che sorgeva sul colle di S. Lorenzo a Monte, occorre-
rebbe fare saggi di scavo lungo i muri della chiesa; ma per l'esame istituito così
sugli avanzi sparsi come sui resti in situ, principalissimo fra i quali il calcestruzzo
di fondazione del sotterraneo, resta ormai fuor di dubbio che su quel colle all'età
romana nel II secolo dopo Cristo doveva sorgere un edificio, al quale, come dissi,
per la sua grandiosità e per la posizione dominante del colle, nessuna più conve-
niente destinazione si potrebbe riconoscere che quella di un tempio.
A. Negriom.
Regione VII (ET RUM A).
II. CHIUSI — Nuooe tombe dell'agro chiusino.
a) Tombe dipinte accanto a quella della Scimia
sull'alto di Poggio Renzo.
Nel giugno del 1910 fu ordinata dal Sopraintendente prof. Milani una ispezione
generale a tutte le tombe etnische a camera, dipinte nell'agro chiusino, allo scopo
di constatare quante ancora ne rimanessero in buono stato fra quelle menzionate dal
Dennis ('), e degne di essere riprodotte in fac-simile per la costituenda Galleria della
(') CU. and Cernei, of Etruria, II, pp. 320 sgg.
Oltre alle tombo dipinte in gran parte interrate, tranne quelle ben note della Scimia e del
Colle Casnccini. che il Dennis ricorda, bisogaa tenere presente che anche altri ipogei dell'agro
chiusino ebbero del pari decorazioni pittoriche, come si potè constatare durante l'ultima ispezione
del 1910. Credo perciò opportune di elencarli qui sotto:
a) il grande e complicato ipogeo di Poggio Gaiella di proprietà della signora Bianca Ca-
snccini ;
REGIONE VII.
— 7 —
CHIUSI
pittura etnisca nel Museo archeologico di Firenze. A tale lavoro preparatorio seguì nel
gennaio 19.11 una nuova missione con un programma più concreto, quello cioè di
compiere intanto le riproduzioni della celebre tomba della Scimia, scoperta nel 1846
da Alessandro Francois ('), e di qualche altra meno nota.
Sullo stesso Poggio Renzo, accanto alla tomba della Scimia, ne fu aperta un'altra
di più vaste proporzioni, che occupa il cocuzzolo del detto poggio formato in parte
artificialmente, e coronato forse in origine da
un tempietto o edicola sacra, come farebbero
supporre le tracce di muramenti a grandi
bozze ivi riscontrate. Questa tomba, ricordata
già dal Dennis (*) ed aperta a più riprese
anche recentemente, come assicurano i più noti
scavini di Chiusi, apparve interamente deva-
stata, e scavata in un banco tufaceo sottostante
ad un'estesa necropoli arcaica della prima età
del ferro, con pozzetti allineati contenenti cin-
erari villanoviani e con tombe a ziro (3). Poiché
il compito affidatoci doveva limitarsi allo studio
e alla riproduzione delle pitture parietali, non
furono molto estese le ricerche nella terra che
ingombrava la tomba, la quale per essere tutta
vuotata avrebbe richiesto un lavoro lunghis-
simo e costo sissimo, con la quasi sicurezza
di non rinvenirvi in fondo oggetti tali da giu-
stificare l' impresa.
La tomba (fig. 1) è preceduta da un lungo dromos con tre nicchiotti sepolcrali
lungo il suo corso, anch'essi naturalmente frugati, e consta di quattro vani: un
grande vestibolo centrale A di forma rettangolare (m. 4,35 X 3,20). e tre camere
Fig. 1.
b) il deposito di S. Margherita, in vicinanza della stazione di Chiusi, di proprietà dell'av-
vocato Claudio Paolozzi. Esso conserva ancora tracce di pittura in rosso e nero in due bellissimi
soffitti inspirati alla tecnica lignea, delle quattro celle che lo compongono ;
e) probabilmente anche la tomba esistente poco lontano dalla casa colonica del podere Tas-
sinaia, formata da una vasta cella sepolcrale scavata nel tufo, con colonna riportata nel centro di
calcare conchiglifero.
(') Cfr. articolo illustrativo di E. Braun in Ann. Inst., 1850, pp. 251-280; Mon. Inst., V,
tavv. XIV-XVI. Le riproduzioni a colori delle pitture di questa tomba furono eseguite con grande
abilità dal disegnatore Guido Gatti, e si possono già ammirare nel Museo di Firenze.
(•) Git. and Cemet. of Etruria, II, pp. 385-6.
(*) Questa necropoli fu quasi interamente esplorata dal can. Brogi negli anni dal 1873 al 1875
(cfr. Bull. Intt., 1875, pag. 216); ma due altri interessantissimi ziri intatti, ancora inediti nel
Museo di Firenze, furono scoperti durante la nostra spedizione, alla quale era aggregato anche il
dott. R. Schiff per le ricerche in detta necropoli.
CHIOSI
— 8 —
REGIONE VII.
laterali B-C-D anch'esse rettangolari (m. 3,10X2; 4,45X3,50; 3X2,30) e un
vano a sinistra sulla parete di fondo dell'ultima camera D, risultante di uno stretto
passaggio irregolare scavato nel tufo (largo circa m. 0,70) e di una specie di pozzo
cilindrico (diam. circa m. 1,60) vuotato ora per circa 6 o 7 metri, come mostra
l'unita piantina.
Non si conosce la vera destinazione originaria di tale pozzo, né fu possibile
esplorarlo completamente per non esporre gli operai di venire schiacciati dalle frane
che con facilità si distaccano dalla volta friabile; ma poiché esso attraversa anche
buona barte del tumulo costituito dal cocuzzolo di Poggio Renzo, verso il centro,
ritengo che fu fatto per calcolare antecedente-
mente lo spessore del tufo in cui doveva essere
scavata la tomba. Lo stretto ed irregolare cunicolo
che lo mette in comunicazione con la camera
posteriore D, e quindi per mezzo del vestibolo A
con l'ingresso della tomba, forse fu scavato e
certamente allargato dagli avidi ricercatori di
ricchezze.
Per la posizione della tomba e dei due ziri
ricordati in nota, nell'area circolare del tumulo,
vedasi la fìg. 2.
*
Furono eseguiti saggi nei grandi ammassi di
: terriccio e rottami che ingombrano le camere,
•-' '-' - •* raggiungendo in due di esse (C-B) il pavimento
originario, e raccogliendo numerosi frammenti di
vasi di diverse epoche, da quelli a f. n. e a f. r.
con graffiti del V-IV sec. av. Cr., ai buccheri tardi e alle ceramiche campane e romane,
per lo più vasetti e balsamarì tipici degli ultimi tempi repubblicani, nonché un fram-
mentino di manico di specchio in osso tornito e alcuni pezzi di alabastro, di calcare fetido
e di pietra serena spettanti ad urne. Furono inoltre riscontrati in esse grossi fram-
menti e qualche coperchio di grandi arche di arenaria gialla e di pietra serena,
lavorate però sommariamente, e forse in origine allineate lungo le pareti. Da tali
elementi potuti raccogliere si rileva che questa servì per un lungo periodo di tempo
ad accogliere i resti dei defunti, sia inumati come fanno fede alcuni frammenti di
ossa umane raccolti anche fra la terra e le grandi casse di pietra, sia cremati come
chiaramente ci mostrano gli avanzi delle urne. Ma se essa rimane aporta per lungo
tempo, forse fino al 1I-I sec. av. Cr., non può dimostrarsi che la sua origine sia più
recente di quella della Scimia, sia in base ai frammenti ceramici più antichi raccol-
tivi, ma soprattutto per l'esame obiettivo delle decorazioni pittoriche superstiti.
I colori impiegati direttamente sulla parete tufacea furono quattro: il rosso, il
nero, il giallo e il bleu ; e le decorazioni pittoriche figurate occupavano la zona più
alta delle pareti, larga m. 0,60, come in quella della Scimia.
Esse non erauo copiose quando, dopo un lungo lavoro, si potè penetrare nella
RES10NK VII.
— 9 —
CHIUSI
tomba, per lo stato davvero miserevole in cui questa fu ridotta, coi soffitti caduti,
tranne che nella camera a d. della sala centrale, con gli stipiti delle porte corrosi,
smussati e deformati, con le pareti sfaldate in diversi punti ; tuttavia da ciò che il
disegnatore potè rilevare, specialmente nella detta sala centrale e nella camera a d. B,
si può dedurre con abbastanza sicurezza che le sue pitture murali, come quelle della
Scimia, furono prodotte in uno stesso ambiente e periodo artistico, precisamente nel
secondo stadio della pittura etnisca, detto dello stile severo (sec. V av. Cr.)f).
Gli avanzi più notevoli che si poterono riprodurre, e che qui pubblico per la
prima volta, sono i seguenti:
a) Frontone nella sala centrale A sulla porta di comunicazione con la minore
sala B, fig. 3, indicato in pianta col n. 1.
Fio. 3.
L'architrave sporgente ai due lati della porta era segnato tutt' intorno da una
larga riga rossa fra due sottili nerastre. Il centro del frontone sovrastante ad esso
risulta di una larga zona rossa orlata di nero e sovrapposta ad una più sotlile scura,
di una seconda zona rossa pure orlata di nero, parallela alla prima, e di due linee
a voluto laterali scure, che uniscono le rosse e servono a distaccare e portare in
avanti dal piano aetomorfo del frontone tale ornato, che in relazione ad esso acquista
l'apparenza di una base architettonica da cui nasce un largo pilastro che dà luogo
alla decorazione del soffitto, ora quasi del tutto perduta.
Il piano triangolare del frontone, arretrato così al secondo piano, è costituito
da una linea scura alla base e da due linee rosse per lati ; gli spazi angolari sono
occupati da due fulve pantere o leonesse in corsa l'ima contro l'altra.
Le pareti laterali della porta erano certo dipinte con scene figurate; ma di esse
non rimangono che due teste giovanili sul lato destro. Sotto la fiera di sin. è super-
stite solo una lancia di color bleu (di ferro?) con la punta rivolta in alto (cfr. fig. 3).
b) Parete di fondo a destra nella sala centrale A segnata 2 sulla pianta
(fig- 4).
Vi si svolgeva una scena di banchetto in correlazione con le due figure di cui
sono rimaste tracce sulla parete destra (cfr. fig. 3).
(') Cfr. Martha. L'Art Étrusque, pag. 485.
Notizik Scavi 1915 — Voi. XIL
CHIUSI
— 10 —
REGIONE VII.
Bimane parte di una kline con sopra un giovine recumbente e rivolto a sin.,
con mantello orlato di due balze, nera e bleu, che gli copre l'addome e parte del
petto, con lituo giallo (eneo) nella sin., e con la destra rivolta verso un suo com-
pagno sdraiato sulla stessa kline e rivolto verso di lui, del quale per altro non
rimane che la parte alta della testa e del lituo.
Una terza figura giovanile nuda è in piedi a destra della kline, in atteggia-
mento di coprirsi con un mantello scuro orlato di bleu.
Fig. 4.
Dinanzi a lui si vede una piccola trapesa dai piedi torniti (cfr. fig. 4). Tali
elementi però sono troppo scarsi per tentare una ricostruzione ideale di tutta la
rappresentazione che vi si svolgeva.
Le figure sono tutte di profilo ; quella in piedi ha il busto di prospetto, le gambe
di tre quarti a destra e il viso di profilo a sinistra; torsione questa tipica dell'arte
ancora arcaica. Oltre a ciò i capelli di tutte sono espressi a massa omogenea ondu-
lata solamente nel contorno, e gli occhi sono di prospetto.
Notevole tuttavia in questa grande tomba di Poggio Renzo specialmente la cor-
rettezza del disegno nell'esecuzione delle figure, ed anche nel motivo arcaico delle
due fiere affrontate.
e) Sezione del grazioso ed originale ornato sulla parete sinistra della sala B,
nel punto indicato sulla piantina col 3 (fig. 5).
Il tratteggio chiaro della figura indica il rosso, e il reticolato scuro il color nero.
REGIONE VII.
— 11 —
CHIUSI
d) Soffitto della sala minore B del tipo dell' atrium tuscanicum ; costituito
da tre riquadri successivi degradanti con cornici bicrome, rosse e nere, sul fondo
gialliccio del tufo, indicato nel disegno con le zone a puntini (fig. 6).
Tale soffitto, come si vede dallo spaccato sulla linea A-B della fig. 6, rivela
nella struttura dei successivi riquadri sempre più piccoli intersecati da lunghe tra-
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Fig. 5.
verse orizzontali e parallele, fino all'ultimo nel centro che tiene luogo dell'apertura
del compluvium, una tecnica largamente esercitata e progredita su materiali lignei,
di cui il medesimo trattamento, forse con gli stessi istrumenti. fu fatto anche sulla
roccia tenera di origine alluvionale.
Dopo aver provveduto a richiudere ermeticamente questa tomba di Poggio Renzo,
affinchè le ulteriori possibili incursioni non finissero di cancellare del tutto ogni
traccia del suo primitivo splendore, dovendo rivolgere l'attenzione ad altra località,
fu prescelta la tomba di Tassinaia al confine fra le proprietà già Ragnini, ora Man-
nucci, e Casuccini, la quale per essere stata aperta ed esplorata fin dal 1866 (') e
O Bull. Jnst, 1866, pp. 193-9.
CHIOSI
— 12 —
REGIONE VII.
poscia richiusa, essendo sorta una controversia per l'accesso fra i due proprietari, si
sapeva che le sue pareti oltre ad essere insignite di iscrizioni etnische ('), erano
anche adorne di pitture, descritte però in modo troppo sommario e suggestivo per
una nuova e più completa ricognizione (2).
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Fin. 6.
Per giungere fino alla camera sepolcrale il lavoro fu lungo e difficile, perchè il
dromos, molto scosceso, era totalmente ostruito di terra.
Superata tuttavia questa difficoltà resa più aspra dalla neve e dall'inclemenza
del verno, si potè giungere carponi per il ristretto dromos (3), fino all'unica cella
(') G. 1. E., nn. 1299-1304.
(*) Sia la relazione del comproprietario del terreno, can. D. Ragnini, comunicata al Oonesta-
bile {Bull. Inst-, loc. cit), e sia l'altra contemporanea che il can. Brogi rimise con la copia delle
iscrizioni scoperte al Fabretti (C. I. L, I, n. 796 ter, a-f) non spendono molte parole intorno ai
particolari della decorazione pittorica, e quel che dicono non è sufficientemente esatto.
(•) M. 0,60 largo.
REGIONB VII.
— 13 —
CHIUSI
funeraria assai piccola ('), ma libera totalmente dalla terra. Essa apparve scavata,
al pari di tutte le altre tombe simili di quella regione, nel tufo giallastro ed assai
friabile, con la volta a botte e una stretta e bassa banchina lungo tre pareti ('),
eccettuata quella dell'ingresso (tìg. 7). La porta arcuata era in origine chiusa da
tre embrici, due dei quali inscritti (3), e il dromos, ora interrotto in parte da un
viottolo campestre, fu rivolto a occidente.
Le decorazioni pittoriche delle quattro pareti interne non avevano certo subito
gran danno dal lungo periodo di chiusura della tomba : qualche sgraffio e cancella-
rlo. 7.
tura deve attribuirsi a coloro che la esplorarono e che urtarono contro le pareti a
causa della ristrettezza del vano. Anche le iscrizioni dipinte in nero sulle due pareti
laterali si erano conservate come furono vedute la prima volta dal Brogi e dal Ra-
gnini nel 1866: quella di sinistra leggibile per intero (4), mentre della contrapposta
sulla parete destra non rimangono che poche lettere (5).
La tecnica delle decorazioni pittoriche è identica a quella seguita nelle più
antiche tombe etnische della regione chiusina; l'applicazione cioè pura e semplice
del colore sulla parete tufacea, senza alcuna preparazione per rendere la pittura più
(') Circa 4 mq.
(•) Alt. m. 0,35; larg. 0,53 e 0.50.
(s) C. I. E, nn. 1299 e 1302.
(*) C. I. E., n. 1304: tinta tiuswetmal | clan S-anas \ tlesnal \ avi:l:s XIII.
(*) C. I. E, n. 1301. Questa iscrizione tende sempre più a deperire, e non rimangono ormai
che tre o quattro lettere sicuramente leggibili,
CHIOSI
— 14 —
REGIONE VII.
resistente e più durevole. I colori impiegati in tali decorazioni sono solamente due,
il nero ed il rosso.
(glFF-lKMiM^
Fio. 8.
Sulle due pareti laterali insignite di iscrizioni fìancheggianti due piccole figure
di profilo di tipo romano, maschile a sin. avvolta in un ampio mantello e con patera
ffllMIlMM
sacrificale in 'mano, e muliebre a d., corre superiormente un fregio di rozzi festoni
legati da tenie svolazzanti e sospesi idealmente a dei grossi chiodi di ferro del pari
REGIONE VII.
— 15 —
CHIOSI
dipinti (cfr. figg. 8-9). Schema di decorazione questo che tradisce subito la sua
natura vegetale posticcia. Sulla paret6 destra si vede anche un peculiarissimo corvo
che col becco cerca di sciogliere da uno dei chiodi il nastro a cui sono assicurati i
festoni. Su tutte e due le pareti, inoltre, pende in corrispondenza di ciascun festone
una lunula sovrapposta a un piccolo disco (solare?), soppesa ad altro chiodo mediante
un gancio metallico. Sul carattere cultuale di tali pendagli forse di origine lignea
non può cader dubbio.
'Fin. 10
La decorazione poi della parete dell' ingresso e di quella di fondo consiste in
uno scudo rotondo di tipo metallico orlato, con ombreggiatura lenticolare ad espri-
mere la convessità, da cui distaccano due festoni simili ai precedenti, sostenuti da
altri chiodi e legati anch'essi da nastri svolazzanti. Nello spazio sovrastante all'in-
gresso arcuato, inoltre si vede a sin. dello scudo un rudimentale schema di qnadru-
pede(boveP), e, pare, un grosso chiodo rosso (cfr. fig. 10).
I riscontri che siffatti tipi decorativi generici hanno largamente nell'arte romana,
e in ispecial modo anche in monumenti funerari come i cippi in forma di are ('), e
(') L'opera di W. Altmann. Die Róm. Grabaltàre, ne raccoglie una quantità di esempi; cfr.
specialmente, pag. 60, fig. 52: Tomba delle Ghirlande a Pompei, e p. 62 sg., fig. 54 sgg. Cfr.
anche Not. se, 1912, fase. 3°, pag. 110, fig. 7: festoni pompeiani dipinti scoperti di recente.
CHIUSI — 16 — REGIONE VII.
il distacco completo che esiste tra essi e le pitture etnische di carattere e destina-
zione funebre, pongono questa piccola tomba chiusina in un posto a sé. che può
trovare una giustificazione artistica soltanto in un ambiente del tutto romanizzato.
Farei risalire pertanto questo sepolcro al sec. II av. Cr., più verso la metà che al
principio, e lo riguarderei come l'ultima espressione deformata e come imbarbarita
delle tombe etnische dipinte. Tale giudizio è avvalorato anche dal fatto che in essa,
come si rileva dalle relazioni del Brogi e del Bagnini sopra citate, vi fu trovato
anche un sarcofago fìttile che occupava tutta la banchina di fondo, formato di quattro
pezzi, due la cassa e due il coperchio, il quale trova riscontro nei similari sarcofagi
propri del territorio dell'antica Tuscania (ora Toscauella) che si collocano appunto
fra il III ed il II sec. av. Cr. (')•
Il suo interesse principale è però iconografico più che per le rozze decorazioni
parietali, in quanto che le due figure dipinte a riscontro si riferiscono con ogni pro-
babilità a personaggi ivi seppelliti. La lunga ed intera iscrizione di sinistra che
rivela perfino l'età del defonto {avi:l:s XIII =mm 13), accresce specialmente
tale interesse nei riguardi della figura giovanile che essa fiancheggia (cfr. fig. 8).
E. Galli.
b) Altre esplorazioni sull'alto di Poggio Renzo.
Nei mesi di gennaio e febbraio del 1911 dalla B. Sopraintendenza d'Etruria si
si fecero eseguire degli scavi nella ben nota località di Poggio di Benzo presso
Chiusi.
Il prof. Milani affidò all' ispettore dott. Galli l'esplorazione del grande tumulo
che costituisce il vertice del Poggio stesso, ed a me la ricerca delle tombe primitive,
che da lungo tempo si sapeva che esistessero in quel luogo (*).
Una prima sommaria ispezione del colle faceva subito vedere quanto esso era
stato frugato e manomesso. Alla sua base una vera corona di buche e di avvalla-
menti era quanto rimaneva delle numerose tombe a camera, di varie età che vi si
trovano. Sul fianco ovest poi, a metà del colle, restano ben visibili due file paral-
lele di piccoli poggi che corrono da sud a nord, alla distanza l'uno dall'altro, di
circa tre metri. Sono i poggetti che nel 1875 vuotò il canonico Brogi, dandone
notizie nel Bollettino dell'Istituto di quell'anno.
Vari saggi tentati qua e là intorno al tumulo mi dettero risultato negativo;
ma intaccando la base del tumulo stesso si rinvennero fra la terra di riporto vari
frammenti di ossuari villanoviani, alcuni dei quali anche graffiti. Fra la terra poi
(') Cfr. per il tipo di detti sarcofagi: Milani, Il R. Museo Archeologico di Firenze, 1912, I,
p. 62 sgg., 247 seg. e II, tav. XCIX-3.
(") Bull. deWhtr 1875, pag. 218. Lettera del can. Brogi.
REGIONE VII. 17 — CHIUSI
che il dott. Galli scavava per riaprire il drornos del tumulo, tali frammenti erano
frequenti, anche nelle zone più profonde.
Questo faceva pensare che le antiche tombe che si trovavano sul Poggio Renzo
fossero state in parte manomesse e distrutte dai costruttori del tumulo, che avevano
scortecciato i fianchi del colle, per accumularne la terra sulla cima. Se questa, ipo-
tesi corrispondeva alla realtà, si sarebbe dovuta incontrare qualche tomba intatta
sotto il tumulo, la cui costruzione risale al secolo V.
Partendo perciò dalle tracce lasciate dai pozzetti vuotati dal Brogi, fu comin-
ciata una trincea in senso radiale al tumulo, seguendo il piano antico, asportando
cioè tutta la terra di riporto che costituiva il tumulo stesso. Facendo questo sterro,
si rinvennero numerosi frammenti di fittili arcaici, una spiralina di bronzo, come
spesso se ne trovano nei sepolcreti di tipo villanoviano, e vari frammenti di lastre
di pietra, appartenenti certamente a coperchi di ziri devastati durante la costruzione
del tumulo. Dopo due giorni di ricerche in questo senso, venne alla luce, nella zona
ovest del tumulo, una lastra di schisto grigio, di poco più bassa del livello antico
del terreno e sepolta sotto uno spessore di m. 1,50 di terra del tumulo. Sembrava
non fosse mai stata rimossa, e misurava cm. 75 X 50. Sollevatala, apparve la bocca
di un ziro, assai guasto pur troppo, e invaso dalla terra. Alcuni grossi frammenti
però dello ziro, cadendo in antico verso l'interno, si erano giustapposti, facendo
ponte, ed avevano preservato dalla distruzione la suppellettile, che era così costituita:
a) Un ossuario villanoviano con ciotola, alto cm. 40, adagiato sul fondo dello
ziro, colla bocca rivolta a nord, e contenente le ossa del defunto, mal combuste.
L'ossuario è in terra bruna, assai ben lustrata, a pareti sottili, e fatto a mano,
come del resto tutti i fittili di questa tomba.
b) Due ciotole di bronzo, del diametro di cm. 12, con una fila di perline
sbalzate presso l'orlo. Erano deposte presso la bocca del cinerario, ed una conteneva
numerosi frutti di nocciuole col guscio ben conservato,
e) Un vaso fittile sferoidale, del diametro di cm. 15, con bocca cilindrica e
due anse di finissima pasta bruna lustra, deposto presso il cinerario.
d) Due ciotole semisferiche, del diametro di cm. 10, in terra rossastra con
due fori presso l'orlo, e tracce di rozza pittura rossa geometrica.
e) Due ciotolette con labbro, ansate, simili nel resto alle precedenti,
/) Due belle fibule di bronzo a navicella, chiuse una nell'altra e così riunite,
con graffiti geometrici. Erano deposte fra il cinerario e la parete dello ziro.
g) Un'armilla di bronzo con graffiti, del diametro di cm. 7.
h) Sopra il cinerario una sbarretta di ferro piegata, insieme a frammenti di
legno, sembrava il resto di una situla di legno con manico di ferro.
i) Una fuseruola fittile decorata a raggi.
I) Fra le ossa combuste, due anellini di ferro e varie perline vitree.
Lo ziro stesso misurava 60 cm. di diametro e 75 di altezza; era provvisto di
due grosse anse, una delle quali però, come spesso si verifica, era stata asportata
nel momento della deposizione della tomba.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 3
CHIUSI
— 18 —
REGIONE VII
Continuando in varie direzioni le ricerche, si rinvennero alla base del cono
artificiale varie altre tombe manomesse in antico e continuarono ad apparire fra la
terra numerosi frammenti fittili e di bronzi appartenenti a queste tombe devastate.
A circa tre metri dallo ziro poc'anzi descritto, verso il centro del tumulo, in
un punto in cui la naturale gibbosità del terreno aveva reso inutile l'accumulo della
Fta. 1.
terra all'epoca della costruzione del tumulo stesso, si incontrò una zona circolare
del diametro di m. 1,70, in cui la terra appariva smossa. Seguendo in profondità
questa traccia, fu rimesso a giorno un pozzo cilindrico, ben eseguito della profondità
di 3 metri : a questo punto apparve una grossa lastra di pietra arenaria grigia, roz-
zamente squadrata (m. 0,85 X 0,77 e spessa 0,20).
Sollevata la pietra, apparve la bocca di un grosso ziro, in ottime condizioni di
conservazione, che conteneva le seguenti suppellettili:
a) Un ossuario a canopo in terra rossa, alto cm. 52, sulla sua seggiola della
stessa terra, e che stava rivolto a nord. L'ossuario presenta, appiccicate ai suoi
fianchi, le due braccia dalle mani che convergono sul ventre del canopo, nella atti-
RBGIONB VII.
— U>
CHIUSI
tudine ben nota nei canopi chiusini. Il coperchio del canopo, mentre conserva la
forma sferoidale dei coperchi aniconici, porta però un naso assai rozzo, coi fori accen-
nati delle narici, e due occhi ottenuti con due ditate nella pasta: si tratta dunque
di un canopo, riferibile al secondo gruppo dei canopi chiusini, secondo la classifica-
zione istituita dal Milani, nel suo studio sui canopi chiusini (Museo Hai. di Ant.
Class., 1885, voi. I; Monumenti etruschi iconici, ecc.).
Fio. 2.
Ma quello che rende questo monumento di speciale interesse è la sua partico-
lare decorazione a pittura.
Tanto il canopo che la seggiola sono dipinti in color bianco giallastro, e sopra
questa prima pittura fu eseguita una decorazione in rosso e bruno per il canopo e
la seggiola e in bianco per la testa. Sul canopo la pittura consiste in una decora-
zione a nastri rossi, larghi circa un centimetro, disposti come segue:
Due nastri simmetrici, partendo dal petto del canopo, passano sulle spalle, girano
dietro alle spalle, e si ricongiungono nello spazio che intercede fra le mani (fig. 1).
Su questo nastro sono sovradipinti, alla distanza di circa un centimetro fra di
loro, dei piccoli tondini bruni, che ci fanno credere che siasi voluta rappresentare
una collana od un altro simile ornamento.
CHIOSI
— 20 —
REGIONE VII.
Una simile striscia rossa, uniforme è dipinta lungo lo spigolo formato dalle
braccia sul cinerario, e due anelli rossi, forse rappresentanti due armille, si vedon
girare le braccia all'altezza del bicipite.
La parte posteriore del cinerario è decorata da cinque strisce rosse, che cor-
rono secondo 1 asse del vaso, e che sono tagliate secondo il piano equatoriale del
campo: forse indicano l'abbigliamento del defunto (fig. 2).
Fig. S.
La testa, assai più sciupata del cinerario, che non è neppure esso in troppo
buone condizioni di conservazione, presenta una riga rossa all'altezza del collo segnato
da uno strozzamento, ed una decorazione a zig-zag sul collo stesso. Sul cranio sono
chiaramente indicati i capelli, per mezzo di linee bianche che, irradiando dalla fionte
piuttosto spianata, arrivano alla regione occipitale. L'occhio è indicato da una infos-
satura, fatta con una ditata e non dipinta a quanto pare. Sulla seggiola la pittura
è più complicata (fig. 3). Sulla spalliera vediamo traforati tre rosoni e quattro
raggi, quello centrale più grande dei due laterali. Questi rosoni sono dalla pittura
rossa completati in modo da rappresentare tre ruote, sull'orlo del sedile corre una
decorazione geometrica a zig-zag, che arriva, come si vede nella figura, a toccare le
ruote. Nei due spazi poi che intercedono fra le ruote, si vede una singolare rappre-
sentazione, per la quale rimando alla fig. 3.
Credo che si tratti di due protomi di cigno, sommariamente eseguite, come
credo che le tre ruote abbiano il significato di tre rappresentazioni solari: analoga-
REGIONE VII.
— 21 —
CHIUSI
mente a quanto di solito vediamo rappresentato nei bronzi, e specialmente sui centuroni
di questa età (Déchélette, Le mythe solaire). La faccia posteriore della spalliera
porta una decorazione geometrica e sul sedile vediamo un foro centrale, intorno al
quale è dipinta una ruota a cinque raggi. Fra le ceneri del canopo rinvenni qualche
perlina vitrea, ed un frammento di rame, del peso di gr. 11,5 di forma grossolana-
mente quadrilatera. È un frmmento tolto da una formella fusa; i piani laterali di
rottura sono ben diversi dalle due facce maggiori, fuse, che appartenevano alla for-
mella.
Convien ricordare che già a Vetulonia e a Tarquinia si riuvennero, in tombe a
pozzetti, simili frammenti di rame e di bronzo, che vennero dal Milani {Due depo-
Fig. 4.
siti del bromo ecc. ; Riv. it. numism. 1908 e Notizie, 1908, pag. 202) pubblicati
e descritti per frammenti di aes rude, destinati come obolus charontis.
b) Una olletta sferica a due anse, e breve collo tetralobato del diametro di
cm. 15. È un bellissimo campione di vaso fatto a mano, con pareti sottilissime e
molto regolari in terra bruna steccata con somma cura. La decorazione consisteva in
laminette plumbee applicate sulla pasta, che ora però sono completamente alterate
in cerussa presentando l'aspetto di una polvere bianca. Una fascia bianca decora la
bocca del vaso, e sul ventre si vedono, da ogni lato, quattro figure triangolari a
dente di lupo, accuratamente eseguite (fig. 4b).
In corrispondenza delle anse si notano due piccoli meandri dipinti con preci-
sione. Questo vaso, come molti altri di questa tomba, presenta ivi bellissime tracce
della tela, con cui tutta la suppellettile era fasciata. Ho potuto ben conservare
queste tracce, come la pittura bianca purulenta a cui ho accennato, ricoprendo gli oggetti
di un leggero strato di collodio molto diluito in etere, così anche ho trattato il
canopo, la cui pittura si sfarinava e cadeva rapidamente.
CHIUSI
— 22 —
REGIONB VII.
L'olletta sferica di cui ci occupiamo è di un tipo che ha riscontro nelle necro-
poli dell' Etruria meridionale: Bisonti una e Pitigliano, p. e.
e) Una sorta di pisside, della forma delle nostre comuni zuppiere, del dia-
metro di cm. 20 (fig. 4 e). È in terra bruna steccata con ogni cura e ben cotta.
Il coperchio provvisto di un'ansa a nastro al suo culmine porta quattro bottoni emi-
sferici, disposti regolarmente verso l'orlo: in corrispondenza di ogni bottone si vedono
sul coperchio tre incavi circolari, ottenuti col dito sulla pasta molle. Quattro simili
bottoni sono in giro al vaso, e tanto l'ansa del coperchio quanto i bottoni sono dipinti
in rosso. Il vaso contiene delle ossa di lepre.
d) Vaso sferico a melone con piede con due anse e coperchio, alto cm. 22
(ng. 4 a).
Fio. 5.
È della solita terra bruna steccata, di un tipo non infrequente nelle tombe a
ziro del Chiusino. È decorato da strisce di pittura rossa, che corrono secondo gli
spicchi a melone del vaso ; il bocciolo del coperchio è rosso, e da esso partono cinque
raggi rossi, che decorano il coperchio.
e) Un altro vaso simile, ma più piccolo, alto cm. 15.
f) Tre tazze coniche con piede, della solita terra fina bruna steccata, alta
circa cm. 10, del tipo comune nelle tombe a ziro, con rozza decorazione rossa.
g) Tre tazze coniche a ciotola, con piede (diam. cm. 15-13) nella solita
terra; una ben conservata e due molto danneggiate.
fi) Due piccoli crateri in terra bruna, alti ciascuno cm. 8.
i) Due boccalini ansati, alti cm. 8.
I) Due simili più grandi, alti cm. 9 e 12, con abbondanti tracce di tessuto.
Eran disposti uno infilato nell'altro, ai piedi della seggiola, davanti al canopo.
>») Una piccola kylix tornita, in terra gialla, decorata a striscio rosse, del
diametro di cm. 9. È del ben noto tipo protogreco (fig. 4d).
n) Due tazze di bronzo baccellate del diam. di cm. 12. Una contiene delle
ROMA — 23 — ROMA
scaglie verdi trasparenti, forse di acetato di rame, conteneva probabilmente aceto
o vino.
o) Ciotola semisferica di bronzo, con rilievo rotondo nel fondo, diam. 18 cm.
p) Una lama di ferro rotta in due pezzi, lunga cm. 26. Era un pugnale col
manico di legno di cui restano le tracce, ed era stata deposta sotto la seggiola del
canopo.
q) Una simile lama lunga 20 cm., trovata insieme a frammenti vari di ferro,
forse di fibule, sul fondo dello ziro.
*
È da notarsi in questa tomba la presenza del vasetto di tipo protogreco, che
ce ne riporta la data al VII secolo, e la quantità dei vasi colorati. Quasi tutti i
vasi presentano tracce più o meno visibili di colorazione. Se già altrove su vasi di
questo tipo e specialmente su ciotolette di terra rossa si sono avvertiti dei segni di
colore rosso, è però la prima volta che si riscontra un canopo chiusino dipinto, ove
non si voglia tener conto di incerte tracce in color bruno notate talora su ossuari
antropoidi (Milani, Monumenti iconici, ecc.). La tecnica del nostro canopo, la sua
pittura a quattro colori, le particolarità di fondo giallastro, sovradipinto in rosso e
in bianco, ci richiama alla mente i fittili dell'Etruria meridionale. Sappiamo bene
che per quanto l'ossuario a canopo sia caratteristico delle necropoli chiusine, pure è
stato rinvenuto anche in altre necropoli a Cere e a Corneto, per esempio.
Anche tra i vasi di accompagnamento, si notano dei tipi, ignoti nella necropoli
chiusina e frequenti invece nel sud: così l'olla sferica b, che non ha riscontri a
Chiusi, non è rara a Visentium, dove era anche in uso. nei vasi delle tombe a ziro,
la coloritura dei fittili a due o tre colori. Queste considerazioni ci farebbero sup-
porre il materiale di questa tomba in parte, importato dall'Etruria meridionale.
R. Schipf Giorgini.
III. ROMA.
Nuove scoperte nella città e nel suburbio.
Via Salaria. Fin dal gennaio dell'anno 1912, nella proprietà del duca
Leopoldo Torlonia, presso il miglio settimo della via Salaria, nella tenuta deno-
minata Sette Bagni, durante i lavori di bonifica, nel deviare il cosiddetto fosso
delle Spallette o della Bufalotta, che scorre nella valle sotto il casale di Sette Bagni,
a circa 600 metri sulla destra della via Salaria odierna si erano riconosciute, sulle
rive del suddetto fosso, le tracce delle spalle di un antico ponticello, costruito con
parallelepipedi di tufo. Il nome di fosso delle Spallette dato in quel tratto al fosso
della Bufaìotta, deve avere appunto origine dall'esistenza di quelle spallo di ponte.
Nel letto del fosso si rinvennero allora alcuni oggetti antichi, descritti in queste
Notizie (anno 1912, pag. 22). Per diverse cause non fu potuto in quell'occasione estrarre
ROMA
— 24
ROMA
un grande blocco di marmo, che si riconobbe fin da allora scolpito, ma che non era
possibile identificare perchè tutto ricoperto dal fondo terroso del fosso.
Con il consenso del Ministero della Pubblica Istruzione, e con l'assistenza del
soprastante della Direzione degli Scavi di Roma. sig. Pietro Conti, il sig. duca
don Leopoldo Torlonia ha fatto eseguire a proprie spese uno scavo per ricuperare la
scultura tuttora sepolta e per liberare dalle terre gli avanzi dell'antico ponte.
Sosso oi^U»-
m
Coite (Re<i^.c«li.
■ m
Fio. 1.
Il posto del ponte e, conseguentemente, dello scavo è nella piantina segnato con
la lettera A (fig. 1).
Il piccolo ponte risultò costruito con massi di tufo cuneati a più filari, sia nelle
file sia nell'arco, il quale è di tutto sesto. Le pile misurano in. 4,50 di spessore, e
la loro distanza è di m. 4,30. Dell'arco non rimangono che le sole imposte, essendo
tutta la parte centrale franata e caduta nel letto del fosso, ove si rinvennero mol-
tissimi blocchi di tufo rovesciati. Su di esso doveva passare un diverticolo che, stac-
catosi dalla via Salaria sulla destra, si dirigeva forse verso la Nomentana.
Estratto con le dovute cautele il blocco di marmo scolpito, e nettatolo accura-
tamente della fanghiglia che lo ricopriva, si riconobbe essere un avanzo di un colos-
sale gruppo marmoreo, pregevolissimo nei riguardi dell'arte (ved. fig. 2).
11 gruppo è scolpito in marmo pario; le proporzioni delle figure sono grandi
una volta e mezzo il naturale. Su di un enorme plinto, di cui mancano le parti
sporgenti, posa la parte inferiore della gamba destra, ritratta indietro e sorretta da
ROMA
— 25 —
ROMA
un sostegno, di una figura virile la cui posa è propria di chi sta combattendo. Della
gamba sinistra, spòrta in avanti, non rimane che un frammento del femore, sul quale
si appoggia una figura muliebre, ferita sotto la mammella destra, che, già ripiegata
sulle ginocchia, reclina il capo morente. Di questa bellissima figura mancano sven-
turatamente la testa ed ambo le braccia. È vestita di lungo chitone ripiegato sotto
la spalla destra in modo da lasciare libero il braccio destro per più efficacemente
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Fig. 2.
pugnare. Un lungo manto di tipo barbarico le scende sul dorso sino a piedi. È armata di
corta spada tenuta sul fianco sinistro dal balteo che scende a tracolla. Forse il braccio
sinistro ne reggeva lo scudo, poiché uno dei frammenti del plinto ha l' incavo che
lo teneva.
*
Non è possibile in queste affrettate note, proprie di una semplice notizia, illu-
strare anche in modo sommario questa notevolissima scultura; occorre limitarsi a
fermare le prime impressioni.
È vero che mancano gli elementi più decisivi che caratterizzino lo stile e l'età
di una scultura ; tuttavia colpisce subito la somiglianza della composizione con l'altra
notissima, del gruppo del Gallo e della sua donna, del museo Boncompagni Ludovisi.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 4
ROMA — 26 ROMA
Nel nostro gruppo trattasi però probabilmente di un' amazzone. E si pensa a Pen-
tesilea morente, sostenuta da Achille : questa volta il guerriero è ancora combattente.
Anche lo stile permette di riconoscere nell'autore del gruppo uno scultore per-
gameo ; e verosimilmente trattasi di una copia in marmo di un originale di bronzo,
e ciò è indicato, oltreché dai sostegni, anche dalla copia e dalla minutezza delle
pieghe del chitone e del manto che coprono la donna. Che poi il gruppo sia stato
eseguito in età imperiale ed a Roma, lo escludono pienamente la qualità del marmo
e la fresca e perfetta esecuzione.
Continuate le ricerche in fondo al fosso per ritrovare il resto del gruppo, esse
sono riuscite quasi del tutto negative : infatti non si è rinvenuto che uno scheggione
della gamba sinistra dell' uomo, un frammento della coscia destra, ed un pezzo del
polpaccio sinistro.
Durante questa esplorazione vennero in luce in quantità grandissima frammenti
vari marmorei di decorazione figurata ed ornamentale, ed avanzi di trabeazioni, pro-
venienti evidentemente dalla villa romana che si estendeva sul prossimo colle ed anche
dai vicini monumenti della via Salaria. Il gruppo forse decorava la detta villa,
e crederei non inutile una sistematica esplorazione di quella località. L' impressione
è che sia stata in quel luogo raccolta una notevole quantità di materiale di marmo
allo scopo di ridurlo a calce, e che il peso del materiale trasportato abbia fatto
crollare il fatiscente ponticello.
Tra gli oggetti estratti nella nostra esplorazione, noterò : un frammento di cippo
marmoreo rettangolare, con su di un fianco una patera e fogliami (m. 1,75 X 0,60
X 0,40) ; un grande frammento di fregio architettonico in marmo bianco con girali
ricorrenti di acanto (m. 1,25 X 0,60 X 0,38), ed in grande quantità frammenti di
statue resi informi dall'azione dell'acqua, frammenti di rilievi nelle stesse condi-
zioni, frammenti di architravi, di fregi e di soglie sempre in marmo ; poche monete
per lo più irriconoscibili; bracciali di bronzo, lucernette fittili ecc. ecc.
Riferisco da ultimo un piccolo cippo di travertino (m. 0,60 X 0,33 X 0,08) con
iscrizione assai interessante per la topografia. Esso è stato trovato fuori di posto
presso una delle spallette del ponte, ma doveva erigersi ivi presso. L'iscrizione dice:
TVTEL
VIAE FVND
PETRONIAN
CARVLLIAN
P CCCXII
Ci si rivela con questo titolo l'esistenza di una via vicinale che divideva o
metteva in comunicazione fra loro i due fondi, non denominati Petroniano e l'altro
OSTIA — 27 — REGIONE I
Carulliano Tali fondi dovevano estendersi in quella località. La via in questione era
probabilmente quella che passava sul ponticello.
La tutel(a) viae fund(orum) Petroniana) (et) Carullian(i) si riferiva alla
manutenzione di questa via, e l'indicazione di 312 piedi sta probabilmente a mo-
strare l'estensione del tratto della via la cui manutenzione era a carico dei due
proprietari frontisti.
G. Mancini.
Regione I (LATIUM ET CAMPANIA).
LATIUM.
IV. OSTIA — Continuazione dello scavo di via della casa di Diana.
Il disseppellimento della porta republicana sul decumano (Not. 1914, pp. 426 sq.)
ha reso necessarii alcuni lavori di sistemazione vicino ad essa. Si è mantenuto sco-
perto il selciato del decumano che passava al di sopra della porta dopo che questa
perde la sua funzione: il basso livello di questo selciato e la sua accurata fattura,
e, del resto, le costruzioni sovrapposte alla porta indicano che questa andò in disuso
forse in età repubblicana: il selciato stesso non potrà, in ogni modo, scendere oltre
il I sec. d. Cr.
Al di sopra di esso si è riallacciato l'ultimo livello del decumano, cioè quello
costantemente seguito cominciando dall'ingresso della città ; così il decumano, tranne
la necessaria interruzione su questa porta, ha ritrovato una linea costante ininter-
rotta fino al tempio di Vulcano (m. 600 circa).
È stata anche scoperta una parte del selciato di via delle Pistrine, in cattivo
stato: sopra di esso si notano due scarichi (circa cm. 30 ciascuno) di sfabbricini,
scarichi che si accordano col rialzamento di piani e con le rozze aggiunzioni alle costru-
zioni sul lato ovest della strada. Questi rialzamenti, osservati in altre arterie della
città (decumano, via delle Corporazioni ecc.), sono indici di una vita ostiense molto
tarda, forse posteriore al suo abbandono dopo il V sec. ; nulla ancora però prova
l'esistenza della Gregoriopoli tra le rovine di Ostia antica.
Si è data anche sistemazione al lato est dell'area sacra del tempio di Vulcano,
rimettendo a posto il pavimento a lastre di marmo, tolte per l'esplorazione del sot-
tosuolo (tabernde velerei in Nolisie, 1914, pp. 427 sq.) e rialzando quattro tronchi
di colonne del porticato che la ornava.
Lo scavo si è ristretto alla esplorazione di via della casa di Diana (Noi. 1914,
pag. 426) interrata ancora per una quindicina di metri nel centro. L'altezza delle
rovine e il loro stato di conservazione rendono però, fin da ora, questa strada una delle
più caratteristiche e suggestive di Ostia. Sulla fronte d'accesso dal tempio di Vulcano,
RKGIONR I.
— 28 —
OSTIA
meglio conservata dell'altra da via delle Pistóne, le tabernae di un caseggiato nel
FlG. 1.
lato sud della strada hanno richiesto parecchi e difficoltosi lavori di restauro, per il
sostegno di alcuni ballatoi posti al di sopra delle tabernae.Qn&sti simili a quelli di
via della Fortuna, poggiano con le loro volte su mensoloni di travertino murati.
OSTIA
— 29 —
REGIONE
Costruzione poco solida hanno anche gli architravi delle tabernae, essendo essi a
a piattabanda ed avendo una lunghezza di in. 3,30, superiore cioè alla portata di resi-
stenza. I mensoloni di travertino erano già stati rinforzati in antico mediante mu-
riccioli a tufi rettangolari e mattoni alternati, rivestiti di intonaco.
Degna di menzione è, tino ad oggi, una taberna con porta occupata sulla sua
fronte da un bancone che si protende anche verso il fondo, mostrando così due facce
di eguale lunghezza (fig. 1). È rivestita di marmi policromi già adoperati, e in cia-
scuno dei suoi lati è ricavata una vaschetta cordonata con il foro di scarico per
l'acqua che si immetteva con tubo trovato nella parete interna del bancone.
Particolarità degna di nota sono tre gradini di marmo poggianti sul tramezzo
della bottega all'altezza del bancone stesso, i quali formano il terzo lato del bancone
con l'ufficio, pare, di reggere suppellettile potoria.
Questa particolarità e le due vaschette per acqua fanno ritenere questa taberna
uno spaccio di bevande.
Internamente il bancone non è rivestito di marmi ; però le pareti interne delle
due vaschette erano formate da due lastre di marmo, una delle quali, spezzata, porta
la seguente iscrizione (m. 0,46 X 0,91 X 0,025) :
CFVLVIOCFILQVIR
C- FVL
PLAVTO
P L
HORTENS1ANO
C P-
■
SOCERO ET
DOMINO
LSEPTIMI-SE
I nomi sono scalpellati, ma la loro lettura è chiara.
Abbiamo dunque nella iscrizione centrale un altro documento concernente la
persona tristamente famosa di Fulvio Plautiano console, prefetto del pretorio, ecc., e
ccl matrimonio di sua figlia Fulvia Plautilla divenuto suocero di Caracalla (Pauly-
Wissowa, Real Enc., s. v., col. 270). Menzionato in altre epigrafi come necessarius
Augg. (G /. L., VI, 227, 1074; XI, 1337; Oesterr. Jahresh., VI, Beibl. 15; Notizie,
1893, 135; Comptes rendus, 1905, 472, 474) e ad finis Augg. (G /. L., Ili, 6075;
V, 2821), presentasi qui per la prima volta con la parola socero. L'iscrizione
ricorda entrambi gli imperatori Severo e Caracalla, come risulta dalla parola domi-
no(rum)-
REGIONE I. — 30 — OSTIA
11 figliuolo C. Fulvio Plauto Hortensiano, ricordato nella inscrizione di sinistra,
è conosciuto per una inscrizione di Timgad (Comptes rendus, 1905, pag. 474) dove è
detto, come nella nostra, c(larissimus) p(uer), quando cioè suo padre aveva già gli
ornamenta consularia.
La posizione dei nomi su questa lapide fa pensare che la lastra contenesse
anche la menzione della figlia, a destra di quella del padre e in corrispondenza con
quella del fratello.
Non fa del resto meraviglia che ad un personaggio potente quanto e più del-
l' imperatore, e al quale s' innalzavano statue e si rendevano pubblici onori (Dio. 75, 14)
anche Ostia tributasse omaggi.
11 luogo in cui si è trovata questa lapide, che va datata al principio del III sec,
attesta ancora una volta l'abbandono e la spogliazione di certi monumenti ostiensi
in un'epoca però in cui Ostia presenta ancora vitalità e sviluppo.
Tra le inscrizioni, ricordo :
Frammento di lastra marmorea scorniciata, a grandi e belle lettere (mm. 395
X 610 X 33) :
...GRANIANAM
1) ...VSLIBERAM
. . . S T I E N S I V M
Potrebbe trattarsi di una donazione o di una liberazione di area a favore degli
Ostiensi fatte da questo Maturus che può identificarsi, io penso, con il C. Granim
G. /il. Quir. Maturus, ricordato in tre inscrizioni ostiensi (C. /. £.,XIV,362, 363,364);
tanto più che viene nella prima di esse rammentata la sua munificentia che gli valse
il decurionato gratuito.
Adoperato a pavimento di costruzioni piuttosto tarde, la provenienza di questo
frammento di lastra non ci dice nulla intorno a questo possesso privato ostiense.
Inscrizione sepolcrale a lettere brutte e irregolari (mm. 365 X 280 X 37) :
D M
2) FVRIAE-ITALIAE
L-MARIVS EVTYCH
ESCONFG1 BENE (sic)
MERENTI FECII ET (tic)
FEC1T ET- BB (sic)
Marmo id. id. (cm. 37 X 33 X 0,044) :
AXVNTIa
3) CHRYSID...
COIVGI
CASTISSIMAE
BENEMERENTI
FECIT
VAL- FLAVIA
NVS
OSTIA
— 31 —
REGIONE I.
Lastra di sarcofago con tre putti coglienti frutti. A destra della scena rozza-
mente lavorata a trapano, è inscritto :
D M
SERVILIOONESIMc
SERVILII
ONESIMIAN
VS ET
FORTVN ATA
PARENTI
DVLCISSIMO
D M
Lastra epistografa scorniciata con lettere brutte e irregolari (in. 0,48 X 0,25
X 0,045) :
a) ANVS
HELICO
SCLEPIADES
VS CALLIMORPHVS
IVS • MERCVRIVS
*)
IESIIVS
AVRELIVS
BAFVIV
IVLIV
PORTES1S
S FELI X
S ROMVLVS
Marmo id. id. (rara. 375X490X35):
D M
PAELIO • S VMF.
PASSI DENIAVR.
CONIVGIKARISSIA.
FECIT
CVM-QVEM-VIX-AI>.
EXCONCESS...
HERMIAT1S...
(sic)
Q. Calza.
REGGIO CALABRIA
— 32
REGIONE III.
Regione III (LUCANIA ET BRUTTI l).
BRUT TU.
V. REGGIO CALABRIA — Scoperta di base onoraria con iscri-
zione dedicata ad un correttore della Lucania e dei Bruttii, del quale
mancava ogni memoria epigrafica.
Procedendosi agli scavi pel nuovo palazzo provinciale, fra la piazza Vittorio
Emanuele, il corso Garibaldi, l'antica via Prefettura e l'antico vicolo Prefettura
in Reggio Calabria, è stata rinvenuta una base marmorea sulla quale si cominciò
ad incidere una iscrizione onoraria ad un Flavius Oplatus, com'è indicato dalle lettere
che veggonsi in fondo alla leggenda. Capovolta poi, vi fu incisa la iscrizione in
onore di un correttore della Lucania e dei Bruttii di nome Flavio Zenodoro.
rVZHNODORO VCVIle
DVMfRETVMHESPERIOS
INTERSICVUOSQEREI^ABANS
MISCEBIf-rORflSAEQVORAGVR
GIT|IBVS SEMPERHONOSNO
MENQTVVMLAVDESQMANEBAT
FkHADRIANO HIERIO
ZENODOROVC CORRI^VOET
BRVf TORDO POPVL.OSQVE
REG INORVM AD SEMPI
TERNAMMEMORIAM
EIVSPOSVERVNT es
3.VJ40**H
Reca ai lati l'urceo e la patera.
Di questo Gorrector Lucaniae et Bruttiorum non si conosceva finora nessun
monumento epigrafico. Se ne aveva soltanto il nome Zenodorus datoci da Simmaco ;
ma per un uomo che meritò l'elogio posto su questa base era troppo poco quello che
noi eravamo riusciti a saperne. La nuova leggenda ci fa conoscere che egli si chiamò:
Flavius Hadrianus Hierius Zenodorus. Dovè esercitare la sua autorità intorno al 400 e. v.
N. Potortì.
REGIONE Vili. — 33 — R1MINI
Anno 1915 — Fascicolo 12.
Regionb'VIII (CISPADANA).
I. RIMINI — Di un cippo sepolcrale figurato e inscritto, scoperto
fuori porta Montanara.
L'estate scorsa si scoprì in Rimini iu un fondo dei fratelli Davide e Luigi Fabbri,
situato fuori porta Montanara ad un chilometro dalla città, un cippo sepolcrale romano
in marmo bianco, inscritto e figurato.
Il cippo, frammentato nella parte inferiore, misura m. 1,01 di lunghezza, è largo
m 0,43 ed ha uno spessore di m. 0,095.
Come si può riconoscere dall'annessa figura (ved. fig. 1), la sua fronte è divisa in
due compartimenti: l'inferiore con l'iscrizione, il superiore con un rilievo, sormon-
tati dalla testata. L'iscrizione dice:
D • M
TFAESELLIO
ONAGRO
VETTIAPRIMltVi
CONIVGIBENEMERE
POSV1TET-SIBI- SE
«IVA
Il rilievo rappresenta una scena di congedo fra i due coniugi ricordati nell'iscrizione.
I due coniugi sono rappresentati stanti e di prospetto, con la testa rivolta l'uno
verso l'altro a scambiarsi l'ultimo sguardo e con una mano protesa reciprocamente
al sommo del petto (anzi il marito sembra aggrapparsi alla donna afferrandone la
veste all'apertura del collo) quasi a significare il reciproco attaccamento e la loro
Notizm Scavi 1915 — Voi. XII. 5
RIMINI
— 34 —
REGIONE Vili.
V
riluttanza al fato inesorabile. L'uomo, leggermente barbato e vestito di breve tunica
stretta da cintura, tiene nella mano sinistra abbassata una fiaccola accesa rovesciata
che gli deve servire per l'oscuro viaggio; la donna vestita di lunga tunica similmente
stretta da cintura, si accosta la mano destra
al seno per significare più vivo al consorte il
dolore del distacco (').
La testata del cippo, come spesso, è di-
visa in tre comparti: un timpano con busto
di donna in prospetto, fiancheggiato da due
campi triangolari, ornati ciascuno di un delfino.
Le lettere dell'iscrizione sono di bella
« forma e di franca esecuzione e rivelano un
' gusto coltivato alla bella tradizione grafica e
una mano esperta.
Ben diverso però è il caso per la parte
di scoltura del monumentino. Basta infatti
osservare la rozza architettura della composi-
zione, la sproporzione delle parti delle figure
(ved. specialmente le teste troppo grandi),
il trattamento difettoso di alcuni particolari,
come p. es. «degli occhi di prospetto nelle
teste di profilo della scena di congedo e degli
orecchi rivoltati in fuori come due manichi
d'anfora nel busto del timpano, e in generale
il disegno e l'esecuzione rozza di tutto il ri-
lievo, per riconoscere in questo il prodotto di
uno scalpellatore locale assai poco esperto nel
trattamento della figura e delle composizioni
figurate.
Ma se saltan subito agli occhi tali difetti
dolla parte formale, non si può tuttavia negare
che il gruppo dei due coniugi mostra un'impronta di sentimento ingenuamente espresso,
che rivela nell'inesperto scalpellatore una certa sensibilità artistica.
Della gens Faesellia e della gens Veltia è abbastanza frequente il ricordo nelle
iscrizioni riminesi (ved. C. I. L. XI, per la gens Faesellia : nn. 378, 380, 459 ; per
FlG. 1.
la gens Vettia: nn. 383, 395, 402, 421, 449).
(') Rispetto a questa scena è da osservare che qui manca un elemento che nelle scene di
congedo dei rilievi sepolcrali romani — non meno, del resto, che in certe rappresentanze della
dextrarum iunctio — ricorre abbastanza frequentemente: vale a dire la porta dello Hades. Ma se da
un lato è vero che questo elemento non è essenziale per una scena di congedo (ved il bassorilievo
di Perugia, in Altinann, Altargràber, fig. 162 e l'altro del Laterano, ibid., fig. 188), dall'attributo
della fiaccola rovesciata è pure reso evidente che la nostra rappresentanza non può avere un'inter-
pretazione diversa da quella indicata sopra.
ROMA — 35 — ROMA
Più che i caratteri grafici o il contenuto dell'iscrizione e i caratteri stilistici
dei rozzi bassorilievi, a datare il monumentino può giovare un particolare realistico
di queste scolture, e cioè l'acconciatura delle due teste femminili : le quali hanno
quella pettinatura coi capelli disposti a diadema intorno alla fronte, che è propria delle
donne dei tempi di Adriano.
Anche la lieve barba dell'uomo ben s'accorda con questa valutazione.
Confrontando le due teste femminili, non esito a riconoscere in esse una comunanza
di tratti che avrebbe potuto essere più evidente ove lo scultore fosse stato meno inetto.
Questa somiglianza fra le due teste m' induce a ritenere che anche il busto del
timpano raffiguri Vettia Primitiva ('); la quale, mentre nella scena di congedo fa
il monumento per il consorte defunto, ricorderebbe, con l'aggiunta del busto speciale
nel timpano, che il monumento era anche per lei, ripetendo col linguaggio dell'arte
quello che già era contenuto nell' iscrizione sottoposta.
I proprietari sigg. Fabbri consentirono a rinunziare alla quota di valore loro
spettante per legge, purché il cippo non fosse allontanato da Kimini; e il Ministero,
fece buona accoglienza a detta proposta, consentendo che il cippo venisse ad accre-
scere la notevole serie lapidaria del Museo civico di Rimini.
A. Negrioli.
II. ROMA.
A) Nuove scoperte nella città e nel suburbio.
Regione VI. In via di porta Salaria, a destra della porta ora demolita,
eseguendosi un cavo profondo circa un metro per la costruzione del muretto di cinta
all'area tenuta in affitto dal prof. Ettore Ferrari, si sono rinvenuti un'anforetta e
varii frammenti di vasetti di terracotta, e un cippo di travertino centinato in alto
(m. 0,81X0,20X0,12), non più nel suo posto originario, con la iscrizione seguente:
M-LICINIVS
TROPVS
VIXIT-ANNIS
xxxx
FECIT • CISBE
CONTVBERNAL
Regione VII. Continuandosi i lavori in piazza Colonna (ved. Notizie 1914,
pag. 419 sq.), lungo il corso Umberto I (via Flaminia), a circa 5 metri di profondità
si sono rinvenuti alcuni avanzi di un basamento di travertino che faceva parte eviden-
(l) Cfr., per un'analoga ripetizione, anche il bassorilievo di Perugia citato nella nota precedente.
ROMA — 36 — ROMA
temente della porticus Vipsania. Si è trovato pure un capitello corinzio alquanto
deperito (m. 0,65X0,75X0,44); due mattoni coi bolli C. I. /,., XV, 957 e 12l7j
e due frammenti di marmo con iscrizione :
1. (m. 0,18X0,15X0,04): 2. (m. 0,21X0,75X0,085):
VAXXXEI D
TELIXCOI C-M
RISS.R rVIVO
r M P P CON.V
Sopra un terzo frammento si leggono solo poche lettere.
*
Via Casilina. In località Marranella, facendosi un caro per la fondazione di
una casa di proprietà di un tale Francesco Ortensi, sulla sinistra della via Casilina
all'angolo con la strada militare, si è rinvenuto un frammento di altorilievo in marmo
molto corroso, con due busti funebri romani (m. 0 68X0,80X0,35). A sinistra è
la donna vestita di tunica e manto che le copre la testa, ed ha la mano sinistra
avvolta nel manto; a destra è l'uomo con lo stesso vestito. È mancante però del capo.
Le figure sono di prospetto, ed il lavoro è scadente.
A sinistra della medesima via Casilina, nella proprietà di Giuseppe Emiliani, per
mettere allo scoperto una cava di pozzolana, si sono trovati gli avanzi di un colom-
bario che faceva sèguito, in linea retta, agli altri già pubblicati in queste Notizie 1914,
pag. 375 sq. Era di pianta circolare, col diametro di m. 3 50. Il pavimento eia di
cocciopesto tino, dello spessore di m. 0,04; nel centro si elevava una colonna in mu-
ratura, del diametro di m. 0,90, rivestita di intonaco rosso e conservata per circa
due metri. Nel lato nord-est era la scala di accesso che seguiva l'andamento
curvilineo delle pareti e aveva la larghezza di m. 0,60 ; i gradini avevano m. 0,30
di alzata e di pedata; l'ultimo, però, che formava ripiano col pavimento, era largo
m. 0,65 e profondo m. 0,34.
Nella parete curvilinea, dipinta in bianco nella parte superiore e rosso nella
inferiore, che formava uno zoccolo di m. 0,90, erano conservati tre ordini di loculi
per due olle ciascuno. In questo colombario, stando alle parole del proprietario della
cava, si è rinvenuta una sola targhetta di marmo (m. 0,17 X 0,08 X 0,03) con la
iscrizione C ATIL1VS.
Nella proprietà dello stesso sig. Emiliani, verso il vicolo Carbonari, si è trovata
una lastra marmorea frammentaria, scorniciata e decorata a bassorilievo. In un girario
di vite è un Eros di prospetto, con la testa di profilo a destra; nella mano destra
abbassata tiene un uccello; sull'avambraccio sinistro la mano posa sopra un oggetto
che per lo stato di conservazione non si può definire con sicurezza, ma che è forse un
nido con uccellini. Fuori del girario, in basso, a sinistra, sono gli avanzi di un vola-
tile. In alto, nel centro, è un uccello di rapina; a sinistra un serpentello. Si può
opinare che la destinazione della lastra fosse funeraria; lo stile poi, abbastanza de-
cadente, permette di attribuirla ad epoca tarda.
ROMA — 37 — ROMA
Si sono raccolti anche alcuni frammenti di un vaso di terracotta rossa verni-
ciato di rosso; e due epigrafi funerarie:
1. Lastra di marmo bianco (m. 0,33 2. Cippetto di travertino, con foro
X 0,24 X 0,03): nella parte inferiore (m. 1,00 X 0,23 x
0,15:
D • M » S
COSMI ATI
U30N-CON INFRPXXI1II
i VGI-BE NE « ME I N- AGR P X X 1 1 1 1
RENTI'QjVIX
AN » XIX 'M-VIIII
HOR - III
Prima di Tor Pignattara, a sinistra della via Casilina, facendosi un cavo per la
costruzione di un pozzo nero in proprietà Loreti, sopra una lastra di travertino erano
impiombati, con grappe di ferro, due cippi sepolcrali ambedue inscritti. Il primo è
di marmo (m. 1,18), e reca l'epigrafe qui riprodotta a). L'altro è di travertino
(m. 1,18X0,56X0,32) e reca la leggenda su lastra di marmo incassata b).
D • M
a) DM b) HERIAEAPR1CLAE
HERIAE ARRYLLAE Q_VAEV1XIT
QVAEVIXITANNIS XVII ANN -XXVI-M- I1II -D -XX
MENSIBVSXI DIEBVSXIII H E R I A ■ Qj F
• HERIA -QjF- CELERINA CAELERINA
ALVMNAEDVLCISSIMAE ALVMNAE
FECIT DVLCISSIMAE
B • M ■ FEC
I due cippi, che distavano tra loro m. 0,60, sono stati tratti fuori dal cavo.
*
Via Nomentana. Nella tenuta di Aguzzano, tra le vie Nomentana e Tibur-
tina, si è rinvenuta un'ara sepolcrale di marmo, alta m. 1,07, larga m. 0,59, profonda
m. 0,37, in mediocre stato di conservazione; essa reca la leggenda:
DlIS MANIBVS
M • ANTONI
COMMVNIS
VIXIT ANNIS XXIV
Lateralmente all'epigrafe sono due teste di Ammone dalle quali pende una ghirlanda
di quercia e di alloro. Sotto la ghirlanda sono due uccelli in battaglia. Quello che
sta a sinistra becca sulla testa l'altro che tiene in bocca una cosa che per lo
ROMA
- 38 —
ROMA
stato di conservazione della superficie non è facile definire, ma che si può supporre,
per raffronti con altri monumenti, sia un insetto o altro animaletto. Sulla faccia
posteriore è il festone fra due teste di ariete assai logore; sopra la ghirlanda è
un'aquila come nella faccia principale; e sopra di essa un grande incavo (m. 0,38
X 0,24X0 29) destinato evidentemente ad accogliere l'olla con le ceneri. Sui lati
minori si ripetono le ghirlande, sotto ciascuna delle quali sta un delfino ; sopra, da
un lato la patera, dall'altro il prefericolo.
Interessante nei particolari ed elegante nella composizione, questo monumento
appartiene ad una classe di are funebri di cui esistono numerosi esemplari ('). Secondo
gli studii dell' Altmann. si deve attribuire alla metà circa del 1° secolo dell'e. v.
P. Pornari.
B) Trovamenti epigrafici.
t
Nel decorso anno il Museo Nazionale Romano ha avuto in dono o acquistato
presso antiquari e scalpellini di Roma le iscrizioni seguenti che mi risultano inedite.
Il gruppo più numeroso pare che sia stato trovato in via Po e regioni adiacenti;
per altre mi sono state date altre provenienze ; è inutile però, che io aggiunga, che
non posso garantire la esattezza delle informazioni datemi. Segnerò l' indicazione
topografica solo per quelle iscrizioni che mi si dissero provenienti da luoghi diversi
di via Po ; per le altre resta inteso che la provenienza denunciata è la regione dei
sepolcri tra la Salaria e la Nomentana.
1. Cippetto di marmo mancante della base. Mis. m. 0;285X0.18:
EV/AO/Y
WV/f Of VlT
ÒOA/Vl\NÌ)J:0
(*) Ved. Altmann, Roem. Orabaltàre, passim e specialmente p. 88 e segg.
ROMA — 39 — ROMA
Eufrosynus posuit donum Beo ara[m] et Deum. Il piccolo cippo ha nella parte
superiore un incavo che doveva servire a ricevere la figurina del Dio. Proviene dal
santuario siriaco al Gianicolo (Notizie 1909. p. 383) e pertanto il Deus potrebbe
essere Hadad. Notevole la forma corsiva della erre.
2. Parte superiore di ara marmorea iscritta sulla fronte e sul lato sinistro, dove
è anche rappresentata una cista con un serpente. Mis. m. 0,57X0,54X0,42:
Lato sinistro: Fronte:
DEDICATVM PRO • SALVTE ET • VICTO
KALIANVAR RIA • ET • REDITV
TICLAVDIO IMP • L • SEPTIMI • SEVE
SEVERO ET RI • PERT-ET-M- AVREL
CAVFIDIO ANTONINI- AVGG-
NOCOS
L'ara si dice proveniente dal Testacelo. La sesta linea dell' iscrizione della fronte
è accuratissimamente erasa, e doveva contenere il nome di Geta Cesare ; le linee
seguenti, che si può supporre dessero il nome del dedicante, mancano. L'iscrizione fu
posta il 1 gennaio dell anno 200, quando Settimio Severo era in Oriente a combat-
tere coi Parti. L'aggiunta del nome dei figli all'augurio prò reditu et Victoria è
perfettamente opportuno, perchè l'imperatore, partendo nell'autunno del 197 per quella
grande impresa, aveva condotto seco tutta la sua famiglia ('). Non si ha notizia che
al principio dell'a. 200 qualche nuovo avvenimento giustificasse la dedicazione di
un'ara votiva; molto probabilmente si tratta di un semplice augurio di capo d'anno
senza intervento di altre peculiari ragioni.
3. Piccola stele marmorea stondata in alto. Mis. m. 0.50X0,25:
D-M-S
C • MANLIO • C ■ F
PVBL CASSIANO
VERONA- FACI VS
MILESPERFVRIVM
VICTORINVMET
CORNEL1VMREPEN
TINVM-PRP-R- (sic)
INCOHII-PR >PLACIDI
IIIIKAVGL AELIANO (sic)
ETP \STORE-COSMIL
ANNIIIDIIDECPR
KMART IMPLAVRE
LIO • VERO- AVG- III
ETM-VMIDIOQVA
DRATOCOS-VIX-ANN-
XXIDIIC SAVFE1VS
FELIX-MIL-COH-II PR
>-SEVERINICON
TVBERNALIBM
FECIT
(') Schiller, Qesch. der ròm. Kaiserzeit, I, pag 719.
ROMA — 40 — ROMA
L' iscrizione è interessante, perchè ci conserva due date consolari e i nomi di due
prefetti del pretorio. I consoli sono quelli della. 163 e dell'a. 167 d. Cr. ('). I due .
prefetti del pretorio Furius Victorinus e Coraelius Repentinus sono ambedue noti da
testi e documenti epigrafici ; la cui esattezza si è però dovuta riconquistare attraverso
errate tradizioni. Infatti la Historia Augusta che nomina insieme i due prefetti, scambia
e sbaglia i loro nomi : Antoninus Pius in locum Tatti Maximi demortui duos prae-
fectos substituit Fabium Repentinum et Cornelium Victorinum ( Vita Pii, 8). La
iscrizione più insigne relativa a Furio Vittorino ci è pervenuta in una copia ligo-
riana cosi sospetta per errori, che il Borghesi prima e gli editori del Corpus poi la
condannarono come falsa, e solo di recente la sagacia dello Huelsen ha potuto cor-
reggerla, e mostrarla non del tutto inventata (*). Nominati insieme da Antonino Pio,
ossia al più tardi nel 161, erano i due prefetti ancora in carica nel 163, come mostra
questa nostra iscrizione. Di Furio Vittorino poi si sa che egli morì tuttora prefetto
circa il 167, al principio della guerra marcomannica (3).
4. Piccola stele con fastigio segnato 5. Stele marmorea misurante m.0,48
a graffito, nel centro corona, nei due acro- X 0,29:
terii le lettere DM. Mis. m. 0,20 X DM
0.26: TLYCAOIVSTOANN
D M VERCELL1SM1L-
VERNIO • PROBO COH • IIII ■ PR •)• EREN
milcoh Imi nimilann vini
PR-7LONGINI VIX- ANN -XXVII
MILANNVII H- F- C-
6. Stele marmorea di m. 0,47 X 0,32 :
D • M
PQVINTIOOFNI
GRINOMEDIOL
MISSOACAVSIS
EXCOHVPR >PRISC1
PH
C • VIRIVS • CATVLLIN VS
ET
SEXBLESENVSLEO
CONCHORTALES
(') Hulsen, Il praefectiu praetorio Furius Victorinus in Ausonia, II, pag. 67.
(*) Per errore il quadratane) nel nome dei primi consoli ha scritto L, Aeliano invece di
Laeliano.
(') Hitt. Avq. Vita Marci 14 Altri documenti dei due personaggi sono per Cornelius Repen-
tinus una lettera di frontone Ad amie. 2,4) una fistula aquaria (C.I.L. XV, 7439) e l'iscrizione
di un soldato (0. /. L. VI, 1564). Per Furius Victorinus l'iscrizione citata; un'altra greca di Tiro in
Fenicia (Inscr. graecae ad res romanas speclantes, III, 1103) e un papiro della collezione Th. Reinach
(Hulsen, loc. cit., pag. 73).
ROMA — 41 — ROMA
È notevole la frase missus a causis = riformato, come diremmo noi, in linguaggio
tecnico militare (')• Non conosco altri esempii di missis a causis tra i pretoriani.
7. Piccola stele marmorea fastigiata; negli acroterii DM. Mis. m. 0,35 X 0,23 :
L-AVRELIOLF
IVLIA DIGNO AN
PHIPOLIMILCOH
VPR)-OCTAVI
MILANNVVIX
ANN-XXV-FEC
LAVRELIVSDI
ONYSIANVS • MIL
COHIPR)VALE
RIHERESFC
La Amphipolis patria del defunto pretoriano è secondo ogni probabilità la
Anfipoli di Macedonia, e non l'altra di Siria che appare solo come nome secondario
di Tapsaco (Plin., Nat. Hist., V, 82). Notevole è l'aggiunta dell'epiteto Iulia; par-
rebbe doversene dedurre il nome completo di Colonia Iulia Amphipolis. Anche ad
Anfipoli cioè sarebbe stata dedotta una colonia di veterani da Augusto, così come
dopo la vittoria di Filippi parecchio altre ne furono dedotte in Macedonia ('). Ma
che Anfipoli sia stata colonia romana, non solo non è detto da testi, né da epigrafi,
ma sembra anche debba escludersi dalla sua monetazione, che anche in età imperiale
reca sempre leggenda greca, e non porta mai il nome di colonia (3). Contro questi
fatti mi sembra non possa darsi valore alla nostra iscrizione, umile monumento privato
di povera gente non sempre perfettamente informata delle condizioni giuridiche di
una città lontana (*).
8. Frammento di lastra marmorea. Mis. m. 0,45X0,21:
d M
ANIOFELICI-MILCOHVII.PR
MIL- ANN li MENS • XI • VIX- ANN
SUI FECERVNT
THALAMVS • ET • CORNELIA
p ARENTES • FILIO ■ PIENTISSIMO
LIBERTIS-LIBERTABVSQ_
pos^RISQ^EORVM
(') Cfr. Cagnat in Daremberg-Saglio, Dictionnaire, s. v. missio, e Ann. ht-, 1885, p. 246,
cfr. il documento di congedo di un soldato per infermità di occhi in Oxyrrh. Papyri, I, n. 39.
(*) Troviamo Colonia Iulia Augusta Cassandra, Colonia Iulia Augusta Diensis (Dium), Colonia
Iulia Augusta Pella, Colonia Iulia Augusta Philippi.
(') Catal. of Coins of the Brit. Mus. - Macedonia, pag. 52.
(*) Cfr. altri esempii di errori nei nomi di città dati dai latercoli militari in Mio, 1910,
pag. 256.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 6
ROMA — 42 — ROMA
9. Lastra marmorea. Mis. m. 0,50 X 0,30 :
D gsM
QjCOMINIO
PVDENTIMIL
COHVIIPR>TERTl
M • VETTIVS • EXOR ATVS
HETCOMFRATRI
E-es M es • F
10. Lastra marmorea. Mis. m. 0,30X0,25:
MCARACALLIO-M
F-NEMLVPO-BO (*«'<0
NONIA-MIL- COH
IXPR>-VARIMIL
ANN-IIII-VIX- ANN
XXII-EX-TESTAM
FECT- ARRIVS
APERHERES
La tribù del defunto è stata erroneamente dal lapicida trascritta NEM(om)
invece di Lemonia.
11. Lastra marmorea con duplice iscrizione. Mis. m. 0,66X0,29:
DM DM
L • POPILLIO • MAXIMO ■ M1L C VALERIO • TVRRA
COH • Villi- PR>- MESSIA NOMILCOHVIIIIPR-
MILANNXIIIIVIXANN > ■ MESSIAMIL- AN Villi
XXXII • HERES • FACIVN VIXANN ■ XXVII • HERES
DVM • CVRAVIT FACIVNDVM • CVRAVIT
Dal nome del centurione si è fatto un aggettivo che si è accordato con il so-
stantivo centuria.
12. Piccola stele marmorea mancante in basso. Mis. m. 0,34 X 0,27 :
C • VELIO • C • F • POL- FAVEN
TINO-FAVENTIAMIL-
COH • IXPR->- MONTANI
MIL-ANN-VII-VIX-ANN
XXVICASPO-1VSTVS
^B • TRIBCOH IXPR-
TIRONI- ETMVNICIPI
T-CAVTVSPF
ROMA — 43 — ROMA
Molto singolare è il nome del beneficiario che pone l' iscrizione Caspo luslus ('),
il quale è compatriota del defunto, e contemporaneamente a lui divenne soldato.
Così almeno sembra che debba intendersi la penultima linea. Nell'ultima linea
leggerei testamenti) cawtò =secondo le disposizioni testamentarie (').
13. Stele marmorea di m. 0,50X0,21:
D M
CTITVRIO
SECVNDO AN
NIENSIS VERCeL
5 LIS MIL COH VIX (sic)
VRB >PROCLI
MIL-ANNXVII
FRATERBMF C
È un male che non si possa in alcun modo stabilire la data di questa iscri-
zione che nominando a linea 5 la coorte XIV urbana, si riferisce a uno dei periodi
in cui le coorti urbane furono aumentate a più di tre (3).
14. Piccola stele marmorea di m. 0,37 X 0,21 :
D M
M • CORNELIO
MAXIMO
MILITICOH
VIVIG
15. Lastra marmorea di m. 0,27X0,19:
D • M
l • tarcvnivs ■ he
raclianvs • m • cl- pr
misiITTdacicon
sardvsban-lxm
anxxx-hebm-f
D(is) M(anibus) L(uciu$) Tarcunius Heraclianus m{iles) cl(assis) pr(aetoriae) Mi-
s(enatium) (quadriere) Dacico n(atione) Sardus b{ixit) an(nos) LX m{ilitavit)
an(nos) XXX he{res) b{ené) m(erenti) fecit.
(') Accanto a Caspo possono andare i gentilizi latini Casperius e Casponius.
(*) Cautus sostantivo della quarta declinazione è raro, ma non inusitato ; cfr. Thesaurus linguae
latinae s. v.
(*) Marquardt-Mommsen, Manuel des antiquités romaines, XI, pag. 206.
KOM:\ — 44 — ROMA
16. Lastrina da colombario m. 0,32X0,11:
TICLAVDIVSAVGL
ELECTER-V-A-XXIIX
Proviene da Porta Maggiore.
17. Lastrina da colombario m. 0,41X0,19:
D • M
SATVRNINAE • SABINAE ■ AVG
VIXANXX-MENSII-L-VIBIVS
CERDO • FILI AE • B- M • FECIT
Che una schiava dell' imperatrice Sabina possa essere figlia di un cittadino ro-
mano L. Vibius Cerdo, si spiega agevolmente, ammettendo che questi sia stato egli
stesso schiavo, come il cognome greco lascia credere.
18. Lastrina da colombario m. 0,43X0,19:
P • VAT1NIVS • P • F • ANI • FIRMVS
PACILIA O L • LAIS • TOSILLARI A
Tosillaria è parola, a quanto so, nuova nel lessico latino, che probabilmente
indica una professione o mestiere che ha a che fare con tondeo.
19. Lastrina marmorea m. 0,25 X 0,21 :
D M
MAGNAE-IVLIAE
PROCVLAEORNA
TRICIBENEMERE
NTI • MVLIERI • INCO
NPARABILIFECIT
M • CAECILIVS • CHR
ESTVS- ANIMAEIN
NOCENTISSIMAE
QVAEVIXITANNIS
XXII
20. Lastra marmorea m. 0,37 X 0,15 :
CORINTHO ■ SOCIORV
XXXXGALLIAE
DONATACONIVGISVO
BENEMERENTI FECIT
Corinthus era un servo della società degli appaltatori della quadragesima
Galliarum.
ROMA — 45 — ROMA
21. Lastrina in alabastro fiorito di m. 0,36X0,15 con bellissimi caratteri:
VIRGJNIS • HOC • TITVLO • NOMEN • NON • DEBV1T • ESSE
QVAECVNCTASARTES PERBIBITETCECIDIT
NVNC • IANVARI A- 1 ACES ANNOSTER- QVINQVE • SEPVLTA
ERIPVIT MISERAS ■ INVIDA FLAMMA ■ PRECES
IN • TE CERTABAT ■ SPECIES • FORMATA • PVDORE
ET- STVDIVM • NITENS • AD ■ MAIOR A • BONA
SI ■ NON • FATORVM • FRAEPOSTERA • IVRA • FVISSENT
MATER • IN HÒC • TITVLO • DEBVIT • ANTE • LEGI
Epitafii in versi si incontrano molto di frequente per coloro che sono morti
giovani, quasi a significare con qualche cosa di più gentile delle fredde formule
epigrafiche il compianto maggiore che loro si deve. E lo spirito che muove tali brevi
componimenti, i concetti che si esprimono, si rassomigliano molto, quasi che come
nell'arte, così nella letteratura gli antichi non avessero, come noi, il terrore di ripe-
tersi. Naturalmente non vogliamo credere che vi siano stati componimenti identici al
nostro, ma concetti, spunti, movenze e frasi intere si ritrovano in non pochi degli
analoghi ('). I due versi ultimi poi sono letteralmente ripetuti più volte (*).
22. Umetta cineraria marmorea di forma quadrangolare recante sulla fronte due
protomi di ariete dalle cui corna discende un festone, e agli angoli inferiori due
maschere con alto oyxog. Sotto il cartello dell'iscrizione una maschera di Medusa.
Mis. m. 0,26 X 0,26 X 0,33 :
DIS MANIBVS
SOSTRATES
PHILOMVSVS
Q_i VMBRICIMELIORIS
DISP
CONTVBERNALI
CARISSIMAEBM
Quintus Umbricius Melior che si permetteva di avere nella sua famiglia anche
un dispensa/or, ossia un cassiere doveva essere una ragguardevole o per lo meno ricca
persona; sicché non è improbabile debba essere identificato con V Umbricius Melior
peritissimo nell'aruspicina, profeta a Galba della prossima sua morte, e scrittore di
cose attinenti alla disciplina etrusca (3). Il tempo in cui Umbricio visse non scon-
verebbe alla paleografia dell' iscrizione e all'ornamentazione dell'urna.
(') Buecheler, Carmina epigraphica; cfr. specialmente i numeri 995, 1034, 1050, 1213, ecc.
(•) loc. cit., nn. 1149 seg., 1212. 1479 seg.
(») Plin., Nat. Hist., I, 10; Tac, ffist., I, 27; Plut., Galba, 24; Thulin, Etrusca disciplina,
in Pauly-Wissowa, Real Encyclopàdie, VI, 1, col. 729.
ROMA.
46
ROMA
23. Piccola stele marmorea con acroterii ; nel fastigio corona lemniscata; più in
basso, in forte rilievo, il defunto adagiato su un letto, con un poculo e una corona, e
la iscrizione:
D M
C- IVLIO- FELICI
IVLIAHYALINE
PATRONOETCONIVGI
SNEMERENTIFECIT
>
24. Piccola stele marmorea m. 0,23
X0,26:
D M
BABVRIAECHRY
SIDI • FECIT
BABVRIVSATIMETVS
CONIVGIBENEMEREST
25. Lastrina di colombario m. 0,11
X0,24:
C- SEMPRONIO
MVRM
TBERVISIVS
ALEXANDER
11 cognome a lin. 2 non può essere
che o Murmilloni o un aggettivo derivato
da murmur.
26. Frammento di lastra marmorea
0,18X0,16:
27. Frammento di lastra marmorea
m. 0,27X0,30:
DIS • M . . .
TPVBLICI...
VIXIT...
...T TTVB...
...VI...
Dit JfANIBVS
. . Publicì O F L O R O
..Dtój'T'ANNIS'LXV
...PwèLICIOFLOROF
..Vt'XITANNIS-III
...ZIA IANVARIA
..«XORPIISSIMA
... VSFFECERVNT
28. Lastra di marmo m. 0,36 X 0,36 :
* D es M ♦
IVLIAE GEMELLAE
LSOCELLIVS- FELIX
CONIVGISANCTAE
ETCONDISCIPVLAE- DVLCISSIM
FECITETSIBI- CVM • QV A- VIXIT
ANNIS • XXVII ■ ET CASSIAE
AV X E S I
L'ultimo nome è aggiunto dopo, e scritto da altra mano e con altro strumento.
ROMA — 47 — ROMA
29. Lastrina marmorea di colombario m. 0,14X0,29:
POBLICIA
CALLIBVLA
MAT
30. Lastrina di colombario m. 0,22 X 0,08 :
PERGAMVS
31. Lastrina marmorea scorniciata m. 0,30X0,21:
D ■ M
SEXTILIAE
SYMPHERVSAE
FECIT
SEXTILIVS
EVTYCHES
32. Lastrina marmorea m. 0,30X0,27:
MVNATIA • CN ■ L- TERTIA
MI • ET ■ MEIBVS ■ ET • VIRO
MEOM-FVRIVSMLANNèALVS
33. Stele marmorea fastigiata m. 0,58X0:28:
D M
M-AEMIL1VS CARPVS
ETAELANIAHYGIA
AEMILIAENICE
ALVMNAE BENE
MERENTI-VIX-ANN
XVIIMENIIIDIEBX
34. Lastra marmorea m. 0,41 X 0,25 :
D M
ABDATI ■ COIVG
FEC • DRVNGIA
HELPISCVMQ^
VIXANN-XVI
ETCRESCES
COLLIB EXPA
RTEFECERBM
Abdas è nome di notissima etimologia semitica; Drnngia invece (che devesi
riaccostare al basso latino e basso greco drungus, drungarius, ÓQoyyaQiog) sembra
doversi piuttosto riportare ad origine germanica.
A -L- LARTEMISIA
ROMA — 48 — roma
35. Lastrina da colombario m. 0.31 36. Frammento di lastrina da co-
X0,15: . lombario m. 0,22 X 0,12:
IVLIAE TERTVLLAE
P CINTIVSPLIVCVNDVSFECIT
37. Lastrina marmorea m. 0,37X0,10:
DIS • MANIBVS
CHERENNIVSRVFVSFECIT • T.
SVAE PIISSIMAE ■ HERENNIAE
C-FRVFINAEVAVIII
38. Lastrina di colombario m. 0,28X0,12:
M • CL- EVCHRVS
VIXAX
39. Piccola stele ricavata da un frammento di cornice marmorea m. 0,42 X 0,20 :
D • M
CALATICO FECIT
CONIVNXBENE
MERENTI • VIXI
ANNIS- XXVIII
MENSE- 1- DIE
BVS -VII
Nella seconda linea sarà forse da leggere, senza l'interpunzione, Calatico.
40. Lastra marmorea m. 0,37X0,15:
P • CASENVS • P • ETO • L- CERDO
L • SESTIVS • L • L • CARRES
FAVSTA-SESTIA
RUSTIA' 3 • L- AMARYLLIS
iHIXIT ANNOS XX
Singolari sono il nome Casenus e il cognome Carré*. Questo viene a confermare
l'esattezza di scrittura di una iscrizione di Luceria, in cui il nome Carres si pro-
poneva di correggere in Caris(simus). [C. /. /,., IX, 857].
41. Lastra marmorea m. 0,30 X 42. Stele marmorea m. 0,50X0,29:
0,24:
DM D M S
SVCESSAQVA ATI LIA NAT IONE
EV1XITANNIS GALLIGAVIXAN
XIVALERIAAG XXXV • FECIT
ELE- FECIT -FILI A HELLADES CONIV
E • DVLCISSIMAE Gì ■ RARISSIMAE
ROMA
— 49
ROMA
43. Tabella di colombario di m. 0,23X0,11:
THERMITARION
ALEXANDRIN
VIX ANN XXIII
Thermilarion o più correttamente, &tQ/xov^aQiov, è nome femminile che si
ritrova non di rado nell'Egitto greco e romano (l).
44. Lastra marmorea m. 0.38 X
0.20:
45. Lastra marmorea m. 0,32 X
0.21:
A N T I G O N A E es E T
ARIADNAE SORORVM
DVLCISSIMARVM
M • TERENTIO
CARPO TRPAL
IVL1A QVARTA
CONIVGI BENEMERENTI
FECIT ■ SVO
46. Lastrina marmorea da colom-
bario m. 0,33 X 0,14:
47. Lastrina marmorea da colom-
bario m. 0,35 X 0.22 :
DIS MAN
DOMITIAEIONICE
CN DOMIT1VS • THREPTVS
CONIVGI ■ K-B-M
Q_HIRRIVS ■ Q_L- EVETHANGELVS
Q_HIRR1VS • Q_L- DVRNIO
HIRRIA • Q_L • PHILEMATIO
CLHIRRIVS • Q^L-POM' CINNA
48. Lastra marmorea m. 0,47 X
0,29:
D • M
CN LEPIDIO
HERMETI
CONIVGI B- M
FLEP1DIADONAT
VIX- A XLMII
49. Lastrina da colombario fram-
mentata m. 0,14X0,10:
LSOCEL...
NOME
50.
0,19:
Lastra marmorea m. 0,46 X
D M
SATYRISCO
FILIO-DVLCISSI
MOQVIVIXIT AN
NIS- VIMENS1BVS
VII D1EBVS-XVIII
HVIIIFECERVlST
SATVRISCVS ET
EVPHROSYNE
PARENTESET
PAELIVS -ZOSI
MIANVSAMICV
(') Cfr. ad es. Kiiiyon, Papyri uf ihe, Urit. Mus., pp. 'M, 12ti, 156; Grenfell Hunt, Oxyrrhyn-
chus Papyri, III, n. 530 ecc.
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 7
ROMA
— 50 —
ROMA
51. Lastrina da colombario frammentata m. 0 20X0,13:
CAESIVSSPF
COL- FAVSTVS
. . . CAESIAMLPELORIS
quae VIXANNXXIV
52. Lastrina da colombario m. 0,20
X0,11:
N ARCISSVS
VIXAXXIVDXUX
53. Tabeletta marmorea m. 0,14
X0,12:
L-SALLVVIVS
L-LCRYSEROS
54. Frammento di lastra marmorea m. 0,26 X 0,16 :
M
DIO ■ CHRE
. .smoFIL-DVLCISSI-
iyM? vixi T-ANN-IIII
. . . Chresi I NV S
55. Piccolo timpano triangolare in marmo m. 0,88 X 0.22 :
D M S
A- AEGR1LIO- ALIB
FLORENTINOALVMNO
DVLCISSIMO • QVI • VIXANN • VI
MENIIII-D1EXXVHORXIPIENTISSIMO
FECIT AAEGRILIVS TROPHIMVS • ET- SIBI ET SVIS
56. Lastra marmorea m. 0,54 X
0,26:
D M
C-IVLIO- POLITICO
FILIO • DVLCISSIMO
C- IVLIVSALEXANDER
ET IVL1AAMPLIATA
PARENTFS-FECERQVI
VIXIT • ANNIS
XVIMIIII
57. Stele marmorea m. 0,40 X 0,27 :
DIS MANIB
Q_POMPONIOALClMO
POMPONIVS
RVFINVS ET
EVCAERVS
AMICO • OPTIMO
58. Lastrone marmoreo m. 0,59 X 0,43 :
D a M
IONICO- Q_VIX1T- ANNIS
XXXIIIMENSVDIE
BVS • VI ■ C • MOD1VS
EVPITHES FRATER
VNACVMETPAREN
TIBVSCMODIO
EVCLIDE ETMODIA
ANATOLE DVLCIS
SIMOETPIENTISSI
MO FECERVNT
ROMA
— 51 —
ROMA
59. Lastrone marmoreo eoa iscrizione in ottimi caratteri m. 0,77 X 0,60 :
. . . VS • FORTVNATUHI
. . iSCIT a LANTIO- MYSTI • ET
CAESONIAE • MEROE
PARENTIBVSSVISET
ANTIAE ■ IANVARIAE • LIB • SVAE
KARISSIMAE e LIBERTIS
LIBERTABVSPOSTERISQj*
EIVS
IN FRONTE • P- XIX • IN AGRO • P- XII S
La lastra fu poi adoperata come coperchio di una cassa o di un piccolo sarco-
fago, e reca sulla costola l'iscrizione
Q_; GELLIVS • CARPVS • VIX ■ ANN • I
60. Piccola stele stondata e mancante della parte inferiore:
Qj LVCRETIVS
Q_FVERVS
VAIII-ETDXLII
61. Lastra marmorea scorniciata m. 0,45 X 0,38. Dalle vicinanze di porta
Maggiore :
D M
TI CLAVDI
VlX-ANN.IIl.M.Vlir.DXHIl
IANVAR1FILPIISS
TI • CLAVDIVS ■ SYMPHOR
ET- CLAVD • NICE ■ PARENT
FEC • SIBI • POSTERQJVORVM
La linea 3* è aggiunta in caratteri più piccoli.
62. Lastrina marmorea scorniciata:
Il monogramma è assai probabilmente da leggersi Hilarus.
ROMA
— 52
ROMA
63. Piccola stele marmorea fastigiata; nel timpauo sono espressi una lira e due
plettri. Mis. m. 0,20 X 0,20 :
AAIMOCIN
KA€OnATPAC
<pA€l"UJN
MNHMHC
XAPIN
61. Lastra marmorea di m. 0,34 X0,29:
i'
S^
APX tnK1
évi) ctSe xsìtt (sic) JeXtfìvoi &Q%<ov
n
L' iscrizione devesi attribuire a un aq%mv avvayiayrjg, come mostra il segno del
candelabro a sette braccia.
65. Lastra di marmo cipollino con cornice sul lato destro e un vaso a due anse
graffito a destra dell' iscrizione :
EVENTIA BONI
MERITI QVIVIC
SITANNXXV
DX- QVI FECVM MA AN Vili
DXIIIKIVNIAS
A linea 4 devesi leggere qui fe(cit) cum ma(rito) etc.
ROMA — 53 — ROMA
66. Frammento di lastrone marmo- 67. Lastrone di marmo, m. 0,87 X
reo. Mis. m. 0,95X0,49: 0,32:
VINCENTIVS»
Ctf]LERINVSMARes-Fes QVIVISITAN LXXV
... DECE • Villa IDOCT a MV DIIII-1N PACE*-
68. Lastra di marmo m. 0,42 X 69. Lastra marmorea di m. 0,44 X
0,19: 0,22:
PAVLINVS NORIMAEINPACE
IN -f. PACE QVI VIXIT M- Vili
70. Lastra marmorea con lettere allungate, appena graffite m. 0,48 X 0,14 :
VOMENSES DECE
71. Lastra marmora iscritta m. 0,56X0,16:
BENEMERENTI EN PACE
PREIECTICIVS-VIX1TANNIS 0
Il nome Proiecticius è uno di quei nomi ignominiosi assunti talora per umiltà
dai primitivi cristiani II numero degli anni sembra dato con la nota numerale greca
0 = 70.
72. Lastra di marmo bigio con iscrizione a brutti caratteri debolmente incisi
m. 0,64X0,26:
. ..VSIN PACE
t E
• OSXXXVETMENXI
La epsilo/i presso il monogramma costantiniano non è forse altro che un omega
girato di novanta gradi.
73. Lastra marmorea m. 0,73X0,18:
X FLABl ALEONT! A Q_V A E V I XS I T X
ANNVSXL QV A E VIXIT CVM VERGINI
VMSVVWl ANVSXVIII- ETDECESSIT-AN
NORVMq_VADRAGINTA- 1DVS- AVGVSTAS
ANZIO — 54 — REGIONE I.
74. Frammento di lastra marmorea scritta sulle due facce. Mis. m. 0,21 X 0,21 :
PASCASA
DEPOSITA
ANNORVM sul rovescio ASHSA
ClMENSVM PSI
SIIIDIESSIINPACE
75. Mattonella esagonale di marmo, su cui è graffito
a£ -e
IX
M A RT I N A
X
Per la epsilon vicino al simbolo cristiano dell'angolo sinistro vedi l'osservazione
all' iscrizione 72
R. Pari beni.
Regione I (LAT1UM ET CAMPANIA).
LAT1UM.
III. ANZIO — Statua marmorea rinvenuta presso la Fornace vecchia.
Lungo le terrazze della villa Neroniana sporgenti sul mare, in località Fornace
vecchia non lungi dal semaforo di Anzio, un marinaio semaforista ha rinvenuto, a
poca profondità, una statua acefala di marmo greco, purtroppo molto corrosa, alta
m. 1,35, compreso il plinto che è di m. 0,11.
È una figura femminile in piedi, vestita di peplo con cintura attica; posa sulla
gamba destra, mentre la sinistra è leggermente ripiegata nel ginocchio e spinta in
dietro. Manca tutto il braccio destro, e del sinistro rimane solo una parte fin poco
sopra il gomito. Un grande scheggione di marmo deturpa la parte corrispondente
alla coscia e alla gamba sinistra ; i piedi sono rotti. All'attacco della testa e nella
parte superiore del petto la superficie è molto corrosa. Il tergo è in uno stato di
conservazione relativamente molto migliore della parte anteriore.
Le pieghe del peplo scendono parallele, piuttosto larghe e piatte nella parte
posteriore, a cannelli più stretti nell'anteriore, ove presentano un discreto gioco nella
rientranza prodotta dalla posizione della gamba sinistra. Si sente l'effetto della cin-
tura sulle pieghe del busto, le quali sul davanti assecondano con una curva le mam-
melle, e dietro sono convergenti verso la cintura.
Si può affermare che la statua rappresenta Athena senza egida. La pondera-
zione della figura è quella propria del V secolo av. Cr. ; ma le forme svelte e slan-
ciate e un leggiero restringimento nella vita, con relativa inclinazione del busto, in-
ducono a porre l'originale, di cui la nostra statua è una copia di età romana, verso
REGIONE II. — 55 - GADDIANO PRESSO LAVELLO
la fine di quel secolo e attribuirla al periodo di transizione fra l'arte del V e quella
del IV secolo. Alle stesse conclusioni conduce lo studio delle pieghe del vestito che
non sono irrazionali e risentono dei movimenti del corpo.
La lavorazione non è disprezzabile, e perciò è deplorevole lo stato in cui è
ridotta la statua, che ci conserva un tipo raramente riprodotto. Tra le opere a me
note, che presentano somiglianze con la nostra, la maggiore affinità si riscontra in
una statuetta alta m. 0,55, scoperta ad Epidauro e cons. rvata nel museo di Atene,
rappresentante Athena con la testa coperta da un elmo attico ('). Uguale è la pon-
derazione della figura, e si ritrova anche la leggiera inclinazione del busto. Il vestito
è simile; le pieghe hanno sulla coscia e la gamba destra leggiere differenze nei par-
ticolari ma die non turbano l'effetto complessivo e son dovute forse alla diversa
dimensione delle statue. E poiché anche quella di Epidauro è una copia di età
romana, credo di non andare lontano dal vero supponendo che si tratti di due copie,
più o meno libere, di uno stesso originale.
Chi guarda la statua anziate non può a meno di notare le somiglianze che essa
ha nel movimento con la Parthenos ; e tali somiglianze vide già il Petersen nella
statuetta di Epidauro. Queste, peraltro, non sono tali da permettere di parlare di
copie del celebre copolavoro di Fidia; piuttosto, a me semba che le due statue ci
conservino il ricordo di un'opera stilisticamente più giovane della Parthenos, il cui
autore stesse sotto l'influsso dell'arte fidiaca, o che si inspirasse alla statua dell'Acro-
poli, nel creare un tipo che le somigliava molto nel movimento ma se ne allonta-
nava nei particolari del vestito e nelle proporzioni.
P. Fornari.
Regione II (APULI A).
IV. GAUDIANO PRESSO LAVELLO — Cretaglie neolitiche della
media valle dell' Ofanto.
Oli avanzi ceramici, di cui ci occupiamo, furono rinvenuti dall'on. senatore Giu-
stino Fortunato, in una trincea aperta per la costruzione di quel tratto della via
che da Ponte a Poggetto conduce a Venosa, e precisamente nella località « vocabolo
Gaudiano » , sulla riva destra dell'Ofanto. Essi si trovarono riuniti in un breve spazio,
a non molta profondità dal terreno circostante, sotto uno straterello d'incrostazione
calcarea fogliettato, sul quale, in tutta la media valle dell'Ofanto, viene a poggiarsi
il sottile strato dell'humus vegetale.
Sono in tutto un centinaio di frammenti (il più grande dei quali non oltrepassa
la dimensione di 10 cm. in quadro), e si possono distinguere in due categorie: la
prima, di quelli che spettano a vasi grossolani e di grandi dimensioni; l'altra, di
quelli appartenenti a vasi piccoli, più raffinati per tecnica e per esecuzione.
(') 'Etf. àqX , 1886, e. 255 sg., tav. 12,2 (Stala); Athen. Mittheil, 1886, p. 320 sq. (Petersen);
Stais, Guide I*, n. 276, p. 93 sq. ; riprodotta anche i-i Beinacb, Rep. Stat', II, p. 291, 4.
SAUDIANO PRESSO LAVELLO — 56 — REGIONE li.
Vasi grossolani; loro forma e tecnica. — I frammenti in parola, tranne qualche
raro pezzo di orlo e di fondo, appartengono per la maggior parte al ventre dei vasi.
La convessità di questi ultimi ci riconduce quasi ad un'unica forma di un grande
vaso panciuto, cioè ad una specie di grosso pentolone o pithos a larga base, dell'ap-
prossimativa altezza dai 40 ai 50 cm., giacché soltanto qualche raro pezzo potrebbe
dare indizio di sagome coniche e cilindracee. La parete di questi grandi vasi era di
spessore assai maggiore di quanto comportasse la grandezza del vaso: e tale spes-
sore aumenta ancora verso il fondo, tanto da raggiungere talvolta lo spessore ordi-
nario di un mattone; perciò dovevano riuscire di una pesantezza straordinaria. Erano
ordinariamente apodi, con fondo tondeggiante o piatto ('), più raramente forniti di
una specie di tacco o piastrella, la quale talvolta si trova separata dal corpo,
mediante una leggera strozzatura: e questa forma embrionale di piede accenna già
a ciò che, nell'evoluzione delle forme, diventerà il bel piede classico. Anche la
mancanza, in tutto il cumulo dei frammenti, di qualunque apofisi che possa accennare
ad una forma qualsiasi di manico, conferma che quei grandi vasi erano privi delle
anse. Essi sono formati di un impasto argilloso, abbastanza depurato, senza miscela di
sostanze eterogenee, cioè di quel tritume vulcanico che si riscontra nelle ceramiche
analoghe di altre regioni. Anche la sagoma, abbastanza regolare, di tali vasi, data
la loro grandezza, dimostra che erano plasmati bensì a mano, ma con l'aiuto di
forme primitive.
Ingubbiatura ed ornamenti. — Questi vasi in parte sono a superficie grezza,
semplicemente lisciata a mano; in parte ingubbiati, ossia con copertura di un sottile
strato di argilla mista ad ocra gialla, e forse anche, come alcuni credono, a qualche
sostanza resinosa. La superficie esterna era accuratamente lisciata a spatola, per modo
che l' ingubbiatura, dopo la cottura, prendeva un nitore quasi di vernice. L' interno
era parimenti tirato a politura ; e la varietà di tinta nera, grigia, gialla, della parte
interiore, dipendeva dalla maggiore o minore penetrazione del calore. Una parte dei
grandi vasi, sia di quelli a superficie ruvida, sia di quelli coli' ingubbiatura, era
esternamente decorala con ornati graffiti od impressi di tipi differenti, eseguiti sulla
parete ancor fresca del vaso, con arnesi diversi.
Tipo A, ad incisioni rettilinee più o meno profonde, sparse senz'ordine nella
superficie del vaso (fig. 1), ottenute con uno strumento a punta.
Tipo B, ad incisioni curvilinee, egualmente sparse, senza alcuna regola, sul-
l'esterno del vaso, eseguite mediante l'unghia o la punta ricurva di una conchiglietta
(% 2).
Tipo C, ad incisioni ottenute con lo stesso mezzo, ma con l'asportazione di una
piccola porzione di argilla, in modo da lasciare un incavo più o meno spazioso. Tal-
(') Per la forma di questi vasi cfr. quelli pubblicati dallo Jatta. tav. Vili, nn. 1, 2, Bull, paletti.
it„ 1905, rinvenuti in territorio d'Andria pure sotto un sottile straterello di crosta calcarea ed
appartenenti ad un sepolcro di età eneolitica. Ma la quantità dei vasi e la molteplicità delle loro
forme ci distolgono dall'attribuire i nostri frammenti ad avanzi di un sepolcro, e ci fanno piuttosto
pensare ad un deposito o nascondiglio : questione, questa, che non si potrà risolvere se non pra-
ticando scavi in quella località.
REGIONE II.
— 57 —
GAUDIANO PRESSO LAVELLO
volta tali scalfitture sono sparse senz'ordine (fig. 3), tal'altra disposte su linee binate
o rette, o leggermente ondulate (fig. 4).
Tipo D, a larghi zig-zag probabilmente tracciati con una punta ottusa od uno
stecco (fig. 5).
Tipo E, a zig-zag ad angolo ricurvo, assai più largo, cioè con duplice rifini-
mento a punta ed a stecco (fig. 6).
Pio. 3.
Fio. 4.
Vasi fini. — Anche i vasi fini sono a superficie grezza ed ingubbiata"; però
l' ingubbiatura di questi presenta vari colori e tale grado di lucentezza, da produrre
l'effetto quasi dello smalto, il che perfino c'indurrebbe a credere che al colore fosse
stata aggiunta qualche sostanza propria del vetro. Fra i colori predomina il rossiccio,
ma vi è pure il grigio ed il nero. Anche dei vasi piccoli, tanto quelli a superficie
grezza, quanto gli altri con ingubbiatura, presentano la superficie esterna decorata
con vari sistemi di ornamentazione.
Notizw Scavi 1915 - Voi. XII.
8
GAODIANO PRESSO LAVELLO
— 58 —
REGIONE II.
Tipo A, a zig-zag rettilinei assai serrati e poco profondi, ottenuti con punta sot-
tilissima (fig. 7).
Tipo B, a zig-zag ricurvi e più profondi (flg. 8).
Tipo G, a gruppi di linee a tremulo, disposte quasi parallelamente fra loro ed
Fio. 5.
Fio. 6.
ottenute mediante sottilissimi fili metallici ritorti a spirale o, come altri crede, con
incisioni a punta di conchiglia.
Fio. 7.
Fio. 8.
Tipo D, a tratti larghi scalfiti con una figura arieggiante la forma della nostra zeta.
Per gli intelligenti della materia, basterebbe la sola riproduzione degli oggetti
con la minuta descrizione che ne abbiamo data, senza bisogno di osservazioni gene-
rali, per comprendere a qual gruppo archeologico si riferiscano i nostri frammenti.
Il materiale fìttile analogo a quello di Gaudiano non è nuovo nella stessa Apulia,
essendo già noto per gli scavi del Fulo di Molfetta e per i trovamenti sporadici
delle Murge baresi. L'analogia di questo materiale con quello proto-siculo delle sta-
zioni di Stentinello fu già posto in opportuno rilievo dal dott. Mayer (').
(') Cfr. Mayer, Le stazioni preistoriche di Molfetta. Relax, sagli scavi eseguiti nel 1901.
REGIONE 11. — 59 — GAUDIANO PRESSO LAVELLO
Rispetto alla cronologia, la speciale categoria dei nostri vasi, a mio avviso,
potrebbe assegnarsi tanto alla fine del neolitico, quanto al principio dell'eneolitico.
Siffatta attribuzione cronologica si fonda sul sistema della decorazione, cbe è assai
più semplice nelle nostre stoviglie che in quelle del Pulo, dello stesso periodo. Infatti,
le ceramiche eneolitiche del Pulo, oltre ai motivi ornamentali da noi descritti, altri
ne presentano assai più complicati: cioè le linee catenulate e combinate in serie; gli
ornati a scaletta, a meandro, o a grandi spirali; i reticolati a quadrettini, a rombi
ecc., talvolta con l'aggiunta di bordi a pizzo o a sega; e sopra tutto il caratteristico
punteggiato, coi vuoti riempiti di materia biancastra.
Quanto all'etnologia delle famiglie che in età eneolitica lavorarono la cera-
mica in esame, non esito ad accostarmi all'opinione del Mayer, che le riannoda alle
popolazioni pre-micenee delle coste dell'Egeo e delle Cicladi. La differenza fra il
tipo di ceramica proprio di queste popolazioni, e quello in uso presso i nostri indi-
geni trogloditici dello stesso periodo, indusse giustamente il Mayer a riconoscere una
diversità etnica fra gli abitanti delle capanne del Pulo, e quelli delle vicine grotte.
I caratteri tipici della ceramica esotica sono principalmente l' ingubbiatura rossiccia
e l'inizio della decorazione geometrica, affatto rudimentale; mentre quelli delle grotte
consistono specialmente nei cordoni a rilievo sul corpo del vaso, disposti o diritti o
festonati, ad impressione ottenuta col polpastrello delle dita sui cordoni stessi e sugli
orli. Solo più tardi, quando una popolazione di origine orientale, che aveva raggiunto
un maggior grado di civiltà ed un maggior sviluppo nella ceramica, venne a collo-
carsi vicino a loro, i nostri trogloditi appresero da questa l'uso dell' ingubbiatura,
ed introdussero, poco per volta, nelle loro ceramiche il nuovo stile delle decorazioni
geometriche.
I. Dall'Osso.
REGIONE II. — 61 — TORINO
Anno 1915 — Fascicolo '5.
Regione XI (TRANSPADANA).
I. TORINO — Lapide cristiana ed antichità romane rinvenute in
l'orino durante l'anno 1914.
Negli scavi per la costruzione d'un palazzo nel terreno che il municipio di
Torino ha conceduto alla Cassa di risparmio di questa città, tra le vie Bertola,
San Dalmazzo, Sauta Maria e Stampatori, vennero trovate alcune antichità romane
die formano il soggetto principale di questa relazione.
Primo, in ordine di data al principio del 1914, si rinvenne un frammento di
lapide marmorea iscritta, di m. 0,25 X 0,35, le cui lettere sono alte in media m. 0,035.
È una iscrizione cristiana, che, sebbene incompleta, merita di venir riprodotta per la
sua rarità, essendovi somma scarsezza di tali iscrizioni in questa regione. Essa dice :
HIC-IREQV iescit in
SOMNOPA cis...
HPQNAEVIX it
ANNkPLM» ...
■MENONA^M
Non vi ha dubbio che fu posta sulla tomba di una fanciulla, H(onesta P(uella),
come leggesi nel vs. 3 ; ma nella rottura della pietra ne andò perduto il nome, il
numero degli anni vissuti, ed altre indicazioni ; e rimase incerto se la data del
giorno della deposizione fosse stata nel mese di marzo o in quello di maggio (pridic
nones martias, o maias v. 5).
*
Nella stessa località vennero scoperti, sotto alla via Santa Maria, vari tratti
di una cloaca che già era stata riconosciuta nella via Monte di Pietà in continuazione
della via stessa agli angoli delle vie Boterò, Genova, S. Tommaso e Venti Settembre,
ed in via delle Finanze presso al vicolo del Teatro.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XIL 9
TORINO — 62 — REGIONE XI.
Vari tratti di pavimento di via romana erano già stati scoperti sotto alla via
Monte di Pietà, sia dal Promis, sia dall' Ufficio regionale per la conservazione dei
monumenti, in modo da poter accertare che ivi trovavasi il secondo decumano a sud
del decumano massimo, rappresentato dall'attuale via Garibaldi.
Anche in via San Dalmazzo, all'angolo della via Santa Maria erano state tro-
vate fogne, di cui una imboccava precisamente in quella ora rinvenuta, la quale a
m. 4,35 da via San Dalmazzo si trova alla distanza di m. 4,30 dal muro sud del
palazzo Provana di Collegno, ed a m. 19,35 è distante m. 6,13 dallo stesso muro.
L'ultimo tratto di detta cloaca che si è potuto scoprire dista di soli m. 23 dalla
via Stampatori.
La parte esterna superiore di detta volta si trova m. 1,85 sotto il piano stra-
dale della via Santa Maria e m. 0,60 sotto l'antica strada romana, come si potè
riconoscere da due pietre da pavimento di strada. Debbo l' indicazione di queste
scoperte al comm. D'Andrade ed all' ing. Bertea dell'Ufficio regionale per la con-
servazione dei monumenti ; ad ambedue esterno i miei sensi di gratitudine per la loro
gentile comunicazione.
*
Un'altra maggiore scoperta venne fatta al principio di luglio in quelli scavi.
Presso all'ultimo tratto di cloaca di cui si è fatto cenno, poco distante dall' incrocio
delle vie Santa Maria e Stampatori, alla distanza di m. 18 dal muro della casa
Camerana, che fa sèguito al palazzo Provana di Collegno, in via Santa Maria n. 6
ed alla distanza di m. 22 dalla casa Mondini in via Stampatori n. 13, venne trovata,
a soli 10 o 12 centimetri sotto il livello della strada romana, un'anfora piena di monete
romane che andò in frantumi per i colpi di piccone datile dallo scavatore.
Dall' impresario dei lavori da prima, e quindi dal sindaco di Torino, ebbi in
consegna tutte le monete die si sono potute raccogliere e che ascendono, in totale,
a 1357 e comprendono un periodo di 24 anni, dal 244 al 268 dell'eia volgare.
In esse sono rappresentati 12 fra gli imperatori, le imperatrici e loro tìgli ap-
partenenti a tal periodo di tempo; e ne mancano altrettanti e più ancora, perchè è
noto che sotto il debole regno di Gallieno sorseso parecchi tiranni, essendosi vari
generali dell'Impero fatti proclamare imperatori.
Può essere che fra le monete che sono andate disperse fosse ancora rappresentato
qualcheduno dei mancanti; qnelle a me consegnate risultano dal seguente elenco:
Filippo padre (244-249 d. Cr.), Coli., 1 ediz., n. 9.
Traiano Decio (249-251), Coli. 21.
Etroscilla, Coh. 10.
Treboniano Gallo (251-254), Coh. 24, 37.
Volusiano (251-254), Coh. 70.
Valeriano padre (253-260), Coh. 17 (3 es.), 23, 35, 41, 83, 92, 113, 119,
127, 140.
Mariniana, Coh. 9.
REGIONE XI. — 63 — TORINO
Gallieno (253-268): Coh. 28 (23 es.); 34 (10 es.), 39 (18 es.); 41 (14 es.) ;
51, 54, 66 (8 es); 67 (6 es.); 72, 110 (2 es.); Ili (2 es.); 112 (4 es.); 179',
121 (22 es); 124, 144, 149, 251 (9 es.); 152 (15 es); 166 (98 es.); 260' (2 es.);
264' (2 es.); 170 (31 es.) ; 175 (2 es.); 176 (4 es.); 194 (24 es.); 195 (7 es.);
200, 216 (8 es.); var. 216 (2 es.); var. 219, 227 (2 es.) ; 230 (10 es.); 242 (2 es.);
249 (77 es.); 25U (4 es.) ; 259 (3 es.); 267 (2 es.); 286 (2 es.); 296, 314 (2 es.);
322, 327 (3 es.); 349, 354 (36 es.); 355 (3 es.); 619', 372 (24 es.); 373 (43 es.);
var. 373, 693' (3 es.); 376 (33 es.); 379, 717'; var. 384, 390 (13 es.); 393
(26 es); 730' (4 es.); 396, 401, 410, 414 (9 es.); 415 (57 es); 428, 435 (2 es.);
437, 438 (5 es.); 439 (19 es.); 440 (30 es.); 442 (6 es.); 443 (4 es.); 444 (11 es.) ;
464 (56 es.); 467 (3 es.); 864», 866' (6 es.); 867', 868' (2 es.); 476, 500 (106 es.);
501 (10 es.); 502 (5 es.); 503 (14 es.) ; 509; var. 511, 514, 518 (17 es.); 541
(27 es); 572 (2 es.); 573, 578 (17 es.); 587 (4es.); 613 (6es.); 620; var. 625,
649 (5 es.); 656 (44 es.); var. 656 (2 es.); 1235 (3 es.); 687, 694.
Da notarsi i seguenti pezzi di Gallieno mancanti anche alla 2a edizione del Cohen:
1) Imp. Gallienus Aug. Busto rad. a d. iy Felicit. Aug. Nel campo P . La
Felicitas stante a sin. con scettro e caduceo. Varietà di Cohen', 186.
2) Gallienus Aug. Busto rad ad. $ Fo?'t. redux. Esergo MS. La Fortuna
seduta come Coh. 166.
3) Gallienus p. f. Aug. Busto rad. e corazz. a d. r^ Germanicus max. ter.
Trofeo, alla cui base sono due prigionieri seduti. Var. di Coh.', 307.
4) Gallienus aug. Testa rad. a d. rì) Indulgent. aug. L' Indulgentia stante
con la destra levata e con la patera nella sin.
5) Varietà del n. 194, cioè (§ indulgentia in luogo d'indulgenl.
6) Bilione come l'aureo n. 196.
7) Gallienus aug. Busto rad. a d. ig leg. II adi. VI p. VI F. capricorno
var. Coh.' 470. A Gallieno si devono apporre ancora 1 esemplare incuso e 24 pezzi
non classificabili parche consunti.
Salonina: Coh. 14 (79 es.); 19, 20, 24, 30 (13 es.); 35 (9 es.); 38, 39 (5 es.);
42 (20 es.); 43 (3 es.); 46 (3 es); 49, 53 (3 es.) ; 58 (2 es.); 02 (2es.); 63 (2 es.);
79; var. 79 (2es.); 82 (3 es.); 83 (4 es.); 87 (5 es.); 91 (2 es.); 92, 93; 94 (2 es.);
97 (12 es.).
Da notarsi per Salonina ancora i seguenti pezzi:
1) Salonina aug. Busto di ad. a d. con mezzaluna. $ Pietas aug. Salonina
stante a sin. con patera e scettro
2) e. s $ Venus victrix. Venere stante a sin. con elmo in mano ed uno
scettro; ai suoi piedi un ragazzo che le tende le braccia (cfr. Coh8., 126-127); altri
4 esemplari sono inclassificabili perchè consunti.
Salonino: Coh. 10 (2 es.); 18, 62', 49 (8 es.).
Valeriano: Coh. 1,5.
Quieto tiranno (260-262), Coh. 5.
ROMA — 64 — ROMA
In totale n. 1357, in 162 varietà che si possono aumentare tenendo conto delle
lettere dalle quali molte di esse sono contrassegnate e, dal modo in cui sono disposte
nel campo od all'esergo.
Il tesoretto non può essere anteriore al 261, perchè in esso si trova una mo-
neta di Quieto figlio di Macriauo, che si vuole avesse usurpato l' Impero in quel-
l'anno, elevando alla stessa dignità i suoi figli.
Non conosciamo l'epoca precisa della morte di Salonina; si crede però che essa
abbia seguito le sorti di Gallieno il quale fu ucciso in Milano al principio del 268,
e alcuno ha anche pensato che dopo la sua morte siano state coniate le monete che
portano la leggenda AVG • IN PACE, di cui 79 furono trovate nel ripostiglio; se così
fosse, bisognerebbe ritardar l'epoca del nascondimento almeno sino alla fine del 268.
Prima di porre termine, debbo ancora far noto che nello scorso anno in via
Baibarossa, n. 23, nella demolizione del palazzo di proprietà dell'Opera pia di s. Paolo,
ora in ricostruzione, vennero trovati mattoni dell'età romana, tra cui due col bollo:
A I A C I S
Uno di essi ha il bollo completo della lunghezza di m. 0,113 e dell'altezza di
m. 0,032, con lettere alte m. 0,020, bollo già trovato altre volte in Torino e pub-
blicato nel C. 1. £., V, al n. 8110, 421.
Q. ÀSSANDRIA.
IL ROMA.
Nuove scoperte nella città e nel suburbio.
L'ufficio per gli scavi di Roma e del suburbio ha dato notizie delle seguenti scoperte:
Regione VI. In via di Porta Salaria, eseguendosi il cavo per la posa delle
condutture elettriche, alla profondità di soli m. 0,60 dal piano stradale, ed alla
distanza di m. 20,00 dall'angolo di via Belisario, verso V interno della città, è stato
rimesso in luce un breve tratto di antica pavimentazione stradale, formato con i con-
sueti poligoni di selce.
Non è improbabile che tale avanzo di strada debba attribuirsi al periodo me-
dioevale, se si considera che i poligoni, oltre ad esser di forma irregolare, sono mal
connessi fra loro. Anche la poca profondità in cui è avvenuto il ritrovamento avvalora
tale ipotesi.
*
* »
Via Appia antica. A cura della Commissione di archeologia sacra sono stati
eseguiti dei saggi di scavo entro e presso la basilica di S. Sebastiano allo scopo di
risolvere i problemi topogratici relativi alle vestigia aposiolorum ad Catacumbas. I
lavori, hanno avuto esito fortunato in quanto alle antichità cristiane, per essersi
ROMA — 65 — ROMA
scoperta la tomba del papa s. Fabiano nel mezzo della basilica oltre alle vestigia
stesse dei ss. Pietro e Paolo, insieme ad un numero grandissimo di graffiti con le
invocazioni dei primi veneratori dei due apostoli.
Anche le antichità classiche hanno avuto la loro parte non secondaria in questi
ritrovamenti, essendovi stati scoperti i resti ben conservati di una villa romana con
sotterranei dalle pareti dipinte, e, nel mezzo della chiesa presso le vestigia aposto-
lorum, un colombario decorato in modo assai tino, a stucchi policromati, dipinti con
raro gusto nello stile che fu proprio del I secolo dell'Impero. I resti della villa, che
sono stati scoperti, si trovano al principio della curva destra dell'abside, sotto il
matroneo della basilica damasiana, a m. 4 sotto il livello odierno.
Noi ostante le costruzioni successive, si conserva tuttora un notevole avanzo
della muratura, parte in opera reticolata e patte in piccoli tufi e mattoni, intonacata
con ottima calce levigata e dipinta di un bel rosso. L'andito, a piano leggermente
inclinato, che dal retro del colombario, rinvenuto qualche tempo fa (ved. F. Fornari,
Studi nomarti, I, pp. 355 segg.), discende all'aperto, è dipinto a transenne rosse
dinanzi a fiori. Sopra questa riproduzione di giardino, si osservano le pareti bianche
suddivise in riquadri arcuati propri del IV stile pompeiano: nei centri è rappresentato
un piccolo animale (un'antilope, un cavallo in corsa, un uccello, ecc.).
Dopo il corridoio s'incontra un vano non ancora interamente sgombrato; a sinistra
è un altro vano con le pareti dipinte in rosso.
*
Il pavimento è in mosaico bianco o nero, di ricca fattura, con le tesselle grosse,
ornato a reticolato di mandorle lentiformi. In questo pavimento musivo si apre un
lucernario quadrato che immette in varii sotterranei, conservati benissimo nella strut-
tura e nei dipinti.
Il primo è un piccolo vano con volta a crociera, lunga m. 4 e larga m. 3: è
tutta rivestita di calce e dipinta a riquadri segnati in verde ed in rosso. Nei campi
sono varie figure: genietti, uccelli, teste di efebi, cavalli marini, delfini, vasi di
fiori ecc. Il lavoro pittorico è di molto effetto benché affrettato. Le linee sono trac-
ciate a mano libera, e le figure sono eseguite con poche tinte ma con grande perizia.
Accanto a questo vano ve ne è un altro più piccolo, conservato ancora meglio del
primo, il quale dà accesso ad un terzo tagliato obliquamente dalle fondazioni del-
l'abside esterna della basilica primitiva: questo vano è ricongiunto, per mezzo di
una scala, con l'aula superiore, ove è il pavimento a musaico.
«
*
Neil' interno della basilica, a metà della nave, e verso il muro di destra, a pochi
centimetri di profondità dal pavimento della basilica primitiva, e circa cm. 0,30 dal-
l'odierno livello, vennero in luce i resti di un colombario pagano. Il vano di questo
colombario è piccolo: misura m. 2,30 in quadro. Il pavimento, a mosaico, posa a
m. 2;98 sotto il pavimento della chiesa. La parte superiore fu spezzata dalla costru-
zione della basilica.
ROMA — 66 — BONA
La porta d'accesso, assai larga, rimase chiusa dalla costruzione del muro destro
della basilica. In mezzo alla parete di fondo a m. 0,65 dal pavimento, si stacca
un'edicoletta a nicchia arcuata, senza urna cineraria. Due colonnine sporgenti soste-
nevano l'architrave dell'arco. Queste colonnine sono costruite con un nucleo di rotelle
di laterizi tagliati, sovrapposte e ricoperte da un intonaco di ottimo stucco marmoreo
a scanalature ioniche. Il fondo della nicchia è dipinto in azzurro.
Le due pareti laterali hanno anch'esse un'edicola ciascuna, fiancheggiate da due
pilastrini a scanalature corinzie e capitelli di stucco a decorazione floreale policromata
in rosso ed in az/.urro. Le nicchie, con volticina a botte, contenevano ciascuna un'olla
cineraria. I pilastrini d'Ile nicchie sono decorati a pitture finissime: un ramo di
foglie e fiori, di proporzioni minime e semplicissimo, ma lavorato però con mano di
miniaturista. Simile decorazione elegantissima fregia il frontone sopra l'arco delle
nicchie, sotto l'architrave, ove sono due festoni di finissime foglie con nastrini e
piccole corone pendenti ai nodii.
Un altro festine . di foglie di vite, fa bella mostra sul frontone basso di una
delle due edicole, sotto i pilastri. Nell'altra edicola, invece delle foglie di vite, sono
due fiaccole funerarie incrociate e legate con un nastro rosso carminio.
Nelle nicchie laterali, sotto l'arenazione, sono bellissime cornici di stucco fatte
allo stampo e dipinte in rosso ed in azzurro. Sotto ogni olla poi sono le targhette
incorniciate da un doppio filo di stucco : ve ne sono di diversi colori e di forme diverse.
Sulla tinta interna restano ancora tracce di nomi, scritti col pennello a tinta nera.
Si possono ancora a stento leggere i seguenti nomi:
1. CN • DOMITI.. ..XIII 2. Q^SERVAEVS SVAS...
3. CCÀE LI HALLI ....
Il pavimento fu in tempi più tardi abbassato, quando cioè, cessato l'uso della
cremazione, si tornò all'inumazione dei cadaveri. Le pitture di questa parte inferiore
del colombario sono assai rozze. Il pittore copiò, per quanto poteva, la decorazione
in stucco delle cornici dal resto del colombario; e nel fondo delle nicchie, sotto le
tre edicole, dipinse una pianta stilizzata con un genietto nudo sopra il fiore.
Il colombario viene ora ricoperto, per rimettere a posto il pavimento della chiesa,
con una sottile volta di cemento armato. Sarà praticata una porta attraverso il muro
della chiesa per dare l'accesso al colombario e rendere possibile la visita del grazioso
monumento.
*
* ¥
Via Appia^nuova. Nel fare lo sterro per la costruzione:tdi una nuova fogna
lungo la via delle Mura, sulla destra uscendo dalla porta S. Giovanni e precisa-
mente di fronte all'antica porta Asinaria. è stata incontrata, alla profondità di m. 5,00
sotto il piano della via odierna, l'antica pavimentazione stradale a poligoni silicei.
11 tratto che è stato possibile di vedere ha una lunghezza di m. 4.00; è largo
m. 1,60 e dista, dalla fronte delle mura, m. 10,50. Fra il terriccio di scarico si
sono rinvenuti in grande quantità rottami di vasi di varie epoche e forme, e cioè:
vasellame etrusco campano, dolii, anfore e fittili di età imperiale.
ROMA
67 —
ROMA
Via Labicana. Alla Maranella, e precisamente sul principio de\ vicolo dei
Carbonari a destra, in un terreno di proprietà dei sigg. Romeo Busca e Costantino
Foresi, presso il luogo della scoperta della serie dei colombari già descritti in queste
Notizie (1914, pag. 375 e precedenti), eseguendosi un grande sterro per la sistemazione
del terreno allo scopo di costruire in seguito nuove abitazioni, si rinvennero fra la
terra le seguenti lastre marmoree iscritte:
1. Targa marmorea frammentaria
(no. 0,24XU 13X0,02):
d. vi.
P-FLAVII-AVGLCER
VIXIT AN-XIIII mens.
DIEB-XI- HOr
2. Stele sepolcrale marmorea (in. 0,47
X 0,23 X 0,03) :
d. M
jBETRONIAE
HELIADI
CONIVGl-BENE
MERENT1 VIXIT
ANNIS-XXX1I
D1EBVSXIII
TFQVIETVS
FEC1T
3. Targa marmorea (m. 0 35 X 0,31
X0,02):
D M
M • PLETORIO • SEPTIMIANO
FECIT CIVLIVS EVTYCHVS
FILIO ■ DVLC1SSIMO
QVI- VIXIT- ANNiS -Vili
MENSIBVS • U ■ DIEBVS TTÌ
HORA-T
4 Piccola stele sepolcrale marmo-
rea (in. 0,30 X 0,15 X 0,025) :
D - M
CALLISTO
QVIVIXITANNWl
M VI • D1EB ■ XXII
POMPEI A EPIC
TESI S • A LVMNO
SVAV1SSIMO • FEC
5. Frammento di targa marmorea
(m. 0,11 X 0,12X0,02):
D1S • man.
CN-POMP«'o Arche
L A O • PO mp eia
EPICTESIs
RARISSIMO feeit
6. Targa marmorea (m. 0,16 X 0,28
X0,03):
D M S
POMPEIAE NEREI DI
COLLIBERTAE
C ARISS1MAE
CNPOMPEIVSDIAPv
MENVS- FECIT- ET- SIB1
7. Id. id. (m. 0,13X0,30X0,03):
D M
M E LI T I N E N I
PHILOCALVS CONIVGI
KARISSIMAE- FECIT
G. Mancini.
VELLETRI — 68 — REGIONE t.
Regione I (LATIUM ET CAMPANIA).
LATIUM.
III. VELLETRI — Saggi di scavo attorno e sotto la chiesa di
S. Maria della Neve o delle Ss. Stimmate, e scoperta di un tempio volsco.
Nell'area dell'antica arx veliterna, poco lungi dai resti delle vetuste mura che
la recingevano, sorge la chiesa delle Ss. Stimmate, in origine detta Santa Valle e
S. Maria della Neve, la quale nel 1602, per essere stata concessa alla Confraternita
delle Ss. Stimmate di s. Francesco, assunse il nome che tuttora ritiene (')• Essa non
ha alcun pregio dal punto di vista dell'arte, ma fu resa celebre da una scoperta di
grande importanza archeologica che si fece nelle sue adiacenze nell'anno 1784 quando,
costruendosi il muro meridionale dell'oratorio annesso alla chiesa, s' incontrarono
alcune favisse di antico tempio, da cui si estrassero le famose terrecotte borgiane,
e la non meno celebre laminetta di bronzo, scritta in lingua volsca, che ora formano
magnifico ornamento del Museo Nazionale di Napoli.
La scoperta mise a rumore il mondo archeologico di allora; ed il card. Stefano
Borgia, insigne raccoglitore di antichità, non volle privare la sua patria di cosi pre-
ziosi cimelii e si affrettò ad acquistarli per decorarne il suo già celebre museo. Si
conservano tuttora nella Biblioteca comunale di Velletri le lettere, con cui l' illustre
cardinale raccomandò e commise al fratello cav. Giovanni Paolo Borgia l'acquisto
delle terrecotte, che nell'inventario dello stesso museo Borgiano, redatto dallo Zoega,
sono così descritte: « Antichità volsche comprese in Iti tavole, con due busti di tutto
rilievo, ed un frammento di cavallo a bassorilievo più grande, colorate pure ugual-
mente con cinque altri frammenti di cornicioni simili ». La stima è fissata nella
somma complessiva di scudi 900 (*).
In una lettera del 17 novembre dello stesso anno 1784 (3) il card. Borgia parla
di alcuni doppioni delle tavolette fittili figurate volsche che egli ha inviate in dono
al cav. d'Agincourt, 'e si lamenta che esse siano giunte a destinazione rotte in frantumi
per difetto $ imballaggio. In un'altra lettera del 24 dello stesso mese di novembre,
egli si raccomanda perchè « stiano bene al coperto per mantenerne il colorito che
ne forma una parte del pregio » ; e ci fa sapere che ha spedito una cassetta al
cav. d'Agincourt con altri frammenti di terrecotte per risarcirlo della perdita delle
altre, e che i pezzi sono giunti bene (*).
Infine, in un'altra sua lettera dell' 11 luglio 1787, egli menziona ancora una volta
le terrecotte volsche annunziando che « il sign. Heeren si prepara a dare un dettaglio
(') A. Fersenghi, Velletri e le sue contrade, 1910, pag. 57.
(') Biblioteca comunale di Velletri; 1. IX, 24.
(3) Id., 1. VI, 3.
(*) Id., 1. IX, 28.
REGIONE I. — 69 — VBLLETRI
delle terrecotte volsche nella Gazzetta delle belle arti di Gottinga, per renderle più
note in Germania » (').
Dopo la morte del card. Borgia, i suoi eredi venderono la preziosa collezione
borgiana al re di Napoli. Gioacchino Murat. che la destinò al museo di Napoli. Le
terrecotte volsche trovansi tuttora, benché alquanto neglette, nel Museo Nazionale
di Napoli.
Intanto esse eran già state divulgate ed illustrate in Italia, in un'opera piut-
tosto rata, intitolata Bassorilievi volschi in terracotta (pag. xx, Roma, Salo-
mone 1785). l'anno dopo la scoperta, da mons. Filippo Angelo Becchetti, con sette
tavole illustrative disegnate ed acquarellate da Marco Carloni.
Molti dotti archeologi le illustrarono nelle loro opere (!), e da ultimo il
prof. Giuseppe Pellegrini, ne ha trattato con molta dottrina nel suo lavoro Fregi
arcaici etruschi in terracotta a piccole figure (3), rilevandone il pregio artistico
e l'importanza storica.
*
La scoperta del 1784 era di tale natura da rilevare l'esistenza, nel luogo ove
era avvenuta, di un tempio volsco, di cui, per un caso fortuito, le fondazioni del-
l'oratorio della Confraternita delle Ss. Stimmate avevano incontrato alcune delle
favisse circostanti.
Va data quindi ampia lode all'illustre prof. cav. Angiolo Pasqui, direttore del-
l'Ufficio per gli scavi di Roma, per ayer fatto iniziare le indagini attorno e sotto la
chiesa delle Ss. Stimmate allo scopo di rintracciare, se fosse stato possibile, dietro
l' indizio di pochi avanzi di muri a parallelepipedi di tufo da lui riconosciuti nella
parte nord del vano sottostante all'oratorio, adibito ad uso di legnaia (ved. pianta,
lett. A), i resti del tempio volsco a cui appartennero le terrecotte borgiane, ed
affidare al caso il ritrovamento di altri avanzi della sua preziosa decorazione fittile.
Gli scavi, quantunque siano rimasti incompleti per difficoltà opposte da ragione
di statica, temendosi per l'incolumità dell'attuale chiesa, in più punti fatiscente, ed
anche per ragioni d'indole amministrativa, sono stati tuttavia coronati da qualche
successo, come risulterà dalla relazione che segue.
Nell'ispezione di questo scavo, a me affidata, ebbi un valido aiuto nell'opera
intelligente e disinteressata prestata dall'egregio cav. ing. Oreste Nardini, ispettore
ononorario dei monumenti e scavi di Velletri, il quale con grande amore ha seguito
e sorvegliato l'andamento dello scavo, e mi è stato largo di preziosi consigli.
(') Biblioteca comunale di Velletri ; 1. IX, 29.
(') Mus. Bori. X; Ingioiami, Monum. elr., tav. II, 4; Abeken Mittelit., pag. 325; Winckel-
mann-Fea, St. di art. d. dis. Ili, V; D'Agincourt, Hut. de l'art de la décadence: sculpture
tav. XXVI, n. 20; Micali, Monum., tav. LXL 1; Lenormant, Chef» d'oeuvre» de l'rat ant., pi. 151;
Miiller-Wiessler, Alt. Denkm., tav. LVIII, n. 281; ecc.
(') Studi e materiali di archeologia e numismatica pubblicati per cura di L. A. Milani. Fi-
renze 1899, voi. I, pp. 87 e 118.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 10
VELLETRI
70 —
REGIONE I.
Lo scavo ebbe principio il giorno 17 marzo 1910, e fu chiuso il successivo
4 giugno. Il primo saggio fu fatto nel mezzo della legnaia sottoposta all'oratorio
annesso alla chiesa (ved. pianta, lett. A), e subito vi si riconobbe il giro di una
favissa (ved. pianta, lett. a) scavata nel tufo ed intonacata con calce dipinta in rosso
(alt. m. 2,10; diam. 2,75), già esplorata e riempita alla rinfusa, forse nel 1784
quando si spianò la roccia per fare il p:ano della legnaia. Evidentemente l'orlo della
favissa era più in alto, ed essa fu necessariamente dimezzata per la livellazione. Vi
si rinvennero alcuni insignificanti resti di fittili di varie epoche e, proprio in fondo,
un vaso settecentesco infranto.
Per vari giorni lo scavo procede negativo nell'orto annesso alla chiesa (ved. pianta,
lett. Z?), tinche, sterrando avanti alla porticina che imette nella cripta sepolcrale
degli associati alla Confraternita delle Ss. Stimmate, in mezzo ad una grande quan-
tità di materiale vascolare ivi gettato alla rinfusa, in epoca recente, fu rinvenuto un
REGIONE I. — 71 — VBLLBTRI
piccolo frammento di fregio fittile con le zampe anteriori di due cavalli in corsa e
le gambe dei cavalieri, che riconobbi come facente parte delle terrecotte borgiane.
Questo ritrovamento rimase per allora sporadico; fu tuttavia un notevole indizio.
L'esplorazione completa dell'orto a fianco e dietro la chiesa risultò del resto
negativa nei riguardi della pianta del tempio; si estrasse però un'enorme quantità
di resti di tegole e di embrici e di vasi di varie epoche mescolati.
L'esplorazione doveva quindi proseguirsi sotto la chiesa e gli edifici annessi. Si
cominciò col demolire la scala (ved. pianta, lett. C) che dalla sacrestia (lett. D) con-
duce all'orto, e sotto di essa si rinvenne un banco di terra di recente scarico con i
soliti resti di tegole, embrici e vasi in grandissima quantità. A m. 2,88 di profondità
sotto il piano del pavimento della sacrestia si trovò il terreno vergine, finché, all'an-
golo formato dai muri della legnaia (ved. pianta, lett. A), si scoprì l'orlo d'una grande
favissa (lett. b) il cui fondo fu raggiunto a m. 6,38 dal piano suddetto. L'orlo era
circolare, del diam. di m. 2,10, mentre l' interno aveva le pareti rettilinee e formanti
un quadrato di m. 0,86 di lato. Anche questa favissa risultò già esplorata e mano-
messa; vi rimanevano tuttavia alcuni resti di antefisse ed un'amia, che saranno in
seguito particolarmente descritti. Vi si trovarono poi i soliti frammenti di tegole e
di vasi, e gli avanzi d'un rivestimento fittile di pozzo circolare con pedarole, il cui
raggio fu riconosciuto essere di m. 0,38.
L'esplorazione continuò, con esito negativo, sotto il pavimento della sacrestia del-
l'oratorio (ved. pianta, lett. D). Si voleva poi continuare l' indagine sotto il coro ove
è la cripta mortuaria della Confraternita ; ma fu impedita dalle difficoltà che si incon-
trarono per la rimozione delle casse mortuarie ivi depositata a vari ordini sovrapposti.
Si riprese allora lo sterro di quella parte della legnaia (ved. pianta, lett. A) ri-
masta ancora inesplorata. Si riconobbe che la roccia affiora per tutta l'estensione della
legnaia; e soltanto in un punto presso la parete esterna (ved. pianta, lett. e) si trovò
del terriccio, rimosso il quale, subito apparve l'orlo d'una terza favissa, tagliata quasi
per metà dal muro della legnaia. Fatto un tasto in corrispondenza all'esterno del
muro, si riconobbe il resto dell'orlo della favissa. Questa era profonda m. 7,91 e il
suo orlo circolare aveva il diametro di m. 2,23. L' interno aveva le pareti rettilinee,
formanti un quadrato di m. 1,48 di lato. Conservava ancora le tracce dell' intonaco
dipinto di rosso, e di singolare aveva che, a m. 1,40 di profondità dall'orlo, sporgeva
dalla parete della favissa per lo spessore di m. 1,30 uno strato di terra, cotta dal
fuoco, e rimasto aderente alla parete stessa. Era il resto d'un forno per la cottura di
fittili decorativi. Anche questa terza favissa era stata in precedenza rovistata e poi
di nuovo riempita con terra di scarico contenente frammenti di tegole e di vasi.
Le tre favisse suddette furono evidentemente incontrate e vuotate nell'anno
1784 quando, come si è accennato, si costruì l'oratorio annesso alla chiesa delle
Ss. Stimmate, e proprio da esse si estrassero le famose terrecotte borgiane. Prima
d' intraprendere lo scavo sotto il pavimento della chiesa, in attesa di vincerne le
ultime difficoltà opposte dalla curia vescovile di Velletri, si cominciò lo sterro al
VBLLETRI — 72 — REGIONE I.
di fuori della chiesa, nell'angolo formato dalla medesima con l' edificio annessole,
detto la Provveditoria (ved. pianta, lett. F). Ivi si rinvenne a pochissima profondità dal
piano stradale, un muro (ved. pianta, lett. d) dello spessore di m, 0,75, in direzione
SE-NO, formato da grandi blocchi di quella specie di conglomerato detto occhio di
pesce, per la lunghezza di circa m. 5. Questo muro formava angolo retto con un
altro, anch'esso di occhio di pesce, dello spessore di m. 0,45, il quale, dopo aver
corso in direzione NE-SO, per circa 4 metri, formava un nuovo angolo retto con
un terzo muro (lett. e) parallelo al primo, formato da blocchi squadrati di tufo
bigio-cenerognolo, dello spessore di m. 0,35.
Addossato a quest'ultimo, a m. 1,50 dal muro della chiesa, si scoprì un poz-
zetto circolare (ved. pianta, lett. /"), profondo m. 2,80 e del diametro di m. 0,70.
Era munito di pedarole e ripieno di terriccio privo di materiale archeologico.
L'esplorazione fu poi continuata sotto il pavimento della Provveditoria (ved. pianta,
lett. C), ove nell'angolo a sinistra della porta d'ingresso, a m. 1,04 sotto il piano
del pavimento della chiesa, si riconobbe un muro di blocchi di tufo bigio-cenero-
gnolo (lett. g\ dello spessore di m. 0,45, in continuazione di quello di occhio di pesce
già scoperto sulla strada (lett. d).
*
La scoperta più importante avvenne appunto sotto il pavimento della Provve-
ditoria; a m. 1,84 di profondità, si scoprì un muro di blocchi di selce, dello spes-
sore di m. 0,55, in direzione NE-SO (ved. pianta, lett. h) e lungo tutto il tratto
di muro compreso tra le due pareti laterali della Provveditoria si rinvennero infrante
e frammentate tavole fittili figurate del fregio, riproducenti i motivi già noti delle
terrecotte borgiane, di cui si parlerà a suo luogo.
L' indagine si proseguì sotto la sacrestia della chiesa (ved. pianta, lett. H) ove ad
un metro di profondità si rinvenne un muro ad emplecton di scaglie di selce accen-
nanti a forma semicircolare, in direzione sud-nord, lungo m. 5 e dello spessore di
m. 0,80 (lett. i).
S'intraprese finalmente lo scavo sotto la chiesa (ved. pianta, lett. E) il quale di-
sgraziatamente non potè essere completo a causa delle opposizioni delle varie fami-
glie veliterne che non permisero venissero profanate le numerose sepolture dei loro
antenati. Bisognò qirindi limitarsi a fare quattro tasti. Il primo fu praticato all'an-
golo nord-ovest della navata, ove si rinvenne la continuazione del muro di selce
(ved. pianta, lett. h) già veduto nella Provveditoria. Il secondo tasto fu fatto all'angolo
sud-ovest della navata, e si rinvennero un fitto strato di vasellame italico mescolato
a qualche vaso greco, pochi frammenti del fregio fittile ed altri della decorazione
del frontone. A m. 3,30 di profondità si rinvennero poi i resti di due muri paral-
leli in direzione SE-NO (ved. pianta, lett. e), entrambi formati da grandi blocchi
squadrati di tufo giallo lionato. Il primo aveva lo spessore di m. 0,75 (lett. k); il
secondo, distante dal primo m. 0,90, aveva lo spessore di m. 0,35 (lett. /).
Incastrato nella parete sud della chiesa, che forma la parete nord della legnaia
(ved. pianta, lett. A), si vede ancora disposto in testata un blocco corrispondente al
muro più grande suddetto (lett. k). Il muro (l), invece, si estende entro la legnaia
REGIONE I. — 78 — VELLETR1
fino all'orlo della favissa (a). Un altro blocco, sempre alla quota di m. 3,30, è in-
castrato nello stesso muro, più ad est (ved. pianta, lett. m), e rivela l'esistenza di un
terzo muro parallelo ai due precedenti, di cui però non fu possibile di rintracciare la
continuazione entro la chiesa per le difficoltà già dette.
In un altro tasto eseguito presso l'altare laterale di destra si scoprì, a m. 1,90
sotto il piano del pavimento della chiesa, la prosecuzione del muro di tufo bigio-
cenerognolo (ved. pianta, lett. g), già riconosciuto sotto l'angolo della Provveditoria.
L'ultimo tasto fu eseguito presso l'angolo nord-est della chiesa, ove, a m. 1,90 di
profondità, si scoprì la continuazione del muro di tufo bigio-cenerognolo (ved. pianta,
lettera e) in direzione SE-NO, già visto sotto la strada ; e di più un altro muretto
(lett. a) parallelo al precedente, da cui distava m. 0.45, formato da piccoli paralle-
lepipedi di tufo dello spessore di m. 0.24.
Si seguì l'andamento di questi due muri anche sotto l'ingresso della chiesa e
sotto la cordonata che vi conduce (ved. pianta, lett. /). Si riconobbe che, proprio sotto
la soglia della porta d'ingresso, si distaccava dal muro più grande, in direzione
normale al medesimo NE-SO, un muretto dello stesso materiale e spessore dell'al-
tro già detto, più piccolo, parallelo al precedente. Lungo i detti muri si rinven-
nero in grande quantità tegole ed embrici infranti.
Lo scavo terminò con l'esplorazione dell'angolo della via della Neve, adiacente
alla chiesa, presso la scaletta esterna della casa a sinistra della facciata; e si trovò,
a m. 0,60 di profondità dal piano stradale, l'orlo di una piccola favissa (ved. lett. o)
del diametro di m. 1,83 e profonda m. 3,65. La si rinvenne ripiena di rottami di
tegole e di embrici e di frammenti di vasi di varie forme ed età ; nel fondo stavano
i resti di lacunari e di antefisse.
1 tasti eseguiti avanti alla chiesa, e lungo il muro di cinta dell'orto a sinistra
della facciata, furono del tutto negativi.
Da quanto è stato dettò, ben si comprende che gli ostacoli di varia natura, frap-
posti al regolare andamento sistematico dello scavo, hanno impedito di procedere con
ordine e metodo rigorosamente scientifico nell'esplorazione. È stato necessario di limi-
tarsi a dei saggi di scavo, con la speranza di poi coordinare i singoli risultati.
Può ben darsi che un'indagine completa avrebbe potuto avere un esito più de-
cisivo ; devesi però riconoscere che il suolo sottoposto alla chiesa ed agli edifici an-
nessi, poiché è proprio nell'area di questi che sorgeva l'antico tempio volsco, è stato
a varie riprese, e per cause diverse, talmente manomesso da far ritenere che ben
poco di importante vi resti ancora sepolto.
Pianta del tempio.
Quanto i nostri scavi abbiano messo in luce della icnografia dell'antico tempio
volsco, risulta dalla pianta unita a questa relazione, rilevata con la consueta dili-
genza dal disegnatore sig. Edoardo Gatti.
VBLLETRI — 74 — REGIONE I.
Sarebbe temerario il pretendere di giungere a delle conclusioni precise in base a
quanto da essa risulta; ed è impossibile il tentare di completarla, servendosi degli
scarsi dati che fornisce.
Le varie quote di profondità, alle quali si rinvennero i muri, e la diversa qua-
lità dei materiali adoperati per erigerli, permettono di stabilire che almeno due
furono le costruzioni del tempio, ciascuna delle quali subì ampliamenti e restauri.
Né ciò reca meraviglia quando si ponga mente alla poca consistenza de' materiali
lignei e fittili usati nella costruzione dei vetusti templi etrusco-italici, ai quali un
incendio od una benché lieve scossa di terremoto recava danni irreparabili. Valga
per tutti l'esempio tipico del tempio della Madre Matuta, scoperto presso le Fer-
riere nella tenuta di Conca, nel luogo dell'antica Satricum ('), del quale si ricono-
bero ben cinque successive trasformazioni architettoniche, con cambiamento di orien-
tazione.
I più antichi muri del tempio veliterno sono quelli rinvenuti alla quota di
m. 3,30 di profondità (ved. pianta, lett. k, /. m), orientati da NO-SE; i primi due
formati da conci di tufo giallo lionato (lett. k, l ; spess. m. 0,75 e in. 0,35) e fra
loro distanti solo m. 0,90; il terzo (lett. m; spess. m. 0,35) in tufo bigio-cenerognolo.
La forma primitiva fu probabilmente quella di un tempio tuscanico di piccole
dimensioni {vàidwv), consistente in una cella rettangolare con pronao sulla fronte.
La diversa qualità dei materiali adoperati è testimonio di uu rifacimento od am-
pliamento.
Una completa ricostruzione del tempio ci è dimostrata dai muri a blocchi squa-
drati di tufo bigio-cenerognolo, come i precedenti connessi a secco, nella pianta
segnati con le lettere e, g, n (spess. m. 0,35 e m. 0,27), messi in luce alla quota
di m. 1,90 di profondità, il cui orientamento è spostato di pochi gradi rispetto ai
tre muri più antichi. Suppongo che anche questo secondo tempio avesse primitiva-
mente la forma tuscanica in antis di dimensioni alquanto più grandi del primitivo,
e che in un successivo ampliamento fosse stato trasformato in tempio perittero. Il
muro siliceo, scoperto sotto il pavimento della Provveditoria, alla quota di profon-
dità di m. 1,84 (ved. pianta, lett. h), presso il quale giacevano le lastre fittili figu-
rate del fregio, avrebbe appunto formato uno dei lati dello stilobate. I due muri
ad « occhio di pesce ■ (ved. pianta lett. d) fecero evidentemente parte di un'ag-
giunta posteriore, se non della ricostruzione di una delle parti fatiscenti del tempio.
Allo stato attuale de' resti murali del tempio non è possibile dire di più sulla
sua forma; non si può neppure stabilire quale fosse la direzione del suo asse longi-
tudinale: la disposizione delle favisse (ved. pianta, lett. a, b, e) farebbe però credere
che esso fosse orientato da nord-ovest a sud-est.
La trabeazione, il fastigio, come anche l' atrio ed il peristilio, dovevano avere
l'ossatura di legname, sulla quale veniva affissa, a mezzo di chiodi, la decorazione
fittile (antepagmenla).
(') V. Barnabei ed A. Cozza, Di un antico tempio scoperto presso le Ferriere nella tenuta di
Conca, in Notizie degli scavi, 1896, pp. 28 e sgg.
REGIONE I. — 75 — VELLETRI
Decorazione fittile.
Tetto. — Il tetto era ricoperto da tegole e da embrici della consueta forma e dis-
posizione. Le tegole sono alte m. 0.62. larghe m. 0,47; lo spessore ai lati, lungo
la risega, è di m. 0,05; nella testata è di m. 0,02; l'aletta di connessione in basso
è lunga m. 0,07. Gli émbrici hanno la stessa lunghezza delle tegole e sono larghi in
alto m. 0,14, nel mezzo m. 0,12, nella risega m. 0,11 ; questa è
lunga m. 0,06; lo spessore è di m. 0.02.
Frontone. — I due frontoni (àério/ia = fastigium) erano
decorati con ligure fittili di cui rimangono scarsissimi avanzi, e
cioè un braccio di figura umana (m. 0,22 X 0.07), con manica
che giunge fino alla metà del braccio, dipinta in bianco con
doppio orlo nero: una mano che afferra il resto di un braccio
di un'altra figura (m. 0,15 X 0,08); vari pezzi della parte poste-
riore d'un cavallo, i quali, connessi, danno il frammento rappre-
sentato alla figura n. 1 (m. 0,43 X 0,20), dipinto in bianco, rosso
e nero. Rimangono anche quattro frammenti della coda dello
stesso cavallo fittile, dipinta in bianco e nero. Questi pochi frammenti non permet-
tono di stabilire confronti con le decorazioni fittili di altri tempi.
Le figure venivano fissate, con chiodi e cavicchie, sul fondo dei due frontoni.
Fio 2.
Acroterii. — Ci resta un importante frammento di uno dei quattro grandi acroterii
che ricoprivano negli angoli le testate delle travi di fianco. Rappresentava una grande
testa di Gorgone (ved. fig. u. 2): non ne resta che la parte superiore, ossia un pezzo
della fronte ed i capelli stilizzati che la incorniciano. Restano anche un breve tratto
del colmareccio e la base della punta che terminava in alto l'acroterio, inserita sul
culmine del giro formante l'orlo del colmareccio stesso.
VELLETRI — 76 — REGIONE 1.
Questo acroterio è molto simile a quello colossale del tempio di Gela(').
Ante fisse. — Le antefisse che lo scavo ci ha restituito furono tutte rinvenute entro
le favisse. Esse sono di tre tipi diversi, corrispondenti forse a varie ricostruzioni del
tempio. Sono tutte eseguite a stampo (ectypà).
1) Il tipo di antefissa di cui si rinvenne un discreto numero di esemplari, è
quello comune, a volto femmineo (ved. fig. n. 3) con bocca incurvata a sorriso, proprio
dell'arcaismo greco. Hanno i capelli e le ciglia dipinti in nero sul fondo naturale
dell'argilla. Molto accurata ne è la modellatura, e sono rifinite
a stecca: presentano quindi un arcaismo molto meno sentito delle
altre antefisse dello stesso genere rinvenute a Conca (*).
2) Si rinvennero anche alcuni frammenti di una antefissa
del noto tipo del Sileno o del Fauno che abbraccia una Menade
od una Ninfa; e cioè la testa di questa con ricca capigliatura
increspata, rialzata sulla fronte e disciolta sulle spalle.
I capelli e le ciglia sono dipinti in nero. Si rinvennero
anche il petto ed il braccio sinistro della stessa figura, ricoperti
in parte da lembi di tunica decorata, a linee ondulate dipinte
in bianco ed in rosso; ed un resto della base dell'antefissa con un brano dello stesso
panneggio.
3) Si rinvenne anche un'antefissa frammentaria con protome silenica arcaica
dalla fronte rugosa e dall'espressione truce.
*
Coronamento. — Da alcuni frammenti fittili, rinvenuti durante lo scavo, si può
riconoscere che il coronamento del tempio era costituito da una piccola fascia a pal-
mette e girali, ottenuti con lo stampo e colorati, e da una cornice strigliata di sa-
goma poco sporgente, limitata alla base da un piccolo toro. La fascia e la cornice
dovevano anche compiere la modanatura dei due timpani. I pezzi rinvenuti hanno i
fori, i quali indicano che essi venivano fissati a mezzo di chiodi, nelle travature
lignee al disopra dell'architrave.
Sima. — Il sima del nostro tempio era formato da una serie di tegole a cornice
baccellata su campo rettangolare liscio, munita, a distanze uguali, di mascheroni di
tigre a fauci spalancate, che servivano per lo smaltimento dello acque del tetto. Con
i resti rinvenuti nello scavo, se ne è potuta ricostruire una serie di due, intramez-
zata, nella giuntura, da un'apertura semicircolare corrispondente al sesto di un embrice
(ved. fig. n. 4) (»).
Ogni tegola è larga m. 0,50; l'alzato è di un. 0,17; la parte baccellata è alta
m. 0,07; il resto liscio, al disotto, m. 0,07.
(') Ved. Notizie degli scavi, 1907, pag. 38 sgg.; cfr. gli acroterii AelVhereion di Olympia.
(*) Notizie degli scavi, 1896, pag. 31, fig. 5.
(*) Cfr. Notizie degli scavi, 1888, pag. 424.
REGIONE I.
— 77 —
VELLETR1
L'apertura della bocca della protome ferina è alta ni. 0,00. Gli avanzi conser-
vano scarsissime tracce di dipintura rossa con le rifiniture in bianco. Le tegole, per
tutta la larghezza corrispondente all'aggetto che formava il gocciolatoio, sono ornate
a palmette e girali dipinti in bianco su fondo rossastro. Il resto, che rimaneva in-
Pio. 4.
terno, poggiato sulla travatura (mutuli), è liscio per una lunghezza di m. 0,18, e
dalla parte ornata è diviso mercè una fascia dipinta in bianco (ved. fig. n. 5).
Fio. 5.
Fregio. — Ciò che dal punto di vista artistico dava grande importanza al tempio
veliterno, e ne costituiva una specialità, era il prezioso fregio che gli girava attorno
all'esterno. Le tavole fittili che lo componevano, per la perfezione dalla tecnica e per
l' influenza evidentissima dell'arte greca che corresse ed ingentilì la rozzezza che si
riscontra negli altri consimili fregi di templi delle altre città del Lazio antico,
costituiscono quanto di meglio si produsse nel genere, e segnano il culmine di una
Notizie Soavi 1915 - Voi. XII. 11
VELLKTRI — 78 — REGIONE I.
serie di prodotti artistici che, protrattasi per secoli, ebbe umili origini, migliorò, si
perfezionò, per poi di nuovo decadere. I soggetti figurati che vi sono riprodotti sono
sempre gli stessi, ma variamente trattati dal punto di vista artistico, poiché, doven-
dosi essi rinnovare per i continui restauri necessari ai templi costruiti con legname
e decorati con terracotta, si ebbe, salvo qualche leggiera variante, una continua ripe-
tizione dei tipi arcaici su forme stanche e ritoccate.
Le tavole fittili sono formate da una argilla di grana grossa impastata con sabbia
di fosso, contenente in notevole quantità granelli di pirossene, di amfibolo e di mica,
quale correttivo alla poca resistenza al calore che ha l'argilla pura. Una tale argilla
è molto comune nel territorio di Conca; ciò non toglie che le tavole siano state
eseguite sul posto, non adoperandosi l'argilla dell'agro veliterno per essere troppo
colorata in rosso.
Circa la loro tecnica, dirò che sono fatte a stampo entro matrici, con leggieri
ritocchi o, meglio, ravvivamenti dei tratti delle figure fatte a stecco.
La misura costante di ciascuna tavola è di m. 0,71 di larghezza, e di m. 0,36
di altezza: lo spessore è di m. 0,02, mentre alla sporgenza in alto è di m. 0,06.
Il fregio si compone di quattro parti dall'alto in basso: una cornice a curva
aggettante sul piano della lastra, alta m. 0,07 ; una fascia bombata dipinta a squame,
alta m. 0,08, sostituita in alcune lastre da una fascia liscia ornata con una greca ;
una zona mediana su cui si svolge la rappresentazione figurata, alta m. 0,20 ; un
sottile listello rilevato, liscio, che serve di base (').
I frammenti ricuperati nel nostro scavo conservano benissimo i colori, mentre
le lastre esistenti nel Museo Nazionale di Napoli li hanno perduti quasi completa-
mente. L'azzurro predomina come colore di fondo ; il rosso è adoperato per le carni (*) ;
il nero per le capigliature, i finimenti dei cavalli ed altri accessori; il bianco per
le vesti e per dar risalto agli occhi. Gli altri colori secondarli saranno in appresso
particolarmente indicati. I colori sono dati su di una ammanitura bianca, cosparsa
sull'argilla.
Ciascuna tavola contiene una rappresentazione figurata a sé. Lo stesso soggetto
si mostra ripetuto in altre tavole espresso in senso inverso e con cornici diverse.
II fregio veniva fissato sul fondo ligneo per mezzo di chiodi di ferro, fatti pas-
sare attraverso dei torelli ni appositamente praticati sulle tavole.
Le tavole fittili frammentarie ora ricuperate sono le seguenti:
1) Parte destra di lastra fittile in quindici frammenti (ved. fig. n. 6). Sotto la
cornice a sgusci rossi e gialli alternati corre un piccolo fregio a forma di fascia
bombata a squame dipinte in rosso, con orlatura bianca.
La parte figurata, su fondo azzurro oltremare, rappresenta una processione o
corteggio moventesi da sinistra a destra. Precede un giovane snello, lentamente gra-
(l) La forma dell'embricazione ed il motivo delle squame hanno riscontro nelle pitture di
Vulci enei voti embriciformi a figure nere e rosse: cfr. Dumont et Chaplain, Lei eèram. etc,
fase. XIX-XX; Robert, 'Ey. dgx-, 1897, pp. 247 e sgg.
(*) I colori azzurro e rosso predominano anche nelle terrecotte figurate greche: cfr. Schoene,
Oriech. Reliefs, pag. 62.
REGIONE 1.
79 —
VELLETRI
diente, vestito di corta tunica bianca e col capo ricoperto dal nètaaoc, bianco, sotto
il quale escono i capelli neri ricadenti sulle spalle: regge con ambo le mani il ca-
duceo (xrjQvxfiov). Segue una triga che procede al passo maestosamente. I cavalli
del centro e di destra sono calmi ed il loro incedere è regolare ; il cavallo di sini-
stra si mostra invece irrequieto : porta innanzi una delle zampe anteriori e rode il
freno. Hanno alte le teste ed il collo arcuato: le criniere sono stilizzate. Sono di-
pinti in rosso, mentre le briglie e la bardatura, semplicissima, sono in nero. Sul carro,
mancante nella nostra tavola, stanno ritte due figure: quella anteriore è l'auriga ve-
stito di tunica nera, che regge con ambo le mani le briglie e nella destra ha il
manico dello stimolo. La figura posteriore, vestita di lunga tunica bianca, appoggia
Fio. 6.
la mano sinistra sulla spalla dell'auriga, mentre il braccio destro è disteso lungo il
fianco. Al lato sinistro dei cavalli incede un altro giovane che accompagna con passo
cadenzato il corteggio, vestito di tunica nera e con le braccia serrate, fino al gomito,
al torace e gli avambracci spinti in avanti: con la destra regge una lancia.
Alla triga segue una biga tirata da due cavalli muniti di ali, le cui penne
sono alternativamente dipinte in bianco ed in rosso. Queste ali sono evidentemente
simbolo di celerità (')•
I cavalli aderiscono al carro mediante un largo collare fissato al giogo con cor-
regge di cuoio o corde, congiunte ad un sottopancia formato da due altre corregge
a cappio sul fianco dell'animale. Nella nostra tavola non rimane che la parte ante-
riore dei cavalli maestosamente incedenti.
2) Parte destra di lastra fittile, simile alla precedente (ved. fig. n. 7), che com-
pleta, benché le figure siano qui volte a sinistra e non a destra, il soggetto della
(') Simili cavalli alati veggonsi nelle decorazioni figurate di vasi di fattura ionica. Cfr. le
cosiddette « idrie ceretane » : Dilmmler, R6m. Mitth., 1888, pp. 173 e sgg.,'figg.^3, 5. Cfr. Micali,
Man. ined., tav. 37,8; Mon. dell'I»t.\ll, tav. 18, ecc.
VELLETRI
— 80 —
REGIONE I.
tavola già descritta. Infatti nella parte mancante di sinistra eravi rappresentato il
giovane col caduceo, cui seguiva la triga: di questa rimane soltanto il torso della
figura ritta in piedi sul carro dietro l'auriga. Viene poi la biga tirata dai due ca-
valli alati, nei quali è notevole la coda lunga tino a terra. Il carro è riprodotto in
forma schematica di profilo, con una metà della spalliera ed una sola ruota a sei
raggi. La cassa è formata da una semplice piattaforma, munita sul davanti e sui
fianchi da un parapetto solido e piano che ha l'insenatura caratteristica dei carri
etnischi (').
A metà precisa del fondo è fissata la sala con le ruote : il lungo timone ha il
suo appoggio sul giogo. Sul carro sta l'auriga, come nella triga ; dietro di questa
Fia. 7.
sta la figura ritta che si appoggia con la mano sinistra sulla spalla dell'auriga. La
biga è seguita da una figura a piedi simmetrica a quella che precede l'auriga.
Il soggetto figurato delle due tavole riferite era già noto per i frammenti di
tavole simili esistenti nel Museo Nazionale di Napoli, e segnati con i numeri
inventariali 1031, 103(5, 1043. Il Pellegrini, che li studiò, ha dato una ricostru-
zione grafica delle tavole intere, servendosi dei varii frammenti, completamente in-
dovinata, come dimostrano le due parti di tavole integrantisi, ora rinvenute (2).
(') Questa forma schematica e convenzionale di carro, peculiare dell'Etruria, si mantiene fino
ai più tardi tempi dell'arte etnisca, nonostante il predominio dell'arte greca; cfr. Martha, L'art
étrusque, pag. 357, fig. 246. Il carro greco ha sempre la ruota di quattro raggi, mentre il carro
jonico-etrusco è a più raggi ; cfr. Studniczka, Jahrb. des Insù., 1890, pag. 147.
(*) Fregi arcaici etruschi in terracotta a piccole figure, in Studii e materiali di archeologia
e numismatica di L. A. Milani, voi. I, 1899, pag. 101, fig. 8. Altro frammento dello stesso sog-
getto era quello regalato dal cardinale Stefano Borgia al D'Agincourt (cfr. id., Récueil de fragra,
antique» en terre cuite, pi. II, n. 4) che dovrebbe tuttora esistere nel Casino di Pio IV, al Vaticano.
Anche la tavola fittile rinvenuta a Palestrina (A. Pasqui, Notizie degli scavi, 1905, pp. 124
e sg. fig. 1) ed alcuni dei frammenti di fregio fittile rinvenuti a Roma sul Palatino in terreno di
REGIONE 1. — 81 — VELLETRl
L'unica variante si osserva in due dei frammenti esistenti nel Museo di Napoli, e
consiste nella diversa decorazione della cornice della tavola che è tutta strigliata
senza la fascia bombata.
Si può riconoscere nel soggetto il passaggio delle anime dei defunti ali 'Facies
condotte, anzi precedute da un araldo, o meglio, dallo stesso 'Eq^r^ ipvxono/xnóg, od
anche semplicemente un corteggio sacro.
*
8) Frammento costituito dall'estremità sinistra di una tavola fittile di forma
simile alle precedenti (ved. tìg. n. 8). Vi sono rappresentate tre figure. Di una non
rimane che il viso ed una mano; una seconda visibile quasi per intiero è vestita
di lunga tunica bianca ed ha un copri-
capo a forma di tutulus parimenti bianco.
Entrambi sono distese su una xkCvrj, che
nella nostra tavola vedesi appena: la figura
anteriore regge con la sinistra un fiore
trilobato. Le sta dinanzi la terza figura che
è un servo, vestito di tunica succinta nera
che le porge con la destra un vaso a forma
di oìvoxót], di colore bianco giallastro,
mentre tiene la sinistra levata in atto di
ossequio. Dinnanzi alla xkivtj è una piccola
e bianca xqàns^a teTQccTiodoq, di cui non
vedasi che una delle gambe, sotto la quale
è accovacciato un cane di colore bruno, di
cui vedasi la parte posteriore e la coda ., g
curvata in alto.
Questo frammento è completato dalla tavola quasi intiera esistente nel Museo
Nazionale di Napoli (numero d'inventario 1031 ) (') ed a sua volta supplisce ad una
lacuna di essa. Infatti la tavola di Napoli rappresenta un convito di quattro ban-
chettanti seduti a coppia di sesso diverso su due xlìiai : ciascuna coppia ha din-
nanzi una TQàneZa con sopra piatti con vivande. Tra le due xXTvca sta ritto un
suonatore di doppia tibia (tftauAijTifc) ed alle estremità delle ta\ole stanno due
servi. Sotto ciascuna delle due TQàne£ca stanno un cane ed un'anitra. Però nella
xXivrj di sinistra manca nella tavola di Napoli quasi tutta la figura muliebre non
rimanendovi che parte del dorso e ed il braccio destro che regge una coppa. Di
guisa che la figura muliebre che vedasi nella nostra tavola si completa figurandola
scarico presso la casa detta di Livia nell'anno 1896 (cfr. Pellegrini, op. cit., fis. 106) rappresentano
un soggetto simile, salvo qualche lieve variante, ma trattato più rozzamente che nelle tavole veli-
terne, in cui la tecnica è perfetta: cfr. anche uno dei frammenti fìttili rinvenuto all'Esquilino
(Bull, della Comm. archeol. comunale, 1875, pp. 41-54, tavv. VI-VlIIj.
(') Ved. Pellegrini, op. cit., pag. 105, fig. 11.
VELLETRl
— 82 —
REGIONE I.
col braccio destro ripiegato in avanti che regge una coppa nella quale dovrà mescere
il coppiere che le sta dinanzi (').
La scena rappresenta uno di quei banchetti di carattere pubblico che si tene-
vano dopo i sacrifici agli Dei.
4) Di un'altra tavola di soggetto diverso rimane la metà sinistra (ved. fig. n. 9).
La cornice ha la consueta baccellatura, ma è diversa nella fascia intermedia, la quale,
Fio. 9.
anziché essere bombata e dipinta a squame, è piana ed ornata di una doppia greca,
o meandro, a rilievo, rossa e gialla, decorata negli spazi liberi alternatamente da una
rosetta ad otto petali e da un'oca dipinta in bruno. La parte figurata rappresenta
una corsa di bighe (') ; di una biga non vedesi che la parte posteriore dei cavalli
ed il piccolo carro a due ruote di quattro raggi, sul quale è l'auriga che voltasi indietro
per vedere quale vantaggio ha sull'avversario che lo segue. Il primo carro è inseguito
infatti da un'altra biga i cui cavalli sono slanciati a gran corsa, eccitati dall'auriga
che, proteso in avanti, rallenta le briglie per favorire la corsa, mentre con la destra
stringe lo stimolo. Gli aurighi sono vestiti di tuniche nere, ed hanno un copricapo
nero ; anche i leggieri carri sono dipinti in nero. Sotto i cavalli della seconda biga
corre una lepre dipinta in bruno.
(') Dello stesso soggetto sono alcuni dei frammenti di fregio fittile rinvenuti a Cervetri (ora
al Louvre) cfr. Pellegrini, op. cit., pag. 97, fig. 6, ed a Roma sul Palatino nel 1896, presso la
casa detta di Livia (ora al Museo delle Terme) ved. Pellegrini, op. cit., pag. 106.
(*) Nelle pitture vulcentane di stile greco-etrusco sviluppato osservasi la stessa decorazione a
meandro: cfr. No6l des Vergers. VÉtrurie et les étrusques, III.pl. XXI-XXIX; Monwn. delVhlìt.,
VI, tav. 31. Il motivo ornamentale delle rosette è frequente nei vasi ionici, in specie nelle deco-
razioni dei vestiti e delle zone ornamentali.
REGIONE I.
- 88 —
VELLBTRI
5) Un altro frammento di lastra fittile ci dà il rimanente della tavola ora
descritta (ved. fig. n. 10), formando la parte destra dell' intiera tavola, che manca
appunto alla precedente. In essa vedesi una triga in corsa, guidata da un auriga,
seguita, o, per meglio dire, quasi raggiunta da una biga, della quale non vedesi che
la parte anteriore dei cavalli. L' intera tavola comprendeva adunque una triga seguita
da tre bighe, che gareggiano nella corsa, come potevasi già desumere dai frammenti
di tavole esistenti nel Museo Nazionale di Napoli (numeri d' inventario 1031, 1032,
1045, 1046), i quali, ricostruiti fanno conoscere l'intera tavola (').
Fio. 10.
6) Un piccolo frammento di lastra fittile (ved. fig. n. 11) ci oftre due figure
sedute su sedie plicatili (óig>Qog òxlaótag). Una di esse è intiera e sembra di sesso
muliebre: è vestita di lunga tunica e, mentre l'avambraccio destro è sollevato in alto,
il braccio sinistro è posato sul ginocchio. Tale attitudine è propria dei personaggi
reali o, meglio, delle divinità (*). L'altra figura che precede è anch'essa seduta verso
sinistra, ma con la testa volta indietro, verso la figura che la segue. Di una terza
figura, ancora più a sinistra, rimane soltanto parte del àigiQog e della persona.
Fra le terrecotte borgiane del Museo Nazionale di Napoli vi è una tavola (3)
in cui è rappresentata una serie di divinità ritte e sedute, alcune riconoscibili quali
Apollo con l'arco e la freccia, Zeus barbato con le scettro in mano, ed Ermete con
il petaso.
(') Pellegrini, op. cit., pag. 103, fig. 9. Una lastra decorativa di arte attica rappresentante
una corsa di bighe, e rinvenuta sull'acropoli di Atene, ricorda molto le nostre ; ved. Bull, de corresp.
hell., 1888, pag. 499, n. 12.
(*) Si confrontino i cilindri assiri, i darici persiani, ed alcune monete battute dalle colonie
fenicie sotto la dominazione persiana ; ved. Layard, Niniveh, pag. 329.
(*) Pellegrini, op. cit., pag. 105, fig. 12.
VELLKTR1
84 -
Regione I.
Un'altra figura ha in mano il lituus e potrebbesi riconoscere per Vertumnus (');
un'altra figura barbata ha lo scottro.
Gli Etruschi avevano nel loro Olimpo sei dèi e sei dee, identificati con i dodici
Dei dell'Olimpo ellenico, detti dai Latini dii consentes o complices (*).
Nella tavola, di cui rimane il frammento del quale ci occupiamo, si è voluto
rappresentare un consesso di divinità greco-etrusche (3).
7) In un altro piccolo frammento di lastra fittile (ved. fig. n. 12). la cui fascia
era ornata dalla greca della quale vedesi nella parte superiore una breve traccia,
appariscono due guerrieri a cavallo, galoppanti affiancati ed armati di scudo rotondo e
Fig. 11.
Fw. 12.
di lancia, con il capo ricoperto dall'alto elmo greco crestato a guanciera fissa. I cavalli
e la carnagione dei guerrieri sono, come di consueto, dipinti in rosso; sono in nero
invece le strie parallele delle criniere dei cavalli, le lance e Yèmarj/iov dello scudo
formante un rosone ad elica (4).
Questo frammento fa parte di una tavola simile a quella ricostruita dal Pelle-
grini (5) con i frammenti esistenti nel Museo Nazionale di Napoli (numeri d' inven-
tario 1035, 1039, 1040), rappresentante un attacco di cavalieri. In esso veggonsi
tre coppie di guerieri a cavallo, galoppanti verso sinistra, tutti armati nel modo
descritto. I tre cavalieri di sinistra, oltre che della lancia, sono armati di una scure
(') La divinità precipuamente venerata dai coloni etruschi in Koma, la cui principale sede era
il vicus Tuscus, fu appunto Verlumnus; cfr. Varr., de ling. lai., V, 46.
(aJ Senec, Quaest. nat., II, 41 ; Varr., de re rust., I, 1; Arnob., ad gent., 111,40; cfr. Mttller,
Etrusker, II, pag. 85.
(3) Un frammento di questa stessa scena, d'ignota provenienza, già appartenente alla colle-
zione Buonarroti, esiste a Firenze nel Museo Nazionale; cfr. Pellegrini, op. cit., pag. 107. fig. 13.
(*) Cfr. l'anfora vulcentana a figure nere di stile attico, in Monvm. dell' ht., III. tav. 24 ;
l'altra di stile ionicizzante, anch'essa vulcentana, in Dùmmler, Roem. ìlitth. 1887, tav. 9; e l'anfora
di Anfiarao in Alonum. dell'Ist., X, tav. IV-V. Cfr. Inghirami, ilonutn. etr., V, pag. 2, tav. 5 e 6;
Dressel-Milchhofer; Athen. Mitth., 1877, pag. 16, n. 2.
(8) Op. cit., pag. 104, fig. 10.
REGIONE I. — 85 — VELLETRI
o di un giavellotto brandito con il braccio sinistro portato in dietro in atto di col-
pire. Anche il guerriero di sinistra del nostro frammento ha il braccio sinistro por-
tato indietro e levato ; ma non è dato sapere se brandisce una scure ovvero un gia-
vellotto (»).
Tutti gli altri numerosissimi frammenti di fregio fittile a piccole figure, rinve-
nuti durante lo scavo, appartengono a tavole simili alle già descritte, formando una
serie di duplicati della stossa figura e dello stesso dettaglio. Credo opportuno, per
ragioni di brevità, di non elencarli.
Si è già accennato che i fregi veliterni segnano quanto di più perfetto siasi
potuto raggiungere nella tecnica dei bassorilievi arcaici in terracotta di provenienza
etrusco-laziale. Si è anche a più riprese mostrato che molti e prevalenti sono in essi
gli elementi greci, ionici e corinzi, che vi si riscontrano fusi inorganicamente insieme
con un contenuto locale etrusco.
Si debbono certamente all' influenza dell'arte ionica la forma delle figure con la
loro rotondità e mollezza caratteristiche di quell'arte, la forma dei carri (salvo leg-
giere varianti), la figura dell'araldo che precede il corteggio, i cavalli alati che trasci-
nano la biga, e la figura barbata di divinità. Ricorda inoltre modelli corinzi, la scena
del convito in tutti i suoi particolari Sono invece elementi prettamente etruschi il
bastone ricurvo, a forma semplificata, del lituo sacerdotale, che ha una delle figure di
divinità, come anche la forma di attacco della triga, più comune in Etruria che non
in Grecia, e la scure impugnata dai guerrieri a cavallo, di origine asiatico-pelasgica.
Tutto ciò ha benissimo dimostrato il Pellegrini nel suo lavoro più volte citato (*).
Mentre il Pellegrini propende a credere che questi fregi siano stati eseguiti da
artisti etruschi, su suolo etrusco, sotto l'influenza dell'arte greca, il Savignoni (3)
è invece del parere che essi abbiano un' impronta schiettamente ellenica, non al punto
però di doverli ritenere direttamente importati in Italia dalla Jonia o dalle colonie
(') Un altro pezzo di questo fregio con il gruppo dei cavalieri fu donato dal cardinale Ste-
fano Borgia al D'Agincourt, e da questo riprodotto neìl'Hist. de l'art de la décad , sculpt., fi. XXVI,
n. 21; cfr. Récueil de fragm. ant en terre cuite, fi. II, n. 8. Esso dovrebbe tuttora trovarsi, insieme
con l'altro già ricordato della biga alata, nel casino di Pirro Ligorio al Vaticano; ved. Abeken,
Mittelit.y pag. 825, n. 5. Dello stesso soggetto, ma di carattere più arcaico, sono le tavole riprodu-
centi lo stesso soggetto, rinvenute a Poggio Buco presso Piiigliano (cfr. Pellegrini, op. cit., pag. 91,
flg. 2), a Conca (id., pag. 95, fig. 3») ed a Toscanella (id., pag. 97, fìg. 5) ; cfr. anche il rilievo
in marmo greco arcaico rappresentante una corsa di cavalieri rinvenuto sulla via di Cisterna presso
Velletri [G. Moretti, in Ausonia VI (1911), pag. 147 e segg., tav. VII]. Simili alle lastre borgiane
sono invece, riproducenti lo stesso soggetto, i frammenti rinvenuti in Roma sul Palatino presso la
casa di Livia nel 1896 (ora al Museo delle Terme; Pellegrini, op. cit. pag. 106), e nel decimo ed
ottavo strato del terrapieno del Comitium (G. Boni, Notizie degli scavi, 1900, pag. 325, flg. 28 :
cfr. D. Vaglieri : Bull, della Commiss, archeol. comunale 1901, pag. 128 e seg., figg, 66, 67;
Helbig., Zur Oeschichte des róm. Equitatus, in Abhandlungen des K. Bayer. Akademie der Wis-
sensch. Kl., XXIII Bd., II Abt., pag. 278 segg., fig. 1).
(•) Op. cit., pag. 108.
(*) In Roem. Mitth., 1906, pp. 64-84, tav. II, ove si tratta di alcuni frammenti di fregi ionici,
molto simili ai greco-etruschi, rinvenuti a Paleokastro di Siria, nell'isola di Creta, e conservati nel
Museo del Syliogos di Candia.
Notui* Soavi 1915 — Voi. HJ. 12
VBLLETR1 — 86 — RBGIONB I.
della Magna Grecia, ma eseguiti da artefici greci venuti in Etruria, ed in specie nei
grandi centri di Caere e di Tarquinii, ove avrebbero lavorato per gli Etruschi (').
Comunque sia, è veramente notevole il fatto che la migliore produzione del genere
appartenga ad una città volsca ed alquanto lontana dai grandi centri artistici etruschi
suddetti.
*
Circa l'età a cui ci riportano i nostri fregi, va innanzi tutto notato che questi
prodotti, dai primitivi ai più evoluti quali i veliterni, furono già dal Pellegrini (2)
posti cronologicamente fra i più rozzi prodotti del « red ware » e gli splendidi orna-
menti architettonici etruschi del IV e del III sec. av. Cr. È infatti da ritenere che
i più antichi di tali fregi risalgano alla fine del VII ed al principio del VI secolo
av. Cr.
I fregi del tempio veliterno, che sono di arte più perfezionata e risentono moltis-
simo dell'influsso dell'arte greco ionica del VI sec, debbono, a mio parere, assegnarsi
alla fine del VI od al principio del V sec. av. Cr.
Questa datazione è convalidata dalla cronologia dell'altro materiale rinvenuto in
questo scavo e particolarmente dal materiale della stipe sacra ed anche da conside-
razioni storiche cui accennerò in appresso.
Stipe votiva.
Nel riferire la cronistoria dello scavo, si è già mostrato che il materiale appar-
tenente alla stipe votiva del tempio volsco veliterno si rinvenne alla rinfusa non in
determinati punti ma in tutta la terra di scarico sparsa intorno e sotto la moderna
chiesa delle Ss. Stimmate. Si disse, anche, che il vasellame si ricuperò frantumato e
mescolato in modo da non permetterne uno studio cronologico sistematico. Del resto
il copioso materiale rinvenuto non presenta alcuna nuova caratteristica, ma comprende
molte delle consuete e notissime forme della ceramica laziale, compreso qualche scarso
esemplare di vasi greci importati. Sarà ora dato un elenco delle forme principali di
vasi rappresentati nel materiale fittile restituito alla luce dal nostro scavo.
A) Vasellame laziale (in gran parte del 2° periodo dell'età del ferro: dal VII
al V sec. av. Cr.) :
1) Dolii cilindrici a labbra leggermente svasate, eseguiti in impasto, con la
superficie lisciata a stecco: di varie grandezze.
2) Vasi di bucchero dalla superficie lucente, con le anse bifore sagomate.
3) Vasi con ansa a sagoma esterna ondulata.
4) Vasi di argilla figulina lavorati al tornio e cotti al forno, con anse a due
asticelle o colonnette, decorati con linee dipinte a guazzo di colore rosso.
(*) Roem Mitth., 1906, pag. 71.
(') Op. cit., pag. 117.
REGIONE I. — 87 — VBLLETR1
5) Ciotole eseguite a mano, munite di anse a linguetta fissate sulla maggiore
sporgenza del corpo: dipinte a vernice rosso-bruna.
6) Coperchi di vasi a calotta.
7) Balsamarii a forma di fuso, col piede ed il collo piccolissimi, di argilla
rossastra molto compatta.
8) Tazzette ad ansa bifora semplice.
9) Tazzette ad ansa a due cornetti.
10) Vasi di argilla a vernice rosso-bruna o nera, con motivi di decorazione
svariati quali, bugne, stelle a sei raggi, strie orizzontali finissime, squame graffite,
croci gammate, ecc.
B) Vasellame greco d' importazione :
1) Balsamario precorinzio in argilla giallastra ornato a zone brune continue,
fra le quali corrono due linee punteggiate, il tutto dipinto a guazzo con colore rosso-
bruno (alto m. 0,09).
2) Kylix frammentaria, a figure rosse su fondo nero, di bello stile attico, con
nel mezzo rappresentato un efebo nudo in atto di giuocare alla corda: in giro è la
leggenda: HO NAI? KAUO? XA ATO? (V sec. av. Cr.).
3) Kylix frammentaria con i resti di alcune figure ritte all'esterno ed all' in-
terno del vaso: vi rimangono le lettere EPA(x^»;g?).
4) Frammento di vaso greco con il motivo degli occhi profilattici.
C) Vasellame etrusco campano.
Si rinvennero poi in grande quantità frammenti di vasi etrusco-campani a ver-
nice nera lucente, di varie forme e dimensioni, con il distintivo della palmetta mar-
cata sui fondi. Quosti vasi appartengono, come è noto, ai
secoli IV e III av. Cr.
Altro materiale fittile della stipe votiva del tempio è
costituito da un grande numero di fusaiuole a piramide tronca,
plasmate in argilla, alcune delle quali hanno granita sul lato
superiore una croce decussata. Vi sono poi rocchetti fittili in
numero rilevante.
Sono anche degni di nota un ex-voto a forma di arula (l)
fittile decorata sul davanti con una maschera scenica tra due doppi girali (ved.
fig. n. 13: alt. m. 0,14), ed un piccolo frammento fittile di tetto di capanna laziale
appartenente ad uno di quegli ex-voto rappresentanti un simulacro di tempio della
forma di transazione dalla capanna rotonda laziale alla casa di pianta rettangolare (')
Vennero inoltre in luce una matrice di statuetta di Sileno Pappo, dalla lunga
barba, corpulento e seminudo, dall'aspetto goffo e ridicolo (m. 0,18 X 0,07), ed un fram-
(*) Un'arnia simile si rinvenne nella necropoli esquilina ; esiste ora nel Museo Capitolino
(cfr. Bull, della Commiss, arckeol. comunale, 1875, pag. 41 e segg., tav. VI-VIII, n. 2).
(*) Cfr. la stipe votiva del tempio della Madre Matuta a Conca: Notizie degli scavi, 1896,
pag. 100.
VBLLETRI — 88 — REGIONE I.
mento in rilievo marmoreo, l'unico oggetto in marmo rinvenuto durante tutto lo scavo,
in cui sono scolpiti un albero di olivo ed un Sileno barbato cbe guarda in basso
(m. 0,23X0,10).
Dall' insieme della precedente esposizione si deduce che il nostro tempio volsco
ebbe il suo massimo splendore nel V secolo av. Cr., periodo che corrisponde all'apice
della potenza dei Volsci ('). Questo popolo, indomabile e tenace nel conservare la
propria nazionalità, scese dal suo montuoso paese, e per la valle del Liri giunse tra
i monti Lepini ed i colli Albani ove fondò Velitrae in territorio già etrusco, in un
punto strategico dominante il passaggio fra i due gruppi montuosi (*). I Romani la
conquistarono una prima volta nell'anno 494 av. Cr., deducendovi una colonia (3); ma
i Volsci, uniti agli Equi, ben presto la ricuperarono.
Nella prima metà del V secolo av. Cr. i Volsci si erano impadroniti di molte
città latine, quali Lavinium, Labicum, Pedo e Corioli, e delle lontane città di
Anxur, Satricum ed Antium, minacciando Roma stessa; ma i loro progressi ven-
nero arrestati dal valore di Spurio Cassio. Durante questo periodo Velitrae volsca
fu nel suo maggior fiore, retta da magistrati detti meddices {*). Questo rifiorire della
potenza volsca fu di breve durata, poiché nell'anno 404 già i Romani avevano ricon
quistato Velitrae (5) conducendovi nuove coloni ; né valse a riacquistare l' indipen-
denza volsca la grave ribellione dell'anno 393 (6), né quella, ancora più ardita, del-
l'anno 377 quando i Volsci avanzatisi arditamente fino a Lanuvium, si accamparono
ai piedi dei colli Albani. Il dittatore Furio Camillo li sconfisse arrecando loro grandi
perdite e rintuzzandone per sempre la potenza e l'ardire (7).
G. Mancini.
(') EU. Pais, Storia critica di Roma, II, pag. 425.
(•) Nisseu, Landeskunde II, pag. 632; cfr. G. De Sanctis, Storia di Roma II, pag. 101 e
seguenti.
(') Liv. II, 30; Dionys. VI, 42.
(*) Zvetajeff, Inter, med. lat. n. 46, tav. X, 4.
(') Diod., XIV, 34, 7.
(•) Diod. XIV, 102, 4.
(') Liv., VI, 22.
DBCIMOPOTZU — 89 — SARDINIA
Anno 1915 — Fascicolo A.
SARDINIA.
1. DEOIMOPUTZQ (Cagliari) — Scoperta di un ripostiglio di bromi
di età preromana a monte de sa Idda.
Ancora una volta, come ad Abini presso Teti, a Tadasune, a Lei per la Sar-
degna, al caso fortuito la nostra scienza ed il Museo nazionale di Cagliari sono
debitori del rinvenimento di un importantissimo ripostiglio di bronzi nuragici, con
taluni oggetti di notevole carattere miceneo.
In attesa di completare con le indagini i pocbi elementi raccolti, mi limito qui
a brevi cenni sulle circostanze e sulla località della scoperta, come anche sui carat-
teri di essa.
Negli ultimi giorni del 1914 due pastori di Destilo, Francesco Frau e Seba-
stiano Pranteddu, i quali erano a svernare con le loro capre tra Siliqua e Decimoputzu,
nel Campidauo di Cagliari, vennero in Museo a portarmi alcuni oggetti in bronzo
di carattere nuragico ('). Quando li ebbi acquistati ed ebbi così vinte le naturali
diffidenze dei due montanari, seppi da essi che sul monte de sa Idda, tra Decimoputzu
e Siliqua, sorgente sul limite della pianura campidauese, avevano rinvenuto una
grande quantità di oggetti in bronzo.
Fedeli alla parola datami, il 1° del corrente anno essi ritornarono in Museo,
consegnandomi una grossa bisaccia, piena di oggetti, interi e frammentati, in bronzo,
tutti di età nuragica, dandomi anche ritrovo per il giorno 3 gennaio per indicarmi
esattamente la località della scoperta e consegnarmi altri frammenti che essi
avevano raccolto e messo in disparte, non potendo per il grosso peso portarmi tutto
il materiale.
(') I due pastori, che, nella loro ignoranza della legge, erano venuti in città per fare esami-
nare se gli oggetti fossero d'oro e qual ricavo potessero trarne, furono guidati al Museo dal signor
Romualdo Loddo, della R. Soprintendenza dei monumenti, e quivi consigliati a rompere quel sug-
gello di mistero o di reticenza che tanto spesso circonda le scoperte archeologiche isolane.
Notizik Scavi 1915 — Voi. XII. 18
DECIMOPUTZU
- 90 —
SARDINIA
Il 3 gennaio, per quanto contrariato da un tempo poco favorevole, fui al ritrovo,
e con i due pastori salii sul monte de sa Idda, ricuperando interamente la sup-
pellettile rinvenuta, e procurando i dati precisi sulla località e sul rinvenimento,
che era il dono augurale del capodanno, offerto all'archeologia della Sardegna dalla
buona fortuna.
La località della scoperta, come ho detto, è il monte de sa Idda, (monte del
Villaggio), una dirupata costiera granitica, la quale sorge quasi a picco dal palu-
doso piano campidanese di Decimoputzu, lungo la linea ferroviaria da Cagliari ad
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Fio. 1.
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Schizzo indicante il posto dove sorge il Monte de sa Idda
tra Siliqua e Decimoputzu (Cagliari).
Iglesias (fig. 1). Tutta la costiera della brusca collina, che merita tuttavia il nome
di monte per la qualità della roccia di cui è composta e per il carattere alpestre del
paesaggio granitico, a pochi passi dall'acquitrinoso e malarico piano, è fittamente
sparsa di resti di ceramiche, prevalentemente di età nuragica; sulla vetta sorge
ancora un piccolo edifìcio di forma e di struttura nuragica, ma di scarse propor-
zioni, dal quale la vista si stende amplissima fino alle colline di Cagliari ed allo
ampio golfo (ved. lo schizzo di pianta, fig. 1).
Pochi metri al di sotto della vetta, dove uno scheggione di granito si drizza
ancora naturalmente, quasi un indice ed un segno, i due pastori desulesi, sempre
investiti dalla fantasmagoria di un sogno di nascosti tesori, scavarono al di sotto
di una pietra che risonava a vuoto, e rinvennero, in molti frammenti, un grosso-
lano vaso di rozza argilla, di cui raccolsi alcuni pezzi, ed entro a questo la massa
degli oggetti interi e frammentati, da essi ritenuti di oro. Il resto è noto.
Ho durato una certa fatica a smontare la fantasia dei due rinvenitori, riducendo
la scoperta al suo valore umano, snebbiando fantasime ed illusioni ; né fu agevole
di liberarsi dalle pretese di altri pastori, che avevano presentito, preveduto, sognato
la scoperta, la quale aveva rapidamente assunto le proporzioni di un tesoro inaudito,
SARDINIA — 91 — DECIMOPOTZD
di cui io era il rapitore. Ma la fortuna ed il salutare intervento dell'autorità dei
bravi carabinieri di Siliqua salvarono, almeno ne ho la fede, l' intero ripostiglio al
Museo nazionale di Cagliari.
Presento qui in breve la descrizione del suo contenuto; quanto prima mi sarà
possibile intraprenderò una sistematica indagine sul monte, tanto più che il terreno è
di proprietà pubblica; intanto ricordo che la breve ricerca condottavi nella prima gita
mi permise di raccogliere varii frammenti di scorie, pezzi di vasi in terracotta,
e avanzi di bronzo, indizii tutti che lassù, in quella località sicura e forte per la
sua posizione, poco discosta dai piani campidanesi, dove la vita nuragica si svolse
ampiamente, prima dell'insediamento dei coloni fenici di Carales, si ebbe un'officina
fusoria di età nuragica, la quale si giovò delle folte boscaglie di leccio che rivestivano
ed in parte ancora rivestouo tutta la catena granitica che da Siliqua, per monte Idda,
si connette alle più alte costiere del monte Linas.
Il ripostiglio contiene:
n. 13 impugnature di spade;
» 51 frammenti di lame di spade;
» 2 pugnali ;
» 36 accette intere;
» 3 frammenti di accette;
» 2 scalpelli;
i 2 trapani ;
» 5 falci;
» 3 frammenti di falci;
» 3 cuspidi di lancia;
» 3 anse di vasi;
« 38 oggetti varii, alamari, occhielli ed altri oggetti indefinibili;
» 10 panelle di rame lenticolari e parallelepipede;
» 12 kg. di frammenti di panelle e frustoli di rame per la fondita.
Tali bronzi sono tutti di tipo e di forme nuragiche; quelli di tipo nuovo, o
almeno non presentatosi sinora in Sardegna, per il carattere del metallo e della sua
patina, per lo stile, o, meglio, per la tecnica metallurgica, sono senza dubbio proto-
sardi, e prodotti dell'industria locale. A questa convinzione sono venuto dopo il primo
e sommario esame di questi bronzi, né credo che una ricerca più particolareggiata
e minuta sarà per condurmi ad un risultato diverso. Si tratta di prodotti locali,
per quanto in parte collegati ed inspirati a modelli importati ; ma in nessun caso e
per nessun tipo, sia di armi, sia di strumenti, io ritengo che siamo di fronte ad una
diretta importazione di prodotti stranieri, né ad una servile imitazione di tali pro-
dotti. La tecnica fusoria sarda, che nell'età dei nuraghi era perfettamente svilup-
pata e conscia di tutti i metodi e di tutti i gradi dei varii procedimenti metallur-
gici, foggiò i suoi tipi di armi, di strumenti, di ornamenti, assorbendo e modifi-
cando i modelli stranieri e adattandosi una speciale serie di tipi caratteristici,, ai
DECIMOPCTZU
92 —
SARDINIA
quali si attenne poi, con una specie di feticismo che diremo quasi rituale, quando
attorno a tutte queste forme arcaiche (e, potremo dire, arretrate) del pensiero, della
vita, della psiche sarda, si concentrarono tutte le energie della schiatta, in una
lotta incessante e non ancora spenta, contro altre forme, altre concezioni della vita.
Le accette del ripostiglio appartengono a tipi svariati; sono però tutte di pro-
duzione locale, giacché per la massima parte sono fresche di getto ed hanno ancora
m m
Fio. 2 (2:s).
Fm. 3 (2:s).
le sbavature di fusione ed il tagliente ottuso. Abbiamo l'ascia piatta, robustissima,
a margini convessi, e tagliente semicircolare; l'ascia allungata, a sporgenze sui lati
(fig. 2); l'ascia a profondo solco alla base, con le due orecchiette alle costole, di
tipo frequente nella penisola iberica; abbiamo l'ascia a cannone a sezione rettango-
lare, di grandi proporzioni, di tipo prevalente in tutte le regioni del Mediterraneo
occidentale, dall'Andalusia alla Scozia, ma di produzione locale (fig. 3); abbiamo
infine la vera e propria scure, ad un solo taglio ed a viera aperta, che si connette,
più che ad altri tipi, alle scuri protoegiziane delle sepolture della valle del Nilo (').
(') Per i tipi delle accette in bronzo della Sardegna, cfr. Giovanni Pinza, / monumenti pri-
mitivi della Sardegna (Monumenti antichi dell'Accademia dei Lincei, voi. XI), pp. 170 e sgg. Per
e ascie a cannone occidentali, Iohn Evans, L'dge du bronze, Paris 1882, pp. 116 e sg., figg. 129-
139, e pastini. Cfr. Dechelette, Manuel d'archeologie préhistorique ecc. II, pag. 248, fig. 84;
pag. 252, fig. 88 e pauim.
SARDINIA
— 93 —
DECIMOPOTZU
I pugnaletti conservano il tipo arcaico dei pugnali a lama triangolare e fori
per il codolo, tanto frequenti negli strati nuragici; così pure le punte di lancia non
hanno novità di tipo rispetto a quelle offerte dalla stipe di Abini: solo hanno una
maggiore sveltezza, accostandosi di più ai tipi delle cuspidi di lance cretesi.
II migliore interesse del ripostiglio è dato dalle spade, sventuratamente tutte
raccolte in stato frammentario, ma tale da permettere la ricostruzione dei tipi, tanto
più che rimangono le impugnature e le teste delle bellissime armi. Finalmente con
questo ripostiglio noi conosciamo la forte spada del guerriero
sardo. I templi, le tombe, i ripostigli ci avevano sinora re-
stituito a centinaia le fini ed esili spade votive, o piatte a
costola, od a sezione rettangolare: i famosi veruti, armi da
caccia o da voto, troppo esili strumenti in mano ad un valido
e forte e combattente soldato. Ora, grazie alla scoperta di
monte Idda, sappiamo quale arma impugnava il guerriero che
gli antichi ricordano tra i più valorosi, disciplinati, combat-
tivi del mondo. La spada, robusta e solida, a risalto mediano
ed a fini bulinature, è per lo più incorporata nel manico,
con cui forma un sol tutto; l'impugnatura che indica una
mano fine, quasi femminile, ha per lo più i chiodi che do-
vevano fissare sull'anima di bronzo il rivestimento in legno,
in osso o forse in avorio. Le lame non provviste di manico
hanno una testa elegantissima, con i fori per l'intìssione del-
l'impugnatura. È difficile di sfuggire alla prima impressione
che noi proviamo, davanti a queste armi, tanto simili a quelle
delle tombe di età minoica in Creta, massime alle belle
spade della necropoli di Zafer-Papura, scavate dall'Evans (').
E l'immagine degli Shardana, assalitori dell'Egitto, ci balza
subito dinanzi, impugnanti la corta e robusta spada di guerra.
Giova però fare giusta ragione di questo avvicinamento e
temperare con severa indagine la prima impressione, per non
essere da questa fuorviati, nello spazio e nel tempo (fig. 4).
Se è innegabile l'analogia delle spade di monte Idda con quelle delle tombe di
Micene e di Creta minoica, non è però difficile di vedere che esse hanno una maggiore
semplicità e praticità; si comprende che i Sardi, venuti in possesso di esemplari
egei, li abbiano imitati, ma li hanno resi più forti e più semplici ; di una spada di
lusso hanno fatto una spada di battaglia, con la quale dovette fare conoscenza, non
sempre gradita, l' invasore fenicio dapprima, punico poi (fig. 5). Data la fissità dei
motivi di ogni genere entro all'ambiente sardo, la persistenza delle forme, delle vesti,
come dell' intima sostanza della vita sarda, noi non dobbiamo meravigliarci che tipi
Fio. 4 (2:3).
(') Evans, The prekistoric tombt of Cnossos, London 1906, pag. 56, figg. 58, 59 e passim;
cfr. René Dussaud, Les civilisations prchelleniqucs dans le òassin de la mer Egèe, 2.m« édit. 1914,
pag. 50, fig. 32.
DEC1M0PDTZC
— 94 —
SARDINIA
e modelli di armi, per loro natura tanto persistenti nel seno di ogni razza, si siano
conservati dall'età micenea sino a quella a cui appartiene il ripostiglio di monte
Idda, di qualche secolo più recente di quella.
Ma già sin da ora noi vediamo aperto un altro spiraglio che nella penombra della
preistoria sarda conduce un filo della grande luce brillante sul cielo della civiltà
egea; non chiudiamo a quello spiraglio la via per una imbelle restrizione mentale,
e tanto meno per inchinarci ad una moda, ormai superata, che vuole
esclusa la Sardegna dalla vita pugnace, fervidissima, dell'età che vide
tanta copia di avvenimenti nel bacino del Mediterraneo, avvenimenti
che, pur non essendo tutti registrati nei libri della storia, non furono,
per questo, meno efficaci nello stanziamento dello successive civiltà,
fiorite in piena luce della storia.
A me duole di essere in disaccordo di idee con altri studiosi, di
cui altamente apprezzo il valore e l'acume. Ma, avendo io la fortuna
di trovarmi più direttamente a contatto con i monumenti sardi, e di
studiare alla loro fonte le sorgenti dei fatti che gli scavi e le ricerche
vanno giornalmente portando alla luce, credo che il lasciare che tali
fatti parlino in tutta la loro evidenza sia un servire a quella verità,
a cui solo deve inchinarsi l'uomo di studio.
Le medesime considerazioni che ci sono fornite dallo studio
delle spade di monte Idda scaturiscono anche dall'esame sommario
degli altri oggetti. Così le falci, pure accostandosi a quelle dell'età
del bronzo della penisola italiana ('), hanno un carattere locale, sono
più larghe e più pratiche (fig. 6); così le lame di sega, solide ed
usate ; così gli aghi crinali, dalle impugnature robuste e dalla verga
solida, che li rende atti a colpire come pugnali.
Anche le grandi anse di lebeti, se possono compararsi a quelle
dei vasi in bronzo di Sicilia, e più ancora, di Creta minoica, hanno
una decorazione a motivi geometrici o naturalistici, ma semplicissimi
o germinati dalle imitazioni di esemplari empestici, la quale, come
già osservai altrove, determinò la decorazione della ceramica eneolitica
"e nuragica sarda.
Ed all' Oriente egeo ci richiama anche il tendi-arco in bronzo (fig. 7), deco-
rato nella parte superiore da una doppia spirale, la quale per rudezza di caratteri
si collega a quelle date dalla ceramica della grotta di S. Michele d'Ozieri, e come
queste, potrebbe essere ritenuta una germinazione locale, affatto indipendente da
modelli importati (2), se non avessimo le decorazioni spirali dell'arcipelago di Malta
Fig. 5 (2:3).
(l) Per le falci in bronzo della Sardegna, vedi Pinza, op. cit., pag. 147, fig. 85. Cfr. Dechelette,
op. cit, voi. II, pag. 267, fig. 9ó"; Evans, op. cit., pp. 212 e seg., fig. 236.
f) Taramelli, La grotta votiva di S. Michele di Ozieri (Notizie scavi, 1915, fase. IV,
pag. 134); Porro, Materiali della grotta votiva di S. Michele di Ozieri (Bullettino di paletno-
ogia italiana, 1915).
SARDINIA
95 —
DECIMOPOTZU
e quelle della penisola iberica, le quali indicano le tappe della grande strada di
diffusione di quel motivo decorativo, che si insteriliva e si imbarbariva nel suo gra-
duale cammino verso l'Occidente del Mediterraneo.
A stabilire il carattere del ripostiglio: a chiarire la origine di esso, confermando
le idee da me precedentemente espresse sulla metallurgia della Sardegna nuragica,
valgono le numerose panelle di rame rinvenute nel vaso di monte Idda. Alcune sono
intere, di forma lenticolare, pesanti da 3 a 4 chilogrammi ; altre sono spezzate in
minuti frammenti; solo alcune hanno forma rozzamente rettangolare e dimensioni più
Fio. 6. — Falce in bronzo (2:3).
Fig. 7. — Tendi-arco in bronzo (2:8).
grandi; nessuna però accenna alle forme a nskip] dei famosi pani di rame di Serra
Ilixi, di provenienza egea ('). Sono invece tutte panelle di rame di provenienza sarda,
e fuse con minerale sardo; siamo quindi di fronte alla fonderia 0 al ripostiglio di
un fonditore che raccolse tutte le spade rotte di una sola tribù ed i frammenti di
oggetti vari, che si preparava a rifondere ed a ridonare a novelle forme. Il non aver
trovato alcun oggetto né punico, né tanto meno romano, nel ripostiglio, fa credere che
esso fosse stato formato in piena vita nuragica, quando sulla vetta di monte ldda
tenevano ancora saldo i Sardi primitivi, che qui ergevano le loro vigili torri di
guardia, in vista del mare, in vista dell'acropoli caralitana, su cui non erano ancora
piantati i tristi segni della signoria fenicia.
L'analisi chimica potrà provare se il rame di quelle panelle sia 0 meno il rame
di origine sarda, come tutto porta a credere. Ma sin da ora mi è grato di richiamarmi
(') L. Pigorini, / pani di rame di Serra Ilixi in Sardegna (Bull, di paletnologia italiana.
anno XXX, 1904, pp. 91 e seg.).
DECJMOPUTZO — 96 — SARDINIA
alle osservazioni da me fatte nelle antiche miniere di rame di rio Saraxinus, presso
Gadoni, con la scorta dell'amico ing. Megy, ed ai dati raccolti nella fonderia nuragica
di Ortu Commidu presso Sardara, per riferirmi solo alle più recenti scoperte, le quali
provano in modo palese l' intensa lavorazione dei giacimenti cupriferi sardi in età
nuragica e la completa elaborazione metallurgica di tali minerali per opera dei sardi
stessi, prima della penetrazione del più piccolo elemento fenicio o cartaginese negli
intimi recessi della montagna sarda. Perciò l'orizzonte preistorico sardo non solo è
peculiare e diverso da quello della penisola italiana, ma è diverso anche dal siculo,
come ben disse il Colini. E la diversità è in gran parte dipendente da un fatto
naturale: la presenza, in Sardegna, di quei giacimenti cupriferi, sui quali cadde
l'attenzione dell'uomo neolitico sardo, che, non sappiamo ancora per quali impulsi,
probabilmente egei, ne apprese il valore ed i metodi di sfruttamento. In Sicilia invece
noi troviamo che le società locali, in piena vita neolitica, ricevono le spade e gli
oggetti micenei, e li adottano tali e quali ('). In Sardegna non è così; il modello
egeo arriva anche qui, portato da quella corrente che dalla Sicilia occidentale, dalle
baie di Drepano e Panormo giungeva agli amplissimi e sicuri golfi di Cagliari e di
Palmas : ma qui trova un popolo ed una industria avviata che si impadroniscono del
modello, lo trasformano, lo adattano ai propri usi, al proprio stile, e, così adattato,
lo conservano per lungo volgere di generazioni. Per questo motivo lo studio del-
l'archeologia della Sardegna, più che di altri ambienti preistorici, si presenta difficile
ed oscuro, per mancanza di elementi storici, e per la trasformazione che qui hanno
subito gli elementi preistorici. Lo studio ulteriore di questo ripostiglio e delle rovine
di monte Idda di Decimoputzu, spero potrà meglio chiarire queste idee ; io però sin
da ora credo che non potranno di molto mutarsi, come credo fermamente che la
conoscenza degli elementi raccolti tanto a monte Idda, quanto nelle miniere di Gadoni,
quanto ad Ortu Commidu di Sardara, potrà completamente cambiare l'ordine delle
idee ancor vigenti sulla Sardegna primitiva, idee fondate sopra una incompleta
conoscenza dei fatti e sopra valutazioni assolutamente viete e, almeno per me, da
abbandonarsi (*).
Il rame delle miniere sarde coltivate in età nuragica fu una grande forza per
la Sardegna; ne plasmò il vigore e il carattere militare, rese possibile la sua resi-
stenza, per tutta l'età micenea, per tutta l'epoca della talassocrazia fenicia, breve o
lunga che fosse, contro una efficace penetrazione straniera. Con le armi delle miniere
sarde i guerrieri Shardana tennero lungi dalla loro terra i pirati protogreci, i Fenici,
(') G. A. Colini, La civiltà del bromo in Italia, II. Sicilia (Bull, di Paletnol. Italiana,
anno XXX) 1904, pag 250 e seg. ; cfr. Vela del bronzo in Italia (Atti del Congresso Internai, di
Scienze storiche del 1903, Roma, 1904, pag. 61 e passim).
(*) Taramelli, Note di preistoria sarda (Bull, di paletnol. ital,, ann. XXXVI, 1912, pag. 75
e seg.; Archivio storico sardo, 1912, pag. 367); Ghirardini, La questione Etrusco (Prolusione
al corso di archeologia alla TI. Università di Bologna), 1914, pag. 27, n. 2. Cfr. G. G. Porro, In-
flussi dell'oriente preellenico sulla civiltà primitiva della Sardegna: Atene e Roma-, luglio-
agosto 19 15.
SARDINIA — 97 — V1LLADKBANA
come tennero lungi i tìeri Etruschi; ma le armi stesse usate in lotte fratricide e
fors'anche in imprese contro terre lontane, delle quali altri e non essi seppero cogliere
il frutto, si spuntarono contro la metodica, lenta ma inesorabile invasione dei Carta-
ginesi. I quali, prodigando carezze ed allettamenti al vizio, da corruttori senza genia-
lità quali essi erano, lentamente si assisero, e non senza lotta, sulle prode di Sardegna,
avviluppandola lentamente, come un serpe, nelle loro spire mortali. In poco tempo
essi isolarono la schiatta sarda dalle libere vie del mare, occuparono i fertili piani
dei Gampidani, respingendo i sardi o attraendoli in un ibrido amalgama di razze
affini ma diverse, accaparrandosi i commerci e le industrie minerarie iglesienti del
piombo, del ferro e dell'argento. Ma dalla soglia delle vallate ricche di quel rame
che aveva attratto la loro ingordigia, le superstiti schiere dei Sardi vegliavano, strette
attorno alle loro moli nuragiche, sotto la tutela del loro dio Sardus Pater; e per
almeno quattro secoli l'onda cupida dei mercenari cartaginesi provò indarno ogni sforzo
contro quei fieri discendenti di una razza indipendente e dominatrice. E quando l'aquila
romana fugò dalla Sardegna l'ultimo falco di Cartagine, i vigili custodi e padroni di
quelle miniere di rame avevano ancora serbato intatta la loro indipendenza, che sep-
pero contendere per molti e molti lustri contro i valorosi soldati della Repubblica
Romana.
A. Taramelli.
II. VI LL AURBANA — Ripostiglio di monete in bromo imperiali
romane, scoperto in regione Bidelle.
Nel luglio del 1913 il bracciante Pois Antonio, rimovendo delle grosse pietre
nel terreno a pascolo cespugliato, di proprietà di certo Mura Crispino, in regione
Bidelle, comune di Villaurbana (Oristano), rinvenne, sotto ad un grosso masso di pud-
dinga, un gruppo di 287 monete in bronzo, di età romana imperiale.
In seguito alle pronte ed efficaci premure dell'autorità competente, anche per
cura del cav. uff. avv. Elìsio Pischedda, r. ispettore dei monumenti e scavi del cir-
condario di Oristano, l'intiero ripostiglio fu recuperato per lo Stato, ed ora fa parte
delle collezioni numimastiche del Museo nazionale di Cagliari. Va tributata lode tanto
al repertore Antonio Pois, quanto al Mura Crispino, che non vollero seguire l'esempio
di tanti corregionali, i quali tacciono delle scoperte fortuite che avvengono e ne tra-
fugano quasi sempre e ne disperdono il frutto.
Il ripostiglio, forse nascosto in una cavità della roccia e coperto da un grosso
blocco per toglierlo alla vista, comprende, come ho detto, 287 monete in bronzo
romane imperiali, tutti grandi bronzi, se ne togli un medio bronzo dell'imperatore
Pilippo padre, ed abbraccia il periodo di tempo da Traiano a Treboniano Gallo, dal-
l'anno 98 al 254 d. Cr.
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 14
VILLAORBANA — 98 — SARDINIA
Sono rappresentati nel ripostiglio i seguenti imperatori ed imperatrici:
Traiano con esemplari n. 2
Adriano » » » 6
Sabina » » » 1
Antonino Pio » » » 12
Faustina » « » 3
Marco Aurelio « » » 10
Faustina iuniore - » » 4
Lucilla » » » 1
Commodo » » » 5
Crispina « » ■> 1
Settimio Severo » » » 3
Giulia Do mna » » « 3
Elagabalo » » « 1
Giulia Maesa » » » 1
Alessando Severo » » » 49
Giulia Mammaca » » « 18
Massimino » » ...... * 28
Massimo » » » 5
Balbino « » ....... 1
Gordiano Pio » » » 82
Filippo padre » » » 30
Otacilia » » » 5
Filippo iuniore » » » 10
Traiano Decio » » • 4
Ostiliano » » » 1
Treboniano Gallo » » » 1
Totale n. 287
n
Le monete più antiche, da Adriano sino a Commodo, sono tutte molto consunte ;
ma poi, scendendo ai tempi più vicini alla formazione del ripostiglio, sono di una
conservazione e sopratutto di una patina di grande bellezza.
Il ripostiglio, non solo è importante per la conservazione rara delle monete, ma
perchè conferma la grande abbondanza di monete degli imperatori Alessandro Severo,
Gordiano Pio e di Filippo, che si riscontra in Sardegna. Questa abbondanza di monete
è anche in corrispondenza a notevoli opere pubbliche che si compirono in Sardegna
al tempo degli accennati imperatori romani, benemeriti per il ristauro di ponti e di
opere di difesa delle grandi arterie stradali dell'isola.
Il ripostiglio è anche importante, perchè raccoglie alcuni tipi di relativa rarità.
Debbo accennare il grande bronzo di Settimio Severo che reca la leggenda al
rovescio : Adventui Aug. Felicissimo e l' immagine dell' imperatore a cavallo prece-
duto dal soldato (Cohen, n. 8) ; il grande bronzo di Alessandro Severo, con la leg-
SARDINIA. — 99 — NURAGOS
genda P. M. tr. p. Vili Cos. Ili P. P. e V imperatore in quadriga (Cohen, n. 377) ;
di rara bellezza e di rarissimo tipo è il grande bronzo di Otacilia: Saeculares
Augg., con l'ippopotamo (Cohen, n. 55).
Pure rari e pregiati sono alcuni fra i bronzi di Antonino Pio, di Elagabalo, di
Massimino, di Massimo, di Balbino, di Ostiliano; sono anche da ricordare, per la
loro bellissima conservazione e per la patina superba, i grandi bronzi di Giulia
Maesa, di Alessandro Severo, di Massimo, di Gordiano Pio, dei due Filippi ed i
rari esemplari di Traiano Decio.
Alcuni esemplari sono dei veri gioielli interessanti per la iconografia e per la
monetazione dei vari imperatori.
Assai opportunamente perciò la Direzione generale delle antichità e belle arti
autorizzò la Sopraintendenza dei Musei e degli scavi della Sardegna ad acquistare
l' intiero ripostiglio, che oggi accresce l' importanza del medagliere del Museo di
Cagliari, offrendo, con altri ripostigli cartaginesi e romani ivi conservati, un esempio
di quel fatto, tante volte osservato in Sardegna, della conservazione e del celamento
di gruzzoli più o meno abbondanti di monete di una determinata età, forse come
prova di periodi di grande miseria o di gravi torbidi nelle condizioni interne del-
l' isola, così spesso sconvolta da rivoluzioni e da repressioni spietate (l).
A. Taramelli.
III. NURAGUS — Pozzo votivo di età preromana, scoperto in regione
Goni o Santu Millanu.
Fu già data notizia, nella presente Rivista, della scoperta di una statuetta in
bronzo di arte protosarda, rappresentante una donna, o una sacerdotessa, od una divi-
nità femminile, avvenuta pochi anni or sono nelle vicinanze del borgo di Nuragus,
in regione Coni o Santu Millanu, nel terreno di certo Vincenzo Trudu, durante un
semplice lavoro agricolo che mise in luce un antichissimo pozzo (fig. 1), del quale il
signor ispettore Filippo Nissardi potè riconoscere la somiglianza con i pozzi votivi
di s. Cristina, di Paulilatino e di s. Vittoria di Serri.
Per cortese permesso del proprietario mi fu possibile, nel maggio dell'anno 1914,
di procedere ad una sistematica esplorazione del pozzo, la quale, se fu sterile di
(') Per il rinvenimento di tesori in Sardegna, rimando alla bella monografia di Melchiorre
Roberti, Intorno alla scoperta di tesori in Sardegna [Archivio storico sardo, VI (1910) pag. 391].
Questa interessante monografia, che è definitiva per la storia del tesoro in Sardegna, attraverso a
tutti i tempi, ha un elenco completo di tutte le scoperte di tesori o di ripostigli monetari avve-
nuti nell'isola (a pp. 419-422; nota). Ad essa rimando il lettore che desiderasse utili schiarimenti
su un oggetto che interessa non solo la scienza, ma altresì una delle più controverse eppure tanto
vitali questioni di diritto amministrativo. Cfr. sul presente ripostiglio, Rivista hai. di Numismatica,
1915, fase. 1°.
NURAGOS
— 100
SARDINIA
risultato per quanto riguarda la suppellettile, permise di rilevare le condizioni e la
pianta del pozzo e riconoscerne la identità con quelli sopra accennati.
Il pozzo predetto non era conosciuto prima della casuale scoperta fattane dal
contadino Vincenzo Trudu nel 1912; esso però si trova in un'area interessante dal
punto di vista archeologico, ed anche già precedentemente visitata da varii studiosi
°8«
Pia. 1. — Pianta del. pozzo votivo di S. Millanti, Nuragus (ril. Nissardi, disegno V. Mura).
e da me ('). Esso si trova in mezzo a quella regione ondulata che si stende tra il
corso del Rio Mannu e la costiera orientale dell'altipiano della Giara, ai piedi del
mammellone sormontato dal grandioso nuraghe Coni o Santu Millanu, e presso alla
diruta chiesa di s. Elia, che è uno dei centri di rinvenimenti di tombe dell'età romana
e cristiana riferite all'antica Valentia ed al territorio dei Valentini. Presso il pozzo
antico è la fonte di Coni, che ha sempre acqua discreta anche nei periodi di mag-
giore siccità, tanto che è una delle preziose riserve d'acqua per il villaggio di Nuragus,
situato a quattro chilometri di distanza.
(l) Notizie degli scavi, 1913, pag. 06. fig. 2 a, b.
SARDINIA — 101 — NURAGUS
Lo scavo, sorvegliato dall' ispettore Filippo Nissardi e da me, fu diretto ad
isolare il pozzo e ad esplorarne le adiacenze, allo scopo di studiarne la struttura e
cercare le traccie di depositi votivi, per i quali la scoperta della statuetta in bronzo
aveva fatto sorgere tante speranze. Ho già detto che queste non furono mantenute;
ma lo scavo ci fornì un nuovo esemplare di quell'architettura che possiamo chiamare
religiosa protosarda e che rappresenta il più alto punto a cui pervenne la tecnica
monumentale dell'antico popolo sardo.
Il pozzo, al quale mancava completamente la cupoletta che in origine lo chiu-
deva, demolita da tempo antico, tanto che non ne rimanevano neanche in posto le
Fio. 2. — Sezione del pozzo votivo di S. Millanu.
pietre lavorate che la componevano, ha sezione circolare, è rivestito in conci di pietra
lavica a faccia squadrata disposti a corsi regolari, senza malte cementizie, con una
risega di fondazione che ne restringe alquanto il diametro, ed una scaletta di accesso
che con 5 gradini scende dal piano del terreno sino alla risega; al disotto di questa
il pozzo presenta una concavità semisferica, come una tazza, nella quale si raccoglie
l'acqua della vena liquida che in origine doveva salire solo alla risega, quando l'uso
del pozzo era continuo e giornaliero, mentre oggi, dopo lo scavo, nel giro di 24 ore
sale all'alto della scaletta e defluisce all'esterno della campagna.
La struttura e le disposizioni del pozzo sono chiaramente visibili dai disegni
eseguiti dal prof. V. Mura in base ai rilievi del signor Nissardi (figg. 1, 2).
Il suolo nella conca di Coni è costituito da un leggiero mantello di humus e
di detrito e da strati di calcari marnosi miocenici ; il pozzo fu appunto scavato attra-
verso alla massa di terriccio sino a raggiungere e ad incidere il primo strato roc-
cioso, sotto al quale scorre la vena liquida abbastanza copiosa e buona, per quanto
NURAGUS
102 —
SARDINIA
ricca di elementi calcari; perciò è rivestita la parte del pozzo che attraversa il terreno
friabile, mentre il fondo è scavato nella viva roccia e non ha rivestimento di sorta.
La roccia locale, un calcare compatto, fu impiegata nella costruzione del gran-
dioso Nuraghe s. Millanti e negli edifici di ogni epoca che sorsero sul colle di
s. Elia; il pozzo invece è per intiero costituito da roccia lavica, compattissima, il
basalto della colata lavica che forma il grande tavoliere della Giara e di tutte le
Fio. 3. ■■— Veduta del pozzo votivo di S. Millanti, dopo lo scavo. Sul colle, in distanza, il nuraghe.
prossime corone vulcaniche del territorio. Anche nella scelta di questa roccia, difficile
al lavoro, e che doveva essere qui portata da almeno una diecina di chilometri e da
regioni elevate, si vede la grande cura dei costruttori e forse anche un carattere
rituale, per cui era impiegata una roccia che troviamo già rappresentata nelle costru-
zioni dei pozzi votivi di s. Cristina, di s Vittoria di Serri, di s. Anastasia presso
Sardara e di Corona Rubia, presso la estremità occidentale della Giara di Gesturi (1).
La costruzione del pozzo, come risulta dai nostri disegni e dalle fotografie
(figg. 3, 4), è di modeste dimensioni, ma, in compenso, assai accurata; il taglio delle
,') Taramelli e Nissardi, L'altipiano della Giara di Gesturi: Nuraghe Santa Millanu in re-
gione di Nuragus, pag. 71, figg. 24 u 25.
SARDINIA
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NURAGtJS
pietre usate sia sul rivestimento del pozzo sia nella scala è perfetto sui quattro lati
e nella faccia vista, cosicché si può dire che ogni pietra è stata lavorata per quella
determinata parte dell'edifìcio in cui venne impiegata. L'edificio fu eretto di getto,
Fio. 4. — Scaletta che scende al pozzo e resti del selciato delpiazzaletto innanzi al pozzo.
secondo un piano prestabilito e secondo una tecnica già tradizionale ed agguerrita,
in modo che si venne elevando contemporaneamente, a partire dalla risega di fonda-
zione, tanto il cilindro del pozzo quanto la scaletta che accede al fondo del pozzo
stesso, in modo che le pareti della scaletta ed i gradini sono collegati strettamente
nei varii filari di cui si compone la costruzione isodoma.
NURAGDS — 104 — SARDINIA
Il pozzo, di sezione circolare e di forma leggermente conica, ha il diametro
superiore, dove è stato decapitato della cupola, di m. 1,20, e di m. 1,33 sopra alla
risega di fondazione, al livello della quale il diametro ritorna di m. 1,20. Il rivesti-
mento del pozzo è fatto a filari di basalto di circa m. 0,30 di altezza: i conci ben
tagliati hanno la faccia a sezione di curva, la parte interna ritagliata a coda, in
modo da incunearsi nel corpo della struttura del muro che circonda tutto attorno il
pozzo, e che è composto da una spessa macera di massi di calcare, di quasi due
metri di spessore, non legata con alcuna malta, ma assai accuratamente disposta
attorno alla tromba del pozzo (lìgg. 1, 3).
Per ottenere l'inclinazione totale della parete, i conci di ciascun filare sono dis-
posti in modo da avere la faccia inclinata verso il basso, ma ciascun filare sporge
di qualche millimetro all' infuori del filare soprastante (vedi sezione fig. 2). La spor-
genza più viva è quella dei massi del corso inferiore che forma la risega di fondazione,
che è di circa m. 0,17. Il corso che compone la risega di fondazione è alquanto più
alto degli altri (m. 0,40); ed il suo giro completo risulta di soli tre massi, lavorati
in modo da presentare l'anello di fondazione appoggiato alla roccia. Di questi tre
grandi massi è notevole quello disposto dal lato della scaletta di accesso al fondo
del pozzo, per le sue dimensioni, come per la sua lavorazione ; esso comprende circa
la metà della circonferenza del pozzo, formando la soglia inferiore della scaletta, e
al di sotto del taglio della risega presenta un'ampia sporgenza, un gradino inclinato
che costituisce per quasi un terzo il fondo del pozzo ed assai probabilmente era
una pedarola che permetteva di avanzarsi al centro del pozzo ad attingere l'acqua
dalla conca del fondo, quando il livello di essa era assai basso (vedi sezione fig. 2).
Fu appunto al di sotto di questo gradino che il Trudu ritrovò la statuetta in bronzo
femminile che fu pubblicata nelle Notizie.
L'altezza completa del pozzo è di m. 3,15; ma la parte conservata del rivesti-
mento è di soli 2 metri circa, cosicché la coppa scavata nello strato calcare presso
la vena acquifera è di m. 1,15 di profondità media.
L'accesso al fondo del pozzo è dato dalla scaletta praticata nella parte setten-
trionale, in uno stretto passaggio che, come accennai in principio, è fatto in costru-
zione ; il corridoio è obliquo, nel suo asse, all'asse del pozzo ; le pareti sono legger-
mente inclinate, allargandosi gradatamente verso il piede della scala ; lo sbocco su-
periore è assai più ampio che non quello basso, i gradini in basalto, incuneati saldamente
nelle pareti, hanno l'altezza di m. 0,22 e sono in numero di cinque dal ripiano su-
periore al ripiano costituito dalla grande pietra della risega. In origine il passaggio
della scala, come quello del pozzo di s. Vittoria di Serri, doveva essere coperto da
lastroni disposti a gradinata, ora scomparsi insieme con la cupoletta del pozzo; questa,
secondo il modello datoci da quella di s. Cristina, doveva essere formata a corsi
gradatamente più stretti a forma di cono tronco, rinnovando lo stesso motivo archi-
tettonico della tomba a cupola della necropoli Cumana, illustrata dal Pellegrini ('),
(') Pellegrini, La necropoli di Cuma (Monumenti antichi dell'Accad. dei Lincei, an. XIII,
col. 400, fig. b).
SARDINIA — 105 — NORAGtfS
ed i motivi delle cupole micenee ; di tali motivi architettonici delle cupole ottenute
dai lìlaii successivamente sporgenti, con la faccia in vista leggermente inclinata, il
motivo iniziale fondamentale è dato dalla cupola del nuraghe sardo.
Come fu osservato, innanzi allo sbocco delle scalette dei pozzi di s. Vittoria di
Serri e di s. Anastasia di Sardara, anche davanti a questo pozzo si stendeva un
piazzaletto le cui traccio si rilevarono, in seguito allo scavo, per la larghezza di
quattro metri e la lunghezza di circa cinque metri (fig. 4). Tale piazzaletto era
ancora selciato con lastre di calcare lamellare di non molta grandezza e dello spessore
di 7 od 8 cm., messe in modo abbastanza regolare e con molta cura. Il selciato era
disposto ad un livello di circa 25 cm. più alto della soglia del gradino superiore
della scaletta; ma al di sotto di questo piano ve ne era un altro, evidentemente di
età più antica, pure in lastre di calcare, che era meno conservato e meno continuo
e che era stato sostituito dal lastricato soprastante. Questo pavimento più antico era
di poco più alto della soglia del gradino, ed era perciò di una quindicina di centi-
metri più basso del secondo pavimento. Al disopra di questo si ebbe una moneta di
bronzo di piccolo modulo, di Claudio Gotico ; ma cocci di stoviglie romane si ebbero
anche al di sotto del primo strato, cosicché possiamo dire con certezza che lo innal-
zamento del piazzale fu fatto in età romana, ma che il pozzo era stato frequentato
anche in periodo precedente durante la stessa età romana, ed aveva perciò servito
per lungo corso di tempo quel più antico selciato, calcato prima dai Sardi primi-
tivi, e più tardi dai discendenti di essi che vi infransero e vi abbandonarono sopra
le stoviglie più raffinate, eseguite secondo la tecnica ed i modelli romani.
Lo scavo non fornì, oltre a questi pochi frammenti di stoviglie, se non una perla
in vetro bianco, del tipo molto diffuso in Sardegna nell'età cartaginese; altre perle
consimili di pasta vitrea bianca, gialla ed azzurra e di tipo variegato, si ebbero nello
sgombero del pozzo fatto mesi addietro dui proprietario, e la nostra ricerca non ci
presentò alcun oggetto o strumento, né alcuna statuetta di bronzo da mettere accanto
alla interessante statuetta femminile, di tecnica sarda primitiva, precedentemente illu-
strata ('). Ma questa bella statuetta, non meno che il tipo della costruzione accuratis-
sima, ci provano in modo chiaro che il pozzo di Coni appartiene a quella serie già
abbastanza numerosa delle fonti o pozzi sacri di s. Cristina di Paulilatino, di s. Vittoria
di Serri, di s. Anastasia di Sardara, di Mazzani di Villacidro, di s. Cosma e Damiano
di Suelli, per diro solo di quelle note ed esplorate, che erano sedi di culto e di
cerimonie religiose nell'età sarda preromana.
Anche alla fonte di Coni, dove sgorgava un tenue filo di acqua limpida, non
priva forse di qualità o di attributi salutiferi, accorreva devotamente la gente abi-
tatrice del piano Valentino, degli attigui altipiani, accolta all'ombra della bella mole
nuragica di s. Millanti. Anche qui il sacerdote o la sacerdotessa, scendendo dalla
stretta scaletta alla penombra misteriosa del pozzo, attingeva il liquido elemento,
prezioso nel suo valore nutritivo e fecondatore, ma ancora più prezioso, come lo atte-
stava la squisitezza del lavoro architettonico, per un valore sopranaturale, ad esso attri-
(') Notizie degli Scavi, 1913, pag. 96.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 15
NDRAGOS — 106 — SARDINIA
buito dalla mente dell'antico popolo, ancora immerso nell'immaginosa esplicazione
delle forze e dei misteri della vita. Anche qui a questa fonte, sgorgante dalle viscere
della terra ed investita, nella fantasia dei primitivi abitatori, di virtù emananti da
potenze sotterranee sopranaturali, si saranno forse compiute quelle cerimonie di giu-
dizii con la prova dell'acqua che, secondo l'attestazione degli scrittori di età romana,
erano gli infallibili e sovrumani definitori di controversie supreme che in altro modo
non potevano essere risolte (').
Anche a questa fontana sacra, non fosse altro che per il suo costante fluire,
gli abitanti del piano Valentino recarono doni e ricordi di visite, di guarigioni, di
prove ordaliche superate; e ne abbiamo una prova, pur troppo isolata, nella statuetta
in bronzo già ricordata, la quale accosta questo santuario a quelli già noti di Abini
presso Teti, di S. Cristina, di Paulilatino, di S. Vittoria, di Serri, di S. Anastasia
di Sardara. che dettero tutti suppellettili di ceramiche e di bronzi, che costi-
tuivavo le stipi sacre del tempio. A Nuragus la statuetta unica a noi pervenuta è
prova eloquente di devozione. Secondo il mio avviso, essa, nel suo atteggiamento
ieratico, nelle sue vesti accurate e solenni, è una significantissima testimonianza di
quelle offerte alla divinità fatte per il tramite della sacerdotessa e che avevano come
loro mezzo l'acqua della fontana e come fine la propiziazione della divinità stessa ;
da essa invocavano salute e vigore, liete e larghe le mèssi, feconde le greggi : invo-
cavano soprattutto la chiara visione della verità nelle più controverse contese, di
quella verità che metaforicamente e realmente scaturiva dal fondo del pozzo, il
meato donde scaturivano le potenze catactonie, dalle sedi sotterranee della pace
eterna, della beatitudine infinita, concepite forse, anche presso i Sardi primitivi, come
un largo fiume, o un vasto mare senza gorghi e senza tempeste, nel quale, come nel
fiume Lete, degli Elleni, o nell'Oceano dell' « acqua pura » dei Babilonesi, ogni do-
lore, ogni passione terrena svaniva nell'oblio.
Come mai, possiamo domandarci, della stipe votiva della fonte sacra di Coni
non ci sono pervenute che questa statuetta e le poche perline in vetro cartaginesi,
ricordate nella nostra Memoria? È ben véro che il tempio fu frequentato sino ad
età romana e la stipe potè essere andata dispersa, senza lasciare traccia; è ben vero
anche che essa può forse ancora essere nascosta a poca distanza dal pozzo, dove an-
cora non è giunta la nostra ricerca.
Io però sarei tentato di mettere in relazione questo pozzo sacro con la sco-
perta del ripostiglio dei bronzi preromani di Porraxi Nioi, o di Valenza, avvenuta
ai tempi del commissariato del compianto prof. V. Vivanet, per merito del signor
F. Nissardi ('). Ricordo che il ripostiglio fu scoperto in un vaso di forma conica,
entro ad un recinto nuragico di forma circolare, e comprendeva pochi frammenti di
statuette votive, insieme con una grande copia di frammenti, talora minutissimi, di
(') Pettazzoni, La religione primitiva in Sardegna, pag. 12 e passim. A lui rimando per i
passi di Solino, di Prisciano e di Isidoro, che ci parlano di tale superstizione. Tarameli]', Il tempio
nuragico di S. Vittoria di Serri. Monumenti antichi, voi. XXIIl, 1914.
(') Notizie degli scavi, 1882, pag. 308.
SARDINIA — 107 — NURAGOS
strumenti e di oggetti in bronzo dell'età e della industria protosarda. Anche gli
oggetti frammentarli, di cui è costituito quasi esclusivamente il ripostiglio di Va-
lenza, potevano valere, come è provato da molte altre stipi votive dell'età del bronzo,
quali offerte alla divinità ed al tempio; perciò il fatto che tutto quel grandioso
insieme di materiale metallico era essenzialmente formato da detriti di armi e di
strumenti nuragici, non può ostacolare l'opinione, dirò meglio l'ipotesi, che esso
siasi formato in età assai più prossima a noi di quello che sia l'età dei nuraghi,
con lo spoglio di un deposito votivo del pozzo sacro di Coni.
Anche il Pinza (') opinò che il ripostiglio siasi formato in età tarda, forse ro-
mana, ed io credo che egli avesse perfettamente ragione; orala fortuna ci ha forse
messo sulle tracce della località sacra donde quella stipe, almeno in parte, pro-
viene. Il saccheggio della stipe avvenne forse dopo la conquista romana, quando la
fonte perdette il suo carattere sacro, pure essendo usata tempre a scopo pratico e
fosse utile in quella calda pianura di Valenza. Forse l'eredità sacra del tempietto in-
digeno trasmigrò a qualche sacello eretto alle ninfe o a qualche divinità salutare
del pantheon romano sull'alto del poggio di S. Elia; forse anche nel culto al profeta
di Cristo dobbiamo scorgere l'ultima eco di un culto primitivo che aveva radici lon-
tanissime nel tempo e che in un paese profondamente conservatore tenacemente si
attaccava al terreno che lo aveva accolto all'alba della vita civile dei Sardi.
La nostra ricerca ci ha condotto ancora una volta ad una località consacrata e
ad un edificio che per l'accurata sua costruzione, per le analogie con gli edifici di
S. Cristina, di Serri, di Mazzani, di Sardara, per il ritrovamento della statuetta in
bronzo, possiamo riconoscere quale edificio sacro, come uno dei tempii alle divinità
delle acque, considerate non solo come elementi essenziali della vita delle piaute e
degli animali e degli uomini, ma anche come emanazioni di potenze catactonie, templi
che furono non solo i centri della vita religiosa, ma anche le sedi delle cerimonie
e dei giudizi ordalici, e perciò debbono essere ricercati ed esaminati con ogni cura
e con ogni speranza, come fonti per lo studio dell'antica religione indigena e della
nostra conoscenza sulla vita associativa e speculativa dell'antico popolo sardo.
A. Taramelli.
(') Pinza, / monumenti primitivi della Sardegna, pp. 156 e sg.
ABBASANTA — 108 — SARDINIA
IV. ABBASANTA — Esploratone nelle necropoli e nei luoghi sacri
di età nuragica.
Lo studio, quasi essenzialmente archeologico, della Sardegna preromana ha recen-
temente acquisito, in grazia di fortunate esplorazioni in varie località dell' isola,
numerosi elementi positivi per la conoscenza di quel periodo che precede le invasioni
e l'insediamento delle colonie fenicio-cartaginesi nella Sardegna. Tuttavia molti lati
del problema archeologico sardo rimangono scuri per mancanza di metodiche ricerche;
primo fra questi lo studio delle necropoli di quell'età che per comune consenso si
conviene di chiamare nuragica.
Dalle Dotizie delle fonti letterarie e dai risultati delle indagini iniziate dal Lamar-
mora, e saltuariamente condotte in tanti decennii, pochi elementi positivi si erano
raccolti intorno ai riti sepolcrali della gente nuragica. Era bensì noto il tipo della
tomba a corridoio, detto, secondo il più comune termine isolano, « tomba dei giganti » ;
era noto il suo riferimento cronologico ed etnico alla civiltà dei nuraghi, messo in
rilievo recentemente dal Pinza, dal Mackenzie e da alcune indagini dell'Ufficio degli
scavi sardi.
Era anche evidente in parte la corrispondenza dei dati monumentali a taluni
concetti sul rito funebre e sul culto dei morti presso i sardi antichi, tramandatici,
negli scritti riferiti ad Aristotele, da Simplicio, da Filopono. Ma molto restava ancora
da conoscere, cioè se la tomba dei giganti fosse il solo tipo di sepoltura dell'età dei
nuraghi, e se si avessero, e quali fossero le determinate specialità del rito e del culto
funerario; restavano infine da raccogliere particolari istruttivi sulle necropoli proto-
sarde, sulla origine e la evoluzione del tipo monumentale da una fase iniziale sino
alle forme più evolute e complete, cogliendo una parallela evoluzione tipologica della
suppellettile religiosa: si doveva indagare, in una parola, se il tipo della « tomba
di giganti » ci apparisse un prodotto di importazione accanto al grandioso monumento
nuragico, in modo da farci supporre una nuova ondata culturale ed etnica invadente
e ravvivante la Sardegna nella piena età del bronzo; oppure se per entrambi i tipi
monumentali, tanto per quello eretto per la dimora dei viventi, quanto per quello
destinato a sede dei morti, potessimo cogliere le fasi di un graduale sviluppo, a par-
tire dai germi eneolitici sino al grande fiore dell'età del bronzo, e sino alla prima
età del ferro, testimone del più alto sviluppo della tecnica megalitica.
Tale questione è parallela a quella, tuttora aperta, delle prime manifestazioni
archeologiche della civiltà etnisca nella penisola italiana; ed è da ritenersi che gli
sforzi diretti a risolverla, come avranno aiuto dalle ricerche praticate nel suolo del-
l'Etruria, così potranno dare a quelle una luce finora insospettata.
Le ricerche condotte nell'autunno del 1914 furono rivolte al territorio di Abba-
santa e dintorni ed a quello di Laerru, entrambi già abbastanza conosciuti, il primo
per le precedenti campagne di scavo nel grandioso nuraghe Losa e per la presenza di un
prezioso indicatore nella persona del rev. teol. Salvatore Angelo Dessi, r. ispettore dei
monumenti e scavi, mèntore consueto ed ospite di tutti coloro che, in un modo o nel-
SARDINIA — 109 — ABBASANTA
l'altro, si dedicarono alla esplorazione archeologica del centro dell'isola; il secondo, dove
potevamo sopratutto contare sull'appoggio e sull'aiuto del geom. Edoardo Benedetti,
r. ispettore del luogo, appassionato studioso di antichità, e conoscitore del ricco e
vario territorio dell' Anglona. Vada ad entrambi gli ispettori la espressione pubblica
della nostra gratitudine per il modo con cui le nostre ricerche fuiono aiutate ed indi-
rizzate, in territori spesso difficili e solitati, in mezzo a popolazioni ottime, ma
diffidenti e assillate dal bisogno per le recenti siccità e per la vigente piaga della
disoccupazione, ed affannate dietro il solito e terribile fascino del tesoro nascosto.
Il comune di Abbasanta occupa una parte di quel vasto altipiano, dall'aspetto
tanto caratteristico dell' isola sarda, che si stende quasi uniformemente livellato dalla
potente colata di lave basaltiche, la quale traboccò giù dal Montiferro e dal Marghine,
e con lieve pendìo dilagò verso la valle del Tirso e dei suoi affluenti. 11 grande feno-
meno vulcanico — diremo, più esattamente, endogeno — che plasmò tutta questa parte
della terra sarda, ne preparò, ne prescrisse quasi tutte le vicende nel mondo vege-
tale, animale ed antropico: in pochi luoghi nel mondo si avvera, come in questa
parte dell'isola, il detto del poeta, che la terra « simili a sé gli abitator produce ».
Qui l'antropologia, come la fisionomia etnica e monumentale, è figlia della terra e
dell'ambiente.
Questo grande altipiano o banco lavico — che, ammantando i terreni terziari sui
quali riposa, si stende dai monti del Marghine, e dal Montiferro al Campidano Orista-
nese ed è lambito dalla media valle del fiume Tirso, che lo separa dagli altipiani
del centro dell' isola — abbraccia i territori di numerosi comuni, di cui i principali ed
i più noti agli archeologi sono quelli di Ghilarza, Paulilatino, Bonarcado, Santu
Lussurgiu, Borore, Abbasanta; quest'ultimo, situato nel mezzo dell'altipiano quasi,
corrisponde all'antica stazione romana di Ad Medias, importante per il traffico del-
l'antica strada Caralis-Turres, ed alla quale dobbiamo i materiali e le tombe di età
romana del territorio, e purtroppo la più antica e sistematica devastazione degli
antichi monumenti preromani (fig. 1).
Tutto l'altipiano è fittamente tempestato di nuraghi, che vi si contano a centi-
naia; e come le attuali divisioni in vari distretti e comuni non corrispondono a vere
differenze orografiche ed idrografiche, e quindi a confini naturali e precisi, così non
è neppure agevole di cogliere, nella grande estensione di molte migliaia di ettari di
un territorio in parte selvoso ed apparentemente livellato, una chiara norma per la
disposizione e distribuzione dei nuraghi. Solo con un lungo e non facile studio topo-
grafico si può riconoscere, in modo che pare convincente, come anche per l'altipiano
basaltico valgano quelle norme che sono state colte e tracciate per altri sistemi oro-
grafici dell' isola, per l'adattamento mirabile del sistema nuragico alla topografia del
singolo territorio. Ciò sarà a suo tempo dimostrato. Per ora basta accennare che il
territorio di Abbasanta, come quelli contigui di Norbello e di S. Lussurgiu, ora esplo-
rati, è collocato sul grande pianoro percorso da fiumare, quasi tutte perenni, che par-
tono dal Montiferro maestoso, e raggiungono il Tirso, mentre il territorio di Domusnovas
Canales, in cui pure si estese in parte la nostra esplorazione, è quasi completamente
in un canalone che dall'altipiano declina verso l'ampia valle del Tirso, e che è appunto
ABBASANTA — 110 — SARDINIA
una delle vie naturali per scalare l'altipiano. Questo dovremo tenere presente per
spiegare le difese nuragiche che trovammo disposte lungo l'orlo dirupato dell'alti-
piano stesso, a difesa delle inclusioni che potevano assalire dalla grande valle del
Tirso, la strada dei' popoli e delle guerre di tutta la storia sarda.
Lungo tutta la valle anzidetta del Tirso e i valloni che, solcando l'altipiano,
scendono ad essa, sono disposte le guardie nuragiche, in vista l'una dell'altra, e di
esse vedremo qualche interessantissimo esempio; nel centro dell'altipiano, nelle radure
delle selve di lecci e di sugheri torreggiano numerosi i nuraghi, tutti costrutti di
lava basaltica, tra i quali primeggiano il nuraghe Losa, ora di proprietà nazionale,
Fig. 1. — Schizzo schematico della regione circostante ad Abhasanta.
ed il nuraghe Aiga, vere cittadelle fortificate, che sono maestose testimonianze di
energie collettive di primo ordine.
Una località vicinissima all'abitato di Abbasanta è quella detta di Chirighiddu,
presso al cimitero. In questa regione furono esplorate due tombe di giganti e due
domus de ianas, con esito poco fortunato, essendosi scoperti chiari segni di mano-
missione. Una tomba di giganti, formata da grossi blocchi basaltici, disposti su un
letto di tufo, era addirittura sformata. L'altra, di grandi dimensioni, diede pochi
cocci di tipo nuiagico, di fattura molto grossolana, che dovettero appartenere ad
enormi vasi fatti a mano. Le domus de ianas, che non presentano grandi novità
architettoniche, diedero parimenti avanzi ceramici nuragici, come un'ansa a lingua,
un frammento di vaso a costola saliente, del tipo di quelli della grotta di S. Michele
d'Ozieri, e un altro carenato. Notevole è, accanto ad una delle domus, il tentativo
di scavo di un'altra, abbandonato, evidentemente per- la durezza della roccia basal-
tica che non poteva essere intaccata se non da strumenti metallici. Una delle due
domus, dall' ingresso a rincasso elegantemente sagomato, aveva ancora a posto un
lastrone trachitico di chiusura, combaciante quasi perfettamente con l'ingresso, e
provvisto di quattro sporgenze mammillari. Il materiale dato da queste domus, seb-
SARDINIA — 111 — ABBASANTA
bene scarso, è assai caratteristico : gli avanzi ceramici ed un pestello di porfirite ci
dimostrano che queste domus sono opera della gente nuragica, e costituiscono un
nuovo elemento per la dimostrazione della continuità di cultura in Sardegna, dagli
eneolitici di Anghelu Ruju ai nuragici delle età dei metalli: una conferma, del resto,
ce ne è data dalla durezza della roccia basaltica, cbe, come abbiamo detto, non può
essere stata intaccata se non da una razza che conoscesse l'uso dei metalli. Le domus
e le tombe di giganti di Chirighiddu furono utilizzate anche in seguito, come ci
dimostrano frustoli di ceramica punica e campana in esse rinvenuti ; ma la loro costru-
zione è da attribuirsi agli abitatori del ciclopico nuraghe Chirighiddu, oggi rovinato,
già sorgente nelle immediate vicinanze, sul ciglio del burrone di Domusnovas Canales,
in posizione eminentemente strategica, e collegato con il sistema di guardia di detto
burrone, degradante verso la vallata del Tirso.
A monte della via provinciale da Abbasanta a Santu Lussurgin, e verso i limiti
settentrionali del territorio abbasantese, dove la colata lavica è più irta di frastagli
e più grandiosa di aspetto e di spessore, in un tratto di terreno dove le selve annose
di sugheri e di lecci presentano una larga radura di pascoli e di seminati, in loca-
lità singolarmente suggestiva e pittoresca, si conservano, a breve distanza l'ima dal-
l'altra, le due tombe veramente gigantesche di Tentorzu e di Su Pranu. Si riscon-
trarono collegate al nuraghe Mura Lauros, che si trova a sud; erano manomesse fin
dall'antichità. Quella di Su Pranu è notevole per le tracce di sedile che conserva
intorno all'emiciclo frontale, e per le sue grandiose dimensioni : la lunghezza della
cella, ben conservata, è di ben m. 8,70. Il tumulo, tutto attorno, è segnato da
allineamenti di pietre, e si conserva ancora in buona parte. Anche la caratteristica
stele, rovesciata sopra la tomba, è di colossali proporzioni, raggiungendo l'altezza
di m. 3. Il contenuto, purtroppo, non corrispose all'aspettativa : non si ebbero che
avanzi di ceramica nuragica, frustoli di ossidiana, e un'armilla di bronzo sempli-
cissima. Evidentemente la tomba fu rinettata in età romana, alla quale risalgono
gli avanzi di balsamarii e di lacrimatoi rinvenutivi e dovette essere utilizzata dagli
abitatori dell'agro di Ad Medias per le loro povere sepolture: fenomeno, come di-
cemmo, comune in tutto qnesto territorio.
La tomba di Tentorzu si presta alle stesse considerazioni, sia per la sua strut-
tura, sia per il suo contenuto. È notevole tuttavia, perchè in essa, al disopra del
corso inferiore di enormi blocchi, che costituisce la parete della cella, si conservano
gli avanzi di due altri filari lievemente aggettanti.
A non grande distanza, nella tanca Pedru Cossu, un'altra tomba semicoperta
dal terreno fu potuta esplorare soltanto sommariamente, essendo coperta e chiusa da
enormi blocchi; ma non si potè scavare per intero, data la mancanza di adeguati mezzi
meccanici in quella selvaggia regione. In queste tombe si fecero pure saggi nei
resti dei tumuli, che certamente ricoprivano le cella, per verificare se vi si fossero
compiute inumazioni secondarie ; ma l'esito fu negativo.
A poca distanza, in località Mesu Enas, si rinvenne ed esplorò un interessante
gruppo di monumenti megalitici. Anzitutto un dolmen, non grande ma ben conser-
vato, la cui tavola superiore, approssimativamente ovale, ha un asse massimo di
ABBASANTA — 112 — SARDINIA
m. 2,10, mentre l'altezza totale è di m. 1,25. NelTinterno si rinvennero frammenti
di ceramica, che ci permettono di riferire all'età del bronzo l'uso di questo monu-
mento. A pochi passi di distanza è situata una tomba di giganti, la quale nel fondo
della cella presenta un enorme masso basaltico, in cui si rinvenne una domus de
ianas di tipo assai progredito, con breve dromos, porticella a rincassi ed architrave
sporgente, ed una sola cameretta. A metà circa della cella della tomba di giganti
sorgeva, disposta verticalmente, una lastra basaltica, disposta in modo da dividere
in due camere la cella stessa. Questo importante trovamento costituisce un vero
anello di congiunzione fra le due forme di sepoltura, e conferma le osservazioni
fatte a proposito del materiale delle domus di Chirighiddu, dimostrandoci che
anche nell'età nuragica si costruivano, od almeno si utilizzavano, le domus de tardar,
il cui tipo originario è eneolitico (fig. 2).
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Fig. 2. — Monumento sepolcrale a Mesu Enas, Abbasanta, composto da una tomba di giganti
associata ad una domus de gianas (Scala 1:140).
E la vicinanza del dolmen ci rivela la contemporaneità dei diversi tipi di mo-
numenti funebri della gente protosarda. Infatti il materiale dato dallo scavo dei tre
sepolcri è identico: avanzi ceramici di tipo nuragico, e schegge d'ossidiana, fra cui
una cuspide triangolare di freccia. La transizione dalla domus de ianas alla tomba
di giganti è manifesta nel suo stadio iniziale in una domus poco distante dal gruppo
sopra descritto, in località Mura Iddari. Nel lungo dromos di questa si notano, alle
pareti, due scanalature verticali, accurate e simmetricamente disposte, destinate evi-
dentemente ad accogliere un lastrone di chiusura, rappresentante il rudimento della
stele delle tombe di giganti. Dal dolmen possiamo adunque ammettere essersi svi-
luppata ta tomba di giganti, non senza relazioni con il tipo della domus de ianas
scavata nella roccia. Quest'ultima specie di sepolcro ebbe parallelamente un'evolu-
zione propria ; ma in taluni casi l'allungamento del dromos scavato fu sostituito da
una cella artificiale (Mesu Enas e S Angrone; ved. oltre), la quale non differisce in
modo alcuno dai dolmens allungati che diedero origine alle tombe di giganti. Ma se
l'un tipo di costruzione potè influire nelle fasi progressive dell'altro, ci è dato tut-
tavia di riconoscere che giunsero contemporaneamente al massimo loro sviluppo,
nella piena età nuragica: poiché senza dubbio questa importante serie di monumenti
è in relazione con il nuraghe Mura Toffau, che torreggia a poca distanza; né tale
relazione è puramente topografica.
In località S'Angrone si rinvenne un altro dolmen, di blocchi di lava compatta,
notevole per la enorme tavola superiore, di forma quasi ovale, della lunghezza di
m. 2,15, e dello spessore massimo di m. 0,65. Per la sua situazione, esposta alla
SARDINIA
— 113
ABBASANTA
curiosità dei pastori di tutti i tempi, questo dolmen ci pervenne assolutamente privo
di suppellettile (flg. 3, 4). A breve distanza, lungo la vicina valletta di Rio Bonorchis,
nella parete di compattissima trachite, si rinvenne una vasta e bella domus de ianas
a cameretta semplice, scavata nella rupe, ad una certa altezza sul piano della val-
letta. Ciò che specialmente merita rilievo in questo ipogeo sono i resti di un evi-
dente dromos megalitico, che fronteggia la porta della grotticella, offrendo un evi-
dente parallelo alla tomba di Mesti Enas (v. fig. 2).
Fio. 3. — Pianta del dolmen di S'Angrone, Abbasanta (Scala 1:25)
Un altro dolmen, a tavola grossolanamente quadrangolare, fu rinvenuto in lo-
calità Mura e Putzu. Per la sua forma allungata, per la costruzione delle pareti a
due assise di blocchi, lo si può considerare come una piccola tomba di giganti. In
regione Scala Girdu, presso la Tanca Regia, si scavò con esito negativo una grande
tomba di lastroni disposti a coltello: in essa si nota un enorme blocco, che serviva
di parziale copertura, e che dà una prova delle abilità tecniche dei costruttori, e li
fa accostare a coloro che seppero erigere i nuraghi.
Non meno grandiosa è la tomba di giganti scavata in regione S'Azzica (figg. 5 e 6),
che offre un bell'esempio di area frontale ben conservata, con gradino per sedile o
deposito di offerte, caratteristica inoltre per la distribuzione dei blocchi componenti
le pareti della cella in diversi corsi lievemente aggettanti, secondo il principio del-
l'architettura nuragica, nonché per la curvatura a barca della pianta delle pareti
stesse, che richiama la naveta balearense.
Questo è un tipo di tomba assai evoluto, che si può avvicinare, oltre che a
tale classe di monumenti, anche alle anta? portoghesi, e, fino ad un certo punto,
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 16
ABBASANTA
— 114 —
SARDINIA
alle grandi tombe a tumulo con corridoio dell'Etruria meridionale, come la Regulini
Galassi di Cere, la Bernardini di Palestrina, la Cucumella di Vulci.
Un'altra tomba, assai notevole per analoghe disposizioni architettoniche, è quella
scavata in regione Bobolica. Nel greto della fiumara che scende dai fianchi del Mon-
tiferru e si avvia verso il Campidano, poco sotto la strada di Santu Lussurgiu, a
Fig. 4. — Dolmen di S' Angron% Abbasanta.
poca distanza dalla chiesa e dal villaggio campestre di S. Agostino, ospitale resi-
denza del chiarissimo sac. Dessi, sgorga una bella copiosissima fonte, con vo-
cabolo onomatopeico detta Bobolica : essa ora alimenta di acque perenni la grossa
borgata di Paulilatino; ma una parte ne zampilla liberamente, rallegrando tutta la
■attigua zona dell'altipiano. Essa, un tempo, fece nascere in vicinanza gli abitati nu-
ragici, dei quali rimane come un testimonio la tomba di giganti che appunto si
chiama di Bobolica. In essa un solo corso di enormi blocchi disposti a coltello forma
le pareti, mentre il fondo è costituito naturalmente da tre blocchi della colata la-
SARDINIA
— 115 —
ABBASANTA
vica sottostante. Oltre alla grandiosità ciclopica della costruzione, è interessante la
forma pronunziatamele ovale, a barca, della cella.
Fig. 5. — Pianta della Tomba dei giganti di S'Azzica (Scala 1:100).
Come abbiamo detto, in questa regione abbondano i nuraghi. Basterà ricordare
il maestoso Aiga, che conserva intatti due piani sovrapposti, ed estende la propria
~«_^
Fig. 6. — Sezione della tomba dei giganti di S'Azzica (Scala 1:60).
grandiosa mole su ampio tratto di terreno ; esso domina vasta zona di campagna, e
si collega con il celebre Losa, che spicca visibile nella lontananza. Anche l'Aiga,
come il Losa, è ricco di avanzi di varie età, fino alla romana tarda: questa plaga,
SANTO LUSSURGIU — 116 — SARDINIA
dell'altipiano fu fittamente popolata in età punica, repubblicana e imperiale, da sem-
plici agricoltori, che si installarono nei nuraghi, e seppellirono i loro morti nelle
tombe degli antichissimi protosardi. Un interessante esempio di questa rioccupa-
zione dei monumenti megalitici è dato dal nuraghe Argiola Lepore, sulla strada che
da Abbassanta si dirige a Santu Lussurgiu, passando sulla Tanca Regia. Addossata
e incorporata al nuraghe è una abitazione odierna, che ci offre una suggestiva ed
ancor oggi vivente rappresentazione del fenomeno che verificammo in età romana, e
che ci privò della suppellettile di tante tombe e di tanti nuraghi. Nella prossima
località di Mura Perdosa si notano ancora tracce di costruzioni romane.
Nelle adiacenze del nuraghe Aiga, in località Calegastea, ci fu dato rinvenire
le tracce di un pozzo di carattere sacro, che, per quanto assai danneggiato, sarà
prezzo dell'opera riconoscere in future esplorazioni; così pure, a qualche centinaio
di metri dal nuraghe Losa fu scavato ciò che rimane (poca cosa, invero) di un pozzo
nuragico a corsi regolari di pietre lavorate; il qual pozzo è un nuovo testimonio,
per quanto pervenutoci in pessime condizioni, del valore attribuito dalla gente nura-
gica alle acque e della cura religiosa ch'essa consacrava alla loro raccolta e conser-
vazione. La presenza di questo pozzo spiega il carattere perfezionato della lavora-
zione di molte pietre a cuneo, rinvenute durante lo scavo del nuraghe Losa, e non
certamente spettanti a questo, come da lungo si sospettava, ma bensì trasportatevi dal
non lontano pozzo.
Alquanto più ad ovest di Bobolica uu ampio solco dell'altipiano, percorso da
un torrentello, divide ora il territorio di Abbassanta da quello di Santu Lussurgiu;
del pari il terreno cambia aspetto, poiché l'altipiano lavico, fino a questo punto, co-
mincia con lieve movenza ad alzarsi verso la vasta montagna di Montiferro, dai
larghissimi fianchi, che lentamente si aderge, con un caratteristico aspetto, simile
a quello dell'Etna, fino a notevoli altezze.
A. Taramelli.
tì. G. Porro.
Y. SANTU LUSSURGIU — Necropoli a « domus de gianas » dì
Fontana Orruos.
Proprio ai confini del territorio si presenta un piccolo gruppo di colline a brusca
scarpata, non più di lave basaltiche, ma di compatte trachiti, che presentano brulle
e dirupate scogliere, formando delle vere e proprie aeropoli naturali, separate da vallon-
celli acquitrinosi ed in parte coronate da costruzioni nuragiche. Una di queste piccole
acropoli, visibile anche dalla via postale di S. Lussurgiu fra i pittoreschi boschetti
di sughero, è quella detta di Fontana Orruos, a breve distanza dal nuraghe Mura Toffau.
In questa regione, aggruppate in due distinti gruppi, furono segnalate ed esplo-
rate varie tombe ipogeiche, domus de ianas, di età nuragica. In tutto, ascese il loro
numero a sei, di piccole dimensioni, ma non prive di particolari architettonici in-
teressanti. Prevale in esse la pianta circolare, essendovi un solo caso in cui essa
sia pressoché rettangolare. Quasi tutte hanno un dromos più o meno lungo ; due
constano, oltre al dromos, di due camerette.
SARDINIA.
— 117
NORBELLO
Gli ingressi presentano i consueti rincassi per il lastrone di chiusura, talvolta
abbastanza elegantemente sagomati. In un caso osservammo un canaletto incavato
nella roccia, normalmente all'inizio del dromos, e destinato senza dubbio ad acco-
gliere l'acqua piovana, e ad impedirne l'accesso alla tomba, analogamente alle dis-
posizioni adottate allo stesso scopo nelle necropoli sicule di Thapsos, Melilli, ecc.
Purtroppo le domus erano aperte e frugate, alcune fin dall'antichità- non mancano
infatti i soliti avanzi di ceramica romàna.
A. Taramklli.
G. G. Porro.
VI. NORBELLO — Nuraghi e tombe megalitiche.
Nel comune di Norbello, presso il margine del burrone di Domusnovas Canales,
si scavarono diverse tombe di giganti, ciascuna delle quali notabile per qualche
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Fig. 1. — "Tombe di giganti di Suei (Norbello).
particolare. Così, in località Suei, una tomba presentava una eccezionale regolarità di
costruzione, sopra tutto nei due blocchi formanti gli stipiti dell'ingresso (fig. 1). Un'altra,
poco lontano, è la più grandiosa fra tutte quelle da noi riconosciute, raggiungendo
la lunghezza interna di m. 11,90. Presenta la forma caratteristica a barca; e le pa-
reti, di rozza tecnica ciclopica, sono lievemente aggettanti verso l'alto. Speciale im-
portanza assume la tomba in regione Perdu Cossu, sebbene rovinata alla bocca ed
al fondo della cella, per i grandi lastroni basaltici di copertura, con tracce di la-
DOMUSNOVAS CANALBS — 118 — SARDINIA
vorazione, e più ancora per due blocchi in essa rinvenuti: l'uno, a forma di pira-
mide tronca, con un segno mammillare rilevato ; l'altro, trovato in posto al fondo
della cella, per un rilievo di evidente carattere fallico. Queste rappresentazioni si
possono avvicinare a quelle delle pietre fitte di natura betilica rinvenute sull'alti-
piano di Macomer e presso Paulilatino, nonché a quelle segnalate sul lastrone di
chiusura della domus di Chirighiddu, e hanno riscontri in numerosi monumenti del-
l'età dolmenica; basta ricordare gli innumerevoli menhirs della Francia. Natural-
mente, nelle tombe di giganti si tratta di sopravvivenza di un culto aniconico,
protrattosi del resto anche in età molto più tarda nell'isola, come ci dimostrano il
betilo del supposto tempio di Tanit a Nora, riconosciuto dal Patroni, e quelli raffigu-
rati sulle stele puniche di diverse necropoli sarde.
A. Taramelli.
G. G. Porro.
VII. DOMUSNOVAS OANALES — Cittadella nuragica di Nurarchei.
Uno dei punti minacciati del versante settentrionale dell'altipianno di Abba-
santa è il già citato vallone di Domusnovas Canales, che sale dal Tirso : sull'orlo
di esso furono segnalati numerosi nuraghi, a scopo evidente di vedetta e di ricovero
in caso d'assalti. Tali sono i nuraghi di Suei e di Nurarchei, ai quali dedicammo
una breve indagine, ma che meriterebbero, quando non mancassero i mezzi, uno
studio esauriente, trattandosi di tipici e ben conservati esempì dell'architettura me-
galitica protosaida. Il nuraghe di Nurarchei specialmente ci mostra in modo chiaro
un fatto già altre volte segnalato, e cioè una piccola cittadella, un vero e proprio
« blockhaus » , nel quale il torrione nuragico costituisce il maschio ed il nocciolo
primitivo; una robusta muraglia avvolge tutta la torre e se ne stacca con due
braccia poderose, che giungono sino all'orlo del diruto pendìo dell'altipiano, racchiu-
dendo e rendendo così inaccessibile, senza un pericoloso assalto, un tratto abbastanza
vasto di terreno, destinato evidentemente e soprattutto a ricovero del bestiame. Furon
messi in luce il piano e l'accesso del recinto, attorno al quale furono segnalate in-
teressanti vestigia riferite a tutta l'età nuragica, dolntens, tombe a cassa ed a corri-
doio, ed un circolo di pietre fitte, un vero cromlech, di cui gli esempì, a quanto ci
consta, sono ancora rarissimi per la Sardegna. Un dolmen, avente il lastrone di co-
pertura del diametro massimo di m. 2,30, ha tre pietre sole di sostegno, compa-
rativamente piccole. Un altro, a poca distanza, si prolunga all' infuori del la-
strone di copertura in modo da apparire quale una tomba di giganti rudimentale.
Un altro ancora è sorretto da quattro piccoli blocchi, stranamente contrastanti con
l'enorme massa sovrapposta, e sprovvisto di pareti laterali. Un quarto, infine, in lo-
calità Abbamuru, ha uno dei pilastri di sostegno formato da due pietre sovrapposte,
mentre un enorme blocco laterale, su cui non poggia la tavola di copertura, non
ha funzione statica, ma semplicemente di parete. Finora eccezionali per la Sardegna
sono, accanto ai dolmens, le tombe a cassone, due delle quali sono di forma grosso-
lanamente rettangolare. L'una è parzialmente coperta da un lastrone poggiante su
SARDINIA — 119 — LAKRRD
un grosso blocco, a cui l'intera tomba è addossata. L'altra, a pochi passi dalla
prima, e, come questa, formata da un solo corpo di grossi blocchi disposti a coltello,
ha le pareti leggermente inclinate vgi-so l'interno, e il fondo formato da rocce la-
viche irregolari, in situ. Una terza tomba è di forma grossolanamente ovale, con le
pareti formate da sette grossi blocchi disposti a coltello.
Tanto questa, quanto la precedente, erano devastate e senza tracce di copertura.
Quest'ultima ha, più delle altre, singolari riscontri nelle tombe a fossa dell'altipiano
palestinese. I dolmens diedero ordinariamente avanzi della consueta ceramica nura-
gica; le tombe a cassone cocci di pasta grossolana, quarzosa e carboniosa, di cot-
tura assai imperfetta, a superficie nera liscia, non discostantesi gran che neppur essa
dal consueto tipo della ceramica nuragica.
A. Taramklli.
G. G. Porro.
Vili. LAERRU — Esplorazione dei monumenti megalitici e scavi
nelle domus de ianas di Monte Dltano.
La fine della campagna autunnale del 1914 fu dedicata all'agro di Laerru ed
ai finitimi territori dell' Anglona, di questa ubertosa contrada della provincia di Sas-
sari; fu scelto questo terreno di ricerca per l'opportunità di un valido e intelligente
aiuto, offertoci dal geom. Edoardo Benetti, e per cogliere anche, a tanta distanza
dal territorio abbasantese, le somiglianze e le differenze nel materiale archeologico
primitivo.
Come indicasi nell'unito schizzo schematico (fig. 1), la regione dell'Anglona, è
posta nella parte nord dell' isola, fra la Gallura ed il territorio sassarese; è un'aspra e
varia zona, con una sua propria caratteristica fisionomia geologica e geografica, a
valloni profondamente incisi ed ampi, ed altipiani vastissimi a contorni dirupati, di
natura vulcanica in gran parte, in parte anche di rocce sedimentarie recenti. Dal
punto di vista archeologico poi, per quanto abbia fornito vari elementi raccolti nei
musei di Cagliari e di Sassari, e nella privata collezione Dessi, la regione è tuttora
inesplorata; e dal pochissimo che potemmo osservare in questa breve esplorazione,
ostacolata da insolito maltempo, si può dedurre l' importanza dei dati che potranno
essere raccolti dall'indagine intima e minuta di quelle valli e di quegli altipiani,
oggi solitari e non completamente sicuri.
Lasciando ad altro momento l'esposizione di uno studio topografico dell'Anglona,
e dell' impressionante coordinamento del sistema nuragico alla conformazione del suolo.
che qui raggiunge la più chiara evidenza, diremo solo che le valli interne, percorse
dagli affluenti del Coghinas, lo sbocco di questo fiume nel mare, come le valli dei
minori fiumicciattoli o torrenti che corrono al mare, quali il rio di Sorso, quello di
Perdasdefogu, come l'altra valle percorsa dalla strada per Castelsardo, sono tutte nel
loro percorso vigilate da costruzioni nuragiche, come fu notato per le valli del Tirso,
LAÈRRU — 120 — SARDINIA
del Terno, del Flumendosa, e per le spiagge del Sulcis, mentre altri allineamenti
nuragici seguono le strade naturali che, attraverso l'altipiano del Sassittu, di S. Maria
di Tergu, di Monte Ossoni, salgono dalla spiaggia alle ubertose valli interne, tem-
pestate di nuraghi. E di nuraghi sono del pari fittamente tempestati gli orli del
vasto altipiano, detto il Sassu, che separa l'alta valle del Coghinas dal Campo
d'Ozieri, altipiano dove si ripete il fenomeno geologico ed archeologico della notis-
sima Giara di Gesturi.
Di questi nuraghi, taluni furono da noi diligentemente osservati, nei dintorni di
Laerru, di Martis, di Bulzi, di Sedini, e, per dire in breve, notammo tosto i caiat-
Fig. 1. — Schizzo di pianta dell'Anglona.
teri di somiglianza ai nuraghi di altre contrade dell'isola, vari caratteri notabili
locali, di una grandiosità, diremo quasi, primitiva, accompagnata anche da un'accura-
tezza di determinati particolari costruttivi della porta, delle scale, delle camere
interne. Istruttive furono le indagini dedicate al nuraghe della regione Bolentare, in
quel di Martis, al nuraghe in regione Bonora, nella vasta vallata di Bulzi, presso
a quel gioiello di arte romanica che è la chiesa di S. Pietro delle Immagini.
Ma nella regione dell'Anglona è specialmente interessante un tipo di insedia-
mento nuragico che, pure non essendo insolito in altra parte dell' isola, qui appare
applicato di sovente; il tipo cioè delle piccole acropoli fortificate. Ne abbiamo veduto
bellissimi esempì, ed altri ci sono stati segnalati dal chiaro sig. Bonetti, che ci fu
guida preziosa : ma l'esempio più luminoso è quello di Monte Ultano, già ricordato
dall'egregio prof. Pais. Attorno a questo monte si annidano numerose leggende di
tesori nascosti, leggende che hanno una ragione nelle continue scoperte di antichità
romane, anche di qualche valore, che si compirono in quel luogo. Ma l' interesse
SARDINIA — 121 — LABRR0
maggiore è dato dagli avanzi riferibili ad epoca preromana, cioè dalla costruzione
che sorge all' ingresso dell'acropoli, dai tratti di muro di cinta, e soprattutto dalla
fontana, a cupoletta sotterranea, scoperta alla base dell'acropoli, e che agli scopri-
tori fornì materiale di età forse punica, certo per lo meno romana repubblicana, ma
che ad una esplorazione sistematica potrà fornire dati più interessanti e più antichi.
È così verificata anche nel territorio dell'Anglona l'esistenza del tipo architet-
tonico della cupola nuragica, sepolta in parte nel suolo a custodia di una fonte, quasi
certamente con carattere sacrale. È anche assai probabile che il ripostiglio di bronzi
preromani di carattere votivo, venuto recentemente in luce presso S. Maria di Tergu,
a tre ore da Laerru, si riconnetta con uno di questi luoghi di culto, disposti in vici-
nanza di un pozzo sacro; luoghi di culto ormai abbastanza numerosi in tutta l'isola,
e di cui il tempio di S. Vittoria di Serri costituisce l'esempio più noto ed istruttivo.
Anche nell'Anglona si riconobbe l'esistenza di varie tombe di giganti, alcune
delle quali imponenti, e tutte attigue a nuraghi ; ma si potè anche qui osservare
come in prossimità di nuraghi, sia isolati, sia riuniti in difesa di un altipiano,
esistessero domus de ianas ipogeiche, di vaste dimensioni e di aspetto, perciò, più
tardo. Tali sono quelle situate ai piedi di Monte Ultano, a poca distanza da Laerru, in
località detta luogosanto, dove sorgono anche tre monticelli, di forma regolarmente
conica, la quale non trova analogia con altri rilievi orografici del territorio, né chiara
esplicazione geologica ; i quali monticelli sono stati dal Benetti ritenuti quali tumuli
tombali.
Questa ipotesi plausibile, ma non per anco dimostrata dai fatti, trova sostegno
nella presenza di tombe di giganti, le quali effettivamente, quando avessero conser-
vato il loro mantello di terra, disposto al disopra delle lastre del corridoio, si pre-
senterebbero come veri e propri tumuli. Ma l' ipotesi suggestiva e brillante attende
di essere appoggiata dai dati convincenti, che solo può fornire il piccone. Siccome la
stagione non ci consentiva se non una breve indagine, questa fu dedicata alla necro-
poli ipogeica di Luogosanto, situata, come dicemmo, ai piedi di Monte Ultano.
Le domus de ianas quivi rinvenute si differenziano da quelle dell'altipiano abba-
santese per le notevoli loro dimensioni, dovute sopra tutto alla natura tufacea della
roccia in cni furono scavate, estremamente più lavorabile del duro basalto abbasan-
tese. La prima del gruppo da noi esplorato è composta di dromos, lungo ben m. 3,00,
di una anticella quasi circolare lunga m. 2,25, e di una cella quasi quadrangolare,
di m. 2,25 di lato, a cui si accede dall' anticella con un gradino discendente di
m. 0,63. La cella raggiunge l'altezza di m. 1,70. La seconda domus ha un dromos
di m. 3,20, un'anticella più o meno quadrangolare di m. 2,00 X 1,80, e una cella
di m. 2 X 2,40, alta m. 1.60. Si nota nella parete di fondo, ad una certa altezza,
una nicchietta destinata con ogni probabilità a depositorio di materiale funebre. Una
terza domus, frugata anteriormente, fu da noi visitata. Priva attualmente di dromos,
presenta un'anticella più o meno quadrata, di m. 1.20 di lato, una cella quadrata
di m. 2,00 di lato e una cella secondaria laterale, a destra della principale, di
m. 2,80 X 2.20, di forma alquanto irregolare. L'altezza delle tre camere è di
m. 1,10.
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 17
LABRRU — 122 — SARDINIA
La suppellettile rinvenuta nelle prime due domus, in mezzo alla terra derivante
dal franamento della vòlta, consiste di vasi nuragici assai grossolani, orcioletti e
ollette senza alcuna decorazione: hanno forme analoghe a quelle di altre tombe a
grotte artificiali.
*
* *
La presente ricerca non ha assolto completamente il suo compito, né risolto i
problemi tutti, per lo studio dei quali è stata intrapresa; ma non fu inutile, né priva
di risultati, che qui sono riassunti brevemente.
Anzitutto furono segnalati e rilevati, solo nel territorio esplorato di Abbasanta,
di Norbello, di Domusnovas Canales, numerosi dolmens che erano non solo sconosciuti,
ma si può dir quasi esclusi, dal benemerito Mackenzie, per il territorio abbasantese.
Questo piccolo grappo deve aggiungersi a quelli già precedentemente segnalati da
questa Direzione e dal Mackenzie, in modo che oggi non più si può ripetere quanto
ancora venne asserito dal Quantin, che la Sardegna manca assolutamente di questo
tipo di monumento megalitico, abbastanza frequente nella Corsica; tutto invece fa
credere che, col procedere delle esplorazioni sistematiche del soprassuolo, i dolmens
potranno rivelarsi più numerosi e complessi e diffusi in varie parti dell'isola.
Fu inoltre osservato che questi dolmens sono quasi tutti in vicinanza ed in rela-
zione con altri tipi di monumenti funerarii megalitici ed ipogeici. Fu anche osservato
un graduale sviluppo del dolmen dalle forme semplici della pietra grande posata su
poche pietre fitte, ad una vera e propria cameretta, con le pareti completamente
chiuse, e con la tavola sempre più alta.
Ma nella campagna di Abbasanta noi potemmo anche sorprendere nei due sepolcri
di Mesu Enas e di S. Angrone, ed in parte in quello di Mura Iddari, la fusione dei
due tipi funerarii, del dolmen e della domus de ianas ipogea, e il conseguente svi-
luppo di una forma che potremo dire intermedia, che è la tomba di giganti. Il dolmen
a corridoio allungato, appoggiato alla fronte della domus scavata nella roccia, fa
nascere la tomba di giganti, a lunga cella o corridoio coperto, che sorge sopra il
suolo ; ma effettivamente, per la sopraelevazione del tumulo di terra al disopra di
essa, diviene un monumento sotterraneo. La fusione dei due tipi in uno solo era già
adombrata nella tomba a domus de ianas scolpita nella rupe di Molafà, presso Sas-
sari, ed in quella di S. Giorgio, presso Olmedo, segnalata dal Dessi, dal Mackenzie,
dal Prèchac e da questo Ufficio, nelle quali la facciata assumeva l'aspetto di una
grandiosa stele di tomba di giganti, intagliata nella roccia stessa; ma i monumenti
ora segnalati offrono un esempio della più chiara evidenza e del massimo interesse,
e non per la sola archeologia sarda, poiché l'esame delle forme preparatorie che con-
dussero dal dolmen alle tombe dei giganti rudimentali, e a quelle, giandiose per
dimensione e per struttura, di S. Azzica di Abbasanta, per tacere di quelle già note
di S. Cristina, di Goronna, a Paulilatino, di Srighinadu, presso Bauladu, di Casti -
gadu S. Altare, tra Olzai e Sanile, e di altre molte, non dev'essere, a parer nostro,
senza valore per lo studio delle origini del tipo della sepoltura a corridoio, sotter-
raneo o coperto da tumulo, proprio della Etruria meridionale e del Lazio, e che ha
i suoi più noti esemplari nelle tombe Regulini Galassi, di Cere, nella Cucumella e
SARDINIA — 123 — LABRR0
nella Cucumelletta di Vulci, nelle tombe di Monte Acuto presso Formello nell'agro
di Veio, alle quali si collega anche la tomba Bernardini di Palestrina.
Lasciando ad altro luogo lo studio di questo lato della questione megalitica,
(he non si deve ritenere inutile nella indagine dei vari problemi connessi alle origini
italiche ed etnische, ricordiamo che, oltre ad aver rinvenuto gli anelli che uniscono
le due forme di sepoltura megalitica ed ipogeica, fu anche accertata la persistenza
della domus de ianas, caratteristica dell'eneolitico sardo, come di altri orizzonti
mediterranei, nella piena età dei nuraghi, vale a dire nell'età dei metalli, poiché è
indispensabile lo strumento metallico per aver ragione del durissimo basalto in cui
son scavate le domus di Chirighiddu, di Mura Iddari, di Fontana Oruos, come tante
altre, aperte nelle rocce laviche recenti ed antiche; in modo che non solo per la
presenza della suppellettile ceramica simile a quella data dai nuraghi, ma anche per
la tecnica dell' escavazione esse appartengono al grande periodo nuragico.
Se si fanno abbastanza chiari gli anelli della catena che dalla semplice cella
dolmenica conduce alle forme più evolute, complesse e grandiose delle tombe dei
giganti, noi possiamo dedurre che non si tratta di un tipo importato già perfetto
nell' isola sarda, ma bensì di un tipo qui svoltosi, parallelamente all'evoluzione di
germi simili in ambienti analoghi. E tale svolgimento è contemporaneo a quel periodo
in cui la razza sarda si trova in possesso di mezzi più larghi, dovuti alla padronanza
di nn' isola vasta e in gran parte feconda, quando i pascoli ubertosi acquistavano già
terreno sui boschi, quando i seminati di grano e di altri cereali prendevano il posto
delle vergini foreste, quando la terra interrogata aveva dischiuso il tesoro delle sue
miniere, e, prima di tutto, di quelle di rame, la cui lavorazione risale, come è ormai
accertato, al più grande sviluppo della civiltà nuragica, della quale essa fu il più
efficace elemento.
Nell'una e nell'altra forma di monumento funerario persiste l' inumazione, il rito
dominante in tutta la Sardegna preistorica e protostorica, che solo assai tardi cede
il passo alla cremazione.
Se fu chiaramente dimostrata la connessione dei dolmens e delle tombe di giganti,
come di moltissime domus de ianas, ai nuraghi, questi ci apparvero in molti casi
(come a Losa, ad Aiga, e a Mura Tuftau, ed anche a N tirarci) ei, per limitarci agli
esempì ora studiati) come vere e proprie cittadelle e recinti fortificati, intorno ai
quali si accentrano tutte le varie funzioni della vita sociale primitiva, dalla difesa
comune, al tempio, alla tomba.
Quanto ai materiali, alla loro tipologia, ed alla loro cronologia, scarsi ma non
inutili furono gli elementi raccolti, né senza interesse fu la ricerca nei riguardi dei
concetti religiosi connessi con la tomba, manifestandosi in tutte le tombe dei giganti
esplorate l'esplicazione del culto agli antenati, nella grande area frontale ; il simbolo
commemorativo della stele monumentale nelle più evolute; e a Pardu Sella di
Abbasanta la conferma del culto dei betili mammati, accanto ad una chiara e non
isolata espressione del culto fallico, connesso quasi sempre a quello betilico.
Di questi risultati sarà data ampia e precisa relazione più tardi, con il corredo
dei necessari sussidi grafici, e, speriamo, con il conforto di nuovi dati e di più larghi
OZIBRI
124 — SARDINIA.
materiali, che si spera di raccogliere in prossime esplorazioni nei paesi del centro
della Sardegna, massime nelle valli e negli altipiani ricchi di pascoli, ma remoti
dalle zone della cultura intensiva, punica, romana e moderna. Ci sia lecito l'augurio
che l'opera nostra volenterosa sia dovunque sussidiata e sorretta dal valido e disin-
teressato aiuto di cittadini distinti, come il valoroso Edoardo Benetti ed il modesto
lìev. Salvatore Dessi, che segnaliamo alla gratitudine del paese e della scienza.
A. Tarameli,!.
G. G. Porro.
IX. OZI E RI — Grotta sepolcrale e votiva di S. Michele ai Cap-
puccini.
Nella fine del marzo 1914 il regio ispettore dei monumenti e scavi di Ozieri,
avv. Antonio Altana, riferiva alla Soprintendenza che in occasione di lavori di cava
di ghiaia sull'alto del colle dei Cappuccini, attiguo all'abitato della città di Ozieri,
presso l'attuale ospedale civile, era venuta in luce una grotta con abbondanti tracce
delle antiche industrie. Poiché la morbosa curiosità e la smania del tesoro avevano
facile sfogo per la vicinanza della grotta all'abitato, e già si erano iniziate delle
vandaliche esplorazioni in massa per parte di cavapietre dapprima, poi della ragaz-
zaglia del luogo, l'Autorità dette ordine che l'accesso della grotta fosse sbarrato so-
lidamente in attesa della esplorazione sistematica.
Nel giugno mi fu possibile di dedicarmi alla esplorazione della grotta, con
l'assistenza del dott. Porro, ispettore del museo, e col valido aiuto dell'avv. Altana,
che, come provvide a preservare per quanto possibile il vetusto deposito, così cooperò
con ogni mezzo alla buona riuscita dello scavo, compromesso dal vandalismo che
l'aveva preceduto.
La grotta si trova sull'alto del colle di S. Michele o dei Cappuccini, che è il
punto culminante di una costiera calcare che serra tutto all'ingiro l'abitato di Ozieri,
adagiato, o, meglio, arrampicato nell'interno di un grandioso circo di valle che si
apre a nord-ovest verso l'altipiano del campo di Ozieri ed è chiuso alle spalle da
questa costiera calcare, come un ampio girone d'anfiteatro. Questo ciglione, di na-
tura carsica, è sforacchiato in varii punti da grotte e da anfratti, alcuni ben cono-
sciuti da parecchio tempo ; ma questa grotta dei Cappuccini, o di S. Michele dalla vicina
chiesa, ora distrutta, era stata già intravista un secolo addietro dai padri cappuccini
ed anzi si aveva un vago ricordo, di cui non è facile apprezzare il contenuto reale,
che due frati vi si erano perduti e che anche allora l'Autorità aveva ordinato la
chiusura della grotta. Ma di tale fatto si era perduta la conoscenza nella popolazione ;
solo il tagliapietre impresario Ignazio Langiu Coro, che aveva stabilito una cava sul
colmo del colle, aveva osservato che da varii spiragli che si aprivano alla superficie
del suolo usciva una corrente d'aria fresca, segno di una cavità sotterranea, ed aveva
per lunghi mesi continuato a gettare lo scarico dei materiali di cava, sinché, abbas-
sando il livello del piano roccioso, venne a scoprire l'accesso all'antro.
SARDINIA
125
OZIERI
L'accesso alla grotta avviene da una specie di pozzo, quasi verticale (pianta,
tìg. la), assai angusto e che prima dei lavori di cava doveva avere una profondità
di 6 o 7 metri ; dalla uscita inferiore del pozzo, che sbocca nella vòlta della grotta,
la discesa al fondo è ora facilitata dallo scarico di terriccio e di massi precipitati
in vario tempo dall'alto; la bocca del pozzo poi fu rinvenuta sbarrata da due rozze
a-
Fio. 1. — Pianta della grotta di S. Michele di Ozieri.
colonne in granito, grossolanamente cilindriche, incuneate nella stretta apertura: la
forma di tali pietre e la natura della roccia, estranea al luogo ed affiorante ad una
ora almeno di distanza dal colle di S. Michele, suggeriscono l'idea di uua colonna
eretta sulla bocca del pozzo, come le consuete perdas fìltas della Sardegna, sia
come chiusura della grotta, sia come segno che ne indicasse la presenza e il carat-
tere sacro (fig. 2).
La grotta (vedi pianta, tìg. 1) presentava un salone, con la vòlta inclinata verso
il fondo, tutta incrostata di stalattiti e stalammiti, alto al massimo da 4 a 5 metri,
largo una trentina e lungo uua diecina, con molti padiglioni o anfratti lungo il
OZIERI — 126 — SARDINIA
piede ed un pozzo canale, quasi a picco, che si sprofondava a destra dell'ingresso.
In fondo al salone, a sinistra, si apriva uno stretto corridoio di varii metri di
lunghezza (e e), attraverso al quale si poteva avanzare corponi ed accedere ad un
secondo ambiente, anch'esso abbastanza ampio, con varii padiglioni ai lati e con
una specie di pozzo nel fondo che si inabissa per parecchie diecine di metri (d e).
Anche da questa seconda camera, per mezzo di un ampio corridoio (/") ad al-
cova, si passa, per angusta gola (g), ad un tortuoso e dirupato canale (g'), ricco di
incrostazioni stalattitiche, che va sprofondando nel suolo fra spaccature, sino a che,
ad un centinaio di metri dall'ingresso, quella via sotterranea delle acque si inabissa
in un baratro pauroso ed inaccessibile (g").
La grotta fu da noi percorsa in tutte le parti accessibili ; ma la esplorazione
venne ristretta alla prima ed alla seconda sala ed ai padiglioni di esse, lasciando
le parti più profonde dell'antro dove il suolo umido era formato dalla roccia, e
dove le condizioni della forte inclinazione e della grande umidità non permettevano
la formazione di un deposito.
Nella prima sala, dopo aver esplorato il suolo dalla parte accessibile e già
sconvolto dalle vandaliche ricerche precedenti, si provvide a rimuovere per quanto
possibile il materiale disceso dalla bocca superiore e dalle fessure esistenti nella
vòlta (b b b), e si esplorò tutto lo strato archeologico, dello spessore di una quaran-
tina di centimetri e posante sul fondo roccioso. In questo strato continuo di terriccio
nero, di pietrame e di impasto di stoviglie, si rinvennero varii frammenti di ossa
umane, sia di cranio, sia delle costole, sia degli arti; ma il materiale venne rin-
venuto così rimestato e sconvolto e frammentato che non fu possibile di formarsi una
chiara idea del giacimento e del suo carattere, già alterato prima dalle curiose in-
vestigazioni praticate al momento dell'apertura della grotta. Si tratta forse di ma-
teriale gettato dall'alto, venuto ad accumularsi più copioso sotto la bocca, ma spia-
nato poi e disperso per l'azione delle acque d'infiltrazione in tutto il piano della
grande sala.
Anche nella seconda sala, di là dalla strozzatura di cui dissi sopra, fu pra-
ticata una esplorazione, estesa ai varii padiglioni e canali sboccanti nella sala stessa; il
materiale archeologico fu rinvenuto in quantità sempre minore ed in frammenti
sempre più piccoli, mano mano che ci si allontanava dal corridoio del primo salone,
così da far pensare che si trattasse di materiale travolto dall'impeto di acque inva-
denti dall'alto la grotta e non depositato in origine in quel luogo. Verso il fondo
di questa seconda sala si ebbe una massa di terriccio chiaro, in apparenza cenere,
che farebbe credere ad una permanenza dell'uomo in questa parte della grotta o per
temporaneo rifugio, o per feste e banchetti funebri, o semplicemente per illuminare
o purificare col fuoco il sotterraneo.
Ma la situazione della grotta, la difficoltà dell'accesso che in origine doveva
essere maggiore, la mancanza assoluta di luce, specie nella seconda sala, l'umidità
che nei momenti di pioggia doveva essere grandissima, sembrano escludere che essa
potesse essere abitata, se non per i brevi momenti ed in circostanze speciali e per
determinati scopi, connessi con ragioni di superstizione e di culto.
SARDINIA
— 127 —
OZIBRI
Di depositi funerari si ebbe traccia in yarii punti della prima sala, e gli avanzi
umani giacevano alla rinfusa dispersi e mescolati nello strato, prevalentemente for-
mato da frammenti di stoviglie, e non mai posati sopra la nuda roccia e lo strato
antichissimo di incrostazione stalammitica. Perciò non ci fu permesso di raccogliere
alcun dato sulla giacitura e posa dei cadaveri e della loro suppellettile funeraria:
Fio. 2. — Monoliti granitici all'ingresso della grotta di S. Michele.
solo potè accertarsi il rito di inumazione che è quello di tutta la civiltà protosarda.
Una porzione di cranio fu raccolta verso il fondo del primo salone, nell'angolo verso
destra; altri frammenti cranici e di ossa varie si ebbero in varii punti, rimovendo
il piano inclinato di materiale di scarico della cava. Queste ossa erano rese molto
friabili dall'umidità; solo pochi frammenti poterono essere raccolti e conservati per
la raccolta antropologica formata dal prof. Sterzi, nella R. Università di Cagliari.
Verso il fondo della grotta, a sinistra, dove il materiale archeologico venne accu-
mulandosi maggiormente, fluitato dall'acqua, aiutato dal naturale pendìo del fondo
roccioso, si ebbero alcuni manufatti litici, altri al di sotto del cono di terriccio; e
così pure alcuni dei migliori residui ceramici si rinvennero rotolati al fondo della
sala sotterranea, altri nelle parti meno sconvolte da recenti incursioni. Fra i manufatti
OZIERI
128 —
SARDINIA
ricordo una piccola accetta (fig. 3), di mm. 45, in roccia nera levigatissima, proba-
bilmente nefrite, di forma quasi rettangolare, molto schiacciata, con taglio rettilineo
e molto affilato, in complesso un oggetto di perfetta conservazione, assai probabilmente
di valore rituale meglio che di uso pratico.
Ricordo inoltre 3 coltelli in selce bionda e scura (fig. 3), della lunghezza da
mm. 130 a 100, a lama ricurva ed arcuata, a minuti ritocchi marginali, esili oggetti
che ritengo rituali ; alcuni frammenti d'altre lame più larghe, in selce bionda scura,
si richiamano a tipi neolitici forniti in larga misura dalle tombe di Anghelu Ruju.
Pio. 3. — Accetta e coltelli in pietra della grotta di S. Michele (*/» del vero).
Si ebbe anche un nucleo di ossidiana con le scheggiature di stacco, e alcuni pezzi di
ocra rossa, che, oltre ad essere largamente impiegata nella decorazione dei vasi della
grotta, doveva servire nelle cerimonie del rito funebre protosardo, come venne attestato
dalle scoperte già ricordate delle grotticelle artificiali di Anghelu Ruju, presso Alghero.
La ceramica costituiva il più copioso elemento dello strato di avanzi archeologici.
Ai frammenti di stoviglie di grossolano impasto, dalle pareti molto spesse e dalla
superficie greggia, si associavano in grande numero quelli appartenenti a ceramica
più elaborata, a pasta più fine, a pareti meno spesse e più uniformi, a superficie più
fine, lisciata a spatola ed ingubbiata, decorata da incisioni e da ornati impressi a
stecco e rialzati con ocra rossa.
Anche i vasi più fini conservavano internamente impurità dell'argilla, piccoli
ciottoletti di quarzo e scaglie di mica, alcune anche tralucenti alla superficie. La
più copiosa ceramica aveva la pasta grigia scura e la superficie bruna color cuoio ;
in qualche esemplare l' ingubbiatura era quasi vitrea, nera come un bucchero, acco-
SARDINIA — 129 — OZIERi
standosi ai belli esemplari della ceramica del nuraghe Lugherras, di Paulilatino.
In vari frammenti abbiamo una ceramica a pasta più chiara ed a superfìcie rossastra
o rosea, regolare e ben lisciata a spatola: la cottura dei vasi è uniforme e tanto
avanzata da renderli durissimi e compatti; solo in qualche esemplare più fine, sia
per la immissione di sostanza carboniosa nella pasta del vaso, o per coltura più
scarsa, o per maggiore e più diretta azione dell'acqua, la superficie si presentava
corrosa; in genere però il materiale ceramico presentava traccia di una perizia già
consumata, di una industria già in possesso di metodi e tipi vari e tradizionali.
I vasi intieri o facilmente ricomponibili furono pochissimi :
a) olletta a superfìcie bruna lucente e piccole bugne, a fondo semisferico, con
netta carena, al di sopra della quale si imposta il corpo del vaso tronco-conico, leg-
Fig. 4. — Ceramica della grotta di S. Michele (*/» dal vero).
germente svasato, con breve orlo alla bocca; sotto alla carena spuntano due grandi
escrescenze a lingua, con la traccia evidente di una terza, le quali, meglio che ad
anse, debbono essere riferite a tre larghi e robusti piedi che sostenevano il vaso tenen-
done il fondo sollevato dal suolo (fìg. 4) ;
b) vasetto a forma di pisside dal fondo largo e le pareti concave e labbro
leggermente (fìg. 7, in basso) espanso, in terracotta nerastra, adorno sul fondo e sulle
pareti da decorazioni incise e colorate;
e) vaso frammentato a cestello, simile ad un calathos, dal fondo circolare, le
pareti espanse in bella curva sino al labbro leggermente svasato; la pasta bruna è
friabilissima; la superficie è decorata internamente ed esternamente con incisioni, a mo-
tivi fitomorfì, e da segmenti di curva, di tipo finora nuovo in Sardegna (fìg. 8, in basso).
Questi soli erano i vasi presso che completi raccolti nello scavo al fondo della
grotta e nello strato meno rimestato.
Ma anche dalla grande massa dei frammenti è possibile di riconoscere una certa
quantità di forme e di tipi, alcuni prettamente eneolitici, ma altri che si presentano
anche negli strati dell'età del bronzo, della Sardegna e di altre contrade del Medi-
terraneo occidentale.
Abbiamo così grosse pentole sferoidali, con orlo rinforzato da un cordone saliente,
con grosse anse a bozza forata da canale ricurvo, che sono tipiche di questa grotta
Ozierese.
Notizik Scavi 1915 - Voi. XII. 18
OZIKRI
— 180
SARDINIA
Si hanno pure urne a ventre tondeggiante, collo allungato, restringentesi leg-
germente verso la bocca, priva di orlo: l'esempio più interessante, fra tutti questi
frammenti, soprattutto per la sua decorazione, è quello riprodotto nella figura 5 a
sinistra in alto e che ha certamente un carattere votivo per gli ornati incisi: questa
decorazione, messa in risalto dal colore rosso, inserito nelle incisioni, ha un effetto
fine ed elegante.
Ricorrono frequenti i frammenti di piccole ollette ventricose, con bocca stretta
ed orlo affilato, con ansa a piccola bozza forata da un piccolo canaletto orizzontale.
Non mancano i frammenti che si possono riferire a vasi con tre piedi a lingua,
robusti ed applicati al fondo del recipiente.
Pio. 5. — Tipi di anse forate della grotta di S. Michele, con decorazioni incise e colorate
(V, del vero).
Forse a grosse scodelle si riferivano alcuni frammenti di ceramica a pareti molto
spesse, che erano nella parete interna ricoperti di un alto strato di polvere d'ocra, che
pareva depositata, traccia del contenuto del vaso, forse con carattere votivo e d'offerta.
Numerosi frammenti si riferiscono a vasi dalla carena saliente, a spigolo molto
vivo, dalla superficie levigatissima e di forma regolare, per lo più di color bruno,
benché non manchino esemplari rossastri e quasi rosati. Questi vasi a carena sono di
due tipi: alcuni sono piccoli vasetti, molto più alti che larghi, con la carena o a
metà dell'altezza, o verso il fondo ; altri sono assai bassi ed ampii, specie di ciotoloni
a fondo leggermente ricurvo ed a pareti molto basse.
Altri frammenti si possono ricondurre a vasetti sferoidali, con bocca stretta e fondo
parimenti stretto e piano, di accurata fattura e per lo più decorati con motivi vani.
Compaiono le forme dei vasi cilindrici, specie di pixis (pag. 129), di cui la più in-
SARDINIA — 131 — OZIKRI
teressante fu già ricordata, che doveva avere vari esemplari consimili nello strato;
talune a pareti verticali, altre invece a pareti leggermente concave (tìg. 7, a sinistra
in basso).
Sono frequenti nello strato i vasi a calathos, a cestello, dal fondo circolare e
dalle pareti espanse con labbro rivolto, fatti ad imitazione dei cestelli di vimini, ai
quali si inspira anche la decorazione incisa (figg. 4, 8) : alcuni di questi cestelli sono
piccolissimi, con piccola ansa a bozza e foro di sospensione; altri più grandi ed
eleganti, come il bello esemplare ricordato, che rappresenta uno dei capolavori del-
l' industria ceramica protosarda.
Questi i principali tipi di ceramica presentati dalla grotta di S. Michele ; ricor-
diamo ora brevemente le varie forme di anse, che costituiscono una parte assai con-
siderevole di quel grande gruppo vascolare preistorico. Alcune di esse sono anse a
ponte, o molto robuste, per vasi di grandi dimensioni, oppure piccolissime nei piccoli
vasetti (nelle ciotole a carena e nei vasi a cestello) ; è appunto questo tipo di ansa
di tali vasi che ne mostra il carattere di vaso da sospendere, confermato anche dalla
decorazione del fondo, e dà argomento a ritenere che tanto la forma quanto la decora-
zione di essi fossero inspirate dagli esemplari empestici (fig. 6, in basso).
Affini alle anse a ponte sono quelle a nastro, largo e sottile, le anse a canale allun-
gato, le anse a bitorzolo, e quelle, più lavorate, a linguetta propria dei vasi a carena.
Altri vasi hanno semplici fori di sospensione, come le coppe o ciotole pianeg-
gianti che per la decorazione e per la finezza delle pareti e la grazia della forma
gareggiano con le belle coppe della Grotta di S. Bartolomeo, presso Cagliari, ed
hanno assai evidentemente il carattere di offerta votiva (fig. 6, nel centro).
La forma di gran lunga predominante, direi tipica, di questa grotta ozierese, è
quella dell'ansa a grosso canale, che si incava molto profondamente nello spessore
della parete del vaso ; detto canale, disposto in senso orizzontale sul ventre del vaso
in corrispondenza alla carena, ha i due fori circolari abbastanza ampii per il pas-
saggio delle dita, assai spesso accentuati dalla decorazione, ad incisione od a punti
impressi, che forma un caratteristico elemento di questa ceramica eneolitica. In qualche
esemplare si presenta un foro di sospensione che attraversa la base della bozza raggiun-
gendo il canale dell'ansa (fig. 5. a destra in basso). Abbiamo bensì uno stretto raffronto,
per le forme a canale e semplici fori, con quelle date dagli scavi della Collina di
Corradino, a Malta, che sono assolutamente analoghi a questi di Ozieri anche per il
foro di sospensione e presentano un interessante elemento di contatto tra le due isole (')•
Varia ed interessante è la decorazione di questa ceramica, conforme alla tra-
dizione eneolitica in genere, ma con alcuni elementi di naturalismo e di una certa
libertà che si affacciano per la prima volta numerosi nella ceramica primitiva isolana.
I motivi decorativi di questa ceramica sono in parte conformi alla tradizione
neolitica, in parte più sviluppati e complessi per derivazione da motivi empestici, e
si accostano ai più elevati esemplari della decorazione ceramica della fine del-
l'eneolitico.
(') Pect, Note on the af/inities of the maltese pottery. Pap. of. brit. school at Rome, v»l. VI,
pag. 51, tav. IX-XIJ.
OZIKRI — 132 — SARDINIA
Le forme decorative antiche sono però in grande minoranza. Dei vasi più grandi
taluni sono decorati presso l'orlo da una costola o cordone soprapposto, con una
serie di tacche parallele formate col dito o con uno stecco (fig. 6, in basso).
Pure rarissimi sono gli ornati a zone di rettangoli, in genere assai allungati
e riempiti da incisioni irregolari ; accompagnati talora da una serie di festoni, ren-
denti più complessa ed organica la decorazione del vaso.
In qualche esemplare, sia di vasi a superfìcie nera, sia di vasi a superfìcie di
rilievo color cuoio, molto levigati dalla spatola, la decorazione è formata da cordoni
che solcano la faccia del vaso, spesso traforati da anse a sospensione in modo che
il vaso viene ad imitare la forma e l'aspetto di un otre in pelle.
I vasi a carena salienti sono decorati da linee nettamente e regolarmente incise,
tanto lungo la carena lucente, quanto all'orlo: assai spesso le linee sono date da una
rittissima taccheggiatura di puntini ottenuti dallo stecco ricurvo; talora i punti
sono rotondi e staccati, e tanto in un caso, quanto nell'altro, rialzati dall' immissione
dell'ocra. Più rara è la decorazione di linee a cerchielli, ottenuta da un cannello
(fig. 6, in alto).
Questa decorazione a linee taccheggiate — che a prima giunta fa l' impressione,
che è inesatta, di ornamenti ottenuti con la pressione di una corda — ha una grande
applicazione nella decorazione della ceramica di Ozieri.
Come è visibile dalle fotografie, tali ornamenti sono disposti:
a) a segmenti rettilinei paralleli, verticali o più spesso orizzontali, e fitta-
mente accostati;
h) a fasci di segmenti in curva, o rari, oppure fittissimi ed alternati a seg-
menti nelle linee attorno alle anse del vaso (fig. 5);
e) talora a questi festoni si alternano i circoli concentrici, pure ottenuti da
taccheggiature, massime attorno alle anse a bozza forata (fig. 5, in alto), e rialzati
dalla colorazione ad ocra.
In un esemplare, appartenente ad una tazza, i segmenti disposti a festone, sul
fondo del vaso, in modo molto regolare, formano una decorazione stellare simile a
quella delle tazze del Capo S. Elia, a Cagliari.
Questa decorazione a segmenti sopravvive anche nella decorazione delle ceramica
nuragica, e ne abbiamo qualche esemplare nel nuraghe Lugherras di Paulilatino (').
Un motivo decorativo molto più raro, che troviamo in questa ceramica ozierese,
è quello di zone circolari più o meno grandi, limitate da un cerchiello inciso e la-
sciate libere e levigate in mezzo ad una superficie completamente graffiata da una
fitta serie di piccoli solchi (fig. 4 a destra e fig. 7, in alto a destra).
Tutta una serie di frammenti è decorata da zone formate da due linee incise,
presso a poco parallele e riempite da una fitta tratteggiatura di piccoli tratti tras-
versali, decorazione che ad Ozieri si presentava con svariatissimi aspetti:
a) zone ondulate lungo i fianchi del vaso od imitanti un cestello intrecciato
di vimini (fig. 6, in alto);
(') Taramolli, Nuraghe Lugherras, in Mon. delVAcc, dei Lincei, voi. XX, (1910), pag. 215,
fig. 26.
SARDINIA
— 183 —
0Z1ERI
b) zone combinate con la struttura del vaso, disposte orizzontali lungo l'orlo
ed il fondo, con segmenti verticali tra quelle due (figg. 6 e 7) ;
e) segmenti curvi di festoni disposti intorno al cerchio del fondo del vaso ;
in qualche caso i festoni in curva si accostano a formare una specie di decorazione
stellare sul fondo (fig. 6) ;
d) segmenti di queste zone presentano l'aspetto di un ornato a zig-zag che gira
tutto attorno al fianco del vaso (figg. 6 e 7, in basso), specie nelle pissidi e nei vasi a
cestello ;
e) accanto alle zone ad angolo abbiamo le zone a segmenti curvilinei ed a
cerchi quasi completi o del tutto compiuti, o semplici o a più ordini concentrici,
Fig. 6. — Ceramica della grotta di S. Michele ('/a del vero).
tracciati con qualche regolarità : decorazione frequente nei fondi, inspirata da motivi
empestici, ed eseguita alla brava, con molta sicurezza e spesso anzi con una certa
fretta e trascuratezza (fig. 7, in basso) ;
f) finalmente jn questo sistema di zone riempite da tratti si affaccia, per la
prima volta in Sardegna, la decorazione a spirale, a tre giri nel fondo del vaso a
calathos (fig. 8, a destra), ed a ben sei giri, molto regolari e ben accostati, nel
fondo della bella pisside nera (fig. 7, a sinistra) con vivo risalto di ocra rossa.
Pure non escludendo che tale decorazione possa essere venuta da contatti con
oggetti industriali dell'Egeo, già provati per la necropoli eneolitica di Anghelu
Ruju (') dalle statuette di divinità femminili di calcare, di tipo se non di prove-
nienza Egea, ritengo però che la spirale in vasi di Ozieri possa essere una produ-
zione locale, derivata dalla imitazione dei vasi o cestelli in vimini, che è evidente
in tutti questi vasi decorati da zone a segmenti. Forse tanto in Sardegna, quanto
(') Monum. antichi dell' Accad. dei Lincei voi. XIX (1909), pag. 479. fig. 54-
OZIERI
— 134
SARDINIA.
in altri ambienti occidentali, come nelle tombe di Citania, nel nord-est della Spagna,
nei doìmens dell'Orihuela, nell'Aragona, della penisola iberica ('), questo motivo
fu una germinazione locale.
Uno sviluppo della decorazione a spirale ed un lieve ma significante accenno
ad una più libera imitazione di motivi floreali, sono presentati dalla tazza frammen-
tata e dal vaso a calathos raccolti a fig. 8, come anche da altri fondi di vaso, nei
quali la spirale sembra svolgersi più ampia e libera con zone a tratteggi meno
regolari e, direi quasi, più ardite (fig. 8 in alto e fig. 6). In questi esemplari, due
spirali accoppiate si staccano da un caulo, quasi imitando un motivo vegetale, e si
dipartono ai due lati, formando una specie di palmetta; nel vaso a calathos, poi,
Fio. 7. — Ceramica con decorazioni incise ed ornati a spirale della grotta di S. Michele ('/t del vero).
le due volute a spirale avviluppano nel loro centro una specie di occhio allungato
a mandorla, quasi una foglia, lasciata riservata dal tratteggio sul fondo del vaso
nero, ottenendo cosi un effetto molto elegante e presentandoci il punto più elevato
attinto, per quanto noi sappiamo, dalla decorazione vascolare protosarda.
Questo scarso elemento naturalistico non pare però destinato a perpetuarsi ed a
svolgersi maggiormente nelle decorazioni della ceramica sarda dell'età del bronzo,
che si inaridisce in una prosocuzione di motivi lineari e geometrici, rivolgendosi
in tutto il periodo nuragico ad una più accurata preparazione della suppellettile
vascolare, ad una più larga e pratica varietà di forme.
Per riassumere ora il criterio cronologico che ci è fornito dal materiale raccolto
in questa grotta, io credo che dall'evidenza stessa dei fatti esso possa essere fissato
all'epoca eneolitica.
(') Martin Sarmiento, A arie Micenica no norvest de Hitpania, in Portugalia I, n. 12;
Reinach, Anthropologie, 1897, pag. 19; E. P. Iulio Furgus, La edad prehistorica en Orihuela,
in Boletin de la Sociedad Aragonese de Ciencias naturale», 1912, pag. 168, fig. 10.
SARDINIA
— 185 -
OZIERI
A questa ci conduce facilmente il piccolo gruppo degli strumenti litici, i quali
per le loro piccole dimensioni, specialmente dell'accetta levigata, hanno carattere
rituale e votivo ; ci riconduce in special modo la ceramica, che per le forme e per la
decorazione, ci mostra la tradizione eneolitica più progredita, ci presenta un piccolo
passo più innanzi della ceramica delle grotte artificiali di Anghelu Ruju, senza però
raggiungere lo stadio della ceramica nuragica, nella quale, con un progresso nella
tecnica sostanziale del vaso, abbiamo un arresto nello sviluppo decorativo, che si
insterilisce in pochi elementi lineari e geometrici.
Fig. 8. — Vasi a calathos ed a pisside della grotta di S. Michele con decorazioni incise
ad ornamentazioni floreali ('/t del vero).
Ad Ozieri, come ad Anghelu Ruju, troviamo le stesse forme di vasi, i tegami
ed i ciotoloni a carena, le pissidi, le scodelle a forma di calathos, i vasetti sferoi-
dali; abbiamo lo stesso indirizzo decorativo a linee, a zone, ad impressioni, ma con
maggiore ardimento nella forma e dimensione dei vasi, e con maggiore varietà e
libertà nella decorazione nella grotta di S. Michele, in confronto a quella di Anghelu
Ruju, qualità che non hanno solo la spiegazione nella destinazione che può aver avuto
la grotta ozierese, ma anche nell'epoca che può essere ritenuta quella del più alto
grado della civiltà eneolitica, immediatamente precedente a quella dell'età nuragica,
caratterizzata da sviluppi di altre industrie e di altre forme.
Credo che possa essere ammessibile il parallelismo cronologico tra il materiale
della grotta di Ozieri e quello della grotta di Capo S. Elia, per restare in ambiente
sardo, o debbano avere per questo riguardo importanza i raffronti col materiale for-
nito dagli scavi recenti nell'edificio megalitico sul colle Corradino, a Malta, che dette
con armi e strumenti litici una ceramica analoga, per motivi decorativi e per
forma, a questa d'Ozieri, il che si può dire anche per i materiali raccolti nell'edificio
megalitico di Mnaidra, pure a Malta, dove la ceramica con ornati incisi a voluta è
OZIERI — 136 — SARDINIA
pure accompagnata da materiale litico ('). Del pari significanti sono i raffronti con i
giacimenti della tomba di Ifre, di Tres Cabezos, nella Spagna meridionale, che appunto
si riferiscono alla fine dell'epoca eneolitica o alla prima fase dell'età del bronzo (*).
Verremmo adunque a quel periodo segnalato dalla prima diffusione degli oggetti in
bronzo, in cui la civiltà nel bacino occidentale del Mediterraneo assume una facies
originale, per quanto non immune da influenze dall'Egeo e dall'Oriente, assurgendo
ad un notevole ed elevato grado di varietà e di sviluppo.
Le condizioni del giacimento rendono meno sicura la risposta all'altra questione
relativa alla natura ed al carattere del deposito. Anche nella parte che venne esplo-
rata al di sotto del materiale di rifiuto di cava caduto dall'alto, i pochi resti umani
giacevano quasi alla superficie, sconvolti e dispersi e posati al di sopra di uno strato
di cocci, che per la loro decorazione e finezza avevano prevalente carattere votivo.
Forse questa grotta, che si inabissa nel profondo della terra, risvegliò nella fan-
tasia della gente sarda qui stabilita il concetto di una via di comunicazione col mondo
infernale ; e da ciò, come nelle grotte sacre di Creta, si generò un culto ad una divi-
nità catactonia, culto che appare adombrato anche nei templi sotterranei a pozzo
della civiltà nuragica protosarda. Tracce del culto eneolitico sono appunto i vasi
votivi gettati dall'alto della bocca dell'antro, e perciò frammentati, frammisti col ter-
riccio e sconvolti dalle acque piovane, tanto nel piano del salone quanto nei susseguenti
cunicoli dell'antro. Su questo strato si posarono i resti di uno o più cadaveri di per-
sonaggi più insigni e venerati ; ed il culto di essi si associò e si confuse quasi nel
culto della divinità del luogo, e le offerte si accumularono e si accomunarono, conti-
nuamente accresciute e continuamente sconvolte dalle medesime cause perturbatrici.
Quanto alle tracce di ceneri che si conservarono in basso, nella seconda grotta,
esse sono da riferirsi a qualche discesa per scopo di sacrificio funerario e per ragioni
igieniche, meglio che ad una permanenza a scopo di abitazione; si avrebbero così nella
grotta di S. Michele gli elementi del culto dei morti e del culto di una divinità
terrestre catactonia, che appare dominante in tutto il pensiero religioso della civiltà
nuragica sarda. Anche la presenza delle due pietre granitiche, ivi faticosamente por-
tate di lontano a designare il luogo consacrato, corrisponde ad un concetto fonda-
mentale di tutta l'architettura sepolcrale sarda, delle grandiose tombe megalitiche
e delle pietre fitte, denotanti le aree sacre e sepolcrali.
Per tal modo la grotta ozierese ci offre qualche dato per collegare la civiltà
nuragica con la precedente civiltà eneolitica e rivelare in seno a questa lo scaturire
di quei concetti religiosi e culturali, e non solo di determinate forme di industria,
che ebbero il loro pieno svolgimento in quello che è il più elevato ed originale
periodo della civiltà sarda primitiva.
A. Taramelli.
(') Peet, Note on the affìnities of the Maltese pottery, « in Pap. of Brit. Sch. at Rome »,
voi. VI: Colle Corradino, pag. 51, tav. IX-XII; Mnaidra, pag. 103, fig. 22. Cfr. anche la ceramica
dall'ipogeo di Hal-Saflieni, presso Casalpaula, a Malta, che ha gli stessi clementi decorativi a zone,
a festoni, a volute ed a spirale che si ritrovano nella ceramica della gTotta di S. Michele (Taglia-
ferro, The prehist.oric pottery found in the Hypogeum at Hai Saflieni, Annals of archaeology and
anthropology, University of Liverpool 1910, pag. 1 sg., tav. XIII, cfr. X-XI.
(*) Siret, Les dges prehittoriques darti le Sud-Est de VEspagne., pag. 90.
REGIONE X. — 137 — SALETTO DI MONTAQNANA
Anno 1915 — Fascicolo 5.
Regione X (VENETIA).
I. SALETTO DI MONTAGNANA presso ESTE — Di una insigne
iscrizione latina riferibile agli argini dell'Adige, quivi fatti dai soldati
romani dopo la battaglia di Azio.
Potrei scrivere parecchi fascicoli se volessi narrare le difficoltà che si sono in-
contrate per riuscire finalmente a pubblicare con esattezza questo documento epigrafico
latino di primissimo ordine. E, benché per vincere queste difficoltà, durante parecchi
anni sia stato necessario lottare, e non possiamo né anche oggi sicuramente dire di averle
totalmente superate, pure, allo stato delle cose, è necessario contentarsi di quanto finora
si è ottenuto, essendo oramai manifesto che, per riuscire ad ottenere di più, ogni
ulteriore nostro sforzo sarebbe oggi assolutamente vano.
Trattasi di una iscrizione latina, rimessa a luce otto anni fa, pubblicata parecchie
volte, ma sempre rimasta destituita di tutti i sussidi necessari per poterne mettere
in rilievo tutta la importanza.
Veramente, per quanto riguarda la importanza del monumento, in massima, essa
era già stata dichiarata dal primo editore, o dai primi editori, cioè dai chiarissimi
prof. Alessandro Prosdocirai e prof. Gherardo Ghirardini. Ma ne rimasero incerti, e
potrei dire confusi, molti particolari, per la cui dichiarazione è dovuto passare un
tempo non breve ed è stato necessario l'aiuto di autorevoli professori.
L'iscrizione riguarda i lavori di bonifica, o meglio, di arginature che vennero
eseguiti nel fiume Adige presso l'antica Ateste, l'attuale città di Este, dopo la battaglia
di Azio (31 av. Or.), arginature che furono fatte dai veterani romani, quivi con-
dotti in colonia, dopo la battaglia sopradetta, cioè sulla fine della repubblica. Per ciò
che si riferisce alla scoperta del monumento, riassumo le notizie comunicate al
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 19
SALETTO DI MONTAGNANA — 138 — REGIONE X.
Ministero dal prof. Alessaudro Prosdocimi (') direttore del Museo nazionale di Este
e degli scavi, notizie da lui pubblicate nel libro dell' ing. A. Averone edito dal
R. Magistrato delle acque per le Provincie Venete e di Mantova (Mantova, Aldo Ma-
nuzio, 1911) ed intitolato: Sull'antica idrografia Veneta, saggi di Antonio Averone,
ingegnere capo del Genio Civile, pag. 156 e sg. Ne trattarono anche il eh. prof. Ghe-
rardo Ghirardini in una tornata della Classe di scienze morali della R. Accademia
delle scienze dell' Istituto di Bologna (Classe cit., serie I, voi. Ili, 1909-10, pag. 28),
ed il eh. prof. Emilio Costa in una dotta Nota nella quale fu sapientemente riassunto
quanto intorno a questa e ad altra lapide sullo stesso argomento era stato fino allora
edito {La condizione giuridica dei torrenti nell'età romana, estratto dal Bullettino
dell'Istituto di diritto romano. Roma 1914, pag. 16 dell'estratto).
La scoperta avvenne nel luglio del 1907 nei lavori che gli operai dipendenti
dal cav. Luigi Sartori, proprietario della fabbrica di laterizi in Salotto di Monta-
gnana, eseguivano per la estrazione dell'argilla nel sito volgarmente detto, anche in
vecchi documenti, Arzaron, cioè grosso argine. Cavandosi quivi l'argilla, gli operai
incontrarono uua lapide iscritta, che giaceva orizzontalmente sul suolo. Le mancava
però la parte inferiore o la base.
Avvertito della scoperta dal sig. avv. dott. Valerio Bossi, il prof. Prosdocimi inca-
ricò il bravo soprastante agli scavi, sig. Alfonso Alfonsi (2), di recarsi subito sul luogo.
E l'Alfonsi non mancò di recarvisi immediatamente, dando così, come al solito, ampia
prova della sua diligenza e del suo vivo interesse per la tutela delle antichità paesane.
Presi infatti gli appunti sul sito in cui era tornata alla luce la lapide con
l'iscrizione, che, come si è detto, era mancante della parte inferiore, nella certezza
che questa parte sarebbesi scoperta col progredire dei lavori, l'Alfonsi raccomandò al
cav. Sartori di far esercitare la maggiore sorveglianza sulla prosecuzione dell'opera
dei cavatori dell'argilla; e subito, a breve distanza dal luogo ove era avvenuto il
primo rinvenimento, si scopri la desiderata base del cippo colla parte inferiore della
leggenda. Questa parte inferiore del monumento era rimasta fortemente conficcata
a piombo nel terreno argilloso. Era evidente che quello fosse stato il posto originale,
in cui il cippo era stato infisso.
Recatosi sul luogo della scoperta il comm. prof. Gherardo Gherardini, allora Sopra-
intendente ai musei ed agli scavi delle provincie venete, ed esaminata la lapide
riunita nei suoi due pezzi, egli non tardò a riconoscere il grande valore storico ed
archeologico di quella iscrizione.
I due pezzi, che, riuniti, combaciavano perfettamente, misuravano in altezza
m. 1,25, in larghezza m. 0,51, ed avevano lo spessore di m. 0,16, presentando
integro un monumento di rarissimo pregio, specialmente per la storia atestina. Tale
(l) Il prof. Prosdotimi, nato in Este il 23 agosto del 1843, moriva a Gaiarine il 4 luglio del
1911. Egli deve considerarsi come il vero fondatore del nuovo grande Museo di Este. Nominatovi
conservatore nell'anno 1876, ne fu poi direttore fino da quando, nel 1887, il Museo diventò nazionale.
(•) Alfonso Alfonsi, allievo del prof. Prosdocimi, ereditò da lui il più fervido amore pel Museo
e per le antichità di Este, alle quali sopraintende con sommo vantaggio per gli studi delle anti-
chità patrie.
REGIONE X.
— 139 —
SALETTO DI MONTAGNANA
monumento, per generoso dono del cav. Sartori, accresce oggi la ricchezza della rac-
colta lapidaria del Museo nazionale di Este.. Ne offriamo qui la figura tratta da una
fotografia (tìg. 1).
Fio. 1.
Vi si legge:
Decuria \ Q. Arrunli \ Stirai cur(atoribus) \ Q. Arruntio \ C. Saltello | pig(nera-
tore) T. Arrio \ sum{ma) h(ominum) XCIIX \ in sing(ulos) hom(ines) \ op(eris)
p(edes) XLIII s{umma) \ p(edum) ooIdd CCXIV.
SALETTO DI MONTAGNANA — 140 — REGIONE X.
Lasciando ogni altra considerazione, basti qui far notare che la lapide, rinvenuta
nel suo sito originario, ci è prezioso documento topografico, e ci fa sapere che i soldati
romani, dedotti in Ateste dopo la battaglia di Azio (veterani actiaci). attesero ai
lavori dell'arginatura del fiume, estendendoli fino al sito che corrisponde all'attuale
Salotto, nel luogo che mantenne il nome di « grosso argine » (Arsaron), dove quindi
pare che fosse stato eseguito il più poderoso lavoro di arginatura.
Questi operai dovettero essere divisi in tante compagnie o squadre (decurtae),
ognuna delle quali prendeva il nome da qualcuno dei capi tra questi militari romani.
Che questi capi, dai quali pigliava il nome ciascuna compagnia, fossero militari
o veterani romani, non può mettersi in dubbio minimamente. Lo dimostra il nome
perfettamente latino del capo della squadra, a cui appartenne il nostro cippo, squadra
che si denominò da Q. Arrunzio Sura (Decurta Q(uinti Arrunti Surai); e lo con-
fermano poi i nomi delle altre persone che ebbero funzioni di soprastanti.
Abbiamo infatti i nomi dei due curatores od amministratori della squadra
stessa, il primo dei quali fu il medesimo Q. Arruntius, ed il secondo che si chiamò
Q. Sabellus; abbiamo poi il nome del pig(nerator), o di colui che doveva ricevere
il pegno, e che si chiamò T. Arrius.
Costoro sopraintendevano alla squadra che era composta di novantotto uomini,
nella quale il lavoro di arginatura, assegnato a ciascuno di essi, era di piedi 43, ed
il totale dei piedi assegnati a tutta questa squadra di Q. Arrunzio era di piedi 4214.
Se il piede romano corrispondeva alla nostra misura di m. 0,2963, ogni lavo-
ratore avrebbe dovuto fare un'arginatura, da sua parte, per m. 12, 7409; e tutta
l'opera attribuita alla squadra di Q. Arrunzio avrebbe dovuto misurare m. 1249, 30 82,
ossia poco più di un chilometro.
*
Non vi è bisogno di molti argomenti per dimostrare che queste opere di boni-
fica presso Ateste, alle quali attesero i veterani actiaci, cioè i soldati romani che dopo
Azio furono dedotti in colonia sugli Euganei, dovettero avere considerevole esten-
sione, se arrivarono fino all'attuale Saletto di Montagnana, sito abbastanza distante
dall'antico centro abitato di Ateste, dove il cippo della squadra di Q. Arrunzio, rin-
venuto al proprio sito, non può lasciare alcun dubbio che quivi si fecero le arginature.
Vuol dire che il terreno di bonifica dovè essere diviso, per riguardo a queste opere
di arginatura, in tante sezioni, od in tanti lotti, come diremmo noi. Il che indica
che nella esecuzione di questi lavori si volle procedere con grande sollecitudine,
impiegandovi forze considerevoli di uomini, e facendoli lavorare contemporaneamente.
Ciò è dimostrato dal modo con cui fu organizzato il lavoro, spartito in tante
compagnie o squadre di operai, con magistratura addetta a ciascuna squadra, e con
numero di lavoratori proporzionato allo spazio che doveva essere bonificato.
In ciascun punto, dove principiava lo spazio assegnato ad una determinata com-
pagnia, si conficcava al suolo il cippo colla indicazione del nome della squadra a cui
rimaneva commessa l'esecuzione del lavoro, colla indicazione dei magistrati che vi
dovevano sopraintendere, col numero degli uomini che vi dovevano lavorare, infine
polla indicazione del tratto di terreno che ciascun operaio doveva bonificare, e cor}
REGIONE X. — 141 — OSPEDALBTTO EUGANEO
la misura totale dello spazio che da ciascuna compagnia o squadra avrebbe dovuto
essere arginato.
In un certo momento, a chi guardava dall'altura di Ateste il piano sottostante,
si dovè presentare allo sguardo uno spettacolo veramente grandioso e, direi quasi,
commovente. Da per tutto eretti i cippi che determinavano i limiti del lavoro delle
varie compagnie, e tutto in giro per grande spazio le compagnie stesse intente al
lavoro di arginatura, che doveva essere compiuto colla maggiore sollecitudine. Così
deve giudicare chi consideri il numero delle compagnie nelle quali erano divisi gli
operai che dovevano lavorare contemporaneamente, e consideri lo spazio in cui si
doveva svolgere questo lavoro complessivo.
*
Già, se si considera la sola iscrizione scoperta a Saletto, la iscrizione stessa,
cominciando colla indicazione che essa si riferiva alla declina o squadra di Q. Arrunzio
Sura, ci dimostra che le decurie o squadre di operai tra i quali era stato distribuito
il lavoro dovevano essere parecchie, siccome apparisce manifestamente. Trattavasi di
bonificare un ampio tratto di terreno, e di eseguire il lavoro con sollecitudine, cioè
facendo lavorare contemporaneamente tutte le compagnie o squadre.
Questa sollecitudine di lavoro simultaneo, che doveva essere eseguito dalle
varie squadre, poteva essere imposta da mille ragioni che noi non siamo in grado
di poter determinare con sicurezza ; mentre appariva sommamente probabile che la
necessità di offrire una sede stabile e sicura ai nuovi sopraggiunti, cioè ai coloni
romani, rendesse necessario di procedere colla massima prestezza, opponendo subito i
ripari per proteggere dal dilagare dell'Adige un cospicuo tratto di terreno, il quale,
sia per i bisogni dell'agricoltura, sia per altre necessità del cresciuto numero degli
abitanti, si fosse dovuto tenere all'asciutto, e pienamente difeso dai pericoli dello
straripamento del fiume.
Del resto è inutile di fantasticare sui motivi che avessero imposto la esecuzione
rapida delle arginature nel tratto di terreno adiacente alla città e riserbato per gli
usi agricoli e pei bisogni edilizi della colonia. Ci bastano i documenti che abbiamo,
per riconoscere che il lavoro dovè essere eseguito colla massima sollecitudine, spartito
in tante zone, e preposte a ciascuna zona speciali autorità che sopraintendessero alla
esecuzione dei lavori, affinchè tutto procedesse in piena regola e colle debite garenzie
per il municipio o per l'Amministrazione pubblica al cui vantaggio l'opera era diretta.
II. OSPEDALETTO EUGANEO — Di un'altra lapide relativa alla
stessa arginatura dell'Adige.
Che se potrà apparire insufficiente la nostra iscrizione a farci ritenere la esistenza
di varie compagnie o schiere impiegate per la sollecita esecuzione di quest'arginatura
dell'Adige, possiamo, in conferma della esistenza di esse, addurre un nuovo impor-
tantissimo documento rappresentato da una nuova iscrizione.
09PEDALETT0 EUGANEO — 142 — REGIONE X.
Veramente non potrebbesi dir nuova, perchè fu scoperta da più di un secolo e
pubblicata varie volte. Ma non ne fu mai compresa la vera importanza, né mai ne fu
dato il testo esatto; ed è merito del prof. Prosdocimi aver mostrato la relazione
intima che essa ha colì'epigrafe di Salotto e quindi colle arginazioni dell'Adige.
Questa, che per intenderci continueremo a chiamare nuova iscrizione, leggevasi
murata sulla casa Magia nella villa di Ospedaletto, e quivi ne fu tratto l'apografo
inesattissimo che servì alla pubblicazione fattane dall' Alessi (Ricerche isìorico-
critiche delle antichità di Esle. Padova, 1776, pag. 188).
Non è facile di immaginare le stranezze alle quali diedero luogo la pubblicazione e
la interpretazione di questa lapide, non ostante che se ne fosse occupato direttamente lo
stesso Mommsen, il quale, quando preparava la pubblicazione del voi. V, part. 2a, del
G. I. L., volle esaminare egli stesso il monumento e copiarlo. E per copiarlo andò
al Cataio, dove lo accompagnò lo stesso prof. Prosdocimi. Non erano state ancora
trasportate a Vienna le collezioni del Cataio ; ma su questo non è qui il caso di
fermarsi.
La iscrizione di Ospedaletto, sulla quale felicemente tornò il Prosdocimi quando
si occupò della iscrizione di Saletto, era spartita in tante parti quante ne aveva la
iscrizione di Saletto. Essa infatti cominciava col nome della decuria o della compagnia
che avrebbe dovuto eseguire il tratto di arginatura che da essa era indicata ; portava
i nomi dei due curatori, il nome del pignoratole, il numero degli uomini che formavano
la compagnia, e che avrebbero dovuto compiere il lavoro; indicava inoltre la lunghezza
del tratto di argine che da ciascun operaio avrebbe dovuto essere compiuto, ed il
totale dei piedi dell'argine stesso che avrebbe dovuto essere eseguito dalla intiera
squadra, alla quale il cippo di Ospedaletto si riferiva.
Abbiamo adunque il documento di una seconda compagnia o squadra di operai
addetti allo stesso lavoro delle arginature dell'Adige; e se dal sito, ove si trovò il
precedente cippo iscritto, possiamo dire che la squadra o compagnia a cui essa si
riferiva può chiamarsi la squadra di Saletto, potremmo chiamare dal nome di Ospe-
daletto questa compagnia o squadra nuova che potremmo anche dire seconda. Tutto
ciò per comodo nostro o per nostra maggiore intelligenza.
Se non che, mentre per la prima squadra conosciamo dalla iscrizione di Saletto
quale ne fosse stato il nome, essendosi chiamata come sopra è stato detto, Decuria
di Quinto Arrunzio, per questa seconda squadra, alla quale si riferisce la lapide o
cippo di Ospedaletto, ci rimaneva oscuro il nome antico.
Il Prosdocimi non esitò a chiamarla Dec(uria) Clod(ii) A(uli) Na(evii), cioè
compagnia o squadra di Clodio Aulo Nevio ; e questa denominazione venne accettata.
Così infatti la chiamò lo stesso eh. prof. Emilio Costa che sopra ho ricordato. Si
comprende facilmente che in certi casi, ed in questioni di ordine assai secondario,
nessuno penserebbe a fare osservazioni che apparirebbero superflue.
Ma, se ben si considera, questa decuria non avrebbe potuto portare il nome
di Clodio Aulo Nevio, come il prof. Prosdocimi aveva supposto. Già dovremmo dire
REGIONE X. — 143 — OSPEDALETTO EOGANEO
i nomi, perchè Clodio e Nevio sono due nomi. E se si volesse per un momento
ammettere questa duplicità di appellazione, rimarrebbe da spiegare come mai il nome
di Clodio non avrebbe avuto l'onore di un prenome; ed il nome di Nevio, scritto
colla semplice prima sillaba, ci avrebbe dato un esempio piuttosto unico che raro. Senza
dire che, se, per quanto riguarda i curatore», trovammo nella prima lapide che uno
di essi era stato lo stesso Q. Arrunlius, che aveva dato il nome alla decuria, quante
volte qui si fosse voluto indicare fra i euratores anche un Nevio, od uno dei nomi dei
denomiuatori della squadra, non si capisce perchè si sarebbe andato a cercare un
A(ulo), coll'A senza punto, mentre uno dei euratores era Quinto Nevio.
Si potrebbero moltiplicare i minuziosi dubbi; ma sarebbe lo stesso che perdere
o far perdere il tempo, mentre nel secondo verso della lapide si manifestano le tracce
di una I , colla assoluta mancanza dei punti diacritici fra le tre lettere che seguono.
Sicché è chiarissima la lezione di CLOD | IANA , o di compagnia o squadra Clodiana
che era il nome di questa seconda squadra, ovvero squadra di Ospedaletto.
Intorno a queste parole manifestai i miei dubbi all'amico prof. Eugenio Bormann,
il quale, dovendo tornare a Vienna, fu da me pregato di esaminare la lapide originale
che non era conservata più nel Museo del Cataio, ma con tutte le altre antichità
del Museo stesso era stata fatta trasportare a Vienna per ordine dell'arciduca Fran-
cesco Ferdinando.
Se non che rimaneva nel testo della lapide di Ospedaletto un altro punto incerto.
Era quello che si riferiva al numero dei piedi di arginatura che avrebbero dovuto
essere eseguiti da ciascun operaio. Era detto nella lapide, secondo l'apografo del
Prosdocimi, che questi piedi dovevano essere 27; ma doveva esservi aggiunta una
frazione, e di questa frazione non era stato riconosciuto alcun segno. Il Mommsen
stesso che aveva copiato l'iscrizione dalla lapide originale nel Museo del Cataio,
pur ritenendo la necessità che vi fosse una frazione, si era rassegnato a riconoscere
che questa frazione non fosse stata espressa. Egli era stato costretto ad ammettere
una serie di false conclusioni, trascinatovi dal primo errore che gli faceva ritenere
l'iscrizione per sepolcrale.
Ma non era il caso di fermarsi ulteriormente sopra di ciò, mentre anche per
questo riguardo mostravasi la necessità di consultare l'originale. Se non che per
questo esame dell'originale le difficoltà erano tanto cresciute da sembrare semplice
ardire il solo pensiero di riuscirvi. Il Museo del Cataio, come ho detto di sopra, per
volere dell'arciduca Francesco Ferdinando di Austrta Este era stato trasportato a
Vienna. E non era facile di potervi accedere. Inoltre mi si diceva che nella parte
della Corte ove il Museo del Cataio era stato trasportato, la nostra lapide trovavasi
deposta in sito di pochissima luce, sicché, anche potendovisi accedere, sarebbe stato
impossibile farne una buona fotografia. Però fortuna volle che io mi rivolgessi all'amico
prof. Eugenio Bormann, il quale, riconoscendo non esser possibile di ottenere una buona
fotografia della nostra lapide, si contentò di poterne fare due calchi cartacei, uno
in carta bagnata, ed un altro in piombaggine. E mentre il prof. Bormann eseguiva il
OSPEDALETTO EUGANEO
— 144 -
REGIONE X.
calco in piombaggine, avvenne il fatto che naturalmente si mostrò sorprendente, com-
parve cioè vicino alla cifra col numero dei piedi, la frazione del quadrante pel quale
la leggenda diventò piena ed integra come vedesi
nella figura 2, v. 10, che qui se ne aggiunge. Vi
-r,—
0ÌK-CLOD
•! AA/A<(V
RENASI
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Fio. 2.
si legge:
Dec(uria) Clod | tana Cu \ r(a(oribus Q(uinto)
Nae | vio L(ucio) Sei \ o Pig(neratore) C(aio)
Antesti\o S(umma \h(ominum \ LXXXVIII\in
sing{ulos) j h{omines) p(edes) XX VII quadr antera \
S{umma) sp(eri) \ p(edes) \ <D © CCC \ XG Vili.
In ordine poi alle misure, per quanto pos-
siamo dedurle dai calchi, il cippo ha la larghezza
di m. 0,30, ed il suo campo epigrafico è alto
m. 0,765. Le lettere poi sono di forma che po-
trebbesi dire più antica di quella del cippo di
Saletto, in questo apparendo la E di forma più
classica, mentre nella lapide di Ospedaletto con-
siste nelle sole due asticelle perpendicolari. Ma
non si può far questione di età, essendo ma-
nifesto che ambedue le iscrizioni si riferissero
ad opere compiute nello stesso tempo, sicché è
a ritenere che per la lettera E. ambedue le forme
grafiche fossero allora in uso simultaneamente.
Riassumendo, la lapide di Ospedaletto ha tante
parti quante ne ha la lapide di Saletto. ossia
comincia colla indicazione della decuria che si
intitolava da un Clodio, purissimo nome romano,
quindi decuria Clodiana. Ne erano curatores un
Q. Naevius ed un L. Seius ; pigneralor un C. An-
testius; il numero degli uomini e degli operai che
la componevano era di 88, ed a ciascun operaio
era attribuito un lavoro di 27 piedi ed un quarto.
Trattasi di argine che da questa squadra Clodiana
sarebbesi dovuto fare, e che doveva essere di 2398
piedi, il che sarebbe stato corrispondente a
m. 2607,44, pari cioè a poco più di 2 chilometri
e mezzo.
Giustamente il Prosdocimi terminava una sua Relazione su questa scoperta,
dicendo che con ricerche bene condotte si potrebbero rimettere a luce le altre lapidi
commemorative delle altre sezioni di arginatura.
P. Barnabei.
Regione X. — 145 — éste
III. ESTE — Altre scoperte di iscrizioni latine nel territorio di Este.
Nello scavo eseguito a cura della R. Sopraintendenza ai monumenti, sulla som-
mità del colle del Castello, per studiare i ruderi del castello marchionale, si scoprì
messo iu opera in un grandioso muro, formato, nella sua totalità, di conci marmorei e
trachitici, un frammento di lapide di marmo di Verona, lungo m. 0,75 e alto m. 0,27,
che porta inciso in belle lettere del periodo Augusteo il seguente resto di iscrizione:
. GENIO • AVG • COLL
. VBENIO • C • F • ROM LA
. . VBC-RVBENIVSC-F-PA
ME
Il nome Rubenius è molto raro nella onomastica latina; una gens Rubenia
doveva però vivere e godere di una certa notorietà in Ateste, donde già si ebbero
due iscrizioni di essa ('), Le innumerevoli iscrizioni sepolcrali urbane non danno un
Rubenius; un esempio se ne ha invece in una iscrizione cristiana conservata nel
monastero di Montecassino (*).
Nei lavori di allargamento del fabbricato della stazione della ferrovia, nello
scavo fatto per la fondazione di un edificio destinato a magazzino, gli operai scopri-
rono, alla profondità di m. 1,50 dal piano di campagna una stele di pietra d'Istria,
che giaceva rovesciata.
Ha forma rettangolare, con riquadratura incorniciata, zoccolo di abbassamento
che mostra la traccia dell'appendice rastremata la quale doveva esser introdotta nella
base, ed è sormontata da un timpano, racchiudente una stella a sei raggi, fiancheg-
giato da due acioteiì stilizzati a palmetta. Misura in altezza m. 1,50 X 0,73 X 0,18.
Nella riquadratura è scolpita con belle lettere del periodo Augusteo la seguente
iscrizione sepolcrale :
Q- MAGIO- QF-
ROMM ACRO
EX • P~R • SPECVL E
MVTTIALFPRISG
VXO R ■ VIVA
POSVITSIBI
ET- SVIS
Questa stele aggiunge un nuovo titolo militare a quelli già conosciuti nella
colonia militare di Ateste, ricordando lo speculalor delle coorti pretorie Q. Magio
Macro. La linea 3 non può leggersi infatti se non ex praet(orio) speculator. La
formola abituale sarebbe speculator cohortis eius praeloriae; mala nostra formola
può essersi modellata sul tipo delle parallele veteranus, misticius, evocatus ex coh.
(') 0. /. L. V, 2529 e 2607.
(') C. I. L. X, 5330.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 20
BAONE — 146 — REGIONE X.
praet. Un utile raffronto porge anche la dizione di un diploma militare di Vespa-
siano: nomina speculatorum qui in praetorio meo militaverunt (').
A poca distanza dal sito dorè si rinvenne la stele, si misero in luce due tombe
a cremazione al riparo di embrici e di lastre calcaree, che contenevano modesta sup-
pellettile di età romana, la quale per l'imperizia degli sterratori venne in gran
parte frammentata. Furono ricuperati: un ossuario fittile di rozzo impasto rossiccio
a forma di olla; un balsamario fittile; i frammenti di alcuni vasetti di vetro ver-
dognolo, e un medio bronzo di Augusto (il nome del triumviro è illegibile).
Venne acquistata dalla Direzione del Museo un'edicoletta di marmo greco,
scoperta da molti anni in contrada Salute, alta m. 0,45X0,22X0,13. Due pila-
strini, sormontati da capitello, reggono superiormente un timpano, che ai lati ter-
mina con acroterì. Dentro la nicchia, scolpita ad alto rilievo è la figura di Cibele
sedente. Tiene nella mano destra il tympanum e nella sinistra la patera. Ha sui gi-
nocchi accovacciato un piccolo leone e porta sul capo il calathus dal quale scende
un velo i cui lembi le ricoprono le spalle.
11 lavoro di scoltura è mediocre, ed è danneggiato da scheggiature e da abrasioni.
A. Alfonsi.
IV. BAONE — Scoperta di un frammento di lapide sepolcrale
romana atestina copiata e descritta dal benemerito prof. A. Prosdocimi
e rimasta finora inedita.
In Valle dell'Abate, sito montuoso del Comune di Baone, distretto di Este,
praticandosi lo spurgo di una concimaia, nel muro della stalla, a cui è aderente,
si scoprì, usato come materiale, un interessante frammento di lapide romana.
Il nob. sig. Francesco Franceschetti, ispettore pei monumenti e scavi, proprie-
tario di quella casa rurale, si affrettò a darmi avviso della scoperta, invitandomi
ad accedere sul luogo. Con mia soddisfazione rilevai essere quello il frammento di
un pregevole titolo sepolcrale militare.
L'egregio sig. Franceschetti, dotto ed appassionato cultore delle cose patrie, con
tutta cura lo fece smurare e, con encomiabile atto di generosità, ne fece dono al patrio
Museo, ove figura nella ricca collezione lapidaria atestina della sezione romana.
Il frammento è in marmo biancastro di Verona, alto m. 0,36, largo m. 0,46,
collo spessore di m. 0,22; interamente rotto all' ingiro. Vi si leggono, in cinque
linee, ed in buoni caratteri, i seguenti resti d'inscrizione:
d m
S««M V N/ ti
wiARCELLINl • Niilit
cOHORT- XIIiIVRBAN
S«M P RO Ni A M A R C E L
lina -MATER ¥ IL io
jsIENTISS • F
(•) G.I.L. Ili, Dipi. X.
REGIONE Vili. 147 — BOLOGNA
Nella ragguardevole serie di lapidi militari atestine, in una soltanto è fatto
ricordo di altro milite di coorte urbana, di Atheste e della tribù Romilia, cui la
nostra colonia, a detta degli storici, la più importante della Gallia transpadana,
era ascritta. Conservavasi in Roma, nel palazzo dei conservatori.
La ricordano: il Mommsen (G. I. L. VI, 3884) e il compianto nostro cav. doti
Giacomo Pietrogrande, nella sua lodata opera Ateste nella milizia imperiale, Venezia,
Visentini, 1888. pag. 111.
Prima di chiudere questa breve nota devo un'osservazione su questo marmo di
Val dell'Abate.
Esaminandolo, a prima giunta, leggesi nella 3* linea il numero della coorte urbana,
espresso col romano XII • I . Devo però notare che nello spazio vuoto, tra la seconda e
la terza asta, e' è posto anche per un'altra, e traccia di questa si nota nella fotografia.
Concludendo, a mio avviso la coorte urbana, cui apparteneva Sesto Munazio
Marcellino era la XIIII. Questo dato può fornire un indizio cronologico. Nei primi
tempi dell' Impero le coorti urbane erano tre e portavano i numeri X , XI e XII in
continuazione del numero delle nove coorti pretoriane (Tac, Ann., IV, 5). Caligola
e Claudio elevarono a dodici le coorti pretorie (l), e allora furono cambiati i numeri
d ordine delle urbane, per le quali sotto Claudio si ha certa memoria ad es. della
coorte XV urbana ('). Si ebbero poi altre riduzioni e aumenti nel numero delle coorti
di queste milizie, sicché più volte potè parlarsi di una coorte XIV urbana. Il docu-
mento datato più antico, che la ricordi, è l' iscrizione C. /. L. X, 5829, dell'età di
Traiano ; ma la nostra epigrafe, per la bellezza dei suoi caratteri, molto meglio sembra
convenire al tempo delle riforme di Claudio.
A. Prosdocimi.
Regione Vili (CISPADANA).
V. BOLOGNA — Scoperta di pavimenti romani in valle di Savena.
A circa 9 chilometri da Bologna, sulla via nazionale Bologna-Firenze, nella
località denominata Fornace di Sesto e precisamente nel fondo Vegetti, nel cavare
da un poggio di terra argillosa il materiale necessario alla vicina fabbrica di laterizi,
furono rinvenuti avanzi di pavimenti romani.
Avvertito della scoperta, mi recai sul sito per incarico del direttore degli scavi
per l'Emilia e per le Marche, e subito mi posi a perseguire le tracce dell'edilìzio che
quivi sorgeva.
Sventuratamente, i lavori di scavo per l'estrazione dell'argilla avevano ormai
abbattuto gran parte del poggio, facendo rovinare in basso anche le fondamenta del
fabbricato. E quando questo Ufficio fu avvertito, poco più rimaneva da investigare.
Nel primo accesso sul luogo si potè constatare la presenza di due pavimenti
contigui ma a diverso livello, dei quali quello a monte (che si elevava di ottanta
(') Mommsen, in Hermes, XIV, pag. 34.
(•) C. I. L. X, 1765, 6443, 7863, 7952.
BOLOGNA
— 148 —
REGIONE Vili.
centimetri sopra il piano dell'altro) era ad opus spicatum, mentre l'altro era a mat-
tonelle esagonali.
Il primo era assai superficiale, e a ciò si deve se quanto non rovinò in basso per
l'estrazione dell'argilla sottostante, fu quasi totalmente guastato dai lavori agricoli.
Perciò non se ne potè determinare l'area.
Si potè invece riconoscere l'area del pavimento ad esagoni (m. 1,80X2,40),
perchè di questo, sebbene fosse similmente distrutto per gran parte, si conservavano,
Fio. 1.
fatti di mattoni comuni, i muri perimetrali o, meglio a dire, le fondazioni dei muri
con parte dei filari di sopraelevazione (fig. 1).
E qui ricorderò che, nel mettere allo scoperto tutto questo pavimento, si incon-
trarono manifeste tracce di combustione e ciliari segni del crollamento dell'edilìzio,
presentandosi, nelle macerie che colmavano l'ambito di quei muri, uno strato grosso
circa m. 0,30, comprendente terra fortemente arrossata, residui di legname carbo-
nizzato, pezzi di intonaco e frammenti di embrici e di coppi.
Il pavimento ad esagoni, come ho detto, era per gran parte distrutto, presen-
tando una lacuna che, dalla regione centrale, si estendeva fino all'angolo ovest.
Esso aveva lo spessore di m. 0,28 e si componeva di tre strati il primo dei quali
era di mattonelle esagonali, il secondo di calcestruzzo, il terzo di ciottoli (')." Posava
(') Anche lo spicato dell'ambiente superiore aveva il doppio sottostrato di calcestruzzo e
ciottoli; più sotto seguiva immediatamente il terreno naturale.
REGIONE Vili.
— 149 —
BOLOGNA
sopra un pavimento ad opus spicatum composto di due strati, il primo di mattonelle
e il secondo di calcestruzzo.
Anche questo pavimento inferiore era assai guasto, tantoché mancava di gran
parte delle mattonelle, e da un lato, quasi a rattoppo, mostrava alcuni mattoni
comuni. Esso, come il superiore, si incorniciava e orientava, per le mattonelle che lo
componevano, con gli stessi muri perimetrali.
Ma il maggiore interesse del pavimento inferiore consisteva nel fatto che esso
portava incastrata una bacinella emisferica, di terracotta, larga alla bocca m. 0,34 ;
Fio. 2.
la quale, opportunamente ritagliata nell'orlo, così da non emergere dal piano del
pavimento, s'affondava nel sottosuolo per m. 0,25 (tìg. 2).
Tale bacinella, così incastrata, richiama assai alla memoria due bacinelle di
Luogosano (prov. di Avellino) che similmente erano incastrate in due pavimenti, l'uno
all'altro sovrapposti ('); ma più stringente apparisce il confronto con altri rinvenimenti
del Bolognese e del Modenese. Poiché la nostra bacinella di Sesto non si trovava
al centro dell'ambiente, ma essa era discentrata ed avvicinata ad uno dei lati lunghi,
come cioè si riscontrò nel pavimento in Bologna, al nuovo Mercato del bestiame
fuori porta S. Felice (2), e in altro del Modenese, già esistente sopra la terramara
di Gorzano (3).
(') Notizie, 1901, pag. 333 e segg.
(a) Notizie, 1897, pag. 45, fig. 1.
(3) Coppi, Monografia ed iconografia della terra cimiteriale o terramara di Gorzano,
tav. Ili n° 2,
BOLOGNA — 150 — REGIONE Vili.
Nei varii casi ora citati si osserva il sistema a doppio pavimento, una cosa che
ha il suo riscontro anche nella scoperta di Sesto. Seuonchè i due esempì, ora da ultimo
citati, ci mostrano che la bacinella si affondava dal pavimento superiore nell'infe-
riore. Qui invece noi la vediamo affondarsi nel sottosuolo dall'inferiore; e quanto
al superiore, non possiamo dire come fosse disposto nella parte che sovrastava a quella
bacinella, in causa appunto della lacuna che esso ivi presenta.
Una cosa però mi pare evidente osservando il cattivo stato di conservazione
del pavimento inferiore, ed è che i due pavimenti non sono contemporanei e che
l' inferiore, ad opus spicatum, dopo aver subito rattoppi, venne sostituito, ad un livello
superiore, dall'altro di mattonelle esagonali.
Quanto a questo ambiente dai due pavimenti, osserverò che esso era attiguo ma
non comunicante con l'altro ambiente a monte, e che esso si mostrava perfettamente
isolato sopra gli altri lati. Né ciò farà meraviglia, quando si ricordi che, in cor-
rispondenza a quanto si manifestò a Gorzano, intorno all'ambiente scoperto a Bologna
fuori porta S. Felice il prof. Brizio non trovò nessuna traccia sia di muri, sia di
pavimenti, così da dover giudicare che esso « non faceva parte né di una villa, né
di una casa romana, ma sorgeva isolato ed aveva una speciale destinazione che per
ora rimane sconosciuta » (').
Che anzi la piena corrispondenza del nostro coi due ambienti isolati ora citati
è ragione ad imporci il massimo riserbo nel giudicare della destinazione delle
costruzioni romane scoperte a Sesto; per le quali (se non fosse la difficoltà di tale
ambiente già comparso isolatamente) il luogo ameno sopra a un poggio in prospetto
al fiume ci avrebbe indotti a pensare volentieri a una villa romana.
Comunque sia, questa è la prima scoperta di antichità romane lungo il Savena;
e la medesima, mentre giova ad aumentare le nostre cognizioni rispetto alla diffu-
sione presa dai Romani nella nostra provincia, può giovare altresì a lasciar supporre
che lungo il Savena corresse una strada romana; della quale il sopravissuto nome
di Sesto potrebbe ricordare una stazione al sesto miglio appunto da Bologna.
Esempì di tali sopravvivenze non sono rari (ved. ad es. Sesto fiorentino, Sesto
cremonese ecc., senza dire di altri nomi da numerali diversi); ma a tal proposito è
ancor più interessante il poter citare due stazioni ad sextum (se. ntilliarium) della
Tabula Peulingeriana, l'una, a sei miglia da Roma, sulla via Clodia, l'altra, a sei
miglia da Siena (*), sulla strada che conduce al Tirreno.
A. Negrioli.
(•) Notizie, 1897, pag. 46.
(*) Desjardins, La table de Peutinger etc, pag. 146 «ad sextum .XVI m. n (sans doute pour
VI, 9 k) de Sena Julia.
REGIONE Vili. — 151 — MONZtJNO
VI. MONZUNO — Tombe scoperte in contrada Ga' Nova nel comune
di Monzuno in provincia di Bologna.
Avvertito dal sig. Giulio Barberi che alla Cà Nova presso Vado (comune di
Monzuno) in una proprietà del sig. Gaetano Calzolari, si erano scoperte, in occasione
di lavori agricoli, due tombe ad umazione, mi recai alla Cà Nova per osservare il
luogo della scoperta e a Vado per esaminare gli oggetti del corredo funebre che il
proprietario teneva presso di sé. Già per tre monete di bronzo, corrose e non iden-
tificabili nel tipo, esibitemi dal sig. Barberi, mi ero persuaso, prima di recarmi sul
luogo, che si trattava di tombe romane.
Sul sito trovai un giovine contadino dal quale mi feci mostrare il luogo dove
erano state scoperte le due tombe. Si tratta di un terreno in declivio, presso il fab-
bricato della Cà Nova, che in un'estensione di m. 7 X 7 mostra, sparsi e scarsi, fram-
menti di terracotta pertinenti a vasi romani comuni.
I due scheletri, secondo il riferimento del contadino, posavano nella nuda terra,
giacendo supini, con la testa a ponente, alla profondità di m. 0,25.
Siccome però gli oggetti erano conservati a Vado presso il proprietario del fondo,
e da lui potevo sperare di avere ulteriori notizie sulla scoperta, mi recai a Vado
dal sig. Calzolari.
Gli oggetti che vidi presso il Calzolari sono: una lucerna in terracotta, con
maschera comica al centro e col noto bollo FORTIS; un vasetto ovoidale di rozzo
impasto, alto m. 0,08, presso alla base decorato di quattro file di steccature oblique ; e
due dei soliti lacrimatoi in vetro a goccia oblunga.
Dal sig. Calzolari non potei raccogliere alcuna notizia sulla distribuzione di
questa scarsissima suppellettile presso i due scheletri.
Dall' insieme del materiale esaminato si può dedurre che le due tombe fossero
del primo secolo dell'Impero.
II sito delle tombe è vicino (200 metri) alla strada per Castiglione de' Popoli ;
e poiché si rinvennero già in passato segni di antica abitazione lungo detta strada
(ved. L'Appennino bolognese, del Club alpino italiano, pag. 600), non fa meraviglia
di trovare qui tombe romane. Esse erano di abitanti del luogo, sepolti in re sua,
in praedio suo, come quelli di Castenaso, le cui tombe descrissi nelle Notizie, 1906,
p. 113 e segg.
A. Negriom.
RAVENNA
— 152 —
REGIONE Vili.
VII. RAVENNA — Sepolcreto di bassi tempi imperiali, scoperto
presso la basilica di S. Apollinare in Classe.
Sul principio dell'agosto del 1914 perveniva alla Sopraintendenza degli Scavi del-
l'Emilia la notizia che nel cortile della casa parrocchiale di S. Apollinare in Classe
presso Kavenna si era scoperta, alla profondità di m. 2, una tomba romana « entro
anfore » ; al che aveva dato occasione un piccolo scavo per un pozzo.
Acceduto sul luogo per incarico del sopraintendente, constatai che si trattava di
una tomba costituita da segmenti d'anfora, incastrati a cannocchiale, del tipo di altre,
FlG. 1.
scoperte similmente a Classe, nel 1903 e appartenenti al noto sepolcreto del fondo
Cà Lunga che il Brizio descrisse nelle Notizie degli scavi 1904 a pag. 177 e segg.
e riferì alla metà del V secolo d. Cr.
In detta tomba non si rinvennero che resti di uno scheletro incombusto.
Poiché era da attendersi che detta tomba facesse parte di un sepolcreto e poiché
l'ubicazione del rinvenimento dava la speranza di scoperte di non lieve momento ('),
proposi ed ottenni dal sopraintendente di fare un saggio di scavo intorno alla tomba
fortuitamente scoperta.
Accordatomi con la Sovraintendenza dei monumenti di Ravenna riguardo alla
zona di rispetto per la basilica e tenuto conto della posizione degli altri fabbricati
circostanti al cortile, ordinai nel cortile stesso due trincee che s'incontravano ad
angolo retto nel punto ove era avvenuta la scoperta casuale (ved. fig. 1) : la prima che,
(l) Ved. Muratori, // piccolo sarcofago inscritto di S. Apollinare in Classe, in « Felix Ra-
venna 1918 ».
REGIONE Vili.
— 153
RAVENNA
avanzandosi per 10 metri verso la basilica, si arrestava a m. 8 dal fianco destro di
questa; la seconda, di m. 5,50 per 2,00, con direzione parallela alla chiesa stessa.
Oltre alla tomba casualmente scoperta (a), se ne scopersero, per questo scavo,
altre 16; le quali erano situate a una profondità tra i m. 1,80 e i 2,25.
Nel sepolcreto erano rappresentati varii tipi di tombe (ved. figg. 2 e 3) ; poiché
mentre alcune — e veramente la maggior parte — erano a cassa rettangolare con
Fio. 2.
pareti e coperture di mattoni, altre erano ad anfora (XIV e XVI), altre del noto
tipo detto alla cappuccina (III e XV), e infine un'altra (I) presentava una cassa di
mattoni sormontata da coperchio alla cappuccina.
Ciascuna delle due tombe ad anfora consisteva di un'anfora sola, spezzata per
l' introduzione del cadavere ; il quale, a giudicare dai resti trovati, doveva essere di
un fanciullo nella XIV e di un adolescente nella XVI.
Nelle due tombe alla cappuccina, contenenti ciascuna uno scheletro lungo m. 1,50
con la testa a nord, non c'è alcun particolare da notare, salvochè in una (la III) il
cadavere posava, oltreché col corpo su un letto di tegole, col capo sopra un fram-
mento di embrice.
Fra le undici tombe a cassa, due (IV e VII) erano, come rivelano già le piccole
dimensioni, per fanciulli, mentre le altre nove mostravano di appartenere ad adulti.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 21
RAVENNA
— 154
REGIONE Vili.
Di queste nove tombe, appena una (la XI) conteneva un solo scheletro ; nelle
altre invece, insieme con uno scheletro quasi sempre] regolarmente disposto e più o
meno conservato, apparvero resti di scheletri scomposti, talora così numerosi che in
una tomba sola (la II) si arrivò a contare fino a 6 teschi.
Fio. 3.
Anche nella tomba I, che sopra alla cassa rettangolare si chiude con una coper-
tura alla cappuccina, riscontraronsi, oltre allo scheletro di un adolescente, ossa di uno
scheletro di adulto ammucchiate presso una parete.
È pertanto chiaro che, come questa I, così quelle tombe a cassa servirono, come
tombe di famiglia, a successive deposizioni.
Come si vede dalla pianta del sepolcreto, la direzione delle tombe non è costante,
essendoché, mentre alcune mostrano un'esatta orientazione da ovest ad est, o s'aggi-
REGIONE Vili. — 155 — RAVENNA
rano intorno a tal direzione, altre si orientano più o meno esattamente secondo la
direzione sud-nord.
Nella costruzione delle tombe notai F impiego di un materiale molto vario ; e
infatti, non soltanto si osserva che allato a un materiale tardivo e scadente, che
mostrasi specialmente nelle tombe alla cappuccina, furono adoperati, ora interi ora
frammentari, mattoni di ottimi tempi — fra i quali sono notevoli parecchi pezzi di
forma quadrata (cm. 55 X 55) usati per le coperture delle tombe a cassa e special-
mente qualche pezzo che è fornito del noto bollo di fabbrica CARTORIAN (ved.
C. I. L. XI, 6678) — , ma notasi altresì che una delle tombe a cassa (la li) era
coperta da una lastra di marmo bianco della misura di m. 2,20 X 0,80.
Benché le tombe non mostrassero tracce di depredazione, non si trovò in esse
verun oggetto, salvo nella I, ove presso al braccio sinistro dello scheletro della
seconda deposizione si rinvennero frammenti di un'armilletta a fettuccia in osso,
coperta di ossido di bronzo, decorata di striature e punteggiature.
Quest'unico oggetto ('), che ha ornati non véramente specifici ma certamente non
repugnanti ai tardi tempi imperiali, la frequenza dei riscontri che si possono istituire
fra i tipi di tombe messi in luce qui e nel sepolcreto del fondo Cà Lunga sopra-
mentovato — ove si rinvenne uno strato inferiore situato a circa m. 2 di profondità
come l'unico strato qui scoperto — e l'uso promiscuo, nella costruzione delle tombe,
di materiale vario, per gran parte raccogliticcio, portano certamente a riferire a tempi
bassi le tombe ora scoperte ; ma dichiaro che sarebbe imprudente voler affermare la
contemporaneità di questo sepolcreto con quello di Cà Lunga.
La grande trincea pose in luce, sul lato meridionale, un muro di mediocre costru-
zione (A B) che si ripiega ad angolo retto sotto la sponda sud ; e nella stessa trincea,
sul lato nord, lo scavo mise allo scoperto un muro (C D) di costruzione tardiva — sopra
cui s'impostò recentissimamente un altro muro — con andamento est-ovest, fornito
di uno sperone (E) sul lato meridionale.
Neil' intercapedine tra questo muro e la sponda settentrionale della trincea parve
di poter riconoscere sul fondo altre vestigia di tombe (non segnate nella ng. 1).
Sarebbe stato molto desiderabile di poter estendere l'investigazione del sepol-
creto col prolungare ancora la trineea verso nord ; ma a ciò aveva fatto divieto fin da
principio la Sovraintendenza di Ravenna, in relazione alla stabilità della basilica.
Quanto al muro C D che per il carattere della sua costruzione, per la vici-
nanza della basilica e per il suo andamento parallelo ai lati lunghi della chiesa
vien fatto volontieri di porre in correlazione con la chiesa stessa, esprimo il voto
che a tempo opportuno, d'accordo con la Sovraintendenza dei monumenti di Ravenna,
si possa curare l'investigazione della sua prosecuzione, potendosi da tale indagine
aspettare importanti rivelazioni relative alla storia di quella basilica.
A. Negrioli.
(') Non voglio omettere di ricordare che in prossimità della tomba XVI, all'estremità orien-
tale della trincea, si trovo altresì un orciuolo monoansato di terra, alto cm. 16. Ma questo, se pur
fosse da porre in relazione con detta tomba, non potrebbe, per assenza di caratteri specifici, portar
alcun contributo alla determinazione dell'età del sepolcreto
COPPARO — 156 — REGIONE Vili.
Vili. COPPARO — Scoperta di tombe romane.
Nel territorio d'Ambrogio, Comune di Copparo, avvenue lo scorso maggio la
scoperta di alcune tombe romane, una nel fondo Dossetti di proprietà del dott. Ercole
Padovani, quattro nei terreni del Consorzio della grande Bonifica Ferrarese e vera-
mente nelle sponde della Fossetta di Piumana.
A quanto seppi da informazioni assunte sul luogo, le tombe erano a cassetta,
costituite da mattoni comuni, con embrici per copertura, e furono trovate, quella
del dott. Padovani a cm. 40, e le altre circa a m. 1,50 di profondità.
Presso al dott. Padovani, nella sua casa di campagna a Cesta, esaminai gli
oggetti che, secondo la dichiarazione dell' inventore, trovavansi nella tomba del fondo
Dossetti.
E questi oggetti sono: Terracotta. Un'anfora segata all'altezza del collo, che
già aveva contenuto ossa combuste ; un'urna biansata; alcune brocchette a corpo sfe-
rico; una ciotola aretina con timbro {in pianta pedis) a lettere consunte: M(?)-SPA. . .;
un fondo di piatto aretino con timbro molto consumato. — Vetro. Un bicchiere
quasi cilindrico, alto circa cm. 7 ; un bicchiere a pan di zucchero, cioè arrotondato
nell'estremità più ristretta; una brocchetta con corpo piriforme; un coperchio discoi-
dale per olla, sormontato da testina di quadrupede; un frammento di fiaschetta
color arancione.
Di due monete di bronzo non potei prendere visione perchè conservate nel
palazzo Padovani' a Ferrara; ma seppi, dal dott. Padovani, in Cesta, che la corrosione
ne aveva reso irriconoscibili così le leggende come l'effigie.
Manifestamente però si tratta della suppellettile di una tomba romana del primo
secolo dell'Impero.
Gli oggetti provenienti dalle tombe della Fossetta di Piumana si trovano con-
servati parte in casa dell' ing. Grossi, parte presso il dott. Luigi Fano, capotecnico
addetto alla Grande Bonifica.
Con l'intervento del dott. Fano esaminai gli oggetti in casa dell' ing. Grossi,
che consistono nella solita suppellettile fittile del I secolo dell'Impero: vasi fusi-
formi, fiaschette biconiche, vasetti a trottola, olle biansate, di terra gialliccia e ros-
sastra; un'anfora segata sotto il collo, simile a quella del dott. Padovani, e un fondo
di piatto aretino con la marca LSARI.
I migliori oggetti erano quelli conservati presso il dott. Fano, e consistevano in
una fiaschetta aretina a corpo ovoidale (priva di manico e del beccuccio laterale)
con diaframma nel collo fornito di 5 fori, ad uso di filtro; una fiaschetta aretina
a corpo ovoidale allungato; un'olla intatta, di vetro comune, che doveva aver servito
per urna cineraria.
Gli oggetti rinvenuti non hanno per sé una speciale importanza; ma è vera-
raeute importante per la storia della regione la scoperta delle tombe. E ciò è non
solamente dal punto di vista della storia civile del paese, inquantochè le dette tombe
darebbero testimonianza dell'esistenza di vici o magari solo di case rustiche nell'epoca
REGIONE Vili. — 157 — SARSINA
romana in queste contrade, ma anche dal punto di vista delle vicende naturali della
terra stessa, iuquantochè si fa manifesto che quei terreni, tino a poco tempo fa
coperti da acque paludose, erano al tempo romano perfettamente all'asciutto.
Evidentemente la differenza di livello del piano di campagna dal tempo antico
all'epoca attuale deve attribuirsi a un assettamento degli strati torbosi che, come è
notorio, fanno parte del sottosuolo di questa regione valliva.
A. Negrioli.
IX. SARSINA — Scoperta di un pavimento a mosaico di epoca
romana.
Entro le mura della città, in un terreno del sig. Pompilio Mondardini, sito in
una delle parti più basse del paese, a 20 metri dall'abside della cattedrale, facen-
dosi lavori di espurgo e di sterro in una concimaia, si mise ultimamente allo sco-
perto parte di un pavimento romano a mosaico bianco e nero a decorazione geome-
trica, che io visitai tostochè giunse alla Sopraintendenza di Bologna notizia del rin-
venimento
Persone del sito che s'interessano alla scoperta delle antichità locali, quali
l'ing. Raggi, perito comunale di Sarsina, e il sig. Ugolini, segretario del vicino Comune
di Sorbano, poterono assicurare che il detto mosaico era già stato scoperto e osser-
vato nel 1892 e che allora esso si mostrava di una conservazione perfetta.
Ora il mosaico è assai disfatto; e veramente tanto che nell'area ora scoperta, di
circa mq. 10, esso è conservato per circa mq. 2 '/» in tre tratti separati.
11 detto mosaico è per la massima parte a cubetti bianchi; soltanto sul lato
ovest e sul lato nord della cavità apparvero fasce decorate alternativamente in bianco
e in nero.
Sul lato nord della cavità la fascia è costituita di rettangoli e listelli neri
alternati con listelli bianchi; insieme coi rettangoli vi si comprende una cornice
quadrata a dentelli neri, racchiudente, pure in nero su fondo bianco, un ornato a
ino' di trottola.
Per la asimmetria della decorazione in questo piccolo tratto ornato, scoperto sul
lato nord, non si può stabilire la posizione che la decorazione stessa doveva avere
nel pavimento cui apparteneva.
Si può invece con certezza riconoscere che la fascia sul lato ovest (tre listelli,
uno bianco tra due neri, dei quali l'esterno di larghezza doppia dell'altro) è una
fascia perimetrale.
Infatti, subito di là da questa fascia si scoperse, affiorante all'altezza del
mosaico, un muro di ciottoli, largo cm. 50, che doveva far da fondamento alla parete
dell'ambiente su questo lato; e di là da questo muro fu notata la presenza, per
due tratti non contigui, di un robustissimo pavimento di mattone battuto (spessore
cm. 10), il quale, poiché si trova allo stesso livello del pavimento a mosaico, pre-
sumibilmente faceva parte dello stesso edificio.
FIANO ROMANO — 158 — REGIONE VII.
Non fu possibile di accertare se all'atto della prima scoperta, che rimonta a più
di 15 anni fa, sia stata rinvenuta, almeno in parte, l'elevazione del muro divisorio
dianzi accennato.
Rispetto al quale, se esso nella parte emergente dal pavimento non sarà stato
costruito in materiale resistente, potrà valere la congettura fatta dal Brizio nella
esplorazione di una casa della Bononia romana {Notizie, 1891, pag. 20), che cioè
la parete divisoria consistesse in un tramezzo di legno.
A. Negrioli.
Regione VII (ET R URIA).
X. FIANO ROMANO — Scoperta di un sarcofago marmoreo con
iscrizioni ricordanti un parasitus Apollinis.
La scoperta è avvenuta per caso, nella seconda quindicina dello scorso agosto 1914,
in un terreno appartenente alla locale Congregazione di carità, in vocabolo Sasseta.
Il contadino Giuseppe Paciotti, nell' arare il campo, avvertì che il vomere si era
sprofondato in un incavo. Preso da curiosità, si provò a rimuovere la terra in quel
punto; e così venne alla luce un sarcofago, che stava rinchiuso in una specie di
piccola cameretta, di ampiezza solo sufficiente a contenerlo, le cui pareti erano ri-
vestite di modestissimi e rozzi muricciuoli. Come fosse costruita la copertura, non
saprei dire, per il fatto che, quando arrivai sul sito, era già stata completamente
distrutta. Il sarcofago, tolto, di lì a qualche giorno, dal suo posto, fu depositato in
una camera terrena del palazzetto comunale. È di fattura molto semplice e consiste
in una cassa di marmo completamente liscia, meno che nella faccia principale, la-
vorata a specchio aggettante tra le scorniciature incavate lungo i quattro margini,
e nel relativo coperchio a doppio spiovente, egualmente liscio, con solo quattro piccole
sporgenze a guisa di acroteri ai quattro angoli e altre due consimili, una per parte,
sul mezzo di ciascuno dei lati lunghi (v. figura).
REGIONE VII. — 159 — PIANO ROMANO
Complessivamente misura: m. 2,14 circa in lunghezza; m. 0,64 in larghezza;
m. 0,42 in altezza. Nella cassa si notano delle incrinature, e il coperchio appare
rotto in due parti, una con linea di frattura, per quanto non levigata, così diritta
da far nascere il dubbio che si componesse originariamente di due pezzi. La chiusura
era fatta, come di consueto, con grappe di ferro rivestite di piombo ; ma al momento
della scoperta, secondo mi fu riferito, il sarcofago sarebbe apparso di già violato, con
le grappe strappate e, nell' interno, lo scheletro scomposto.
Se il sarcofago in discorso non presenta alcuna importanza artistica, viceversa
non è privo di interesse dal punto di vista antiquario, grazie a tre iscrizioni che
porta incise : due, rispettivamente, sulle facce lunghe ; una terza sul coperchio, e cioè
sullo spiovente in corrispondenza della faccia principale, quella adorna di cornice.
Le riproduciamo contrassegnandole con le lettere A,B, G.
A) Sulla faccia principale:
TI- CLAVDIVS- AVG • L- PARDALAS
APOLLINIS PARASITVS
EGO • SVM ■ BENE-TIBISIT- QVI • ME • LEGISET • TIBI
APOLAVSTIMAIORIS-CONDISCIPVLVS-APOLAVSTMVNIOEUSDOCTOR
B) Sulla faccia opposta:
TI * CLAVDIVS • PARDALAS • AVG • L- <P
APOLLINIS • PARASITVS- AEGO • SVM rie.
BENE • TIBI • SIT • QVI ■ ME • LEGERIS
C) Sul coperchio:
QVISQVAE-ME-VEXSAVERIT sic.
QVI SQVAE- MEO COR PORI • MANVS • INTVLERIT rio.
QVARTANAS DABO EX-VISOMAGNO
IMPERIO-IVSSVS-SVM-CVM-VIVEREM
Ciò che a prima giunta si osserva nelle nostre iscrizioni è il contrasto tra il
bell'aspetto formale delle lettere e la scorrettezza della grafia, alla quale si aggiunge
pure, in qualche punto, la mancanza di perspicuità nella dizione.
Quanto al valore delle epigrafi medesime, a parte una certa singolarità in quella
del coperchio, è notevole il fatto che con esse si arricchisce di un nuovo testo
la serie, invero non numerosa, delle notizie letterarie ed epigrafiche relative ai
parasiti Apollinis. Non è qui il caso di riprendere ex novo un argomento già trat-
tato varie volte (')• Ci basterà ricordare che i parasiti Apollinis nel mondo romano
(') W. Henzen, Bullettino dell' Instituto, 1885, p. 240 e sgg. ; Th. Mommsen, R omise he Mìt-
theilungen, 1888, p. 79 e sgg.; Merkel, Prolegomena ad Ovid. Fast., p. CCXXXIV; Wernicke presso
Pauly-Wissowa, Realencyktop.il, 1,78; Preller, Róm. Mylhologie, pag. 305, nota 3a; Friedlander,
presso Th. Mommsen - J. Marquardt, Manuel des antiquités romaines: le eulte chez les Romains
(Brissaud), II, pag. 270 e nota 7; pag. 315, nota 6; J. P. Wultzing, Étude historique sur les cor-
porations profe-<ionnelles chez les Romains, II, pag. 133; Alb. Moller, Philoiogus, 1904, p. 342
FIANO ROMANO — 160 — REGIONE VII.
— a differenza dai Ttaqàaitoi greci, i quali (senza contare, naturalmente, i perso-
naggi dello stesso nome caratteristici della commedia) erano in origine persone effet-
tivamente addette al culto di talune divinità, e poi furono anche persone addette al
servizio di alcuni magistrati (') — altro non erano che degli istrioni, credesi di
secondo rango, ma distinti in categorie: mimi (!), pantomini (3), archimimi (*), e
riuniti in collegio {synodus); il quale collegio comprendeva diverse cariche e man-
sioni ed evidentemente anche una gerarchia, come risulta dalle diverse denomina-
zioni che si riscontrano nelle epigrafi: parasilus (5), hieronica (6), sacerdos synodi ('),
archierem sy/iodi (8), patronus parasilorum Apollinis (9). Quanto all'origine della
istituzione, si è congetturato, non senza fondamento (10), che essa sia sórta sul mo-
dello dei sinodi dei tecniti dionisiaci, che esistevano in Grecia ("), e che furono co-
nosciuti a Roma fin dall'anno 168 av. Cr. ("). Che a Roma la corporazione degli
istrioni si sia posta sotto la protezione di Apollo, è cosa che si spiega facilmente, quando
si pensi alla parte importante che i suddetti istrioni avevano nei ludi Apollinare^ (13).
Le iscrizioni del sarcofago di Fiano non apportano molta luce nuova sul carat-
tere generale dell'istituzione; ma ne apportano non poca rispetto a qualche questione
particolare.
***
Iscrizione A. — Il cognome Pardalas del nostro personaggio, per quanto non
comune, ricorre tuttavia nella onomastica greca (u).
e sgg.; 0. Navarre, presso Ch. Daremberg-E. Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et
romaines, IV, 1, pag. 832, nota 42.
(') Le notizie più importanti relative ai nagdattot greci, di qualsiasi specie, trovansi presso
Ateneo (VI, 234 d - 248 e). Cfr. Navarre, scritto cit. presso Daremberg-Saglio, IV, 1, p. 330 e sgg.
{,*) Fest., pag. 326 (ed. C. 0. Muller); G.I.L., XIV, 3683.
(•') Róm. Miltheil., 1888, pag. 79; C. 1. L., IX, 344; X, 3822, 6219; XIV, 2113, 2977, 4254.
In un'iscrizione di Roma (VI, 10114), che menzioneremo in seguito, è ricordato un maximus pan-
tomimorum.
(4) G. I. L., XIV, 2408, 2988.
(") Fest, pag. 326; Martial., IX, 28; C. I. L., VI, 10118; X, 3716; XIV, 2113, 2408, 2977,
2988, 3683, 4198, 4273.
(8) Róm. Mittheil, 1888, pag. 79; CI. L., IX, 344; X, 3716; XIV, 2977, 4254.
(') Róm. Mittheil., 1888, pag. 79; C. I. L., X, 3716; XIV, 2113 {sacerdos synhodi Apollinis);
XIV, 4254 (sacerdos Apollinis); VI, 10117 (ton diapanton Apollinis sacerdos).
(8) C. I. L, VI, 10117; XIV, 2977.
(•) Róm. Mittheil, 1888, pag. 79.
C°) Friedlander, presso Mommsen-Marquardt, Man. des ant. rom. : le eulte (Brissaud), Il.pag. 315,
nota 6; cfr. Alb. Muller, scritto cit., in Philologus, 1904 p. 359 seg.
(") 0. Liiders, Die dionysischen Kùnstler, Berlin 1873.
(") Polyb., XXX, 13.
(,3) Cfr. G. Wissowa, Religion und Cultus der Rómer, Munchen 1902, pag. 241 ; Alb. Moller,
scritto cit. in PhiloL, pag. 361.
(u) Si incontra così la forma IlaQifaXa; come l'altra TlaQtiàXas. Cfr. Stephani, Thesaurus
Graecae linguai (sotto JZnpdaAffic) ; Pape-Bonseler, Wórterbuch der griechischen Eigennamen (ii);
Fr. Bechtel - A. Fick, Die griechischen Personennamen nach ihrer Bildung erklàrt und systèma-
tisch geordnet, pag. 317.
REGIONE VII. — 161 — FIANO ROMANO
Il nome Ti. Claudius può far pensare così all' imperatore Tiberio (14 37 d. Cr.),
come all'imperatore Claudio (41 54 d. Cr.). Ammesso pure che si riferisca al secondo
dei due suddetti imperatori e che perciò il nostro Pardalas gli abbia sopravvissuto
di qualche tempo, per la datazione rimaniamo sempre in pieno primo secolo d. Cr.
Ma nulla autorizza ad escludere che si abbia da pensare al primo. Già dalle fonti
letterarie risultava che nel primo secolo dell' èra volgare esisteva a Roma il collegio
dei parasiti Apollinis (') ; cosa che non può sorprendere, se è vero che esso, come
abbiamo accennato, fu istituito sul modello della corporazione dei tecniti dionisiaci.
Ma i testi epigrafici, che si conoscevano prima, appartengono tutti al secondo secolo:
quindi il sarcofago di Fiano contiene il testo epigrafico più antico, finora noto, relativo
ai parasiti Apollinis, riferendosi alla metà circa del primo secolo e forse ad un
periodo un poco anteriore.
Alla dichiarazione della propria qualità Apollinis parasitus ego sum, segue la
formula augurale bene libi sit qui me legis; alla quale si aggiunge la ripetizione
et Ubi, che ha valore di risposta da parte di chi legge. Indi, con singolare traspo-
sizione, si ritorna alla persona del defunto, che riprende ad esporre le proprie gene-
ralità, aggiungendo alla qualifica principale, già ricordata, di parasitus Apollinis,
quella di condiscepolo di Apolausto maior e l'altra di maestro di Apolausto iunior.
L' interessante è che nella nostra iscrizione sono menzionati due personaggi di
nomo Apolausto, appartenenti a due generazioni consecutive; i quali — come con-
discepolo e discepolo, rispettivamente, del parasitus Apollinis Tiberio Claudio Par-
dalas — mostrano evidentemente di appartenere alla stessa classe dei parasiti, cioè
degli istrioni. È noto, pertanto, come di istrioni di nome Apolausto se ne conoscano
degli altri, ma tutti vissuti nel secondo secolo d. Cr. Di essi il più noto è il celebre
pantomimo condotto dalla Siria a Roma da Lucio Vero e ucciso al tempo di Com-
modo (*). E il nome di Apolausto, in genere, pare non si sia fin qui riscontrato in
documenti anteriori a quel secolo (3). Ecco che ora dall' iscrizione del sarcofago di
Piano risulta come lo stesso nome, e nella classe appunto degli istrioni, fosse in uso,
per lo meno, sin dalla metà circa del primo secolo dell'era volgare, se non addirit-
tura prima (<).
A questo punto ci si presenta una questione. Dalle fonti letterarie ed epigrafiche
conosciamo i nomi di quasi tutti gli istrioni che vi sono ricordati :
1. C Pomponius (o C. Volumnius) (5).
(') Verr. Flacc. presso Fest., pag. 326; cfr. Alb. Mflller, scritto cit., in Philologus, pag. 353.
{') Julii Capitol., Ver., Vili, IO; Lampr., Comm., VII, 2; Fiorito ad. Ver., I, 2; Athen., I, 20c.
Cfr. Prosopographia Imperli Romani, I (E. Klebs), sotto Aelius Aureliu* Apolaustus Memphius;
Pauly-Wissowa, Realencycl., I, 2, col. 2841; Friedlander, Sutengeschichte Roms, II", p. 623 sg.
Per le iscrizioni ricordanti lo stesso personaggio, veggasi appresso.
(*) Thesaurus linguae Latinae, II, sotto Apolaustus (" nom. serv. et cogn. lib non invenitur
ante saec. Il »).
(*) Ciò si può affermare anche se il sarcofago appartenga alla seconda metà del secolo, con-
siderando che Apol. insto maior e Pardalas devono essere stati condiscepoli al tempo della gio-
vinezza.
(6) Fest., pag. 326; cfr. Alb. Mailer, scritto cit., pag. 345.
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 22
KlANO ROMANO — 162 — REGIONE VII.
2. Latinus (')•
3. M. Junius Maior (*).
4. Threptus (s).
5. L. Acilius Eutyches (*).
6. M. Aurelius Agilius Septentrio (5).
7. L. Faenius Faustus (6).
8. G. Fundilius Doctus (7).
9. L. Aurelius Pylades (8).
10. M. Ulpius Apolaustus (9).
11. L. Aelius Aurelius Apolaustus Memphius (10).
12. Apolaustus maior (sarcofago di Fiano).
13. Apolaustus iunior (sarcofago di Fiano).
Di un altro adlectus scaenae e parasitus Apollinis troviamo ragguaglio in una
iscrizione di Roma ("); ma, essendo la suddetta iscrizione frammentaria, non ce ne
conserva il nome. Prescindendo da quest'ultimo, per noi anonimo, troviamo dunque
che su tredici istrioni, di cui fino ad oggi ci son noti i nomi, quattro sicuramente
portano il nome di Apolausto. Ma si può ritenere che di un quinto si abbia notizia
indiretta in una delle iscrizioni ricordanti Apolausto Menno, nella quale il suddetto
Apolausto è chiamato senior ("), evidentemente in contrapposto a un anonimo iunior
(con distinzione analoga a quella del sarcofago di Fiano). Computando nel novero
anche questo quinto istrione, si viene alla percentuale di cinque, su quattordici, con
nome Apolausto. Dei suddetti cinque, due appartengono al primo secolo d. Cr., i
rimanenti al secondo. Tutti poi si riferiscono a differenti generazioni.
Qual*è la ragione della non infrequente ricorrenza di uno stesso nome attraverso
tante generazioni? È ragionevole di attribuire al puro caso che liberti, aventi per pura
combinazione lo stesso nome servile, abbiano scelto in seguito lo stesso mestiere?
La non comune frequenza di uno stesso nome già di per se stessa basterebbe ad
escludere questa supposizione. Ma da Giulio Capitolino, nella vita di Lucio Vero (13),
è detto esplicitamente che il pantomimo condotto dall'imperatore dalla Siria si
(') Martial., IX, 28 (cfr. I, 4, 5; II, 72, 8; III, 86,8; II, 72, s; V, 61, n; XIII, 2, s); Snet,
Domit., 15; Iuv. 1,16; VI, 44. Cfr. Alb. Mfiller, scritto cit., pag. 345.
(•) Iscrizione di Preneste, G. 1. L, XIV, 2988.
(») Iscrizione di Tivoli, G. I. L., XIV, 3683.
(4) Iscrizione di Bovillae, C. I L., XIV, 2408.
(s) Iscrizione di Lannvio, G. I. L., XIV, 2113; iscrizione di Preneste, G. I. L., XIV, 2977.
(•) Iscrizione di Nemi, G. I. L., XIV, 4198.
(') Iscrizione di Nemi, C. I. L., XIV, 4273.
(8) Iscrizione di Pozzuoli, Róm. Mittheil., 1888, p. 79 e sgg.
(») Iscrizione di Roma, G I. L„ VI, 10114; iscriz. di Teano G I. L., IX, 709.
(">) Iscrizione di Roma, Gì. L.,VI, 10117; di Canosa, C. I. L.,IX, 344; di Liternum, C. I. L.,
X, 3716; di Veio, G I. L., XI, 3822; di Fondi, C. I. L., X, 6219; di Tivoli, C. I. L., XIV, 4254.
Per le nolizie di fonte letteraria, ved. sopra.
(") C.I.L., VI, 10118.
(•*) Iscrizione di Veio, G 1. L., XI, 3822.
(") Julii Capit., Ver. VIII, 10.
REGIONE VII. — 163 — PIANO ROMANO
chiamava Agrippo Monti e che dall'imperatore medesimo fu nominato Apolausto.
Questa notizia non fa che confermare quello che anche dal numero stesso delle omo-
nimie risulterebbe probabile: che, cioè, non soltanto all'istrione Agrippo Mentì (o
Menfio. secondo le iscrizioni) sia stato imposto cotal nome, ma che anche gli altri
omonimi lo abbiano assunto ad hoc, per lo meno la maggior parte. Si tratta, evi-
dentemente, di un nome tradizionale nella classe degli istrioni.
Nel campo delle classi professionali sembra non manchi qualche analogia. Si
pensi a quella dei medici, per i quali era tradizionale il nome Asclepiade.
Ma poiché nel nostro caso ci troviamo nel mondo romano — e, del resto, quanto
stiamo per osservare può valere anche per i medici della stessa età romana, che
erano di origine servile (l) — non sembrerà un fuor di luogo pensare alla analogia
che, sotto un certo punto di vista, può presentare la formazione del nome dei citta-
dini romani. Si sa bene come, di regola, il nome dei cittadini ingenui si compo-
nesse di tre parti: del prenome, indicante la persona; del nome, indicante ì&gens;
del cognome, indicante la famiglia (*). È chiaro che gli istrioni, essendo dei liberti,
non potevano singolarmente vantare l'appartenenza genuina a famiglie gentilizie. Ma,
in sostanza, anch'essi facevano parte di una particolare famiglia che, agli occhi loro,
non poteva non essere nobilissima Non vi appartenevano per ragioni di nascita, ma
vi appartenevano per ragioni professionali. La loro famiglia era idealmente la classe ;
in forma più concreta, era la corporazione alla quale erano ascritti. Volendo, nel
caso particolare degli istrioni, precisare meglio i termini dell'analogia, si potrebbe
dire che la classe corrispondeva alla gens, la corporazione alla famiglia. Donde la
legittima ambizione, da parte di alcuni ladlecti, di assumere un nome tradizionale,
come tradizionali erano i nomi delle famiglie romane; un nome di qualche antico
membro chejcon la sua valentia'nell'arte avesse illustrato la classe e il collegio.
Il fenomeno, certo, non è generale, dato che, per la maggior parte, gli istrioni
finora noti portano nomi differenti. Ma per il caso del nome Apolausto le omonomie
sono parecchie e vanno rilevate. Non solo ; ma non mancano ragioni per credere che
altri istrioni, e forse anche in età anteriore, portassero lo stesso nome. Come si è
detto più sopra, dalla nostra iscrizione risulta che il nome Apolausto era in uso sin
dalla metà, per lo meno, del primo secolo d. Cr. A meno che non si voglia pensare
che l' Apolausto maior ricordato sul sarcofago di Fiano sia stato proprio il più an-
(') Quando siamo, pcr_esempio, al caso del medico Asclepiade figlio di Mirone, ricordato in
un'iscrizione onoraria di Pergc,' dell'età ellenistica (R. Paribeni, Monumenti antichi dei Lincei,
XXIII, 1914, tav. I, col. 59 e sgg.), e di altri medici greci dello stesso nome (cfr. Panly-Wissowa,
Realencyclopàdie, II, ~2, col. 1632 e sgg.; n. 37, 43-47J, non c'è ragione di dubitare che si tratti
del nome di nascita. E rispetto al singolare rapporto del nome con la professione, si può conget-
turare trattarsi di famiglie, nelle quali — come^avveniva spesso nelle famiglie degli artisti — fos-
sero tradizionali la professione di medico e altresì la ricorrenza di quel nome. Ma quando passiamo
ai medici liberti dell'età romana (cfr. Pauly-Wissowa, Realencycl., II, 2, col. 1041 e sgg., n. 38-
42), non vi può esser dubbio che la frequenza del nome Asclepiade sia dovuta a scelta intenzio-
nale del nome stesso e successiva alla scelta della professione.
(•) Cfr. Th. Mommsen-J. Marquardt, Manuel des antiquités romaines : la vie privte des Rq-
maint (ved. Henry), I. p. 9 e sgg.
FIANO ROMANO — 164 — REGIONE VII.
tico istrione di questo nome, è da supporre che qualche altro omonimo lo abbia
preceduto.
*
* *
Iscrizione B. Non è che una ripetizione abbreviata della precedente, con
qualche spostamento nell'ordine delle parole e qualche lieve variante. Strana la scrit-
tura aego per ego. Da notarsi anche il cambiamento della forma qui me legis in
qui me legeris.
*
* *
Iscrizione C. Anche qui troviamo per due volte il suono dell'e reso col dit-
tongo (quisquae). Altra singolarità è data dalla forma vexsaverit per oexaverit. Ad
ogni modo, l'iscrizione, tino alla metà della terza riga, è chiarissima. Qualche oscu-
rità comincia poi : ex viso magno imperio iussus sum cum viverem. Dal contesto
generale del periodo si vede chiaro che la parola viso non può avere altro valore
che di sostantivo. Ma il predicato magno ha da riferirsi a viso oppure &impe?Ho?
La prima ipotesi sembra da preferirsi, tenuto conto della collocazione stessa di quel
predicato nella stessa riga con viso. Comunque, a malgrado della scarsa perspicuità
di tutta l'espressione, il significato generale delle parole di Pardalas non sembra
dubbio. Il defunto pronuncia la terribile minaccia di dare le febbri quartane (per
usare la stessa forma plurale del testo) a chi osasse violare il suo sepolcro, per
comando ricevuto in una grande visione che egli avrebbe avuta mentre era in vita.
Se anche il predicato magno si riferisce a imperio, il significato sostanzialmente
non muta.
Anche questa iscrizione non manca, come si vede, di interesse. Viene ad ag-
giungersi alla classe delle epigrafi dettate a protezione dei sepolcri. Ve ne ha —
come è noto — di quelle che comminano pene pecuniarie, giusta un diritto rico-
nosciuto e sanzionato dalle leggi ('); ve ne ha delle altre che indicano come i de-
funti, o chi per essi, stimassero provvedimento più efficace mettersi, o metterli, sotto
la protezione diretta della divinità (*); e, come confidando nell'immancabile assenso
della divinità, contro gli eventuali violatori dei sepolcri pronunciano imprecazioni e
minacce (3), non senza, per altro, fare assegnamento, anche sulla paura che le impre-
cazioni stesse avrebbero fatto ad ogni male intenzionato. Defigi quidem d'iris pre-
cationibus nemo non meluil. si legge in Plinio (*).
Le iscrizioni sepolcrali di questo genere appartengono a quella categoria di
testi di carattere magico, di cui fanno parte principalmente le defixionum tabellae (B).
(') Cfr. B. R ilide, Psyche, W, p. 340 e sg. Sullo stesso argomento: Br. Iveil, Ueber klein-
asiatische Grabinichrlften, Hermes, 43, 1908, p. 552 e sgg. ; W. Arkwright, Penalttes in Syrian
Epilhaphs, Journal of Hellenic studi.es, XXXI, 1911, p. 269 e sgg.
(*) Del resto anche l'imprecazione era contemplata dal diritto greco (cfr. E. Ziebarth, Der
Flitch ìm griechisrhen Fìecht, Hermes, XXX, 1895, pag. 57 e segg. e nota 5 a pag 57).
(') Cfr. Rohde, Psyche II2, pp. 240 e sg ; o nota 2 di pag. 141.
(*) Nat. hist. XXVIII, 19.
(5) Veggasi, a questo riguardo, la prefazione di R Wiinsch alla sua raccolta delle de/ixwnum
tabellae dell'Attica (C. I. G-, voi. Ili, parte III), pp, 1-XXX1I. Allo stesso autore devesi inoltre
la pubblicazione di un altro gruppo particolare di documenti analoghi : le tavole sethiane del già
REGIONE VII. — 165 — FIANO ROMANO
Qualunque sia lo scopo particolare a cui rispettivamente mirano, tutte hanno il loro
fondamento comune nella magìa.
L'uso delle imprecazioni ha un'origine molto remota. E quale mezzo di prote-
zione dei sepolcri, dal mondo pagano è passato anche nel mondo cristiano ('). Come
un concetto analogo a quello delle epigrafi che mirano alla protezione dei sepolcri
bisogna riconoscere agli antichi testi caldei che venivano sotterrati nelle fondazioni
degli edilìzi e contenevano delle imprecazioni contro chi avesse attentato alla inte-
grità dei medesimi (J), così del tutto simile alla minaccia dell'iscrizione del sarco-
fago di Piano, racchiudente il corpo di un parasitus di Apollo, è. per esempio,
quella della tarda iscrizione cristiana di Merida nella Spagna (settimo secolo) che
commina una malattia assai più terribile della quartana per chi avesse molestato il
sepolcro del defunto:
quisquis conspicis hoc sepul
ture opus, Eolalii clerici confessori
abtus est locus sed si quis
vero hoc monumentum meum
inquietare voluerit sit anathe
ma percussus lebra Gezie
perfruatur'Het cura Inda
traditore abeat portio
nem et a leminibus ecclesie
separetur et a communi
onem s(an)c(ta)m sec... (3).
Se l'uso delle multe e delle imprecazioni appare praticato più nell'Asia Minore che
non nella Grecia propria (4), questo si spiega con la sua probabile origine orientale (5).
Non è improbabile che il nostro Tiberio Claudio Pardalas fosse un greco dell'Asia
minore, anzi che della Grecia propria.
G. Coltrerà.
Museo Kircheriano, ora nel Museo delle Terme (Sethianisehe Ver/luchungstafeln aus Rom, Leipzig,
1898. Va avvertito che la tavoletta n. 48 trovasi nel magazzino archeologico comunale). Per le
iefi.xion.um tabella», veggasi inoltre Audollent, Defixionum tabellae etc, Luteciae Parisiorum, 1904.
(l) Cfr. V. Cabrol, H. Leclercq, Monumenta Ecclesiae liturgica. I, p. CXVIII e sg. ; -.Leclercq
presso Cabrol, Dictionnaire d'archeologie chrétienne, I, 1, col. 485 e sg. (ad Sanctos); Ch. Michel,
presso Cabrol, Dictionn., I, 2, col. 1932 e sgg.
(*) Perrot Chipiez, Hisloire de V art darti l'antiquité, II, pag. 328. A questo riguardo veggasi
Ziebarth, art. cit. in Hermes (XXX), pag. 57, nota 4.
(3) Hflbner, fnscript. Hispaniae christianar. supplementum, a. 336. Cfr. Cabrol, Dictionn.
d'arch. chrét., I, 2, col. 1393 e sgg., fìg. 517.
(*) Cfr. Rohde, Psyche, IV, pp. 340 e sgg.; e nota 2 di p. 341.
(5) Si è fatto accenno agli antichi testi caldei. Sulla magia dell'antico Egitto, ved. E. Meyer,
Set. Thyphon, pp. 11, 12, 48; cfr. li. Wiinsch, Sethianisehe Verfluchungstafcln, pag. 73. Sulla
magia assira, C. Fossey, La Magie Assyrienne, Paris, 1902.
ROMA 166 ROMA
XI. ROMA
Nuove scoperte di antichità nella città e nel suburbio.
Regione III. Eseguendosi lo sterro per la costi uzioue di un nuovo fabbricato
di proprietà della signora Ida Pucci, in ria Leonardo da Vinci, nell'area adiacente
alla scuola comunale, a m. 3,00 sotto il piano stradale, sono venuti in luce degli
avanzi di muri laterizi. Alcuni di essi dello spessore di m. 0,75, sono orientati da
nord a sud; altri sono normali ai precedenti e dovevano formare delle camere, di una
delle quali si potè misurare la larghezza (m. 2,20).
Il fabbricato antico doveva probabilmente essere limitato a sud da un grosso
muro, con paramento laterizio, dello spessore di m. 1.55.
Si è visto anche un piccolo tratto di muro, largo m. 0,70. di forma curvilinea,
di raggio abbastanza ampio.
Questi avanzi si ricollegano con gli altri rinvenuti quando fu costruita la scuola
comunale (v. Notule, 1906, pag. 400; e 1909, pag. 428).
*
» *
Regione VI. In via di Porta Salaria, presso il monumento sepolcrale di
Sulpieio Massimo, nel fare cavi per costruzioni di case si è rinvenuto un frammento di
mattone col bollo C. I. L. XV, 1457.
*
* *
Regione Vili. Proseguendosi i lavori per la costruzione della galleria in
piazza Colonna, si è rinvenuto: un rocchio di colonna di africano (m. 1,20X0,45),
uno di serpentino (m. 0,67 X 0,27) ed uno di granito bigio (m. 2 X 0,68); una base
di colonna in marmo bianco (m. 0,30X0,71); un capitello di marmo (m. 0 33 X
0,23) e uno di travertino (m. 0,46 X 0,49) ; un frammento di sarcofago di marmo
(m. 0,38X0,18); un frammento di coscia di statua marmorea (m. 0,29X0,18);
un piccolo residuo di vaso iu lamina di bronzo molto ossidato (alt. m. 0,14); cinque
piccoli frammenti di marmo con poche lettere; e un frammento di mattone col bollo
C.I.L. XV, 2250.
*
Regione XIII. Eseguendosi gli sterri per la costruzione di case popolari nel
quartiere Testacelo, lungo la via Amerigo Vespucci, sono tornati in luce avanzi di
un'antica strada, da ricollegarsi con quelli disegnati già dal Lanciani (Forma urbis
Iiomae, tav. 40). La strada è larga m. 5 e corre in direzione da nord-est a sud-ovest.
All'angolo tra via Amerigo Vespucci e via Romolo Gessi si sono trovati avanzi
di due muri dello spessore di m. 1,05, che spiccano a m. 3 sotto il piano stradale
odierno ed hanno la fondazione in calcestruzzo ; distano tra loro m. 5,25. In con-
nessione con questi sono altri avanzi nella zona a sud-ovest di via Romolo Gessi.
Nella stessa zona, verso la via Gustavo Bianchi, si è trovata la fondazione di un
fabbricato, i cui muri distavano m. 17,55 nel senso della lunghezza e m. 5,20 in
quello della larghezza.
ROMA
— 167 —
ROMA
Nell'area delimitata dalle vie Amerigo Vespucci, Gustavo Bianchi, Giovanni Branca
e Rubattino, quasi all'angolo tra le vie Vespucci e Bianchi, si sono rinvenuti, a m. 4
sotto il piano moderno, avanzi di tre muri in opus incertum paralleli, dello spessore
di m. 1,45, distanti tra loro m. 8,80; nei muri eiano vani di m. 4,45, a distanza
di m. 2.20 l'uno dall'altro. Altri avanzi di muratura si rinvennero verso la via Giovanni
Branca, alla profondità di m. 1,70; il loro spessore variava da m. 0,58 a m. 0,65.
Nell'area fra via Cristoforo Colombo, via Vespucci e via Gessi, si rinvennero
sette rocchi di colonne di alabastro rozzamente lavorate. Le dimensioni, per altezza
e diametro, sono le seguenti: m. 1.80 X 0.94; m. 1,30 X 0,78; m. 1 X 0,90; m. 1,80
X 0,94; m. 0,70 X 0,85; m. 1,70 X 0,84; m. 1,90 X 0,98. Fra i mattoni si raccolsero
i bolli C. I. L. XV, 181, 635 a, 695, 797.
Iu via Amerigo Vespucci si è trovato un piccolo frammento di transenna in
bronzo a sbarre incrociate (m. 0 68X0,24).
Via Casilina. Al vicolo dei Carbonari, in località Marranella, eseguendosi
lo sterro per la costruzione di una casa, si è rinvenuto, ad un metro di profondità,
un sarcofago di marmo (va. 2,05 X 0,51 X 0,53). Il fronte ha nel centro il prospetto
di un edifìcio retto da due pilastri e terminato in alto da un frontone con due acroterì.
L'editìcio Ita nel mezzo una porta semiaperta (porta Dìlis). Le imposte sono divise
in due riquadri ciascuna: in quello superiore di sinistra è una squadra; quello di
destra è vuoto; i due inferiori hanno ciascuno un battente in forma di anello. A
sinistra e a destra due cartelli squadrati ed ansati con le seguenti iscrizioni :
0 K
nPKpePNIA • riPAKTlKH
THACYN KPITWZHCACH
n A C H C ' A P_€ T H C • A 2 I U) C •
€T€CIN-0-T-AI AIOC-
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HM£ ITTAIAIOC- n P I <P € P
NIOCCOOKPATHC- KAI '
CAAAOYCTIATYPANNIC
OYTATPI-- TAYKYTATH
La lingua delle iscrizioni ed i cognomi dei personaggi attestano che si tratta
di greci; e molto probabilmente ci troviamo di fronte ad una famiglia di liberti,
che una liberta sembra essere stata, per l'onomastica, anche Sallustia Tyrannis, moglie
ROMA
— 168 —
ROMA
di T. Elio Prifernio Socrate. Liberti della gens Prifernia, cbe fu probabilmente
originaria di Prifernum città dei Vestini presso Aquila, e della quale sono noti tre
membri ('). Rispetto poi all'altro nome Elio, si potrebbe pensare che il nostro Socrate
lo avesse assunto in omaggio ad uno di quegli imperatori che nel secondo secolo portarono
questo gentilizio, dal quale avrebbe avuto qualche favore, forse la stessa ingenuitas.
Alle due estremità sono due vasi dal collo allungato, quasi una tarda deriva-
zione delle lekytoi e delle loutrophoroi che nel periodo greco classico si solevano
collocare sulle tombe.
*
Nella tenuta Torre Spaccata di proprietà Torlonia, fra le vie Casilina e Tuscu-
lana, presso l'osteria del Curato, facendosi i lavori per la costruzione di una via di
bonifica si è rinvenuto, quasi a fior di terra, un grande sarcofago marmoreo (m. 2,30
X 1,02 X 1,02) senza coperchio. Su ciascuno dei lati è inciso un grifo. Sul fronte è
nel mezzo il clipeo coi busti dei defunti — la donna ha il volto assai logoro, forse
appena abbozzato — retto da due Eroti volanti. Sotto il clipeo sono due cornucopie
incrociate. Sotto l'Eros a destra è l'arco; sotto quello di sinistra la faretra. Alle due
estremità due Eroti funebri di tipo consueto.
La composizione e il simbolismo sono ovvii; la esecuzione scadente, e l'uso, anzi
l'abuso, del trapano, inducono ad attribuire ad epoca tarda questo sarcofago.
Via Salaria. All'angolo fra le vie Raimondi e Paisiello, nelle adiacenze del
villino Mayer, eseguendosi lo sterro per un nuovo fabbricato, si è rinvenuta un'olla
funeraria di marmo bianco, di forma ovoidale, con robuste anse, e con coperchio
conico, fermato mediante piombatura sulle anse. È liscia ed anepigrafe. L'altezza,
compreso il coperchio, è di m. 0,68.
P. FORNARI.
(') Dossali, Prosop. imp. rom., Ili, nn. C90-692, pag. 94. Di questa famiglia tratta B. Bor-
ghesi in un'epistola al p. Garrucci (Oeuvres, Vili, pag. 389 sgg.).
REGIONE I. — 109 — FRASCATI
Regione I (LATIUM ET CAMPANIA).
LAT1UM.
X. FRASCATI — Avanzi di una villa romana.
Nella località Pratone dei Camaldoli, proprietà della principessa Lancellotti,
situata sotto Tuscolo, nell'eseguire le fosse per piantare castagni, si sono rinvenuti
avanzi considerevoli di una villa di età imperiale e della via che vi conduceva.
Siccome non si sono fatti scavi che mirassero a scoprire e collegare i resti,
così non è stato possibile di rilevare la pianta dell'edificio, e si è potuto prendere
visione esatta solo di quei ruderi che affiorano o che i cavi, abbastanza ristretti,
lasciavano vedere.
La villa era orientata da nord a sud, e costruita sopra una leggera spianata a
mezza costa. I muri, che ancora in parto si vedono, sono di opera reticolata, formata
di cunei di selce, ed hanno lo spessore di m. 0,45 a m. 0,60. In qualche punto si
notano avanzi di una costruzione laterizia più tarda.
A sud dell'edificio, cioè nella parte più elevata della villa, si trovarono i resti
molto danneggiati, di una conserva d'acqua, divisa in più ambienti, costruita in
calcestruzzo e rivestita di cocciopesto del quale restano piccole tracce. Da questa
conserva era alimentata probabilmente una grande vasca semicircolare, del diametro
di m. 13,70, costruita in pietrame e rivestita di cocciopesto. Questa è discretamente
conservata, e forse in origine era decorata di conchiglie, se è vera la notizia, raccolta
sul posto, che presso di essa si trovavano alcuni gusci di conchiglie. Ad est della
vasca giace per terra un rocchio di colonna di muratura stuccata, lungo m. 0,90
e del diametro di m. 0,48, che potrebbe far pensare ad un peristilio che circondasse
la vasca. A nord-ovest sono avanzi di una camera col pavimento a mosaico bianco
e nero a decorazione geometrica. A nord dolla vasca sono due piccoli ambienti, uno
dei quali aveva il pavimento formato da litostroto con tessere bislunghe di color
bianco, rosso, verde e giallo ; l'altro di cocciopesto sparso di tessere simili a quelle
del precedente. Più a nord ancora è un'altra conserva d'acqua sotterranea voltata.
Notevole è un altro ambiente in cui si vedono due vasche per acqua, di pietra
tusculana, che si incontrano ad angolo retto; ed una terza vasca si vede a metà
scoperta in un altro punto della villa, poco distante dal precedente. Ed in verità
sarebbe stato desiderabile che le circostanze avessero permesso la esplorazione meto-
dica di questo punto della villa, che avrebbe messo in chiaro la destinazione di
quelle vasche.
A sud-ovest è una interessante costruzione in reticolato. Sono due alti muri
concorrenti che fluiscono in una specie di piccola abside sormontata da un arco. Ma
neppure di essi è possibile di riconoscere la destinazione.
Ad ovest di questa costruzione sono gli avanzi di una parete curvilinea, costruita
anch'essa in reticolato di selci con i pilastri laterali di selci parallelepipedi con
ricorsi di mattoni. Un muretto chiude, per l'altezza di un metro, questa specie di
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 23
LANUVIO — 170 — REGIONE I.
abside la cui corda è di m. 2,25. La parete era coperta di intonaco, ormai in gran
parte caduto o scrostato, su cui si vedono tracce di color rosso e verde chiaro; ma
della scena dipinta non si distinguono più che gli avanzi di una figura maschile a
sinistra in alto, di profilo a destra, in atto di guardare verso il basso.
A sud-ovest della villa si sono rinvenuti gli avanzi, ora distrutti, della via per
la quale vi si accedeva I poligoni di selce si trovarono a m. 0,80 cirea sotto il
piano di campagna.
La via andava in direzione normale all'edificio, e deve trattarsi evidentemente
di un diverticolo. Non è possibile, stabilire, in base a così pochi resti, il punto di
origine di questo diverticolo; ma sarebbe congettura non del tutto priva di fonda-
mento il pensare che esso dipendeva da quell'altro che dal XIII miglio della Latina
saliva a Tusculo (').
Fra le terre di scarico si raccolsero alcuni frammenti di mattoni e tegole col
bollo C.I.L. XV, 593; e un bollo frammentario che può corrispondere a C.I.L.
XV, 1121 a o e, e anche a 1122.
Chi fosse il proprietario della villa, non ci è dato conoscere da nessun indizio;
ma è noto, per scoperte avvenute in altri tempi, che nel periodo repubblicano, in
quella località, si trovava una considerevole proprietà della gens Furia (*).
F. Fornari.
XIII. LANUVIO (già Civita Lavinia) — Antichità varie scoperte nel
territorio del Comune durante l'anno 1914.
Nel sistemare il piazzale della tramvia, nella parte alta del paese, si misero
meglio in luce quei ruderi d'opera reticolata, che in parte vedevansi nell'orto del
duca Sforza e che appartevano ad una dontus dell'antica città. L'ingresso era verso N,
sulla via antica (di cui apparvero le tracce per oltre 10 metri), come faceva credere
la soglia della porta (fig. 1, A) trovata a posto con battente in fuori, aprendosi
l'uscio verso l'interno.
La parete esterna, non parallela del resto agli altri muri della fabbrica, appa-
riva in opus ineertum e sovrapposta ad un avanzo d'opera quadrata a tre ordini di
blocchi di peperino (fig. 1, D), vcrisimilmente facente parte della sostruzione del-
l'antica via, che montava sul colle elevandosi sensibilmente dal piano della fabbrica.
Appena entrati, a sinistra, trovavasi un vano trapezoidale (fig. 1, B) lungo m. 5 e
largo m. 2,25 e m. 4, che, nell'angolo adiacente alla via, aveva, incassata nel pavi-
mento ad opus spicalum, una pietra di peperino (fig. 1, C) spessa m. 0,18, lunga
m. 0,80 e larga m. 0,60, con foro nel centro di cm. 10 di diametro. Rimossa la
(') V. Grossi-Gondi, Il Tmculano nell'età classica, pag. 102 sg.
(*) V. Grossi-Gondi, op. cit, pag. 161 sgg.
REGIONE I.
— 171 —
LANUVIO
pietra, apparve un pozzetto quadrangolare ricolmo di terra che doveva immettere in
una fogna, trattandosi certamente di uno scarico (latrina ?).
Questa parte della fabbrica, con la via antica ed i retrostanti ambienti interni,
venne abbattuta per soddisfare alle esigenze della tramvia. Dalla parte restata può
riconoscersi come la fabbrica fosse costruita nella boll'opera reticolata con pavimenti
di mosaico a bianco e nero, tutt'ora visibile. Durante lo sterro vennero in luce:
la parte inferiore di un catillus di mola, del diametro di m. 0,85, con le
seguenti lettere scolpite esternamente : H O F ;
0 12 3 4 5
H-i — i — i — ! — | mitri
•sismmnssssi
Pio. 1.
frammenti di marmo leggermente scorniciati, di cui uno presenta nel mezzo
la lettera A ;
mezza faccia barbata, alta m. 0,18 (Giano?), appartenuta ad un'erma mar-
morea ;
due frammenti di antepagmento di terracotta, uno dei quali arcaico con tracce
di colorazione;
due piedi votivi di terracotta frammentati;
un campanello di bronzo alto m. 0,035.
A N. della via antica, tra la terra si rinvennero una mano destra fittile votiva
(alt. cm. 17,50) ed alcuni oggetti di creta asciugata al sole, lavorati a stampa, di
forma ovoidale da imitare le susine e che perciò ritengo frutta votive (alt. cm. 4,5).
La presenza di vari oggetti votivi in queste adiacenze va spiegata col fatto che
a poca distanza esisteva il santuario di Giunone Sospita, di cui quei fittili potevano
essere pertinenza, se pure non costituissero la merce di tabernae del genere, che
non dovevano mancare, por le esigenze dei devoti, lungo le vie adiacenti al celebre
tempio.
I
r
LANUVIO — 172 — REGIONE I.
Fu pure raccolto un elegante gocciolatoio di terracotta raffigurante una testa di
leone, alto m. 0,17; un'olla appena scagliata all'orlo, alta m. 0,45; un vasetto a
vernice nera iridiscente, di in. 0,15 di altezza, mancante del collo e delle anse; ed
un altro piccolo vasetto (alt. m. 0,065) di terracotta gialla. Più a N di questa
fabbrica è stata rimessa completamente in luce l'opera reticolata già scoperta durante
gli scavi eseguiti da lord Savile negli anni 1890-1893.
*
Nella vigna di Magni Francesco alle Grazie, fu rinvenuto un importante late-
rizio cbe verso l'orlo presenta, stampata a rilievo, la seguente leggenda:
□ s A C R A • U A N uio
Può darsi che questo fittile (tegola?) debba riferirsi al celeberrimo tempio di
Giunone Lanuvina e che sia stato impastato con argilla proveniente dai campi che
costituivano il patrimonio del tempio stesso (Cfr. App., Bell, civ., V, 24; Ephem.
epigr., IX, pag. 497, n. 974, l).
Tra i sassi della maceria che circonda la vigna dei signori Baccarini alle Tre
Vie vennero raccolti alcuni resti marmorei di cippi funerari che presentano due
incomplete iscrizioni:
1. In un sol frammento di m. 0,28 2. In tre frammenti di m. 0,25 X
X 0,26X0,17: 0,35X0,39:
D • M
.ALEX AN
CLAVDIA...
C0NIV-" ...B.M
.lNCOMjoara
BILIP... •••,
Probabilmente provengono dalle tombe che trovavansi allineate lungo l'attigua
via antica di Astura.
*
Nel magazzino del muratore Vincenzo Giusti ho trovato un frammento d'epi-
stilio marmoreo di m. 1,10 X 0,17 X 0,14, pertinente a qualche sacello sacro a Diana,
sul quale leggesi:
Knae-sacrvm philocalI
Bik
Nel sec. XVI, da questo marmo fu ricavato un architrave di finestra ; ed in vero
la faccia di esso, opposta a quella contenente l' iscrizione, apparisce scorniciata e
munita di scudo nel centro.
REGIONE I. — 173 — LANCVIO
Impiantandosi il binario della tramvia lanuvina, nel punto in cui questa attraversa
la moderna via provinciale per entrare in sede propria, lungo il versante occidentale
del colle di s. Lorenzo e precisamente avanti l'oliveto Frezza, furono veduti ed in
parte divelti, per lo spazio di m. 2, i poligoni di un'antica via, riapparsa anche più
a N nell' innalzare alcuni dei pali che sostengono i reofori elettrici. Tali resti appar-
tengono certamente alla stessa via che apparisce avanti al cemetero e che, seguendo
su per giù il tracciato della moderna via provinciale, si ricongiungeva coll'Appia
classica poco lungi dall'antico cippo che segna il XIX miglio.
Qui presso, ad occidente della via antica, nella vigna dei signori Frediani-Dionigi,
alla Crocetta, oltre un frammento marmoreo di trapezoforo, fu raccolto un resto di
bollo su tegola (CI. L. XV, 1324); ed un altro, a lettere cave su un frammento di
mattone:
O . . . L FÉ R • O P
Altri bolli su laterizi vennero raccolti nella Cesetta dei medesimi signori ed a
levante della stessa via. Due sono già cogniti (C. /. L. XV, òAld e 1068) il seguente
è inedito:
O CM ... ;
Notevole pure un frammento laterizio con questo marchio incavato |j. Furono
veduti, nell'alto di detta vigna, dei muri reticolati che contenevano pavimenti di
mosaico a fondo bianco con fascia nera.
Il sig. A. Soldi, nella sua vigna a Vallefiara, ha raccolto due fondi di vasetti
a vernice rossa con i bolli:
IJJIV ATITI
1. 2. «••
(in pianta pedis) FIGV
Il n. 2 può completare quello riportato nel C I. L. XV, 5094.
*
Sterrandosi il colle di s. Lorenzo, nel versante occidentale, sotto la villa Sforza,
pure per l'impianto della tramvia, sono stati scoperti, nella vigna di Teresa Frezza
vedova Diamanti, dei muri di sostruzione per una lunghezza di m. 24,50, che risul-
tano formati, verso il monte, da tìlari d'opera incerta, restati con un'altezza da 4 a
5 metri, spessi m. 1,40 e larghi m. 2; verso la facciata, diretta da N-NO a S-SE,
da un muro rettilineo d'opera reticolata spesso m. 0,75. Tra gli speroni (ne sono
visibili tre, distanti tra loro m. 1,75) ne furono posti irregolarmente degli altri di
minori proporzioni. Nei rottami si osservano residui di pavimento rosso con pietruzze
bianche incastonate, riferibili evidentemente alle fabbriche elevantisi sul piano
sorretto da quello sostruzioni e di cui non mancano vestigia nei terreni sovrastanti.
I.ANUVIO — 174 — REGIONE I.
Dal sig. V. Seratrice è stato donato per la collezione epigrafica del Museo
civico questo titolo funerario (un marmo di m. 0,33 X 0,36), rinvenuto, molti anni
or sono, nella vigna del cav. A. Centini a Pianmairano, assai corroso e difficilissimo
a leggersi:
D M
VELI • SILVANI
ADERENTISSIMI
MATERFEC
VIXANN-XVI
DIES- I
Un frammento di cippo di peperino, di m. 0,22 X 0,19 X 0,19, integro in alto,
fu raccolto tra i sassi della maceria che circoscriveva la vigna del sig. G. Minelli
a s. Lorenzo; e conserva questo resto di leggenda:
HTILIV.
-ALPLE..
..ERCL..
...I...
A. Galieti.
SICILIA — 175 — SIRACUSA
Anno 1915 — Fascicolo 6.
SICILIA.
I. SIRACUSA — Scavi di piazza Minerva. Per quattro anni di seguito (1912-
1915) e con spesa ingente ho condotto nella via Minerva, che corre parallela al lato
settentrionale del tempio di Athena in Ortygia, una serie di campagne di scavi, i cui
risultati non mi perito a proclamare i più brillanti che mai siensi ottenuti in Siracusa.
Lo scavo è stato di tale vastità ed entità, che non è possibile riassumerlo nelle non
molte pagine che mi verrebbero consentite dalla mole delle Notizie. E, d'altro canto, tale
esposizione, ove non fosse accompagnata da un largo corredo di piante e disegni, torne-
rebbe in troppe parti inadeguata, oscura e, quindi, insufficente. Basti dire che il solo
rilievo planimetrico dello scavo e dei ruderi, col relativo diagramma, alla scala di
1 : 50, misura in lunghezza m. 2 28. È quindi ragionevole che la pubblicazione defi-
nitiva di questo grandioso scavo stratigrafico, di capitale interesse storico ed archeo-
logico, venga riservata ai Mon. ant. dei Lincei.
Tuttavia, in attesa della ancora lontana pubblicazione definitiva, m'ingegnerò
di esporre, nel modo più comprensivo che mi sia possibile, i risultati generali con-
seguiti, tenendo sopra tutto presente il peculiare carattere dello scavo, che in una serie
di strati sovrapposti ci ha rivelato brani della storia siracusana e dei suoi culti dal
sec. X av. Cr. all"Xl d. Or. (»).
Lungo tutta la via Minerva, ad una profondità, dal vecchio piano stradale (di
questi giorni sensibilmente modificato), oscillante intorno ai 3 m., si stende il piano
delle rocce vergini, sul quale si trovarono sempre ed ovunque adagiati gli avanzi
(') Si consulti anche il mio scrittarello: Gli scavi di piazza Minerva in Siracusa (confe-
renza rientrata), Siracusa 1913, che dà nn resoconto sommario della prima fase di essi.
Notizik Scavi 1915 — Voi. XII. 24
SIRACUSA
178 —
SICILIA
coroplastico. Se colla sua piccola mole, di soli cm. 57 in altezza, esso scompare
davanti al corrispondente colosso di Corfù, di molto però lo supera per le cure estreme
della modellazione e per la ricchezza dei colori.
Fio. 1.
Attorno alla stessa edicola si ricuperò una quantità di massi squadrati, alcuni
anche tagliati ad arco ; altri poi sono decorati, su ambo le fronti, di grandiosi giragli
ionici colorati in rosso (tìg. 2). Si ebbero altresì elementi lapidei delle metope, dei
triglifi e della cornice. La ricostruzione grafica di questo edificio, collocando a posto il
fregio, gli acro te ri, e gli altri elementi, è opera estremamente delicata e laboriosa,
a cui sto attendendo, in preparazione della pubblicazione definitiva. Né si devono di-
SICILIA
179
SIRACUSA
monticare i frammenti, disgraziatamente assai mutili, di altre grandi figure fìttili, viva-
cemente colorate, di cui non sono ancora in grado di dire, se spettassero a xaQl(tTVQta
autonomi ed esposti su basi, ovvero alla decorazione frontonale di talune di codeste
edicole.
Un'altra piccola costruzione quadrata (edicola ?), completa nelle sue fondazioni e
con curiosi particolari costruttivi, venne riconosciuta davanti all'albergo Roma. E dal
lato opposto, sotto le fondazioni del nuovo Istituto tecnico comunale, spuntò il fronte
meridionale di un'altra poderosa fabbrica a grandi massi, che data la sua estensione,
non si esclude fosse un altro tempio. Sciaguratamente essa si addentra sotto il detto
Istituto, di guisa che ogni tentativo di definirne la forma e lo sviluppo fu vano.
In fine si è seguito per buon tratto un lungo muro con andamento in parte
rettilineo spezzato, in parte curvilineo, che potrebbe essere V ogog o recinto perime-
trale del sacro temenos arcaico ; e nella parte interna di esso si segnalarono avanzi
SIRACUSA
— 180 —
SICILIA
di almeno due altri piccoli edifìci arcaici, costruiti, come tutti gli altri, a grandi
massi ma di troppo menomati perchè si possa dire, anche in via di lata ipotesi,
della loro forma primitiva e della destinazione originaria.
Fio. 3.
In fatto di scolturo marmoree la mèsse è stata scarsa quanto mai; ma nella
metà occidentale di via Minerva si ricuperò, negli strati superiori, una quantità vera-
mente impressionante di frammenti di tegole marmoree non solo, ma della cornice
suprema del tempio con becchi di civetta, e della sima-grondaia terminale con ma-
gnifici saggi svariati delle teste leonine pure in pano, che servivano allo scarico
SICILIA — 181 — SIRACUSA
delle acque pluviali dal tetto. Un pezzo di primo ordine, per quanto mutilo e defor-
mato è la scoltura riprodotta a fìg. 3, scoltura che era stata impiegata come materiale
da fabbrica nel muro di una povera casa bizantina dello strato superficiale. È una
Nike acefala in pario, a corpo molto piatto, che incede ginocchio a terra, col torace
di pieno prospetto, vestita di chitone stretto alle carni, con lunghe trecce sulle spalle
e larga falda della chioma sul dorso, il quale era lavorato sommariamente. Pare
certo trattarsi di una Nike, dagli attacchi delle ali ancora superstiti sul dorso (foro
per perno metallico). Non ostante il suo stato di estrema mutilazione, la statua richiama,
nello schema fondamentale ed in molti particolari, la statua deliaca di Mikkiades ed
Archermos, uscita dalla scuola di Ohio ('). La sua altezza è di cm. 76.
Di un'altra statua muliebre marmorea, di carattere piatto come la precedente,
si ebbe la gamba sin. con un grande partito del panneggio teso fra le gambe aperte;
questo frammento formava da coperchio ad una tomba bizantina.
Dalla rapida e fin troppo concisa esposizione che ho fatta, comprenderà ognuno
l'altissima portata storica ed archeologica di questo magnifico scavo; che solo allora
verrà adeguatamente apprezzato, quando si darà la illustrazione completa così dei
singoli edifici, come del materiale raccolto. Tra esso occupa un posto preminente la
massa delle t. e. architettoniche arcaiche, la cui divulgazione aprirà nuovi orizzonti
nello studio dell'architettura fìttile, che in Sicilia ebbe diffusione amplissima e forse
anche la sua prima origine.
Nuove scoperte nella necropoli del Fusco. Come è ben noto, essa comprende
sepolcri greci forse del sec. Vili, certo del VII e del VI ; è una delle meglio cono-
sciute tra quelle di tutta la Sicilia greca orientale, ed i suoi reperti vascolari costi-
tuiscono ormai uno dei caposaldi per la cronologia delle ceramiche dette protocorinzie
e corinzie. Ma per le epoche susseguenti io avevo più volte lamentato {Notisie 1905,
pag. 383) la scomparsa, o, per meglio dire, la irreperibilità dei sepolcri del sec. V
coi vasi di stile rosso, dei quali ben poco ci era sin qui pervenuto {hotìsie 1891,
pp. 408 e segg. ; 1907, pp. 744 e segg).
Ora una inattesa scoperta mi mette in grado di colmare, almeno in parte, questa
lacuna nella cronologia sepolcrale e vascolare di Siracusa. Essa trae origine da un
insignificante avvenimento, il quale vale a dimostrare la fallacità dei criteri a cui
talvolta s'informano anche i più consumati esploratori, dalla cui bocca deve esulare
la formola « suolo esaurito » , perchè, quando meno uno lo pensa, un fatto imprev-
visto viene ad aprirvi nuovi campi ed a porgervi nuove rivelazioni.
Io supponeva che i ricchi sepolcri fuscani del sec. V, comprendenti anche il
glorioso periodo dinomenidico, fossero stati distrutti in antico, o fossero per sempre
celati sotto le alluvioni dell'Anapo. Se codesta mia opinione era, per ragioni che
non è qui il caso di svolgere, in parte vera, per altra parte risultò infondata.
Nel maggio 1914 alcuni cavatori di pietra, avendo preso in gabella quel tratto
della terrazza siracusana del Fusco che si stende a mezzogiorno della cabina elet-
(') Perrot, Histoire de l'art, Vili, pp. 300 e segg.
SIRACUSA — 182 — SIOILU
trica e del deposito macchine della ferrovia Siracusa- Vizzini, procedendo sull'estremo
orlo meridionale di detta terrazza alla completa denudazione della roccia per estir-
parla, si avvidero che essa conteneva numerosi sepolcri greci. Avvertito della scoperta,
organizzai subito una prima campagna nel maggio-giugno 1915, seguita da un'altra,
più vasta, nel settembre-decembre dello stesso anno. I risultati conseguiti andarono
di là dalla mia aspettativa, e qui vengono esposti soltanto in modo sintetico,
essendo necessari grandi e copiosi disegni per la illustrazione definitiva, riservata ai
Monumenti antichi dei Lincei.
In complesso si esplorarono 94 sepolcri (dal n. 588 al 672, riattaccando colla
vecchia enumerazione). Ammaestrato dall'esperienza, adottai questa volta il sistema
radicale di procedere alla completa denudazione del banco roccioso, il che ci ha messi
in grado di esaurire il suolo e di nulla lasciarci sfuggire.
A) Circa la Forma dei sepolcri abbiamo: a) Pozzetti n. 16, per lo più
cilindrici, assai di rado quadrati, di modica profondità, per ricevere gli ossuari, quasi
sempre sotto forma di vasi dipinti racchiudenti la cremazione. Nei precedenti scavi
del Fusco una parte di essi ci era sfuggita, essendosi soltanto tasteggiato il suolo
colle trivelle. Col nuovo metodo radicale si è eliminato questo inconveniente ; e quando
si pubblicherà la pianta del nuovo tratto della necropoli, si vedrà la distribuzione
al tutto capricciosa, né regolata da norma veruna, dei pozzetti in rapporto alle fosse.
Detti pozzetti erano in origine protetti da lastre, od anche da semplici tegole, la
maggior parte delle quali apparvero rimosse dalle vicende agricole del soprassuolo.
— b) Grandi fosse nella roccia n. 61 : è questa la più comune forma delle necropoli
a fondo roccioso; la fossa è per lo più munita di controfossa superiore, e la bocca
ne è chiusa da grandi lastroni ; in casi eccezionali si hanno anche fosse piccole per
fanciulli e bambini. Quasi mai esse hanno le pareti rivestite di intonaco. Una sola
era foderata di grossi massi in candido calcare (n. 631), ed una seconda (n. 650),
trattata in egual modo, aveva poi una copertura di tegole a piovente. Il n. 632 era
una tomba di pezzame e di tegole in coltello, per fanciullo, installata entro una
grandiosa fossa, destinata in origine ad un adulto. — e) Sarcofaghi monoliti se ne
riconobbero solo due: il n. 661 racchiudeva due bambini, ed era piazzato dentro
una controfossa, sui copertoni della fossa sottostante. Il sep. 670 era un grandioso
monolito (m. 2,30 X 0 98), con coperchio a spiovente ed acroterì, penosamente calato
a piombo, certo mediante una capra, entro una fossa la cui bocca dovette essere
protetta da copertoni, in seguito strappati.
B) Il Rito funebre era rappresentato da: a) Cremazione in 33 casi; per
lo più il morto, cremato a parte, veniva poi raccolto in un grande vaso dipinto, od
in bacile di rame; in 7 casi però si riconobbe che il cadavere disteso nella fossa,
e certamente sopra una catasta di legno in precedenza apprestata, v'era stato arso,
senza procedere poi &\\'ossilegium. — b) L'umazione è data da 44 casi ben riconosciuti;
ma di qualche sepolcro, essendo scomparsa ogni traccia delle ossa, mangiate dai sali
del suolo, non si è tenuto conto per i dati statistici, sebbene la forma del rito sia
indirettamente accertata. — e) Infine si ebbe un unico esempio di enchytrismós
infantile nel sep. 636.
SICILIA — 183 — SIRACUSA
C) I Corredi funebri erano molto semplici, e vorrei dire di una così rigida
austerità da doverla dire povertà, se non si sapesse che le condizioni economiche
della città erano in quell'epoca floridissime. Tutto il lusso che i Siracusani si con-
sentivano era quello di un grandioso sepolcro, ben protetto da poderosi lastroni, o
di un bel vaso figurato per raccogliere le ceneri. La necropoli del Fusco (e siamo
ormai presso ai 700 sepolcri) mai ha dato un oggetto di oro, ove se ne tolga lo
scarabeo in lamina del sepolcro 81, ed assai scarsi sono anche quelli in argento. Il
sec. V, che colla prima metà del IV segna l'apogeo della potenza politica ed anche
economica di Siracusa, è caratterizzato dalla estrema sobrietà dei corredi. Tutto, può
dirsi, si riduce al vasellame, il quale, povero o ricco che sia, ha il grande vantaggio
di servirci come indice cronologico sicuro dei vari gruppi sepolcrali.
Due sole tombe (la 621 e la 636) ci hanno dato del piccolo vasellame proto-
corinzio (bombylioi, piccole lekythoi a cuore e kylikes), che le fa salire al VII sec.
Il 667 conteneva bucchero nero, bucchero bigio e vasetti corinzii : una massa di
corinzio frantumato ha dato il 661 ; un bacile in bronzo con due alabastri ed un bomby-
lios cuoriforme corinzio il 656. Pochissimi sepolcri hanno fornito piccola ceramica coeva
allo stile nero (sec. VI); di tale età sono anche l'anfora cineraria n. 631, un bel cal-
dajo di rame sferoide con maniglie girevoli (n. 616), ed un bacile pure in lamiera,
ma irrestaurabile (n. 656). Il caldajo di bronzo era dentro un dado di pietra forato e
coperto di lastra, collocato al centro di una grande fossa (m. 2,80 X 1,20 X 1,25),
la quale conteneva anche due crateri a campana. Sono tre incinerazioni, di cui la
prima difficilmente scenderà sotto il '500, mentre le altre due spettano alla prima
metà del sec. IV ; dunque un sepolcro, forse di famiglia, usato da due generazioni assai
discoste quanto ad età. All' infuori di questi sepolcri, tutto il resto appartiene allo
stile rosso nelle sue varie fasi : quindi al V ed al IV secolo. Allo stile rosso severo
assegno un solo cratere a colonnette ; al rosso nobile e bello un'hydria a due registri
ed una seconda decapitata, una pelike con grandiose figure dionisiache e due crateri;
tutto il resto rientra nel ciclo midiaco e nella decadenza; colla quale cronologia
collimano anche pochi vasetti neri impressi. Aggiungo qui la statistica dei grandi vasi
figurati, tenendo pur conto di quelli pervenutici in stato frammentario, ed irrestaurabili
perchè incompleti.
Num.
Anfora a figure nere 1
» a rotelle 1
Crateri a colonnette con figure r. . 5
Pelike a figure r 1
Hydrie a figure r 3
Crateri a calice con figure r. . . . 2
» a campana con figure r. . . 7
Totale ... 20
Come curiosità singolare, anzi rarissima, non va dimenticato un grande e spesso
disco in ferro (diam. cm. 27), pesante alcuni kgr., ed appartenuto ad un discobolo,
sotto il cui cranio era stato deposto a mo' di capezzale.
Notizie Scavi 1815 — Voi. XII. 25
SIRACUSA
— 184 —
SICILIA
Che la necropoli fosse adorna, nel soprassuolo, di stelai sculte, lo desumo dalla
presenza di alcuni pochi ed assai lacunosi frammenti plastici, in marmo ed in calcare
finissimo, pertinenti tutti ad altorilievi, con residui di figurazioni, che dal poco che
si scorge pare si debbano tutte riferire al sec. V. E vi dovettero essere altresì delle
edicole, la cui presenza è rivelata da due grandi frammenti di cornici in calcare,
l'una con kymation lesbico, l'altra ad ovoli, di ottimo magistero.
Pio. 4.
Coordinando ora queste fortunate scoperte con quelle di quasi 5 lustri addietro,
ne viene riconferma alla topografìa e cronologia della necropoli, che sin da allora io
aveva intravveduta e delineata. I gruppi più antichi, del periodo protocorinzio, corinzio
e dello stile nero sono sulle piccole terrazze a levante della ferrovia. Nella spianata
dalla ferrovia fin verso il cimitero abbiamo i sepolcri del V e IV secolo; ma in essi
sono sporadicamente interpolati taluni gruppetti più antichi. Coll'apppezzamento
denominato Tor di Conte, più verso ponente, fino a Canalicchio, si hanno le tombe
più tarde ieroniane ed ellenistiche ; ma anche qui non manca qualche interpolazione
antiqniore o seriore. L'area esaurita dalle campagne di scavo 1914-1915 appartiene
in gran prevalenza ai secoli V e IV.
SICILIA
— 185 —
SIRAC0SA
Da ultimo osservo che un tratto di questo appezzamento funebre si svolgeva
lungo una grande via, della quale si riconobbero tracce ragguardevoli impresse nella
roccia; e altresì si vide che essa era stata successivamente obliterata e spostata.
Necropoli in contrada Canaticchio. Ho segnalato, or non è molto (Notizie
1913, pp. 275 e segg.), la scoperta, quivi avvenuta, di una camera funebre con molte
urne plumbee. Essendosi ora ampliata di molto per i lavori del porto la cava di
pietra colà esistente, e denudandosi tutto il crostone roccioso, si vide che esso era
pertugiato da numerose e profonde fosse sepolcrali greche, disgraziatamente tutte
violate nell'antichità. Sono le consuete tipo del Fusco, con risega per appoggiarvi i
copertoni, quasi tutti scomparsi. Fino al momento in cui scrivo (giugno 1915), ne sono
state messe a vista almeno una cinquantina, ma non una colle coperture a posto o
col contenuto intatto. Avendo più volte visitato quella cava e fatti vigilare i lavori,
ho recuperato un'altra urna in piombo anepigrafa. In una fossa, in mezzo ad avanzi sche-
letrici v'erano parecchi vasi a fuso e due terracotte di soggetto raro, vorrei dira nuovo ('),
che qui riproduco (fig. 4), di un putto a cavallo colla clamide svolazzante (cm. 15 X 14).
Ma il pezzo più ragguardevole che riuscii a salvare è la parte centrale di una stele
quadra (cm. 36 X 25,5) in calcare scelto, stroncata in alto ed in basso, ma fortuna-
tamente conservante intatto il breve testo funebre, che, attesa la bellezza delle lettere,
riproduco in facsimile:
di A 11 <— ' — ■ n M
Sevoxgiioc Fio. 5
' Hcpaiarox/.éov
MaddaXióirjg
Le forme epigrafiche coincidono a capello con quelle di un titolo di Ierone II,
ed in parte con uno di Gelone II (*) ; ond' è che alla metà circa del III sec. io
assegno anche il nostro epitaffio (3). Il quale colpisce per la notizia, che ci tramanda,
(' ) Nuovo certamente per la Sicilia. Esso però si accosta ad esemplari di Cipro e della Troade.
(cfr. Winter, Typen, II, pp. 306,6; 301, »).
(a) Kaibel, Inscriptiones, n. 2; Orsi, in Rivista storia antica di 0. Tropea, an. I, fase. II
(1896), pag. 22.
(a) È opportuno di rammentare come dallo stesso predio di Canalicchio derivi anche il titoletto
da me edito in Riv. star, antica, an. 1900, pag. 61 ; e da quello limitrofo, propr. Tarantello, l'altro
a belle Jettere 'geometriche, divulgato da me in Notizie 1907, pag. 751.
SIRACUSA
186 —
SICILIA
di codesto Xenocrito di Massalia, morto a Siracusa. Egli era, probabilmente, un mer-
cante dei tempi di Ierone II, quando le relazioni commerciali di Siracusa erano
vastissime sui mari. Ma è la prima volta, che io sappia, di relazioni fra la dorica e
la focese città; prove meno dirette di commerci fra Massalia e la Sicilia si hanno
anche in qualche rarissimo obolo massalioto del sec. V, o per lo meno anteriore al
350 (Head, H. N., pag. 7), di cui ho visto qualche esemplare in giro, ed uno è
posseduto, con accertata origine siciliana, dal Museo di Siracusa.
Sono ancora in tempo di aggiungere che, proprio negli ultimissimi giorni del
giugno 1915, un paio dei sepolcri che venivano distrutti hanno dato, assieme con
Fio. 6.
avanzi scheletrici, una certa quantità di materiale, di cui giova tener conto per la
cronologia della necropoli. Oltre ad un certo numero dei notissimi vasetti a fuso, di
piccole e povere lucernette e di piattelli, si ebbe un vaso configurato in forma di
cagna o leonessa seduta, con collare a pendagli ; e poi vi erano due monete in bronzo,
una dei tempi agatoclei e l'altra di Rhegium (Garrucci, M. I. A., tav. CXV, fig. 12),
ambedue molto logore. Tutto ciò conferma la cronologia, che più sotto propongo per
questa necropoli.
In Notizie 1913, pag. 280, ho datato dal II sec. av. Cr. l'ipogeo dalle urne
plumbee ; ma la circostante necropoli a fosse risale, almeno in parte, al III. Il gruppo
di Canalicchio non è che l'estrema propaggine della vasta necropoli fuscana, che si
stende sul lato sinistro della rotabile Siracusa- Fio ri dia. Dal primo appezzamento
presso l'ex-osteria Hejna (colle tombe del sec. Vili) fino a Canalicchio sono poco
meno di 2 km.; e tanta era appunto la lunghezza della necropoli della Siracusa
greca, che colà leutamente si svolse io mezzo millennio circa.
SICILIA
— 187
SIRACUSA
Sepolcro con oreficerie in contrada Dammusi. Nel febbraio 1912 alcuni villici,
eseguendo lavori agricoli per conto del padrone, in contrada Dammusi oltre la Galera,
in prossimità della rotabile di Floridia. s'imbatterono in una piccola tomba, di cui
trafugarono il contenuto; esso però pervenne integralmente al Museo mercè lo zelo
dei nostri agenti della polizia archeologica. Il luogo della scoperta è un piano roc-
cioso coperto di '/« m- di humus con vigne ; i sepolcri non sono perciò a vista, ma,
da saggi che vi ho fatto eseguire, non risulta vi sieno numerosi. Quello scoperto dai
Fio. 7.
villici consisteva in un piccolo sarcofago monolito, coperto di lastrone e racchiudente
uno scheletro di tenera età, col seguente corredo:
A) Pittili. Due piccole lekythoi aryballiche, probabilmente dimane, a. cm. 9
e 9,7. la prima con reticolato sul ventre, l'altra con figura di donna seduta sopra
un masso bianco; nella d. essa tiene un tirso b., nella sin. un canestro con frutta
ed una ghirlanda, Minuscola lekane, sul cui coperchio corona ad elementi bianchi,
rossi e gialli. Pyxis ovolare nera con fregi bianchi e rossi e raggiera sul coperchietto ;
alt. cm. 5,7. Lucerna nera globulare a becco d'anitra. Piede di vaso, forse di lekythos,
sul quale è graffito HED; probabilmente esso non spetta al sep. ma era sparso
nella terra. Lotto di quattro minuscoli vasetti grezzi, e cioè alabastron, situlina, baci-
nella costolata, oenochoe, tutti con deboli tracce di nero.
B) Oreficerie. Pariglia di minuscoli orecchini gemelli, ognuno a. mm. 40
e pesante gr. 4,5 ; essi constano di un disco, munito di gancio nel rovescio, e deco-
rato, nel dritto, di una rosetta centrale a minutissima filigrana. Dal disco pende una
SIRACOSA — 188 — SICILIA
microscopica figurina a mm 5, a mezzo busto (Hermes con petaso ?! o donna con
capelli annodati in fronte? od un Atis? Causa la grande piccolezza, non torna agevole
la definizione della figurina), alla quale è attaccata una piramidetta a globuli e fili-
grane; lateralmente pendono, da ogni disco, delle gocciole auree. Minuscolo anello
digitale a tortiglione, nel quale è montato uno scarabeo girevole, in corniola; esso
reca incisa a globulo una figura di animale. Cinquantotto perlette sferiche, e due
tubetti decorati di fogliami filogranati, costituenti in origine una collanina.
I due orecchini, di gusto squisito, rappresentano un « tour de force » della micro-
tecnica auraria; difficilmente si saprebbe oggi ottenere il vaghissimo e delicato effetto
a cui arrivarono gli artisti, forse alessandrini, che confenzionarono questi gingilli (').
Lo scarabeino a globulo, se trovato isolato, verrebbe senza esitanza attribuito al
sec. VI od ai primi anni del V ; e siccome allo scarabeo, simbolo dell'eternità, si
attribuivano virtù apotropaiche, niente impedisce che esso sia veramente di un
due secoli più antico della tomba e del gioiello, sul quale venne montato.
Ho fatto eseguire scavi in questa contrada, nella speranza di trovarvi una
necropoli ; i risultati furono negativi, perchè si scoprì soltanto un altro sepolcro a fossa
con nudo scheletro. Escludo pertanto la possibilità di una vera necropoli, e, quanto
meno, che gli sporadici sepolcri di Dammuso-Galera rappresentino la continuazione
della grande necropoli fuscana. È vero che la Galera è in contiguità immediata con
Canalicchio ; ma, dato l' isolamento di questi sepolcri, a me pare di dovervi riconoscere
il sepolcreto di una fattoria, il cui proprietario, vivente forse all'epoca del secondo
Jerone, circondò di preziose oreficerie la tenera bambina immaturatamente perduta.
Necropoli greco-arcaica a S. Lucia. Nel 1892, nel predio Novantieri, che si
stende a mezzogiorno di S. Maria di Gesù, si rinvenne casualmente un sepolcro
arcaico con buoni vasi a figure nere, da me editi in Notizie 1893, pp. 122 e segg. ;
allora non esitai a riconoscere in quel sepolcro una traccia della necropoli predino-
menidica di Acradina bassa, come poco prima avevo segnalato tracce di una necro-
poli di Acradina alta nel predio Odone (Notizie 1891, pag. 411). Il podere Novan-
tieri, poi Mezio, poi Cassola, è stato ora quotizzato per aprirvi strade ed erigervi
case; nella parte superiore di esso io avevo anche riconosciuto delle buone costru-
zioni di età romana (Notizie 1902, pp. 402 e sgg.).
Ma, più assai delle fabbriche, interessava sapere se effettivamente esistesse colà
una necropoli arcaica, la cui presenza si sarebbe collegata ad un quesito di topografia
archeologica, relativo allo sviluppo della città nei tempi pie- e dinomenidici. Ho
perciò fatto sempre tener d'occhio i grandi cavi edilizi che da oltre un anno si ven-
(') La più grande rassomiglianza coi nostri hanno due pariglie di orecchini del Museo Bri-
tannico (Marshall, Jewellery in the British Mmeum,ta.v. XXX, un. 1662-1663, 1672-1673), alquanto
più grandi dei siracusani. Il disco colla rosetta, il movimento dei giragli, la forma delle fioccaglie,
la figurina mediana tutta raccolta, non che la canestra conica finale, hanno tanta identità da far
pensare, più che a stile e gusto comuni, ad una comune officina. E siccome quelle pariglie vengono
dalla Cuma eolica, converrà ammettere una fabbrica orientale; né si esclude la possibilità di collo-
carla in Alessandria, od in una grande città dell'Asia anteriore, la quale sarebbe personificata nel
microscopico bustino.
SICILIA — 189 — SIRACUSA
gono aprendo nell'ex-predio Novantieri; né male mi apposi. Nel luglio 1914, apren-
dosi le fondazioni della casa di certo Caucinella, gli operai si imbatterono in una
filata di sepolcri, le cui coperte apparivano alla prof, media di 3 m. dal piano di
campagna. Nella più alta parte delle trincee si videro pavimenti ellenistici e romani
di «opus testaceum», segno che nel 1II-I sec. av. Cr. sorsero delle case là dove
prima si stendeva una necropoli, dimenticata ed obliterata. Le fosse sepolcrali, come
al Fusco, si aprono nella roccia; sono profonde e coperte da poderosi lastroni; sovente
hanno la loro controfossa superiore. Ho potuto curare la esplorazione sistematica di
7 di codesti sepolcri, tutti allineati e paralleli, in direzione E-O, meno uno N-S, ed
ho avuto i risultati soguenti :
1) Sepolcro infantile coperto; cranio a levante, presso il quale un boccaletto nero a
filetti rossi (corinzio o rodio), e due skyphoi corinzi, uno dei quali con frisa di animali.
2) Altro di fanciullo, coperto, con cranio a levante, presso il quale tazzina
corinzia.
3-5) Tutti di adulto, coperti, col cranio ad est, senza corredo.
6) Di fanciullo, scoperto, cranio ad est, senza oggetti.
7) Per adulto, coperto, cranio a levante.
Data la presenza di questi gruppi di sepolcri, non può cader dubbio che molti
altri non esistano in quei paraggi ; e di fatto un altro gruppo di una mezza dozzina
venne in luce nell'inverno 1915 in una cava di pietra aperta un po' a settentrione
dei primi. Ma, dovendo rivoltare il terreno ad una profondità media di m. 3, ne
risultava una spesa talmente ingente che, mio malgrado, ho dovuto rinnuciare alla
impresa. Nel suolo soprastante alle tombe, oltre che tracce di ceramiche tarde, ho
raccolto anche frammenti di kantharoi in bucchero, il che, assieme col poco raccolto
entro le tombe, basta a datare la necropoli per lo meno dal sec. VT.
Tuttociò dimostra che ben prima di Gelone I nuclei di gente greca abitavano
sulle pendici meridionali di Acradina e vi inumavano i loro morti; perciò la notizia,
discussa fra i topografi ('), va rettificata nel senso che Gelone 1 non fece che con-
secrare ufficialmente uno stato di cose che per eccesso di popolazione si veniva len-
tamente preparando da un secolo, e racchiuse con un muro militare l'Achradina, rac-
cordandola col sistema difensivo di Ortygia.
Bicordo, per ultimo, che in quel tratto del suolo della necropoli, che era stato
denudato per i lavori edilizi, ho visto a contatto della roccia una lunga filata di
bei massi disposti per il lungo, che non mi fu dato chiarire se formassero V oqo<;
della necropoli, come parmi probabile, o meno verosimilmente il muro di una casa
arcaica, non ammissibile nel sito stesso della necropoli.
Scoperte all'anfiteatro. Occorrendo alla Società per la costruzione della ferrovia
Siracusa-Vizzini alcune migliaia di metri cubi di terra, parve alla Soprintendenza dei
monumenti fosse questa una eccellente occasione per ottenere, senza spesa veruna, dei
risultati, che altrimenti avrebbero costato migliaia di lire. Fu perciò che si concesse
(') Schubring, Achradina, pp. 56 e segg. ; Holm-Cavallari, Topografia archeoì. di Siracusa,
pp. 180-181.
SIRACUSA — 190 — SICILIA
gratuitamente l'asportazione di quelle montagne di terra, accumulate alla estremità
meridionale dell'anfiteatro, che erano il materiale di risulta degli scavi colà eseguiti
circa un secolo addietro. Si calcola che l' Impresa Lacchio & Waligorski abbia aspor-
tato, nell'estate del 1914, intorno a m.3 6000 di materiale.
Il lavoro, sempre vigilato da un nostro operaio di fiducia, pagato esso pure dal-
l' Impresa, diede risultati insperati, che sono di doppio ordine :
a) Levati i più alti cumuli del materiale, cominciarono ad apparire delle
grandiose fabbriche di epoca greca, di cui nulla si sapeva, ed il cui carattere ancora
non si può definire. È tutto un sistema di poderosi muri a grandi conci, nei quali
è evidente l'opera di parziale distruzione, perpetrata dai Romani, costruttori dell'an-
fiteatro, nel duplice intento di fare spazio libero all' estremità meridionale del co-
struendo edificio, e di ricavare del materiale eccellente per la nuova opera. Le mura
grandiose, in parte costruite a gabbioni o ad emplecion, mi hanno lasciato molto
perplesso; ed a lungo ho meditato sulla loro indole, senza essere in grado di dare
ancora un giudizio definitivo. Mi seduce sempre il pensiero che qui si abbiano reli-
quie di vaste fortificazioni, che avrebbero chiuso questo tratto della città. Consta,
infatti, che uno dei problemi della topografia siracusana, rimasto insoluto, e che
ha sempre torturato gli studiosi, è quello di conoscere, se e quali fortificazioni nel
tempo postdinomenidico e dionigiano chiudessero il tratto, lungo parecchi km., dallo
sbocco di Ortygia alla Portella del Fusco. Nel quale non si era sin qui riconosciuta
traccia di opere militari, che non potevano mancare, e che devono essere state ra-
dicalmente distrutte, per trarne i massi belli e squadrati. Ulteriori indagini che mi
riservo di fare, rinettando e rilevando i ruderi, ed esaminando i testi storici, diranno
se io mi sia bene o male apposto.
b) Il secondo aspetto delle scoperte riguarda il materiale. Sotto gli scarichi
degli scavi eseguiti dal Landolina, che diremo moderni, ed erano archeologicamente
sterili, si adagiavano grandi banchi di età ellenistica, ricchissimi di contenuto. È dif-
ficile di riassumere in poche righe quanto essi racchiudevano; accanto a rifiuti di cucina
(ossa animali, frutta di mare) vi erano migliaia di relitti fittili. Predominano i ma-
nichi di anfore, ed erano centinaia, quasi tutti bollati ed in prevalenza rodii ; docu-
mento eloquente degli intensi commerci, ora totalmente spenti, fra Rodi e Siracusa.
Di ceramiche dipinte pochi campioni e tutti italioti. Si ricuperò una bella serie di
frammenti di coppe coralline o brune con « emblemata » in rilievo; esse apparten-
gono alla così detta « terra sigillata » e derivano da ancora controverse fabbriche
orientali. Molti esemplari delle note appendici di foculi fittili con teste barbute
(cfr. Jahrbuch, 1890, pp. 118 e sgg.). Numerosi vasetti a fiasco con scadente ver-
nice. Poche le terrecotte figurate nei tipi di Tanagra e Minna; ed un certo numero
di prue rostrate di piccole navicelle. Culatte di vasi vitrei, stili in osso e quisquilie
metalliche. Si direbbe che tutto ciò costituisca i rifiuti di emporio, ed anche di officine
ellenistiche; sono invece isolati due pezzi, non saprei come colà infiltratisi, cioè una
terracotta architettonica del VI sec. av. Cr., e la matrice di una lucerna cristiana
del V d. Cr. Tutto questo materiale è meritevole di un coordinamento e di uno
studio speciale.
Sicilia — Ì9l — Siracusa
Case ellenistiche e romane a S. Lucia. Nell'inverno 1912, lungo il viale Cap-
puccini ed in quello Buon Riposo e laterali, constatai, in punti diversi, modesti fab-
bricati greco-tardi, apparsi nelle fondazioni di nuove case. Un povero mosaico a di-
segno lineare bianco-nero venne distrutto. Ovunque, oltre a rare tracce di stucchi
modinati, si raccolsero terrecotte ellenistiche. La terra fertile di avanzi archeologici
scende da m. 2 a 5; ma, in complesso, questo quartiere della bassa Achradina non
rivela né sontuosità di forme, né ricchezza di contenuto, ed è incomparabilmente
inferiore a quanto hanno dato le case della Neapolis tarentina.
Nel marzo 1912, all'incontro delle vie Galtanissetta ed Impellizzeri, il signor
A. Tamajo denunziò la scoperta, nel cortile di una sua casetta, di ruderi antichi ; rico-
nobbi l'angolo di una casa, i cui muri non più alti di '/2 m., con avanzi di stucchi
e pittura a piccoli rombi, contornavano un pavimento di opus teslaceum, nel quale
era segnata, a piccoli tesselli bianchi, una fascia a meandro, racchiudente un campo
a rombi.
Questo frammento di pavimento spetta ad una casa romana, che si sviluppava
nel sottosuolo alla prof, di m. 2,60.
Casa romana entro la stazione. Nei mesi di gennaio e febbraio 1915 si è pro-
ceduto allo scavo sistematico di una vasta abitazione romana entro l'ambito della
stazione ferroviaria, di cui già da molti mesi erano venuti in luce i primi indizi, in
occasione dei grandi lavori per ampliare la rete dei binari. In quel sito esisteva, in
mezzo alla campagna, una elevazione di pochi metri, sorreggente una povera casa
rurale. Fin dallo inizio dei lavori, che per un anno tenni d'occhio, io avevo sospet-
tato che quel mammellone fosse artificiale ; il che venne esattamente chiarito, quando
si pose mano a distruggere la casa ed il cumulo, su cui sorgeva. Infatti, sotto di
esso si mise allo scoperto un edificio romano, e più precisamente due case attigue.
Per ora si è esplorato il più ed il meglio ; ma resta ancora da esplorare una lunga
striscia di suolo a nord, la quale operazione è stata rimandata, per mancanza di
fondi, ed altro tempo.
Frattanto annunzio che la parte scoperta della casa, la principale, era di una
certa sontuosità; molti dei vani erano tessellati a mosaici geometrici, i migliori dei
quali vennero, con forte spesa, staccati. Le pareti di taluni ambienti presentavano
intonachi a più ordini sovrapposti, il che denota lunga durata della casa e ripetuti
rifacimenti. Pare, altresì, che la casa fosse di origine ellenistica, ma completamente
rifatta dopo la deduzione in Siracusa della colonia augustea. Anzi risulterebbe che
due fossero le case, e contigue, in seguito unite; ed una conteneva anche una pic-
cola balina con suspensurae.
Per imprescindibili necessità ferroviarie si dovette sacrificare, ricoprendolo sotto
i nuovi binari, questo monumento, unico nel suo genere a Siracusa; ma se ne fece
un accuratissimo rilievo, da pubblicarsi ad esplorazione compiuta, di quanto resta
ancora da esumare.
Scavi al castello Eurialo. Dei vasti lavori eseguiti a più riprese all' Eurialo
è stato replicate volte parlato in Notizie (1904, pp. 284 sgg. ; 1906, pag. 390;
1912, pp. 299 sgg.); essi vengono proseguiti quando vi sieno residui disponibili sul
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 26
SIRACUSA — 192 — SICILIA
fondo scavi o monumenti. Così nell'estate 1911 si è precipuamente lavorato attorno
al bastione, che sporge a metà della cinta settentrionale del mastio, sopra il Tripylon.
Tale bastione constava di una torre rettangolare vuota, da un tramezzo divisa in
due ambienti, ai quali si accedeva per due nvXidtg, che immettevano a scale in
legno per salire ai piani superiori della torre, che doveva essere alquanto alta. Al pie
di questa torre si eresse posteriormente un terrazzo sorretto da muro; ma siccome il
dislivello fra la cresta della torre ed il piano del terrazzo risultava notevole, met-
tendo a repentaglio la statica della torre stessa, venne in seguito sopraelevata la
terrazza, mediante una colmata di breccia, che ostruì anche le due nidióeg. Così
furon dati al piede della torre un rincalzo ed un consolidamento sensibili.
In una ulteriore campagna dell'agosto 1912 si è messa a nudo la cortina che
univa il bastione, di cui sopra, coll'estremo triangolo orientale del mastio. E ne venne
fuori un avanzo di primo ordine, dianzi interamente sconosciuto. È un muro a doppio
paramento di grandi conci, con colmata di terra e brecciame noli' interno, spesso
m. 3,30, alto per 7-8 filari di massi, ed attraversato da una angusta postierla con
androne obliquo, che dava accesso a questo lato del castello; in tarda epoca essa
venne rimaneggiata ed in parte ostruita dai Bizantini e dagli Arabi. Di oggetti, come
sempre avviene negli scavi dell' Eurialo, si trovarono cose insignificanti : cioè rottami
di dolii e di anfore; una vaschetta ad angolo in pietra, rozzissima; ed il polpaccio (?)
di una figura maggiore del vero, in calcare, di lavoro estremamente rozzo. Con questa
scoperta viene risolto un altro punto controverso nella topografia dell'Eurialo : quello
cioè del modo con cui era sbarrata la depressione fra il bastione NE e la punta
orientale del castello. Che, prima del 1912, di questo muro non una sola pietra
emergeva dal suolo, sebbene la sua esistenza fosse giocoforza intuire per le necessità
topografiche e militari del luogo.
Artemision di Belvedere. A più riprese lungo gli anni 1912 e 1913 mi vennero
portate in Museo numerose terrecotte frammentizie provenienti dalla contrada Santuzza,
a mezzogiorno di Belvedere, villaggio che fa parte del comune di Siracusa. Convinto
trattarsi di una stipe sacra, nel luglio 1 913 condussi una breve campagna nel luogo
indicato. Potei così stabilire che quasi tutte le terrecotte provenivano da una favissa,
in forma di fossa nella nuda terra, di m. 3 X 4 circa di estensione, e per non più di
m. 0,70 in profondità. Per quante indagini si siano fatte nel terreno Santuzza e nei
circostanti al fine di rintracciare le reliquie di un piccolo santuario campestre, non
venni a capo di nulla. Ma sulla esistenza di un modesto Artemision rurale non può
cader dubbio, perchè le alcune centinaia di terrecotte frammentizie raccolte alludono
tutte al culto di Artemide e di Cora.
Fra di esse vi sono dei tipi rari ed altri al tutto nuovi, interessanti così dal
punto di vista dell'arte come della religione, i quali tutti richiedono una illustra-
zione dettagliata e largamente figurata, come quella che altra volta diedi del sin-
golare Artemision di Scala Greca, installato entro un grottone naturale {Notizie, 1900.
pp. 353-387).
Le terrecotte di Santuzza hanno una grande aria di famiglia con quelle di Scala
Greca. Vi sono copiosamente rappresentate le imaginette muliebri col porcellino e la
SICILIA — 193 — SIRACUSA
fiaccola, ma abbondano del paro quelle col cane e l'arco. Si ripete altresì il raro tipo
di Scala Greca coli' albero di palma (loc. cit., pag. 368). Oltre di ciò vi sono parti-
colari nuovi e persino qualche rappresentazione virile, d'ordinario molto rara. Le ter-
recotte di Santuzza abbracciano V intero sec. V, e sembrano alludere ad un doppio
culto di divinità agresti, quello di Demetra che in Sicilia fa capolino ovunque, e
quello di Artemide, con cui il primo talvolta s' intreccia, e che in Siracusa aveva la
principale sede di tutta l' isola (').
Scolture varie. Il quadriennio è stato singolarmente fecondo di opere plastiche,
di cui a Siracusa si lamentava tanta penuria. Qui si riferisce di esse brevemente; e,
per talune, in modo provvisorio.
A) Frammento di lastra marmorea in pario, ridotta alle dimensioni di
cm. 63 X 43 X 6 spessore, completa sul lato sinistro, frammentizia in tutti gli altri.
A rilievo molto pronunciato (cm. 5 alt.) vi è scolpita la figura di un giovinetto visto
quasi di pieno prospetto (fig. 8). Il corpo ha forme, piuttosto che carnose, adipose, e
in ogni modo, di adolescente, senza accentuazione di muscoli, e nemmeno dei grandi
pettorali, che d'ordinario vengono molto esagerati. Il ventre gonfio, come nei fanciulli,
è sbandato sul lato sinistro; l'ombelico è indicato da un cerchiello, ed il pene puerile
è senza pube. Mancano le spalle e la testa, ed al braccio destro verticale la mano, la
quale era di riporto, come si deterge da un piccolo foro per il perno metallico. Man-
cano altresì i piedi colla metà inferiore dei garetti ; e così il braccio sinistro, forse
teso e sostenente ftpamlg il mantello. È probabile che la testa di tre quarti o di
tutto profilo volgesse ad altra figura, occupante la metà destra della placca mar-
morea. È una scena di congedo funebre, se non vogliasi ammettere la sola figura
del giovanetto defunto, la quale non ostante il rendimento molle delle carni e della
musculatuia puerile, può ancora assegnarsi alla fine del sec V. Il marmo fu trovato
nell'agosto 1014 in contrada Taracati, e precisamente in un lotto di terre a N NO
dei Grotticelli, detto Zappala, dove si stendeva una vasta necropoli greca a fosse,
frugata da secoli, che ora lentamente si viene distruggendo dai picconieri per ricerca
di pietra.
Il gruppo Grotticelli- Zappala, per quanto insufficientemente conosciuto, attesa la
quasi radicale violazione di esso già nell'antichità, comprende pochi sepolcri del
secolo V, e più, del IV; e poi in prevalenza sepolcri posteriori alla conquista romana
(cfr. Notizie, 1897, pag. 490). Il pregevole marmo che qui si divulga appartiene alla
più antica fase di questa necropoli.
B) Tórso virile in marmo greco a grana media (pentelico ?), grande al vero,
che va dalla impostatura inferiore del collo al primo terzo superiore delle coscio,
misurando cm. 76 di altezza (fig. 9). Esso rappresenta un corpo giovanile vigoroso,
insistente sulla gamba sinistra, con una corrispondente lieve inflessione del torace su
questo lato. Manca il braccio destro, ed il sinistro verticale, con tenue piegatura al
gomito, punta il dorso della mano, in gran parte asportata, sull'anca. Una nebride
annodata sulla spalla è portata a bandoliera, ed essa scende con ampia falda aperta a
(*) Ciaceri, Culti e miti mila storia dell'antica Sicilia, pp. 173-174.
SIRACUSA.
— 194 —
SICILIA
coprire la coscia ed il fianco sinistro ; davanti, verso l' inguine, penzola la testa del
cerbiatto, le cui zampe scendono davanti e dietro la spalla sinistra. La fattura vigorosa
non è scevra di difetti nel braccio sinistro quasi geometrico, nell'esagerato risalto del
Fio. 8.
deltoide, nel modellato e nella distribuzione dei muscoli dorsali. E poiché il rovescio
della rigura è più trascurato del diritto, ne arguisco si tratti di una statua decora-
tiva, rappresentante un satiro in riposo (mancano però gli elementi caudali) di un
noto tipo prassi telico ('), un pò rielaborato ma con anatomia alquanto accentuata.
(') Cfr. l'esemplare capitolino apud Perrot, Praacittles, flg, 11, pp. 47 sgg.
SICILIA
— 195 —
SIRACUSA
C) Assieme col tórso fu rinvenuta la testa satiresca in marmo dello atesso
genere, ed alta cui. 19, che vedesi nell'annessa fig. 10. Disgraziatamente essa è
Fig 9.
molto lesionata, mancando il volto superiore dal naso in poi. Ma il viso colle gote
prominenti, il mento quadro, i due barbigli pendenti dal collo e le ciocche crespe
dell'occipite, bastano a denotare il carattere della testa, la cui calotta craniale era
riportata, come si vede dal piano scalpellato e dal foro per il perno. Sebbene la testa
SIRACUSA
196
SICILIA
non attacchi direttamente col tórso, le probabilità maggiori stanno a favore della sna
unità colla statua.
I due pezzi si rinvennero a ra. 2 prof, in un terreno antico ma senza ruderi,
facendosi nell'agosto 1912 le fondazioni di una casetta lungo il margine destro della
rotabile per Catania, poco prima del diverticolo che conduce al Teatro greco, in
località detta S. Bono, nell'area dell'antica Neapolis.
Fio. 10.
D) Sottile lastra marmorea trapezia (era. 74 X 62), spezzata su tutti i lati
meno che sul sinistro, e rotta in quattro pezzi che però legano esattamente. Vi è rap*
presentato a mezzo rilievo un giovane nudo di prospetto, acefalo (sulle spalle sono
superstiti le estremità di due lunghe chiome), e privo delle gambe dalle ginocchia
in poi. La clamide buttata sul dorso lascia scoperta tutta la parte anteriore della
figura, ed è rissata alla spalla destra mediante un bottone ; un partito di essa viene
sorretto dall'avambraccio sinistro piegato. La mano sinistra serra un piccolo rotolo
(volumea ?), mentre il braccio destro, proteso obliquamente ed abbassato, tiene un fron-
zuto ramo di lauro colla estremità volta a terra. Discreto lavoro ellenistico in marmo
SICILIA
— 19? —
SIRACUSA
grechetto. Dalle fondazioni della casa Lamonica-Mareschi al fondo presso la stazione,
nell'area dell'antica Agorà (agosto 1912; fig. 11).
E) Nello stesso punto del precedente rilievo si trovò anche il frammento di
lastra marmorea (cm. 57 X 33) esibito a fig. 12, rotta in tutti i sensi, ma che
nella parte superstite presenta a mezzo rilievo una figura giovanile, che è quasi una
replica della precedente, se non che vi manca una maggiore porzione delle spalle ed
un pò meno delle gambe.
Fio. 11.
Nessuno porrà in dubbio lo strettissimo nesso fra i due rilievi, i quali dovevano
formare una rappresentazione unica, forse un fregio di carattere ieratico piuttosto che
funebre. Ma di questo dirò più diffusamente altrove. Per ora osservo soltanto che.
per quanto la scoltura appartenga a tempi progrediti, è ancora inspirata a modelli
di assai buona età greca; cfr. ad es. la stele con figura efebica del Museo di Pa-
lermo, edita in Journal hell. stud., 1891, pag. 47.
Scolture rinvenute alla stazione. Durante i grandi lavori di ampliamento ai
binarii della stazione ferroviaria di Siracusa oltre la scoperta di una casa romana,
avvenuta nella parte orientale, della quale dico brevemente a pag. 191, si ebbero
SIRACUSA
— 198
SICILIA
talune notevoli scoperte di marmi nell'opposto lato occidentale, e precisamente dove
gli ultimi binari si raccordano per prendere la direzione di Noto. Quivi, per l'im-
pianto e la livellazione dei nuovi binari, non solo si è fatto un ampio sbancamento
di suolo, ma si è ancora scesi a notevole profondità in un terreno eminentemente
acquitrinoso. Sul margine meridionale di questo sbocco ferroviario venne fuori, nello
Fio. 12.
strato superiore, l'avanzo di una costruzione a massi legati da cemento, che parvenu
tarda e senza particolare interesse.
Invece, dall'opposto lato di settentrione, adagiata orizzontalmente sul suolo ver-
gine argilloso, quanto a dire alla profondità di m. 3 '/t. si rinvenne nel dicem-
bre 1914 la statuetta arcaica in marmo pario ('), alt. cm. 69, di cui qui porgo la
imagine e la descrizione. Essa è acefala, e rappresenta una donna vestita di un
(') A me il marmo parve assolutamente pario. Ma il collega Ant. Taramelli, le cui conoscenze
petrografiche sono di gran lunga superiori alle mie, dichiara in modo esplicito trattarsi di marmo
di Nains. Lasciando a lui la responsabilità di questa determinazione, richiamo alle conseguenze
che ne verrebbero, se essa fosse esatta. Cfr. B. Sauer, Altnaxische Marmorkunst, in Athen. Mitteil.,
1892, pp. 37 e sgg.
SICILIA — ì§9 — SlftACDSA.
chitone talare, che, cadendo ad ampio rimbocco, assume la forma della pianeta sa-
cerdotale cristiana; sotto cui risaltano le irte e spaziate poppe. Sovrapposto a questo
Fio. 13.
capo del vestiario vedesi l'himation. avvolto a sciarpa attorno le spalle, e discen-
dente lungo il petto in due masse pieghettate e desinenti a coda di rondine. Anche
il chitone, teso fra le gambe divaricate, è intessuto di lievi trame ondulate. Il gesto
Notizi* Scavi 1915 — Voi. XII. 27
SIRACUSA — 200 — SICILIA
e la mossa della figura son quali appaiono in numerose statue arcaiche. In piena fron-
talità il torace, lieremente obliquata la testa, come si desume dalla frattura del
collo, ed in corrispondenza alla mossa della figura, che incedeva sulla sua sinistra.
Manca l'avambraccio sinistro, che era di riporto, innestato al gomito in un cavo a
calotta, ancora superstite; l'avambraccio destro invece sporge nudo e lievemente in-
clinato sul petto, ma è privo della mano, la quale forse reggeva un oggetto ma non
impugnava le falde della veste. Delle gambe molto aperte e divaricate, in mossa
veloce a sinistra, la destra, puntata al suolo, è resa di pieno prospetto; e così il
piede relativo, che calza una suola sottile ed è modellato con cura e verità anato-
mica. Piede e gamba sinistra sono invece in profilo, e del primo è superstite solo il
tallone.
La figura è sorretta da un piccolo plinto, rotto lateralmente, e, a quanto pare,
scalpellato anche in fronte. Il rovescio di essa, lavorato in modo al tutto sommario,
lascia appena intravedere la prominenza dei glutei.
In complesso questa statua nel suo costume dorico, che maschera e grava sulle
forme anatomiche, ricorda da vicino talune statue dell'Acropoli ; colla differenza, però,
che alla loro piena frontalità è qui sostituita una forte movimentazione a sinistra,
resa colle imperfezioni proprie all'arte del sec. VI. Va altresì notato come il corpo
non sia perfettamente appiombato, ma sensibilmente inclinato in avanti
Intendendo dare in altra sede una adeguata illustrazione di questo monumento,
non mi dilungo nel consueto scambio di comparazioni con altre opere d'arte affini
per stile e soggetto; mi limito a ricordare come l' Artemia Laphria di Calidone fosse
analoga nello schema, ma meno arcaica della nostra statua.
A pochi metri dalla statua fu rinvenuta anche la testa elmata, nello stesso
marmo, alta cm. 20, esibita alla fig. 14. Completamente imberbe e coperta di elmo
aulopida, nella cui cresta tre fori a trapano erano destinati ai pernii metallici
che sorreggevano i pennacchietti, non si esiterebbe a tutta prima a riferirla alla
statua, per concordanza di materia, di stile, di proporzioni. Ma le due sezioni del
collo non si accordano, e converrebbe supporre sia saltata una porzione intermedia del
collo stesso. Anche l'ibridismo delle fattezze arcaiche lascia àdito al dubbio se si
tratti di uomo o, non piuttosto, di donna; vero è che la chioma tagliata cortissima
sull' occipite starebbe per un maschio, ma questo non è ancora argomento decisivo. Ad
un maschio, cioè ad un guerriero, apparteneva certamente una coscia nuda, col gi-
nocchio piegato e coperto del principio di un gambale; anche questa dello stesso
marmo, della stessa fattura arcaica.
Ad ogni modo, e quando anche la testa appartenesse ad una seconda statua, si
deve riconoscere unità di età e di stile colla prima. E poiché io propendo a vedere
in quella la figura frontonale di un piccolo edificio, non è chi non veda l' importanza
cui assurgono queste tre scolture, anche per il fatto che delle condizioni della statuaria
a Siracusa nel sec. VI, nulla sappiamo. Ma di ciò, e dell'edificio cui potevano rife-
rirsi, mi riserbo di dire più diffusamente altrove. A conferma del mio sospetto, che
qui esistesse un piccolo santuario arcaico, è venuta nel giugno 1915 una nuova inat-
tesa scoperta.
SICILIA
— 201 —
SIRACUSA
Proseguendosi all'estremità occidentale della stazione lo sbancamento delle terre
per ampliare il campo dei binari, gli operai s' imbatterono in un grande deposito di
terrecotte ieratiche frammentate, tutte arcaiche, di cui si esplorò appena una piccola
parte, traendone alcune centinaia di terrecotte frammentate ; erano una cinquanntina
ii mascherette con foro di sospensione (tipo Orsi - Cavallari, Megara Hyblaea,
Fra. 14.
tav. IX, figg. 13-15); molte figure mul. sedute (come op. eii, col. 178); una cin-
quantina di teste a niodio alto e medio riferibili a statuette tipo precedente (op. cit.,
tav. VII, figg. 8-13); una trentina di altre testoline arcaiche o severe, tre pissidi
a saliera, e qualche scodellino ansato, e molti rottami di figure. Tutto ciò deriva
evidentemente da una stipe sacra, trovata a grande profondità (m. 2-3), ed in circa
al livello della statua marmorea.
Scoperta di fittili singolarissimi nel porto grande. Nell'autunno del 1913, fa-
cendosi dei dragaggi nel porto grande per la fondazione delle colossali nuove bulichine
a S. Antonio, la direzione del Genio Civile richiamò la mia attenzione sopra taluni
strani piccoli fittili, estratti colla draga dal fondo melmoso. A parte il framm. delle
SIRACUSA
— 202 —
SICILIA
spalle di un'anfora a lievi cordonature, decorata in bruno di due ordini di denti
di lupo, la quale potrebbe anche essere molto arcaica, si tratta di una ventina di
vasetti a fuso, in parte spezzati ; essi portano, sul ventre, delle strane marche mono-
grammatiche impresse, delle quali mai mi era accaduto di trovare, nel mio quasi
trentenne soggiorno in Sicilia, un solo riscontro.
Il disegno che allego iìg. 15 porge la forma, di
uno dei vasetti, la cui altezza negli esemplari
completi oscilla intorno ai cm. 19-20. Al primo
disegno aggiungo una serie di tutte le piccole
marche, circolari e quadrate, che sono chiare;
rinunzio però a qualsiasi tentativo di lettura.
Ma, oltre delle marche letterali, ve ne sono due
figurali, una con una quadriga in fronte, l'altra
con una nitida e delicata rappresentazione di
leone, la quale pare ottenuta coli' impressione di
una gemma o di un anello metallico signatorio.
Le piccole marche mi parvero a tutta prima
bizantine; ma la forma dei vasi è piuttosto elle-
nistica, ed in tale assegnazione cronologica mi
induce anche lo stile delle due figurazioni e, sopra
tutto, dell'ultima. Tutti codesti vasetti conten-
gono, nell'interno, della pece rappresa; e per
quanto io mi sia torturato il cervello per trovare
una spiegazione di questo loro contenuto, non mi è riuscito di trovarne una soddi-
sfacente.
Fislule acquane scritte, da S. Lucia. 11 sobborgo di tal nome si stende sul-
l'area dell' Achradina meridionale; ed i vastissimi lavori edilizi colà eseguiti negli
ultimi anni rivelarono sovente cose antiche, ma non di quella entità che avrei attesa
da un suolo storico ove ogni metro quadrato racchiude detriti della vita soprattutto
ellenistica e romana.
Nel dicembre 1914, facendosi i cavi di una della tante case che colà vengono
quotidianamente a levarsi, si scoprirono 5 pezzi di condottura plumbea, che furono
ben tosto assicurati al Museo. Sono tubi a luce ogivale (asse interno mm. 71); ma
due sono accompagnati da una iscrizione in rilievo, le cui forme grafiche sono rese
fedelmente dalla unita fototipia.
Fio, 15.
0 SM«IL¥M
Fra. 6.
È opportuno di avvertire che la forinola R(es)p(ublica) Syracusanorum, secondo
l'autorevolissimo giudizio del Mommsen (C. I. L., X, pag. 1155) « non populum si-
gnificai, sed populi patrimonium » ,
SICILIA 208 — SIRACUSA
Fistule plumbee erano state in passato trovate a Siracusa; e due ne possiede il
Museo, ma anepigrafi. Le lettere, molto buone, delle nuove fistule, possono risalire
anche all'età augustea, od a poco dopo, quando per la deduzione della nuova colonia
si sentì il bisogno di ripristinare qualcuno dogli antichi acquedotti, traendone delle
diramazioni secondarie in piombo.
Il Fazello, citato dallo Schubring ('), ricorda come, verso il 1552, nell'istmo che
unisce Ortygia col suburbio si fossero trovate delle condotture plumbee colla scritta :
TI CL ■ CAES • AVG ■ GERM ■
Questa iscrizione non è stata registrata dagli editori del C. I. L., X, o perchè loro
sfuggita, o perchè, smarriti gli originali, non si volle prestar fede al Fazello. Ma
poiché egli è invece degnissimo di fede, questo titolo dovrà a suo tempo venir inserito
nei supplementi al C. I. L., X. Lo stesso Fazello ricorda lunghe condotture plumbee, che
ai suoi tempi si scoprirono fino a S. Maria della misericordia, corrispondente appunto
al quartiere odierno di S. Lucia. Probabilmente trattasi delle stesse, ora riapparse;
le cui iscrizioni cronologicamente non sono molto discoste da quella copiata dal Fazello.
Piccole scoperte epigrafiche. Nell'autunno 1911, nel fondo denominato Merica,
al bivio delle rotabili Belvedere-Floridia, venne trovata una stele funebre in forma
di rozza colonnina in calcare, grossolanamente martellata (alt. cm. 69; diam. cm. 33),
la quale porta sul fronte il seguente titoletto, a lettere assai trascurate:
<d I A o I E N E
XPHCTEXAIPE
Il proprietario del fondo, cav. Eust. Ortisi, la ha cortesemente donata al Museo.
Giova ricordare che il predio Melica trovasi a pochi passi da quello in vocabolo Cana-
licchio, di cui parlo a pag. 185.
Dai lavori di sterro e ripulimento degli ambulacri e della precinzione superiore
dell'anfiteatro, eseguiti nel settembre 1912, è venuta fuori una lapidetta marmorea
di cm. 22 X 17, sulla quale a lettere misere, e che non potrebbero essere peggiori,
è tracciato il seguente epitaffio di tardissima età:
£ I A N A P I C
e b i M c e n
ETH^HNCC m
TE PH C
Esso appartiene a qualche installazione sepolcrale, forse cristiana, collocata
dentro le gallerie del diruto ed abbandonato edifìcio.
Epigrafe cristiana di Anastasio. La tavoletta marmorea di cm. 28.5 X 25, ri-
prodotta alla fig. 17, è stata rinvenuta nell'autunno del 1914 nelle terre a levante
della stazione ferroviaria, subito dopo il passaggio a livello, in proprietà già del dottor
(') Die Beuàsserung von Syrakus, in Philologus, XXII (1865), pag. 609,
SIRACUSA
— 204
SICILIA
Mauceri. E poiché essa è di cai-attere nettamente funebre, è verosimile derivi da
qualche sepolcro a « formae » colà esistente, mentre non vedo la probabilità che essa
provenga, per spostamento, dalle non discoste catacombe di S. Giovanni; anche per
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Fio. 17.
ciò, che il suo formulario di redazione, alquanto strano, si discosta da quelli consueti
nella epigrafìa cemeteriale siracusana, e merita perciò qualche breve commento.
In n{omine) D(pmi)ni J(e)h(su) .
Chr(ist)i Hoc <est>
Sepulc
rum Anastas
i[f\ Trapezitae
-f- G(hristus). M{ichael). G{abriel) -J-
11 breve titolo si apre e si chiude con una invocazione alla divinità ed agli ar-
cangeli; non infrequente la prima, sebbene in forme diverse e svariate (')> è assai
più rara la seconda, della quale possedevamo sin qui un solo esempio a Siracusa
(Strazz., n. 13). Questa forinola di origine siriaca, come fu ampiamente dimostrato
(') Strazzulla Vinc, Jnscript. christianorum in Syrac. catac. rep. corpusculwn, pag. 43,
SICILIA — 205 — SIRACUSA
dal De Rossi e da altri dopo di lui (l), allude forse alla origine orientale del defunto,
il quale si valeva di forinole in uso nel suo paese di nascita. Che nei primi secoli
cristiani vi fosse molto elemento orientale in Siracusa, soprattutto nel ceto mercan-
tile, è del pari attestato dalla epigrafìa cemeteriale, la quale o implicitamente o
esplicitamente ricorda persone di origine siria (2). E mercatore era appunto il nostro
Anastasio, il cui nome, non ostante la veste latina, è greco; egli si dichiara trapezila,
vale a dire argentiere, ma al contempo cambiavalute e banchiere. Attesa la forma
dei caratteri e la redazione latina, parmi che questo curioso titoletto debba risalire ai
tempi gotici, dei quali la mèsse epigrafica è molto scarsa (3). Circa la presunta origine
orientale di An., si richiami per analogia l'eloquente titolo palermitano di « Petrus
alexandrinus negotias linatarius » (C. /. Z., X, n. 7330).
Piccole catacombe di sètte nella regione S. Lucia- Cappuccini. È noto come
la falda rocciosa lentamente saliente dal Porto piccolo fino ai Cappuccini, comune-
mente detta Pietralonga, nell'estrema decadenza romana fosse divenuta la regione
cemeteriale delle comunità cristiane dissidenti e di quelle ebraiche; mentre le grandi
comunità, diremo così, ortodosse, aprivano i loro vasti cimiteri più ad occidente, a
S. Maria di Gesù, nella vigna ex-Cassia ed a S. Giovanni. Ho già fatto conoscere
in diverse occasioni una quautità di questi piccoli cimiteri secondari (■•).
Ma nell'ultimo quadriennio il loro numero si è notevolmente accresciuto, per il
progredire dei lavori edilizi in quella plaga, e le Soprintendenze agli scavi e monumenti
hanno sempre provveduto alla loro sistematica esplorazione, al rilievo, e, nei limiti
del possibile, anche alla loro conservazione. Di tali scoperte si riferisce qui in modo
molto sommario, perchè la pubblicazione definitiva delle varie centinaia di lucerne
scoperte, ancorché limitata ai tipi principali, richiede un lavoro lunghissimo di di-
segno e di fotografia.
A) Catacombe Belloni. La principale di esse fu scavata nel luglio 1912
sotto la villa del capitano Belloni, sul ciglione a mare; essa consta di un grande
ambiente rettangolare, a cui si accedeva da levante, con loculi nelle pareti e
14 fosse nel suolo. A tutta prima parve trattarsi non di un ipogeo cristiano, ma
pagano, perchè vi erano, oltre delle consuete deposizioni in loculi ed in grandi fosse
terragne, anche deposizioni di bambini in cassette fittili, ed èyivtQ/ut\iot di adulti
entro anfore, il quale costume, tutto pagano, non si era mai riconosciuto nei
grandi cimiteri cristiani di Siracusa. Ma poi, esaminate le 176 lucerne intere e le
poche frammentate colà raccolte, si ebbe la più strana miscela di tipi, figurazioni e
simboli: 7 hanno il monogramma cristiano, 2 la croce periata, 1 il pesce, simboli
tutti di non dubbia cristianità. Però accanto a molte altre figurazioni, che chiame-
remo di carattere indifferente, se ne ebbero persino 2 col candelabro eptaliclino ed
ed una con simplegma osceno. Dopo di che, non può cader dubbio sul carattere di
(') Bull. arch. crist., 1870, pp. 22-25.
(•) Strazzulla, op. laud., no. 216, 245, 308, 320.
(*) Porcellini - De Vit, Lexikon tot. lat. s. v.
(«) Roemische Quarlahchrift, 1897, pp. 475 e segg. ; 1900, pp. 187 segg.; Notule, 1909,
pag. 955 e segg.
SIRACUSA — 206 — SICILIA
promiscuità e di sincretismo di questo e di tutti gli ipogei della regione, sul quale
ho avuto occasione di insistere tante volte. In prossimità di questa catacomba, e
sempre nel predio Belloni, ne vennero riconosciute altre due, violate da molto tempo ed
adibite a ripostigli ; ad ogni buon conto, si presero anche di esse rilevamenti ed appunti.
B) Catac. Troja-Salazzo. 11 podere omonimo contiene molti ipogei, in
parte da me esplorati ed illustrati in RQ., 1900, pp. 187 segg., uno dei quali risultò
essere indubbiamente ebraico. Nel novembre 1912 se ne esplorò un altro in forma di T,
con 3 lunghi arcosolii polisomi, che cadono sopra un piccolo atrio centrale quadrato.
Le grandi fosse di detti arcosolii, in numero di 21, racchiudevauo cadaveri rimaneg-
giati. Delle poche lucerne raccolte, una sola aveva una croce equilatera a treccia; le
altre, elementi ornamentali indifferenti. Si ricuperò anche una lastra in calcare
(cm. 44X29) col titolo:
ORTHRIS/ PIA / SAL\£
EPITEYXIS
P I foro A N (sic)
C) Catac. Mance ri, esplorata nel marzo 1913. Sopra un ampio corridoio
centrale, diviso da gradinata in due ripiani, cadono 6 arcosolì polisomi, i quali furono
tutti negativi, essendo stato l'ipogeo radicalmente saccheggiato nei secoli andati.
D) Ipogeo Vallone-Fortuna, esplorato nel novembre 1913. Sono due
grandiosi stanzoni contigui, con corridoio di accesso a levante, i quali sembra avessero
comunicazione con altre camere, tutte interrate, che non si esplorarono per evitare lesioni
a costruzioni soprastanti, e per eccesso di spesa. Nel camerone di ponente il suolo
è senza fosse; invece si hanno, nelle pareti, 2-3 ordini di loculi. In quello di levante
si aprono 4 grandi fosse e 3 minori, adibite a carnai od ossuarii tumultuari; costu-
manza questa, che non rammento di avere mai riconosciuta nei grandi cemeteri ge-
nuinamente cristiani. Aggiungasi che in taluni loculi ho personalmente constatato
casi di cremazione. Non cade quindi alcun dubbio sul carattere pagano dell'ipogeo,
che non può chiamarsi catacomba. Delle 21 lucerne raccolte, alcune sono pagane,
altre indifferenti, nessuna specificamente cristiana, non potendosi ritenere tale, anche
per la forma circolare e per la fabbrica, una col delfino attraversante una prua di
nave. Cotesto ipogeo, da assegnarsi intorno al III ed agli inizi del IV sec. di Cr.,
è istruttivo, in quanto ci mostra la forma dalla quale si svolgevano gli ipogei di
età cristiana, in mezzo ai quali viene topograficamente a cadere.
E) Catacombe Russo. Sono 4 pìccole catacombe, esaminate nell'aprile 1914,
vicinissime l'una all'altra, ma autonome, con aperture a levante, scavate sull'orlo della
balza, che precipita a mare, dal quale erano in origine più discoste. Di esse, 3 hanno
la consueta forma a T, ed una più spaziosa a croce con arcosolì plurisomi. Le 3 mi-
nori erano state ripulite, in passato, di ogni loro contenuto, e però non diedero né
ossa ne lucerne. La IV invece ci procurò una quarantina di lucerne, tre delle quali col
monogramma cristiano.
F) Catacomba Trigilia, studiata e scavata nel marzo 1912. Al centro di
una cameretta quadrata emerge un grande sarcofago ricavato dalla roccia. Sul piccolo
SÌC1LIA — 20? — SIRACÓSÀ
corridoio, con ingresso a scaletta verso levante, cadono normalmente 4 piccoli arcosoli
con 10 grandi fosse. Le lucerne raccolte dentro i sarcofagi violati o fuori, in numero
di 65, ripetono forme ormai notissime degli ipogei di questa plaga. Una sola ha il
monogramma q- ; molte sono di carattere ibrido, alcune col rosario ed una persino
col candelabro eptalichno, che male si concilia con la croce di Cristo. Ritorniamo
quindi al carattere sincretitico, tante volte rilevato. Il sepolcro n. 31, sul basso petto
di uno dei 2 scheletri conservò un peculio di 31 monetine in bronzo di piccolo modulo.
Non ostante la grande ossidazione, mi sembra doverle assegnare ai tempi di Costantino
e successori, per modo che la catacomba cadrebbe intorno al 350 d. Cristo.
Q) Catacomba maggiore Bonaiuto. È una delle più belle e caratteri-
stiche dell' intero gruppo. Mercè accordi col proprietario, il cav. maggiore Seb. Bonaiuto,
che favorì nel modo più liberale lo scavo (autunno 1914), e donò al Museo tutta la
sua quota di oggetti, si è provveduto alla decorosa conservazione e sistemazione del
monumento, mercè una comoda scala di accesso; è anche in progetto una piccola
installazione elettrica. Esaminando attentamente la pianta, appare non improbabile
che la catacomba risulti dalla unione di due corpi, in origine distinti e poi collegati
mediante un lungo corridoio, da levante a ponente, sul quale cadono molti arcosoli
polisomi. Le fosse, intorno ad una settantina, erano state frugate in passato, per la
ricerca di immaginari tesori. Vennero fortunatamente abbandonate tutte le lucerne,
in numero di parecchie centinaia.
Con questo corpo principale è in immediata comunicazione un altro corpo minore,
di forma analoga, contenente 23 sarcofaghi e 2 loculi. Alla mancanza di titoli, che
sempre si lamenta in queste piccole catacombe, supplisce, in qualche modo, la copia
straordinaria di lucerne; 191 vennero registrate in inventario, ed alcune altre cen-
tinaia erano logore. È una ricca serie, che colle svariate forme e figurazioni getta
una vivida luce su questi misteriosi cemeteri. Quanto a fabbriche, sono rappresentate
tutte le industrie siracusane, siciliane ed esotiche, con bellissimi campioni di quelle
africane. Di decorazione e di simboli vi è tale ricchezza che è difficile condensare
in poche righe; ed anche qui l'analisi dettagliata ci pone sottocchio quella miscela
di elementi che tradisce il carattere sincretistico del cernetelo. Non mancano i mo-
nogrammi decussati e cruciformi, e le croci (27 esemplari) ; accanto ai quali non so
come conciliare la presenza di due lucerne col candelabro giudaico. Scarse le rap-
presentazioni umane; più numerose quelle con animali simbolici e reali (delfino, irco,
cane, cavallo, lepre, leone, volpe, oca, civetta); copiosissime quelle a decorazione
geometrica. Attesa la estrema rarità del soggetto, riproduco qui un grande esemplare
africano, lungo cm. 14, disgraziatamente molto scorticato. Nello scudo, sopra un fondo
circolare, simile ad una grande aureola, campeggia la figura del Redentore ('), nim-
(') Il soggetto di questa lucerna si accosta a quello di un esemplare del Museo delle Terme
in Roma, edito dal Venturi, Storia dell'arte italiana, voi. I, pag. 472, che sia qui rappresentata
l'ascensione è molto probabile; a proposito di che si consulti il recentissimo ed opportuno articolo
di E. T. Dewald, Iconography of the ascension (in American Journal of archaeology 1915,
pag. 277 e segg.), dal quale si apprende come la composizione, alquanto semplificata, della nostra
lucerna, risponda a tipi orientali.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 28
SIRACUSA
— 208 —
SICILIA
bato, vestito di tunica, con scettro a croce nella sinistra ed un soggetto non chiaro
(volumen?) nella destra protesa. Ai suoi piedi sono prostrati due angeli adoranti
di sotto, due personaggi in corta tunica, di cui uno accenna colla destra alla figura
Fio. 18,
soprastante (gli apostoli?). Questo raro pezzo merita una speciale e diffusa illustra-
zione esegetica.
Di bronzi si ebbe soltanto una cucchiaia, che panni una « trulla » per manipolare
il cemento dei loculi, e che in ogni caso è oggetto cemeteriale di estrema rarità.
SICILIA — 209 — STBNTINELLO
II. STENTINELLO (comune di Siracusa). — Villaggio preistorico. Nelle
Notizie, 1912, pp. 356-357, ho riferito dei risultati ottenuti dagli scavi in questo
singolare villaggio neolitico, posto in riva al mare. Esso era cinto di un grande fosso
di forma elittica, scavato nella roccia. Ma colla campagna del 1910 si era esplorata
soltanto una piccola porzione di tale fosso; ed io mi ero proposto di procedere, con
grandi trincee saltuarie ma contigue, alla graduale esplorazione di tutto quel vallo
perimetrale, non che a tasti abbastanza estesi nell'area interna da esso racchiusa.
Metà di tale lavoro venne eseguito nel gennaio-marzo 1912. Si constatò che
larghezza e profondità del fosso erano molto oscillanti a seconda della resistenza del
banco roccioso che si doveva attraversare; abbiamo in fatto avuto, a seconda dei
punti, i massimi, i minimi ed il medio che qui indico: largh. m. 3.30 X 3.10 prof.;
largh. 1.55X2.70 prof.; largh. 2.20 X 1.10 prof. In seguito a questo nuovo scavo
mi sono altresì formata la convinzione che sul ciglio interno il fosso fosse coronato
di un muro rincalzato da un aggere in terra e cavaticcio. Mediante 23 grandi trincee
si esplorò tutta la metà orientale del vallo, fino alla strada provinciale che taglia
circa a metà il villaggio da nord a sud. In una prossima campagna resta da esplo-
rare, collo stesso metodo, la metà occidentale, fra la rotabile e la ferrovia.
In questo grande movimento di terre si ricuperò ancora una volta una ingente
quantità di materiale ceramico « à pointillé », il quale in complesso non presenta
novità; in mezzo alle centinaia di frammenti di ceramica grigia impressa, uno solo
era a stralucido rosso. Oltre di ciò, si ebbero copiose ossa animali, rifiuto dei pasti ;
e, commiste ad esse, enormi patelle marine, vertebre di grandi pesci e grosse lumache
terrestri. Si è notato che la maggiore quantità delle ossa e dei cocci stava sul fondo
del fosso, il quale, oltre che come linea di difesa, serviva come immondezzaio di tutti
i rifiuti.
Ho poi condotto delle grandi trincee nell'area interna del villaggio, ma senza
conseguire risultati apprezzabili, perchè, essendo stato asportato dalle acque il banco
di terra, in origine certamente assai più elevato (oggi è di appena un palmo), che rac-
chiudeva i fondi di capanne, con esso scomparve anche ogni traccia delle abitazioni.
Tuttavia pervenni a riconoscere un tratto di strada rozzamente selciata, larga m. 2.80,
la quale, dopo un certo percorso, si allargava a m. 8-9, prendendo quasi il carattere
di piazza. Si ricorderà, a questo proposito, che il compianto sen. Mosso asserì di aver
trovato un piazzale nel villaggio siculo di Cannatello presso Girgenti ('). Qua e là
si esumarono brevissimi tratti di muri rettilinei, che potrebbero forse essere avanzi
di capanne; ma in complesso mancano di queste le orme sicure e complete, causa
l'assenza di un profondo strato di terra. E cosi manca ogni indizio della necropoli,
per quanto disperatamente essa sia stata da me cercata in tutti i sensi.
(') Ang. Mosso, Villaggi preiHor. di Caldare e Cannatello presso Girgenti (in Monum. ant.
Lincei, toI. XVIII, pp. 64 segg.).
PALAZZOLO
— 210
SICILIA
III. PALAZZOLO Acreide (Akraé) — Scoperta di vaso greco. Nel gen-
naio 1912, in contrada Fùrmica, molto discosta da Palazzolo Acr., nella valle del Tel-
laro, in occasione di lavori agricoli si trovò una pelike a tig. rosse, alta cm. 38, la
quale era piena di ossa cremate, e fu assicurata al Museo.
Fio. 19.
Se ne vegga la imagine qui accanto.
In A) è dipinta una scena amorosa : una donzella, in chitone dorico con cingolo,
si rimira in uno specchio, che riproduce le sue fattezze ('). Ai lati, due giovani ignudi
riguardano, pieni di desiderio, la fanciulla.
(') La pittura vascolare ha qualche rara volta cercato di rendere il fenomeno della riprodu-
zione dell' imagine, o del volto, nello specchio. Vedi Beinach, Répertoire d. vates I, pp.^842 e 411.
SICILIA
211 —
PALAZZOLO
B) Garzone, avvolto in clamide trasparente, si puntella sopra un bastone, ed è
affiancato da due giovani avvolti in mantelli. Sotto il piede è dipinta in rosso chiaro
la sigla l-P. Il vaso, di stile rosso progredito (primi inizi sec. IV), oltre che per la rarità
del soggetto, collo specchio riflettente la imagine, ha anche una certa importanza
topografica. Fumica dista di poco dal feudo di Castelluccio, nel cui territorio venne
Fio. 20.
un trentennio addietro scoperta la grandiosa biocca corinzia, da me edita, in via al
tutto provvisoria, in Notizie 1891, pag. B53. Un caso analogo ci vien dato dal superbo
cratere di Bimisca, ma il fenomeno si ripete su più larga scala colle piccole ma,
talvolta, assai ricche necropoli della campagna gelese a levante della città, pertinenti,
più che a villaggi, a grosse e grasse fattorie (l). Non altrimenti panni s'abbia da
spiegare la presenza di questi vasi greci in terreni molto discosti dal centro di Akrae.
(') Orsi, Gela, coli. 731 e sgg.
NOTO, MODICA — 212 — SICILIA
IV. NOTO — Scoperta di grande vaso greco in contrada Bimisca. Nel
gennaio 1915 il cav. Pr. Paolo Giunta, proprietario di un terreno in contrada Bimisca,
a circa metà via fra Noto e Pachino, facendo piantagione di alberi, s' imbattè in
un grande vaso greco, il quale serviva da ossuario per un cremato. È un cratere a
colonnette di rilevantissime dimensioni (alt. cm 50, 6; diam. bocca cm. 40) e di per-
fetta conservazione, ove se ne tolgano alcune piccole lesioni nella faccia nobile. La
decorazione accessoria del labbro, collo e base, è quella consueta (tìg. 20).
A) Amazzonomachia. Tre guerrieri greci contro una Amazzone. Questa,
vestita di maglia, di anassiridi serrate alle carni, colla alopeke in testa, inforca un
cavallo, TreQipààtjv, e muove, colla lancia abbassata, contro due Greci, nudo il primo,
salvo l'elmo e lo scudo, mentre l'altro più giovane (forse un yperetes), coperto di elmo
conico e di clamide, si appoggia ad un albero; ambedue vibrano la lancia contro
l'assalitrice. Alle spalle della donna un altro guerriero greco, barbuto, elmato, cala un
fendente, colla machaira, contro un avversario che non si vede. Prova che trattasi di
un dettaglio di megalogratìa, probabilmente polignotea, ritagliato ai lati, per i fini
pittorici del vaso ('). 11 soggetto è notissimo, e molte volte ripetuto con lievi varianti.
Nella sola Siracusa, anzi, questo tema ritorna con poche modificazioni già in due
vasi (Notizie, 1891, pag. 408; 1907 pp. 745 sgg.) e poi in altri della regione
siracusana. Lo stile è di una certa grandiosità.
B) Colloquio amoroso di due adulti barbuti, appoggiati a bastoni, con
due giovanetti ; tutti 4 i personaggi sono mantellati ; stile negletto e corrente.
V. MODICA — Esplorazioni varie sull'altipiano. Per corrispondere alle vive
istanze dell'ora compianto comm. Clemente Grimaldi, studioso ed amantissimo delle
antichità della sua regione, nell'agosto del 1912 ho fatto eseguire sull'altipiano di
Modica, da una squadra mobile, le seguenti esplorazioni : I) In contrada Gisana si
riconobbero avanzi di case bizantine e sei tombe corrispondenti ma tutte violate in
antico. II) In contrada Rassabia presso Cipolluzza bellissimi avanzi di case bizan-
tine; a 200 m. da queste, molti sepolcri a fossa scavati nella roccia; se ne esplo-
rarono 8 ma senza risultato; un villico asserì di averne scavati 1(3, raccogliendo
piccoli vasellami (a fuso), che alludono ad età ellenistica, e forse anche romana. Ili) In
contrada Michelica, loc. Palazzetti, avanzi di case bizantine ed una piccola catac.
tutta frugata. IV) In contrada Oreto un villano aveva trovato i rottami di una
bella hydria greca a fig. rosse (venduta al comm. Grimaldi), adibita come cinerario, e
racchiusa in un dado di pietre; assaggi condotti in quella località ci rivelarono la
presenza di una piccola necrop. greca a fosse nella roccia, pertinente ad una fattoria ;
(') Circa la derivazione dei soggetti di questi vasi dalle megalografie di Micone nel Pecile,
e del grande Polignoto nel Theseion, veggansi le mie considerazioni nei citati luoghi delle Notizie
ed in Gela, pag. 505, a proposito di un vaso firmato dal ceramografo Polignoto. Cfr. anche Pelle-
grini, Vasi greci dip. delle necrop. felsinee, pag. XXXIV, e nu. 176, 278, 279, 289 ecc,
SICILIA
213 —
MODICA
ma di 5 esplorate, solo una ci diede un'altra piccola hydria a f. r., in cattive con-
dizioni ; le altre, dei vasi a fuso. V) In contr. Scrofani presso Cipolluzza avanzi di
case bizantine con un sepolcreto della stessa età; si esplorarono 15 fosse, che, come
quelle del vasto cimitero di Michelica {Notizie 1907, pag. 486), erano chiuse da
sfaldature cementate, ed appartenevano alla medesima epoca, perchè diedero fiaschi,
Fig. 21.
bicchieri ed ampolle vitree disfatte, nonché boccaletti e piatti fittili. Nella stessa
contrada, alle case della Corte, contigue ad una chiesetta settecentesca, vi sono le
reliquie di un'altra chiesetta che sembra bizantina. VI) In contrada Barravitalla
s'erano in passato rinvenute le singolari ossa lavorate, di cui in Notizie 1912, pag. 36G;
si seppe che un contadino le aveva rinvenute entro una tomba a fossa coperta di
una grande sfaldatura, ed erano accompagnate da boccaletti romani tardi, i cui cocci
erano rimasti abbandonati sul luogo. In seguito a quella prima scoperta, si erano
dal villano esplorate poche altre fosse circostanti, le quali diedero delle ampolle vitree.
Tutti questi elementi, ancor che non abbiano una rilevante portata archeologica,
sono altamente istruttivi per la topografia dell'altipiano, ossia per Yager motyhanus,
che già in epoca greca, ma sopra tutto nella romana e bizantina, era fittamente costel-
lato di piccoli villaggi e di fattorie. Allora si avverava colà il fenomeno demogra-
C0M180 — 214 — SICILIA
fico inverso a quello attuale ; nell'antichità, discentramento delle masse agricole nella
campagna ; oggi, invece, urbanismo di esse nei grandi centri di Modica, Bagusa ecc.,
la cui popolazione è data per 3/4 da villici.
In Modica città, nell'ottobre '14 avvenne una sorprendente scoperta. Nei gran-
diosi lavori di rettifica del torrente di Modica si rinvenne a grande profondità un
piede equino di bronzo, di poco maggiore del vero, oppure spettante ad un individuo
di forme molto sviluppate (fig. 21). Il Genio Civile, con lodevole zelo, salvò il pezzo,
che venne consegnato al Museo di Siracusa. Questo piede va da metà del garretto
in giù, ed è magistralmente modellato colla indicazione a bulino tenue della pe-
luria che contorna la parte superiore dello zoccolo. Il piede, violentemente spezzato
nella sua parte superiore, è attraversato da un'anima in ferro, che, uscendo sotto lo
zoccolo, s'incassava nella base del monumento, mediante un abbondante getto di
piombo, tuttora superstite. Nel bronzo si osserva qualche lieve tassellatura. Patina verde
chiara con escoriazioni e qualche erosione. Lungh. secondo la curva esterna, cm. 44;
secondo quella interna, cm. 22. Eccellente lavoro ellenisticoromano.
Più tardi venne messa in luce nei medesimi lavori la punta di una coda equina,
lunga oltre un palmo ; trafugata dagli operai, passò in proprietà privata, ne fu dato
sin qui di rivendicarla.
Una statua equina, e forse equestre, nella barbara Motyka (si ricordi che essa è
città puramente sicula) torna incomprensibile. Il pensiero corre tosto a qualche sac-
cheggio, avvenuto in epoca imprecisabile, in una delle grandi città della costa, forse
nella stessa Siracusa. Non dissimile è la vicenda del braccio di un colosso in bronzo
rinvenuto nel sito dei « Castra Hannibalis » presso Catanzaro, ed ora al Museo Nazio-
nale di Reggio Calabria.
VI. COMISO — Necropoli e villaggio siculi. Nell'estate 1911 ed in quella
del '12, sotto la direzione dell' egr. ispettore onor. dott. Biagio Pace di Comiso, si
condussero due campagne di scavi nella terrazza soprastante al paese, nella località
denominata Sante Croci. Data la brevità di tempo e di mezzi, nell' interno del vil-
laggio siculo non si eseguirono che dei tasti preliminari, i quali fecero ad ogni modo
conoscere la esistenza di un villaggio di capanne, molto danneggiate dalle culture
agricole; esse avevano forma ellittica. In una vennero stabilite le dimensioni di
m. 3 X 2, e si riconobbe il muretto perimetrale. Il materiale fittile, e la presenza
di coltelli silicei, denotano chiaramente il I per. della civiltà sicula.
Nel fianco meridionale della terrazza si apriva la necrop. con camerette cavate
nel calcare tenero, della consueta forma irregolarmente circolare. Se ne esplerò quanto
fu possibile. Il materiale fittile, tra cui una singolare anfora, decorata mediante nume-
rose impressioni di foglie di oleastro, appartiene al I od al II periodo; è quindi una
necrop. di transizione. Necrop. e villaggio saranno oggetto di una speciale monografìa
del dott. B. Pace.
Nella cava Porcara, che delimita a sud la terrazza delle S. Croci, venne anche
segnalata e rilevata una piccola catacomba cristiana.
SICILIA
215 —
CATANIA
VII. CATANIA — Scoperte varie di carattere funerario. I vastissimi movi-
menti edilizi verificatisi negli ultimi anni in Catania, ma sopra tutto nei nuovi quar-
tieri perimetrali alla città, consigliarono di intensificare la vigilanza su tutti i cavi
di fondazioni e di alzate; vigilanza, che per l'angustia dei mezzi pecuniari non si
potè talvolta esercitare colla dovuta continuità, e che d'altro canto era resa sempre
difficile dal partito, preso da costruttori ed appaltatori, di celare le scoperte, distrug-
gere ed interrare i ruderi, sottrarre gli oggetti. Non pertanto, mercè lo zelo del-
l'ispettore onor. ing. SciutoPatti, coadiuvato dal custode Autellitano, si è potuto
prender nota di una quantità di scoperte, sulle quali qui riferisco.
Nell'estate 1913 la regione ad ortaglie denominata Orto del Re, già proprietà
del marchese Toscano, venne suddivisa in lotti per erigervi un nuovo quartiere urbano
con strade e villini. Ciò ha dato luogo a parecchie scoperte. Nella proprietà del
prof. Frane. Guglielmino del R. Liceo si riconobbe una camera ipogeica, di cui pre-
sento sezione e pianta (tig. 22).
Come tutte le fabbriche catanesi antiche, essa è costrutta in pezzami lavici sal-
dati coll'ottiino cemento vulcanico della regione. Per una gradinata si accedeva alla
Nonna Soavi 1915 — Voi. XII. 29
CATANIA
216 —
SICILIA
porta, e da essa, dopo un brevissimo atrio, in una stanza con vòlta a botte, sulla
cui imposta si apriva un finestrino quadro; quattro loculi erano innestati nelle pareti
e certamente destinati a ricevere urne cinerarie. La porta lapidea si trovò scardi-
nata ed abbattuta da precedenti e credo antichi violatori; essa era formata da una
lastra monolita in lava, di circa m. 1,00 X 0,45 X 0,14 spessore, e girava su incar-
dinature di ferro.
Nel prospetto esterno ha un foro che sembra fatto per introdurvi la mano, e
per maneggiare con facilità il battente ; altri fori ed intagli si hanno, con tracce di
impiombature, nella faccia interna. La vòlta a botte della cella, con finestra strom
bata, era in gran parte diruta, ed anche la esplorazione del suolo della stanza non
diede che il fondo di un vaso rustico, con residui di cremazione. Le pareti, tutte
intonacate, presentano scarse tracce di pittura monocroma in rosso ed in giallo, senza
motivi ornamentali, ma con semplici fascio di riquadratura negli angoli della cella,
e nella curva della vòlta. Il pavimento era attraversato obliquamente da un rozzo
muricciuolo, installazione certo posteriore ; anche i quattro loculi erano intonacati, ma
nulla contenevano. È verosimile che dentro uno di essi fosse allogata l'urna cineraria
di cui parlo tosto, e che fu rinvenuta a pochi passi dall' ipogeo, estendendo i cavi
di fondazione per la villetta.
È una cassetta marmorea di cm. 45 X 24 X 25 prof., con coperchio piano mu-
nito di quattro acroteri agli angoli ; nel fronte, due lesene scannellate, sormontate da
capitellucci, fiancheggiano una targa ansata col seguente titolo:
4> A A B I A N O Z X P H €
TOZ KAI AMENEZH-
ETH- AZ- M'HN-T-
H M E ■ I
Su qualche lettera, e sopra uno dei capitellini, si avvertirono tracce di doratura.
L'urna era piena di ossa cremate. — Un'altra lastrina marmorea rotta lungo tutto il
lato sin., di cm. 20 X 19, e scritta a lettere pessime, fu pure rinvenuta nel terreno
circostante all'ipogeo ed era anzi appoggiata alla testata di un sarcofago in mura-
tura. Essa dice:
k - s
CIA ■ I A I S
/IX- ANNXXVII
UC1A-VITALIS
ATER VIX1I
NN> I
(•le)
Il nome della defunta era probabilmente Pobli]cia (od altro analogo) Tais.
SICILIA
217
CATANIA
In complesso, in immediata vicinanza dell'ipogeo Guglielmino vennero ricono-
sciuti 15 sepolcri, che vanno così classificati a seconda delle loro forme: Sei casse e
sarcofaghi in muratura coperti di tegoloni o lastroni di lava; uno era internamente
rivestito di lastrine marmoree. Presento qui a fianco la sezione corta di uno di questi
sarcofaghi, esplorato il 30.vj.c13 alla mia presenza; esso era in muratura cemen-
tizia colle guance intonacate ; delle tegole a piovente e coperte di una sottile mura-
tura ne formavano il coperchio; dimensioni m. 2,05X0.65; orientazione N-S; con-
tenuto un nudo sch. Nelle terre che lo avvolgevano (prof. m. 2) notai framm. di
ampolle vitree, di vasi aretini, di altre piccole ceramiche, nonché molte ossa ani-
mali (rifiuti di cucina). — Due in muratura, con coverchio a baule, come quello
Fio. 23.
sopra disegnato. — Due di tegole a cappuccina. — Tre a fossa in nuda terra. — Uno
a cremazione, i cui resti erano raccolti in un vaso fittile, mandato in pezzi. Soltanto
in una delle tombe venne ricuperato un boccaletto oblungo.
Durante gli sterri eseguiti per lo splateamento del terreno a sud del fabbricato
della signora Carmela Caniglia in Giudice, gli operai si imbatterono in 10 sepp., di
cui 2 a cappuccina di tegole, 7 a fossa in nuda terra, ed uno formato di mattoni a
cassetta, contenente ossa cremate. Soltanto uno dei sep. a fossa racchiudeva una
bella pisside ovolare con coperchio (su cui corona di ellera) a bottone, che aveva una
complessiva alt. di cm. 16. Sulle guance del vaso si svolge una delle consuete scene
elisiache erotiche, divisa, mediante grandi palmette, in due campi. Da un lato fìg. mu-
liebre seduta, col torace nudo fino alla cintola, e sorreggente una canestra. Dal lato
opposto fig. virile nuda, gradiente, che pure regge una canestra con frutta. Nella
tomba a cremazione, fra quattro mattonacci, vi erano invece le due fig. fìttili, che,
attesa la loro singolarità, a fig. 24 riproduco: a) fig. mul. nuda, seduta, colla testa
coronata ed alta cm. 19,8; b) idem seduta, vestita di un camicione trasparente, e con
diadema in fronte; avanzi del latte di calce; alt. cm. 22,2. Queste due terrecotte sono
indubbiamente dei giocattoli della defunta, la quale, dal calibro delle ossa, si vide che
era una fanciulla. Mai mi era accaduto sin qui di trovare in sepolcri sicelioti terre-
cotte consimili, che invece troviamo fin dal sec. V abbastanza frequenti nella necrop. di
Locri, ed in quella della sua colonia Medma. L'espressione punto patetica, ma, invece,
CATANIA
— 218 —
SICILIA
di una ingenuità infantile, di queste figurine, e di più, talune particolarità tecniche,
me le fanno ritenere di età ellenistica avanzata, e forse anche dei tempi romani
(II sec. av. Cr.). Nella stessa proprietà Caniglia-Giudice si trovò anche la testolina
di gladiatore con elmo a maschera, a. cm. 6 1/i, di fattura sommaria, che ho ripro-
Fio. 24.
dotta a fig. 25, e che allude indubbiamente a costumanze (gladiatorium munut),
e, quindi, ad età romana.
A levante di questa proprietà viene a cadere quella Nicotera, dove nello sban-
camento del suolo si trovarono 4 sepp. a nuda fossa e 2 di tegoloni.
Ad est del lotto Nicotera, in quello Martinez, proseguivano i sepp., e si prese
nota di 2 a fossa e di 1 in tegoloni. Neil' abbassare poi la via che passa a setten-
trione dei fabbricati Caniglia-Nicotera-Martinez, si rinvennero altri 13 sepp. (4 a
cassa in muratura, 3 a cappuccina di tegole, 1 a cassa di tegoloni, 3 a fossa in
nuda terra, e 2 brocche ossuario di cremati, una delle quali riproduco, per ricordo,
alla fig. 26). In mezzo alle terre di tutta questa plaga, già molto devastate e rima-
SICILIA
— 219 —
CATANIA
neggiate nell'antichità, si raccolsero i seguenti titoli funebri : Lastra marmorea in
3 pezzi, di cm. 38,5 X 29 :
D I S • M\ a iiih m
AR- R- I- VSb ine
TVSFECITELRIDI
x F V I S
Elridius sembrami errore del lapicida per Klpidius; così nell'ultimo rigo leg-
gerei [et] ìuìs. Certo la redazione del titolo con due nomi in nominativo è molto
irregolare, e lascia àdito a dubbiezze.
Fio. 25
Fio. 26.
Frammentino di mm. 130X80 a piccole lettere:
Dò in facsimile un altro framm. di epigrafe marmorea di cm. 24 X 24, attesa
la forma nitida, ma ricercata e bizzarra, delle lettere che lo riportano, panni, agli
ultimi tempi imperiali, se non anche più sotto ancora. Nel v. 3 il xatstédrj si rife-
risce ad uno dei due nomi precedenti, o meglio al nome, perduto, di una persona,
della quale Dionysios ed Eortasios erano tigli (fig. 27).
Non molto discosto, anzi contiguo al podere del prof. Guglielmino è quello del
fabbro Mario Manòla, nel quale avvennero diverse scoperte, occasionate esse pure
dalla trasformazione di quel terreno agricolo in area fabbricabile. Anzitutto venne
fuori un buon tratto di una via lastricata con grossi selcioni poligonali lavici, com-
CATANIA.
— 220 —
SICILIA
mèssi senza cemento, sopra un letto di sabbia e piccolo pezzame; essa corre da
n. a s. con forte declive, ad una prof, di poco oltre un m. dal piano attuale di
campagna.
In vicinanza della strada si segnalarono 5 sepolcri a prof, variabile da m. 1,30
a ni. 2,20; uno era a cassa in muratura, e 4 di tegoloni; non diedero oggetti di
sorta. Due aree di cremazione, a m. 1,20, contenevano due boccali grezzi. In quel
sito vi erano, oltre di ciò, parecchi avanzi di fabbriche. A giudicare dal materiale
Fio. 27.
impiegato, dal sistema diverso di costruzione, e dal costante impiego di cemento, se
ne desume che esse appartengono a momenti molto diversi del lungo periodo elle-
nistico e romano. In un punto ho anche notati pochi conci di gran mole e di buon
taglio, che accennano ad un relitto di fabbrica assai più antica dei muri ce-
mentizii.
Di uno solo di questi ruderi si pervenne a trarre una pianta parziale con se-
zioni. È una costruzione a getto cementizio, con robusti muri perimetrali, di circa
1 m. di spessore, la quale in origine doveva formare una cella funebre analoga a
quella del predio Guglielmino. Per quanto metà di essa l'osse già distrutta, si vede
che la cameretta aveva due banchine, con un loculo quadro in una delle pareti; è
verosimile che altri se ne aprissero nelle circostanti. Il pavimento angustissimo era
SICILIA
221 —
CATANIA
formato di « opus testaceum » , ossia di cocciopesto. Erano intonacati i muri interni,
ed all'esterno F intonaco pare formasse soltanto una fascia in alto (fig. 28).
Ma la scoperta più saliente avvenne il 4-5 giugno 1913; all'estremità setten-
trionale della proprietà Manòla apparve un grande sarcofago marmoreo, che conte-
neva i detriti di due scheletri, e non altro. Così almeno dichiararono gli operai, i
quali esplorarono il sarcofago all'insaputa del proprietario. Il coperchio, formato di
un semplice lastrone, era caduto dentro la cassa. Questa misura m. 1,94 X 0,55
i i- i
Fio. 28.
X 0,45 alt. ; sul prospetto sono scolpiti due putti o geni alati, di scadentissima fat-
tura, i quali reggono al centro una ghirlanda coli' epitaffio a lettere piuttosto regolari:
DVLCITI
H A B E
Nei due lati corti, altri festoni. Non cade dubbio che qui non s'abbia a nascondere
il nome del defunto, seguito dalla salutazione Ave. Dulcitia o Dulcilius sono co-
gnomi romani di sapore cristiano ('), adibiti forse anche come gentilizi. Si ha anche
la forma Duloities e, alla greca, Dulcitie (') ; nel caso nostro è possibile di integrare
in Duleiti(e). Il filologo potrà studiare la evoluzione delle forme classiche in quelle
già corrotte della decadenza (3). Di fatto, se il sarcofago non ha ancora caratteri
decisamente cristiani, ma piuttosto ibridi, non è escluso possa anche essere cristiano.
Esso, in ogni caso, non parmi anteriore al sec. IV d. Cristo.
(') Cfr. De Vit, Onomasticon totius latinitatis, s. v.
(*) De Rossi, Roma sotterranea, voi. III, pag. 121.
(*) Cfr. Maccarrone, Il latino delle iteri*, di Sicilia (Perugia, 1910) ; id., La vita del latino
in Sicilia fino aWetd normanna (Firenze, 1915).
CATANIA
— 222 -
SICILIA
Il predio Manòla conteneva adunque la continuazione della estesa necropoli, che
è stata avvistata nelle terre limitrofe. Ma in esso, come nei contigui, sono avvenuti,
in epoche diverse, rimaneggiamenti di ogni maniera; ed ogni epoca ha lasciato di
sé detriti e ricordi, che l'archeologo deve cautamente sceverare. Tra i copiosi rot-
tami d'ogni maniera e delle più svariate età, raccolti dal Manòla, mi ha destato una
certa sorpresa l'avanzo di un cratere attico a fig. rosse degli inizi del sec. IV, con
Fio. 29.
figura di efebo (e forse anche di donna) sdraiati su klinai ; ai piedi anfora e candelabro
ad asta con piede a tripode. Il disegno è molto buono, e questo pezzo, il più antico
che io abbia visto, deve provenire da scarichi anteriori allo impianto della necropoli.
Cronologicamente distanti da esso oltre un millennio sono invece delle masse di coppi
pettinati, che soglionsi attribuire all'età bizantina. Ho anche visto alcune poche
lucerne, di cui due a rosario ; un frammento di labrum marmoreo ; bricciole di cor-
nice con ovolini in stucco ; ho visto ancora due soglie di porta (dell' ipogeo ? !) in
lava, e la metà inferiore, pure in lava, di un torcular. Di monete ne esaminai una
ventina, di cui la metà almeno bizantine; nulla di greco, all' infuori di una Catana
in bronzo ; delle romane, la più antica un Domitianus. Tutto ciò prova, come dissi,
rimaneggiamenti e sovrapposizioni di età disparatissime.
SICILIA — 223 — CATANIA
Era già distesa la presente Relazione, quando, trovandomi a Une giugno 1915
per alcuni giorni in Catania, ho raccolto altri elementi che la arricchiscono.
Dalla vasta regione sepolcrale di cui ci siamo intrattenuti, e precisamente dalle
vicinanze della ora distrutta chiesa di s. Clemente, ove doveva esistere qualche
cemetero a • formae » cristiano, il prof. Gioacch. Basile ha ricuperato e messo in
salvo due lastre marmoree, con titoli cristiani.
Di cm. 46 X 81 :
EN0ÀAEKITE
EYTYXIC ZH
CÀE/H W TE ac
TATHnPoeiÀlAll [yovaqCov]
Frammento di fascia marmorea classica di cm. 39 X 37, nel cui rovescio è
tracciata a rozze lettere la metà sinistra di un titolo inscritto in una targa ansata.
E N \&àds xitai
6. ò yTTh"
T EÀ E YTÒ,
MEN'THYfH)
OYK ATTTTOU/
T H TtT S N W lì [enfciov
x«] TATHNYnÀ [*(av?
ni.
TIA ^ KOYp
Nelle fondazioni del nuovo Istituto Fisiologico in via Androne, alla profondità di
m. 1,85 si è rinvenuta una bella tomba greca a piccola celia formata di due assise
di conci calcari, con doppio ordine di grossi copertoni. Essa misurava nel cavo
m. 1,99X0,72X1,27 alt., e racchiudeva brandelli di una cassa di piombo con
resti dello scheletro incremato e vasetti a fuso. Di una seconda tomba di massi ho
veduto tracce in altro punto dello scavo ma ad un livello molto più alto. Non ostante
la bellezza della costruzione, questo sepolcro non è più antico del sec. Ili av. Cristo.
La plaga dove avvennero tutte le scoperte di cui ho riferito, era un terreno
scoperto, ad ortaglie, che nel momento in cui scrivo (15 settembre 1915) è già tras-
formato in un quartiere a villini, disposti lungo una rete di nuove strade.
Questa regione finisce ad occidente nel viale Regina Margherita con S. Maria
di Gesù, già noto per un vasto sepolcreto a formae, da me illustrato, per quel tanto
che era possibile, molti anni addietro {Notizie, 1893, pp. 385 e sgg.). Percorrendo
rapidamente questa plaga, ho visto che il suolo è cosperso, anche alla superficie, di
Notizie Scavi 1915 - Voi. XLT. 30
CATANIA
— 224
SrcìLiA
rottami fìttili d'ogni maniera, per lo più di tegolami; in talune fondazioni di villini
ho anche notato ruderi di solida fabbrica cementizia. È una regione suburbana, cioè
certamente esterna alla cinta murale
così greca come romana; una regione,
con la attigua di Cifali o Cibali,
eminentemente sepolcrale, e nota già
per molte precedenti scoperte, anche
di ipogei, di cui si possiedono bensì
notizie vaghe e sommarie, ma non già
illustrazioni e rilievi di dettaglio (')•
Dal complesso delle constatazioni fatte
risulta che qui si stendeva una vasta
necropoli della Catana ellenistica e
romana (a questi periodi si riferisce
la maggioranza delle scoperte), conti-
nuata in taluni punti anche nei primi
secoli cristiani. Resta così sempre
aperto il quesito, che tanto agita gli
archeologi, dove fosse la necropoli
della Catana calcidese dei sec. VII e
VI, la cui scoperta costituirebbe un
vero avvenimento scientifico.
Bassorilievo del sec. V. Nella
primavera del 1912, costruendosi dal
sign. Frane. Papale una sua villa in
via degli Archi, gli operai s' imbatte-
rono, alla profondità di m. 2 '/* , in
una tomba scavata nelle arene vergini
quaternarie. Era una cassa fatta di
pezzame, raccolto qua e là, racchiu-
dente uno scheletro col cranio ad est.
Non fu possibile di conoscere, se essa
contenesse anche del povero vasellame,
che pare sia stato trafugato e disperso
dagli operai. In ogni modo erano cose
insignificanti. Di interesse storico ed
artistico era invece una sottile lastra
marmorea di m. 1,51 X 0,59, la quale
formava una delle guance del sepolcro, ed evidentemente era stata strappata dalle
ruine di un edificio più antico. Dentro una sobria cornice rettangolare si svolge,
(') Dobbiamo ad Ad. Holm (Dai alte Catana, tav. e pag. 25 e sgg.) di aver compilato una
densa, per quanto assai sommaria relazione, delle numerose scoperte archeologico -epigrafiche, già
da due secoli segnalate in questo tratto del suburbio catanese.
Fio. 30.
SICILIA — 225 — CALTAGIRONB
a rilievo bassissimo e piatto, la decorazione floreale, che redesi nella fototipia tig. 30.
Sono tre giragli nascenti da un cespo di acanto foggiato a lira, ed ognuno desinente in
un fiore; intercalati fra l'uno e l'altro si vedono due uccelli ed una lucertola bec-
canti un germoglio. Il lavoro di intaglio è completato in un solo punto con due fori
a trapano. Dal modo con cui sono disposte le figure animali, sembra che questa lastra
fosse collocata verticalmente, anziché longitudinalmente, nell'edificio da cui venne
strappata, e nel quale rivestiva un pilastro.
Il lavoro floreale alquanto curato ha però perduto ogni pastosità plastica ed ha,
invece, delle durezze lignee ; esso rappresenta una degenerazione di motivi ornamen-
tali della pittura e della scoltura romano - imperiale, di cui ben per tempo s' impa-
dronirà l'arte cristiana, e molto più tardi quella romanica. Mi difettano riscontri
della regione siciliana, ma abbondano quelli di altre parti d' Italia (').
Per ragioni di stile e di modellato ritengo prebizantina codesta scoltura, e la
attribuisco ad età incerta, che si aggira intorno al sec. V.
Nei rispetti della topografia giova ricordare che via Archi si svolge a mezzodì
del viale Margherita, e quindi il sepolcro viene a cadere nella regione eminentemente
cemeteriale di cui ho detto in precedenza. Data l'età della scoltura, ne consegue che
anche il sepolcro, essendo ad essa posteriore, coincide col periodo delle dominazioni
barbariche.
Vili. CALTAGURONE — Necropoli greca di M. S. Mauro. Dopo di aver
pubblicato una monografia speciale, e copiosamente illustrata, sopra la anonima città
prima sicula e poi greca, che un tempo sorgeva a M. S. Mauro (*), nuovi avveni-
menti archeologici richiamarono colà la nostra attenzione. Procedendosi nel marzo 1913
al dissodamento di un lotto di suolo sulla terrazza del Piano della Piera, venne messa
a nudo una necropoli greca, la cui graduale esplorazione, man mano che procedevano i
lavori agricoli, fu vigilata da un delegato della Soprintendenza. Però la dissodazione,
fatta esclusivamente con intenti agricoli, impedì sovente di procedere a tutte quelle
constatazioni ed a quei rilievi che sarebbero stati richiesti da un metodico esame.
Si potè non di meno prendere nota di circa 300 sepolcri poverissimi, per lo più a
cappuccina od in nuda terra, con frequentissimi èyxvtqia(ioi infantili in anfore od in
giarre. Il vasellame, assai scarso, è corinzio od attico a figure nere, con alabastra
(') Cito soltanto alcuni caposaldi, i quali segnano la graduale evoluzione del motivo. Deco-
razioni pittoriche di gusto classico, ancora del li sec, nel cemetero di Pretestato (Kraus, Geschi-
chte der christl. Kunst, I, pag. 206); grandioso sarcofago di Costanza, figlia di Costantino (Kauf-
mann, llandbuch der christl. ArchaeoL, pag. 480). Sarcofaghi ravennati (Venturi, Storia arte ital.,
I, pp. 221-225). Per la ultima fase, quella romanica, cfr. Cattaneo, L' architettura in Italia dal
tee. VI al mille (passim).
(*) Di una anonima città siculo-greca a M. S. Mauro presso Caltagirone (Roma 1911, in
Mon. antichi dei Lincei, voi. XX).
PATBRNÒ
— 226 —
SICILIA
bigi, rarissime figurine e qualche traccia dei noti vetri fenici. Tutto accenna al VI
secolo e ad una popolazione prettamente greca.
I lavori agricoli sulle colline di S. Mauro continuarono, all' insaputa della Soprin-
tendenza, anche nell'inverno 1914-1915. È certo che si manomisero molti sepolcri
greci, senza che fosse stato possibile con una ispezione di riconoscere il punto preciso
dello scavo abusivo ; si pervenne però a recuperare parecchi buonissimi vasi attici a
figure nere (lekythoi, piccole anfore, coppe, 2 anforette vitree ecc.). Tutto questo materiale
conferma pienamente la mia tesi della presa di possesso, in epoca imprecisata, ma
forse fin dal sec. VII, di quell'importante nodo montano, strappato ai Siculi, per opera
di Greci, non sappiamo ancora bene se Calcidesi di Leontini-Catana o Rodii di Gela.
IX. PATERNO — Ripostigli monetali. Nell'inverno del 1915 un villico
trovò un tesoretto di monete greche in contrada Molinazzo o Cala-Cala; erano una
quarantina di pezzi, che, come suole accadere, vennero trafugati. Il proprietario del
suolo riuscì a ricuperare 14 pezzi, e cioè:
Num.
Messana tetradr. arcaici 2
» * di transizione 1
Syracusae » arcaici 7
Gela didr. arcaico 1
Agrigentum » arcaici .3
Nella primavera del 1914 si era ritrovato (dicesi dentro il paese) un altro
tesoretto di denari consolari; 157 ne acquistò il Museo di Siracusa, i quali ho ragione
di credere rappresentino la quasi totalità del ripostiglio.
Num. Num. Num. Num.
Acilia 1 Claudia 22 Julia 4 Servilia 3
Aemilia 6 Cloulia 1 Licinia 2 Silia 1
Antestia 4 Coelia 4 Lucilia 1 Terentia 1
Appuleja 4 Cornelia 4 Lucretia 1 Thoria 1
Aquilia 4 Cupiennia 1 Lutatia 1 Tullia 3
Acilia l Curiatia 1 Manlia 1 Valeria 1
Baebia 1 Domitia 2 Marcia 2 Vargunteia 1
Caecilia 1 Fabia 1 Minucia 2 Veturia 1
Caesia 4 Flaminia 8 Opeimia 1 anonime 8
Calpurnia 1 Fonteja 1 Papiria 1 inclassificabili 7
Cassia 1 Fouria 3 Porcia 7
Cipia 1 Herennia 8 Sergia 1
SICILIA
— 227 —
ADBRNÒ
X. ADERNÒ — Deposito di t. e. ieratiche. Nel decembre 1913 e nel
gennaio 1914, essendosi eseguiti dei vasti movimenti di terre nel cortile dell'ex -mo-
nastero di Maria e Gesù, che è dentro il paese, gli operai s' imbatterono in un vasto
deposito di t. cotte, che manomisero alla chetichella delle autorità, senza che si potes-
sero fare osservazioni scientifiche di sorta. Esso doveva constare di alcune centinaia
di figurine modiate di Cora, colla fiaccola ed il porcellino, di arte negletta e povera,
Fio. 31.
non anteriori al sec. IV e quasi tutte frammentane. Il Museo di Siracusa si procurò
un discreto campionario di codeste t. e, ed un manichetto di boccale in bronzo,
alla cui impostatura inferiore è saldata la figura di un putto deteriorato nel volto.
Lavori di scavo e di sgombero lungo la cinta militare di Adranum. Dopo le
mura di Siracusa, in Sicilia i più belli avanzi militari greci sono quelli di Tyndaris
e di Adranum, così malamente noti gli uni e gli altri, che meglio è considerarli come
inediti. Ma la peculiarità di quelli di Adranum è di essere costrutti di grandi
conci lavici, la cui faticosa, costosa e quindi imperfetta lavorazione ha indotto in
errore precedenti illustratori di quelle mura (l), che vennero battezzate per ciclopiche
(') Petronio-Russo, flluslrazione itorico-archeologica di AdernO (Adernò 1897, pp. 11 e segg.).
ADERNÒ
— 228 —
SICILIA
o pelasgicbe, quando non sono che di tempi storici ben progrediti. Ad ogni modo,
per incominciare una buona volta lo studio sistematico di queste ragguardevoli opere
militari, nel novembre e decembre 1911 vi ho eseguito una campagna di una cin-
quantina di giorni. Sul lato orientale della cinta murale che si svolge nelle ortaglie
della contrada Cartalemi, si sono sgombrati m. 120 di muro, lasciando libera una
zona di riguardo di m. 4,50, con lodevole intendimento acquistata dal municipio di
Adornò per iniziarvi una passeggiata archeologica.
Fig. 32.
Le mura, come vedesi dall'annessa fototipia e dagli schizzi grafici, sono formate
da un doppio paramento di conci lavici, abbastanza regolarmente disposti, e la col-
mata interna risulta di pezzame amorfo, buttato quasi alla rinfusa; lo spessore medio
della muraglia è di m. 3,33. In queste operazioni di sgombero si sono messe a nudo
due postierle o nvXiòsq della forma e dimensione date dallo schizzo (fig. 32).
Nell'opposto lato della città si è isolato il magnifico torrione addossato alla
chiesa di S. Francesco, demolendo due catapecchie che lo mascheravano sui fianchi,
per modo che esso è oggi visibile sui tre lati della sua prominenza dalla linea
muraria (figg. 33 e 34). E si sono fatti altresì scavi di ripulimento, mettendo in
evidenza due filari di conci ancora sprofondati nel suolo. Era nel programma della
Soprintendenza di procedere al rilievo generale della fortezza greca di Adranum, le
cui opere, costruite tutte in materiale lavico, diedero luogo a grossi equivoci tectonici
e cronologici. Si doveva seguire con opportuni scavi, e per quanto era possibile, la
SICILIA
— 229
ADERNÒ
linea delle mura, in parte distrutte ed obliterate; ma vennero meno i mezzi pecu-
niari molto ingenti che abbisognavano a ciò, ed il lavoro fu pertanto rimandato.
Fio. 33.
Come è noto, fu Dionigi che verso il 400 av. Or. eresse sulla attuale terrazza
di Adornò la fortezza di Adranum ('), attorno ad un celebrato santuario del dio
(s) Diodoro Sic, XVI, 13; Beloch, L'impero siciliano di Dionisio (Roma, 1881, pag. i). Sopra
Adranum veggasi anche la eccellente monografìa di N. Rapisarda, FI dio siculo Adranos, in Archivio
stor. sicil. or., an. XII, 1915, pag. 186, il quale condivide interamente e corrobora con nuovi argo-
menti la mia tesi della doppia Adranum sicnla e greca.
CRNTDRIPK
— 230
SICILIA
indigeno omonimo, quivi preesistente, e collo scopo di tenere in freno i turbo-
lenti Siculi della regione. È mia ferma convinzione, per l'esperienza acquisita da
ripetute visite ai luoghi, che la Adranum sicula esistesse nella contrada denominata
Mendolito, un 8 km. dalla città attuale, nelle forre del Simeto, assolutamente inadatte,
per la loro bassa ubicazione e per essere da tutti i lati dominate, all'impianto di
una fortezza greca. Laggiù in quei luoghi impervi, e pericolosi, perchè quasi sempre
infestati da malviventi, ma di una grandiosa e quasi tragica bellezza panoramica,
esistono aggeri in pietre brutte, che pare formassero una rude cinta urbana. Laggiù
si trovò il grandioso ripostiglio di bronzi siculi (Bull. pai. Hai. 1910, pag. 43); laggiù
Fig. 34.
le due iscrizioni siculo, le prime che si conoscano (Notizie 1912, pag. 416); laggiù
bronzi greci arcaici (Ausonia 1913, pp. 44-57), e mille altri elementi rivelanti la
civiltà sicula nella sua ultima fase di evoluzione nella greca. Possiedo molti appunti
e schizzi sulla misteriosa città; ma mi è ancora indispensabile almeno una prima
campagna di scavi, per dare ad essi forma organica e definitiva.
XI. CENTURIPE — Materiale epigrafico vario. Nel marzo 1912, dal
locale ispett. onor. sign. L. Scavone -Campagna venne sequestrato il seguente materiale
epigrafico marmoreo, rinvenuto in scavi abusivi in contrada Difesa Castellacelo sopra
il noto fondo Casino.
Lastra di cm. 18 X 11: Idem di cm. 17 X 13,5:
Xqiqa
ot Z
SICILIA
— 231 —
CKNTURIPE
Sei frammenti che attaccano e formano la parte superiore di un grande titolo
in lastra marmorea, scritto ad ottimi caratteri:
0,57
Cx< ' P O M P E I O
CN • F - Q_V I R/" "\' **A
D V L C I S Sy
O n r/
Alla stessa lapide sembrano appartenere altri due frammenti di cui porgo il
migliore, di cm. 14,5X14:
ROSCJj
Nell'agosto 1912 vennero acquistati i due frammenti seguenti, pure centuripini.
Di cm. 14 X 13,5 : Di cm. 25 X 22 :
THAd
X P H C
C 6 N €
TI) xxX.
E Y elisio...
A X P H CUòff %a
I P € € Z H Cj ev
€ T
(soìg) [Kaxayaioiq]
Nel febbraio 1914 ho assicurato al Museo un altro lotto di otto frammenti
epigrafici, incisi su tavolette marmoree; sono molto mutili e qui pubblico i tre
principali, deplorando di non aver potuto conoscere la precisa contrada ove erano
stati rinvenuti.
Frammento di cm. 12X10,5: Idem di cm. 12,5X6,5:
(??) EiQld
*V Xat
I KHXP H C
P€ €ZH
C I X P l-Cl
CX€P€)
i'
Idem di cm. 14,5X13:
%<*
IPGsj €ZH
£TH *> Ì~B
Il formulario di codesti tre frammenti, degli altri ancora più mutili, e dei
precedenti titoli greci accenna all'epoca imperiale romana, e verrà poi adottato
tal quale anche dalla epigrafia cemeteriale cristiana dei tempi immediatamente
successivi.
Noma Soavi 1915 - Voi. XIJ.
31
CASTROGIOVANNI
— 232
SICILIA
XII. CASTROGIOVANNI — Esplorazioni nel castello di Lombardia.
Nell'estate del 1912 ed in quella del 1913, in seguito a vivissime istanze di certi
signori Salónia e Barberino, che presumevano di possedere documenti rivelatori di
un grande tesoro cristiano o bizantino, si eseguirono vasti scavi nel cortile del grande
castello di Lombardia o di Manfredi, presso la cosiddetta Rocca di Cerere. Per quanto
Fio. 35.
la mia fede in tali tesori fosse assolutamente negativa, ritenni opportuno saggiare il
terreno attiguo al tempio famoso, tanto più che mai eransi eseguite a Castrogiovanni
escavazioni sistematiche. Effettivamente si mise allo scoperto una chiesetta medioevale
di S. Martino, che dovette sorgere nel sito di una più antica, probabilmente bizan-
tina. E denudando fino alla roccia il suolo ad essa circostante, si rivelò una necropoli
a fosse rastremate, alcune delle quali arieggiano persino la forma antropoide, colla
cavità circolare per adagiarvi il capo del morto; e tale era anche un sarcofago mo-
nolito, l'unico colà rinvenuto. Quasi tutte queste fosse hanno dato avanzi scheletrici,
ma nessun oggetto, il che ci mette in qualche imbarazzo circa la designazione cro-
nologica del sepolcreto, che da un complesso di dati parmi però bizantino.
SICILIA
— 233
A1D0NE
L'area di esso era occupata da numerosi piccoli serbatoi campanati, che, oltre
di trovarsi interpolati colle fosse mortuarie, appariscono anche nel suolo della chie-
setta, e spuntano del paro qua e là nei cortili del castello. Che questi serbatoi
campanati. i quali hanno una profondità oscillante da cm. 65 a m. 1,25, sieno ante-
riori alla necropoli, non v'è dubbio, perchè l'orifizio circolare di taluni di essi
attraversato dalle fosse. Eseguito il vuotamento di qualcuno, nulla diedero. Non senza
ragione io penso che codesti numerosi piccoli serbatoi, di cui offro un campione
(fig. 35), fossero destinati a ricevere grani, offerti al famoso e limitrofo santuario di
Cerere, e nelle viscere della terra conservati fino al graduale loro consumo per i
molteplici e svariati usi del culto (').
Fig. 36.
XIII. AIDONE — Scavi nella anonima città a Serra Orlando. Nell'ultimo
quadriennio vennero spinte alacremente le indagini nella anonima città che si stende
sull'altipiano di Serra Orlando. Dall'aprile al
giugno 1912 si condusse un lunga e saltuaria
campagna, la quale ha dato i risultati che
qui sommariamente espongo.
Nella proprietà del villico Giuseppe Cal-
cagno-Giarruso si è messa a nudo e rilevata
una piccola casa con cisterna. In quella di
Pietro Ortolano una tomba a fossa in nuda
terra, coperta con 3 lastroni, diede 4 vasetti
a fuso, 3 tazzine, e 77 astragali distribuiti
lungo il cadavere, cremato in posto. Nel po-
dere Angelo Bizza Cascia un sepolcro a ca-
mera, simile a quelli di Licodia Eub., con larghe bauchine lungo 3 lati e fosso al
centro, conteneva gli avanzi di 36 scheletri e di numerosi vasi, distribuiti come gli
scheletri, un po' ovunque. Dall' esame dei fittili, in prevalenza indigeni (hydrie,
anfore, boccali, scodelle ecc.), pochi attici (lekythoi a figure nere), e di taluni piccoli
bronzi, si arguisce l'età del sepolcro, che, al più tardi scende ai primissimi inizi
del sec. V. Quattro sepolcri ellenistici a fossa nella roccia vennero esaminati nella
località Ciappino e diedero vasetti a fuso ; un sarcofago fittile di m. 1,75 X 0,47
X 0,47 conteneva, del paro, soltanto poveri vasi grezzi attorno ad uno scheletro. Un
ustrino diede rottami di piatti ed una litra di Siracusa colla seppia.
Altro gruppo di tombe si riconobbe a Cittadella, in proprietà del comm. Sollima.
Una cassa fittile racchiudeva lo scheletro con una taaziua nera ed una pisside cam-
pana. In complesso, in questo punto si esaminarono 15 sepolcri a fossa e 2 ustrini,
con scadente materiale fittile indigeno e campano; vi si riconobbero anche le basi
(') Ovid., Fast., I, 671 : « placentur frugum matres Tellusque Cerusque farre suo gravidae
visceribusque suis. Officium commune Ceres et Terra tuentur: haec praebet causam frugibus, i!la
lucimi ».
TERRANOVA — 234 — SICILIA
di due monumenti funebri in muratura, analoghi a quelli di Centuripe (necropoli
Casino):
In contrada Palazzo, proprietà Repollini, si mise a nudo e si rilevò una gran-
diosa scalèa a sei ordini di gradini, sorreggenti una vasta terrazza, sulla quale si
esplorarono inizialmente due case di età ellenistico-romana. Ma tali esplorazioni,
molto costose, è d'uopo proseguire in avvenire, che certamente siamo in un punto
nobile della città.
Si fecero anche le prime osservazioni sull'andamento ed il tipo delle mura
urbane, costruite di conci calcari mezzani, tagliati e disposti alla foggia greca.
Molto materiale, soprattutto fittile, di S. Orlando, venne negli ultimi anni intro-
dotto in Museo, e meriterebbe una adeguata illustrazione. Qui mi limito a ricordare
un oggetto stranissimo e di grande curiosità, cioè un fiaqaimov o « inarsupium »
in forma di portafoglio moderno (dim. mm. 145 X 103), in spessa lamina di piombo
accuratamente ripiegata (fig. 36), il quale racchiudeva un peculio di 89 denari
vittoriati, quasi tutti fior di conio.
XIV. TERRANOVA SIOULA — Tesoretto monetale con gioielli. Nel
novembre, 1911 in contrada Feudo nobile venne scoperto da un villano un piccolo
tesoro, raccomandato entro un pentolino. Esso con-
teneva 27 pegasi o stateri di Corinto, tutti in
mediocre o cattivo stato di conservazione, ed una
pariglia di superbi orecchini d'oro (alt. mm. 21
e 23; peso complessivo gr. 12,2) che qui si ri-
producono in fototipia, attesa la loro bellezza. È
una forma molto ovvia da fine V a tutto il III sec;
ma questi esemplari gelesi eccellono per la gran-
FlG 37 dezza e finitezza delle teste leonine, col collo
adorno di spirali a filigrana.
Tenendo conto della associazione cogli stateri di Corinto, tutti molto frusti, è
lecito di ritenere che il tesoretto sia stato sotterrato durante le sanguinose fazioni che
ai tempi di Agatocle (an. 311) funestarono Gela (').
P. Orsi.
(') Holm, Storia della Sicilia nell'antichità, voi. II, pag. 444 ; Orsi, Gela, pag. 20.
REGIONE Vili. — 235 — RAVENNA
Anno 1915 — Fascicolo 7.
Regione Vili (CISPADANA).
I. RAVENNA — Avanzi di edificio romano rimessi a luce fra il
tempio di s. Vitale ed il mausoleo di Galla Placidia.
Nell'agosto del 1912, praticandosi uno scavo per eseguire opere di drenaggio fra
il tempio di s. Vitale ed il mausoleo di Galla Placidia (fig. 1), si fecero importanti
scoperte archeologiche.
Lo scavo verticale, che fu prima di modeste proporzioni (m. 4,70 per m. 4,60),
mediante opportune disposizioni della R. Soprintendenza archeologica di Bologna venne
di molto ampliato con pareti a scarpata ed a banchina, evitando i franamenti del ter-
reno acquitrinoso con opere parziali di puntellature, e collocandovi poi le macchine
per il difficile prosciugamento, che rese possibili gli ulteriori studi e lavori.
A m. 0 90 di profondità dal piano attuale di s. Vitale, quasi a livello del
piano antico, a due metri sul mare, tra il terreno di riporto non si rinvennero che
frammenti di scodelle, di piatti, di orci di argilla cruda od a mezza cottura, lisci,
striati, incisi a disegno geometrico, con segni ondulati, con motivi di fantasia, con
contorni di animali, di figure umane, di qualche fiore, qualche frutto, segnati con
molta spontaneità e facilità rudimentali, senza pretesa di far dell'arte ma che costi-
tuiscono altrettanti motivi caratteristici dell'ornamento nelle ceramiche provinciali
dei secoli XV e XVI.
Alcuni erano preparati alla dipintura; altri erano rifiuto del forno; i più, scarti
di fabbrica; molti poi avevano le vernici iridescenti come le maioliche dei campanili
e delle facciate delle chiese. Altri poi, lionati, erano marcati con l'S e il V {Sanctus
Vitalis); ma, all' infuori di questa, non s'è rinvenuta nessun'altra marca o contras-
Nomi» Scavi 1915 - Voi. XII. 32
RAVENNA
— 236
RKOluNE Vili-
segno. Il sottosuolo di Ravenna, specie nei pressi di antichi chiostri o di fabbriche
antiche, offre con facilità simili trovamenti.
*
A m. 0,65 sotto il livello del mare si rinvenne, per primo, un lembo di mosaico
bianco e nero; e fu l'interesse suscitato da questa improvvisa scoperta che indusse
ad allargare lo scavo per quanto lo consentiva il momento. Fu messo infatti alla
'.o J. S. Vitali
Mausoleo Ji Galla Ronditi
FlG. 1.
luce l'avanzo del pavimento di una sala in mosaico a tessere bianche intorno ed a
tessere bianche e nere, formanti motivi geometrici, in un riquadro centrale ; riquadro
che è conservato perfettamente, mentre della fascia bianca che lo circondava non
restano che frammenti insufficienti per determinarne la precisa estensione.
Le tessere della striscia bianca sono più grandi ; sono messe a spina, e si frangono
contro un riquadro di tre tessere bianche, già parallele ai lati del riquadro centrale.
Una fascia nera di sei tessere racchiude uno spazio diviso in sedici scomparti-
menti formati da dieci serie di quadretti neri, intersecantisi a 5 a 5 perpendicolar-
mente; in mezzo ai quali si disegna un quadrato maggiore, obliquo. Le figure, nere
in campo bianco, sono contornate da una riga pure nera, che viene a tracciare degli
ottagoni irregolari, i quali hanno i lati opposti a 4 a 4 eguali (fig. 2, leti A).
Se si considera la semplice eleganza del motivo a mosaico, la regolarità della
posa in opera delle tessere, tenute compatte da un mastice negli interstizi e da uno
REGIONE Vili.
— 237 —
RAVENNA
strato di calce bianca sopra un impasto, più grezzo, di ghiaietta e calce ; se si tiene
conto del livello in cui è apparso, a m. 2,74 sotto il livello antico di s. Vitale ed
a m. 1,35 sotto quello del mausoleo di Galla Placidia, ed a m. 0,65 sotto il livello
del mare, si può con ogni probabilità affermare che il pavimento deve essere riferito
ai buoni tempi imperiali ; del quale avviso è pure il eh. soprintendente prof. G. Ghi-
Fio. 2.
rardini, che si recò a visitare lo scavo. Questo riquadro centrale misura m. 2,68 di
lato. Le diagonali del quadrato seguono quasi le direzioni cardinali.
*
Proseguendosi lo scavo a nord, vennero in luce altri avanzi discontinui di mosaico
a grandi tessere bianche con tracce diverse di riquadri e composizioni geometriche
nere, in direzioni parallele al pavimento sopradescritto (fig. 2, lett. B).
Notevoli, fra questi, due frammenti di delfini, di uno dei quali resta quasi in-
tera la testa; dell'altro la coda (fig. 2, lett. C).
Ricorre anche un semplice motivo di crocette nere con una tessera bianca cen-
trale, disposte in fila secondo le direzioni dei mosaici maggiori (fig. 2, lett. D).
Vi sono ancora larghe zone di restauri posteriori, eseguiti con negligenza, i quali
male si raccordano, per le tessere diverse, col lavoro originario, e ne interrompono
RAVENNA — 238 — REGIONE Vili.
il tracciato anteriore. Sono meno compatte e confuse, e mostrano punti neri sparsi
fra le tessere bianche.
Più ad est ancora limita questa prima zona un resto di muro, che all'estremità
orientale piega ad angolo verso sud, perfettamente parallelo alle tracce musive esi-
stenti (fig. 2, lett. /). È fatto con mattoni manubriati, rossi, compattissimi, di forte
cottura, di 43 cm. di lato per 32 e 6 di spessore, cementati con calce bianca e
sabbia grossa di fiume. La tecnica buonissima; la regolarità costante del materiale,
la diligente alternativa delle giunture dei pezzi, lo direbbero un muro dalle facce iu
vista; ma se, come con tutta probabilità può ritenersi, era muro che apparteneva
agli ambienti pavimentati coi musaici scoperti (la composizione dei delfini, infatti,
segue da vicino l'andamento di questo muro), esso doveva essere intonacato o rivestito
di marmo. Ma di tutto ciò non si rinvenne traccia. Le sue fondazioni non si poterono
scandagliare per la veemenza delle filtrazioni di sabbia ed acqua.
*
A levante di questo muro, e sempre in direzione parallela, comparve un altro
frammento di mosaico la cui composizione riconoscevasi quasi interamente.
Anche qui apparvero i resti di una larga fascia bianca, che racchiudeva un ri-
quadro di m. 1,30 di lato, limitato da una striscia nera e da una seconda striscia
più sottile.
Entro il riquadro sono inscritti due giri concentrici di triangoletti, in mezzo
ai quali, entro uno spazio bianco, è figurato un elegante vaso a doppia ansa col ventre
baccellato (fig. 2, lett. G).
I quattro pennacchi racchiudono una fogliolina d'edera a cuore, con tenie.
Anche questi elementi decorativi hanno una impronta prettamente classica. La
tecnica è eguale a quella degli altri mosaici (così almeno è apparsa per quel tanto
che s'è potuto confrontare) ; solo le tessere sono più piccole, e non escluderei potes-
sero essere di fattura un poco più tarda.
Questo mosaico è di m. 0,25 meno profondo degli altri, cioè è a soli m. 0,45
sotto il livello del mare.
*
Più a levante ancora, si rinvennero altre tracce di mosaico, ma solo di restauro
bianco con tessere nere, sparse senza nessuna regola e nessun concetto palese (fig. 2,
lett. H); poi, ad un leggero dislivello più basso, si rinvennero alcuni corsi di mu-
ratura a riseghe, sconnessa, frammentaria, con impasto di mattone trito; poi cocci
di anfore romane; coperchi con marche indecifrabili; frammenti di marmi, alcuni
bianchi, lavorati con tecnica meno antica, altri in pavimenti di opus sedile ; altri
ancora in rivestimenti e zoccolatale, ma senza speciale carattere o singolare impor-
tanza; poi brandelli di intonaco levigato e frescato a tinte indefinibili o rigato a
fasce rosse e gialle e verdastre cupe e bianche, ma incompleti troppo e quasi insi-
gnificanti.
Più sotto ancora giaceva uno strato di bei mattoni di grande misura, forse posti
a sistemazione del terreno per un piano ài posa del mosaico; ed anche un avanzo
REGIONE VII. — 239 — BOLSENA
di pavimento a piccoli mattoni esagoni, sopra i quali posavano alcune grosse trachiti
granitiche (fig. 2, lett. /).
Lo scavo s'è incontrato con un rudero di fogna che va da sud a nord verso est.
11 suo fondo è a m. 1,04 sotto il livello del mare, alla maggiore profondità cioè
dei resti scoperti fino ad ora. Questa fogna era ben costruita per lo scopo a cui era
destinata: era a letto impermeabile, con pareti a drenaggio per l'infiltrazione dal
terrapieno (fig. 2, lett. K).
Non sono rari gli esempì di simili fogne, costruite a tutti mattoni paralleli,
rinvenute nelle più basse zone degli scavi del palazzo di Teodorico.
Lo sterro che si è fatto non ha potuto seguire un tracciato regolare; molteplici
muse hanno impedito una più larga indagine; né i trovamenti, del resto, furono tali
da suggerire uno studio sotto qualche aspetto esauriente e completo. Si può soltanto
stabilire che non v'era nessun rapporto di parallelismo tra questi trovamenti e il
tracciato delle antiche mura romane ora del Torrione e di porta Gaza, e che i mosaici
scoperti, per le loro dimensioni e disposizioni, sembra potersi argomentare che appar-
tenessero a vari ambienti di una casa romana.
Dei muri divisori, come si è detto, è venuto in luce soltanto un piccolo tratto:
il che dimostra che il materiale laterizio deve essere stato asportato, probabilmente
iu tempi tardi, per farlo servire ad altre costruzioni.
Tutto questo è ben noto ed è dimostrato da altri scavi di Ravenna.
G. Nave.
Regione VII (ETRUR1A).
II. BOLSENA — Iscrizione ricordante un magistrato municipale di
Volsinii, rinvenuta nel territorio del Comune.
Fu l'anno scorso recuperata un'iscrizione latina che si trovava in un pozzo in
contrada Civitale presso Bolsena ('). È incisa su di un blocco di pietra viva, man-
cante in basso. Misura m. 0,52 X 0,65 X 0,30. I caratteri, data la natura della pietra,
sono abbastanza chiari:
L CAECINA L
QjTRPPPRCOS-
1 1 1 1 V1R ID-
SVA PECV
NIA VIAS
STRAVIT
L. Gaecina L. \_f{ilius)~\ (*), q(uaeslor), tr{ibunus) p(lebis), p(raetor) pr(p) co(n)-
s(ule) (3), IIII vir i(ure) d{icundo) sua pecunia vias stravit.
(') Debbo alla cortesia del prof. Paribeni l'aver potuto studiare la suddetta epigrafe.
(') L'iniziale del nome f(ilius) non è incisa perchè evidentemente al quadratario venne a
mancare lo spazio.
(») Praetor prò consule, di solito, nelle iscrizioni, è abbreviato in pr • PRO COS. Qui forse per
ragioni di spazio, volendosi far entrare tutte le magistrature in una sola riga, si è usata una mag-
giore abbreviazione.
BOLSENA — 240 — REGIONE VII.
Questa iscrizione, interessante non solo per l'età cui appartiene ma anche perchè
ci dà il nome dei magistrati supremi di Volsinii, si riferisce agli ultimi tempi della
repubblica o ai primordii del regno di Augusto.
Per così datarla, più che ogni altro indizio, è ragione sufficiente il semplice
titolo di proconsole, senza aggiunta della provincia: determinazione, questa, che ai
tempi imperiali non fu mai omessa (').
Altro dato non dubbio di età remota è la mancanza del cognome. Il gentilizio
Caecina appartiene a notevole famiglia di origine etnisca e propriamente di Volterra,
che poi si divide in più rami, e a Roma i Caecina apparvero fin dall'ultimo secolo
della repubblica (*).
Ignoto è però il L. Caecina della nostra lapide. Non abbiamo di lui altre no-
tizie, e fra i personaggi noti di quella famiglia non ne conosciamo alcuno dal pie
nome Lucius.
Non si fa menzione né di alcuna magistratura del vigintivirato, né del tribù
nato legionario, che non furono a quel tempo condizioni preliminari per potere occu-
pare le magistrature più elevate e in primo luogo la questura (3).
L. Caecina esercitò la questura, il tribunato della plebe e la pretura; e nel
secondo anno della pretura fu mandato con potestà consolare ad amministrare una
provincia. Fu inoltre qualtuorvir a Volsinii, e durante il suo quattuorvirato diede
prova di liberalità facendo lastricare a sue spese le vie della città.
A proposito dei magistrati di Volsinii, scriveva il Bormann (*) : « De nominibus
magistratuum non prorsus constat; nam quod dicuntur li II viri n. 2710 magistratus
utriusque generis coniuncti qui theatrum et proscaenium de sua pecunia faciundum
coeraverunt rem non decidit, atque incerta est lectio IlIIvir n. 2712, non integra
vir »'«]r. die. n. 2713 ».
Si può invece ora con certezza aifermare che a capo dello stato Volsiniese
stavano i quattuorviri.
T. Campanile.
(l) Borghesi, Oss. num., IV, 8 (cfr. C.I.L. I, 639,640, 641, pag. 188; XIV, 2603).
(') C. 1. L., XI, pag. 325; Pauly-Wissowa, Real Encyclopàdie, s. v. Caecina.
(*) Mommsen, Le droit public romain, trad. fr., II, pag. 200 sgg.
(*) C. I. L., XI, pag. 424.
ROMA — 241 — ROMA
III. ROMA.
Nuove scoperte nella città.
Regione IV. In via Baccina, eseguendosi un cavo per condottura elettrica,
si sono rinvenuti un rocchio di colonna di granitello (m. 1,10X0,32) e una piccola
base marmorea di forma cilindrica (m. 0,20 X 0,45).
Regione V. In piazza S. Croce in Gerusalemme si è scoperto un frammento
di statua marmorea, alto m. 0,80. Si tratta di una figura femminile di cui nel nostro
frammento sono conservate solo le gambe. Il frammento è stato trasportato nell'^n-
tiquarium comunale del Celio.
*
Regione VII. Continuandosi in piazza Colonna i lavori più volte menzionati,
si è rinvenuto un piccolo cippo di marmo bianco (m. 0,43X0,24X0,15), il quale
su le facce laterali ha la patera e il prefericolo, e su la principale, scorniciata, l' iscri-
zione seguente :
PiAELIVS
(P)HILETVS
SILVANOi
eTLARIB l
PENATIBJ.
D l D l
Di P. Aelius Philetus, probabilmente lo stesso della nostra iscrizione, e di
P. Aelius Philetianus si conosce anche un'altra iscrizione in onore di Silvano, dei
Lari e dei Penati (C.I.L., VI, 582). Per il culto di queste divinità insieme
cfr. Roscher, Lexicon, IV, e. 850 (Peter), e Wissowa, Relig. u. Kult. d. Ròmer*,
pag. 214 e n. 11.
Si sono rinvenuti pure cinque frammenti di lastre marmoree con avanzi d'iscri-
zioni. Sopra uno di essi (m. 0,34 X 0,27 X 0,03) si legge :
ET-DElll...
POSTERISQ^. .
SVLP1CIA-ET...
OSTIA — 242 — REGIONE I.
Via Casilina. In contrada Marranella, facendosi lavori per la costruzione di
una casa di proprietà del sign. Romeo Busca, si è rinvenuta tra la terra una lastra
di marmo bianco (m. 0,60 X 0,42 X 0,04) con la seguente epigrafe sepolcrale :
D M
THESEVS
VIX-ANN-IIII
MENS-III- DIB XVIII (liei
CAMPVTVLEIA
NOMINATA
DELICIO SVO
Del nome Camputuleia non si conoscono, che io sappia, altri esempì.
F. Fornari.
Eeoione I (LATIUM ET CAMPANIA).
LAT1UM.
VI. OSTIA — Sterri nell'edificio detto delle Pislrine, e presso la
casa di Diana. Statuette di bronzo ed oggetti vari rinvenuti in un
santuario dedicato a Silvano.
Tra i molti edifici ostiensi che i vecchi esploratori visitarono soltanto o solo
in parte scavarono, era questo edificio delle Pistrine, di cui tre dei sedici ambienti, dei
quali si compone, sembrano essere stati esplorati intorno al 1860. Lo sterro delle nuove
strade di Diana e delle Pistrine, e il programma direttivo che intende riallacciare
tutti i gruppi di rovine ancora sparsi, hanno ora portato a completare l'esplorazione
dell'edificio suddetto, con i seguenti risultati:
L'edificio (fig. 1) si estende sopra una superficie di mq. 950, ed è fronteggiato
da due strade publiclie e diviso dalla casa di Diana per mezzo di una viuzza privata, o
da uno di quegli angiporti di cui doveva abbondare Roma e che spesso era richiesto
dal carattere delle costruzioni ostiensi. Tale angiportus non è un iter compendiarium
(Festo, ep., 17), ma è a fondo cieco in modo da risultare il vero erede dell ambitus
intorno all'edificio delle Pistrine di cui è proprietà esclusiva, poiché la casa di Diana
non ha su esso neppur diritto di luce. Esso serve quindi soltanto ai bisogni dell'edificio
delle Pistrine che vi mettono due vasche ad acqua e ne ricavano anche degli ambienti.
Eccetto i nn. 1 e 2, botteghe indipendenti, fronteggianti la via di Diana, l'edificio
può dirsi composto da una doppia serie di tabernae, comunicanti fra loro. I vastis-
simi ambienti (nn. 3 e 4) contengono numerose macine di grano di lava di Rocca-
monfina, formate, come d'uso, da una meta fissa e da un catillus mobile (fig. 2).
R10I0NE I.
— '243 —
OSTIA
2
Notizm Soavi 1915 — Yol. DI.
83
OSTIA
244 —
REGIONE- !.
Il n. 5 contiene poi un certo numero di macine differenti dalle altre, erroneamente
ritenute finora macine per olio (fig. 3). Sono esse invece quelle machinae quibus
farinae subiguntur (Paul., seni.. Ili, 6, 64) riprodotte anche sul sepolcro di Eurisace.
Sono formate da una tazza cilindrica con due fori a differente altezza e affrontati
sulle pareti. Manca o uon è più riconoscibile nel fondo della tazza l'innesto per il
bastone centrale, come si ritrova negli esemplari pompeiani.
Fio. 2.
Alcune delle macine debbono essere state spostate, non essendoci spazio per la
loro roteazione, anche se fatta a braccia e non con bestie.
Gli ambienti nn. 6 e 7 contengono rispettivamente due enormi forni, di cui
rimangono le tazze costituite da rettangoli di tufo aderenti tra loro, e piccola parte
delle volticelle.
Sono dunque raccolte qui le testimonianze del triplice lavoro di panificazione
(la macinatura, l' impastatura, la cottura) ; ed è il primo edificio completo di questo
genere che apparisce in Ostia, di cui conoscevamo un corpus pislorum (C. I. L. XIV,
101). Ricordo inoltre che nel sec. IV il pane di poco prezzo (panis fiscalis) doveva
provenire da Ostia per lo meno in farina, essendo chiamato panis ostiensis (Cod. Theod.,
XIV, 19, l, anno 398).
REGIONE I.
— 245 —
OSTIA
Senonchè la grande vastità dell'edificio, i numerosi rifacimenti che vi appaiono,
e la presenza di edicolette in cotto sui pilastri tra taberna e taberna, fanno pensare
cbe esso accogliesse parecchie maestranze. La sola edicoletta conservata è quella
pubblicata nelle Notizie del 1913 (fase. 6, pag. 206) con figurazione di arnesi (archipen-
zolo, compasso, regolo ecc.) che nessun legame possono avere con la panificazione. Sulla
muratura esterna restano tracce di riquadrature a fascia rossa, indizi di affissi com-
merciali o elettorali, di cui però nulla rimane. Comunque, ospitasse o no varie specie
y-
Fig. 3.
di laboratori, questo edificio così vasto è ancora maestoso; e, malgrado degli innu-
merevoli rifacimenti da esso subiti, attesta ancora una volta il carattere industre e
laborioso della popolazione ostiense. Che l'edificio avesse almeno un piano superiore,
lo attestano tanto il ritrovamento di grandi pezzi di muratura a cocciopisto, frammenti
forse di vasche superiori; quanto gli enormi archi del vano 4 e dell'angiporto, costruiti
forse appositamente per sostegno e ampliamento dell'edificio. Altre conferme ne sono
la presenza di due scale, non però originarie, e frammenti di mosaici e oggetti pro-
venienti dal di sopra. Però nulla prova che questo supposto piano superiore fosse
stato originario.
L'edificio è costruito con cortina a mattoni nelle facciate, e nella muratura secon-
daria con reticolato a ricorsi di mattone, meno resistente dell'altra; nell'interno e
nella facciata su via delle Pistiine si notano parecchi grossi pilastri che si ripetono
nel lato opposto della strada.
08TIA
— 246 —
REGIONE I.
L'importanza archeologica di questo edificio non si ferma peróne alla grandio-
sità e all'uso di esso né alla non comune attrattiva che presentano oggi le sue
rovine, specialmente le arcate del vano 4 e i graziosi archetti dell'angiporto; ma
sopra tutto consiste in un'abbondante mèsse di piccoli bronzi che esso ha dato, in
singolari memorie di culto.
•À
Fio. 4.
X
Nel sottoscala piccole tracce di stucco dipinto fanno riconoscere l'esistenza di
un piccolo luogo di culto, sebbene manchi ogni possibilità di identificazione. Assai
più importante e meglio conservato è invece una specie di larario ricavato nell'an-
giporto, quasi allo sbocco in via di Diana, mediante innalzamento di muricciuoli.
Questo ambiente, di m. 6 X 2, è pavimentato a mosaico bianco e nero figurato, di cui
rimangono soltanto un vietimarius nell'atto di colpire e pochi resti dell'ara innanzi ad
esso: sopra l'ara figurata è stata messa poi un'aretta quadrata in muratura (fig. 4).
REGIONE I.
— 247 —
OSTIA
Caduto da questa, fu trovato un piccolo lare in marmo, di fattura abbastanza
rozza, che tiene nella d. una patera (fig. 5).
Le pareti dell'ambiente portano tracce di varii intonachi sovrapposti. Il primo
sembra essere l'usuale tipo di decorazione parietale ostiense a riquadri contornati da
fasce e linee rosse ben visibili nella parete verso la strada, in cui apparisce la parte
inferiore di una figura giovanile a corta tunica, disegnata con simpatica semplicità,
forse un Lare; e nella parete destra, in cui sono due pesci
e una testina femminile con alucce al capo (fig. 4). Quanto
rimane di questo primo intonaco non ci parla troppo di culto;
ma la nicchietta nella parete di fondo, rivestita dello stesso
intonaco, e il mosaico del pavimento, proverebbero che fin da
principio l'ambiente fosse adibito a culto.
A questo primo intonaco sono stati sovrapposti altri di
cui rimangono tracce, sebbene la cattiva conservazione della
parete ne renda difficoltosa l' identificazione. Per quanto m' è
riuscito di osservare, può approssimativamente ritenersi che
le prime figure sovrapposte al primo intonaco siano una
Iside di cui rimane il braccio d. reggente il sistro, e un pic-
colo Arpocrate nella consueta figurazione e che sembra anche
ragionevolmente doversi ritenere compagno di Iside (fig. 6).
Ad uno strato susseguente a questo sembrano apparte-
nere una figurina di giovinetto reggente nella d. una pa-
tera (un Lare forse), e un'altra figurina, per me non identifi-
cabile, che si confonde con l'ultima grande figura a destra
dell'ultimo strato (fig. 7). A quest'ultimo strato, che è il più
conservato, appartiene una terie di quattro grandi figure, non
tutte però allo stesso piauo, e anch'esse in gran parte rovi-
nate. Sono però riconoscibili in esse, da sin. a destra (fig. 6),
Juna figura virile acefala loricata, nell'atteggiamento dell'Au-
gusto di Prima Porta; la Fortuna che porta la mano d. sul remo; la personifica-
Fig. 5.
Fia. 6.
zione della Liberalitas, cara agli Antonini, nello stesso atteggiamento risultante
da parecchie monete con una tessera nella d. e il corno dell'abbondanza nella sin.
OSTIA — 248 — REGIONK I.
(cfr. nel sarcofago Aquari della via Latina una figura simile: Paribeni. in Bull,
d'arte, III, fase. Vili, pag. 295); ultima, una figura virile nuda, levato il braccio sin.,
in atto di appoggiarsi ad un'asta, e la mano d. poggiata sul fianco. L'atteggiamento
ci riporta al modello lisippeo di Alessando Magno e alle sue derivazioni come il bronzo
4el Museo delle Terme (Paribeni, Guida, n. 351); ma — cosa notevole — la posa
della mano, spiegata sul fianco, più esattamente ci riconduce al piccolo bronzo della
collezioze Nelidoff (Helbig, Fiihrer, n. 1347, fig. 35).
Questa varietà di figurazioni non lascia precisare a quale specie di culto fosse
adibito questo ambiente: riesce sopra tutto difficile pensare quali, divine o umane,
persone si sia voluto raffigurare sotto gli atteggiamenti delle due figure eroiche di
Augusto e di Alessandro.
Quanto all' intere^c artistico, ò cerio notevolissimo il fatto di trovare, iu pitture
della secouda muta del 111 secolo e in un povero ambiente, riprodotti fedelmente
modelli statuarii : ciò merita d'esser segnalato.
*
Tutte queste figurazioni sono però secondarie di fronte all'altra meglio conser-
vata, forse posteriore e certo lavorata a parte, nella parete opposta: Silvano (fig. 8),
di prospetto, nel solito atteggiamento, con un ramo di pino nella sin. e un falcetto
nella destra. Veste un mantello frangiato fino ai ginocchi; accovacciato a d. è il cane
col pelo a linee bianche e nere; a sinistra una colonna. Tracce di doratura sono nel
mantello e sul viso. Come colpisce la derivazione da. modelli statuarii nelle due
figure citate, così in questo Silvano, pittura rozza e tarda, è degno di nota l'atteg-
giamento calmo, dignitoso e severo. Questo dio campestre è rappresentato nella sua
piena virilità e maturità, con folti la barba, le sopracciglia, i capelli ; non si può
quindi qui rimproverare ciò che Ovidio rimprovera e che al suo tempo doveva essere
foggia comune : Silvanusque suis semper juvenilior annis (Metam., XIV, 639).
Questa dignità dei modelli, non solo si nota nel Silvano ma si annuncia già
nelle figure summenzionate; ne è andata perduta, neppure attraverso l'imprecisione
dei dettaglila grossolana fattura e la povertà e l' imperizia della colorazione.
ltKGIONE I.
— 249 —
OSTIA
11 culto di Silvano, che sembra essere stato il principale in questo piccolo e
povero santuarietto, ha già molte memorie in Ostia. Una corporazione ostiense, forse
quella dei sacomarii o pesatori, portava il suo nome: collegium Silvani aug. maioris
{G.I.L. XIV, 809).
Non è facile di supporre che questo collegio avesse sede qui ; ma bisogna pur no-
tare l'affinità di questi sacomarii con gli addetti a questo edificio di panificazione.
Né mi par inutile di ricordare la frase poco chiara dell'iscrizione C.I.L. XIV,
309 collegium Silvani aug(usti) quod est Hilarionis, iunctus sacomari(o) (corretto
dal Mommsen in functus sacomarii). Ma nulla in ogni modo ci dice che questo
edificio sia di cotesto Hilarion, né che sia aderente al sacomario.
*
L'intero edificio delle Pistrine fu distrutto da un fuoco violento, a quanto si
deduce da numerose tracce lasciate sui dipinti, nei frammenti di mosaico e negli
oggetti di bronzo ivi trovati. A qual tempo risalga questo incendio, ce lo dice un
gruppo di 38 monete trovato nel grande ambiente n. 3 dell'edificio.
Il maggior numero di queste monete è in cattiva conservazione, avendo subito
il fuoco e una profonda ossidazione.
Identificabili sono i pezzi seguenti:
Traiano Decio (Coh. 39)
Filippo p. mb. spezzato
Filippo f. mb. . . .
Filippo f. mb. (Coh. 80)
Gordiano III gb. . .
Quintino (bilione) (Coh. 63)
Probo (bilione) (Coh. 768)
Gallieno (bilione) . . .
Num.
1
1
1
1
2
1
1
2
Num.
Claudio I mb. (Coh. 14) . . . 1
Domiziano gb 1
Adriano gb 1
M. Aurelio gb 3
M. Aurelio mb 1
Faustina f. gb 1
Lucio Vero gb 1
Iulia Domna gb. (Coh. 20) . . 1
Commodo gb 1
Sono dunque 21 pezzi riconoscibili che assegnano la distruzione dell'edificio quasi
alla fine del III secolo.
Fatto notevole è che l'edificio, dopo la distruzione, non si è ripristinato; anzi
pezzi di muro caduti sulla strada sono stati ivi lasciati e si è camminato sopra un
forte battuto di terra da cui vennero ricoperti. Ciò indica che alla fine del III sec,
che è l'età a cui deve riportarsi la distruzione dell'edificio, c'era in Ostia la possibilità
di occupare altre aree ed altri edifici senza curarsi di ripristinare i vecchi. Che, qua-
lunque fosse l'uso di questo edificio, la sua funzione non può essersi estinta d'un
tratto con l'estinguersi della costruzione.
In ogni modo la povertà della vita cittadina, del resto assai relativa, se si tien
conto dei bronzi trovati in questo edificio, viene sorretta e accompagnata da una
intensa vita religiosa. Fossero pur poveri operai i costruttori ed i devoti del culto di
OSTIA
— 250 —
REGIONE t.
Silvano, essi ci hanno lasciato un piccolo santuario in cui la nobiltà dei modelli
risana l'imperfezione della tecnica.
• : • ■
Fio 8.
All'ingresso del santuario sono stati rinvenuti numerosissimi frammenti di vasi
di bronzo, rovinati purtroppo dall'azione del fuoco e dell'ossido. Proveniente forse dai
piani superiori, si rinvenne poi la seguente serie di statuette e di altri piccoli oggetti
in bronzo, tanto nel grande ambiente n. 3 (cfr. pianta) qnanto nella bottega n. 1
prospiciente la via di Diana. Questa serie di bronzi, per il numero di oggetti di cui
si compone e per l' interesse che ciascun d'essi presenta, è certo la più cospicua
RB010NE I.
— 251 —
OSTIA
raccolta che sia venuta alla luce da quando furono iniziati in Ostia gli scavi
governativi.
Fio. 9.
1) Due candelabri (fig. 9) di modello architettonico con piede in bronzo e fusto
in ferro, perfettamente conservati, salvo in parte del fusto e nella patera destinata
Fra. 10.
a ricerere la lampada che manca. Nel primo la base è costituita da tre zampe ad
unghie fesse ed a testa leonina che sfuggono da un piatto ornato da un disegno a
foglie. Il secondo è costituito da tre zampe di grifo che sfuggono ciascuna da una
foglia; ciascuna zampa è legata all'altra da una foglia d'edera.
Nonzn» Solvi 1915 — Voi. XII. 34
OSTIA.
— 252
REGIONE I.
2) Un serpente attorcigliato in due spire, con la testa alta (min. 80 X 60)
(fig. 9).
3) Un'ansa di vaso tinionte da un lato con una foglia, dall'altro con ima
maschera muliebre a ricci ricadenti sulle tempie, alta mm. 160 (fig. 9).
V r >'
.
Fio. 11.
4) Quattro lucerne di bronzo di mm. 140 ciascuna (tig. 10).
5) Tre vasi: una oenochoe a imboccatura trilobata alt. mm. 140, largb.
mm. 120 (fig. 11); un vaso a doppio cono tronco (mm. 180); un piccolo vasetto
a forma di bombilios ornato da tre gruppi di circoli concentrici sulle pareti; sugli
Fig. 12.
Fia. 12 a.
y
omeri quest'ultimo ha due gancetti ai quali sono attaccate due catenelle (mm. 75)
(fig. 11).
6) Uno scorpione (mm. 60) (fig. 12). Un disco a protome di cavallo (fig. 12 a).
7) Pieduccio campanulato (mm. 90); piccolo calamaio cilindrico.
8) Bustino di amorino (applique) alato con viso paffuto e capelli ricciuti
formanti un ciuffo sulla fronte : la alette molto corte e le braccia attaccate al petto
terminato da una fascia che con dueno di nasconde il tronco delle braccia (mm. 105)
(flg. 13); bustino di Giove Serapide col calathos (fig. 13 a).
RKGIONE I.
— 253 —
OSTIA
9) Piccolo Giore con corona di quercia i cui lemnischi cadono sulle spalle;
una imperfezione forse nella fusione ha incurvato un poco il petto, così da rendere
un po' gibboso questo Giove.
10) Un asse di bilancia con tre uncini di sospensione per la variazione del
peso. Sono rimaste anche le catenelle di attacco del piatto della bilancia. Sull'asse
le graduazioni del peso sono contrassegnate da piccole linee verticali (lunghezza
mm. 190).
X
Fio. 13.
Fio. 13 a.
11) Piccolo piede di mobiluccio o di altro, di forma rettangolare alla base e
circolare alla sommità (mm. 80). Un secondo riproduce la stessa forma ma è di
grandezza maggiore.
Fio. 14.
12) Vasettino di forma cilindrica, ermeticamente chiuso.
13) Una maschera gorgonica, probabilmente destinata a ricoprire lo scudetto
d'attacco di un'ansa (tìg. 14).
14) Varii frammenti di laminò appartenenti a rivestitura di letto o di sedia
con una greca ad intarsio d'argento simile alle molte che furono già trovate sia a
Ostia stessa sia a Pompei.
15) Bacinella rettangolare con pareti ripiegate a labbro il quale è ornato da
una cintura di ovuli: nel fondo, due listelli diagonali (mm. 265 X 215 alt. mm. 35)
(fig. 15).
i
OSTIA
— 254 —
REGIONE I.
16) Statuetta di Lare imberbe con capelli ondulati, vestito di tunica a corte
maniche stretta alla vita da una cintura ; un mantello passante sopra la spalla sin.
è tenuto dalla stessa cintura ricadendone al di fuori. La mano d., protesa ed aperta,
Fio. 15.
tiene una patera; la sin,, abbassata, portava forse un corno d'abbondanza. La figura
poggia sopra una basetta quadrata ornata di un ramo di alloro le cui foglie e le
cui bacche erano in argento (fig. 16).
Fio. li
17) Un'ermetta di Priapo dall'aspetto sileniforme, il quale regge tra la
nebride, con il braccio sin. piegato, varii frutti tra cui pomi e uva. Comune nel-
l'atteggiamento, è notevole per la finezza del modello e per la perfezione dell'esecu-
zione (fig. 17 a).
REGIONE I.
— 255 —
OSTIA
Piccolo Mercurio con petaso e calzari alati: la clamide è gettata sulla spalla
sin.; la mano d. regge la borsa (fig. 17 b).
18) Statuetta di Ercole fanciullo, del noto tipo dell'Ercole capitolino (Reinacb,
I, pag. 461, 3; Helbig, F&hrer, I, n. 863). Però c'è in questo, anche per le minori
sue proporzioni, una più graziosa e sopportabile espressione della forza muscolare
(fig. 18 a).
*
Fio. 17 a.
Fio. 17 b.
18 a) Statuetta di dea che l'egida fa riconoscere per Athena, che impugnava con la
sin. lo scudo e con la d. la lancia. Non è comune il mantello fermato — non si
sa bene come — sulla spalla d., il quale scende lungo il dorso fin quasi ai piedi
e lungo la parte anteriore sin. della figura, a foggia di clamide. Notevole anche la
presenza di un elmo ridotto sulla fronte a diadema e riconoscibile soltanto nella sua
parte più alta. L'atteggiamento, il vestito della figura e questa singolare riduzione
del casco, riportano piuttosto ad Hera che ad Athena (fig. 18/>).
19) Statuetta di Dioscuro con pilus e clamide gettata sulla spalla d. Riproduce
il motivo di un piccolo bronzo della collezione Greau (Greau, pi. XL, 2; Reinach,
II, pag. 109, 6), ma è inversa la posa delle braccia: anche in questo bronzetto
di Ostia si nota una maggiore perfezione di modello e migliore esecuzione (fig. 19).
20) Bustino di negro (applique). Vi sono espressi assai realisticamente i
caratteri di razza ed individuali — perfino una bozza frontale sopra l'occhio d. —
ma con una squisita sensibilità artistica che rende amabile questo giovano schiavo
f~
>C
OSTIA
— 256 —
REGIONE I.
Fio. 18 a.
Fio. 18*.
Fic^fiO.
REGIONE I.
— 257 —
OSTIA
etiopico (tìg. 20). È assai curioso e notevole il vestito che indossa; sopra la tunica
esso porta una paenula a corte maniche munita di un cappuccio (cucullus) che
invece di cadere dietro la nuca, viene riportato
in avanti sulla spalla sin. dalla mano del piccolo
negro. Questo cappuccio ha la forma di una grande
foglia triangolare. Vediamo qui uno schiavo che
veste un'abito di fatica, comune a soldati, a viag-
giatori ad operai, a servi, e, per di più, munito
di cappuccio; così nella traduzione realisticamente
artistica è prevalsa la caratteristica servile alla
caratteristica della razza, a cui meglio s'addiceva
la nudità. Per questo singolare abito, per la ridu-
zione del corpo a mezzo busto, il piccolo bronzo
ostiense si distacca totalmente dalle figurazioni
di negri conosciute, le quali, eccetto il mirabile
negro dormiente della collezione imperiale di Vienna,
sono per lo più limitate e applicate a lucerne
ed a vasi più spesso greci che romani. È dunque,
il nostro, un modello fino ad ora sconosciuto e
veramente interessante per la storia dei motivi
artistici, nel dominio dell'aite romana.
Fio. 21.
Oltre a questi numerosi bronzi, furon trovati nella taberna n. 1 sulla via di Diana,
i seguenti due marmi:
21) Piccolo Eros dormiente, comune nell'atteggiamento spesso adoperato come
simbolo funerario (Reinacb, I, pag. 253), ma insolito per le sue piccolissime dimen-
sioni (mm. 100) che ne rendono più graziosa la figurazione e più accurata la esecu-
zione (fig. 21).
22) Statuetta di Venere ricostituita da più frammenti e mancante di non pochi
altri (fig. 22 a, 22 b). Gli attributi presso la gamba sin. fortemente poggiata al
suolo (scudo, elmo, lorica), e la fascia che essa porta a tracolla, nonché la posa del
braccio d. ripiegato sulla spalla per modo che la mano, supponibilmente, togliesse
la fascia, fanno riconoscere in questa statua (alt. cm. 53) una Venere armata, il
cui migliore esemplare è nella Galleria degli Uffizi (Amelung, Fùhrer, pp. 52
e 108).
A questa e ad altra simile del Louvre (Venere vittoriosa, Reinach, I, pi, 343) ci
riconduce anche la posa del braccio e della mano destra ; ma occorre però notare che la
posa della mano destra, che tiene l'estremità della fascia, piuttosto che a tenere un
balteo, accenna a cingere una fascia mammillare; tanto più che tale atteggiamento
permette la stessa mossa della mano d. (cfr. Reinach, IV, pag. 210, 5). La presenza
di attributi così chiari, e che non hanno nessuna ragione d'essere quanto al sostegno
della spada che usciva sotto il gomito, stanno a comprovare però la prima ipotesi,
A
OSTIA
— 258 —
RKGIONK I.
e non escludono che il copista stesso li abbia aggiunti non sembrandogli sufficien-
temente chiara la sola presenza del balteo.
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Fio. 22 a.
Fio. 22 i
La maggior parte degli oggetti trovati in questo edificio proviene dal piano
superiore. Essi attestano che durante il IH sec. c'era ancora in Ostia una certa agia-
tezza che permetteva l'acquisto di piccole e grandi opere artistiche, assai interessanti
e quasi sempre nuove per noi, le quali fanno di Ostia una nuova fonte preziosa per
ritrovamenti di cose d'arte.
Q. Calza.
REGIONE XI. — 259 — TORINO
Anno 1915 — Fascicolo 8.
Reoionk XI (TRANSPADANA).
I. TORINO — Tracce di necropoli barbarica presso la strada na-
zionale Torino- Moncalieri.
Fin dall'aprile 1910 la Sopraintendenza degli scavi per il Piemonte veniva
informata di casuali ritrovamenti di antichità ripetutamente avvenuti in un campo
di proprietà della signora Ferria-Pasini, lungo la strada nazionale Torino-Moncalieri,
in regione Fioccardo. Presi in esame dall'ispettore dott. Barocclli gli oggetti rin-
venuti, e raccolti nella villa Ferria-Pasini a Cavoretto, vi si riconobbero alcune monete
di bronzo, una delle quali di M. Agrippa, un'altra di Tiberio, una di Nerone Druso,
una di Tito, una di Aureliano, una di Probo, una di Costantino, ed altre due non
identificabili a causa del loro stato di poca conservazione.
Vi si scoprirono anche embrici e mattoni. In uno di questi appariscono alcune
lettere in carattere corsivo, distribuite in tre linee, senza che per altro se ne possa
dedurre alcun senso.
Finalmente meritano essere ricordati quattro pezzi di una lapide funebre, in uno
dei quali rimangono chiarissime le lettere terminali : T • F • I .
Vi si rinvenne pure un'ascia di ferro ed uno « scramasax » del tipo di quelli
ritrovati nella necropoli di Testona ed in altri sepolcri di età barbarica. Innanzi a
questa scoperta, poiché, non ostante le esplorazioni fattevi circa venti anni or sono,
nel campo rimanevano numerosi avanzi di embrici e di mattoni antichi, la Soprain-
tendenza ai musei ed agli scavi del Piemonte si diede cura di far eseguire dei saggi
di scavo, che furono fatti col favore e l'assistenza dei proprietari.
Questi saggi, condotti metodicamente in ogni parte- del campo, confermarono
bensì che esistette in quel luogo una necropoli barbarica, ma che essa era già stata
completamente distrutta. Infatti non vi si trovarono che un gancio da cinturone di
tipo barbarico, una borchia di bronzo e scarsissimi frammenti di vasi di terracotta.
Tanto si deduce da una informazione data dall' ispettore dott. P. Barocelli.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 35
SALDZZO — 260 — " REGIONE IX.
Regione IX (LIGURIA).
II. SALUZZO — Tombe romane scoperte nel territorio del comune.
In seguito a notizia, casualmente avuta, del rinvenimento di cinque tombe romane,
avvenuto nel territorio del comune di Saluzzo, per ordine del Soprintendente mi
recai sul luogo della scoperta il giorno 28 dello scorso maggio. La scoperta era
avvenuta sul contine del comune presso Torre San Giorgio, a circa 500 metri ad
occidente della cascina Tetti Monache, presso la riva destra del torrentello Tepice.
Due delle tombe erano rettangolari, contigue per uno dei lati minori, e presen-
tavano ancora, a circa m. 1,20 di profondità dal piano di campagna, il fondo di mat-
toni disposti con regolarità. Erano limitate in tutti i lati da muricciuoli, ora in parte
distrutti, larghi m. 0,22, uno dei quali separava una tomba dall'altra, costruiti di
mattoni sovrapposti con poco e taluno anche senza cemento.
Il vano di ciascuna delle dette due tombe misura in larghezza m. 0 87 : quella
più settentrionale ha poi una lunghezza di m. 1,12; l'altra, m. 1,41. Sul fondo era
un piccolo strato nericcio di ossa semi-combuste e di altri avanzi, forse del rogo.
In una furono rinvenuti, secondo ciò che mi fu affermato, due vasi di vetro
verdognolo chiaro, a forma di bottiglia dal collo lungo e dal fondo piatto, l'uno di
m. 0,155 di altezza e m. 0,10 di larghezza, l'altro di m. 0,06 di altezza e m. 0,05
di larghezza. Nella stessa tomba sarebbe stata rinvenuta una lucernetta fìttile mo-
nogene recante nel disco la figura di un delfino.
In un'altra furono inoltre rinvenuti due medi bronzi imperiali, troppo corrosi
per essere identificati.
A distanza poi di circa tre metri furono rinvenute le altre tre tombe, pure di
combusti, ma più piccole, formate con casse di embrici, e completamente distrutte.
*
Nel palazzo Cavassa di Saluzzo, adibito dal comune a museo, insieme con la lu-
cerna fittile e con le bottigliette, di cui sopra, vidi raccolti alla rinfusa numerosi
frammenti di piccole e rozze coppe di argilla cenerognola, e di vetri di colore
verdolino-chiaro, e rottami di embrici e di mattoni. Sopra un embrice leggesi la
lettera V; sopra altri veggonsi uno o più semicircoli concentrici incavati, impronte
di figure di animali e di piede umano. Due embrici, quasi interi, misurano ad un
dipresso m. 0,57 di lunghezza, m. 0,44 di larghezza e m. 0,08 di spessore.
I mattoni sono di diversa fabbricazione e di diversa misura: m. 0,30 X 0,22 X
0,07; m. 0,325X0,23X0,06; m. 0,445X0,30X0,07.
Non è escluso che accanto a queste sianvi altre tombe.
P. Barocklli.
REGIONE VII. — 261 — PERUGIA
Regione VII ( ET R URIA).
III. PERUGIA — Scoperta di due orecchini d'oro.
Nel comune di Perugia, e precisamente in un terreno del contadino Daniele Sal-
talippi presso la « fattoria Spinola in Brilla », avvenne fortuitamente la scoperta
di due orecchini d'oro dei quali è oggetto la presente Nota.
Il Saltalippi, lavorando il suo campicello, nel maggio del 1914 rinvenne uno degli
orecchini, che raccolse e conservò presso di sé, senza cercare altro, a quanto egli
assicura. Tornato poi nel novembre a lavorare nel medesimo punto per la semina, ed
avendo rimosse le zolle per una profondità di circa 30 centimetri, scoprì il secondo
orecchino, identico all'altro trovato nel maggio, e notò inoltre alcuni rottami di vasi
rozzi che egli trascurò, ed un manico di specchio eneo.
Si trattava evidentemente di una tomba, secondo ogni probabilità ad incinera-
zione, la quale, a cagione della sua poca profondità, si può supporre che fosse stata
anche devastata in precedenza, senza che alcuno se ne avvedesse. Non si sa pertanto
quale forma e disposizione avesse tale sepolcro; ma non è improbabile che fosse pra-
ticato in una specie di grotticella artificiale, scavata nel terreno poco resistente,
come si verificò in molti altri casi simili nell'agro di Chiusi e di Perugia in ispecie.
Comunque, non fu possibile di sapere altre notizie concrete dal Saltalippi, che
portò gli orecchini al Museo di Firenze, dove furono fermati per salvaguardare gli
interessi degli studi e quelli dello Stato.
*
Come ho detto, i due orecchini aurei che il contadino Saltalippi esibì, sulle
prime non senza un certo mistero e con pretese esagerate, sono simili fra loro per tipo,
per grandezza e per lavorazione (fig. 1); non vi è quindi alcun dubbio che essi faces-
sero parte di un unico deposito funebre e costituissero un solo ornamento, logicamente,
artisticamente ed anche archeologicamente indivisibile. Fu per queste considerazioni
che il Mininistero accolse di buon grado la proposta di riscattare, con un compenso
pecuniario, la metà parte di ragion privata, dando così modo di introdurre nella
insigne raccolta di oreficerie etnische del nostro R. Museo archeologico i due gra-
ziosi gioielli di recente scoperti.
Essi sono di un tipo già noto in Etruria per esemplari provenienti dallo stesso
territorio di Perugia, cioè da Civitella d'Ama, ed inoltre da Viterbo, da Bologna,
da Volterra, dalla regione tarquiniense ecc. ('); e consistono in una testa leonina a
(») Cfr. Karl Hadaczek, Der Ohrschmuck der Oriechen und Etrusker, pag. 75, nota 2,
figg. 146-147.
PERUGIA
262 —
REGIONE VII.
tutto tondo, da cui si stacca un arco ritorto a cordone, che va assottigliandosi e
in punta termina con una pallina. Due orecchini della stessa forma furono rinvenuti
nel territorio di Terranova di Sicilia ed editi dal prof. Orsi in queste Notizie d. scavi,
per lo scorso giugno, pag. 234. Il punto d' inserzione dell'arco nella testa di leone è
segnato da un triplice collarino e da un poco di criniera stilizzata, con ritocchi a bulino.
È evidente che questi orecchini si ottenevano mediante la fusione in una forma, ma
venivano poi ritoccati a mano, levando ogni slavatura e rifinendo i particolari più
Fio. 1. — Orecchini d'oro scoperti presso la « fattoria Spinola in Brufa».
minuti. La fotografia al vero, che qui pubblico, è sufficiente a dare un'idea precida
non solo del tipo, ma anche della sua tecnica particolare.
Questo tipo zoomorfo non nasce però sul suolo d' Etruria, dove solamente attecchì
con una estesa diffusione. La sua origine va ricercata nell'ambito della civiltà gie< a,
che lo generalizzò — con forme quasi identiche alla nostia — a partire dal secolo V
av. Cr. ('). In Italia esso comparisce già nel secolo IV e dura per tutto il secolo
successivo, al quale io farei risalire la coppia rinvenuta dal Saltalippi. Questa, per
la grandezza, per l'accurata lavorazione e per il perfetto stato di conseivazione, costi-
tuisce certamente uno degli esempi più insigni.
Ed. Galli.
(') Karl Hadaczek, op. cil, pag. 46; cfr. pag. 47, flg. 86.
REGIONE VII. —r 268 TREQUANDA
IV. TREQUÀNDA — Scoperta di un sepolcro etrusco nella tenuta
« Belsedere ».
Nel gennaio del 1911, in una proprietà del cav. Venceslao de Gori-Pannilini,
denominata « Belsedere • e posta nel comune di Trequanda (prov. di Siena), mentre
si lavorava a spianare un poggetto di natura tufacea, alla profondità di due metri
circa sotto il piano di campagna fu scoperta una tomba.
Siccome la mia visita sul posto potè effettuarsi solamente un anno dopo, non fu
possibile di raccogliere maggiori notizie di quelle cbe qui ho riunite, sulla forma, orien-
tazione, vastità dell'antico ipogeo, e circa la giacitura e la distribuzione dei mate-
riali raccolti. In compenso mi fu riferito che alcuni anni avanti, nella stessa tenuta,
vennero scoperti, pure fortuitamente, un'urna di calcare fetido, di tipo architettonico
come quelle dell'ultimo rinvenimento, e un frammento di specchio che non vidi.
Questa informazione è importante, perchè confermerebbe in quella zona la probabile
esistenza di altri sepolcri.
Dal colloquio, che ebbi con la gente del luogo, potei formarmi tuttavia il concetto
che la tomba ultimamente scoperta constava di una sola cella quadrangolare sca-
vata nella roccia, e circondata lungo le pareti da banchine per il deposito delle
ceneri dei defunti e del corredo di oggetti rituali. Quindi nulla di particolarmente
notevole intorno alla struttura del sepolcro, comunissima nell'ultimo periodo etrusco
in tutta la vasta regione che costituiva l'agro chiusino, alla periferia del quale tro-
vasi appunto il comunello di Trequanda. È possibile che la volta, poco resistente,
fosse già franata in antico o per la pressione naturale del terreno e per l'erosione
delle acque, o in seguito a qualche tentativo di scavini di frodo. Comunque, fu potuto
accertare che la tomba aveva subito, al momento della scoperta, una precedente vio-
lazione, essendosi constatato che i materiali rimastivi erano in disordine, in parte spez-
zati e rovesciati, e, per di più, non vi fu raccolto nessun oggetto metallico. Ciò non
credo che si debba solo imputare alla grossolana e forse sommaria esplorazione ese-
guita dagli inesperti contadini, perchè tutti furono concordi nell'affermare che venne
raggiunto il fondo del sepolcro.
Dell'ingresso e del dromos nulla seppi di concreto; e non potei fare neanche
rilievi diretti, per l'avvenuto sconvolgimento del terreno. Tuttavia trovai conservati
con ogni cura, nella stessa fattoria di « Belsedere », le urne e i vasi raccolti in
questo sepolcro.
*
Le urne sono in numero di cinque, tre delle quali in travertino, e due in cal-
care fetido; si ebbe inoltre parte di una terza urna della stessa materia di queste
ultime.
TREQGÀNDA — 264 — REGUONE VII.
Tutte poi sono di tipo architettonico, con coperchio a doppio spiovente e fron-
toncini sui lati brevi (').
In esse furono notati i soliti residui di ossa mal combuste. Le casse delle tre
urne in travertino sono lavorate assai rozzamente, con le pareti lisce e i piedi tozzi
ai quattro angoli. Invece le due di calcare fetido sono particolarmente notevoli, perchè
rivelano la loro dipendenza da un tipo ligneo originario. L' intelaiatura lignea è resa
infatti con molta evidenza, come può desumersi dalla faccia anteriore della cassa
esibita nella fig. 1, ove leggesi l'impronta qui appresso indicata nella lettera, d).
Ciascuna di esse porta incisa sul coperchio un'iscrizione etnisca da destra a
sinistra, nella quale ricorre costantemente il nome gentilizio *pelrus*, che, come
vedremo, doveva essere quello della famiglia proprietaria dell'ipogeo.
Nelle prime tre l'epigrafe si legge sullo spiovente anteriore del coperchio; nelle
altre due, invece, le iscrizioni furono quasi graffite sull'angolo destro della costola
pure anteriore del coperchio.
Le trascrivo qui di seguito in carattere corsivo e nella disposizione inversa
all'originale, principiando dall'urna maggiore di travertino:
a) aule : petr : sceva (*)
; . ; b) ? aules pe
turs (3)
e) arnth: pe
tr(u)s aule: {*)
d) arnt petrus
e) vel petrus (5)
(') Dimensioni delle tre urne in travertino:
a) m. 0,54X0,40X0,32;
*) ». 0,34X0,24X0,32;
e) m. 0,32 X 0,30 X 0,30.
Dimensioni delle due urne in calcare fetido:
d) ni. 0,40X0,28 '/aX0,37;
e) m. 0,36 X 0,24 X 0,22.
(*) Per i primi due elementi di questa epigrafe, aule petr(us), cfr. Fabretti, Gioii, itti:, I,
n. 1157 (da Perugia), n. 2027 (da Sovana); II, pag. 222, n. 1382.
Per il cognome iceva, già noto in Btruria per altri titoli sepolcrali, cfr. op cit., I, un. 125,
116, lUbit (urna da Chiusi); e II, pag. 1673.
(') Fra tutte le nostre iscrizioni, questa 6 la più difficile a leggersi, essendo abrase molte
lettere ed altre confuse con solchi e graffiti accidentali. Può quindi darsi che la mia lezione, per
quanto rigorosamente studiata e sostenuta dalle altre epigrafi concomitanti, non sia esatta in qualche
lettera.
La forma peturt per petrus è un'ovvia metatesi dovuta all' ignoranza del lapicida. Il testo
giusto « petrus » si riscontra più volte intero in altre epigrafi di questo gruppo.
(*) Il prenome arnth e anche arnt, come io leggerei nella iscrizione d, è comunissimo in
tutta l'Etruria. Nell'opera citata del Fabretti, li, pag. 168, si ha già un arnth petrus.
(5) Lo stesso può dirsi del prenome etrusco vel(iut) e vel(ia), per il quale gli esempì sono
innumerevoli. Un vel\p»tru è ricordato sopra un coperchio d'urna in travertino proveniente da
Chiusi (cfr. Fabretti, op. cit., I, n. 679; II, pp. 1903 seg.).
REGIONE VII.
— 265
TRKQUANDA
Senza bisogno di ricorrere a delle ipotesi circa i rapporti di parentela fra i
cinque individui seppelliti in questa tomba, si può con assoluta sicurezza affermare
cbe essi facevano parte di una stessa famiglia, il nome gentilizio della quale era
già noto in varie località dell' Strana, compresa la regione chiusina, come è attestato
dagli esempì sopra addotti ('). Le urne di Trequanda perciò contribuiscono a loca-
Fio. 1.
lizzare con maggiore precisione il ramo della famiglia « pelrus » stabilitosi nel ter-
ritorio di Chiusi.
Se poi questa famiglia etnisca avesse, come parrebbe, oppur no relazione con
la gens Petronia di Roma, è una tesi che non può essere trattata come si conviene
nei brevi limiti della presente relazione (2).
Vasi fittili. — Con le urne furono raccolti anche alcuni vasi, due dei quali
con iscrizioni etnische graffite sul corpo.
a) Anfora campana verniciata di nero, alta m. 0,30, frammentaria alle anse
e sul labbro.
(l) Il Gamurrini, nell'appendice al G. I. I. del Fabretti, registra questi altri esempi : petr -
n. 84 (territorio senese) : pelr$ - n. 549 (Val di Chiana) ; petru - nn. 277-279 (Chiusi), 429 (Città
della Pieve); petrus - nn. 625 (Orvieto) e 748 (Ferento).
(*) Per tale questione cfr. W. Schulze, Oesch. lateinischer eigennamen, pp. 209, 319-20 ecc.
TBKQUANDA — 266 — REGIONE VII.
Intorno al rentre, malamente grulli la da destra a sinistra, e confusa fra una
quantità di linee accidentali senza significato, si arriva a leggere, con molto studio
e pazienza, questa epigrafe:
lart petra chesa (')
b) Orcetto di argilla pàllida, in forma di situla, con due manichi verticali, e
decorazione a fasce scure sul corpo; alto m. 0,17 l/t, frammentato nella bocca e in
uno dei manichi.
Fra le due anse si notano i resti di un'epigrafe granita pure da destra a sinistra,
ma la cui restituzione è assolutamente disperata. Le lettere che sembrano più sicure
sono le seguenti:
.. n . a . . us pi al
e) Due olle di argilla giallastra, senza anse, alte rispettivamente m. 0,21 Vi
e m. 0,20, e prive di qualsiasi decorazione. Una di esse fu levata in frammenti.
Nella partizione legale di tutti questi oggetti col 'proprietario del terreno,
cav. Gori-Pannilini, furono ritenuti dallo Stato, come metà parte del ritrovamento,
l'urna maggiore di travertino a), una delle due di pietra fetida d), e i due vasi di
terracotta inscritti.
Ma quando la Soprintendenza, col parere favorevole del Ministero, stabilì di la-
sciare in deposito la parte dello Stato per dare incremento alla sezione archeologica
istituita nel Museo di Pienza dal benemerito fondatore e direttore, can. cav. Giov. Battista
Mannucci (*), anche il signor Gori-Pannilini volle contribuire ad aumentarne la sup-
pellettile antiquaria, donando, della sua parte, l'urna inscritta di calcare fetido, il
frammento di urna analoga e le due olle di terracotta.
Nella stessa sezione furono anche lasciate dal Governo, in deposito, le due urne
di Castelmuzio, delle quali parlerò nella noticina seguente. Esse provengono pure
dal territorio di Trequanda, e si riferiscono al medesimo periodo del trovamento di
« Belsedere », cioè non prima del secolo II av. Cr.
Ed. Galli.
(') Per la forma lart del diffusissimo prenome etrusco larth, vedansi gli esempi registrati
dal Fabretti, op. cit.. II, pp. 1018 seg. Quanto al gentilizio petra, è chiaro che esso si riporta alla
stessa f.imiglia « petrus » di cui ho parlato innanzi.
Resta il nome chesa, femminile, il quale, per quinto sia raro in Etruria, ricorre tuttavia in
un ossuario chiusino (cfr. Fabri'tti, op. cit., I, n. 816; II, pag. 833).
(*) Nel Museo dell'Opera del Duomo di Pienza vi era già un gruppo di cose archeologiche
raccolte dal solerte canonico Mannucci, fra le quali meritano di essere ricordate:
a) una specie di olpe con tracce di vernice bruna, alta 0,32, rinvenuta nel 1910 nel podere
di « Campena » presso Pienza, proprietà della mensa vescovile;
b) un'anfora vinari* frammentata, della stessa provenienza, oltre ad una diecina di medi e
piccoli bronzi romani imperiali ;
e) un contrappeso di stadera, pure del periodo romano, in forma di bustino con tracce
evidenti di corona vegetai;, donato dal locale collezionista di antichità, sig. Giovanni Newton.
CASTEI.MUZIO — 267 — RBGIONK VII.
V. CASTELMUZIO (frazioue del comune di Trequanda, in prov. di Siena) —
Oggetti di una tomba etrusco dell'ultimo periodo.
Nel novembre del 1912 il solerte ispettore onorario dei monumenti in Pienza,
canonico cav. G. B. Mannucci, dava avviso alla Soprintendenza per le antichità
in Firenze di un rinvenimento fortuito di oggetti antichi avvenuto nella località
denominata « Gastelmuzio » presso Trequanda, e precisamente in un podere del
sig. Galileo Perugini di quel comune.
Dalla prima notizia telegrafica e da un successivo rapporto scritto del 21 dicembre,
spedito dal cav. Mannucci, si potè capire che trattavasi di un sepolcro dell'ultimo
periodo etrusco (sec. II-I av. Cr.), analogo a quello messo in luce l'anno innanzi
nella fattoria « Belsedere » , pure presso Trequanda.
Ma, poiché non fu fatto nessun accesso sul luogo, null'altro si potè sapere sul
tipo della tomba. È probabile che anche questa avesse già subito in antico una prima
violazione, come la tomba nel fondo Gori-Pannilini, della quale ho esposto sopra i
dati relativi, poiché non vi si rinvennero che due sole urne intere, i resti di una
terza urna in frantumi, e una piccola anfora di vetro policroma, oltre ad alcuni
trascurati rottami di vasi rozzi in terracotta.
Tutti questi materiali vennero, a dire il vero, con ogni sollecitudine messi subito
al sicuro nella casa dall'inventore e proprietario 'del fondo, sig. Galileo Perugini;
cosicché sembra difficile che altri oggetti di quel trovamento siano stati trafugati o
dispersi.
Prima l' intervento sollecito dell'autorità comunale, e, poco dopo, l' interessamento
dell' ispettore onorario Mannucci, tolgono qualsiasi sospetto sulla possibilità di proce-
dimenti non regolari.
Considerando, pertanto, che del corredo originario del sepolcro ben poco oramai
rimaneva, la Soprintendenza, sempre in seguito al parere favorevole del Ministero,
fu d'avviso di salvare, mediante riscatto pecuniario, la parte delle cose scoperte che,
secondo le disposizioni vigenti, sarebbe rimasta di ragion privata, e specialmente
il migliore oggetto del trovamento, cioè la piccola anfora di vetro, che venne conse-
gnata all'amministrazione del R. Museo archeologico di Firenze; come pure credette
opportuno di lasciare in deposito nel Museo di Pienza le urne, per non dissociarle
da quelle di « Belsedere » .
*
* *
Per quanto riguarda queste urne, tanto le due in buono stato, col solo coperchio
frammentario, quanto i resti della terza, sono di calcare fetido, ed appartengono al
tipo architettonico più semplice. Imitano cioè una cassetta rettangolare con pareti
lisce e piccoli piedi rozzi ai quattro angoli, sporgenti un poco in avanti su quella
inscritta, come se fossero lavorati a parte e fermati sull'arca di origine lignea;
il coperchio è a foggia di tetto displuviato (l). In entrambe furono riscontrati, al
(') Urna inscritta: m. 0,52X0,28X0,28; «ma anepigrafe: m. 0,55X0,29X0,30.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 36
CASTELMUZIO — 268 — REGIONE VII.
momento della scoperta, pochi residui della imperfetta combustione del cadavere del
defunto, e niente altro.
L'iscrizione sull'urna non è incisa nel coperchio, secondo la più frequente con-
suetudine, ma bensì in basso, sul lato anteriore della cassa.
Essa consta di due sole parole nitidamente incise da destra a sinistra:
fl'v1IQV/12 >l 3 ^1 3 3 cioè veael spurina, e ci dà senza alcun dubbio il nome e il
gentilizio del personaggio, i cui resti vennero chiusi nell'urna.
Il nome proprio etrusco di genere maschile venel e venelus era già noto in titoli
sepolcrali di Orvieto, Tarquinii ('), Val di Chiana ecc. (*). E il gentilizio spurina
e spurinna, con i suoi derivati, ricorre specialmente in epigrafi perugine (3).
Pur trattandosi di una meschina tomba isolata, la sua iscrizione è tuttavia
importante per la storia di quelle famiglie etnische, le quali, come questa spurina,
ebbero più tardi in Roma numerose ramificazioni.
Inoltre, se mettiamo in relazione la scoperta di « Castelmuzio * con quella
precedente di « Belsedere » , si conferma sempre più la supposizione espressa innanzi,
che cioè nel territorio di Trequanda esistesse un notevole centro etrusco, che merite-
rebbe di essere metodicamente rintracciato e studiato.
*
L'unico oggetto cospicuo del corredo funebre che fu tolto da questa tomba, è,
come ho avvertito sopra, la piccola anfora di vetro di tipo rodio per uso di balsa-
mario, che qui riproduco nella fig. 1 e descrivo.
Essa è intatta, lunga 80 millimetri, con corpo piriforme e baccellato intorno
all' ingrossatura. È fornita di piccolo piede e di due manichetti verticali ai lati del
collo, che termina con un largo labbro circolare. È di una pasta vitrea turchina e
pochissimo trasparente, decorata sul corpo con una larga zona gialla e verde, con
altre sottili linee gialle ed una verde irregolare nella parte inferiore, e con orlatura
ugualmente gialla intorno al labbro.
La forma del vasetto e il tipo della decorazione risalgono a certi prodotti della
Fenicia, dell'Egitto, di Cipro e di Rodi, assai antichi (4), che attestano di una lunga
persistenza industriale la quale incontrò favore anche nei paesi occidentali del
Mediterraneo, fino al periodo dell'Impero romano (5).
(*) Cfr. Fabretti, Glost. ital., II, pag. 1925 ; Suppl., pag. 80, n. 456.
(') Garourrini, Appendice all'op. cit., n. 90 (Val di Chiana), 386 (Chiusi?), 640 (Orvieto), 860
(orig. incerta).
(») Cfr. Fabretti, op. cit., II, pp. 1694 sg.
(*) Cfr. Kisa, Das Olas im Altertume, I, pag. 11, fig. 5. — Vedansi inoltre le osservazioni
fatte dal prof. F. Barnabei, nei riguardi sia della provenienza sia della tecnica, per esemplari
simili al nostro, usciti dalla necropoli di Narce, in Monumenti antichi dei Lincei, IV (1894),
pp. 316 sgg., fig. 159.
(5) Cfr. Kisa, op. cit., II, pag. 404, tav. II, n. 4 (anforina per forma e decorazione, imitante
l'alabastro orientale, assai vicina alla nostra, riferibile al periodo tolemaico e dell'Impero). Cfr. anche
J. Morin, La verrerie en Gaule sous l'Empire romain, pag. 83, fig. 86 (notevole per l'analogia
delle zone in bleu, giallo e verde).
RKGIONB VII.
269 —
CASTELM0Z10
Appunto perchè tali prodotti durano ininterrottamente dalla remota antichità
fino a tempi assai tardi, non è possibile di prenderli strettamente a base della data-
zione delle tombe in cui si rinvengono. Nelle necropoli deU'Etruria meridionale essi
tuttavia apparvero con maggiore frequenza (') che non nei sepolcri dell'ultimo periodo
Fio. 1.
etrusco (sec. III-I av. Gr.) scoperti nel territorio chiusino, e in genere nelle regioni
medie e settentrionali deU'Etruria.
Pertanto, rappresentando pur sempre la nostra anforetta un oggettino piuttosto
raro in associazione con urne etrusche inscritte, ed essendo per sé pregevole, essa con
sollecita cura fu assicurata alla Collezione dei vetri del li. Museo Archeologico di
Firenze.
Ed. Galli.
(') Cfr. Barnabei, loc. su cit.
C0RD1GLIAN0 — 270 — REGIONE VII.
VI. COKDIGLIANO presso PONTE PATTOLI (comune di Perugia) —
Tomba etrusca scoperta nel territorio del comune.
Nell'estate del decorso anno 1914, in un podere del sig. Giovanni Battista Bovini,
denominato «Casello», il contadino Luigi Benvenuti, detto Miscolino, durante l'ara-
tura del campo, fece fortuitamente la scoperta di una tomba, della quale tratta la
presente Nota.
La località del trovamento è sulla parte occidentale del colle che scende verso
il « Posso della Penna » , però molto in alto, ossia poco sotto la vetta del colle, a
circa 20 metri al disopra della carreggiata in prossimità della curva a nord. Tale
terreno è composto di un banco alluvionale di sabbia con abbondanti elementi cal-
carei. In questo banco sabbioso fu praticato nell'ultimo periodo etrusco un nicchiotto
isolato, rivolto ad ovest, largo m. 0,90 e lungo m. 0,80 circa, alto circa un metto.
È probabile che tale nicchiotto avesse in origine una copertura a volta, che per la
fragilità della roccia presto dovette sparire, data l'erosione graduale e perenne del
greppo. Dentro vi era un'urna, sul cui coperchio era una figura recumbente. 11
contadino raccontò, in proposito, che affiorava già da molta tempo parte della testa
di tale figura; ma fu creduta un semplice sperone roccioso, e non vi si fece caso.
Quando fu scoperto il nicchiotto, il quale non aveva traccia di dromo*, si vide che
il lato scolpito dell'urna, che esso conteneva, era rivolto normalmente ad occidente,
col coperchio a posto.
Innanzi al lato anteriore dell'urna furono trovati i vasi fittili, che saranno de-
scritti più oltre. Nell'urna furono solo notati avanzi di ossa cremate in modo
sommario.
L'urna di travertino, assai lacunoso in qualche punto, ha molto sofferto, spe-
cialmente nella parte posteriore della testa della figura recumbente sul coperchio, ciò
che conferma la notizia del contadino riportata sopra. Avverto subito che la scultura
già assai trasandata, sia nel personaggio che sormonta il coperchio, sia nella rap-
presentazione eroica sulla fronte della cassa, appare anche più rozza a cagione della
pietra con superficie scabra e corrosa. La fotografia che qui pubblico (tìg. 1), piut-
tosto che ridurre, accresce la sensazione sgradevole in chi lasci da parte il resto e
si occupi solo del lato formale del monumento.
Il personaggio, espresso a tutto tondo sul coperchio (ma, al solito, sommariamente,
eccetto che nella testa), è maschile, con mantello che lascia scoperto il petto ed il
ventre ('); ha la testa velata secondo il rito sacerdotale, forse da un lembo dello stesso
manto, ed inoltre si notano intorno alla fronte tracce di una corona funebre (di ane-
moni?); dal collo pende una grossa torques composta di dischi uguali infilati, forse
(') Le figure femminili invece tulle urne sono costantemente coperte fino al collo.
REGIONE VII.
— 271 —
CORDIGLIANO
d'ambra nell' intenzione di chi la foggiò. La sua attitudine di persona sdraiata a
banchetto, col gomito sinistro sorretto da due cuscini e con patera ombelicata d'uso
lustrale nella destra, è comunissima su monumenti etruschi dello stesso genere ; ma
resta sempre particolarmente notevole la circostanza della testa velala e coronata.
Sul listello del coperchio si legge, da destra a sinistra, la seguente eiigiale
incisa con lettere rubricate, alte in media m. 0,035, e giunta fino a noi con qualche
abrasione:
lacafn : . . . cafatial : . . .
Fio. 1
La cassa è di forma quadrangolare, coi piedi anteriori semplici ('); solo la fronte
è decorata con figure a bassorilievo, di stile corrente e mal conservate, come ho già detto
sopra. D'origine epica è l'episodio che esse rappresentano, il quale dipende dalle Kypria
e riguarda l'uccisione a tradimento del giovinetto Troilo per mano di Achille col
concorso di Aiace. Si tratta di un soggetto ben noto e studiato sulle urne etrusche,
non soltanto di provenienza perugina (!).
(') Altezza m. 0,46; larghezza da m. 0,54 a m. 0,56; il lato è largo m. 0,40; l'interno è
in. 0,47 X 0,29 X 0,26.
(a) Cfr. Brunn, Urne etrusche, I, pp. 52-69. Vedi specialmente pag. 54, e tav. LVII 19-20,
per il confronto con la nostra urna.
CORDIGLIÀNO — 272 — REGIONE VII.
La rappresentazione è molto ridotta dal modello originario: è quasi un riassunto pla-
stico del momento culminante dell'agguato teso dal Pelide al più giovine dei figliuoli
di Priamo, quando recavasi ad abbeverare i cavalli fuori della città. Achille, in sem-
bianze giovanili, con testa nuda, schinieri, corazza di cuoio, è sbucato da sinistra
brandendo nella destra la spada sguainata, e con l'altra mano ha ghermito violente-
mente Troilo per i capelli. Il giovine principe troiano è quasi del tutto nudo, tranne
la clamide fermata al collo e svolazzante indietro, a cavallo, senza armi, e, per la
violenza dell' improvviso assalto, si piega e cerca invano di staccare la mano avver-
saria. Lo strappo del cavaliere ha fatto ricadere sulle zampe anteriori il cavallo, che
tenta di rialzarsi.
All'angolo destro vedesi Aiace, anch'esso di aspetto giovanile, a testa nuda e
armato come Achille; ma imbraccia inoltre uno scudo circolare, ed alza con la destra
la spada all'altezza della testa, come per colpire Troilo.
Lo schema della nostra rappresentazione corrisponde sostanzialmente alle duo
urne, pure perugine, edite dal Brunn nel luogo citato; ma ne differisce per l'aspetto
giovanile dei due guerrieri greci (particolare notevole : cfr. op. cit., pag. 54), per la
omissione dello scudo di Achille, e per la posizione del cavallo che pare proceda
dal fondo e resta perciò con le gambe posteriori dietro a quest'ultimo personaggio.
Però sono tutte, in fondo, varianti di poco conto, che non alterano la tradizione arti-
stica e concettuale del quadro.
*
Il corredo funebre di questa tomba isolata, a quanto potei sapere, in tutto quel
territorio, risultò assai scarso e meschino; ma, trattandosi di un trovameli to fortuito,
non si può essere mai certi che qualche oggetto non sia sfuggito alla ricerca, o non
sia stato occultato a fine di lucro. Per altro, il tipo e l'età di detto sepolcro, età
che non può risalire oltre la metà del III-II sec. av. Cr., ci rassicura un poco in-
torno alla sua originaria povertà.
Con l'urna, pertanto, furono raccolti i seguenti vasi fittili di argilla grigiastra e
mal cotta :
a) olla allungata in forma di piccolo pithos, senza piede e con larga bocca,
frammentata, alta m. 0,24 l/t, diam. della bocca circa m. 0,15: con coperchio pure
frammentato ;
b) ciotola con pieduccio rudimentale ;
e) frammenti di altra olletta analoga e del relativo coperchio a ciotola.
Tutti questi fittili sono rivestiti di una forte incrostazione calcarea. Nel vaso a
furono notati residui di materie bruciate, forse riferibili ad offerte funebri. Di metalli
nessuna traccia.
La tomba, in sé, non presenta importanza artistica ed archeologica, a parte
però sempre l'interesse topografico della scoperta ed epigrafico per l'iscrizione sul
coperchio dell'urna; ma, poiché nella collezione delle urne del R. Museo archeologico
REGIONE IV. — 273 — RIETI
di Firenze (puro assai ricca, come è noto) mancava un esemplare con scena simile
dell'assalto a Troilo, la Soprintendenza propose e il Ministero opportunamente approvò
che fosse assicurato, con la poca suppellettile concomitante, al nostro Museo etrusco
centrale.
Ed. Galli.
Regione IV (SAMNIUM ET SABINA)
SABINI.
VII. RIETI — Avarisi di antiche costruzioni, scoperti dietro il
Palazzo Comunale.
Sino dal maggio 1913 il municipio di Rieti, avendo intrapreso lo sterro di
un'area situata immediatamente dietro il Palazzo Comunale e generalmente nota
sotto la denominazione di Ortaccio, interessava le competenti autorità governative
ad esaminare gli avanzi di antiche costruzioni, venuti casualmente alla luce durante
lo sterro.
Le sollecite cure del Ministero dell'istruzione procurarono al municipio di Rieti
un cospicuo sussidio, per mezzo del quale, dopo varie vicende, i lavori di scavo
furono ripresi con maggior lena e proseguiti fino al 18 febbraio 1915.
Questi scavi furono eseguiti, per forza di cose, in maniera incompleta. Lo sterro
è stato praticato entro una zona irregolare, di una lunghezza di m. 25 per una lar-
ghezza di m. 15. La profondità massima dello scavo, sino a toccare il vergine, è
di m. 6,50 dal piano di campagna (fig. 1). Descrivo qui appresso i risultati della
esplorazione finora compiuta.
Cominciando dal lato occidentale, si osservano anzitutto due lunghi muri in di-
rezione da nord a sud, quasi paralleli (presso la linea tratteggiata I-L, segnata
nella pianta). Essi sono conservati, a partire dalla risega di fondazione, per un'al-
tezza di m. 1,40. Riposano sopra una fondazione di calcestruzzo, sistemata a mezzo
di travature lignee, orizzontali e verticali, di cui rimangono i solchi.
Il muro esterno è costituito, nella parte inferiore, da materiale laterizio ; nella
parte superiore, da un reticolato di piccoli blocchi di tufo. Il muro interno, invece, è
costruito, immediatamente al disopra della fondazione, in blocchi di tufo meno rego-
lari, su cui posano varie file di mattoni, sormontati alla loro volta dal noto retico-
lato. La distanza fra i detti muri, nella parte più settentrionale dello scavo, è di
m. 2,80, mentre più a sud non misura che m. 2,65. Lo spessore del muro esterno
è di m. 0,60, cioè di 10 centimetri maggiore di quello interno. Quest'ultimo presenta
a nord un'apertura regolare, a spigoli squadrati, per una porta della larghezza di
m. 1,20. In senso perpendicolare ai muri principali si notano dei muretti secondari
(presso la linea tratteggiata C-D), costruiti a piccoli blocchi reticolati o irregolari,
il primo all'estremità nord dello scavo, posto fra i due muri in modo da chiudere
RIETI
— 274 —
REGIONE TV.
P MsE.
- E
- C
- A
Fio. 1.
REGIONE IV. — 275 — RIETI
quella specie di corridoio; due altri ai lati interni della porta, come per costituire
un ambiente o passaggio separato. Che tali muri siano di costruzione posteriore, si
giudica dal fatto che non presentano alcun attacco coi muri principali, e anzi sono
appoggiati all'intonaco di essi, come nella parete interna del muro più lungo, dove
in alcuni punti l'intonaco si conserva ancora, di uno spessore notevole e dipinto di
rosso. La lunghezza complessiva dei muri non si può misurare, essendo essi in parte
caduti, ed in parte internandosi ancora nel terreno. Il muro principale, nel quale è pra-
ticata la porta, rimane scoperto per una lunghezza di circa 16 metri.
All'estremità meridionale si osserva come il detto muro riposi sugli avanzi di
un altro, composto di piccoli blocchi irregolari di travertino e disposto sopra una
linea diversa e sporgente rispetto al primo. Chiude la zona di scavo a sud un muro
costituito di piccoli blocchi regolari di tufo. Questo muro è allo stesso livello degli
altri, ma non forma angolo retto con quelli.
L'angolo sud-est dello scavo e buona parte del lato orientale sono occupati da
numerosi blocchi di travertino, di notevoli proporzioni, regolarmente squadrati (lungo
la linea G-H), distinti in pianta con un ripieno di tratti punteggiati, la massima
parte sparsi irregolarmente sul terreno. Quivi stesso fu trovato, durante lo scavo,
un tamburo centrale di capitello corinzio in marmo, il quale misura alla base
un diametro di m. 0,90 ed è alto m. 0,55.
Oltre ai numerosi blocchi di travertino precipitati dall'alto e sparsi irregolar-
mente sul terreno, altri ve ne sono regolarmente disposti in senso da nord a sud e
da est ad ovest all'intersezione della linea A-B, sopra un piano rilevato di terra, e,
inframmezzati ad essi, alcuni rozzi muri orientati allo stesso modo, costituiti da ma-
teriale tufaceo grezzo.
Tali avanzi appaiono evidentemente appartenere alle fondazioni di un edificio,
quale si fosse, di età abbastanza recente, nelle cui fondazioni fu messo a profitto il
materiale di un edificio molto più antico, qual è quello cui appartenevano i grandi
e regolari blocchi di travertino, alcuni dei quali elegantemente sagomati. Uno dei grandi
blocchi, ancora in posto nella fondazione dell'edificio più recente, e che misura
m. 1,76 x 0,82, con un'altezza di m. 0.47, segnato in pianta, porta nel piano su-
periore un largo cerchio incavato, di 70 centimetri di diametro, destinato alla base
di una colonna.
All'angolo nord-est della zona di scavo, infine, là dove lo sterro è stato prati-
cato per una profondità eguale a quella del corrispondente angolo nord-ovest, si
sono rinvenuti altri due muri maestri fatti di materiale tufaceo, paralleli fra loro,
nonché alla coppia di muri sopra accennati (lungo la linea G-H e all'intersezione
della linea E-P). La distanza fra i muri è di m. 1,50. Il muro ovest presenta una
porta con una soglia della lunghezza di m. 1,80; il muro di fronte una porta cor
rispondente, larga m. 1,60. Lo spessore dei muri è di m. 0,50. Anche questi por-
tano tracce d'intonaco rosso.
Notiamo, ancora, che all'estremo angolo nord-ovest dello scavo, a m. 3,80 dal
piano di campagna, cioè alquanto al disopra delle soglie, si è trovata traccia di un
pavimento o battuto di calcestruzzo; e più a nord, alquanto al disotto delle soglie
Notizib Scavi 1915 — Voi. XII. 37
RIETI
— 276 —
REGIONE IV.
delle porte, avanzi di un muro di calcestruzzo piantato nel vergine. La veduta com-
plessiva dello scavo è data dall'annessa figura, tratta da fotografìa (lìg. 2), presa
dalla terrazza superiore del Palazzo Comunale.
Fig. 2.
Pochi e di non grande importanza sono gli oggetti rinvenuti. Il giorno 4 feb-
braio furono raccolti alla mia presenza, a circa tre metri dal piano di campagna,
gli oggetti qui appresso descritti:
1. Frammento di rilievo marmoreo, con la parte inferiore di una figura virile
nuda, scheggiata al malleolo, volta a destra, coll'asse della persona alquanto ripie-
gato dinanzi, davanti a un tripode ricolmo di frutta. Nel fondo, avanzo di altra
figura a bassissimo rilievo, con chitonisco. Alt. m. 0,35.
REGIONE IV. — 277 — RIETI
2. Statuetta di Mercurio in bronzo, con ali ai malleoli e sulle tempie. La
figura, nuda, con drappeggio pendente dall'avambraccio sinistro, poggia sulla gamba
destra. Ha il braccio destro proteso, tenendo nella mano una borsa. Nella sinistra,
dalle dita ripiegate, teneva probabilmente il caduceo. Esecuzione accurata. Altezza
m. 0,065.
3. Frammento di mattone, con resto di iscrizione stampata su due righe
entro un rettangolo:
LAVI
.... ORIAfL
Precedentemente era stato trovato, degno di nota, un frammento angolare di
trabeazione, in travertino, con piccoli lacunari e dentelli. Si conserva un lacunare
intero con testa muliebre, forse di Medusa. Al margine superiore della trabeazione,
fregio di palmette e volute; all'orlo inferiore cimasa lesbica. Altezza m. 0,15; lar-
ghezza m. 0,22; lunghezza m. 0,34.
Si è rinvenuta inoltre una certa quantità di lastre marmoree frammentarie, di
varia qualità e di vario spessore. Prevale il marmo bianco, e si hanno esemplari di
marmo venato, grigio, serpentino verde. Questi avanzi maimoiei provengono sema
dubbio da rivestimenti di pareti e da pavimenti incrostati di maimo; sicché si è
tenuti a immaginare l'esistenza in antico, in quella località, di edifìci sontuosi.
Che gli antichi editici presso il municipio, o almeno i piani superiori di esso,
fossero decorati con un certo lusso, ci è anche attestato da vari altri frammenti
d'intonaco dipinto, rinvenuti fra le macerie. Uno di essi, in due pezzi, alto com-
plessivamente m. 0,20, presenta, eseguito su fondo rosso, un lungo stelo verticale
in colore biancastro, con brevi germogli ai lati e un gruppo di boccioli a una certa
altezza dello stelo. Altri frammenti d'intonaco presentano semplicemente delle fasce
bianche e color marrone. Si conservano anche frammenti dipinti in color bruno e
in color giallo mattone (').
Tutti gli oggetti rinvenuti durante lo scavo si conservano presso la Pinacoteca
municipale di Rieti, affidata alle cure solerti del prof. Colarieti-Tosti.
Dei diversi muri scoperti si possono considerare come più antichi i due lunghi
muri paralleli situati a ponente. Il sistema di costruzione, a strati di mattoni (opus
lateritium), alternati con file di piccoli blocchi tagliati a losanga {opus reticulatum),
ci riporta all'età romana, entro un periodo che va dal I secolo av. Cr. alla metà
del II secolo dell'era volgare. Di età romana più tarda sono i muri secondari ap-
(') Questo punto centrale ed eminente della città è noto ancora per altri rinvenimenti archeo-
logici recenti. Nella casa Piselli, in via della Pescheria, poco lungi dal luogo denominato Ortaceio,
furono rinvenuti durante i lavori d'ampliamento d'una cantina: un frammento marmoreo di statua
colossale (parte superiore di coscia virile, con cinghia *; fibbia); i resti di un lavimcrto a mosaico,
Bparso di rosoncini di marmo colorato; due grandi basi di colonne; residui di un muro ad opus
quadratum.
RIETI — 278 — REGIONE IV.
poggiati di traverso ai primi, o paralleli a quelli ; al medio evo o ad età moderna
appartengono i miseri avanzi di costruzioni sovrapposte alle prime e ottenute col
rimetter in opera materiali molto più antichi.
Non è poi facile determinare il genere di edifici di cui si tratta. Gli scrittori
di cose locali sono d'accordo nell'asserire che qui presso, nel sito stesso dov'è la
piazza Vittorio Emanuele e il Palazzo Comunale, fosse l'antico Foro Reatino ; nel
qual caso, l'edificio classico in discorso, essendo nelle immediate vicinanze del Foro,
e in ogni caso nel centro della città, può anche essere stato un edificio di carattere
pubblico. Con tale edificio ha rapporto, secondo ogni verosimiglianza, il rinveni-
mento verificatosi in quei pressi, molti anni fa, di una statua maimorea togata,
già appartenente ai principi Potenziani ed ora situata nell'atrio del Palazzo
Comunale.
Delle questioni topografiche relative all'antica Rieti ha trattato recentemente
in una dotta monografia 6. Colasanti (Beate, Perugia 1911; estratto del Bollettino
della B. Deputazione oli storia patria per l'Umbria). La cinta della città antica,
che il Colasanti restituisce in pianta, va riportata, almeno per quanto si riferisce
al tratto compreso fra via Pescheria e via Pennina, alquanto più indietro e più a
nord. Il Colasanti fa a questo punto passare la linea delle mura al disopra della
stessa località Ortaccio ; ma le attuali esplorazioni, tra i vari generi di costruzioni
scoperte, non hanno sinora messo alla luce neppure il minimo tratto di muro di cinta.
La città antica, quindi, nel suo punto centrale, dove pare foste situato il Foio
Reatino, acquista, ragionevolmente, un'ampiezza ed uno sviluppo maggiori di quello
che sembra supporre il Colasanti, in base a congetture e a dati non del tutto sicuri.
E mio convincimento quindi ch'egli restringa eccessivamente la cerchia della
città romana, facendola coincidere rigorosamente con quella molto limitata, d'età
medioevale.
Soltanto il tamburo di capitello marmoreo, del quale abbiamo fatto menzione,
ci autorizza, colla grandiosità delle sue dimensioni, a supporre in quei pressi l'esi-
stenza, in antico, di un edificio, forse un tempio, di dimensioni così straordinarie e
dall'aspetto così solenne, quale una troppo modesta cittadina di provincia non si
poteva permettere il lusso di avere.
La testimonianza di Strabone, relativa alle città sabine, impoverite dalle lunghe
guerre, non è decisiva. Rieti deve aver avuto, alquanto dopo l'età di Strabone,
coll'impero di Vespasiano, nato in Sabina, e dei Flavi in generale, un periodo di
fioritura notevole; gli avanzi archeologici recentemente scoperti ce ne offrono, a
quanto sembra, la prova monumentale.
G. Bendinelli.
REGIONE I. — 279 POMPEI
Regione I (LATIUM ET CAMPANIA).
CAMPANIA.
Vili. POMPEI — Continuazione degli scavi sulla via dell' Abbondanza,
nei mesi da gennaio a maggio 1915.
II» Zona — Scavo nella via.
Lo scoprimento della via, arrestato il 15 giugno dell'anno scorso per portare
prima a termine il disterro del criptoportico della casa n. 2, reg. I, ins. VI, è stato
ripreso il giorno 19 gennaio, ed oggetto delle esplorazioni sono stati, e sono anche
LATO NORD
KEG. Ili INS lil
E&£J 1
i-mm ■ 4 E*a 5-
>
REG- II- |NS- l'I
Fio. 1.
ora, le fronti delle due isole opposte, III della reg. Ili a nord, e III della reg. II
a sud. Delle fronti indicate, tuttavia, non si sono finora scoperte che le parti alte delle
facciate fino agli architravi dei vari ingressi: e ciò, sia perchè le prolungate piogge
ed i successivi geli di questo inverno hanno, sconsigliato lo scoprimento delle pareti
intonacate, e sia perchè più tardi si è dovuta trasportare altrove tutta la forza degli
operai scavatori. Il rilievo topografico (tìg. 1) ritrae, quindi, questo stato di fatto,
e non indica le eventuali ulteriori particolarità dei marciapiedi e del selciato della
ria, i quali rimangono ancora sotterra.
(19 gennaio). Reg. II, ins. Ili, n. 1. Presso l'angolo che fa l'architrave con lo
stipite destro, si è trovato un gruppo di dodici monete di bronzo, e sono le seguenti :
due grandi bronzi di Vespasiano (Cohen, Vesp. 313 e 433) ; medi bronzi di Ottaviano,
uno dei quali Cohen. 228 ; uno di Claudio (Cohen, 84) ; cinque di Vespasiano
(Cohen, 71 [?], 151, 152, 396 e 411); tre di Tito Cesare (Cohen, 326?).
POMPEI — 280 — REGIONE I.
(21 gemi.). Il battente destro della porta dell'indicato ingresso era spiegato sulla
parete, come è chiaramente mostrato da un breve tratto dell' impronta del legno, stam-
pato sulla cenere: dietro l'angolo sinistro di questa impronta, in alto, si è rinvenuto,
nella sua naturale posizione verticale, il campanello di bronzo, di forma cilindrica,
alto m. 0,11. All'esterno, sulla parete fra lo zoccolo e l'architrave, sono ritornati
in luce i seguenti programmi elettorali:
1. ATREBIVM 2. A-VETT(eww)
3. L ■ O V I D I V M
AED ■ CRE3CENS ■ ROG
Accanto al precedente, se ne legge un altro conservato solo nella parte superiore :
4. Q^POSTVMIVM
ed immediatamente al disopra della fascia rossa dello zoccolo un ultimo, col quale
ci vien presentato, e per la prima volta, uu nuovo candidato:
5. (Ti. Cra)SSIVM • FIRMVM • AED (ouf. d. r.) P
L' integrazione del nomen mi pare sicura, ed è a noi fornita da xm'apocha Ju-
cundiana ( Tab. Ver. XXXI), nella quale ricorre proprio, come a me sembra, il nome
del nostro candidato, T(i). Crassius Firmus; ciò rende inoltre sommamente probabile,
se non certo addirittura, come io ritengo, che a Pompei sia da attribuire, e non già
ad Ercolano, il suggello C. I. L. X, 80582g : Ti. Crassi Firmi.
(30 id.). Sopra l'altra parete, a sinistra, è ritornata in luce, accanto ad un
programma monco, di color nero, al disopra dello zoccolo nero:
6. CNAVDIVM BASSVM
DLVCRETIVMVAL
questa acclamazione di oscuro significato:
7. M- SATRIO- IVSTAE- L1BERIS iwenes-si
— . MEMORES
FELICITER • DIGNI LXDFD
SIMVS
mentre sull'alto dello zoccolo leggesi il programma:
8. TREBIVM- ET- RVFVM
AED CF CRESCENS CVP1DVS ROG
REGIONE I. — 281 — POMPEI
che ne nasconde un altro più antico, quasi in tutto leggibile attraverso la dealbatio,
9. M- LICINIVM M F
ROMANVM [VVENEM-AEDIfta)
V- A-S-P- p- d- (r. p. 0. V.) F
(3 marzo). All'imboccatura del vicolo fra le isole li e III della reg. II, si sono
letti due programmi elettorali, l'uno sullo spigolo dell'isola II:
10. N ■ P- R • AED
\_N. P(opidium) R(ufum) aed(ilem)~]
e l'altro, di color nero, sullo spigolo dell'isola III:
11. C-CVSPIVM- PANSAM -&D-Cf
Reg. II, ins. Ili, n. 1. Sullo zoccolo nero, a destra dell'ingresso, è ritornato in
luce il programma :
12. POPIDIVM SECVNDVM
AED-0(v. f.)
il quale ne nasconde a destra, in parte, un altro più antico:
13. LÀLBVCw
(aed) DR?Cf
(5 id.). Reg. Ili, ins. Ili, n. 5. Dietro l'architrave di questo ingresso, in alto,
si sono raccolte sette borchie di bronzo semplicemente bombate: delle quali, cinque
di m. 0,05 e due di m. 0,037 di diametro.
(10 id.). Ivi stesso, un campanello di bronzo alto m. 0,09, a sezione ellittica,
dalla bocca larga m. 0,06 di diam. mass. Accanto al campanello si è rinvenuta una
coppetta di bronzo cilindrica, alta m. 0,03, larga m. 0,035, con cilindretto nel mezzo,
destinato, come pare, a reggere lo stoppino di una lanterna.
(11 id.). Reg. Ili, in3. III. Sulla parete esterna, fra gl'ingressi n. 3 e 4,
in alto, si è scoperto il seguente programma steso sopra una tabella dealbata:
14. C-CALVENTIVM
SITTIVMIÌDRP
ai lati del quale si leggono questi altri due, il primo dei quali di colore nero:
15. L-C-C-fiv- 16. POP IDI VM- Il VI R
[Z. C(aecilium) C(apellam)] GRAPHICE • VIGVLA
POMPRI — 282 — REGIONE I.
Sul pilastro sinistro del successivo ingresso n. 4 è ritornato in luce l'altro:
17. AMPLIATVM- AEDDIGNVS
EST • GRAPICHAE • DORMIS (tic)
ETCVPIS
mentre sul pilastro fra i vani nn. 1 e 2 si sono finalmente letti questi altri due:
18. LCSnvROv 19. CLOLLIVM
f FVSCVM-AEDCf
\_L. C(eium) S(ecundum)~]
Reg. Il, ins. Ili, n. 6. Nella cenere, in alto, davanti all' ingresso, si è rinvenuta
una chiave di bronzo lunga m. 0,05, con mappa a sei denti, a sezione triangolare,
con una borchia di m. 0,05 di diam., liscia e incavata a tergo, rilevata e spianata
al centro della faccia anteriore.
Altri scavi della via.
a) Dal principio del mese di marzo sino al giorno 2 aprile, contemporanea-
mente allo scavo della via, che viene spinto sempre verso oriente, è stato intrapreso,
secondo le disposizioni del sig. Direttore, il disterro della parte alta dell' atrio
della casa di Trebio Valente (reg. Ili, ins. II, n. 1), con l'intendimento di esplorare
tutta questa casa tanto notevole così per la facciata ricca di programmi elettorali
e di edieta munerum edendorum, come per alcune pareti in parte riapparse negli
scavi precedenti.
b) Erano così disposte le cose, allorché il giorno 2 aprile vennero fuori, sui
pilastri esterni del grande ambiente n. 6 dell'isola seguente (reg. Ili, ins. Ili) due
grandiosi trofei d'arme dipinti, rimessi completamente alla luce il successivo giorno 5
alla presenza di S. E. l'on. Salandra. Da quel giorno, sospesa momentaneamente ogni
altra ricerca, è stata qui concentrata tutta la forza degli scavatori, e con la fine del
mese un grande ambiente, superbamente decorato è stato già interamente scoperto.
Di esso si dark in seguito relazione ; per ora trascrivo qui i programmi ritornati in
luce sulle pareti esterne. Sul pilastrino che sporge sulla via a sinistra del trofeo di
sinistra leggonsi questi due programmi, il primo dei quali di color nero:
20. L-C-C-D-o* 21. LPOPIDIVM
(v. s. iscr. n. 15) A ED • QF
Sulla parete interna dello stesso pilastrino si legge questo terzo:
22. POPIDIVM
iTv(tr) (v)B
REGIONE I. — 283 — POMPEI
e sull'alto dello zoccolo, al disotto del trofeo, finalmente quest'ultimo:
23. POP1DIVM
AEDILEM-A-V SP-P-D-RP- POPVLVS
FACITET ROGAT
Sull'alto dello zoccolo, al disotto del trofeo di destra, si leggono in colonna
questi due:
24. L- CEIVM-SECVNDVM iTvir
SCYMNIS • NEC • SINB • TRBBIO INFANTIO • SCR
25. CN • HELVIVM-SABINVM- AED Cf
la dealbatio dei quali, come il colore delle lettere, è già caduta giù dalla parete in
tanta parte da rendere leggibile quasi in tutto un programma più antico :
26. ASVETTIVM CERTVM
ASVETTIjVM {Veruni) . . .
or
I pochi travamenti qui fatti sono i seguenti: le lamine anteriore e posteriore
di una serratura in bronzo, larghe la prima m. 0,110 X 0,115 e la seconda m. 0,110
X 0,090, raccolte nel mezzo del vano d'ingresso il giorno 8 aprile; un anello di
bronzo dipendente dall'occhio di un chiodo di ferro, largo m. 0,05, striato, e un
cerchietto semplice, largo m. 0,027, trovati a pie del pilastro anteriore sinistro, dal
lato interno. Il giorno 27, poi, dal banco di una cucina, posta a tergo del muro
occidentale del grande ambiente n. 6 in corso di scavo, la regolarizzazione della
scarpata perimetrale ha fatto venir fuori i seguenti oggetti, che vanno ascritti al
n. 5 (reg. Ili, ins. Ili): Vetro. Quattro bottiglie, delle quali una conica, strozzata
alla base del lungo collo, alta m. 0,17; una a pancia quasi sferica, alta m. 0,15, e
due a pancia sferica, alte m. 0,09 e m. 0,10; un boccettino quasi cilindrico, alto
m. 0,09; una tazzina ad orlo svasato, larga m. 0,11; diciannove mezze sferette
(pedine?); un corrente di collana, forato e baccellato; una fuseruola fatta a zone
concentriche bianche e turchine, larga m. 0,25. — Ferro. Una chiavetta ed una
cesoia a molla, monca. — Bromo. Medi bronzi, di M. Agrippa, uno (Cohen, n. 2);
di Tiberio con l'effigie del padre, uno (Cohen, 228) ; di Claudio, uno (Cohen, n. 47) ;
di Galba, uno (Cohen, n. 1(3); un grande bronzo di Vespasiano (Cohen, n. 239). —
Argento. Un denario male conservato, d'impossibile identificazione. — Terracotta
aretina. Una scodella ad orlo espanso, larga m. 0,178. — Terracotta rustica. Due
scodelle ; due pignatte sferico-cilindriche, affumicate ; due urcei panciuti, monoansati ;
un'anforetta ; un boccale monoansato. Si è raccolto finalmente un pezzo di ferro lungo
m. 0,29, largo m. 0,09, composto di tanti lunghi aghi, o fili, allineati nel senso
della lunghezza come per formare un lungo pettine, e fra loro ora in gran parte
saldati per l'ossido.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 38
POMPEI
284 —
REGIONE I.
Scoperte fortuite nella via.
(24 gennaio). Reg. IX, ins. XIII. Abbattutosi, in seguito alle prolungate piogge,
il muro fra gl'ingressi nn. 3 e 4 con le epigrafi che sosteneva (cfr. Notizie, 1913,
pag. 63), dalle terre scoscese a tergo è venuta fuori una patera di terracotta aretina,
larga m. 0,14, a breve parete cilindrica e piede circolare poco rilevato.
(11 febbraio). Reg. IX, ins. VII, n. 1. Il gelo, sopraggiunto dopo le lunghe piogge,
ha determinato la caduta di un considerevole tratto d' intonaco rusticamente imbian-
cato dall'alto del muro a sin. dell'imboccatura del vicolo orientale dell'isola. Un
più antico intonaco, pure rustico, è così ritornato in luce; e sopra di esso, in alto,
si è mostrato l'avanzo di un lungo albo di ministri vici et compiti, compagno del-
l'altro C. I. L. IV, n. 60, monco però, essendone perduta la metà sinistra. I soli
righi 4 e 8 sono rossi, i restanti neri:
27.
io
• ' J CoS
.. /RBVL
.. "VICI
.. iriILVS
. . L- STABILIO
. . ^PIT
.. ; ILI ■ L- SER
.. INI • M- SER
.. VRI- N- SER
Fra l'albo trascritto e lo zoccolo restano tenui avanzi di due iscrizioni antiche,
in grosse lettere per l'ima rosse e per l'altra bianche, due -programmata antiquissima:
28.
ALLEl^um
\B Q__
VOBISMB. . .
29.
Reg. IX, ins. XI, n. 7. Anche qui il gelo ha fatto cadere in minute scaglie la
mano di calce, e il dipinto di Ercole che vi era steso su (cfr. Notizie 1912, pag. 63)
dallo stipite destro dell' indicato vano d' ingresso, ma ha restituito alla luce un più
antico dipinto sacro (fig. 2). In cornice gialla filettata di rosso, con festoni verdi
appesi in alto e ricadenti ai lati, vedesi Minerva di prospetto, stante, l'asta nella
sinistra levata in alto, l'elmo cristato in capo, lo scudo appoggiato alla gamba destra,
la mano destra abbassata, nell'atto che versa da una patera turchina qualche cosa
REOIONB I.
— 285 —
POMPEI
sopra l'ara che le è a destra. La dea veste un peplo a fasce verdi e gialle alterne
ed un manto il cui lembo ricade dal gomito sinistro; ha le braccia nude, gialle
come l'elmo e lo scudo. L'ara consiste di un dado giallo sopra base verde e toro bian-
chiccio, sormontata da un fastigio pulvinato, rosso, su cui brucia la fiamma rosso-viva.
Fio. 2.
Reg. Ili, ins. 1. Sempre per la caduta dell'ultimo intonaco, dovuta al gelo, è
ritornato in luce, tra i vani d'ingresso nn. 1 e 2, questo antico programma:
30.
(.e)
sfòsrffvfy"
Colgo l'occasione per ripubblicare, ora che, dilavati, si leggono meglio, in primo
luogo il programma Noi. 1912, pag. 403, n. 5 (Reg. IX, ins. XIII, a sin. del n. 1):
31.
OVIDIVM
ETVETTlVM^^Cf
tì poi l'altro Notizie 1914, pag, 180, n. 1 (Reg. Ili, ins. I, fra i nn. 1 e 2):
32.
^^
(A)buriu(m) ?
POMPEI — 286 — REGIONE I.
II* Zona — Reg. I, ins. VI. Fine dei lavori.
Essendosi finito di sgombrare in tutte le sue parti il criptoportico della casa
n. 2, offro qui l'elenco degli ultimi oggetti che vi si sono trovati, cominciando dai più
interessanti, cioè dalle monete recuperate tra i materiali di colmamento, e che de-
cidono della cronologia dell' interro eseguito dagli antichi. Topograficamente descritte,
le monete raccolte sono le seguenti:
Trincea (lunga m. 8, larga m. 1-2, aperta nel lato occidentale del giardino):
un asse repubblicano; una monetina campana e un medio bronzo imperiale irricono-
scibili; un denario foderato, dalle leggende in tutto perdute.
V ambiente del lato meridionale, a contare da oriente: un
quadrante di Augusto col nome dei Illviri Annius, Lamia, Silius (Cohen, Od.
Aug., n. 338); altro di Caligola (Cohen, n. 6); altro di Claudio (Cohen, n 72);
altro irriconoscibile; e questa interessante moyeta: Vi teste di Augusto e di Livia,
KAIZAPOZ ZEBAZTOY - 9 teste del ro Rhoemetalkes, trace, e della regina:
(PO)IMETA(A)KOY BAZlAEflZ {British Mus. CaL, Thracia, pag. 208, n. i ;
Head, Hist. numm., 1* ed., pag. 244).
VI ambiente dello stesso lato: un grosso quadrante repubblicano; un
quadrante augusteo imprecisabile; un piccolo bronzo greco con una corona nel 1? e
un motivo floreale nel B;; una monetina irriconoscibile.
Grande ambiente all'angolo sud-est: un medio bronzo di M. Agrippa
(Cohen, n. 2); un grande bronzo, molto consumato ma sicuramente augusteo (Babelon,
Iulia, n. 982; un medio bronzo col nome del Illviro Salvius Otho (Bab., Iulia,
n. 326); un quadrante dei Illviri Apronius, Shenna, Messalla (Cohen, Od., n. 352);
un altro del Illviro Surdinus (Cohen, n. 170?); un altro ancora di Claudio (C
n. 71); una monetina forse di Neapolis [1? toro. B: testa di Apollo (?) a sin.];
altra monetina greca [1? testa barbata (di Giove?); 1$ figura muliebre in piedi];
altre due irriconoscibili.
Triclinio: una monetina greca; 1? testa di Apollo; 1$ figurina ritta in piedi];
un medio bronzo col nome del Illviro Cn. Piso (Bab., Iulia, n. 298); due medi
bronzi di Tiberio con l'effigie del padre (Cohen, n. 247); un quadrante di Claudio
(Cohen, n. 70?).
Cubicolo adiacente al triclinio: un medio bronzo di Germanico
(Cohen, n. 4).
Ala orientale, presso la maceria eretta per sostenere i materiali di colma-
mento: un asse repubblicano dai tipi molto consunti.
Fa u ce lungo il muro perimetrale est; due monete di Nerone (Cohen,
nn. 170 e 288).
Ambiente rustico all'angolo nord-est: un medio bronzo, forse di
Claudio.
REGIONE I.
— 287 —
POMPEI
Tralascio di riferire intorno ai piccoli insignificanti frammenti di oggetti di osso
e di bronzo raccolti con le monete descritte, e mi limito a parlare soltanto di due
interessanti rasi di terracotta trovati a pie' della scala dietro la parete settentrionale
del triclinio. I due vasi, forse serviti per usi sacri, sono un'aretta circolare a grosso
piede conico, vuoto, e coppa poco espansa (alt. m. 0,105; diam. m. 0,125); e una
anforetta a corpo sferico-conico e largo orlo, alta m. 0,15, munita di due anse (una
manca) a nastro striato, desinenti in giù in mascheroni virili, barbati, e strette nel
Fio. 3.
mezzo da un anelletto che vi trattiene una fogliolina con l'apice volto in su. Appli-
cate, e fissate con la stecca ai margini, sono le due maschere al capo inferiore delle
anse, come applicate sono le figure (formanti due gruppi uguali, dei quali uno è solo
in parte conservato) sulle due facce opposte della spalla del vaso : ciascuna figurina,
peraltro, sta da sola. I due gruppi consistono di una Minerva, al centro, vestita di
lungo chitone senza maniche, elmo in testa, grande scudo presso le gambe, nell'atto
di adattarsi l'egida, e di due figure muliebri laterali, vestite di corti chitoni che
lasciano scoperte le estremità, i capelli raccolti in grossi nodi, le mani levate all'altezza
della fronte, le teste levate in alto (cfr. le ierodule di Atena in terracotta di tipo
campano. Minerva è vòlta a sinistra; le due figure muliebri sono vòlte a destra (fig. 3).
E chiudo la rassegna col trascrivere le epigrafi lette sopra le anfore di terra-
cotta. Nell'ambiente all'angolo sud-est, di due anfore rinvenutevi, la prima reca im-
presso sul piede, in lettere rilevate, il bollo KEN, e la seconda reca sul collo questo
avanzo in lettere nere: VI RE
POMPEI
— 288 —
REGIONE I.
Nell'ambiente all'angolo nord-est si sono rinvenute sette anfore, recanti rispet-
tivamente le iscrizioni che qui appresso trascrivo, dipinte, granite e tracciate col
carbone:
1) in lettere nere: FRONTO e col carbone: CV
2) » » FRONTO » CV
3) » » PÀISCV » CV
Sopra quest'anfora, dall'altro lato, sono alcuni segni tracciati in nero con pen-
nello, che qui riproduco in fac-simile: A^jN^^O}
4) in lettere rosse: T F C e col carbone A VI
5) » » T F C
6) T F C » AL graffito: ATI A
7) » nere: T A V?
M M Vi
Rinvenimento di uno scheletro umano nel vicolo meridionale.
Per dare un comodo accesso alla casa scavata ad ovest del criptoportico della
casa n. 2, si è allargato lo scavo del vicolo meridionale dell' isola; e il movimento
Fio. 4.
di terre eseguito ha provocato, a tergo del più orientale tratto del muro sud del
criptoportico, il rinvenimento di uno scheletro umano, giacente supino con la testa a
nord e i piedi a sud. I pochi oggetti che recava con sé questo pompeiano, che ha
ora col gesso ripreso l'atteggiamento della sua ora estrema (fìg. 4). sono i seguenti:
presso l'addome, una chiave di ferro, due anelletti di bronzo forse appartenuti ad
REGIONE I.
289 —
CAVA DEI TIRRENI
una cintura di cuoio, e un corrente di collana in pasta vitrea, forato e baccellato;
ad un dito della mano sinistra, un anello di ferro, nel cui castone è una piccola
gemma circolare con l' incisione di una Vittoria
alata che regge lo scudo, molto somigliante alla
Vittoria delle monete di Nerone.
A qualche metro di distanza si è poi raccolta
la statuetta mutila, di marmo (alta ni. 0,50), della
quale diamo la riproduzione (fig. 5): rappresenta
una figura virile vestita di chitone lungo fino alle
ginocchia, di mantello e di brache, la quale sta
ritta, con le gambe incrociate, e, appoggiando il
gomito destro sul braccio sinistro ripiegato sul
petto, porta la destra al mento. Dal berretto frigio
che copre la testa scendono giù, lateralmente, due
nastri sulle spalle coperte di un massiccio manto
dalle pieghe alquanto trascurate. Per analoghi
motivi statuari, cfr. Olarac-Reinach , Reperì.,
pag. 505, n. 4; pag. 518, n. 4; pag. 519, un. 4
e 6 barbari prigionieri.
M. Della Corte.
pio. 5-
IX. CAVA DEI TIRRENI — Cippo sepolcrale romano.
A seguito degli ordini telegrafici impartiti dalla Soprintendenza, mi son recato
in Cava dei Tirreni frazione s. Lucia, e precisamente nella contrada denominata
s. Giorgio, fondo comune ai signori Lamberti e Rispoli. Quivi, a pie' della casa
rurale, fu iniziato il disterro di una piccola zona, ed appena a poco meno di un metro
dal livello del piano coltivato, fu scoperto un cippo funerario su base monolita in
marmo bianco, di bella grana, ornato da cornice modinata, con cimasa terminale e
pulvinari, misurante m. 1,40 X 0,83 X 0,78.
Sulla faccia anteriore è scolpita a caratteri augustei la iscrizione che qui
riproduco :
D M
Q^GARGENNIO
BASSO
TREBONIALF
FLACCILLA
CONMVGI
- B M
Sulle facce laterali sono scolpite la patera ed il prefericolo.
CAVA DEI TIRRENI — 290 «— REGIONE I.
Allo stato presente del piccolo spazio di terreno scavato, appena mq. sei, non
essendovi ragioni per doversene impedire il proseguimento, si è disposto di estrarre
il cippo di cui riferisco, il quale non trovasi in sita, ma fra i materiali di antico
riporto.
G. Scifoni.
REGIONE XI. — 291 — PAVIA
Anno 1915 — Fascicolo 9.
Regione XI (TRANSPADANA).
I. PAVIA — Scoperte di antichità preromane, romane, cristiane e
medievali.
In data 13 giugno 1914, il conservatore del Museo civico, dr. R. Sòriga, mi
riferì quanto appresso.
Nell'eseguire lavori di scavo per le fondamenta di una casa in via Boezio n. 3,
ai primi di marzo passato, ad una profondità di circa mezzo metro dal livello stra-
dale, sotto un grosso strato di materiale di riporto fu rinvenuta una grande zona
di pavimento a musaico, che dal proprietario, ing. Mario Cozzi, venne generosamente
donata al Museo. Detto pavimento, indubbiamente della prima metà del secolo XII,
faceva parte dell'antica chiesa di S. Invenzio (fondata nel IV secolo, eretta in col-
legiata nel 1100, ricostruita nel secolo XVI, demolita nel 1846), sulla cui area
trovasi la località in cui venne fatta la scoperta. Da quanto rimane del detto pavi-
mento, si può ritenere che esso facesse parte di un'abside della chiesa stessa o di
qualche cella sepolcrale. Semplice e rozzo n'è il disegno a cubetti rossi e neri su
fondo bianco, raffigurante alternativamente in piccoli tondi, uccelli e animali fanta-
stici sobriamente stilizzati.
Quindici giorni dopo questo rinvenimento, fu riconosciuta l'esistenza di alcune
tombe. Recatosi sul posto, il dott. Sòriga verificò trattarsi di due tombe romane
a tettuccio, che si trovavano ad una profondità di un metro e mezzo dal livello stra-
dale, frammezzo ad un gran numero di mattoni ad incavo, a pietre, ed a due fram-
menti di lapidi, l'una romana, l'altra cristiana. Pochi giorni dopo, venivano conse-
gnati al Museo due altri oggetti rinvenuti a maggiore profondità, e che, a testimonianza
del capomastro degli sterratori, si trovavano entro ad una tomba a cassetta. Questi
oggetti sono: una rozza lucernina priva d'ogni marca o segno caratteristico, e un os-
Notizw Scavi 1915 — Voi. XII. 39
SPINO D'ADDÌ, S. COLOMBANO ECC. — 292 — REGIONE XI
suario sbocconcellato, del diametro di circa 20 era. e dell'altezza di 15 era., di cera-
mica affine a quella delle tombe di età gallica rinvenute in Pavia.
Nel frammento di lapide romana, in cui rimangono le lettere degli ultimi tre
versi di un titolo funebre, leggesi nel penultimo verso il nome di una persona appar
tenente alla gente Calpurn(ia), e nell'ultimo la prescrizione h(oc) m(onumentum)
\Ji~\(eredem) [ìi~\{on) [s~](equetur).
Nel frammento cristiano abbiamo il principio delle ultime quattro righe del
titolo ove erano indicati gli anni vissuti dal tumulato, il giorno della sua deposi-
zione, il mese e l'indizione.
IL SPINO D'ADDA — Tombe gallo-romane.
Dissodandosi i terreni boscosi segnati in mappa del comune di Spino d'Adda
coi numeri 331 e 333, si sono rinvenute, nel marzo 1915, cinque tombe gallo-romane.
L'ispettore onorario di Lodi, cav. avv. Giovanni Baroni, che me ne riferisce, accorse
sul luogo e potè constatare che le sepolture erano orientate da nord a sud, e che
dovevano contenere avanzi combusti; anzi, presso le tombe risaltavano sul color
giallo-oro della terra cinque grandi macchie nere, quasi circolari, che contenevano car-
boni e ceneri per una profondità di 7 ad 8 cm. (residui dei rispettivi roghi). Pur-
troppo, anche qui la ignoranza dei contadini e la illusione di trovare tesori nascosti
fecero sì che i vasi fittili, di cui si componevano i corredi funebri, fossero immediata-
mente ridotti in frantumi, in parte raccolti dal cav. Baroni, che potè inoltre salvare
una monetina romana ed un'arma in ferro, la quale, dallo schizzo mandatomi, rico-
nosco facilmente per uno dei coltellacci gallici a dorso arcuato e codolo a due chio-
delli per fissare le due metà del manico di legno. Questi coltellacci a punta e taglio
concavo (quindi arcuati in senso inverso alle nostre sciabole) sono comuni nella
Transpadana, e dovevano spesso sostituire le assai più costose spade « La Tene » , ser-
vendo da arma e da strumento secondo il bisogno. Il nostro esemplare è lungo
cm. 40. Il poco che di queste tombe si potè raccogliere fu portato al Museo civico
di Lodi.
*
III. S. COLOMBANO AL LAMBRO — Rinvenimento di un'anfora-
tomba.
Addì 20 ottobre 1914, eseguendosi scavi per lavori agrari in un fondo contiguo
all'abitato della frazione Campagna nel comune di S. Colombano al Lambro, di pro-
prietà di certo Zambelli Giuseppe, venne in luce un'anfora romana a corpo cilin-
drico molto allungato e fondo puntuto, rotta in più pezzi sconnessi dall'azione delle
radici, e adagiata orizzontalmente. Tolti i pezzi della parte superiore, apparve entro
l'anfora lo scheletro mal conservato di un fanciullo, senza alcun oggetto. L'anfora-
tomba venne ritirata dal locale ispettore onorario dott. Piorani, che me ne diede
notizia.
REGIONE XI. — 293 — CASLINO D'ERBA, V1MOGNO, ACQUATE
IV. CASLINO D'ERBA — Tomba gallo-romana.
Informato della scoperta di una tomba in Caslino d'Erba, circondario di Lecco,
quel solerte ispettore onorario dott. A. Magni me ne avvertì in data 15 maggio 1914.
La tomba in parola era stata rinvenuta per caso da contadini, nel cavare la terra,
ed era di lastroni grezzi, lunga due metri e larga oltre il mezzo metro, contenente
cinque scheletri ed oggetti. Questi, provvisoriamente conservati dal parroco, furono,
nell'agosto seguente, ritirati dall'ispettore, il quale vi riconobbe : due piccole brocche
del tipo solito gallo-romano; due ciotole e due vasetti a bocca ampia, in parte rotti,
il tutto in terracotta; inoltre due piccoli coltelli in ferro, spezzati dalla ruggine, e
quattro braccialetti aperti di bronzo, a nastro piatto, sottile, terminante a rozza testa
di serpe appena accennata o schematica.
*
V. VIMOGNO — Tombe galliche.
In principio del mese di dicembre 1914, in territorio del comune di Vimogno,
in Valsassina, alla località Ciarello, proprietà dei fratelli Beri, facendosi trasporti
di terra vennero in luce alcuni vasi di terracotta, taluno a bocca ampia, che si rico-
nobbero deposti fra rozze lastre di pietra. Tutto fu disgraziatamente frantumato e
disperso sul luogo dagl'ignoranti sterratori; ma è facile, da quanto essi descrissero
d'aver visto, argomentare che si trattava di tombe con suppellettile funebre. Si può
anche dire che dovevano essere sepolcri gallici, poiché quel segretario comunale,
potè raccogliere un frammento di bronzo (unico oggetto trovatosi, oltre i vasi, al dire
degli sterratori) in cui il r. ispettore onorario pel circondario di Lecco, cav. dott. A.
Magni, potè riconoscere una porzione di staffa d'un fibulone gallico, simile a quelli
già trovati in passato nelle tombe della valle medesima.
*
VI. ACQUATE — Tombe galliche.
Pubblica lode merita il geometra P. Garolini, sovrastante agli sterri per la
fondazione dell'Istituto dei vecchi poveri in Acquate (circondario di Lecco). Egli notò
la comparsa di tre tombe, tra lore vicine, alla profondità di m. 1,50; ne raccolse
diligentemente il materiale, e lo consegnò al conservatore del Museo civico di Lecco,
rag. cav. Carlo Vercelloni. Si hanno frammenti di vasi fittili ed oggetti di ferro:
una spada, due coltellacci e tre fibule. A giudizio del Vercelloni, persona pratica,
il materiale è simile a quello rinvenuto in una tomba di Barzio, pure in Valsas-
sina. da me illustrato in Rivista archeologica di Como, 1907, fase. 53-55, e gal-
lico senza alcun dubbio.
VELATE — 294 — REGIONE XI.
VII. VELATE — Tombe romane scavate in località « la Rasa « .
Il 16 gennaio 1915, abbattendosi un castagno nel fondo dei signori fratelli
Tonta fu Domenico, in località « la Rasa » , territorio comunale di Velate, nel Vare-
sotto, vennero in lece due tombe antiche. Il cav. uff. Vitaliano Tonta, accordatosi
coi proprietari, esegui lo scavo di un sepolcreto che risultò appartenere ad un pago,
la cui vita si estese fra il II ed il IV secolo dopo Cr. Le tombe scavate furono 42,
di cui 31 ad inumazione, a cassa di rozze scaglie di sarizzo, commesse però con
una certa cura, e munite di loculo o ripostiglio per oggetti, per lo più alla sinistra
del capo, che era volto ad occidente: questo loculo era una specie di cassetta qua-
drata aggiunta alla cassa delle solite dimensioni, e sporgente fuori di essa. Le altre
11 tombe erano di cremati. La suppellettile era non propriamente scarsa, ma povera:
monete di rame, talora deposte in abbondanza in una medesima tomba ; scarsi oggetti
di bronzo, semplici armille con capi a testa di serpe; non abbondanti né vari gli
oggetti di ferro, in genere mal conservati ; addirittura raro il vetro, che in Lom-
bardia offre belli e abbondanti oggetti nelle tombe della buona epoca gallo-romana;
comune la ceramica rustica, senza ornati, di forme per lo più cilindroidi, o svasate
o schiacciate a ciotola, di rado con collo e bocchino, al contrario di quanto suole
avvenire nei buoni tempi gallo-romani. Non ostante il poco valore intrinseco, l'in-
sieme ha importanza locale per dimostrare la presenza di un pago d'età romana,
forse di contadini che si accingevano a diboscare i monti del Varesotto, in corri-
spondenza dell'attuale Rasa di Velate. Per accordo intervenuto con la Sovrainten-
tendenza archeologica della Lombardia, e con l'approvazione del Ministero, la sup-
pellettile di questo sepolcreto costituirà in situ un museo locale, ove sarà ordinata
tomba per tomba a spese del benemerito cav. uff. Tonta.
Ecco ora l'elenco degli oggetti.
Tombe d'inumati:
1 . Un frammento di silice ; frammenti di ferro ; cocci di vasi e ciotole di terracotta ;
• 50 tra P. B. e M. B. del IV secolo, indeterminabili per l'ossidazione.
2. Nel loculo cocci di vaso.
3. Alcuni chiodi in ferro, un piccolo unguentario di vetro, un M. B. di Co-
stantino; nel loculo due vasi, altro più piccolo e una ciotola, il tutto in terracotta.
4. Un chiodo e una fibbia in ferro; nel loculo un vaso e una ciotola.
5. Un coltello in ferro, un dischetto di pietra, un piccolo vaso ansato; nel
loculo due vasi, un anello di bronzo ed un frammento di silice.
6. Due piccole armille di bronzo a testa di serpe; nel loculo un vaso, un fram-
mento di vetro e un M. B. del IV secolo, ossidatissimo.
7. Ferri cilindrici acuminati (?), qualche chiodo, altri frammenti indetermi-
nabili, un pezzetto di pietra traslucida e 5 monete ossidatissime; nel loculo una cio-
tola in terracotta.
8. Una brocchetta ed un vaso di terracotta ; un paio di cesoie a molla, in ferro.
REGIONE XI. — 295 — VELATE
9. Frammenti di ferro acuminati cilindrici, un chiodo e una fìbbia-fermaglio
(da cinghia?).
10. Frammenti di ferro come sopra, un coltello, alcuni frammenti di lastra di
bronzo e due pezzetti di silice; nel loculo una ciotola a bocca stretta (verniciata
internamente), una ciotola comune e un vaso, il tutto in terracotta.
11. Frammenti di ferro, un chiodo, un coltello, un vaso ed una ciotola in ter
racotta; nel loculo un vaso campaniforme con anse, verniciato internamente, ed
altro vaso rustico.
12. Frammenti di ferro e un coltello; nel loculo una coppa imbutiforme e una
ciotola.
13. Un chiodo, un coltello, 5 P. B. di Costantino ; nel loculo una ciotola e un
vaso verniciato.
14. Due chiodi, alcuni frammenti di ferro, un M. B. di Valente, residui di
carbone di legna; nel loculo un vaso, altro mancante della parte superiore, una cio-
tola e un coltello.
15. Due frammenti di ferro, un vasetto; nel loculo un vaso.
16. Un anello di ferro, due chiodi, una branca di cesoie, alcuni incisivi
inferiori, un coltello e 2 M. B. indeterminabili ; nel loculo una ciotola, una broc-
chetta con l'ansa rotta.
17. Frammenti di ferro, alcuni chiodi, 10 monete ossidatissime, resti di ossa
delle gambe ; nel loculo un vaso a forma di zucca, altro comune, altro a due anse
verniciato internamente, una ciotola.
18. Un anello in ferro, un frammento di ferro a forma di S, un coltello,
3 M. B. di Valente, e 3 P. B, indeterminabili ; nel loculo una ciotola.
19. Una piccola armilla di bronzo a testa di serpe, un chiodo, 3 P. B. e 2
M. B. di Valente, una olletta ansata e una ciotola.
20. Una piccola armilla a testa di serpe, altra di lastra di bronzo, alcune per-
line ; nel loculo un coltello, una ciotola, un vaso.
21. Una ciotola e un vaso.
22. Due piccoli anelli di bronzo, due armille pure di bronzo a testa di serpe, una
fibbia in ferro, un frammento di silice, 5 P. B. ossidatissimi, due ciotole e un vaso.
23. Alcuni chiodi, una piccola fiala con ansa, tre armille di bronzo a testa
di serpe, 4 P. B.; nel loculo un G. B. indeterminabile, un coltello, un pezzetto
di silice e un raso.
24. Un anello di bronzo, nn frammento di coltello, alcune perline e 16 monete
(tra le quali, alcune di Costante I e di Costante II); nel loculo due vasi ed una ciotola.
25. Nel loculo una ciotola e un vaso, questo verniciato internamente.
26. Una fiala con ansa rotta, alcuni chiodi, tre armille in bronzo a testa
di serpe, due piccoli anelli in bronzo e alcune perline ; fuori della tomba un vaso
e una ciotola.
27. Due piccole armille in bronzo a testa di serpe, residui di ossa, alcuni denti,
un puntale di fodero da coltello, una fiala in terracotta verniciata (con bocchetto
ed ansa mancanti) ed un vaso; fuori tomba, protetta da una pietra, una ciotola.
VELATE — 296 — REGIONE XI.
28. Alcuni chiodi, un piccolo anello di bronzo, un P. B. indeterminabile; nel
loculo una ciotola e un vaso.
29. Un coltello, una fibbia in ferro, due frammenti di silice, 4 P. B. indeter-
minabili; fuori tomba, due vasi.
30. Alcuni chiodi, frammenti di ferro, una fibbia e due anelli in ferro, 10
P. B. indeterminabili ; nel loculo un vaso e una ciotola.
81. Tomba completamente vuota.
Tombe a cremazione:
32 (1). Un ossuario in terracotta con resti di cremazione e carbone di legna,
un G. B. di Adriano, un frammento di ferro.
33 (2). Un ossuario come sopra.
34 (3). Un ossuario, un piccolo vaso e cocci di ciotola, 3 M. B. di Claudio II Gotico
e di Probo, un frammento di ferro ossidatissimo.
35 (l). Un ossuario, cocci di ciotole, 3 M. B. di cui uno riferibile a Probo,
un pugnale di ferro ossidato, altra moneta indecifrabile, frammenti di vetro.
36 (5). Un ossuario con pochi resti di cremazione ed un grosso chiodo.
37 (o). Un ossuario con pochissimi resti di cremazione.
38 (7). Un ossuario con coperchio, due ciotole in terracotta, pochissimi resti di
cremazione.
39 (8). Un ossuario, un dischetto di pietra ; un passante di cintura, rotto, in
ferro; una ciotola.
40 (9). Ossuario con resti di cremazione.
41 (lo). Ossuario e vaso piccolo ; pochissimi resti di cremazione.
42 (11). Altro ossuario, pure accompagnato da piccolo vaso.
Si trovarono poi sparsi fra le terre: vari frammenti di vasi (in più luoghi);
alcuni vasi isolati, talora ridotti iu frantumi ; due volte s'incontrò un vaso accompa-
gnato da un altro minore; una volta un vaso accompagnato da ciotola; una volta un
vaso accompagnato da altro minore e da una ciotola.
Per ora non sembra che esistano altre tombe in prossimità di queste; ma si
ha memoria che negli anni scorsi s' incontrarono, colà almeno una diecina di se-
polcri, il cui materiale andò quasi tutto disperso ; e certamente in precedenza se ne
incontrarono altri, di cui non si ha memoria. Sicché ritengo giustificata l'ubicazione
di un pago romano, per ora anonimo, alla Rasa di Velate. Si può in ultimo osservare
che, sebbene la suppellettile di questo sepolcreto sia, come dicevamo in principio,
molto povera, ma non propriamente scarsa nel suo complesso, tuttavia non si ebbe
nessun oggetto o particolare che permetta di intravvedere una qualche diffusione
anche parziale, fra quei montanari, delle credenze cristiane.
RRCUONE XI. — 297 — MILANO, COMO
Vili. MILANO — Rinvenimento di anfore in via S. Barnaba.
In data 7 gennaio 1914 il r. ispettore onorario comm. Pompeo Castelfranco
riferiva, a questa Sovrintendenza archeologica per la Lombardia, che nel mese di dicem-
bre 1913, praticandosi, per la fognatura della città di Milano, scavi in via S. Barnaba,
nel tratto che mette capo alla via Francesco Sforza, e per un'estensione di m. 49, si
rinvenne, alla profondità di circa m. 4, una lunga serie di anfore collocate orizzontal-
mente nel nudo terreno e ricorrentisi in ti la. Tali anfore erano vuote e di varia forma:
e cioè talune a fondo acuminato, altre tondeggianti e con bottone terminale. Tutte
quante poi presentavano la particolarità di essere traversate, dall'esterno all'interno,
ciascuna da sei fori rozzamente praticati col piccone, nella massima espansione del
fondo, intorno alla punta ed a circa un palmo da essa, come si fosse voluto dare alle
anfore stesse uno sfogo di scarico. Si è pensato che tali anfore fossero state così forate
per una specie di drenaggio; ad ogni modo, siccome il fatto riusciva nuovo anche a
chi ha lunghissima pratica del sottosuolo della città, si è provveduto a ritirare nel
Museo del castello Sforzesco alcune delle anfore stesse meglio conservate, a testimo-
nianza del fatto di cui qui si fa memoria.
*
IX. COMO — Porta romana con torri ottagone, scoperta sotto porta
Torre.
Il 27 dicembre 1913 il r. commissario del comune di Como dava in appalto
i lavori per la costruzione del nuovo palazzo degli studi in prossimità di porta Torre.
Iniziati i lavori il 7 febbraio 1914, mentre si scavava per far luogo ai sotterranei del
costruendo palazzo, si rinvenne un gigantesco pezzo di cornicione marmoreo delle cave
di Musso, delle dimensioni di m. 3 X 1 X 0.45, con ricche sagomature elegantemente
intagliate, clic fu portato nel Museo. Seguirono altri avanzi, com'esso evidentemente
romani, dei quali il più notevole è un piedistallo di statua Di questa si rinvenne
poi la testa con frammenti del torso, e numerosi frammenti di zoccoli, cornici e cor-
nicioni di marmo, qualche piccolo oggetto e monete imperiali. In fondo allo scavo
apparvero infine frammenti di una lapide marmorea assai frusta, i quali, ravvicinati,
mi diedere il seguente titolo mutilo:
P' PLINIO
PATERNO
L • F • O VF
PVSILLIENO
COMO
— 298 —
REGIONE XI.
In una relazione edita dal eh. ing. cav. A. Giussani, r. ispettore onorario per
gli scavi e monumenti di Como, nella Provincia di Como del 1° novembre 1914,
e della quale mi giovo, sono date pure come lette sulla stessa lapide alcune lettere o
parole che io non potei decifrare, e cioè : in principio dell'ultima linea (prima della
formula D-D) ETPARI; in principio della penultima, IN. Esse riappariscono in
una integrazione della nostra epigrafe che un dotto comasco diede in un altro giornale
locale, l'Ordine del 9 ottobre dello stesso anno; la quale integrazione però, a mio
avviso, non corrisponde esattamente agli spazi lacunosi della lapide.
Fia. 1. — Pianta della porta romana.
Devo invece osservare che questa nuova iscrizione della gens Plinia, trovata in
città, dà al personaggio di prenome Publio il cognome di Paterno ; e però la epigrafe
pubblicata in queste Notizie nell'anno 1909, pag. 4, sarà ora da integrare assai più
probabilmente col medesimo cognome, anziché con quello di Paternino tolto alla
grande base trovata in riva al lago di Lecco (C.I.L., V, 5216). Non sembra impro-
babile che il nostro personaggio fosse lo stesso Plinio Paterno cui Plinio il giovane
indirizzò alcune lettere che dimostrano grande amicizia (I, 21 ed altre).
Ma più importante ancora fu la successiva scoperta di un grosso muro, che,
allargando lo scavo, si riconobbe essere parte di una torre romana di difesa, laterale
REGIONE XI.
— 299 —
COMO
ad una porta, e propriamente a quella verso Milano ; porta che è la venerabile ante-
nata della medievale porta Torre. A spese della Società archeologica comense, con
sussidii della Sovrintendenza dei musei e scavi e di quella dei monumenti, si com-
pletò il lavoro spettante al Comune, che fu difficilissimo per coordinare le esigenze
statiche del nuovo palazzo degli studi con la conservazione e la visitabilità degli
avanzi architettonici romani. Era già noto che il muro meridionale del vecchio pa-
lazzo del Liceo sorge sulle fondazioni del muro romano, che corre parallelo al me-
dievale, arretrandosi di m. 28,60 verso la città. La torre ora scoperta sorge esternamente
Fio. 2. — Porta romana. Dettaglio del fornice occidentale, con l' incastro per la saracinesca.
al muro romano, ad una distanza di m. 2,40, ed è collegata al muro da uno sperone
dello spessore di m. 3,50 ; la torre stessa è ottagonale, con vano interno di m. 4,50,
lati esterni di metri 2,80 e interni di m. 1,80, muri spessi m. 1,20, sorgenti da
un piano sottostante di m. 3,30 all'attuale piano stradale. Di fianco alla torre, a
ponente, apparve un fornice di porta con luce di m. 2,50 e spessore di m. 3,25.
Le spalle, di grossi blocchi d'arenaria locale, sorgevano sopra un robusto zoccolo di
sarizzo, su cui si elevava un elegante basamento di marmo di Musso, recingente
non solo la porta, ma anche la torre, con manifesta intenzione di dare solennità
e fasto alla costruzione, oltrepassandone di gran lunga l'ufficio pratico.
Si volle, com'è naturale, indagare l'altro lato della porta, per trovare l'altra
torre fiancheggiante: e prima si rinvenne un secondo fornice uguale al primo; poi,
Nonzus Soati 1915 - Voi. XII. 40
COMO — 300 — REOIONE XI.
sotto via Cantù, la seconda torre, pur essa uguale e simmetrica alla prima. La fronte
complessiva di tutta la costruzione (porta e torri) è di ben 26 metri.
Si scoperse pure il pavimento originario in lastre moltrasine, con soglie in sa-
rizzo, di tutto il complesso. Sono ancora visibili le rotaie scavate dai carri, e restano
quattro degli otto paracarri che difendevano gli spigoli delle due porte. La torre di po-
nente era attraversata da un passaggio per pedoni, pur esso lastricato, mentre quella di
levante non presenta tale disposizione. Ciò potrebbe far pensare che in un primo tempo
la porta non avesse torri, o non le avesse sporgenti nella forma ora riconosciuta, ma
avesse invece quattro fornici (disposizione nota da altri esempi), due centrali per
carri e due laterali per pedoni; ovvero avesse sistemato architettonicamente solo
l'attuale centro a due fornici, mentre lateralmente e senza pretesa architettonica (e,
in tal caso anche, soltanto a ponente) si apriva un passaggio pedonale.
Tale dubbio manifestasi nel rapporto da me inviato al Ministero; ma volli do-
mandare l'avviso dell'ing. Giussani ; e questi, riesaminati i resti della porta, mi rifeti
in data 9 settembre 1915 che le osservazioni per rispondere al mio quesito gli erano
state impedite per la torre di sinistra (guardando dall'esterne della città) dalla linea
tramviaria; ma nella torre di destra aveva potuto rilevare che lo sperone cui si ap-
poggia, e che si stacca dalla cortina, forma con questa un tutto organico ; la torre
invece non è legata con lo sperone, ma il Giussani crede che ciò sia dovuto al fatto
che essendo la torre assai più alta della cortina, gli ingegneri romani la tennero ap-
posta slegata, prevedendo che avrebbe fatto un maggior cedimento; aggiunge il Gius-
sani, che egli stesso pratica in tal modo quando si tratta di edifici di differenti al-
tezze, in cui teme il verificarsi di crepe. Quindi la slegatura della torre non indi-
cherebbe che essa sia anteriore o posteriore alla cortina.
Ancor prima di ricevere tale relazione del Giussani, e cioè nell'agosto, io ero
stato qualche tempo a Torino, ed avevo ristudiato le torri di quella cinta. E con-
fermo quanto già asserì il compianto D'Andrade in una relazione che disgraziata-
mente non è nota come meriterebbe, perchè stampata in volume a parte, ma di cui
potei avere una copia in lettura presso l'Ufficio della Sovrintendenza ai monumenti (').
Ivi leggesi a pagina 9 : « Le torri delle porte e della cinta di Torino vennero co-
strutte separatamente e prima delle cortine, cioè dei muri tra le due torri «.Mala
opinione del D'Andrade non è in contraddizione con quella del Giussani, poiché il
primo non intende ne può intendere che le torri appartenessero ad altra epoca e fos-
sero state innalzate senza relazione col piano delle mura, bensì che, pur essendo esse
preordinate al detto piano, furono nella faccia esterna finite a vista, per tenerle sta-
ticamente indipendenti. E l'esempio di Torino è tanto più calzante, in quanto anche
lì le torri sono poligonali, ottagono le angolari, e a 16 lati quelle delle porte.
Per cortesia dell' ispettore Giussani possiamo aggiungere la planimetria di tutto
l'insieme della interessantissima scoperta, e una veduta fotografica (figg. 1 e 2).
La vera importanza (che è assai grande) sta, a mio avviso, non soltanto nel fatto
(lj A. D'Andrade, Reiasione deWujfieio regionale per la conservazione dei monumenti del
Piemonte, parte I, 1883-1891.
REGIONE XI. — 301 — TALAMONA
che un simile complesso architettonico è finora unico in tutta la Lombardia e,
certo, assai ragguardevole per qualunque paese; quanto, e più, negli indizi della
appartenenza di questa costruzione ad età tutt'altro che tardissima e decadente.
Di assegnarla ad una tal epoca non vi sarebbe infatti altra ragione se non quella
di seguire il preconcetto che di tutta l'arte romana fa un'arte orientale, che vede
nel palazzo di Diocleziano a Spalato un trasporto diretto e fresco di motivi orien-
tali, e però, seguendo questa via, le torri ottagone dovrebbero essere arrivate a Como
dopo che a Spalato, nel IV secolo. Io non seguo quella esagerata teoria, fortemente
intaccata da ricerche recenti: l'attacco alle mura, nel palazzo di Diocleziano, è affatto
diverso e più libero, mentre nella porta di Como rimane allo stato di tentativo: la
struttura e la decorazione non sono a Como così tarde, mentre la forma ottagona
meglio si spiega come un tentativo di variante della rotonda, richiesto qui dal rive-
stimento con grandi lastre e blocchi marmorei, altrove favorito dalla forma parallele-
pipeda degli elementi laterizi. Toglie poi ogni fondamento alla teoria della prove-
nienza orientale delle torri poligonalii, per la via di Spalato e ai tempi di Diocle-
ziano, il fatto che la cinta di Torino è dell'età di Augusto.
*
X. TALAMONA — Lama di bronzo.
Stanno per compiersi i tre lustri da che risiedo in Lombardia, e, sebbene la
Sovrintendenza archeologica della regione mi sia stata affidata alquanto più tardi,
tuttavia m' interessavo, anche prima che ciò divenisse un gradito dovere, di quanto
il suolo rendesse alla luce. Con tutto ciò non ebbi mai finora occasione di segnalare
una scoperta d'antichità nella provincia di Sondrio. Nel gennaio 1914 fui avvertito
dall' ing. L. Bnzzetti, r. ispettore onorario, che nella estate precedente, scavandosi
per le fondazioni di una casa in terreno alluvionale di ciottoli entro l'abitato del
comune di Talamona, il contadino Giacomo Cerri rinvenne una lama di bronzo, che,
pensando potesse esser d'oro, spezzò alla base segandone ripetutamente tre pezzi.
Nnll'altro, neppure tracce o residui di sorta, si affermava fossero stati rinvenuti con
la lama, che, vista da persona competente, era stata giudicata dell'età del bronzo.
Pensando che si trattasse di una delle belle spade di quell'età, mi feci spedire
la lama; ma con mia sorpresa trovai, nella cassetta inviatami, una stretta lama a
due tagli, punto affilati, lunga circa 46 cm. (compresi i pezzi staccati), ma della lar-
ghezza di appena mm. 17 nella massima espansione, ricurva in modo da rassomi-
gliare ad una sciabola moderna. Il lavoro è rozzo; e la base arrotondata, senza codolo
e senza forami per chiodelli, lascia molto dubbiosi intorno alla possibilità di una
solida immanicatura, della quale non v'è ad ogni modo alcuna traccia. Senza voler
contraddire all'opinione, certamente meritevole di considerazione, della persona che
attribuì l'oggetto all'età del bronzo, osservo che io non riesco a trovare in quella
età un tipo simile, né a classificare l'oggetto, che trovasi depositato nel Museo del
Castello in Milano.
GJ. Patroni.
CASTIGLIONE DELLE STIV1ERE
— 302
REGIONE X.
Regione X (VENETIA ET HISTRIAJ.
XI. CASTIGLIONE DELLE STIVIERE — Tomba con ricco corredo
di bronzi etruschi e coltellacci gallici.
Nel febbraio del 1914 venni avvertito che a Castiglione delle Stiviere (prov. di
Mantova) era stata da molto tempo trovata una tomba con ricca suppellettile, subito di-
spersa dai braccianti, e da privati acquistata di seconda e terza mano. Dopo varie
non facili trattative per riunire la suppellettile, e dopo che il Ministero ebbe speri-
mentata contro il principale acquirente l'azione per mancata denuncia, che finì con
l'assoluzione dell' imputato e col riconoscimento della piena proprietà di lui sopra gli
oggetti in suo possesso, la maggior parte della suppel-
lettile, consistente in bronzi e in un piatto di terra-
cotta, venne acquistata dal Ministero per le raccolte
governative e depositate in Castello a Milano. Il signor
Gaudenzio Carlotti di Cavriana, poi nominato r. ispet-
tore onorario, volle donare due coltellacci in ferro che
egli aveva salvati e che completano il corredo della
tomba. Riserbandomi d' illustrar questa con maggiore
ampiezza e mediante comparazioni, dò qui le notizie
che si poterono raccogliere sul rinvenimento, e l'elenco
degli oggetti.
La tomba fu trovata nel cavar ghiaia, presso Ca-
stiglione e su la strada per Lonato, in un campo dietro
il cimitero. Consisteva in una fossa praticata entro la
ghiaia e guarnita di pietre a secco, in forma di baule
(per servirmi delle espressioni da me udite), della lun-
ghezza di circa m. 2 e ad una profondità quasi eguale;
nel fondo della fossa era adagiato uno scheletro, col
seguente corredo:
Candelabro di bronzo con piede a triplice zampa,
ornato da tre uccelli, di cui uno manca, e sormontato
da una statuetta di giovane ignudo reggente un altro
uccello; attualmente è separato in tre pezzi, ma nella
ricomposizione provvisoria per la fotografia il pezzo pas-
sante a imbuto con arpioncelli fu collocato a rovescio
(fig. 1). Alt. complessiva, circa cm. 67;
Brocca di bronzo con manico attualmente stac-
cato e suo coperchio. Alt. cm. 18 circa; diam. alla
bocca cm. 9,5;
Padella o casseruola di bronzo, con manico rotto in due pezzi. Alt. cm. 7
circa; diam. cm. 22; lungh. del manico cm. 11 ;
Fig. 1.
Candelabro etrusco in bronzo.
REGIONE X. — 303 — SESTO CREMONESE
Gruppo di altre quattro padelle di bronzo, senza manico, più o meno fram-
mentate. Diam. della maggiore e meglio conservata cm 32 5 ; della minore, mancante
di parte dell'orlo, cm. 30,5 ;
Oggetto sferoide, schiacciato, di lastra di bronzo, composto di due metà che
s'incastrano, una delle quali reca un foro mediano. Alt. circa cm. 9; diam. circa
cm. 21; diam. del foro circa cm. 7;
Piede di vaso in lastra di bronzo sagomato, mancante di parte dell' orlo.
Diam. circa cm. 20; alt. circa cm. 8;
Oggetto composto di due lastre di bronzo, sbalzate, che s' incastrano, in
forma di corpo d'uccello. Lungh. mass, circa cm. 18; alt. mass, circa cm. 13;
Vari altri frammenti, alcuni dei quali lavorati a sbalzo in forma di ali, ed
altri con vari ornati ;
Tre frammenti di collo (?) di vasi di lastra di bronzo. Diam. del maggiore
cm. 8 ; del minore cm. 4,5 ;
Placchetta di lastra di bronzo ornamentale (applique), con borchia a sbalzo.
Diam. cm. 7 ;
Scodella di terracotta, lavorata al tornio, in tre pezzi. Alt. circa cm. 7;
diam. cm. 20;
Due coltellacci in ferro, dei quali uno lungo cm. 50,5, e largo, alla massima
espansione, cm. 5 ; l'altro lungo cm. 44 e largo alla base cm. 4. Ambedue sono della
forma descritta a proposito della scoperta di Spino d'Adda (pag. 292).
La nostra tomba ha aspetto d'esser quella d'un capo gallico ricca di suppellet-
tile etnisca, come quelle di Montefortino, la cui necropoli è vivamente richiamata
dall' insieme dei nostri oggetti, addirittura eccezionali fino ad oggi per la Lombardia,
Non v' ha dubbio che, sebbene il territorio di Castiglione faccia parte di quelli che
furono poi incorporati nella decima regione italica ( Venetia et flistria), tuttavia, per
l'età preromana, noi ci troviamo pur sempre in territorio dei Cenomani. La fattura
del candelabro è etnisca, e, a mio parere, abbastanza antica: il tipo è infatti ante-
riore a quello dei candelabri, anch'essi etruschi, trovati nel sepolcreto gallico di Mon-
tefortino, illustrato dal Brizio. Agli Etruschi deve infatti riferirsi, secondo l'avviso
del Brizio che a me pare da seguire, la massima parte degli oggetti di bronzo ado-
perati da genti galliche e loro vicine. Il tipo delle padelle con lungo manico fu pure
riscontrato entro tombe galliche dell' Italia e dell'estero. Per i coltellacci rimando
• alla mia comunicazione della scoperta di Spino d'Adda; essi sono, per me, senza dubbio
gallici, almeno qui in Lombardia, e del medesimo ferro delle spade La Tene, a cui
si associano. Non saprei fino a che punto sia plausibile l' ipotesi, che pur si pre-
senta: clie cioè l'oggetto a corpo d'uccello e le ali facessero parte d'una insegna.
XII. SESTO CREMONESE — Suppellettile gallica.
Il r. ispettore onorario cav. dr. Giacomo Locatelli ebbe a comunicarmi, in data
15 aprile 1915, che a Sesto Cremonese, in campo appartenente al sign. Pezzini, furono
trovati, tempo fa alcuni oggetti che vennero acquistati dal Museo civico di Cremona.
POZZOLENGO — 304 — REGIONE X.
Quanto mi si comunicava era sufficiente a definire in maniera generale il ca-
rattere e l'età degli oggetti, che probabilmente dovevano costituire il corredo di una o
più tombe galliche. Ma, avendo poi visitati gli oggetti rinvenuti a Sesto, posso darne
la seguente descrizione:
a) bellissimi bronzi di patina detta « d'acqua » (grigio-azzurra, lucida):
I e 2. Coppia di armille a semiovoli, i minori pieni, i maggiori vuoti ; attual-
mente ciascuna in due pezzi staccati, di cui un tempo il minore si apriva a cerniera
per introdurre più comodamente il braccio.
3. Armilla a cerchio, vuota internamente.
4. Coppia di armille con estremità modellate a zampa di cavallo, di bronzo pieno.
5. Armilla di filo a spirale semplice; vi è infilzato un anellino pure di bronzo.
6 e 7. Ghiera frammentata ad asticella (avanzo di ardiglione o di spillone) pure
frammentata.
b) argento:
8. Un torque a doppio filo ritorto, rotto in due pezzi.
e) ferro :
9 a 12. Tre lame di spade, di cui una con la punta ripiegata, la meglio con-
servata lunga attualmente cm. 70; altra molto frammentaria.
13 e 14. Due cuspidi di giavellotto.
15 e 16. Due morsi equini, uno privo dei montanti, l'altro, assai ossidato, forse
conservante un montante entro la massa rugginosa.
d) ceramica:
17 e 18. Una ciotoletta rustica e un gruppo di frammenti simili.
Caratteristico è il braccialetto ad ovoli (o, meglio, a semiovoli), tipo che prende
uno sviluppo considerevole soprattutto in Boemia, e che, secondo il compianto Deche-
lette, si classifica in massima a La Tene li. Certamente per errore questo autore ha
dimenticato affatto l'Italia fra i paesi ove questo tipo è rappresentato {Manuel, II, 3,
pag. 1223), mentre non solo esso vi apparisce, tanto in Transpadana quanto in Cispa-
dana (ved. p. es. Montelius, Ciò. prim. I, tav. 112, n. 14, da Marzabotto), ma vi
ha discreto sviluppo. Gli altri oggetti, e specialmente le spade (per quanto si può
giudicare dalle sole lame mal conservate) non contraddicono alla indicazione strati-
grafica data dalle armille.
*
XIII. POZZOLENGO — Suppellettile tombale romana.
II sign. Gaudenzio Callotti di Cavriana, ora r. ispettore onorario pel circondario
di Castiglione delle Stiviere (Mantova), e già da parecchio tempo noto come raccoglitore
di cimelii della battaglia di S. Martino, mi comunicò essere a sua notizia che nel co-
mune di Pozzolengo (Brescia), presso la trattoria del Garofano, è venuta in luce in
questi ultimi mesi un'urna cineraria romana di marmo bianco, senza ornati e di
forma comune. A distanza di due metri e più (quindi, secondo ogni probabilità, in
relazione con tomba o tombe diverse), si rinvennero due lucerne e due monetine cor-
rose. Di questa tomba o tombe non fu visto cinerario; e certo poteva anche trattarsi
di deposizioni nella nuda terra, con perdita dei resti scheletrici.
G. Patroni.
SARDINIA — 305 — ViLLANOVA TRUSCHEDDU
SARDINIA.
XIV. VILLANOVA TRUSCHEDDU (prov. di Cagliari) — // nuraghe
di Santa Barbara donato allo Stato.
È grato compito della Soprintendenza degli scavi della Sardegna di illustrare
brevemente il nuraghe di Santa Barbara, in Comune di Villanova Truscbeddu, che
per generoso dono del cav. uff. Antonio Oppo Palmas è di recente venuto in possesso
dello Stato.
I lavori di sgombero all'esterno e gli scavi condotti entro l'edificio, per cura
del benemerito sig. Oppo Palmas e con un sussidio del Ministero dell'Istruzione,
hanno permesso di farci una chiara idea del grandioso edificio nuragico, del quale
l'egregio sig. Azeglio Berretti, disegnatore del Museo nazionale romano, ha preparato
gli uniti rilievi, che rendono più efficace la presente relazione (fig. 1).
L'attenzione degli studiosi era già stata richiamata sul nuraghe di S. Barbara
da un breve rapporto da me edito nelle Notizie degli Scavi del 1903, pp. 493 e seg.,
e corredato da uno schizzo di pianta dovuto al sig. Filippo Nissardi. Gli sterri eseguiti
in seguito non hanno fatto che confermare l' interesse di quel monumento megalitico.
II nuraghe sorge sopra un leggiero rialzo di terreno, a poca distanza da Villa-
nova Trnscheddu, a destra della valle del Tirso, e precisamente allo sbocco di una
valletta che dall'alto dell'altipiano di Paulilatino degrada lentamente verso la detta
valle. Esso nuraghe fa parte di una serie di costruzioni nuragiche, disposte in vista
l'una dell'altra e situate a non grande distanza fra loro, le quali hanno lo scopo
evidente di sorvegliare tutta la predetta valletta di Villanova e di impedire l'accesso,
lungo il suo corso, all'alto del vasto e fertile altipiano di Paulilatino di Abbasanta.
Fra i vari edifici di questo sistema, il nuraghe di S. Barbara, collocato quasi
allo sbocco della valletta in quella, assai più ampia, del Tirso, sopra un' altura che
domina così la valle confluente come un tratto delle due sponde della valle maggiore,
compie la funzione di chiave e di guardia della valle, come dimostrano anche il
carattere ed il tipo dell'edificio.
Questo nuraghe appartiene ad un tipo di nuraghi complessi ; risulta cioè di una
torre T (fig. 1, 3), rinforzata alla fronte da un recinto R, munito di una torre difen-
siva T' (fig. 1, 3, 4). È questo un tipo abbastanza frequente, di cui abbiamo già dati
due esempì, editi nei Monumenti dei Lincei, di Lugherras, presso Paulilatino e di
Palma vera, presso Alghero (').
È evidente lo sviluppo successivo dell'edificio. Si ebbe dapprima la torre co-
nica T, poi il recinto con la sua torre difensiva T', che venne applicato alla torre pri-
(') Monumenti antichi dei Lincei, anno 1909, voi. XIX, Palmavera; anno 1910, voi. XX,
Lugherras. Anche taluni dei nuraghi dell'altipiano della Giara di Gesturi presentavano lo stesso
tipo, ma essi furono rilevati, ma non scavati, come i due qui accennati. (Cfr. Taramelli-Nissardi
in Monumenti. Anno XVIII, fig. 6, 7, 11, 26).
VILLANOVA TRUSCHEDDD
306
SARDINIA
mitiva in tempo molto posteriore alla costruzione della più antica parte dell'edificio;
questo intervallo di tempo fra le due costruzioni è provato da uno strato archeo-
W^rr:-7 ,
Fio. 1. — Nuraghe di Santa Barbara, presso Villanova Truscheddu (ril. A. Berretti).
Leggende della figura I.
In alto, Sezione del Nuraghe di Santa Barbara, lungo la linea A-B.
In basso, Pianta del Nuraghe al piano terreno:
T Torre primitiva. — a Celletta di guardia dell'ingresso. — b, e Cellette laterali della cella
maggiore. — d Sedile presso al focolare. — e Focolare. — R Recinto aggiunto di fronte al Nu-
raghe. — /Porta d'ingresso al recinto. — g Celletta di guardia alla porta. — h h Feritoie
del recinto. — t Porta d' accesso dal recinto alla torre 7". — 7" Torre aggiunta a difesa del
recinto. — l, m Cellette laterali o nicchie della torre 7". — n, n Feritoie della torre 7". —
o Resti del focolare della torre 7". — p, q Resti di costruzioni di età romana entro al
recinto R.
logico di notevole spessore, ricco di avanzi di pasto e di frammenti di ceramica,
sottostante al livello della soglia della porta di accesso alla torre aggiunta.
Tutto attorno al maggior nucleo nuragico esisteva un villaggio nuragico. Fra i
cumuli di pietre ed i rovi si poterono segnalare i resti di capanne rotonde, di tipo
SARDINIA
— 307 —
VILT.ANOVA TRUSCHKDDtJ
nuragico, costrutte però con materiale più piccolo, con la parte di fondazione in muro,
mentre la copertura doveva essere, come le moderne capanne di pastori, in frascame.
Fio. 2. — Nuraghe Santa Barbara (ril. A. Berretti).
Leggende della figura 2.
a Spioncino corrispondente al corridoio che dalla porta d' ingresso conduce alla cella centrale. —
b Corridoio che dalla camera sbocca al disopra della scala e. — e Scala che dal corridoio
dopo l'ingresso saliva alla sommità del Nuraghe. — d Scala che scende alla camera situata
sopra il corridoio.
La torre principale T, a tronco di cono, è una costruzione abbastanza regolare,
in blocchi di compatta lava basaltica o di trachite, non lavorati, ma disposti a filari
regolari molto accuratamente, in modo da formare le pareti gradatamente coniche e
poderose e di una grande continuità (fìg. 4).
Questo torrione aveva in origine due piani ; ma ora conserva il solo piano infe-
riore, quasi completo sino alla serraglia della volta.
Notizie Soavi 1915 — Voi. XIL 41
VILLANOVA TROSCHEDDU
— 308 —
SARDINIA
L' ingresso alla torre si apre verso levante (fig. 1,) ; è ampio, alto circa due
metri e sormontato da un poderoso architrave con la finestrella di scarico e di
luce; inette al corridoio, o andito della cella, che nella parete a destra di chi entra
presenta la consueta nicchia (fig. 1, a) per la guardia e nella parete sinistra l'aper-
tura per la scala. Nella volta dell'andito, formata dall'aggetto graduale dei corsi delle
pareti, noi ravvisiamo una specie di spia, o caditoia, che si apre nel pavimento
Fio. 3. — La torre principale T, veduta da Est.
della cameretta praticata al di sopra del corridoio di accesso alla cella prin-
cipale. (Vedi la sezione a fig. 1, in alto, e fig. 2 a).
Questa cella principale, che ha un diametro di m. 7 circa, conserva la volta a
cupola, abbastanza regolare e pressoché completa, e due nicchie ai due lati (fig. 1, b, e);
si presentò al fondo della cella, sopra al fondo roccioso che ne costituisce il pavi-
mento, un focolare (fig. 1, e), formato da un circolo di grosse pietre, disposte rego-
larmente, accanto al quale era un sedile (fig. 1, d), pure di varie pietre. Questo
focolare, con molte ceneri e carboni ed avanzi di ossa di mammiferi e di ceramica,
richiama un fatto analogo riscontrato nella cella principale del nuraghe Palmavera, ed
è un argomento di importante valore per la determinazione dell'uso dell'edificio
nuragico.
SARDINIA
— 309 —
VILLANOVA TRDSCHEDDU
La scala che sale al piano superiore muove dal lato sinistro del corridoio e si
svolge, seguendo la curva della torre, entro allo spessore della muratura megalitica
(fig. 2 e).
In seguito ai lavori di scavo, si seguì questa scala sino al suo sbocco sull'alto,
al livello dell'estradosso della volta che chiudeva la cella principale. A questo livello
la torre ora mozza: cosicché rimane incerto se qui si avesse una terrazza pianeggiante,
oppure un altro piano con cameretta a volta, sull'asse della camera del primo piano.
Fio. 4. — Le due torri T e 7" cui recinto R, vedute da mezzogiorno.
I lavori di scavo misero in evidenza un'altra piccola scaletta (fig. 2 d), la quale
dall'alto del piano superiore, o terrazza che fosse, scendeva, in direzione opposta a
quella della scala principale, stretta e ripida, ad una piccola celletta, a pianta elit-
tica e volta ad aggetto, chiaramente visibile nella sezione a fig. 1 in alto. Questa
cella era praticata nello spessore della robusta muratura del nuraghe; sopra al cor-
ridoio di accesso alla camera principale e nel pavimento di essa, che formava appunto
il soffitto dell'andito, era praticato un foro il quale doveva servire come spia e come
piombatoia per osservare e per colpire dall'alto chi fosse entrato oltre alla soglia
della porta della torre nuragica (fig. 2 a). Tale disposizione difensiva, che ha no-
tevole importanza come elemento atto a chiarire lo scopo della costruzione nuragica,
fu già osservata in altri nuraghi, come nel nuraghe Mannu, da me esaminato nella
Tanca Grixoni Tola, presso Ozieri ; ma doveva essere abbastanza frequente nei nuraghi,
il che spiega la frequenza delle cellette, generalmente di modeste proporzioni, che
sono praticate nell' interno della compagine del muro, al di sopra dell'andito di in-
gresso alla camera principale.
VILLANOVA TRDSCHEDDD
— 310 —
SARDINIA
Ricordo di aver osservalo recentemente tali esempì nel nuraghe Bonóra, presso
Bulzi, ed a poca distanza da questo, nel nuraghe di S. Giorgio, che domina la rupe
trachitica di fronte alla chiesa medioevale di quel nome, presso a Perfugas. Ma nel
nuraghe di S. Barbara, grazie al lavoro di scavo, è più evidente ed istruttivo che non
Fig. 5. — La porta d'ingresso al recinto R, veduta dall'esterno.
in tutti gli altri casi questo provvedimento difensivo, che precede la piombatoia dei
monumenti medioevali.
Come si vede dalla nitida sezione dovuta al sign. Berretti, dalla colletta sopra
l'andito la scala continua sino a raggiungere la scala principale; in modo che il
difensore aveva a disposizione un'altra via di scampo, quando fosse stato sorpreso o
sopraffatto dall'assalitore (fig. 1, in alto).
SARDINIA
— 311 —
VILLANOVA TROSCHEDDD
La parte aggiunta, e che comprende il muro del recinto R e la torre T" che
fronteggia la torre principale, fu fatta di getto e si vede chiaramente dove la cor-
tina del recinto si appoggia ai fianchi della torre primitiva. Questa costruzione se-
condaria, fatta allo scopo di rendere più forte la torre nuragica e di aumentare lo
Fig. 6. — Porta d'ingresso alla torre aggiunta 7".
spazio interno difeso, pur essendo costrutta in grandi blocchi di lava, è alquanto
meno regolare che non la costruzione della torre più grande, in modo da rivelare una
minore accuratezza di lavoro o anche una maggior fretta, imposta dal bisogno di
una difesa urgente. Tale fatto venne osservato in altri nuraghi complessi, specie
nel nuraghe Lugherras, di Paulilatino, ed in altri della Giara di Gesturi.
VILLANOVA TRUSCHEDDU • -- — 312 — SARDINIA
Come ho accennato più sopra, tale costruzione secondaria, ma pur sempre antica,
tenne dietro all'epoca del primo impianto della toure Duragica con un intervallo di
tempo non indifferente, tanto che si iormò uno strato di rifiuti archeologici alto quasi
un metro e che si trovò presso. eh» in tutto il piano, del recinto interno, al di sotto
del livello rappresentato dalla soglia della torre aggiunta.
Attraverso alla cortina, alta ancora oltre a 3 metri, di questo recinto, sul lato
meridie naie si trovò la porta di accesso al recinto stesso (fig. 5, cfr. fig. 1 /'), munita di
poderoso architrave, alta circa m. 2, e custodita da una nicchia di guardia, molto
profonda (fig. 5, cfr. fig. \g). Il recinto racchiuso da questa cortina è ampio m. 10;
presenta dunque uno spazio abbastanza sufficiente per raccogliere derrate e forse anche
bestiame in momento di pencolo; nel muro della cortina, di fronte alla porta e
proprio accanto al punto di attacco alla parete della torre nuragica, si notarono due
ampie feritoie (fig. 3, cfr. fig. 1, h. h) che però si restringono alla bocca e che per-
mettono di sorvegliare sia il fronte del recinto sia il fianco della torre nuragica
principale.
Interessante è anche la torre agginnta frontale T', a cui si accede unicamente
dall'interno del recinto, con porta ampia ed alta, (fig. 1, i), non munita di nicchie
di guardia (rìg. 6). Anche questa torre ha una cella coperta di volta, formata dal-
l'aggetto dei corsi, quasi per intiero conservata, ed è munita tutto all' ingiro da sei
grandi feritoie (rìg. 1, «), strette ed allungate e capaci di accogliere ciascuna un difen-
sore. A questo esempio si possono mettere accanto quelli già illustrati del nuraghe
Losa, presso Abbasanta, e del nuraghe presso il tempio di S. Vittoria, di Serri, i
quali tutti mettono in luce il carattere di vigilauza e di difesa dell' edificio nuragico.
Anche nell'interno di questa torre miuore, la quale tra le feritoie presentava
due nicchie incavate nel muro (fig. 1,1, m), si ebbe un circolo di pietre abbastanza
regolarmente disposte (fig. 1, o), che aveva carattere di focolare, come quello rin-
venuto nella cella maggiore.
La suppellettile, che fu acquistata nello scavo delle torri e del recinto, appar-
tiene al consueto modesto ma eloquente bottino degli strati nuragici. Alla massa di
ceneri e di carboni (più abbondante attorno ai due focolari, ma sparsa però in tutto
lo strato), alle ossa di animali domestici, andavano uniti i frammenti e specialmente
le anse di rozzi vasi, di impasto grossolano, per lo più di olle, di tegami, di grossi
ziri di forme già note in tutti gli strati nuragici. Si ebbe qualche frammento di
oggetti di bronzo, varie teste di mazza e pestelli in pietra, schegge di selce e di
ossidiana e soprattutto molta cenere, indizio di focolari accesi per lungo lasso di
tempo, sia nelle due celle nuragiche, sia nel recinto.
Prove di vita lungamente vissuta in edificio fortificato vennero adunque raccolte
anche in questo nuraghe di S. Barbara. Ma gli scavi dettero anche la prova di un
altro fatto, cioè della persistenza della vita entro al nuraghe durante l'età romana.
Come è evidente dai disegni che qui presento (tig. 1 p, q), lo spazio del recinto
venne per metà occupato dalle mura di una casetta p , costrutta in pietre di piccole
dimensioni, legate con molta argilla, con pavimento di terra battuta, munita di una
porta eh* comunicava con l'altra parte del recinto, q.
SARDINIA — 313 — VILLANOVA TRUSCHKDDD
Anche le pareti del recinto erano rabberciate da lavori di fasciatura, sempre
in piccole pietre, con i quali si erano ristrette anche le feritoie del recinto, sempre
a scopo di rendere abitabile e riparata questa casupola di età romana, praticata
entro al recinto.
A questo periodo secondario della vita entro al nuraghe appartengono una serie di
frammenti di ceramica romana ed alcune piccole monete in bronzo che attestano che
la vita si protrasse fino a tarda epoca dell' Impero romano. A questa dimora romana
si riferiscono anche numerose tombe, che in vari periodi furono rinvenute tutto attorno
al nuraghe: tombe modeste, come fu umile la vita di questi tardi abitatori delle
gigantesche moli degli avi.
Probabilmente, anche nella prima parte del recinto R, verso la porta, segnata
in pianta con la lettera q, sorse in età romana una dimora; ma le tracce erano meno
evidenti che non in p, come pure non mancarono entro le due torri nuragiche T e
T\ che in tutti i tempi servirono di rifugio a genti della campagna.
Per felice concorso di favorevoli circostanze si potè così conoscere la struttura e
lo vicende di un notevole edificio protosardo ; e mi è caro di esprimere la gratitudine
degli studiosi per un atto così nobile dell'egregio cav. uff. Antonio Oppo-Palmas, che
ha così bene meritato e degli studi archeologici e del suo paese. Dato il grande
numero di monumenti nuragici esistenti nel suolo sardo, soltanto con l'interessamento
e la buona volontà dei privati sarà dato di moltiplicare le indagini, e sarà possibile
così di raccogliere più numerosi dati per lo studio della primitiva vita dei Sardi.
A. Tarameli.!'.
REiilONK XI.
— 315 — SILLAVKN«0
Anno 1915 — Fascicolo IO.
Regione XI (TRANSPADANA).
I. SILLAVENGO — Oggetti di suppellettile funebre appartenenti a
tombe di età romana, rinvenuti nel territorio del comune.
Sono stati recentemente raccolti nel K. Museo di antichità di Torino una cas-
seruola di bronzo (diam. cm. 11 ; lungh. del manico cm. 9) e tre medi bronzi impe-
riali: uno di Julia Mammaea (Cohen, Med. imp., 22); un secondo di Faustina Madre
(Coh., 138), ed un terzo irriconoscibile.
A quauto venne assicurato, questi oggetti furono rinvenuti poco tempo fa nel
territorio del comune di Sillavengo (Novara) insieme a numerosi frammenti laterizi
di età romana, appartenenti a tombe dell'età stessa.
È noto che per l'addietro, sulla sinistra della Sesia, tra Sillavengo, Carpignano,
e Fara Novarese si rinvennero parecchie volte tombe romane ad incinerazione, per-
tinenti anche all'età di Augusto e di Tiberio, riunite, per quanto si seppe, a piccoli
gruppi. Di esse alcuni materiali trovansi nel Museo di Novara (').
Di una tomba raccolse qualche notizia il compianto prof. E. Ferrerò, che ne
pubblicò e raffigurò un vasetto coperto di una vernice verde chiara all'esterno e gialla
all' interno (2). Vasi romani di eguale vernice, ma di forma e ornamentazione diverse,
conservati nel Museo di antichità di Torino, provengono da Piobesi Torinese (3),
Palazzolo Vercellese, e Tortorolo (frazione di Mede Lomellina).
P. Barocblli.
(') Ponti, / Romani ed i loro precursori sulle rive del Verbano, ecc. Intra, 1889, pag. 139;
Rusconi in Memorie novaresi, pag. 12, e Origini novaresi, pag. 96 (Novara 1877; ecc.).
(2) Atti della Soc. piem. d'arch., VII, pag. 275, tav. VII.
(*) Notizie degli scavi, 1902, pag. 50.
Noma Scavi 1915 — Voi. XII. 42
AREZZO — 316 — REGIONE VU.
Regione VII (ETRURIA).
II. AREZZO — Scavi eseguiti nell'area dell' Anfiteatro Romano
dal novembre 1914 all'aprile 1915.
Nota della Soprintendenza archeologica per l'Etruria.
Si è chiuso nella primavera di quest'anno il primo periodo di scavi sistematici
eseguiti nell'antiteatro romano di Arezzo, promossi con lodevole zelo dalla locale Società
degli Amici dei monumenti, e condotti con grande perizia sotto la direzione del bene-
merito vice-presidente, ing. Umberto Tavanti, il quale espone nella seguente relazione
i risultati finora ottenuti.
La R. Soprintendenza archeologica per l'Etruria favorì di buon grado l'inizia-
tiva degli Amici dei monumenti di Arezzo, e cooperò aftinché il Ministero (pur nelle
ristrettezze delle presenti circostanze) trovasse modo di sussidiare largamente, come
in realtà fu fatto, tale utile impresa.
Inoltre la Soprintendenza, pur avendo lasciato la direzione tecnica dei lavori
all' ing. Tavanti, non mancò di farli sorvegliare permanentemente, nei periodi in cui
lo ritenne opportuno, da un custode governativo, e di inviarvi ad intervalli un ispet-
tore dell' Istituto, per tutti quei suggerimenti e consigli intesi a rendere sempre più
utili, dal punto di vista scientifico, i lavori in corso.
Questi primi scavi hanno rimesso alla luce, per un buon tratto, la struttura del-
l' insigne edificio che risale al primo periodo imperiale, e che in realtà mostrarsi meglio
conservato di quanto potevasi supporre in base ai pochi ruderi emergenti dal terreno.
Cosicché possiamo ritenere che, quando i resti dell'anfiteatro d'Arezzo saranno total-
mente rimessi in luce (e l'ulteriore esplorazione è vivamente desiderabile), la serie
degli antichi anfiteatri d'Italia si arricchirà di un esemplare assai cospicuo, almeno
per le dimensioni ; e l' illustre città di Arezzo acquisterà una nuova attrattiva monu-
mentale.
Se anche le parti che ancora restano celate nel terreno non conservassero più,
come quelle fino ad oggi rimesse in luce, i resti degli originarii ornamenti marmorei,
varrebbe tuttavia la pena di metterli allo scoperto per poter studiare e conoscere a
fondo la distribuzione dei vani e le altre particolarità costruttive, che, in base ai soli
elementi ora emersi, non è possibile di determinare.
Ma poiché ancora non fu raggiunto il livello antico nella parte interna, e restano
da esplorare più che due terzi della periferia, non è escluso che possano rinvenirsi
in seguito elementi artistici e cronologici, i quali accrescano il valore della scoperta.
Tanto fu comunicato in un rapporto della Soprintendenza degli scavi d'Etruria
in data 22 settembre del volgente anno.
REGIONE VII.
— 317 —
AREZZO
Relazione del direttore dei lavori.
Gli avanzi dell'anfiteatro aretino (v. pianta, fìg. 1) occupano l'area demaniale, cono-
sciuta comunemente col nome di « orti di S. Bernardo » situata a valle della città.
I pochi resti di muraglie e di volte, che finora apparivano al di sopra del piano
naturale del terreno (tìg. 2), non potevano dare un' idea sufficiente dell' importanza di
quell'edificio, uno dei più notevoli, senza dubbio, della Arezzo romana; ed il desiderio
di rimettere allo scoperto tutto quanto giaceva nascosto sotto quel terrapieno fu
sempre vivo nella cittadinanza aretina. Ma a ciò si opponeva l'abbondanza d'acqua
cho rendeva assolutamente inesplorabile il sottosuolo in quella località.
U_ 7jrJ/tfc
Fig. 1. — A. Sepolture barbariche. B. Frammento di vòlta. C. Pavimento a lastroni.
D. Canale di scolo. E. Saracinesca in pietra. F. Ambiente con canale di scolo.
Senonchè, dovendosi costruire, or sono alcuni anni, una nuova fogna per il risa-
namento della parte bassa dell'abitato, venne subordinata la profondità di tale fogna
a quella che presumibilmente era da ritenersi che avesse la platea dell'anfiteatro; e,
così, compiuta la fogna che percorre anche la vicina via Margaritone, e con oppor-
tuno braccio di diramazione raggiunge il perimetro della zona dell'anfiteatro, è ora
stato possibile di effettuare i desiderati scavi.
Questi ebbero principio il giorno 19 del mese di novembre del decorso anno 1914
ad iniziativa della Società aretina degli Amici dei monumenti, la quale, coadiuvata
efficacemente dal Ministero della pubblica istruzione, dal comune di Arezzo, dalla
Confraternita dei laici e da altri Enti locali, è già riuscita a mettere allo scoperto una
zona di ben 780 metri quadri di superficie dell'antico edilìzio, sui 7500 circa che
complessivamente sono occupati dalle rovine di esso e dal convento costruito sopra
una parte delle medesime.
AREZZO
318 —
RBGIONE Ttl.
La zona scoperta (fìg. 1) corrisponde ad un tratto della periferìa ellittica del-
l'edifizio verso nord-ovest e comprende le subcostruzioni dei maeniana o delle gra-
dinate superiori, con le relative scalee di accesso e coi vomitoria che mettevano in
comunicazione l'ambulacro esterno con quello interno.
Fio. 2.
Da quanto finora è stato rinvenuto apparisce che, in quel tratto, la fronte esterna
del monumento venne tutta disgraziatamente distrutta fino alla base, e finora, nel
tratto scavato, non si è rinvenuto, di tutto quello che fu la fronte esterna e l'ambulacro
adiacente, altro che qualche grosso frammento di cornice in pietra e qualche blocco
murario di volta a sacco precipitato disordinatamente al suolo (fig. 1,B fig. 2).
Nello scavo non si sono ritrovati, almeno per ora, oggetti di importanza note-
vole. Soltanto alcune sepolture di età barbarica (una diecina in tutte) sono apparse
distribuite alla base dei muri, con prevalenza di orientamento verso levante (fig. 1 A).
REGIONE VII.
319
AREZZO
Alcuni frammenti di grosse lastre marmoree trovati nello sterro attestano che
l'edifizio non doveva essere del tutto privo di decorazioni, benché, da quanto finora
è apparso, si possa ormai esser certi che nella costruzione fu prevalentemente adope-
rata per le gradinate, per le cornici e per ogni altro particolare architettonico, la
pietra arenaria.
Le murature sono in gran parte rivestite a quadrelli di pietra (opus reticulatum)
alternati da fascioni orizzontali di mattoni, come riscontrasi nelle costruzioni del periodo
Fio. 3.
imperiale (fig. 3). Le volte sono a gettata, e gli archi sono costruiti con grandi
mattoni alternati a conci di pietra (fig. 2). L'edifizio ha dunque tutte le caratteri-
stiche delle costruzioni del primo e del secondo secolo dopo Cristo, e per la sagoma
delle cornici, come anche per altri particolari finora apparsi, è da ritenersi che la sua
edificazione risalga alla prima metà del secondo secolo.
Le sue dimensioni sono considerevoli, avendo un diametro esterno maggiore
di 121 metri; di poco, quindi, inferiore a quello delle arene di Nimes, e di Arles.
Gli scavi finora praticati hanno confermato quanto del resto era già noto sulle
devastazioni subite dal monumentale edilizio. Le stratificazioni di scaglie di pietra
rinvenute qua e là, alternate agli scarichi del terreno di riporto, tradiscono i luoghi
preferiti nei bassi tempi dagli scalpellini per la rilavorazione del pietrame che l'opera
romana forniva loro in abbondanza.
AREZZO
— 320 —
REGIONE VII.
E così financo il magnifico lastricato a larghe e grosse pietre squadrate che doveva
circondare l'edifizio, e di cui è stato messo allo scoperto un breve tratto in prossi-
mità dello sbocco della fogna moderna di scolo (fig. 1, G), veniva disfatto ed asportato,
come furono disfatti ed asportati per la maggior parte i blocchi di pietra costituenti
le gradinate.
Ad onta però di tutte le rovine arrecate all'editizio nei tempi barbarici ; ad onta
della devastazione dovuta, nella metà del 1500, al granduca Cosimo I che, oltre
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Fio. i.
a tanti altri monumenti aretini, depredò anche quest'anfiteatro per costruire la sua
cinta di fortificazioni, e non ostante l'ultima rovina che sul finire del secolo XVIII
recò il vescovo Marcacci a quei poveri avanzi, considerati da esso pure come cava
di materiali, resta ancora abbastanza da giustificarne il discoprimento, e non pochi
particolari interessanti sono già venuti in luce per confortare l'opera così felicemente
iniziata dall'aretina Società degli Amici dei monumenti.
Così, ad esempio, si è trovata, di fronte ad uno dei vomitorta, una saracinesca
in pietra (fig. 1, E) la quale sembrerebbe che stesse a confermare la strana e poco
verosimile tradizione popolare che nell'anfiteatro aretino si tenessero anche degli
spettacoli nautici.
Un altro particolare notevole, messo allo scoperto con gli scavi finora eseguiti,
è un grande doccione in pietra ricorrente lungo tre lati di uno degli spazi quadri-
lateri compresi fra due muri radiali consecutivi (fig. 1, F e fig. 4).
ROMA 321 ROMA
Gli avanzi di alcuni condotti di terracotta rinvenuti nel mezzo di quel vano, ad
un livello più basso dei doccioni, e un tratto di fognatura che dal vano stesso si pro-
lunga verso l'ambulacro esterno, non sono bastati per ora a far comprendere in modo
sicuro quale fosse la destinazione di quell'ambiente, che venne riadattato, in età poste-
riore, a qualche uso diverso dall'originario, come fa ritenere l'apertura a sbrano pra-
ticata nel suo lato di fondo.
Gli scavi sono stati sospesi anche in considerazione dello speciale momento che
al presente attraversa la vita nazionale. Ma, comunque, presto saranno ripresi, con
l'augurio che, non venendo a mancare neppure in avvenire l'aiuto del Ministero della
pubblica istruzione, mostratosi finora così benignamente favorevole a questo lavoro,
l'opera potrà essere condotta avanti con alacrità e con resultati sempre maggiormente
favorevoli.
U. Tavanti.
III. ROMA.
Nuove scoperte nell'area dell'antica città.
Regione I. Al n. 20 di via Porta S. Sebastiano, in una tenuta della signora
marchesa Casali del Drago, eseguendosi alcuni lavori agricoli, si è scoperto un sar-
cofago marmoreo che misura m. 1,55 X 0,46 X0,40. La faccia principale è baccellata,
e nel centro ha una targa con l'iscrizione: '
D • M
CORNELIA
PROCVLA • CORNE
LIO • OCTAVIANO
FILDVLCISSIMOQVIVIXIT
ANN • Vili -MENS- VIII
DIEB • VII
Regione VI. In via Toscana, eseguendosi i lavori per la costruzione di un
palazzo, si son rinvenuti un grosso frammento di capitello corinzio in marmo bianco
(m. 0,65 x 0>40) ed un frammento di ornato in marmo, toccato dal fuoco (m. 0,25
X 0,25).
Regione VII. Continuandosi i lavori della nuova galleria in piazza Colonna
sono venuti in luce alcuni piccoli frammenti di ornati in marmo bianco ed un
rocchio di colonna in marmo bigio, di m. 0,35 X 0,17. Si sono anche rinvenuti alcuni
frammenti di iscrizioni in marmo:
ROMA
— 322 —
ROMA
1. (m. 0,89X0,37X0,05):
.BLILIO-SEX-F
■ PRISCO
. . . >COH-VIIIPR
2. (m. 0,20X0,21X0,07):
3. (m. 0,26X0,15X0,04):
TILIVS- RA
DIS
ET VIBIA
I AVD
S O R O R I S V (de)
RIAL
AVIA SVI
*
* *
PO
Regione IX. Continuandosi i lavori di sistemazione del nuovo edificio del
Parlamento Nazionale, in via della Missione, in un cavo sotto il palazzo della Mis-
sione, a circa 12 metri dall'odierno piano stradale si è rinvenuta, non a posto, una
magnifica base marmorea di colonna corinzia.
Il plinto misura m. 1,60 di lato, ed ha il diam. del toro superiore di m. 1.25.
I lati del plinto sono leggermente concavi e presentano ripetuta la medesima decora-
zione, in forma di fregio incorniciato.
Nel centro del fregio è un tripode in mezzo a due grifi affrontati, ognuno dei
quali posa una zampa su di esso. Ciascuno dei grifi termina stilizzato in fusto di
acanto, il quale si abbassa con dolce curva, segue per breve tratto la cornice infe-
riore del plinto, e poi risale e si dirama in due girari, entrambi con una rosetta in
mezzo. Alle estremità del fregio sono due grifi, in tutto simili ai centrali ma rivolti
in direzione opposta. Anche essi terminano in fusti di acanto che si diramano, simili
ai precedenti, coi quali si toccano intrecciandosi e formando una decorazione non
interrotta. Nel concetto dell'artista, anche i due grifi dell'estremità dovevano posare
ROMA — 323 — ROMA
la zampa sopra un trìpode; ma questo non fu mai eseguito, poiché la base rimase
incompiuta (solo due lati del fregio ebbero l'ultima mano) e, come è naturale, gli
angoli si dovevano lavorare per ultimo. Il toro inferiore è costituito da una magnifica
corona di alloro con fasce trasversali. La scozia è tutta ornata con foglie di acanto.
Il toro superiore è liscio.
L'effetto d' insieme di questa base è sommamente gradevole, in quanto che la
decorazione, sebbene ricca, non è punto sovraccarica, e la moderazione del rilievo e
la correttezza del disegno rendono armonica la composizione. In ciascun lato del
plinto, il motivo dei girari di acanto è in realtà uno solo che si ripete quattro volte,
ma gli elementi sono combinati così bene che non producono nessuna monotonia
mentre non hanno quell'effetto di pesantezza e di confusione che sarebbe nato dal-
l'affollarsi di diversi motivi di decorazioni in piccolo spazio. L'esecuzione è veramente
mirabile; le foglie di lauro del toro inferiore si direbbero gettate dal vero; tale è la
precisione con cui sono resi gli orli e le nervature ; il marmo è trattato sempre con
grande leggerezza e con uso assai moderato di trapano.
Peraltro, nessun elemento di questa decorazione è nuovo ; tutti trovano riscontri
numerosi in monumenti romani di età imperiale. La corona di alloro del toro ha una
stretta somiglianza con quella sulla quale posa la colonna Traiana. L'innesto del-
l'elemento animale con quello vegetale si vede in un frammento di fregio del Poro
Traiano ora nel museo Lateranense, in cui due Eroti, come nel caso nostro i grifi,
terminano in girari di acanto ('); ed il motivo dei grifi affrontati, che posano la zampa
■su qualche oggetto centrale, si trova anche in un altro frammento del medesimo
fregio (*), dove però l'oggetto non è un tripode ma un vaso con foglie di acanto;
e così, per citare qualche altro esempio, si vedono i grifi nella porta di via del
Gesù (3) i cui pezzi si attribuiscono al II sec. dell'era volgare.
Gli esempi, che si potrebbero addurre, di decorazioni simili a questa, sono assai
numerosi nell'arte romana così del primo come del secondo secolo dell' Impero. I mo-
tivi sono comuni perchè erano ripetuti frequentemente ; e perciò non è agevole sta-
bilire con precisione la data del monumento fondandosi sulle sole qualità di fattura,
le quali possono dipendere talvolta piuttosto dall'abilità dell'esecutore che dalle
. caratteristiche del tempo. Tuttavia il trattamento abbastanza ricco dell'acanto nel fregio
del plinto e le somiglianze della corona del toro con quella della colonna Traiana
m' inducono a porre la nostra base piuttosto nel periodo traianeo che non in quello di
Augusto; ma, comunque sia, quest'opera è certamente del miglior tempo imperiale.
La origine di questi motivi decorativi però non si deve cercare nell'arte romana.
Girari di acanto che si diramano da un cespo, come nel fregio del nostro plinto, si
trovano nelle cornici dell' Artemision di Magnesia (4) costruito da Ermogene sul finire
del secolo III av. Or. E come esempio di girari che racchiudono rosette addurrò il toro
(') Gusman, Art décoratif, tav. 105.
(*) Gusman, op. cit., tav. 46, 2.
(") Gusman, op. cit, tav. 89.
(*) Ved. Humaun, Kohte, Watzinger, Magnesia am Maeander, fig. 65. Per la data ved. pag. 22
(Kohte).
Nomi* Soavi 1915 — Voi. III. 48
OSTIA — 324 — REGIONI! I.
superiore di una base di colonna del Didimeo di Mileta (1), che si può attribuire
allo stesso III secolo. Il toro della colonna assume la forma di una corona di foglie
già nello stesso Artemision di Magnesia (') ; e una ghirlanda sta a base di un'anta
del tempio di Zeus a Labraunda in Caria (3).
Le comparazioni dunque, che si potrebbero moltiplicare, ci portano verso l'oriente
ellenistico, e in quella cerchia artistica si deve cercare la genesi di questa decorazione,
composta di elementi greci e orientali (4) assimilati e combinati.
Il fatto che questa base non fu mai compiuta, cioè che non fu messa in opera,
rende assai difficile la ricerca per la identificazione del monumento cui era destinata.
Nelle vicinanze del luogo della scoperta si sono rinvenuti in altri tempi gli avanzi
di due ustrini imperiali (5); ma nulla ci consente di affermare che la nostra base
fosse destinata ad uno di essi.
F. FORNARI.
Regione I (LATI VM ET CAMPANIA).
LATIUM.
IV. OSTIA — Lepergulae e i maeniana delle case ostiensi.
Un nuovo santuario mitriaco nella casa detta di Diana.
Tra i molti fattori dell'importanza archeologica di Ostia, la storia dell'architet-
tura privata imperiale e la storia delle religioni rappresentano, forse, i principali.
Giacché, non soltanto è importante l'esistenza stessa di questi due fattori in una città
genuinamente romana, ma l'importanza è accresciuta dalla loro mancanza o rarità
in altri centri archeologici. Dell'architettura privata imperiale, assai poco mostra
Roma, prodiga più di monumenti pubblici, e poco Pompei per l'arresto della sua
vita in tempi ancora piuttosto alti, e per l'uniformità dei suoi modelli di architetto-
nica privata. La storia delle religioni, in quanto fenomeno di concentrazione di culti
differenti, trova in pochi luoghi, rispetto a Ostia, una cosi sensibile illustrazione, se
non altro per il numero e la compiutezza dei monumenti che lo rispecchiano.
(') Ved. Noack, Baukunst d. Altertums, tav. 55 a.
(') V. Humann, Kohte, Watzinger, op. cit., fig. 35. Si tratta però del toro superiore e non
dell' inferiore.
(*) V. Durra, Baukunst d. Oriechen, fig. 330 ; per il tempio cfr. pag. 421 seg.
(4) L'origine orientale del grifo non ha bisogno di dimostrazione. Il grifo con testa di uccello
si trova in Egitto fin da tempo assai antico (cfr. Pauly-Wissowa, Realene., VII, e. 1904 seg. —
Prinz e Meyer, Hist. de Vantiquitè, trad. frane. II, pag. 125), usato anche come elemento puramente
decorativo. Il grifo in posizione araldica è comunissimo nell'arte cretese e cipriota (cfr. Dussaud.
Civilis. prehéllen.', pag. 314).
(s) Cfr. Studi romani, I (1913) p. 3 e segg. (Mancini).
KKGIONE I.
325 —
OSTIA
A questi due principali fattori, i recentissimi scavi offrono nuovi e interessanti
monumenti.
Completando lo scavo della casa detta di Diana, di cui ho già dato notizia e
pianta (Notizie, 1914, fase. 7, pp. 244segg.), furono trovati sopra il selciato della
via omonima vari pezzi, di considerevole grandezza, di ballatoi esterni appartenenti
alla casa suddetta, di tipo completamente nuovo in Ostia stessa.
Via. 1.
Di questi terrazzi esterni, pergulae o maeniana, di cui parlano molto gli antichi,
Ostia aveva chiaramente rivelato un solo tipo, non ancora mai illustrato, costituito
da una serie di volte a botte sostenute da grandi mensole di travertino incassate
fortemente nella facciata delle case in corrispondenza dei muri trasversali. Una sem-
plice cornice di mattoni, sporgenti circa cm. 20, serve di coronamento.
Non essendovi alcuna traccia che faccia supporre l' uso del legno, bisogna pen-
sare che anche il parapetto di questi terrazzi fosse in muratura.
Il pavimento è formato (poiché essi sono conservati anche in questo elemento) da
un piano di tegoloni bipedali rivestiti di cocciopisto (fig. 1). Un altro tipo, il più
semplice e il solo che rivela Pompei, è in legno formato da un piano di travi oriz-
zontali, distanti circa un metro tra loro, incastrati nella muratura e sostenenti o un
OSTIA
— 326
REGIONE I.
semplice impalcato di legno o un tavellonato di mattoni bipedali. Di questa forma
di ballatoi le sole tracce che abbiamo in Ostia sono gli incastri dei travi nel muro,
in una casa opposta alla casa di Diana.
I ballatoi ora trovati appartengono invece ad un tipo differente. Sono formati di
un grande guscio a monta rialzata con la linea d' imposta orizzontale e le genera-
trici dell' intradosso parallele a questa linea. Sono dunque terrazzi sporgenti in facciata
che poggiano sopra pennacchi di cui rimangono tracce evidentissime. Quando la linea
d' imposta taglia a metà l'apertura di un vano, allora si richiede l' uso della lunetta.
Nella casa di Diana vediamo come le finestre del primo piano verrebbero tagliate
ad un terzo della loro altezza dall' imposta di questo grande ballatoio : questo viene
quindi lunettato per sviluppare liberamente il motivo delle finestre (fig. 2). Il coro-
Fio. 2.
namento di questo terrazzo è costituito da una cornice di mattoni e formato da un
piano di tegoloni bipedali rivestito di cocciopisto. Il frontalino del gocciolatoio è
formato da piattabando con le imposte in corrispondenza del piedritto del guscio.
Tale nuova struttura risulta assai bene dai numerosi frammenti trovati, specie
dal più grande di essi che è il frammento d'angolo della casa di Diana. Questo, che
conserva anche intatto l'angolo interno verso la stanza, oltre a farci conoscere esat-
tamente il posto che occupava, ci rivela l'esistenza di questo grande ballatoio su
entrambe le facciate libere della casa di Diana. Tali frammenti, di eccezionale im-
portanza, sono stati accuratamente conservati e, non potendo rimetterli, per ora
al loro posto originario al secondo piano della casa, sono stati rialzati dalla strada
su muriccioli a macera.
Terrazzi di questa forma, che sembra genuinamente romana ed era finora sco-
nosciuta, si sarebbe tentati di identificarli con quei maeniana romanensia ricordati
nell'editto edilizio di Zenone che proibisce l'uso di balconi in legno, e prescrive invece
quello tu (fx^ficcti twv Xeyoixévmv gufiavioioùv. E la cosa sarebbe anche probabile,
dato che questi sono meno pericolosi per gli incendi.
REGIONE I. — 327 — OSTIA
Essi si sviluppano al secondo piano, e non è improbabile che si ripetessero anche
negli altri. Vi si accedeva dall' interno delle stanze : quelle che avevano porta d'uscita
su essi, avevano anche, accanto alla porta, una finestra.
Per la prima volta, dunque, noi conosciamo e possiamo farci chiaro ed esatto
concetto di queste pergulae e di questi maeniana che erano stati finora un grave
inceppo alla comprensione delle case private romane. Ostia ne rivela tre tipi diffe-
renti, e forse gli unici esistenti nel mondo romano, nelle case di una sola strada,
cioè della .via di Diana.
È doveroso di segnalare che sulla via antica non ancora scavata conducente dal
casone del Sale alla via di Diana, nel primo scavo diretto dal prof. Vaglieri fu
veduto un frammento di terrazzo simile a quelli oggi rinvenuti e probabilmente appar-
tenente alla stessa casa di Diana o alla sua adiacente. 11 Taglieri così la descrive
(Notizie, 1908, pag. 330): «... un grande e bel pezzo di cornicione in terra cotta,
lungo m. 4,50 rivestito d'intonaco bianco (nell'intonaco si notò una ciotola murata
di terracotta rossiccia a smalto vitreo verdognolo del diam. di m. 0,15. Serviva forse
di decorazione?), che da un estremo finiva ad angolo ottuso e che sembra parte di un
terrazzo perchè superiormente ha uno strato di fine cocciopisto su cui potevano esservi
state lastre di marmo o mosaico » .
Tale frammento giace tuttora sulla strada e sarà presto rialzato.
L'angolo nord-est della casa, segnato con la lettera m nella pianta già pubblicata
(Nolùie, 1914, fase. 7, pag. 345), ci ha riservato la sorpresa di un santuario mitriaco. ^
Questo angolo consta di due ambienti pressoché eguali, coperti a volta a crociera
(alti m. 3,35) simile a quella degli ambienti terreni della casa già descritta (Nolisie,
id. id., pag. 349).
11 primo ambiente (vedi tìg. 3, lett. A) comunica tanto coll'attiguo a sinistra
quanto col corridoio: misura m. 5,95X3,74. Da questo primo ambiente si accede
al secondo B, di m. 5,96 X 3,96, per mezzo di una porta posta all'angolo della parete
divisoria: nel centro di questa vi era invece in origine una finestra alta dal suolo
m. 0,98. Nella parete di fondo del secondo ambiente vi è una cornice alta da terra
m. 2,50; su tutto l'aggetto di questa si innalza il muro.
I due ambienti sono pavimentati a mosaico con un disegno pressoché uguale a
circoli (tìg. 3, A e B) e decorati con affreschi del solito tipo ostiense di cui riman-
gono varie tracce. Va subito notato che i due ambienti sono privi di luce: se il
primo A ne riceve poca e indiretta dalle due porte, il secondo è completamente
buio. Questa oscurità, che potrebbe ammettersi per ambienti destinati a magazzini, è
invece inspiegabile, data la presenza di mosaici e di dipinti e la possibilità di aprire
almeno qualche feritoia sulla parete est che dà sopra un angiporto, e di aprire delle
finestre nel contiguo grande ambiente ad ovest.
Tale stranezza e la presenza, in essi, di un santuario mitriaco, farebbero supporre
che anche in origine essi fossero destinati a qualche culto analogo, sebbene di
questo non siano rimaste tracce, né sia spiegabile la presenza di mosaici e dipinti
che, per le nostre conoscenze, non s'addicono a nessun culto, e che sono anteriori
alla creazione del santuario mitriaco quale a noi si presenta.
OSTIA
328 —
REGIONE I.
In ogni modo, se V identificazione di questi ambienti è dubbia in origine, è chia-
rissima in seguito. L'oscurità di essi ha favorito la loro trasformazione in mitreo che
è avvenuta mediante le seguenti modificazioni. La porta nella parete ovest del primo
ambiente è stata chiusa rimanendo per l' ingresso la sola porta sul corridoio ; la fine-
Fio. 3.
stra posta nel centro della parete divisoria è stata trasformata in porta; i mosaici
sono stati ricoperti da due podia, costituiti da uno strato di terra battuto fermato
da due rozzi muricciuoli (alt. cm. 60) lungo le pareti dei due ambienti. Il podio in
corrispondenza con la porta era diviso in due dalla parete divisoria ed era troncato
più su dell' ingresso per lasciare il passaggio ; l'altro podio, opposto, passava nella
porta della parete divisoria ed occupava tutt' intera la lunghezza dei due ambienti
REGIONE I.
— 329 —
OSTIA
(nel primo ambiente questi podio non sono conserrati). In mezzo ai due podio, corre
una striscia di terra, una specie di guida formata da uno strato di detriti e di calce,
guida la quale va da una estremità all'altra dei due ambienti e cbe nasconde il
mosaico risibile invece sotto i due podii : all'estremità, verso la parete esterna del
Fio. 4.
primo, c'è in essa un foro circolare (fig. 3 a) in cui è messo un piccolo dolio che
sostituisce quindi la fossetta per il sangue del sacrifìcio, che si trova in molti mitrei.
All'estremità opposta, questa guida si ferma innanzi ad una edicola in muratura spor-
gente dal muro m. 0,90 (fig. 3, C), costituita da una base piena rivestita di intonaco
bianco, sulla quale si sviluppa una nicchia ruota, della stessa grandezza e profondità
OSTIA — 330 — REGIONE I.
della base, con coronamento superiore a mattoni. Nel lato destro, poggiato alla base,
era uu solo gradino. Successivamente, però, a questo gradino sono stati aggiunti altri
due quando il piano di posa dell'edicola è stato rialzato da un rozzo muricciuolo,
e tra la base e la nicchia sono state poste due mensole. Nella muratura piena della
base dell'edicola è stato trovato un vuoto, presso la parete di fondo, murato più tardi,
quasi un ripostiglio.
Le pareti della nicchia sono rivestite d' intonaco colorato, quasi tutto caduto.
L'edicola intera misura m. 3,20 in altezza e m. 1,70 in larghezza (fig. 4).
Questa edicola ricorda un poco quella scoperta in Ostia stessa dal Visconti
(Annali Istituto, 1864, pag. 147, tav. K), verso il 1860, nel cosiddetto palazzo im-
periale. Questa odierna è però completamente vuota nella parte superiore e manca
della buca ad uno dei lati, sebbene il vuoto ritrovato indichi qualche cosa di simile.
Inoltre nella faccia esterna della base appaiono due ermette in marmo : l'ima virile
a sinistra, riproducete un tipo non ben definito di Bacco barbato coronato di pampini
e con vittae sulle spalle. È incastrato in un foro rettangolare lasciato aperto. L'altra
è una testina muliebre coronata anch'essa di pampini (?), ma tutta chiusa nel rive-
stimento di stucco bianco, in modo da far risaltare soltanto il prospetto del viso.
Questo imprigionamento può. o essere stato causato dal cattivo stato di questa testina,
resa visibile soltanto nella parte meglio conservata, o anche voluto per esigenze di
culto.
Sopra l'ermetta virile sono graffiti nello stucco alcuni nomi la cui decifrazione
tanto a me quanto al prof. Paribeni che mi ha prestato il suo aiuto sagace e cortese,
è rimasta piuttosto oscura.
1 IE
M
V L AS
MÌV
BABENVS
SMAXS
BECTON
BINVXII
PROCLVS
BINVIMI
6 RM ES
D V X % 1 1 1
FORTVNIV
ADA l\DA
MAXIMVS
BINVXII
Sembrano nomi propri, in maggioranza non romani; ma non tutti sono chiari.
È da notare che alla fine di quasi tutte le righe ci sono delle cifre precedute dal
segno % più o meno ben fatto, che credo possa rappresentare il segno consueto del
denarius.
I nomi sarebbero dunque seguiti dalle offerte fatte dagli adoranti. Quali esse
siano non so: ma tre nomi sono seguiti dalla parola BINV. Dato che la divinità
sembra più o meno un Bacco, può essa interpretarsi vino? Sappiamo che nel culto
mitriaco l'oblazione del pane e dell'acqua fu sostituita con libazioni anche di vino
(Cumont, Myttères de Mithra, 1, pag. 320).
REGIONE I. — 881 — OSTIA
Innanzi all'edicola sta un'aretta quadrata (om. 78 X 35 X 44) con nel centro un
foro passante da parte a parte (diam. cm. 20), contornato da una corona di foglie e
bacche di lauro (diam. cm. 31), e sopra a questa è incisa la seguente iscrizione:
M LOLLIANVS :
CALLINICVSPATER
ARAMDEODODE
Questo Lollianus Callinieus è conosciuto per un'altra iscrizione ostiense trovata
presso il teatro e posta, come riferisce il Gatti {Notizie 1899, pag. 62 = Eph. epigr.,
IX, 433), « sopra un pezzo di epistilio od architrave, probabilmente spettante a una
edicola » .
Dice : (l)olliano . Callinico . Patre . (p)etronius Felix Marsus Signum Arima-
nium do .de . d.
Signum Arimanium equivale a signum dei Arimanii; e Arimanius, il dio iranico
Ahriman, è, com*è noto, identificato nel mondo greco con Hades ed è ricordato nel
culto mitriaco per tre iscrizioni {Q.I.L. VI, 47; III, 3414-3415) (Aquincum).
Si è dunque tentati, per l'eguaglianza delle persone nelle due iscrizioni ostiensi,
di vedere se questo nuovo santuario mitriaco possa essere dedicato ad Arimanio, o se,
per lo meno, questa divinità non vi fosse presente.
Neil' iscrizione ostiense del Gatti manca il prenome del pater mitriaco : il chiaro
epigrafista la pone verso il II secolo, mentre questa odierna dovrebbe mettersi, per
varie ragioni, nel terzo. Ma è noto quanto scarso valore abbiano le assegnazioni di
tempo in epigrafia se basate soltanto sui caratteri paleografici: anche in questa odierna
i caratteri, del resto, sono abbastanza buoni.
Onde non mi par di dover dubitare che il Lollianus Callinieus possa essere la
stessa persona nelle due iscrizioni, per quanto una manchi del prenome.
Colpisce dunque il fatto che proprio, patre Callinico, un devoto ponga un signum
ad Arimanio che non sappiamo bene come fosse rappresentato ma che non doveva
però mancare di imagini, se nella iscrizione di Roma fu trovato l'attacco di una sta-
tuetta (C. I. L. VI, 47).
Anche nel piano di posa dell'aretta ostiense vi è traccia di un attacco circolare.
Ed è da notare che, per quanto il santuario mitriaco ora trovato si sia presentato in
abbastanza buono stato di conservazione, nessuna traccia e' è della presenza del con-
sueto rilievo di Mitra.
L'unico posto in cui potrebbe essere stato è la parete di fondo della nicchia
descritta; ma non solo nessuna traccia d'attacco qualsiasi ho trovato, pur dopo un
attento esame della parete, ma questa, che si presenta ora intonacata di bianco con
sbavature in azzurro, sembra essere stata rivestita d' intonaco policromo di cui rimane
qualche pezzo nella parte inferiore. Tale intonaco, pur riuscendo difficile il dire se sia
stato mantenuto lì per tutta la vita del santuario (il quale ha subito qualche tras-
formazione), impedisce di pensare che sia stato coperto dal consueto rilievo del dio
Mitra.
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 44
OSTIA
332 —
REGIONI 1.
In questo nuovo mitreo ostiense si notano dunque le seguenti particolarità :
1) probabile assenza del rilievo di Mitra;
2) probabile identità del sacerdote Callinicis con quello ricordato in un'altra
iscrizione ostiense menzionante un signum Arimanium;
3) presenza di due ermette, virile e muliebre, di tipo bacchico.
La mancanza del rilievo mitriaco può indicare soltanto la povertà, manifesta per
più segni, di questi cultori mitriaci.
La presenza delle due ermette, e la possibilità che possa essere stato qui venerato
questo dio Arimanius, porterebbero a identificar quelle per la coppia infera di Hades
e Proserpina, ricordata nei culti mitriaci (Cumont, op. cit., pag. 140). In questo caso
bisogna però credere che gli adoranti non conoscessero neppur vagamente l'imagine
artistica di queste due divinità le quali non si prestano affatto a tale identificazione;
oppure non avessero a disposizione nessun'altra effìgie di divinità, più cònsona allo
scopo, di quelle che vediamo.
In ogni caso, questo nuovo speleo mitriaco ostiense, simile agli altri nelle sue
linee generali, presenta la particolarità di queste due ermette la cui spiegazione è
da sperare venga chiarita con altri monumenti.
Trovamenti non ce ne furono: degni di menzione e attinenti al culto sono soltanto
un'aretta in travertino frammentata e due tufi a foggia di piccole roccie che appaiono
in quasi tutti i mitrei (').
(') Mentre era in corso di stampa questa relazione, si è trovata, a non molta distanza dalla
casa di Diana, in una taberna prospiciente il decumano, una lastra di marmo spezzata, opistografa
(mm. 250X290X21):
a) ...NO CALLINICO.
... RONIVS-FELIX..
. . . VM ■ D EO •
• DE • D •
...ATVS-XIN...
FEC1T . . .
*)
M • M • C A E R .
N I M VS • ET • ,
VS • SACERD,
TES SOLIS.
THKONVS . .
FEC . ,
Non mi par dubbio che questa lastra debba provenire dal vicino mitreo. e conferma il raffaz-
zonamento da esso subito in tarda epoca. Mentre l'ara in esso conservata è stata trasportata da altro
luogo o mantenuta in situ tale quale era, questa lastra, pur appartenendo, come l'ara, al materiale
cultuale dello speleo riferibile a Lolliano Gallinico padre, è stata riadoperata per una nuova in
scrizione.
La faccia a conferma le due inscrizioni citate nel testo; ed è chiara, eccetto le lettere atus .
xin della penultima riga, di cui non mi si presenta reintegrazione. I caratteri, come quelli del-
l'ara, sono di buona epoca e regolari.
L'inscrizione b, a lettere brutte e irregolari, dovrebbe essere spezzata poco più che nel mezzo,
per quanto male si giudichi data l'irregolarità dei caratteri.
I dedicanti sono due Marci Caerellii, di cui l'uno è forse M. Caer^ellius Hiero~\nimus che
ricorre nell'onomastica ostiense (C. I. L. XIV, 70). Dato lo spazio che rimane nella lastra, la parola
FEGIONE ì. — 838 — OSTIA
Estranea a questo culto e al santuario stesso, ma degna di menzione e di studio,
è una iscrizione trovata sopra una delle facce dell'ara mitriaca summenzionata.
Quest'ara è stata adattata allo scopo, scalpellando il prefericolo e la pàtera che sono
sulle due facce laterali, incidendo sulla faccia posteriore l'epigrafe riferita e facendovi
un foro, passante da parte a parte, contornato da una corona ; di più scalpellando il
rilievo che si trovava sulla faccia anteriore e ora non identificabile, accompagnato
dalla seguente iscrizione rimasta:
(a)QVAE SALVIAE
HERCLI SACR
Al principio della prima riga dell'epigrafe non può mancare che una, al massimo
due lettere.
Ugualmente certo è il Q_di cui rimane tutta la coda, la quale dunque impe-
disce di pensare a qualsiasi altra lettera.
Onde l'unica integrazione apparisce essere questa: aquae salviae herculi sacr(um)
o sacr(ae).
Ostia ci riserva sempre delle sorprese, ma questa poi sembra essere un enigma
epigrafico. Aquae Salviae sono, è noto, le Tre Fontane presso la via Laurentina
(Nibby, Analisi, t. Ili, pag. 268; cfr. Nissen, Landeskunde, 11, 547). Tale deno-
minazione risulta però, anzitutto, nel martirologio di Adone, documento di scarso
valore, ed è riferita all'anno 362. La mancanza di altre notizie non ci autorizza natu-
ralmente a rifiutare una maggiore antichità a tale denominazione la quale anzi par-
rebbe meno recente di quanto ci è tramandata (osserva W. Schulze, Zur Geschichte
latein. Eigennamen, pag. 471, nota 4: «Die Form beweist dass der Name alt ist:
bezeugt ist er freilich erst spat » ). Ma la difficoltà non sta nel far risalire più o
meno in alto la denominazione ad aquas Salvias; piuttosto, nella inconsueta forma
con cui essa si presenta.
Non ci si sente in grado di accettare questo nominativo di località Aquae
Salviae, sia pure un pago privato che pone un cippo ad Ercole; e sembra d'altra
parte di non poter pensare in alcun modo ad un dativo singolare all'acqua Salvia
(et) Herculi sacrum. Si può, infine, pensare forse a questa forma barocca: aquae
Salviae Ferculi sacr(ae), senza alcun'altra indicazione? Non credo: né so se ci sia
altro vocabolo da sostituire ad (a)quae.
Comunque sia, gli adepti mitriaci hanno adattato al loro culto un cippo toglien-
dolo ad altro luogo. Se sono davvero le Tre Fontane queste Aquae Salviae, il cippo
ha camminato parecchio. G. Calza.
tacerà della terza riga non andrebbe unita col tes della quarta [sacerd(o)tes] ma starebbe a 6è,
e il tes potrebbe completarsi [antisti~\tes.
Notevole è la voce thronu(m) che mi par nuova nel linguaggio mitriaco; e se la lastra deve
riportarsi al roitreo descritto, nulla v'è in esso a cui possa riferirsi. A meno che un trapezoforo a
zampa e testa di leone di alabastro venato, trovato nella casa di Diana (Notizie, 1914, fase. 7,
pag. 254), non facesse parte di questo trono. Mi par difficile: e ne resterebbe oscura anche la col-
locazione.
POMPEI — 384 REGIONE I.
CAMPANIA.
V. POMPEI — Scavi sulla via dell'Abbondanza durante il mese di
giugno.
a) Via.
Si è lavorato, nella prima settimana del mese, continuando lo scavo sulla via
e precisamente sul principio delle fronti opposte di due nuove isole, IV della
reg. Ili a nord, e IV della reg. II a sud. Di queste due nuove isole null'altro per ora
si è toccato se non gli spigoli occidentali, e nella loro parte alta, per modo che non
vi è stato luogo ad importanti rinvenimenti. In seguito alle nuove disposizioni date
dalla direzione, si sono poi continuati gli scavi in due altri punti, e ne descrivo
qui l'andamento.
r
b) Reg. Ili, ins. II, n. 1 (casa di Trebio Valente).
Lo scavo, qui ripreso il giorno 8, si è contenuto, e si contiene tuttora, nell'atrio ;
e con la fine del mese lo sgombro delle terre ha raggiunto tale profondità da mostrare
per due terzi scoperte la parete rustica orientale dell'atrio e quella del bel salone a
fondo nero occupante l'angolo sud-est, mentre ha soltanto toccato la elegante parete
del tablino, di cui si è scoperto il fregio a fondo bianco (muro orientale). Contempo-
raneo alle opere di scavo procede qui il lavoro di restauro, ed è già così un fatto
compiuto il raddrizzamento e il consolidamento del muro orientale del salone a fondo
nero, che pericolava, e il collocamento delle spranghe di ferro al posto degli antichi
architravi sui vani d' ingresso finora incontrati. Quantunque l'atrio si sia trovato occu-
pato da terre vegetali insolitamente alte, in profondità m. 4 a 4,50 dal piano della
campagna coltivata (il che accenna senza dubbio ad antiche esplorazioni qui con-
dotte), le eleganti pitture del tablino e del salone lasciano bene sperare così per
l' importanza dell'edificio come per l' instrumentum domesticum, legati al nome di un
nobile cittadino qual dovè essere Trebio Valente.
e) Reg. Ili, ins. Ili, n. 6 (x).
Esaurite le ricerche nella prima zona di terre impegnata per lo scavo del gran
salone sulla via, essendosi determinata la necessità di restituire alla luce tutti gli
annessi a nord (due ambienti rustici furono già sgombrati il mese scorso), si è aperto,
col giorno 1 9, un saggio di scavo di m. 8 X 8 di larghezza, immediatamente a nord
del binario della « Decauville » proveniente dalla casa di Trebio Valente, per scen-
('J Vedi pianta a pag. 279, fig. 1.
«■«IONE I. — 335 — POMPEI
dere di là sopra i più settentrionali annessi dell'edifìcio. Il saggio in parola è giunto,
con la fine del mese, fino alla profondità di m. 4 ; ma non ha ancora lasciato scoprire
alcun muro. Gli annessi ad immediato contatto col grande salone, nei quali ancora
lavoravasi nei primi giorni del mese, sono per ora due ambienti piccoli, e un ambiente
grande appena toccato, tutti rustici, i quali si aprono sopra uno spazio scoperto ani-
mato da una piscina, terminato ad oriente da un basso muro perimetrale a schiena
d'asino, e posto ad un livello che supera di un metro il livello del pavimento del
salone.
Oggetti raccolti e iscrizioni scoperte durante il mese.
Reg. Ili, ins. Ili, n. 6 (grande ambiente dei trofei) : Sopra la parete interna,
destra, del pilastrino posto a sinistra del trofeo di sinistra, si è scoperto (giorno 1°)
un saluto tracciatovi con pietra rossa:
1) PeLÀGio FvscXe
Sàlvtgm
Osservate attentamente le pareti del grande ambiente con l' intento di scoprirvi
qualche iscrizione giaffita. la fatica non è stata completamente perduta, perchè sul
primo pilastro sporgente dalla parete orientale (contando da sud), al disopra di una
testina virile di profilo a sin., egregiamente graffila, ho letto (giorno 5) il nome,
parimente graffito,
2) MVTv («)
Sul riquadro seguente, immediatamente a sinistra del pilastro indicato, vedesi
poi tracciato da mano molto inesperta un altro disegnino graffito, esprimente, di pro-
filo a destra, la figura di un uomo in armi.
Nel secondo degli ambienti rustici aperti sullo spazio scoperto a nord, si sono
rinvenute parecchie anfore di terracotta, fra le quali tre iscritte.
Sulla prima anfora sono i seguenti segni :
3) sopra un'ansa, graffito, X; sul collo, in carbone, XXV; dall'altro lato, in car-
bone, due anse verticali incrociate con tre aste orizzontali.
4) Sulla seconda, sul collo, graffito, X ; sotto un'ansa, in carbone, X ; sul collo,
in carbone, due aste verticali incrociate con tre aste orizzontali.
5) sulla terza, sul collo, graffito, X; sulla spalla, tracciata col pennello, in
lettere nere, l'epigrafe:
F L A C Flac(co
TA/R T*ur(omenitanum) (vinum)
L C H L. C{orneli) ; H(ermerotis) ?
cfr. CI.L. IV, indices, pag. 744.
POMPEI
— 336 —
REGIONI! I.
Sulla via, in alto, nello strato di cenere, al punto d' intersezione col vicolo ad
oriente dell'isola III della reg. Ili, il giorno 8, si è trovato uno smoccolatoio di
bronzo, appartenuto ad una lucerna: consiste in un'asta a corpo tondo rastremata,
lunga m. 0,09, dalla quale si partono due bracci ad uncino ed è appesa ad una ca-
tenella a spina di pesce desinente in su in un anelletto.
Reg. Ili, ins. il, n. 1. Nel vestibolo, a m. 2 circa dal pavimento, il giorno 18,
si è raccolto un dischetto di bronzo largo m. 0,025 il quale, per i tre forellini che
reca nella periferia, mostra essere stato o il fondo di un vasetto cilindrico, o l'estre-
mità di un'asta a corpo tondo. Ivi stesso, il giorno 19, un quadrante di Claudio
(Cohen n. 70).
Reg. IX, ins. XI, n. 1. È stato deliberato di deviare le acque piovane dal tergo
della parete su cui è il dipinto dei XII Dei. Nel movimento di terre si è rinvenuta
una grossa lucerna di terracotta, larga m. 0,14, monolychne, con ansa ad anello: essa
reca nel disco la Triade seduta in troni (Giove, Minerva, Fortuna), e nel fondo, in
pianta pedis, la marca L V C. Ivi stesso, il giorno 26, un medio bronzo di Nerone
col tipo della Vittoria alata (cfr. Cohen, n. 288).
M. Della Corte.
Scavi durante il mese di luglio.
A) Lo scavo della via dell'Abbondanza, sospeso dal principio dello scorso giugno,
è stato ripreso il giorno 20 di questo mese di luglio. Ma, procedendosi soltanto alla
*
Pro. 1. — Reg. Ili, ins. Ili, n. 1.
rimozione della parte alta del materiale eruttivo, tra l' isola IV della regione III e
l'isola IV della regione II, altro non è tornato a luce che la parte superiore delle
pareti, verso occidente, e niente di notevole.
B) Reg. Ili, ins. Ili, n. 1 (scavo della casa di Trebio Valente; pianta in figura 1).
Lo scavo di questa casa, che nel mese scorso fu appena iniziato, è stato condotto
REGIONE 1. — 337 — POMPEI
abbastanza innanzi, essendosi scavate quasi due terze parti dell'atrio (fig. 1, a), del
quale resta sepolto solo il lato di sinistra (occidentale) ; una stanzetta b, immedia-
tamente a destra delle fauces e; il grande salone d, ad oriente dell'atrio e del quale
era già apparso un pò delle pareti ; un cubiculum e, a settentrione di questo e con
ingresso dall'atrio ; la parte anteriore di un corridoio /", a destra del tablino.
L'atrio, che era tuscanico, piuttosto piccolo, ha pareti grezze, pavimento di signino
molto ordinano, impluvio rettangolare con sponda modanata, il tutto parimenti di
signino.
Alla stanzetta b si accede dall'atrio per un vano che conserva l' impronta delle
mostre di legno. 11 suo pavimento, posto alquanto più in basso di quello dell'atrio,
era è di calcestruzzo con vari frammentini di marmo messi alla rinfusa; la coper-
tura era formata da una leggiera volticina, della quale rimangono tracce evidenti.
Più in alto, nelle pareti settentrionale e meridionale appariscono gli alveoli per le
travi che sostenevano l' impiantito di un ambiente superiore. Le pareti sono decorate,
nel campo principale, con grandi rettangoli, tutti rossi in quella di fronte (meridio-
nale) e paonazzo tra due verdi in quella di destra. La spartizione è fatta con can-
delabretti bianchi esilissimi, che arrivano fin sulla parte alta delle pareti, la quale
parte alta, separata dai grandi rettangoli per mezzo di una fascetta nera e di una gialla
con in mezzo una terza verde, e da una cornicetta bianca, è decorata con rettango-
letti bianchi e verdi, molto allungati, in campo rosso, con leggiera decorazione floreale.
Lo zoccolo è quasi del tutto andato a male.
Nel salone d, in un tempo più antico, si accedeva per un vano nella estremità
destra della parete orientale dell'atrio; poscia, murato questo vano, si entrava nel
salone attraversando la stanzetta b, per un vano aperto nella parete orientale di questa.
Detto salone, di forma rettangolare, era coperto da una grande volta, della quale si
conservano tracce, ed illuminato da un finestrino quadrato nell'alto della parete meri-
dionale. Il pavimento, è di calcestruzzo come quello della stanzetta b. Le pareti recano
una elegante decorazione di 3° stile su fondo interamente nero, la quale è uguale nelle
pareti opposte (fig. 2). Nel centro di ciascuna parete il solito baldacchino formato da, colon-
nine bianche esilissime dal capitello ionico, sorreggenti una leggiera trabeazione piana.
La parte alta dei baldacchini invade il fregio ; e su di essa posano leggiere architet-
ture fantastiche, come parimenti architetture leggiere ornano il campo del fregio. Ai
lati dei baldacchini, nelle pareti corte una riquadratura per parte; in quelle lunghe
due, divise da una specie di alto ed esile candelabro giallo, invadente il fregio. Nel
campo sotto i baldacchini, e nel centro di ciascuna riquadratura, un animale fanta-
stico volante, oppure un cervo, una pantera, un pappagallo, un cigno, un'aquila, ecc..
Lo zoccolo è diviso in riquadrature di diversa forma e grandezza, limitate da sottili
fascette colorate, e in corrispondenza delle divisioni del campo principale.
Nel cubicolo e, a settentrione del salone testé descritto, si entra per un basso
vano nella estremità sinistra della parete orientale dell'atrio. Esso era coperto da
una leggiera volticina, della quale rimangono le tracce su le due pareti corte orien-
tale e occidentale. Il pavimento è di calcestruzzo molto ordinario ; le pareti, a fondo
bianco, tranne nello zoccolo che è nero, hanno il campo principale scompartito in
POMPEI
— 338 —
REGIONE I.
Fio. 2.
REGIONE I.
— 339
POMPEI
grandi riquadrature per mezzo di sottili fascette verticali celesti con ornati neri e
filettature nere. Una fascia rossa divide il campo principale del fregio, il quale non
reca altro ornato che leggiere fascette e filettature. Nell'alto della parete, ove è
l'ingresso, un finestrino quadrato.
*
: ■ ■ ; .. • i ..
Durante lo scavo si rinvennero i seguenti oggetti:
Nell'atrio, e propriamente nella parte bassa di esso presso le fauces, un pilastro
di tufo, sostegno di qualche mensa o di altro, a corpo rettangolare, modanato alla base,
■..::. : ' !Ì
Fra. 8.
alto m. 0,40 ; una monetina di bronzo, irriconoscibile nei particolari. Presso l' impluvio,
un frammento di una grondaia di terracotta con testa di leone; altra grondaia con
testa simile, molto danneggiata. Trattasi evidentemente delle grondaie cadute dal
compluvio. Presso l'entrata della stanzetta b, due grossi chiodi di bronzo.
Nella stanzetta b, un mortaio di marmo bianco molto alto e stretto, rotto in un
lato; un frammento di cornice di marmo bianco.
Nel grande salone d una borchia circolare di bronzo, larga m. 0,07, con relativo
perno; piccolo guarda-spigolo di bronzo coi relativi forellini pei chiodetti, apparte-
nente a qualche cassetta o ad altro mobile ; parallelepipedo di marmo bianco, lungo
Notizw Soavi 1915 - Val. XII. 45
POMPEI
— 340 —
REGIONE I.
m. 0,17, largo ni. 0,083, alto m. 0,055, munito superiormente di una maniglia di
marmo stesso, impostata sopra due sporgenze a forma di mammelle. Vaso di bronzo
per versare, alto m. 0,175, a pancia quasi sferica, fondo piatto, basso collo slargato
in alto e in basso, bocca imbutiforme, ansa verticale impostata sul labbro e sulla
pancia. Nel cubicolo e, e più esattamente nell'angolo nord-ovest di esso, verso il suolo,
vari oggettini, i quali verosimilmente dovevano essere raccolti in un cofanetto di legnò,
a cui doveva appartenere una piccola serratura di bronzo e una borchietta decorativa,
trovate con gli oggetti che qui descrivo :
1) recipiente circolare di bronzo interamente aperto di sopra, alto m. 0,064,
largo 0,115, con grosso beccuccio per versare e a fondo piatto;
Fis. 4.
Fio. 5.
2) attingitoio di argento, alto 0,09, a recipiente circolare tutto aperto di sopra,
con alto manico verticale, piatto, decorato superiormente con una graziosa pelta
(fig. 3);
3) cucchiaio di argento, lungo m. 0,155, con manico diritto a corpo circolare
terminante con una piccola sfera;
4) cucchiaino di argento, lungo m. 0,13;
5) ago crinale di argento, rotto, terminante in piede suino, lungo m. 0,10;
6) parte estrema di ago crinale di argento terminante con una manina ;
7) frammento di altro ago crinale;
8) unguentario di agata tornita, alto m. 0,044, di forma cilindrica legger-
mente rastremato in alto e in basso, con alto collo cilindrico alquanto slargato verso
la spalla e la bocca (fig. 4);
9) unguentario di cristallo di rocca lungo m. 0,05, a forma di cicala, rotto
nella parte anteriore, munito di tappo parimente di cristallo (fig. 5);
10) due orecchini di oro, privi di gancetto, di forma semicircolare e a corpo
semicircolare rastremato da una parte e dall'altra, rotti e schiacciati ;
11) piccolo cristallo rettangolare, arrotondato negli angoli e nei due piani,
di color cobalto, forse castone di qualche anello.
REGIONE I.
— 841 —
POMPEI
Nello stesso ambiente (fu trovata) una lucerna di bronzo monolychne (fig. 6),
a corpo molto allungato (m. 0,205), con ausa a doppia attaccatura, decorata nella parte
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Fio. 6.
anteriore con una raascheretta di Aminone. Questa ha tratti di un negroide: naso
camuso, barba corta e ricciuta, occhi piccoli, fronte bassa. Spiccano le grosse corna
di ariete.
G. Sparo.
POMPEI — 342 — REGIONE I.
Continuazione degli scavi lungo la via dell 'Abbondanza durante il
mese di agosto.
a) Scavo della Via propriamente detta.
Le esplorazioni eseguite durante il mese di agosto si sono contenute tra le fronti
delle due isole opposte, IV della reg. Ili a nord, e IV della reg. II a sud; e si sono
limitate ai soli strati alti (terreno vegetale e cinereo) che vengono rimossi, mentre
lo strato di lapillo viene lasciato intatto. Circoscritti in tali limiti i lavori, quel che
si è potuto restituire alla luce durante il mese sono soltanto le sommità delle fac-
ciate dei primi edificii delle isole indicate, e per una lunghezza di m. 12, rispetti-
vamente: dovendosi pertanto differire ad altro tempo un rilievo planimetrico, offro qui
un breve cenno dei monumenti per ora visibili.
Isola a nord: Reg. Ili, ins. IV, n. 1. Facciata di un edificio rustico, del
quale manca tutta la muratura al disopra del disfatto architrave.
n. 2. Facciata di un altro edificio rustico con ampia tettoia a protezione del-
l'antistante marciapiede. Si vanno diligentemente liberando quelle tegole che mostransi
di poco spostate dal loro sito originario, essendo le altre da ricercare nel sottoposto
strato di lapillo; la muratura di questa facciata è purtroppo, a tergo, in gran parte
disgregata.
Isola a sud: Reg. II, ins. IV, n. 1. Tutta la fronte di questo vano d'in-
gresso era fornita in alto di un grande balcone i cui parapetti, della solita leggiera
muratura, si raccoglieranno, almeno in parte come è sperabile, nello strato di lapillo
ancora intatto. Ciò che per ora è visibile del balcone è una parte del parapetto orien-
tale, al quale sono appoggiate, capovolte, sei anfore di terracotta, e la sola impronta
di attacco del corrispondente parapetto occidentale.
n. 2. La facciata che segue verso oriente è solida, ma rustica, e non oltre par-
ticolari degni di nota.
b) Reg. II, ins. II, n. 1. Casa di Trebio Valente.
Anche in questa casa attualmente in corso di scavo, i lavori compiuti du-
rante il mese di agosto si sono contenuti negli strati alti, ma hanno investita in
ampiezza la rimanente parte dell'atrio ancora intatta, cioè i lati settentrionale ed
occidentale con la corrispondente porzione del vicolo che costeggia quest'ultimo lato.
Riferendomi alla pianta inserita nel rapporto del mese scorso, alla quale non possono
farsi nuove aggiunte allo stato attuale delle scoperte, noterò partitamente i progressi
qui fatti in questo mese:
Tabi ino. Lo scavo, condotto in profondità fino all'altezza del fregio, ha fatto
scoprire nella parete nord una grande finestra che prendeva luce ed aria dal retro-
stante ambulacro del peristilio: essendosi subito provveduto ad assicurare la sovra-
REGIONE I.
— 343 —
POMPBI
stante fabbrica mercè l' inserzione di spranghe di ferro al posto dell'antico architrave,
il bel fregio di questa parete (fig. 7) consistente in due vaghi tralci di vite con
K
2
grappoli bianchi e rossi cui «ercano di addentare con naturali e agili movenze quattro
cerviatti, è definitivamente assicurato. La parete orientale è integra meno- nella estre-
POMPBT — 344 — RBCUON8 I.
mità settentrionale, dove, per un fosso stretto e profondo praticato dall'alto in epoca
imprecisata, notasi una discontinuità; la parete opposta è per metà abbattuta in
dentro, ma si vanno recuperando i frammenti della sua decorazione dipinta per il
necessario restauro.
Ala e salone ad occidente del tablino. Vi si sta scavando da pochi giorni
e vi si è pervenuto in profondità fino all'altezza del fregio delle pareti elegantemente
dipinte a fondo bianco.
Vicolo occidentale. Esso si va sgombrando contemporaneamente per evitar
carico alle pareti degli ambienti descritti, ma non vi si osservano per ora particolari
notevoli.
Oggetti raccolti ed iscrizioni scoperte durante il mese.
Reg. Ili, ins. Il, n. 1. Sopra il collo di un urceo di terracotta, trovato nell'atrio
il mese scorso, leggo (3 agosto) la seguente piccola iscrizione nera:
1. G-FLOS \_Ga{ri)fl,os]
e sopra il collo di un'anforetta, mancante dell'orlo e delle anse, trovata pure essa
nell'atrio il mese scorso, leggo quest'altra piccola iscrizione greca:
2. KAimcTfir
lK(Xavòlov) U{e!)<rT(o)v ?] ; cfr. C. I. L. IV, nn. 6399 segg.
Nei cumuli di terre scaricati da scavi precedenti presso l'anfiteatro, si è trovato
un corrente di pastavitrea azzurro, forato e baccellato.
Reg. III, ins. II, n. 1. Dall'alto dell'ambiente rustico posto ad oriente delle
fauees sono venuti fuori un boccettino di vetro alto m. 0,065, ed un anello di bronzo
da borchia, striato, largo m. 0,05.
Nel tablino, all'altezza del fregio, nel mezzo del vano d' ingresso, si è raccolto
un bronzo destinato a decorare l'estremità a sezione quadrata di un'asta di legno
appartenuta forse ad un mobile: consiste di un involucro a sezione quadrata, alto
m. 0,052, dal quale sporge, ripiegato a ino' di uncino, un pollice umano alto
m. 0,05.
Dagli operai addetti allo scarico ad oriente dell'anfiteatro è stata raccolta e con-
segnata all'ufficio (12 agosto) una interessante moneta greca, imperiale, rara a quel
che a me sembra, non essendomi riuscito di trovarne il preciso riscontro : è del pro-
console L. Mindius (Pollio?) governatore della Bitinia (fig. 8). Per l'integrazione
della leggenda cfr. Morelli, Famiglia Mindia, n. 1 ; Bckhel, Doctrina numorum
velerum, voi. II, Bithynia, pag. 401, e De Vit, Onom. s. v. Mindius: il tipo del
R> però differisce da quello della moneta nota al Morelli, poiché, in luogo del busto
di Minerva galeata, la nostra moneta reca il busto di una imperatrice.
REGIONE I.
— 845
POMPEI
V Testa di imperatore (coi tratti di Traiano?) AYTO(KPATOPOZ KAIZA-
POZ? ZEBA)ZTOZ TEPMANIK-
9 Busto velato di imperatrice a dr. ; come Demeter, con davanti 2 spighe e il
frutto del papavero Eni • A- MINAlOY- ìl ( AN0Yn)ATOYTTATP(nNOZ) .
Fio. 8.
Nel Catalogo del British Museum sono registrate le monete del proconsole della
Bitinia, della stessa famiglia, L. Mindius Balbus (Bithynia, pag. 153, n. 10, cfr.
tav. XXXI, 14, di Nicaea, e pag. 180, n. 6, di Nikomedia; cfr. Index, V, pag. 234).
Fio. 9.
L'Eckhel (loc. cit.) ripete dal Morelli quella di L. Mindius Pollio, dell'età dei
Claudi. La presente moneta non è più precisamente identificabile, nò databile.
Reg. Ili, ins. II, n. 1. Sul pilastro orientale del tablino si ò scoperta una piccola
iscrizione lievemente granita, della quale dò la riproduzione in fac-simile non essen-
domi riuscito di leggervi altro che il nome Seppia nel primo rigo (fig. 9).
3.
M. Della Corte.
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REGIONE VH. — 847 — OBRVETERI
Anno 4915 — Fascicolo 11
Regione VII (ETRURIA).
I. CERVETERI — Nuove esplorazioni nella necropoli di Caere.
Tombe di età posteriore al V sec av. Or., e cippi sepolcrali.
La necropoli di Caere si estende sugli altipiani e sui declivi delle colline che
sono intorno al vasto pianoro sul quale sorgeva l'antica città, di là dalle profonde
valli che ne formano il limite naturale ad est, a sud e ad ovest, e di là dalla
fossa artificiale munita di mura che ne segnava l'estremità settentrionale.
Mediante gli scavi che si sono eseguiti durante un quinquennio, per conto del
Ministero della Pubblica Istruzione, nella tenuta della « Banditacela » del principe
don Alessandro Buspoli, e col favore del principe stesso, si è rimesso in luce un
gran numero di tombe di tutte le età comprese fra l'epoca detta « villanoviana » e
il principio dell'era moderna.
Fatta eccezione per poche ricerche sporadiche, la maggior parte del lavoro è
stato dedicato all'esplorazione sistematica di una limitata zona del sepolcreto della
« Banditacela » sull'altipiano ad ovest della città.
Ivi sono state rimesse in luce poche tombe a fossa arcaiche, riferibili ad un'epoca
coincidente, o quasi, con quella dei cinerari villanoviani, di cui qualcuno potrebbe
anche riapparire coll'estendersi delle ricerche, fra le fosse, come è avvenuto in altri
sepolcreti arcaici a nord e a sud-est della stessa Caere.
Evidentemente i più antichi sepolcri a fossa ed a pozzetto, cioè ad inumazione
ed a cremazione, furono distrutti per far luogo alle grandi e ricche tombe a camera
scavate nella viva roccia tufacea, ai tumuli, e alle vie sepolcrali.
Le più antiche tombe a camera finora scoperte sono riferibili alla seconda metà
dell' Vili secolo av. Cr. Le più recenti possono attribuirsi ai primi tempi del periodo
imperiale
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 46
CERVETERI — 348 — REGIONE VII.
Anche i sepolcri dell' Vili, VII e VI secolo furono talvolta abbattuti per dare
attuazione a un nuovo « piano regolatore » di strade longitudinali e trasversali pro-
fondamente incassate, il quale ebbe il suo inizio verso il IV secolo.
Mentre nel periodo anteriore al IV sec. le tombe a camera, o isolate, o raggrup-
pate, o riunite anche entro tumuli, erano disseminate irregolarmente sull'altipiano;
nel seguente periodo la posizione di esse fu rigidamente disciplinata, in modo che
le vie sepolcrali formassero un sistema non dissimile da quello delle vie urbane. Così,
mentre nell' interno delle tombe era riprodotta architettonicamente la casa dei vivi,
all'esterno si aveva pure un insieme che raffigurava in qualehe modo la città dei vivi.
La figura 1 offre la planimetria di una parte dell'area esplorata, con due antichi
tumuli, con una parte della via sepolcrale principale, e colle vie II e III.
Le figure 2, 3 e 4 presentano delle vedute della via sepolcrale principale, e le
figure 5 e 6 offrono alcune particolarità delle vie II e III, quali appariscono dopo
l' escavazione.
Riserbandoci di dare prossimamente un'ampia illustrazione dei sepolcri e dei mo-
numenti sepolcrali di età anteriore al IV secolo, come anche delle suppellettili funebri
in essi rinvenute, esporremo qui brevemente le caratteristiche essenziali delle tombe
di età più tarda.
Queste erano scavate, come si è detto, ai lati delle strade. Vi si accedeva mediante
brevi gradinate incassate al di sotto del piano stradale. Avevano la porta chiusa
esternamente con lastroni tufacei sovrapposti. Spesso fra i lastroni, e fra questi e le
pareti, le commessure erano riempite di argilla per impedire all'acqua di filtrare
nell' interno.
Questo medesimo sistema di chiusura fu sempre usato, anche nelle tombe più
antiche.
Neil' interno le tombe del IV secolo, e quelle di età posteriore, presentano un
unico ambiente, di solito abbastanza grande, per contenere molti cadaveri.
Esse raffigurano una camera con soffitto a due pioventi, sorretti nel mezzo da
un largo columen e con tessitura di travicelli: il tutto scolpito nel tufo.
Tutto in giro ricorre una banchina, sulla quale erano deposti i morti. Dei loculi
venivano scavati nella parete di fondo e nelle pareti laterali, allorché, dopo aver
occupato coi cadaveri tutta la banchina, occorreva provvedere il posto per deporre
altre salme.
Le più grandi tombe hanno il soffitto diviso in tre navate sostenute in mezzo
da due pilastri, e presentano più ordini di banchine, ovvero banchine larghissime
sulle quali i morti eran disposti trasversalmente, oltre a un numero notevole di loculi
scavati nelle pareti.
A questa specie di vasti sepolcri appartengono le ben note tombe dei « Tar-
quinii », dei « Rilievi », detta anche degli « Stucchi » e dell'» Alcova ».
Mentre i seppellimenti del periodo anteriore comprendevano di solito gruppi di
più camere riproducenti le varie parti di una casa, e specialmente il triclinio e i
cubicoli, e contenevano pochi morti deposti sopra letti scolpiti nella roccia, e corri-
spondevano perciò a tombe di famiglia e ad un periodo di tempo limitato ; quelli invece
REGIONE VII.
— 349 —
CERVETERI
VIA I
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Fio. 1. — Planimetrìa di nna parte dell'area esplorata.
CKRVBTBRI
— 350 —
RBOIONB VII.
di età più tarda eran destinati, benché formati da una sola camera, a tutta una paren-
tela e durante un periodo piuttosto lungo. Difatti, dopo aver deposto in una tomba
tutte le salme che vi potevano esser collocate regolarmente, si trovava ancor modo
d' immettervene altre. Il posto occorrente si faceva gettando le ossa dei morti che
da maggior tempo erano stati sepolti, insieme colla rispettiva suppellettile funebre,
in un puteolo che all'uopo si scavava nel piano della tomba.
Non si sa se dagli etruschi venissero adottati processi per arrestare o rallentare
la putrefazione dei cadaveri: ma da alcune circostanze abbiamo potuto aver la prova
Fio 2. — Veduta della via sepolcrale principale.
che nei sepolcri più antichi si usavano profumi liquidi per attenuare il fetido odore
emanante dai morti, fino a che di questi non rimanevano che gli scheletri, in seguito
alla completa decomposizione delle carni. E certo, per lo stesso scopo, si usò in ogni
tempo circondare i morti di fiori e di piante odorose, fra le quali gli etruschi sembra
preferissero il mirto, se deve giudicarsi dalle evidentissime impronte di ossido, lasciate
da foglie di mirto che appariscono sulle facce ancora rilucenti di uno specchio di
bronzo ben conservato che si è rinvenuto recentemente in una tomba del III sec. a. C.
La vista delle camere sepolcrali di epoca tarda, allorché erano ricolme di cada-
veri, alcuni già ridotti a scheletri, ed altri nei varii stadi della decomposizione, tutti
ancora avvolti nelle loro vestimenta, quali più, quali meno conservate, e ancor mu-
niti dei loro ornamenti, e circondati dal vasellame del rispettivo corredo funebre,
doveva esser qualche cosa di orribilmente ripugnante, che può aver solo riscontro in
certi spaventosi costumi funebri di alcuni luoghi nel medio evo.
REGIONE VII.
— 351 —
CERVETERl
Ogni volta che in un sepolcro si doveva depone una salma, i lastroni formanti
la chiusura della porta venivano rimossi, e si presentava allora l'orrida visione dei
cadaveri in precedenza sepolti, accompagnata dalle rivoltanti esalazioni della decom-
posizione.
Non si creda, però, che le poche lastre di tufo sovrapposte e appoggiate all'esterno
contro la porta delle tombe ne costituissero da sole la chiusura, perchè chiunque,
anche senza il sussidio di leve o di altri strumenti, e soltanto con lo sforzo delle
braccia, avrebbe potuto in pochi istanti abbattere quelle poche lastre e render libero
l' ingresso.
FiG. 3. — Altra veduta della via sepolcrale principale.
Il sistema di chiusura era però completato colla terra che si addossava alle
lastre stesse, e che formava al disopra del piano delle vie sepolcrali uno strato con-
tinuo di due, tre o più metri d'altezza. In tal modo, non soltanto le porte delle
tombe (alle quali si scendeva, come si è detto, con brevi gradinate incavate al disotto
del piano stradale) rimanevano totalmente rinterrate; ma l'architrave di esse si tro-
vava pure coperto da terra per un'altezza di un metro e mezzo, e più.
Lo strato di terra di grande spessore rendeva la chiusura relativamente sicura,
perchè occorreva un lavoro notevole di escavazione per poter raggiungere l'ingresso
delle tombe: escavazione che si doveva ripetere ad ogni nuovo seppellimento, e che
difficilmente poteva esser compiuto dai ladri con un colpo di mano e senza che essi
rischiassero di essere scoperti.
?Le vie sepolcrali si presentavano come larghe fosse incassate nel tufo colle pareti
verticali superiormente regolarizzate, e compiute da muri ad opera quadrata. Niuna
apertura appariva che interrompesse la continuità delle pareti. E poiché poteva riuscir
talvolta disagevole il ritrovare il punto preciso corrispondente alle porte delle tombe,
ed un errore avrebbe potuto causare un inutile maggior lavoro di sterro, così la posi-
CERVETBRI
— 352 —
REGIONE VII.
zione di esse era determinata da segni esterni, visibili, incisi sulle pareti al disopra
del piano di terra.
Tali segni consistevano in croci o in lettere, come i seguenti:
X ,+ ,* , i,
Stili' ingresso di alcune tombe, sempre in vista, erano incise iscrizioni indicanti
la famiglia o la gente cui esse appartenevano.
Fio. 4. — Gruppo di tombe della via sepolcrale principale.
Sopra la porta di una tomba della via sepolcrale I, presso l'angolo della via
sepolcrale 11, si legge la seguente iscrizione a grandi caratteri:
2AqCHA/!iMAHA
Sopra una tomba a sud del tumulo I è incisa la seguente iscrizione incompleta:
Sopra due lastroni caduti dalla parete a sud della via sepolcrale II è grafita
l'iscrizione che qui si riproduce:
[vojAì^avNfi:)
S' intende sempre, come già si è ripetuto, che quanto qui si espone si riferisce
soltanto a tombe non anteriori al IV sec. av. Cr.
RKG10NK VII.
— 358 —
CERVETKRI
Oltre ai segni o alle iscrizioni esterne di riconoscimento, tali sepolcri avevano
spesso, pure all'esterno, e solo eccezionalmente nell'interno, dei cippi o stele che
dovevano indicare le persone che vi erano sepolte.
I cippi avevano in genere forma di colonnette, ovvero di piccoli sarcofagi,
o di casette con tetto a due pioventi, di peperino o di nenfro, o, più spesso, di un
Fio. 5. — Veduta della Via sepolcrale II.
calcare saccaroide o amorfo, friabilissimo, detto «macco», ed erano inseriti e l'issati
con malta di calce entro incassi appositamente praticati su lastroni di peperino, e
più raramente di tufo. Ma, ridotti alla loro più semplice espressione, i cippi sepolcrali
di questa, come di altre necropoli etnische, consistevano alcune volte in pietre liscio
e tondeggianti, di lava, trachite o altra roccia dura, di forma all' incirca ovoidale
od elissoidale schiacciata. Queste pietre talvolta erano state regolarizzate artificial-
mente, nel qual caso potevano aver prima servito quali pesi di bilancia, riconoscibili
pel foro con resti di piombatura con cui era stato fissato il gancio per appenderle;
ma più spesso erano miseri ciottoli naturalmente arrotondati, raccolti nell'alveo dei
prossimi fossi. E non di rado il sepolcro di un bambino era indicato da una piccola e
informe scheggia di pietra.
0BKVETER1
— 354 —
KKOIONK VII.
Anche tutti questi cippi rudimentali erano fissati su lastre « portacippi » in fori
appositi, come i cippi di forma regolare, coi quali erano talvolta frammisti. Però essi
dovevano riferirsi agi' individui più umili, ai servi, o ai tìgli dei servi, per ricordare
Km. 6. — Veduta dulia Via sepolcrale III.
i quali non si era creduto necessario compiere un qualsiasi lavoro, ma si eran collocati
soltanto dei segni che nulla costavano, e che eran posti ad indicare anonimi e miseri
esseri umani che erano scomparsi dal mondo, e la cui memoria non doveva perdurare.
Ciascuno dei lastroni « portacippi » recava un maggiore o minore numero di
cippi di varie dimensioni, dell'uno o dell'altro tipo, cioè a colonnetta, a sarcofago, od a
casetta, o costituiti da semplici ciottoli. Moltissimi ne sono stati ritrovati, quasi
REGIONK VII.
355
CERVETERI
sempre in pezzi, e senza i cippi, i quali, distaccatisi dai rispettivi incastri, andaron
dispersi in mezzo alla terra.
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Fio. 7. — Lastrone «porta-cippi».
Le, figure 7 e 8 rappresentano due « portacippi », e le figure 9 e 10 rappresen-
tano alcuni cippi inseriti nel rispettivo sostegno.
Fio. 8. — Altro lastrone «porta-cippi».
Soltanto alcuni cippi molto piccoli, non inscritti, si trovarono tuttora in posto.
I cippi, raggruppati sopra uno o più lastroni, dovevano esser collocati sullo
strato di terra che ricolmava per notevole altezza le vie sepolcrali, ai lati dei luoghi
sotto cui erano le porte delle tombe. Quelli che si sono, eccezionalmente, rinvenuti
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 47
CKRVETERI
- 356
REGIONE VII.
entro le tombe, erano isolati, sprovvisti di supporto, e ciascuno di essi stava ad indi-
care il luogo occupato sulle banchine, o entro i loculi, da una singola persona.
Fio. 9. — Gruppo di cippi inseriti in un lastrone di sostegno.
I cippi scolpiti a colonnetta, ovvero a sarcofago, dovevano esser tutti inscritti,
col nome dei morti cui si riferivano. Quelli su i quali nulla attualmente si legge, o
Pio. 10. — Altro gruppo di cippi inseriti in un lastrone di sostegno.
portavano dipinta l' iscrizione, che perciò facilmente scomparve ; ovvero subirono una
corrosione superficiale, per effetto della quale sparirono i caratteri che vi erano stati
incisi.
Dn cippo con iscrizione dipinta con ocra rossa fu scoperto in una tomba della via
sepolcrale II, tomba appartenente alla famiglia Magilia (vedi cippo n. 41).
Specialmente i cippi di macco bianco, che è materia molto disgregabile, perdettero
le iscrizioni in tutto o in parte, in conseguenza dell'alterazione della loro superficie.
REGIONE VII
857 —
CERVETER1
Soltanto i piccolissimi cippi riferibili a bambini, e che si sono trovati su piccole
tombe a fossa o a cassa, fuori dei sepolcri a camera, sulle vie, e che ricordano il
subgrundarium, ossia il luogo in cui a Roma, fuori delle case, erano deposte le ossa
di neonati, non dovevano essere inscritti.
Di tutti i cippi inscritti si è fatta una raccolta, la cui grande importanza per
i
Fio. 11. — Cippo con sommità a forma di
cocuzzolo di testa di uomo laureata.
Pio. 12. — Altro cippo cou serto di edera
alla sommità.
l'onomastica etnisca e latina, e per la cognizione delle gentes e delle famiglie che
costituivano la popolazione di Caere, non può sfuggire ad alcuno.
Di ciascuno di essi perciò offriamo la descrizione accompagnata dall'apografo
della rispettiva iscrizione.
Un importantissimo fatto è apparso dallo studio della forma dei cippi in rela-
zione colle epigrafi che trovansi su di essi.
Tutti i cippi a forma di colonnetta si riferiscono a maschi; tutti i cippi a
forma di casa o di sarcofago, o di forma parallelepipeda, sono di femmine.
Questa sembra una importante peculiarità delle più tarde tombe della necropoli
cerite, fra il IV sec. e il principio dell' Impero. Nondimeno, la ragione della distin-
zione dei cippi degli uomini e di quelli delle donne si può ritrovare nella stessa
loro forma.
CERVETER1
- 358 —
REGIONE VII.
La colonnetta non è che la rappresentazione schematica e stilizzata dell'uomo.
In origine questo doveva esser raffigurato da una statuetta eretta; ma poi la rappre-
Fio. 13. — Cippo con serto di edera alla
sommità.
Fig. 14. — Cippo con sommità a forma
di capocchia.
Fio. 15. — Cippo a colonnetta del tipo
più comune.
Fio. 16. — Altro cippo a colonnetta del
tipo più cornane.
sentazione di esso direnne più sommaria, e soltanto qualche accessorio lo ricordava,
tinche, per successive semplificazioni, ne rimase il simbolo in un cilindro di pietra.
RBQIONK VII. — 359 — CBRVETKRI
A provare in modo materiale e irrefutabile quest'asserto, presentiamo il cippo
rappresentato nella tig. 1 1 e distinto col n. 23 nel seguente elenco, la cai sommità
rappresenta il cocuzzolo di una testa umana capelluta circondata da una corona di
foglie e bacche di lauro legata dietro con nastro ricadente. Forse si voleva con la
corona indicare il morto, che era l'etrusco A. Campanes, come se fosse ornato per
prender parte al banchetto.
E questa medesima indicazione si volle dare probabilmente coi cippi recanti i
Fig. 17. — Altro cippo a colonnetta con iscrizione intomu alla baso.
nn. 24 (ved. tig. 12) e 56 (ved. tig. 13), i quali, pur non presentando il cocuzzolo
capelluto, sono circondati alla sommità da un serto di edera.
Un cippo a colonnetta (n. 135), venuto testé in luce, è compiuto superiormente
da una specie di capocchia sferi forme che deve rappresentare in modo rudimentale una
testa umana (tig. 14).
I cippi più semplici sono quelli indicati coi nn. 26, 48 e 102 (tigg. 15 16 e
17). Essi son formati da un cilindro liscio con piccolo zoccolo rotondo.
L'uso di dare alle stele funerarie degli uomini la forma di colonne, con o senza
i simboli di coloro cui erano dedicate, fu certo tolto dai greci. Fra i tanti esempì,
che di questo rito possono trarsi dalle pitture vascolari attiche, basterà ricordare
seguenti :
Sopra un crater della collezione Millingen al Museo di Napoli è la rappresen-
tanza di Elettra assisa in atteggiamento di dolore sopra una base che sostiene una co-
lonnetta sormontata da un olmo (ved. collez. Millingen, Museo di Napoli, tav. 14
CERVETERI
360 -
REGIONE VII.
Fio. 18. — Elettra sulla tomba di Agammenone, con colonna sormontata da elmo (da un vaso
della collez. Milli ugeh).
Fio. 19. — Donne recanti offerte alla tomba di l'roilo, con colonna su basamento (da un vaso
della già collezione Carelli, ora al Louvre).
REGIONE VII.
— 361
CERVETERI
e 15). Sulla colonnetta è l'iscrizione: ATAMEMNilN (fig. 18). In questo caso la
testa del defunto è indicata dall'elmo, anziché dalla corona.
l-^'1--:i\tv\\ y,;-\ \
Fio 20. — Cippo a forma di sarcofago.
Sopra uno stamnos della collezione già Carelli (tìg. 19) a Napoli, ora al
Museo del Louvre, sono raffigurate dello donne intente a portare offerte alla tomba
Fio. 21. — Altro cippo a forma di sarcofago.
di Troilo, la quale sopra terra è formata da due parallelepipedi sovrapposti sormon-
tati da una colonnetta su cui è scritto: TPX1IAO (ved. Peintures des vases antique?.
recueillies par Millin et Millingen, et publiées par Sai. Keinach, pi. 17).
Abbiamo visto che la forma dei cippi destinati a ricordare le donne era nomini-
mente, a Caere, quella di un piccolo sarcofago displuviato, il quale, come si sa, imi-
tava in modo schematico la forma della casa (ved. nn. 76 e 31, figg. 20 e 21). Però
CERVETERI
362 —
REGIONE VII.
qualche volta essi riproducevano addirittura la casa (ved. nn. 122 e 95, tigg. 22
e 28), sempre del tipo a due pioventi con gronda sporgente.
Fio. 22. — Cippi a forma di casetta.
Soltanto in un cippo rinvenuto sul terreno nella necropoli a nord di Caere, è
riprodotta la casa col tetto a quattro spioventi. Questo cippo (fig. 24) è anche
Fio. 23. — Cippo a forma di casetta con grande sporgente.
caratteristico, perchè sopra un lato di esso è indicato l' ingresso rettangolare aperto,
colla porta a una partita ripiegata contro la parete.
Nella forma più rudimentale i cippi delle donne erano costituiti da parallelepi-
pedi stretti e alti, terminati superiormente con due pioventi, ovvero con superficie
a baule; ma senza nessun rilievo o sporgenza (ved. nn. 45, 46 e 62, fig. 25, 26
e 27).
REGIONE VII.
— 363
CERVETERI
Alcune volte la stele sepolcrale delle donne consisteva in una semplice lastra
parallelepipeda.
Negli ultimi scavi fu scoperto un cippo di macco molto corroso, a forma di
casetta (rtg. 23) sopra una delle cui fronti si riconosce una testa muliebre scolpita
a rilievo : ciò che conferma ancor più esser questo tipo di cippi riferibili alle donne.
Forse si prescelse la forma della casa per ricordare le donne, perchè appunto
nella casa esse svolgono la loro attività, e vi trascorrono gran parte della loro vita (1).
Fio. 24. — Cippo a forma di casetta con tetto a quattro pioventi e con porta aperta.
Del resto i sarcofagi fastidiati, imitazione della casa, o in legno, o in pietra, erano
probabilmente destinati, nelle tombe anteriori al IV sec, a ricevere i cadaveri delle
donne.
Figo. 25 e 26. — Cippi a forma di casetta del tipo più rudimentale.
A conferma di questa ipotesi sta il fatto che in ogni cubicolo delle tombe a più
camere del VII, VI e V secolo si sono rinvenuti quasi sempre, nella necropoli di Caere,
due differenti letti funebri: l'uno, di solito a sinistra, entrando, con le gambe scol-
P) Anche gli antichissimi sepolcri a fossa o a pozzetto con cinerario villanoviano erano talvolta
distiuti, all'esterno, da cippi a forma di casetta. Senonchè questa non era la casa quadrata con
tetto displuviato; ma la capanna col tetto testudinato. Se ne dà un esempio nella flg. 29 che
rappresenta un frammento di cippo tufaceo rinvenuto nella necropoli arcaica del Sorbo a sud di
Caere.
Notum Scavi 1915 - Voi. XII.
48
CERVBTERI
— 364
REGIONE VII.
pite a rilievo; e l'altro, sul lato opposto, pure scolpito, ma a forma di sarcofago con
le testate a doppio piovente.
E poiché è verosimile che in ogni cubicolo fossere deposti due coniugi, così
sembra probabile che il marito fosse collocato sul letto munito di piedi, e la moglie
sul sarcofago.
Fig. 27. — Altro cippo a forma di casetta
del tipo più rudimentale.
Fio. 28. — Cippo a forma di casetta, con
testa muliebre sulla fronte.
Finora nessuna tomba intatta di quel periodo si è trovata che ci abbia permesso
di controllare con sicurezza l'ipotesi esposta; ma l'ulteriore svolgersi degli scavi ci
offrirà certo l'occasione di definire la questione.
Fio. 29. — Frammento di cippo a forma di capanna con tetto testudinato.
Dna parte dei cippi scolpiti che sono stati raccolti presentano iscrizioni con caratteri
etruschi; e gli altri presentano iscrizioni con caratteri latini. È però evidente che
non sempre i cippi con epigrafi etnische sono più antichi di quelli con epigrafi latine :
e dall'esame della forma delle lettere apparisce che in un periodo di transizione i
caratteri etruschi avevan perduto la rigidità primitiva, per l' influenza latina. Ed è
pure evidente che le epigrafi latine offrono nei caratteri molta varietà di forma, dalla
più arcaica fino all'imitazione dei caratteri monumentali.
REGIONE VII. — 365 — CERVETERI
Nei cippi etruschi, concordemente con la forma a colonnetta, o a sarcofago, cioè
a seconda che essi appartengono a uomini o a donne, la filiazione è indicata, come
nelle latine, dopo il gentilizio col prenome del padre; ma seguito, nei cippi a colon-
netta, dalla parola CUflM, intiera o abbreviata, corrispondente a filius; ovvero, nei
cippi a sarcofago, dalla parola SSJ', intiera o abbreviata, corrispondente a filia.
Così l'equivalenza delle parole CUArl e fìlius, e SSJ' e filia,è provata in modo
irrefutabile.
I cippi dei quali si dà qui appresso l'elenco sono divisi in due gruppi: l'uno
relativo al periodo dello scavo fra il 25 maggio 1910 e il 12 maggio 1912; e l'altro
relativo al successivo periodo, non ancora chiuso.
Tutti i cippi del primo periodo, già furono acquistati dallo Stato. Essi sono
contraddistinti nell'elenco seguente colle lettere A e B che corrispondono ai numeri
d'inventario 22509 e 29510 del Museo Naz. di Villa Giulia e coi numeri che vanno
dall'I al 79 che corrispondono ai numeri dal 22511 al 22589 dello stesso inventario.
La prima notizia delle stele inscritte delle forme particolari della necropoli di
Caere fu comunicata dal Dennis e dal Mommsen nel 1847 ('). Quella notizia si riferiva
a poche stele che andarono disperse, ma delle quali due furono rinvenute durante
le recenti esplorazioni (ved. cippi nn. 103 e 106).
Pochi cippi provenienti dalle manomissioni, più che dalle esplorazioni, fatte dai
signori Calabresi, dal Boccanera e da altri nella stessa necropoli trovansi raccolti
sotto il portichetto al primo piano del palazzo del principe Buspoli in Cerveteri.
Una quarantina di cippi della stessa origine, che erano stati trasportati in Roma
nella villa Celimontana del marchese Campana, si trovano ora nel Museo del Louvre.
In gran parte essi, per la forma tabulare, o di casetta, o di sarcofago, sono riferibili
a donne. Alcuni non sono inscritti.
Le iscrizioni relative a tali pietre sepolcrali si trovano riprodotte ed illustrate nel
Corpus Inscriplionum Latinarum, nella Sylloge Inscriptionum Latinarum del P. Gar-
rucci e negli Annali dell'Istituto di corrispondenza archeologica (*).
Però mai in passato fu rilevato che le pietre funebri dei tipi peculiari del sepol-
creto di Caere possono dividersi in due classi : l'una a forma di colonnetta riferibili
ad uomini ; e l'altra a base rettangolare (tavole e simulacri di casette o di sarcofagi
fastigiati) riferibile a donne.
(') Cfr. Bullettino dell'fst. di corrispondenza archeologica per Vanno 1847, pp. 55 e 63.
Cfr. anche Fabretti, Corpus Inscrip. hai., 1867, nn. 2347 e 2391, e Appendice, 1880 (Gamnrrini),
nn. 820, 823, 824.
(8) Cfr. C.J.L., voi. I, anno 1863, pag. 256, nn. 1314 a 1840 con gli apografi dell'Henzen e
e del Ritsche ; id., voi. XI, parte la, anno 1888, pp. 541 e seguenti, nn. 3633 a 3692 cogli apografi
del Brizio, dell'Henzen, del Keep, del Keibel.ecc. ; Sylloge intcriptionum latinarum edidit Raphael
Garruccius, Torino, 1877; e Annali dell'Istituto di corrispondenza archeologica, anno 1855,
pag. 77, colle illustrazioni e gli apografi dell'Henzen.
CERVETERI — 366 — REGIONE VII.
PRIMO PERIODO DI SCAVO
DAL 15 MAGGIO 1910 AL 12 MAGGIO 1912.
(I numeri tra parentesi sono dell' inventario del Museo di Villa Giulia).
Cippi sporadici.
A. Cippo di macco rinvenuto sopra tetra sull'altipiano della Banditacela ad est
del tumulo I. Ha forma di colonnetta, di cui resta soltanto la parte superiore del
diam. di circa mm. 170, con la seguente iscrizione in giro (22509):
C • M A N L I V S • C • F • L • N
B. Cippo sporadico ritrovato sopra terra, lungo la via fra Monte Pelato e
Monte Ercole, di peperino, a forma di colonnetta, con rozza base: altezza mm. 210,
diametro alla base mm. 127, diametro alla sommità mm. 110, con la seguente
iscrizione (22510):
M* MAGILI » M » LA COME
Via sepolcrale I.
1. Cippo di macco a colonnetta con base campanulata, in due pezzi. Altezza
mm. 475. diametro della base mm. 310; diametro della sommità mm. 135, con la
seguente iscrizione incompleta (22511):
p. carnpanes p[. c(lan)~\
2. Frammento di cippo a colonnetta, di macco bianco, su cui rimangono le
seguenti lettere incise (22512) :
3. Cippo di macco bianco friabile, a colonnetta con base campanulata; altezza
mm. 550, diametro della base mm. 380, e della sommità mm. 220, con i seguenti
resti di iscrizione (22513):
LF
4. Cippo di macco poroso a forma di piccolo sarcofago a due pioventi; altezza
mm. 150, lunghezza mm. 296, spessore mm. 95, con iscrizione molto corrosa, quasi
illeggibile (22514):
5. Cippo di macco friabilissimo a forma di sarcofago a due pioventi, su uno
dei quali sono tracce di iscrizione illeggibile. Altezza mm. 185, lunghezza mm. 200,
spessore mm. 95 (22515).
RKG10NB VII. — 367 — CERVETBRI
6. Cippo di macco, alto ram. 191, lungo inni. 270, dello spessore di nini. 157, a
forma di sarcofago a due pioventi, su uno dei quali si legge la seguente iscrizione, in
parte distrutta (22516):
^W^^^Wm, li H u
*fl»£»]fl s(«X?)
7. Frammento di cippo di travertino a forma di sarcofago, altezza min. 178. spes-
sore mm. 135, a due pioventi, sopra uno dei quali si legge (22517):
ram-9{a] ....
(l)
8. Cippo di macco a forma di sarcofago, lunghezza mm. 225. larghezza
mm. 115, altezza mm. 145; sulla faccia superiore rimangono soltanto le ultime due
lettere dell'iscrizione (22518):
9. Cippo di macco a colonnetta, molto corroso, mancaute di base, altezza
mm. 510, diametro mm. 190, con i seguenti resti d'iscrizione (22519):
SK€ • L • Ffli
10. Frammento di cippo di macco a colonnetta altezza mm. 235, diametro alla
sommità mm. 140, con il seguente resto di iscrizione (22520):
/ Caml{_pati(u$Y\ / /
11. Cippo di macco a colonnetta, senza iscrizione, frammentato (22521).
12. Cippo di macco a forma di sarcofago displuviato, lunghezza mm. 535, al-
tezza mm. 230, con la seguente iscrizione (22522):
vineii. v. [s(e%)~\
13. Cippo di macco friabilissimo a colonnetta cilindrica con piccola base, al-
tezza ram. 490, diametro alla base mm. 330, diametro alla sommità mm. 130, con
la seguente iscrizione (22523):
C CAMPATI • M-F
(') Questo frammento fu rinvenuto sull'altipiano della necropoli della « Banditacela » a sud
del grande tumulo che si eleva sopra la nota tomba «degli Scudi o delle Sedie».
OERVBTRRI — 868 — RKGIONK VII.
14. Cippo di macco a forma di colonna, altezza mm. 510, diametro mm. 210, con
la seguente iscrizione (22524):
L CAMr-ATI.cY^
15. Cippo di peperino a forma di colonnetta, altezza mm. 195. diametro alla
sommità mm. 95, frammentato, con la seguente iscrizione (22525):
/vTb®WPfNA • tt • L • HEL
M(arcus) L[ep]tina M{arci) l(ibertus) Hel(ius?)
Iti. Cippo di macco a colonnetta, altezza mm. 472, diametro alla sommità
mm. 150, in due pezzi e corroso, con la seguente iscrizione (22526):
*C CAMPATI LFHOfW
C. Campatila») L. f. Ho{ratidxtribu)
17. Cippo di macco a colonnetta, altezza mm. 430, diametro alla sommità
mm. 175, corroso, con l'iscrizione (22527):
a«Fifl-imfl:>#i
e. campane[f\. / /
18. Cippo di macco a colonnetta, altezza mm. 490. diametro alla sommità
mm. 160, in frammenti, con la seguente iscrizione (22528):
M-CA/APILIM FMAR
19. Lastra rettangolare di macco, lunga mm. 410, larga mm. 235, grossa
mm. 60, molto corrosa, con la seguente iscrizione sulla faccia superiore (22529):
MVRRIA
20. Lastra rettangolare di macco, lunghezza mm. 360, larghezza mm. 345, spes-
sore mm. 55, con la seguente iscrizione sopra una delle facce maggiori (22530):
T1TINIALF-
21. Cippo di nenfro a colonnetta, rotto alla sommità, altezza mm. 225, diametro
superiore mm. 150. con la seguente iscrizione (22531):
CABVRIVF 1
22. Cippo di nenfro a forma di sarcofago, con tetto a due pioventi, lunghezza
mm. 370, altezza mm. 215, spessore mm. 130, molto deteriorato, con la seguente iscri-
zione incompleta (22532):
REGIONE VII. — 369 — C1RVETBRI
23. Cippo sepolcrale di macco a colonnetta la cui sommità riproduce la parte
superiore di una testa umana capei luta con serto a foglie di lauro legato posterior-
mente con nastro. Altezza mm. 560 (ved. fig. 11). Intorno alla base è la iscrizione
seguente (22533):
24. Cippo sepolcrale di macco a forma di colonnetta a base attica, in parte
frammentata, ornata superiormente di corona a basso rilievo. Altezza mm. 560, dia-
metro mm. 145, rotto alla sommità (ved. fig. 12) (22534).
Esso reca un'iscrizione che sembra dovesse girare tutt' intorno alla colonnetta
a metà dell'altezza, in modo che il principio e la fine di essa si Ravvicinassero. E
poiché la parte mediana dell' iscrizione manca, essa si presenta come segue (22534) :
e che si può ricostruire, a giudizio del prof. Bormann, cosi:
L<\A[ampati?(us)'] L. f(ilius)VOL{tinia tribù)
25. Cippo di nenfro a colonnetta su piccola base. Altezza mm. 390, diametro
della base mm. 235, diametro della sommità mm. 110, con la seguente iscrizione
sulla colonnetta (22535):
D-4.-ZAV\-\i^-\\/\
26. Cippo di nenfro a colonnetta (ved. fig. 15), alto mm. 205, diametro alla som-
mità mm. 113, con la seguente iscrizione sulla colonnetta (22536):
LARVNTISVRO
27. Cippo di nenfro, su piccola base, alto mm. 205, diametro della base
mm. 126, diametro della sommità mm. 95, con la seguente iscrizione sulla colon-
netta (22537):
P'GAVILl »P*L*STA
Via sepolcrale II.
28. Cippo di nenfro, a colonnetta con piccola [base, molto deteriorato e scheg-
giato. Altezza mm. 135, diametro della base mm. 105, diametro della sommità
mm. 105, con l'iserizione (22538):
AV-UJALvi
29. Cippo di nenfro con colonnetta cilindrica su piccola base, altezza nini. 245, dia-
metro della base mm. 230, con la seguente epigrafe incisa (22539):
L*T1TI*SEX*F
CERVETBRl — 370 — REGIONE VII.
30. Cippo di nenfro con sommità fastigiata e sfaccettata, lunghezza mm. 280, lar-
ghezza mm. 100, altezza mm. 195, con la seguente iscrizione (22540):
CANNIA* A *F
31. Cippo di nenfro a forma di sarcofago displuviato con gli orli superiori a
rilievo (lig. 21). Altezza mm. 290, lunghezza m. 390. con la seguente iscrizione
sopra un piovente (22541):
XQwmiwji forno
32. Cippo di nenfro a colonnetta a piccola base, altezza mm. 330, con la
seguente iscrizione sulla parte mediana (22542):
MLEPTiNA>SP*F
33. Cippo di nenfro a colonnetta con bottone rilevato sulla sommità, altezza
mm. 250, con la seguente epigrafe sulla parte mediana (22543):
P * G A V I L I * P * F
34. Cippo di calcare venato a cono tronco, campanulato alla base, alto mm. 265,
con la seguente epigrafe intorno alla base (22544):
i§n?vesv-;} o
35. Cippo di nenfro a forma di sarcofago, con iscrizione su due linee, l'una
sopra un piovente e l'altra sulla sottostante parete verticale. Lunghezza mm. 280,
altezza mm. 190 (22545):
LIPTINlAMlA
STATI A
30. Cippo di nenfro a forma di sarcofago baulato. Lunghezza mm. 275, lar-
ghezza mm. 85, altezza mm. 175, con la seguente iscrizione sui pioventi (22546):
M AGILI A*L*L
SI3VT
Magilia L. I. Laeis
37. Cippo di peperino a colonnetta, con la seguente opigrafe a metà del-
l'altezza (22547):
LMAGILILLPILEMO
(') Il nome «li ursus ricorre anche in una delle camere di un sepolcro che si apre nel tratto
più a nord finora scoperto della via sepolcrale principale. Ivi si legge sopra una parete:
REGIONE VII. — 371 — CERVETER1
38. Cippo di peperino a colonnetta, altezza inni. 240, diametro alla base
min. 140, diametro alla sommità min. 120, con la seguente epigrafe (22548):
LMAGILILL
39. Cippo di macco bianco friabile, a forma di colonnetta con piccolo toro alla
base, alto inni. 210, diametro alla base mm. 110, diametro alla sommità mm. 95, con
la seguente iscrizione, pure di un membro della famiglia Magilia (22549) :
j Mag]ili{us) L. I. ///
40. Cippo di nenfro a colonnetta, altezza mm. 295, diametro alla base mm. 156,
diametro alla sommità mm. 125, con la seguente iscrizione (22550) :
CCiPIMLDIOCL-
41. Cippo di nenfro a colonnetta, altezza mm. 190. diametro alla base mm. 105
e alla sommità mm.90. con la seguente iscrizione ad ocra rossa a metà altezza (22551) :
h MAGILIL-iH
42. Cippo di peperino a forma di piccolo sarcofago fastigiato, mancante però
di una parte. Lunghezza mm. 105, altezza mm. 122, spessore mm. 70. Sopra uno dei
pioventi è la seguente iscrizione (22552) :
rvfinI
Rufin[ià]
43. Cippo di peperino a forma di colonnetta, mancante della base, diametro
mm. 95, con la seguente iscrizione (22553):
L'A»VNT^F'BVCO
L. A[rlpinl[i(us) S. f. Buco
44. Cippo di peperino a colonnetta tronco-conica fornita di piccola base, altezza
mm. 305, diametro alla base mm. 230, diametro alla sommità mm. 150, con la
seguente iscrizione sulla colonnetta (22554):
L MAGILIVSLL N 5TA
45. Cippo di peperino a forma di sarcofago displuviato (ved. fig. 25), con le
seguenti iscrizioni sui pioventi (22555):
pam)
MAGILIA LL
Magilia L. I. Celido
46. Cippo di peperino a forma di sarcofago displuviato ma spianato alla som-
mità, lunghezza mm. 278, larghezza mm. 95, altezza mm. 172 (ved. fig. 26). Sopra
un displuvio evvi la seguente iscrizione (22556):
VICIRIA C F
Notizie Scavi 1915 - Voi. XII. 49
Cekveteri — 372 — regione vii.
47. Cippo di peperino simile al precedente, lunghezza mm. 220. altezza mm 210,
spessore min. 72. con la seguente epigrafe sui displuvii (22557):
LEPTINIA *M-L
Leptinia M. I. Bario,
48. Cippo di nenfro a forma di colonnetta (ved. tìg. 16), mancante in parte
della base, altezza mm. 215, diametro della base mm. 132, diametro della sommità
mm. 113, con la seguente iscrizione presso la sommità (22558):
/VCIP1MLP1LEROS
49. Cippo di nenfro a colonnetta allargantesi in alto. Altezza mm. 175, diametro
della base mm. 120, e alla sommità mm. 115, con la seguente iscrizione (22559):
LMAG1L1LL ACIBA
50. Cippo di arenaria a forma di sarcofago, con sommità fastigiata e sfaccet-
tata, con iscrizione sulla sommità e sopra un displuvio. Altezza mm. 155, lunghezza
mm. 200, spessore mm. 77 (22560):
MAGILIA
L
L
RODA
51. Cippo di peperino a colonnetta con basetta a listello. Altezza mm. 205, dia-
metro alla base mm. 105, diametro alla sommità mm. 90, con la seguente iscrizione
(22561):
LMAGILILLPAM
52. Cippo di travertino a forma di colonnetta bassa tronco-conica. Altezza
mm. 152, diametro alla base mm. 215, diametro alla sommità mm. 162. con la
seguente iscrizione (22562):
LMAGILILLPILIPIO
Via sepolcrale III.
58. Cippo di nenfro a forma di sarcofago displuviato. Lunghezza mm. 820, lar-
ghezza mm. 92, altezza mm. 295, con la seguente iscrizione (22563):
TARC1A<C<F
54. Cippo a forma di sarcofago con sommità sfaccettata. Lunghezza mm. 225,
larghezza mm. 50, altezza mm. 122, molto corroso. Sopra un displuvio evvi la se-
guente iscrizione (22564):
REGIONE VII. — 373 — CERVBTER1
Via sepolcrale IV.
55. Cippo di macco a colonnetta, in frammenti. Altezza mm. 380, con la seguente
iscrizione sulla base (22565):
efwm-MN
56. Cippo di macco friabile a colonnetta, decorata in alto da due linee orizzon-
tali comprendenti un serto di foglie e bacche di edera a bassorilievo, e da un fiore
con cinque grandi petali alternati con altrettanti più piccoli sopra la sommità spia-
nata (ved. fig. 13). Alt. mm. 280. Esso reca la seguente iscrizione incisa (22566):
APVB»
57. Cippo di macco a colonnetta. Altezza mm. 225, diametro alla base mm. 200,
con la seguente iscrizione sulla base (22567):
■r^-l^Tà
58. Cippo di macco a colonnetta ; mancante di parte della base sagomata, altezza
mm. 250, con la seguente epigrafe sulla colonnetta (22568):
m-A-n
59. Cippo di macco friabile, a forma di lastra rettangolare, con sommità fastigiata
e sfaccettata, e con iscrizione in parte corrosa. Altezza mm. 170, lunghezza mm. 305,
larghezza mm. 80 (22569):
MRT1SIADF
60. Cippo di nenfro a colonnetta con piccola base. Altezza mm. 225. diametro
alla base mm. 136, con la seguente iscrizione sulla colonnetta (22570):
A CAECILILF
61. Cippo di nenfro a colonnetta con piccola base. Altezza mm. 215, diametro
alla base mm. 120, con la seguente iscrizione sulla colonnetta (22571):
A CAECILIAF
STATI
A. Caecili(us) A. f. Stati{us)
62. Cippo di peperino a forma di sarcofago con due pioventi e spianato alla
sommità (ved. fig. 27). Lunghezza mm. 230, altezza mm. 210. Sopra uno dei disDluvii
è la seguente iscrizione (22572):
FABRIC1A
CERVETERI
— 374 —
REGIONE VII.
63. Cippo di nenfro a colonnetta, mancante in parte della base. Altezza min. 340,
diametro della base min. 242, con la seguente epigrafe sulla colonnetta (22573):
QLEPT1NAQL-
64. Cippo di peperino costituito da una lastra rettangolare cogli spigoli superiori
smussati. Altezza min. 185, lunghezza mm. 260, spessore mm. 80, con la seguente
epigrafe sulla sommità sfaccettata (22574):
AT1LIA A LSCVRA
65. Cippo di macco friabile e corroso, a colonnetta con base campanulata,
sulla quale è scolpita la seguente iscrizione. Altezza min. 450, diametro alla base
mm. 290, diametro alla sommità mm. 138 (22575):
3o-fi>ii\i\wm
66. Cippo di marmo molto corroso, a forma di sarcofago displuviali, con iscrizione
su di un piovente. Lunghezza mm. 228, altezza mm. 170, spessore mm. 95 (22576):
ANTOBLAES1
67. Cippo di macco a colonnetta campanulata alla base, molto corroso e con
pochi resti di iscrizione. Altezza mm. 380, diametro della base mm. 228, diametro
della sommità mm. 180 (22577).
%^'inm
68. Cippo di macco a colonnetta come il precedente, con iscrizione intorno alla
base. Altezza mm. 405, diametro alla base mm. 280, e alla sommità mm. 150 (22578).
O '/M-e^flVI-TTI
69. Cippo di macco a colonnetta, simile al precedente, con iscrizione, in parte
sparita, intorno alla base. Altezza mm. 405, diametro alla base mm. 345, diametro
alla sommità mm. 130 (22579).
v. punc[es]
70. Cippo di macco a colonnetta con base a listello, molto corroso. Altezza
mm. 305, diametro della base mm. 250, diametro della sommità mm. 192, con le
seguenti tracce di iscrizione sulla base (22580):
».->/• 8*1
(Forse la lettera fra i due S è una 4),
REGIONE VII. — 375 — CERVETBK1
71. Cippo di peperino a colonnetta con base a listello e con iscrizione scolpita
a metà dell'altezza. Diametro della base mm. 150, e della sommità unii. 116 (22581).
L*LEPTINA»Q*F »TERTI
72. Cippo di nenfro, di forma simile al precedente. Altezza mm. 220, diametro
alla base mm. 145, diametro alla sommità mm. 1 10, con la seguente iscrizione (22582) :
C FABRICICLEROS
73. Cippo di nenfro a colonnetta con piccolo zoccolo. Altezza mm. 250, diametro
alla base mm. 160, diametro alla sommità mm. 150, con la seguente iscrizione (22583):
L-CAECILI*Q»F*
74. Cippo di nenfro simile al precedente. Altezza mm. 260, diametro alla base
mm. 180, diametro alla sommità mm. 158, con la seguente iscrizione (22584):
L-PVPI-/VF*POUO
75. Cippo di macco a colonnetta, con zoccolo, mancante della parte superiore
e molto corroso. Altezza mm. 400, diametro della base mm. 360, diametro della
sommità mm. 190 (22585).
^kDI^I^C'i «
Via sepolcrale V.
76. Cippo di peperino a sarcofago fastigiato (ved. tìg. 20), cogli spigoli superiori
sporgenti. Lunghezza mm. 812, altezza mm. 230, spessore mm 134, con la seguente
iscrizione sopra un piovente (22586):
ram&a tamsni v. s(e%)
77. Cippo di nenfro a colonnetta con piccolo zoccolo. Altezza mm. 270, diametro
della base mm. 165, diametro della sommità mm. 105, con la seguente iscrizione
(22587):
yvt i-r inivs-/vf
78. Cippo di peperino a colonnetta bassa con zoccolo. Altezza mm. 285, diametro
della base mm. 210, diametro della sommità mm. 165, con la seguente iscrizione (22588):
/AMTiyVI »OF
(l) In un'altra camera della stessa tomba in cui è l'iscrizione Marce Ursus (ved. nota del
n. 34) è incisa a grandi lettere la seguente iscrizione che richiama colla seconda parola la parte
finale di quella qui riprodotta:
CERVETERl — 376 — REGIONE VII.
79. Cippo di macco a colonnetta, mancante della parte superiore e molto corroso.
Diametro della base mm. 245 Reca pochi avanzi di epigrafe (22589):
SECONDO PERIODO DI SCAVO, CIOÈ DOPO IL 19 MAGGIO 1912.
Via sepolcrale principale.
Presso la tomba I:
80. Cippo di macco a colonnetta con base campanulata e listello. Altezza totale
mm. 619, diametro superiore mm. 190, diametro della base mm. 350. Vi sono i
seguenti resti d' iscrizione :
MM MV l«Vli
M. Mu[nm ? (ms)]
Presso l'ingresso della tomba III:
81. Cippo di macco a forma di colonnetta a base campanulata con listello. Al-
tezza totale mm. 380, diametro superiore mm. 250, diametro inferiore mm. 360,
listello alto mm. 85. Attorno alla base è la seguente iscrizione:
l/\<\ OJ/l-fl/t
82. Altro cippo simile, di macco. Altozza mm. 290. diametro superiore mm. 140,
diametro della base mm. 215. Reca tracce di epigrafe etnisca sulla base:
83. Grossa lastra di macco bianco di forma quadrata. Altezza mm. 290, larghezza
mm. 290, spessore mm. 85. Reca sopra una faccia la iscrizione seguente:
84. Cippo di macco a colonnetta a base campanulata con zoccolo. Altezza totale
mm. 300, diam. superiore mm. 190, diam. base mm. 270, alt. listello mm. 85.
85. Altro cippo a colonnetta simile. Altezza totale mm. 290. diametro superiore
mm. 180, diametro della base mm. 280. Intorno alla base v'è l'iscrizione:
/ aQ&ras. m : arca, sa \
RBGIONE VII. — 377 — OKRVBTBRI
86. Cippo di macco di forma rettangolare, con sommità displuviata. Altezza mas-
sima mediana nini. 270, altezza su i lati mm. 240, larghezza mm. 100, lunghezza
mm. 370. Sopra un displuvio reca l' iscrizione :
87. Cippo a colonnetta di macco bianco a base campanulata. Altezza totale
mm. 360, diametro superiore mm. 170. diametro inferiore mm. 340. Presenta tracce
d'iscrizione sulla base:
/ alif]ras. m. e
88. Cippo a colonnetta simile al precedente. Altezza totale mm. 520, diametro
superiore mm. 154. diametro della base mm. 330. Reca sulla base tracce d'iscrizione:
I ai]^ras. v. e.
89. Cippo di macco, a forma di colonnetta campanulata a listello. Altezza
mm. 460. diametro superiore mm. 140, diametro inferiore mm. 260, listello alto
mm. 35. A metà circa dell'altezza presenta l' iscrizione :
A*ATILI*A*F*I
90. Cippo simile Altezza totale mm. 364, diametro superiore mm. 153, dia-
metro della base mm. 290, altezza del listello mm. 30. Sulla base vi sono i seguenti
resti di iscrizione :
Via sepolcrale V.
Tomba ìli, presso lo zoccolo del tumulo I a sud:
91. Cippo di nenfro, a forma di colonnetta a zoccolo. Altezza mm. 290, dia-
metro superiore mm. 130, diametro della base mm. 240, altezza dello zoccolo mm. 60.
CBLAESI-CL
92. Cippo di nenfro a colonnetta con zoccolo. Altezza totale mm. 115, diametro
superiore mm, 115, diametro della base mm. 180, altezza dello zoccolo mm. 40,
colle seguenti tracce di iscrizione:
M. Lip[tenà] M. I.
CERVETERI
— 378 —
REGIONE VII.
Via sepolcrale principale.
Tomba I:
93. Cippo di travertino a colonnetta su base scorniciata. Altezza totale nini. 180,
diametro superiore nini. 100, diametro della base mm. 165, altezza del listello
nini. 28, altezza totale della base mm. 41.
Q PVPI MF
Tomba II:
94. Cippo di travertino a colonnetta su base campanulata a listello. Altezza to-
tale mm. 280, diametro superiore mm. 170, diametro della base mm. 265, altezza
del listello mm. 40.
95. Cippo di macco, a forma di edicola rettangolare con tetto displuviato (ved.
fig. 23). Altezza massima mm. 205, lunghezza della base mm. 240, larghezza della
medesima mm. 125. Sopra un lato del displuvio vie la iscrizione seguente:
•^M-lvWrM-VoHfl?
96. Cippo di nenfro a colonnetta con piccolo zoccolo. Altezza totale mm. 260,
diametro superiore mm. 110, diametro dello zoccolo mm. 175, altezza del listello
mm. 65.
MARLIPTENAQ-F
97. Cippo di macco a colonnetta campanulata su listello. Altezza mm. 270, dia-
metro superiore mm. 120, diametro della base mm. 215.
OCIPIiC<FRVFVS
Tomba III:
98. Cippo di tufo a base rettangolare con una risega nel mezzo : altezza totale
mm. 520. Parte superiore mm. 380 X 350 ; inferiore mm. 375 X 485.
hupni munii
REGIONE VII. — 379 — CERVBTBRI
Tomba del Triclinio.
Presso la «Tomba del Triclinio», Dell'allargarne l'accesso:
99. Parte inferiore di cippo di macco a colonnetta con zoccolo. Diametro supe-
riore mm. 160, diametro della base min. 280. Sullo zoccolo vi è la iscrizione:
^ji<n*n£\/wo>w
100. Cippo di nenfro, a forma di edicola displuviata. Altezza mediana mm. 168,
ai fianchi mm. 146, larghezza mm. 110, lunghezza mm. 265. Reca, sopra un lato del
displuvio, l' iscrizione :
NAVCLITIA LA
Tomba dei Tarquinh.
Presso la «Tomba dei Tarquinii». nell'allargarne l'accesso:
101. Parte inferiore di un cippo a colonnetta di macco. Diametro superiore mm. 162,
interiore mm. 265, altezza del listello mm. 65. Ha la seguente iscrizione intorno
alla base:
102. Cippo di macco, a colonnetta campanulata su piccolo zoccolo (fig. 17). Altezza
totale mm. 420, diametro superiore mm. 160, diametro della base mm. 360, altezza
del listello mm. 67. Reca la seguente iscrizione, in parte corrosa:
vfìwmjyjfì
103. Frammento di cippo di macco a colonnetta su zoccolo scorniciato. È in due
pezzi. Altezza totale mm. 452. diametro superiore mm. 230, diametro della base
mm. 245, altezza della cornice mm. 62. Porta i seguenti resti d'iscrizione ('):
■tQVITI*C*F*GAÌ.Ll
/ Tà]rquiti(us) C. f. Oalli(us)
(*) Nel fiulUtttittino di corrxap. arr.h. dell'anno 1847, pag. 63, il Mommsen aveva riprodotto come
sepue l'inscrizione del cippo descritto, che era andato poi disperso:
[QVITICFCA
ma la nuova lezione, anche secondo il Bormann, è più esatta e completa. Evidentemente, il
Mommsen non aveva trovato una delle due parti del cippo.
Notizie Soavi 1915 - Voi. XII. 50
CERVETERI — 380 — REGIONE VII.
104. Frammento di cippo di macco, a base rettangolare. Altezza mm. 190, lar-
ghezza 56. lunghezza mm. 110. Nella parte superiore ha la iscrizione (')
LATIr*
Latin{ia)
105. Cippo di macco, a colonnetta campanulata, sopra zoccolo. Altezza totale
mm. 490, diametro superiore mm. 240, diametro della base mm. 390 ; altezza dello
zoccolo mm. 58, intorno al quale gira la iscrizione:
106. Frammento di cippo di nenfro, con iscrizione incompleta (*).
\ARCNA-LT-Pl»
107. Cippo di nenfro a colonnetta campanulata, con resti di iscrizione:
e- av(ule?) tarx[na] / [c,~]
108. Cippo di macco rettangolare, a forma di edicola fastidiata, con una iscrizione
assai corrosa:
109. Cippo di macco a colonnetta campanulata con iscrizione incompleta:
M TARCIMj
110. Cippo di macco a colonnetta con zoccolo. Sul quale porta la seguente
iscrizione :
o-u-ttom*
(') Il nome di latinia trovasi anche dipinto in rosso nella « Tomba degli Stucchi».
(*) Nel Bullettino di corr. arch. del 1847, pag. 6 V, si trova il seguente apografo più com-
pleto, ma inesatto, dovuto al Mominsen, della stessa iscrizione testé ritrovata, della quale però una
parte è andata perduta.
M-TARCNAL-r-rLMIMINVS
Ma la nuova lettura della parte rimasta è ora assolutamente sicura, anche a parere del Bor
mann, e perciò la iscrizione si può reintegrare così :
M .TARCNA-LT-PL/vMMINVS
M Tarcna L. f. Pl{e)m.ninw
REGIONE VII.
— 381 —
CERVETERl
111. Cippo di macco a forma di edicola fastidiata. Sopra uno dei pioventi è la
iscrizione :
{tan%v)il pan&ni
112. Cippo di macco a forma di colonnetta campanulata. Tracce di iscrizione:
B
Tomba dell'Alcova.
Presso la «Tomba dell'Alcova», nell'allargarne l'accesso:
113. Frammento di cippo di macco recante la iscrizione:
/fr-2«FIMSfl
Tomba ori Sarcofagi.
Nella « Tomba dei Sarcofagi » . entro un puteolo :
114. Frammento di cippo di macco, di forma a parallelepipedo irregolare. Altezza
mm. 170, l.nghezza mm. 140, spessore mm. 100.
Via sepolcrale IL
115. Cippo di macco, a forma di colonnetta campanulata a listello. Altezza totale
mm. 250, diametro superiore mm. 160, diametro della base mm. 255, altezza del
listello mm. 35. Ha resti d'iscrizione intorno alla base:
^vJ^A//àm
»
116. Cippo di macco a colonnetta con base a guscio. Altezza totale mm. 400,
diametro superiore mm. 180, diametro della base mm. 255. Tracce d' iscrizione :
vi
CERVBTBRI — 882 — REGIONE VII.
117. Cippo di nenfro a colonnetta, molto deteriorato nella parte superiore dove
sono pochi resti di iscrizione. Altezza totale min. 280, diametro superiore mm. 145,
diametro della base 210, altezza del listello mm. 50.
* n
Via Sepolcrale principale.
1 18. Cippo di peperino a forma di sarcofago, altezza massima min. 195, larghezza
mm. 105, lunghezza mm. 245. Ha una iscrizione, a lettere graffite, molto deteriorato.
pyp il a C V/A
wmm
Pup(ia?) L. I. Aciffia)
119. Cippo di peperino a forma di sarcofago con sommità displuviata. Altezza
mediana mm. 220, altezza ai lati mm. 180, larghezza mm. 95, lunghezza mm. 250.
Reca alcune lettere graffite leggermente e quasi sparite.
AN IA
120. Cippo di macco, a colonnetta largamente campanulata, su listello. Altezza
totale mm. 195, diametro superiore mm. 105, diametro della base mm. 215, altezza
del listello mm. 30. Reca su la base l' iscrizione incompleta :
forse: tn. tar{%nas) Il
121. Cippo di macco, a forma di colonnetta con base formata da zoccolo e guscio.
Altezza mm. 480, diametro superiore mm. 195, diametro della base mm. 400, altezza
della cornice mm. 100, altezza del listello min. 70. Iscrizione molto corrosa e quasi
sparita:
Tomba VI (lato Est):
122. Cippo di peperino a forma di sarcofago displuviato (tìg. 22 b). Altezza me-
diana mm. 270, altezza ai lati mm. 220, larghezza mm. 160, lunghezza mm. 349.
Sopra uno dei pioventi è incisa la seguente iscrizione :
REGIONE VII. — 383 — CERVETERl
123. Cippo frammentato di macco, a colonnetta, ma a sagoma rientrante in modo
da formare come un cilindro restriugentesi lievemente a metà dell'altezza. Altezza
mm. 270, diametro superiore mm. 180, diametro della base 260.
^.'HVW^&JlkHYv',
Tomba V:
124. Frammento della base di grande cippo di macco, a colonnetta, sul quale ri-
mane la seguente iscsizione incompleta:
\j-^HV^/|-|Wl.>^
Tomba IX:
125. Cippo di macco, a colonnetta campanulata a listello. Altezza mm. 280, dia-
metro superiore mm. 195, diametro della base mm. 300, altezza del listello mm. 62.
Reca tracce di iscrizione appena visibili :
m^\\A^\:V\My\f\o^\m
Scavo a nordovest della «Tomba dei Rilievi», o degli «Stucchi»:
126. Cippo di nenfro, a base corniciata. Altezza mm. 158, diametro superiore
mm. 68, diametro della base mm. 90, altezza della cornice mm. 30. Ha la seguente
iscrizione incompleta:
MQ SOMNT1
Di fronte al tumulo I:
127. Cippo di peperino a forma di sarcofago con tetto a due pioventi che com-
prendono una striscia orizzontale. Altezza mediana mm. 175, altezza ai lati mm. 160,
larghezza mm. 127, lunghezza mm. 172.
\\MPATIA C F-
C~\ampatia G. /'.
128. Cippo di macco, a colonnetta campanulata su listello. Altezza mm. 122, dia-
metro superiore mm. 140, diametro della base mm. 254. altezza del listello mm. 30.
Reca una iscrizione incompleta e leggibile solo in parte.
ìt
?A>- Ani \/lAf
forse : / apus[iyi ca
CERVBTERI — 384 — REGIONE VII.
A sinistra dell'ingresso della tomba I:
129. Cippo di peperino a forma di casetta displuviata. Altezza mediana mm. 176.
altezza laterale mm. 153. larghezza mm. 85, lunghezza mm. 265.
il-W'V
SffQVNDA • RVI'I
Sequada Bufici M. f.
130. Cippo di peperino a forma di casetta con tetto a due pioventi che compren-
dono una striscia orizzontale. Altezza mediana mm. 275, altezza laterale mm. 246,
larghezza mm. Ilo, lunghezza mm- 305. Sopra un piovente ha la iscrizione:
SANQVINIA-C- F
Tomba XIX:
131. Cippo di peperino a forma di colonnetta su listello. Altezza mm. 240. diametro
superiore mm. 122, diametro inferiore indefinito, altezza della cornice mm. 49
A'COSVTI
Via sepolcrale VI.
Tomba III:
132. Cippo di nenfro in forma di colonnetta a lavoro molto irregolare. Altezza
mm. 310, diametro superiore mm. 115. diametro inferiore mm. 147, altezza del
listello mm. 75.
CSTATORILF
Presso il muro che sovrasta l' ingresso della « Tomba dei Tarquinii » :
133. Parte inferiore di cippo di macco, a colonnetta, con base campanulata e listello.
Altezza mm. 145, diametro della base mm. 285. altezza del listello mm. 54. Intorno
alla base ricorre la seguente iscrizione:
wmmV(\<\'Q<iA\
Via sepolcrale principale.
Presso le porte delle tombe I e II :
134. Cippo di macco a colonnetta, a base campanulata, altezza mm. 275, dia-
metro alla base mm. 280, diametro alla sommità mm. 120, con la seguente iscrizione:
■R E C I L I * C ♦ *m
I py-eeili(ut) G.f.
REGIONE VII. — 385 — CBRVETERI
Antica cava di tufo.
Pia la « Tomba dei Rilievi » e lo zoccolo del tumulo 1 :
135. Cippo di macco, a colonnetta, terminante superiormente con rigonfiamento
sferico, e con basetta sagomata ionica. Alt. mm. 492, diam. del rigonfiamento sfe-
rico mm. 102, diam. della colonnetta sotto il rigonfiamento mm. 98, diametro della
base mm. 222. Reca la seguente iscrizione:
ACOPONIVlfe
aWTINIVS
A. Goponiu[s] \_f]itinius
CIPPI RINVENVTI RECENTEMENTE IN VARII LUOGHI.
Presso la stessa « Tomba del Triclinio » , in mezzo alla terra :
136. Grande cippo di macco, a forma di colonnetta troncoconica, con base a listello:
alt. mm. 685, diam. della base mm. 390, diam. alla sommità mm. 220. Manca un
pezzo della base. Sulla parte conservata si legge:
Sul prolungamento dello scavo nella « Via Sepolcrale principale ». a nord della
« Tomba dei Rilievi » o degli « Stucchi » :
137. Cippo di nenfro a colonnetta cilindrica, con base a listello, alt. mm. 270.
diam. mm. 120 alla base e mm. 94 alla sommità, colla seguente iscrizione a metà circa
dell'altezza, che sembra girasse tutto intorno, in modo che il principio e la fine si
riavvicinassero :
«^MVSI'P-l'SERA-PW
forse: P. N usi(us) P.l. Sera
Via sepolcrale II (ad est della via principale):
Presso il gruppo di tombe con pozzetto di accesso :
138. Cippo di peperino a forma di colonnetta cilindrica cou lieve entasi, e con
base a listello. Altezza mm. 254, diam. alla sommità mm. 132, diam. della base
mm. 143. A due terzi circa dell'altezza evvi la seguente iscrizione:
GTITINf.*CP*CÀSTR
CERVBTER1 — 386 — REGIONE VII.
Via sepolcrale III (a est della ria principale):
Presso la porta della I tomba, a sinistra della via:
139. Cippo di peperino a colonnetta mancante della parte superiore, con base a
listello. Alt. iiiin. 375, diam. base nini 220, diam. in corrispondenza della frattura
min. 160. Reca la seguente iscrizione incompleta:
A
; A R N h
L. S i(us) L. I. Barna
H. Mbnoarblli.
Le iscrizioni dei cippi ceretani, qui pubblicati, rappresentano un contributo non
indifferente all'onomastica latino-etnisca e allo studio delle relazioni etniche e politiche
tanto disputate fra le popolazioni antiche dell'Etruria e del Lazio. Il benemerito
ing. Mengarelli le ha trascritte, e in gran parte disegnate, con la massima cura —
valendosi anche di fotografìe — . quando gli originali erano nella condizione migliore
per essere studiati ; e dalle conversazioni avute con lui mi sono fatta la persuasione
che poco o nulla potrebbe aggiungere alle sue conclusioni una nuova autopsia.
Qui, approfittando dell'ospitalità gentilmente offerta dagli Editori delle Notizie,
esporrò per sommi capi alcune osservazioni che mi sembrano scaturire da un primo
esame dei materiali.
Anzitutto le nuove iscrizioni sono strettamente apparentate per età luogo e con-
tenuto con quelle già edite dal Fabretti (C. I. It. 2347-2391) e dal Bormann (CI. L. XI,
3635-3692); e, come i tegoli graffiti di Chiusi, corrispondono all'ultimo periodo della
civiltà etrusca. quando la lingua e le istituzioni etnische cedono il posto alla lingua
e alle istituzioni romane ; e d'altra parte, per i materiali a cui appartengono e per il
loro ufficio, trovano esatto riscontro nei cippi di Volsinii e di Tuscania e in quelli
di Preneste.
La constatazione del Mengarelli, che i cippi a forma di colonnetta spettano ad
uomini e quelli a forma di sarcofago a donne, è confermata chiaramente dai nomi.
Dalle iscrizioni qui riportate, non tenendo conto di quelle troppo incerte o frammen-
tarie, si deducono i nomi di 127 individui: uomini e donne libere 99, liberti e liberto 28.
Tra questi i nomi di carattere etrusco sono 47: 35 uomini e 12 donne; ma il tipo
onomastico più comune è quello che si compone di prenome, nome e indicazione della
paternità tanto nelle iscrizioni etnische, quanto in quelle latine. I nomi del tipo
C Campati(us) M. f. (n. 13), m. pinces. la. e. (n. 68) sono 50. Corrispondentemente
RBGIONE VII. — 387 — CBRVETKRI
tra le donne vi sono 17 nomi in cui appare l'indicazione del padre o del marito;
ma va notato che, mentre i nomi femminili latini constano in maggioranza del solo
gentilizio (Campatia C. /"., n. 127), quelli etruschi mostrano insieme al gentilizio il
prenome {Oan%vil Puitinia l. s. n. 31). E come nel latino gli appellativi filius e
Alia sono abbreviati con /"., così nelle nostre iscrizioni etrusche clan e se% si mostrano
abbreviati, conforme all'uso locale, con e. e s. (v. E. Lattes. Saggio di un indice
lessicale etr. in Mem. R. Acc. Arch. ecc. di Napoli, II (1911) pag. 256); mentre
si sa che il più delle volte la paternità è indicata nell'etrusco dalla semplice aggiunta
del prenome del padre.
Per ciò che riguarda le particolarità grammaticali, noto alcuni fenomeni già
avvertiti in altri testi: omissione delle aspirazioni (es. Pilemo 37, Pileros 48,
Gelido 45, Tarcnn 109 ecc.); consonante semplice in luogo della doppia {Buco 43,
Cosuti(us) 131, Polio 74, Scura 64); ae in luogo di a, Laeis (n. 36) per Lai*
(cfr. Saeturnus per Salurnus in C. I. L. I, 48; avule n. 102 accanto ad aule (vedi
altro es. in Noi. Scavi, 1898, pag. 440), come in altri testi cavili, cavinei per
calle, cainei; calpurenas (pag. 352) accanto al comune Calpurnius ecc.
Circa le particolarità epigrafiche, per i testi etruschi osservo: v (3) in luogo di
u (V) in mvras (n. 55) accanto a (m)uras (n. 57). e viceversa ì col suono della
spirante f, in luogo di 8, in ruvus apparente per rufus (n. 123, cfr. n. 65 e
n. 97); s quadrilinea nei nn. 85, 101, 136; il segno ì usato qualche volta promi-
scuamente per 3 (nn. 23, 94); interpunzioni a tre punti (nn. 102, 114). a tre e
due punti (n. 31), a tre e un punto (n. 76), a tre, due e un punto (n. 85), a trian-
goletti (nn. 27, 29, 30, 32, 33: 36, 71, 73, 74, 78, 82, 88, 89, 103), a crocette (nn. 107,
120, 134), ad angoletti (n. 53), a crocette, angoletti e punto (n. 97); interpunzione
congiuntiva, secondo a me pare, nel n. 25.
Maggior discorso meriterebbe l'esame degli elementi onomastici — prenomi gen-
tilizi e cognomi — in relazione coi nomi più o meno già noti dell'Etruria e del
Lazio antico. Basta per ora rammentare il gentilizio Sanquinia n. 130, Tarda n. 53,
Tarcna n. 106, Tarquitius n. 103 ecc. la tomba dei Tarquinii e la vicina città di
Tarquinia; e per le relazioni più lontane, accanto ad axunas del n. 124 la donna
menzionata nel titolo Prenestino (C. I. L. XIV, 3313) Aconia Numeriana Tuschi
fi.Ua Caere \_patria~\.
B. NfJGARA.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 51
ROMA — 388 — ROMA
II. ROMA.
Nuove scoperte nella città e nel suburbio.
Via Labicana. In seguito ai lavori di sterro, che l'Ufficio speciale del Genio
Civile sta eseguendo per il tracciato del nuovo tronco della strada di bonifica n. 6,
tra la via Casilina e la Prenestina, a circa duecento metri sulla sinistra di quella,
sono stati messi allo scoperto alcuni avanzi di antiche costruzioni in opera retico-
lata, di buona struttura.
L'ubicazione di queste corrisponde alla località oggi conosciuta col nome di Due
Casaletti, nella tenuta Quarticciolo o Casa Rossa, di proprietà del Capitolo di S. Maria
Maggiore, a circa il 7* chilometro della via Casilina.
Erano già visibili alcuni resti di muri, i quali affiorano alla superficie del ter-
reno, tanto che il senatore Pietro Rosa delineò nella Carta archeologica del Latto ('),
da lui eseguita tra gli anni 1850-1870 nella proporzione di 1:20000, una parte di
antico edificio da attribuirsi ad una villa rustica (*).
La Direzione degli scavi di Roma, allo scopo di meglio identificare tale costru-
zione, ha proceduto ad una sistematica esplorazione la quale, sebbene siasi dovuta limi-
tare ad una determinata superficie, per non danneggiare troppo il campo coltivato a
grano, pure è stata sufficiente a far riconoscere l'uso a cui era destinato quell'antico
fabbricato.
L'esplorazione ha proceduto in modo che sono stati isolati i muri e liberati dalla
terra i vani in essi compresi, fino a giungere al piano dei pavimenti i quali si tro-
vano a m. 0,60 sotto quello di campagna. La parte esplorata dell'edificio, verso nord
ed adiacente al casale moderno (vedi pianta, fig. 1), consiste in alcune camere formate
con muri dello spessore di m. 0,45 in opera reticolata di tufo. Quasi tutte le camere
hanno il pavimento a mosaico di mediocre fattura, e le pareti dovevano essere rive-
stite con lastre marmoree, di cui qualche frammento rimaneva ancora al posto.
La stanza A, lunga m. 7,75, larga m. 5,80. aveva il pavimento a mosaico, in
gran parte deteriorato, formato con tasselli bianchi che ne costituiscono il fondo in
cui sono rappresentati disegni geometrici a tasselli neri. È composto di un fascione
nero all' ingiro, largo m. 0,48, che comprende dei semicircoli bianchi di m. 0,44 di
diametro; indi una fascia nera larga m. 0,105 ed altra bianca larga m. 0,085, la
quale racchiude il campo a motivi geometrici, costituiti principalmente da grandi
esagoni, di m. 0,58 di lato, nel cui centro è raffigurato una specie di rosone a sei
foglie di gradevole effetto artistico.
La stanza B, larga m. 4,70, ha nella parete est una sporgenza angolare, in modo da
formare all'esterno un piccolo vano D, le cui pareti misurano m. 2,20 di lunghezza.
(') La Carta archeologica del Lazio del senatore P. Rosa trovasi nella R. Direzione degli acari
di Roma, che ne fece acquisto nel 1906.
(•) Cfr. Ashby, Topography of the Roman Campagna, I, pag. 231.
ROMA
— 389 —
ROMA
Il pavimento della stanza B è in opera
tassellata con faseione nero, largo m. 0,38, che
ricorre lungo le pareti ; quindi segue una pic-
cola fascia a tasselli bianchi, larga m. 0,08,
la quale comprende tutto il piano formato
con tasselli neri, in cui sono disposte simme-
tricamente delle piccole rosette a tasselli
bianchi, disposti a guisa di croce greca, equi-
di*tanti fra loro m. 0,14.
Il pavimento del vano D è anch'esso a
mosaico a fondo nero, con sottili fasce larghe
m. 0,02, a tasselli bianchi, che s' incrociano
normalmente fra loro, formando tanti quadrati
che misurano m. 0,14 di lato. È contornato
da una fascia bianca larga m. 0,02, una nera
larga m. 0,05, altra bianca larga m. 0,045;
segue un faseione nero largo m. 0,21 ed altra
fascia bianca larga m. 0,06; infine quattro
fasce, due nere larghe m. 0,04 e due bianche
larghe m. 0,03 che si alternano fra loro; il
tutto è limitato da fascia nera fino alle pareti.
La stanza C, contigua alla precedente,
conservava quasi intieramente il pavimento a
mosaico, formato con tasselli neri costituenti
il fondo, il quale è limitato da una sottile
fascia a tasselli bianchi, larga m. 0,02, seguita
da fascia nera larga m. 0,045 ; quindi altra
bianca larga m. 0,085 ed infine un faseione a
tasselli neri, largo m. 0,24 che corre lungo le
pareti. 11 campo, a tasselli neri, è solcato da
sottili fasce a tasselli bianchi, larghe m. 0,02,
che s'intersecano in modo da formare tanti
rombi, i cui assi misurano m. 0,30 il mag-
giore, e m. 0,20 il minore.
Questo pavimento era adagiato sopra uno
strato di cocciopesto, dello spessore di m. 0,12,
Ni
"5
ROMA — 390 — ROMA
il quale poggiava sopra un piano di mattoni bipedali. sostenuti da pilastrini (suspensu-
rae) formati con mattoni quadrati di m. 0,20 di lato e distanti m. 0,45 l'uno dall'altro.
La stanza E, di piccole dimensioni (m. 3,54 X 1,55) aveva il pavimento a mosaico
eguale a quello sopra descritto del vano D.
Da questa stanza si comunicava a quella F mediante un iugresso largo m. 1,12,
e quest* ultima doveva avere anch'essa il pavimento in opera tassellata, del quale però
non rimaneva che il solo strato di calce.
Lo spazio compreso tra le camere B ed E aveva il pavimento formato con mat-
toncini {opus spicatum), che si prolungava anche nel corridoio fra le camere A e B.
Questo ampio spazio aveva, nel lato nord, un ingresso largo m. 1,55 la cui soglia
era costituita da un frammento di cornice marmorea, nella quale era ricavato uella
faccia liscia, il battente largo m. 0,10, alto m. 0,10; conservava pure alle due estre-
mità i fori circolari per i cardini della porta.
Esternamente al detto ingresso, si rinvenne, rivestito con calce e aderente al
muro, un grosso dolio fittile molto frammentato, del diametro massimo di m. 1,40,
alto m. 1,15.
Dietro la stanza A fu scoperto un pozzo G a sezione circolare, del diametro di
m. 0,60 ; la parete interna era rivestita superiormente con lastre di tufo, in cui erano
praticate le consuete pedarole, le quali continuavano anche nella parte inferiore del
pozzo scavato nella roccia tufacea. 11 pozzo fu liberato dalla terra fino a raggiungere
la profondità di m. 9,50 sotto il piano di campagna, e fra lo scarico che lo riem-
piva fu recuperato un torso di statua marmorea di Dionysos, alto m. 0,70, largo alle
spalle m. 0,50; mancano la testa, le braccia e le gambe.
A sud di questo insieme di costruzioni, furono fatte anche delle ricerche, dove
altri resti di muri reticolati emergevano dal piano di campagna prima che fosse ini-
ziato il tracciato per la nuova strada di bonifica.
Queste ricerche posero allo scoperto una vasca a pianta semicircolare, del dia-
metro di m. 4,47, con le pareti rivestite d' intonaco di fine cocciopesto e con il pavi-
mento a mosaico di tasselli tutti bianchi. Questo mosaico era costruito sopra uno
strato di cocciopesto, che poggiava sopra mattoni bipedali, sostenuti dai soliti pila-
strini in laterizio. Due di quei mattoni avevano impressi i bolli di fabbrica (C /. L.
XV, 711,904») di figuline esercitate nei primi decenni del secondo secolo d. Cr.
Adiacente alla vasca suddetta, furono riconosciute alcune stanze, formate con
muri reticolati dello spessore di m. 0,45; non rimaneva nessuna traccia dei pavi-
menti che sono stati distrutti dai continui e profondi lavori agricoli ivi eseguiti.
Il risultato della compiuta esplorazione, come è stato dichiarato precedentemente,
ha potuto determinare che il complesso delle costruzioni esistenti in quella località,
appartengono ad una villa rustica, costruita sul principio del secondo secolo d. Cr.,
come lo confermano i bolli dei mattoni rinvenuti in opera; l'edifìcio ha subito una
trasformazione in età posteriore, e ciò è dimostrato dalle parziali suddivisioni di
vani con murature diverse da quelle originarie.
E. Gatti.
RRGIONE I. — 891 — ALIFB
Regione I (LATIUM ET CAMPANIA)
CAMPANIA.
III. ALIFE — Iscrizione onoraria latina rinvenuta entro la città.
ir
Nella città quadrata di Alife. la vetusta AUif'ae (cfr. C. I. Z.Tpag. 214) ('),
che conserva le antiche mura romane e le quattro porte alle estremità delle vie del
cardine e del decumano che ancora la dividono, in una piazzetta accanto alla porta
della casa del sig. Mariano Di Caprio, in via Francesco Trutta, trovasi fissata al
suolo una lapide romana iscritta che ivi presso fu recentemente scoperta.
Questa lapide, di cui manca una parte, è di pietra calcare di Dragoni, e pre-
senta intorno una semplice scorniciatura formata da un listello e da una gola. Vi
si legge:
LPVLLA...
VEL- GAI...
T I Q_V . . .
XV-VIRS...
RICIAS • FAM...
PRAETAEDC...
AA-AFFPRAEF.. .
CVRATRPPRAEi...
ALLIFANOR-DE...
LVSQjALLIFAN. . .
...AMANTIS...
...P N FC...
L'iscrizione deve probabilmente leggersi e completarsi così:
L{ucio) Pulla[ieno L(ueii) f(ilio)~] Vel{ina) Gar[cjilio . . . Ari]tiquo xv oir(o) s(a-
cris) [f(aciundis) ledo in paQricias fam[ilias ab imp . . . oppure a divo . . .]
praet{ori) aed(ili) c(uruli) \_q(uaestori 1 II viro'] a(uro) a(rgealo) a(eeri)f (landò)
f(eriundo) praef(ecto) \i(uri) d(icundo) . . .] curatori) r(ei) p(ublicae) Prae-
[nettinorum~\ [idem r(ei) p(ublicae)~\ Allifanor(um) de[curiones popu]lusq(ue)
Allifan(orum) amantis\$imo~] patro[nó~\.
(') Per quanto riguarda la partizione regionale, mi attengo a quella generalmente accettata,
che pone Allifae nella regione I, mentre il Mommsen preferì includerla nella regione IV.
ALIFK — 392 REGIONE 1.
Le iscrizioni ci fanno conoscere un Gargilius Antiquus proconsole d'Asia sotto
Adriano (*) ; un Lucius Pullaienus Gargilius Antiquus legato di Marco Aurelio e Lucio
Vero in Tracia (2) ; un Gargilius Antiquus quindecemvir sacris faciundis nel 204 (3);
un L. Pullaienus Gargilius Antiquus console in epoca ignota e patrono di Tugga (*).
Quest'ultimo potrebbe anche essere una sola persona con uno dei precedenti. Il nostro
personaggio non può essere identico al L. Pullaieno legato di Tracia, perchè mentre
quegli occupò nel vigintivirato l'ufficio di decemvir litibus iudicandis, e fu poi
tribuno della plebe, il nostro fu triumviro monetale ed edile curule. Potrebbe ritenersi
tutt'uno col proconsole d'Asia sotto Adriano, e la nostra iscrizione sarebbe stata in
tal caso redatta prima che il personaggio avesse raggiunto il consolato e quell'alto
governo di provincia. Degli uffici ricordati nella nostra lapide nessuno sconverrebbe
a questa ipotesi, se non forse la cura reipublicae due volte rivestita a Praeneste e
ad Allifae. È noto, infatti, che i curalores reipublicae cominciano ad apparire sotto
Traiano, e probabilmente negli ultimi anni di queir imperatore (5) ; e alquanto singo-
lare sarebbe che il Gargilio Antiquo, il quale chiuse col proconsolato d'Asia la sua
carriera sotto Adriano, ma quasi tutta l'aveva compiuta sotto Traiano, avesse per due
volte rivestito un ufficio di nuova istituzione e di straordinaria e certamente ancora
rara applicazione. Meglio pertanto potrebbe pensarsi ad una identità del nostro col
personaggio ricordato nell' iscrizione dell'anno 204, il quale fu, come il nostro, quin-
decemviro sacris faciundis ; a meno che, come anche è possibile, il nostro sia diverso
da tutti i suoi omonimi precedentemente noti.
La frase lectus o allectus in palricias familias si trova in alquante iscrizioni (8).
Un curator civitatis Praenestinae è dato dall' iscrizione- C. I. L. XIV 2919; la frase
decurione» populusque Allifanorum trova riscontro nella analoga: ordo et populus
Ailifanorum dell'iscrizione C. I. L. IX, 2387.
R. Mbngarelli.
(') Rvmsay in American journal of arck., 1887, pag. 345; cfr. CI. L., Vili, 11451.
(*) C. 1. L., Ili, 7394.
(*) C. I. L., VI, 32329.
(') Rev. archéol, 1893, toI. XXII, pag. 342.
(") De Ruggiero, Diz. epifjrofico, II, pag. 1348.
(•) C. I. L, VIII, 11338; XIII, 1673; XIV, 3902 ecc.
SARDINIA — 393 — LABRRtT
SARDINIA.
IV. LAERRU — Indagini nei tumuli con tombe di gigante in regione
di Bopitos, nelle tombe di Luogosanto ed in vari monumenti del territorio.
A mezz'ora di distanza da Laerru, sulla vecchia via mulattiera che conduce a
Sedini ed a Bul/.i. si nota una regione collinosa, a piccoli mammelloni calcari, attra-
verso ai quali si insinua la via.
Il più notevole di questi mammelloni è il Monte Ultano, su cui si hanno i resti
di un'acropoli, in parte cintata con costruzioni di tutte le epoche, dalla nuragica alla
romana. A piedi di essa, verso nord-ovest, è la breve conca di Luogosanto, dove in
un terreno di certo Manca Antonio, e proprio attorno ad un risalto roccioso, è la
necropoli a tombe ipogeiche, o domus de gianas, in parte esplorate, o, meglio, riesa-
minate nel novembre del 1914, con l'assistenza del sign. E. Bonetti e del compianto
Dr. Porro (1),
Ritorneremo fra poco a questa località di Luogosanto. A nord-est di questa, di
contro all'acropoli di Monte Citano, e sui fianchi opposti della valletta, sorgono vari
mammelloni di forma tondeggiante: uno. tra questi, più alto, circa 30 m.; altri due
situati più in alto sul fianco della valle, ma un po' meno elevati del primo, i quali
hanno un'apparenza di tumuli artificiali.
Essendo stata dal Benetti manifestata l' idea che essi fossero dei tumuli sovrap-
posti a tombe a corridoio o « dei giganti » , ho ritenuto di tentarne l'esplorazione.
Condusse l'esplorazione l'egregio amico Edoardo Benetti, R. Ispettore onorario;
e dalle sue notizie desumo i dati che io ebbi a verificare sul posto.
Il più grande di tutti i tumuli, più prossimo alla strada accennata, fu solcato
da vari ordini di trincee; si rivelò quale monticello affatto naturale e privo di tracce
di lavoro e di materiale umano.
Dei più prossimi mammelloni, due non coprono ma sorreggono sulle loro som-
mità le tombe di giganti, messe in luce dalla presente indagine, l'una apparentemente
completa, l'altra franata nella sua parte anteriore. Tanto l'uno quanto l'altro di questi
mammelloni, in roccia tenera calcare, sono così regolari che si direbbero quasi lavo-
rati artificialmente, perchè sull'alto di essi spiccasse la tomba che a sua volta doveva
essere ammantata da un cumulo di terra.
La I tomba (fig. 1) si rivela come una cella rettangolare di m. 6,95 di lun-
ghezza e di m. 2,40 di larghezza, costrutta con lastroni regolarmente disposti. La
parete è spessa m. 0,60, cosicché la celletta presenta le dimensioni di m. 1,80X5.10.
Le pareti della cella erano formate da lastroni deposti in piedi e conservati per l'al-
tezza di circa 1 m. ; la parte superiore era crollata e rovinata; i lastroni in parte
erano entro la cella, in parte rovinati giù per il fianco del tumulo.
(') Notizie degli scavi, 1915, fase. 4°, p. 119 sq.
LABRRU
394 —
SARDINIA
L'accesso alla colletta avveniva dalla piccola porticina, larga m. 0,50. Dinanzi
alla fronte della tomba si ebbe una specie di piattaforma, larga come tutta la parete
del sepolcro ed ampia un metro, formata da lastroni ben connessi; innanzi alla porta
fu poi rinvenuta una bella lastra in calcare, di forma rettangolare, larga quanto la
Fio. 1. — Pianta e sezione della Tomba di Bopitos, presso Laerru (disegno Berretti).
porta, ben lovigata, la quale era solcata da un largo o profondo solco sull'asse me-
diano della porta, A questo corrispondeva una regolare fossetta o pozzetto rotondo,
di m. 0,35 di diametro, scavato nel fondo roccioso fra le pietre che formavano la
piattaforma e la pietra rettangolare.
Come risulta da queste disposizioni e dalle materie carboniose che furono rin-
venute nella fossetta, si ha qui un pozzetto per sacrifici funerari che è notato per
la prima volta nelle tombe dei Giganti e può essere accostato al pozzetto dell'anti-
SARDINIA
— 895 —
LABRRU
cella della tomba ipogeica o domus de gianas di Tonara ( ') come pozzetto sacrificale
dell'atrio del pozzo sacro di Serri (2).
A questo importante indizio di un culto funerario, datoci da questa tomba, non
corrisponde però la suppellettile. La colletta, dicemmo innanzi, era sconvolta per la
rovina del coperchio. Però verso il fondo della cella il terriccio compatto serbava i
resti di quattro cadaveri di adulti : i crani, abbastanza ben conservati e di tipo doli-
Fio. 2. — Pianta e sezione della tomba II, in regione Bopitos, Laerru (disegno Berretti).
cocefalo, stavano al disopra della massa delle vertebre, delle coste, del bacino e dei
resti dei femori e delle tibie, in modo da dare l' idea che i cadaveri fossero in ori-
gine deposti entro la cella, in posizione seduta od accoccolata. La suppellettile era
ridotta a pochi frustoli di ceramica rozza appartenenti ad ollette ed a piatti dalle
pareti poco alte.
La II tomba (tig. 2) esplorata era anch'essa sul colmo di un mammellone; per
la frana di questo era crollata tutta la parte anteriore, comprendente la parete del-
(') Notine degli tcavi, 1911, pag. 388, figg. 1-8.
(*) Monumenti antichi dei Lincei, voi. XXIII, anno 1914, pag. 838, tav. Ili, figg. 14-15.
NoTizm Scavi 1915 — Voi. XII. 52
LAKRRU — 396 — SARDINIA
l'ingresso; ignoriamo quindi se anche questa tomba avesse la piattaforma anteriore
con la pietra munita di solco o di fossetto per sacrificio come la tomba n. I. Rimane
però quasi per intiero la cella che conserva la larghezza di m. 2,40 e la lunghezza
di m. 5,20, di accurata struttura, in blocchi o lastroni regolari, disposti a fila, ritti
a coltello, bene uniti verso la celletta, la quale si allarga leggermente verso il centro,
m. 2,10, ed è stretta dai due capi m. 1,80. Anche questa cella ha perduto la ori-
ginaria copertura in lastroni ed era sconvolta; conteneva i resti di almeno dieci inu-
mati : per tre scheletri si potè accertare la loro giacitura accovacciata, simile a quella
data dalle precedenti tombe. Insieme con molti cocci di rozze stoviglie questa tomba
dette un vasetto intiero, lavorato a mano, di forma quasi emisferica, con quattro
ansette forate poste sotto l'orlo, con un coperchio semicircolare, sormontato in alto
da una ansetta forata, di tipo non molto comune nella ceramica di Sardegna. Degli
altri vasi non si potè ricostruice la forma di nessuno, né di altra suppellettile si
ebbe traccia.
È indubitato che anche le due tombe di Bopitos, data la loro struttura, il rito
e le tracce del materiale in esse contenuto, si debbono connettere alla sepoltura
dell'età nuragica ed al tipo della tomba a corridoio, o tombe di giganti. Ma stanno
esse alla fine o all'inizio dell'evoluzione seguita da questo tipo di sepolcro caratte-
ristico della Sardegna? Io crederei che siano alla fine; l'area frontale ridotta ad una
breve piattaforma nella tomba I con la sua ben lavorata pietra sacrificale, le ben
costrutte pareti, la posizione dominante, e forse anche l'adattamento del fianco del
mammellone, stanno ad indicare, a mio avviso, non il periodo iniziale della tomba
a corridoio, a cui apparterrebbero quelle di Mesu Enas, di Cutzu e' Molas (x) ecc.,
sull'altipiano di Abbasanta (2), ma la fine dell'evoluzione, segnata dalla diligente la-
vorazione della cella e dagli elementi esterni, ridotti ed atrofizzati, delle ali e del-
l'area frotale.
Ma i soli criteri evolutivi e di tecnica architettonica non sono sufficienti a
datare cronologicamente e tipologicamente queste due sepolture, che, per quanto a noi
pervenute in stato incompleto, non sono però prive di interesse.
Ho più sopra ricordato che la località di Luogosanto, ai piedi di Monte Ultano,
presenta, scavato nell'orlo di un piccolo pianoro dalle erte pareti, un gruppo di tombe
ipogeiche, o domus de gianas, di grandi dimensioni, di cui fu già dato un breve
cenno descrittivo in un altro rapporto (8).
Esaminando, nel corso della esplorazione compiuta nel giugno, la superficie del
pianoro, accanto al luogo dove è il prodromos della più grande delle tombe scavate,
si trovarono, nello spazio di circa dieci metri in quadrato, 25 incavi tondeggianti,
aperti nella superficie della roccia tufacea assai tenera. Rinettati diligentemente questi
pozzetti, alcuni dei quali erano aggruppati uno accanto all'altro, altri più sparsi, si
vide che essi erano tutti circolari, del diametro di 22-40 cm. e profondi 20-80,
(*) Notizie degli scavi, 1915, fase. 4°, p. 108 gq.
(') Notizie degli scavi, 1915, fase. 4°, p. 109 gq.
(•) Notizie degli scavi, 1915, fase. 4°, p. 119 sq.
SARDINIA
— 397
LAERRD
ma che per l'erosione della superficie del piccolo altipiano, servito sempre come aia,
la profondità di questi pozzetti in origine doveva essere maggiore (fig. 3 a, b). Essa
era stata almeno dimezzata, mancando in tutti l'orlo superiore, come mancavano affatto
le tracce degli operculi di qualsiasi natura. La fotografìa, qui aggiunta, mostra
l'aggruppamento e l'aspetto di tali pozzetti ; in due di essi fu trovato il fondo delle
due olle in terracotta, rozzi vasi cinerari di una ceramica dello stesso impasto e dello
stesso tipo di quella rinvenuta nelle attigue domus de gianas. Non si ebbero tracce
Fig. 3 a. - Tracco dei pozzetti di tombe a cremazione, presso Luogosanto (Laerru).
né dei resti dei cadaveri cremati, né della suppellettile, così che non abbiamo che
questo tenuissirao indizio di un piccolo gruppo di tombe a cremazione, il cui carattere
arcaico parrebbe attestato dalla rozzezza dei frammenti raccolti delle urne cinerarie.
La comparsa di un rito funerario a cremazione, insueto alla Sardegna primitiva,
potrebbe valere come indizio di una invasione di nuove genti che si infiltrarono
accanto agli abitatori nuragici, e come segno dell'affacciarsi di quei Galli a cui fa
pensare il nome di Gallura, dato alla parte settentrionale montuosa dell'isola Sarda.
Il nome di Gallura, come osserva il Pais (l), è forse la continuazione del nome di
GatiUenses che troviamo ricordati tra i popoli della Sardegna, nel decreto del pro-
console L Elvio A^rippa, del 60 d. Gr., riportato dalla tavola in bronzo di Ester-
(') l'uis. La u formula provinciae » della Sardegna. Ricerche storiche e topografiche sul-
l'Italia antica, pag. 591.
LABRRO
898 —
SARDINIA
zili (C. I. L. X, 7852). Ma dobbiamo osservare che quei Galillenses del decreto
accennato dovevano abitare nel centro dell' isola, non lungi da Esterzili, dove la
tavola di bronzo che li ricorda è stata rinvenuta, cioè nel Gerrei.
Anche il Para, che scrisse tre secoli prima della scoperta del bronzo nella
Corograpfiia sarda, pag. 87, ricorda la curatoria di Gerrei, seu Gallila dieta, ripe-
tendo l'indicazione anche nel trattato di Rebus sardois, III, pag. 87: « Gallili nunc
Gerrei dieta » . Per quanto non sarebbe impossibile che anche qualche altro gruppo
Fio. 3b. — Tracce di altri pozzetti di tombe a cremazione presso Luogosanto (Laerru).
di popoli Galillenset potesse trovarsi nelle parti che nel medio evo furono dette
Gallura, noi non abbiamo di ciò alcuna testimonianza ; così pure possiamo accennare
solo come una congettura che il nome di Galillenses possa avere qualche rapporto
con quello dei Galli e possa valere come una base a spiegare la presenza di necro-
poli a cremazione, di carattere preromano, nell'Anglona. Ad ogni modo, l' indizio di
tale necropoli di tale tipo e rito non è trascurabile e deve essere segnato e seguito,
in mezzo al grande predominio di necropoli ad inumazione che caratterizzano la
Sardegna primitiva.
Segno qui alcuni brevi appunti sui nuraghi più vicini a Luogosanto, tra Laerru
Bulzi e Sedini.
Una delle linee di comunicazione naturali che danno accesso dalla costa setten-
trionale dell'isola al fertile piano dell' Anglona, ancora oggi uno dei più ricchi di
grano, per la vallata di Sedini sbocca nel piano interno verso Bulzi. Qui appunto
SARDINIA
— 899
LAKRRD
raggiunge il piano o ralle interna dell' Anglona, seguendo il corso di un torrente che
dal valico di Sedini scende verso Perfugas al Cogbinas. Questa via non solo è segnata
da costruzioni nuragiche nel suo percosso dal mare al valico, ma anche entro al piano
stesso, sino al Coghinas. Troviamo qui uno dei tanti esempii di valichi o di valli
vigilate, nel loro percorso dal mare al centro dell' interno paese, da vedette nuragiche.
Fio. 4. — Il nuraghe Agnltu, di Laerru.
Ricordo qui alcune di queste costruzioni allineate lungo il corso del torrentello
che esce dalla stretta di Sedini con una abbondante vena d'acqua quasi perenne,
molto profondamente incassato entro alle pareti di rupi trachitiche; esso presentava
quindi una via facile per chi voleva raggiungere il cuore della vallata. In questa via
appunto vigilavano, come vedette disposte in posizione dominante ed iu vista tra di
loro, le costruzioni nuragiche, di alcuna delle quali dò qui un breve cenno.
Mentre Monte Ultano, che fu indubbiamente un'acropoli fortificata in età nura-
gica, dominava tra le due conche di Bulzi e di Laerru, invece al guado del torrente
di Bulzi a breve distanza del suo sbocco nel piano, di fronte alla bella chiesetta
pisana di S. Pietro delle Imagini, è il nuraghe detto Malosa o di S. Pietro, a torre
circolare, preceduta da un recinto di lastroni infissi nel suolo.
LAERRO
— 400 —
SARDINIA
Costrutto in grandi massi di trachite compatta, ha la porta d'ingresso ora ottu-
rata dalla rovina; però la cella è accessibile dall'alto, e presenta la pianta rettan-
golare, con le pareti a piombo sino all'altezza dell'architrave della porta d' ingresso
e di una nicchia laterale, pure a pianta rettangolare. Al di sopra dell'architrave però
le pareti tondeggiano, e, per mezzo di embrionali pennacchi o architravi angolari, si
Fio. 5. — Porta d'ingresso del nuraghe Agultu.
passa alla consueta forma di volta, ad anelli circolari, che vanno restringendosi gra-
datamente verso la volta. Questa camera, dalle pareti composte di grandi massi paral-
lelepipedi, che hanno reso facile e for.s'anche suggerito la disposizione della cella a
pianta rettangolare, ha le più stringenti analogie, per le sue disposizioni, con la
cella del tumulo della Petriera, di Vetulonia ('), che è appunto rettangolare con vdlta
circolare, posata su pennacchi agli angoli.
A breve distanza da questo curioso nuraghe, nel mezzo del piano di Bulzi, stanno
le maestose rovine del grande nuraghe di Bonora, nel tenimento dei fratelli Oggiano,
(l) Montelius, Civilisation primitive de l'Italie, tav. 199, figg. 1 e 3. Si confronti anche la
tomba del diavnlino, pure di Vetulonia, ricostruita nel Museo di Firenze. — Milani, Museo archeo-
logico di Fireme, I, pag. 288.
SARDINIA — 401 — LABRRd
composto in origine da una cella centrale, con almeno tre torri aggiunte. Esso è
un'esempio di edifìcio nuragico. dominante il centro di una pianura fertile di
coltivi.
Più a valle, sempre lungo il corso dello stesso torrente, è il nuraghe Sàrula,
a torre conica, a due piani; la rovina della parete lascia visibile la sezione della
scala che. dal corridoio di accesso alla cella del piano inferiore, sale alla cella del
primo piano, mostrandone l'accurata struttura. 1 gradini sono saldamente innucleati
nel corpo del muro, le pareti verticali per l'altezza di circa 2 metri, poi con pietre
sporgenti a ciascuno dei lati, per restringere il vano, su cui posano le grosse lastre
che chiudono il corridoio, coprendo tutta la scala che si avvolge a spirale entro lo
spessore della muraglia.
È un evidente esempio di quella tecnica rudimentale, ma poderosa, basata sul-
l'accurata disposizione dei massi e sul contrasto delle spinte, la quale rese possibile
di praticare il passaggio di tali scale, o cordonate, entro a gallerie. Dello spessore
della parete del torrione nuragico.
Più a valle di questo nuraghe, sempre lungo il predetto torrente, dove questo
è incassato tra alti dirupi t rachitici prima di sboccare nella bella conca di Perfugas,
di fronte alla monumentale chiesa di S. Giorgio, sorge un poderoso nuraghe, detto
appunto di S. Giorgio. Esso sta sul ciglio del burrone, a guardia di quel passaggio,
attraverso al quale, lungo il solco del vallone, era possibile una invasione verso il
piano. Il nuraghe, che fa contrasto con la grazia della chiesetta pisana-aragonese,
sorge sulla sponda opposta ad essa, sul ciglio del burrone, e conserva la grandiosa
torre di accurata struttura di massi trachitici. La parete verso il lato dell' ingre so,
al di sopra della porta, è franata in parte, ma rimangono evidenti la pianta e la sezione
di una cameretta a volta, praticata entro allo spessore della muraglia al di sopra del
corridoio di accesso alla camera principale a difesa dell' ingresso. Un consimile fatto
fu segnalato al nuraghe di S. Barbara, di Villanova Truscheddu (') ed anche nel
nuraghe Mannu, in territorio di Ozieri, nella tenuta dei signori Tola.
La bella costruzione del nuraghe S. Giorgio chiude la linea di vigilanza allo
sbocco del rio di Bulzi al piano di Perfugas e si connette alla linea dei nuraghi che
stanno lungo il corso del Coghinas. Da questa linea era vigilata tutta la via dal mare
verso il piano, nei punti in cui era più facile ad un ardito manipolo invasore nascon-
dersi ed appiattarsi in modo che l'assalto proditorio fosse per quanto possibile
impedito.
Pure in vicinanza di Laerru. su una delle vie che conducono dal territorio di
questo comune a quello di Martis, ma attraverso alla montagna, sta il nuraghe
Agultu, di cui qui offro una immagine (fig. 4), col particolare della porta (fig. 5).
Le due fotografie mostrano la poderosità rude delle pareti, assai inclinate, dell'edificio
e la forma e le dimensioni della porta, che ha un'altezza di oltre due metri, ed è
sormontata da un architrave monolito di grande spessore.
(') Vedi Notitie dagli Soavi, 1915, fase, di settembre, pag. 306.
LAERRU — 402 — SARDINIA
L'esempio di consimili allineamenti di difese potrebbe essere ripetuto per altre
delle vie naturali valicanti la montagna dalla spiaggia del mare alla vallata interna
del Coghinas. ma mi basti ora di segnalare questo chiaro allineamento della valletta
di Balzi, nel suo pescorso sino al Coghinas, dal quale si rivela che alla ricchezza
del suolo che si doveva difendere, all'accanimento degli assalti nemici, corrispondeva
anche la complessa e molteplice difesa degli edifici nuragici, dei quali è tanto più
evidente lo scopo militare e strategico quanto più è possibile di studiarne particolar-
mente la postura e la intima relazione con le linee naturali del suolo.
A. Tarameli.i.
REGIONE X. — 403 — CERVIGNANO PRESSO AQUILE1A
Anno 1915 — Fascicolo 12.
Regione X (VENETI A ET HI STRIA).
VENETIA.
I. CERVIG NANO presso AQUILEIA — Da una reiasione del sotto-
tenente comm. Ugo Ojetti intorno ad un pavimento in musaico scoperto
in Cervignano.
Il giorno 15 dello scorso decembre, scavandosi le buche pei pali di sostegno di una
baracca militare in Cerrignano, nella piazza detta della Pesa Pubblica e precisa-
mente dal lato verso la chiesa parrocchiale, furono rinvenute tracce d'un pavimento
a mosaico alla profondità di circa settanta centimetri sotto il piano stradale.
Il mosaico, policromo, è a larghe tessere, d'epoca tarda del sesto o del settimo
secolo, e può anche appartenere all'abbazia benedettina che fu elevata in Cervignano
nel 668 sotto il titolo di san Michele Arcangelo che fu la prima sede dei monaci di
S. Benedetto nel Friuli, ed ebbe nel 912 da re Berengario, con diploma datato da
Pavia, la conferma dei suoi beni nell'Aquileiese. Ancora l'attigua moderna chiesa
parrocchiale, cui è solo pregio d'arte e di storia il campanile dell'undicesimo secolo,
è dedicata a san Michele Arcangelo. Il fiume Aussa, allora, quasi lambiva la torre
campanaria e questi edifici sacri.
Del mosaico sono stati per ora scoperti pochi metri quadrati con un fregio a
treccia nera su fondo bianco e un tondo, con una palmetta rossa nel centro, inserito in
un quadrato, agli angoli del quale (due soli ne sono finora visibili) stanno due colombe,
come si vedono in molti mosaici d'Aquileia tanto ricchi ed originali nel rappresentare
uccelli e altri animali. Il mosaico è intatto, salvo due fori.
U. Ojetti.
Notizib Soati 1915 — Voi. XII. 53
AREZZO — 404 — REGIONE VII.
Regione VII (ETRURIA).
II. AREZZO — Scoperte archeologiche nel terreno del manicomio,
in località « Duomo Vecchio » .
Nell'eseguire alcuni lavori nel terreno annesso al manicomio provinciale di Arezzo,
e precisamente sulla piccola altura dove sorgeva il « Duomo Vecchio « , si rinvennero,
nell'agosto 1911, svariati frammenti antichi che per la loro natura possono così
aggrupparsi :
a) parecchi grossi blocchi di tufo locale arrotondati negli angoli dalle intem-
perie, e dal vario uso cui furono adibiti, spettanti in origine presumibilmente ad una
costruzione etrusca o romana. Furono trovati qua e là sparsi nel terreno, a poca pro-
fondità. Ma altri simili parallelepipedi si vedono pure incorporati nelle moderne fab-
briche esistenti su quel poggetto;
b) alcune tombe ad inumazione scavate nel terreno, rivestite di muriccia e
coperte da lastroni che, per la descrizione avutane e per i resti che io stesso potei
esaminare, riferirei al periodo barbarico ;
e) frammenti di vasi campani e romani e piccola lancia di ferro lunga m. 0,15 '/»,
spettanti a sepolture più antiche, pure ad inumazione, come fanno fede alcuni resti
di scheletri scoperti insieme. Tali tombe però dovettero essere distrutte in antico,
poiché i frammenti giacevano sparsi nel terreno ed a poca profondità;
d) la fronte di un'urna romana in marmo bianco lunense (0,55 X 0,51 X 0,25
circa), in più punti corrosa e rotta.
Vi è nel mezzo uno specchio epigrafico rettangolare, limitato da piccola cornice,
ma rimasto liscio. Sulla sommità di questo specchio rimangono sicuri avanzi di una
quadriga in corsa verso destra. Agli angoli si vedono due candelabri ardenti, impostati
sul dorso di sfingi accovacciate su are che presentano protomi di gorgoni sulle facce
visibili, teste di arieti agli angoli, e che sono a loro volta sorrette da tre piccole
sirene ognuna. Sui lati furono scolpite piante di lauro con bacche, e pellicani che
beccano le radici.
Probabilmente quest'urna si rese inservibile durante la lavorazione per improvvisa
rottura, perchè rimane interrotto l'incavo per accogliere le ceneri e vuoto lo specchio
epigrafico. Il cospicuo frammento potuto salvare, che per lo stile delle decorazioni a
rilievo riferirei al sec. II-III d. Cr., era nascosto nel muro di una vecchia fabbrica il
quale venne demolito;
e) frammento di grosso embrice a margini rialzati (0,38 X 0,28), con avanzo
di bollo figulino impresso,
C • SCEVNIVS • REStitutus FECit C)
{*) Cfr. noi C. 1. L. XI 2, pag 1045, n. 216, altro bollo della stessa officina di Seminio Resti-
tnto proveniente pure da Arezzo.
REGIONE VII.
— 405
AREZZO
f) alcuni frammenti di marmo con decorazioni a trecce scolpite, spettanti forse
al portale del vecchio duomo.
g) frammento di colonna scannellata in tufo.
In base a tutti questi elementi, sebbene erratici e sparsi, credetti di poter infe-
rire che quel posto si presterebbe ad una ricerca sistematica.
L'occasione fortunatamente non si è fatta aspettare a lungo, poiché il dott. Mario
Salmi, egregio studioso di storia dell'arte, ottenuti con molta liberalità il permesso
e l'appoggio dell' illustre direttore del manicomio, prof. Pieraccini, e in seguito a
parere favorevole della Soprintendenza regionale per i monumenti, si è accinto — con
jm/^ì
Pjà
yBw 8§> <| (fe
Fio. 1.
Tombe barbariche della località «Duomo Vecchio».
lodevole fede — a rintracciare le vestigia del Duomo Vecchio per rilevarne la strut-
tura e la forma, e confrontarle con una vecchia pianta dell'edificio conservata nella
Galleria degli Uffizi.
Nuove scoperte archeologiche nel terreno del manicomio ^provinciale.
Il dott. Salmi farà seguire alle sue odierne ricerche nel terreno uno studio gene-
rale intorno ai risultati ottenuti, non trascurando certo di esporrete condizioni topo-
grafiche e d'ambiente in cui sorse la prima cattedrale d'Arezzo, scopo precipuo delle
sue indagini. Intanto possiamo notare, non essendo ancora compiuto il lavoro di scavo,
ciò che fu rimesso in luce durante il mese di settembre del 1915.
Data la natura tufacea del poggetto, in molti punti e specie verso il culmine
dove ora sor^e la cappella del manicomio affatto privo di terra coltivabile, i saggi
di scavo furono intrapresi sul lato di nord- est. Quivi, nello strato del terriccio allu-
AREZZO — 406 — RBGIONK VII.
vionale depositatosi sulla roccia, alto un paio di metri, oltre a resti di antichi mura-
menti riferibili al Duomo ed a fabbriche posteriori, sono comparse alcune altre tombe
barbariche (io tutto, fino ad oggi 7 settembre 1915, sei) analoghe a quelle scoperte
nel 191 1 poco lontano. Sono del solito tipo a cassa rettangolare (da m. 2,20 X 0,68 X 0,65
a 1,50 X 0,35 X 0,30), però la maggior parte scavate nel tufo, e le altre con risar-
cimenti a muriccia solo nelle lacune del masso. Quattro di esse sono lastricate con
frammenti di marmi antichi e di mattoni romani raccolti sul posto ; qualcuna con un
pezzo di tegolo per capezzale; una chiusa da lastre di marmo, ugualmente antico;
un'altra del gruppo più orientale aveva, per copertura, degli embrici posti a doppio
spiovente, come nei comuni sepolcri dei bassi tempi romani. Su uno di tali embrici
si legge una grossa M segnata con la pressione del dito sull'argilla fresca. Alcune
di esse sono orientate, altre no. Il livello di giacitura non è uniforme per tutte ; ma
bisogna tener conto del declivio della collina e dell'erosione delle acque in tanti
secoli.
La fotografia che qui si pubblica mostra chiaramente qual'è la loro struttura
e tipo.
Non vi furono riscontrati che frammenti d'ossa di inumati ; ma nessuna di esse
era intatta ('). Siccome aderiscono quasi ai muri esterni delle più tarde costrnzioni, e
qualcuno anzi è da essi tagliato, evidentemente tutti questi sepolcri vennero danneg-
giati e sconvolti dai nuovi lavori. Ciò è la prova migliore che essi non furono pra-
ticati intorno al Duomo, ma preesistevano già, come si rileva anche dalla scoperta
del 1911. Ci troviamo quindi in presenza di un vero e proprio sepolcreto barbarico,
adattato alle condizioni del terreno, cioè con la maggior parte delle fosse scavate nel
tufo anziché a costruzione, come nei più frequenti casi per tale periodo.
Dalla pianta e dalle fotografie che arricchiranno lo studio del dott. Salmi si rile-
veranno poi la posizione delle tombe e gli altri elementi che interessano l'archeo-
logia e la storia del vecchio duomo.
Ed. Galli.
(') Il 31 ottobre 1915, tornato ad Arezzo, potei constatare che era stata scoperta un'altra tomba
del sepolcreto barbarico del « Duomo Vecchio », a circa 4 m. verso nord del precedente gruppo,
in rapporto al quale notasi un dislivello di circa 1 metro; ma ciò dipende forse dall'abbassamento
del terreno richiesto dalle costruzioni sorte in quel posto.
Quest'ultima tomba era perfettamente orientata ed intatta, con cadavere supino, forse femmi-
nile, e con tracce di scoliosi nella colonna vertebrale secondo il giudizio dell'egregio dott. A. Are-
tini del manicomio, che segue questi lavori con molta passione. Come le altre, non conteneva però
nessun oggetto di corredo funebre. Il sepolcro consisteva di una cassa rastremata verso i piedi, di
struttura a muricciuoli, e coperto da due lastroni quadrangolari e altre pietre informi.
Misurava in lunghezza m. 2 ; e in larghezza da m. 0,55 a 0,23. Giaceva a m. 1 sotto il piano
attuale di campagna.
ROMA — 407 — ROMA
III. .ROMA.
Nuove scoperte nella città e nel suburbio.
Continuandosi gli sterri in piazza Colonna, si è rinvenuto un cippo frammentato
in travertino (0,39X0,32X0,18) con l'iscrizione:
PAPIRIA CF
MASSONIS
FILIA
LAETORIAE
Inoltre è tornato alla luce un pezzo di marmo con la seguente iscrizione fram-
mentata: (0,30 X 0,17 X 0,04):
D
L. MEM
MEMIA\
ET SIBI LIBER
BVSQVE PO
E O R
Sono poi riapparsi quattro frammenti di marmo con poche lettere ; un frammento
di mattone eoi bollo C.I.L. XV, 958 a\ un frammento di gamba di statua di
marmo bianco (0 26X0 19), e due frammenti di ornati architettonici (0.32 X 0,10
X0,07 e 0 22X0,10.
Si sono pure trovati due capitelli marmorei di ordine corinzio; uno (m. 0.31 X
0,28 X 0,23) in cattivo stato di conservazione ; l'altro (m. 0.48 X 0,45 X 0,32) in
buono stato; un frammento di base di statuetta in marmo bianco con avanzi di una
pelle di leone (m. 0,23X0,15), un frammento di plinto su cui rimane il piede di
una statua (m. 0,26 X 0,18), e un lastrone di portasanta (m. 0,77 X 0,62 X 0,14).
Un frammento di mattone contiene il seguente bollo circolare:
EX • PR • ARR • FAD CEP • PRO . . .
PAETINO ET APRON [ia]{no)
cos
È una terza variante di quello riportato nel C. I.L. XV, 90.
Via Casi lina. A destra del vicolo dei Carbonari, in località Marranella,
facendosi lo sterro per la costruzione di una casa di proprietà del sig. Guglielmo
ROMA — 408 — ROMA
Mazzola, si è rinvenuta una targa di colombario in marmo bianco (m. 0,44 X 0,22
X0,07) con la seguente iscrizione:
P VEIDIVS ■ P L- ASTRAGALVS
0-VElDIA PL- EVGENEACONIVx
SIBI • ET SVEIS
Via Cassia. Nella tenuta del Pino, sulla destra della via Cassia fra il 14°
e il 15° km., in proprietà del sign. ing. P. Ceribelli, facendosi alcuni lavori agricoli
si e rinvenuto un cippo sepolcrale di marmo bianco (m. 0,82 X 0,34 X 0,bl), con
base e cimasa scorniciate. Sulle facce laterali sono la patera e il prefericolo; su
quella principale la seguente epigrafe:
NVMERI
ARMODIAE
TVLLIAEAR
SINOEC-L
TVLLIVS
TVLL1ANVS
SORORIKA
RISSIMAE
F. Fornari.
Via Nomentana. Frammenti di sculture d'ossidiana rinvenuti nell'area
di villa Patrizi. - In alcuni pacchi di frammentucci dei più svariati oggetti antichi
rinvenuti negli sterri della villa Patrizi per la costruzione del palazzo delle ferrovie
ritrovai quattro frammenti di ossidiana pertinenti almeno a due figure umane ('). Sono
due nasi, l'uno grande al naturale, l'altro più piccolo, e due piccole parti di teste
con capigliatura virile a piccole ciocche ondulate, il tutto di perfetta e squisita fattura.
Le grandissime difficoltà tecniche dovute superare per ottenere delle forme umane
da una materia per le sue note condizioni di sfaldatura così ribelle a qualunque
taglio, e la conseguente estrema rarità di figure di questo minerale, mi sembrarono
meritassero ai nostri frammenti una menzione. Non so se siano in altri musei con-
servate altre antiche sculture di ossidiana ; che però anche in età classica esse do-
vessero essere assai r.re, si deduce dalla menzione che ne fa Plinio, e che non è fuori
di luogo ripetere:
« In genere v i tri et obsiana numerantur ad similitudinem lapidis quem in Aethio-
« pia invenit Obsius nigerrimi coloris. aliquando et translucidi, crassiore visu atque
(') Per accertarmi della esatta identificazione del materiale feci ricorso alla cortesia e alla
dottrina dell' ing. Vittorio Novarese del R. Istituto geologico, che ringrazio. Non è naturalmente
possibile di designare il luogo di provenienza del materiale.
REGIONE I. — 409 — POZZUOLI
« in speculis parietum prò imagine umbras recidente. Gemmas multi ex eo faciunt,
« vidimus et solidas imagines divi Augusti, capaci materia huius crassitudinis, dica-
li vitque ipse prò miraculo in tempio Concordiae quatuor obsianos elephantos. Remi-
li sit et Tiberius Caesar Heliopolitarum caeremoniis repeitam in hereditate Sei eius
« qui praefuerat Aegypto, obsianam imaginera Menelai, ex qua apparet antiquior
« materiae origo. mine vitri similitudine interpolata « (Plin., Nat. Hist., XXXVI, 67).
Al giudizio enunciato da Plinio nell'ultima proposizione citata non si può forse
consentire; è più probabile che si siano ottenute prima figure a tutto tondo in vetro
per fusione e che poi siasi tentata, naturalmente non con lo scalpello ma con la ruota,
la ritrosa materia del vetro vulcanico (')•
Merita da ultimo ricordare che molti anni or sono, ponendosi mano ai lavori per
la costruzione di case nell'area della villa Ludovisi e proprio nella via che, costeg-
giando la villa, conduceva a porta Salaria, ossia sull'asse della odierna via Bon-
compagni, fu rinvenuta, a profondità archeologica, notevole quantità di ossidiana bruta
e più ancora di quella specie di lava, contenente nuclei di ossidiana, che è chiamata
perlite di Lipari. Di quest'ultima materia si ritrovò un blocco pesante quasi una
tonnellata. La notizia, che ritengo inedita, mi è stata favorita dal sig. barone Ales-
sandro Ostini che ebbe agio di assistere a quei lavori.
R. Paribeni.
Regione I (LATIUM ET CAMPANIA).
CAM PAN 1 A
IV. POZZUOLI — Rovine di un secondo anfiteatro.
I lavori della ferrovia direttissima Roma-Napoli, nell'attraversare il territorio
di Pozzuoli, al nord di questa città volgendo da occidente ad oriente, si sono im-
battuti, non appena con un cavalcavia oltrepassata la strada nuova della Solfatara,
in alcuni ruderi antichi, tra i quali hanno dovuto aprirsi un varco (fig. 1),
Tali lavori hanno richiamato l'attenzione di questa Sopraintendenza sovra quei
ruderi e, se non fu possibile di impedire che essi li attraversassero in trincea, si potè
trarne il vantaggio di esaminarli in condizioni migliori pel loro riconoscimento. Così
che ora noi siamo in grado di sciogliere uno dei più importanti quesiti della topo-
grafia puteolana, identificando ed ubicando uno dei suoi più grandiosi monumenti.
E, mentre sarà doverosa cura che. almeno in parte, esso sia restituito alla luce e
conservato, diamo qui per ora una breve notizia della scoperta, riserbandoci di comu-
nicare via via quanto gli ulteriori studi scavi ed assaggi permetteranno di precisare
intorno al prezioso rinvenimento.
(') Figure in vetro a tutto tondo sono note in numero assai scarso, e tutte sono di propor-
zioni molto piccole. Cfr. Amelung, Weiblicher Kopf aus Qlas, in Róm. Mitth., 1905, pag. 131.
POZZUOLI
— 410
REGIONE I.
I grandiosi ruderi trovansi a non più di cento metri a nord del noto monumen-
tale anfiteatro puteolano, a dritta di chi risale la strada nuova della Solfatara. Se-
polti sotto una ricchissima e potente vegetazione, nascosti da viti alte e da alberi
fronzuti presso che eternamente virenti, dove di alcuni metri emergenti per rovina
e franamento a valle di altre loro parti, come nel lato volto a mezzodì, dove affio-
FlG. l.
ranti, come nel lato di occidente, dove appena segnati sul suolo da linee rilevate
visibili solo ad una attenta ricerca, come nel lato volto a settentrione, quei resti
antichissimi non hanno richiamato, così come meritavano, l'attenzione degli studiosi
e dei dotti. Gli scrittori locali, fra cui alcuni eccellentissimi, non ne fanno parola (1).
11 Beloch non ne ha notizia ('). Il Dubois ne dà finalmente una sommaria descrizione,
ma, ingannato della forma che, a veder suo, le rovine assumevano ad oriente, deviò
t1) Loffredo, Antichità di Pozzuoli ecc., Napoli 1580; Mazzella, Sito ed antichità di Poz-
zuolo, Napoli 1571; Iorio, Guida di Pozzuoli e contorno, 1817, pp. 22 e 30; Paladini, Storia di Poz-
zuoli, Napoli 1828; De Criscio, Notizie istoriche, arch., togogr. ecc. dell'antica Pozzuoli, Na-
poli 1881. Cito i principali. Neppure il Paoli, Antiquit. Puteo!., Gumis, Bah existentium reliquiae,
Napoli 1768, ne ha traccia.
(*) Beloch. Campanien, Brcslan 1890 (2* ediz.), pp. 88-144.
REGIONB I. — 411 — POZZUOLI
le sue giuste considerazioni generali nella errata conclusione che potesse trattarsi di
un teatro (*).
Le rovine sono attraversate dalla trincea ferroviaria in direzione da ovest ad est.
A dritta (fig. 1), sgombrate da vepri e foltissime cadute di edera, sono visibili dieci
arcate che si dispongono ad ellissi ed banno una larghezza costante da pilastro a
pilastro, nella parte più esterna, di m. 3,60: delle volte, rastrematisi ad imbuto
e tutte convergenti verso un centro sepolto, sono sostenute da quegli archi e s'inter-
nano nelle terre: sulle arcate la fabbrica elevasi, sempre ad opera incerta, fin dove
essa attaccavasi alle altre superiori, ora precipitate e coperte. Le arcate, che conti-
nuano senza interruzione nel numero di dieci, oltre un frammento dell'undecima, non
sono poi per un tratto visibili : poi ne compaiono altre tre, oltre un frammento della
quarta ; ancora dopo una nuova interruzione, una di esse si mostra adibita a cellaio
e un'altra le è accanto, tutta visibile ; poi scompaiono nuovamente dove sepolte, dove
precipitate, fin che quasi nella estremità dell'asse orientale una ne riappare che appena
s'intravvede sotto l'alta ripa. A sinistra la rovina è più grande e si sarebbe
detta non identificabile; ma un saggio di scavo ha messo alla luce tre delle arcate,
delle quali due tenute su da pilastri e riempimenti operati in tempi posteriori e
recenti ; poi l'edifizio scompare mostrando solo in rilievo sul suolo la sua ellissi set-
tentrionale; poi una grande buca, da noi sondata, lascia apparire, sempre sulla stessa
curva, il sottostante ambulacro ; ed infine, dove l'estremità dell'ellissi orientale con-
giungesi da questa parte con l'altra emiellissi, prima la trincea, poi uno scavo da
me condottovi hanno permesso di mettere allo scoperto un breve tratto della cavea.
Così fu possibile, mediante un paziente lavoro di rilievo, compiuto dal funzio-
nario di questo Istituto sign. Francesco Scardamaglia, misurare e disegnare tutta l'el-
lissi della rovina, stabilirne definitivamente la forma e, quindi, la destinazione, e
dar notizia dell'orientazione sua e delle sue dimensioni, che non molto potranno va-
riare quando saranno, per gli scavi, conosciuti tutti i dati del solenne monumento.
Esso è, dunque, come la perfetta disposizione ellittica delle rovine hanno mo-
strato, un anfiteatro di discrete proporzioni (fig. 2 A). Ha l'asse maggiore in direzione
di nord-nord-est sud-sud-ovest, e misura, per quel che allo stato presente se ne può
stabilire, m. 130 in lunghezza per 95 approssimativamente in larghezza: non pos-
siamo per ora dar dell'arena alcuna certa dimensione, ma essa non dovette — attenen-
doci, per approssimazione, a quelle dell'antiteatro di Pompei, cui questo presso che
si eguaglia — misurare assai più che 69 metri in lunghezza per 34 o 35 in larghezza.
L'altro anfiteatro puteolano (fig. 2B) è alquanto più grande ed è, come si vede, in
direzione del tutto diversa. Le arcate sopra descritte sono in opera incerta, ma le
parti di essa superstiti sono così degradate che nulla per ora possiamo dire del loro
rivestimento : possiamo soltanto dire che esse sostenevano, intorno, i gradi della cavea
e che ad altre legavansi esteriormente in giro, tutte precipitate, verso il mezzogiorno,
dove la collina sensibilmente degrada.
(') Dnbois, Pouzzoles antique, Paris 1907, pp. 190, 103, 839.
Notizim Scavi 1915 — Voi. XII. 54
POZZUOLI
— 412
REGIONE I.
Ad oriente, un saggio di scavo praticato lungo la trincea ferroviaria (fig. 2 e)
ha messo in luce un tratto della parte alta della cavea (summa cavea), che ci per-
mette di dare qualche maggior notizia del nostro monumento. Intorno intorno, dietro
j"/w/« u. ì .T T T T <HrJHf-f-
Pio. 2.
di essa, girava un ambulacro in opus retieulatum largo m. 2,44, alto (dal pavimento
all'intradosso della volta) m. 3. Il pavimento è un battuto, assai spesso, di calce-
struzzo. Una cunetta per lo scolo delle acque gira lungo il muro di destra, incavata
in quel battuto per m. 0,35. Degli stretti vomitorl ad arco, alti m. 2, larghi m. 0,75,
distanti l'un dall'altro m. 7,55, si aprivano nella parete sinistra di questo ambulacro
sulla cavea, dando accesso ai vari cunei. La nostra fig. 3 mostra la parete ad opus
retieulatum coperta di stucco, dietro cui corre l'ambulacro, uno dei vomitorii ad arco
che danno accesso alla summa cavea, la scaletta fra due cunei e i gradi dei cunei
REGIONE I.
413
POZZUOLI
stessi. Questi vomitorii dovettero essere tutt'in giro in numero di quaranta, e non
meno di quarantuno quindi i cunei in questa parte alta dell'anfiteatro. I gradi super-
stiti della scaletta dissepolta misurano in media cm. 70 in larghezza per cm. 61 in
Fio. 3.
lunghezza ; e non minore è la larghezza dei gradi dei cunei. Ma tali particolari, di
cui lo scaro ci ha dato un saggio, saranno meglio accertati in seguito. Questi ba-
stano a dare una prima idea del nuovo anfiteatro puteolano.
Pozzuoli, la ricchissima e potente città della Campania, ebbe dunque due anfi-
teatri? Ormai ciò appare chiarissimo dalla nostra ricerca. Ma, prima di questo, un
POZZUOLI
— 414 —
REGIONE I.
singolarissimo monumento, un vaso di vetro rinvenuto ad Odemira nel Portogallo,
aveva rivelato la presenza di due anfiteatri in Pozzuoli (fig. 4). 11 Jordan però, nel
pubblicarlo, tolse in gran parte fede a quella preziosa rappresentazione, non in rap-
porto alla verità di essa, ma nei riguardi della sua precisione topografica. Che anzi,
pei due anfiteatri ivi raffigurati, argomentò che essi volessero semplicemente fare allu-
sione ai due generi di spettacoli di un unico edifizio di quella specie ('). Il Beloch
non mise in dubbio che il vaso di Odemira volesse rappresentare due anfiteatri effet-
tivamente esistenti allora in Pozzuoli, e pose, inoltre, in giusto rilievo le ragioni per
le quali fosse dovuto esistere in Pozzuoli, prima che il noto monumentale anfiteatro
costruito al tempo dei Flavii, un altro anfiteatro più antico: credette, però, che si
dovesse cercarlo nella parte bassa della città (*). Il Dubois, infine, aderendo all'opi-
nione del Beloch sulla esistenza dei due anfiteatri e sulla fede da accordare alla rap-
QOOQOOOQi
BeÌOg3©p®BS|
Fio. 4.
presentanza del vaso di Odemira, non si decise ad accordar fede intera anche alla
precisione topografica di quella rappresentanza. Così, pure avendo notato che le nostre
rovine avrebbero corrisposto assai bene a quelle indicazioni, e rigettata l'opinione del
Beloch che dovesse cercarsi l'altro anfiteatro nella città bassa, concluse, per suo conto,
che, data la forma delle nostre rovine là dove son toccate dalla via Vigna, dovesse
piuttosto vedersi in questa parte orientale delle rovine la scena e, nel resto, l'emi-
ciclo di un teatro (3).
La verità è che della precisione topografica di quella rappresentanza contempo-
ranea non avrebbe dovuto mai dubitarsi e che il nostro trovamento viene a confer-
marne tutta la veridicità, non solo rispetto ai due anfiteatri, ma anche agli altri
edilìzi di Puteoli in essa indicati. L'artefice può aver scelto, nel rappresentare quella
veduta del grande emporio campano, i maggiori edifici compresi nella zona rappre-
sentata; ma essi dovettero da lui esser disposti come, da un punto scelto, essi suc-
cedevansi ed eran collocati nella realtà. L'opus pilarum è rappresentato difatto come
visto dal mare e da vicino, tutto a destra protendentesi nelle acque e con la ric-
C) Archatologische Zeitung, 1868 (XXVI), tav. LT, pp. 91 e seg.
(•) op. cit., pp. 137-138.
(») op. cit., pp. 190-193 e 339.
RBGIONK I. 415 POZZUOLI
chissima serie dei suoi adornamenti : gli archi, le colonne, la grande porta sulla ripa.
Il teatro è in basso, presso che su questa ed a sinistra ; né vi è dubbio che ivi esso
debba cercarsi. Ed uno degli anfiteatri è più in alto, come nel secondo ripiano della
collina, dove esso è effettivamente. E l'altro è ancor più sopra, verso il nord, come
in un terzo ripiano, ed è ivi che in effetti noi oggi lo abbiamo rinvenuto.
Nel vaso d'Odemira, l'anfiteatro che risponde alla grandiosa costruzione del tempo
dei Plavii porta rappresentato nel centro un flagello, mentre l'altro ha una palma.
Dobbiamo noi ritenere che l'uno fosse più specialmente destinato ai giuochi delle
bestie feroci, mentre il nostro servisse a quelli dei gladiatori? È possibile di ritenerlo
pei tempi posteriori ; e la costruzione dell'arena nell'anfiteatro già noto può giustifi-
care un più speciale uso ai giuochi delle belve. Ma certo è che questi furono cele-
brati anche in quello da noi ora scoperto. Che anzi le rovine che ora tornano in
luce sono illustri per avvenimenti storici, di gran lunga più importanti e famosi ( ' ).
Celeberrimi ludi chiama Svetonio i giuochi che, ai tempi di Augusto, davansi in
Pozzuoli nel nostro anfiteatro (l'altro ancora non era sorto) ; e la frequenza degli spet-
tatori su quei gradi, di cui noi abbiamo oggi finalmente scoperto un lembo, era così
grande che un senatore romano, in uno di quegli spettacoli, non riuscì ad esservi
accolto. L'iniuria fu grave e mosse Augusto a correggere ed ordinare il costume del-
l'assistere agli spettacoli teatrali (*).
Ma un avvenimento anche più grande ci attesta la celebrità del nostro anfi-
teatro nel mondo romano, poi che, quando Teridate, destinato re dell'Armenia, con
la moglie i figliuoli ed altri principi venne in Italia per ricevere il diadema, Ne-
rone fece ivi in onor suo celebrare i giuochi gladiatoria Ne sostenne le spese il suo
liberto Petrobio; la magnificenza ne fu così grande, che per un giorno, nessun altro
entrò nell'anfiteatro che non fosse di Etiopia, uomini donne fanciulli; uè basta: che
lo stesso Teridate, per onorare il liberto, dal suo seggio saettò le fiere, e due tori
in un sol colpo ferì ed uccise (3).
V. Spinazzola.
(■) La verità del vaso d'Odemira va fino al punto di segnare sotto l'anfiteatro superiore una
sostruzione, un muro di sostegno che certamente l'anfiteatro da noi scoperto ebbe effettivamente.
Esso, quindi, acquista un grandissimo valore per la topografia degli altri monumenti in esso indi-
cati, il solarium, le thermae Trajani, il theatrum, i quali vanno cercati là dove la rappresentanza
li pone. E s» questo è rappresentato col dorso dell'emiciclo volto a chi guarda, questo è partico-
lare tutt'altro che trascurabile e insignificante per la ricerca.
(•) Svet. Aug. 44.
(3) Dion. Casa. LXIII, 3.
POMPEI — 416 — REGIONE I.
V. POMPEI — Continuazione dello acavo nella via dell'Abbondanza
durante il mese di settembre 1915.
a) Scavo della via propriamente detta.
Si è continuato a scavare per rari altri metri la parte alta della via, rimuovendo
soltanto il terreno vegetale e la cenere, senza che però comparisse neanche la parte
alta delle fronti degli edificii di quelle isole.
b) Scavo della reg. Ili, ins. II, n. 1 (casa di Trebio Valente).
È stato terminato interamente lo scavo dell'atrio {a in tig. 1), del quale rima-
neva coperta dal materiale eruttivo ancora buona parte della metà occidentale. E
con questa parte dell'atrio sono stati dissotterrati inoltre gli ambienti g, h, l, sul lato
sinistro di esso; inoltre l'ala sinistra m ed il tablino n, del quale precedentemente
era stata scavata soltanto la parte anteriore; inoltre è tornato in luce il corri-
doio f, in tutta la sua lunghezza, a noi già noto nella sola parte verso l'atrio, e la
cucina o.
La parte occidentale dell'atrio ha pareti rustiche, come quelle degli altri lati.
Unico ornamento di esso erano le mostre esterne degli stipiti del tablino, dipinte
a fondo nero con sopra dei graziosi filari verticali di foglioline d'edera. Immediatamente
a sinistra dell'atrio si apre su di esso una stanzetta g. dalle pareti rustiche tranne
un alto zoccolo, il quale senza avere il fondo dipinto, è però diviso in riquadrature
per mezzo di sottili fascettine nere. Segue a sin. nell'angolo sud-ovest dell'atrio, e
con accesso da questo, una scaletta h a due branche, che montava a un piano superiore.
La prima branca, addossata alla parete occidentale, in muratura, è tuttora conser-
vata; della seconda che era in legno e addossata alla parete orientale, si vede la
traccia su questa. Il sottoscala era adibito ad apotheea.
Il cubicolo l, che si apre sul lato in parola dell'atrio, è uno dei più interessanti
ambienti tra quelli finora scavati di questa casa. Con pavimento di calcestruzzo, ha le
pareti decorate nel 2° stile, e presenta tracce evidenti della volticina sopra il posto del
letto dinanzi alla parete settentrionale e della piattabanda sulla parte anteriore (vedi
in fig. 2). Le pareti sono divise in grandi rettangoli rossi nel campo principale; in
piccoli rettangoli imitanti dei marmi variopinti nel fregio ; in rettangoli variamente
colorati e di media grandezza nello zoccolo. La parete settentrionale, dinanzi alla
quale era posto il letto, è decorata inoltre con la imitazione di due graziose colonnine
poggianti sullo zoccolo, dal fusto baccellato, dal capitello corintio, nella parte alta
del quale è una testina umana. Nelle due pareti ai lati di questa, e presso questa,
REGIONE I.
417 —
POMPEI
due altre colonne, però elevantisi fin quasi dal suolo, con fusto parimenti baccellato.
con capitello a larghe foglie, e tutte e quattro decorate con larghe foglie nella parte
inedia e nella parte bassa del fusto.
fO A(
Fio. 1.
L'ala sinistra, m, ha pavimento di signino, e le pareti con decorazioni di 3° stile
a fondo bianco, tranne nello zoccolo che è rosso e decorato con le solite piante. Il
campo principale è diviso in riquadrature, tre per ciascuna parete, mediante esili
colonnine gialle, ciascuna delle quali reca nel mezzo un uccello beccante una pian-
ticella o un frutto. La riquadratura media della parete di fronte reca però una pan-
tera di profilo a destra. Nel fregio leggiere architetture fantastiche, decorate con lunghi
festoni.
Il tablino n, come si è già detto nel precedente rapporto (pag. 342), comuni-
cava col peristilio solo per mezzo di un grande finestrone. Le pareti laterali, delle
POMPEI
418 —
REGIONE I.
quali già era tornata in luce la parte alta, ora completamente liberate dal materiale
Fio. 2.
eruttivo, mostrano pienamente la loro bella decorazione di 3° stile. Purtroppo la
parete di sinistra è stata trovata rotta in più parti ed abbattuta; ora però si sta
procedendo al restauro dei pezzi qua e là rinvenuti. Il campo principale di eia-
RRGIONB I. — 419 — POMPEI
scuna però, reca nel mezzo un baldacchino sorretto da quattro esili colonnine,
bianche le anteriori, bigiognole le posteriori, col fondo nero in mezzo al quale un
quadretto rettangolare (m. 0,36 X 0,315) I due spazi rettangolari ai lati del baldac-
chino sono rossi, e ciascuno reca nel centro una graziosa Psiche volante. Quella destra
della parete sinistra, la sola relativamente ben conservata, è rappresentata nell'atto
di sonare la cetra. Quella di destra della parete opposta pare sonasse i cròtali. Il
fregio è bianco e decorato con architetture fantastiche, festoni e maschere sospese.
Nel mezzo poi un quadretto, che esibisce su fondo nero un uccello beccante frutti
(così almeno sulla parete destra). Tra il fregio e le grandi riquadrature è una piccola
fascia nera su cui uccelli e frutti.
Il quadretto sotto il baldacchino della parete di destra esibisce un grosso Sileno
sdraiato a destra, nudo tranne un manto rosso avvolto intorno alle gambe, il quale,
appoggiato col gomito sinistro a un rialzo, eleva la destra che forse stringeva un
vaso. In fondo monti e alberi.
Il quadretto opposto, frammentato nell'angolo inferiore destro, rappresenta Dionyso
sdraiato, forse, su un rialzo roccioso. Questi, nudo, tranne un manto verde foderato
giallo, che, cadendo dalla spalla sinistra, scende giiì avvolgendogli la parte inferiore,
stringe con la sinistra il tirso appoggiato alla spalla corrispondente, e con la destra
una patera, con la quale porge da bere alla sua pantera. Il dio è coronato di pam-
pini; ha i capelli cadenti in riccioli sul collo; ha fattezze quasi muliebri; guarda
in alto a sinistra. A destra, forse sospesa a un tronco, una maschera gialla ; in fondo
un monte a sinistra, un albero verso il centro.
Lo zoccolo è nero e decorato con filettature bianche.
Oggetti.
In questa stessa casa, presso la parete sinistra dell'atrio, una patera di bronzo
dal labbro decorato con striature verticali ; basso piede circolare ; ansa piatta orizzon-
tale con foro di sospensione, decorata con un globetto nella estremità ; lunga m. 0,23,
larga m. 0,13. Presso lo stipite destro dell'ala sinistra, insieme con gli avanzi di
una cassetta (?) di legno, i seguenti oggettini di bronzo : due anellini per tenda,
larghi m. 0,03 ; due altri larghi m. 0,023 ; un quinto, largo m. 0,02, che, allargato
in una parte, sembra piuttosto un anello per dito; due anellini riuniti insieme da
un perno, lunghi totalmente m. 0,04; piccolo cilindro, alto m. 0,015, decorato con
striature, e con vuoto quadrato all'interno.
Pure nell'atrio, a destra del primo vano di sinistra, una catenella di bronzo munita di
un'asticella in un'estremità, asticella alla quale è sospeso un anello. In fondo al tablino,
due avanzi di catenella di bronzo; altra catenella, alla quale sono sospesi un'asti-
cella munita, nelle estremità, di anelletti di sospensione, e un lungo anello parimente
di sospensione, foggiato a 8, al quale sono infilati due anelli semplici. Inoltre due
anelletti riuniti da un perno; un cilindretto alto m. 0,02, decorato con striature. Ade-
renti al piede della parete destra dell'ala sinistra si trovano tuttora, ad essa legati
dall'ossido, una accetta doppia di ferro con tagli in direzioni opposte, e una ronca
parimente di ferro. Q. Spano.
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 85
POMPEI — 420 — REGIONE T.
Continuazione della esplorazione nella predetta via dell' Abbondanza.
Scavi eseguili nel mese di ottobre 1915.
À) Scavo della via propriamente detta.
Avendo la on. Direzione stabilito di riprendere le esplorazioni nella parte bassa
delle terre che tengono tuttora per metà sepolta la via tra le fronti opposte delle
isole III della reg. II a sud, e III della reg. Ili a nord, si è dovuto, nella prima
quindicina del mese, aprire una trincea in discesa e collocarvi i binarii della fer-
rovia Decauville fino a raggiungere l'estremità occidentale delle indicate isole. Di
qui dunque si è ripreso ora il disterro dello strato di lapillo interrotto 18 mesi fa
(cfr. rapporto del mese di giugno 1914), e nella seconda quindicina si sono scoperti
alcuni programmi elettorali che saranno or ora riprodotti.
B) Scavo della casa n. 1. ins. II. Reg. IH (casa di Trebio Valente).
Portatosi a compimento lo scavo dell'atrio, si è investita, a nord, un'altra zona
di terra dell'ampiezza di m. 6, e propriamente quella che nasconde il lato meridio-
nale del peristilio del quale ora cominciano a vedersi sporgere tre colonne, rivestite
di stucco bianco, a tergo del tablino. Mentre qui il disterro ha appena raggiunto lo
strato del lapillo, si è interamente sgombrato quell'ambiente ad occidente del tablino,
solo in parte scavato il mese scorso, e che ora è chiarito essere uriexedra, aperta
per tutta la sua ampiezza nell'angolo sud-ovest del peristilio, lìexedra in parola, di
pianta rettangolare e dal pavimento di signino, reca sulle pareti una nobile decorazione
di III stile (fig. 3), ha decorazione consistente in uno zoccolo nero scompartito in riquadri
mercè semplici listelli ; in un fregio a fondo bianco con rare prospettive architetto-
niche animate da festoncini, maschere pensili aquile e grifi ad ali spiegate; e in
una zona intermedia sobria ed elegante. Questa consta, per ciascuna parete, di tre
grandi riquadrature (verde quella di mezzo, rosse le laterali) contornate da fascioni
neri adorni di fregi gialli, e fra loro separate da snelle colonnine bianche dai fregi
metallici. Al centro delle riquadrature medie campeggiano gruppi di oggetti e vasi
agonistici; al centro delle laterali, fagiani e cigni volanti. Chiude in alto la zona
intermedia una fascia sulla quale sono rappresentati, in tanti quadretti a fondo nero
(4 per ogni parete), gruppi di colombi apricanti e beccanti, o di anitre natanti nello
stagno (fig. 4; cfr. fig. 3, in alto, ad.); e quadrupedi in caccia, come una pantera
che raggiunge e sbrana un cerviatto, un cane che sta per lanciarsi su d'un coniglio
(fig. 3, in alto, a sin.).
Travamenti, iscrizioni.
(6 ottobre). Durante il lavoro per l'apertura della trincea avanti indicata,
verso l'estremità orientale dell'isola IV della reg. II, si è raccolto, nelle terre
alte, il collo di un oleate di terracotta, alto m. 0,10 e di forma conica, il cui
REGIONE 1.
421 —
POMPBl
Fio. 3.
POMPEI
— 422 —
BIGIONE 1.
orlo, rientrando per quattro lati, risulta a quattro beccucci : alla base, slargata, reca
un giro di unghiature che si ripete a metà dell'altezza in un altro cordone slargato;
fra i due cerchi di unghiature la superficie è inoltre decorata di uno zig-zag a stretti
angoli verticali, praticato con la stecca nella creta ancora molle. Il collo così de-
scritto fu lavorato a parte, e poi saldato alla superfìcie sferica, tornita, del recipiente,
del quale si conservano solo tenui avanzi.
Fio. 4.
(9 ottobre). Reg. II, ins. Ili, n. 5. Davanti ^a questo ingresso, all'altezza dell'ar-
chitrave, si è rinvenuta una boccettina di vetro, alta m. 0,073. Sopra il pilastro si-
nistro del successivo vano d' ingresso n. 6 è ritornato in'luce^il seguente programma
elettorale :
1)
C • CALVENTIV'M
SITT1VM • MAGNVM
ÌTVIR.l D-Cf
(14 idem). Reg. II, ins. Ili, n. 5. Sulla parete a d. dell' ingresso, in alto, si
è letto il programma evanido, nero,
2)
VETTIVMjfIRMM
ÀEDCf
RBG10NK I. — 428 — POMPBI
(14 ottobre) A sin. dell'ingresso n. 3 della stessa isola, in alto, si è scoperto
un programma antiquissimum, la cui lezione è sicura tenendo presente il programma
C. I. L., IV, n. 42 (cfr. Addit., pag. 190) :
3) M-W-IIVOVF
cioè: M. Tul(ium) IIv(irum) o. v. f. Sopra una tabella biansata bianca, la quale
copre quasi in tutto il precedente programma, quest'altro fu tracciato:
4) CN • HELVIVM-SABIN
AED • CRESCENS • ROG
A sinistra del n. 5, tracce evanide, di quest'altro, nero:
5) VETTIVM
(16 idem). Reg. Ili, ins. III. Sul pilastro di tufo tra i vani d'ingresso n. 1 e 2,
si è scoperto un programma pertinente a N. P(opidio) H(ufo), la cui abitazione non
doveva trovarsi molto lontano di qui, vista l'acclamazione dei suoi vicini:
6) N ' P R- IIVIR
VICINI- ROG
Immediatamente al disotto del precedente programma, questo altro si è letto:
7) A ■ SVETT1VM ■ VERVM
AED • G/ • • ■ CT • • VS
VETERARIVS ROGAT
Sono riusciti inutili i reiterati tentativi di leggere il nome di questo pompeiano
(ciabattino?): per Veterarius = veteramentarius, qui circa res velerei occupatur,
sarcitor, speciatim qui veteres calceos refìcit. Cfr. Forcellini, Lex., s. v.
Da un operaio è stato raccolto, in terreno di riporto, presso porta Stabiana, un
medio bronzo di Antonia Drusi, coniato sotto Claudio (Cohen, Ant. D., n. 6).
(18 idem). Reg. II, ins. III. Sul marciapiede, davanti al n. 1, si è trovato un
medio bronzo di Claudio (?) contorto, dal tipo della Libertas Augusti (Cohen, CI.,
cfr. n. 47).
Sulla parete a sin. dell'indicato ingresso, una ulteriore ispezione ha permesso
ora una più completa e definitiva lettura del progr. n. 9 del rapporto di gennaio 1915:
8) ML1CINIVMMF
ROMANVM • IVVENEM ■ AEDI [leni]
V ASPPDR[p. o. v]¥
POMPEI — 424 REGIONE l.
A sinistra di questo programma vedonsi scarse tracce:
9) VERVM^
Reg. II. ins. II, n. 5. Sulla parete a d. del vano d'ingresso si sono letti i
seguenti quattro titoletti graffiti, l'uno dall'altro staccati :
10) FIRMVS 11) SIIPTVNVS
12) M6LGS 13) SAòJ(»w)S
Sull' alto zoccolo a destra del successivo n. 4, una ulteriore ispezione della
parete ha condotto a leggere correttamente l'epigrafe già pubblicata nel rapporto del
mese di maggio 1914, al n. 36, in questo modo:
14) vicinTirivs
(20-30 ottobre). Reg. Ili, ins. II, n. 1. Nel cubicolo di II stile sul lato occi-
dentale dell'atrio, accurate e più volte ripetute ispezioni delle pareti hanno condotto
allo scoprimento di alcune iscrizioni graffite, alcune delle quali tracciate in lettere
meno che capillari e quasi invisibili.
Sul riquadro rosso della parete orientale si legge:
15) X K FE^RÀ
VRSA PEPERIT D1EM
IOV1S
ed immediatamente a sinistra:
16) X K FEÒvR
ssalitAst
trvlAam arggntcam
D H C
mentre al disotto si legge quest'altra:
17) X K
NONGMÒJIIS
SALITA €ST
V. A LUANA A (??)
Sul riquadro destro, rosso, della parete settentrionale, in grosse lettere, alte
m. 0,02,
18) NTiAs {Antiat?)
REGIONE I. — 425 — POMPEI
e più sotto, all' estremo margine destro, oltre a deboli tracce di lettere incompren-
sibili,
19) vjAlgn DoIiiiin
nàlgns romina essgm
SALVJTGM ROGÀM(«A*'?)
Sul riquadro destro, rosso, della parete opposta, finalmente, delle lettere alfa-
betiche senza nesso :
20) A
ABMHV
Degna di considerazione è l'epigrafe 19. Che la casa appartenesse ad A. Trebio
Valente, era cosa già accertata dal testo di parecchi programmi elettorali scoperti
sulla facciata esterna (cfr. Notizie 1914, pp. 76, 109, 110. 152 e 153); la pic-
cola iscrizione 19 ce ne viene ora a dare la conferma: essa infatti è un'apostrofe
che una donna rivolge precisamente al proprietario Valens.
Sulla parete occidentale dell'ambiente rustico all'angolo sud-ovest dell'atrio,
presso i gradini della scala, fu tracciata col carbone l'epigrafe
21) LAS
M. Della Corte.
*
Continuatone dello scavo nella predetta via dell' Abbondanza, durante
il mese di novembre 1915.
a) Scavo della via propriamente detta.
Continuandosi il lavoro già cominciato nell'ottobre scorso, cioè di togliere il
lapillo che tuttora ingombrava la parte bassa della via tra l' isola III della regione III
a settentrione, e l'isola III della regione li a mezzogiorno, detta via è stata esplo-
rata per la lunghezza di circa otto metri. Nel fare ciò, sono tornate a luce le seguenti
iscrizioni.
Sul pilastro di tufo a destra del vano n. 2 isola III, regione III, sopra uno strato
di pittura bianca, in lettere nere:
!> C'LOLLIVM
FVSCVM » AED > 0/>
Sul pilastro a destra del vano n. 4, is. Ili, reg. Ili, sopra uno strato di calce,
in lettere rosse:
2) ceivìc:;.?.
POMPEI — 426 — REGUONB I.
Sotto lo strato di calco, su cui è questa iscrizione, compariscono appena appena
le lettere nere di una più antica iscrizione:
3> mPIDIVMAED
R>D>0>V>F>
Più giù, in grandi lettere nere, sbiadite :
4> SITTIVM
Di fronte, a destra del vano n. 2, is. Ili, reg. II, in lettere nere sopra uno strato
bianco :
5) CEIVM'iwvm,
bENEMERENTEM > ROG
Sul pilastro a sinistra dello stesso vano, in lettere rosse, direttamente sul tufo :
6> L>C>S>T!>VIR>OP
Immediatamente al disotto, sopra uno strato bianco, in lettere nere:
7> HOLCONIVM
D>I>D>D>R>P>0>V>F>
Oggetti.
Immediatamente dietro la soglia del vano testé mentovato, n. 2, is. Ili, reg. II,
il giorno 10 del mese, è stata rinvenuta una grande quantità di oggetti, i quali
erano evidentemente contenuti in una cassa di legno caduta a piombo dal piano
superiore per il crollamento dell' impiantito. La esistenza, per il passato, di questa
cassa, è stata provata dalla impronta lasciata nella terra da uno dei suoi lati, il quale
era esternamente decorato con zone verticali rilevate, a mò di lesene. Fo qui l'elenco
degli oggetti. Bromo : Casseruola a recipiente cilindrico, leggermente arrotondato, alto
m. 0,06, decorato con striature orizzontali sotto il labbro ; con manico orizzontale
piatto, arrotondato nella estremità, che è munita di foro di sospensione; lunghezza
m. 0,22. Casseruola quasi simile alla precedente alta m. 0,085, lunga in. 0.243. Cola-
brodo a recipiente quasi emisferico dai forellini formanti una specie di stella al centro
con intorno un meandro e dei cerchi orizzontali; il manico, orizzontale e piatto, forma
una specie di maniglia nella estremità decorata con piccole volute; lunghezza
m. 0,305 — Ferro: Lucerna monolychne, lunga m. 0,12, priva di qualsiasi orna-
mento — Vetro : Grande e bella coppa di vetro turchino, rotta, inferiormente emisfe-
rica, cilindrica nella parte superiore, decorata con grosse baccellature verticali rastre-
raantisi di sotto verso il centro esterno; altezza m. 0,085, diametro m. 0,187. Coppa
di vetro incolore, a recipiente inferiormente emisferico, cilindrico in alto, con labbro
RBGIONB I. — 427 — POMPEI
a risvolto esterno, basso piede circolare; diametro m. 0,11. Coppa quasi simile alla
precedente, rotta, diametro m. 0,105. Coppa della stessa forma, di vetro verde; dia-
metro 0,075. Coppa dello stesso tipo, parimente di vetro verde; diametro m. 0,07.
Coppa dello stesso tipo, di vetro incolore con labbro a risvolto esterno ; diam. 0,07.
Coppa uguale alla precedente, rotta in più pezzi. Coppa di vetro azzurro a recipiente
inferiormente emisferico, molto rigonfio e sporgente in fuori nella parte superiore, con
basso piede circolare; diam. della bocca m. 0,12. Coppa di vetro verdognolo a reci-
piente cilindrico, labbro sporgente orizzontalmente in fuori, rotta in più pezzi ; dia-
metro della bocca m. 0,125. Piccola coppa di vetro turchino con recipiente a tronco
di cono capovolto; labbro a imbuto; basso piede circolare ; diam. della bocca m. 0.68.
Coppa di forma e colore simili alla precedente, ma più piccola; diam. della bocca
m. 0,075. Coppa di vetro azzurrognolo, nella forma simile alla precedente; diam. della
bocca m. 0,085. Coppa di vetro turchino, piccolissima, con basso recipiente cilindrico,
largo labbro sporgente orizzontalmente, fondo piatto; la superficie esterna è decorata
con un sottilissimo cordoncino bianco a spira, parimente di vetro; diam. esterno della
bocca m. 0,083. Graziosa coppa di vetro color granato oscurissimo, di forma semio-
voidale, priva di anse, e di piede, senza labbro sporgente ; diam. della bocca m. 0,082.
Utensile di vetro verdognolo a recipiente cilindrico con fondo rientrante, interamente
aperto di sopra, con labbro orizzontale spoi gente in fuori; aveva un'ansa sola, della
quale rimane solamente un poco, piatta e slargantesi nell'attaccatura; il vaso aveva
quindi la forma di una casseruola; è rotto nel labbro; diam. esterno della bocca
m. 0,105, altezza m. 0,064. Piatto di vetro azzurrognolo con bassa parete legger-
mente inclinata all'esterno; diam. esterno della bocca m. 0,22 (fig. 5). Piatto di vetro
verdognolo, a fondo alquanto imbutiforme, poggiante sopra basso piede circolare; ha
bassa parete e labbro con risvolto esterno; diam. esterno della bocca m. 0,164. Piattino
di vetro leggermente rossiccio, uguale nella forma al precedente; diam. esterno della
bocca m. 0,117. Piattino di vetro color granato chiaro, uguale nella forma al prece-
dente; diam. esterno della bocca m. 0,12. Tre fondi di bottigliette di vetro azzur-
rognolo, arrotondati, senza piede — Terracotta aretina : piatto con parete verticale
a sezione prismatica, con basso piede circolare; sul fondo interno, in pianta pedis,
CN • RM
diam. esterno della bocca m. 0,175 — Terracotta ordinaria: piattino di argilla quasi
cruda, con parete laterale imbutiforme, labbro orizzontale sporgente in fuori, con
vernice color castagno; diam. esterno della bocca m. 0,164; sul fondo interno la
marca
TMIC(?)
Piattino quasi simile al precedente, con marca illeggibile sul fondo interno; diametro
esterno della bocca m. 0,14. Piattino della stessa forma, verniciato in nero lucido,
con un dischetto impresso nel centro decorato con una stella (tutti e tre i piattini
recano sul labbro in rilievo un motivo a doppia voluta); diam. esterno della bocca
m. 0,112. Piattino dello stesso tipo, parimente verniciato in nero lucido, con marca
Notizie Scavi 1915 — Voi. XII. 66
POMPEI — 428 — REGIONE 1.
illeggibile sul fondo interno; diametro esterno della bocca m. 0.10. Piattino della
stessa forma con vernice color castagna, marca illeggibile sul fondo interno, due volu-
tine sul labbro; diam. esterno della bocca m. 0,08. Vasettino di uguale argilla
a tronco di cono capovolto, fondo piatto, tutto aperto di sopra, con basso labbro
a parete verticale; è dipinto a vernice nera lucida; sul fondo interno è impresso un
dischetto recante una stelletta; diam. esterno della bocca m. 0,126. Vasettino uguale
al precedente, tranne nel labbro che è inclinato all'esterno ; diam. esterno della bocca
m. 0,137. Vasettino del tipo dei due precedenti, come il primo a basso labbro ver-
ticale, e verniciato in nero; diam. esterno della bocca m. 0,082. Vasettino del tipo
■ Fin. 5.
dei precedenti, con recipiente alquanto arrotondato ; labbro orizzontale decorato con
doppie volutine in rilievo; vernice nera; diam. esterno della bocca m. 0,07. Tazzina
di terracotta rossiccia a corpo quasi sferico, fondo piatto, con un'ansa sola a corpo
circolare, impostata verticalmente con doppia attaccatura; decorata nella pancia con
filari orizzontali di piccoli incavi fatti a colpi di stecca ; alt. m. 0,084. Diam. esterno
della bocca m. 0,065. Marmitta di terracotta rossiccia ordinaria, cilindrica in alto,
a cono rovesciato nella parte inferiore; con labbro orizzontale, sporgente; diam. della
bocca m. 0,28. Coperchio di terracotta ordinaria, a forma quasi di cupola, largo m. 0,14.
Altri otto coperchi a segmento sferico, con pometto in alto: il più largo misura
m. 0,15. Vaso per versare a pancia quasi ovoidale alto collo cilindrico, con un'ansa
sola a nastro, impostata sulla spalla e sotto la bocca ; altezza m. 0,335. Vaso simile
al precedente, alto però m. 0,375, recante in nero, sull'alto della pancia,
r-F-KOM[>]
KÀV[n]
[ex] O F F I C [tna\ Il UH (Cfr. C.I.L.1V, Suppl. II, 5687, ecc.)
Il giorno 12, nel vano n. 3, is. Ili, reg. Il, a circa due metri dal suolo, una
campanella di bronzo, cilindrica, alta m. 0,09.
REGIONE III. — 429 — REGGIO DI CALABRIA
b) Scavo della casa n. 1, ins. II, reg. Ili (casa di Trebio Valente).
È tornata in luce buona parte del lato anteriore del peristilio; però il suolo
antico resta ancora interrato per un'altezza maggiore di un metro. Si è liberata la
parte superiore di tutte le colonne del portico anteriore, le quali sono quattro, e di due
dei lati destro e sinistro. Queste colonne sono collocate a lunghi intervalli ; sono di
mattoni con rivestimento di stucco bianco, senza baccellature. La sola colonna del
lato destro conserva il suo capitello, che, parimente di stucco, arieggia il tipo dorico.
Su le due colonne di destra — una delle quali è quella della estremità destra del
portico anteriore, colonna angolare — si è conservata la trabeazione in muratura,
sotto la quale è stato, naturalmente, rimesso l'architrave di legno, trabeazione la
quale conserva nella parete interna i fori circolari pei travicelli già sostenenti il tetto
dell'ambulacro destro, tetto del quale si vanno rinvenendo numerose tegole più o
meno rotte. Tanto l'ambulacro anteriore quanto quello di destra sono larghi, in media,
ra. 3.55. L'ambulacro di sinistra è invece largo appena m. 1,10. Le pareti del peri-
stilio conservano solo in parte la decorazione dipinta, sparita quasi in tutto con la
caduta dello intonaco. Questa decorazione è, nel campo principale (il solo del quale
possiamo giudicare), a fondo nero con riquadrature limitate da fascettine cilestri. Nulla
avanza del fregio, dal quale le riquadrature erano separate da una fascia rossa. Dietro
l'ambulacro sinistro comparisce un piccolo ambiente comunicante per un piccolo vano,
con l'ambulacro stesso, e, per un altro vano parimente piccolo, col prolungamento che
l'ambulacro anteriore forma a sinistra, dinanzi all'elegante stanza che trovasi ad occi-
dente del tablino.
Sulla colonna nell'angolo sud-ovest del peristilio è dipinta una M alta m. 0,035;
sotto di questa, una S alta m. 0,05, a sinistra della quale pare sia dipinta una I .
G. Spano.
Regione III (LUCANIA ET BRUTTI1).
BRUT TU.
VI. REGGIO DI CALABRIA — Forma fittile acquistata pel Museo
civico.
Poco tempo addietro venne acquistata pel locale Museo civico, su proposta del
prof. comm. P. Orsi, la parte superiore di una forma fittile che qui riproduco (fig. 1).
Fu data assicurazione che fosse stata rinvenuta sulle alture sovrastanti a
Reggio.
Interessante è la presente matrice per l' imagine che serve a riprodurre. Essa è
di un guerriero combattente, molto simile a quella già nota che vedesi sul rovescio
di alcune monete dei Mamertini ('). Il giovine porta in testa l'elmo ; al braccio sinistro
(') Head, Hittoria numnrum*, pag. 156; Hill, Coins of ancient Sicily, pag. 217, tav. XIV 19;
Tropea, Numutmatica ticeliota del Multo Mandralisca in Cefali, pp. 27 seg.
REGGIO DI CALABRIA — 430 — REGIONE III.
lo scudo ; con la mano destra abbassata impugna la lancia, spingendosi verso la parte
destra. Diversamente che nelle monete, ha di più indosso la clamide svolazzante.
Tanto nella forma quanto nei conii, nei quali essa almeno nei trattati che ho
a disposizione) è indicata col nome generico di guerriero combattente ('), non esi-
terei a riconoscere la figura di un giovine Marte, ossia di quella divinità che ebbe
culto fiorente (*), e forse massimo (3), presso i Mamertini.
Fio l.
Circa la provenienza, essa non sorprenderebbe per nulla se fosse realmente dalle
alture di Reggio, essendo stati i Mamertini non solo congiunti ma anche alleati dei
Campani, che pure governarono questa città (4).
N. Potortì.
(') Head e Tropea, loc. cit.; in Hill, loc. cit., non vedo descritta la figura.
(*) Ciaceri, Miti e culti della Sicilia antica, pag. 175.
(3) Da Marnerà, forma osca di Mars, deriva, come è risaputo, il nome dei Mamertini (cfr. in
proposito Mommsen, Die unteritalischen Dialecte, pag. 276; Zvetaieff, Inscriptionet Italiae infe-
riori* dialecticae , pag. 128); e molto frequente è la testa della medesima divinità nel dritto delle
monete dei Mamertini stessi.
(*) Polibio, I, 7,8; id., Ili, 26, 6; Diodoro, XXII, 1, a, seg. ; Livio, XII, 28, 81-82; Mommsen,
Storia romana (trad. Sandriui), I, pag. 398; De Sanctis, Storia dei romani, II, pag. 396 (cfr. anche
Pauly-Wissowa, II Real. Bncyclopaedie ser., 1, col. 500; Head, loc. cit.). Per la dominazione campana
in Reggio, cfr. anche quanto io stesso ho ricordato in queste stesse Notizie, 1918,'pag. 160, ed in
Neapolit, II, pag. 103; ivi anche la bibliografia.
SICILIA — 431 — MOZIA
SICILIA.
VII. MOZIA — Prime note sugli scavi eseguiti negli anni 1906-1914.
La storia delle diverse opinioni sul sito di Mozia, la conferma dell* idea del
Cluverio che dovesse identificarsi con l' isoletta di S. Pantaleo nello « stagnone » di
Marsala, ed infine una larga ricostruzione degli avvenimenti storici e della topografia
di questa colonia fenicia della Sicilia, fornirono larga materia trent'anni or sono ad
un libro assai minuzioso del Coglitore (') nel quale furono anche raccolti gli elementi
archeologici allora noti.
Trattavasi però di ben poca cosa: qualche avanzo delle mura, un'epigrafe fenicia,
un rilievo di toro sbranato da due leoni, ed alcuni modesti oggetti di bronzo o di
terracotta, trovati casualmente od in alcuni saggi di scavo condottivi dalla Commis-
sione di Antichità di Sicilia e da Enrico Schliemann (2).
Null'altro si fece per molti anni ; ma anche per la storica isoletta dovea giun-
gere l'ora dell'indagine sistematica.
Nel 1906 infatti, il comm. Giuseppe Whitaker. che da lungo tempo ne vagheg-
giava l'esplorazione, dopo averla laboriosamente riscattata dai piccoli proprietari che
l'occupavano, potè iniziare, sotto la direzione del suo vecchio amico Antonino Salinas,
dei grandi lavori di scavo.
In ben nove campagne sono stati così messi in luce notevoli ruderi ed un ma-
teriale scientificamente assai pregevole, che ora trovasi raccolto ed ordinato sul posto
in un decoroso Museo (3). Grande è il servizio reso alla scienza da questa nobile
impresa che merita il plauso incondizionato degli studiosi perchè sfugge anche ad
ogni più diffidente chauvi/iisme, essendo dovuta bensì ad un Inglese, che è però nato
fra di noi. e della Sicilia si è reso largamente benemerito, seguendo un'ormai cente-
naria tradizione di famiglia.
In seguito a tali fortunate ricerche, il comm. Whitaker, in cui alla liberalità
è pari un' illuminata passione, ha scritto su Mozia un libro, che verrà pubblicato non
appena, con qualche ulteriore ricerca, saranno chiariti alcuni importanti problemi topo-
(') I Coglitore, Mozia, studi storico-archeologici, in Archivio storico siciliano, n. s. a. VIII-
IX. Palermo 1884; 2» ed. con 3 carte top. Catania, 1894, in 8°.
(*) Cfr. rispettivamente: Houel, Voyage pittoresque des isles de Sicile ecc. I. pag. 17, tav. IX;
Ugdulena, Sulle monete punico sicule. Palermo, 1857, pp. 47 segg.; Schoenc, Arch. Zeitung,
1871, tav. 51, pp. 133-134; Cavallari, Bull, della Commissione di antichità e belle arti, n. IV,
pag. 6 e 25. V; pag. 12; VIII, pag. ì ; Schliemann, Mykenae, pag. 85. I saggi della Commissione
furono condotti nel 1869, quelli dello Schliemann nel 1876. Dell'antica bibliografia moziese
vanno anche ricordati i seguenti lavori: De Luynes, Recherches sur Vemplacement de l'ancienne
ville de Molya, in Annali deWIstit. 1855, pp. 92 segg. ; Schubring, Motye-Lilybaeum, in Philo-
logus, a. XXIV.
(*) In questo Museo trovasi raccolto anche un nucleo insigne di oggetti, provenienti dalla
necropoli di Lilibeo.
MOZIA
— 432
SICILIA
grafici e sarà possibile rilevare una grande pianta degli scavi. Nell'attesa, son molto
lieto di potere, aveudo potuto, per sua cortese concessione, studiare le rovine e gli
oggetti, esporre qualche osservazione sui risultati più salienti ottenuti finora.
Sono state anzitutto ricercate e scoperte le mura ('). Il nucleo fondamentale ed
originario di tutta la fortificazione è costituito da una antica cinta difesa da circa
Fio. 1.
venti torri quadrangolari che segue il circuito intero della isoletta. Essa è costruita
di scaglio di calcare dell'Isola irregolarmente disposte, qua e là parzialmente accre-
sciuta e modificata con tecnica poco dissimile. Quasi una metà di questo circuito,
quella che è rivolta verso la terraferma, venne in seguito rinvigorita da un poderoso
rivestimento di eccellente opera isodoma (vedi fig. 1 e 2), il quale compiutamente
risponde alle costruzioni della migliore epoca greca; esso comincia ad est presso
la casa detta della piccola scala, e finisce ad ovest presso la necropoli ('). Ma altri
tratti, come riparazioni o rinvigorimenti, si trovano anche a ponente.
(*) palle mura di Mozia, ricordate più volte da Diodoro (XIII, 63, 4, XIV, 51, 1, 8, 5, 6); fu
tratto mólto materiale nel sec. XVIII, per la costruzione delle grandi saline di terraferma. Il cav.
Giuseppe Lipari Cascio, issai amoroso cultore delle antichità moziesi e benemerito ém/ueXt]rrjs del
Museo Whitaker, mi assicura che il Senato di Marsala emanò verso il 1741 un'ordinanza vietante
di cavare nuovi materiali dalle rovine.
(2) Fra i numerosi riscontri che potrebbero citarsi, ricordo quelli viciniori di Selinunte:
Salina», in Notule d. scavi, 1894, pag. 13, tig. 12. Il tratto cui si riferiscono le nostre figg. 1-2, esi-
SICILIA
— 488 —
MOZIA
In questo tratto, rivolta precisamente a nord nord-est si apre, fra un notevolis-
simo sistema di costruzioni, una porta detta per brevità Porta nord.
Qui troviamo anzitutto due poderose torri quadrate costrutte in grossi massi
irregolari e mal connessi, che fiancheggiano, immediatamente sulla spiaggia, l'accesso
n e 11 ' isola di una lunga diga, ricordata nelle fonti ('), ora sommersa per una trentina
di centimetri, che servì ad unire la città alla terraferma. Queste due torri, costruite
in direzione normale a quella della diga, costituiscono una vera opera avanzata, ed
Fio. 2.
io credo probabile non ostante l'apparente antichità della tecnica, che siano posteriori
anche al rinvigorimento di tipo isodomo.
Superate queste torri, la strada di accesso, in cui si notano ancora i profondi
solchi scavati dalle ruote dei veicoli, penetra nella linea delle fortificazioni attra-
verso una porta gemina (vedi fig. 3), costruita di bei conci squadrati di arenaria.
Questa porta che si apre su un asse alquanto spostato rispetto alla diga, non è
soltanto duplice in quanto a doppia luce, ma anche perchè ognuno dei due passaggi
stente a nord-est presso la postierla di fig. 5, sorge sopra una risega ed è costituito di tre assise
sopra terra alte dal basso in alto rispettivamente era. 62; 57; 45. La parte superiore è invece di
piccole pietre.
Nello stadio definitivo di queste costruzioni bisognerà tener presenti i raffronti offerti dalle
mura fenicie di Erice, sulle quali si vedano le preziose osservazioni tecniche del Salinas, Notiti»
degli Scavi, 1883, serie 3a, voi. XI, pp. 254 segg.
(') Mi? erev^v xetQonoli]Tov, Diodoro, XIV, 48, 2.
M0Z1A
484 —
SICILIA
aveva una chiusura esterna ed una interna. Ancora più indietro sullo stesso asse si
apre una seconda porta, anch'essa divisa da un pilone centrale, ma interrotta nel suo
spessore non più da due, ma da tre porte, a doppia imposta, che giravano su car-
dini dei quali uno, di bronzo, in forma di bacinella, è stato rinvenuto in posto ed
è ora conservato nel Museo.
Fio. 3.
Oltre lo sbarramento avanzato delle due grandi torri di riva, due sistemi di porte
chiudevano dunque l'entrata in città; il primo richiama vivamente la disposizione
del Dipylon, ateniese ('). mentre il secondo può darci un'idea per quanto non del
tutto corrispondente, di quello che doveva essere Yexapylon dell'Epipole di Siracusa (*)
per il quale non è da pensare ad una porta a sei luci, che avrebbe offerto una ma-
nifesta debolezza difensiva.
(') Judeich, Topogr. von Athen, pag. 237. Il sistema di aperture divise in due da un pilastro
centrale (fiéxtonov) è assai diffuso nell'architettura greca. Cfr. Durra, Die Baukunst der Griech.,
1910, pag. 176.
(•) Cavallari, Topogr. archeol. di Siracusa, atlante, tav. X, nn. 25 e 26; ma il rilievo va
corretto dopo gli sgomberi definitivi dell'Orsi, ancora del tutto inediti.
SICILIA
— 435]-
M0Z1A
Sarà molto interessante poter chiarire, con ulteriori scavi, la relazione di queste
porte con il resto della cinta e la loro cronologia, almeno relativa. Da alcuni indizi
a me non pare improbabile che la fortificazione primitiva qui facesse uno sperone,
per difendere la porta secondo quel sistema largamente adoperato nella più antica
architettura militare, che permetteva ai difensori di colpire, da questi corpi avanzati,
Pro. 4.
il fianco destro degli assalitori, sprovvisto della difesa dello scudo. In altre parole
io penso che in origine Porta Nord fosse una porta Scéa (1). Soltanto in seguito, in
varie riprese essa avrebbe assunto il suo carattere attuale a sistema molteplice di
sbarramenti, che venne ad obliterarne la primitiva disposizione.
Alla Porta Nord, l' ingresso nobile della città, corrisponde a sud un'altra porta
assai più stretta. Sotto le mura ai suoi lati, si son rinvenuti alcuni veri e propri
merli di tufo arenario (vedi fig. 4), con intonaco bianco, alti m. 0,96. larghi m. 0,92
e dello spessore di m. 0,41 ; essi giacevano in posizione quasi orizzontale, precipitati
(') Non occorrono citazioni per le celebri -xaial nilai di Troia. Si veda la spiegazione di
questo sistema difensivo in Vitruvio, I, 5,2. Fra gli esempi monumentali ricordo quello antichissimo
di Tirinto (cfr. Schuchardt, Schliemann's Ausgrabungen, II ed., pag. 129), e quello siciliano di Scala
Greca a Siracusa (Orsi, Not. d. Scavi, 1893, pag. 171).
Nanni Soavi 1915 — Voi. XII. 57
MOZIA
— 486
SICILIA
dai bastioni l'ano vicino all'altro, sicché non cade dubbio sulla loro pertinenza alla
sommità delle mura. È noto che i merli furono adoperati dagli antichi architetti
militari (1); ma, ch'io sappia, qui per la prima volta appare questa forma arcuata.
che sarebbe suggestivo ricollegare ai tipi medievali di Oriente.
Fio. 5.
Nella cinta eran'praticate forse alcune altre uscite minori ; pare cosi che sia una
antica postierla, obliterata da costruzioni posteriori, quella che venne scoperta negli
ultimi anni a nord-est (vedi fig. 5). Dall'alto delle mura conducevano poi in basso,
verso l'esterno, fino al livello delle acque, alcune scale (vedi fig. 6) che vanno con-
siderate come veri e propri imbarcaderi rivolti verso la terraferma; in molti punti
dunque, come è sempre avvenuto nelle città marittime fortificate, i bastioni di
Mozia dovevano sorgere immediati sulle acque.
(') Cfr. Durm, Die Bauk. d. Oriech., 1910, pag. 209 ; per la Sicilia : Fougères-Hnlot, SélinonU,
pag. 168.
SICILIA
— 487 —
MOZIA
Nelle mura di nord-ovest si è riscontrata una larga breccia presso la quale un
numero rilevante di frecce di bronzo, in gran parte curvate dall' urto violento sulle
pietre, attesta una mischia. Non è da escludere che qui vada riconosciuta la breccia
aperta da Dionisio, di cui parlano le fonti (Diodoro XIV, 51).
|Fig. 6.
Da Porta Nord aveva origine una strada interna che è presumibile giungesse
tino a Porta Sud. La parte di questa via che si è finora scoperta, dà assai presto
in una vasta piazza, col pavimento di terra battuta, forse il Mercato. Quivi si è
trovata una bottega di vasaio, con il forno, una bella serie di anfore già cotte ed
alcune masse di creta costituite da vasi non riusciti e prima della cottura nuora-
mente impastati, non tanto però che non se ne vedano le tracce della primitiva
lavorazione,
MOZIA
— 438
SICILIA
Fino a questa piazza giungerà un assai notevole edifìzio di grossi conci di are-
naria, le cui rovine, fra un groviglio di costruzioni di epoca diversa che le hanno
profondamente perturbate, sono apparse nel luogo chiamato Cappiddatsu. Le grandi
dimensioni e la nobiltà della costruzione fanno pensare ad un edifìcio di carattere
pubblico; ma l'uso ne rimane incerto; non è da escludere, anche per la sua posi-
zione elevata, che si tratti di un tempio, di cui però fino ad ora manca ogni documen-
tazione (').
Nell'interno della città i saggi più notevoli sono stati compiuti nella regione sud-
est. Qui è venuto in luce un gruppo di case di cui il punto più chiaro è costituito da
un peristilio di m. 8 X 7, coi lati nord ed ovest del portico coperti da un pavimento
Fra. 7.
a mosaico le cui tessere sono costituite da quei ciottolini (cuticchie) lunghi da un
centimetro a tre, che si trovano in abbondanza nella spiaggia di Marsala, presso
il porto.
Sul fondo di ciottoli neri, sono rappresentati con ciottoli bianchi dei rombi, una
greca, e due gruppi di animali : un leone o pantera che salta addosso ad un toro,
e due cani affrontati. Per la datazione di questo mosaico ci soccorre quel sicuro
terminus ante quem costituito dalla distruzione della città nel 397 av. Cr. per opera
(') Fra queste rovine si è trovato un bomisco di terracotta portante a rilievo il solito gruppo
del toro atterrato dai leoni, e nello strato più superficiale l'unica ansa di anfora rodia per ora
segnalata nell'Isola; è rettangolare e reca l'iscrizione:
Eni AAMOKAEOY2
YAKINSIOY
Ofr. Nilsson, Timbres amphoriques de Lindo», in Bulletin de VAcad. royale dei Sciences de Da-
netnark, Copenaghen, 1909, pp. 37-180.
A. luoghi di culto richiamerebbero tre altari (v. fig. 7), di forma del tutto simile a quello di
Hagiar Kim in Multa (Perrot-Chipiez, III, pag. 229) scoperti in diversi punti dell'Isola di Mozia,
mai però sicuramente in sito,
SICILIA — 439 — MOZIA
di Dionisio il Vecchio (Diodoro, XIV, 47 segg.) ; nel materiale di colmata si rinven-
nero poi frammenti assai numerosi di ceramiche a figure rosse. Trattasi di un edilizio
costruito forse negli ultimi anni di esistenza di Mozia, sopra uno più antico, del quale
si sono constatate le fondazioni, ed il cui piano resta più basso di circa mezzo metro.
Fra queste rovine si son trovati alcuni tamburi e capitelli di colonne doriche con
avanzi di stucco; sono di tre moduli diversi, ed i capitelli si direbbero anche di due
diverse epoche per il differente profilo del loro echino. Il pavimento del portico, seb-
bene la tecnica differisca alquanto da quella del mosaico vero e proprio, ne costituisce
uno dei più interessanti ed antichi tentativi, da avvicinare con quello di tecnica del
tutto analoga, esistente nel pronaos del tempio di Zeus in Olimpia ( ')
Questa casa signorile ci fa pensare alla notizia di Diodoro sulla bellezza degli
edilizi di Mozia {xfy xaXXsi x&v oixt&v ; XIV, 48, 2). L'accenno, contenuto altrove,
che le case di questa città fossero alte quanto le torri a sei telai (XIV, 51, 1 e 7),
non deve però indurci in errore. L'altezza delle macchine da guerra di Dionisio non
era certamente esagerata; il raffronto di esse con gli edilìzi, va principalmente
riferito a quelli che stavano nelle case presso le mura (*). È constatazione assai
interessante quella, compiuta un po' dapertutto lungo il circuito, di avanzi di case
costruite con abbondante sussidio di legna e di mattoni crudi, sopra e vicino ai
bastioni. È naturale che queste case viste dal mare apparissero insolitamente elevate;
ma non dobbiamo pensare che esse fossero tutte eccezionalmente sontuose, se molte
erano coperte non già di tegole, ma da un battuto di terra e di frasche o canne
sostenute da travi. Si sono infatti scoperti un po' dapertutto nell'area della città, e
numerosi campioni sono conservati nel Museo, delle grandi masse di questa terra
argillosa, che presentano le impronte di canne regolarmente disposte e di giunchi e
talvolta anche di foglie di chamaerops humilis e di ramoscelli di ulivo con cui
furono in contatto. Dobbiamo quindi immaginare il paesaggio di Mozia con molte case,
a tetto piano di terra battuta, foggia di copertura ancor oggi largamente diffusa in
Oriente e che trova la sua ragion di essere in condizioni climatiche. E certamente
fra queste case si svolgevano quelle strette vie, fra le quali i difensori opposero alle
soldatesche di Dionisio un'ultima resistenza dopo l'espugnazione dei bastioni.
Tra due abitazioni esistenti presso la piccola scala a nord-est vicino le mura, si
nota una specie di vicoletto a fondo cieco, largo in principio cm. 95 ed in fondo cm. 82,
che non mi pare fosse destinato a contenere una scala di legno, ma piuttosto a ser-
vire di separazione fra due case, secondo un uso che riscontriamo frequente negli
edilìzi romani di un altro stabilimento fenicio di Sicilia: Solunto (3).
Nella regione meridionale della città, in una bassura invasa dalle acque marine
che veniva chiamata la Sali/iella, nel 1906-1907 fu messo allo scoperto un bacino
(*) Cfr. Ausgrabungen xu Olympia: Bauwerke, pag. 18.
(') Diodoro (che in questa narrazione deriva forse da Timeo) parla di case interne, alte anche
esse quanto le torri a sei telai, in cui gli abitanti si asserragliarono per l'ultima disperata difesa.
È evidente però che deve trattarsi di qnalche casa più nobile.
(') Cfr. G. Salemi-Pace, Solunto in Nuovi annali di costruzioni, arti ed industrie, a. II-III.
Palermo, 1870-1872, tav. I.
M0Z1A 440 SICILIA
rettangolare di circa 1500 mq. limitato da bordi in bella fabbrica e comunicante
col mare per un canale largo tino a 7 metri. Il comm. Whitaker vi riconobbe subito
un piccolo kothon analogo a quello assai celebre di Cartagine (').
Le mura a nord-ovest, presso la breccia, si allontanano alquanto dalla spiaggia
e sono costruite sopra un campo funebre cbe si estende ai due lati, interno ed esterno.
La priorità di questa necropoli rispetto alle mura si è potuta constatare, con ogni
cura, per mezzo di saggi nello spessore occupato dal bastione, sotto il quale sono
apparsi i sepolcri in serie non interrotta.
È questa la più antica necropoli di Mozia. che presuppone o una cinta di mura
più limitata, o. più facilmente, una città aperta perchè mura non occorrevano al
primitivo impianto; eerto, durante il periodo non breve nel quale essa fu in uso non
tutta V isola era occupata da abitazioni. Il sito di questa necropoli, vivamente ci
richiama quello della Byrsa a Cartagine (2).
I sepolcri qui esplorati sono, nella quasi totalità, a cremazione. Le ceneri e le
ossa combuste sono raccolte talvolta in pozzetti quasi cubici, di cm. 20 di lato in
media, scavati in piccoli blocchi di arenaria, o costituiti da quattro scaglie poste
di coltello, e più frequentemente in olle di terracotta, sepolte poi insieme ad altri
vasi più piccoli. La nostra tìg. 8 mostra alcuni di questi gruppi all'atto dello scavo.
Le tombe erano contrassegnate da stele di pietra arenaria, rinvenute in buon numero
nell' interno o fra il materiale delle mura, che vogliono rappresentare schematicamente
l'edicola col botilo uno o gemino (vedi fig. ;•). Una soltanto presenta un betilo già
antropomorfo (3).
II materiale rinvenuto in questi sepolcri che chiameremo del I periodo di Mozia
consiste principalmente in vasi ; abbiamo oltre le olle cinerarie globari. delle bot-
tiglie e degli ariballi terminanti con una caratteristica bocca a fungo, delle olpai a
bocca trilobata, dei boccalettV (vedi tìg. 8 e 10). Questa ceramica di creta gialla o
rossastra, decorata talvolta di strisce di color bruno o rosso lucido, ottenute con una
specie di scadente vernice soprapposta, sono di un carattere assolutamente peculiare
di Mozia ed offrono dei richiami soltanto relativi con le ceramiche di altri centri
(') Per la questione del porto di Cartagine rimando a (Meltzer) Kahrstedt, Gesch. der Kar-
thager, III, 1913, pp. 17 sgg.
Noi possiamo al piccolo bacino di Mozia dare con ogni diritto il nome di Kothon, perchè
KtA9a>v divenne presso gli antichi nome comune; secondo una glossa di Festo (apud Paol. Diac.
pag. 37): « Cothones appellantur portus in mari interiores arte et manu facti».
Noto di passaggio che il suggestivo richiamo dubbiosamente proposto dal Fougères (Séli-
nonte. pajfr'175, n. 1) del Kothon a proposito del Gorgo Cottone di Selinunte, costituisce uno dei
più istruttivi esempi del pericolo che presentano i riferimenti toponomastici; Cottone in Selinunte
è derivato infatti dal nome del proprietario.
(*) Sulla necropoli della Byrsa, cfr. bibliografia in Meltzer, Eabrstedt, Geteh. der Karthager,
I, pag. 542; III, pp. 9 sgg.
■('■) Stele simili si trovano un pu' dapertutto nelle località fenicie e puniche. Una bella seri'
di Sulcis in Sardegna, esiste nel Museo di Cagliari (Taramelli, Guida, pag. 45).
SICILIA
— 441 —
MOZU
fenici. Qualche olla presenta una partizione a triglifi con metopa ornata di clessidre,
che ricorda i prodotti del geometrico siculo (*).
Fio. 8.
Oltre questa ceramica propriamente moziese. in molte tombe si trovano alcune
rozzissime eiotole a pareti irregolari, lavorate senza tornio. Si può supporre che questi
(*) Cfr. Orsi, in Roem. MiUeiL, XIII, pp. 305 seeg.; XXIV, pp. 59 segg.
MOZIA
-442 -
SICILIA
vasi avessero una particolare funzione, forse nel rogo, per contenere aromi; ad ogni
modo la loro presenza fra ceramiche tanto progredite, è un prezioso ammonimento
per il valore dei criteri troppo assoluti, nella cronologia degli oggetti di tipo primi-
Fio. 9.
tivo. I nostri vasi infatti, presi isolatamente, si direbbero piuttosto provenienti da
uno strato preistorico dei più antichi.
Pio. 10.
Maggiore importanza ha la presenza assai diffusa in queste tombe di numerosi
vasi protocorinzi (x): vi sono aryballoi, bombylioi, lekythoi cuoriformi, tazze zonate,
dai quali la nostra necropoli è con ogni sicurezza datata tra il 750 ed il 650 av. Cr. (*).
(') I tré tipi si trovano riuniti assai spesso. Ecco un sepolcro tipico (n. 1 ; 16 maggio 1912);
anfora ossuaria mammellare di fabbrica locale, alta era. 60 ; ciotola di tipo primitivo ; bombylios
protocorinzio. Noto che vasi corinzi sono stati rinvenuti anche nei sepolcri della Byrsa a Carta-
gine; cfr. Gsell., Mélange» d'arch. et d'histoire, 1899, pag. 40.
(*) Per la cronologia del protocorinzio fissata appunto tra il 750-650 sono capitali, com'è noto,
le ricerche dell'Orsi nelle necropoli di Siracusa (Fusco) e di Megara Iblaea; cfr. Not. d. Scavi 1893,
pag. 450; Monum. antichi dei Lincei, I, pp. 780 segg. Vedi anche Walters-Birch, Hittory oj aneient
pottery, I, pp. 306-10.
SICILIA — 443 — MOZIA
Alcuni sepolcri contengono anche armi, collane di pasta vitrea del solito tipo (')
e, rarissimamente, qualche monile di ambra ed anche di argento o di oro.
Tra queste tombe di cremati è apparso qualche sarcofago, con ossa inumate,
e materiale ceramico identico; sono i sepolcri di quelli fra i moziesi, che primi adot-
tarono il rito dell' inumazione (*).
È particolarmente istruttivo seguire in base alle scoperte, rigorosamente ed am-
piamente accertate, questo passaggio. 11 progredire del nuovo rito imponeva di ricer-
care per la necropoli un sito più lontano e più ampio che non fosse quello tìu allora
occupato ; è un fenomeno che riscontriamo anche a Cartagine. Per la nuova necropoli
fu scelta la località della terraferma oggi chiamata li Birgi, ove i sepolcri sono in
prevalenza dentro sarcofagi.
11 materiale è costituito di vasi a figure nere e rosse, vetri policromi, qualche
bucchero, e poi anche vasi a vernice nera con decorasi*, ni in bianco, in rosso sovrap-
poste. Esso riporta l' àxfirj della necropoli a tutto il sec. V, con punte nel VI e nel IV;
si tratta cioè della necropoli del II periodo di Mozia, quando la vita della città è
già vivamente pervasa di elementi greci e l'industria ellenica vi tiene assolutamente
il campo. Alcune epigrafi sepolcrali in caratteri greci arcaici, che saranno illustrate
in seguito, confermano questa cronologia e costituiscono coi loro nomi semiti, rive-
stiti di forme greche, un nuovo e tipico documento per la natura della civiltà locale.
Il legame di successione cronologica tra le due necropoli non potrebbe essere
meglio documentato; a Birgi alcuni sarcofagi, i più antichi, contengono materiale
ceramico identico a quello della necropoli dell'Isola. Sono notevoli alcune rarissime
cremazioni, in olle cinerarie e con materiale simile a quello del I periodo. Come
nella necropoli sull'Isola abbiamo sorpreso l'apparire dei primi esemi ì di innovazione
nel rito sepolcrale, così qui, sulla terraferma, sorprendiamo i ritardatari, ancora legati
alla vecchia tradizione.
Un gruppetto di sepolcri nell' Isola, presso i bastioni di Porta Nord, ci riportano
agli ultimi tempi di esistenza della città; non è improbabile che si tratti dei morti
durante l'assedio.
Gli scavi, di cui fin ora abbiamo dato un cenno dal punto di vista topografico,
hanno il merito di porre e, talvolta di chiarire, alcune questioni cronologiche e sto-
riche di grande importanza (3).
(») Cfr. Perrot-Chipiez, Bist. de l'art, III, tav. X.
(*) Non tocco qui per nulla la questione che sorge, a proposito del rito sepolcrale originario
dei semiti, che secondo la tradizione scritta, sarebbe invece quello dell' inumazione.
(*) Fra il materiale che ha importanza artistica ricordo due rilievi di sfingi in tenero calcare,
alcuni bomiskoi di terracotta con figure di animali, e qualche statuetta, pure di terracotta. Fra le
ceramiche un bel frammento (inventario n. 2383) di vaso a figure rosse, di stile Midiaco.
Si è rinvenuto anche qualche nuovo tipo monetale di Mozia, fra cui un tetra» di argento coi
tipi: Dr. Testa muliebre di prospetto imitata dal tipo siracusano di Eucleidas e Kimon. R[. Chicco di
frumento fra quattro globetti.
Fra i ruderi di una casa a ponente si sono rinvenuti numerosi pezzi di corallo, di cui un chicco
Notizib Scavi 1915 — Voi. XII 58
MOZIA — 444 — SICILIA
Mozia, con Panormo e Solunto, è uno dei tre luoghi della Sicilia in cui una tra-
dizione storiografica di valore non dubbio, qual'è quella di Tucidide (VI, 3), ci assi-
cura l'esistenza di uno stabilimento fenicio. È noto che sovrattutto in epoca di furori
glottologici, i Fenici in occidente ebbeio nella storiografia una parte esagerata, e mentre
se ne elevò straordinariamente la cronologia, se ne trovarono dovunque fattorie com-
merciali e colonie. La reazione dovuta sovrattutto al Beloch ('), distrusse numerosi
castelli in aria, ma esagerò negando al commercio fenicio anche presso di noi, ogni
importanza.
L'argomento principale in base al quale la crociata fu spinta fino a tal punto,
è l'assenza di oggetti di carattere spiccatamente fenicio nello più antiche necropoli
della Sicilia. A dir vero questa considerazione non potrebbe avere valore decisivo,
perchè bisogna tener presente, come ha notato il Columba. che i generi di cui, prin-
cipalmente si occupava il commercio fenicio erano tessuti, vetri, profumi, di cui come
è naturale, non è facile ritrovare gli avanzi (2); né è detto d'altro canto che i Fenici
siano stati degli industriali, oltre che commercianti. Sicché dall'assenza di oggetti
di carattere artistico fenicio (che nessuno saprebbe del resto dire in che cosa vera-
mente debbano consistere) per doppio motivo non possiamo ricavare che non sono mai
esistiti quei loro commerci, che la tradizione scritta ci afferma.
Lo scavo della nostra necropoli ad incinerazione, illumina in modo definitivo tutto
questo problema, sovrattutto nei riguardi della Sicilia. Infatti il materiale rinve-
nutovi, è, a parte le terrecotte di fabbrica locale, certamente non destinate all'esporta-
zione, assolutamente identico a quello delle meglio conosciute necropoli arcaiche delle
città siceliote.
A Mozia gli oggetti di carattere, non dico fenicio, ma semplicemente orientale,
sono né più né meno quegli stessi di Siracusa (Fusco) e Megara Iblaea: le stesse paste
vitree, gli stessi scarabei con pseudo geroglifici, gli stessi ornamenti muliebri, lo stesso
vasellame protocorinzio (8). Siccome sarebbe un po' forte negare l'esistenza dei Fenici
a Mozia, ne risulta che la tradizione scritta che estendeva a tutta l'Isola la loro atti-
vità commerciale, non può venir considerata come una comune amplificazione, priva
di collana (inv. 2933) è stato raccolto presso il kotlion ed un pezzo è apparso anche in una tomba
punica del Lilibeo (inv. n. 3279). Non è certamente per caso che questi primi documenti dell'antico
uso del corallo son venuti fuori da quella parte della Sicilia più vicina al luogo di pesca, nella
quale questa industria veramente tradizionale, nei secoli XVII-XVIII diede prodotti artisticamente
assai notevoli. Il corallo siciliano è ricordato anche dalle fonti antiche (Plinio XXXII, 21 ed Hesych.
s. v. xooaXXùs nagà lixeXoìs etc).
(') Rhein. Afuseum, 1893, pp. 111-132; cfr. anche Orsi, in Atti del Congresso internazionale
di sciente itoriche, Roma 1904, voi. V, pp. 97-108.
(') Columba, I porti della Sicilia, pp. 128 »egg. Di recente la stessa idea ha manifestato il
Bywanck, De Afagnae Oraeciae kistoria antiquissima. Hayae Comitis, 1912, pag. 34.
(•) Orsi, Megara Hyblaea, in Monumenti ant. dei Lincei, I, coli. 125, 254-5; Necropoli del
Fusco, in Notine d. Scavi, 1893, pp. 452; 458 nota; 459 nota ; 469; 471 nota; Not.d. Scavi 1895,
pp. 116-7; Monum. ant. dei Lincei, XVII, col. 207, etc.
SICILIA — 445 — MOZIA
di valore storico, per il fatto che uè manca la documentazione sotto forma di oggetti
di carattere peculiare (').
D'altro canto il materiale della nostra necropoli, costituisce un caposaldo per la
cronologia di questa attività commerciale dei Fenici, che non ci appaiono più. come
si credeva, precursori antichissimi dei Greci. Alcuni saggi stratigrafici, dimostrano
infatti, che questa necropoli segue senza intermedii agli avanzi, assai scarsi, delle
popolazioni primitive prefenicie, cioè scheggio di selce e di ossidiana, corna di cervo,
cocci di tipo neolitico, apparsi cosi nell'Isola stessa, come nell'Isoletta di S. Marina,
e, sulla terra ferma, in contrada Tre Pini (2).
*
Abbiamo accennato a questi avanzi, che ci dimostrano come l'Isola aresse avuto
qualche abitante, anche prima dello stabilimento fenicio. Degli altri indizi ci atte-
stano parimenti che dopo la distruzione del 397 completata l'anno seguente, da
Imilcone (3) il luogo dovette venir frequentato da contadini e da marinai.
Trattasi di qualche frammento di vaso aretino o della Gallia (4) di un vasetto
di terra nerastra decorato a stecca, che ci richiamano all'età romana e bizantina (5),
e di una piccola epigrafe araba che ci attesta la presenza dei Musulmani nell' isola,
da loro chiamata Zeiebui e Gisira Malbugi (6). Ma nulla accenna ad una qualsiasi
forma di vita cittadina. Lilibeo sorta a due passi sulla terraferma, ereditò la funzione
e l'importanza di. Mozia (7). Da questo punto di vista il 397 av. Cr. segna per gli
avanzi monumentali dell'isola, un terminus ante quem di valore assoluto.
Solo a Cappiddassu, che è il punto in cui si è sovrapposto maggior numero
di rovine, esiste una cisterna, nelle cui volte sono adoperati dei vasi di terracotta che
(') Il sistema di trarre conseguenze di carattere etnografico dal materiale archeologico, nasconde,
anche per l'età storica, molti pericoli. Possiamo ricordare per la Sicilia l'esempio molto istruttivo
di nn altro popolo orientale, gli Arabi, della cui dominazione non sapremmo certamente parlare in
base ai monumenti figurati che mancano quasi del tutto; ove non avessimo le fonti scritte, scam-
bieremmo, tntt'al più. per arabo, il seguente periodo normanno.
Quanto ai Fenici non sarà inopportuno notare come tutti i loro prodotti più sicuri, ci offrano
un eloquente documento delle loro attitudini artistiche; la loro arte è sempre un riflesso di quella
dei popoli con cui vennero a contatto. In Sicilia le monete delle loro città sono un'imitazione sempre
più perfetta di quelle greche; l'affermazione di razza si limita a qualche simbolo ed all'epigrafe.
(*) Qui è apparso il fondo di una capanna, con pavimento di terra battuta, ed avanzi di ossi-
diana, a 15 metri dalla strada che va ai tre Pini verso Birgi.
Nell'Isola si sono rinvenuti tre cucchiai di terracotta del tipo di quello di Villafrati, in von
Andrian, Pràhiitorische Studien aus Sicilien, suppl. a Zeitschr. far Ethnologie, Berlin 1878
tav. IV, n. 8.
(») Diod. XIV, 55, 4.
(*) cfr. Déchelette, Le» vaie* ceramiquet orné» de la Gaule Romaine, Paris 1904.
l'I cfr. Orsi, in Byzant. Zeitschrft., XIX, pag. 86.
(•) Coglitore, pag. 174; la piscina qui ricordata dal Coglitore come moresca, è invece il mobile
kothon di cui abbiamo parlato. L'iscrizione è pubblicata in Amari, Le epigrafi arabiche di Sicilia,ll,
pag. 181.
(') Diod. XXII, 10, 4.
MOZU — 446 — SICILIA
a me sembrano medievali ('). Questa cisterna dunque, insieme alle costruzioni più
superficiali circostanti, appartiene con ogni probabilità a quel metochi di S. Pantaleo
che insieme ad una grancia è ricordato in diplomi normanni, come dipendenza del
Monastero Basiliano di S. Maria della Grotta di Marsala (*).
San Pantaleo, il più recente nome dell' Isola, deve risalire appunto all'età nor-
manna ed è probabile, come ha proposto il Coglitore (3), che sia una traduzione fone-
tica del nome Uavralsifiav che V Isola merita senza dubbio, per la ricca vegeta-
zione cui alimenta la pingue terra delle sue rovine (4).
B. Pack.
(') Tale uso, proprio sovrattutto delle costruzioni dei tempi imperiali e bizantini (cfr. ad es.
in Ravenna, C. Ricci, 11 mausoleo di Galla Plaeidia, Roma 1914, pp. 58 segg.), si riscontra in
Sicilia nelle volte della Chiosa normanna della Maitorana di Palermo; cfr. Salinas, Rassegna archeo-
logica Siciliana, in Rivista Siculo, dicembre 1871.
(') Pirri, Sicilia Sacra, II, pp. 883 ; 1003 segg.; Amico, Lexicon Topogr. Sieulum II, s. v.
Pantaleon.
(*) Op cit, pag. 67, che però spiega xatà natta Xeifitbv : u luogo tutto umido, ricco di erba;
« volendo con ciò significarsi che quest'isola si trova in mezzo quasi ad un prato, ad una palude,
« piuttosto che ad un mare », il che non ostante le alghe dello Stagnone, invocate dal Coglitore,
non mi sembra verosimile.
(*) Tale denominazione, in rispondenza a simili condizioni di terreno, dovette essere comune
nel mondo bizantino. Io ricordo una verde conca nell'isola di Patmos, recante, proprio per questo,
il nome Hago Pantaleimon; cfr. Pace, Ricordi classici dell'isola di Patmos, in Annuario della
scuola d'Atene e delle missioni italiane in Oriente, I, 1914. pag. 372.
— 447 —
INDICI
INDICE DEGLI AUTORI
Alfonsi A. Iscrizioni latine di Este, pp. 145 e
146.
Assandria G Lapide cristiana ed antichità ro-
mane rinvenute in Torino durante l'anno
1914, pp. 61-64.
Barnabei V. Iscrizione latina di Saletto di Mon-
tagnana presso Este riferibile agli argini
dell'Adige, pp. 137-141. Lapide di Ospeda-
letto Euganeo relativa all'arginatura del-
l'Adige, pp. 141-144.
Barocklli P. Tracce di necropoli barbarica presso
la strada nazionale Torino-Moncalieri, p. 259.
Tombe romane scoperte nel territorio di Sa-
luzzo, p. 260. Oggetti di suppellettile fu-
nebre di età romana rinvenuti a Sillavengo,
p. 315.
Bendi neli.i G. Avanzi di antiche costruzioni sco-
perti a Rieti dietro il palazzo comunale,
pp. 273-278.
Calza G. Continuazione dello scavo di via della
Casa di Diana in Ostia, pp. 27-31. Sterri
in Ostia, nell'edificio detto delle Pistrine e
presso la Casa di Diana; statuette di bronzo
e oggetti vari rinvenuti in un santuario
dedicato a Silvano, pp. 242-258. Le per-
gulae e i maeniana delle case ostiensi ; un
nuovo santuario mitriaco rinvenuto nella
casa detta di Diana, pp. 324-333.
Campanile T. Iscrizione ricordante un magistrato
municipale di Volsinii rinvenuta nel terri-
torio di Bolsena, pp. 239-240.
Cultrera G. Sarcofago marmoreo di Fiano Ro-
mano con iscrizioni ricordanti un parasilus
Apollinis, pp. 158-166.
Dall'Osso I. Cretaglie neolitiche nella media
valle dell'Ofanto. pp. 55-59.
Della Corte M. Scavi a Pompei sulla via del-
l'Abbondanza, pp. 279, 289, 334-336, 342-
34«, 416-425.
Pornari F. Nuove scoperte in Roma e nel su-
burbio, pp. 35-38, 166-168, 241-242,321-324,
407-408. Statua marmorea rinvenuta ad Anzio
presso la Fornace Vecchia, pp. 54-55. Avanzi
di una villa romana a Frascati, pp. 169 e 170.
Galieti A. Antichità varie scoperte a Lanuvio
durante l'anno 1914, pp. 170-174.
Galli E. Nuove tombe dell'agro chiusino, pp. 6-
16. Scoperta di due orecchini d'oro a Perugia,
pp. 261-262. Scoperta di un sepolero etrusco
a Trequanda, pp. 263-266. Oggetti di una
tomba etrusca di Castelmuzio, pp. 267-269.
Tomba etrusca scoperta a Cordigliano (Pe-
rugia), pp. 270-273. Scoperte archeologiche
in Arezzo in località « Duomo vecchio »,
• pp. 404-406.
Gatti E. Scoperte in Roma e nel suburbio, pp. 388-
390.
Mancini G. Scoperte in Roma e nel suburbio,
pp. 23-27 e 64-67. Tempio volsco di Velletri,
pp. 68-88.
Menoarelli R. Nuove esplorazioni nella necro-
poli di Caere (Cerveteri), pp. 347-386. Iscri-
— 448 —
zione onoraria latina rinvenuta nella città di
Alife, pp. 391-392.
Nate G. Avanzi di edificio romano a Ravenna,
pp. 235-239.
Negkioli A. Avanzi di grandioso edificio tornano,
probabilmente di un tempio, a s. Lorenzo
in Monte presso Rimini-, pp. 3-6. Di un
cippo sepolcrale figurato e iscritto, scciperto
a Rimini fuori porta Montanara, pp 82-35.
Scoperta di pavimenti romani presso Bolo-
gna, pp. 147-150. Tombe scoperte in con-
trada Ca' Nova nel comune di Monzuno
(Bologna), p. 151. Sepolcreto di bassi tempi
imperiali a Ravenna, pp. 152-155. Tombe
romane a Copparo. pp. 156 157. Pavimento
a mosaico di epoca romana a Sarsina, pp. 157-
158.
Nogaka B. Iscrizioni di cippi ceretani, pp. 336-
387.
Oietti U. Pavimento in mosaico scoperto in Cer-
vignano (Aquileia), p 403.
Orsi P. Scavi in Siracusa, pp. 185-208. Villaggio
preistorico a Stentinelln (Siracusa), p. 209.
Scoperta di vaso greco a Palazzolo Acreide,
pp 210-211. Scoperta di grande vaso greco
a N«to, p. 212. Esplorazione sull'altipiano
di Modica, pp. 212-214. Necropoli e villaggi
siculi di Comiso, p. 214. Scoperte varie di
carattere funerario a Catania, pp. 215-225.
Necropoli greca di M. S. Mauro a Caltagi-
rone, pp. 225-226. Ripostigli monetali a
Paterno, p. 226 Deposito di terrecotte iera-
tiche a Aderno, pp. 227-230. Materiale epi-
grafico vario a Centuripe, pp. 230-231.
Esplorazioni nel Castello di Lombardia a
Castrogiovanni, pp. 232-233. Scavi nella
anonima città a Serra Orlando (Aidone),
pp. 233-234. Tesoretto monetale con gioielli
a Terranova Sicula, p. 234.
Pack B. Prime note sugli scavi di Mozia nel
19^6 1914. pp. 431-446.
Paribem R Trovamenti epigrafici in Roma,
pp. 38-54. Frammenti di sculture d'ossidiana
rinvenuti presso Roma sulla via Nomentana,
pp. 408, 409.
Patroni G. Scoperte di antichità preromane,
romane, cristiane e medioevali a Pavia :
pp. 291-292. Tombe gallo-romane a Spino
d'Adda, p 292. Rinvenimento di un'anfora-
tomba a S. Colombano al Lamino, p. 292.
Tomba gallo-romana a Caslino d'Erba,
p. 293. Tombe galliche a Vimogno, p. 293.
Tombe galliche ad Acquate, p. 293. Tombe
romane scavate a Velate in località « la
Rasa*, pp. 294-296 Rinvenimento di anfore
a Milano in via S. Barnaba, p. 297. Porta
romana con torri ottagone scoperta sotto
porta Torre a Como, pp. 297-301. Lama di
bronzo scoperta a Talamona, p. 301. Tomba
Con ricco corredo di bronzi etruschi e col-
tellacci gallici a Castiglione delle Stiviere,
pp 302-303. Suppellettile gallica a Sesto
Cremonese, pp. 303-304. Suppellettile tom-
bale romana a Pozzolengo, p. 304.
Porro G. G. Vedi Taramelli A. e Porro G. G.
Prosdocimi A. Frammenti di lapide sepolcrale
romana atestina, pp. 146-147.
Putortì N. Forma fittile acquistata per il museo
Civico di Reggio di Calabria, pp. 429-
430.
Schief-Giorgini R. Nuove tombe dell'agro chiu-
sino, pp. 16-23.
Scifoni G. Cippo sepolcrale romano a Cava dei
Tirreni, pi>. 289 290.
Spano G. Scavi sulla via dell'Abbondanza a
Pompei, pp 336-^41 e 425-429.
Spinazzola V. Rovine di un secondo anfiteatro
a Pozzuoli, pp. 409-415.
Taramelli A. ripostiglio di bronzi di età pre-
romana presso Decimopntzu (Cagliari) pp.87-
97. Ripostiglio di monete in bronzo impe-
riali romane in Villaurbana (Oristano) pp. 97-
99. Pozzo votivo di età preromana a Nura-
gus, pp. 99-107. Grotta sepolcrale e votiva
di Ozieri, pp. 124-136. Il nuraghe di S. Bar-
bara in comune di Villanova Truscheddu
(Cagliari) donato allo Stato, pp. 305-313.
Indagini in vari monumenti del territorio
di Laerru, pp. 393402.
— e Porro. Necropoli e luoghi sacri di età nn-
ragica di Abbasanta, pp. 108-116. Necropoli
a u domus de gianas » di Santu Lussurgiu,
pp. 116-117. Nuraghi e tombe megalitiche
di Norbello, pp. 117-118. Cittadella nura-
gica di Nurarchei a Domusnovas Canales,
pp. 118-119. Monumenti megalitici e «do-
mus de ianas n di Laerru, pp. 119-124.
T avanti U. Scavi eseguiti nell'area dell'anfitea-
tro romano di Arezzo dal novembre 1914
all'aprile 1915, pp. 316-321.
— 449 —
INDICE TOPOGRAFICO
Arbasanta — Esplorazione nelle necropoli e nei
luoghi sacri di età nuragica, pp. 108-116-
Acquate — Tombe galliche, p. 293.
Adehnò — Deposito di terrecotte ieratiche,
pp. 227-280.
Aidone — Scavi nella anonima città a Serra
Orlando, pp. 233-234.
Ai.ife — Iscrizione onoraria latina rinvenuta
entro la città, pp. 391-392.
Anzio — Statua marmorea rinvenuta presso la
Fornace vecchia, pp. 54-55.
Arezzo — Scavi eseguiti nell'area dell'anfiteatro
romano dal novembre 19 14 all'aprile 1915,
pp. 316-321. Scoperte archeologiche nel
terreno del manicomio in località « Duomo
vecchio», pp. 404-406.
B
Baone — Scoperta di uu frammento di lapide
sepolcrale romana atestina. pp. 146-147.
Bologna — Scoperta di pavimenti romani in
valle di Savena, pp 147-150.
Bolsena — Iscrizione ricordante un magistrato
municipale di Volsinii, rinvenuta nel terri-
torio del comune ; pp. 239-240.
Cava dei Tirreni — Cippo sepolcrale romano
pp. 289-290.
Centuripe — Materiale epigrafico vario, pp. 280-
231.
Cerveteri — Nuove esplorazioni nella necro-
poli : tnmbe di età posteriore al V sec.
av. Cr. e cippi sepolcrali, pp. 347-387.
Cervignano (Aquileia) — Pavimento in mosaico,
p. 403.
Chiu8i — Nuove tombe dell'agro chiusino, pp. 6-
23.
Comiso — Necropoli e villaggi siculi, p. 214.
Como — l'orta romana con torri ottagono sco-
perta sotto porta Torre, pp. 297-301.
Copparo — Scoperta di tombe romane, pp. 156-
157.
Cordigliano (Perugia) — Tomba i-trnsca sco-
perta nel territorio del Comune, pp. 270-
273.
D
Decimoputzu (Cagliari) — Scoperta di un ri-
postiglio di bronzi di età preromana a monte
di Sa Idda, pp. 89-97.
Domusnovas canales — Cittadella nuragica di
Nurarchei, pt>. 118-119.
£
Caltagirone — Necropoli greca di M. S. Mauro,
pp. 225-226.
Cablino d'Erba — Tomba gallo-romana, p. 293.
Castelmuzio — Oggetti di una tomba etnisca
dell'ultimo periodo, pp. 267-269.
Castiglione delle Stiviere — Tomba con
ricco corredo di bronzi etruschi e coltel-
lacci gallici, pp. 302-303.
Castrogiovanni — Esplorazione nel Castello
di Lombardia, pp. 232-233.
Catania — Seoperte varie di carattere funera-
rio, pp. 215-225.
Este — Scoperte di iscrizioni latine, pp. 145-
146.
Fiano-Romano — Scoperta di un sarcofago mar-
moreo con iscrizioni ricordanti un paratitut
Apollinis, pp. 158-165.
Frascati — Avanzi di villa romana, pp. 169,
170.
G
Gandiano presso Lavello — Cretaglie neo-
litiche della media valle dell'Ofanto, pp. 55-
59.
— 450 —
Laerru — Esplorazione dei monumenti mega-
litici e scavi nelle domus de ianas di Monte
Ultano, pp. 119-124. Indagini nei tumuli
con tombe di gigante in regione di Bopi-
tos, nelle tombe di Luogosanto ed in vari
monumenti del territorio, pp. 393-402.
T/ANUvio — Antichità varie scoperte durante
l'anno 1914, pp. 170-174.
M
Paterno — Ripostigli monetali, p. 226.
Pavia — Scoperte di antichità preromane, ro-
mane, cristiane e medievali, pp. 291, 292.
Perugia — Scoperta di due orecchini d'oro,
pp. 261, 262.
Pompei — Continuazione degli scavi sulla via
dell'Abbondanza, nei mesi da gennaio a no-
vembre 1915, pp. 279-289, 334, 345, 416-429.
Pozzolengo — Suppellettile tombale romana,
p. 30 1.
Pozzuoli — Rovine di un secondo anfiteatro,
pp. 409-415.
Milano — Rinvenimento di anfore in via S. Bar-
naba, p. 297.
Modica — Esplorazioni varie sull'altipiano
pp 212-214.
Monzuno (Bologna) — Tombe (.coperte in con-
trada Ca' nova, p. 151.
Mozia - Prime note sugli scavi 1906-1914,
pp. 431-446.
K
Norbello — Nuraghi e tombe megalitiche
pp. 117-118.
Noto — Scoperta di grande vaso greco in con-
trada Bimisca, p. 212.
Nuragus — Pozzo votivo di età preromana
scoperto in regione Coni o Santu Millanu
pp. 99-107.
Ospedaletto EiGANEO — Lapide relativa al-
l'arginatura dell'Adige, pp. 141-144.
Ostia — Continuazione dello scavo di via della
Casa di Diana, pp. 27-31. Sterri dell'edifi-
cio detto delle Pistrine e presso la casa di
Duina; statuette di bronzo e oggetti vari
rinvenuti in un santuario dedicato a Silvano,
pp. 242-258. Le pergulae e i maeniana delle
case ostiensi; un nuovo santuario mitriaco
nella casa detta di Diana, pp 324-333.
Ozieri — Grotta sepolcrale e votiva di S. Mi-
chele ai Cappuccini, pp. 124-136.
Palazzuolo-Aerbide — Scoperte di vaso greco,
pp. 210-211.
Ravenna — Sepolcreto di bassi tempi imperiali
scoperto presso la basilica di S Apollinare
in Classe, pp. 152-155. Avanzi di edificio
romano rimessi a luce tra il tempio di
S. Vitale e il mausoleo di Galla Placidia,
pp. 235-239.
Reggio di Calabria — Forma fittile acquistata
per il Museo Civico, pp. 429, 430.
Rieti — Avanzi di antiche costruzioni scoperte
dietro il Palazzo comunale, pp. 273-278.
Rimini — Avanzi di grandioso edificio romano,
probabilmente di un tempio a S. Lorenzo
in Monte, pp. 3-6. Di un cippo sepolcrale
figurato e inscritto, scoperto fuori porta
Montanara, pp. 32-35.
Roma — (Regione 1). Sarcofago con iscrizione
scoperto in via Porta S Sebastiano, p. 321 .
(Regione III) Fabbricati antichi in via Leonardo
da Vinci, p. 1-66.
(Regione IV) Frammenti marmorei rinvenuti in
via Bacchia, p. 241,
(Regione V) Frammento di statua scoperto in
piazza S. Croce in Gerusalemme, p. 241.
(Regione VI) Ritrovamento in via di Porta Sa-
laria, p. 35. Pavimentazione stradale, ivi,
p. 64. Mattone con bollo, ivi, p. 1 66. Fram-
menti marmorei rinvenuti in via Toscana,
p. 321.
(Regione VII) Marmi e iscrizioni ritrovate in
piazza Colonna ; pp. 35, 36, 166, 241, 321,
322, 407.
(Regione IX) Base marmorea rinvenuta in via
della Missione, pp. 322-324.
(Regione XIII) Strada e fabbricato antico in via
Amerigo Vespucci, pp. 166, 167.
(Suburbio). Via Appia Antica — Tomba del
papa S. Fabiano e vetligia apostolorum
— 451 —
scoperte entro e presso 1 1 Basilica ili S. Se-
bastiana, pp. 64, 6">. Avanzi di villa romana
e colombario scoperti ivi, pp. 65, 66.
Via Appia Nuova — Antica pavimentazione stra-
dale lungo la via ilelle Mura, p 66.
Via Casilina — Altorilievo in marmo scoperto
in località Mammella, p. 36. Colombario a
sinistra della via, p. 36. Rilievo marmoreo
e iscrizioni presso il vicolo Carbonari,
pp. 36-37. Cippi sepolcrali rinvenuti presso
Tor Pignattara, p. 37. Sarcofago con iscri-
zioni greche rinvenuto in località M arra-
ngile pp. 167, 16S Iscrizione sepolcrale rin-
venuta ivi, p. "42. Targa di colombario rin-
venuta ivi, pp. 407-408.
Via Casilina-Tnscolana — Sarcofago coi busti
dei defunti rinvenuto nella Tenuta Torre
Spaccata, p. 168.
Via Cassia — Cippo sepolcrale rinvenuto nella
tenuta del Pino, p. 408.
Via Labicana — Lastre sepolcrali iscritte tro-
vate alla Marranella, p. 67. Avanzi di villa
rustica in località « Due Casaletti », pp. 388-
390.
Via Nomentana — Ara sepolcrale rinvenuta nella
tomba di Aguzzano, pp. 37, 38. Frammenti
di sculture di ossidiana rinvenuti nell'area
di Villa Patrizi, pp. 408, 409.
Via Po e altrove — Iscrizioni onorarie e se-
polcrali, pp. 38-54.
Via Salaria — Scavi e scoperte nella tenuta
« Sette Bagni », pp. 23, 27. Olla funeraria
di marmo rinvenuta tra le vie Raimondi e
Paisiello, p. 168.
Sili.avbnoo — Oggetti di suppellettile funebre
appartenenti a tombe di età romann, p. 815.
Sikacu8a — Scavi di piazza Minerva, pp. 175-181.
Nuove scoperte nella necropoli del Fusco,
pp. 181- 185. Necropoli in contrada Cana-
licchio, pp. 185, 186. Sepolcro con oreficerie
in contrada Dammussi, pp. 187, 188 Ne-
cropoli greco-arcaica a S. Lucia, pp. 188,
189. Scoperte nell'anfiteatro pp. 189, 190.
Case ellenistiche e romane a S. Lucia,
pp. 191, 192. Artemision di Belvedere»
pp. 192, 193. Sculture varie, pp. 189-197.
Sculture rinvenute alla stazione, pp. 197-201.
Scoperta di Aitili singolarissimi nel Porto
grande, pp. 201-203. Piccole scoperte epi-
grafiche, pp. 203-205. Piccole catacombe
di sètte nella regione di S. Lucia-Cappuc-
cini, pp. 205-208.
Spino d'Adda — Tombe gallo-romane, p. 292.
Stentinello (Siracusa) — Villaggio preisto-
rico, p. 209.
T
Tai.amonb — Lama. di bronzo, p. 301.
Terranova Sioula — Tesoretto monetale con
gioielli, p. 234.
Torino — Lapide cristiana ed antichità romane
rinvenute durante l'anno 1914, pp. 61-64.
Tracce di necropoli barbarica presso la strada
nazionale Torino-Moncalieri, p. 259.
Treguanda — Scoperta di un sepolcro etrusco
nella tenuta « Belsedere », pp. 263-266.
S
Saletto di Montagnana (EsteI — Di una in-
signe iscrizione latina riferibile agli argini
dell'Adige, pp. 137-141.
Saluzzo — Tombe romane scoperte nel territorio
del Comune, p. 260.
Santu Lussurgiu — Necropoli a domut de
gianas di Fontana Orruos, pp. 116, 117.
Sarsina — Scoperte di un pavimento a mosaico
di epoca romana, pp. 157, 158.
S. Colombano al Lambro — Rinvenimento di
un'anfora-tomba, p. 292.
Sesto Cremonese — Suppellettile gallica,
pp. 303, 304.
Velate — Tombe romane scavate in località
« La Rasa », pp. 294-296.
Vellktri — Saggio di scavo attorno e sotto la
chiesa di S. Maria della Neve o delle
SS. Stimmate, e scoperta di un tempio
toIsco, pp. 68-88.
Villanova Truschkddu (Cagliari) — Il nura-
ghe di Santa Barbara donato allo Stato,
pp. 305 318.
Villaurbana (Oristano) — Ripostiglio di mo-
nete in bronzo imperiali romane, scoperto
in regione Bidello, pp. 97-99.
Vimogno — Tombe galliche, p. 293.
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