Skip to main content

Full text of "Notizie degli scavi di antichità"

See other formats


3  1151  00945  1125 


$3w5sh3kw 


PCsoo^ 

.MS 

■ 

LIBRARY 

IH 

w 

OF  THE 

JOHNS    HOPKINS    UNIVERSITY 


J- 


ATTI 


DELLA 


%  ACCADEMIA  NAZIONALE 

DEI  LINCEI 

ANNO     GGGXXI 

1924 


szezr,t:ej    Q/cnosTT^ 


NOTfZTE  DEGLI  SCAVI  DL  ANTICHITÀ 


VOLUME  XXI. 


ROMA 


TIPOORA.KIA    DELLA    R.    ACCADEMIA    NAZIONALE    DEI    LINCEI 

PROPRIETÀ    DEL    DOTT.  PIO    RKFANI 

1924 


NOTIZIE    DEGLI    SCAVI 


Anno  1924  —   Fascicoli  1,  2,  3. 


Regione  X  (VENETI A  ET  H ISTRIA) 

I.   USTE  —   Trooam'tnti  romani. 

a)  Brolo  Albrizzi.  — Sul  finire  del  settembre  1922  la  Direzione  del  Museo  Atestino 
venne  ;ì,  conoscenza,  che  l'Agenzia  di  casa  Albrizzi  nel  parco  della  villa,  che  occupa,  come 
è  noto,  una  parte  della  Ateste  romana,  aveva  praticato  alcune  trincee,  e  in  ognuna  sco- 
perto muri  e  pavimenti.  D'accordo  colla  r.  Soprintendenza  del  Veneto,  si  dette  allora 
inizio  agli  scavi  io  prosecuzione  di  una  delle  trincee  già  aperte,  dove  si  scorgeva  un  pavi- 
mento a  mosaico  bianco  con  una  curiosa  macchia  nera  di  difficile  identificazione:  se 
derivante  dall'accidentalità  di  un  rappezzo  o  da  un  disegno  pensato  ;  sembrava  una 
nave  dall'alta  prora.  Non  soccorreva,  a  vero  dire,  la  speranza  di  fare  qualche  importante 
scoperta,  quanto  l'intenzione  di  cominciare  uno  scavo  sistematico,  da  proseguirsi  pos- 
sibilmente anno  per  anno,  allo  scopo  di  riconoscere  la  esatta  topografia  della  città  ro- 
mana (•),  trascurata  finora  per  il  maggior  interesse  che  naturalmente  presentano  i  pro- 
bi end  protostorici  di  questa  terra. 

Scoprimmo  dunque,  per  due  terzi,  ma  in  modo  da  poterne  trarre  misurazioni  sicure, 
una  sala  di  m.  8,60  per  5,70.  Stava  a  profondità  varia:  da  ni.  1.86 e  1.65  alla  periferia, 
si  giungeva,  lateralmente  al  centro,  fino  a  m.  1.45.  Occorre  però  notare  che,  or  sono  pochi 
anni,  su  tutta  la  superficie  del  brolo  venne  steso,  togliendolo  dal  vicino  canale,  uno  strato 
di  terra  spesso  cinquanta  centimetri.  Quindi  l'altezza  del  piano  di  campagna  originario 
si  dovrà  calcolare  di  altrettanto  minore. 

11  campo  del  mosaico  (opus  tesseUatum)  era  bianco,  recinto,  a  distanza  di  cm.  35  dai 
muri  perimetrali,  da  due  fascie  nere,  tra  le  quali  inclusa  una  bianca.  A  mezzodì  e  a 
nord,  lungo  la  parete,  si  alzava  con  una  sensibile  curva,  la  quale  risultò  formata  ad  arte 
e  messa  no'n  a  mascherare,  come  si  congetturava,  una  conduttura  di  calore,  ma  piena 
di  cocciopesto  e  calce.  Centrale  in  senso  della  larghezza,  ma  spostato  verso  l'alto  in  quello 
della  lunghezza,  si  vedeva  un  quadrato  di  bello  e  chiaro  disegno  geometrico  ottenuto 

(')  11  Prosdocimi  ne  diede  il  perimetro  approssimativo  nella  tav.  I  in  Not.  scavi,  1882. 


ESTK 


—    4    — 


KKGIONE    X. 


con  tessere  noie  (ni.  1,47  x  1,47)  (fìg.  1).  Nell'insieme  esso  richiama,  più  modestamente, 
quello  scoperto  sulla  via  Trionfalo  a  Rema  e  clip  il  Catti  (' ':  attribuì  alla  metà  del  1  sec. 
d.  Cr.  11  mosaico  riposava  sopra  uno  strato  alto  20  cm.  fli  scaglia  rossa  dei  colli,  cui 
sottostava  un  altro  di  sassi  trachitici. 

11  muro  a  nord,  che  dovette  esser  largo  m.  0,90,  si  presentava  completamente  demo- 
lito, anche  nelle  fondazioni.  Invece  no  ora  rimasto  un  tratto,  tagliato  netto,  dalla  parte 


Frc  i. 


di  mezzodì  (alto  m.  0.82,  con  spessore  di  m.  0,46),  formato  da  sottili  lastre  di  seajrlia 
sovrapposte  accuratamente  e  intonacate  con  calce  greggia  mista  a  granuli  di  cocciopesto. 
La  demolizione  totale  riscontrata  negli  edifici  romani  di  Este,  se  può  essere  dovuta  alle 
distruzioni  barbariche,  forse  più  si  dovette  alla  necessità  dei  bassi  tempi  medievali, 
quando  per  mancanza  di  altro  materiale  da  costruzione,  si  utilizzò  quello  degli  edifici 
antichi,  probabilmente  già  rovinosi.  Esempio  cospicuo  le  fabbriche  dell'epoca  marchio- 
nale scoperte  dentro  il  recinto  del  castello. 

Presso  il  muro  a  ovest  trovammo  terra  mista  a  carboni  ed  ossa  umane,  fra  cui  il 
frammento  d'una  mandibola  e  un  coccio  di  pignatta  in  argilla  scura  a  cui  aderivano  terra 
di  rogo  e  un  pezzo  di  carbone. 

In  processo  di  tempo  la  sala  si  volle  trasformare  in  ipocausto  ;  allora  si  innalzarono 
i  pilastrini  delle  suspensurae  formati  di  mattonacci  (cm.  21  X  30  X  7)  fissati  malamente 


(•)  Not.  scavi,  1920,  p.  291. 


REGIONE    X.  O    -—  ESTE 


con  calce.  Molti  erano  rimasti  ;  se  no,  dove  i  mattoni  mancavano,  la  loro  presenza  e 
'  segnalata  dal  letto  di  malta,  che  si  riscontrò  anche  sul  quadro  centrale  e  su  la  fascia  nera 
dal  lato  di  mezzodì.  Per  causa  a  noi  ignota,  il  lavoro  dovette  rimanere  sospeso;  è  lecito 
argomentarlo  dal  fatto  che  i  pilastrini  occupavano  solo  la  parte  mediana,  e  pel  resto 
erano  limitati  a  una  fila  tutto  intorno  alla  sala.  La  trasformazione  a  ipocausto  chiarì  la 
macchia  cui  accennavo  sopra,  quale  un  grande  rappezzo  eseguito  alla  buona  con  tas- 
selli neri,  anziché  bianchi  come  si  sarebbe  dovuto. 

All'angolo  est  del  cavo  si  trovò  il  pavimento  di  un'altra  stanza,  in  semplice  battuto 
di  cotto,  sul  quale  stava  accatastato  gran  numero  di  frammenti  di  intonachi  affrescati; 
con  essi  si  potè  ricostruire  un  breve  tratto  di  decorazione  a  riquadro  giallo  contornato 
da  fascia  bianca  a  segni  rossi  in  forma  di  M,  e  questa  da  una  più  larga  color  celeste.  Anche 
si  recuperò  un  frammento  con  la  testina  di  un  flautista. 

Un  terzo  pavimento  (prof.  1.80)  di  semplice  bettonata  confinava  colla  sala  dallato 
nord,  e  a  sua  volta  con  un  altro  ambiente  (prof.  1.20)  dove  stava  ancora  in  situ  il  lembo 
inferiore  dello  zoccolo  nero  spruzzato  di  rosso,  di  verde,  di  giallo.  11  muro  divisorio,  fra 
queste  due  ultime  stanze,  aveva  nell'angolo  scoperto  alcuni  macigni  per  l'immorsatura, 
ed  era  fatto  di  scaglie  sovrapposte  ;  seguiva  uno  strato  di  bettonata,  poi  di  nuovo  scaglie. 
Nel  terreno  dello  scavo  si  rinvennero  alcune  lastrine  di  marmo  bianco,  con  piccole  mo- 
danature, che  dovettero  servire  da  impellicciatimi;  una  lucernetta  fittile  mancante  del 
fondo;  alcuni  cocci  di  pignatta;  qualche  ferro  ossidato;  il  fondo  d'una  tazza  di  vetro; 
parecchi  mattoni  scioltisi  dai  pilastrini  dell'ipocausto,  e  dei  tegoloni  che  dovevano  ripo- 
sare un  tempo  sui  pilastrini. 

Più  interessante  il  mosaico  scoperto  a  cura  dell'Amministrazione  Albrizzi.  Stava 
a  un  metro  appena  di  profondità,  e  cioè,  per  l'osservazione  fatta  innanzi,  a  soli  cinquanta 
centimetri  dal  vecchio  piano  di  campagna.  Formava  il  pavimento  di  una  stanza  di  ni.  3.76 
per  5.62.  La  decorazione  è  ricca  ma  affastellata,  senza  nesso  ;  vi  si  alternano  elementi 
geometrici  e  figurativi:  tralci  e  foglie  d'edera,  nodi,  pelte,  bottiglie,  poetili,  crateri  e  in- 
sieme delfini,  ippocampi,  grifi,  tori  marini  compresi  in  quadri  e  rettangoli  collegatigli 
uni  agli  altri  da  linee  che  danno  luogo,  colle  intersecazioni  loro,  a  stelloni  d'otto  punte 
(fig.  2).  Graziosissimo  il  motivo  dell'albero  fogliato,  quasi  lontana  reminiscenza  dei 
tronchi  che  appaiono  sulle  situle  laminate  ;  nuovo  quello  della  bottiglia  e  del  poetilo,  die 
pezzi  che  sembrano  moderni,  tanto  sintetico  ne  è  lo  spirito.  Sul  lato  breve,  a  est,  grandi 
racemi  d'edera  a  tre  ampie  volute  alternate  si  svolgono  da  un  cratere  a  piede  campa- 
naio (')  e  adorno  della  croce  svastica.  È  ovvio  pensare,  che  da  questa  parte  si  aprisse 
l'ingresso  principale. 

Il  pavimento  presenta  molte  lacune  facilmente  risarcibili,  eccetto  il  disegno  di  wn 
riquadro  intero  che  conteneva  la  rappresentanza  di  un  altro  vaso,  del  quale  è  rimasto 
il  manico  piegato  a  gomito.  Nel  complesso  somiglia  quello  di  Asciano,  nella  sua  parte 
più  ristretta  (-)  sia  per  la  costruzione  generale  della  composizione,  sia  per  taluni  parti- 


(')  Rammenta  il  fregio  nel  mosaico  col  ratto  d'Europa  scoperto  a  Lucerà  nel  184')  ed  ora 
al  Museo  di  Napoli. 

(2)  Not.  scavi,  181)9,  pag.  6  e  segg.  ;  e  Not.  scavi,  1908,  figura  a  pag.  126. 


ESTE 


REGIONE    X. 


colari  come  l'ornato  a  intreccio  che  nel  nostro  occupa  due  riquadri.  Anche  quello  di 
Asciano  venne  fatto  risalire  al  1  sec.  dell'Impero.  Però  i  nostri  li  farei  di  cent'anni, 
almeno,  più  tardi,  anche  per  ciò  che  ci  suggerisce  il  paragone  con  taluni  di  Aquileia 


Fig.  2. 


(cfr.  Fasiolo,  I  mos.  <T Aquileia,  Roma,  1915)  che  tuttavia  sono  più  tardi  ancora,  e 
lo  rivelano  nella  maggiore  rozzezza  della  lavorazione. 

Meno  accurata,  a  confronto  del  primo  descritto,  risultò  la  preparazione  sottostante 
al  mosaico  ;  qui  si  riduceva  a  una  bettonata  di  calce  e  coccio  pesto.  Pare  che  le  pareti 
della  stanza  fossero  di  rosso  pompeiano  ;  se  ne  trovarono  minuti  frammenti.  Nell'ot- 
tobre di  quest'anno  1923,  allargandosi  lo  scavo  allo  scopo  di  poter  con  più  comodità  prò- 


fcEGIONE   £.  —    7    —  ÈST* 

cedere  al  distacco  del  mosaico  ('),  si  scoperse,  addossato  verticalmente  al  muro,  un  tubo 
di  trachite,  chiuso  alla  bocca  da  una  pietra  di  forma  trapezoidale.  Vicino  stava  l'ansa 
di  un  vaso  fittile,  di  cui  dò  il  disegno  (fig.  3).  Anche  presso  questo  pavimento  si  rimise 
in  luce  un  breve  tratto  di  un  altro  a  tasselli  neri,  posto  a  un  livello  più  basso. 

Nota.  Colgo  l'occasione  per  rettificare  un  errore  in  cui  involontariamente  incorse 
l'Alfonsi.  Nelle  Notizie  (1918,  p.  259)  egli  parlò  di  un  oscillum  scoperto  nel  parco 


Fio.  8. 


Albrizzi,  e,  accostando  questo  trovamento  a  quello  della  maschera  tragica,  ne  inferì 
colà  esservi  stato  un  teatro.  Il  creduto  omllum  si  trovava  invece  usato  come  pietra 
da  pavimento  in  una  casa,  anch'essa  di  proprietà  Albrizzi,  nella  vicina  via  di  S.  Pietro, 
e  non  è  da  escludersi  potesse  provenire  dal  parco.  In  realtà  si  tratta  di  una  edicola 
con  trabeazione  retta  da  due  colonne  che  racchiude  la  figura  nuda  di  un  palestrita 
che  si  versa  l'olio.  L'Alfonsi  potè  crederlo  oscillum  avendone  veduto  il  frammento 
figurato  senza  il  resto,  che  fu  riunito  più  tardi  (fig.  4).  E  appunto  quel  frammento  ha 
una  forma  semilunata,  che  può  fino  a  un  certo  punto  giustificare  la  data  interpretazione. 

b)  Orto  dell'ospedale  civile.  —  Nell'orto  di  questo  ospedale,  durante  lo  sterro  per 
le  fondazioni  del  tubercolosario,  si  trovarono  (febbraio  1923)  due  pavimenti  a  mosaico, 
profondi  da  m.  0.70  a  m.  0.85.  Appartenevano  ad  ambienti  apparentemente  vasti  ;  non 

(')  Le  proprietarie  baronessa  Robin  de  Cervine  Contcssina  Dada  Albrizzi,  cedettero  graziosa- 
mente la  parte  loro  spettante  per  legge. 


ESTE  —   8   —  REGIONE  X. 


se  ne  possono  dar  le  misure,  essendo  stati  scoperti  parzialmente,  lo  stato  di  conservazione 
e  anche  la  modestia  loro  non  incoraggiando  a  completare  lo  scavo.  Uno,  distante  m.  47 
dal  muro  di  casa  Argenton  e  m.  33.00  dalle  mura  di  cinta  verso  via  Pozzetto,  era  a  fondo 
bianco  con  disegni  geometrici  in  nero  (fig.  5),  col  motivo  degli  stelloni  comune  ai  mo- 
saici locali.  Sopra,  commisti  alla  terra,  si  raccolsero  un  pezzo  di  cornicione  marmoreo, 
varii  cubetti  poligonali  in  cotto  da  pavimentazione  aventi  nel  centro  una  tessera  mar- 
morea, e  un  medio  bronzo  di  Tiberio  Claudio  Druso  (Cohen1   164,  n.  79).  L' inizio  del 


ciLxxxjaanar-MJcxji  lui 


==> 


ut 


1 1 


( 


Fig.  4. 


secondo  mosaico  lo  si  trovò  a  m.  5.50  dal  primo,  e  per  il  piccolo  tratto  liberato  era  bianco. 
Poco  di  là  da  questi  mosaici  stavano  delle  grandi  lastre  trachitiche  messe  in  fila,  con  dire- 
zione da  nord  a  sud,  ma  tutte  sconvolte. 

e)  Località  Casale.  —  Nel  gennaio  di  quest'anno,  nel  fondo  Cortelazzo,  ben  noto  ai 
lettori  di  Notizie,  si  trovò  casualmente,  a  circa  50  cm.  di  profondità,  un  pozzo  o  cisterna  ; 
proprio  a  poca  distanza  dall'ingresso  alla  proprietà  da  via  Pilastro.  Era  profondo  m.  20, 
con  diametro  interno  di  m.  0.90.  Lo  costituivano  conci  trachitici  leggermente  curvi. 
Chiudeva  il  fondo  una  lastra  di  pietra  ;  sollevata  la  quale,  si  trovò  l'acqua.  La  parte  supe- 
riore era  diruta,  e  attorno  alla  canna,  esternamente,  stavano  costipati  gran  sassi  fino 
in  basso.  Fu  vuotato  di  nuovo.  È  probabile  si  trattasse  di  uno  di  quei  pozzetti  di  dre- 
naggio che  gli  Atestini  avevano  cura  di  porre  sotto  i  pavimenti  per  ripararli  dall'umi- 
dità ;  umidità,  nel  tempo  romano,  ben  maggiore,  per  trovarsi  questa  località  prossima  al 
braccio  dell'Adige. 

Nota.  L'Alfonsi  nel  dar  notizia  di  un  altro  pozzo  scoperto  nella  stessa  loca- 
ità,   descrive   una   «  elegantissima   formella  o   scodella,  foggiata   a   guisa   di   foglia 


REGIONE   X. 


—  9 


ESTÉ 


di  cavolo,  ornata  a  sbalzo  colle   nervature   e   costolature  proprie  di  questa  pianta. 
(Nat.  scavi,  1921,  p.  294).   La  fotografia  (fig.  6j  mostra  che  l'A.  sì  ingannava  nel- 


Fig.  5. 


l'interpretazione;  è  invece  una  bella  conchiglia  del  tipo  pecien.  La  d.881  Campanile 
mi  fece  conoscere  un  eguale  oggetto  scoperto  nella  necropoli  romana  di  Starigrad,  e 


Fio.  6, 


pubblicato  in  Jahreshefte  des  òskrr.  Arch.  lnst.  in  Wien.  B.  XII,   1  heft.-Beiblatt. 

p.  65),  dove  si  rammenta  come  «  zahlreiche  Schalen  und  Gefàsse  aus  Pompeji  zeigen, 

das  die  Muschelform  fiir  Tafel-und  Kuchengeràte  sich  besonderer  Beliebtheit  erfreute  ». 

Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI.  2 


FIRENZE  —    10    —  REGIONE    Vii. 


Per  questo  riguardo  l'A.  non  s'era  sbagliato  scrivendo,  che  la  scodella  «  nel  complesso 
ricorda  i  moderni  stampj  di  confettura  ». 

d)  Campo  alto  al  Cristo.  —  Dissepolte  nel  febbraio  alcune  ossa  umane,  data  la  loca- 
lità così  ricca  di  materiale  archeologico  e  il  fatto  che  dove  le  ossa  erano  state  trovate, 
non  furono  mai  compiute  ricerche  (Vedi  in  Notizie,  1922,  p.  lo,  fig.  1  ai  n.  2,  3,  A),  si 
giudicò  opportuno  eseguire  degli  assaggi.  Purtroppo  il  risultato  fu  assai  magro,  che,  pure 
avendo  aperto  una  trincea  profonda  oltre  due  metri  e  lunga  tre,  non  trovammo  se  non 
i  resti  di  una  tomba  romana  a  umazione,  manomessa  ;  e  cioè  gran  quantità  di  mattoni, 
per  lo  più  frammentati  e  molte  ossa.  Vi  dovettero  essere  sepolti  uniti  più  individui. 

A.  Callegari. 


Regione  VII  ( ET R  URIA). 

II.  FIRENZE  —  Scoperta  di  resti  costruttivi  romani  nell'area  della 
«  cerchia  antica  » . 

Nella  decorsa  estate,  facendosi  un  grande  scavo  in  vicinanza  della  via  Cerretani  per 
un  magazzino  sotterraneo  della  ditta  di  spedizioni  Humbert,  vennero  scoperti  i  resti 
costruttivi  risalenti  all'epoca  romana,  ai  quali  si  riferisce  la  presente  nota.  In  sé  si  tratta 
di  scarsi  ed  oscuri  avanzi,  ma  essi  vanno  segnalati  specialmente  per  le  considerazioni 
d'ordine  topografico  che  furono  da  me  richiamate  in  Notizie  degli  scavi  1923,  pag.  238  sgg., 
a  proposito  di  altre  analoghe  scoperte. 

Il  punto  preciso  del  trovamento  di  cui  ora  tratto  cade  —  come  risulta  dalla  nostra 
piantina  (fig.  1)  —  all'angolo  tra  la  «  via  dei  Boni  »  e  l'antico  ed  angusto  «  chiasso  Pa- 
della »,  quasi  di  faccia  alla  chiesa  di  S.  Maria  Maggiore.  Siamo  dunque  presso  il  muro 
settentrionale  della  cinta  romana,  che  seguiva  da  questo  lato  la  direttiva  della  seconda 
viuzza,  parallela  e  prossima  alla  via  Cerretani. 

I  ruderi  testé  messi  in  luce,  essendo  compresi  nell'area  di  un  grande  fabbricato,  non 
si  sono  potuti  seguire  in  tutto  il  loro  sviluppo,  né  si  poterono  conservare  visibili  in  situ 
per  le  necessità  dei  lavori  intrapresi.  L'odierna  notizia  pertanto  potrà  servire  a  coor- 
dinare i  resti  ora  scoperti  con  gli  altri  eventualmente  esistenti  in  quella  medesima  zona, 
i  quali  potranno  essere  incontrati  in  future  escavazioni.  . 

Lo  spazio  potuto  esplorare  corrisponde  a  quello  del  magazzino  Humbert  (m.  11  X8 
X  3,60  circa  di  profondità).  Esso  era  in  gran  parte  occupato  dai  ruderi,  i  quali  si  in- 
ternano sotto  i  muri  moderni  del  fabbricato.  Il  piano  romano,  su  cui  s' inalzavano  i  resti 
costruttivi,  risultò  in  quel  punto  della  vecchia  Firenze  di  m.  3,60  sotto  il  piano  stradale 
ora  praticabile  ;  ma  è  probabile,  come  spiegherò  fra  poco,  che  questa  notevole  profon- 
dità fosse  stata  raggiunta,  dati  il  particolare  carattere  e  la  destinazione  dell'edifìcio  ro- 
mano che  ivi  sorgeva. 


REGIONE    VII. 


11 


FIRENZE 


Del  resto  tale  profondità  dello  strato  antico  non  può  destare  meravigl'a,  quando 
si  consideri  che  in  quei  pressi,  al  disotto  del  palazzo  già  Orlandini,  in  via  dei  Pecori  8, 
lo  strato  romano  trovavasi  a  m.  3,70  sotto  la  strada  attuale  (cfr.  Not.  se.  citate,  pag.  240). 

I  ruderi  studiati  e  riprodotti  nella  fig.  1  consistevano  in  una  vasca  semicircolare 
(in  pianta  C)  nella  quale  si  poteva  scendere  mediante  una  breve  scala  angolare  di  tre 
gradini  in  pietra,  posta  nell'angolo  occidentale  (in  pianta  D).  A  questo   bacino  faceva 


^ 


% 


-0 


£ 


C  Ut 


ra  ai  e  //j. 


Fig.  1. 


seguito  un  altro  maggiore  e  rettangolare,  in  direzione  nord  (in  pianta  E),  però  alquanto 
più  profondo  del  primo,  come  risulta  chiaramente  anche  da  la  sezione  sulla  linea  A-B 
riprodotta  nella  nostra  figura  2.  La  vasca  semicircolare  era  infatti  profonda  m.  1,40  ; 
quella  rettangolare  m.  1,80,  con  un  dislivello  dunque  di  40  centimetri. 

Continuando  sempre  verso  nord,  dopo  la  vasca  E  si  notò  uno  stretto  e  superficiale 
alveolo  (in  pianta  G)  chiuso  da  ogni  lato  dai  muri  della  costruzione  antica  (cfr.  anche 
fig.  2).  Nel  punto  F  del  muro  divisorio  tra  il  bacino  rettangolare  e  l'alveolo  predetto 
esisteva  un  rocchio  di  colonna  liscia  in  pietra  forte,  però  posato  superficialmente  e  forse 
in  un  periodo  posteriore  alla  costruzione  romana.  Tale  ipotesi  sarebbe  anche  avvalorata 
dal  fatto  che  tra  l' imoscapo  della  colonna  ed  il  muro  originario  apparivano  tracce  di 
rifacimenti  successivi  a  calcina  di  tipo  diverso  dal  romano  (sono  accennate  con  tinta  più 
tenue,  nella  fig.  2).  1  muri  delle  due  vasche  e  dell'alveolo  G,  con  i  loro  prolungamenti 
a  nord  e  a  sud,  che  s'internavano  sotto  il  fabbricato  moderno,  erano  larghi  due  piedi 
(circa  60  cm.)  e  risultavano  di  pietrame  e  calc'na  opus  incertum)  ;  l' interno  delle  due 
vasche  era  reso  a  tenuta  d'acqua  mediante  uno  strato  di  fine  intonaco  bianco. 


FIRENZE 


—  12 


REGIONE    VII. 


La  relazione  fra  i  due  bacini  C  ed  E  era  evidente  :  la  loro  vicinanza  e  la  relativa 
differenza  di  livello  in  profondità  non  potevano  far  sorgere  dubbi  al  riguardo.  Ma  per 
quanto  avessi  ricercato  attentamente  un  canaletto  di  comunicazione,  non  mi  fu  dato 
di  rintracciarlo.  Essi  dunque  non  comunicavano  se  non  forse  per  mezzo  di  un  canale  inca- 
vato sul  muro  divisorio  presso  la  scaletta  D.  dove  notai  una  depressione  intenzionale  nella 
compagine  dell'opus  incertum. 

Ad  un  livello  di  circa  un  metro  o  poco  meno  sui  muri  delle  dette  vasche  notai  inoltre, 
nel  terreno  circostante,  qualche  avanzo  di  antica  pavimentazione  di  coccio  pesto,  di 
tipo  romano,  la  quale  con  ogni  probabilità  rappresentava  il  piano  praticabile  del  locale 
dove  furono  costruiti  i  due  bacini  in  questione.  Dagli  elementi  raccolti  e  qui  esposti  bisogna 


s/rj</*/~ 


dedurre  intanto  che  non  è  possibile  pensare,  in  questo  caso,  agli  avanzi  di  un  bagno  e 
neppure  ad  un  pubblico  fontanile  con  annessa  vasca  per  lavare.  L'allineamento  dei  muri 
romani,  che  appaiono  perfettamente  coordinati  alle  strade  cardinali  e  decumane  di 
quella  zona  —  in  cui  sorgeva  anche  il  Capitolium  dell'antica  Florentia  —  e  le  tracce  di 
pavimentazione  sovrapposta  dicono  in  modo  sicuro,  che  quel  complesso  di  ruderi  rima- 
neva circoscritto  ed  incorporato  —  come  al  presente  —  in  un  edifizio  di  considerevoli 
dimensioni. 

L'unica  ipotesi  che  credo  si  possa  fare  circa  la  destinazione  originaria  dei  ruderi 
sopra  descritti  è  questa  :  che  essi  cioè  debbano  riferirsi  a  qualche  piccola  industria  dome- 
stica. Il  pensiero  corre  naturalmente  alla  più  comune  delle  industrie  casalinghe,  vale 
a  dire  all'impianto  del  frantoio  (torcidar)  per  la  pigiatura  dell'uva  e  per  la  fabbricazione 
dell'olio.  Ma  non  escludo  che  si  possa  trattare  nel  nostro  caso  anche  di  una  concieria 
(coriarii  officina),  o  più  probabilmente  di  una  lavanderia-tintoria  (fullonica). 

Nel  liberare  dalla  terra  e  dalle  pietre  che  l'ostruivano  la  vasca  semicircolare  C  fu 
rinvenuto,  ma  poi  subito  rotto  e  disperso  dagli  operai,  un  orciuolo  di  terracotta.  Esso  era 
di  un  impasto  grossolano  mal  cotto,  privo  di  decorazione,  e  nella  sua  sagoma  esteriore 
richiamava  piuttosto  i  tipi  barbarici-medievali  del  vasellame  domestico,  anziché  quelli 
dell'età  classica.  Trattavasi  perciò  di  un  prodotto  tardo  ed  erratico,  la  cui  presenza  fra 
i  ruderi  romani  testé  scoperti  non  poteva  apportare  alcuna  luce  sulla  loro  originaria 
destinazione, 

E,  Galli, 


REGIONE    VII.  —    13    —  POPULONIA 


III.  POPULONIA  —  Relazione  degli  scavi  archeologici  governativi 
eseguiti  nel  1923. 

Le  ricerche  compiute  nel  1923  dalla  r.  Soprintendenza  agli  scavi  d'Etruria,  nell'agro 
populoniese,  furono  limitate  soltanto  a  porre  in  luce  le  scoperte  occasionali  verificatesi 
durante  i  lavori,  sia  quelli  dell'escavazione  delle  scorie  da  parte  della  società  «  Populonia  », 
sia  quelli  agricoli  e  di  macchia,  con  il  consenso  del  nuovo  proprietario  della  zona  sig. 
avv.  Francesco  Mussio.  Riassumo  brevemente  i  risultati, di  tali  ricerche,  condotte  con  la 
consueta  abilità  e  diligenza  dall'assistente  sig.  Cesare  Barlozzetti. 

Sepolcreto  del  Costone  della  Fredda.  —  Sul  costone  denominato  «  la  Fredda  »,  che 
scende  dalle  Grotte  verso  la  conca  di  San  Cerbone,  il  diboscamento,  effettuato  in  seguito 
ai  danni  che  la  macchia  ha  sofferto  per  un  incendio,  rese  possibile  la  scoperta  di  un  nuovo 
sepolcreto.  Finora  sono  state  rintracciate  ed  esplorate  soltanto  otto  tombe  a  camera  ; 
ma  il  sepolcreto  deve  essere  molto  esteso,  particolarmente  a  monte  del  costone,  sul  cui 
dossale  si  vedono  emergere  qua  e  là  altri  piccoli  tumuli,  che  senza  dubbio  celano  le  ro- 
vine di  altre  camere  sepolcrali.  Esaminiamo  questo  piccolo  gruppo  di  tombe  (fìg.  1). 
La  camera  occupa  il  centro  di  un'area  circoscritta  da  un  circolo  di  pietre  conficcate  nel 
terreno  naturale,  che  serviva  in  origine  a  limitare  il  tumulo  di  terra  artificiale  che  rico- 
priva la  tomba.  Il  piano  della  camera  sepolcrale  coincide  con  quello  del  tumulo  ;  vi  si 
accede  mediante  un  dromos  praticato  a  corridoio  dall'esterno  del  tumulo.  La  camera 
è  di  pianta  quadrata  con  le  pareti  rivestite  da  muri  a  secco,  fatti  con  blocchi  più  o  meno 
regolari  e  di  varie  dimensioni  di  sasso  morto  o  di  panchina  arenaria.  In  tutte  queste 
tombe  le  vòlte  delle  camere  erano  franate;  in  alcune  però  apparvero  chiaramente  le  tracce 
d'impostazione  della  vòlta  a  pseudocupola  di  base  circolare,  girata  mediante  pennacchi 
angolari  a  risega,  con  anelli  di  pietre  sporgenti  ad  accollo  ;  l'impostazione  della  base 
della  cupola  comprende  l'intera  area  circolare,  contenuta  dalla  cinta  periferica  del  tu- 
mulo. Il  dromos  risulta  di  pianta  trapezoidale,  delimitato  da  muretti  a  secco,  di  struttura 
irregolare,  che  vanno  restringendosi  dalla  periferia  del  tumulo  all'ingresso  della  cella  : 
esso  è  rivolto  in  alcune  tombe  ad  est,  in  altre  ad  ovest.  Una  struttura  più  regolare  pre- 
sentano le  tombe  nn.  2  e  5,  sia  per  ciò  che  concerne  i  muri  della  cella,  che  sono  a  sistema 
pseudoisodomo,  sia  per  la  tracce  d'impostazione  della  pseudocupola.  Nella  maggior  parte 
di  queste  tombe  la  cella  funeraria  è  distribuita  in  loculi  mediante  lastre  divisorie  disposte 
per  ritto  :  più  comunemente  il  piano  della  cella  risulta  tripartito  in  una  corsìa  centrale, 
a  continuazione  del  dromos,  e  due  loculi  laterali  ;  talvolta  ai  due  loculi  laterali  si  aggiunge 
un  terzo,  posto  lungo  la  parete  di  fondo  ;  variamente  disposti  per  numero  e  dimensioni 
sono  i  loculi  nella  tomba  a  camera  n.  2. 

Tomba  n.  1.  —  La  cella,  quasi  completamente  distrutta,  è  di  pianta  rettan- 
golare con  le  dimensioni  di  una  fossa  (lungh.  m.  1,90  ;  largh.  m.  1,00),  e  come  tale  si  po- 
trebbe ritenere,  se  non  si  fossero  conservate  le  vestigia  del  dromos  e  della  porta  ;  essa  oc- 
cupa il  centro  di  un'area  circolare,  contenuta  da  una  serie  di  pietre  poste  per  taglio,  del 


POPULONIA 


—    14    — 


REGIONE    VII. 


diam.  di  m.  5,70,  che  in  origine  serviva  di  base  al  tumulo  ;  il  dromos  è  determinato  da 
muri  a  secco  (lungh.  m.  1,60  ;  largh.  m.  0,80)  ;  la  porta,  con  le  ante  monolitiche,  aveva 
il  vano  sbarrato  da  un  lastrone  (m.  0,70  per  m.  0,80).  Nell'interno,  sull'ultimo  strato  di 
riempimento  della  cella,  sono  comparsi  pochi  resti  di  un  inumato  mescolati  con  i  residui 
del  corredo  funebre  :  frammenti  di  oggetti  in  bronzo  laminato  ;  frammenti  di  una  coppa 
d'impasto  cinerognolo  ;  frammenti  di  vasi  fìttili,  d'argilla  figulina  color  giallognolo, 
dipinti  a  fasce  di  vernice  rosso-bruna  in  stile  italo-geometrico. 


10 


I-»    i    t    i    i    i    i    i    ■ 


20 


30m. 


Pia.  l. 


Tomba  n.  2.  —  È  la  tomba  a  camera  di  maggiori  proporzioni  del  gruppo  (fig.  2). 
Al  centro  dell'area  circolare,  che  serve  per  base  d'impostazione  della  vòlta  e  del  tumulo 
(diam.  m.  9),  sta  la  cella  di  pianta  quadrata  (m.  2,65  di  lato)  ;  i  muri  delle  pareti  presen- 
tano inferiormente  una  struttura  assai  regolare,  con  bozze  squadrate  di  panchina  arenaria 
sovrapposte  in  sistema  pseudoisodomo  ;  rimangono  ben  visibili  agli  angoli  i  resti  dei 
quattro  pennacchi  sporgenti  a  risega  che  servivano  d'impostatura  alla  vòlta  ;  il  piano 
della  cella  era  distribuito  in  loculi  assai  irregolari,  delimitati  da  lastroni  di  panchina 
posti  per  ritto.  Ben  delimitata  è  la  porta  con  le  due  ante  monolitiche  di  sassomorto  pro- 
lungate a  rivestimento  delle  pareti  laterali  fino  al  livello  dei  pennacchi  angolari  della 
pseudocupola  ;  il  vano,  largo  circa  m.  0,55,  era  in  origine  chiuso  da  un  lastrone  di  pan- 
china arenaria,  del  quale  si  sono  conservati  in  siiu  alcuni  resti.  Il  dromos  si  apre  ad  oriente, 
più  largo  alla  periferia  del  tumulo  (m.  0,90)  che  non  verso  la  porta  della  cella  (m.  0,65)  ; 
misura  in  lunghezza  circa  m.  4,20,  ed  è  delimitato  da  muretti  a  secco  di  struttura  assai 


REGIONE   VII. 


—    15    — 


POPULONIA 


rozza.  Del  corredo  funebre  giacente  nell'ultimo  strato  del  piano  della  cella  è  stato 
rinvenuto  : 

gruppo  di  frammenti  di  punte  di  lancia  in  ferro  ; 

frammenti  di  vasi  fittili  d'impasto  :  ciotola  d'impasto  color  cinerognolo  fram- 
mentaria, con  orificio  a  parete  leggermente  rientrante  ornata  con  tratteggi  a  funicella  ; 
frammenti  di  un  poculo  decorato  con  tratteggi  a  denti  di  lupo  ed  impressioni  a  funi- 
cella ;  frammenti  di  un  altro  poculo  decorato  con  una  zona  di  impressioni  ad  unghia  ; 


Fig.  2. 


frammenti  di  vasi  fìttili  d'argilla  figulina:  resti  di  cinque  aryballoi  a  ventre  sfe- 
rico schiacciato  ;  resti  di  alabastra  piriformi,  di  varia  grandezza  (alcuni  con  rigonfia- 
mento a  toro  presso  il  collo,  sono  decorati  a  fasce  di  color  rosso  bruno  e  paonazzo,  ed  in 
uno  si  conservano  le  tracce  graffite  di  un  volatile)  ;  frammenti  di  due  askoi  a  forma  di 
animale;  resti  di  un  calice  su  piede,  di  due  tazze  ad  orlo  costolato  con  anse  a  bastoncello 
e  di  due  coppe  biansate  di  argilla  giallognola  (le  prime  a  tinta  uniforme  rossiccia,  le  se- 
conde con  le  decorazioni  scomparse  per  la  superficie  incrostata). 

Tomba  n.  3.  —  Entro  ad  un'area  circolare,  delimitata  da  un  cerchio  di  pietre 
qua  e  là  interrotto  (diam.  m.  6,20),  è  ubicata  la  cella  di  pianta  quadrata  (m.  1,80  di  lato) 
che  conserva  sul  piano  le  tracce  di  una  corsìa  centrale,  in  continuazione  del  dromos  e 
di  due  loculi  laterali  ;  il  dromos  è  rivolto  ad  oriente,  lungo  m.  2,70,  largo  m.  0,75  alla  peri- 
feria e  m.  0,65  alla  porta  della  cella,  che  in  origine  era  sbarrata  da  un  lastrone  di  pan- 
china arenaria. 


POPULONIA  —    16    —  REGIONE   VlL 


Tra  i  residui  del  corredo  funebre,  ritrovati  nell'ultimo  strato  di  riempimento  della 
cella,  si  notano: 

pendaglietto  di  bronzo  conformato  a  goccia,   con  appicagnolo  a  campanellina 
fissa,  frammentario  (alt.  m.  0,013)  ; 

frammenti  di  oggetti  in  bronzo  laminato  ; 

frammenti  di  una  punta  di  lancia  in  ferro  ; 

fusaiola  fittile,  d'impasto  bruno,  a  forma  conica  con  trattini  incisi  a  raggiera  alla 
base  (diam.  m.  0,018)  ; 

frammenti  di  un  piatto  d'impasto  cinerognolo  con  orlo  a  margine  rialzato,  deco- 
rato esternamente  da  solcature  ; 

frammenti  di  vasi  fittili  d'argilla  figulina  dipinti  in  stile  italo-geometrico  (coppe, 
aryballoi  ecc.). 

Tomba  n.  4.  —  Esternamente  sono  comparse  le  vestigia  del  circolo  periferico 
di  pietre  che  delimitava  l'area  (diam.  m.  7,00)  d'impostazione  della  vòlta  e  del  tumulo  ; 
all'interno  di  questo  è  stata  rintracciata  la  cella  di  pianta  quadrata  (m.  1,80  di  lato), 
formata  da  muri  costrutti  con  blocchi  squadrati  di  panchina  arenaria,  che  conservano 
agli  angoli  i  resti  dei  pennacchi  in  aggetto  della  pseudocupola  ;  il  piano  della  cella  è 
tripartito  in  una  corsìa  centrale  in  continuazione  del  dromos  e  due  loculi  laterali  ;  della 
porta  si  conservano  le  due  ante  monolitiche  di  sasso  morto,  ed  un  grosso  blocco  di  calcare 
che  funziona  da  architrave  determinando  un  vano  alto  m.  0,80  e  largo  m.  0,70,  chiuso 
da  un  lastrone  di  panchina  arenaria  ;  il  dromos  è  rivolto  verso  oriente,  con  le  pareti  rive- 
stite da  muretti  a  secco  irregolari,  lungo  m.  3,40,  e  di  larghezza  variabile  (m.  0,75  — 1,06) 
poiché  va  restringendosi  dalla  periferia  del  tumulo  alla  porta  della  cella. 

Nell'ultimo  strato  a  contatto  con  il  piano  della  cella,  con  i  pochi  residui  di  scheletri 
si  rinvennero  anche  le  tracce  dei  corredi  funebri  : 

frammento  di  un  dado  d'avorio; 

frammenti  di  vasi  in  lamina  di  bronzo  ; 

frammenti  di  asticelle  in  ferro  ; 

frammenti  di  vasi  fittili  d'impasto  ; 

frammenti  di  vasi  d'argilla  figulina  dipinti  in  stile  italo  geometrico  (tazze,  ary- 
balloi, askoi,  alabastra). 

Tomba  n.  5.  — La  cella,  di  pianta  quadrata  (m.  2,35  di  lato),  è  ubicata  al  centro 
di  un'area  circolare,  delimitata  con  pietre  alla  periferia,  del  diametro  di  m.  10  (fig.  3). 
Il  dromos  si  apre  ad  occidente,  ed  è  di  pianta  trapezoidale  (lungh.  m.  3,45  ;  largii,  da 
m.  0,60  a  m.  0,70)  ;  la  porta  è  delimitata  da  ante  monolitiche  di  sasso  morto  ;  sopra  alla 
porta,  con  funzione  di  architrave,  e  nella  parte  adiacente  del  dromos,  si  trovano  ancora 
in  situ  i  lastroni  di  copertura  disposti  per  piano.  Le  pareti  della  cella  sono  rivestite  da 
muri  con  blocchi  abbastanza  regolari  di  pietra  e  quattro  pennacchi  angolari  a  risega, 
sui  quali  si  aggirava  la  pseudocupola,  la  cui  altezza  approssimativa  dal  piano  si  può  cal- 
colare in  m.  1,50.  Il  piano  della  cella  risultava  ripartito  in  una  corsìa  centrale,  a  continua- 
zione del  dromos,  due  loculi  sulle  pareti  laterali  ed  un  terzo  sulla  parete  di  fondo,  deli- 
mitati da  lastre  di  panchina  arenaria  poste  per  ritto.  Nei  loculi  e  nella  corsìa  sono  com- 
parsi resti  scheletrici  di  diversi  individui  con  residui  dei  corredi  funebri  : 


Regione  vii. 


17 


POPULONIA 


terminale  forse  di  ago  crinale  a  disco  di  osso  perforato  (diam.  m.  0,03)  ; 

punta  di  freccia  in  bronzo  con  alette  a  coda  di  rondine  alla  base  e  cannone  conico 
fornito  di-forellino  per  l'innesto  dell'asticella  lignea  (lungh.  m.  0,042); 

frammento  di  anello  di  bronzo  con  placchetta  rettangolare  a  sigillo,  con  tracce  di 
una  figura  di  animale,  assai  deteriorato  e  corroso  ; 


<  ' 


Jlc 


.£ 


m b 


Fig.  3. 


frammenti  di  una  spiralina  di  filo  di  bronzo  ; 

frammenti  di  oggetti  in  bronzo  laminato  ; 

fusaiola  fittile  d'impasto,  a  forma  conica  (diam.  m.  0,021)  ; 

frammenti  di  vasi  fittili  d'impasto  (coppe,  calici,  tazze  su  piede)  ; 

frammenti  di  vasi  fittili  d'argilla  figulina  color  giallognolo. 
Tomba  n.  6.  —  Poche  tracce  del  cerchio  periferico  indicano  l'area  circolare  (diam. 
m.  6,50)  che  serviva  di  base  d'impostazione  della  pseudocupola  e  del  tumulo  ;  nel  centro 
era  ubicata  la  sepoltura,  interamente  distrutta,  dall'esplorazione  della  quale  si  estras- 
sero pochi  frammenti  di  vasi  fittili  d'impasto  e  di  argilla  figulina,  ed  un  pendaglielo  di 
bronzo  conformato  a  goccia,  miseri  avanzi  del  corredo  funebre  della  tomba. 

Tomba  n.  7. — L'area  circolare,  contenuta  da  un  cerchio  interrotto  di  pietre, 
è  di  m.  7  di  diametro  ;  la  cella,  di  pianta  rettangolare  nelle  proporzioni  di  una  fossa  (lungh. 
m.  1,85,  largh.  m.  1,45),  occupa  il  centro  di  quest'area;  il  dromos,  delimitato  da  due 
muretti  a  secco,  lungo  m.  2,50,  va  restringendosi  gradualmente  dalla  periferia  all'in- 


POPULONIA 


—    18 


REGIONE    VII. 


gresso  della  colla  (largh.  da  m.  0,50  a  ni.  0,65).  Negli  ultimi  strati  di  riempimento  ade- 
renti al  piano  della  cella  si  scoprirono  : 

frammenti  di  vasi  in  lamina  di  bronzo  ; 

frammenti  di  una  punta  di  lancia  in  ferro  : 

frammenti  di  un  rocchetto  di  impasto  con  testate  a  calotta; 

frammento  di  un  rocchetto  di  impasto  con  testate  a  calotta,  ornate  di  impres- 
sioni a  funicella  ed  a  sigillo  : 

frammenti  di  vasi  fittili  d'impasto  (coppe  baccellate,  tazze  su  piede,  poetili,  ecc.). 

frammenti  di  vasi  fittili  d'argilla  figulina. 


^^^^^j^ 


ZTTi 


Via.  4. 


Tomba  n.  8.  — Di  questa  tomba,  quasi  interamente  distrutta,  non  è  stato  pos- 
sibile rintracciare  nò  il  circolo  periferico  d'impostazione  del  tumulo,  né  l'area  della  cella 
e  la  direzione  del  dromos.  Di  oggetti  del  corredo  funebre  sono  comparsi  solo  due  borchioni 
di  bronzo  con  testata  sagomata  a  peduncolo  centrale  e  quattro  costolature  rilevate  e 
concentriche  nel  disco,  del  diam.  di  in.  0,05. 

In  una  zona  sottostante  a  questo  gruppo  di  tombe,  nei  saggi  di  scavo  praticati  per 
determinare  l'estensione  del  sepolcreto,  si  è  ritrovata  una  tomba  a  fossa  scavata  nel  ter- 
reno di  riporto,  dalle  pareti  deformate.  Negli  strati  di  riempimento  sono  comparsi  i  se- 
guenti oggetti  del  corredo  funebre  che  indicano  la  tomba  appartenente  alla  bassa  epoca 
etrusca:  un  boccale  di  terracotta  verniciata  in  nero,  conformato  a  bottiglia  con  ansa  a 
bastoncello  verticale;  frammenti  di  due  skyphoi  di  terracotta  verniciati  in  nero;  frammenti 
di  una  ciotola  di  terracotta  verniciata  in  nero  con  impressioni  a  palmette  e  circoli  radiati. 

Durante  i  lavori  della  società  «  Populonia  »,  si  verificarono  nella  zona  di  San  Ger- 
bone diversi  trovamenti  di  ruderi  di  edifici  e  di  sepolcreti  di  varia  epoca. 

Nella  chiusa  della  Porcareccia  sono  comparse  le  vestigia  di  una  grandiosa  costru- 
zione (fig.  4)  che  abbraccia  una  vasta  area  rettangolare,  larga  m.  14,  lunga  m.  28.  Di  tale 


REGIONE    VII. 


—    19 


POPULONIA 


Costruzione  si  poterono  esplorare  soltanto  i  muri  periferici  e  parzialmente  quelli  interni, 
tutti  di  struttura  irregolare  a  piccole  pietre  e  dì  vario  spessore,  ad  eccezione  di  quelli 
perimetrali  che  presentano  una  larghezza  uniforme.  Nella  parte  centrale  del  muro  di 
settentrione,  ed  in  quello  esplorato  a  sud-ovest,  si  notano  delle  piccole  aperture  verticali, 
larghe  di  dentro  e  strette  di  fuori,  simili  a  feritoje,  che,  trovandosi  nella  parte  inferiore 


Fm.  6. 


dei  muri,  in  una  conca  soggetta  all'acqua,  dovevano  servire  con  tutta  probabilità  a  dare 
libera  circolazione  all'acqua  e  sfogo  conseguente  all'umidità  del  sottosuolo.  Sull'angolo 
sud-ovest  sono  comparsi  i  resti  di  un'altra  costruzione  annessa  all'edificio.  Nulla  pos- 
siamo dire  con  certezza  sulla  destinazione  di  tale  edificio. 

Sotto  al  muro  di  settentrione,  in  corrispondenza  alla  serie  di  feritoje  sopra  indi- 
cate, si  rinvennero  tracce  di  fondazioni  di  un  muro  più  antico.  Sul  lato  esterno  poi  è  stata 
scoperta  una  interessante  fossa  di  pianta  rettangolare  (fig.  5),  con  le  pareti  rivestite  da 
blocchi  squadrati  di  panchina  arenaria,  disposti  in  assise  regolari  e  leggermente  spor- 
genti a  gradino  ;  la  fossa  non  è  stata  ancora  completamente  esplorata,  e  non  ne  cono- 
sciamo quindi  la  profondità,  nò  possiamo  determinarne  la  destinazione  ;  nella  parte  supe- 
riore vi  è  un  parapetto,  formato  da  lastroni  di  pietra  arenaria  disposti  per  taglio,  che 
chiude  all'ingiro  l'apertura  la  quale  risulta  di  m.  2,85  per  m.  3,85. 

Nell'esplorare  questa  vasta  costruzione,  furono  trovati  numerosissimi  frammenti 
di  tegoloni  in  cotto  dai  margini  rialzati  e  frammenti  di  vasi  fittili  di  diverse  forme  ;  si 


POPULONIA 


20  — 


REGIONE    VII. 


notano  fra  questi  ultimi,  resti  di  piatti,  di  ciotole,  di  kylikes  a  vernice  nera  con  impres- 
•  sioni  a  palmette,  e  frammenti  di  terracotta  di  impasto  grossolano,  di  grandi  ziri  ed  anfo- 
roni.  Sono  comparse  inoltre  alcune  monete  di  bronzo  deteriorate  dall'ossidazione  fra 
le  quali  sono  riconoscibili  dei  sestanti  populoniesi  (')  :  0  testa  di  Minerva  a  destra,  co- 
mporta da  elmo  corinzio  con  due  globuli  al  disopra  indicanti  il  valore  nominale  ;  i*  figura 


Fio.  fi. 


di  civetta,*con  il  corpo  rivolto  a  destra  e  la  testa  di  prospetto,  che  poggia  le'zampe  sopra 
due  globuli  indicanti  il  valore  nominale  :  sul  campo  vi  è  figurato  il  crescente  lunare  fra 
due  astri,  e  sotto  ricorre  la  signatura  A  M  V  vi  A  V  A  (Pupluna).  Oltre  a  questi  sestanti 
populoniesi,  si  sono  rinvenuti  degli  assi  e  dei  semissi  romani  che  servono  a  documentare 
cronologicamente  la  durata  dell'edificio. 

Nella  zona  adiacente  alla  fossa  è  stato  ritrovato  un  piccolo  bronzetto  di  carattere 
votivo,  di  fattura  assai  grossolana  ed  alquanto  deteriorato  :  rappresenta  un  personaggio 
maschile,  avvolto  nella  tunica  e  nel  manto  disposto  a  tracolla,  che  tiene  nella  destra 
protesa  una  offerta:  ha  la  chioma  conformata  a  parrucca  scendente  a  spatola  sul  dorso 
(alt.  m.  0,076). 

Le  macchine  escavatrici  delle  scorie  di  ferro  della  società  «  Populonia  »,  sul  lato 
nord-ovest  del  Poggio  della  Porcareccia,  hanno  posto  alla  luce  resti  di  altre  costruzioni 


(')  Cfr.  Sanibon,  Les  monnaies  antique»  de  Vitali?,  1903,  ]>.  71,  n.  117. 


REGIONE    VII. 


—    21    — 


POPULONIA 


sul  terreno  argilloso  al  disotto  degli  strati  delle  scorie  :  trattasi  di  fondazioni  di  muri, 
disposti  su  piccole  terrazze  artificiali  digradanti  sul  declivio  del  poggio,  di  dimensioni 
varie  da  m.  0,50  a  m.  0,H0  di  spessore,  appartenenti  a  fabbricati  della  città  ;  si  notano 
resti  di  fognature  in  muratura  e  di  lastricati  di  strade  che  si  estendono  per  un  tratto 
considerevole  ('). 

Sul  versante  della  chiusa  del  Conchino,  durante  i  lavori  d'impianto  per  una  ferrovia 


Pie.  7. 


dal  Poggio  della  Porcareccia  al  nuovo  ponte  di  carico  sulla  Punta  delle  Tonnarelle,  sono 
stati  ritrovati  numerosi  resti  di  costruzioni  antiche  che  qui  sommariamente  registriamo: 
Ja)  resti  di  un  muro(fig.  6)  costrutto'con  piccole  bozze  di  tufo  calcare  sovrapposte 
a  filari  regolari;  nell'esplorare  in  profondità  questo  tratto  di  muro,  si  ritrovarono,  sparsi 
nel  terreno,  cinque  assi  sestantali  di  bronzo  alquanto  deteriorati; 

b)  tratto  di  strada  antica  (fig.  7),  costrutta  a  lastre  poligonali  contenute  sui  fianchi 
da  una  serie  di  lastre  poste  per  ritto  (margines)  che  determinano  chiaramente  la  larghezza 
in  m.  3,40  ;  la  strada  saliva  sui  fianchi  del  Poggio  della  Guardiola  lungo  il  Conchino  ; 

e)  resti  di  un  grosso  muro  regolare  costrutto  con  blocchi  squadrati  di  panchina 
arenaria  disposti  a  strati  orizzontali. 


(')  Non  essendo  stata  ancora  la  zona  liberata  dai  depositi  delle  scorie,  non  è  possibile  precisare 
la  estensione  e  la  natura  di  questi  ruderi. 


POPULONIA 


22  — 


REGIONE    VII. 


Negli  strati  superiori  ed  adiacenti  del  terreno  di  riempimento  della  costruzione 
suindicata  si  sono  scoperte  le  vestigia  di  un  sepolcreto  con  tombe  di  inumati,  nelle  quali 
la  custodia  dello  scheletro  è  di  due  diversi  tipi,  e  cioè  a  copertura  displuviata  con  tegoloni 
dai  margini  rialzati,  e  ad  anforoni  di  cotto,  senza  alcun  residuo  di  suppellettile  funebre 
(fig.  8).  Lo  strano  costume  di  seppellire  i  morti,  entro  ad  un'anfora  segata  o  rotta  per  metà, 

ovvero  fra  i  pezzi  di  due  o  più  anfore,  del  quale  si  è  creduto 
di  riconoscere  un  accenno  in  Plinio  («.  h.,  XXX,  46),  risponde 
all'antico  rituale  greco  dell'  tyivtqiafió;,  usato  solo  per  i 
bambini,  e  che,  nel  tardo  Impero  e  nel  più  alto  mediavo,  tro- 
viamo largamente  diffuso  in  tutto  il  bacino  del  Mediterraneo 
per  le  persone  adulte. 

In  questi  tardi  sepolcreti  —  dei  quali  rammenteremo  quelli 
di  Provenza  e  di  Liguria  elencati  dall'Issel  ('),  di  Castelsardo  e 
di  Olbia  in  Sardegna  (*),  di  Sfax  in  Tunisia  (J),  di  Classe  a 
Ravenna  (4)  —  troviamo,  frequentemente  mescolate  con  queste 
tipiche  tombe  ad  anforoni,  altre  con  copertura  ad  embrici  di 
cotto  displuviali,  ala  stessa  guisa  che  nel  nostro  sepolcreto 
populoniese  :  mentre  però  i  sepolcreti  sopra  ricordati  sono  da- 
tabili per  le  monete  ritrovate  in  essi  appartenenti  al  basso 
Impero  (Onorio,  Valentiniano),  nessun  documento  invece  hanno 
offerto  per  la  datazione  le  tombe  populoniesi. 

Essendo  comparse  durante  l'aratura  tracce  di  tombe  nella 
parte  occidentale  del  podere  di  San  Cerbone,  si  è  provveduto 
ad  estendere  da  questo  lato  i  saggi  di  scavo  già  praticati  nelle 
campagne  archeologiche  del  1921-22. 

In  una  zona  prossima  alla  strada  comunale,  sotto  a  strati 
profondi  di  scorie,  a  circa  m.  2,40  dal  piano  di  campagna,  è  stata  scoperta  una  tomba 
ad  inumazione  a  fossa,  con  copertura  displuviata  ad  embrici  di  cotto  dai  margini  rial- 
zati (m.  0,60  per  m.  1,90);  sui  fianchi  dei  resti,  scheletrici  erano  disposti  i  seguenti  vasi 
fittili  appartenuti  al  corredo  funebre  : 

brocca  di  terracotta  rossiccia,  a  ventre  espanso,  ansa  laterale  a  nastro,  beccuccio 
a  tubo  cilindrico  eretto,  piccola  ansa  a  bastoncello  arcuato  (alt.  m.  0,32)  ; 

due  oinochoai  fittili  con  bocca  a  cartoccio  ed  ansa  a  nastro;  sulla  superficie  scrostata 
si  vedono  tracce  della  decorazione  dipinta  in  rosso,  e  precisamente  sul  collo  una  testa 
muliebre  fra  girali,  ed  altre  due  teste  di  profilo  sul  corpo  distinte  da  una  ara  mediana  (alt. 
m.  0,27)  ; 

due  skyphoi  frammentari,  con  festoni  floreali  dipinti  in  bianco  sulla  vernice  nera 
(alt.  in.  0,16)  ; 


Fig.  8. 


(')  Cfr.  Tssel,  Liguria  preistorica,  p.  584  sgg. 

(")  Cfr.  Notizie  degli  scavi,  1881,  p.  30  sgg.  ;  1892,  p.  216  sgg. 

(3)  Cfr.  Revue  arch.,  1887,  II,  p.  28  sgg. 

(*)  Cfr.  Notizie  degli  scavi,  1904,  p.  177  sgg. 


REGIONE    Vlt.  —    23    —  POPULONIA 

lekythos  a  corpo  globulare,  bocca  imbutiforme,  ansa  laterale  a  nastro  con  tracce 
di  zone  dipinte  in  rosso-bruno  (alt.  m.  0,17)  ; 

due  ciotole  frammentarie,  a  vernice  nera,  con  rosetta  centrale  impressa; 

ciotola  a  vernice  nera,  con  orlo  costolato  (diam.  m.  0,21)  ; 

lucerna  fittile  di  terracotta  rossiccia,  a  corpo  globulare  schiacciato,  piccolo  piede 
e  beccuccio  prominente  (lungh.  m.  0,09). 

Vicino  alla  tomba  suddescritta,  in  uno  strato  di  terreno  naturale  e  compatto,  senza 
sovrapposizione  di  scorie,  alla  profondità  di  m.  1,70  dal  piano  di  campagna,  è  stata  ri- 
trovata una  tomba  a  fossa  dalle  pareti  deformate,  con  il  piano  di  deposizione  lastricato 
in  pietra  alberese  ;  negli  strati  inferiori  della  fossa,  aderenti  al  lastricato,  sono  comparsi 
i  resti  dello  scheletro  e  del  relativo  corredo  funebre  : 

alcune  perle  globulari  perforate,  di  pasta  vitrea  e  di  ambra,  appartenenti  ad  una 
collana  ; 

piccolo  cilindretto  perforato,  di  bronzo  (diam.  m.  0,013); 

tre  fìbuline  di  bronzo  ridotte  al  semplice  arco  ingrossato,  in  un  esemplare  a  fuso, 
negli  altri  due  a  cuscinetto  romboidale  ; 

gangherella  di  filo  di  bronzo,  con  appendici  spiraliformi  ad  occhiale  ; 

fusaiola  fittile  d'impasto  bruno,  a  forma  conica  (diam.  m.  0,025)  ; 

tre  rocchetti  fittili  d'impasto  bruno,  provvisti  di  testate  a  calotta,  decorate  da 
impressioni  con  una  rosetta  centrale  a  tratti  incrociati,  circoscritta  da  un  triangolo  a 
festoni  di  tre  tratti  a  funicella  (lungh.  m.  0,065)  ; 

frammenti  di  vasi  fittili  d'impasto,  fra  i  quali  sono  riconoscibili  due  coppe  ad 
ingubbiatura  nera,  ed  un  poetilo  ad  ingubbiatura  color  marrone,  fornito  di  duplice  ansa 
ad  orecchietta  perforata  a  cunicolo,  e  decorato  sul  corpo  da  due  zone  di  triangoli  trat- 
teggiati in  serie  orizzontale  a  denti  di  lupo  disposti  con  le  punte  verso  la  parte 
mediana  ; 

frammenti  di  vasi  fittili  d'argilla  figulina  color  giallognolo,  non  ricostruibili  né  iden- 
tificabili per  le  forme. 

Gruppi  di  tombe  e  resti  di  costruzioni  del  periodo  etrusco-romano  furono  scoperti 
fortuitamente  in  seguito  ai  lavori  di  aratura  del  terreno  nelle  zone  di  Poggio  al  Lupo  e  di 
Poggio  all'Agnello. 

A  Poggio  al  Lupo,  nella  pendice  di  nord-est  è  stato  rinvenuto  un  gruppo  di  tombe 
di  inumati  con  custodia  a  cassone  ;  la  struttura  di  queste  si  presenta  uniforme  con  il  piano 
di  deposizione  a  fondo  sabbioso  senza  alcun  rivestimento,  e  le  pareti  e  la  copertura 
formate  di  lastre  di  alberese,  riunite  sulle  pareti  in  modo  che  vanno  restringendosi  dalla 
testa  ai  piedi  (lungh.  m.  2  ;  largii,  da  m.  0,80  a  m.  0,60)  ;  le  tombe  erano  disposte  in  fila, 
a  m.  0,70  l'una  dall'altra,  tutte  con  i  resti  scheletrici,  ma  senza  alcuna  traccia  di  corredo 
funebre. 

A  Poggio  all'Agnello,  in  un  campo  adiacente  alla  fattoria,  denominato  «  le  Pian- 
tate »,  sono  venute  alla  luce  altre  tombe  di  inumati  a  fossa,  con  copertura  displuviata 
a  tegoloni  di  cotto,  dai  margini  rialzati,  od  a  lastre  di  panchina  arenaria. 
In  questo  gruppo  di  tombe  furono  raccolte  le  seguenti  suppellettili  : 

perla  globulare  d'ambra,  perforata  nell'asse,  frammentaria  ; 


lWÙLONIA 


-  24 


Regione  vii. 


specchio  di  bronzo,  a  patina  verde  chiara,  dal  contorno  dentellato  e  provvisto 
di  codolo  che  doveva  essere  in  origine  innestato  in  un  manico  forse  osseo  (lungh.  m.  0,27). 
Sopra  una  delle  facce  (fig.  9)  è  graffìta  una  figura  di  Lasa  ignuda,  con  il  copricapo 
pileato  ed  il  corpo  visto  di  tre  quarti,  che,  provvista  di  due  grandi  ali  spiegate,  è  con- 
cepita in  atto  di  volare  recando  nella  mano  sinistra  un  alabastron  ; 

specchio  di  bronzo,  a   patina  verde  chiara,  dal  contorno  dentellato,  fornito  di 


Fio.  9. 


codolo  (lungh.  ni.  0,17)  ;  è  a  superficie  liscia,  e  solo  alla  base  del  manico  vi  è  graffito  un 
motivo  floreale  con  tralcio  di  edera  ; 

tre  bacinelle  di  robusta  lamina  di  bronzo,  con  orlo  leggermente  appiattito  ;  sono 
di  diverse  dimensioni  (diam.  m.  0,1 7  ;  0,19  ;  0,24)  ; 

gruppo  di  chiodi  a  capocchia  discoidale  piatta  (lungh.  m.  0,05)  ; 

due  ciotole  d'impasto  poco  depurato,  frammentarie  :  di  diverse  dimensioni  (diam. 
m.  0,10  x0,ll);  una  di  esse  porta  sul  fondo  interno  come  segnatura  A  ; 

due  poculi  d'impasto,  frammentarli  :  uno  è  decorato,  sotto  al  collo,  da  una  zona 
di  tratti  angolari  a  denti  di  lupo  (alt.  m.  0,10)  ; 

tre  piatti,  di  terracotta  rossiccia  verniciata  in  nero,  su  piccolo  piede,   con  orlo 

(')  Vedasi  per  tipi  consimili  Gerhard,  FArxiskische  Spiegel,  I,  tavv.   XXXI-XXXIV  :  Schuma- 
cher, Reschr.  der  Stimmi,  antiker  Bromen  in  Karlsnihe,  tav.  V,  5. 


REGIONE   VII. 


-  25  - 


POPULONÌÀ 


piano  e  labbro  leggermente  rovesciato  ;  due  di  essi  sono  segnati,  l'uno  con  la  sigla  A  A , 
l'altro  con  la  sigla  A  (diam.  m.  0,15)  ; 

altro  piatto  consimile  a  vernice  nera  plumbea,  con  orlo  rovesciato  (diam.  m.  0,18)  ; 

due  ciotole  di  terracotta  verniciata  in  nero,  decorate  internamente  sul  fondo 
da  bolli  a  palmette  (diam.  m.  0,15)  ; 

lekythos  a  corpo  piriforme,  di  terracotta  giallognola,  frammentaria  (alt.  m.  0,13)  ; 

piccolo  poculo  di  impasto  assai  depurato,  color  bruno, 
con  orlo  a  labbro  rovesciato,  frammentario  (alt.  m.  0,08)  ; 

grande  anfora  di  terracotta  rossiccia  (alt.  m.  0,57); 

due  oinochoai  a  bocca  trilobata,  di  terracotta  verniciata 
in  nero,  con  tracce  di  decorazione  dipinta  in  colore  bianco- 
crema  (alt.  m.  0,23); 

oinochoe  simile  alle  precedenti  ma  di  più  piccole  propor- 
zioni ;  frammentaria  alla  bocca  (alt.  m.  0,21)  ; 

frammenti  di  quattro  oinochoai  sul  tipo  delle  precedenti  ; 

skyphos  frammentario  di  terracotta  a  vernice  nera,  de- 
corato da  una  grande  palmetta  sovra  dipinta  in  rosso  ; 

kantharos  frammentario  su  piede  campanulato,  di  terra- 
cotta verniciata  in  nero  (alt.  m.  0,17)  ; 

askos  frammentario  ad  otre,  di  terracotta  giallognola, 
provvisto  di  ansa  orizzontale  a  nastro  impostata  presso  il  bec- 
cuccio. 

Nella  parte  elevata  della  sella,  che  distingue,  sull'alto  di 
Populonia,  il  poggio  del  Castello  da  quello  del  Molino,  nella 
località  di  S.  Caterina,  presso  la  strada  comunale  che  sale  da 
Baratti,  sono  apparse  casualmente  le  vestigia  di  un  pozzo  antico. 
Il  pozzo  (fig.  10)  è  stato  esplorato  sino  alla  profondità  di  m.  8,50, 
ed  è  costrutto  con  un  muro  regolare  ad  opera  a  sacco  ;  superior- 
mente ha  la  bocca  ricavata  da  un  blocco  di  pietra  arenaria, 
ridotta  a  tamburo  cilindrico,  alta  m.  0,80  e  del  diametro  di  m.  0,85. 
Alla  profondità  suindicata  di  m.  8,50  il  pozzo  è  risultato  chiuso 
da  un  grossissimo  lastrone  di  tufo.  Dallo  spurgo  effettuato  sino  a  tale  limite,  e  precisa- 
mente nello  strato  inferiore,  sono  stati  ritrovati  diversi  oggetti  antichi  di  varia  epoca, 
dei  quali  elenchiamo  solo  i  principali.  Tra  gli  oggetti  in  bronzo  sono  degni  di  rilievo  : 

parte  superiore  di  piccola  situla  (fig.  11)  con  maniglia  a  verghetta,  ripiegata  ad 
arco,  costolata  nella  parte  superiore,  provvista  di  campanella  ad  appiccagnolo,  e  con  i 
terminali  ripiegati,  desinenti  a  testa  d'oca  ;  le  orecchiette,  fissate  sull'orlo,  sulle  quali 
gira  la  maniglia,  sono  conformate  ad  anello,  ed  hanno  la  base  di  attacco  di  robusta  la- 
mina ritagliata  a  foglia  d'edera.  La  situletta,  che  doveva  essere  a  corpo  ovoidale,  pre- 
senta all'orificio  un  diametro  di  m.  0,09  ('); 


•;;l|, 


Fig.  10. 


(')  Per  tipi  analoghi  di  situle  in  bronzo  vedasi  Bruno  Schroeder,  Griech.  Bronzeeimer  in  Berliner 
Antiquarium,  in  74°  Winckelmannsprogr.  p.  2!)  sgg. 

Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI.  4 


POPULONIA 


-  26 


REGIONE    VII. 


ansa  di  oinochoe  (fig.  12)  con  il  fusto  a  doppio  bastoncello  inguauiato  da  fogliami 
stilizzati,  biforcato  in  basso  in  due  cauliculi  raccordati  ad  anello  elissoidale,  che  reca  nel 
mezzo  un  emblema  a  basso  rilievo  con  gorgoneion;  superiormente,  anche  il  fusto  si  distingue 
in  due  branche  a  verghetta,  terminate  a  teste  d'aquila  che  avvolgevano  l'orificio  del- 


Fig.  11. 


l'oinochoe  ;  nella  parte  mediana  sporgente  su  placchetta  sagomata  sta  una  protome  di 
ariete,  e  sulle  corna  trovasi  imperniato,  mediante  cerniera,  un  coperchio  mobile  foggiato 
a  conchiglia  (alt.  m.  0,16)  ; 

ala  sinistra,  con  appendice  di  attacco  in  ferro  (fig.  13),  appartenuta,  con  tutta 
probabilità,  ad  una  statuetta  di  bronzo  di  qualche  divinità  o  demone  alato  ;  è  finemente 
graffita  da  un  solo  lato,  con  le  remiganti  e  le  primarie  ben  proporzionate  (lungh.  m.  0,20); 
Con  gli  oggetti  di  bronzo  suddescritti  furono  inoltre  ritrovati  : 

piccola  base  frammentaria  di  pietra  tufacea  ; 

stilo  di  osso,  di  forma  conica,  con  l'estremità  inferiore  finemente  appuntita  (styli 
praeacuti:  Plin.,  n.  h.,  IX,  70,  ì)  e  quella  superiore  terminante  a  perlina  (lungh.  m.  0,093). 
La  forma  di  questo  piccolo  stilo,  assai  comune,  non  ci  permette  di  determinare  il  periodo 
al  quale  appartiene  :  esso  può  benissimo  risalire  anche  al  periodo  etrusco,  dove  accanto 
allo  slylus  ferreus  (Plin.,  nat.  hisl.,  XVIII,  50,  2),  con  terminale  superiore  a  raschiatoio 


REGIONE    VII. 


27    — 


POPULONIA 


per  levare  la  cera  (vertere  stillivi),  erano  in  uso  anche  quelli  confezionati  in  osso  (Varrò, 
G.  L.,  I,  55,4;  138,1)  ('). 


Via.  12 


Fra  i  copiosi  frammenti  di  anfore,  di  ziri  e  di  altri  vasi  fittili,  ricorderemo  : 
resti  di  uno  ziro  decorato  con  zone  orizzontali  rilevate  a  treccia  continua  di  stile 


ìonico-arcaico  ; 


Fio.  13. 


ciotola  frammentaria,  a  vernice  nera,  ornata  internamente  con  impressioni  a  pal- 
mette  (diam.  m.  0,14)  ; 

vasetto  a  vernice  nera,  frammentario  all'orificio  ; 


Q)  Cfr.  Bluraner,  Terminologie  und  Teehnologie,  TV,  425;  Wiinsch  in  Pauly-Wissowa,  R.E.,  VII, 
1874  sg.,  s.  v.  «Griffer»;  Gardthausen,  Griech.  Palaeogr.,  p.  68, 


POPULONIA 


—  28  — 


REGIONE    VII. 


lucerna  di  terracotta  color  rossiccio,  a  beccuccio  sporgente  e  corpo  globulare  schiac- 
ciato con  base  piatta  ;  reca  sul  fondo  una  segnatura  incisa  £  (lungh:  ni.  0,085)  ; 

dischetto  perforato  (peso  od  amuleto  ?),  formato  da  un  frammento  di  vaso  fìttile 
a  vernice  nera  (diam.  m.  0,03). 

Fra  i  trovamenti  effettuati  in  passato  durante  i  lavori  della  società  «  Populonia  » 
vanno  segnalati  i  seguenti  oggetti,  ora  di  proprietà  del  sig.  dr.  Zannellini  di  Piombino  : 
Braccialetto  trinato  d'oro  (fig.  14)  che  richiama  a  quel  tipo  di  braccialetto  vetu- 
loniese,  offerto  dall'esemplare  del  «  circolo  dei  Monili  »  (')  ;  differisce  però  nella  composi- 
zione, non  risultando  di  nastri  distinti  ed  in  relazione  con  le  testate  ed  il  prolungamento 


"•■:■ !«'     ■'.'iit;:,-~ 


Fio.  14. 


mediano  (lungh.  complessiva  nello  sviluppo  m.  0,18).  Il  nastro  appare  come  unico,  com- 
posto di  quattro  fettucce,  con  l'orlo  limitato  da  doppie  funicelle,  accostate  a  guisa  di 
treccia,  e  di  altre  trine  a  giorno  di  diverso  disegno.  Le  trine  laterali  sono  di  filo  ondulato 
semplicemente,  quella  centrale  invece  è  di  filo  ad  ondulazione  a  meandro:  questi  due 
motivi  di  trine  si  trovano  similmente  confezionati  e  disposti  alternativamente  in  finis- 
simi esemplari  di  armille  vetuloniesi,  e  cioè  quelli  scoperti  nel  «circolo  di  Bes  »  (2),  nel 
«  primo  tumulo  delle  Migliarone  »  (3),  nel  «  tumulo  della  Pietrera  »  ('). 

Passando  alle  testate  del  nastro,  noi  troviamo  lateralmente  due  laminette  semicir- 
colari, ed  al  centro  una  laminetta  a  triangolo  isoscele,  contornate  a  funicella  e  decorate 
alla  periferia  da  triangoletti  ed  al  centro  da  rosette  granulate.  Appare  così,  in  un  primo 
sguardo  d'insieme,  applicato  il  sistema  in  uso  nella  confezione  dei  braccialetti  formati 
da  tre  nastri  distinti.  Nella  parte  mediana  si  staccano  dalle  testate  le  linguette  a  nastro 


(')  Cfr.  Falchi,  Vetulonia  e  la  sua  necropoli  antichissima,  p.  98,  tav.  VII,  6  ;  Karo,  in  Studi 
e  materiali,  II,  p.  103,  fig.  66. 

(*)  Cfr.  Falchi,  op.  cit.,  p.  105,  tav.  Vili,  14  ;  Karo,  op.  cit.,  p.  105,  fig.  59. 
(3)  Cfr.  Karo,  op.  cit.,  p.  106,  fig.  60. 
(«)  Cfr.  Karo,  op.  cit.,  p.  107,  figg.  61-64. 


REGIONE    VII. 


—    29    — 


POPULONIA 


costituito  da  una  trina  a  giorno  ondulata  a  meandro  e  due  fettucce  di  lamina.  Ora  le 
linguette  rappresentano  la  continuazione  della  parte  centrale  del  nastro  oltre  la  testata 
triangolare  ;  esse  terminano  in  una  placchetta  rettangolare,  ad  orlo  cordonato,  decorata 
a  granulazione  con  triangoli  periferici  e  listelli  :  da  un  lato  vi  è  saldata  una  gangherella 
rettangolare  di  robusto  filo  d'oro  ;  dall'altro  lato  si  stacca  il  gancio  a  nastro  di  fili  d'oro 


Fio.  16. 

accoppiati  e  ripiegati  ad  arco  nella  testata,  come  nell'armilla  vetuloniese,  già  ricordata, 
del  «  1°  tumulo  delle  Migliarine  »  ('). 

Piccolo  bronzo  rappresentante,  a  quanto  pare,  una  figura  muliebre  (alt.  m.  0,08) 
di  stile  cretese-peloponnesiaco  (fig.  1 5)  ;  è  vestita  di  corta  tunica  che  arriva  appena  al 
ginocchio,  provvista  di  mezze  maniche  e  con  gli  orli  contornati  ;  risponde  allo  schema 
più  rigido  e  severo  nella  disposizione  del  corpo  e  degli  arti,  nel  profilo  del  volto  con  gli 
occhi  assai  grossi  conformati  a  mandorla  e  divergenti;  singolare  è  la  capigliatura,  a 
ciocche  parallele  scendenti  a  nappa  sulle  spalle,  e  sollevata  sulla  fronte  a  guisa  di  un 
toppino  arcuato  che  va  gradualmente  assottigliandosi  verso  le  tempie  (2). 

A.  Minto. 


(')  Cfr.  Karo,  op.  cit.,  p.  106,  fig.  60. 

(2)  Vedasi  il  bronzetti  cretese  dell'Antiquarium  di  Berlino  in  Arch.  Ameiger,  XXXVII,  1922, 
col.  63,  n,  6. 


PORTO    S.    STEFANO  —    30    —  REGIONE    VII. 


IV.  PORTO  S.  STEFANO  —  Scoperta  fortuita  di  anfore  romane  in 
locahtà   «  Casalonc  »   (monte  Argentario). 

In  seguito  alla  comunicazione  di  una  scoperta  fortuita  fatta  durante  il  mese 
di  luglio  1923  in  località  «  Casalone»  presso  il  Pozzarello,  in  proprietà  del  sig.  Luca 
Pari  la  K.  Soprintendenza  agli  Scavi  d'Etruria  mi  incaricò  di  compiere  un  sopraluogo. 

Le  anfore  scoperte  sono  cinque,  due  delle  quali  quasi  intere  e  ben  conservate, 
mentre  le  altre  tre  sono  un  po'  danneggiate  nelle  anse  e  nella  bocca,  in  più  si 
ritrovarono  due  embrici  quasi  quadri,  che  —  stando  a  quanto  mi  si  riferì  —  dovevano 
aver  servito  per  sepoltura,  essendovi  state  ritrovate  sotto  delle  ossa  umane. 

Il  luogo  in  questione  già  da  diverso  tempo  è  segnalato  come  ricco  di  antichità, 
e  due  anni  or  sono  nell'eseguirvi  un  lavoro  di  correzione  per  conto  della  ferrovia 
Orbetel  Io-Porto  S.  Stefano,  vi  furono  ritrovate  due  anfore  della  stessa  specie  e  forma, 
una  delle  quali,  insieme  ad  un  altro  piccolo  vaso  assai  rozzo,  sono  stati  donati  dal- 
l'attuale direttore  della  stessa  ferrovia  ing.  Clelio  Carati  al  nostro  Antiqmrium, 
dove  attualmente  si  trovano  conservati. 

Le  vestigia  dei  ruderi  sono  diverse,  e  si  protraggono  per  una  notevole  estensione  : 
a  mio  criterio  si  riferiscono  al  primo  o  secondo  secolo  dell'epoca  imperiale  romana. 

Sono  residui  di  muraglie  (opus  reliculatum)  e  di  colonne  in  materiale  cotto;  e 
senza  dubbio  doveva  trattarsi  di  costruzioni  assurgenti  ad  una  certa  importanza. 
Esse  forse  erano  attinenti  alla  famosa  Villa  di  Santa  Liberata  o  Domizia,  che  trovasi 
poco  distante,  e  si  sarebbe  tentati  di  condividere  l'affermazione  che  —  a  proposito 
di  dette  rovine  —  ebbe  ad  esprimere  molti  anni  indietro  il  cav.  dott.  A.  Ademollo 
nella  sua  Guida  del  monte  Argentario,  e  cioè  che  ivi  sorgesse  un'officina  figulinaria, 
facente  parte  dei  predi  appartenenti  ai  Domizi  Enobarbi.  Ma  per  dare  un  giudizio 
definitivo  in  merito,  bisognerebbe  approfondire  le  esplorazioni  e  mettere  in  pianta  '  o 
eseguire  il  rilievo  dei  detti  resti  archeologici.  Per  esempio:  a  un  metro  circa  del- 
l'attuale livello  del  terreno,  in  una  specie  di  burrone,  constatai  spuntare  un  frammento 
di  impiantito  a  mosaico  di  tipo  comune  romano. 

Notevole  poi  è  questo,  che  dal  «  Casalone  »  si  dipartiva  un'antica  carreggiata,  inol- 
trantesi  nell'  interno  dell'Argentario,  e  che  io  ho  potuto,  in  altre  occasioni,  seguire 
per  lungo  tratto. 

P.  Raveggi. 


REGIONE    VII.  —    31    —  MAGLIANO    ROMANO 


V.  MAGLIANO  ROMANO  (già  Pecorareccio)  —  Rinvenimento  fortuito 
di  un  antico  sepolcro. 

Certo  Nazzarri  Enrico,  nell'eseguire  lo  scassato  per  vigna  in  suo  terreno  posto  nella 
contrada  denominata  Ara  Corridoja,  presso  Magliano  Romano  (già  Pecorareccio)  rinvenne, 
alla  profondità  di  circa  m.  1,25  dal  piano  di  campagna,  sei  vasetti  di  bucchero,  due  di 
argilla  chiara  e  diversi  frammenti  di  altri  vasi,  di  cui  dirò  in  seguito. 

Sospeso  lo  scassato  e  messi  in  salvo  gli  oggetti,  il  Nazzarri  diede  subito  denunzia 
della  scoperta  al  maresciallo  dei  carabinieri  comandante  la  prossima  stazione  di  Campa- 
gnano,  il  quale,  a  sua  volta,  ne  informò  le  autorità  competenti  le  quali  disposero,  che  l'as- 
sistente sig.  cav.  Natale  Malavolta  da  Isola  Farnese,  ove  egli  trovavasi,  si  recasse  senza 
indugio  a  Magliano  per  prendere  visione  del  materiale  rinvenuto  e  tutelare  gli  interessi 
dello  Stato. 

Secondo  le  notizie  trasmesse  in  questi  giorni  dal  Malavolta,  la  scoperta  sarebbe 
avvenuta  poco  oltre  il  cimitero,  lungo  la  via  che  prende  il  nome  dalla  chiesa  della  Ma- 
donna del  Carmine  posta  a  N-NE  del  paese,  e  precisamente  tra  la  proprietà  del  Nazzarri 
e  quella  limitrofa  appartenente  ai  fratelli  Sergio  ed  Umberto  Arnaldi,  essi  pure,  come 
il  primo,  residenti  in  Magliano. 

I  fittili  sarebbero  stati  trovati  sul  pavimento  di  una  tomba  a  camera  scavata  nella 
roccia  tufacea  che  il  Nazzarri,  fino  al  momento  della  scoperta  degli  oggetti,  non  avrebbe 
riconosciuto,  e  di  cui,  senza  volerlo,  aveva  distrutto  la  parete  d'ingresso,  50  cm.  circa 
delle  pareti  laterali  e  il  corridoio  che  dava  accesso  alla  tomba  stessa. 

Stabilito  che  la  continuazione  dello  spurgo  sarebbe  stata  fatta  a  spese  dei  singoli 
proprietarii,  il  Malavolta  presenziò  e  diresse  i  lavori  di  sterro,  che  furono  completati  nei 
giorni  14  e  15  gennaio  scorsi  ;  e  prese  nota  della  suppellettile  tornata  in  luce,  con 
quella  cura  e  diligenza  che  lo  hanno  sempre  distinto. 

La  pianta  della  tomba  aveva  forma  rettangolare,  e  misurava  m.  1,80  di  larghezza 
per  una  lunghezza  di  m.  2,45.  L'ingresso  di  essa  era  esposto  ad  E-NE.  In  corrispon- 
denza del  dromos  che,  come  già  dissi,  era  stato  distrutto  dal  Nazzarri,  furono  da  questi 
notati  vari  frammentilo  di  vasellame  simile  a  quello  rinvenuto  entro  il  sepolcro,  ai  quali 
lo  scopritore  però  non  diede  alcuna  importanza,  e  che  perciò  non  raccolse.  Della  chiu- 
denda erasi  conservato  soltanto  l'infimo  blocco  ;  il  resto  era  stato  rimosso  ed  asportato 
dagli  antichi  violatori  del  sepolcro.  La  suppellettile  si  trovò  perciò  tutta  fuori  posto 
e  sparsa  sul  pavimento  senza  alcun  ordine.  Del  cadavere  non  si  rinvenne  nessuna  traccia. 

I  vasi  scoperti  dal  Nazzarri  a  breve  distanza  dalla  parete  d' ingresso  sono  i  seguenti  : 

1.  Oinochoe  di  bucchero  a  ventre  sf eriforme,  bocca  trilobata  ed  ansa  a  baston- 
cello. È  decorata,  intorno  al  corpo,  con  tre  solcature  che  lo  dividono  in  quattro  parti, 
e,  sull'orlo,  con  due  apofisi  presso  l'attaccatura  dell'ansa  ;  alt.  mass.  mm.  195. 

2.  Altra  oinochoe  di  bucchero,  di  forma  assai  goffa,  con  ansa  a  nastro  molto 
elevata  sopra  l'orlo  e  munita  di  due  solcature  longitudinali.  Manca  di  quasi  tutto  l'orlo, 
e  misura  mm.  160  di  altezza. 


MAGLIANO    ROMANO  —    32    —  REGIONE    VII. 


3.  Olpe  di  bucchero,  con  crinature  nel  corpo:  alt.  mm.  127. 

4.  Anforetta  di  forme  tozze  e  priva  di  decorazione.  Si  raccolse  in  frammenti  e 
misura  mm.  98  di  altezza. 

5.  Kantharos  di  bucchero  ad  alte  anse  a  nastro,  ornato  con  due  linee  graffite  intorno 
all'orlo  e  con  delle  intaccature  nel  punto  di  unione  del  collo  al  fondo  :  alt.  mm.  73  ;  diam. 
alla  bocca  mm.  120. 

6.  Tazza  a  calice,  di  bucchero,  posata  su  basso  piede  e  decorata  intorno  al  collo 
con  tre  solcature  parallele  eseguite  al  tornio:  diam.  mm.  127. 

7.  Tazzina  a  calotta,  di  argilla  chiara,  posata  su  pieduccio  e  decorata  con  una 
fascia  di  colore  bruno  intorno  all'orlo  e  nella  parte  superiore  del  corpo.  Internamente 
è  verniciata  di  bruno.  Anche  il  pieduccio  era  verniciato  del  medesimo  colore  :  alt.  mm.  72  ; 
diam.  mm.  105. 

8.  Altra  tazzina  a  calotta,  di  argilla  chiara,  su  pieduccio  sagomato  e  priva  di  deco- 
razione. È  in  frammenti. 

9.  Gruppo  di  numerosi  frammenti  appartenenti  a  vasi  di  bucchero  ;  d'impasto 
rossastro  e  di  argilla  chiara. 

Lo  spurgo  di  quella  parte  del  sepolcro  situata  al  di  là  dalla  staccionata  che  divide 
le  due  proprietà,  in  corrispondenza  cioè  del  terreno  posseduto  dai  fratelli  Arnaldi,  non 
fruttò  se  non  una  tazza  a  calice,  di  bucchero,  posata  su  pieduccio  e  decorata  come 
quella  descritta  al  n.  6  :  alt.  mm.  84. 

Trattasi  evidentemente  di  una  delle  solite  tombe  a  camera,  di  tipo  arcaico,  provviste 
generalmente  di  banchina  per  la  deposizione  del  cadavere  ;  banchina  che  qui  sarebbe 
completamente  scomparsa  insieme  colla  vòlta  e  con  buona  parte  delle  pareti,  per  la  forte 
erosione  subita  dal  terreno. 

Tracce  di  un  altro  sepolcreto  si  sono  potute  accertare  anche  in  vocabolo  Monte  Lungo, 
dove  un  certo  Cesi  Aniceto,  lavorando  la  terra  per  la  semina  del  grano,  trovò,  qualche 
tempo  fa,  due  grandi  anfore  a  copertura  rossastra  e  decorazione  geometrica  di  colore 
bianco,  poste  sotto  alcuni  lastroni  che  il  Malavolta  ritiene  possano  avere  appartenuto 
ad  un  sepolcro  costruito  in  tutto  od  in  parte  con  blocchi  squadrati  di  tufo,  e  forse  non  del 
tutto  esplorato. 

Durante  il  periodo  della  civiltà  etrusca  la  regione  dovette  essere  intensamente  abi- 
tata, ed  un  centro  di  una  certa  importanza  (senza  accennare  a  quello  che  doveva  sorgere 
nel  luogo  dell'attuale  villaggio)  fu  riconosciuto  dal  Malavolta,  nella  sua  rapida  pere- 
grinazione attraverso  il  territorio,  sopra  l'altura  di  Monte  Maggiore,  a  breve  distanza 
da  Magliano  ed  a  poco  più  di  6  km.  da  Narce  ('). 

La  regione  stessa,  per  la  conformazione  del  terreno,  per  l'abbondanza  delle  acque 
sorgive  e  per  essere  posta  a  cavaliere  di  due  grandi  arterie  stradali  —  la  Flaminia  e  la 
Cassia  —  congiunte  l'una  all'altra  da  un  diverticolo  di  cui  si  conservano  parecchi  tratti 
selciati  (2),  dovette  anche  nei  tempi  romani  essere  cosparsa  di  ville  e  di  altri  fabbricati 
importanti,  a  giudicare  dai  frequenti  trovamenti  di  marmi,  di  anfore  vinarie  e  di  altro 

(')  Cfr.  Mon.  ant.  dei  Lincei,  voi.  IV,  tav.  I. 
(*)  Not.  scavi,  1919.  p.  123. 


regione  vi.  —  'ó'ó  —  Gualdo  tadino 

materiale  che  i  contadini  del  luogo,  col  dissodamento  del  terreno,  vengono  man  mano 
rimettendo  alla  luce. 

Alcuni  oggetti  provenienti  da  sepolcri  di  età  romana,  furono  potuti  recuperare  tre- 
dici anni  or  sono  in  vocabolo  Valentino  o  Vallette  nella  proprietà  Sili,  tra  la  Flaminia  e 
Magliano,  per  merito  del  custode  Domenico  Marino'  che  aveva  ricevuto  dalla  Soprinten- 
denza l'incarico  d'ispezionare  quel  territorio.  Essi  fanno  attualmente  parte  delle  collezioni 
del  museo  di  villa  Giulia  e  consistono  in  un  anello  di  quarzo  opalino  con  scudetto  ovoi- 
dale liscio  ;  in  un  grosso  anello  d'ambra  con  scudetto  rilevato  ;  in  alcuni  frammenti  di 
specilli  in  avorio  e  vetro,  ed  in  una  moneta  di  Faustina.  Tali  oggetti  provenivano  da 
due  tombe  a  fossa  in  muratura,  protette  da  pesanti  lastroni  di  travertino,  rinvenute 
a  pochissima  profondità  dal  suolo  da  certo  Zaccardini  Pietro,  il  quale,  secondo  le  voci 
che  correvano,  era  potuto  riuscire  a  vendere  sul  mercato  antiquario  di  Roma  una  col- 
lana d'oro  che  avrebbe  fatto  parte  della  suppellettile  rinvenuta  nei  sepolcri  stessi. 

È  mestieri  perciò  seguire  con  occhio  vigile  i  lavori  campestri  di  quel  territorio,  da 
cui  si  possono  attendere,  da  un  momento  all'altro,  delle  scoperte  archeologiche  di  note- 
vole importanza. 

E.  Stefani. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

VI.  GUALDO  TADINO  —  Scoperta  fortuita  di  antichi  sepolcri. 

Nel  febbraio  dello  scorso  anno,  mentre  eseguivasi  l'aratura  di  un  terreno  situato 
nella  località  «  il  Piano  »,  presso  Gualdo  Tadino,  furono  scoperte  due  tombe  a  fossa  pro- 
tette da  lastroni  di  calcare  e  contenenti  ciascuna  gli  avanzi  dello  scheletro  che  eravi  stato 
deposto. 

Le  tombe  appartenevano  entrambe  a  guerrieri.  Nella  prima  si  rinvennero  :  una 
spada  di  ferro,  a  lama  ricurva  ;  alcune  strisce  in  lamina  di  rame  servite  per  il  rafforza- 
mento di  qualche  cassetta,  ed  un  pezzo  dell'orlo  di  un  grande  vaso  d'arte  locale  verni- 
ciato di  nero.  Nella  seconda,  i  residui  di  un'altra  spada  di  ferro,  pure  a  lama  ricurva; 
gli  avanzi  di  un  pugnale  di  ferro,  con  relativo  fodero  ;  una  cuspide  di  lancia,  in  ferro  ; 
un  rasoio  lunato,  di  bronzo,  privo  del  manico  ;  una  bacinella  in  lamina  di  rame,  fram- 
mentata nel  fondo,  ed  alcuni  pezzi  insignificanti  di  ferro. 

Durante  la  lavorazione  del  terreno  furono  trovate  anche  una  grande  armilla  di 
bronzo  con  estremità  sovrapposte  ed  appuntite,  e  una  cuspide  di  lancia  in  ferro  molto 
acuminata. 

Un  altro  sepolcro  a  fossa  tornò  alla  luce,  pure  l'inverno  scorso,  nella  località  «  Campo 
Calvio  »,  contigua  a  quella  del  Piano,  durante  l'escavazione  di  certi  formoni  per  vigna  (')• 
Esso  conteneva  il  seguente  corredo  funebre  :  a)  resti  di  una  fibula  di  bronzo  ad  arco  ser- 

(')  Per  le  scoperte  precedenti  avvenute  nella  medesima  località,  vedi  Notizie  1922,  p.  7Gsgg. 
Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI.  5 


CORINALDO 


34  —  Regione  v. 


peggiante  adorno  di  una  rosetta  ;  b)  spillo  di  altra  fibula  ;  e)  tre  anellini  di  filo  di  bronzo  ; 
d)  due  braccialetti  di  bronzo  ;  e)  un  infundibolo  umbilicato  in  lamina  di  rame  ;  f)  fram- 
menti laminari  enei  a  sagoma  ricurva  ;  g)  pochi  avanzi  di  vasellame  grezzo,  d'impasto 
scuro. 

I  detti  sepolcri  si  riferiscono  a  due  periodi  di  civiltà  diverse  :  l'uno,  che  ci  riporta 
al  VII-VI  sec  av.  Cr.,  rappresentato  dalla  caratteristica  fibula  a  rosetta  di  tipo  euganeo, 
perfettamente  simile  a  quella  rinvenuta  pochi  anni  or  sono  nel  sepolcreto  scoperto  in 
contrada  «  Ginepraia  »,  nel  comune  di  Nocera  Umbra  (')  ;  l'altro,  alquanto  più  recente, 
rappresentato  dal  noto  tipo  di  spada  a  lama  ricurva,  peculiare  dei  sepolcri  del  IV-III 
secolo. 

A  quest'ultimo  periodo  va  riferito  un  denso  sepolcreto  da  me  recentemente  sco- 
perto nel  medesimo  territorio,  e  che,  presto,  spero,  potrà  essere  illustrato:  sepolcreto 
da  cui  si  ebbe  un  bel  complesso  di  oggetti  (elmi,  armi,  vasi,  ecc.)  di  età  gallica  che 
trovano  il  loro  riscontro  nelle  ben  note  e  poco  lontane  necropoli  picene. 

E.   Stefani. 


Regione  V    (PICENUM). 

VII.  CORINALDO  —  Statuetta  virile  arcaica  in  bronzo. 

Un  indizio  pervenuto  da  Senigallia  il  12  dicembre  1923  alla  Direzione  del  Museo  Na- 
zionale di  Ancona,  rivelava  che  un  contadino  di  Corinaldo  aveva  rinvenuto  nel  suo  campo 
«  un  bronzo  raro  d'epoca  molto  remota,  alto  circa  mezzo  metro,  e  che  l'aveva  venduto 
per  poche  lire  al  medico  di  Ornano  (Pesaro)  ;  che  il  contadino  poi  sarebbe  stato  pentito 
di  averlo  ceduto  a  troppo  poco,  e  che  il  bronzo  sarebbe  stato  benissimo  nel  museo  ». 

La  mattina  del  14  interrogai,  dinanzi  al  sindaco  di  Corinaldo,  il  contadino,  iden- 
tificato nel  possidente  Sante  Paolini,  e  così  seppi  che  egli  aveva  rinvenuto  la  statuetta 
in  bronzo  massiccio,  lavorando  il  suo  campo  in  località  Santa  Apollonia,  e  che,  non 
avendo  trovato  soddisfacente  offerta  in  paese  e  a  Senigallia,  l'aveva  venduta  per  due- 
mila lire  a  Bologna  a  un  antiquario  di  cui  non  volle  dire  il  nome.  Il  15,  con  l'aiuto 
della  questura  di  quella  città,  potei  identificare  anche  l'antiquario  acquirente,  che  era 
stato  il  cav.  Arturo  Rambaldi  insieme  col  sig.  Alfredo  Pallesi,  e  il  giorno  22  potei  ricupe- 
rare per  il  museo  di  Ancona  la  statuetta,  che  è  rappresentata  nella  tavola  I. 

La  figura  virile  in  bronzo  massiccio,  di  bella  patina  verde  coperta,  a  macchie,  da 
leggera  e  fragile  incrostazione  e  ottimamente  conservata,  misura  in  altezza  mm.  239  ;  e 
compresi  i  due  grossi  perni  a  cono,  fusi  insieme  sotto  i  talloni  e  ritorti  in  avanti,  mm.  280. 
L  completamente  nuda,  e  sta  ritta  sulle  gambe  rigide,  di  cui  la  sinistra  avanza  la  destra 
della  lunghezza  delle  dita:  le  braccia  e  le  mani,  rigide  come  le  gambe,  sono  appena  stac- 

(')  Ibidem,  1918,  p.  104.  fig.  1. 


REGIONE   V. 


—  35  — 


CORINALDO 


cate  dal  corpo  e,  vòlte  in  basso,  vanno  successivamente  restringendosi  come  le  linee  dei 
fianchi,  dalle  quali  con  movimento  stentato  sono  un  po'  avanzate  ;  più  della  destra,  che 
tocca  con  la  palma  la  coscia,  la  sinistra,  che,  rientrando  maggiormente,  la  lambisce  con 
la  costola  inferiore.  La  testa  (figg.  1  e  2),  a  piombo  sulle  spalle  esageratamente  larghe, 


Fio  i. 


nella  parte  anteriore  ha  forma  quasi  geometrica:  un  piano  sfuggente  e  senza  increspature 
(la  fronte),  due  piani  che  appena  fanno  trasparire  gli  zigomi  forti  (le  gote),  un  altro  piano 
sotto  il  mento,  danno  una  quadratura,  che,  misurata  nei  punti  d'incontro  più  sporgenti 
delle  tempie  e  all'impostatura  delle  mandibole,  è  quasi  regolare. 

I  contorni  degli  occhi,  a  bordo  rilevato  tutto  uguale  e  assai  più  grandi  del  giusto, 
sono  fatti  a  spicchio,  con  la  punta  verso  l'orecchio  e  sormontati  da  forti  sopracciglia 
leggermente  intagliate  a  indicarne  i  peli  :  il  naso  è  piuttosto  grosso  e,  dall'apice,  forma 
di  profilo  l'angolo,  in  linea  diritta  alla  sommità  della  fronte,  e,  in  linea  rientrante  e  spez- 
zata, all'estremità  del  mento.  Ma  mentre  il  lato  discendente  dall'orlo  frontale  dei  ca- 
pelli è  rapido,  la  linea  che  sorge  dal  mento  quasi  ricurvo,  per  la  bocca,  col  labbro  inferiore 
piccolo  e  ritratto  e  quello  superiore  tumido  e  inarcato  in  alto,  per  il  taglio  del  naso  stesso 
con  le  narici  scoperte,  pare  tesa  da  una  contrazione  ascendente.  La  calotta  cranica  è 


CORINALDO 


36    — 


REGIONE  V. 


invece  regolare  quasi  come  una  mezza  sfera,  ed  è  ricoperta  da  una  fitta  serie  di  treccio- 
line  di  capelli  partenti  dal  mezzo  con  inappuntabile  simmetria  e,  sia  sopra  la  fronte  sia 
sotto  la  nuca,  formanti  una  frangia  a  cordoni  più  grossi  ed  espansi,  più  accuratamente 
intagliati  e  regolarmente  disposti.  Le  orecchie  grandi   sono  all'altezza  degli  occhi. 

In  generale  la  muscolatura  è  massiccia  ma  non  modellata,  il  petto  troppo  grande 
e  i  fianchi  troppo  stretti  ;  le  mani  stese  con  le  dita  appaiate,  i  polsi  quasi  non  distinti 


Pig.  2. 


dagli  avambracci  ;  le  gambe  tozze  robustissime,  i  piedi  enormi  con  pochi  segni   della 

nervatura. 

* 
*  * 

Il  carattere  arcaico  della  figura  è  manifesto  per  la  sola  rigidezza  dell'atteggiamento  : 
il  carattere  etrusco  per  i  tratti  caratteristici  della  testa,  oltre  che  per  il  luogo  di  pro- 
venienza ('). 


(')  Della  ricchezza  di  bronzi  etruschi  offerta  dal  territorio  dell'Emilia,  della  Romagna,  dell'Alta 
Marca,  si  potrebbe  dare  una  abbondantissima  documentazione  :  basterebbe  per  averne  adeguata 
comprensione  una  visita  alle  raccolte  etnische  del  salone  maggiore  del  Museo  di  Bologna  (Ducati, 
Guida,  pp.  99-151)  e  il  ricordo  di  corredi  particolarmente  descritti  e  illustrati  della  necropoli  di 
Marzabotto  (Gozzadini,  Bologna  1865,  tavv.  11-14);  di  quelli  di  Novilara  (Brizio,  in  Monumenti 
Antichi,  voi.  V,  tavv.  VIII-XIV),  e  di  quelli  inediti  di  S.  Costar.zo  e  delle  numerose  e  ricchissime 
necropoli  picene  raccolte  nel  Museo  di  Ancona  (Dall'Osso,  Guida  del  Museo  di  Ancona,  1916,  pp.  35- 
201). 


REGIONE  V.  —    37    —  CORINALDO 

Nonostante  alcuni  lineamenti  realistici  della  maschera,  non  è  da  tentare  neppure  di 
porre  il  quesito  che  possa  trattarsi  di  una  figura  a  valore  iconico,  quale  l'arte  etrusca  diede 
sin  da  età  remota  ('),  a  meno  che  non  voglia  supporsi  di  quella  categoria  di  ritratti,  a  cui 
lo  Helbig  ascrisse  quel  centinaio  di  figurine  arcaiche  in  bronzo  di  un  ripostiglio  rinvenuto 
a  Roma,  in  uno  sterro  fuori  porta  Portese,  nel  1887  (2).  Le  quali  figurine  tuttavia,  a  modo 
di  vedere  dell'autore,  pur  essendo  ritratti  votivi  di  romani,  non  rappresentavano  i  de- 
dicanti nella  loro  imagine  personale,  ma  in  maniera  simbolica.  La  statuetta  di  Corinaldo 
non  può  avere  che  carattere  sacro  ;  e,  ove  non  dovesse  essere  considerata  come  idolo  di 
culto,  dovrebbe  essere  giudicata  almeno  come  una  ragguardevole  offerta  votiva. 

Le  statuette  etrusche  di  carattere  sacro,  concepite  ed  eseguite  sulla  scorta  di  mo- 
delli greci,  sono  conformi  ai  prodotti  dell'arte  ellenica  fin  dalle  sue  prime  rudimentali 
espressioni  :  così  nel  periodo  dell'arcaismo  vi  sono  figurine  che  si  rifanno  al  tipo  primi- 
tivo dello  xoanon;  altre  che  imitano  il  tipo  della  statua  virile  comune  in  tutto  il  VI  se- 
colo av.  Cr.  e  generalmente  riconosciuto  del  così  detto  Apollo  ;  altre,  che  replicano  lo 
schema  della  statua  muliebre  seduta. 

La  statuetta  di  Corinaldo  appartiene  a  uno  di  quei  gruppi  di  statue  virili  imberbi 
e  nude  che  fanno  capo  appunto  a  quei  prototipi,  ed  ha  perciò  in  generale  i  caratteri 
schematici  e  stilistici  dell'arcaismo  greco,  in  particolare  i  caratteri  etruschi  locali. 

E  possiamo  dire  Apollo  anche  la  nostra  statuetta,  se  la  sua  capigliatura  piuttosto 
lunga,  la  nudità  totale,  il  corpo  robusto  di  prima  giovinezza,  corrispondono  alla  descri- 
zione del  Dio  fatta  neWInno  omerico  (Hymn.  Apoll.  Pyth.,  v.  271),  alla  rappresentazione 
di  esso  determinata  su  pitture  vascolari  dal  soggetto  mitologico,  e  se  la  somiglianza  col 
considerevole  numero  di  figure  del  medesimo  genere  identificate  da  iscrizioni  votive 
ad  Apollo  (3)  valgono  a  comprenderla  nell'assai  più  numerosa  classe  di  idoletti  senza 
attributi,  i  quali,  anche  per  esclusione  di  ogni  altro  plausibile  riferimento,  vanno  comu- 
nemente interpretati  come  repliche  votive  di  più  o  meno  note  e  celebrate  statue  di  culto 
sacre  a  quella  divinità,  ma  che  più  in  generale,  in  corrispondenza  ai  tipi  delle  xóqm  del- 
l'arte ionica,  sono  convenientemente  detti  xoroot. 

Il  Deonna,  fondando  le  sue  indagini  sui  caratteri  stilistici,  che  i  numerosi  esemplari 
da  lui  raccolti  e  studiati  presentano,  ha  tentato  di  distribuirli  in  varii  gruppi  di  cui  i 
più  importanti  sono  quello  ionico  (Samo,  Mileto,  Rodi),  quello  insulare  (Nasso,  Chio  e 
Paro)  e  quello  continentale  (Beozia,  Attica,  Peloponneso)  (4).  Ma  molte  volte  le  differenze 
da  tipo  a  tipo  in  queste  opere  dell'arcaismo  primitivo  sono  eosì  sottili,  e  sembrano  così 

(')  Cfr.  Milani,  Monumenti  etruschi  iconici,  in  Museo  Italiano,  I.  p.  280:  Albizzati,  Ritratti 
etruschi  arcaici,  in  Disserta?,  della  Pont.  Acc.  d'Archeol.  XVI,  1920,  )).  3. 

(-)  W.  Helbig,  Ripostiglio  di  figurine  in  bronzo  a  Via  Portuense  in  Not.  se,  1888,  p.  229-232.  Il 
numeroso  gruppo  di  figurine  alte  da  sette  ad  otto  centimetri  era  diviso  in  due  classi:  gli  esemplari 
dell'una  riproducevano  l'arcaico  tipo  greco  di  Apollo  di  Tenea  schiettamente,  e  senza  aggiunta  di 
sorta  ;  quelli  della  seconda  corrispondevano  agli  esemplari  della  prima,  prescindendo  dalla  partico- 
larità della  testa  munita  di  pileus.  Su'  valore  del  pileus  come  simbolo  della  libertà  (pileus  liberlatis) 
presso  i  Romani,  cfr.  la  memoria  dello  stesso  Helbig  in  Sitzung. der  Bayer.  Akad.  philosoph.-philol.  Classe 
6nov.  1880,  p.  487  e  segg. 

(  )  Martha  J.,  L'art  etrusque,  chap.  XII,  Lcs  figures  mythologiques,  p.  319. 

(4)  W.  Deonna,  Les  «Àpollons  archaiques  »,  Genève,  1909,  pp.  281-377), 


CORINALDO  —    38    —  REGIONE   V. 


dovute  alla  maniera  individuale  degli  artisti,  che  il  Paris  ('),  propende  a  crederle  derivate 
soltanto  da  circostanze  fortuite»)  dall'arbitrio  degli  scultori. 

Se  infatti  volessimo  giudicare  il  xorgog  di  Corinaldo  da  qualcuno  dei  suoi  carat- 
teri anche  importanti,  dovremmo  pensare  che  esso,  per  la  pendenza  delle  spalle  cadenti 
e  per  la  massa  sfondata  e  pesante  delle  sue  forme  anatomiche,  sia  un  prodotto  dell'arte 
ionica  della  scuola  di  Mileto  (2)  :  come  potremmo  pensare  che  per  la  statura  tozza,  per 
la  struttura  a  piani  e  il  profilo  angoloso  del  corpo,  per  l'aspetto  rude  col  mento  quadro 
della  testa,  debba  essere  avvicinato  a  quella  scuola  greca  continentale  particolarmente 
beotiea,  la  quale  fece  capo  al  prototipo  dell'Apollo  di  Orcomeno  (  )  ;  e  se  e  vera  l'in- 
fluenza che  il  Perrot  (*)  nota  come  venuta  alla  scuola  artistica  della  Beozia  da  parte 
delle  scuole  doriche,  queste  corrispondenze  generiche  della  statuetta  di  Corinaldo  con 
le  iiperc  delle  scuole  continentali  non  sono  se  non  una  conferma  della  sua  attribuzione, 
sotto  ogni  riguardo  più  attendibile,  all'arte  dorica  e  più  particolarmente  a  quella  della 
scultura  eginetica  in  bronzo. 

È  già  povera  di  monumenti  superstiti  la  contrastata  (5)  scuola  dorica  o  pelopon- 
nesiaca nel  corso  del  periodo  protoarcaico  dell'arte  greca  (VI  sec.  av.  Cr.)  ;  più  povera 
ancora  è  quella  eginetica  che  ne  fa  parte,  sebbene,  ancora  prima  di  manifestare  la  sua 
forza  nelle  sculture  del  famoso  tempio  sacro  ad  Aphaia,  avesse  dato  considerevole  mole 
di  statue  anche  famose  (6). 

Ma,  nonostante  tale  scarsezza,  pare  che  la  statuetta  di  Corinaldo,  per  alcune  affinità 
stilistiche  comuni  coi  pochi  esemplari,  che  ci  sono  conservati,  della  scultura  dorica  in 
quel  periodo,  debba  rientrare  in  quella  categoria  di  bronzi  che  fecero  la  fama  degli  scul- 
tori egineti,  non  solo  per  la  perfezione  dell'opera,  ma  anche  per  quella  della  lega  me- 
tallica, e  popolarono  poi  l'Altis  di  Olympia  con  figure  di  atleti  vincitori,  offerti  nei  grandi 
templi  come  doni  votivi  (7). 

Gli  scavi  di  Delfo  misero  in  luce  il  nome  di  uno  scultore  di  Argo,  Polymedes  (?), 
sopra  una  figura  in  marmo  di  xorQog.  della  prima  metà  del  VI  sec.  av.  Cr.  (8).  A  osservar 

(')   P.  Paris,  Catal.  des  Moulages  de  la  faculté  des  lettres  de  Bordeaux,  1889,  p.  99. 

(")  Sui  caratteri  della  scuola  arcaica  degli  scultori  milesii  cfr.  in  generale  Perrot,  Hist.  de  Vart,XUl, 
p.  268-287,  in  particolare  p.  274  e  280.  Per  la  esemplificazione  Oei  prodotti  di  questa  scuola  nel  tipo 
del  xoppof ,  ved.  Deonna,  op.  cit.,  pp.  285-293,  e  i  mi.  131-139  dell'elenco  delle  sculture  in  marmo. 

(■)  Per  l'arte  arcaica  primitiva  della  lieozia  e  specialmente  per  le  figure  giovanili  virili  nude, 
cfr.  Perrot.  Hist.  de  l'art,  Vili,  p.  507-512  ;  I)  siali»,  op.  cit.  pp.  337-346,  e  specialmente  il  n.  26  (Apollo 
di  Orcomeno),  il  n.  42  (statua  proveniente  dallo  Ptoion),  i  nn.  35  e  53  (teste  prov.  dallo  Ptoion)  ecc. 
dell'elenco  delle  sculture  in  marmo. 

(')  Hist.  de  Vart,  Vili,  p.  512. 

(*)  Ved.  Deonna,  op.  cit.,  p.  365  ;  e,  citati  dal  Deonna  nella  nota  1,  Lechat,  Sculplure  attique 
p.  143  ss.,  p.  153  nota,  p.  146  nota  2;  Perrot,  Hist.  de  Vart,\ll\,  p.  476  ;  Pottier,  Reme  de  Vart  ancien 
et  moderne,  1907,  p.  184  ss.  ;  id,  Comptes-rendus  de  VAcad.  des  inscrivi,  et  beli,  lettr.,  1908,  p.  93; 
M.  Collignon,  in  Revue  arch.,  1908,  I,  p.  169.  Cfr.  anche  l'articolo  «  Le  problème  de  Vart  dorien  »  di 
E.  Pottier,  pp.  52-J34,  estratto  dalla  Biblinthèque  de  vulgatisalion  du  Musée  Guimet,  t.  XXVIII,  1908. 

(")  ffr.  Collignon,  Hist.  de  Vini  (ediz.  ted.)  voi.  1,  p.  293-299. 

(;)  Collignon,  op.  cit.,  I,  p.  294. 

(8)  Fouilles  de  Dclphes  V,  pi.  I-II  ;  IVrrot,  op..cit.,  VIII,  tav.  IX  e  X  ;  Deonna,  Les  Apollons 
arch.,  p.  176,  n.  65,  fig.  66;  ivi  la  bibliografia. 


regione  v.  —  39  —  corinaldo 


bene  questa  figura,  che  è  più  grande  del  vero  (è  alta  m.  1,97),  si  notano  differenze  con- 
siderevoli nei  capelli,  a  rosette  sulla  fronte  e  a  trecce  scendenti  sul  petto  e  sulle  spalle, 
nei  particolari  anatomici  del  tronco,  delle  ginocchia,  delle  gambe  e  nel  movimento,  che, 
nella  sua  compassata  simmetria,  è  meno  serrato  e  legato.  Ma  sulle  differenze  prevale 
la  corrispondenza  di  vari  caratteri  stilistici,  forse  più  significativi. 

Anzitutto  l'ampiezza  delle  spalle  e  la  ristrettezza  della  vita,  le  orecchie  poste  troppo 
in  alto,  le  braccia  distese  lungo  i  fianchi,  la  gamba  sinistra  avanzata,  benché  siano  qua- 
lità e  pose  più  o  meno  fedelmente  subite  dall'influenza  egizia  (*)  da  tutte  le  scuole  arti- 
stiche della  Grecia  del  VI  secolo,  hanno  tuttavia  maggior  rilievo  nelle  opere  della  scuola 
peloponnesiaca,  alla  quale,  secondo  il  Furtwàngler  (2),  avrebbero  importato  il  tipo  statua- 
rio egizio  Dipoinos  e  Skyllis,  peloponnesi,  da  Creta. 

Ma  più  di  ogni  altro  carattere  schematico  o  anatomico,  è  l'impronta  incisiva  della 
testa  la  quale  ha,  in  potenza,  le  qualità  che  si  andranno  evolvendo  verso  la  forma  tipica 
della  scultura  monumentale  di  Egina.  I  più  caratteristici  tratti  della  testa  di  questa 
statuetta  —  che  sono:  la  fronte  piana,  bassa,  sfuggente;  il  naso  piuttosto  grande  che 
prosegue  con  la  linea  del  dorso  l'inclinazione  della  fronte  e  nel  taglio  inferiore,  obliquo 
sul  labbro,  scopre  le  due  narici  ;  gli  occhi  grandi  sporgenti  sotto  le  sopracciglia,  a  con- 
torno rotondo  verso  il  naso  e  a  punta  molto  allungata  verso  le  tempie,  con  pupilla  se- 
gnata da  un  cerchietto  inciso  ;  le  sopracciglia  coi  peli  bene  intagliati  ;  la  bocca  col 
labbro  inferiore  ritratto  e  quello  superiore  tumido  ed  esposto  ;  il  mento  pronunziato  e 
forte  —  modellati  sopra  la  massa  uniforme  e  tutta  a  piani  della  maschera,  esprimono 
i  rapporti  della  maggiore  affinità  stilistica,  che  la  statuetta  di  Corinaldo  mostra  di  avere 
più  stretti  che  non  con  altri  xovqoi  con  quello  firmato  di  Polymedes  (?).  Un  raffronto  con 
risultato  approssimativamente  simile  si  potrebbe  fare  con  la  statua  colossale  scoperta 
dallo  Stais  a  Capo  Sunio  (3):  ma  la  maggiore  corrispondenza  di  qualche  particolare,  come 
quella  degli  occhi  (che,  del  resto,  in  quest'ultima,  hanno  il  taglio  delle  palpebre  infe- 
riori troppo  rettilineo),  della  forma  piana  e  rettangolare  della  fronte  e  quella  quadrata 
e  ossuta  del  mento,  è  contrastata  dalla  finezza  dei  lineamenti  del  naso  e  della  bocca, 
e  dall'espressione  seria,  ma  benevola  e  delicata  del  viso.  La  quale,  invece,  seria,  ma 


(')  Intorno  alla  dibattuta  questione  nella  influenza  egizia  sull'arte  greca  primitiva  ved.  Deonna 
(op.  rit.,  p.  21-32)  che  riassume  e  discute  le  discordi  opinioni,  giungendo  a  questa  conclusione  :  «  L'in- 
fluence  qu'exerca  l'art  de  l'Égypte  sur  le  Kofpo?  se  constate  dans  l'avancement  de  la  jambe  gauche, 
et  dans  quelques  mentis  détails  tona  superficiels.  On  ne  peut dune  pas  dire,  que  le  type  est  emprunté  à 
l'Égypte.  On  ne  peut  non  plus  en  attribuer  l'invention  à  un  sculpteur  particulier,  ou  à  une  région 
déterminée.  Ce  n'est  pas  une  invention  proprement  dite,  mais  la  première  création,  toute  naturelle,  de 
la  statuaire,  qui  s'est  developpée  à  la  fois  dans  la  Grece  orientale  et  occidentale.  Le  róle  de  l'Égypte  a 
été  d'introdurre  quelques  modifications  de  détail  par  l'intcrmédiaire  des  contrées  grecques,  qui  étaient 
en  rapport  avec  elle,  ainsi  que  par  le  commerce  phénicien  »  (p.  32). 

(-)  Furtwàngler,  Meisterwerke,  p.  712  ;  id.,  Ardi.  Zeit.  1882,  p.  55  ss.,  323  ;  cfr.  Overbeck,  Apolìon, 
p.  11  (nota  5  a  p.  32  di  Deonna,  op.  cit). 

O  Deonna  op.  cit.,  p.  135,  (n.  7),  138,  figg.  16  e  17,  dove  è  succintamente  illustrata  per  la  prima 
volta,  e  pp.  347-348,  dove  ne  è  delineato  lo  stile  attico.  È  citata  soltanto  in  American  journal  of  arch. 
1907,  p.  96  ;  Ath.  Mitth.,  1906,  p.  363-364  ;  Stais,  Marbres  et  bronzei,  p.  5,  n.  2720. 


COKINALDO 


—    40    —  REGIONE  V. 


anche  rude  nel  marmo  di  Polymedes  (?),  e  quasi  brutale  nel  bronzo  di  Corinaldo,  è  un 
altro  comune  carattere  che  avvicina  queste  due  figure. 

Un  altro  termine  valido  di  raffronto  è  nel  collo  e  nelle  clavicole.  La  maniera  dell'alto 
arcaismo  è  tenuta  scrupolosamente:  il  rilievo  delle  clavicole  è  serrato  troppo  in  alto, 
e  chiude  strettamente  il  collo  nel  punto  in  cui  questo  s'imposta  sulle  spalle:  ma  mentre 
nella  statua  in  marmo  l'incisione  di  esse  si  prolunga  nelle  scanalature  scendenti  fra  i  pet- 
torali fino  all'ombelico,  nel  nostro  bronzo  resta  chiusa  con  una  piccola  centina  alla  fos- 
setta della  sommità  del  petto  :  nei  due  punti  dell'articolazione,  sulle  spalle,  forma  poi 
altre  due  simili  fossette  simmetriche  e  corrispondenti,  dalle  quali  il  bordo,  che  più  in 
basso  era  delle  clavicole,  sale  verticalmente  pei  lati  del  collo  sino  ai  capelli  sotto  gli  orecchi, 
forse  come  rilievo  stilizzato  delle  carotidi. 

Da  questi  elementi  anatomici  lo  scultore  ha  tratto  partito  a  fine  decorativo  ;  pur 
rendendo  infatti  con  indubbia  evidenza,  benché  manierato,  il  sistema  osseo  della  parte 
superiore  del  torace,  il  collo  appare  come  uscente  da  un  intaglio  fatto  a  disegno  sopra  una 
specie  d'involucro  teso,  che  pare  avvolga  tutto  il  corpo. 

Della  capigliatura  non  v'è  altro  raffronto,  tra  le  poche  sculture  di  questa  scuola 
in  questo  periodo,  che  in  una  figurina  in  bronzo  rappresentante  Giove  imberbe  e  nudo 
che  lancia  il  fulmine,  la  quale,  forse  più  antica  del  xovgog  di  Polymedes  (?)  ('),  oltre  alle 
treccioline  corte  regolarmente  distese,  sotto  un  cordone,  sulla  fronte,  dietro  le  orecchie 
e  sotto  la  nuca,  ha  anche  l'austerità  dell'aspetto,  e  la  supera  sino  alla  brutale  fierezza. 

Il  Furtwàngler,  che  esamina  particolarmente  le  fogge  di  questa  capigliatura  nelle 
teste  giovanili,  in  prevalenza  di  bronzo,  dice  che  la  più  antica  è  quella  in  cui  i  capelli 
sono  disposti  in  forma  piana,  e  sono  effettivamente  tenuti  sotto  un  cercine,  o  sono  ab- 
bassati sopra  la  fronte  e  in  tutto  il  giro  come  stretti  da  un  cercine,  che  è  appena  accen- 
nato, per  es.,  in  una  statuetta  di  bronzo  di  Olympia  (2),  che  egli  riferisce  allo  stile 
della  scuola  di  Egina,  o  manca  affatto,  come  nel  xoÌQog  dello  Ptoion  (3)  e  nella  sta- 
tuetta di  Corinaldo.  Questa  anzi,  coi  capelli  a  treccioline  più  lunghe  sotto  la  nuca,  e  in 
avanti  più  corte,  correttamente  appaiate  sulla  fronte,  corrisponderebbe  proprio  a  quel 
modo  di  cui  gli  Egineti  hanno  offerto  gli  esempi  più  antichi  (").  E  cita  fra  altre  sculture 

(')  La  figurina,  a  cui  si  allude,  è  giudicata  opera  della  fine  del  VII  scc.  av.  Cr.,  ed  è  stata  supposta 
riproduzione  di  un  esemplare,  dalla  cui  ispirazione  Ageladas  avrebbe  tratto  quella  delle  due  grandi 
statue  di  Zeus,  collocate  sul  monte  Ithome  (Zeus  Ithomatas,  riprodotto  sulle  monete  di  Messene). 
Tale  figurina,  alta  nini.  165,  con  iscriz.  in  dialetto  dorico,  si  dice  rinvenuta  nel  Peloponneso.  [Frochner, 
Collection  d'antiquités  du  Comte  M.  Tyszkicwicz,  1898,  pi.  XIV;  Pcrrot,  Hist.  VIII,  p.  468-46!), 
fig-  239  a  p.  471]. 

(a)  Olympia,  Ausgrab.  iid.  IV,  Die  Bromen,  Taf.  Vili,  62. 

(3)  Collignon,  Hist.  de  VArt.,  I  p.  332,  fig.  167  (ediz.  ted.)  ;  Deonna,  op.  e,  p.  158,  fig.  35. 

(*)  Il  Furtwàngler,  a  proposito  di  un  piccolo  bronzo  di  scuola  argiva  (Eine  argivische  Bronze 
in  Fiinfzigstes  Programm  zum  Winckelmanns feste,  S.  125-162),  esamina  particolarmente  la  foggia  dei 
capelli  propria  alle  sculture  delle  scuole  peloponnesiache,  e  le  divide  in  tre  gruppi  cronologicamente 
successivi,  distinguendoli  dall'avere  appena  accennato  un  cercine  sui  capelli  anteriori,  o  dal  non  averlo 
affatto  pur  sembrando  i  capelli  stretti  da  esso  ;  dall'avere  sopra  la  fronte  ravvolti  i  capelli  sul  cercine  ; 
dall'avere  i  capelli  anteriori  lunghi,  ravvolti  e  tirati  pei  due  lati  e  stretti  indietro.  Il  primo  gruppo, 
nel  quale  va  considerata  la  foggia  della  capigliatura  del  xoDqos  di  Corinaldo,  e  riguardato  come  con- 
posto di  opere,  che  vanno  attribuite  alla  scultura  eginetica  primitiva. 


REGIONE  V.  —   41    —  CORINALDO 

appunto  il  piccolo  bronzo  della  Collezione  Tyszkiewicz,  che  sarebbe  la  più  antica  del 
gruppo  (l). 

Ma  era  le  sculture  meno  arcaiche  appartenenti  o  attribuite  alla  scuola  dorica  o  più 
oarticolarmente  a  quella  di  Egina,  troviamo  varii  esempii  i  quali,  oltre  alla  capigliatura, 
cue  è  tra  gli  importanti  caratteri  loro,  ne  presentano  altri  propri  anche  alla  figura  di 
Connaldo.  Sono  presso  a  poco  tutti,  per  l'epoca,  entro  il  principio  del  V  secolo,  e  hanno 
più  deciso  il  movimento  in  avanti  della  gamba  sinistra  e  determinato  ad  un  fine  quello 
delle  braccia  ;  appartengono  insomma  tutti  al  tipo  dell'»  Apollo  arcaico  della  seconda 
maniera  »  (*),  hanno  proporzioni  più  rigorosamente  commisurate  e  meuo  ottusi  i  par- 
ticolari anatomici,  ma,  o  più  per  l'una  o  più  per  l'altra  nota  prevalente  del  loro  complesso 
di  caratteri  dorici  o  egineti,  sono  documenti  a  conferma  del  genuino  stile  della  statuetta 
di  Corinaldo  che  li  possiede  con  loro. 

Citandone  alcuni,  potremmo  cominciare  dall'Apollo  Strangford  (3),  il  quale,  come. 
riporta  il  Deonna,  fu  non  solo  attribuito  alla  scuola  di  Egina  (/)  ma  si  è  anche  preteso, 
che  dovesse  provenire  dal  frontone  occidentale  del  famoso  tempio  (*)  ;  e,  insieme  con 
esso,  dal  xoPgog  dello  Ptoion,  che,  essendo  giudicato  anche  un  po'  più  antico  del  prece- 
dente, è  più  vicino  alla  nostra  statuetta  (6).  Questa  figura  avrebbe  potuto  essere  il  termino 
di  confronto  più  acconcio  se,  come  nella  capigliatura,  che  finisce  ugualmente  sulla  fronte 
con  una  corona  di  riccioli  stilizzati,  avesse  avuto  pari  affinità  nella  struttura  della  ma- 
schera, che  è  invece  ovale,  ed  ha  la  bocca  atteggiata  sensibilmente  a  quell'insignificante 
sorriso,  per  cui  fu  anche  attribuito  [insieme  con  la  testa  efebica  Barracco('),  anch'essa 
di  stile  egineticoj  all'arte  insulare  (Samo)  o  all'arte  attica  delle  xóqtu  (*). 

Tra  le  numerose  supposte  repliche  dell'Apollo  Philesios  (*),  che  Kànakhos  scolpì 
per  Mileto,  quella  tenuta  per  la  più  probabile  e  fedele,  l'Apollo  l'ayne-Knight  (10),  è  anche 
delle  più  conformi  al  prototipo  artistico  da  cui  è  derivata  la  statuetta  di  Corinaldo.  Se 

(')  Furtwiingler,  op.  cit.,  p.  128,  nota  1).  La  testa,  Athen.  Mitili.  18815,  tav.  VI-1,  e  la  statua 
Bull,  de  cor.:  hell.  1887,  pi.  13  e  14  ;  cfr.  Uriif,  in  Athen.  Mitth.,  1888,  p.  404. 

(-)  Collignon,  llist.  dì  l'art  (edizione  tedesca)  1°,  p.  266  ;  Overbeck  Apollon,  p.  17  o  34. 

(-)  Deonna,  Les  Apollom  archaiqurs,  p.  251,  n.  101-162  (ivi  la  ricca  bibliografia  completa). 

(4)  Prachov  A.,  Statue  archa'ique  a"  Apollon  in  Annali  1872,  p.  181-184,  e  la  riproduzione  in 
Monumenti  inediti  deli' Istituto,  voi.  Vili,  tav.  XLI.  Fin  da  questa,  che  fu  la  prima  pubblicazione, 
è  determinato  il  carattere  egineta  della  scultura,  ael  cui  stile  il  Prachov  dice  :  ■  excmple  d'une  nouvelle 
nuance  de  l'art  archalque,  qui  tien  le  milieu  Mitre  le  style  de  l'Apollon  do  Tenée  et  celili  des  statues  da 
Ironton  occideutal  da  tempie  d'Eginc,  penchant  toutefois  vers  ce  derider»  (p.  182).  L'autore  avrebbe 
messo  forse  nel  suo  giudizio  al  posto  dell'Apollo  di  Tenca,  il  xutoos  di  Polymedes  di  Àlgol  so  fosso 
stato  fin  da  allora  conosciuto  :  e  sarebbe  stato  così  anche  più  vie  no  all'istituito  nostro  riferimento. 

(6)  Deonna,  op.  cit.,  p.  261,  nota  3. 

(«)  M.  Holleaux,  Bull,  de  con.  hell.,  1886,  p.  273  ;  1887,  p.  286. 

(7)  Catalogo  del  Museo  di  scultura  antica  {Fondazione  Barracco),  Roma,  1910,  n.  80  a  p.  20, 
con  fig.  di  pari  numero. 

(_")  Klein,  Gestii,  d.  griech.  Kiinst,  I.  p.  270. 

(»)  Basta  citare  di  esse  l'Apollo  Strangford,  l'Apollo  di  Piombino,  il  xoPqoì  dello  Ptoion.  (ved. 
le  note  precedenti  n.  3,  6,  e  la  nota  1  a  pag.  42). 

(">)  Cfr.  Deonna,  op.  cit.,  nell'elenco  dei  xonpo»  in  bronzo  n.  100  a  p.  273  :  ivi  la  bibliog  afta 
ompleta. 

Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI,  6 


CORINALDO  —   42    —  REGIONE  V. 


infatti  dai  caratteri  generali  comuni  a  questo  gruppo  di  sculture  si  distingue  per  le  trecce 
dei  capelli  scendenti  sul  petto  e  sulle  spalle,  ha  più  stretta  attinenza  per  la  massiccia 
forma  della  faccia,  per  lo  scarso  rilievo  muscolare,  per  la  dirittura  del  profilo  frontale 
dai  fianchi  ai  piedi. 

L'Apollo  di  Piombino  (')  è  la  meno  remota  e  perciò  !a  meno  rude  figura  di  Apollo 
della  seconda  maniera,  a  cui  deve  essere  avvicinato  il  bronzo  di  Corinaldo. 

Come  ultimo  termine  di  confronto,  benché  meno  conosciuta,  deve  essere  citata  una 
figurina  di  bronzo  della  stessa  altezza  di  quella  di  Corinaldo,  trovata  nel  1888  dentro 
il  Partenone  (-).  11  De  Kidder  vuol  rivendicare  allo  stile  attico  (3)  la  piccola  scultura 
che  il  Furtwàngler  attribuì  a  quello  eginetico,  una  prima  volta  studiando  i  bronzi  di  Olym- 
pia (4J,  e  una  seconda  in  uno  scritto,  che  abbiamo  già  avuto  occasione  di  citare  (5)  par- 
lando della  capigliatura.  Se  le  ragioni  assai  generiche  e  fugacemente  accennate  dal  De 
Kidder  trovano  il  loro  maggior  valore  nella  provenienza  della  statuetta  dall'Acropoli, 
pare  che  l'attribuzione  del  Furtwàngler  alla  scuola  di  Egina  possa  trovare  anche  più 
valido  sostegno  nei  suoi  più  significativi  caratteri  stilistici,  e  precisamente  nelle  spalle 
ampiamente  delineate,  nella  vita  e  nei  fianchi,  in  proporzione  troppo  stretti,  nella  testa 
rotonda  e  sfuggente,  nella  maniera  in  cui  sono  acconciati  i  capelli,  ma  soprattutto  nelle 
proporzioni  tozze,  che  danno  il  senso  di  altrettanta  robustezza,  e  nella  angolosa  mas- 
siccia forma  della  maschera.  Sebbene  l'attenuamento  della  durezza  abbia  addolcito 
un  po'  l'espressione  dell'Apollo  dell'Acropoli  come  in  tutte  le  figure  simili  del  primo 
quarto  del  V  sec.  av.  Or.,  il  viso  piatto  e  largo  ha  un  profilo  che  è  tutt'una  linea  spez- 
zata, come  in  quello  del  xoì<(>o$  di  Corinaldo:  ed  è  questa  forse  la  ragione  non  ultima  per 
cui  nel  bronzetto  dell'Acropoli  l'attribuzione  del  Furtwàngler  potrebbe  prevalere,  come, 
fra  le  principali  non  è  l'ultima,  per  cui  pare  che  il  xoìqos  di  Corinaldo  debba  essere  ascritto 
alla  categoria  del  cosidetto  «Apollo  della  prima  maniera  »,  nello  stile  primitivo  delle 
sculture  in  bronzo  di  Egina. 

Così  la  nostra  figura,  per  tutte  le  precedenti  considerazioni,  va  a  collocarsi,  in  or- 
dine, fra  il  xotQoi  di  Polymedes  (?),  che,  per  i  suoi  caratteri  stilistici  e  per  quelli  epigrafici 
dell'iscrizione,  è  creduta  opera  compiuta  fra  il  ó8d  e  il  550  av.  Cr.,  e  le  figure  di  «  Apollo 
della  seconda  maniera  »,  tra  la  line  del  V 1  e  il  primo  quarto  del  V  sec.  (*).  A  quale  di  questi 
due  termini  sia  più  vicina  non  è  facile  dire  :  ma  se  tra  gli  altri  particolari  si  osserva  la 
forma  dei  piedi  piatti,  larghi  e  lunghi,  con  le  dita  che  nella  nervatura  hanno  quasi  lo 
aspetto  di  artigli  distesi,  l'arcaismo  appare  assai  remoto.  L'indizio  dei  piedi  è  eonfer- 


(')  Cfr.  Deonna,  op.  cit.,  nell'elenco  dei  xotiqot,  in  bronzo,  il  n.  102  a  p.  274:  ivi  Ja  bibliografia 
completa. 

.      (')  Journal  ofhell.  st.  1888,  p.  134-135;  Ball,  de  con.  hell.,  1888,  p.  4  ;  Olympia,  Die  Bronz  n, 
p.  20  (n.  52). 

(■')  De  Ridder,  Caialogue  dea  bromes  trouvi»  tv*  V Acropoli  d'Athènes,  Paris  1896,  p.  268-269, 
tav.    Ili   e   IV. 

(«)  Olympia,  Bd.   IV,  die  Bromen,  taf.   Vili,  52. 

(')  J2"  Programm  :ur  Winckelntanmfeste,  p.  128,  nota  Vili. 

(")  Cfr.  Bull, ttin  dr  con:   hell..  1900,    p.  449;   Homollc,  Oaz.   des  beaux-arts.   1894,  p.   445; 
1895,  p.  322  ;  e  Deonna  (da  cui  son  tratte  le  citazioni),  Les  Apollons  arch.,  p.  177. 


REGIONE  V.  —    43    —  CORINALDO 


mato,  avvalorato  anzi,  dall'atteggiamento  delle  braccia;  le  quali,  se  più  non  sono  unite 
ai  fianchi  e  alle  cosce  come  nei  xorgoi  in  marmo  che  più  risentono  dell'influenza  egizia  C), 
sono  state  dallo  scultore  staccate  e  mosse  prima  di  sapere  a  qual  fine  occuparle.  Restano 
infatti  in  quella  fase  di  iniziato  e  arrestato  movimento,  che,  invece  di  segnare  un  pro- 
gresso sulla  posa  insignificante  di  quelle  congiunte  al  corpo,  la  aggrava  in  un  evidente 
stato  d'impaccio.  E,  più  che  la  destra,  è  impacciata,  e  quasi  in  una  penosa  immobilità, 
la  sinistra,  che  è  avanzata,  non  ha  ancora  disunite  ne  piegate  le  dita  e  non  pare  affatto, 
perciò,  predisposta  a  tendere  un  arco,  come  le  supposte  repliche  dell'Apollo  Filesio  di 
Kànachos,  o  una  fiala  come  qualche  statuetta  atletica  di  xoTgoc,  o  un  pavone  come  il 
piccolo  bronzo  Payne-Knighit  (2).  Le  mani  tese  e  le  dita  strette  col  solo  pollice  verso 
la  palma,  concordano  invece,  con  la  forma  dei  piedi,  a  imprimere  un  carattere  selvaggio 
—  e  perciò,  tanto  più  antico  —  alla  figura  (3). 

T\Ton  si  sarebbe,  dunaue,  forse  lontani  dal  vero  ponendo  che  il  tipo  artistico  rappre- 
sentato dal  xorgoc  di  Corinaldo  sia  appartenuto  alla  scuola  egineta  nel  periodo  che  seguì 
immediatamente  alla  metà  del  VI  sec.  av.  Cr. 

Resta  da  vedere  ancora,  se  sia  un  prodotto  importato  dell'arte  greca  o  non  piuttosto 
un  esemplare  di  imitazione  di  arte  etnisca.  Mancando  di  attributi  e  di  vestito,  manca 
mire  di  ogni  segno  più  decisivo,  che  consenta  di  trarne  un  indizio  sicuro.  Tuttavia,  ove 
la  figura  fosse  stata  di  maggiore  grandezza,  da  un'attenta  osservazione  di  tutte  le  parti, 
e  segnatamente  della  testa,  si  sarebbe  potuto  tentar  di  conoscere,  sulle  indicazioni,  che 
anche  con  troppo  meticolosa  cura  il  Kalkmann  ha  tratto  da'lo  studio  comparato  dei  più 
celebrati  esemplari  del'a  grande  arte  greca  f4\  se  certi  rapporti,  creduti  fondamentali, 
si  fossero  conservati,  e  dedurne  una  ragione  di  più.  prò  o  contro  l'attribuzione  della  sta- 
tuetta all'arte  greca  originale,  che  pare  fosse  così  rigorosa  nel  mantenerli.  Non  sembra 
invece  dubbio,  che  la  deforme  sproporzione  dei  piedi  la  qua1  e  trova,  in  parte,  riscontro  in 
quella  meno  grave  delle  mani  e  dei  piedi  nella  bella  statuetta  virile  etnisca,  anch'essa  di 
tipo  egineta,  rinvenuta  a  Monte  Guragazza  e  conservata  nel  Museo  di  Bologna-  (8)  e  l'inciso 
contorno  stilizzato  delle  clavicole,  che  nel  medesimo  bronzetto  ha  similissima  struttura, 
siano  segni  di  quell'arte  greca,  la  quale,  «trapiantata  in  Etruria.  divenne  meno  omogenea, 
meno  morbida,  meno  armonica»:  nò  può  negarsi  che  dall'espressione  di  tutta  la  figura 
a  forti  tratti  individuai,  benché  di  carattere  assolutamente  ideale,  emani  quello  spi- 
rito proprio  impresso  dall'Etruria  persino  ai  soggetti  importati  della  mitologia  elle- 
nica (8).  A  ciò  si  aggiunga  la  ragione  della  provenienza.  Ricordando,  per  questa  soltanto, 

(')  Cfr.  l'Apol'o  di  Capo  Sunio  citato  ti  ella   nota  3  n  pag.  39  e  i   principali   tipi    dell'Apollo 
arcaico  (di  Orchomenos,  di  Tcnea  ecc.,  ecc.) 

f2)  Ct*.  le  note  0  e  10  a  pag.  41. 

<:i)  Dconna,  o.p.  oir.,  p.  25. 

(*)  Kalkmann,  Dm  Ptoportionen  des  Gesichts  in  defgrv'chUrhen  Kunst  (53°  Programmi  zur  Win- 
ekdmamrfKCte,  L898):  p.  20  e  ss.,  p.  4!i  e  ss.,  e  tabelle  di  p.  ss  a   110. 

(h)  ('!.  fìozzadini,  Di  ilnr  statuette  elruscheedi  min  iscrizione  etrwa  dissotterrata  neWApennino 
bolognese.,  in  Memorie  deWAec.  dei  Lincei  (classe  scienze  ninnili,  storiche  e  /ìloi., serie  T17,  voi.  XT,  1882, 
tav.   T-TI)  :   P,   llii'-ati,  fluida  del  Museo  civi-o  di  Bologna,  1023,  p.   144  con  fig. 

(")  J.  Martha.  Vari  etrum/u,r~\).  321. 


CORINALDO  —    44   —  REGIONE  V. 

l'Idolino  (')  che  è  una  superba  opera  di  arte  greca  originale  ma  fu  già  tenuto  per  un 
«insigne  esempio  delle  rielaborazioni  e  contaminazioni  materiali,  che  si  facevano  in 
Italia,  degli  originali  greci  »  (2),  rinvenuto  a  Pesaro  ;  il  così  detto  Verlumnus,  conteso  tra 
l'arte  greco-ionica  e  quella  etnisca,  ispirata  dalla  stessa  scuola  (3),  rinvenuto  a  Isola  di 
Fano,  che  è  a  pochi  chilometri  da  Corinaldo,  nella  vallata  del  Cesano  ;  altri  mirabili 
bronzetti  recentemente  rinvenuti  a  Orciano  (4),  tra  CorinaMo  e  Iso'a,  e  la  bellissima 
testa  in  bronzo  di  Cagli  (5),  vediamo  delinearsi  dalle  valli  del  Metauro  e  del  Cesano, 
come  Giovanni  Gozzadini  aveva  notato  a  proposito  delle  statuette  e  dell'iscrizione 
etnisca  di  Monte  Guragazza  per  l'agro  bolognese  ("),  l'afflusso  di  opere  etnische  attra- 
verso la  via,  che  divenne  poi  Flaminia,  e  fu  mezzo,  fin  dai  più  remoti  tempi,  di  scam- 
bio tra  i  due  versanti  dell'Appennino.  Da  questo  medes;mo  afflusso  avrebbe  potuto 
essere  portata  nella  valle  del  Cesano  anche  la  statuetta  di  Corinaldo,  la  quale  in  tal  caso, 
come  opera  di  imitazione,  dovrebbe  essere  un  po'  ritardata  nel  tempo  ed  essere  assegnata 
alla  fine  del  VI  sec.  av.  Cr.  :  se  pure  (ed  è  forse  l'ipotesi  più  attendibile)  non  debba  con- 
siderarsi come  prodotto  di  una  di  quelle  officine  locali  che,  con  l'immane  quantità  di 
oggetti  di  bronzo  restituiti  dalle  ricchissime  necropoli,  raccolte  nel  museo  di  Ancona, 
svelarono,  specialmente  in  quel  secolo,  l'alto  valore  della  civiltà  picena,  ancora  sorella 
minore  di  quella  etrusca,  ma  avviata  ormai  a  uscire  presto  di  minorità. 

G.  Moretti. 


(')  Kekulé,  49"  B.  Winckelmannspr.  1889  ;  W.  Amclung,  Fuhrer,  p.  275  (ivi  la  bibliografìa). 

(2)  L.  À.  Milani,  II  R.  Museo  archeologico  di  Firenze,  testo  p.  173-174,  tav.  n.  CXLIII. 

(3)  La  famosa  statuetta  di  Isola  di  Fano  fu  interpretata  come  imagine  di  culto  del  Verlumnus, 
il  dio  nazionale  degli  Etruschi,  nella  prima  pubblicazione  che  ne  fece  L.  A.  Milani  in  Not.  se,  1884, 
ser.  3*,  voi.  XllT,  p.  618-622,  tav.  III.  Tale  interpreta' ione,  accettata  dal  Martha  (L'art  elrusque,  p.  320- 
321,  fig.  219),  è  stata  recentemente  contrastata  da  G.  Bendinelli  (Rendiconti  dei  Lincei,  ci.  di  se.  mor. 
stor.  e  filol.,  serie  6»,  voi.  XXIX,  1920,  p.  65-75),  il  quale  crede  debba  riconoscersi  nella  importan- 
tissima figura  un  prodotto  dell'arte  etrusca  ispirato  da  originale  ionico  dell'epoca  pisistratea,-ma 
sostiene  pure  che  rapprrsenti,  invece,  V  Ilermei  Euodios,  <  he  con  l'etrusco  Verlumnus  ha  in  comune 
la  proprietà  di  presiedere  alle  vie  e  di  soccorrere  i  viandanti. 

(*)  Il  Museo  di  Ancona  ha  recentemente  acquistato  due  bronzetti  rappresentanti  una  deliziosa 
figurina  di  Nike  su  globo  derivata  da  un  tipo  artistico  del  sec.  IV  av.Cr.,  e  Artemis  nel  tipo  di  quella 
detta  di  Versailles,  di  eccellente  fattura.  Le  due  piccole  figure  (alte  ambedue  min.  112)  saranno  pros- 
simamente pubblicate  nelle  Notizie. 

(5)  Cfr.  A.  Della  Seta,  Muieo  di  villa  Giulia,  Ronu,  1918,  tav.  XXX;  G.  Bendinelli,  Br  mi 
votivi  italici  del  Museo  nazionale  di  villa  Giulia,  in  Monumenti  antichi  dei  Lincei,  voi.  XXVI,  p.  229- 
242,  tav.  I  (ivi  la  bibliografia). 

(6)  «  T)a  tre  anni  in  qua  sono  tornate  alla  luce  alcune  antichità  etnische  nell'alto  Apennino  bo- 
lognese, a  Casio,  a  Montecavalloro,  a  Montcguragazza,  che  fanno  testimonianza  distazioni  etrusche 
in  quei  luoghi,  e  si  collegano  coll'amplissima  stazione  di  Marzabotto,  la  quale  era  per  avventura  la  più 
grande,  la  più  doviziosa,  la  più  importante  di  codesto  Apennino  :  talché  non  si  sarebbe  forse  troppo 
arditi  supponendola  centro  d'una  lucumonia.  Tutte  queste  stazioni  sono  dentro  o  presso  la  valle 
del  Reno,  quindi  nella  direzione  della  Toscana  o  dell'Etruria  centrale  verso  Pistoia,  ecc.  ecc.  »  ;  Gozza- 
dini, Di  due  statuette  etnische,  p.  3. 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  I. 


o 
•a 


o 
U 


> 


p 
j5 


3 

c/5 


>anesi-Roma 


ROMA  —    45    — 


ROMA 


ROMA. 

Recenti  trovamenti  di  antichità  nella  città  e  nel  suburbio. 

'Regione  IX.  —  Nell'eseguire  la  demolizione  di  un  muro  che  recingeva  l'area 
delimitata  dal  corso  Vittorio  Emanuele,  dalla  via  Larga  e  da  via  del  Pellegrino,  desti- 
nata all'erezione  del  palazzo  per  la  nuova  sede  dell'Agenzia  delle  imposte  dirette,  si 
rinvennero,  fra  il  materiale  di  risulta,  già  messi  in  opera  quando  fu  costruito  quel 
muro,  cinque  frammenti  di  lastra  marmorea  inscritti.  Si  riconobbe,  che  quei  frammenti 
facevano  parte  della  stessa  iscrizione,  e,  ricomposti,  rivelarono  costituire  una  cospicua 
porzione  di  un  latercolo  contenente  un  lungo  elenco  di  nomi  di  tabernarii,  con  una  prae- 
scriptio  nella  quale  figurano  i  nomi  degli  imperatori  Arcadio  ed  Onorio  e  del  praefectus 
urbis  Postumio  Lampadio  (a.  403-408). 

H  ricupero  di  questi  frammenti  fornisce  un  tipico  esempio  per  la  cautela  che  è  neces- 
sario usare  prima  di  pubblicare  e  dare  per  inedite  epigrafi  tornate  in  luce,  specie  quando, 
come  nel  presente  caso,  trattasi  di  iscrizioni  su  lastre  marmoree  adoperate  come  mate- 
riale da  costruzione  in  murature  di  non  recente  data.  Infatti  il  testo  epigrafico  dei  fram- 
menti in  parola  è  già  noto  ed  edito  nel  C.  I.  L.  VI,  9920. 

Il  lemma  che  precede  l'iscrizione  nel  Corpus  rende  noto,  che  i  frammenti  si  rinven- 
nero nell'anno  1854  presso  il  Pantheon  diM.  A  grippa,  e  che  alla  pubblicazione  del  Corpus 
stesso  non  se  ne  conservava  se  non  un  solo  frammento,  mentre  gli  altri  erano  andati  smar- 
riti. Il  frammento  superstite  ha  peregrinato  dall'Ufficio  degli  scavi  del  Palatino,  ove  fu 
dapprima  immesso,  al  museo  Kircheriano,  ed  ora  fa  parte  della  raccolta  epigrafica  del 
Museo  nazionale  romano  delle  Terme,  ove  lo  raggiungono  gli  altri  frammenti  felice- 
mente ritrovati,  dopo  essere  stati,  chissà  come,  trasportati  fra  la  tegolozza  e  serviti  a 
costruire  il  muro  di  via  Larga. 

Il  frammento  conservato  è  quello  riportato  nel  Corpus  a  destra  in  alto  del  testo 
dell'iscrizione,  che  comprende  le  linee  2-12  ;  quelli  recuperati  ne  formano  il  resto  già 
edito  ad  eccezione  di  alcuni  piccoli  frustuli  staccati  e  definitivamente  perduti. 

L'iscrizione  notissima  contiene  l'elenco  dei  componenti  il  corpus  tabernariorum  di 
Roma,  redatto  ex  auetorifale  del  prefetto  della  città  Postumius  Lampadius,  fra  gli  anni 
403  e  408.  Questo  personaggio  è  noto  anche  per  essere  stato  eonsularis  Campaniae 
(C.  I.  L.,  X,  1704,  3860)  e  per  avergli  Simmaco  dirette  alcune  epistole  (Symm.,  epist., 
VIII,  62, 64).  Il  latercolo  fu  già  illustrato  da  G.  B.  De  Rossi  (Bulletiino  dell'Istituto,  1855, 
(pag.  51)  e  dall'Henzen  (Syll,  n.  7915). 

* 
*  * 

Regione  XIII.  — Sterrandosi  per  un  lavoro  stradale  in  via  Marmorata,  presso 
l'arco  di  S.  Lazzaro,  si  è  rinvenuta,  a  poca  profondità  dal  piano  stradale,  la  parte 


ROMA 


46 


ROMA 


destra  di  una  lastra  marmorea  (m.  0,34  X  0,28  X  0,03),   recante  il  seguente  resto 
d' iscrizione  cimiteriale  cristiana  : 


in  NOCESSTETA 

nws  qui  vix.  iwNVS      P  L  es  M 

.    .    .   dcp.  diV.  Ili    NON 

.    ...   fi.   I/NCSVCCÒNS  a.   401 


Il  defunto,  un  fanciullo  detto  [in\noce(;n)s,  ebbe  il  nome  di  Stefa[nus].  Morì  e  fu 
deposto  [Flavio)  Vi]nc(enlio)  i{iro)  orarissimo)  constile),  e  cioè  nell'a.  401,  il  giorno  III 
mn(us)  di  uno  dei  due  primi  mesi  dell'anno.  Infatti  anche  altre  iscrizioni,  con  la  data 
consolare  di  quell'anno  e  con  l'indicazione  di  uno  dei  giorni  anteriori  al  mese  di  marzo, 
hanno  la  sola  menzione  del  console  di  occidente  Flavius  Vincentius,  non  conoscendosi 
ancora  il  nome  del  suo  collega  di  Oriente.  La  promulgazione  in  Roma  del  console  di 
Oriente  per  l'anno  401,  Flavius  Fravita,  avvenne  dunque  circa  la  fine  del  mese  di  febbraio 
o  nei  primi  giorni  del  mese  di  marzo  (cfr.  De  Rossi,  Inscript.  ehrist.,  I,  494segg.,  p.  597). 

Via  Labicana.  —  Demolendosi  un  muro  di  cinta  sulla  via  Casalina  per  dar 
posto  alla  costruzione  della  nuova  chiesa  dedicata  ai  ss.  Pietro  e  Marcellino  a  Torpi- 
gnattara,  si  rinvennero,  ivi  messi  in  opera,  alcuni  frammenti  di  lastre  marmoree  con 
i  resti  d'iscrizioni  funebri  di  equites  singulares,  che,  com'è  noto,  avevano  quivi  il  loro 
sepolcreto  (cfr.  Notizie  degli  scuri,  1922,  p.  141  segg.).  Essi  sono  i  seguenti  : 

1)  Frammento  di  stele  funebre  marmorea  ;  nella  parte  supsriore  è  rappresentato 
un  eques  singularis  coricato  su  di  una  cline  (m.  0,34  X  0,48  X  0,10)  : 


D  M 

A  V  R  •  VICTOR 
e  Q-S-AVGG  •  NN 
"IX'ÀN-XXVHf'MÌ 

ÀN-X-T-HEPCVLA 

r!lI-N-B-H-AVR-MA 

ne  ILLINVS-F  RATEI. 


11.  5-6  :  t(urmae)  Herculani  n(aiione)  B(essus  ?),  h(eres) 

2)  Frammento  di  stele  marmorea  (m.  0,37  X  0,19  X  0,14)  :   ' 


vG-  EQ-  Si  ing. 

...   a  "R-  SATVR  ninus 

N  A  T  •  M  O  esus 

col.  ul  PIA-OESC^ 

\\X 


nOMA 


47 


ROMA 


3)  Frammento  di  cippo  marmoreo 
(m.  0,30  X  0,22  X  0,17)  : 


4)  Id.  id.  id.  (m.  0,27  X  0,40  X  0,16): 


* 


j<T£Tnì  s  •  X 

mr/LIT  -ANN 
FL-CRF.SCEN/ 


BENEMERENZA    . 


-/ 


5)  Frammento  di  stele  marmorea  scorniciata  ;  in  baiso  è  rappresentato  un  cavallo 
bardato  (m.  0,30  X  0,21  X  0,13)  : 


Nella  tenuta  di  Torre  Spaccata,  di  proprietà  della  casa  Torlonia,  eseguendosi  lavori 
di  bonifica  del  terreno,  si  misero  in  luce  alcuni  avanzi  di  antiche  murature.  Si  estrasse 
dalla  terra  un  cippo  marmoreo  funebre  pulvinato  (m.  1,74  X  0,47  X  0,53),  mancante 
della  parte  destra  ;  sul  davanti  ha  inciso  il  seguente  resto  d'iscrizione  : 


D     •     M  s. 

L- VAL-L  F  C    

MELDVBR    

V  O  •  A  N  N    

VAL-C-F-MA     

SALAGENS;    

MATRI-L-VA;/ 

MELDVBR1      

ANN  -XXII      

VALERIA- S     

PARENTIBVS  sw/s 
F  E  C  I T 


Via  Latina.  —  Presso  porta  Furba,  sulla  sinistra  della  via  Tuscolana,  nel 
punto  ove  questa  forma  crocevia  con  la  via  Militare,  il  sig.  Francesco  De  Angelis,  nel- 
l'eseguire  un  cavo  per  la  costruzione  di  un  nuovo  fabbricato,  mise  in  luce,  alla  distanza 
di  m.  16  dalla  via  Militare,  di  m.  14  dalla  via  Tuscolana  ed  a  m.  2  di  profondità  dal 
piano  di  campagna,  alcuni  resti  di  muratura  in  opera  reticolata  ed  un  grande   cippo 


ROM\ 


—  48  - 


ROMA 


funebre  di  marmo  (m.  1,25x0,84x0,54)  con  cimasa  pulvinata,  base  modinata  e  patera 
e  prefericolo  ai  lati.  Il  lato  anteriore  ha  incisa  la  seguente  iscrizione  : 


DIS  •   M  ANIBVS 
SACRVM 

VALGIA  •  SILVILLA 

SIBI  ET 

TICLAVDIO-AVXIMO 

CONIVGl  •  SVO 

BENEMERENTI  •  ET 
LIBERTIS-LIBERTABVS 
QVE-SVIS-ET-AVXIMI 
POSTERISQ.VE-EORVM 


Nel  lato  posteriori  è  rappresentata  in  rilievo  la  porta  dell'Hades  leggermente  soc- 


Fig.  l. 

chiusa  ;  ciascuno  dei  due  battenti  ha  due  specchi  lisci  ed  una  piccola  maniglia  di  forma 
semicircolare. 

Si  rinvenne  anche  una  sfinge  alata  di  travertino  che  servì  già  da  acroterio  del  fastigio 
di  una  tomba  (ved.  fig.  1).  È  rappresentata  seduta  con  le  braccia  tese  e  le  gambe  aperte 
simili  a  zampe  di  cane.  Lungo  il  petto  sono  disposte,  su  due  file  parallele,  otto  mammelle. 
Il  viso  è  umano,  di  giovane  donna,  dai  capelli  ricciuti  divisi  sulla  fronte  e  terminanti  sul 
petto  in  due  riccioli  attorcigliati. 


UO.MA 


-  49  - 


KOMA 


Si  recuperò,  infine,  anche  una  targa  marmorea  (m.  0,23  X  0,30  X  0,02)  con  questa 
iscrizione  funebre  : 


D 

•    M 

CN 

SECCI 

EV   TAC   TIA 

NI 

Via  Laurentina.  —  Sulla  destra  della  via  Laurentina,  tra  il  4°  ed  il  5°  km., 
in  vocabolo  Pedica  di  Grotta  Perfetta,  nella  proprietà  dei  fratelli  De  Angelis,  eseguen- 
dosi lavori  agricoli,  è  stata  rinvenuta  una  lastra  marmorea  con  cornice  (m.  0,61  X  0,49  X 
0,09),  con  la  seguente  iscrizione  : 


DIS  •  MANIBVS 

CAESENNIAE 

secvnd£  ; 

A-CAESENNIVS- 

FERENTE  V 

FECIT-CONIVGI 

•BENEMERE 

NTI 

(.ir) 


Via  Nomentana.  —  Eseguendosi  un  cavo  per  un  raccordo  di  fognatura  in- 
nanzi la  caserma  del  6°  Genio,  poco  prima  di  giungere  al  ponte  Nomentano,  a  m.  1,40 
dal  piano  stradale,  si  è  trovato  in  pezzi  un  piccolo  sarcofago  di  fanciullo,  in  marmo  con 
coperchio.  Nella  fronte  anteriore  è  strigliato,  ed  ha  nel  mezzo,  entro  una  semplice  riqua- 
dratura scorniciata,  le  seguente  iscrizione  in  lettere  tarde  : 


D  M 

L-SVNNILFEVPHEMv 
INGENVIALVMWr 
DVLCISSIMI  QVl  V\ix. 
ANN-VII-M-III-D-V 
L-SVNNIVSCLEMens 


Via  Ostiense.  —  Sulla  sinistra  della  via  Ostiense,  presso  la  collina  detta  Roc- 
cia di  S.  Paolo,  nella  proprietà  del  sig.  Andrea  Segni,  nell'eseguire  un  cavo  per  la  costru- 
zione di  una  nuova  casa,  si  è  rinvenuta,  a  m.  1,40  di  profondità  dal  piano  stradale,  una 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  7 


IlOMA 


-  50  — 


liOMA 


lastra  marmorea  in  due  pezzi  scorniciata,  (m.  0,44  X  0,44  X  0,05)  con  la  seguente  iscri- 
zione : 


D 

M 

POMPONIE  • 

5ENILLE 

PATRONE 

•     E  T 

POMPON IE • 

POLVX 

SENE  •  FILIE  •  MAE 

QVE 

•   VIXIT  ■   ANNI 

XIII- 

MESSES 

•DIEBVS 

XVII 

FECIT  • 

VESTINA 

POMPONIA  • 

SIBI  •  ET 

SVIS  • 

LIBERTIS 

•  LIBERTA 

1  BVS- 

ET-C-  POMPEIVS 

i 

FELIX 

• LOCVS 

!  DATVS  •  POST 

•EORVM 

(sic) 


Via  Portuense.  —  Nell'eseguire  gli  sterri  per  la  fondazione  del  nuovo  fabbri- 
cato dei  Padri  Maristi  in  via  Anton  Giulio  Barrili,  sulla  collina  di  Monteverde,  è  stata 
messa  in  luce  un'altra  parte  del  vasto  sepolcreto  che  si  estendeva  nella  regione  sopra- 
terra del  cimitero  di  Ponziano. 

I  movimenti  di  terra,  eseguiti  nel  1917  per  la  costruzione  del  monastero  delle  Suore 
della  Dottrina  Cristiana  di  Lille,  avevano  già  fatto  scoprire  una  notevole  parte  del'sepol- 
creto  che  fu  illustrato  con  grande  cura  dal  compianto  prof.  F.  Fornari  in  queste  Notizie 
degli  scavi,  1917,  pag.  277  segg.  L'annessa  pianta  (fig.  2)  contiene  la  porzione  già  sco- 
perta nel  1917  (lett.  A)  e  vi  si  è  aggiunta  la  parte  ora  riconosciuta.  I  rilievi  furono,  come 
i  precedenti,  eseguiti  dal  prof.  Ettore  Traversari. 

Le  prime  scoperte  rivelarono  soltanto  alcune  formae,  quasi  interamente  franate, 
ricoperte  da  tegoloni  messi  alla  cappuccina;  s'intravide  anche,  alla  profondità  dim.  1.50 
circa  dal  piano  di  campagna,  parte  di  una  piccola  abside  in  muratura  a  tufelli  e  mattoni, 
e  tracce  di  pavimentazione  a  tessere  bianche  e  nere.  In  seguito  a  queste  constatazioni, 
fu  intrapreso  dalla  R.  Sopraintendenza  agli  scavi  di  Roma  un  saggio  di  scavo,  allo  scopo 
di  meglio  identificare  la  costruzione.  Fu  a  me  affidata  l'ispezione  dei  lavori  ;  l'assistenza, 
al  sig.  Pietro  Mottini. 

II  breve  scavo  mise  allo  scoperto  una  recinzione  in  muratura  di  forma  rettangolare, 
absidata  (ved.  fig.  2,  lett.  B),  quasi  rasa  al  suolo,  non  rimanendo  dello  spiccato  se  non  un 
tratto  alto  cm.  45.  Le  murature  erano  a  tufelli  con  ricorsi  di  laterizi.  L'edificiolo  absidato 
misura  m.  6,60  X  5,10  ;  il  diametro  dell'abside  era  di  m.  2,61. 

Il  pavimento  della  piccola  area  circoscritta  dal  recinto  absidato  era  cosparso  di 
tombe  della  consueta  foggia  a  formae,  divise  da  murelli.  A  ridosso  del  lato  occidentale 
del  muro  absidato  erano  costruite  due  tombe  (lett.  a,  b),  ricoperte  da  una  volticella  e 
divise  fra  di  loro  da  un  muretto  a  tufelli,  dello  spessore  di  cm.  20  ;  misuravano  m.  2  di 
lunghezza  e  m.  0,80  di  larghezza. 


Jl/xrjvsj-  0/uzrj    E>£f 


§ 

U 
H 

O 


r; 


ROMA 


—   52 


ROMA 


Un'altra  tomba  a  forma  (lett.  e),  più  larga  delle  a'tre  (m.  1,81  X  1,48),  era  del  tutto 
sconvolta  ed  interrata  ;  fra  il  terriccio  si  rinvenne  la  lastra  marmorea  di  chiusura  della 
tomba  (m.  1,80  X  0,55  X  0,07),  rotta  in  sei  pezzi,  recante  la  seguente  iscrizione: 


Pro.  3. 

Quintianus  se  vivo  emit  et  fecit  sili  et  suis  omnibus. 

Il  monogramma  I  è  notissimo  per  essere  usato  frequentemenete  nei  rilievi  e  nelle 
epigrafi  tanto  pagane  quanto  cristiane,  prevalentemente  del  secolo  IV,  in  ispecie  nei 
monumenti  relativi  ai  giuochi  circensi,  nelle  rappresentanze  di  agitatores  de'  circo  e  nelle 
tabulae  lusorme  (').  È  simbolo  quindi  di  vittorie  riportate  nei  ludi  del  circo  e  della  pa- 
lestra, tanto  più  che  spesso  è  unito  alla  palma.  Rimane  sempre  come  più  probabile  la 
spiegazione  data  di  p(alma)  fe(liciter);  altri  hanno  voluto  intendere  p(alma)  e(lea)  o  p(alma) 
e(merita).  P  ù  raro  è  il  trovarlo  in  iscrizioni  sepolcrali,  quale  la  presente,  ed  è  pro- 
prio delle  iscrizioni  funebri  cristiane  posteriori  alla  pace  costantiniana  (2). 

Notevole  è  anche  la  decorazione  di  questa  lastra  tombale,  formata  da  due  circoli, 
in  uno  dei  quali  sono  inscritti  più  circoli  intrecciantisi,  ciascuno  contenente  un  rosone 
a  sei  petali  ;  l'altro  circolo  contiene  un  solo  rosone  a  sei  petali. 

Il  muro  perimetrale  di  settentrione  (lett.  d,  e)  era  invece  a  sacco,  e  si  prolungava 
oltre  il  termine  dell'area  rettangolare  absidata,  per  la  lunghezza  complessiva  di  m.  11. 
A  ridosso  del  prolungamento,  verso  sud,  si  aprivano  altre  formae  costruite  con  sponde 
di  tufelli  poggiate  sulla  roccia  di  breccia.  A  meridione  del  detto  gruppo  di  tombe,  fu  messo 
allo  scoperto  un  altro  folto  gruppo  di  formae  (lett.  B)  intersecantisi  in  modo  irregolare. 

Ancora  più  a  sud,  presso  uno  degli  antichi  ingressi  al  cimitero  di  Ponziano  (lett.  f), 
i  lavori  di  sterro  misero  allo  scoperto  una  tomba  in  muratura  a  sacco  (lett.  C),  di  forma 
quasi  quadrata  (m.  2,55  X  2,40).  L'ingresso  doveva  essere  dal  lato  ovest  ;  in  ciascuno 
degli  altri  lati  era  praticato  un  arcosolio  (m.  1,30  X  0,74),  aggettante  cm.  50.  Ciascun 
arcosolio  era  decorato  con  pitture  a  fresco  su  intonaco  di  calce,  quasi  del  tutto  caduto. 
Della  decorazione  rimanevano  soltanto,  nell'arcosolio  del  lato  orientale,  un  pavone, 
ed  in  quello  del  lato  settentrionale  una  figura  muliebre  ammantata. 

(')  Cfr.  le  iscrizioni  nei  sedili  dell'anfiteatro  Flavio  (R.  Lanciasi,  Bull,  della  Gomm.  Archetti. 
Cernuti.,  1880,  pag.  250  segg.)  ;  una  tavola  lusoria  (Bull,  della  Comm.  Archeol.  Cornuti.,  1904,  pag.  342 
seg.);  lo  stesso  monogramma  trovasi  anche  in  un  contorniato  con  l'effigie  dello  storico  Sallustio:  cfr. 
Sabatier,  Les  médaillons  conlorniaies,  XVI,  2. 

(')  Cfr.  ad  cs.  A.  Silvagni,  Inscriptiones  christianae  urbis  Romae,  nova  series,  I,  n.  1436. 


ROMA 


—  53  — 


ROMA 


Avanti  gli  arcosolii  delle  pareti  settentrionale  e  meridionale  era  praticata  una  forma. 
Sul  pavimento  giaceva,  spostato  dal  luogo  di  origine,  un  sarcofago  marmoreo  (m.  1,36  X 
0,50  X  0,50),  troncato  nella  parte  destra,  con  la  fronte  baccellata  e  nel  centro  una  targa 
securiclata  anepigrafe  ;  nel  lato  maggiore  opposto,  entro  altra  targa  ansata  è  incisa  la 
seguente  epigrafe  (IH0  sec.)  : 


D  M 

À  ÀTINIVS  MER 
CVRIVS  TVRCIÀE 
PROCLÀE  CONIVG 


I    FECIT 
ENTI 


BENEMER 


\ 


In  origine  il  sarcofago  era  lungo  m.  1,95' e  destinato  ad  un  adulto  ;  fu  poi  ridotto  sul 
posto  alla  lunghezza  di  m.  1,35  ed  adoperato  per  seppellirvi  un  giovinetto,  del  quale 
furono  rinvenute  le  ossa  nell'interno.  La  parte  del  sarcofago  asportata,  lunga  cm.  60,  con 
gli  angoli  di  destra,  fu  rinvenuta  nel  fondo  di  una  delle  due  formae  alle  quali  si  è  accennato. 

Il  pavimento  era  a  grosse  tessere  bianche  e  nere  formanti  un'iscrizione  sepolcrale, 
lunga  m.  1,10,  alta  m.  0,35  ;  le  lettere,  nere  su  fondo  bianco,  sono  alte  cm.  13  e  sono 
contenute  entro  una  targa  ansata  formata  da  fasce  nere,  larghe  cm.  3.  Mancavano  la 
fascia  del  lato  superiore  e  la  maggior  parte  di  quella  del  lato  destro,  tolte  quando  fu 
praticata  la  forma  addossata  alla  parete  settentrionale  della  tomba.  Al  disotto  della  fascia 
inferiore,  entro  un  lungo  rettangolo  stanno  tre  rombi,  divisi  fra  di  loro  da  fascette; 
l'iscrizione  è  del  seguente  tenore  : 


**»*:    ,s*s 


Fio.  4. 


ROMA 


—  54   — 


ROMA 


Nell'angolo  formato  dalle  pareti  settentrionale  ed  oceidentale  si  riconobbe  un  breve 
avanzo  di  una  pavimentazione  più  antica,  a  piccole  tessere  bianche  che  posavano  su 
di  uno  strato  di  calce  ;  questa  pavimentazione  era  a  10  cm.  più  in  basso  della  posteriore. 


* 
*  * 


Fra  la  terra  di  scarico  che  ricopriva  l'area  sterrata,  oltre  a  vari  insignificanti  resti 
di  antico  materiale,  si  rinvenne  un  sarcofago  marmoreo  bisomo  liscio  (m.  2,00  X  1 ,00  X 
0,65),  rotto  in  più  pezzi.  Si  ricuperarono  inoltre  le  seguenti  iscrizioni  funebri  : 


1)  Stele  marmorea  scorniciata,  in  due 
pezzi  (m.  0,37  X  0,19  X  0,03). 


(aie) 


D          M 

ALFEN ATI  A* 

ISIAS  •  FECIT  * 

TLIBONI  ANO 

FILIO  •  SVO  * 

Q  *  VIXIT  *    ANNis 

X  I  •  M  E  N  S  I  B  •  V  1 1 

DIEBVS-  Vili 

2)  Frammento    di   stele   marmorea 
scorniciata  (m.  0,39  X  0,27  X  0,02). 


-    I  I P  T9 


L-  APVLElVS 
AVIOLA  •  FECIT 
ET  •  SIBI 


3)   Lastra   marmorea   frammentata 
(m.  0,40  X  0,21  X  0,07). 


4)Lastra  mamorea  scorniciata(m.0,45 
X  0,30  X  0,02). 


a    re^-L  [-A — 

FLORA  ÀV 

RELIO  EVO 

CHI   DE  FILI 

O  SVO  BE 

NEMEREN 

TI    FECIT 

QVI     VIX 

ÀNNIS  XVI 

DIEB    XI 

D       M 

L      VIBI VS 

C  H  R  Y  S  À 

N  T  H  U  S 

FECIT-  SIB 

I  -  SE  VI  VO 

5)  Frammento  di  lastra  marmorea  scorniciata  (m.  0,32  X  0,12  X  0,04). 


mquis  hoc  monumentimi   violai  e 

v  Ut    i^L^ÀTrrerTNTÓ MINE-  IN 
scrii   ERE  QVOD  SI  CONTEM 


pserit  iNFERET-  AERARIO  •  tS-X-N 


ROMA 


—    00 


ROMA 


6)  Lastra  di  marmo  bigio,  in  tre  pezzi  (m.  0,64  X  0,28  X  0,02),  con  iscrizione  funebre 
cristiana  del  propinquo  cimitero  di  Ponziano. 


FORTVNVLA  a 

QVI  • 

VIXITosANN-V» 

MJBNTfl'-B-'XHII'D 

P-  PRIDIE 

FDVS 

^                    US 

CES 

Q.    VE  T- 

IN    -P- 

h 

7)  Lastra    marmorea   frammentata    (m.    0,32  X  0,24  X  0,04). 


©  h. 

ÀTÀKAYTOC/     \... 
AHNIjJ  /   TwGÀYTtU 
nÀTPI  '  TOMNHMeiok 
KÀTGCK£YAC£N  / 
MNHMHC  /  XAPIN  / 
Z  H  C  À  N  T  I  /  GTH  /  k  v 


* 
*  * 


La  regione  sopra  terra  del  cimitero  di  Ponziano  è  chiaramente  indicata  nell'Itine- 
rario dell'unico  codice  Salisburgense,  con  le  parole  «  lune  aseendiset  pervenies  ad  8.  Ana- 
stasium  papam  et  martyrem,  et  in  alio  Polion  mariyr  quiescit.  Deinde  intrabis  in  eccle- 
siam  magnani  ;  ibi  sancti  martyres  Abdo  et  Sennes  quiescunt  »  (').  A  nessuno  di  tali  edifici 
esterni  possono  con  sicurezza  attribuirsi  i  resti  finora  tornati  in  luce  nei  recenti  scavi. 

Gli  sterri  hanno  però  permesso  di  fare  un'importante  constatazione:  si  è  ricono- 
sciuto un  altro  degli  antichi  ingressi  al  cimitero  di  Ponziano  nel  punto  segnato  nella 
fig.  con  la  lettera  g.  Un  lungo  descenso  menava  in  pieno  alle  gallerie  cimiteriali  ;  tanto 
il  descenso  quanto  le  gallerie  sono  indicati  nella  fig.  2  a  tratteggio. 


* 
*  * 


Nei  vasti  lavori  di  sterro  eseguitisi  sulla  collina  di  Monteverde,  nella  gita  vigna  di 
S.  Carlo  dei  PP.  Barnabiti,  per  la  costruzione  del  nuovo  ospedale  della  Vittoria,  si  è 
fatta  un'interessante  scoperta. 

Alla  profondità  di  circa  1  m.  dal  piano  di  campagna  lo  sterro  s'imbattè  dapprima 
in  un  breve  tratto  di  un  canale,  largo  m.  1 ,80,  per  la  lunghezza  di  circa  8  metri.  I  muri 
laterali  del  canale  erano  a  sacco,  larghi  cm.  55,  ed  avevano  le  pareti  interne  intonacate 
a  cocciopisto,  dello  spessore  di  cm.  2.  Il  piano  del  canale  era  formato  da  una  platea  a 
sacco,  dello  spessore  di  cm.  60,  con  sopra  uno  strato  di  cocciopisto  di  cm.  10.    Il  canale 


(')  Cfr.  G.  B.  De  Rossi,  Roma  sotterranea,  I,  pag.  182;  S.  Scaglia.  Notiones  archaeolonicae  chri- 
stianae,  P,  pag.  458. 


ROMA 


—  56  — 


ROMA 


immetteva  in  uno  speco  d'acqua,  che  si  prolungava  per  m.  1,30,  con  la  vòlta  quasi  per 
intero  franata.  Lo  speco  era  più  stretto  del  canale  che  lo  precedeva,  misurando  soltanto 
cm.  75  di  larghezza.  All'imboccatura  dello  speco  si  videro  le  tracce  di  una  chiusura  a 
saracinesca  che  regolava  l'immissione  della  massa  d'acqua  nello  speco.  La  fig.  5  mostra 


•    Fig.  6. 


il  punto  in  cui  s'iniziava  lo  speco,  e  ne  fa  vedere  la  struttura  ;  esso  era  di  forma  trape- 
zoidale, e  misurava  m.  1,15  di  altezza,  cm.  75  di  larghezza  al  suo  piano  e  cm.  60  all'im- 
posto della  vòlta.  I  muri  laterali,  larghi  cm.  60,  erano  a  sacco  di  scaglioni  di  tufo,  calce 
e  sabbia  locale,  e  si  conservavano  por  circa  cm.  40  di  altezza.  Le  pareti  interne  avevano 
l'intonaco  di  cocciopisto  dello  spessore  di  cm.  3;  il  piano,  anch'esso  a  cocciopisto,  po- 
sava su  di  un  banco  di  creta,  ed  aveva  lo  spessore  dicm.  10.  Agli  angoli  inferiori  correva 
il  consueto  cordone. 

Furono  rilevate  due  quote  sul  livello  del  mare,  alla  distanza  di  m.  45  l'ima  dall'altra, 
per  conoscere  la  pendenza  del  piano  dello  speco  ;  esse  erano,  l'una  di  m.  49,12,  l'altra 
di  m.  48,47,  con  un  dislivello  di  cm.  65  per  un  tratto  di  45  metri.  Di  mano  in  mano  che 
lo  speco  andava  digradando,  diminuivano  la  larghezza  dei  muri  laterali  e  lo  spessore 
del  piano  in  cocciopisto. 


ROMA 


-   57 


ROMA. 


Lo  speco,  la  cui  direzione  andava  da  N-0  a  S-E,  era  una  cospicua  deviazione  del- 
Vaqua  Abietina  o  deWaqua  Traiana,  le  uniche  acque  che,  provenienti  dai  laghi  di  Mar- 
tignano  e  di  Bracciano  alimentavano  il  popoloso  Trastevere  (x). 

Il  canale  e  lo  speco  fornivano  di  acqua  una  grande  vasca  rettangolare  (ved.  fig.  6) 
messa  in  luce  alla  profondità  di  m.  2,80  dal  piano  di  campagna,  misurante  (la  vasca) 


mÉ*wmw%K^mmrmwvtt 


'Wìzwwmm^^xxsm^d 


7*5x? 


Fio.  6. 


m.  42,10  X  m.  19.  I  suoi  muri  erano  a  sacco  di  scaglioni  di  tufo,  calce  e  sabbia  locale,  e 
misuravano  cm.  80  di  spessore  ;  si  conservavano  in  media  per  un'altezza  di  m.  2.  I  lati 
lunghi  erano  orientati  da  N-E.  a  S-O.  ;  r  minori  da  N-O.  a  S-E.  ;  le  pareti  interne  dei  muri 
avevano  l'intonaco  dello  spessore  di  cm.  4,  in  cocciopisto  impastato  con  carbone  vegetale 
triturato  minutamente.  I  muri  spiccavano  su  di  una  platea  di  cocciopisto  dello  spessore 
di  cm.  15,  il  cui  piano  si  trovava  alla  quota  di  m.  44,97  sul  livello  del  mare.  Tra  gli  angoli 
della  platea  e  lo  spiccato  dei  muri  perimetrali  correva  un  cordone  in  cocciopisto.  Uno 
dei  lati  maggiori  della  vasca  rettangolare,  e  cioè  il  lato  orientale,  aveva  nel  muro  un  avan- 
corpo (lett.  a)  a  forma  di  ferro  di  cavallo,  il  cui  diametro  interno  misurava  m.  1.95  ; 
l'imboccatura  verso  l'interno  della  vasca  era  di  m.  1,20.  Ai  lati  di  questo  avancorpo, 
e  precisamente  alla  distanza  di  m.  2,20  da  questo  vi  erano  due  grandi  dolii  fittili,  disposti 


(')  R.  Lanciani,  /  Contentarti  di  Frontino  intorno  le  aeque  e  gli  acquedotti,  pag.  342,  374  segg.  ; 
C.  Herschel,  Frontinus  and  the  water  supply  of  the  city  of  Rome,  pag.  173  seg.,  184. 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  8 


ROMA 


58   — 


ROMA 


in  senso  orizzontale  entro  la  muratura  (lett.  b,  e)  e  con  la  bocca  rivolta  verso  l'interno 
della  vasca,  in  modo  che  dal  muro  sporgeva  soltanto  l'orlo  della  bocca  (fig:  7). 

Nel  mezzo  dell'altro  lato  maggiore,  l'occidentale,  eravi  un  altro  avancorpo  di  forma 
quadrangolare  (lett.  d),  composto  di  tre  muri  formanti  due  angoli  retti  ;  quello  esterno 
misurava  m.  1,57,  gli  altri  due  m.  1,86.  Gli  angoli  esterni  erano  alquanti  smussati.  Ai 
lati  dell'avancorpo,  alla  distanza  di  m.  3,45,  eranvi  altri  due  dolii  fìttili  (lett.  e,  f),  in 


Fio.  7. 


corrispondenza  di  quelli  deFlato  opposto  già  descritti,  giacenti  nello  stesso  modo  degli 
altri  due  (fig.  8). 

Nel  mezzo  di  ciascuno  dei  lati  minori  della  vasca,  e  cioè  dei  lati  settentrionale  e 
meridionale,  eravi  un  corpo  rientrante  (lett.  g,  h)  formato  da  tre  muri  che  compone- 
vano due  angoli  retti,  e  misuravano,  l'interno  m.  5,60,  gli  altri  due  laterali  m.  4,78.  Nel 
mezzo  di  ciascuno  di  questi  muri  era  murato  un  dolio,  nella  stessa  posizione  già  descritta 
per  gli  altri  dolii  dei  lati  maggiori  ;  gli  angoli  interni  dei  muri  erano  lievemente  smus- 
sati (ved.  fig.  7  e  8). 

Complessivamente  i  dolii  coricati  erano  dunque  dieci,  e  cioè  due  in  ciascuno  dei  lati 
maggiori,  tre  in  ciascuno  dei  lati  minori.  Essi  misurano  circa  m.  1,50  di  altezza  e  l'aper- 
tura della  bocca  è  di  circa  cm.  16  ;  si  estrassero  in  gran  parte  rotti  o  crinati.  Quasi  tutti 
i  dolii  recano  sull'orlo  della  bocca  un  marchio  di  fabbrica  rettangolare,  con  la  seguente 
leggenda  : 


caduceo     M-CAILIVS-  M-L-  "EVCR 


ROMA 


—  59 


ROMA 


Nel  lato  minore  settentrionale,  verso  l'angolo  formato  con  il  lato  orientale,  erano 
tre  gradini  che  scendevano  al  piano  della  vasca  (pedata  cm.  28,  alzata  cm.  18)  rivestiti 
di  cocciopisto  dello  spessore  di  cm.  2. 

Nel  mezzo  della  vasca  era  un  bacino  circolare  (lett.  A)  del  diametro  di  m.  9,30  con 
un  muro  a  reticolato  rozzo,  dello  spessore  di  cm.  90,  conservato  per  un'altezza  di  m.  2. 


Fio.  8. 


All'esterno  del  muro  di  recinzione  di  questo  bacino  erano  addossati  quattro  pilastri 
di  forma  quadrata,  di  cm.  90  di  lato,  disposti  simmetricamente  a  croce  (lett.  i).  Anch'essi 
erano  a  reticolato  con  le  morse  agli  angoli  di  blocchetti  rettangolari  di  tufo.  Le  fonda- 
zioni del  bacino  giungevano  alla  profondità  di  cm.  65  sotto  il  piano  della  vasca,  che  fu 
espressamente  tagliato.  La  parete  interna  del  bacino  era  intonacata  a  cocciopisto  dello 
spessore  di  era.  4,  fermato  in  alcuni  punti  da  piccole  grappe  di  ferro  a  T,  con  le  punte 
appiattite  ;  altre  grappe  erano  piegate  a  squadra  con  punte  quadrate. 

Il  piano  del  bacino  circolare,  in  cocciopisto  dello  spessore  di  cm.  12,  poggiava  su 
quello  della  vasca,  ed  aveva  tutt'intorno  il  cordone,  anch'esso  in  cocciopisto  ;  la  costru- 
zione del  bacino  fu  perciò  evidentemente  posteriore  a  quella  della  vasca. 

Tra  i  due  pilastri  orientale  e  meridionale  del  bacino  circolare,  addossato  al  muro 
perimetrale,  aprivasi  un  pozzetto,  aperto  nel  piano  del  bacino,  con  l'apertura  formata 
dalla  parete  stessa  del  bacino  e  da  tre  muretti  a  piccoli  parallelepipedi  di  tufo,  into- 
nacati all'esterno  in  cocciopisto.  Il  muretto  maggiore  era  lungo  m.  2,29  ;  gli  altr   due, 


ROMA 


—    (50    —  ROMA 


normali  al  muro  perimetrale  del  lincino,  erano  lunghi  m.  0,90.  I  due  angoli  esterni  del 
pozzetto  erano  stendati  ;  la  sua  profondità  era  di  cm.  64,  ed  il  suo  piano  trovavasi  a 
cm.  10  su  quello  del  bacino.  Addossato  ad  uno  dei  muretti  laterali  del  pozzetto  era 
un  gradino,  impostato  sul  piano  della  vasca,  rivestito  anch'esso  di  cocciopisto,  largo 
cm.  80,  dell'alzata  di  cm.  24  e  della  pedata  di  cm.  27.  Sul  piano  dello  stesso  muretto 
eravi  l'impronta  di  un  secondo  gradino,  simile  al  primo. 


* 

*  * 


La  costruzione  ora  riferita  fu  evidentemente  un  antico  vivaio  artificiale  (vivarium 
o  piscina),  nel  quale  si  mantenevano  e  nutrivano  dei  pesci  di  acqua  dolce  ;  essa  formava 
un  piccolo  stagno  con  i  ricettacoli  o  cavità,  ove  posavansi  i  pesci  e  deponevano  le  uova, 
formati  dai  dieci  dolii  fittili  coricati.  Alcuni  canali  dovevano  condurvi  l'acqua  dello  speco  ; 
altri  la  scaricavano,  muniti  di  grate  per  non  dare  il  passo  ai  pesci.  La  costruzione  circo- 
lare centrale  vi  fu  poi  aggiunta  per  apprestare  ai  pesci  un  banco  artificiale  di  rocce,  forse 
coperto  di  alghe  e  di  piante  acquatiche,  affinchè  i  pesci  non  trovassero  differenza  tra 
le  acque  chiuse  e  quelle  dei  laghi  o  dei  fiumi. 

È  noto  che  per  i  Romani  i  vivai  furono  oggetto  del  maggior  lusso  nelle  loro  case 
o  ville.  Non  si  contentavano  di  avere  stagni  per  conservarvi  parecchie  sorta  di  pesci  di 
acqua  dolce  ;  ne  scavavano  anche  sulle  rive  del  mare,  derivandone  le  acque  per  nutrirvi 
pesci  di  mare  e  procurarsi  il  piacere  della  pesca (').  Alcuni  dei  dintorni  di  Roma  diven- 
nero celebri  per  le  rendite  dei  vivai  in  cui  il  proprietario  nutriva  pesci  rari  ;  qualche 
specie  di  questi  pesci,  come  la  muraena,  diede  il  nome  a  quei  che  ne  commerciavano, 
e  dei  quali  formava  la  ricchezza. 

Il  modesto  vivaio  della  Portuense,  ora  messo  in  luce,  dovette  avere  piuttosto  scopo 
lucrativo  e  commerciale,  e  fece  forse  parte  di  una  vasta  azienda  rurale  esercitata  da 
qualche  speculatore  nelle  immediate  vicinanze  di  Roma.  La  struttura  delle  murature 
indica,  che  il  vivaio  fu  costruito  nel  III0  secolo  dell'Impero;  il  reticolato  del  corpo  cen- 
trale non  fu  originale,  ma  rifatto  con  materiale  derivante  dalla  demolizione  di  muri  pre- 
esistenti. 


* 
*  * 


Gli  sterri  hanno  messo  in  luce  molti  altri  cospicui  avanzi  di  antichi  edifici  con  mura- 
ture di  varie  età  a  cominciare  dai  più  antichi  a  parallelepipedi  di  tufo  ai  più  recenti 
a  sacco  di  rozza  struttura.  Ciò  rivela,  che  in  quella  località  fu  intensa  la  vita  dai  tempi 
repubblicani  ai  più  tardi  periodi  dell'impero.  Si  riconobbero  avanzi  di  altre  vasche,  an- 
ch'esse alimentate  dalle  acque  dello  speco  e  del  canale  suddescritti.  Si  videro  anche  qua 
e  là  nel  terreno  avanzi  di  antiche  condottine  d'acqua,  con  canaletti  formati  da  blocchi 
di  tufo,  costituenti  un  intricato  sistema  di  diramazioni  d'acqua  tutte  irradiantisi  dallo 
speco  principale. 

Si  scoprirono  inoltre'  avanzi  di  conserve  d'acqua  e  tratti  di  cunicoli  di  drenaggio 
di  varia  orientazione,  ed  alcuni  pozzi  raggiungenti  la  profondità  massima  di  m.  18. 

(')  Cfr.  R.  Del  Rosso,  Pesche  e  peschiere  antiche  e  moderne  nell'Etruria  marittima,  Firenze, 
Poggi,  1905. 


ROMA 


61 


ROMA 


Lo  spurgo  di  questi  pozzi  ha  restituito  una  notevole  quantità  di  materiale  di  sca- 
rico, fra  il  quale  non  pochi  resti  di  sarcofagi  marmorei  rotti  in  minuti  pezzi  con  la  mazza, 
avanzi  di  pavimentazione  a  spina,  alcuni  pesi  di  pietra  di  paragone,  rocchi  e  frammenti 
di  colonne  di  marmo  bianco,  di  bigio,  di  granitello  e  di  travertino,  e  resti  di  fistule  plum- 
bee acquarie. 

Si  ricuperarono  infine  le  seguenti  iscrizioni  : 


1)  lastra  marmorea  stondata  in  alto 
(m.  0,21  X  0,15X0,04): 


2)  frammento   di  lastra   marmorea 
scorniciata  (m.  0,46  X  0,28  X  0,06)  : 


L-G  AVI 
SABLONIS 


D 1 1  S       manibus 

S  V  L  G  I  A  £ 

CL AVDI 
IVGIB-DV 
VIXERVN 
PIA  *  F 
PARENTIB 


con 


l 

ccit 

MS 

ET* LIB*  LI  b.    posterisqup. 
E  O/  rum 


Via  Salaria.  —  Nell'area  compresa  tra  il  viale  dei  Parioli  e  la  via  Salaria  Vec- 
chia, erigendosi  una  casa  dell'Unione  edilizia  nazionale,  si  rinvenne,  a  poca  profondità 
dal  livello  stradale,  un  cippo  funebre  di  travertino  (m.  0,75  X  0,43  X  0,23)  con  l'iscrizione: 


>- 


IVLIA • AVG  •  L 

HELENA 

VENERIA-EX-HORT 

SALLVSTIANIS 

SIBI  •  ET  •  SVIS 

IN-FRO      P-XII 

IN-AGR     P-XII 


I  Venerei  o  Venerii  erano  ministri  addetti  al  culto  di  Vcnus  Erycina  importato  a 
Roma  dal  monte  Eryx  in  Sicilia  dai  soldati  reduci  dalla  prima  guerra  punica  (cfr.  Cic, 
Verr.,  IV  38  ;  prò  Cluent.,  15).  Fu  dedicato  un  tempio  a  tale  divinità  fuori  la  porta  Col- 
lina del  recinto  serviano  il  23  aprile  dell'a.  181  av.  Cr.,  votato  tre  anni  prima  dal  con- 
sole L.  Porcio  durante  la  guerra  contro  i  Liguri  (Liv.,  XL.  34,  3;  cf.  XXX,  30,  IO;  Ap- 
pian.,  b.  e.  1, 93  ;  Ovid.,  Rem.  am.,  549).  La  Venus  Erycina  extra  portam  Collinam  fu  iden- 


ROMA 


62    —  ROMA 


fincata  con  la  Venus  hortarum  Sallustianonm  (')•  Ciò  premesso,  è  facile  intendere  che 
Mia  Helem,  liberta.imperiaie  forse  di  Agrippina  o  di  Caligola  (della  gens  Mia),  fu  inser- 
viente (veneria)  nel  tempio  di  Venere  degli  orti  Sallustiani.  Era  già  noto  un  minister 
al[mae?]  Veneris  ex  ho[rtis]  Sallustian[is]  (C.I.L.,Y1,  32468).  Analogamente  eranvi 
Venerii  presso  il  tempio  di  Venere  in  Pompei  (C.I.L.,  IV,  1146;  cfr.  2776).  I  cittadini 
di  Sicca  Veneria,  nell'Africa  proconsolare,  dicevansi  Venerii,  ed  erano  costituiti  in  colle- 
gium  dedicato  al  culto  di  Venere  (C.  /.  L.,  Vili,  15881). 


* 
*  * 


Via  T  i  b  u  r  t  i  n  a.  —  Nei  lavori  di  sterro  per  il  prolungamento  del  viale  della 
Regina,  e  precisamente  innanzi  alla  nuova  clinica  pediatrica,  demolendosi  una  casa, 
è  stata  recuperata  una  lastra  marmorea  frammentaria,  già  messa  in  opera,  contenente 
parte  di  un'iscrizione  funebre  cristiana  (m.  0,24  X  0,30  X  0,06)  : 


FORMICVLA  QV \ae  vix.  an. 

ET  MESES  VII  •  DB  p 

AVG  BENEMERptó 
IN  PACI 


CE/ 


Proviene  probabilmente  dal  propinquo  cimitero  di  S.  Ippolito,  che  si  estendeva  sotto 
la  già  vigna  Gori,  sulla  sinistra  della  via  Tiburtina. 

G.  Mancini. 


Via  Nomentana.  —  Scoperte  archeologiche  avvenute  nella  tenuta  '  Capo  Bianco  '. 
I  signori  fratelli  Miragoli  e  l'avvocato  Antonio  Cortesi,  comproprietarii  della  tenuta 
«  Capo  Bianco  »  all'undecimo  km.  circa  della  via  Nomentana,  denunziarono  recente- 
mente la  scoperta  di  un  sepolcro  e  della  testa  marmorea  di  una  divinità  campestre, 
rinvenuti  presso  le  fondazioni  di  un  antico  fabbricato,  durante  la  costruzione  di  una 
nuova  strada  di  accesso  alla  tenuta  stessa. 

Detta  strada,  dipartendosi  dalla  Nomentana  poco  prima  del  rudere  denominato 
«  il  Torraccio  »  (fig.  1),  raggiunge  il  Casaletto,  attraverso  la  «  Riserva  Grande  »,  mediante 
due  bracci  rettilinei  formanti  un  angolo  ottuso  della  lunghezza  complessiva  di  circa  700 
metri  (2).  Gli  avanzi  dell'antico  fabbricato  furono  incontrati  poco  oltre  la  metà  del  se- 
condo braccio  di  strada  (fig.  1-A)  ;  ed  una  parte  del  materiale  estratto  dai  cavi  di  fonda- 
zione venne  utilizzato  dagli  operai  per  la  formazione  della  massicciata  di  un  piccolo 
tratto  della  strada  medesima. 

(')  Cfr.  R.  Lanciani,  Bull.  d.  Comm.  Archeol.  Cornuti.,  1888,  pag.  3  seg.  ;  Chr.  Hiilsen,  Rom.  Mit- 
Iheilungen,   IV,  pag.   270  segg. 

(*)  Debbo  alla  ben  nota  cortesia  ed  abilità  del  sig.  Edoardo  Gatti  il  rilievo  topografico  della 
località. 


ROMA 


-  63  — 


ROMA 


In  base  a  codesti  avanzi,  si  potè  desumere  che  il  fabbricato,  quasi  perfettamente  orien- 
tato, doveva  avere  forma  rettangolare  (m.  44,80  X  22,80),  con  due  piccoli  avancorpi 
simmetricamente  disposti  alle  estremità  del  lato  orientale  di  esso. 

Dalla  disposizione  dei  muri  superstiti,  ed  in  base  alle  osservazioni  fatte  sul  luogo, 
si  potè  arguire  che  l'edificio  doveva  essere  formato  da  due  corpi  di  fabbrica  di  estensione 


Fio.  1. 


pressoché  uguale  e  separati  l'uno  dall'altro  da  un  cortile  :  quello  a  sud  destinato  ad  uso 
di  abitazione  ;  l'altro  a  magazzini,  ecc.  I  tesselli  marmorei  che  dovevano  far  parte  di  un 
pavimento  ad  opus  sedile,  rinvenuti  nell'ala  meridionale  del  fabbricato,e  il  trovamento 
quivi  avvenuto  del  frammento  scultorio,  di  cui  dirò  appresso,  confermano  che  quella 
doveva  essere  la  più  nobile  parte  dell'edificio. 

L'ala  settentrionale  del  fabbricato,  posta  su  terreno  leggermente  in  pendìo,  aveva 
il  muro  estremo  a  valle  rafforzato  internamente  da  grossi  pilastri,  presso  uno  dei  quali 
fu  trovato  ancora  in  posto,  conficcato  nel  terreno,  un  grande  dolio  di  terracotta,  che  fu 
ridotto  in  pezzi  dagli  operai  addetti  alla  costruzione  della  strada.  In  questa  medesima 
ala,  quasi  affiorante,  conservavasi  l'unico  e  misero  avanzo  di  un  pavimento  in  laterizio 
a  spina,  ed  appena  lo  spiccato  di  un  piccolo  tratto  di  muro  ad  opus  reticulatum. 


ROMA 


—   64   — 


ROMA 


Disseminati  in  tutta  l'area  occupata  originariamente  dal  fabbricato,  ed  anche  un 
poco  oltre,  si  rinvennero  varii  pozzi  di  tufo  e  mattoni,  abbondanti  residui  di  tegole 
e  coppi,  ed  alcuni  frammenti  d'orlo  di  grandi  dolii,  due  dei  quali  con  relativa  marca  di 


Fio.  2 


fabbrica.  Dò  la  riproduzione  di  entrambi  i  pezzi  perchè  le  marche  sono,   o  nuove, 
o  presentano  qualche  variante  su  quelle  conosciute. 


Fig.  3. 

La  prima  marca  (fig.  2),  perfettamente  conservata,  è  impressa  nella  parte  pianeg- 
giante dell'orlo  (larga  140  mm.  e  spessa  83),  ed  ha  per  contrassegno  un'impressione  ret- 
tangolare liscia  (mm.  22%  X  14)  situata  nel  centro,  al  disopra  dell'iscrizione  che  è  cir- 
coscritta in  un  rettangolo  misurante  mm.  95  X  22. 

L'altro  frammento  d'orlo  (fig.  3),  avendo  maggiori  dimensioni  del  precedente,  ci 
permise  di  valutare  con  una  certa  approssimazione  il  diametro  della  bocca  del  dolio 


ROMA  —   65    —  ROMA 

in  62  cm.  (').  La  larghezza  dell'orlo  è  di  20  cm.  circa.  Il  frammento  presenta,  lungo  il 
margine  destro,  due  profondi  incavi  terminanti  a  coda  di  rondine,  ad  attestare  che  il 
dolio  fu  restaurato  in  antico.  L'iscrizione,  impressa  in  un  rettangolo  di  mm.  112  X  34, 
ha  qualche  lacuna,  ma  le  lettere  rimaste  sono  abbastanza  chiare  e  non  possono  dar  luogo 
ad  alcuna  incertezza.  Essa  era  circondata  su  tre  lati  da  vari  contrassegni  :  un  ramo  di 
palma  su  ciascuno  dei  lati  minori  ;  una  clava  immanicata  o  tre  teste  di  bue  capovolte, 
disposte  in  doppio  ordine  tra  la  parte  inferiore  dell'iscrizione  e  il  bordo  esterno  del  dolio. 

Tranne  la  clava,  contrassegni  simili  si  trovano  sopra  l'orlo  del  dolio  riportato  a 
pag.  478,  n.  2438,  del  voi.  XV  del  C.  I.  L.  ;  quivi  al  posto  della  clava  sono  le  parole  SPE- 
RATVS  SER  FEC  disposte  su  due  righe,  mentre  nella  prima,  in  luogo  di  L  RVSTI,  trovasi 
il  solo  cognome  FAVSTI. 

Il  nome  del  nostro  figulo  ricorre  invece  sul  bollo  di  mattone  di  età  adrianea,  distinto 
coi  numeri  1418  e  1419  del  medesimo  volume.  L'iscrizione  è  perfettamente  identica  a 
quella  del  dolio  di  cui  stiamo  occupandoci 

L     RVSTI 
LYGDAM 

il  che  c'induce  a  credere  che  si  tratti  dello  stesso  figulo,  il  quale  sembra  dovesse  fab- 
bricare simultaneamente  dolii  e  mattoni. 

L'unico  frammento  scultorio  rinvenuto  è  una  testa  di  fauno  imberbe  di  tipo  elle- 
nistico, con  parte  del  collo,  alta  complessivamente  20  cm.  circa  (fig.  4).  Manca  del  naso 
e  di  gran  parte  del  labbro  superiore,  ed  è  coronata  di  due  rami  di  pino  simmetricamente 
disposti  e  legati  dietro  la  nuca.  Ha  la  bocca  dischiusa  a  leggero  sorriso  ;  mento  piccolo 
e  sporgente  ;  pupille  incavate  ;  piccoli  cornetti  ai  lati  della  fronte,  congiunti  alla  capi- 
gliatura a  masse  ondulate  e  ricciute,  eseguite  con  largo  uso  del  trapano.  La  probabile  data 
di  questa  scultura  (prima"  metà  del  II  secolo)  concorda  benissimo  colla  struttura  del  fab- 
bricato e  colle  iscrizioni  ricorrenti  sugli  orli  dei  grandi  dolii  quivi  rinvenuti,  e  di  cui 
abbiamo  poc'anzi  parlato. 

Il  sepolcro  tornò  in  luce  quasi  in  corrispondenza  dell'asse  della  nuova  via,  sovrap- 
ponendosi in  parte  all'edifìcio  di  cui  sopra  ed  occupandone  precisamente  l'angolo  SO  : 
la  qual  cosa  viene  implicitamente  a  dimostrare,  che  l'edificio  stesso  in  quel  tempo  era  già 
abbandonato  e  caduto  in  rovina.  La  fossa,  con  orientamento  est-ovest,  misurava  m.  2,25 
di  lunghezza,  0,80  di  larghezza  e  m.  1,80  di  profondità  dall'attuale  piano  di  campagna. 
Aveva  le  spallette  in  muratura  a  tufelli  e  mattoni,  ed  era  coperta  con  tegoloni  disposti 
alla  così  detta  cappuccina,  fissati  anch'essi  con  calce.  Vi  si  rinvennero  i  resti  mal  conser- 
vati di  uno  scheletro,  e  null'altro. 

Avanzi  della  spalletta  di  un  altro  sepolcro  simile  si  videro  a  breve  distanza  dal  pre- 
cedente, lungo  il  limite  settentrionale  della  via  che  in  quel  punto  corre  in  trincea.  Tracce 
di  altre  tombe  furono  notate  lì  presso,  immediatamente  di  là  dalla  nuova  strada,  dove 
il  terreno  degrada  dolcemente  verso  mezzogiorno  per  poi  risalire  verso  la  Nomentana. 

(')  Il  margine  sinistro  dell'orlo  fu  limitato  nel  disegno  a  poco  oltre  la  marca  di  fabbrica,  mentre 
la  lunghezza  effettiva  della  parte  conservata  dell'orlo  stesso  è  di  cm.  35. 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI,  9 


KOMA 


—  66 


ROMA 


Data  la  vicinanza  relativa  di  tali  sepolcri  al  cimitero  suburbano  di  S.  Alessandro, 
che  vuoisi  dipendesse  dall'antica  Ficulea,  non  è  improbabile,  che  essi  pure  avessero 
fatto  parte  di  quel  sepolcreto. 


Fio.  4. 


Avanzi  di  altri  sepolcri  furono  precedentemente  scoperti  nella  stessa  tenuta  «Capo 
Bianco  »,  presso  «  Case  Nove  »,  sulla  via  di  Nomcnlum,  durante  gli  sterri  di  una  cava 
di  pozzolana.  Soltanto  uno  di  essi  diede  una  lucerna  con  biga  sul  piattello  e  l'iscrizione 

BRACA 

u 

incisa  sotto  il  fondo. 

Nel  casale  di  Capo  Bianco  si  conservano  inoltre  alcuni  frammenti  marmorei  di 
figure  panneggiate  che  erano  stati  messi  in  opera  nella  costrizione  medievale  sovrap- 
posta al  rudere  sepolcrale  denominato  «il  Torraccio  »,  appunto  dalla  fabbrica  che  in 
quell'epoca  vi  si  costruì  sopra,  e  di  cui  oggi  rimane  ben  poco.  Tali  frammenti,  molto  ava- 
riati ed  imbrattati  ancora  di  calce,  hanno  un'importanza  artistica  limitatissima,  edessi, 
molto  probabilmente,  dovettero  in  origine  far  parte  della  decorazione  di  qualche  sepolcro. 


E.   Stefani, 


ROMA  67    —  ROMA 


Frammento  di  una  edicola  saera  ad  Ercole  Rsichiano. 

Comparve  recentemente  ne]  commercio  antiquario  in  Koma  un  frammento  marmoreo 
di  piccole  dimensioni,  consistente  in  un  architrave  ed  in  un  fastigio  di  semplice  disegno. 

Avendo  io  avuto  occasione  di  vederlo  ed  essendo  inedito,  ne  feci  fare  l'acquisto  per  il 
museo  Gregoriano  Lateranense,  della  cui  sistemazione  mi  occupai  pochi  anni  or  sono  (1). 

La  iscrizione  comincia  dentro  il  fastigio  con  una  sola  linea  in  lettere  grandi,  e  con- 
tinua poi  sull'architrave  con  tre  righe  in  lettere  minori  ed  è  del  seguente  tenore  : 

H1ERVS-ET-ASYLVS 
(T)  I  ■  IVLII  •  AQ.VILINI  •  CASTRICI!  •  SATVRNIN  (i) 
(C)LAVDII  •  LIVIANI  •  PRAEF  •  PR  ■  SER  •  VILLICI  ■  AEDEM 
HERCVLI  •  INVICTO  •  ESYCHIANO  •  D  •  S    FECERVNT 

La  mia  prima  ricerca  fu  quella  della  provenienza  del  marmo  :  ma  non  mi  riuscì  di 
saperla,  come  spesso  avviene,  allorquando  si  acquista  dai  commercianti  di  antichità,  i 
quali  per  lo  più  vogliono  sviare  le  ricerche  degli  archeologi. 

Dalla  forma  del  piccolo  monumento  può  intanto  stabilirsi,  che  si  tratta  del  fram- 
mento di  una  edicola  la  quale,  come  si  ricava  dalla  iscrizione,  fu  dedicata  ad  Ercole 
da  uno  Hìerus  e  da  un  Asylus.  Costoro  erano  servi  villici  di  un  personaggio  che  fu 
prefetto  del  pretorio,  e  che  fa  pompa  di  tutta  la  sua  polionimia  chiamandosi  Tiberius 
Julius  Aquilinus  Castricius  Saturninus  Claudius  Livianus. 

Essendo  questa  una  iscrizione  alquanto  singolare,  ne  mostrai  la  copia  ai  due  illustri 
colleghi  Cantarelli  ed  Htilsen  ;  ed  anch'essi  convennero  sulla  importanza  del  nuovo  testo, 
e  mi  dettero  cortesemente  alcune  indicazioni  che  mi  furono  assai  utili  per  la  sua  illu- 
strazione. 

Intanto  è  necessario  che  io  dica  per  prima  cosa,  che  la  nostra  iscrizione  deve  avere 
una  stretta  relazione  con  un'altra  iscrizione  romana  già  pubblicata  dall'Henzen  (2).  Questa 
epigrafe  è  ugualmente  dedicata  ad  Ercole,  e  vi  sono  nominati  pure  gli  stessi  dedicanti 
Hierus  ed  Asylus  i  quali  figurano  sul  nostro  marmo,  e  si  dichiarano  pure  servi  di  un 
Tiberio  Claudio  Liviano.  Eccone  il  testo  : 

HIERVS  •  ET 

ASYLVS 

TI-CL-  LIVIAMI 

SER  •  HERCVLI 

D    •    D 


(')  Questo  piccolo  monumento  fu  collocato  nella  sala  III  del  suddetto  museo,  chiamata  la  sala 
dell'Antinoo  ;  ed  io  ne  feci  una  breve  illustrazione  in  una  adunanza  dell' Accademia  romana  di  archeo- 
logia il  28  giugno  1923. 

(•)  C.  I.  L.,  VI,  280. 


ROMA  —    68    —  ROMA 

Ed  è  bene  notare  subito  che  questa  iscrizione  fu  scoperta  circa  il  1660  «  in  una 
cava  a  Ripa».  Il  marmo  più  non  esiste:  e  dalle  varianti  delle  copie  l'Henzen  restituì 
al  personaggio  il  cognome  di  Livianus,  la  quale  lezione  è  ora  confermata  dal  nuovo  testo. 

Ma  è  di  speciale  importanza  l'avere  dalla  nuova  iscrizione  il  nome  completo  di 
quel  personaggio  medesimo  che  fu  prefetto  del  pretorio  sotto  Traiano,  e  che  si  chiamò, 
come  dissi,  Tiberius  Julius  Aquilinus  Castricius  Satuminus  Claudius  Livianus  ;  e  da  questi 
altri  nomi  di  lui  si  deve  dedurre,  che  egli  fu  imparentato  con  un  Tib.  Julius  Aquilinus 
e  con  un  Caslricius  Satuminus.  lì  eh.  Hiilsen,  il  quale  ha  fatto  alcuni  anni  or  sono 
degli  studi  speciali  sopra  questi  due  servi  dedicanti  Hierus  et  Asylus  ('),  potrà  illustrare 
anche  meglio  questa  nuova  iscrizione  :  ed  intanto  io  dirò  che  egli  stesso  mi  ha  proposto  di 
identificare  Tib.  Julius  Aquilinus  con  il  procuratore  della  Rezìa  Tib.  Julius  Aquilinus 
nominato  in  un  diploma  militare  dell'anno  108  (2)  e  poi  anche  di  identificare  Caslricius 
Satuminus  o  con  P.  Castricius  Satuminus  magister  augustalis  di  Pollenza(3)  o  con 
P.  Castricius  Secundus  servir  augustalis  pure  di  Pollenza(4),  supponendo,  che  costoro  si 
fossero  trasferiti  poi  a  Roma,  e  che  il  prefetto  del  tempo  di  Trajano  fosse  nepote  di  un 
Castricius  Satuminus.  E  devo  anche  dire  che  l'altro  collega  Cantarelli  il  quale  studiò 
questa  iscrizione,  mi  accennò  anch'egli  alla  ipotesi  di  identificare  il  nome  di  Tiberius 
Julius  Aquilinus  della  nostra  iscrizione  con  quello  del  procuratore  della  Rezia. 

Io  non  voglio  entrare  per  ora  in  una  questione  così  complessa,  e  mi  limito  piuttosto 
a  dir  qualche  cosa  del  monumento  stesso  ricordato  nella  nostra  epigrafe,  cioè  della 
Aedes  Herculis  invidi  Esychiani  che  fu  dedicata  da  quei  due  servi  del  prefetto  del 
pretorio. 

Ed  intanto  dalla  citata  iscrizione  scoperta  nel  1660  risulta  che  il  Tiberius  Claudius 
Livianus  di  quella  epigrafe  deve  identificarsi  con  il  prefetto  del  pretorio  della  nuova 
iscrizione,  e  che  egli  ed  i  suoi  due  servi  Hierus  et  Asylus  professarono  un  culto  speciale  per 
Ercole.  E  quanto  al  titolo  di  Esychianus  che  si  unisce  nella  nuova  epigrafe  alla  Aedes  Her- 
culis invidi  costruita  a  loro  spese  dai  due  ricchi  servi  del  prefetto  del  pretorio,  esso  è  spie- 
gato da  un'altra  iscrizione  trovata  pure  nel  secolo  XVII  nella  stessa  località,  cioè  in  una 
cava  a  ripa  e  pubblicata  pure  dall'Henzen,  la  quale  dice  così  : 

HERCVLl  •  INVICTO  •  SACRVM 
M  •  CLAVDIVS  •  ESYCHVS  •  D  ■  D  (5j 

Quel  titolo  pertanto  dato  dai  due  servi  ad  Ercole  nella  nostra  iscrizione,  deve  deri- 
vare dal  nome  di  questo  Marcus  Claudius  Hesychus  che  dedicò  l'epigrafe  pubblicata 
dall'Henzen,  e  che  potè  essere  legato  di  parentela  con  il  prefetto  del  pretorio  del 
tempo  di  Trajano  o  forse  esserne  stato  liberto.  E  da  ciò  sembra  potersi  dedurre,  che  il 
culto  di  Ercole  fosse  un  culto  domestico  per  tutti  costoro,  e  che  i  due  servi  Hierus  et 

(')  v.  Berliner  Philologische  Wochenschrift  1889,  n.  22,  p.  683  sgg. 

(-)  C.  I.  L.,  Ili,  p.  867. 

(>)  C.  I.  L.,  V,  7604. 

(4)  C.  I.  L.,  V,  7670. 

(')  C.  /.  L.,  VI,  322. 


REGIONE  I.  —    69    —  OSTIA 


Asylus  ebbero  forse  una  cura  speciale  dei  monumenti  che  essi  dedicavano  a  quella 
divinità. 

E  siccome  le  due  iscrizioni  di  Ercole  testò  citate,  furono  scoperte  insieme  nel  1660 
nella  stessa  località  di  ripa,  così  nasce  spontaneo  il  sospetto,  che  anche  la  nuova  iscri- 
zione acquistata  per  il  museo  lateranense,  debba  provenire  dal  medesimo  luogo. 

Ora  dalle  parole  «  ripa  del  Tevere  »  potrebbe  intendersi  tanto  la  destr;\  (S.  Michele 
a  ripa,  S.  Francesco  a  ripa)  quanto  la  sinistra  indicata  appunto  dal  noi:  e  del  «rione 
ripa  »,  che  si  estende  nei  dintorni  di  S.  Maria  in  Cosmedin.  E  se  il  frammento  della  nostra 
edicola  provenisse  da  questa  ultima  località,  come  suppone  PHiilsen,  potrebbe  collcgarsi 
al  ben  noto  gruppo  di  monumenti  sacri  ad  Ercole,  che  erano  posti  presso  la  famosa  «  Ara 
massima»  del  Foro  Boario. 

0.  Marucchi. 


Regione  I  (LATI DM  ET  CAMPANIA) 

IX.  OSTIA  —  Scoperta  di  una  iscrizione  e  di  un  santuario  a  Jupiter- 
Caelus  (Ahonra-Ma:da). 

Le  ricerche  che  si  stanno  facendo  per  rintracciare  l'intera  cinta  delle  mura  del  primo 
secolo  av.  Cr.  in  Ostia,  proseguite  anche  lungo  l'antico  corso  del  Tevere,  con  la  scoperta 
di  una  torre  di  difesa  posta  all'ultima  curva  del  fiume  in  corrispondenza  con  l'ingresso 
principale  della  città,  mi  hanno  condotto  al  trovamento  prima  della  iscrizione  e  poi  del 
sacello  mitriaco  che  mi  affretto  qui  a  pubblicare. 

La  lapide  marmorea  inscritta  è  applicata  ad  un  basamento  rettangolare  di  mat- 
toni eretto  contro  la  parete  sud  della  torre  sul  Tevere,  che  si  trova  nel  terreno  di  pro- 
prietà di  S.  E.  il  principe  G.  Aldobrandini,  il  quale  aveva  molto  cortesemente  permesso 
alcuni  saggi  per  lo  studio  completo  della  cinta  di  mura  di  Ostia  repubblicana.  Scoperta 
l'iscrizione,  mi  affrettai  a  studiarla  e  a  commentarla,  inviandone  il  contenuto  a  Franz 
Cumont,  l'illustre  storico  delle  religioni  orientali,  il  quale  fu  così  cortese  di  aggiungere 
alle  mie  qualche  sua  osservazione  che  riassumo  fedelmente  alla  fine  dell'articolo. 

Data  però  l'importanza  dell'epigrafe,  potei  ottenere  da  S.  E.  il  principe  Aldobran- 
dini, che  ha  vivo  interesse  per  gli  scavi  ostiensi,  una  esplorazione,  sia  pur  limitata,  del 
mitreo  che  l'iscrizione  rivelava.  Purtroppo  però,  sebbene  il  mitreo  parzialmente  esplo- 
rato non  presenti  traccie  di  scavi  antecedenti  al  nostro,  rivelò  ben  poco,  sicché  lo  scavo 
nulla  aggiunge  alla  prima  interpretazione  da  me  data  alla  iscrizione,  e  che  ho  quindi  cre- 
duto opportuno  di  mantenere  integralmente,  facendovi  soltanto  precedere  la  descrizione 
di  ciò  che  nel  mitreo  fu  potuto  vedere  e  trovare. 

Si  tratta  di  uno  scavo  incompleto  ;  ma,  in  verità,  non  potei  insistere  troppo  presso 
il  principe  Aldobrandini  per  il  completamento  di  esso,  giacché  si  sarebbe  potuto  dan- 
neggiare la  sua  casa  fondata  quasi  sopra  lo  speleo.  Né,  d'altra  parte,  mi  parve  necessario 
assumere  la  spesa  e  il  lavoro  non  indifferente  di  opere  di  protezione  e  di  robustamento 


OSTIA  —    10    —  REGIONE    L 


dell'edificio  moderno,  quando  La  parte  scavata  del  mitreo  nò  rivelava  caratteristiche 
nuove,  né  offriva  trovamenti  tali  da  giustificare  l'impresa.  Giacché,  asportata,  quasi  cer- 
tamente, la  figura  di  culto  ;  sottratti  in  gran  parte  i  marmi  dei  podia  ;  tolto  il  pavimento 
della  nave  centrale,  eccetto  un  piccolo  spazio  ancora  a  posto  e  scoperto  ;  nude  le  pareti, 
scarsissimi  i  trovamenti  entro  questo  santuario  mitriaco  ripieno  di  materiale  di  demoli- 
zione, m'è  sembrato  potesse  bastare  ai  fini  archeologici  l'averne  esplorato  la  parte  più 
importante,  e  il  poterne  lasciare  scoperto  l'altare  con  l'iscrizione. 

Del  resto,  anche  incompleto,  questo  nuovo  sacello  di  Mitra,  che  s'aggiunge  ai  cin- 
que già  noti  in  Ostia,  mostra  chiare  le  sue  sostanziali  caratteristiche,  e  ha  certo  note- 
vole interesse. 


*  * 


Il  santuario  mitriaco  è  orientato  NNO-SSE,  ed  è  collocato  tra  le  costruzioni 
ostiensi  che  s'avanzano  sulla  linea  del  Tevere,  a  poca  distanza  (circa  150  metri)  dalla 
porta  romana  di  Ostia. 

Il  mitreo  si  serve,  infatti,  sia  del  lato  meridionale  di  una  torre  ad  opera  quadrata 
di  difesa  del  fiume,  per  poggiarvi  contro  il  basamento  laterizio  della  divinità,  sia  dell'ul- 
timo tratto  delle  mura  sillane  per  la  sua  parete  orientale,  rivestendo  Vopus  incertum 
originario  con  una  cortina  a  mattoni  di  buona  epoca.  Nulla  autorizza  a  dire,  che  il  mitreo 
si  sia  adattato  entro  un  ambiente  costruito  precedentemente  e  per  altro  scopo. 

Due  pareti  in  laterizio  conservate  per  m.  2,40  e  certo  originariamente  intonacate, 
fondate  su  costruzioni  più  antiche  (a  oriente  le  mura  di  cinta  e  a  occidente  sopra  un 
muro  a  reticolato)  racchiudono  due  podia  e  la  navata  centrale.  I  'due  podia,  larghi 
m.  1,38,  sono  sorretti  da  un  muricciuolo  di  m.  0,65,  iivestiti  originariamente  di  marmo  ; 
di  questo  rivestimento  rimangono  lastrine  sottili  di  marmo  bianco  che  formano  l'aggetto 
del  muricciuolo  stesso.  Il  piano  del  podio  con  leggera  pendenza  verso  le  pareti  è  rivestito 
di  calcestruzzo  intonacato.  Dai  podii  si  discende,  per  un  gradino,  verso  l'altare.  Quanta 
lunghezza  avesse  il  santuario  non  so  ;  lo  scavo  ha  fatto  scoprire  circa  metri  5  del  podio 
occidentale  senza  trovarne  la  fine  (il  podio  opposto  è  stato  visto  soltanto  per  più  di  due 
metri  di  lunghezza).  Nel  tratto  scoperto  il  muricciuolo  del  podio  mostrava  piccole  nicchie, 
comuni  del  resto  a  molti  mitrei.  L'ingresso  doveva  essere  nella  parete  inesplorata,  cioè 
nella  parete  opposta  a  quella  contenente  la  statua  di  culto.  È  tuttavia  da  segnalare, 
che  la  parete  occidentale  si  interrompe  dietro  il  podio,  ma  non  si  sa  se  supporvi  una  aper- 
tura nella  cortina  fatta  posteriormente. 

Tra  i  podii  rimane  un  corridoio  centrale,  largo  m.  1,90,  che  non  conserva  più  il  pavi- 
mento, il  quale  è  da  supporre  quindi  piuttosto  in  marmo,  facilmente  asportabile,  che  non 
in  opera  musiva. 

La  parte  più  scoperta  e  più  interessante  è  quella  oltre  i  podia,  in  cui  s'è  trovata 
l'iscrizione.  Si  tratta  evidentemente  dello  spazio  riservato  al  culto  e  ai  sacerdoti,  una 
specie  di  adyton  sollevato  di  pochi  centimetri  dal  resto  del  mitreo.  Si  entra  a  questo  spazio 
per  due  aperture  che  si  aprono  di  fronte  ai  due  podia,  larghe  m.  0,66  e  che,  per  mezzo  di 
un  gradino,  immettono  in  due  brevi  ali  (lunghe  m.  2,60)  fiancheggianti  Yadyton,  a  cui  si 
sale  da  ciascun  dei  due  lati  per  mezzo  di  due  gradini. 


REGIONE   I. 


—    71    — 


OSTIA 


Tale  spazio,  largo  m.  2,20,  costituente  la  parte  più  sacra  dello  speleo,  si  compone  : 
a)  di  un  basamento  in  laterizio  rettangolare  a  due  piccole  ante  conservate  per  cm.  59  X 
34  X  29,50  che  doveva  sostenere  Fimagine  di  culto,  e  sulla  cui  faccia  anteriore  è  appli- 


Fig.  1. 


cata  l'iscrizione  ;  b)  di  due  pi'astrini  in  mattoni  disuguali  nella  misura  e  asimmetrici,  sia 
rispetto  al  centro  del  mitreo,  sia  all'iscrizione.  Tali  pilastri  erano  rivestiti  di  lastre  di 
marmo,  e  ad  essi  si  appoggia  una  lastra  marmorea  che  ricopre  una  specie  di  forma  ret- 
tangolare (m.  2,65  X  0,35)  quasi  un  nascondiglio  di  oggetti  di  culto  i  quali  potevano 
venire  esposti  sulla  tavola  marmorea  che  la  ricopre,  e  che  serviva  di  piano  di  posa.  I  due 
pilastri  a  me  sembra  dovessero  sostenere  le  figure  dei  dadofori,  secondo  l'uso  consueto 
di  molti  mitrei. 


OSTIA 


—  72 


REGIONE    I. 


Tra  questo  adylon  e  i  podi»  il  piccolo  intervallo  che  resta  ha  pavimento  marmoreo  : 
e  nel  mezzo  un  riquadro  di  marmi  colorati  a  disegno  geometrico  di  quadrati,  rettangolari 
e  rombi.  11  mitreo  non  presenta,  in  sostanza,  caratteristiche  tali  da  differenziarlo  dal 
tipo  comune  usato  per  questi  santuari! 

I  trovamenti,  come  ho  detto,  furono  scarsissimi  e  di  lieve  importanza  ;  ne  dò  l'elenco  : 
a)  Lastra  marmorea  (cm.  43x26)"con  figura  di  Silvano.  Silvano  con  falcetto  e  pino, 


Fio    2 


e  con  il  cane  a  sinitra,  entro  una  edicola  fiancheggiata  da  lesene  e  sormontata  da  un  tim- 
pano nel  cui  centro  è  una  corona  con  in  mezzo  una  testina  femminile  di  pieno  prospetto  ; 

b)  tre  arettc  di  tufo  rettangolari  liscie  sulle  quattro  faccio  (cm.  17  X  3)  ; 

e)  una  ermetta  di  Sileno  attempato  con  traccie  di  colore  azzurro  tra  i  capelli, 
intrecciate  con  nastri  e  frutta  (alt.  cm.  20)  ; 

d)  tre  vasetti  di  terracotta  figulina  rossiccia  a  pareti  sottili  e  senza  manico  con 
pancia  ovoidale  ;  sull'una  di  essi  un  ornato  di  angoli  acuti  in  colore  bianco  (cm.  10  X  10)  ; 

e)  frammento  di  colonnina  sottile  di  mattone,  con  basetta  in  laterizio  (cm.  18)  ; 

f)  due  piccoli  sostegni  di  tavola  marmorea  (trapezofori)  con  rosette  a  rilievo 
(cm.  38  X  36)  : 

g)  alcune  lucernette  di  terracotta  figulina  rossiccia,  di  tipo  e  forma  comunissimi, 
senza  decorazioni. 


REGIONE   I.  —    73    —  OSTIA 


L'importanza  del  mitreo,  o,  più  propriamente,  del  sacello  a  Jupiter-Caelus,  sta  sopra 
tutto,  dunque,  nella  iscrizione  su  lastra  di  marmo  bianco  (m.  1,64  X  0,59)  interamente 
conservata,  che  serve  a  bene  individuarlo  e  differenziarlo  dagli  altri. 

DEVM   •   VETVS-TA-RELIGIONE     (■■«)  Cm.  7 

INVELO  •  FORMATVM  ■  ET  •  VMORE  •  OBNVBI  cm.  5 

LATVM  •  MARMOREVM  •  CVM  •  Cm.  4 

THRONO-OMNIBVSQ.-ORNAMENTIS-  cm.  4 

ASOLO-OMNI-lMPENDIO-SVO-FECIT-  cm.  4 

SEX -POMPEIVS-MAXIMVS- PATER  cm.  6 

•  Q  •  •  S  •  •  S  •  EST  •  cm.  3  '/, 

ET-PRAESEPIA-MARMORAVlT-P-LXVIll-DEMSP  »      » 

L'iscrizione,  a  belle  lettere  regolari  e  bene  incise,  contraccie  di  rubricatura,  contiene 
un  testo,  in  verità,  singolare  ed  interessante.  La  qualifica  di  pater  nel  dedicante  Sex(tus) 
Pompeius  Maximus,  ci  richiama  subito  al  più  alto  grado  della  settuplice  gerarchia  dei 
fedeli  di  Mitra,  quello  di  patres,  che  sembra  abbiano  presieduto  alle  cerimonie  sacre  e  alle 
altre  categorie  degli  adepti.  Non  pare  si  tratti  qui  del  pater  patrum  o  pater  patralus  che 
era  il  capo  dai  patres  ;  m&  pater  è  seguito  dalle  sigle  q.  s.  s.  est,  le  quali,  non  potendo  signi- 
ficare l'usuale  q(ui)  s(upra)  s(criptus)  est,  dovrebbero  essere  interpretate  per  una  più 
specifica  designazione  del  pater.  E  per  quanto  poco  si  sappia  del  clero  mitriaco,  ricor- 
dando ciò  che  dice  il  Cumont  (l),  e  cioè  «  que  le  prOtre  qui  porte  indiff éremment,  semble-t-il 
le  titre  de  saceràos  ou  celili  à'antisks,  fait  souvent,  mais  non  toujours  partie  des  pères»(2), 
potrebbero  quelle  sigle  sciogliersi  in  q{ui)  s(acerdos)  s(olis)  est.  Soluzione  certo  non 
soddisfacente,  perchè  tale  abbreviazione  non  credo  abbia  riscontro  se  non  in  quella  ana- 
loga, ma  non  simile  di  M(itrae)  S(oli)  S(aerum)  (C.  I.  L.,  IX,  1550).  Forse  si  può  pensare 
anche  a  aacratus  (3)  o  a  saeer.  Che  queste  sigle  possano  specificare  un'altra  qualità  o  una 
caratteristica  del  pater,  non  credo  sia  possibile  affermare  allo  stato  attuale  delle  nostre 
conoscenze. 

Comunque  sia,  non  v'è  dubbio  che  si  tratti  qui  di  un  sacerdote  mitriaco  il  quale 
fa  a  sue  spese  «  deum.  vetusta  religione  in  velo  formatimi  et  umore  obnubilatimi  marmoreum 
eum  throno  omnibusq(ue)  omamentis.  L'espressione  è  davvero  singolare  e,  per  quanto 
io  so,  completamente  nuova  :  con  essa  pare  si  voglia  designare  con  precisione  la  figura  del 
dio,  contrapponendolo  ad  altri  forse  più  usati,  ma  non  rispondenti  al  tipo  indicato  dalla 
vetusta  reUgio,  che  è  stato  invece  qui  prescelto.  Bisogna  quindi,  in  mancanza  della  imma- 
gine che  lo  scavo  non  ci  ha  ridato,  risuscitarla  e  farla  viva  dalla  iscrizione  stessa. 

Posto  che  si  debba  rintracciare  tale  divinità  nella  cerchia  del  culto  mitriaco  (e  ciò 
non  mi  sembra  dubitabile),  si  pensa  anzitutto  allo  stesso  Mitra.   Ma  l'espressione  su 

(')  Monnnwnts  de  Mithra,  I.  p,  323;  eh.  II,  p.  635. 
(')  In  Ostia  (p.  es.  C.  I.  L.,  XIV,  70):  pater  et  sacerdos. 

C)  È  Boto  che  gli  adepti  mitriacisono  menzionati  spesso,  nei  donativi  e  nelle  cerimonie  mitri  iche, 
col  titolo  di  saerati  (Dea  soli...  omnes  sacrati...  posuerunt  ;  album  sacratorum  ecc.). 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi..  XXI.  10 


OSTIA 


—    *14    —  REGIONE   t. 


citata  non  può  indicare  né  il  Mitra  taurottono,  ne  il  Kronos  leontocefalo,  ne  il  Mitra 
nascente.  Non  c'è  bisogno  di  ricordare  la  figura  del  Mitra  taurottono  sempre  uguale  in 
infiniti  esemplari,  e  fissata  per  lunga  tradizione  artistica,  prodotto  forse  già  dalla  scuola 
di  Pergamo,  e  che  anche  nel  suo  significato  simbolico  si  riallaccia  alla  originaria  figura  del 
dio,  giacche  nell'immolazione  del  toro  divino  era  contenuto  il  grande  fatto  della  storia 
del  mondo  ('). 

Il  Saturno. mitriaco,  pur  prendendo  apparenze  diverse,  è  fissato  però  come  un  dio 
leontocefalo  col  serpente  intorno  al  corpo  e  le  ali  sulle  anche  e  sulle  spalle  e  con  le  chiavi 
nelle  mani,  già  da  antichissimi  tempi.  Si  può  infatti  con  esso  risalire  fino  alla  scultura 
assira,  e,  per  quanto  i  suoi  precedenti  artistici  ci  siano  ignoti,  si  può  esser  certi  che,  molto 
tempo  innanzi  che  lo  conoscessero  i  Romani  esso  era  rappresentato  a  quel  modo,  come, 
del  resto,  attestano  le  monete  fenicie  di  Mallos  in  Cilicia,  paese  di  dove  pervennero  in 
Italia  i  misteri  che  riproducono  il  dio  El  o  Kronos  (J).  Basta,  del  resto,  pensare  al  senso 
di  ripugnanza  che  ebbero  i  Greci  a  rappresentare  questa  divinità  bicefala  così  da  mitigarne 
l'orrore  col  porre  sulla  testa  del  leone  la  testa  sola  del  serpente  che  di  solito  avvinghiava 
il  suo  corpo,  per  persuadersi  che  nessuna  vetusta  religio  avrebbe  potuto  rappresentare 
il  Saturno  mitriaco  diversamente  da  quanto  era  in  uso  da  vetustissimi  tempi,  anche  se 
il  tempo  poteva  essere  identificato  col  cielo  (3). 

Né  si  può  pensare  al  Mitra  nascente  che  è  rappresentato  come  un  fanciullo  dal  corpo 
nudo  con  un  berretto  frigio  sopra  capelli  lunghi  e  ricciuti  e  nascosto  fino  alle  anche  da 
roccie.  Questo  deus  saxigenus  o  ntiyoysvrjc  {*)  non  può  essere  dunque  il  nostro  deum  in  velo 
formatimi  et  umore  obnubilatimi,  anche  per  la  ragione  che,  nonostante  la  mancanza  nei 
libri  mazdei  della  leggenda  della  nascita  di  Mitra  dalla  pietra,  essa  deve  risalire  almeno 
ai  culti  d'Asia  Minore  di  dove  fu  diffusa  dai  Magi  (fl)  e  la  scultura  mitriaca  l'ha  riprodotta 
con  una  frequenza  che  indica  la  sua  importanza  religiosa.  Lo  stesso  deve  dirsi  per  gli 
altri  aspetti  assunti  da  Mitra  (d'importanza  secondaria,  del  resto),  come  quelli,  raffi- 
gurati sul  bassorilievo  d'Osterburken.  di  un  giovinetto  che  taglia  le  foglie  di  un  albero, 
o  si  nasconde  nel  fogliame  di  esso,  o  mentre  lancia  freccie  contro  una  roccia  da  cui  esce 
un  getto  d'acqua  (6). 

Certo  il  culto  dell'acqua,  a  cui  ci  richiama  l'espressione  della  lapide  ostiense  umore 
obnubilatum,  è  strettamente  congiunto  al  culto  di  Mitra,  giacché  non  solo  acqua  e  fuoco 
si  considerano  fratello  e  sorella,  ma  si  onorano  nel  culto  mitriaco  e  i  fiumi  e  le  fonti  e 
Nettuno  ed  Oceano,  e  perfino  il  cratere  sacro  di  molti  monumenti  mitriaci  rappresenta, 


(!)  Cumont,  op.  cit.,  I,  p.  288. 

(')  Svoronos,  Zeitschrift  f.  Numismat.  XVI,  1888,  p.  219  sgg.,  tav.  X,  n.  12  sgg.  Cfr.  Cumont, 
op.  cit.,  p.  76. 

(3)  Su  questo  vedi  Cumont,  Revue  ardi.  1888,  I,  p.  184  sgg.,  e  cfr.  Pauly-Wissowa,  I,  p.  696,  s.  v. 
aeternus.  Del  resto,  tale  identificazione  non  ha  avuto  la  minima  influenza  sulla  rappresentazione  figu- 
rata del  Caelus  mitriaco. 

(4)  Per  tali  figurazioni  mitriache  cfr.  Cumont  op.  cit.,  I,  179;  214;  160  sgg.;  159  sgg. 

(6)  Tale  è  l'opinione  dello  Zocga  (Abhandl.,  p.  132)  che  dichiara  questa  leggenda  «  eine  dem 
Geschmack  der  magischen  Fabeln  giinzlich  fremde  Idee  ».  Cfr.  del  resto  Cumont  op.  cit.,  I,  p.  160  sgg. 
(6)  Vedi  per  tutto  ciò  Cumont,  op.  cit.,  I,  p.  163-164. 


REGIONE    I.  —    75 


OSTIA 


come  dice  Porfirio  ('),  la  sorgente  che  scorreva  nelle  grotte  dapprima  consacrate  a  Zo- 
roastro.  Viene  quindi  al  ricordo,  dato  che  nessuno  degli  aspetti  assunti  da  Mitra  possono 
riferirsi  alla  divinità  onorata  nel  sacello  ostiense,  la  Triade  suprema  della  religione  mi- 
triaca,  di  cui  fa  parte  anche  Oceano,  in  cui  il  sole  va  ogni  giorno  a  rinvigorire  i  suoi  raggi, 
sicché  esso  si  trova  unito  al  cielo  e  alla  terra.  Anzi  il  posto  assegnato  ad  Oceano  nelle  rap- 
presentazioni mitriache  sembra  indicare,  che  i  miti  della  religione  mitriaca  facessero  risa- 
lire la  sua  nascita  alla  origine  dell'Universo;  e  infatti  il  suo  culto  risale  fino  all'antica  reli- 
gione iranica,  nella  cui  letteratura  è  espressa  l'idea,  che  tutto  è  stato  creato  dall'acqua  (2). 
Il  tipo  artistico  che  assume  nell'arte  mitriaca,  è  dato  da  un  personaggio  barbato  semi- 
sdraiato tra  roccie,  e  nel  quale  si  può  riconoscere  sia  Oceano  sia  Nettuno,  e  il  cui  torso 
porta  attorto  talvolta  un  serpente,  per  la  diffusa  credenza  orientale,  che  il  mare  fosse  abi- 
tato da  un  serpente  gigantesco.  Non  ci  sarebbe  dunque,  in  verità,  da  accostare  tale  figu- 
razione a  quella  descritta  nella  nostra  iscrizione.  Senonchè,  per  il  fatto  che  in  alcuni 
rilievi  mitriaci  lo  stesso  dio  barbato  è  riprodotto  due  volte  (una  come  personificazione  del- 
l'acqua dolce,  l'altra  del  mare),  è  stata  emessa  l' ipotesi,  che  questa  duplicità  di  rap- 
presentazione debba  riportarsi  ad  antiche  concezioni  babilonesi  e  semitiche,  le  quali 
ponevano  sopra  il  firmamento  un  oceano  celeste  che  forniva  la  pioggia,  mentre  un  se- 
condo, sotto  la  terra,  alimentava  il  mare  e  le  sorgenti.  Osserva  giustamente  il  Cumont  (3) 
che  di  ciò  non  c'è  traccia  nel  mitriacismo,  nei  cui  monumenti  l'oceano  ed  il  fiume  sono  per- 
sonaggi accessorii  di  due  scene  non  messe  in  opposizione.  Tuttavia  il  fatto  che  tale  in- 
genua e  primitiva  concezione,  pur  sorpassata  dalla  scienza  greca,  trovava  difensori 
ancora  alla  fine  del  paganesimo  (4),  potrebbe  farci  pensare,  che  se  ne  avesse  una  traccia 
in  questo  nuovo  mitreo  ostiense,  nel  quale,  riconducendosi  appunto  ad  una  vetusta 
religio,  si  sarebbe  tentato  di  figurare  questo  Oceano  celeste  in  velo  formatum  et  umore 
obnubilatimi. 

L'ipotesi  non  è  certo  del  tutto  soddisfacente,  né  mi  pare  opportuno  insistervi,  giac- 
ché un'altra  migliore  ritengo  si  possa  formulare.  Ed  è  questa: 

Nell'interpretazione  della  perifrasi  usata  nell'iscrizione  ostiense  a  designare  la  divi- 
nità, non  bisogna  dimenticare,  che  essa  è  congiunta  alla  menzione  di  un  thronum  il  quale, 
anche  se  non  forma  un  tutto  con  l'imagine  del  dio,  conferisce  alla  divinità  un'importanza 
tale  da  giustificare  la  designazione  di  thronum.  Occorre  quindi  pensare  non  alle  divinità 
minori,  ma  bensì  alle  maggiori  connesse  col  culto  di  Mitra  ;  e,  poiché  non  può  essere, 
come  s'è  visto,  Mitra  stesso,  mi  pare  si  debba  ricondursi  proprio  a  Iupiter. 

Intendo  riferirmi  al  Giove  dei  mitriaci  che  è,  com'è  noto,  alquanto  differente  dallo 
Jupiter  dell'Olimpo  greco-romano.  Infatti,  se  noi  risaliamo  ad  Erodoto  la  più  antica 
fonte  che  ci  parli  della  religione  dei  Persiani,  egli  ci  dice  di  essi  tòv  xvxXov  navxa 
tov  ovqccvov  Jia  xaXsortti  (1.  1  e.  131)  e  Strabone  (Qeogr.  XV,  §  13,  p.  732)  ripete  la 
stessa  cosa.  È  vero  che  Jupìter,  cioè  Ahura-Mazda,  non  sarà  più  nell'Avesta  la  sfera 

(')  Porphyr.,  fr.  cit. ,  tav.   II,  p.  40.  llaqà  t<-i  Afifyiy  6  xq«ttjq  àvd  rfjg  niiyfjs  xèiaxica. 

(')  Cumont,  op.  cit.,  p.  155  sgg. 

(3)  Cumont,  op.  cit.,  p.  99,  nota  8. 

(4)  Revae  d'Imi,  et  de  litér.  réligieuse,  toni.   Ili,  1898,  p.  636< 


OSTIA 


—    76    —  REGIONE   1. 


celeste  ;  ma  le  treccie  di  questa  primitiva  concezione  vi  rimangono  ancora  ;  e  infatti  il 
Cielo  è  adorato  dai  seguaci  di  Mitra  clic  dedicano  ad  Optimus  Maximus  Caelus  Aeternus 
Jupiter.  Anche  in  Siria  si  constata,  almeno  all'epoca  degli  Achemenidi,  un  riavvici- 
namento  del  consueto  dio  della  folgore  con  l'Ahura-Mazda  dei  Persiani,  l'antico  dio 
della  vòlta  celeste,  divenuto  la  più  alta  potenza  fìsica  e  morale.  I  Seleucidi  rappresen- 
tano.nelle  loro  monete  questo,  che  i  Romani  chiamano  Jupiter  eaelestis  (Zebe  ovqàìioc), 
con  la  fronte  sormontata  da  una  mezzaluna,  e  con  un  sole  a  sette  raggi  per  ricordare 
che  presiede  al  corso  degli  astri  ('),  e  altrove  avvicinandolo  ai  due  Dioscuri,  perchè 
questi  eroi  erano  divenuti  personificazioni  dei  due  emisferi  celesti.  Per  questa  urano- 
grafia religiosa,  la  divinità  suprema  posta  nella  più  lontana  zona  della  Terra  è  designata 
col  nome  di  Altissimo  (vipicioc)  che  si  applica  tanto  ai  Baal  Siriaci  quanto  a  Jeovah  (■) 
e  che  i  Latini  tradussero  con  «  Jupiter  summus  exsuperantissimus  »  (3).  Come  ha  già 
bene  osservato  il  Cumont  (4),  la  concezione  fatalistica  dell'Universo  favoriva  i'  riavvi- 
cinamento del  Cielo  e  del  Tempo,  cosicché  lo  stesso  Kronos  mitriaco,  come  del  resto 
il  Giano  romano  (5),  tendeva,  materializzandosi,  a  identificarsi  col  Cielo  stesso  ;  del 
resto  il  Saturno  siriaco  ed  africano  è  il  Ba'al  sammin,  cioè  il  padrone  dei  cieli.  Non 
solo  :  l'epiteto  di  deus  aeternus,  che  nelle  provincie  latine  si  usa  a  designare  un  dio 
siderale  siriaco,  entra  nell'uso  rituale  soltanto  nel  secondo  secolo  dell'era  nostra,  cioè 
contemporaneamente  al  culto  del  dio  Cielo  (8)  ;  e  la  relazione  con  il  Cielo  è  rimasta 
apparente,  per  esempio,  nell'iscrizione  C.  I.  L.,  VI  406  =  3075S,  ove  Giove  Dolicheno 
è  detto  Aelemus  conservalor  lotius  poli  (7). 

Rammentate  queste  note  relazioni  tra  il  Cielo  e  la  divinità  suprema  del  mitria- 
cismo,  resta  però  a  vedere  se  i  cultori  ostiensi  abbiano  voluto  rappresentare  proprio  il 
dio  Caelus  in  velo  formatus  et  umore  olmubilatus,  o  non  piuttosto  lo  Jupiter-Caelestis. 
Bisogna  certo  convenire,  che  tale  espressione  conviene,  più  che  altro,  a  designare  la  figu- 
razione plastica  del  Caelus  per  il  tipo  ben  noto  rappresentato  sulla  corazza  della  statua 
di  Augusto  del  Braccio  Nuovo  in  Vaticano,  e  che  risale  a  un  originale,  ellenistico  ;  tipo 
che  s'impersona  in  un  uomo  barbato,  nascosto  fino  alla  cintola  da  nuvole  e  che  tiene 
spiegato  sopra  la  testa  un  mantello  la  cui  incurvatura  rappresenta  la  vòlta  celeste.  Tale 
tipo  artistico,  che  si  mantiene  pressoché  inalterato  fino  all'arte  cristiana  (8),  non  si  è  ritro- 
vato però  ancora  nei  santuarii  mitriaci.  Invece,  sopra  la  stele  di  Hedernheim,  sotto  l'iscri- 
zione Cmlum,  vediamo  un'aquila  che  tiene  un  fulmine  tra  gli  artigli,  e  che  è  posta  sopra 
una  sfera  decorata  con  sette  stelle  e  tagliata  in  diagonale  da  due  cerchi  che  s'incrociano  (9). 

(')  Monete  di  Antioco  Vili  Grypus  (125-96  av.  Or.)  in  Babelou,  Rois  de  Surie  et  d'Armenie, 
1890,  p.  178  segg. 

(*)  Cumont,  Le  religioni  orientali  (trad.  Salvatorelli),  Bari,  1913,  p.  258,  nota  70.  in  cui  sono 
riuniti  i  numerosi  testi  che  attcstano  l'esistenza  di  un  vero  culto  del  Ciclo  presso  i  Semiti. 

(a)  Cfr.  Archiv  [tir  Relkjionm.,  IX.   1906,  p.  326  sgg. 

(')  Monum.  de  Mithra,  p.  85-86. 

(8)  Sopra  Giano  dio  del  Cielo  cfr.  Roscher,  s.  v.,  II,  col.  44. 

(•)  Cfr.  Revue  arch.  1888,  I,  p.  184;   Pauly-Wissova,  s.  v.  Aeternus 

(')  Cfr.  Somn.  Sàp.  Ili,  4;  IV,  3. 

(8)  Roscher,  s.  v.  Caelus;  Cabrol,  Diti,  d'arch.  chret.,  s.  v. 

(•)  Cumont,  Mon.  de  Mithra,  I,  p.  88;  II,  n.  253. 


REGIONE   I.  77    —  OSTIA 

Rappresentazione  simile  è  in  una  sfera  conservata  ad  Arolsen  e  riprodotta  dal  Cumont  (') 
il  quale  dice  che  «  cette  eombinaison  allégorique  paraìt  avojr  été  employée  en  Syrie  pour 
figurer  les  Baal  celeste»,  et  avoir  passe  de  ce  pays  en  Occident  ».  Su  altri  monumenti,  per 
ricordare  l'esistenza  del  Cielo  si  ricorre  ad  Atlas  che  porta  il  globo  celeste  ;  così  esso  ci 
appare  nel  grande  bassorilievo  di  Oesterburken  (2).  Non  comprendendo  perche  a  rap- 
presentare il  cielo  il  mitraismo  abbia  preferito,  al  tipo  piti  efficace  e  più  diffuso  nell'arte 
ellenistico-romana,  quello  dell'Aquila  e  di  Atlante,  si  sarebbe  certo  tentati  di  pensare, 
che  nel  mitreo  ostiense  si  sia  voluto  rappresentare  il  dio  Caelus,  con  una  figurazione 
risalente  a  una  vetusta  religio.  Ma  non  soltanto  il  Caelus,  in  quanto  personificazione  della 
vòlta  celeste,  appare  imagine  secondaria  nel  mitriacismo  ;  ma  la  sua  rappresentazione, 
descritta  nell'iscrizione  ostiense,  si  identificherebbe  col  più  comune  tipo  artistico  del 
Caelus,  dimodoché  diverrebbe  oscura  l'espressione  vetusta  religio,  se  non  si  voglia  ammet- 
tere, che  proprio  quel  tipo  risalisse  al  primo  culto  mitriaco  e  fosse  poi  stato  abbando- 
nato. D'altra  parte  bisogna  pur  dare  una  certa  importanza  alla  parola  thronum,  la  quale 
può  anche  servire  a  designare  presso  questi  mitriaci  ostiensi  l'altare  del  culto,  e  cioè  il 
basamento  in  muratura  su  cui  era  l'imagine,  ma  verosimilmente  indica  il  trono  marmoreo 
su  cui  sta  seduto  il  dio.  In  ogni  modo  l'espressione  si  spiega  male,  pensando  soltanto  al 
dio  Cielo,  mentre  si  capisce  meglio,  se  si  ammetta  negli  ostiensi  l'intendimento  di  onorare, 
con  il  tipo  artistico,  più  comune,  del  Caelus,  la  divinità  maggiore  Jupiter-Caelus,  degna 
del  trono.  Infatti,  mentre  sono  note  le  relazioni  tra  Jupiter  e  Caelus,  così  che  il  cielo  si 
identifica  col  dio  supremo,  e  lo  si  onora  come  tale  in  qualche  città  della  Frigia  rappresen- 
tandolo in  lotta  con  i  giganti  (3)  ;  Jupiter-Caelus,  invece,  non  aveva  nelle  figurazioni 
mitriache  a  noi  note  nessun  segno  od  attributo  che  rivelasse  questa  sua  duplice  natura 
che  le  dottrine  mitriache  gli  riconoscevano  :  lo  Jupiter  dei  mitriaci  è  infatti  null'altro  se 
non  il  Giove  dell'Olimpo  greco-romano.  Che  se,  ad  esempio,  nel  bassorilievo  di  Nemroud- 
Dag  Io  Zeus  Oromasdes,  seduto  sul  trono  di  fronte  al  re  di  Commagene,  porta  ancora  la 
tiara  e  il  costume  indigeno  (4)  ;  nell'occidente  invece  egli  perde  questo  suo  aspetto  barbaro 
per  confondersi   con  lo  Jupiter  consueto,  personaggio  barbato  con  la  mano  sinistra 
appoggiata  sullo  scettro,  la  folgore  nella  destra  e  talvolta  l'aquila  ai  piedi.  Questo  è 
appunto  l'aspetto  sotto  cui  Ahura-%lazda  è  generalmente  adorato  in  Italia  (5). 

A  me  pare  dunque  di  poter  concludere  che,  pur  riconoscendo  i  mitriaci  in  questo 
tipo  di  Zeus  ellenico  seduto  sopra  un  trono  celeste  il  sostituto  del  dio  supremo  dei  Per- 
siani, i  cultori  ostiensi  hanno  voluto  ricondursi  più  strettamente  alla  primitiva  reli- 
gione persiana  e  venerare  un  simulacro  che  riproducesse  questo  duplice  carattere  del 
dio,  Cielo  e  Giove  nello  stesso  tempo.  È  peccato  che  lo  scavo  non  ci  abbia  reso  tale  ima- 
gine, scoltura  o  rilievo  che  fosse,  anche  perchè  meglio  giudicheremmo,  a  chi  potrebbe 
risalire  questo  tipo  artistico  espresso  con  una  figura  di  Jupiter-Caelus  seduto  verosimil- 
mente sopra  un  trono,  ma  con  una  espressione  plastica  che  dovrebbe  richiamarci  alla 

(»)  Ibid.,  p.  89,.  fig.  2. 

(-)  Cumont,  op.  cit.,  I,  p.  30;  II,  n.  246. 

(3)  Ramsay,  Cities  of  Phrygia,  II,  626  sgg. 

(4)  Cumont,  Mori.  myst.  Mititra,  II,  p.  188,  fig.  11  ;  cfr.  Roscher,  s.  v.  Oromasdes. 

(5)  Cumont,  op.  cifc.,  I,  p.  91,  nota  3. 


OSTIA  —    78   —  REGIONE    I. 


nota  imagine  del  Caelus.  Questo  trono  celeste  è  menzionato  nella  iscrizione  del  basso- 
rilievo di  Nem-roud  Dagh  già  citato  e  che  rappresenta  appunto  Jupiter-Caelus.  ('). 
D'altra  parte  la  voce  thronum  appare  in  un'altra  iscrizione  ostiense  da  me  pubblicata  (2). 
Una  terza  iscrizione  ostiense  è  dedicata  Nummi  Caelesli. 

Certo,  plasticamente  una  figura  di  tal  genere  ha  tutta  l'aria  di  essere  un  pasticcio, 
ma  è  anche  vero  che  non  c'è  troppo  da  meravigliarsi,  trattandosi  di  figurazioni  di  culto 
mitriaco  il  quale  ci  ha  avvezzi  ad  espressioni  assai  poco  artistiche. 

Quanto  all'iscrizione,  è  da  notare  in  essa,  oltre  l'insolito  uso  delle  sigle  q.  $.  s.  est  che 
proporrei  di  sciogliere  in  q[ni]  s[acerdos\  o  s[aeralus]  ?  s(olis]  est,  anche  l'espressione  del- 
l'ultima linea  della  iscrizione:  et  "praésejna  marmorari!,  p(edes)  LXVIII  dem.  s.  p.  In- 
fatti la  voce  praesepia  è  nuova  nel  culto  mitriaco  :  dovranno  intendersi  con  essa  soltanto 
le  supponibili  nicchie  del  mitreo  —  sebbene  lo  scavo  fatto  non  ne  abbia  rivelato  affatto 
la  presenza  —  o,  piuttosto,  tutta  la  cella  del  mitreo^  stesso  data  la  misura  di  circa 
17  metri  di  rivestimento  marmoreo  ? 

In  ogni  modo  l'iscrizione  mitriaca  e  il  santuarietto  che  la  contiene  sono  assai  in- 
teressanti per  il  contenuto  formale  e  per  la  rivelazione  di  una  singolare  figura  di  Jupiter- 
(  aelus. 

Nota.  L'illustre  prof.  Franz  Cumont,  a  cui,  come  ho  detto  in  principio,  avevo  pas- 
sato questo  mio  commento  all'epigrafe,  mi  risponde  con  una  lettera  assai  lusinghiera  per 
me,  e  che  sono  lieto  di  riassumere  in  parte,  e  in  parte  di  tradurre  fedelmente,  per  le  nuove 
osservazioni  che  essa  contiene.  Il  Chimoni  approva  l'interpretazione  della  figura  per 
quella  di  Jupiter-Caelus;  preferisce  prendere  la  parola  throniw  nel  suo  significato  comune 
e  non  in  quella  di  basamento  che  io  avevo  subordinatamente  accennato  ;  e  quanto  alle 
sigle  q.  s.  8.  est,  accoglie  l'interpretazione  proposta  di  q(ui)  s(averdos)o  s(acralus) 
s(olis)  est. 

Suggerisce  invece  un  nuovo  significato  da  dare  alla  frase  deum in  velo  formatimi 

et  umore  obnabilatum.  Traduco  letteralmente  le  parole  del  Cumont: 

La  vostra  interpretazione  di  umore  obnubilatimi  nel  senso  di  nuvole  che  circondino 
Jupiter  Caelus  è  ingegnosa,  e  può  sostenersi.  Ma  io  non  so  se  non  occorra  dare  alla  prima 
parte  dell'iscrizione  un  significato  più  materiale  di  quello  che  voi  gli  attribuite.  Bisogna 
riavvicinare  la  vostra  nuova  dedica  alla  iscrizione  C.  I.  L.,  VI,  746  (=  M.  M.  M.,  II, 
102,  n.  61)  dove  si  parla  di  vela  Domini  insignia  habentes,  cioè  dove  certi  emblemi  di 
Mithra  erano  dipinti.  Sull'uso  probabile  di  simili  veli  cfr.  M.  M.  M.,  I,  p.  325,  n.  9. 
Io  sarei  dunque  tentato  di  tradurre  l'iscrizione  d'Ostia  :  «  Il  dio  che  una  antica  devo- 
zione aveva  rappresentato  [in  pittura]  sopra  un  velo,  essendo  annerito  (o  cancellato) 
dall'umidità,  Sex.  Pompeius  Maxiinus  l'ha  fatto  in  marmo  con  il  suo  trono  ecc.  ». 
Si  tratterebbe  dunque  di  un  vecchio  dipinto,  divenuto  indistinto,  e  che  è  stato  rim- 
piazzato da  una  statua.  Per  l'uso  dei  vela  nel  culto,  cfr.  la  dedica  a  Jupiter  Helio- 
politanus  (Dessau,  n.  4290  e  anche  3737).  Per  l'epoca  cristiana  ved.  De  Rossi,  Bull. 

(')  Cumont,  op.  tit.,  iscri.  1,  1.  8:    Ilgà;  oùoaviov;   Jiò(  ' SIqo(ì(<o&ov  »^6rov(. 
(•)  Xotizìe  degli  scavi,  1913,  j).  332. 


REGIONE   I.  —   79    —  MARINO 


are.  crist.  1871,  p.  61  sgg.  Quanto  al  nome  del  dedicante  Sextus  Pompeiiis  sembra 
doversi  mettere  in  relazione  con  il  fatto  che  la  prima  comunità  mitriaca  di  Roma  è  stata 
formata  dai  pirati  fatti  prigionieri  da  Pompeo  (M.  M.  M.,  I,  p.  244)." 

Ecco  dunque  quanto  il  Cumont  ha  voluto  cortesemente  aggiungere  al  mio  commento, 
giacché  non  viene  infirmato  nella  sua  sostanza. 

Per  mia  parte  debbo  soltanto  osservare,  che  la  sua  dotta  e  sottile  interpretazione 
della  frase  in  velo  formatimi  et  umore  obnubilatimi,  se  toglie  di  mezzo  la  difficoltà  di  una 
figura  scolpita  la  quale  risponda  al  più  ovvio  significato  di  queste  parole,  ne  incontra 
un'altra;  e  cioè  che  bisogna  dare  a  formatum  il  senso  di  dipinto,  mentre  formare,  in  latino 
e  perfino  in  italiano,  non  soltanto  esprime  il  concetto  plastico,  ma  risveglia  assai  bene 
l'imagine  di  qualche  cosa  di  scolpito  o  di  rilevato.  Che  i  cultori  ostiensi  di  Mitra  non 
fossero  gente  istruita,  d'accordo  ;  ma  sembra  per  lo  meno  singolare  che,  dovendosi  dire 
dipinto  o  semplicemente  rappresentato,  si  usi  l'aggettivo  formatus,  di  significato  così 
ovvio  e  preciso. 

Comunque  sia  (e  altri  potranno  discutere  le  due  interpretazioni  proposte),  mi  è 

stato  assai  gradito  poter  aggiungere  alla  parte  sostanziale  del  mio  commento  l'autorevole 

conferma  del  Cumont,  che  vivamente  ringrazio. 

G.  Calza. 


X.  MARINO  —  "  Fosse  da  vino  »  d'età  romana  sul  Monte  Crescenzo. 

Nella  scorsa  estate,  durante  l'esplorazione  di  un  sepolcreto  laziale,  situato  sulla 
estrema  pendice  settentrionale  del  «  Pascolare  »,  di  fronte  quindi  al  monte  Crescenzo, 
ho  avuto  occasione  di  compiere  un  rapido  giro  investigativo  su  quest'ultima  altura  che. 
a  guisa  di  sprone  elevato,  s'erge  in  direzione  di  Roma  lontana,  tra  due  profondi  avval- 
lamenti :  l'uno  sotto  Marino  e  più  scosceso,  l'altro  digradante  sino  a  confondersi  col  piano 
dell'Agro  verso  il  mare.  Lo  scopo  preciso  di  quel  giro  era  di  raccogliere  qualsiasi  indizio 
che  potesse  testimoniare  la  presenza  di  un  possibile  antico  abitato  sul  monte  Crescenzo. 
Infatti  questa  altura,  per  la  sua  stessa  conformazione,  già  induce  al  supposto,  avvalo- 
rato in  più  dall'esistenza  di  un  folto  gruppo  di  sepolcri  dell'età  del  ferro  laziale,  sco- 
perti a  più  riprese  alle  falde,  quasi,  e  in  giro  (').  Alle  scoperte  succedutesi  dal  1817  al 
1885,  si  aggiungeva  ora  quella  recentissima  del  sepolcreto,  prima  accennato,  e  di  cui 
presto  sarà  data  l'illustrazione,  situato  come  ho  detto  sull'opposto  versante  della  val- 
letta che  separa  il  monte  Crescenzo  dalla  più  bassa  altura  del  «  Pascolaro  »,  il  quale  si 
estende  verso  mezzodì  e  l'abitato  di  Castel  Gandolfo. 

Ma  assai  poveri  furono  i  resultati  dell'investigazione,  che,  oltre  tutte  le  altre  cause 
comuni  di  scomparsa  di  antiche  testimonianze,  le  correnti  d'acqua  devono  aver  lavato 

(')  Ved.  carta  geogr.  in  Pinza,  Etnologia  Etrusco-Laziale,  tav.  2»  (ai  num.  6-8-9-10  :  scavi 
Meluzzi  del  1864-'68;  scavi  Limiti  del  1817  ;  se.  Testa  del  1871  ;  se.  Tomassetti-Carnevali  del  1817). 

Non  vedo  ricordata  la  «sensazionale  »  notizia  data  dal  Lanciani  in  Not.  scavi,  1884,  pag.  108, 
della  scoperta  fortuita  di  un  sepolcro  laziale  contenente  un  monile  e  una  collana  d'oro,  in  una  vigna 
sul  monte  Crescenzo  stesso  (certo  nel  pendìo  che  finisce  alla  strada  per  Marino). 


MARINO 


—    80 


REGIONE    I. 


copiosamente  le  pendici  abbastanza  ripide  del  monte.  Pochi  frustali  di  ceramiche,  e  non 
dei  tempi  più  antichi,  fra  cui  qualche  frammento  di  sottile  vaso  a  vernice  nero-lucida 
della  cosidetta  ceramica  «  etrusco  campana  »,  e  qualche  altro  della  «  aretina  ».  Più 
notevole,  sul  pendio  meridionale,  la  presenza  di  un  grosso  blocco  parallelepipedo  di 
peperino  (in.  1,60  X  0,58x0,38),  intenzionalmente  e  con  regolarità  squadrato,  avente 
sulla  faccia  più  breve,  visibile  e  rivolta  a  valle,  il  piano  di  combaciamento  in  sporgenza 
0  rilievo. 


A  — 


Fio.  1. 


Ma  il  maggiore  interesse  fu  dato  dall'esistenza  di  escavazioni,  operate  dalla  mano 
dell'uomo,  in  uno  spazioso  masso  di  «  peperino  »>  situato  in  prossimità  della  più  alta  quota 
del  monte  e  sul  pendìo  che  scende  alla  strada  che.  costeggiando  più  o  meno  il  lago,  forma 
in  quel  punto  un  gomito  al  sommo  della  salita  (per  chi  vada  verso  Marino)  dopo  la  fer- 
mata tranviaria  «  Villini  ». 

Sul  nudo  masso  apparve  una  specie  di  fossetta  regolarmente,  incavata  nel  «  pepe- 
rino >,  lunga  m.  1,10,  larga  in  media  0,50  e  profonda  da  0,18  a  0,28.  Dopo  il  margine 
orientale  di  essa,  procedendo  in  una  con  la  discesa  del  pendio,  il  masso  presentava  un 
brusco  salto,  o  frattura.  Alla  distanza  circa  di  tre  metri  e  mezzo  dalla  fossetta  si  mostrò 
un  altro  incavo,  un'altra  fossa,  di  forma  quadrilatera,  i  cui  margini  intagliati  spiccavano 
netti  sulla  nudità  della  roccia,  mentre  l'interno  era  tutto  pieno  di  terra,  erbe  e  rovi. 

Osservando  lo  spazio  interposto  Ira  le  due  escavazioni  che,  pure  a  un  primissimo 
sguardo,  si  rivelavano  come  dovute  all'opera  intenzionale  dell'uomo,  facilmente  notai 
che  lo  strato  erboso,  solo  apparentemente  uniforme  in  tutti  i  sensi,  aveva  maggior  con- 
sistenza terrena  al  centro,  e  per  un  largo  tratto  ;  mentre  ai  lati  si  mostrava  sottile  e  fa- 
cilmente asportabile,  perchè  ricoprente  appena  il  masso  del  «  peperino  ».  E  a  un  primo 
e  rudimentale  tentativo  di  scoprimento,  data  l'apparenza  dei  tagli  nettamente  praticati 
nel  masso,  ebbi  la  certezza  che  si  trattava  di  una  terza  escavazione  artificiale,  intermedia 
alle  altre  due  già  a  sufficienza  notate. 


RKOIONE    I. 


— »81    — 


MARINO 


Procedetti  subito  alla  pulitura  e  allo  sterro  necessari  al  rilievo  per  il  possibile  esame 
dal  punto  di  vista  archeologico,  ottenendo  i  resultati  giaiicamente  esposti  nell'annessa 
pianta  (fig.  1),  cui  è  aggiunta  una  sezione  (lìg.  2). 


Fio.  2. 


La  grande  fossa  intermedia,  di  forma  trapezoidale,  è  lunga  in  media  m.  2,20,  larga 
sul  lato  più  corto  1,60,  con  una  profondità  variante  da  0,60  a  0,26,  essendo  il  fondo  per- 
fettamente piano  ma  inclinato  verso  est  e  quasi  corrispondente  alla  pendenza  del  piano 
di  campagna.  Sulla  superficie  del  masso,  ai  margini  dei  Iati  lunghi,  e  più  visibilmente 


su  quello  di  destra  e  anche  su  quello  del  lato  corto,  corre  una  zona  leggermente  inca- 
vata, manifestantesi  per  un  piano  «  di  posa  »  adatto  a  sopnielevazioni.  Ciò  viene  anche 
confermato  dal  ritrovamento  fatto  di  un  tratto  di  muratura,  di  opera  laterizia  costituita 
a  rettificazione  del  lato  soprastante,  e  certamente  a  causa  della  irregolare  obliqua  frat- 
tura del  masso.  Il  laterizio  impiegato  in  questo  murello  di  rettifica,  e  ritrovato  in  mas- 
sima parte  in  sibii  con  i  suoi  interposti  strati  di  calce,  molto  spessi,  si  compone  di  pezzi 
di  tegoloni  e  di  mattoni  triangolari,  non  di  fabbrica  ma  ritagliati,  di  color  gialliccio  e 
rossiccio  e  di  buona  cottura.  Unico  bollo  raccolto  6  quello  qui  riprodotto  (fig.  3), 
frammentario,  in  cui  leggonsi  le  lettere  APOL ,  precedute  da  un'altra  di  cui  resta  la 
porzione  inferiore,  forse  un  T  o  anche  un  P.  A  destra,  dopo  la  L,  l'inscrizione  aveva 
certo  il  suo  termine. 


Notizie  Soavi  1924  —  Voi,  XXI. 


11 


MARINO  —    82    —  REGIONE    I. 

Data  la  rottura  del  mattone,  non  possiamo  dire  se  l'inscrizione  occupasse  una  sola 
linea,  o  se  ve  ne  fosse  superiormente  un'altra  ;  ma  è  certo  che  il  nostro  bollo  si  ag- 
giunge ai  consimili  già  pubblicati  in  C.  I.  L,  XV,  824(5-7)  (cfr.  Notizie  scavi,  1884,  ser.  3* 
voi.  XIII,  p.  231),  2227-2228,  2270  2,  tutti  provenienti  dal  territorio  tuscolano-albano. 

Nel  lato  corto  della  stessa  grande  fossa  trapezoidale,  circa  alla  metà,  è  praticata 
una  apertura  con  irregolare  taglio,  larga  in  basso  all'incirca  m.  0,20,  per  mezzo  della 
quale  la  grande  fossa  viene  a  comunicare  con  l'altra  sottostante  quadrilatera.  Il  fondo 
del  vano,  così  ottenuto  nella  parete  della  roccia,  risulta  un  poco  più  basso  del  fondo  della 
grande  fossa,  ed  è  appianato  con  cura. 

La  terza  fossa,  sottostante  e  quadrilatera,  misura  m.  1,20  X  1,30,  con  profondità 
variante  da  0,75  a  0,50  (data  sempre  la  pendenza  del  piano  di  campagna  e  della  super- 
ficie stessa  del  masso)  e  col  piano  di  fondo  normale.  Un  particolare  è  offerto  dagli  angoli 
che  non  si  corrispondono,  poiché  quelli  del  lato  superiore  sono  arrotondati  :  gli  stessi  poi 
portano,  ciascuno  alla  distanza  di  circa  m.  0,40  dal  fondo,  un  buco  tondeggiante  di  quasi 
cm.  10  di  diametro  :  i  due  buchi,  così  scavati  nell'interno  della  fossa,  si  corrispondono 
esattamente  distando  fra  loro  m.  1,15,  mentre  sulla  loro  linea  quasi  coincide  la  fine  del 
taglio  dell'apertura  già  ricordata  che  è  in  mezzo  ad  essi. 

La  roccia,  nell'interno  delle  fosse  (o  vasche,  se  preferiamo  così  chiamarle),  mostra 
i  segni  di  una  regolare  e  accurata  scalpellatura. 

Lo  scopo  agricolo  di  siffatte  escavazioni  non  ha  bisogno  di  essere  dimostrato.  Si 
trasse  partito  dall'esistenza  dello  spazioso  masso  di  «  peperino  »  affiorante,  per  trasfor- 
marlo in  un  apparato  meno  costoso  di  quello  che  sarebbe  occorso  se  fatto  in  muratura. 
Conviene  anche  ricordare,  che  il  masso  presenta  una  frattura  che  obliquamente  at- 
traversa il  grande  bacino  trapezoidale,  e  che  nella  parete  di  sinistra,  dove  il  taglio  della 
frattura  si  fa  più  profondo  e  più  largo,  il  vuoto  era  stato  accuratamente  otturato  con 
blocchetti  e  con  scaglie,  messivi  ad  arte.  Ma  nessun  indizio,  ed  è  naturale,  si  è  potuto 
avere  circa  il  modo  con  cui  in  origine  sarà  stato  acconciato  il  fondo  inclinato  del  grande 
bacino  trapezoidale. 

Se  lo  scopo  agricolo  è  palese,  i  dati  particolari  (quali  la  inclinazione  del  fondo  delia 
più  grande  fossa  in  confronto  del  piano  orizzontale  del  fondo  di  quella  sottostante  ;  l'aper- 
tura fatta  per  la  comunicazione  dall'una  nell'altra;  i  «  piani  di  posa  »  per  una  sopraele- 
vazione,  presumibilmente  in  muratura,  sui  margini  della  fossa  trapezoidale),  ci  condu- 
cono a  ipotesi  più  precisata.  La  quale  ipotesi  assumerà  maggior  valore,  se  si  istituiscano 
comparazioni  a  quanto  ci  è  stato  tramandato  per  iscritto  sulla  struttura  dei  fora  vinaria 
e  dei  torcidaria  in  uso  presso  gli  antichi  (!).  E  ancor  più  varranno  i  raffronti  con  analoghe 

(')  Cfr.  Darembcrg-Saglio,  a  Torcuhir.  p.  361;  e  Billiard,  La  vigne  dans  Vantiq.  (Lyon  1013),  pp.  438- 
440.  Per  la  parte  monumentale,  ma  riguardante  il  torcuìarium,  è  fondamentale  la  ricostruzione  del 
Pasqni,  Mon.  ant.,  VII,  pag.  464  ss.  Ma  per  le  cscavazioni  del  monte  Crescenzo  non  dobbiamo  rife- 
rirci ai  torcularii  ;  bensì  ai  soli  bacini  dove  le  uve  venivan  pigiate.  Terremo  allora  presente  Isid.  Orig. 
XV,  68  (dorus  cut  locns  ubi  uva  calcatur,  dictus  quod  ibi  feriatur  uva,  vel  propler  quod  ibi  fedibus  teratvr, 
et  calcatorium  dicitur),  confrontando  con  Varr.  De agr.  I,  64;  Cato,  R.  lì.  XXI  (lacits  vinarius);  Colum. 
XII,  18-XI,  2;  ecc.,  e  accettando  quanto  il  Billiard,  op.  cit.,  osserva  per  rigettare  l'opinione  che 
vorrebbe  nel  calcatorium  riconoscere  una  passerella  pel  personale,  e  non  già  lo  stesso  forus  o  forum 
vinarium. 


REGIONE    I.  —    83   


MARINO 


escavazioni  di  antichi  tempi,  in  più  luoghi  notate  e  talora,  anche  rilevate,  e  con  pratiche 
tuttora  vigenti  in  molte  parti  d'Italia,  con  un  chiaro  riferimento  all'antico. 

Ad  esempio,  massi  rocciosi,  anche  erratici,  scavati  in  modo  regolare  e  per  fini  deter- 
minati, si  incontrano  in  più  luoghi  dell'Italia  centrale,  dell'antica  Etruria.  Il  Pasqui  ('), 
a  proposito  di  due  vasche  grotte  intercomunicanti,  da  lui  diligentemente  esplorate  nel 
territorio  ardeatino,  cita  altri  esempì  di  escavazioni  fatte  in  roccia  a  cielo  aperto,  accet- 
tando la  supposizione  che,  se  vicine  all'abitato,  tali  vasche  servissero  come  «fuìloniche  » 
o  per  «  conce  di  pellami  >■;  se  disperse  per  la  campagna,  per  la  macerazione  dei  vegetali  (2). 

Ma,  per  quasi  tutti  i  casi,  nelle  varie  regioni,  data  la  povertà  archeologica,  ed  in 
mancanza  di  dati  per  uno  studio  proficuo,  non  si  pensò  di  darne  notizie.  Per  ciò  che  si 
riferisce  ad  usi  tuttora  vigenti  e  che  ci  riportano  ad  antiche  costumanze,  senza  estendersi 
con  superflue  citazioni,  basterà  che  io  ricordi  l'esistenza,  in  terra  sarda,  delle  cosidette 
«  sa  fossa  'e  bingia»  ovvero  «su  forni  'e  binza»,  delle  quali  mi  ha,  con  infinita  cortesia, 
dato  notizie  Antonio  Taramelli. 

In  tutto  l'agro  campidanese  e  altrove,  i  contadini  sardi  intagliano  la  roccia  cal- 
carea formando  due  vasche  o  bacini  intercomunicanti  :  nell'una  pigiano  le  uve  ;  nell'altra, 
che  è  sempre  più  bassa,  raccolgono  il  liquido,  il  vinum  conculcatimi  appunto,  che  poi  tra- 
sportano con  otri.  La  comunicazione  fra  i  due  bacini  è  data  per  mezzo  di  una  non  ampia 
apertura,  praticata  nella  parete  comune  del  masso  ;  quando  occorre,  i  sardi  la  precludono 
per  lo  più  con  una  tavola  di  legno. 

La  somiglianza  di  un  siffatto  sistema  a  quanto  ci  può  risultare  dai  bacini  scavati 
su  monte  Crescenzo  è  singolare  e  assai  confortante. 

Si  ponga  mente  ai  due  buchi  corrispondentisi,  notati  agli  angoli  e  nell'interno  della 
fossa  quadrilatera,  che  ha  anche  il  piano  del  fondo  orizzontale,  e  non  si  potrà  non  met- 
terli in  rapporto  con  l'apertura  praticata  nel  mezzo,  la  quale  poteva  benissimo  essere 
preclusa  del  tutto  o  parzialmente,  secondo  il  bisogno,  con  un  mezzo  analogo  a  quello 
usato  nelle  fosse  sarde.  Il  liquido  colante  giù  nella  sottoposta  fossa  quadrilatera,  o  sarà 
stato  raccolto  in  appositi  recipienti,  depositati  nel  fondo  stesso  della  detta  fossa,  o  anche 
lasciato  correre  e  ammassarsi  fino  a  un  certo  limite,  per  essere  poi  trasportato. 

Ma  nulla  di  preciso  possiamo  supporre  circa  la  misura  delle  sopraelevazioni  sui 
margini  della  grande  vasca  trapezoidale.  Data  la  poca  larghezza  del  «  piano  di  posa  », 
dobbiamo  forse  pensare,  che  non  si  trattasse  di  murelli  molto  alti  e  quindi  atti  a  sostenere 
un  tetto,  ma  semplicemente  di  una  limitata  sopraelevazione,  fatta  per  meglio  assicu- 
rare la  capacità  del  bacino,  vero  e  proprio  calcatorium,  secondo  il  senso  più  ragionevole 


(')  Not.  scavi,  1900,  pag.  67-68  (cfr.  fig.  8,  9). 

(a)  L'esempio  di  Ardea,  costituente  due  bacini  in  grotta,  comunicanti  fra  loro,  nonostante  le 
osservazioni  del  Pasqui  relativamente  alla  mancanza  di  rivestimento  e  alla  porosità  del  tufo,  potrebbe 
pur  sempre  riferirsi  alla  vinicoltura,  ove  si  attribuisse  al  complesso  una  funzione,  non  ditorculario, 
ma  semplicemente  di  forum  vinarium,  o  calcatorium. 

L'operazione  di  pigiare  coi  piedi  i  grappoli,  ottenendo  il  pliniano  vinum  conculcatum  (operazione 
primitiva,  e  che  può  sussistere  da  sola,  così  come  anche  oggidì  avviene),  va  distinta  e  separata  dal- 
l'altra, per  cui  si  richiede  l'uso  di  un  vero  torcular,  e  che  costituisce  un  compimento  o  perfezionamento 
della  prima. 


POZZUOLI 


—    84    REGIONE    I. 


da  dare  a  questa  parola.  Ai  murelli  inoltre  potevano  appoggiarsi  anche  le  mani  dei  calea- 
iores  operanti  nel  mezzo. 

Incerto  è  l'ufficio  da  attribuire  alla  prima  fossetta,  più  in  alto.  Essa  non  può  disgiun- 
gersi dal  resto,  ma  non  vi  è  necessariamente  collegata  :  non  ha  intimità  di  rapporto  con 
i  due  più  grandi  bacini.  Non  è  improbabile  ch'essa  potesse  servire  alla  nettezza  dei  piedi 
dei  calcatorfs. 

Anche  in  riguardo  alla  datazione,  non  abbiamo  elementi  sicuri  per  precisarla  ;  poiché 
ne  la  qualità  del  laterizio  ritrovato,  ne  l'unico  bollo  raccolto,  che  ci  riporterebbe  a 
tempi  molto  antichi,  sono  dati  sufficienti  e  sicuri,  per  molte  ovvie  ragioni. 

Ma  ciò  che  mi  sembra  indubitabile  è  riconoscere  nelle  descritte  escavazioni  un  esempio 
di  «  fosse  da  vino  »,  come  sopra  ho  supposto,  ritenendole  quindi  una  modestissima,  è  vero, 
ma  pure  utile  testimonianza  della  vita  rustica  dei  tempi  imperiali  (1). 


U.  Antoniellt. 


XI.  POZZUOLI  —  Piccoli  rinvenimenti  epigrafici. 
.  In  Pozzuoli,  sul  lato  est  della  via  Anfiteatro  o  Gironi  (contrada  Anfiteatro),  nel 
tratto  interposto  fra  i  ruderi  detti  del  «  tempio  di  Diana  »  che  sorgono  in  terreno  di 
proprietà  dal  senatore  Vincenzo  Cosenza  (2),  e  le  case  operaie  attualmente  in  costruzione, 
scavandosi  una  vasca  di  raccolta  delle  acque,  legata  in  quel  punto  al  sistema  di  fogna- 
tura stradale,  si  è  rinvenuta  in  terreno  di  riporto  nel  febbraio  1922,  a  novanta  metri 
circa  di  distanza  dal  «  tempio  di  Diana  »,  a  m.  3  di  profondità  dal  piano  generale  di 
campagna,  ed  a  1  m.  circa  al  di  sotto  del  nuovo  piano  stradale,  una  lastra  marmorea  di 
m.  0,67  X  0,25  X  0,02,  con  l'iscrizione  : 

*  D  •  •  M  • 

a    EGNATIAE    •    EVTHENIAE 
VIXIT-  ANN-  XXIII I  •  MENS-  VI  - 

DIEB        XI 
A-EGNATIVS-  ALYPVS  * 
VXORI  -     BENE     •  MERENTI 

Il  dudus  delle  lettere  (che  sono  alte  rispettivamente  min.  30,  27,  23,  20,  23,  16)  è 
quello  della  buona  età  imperiale. 

I  cognomi  Eulhenia  ed  Alypus  sono,  come  è  ovvio,  grecanici,  ed  indicano  la  proba- 
bile condizione  libertina  dei  personaggi  ricordati. 

(')  Si  noti  anche  che  il  luogo  non  è  distante  da  quello  ove  trovavasi  la  vigna  di  Sante 
Limiti,  anzi  tutto  menzionatole  per  i  sepolcri  dell'età  del  ferro  che  conteneva  e  nella  quale 
furono  pure  ritrovate  sepolture  d'età  romana  soprastanti  alle  altre  piti  antiche  (cfr.  Garrucci. 
in  Civiltà  Cattolica,  1875,  tasc.  593;  pag.  13  delPestr.). 

(•)  Pianta  dei  ruderi  in  Paoli,  Antiquitatum  l'iiteolis,  Climi),  Bais  existentium  rrliquiae,  Ncap., 
1768,  fol.  ;  ved.  pel  resto  Beloch,  Campanien1,  p.  140  e  pi.  III. 


REGIONE    I.  —     85   —  VENAFRO 

* 
*    * 

In  casa  di  S.  E.  il  senatore  Vincenzo  Cosenza  in  Pozzuoli  mi  è  avvenuto  di  esami- 
nare una  tavola  di  marmo  di  m.  0,43  X  0,20,  dello  spessore  di  inni.  15,  rotta  in  tre  pezzi, 
rinvenuta  airincirca  dieci  anni  fa  in  contrada  Celle,  mentre  si  ripuliva  un  antico  colom- 
bario. Il  capraio  che  faceva  quella  ripulitura,  la  portò  in  casa  del  senatore  Cosenza,  dove 
essa  tuttora  si  trova. 

*     D         -  M         *  ^ 

M   •      GESSIO    -    M  A 
XIMO    ♦     QVI    -    VlXt 

ANN  •  XXXV  ■  M  •  VI  •  DlfcB  ■  XXIV  •  UESSIA 
MARCIA  •  MATER  •  FILIO  •  PIENTISSIMO 
FECIT  o  LOCV  »  CONCESSV  *  HA  '  AV  (sic) 

LIA  •    HILARA 

Le  lettere  delle  prime  tre  linee  sono  rispettivamente  alte  min.  41 ,  42-47,  e  39  ;  nelle 
ultime  quattro  linee  l'altezza  oscilla  da  J4  a  20  mm.,  anche  in  una  stessa  linea. 

Il  duetas  delle  lettere  è  trascurato.  Da  segnalare  la  omissione  dell's  finale  nelle  pa- 
role locus  eoncessus,  e  la  singolarità  ortografica  della  ha  per  ab  della  penultima  linea. 

Il  gentilizio  Gessius  era  già  noto  nella  onomastica  puteolana  (p.  es.  in  C.  I.L.,  X, 
2152,  3367)  ;  ricorre  invece  per  la  prima  volta,  a  quanto  sembra,  il  raro  gentilizio  Aulia, 
purché  non  avesse  dovuto  scriversi  Aurelia. 

S.  Auiugemma. 


XII.  VENAFRO  —  Scoperte  epigrafiche. 

Nel  1915,  eseguendosi  dei  lavori  in  Venafro  per  la  costruzione  di  un'edicola  dedicata 
ai  santi  Meandro,  Marciano  e  Daria,  contro  una  delle  fronti  esterne  della  cosiddetta 
«  Torre  di  giustizia  »  in  piazza  Milano,  si  rinvenne  nel  muro  di  fondazione  della  torr-;, 
messo  in  opera  con  le  altre  pietre,  un  dado  di  calcare  di  Venafro  (largo  in  fronte  m.  0,58  ; 
alto  nel  punto  di  maggiore  conservazione  m.  0,37  e  spesso  m.  0,50),  che  recava  sulla 
fronte,  incisa  in  belle  lettere  quadrate  che  sembrano  del  1°  secolo  dell'Impero,  la  iscri- 
zione seguente  : 

C  •  FLAVIDl  'M-F-TeR 
HARVSPICIS 

Nella  la  linea  le  lettere  sono  generalmente  alte  55  mm.  ;  le  due  lettere  che,  come  è 
talora  costume  nel  1°  secolo,  sovrastano  le  altre,  raggiungono  i  56  mm.  ;  le  lettere  della 
2a  linea  sono  alte  40  mm.  ;  i  punti  diacritici  sono  triangolari. 

La  tribù  Teretina  figura  in  un  considerevole  numero  di  iscrizioni  di  Venafro  ;  nuovo 
per  l'onomastica  locale  è  il  gentilizio  Flavidins,  che  è  del  resto  estremamente  raro  anche 
altrove  nel  mondo  romano  ;  mentre  derivato  dall'ufficio  sacerdotale  è  il  cognome  Haru- 


VENAFRO  —    86    —  REGIONE    I. 

spex,  che  è  pure  assai  raro,  sia  sotto  questa  forma,  sia  sotto  le  forme  Harispex,  Aruspex, 
Arrespex.  Non  si  può  escludere  però,  che  il  defunto  non  avesse  cognome,  e  che  siasi 
voluto  indicare  il  suo  ufficio  di  haruspex  municipali'. 

Il  dado  iscritto  era  sormontato  un  tempo  dalla  statua,  ricavata  nello  stesso  blocco 
di  pietra:  della  quale  statua  sono,  oggi,  soltanto  superstiti  i  due  piedi  chiusi  in  calcei  mor- 
bidi ;  la  iscrizione  occupa  del  blocco  un  rettangolo  di  m.  0,58  X  0,26.  Del  nuovo  titolo 
diede  una  prima  notizia  Gittoeppe  Cimorelli  nell'articolo  «Di  un'epigrafe  venafrana» 
apparso  in  «  Archivio  storico  del  Sannio  Alifano  e  contrade  limitrofe  »,  edito  per  cura 
dell'Associazione  storica  regionale  in  Piedimonte  d'Alife,  voi.  Ili,  n.  2. 

La  epigrafe  è  ora  conservata  nell'androne  della  casa  dei  sig.  Cimorelli,  ai  quali  la 

«  torre  »  appartiene. 

* 
*  * 

Nel  riattare  il  portone  d'ingresso  della  casa  di  tal  Michele  D'Agostino  in  Venafro, 
in  via  Giambattista  Della  Valle,  si  rinvenne  verso  il  1905,  posto  in  opera  nello  stipite 
della  porta,  un  cippo  di  pietra  iscritto,  che  fu  estratto,  e  poi  ancora  una  volta  murato 
nello  stipite  stesso,  così  da  renderne  visibile  la  faccia  iscritta.  11  cippo  (di  cui  l'altezza 
massima  raggiunge  i  m.  1,38,  e  lo  spessore  i  m.0,30)  è  spezzato  da  un  lato  sulla  fronte  in 
senso  perpendicolare,  così  che  la  larghezza  del  cippo  nel  punto  di  maggiore  conserva- 
zione e  di  m.  0,41.  Tra  la  cornice  e  lo  zoccolo  sagomato,  entro  una  grezza  specchiatura 
a  listello  e  a  gola  rovescia,  alta  in.  0,64,  appare  in  lettere  rozze  e  tarde,  che  sembrano 
talvolta  graffite  (alte  da  46  a  30  min.),  la  iscrizione  seguente  : 

VETEDIVS 
i  V  S  T  V  S 

lm      p     e 

SIGNVM 
ga  N I M  E  D  E  S 
civ  ITATI  ET 
rie  IBVS 
d.      D 

.  . .  V\etedius  j  [Iu]stus  |  . . .  p(uironus)  (?)  c(oloniae)  (?)  |  signum  |  [Gan]iìnedes  | 
[civ]itati  et  |  [civ]ibus  \  [d(onwn)]  d(edit). 

11  cippo  ci  permette  di  restituire  in  modo  esatto  la  lezione  di  un'epigrafe  conser- 
vataci in  forma  arbitraria  in  un  codice  veronese  di  Marino  Sanuto,  del  quale  il  Mommsen 
si  servì  per  la  sua  edizione  del  Corpus  (C.  I.  L.,  X,  4891).  La  lezione  del  codice  vero- 
nese recava  :  C.  Vekdius  Iustus  j  y.  p.  e.  I  hoc  Velcdias  signum  \  Ganimcdcs  |  cioitati 
et  civiòus  |  dedit. 

S.    AURIGEMMA. 


REGIONE   I.  —    87    —  CONTORSI 


XIII.  CONTURSI  (Salerno)  —  Aoanzì  di  una  villa  rustica  in  contrada 
f  Sainara  » . 

La  contrada  «  Sainara  »,  posta  a  km.  8  di  distanza  dall'abitato  di  Contursi,  è  costi- 
tuita dal  dorso  di  una  collinetta  che,  nell'anfiteatro  dei  monti  vicini  e  lontani  dell'alta 
valle  del  Sele  (Vallis  Silari  superar  :  C.  I.  .£.,  voi.  X,  pag.  47),  gode  all'intorno  del  più 
ridente  dei  paesaggi,  e  domina  ingiù  un'amenissima  insenatura  del  fiume  stesso.  Avanzi 
di  antiche  costruzioni  nel  fondo  indicato,  cioè  sullo  spiazzo  estremo  della  dorsale  di 
quella  collina,  non  che  essere  stati  ivi  notati  altra  volta  prima  di  oggi,  è  certo  invece, 
che  dalla  mano  dell'uomo  siano  stati  per  lunghi  secoli  costantemente  demoliti  e  rimossi 
per  ridurre  a  cultura  quella  regione  spoglia  di  vegetazione  arborea  e  soggetta  a  dilava- 
mento continuo,  per  bonificare  ed  accrescere  con  assidua  fatica  Vhumus  di  quel  suolo 
collinoso,  costituito  in  gran  parte  dai  detriti  della  sottostante  roccia  calcarea.  Quelli 
che  furono  notati  nell'estate  in  un  fondo  del  sig.  Angelo  Raffaele  Trotta,  nascosti  appena 
dai  pochi  centimetri  di  terreno  vegetale,  così  faticosamente  ottenuti  per  la  cultura  del 
grano,  e  quelli  che  ne  emergono  intorno  per  pochi  centimetri  in  tratti  di  considerevole 
lunghezza,  sono  soltanto  i  sicuri  avanzi,  non  ancora  dispersi  in  tutto,  di  una  villa  rustica, 
romana,  risalente  al  I— II  scc.  dopoCr.  perfettamente  isolata,  ed  occupante  in  origine 
con  i  suoi  annessi  un'area  totale  di  circa  m.  100  X  30,  che  è  stata  ora  parzialmente  sag- 
giata in  varii  punti,  sotto  la  direzione  del  signor  A.  Filomarino.  Dove  qua  e  là  notansi 
tratti  di  muratura  profondarsi  al  disotto  del  suolo,  trattasi  di  evidenti  opere  di  sostru- 
zione, richieste  dalla  discontinuità  della  roccia  generalmente  affiorante.  Di  tutta  la 
pianta  della  villa  rustica,  che  forse  potrebbe  essere  in  gran  parte  determinata  con  uno 
scavo  metodico,  lasciansi  riconoscere  principalmente  oggi  due  pavimenti  musivi  degli 
ambienti  del  bagno  privato  ;  il  fondo  di  una  vasca  rettangolare  (o  serbatoio  di  acqua), 
larga  m.  2  X  6,  rivestita  di  intonaco  di  cocciopesto  ;  un  tratto  di  fogna  di  scarico,  larga 
m.  0,45  (piedi  rom.  1%),  ricoperta  con  una  serie  di  tegole  in  due  pioventi,  scorrente 
nel  sottosuolo  ;  e,  poco  oltre,  alcuni  tratti  di  pavimento  di  altri  ambienti  più  rustici,  parte 
in  opus  spicatum,  di  terracotta,  e  parte  in  cocciopesto.  Mercè  un  vialetto  in  dolce  pendìo, 
sviluppantesi  nell'antichità  attraverso  un  interposto  giardino,  è  da  credersi  si  perve- 
nisse una  volta  dalla  villa  alla  prominenza  estrema  del  poggio,  là  dove  ergonsi  ancora  per 
un'altezza  di  m.  0,60  i  robusti  e  solidi  avanzi  di  un  belvedere  (o  loggia  coperta)  di  m.  5 
di  lato,  di  cui  nel  perimetro  esterno  vedonsi  ancora  conservati  pochi  blocchi  dell'origi- 
nario rivestimento  di  travertino  bianco,  e  nell'interno  restano  considerevoli  parti  del 
pavimento  di  calcestruzzo  ricoperto  di  cocciopesto. 

Dei  due  pavimenti  musivi  avanti  menzionati,  e  le  cui  tessere  sono  in  media  di  cm.  1 
di  lato,  solo  l'uno,  in  parte  sterrato,  mostra  il  suo  fondo  uniformemente  bianco  circon- 
dato da  una  fascia  perimetrale  nera  ;  l'altro,  di  m.  7  X  6,53,  è  parimente  a  fondo  bianco, 
ma  è  in  primo  luogo  fasciato  intorno  intorno  da  tre  cornici  lineari  nere,  e  contiene  al 
centro  un  quadro  di  m.  1,75,  di  buona  esecuzione,  composto  con  tessere  di  marmi  policromi 
(verdi,  nere,  gialle),  e  di  terracotta  (rosse).  Dalla  periferia  al  centro  il  quadro  è  circon- 


CONTORSI  —    88   —  REGIONE   I. 


dato:  a)  da  una  cornice  esterna,  risultante  di  quattro  listelli  (nero,  giallo,  verde,  rosso); 
b)  da  una  greca  ad  elementi  rettilinei,  nera  ;  e)  da  una  cornice  verde.  In  quest'ultima, 
ponendosi  a  guardare  da  un  lato,  vedonsj  ritratti  a  colori  :  un  cavallo  marino  verde, 
associato  al  tridente,  natante  a  sin.  ;  al  disotto  una  aragosta  giallo-rossa.  Guardando  dal 
lato  opposto,  vedonsi:  un  altro  cavallo  marino  verde,  natante  a  sin.;  al  disotto  un  dei- 
tino  rosso.  Il  musaico  figurato  così  descritto  sarà  distaccato,  probabilmente  a  cura  del 
municipio  e  per  lodevole  iniziativa  del  eh. mo  sig.  sindaco,  avv.  Kosapepe,  il  quale  in- 
tende col  musaico  stesso,  ed  i  frammenti  (in  prevalenza  di  terracotta)  raccolti  nel  fondo 
Trotta,  costituire  il  primo  nucleo  di  una  collezione  locale  alla  quale  possano  affluire  in 
seguito  altri  monumenti  illustranti  la  storia  della  contrada,  Tra  quei  frammenti,  custo- 
diti attualmente  in  un  armadio  dell'aula  consiliare,  potei  notare  parecchi  avanzi  di 
tegole  con  un  bollo  nuovo,  a  quel  che  pare,  non  trovandone  menzione  nel  voi.  X  del 
C.  1.  L.  : 

M     FLAVI 

Esso  in  un  caso  solo  si  mostra  in  una  redazione  più  completa: 

M  -FLA/I  •  OT 

Su  di  un  grosso  frammento  di  dolium  notai,  graffita  in  grosse  cifre  (mancanti 
a  sin.),  l'indicazione  della  capacità  (in  anfore): 

XXIIIS 

I  rimanenti  sono  piccoli  frammenti  di  vasi  aretini  e  di  vasi  di  vetro  ;  qualche  pezzo 
d'intonaco  parietale  colorato  ;  elementi  di  una  cornicetta  di  stucco  stampigliata,  a  ri- 
lievo ;  mattonelle  di  terracotta  dell'opus  spieatum  già  di  sopra  mezionato. 

Ad  l  km.  di  distanza  a  monte  della  contrada  Samara,  nella  località  detta  Fosso  del 
Palazzo,  visitai  col  sig.  Filomarino  una  cava  di  ottima  argilla  (soggetta  a  sfruttamento 
da  secoli  moltissimi,  come  lo  è  tuttora),  nelle  cui  vicinanze  non  mancano  detriti  e  fram- 
menti di  tegole  romane,  qualcuna  col  bollo  già  riportato  ;  e,  ad  eguale  distanza  circa, 
ad  oriente  ed  a  valle  della  contrada  Sainara,  nella  masseria  Tavoliere,  là  dove  il  suolo 
notasi  cosparso  di  detriti  di  tegole  per  un  largo  raggio,  assistetti  per  poco  al  cavamento, 
che  un  contadino  andava  facendo,  di  frammenti  di  tegole  romane  da  un  considerevole 
deposito  del  sottosuolo,  denunziente  ivi  la  presenza  o  la  vicinanza  di  fornaci  figuline 
rimaste  attive  nell'età  imperiale. 

II.  Della  Corte. 


REGIONE    Ili.  —    89    —  REGGIO   DI   CALABRIA 


Regione  III  (LUCANIA   ET  BRUT  TU). 

XIV.  REGGIO  DI  CALABRIA  —  Nuove  scoperte  in  città  e  dintorni. 

Nel  «  Bollettino  della  Società  calabrese  di  storia  patria  »  (')  diedi  già  conto  del'e 
numerose  scoperte  da  me  segnalate  nella  città  e  nei  dintorni  di  Reggio  durante  gli  anni 
1911-1913,  quando  cioè,  per  incarico  del  Ministero,  su  proposta  caldeggiata  da'  com- 
punto prof.  Luigi  Savignoni  e  sostenuta  dal' a  R.  Soprintendenza  agli  scavi  di  Calabria, 
prestai  assidua  e  non  infruttifera  —  credo  ameno  —  vigilanza  agli  scavi  edilizi  della 
città  stessa. 

Della  pubblicazione,  apparsa  in  varie  puntate,  stimai  necessario,  nell'interesse  della 
scienza,  far  largo  omaggio  ai  dotti,  e  vi  compresi  pure  quant'altro  posteriormente  alla 
mia  missione  mi  era  stato  dato  osservare  in  materia  di  scoperte  dentro  e  fuori  Reggio. 
Vi  ricordai  altresì  ciò  che  avevo  già  prima  segnalato  in  questo  medesimo  e  in  altri  pe- 
riodici. Ritengo  utile,  ora  che  il  detto  Bollettino  ha  cessate  le  sue  pubblicazioni,  infor- 
mare qui  stesso  delle  nuove  scoperte  che  ho  avuto  tuttavia  modo  di  notare  nei  ristretti 
limiti  di  mia  osservazione  (2). 

. 
I.    Vie  Fatamorgana-Torrone. 

Nel  decorso  anno,  all'incontro  di  queste  due  vie,  praticandonsi  gli  scavi,  per  le  fon- 
dazioni della  casa  del'avv.  gr.  uff.  Eugenio  Foti,  furono  rinvenuti  i  seguenti  due  pezzi 
di  scultura  romana  e  di  buona  epoca,  probabilmente  appartenenti  a  sarcofagi,  e  utiliz- 
zati in  seguito  nella  copertura  d'un  corso  di  acque  nere  (3)  : 

1)  Frammento  di  lastra  in  calcare  duro,  compatto,  a  grana  fina,  di  cave  probabil- 
mente locali,  raffigurante  Achille  sul  carro,  al  quale  egli,  baldanzoso  e  trionfante,  tra- 
scina legato  il  cadavere  di  Ettore,  dinanzi  alle  mura  di  Troia,  tenendo  in  alto  il  braccio 
sinistro,  reggente  lo  scudo,  e  sferzando  i  veloci  cavala.  Su  le  dette  mura  stanno,  a  sini- 
stra, Ecuba  o  Andromaca,  sparsa  la  chioma  e  con  la  mano  destra  davanti  al  petto  ; 
dall'altra  parte,  Priamo  ed  uno  dei  suoi  figli,  entrambi  inclinato  il  capo  verso  il  lato  si- 
nistro :  l'uno,  il  giovine,  appoggiandolo  su  la  mano  destra  ;  l'altro,  il  vecchio,  sul  corpo 


(')  II  (1918),  n.  1-2,  p.  21  sgg.  ;  III-IV  (1919-1920),  n.  1-3,  p.  4  sgg.,  n.  4-6,  p.  78  sgg.  ;  n.  7-12 
p.  166  sgg.  Quivi  stesso  —  II  (1918),  n.  1-2,  p.  21  —  ebbi  ad  avvertire,  che  quanto  nei  varii  fascicoli  fu 
pubblicato,  venne  desunto  da  rapporti  in  diverse  epoche  inviati  al  Ministero  per  l'inserzione  in  queste 
stesse  Notizie,  dopo  averne  riferito  mensilmente,  com'era  mio  dovere,  alla  Soprintendenza  archeo- 
logica calabrese,  dalla  quale  allora  dipendevo.  Tali  rapporti  furono  poi,  a  richiesta,  ceduti  alla  locale 
Società  calabrese  di  storia  patria,  ed  ecco  perchè  apparvero  nell'organo  ufficiale  di  essa. 

(*)  Avverto  che,  pure  in  questo  rapporto,  seguirò  l'ordine  topografico  indicato  nel  Bollettino  di 
storia  patria,  ossia  procederò  dal  nord  verso  il  sud  della  città. 

(•')  Devesi  alle  amorevoli  cure  dell'ing.  Giacomo  Foti,  molto  rispettoso  delle  antichità,  se  i  due 
pezzi  furono  risparmiati  dalla  distruzione  e  messi  da  parte  per  il  Museo  civico. 

Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI.  12 


REGGIO    DI   CALABRIA 


—    90    — 


REGIONE   III. 


del  primo.  11  vecchio  medesimo  ha  la  mano  destra  sul  petto,  come  la  donna.  Della  figura 
di  Achille  conservas'  la  parte  dalle  anche  in  su,  e,  sebbene  nulla  vedasi  stringere  nella 
mano  destra  protesa,  pure  in  essa  è  da  imaginare  Un'arma,  e  forse  con  questa  anche  le 
redini  dei  cavalli.  Di  questi  rimangono  soltanto  la  testa  col  collo  in  uno,  la  sola  testa  nel- 
l'altro, mentre  mancano  completamente  il  carro  ed  il  corpo  di  Ettore.  Su  la  parte  supe- 
riore corre  un  fregio  di  stile  ionico.  Misura  m.  0,70  X  0,52  X0,18  (fig.  1). 


Fio.  1. 


Notevole  soprattutto  nel  presente  pezzo  la  figura  vigorosa,  movimentata  ed  espres- 
s'va,  di  Achille,  il  quale  [alla  medesima  guisa  che  nella  poesia  greca  (')  ed  in  atteggia- 
mento simile  a  quello  di  altre  rappresentazioni  artistiche  meglio  conservate  (2)],  già  vio- 
lentemente lanciatosi  come  sparviero  su  colomba,  o  com'aquila  nera,  battagliera,  sul 
caro  figlio  di  Apollo,  e  vintolo,  ne  trascina  ora  il  corpo  esanime,  agitante  la  nera  chioma 
intorno  al  capo  leggiadro,  coperto  di  polvere,  lungo  il  corso  curvo,  con  la  sua  orma  trac- 
c  ato,  dinanzi  alle  mura  di  Troia  ;  mentre  egli,  il  vincitore,  vola,  con  voce  terribile  grida, 
e  di  sangue  segna  i  prati  ed  i  campi  incolti,  e  mentre  i  parenti  di  Ettore,  dall'alto  delle 
mura,  piangenti  e  disperati,  assistono  al  triste  spettacolo. 

2)  Frammento  marmoreo  raffigurante  la  parte  anteriore  di  un  Tritone  o  Centauro 
marino,  a  zampe  equine,  sul  dorso  sostenente  una  Nereide,  della  quale  non  conservansi 
altro  se  non  il  braccio  destro  con  la  relativa  mand  a  lui  cingenti  il  collo,  ed  un  lembo  del 


(')  II.   XXII,  138  sgg.  :  Lyeoplir.  258  sgg.;  ved.  pure  Aen.  I,  483  sgg. 

(')  (ir.  perii  mito  di  Ettore  nella  letteratura  e  nell'aite  Roscher,  Lexicon,  I,  2,  col.  1910  sgg. 
Vedi,  Ira  le  rappresentazioni  a  rilievo  riprodotte  dal  Reinach,  Rép.  des  reliefs,  I,  p.  69  sg.  ;  II, 
pp.  122  sg.  522,  III,  p.  397.  soprattutto  la  prima  (p.  70,  n.  2),  alla  quale,  sebbene  molto  più  movimen- 
tata  ed  espressiva,  s'avvicina  maggiormente  la  nostra  per  la  figura  di  Achille  e  dei  cavalli. 


REGIONE    III.  —    fll    — 


REGGIO    DI    CALABRIA 


manto  che  cade  dalla  parte  interna.  Egli  regge  un  remo  inerte,  appoggiato  su  la  spalla 
destra.  Della  testa,  conservasi,  molto  danneggiata,  la  sola  parte  posteriore,  attorno  alla 
quale  notassi  residui  dell'ampia  chioma  e  della  larga  barba.  Misura  m.  0,695  x  0,67  X  0  14 
(fig.  2). 

Abbiamo  in  questa  figura  la  contaminazione  del  Tritone  vero  e  proprio  con  l'Ippo- 
campo, designato  col  nome  di  Ix^t'oxàrtai'oo;,  del  quale  in  Tzetzes  ad  Licophr.  34. 


Fig.  2. 


Tale  figura  apparisce  dal  IV  sec.  in  isvariate  funzioni  decorative  presso  numerose  scene 
di  monumenti,  anche  funebri,  tanto  in  Grecia,  quanto  in  Italia,  e  specialmente  in  Etru- 
ria.  Tra  i  sarcofagi  sono  quelli  recentemene  scoperti  negli  ipogei  presso  il  km.  IX  di  via 
Trionfale  in  Roma,  editi  in  questa  stesse  Not'zie,  1922,  pag.  439  sgg.,  fig.  fi  sgg. 

IL    Vie  Fata  Morgana-Marina  alta. 

All'angolo  sud  di  via  Fata  Morgana -Marina  alta,  negli  scavi  per  le  fondazioni  di 
casa  Guarna,  riapparvero  resti  di  tenne  e  di  un  mosaico  a  bianco  e  nero,  che  la  Dire- 
zione del  locale  Museo  civico  segnalò  subito  alla  R.  Soprintendenza  archeologica  per 
la  Calabria,  con  sede  in  Siracusa,  la  quale  provvide  a  spe.-;:»  proprie  alla  rimozione  ed  allo 
acquisto  del  mosaico  stesso.  Questo  risulta  oggi  ricomposto  da  parecchi  pezzi  nella  massa 
unica  congiunta  a  cemento  per  opera  del  sig.  Pietro  Gervasi  che  condusse  le  operazioni 


REGGIO   DI    CALABRIA 


—   92    — 


REGIONE    III. 


di  trasporto  da  un  luogo  all'altro  noi  medesimo  cortile  del  R.  Istituto  Magistrale,  dove 
temporaneamente  il  pavimento  venne  deposto  ('). 

La  scena,  sufficientemente  movimentata,  è  quella  di  una  lotta  ;  e  il  disegno  delle  varie 
figure,  se  nella  parte  superiore  riesce,  generalmente,  piuttosto  trascurato,  viceversa  nel- 


Fig.  3. 


l'inferiore,  e  specialmente  nelle  gambe  dei  personaggi,  apparisce  bene  eseguito.  Vi  sono 
in  alto  residui  di  iscrizioni  greche  indicanti  —  com'è  da  credere  —  i  nomi  dei  lottatori, 
ed  oggetti  ad  essi  appartenenti.  Mi  asterrò  qui  da  qualsiasi  esame,  perchè  del  detto 
pavimento  e  del  resto  dello  scavo  riferirà  la  R.  Soprintendenza  archeologica. 


III.  Corso  Garibaldi-Traversa  Liceo. 

Negli  scavi  per  le  fondazioni  del  nuovo  palazzo  di  proprietà  del  sig.  Paolo  Vilardi, 
su  l'angolo  del  corso  Garibaldi  e  della  salita  Liceo,  sono  stati  avvistati  dei  residui  di 

(')  La  ricomposizione  dei  pezzi,  pur  troppo,  non  è  perfettamente  eseguita  ;  ad  ogni  modo,  la 
veduta  d'insieme  s'intuisce  bene.  L'intera  massa  misura  m.  3.65  x  5.50.  Mi  piare  qui  segnalare  il 
concorso  morale  ed  economico  prestato  dal  municipio  e  dal  Museo  civico  che  ne  dipende,  nelle  operazioni 
non  lievi  e  non  facili  di  questo  trasporto. 


REGIONE    III.  —    93    —  REGGIO   DI   CALABRIA 

sostruzione  a  mattoni  con  la  marca  «fANOVC).  Ne  ho  scelto  alcuni  esemplari  pel  Museo 
civico  locale,  che  misurano  m.  0,405  X  0,33  X  0,09. 

A  monte  dello  scavo,  a  distanza  di  circa  15  metri  da  detta  sostruzione,  fu  raccolto 
dagli  operai,  tra  sabbia  e  brecciame,  a  circa  metri  5  dal  livello  della  strada  soprastante 
(la  nuova  Tommaso  Campanella),  il  busto  marmoreo  muliebre  che  vedesi  a  fig.  3. 
e  che,  posto  al  sicuro,  venne  donato  al  medesimo  Museo  civico.  Di  proporzioni  maggiori 
del  vero,  esso,  nudo  sul  lato  sinistro  —  il  solo  esistente  —  del  torace,  fu  così  lavorato 
per  poter  essere  congiunto  al  resto  del  monumento,  che  doveva  essere  coperto,  ed  era 
forse  di  materia  e  colore  diversi.  Ben  conservato  nel  resto,  manca  del  solo  naso.  Attira 
l'attenzione  l'acconciatura  dei  capelli,  ondulati  su  la  fronte  e  raccolti  a  forma  cilindrica, 
in  uso  dall'età  di  Traiano,  importata  forse  dalla  Spagna.  Essi  formano  un  groppo  rial- 
zato dietro  la  nuca,  dal  quale,  in  alto,  si  dipartono  anche  due  trecce  che  girano  attorno 
la  base  del  tutulus.  Questo  è  coperto  da  reticella.  I  grandi  occhi  con  la  pupilla  segnata, 
ed  i  tratti  larghi  e  nobili  del  viso  incorniciato  dalla  massa  enorme  dei  capelli,  indicano 
il  carattere  matronale  della  donna  di  cui  qui  abbiamo  il  ritratto.  Probabilmente  siamo 
davanti  ad  un  busto  funebre  appartenente  a  qualche  tomba,  dov'era  sepolta  la  defunta, 
e  che,  dopo  la  distruzione,  precipitò  giù  nel  luogo  dove  oggi  venne  isolatamente  raccolto. 
Per  la  particolarità  tecnica  della  pupilla  segnata  negli  occhi,  attribuirei  il  busto  in  parola 
ad  età  postadrianea  (*).  Misura  in  alt.  in.  0,67. 

IV.  Via  Amalfitano. 

Lungo  questa  via,  in  prossimità  dell'incrocio  con  via  dei  Bianchi,  praticandosi  i 
lavori  di  fognatura,  fu  rinvenuta  negli  sterri  la  minuscola  antefissa  arcaica,  in  terracotta 
a  rilievo  e  dipinta,  che  vedesi  a  fig.  4.  Notevoli,  oltre  al  viso  spiccatamente  ovale  e  schiac- 
ciato, i  grandi  occhi  coi  bulbi  schizzanti  dall'orbita,  le  labbra  tumide  e  semiaperte, 
il  mento  carnoso  ed  appiattito  ;  di  più,  il  velo  che  scende  dal  capo  su  le  spalle,  ed  un  gio- 
iello che  pende  da  un  cordoncino  cingente  il  collo.  Entrambe  queste  particolarità  spe- 
cialmente m'appariscono  nuove  in  simili  monumenti  della  plastica  architettonica  locale. 
Evidentemente  questa  antefissa  apparteneva  a  qualche  piccola  edicola  sorgente  nelle 
vicinanze  del  luogo  di  rinvenimento.  Misura  in  alt.  m.  0,105. 

V.    Prolungamento  di  vie  Torrione  ed  Aschenez. 

Dalla  demolizione  del  castello,  a  nord-est  della  città,  pervennero  al  Museo  civico 
il  fusto  di  una  colonnina  calcarea,  attorcigliata  (alt.  m.  0,0985),  ed  un  capitello  marmoreo 
a  calathos,  privo  di  abaco  (alt.  m.  0,44  ;  diam.  m.  0,38).  La  superficie  di  quest'ultimo  è 

(')  Già  nota  per  Reggio  :  Kaibel,  Inscriptiones  It.  et  Sic,  n.  2400  (26)  ;  ma  nei  due  pezzi  che  con- 
servarsi al  Museo  civico  l'asta  orizzontale  dell' A  è  spezzata,  come  nel  caso  presente. 

(*)  Vedi  quanto  su  tale  acconciatura  del  capo  e  su  la  particolarità  tecnica  della  pupilla,  sopra 
accennata,  osserva  il  Paribeni  nella  dotta  relazione  al  tribunale  civile  di  Roma  «  Sull'autenticità  di 
una  testa  di  bromo»  [Ausonia,  TX  (1919),  p.  123  sgg.],  a  cui  rimando,  anche  perla  bibliografia.  E  circa 
simili  busti -ritratto  in  tombe,  cfr.  Baumeister,  Denkmaler  des  Mass.  Altertums,  I,  p.  28;  Cagnat- 
Chapot,  Manuel  d'arch.  rom.,  p.  519  sgg.,  fig.  290  ;  Gusman,  L'art  décoralif  en  Rome,  II,  tavv.  83, 
116  ecc. 


REGGIO   DI   CALABRIA  —    94    —  REGIONE    III. 


rivestita  da  foglie  di  palma,  alle  quali  è  sovrapposto,  in  tre  file,  il  solito  acanto  a  ner- 
vature verticali,  diviso  in  cinque  palmette  a  ventaglio,  dalla  superficie  piatta  leggermente 
piegata  in  avanti  e  tutta  arrotondata  in  alto,  con  la  fogliolina  di  mezzo,  nella  serie  infe- 
riore, incurvata  un  po'  più.  Le  palmette  della  fila  superiore  sono  ridotte  a  quattro  e  col- 
locate ai  quattro  angoli  :  esse  spuntano  da  un  calice  di  loto  o  di  giglio  ('),  quasi  volendo 
tenere  il  posto  dei  caulicoli.  Sebbene  molto  danneggiato  (2),  questo  capitello  —  nuovo 


Fio.  I. 


per  me  in  Reggio  —  riesce  interessante  per  la  forma,  affine  a  quella  della  serie  accennata 
dal  Dumi,  Die  Banlamst  der  Griech*.,  p.  347,  fig.  331  sg.  Di  proposito  mi  occuperò 
di  questo  pezzo  —  che  attribuisco,  con  la  colonina,  ad  età  ellenistico-romana  — 
altrove,  trattando  di  tutti  i  frammenti  architettonici  esistenti  nel  Museo  civico 
di  Reggio  (3). 

VI.  Prolungamento  di  vie  Tribunali  e  Palamolla. 

Nel  tratto  di  terreno  compreso  tra  il  prolungamento  di  via  Tribunali  ed  il  prolun- 
gamento di  via  Torrione,  in  prossimità  del  Duomo,  negli  scavi  per  le  fondazioni  della 

(')  L'Orsi,  in  «(ueste  Notizie,  1912,  p.  201,  fig.  2,  ritiene  essere  di  giglio  un  calice  situile,  in  altro 
capitello  ellenistico  o  romano;  ma  nel  presente  almeno,  data  la  forma,  credo  che  esso  potrebbe  essere 
anche  di  loto. 

(a)  Posteriormente  è  stato  incavato  alla  base  superiore  per  uso  di  pila,. 

()  Per  tale  forma  di  capitello  e  per  i  suoi  rapporti  con  l'Egitto  e  con  Cipro  cfr.  D.mn,  loc.  cit.  ; 
per  l'acanto  sul  capitello,  ved.  l'interessante  pubblicazione  di  Albizzati,  Qualche  problema  su  le 
colonne  rutilane  di  S.  Lorenzo  Maggiore  in  Milano  i  Boll.  (Carte  del  Min.  ,  XIV  (192)),  p.  84  sgg.,  spe- 
cialmente p.  271  sgg. 


REGIONE   III.  —   95    —  REGGIO   DI  CALABRIA 

casa  di  proprietà  del  sig.  Carmelo  Liconti,  fu  rinvenuto  uno  di  quei  serbatoi  frequenti  in 

Rhegiume  già  descritti  in  queste  stesse  Noi.,  1883,  ser.  3a,  voi.  XI,  p.  175  sgg.,  voi.  XIII, 

p.  140  sg.  ;  1 884,  ser.  3a,  voi.  XIII,  p.  634  (').  Nella  consueta  forma  d'imbuto  capovolto 

e  nel  solito  materiale  di  calcina  e  cocciopesto,  presentava  alla  parte  superiore  un  piccolo 

condotto,  che  si  è  riscontrato  altre  volte  in  serbatoi  simili  di  Rhegium.  Misurava  circa 

m.  3  in  alt.  ed  aveva  uno  spessore  di  cm.  4-5. 

Il  primo  illustratore,  il  benemerito  mons.  A.  Maria  De  Lorenzo,  ritiene  che  tutti 

questi  serbatoi,  i  quali  s'incontrano  soprattutto  nella  parte  orientale  e  meridionale 

della  città  (2)  siano  delle  cisterne  d'acqua,  ma  è  possibile  che  l'uso  sia  stato  promiscuo. 

Forma  simile,  infatti,  hanno  i  granai,  ed  a  Siracusa  l'Orsi  ha  segnalati  alcuni  di 

questi  (*). 

VII.  In  varh  punti  della  città. 

In  varie  epoche,  prima  e  dopo  il  terremoto,  ed  in  varie  località,  dove  una  volta 
fu  scavato  ed  oggi  si  torna  a  scavare  per  le  fondazioni  di  nuovi  fabbricati,  vennero  ritro- 
vati parecchi  frammenti  di  vasi  fittili  a  rilievo,  rimasti  quasi  sempre  inediti,  e  perciò 
sfuggiti  all'osservazione  dei  dotti  che  non  ebbero  l'oppurtunità  di  visitare  il  locale  Museo 
civico,  dove  essi  sono  raccolti.  Stimo  perciò  opportuno  riprodurre  qui  alcuni  esemplari, 
aggiungendo  due  piccoli  vasi  interamente  conservati,  che  per  la  loro  particolarità  meri- 
tano essere  anche  conosciuti. 

A)  Frammenti  arcaici  : 

1)  frammento  di  collo  di  nld-oi  (volgarmente  giarraì,  decorato  da  un  %oQÓg, 
dove  si  vedono  tra  quattro  filetti  —  due  sopra  e  due  sotto  —  tre  figure  femminili  intere 
ed  a  sinistra  i  residui  di  una  quarta,  tutte  in  chitone  talare  a  maniche  corte,  con 
apoptygma  e  cintura  alla  vita,  la  testa  e  i  piedi  di  profilo  verso  sinistra,  il  resto  del  corpo 
di  tre  quarti  verso  lo  stesso  lato,  l'occhio  di  prospetto,  i  capelli  a  massa  unica  su  la 
nuca,  una  corona  tenuta  dalla  destra  e  dalla  sinistra  di  ciascuna.  La  lavorazione 
è  a  stampo,  la  creta  rossastra,  ben  depurata;  la  conservazione ,  buona.  Misura 
ni.  0,65  X  0,175  (fig.  5); 

2)  frammento  di  labbro  di  ót'ffxog,  o  piatto,  che  reca  pure  a  stampo  le  figure  di 
due  bighe  correnti,  intere,  ed  i  residui  di  una  terza  a  sinistra,  ridotta  a  metà,  ognuna 
guidata  da  auriga.   L'argilla   pure  rossastra,  ben  depurata;   la  conservazione  è  piut- 
tosto buona.  Misura  ni.  0,06  X0,16  (fig.  6). 
B)  Frammenti  tardi  : 

1)  tre  appendici  di  braciere  recanti  i  soliti  motivi  :  nel  primo,  grossa  testa  bar- 
bata ad  alto  rilievo  (4J  ;  nel  secondo,  palmetta  sotto,  viticci  sopra  ;  nel  terzo,  piede  di 

(')  Vedi  pure  Le  scoperte  archeologiche  di  Reggio  Cui.,  I,  p.  14,  sgg.,  IT,  p.  1  sgg.  E  per  altri  esempi 
di  cisterne  nei  dintorni  della  città  cfr.  Notizie,  1883,  ser.  3",  voi.  XT.  p.  638  sg.  :  Le  scoperte  areh.  T,  p.  24  ; 
Putortì,  Neapoìis,  II,  I,  p.  100,  nota  3. 

(-)  Cfr.  pure  Carbone  Grio,  Rivista  storica  calabrese,  1902,  p.  168. 

(  )  Cfr.  Notizie  degli  scavi,  1891,  p.  389,  sgg.  ;  e,  di  piti,  Darembcrg,  Saglio- Pottier,  Dictionmire, 
II,  p.  1651,  2  seg.  È  rimasto  alla  Soprintendenza  il  compito  di  esplorare  internamente  il 
nuovo  serbatoio  di  Reggio. 

(■)  Di  tali  bracieri  leggo  in  Notizie.  1892,  p.  489,  che  due  vennero  ritrovati  su  le  alture  della 
Reggio-Campi. 


REGGIO   DI   CALABRIA 


—    96    — 


REGIONE    HI.*} 


animale,  con  artigli,  fra  volute.  L'argilla  nel  primo  è  di  un  colore  rosso  cupo  ;  negli  altri 
due,  di  color  grigiastro.  Alt.  m.  0,115,  m.  0,14; 

2)  diciassette  frammenti  di  terracotta  sigillata  di  cui  alcuni  sono  riprodotti  nelle 
figg.  7  e  8: 1-5)  Parte  superiore  di  askoi  attraversata  da  piccoli  buchi,  con  Gorgoneion, 


Fio.  5. 


di  tre  quarti  a  destra  ;  vernice  nera,  svanita  quasi  in  tutti  i  pezzi;  diam.  m.  0,070, 0,057, 
0,067, 0,072, 0,062.  6-8)  Fondi  di.'coppe  pure  con  Gorgoneion,  di  tre  quarti  verso  destra 


Fio.  0. 


(n.  6),  o  verso  sinistra  (n.  7),  o  di  prospetto  (n.  8);  vernice  nera  diluita,  tranne  il  n.  6, 
che  ha  il  medaglioncino  in  rosso,  ed  il  n.  8,  che  ha  nella  parte  posteriore  una  zona  fasciata 
del  colore  dell'argilla  :  diarn.  m.  0,042,  0,048.  0,062.  9)  Fondo  di  coppa  con  parte  del 
piede  ed  in  mezzo  il  medesimo  Gorgoneion  di  tre  quarti  a  destra,  dalla  chioma  più  ampia; 
vernice  nera,  diluita,  tranne,  intorno  al  medaglioncino,  un  cerchio  rosso-sanguigno  fra 
un  altro  cerchio  di  colore  biancastro,  oggi  svanito,  e  un  giro  di  foglioline  di  quest'ultimo 
colore,  anche  svanito  ;  sui  residui  del  ventre  due  tratti  di  cerchi,  di  colore  biancastro 
l'uno,  rosso-sanguigno  l'altro;  conservate  anche  una  fascetta  all'attacco  del  piede 
e  tutta  la  parte  posteriore  del  piede  stesso  ;  l'esterno  del  ventre  è  decorato  a  fitte  e  sot- 


Regione  iìi. 


97"  — 


REGGIO    DI    CALABRIA 


tili  scanalature  :  diam.  m.  0,120,  alt.  m.  0,055.  10)  Fondo  di  coppa  con  testa  di  un 
Sileno  dai  grossi  baffi  e  dalla  barba  fluente,  vernice  nera  metallica,  sulla  quale,  attorno 
al  mcdaglioncino,  corrono  un  filetto  biancastro  ed  un  altro  rosso-sanguigno  ;  sui  residui 
del  ventre,   due  foglioline  incise  nella  terracotta;  diam.  m.  0,054.  11)  Idem,  con  la 


Pio.  7. 


mascheretta  di  un  Sileno:  vernice  nera  metallica  quasi  del  tutto  svanita;  diam.  0,30. 
12)  Fondo  di  coppa  su  piede,  con  la  parte  superiore  della  testa  di  Athena  di  prospetto, 
dall'elmo  a  triplice  cimiero,  con  decorazione  simile  al  n.  9,  ma  con  altra  fascetta  rispar- 
miata su  l'orlo  del  piede  stesso  e  con  una  fascia  nera  su  la  parte  sottostante  di  questo  ; 
diam.  m.  0,060,  alt.  ni.  0,038.  1 3)  Fondo  di  coppa  con  Dionysos  giovine  in  piedi,  nudo 
di  tre  quarti  verso  sinistra,  che  accarezza  con  la  destra  la  pantera  ;  egli  si  appoggia 
con  l'altra  mano  ad  un  sostegno,  sul  quale  è  deposto  un  tessuto  scendente  a  pieghe,  veri- 
:  imilmente  il  mantello  di  lui,  e  dietro  al  quale  è  il  tirso  (il  medaglioiicino  è  dipinto  in 
giallo,  quasi  a  smalto  ;  intorno  corrono  un  filetto  nero  ed  una  fascetta  rosso-sanguigna; 
la  parte  opposta  lasciata  del  colore  dell'argilla;  diam.  m.  0,066.  14)  Idem,  con  due  gio- 
vani che  rapiscono  due  fanciulle  (ratto   delle  Leucippidi)  :   attorno  al  medaglioncino 

Notizib  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  13 


REGGIO    DI    CALABRIA 


-    98    - 


REGIONE   HI. 


due  filetti  come  nel  numero  precedente,  però  quasi  svaniti  ;  vernice  nera,  molto  diluita  : 
diam.  in.  0.102.  1 6)  Idem,  con  il  medaglioncino  di  fanciulla  che  abbraccia  e  bacia  un  efebo 
nudo  ;  dietro  di  lui  un'altra  figura  maschile  di  fanciullo  nudo,  che  non  si  discerne  bene, 
e  che  parrebbe  in  atto  di  spingere  il  primo  verso  la  fanciulla  (forse  Eros)  ;  vernice  rosso- 
sanguigna,  quasi  del  tutto  svanita;  diam.  in.  0,072.  16)  Idem,  coni  busti  di  una  fanciulla 


Fio.  8. 


e  di  un  efebo,  incoronati,  che  si  baciano  ;,  vernice  nera  metallica;   diam.  ni.  0,057. 
17)  Idem,  con  la  testa  di  Alessandro  Magno  a  destra:  attorno  corre  un  meandro  tra  un 
filetto  sotto  e  due  sopra;  all'attacco  del  piede  corre  una  fila  di  palline  rotte  a  metà: 
argilla  finissima  di  color  giallo,  ed  ottima  conservazione  (diam.  m.  0,075;  fig.  8). 
I  due  vasetti  su  accennati,  e  d'età  pure  tarda,  sono  : 

1)  vasetto  configurato,  munito  di  anello  laterale,  con  l'imagine  di  un  piccolo  etiope 
accoccolato  su  la  sua  brocca.  Questa  lasciata  nel  colore  dell'argilla,  il  resto  in  nero,  tranne 
i  riccioli  dei  capelH  e  il  cercine  che  li  cinge,  lasciati  pure  del  colore  dell'argilla,  nonché 
le  unghie  della  mano  dipinte  in  bianco  ;  ottima  conservazione.  Alt.  in.  0,06  (fig.  9)  ; 

2)  urna  cineraria  munita  di  tre  protomi  di  grifone  e  di  coperchio  a  manico  alto 
e  desinente  in  bottone  per  presa,  priva  di  piede.  Sembra  che  originalmente  fosse  dipinta 


REGIONE    III.  —    99    —  REGGIO    DI   CALABRIA 


tutta  in  rosso,  del  quale  colore  si  osservano  larghe  tracce  qua  e  là.  Alt.  col  coperchio 
m.  0,385,  diam.  della  bocca  m.  0,20  (fig.  10). 

Meritano  essere  rilevati  i  primi  due  frammenti  a  stampo,  non  solo  per  la  loro  ar- 
caicità, ma  anche  per  la  loro  rarità  in  queste  regioni  (');  i  frammenti  di  terracotta  sigil- 


Pig.  9. 


lata  col  ratto  delle  Leucippidi  consenzienti  (del  quale,  così  come  è  espresso  nella  lette- 


(')  Il  primo  ritrovato  in  via  Aschenez  in  terreno  di  proprietà  Barilla  (De  Lorenzo,  Notizie,  1883, 
ser.  3a,  voi.  XI,  p.  539,  Le  scoperte  archeologiche  di  Reggio-Cai.,  I,  p.  26  seg.)  ;  il  secondo  erratico.  Quale 
specie  di  danza  sia  quella  espressa  nel  primo  non  è  facile  desumere.  Potrebbe  pensarsi  forse  ad  una  danza 
sacra  in  relazione  con  le  stesse  feste  rituali  che  annualmente  celebra vansi, in  Reggio  ad  onore  di  Apollo 
ed  Artemis,  ai  quali  erano  pure  dedicate  le  danze  :  tanto  piti  che  il  sito  della  scoperta  apparirebbe  una 
stipe  votiva.  Vedi,  per  tali  feste  in  Reggio,  quanto  io  stesso  ho  già  accennato  in  Rilievi  inscritti  di  Reggio 
[«Rivista  critica  di  cultura  calabrese»,  T  (1921),  1,  p.  116:  e, per  le  danze  sacre  alle  medesime  divinità, 
Daremberg-Saglio-Pottier,  Dictionnaire,  IV,  2,  p.  1034  ;  mentre  a  pagina  seg.,  fig.  6060,  è  una  rap- 
presentazione di  danza  arcaica  —  parte  di  quella  sul  vaso  Francois  —  che  per  i  personaggi  fem- 
minili riprodotti  ed  il  modo  come  tutti  si  tengono  per  mano,  presenta  analogia  con  la  nostra 
di  Reggio  Alla  medesima  pagina  è  una  rappresentazione  di  altra  danza,  ma  di  età  più  tarda, 
dove  pure  si  vedono  dei  personaggi  con  in  mano  delle  corone.  Utile  riesce  nel  medesimo  Dictionnaire 
l'intera  lettura  dell'articolo  relativo  (Saltatio).  Per  esempi  di  rappresentazioni  affini  a  quella  del  o"iaxo( 
su  pezzi  a  rilievo  arcaici,  cfr.  Kekulé,  Die  Terrakotten  voti  Sizilien,  p.  49,  fig.  105. 

I  due  frammenti  si  aggiungono  ai  pochi  e  rari  pezzi  a  stampo  conosciuti  finora  come  provenienti 
da  queste  estreme  regioni  d'Italia:  ved.  Duhn,  Antichità  greche  di  Cotrone,  del  Lacinio  e  di  altri  siti 
del  Brezio,  in  Notizie  degli  scavi,  1897,  p.  357  seg.,  per  due  altri  frammenti  da  Colle  Mauro,  presso 


REGGIO    DI    CALABRIA 


—    100    — 


REGIONE    III. 


ratura  e  nell'arte,  mi  sono  recentemente  occupato  in  Rivista  Indo-greco-italica  1922  (') 
ed  al  quale  rimando),  e  con  la  testa  di  Alessandro  Magno  nella  nota  imagine  delle  monete 
di  Lisimaco  e  dei  cammei  della  Bibl.  nat.  de  Paris,  più  che  dei  medaglioni  di  Abukir  (2)  ; 


Fio.  10. 


il  vasetto  col  piccolo  etiope,  di  una  naturalezza  straordinaria,  e  raro  anche  in  queste 


S.  Mauro  Roggiano,  stazione  nelle  vicinanze  di  Sibari  ;  Orsi,  Caulonia,  col.  893  sg.  (=  213  sg. 
dell'estratto),  fig.  131,  per  un  frammento  ritrovato  a  Caulonia  stessa  ;  e  Putorti,  Acquisti  del  Museo 
Civico  di  Reggio,  in  «  Bollettino  della  Società  calabrese  di  storia  patria  »,  ITI  (1918),  n.  1-2,  p.  26.  per 
un  altro  pezzo  ancora  proveniente  da  Locri  ;  mentre  per  quelli  arcaici  e  posteriori  di  altre  località, 
ved.  Mirone.  Ceramisti  sicelioti,  «  Miscellanea  di  studi  sicelioti  ed  italioti  in  onore  di  P.  Orsi  »,  p.  60  seg.: 
ivi  bibliografia  precedente. 

(')  VII  (1923),  I-II,  p.  9L  sgg. 

(2)  Per  le  monete  di  Lisimaco  efr.  Imhoff-Bliimncr,  Portràtkopfe  auf  Munzen  hellen.  und 
hellenist.  Volker,  t.  II,  3.  Pei  cammei  della  Bibl.  nat.  ved.  Babeion,  n.  223  e  specialmente  il  n.  224, 
che  con  la  testa  del  nostro  frammento  «  sembra  abbia  molta  affinità  pel  profilo  (particolarmente  della 
linea  del  naso),  per  la  disposizione  della  capigliatura  e  per  l'andamento  del  corno  visibile»  come  ap- 
punto scrive  il  prof.  Minto  in  lettera,  a  me  diretta,  del  30  giugno  1921  (circa  i  cammei  stessi  e  le  mo- 
nete cfr.  quanto  osserva  il  Koepp  in  52"  Winkclmannsprogramm,  1892).  Per  i  medaglioni  di  Abukir, 
ved.  Delbrùck,  Antike  Portràls,  p.  LXII,  n.  60,(1-4).  Per  l'iconografia  d'Alessandro  Magno  riesce  utile 
quanto  leggesi  specialmente  in  Schreiber,  Studien  ùber  d<is  Bildniss  Alexanders  des  Grossen,  Leipzig, 
1903  ;  Bernoulli,  Die  crhaltene  Darstelhmgen  Alexanders  des  Grossen,  1905  ecc.  :    ivi   bibliografìa. 


REGIONE    III.  —    101    —  REGGIO    DI    CALABRIA 


regioni  (')  ;  ed  infine  l'urna  cineraria,  unica  nella  forma  e  nella  funzione  descritte  anche 
quaggiù,  e  forse  non  comune  altrove  (2). 

Vili.   Nei  dintorni  di  Reggio. 

I.  Sepolcro  arcaico  a  cremazione,  nella  borgata  S.  Gregorio.  —  Nel  comune  di  Gal- 
lina, borgata  S.  Gregorio,  contrada  Carrera,  alcuni  anni  addietro,  dissodandosi,  per  la 
piantagione  delle  viti,  lin  terreno  a  pendio,  sovrastante  un  vallonello,  e  di  proprietà 
dei  sigg.  Pietro  Romeo  e  Consolato  Cicciù,  venne  ritrovato  un  cratere  nero  (3)  inte- 

(')  Rinvenuto  dentro  un  serbatoio,  simile  a  quello  su  descritto,  presso  i  fianehj  della  collina  del 
Salvatore,  sovrastante  alla  città,  dove  s'erano  già  verificati  altri  ritrovamenti  :>I}e  Lotejizà,  Notizie, 
1885,  ser.  4»,  voi.  I,  p.  602  ;  Le  scoperte  arch.  II,  p.  10.  Per  un  tipo  molto  simile,  ved.  Wiilte'j/iWe  Typen 
des  figurlich.  Terrakott.il,  p.  450.  n.  5.  Cfr.  pure  Reina  eh  e  Pottier,  Lanécropolede  Myrina,  p.484  sg.  Per 
ogni  specie  di  vasi  a  rilievo  ved.  la  parte  riflettente  all'art.  Vaso,  nel  Dizionario  del  Daremberg. 

(*)  Credo  che  tale  urna  provenga,  se  non  dalle  alture  della  Reggio-Campi,  dove  si  dice  siano 
state  in  passato  rinvenute  delle  urne  (Not.  1892,  p.  488).  certo  dalla  borgata  S.  Caterina,  dove  si  riferisce 
che  furono  rinvenute  delle  «  tombe  (sic)  con  tre  anse  libere  a  testa  di  Grifone  »  [Rii>.  st.  cai.,  X  (1902), 
p.  114].  Quanto  alla  forma,  ricordo  l'analoga  e  coeva  in  fittili  del  Fusco,  di  più  piccole  proporzioni,  non 
ancora,  per  quanto  a  me  risulti,  definitivamente  spiegati  dall'Orsi,  Notizie,  1897,  p.  479  sg.,  fig.  12.  Essa 
ha  affinità  con  quella  dei  noti  lebeti  ed  urne  etnische  (p.  es.  Martha,  Art  étrusque,  p.  107,  fig.  99 
e  p.  464,  fig.  301  ;  Milani,  Il  R.  Museo  arch.  Ai  Firenze,  I,  p.  222,  e  II,  tav.  LXXI;  cfr.  pure  Notizie, 
1896,  p.  313,  fig.  28),  e  delle  note  urne  romane  (p.  es.,  Piranesi,  Raccolta  di  vasi  antichi,  p.  66,  n.  2), 
oltre  che  con  quella  di  egualmente  conosciuti  vasi  greci,  ai  quali  i  primi  sono  raffrontati  dal  Martha 
stesso  (ibid.,  p.  107,  nota  2)  e,  ultimamente,  dal  Karo  (Mitili,  des  deutsch.  arch.  Inst.,  Ath. 
Abth.  XXXXV,  1920  p.  138  sgg.  ;  quivi  bibliografia  prec).  Per  il  caso  di  Reggio,  credo  ad  influenza 
diretta  dalla  Grecia  propria  ed  a  sopravvivenza  di  forma  fino  a  tarda  epoca.  Per  simile  influenza  in 
altro  territorio  della  Magna  Grecia,  cfr.  il  piccolo  lebete  con  protomi  di  grifoni,  nella  tavoletta  votiva 
di  Taranto  riprodotta  dal  Petersen  Mitili,  des  kais.  deutsch.  arch.  Inst.,  Abth.  XII  (1897),  p.  112  sgg., 
fig.  1,  n.  1. 

Dei  frammenti  di  terracotta  sigillata,  noto  che  a  quelli  esistenti  da  tempo  nel  Museo  di  Reggio 
non  si  accenna  dal  Pagenstecher,  Die  Calenische  Relief  Keramik  in  »  Jahrbuch  des  k.  d.  arch.  Inst.  », 
1909,  e  Catena,  ib.,  1912.  Per  esempio  di  impressione  di  medaglioni  su  tale  ceramica  cfr.,  fra  gli  altri, 
Cabrici,  Cuma,  II,  col.  703  :  richiamo  ad  opere  precedenti.  Quanto  alle  appendici  di  braciere  cfr.  ciò 
che  in  proposito,  fra  gli  altri,  osservasi  dal  Walters,  History  of  ancient  pottery,  I,  p.  104  seg.,  tav.  IV, 
figg.  2  e  5  ;  Catalogne  of  the  terracotlas  in  the  British  Museum,  Introd.,  p.  XlX  seg.  e  p.  290  segg. 
Che  altri  frammenti  di  grossi  vasi  a  rilievo  siano  stati  rinvenuti  nei  tempi  passati  in  Reggio  stessa  si 
dedurrebbe  da  quanto  dichiara  il  medesimo  De  Lorenzo,  Notizie,  1883,  ser.  3»,  voi.  XI,  p.  176  ; 
Le  scoperte  archeologiche,  I,  p.  13. 

(3)  Argilla  bruna,  nero-lucida  all'interno  ed  all'esterno,  tranne  la  parte  sottostante  delle  anse  su- 
periori, conservata  nel  colore  dell'argilla  ;  all'attacco  del  piede,  una  fascetta  risaltante.  Misura  in  al- 
tezza m.  0,575  ;  nel  diam.  della  bocca  m.  0,51.  La  forma  è  quella  del  Pottier,  Corpus  vas.  ant.,  Louvre, 
III,  D  e,  tav.  I,  n.  1  sgg.  In  questa  nuova  pubblicazione  l'A.  dichiara  di  conservare  per  questi  vasi 
la  denominazione  di  stile  laconico  o  cirenaico,  perchè  il  problema  posto  per  essi  non  è  ancora  risoluto, 
e  d'altra  parte  potrebbero  esservi  state  due  fabbriche,  l'ima  in  Laconia,  l'altra  in  Cirenaica.  Quivi 
stesso  è  riportata  la  bibliografia,  alla  quale  rimando.  Credo  intanto  necessario  far  sapere,  nella  presente 
nota,  che  presso  il  Museo  civico  di  Reggio  conservasi  una  ragguardevole  raccolta  inedita  di  minuscoli 
crateri  congeneri,  coevi  e  posteriori  al  primo.  La  differenza  è  soltanto  nelle  anse,  le  quali  negli  ultimi 
sono  semplici,  invece  che  doppie,  e  nella  vernice  che  generalmente  presentasi  non  in  quel  nero  che  si 


REGGIO   DI   CALABRIA  —    102    —  REGIONE    III. 


ramente  verniciato,  con  dentro  le  ceneri  del  morto,  che  furono  disperse,  e  di  più 
un  anello  d'oro  ed  un  manico  di  patera  configurato,  di  bronzo,  i  quali,  naturalmente, 
furono  raccolti  e  conservati  insieme  coll'anfora  stessa.  Gli  oggetti  recuperati  dal 
Museo  civico,  sono  stati  ad  esso  dal  Ministero  affidati  in  deposito,  su  proposta  del 
Soprintendente  agli  scavi  prof.  Orsi,  che  già  per  l'anello  aveva  emanato  la  notifica 
d'importante  interesse  al  sig.  Romeo  predetto. 

L'anello  (fig.  1 1),  dal  cerchio  tondo  e  massiccio,  reca  incisa  —  come  vedesi  dall'  in- 
grandimento dato  alla  fig.  detta  -  sul  castone  ovale  una  figura  muliebre  alata,  di  tre 
quarti  verso  sinistra,  vestita  di  chiton  e  d'himation,  sollevante 
con  la  destra  un  lembo  del  chiton  stesso  e  reggendo  con  l'altra 
mano,  anche  protesa,  un  ramo  d'ulivo  o  di  lauro.  I  capelli,  a 
massa  unica,  raccolti  su  la  nuca,  sono  cinti  da  tenia,  e  l'abito 
ed  il  portamento  della  figura  richiamano  i  tipi  femminili  votivi 
del  V  secolo.  Ciò  che  più  mporta  notare  in  questa  figura  è  il 
doppio  paio  di  ali  di  cui  essa  è  fornita  (l'uno  piantato  sugli  omeri, 
di  profilo;  l'altro  sui  fianchi  di  prospetto:  in  entrambi  con  le 
estremità  ricurve).  Evidentemente  ci  troviamo  davanti  a  un  pro- 
dotto industriale,  di  fattura  finissima,  derivato  dall'arte  ionica; 
FiQ-  11.  e  forse,  più  che  (lavanti  all'imagine  diKike,  siamo  di  fronte  a  quella 

di  Athena-Fike,  del  quale  soggetto  mi  sono  io  stesso,  a  proposito 
di  un  altro  anello  reggino,  occupato  in  Neapolis,  I,  2,  p.  128    e  seg.,  a  cui  rimando, 
anche  per  la  bibliografia  precedente  (').  Diam.  int.  m.  0,119,  est.  m.  0,125;  peso  gr.  17. 
11  manico  di  patera  è  rappresentato  da  una  delle  note  figure  efebiche  all'impu- 
gnatura, e  da  quella  di  un  cane  superstite  all'attacco  del  lato  sinistro.  Molto  espres- 


osserva  sul  grande  vaso  —  cosa  potuta  dipendere  da  ragioni  varie  —  e  non  ricopre  sempre  l'intera 
superficie  di  ogni  pezzo.  Penso  (e  non  da  ora)  per  tutti  questi  vasi  (come  per  altri  raccolti  nel  locale 
Museo  civico  stesso,  nella  presente  nota  ed  altrove  descritti,  oppure  ancora  sconosciuti)  alla  possibi- 
lità di  fabbriche  già  esistite  sul  posto,  ricco  di  terreni  argillosi,  nel  medesimo  modo  avvenuto  per  le 
magnifiche  terracotte  ed  i  rinomati  laterizi,  abbondantemente  e  sicuramente  prodotti  in  Reggio.  Anche 
il  dott.  Rumpf,  il  quale  testé  ha  visitato  il  nostro  Museo  civico,  e  mi  hi  segnalato  altri  pezzi  simili  al 
sopra  descritto  cratere,  siccome  conservati  nella  vicina  Sicilia  ed  altrove,  così  pensa.  Di  più,  a  propo- 
sito di  fabbriche  ceramiche  in  Reggio,  oggi  un  altro  giovine  dotto  straniero,  che  pure  ha  testé  visitato 
le  raccolte  locali  (il  dott.  Langlotz),  manifesta  l'opinione  che  l'abbondante  produzione  dei  vasi  calci- 
desi, rappresentata  da  circa  duecento  frammenti  diversi  presso  il  Museo  civico  reggino  (i  più  insigni 
sono  i  due  da  me  già  illustrati  in  Rivista  indn-greco-italica,  Ioc.  cit.),  sia  avvenuta  sul  luogo  stesso.  Egli 
vi  trova  particolarità  di  stile  comune  anche  alle  terracotte  ed  alle  monete  locali,  oltre  che  particolare 
maniera  di  ornamentazione.  Certo  è  che,  rispetto  alla  produzione  cretacea  vascolare,  Plinio  sognala 
insieme,  per  l'Italia  meridionale,  due  città,  già  di  fondazione  calcidese  (Reggio  e  Cuma),  nel  noto  p:isso 
della  N.  H.  XXXV,  46,  5  (ed.  Firmin-Didot),  che  dice  :  «  Nobilitantur  iis  oppida  quoque  ut  Regium 
et  Cumae  ».  Il  che  potrebbe  confermare  l'ipotesi  a  favore  di  Reggio,  che  quivi  non  solo  in  epoca  tarda, 
ma  anche  precedentemente  sia  potuta  fiorire  un'industria  indigena  vascolare.  A  ogni  modo,  la  questione 
merita  essere  convenientemente  studiata,  e  sarebbe  grande  conquista  per  la  scienza,  se  essa  potesse 
venire  risoluta  a  vantaggio  di  un  centro,  per  altre  ragioni,  notoriamente  evoluto  molto  nell'antichità. 
(')  Cfr.  pure  Macchioro,  Dionysia&i,  Estrattò  dagli  «  Atti  della  R.  Accademia  ardi.  lett.  belle 
arti  »,  nuova  serie,  VI  (1917),  p.  25  sgg. 


REGIONE    III.  —    103    —  ROSARNO 

sivo  quest'ultimo,  con  la  riproduzione  finanche  del  collarino.  La  parte  rispondente  al- 
l'attacco è  ripiegata  in  giù,  per  l'azione  prodotta  dal  fuoco,  che,  per  altro,  ha  danneggiato 
alquanto  l'intera  superficie  (').  Misura  in  alt.  m.0,17.  Assegno  tale  sepolcro  ai  principii 
del  sec.  V. 

IL  Sepolcro  ad  inumazione  nella  borgata  S.  Caterina.  —  In  questa  borgata,  pra- 
ticandosi gli  scavi  per  la  variante  della  ferrovia,  fu  incontrato  un  primo  gruppo  di 
sepolcri,  che,  all'infuori  di  uno,  rimasero  devastati. 

Avvertito  dallo  stesso  impresario  dei  lavori  per  assistere  all'esplorazione  di  que- 
st'ultimo sepolcro,  mi  recai  sul  posto  e  constatai,  che  esso  consisteva  in  un'ampia  cassa 
di  grossi  mattoni,  coperta  da  tre  paia  di  grandi  tegole,  che  erano  in  parte  cadute  dentro 
ed  in  parte  fuori  della  tomba.  Di  queste  tegole  le  coppie  estreme  erano  congiunte  e  ter- 
minanti in  frontone.  Le  tegole  esterne  medesime  erano  internamente  rinforzate  da 
sostegni  d'argilla  triangolari,  e  tutte  recavano  presso  gli  orli  inferiori  un  incastro  per 
la  perfetta  adesione  alla  cassa. 

Dentro  vi  notai  il  solo  scheletro,  e  nel  campo  degli  scavi  qualche  capitellino  fittile 
corinzio,  di  quelli  soliti  a  ritrovarsi  in  sepolcri  reggini,  che  fu  donato  al  Museo  insieme 
con  le  tegole.  Ne  informai  con  due  lettere  distinte  la  Soprintendenza  archeologica  di 
Siracusa.  Merita  esser  rilevata  la  forma  del  coperchio  di  questa  tomba,  che  è  la  prima 
a  presentarsi  così  in  Reggio.  Misura  del  sepolcro  m.  2,31  X  100  (2). 

N.  Putortì. 


XV.  ROSARNO  —  Scoperta  di  monete  malmenine  e  brezzie. 

In  Rosarno,  l'antica  Medma,  questi  anni  scorsi,  furono  fatti  dei  nuovi  acquisti  da 
parte  del  locale  Museo  civico,  dei  quali,  come  degli  acquisti  e  scoperte  precedenti,  fu  pub- 
blicato dalla  Direzione  dell'Istituto  un  primo  articolo  divulgativo  in  una  rivista  locale  (3). 

Tempo  addietro,  a  questa  Direzione  stessa  venne  segnalata  da  certo  Giovanni  Ser- 
reti,  da  Rosarno,  la  scoperta  di  un  ripostiglio  di  monete  di  bronzo  colà  stesso  avvenuta, 
in  località  detta  Li  Greci.  Il  Serreti  dichiarò  che  i  pezzi  erano  circa  un  centinaio,  e  di 
essi  fece  vedere  soltanto  alcuni  noti  esemplari  mamertini  e  brezzii,  mediocremente  con- 
servati, aggiungendo  che  a  questi  erano  simili  i  rimanenti. 

N.  Putortì. 

(')  Come  tipo  di  manico  di  patera  con  figure  di  animali  all'attacco  (tralascio  quelli  di  specchi), 
cfr.,  p.  es.,  De  Ridder,  Bronz.  trouvés  sur  l'acrop.,  II,  n.  725  sg.  ;  Gabrici,  op.  cit.,  II,  col.  556  seg., 
tav.  LXXVI,  n.  1  :  Babelon  e  Blanchet,  Cai.  des  bronz.  ant.,  p.  579,  fig.  1428;  e  per  un  pezzo  prove- 
niente dalla  Calabria  —  forse  dalla  stessa  provincia  di  Reggio  —,  Cafici,  Manico  dì  tegame  in  bronzo 
della  Calabria,  «  Archivio  storico  della  Cai.  »,  III  (1915),  4,  p.  388  sgg.  Del  nostro  manico  e  di  altri 
oggetti  in  bronzo  conservati  nel  Museo  civico  locale  mi  occuperò  particolarmente  altrove. 

(!)  Mentre  per  la  Sicilia  si  conosce,  p.  es.,  il  coperchio  affine  in  Orsi,  Camarina,.  col.  241  seg. 
(=  29  dell'estratto),  fig.  31. 

(3)  Albania,  VI  (1922),  n.  3,  p.  209  sgg. 


CITTANUOVA,    SALINE    JÓNICHE  —    104    —  REGIONE    III. 


XVI.  CITTANUOVA  —  Scoperta  di  monete  bizantine. 

Anche  tempo  addietro,  a  questa  medesima  Direzione  del  Museo  venne  segnalata  da 
certo  Arcangelo  Piromalli,  del  paese  stesso,  la  scoperta,  in  Cittanuova,  di  monete 
bizantine  di  bronzo,  delle  quali  egli  fece  vedere  soltanto  qualche  noto  esemplare, 
mediocremente  conservato,  di  Leone  VI  e  di  Teodora,  figlia  di  Costantino  Vili. 

N.  Putortì. 


XVII.  SALINti  JONICHE  —  Scoperte  varie. 

Da  Saline,  contrada  Vasi,  territorio  dell'antica  Leucopetra,  vennero  acquistati  dei 
piccoli  oggetti  di  antica  scoperta,  dei  quali  fu  dato  conto  in  altra  rivista  locale  ('),  con 
l'avvertenza  che  da  quel  sito,  e  non  da  1  ocri,  proviene  la  stela  che  l'Orsi  ha  pubblicato 
in  queste  Notizie  (1909,  p.  324  sgg.,  fig.  4  seg.)  ed  il  Toscanelli  (Le  origini  italiche,  I,  p.  558, 
fig.  158)  ha  dopo  riprodotto  (2).  Dalla  medesima  località  di  Saline,  a  mezzo  del  sig.  Vin- 
cenzo Barbaro,  agricoltore  del  paese,  fu  posteriormente  acquistato  un  m.  br.  di  Traiano, 
erratico  ma  molto  bene  conservato,  con  la  testa  dell'imperatore  laureata  a  destra  e  la 
leggenda  IMP  -CAES-  NERVA  TRAIAN  AVG  GERM  P  M;  mentre  nel  rovescio  è 
riprodotta  la  figura  della  Pace  (3),  seduta  a  sin.,  con  un-  ramo  nella  mano  destra  protesa, 
lo  scettro  appoggiato  sul  braccio  sinistro,  e  la  leggenda  TR  POT  COS  III!  P  P  S  C  (4). 

N.  Putortì. 


(')  Bollettino  della  Società  calabrese  di  storia  patria,  II1-V  (1919-20),  p.  91  sg. 

(*)  La  pubblicazione  di  detta  stela  e  di  altri  oggetti  rinvenuti  nella  medesima  località  di  Saline  era 
già  apparsa  per  opera  d'un  erudito  reggino,  in  Rivista  storica  calabrese,  XII  (1904),  p.  227  sgg.  Fra  i 
detti  oggetti  il  più  importante  è  un  elegantissima  colonnina  dorica  in  arenaria  compatta,  con  piccola 
incavatura  rettangolare  su  l'abaco,  nella  quale  era  fisso  il  voto.  Segnalo  anche  qui  la  necessità  di  con- 
durre uno  scavo  razionale  sul  posto. 

(3)  Credo  che  tale  figura  sia  piuttosto  della  Pace  che  non  della  Giustizia,  quale  pure  è  ritenuta 
da  altri. 

(4)  Pel  tipo  cfr.  Cohen,  Mon.  impér.,  II,  n.   636. 


REGIONE  HI.  —  105  —  MOTTA  SAN  GIOVANNI 


XVIII.  MOTTA  SAN  GIOVANNI  —  Scoperta  di  monete  bizantine. 

In  Motta  S.  Giovanni  fu  ritrovato  un  peculio  di  sedici  pezzi  di  bronzo  bizantini,  che 
dal  contadino  Giovanni  Azzarà  fu  ceduto  a  questo  Museo  civico.  Di  essi  pezzi,  undici 
appartengono  a  Teodora,  figlia  di  Costantino  VIII  (11  gennaio  1055-31  agosto  1056), 
due  ad  Isacco  I  Comneno  (31  agosto  1057-25  dee.  1059),  tre  a  Costantino  X  (5  dee.  1059- 
maggio  1067).  I  pezzi  di  Teodora  esibiscono  da  un  lato  la  parte  superiore  della  figura 
di  Cristo,  barbato,  in'piedi,  di  prospetto,  con  nimbo  cr.  ed  una  pallina  su  ciascun  lato  della 
croce,  con  indosso  tunica  e  mantello,  la  mano  destra  in  atto  di  benedizione,  la  sinistra 
con  il  libro  degli  evangelii,  ornato  di  palline  su  la  copertina  ;  nel  campo  IC  •  XC.  Intorno 
la  leggenda  +  GMMA.-NOVHA,  e  ai  bordi  giro  di  puntini.  Sul  rovescio  recano  una  croce 
composta  di  palline  e  fiancheggiata  da  un'altra  pallina  all'estremità  di  ciascun  lato  ; 

negli  angoli  della  croce  stessa,  la  leggenda  [~  *7\  Intorno,  giro  di  puntini  (1).  I  due 

pezzi  di  Isacco  I  Comneno  recano  da  una  parte  il  busto  di  Cristo,  barbato,  di  faccia, 
con  nimbo  cr.,  ornato  di  due  palline  su  ciascun  lato  della  croce,  con  tunica  e  mantello, 
col  libro  degli  evangelii  fra  le  due  mani,  decorato  da  cinque  palline  su  la  copertina  ;  nel 
campo   IC  •  XC  ;  all'orlo,  giro  di  puntini.  Sul  rovescio 

-  +  - 
l  S  x  e 

basile 
basii' 
-o-(») 

Le  tre  monete  di  Costantino  X  presentano  da  un  lato  Cristo,  barbato,  seduto  di  fac- 
cia sul  trono,  con  spalliera  a  bracciuoli  diritti,  nimbo  cr.,  ornato  di  una  pallina  su  ciascun 
lato,  con  tunica,  mantello  e  libro  degli  evangelii  tra  le  mani,  decorato  da  cinque  palline 
su  la  copertina.  Nel  campo  IC-XC;  intorno,  circolo  di  puntini.  Sul  rovescio,  come 
i  pezzi  precedenti  (3).  In  generale,  non  buona  conservazione.  Alcuni  pezzi  sono 
ribattuti  su  conii  precedenti. 

N.  Putortì. 

(')  Wroth,  Calai,  of  the  lyzant.  coins,  II,  p.  507,  tav.  LX,  n.  6. 
(•)  Ib.,  p.  613,  tav.  LX,  n.  15. 
(3)  Ib.,  p.  516,  tav.  LXI,  n.  6. 


Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  14 


CATANIA 


—    Ì06   — 


SICILIA 


SICILIA. 

XIX.  CATANIA  —  Scoperte  nell'area  del  nuovo  palazzo  delle  Poste. 

Negli  ultimi  mesi  dello  scorso  anno,  essendosi  iniziati  i  lavori  per  la  costruzione  del 

nuovo  palazzo  delle  poste  in  quell'area  che  è  compresa  tra  il  lato  meridionale  del  giar- 


i      fi 

1   lui 
hrjtì 

'   "J 


FlG.    1. 


dino  Bellini  a  nord,  la  via  S.  Euplio  ad  ovest  e  la  via  Stesicorea  ad  est,  allo  scopo  di 
procedere  all'escavazione  delle  trincee  di  fondazione,  si  dovette  demolire  il  fabbricato 
Majorana  che  sino  a  quest'epoca  sorgeva  in  quel  sito. 

Nell'abbattere  i  muri  del  piano  terreno  di  quest'ultimo,  si  incontrò  una  solida  fab- 
brica di  origine  sicuramente  antica,  quadrilatera  ed  incorporata  poi  nel  palazzo  Majo- 
rana, dove  era  stata  adattata  a  scopo  di  deposito  di  carboni  (fig.  1 ,  A).  Le  mura  di  essa,  che 
si  elevavano  per  un'altezza  complessiva  di  m.  4  dal  piano-terra  del  palazzo  Majorana, 


SICILIA 


—  107  - 


CATANIA 


presentavano  una  sola  apertura  sul  lato  occidentale  ed  erano  chiuse  in  alto  da  una  vòlta 
sferica,  di  forte  spessore,  mentre,  sotto  il  livello  del  piano  terreno,  proseguivano  per  circa 
cm.  30  e,  poggiando  poi  su  muri  di  impasto  non  diverso  ma  di  ben  più  grande  spessore 
(m.  1,80),  giungevano  sino  alla  profondità  di  m.  3,30. 

L'esterno  del  muro,  più  robusto  sul  lato  ovest,  presentava  le  traccie  di  una  zoccola- 
tura  in  pietra  lavica  costituita  da  bei  conci  regolari  della  grandezza  media  di  m.  0,60  X  0,50, 
in  due  filari  sovrapposti,  alla  base  dei  quali,  dal  lato  interno,  corrispondeva  una  forte 
risega.  La  parte  superiore  dello  zoccolo  terminava  con  uno  smusso  di  accurata  lavora- 


Fig.  2. 


zione,  che  bene  si  può  osservare  nell'annessa  sezione  (fig.  2).  Questo  rivestimento  esterno 
non  si  limitava  al  fianco  occidentale  del  detto  edificio,  ma  seguitava  sul  muro  che  ad 
esso  si  congiungeva  dal  lato  sud. 

Xon  sappiamo,  se  i  muri  di  maggiore  spessore  e  quelli  superiori,  meno  robusti, 
formassero  unico  corpo,  giacché  il  solo  argomento  che  sembra  avvalorare  questa  ipo- 
tesi è  l'analogia  della  tecnica  e  dei  materiali  impiegati  nella  costruzione  (pezzame  lavico 
unito  con  calce)  ;  ma,  ad  ogni  modo,  il  rudere,  tanto  per  le  sue  dimensioni  quanto  per 
la  sua  forma  e  per  la  sua  topografia,  si  raccomanda  all'osservazione  degli  studiosi. 

Questa  costruzione,  che  in  complesso  sembra  raggiungesse  l'altezza  di  m.  7,60  circa 
(i  cui  lati  esternamente  non  misuravano  meno  di  m.  6,50,  ed  erano  inferiormente  adorni 
di  un  rivestimento  analogo,  per  materiale,  cura  di  lavorazione  e  sagome,  ad  alcuni  pezzi 
del  non  lontano  anfiteatro),  è  certamente  della  stessa  epoca  di  quest'ultimo  edificio  (pro- 
babilmente I  secolo  dell'Impero)  e  con  esso  concorda  anche  per  il  livello.  La  destinazione 
originaria  è  però  enigmatica,  soprattutto  per  la  forma  trapezoidale  della  sua  pianta. 

Avrei  volentieri  creduto  si  trattasse  di  una  delle  torri  della  cinta  murale  romana 
(che  non  è  inverosimile  corresse  un  centinaio  di  metri  più  a  nord  dell'anfiteatro),  ma  il 
muro  che  si  parte  dal  lato  meridionale  del  rudere  è  di  troppo  tenue  spessore  (cm.  0,70) 
per  una  destinazione  di  tal  genere. 


CATANIA  —    108    —  SICILIA 

Per  la  forma  irregolare  della  robusta  costruzione,  d'altra  parte,  dubito  parimente, 
e  con  maggior  ragione,  che  possa  trattarsi  di  uno  di  quei  monumenti  funerarii  di  cui, 
in  questa  regione  settentrionale  ed  estraurbana,  si  hanno  alcuni  altri  esempii.  Avanzi 
di  una  sepoltura  con  poche  ossa  si  sono  rinvenuti,  è  vero,  nel  vano  interno  (spazio  x  del 
nostro  rudere)  ;  ma  di  quanto  fosse  rozzo  e  tardo  un  tale  adattamento  dava  testimonianza 
la  pessima  costruzione  del  sottile  muretto  che  divideva  assai  irregolarmente  questo  vano 
centrale.  È  quindi  evidente,  che  in  un'epoca  seriore  si  volle  sfruttare  a  scopo  funerario 
l'antico  edificio  che  si  venne  a  trovare  incluso  nell'ambito  di  una  necropoli  che  nel  III 
e  IV  secolo  d.  Cr.  s'impiantò  in  questa  regione. 

La  maggior  antichità  del  rudere  rispetto  alla  necropoli  è  provata  da  un  altro  fatto  : 
il  basamento  di  quello  era  a  m.  4,46  sul  livello  del  mare,  e  poggiava  sulla  lava  ;  non  così 
tutte  le  tombe,  il  fondo  delle  quali  era  invece,  in  generale,  alla  quota  di  m.  5,65  circa. 
Considerando  che,  tra  le  sepolture,  quelle  ad  un  solo  ordine  erano  alte  m.  1,10  e  quelle 
a  due  ordini  m.  2,20,  si  avrebbe  per  conseguenza,  tra  l' impianto  dell'edificio  romano 
e  quello  della  necropoli,  un  innalzamento  del  livello  del  terreno  (avvenuto  tra  il  I 
e  il  III  secolo  d.  Cr.)  al  minimo  di  m.  3,79. 

Di  altre  costruzioni  non  sepolcrali  dobbiamo  ricordare  una  cisterna  circolare 
(fig.  1 ,  B),  dello  spessore  di  m.  0,60  e  del  diametro  di  m.  2,30,  nel  lato  est  del  rudere 
anzidetto  e  certamente  posteriore,  perchè  poggiava  a  un  livello  di  85  era.  superiore 
a  quello  del  primo.  Le  pareti  di  essa  si  andavano  restringendo  gradatamente  verso 
l'alto,  ed  erano  internamente  intonacate.  A  sud  della  maggiore  costruzione  era  pure 
un  vano  di  pianta  rettangolare  (m.  2,25  X  1,70),  con  muretti  dello  spessore  di  circa 
cm.  30  (fig,  1,  C). 

Passando  alla  necropoli,  notiamo  anzitutto,  che  di  essa  son  venute  alla  luce  due  gruppi 
di  sepolcri;  uno  più  occidentale  (fig.  1,  D),  costituito  da  un  filare  di  undici  tombe  quasi 
contigue,  salvo  un  intervallo  tra  la  ottava  e  le  ultime  tre,  e  disposte,  eccetto  una,  con 
lo  stesso  orientamento  (nord-sud)  ;  ed  un  gruppo  più  orientale  (fig.  1,  E)  con  sepolcri  pog- 
gianti direttamente  su  lava  e  di  grandezza  analoga  ai  precedenti  (luce  m.  1 ,80  X  0,60 
e  1,30  di  altezza).  Le  singole  tombe  erano  composte  di  muretti  di  mattoni,  coperte  talora 
da  lastre  in  laterizio  :  le  quattro  più  meridionali  erano  a  doppio  ordine,  separato  l'uno 
dall'altro  da  lastre  di  pietra  lavica. 

II  gruppo  delle  sei  tombe  orientali,  nel  lato  sud,  si  appoggiava  a  una  specie  di  mu- 
retto di  cinta  (larghezza  m.  0,70)  che  poi  piegava  ad  angolo  retto  verso  nord.  Entro 
questo  piccolo  recinto,  alla  distanza  di  m.  3  dal  gruppo  di  sepolcri,  erano  tracce  di  un  muro 
divisorio  con  una  larga  soglia  in  pietra,  per  cui  si  accedeva  ad  un  piccolo  vestibolo  costi- 
tuito appunto  da  quel  breve  spazio. 

Fu  questo  il  luogo  dove  si  rinvenne  l'unico  modestissimo  documento  epigrafico  : 
una  lastra  marmorea  su  cui,  con  caratteri  che  permettono  di  scendere  certamente  al 
IV  od  al  V  secolo,  era  indicata,  sotto  la  sigla  cristiana,  Vemptio  sepulchri,  menzione  che 
ricorre  qualche  altra  volta  nelle  epigrafi  sepolcrali  di  questo  periodo. 

r  E  P  O  N 

tioy  Aro 

PACIA 


SICILIA  —   109   —  CATANIA 

L'area  comprata  da  questo  rsoórriog  era  evidentemente  quella  occupata  dal  gruppo 
delle  sei  tombe  più  orientali,  gruppo  che  non  sappiamo,  se  continuasse  oltre  al  muro  che 
corre  in  direzione  est-ovest,  o  fosse  da  questo  'imitato. 

La  detta  lastra  di  marmo,  qualche  minuscolo  vasetto  e  poche  lucerne  costituiscono 
lo  scarsissimo  materiale  venuto  alla  luce  in  tale  zona,  e  che  dimostra  l'estrema  povertà 
di  questo  gruppo  cemeteriale. 

Le  sei  tombe  di  regóvno;  erano,  come  abbiamo  detto,  quasi  all'angolo  sud-ovest 
di  un  recinto  che  trova  il  suo  muro  parallelo  (della  medesima  costruzione  e  di  identico 
spessore)  29  metri  più  a  nord  (fig.  1,  F).  Gli  altri  sepolcri,  allineati  sul  lato  ovest,  erano 
invece  addossati  alla  risega  di  un  altro  muro  perimetrale  delle  solite  dimensioni.  Resta 
quindi  insoluto  il  problema,  se  il  piccolo  recinto  che  circonda  le  sei  tombe  orientali  fosse 
originariamente  incluso  in  un  cimitero  maggiore,  formandone  una  sezione,  o  se  esso 
costituisse  il  primo  nucleo  centrale,  intorno  al  quale  si  addensarono  altri  sepolcri,  poi 
limitati  da  nuovi  recinti. 

Ad  ogni  modo,  le  scoperte  di  cui  abbiamo  dato  notizia,  oltre  a  sollevare  l'interessante 
questione  della  destinazione  del  rudere  d'epoca  imperiale  e,  conseguentemente,  dell'esten- 
sione della  città  romana  da  questo  lato,  aggiungono  un  piccolo  contributo  alla  nostra 
conoscenza  sulle  tarde  necropoli  cristiane  che  recingevano  la  città  del  lato  settentrionale. 

Alcune  antiche  iscrizioni  che  leggiamo  nel  Kaibel,  ci  avevano  indicato  i  gruppi  sepol- 
crali cristiani  più  orientali  :  quelli  della  chiesa  del  Carmine.  Antiche  e  recenti  scoperte 
ce  ne  indicarono  altri  sul  lato  orientale,  in  contrada  S.  Maria  di  Gesù  e  sotto  la  chiesa  della 
Mecca.  Questi  che  vengono  oggi  alla  luce,  costituiscono  il  gruppo  centrale  che,  se  non  ha 
relazione  con  quelle  tracce  di  necropoli  rinvenute  anni  or  sono  nella  via  degli  Archi,  po- 
trebbe riannodarsi  con  quella  specie  di  «  catacombe  »  che  il  Ferrara  descrive,  situate 
a  tramontana  di  S.  Euplio,  nella  strada  che  da  questa  regione  conduceva,  ai  suoi  tempi, 
alla  chiesa  del  Carmine. 

E  chiudiamo  queste  notizie  con  una  osservazione  che  potrà  avere  un  certo  inte- 
resse per  la  geologia  catanese.  La  zona  in  cui  sono  avvenute  queste  scoperte,  come  quella 
situata  immediatamente  a  nord  di  essa,  era  nota  come  un'  isola  di  terreno  arenario  in 
mezzo  alle  lave  circostanti.  Con  lo  scavo  delle  fondazioni  che  han  dato  luogo  ai  nostri 
rinvenimenti,  essendosi  dovuta  raggiungere  una  considerevole  profondità,  si  è  potuto 
costatare  la  presenza  di  un  poderoso  banco  di  antiche  lave  che,  venendo  da  nord,  scen- 
deva dalla  quota  di  m.  3  sul  livello  del  mare  a  m.  1,20  sul  lato  ovest,  per  poi  risalire 
a  circa  4  metri  più  a  sud  e  raggiungere  i  6,  là  dove  si  trovava  il  gruppo  delle  tombe  orien- 
tali: una  vera  ondata  di  lava  su  cui,  con  l'andare  dei  secoli,  si  era  addensato  l'alto  strato 
di  terreno  arenario  ed  alluvionale  che  sopra  dicevamo. 

G.  Libertini. 


CAGLIARI  —    110    —  SARDINIA 


SARDINIA. 

XX.  CAGLIARI  —  Inscrizioni  di  età  cristiana  rinvenute  nella  chiesa 
di  S.  Saturnino,  ora  SS.  Cosma  e  Damiano. 

La  chiesa  ora  dedicata  ai  SS.  Cosma  e  Damiano  e  con  la  più  antica  designazione  a 
S.  Saturno,  poi  a  S.  Saturnino,  a  Cagliari  e  fra  le  più  antiche  ed  interessanti  costruzioni 
preromaniche  della  Sardegna.  Situata  all'estremità  occidentale  della  città,  di  fronte 
alla  collina  cimiteriale  di  Bonaria,  in  area  archeologica  importante  per  avanzi  di  Roma 
imperiale  e  di  periodo  cristiano,  in  un  ambiente  suggestivo  dalle  vaghe  caratteristiche 
orientali,  richiama  vivamente  l'oriente,  con  le  linee  peculiari  della  sua  cupola  bizantina, 
impostata  sul  rigido  basamento  eubico,  delle  navate  e  dell'abside  decorate  dalla  sobria 
cornice  di  archetti  romanici.  Ma  se  l'aspetto  suo  è  così  pittoresco  e  suggestivo,  gravi 
incertezze  si  affacciano  allo  studioso  che  voglia  farsi  un'idea  della  struttura  originale 
e  delle  successive  modificazioni  da  essa  subite,  e  cercare  da  questo  esame  della  struttura 
e  delle  forme  architettoniche  una  conferma  alle  notizie  storiche  che  si  riferiscono  a  que- 
sto edifìcio,  e  si  collegano  alle  antiche  vicende  della  chiesa  e  del  Giudicato  cagliaritano. 

A  questo  insigne  monumento  architettonico,  per  non  dire  di  altri  studiosi  che  lo 
hanno  preceduto,  dedicò  la  sua  attenzione  il  chiaro  collega  arch.  ing.  Dionigi  Scano,  nella 
sua  «  Storia  dell'arte  in  Sardegna  dal  sec.  XI  al  XIV»  ('),  raccogliendo  le  notizie  storiche 
di  più  sicura  attendibilità,  e  studiando  il  complesso  di  elementi  architettonici  costituenti 
la  chiesa. 

Egli,  esaminata  la  struttura  dell'edifìcio,  quale  oggi  si  presenta,  immagina,  che  esso 
risulti  da  costruzioni  succedentisi  in  epoche  diverse,  spiegando  in  questo  modo  le  discor- 
danze che  si  ravvisano,  specialmente  nella  decorazione,  tra  le  varie  parti  dell'edifìcio. 
La  chiesa  venne  eretta,  egli  pensa,  in  area  di  catacombe  cristiane,  e  questo  spiega  le 
numerose  inscrizioni  cristiane  ivi  esistenti,  e  fra  queste,  il  sarcofago  del  vescovo  Boni- 
fatius. 

A  questa  antica  chiesa  appartenne  la  parte  centrale,  con  i  quattro  massicci  pilastri 
sostenenti  la  cupola  e  la  navata  del  presbiterio,  anche  oggi  esistente,  coperta  da  vòlta 
a  botte.  P^gli  pensa,  che  a  ciascuna  delle  quattro  arcate  poggianti  sui  quattro  pilastri 
della  cupola  fosse  aggiunta  un'altra  navata  uguale  a  quella  tuttora  esistente,  e  si  avesse 
la  tipica  chiesa  a  pianta  di  croce  greca  con  cupola  centrale.  Questa  pianta,  confermando 
le  decorazioni  delle  mensoline  decoranti  i  pennelli  della  cupola,  deriverebbe  dalla  tec- 
nica e  dall'arte  bizantina. 

La  vòlta  a  botte  della  maggiore  navata  esistente  non  è  mai  usata  in  Sardegna  da 
costruttori  romanici,  e  d'altra  parte  il  concatenamento  costruttivo  di  questa  con  i 
pilastri  della  cupola  indussero  lo  Scano  a  ritenere,  che  queste  due  parti,  cupola  e  navata, 
fossero  coeve,  e  gli  attacchi  tuttora  evidenti  alle  altre  tre  arcate  della  cupola  l'inducono 

(')  Biblioteca  storica  sarda,  voi.  I,  1907,  p.  39-49. 


SARDINIA  ">     —   111    —  CAGLIARI 


nella  convinzione,  che  anche  le  tre  navate  corrispondenti  fossero  parimenti  dello  stesso 
periodo  e  del  medesimo  getto,  in  modo  che  la  cupola  e  la  navata  che  oggi  vediamo  sareb- 
bero le  parti  tuttora  esistenti  della  primitiva  chiesa.  Le  navate  laterali,  invece,  con  le 
rozze  colonne,  le  vòlte  a  crociera  e  la  decorazione  esterna  ad  archetti,  sono  aggiunte  ro- 
maniche, fatte  all'epoca  della  solenne  riconsacrazione  della  chiesa,  di  cui  abbiamo  me- 
moria nel  1119. 

Rimangono  tuttora  complete  le  navate  aggiunte  ai  due  lati  della  maggiore  ora 
esistente,  con  i  pilastri  divisorii  composti  da  elementi  di  grandi  colonne  e  paraste  fram- 
mentarie, provenienti  da  edificii  romani,  e  con  le  semicolonne  sporgenti  dai  muri  peri- 
metrali, con  basi  attiche  e  rozzi  capitelli  senza  stile.  Ma  anche  nel  lato  verso  l'ingresso, 
nell'attuale  cortile  che  precede  la  chiesa,  i  muri  perimetrali  hanno  le  semicolonne  con  le 
stesse  basi  e  capitelli  dell'identico  tipo,  che  dovevano,  secondo  lo  Scano,  sostenere  da 
un  lato  le  vòlte  delle  navate  minori  di  questo  braccio  della  croce  greca,  unitamente  con 
i  pilastri  della  navata  maggiore. 

Dopo  l'abbandono  dei  monaci  di  S.  Vittore  di  Marsiglia  (i  quali,  in  seguito  al  predo- 
minio della  Chiesa  pisana,  dovettero  assai  probabilmente  lasciare  l'isola  ed  anche  la 
chiesa  a  loro  donata  nel  1089  dal  Regolo  Costantino  e  confermata  nel  1090  da  Ugone, 
arcivescovo  di  Cagliari),  ruinarono  per  intiero  le  due  braccia  laterali  e  parzialmente  il 
braccio  della  fronte  (di  cui  non  rimasero  se  non  i  muri  perimetrali,  oggi  racchiudenti  il 
cortile),  furono  murate  le  tre  arcate  della  cupola,  fu  aperta  la  porta  in  quella  di  fronte 
ed  intonacati  i  muri,  e  la  chiesa  venne  ridotta  all'attuale  aspetto. 

La  spiegazione  del  chiaro  ing.  Scano  non  precisa  l'epoca  a  cui  si  riferisce  la  strut- 
tura veramente  ardita  e  grandiosa  della  cupola  a  bacino,  sorretta  dai  massicci  pilastri 
e  fregiata  alla  base  dalla  inscrizione  seguente,  preceduta  da  croce  e  chiusa  da  una  figu- 
rina di  colomba  : 

AS     Q.     VII     NCOAS     TIP     ERF     ICE     VSQ_  VEIN     FINE 
Dominus  qui  incoasti  perfice  usque  in  fine 

la  quale  inscrizione,  così  scompartita,  forse  perchè  intercalata  alle  figure  dipinte  nella 
cupola,  può  essere  un  sussidio  alla  datazione  dell'opera  architettonica,  con  un  accurato 
esame  della  grafia. 

Così  pure  incerto  sono  sull'attribuzione  a  due  periodi  di  tempo  diversi  e  lontani  del- 
l'attuale navata  centrale  del  presbiterio  e  delle  due  navatelle  laterali,  che  apparirebbero 
invece  un  tutto  unico  e  contemporaneamente  costrutto,  coi  rudi  pilastri  frammentarii 
reggenti  le  arcate  divisorie  delle  navate  e  le  vòlte  di  quelle  minori.  Non  saprei  immagi- 
nare, come,  massime  in  un'epoca  di  mezzi  meccanici  limitati,  siansi  potute  aprire  nelle 
solide  pareti  laterali  della  navata  maggiore,  in  grossi  blocchi  di  pietra,  delle  arcate  di 
notevole  luce  e  fondarle  su  pilastroni  alla  meglio  composti  con  basamenti  e  rocchi  di 
colossali  colonne  romane,  senza  produrre  non  dico  lo  sfacelo  di  tutta  la  parete,  ma  nep- 
pure la  più  piccola  lesione  in  tutto  l'apparato  del  sovrastante  muro  di  detta  navata. 

Ma  non  è  mio  intendimento,  ne  questo  è  il  luogo,  di  discutere  intorno  a  questo  grave 
problema  architettonico  ed  alle  conclusioni  a  cui  era  giunto  il  chiaro  studioso  dei  monu- 


CAGLIARI  112    SARDINIA 


menti  medioevali  sardi,  tanto  più  che  egli,  posteriormente  alla  sua  pubblicazione,  ha 
intrapreso  nuove  indagini  accompagnate  da  estesi  sondaggi  entro  e  fuori  la  vetusta 
chiesa,  in  seguito  ai  quali  fu  condotto  a  modificare,  in  parte  almeno,  le  sue  conclusioni. 

Mentre  perciò  si  attende  che  di  tali  indagini  sia  dato  il  risultato,  mi  è  grato  porgere 
i  più  vivi  ringraziamenti  al  collega  ing.  Scano,  che  mi  consente  di  pubblicare  un  certo 
numero  di  inscrizioni  e  di  frammenti  che  vennero  in  luce  nelle  esplorazioni  da  lui  compiute, 
e  che  giacevano  alla  rinfusa  nel  terreno  di  riempimento  delle  navate  o  intorno  alla  chiesa 
e  non  avevano  con  essa  alcun  legame,  ma  provenivano  indubbiamente  da  tombe  cristiane 
manomesse  da  gran  tempo,  quando  cioè  furono  eseguite  le  costruzioni  della  chiesa  e  del 
convento  di  S.  Saturnino. 

Questi  materiali  epigrafici  dovettero  essere  portati  alla  rinfusa  entro  alla  chiesa, 
quando  nella  navata  principale  si  costrusse,  ai  tempi  dell'arcivescovo  d'Esquivel,  il  pre- 
sbiterio rialzato,  e  si  rabberciò  la  sottostante  cripta,  elevandosi  anche  il  pavimento  delle 
navatelle  laterali  con  materiali  di  riporto,  nascondendo  così  la  base  dei  pilastri  sostenenti 
le  arcate  e  le  vòlte  e  gli  antichi  avelli  i  quali  dovevano  in  parte  almeno  formare  il  pavi- 
mento primitivo  delle  navatelle  stesse.  Questo  riporto  di  terre  dallo  strato  ricco  di  fram- 
menti di  lapidi  cemeteriali  cristiane  esistente  attorno  alla  chiesa  entro  alla  cripta  dovette 
continuare  anche  dopo  il  riattamento  di  questa,  quando  si  continuò  ad  adoperarla  per 
uso  sepolcrale,  valendosi  anche  di  vecchi  sarcofagi  a  cassone  di  pietra,  tolti  dai  cimi- 
teri cristiani  frugati  e  saccheggiati  tutto  all'intorno. 

Perciò  ho  creduto  conveniente  di  procedere  alla  rinettatura  di  tutta  la  cripta,  per 
ricuperare  materiali  e  frammenti  epigrafici  riferibili  alla  prima  epoca  cristiana  di  Cagliari. 

I  risultati  di  questo  modesto  lavoro,  nel  quale  ebbi  anche  a  compagno  il  chiaro 
dott.  Luigi  Ugolini,  della  scuola  italiana  di  archeologia,  non  sono  del  tutto  inutili,  ed  io 
qui  li  espongo,  dopo  aver  presentati  i  frammenti  epigrafici  raccolti  nella  esplorazione 
eseguita  dalla  Soprintendenza  dei  Monumenti  della  Sardegna. 

N.  1)  Lastra  di  marmo  bianco  di  m.  0,58  X  0,40  ;  spessore  0.045. 

Lettere  abbastanza  regolari,  alt.  0,05.  In  fondo  alla  inscrizione,  foglia  : 

BONEMEMORIEIO 
MISVSCÌJERICVSQ.V 
IBIXITANNISXLVR 
EQVIEVITINPACE 
VXKNOBE 

Nell'altra  faccia  portava  quest'altra  iscrizione,  con  lettere  più  piccole  nella  seconda 
parte  (I  a)  : 

B-M-IONISVS-CLERICVS-Q. 
VI- VIXIT-AMNIS- XLV-DEP 
OSITVS-VX-K-L  NOBE  V- 
B-  M  •  DVLCITIA-QVI-  VIXIT 
ANNIS  •  LXX  •  DEPOSITA 
TER^IDVS-FEBRAS- 

CF.SQVET-IN-PACE  («'e) 


SARDINIA  —   113    —  CAGLIARI 

Evidentemente  nelle  due  faccie  della  lastra  è  ricordata  la  stessa  persona  :  la  lastra 
vTenne  rivoltata,  riscritta  l'inscrizione  con  l'aggiunta  di  quella  della  donna,  forse  la  moglie, 
morta  in  seguito  di  tempo  e  chiusa  nello  stesso  avello.  Si  noti  la  varia  grafia  Ionisus  e 
e  lomisvs,  l'una  e  l'altra  insolite  ;  poco  comune  è  anche  l'appellativo  clerieus  a  designare 
persona  appartenente  al  clero.  Non  mi  ricordo,  altri  esernpii,  almeno  per  la  Sardegna.  Su 
entrambe  le  faccie  il  numero  del  giorno  indicante  la  data  della  morte  di  Ionisus  è  scritto 
VX  e  non  XV. 

Noto  le  scorrettezze  Febras  e  Cesquei,  per  Felmiarias  e  Quiescit,  entrambe  però  non 
senza  confronti  tra  le  inscrizioni  cristiane. 

Dulcitia  è  nome  forse  di  schiava,  abbastanza  diffuso  a  Koma  e  Neapolis,  in  età 
cristiana;  nuovo  in  Sardegna. 

N.  2)  Frammento  d'inscrizione  su  lastra  di  bardilio  (0,27  X  0,30  X0,04): 

IIICIACET  BM  VITALIS 
SIT  ANNISPLsMsXqlQVIEV 
PACESVD'qlIDS  I A  N  VA  RI  A 
HICIACETBM    MV 
SA  QVI  BIXIT  ANNI 
SMINVSXLVREQVIE 
VI/TINPACESDqi  I 
APRILES  IN 

H  nome  Yitalis  è  già  noto  in  altre  inscrizioni  sarde,  di  età  romanav(0. I.  L.,  X, 
n.  7657,  7852)  ;  la  donna  si  chiamava  forse  Musa. 

N.  3)  Frammento  di  lastra  di  marmo  (cm.  40  X  24  X  7)  ;  lettere  separate  da  linee  : 

(sic) 


*  HIC  IACET 

BB 

FAVSTINA   QVI 

BIX 

T  ANPLM  XXII  REQ 

VIEVITIN  PACE 

SVE^ 

II  ID  OCTB  IN  XIIII  0*0 

Il  nome  di  Faustina,  frequente  nelle  inscrizioni  cristiane  dell'Italia  meridionale,  compare 
solo  in  un'inscrizione  di  età  romana  di  Cagliari  (X,  n.  7653). 

N.  4)  Lastra  marmorea  irregolare  di  cm.  45  X  45  X  4.  Anche  le  lettere  sono  molto 
irregolari  e  ineguali,  da  3  a  3.5  cm.  : 

*   HIC  IACET  BM   THED 
OTE  Q.VI  BISSIT  AN 
NIS   PL   MN    X  ql  RE 
Q.VIEBIT  I  N   PACE 
SVB-    VII    KALENDAS 
SEP  T  E  M  B  I  N  ©- 
SECVND   * 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  15 


CAGLIARI  —    114  —  SARDINIA 

H  nome  di  questa  giovinetta  diciassettenne  è  abbastanza  frequente  nelle  inscrizioni 
cristiane  dell'oriente  (cfr.  l'inscr.  egiziana  di  una  Theodote:  Miller,  Inscrip.  grecques...  en 
Egypte,  in  «  Rev.  arch.  »  1883,  n.  203)  ;  credo  che  questo  di  Thedote  sia  una  variante,  se 
non  pure  una  errata  grafia  del  medesimo  nome,  che  si  presenta  anche  in  altra  inscrizione 
cristiana  di  Cagliari  nella  forma  di  Thodote.  (C.  I.  L.,  X,  n.  7630  :   Eusebia  Thodote). 

N.  5)  I  tre  frammenti  seguenti  con  lettere  eguali  per  forma  e  grandezza,  di  una 
grande  inscrizione  sopra  lastra  di  bardiglio,  sembrano  riferirsi  ad  un  medesimo  titolo, 
ma  le  varie  parti  ricuperate  non  mi  danno  un  chiaro  senso  : 

a  b 

LIS     MEMO  R 
C  SITVS  ESTC 
PEREGRINO 
DVM    RICRE 
L    DEP 


PEM 

j  NDE 

h  VMANITA 

VESTROR 

VIXIT   A  N 

DII| 

e 

S  PR  .  . 

VIXIT  A  N 

I  J  II 

Nel  frammento  a)  forse  si  deve  scorgere  il  nome  Peregrinus,  non  insolito  fra  i  nomi 
di  schiavi  ;  nel  frammento  b)  è  forse  il  resto  di  una  invocazione  alla  preghiera  dei  lettori. 

N.  6)  Frammento  di  grosso  lastrone  di  marmo  bianco  (35  X  17  X  10)  con  lettere 
di  cm.  8,  molto  evanide  : 

S  •  E  P I S  C  es  QV 

Il  marmo,  desolantemente  mutilo,  doveva  recare  il  nome  di  un  episcopo,  purtroppo 
perduto  :  esso  doveva  precedere,  come  di  consueto,  alla  indicazione  della  carica.  Anche 
il  titolo  posto  sul  sarcofago  conservato  nella  medesima  chiesa  porta  il  nome  di  Bonifatius 
episcopus,  seguito  dalla  frase  qui  vixit  annis  e  poi  dall'indicazione  degli  anni  di  carica  epi- 
scopale. Il  nostro  frammento  è  troppo  mutilo  ;  solo  ci  conferma,  che  attorno  all'area  della 
chiesa  i  sarcofaghi  e  le  tombe  di  vescovi  e  dignitarii  della  chiesa  caralitana  erano  poco 
distanti  da  quelli  di  altri  membri  della  comunità  cristiana. 

N.  7)  Frammento  di  lastra  di  inalino  ben  lavorata,  presa  da  un  rivestimento  di 
edificio  di  buona  età  romana,  con  elegante  modanatura  (cm.  42  X  40). 

Lettere  molto  trascurate  ;  ali.  cm.  ó  : 

CELIVS  QVI  VIXITA 
VITIN  PACE  XIIII  K 

/UH 
RQVIBIXIT  ANNIS 
FoWVNATVS    Q.VJ  VlXfl 


SARDINIA 


115  — 


CAGLIARI 


Di  questa  serie  di  nomi  frammentarti  potremo  con  qualche  probabilità  riscostrurre 
nell'ultima  linea  quello  di  Fort)unatus,  nome  abbastanza  frequente  fra  i  titoli  di  Caralis. 
(CI. L.,  X,  un.  7655,  7680,  7690,  7698,  7757). 

N.  8)  Frammento  di  lastra  di  marmo  bianco  (cm.  30  X  24  X  3),  scritta  su  due  faccie  : 


RIETUI- 

UM«  Q.U 
NIL  PROD 
PUTATU 
I  N  T 


I  VIXIT 
/GS 

VI  VIXIT 
X\ 


L'inscrizione,  su  una  faccia,  conteneva  certo  una  massima,  ma  quale  fosse  non 
possiamo  ricostrurre  dalle  residuate  parole  nil  prod\esi)...  fulatur. 


N.  9)  Frammento  marmoreo  (cm.  30 
X10X5): 

CA 

VI 

T  LEN 


N.  10)  Frammento  marmoreo  (cm.  20 
X12X6): 

I  E  B  I  T  I  N 
I  VNI AS 


N.  11)  Frammento  marmoreo  (cm.  17 
X18X3): 

LC 
R  E  P  L  E  T 
'TE  NC 


N.  12)  Frammento  marmoreo  (cm.  30 
X  20X10): 

REQ.VIEVIT 


N.  13)  Frammento  marmoreo  (cm.  16  X  12  X  3)  : 

DL 
PACE  D 
III  KA 


N.  14)  Frammento  di  esile  lastra  (cm.  10  Xl5  X2),  con  solchi  incisi  tra  le  linee: 

>b    I N  .  in  nomine  ? 

quid  II  quid... 

SIBI'IV  silique 

pesto 


N.  15)  Frammento  marmoreo  (cm.  8 
X7X4): 

quiev  IT  IN    face 
N  I  A 


N.  16)  Frammento  marmoreo  (cm.  13 
X  10  X  5)  : 


ATVSr 

MQR* 


Fortun]aius  ? 


CAGLIARI 


116 


SARDINIA 


N.  17)  Frammento  marmoreo  (cm.  15 
X  5  X  4)  : 

RO 
SIT 

più     S  M I     nus  ? 
s  Bs  IT 


N.  18)  id.  (cm.  4  X  10  X  3): 


E. 

IVS 
SEXC 
AEAN 
VA>B 


Seguono  ora  i  frammenti  ricuperati  nella  rinettatura  della  cripta  sottostante  al  pre- 
sbiterio, e  che  si  trovavano  alla  rinfusa  in  mezzo  al  terriccio  accumulato  in  seguito  a 
quell'affannosa  ricerca  dì  testimonianze  presunte  del  primato  della  chiesa  caralitana  sulle 
altre  dell'isola,  che  fu  causa  di  tante  esagerazioni  e  falsicazioni  nel  sec.  XVII. 

N.  20)  Il  più  interessante  frammento,  sventuratamente  troppo  mutilo,  è  quello 
appartenente  ad  un  rozzo  pilastrino  in  calcare  locale  ;  si  completa  con  una  scheggia  dello 
stesso  pilastrino,  rinvenuta  negli  scavi  della  Soprintendenza  dei  Monumenti,  eseguiti 
nelle  navatelle  della  chiesa  ;  non  doveva  quindi  provenire  da  molto  lontano.  Dimensione 
della  parte  conservata  cm.  40  X  30  X  20.  Lettere  disuguali  e  di  periodo  tardo  (alt.  cm. 
4-6),  apicate  ma  trascurate: 


i'J»  «(ornine)  d(vmiu.)i  D(e)i 
n(ostr)i  Ih(es)u  Xq(ìs)U  im(munes  ?) 
salinarum 
pertinenl(es) 

Propongo  con  esitazione  di  leggere  immunes  salinarum,  ai  quali  possa  aver  appar- 
tenuto un'area  comune  nel  cimitero  cristiano.  Nella  lamentata  brevità  dell'epigrafe,  che 
non  mi  consente  più  ampie  indagini,  dobbiamo  tuttavia  constatare  come  in  periodo  tanto 
tardo,  forse  nel  VI  secolo,  vi  sia  ancora  il  ricordo  delle  salirne  di  Carales,  a  cui  già  si  rife- 


SARDINIA  —    117    —  CAGLIARI 


risce  una  menzione  assai  più  remota,  quella  della  inscrizione  trilingue  di  Pauli  Gerrei 
(0.  /.  L.,  X,  n.  7856)  che  ricorda  il  salarius  sociorum  tennis.]  11  lavoro  delle  saline  durò 
quindi  tutta  l'età  romana,  favorito  dalle  speciali  condizioni  del  litorale  e  del  clima 
cagliaritano.  Tra  gli  schiavi  addetti  alle  saline  ed  anche  fra  gli  ufficiali  e  impiegati  che 
attendevano  ai  penosi  ed  umilianti  lavori  del  sale  si  formarono  presto  comunità  cristiane, 
delle  quali  la  mutila  inscrizione  ci  dà  un  cenno  troppo  incerto  ed  incompleto. 
X.  21.  Lastra  marmorea  (cm.  17  X  30  X  4): 

P 

IMOVIX 
VI-D-XET/ 
\E   Q-  VIX 
«•VDjXI 

S-ALVMNVS 
SSIMIS 

Appartiene  all'inscrizione  funeraria  posta  da  un  alumnus  ai  cati]ssimis  parenti  adot- 
tivi. È  questa  una  nuova  prova  dell'addolcirsi  delle  condizioni  morali  di  questi  adottivi 
aitarmi,  in  età  romana  assai  dure  e  simili  a  quelle  di  schiavo  (De  Rossi,  Bull.  ardi,  crisi. 
1866,  p.  24,  n.  3,  nota  85)  un  ahmmo  quem  amavit  teneriter  è  ricordato  in  una  inscrizione 
del  Museo  Laterano  (De  Waal,  Ròm.  Qnartalsehr.  1898,  p.  345,  n.  47-48)  ('). 

N.  22)  Piccolo  frammento  di  lastra  marmorea  (lettere  trascurate): 

ANNIS  VII 
IANVARIVS 

Il  cognome  Ianuarius  non  è  nuovo  fra  i  titoli  caralitani  di  età  romana  (C.  I.  L.,  X, 
n.  7593)  e  nei  miliarii  della  via  Caralis-Olbia,  dell'imp.  Licinio  e  di  Costantino  (C.  I.  L.,  X, 
nn.  7974,  7975.  E.  E.  Vili,  u.  783),  e  ricompare  nei  primi  secoli  del  medioevo,  dato 
all'illustre  presule  caralitano,  a  cui  sono  indirizzate  le  celebri  lettere  del  grande  pontefice 
Gregorio  Magno. 

N.  23)  Lastra  marmorea  (cm.  17  X  9  X  3): 

RECRE 

lAECEPTv 

TIV 

Si  può  pensare  ad  un  Raeceptus,  che  appare  anche  nei  titoli  caralitani  di  buon  periodo 
Gabinius  Receplus,  (C.  I.  L.,  X,  n.  7599). 

N.  24)  Due  frammenti  ricomposti  in  marmo  bardiglio  (cm.  23  X  12  X  2). 

I L  •  V  1  D        uà? 
RElViEBITiNPACe 
k  lendaS  IVNIAS  INDITIOwis 

(l)  Cfr.  P.  Syxt,  Notiones  archaeol.  chrislianae,  1909,  II,  2,  p.  234. 


CAGLIARI  —    118    —  SARDINIA 


Dato  lo  stato  frammentario,  posso  solo  dubitare,  che  abbiamo  qui  il  ricordo  di  una 
vidua,  consacrata  al  culto  del  Signore,  che  spesso  ricorre  in  inscrizioni  cimiteriali  di 
Roma  e  di  altri  luoghi  (De  Kossi,  Bull.  meli,  ekrist.  1886,  p.  9;  P.  Syxt,  op.  cit.,  II, 
n.  210). 

Di  molti  altri  frammenti  recanti  solo  poche  lettere  non  è  il  caso  di  fare  qui 
cenno. 

11  contributo  di  notizie  dato  da  questo  gruppo  di  inscrizioni  e  di  frammenti  è  assai 
scarso.  Abbiamo  raccolto  alcuni  nomi  personali  (Imiisus  n.  1  ed  1  a  ;  Dulcitia  e  Vikdis, 
n.  2  ;  Faustina,  n.  3  ;  Thedoie,  n.  4  ;  Peregrinus,  n.  5  ;  Fortunalus,  n.  7  ;  Ianuarim, 
n.  22,  forse  un  Raeceptus,  n.  23)  ;  il  ricordo  di  un  episcopus  (n.  6)  forse  di  un  clericus 
e  di  un  alumnus  (n.  21),  e  probabilmente  di  una  vidua  (n.  24)  ;  soprattutto  interessante 
è  il  ricordo  delle  salirne  (n.  20)  e  di  una  riunione  o  società  di  schiavi  forse,  o  liberti  o 
in  genere,  addetti  al  loro  servizio,  collegati  in  un  atto  che  non  sapremo  precisare,  ma 
è  probabilmente  la  consacrazione  di  un'area  sacra  o  di  una  tomba  nel  nome  del  Signore. 
Scorrettezze  nella  grafia  e  nella  forma  delle  lettere  e  nelle  forme  grammaticali  ricorrono 
qua  e  là  nelle  inscrizioni  frammentarie,  e  più  ne  potremmo  notare,  se  il  tempo  e  la  distru- 
zione non  avessero  così  mal  ridotte  queste  inscrizioni.  Ma  forse  anche  questa  rabbiosa  fran- 
tumazione di  tutte  queste  epigrafi  ha  anch'essa  una  significazione  storica  :  è  l'espres- 
sione violenta  di  una  volontà  nemica,  di  una  distruzione  sistematica  ;  forse  in  qualcuna 
delle  scorribande  vandaliche  o,  più  tardi,  saracene,  il  cimeterio  cristiano,  situato  a  poca 
distanza  dal  porto  e  fuori  dalle  difese  del  castello,  dovette  subire  una  terribile  distru- 
zione che  lo  sconvolse,  e  ne  rovinò  monumenti,  tombe  e  gli  esteriori  loro  segni.  Anche  la 
ricerca  delle  reliquie  dei  corpi  dei  martiri  che  venne  intrapresa,  più  di  una  volta  e  con 
un  accanimento  interessato,  per  parte  dei  difensori  del  primato  della  Chiesa  caralitana 
su  tutte  quelle  dell'isola,  dovette  concorrere  a  questa  dolorosa  mina,  di  cui  appunto 
è  testimonio  lo  stato  miserando  di  questi  frammenti.  A  questo  periodo  secentista  della 
ricerca  dei  corpi  dei  martiri  caralitani,  del  rovistamento  delle  antiche  tombe  ed  anche 
di  imitazioni  imperite  delle  vetuste  inscrizioni  in  lapidi  mortuarie  del  tempo  ed  anche, 
talora,  di  ingenui  falsi  epigrafici,  appartiene  anche  un  frammento  di  lastra  marmorea, 
trovato  in  mezzo  alla  terra  della  cripta,  che  con  piccole  lettere  irregolari  reca  l'inscri- 
zione funeraria  della  bona  sancta  memoria  di  un  Dominus  Ludovicus  Galtas: 

><U   HICIACÌBSMIED 
\J    LVDOVICSGAL 
55  S  MR 

Riporto,  qui,  anche  questa  modesta  ed  insignificante  inscrizione,  come  esempio  di 
quell'influenza  singolare  che  sui  lapicidi  dell'epoca  secentista  esercitarono  le  numerose 
lapidi  di  tempi  cristiani,  esumate  in  quell'età,  e  che  ebbero  tanta  parte  nelle  lotte  accanite 
per  il  primato  fra  le  due  diocesi  di  Cagliari  e  di  Sassari. 

A.  Taramelli. 


119 


IL   DUCA   GIUSEPPE    RIVERA 

Non  credo  debba  mancare  in  questo  nostro  periodico  un  ricordo  del  duca  Giuseppe 
Rivera,  nobile  figura  di  patrizio  e  di  studioso  che  fu  ispettore  onorario  di  monumenti  e 
scavi  e  membro  della  Commissione  Provinciale  per  la  conservazione  dei  monumenti 
per  la  sua  Aquila.  Uomo  di  antica  probità  e  severità  di  vita,  tutto  il  suo  tempo 
diede  agli  studi  storici  e  alla  beneficenza,  gli  uni  e  l'altra  esercitati  con  silenziosa 
dignità.  Se  alla  storia  civile  propriamente  detta  egli  diede  le  sue  cure  più  amorose, 
e  se  merito  suo  più  alto  rimane  la  fondazione  e  la  direzione  della  Società  di  Storia 
Patria  per  gli  Abruzzi,  divenuta  poi  R.  Delegazione  di  Storia  Patria,  siano  qui 
ricordate  le  relazioni  di  scoperte  archeologiche  che  furono  da  lui  pubblicate  nelle 
Notizie  degli  scavi  tra  il  1890-1893,  l'elenco  dei  monumenti  aquilani  pubblicato  nel 
1896  e  gli  studj  su  Nicola  da  Guardiagrele  accolti  nell'Arte  di  A.  Venturi  nel  1909. 


UBALDO    MAZZINI 

Direttore  della  Biblioteca  e  del  Museo  civico  di  Spezia,  ispettore  onorario  dei 
monumenti  e  scavi  per  quella  città,  Ubaldo  Mazzini  è  morto  a  55  anni,  giovane 
ancora  di  età,  giovanissimo  per  vivacità  d' ingegno  e  per  appassionata  operosità. 
Egli  fu  uno  dei  più  elevati  esemplari  di  quei  preziosi  eruditi  locali  che  per  fervido 
amore  al  luogo  nativo  non  sentono  lo  stimolo  a  cercare  più  vasto  campo  di  indagini, 
pur  avendo  tutte  le  doti  di  alta  intelligenza,  di  larga  cultura  e  di  forte  operosità, 
atte  a  lavori  vasti  e  sistematici.  Ma  in  compenso  se  ristretto  il  cerchio  geografico, 
quanto  profonda,  quanto  viva,  quanto  sentita  la  conoscenza  e  storica  e  topografica 
e  preistorica  e  folkloristica  della  regione  !  Tali  conoscenze  egli  dimostrò  larghissima- 
mente  in  special  modo  nel  Giornale  Storico  e  Letterario  della  Liguria  da  lui  fondata 
nel  1900,   negli   Atti  dell'Accademia   di   Torino,  e   in  più   breve  misura  in  queste 

Notizie  degli  scavi. 

La  Redazione. 


NOTIZIE    DEGLI    SCAVI 


Anno  1924  —    Fascicoli  4,  5,  6. 


Regione  X  (VENETI A  ET  H ISTRIA) 

I.   ISOLE  DEL  QUARNERO   —Ricerche  Paletnologiche. 

È  questa  la  prima  volta  che  le  Notizie  degli  scavi  danno  cortese  ospitalità  a  una 
relazione  preistorica  della  Regione  Giulia  che  finora,  per  le  speciali  condizioni  politiche, 
non  poteva  figurare  in  un  giornale  edito  sotto  gli  auspicii  del  Ministero  della  Pubblica 
Istruzione  del  Regno.  Per  tal  modo  nessun  cenno  vi  è  fatto  delle  numerose  ed  impor- 
tanti scoperte  paletnologiche  che  si  andavano  facendo  negli  ultimi  otto  lustri  dalle  Alpi 
al  Carnaro,  da  quando  cioè  si  cominciò  l'esplorazione  sistematica  del  paese,  mercè  la 
quale  il  nostro  remotissimo  passato  s'illuminò  improvvisamente  di  fulgida  luce,  dan- 
doci contezza  di  genti  fino  allora  ignorate  e  delle  prische  civiltà  che  fiorirono  nelle  no- 
stre contrade  prima  che  le  aquile  romane  stendessero  il  loro  volo  trionfale  a  questo  estremo 
lembo  dell'Adriatico,  apportatrici  di  una  nuova  più  splendida  coltura  che,  nonostante 
l'avvicendarsi  di  tanti  eventi,  più  non  doveva  estinguersi. 

Ma  ora  che  i  nostri  destini  si  sono  felicemente  compiuti,  e  che  anche  la  nostra  regione 
è  entrata  a  far  parte  della  grande  madre-patria,  è  tempo  che  pur  essa  occupi  finalmente 
il  posto  che  le  compete  tra  le  altre  consorelle  della  penisola,  e  faccia  conoscere  agli  stu- 
diosi delle  altre  parti  d'Italia  le  sacre  reliquie  de'  nostri  proavi,  conservateci  gelosa- 
mente per  lunghi  millenniinel  grembo  della  terra.  Lontana  dai  grandi  centri  di  cultura  e 
dalle  benefiche  influenze  civilizzatrici  di  popoli  più  evoluti,  ch'ebbero  così  notevole  parte 
nel  progresso  di  altre  contrade  della  penisola,  essa  naturalmente  non  può  vantare  gl'in- 
signi tesori  archeologici  delle  necropoli  dell'Etruria,  del  Lazio  e  dell'Umbria,  ma  tut- 
tavia ci  rivela  parecchie  particolarità  non  prive  d'importanza,  determinate  dalla  sua 
posizione  geografica  tra  le  due  opposte  rive  dell'Adria,  particolarità  che  si  connettono 
al  grande  e  complesso  problema  delle  migrazioni  orientali. 

Grazie  al  vivo  interessamento  di  S.  E.  l'on.  Rosadi,  già  sottosegretario  alle  Belle 
Arti,  ci  venne  concesso  un  contributo  per  la  continuazione  degli  scavi  sospesi  fatalmente 
dallo  scoppio  della  guerra,  sicché  ora,  dopo  quasi  un  decennio  d'incresciosa  inattività,  ci 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  16 


Isole  del  quarnero  —  122  —  ■     regione  X. 


fu  possibile  riprendere  le  indagini  che  speriamo,  mercè  il  valido  appoggio  del  patrio 
Governo,  più  non  subiranno  interruzioni,  e  ci  permetteranno  colmare  parecchie  lamen- 
tate lacune  nella  conoscenza  della  nostra  paleostoria. 

Mentre  le  ricerche  preistoriche  finora  eseguite  nella  Regione  Giulia  in  molte  ca- 
verne, in  numerosi  castellieri  e  campi  funebri,  si  svolsero  precipuamente  sulla  terra- 
ferma, culminando  nello  sterro  delle  grandi  necropoli  della  valle  dell'Isonzo  a  S.  Lucia 
e  Caporetto,  in  quelle  di  Ronchi  in  Friuli,  di  S.  Canziano  e  di  S.  Servolo  presso  Trieste, 
e  di  Vermo,  dei  Pizzughi  e  di  Nesazio  in  Istria,  per  tacere  di  parecchie  altre  minori, 
le  isole  del  Quarnero  furono  quasi  del  tutto  neglette.  Già  in  una  rapida  corsa  intrapresa 
nel  1901  per  le  isole  di  Veglia,  Lussino  e  Cherso  e  per  le  isolette  contermini,  durante 
la  quale  eseguii  qua  e  là  qualche  piccolo  assaggio  in  varii  castellieri  ed  in  alcune  caverne, 
mi  ero  persuaso  dell'importanza  ch'esse  possiedono  dal  lato  paletnologico  e  dell'oppor- 
tunità di  più  estese  indagini  che  non  avrebbero  mancato  di  darci  interessanti  rivelazioni. 

Lo  stretto  canale  di  Maltempo  che  divide  l'isola  di  Veglia  dalla  terraferma,  misu- 
rante appena  mezzo  chilometro,  reso  ancora  più  angusto  dall'interporsi  dell'isoletta 
di  S.  Marco,  non  poteva  per  vero  opporre  alcuna  difficoltà  di  migrazione  anche  a  genti 
fornite  dei  mezzi  di  trasporto  più  primitivi.  Se  lo  scoglio  di  Pelagosa  giacente  nel  basso 
Adriatico,  distante  dalla  costa  italiana  (Gargano)  53  chilometri  e  dalla  più  prossima 
isola  maggiore  della  Dalmazia,  Lissa,  ben  113,6,  era  già  abitato  nell'epoca  neolitica,  aven- 
dovi trovato  tombe  d'inumati  rannicchiati  con  istrumenti  di  selce,  quanto  più  facil- 
mente doveva  esserlo  l'isola  di  Veglia,  tanto  vicina  all'opposta  riviera,  dalla  quale  poi 
non  lungo  era  il  tragitto  alle  altre  isole  del  Quarnero  !  Per  tal  modo,  fin  dai  tempi  più 
remoti  quest'isola  venne  ricercata  dall'uomo  preistorico,  come  ci  fanno  fede  i  numerosi 
castellieri  che  incoronano  i  suoi  monti,  la  cui  fondazione  rimonta  all'epoca  neolitica. 
Nel  mio  breve  soggiorno  a  Veglia  potei  constatarvi  15  di  queste  costruzioni  ciclopiche 
ed  un  buon  numero  di  tumoli  sparsi  per  tutta  l'isola,  e  presumibilmente  parecchi  an- 
cora ne  verranno  rintracciati  in  altre  più  accurate  ricerche  che  vi  fossero  fatte,  spe- 
cialmente nelle  parti  che  non  mi  fu  possibile  visitare.  Purtroppo,  questo  interessantis- 
simo territorio  archeologico  è,  per  ora,  a  noi  precluso,  causa  l'inconcepibile  leggerezza 
con  cui  si  rinunciò  al  possesso  di  questa  bella  e  fertile  isola  che  formava  un  tutto  omo- 
geneo con  le  altre  isole  del  Quarnero,  e  che  pur  avrebbe  avuto  per  noi,  e  per  la  nostra 
sicurezza,  indiscutibile  valore.  Sulle  altre  terre  del  Quarnero,  irte  e  dirupate,  Veglia  offre 
il  vantaggio  d'un  terreno  in  parte  pianeggiante,  intersecato  da  colli  e  da  monti  di  mo- 
derata altezza,  coperto  da  fitta  vegetazione  lussureggiante,  da  vaste  boscaglie,  da  campi, 
da  prati  e  da  vigneti  ubertosi.  Altro  e  non  piccolo  vantaggio  è  quello  della  maggiore 
umidità  grazie  alle  pioggie  più  frequenti  ed  abbondanti,  e  del  possedere  numerose  sor- 
genti perenni  e  parecchi  serbatoi  d'acqua,  tra  cui  principali  i  laghetti  di  Panighe  e  di 
Capriccio. 

Se  la  terraferma  dell'Istria  è  una  delle  contrade  nella  quale  più  spesseggiano  i  ca- 
stellieri, che  anzi  a  ragione  può  dirsi  il  paese  tipico  di  queste  primitive  costruzioni  ciclo- 
piche, non  meno  abbondanti  essi  trovansi  sulle  isole  del  Quarnero,  sulle  quali  finora  ne 
conosco  ben  cinquantanove,  cifra  che,  senza  dubbio,  sarà  notevolmente  ancora  accre- 
sciuta da  ulteriori  esplorazioni. 


REGIONE    X.  —    123    —  ISOLE    DEL    QUARNERO 


Ne  ciò  deve  punto  meravigliarci,  dappoiché  le  isole  offrivano  maggior  sicurezza 
della  terraferma  contro  le  incursioni  nemiche  che,  a  giudicare  dalla  robustezza  delle 
cinte  dei  castellieri,  non  dovevano  essere  allora  infrequenti  né  poco  accanite.  Circon- 
date da  ogni  lato  del  mare,  dalle  torbide  acque  del  Carnaro,  spesso  non  transitabili  nep- 
pure agli  odierni  grandi  piroscafi,  e  quindi  tanto  meno  alle  fragili  navicelle  di  cui  pote- 
vano disporre  quelle  prische  genti,  le  nostre  isole  avranno  esercitato  indubbiamente 
speciale  allettamento  sulle  schiere  migranti  a  fissarvi  stabile  dimora. 

Partendo  da  queste  considerazioni,  proposi  al  chiar.  architetto  comm.  Guido  Cirilli, 
reggente  l'Ufficio  di  Belle  Arti  a  Trieste,  d'iniziare  le  nuove  ricerche  paletnologiche  dalle 
isole  del  Quarnero,  per  rilevare  meglio  i  monumenti  lasciatici  dalle  antiche  popolazioni 
che  le  abitarono.  Accompagnato  dalla  esimia  dott.ssa  Bruna  Tamaro,  addetta  quale  ispet- 
trice al  predetto  Ufficio  di  Trieste,  rivisitai  nel  decorso  maggio  e  nel  luglio  le  isole  di 
Lussino  e  di  Cherso,  praticando  alcuni  piccoli  scavi  in  tre  castellieri  dei  dintorni  di  Os- 
sero, ed  in  due  altri  nella  parte  centrale  di  Cherso.  Si  approfittò  di  questi  due  viaggi 
per  fare  una  ricognizione  di  buona  parte  dell'isola  di  Cherso  fin  quasi  alla  sua  estre- 
mità settentrionale,  visitando  e  rilevando  parecchie  altre  stazioni  preistoriche  e  relativi 
tomoli,  segnandoli  nell'annessa  carta  topografica  (tav.  II).  Non  possiamo  far  a  meno  di 
porgere  qui  le  dovute  grazie  al  Dott.  A.  Lcmesich,  segretario  del  Comune  di  Cherso,  ed  al 
sig.  0.  Zadro,  addetto  allo  stesso  Ufficio,  che  ci  facilitarono  questo  compito. 

Prima  di  riferire  sugli  scavi  intrapresi,  mi  sembra  opportuno  passare  brevemente 
in  rivista  i  castellieri  finora  scoperti  sulle  isole  del  Quarnero,  che  ci  dimostrano  quanto 
densamente  esse  fossero  abitate  nella  remota  antichità,  e  quale  mèsse  d'importanti  docu- 
menti archeologici  si  potrebbero  trarre"  dalla  loro  metodica  e  più  estesa  esplorazione. 
Dappoiché  non  dobbiamo  dimenticare  che,  lasciate  le  loro  dimore  ipogee,  i  nostri  proavi 
ricercarono  le  ventose  cime  dei  monti,  come  quelle  che  offrivano  maggiore  sicurezza 
contro  eventuali  attacchi  nemici,  circondandole  di  robusti  valli.  Così  sorsero  i  castel- 
lieri che  rappresentano  nella  nostra  regione  ciò  che  per  la  Lombardia  ed  i  paesi  ricchi 
di  laghi  sono  le  palafitte,  e  per  la  valle  del  Po  le  terramare,  delle  quali  devono  con- 
siderarsi coevi.  Essi  non  erano  semplici  fortilizi,  come  potrebbe  farlo  supporre  il  loro 
nome,  ma  veri  villaggi  e  talora  ampie  città  della  circonferenza  di  alcuni  chilometri,  su- 
peranti per  estensione  perfino  parecche  delle  più  celebri  metropoli  della  classica  anti- 
chità, in  cui  trassero  per  lunghi  secoli  la  loro  esistenza  le  popolazioni  primitive  delle 
nostre  contrade,  lasciando,  negli  strati  più  o  meno  profondi,  le  tracce  eloquenti  del  loro 
soggiorno.  A  buon  diritto  quindi  i  castellieri,  con  le  copiose  reliquie  che  contengono  e 
con  le  necropoli  che  vi  appartengono,  possono  venir  riguardati  quali  i  preziosi  archivii 
della  nostra  preistoria,  in  cui  ci  è  dato  leggere  tante  ignorate  pagine  sulla  vita  sociale, 
sugli  usi  e  costumi  dei  loro  abitatori.  Da  questo  lato  la  ricerca  dei  castellieri  riesce  di 
somma  importanza  ;  e  noi  facciamo  caldi  voti,  che  vengano  tenuti  nel  debito  conto  e,  con 
opportuni  provvedimenti  legislativi,  preservati  da  ulteriori  vandaliche  distruzioni. 

All'estremità  settentrionale  dell'isola  di  Veglia  sorgeva  sur  un  mammellone  roccioso, 
alto  72  m.,  al  fondo  di  un  ampio  seno  di  mare,  un  castclliere,  tramutato  più  tardi  in  ca- 
stro romano  e  nel  medio  evo  in  formidabile  castello,  del  quale  si  conservano  ancora  i 
torrioni,  ed  entro  alle  cui  mura  esiste  tuttora  il  villaggio  di  Castelmuschio.  Una  ricca 


ISOLE   DEL   QUARNERO  —    124   —  REGIONE    X. 

fonte,  sgorgante  al  suo  piede,  favorì  non  poco  la  sua  fondazione  e  la  successiva  scelta  a 
sede  ininterrotta  dell'uomo.  Forse  anche  il  dosso  rupestre  a  N.  E.  di  questa  località, 
designato  sulla  carta  dello  Stato  Maggiore  Gromasiza  (124  in.),  dominante  il  canale 
di  Maltempo,  era  pure  un  castelliere,  come  parrebbe  accennarlo  il  suo  nome(').  Vi  si 
scorgono  copiosi  avanzi  di  muraglie  e  di  edilìzi,  circondati  da  un  vallo  ;  ma,  non  aven- 
dovi praticato  alcuno  scavo  nò  riscontrato  terriccio  nero  né  i  soliti  cocci  caratteristici, 
non  ardisco  ascriverlo  a'  tempi  preistorici,  sapendo  come  su  quest'isola  s'incontrino 
in  più  luoghi  rovine  di  villaggi  abbandonati  a  causa  delle  felibri  malariche  che  v'infie- 
rirono spesso,  e  con  speciale  violenza  nel  secolo  passato. 

Non  molte  opere  munitorie  si  richiedevano  per  difendere  la  lingua  di  terra  che  si 
protende  in  mare  a  sud  del  villaggio  di  Nivize  sulla  Punta  Zuffo,  bastandovi  un  semplice 
vallo  trasversale  che  ne  sbarrasse  l'accesso  dalla  parte  orientale.  Nel  mezzo  di  questo 
piccolo  castelliere  sorge  un  tumolo  sul  punto  culminante  (30  m.).  Da  informazioni  avute, 
anche  sul  m.  S.  Giovanni  (117  m.),  che  s'alza  a  levante  ed  a  poca  distanza  dal  laghetto 
di  Capriccio,  dovrebbe  trovarsi  una  stazione  preistorica. 

Altro  bel  castelliere  a  duplice  cinta  bene  conservata,  e  del  pari  con  un  tumolo  nel 
mezzo,  trovasi  sul  m.  Gradina  (107  m.),  a  mezzogiorno  di  Malinsca.  La  sua  cinta  esterna, 
formata  da  grossi  blocchi,  ha  una  circonferenza  di  550  m.  (fìg.  1). 

Alquanto  alterato  da  costruzioni  posteriori,  che  per  vasto  tratto  occupano  i  fianchi 
del  m.  S.  Pietro  (255  m.)  presso  Gobogne,  è  il  castelliere  a  triplice  cinta,  dal  quale,  per 
la  sua  posizione  isolata,  si  domina  l'esxeso  territorio  circostante. 

Poco  lungi  da  questo,  sopra  un  dosso  nominato  Gromacina  (282  ni.),  con  tracce  di 
vecchi  fabbricati  e  di  vallo,  sorgono  due  tumuli,  alti  rispett.  m.  2,50  e  1 ,50,  e  della  circon- 
ferenza di  circa  80  m.,  costrutti  di  grossi  blocchi,  dei  quali  uno,  aperto  una  ventina  d'anni 
fa,  possedeva  nel  centro  una  tomba  a  cassetta  formata  da  lastre  di  pietra,  nella  quale  si 
rinvennero  solo  pochi  avanzi  di  scheletro  senza  alcuna  aggiunta.  Un  bell'esempio  di 
costruzione  megalitica  ci  offre  il  castelliere  del  M.  Gracisce  (266  m.)  verso  Dobrigno, 
a  duplice  cinta,  per  la  quale  si  adoperarono  blocchi  di  1-2  in.  di  base.  Due  castel- 
lieri  giacciono  presso  il  villaggio  di  Garizze,  uno  sul  m.  S.  Giorgio  (328  m.)  piutto- 
sto malandato,  l'altro  sul  M.  Chersovan  (256  m.).  In  prossimità  della  chiesa  di  questo 
villaggio  esistono  due  tumoli,  di  cui  uno,  scavato  per  conto  del  museo  di  Zagabria,  avreb- 
be contenuto,  a  quanto  mi  fu  riferito,  oltre  ad  alcuni  bronzi,  una  collana  d'oro.  Un  terzo 
sorge  a  non  molta  distanza  sul  colle  Cosmanice  verso  Verbenico.  Del  pari  presso  questa 
borgata,  che  probabilmente  pur  essa  fu  in  antico  un  castelliere,  si  incontra  a  ponente 
quello  di  Crasini  (164  m.),  chiamato  dagli  indigeni  Gromacina,  con  due  tumoli,  ed 
altro  tumolo  sul  m,  Castriz  (90  m.)  di  faccia  al  porto,  nel  quale  si  rinvennero  soltanto 
resti  di  un  inumato  nella  solita  cassetta  rettangolare. 

A  mezzogiorno  di  Verbenico  torreggiano  egualmente  due  formidabili  castellieri, 
l'uno  sul  m.  Gain  (448  m.),  l'altro  sul  m.  Maligrac,  meno  alto  (212  m.),  con  cinta  mega- 
litica misurante  290  m.  bene  conservata,  della  grossezza  di  3  m.  ed  alta  in  alcuni  punti 


(')  Col  nome  di  gromuzzi  gli  abitanti  delle  isole  del  (^uarnero  designano  solitamente  i  castellieri. 


REGIONE    X. 


—  125 


ISOLE   DEL  QUARNERO 


ni.  2,50.  Il  terriccio  vi  è  nerissimo  e  zeppo  di  cocci.  Nelle  sue  vicinanze,  alla  quota  183  m., 
trovasi  un  tumolo  isolato. 

Probabilmente  sulla  punta  che  s'allunga  in  mare  a  NE.  esistono  pure  due  castellieri 
a  giudicare  dai  loro  nomi  di  Veligrad  e  di  Maligrad  (Castello  grande  e  piccolo)  ch'io  non 


fili  L^iKI»  J';#  #^f Cv, 

WmSk 


'"••■/■  ,",.'.7  !.•:' vi".'.  iiVi»1" 


aiwa'li'.'ww'1 


FlG.    1. 


ebbi  occasione  di  visitare.  Fui  informato  che,  circa  3  chilometri  a  S.  del  m.  Maligrac, 
esiste  un  altro  piccolo  cartelliere  sopra  un  dosso  in  prossimità  del  m.  Gajen,  il  che  sa- 
rebbe pure  suffragato  dal  nome  di  Podgrasca  Glaviza,  ossia  Poggio  del  castello  (458  m.). 
Nella  parte  meridionale  dell'isola,  brulla  e  rocciosa,  non  potei  constatare  se  non  due 
castellieri,  quello  del  m.  Mizza  (338  m.)  a  SE.  di  Ponte,  ed  un  altro  sul  m.  S.  Giovanni 
presso  Besca  nuova,  sul  quale  veggonsi  scarsi  resti  d'un  castello  e  di  altri  fabbricati 
medioevali.  Va  notato,  che  presso  Bescavalle  fu  scoperto,  anni  fa,  un  deposito  di  alcune 
centinaia  di  armille  e  di  anelli  di  bronzo. 


ISOLE   DEL   QUARNERO  —    126    —  REGIONE    X. 


Come  indicherebbe  il  nome  di  Gradaz(')  dat:t  ad  una  vetta  di  270  m.  tra  Besca  nuova 
e  Besca  vecchia,  anche  ivi  sarebbe  da  ricercare  una  stazione  preistorica,  che  a  me  non 
fu  dato  constatare,  come  pure  sul  dorso  arrotondato  del  m.  Socola  a  levante  di  Besca 
nuova,  ove  scorgonsi  molte  rovine,  che  gli  abitanti  riferiscono  ad  una  città  distrutta, 
da  loro  nominata  Corintia. 

Noterò  infine,  che  in  un  podere  presso  Veglia,  appartenente  alla  famiglia  Schinigoi, 
fu  scoperto  un  sepolcreto  romano,  nel  quale  trovavansi  pure  alcune  tombe  preistoriche, 
contenenti  rozzi  vasi  d'argilla  con  decorazione  ad  impressioni  digitali,  una  bella  fibula 
di  tipo  La  Tene  con  due  nodi  al  piede  ripiegato  ed  un  anello  a  spirale.  Senza  dubbio, 
parecchie  altre  stazioni  preistoriche  possiede  l'isola  di  Veglia,  che  io  non  potei  rilevare, 
e  che  avrebbero  richiesto  un  più  lungo  soggiorno  ed  un  esame  più  accurato  di  quanto 
a  me  fosse  concesso  nella  breve  gita  d'ispezione. 

La  distanza  che  separa  l'isola  di  Veglia  da  quella  di  Cherso  è  di  appena  4,8  chilo- 
metri, sicché  il  passaggio  non  poteva  offrire  grand'  difficoltà  ai  nostri  preistorici.  No- 
nostante quindi  l'asprezza  e  la  sterilità  di  buona  parte  di  quest'isola,  che  per  estesi 
tratti  consta  di  nude  rocce  biancheggianti,  che  nulla  hanno  da  invidiare  alle  più  deso- 
late plaghe  dell'Erzegovina  e  del  Montenegro,  e  dove  a  mala  pena  le  greggi  fameliche  tro- 
vano un  filo  d'erba  da  brucare,  anch'essa  ebbe  i  suoi  castellieri,  dei  quali  finora  potemmo 
constatare  14,  numero  certamente  inferiore  al  reale,  e  che  s'accrescerà  con  altre  inda- 
gini, difficoltate  non  poco  dalle  grandi  distanze  (l'isola  misura  in  lunghezza  67  chilo- 
metri), dalla  natura  rupestre  e  selvaggia  del  terreno,  dalla  deficenza  di  strade  e  di  ogni 
più  primitivo  ricovero  nei  villaggi  più  eccentrici.  Non  dobbiamo  tuttavia  dimenticare, 
che  probabilmente  quest'isola  aveva  un  differente  aspetto  nell'antichità,  prima  che 
cominciasse  l'insano  diboschimento,  causa  precipua  della  sua  fatale  progressiva  carsifi- 
cazione. 

Nella  parte  settentrionale,  coperta  ancora  in  buona  parte  da  vaste  boscaglie  di 
quercie  e  di  carpini  e  finora  assai  poco  esplorata,  alto  torreggia  il  castelliere  del  m.  Halm 
(434  m.)  a  N.  di  Dragosichi,  circondato  da  un  robusto  vallo  parziale,  non  richiedendo  il 
versante  del  monte,  vòlto  a  tramontana  e  scendente  ripidissimo  e  roccioso,  alcuna  difesa 
speciale  da  quel  lato  (fig.  2).  Il  vertice  è  occupato  da  un'alta  roccia  dentellata  con  un 
piccolo  ripiano.  Il  terriccio  è  assai  scuro  e  cosparso  di  numerosi  cocci.  Nella  recente 
riduzione  a  campo  di  un  tratto  pianeggiante  entro  la  cinta,  fu  trovata  pure  un'ascia 
di  pietra  levigata  che  purtroppo,  andò  smarrita.  A  quanto  rilevai  dal  proprietario 
del  fondo,  si  sarebbe  incontrata  alla  profondità  di  1  m.  una  grande  lastra  di  pietra 
che  però  non  venne  smossa. 

Un  altro  castelliere  trovasi  più  in  basso  sur  una  vetta  presso  il  m.  Rasna,  che  la 
brevità  del  tempo  non  ci  consentì  visitare.  Persino  sulla  cima  del  m.  Syss  (638  m.),  sul 
piti  elevato  punto  di  tutta  l'isola,  s'incontrarono  cocci  preistorici.  Probabilmente  era 
pure  una  stazione  antica  il  colle  isolato  (130  m.)  su  cui  sorse  più  tardi  Caisole  (Caput 
insulae).  Da  ricercarsi  sarebbe  inoltre  il  m.  dolman  (402  m.)  a  mezzogiorno  di  Dragosichi, 

(')  La  popolazione  slava  designa  i  nostri  castellieri  coi  nomi  di  Gradisce,  Gradistie,  Gradina, 
Gradaz,  tutte  voci  derivate  da  Grad  che  significa  appunto  castello. 


REGIONE   X. 


—   127   — 


ISOLE   DEL   QtMRNEKO 


mentre  la  visita  del  m.  Gradiste  (562  m.)  tra  Vodizze  e  Podoschizza,  ridotto  ormai  a 
nuda  roccia,  nonostante  il  suo  nome,  non  mi  fornì  alcun  indizio  di  antiche  costruzioni. 
Del  pari  non  m'ebbi  alcun  resto  trogloditico  da  una  caverna  facilmente  accessibile  presso 
Petrici,  forse  a  causa  della  troppo  superficiali  ricerche. 


**àÈÉ8ÈÉÈÈ* 


*  \ 


*£&&££& 


..i<£*: '-Ivrv  ',?>•■■■■•  '  ",v  v7'o**'-''  ^  '-•".■'•  -.<  ■'  r~-  '  ■    -  ■■■'  '  "■.'...V-.V'wNi 


Fra.  2. 


Anche  nella  parte  settentrionale  di  Cherso  non  mancano  tomoli:  così  ne  esistono 
parecchi  a  ponente  di  Caisole  sul  fondo  comunale  del  Maliverch,  ora  imboscato  a  pini. 
Allorché  questi  venivano  piantati,  il  Dott.  de  Petris,  allora  podestà  di  Cherso  e  zelante 
cultore  d'archeologia,  ne  aperse  alcuni,  trovandovi  tombe  rettangolari  a  cassetta  con  sche- 
letri rannicchiati.  Vi  raccolse  parecchi  oggetti  di  bronzo,  come  un  pezzo  di  pugnale  lungo 
10  cent,  2  bottoni,  un  gancio  da  cintura  ed  alcuni  anelli  che  furono  spediti  al  museo  di 
Vienna.  Altri  tumoli  giacciono  sparsi  nei  boschi  all'estremità  dell'isola  sul  m.  Trabian- 
cich,  a  Crasni,  Malsiceriza.  Veli  Jablanaz,  ecc.  La  presenza  di  questi  tumoli  fa  presup- 
porre l'esistenza  di  stazioni  preistoriche  anche  in  questa  parte  remota  ed  impervia  di 
Cherso,  che  restano  ancora  da  ricercare. 

Al  di  sopra  della  città  di  Cherso  sorge  il  castelliere  di  S.  Bartolomeo  (314  m.),  punto 
assai  strategico  dominante  la  strada  che  conduce  al  porto  di  Smergo  alla  costa  orientale 
dell'isola.  E  difatti,  dagli  scavi  eseguiti  dal  prelodato  Dott.  Petris  e  dal  Dott.  Lemesich, 


ISOLE   DEL  QUARNERO  —   128   —  REGIONE   X. 

emerse  chiaramente  che  fondaco  già  sullo  scorcio  dell'età  eneo-litiea,  esso  fu  tramutai 
p  ù  tardi  in  castro  romano,  servendo  per  lungo  tempo  a  tale  scopo,  come  ci  fanno  fede  i 
copiosi  resti  che  si  conservano  al  museo  di  Ohcrso.  Tra  gli  oggetti  paletnologi  raccolti 
mi  sembra  specialmente  interessante  uno  stampo  d'argilla,  una  così  detta  pinladfra, 
lunga  125  nini.,  portante  alla  faccia  inferiore  quattro  croci  circondate  da  cerchi  (fig.  3>; 
un  cilindro  a  doppia  capocchia,  alcune  iusaiuole  ed  anse  a  linguetta,  fibule  di  tipo  La 
Tene  ed  a  doppio  ardiglione,  e  parecchi  cocci  appartenenti  a  quest'epoca.  Più  copiosi  e 
svariati  sono  i  resti  riferentisi  ai  tempi  romani.  In  seguito  alle  costruzioni  posteriori  ed 
alla  riduzione  di  un  tratto  di  terreno  a  vigna,  il  vallo  di  questo  castelliere  si  è  solo  par- 
zialmente conservato.  Non  è  da  dubitarsi,  che  scavi  più  estesi  darebbero  altri  pregevoli 
relitti,  non  soltanto  di  età  arcaiche,  *ma  eziandio  dell'epoca  romana. 


Fig.  3. 


A  mezzogiorno  della  città  di  Cherso  troviamo,  sulla  vetta  emergente  del  m.Grossu- 
glia  (326  m.),  un  giande  tumolo  che,  aperto  anni  fa,  non  diede  se  non  pochi  cocci.  A  me- 
riggio del  villaggio  di  Losnaci,  ad  un'ora  circa  dalla  città,  incontriamo  due  robusti  castel- 
lieri  :  sul  m.  Ciule  (314  m.)  e  sur  una  vetta  vicina  nominata  Pucoina  (289  m.;.  Del  primo 
avremo  occasione  d' intrattenerci  più  tardi,  allorché  riferiremo  sugli  scavi  in  esso  pra- 
ticati; l'altro  è  di  forma  circolare  con  muro  ben  conservato,  della  grossezza  di  m.  3.50, 
costrutto  di  grandi  blocchi  ed  in  alcuni  tratti  alto  oltre  2  m.,  cui  si  annoda  un  secondo 
vallo  semicircolare  grosso  m.  2.40  (fig.  4).  In  questo  castelliere  si  vede  chiaramente,  come 
già  allora  i  costruttori  fabbricassero  le  mura  di  cinta  adoperando  per  le  parti  esterne 
blocchi  più  o  meno  grossi  e  riempiendo  la  parte  centrale  di  semplice  pietrisco.  Essendo 
quest'ultimo  meno  resistente  all'azione  dissolvitrice  delle  intemperie,  andò  maggiormente 
corroso  dei  massi  esterni  che  rimasero  per  circa  un  metro  più  alti,  sicché  il  muro  presenta 
attualmente  per  vasti  tratti  l'aspetto  di  un  angusto  corridoio  fiancheggiato  dalle  rocce 
esterne  tuttora  in  piedi  (fig.  5).  Sur  una  piccola  spianata  alla  base  di  questo  castelliere 
s'inalza  un  enorme  tumolo  alto  circa  10  m.  e  della  circonferenza  di  110  m.,  che  permette 
ancora  riconoscere  la  torte  muraglia  circolare  da  cui  era  circondato. 

Da  comunicazioni  avute  dal  dott.  de  Petris(cui  mi  è  grato  rendere  sentite  grazie  per 
le  gentili  informazioni  che  si  compiacque  darmi),  egli  scavò  per  ben  45  giorni  in  questo 
tumolo,  con  esito  del  tutto  negativo,  avendo  trovato  solo  pochi  cocci,  e  tra  il  materiale 
di  scarico  una  fibula  di  tipo  La  Tene  con  infilata  un'armilla,  sicché  risultò,  che  già  ante- 
riormente era  stato  manomesso.  Date  però  le  sue  grandi  dimensioni,  non  è  escluso  che, 


REGIONE   X. 


—    129 


ISOLE   DEL  QUA^NERO 


se  anche  la  tomba  eentrale  del  tumolo  venne  distrutta,  si  possano  trovare  tuttora  in- 
tatte eventuali  tombe  laterali.  Altro  tumolo  si  scorge  poco  lungi  sopra  una  vetta  alla 
quota  190  m.,  in  contrada  segnata  col  nome  Belijina.  Anche  a  ponente  del  m.  Ciule, 
presso  la  scomparsa  cappella  di  S.  Pietro  tra  Chersina  e  Bataina,  a  sinistra  della  strada, 
che  da  Cherso  conduce  a  Vrana,  incontrasi  un  grande  tumolo.  Portando  il  centro  di  esso 


Fio.  4. 


tracce  evidenti  di  essere  stato  già  anteriormente  rovistato,  il  dott.  Petris  scavò  nelle  parti 
periferiche,  aprendo  tre  tombe  in  cui  nelle  cassette  rettangolari  giacevano  gli  scheletri 
rannicchiati  e,  come  al  solito,  senza  alcuna  aggiunta. 

Nei  pressi  di  Aquilonia  ergesi  il  castelliere  del  m.  Sculchi  (312  m.),  punto  culminante 
di  un'ampia  regione,  d'onde  schiudesi  un  bel  panorama  della  parte  meridionale  della 
isola.  Anche  di  questo  castelliere  avrò  agio  di  riparlare. 

Noterò  qui  che  ad  oriente  di  questo  castelliere  trovansi  tre  spaziose  caverne  sur  un 
fondo  appartenente  al  Capitolo  diocesano,  le  quali,  essendo  di  facile  accesso,  è  probabile 
contengano  resti  trogloditici,  e  quind>  meriterebbero  un'esplorazione. 

Verso  l'estremità  occidentale  dell'isola  vedesi  torreggiare  il  castelliere  del  m.  Chelm 
(483  m.),  poco  lungi  da  Lubenizze,  del  quale  però  assai  difficile  riesce  rilevare  la  forma  ed 
il  decorso  delle  cinte,  causa  la  fitta,  quasi  impenetrabile  pineta  che  attualmente  lo  ricopre. 
Presso  Lubenizze  trovasi  pure  una  caverna  di  facile  accesso,  finora  inesplorata.  All'estre- 
mità del  lago  di  Vrana  giace  il  castelliere  del  m.  Ghermov  (328  m.)  con  un  tumolo,  e  due 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  17 


Isole  del  quarnéro  —  130  —  regione  x. 

tumoli  s'alzano  sul  dosso  detto  Hrib  (208  m.)  presso  la  cappella  di  S.  Pietro.  Altri  due 
tumoli  scorgonsi  sul  m.  Nieloviza  (1 63  m.)  ove,  a  quanto  rilevai,  si  troverebbe  pure  un  ca- 
stelliere, che  non  mi  fu  possibile  visitare.  Del  pari  un  bel  tumolo,  alto  6  m.  e  misurante 
in  periferia  m.  200,  s'incontra  sul  m.  Sillaz  (196  m.),  di  fianco  alla  strada  provinciale 
a  N.  di  Bellei.  A  quanto  mi  comunica  il  dott.  de  Petris,  un  castelliere  si  troverebbe 
sulla  Punta  Meli  a  NE.  della  Stanzia  Verin,  presso  la  quale  giace  un'estesa  necropoli 
romana  ;  nella  propinqua  Valle  Bocca  si  vedrebbero  sul  fondo  del  mare,  in  prossimità 
della  riva,  numerosi  balsamarii  di  vetro. 

La  parte  meridionale  dell'isola  presenta  un  aspetto  del  tutto  differente  :  scompa- 
iono i  monti  elevati  con  le  loro  rocce  biancheggianti,  ed  in  loro  vece  si  distende  un  terreno 


.«£>g»&$>i 


Fio.  6. 


basso,  dolcemente  ondulato,  ricoperto  da  una  fitta  e  rigogliosa  vegetazione  sempre- 
verde. E  quivi,  a  N.  della  città  di  Ossero,  trovasi  il  castelliere  di  Pescenie  (178  m.)  e  più 
giù,  verso  Punta  Croce  quello  robustissimo  della  Grande  Guardia  0  di  Vela  Straza 
(148  m.),  dei  quali  ci  occuperemo  in  seguito.  Nei  boschi  circostanti  a  quest'ultimo  sono 
disseminati  numerosi  piccoli  tumoli,  alcuni  dei  quali,  già  aperti,  mostrano  nel  centro 
la  solita  cassetta  rettangolare.  Poco  distante  dal  castelliere  apresi  la  grotta  di  Gher- 
mosai,  già  illustrata  più  di  un  secolo  e  mezzo  fa  dal  Fortis,  ricca  di  brecce  ossifere, 
che  probabilmente  servì  pure  di  dimora  ai  trogloditi,  e  che,  al  pari  dei  tumoli,  merite- 
rebbe una  più  accurata  esplorazione. 

L'isola  di  Cherso  è  divisa  da  quella  di  Lussino  da  uno  strettissimo  canale  (forse 
artificiale),  misurante  soli  11  metri  di  larghezza  (la  così  detta  Cavanella)  oltre  la  quale  e 
gettato  un  ponte  girevole.  La  città  di  Ossero  —  già  centro  importante  e  sede  di  un  vesco- 
vado sino  all'anno  1818,  ora  ridotta  a  poche  centinaia  di  abitanti,  causa  l'imperversare 
delle  febbri  malariche  —  giace  ancora  sull'isola  di  Cherso,  laddove,  poco  lungi  dalla  città 
ma  già  sull'isola  di  Lussino,  sur  una  vetta  segnata  sulla  carta  dello  stato  maggiore  col 
nome  di  Bog  (97  m.)  trovasi  il  piccolo  castelliere  portante  pure  il  nome  di  Vela  Straza 
e  sulla  adiacente  cima  verso  Punta  Debela,  alla  quota  87  m.,  un  tumolo. 

Tra  le  isole  del  Quarnéro  quella  di  Lussino  è  indubbiamente  la  meglio  esplorata 
dal  lato  paletnologico,  sicché  il  numero  de'  suoi  castellieri  finora  conosciuti  sale  a  non 


REGIONE    X.  —    13  L    —  ISOLE    DEL   QUAUXERO 

meno  di  25  (*).  La  mitezza  del  suo  clima,  i  suoi  monti  meno  aspri  e  selvaggi  di  quelli 
di  Cherso,  rivestiti  di  dense  macchie  di  sempreverdi,  i  frequenti  suoi  seni  di  mare  ricchi 
di  pesci,  offrivano  eccellenti  condizioni  d'esistenza  a'  nostri  castricoli,  e  quindi  non 
deve  recar  meraviglia  la  copiosa  serie  delle  sue  stazioni  preistoriche.  Ad  eccezione  del 
m.  Ossero,  che  s'erge  a  588  m.  con  le  sue  vette  dirupate  e  brulle,  tormentate  dai  venti 
impetuosi  che  prostrano  a  terra  i  grami  ginepri  e  gli  altri  pochi  alberi  da  cui  qua  e  là 
è  interrotta  la  desolante  nudità  delle  sue  rocce,  tutto  il  resto  dell'isola  è  disseminato 
di  una  fitta  rete  di  castellieri.  Che  però  non  fossero  del  tutto  disabitate  le  balze  del  monte 
che  scoscendono  con  una  serie  di  altissime  rocce  perpendicolari  al  versante  occidentale, 
tra  le  quali  a  forma  di  vasti  atrii  s'interpongono  parecchie  vallicelle,  lo  dimostrano 
iresti  trogloditici  trovati  in  un  piccolo  assaggio  che  feci  praticare  nella  caverna  Vela 
Jaina  (Grande  Grotta)  (2).  Del  pari  i  contrafforti  estendentisi  al  lato  orientale  tra  Ossero 
e  Neresine  portano  vestigia,  più  o  meno  evidenti,  di  antichi  castellieri;  così  uno  ne  esiste 
a  Tersich  sul  m.  Bielci  (160  m.),  poco  lungi  da  quello  già  citato  del  m.  Bog,  con  vallo 
parzialmente  conservato  e  terriccio  nero  con  abbondanti  cocci.  Nelle  sue  vicinanze  sul 
pendìo  verso  Ossero,  vedesi  un  tumolo  aperto  con  cassetta  rettangolare.  Del  castel- 
liere  che  circondava  la  cappella  di  S.  Lorenzo  (88  m.)  più  non  esiste  traccia  di  vallo, 
e  solo  la  presenza  dei  caratteristici  cocci  ci  fa  fede  dell'antico  abitato.  Un  altro  esisteva 
sul  m.  Halcina  (108  m.),  entro  al  quale  giace  una  frazione  del  villaggio  di  Halmaz, 
ove  il  terreno  è  disseminato  di  cocci  preistorici  e  romani;  ed  un  quarto,  ormai  quasi 
scomparso  sul  colle  Berdo  (120  m.),  sorgente  immediatamente  sopra  il  villaggio  di 
Neresine,  con  parecchi  edifizi  recenti  in  rovina.  Nei  suoi  campi  veggonsi  frequenti  resti 
di  stoviglie  primitive  e  di  molluschi  marini.  Persino  sulle  vette  inospiti  del  m.  Cam- 
plin  (m.  215)  sopra  S.  Giacomo,  il  cap.  Martinolich  trovò  in  questi  ultimi  giorni  cocci 
preistorici,  senza  traccie  però  di  vallo. 

Per  un  tratto  di  sei  chilometri  in  cui  l'isola  subisce  una  forte  strozzatura,  riducen- 
dosi ad  una  larghezza  di  appena  un  chilometro,  non  s'incontra  alcun  altro  castelliere 
sino  nei  pressi  di  Chiunschi,  ove  l'isola  torna  ad  allargarsi,  ed  ove  sull'adiacente  poggio 
segnato  con  la  quota  144  m.  trovasi  un  piccolo  castelliere.  Un  po'  più  a  settentrione 
ne  esiste  uno  più  ampio  sul  m.  Polanza  (214  m.),  con  poderoso  vallo,  solo  in  parte  ancora 
conservato,  essendo  il  tratto  discendente  del  castelliere  vòlto  a  ponente,  ridotto  ad 
una  serie  di  scaglioni  per  la  coltivazione  delle  viti.  Lo  scavo  che  vi  praticai  nel 
ripiano  orientale,  mi  fornì  una  copiosa  serie  di  cocci  appartenenti  tanto  a  grandi  doli 


(')  Ricordo  qui  con  grato  animo  l'efficace  collaborazione  del  compianto  prof.  A.  Haracich  e  del 
cap.  M.  Martinolich  di  Lussinpiccolo  nella  faticosa  ricerca  dei  castellieri  di  quest'isola, 

(2)  Questa  caverna  s'apre  nel  dirupo  di  una  scoscesa  vallieola,  tutta  occupata  da  mobili  sassi,  ta- 
lora di  notevoli  dimensioni,  tra  i  quali  raccolsi  numerosi  cocci  preistorici,  trasportativi  probabilmente 
dalle  acque  dal  sovrastante  atrio  della  grotta.  Questa  consta  di  un'unica  stanza  quasi  piana,  lunga 
23  m.,  con  abbondante  terriccio  nero,  ed  è  illuminata  sino  al  fondo  dall'ampia  apertura  triangolare 
dell'ingresso,  alta  circa  8  m.  e  larga  6,  ove  scorgonsi  i  resti  di  un  antico  muricciuolo.  Oltre  a  questa 
caverna,  ne  esistono  parecchie  altre  più  o  meno  spaziose  al  versante  occidentale  del  monte,  tra  le  quali 
va  notata  la  maggiore,  detta  »  Dell'Organo  »  (Organaz),  lunga  40  m.  e  divisa  in  tre  stanze,  nella  quale 
però  finora  non  venne  praticata  alcuna  ricerca  patetnologica. 


ISOLE    DEL   QUARNERO  —   132    —  REGIONE   X. 

dalle  pareti  assai  grosse,  quanto  a  piccoli  vasetti  d'argilla  più  fina,  con  e  senza  anse.  Tra 
queste  notevoli  parecchie  nelle  quali  la  branca  superiore  dell'orecchietta  si  allarga  e 
s'inalza  fino  a  cm.  5.  La  decorazione  delle  stoviglie  è  molto  semplice,  e  consta  di  cordoni 
o  di  solchi  disposti  tanto  orizzontalmente  quanto  in  cerchi  concentrici.  Vi  raccolsi  pure 
una  bella  macina  rotonda  ed  imperforata  di  trachite  bigia  a  fine  grana  quasi  grani- 
toide.  Non  rari  vi  sono  pure  frammenti  di  fittili  romani.  Numerosi  osservaronsi  i  gusci 
di  molluschi  marini,  quali  della  Monodonla  turbinata,  dello  Spondylus  gaideropas,  del 
Cardium  rdule,  del  Murex  truneulus  AcWArca  Noe,  del  Ceiithium  mlgalum,  di  varie 
specie  di  Palelle  come  la  scutettaris,  la  subplana,  Vaspera  ecc. 

Un  altro  castelliere  di  piccole  dimensioni  esiste  presso  Chiunschi  sul  più  elerato 
punto  dell'isoletta  Osiri  (64  m.),  mentre  sul  propinquo  m.  Vlaca  (140  m.)  s'ergono 
due  tumoli  alti  2  m.  con  un  diametro  di  10.  Tanto  gli  abitanti  del  m.  Polanza  quanto 
quelli,  dell'altro  castelliere  giacente  sul  m.  Stan  (110  m.)  e  situato  a  SO.  di  Chiunschi 
(del  quale  si  conservarono  chiare  vestigia,  e  nel  quale,  misti  agli  avanzi  preistorici, 
veggonsi  molti  frammenti  d'anfore  romane),  avevano  intorno  a  se  un  ampio  territorio 
assai  fertile,  formato  da  un'espansione  pianeggiante  dell'isola. 

Ove  questa  torna  a  restringersi  riducendosi  per  una  lunghezza  di  sette  chilometri, 
fino  a  Lussinpiccolo,  ad  una  semplice  schiena  di  monte  larga  appena  mezzo  chilometro, 
incontriamo,  allineati  l'uno  appresso  all'altro,  tre  castellieri:  quello  diCabosciac(102  m.), 
del  M.  Asino  (125  m.ì  ed  un  terzo  sulla  cima  segnata  con  97  m.,  tutti  però  assai  dete- 
riorati, specialmente  quest'ultimo,  sul  quale  scorgonsi  alcune  tombe  rettangolari. 

Intorno  a  Lussinpiccolo  spesseggiano  i  castellieri  :  e  già  all'imboccatura  del  suo 
porto  ne  sorgono  due,  di  cui  uno  sullo  scoglio  Coludarz  (53  m.),  il  cui  vallo  andò  di- 
strutto, ma  che  nel  terriccio  nerissimo  rinserra  numerosi  cocci  preistorici;  l'altro  nomi- 
nato Vela  Straza  (64  m.),  sulla  punta  che  si  protende  verso  Bocca  falsa.  Nelle  imme- 
diate vicinanze  della  città,  e  quindi  manomessi  dai  lavori  agricoli  o  da  fabbricati  po- 
steriori, onde  ben  poco  si  conservò  delle  loro  cinte,  si  devono  notare  le  seguenti  sta- 
zioni preistoriche  :  una  sul  m.  Piccolo  Calvario  (55  m.),  di  forma  elittica  (diametro 
150  X  40  m.);  un'altra  sul  m.  Castello  (41  m.);  una  terza  sul  m.  S.  Martino  sopra  Val 
d'Arche,  ed  una  quarta  d'appresso  sul  poggio  detto  Varsac  (diametro  circa  100  m.), 
con  cocci  più  numerosi  che  non  nelle  precedenti.  Meglio  conservata  è  quella  di  Umpeliac, 
a  duplice  cinta,  sur  un  dosso  che  si  protende  dal  m.  Tomosciac  in  direzione  di  Val  d'Ar- 
che. Qualche  traccia  si  conservò  pure  di  quella  del  ro.  Telegrafo  (108  m.)  che,  per  la  sua 
posizione  dominante,  concede  un'ampia  veduta  su  tutto  il  porto  di  Lussinpiccolo. 

Anche  intorno  a  Lussingrande,  e  verso  l'estremità  meridionale  dell'isola,  incon- 
triamo parecchi  castellieri  od  almeno  vestigia  di  questi  :  così  sul  m.  Strasiza,  ove  sono 
costruite  le  prime  case  della  città,  si  conservò  qualche  resto  del  vallo,  ed  il  terreno  è 
cosparso  di  cocci;  così  sul  m.  Bulbin  (112  ni.),  con  forte  cinta  e  terriccio  nero  con  abbon- 
danti frammenti  di  pentole  ;  così  sul  m.  Calvario  o  S.  Giovanni  (234  m.),  quasi  del  tutto 
scomparso  ;  così  quello  del  m.  Pogled  o  della  Vedetta  (242  m.),  che  presenta  ancora  qual- 
che resto  di  cinta;  ed  infine  uno  sul  m.  Mulman  (60  m.)  presso  la  Punta  Cornù,  con  vallo 
ancora  in  buono  stato  ed  alcuni  tumoli.  Sull'adiacente  m.  Strasan  Stan  sorge  un  tu- 
molo  alto  2  m.  e  del  diametro  di  15,  nel  cui  centro  scavato  scorgesi  una  tomba  a  cas- 
setta rettangolare. 


REGIONE    X.  —    133   —  ISOLE    DEL   QUARNERO 

Ma  non  soltanto  le  tre  isole  maggiori  erano  abitate  fin  dalla  remota  antichità,  ma 
anello  sulle  minori  non  difettano  castellieri.  Su  Canidole  grande  ne  esisteva  uno  sul 
punto  culminante  (60  m.),  detto  Vela  Straza,  del  quale  rimane  ancora  parte  del  vallo, 
entro  al  quale  il  terriccio  è  assai  scuro  e  contenente  cocci  in  abbondanza.  Due  altri  ne 
possiede  l'isola  di  Unie  :  uno  alla  sua  estremità  settentrionale  sul  m.  Malanderschi 
(96  m.ì,  nel  quale  ai  cocci  preistorici  si  frammischiano  in  copia  quelli  di  epoca  romana, 
ed  abbondanti  resti  di  molluschi  marini;  l'altro  alla  meridionale,  sul  m.  Arbit  (129  m.\ 
con  duplice  cinta.  Da  un  piccolo  assaggio  fattovi  eseguire,  oltre  ad  un  grande  numero 
di  frammenti  di  pentole  di  varie  dimensioni,  tra  cui  molte  fornite  di  bugnette  e  di  anse 
di  fogge  diverse  o  con  decorazione  di  cordoncini  o  di  solchi  talora  disposti  a  cerchi  con- 
centrici, come  in  un  elegante  vasetto  mammellonato  rosso,  si  sterrarono  alcuni  pezzi  di 
un  grande  piatto  d'impasto  assai  grossolano,  dello  spessore  di  2  cm.,  leggermente 
concavo  su  ambe  le  facce,  che,  a  giudicare  dalla  curva,  doveva  avere  un  diametro  di 
60  centimetri.  Si  rinvennero  pure  una  macina  imperforata  di  trachite  bigia  granitoide 
ed  una  bella  ascia  levigata  di  schisto  quarzitico,  lunga  104  mm.  Anche  in  questo  castel- 
lici si  trovarono  parecchi  frammenti  d'anfore  romane.  Una  più  accurata  esplorazione 
di  questo  bel  cartelliere  —  e,  in  genere,  dell'isola  d'Unie  —  non  sarebbe  certo  opera 
sprecata. 

Del  pari  due  ne  esistono  sull'isola  di  S.  Pier  de'  Nembi,  di  cui  uno  nominato  pur 
esso  Vela  Straza  (91  m.),  a  duplice  cinta,  che  in  un  assaggio  ci  forni  parecchie  anse  ad 
orecchietta  ed  a  linguetta  ;  l'altro  sul  m.  Strizine,  del  quale  non  si  conservarono  se  non 
pochi  resti,  sebbene  il  terreno  sia  disseminato  di  cocci  tanto  preistorici  quanto  romani 
e  di  una  grande  quantità  di  molluschi  marini.  La  natura  speciale  dell'isola  di  Sansego, 
consistente  di  un  ammasso  di  pura  sabbia  incoerente  dell'altezza  di  100  m.,  non  era  certo 
favorevole  alla  conservazione  di  antiche  costruzioni  :  la  presenza  però  di  cocci  pre- 
istorici, che  qua  e  là  rinvengonsi  sul  m.  Garbe,  vi  farebbe  tuttavia  supporre  l'esistenza 
di  una  stazione  preistorica. 

Da  questa  succinta  enumerazione  ci  si  può  fare  un'idea  dei  numerosi  castellieri 
ond'erano  disseminate  le  isole  del  Quarnero.  Com'è  naturale,  non  tutti  vennero  contem- 
poraneamente costruiti,  ma  successivamente,  a  mano  a  mano  che,  per  l'accresciuta 
popolazione,  se  ne  presentava  il  bisogno.  Per  conoscere  quindi  l'epoca  della  loro  fon- 
dazione, sarebbe  mestieri  praticare  qualche  piccolo  scavo  in  ognuno  di  essi  od  almeno 
nei  meglio  conservati,  da  cui  risulterebbe  la  loro  età,  quando  cioè  vennero  eretti  e 
quando  abbandonati.  Né  è  esclusa  la  possibilità,  che  vi  si  scoprano  le  relative-necropoli, 
dappoiché  non  di  rado  queste,  nei  primi  tempi,  trovavansi  entro  le  cinte,  ed  appena 
più  tardi,  allorché,  per  l'aggiungersi  di  nuove  tombe,  lo  spazio  disponibile  più  non  era 
sufficiente,  venivano  trasportate  in  qualche  fondo  con  adeguato  terriccio,  al  piede  del 
castelliere,  a  minore  o  maggiore  distanza  da  esso. 

Città  principale  delle  isole  del  Quarnero  era  nell'antichità  quella  di  Ossero,  dalla 
quale  veniva  pure  denominata  l'isola  di  Lussino  (Absorus).  Ci  parve  quindi  opportuno 
cominciare  le  investigazioni  appunto  da  questa  località,  rispettivamente  dai  castellieri 
che  la  circondano.  E  tra  questi,  per  robustezza  delle  cinte  e  per  la  buona  conservazione, 
attrasse  la  nostra  attenzione  quello  della  Grande  Guardia   che  dista  dalla  città  circa 


ISOLE    DEL    QUARNEHO  —    134    —  REGIONE    X. 

cinque  chilometri  in  direzione  di  Punta  Croce,  di  proprietà  del  sig.  Romano  Socolich- 
Castellani  di  Neresine,  dal  quale  gentilmente  ci  fu  concesso  di  eseguire  lo  scavo. 

La  sua  posizione,  elevata  di  una  cinquantina  di  metri  su  tutto  il  terreno  circo- 
stante, lo  rendeva  un  punto  strategico  di  primaria  importanza.  Le  sue  mura  hanno 
uno  spessore  di  m.  4.60  che  bene  si  distinguono  quale  nucleo  entro  l'enorme  massa 
di  sfasciume  derivante  dal  loro  crollo.  Esse  constano  d'informi  blocchi  di  calcare  di 
1-1.50  m.  di  diametro,  senza  alcuna  traccia  di  lavorazione  o  di  cemento, com'è  d'altronde 
il  caso  in  tutte  le  costruzioni  preistoriche  della  nostra  regione.  Specialmente  dal  lato 
di  SO  che  è  il  più  elevato,  l'àggere  ha  tuttora  un'altezza  di  3  m.,  laddove  dagli  altri  non 
giunge  se  non  ad  1.50  e  meno  ancora,  spccialmen'.e  nel  tratto  frncheggiato  da  un'am- 
pia e  dirupata  valliceli»  crateriforme  ed  in  quello  rivolto  a  levante  verso  la  Stanzia 
Ghermosai,  che  scende  con  forte  pendìo,  ove  non  si  richiedevano  così  robuste  opere  mu- 
nitone, avendovi  già  provveduto  la  natura.  Il  castelliere  va  digradando  verso  mezzo- 
giorno, e  presenta  alla  sua  metà  un  ripiano  semicircolare  sostenuto  da  un  muro  di  due 
metri  di  grossezza,  al  disotto  del  quale  c'è  un  breve  tratto  inclinato  rupestre  che  fini- 
sce in  un  ampio  pianoro  largo  10  m.,  occupante  tutta  la  parte  inferiore  del  castelliere. 
Quivi  fu  praticato  lo  scavo  principale  di  circa  16  mq.,  approfondendolo  fino  a  1.80  m., 
livello  in  cui  si  trovò  il  terreno  vergine.  Due  sterri  minori  si  fecero  nel  ripiano  superiore 
ove  il  terreno  era  profondo  soltanto  80  cm.,  ed  in  un  campo  all'esterno  del  vallo  che 
appariva  disseminato  di  cocci. 

Il  terriccio  di  questo  castelliere  contiene  una  grande  quantità  di  frammenti  di 
fittili  d'impasto  assai  grossolano,  che  alla  frattura  presentano  un'argilla  nera  frammista 
a  sabbia  calcare,  di  cui  solo  un  tenue  strato  all'esterno  ed  all'interno  venne  arrossato 
dalla  cottura.  Essi  provengono  per  la  massima  parte  da  stoviglie  di  grandi  dimensioni 
e  dello  spessore  fino  a  2  cm.  Queste  erano  generalmente  ventricose,  con  labbra  diritte 
o  leggermente  piegate  all'infuori,  raramente  orizzontali,  ed  avevano  il  fondo  sempre 
piatto.  Quasi  tutti  erano  lisci,  senza  alcune  decorazione  o,  tutt'al  più,  con  qualche  cor- 
done rilevato  o  qualche  bugietta.  Raramente  il  cordone  è  ondulato  o  disposto  a  cerchi 
concentrici.  La  stessa  ornamentazione  ad  impressioni  digitali  (fig.  6),  tanto  comune 
nelle  nostre  caverne  e  nei  castellieri  della  terraferma,  apparve  solo  in  tre  cocci.  Scarsi 
sonvi  i  vasetti  più  piccoli  (fig.  7),  non  dissimili  da  quelli  fornitici  dagli  scavi  delle 
nostre  grotte  eneolitiche. 

Abbastanza  varie  si  presentano  le  anse  de'  vasi,  tanto  verticali  quanto  orizzontali, 
di  cui  si  raccolse  un  buon  numero.  Le  più  frequenti  sono  le  imperforate,  consistenti  in 
una  linguetta  sporgente  (fig.  8),  talora  con  un'impressione  nel  centro  (fig.  9).  Alle  volte 
sono  ridotte  ad  una  semplice  protuberanza  semicircolare  applicata  alla  parete  del 
vaso  (fig.  10).  Una  di  queste  linguette  è  perforata  da  un  forellino  per  passarvi  una  cordi- 
cella, al  quale  scopo  in  un'altra  pentola  a  labbra  diritte  serviva  un  semplice  foro  prati- 
cato presso  il  margine.  Si  raccolsero  pure  numerose  anse  ad  orecchietta,  inserite  più  o 
meno  distanti  dall'orlo.  Interessante  è  una  specie  in  cui  la  branca  superiore  si  allarga  in 
un'espansione  aliforme  semicircolare  (fig.  11),  particolarità  caratteristica  delle  epoche  più 
arcaiche,  comparendo  già  negli  strati  neolitici  delle  caverne  ed  assai  frequente  negli  altri 
castellieri  del  Quarnero  e  dell'Istria  meridionale,  rara  invece  nelle  parti  settentrio- 


REGIONE   X. 


—  135  — 


ISOLE    DEL   QUARNERO 


nali  della  regione.  Molto  strani  sono  certi  manichi  triangolari  o  linguiformi  (fig.  12), 
lunghi  fin  20  cm.  e  grossi  fino  5,  assai  massicci  e  pesanti  spesso  oltre  un  chilogramma, 
che  sembrano  una  specialità  del  nostro  paese,  e  di  cui  anche  alcuni  altri  castellieri  della 
terraferma  p.  es.  quelli  di  S.  Spirito  di  Cittanova,  di  Carastac  e  di  Moncas  presso  Villa 
di  Rovigno,  di  Contovello  ecc.  ci  diedero  alcuni  esemplari  ma  sempre  imperforati  e 


Pio.  C. 


Fig.  7. 


Pio.  8. 


mai  forniti  di  uno  o  due  fori  presso  l'estremità  che  s'inseriva  al  fittile  relativo,  come 
in  quelli  di  Ossero.  Probabilmente  essi  appartenevano  a  quei  grandi  piatti  o  padelle  già 


Fio.  9. 


Fig.  10. 


accennati  tra  gli  oggetti  scavati  nel  castelliere  del  m.  Arbit,  dei  quali  il  presente  castel- 
liere  ci  diede  pure  alcuni  frammenti,  di  ancor  maggiore  spessore  (4  cm.).  A  quale  scopo 
questi  servissero  non  è  facile  stabilire  con  certezza.  Forse  stavano  in  relazione  con  la 
panificazione,  considerando  il  modo  usato  ancora  oggigiorno  dai  contadini  dell'  interno 
della  Dalmazia  nella  cottura  del  pane.  Distesa  la  pasta  in  forma  di  grande  e  sottile  fo- 
caccia o  schiacciata  (analoga  alle  pizze  dell'Italia  meridionale),  sul  terreno  preventi- 
vamente appianato,  e  più  o  meno  pulito,  essa  viene  ricoperta  da  una  specie  di  ampio 
e  grosso  piatto  d'argilla,  sul  quale  si  accende  il  fuoco,  improvvisando  così  un  forno  ru- 
dimentale. 

I  fittili  sono  assai  primitivi,  e  non  presentano  mai  un'ingubbiatura  più  fina  né  trac- 
cia di  graffiti  o  di  dipinti  a  stralucido,  che  pur  non  fanno  difetto  in  molti  castellieri 
dell'Istria  e  persino  tra  gli  avanzi  eneolitici  delle  nostre  caverne.  Va  pure  rilevata 
la  mancanza  di  scodelle  a  labbra  rivolte  all'interno,  frequentissime  nei  castellieri  di 


ISOLE   DEL  QUARNERO 


—   136   — 


REGIONE  X. 


epoca  più  tarda.  Strana  riesce  inoltre  la  scarsità  di  resti  animali  che,  trattandosi  di  genti 
dedite  principalmente  alla  pastorizia,  sono  di  regola  molto  copiosi.  Non  si  raccolsero 
se  non  poche  ossa  di  pecora,  di  bue  e  di  porco,  nessuna  di  specie  selvagge  (1).  Del  pari  a 


Fio.  11. 


differenza  di  tutte  le  stazioni  giacenti  in  prossimità  del  mare  e  nelle  quali  abbondano 
i  molluschi  di  cui  assai  ghiotti  erano  i  castricoli,  quivi  non  si  raccolsero  se  non  due 
patelle  nello  scavo  del  ripiano  superiore. 


Fio.  12. 


In  generale  il  carattere  dei  relitti  che  ci  offre  questo  cartelliere  può  dirsi  negativo, 
almeno  a  giudicare  dai  risultati  ottenuti  coi  nostri  scavi  :  nessuna  cote,  nessun  istru- 
mento  d'osso  o  di  pietra,  nessun  oggetto  metallico  e  neppure  alcuna  traccia   di  resti 


(')  Anche  dagli  altri  castellieri  delle  isole  del  Quarnero  non  ebbi  alcun  resto  del  capriolo  o  del 
cervo,  quantunque  quest'ultimo  non  vi  mancasse,  almeno  nell'epoca  quaternaria,  come  ci  viene  di- 
mostrato dagli  avanzi  raccolti  nelle  brecce  ossifere. 


KEUIONE   X.  —    13?    —  ISOLE   DEL  QUARNEKO 

appartenenti  ad  epoche  posteriori.  Una  grande  uniformità  ci  presentano  i  manufatti 
raccolti,  sicché  dobbiamo  ammettere  una  notevole  arcaicità  di  questa  stazione,  i  cui 
abitanti  vivevano  isolati  nel  loro  ben  difeso  villaggio,  senza  contatti  con  genti  più  pro- 
gredite. È  evidente  che  assai  presto  esso  venne  abbandonato,  probabilmente  fin  dallo 
scorcio  dell'epoca  del  bronzo,  perchè,  in  caso  diverso,  non  sarebbe  stato  possibile  che  si 
fosse  sottratto  alle  influenze  della  civiltà  più  evoluta  che  fioriva  nella  vicina  Ossero. 

Isella  speranza  di  rintracciare  la  necropoli,  si  fece  pure  un  assaggio  nella  vallecola 
adiacente  che  presentava  al  fondo  una  bella  spianata,  tanto  più  che,  in  una  specie  di 
nicchia  tra  le  rocce  de'  suoi  fianchi,  si  erano  rinvenuti  grossi  pezzi  di  un'urna  e  fram- 
menti di  ossa.  Purtroppo  lo  scavo  non  ci  diede  alcun  risultato. 

Analogo  bottino,  se  anche  più  scarso,  data  l'esiguità  dello  sterro,  si  ebbe  dalle 
indagini  praticate  nel  castelliere  di  Pescenie  a  circa  due  chilometri  a  TNT.  di  Os- 
sero, che  giace  sopra  un  dosso  arrotondato,  quasi  nudo  ad  eccezione  di  alcuni  Ton- 
chiosi ginepri  (Juniperus  phoenirea),  e  totalmente  grigio  per  la  grande  quantità  di 
Salvia  officinaKs  ond'è  rivestito.  Esso  è  ad  una  sola  cinta,  piuttosto  debole,  che  gira 
intorno  alla  vetta  per  310  metri.  Al  suo  culmine  trovasi  un  mucchio  di  pietre  alto  m.  4 
e  della  circonferenza  di  40,  dovuto  ad  un  antico  tumolo,  con  tracce  di  costruzione  più 
tarda.  Altro  tumolo  minore  (alto  m.  0.5;  circonferenza  20)  sorge  presso  la  periferia  del 
castelliere. 

Ben  differente  è  l'aspetto  del  piccolo  castelliere  di  Vela  Straza,  che  sorge 
roccioso  a  un  chilometro  in  linea  d'aria  a  mezzogiorno  di  Ossero.  Circondato  da  lus- 
sureggiante vegetazione  sempreverde,  che  s'addensa  anche  sul  suo  ripiano,  esso  va 
del  pari  fornito  di  una  sola  cinta  megalitica,  grossa  2  m.,  girante  intorno  ad  un  colos- 
sale tumolo,  che,  unitamente  ad  una  serie  di  rocce  dentellate,  ne  occupa  il  centro,  sicché 
ben  poco  spazio  rimaneva  per  le  dimore  degli  abitanti.  Causa  la  fìtta  sterpaia  di  gi- 
nepri, di  lecci,  di  filliree  ecc.  che  impedivano  uno  scavo  più  esteso,  ci  si  dovette  limi- 
tare ad  un  piccolo  assaggio,  dal  quale  naturalmente  non  si  ebbero  gran  cose. 

Per  poter  fare  un  confronto  tra  i  castellieri  dell'estremità  meridionale  dell'isola 
e  quelli  della  parte  centrale,  mi  parve  opportuno  rivolgere  l'attenzione  ad  alcuni  castel- 
lieri dei  dintorni  della  città  di  Cherso,  che  per  la  loro  buona  conservazione  ci  davano 
maggiore  affidamento.  A  quest'uopo  scelsi  quello  del  m.  Ciule  presso  Losnati  e  quello 
del  m.  Sculchi  a  mezzogiorno  del  villaggio  di  Aquilonia  (Orlez).  Il  primo  è  un 
bel  castelliere  con  una  cinta  interna  della  circonferenza  di  260  m.,  costituita  da  un 
robusto  muro  della  grossezza  di  3.60  m.,  alto  in  alcuni  tratti  1.50-2  m.  Esso  è  costruito 
dà  blocchi  di  oltre  un  metro  di  diametro,  e  possiede  un  ripiano  variante  da  2  a  4  m.,  ri- 
stretto però  in  buona  parte  dal  materiale  del  muro  rovesciato.  Al  punto  più  elevato  esi- 
ste un  tumolo  scomposto,  sul  quale  venne  alzato  un  segnale  trigonometrico.  Del  pari 
al  versante  occidentale  veggonsi  tracce  di  un  tumolo,  ormai  quasi  scomparso.  Il  vallo 
esterno,  molto  più  debole,  constando  di  un  muro  di  soli  2  m.  di  spessore  a  fior  di  terra, 
giace  circa  8  m.  più  in  basso,  ed  è  solo  parziale  e  limitato  alla  parte  meridionale,  dove 
una  bella  spianata  lunga  125  m.  e  larga  6-8,  riparata  dai  venti  di  tramontana,  of- 
friva la  più  opportuna  posizione  per  l'erezione  delle  capanne.  E  difotti,  mentre  gli  scavi 
praticati  entro  la  cinta  superiore  nel  ripiano  dalla  parte  di  NE.  ci  diedero  risultati  del 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  18 


Isole  del  quarnero 


—  138  — 


REGIONE   X. 


tutto  negativi,  quelli  fatti,  durante  due  giornate  di  lavoro,  al  lato  occidentale,  meno 
esposto,  e  specialmente  nella  spianata  inferiore,  ci  fornirono  larga  mèsse  di  frammenti 
di  fittili.  E  ciò  e  naturale,  perchè,  senza  dubbio,  anche  nei  tempi  preistorici  la  patria 
bora  avrà  soffiato  con  violenza  sull'isola  di  Cherso,  come  ce  lo  provano  la  maggiore  ro- 
bustezza delle  muraglie  che  generalmente  si  riscontra  ne'  suoi  castellieri  dalla  parte 


4$  ■  •-: 


d'onde  spira  questo  vento  impetuoso,  e  la  presenza,  in  molti  di  essi,  della  seconda  cinta 
unicamente  al  versante  meridionale,  meno  soggetto  alle  raffiche  furiose. 

Costruzione  non  dissimile  ci  presenta  il  castelliere  del  m.  Sculchi  (fig.  13)  che  è 
di  forma  elittica.  Anch'esso  è  un  castelliere  a  doppia  cinta,  di  cui  però  l'esterna,  a  dif- 
ferenza di  quella  del  m.  Ciule,  si  annoda  ad  ambe  le  parti  al  vallo  superiore.  Per  la  na- 
tura oltremodo  rupestre  del  terreno,  scendente  molto  ripido  tanto  dal  lato  orientale 
che  occidentale,  il  ripiano  delle  cinta  superiore  è  limitato  a  due  tratti  a  N.  ed  a  S.  : 
il  primo  lungo  22  m.  e  largo  7  ;  l'altro,  più  vasto,  lungo  50  m.  e  largo  6-8,  a  circa  10  m. 
sotto  il  culmine,  che  è  piano  e  costituito  da  nude  rocce  calcari.  I  muraglioni  del  vallo, 
misuranti  attualmente  in  altezza  soli  m.  0.50-1,  sono  grossi  da  ra.  2  a  2.50  e  costrutti 
da  blocchi  del  diametro  di  0.80-1  m.  La  cinta  inferiore  scende  per  una  ventina  di  metri 
più  in  basso,  e  possiede  pur  essa  uno  stretto  ripiano  semicircolare. 


REGIONE    X. 


139    — 


ISOLE    DEL    QUAKNEKO 


Lo  scavo  in  questo  castelliere  fu  praticato  in  due  punti  del  ripiano  superiore  vòlto 
a  meriggio,  e  si  estese  sur  una  superficie  di  25  m.  q.  Il  terriccio  aveva  una  profondità 
di  soli  0.50-0.70  m.  e  conteneva  cocci  in  grande  copia,  che,  al  pari  di  quelli  del  m.  Ciule 
sono  del  solito  impasto  grossolano  nero,  e  per  forma  e  decorazione  presentano  spiccata 
analogia  con  quelli  già  descritti  del  castelliere  della  Grande  Guardia  di  Ossero.  Vanno 


Fio.  14. 


tuttavia  rilevate  alcune  forme  di  anse  non  osservate  in  quest'ultimo,  come  p.  e.  l'ansa 
orizzontale  gemina  (fig.  14)  fornitaci  pure  dal  m.  Ciule,  alcune  a  linguetta  terminanti 
in  due  cornetti,  ed  alcuni  manichi  cordonati  con  coste  trasversali  (fig.  15).  Né  vi  man- 


Fio.  15. 


cano  quei  grossi  manichi  triangolari,  più  o  meno  allungati,  di  padella,  riscontrati 
in  quello  della  Grande  Guardia.  Al  pari  di  quest'ultimo,  scarseggiano  gli  avanzi 
d'animali,  ne  si  ebbe  traccia  alcuna  di  molluschi  marini  e  d'ossa  lavorate.  In  ambedue 
si  raccolsero  macine  imperforate  di  trachite,  del  diametro  di  20-22  cm.,  provenienti 
probabilmente  dai  colli  Euganei:  quella  del  m.  Ciule  di  colore  oscuro  con  numerosi 
noduli  bianchi  di  quarzo;  quella  del m.  Sculchi  invece  d'una  varietà  bigia,  granitoide, 
cui  va  aggiunta  inoltre  un'altra  macina  formata  da  una  puddinga  o  conglomerato  ros- 
sastro con  ciottoli  di  quarzo,  simile  a  quella  della  valle  del  Ferro  in  Carnia  che  ancora 
attualmente  viene  scavata  per  tale  scopo.  In  quest'ultimo  castelliere  si  rinvenne  pure 


ISOLE    DEL   QUARNERO  —    140    —  REGIONE   X. 


un  bel  coltellino  di  bronzo,  lungo  94  ira.,  che  fu  l'unico  oggetto  metallico  raccolto 
ne'  nostri  scavi.  Anche  in  questi  due  castellieri  non  si  rinvenne  alcun  oggetto  di 
epoca  più  tarda,  sicché  pur  essi  sembrano  essere  stati  abbandonati  alla  fine  dell'epoca 
del  bronzo,  a  differenza  di  quello  di  S.  Bartolomeo  presso  Cherso,  di  cui  si  fece  più 
sopra  parola. 

Riassumendo  i  risultati  ottenuti  dagli  scavi  da  noi  praticati  nei  castellieri  chersini, 
possiamo  inferire  dallo  studio  de'  manufatti  raccolti,  ricordanti  non  poco  quelli  delle 
caverne,  ch'essi  furono  fondati  già  nell'epoca  eneo-litica,  perdurando  durante  tutta 
la  successiva  del  bronzo  e  forse,  almeno  quelli  del  m.  Ciule  e  del  m.  Scalchi,  sino  ai  pri- 
mordii  dell'età  del  ferro.  Nonostante  il  notevole  spessore  del  terriccio  del  castelliere 
della  Grande  Guardia,  non  fu  possibile  constatare,  come  si  sperava,  una  differenza  tra 
i  manufatti  degli  strati  più  profondi  e  quelli  superficiali,  che  avessero  concesso  di  rico- 
noscere uno  svolgersi  progressivo  della  coltura.  La  presenza  dei  tomoli— che  in  maggiore 
o  minor  numero  sorgono  nelle  vicinanze  od  entro  la  cinta  de'  castellieri  e  che,  per  il 
rito  dell'inumazione  del  cadavere  in  posizione  rannicchiata  (rito  tanto  diverso  da  quello 
ipogeo  e  della  combustione,  vigente  nella  nostra  regione  esclusivamente  durante  l'epoca 
del  ferro)  e  per  le  aggiunte  che  talora  si  rinvengono,  devonsi  attribuire  all'evo  del 
bronzo  —  serve  pure  a  determinare  indirettamente  l'età  delle  stazioni.  Va  inoltre 
notato  che,  a  differenza  della  terraferma  dell'Istria,  ove  sono  molto  rare  le  ascie  levi- 
gate di  pietra  dura,  sulle  isole  del  Quarnero  esse  ritrovansi  relativamente  frequenti 
nei  castellieri  o  nelle  loro  vicinanze.  Non  ostante  ch'esse  vengano  gelosamente  con- 
servate dai  contadini  quali  talismani  contro  il  fulmine  ed  alcune  malattie,  e  quindi 
non  facilmente  se  ne  privino,  ne  ebbi  pure  parecchie  da  Losnati,  dà  Lussingrande,  da 
Lussinpiccolo,  dal  castelliere  del  m.  Arbit  di  Unie  e  specialmente  da  Verbenico  sul- 
l'isola di  Veglia,  dalla  quale  località  ne  vidi  una  trentina  nella  raccolta  del  parroco 
don  Butcovich  di  Castua.  Esse  sono  solitamente  di  piccole  dimensioni,  da  35  a  45  min., 
a  differenza  di  quelle  della  terraferma  istriana  che  talora  giungono  ad  una  lunghezza 
di  200  e  più  mm.;  per  lo  più  constano  di  cloromelanìte,  di  rocce  trachitiche  e  diaba- 
siche,  di  malafiro,  di  eclogite,  di  riolite,  di  serpentino  ecc. 

Approfittando  del  breve  soggiorno  ad  Ossero,  si  procurò  di  ordinare  le  raccolte  di 
quel  museo  locale,  che  erano  nel  massimo  disordine,  non  essendosi  rispettato  alcun 
criterio  cronologico,  per  cui  trovavansi  mescolati  gli  oggetti  delle  età  più  disparate  (*). 


(')  Ne  scrisse  per  primo  Riccardo  Burton  una  breve  nota  (Scoperte  antropologiche  in  Ossero, 
nclT  «  Archeografo  triestino  »,  1877,  p.  129)  in  cui  si  limita  a  far  cenno  di  alcuni  pochi  oggetti, 
intrattenendosi  specialmente  sur  una  lucerna  romana  con  alcuni  rozzi  graffiti  sul  fondo  che,  se- 
condo la  sua  opinione,  sarebbero  runici,  analoghi  a  quelli  dell'Irlanda.  Il  Benndorf  (Ausgrabun- 
gen  in  Ossero,  nelle  «  Epigr.  Mittheil.  aus  Oesterreich  »,  1880,  p.  73)  trattò  esclusivamente  degli 
oggetti  romani,  illustrando  parecchie  epigrafi.  Più  tardi  il  prof.  Klodic  pubblicò  una  relazione 
(Mittheil.  der  Centralkom.  Vienna,  1885,  p.  I)  che  però  è  una  semplice  enumerazione  di  alcuni 
oggetti,  dei  quali  figurati  21,  tra  cui  soli  4  di  epoca  preistorica.  Incaricato  nel  1894  di  eseguire 
nuove  ricerche  nella  prefata  necropoli,  il  dott.  de  Petris  inviò  i  relativi  rapporti  alla  Commis- 
sione centrale  di  Vienna,  dei  quali  non  furono  pubblicati  se  non  smilzi  estiatti  (1895,  p.  258; 
e  1897,  p.  176).  In  tutte  queste  relazioui  i  resti  preistorici   sono    quasi   del   tutto    negletti.  Né 


REGIONE    X.  —    141    —  ISOLE    DEL    QUARNERO 


Essi  provengono  per  la  massima  parte  da  una  vasta  necropoli  che  giaceva  a  mezzo- 
giorno della  città  di  là  dalla  Cavanella,  e  quindi  già  sull'isola  di  Lussino,  sur  un  ter- 
reno a  dolce  pendio,  estendentesi  intorno  all'ormai  scomparsa  cappella  di  S.  Stefano. 
Gli  scavi  vi  vennero  praticati  dall'arciprete  G.  Bolmarcich,  allora  parroco  di  Ossero, 
tra  il  1874  ed  il  1881,  non  però  continuamente  e,  purtroppo,  in  modo  assai  primitivo 
e  senza  alcun  metodo  scientifico,  non  tenendosi  conto  nò  dell'area  scavata  e  del  nu- 
mero delle  tombe  aperte,  né  del  rito  e  dell'epoca  cui  si  riferivano,  né  della  loro  forma 
e  giacitura,  e  mcn  che  meno  curandosi  di  conservare  diviso  il  loro  corredo  funerario, 
d'onde  si  sarebbe  potuta  avere  una  nozione  precisa  di  questa  importante  necropoli. 
Si  aggiunga,  a  ciò,  che  mons.  Bolmarcich,  nominato  canonico  alla  cattedrale  di  Veglia, 
portò  con  sé,  a  quanto  mi  fu  detto,  buon  numero  di  oggetti,  dei  quali  più  non  si  ebbe 
contezza.  Più  tardi,  per  incarico  della  Commissione  centrale  per  la  tutela  dei  monu- 
menti di  Vienna,  il  dott.  G.  de  Petris  di  Cherso  esplorò  un  lembo  non  ancora  manomesso 
del  cimitero,  che  però  in  massima  parte  conteneva  tombe  romane.  Anche  dalla  parte 
settentrionale  di  Ossero  si  trovarono  qua  e  là  piccoli  sepolcreti,  il  cui  contenuto  pare 
sia  stato  frammischiato  a  quello  della  necropoli  principale  della  Cavanella  o,  più  spesso, 
miseramente  disperso.  Su  questi  campi  funebri  e  sulle  loro  interessanti  reliquie  ben 
poco  venne  finora  pubblicato  in  succinte  relazioni,  nelle  quali"  ai  relitti  preistorici  non 
si  fece  alcuna  attenzione;  e  quindi,  sebbene  si  tratti  di  un  materiale  scavato  parecchi 
anni  fa,  non  stimo  inopportuno  darne  qui  alcune  brevi  notizie,  giacendo  esso  tuttora 
inedito. 

Per  quanto  si  può  dedurre  dagli  oggetti  tuttora  conservati  nel  museo  di  Ossero, 
la  necropoli  servì  per  lunghi  secoli  agli  abitanti  della  città,  e  probabilmente  anche  dei 
castellieri  circostanti,  dai  primordii  della  prima  epoca  del  ferro  sino  ai  tardi  tempi 
romani.  È  vivamente  da  deplorarsi,  che  le  varie  relazioni  non  ci  dieno  se  non  scarse  e  con- 
fuse notizie  sul  rito  funebre  vigente,  dalle  quali  si  desume  unicamente,  che  le  tombe 
erano  di  differente  costruzione,  alcune  ad  inumazione,  la  maggior  parte  però  a  com- 
bustione, senza  indicarci  in  qual'epoca  era  in  uso  l'una  o  l'altra  forma  di  seppellimento. 
Degli  inumati,  alcuni  erano  deposti  nella  nuda  terra  sopra  un  letto  di  ghiaia,  altri  in 
sarcofaghi  di  pietra  o  di  terracotta.  I  resti  dei  combusti  venivano  raccolti  in  vasi 
d'argilla  o  di  vetro,  talora  conservati  in  urne  di  pietra  :  non  vi  è  fatta  però  alcuna  di- 
stinzione tra  tombe  preistoriche  e  tombe  romane. 

Io  non  mi  occuperò  qui  dei  numerosi  resti  della  civiltà  romana,  consistenti  in  una 
bella  sene  di  vasi  cinerariidi  argilla,  di  bronzo  e  di  vetro  ;  di  una  grande  quantità  di  lu- 
cerne spesso  con  bolli  di  fabbrica  o  con  decorazioni  figurali;  in  copiosi  utensili  ed  oggetti 
d'ornamento  di  bronzo  (quali  strigili,  specchi,  pinzette,  anelli,  braccialetti, bottoni);  in 
collane  di  perle  d'ambra  e  di  vetro  ;  in  ami  ed  istrumenti  di  ferro,  malauguratamente 
mezzo  distrutti  dall'ossido,  non  essendosi  provveduto  alla  loro  conservazione;  in  grandi 


più  luce  vi  apporta  un  rapporto  manoscritto  del  Bolmarcich,  favoritomi  gentilmente  dal  prefato 
dott.  de  Petris.  in  cui  si  parla  di  egiziani,  di  fenicii,  di  pelasgi  e  di  ciclopi,  ma  ben  poco  delle 
tombe  e  della  loro  struttura  come  pure  degli  oggetti  in  esse  contenuti,  sicché  non  riesce  di  alcun 
giovamento. 


ISOLE    DEL   QUARNERO  —    142    —  REGIONE    X. 

missili  di  piombo,  di  cui  alcune  con  iscrizioni,  in  monete,  lapidi,  epigrafi  funerarie,  ecc., 
che  formeranno  oggetto  di  studio  della  dottRS*.  Tamaro.  Limitandomi  alla  parte preisto - 
rica,  procurerò  di  illustrare  brevemente  il  materiale  archeologico  riferentesi  a  quest'età, 
esistente  al  museo  di  Ossero,  molto  meno  numeroso  del  romano,  ma  pur  costituente  una 
collezione  abbastanza  cospicua  ed  interessante  per  la  palcostoria  delle  isole  del  Quar- 
nero,  finora  quasi  del  tutto  sconosciuta  agli  studiosi. 

Pochi  sono  i  resti  appartenenti  all'epoca  enco-litica,  dei  quali  però  è  assai  dubbio, 
se  provengano  dalla  necropoli  o  da  qualche  castellierc,  il  che  è  molto  più  probabile. 
Noterò  qui  una  bella  ascia  nera  di  pietra  dura  levigata,  che  giudico  di  basalte  o  di  me- 
lafiro,  lunga  òò  mm.  e  larga  al  taglio  40,  ed  un  ciottolo  d'egual  sostanza  (lungo  50  mm., 
largo  36,  grosso  1 8)  non  ancora  lavorato  per  trarne  un'accetta.  A  questo  periodo  vanno 
ascritti  pure  alcuni  pestelli  e  coti  d'arenaria,  tanto  frequenti  nei  castellieri  e  nelle  ca- 
verne della  Regione  Giulia. 

Nessun  rappresentante  dell'età  del  bronzo  trovasi  nella  raccolta  del  museo;  all'in- 
contro ad  un  periodo  arcaico  della  la  epoca  del  ferro  appartengono  indubbiamente  sei 
fibule  ad  arco  semplice  ed  otto  ad  occhiali  (').  Delle  prime,  che  sono  di  tipo  semicircolare 
ed  hanno  l'arco  alquanto  ingrossato,  nessuna,  purtroppo,  conserva  la  staffa,  sicché  non 
è  possibile  stabilire  se  debbano  riferirsi  alle  cosidette  fibule  a  riccio  bilaterale  (ossia  for- 
nite di  una  voluta  dalla  parte  dell'ardiglione  anche  al  di  sotto  della  staffa,  comuni  nei 
campi  funebri  della  valle  dell'Isonzo  e  de'  suoi  confluenti,  e  specialmente  in  quelli  della 
penisola,  balcanica,  che  però  non  s'estendono  ad  occidente  di  là  dal  Friuli),  oppure  al 
solito  tipo  delle  fibule  ad  arco  semplice  italiche.  Ad  ogni  modo  riesce  interessante  la 
presenza  delle  fibule  ad  arco  semplice  nei  cimiteri  di  Ossero,  essendo  esse  estremamente 
rare  o  mancanti  nelle  necropoli  dell'Istria  meridionale.  Gli  scavi  di  Nesazio,  dei  Piz- 
zughi  presso  Parenzo  e  di  Vermo  non  ne  hanno  data  alcuna,  laddove  esse  spesseggiano 
nelle  parti  settentrionali  della  regione,  cominciando  da  S.  Canziano  presso  Trieste 
a  S.  Lucia,  Caporetto,  S.  Pietro  del  Natisone  ecc. 

Per  quanto  riguarda  le  fibule  ad  occhiali  od  a  spirale  binata  di  Ossero,  che  sono 
di  grandi  dimensioni  (11-19  em.)  ed  assai  pesanti,  esse  presentano  un'interessante 
particolarità,  finora  mai  riscontrata  in  alcuno  dei  numerorissimi  esemplari  di  questa 
specie  rinvenuti  nella  Regione  Giulia,  che  giungono  a  quasi  mezzo  migliaio,  e  che  soli- 
tamente sono  assai  più  piccoli.  Alla  parte  inferiore,  cioè,  esse  possiedono  una  laminctta 
di  rafforzo,  assicurata  mercè  due  chiodetti,  che  ad  un'estremità  si  ripiega  a  formare 
la  staffa,  dall'altra  invece  si  rastrema  nell'ardiglione  direttamente  oppure  descrivendo 
una  voluta  (fig.  16).  Esse  differiscono  quindi  dalle  solite  fibule  ad  occhiali,  constando 
di  due  pezzi  distinti  :  le  spirali  e  la  laminctta  con  l'ago  e  la  staffa. 

Fibule  di  questo  tipo  non  sono  rare  nella  penisola  balcanica,  tanto  in  Croazia 
quanto  in  Dalmazia  ed  in  Bosnia  e  nell'Erzegovina,  e  ne  vennero  raccolte  pure  nella 
necropoli  di  Circonico  (Zirknitz)  in  Carniola,  poco  lungi  dal  nostro  confine  settentrio- 
nale. In  Italia  se  ne  conosce  del  pari  qualcuna  da  Novilara,  da  Sibari,  dall'Apulia  e 

(')  Un  altro  esemplare  di  quest'ultimo  tipo  proveniente  dalla  stessa  necropoli,  misurante 
176  mm.,  trovasi  nel  museo  di  Parenzo. 


REGIONE   X. 


—  143  — 


ISOLE   DEL   QUARNERO 


dalla  Terra  di  Lavoro.  Noterò  infine  che  l'esemplare  piìi  occidentale,  finora  conosciuto, 
di  questa  fibula,  raccolto  a  Costanza  in  Svizzera,  possiede  pur  esso  una  laminetta 
sottoposta,  laddove  nessuno  dei  quattrocento  e  più  pezzi  di  Hallstatt  ne  va  mai  tornito. 
Fatalmente  spezzata  è  una  fibula  particolare  a  drago  e  spillone  a  globetto  (fig.  17), 
rarissima  nella  nostra  regione  ove  non  ne  trovai  se  non  un'unica  più  grande  e  massiccia,! 


Fio.  10. 


pur  essa  incompleta,  nella  necropoli  di  Bresez  presso  S.  Canziano,  ma  diffusa  special- 
mente nell'Italia  media  e  meridionale  come  a  Bologna,  Ancona,  Teramo,  Celano  e  Lame 
in  provincia  di  Aquila,  ad  Alfedena,  Terni,  Cuma,  in  Sicilia  ecc.,  spesso  coll'aggiunta 


Fio.  17. 


Fio.  18. 


di  un  disco  o  piattello.  Rara  è  invece  nell'Italia  settentrionale,  d'onde  non  conosco  se 
non  un  esemplare  dalla  necropoli  di  Vadena  nel  Trentino  ed  un  altro  da  quella  di  Bis- 
sone presso  Fontanella  in  provincia  di  Pavia.  Del  pari  due  esemplari  sono  noti  dalla  pe- 
nisola balcanica  :  da  Nona  presso  Zara  e  da  Drvar  in  Bosnia,  forniti  ambedue  di  piat- 
tello a  spirale.  È  strano  che  questo  tipo  di  fibula,  che,  secondo  Montelius,  rappresen- 
terebbe la  forma  arcaica  della  fibula  serpeggiante,  si  sia  conservato,  se  anche  alquanto 
modificato,  nella  Carinola  inferiore,  ove  vengono  ancora  al  presente  adoperate  dai  con- 
tadini simili  fibule,  di  dimensioni  però  molto  ridotte,  per  abbottonare  la  camicia  al 
collo. 

Interessante  è  un'altra  fibula,  purtroppo  contorta  ed  assai  alterata,  coll'arco 
semicircolare  ornato,  d'ambo  i  lati,  di  una  serie  d'appendici  rotonde  coniche  o  rosette, 
formate  da  un  sottile  filo  di  bronzo  avvoltolato  (fig.  18).  Un  esemplare  simile  fu  tratto 
dalla  necropoli  di  Nona,  ma  in  miglior  stato  di  conservazione,  fornito  cioè  dello  spil- 


ISOLE   DEL  QUARNERO  —    144   —  REGIONE   X. 

Ione  a  capocchia  appiattita  e  d'un  grande  disco  in  prolungazione  della  staffa.  Questa 
decorazione  a  piccoli  coni  spiraliformi  ricorre  pure  in  una  fibula  consimile,  però  senza 
lo  spillone,  dalla  parte  arcaica  della  necropoli  di  Benacci  a  Bologna  ed  in  un'altra  con- 
servata nel  museo  di  Ascoli-Piceno. 

Di  fibule  a  navicella  la  raccolta  di  Ossero  ne  possiede  due  sole  di  piccole  dimensioni, 
ed  anche  queste  spezzate,  al  pari  delle  fibule  ad  arco  laminare,  di  cui  una  appare  re- 
staurata in  antico.  La  fibula  a  bottoni  è  rappresentata  da  un  unico  esemplare  a  due 
bottoncini  laterali;  egualmente  quella  a  sanguisuga  e  la  serpeggiante.  Quest'ultima 
(fig.  19)  è  di  tipo  umbro,  cioè  con  la  curvatura  ingrossata,  al  di  sopra  della  quale  tro- 
vasi inserita  una  voluta,  per  cui  apparterrebbe  alla  categoria  che  distinsi  col  nome  di 
biserpeggianti.  Va  inoltre  fregiata,  alla  curvatura,  di  due  cornetti  laterali  con  pomelli 
e  di  un  dischetto  al  di  sopra  dell'ardiglione. 


^s^-/^ 

^^&^ 


Fio.  19. 


In  maggior  numero  vi  sono  le  fibule  della  Certosa,  appartenenti  a  due  varietà  di- 
verse :  la  forma  tipica  col  piede  ripiegato  terminante  in  un  bottone  di  cui  esistono 
dodici  pezzi,  ed  una  varietà  speciale  dall'arco  fortemente  curvato,  in  cui  il  piede  egual- 
mente si  ripiega,  ma,  anziché  finire  nel  bottone,  si  allarga  alquanto  in  un'espansione 
cocleariforme,  senza  però  innestarsi  all'arco  come  nelle  fibule  La  Tene  (fig.  20).  Di  que- 
sto tipo  il  museo  di  Ossero  conta  7  esemplari,  dei  quali  il  più  grande  misura  166  mm. 
ed  il  più  piccolo  65.  Esse  sono  fornite  di  una  o  due  volute  al  di  sopra  dell'ago,  ma  non 
mai  di  un  disco  com'è  spesso  il  caso  nelle  solite  fìbule  della  Certosa.  Questa  varietà 
non  è  punto  comune  :  tra  un  migliaio  circa  di  fibule  della  Certosa  largiteci  dalle  necro- 
poli di  S.  Lucia,  di  Caporetto,  di  Jelsane  e  da  altre  della  nostra  regione,  nessuna  pre- 
senta questa  particolarità,  ad  eccezione  di  quelle  del  sepolcreto  di  Castua,  nel  quale 
sono  la  forma  predominante.  Solo  nel  museo  di  Pola  vidi  un  esemplare  analogo,  ma 
col  piede  di  ferro.  Anche  fuori  della  regione  Giulia  non  conosco  località  alcuna,  sia  orien- 
tale sia  italica,  che  abbia  fornito  eguali  fibule  :  una  qualche  somiglianza  ne  presenta 
una  da  Nona  in  Dalmazia,  però  col  piede  ripiegato  più  breve  e  meno  slargato;  ed  un'al- 
tra da  Jeserine  presso  Bihac  in  Bosnia,  con  l'arco  non  tanto  curvato.  Per  quanto  riguarda 
le  località  italiane,  ne  va  notata  un'unica  da  Alfedena  e  parecchie,  che  più  o  meno  ricor- 
dano le  nostre  di  Ossero,  dalle  necropoli  picene  di  S.  Severino,  Montegiorgio,  Numana, 
Ripatransone,  Belmonte  ecc.,  conservate  nel  museo  di  Ancona,  mentre,  com'è  noto, 
la  solita  fibula  della  Certosa  è  una  delle  più  comuni  in  tutte  le  necropoli  italiche  di  epoca 
più  tarda.  Anche  ad  Ossero  queste  ultime  non  mancano,  e  presentano  forme  differenti, 
quali  fornite  di  riccio,  quali  di  disco  od  anche  d'ambedue.  Una  di  esse,  lunga  50  mm.. 


regione  x. 


—  145  — 


isole  del  qtjarnero 


è  d'argento,  ma  forse  già  d'epoca  romana,  essendo  questa  specie  di  fibula  perdurata 
assai  lungamente. 

Della  seconda  epoca  del  ferro  troviamo  nella  raccolta  di  Ossero  sedici  fibule  di  tipo 


Fio.  20. 


Fin.  21. 


La  Tene  e  venticinque  a  doppio  ardiglione,  più  o  meno  spezzate  (fig.  21),  che  ci  dimo- 
strano la  continuazione  del  sepolcreto  sino  allo  scorcio  delle  epoche  preistoriche  prima 


<à 


la) 


Fin.  22. 


della  conquista  romana.  Tra  le  ultime  noterò  due  con  l'arco  fregiato,  al  margine,  di 
una  serie  di  cornetti. 

Gli  oggetti  della  suppellettile  funeraria  non  si  limitavano  però  alle  sole  fibule, 
ma  noi  vi  troviamo  parecchi  altri,  tra  i  quali  alcuni  spilloni  (fig.  22),  di  cui  quattro  a 
globctti  e  tre  a  riccio,  oltre  a  sei  pezzi  indeterminabili.  Da  uno  di  quelli  a  riccio  pen- 
dono due  anelli. 

Notizie  Soavi  1924  —  Voi,  XXI.  19 


ISOLE   DEL  QUARNERO 


146 


REGIONE   X. 


Speciale  menzione  merita  uno  spillone  lungo  ben  695  mm.,  cilindrico  alle  due  estre- 
mità e  quadrangolare  nel  tratto  intermedio,  fregiato  di  lineette  e  di  triangoli  a  dente 
di  lupo,  con  due  dischetti  infilati  a  determinate  distanze  e  terminante  all'estremità 
superiore  con  una  larga  staffa,  cui  pare  fosse  in  origine  agganciato  un  anello  (fig.  23). 
Né  mancano  pure  lunghi  aghi  a  cruna,  dei  quali  la  raccolta  possiede  cinque  esemplari. 

Numerose  sono  le  armille,  tanto  solide  quanto  cave,  come  pure  a  spirale,  e  gli  anelli 
di  differenti  grandezze,  da  1  a  4  cm.  di  diametro.  Tra  gli  anelli  trovansi  del  pari  alcuni 
a  spirale  ed  a  nodi.  Uno  è  ornato  da  una  serie  di  triangoli  a  dente  di  lupo. 


Fig.  23. 


La  maggior  parte  dei  cinturoni,  copiosi  come  in  generale  nelle  necropoli  istriane, 
essendo  di  sottile  lamina  di  bronzo,  andò  sventuratamente  spezzata,  sicché  al  presente 
non  si  hanno  se  non  informi  frammenti,  dai  quali  tuttavia  si  rileva  che  la  loro  decora- 
zione era  semplicissima  ed  esclusivamente  geometrica,  constando  di  cordoncini  rile- 
vati e  di  serie  di  punti.  Due  sole  placche  da  cintura,  formate  da  lamina  più  grossa  e  resi- 
stente, che  venivano  assicurate  ad  una  striscia  sottoposta  di  cuoio,  si  sono  meglio  con- 
servate. Una  è  rettangolare,  ornata  di  linee  longitudinali,  con  un  chiodo  a  bullone  ;  l'al- 
tra, lunga  19  cm.,  presentante  la  stessa  decorazione,  va  un  po'  rastremandosi  verso  un 
capo,  e  possiede  nel  rovescio,  ad  ambe  le  estremità,  un  gancio. 

Alcuni  bottoni,  pendagli,  saltaleoni,  fusaiuole  e  perfette  di  vetro  completano  la 
suppellettile  delle  tombe  preistoriche.  Tra  i  pendagli,  oltre  a  parecchi  a  secchiello 
(fig.  24),  a  bulle  cave,  a  goccia,  a  spirali  binate  (fig.  25),  va  fatta  speciale  menzione 
di  due  laminari,  nei  quali  si  può  intravedere  una  rappresentazione  schematica  della 
figura  umana  (fig.  26  e  27). 

Nella  collezione  si  trovano  pure  numerose  perle  d'ambra  ;  ma,  siccome  questa  sostanza 
veniva  largamente  adoperata  anche  dai  romani,  e  noi  non  abbiamo  alcun  dato  per  sta- 
bilire a  quale  epoca  appartengano,  non  ardisco  comprenderle  tra  gli  oggetti  preistorici, 
tanto  più  che  hanno  un  colorito  tendente  al  giallo,  come  di  solito  le  ambre  romane,  e 
non  presentano  il  bel  rosso-vinacoo  delle  nostre  ambre  più  antiche.  Del  pari  non  è  pos- 


REGIONE   X. 


—  147  — 


ISOLE    DEL   QUARNEKO 


sibile  determinare  l'età  di  alcune  lance  di  ferro  e  di  varii  istrumenti  di  questo  metallo, 
che  inclinerei  a  riguardare  piuttosto  romani. 

Non  essendosi  proceduto  con  metodo  scientifico  nello  scavo  della  necropoli  di 
Ossero,  non  venne,  purtroppo,  tenuto  conto  della  suppellettile  fittile  delle  tombe  pre- 


Fig.  24. 


Fio.  25. 


istoriche,  che  andò  quasi  del  tutto  distrutta,  sicché  non  si  conservarono  se  non  una  pen- 
tola alta  145  min.,  leggermente  ventricosa,  ad  orlo  diritto,  di  pasta  grossolana  e  lavo- 
rata a  mano,  ed  un'altra,  più  piccola  (93  min.),  con  fregi  di  lince  e  di  punti.  Parecchie 


Fio.  20. 


Fio.  27. 


altre  urne  più  grandi,  con  solchi  longitudinali  prodotti  con  la  stecca,  offrono  manifeste 
tracce  di  lavorazione  al  tornio,  e  quindi  devono  riguardarsi  di  epoca  celto-romana. 

Nel  museo  esistono  inoltre  alcuni  teschi,  però,  al  pari  di  tutti  gli  altri  oggetti,  senza 
alcuna  indicazione  circa  alle  tombe  nelle  quali  furono  rinvenuti,  che  ci  avrebbe  concesso 
di  determinare  la  loro  età.  In  un  piccolo  scavo  da  me  praticato  al  lembo  superiore  della 
necropoli  per  conoscere  fin  dove  questa  fosse  già  sterrata,  e  vedere  se  fosse  possibile  rin- 
tracciare qualche  tomba  non  ancora  manomessa,  cho  c'illuminasse  intorno  al  rito  ivi  vi- 
gente, m'imbattei  in  uno  scheletro  che  per  la  conservazione  dovrebbe  essere  coevo  di 
quelli  da  cui  provengono  i  teschi  della  raccolta  museale.  Questo  inumato  giaceva  supino 
in  posizione  distesa,  orientato  con  la  testa  verso  sud,  nella  nuda  terra  a  75  cm.  di  profon- 
dità, senza  alcuno  schermo  di  pietra.  Era  privo  di  qualsiasi  corredo  :  la  presenza  però  di 


ISOLE    DEL   QUARNERO 


—    148    —  REGIONE    X. 


alcuni  lunghi  chiodi  di  ferri»  viene  a  dimostrarci,  ch'esso  fu  interrato  in  una  cassa  di  legno. 
Va  inoltre  notato  che  dappresso  veggonsi  i  resti  della  vecchia  cappella,  sicché  possiamo  am- 
mettere, con  molta  probabilità,  ch'esso  non  rimonti  ai  tempi  preistorici,  ma  appartenga 
al  cimitero  cristiano  medioevale  che  si  stendeva  intorno  alla  prefata  chiesetta.  Ad  ogni 
modo,  credo  che  sarebbe  prezzo  dell'opera  tentare  uno  scavo  più  esteso  in  qualche  parte 
della  necropoli,  che  appare  ancora  inesplorata,  per  determinare  possibilmente  le  partico- 
larità del  rito  funebre  trascurate  nelle  indagini  anteriori. 

Da  questo  breve  saggio  sulle  antichità  preistoriche  delle  isole  del  Quarnero,  nel  quale 
mi  studiai  compendiare  quanto  le  ricerche  preliminari  finora  eseguite  ci  fornirono,  si  può 
di  leggieri  farsi  un'idea  del  vasto  campo,  quasi  del  tutto  vergine,  ch'esse  offrirebbero  allo 
future  esplorazioni  sistematiche,  dalle  quali  è  lecito  attendersi  importanti  rivelazioni  sulle 
antiche  migrazioni  tra  la  penisola  balcanica  d'Italia,  sulle  loro  relazioni  commerciali  e 
sulle  prische  civiltà  che  fiorirono  su  questo  nostro  estremo  confine  orientale.  La  fitta 
popolazione  delle  stazioni  preistoriche  che  in  tanta  abbondanza  sono  sparse  per  le  vette 
de'  monti,  deve  avervi  lasciato  non  pochi  cimiteri  celati  tuttora  sotto  le  zolle  de'  campi  e 
de'  prati  o  nei  boschi  poiché  il  numero  limitato  dei  tumoli  non  può  certo  rappresentare 
se  non  una  piccolissima  parte  delle  migliaia  e  migliaia  di  tombe  addensatesi  nel  corso 
dei  secoli  nelle  necropoli  intorno  ai  castellieri.  E  quali  preziose  reliquie  della  nostra 
palcostoria  esse  racchiudano,  ci  dimostrano  gli  avanzi,  pur  incompleti,  dell'unica  finora 
scavata,  di  Ossero. 

Non  bisogna  dimenticare  che  alle  isole  del  Quarnero  si  connettono  intimamente 
parecchie  leggende,  risalenti  alle  più  vetuste  antichità.  Se  è  vero  che  nei  miti  e  nelle 
tradizioni  c'è  quasi  sempre  un  nocciolo  storico,  il  ricordo  di  qualche  avvenimento  lon- 
tano, conservatoci,  se  anche  modificato,  alterato  o  svisato  attraverso  i  lunghi  secoli, 
trasmettendosi  da  generazione  in  generazione,  ma  che,  sfrondato  dagli  abbellimenti 
e  dai  fronzoli  poetici,  ci  rivela  non  di  rado  importanti  notizie  etnografiche,  noi  non 
possiamo  riguardare  quali  semplici  favole  fantastiche,  da  ignorarsi  completamente, 
tutto  ciò  che  gli  antichi  autori  greci  e  latini  scrissero  intorno  alle  nostre  isole.  Ed  ap- 
punto ad  Ossero,  presso  al  tempio  di  Diana,  di  là  dall'Euripo,  dovrebbe  essersi  svolto 
l'epilogo  dell'impresa  eroica  del  rapimento  del  vello  d'oro  e  della  spedizione  avventu- 
rosa degli  Argonauti  dalla  Colchide  all'Adriatico,  col  tradimento  e  l'uccisione  di  Ab- 
sirto,  d'onde  il  nome  di  Absirtidi  dato  alle  isole  del  Quarnero,  chiamate  fino  allora  Bri- 
geidi.  Chi  non  vede  adombrate  in  questi  mitici  episodii  reminiscenze  di  arcaiche  immi- 
grazioni di  popoli  orientali  asiatici  e  grecanici  che  si  susseguirono  ?  E  l'altro  nome  di 
Elettridi,  con  cui  queste  isole  venivano  pure  talora  designate,  non  ci  accenna  forse 
alla  loro  importanza  nel  traffico  dell'ambra  ed  alla  loro  funzione  d'intermediarie  nel 
commercio  tra  le  genti  delle  regioni  transalpine  ed  il  mezzogiorno  d'Europa?  Rintrac- 
ciare nei  castellieri  e  nelle  necropoli  i  documenti  di  queste  antiche  colonizzazioni, 
traendo  dall'oblio  le  perdute  civiltà,  onde  chiare  possano  emergere  le  attinenze  ed  i 
rapporti  con  altre  popolazioni  preistoriche  e  fors'anche  le  loro  affinità  etniche,  ecco 
il  vasto  compito  delle  future  investigazioni  nella  Regione  Giulia,  che  desideriamo 
vivamente  vedere  in  breve  attuate. 

C.    MA.RCHESETTI. 


% 


u 

< 


o 

io 
Uh 


< 
u 

i/o 


O 
_ 
Q 

w 


H 

O 


REGIONE    X.  —    149    — 


FELTRE 


IL  -FELTRE  —  Importante  trovamento  di  epoca  romana  ('). 

Nel  giugno  del  1921 ,  nella  piazzetta  della  Posta,  quasi  di  fronte  alla  casa  «  Pasole  » 
e  di  fronte  al  seminario  vecchio,  scavando  la  fogna  per  la  costruzione  delle  latrine  pub- 
bliche, alla  profondità  di  circa  ni.  2  dall'attuale  piano  stradale  furono  trovati  insieme 
con  pezzi  di  pavimento  a  mosaico  e  frammenti  di  anfore  : 

1)  due  pezzi  di  colonna  in  marmo  grigio  con  venature  azzurrastre,  aventi  ambedue 
lo  stesso  diametro  dì  ni.  0.465  (uno  lungo  m.  1.50  ;  l'altro  m.  0.64). 

2)  l'estremità  di  un  piede  di  cavallo  in  bronzo,  più  grande  del  normale  (lungh. 
secondo  curva  esterna  ni.  0.26  ;  secondo  quella  interna  m.  0.115).  Lo  zoccolo  haall'incirca 
mezzo  centimetro  di  spessore;  di  diametro  mass,  m,  0.145;  di  diametro  min.  m.  0.115. 
È  modellato  con  molta  maestria  e  rifinito  nei  minimi  particolari  con  lavoro  di  bulino  che 
accenna  con  trattini  la  peluria  che  contorna  la  parte  superiore  dello  zoccolo.  Sta  ad  indi- 
care l'esistenza,  a  Feltro,  di  una  statua  equestre.  Simili  trovamenti  non  sono  infrequenti 
nel  Veneto  ;  per  ricordarne  alcuni,  al  museo  archeologico  di  Venezia  si  conserva  quasi 
tutto  un  garretto,  con  il  relativo  zoccolo,  di  una  zampa  di  cavallo,  in  bronzo  con  tracce 
di  doratura  ;  parimenti  è  al  museo  di  Verona  un  piede  di  cavallo  trovato  nei  lavori  del- 
l'Adige. 

Sarebbe  stato  opportuno  in  questa  località  proseguire  nelle  indagini,  ma  il  Comune 
fece  continuare  i  lavori  senza  preoccupazione  di  sorta;  e,  quando  ne  fu  data  notizia 
a  questa  Soprintendenza,  più  non  fu  possibile  intervenire  utilmente,  perchè  avrebbero 
corso  rischio  di  pericolare  parte  della  nuova  costruzione  e  la  casa  attigua  di  angolo. 
Si  fece  qualche  assaggio  in  luoghi  limitrofi,  che  riuscì  però  infruttuoso. 

Nel  1°  settembre  del  1922  durante  i  lavori  per  le  fondazioni  di  un  nuovo  fabbricato 
ad  uso  di  abitazione  dell'arciprete  della  cattedrale  di  Feltre  (fabbricato  che  sorge  fra 
la  chiesetta  dell'Annunziata,  il  duomo  e  la  sacrestia),  alla  distanza  di  circa  una  cinquan- 
tina di  metri  dal  luogo  dei  trovamenti  suaccennati,  avvennero  scoperte  di  grandissimo 
interesse,  sempre  alla  profondità  di  m.  2  dall'attuale  piano  stradale  : 

1)  un'ara  con  un'iscrizione  d'importanza  eccezionale  e  quasi  unica; 

2)  una  lapide  con  un'iscrizione  funebre  ; 

3)  un  blocco  sagomato  di  calcare  locale,  che  doveva  far  parte  di  un  basamento 
circolare  avente  un  raggio  di  ni.  4.85. 

Questa  Soprintendenza  non  mancò  di  far  proseguire  le  ricerche;  e  poiché  l'altare  e  la 
lapide  erano  incorporati  con  materiale  di  costruzione  in  un  grosso  muro  costruito  di 
blocchi  irregolari  e  disposti  senza  nessuna  cura,  si  cercò  di  seguire  la  direzione  di  questo 
muro  che  si  trovò  sensibilmente  parallelo  al  piano  del  duomo.  Subito  sotto  l'altare  e  la 
lapide  vi  era  un  grosso  blocco  parallelepipedo,  misurante  all'incircam.  1,30X0,80X0,30, 
che,  dopo  essere  stato  bene  esaminato  da  tutte  le  parti,  non  presentando  niente  d'interes- 

(')  Rendo  vivissime  grazie  all'ing.  ardi.  Alberto  Alpago  Novello,  che  tante  notizie  e  chiari- 
menti utili  mi  ha  fornito  su  questi  trovamenti. 


FELTRE  —   150   —  REGIONE  X. 

sante,  fu  lasciato  in  silu.  Proseguendo  lo  scavo  in  profondità,  si  trovò,  innestato  al  pre- 
cedente, un  muro  più  largo  e  meglio  costruito  con  blocchi  discretamente  squadrati  ;  molte 
di  queste  pietre  erano  calcinate,  e  presentavano  tracce  di  annerimento  dovute  a  incendio. 
Verso  sud,  a  squadra,  si  staccava  un  altro  tratto  di  muro,  il  quale,  al  limite  del  piccolo 
assaggio  che  fu  circoscritto  all'area  del  nuovo  edificio,  sembrava  interrotto  e  sostituito 
da  terra  di  riporto.  Si  raggiunsero  così  i  metri  3,50  di  profondità.  Il  muro  più  profondo 
pare  appartenesse  a  una  originaria  costruzione  romana  distrutta  per  qualche  incendio,  uno 
di  quei  tanti  incendi  dovuti  all'invasione  dei  barbari  a  cui  Feltre,  come  altre  città  di  con- 
fine, per  la  sua  posizione,  fu  continuamente  soggetta.  E  devastazioni  e  successive  rico- 
struzioni si  ripetettero  senza  tregua  ;  e  le  devastazioni,  a  volte,  furono  così  violente, 
come  alla  discesa  del  re  longobardo  Alboino,  che  la  città,  abbandonata  l'antica  sede  in 
piano,  dove  a  tempo  dei  Romani  era  stata  edificata,  fu  ricostruita  nel  colle  vicino  verso 
settentrione,  dove  è  attualmente  (x). 

Ora,  in  quale  delle  distruzioni  perisse  l'edificio,  al  quale  apparteneva  il  muro  romano, 
è  un  po'  difficile  poter  stabilire,  come  pure  difficile  riesce  il  determinare  l'epoca  del 
muro  sovrapposto  che  fu  costruito  con  abbondante  materiale  romano. 

L'ara  (fig.  1)  è  di  calcare  locale  della  medesima  qualità  di  quello  del  basamento 
circolare  ed  ha  la  forma  semplicissima  di  un  dado  quasi  rettangolare  (alt.  mass,  ai  lati 
m.  0,80  ;  largh.  0,60  ;  prof.  0,56).  In  alto  un  ornamento  formato  da  due  tori  e  scozia  e  al 
disopra  un  pulvinar. 

La  parte  superiore  pare  che  sia  scavata  per  ricevere  o  il  sangue  delle  vittime  o  liba- 
zioni, ma,  essendo  l'ara  un  po'  rovinata,  specie  in  questa  parte,  non  si  può  determinare 
se  vi  sieno  stati  dei  canali  di  scolo  all'esterno. 

Da  accurate  misure  prese  sopra  luogo,  l'iscrizione  deve  completarsi  in 

ANNA[E]  PEREN[NAE] 

Il  .solo  nome  della  divinità,  come  le  più  antiche  dediche,  al  genitivo  o  al  dativo. 

L'altare  è  dedicato  ad  Anna  Perennai*).  Se  gli  antichi  calendari!  e  Ovidio  ricor- 
dano al  15  marzo  le  feriae  di  Anna  Perenna,  e  Marziale  (3)  fa  menzione  di  un  bosco  ad 
essa  sacro,  questa  è  finora  l'unica  iscrizione  trovata  della  dea  ;  una  divinità  apparte- 
nente al  più  antico  ciclo  italico,  e  che  già  al  principio  dell'Impero  era  diventata  un  po' 
enigmatica. 

I  dotti  moderni  si  sono  un  po'  sbizzarriti  intorno  ad  essa,  ma  non  mancarono  di 
favoleggiarne  gli  stessi  antichi.  Ovidio  non  sa  nemmeno  lui  con  precisione,  che  specie 

(')  M.  A.  t'ambruzzi,  Storia  di  Feltre,  I,  pag.  99. 

(■)  Meltzer  in  Roscher,  Lexikon  der  griech.  u.  ramiseli.  Mijthologie,  t.  v.  «Anna  Perenna  »  ;  Wis- 
sowa  in  Pauly-Wissowa,  Reni  Eneiel,  s.  v.  «  Anna  ». 

(3)  IV,  64,  le  Et  quod  virginco  cruore  gaudet 

Annae  jiomiferum  nemus  Perennile 

La  lettura  e  la  relativa  interpretazione  del  primo  di  questi  versi  è  stata  ed  è.  tuttora  un  tormento 
per  i  filologi  e  gli  archeologi.  Dalla  villa  di  Marziale  sul  Gianicolo  si  godeva  la  vista  di  questo 
bosco  ;  quindi  varie  opinioni  sulla  sua  ubicazione.  Ch.  Huelsen,  in  una  nota  ad  un  articolo  di  H.  Schenkl, 
Der  Hain  der  Anna  Perenna  bei  Martini  (in  Rom.  Mitteil.  1906,  pag.  219),  ammette  che  abbia  occupato 
il  posto  dell'odierna  villa  Strohl-Feru  tra  piazza  del  Popolo  e  ponte  Molle. 


REGIONE  X. 


-   151 


FELTRE 


di  divinità  essa  sia,  e  si  preoccupa  di  riferire  scrupolosamente,  non  senza  una  punta  di 
scetticismo  le  favole  che  correvano  ai  suoi  tempi  : 

Quae  iamen  harc  dea  sii  quoniam  rumoribus  errai 
Fabula  proposilo  nulla  lacenda  meo  («  Fast.  »,  III,  544), 


Fig.  1. 


e  comincia  colPidentificarla  con  Anna  sorella  di  Didone,  che  dopo  non  poche  avventure 
giunge  nel  Lazio,  e  trova  la  sua  fine  nel  fiume  Numicio.  Oppure  vi  si  vuol  riconoscere 
una  vecchia  donna  di  Boville,  che,  durante  la  secessione  sul  monte  Sacro,  alla  plebe  af- 
famata portava  giornalmente  del  pane  fresco,  e  a  ricordo  le  si  era  innalzata  una  statua. 
E  anche  fu  identificata  con  la  Luna  e  con  divinità  greche  come  Themis,  Io  o  Ra- 
gno (').  Qualcuna  di  queste  interpretazioni  dipende  da  vane  concordanze  e  varie  e  qual- 
che volta  errate  etimologie  del  nome. 


(')  Ovid.  Fasi.,  Ili,  658  segg. 


rei/ras 


—   152   —  REGIONE  X. 


Per  la  versione  della  punica  Anna,  oltre  che  dalla  concordanza  del  nome,  lo  spunto 
è  dato  anche  da  una  falsa  etimologia  : 

Arane  perenne  latens,  Anna  Perenna  vocor  (Ovid.,  Fast,  III,  654). 
Per  l'Anna  di  Boville,  secondo  alcuni  (')  da  somiglianza  con  Annona,  secondo  altri  (2) 
da  una  greca  tradizione  dell'egiziana  fornaia  Anna. 

E  se  le  incertezze  sono  per  la  divinità,  per  la  natura  della  festa  non  potevano  nascer 
dubbii,  una  volta  che  perdurava  ancora  ai  tempi  di  Ovidio,  che  s'indugia  a  descriverla 
minutamente  e  con  una  certa  vivacità.  In  verità  la  festa  è  alquanto  strana  e  un  po',  anzi 
troppo,  campestremente  scapigliata. 

Per  la  rispondenza  che  ambo  i  membri  del  nome  di  Arnia  Perenna  trovano  coi 
gentilizi  etruschi  vien  fatto  di  pensare  ad  un'origine  etrusca  della  divinità.  Il  valente 
etruscologo  prof.  Bartolomeo  Nogara,  cui  io  comunicai  queste  mie  osservazioni,  mi  sug- 
geriva molto  giustamente  di  considerare  il  nome  «  Anna  Perenna  »  alla  stregua  di  quegli 
altri  nomi  di  divinità  che  si  presentano  nella  tradizione  letteraria  con  un  tipo  onoma- 
stico bimembre  come  Numisius  Marlius,  Uni  Ursmnei  (—  lunio  Orsminia\  JanusCu- 
riatius,  Silvanus  Naevianus,  Hercules  lulianus  e  le  molte  Fortunae:  Fortuna  Flavia, 
Fortuna  Iuveniana  ecc.,  di  cui  un  nome,  di  solito  il  primo,  sarebbe  il  nome  individuale 
della  divinità  e  l'altro  una  derivazione  aggettivale  dal  gentilizio  della  famiglia  che  aveva 
per  quella  divinità  un  culto  speciale  :  si  tratta  di  culti  gentilizi  molti  dei  quali  passarono 
poi  nel  culto  statale. 

Per  parecchi  indizi  si  può  sostenere  che  queste  divinità  proprie  di  una  gens,  tribus 
o  clan,  prima  che  in  Poma  fossero  in  Etruria. 

E  nel  caso  di  Anna  Perenna,  qual'  è  il  nome  individuale  ?  Quantunque  Anna  risponda 
ai  gentilizi  etruschi  Ane,  Anei,  Ani,  Anie  e  Anne,Annei,  Anni,  Annie  (3),  esso  dev'essere 
il  nome  proprio  della  divinità,  e  per  i  riflessi  delle  leggende  riferite  da  Ovidio,  e  perchè 
è  il  primo  membro  del  nome. 

Perenna  sarebbe  il  gentilizio:  etr.  Perna^)  CI. E.  1064,  2312,  2497,  2541  seg.; 
L  Perna  Vel.  f.,  femm.  Pernia,  C,  XI,  2377  segg.  e  la  famiglia  Perennia  di  Arezzo. 
M.  Perennius  è  il  noto  figulino  della  ceramica  aretina.  Il  luogo  del  trovamento  in  una 
città  della  Rezia,  dove  probabilmente  sono  stati  gli  Etruschi,  porterebbe  una  conferma 
all'  ipotesi  della  origine  etrusca  di  questa  divinità. 

Non  c'è  dato  indagare,  quale  fosse  la  primordiale  essenza  di  Anna  Perenna,  certo 
è  che  quando  entrò  a  far  parte  dei  culti  latini,  doveva  essere  venerata  come  dea  dell'anno  ; 
e  tale  significato  si  accorda  con  la  interpretazione  di  luna  quia  mensibus  impleat  («Fast.  », 
III,  657),  la  più  attendibile  fra  le  tante  riferite  da  Ovidio.  E  buona  testimonianza  è 
il  posto  che  la  festa  della  divinità  occupa  nel  calendario  romano:  nel  primo  mese 
dell'antico  anno  civile  e  nel  tempo  della  prima  luna  in  primavera  (5). 


(')  Usener,  in  Eh.  Mus.,  XXX,  pag.  208. 

(*)  Wissowa,  in  Pauly  Wissowa,  Redi  Encicl.  s.  v.  .  Anna  ». 

(3)  W.  Schulze,  Oeschichte  latein.  Eigennamen,  pag.  346. 

(4)  cfr.  W.  Schulze,  op.  cit.,  pag.  88. 

(6)  Wissowa  in  Panly- Wissowa,  Real  Eneiel,  s.  v.  «  Anna»,  coL  2224. 


REGIONE  X.  _    153   _ 


FELTRE 


Fino  ai  primi  anni  dell'Impero  le  ferine  in  onore  di  Anna  Perenna  perdurarono  a 
Roma.  Gli  emerologi  (»)  che  ne  fanno  menzione  e  Ovidio  sono  quasi  contemporanei  ; 
ma  l'attestazione  viva  di  un  culto  alla  dea  la  troviamo  solo  in  una  città  di  origine  retica', 
con  la  recente  scoperta.  E  presso  a  poco  anche  al  principio  del  1"  secolo  d.  Cr.  appartiene 
questo  altare  :  oltre  la  laconicità  della  dedica  che  non  potrebbe  essere  più  semplice,  e  la 
forma  dell'altare,  lo  attestano  f  caratteri  che,  quantunque  ben  pochi,  appartengono  al 
medesimo  periodo. 


Fio.  2. 

Frammento  (0,43  X  0,65),  rotto  in  due  pezzi,  di  una  lastra  di  pietra  (fig.  2) 
rozza  locale,  mancante  nella  parte  inferiore,  con  iscrizione.  Circonda  l'iscrizione  un  orlo 
in  rilievo.  In  alto,  ai  lati,  due  grappoli  di  uva  stilizzata,  tenuta  insieme  ad  un  bastone, 
vorranno  raffigurare  in  modo  del  tutto  primitivo  un  tralcio  di  uva,  la  cui  rappresenta- 
zione alludente  al  culto  di  Dionysos  ò  comune  sui  monumenti  sepolcrali  (2). 

Vi  si  legge  : 

d(iis)  m(anibus)  \  Maximiae  \  Vidoriae  |  Arpagius  |  et 

S'intravedono  le  parti  superiori  di  altre  due  lettere,  ma  è  impossibile  poter  com- 
pletare il  nome  dell'altro  dedicante.  L'iscrizione  deve  appartenere  agli  ultimi  anni 
della  Repubblica  o  ai  primi  dell'  Impero. 

(')  II  calendario  Vaticano  al  15  marzo  ha:  Ferine  Annae  Perennae  via  Flaminia)  ad  tapi- 
dem  prim(um).  II  Farnesiano  :  Annae  Per.  Ambedue  questi  calendari!  sono  stati  redatti  al  tempo 
degli  imperatori  della  casa  Giulio-Claudia  (C.  l.L.,1,  pag.  311).  Piìl  antica  è  la  testimonianza  del  ca- 
lendario precesariano  trovato  tre  anni  or  sono  ad  Anzio:  Mancini  in  Not.  scavi  1921,  p.  iti):  Ann(ae) 
Perennae. 

(')  Un  tralcio  di  vite  con  un  «  bellissimo  grappolo  »  era  scolpito  anche  sull'iscrizione  di  T.Caelio 
Montano  (C.  /.  L.,  V.  2071).  Cfr.  A.  Cambruzzi,  op.  cit.,  IV,  pag.  530. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi,  XXI.  20 


l'ELTRE 


—    154   —  REGIONE  X. 


A  Feltre  e  nei  dintorni,  ad  eccezione  di  un  certo  numero  di  lapidi,  alcune  notevoli, 
non  sono  mai  state  fatte  scoperte  importanti  di  antichità,  ma  trovamenti  sporadici 
quasi  inevitabili  ogni  qualvolta  che  per  qualche  restauro,  o  per  qualche  nuova  costru- 
zione, si  è  avuto  occasione  di  raggiungere  la  profondità  di  2  o  3  metri  dall'attuale  piano 
stradale.  Pure  Feltria  fu  colonia  o  municipio,  perchè  sono  menzionati  i  quattuorviri  i  d. 
e  sono  ricordati  anche  altri  magistrati  :  praefecti  iuridicundo,  gli  adlerti  aerarlo  ;  non 
mancano  corporazioni  quali  collogia  fabrum,  cenlonariorum,  dendrophororum.  Antichi 
edifici  civili  e  sacri  dovettero  senza  dubbio  esistere. 

La  tradizione  ricorda  un  tempio  di  Ercole  (J)  di  considerevole  estensione,  le  cui  ro- 
vine furono  scoperte  sull'area  orientale  di  Campo  S.  Giorgio,  trovandovisi  una  statua 
di  Ercole  di  fine  marmo  data  in  dono  al  podestà  Domenico  Contarmi  ;  un'iscrizione  ri- 
corda gli  Herel(anenses)  (C.  I.  L.,  V,  2072),  abitanti  forse  di  un  vico,  e  il  duomo  si  vuole 
costruito  su  di  un  antico  tempio  di  Apollo  (2)  :  sovrapposizioni  e  trasformazioni,  queste, 
frequentissime. 

Ma,  di  fatto,  di  costruzioni  romane,  all'infuori  di  qualche  raro  e  breve  tratto  di  muro 
non  abbiamo  altre  tracce.  Essenziale  però  è  notare,  che  quel  poco,  che  a  varie  riprese  è 
venuto  fuori,  è  quasi  del  tutto  localizzato  nelle  adiacenze  del  duomo  o  a  breve  distanza, 
dove  pure  avvennero  le  ultime  importanti  scoperte,  cioè  nella  parte  piana  della  città, 
sede  dell'antica  città  romana. 

Trattandosi  di  cose  di  poca  importanza,  meno  il  cippo  di  Severo  et  Rufino  ro.ss. 
illustrato  dal  prof.  Ghirardini  (3),  non  di  tutte  queste  scoperte  è  stata  fatta  menzione  ; 
così  io  eredo  opportuno  raccogliere  tutti  i  dati,  scritti  e  orali,  affinchè  quei  ricordi,  che 
ancora  sono  vivi  negli  abitanti,  non  vadano  dispersi,  e  anche  per  mostrare  la  necessità 
di  fare  in  questa  zona  qualche  saggio  di  scavo  sistematico,  che  sarebbe  facile,  perchè  essa 
è  in  gran  parte  libera  da  edifici  moderni.  L'elenco  di  questi  trovamenti  è  dato  cro- 
nologicamente per  quanto  è  possibile,  e  con  riferimento  numerico  ad  un  tratto  di  pianta 
della  città  riprodotta  nella  fig.  3. 

1)  a.  1493.-  Nella  parte  orientale  di  Campo  S.  Giorgio,  continuando  la  fabbrica  delle 
mura  della  città,  si  trovarono  avanzi  di  costruzioni  antiche  identificate  con  il  tempio 
di  Ercole  e,  scavando  le  fondamenta  di  un  torrione  che  stava  tra  la  porta  Imperiale  e 
la  Pusterla,  la  ricordata  statua  di  Ercole  donata  al  podestà  Domenico  Contarini  (An- 
tonio Cambruzzi,  Storia  di  Feltre,  II,  pag.  196). 

2)  a.  1535.  -  Costruendosi  la  casa  de'  Pasoli,  scavandosi  le  fondamenta,  furono  tro- 
vati verso  oriente  e  settentrione  muri  molto  profondi,  «  della  larghezza  di  8  piedi,  lavorati 
a  scalpello,  e  così  bene  insieme  congiunti,  che  parevano  scavati  da  un  gran  macigno  » 
ed  inoltre  preziosi  oggetti  di  antichità  (Daniello  Tomitano,  op.  cit.  ;  A.  Cambruzzi, 
op.  cit.,  II,  pag.  325). 

3)  a.  1543  (?)-  Presso  il  duomo,  durante  i  lavori  per  la  nuova  facciata  fu  trovata 


(')  A.  Cambruzzi,  op.  cit.,  II,  pag.  196. 

(")  In  una  antica  cronaca  latina  di  Feltre  della  seconda  metà  del  sec.  XVI,  che  si  conserva  al 
seminario  patriarcale  di  Venezia,  è  detto  che  il  duomo  fu  edificato  sulle  rovine  di  un  tempio  di  Apollo. 
(3)  Not.  se,  1907,  pag.  431  segg. 


REGIONE   X. 


155 


KELTRE 


l' importante  lapide  di  C.  Firndus  Rufinus  (Nic.  Borgaso  in  Cod.  statutorum  Féltrinorum  ; 
Arch.  Veneto  ai  Frari,  Mise.  cod.  183;  A.  Cambruzzi,  I,  58;  C.  I.  L.,  V,  2071). 

4)  a.  1804.  -  Avanzi  di  eostruzioni  antiche  presso  il  castello  vescovile,  poi  convento 
delle  Agostiniane. 

5)  a.  1847.  -  Frammenti  decorativi  in  pietra,  e  vasi  vinarii  nello  scavare  le  fonda- 
menta del  palazzo  Berton  in  via  Garibaldi  (A.  Vccellio,  Un  giorno  a  Feltre  e  due  nel  suo  ter- 
ritorio, 1895,  pag.  7). 


P/ANTA     DEL     CENTRO    D/    FELTRE 

Fio.  3. 


metri 


6)  a.  1862.  -  Scavando  le  fondamenta  del  Palazzo  Guarnieri  furono  trovati  dodici 
sepolcri,  di  cui  uno  avente  l'iscrizione  «  1.  Caelio  Montano  »,  C.I.L.,  V.  2070,  A.  Vecellio, 
Continuaz.  storia  Cambruzzi,  IV,  pag.  530). 

7)  a.  18... .  -  Rifacendo  la  strada  che  rasenta  la  casa  Pasole  si  trovarono  monete,  me- 
daglie, frammenti  di  pietre  romane  (A.  Vecellio,  Un  giorno  a  Feltre  ecc.,  pag.  11). 

8)  a.  1893.  -  Avanzi  di  grosso  muro,  di  epoca  non  determinata. 

9)  a.  1894.  -  Monete  romane  e  frammenti  lapidarii  alla  base  del  campanile. 
10.  a.  1896.  -  Frammento  di  iscrizione  etnisca  illustrata  dal  Lattes  in  Rendiconti 

dell'Istituto- lombardo  di  sciente  e  lettere,  ser.  II,  voi.  34;  1901,  pag.  1136. 

11)  a.  1898. -Altro   frammento   appartenente   alla  medesima  iscrizione. 

12)  a.  1900.  -  Scavando  per  l'accesso  alla  cripta  del  duomo,  frammenti  di  sepolcri 
in  pietra. 

13)  a.  1906.  -  Cippo  «  Severo  et  Rufino  »  rinvenuto  nel  costruire  un  nuovo  selciato  sul 
sagrato  del  duomo.  {Not.  se.  1907,  pag.  431  segg.). 

14)  a.  1910. -Monete  e  piccoli  frammenti  durante  gli  scavi  per  l'acquedotto. 


FKLTKE 


—  156 


REGIONE   X. 


15)  a.  1910.  -  Avanzi  piuttosto  notevoli  (marmo,  pezzi  di  mosaico,  voltine  di  so- 
stegno) durante  gli  scavi  per  l'acquedotto. 

16)  a.  1921.  -  Frammenti  di  due  colonne,  zampa  di  bronzo,  e  pezzi  di  pavimento 
a  mosaico,  durante  la  costruzione  delle  latrine  pubbliche. 

17)  1922.  -  Ara  dedicata  ad  Anna  Perenna  ed  iscrizione  di  Arpagius  ;  parte  di  basa- 
mento circolare. 


Fio.  4. 


>*el  1915,  in  località  detta  ai  «  Folli  »,  in  margine  al  torrente  Colmeda,  qualche  cen- 
tinaio di  metri  a  valle  della  città,  in  uno  scavo  praticato  dai  soldati  per  la  costruzione 
di  baracche,  si  rinvenne  una  maschera  muliebre  di  terracotta  (fig.  -4,  la  cui  singo- 
larità non  sta  nell'oggetto  in  se  stesso,  ma  nel  luogo  del  travamento  ;  in  Grecia,  in  Sicilia, 
nella  Magna  Grecia,  dove  ne  vengono  fuori  a  migliaia  e  di  maschere  e  di  teste  e  di  busti 
fittili,  non  farebbe  nessuna  meraviglia,  mentre  in  questa  regione  simili  trovamenti  sono 
rarissimi.  Misura  di  altezza  completa  m.  0,265  ;  dalla  radice  dei  capelli  al  mento,  m.  0,12. 

È  di  color  gialliccio  con  qualche  striatura  rossa,  residuo  evidente  di  policromia; 
come  si  vede  dalla  fotografia,  la  superficie  è  un  po'  rugosa,  perchè  per  l'azione  dell'acqua 
deve  essere  andato  via  quello  strato  di  biacca,  che  d;  solito  si  passava  dopo  la  cottura 
per  poi  darvi  i  colori,  e  che  levigava  ogni  rugosità  dando  a  quelle  teste  un  aspetto  di 
vita. 


REGIONE  VII.  —    157 


CASTIGLIONCELLO 


È  del  tipo  noto,  con  il  diadema  da  cui  pendono  le  bende  laterali  oppure  falde  di  una 
xcdvnvQct  una  specie  di  manto  che  ricopriva  la  testa  lassando  libera  la  faccia  (*). 

È  riccamente  ornata  ;  dalle  orecchie  mal  modellate  pendono  gli  srdóvta,  e  avvolge 
il  collo  una  collana  formata  da  un  cordoncino  ritorto  con  due  ornamenti  cuoriformi 
nel  mezzo  (!)  ;  sotto  il  diadema  vi  è  una  corona  di  fiori  (3). 

Non  è  una  terracotta  architettonica,  ma  di  carattere  funerario  o  votivo  ;  anzi  può 
dirsi  l'uno  e  l'altro,  perchè  è  stato  ben  dimostrato,  come  il  carattere  funebre  di  queste 
maschere  si  connetta  strettamente  al  culto  delle  divinità  chtonie  Demeter  e  Cora,  e  quindi 
la  loro  presenza  così  nei  sepo'cri  come  nei  santuarìi  (4). 

T.  Campanile. 


Regione  VII  (ET RUM  A). 

III.  CASTIGLIONCELLO  —  Scoperte  di  antichità  varie,  compresa 
un'ara  riferibile  al  culto  di  Robigus. 

Trent'anni  addietro,  la  località  di  Castiglioncello,  sulle  ultime  propaggini  del 
Montenero  a  sud  di  Livorno,  era  ancora  soltanto  il  centro  di  una  grande  tenuta  del 
nobile  Diego  Martelli  e  sede  della  relativa  fattoria  (*).  Al  Martelli  subentrò  più  tardi 
nella  proprietà  del  vasto  territorio  il  barone  Fausto  Patrone  di  Genova,  il  quale  con 
larghe  e  moderne  vedute  segnò  decisamente  la  rinascita  di  Castiglioncello.  E  si  deve 
parlare  proprio  di  rinascita,  giacché  i  resti  archeologici  scoperti  in  quel  sito,  e  dei  quali 
qui  mi  occupo,  stanno  a  dimostrare  che,  oltre  due  millennii  prima,  un'intensa  vita  erasi 
svolta  per  lungo  tempo  nella  medesima  località,  sotto  un  nome  a  noi  ora  ignoto,  ma 
con  manifestazioni  d'arte  e  di  pensiero   degne  di  essere  conosciute  e  studiate. 

Alle  scoperte  archeologiche  di  Castiglioncello,  che  hanno  culminato,  sinora, 
con  la  interessantissima  ara  annunziata  nel  titolo  di  questo  articolo,  molto  contri- 
buirono non  solo  i  lavori  per  le  costruzioni  edilizie,  ma  anche  gli  ingenti  sterri  dovuti 
fare  per  la  ferrovia  Livorno- Vada,  in  esercizio,  come  è  noto,  da  circa  quindici  anni. 
Con  i  prodotti  di  detti  scavi  occasionali,  integrati  opportunamente  da  esplorazioni 

(')  Tale  consuetudine  è  stata  raffigurata  specie  negli  alabastri  rodiesi  e  in  una  quantità  di  tipi 
muliebri  seduti  che  del  pari  sembrano  far  capo  a  Rodi  (Orsi,  Monumenti  Lìncei,  XVII,  1907,  col.  698). 

(")  Questo  stesso  motivo  di  collana,  ma  più  ricca,  con  maggior  numero  di  perle  cuoriformi  in- 
tramezzate da  perle  rotonde,  si  trova  anche  in  un  busto  di  Agrigento  ;  tipo  di  gioiello  comune  nel- 
l'antica oreficeria,  specie  nel  IV  sec.  (Rizzo  in  Oesterr.  Jahreshefte  XII,  flg.  41,  pag.  67). 

(3)  Diademi  con  ornamenti  floreali  sono  stati  trovati  anche  a  Rosarno  Medma  (Not.  se.  1913  ; 
«  Suppl.  »,  fìgg.  139  e  148. 

(4)  Orsi,  Noi.  se.  1913, . Suppl,  pag.  81,  e  ivi  bibliografia.  Per  quelle  di  Rosarno-Medma,  l'Orsi, 
loc.  cit.,  pag.  83,  sospetta  che  sieno  delicate  ad  Athena,  e  che  si  tratti  quindi  di  un  Athenaeum. 

(6)  Per  le  poche  notizie  retrospettive  su  Castiglioncello  cfr.  E.  Repetti,  Dizionario  storico  della 
Toscana,  I,  pag.  591  seg. 


CASTIGLIONCELLO  —    158    —  REGIONE    VII. 


governativo,  fu  costituito  a  Castiglioncello,  nel  1913-M4,  un  piccolo  musco,  per  inizia- 
tiva e  merito  dell'illustre  e  compianto  prof.  Luigi  Adriano  Milani,  che  ad  esso  dedicò 
le  ultime  forze  della  sua  nobile  e  feconda  esistenza.  Alla  creazione  del  museo  predetto  — 
che  ora  è  in  corso  di  completo  riordinamento  scientifico  ed  amministrativo  —  concor- 
sero il  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  con  cospicui  contributi.il  barone  Patrone 
con  la  cessione  gratuita  jPj  suolo  in  cima  ad  un  ameno  poggetto  alberato,  somigliante 
ad  un  grande  tumulo  artificiale,  donde  si  domina  il  mare,  e  molti  abituali  villeg- 
gianti per  mezzo  di  una  pubblica  sottoscrizione  promossa  pure  dal  Milani.  Però  è 
veramente  strano,  che  a  tanto  fervore  di  opere  e  di  cure  per  le  scoperte  che  si  verifica- 
rono in  quella  zona,  non  fece  eco  veruna  pubblicazione,  neppure  di  carattere  provvi- 
sorio ed  informativo. 

Il  museo  intanto  è  affidato  alla  custodia  del  colto  ispettore  onorario  locale,  rev. 
dott.  don  Carlo  Gradi. 

Non  sappiamo  se  nei  secoli  passati  fossero  state  fatte,  come  sembra  probabile, 
scoperte  archeologiche  nel  sito  di  Castiglione-elio.  Un'eco  di  possibili  scoperte  e  della 
presenza  di  resti  di  antiche  costruzioni  in  quel  luogo  è  nelle  parole  del  Repetti:  «Casti- 
glioncello  di  Rosignano,  già  Castiglione  Mondiglio,  per  quanto  di  aria  salubre,  ha  i 
suoi  contorni  spopolati  (il  Repetti  scriveva  nel  183;>)  e  con  pochissime  abitazioni,  men- 
tre il  suo  terreno  ricuopre  avanzi  di  antichi  edifizi,  fra  i  quali  ho  dubitato  che  cadervi  potesse 
qualche  resto  della  villa  di  Albino  Cecina,  dove  una  notte  del  415  d.  Cr.  prese  alloggio  il  pa- 
trizio Rutilio  Numaziano  (l)  «. 

Debbo  però  subito  avvertire,  che  i  trovamenti  avvenuti  a  Castiglioncello  si  rife- 
riscono, nella  grandissima  maggioranza,  a  varii  gruppi  sepolcrali  di  un'estesa  necropoli 
discendente  dal  sec.  IV  av. Cr.  sino  ai  primordi]  dell'Impero  romano:  necropoli  che  do- 
vette formarsi  nel  corso  di  circa  mezzo  millennio,  non  già  accanto  ad  una  fattoria  o 
ad  un  piccolo  villaggio  prima  etrusco  e  poi  romanizzato,  ma  piuttosto  presso  un  impor- 
tante emporio  marittimo,  che  svolse  un'intensa  vita  di  relazioni  e  di  traffico  con  le  popo- 
lazioni circonvicine. 

Allo  stato  dei  fatti  noi  non  possiamo  dire,  neppure  in  via  di  ipotesi,  quale  fosse  il 
nome  antico  di  .tale  emporio  ;  ma  è  forse  probabile  (ed  archeologicamente  più  che  giusti- 
ficabile) che  esso  fosse  un  Vadum  Volulcrranitm,  giacche  il  nome  plurale  di  Vada  Volalcr- 
ran-i,  che  ricorre  negli  scrittori,  e  che  viene  generalmente  identificato  con  l'odierna 
Vada(J),  a  sud  di  Castiglioncello,  doveva  comprendere  non  uno  ma  diversi  approdi  dis- 
seminati su  quel  litorale,  alla  diretta  dipendenza  della  non  lontana  Volterra,  centro 
etrusco  di  alta  antichità  e  di  vasta  irradiazione,  in  grazia  della  sua  prominente  po- 
sizione geografica.  Può  darsi  che  il  c«  vado  »  di  Castiglioncello,  al  pari  degli  altri  vi- 
cini, non  avesse  neppure  avuto  mai  un  particolare  nome  determinativo.  L'aggregato 
di  popolazione  ivi  formatosi  dovette  essere  però  considerevole,  specialmente  nella  fase 
più  antica  di  cui  si  hanno  elementi  (sec.  IV-II  av.  Cr.). 

(')  Repetti,  op.  oit.,  pag.  391,  rfr.  pag.  G6. 

(2)  Por  le  fonti  relative  a  Vada  Volntcrrana  etr.  Pennis,  Cititi  and  cernetene»  of  Elrvria,  II, 
pag.  201,  nota  ì).  t'fr.  anche  la  recente  ed  utile  pubblicazione  di  Arturo  Solari,  Topografia  storica 
delVEtruria,  2«  ediz.;  I,  pag.  38;  II  pag.  71  e  104,  nonché  pag.  87  seg. 


KEU10NE   VII.  —   159   —  CASTIGLIONCELLO 


Le  prime  fortunate  scoperte  risalgono  al  tempo  in  cui  era  ancora  proprietario  del 
luogo  don  Diego  Martelli,  dagli  eredi  del  quale  il  Milani  acquistò,  nel  1898,  per  il  R.  Museo 
Archeologico  di  Firenze,  una  bella  stele  funeraria  in  marmo  greco  con  venature  bluastre 
(pentelico  ?)  (l)  ed  un  gruppo  di  vasi,  in  prevalenza  campano-etruschi,  riferibili  a  se- 
polcri del  TV-Ili  sec.  av.  Cr.  Succeduto,  in  quel  torno  di  tempo,  il  barone  Patrone  al 
Martelli,  e  iniziati  i  lavori  per  la  costruzione  del  sontuoso  castello  nella  più  alta 
parte  dell'abitato,  sulla  sinistra  della  ferrovia  per  Vada,  si  scoprirono  varie  tombe 
di  cremati,  di  caratteristica  struttura  a  cassetta  (come  le  tombe  coeve  del  territorio 
etrusco-ligure  di  Ameglia  e  di  Genicciola  presso  la  Spezia  (2)),  le  quali  a  loro  volta 
perpetuano  un  noto  tipo  della  prima  età  del  ferro  con  piccolo  dolio  per  le  ceneri  e  sup- 
pellettile vascolare  etrusco  -campana  e  locale  in  discreto  numero.  La  maggior  parte 
di  questi  oggetti  fu  potuta  salvare,  mercè  l'interessamento  del  barone  Patrone,  e  venne 
poi  aggiunta  dal  Milani  alle  collezioni  dell'istituendo  museo.  Però  di  tutti  i  trovamenti, 
compresi  quelli  sopra  accennati  del  castello  Patrone,  fu  tenuta  regolare  nota  solo  a  par- 
tire dal  1903.  Io  qui  dunque  espongo  prevalentemente,  ma  in  sintesi,  i  risultati  di  que- 
st'ultimo ventennio  di  trovamenti  e  di  scavi  regolari.  E  per  rendere  chiari  i  riferimenti 
topografici  delle  varie  scoperte,  esibisco  qui  (fig.  1)  una  piantina  di  Castiglioncello  (nella 
proporzione  di  1  a  lóOOO  circa)  desunta  dal  foglio  111  della  carta  d'Italia  dello  Stato 
Maggiore  del  R.  Esercito. 

Nel  predetto  anno  1903,  in  seguito  alle  numerose  scoperte  casuali  fatte  nella  vasta 
zona  di  terreno  che  si  estende  dal  parco  del  castello  Patrone  alla  piazza  di  Castiglion- 
cello, quindi  di  qua  e  di  là  dalla  ferrovia,  fu  ordinata  una  campagna  di  scavi  governativi, 
con  lo  scopo  di  esplorare  principalmente  l'area  della  suddetta  piazza  e  delle  sue  im- 
mediate vicinanze,  dove  incominciavano  ad  intensificarsi  le  costruzioni  di  case  e  di 
villini. 

Fu  raccolto  copioso  materiale  archeologico,  soprattutto  vascolare,  ora  tutto  con- 
servato nel  locale  museo,  e  si  potè  stabilire  con  sicurezza  che  la  più  antica  necropoli  di 
quel  Vadum  Volaterranum,  cioè  quella  risalente  al  sec.  IV-IIIav.  Cr.,  si  estendeva  dal 
parco  Patrone  all'  imbocco  della  odierna  via  Diego  Martelli.  E  ciò  fu  poi  ancora  con- 
fermato dalle  ulteriori  scoperte  del  1908-09  che  l' impresa  Parisi  fece  negli  sterri  per 
formare  il  piano  della  ferrovia,  e  per  le  opere  costruttive  all'imbocco  meridionale  della 
galleria  a  poca  distanza  dalla  piazza  del  paese. 

Questa  galleria  pertanto  passa  al  disotto  di  una  parte  della  necropoli  non  ancora 
interamente  esplorata,  e  che  dà  di  continuo  (una  nuova  scoperta  si  è  verificata  anche 
in  questi  ultimi  mesi,  come  dirò  più  oltre)  qualche  tomba  intatta,  sia  del  gruppo  più 
antico  accennato,  e  sia  di  quelle  che  discendono  sicuramente  sino  all'epoca  romana 
imperiale,  e  che  pertanto  erano  state  praticate  in  seguito  nello  stesso  terreno  tradi- 
zionalmente sepolcrale. 


(*)  Inv.  n.  78047.  Venne  riprodotta  per  la  prima  volta  da  P.  Durati,  La  sedia  Corsini,  in  Man. 
ani.  dei  Lincei,  XXV  (1917).  pag.  450,  fig.  !). 

(2)  Cfr.  Ubaldo  Fomentila,  Questioni  di  archeologia  lunense,  in  Memorie  della  Società  lunigia- 
nense  O.  Capellini,  voi.  IV  (1923),  fase  III,  pag.  108,  tav.  XII. 


CASTIGL10NCELL0 


—   1(50 


REGIONE    VII. 


Successivamente,  nel  1910-M1,  durante  i  lavori  per  la  costruzione  della  nuova 
strada  rotabile  fiancheggiante  la  ferrovia,  e  per  il  riassetto  della  via  e  piazza  Tripoli, 
si  rinvennero  altre  tombe  intatte,  le  quali  però  se  giovarono  a  determinare  l'esten- 
sione della  necropoli  anche  da  quel  lato,  nulla  aggiunsero  di  notevole  alle  nostre  cono- 
scenze circa  il  tipo  dei  sepolcri  e  circa  il  genere  della  suppellettile  funebre,  che  qui  sotto 
indicherò  brevemente. 


Cash' ò/ion  ceffo 


PlG.  1. 


A  questo  primo  gruppo  di  scoperte  vanno  aggiunti  alcuni  sporadici  travamenti 
fatti  in  questi  ultimi  anni,  e  che  furono  da  me  stesso  ispezionati. 

Nell'estate  del  1920,  scavandosi  le  fondamenta  per  un  muro  presso  il  convento 
delle  suore  di  S.  Giuseppe,  a  poca  distanza  dalla  spianata  del  castello  Patrone,  si  rin- 
vennero due  tombe,  vicina  l'una  all'altra,  ricoperte  da  embrici  che  quasi  affioravano 
sul  terreno,  e  contenenti  avanzi  dello  scheletro  e  poco  e  rozzo  vasellame  grezzo  del 
periodo  romano  (patera,  olla,  alcuni  vasetti  minori).  Una  di  tali  tombe  era  meglio  con- 
servata dell'altra,  già.  franata  in  antico;  ma  entrambe  assai  povere.  Esse  tuttavia  indi- 
cano che  la  necropoli  romana,  con  le  tipiche  tombe  di  inumati  ricoperte  da  tegoloni, 
s'innestava  a  quella  anteriore  etnisca,  e  ne  costituiva  il  prolungamento  :  e  ciò  è  segno 


REGIONE   VÌI. 


-    16Ì 


CÀSTÌGLÌONCELLÓ 


che  una  tradizione  ininterrotta,  corrispondente  ad  una  storica  continuità  della  vita 
civile  in  quei  paraggi,  aveva  rispettato  i  sepolcri  anteriori,  ed  aveva  per  alcuni  secoli 
riservato  il  luogo  al  riposo  dei  defunti. 

E  questa  continuità  della  necropoli  etnisca  e  di  quella  romana  —  la  prima  che  si 
estendeva,  come  sopra  ho  detto,  verso  occidente  superando  il  limite  ora  segnato  dalla 


Fio.  2. 


ferrovia  per  Vada,  e  la  seconda  invece'che  si  sviluppava  verso  nord-est,  anche  stando 
alle  voci  di  altri  antichi  e  numerosi  travamenti  di  sepolcri  di  inumati  ricoperti  da 
tegoloni-c  attestata  altresì  da  scoperte  recentissime. 

Ai  primi  del  mese  di  luglio  del  1923,  nel  lato  occidentale  del  poggio  attraversato 
dal  traforo  della  ferrovia,  e  prospiciente  sulla  piazza  principale  del  paese,  quasi  di  faccia 
all'imbocco  di  via  Diego  Martelli,  nel  preparare  le  fondazioni  di  una  casa  di  proprietà 
Pizzi,  vennero  in  luce  due  finitime  tombe  della  necropoli  etnisca,  in  quella  zona  lar- 
gamente esplorata  durante  questo  ultimo  ventennio.  La  struttura  di  esse,  del  solito 
tipo  (fig.2),  che  consisteva  in  una  fossa  rettangolare  protetta  da  embrici  sulle  pareti, 
coperta  da  un  lastrone  di  pietra  e  contenente  un  piccolo  ziro  rozzo  con  le  ceneri  del 
morto  e  la  suppellettile  vascolare  di  industria  etrusco-campana  (olpe  con  ghirlanda 
N'oiizif.  Scavi  1024  —  Voi..  XXI.  21 


CASTIGLIONCELLO 


—    162    — 


llEGIONE    Vlt- 


di  foglie  bianche  intorno  al  ventre,  phialai,  piccoli  sympula,  qualche  balsamarietto  di 
terra  figulina  giallastra)  distribuita  ai  lati,  corrisponde  perfettamente  a  quella  dei  se- 
polcri più  antichi  rappresentati  a  Castiglionccllo;  e  pertanto  anche  questi  due  depo- 
siti funebri  debbono  rientrare  nel  quadro  topografico  e  storico  del  primo  stanziamento 
etrusco  colà  formatosi. 

Un  secondo  gruppo  di  scoperte,  naturalmente  meno  ricco  ma  non  meno  importante 
e  significativo  di  quello  di  carattere  funebre  sinora  descritto,  riguarda  gli  avanzi  e  le 
tracce  di  edifizi  dcll'età'classica  una  volta  esistenti  a  Castiglionccllo. 


Pie.  3. 


Seguendo  anche  per  questa  parte  il  criterio  cronologico  nell'indicare  le  scoperte, 
bisogna  innanzi  tutto  notare,  che  il  poggetto  isolato  su  cui  ora  sorge  il  museo,  e  che 
da  lontano  sembra  un  grande  tumulo  artificiale  alberato,  mentre  gli  abitanti  del 
luogo  affermano  che  non  sia  altro  in  realtà  se  non  una  specie  di  mammellone  di  macigno 
ricoperto  da  poca  terra  e  da  conifere,  fu  più  volte  saggiato  col  piccone  tanto  alla 
base  quanto  sulla  vetta  (nel  1901-'02  in  basso,  per  fondare  il  muro  di  cinta  della 
villa  Gordigiani;  nel  1903,  per  conto  della  Soprintendenza,  in  cima;  e  più  larga- 
mente nel  1912  per  preparare  le  fondazioni  ed  il  sotterraneo  del  museo). 

La  cosa  più  notevole,  che  fu  messa  in  luce  in  seguito  ai  larghi  scavi  del  1912  sulla 
vetta  del  poggio,  è  questa:  quella  sommità  era  attraversata  in  antico,  in  direzione 
sud  est-nord  ovest,  da  una  grossa  e  robusta  canalizzazione  di  terracotta,  un  pezzo 
della  quale  fu  lasciato  a  posto,  e  può  ora  vedersi  nel  sotterraneo  del  museo.  A  quale 
uso  avesse  originariamente  servito  tale  tubo  non  siamo  ora  in  grado  di  poter  determinare. 

Una  seconda  scoperta  di  più  concreta  definizione  fu  fatta  nel  1920  in  un  terreno 
del  sig.  Orlando  Faccenda,  sulla  cima  di  una  collinetta  che  strapiomba  in  maro,  nella 


REGIONE    VII. 


—    163 


CASTIGUONCELLO 


località  «Caletta»,  a  circa  una  cinquantina  di  metri  a  sinistra  dell'hotel  Miramare. 
Il  punto  preciso  della  scoperta  è  noto  col  nome  di  «  Castellacelo  »,  forse  in  forza  di  una 
tradizione,  alterata  sì  ma  giammai  spenta,  di  un  vecchio  edifizio  esistito  in  quel  luogo. 
Il  podere  è  coltivato  a  vigna;  e,  facendosi  appunto  degli  scassi  di  carattere  agricolo! 
a  un  metro  solo  di  profondità  comparvero  gli  avanzi  di  antichi  muri,  compresa  una 
soglia  di  travertino,  ed  un  cospicuo  tratto  di  pavimento  a  mattonelle  rettangolari  mar- 
moree di  vario  colore  (bardiglio,  bianco  lunense,  rosso,  e  breccia  rosa).  Al  di  sopra 


F;g.  4. 


erano  stati  raccolti  da;  sig.  Faccenda  frammenti  di  vasi  romani,  fra  cui  pezzi  di  una 
lucerna  circolare  (del  I"  soc.  ci.  Cr.),  con  tracce  di  lettere  sul  fondo. 

I  tipi  vascolari  prodominanti  fra  le  scoperte  di  Castiglione-elio  sono  comuni  in 
Etruria  ai  sepolcri  del  IV-JII  sec.  av.  Cr.,  e  consistono  in  oinochoai,  sympula,  ciotole 
e  phialai,  in  qualche  olpe  ad  alto  beccuccio,  tutti  a  vernice  Ttera  di  fabbriche  etrusco- 
campane;  ma  vi  è  rappresentato  anche  qualche  esemplare  di  patera  calcila  mesom- 
plialos,  chc-tostituiscc  la  testimonianza  di  rapporti  commerciali  con  i  più  celebri  emporii 
della  Campania  nel  predetto  periodo  (fig.  3,  4  e  5). 

Un'altra  categoria,  anche  più  numerosa,  di  suppellettili  vascolari  è  quella  dei  bal- 
samarii  di  molteplici  ma  consuete  forme,  degli  askoi,  degli  orcetti  a  pareti  sottilissime, 
delle  tazzine,  alcune  delle  quali  di  fattura  delicatissima,  con  le  anse  di  tipo  metallico, 
ricavati  da  una  terra  figulina  giallastra  e  depurata,  talvolta  anche  con  l'aggiunta  di 
una  decorazione  dipinta  all'esterno,  a  strie  o  fasce  bruno-rossicce,  delle  olle  e  dei 
caratteristici  cinerarii  cilindrici  dipinti  a  fiorami  e  di  argilla  pure  giallognola. 

Notevole  è  anche  l'askos  in  forma  di  maialetto,  che  si  riproduce  alla  fig.  6. 

I  bronzi  rappresentati  nel  museo  di  Castiglioncello  non  sono  molto  copiosi,  ma 
fra  di  essi  meritano  di  essere  ricordati  i  seguenti  oggetti:  una  grande  situla  cineraria; 


CASTIGLIONCELLO 


-    164    — 


REGIONE    VII. 


uno  specchio  discoidale  non  graffito,  con  peduncolo;  alcune  anse  finemente  lavorate, 
spettanti  a  vasi  di  lamina. 


Fig.  5. 


Alla  irradiazione  culturale  ed  artistica,  di  Volterra  ci  riconducono  poi  esplicita- 
mente altri  e  più  cospicui  materiali  archeologici  venuti  fuori  dal  suolo  di  Castiglion- 


Fio.  6. 


cello  ;  innanzi  tutto  una  magnifica  urna  di  alabastro,  alla  quale  la  millenaria  perma- 
nenza nel  sottoterra  ha  conferito  un  caldo  colorito  giallognolo.  Essa  racchiude  le  ceneri 


REGIONE    VII. 


165    — 


CASTIGLIONCELLO 


di  una  donna.  Velia  Carinei,  la  cui  immagine  è  rappresentata,  con  intenzione  naturali- 
stica, sul  coperchio,  che  porta  inciso  nel  listello  anteriore  appunto  tale  nome  (*);  mentre 


Fio.  7, 


la  fronte  dell'urna  è  decorata  con  una  scena  di  carattere  epico  risalente  al  ciclo  Tro- 

(')  11  gentilizio  Carinei  non  ha  riscontro  nel  Glossario  del  Fabretti,  né  mW  Appendice  del  Ga- 
murrini,  ma  è  chiaro  che  esso  appartiene  al  gruppo  dei  più  noti  gentilizi  etruschi  Carna  e  Carini,  dai 
quali  derivarono  i  latini  Carnius,  Canina,  Carenius,  Carienius,  Cannus  e  Carmius:  cfr.  \V.  Schulze, 
Geschishte  lateiniseher  Eigennamen,  pag.  146.  Sul  prenome  Velia  invece,  cosi  frequente  nelle  iscri- 
zioni sepolcrali  etrusche,  non  è  il  caso  di  perderci  in  discussioni. 


CASTIGL10N  CELLO 


—    166    — 


REGIONE   VII. 


iano,  cioè  il  ratto  di  Elena  («)  (fig.  7).  Se  «on  vi  può  essere  dubbio  sull'origine  volter- 
rana di  tale  urna,  fa  però  invero  meraviglia  che  a  Castiglioncello,  fra  parecchie  diecine 
di  sepolcri  esplorati,  essa  rappresenti  un  caso  isolato  e  sporadico. 

Una  maggiore  diffusione  fra  gli  antichi  abitatori  di  Castiglione-elio  ebbe  invece 
l'uso  di  contrassegnare  alcune  particolari  tombe  per  mezzo  di  una  stele  figurata  posta 


Fio.  8 


sul  tumulo;  senza  coniare  i  sepolcri,  ancora  più  numerosi  ma  certo  meno  importanti, 
che  erano  invece  contraddistinti  all'esterno  da  piccoli  cippi  conici  rastremati  in  basso, 
di  un  tipo  già  noto  e  diffusissimo  in  Etruria  nei  secoli  IV  e  III  av.  Cr.  Le  stelai  rinve- 
nute in  quella  necropoli  sono  soltanto  tre,  sostanzialmente  simili  tranne  che  nelle  di- 
mensioni, la  maggiore  delle  quali  —  frammentaria  in  basso  —  venduta  al  museo  di  Fi- 
renze nel  1898  dagli  eredi  di  Diego  Martelli  (cfr.  fig.  8)  insieme  con  un  gruppo  di  pic- 

(')  Cfr.  Brunii,  Urne  etruschi,  I,  pag.  22  segg.  Trattasi  di  un  soggetto  rappresentato  su  pia  di 
venti  urne  edite,  però  con  varianti  nel  numero  e  nell'aggruppamento  dei  personaggi  che  compongono 
la  movimentata  scena.  Tn  questa  di  Castiglioncello  i  personaggi  sono  sette,  compresa  Elena  che  viene 
sospinta  verso  la  nave  di  Paride,  e  nella  loro  composizione  presentano  delle  notevoli  differenze  al  con- 
fronto delle  altre  urne  sinora  pubblicate. 


HEGtOtfE   VIt. 


—   16?    - 


CASTIGLIONOELLO 


coli  cippi  conici  marmorei  e  con  alquanto  vasellame   della   medesima   provenienza, 
come  sopra  ho  già  accennato,  e  le  altre  due  potute  assicurare  dal  Milani  al  museo   di . 
Castiglioncello  ;  ma  costituiscono  un  gruppo  di  distinta  fisionomia  artistica,  e  perciò 
sono  di  notevolissimo  interesse  nei  riguardi  dell'archeologia.  Consistono  tutte  e,  tre 


Fic.  9. 


in  grosse  lastre  di  marmo  greco  lavorate  sopra  una  sola  faccia  ;  e  la  materia  usata  per 
esse  denota  due  cose:  1°)  i  frequenti  contatti  che  la  popolazione  del  luogo  aveva  con 
i  paesi  dell'oriente  mediterraneo  ;  2°)  l'epoca  più  presumibile  dell'importazione  di  tali 
marmi,  anteriore  all'uso  delle  cave  lunensi  (sec.  1°  av.  Cr.).  Di  marmo  pario  sono  con 
sicurezza  le  altre  due  stelai  minori  conservate  nel  museo  di  Castigliocello.  Tutte 
e  tre  hanno  forma  approssimativamente  ovoidale,  molto  rastremata  verso  la  base 
(press'a  poco  come  le  pietre  funerarie  felsinee)  (*),  e  sono  scolpite  a  bassissimo  rilievo, 
con  tecnica  alquanto  sommaria  (fig.  9).  Portano  invariabilmente  una  immagine  di 

(»)  Cfr.  P.  Ducati,  Le  pietre  funerarie  felsinee,  in  Monumenti  antichi  dei  Lincei,  XX  (1911), 
specialmente  fig.  74  e  75  a  pag.  663  scg. 


CASTIGLIONCELLO 


_  168  —  REGIONE  vlr. 


guerriero  di  profilo  od  in  cammino  verso  sinistra,  armato  di  lancia,  di  scudo  italico  con 
ambone  allungato  a  losanga  (l)  (cfr.,  per  la  più  antica  tradizione  di  questo  tipo  di  scudo, 
l'esemplare  litico  di  Vetulonia  —  sec.  Vili  av.  Cr.  —  che  si  riproduce  alla  fig.  10),  e 
di  elmo  a  calotta  con  grandi  paragnatidi  pure  di  tipo  italico,  somigliante  fondamen- 
talmente a  quello  della  tomba  volsiniese  dei  Sette  Camini  (sec.  IV  av.  Cr.),  ora  nel 
museo  di  Firenze  (2). 

La  tecnica,  lo  stilo,  i  particolari  delle  armature,  e,  soprattutto  ed  immediatamente, 
la  pertinenza  di  esse  a  sepolcri  con  vasi  campani  del  sec.  IV-III  av.  Cr.,  fanno  risalire 


Fio.  10. 

tali  stelai  —  che  furono  con  ogni  probabilità  lavorate  sul  posto  da  artefici  dozzinali  — 
appunto  al  detto  periodo,  che  segna  la  più  antica  fase  dell'esistenza  della  stazione  etru- 
sca  di  Castiglioncello.  Ai  tempi  posteriori  appartengono  invece  l'urna  di  Velia  Carinei 
(sec.  Ili— II  av.  Cr.),  alcune  monete  raccolte  in  tombe  romane  (asse  e  semisse  onciale 
non  anteriori  al  sec.  II  av.  Cr.),  ed  il  vasellame  rozzo  proveniente  dai  sepolcri  ricoperti 
da  embrici  disposti  a  schiena  d'asino,  e  riferibili  al  periodo  imperiale  inoltrato. 

Nulla  di  più  ci  era  dato  di  ricostruire  con  la  scorta  delle  reliquie  archeologiche 
intorno  agli  orientamenti  spirituali  di  coloro  che  vissero  in  quella  oscura  borgata  tir- 
rena, prima  della  scoperta  della  quale  ora  particolarmente  tratto. 

(')  Il  Ducati  (lavoro  citato  alla  nota  4)  riconosce  giustamente  un  Etrusco  nel  guerriero  effigiato 
sulla  stele  Martelli  ;  ma  io  penso  che  a  Castiglioncello,  nel  periodo  di  cui  si  tratta,  avevano  potuto 
infiltrarsi  elementi  della  civiltà  celto-ligure,  come  denoterebbe  il  peculiare  tipo  delle  tombe  a  cassetta. 
Questo  importante  e  non  ancora  esaurito  problema  delle  vicendevoli  influenze  celto-liguri-etruselie 
potrà  essere  convenientemente  illuminato  dagli  scavi  che  si  faranno  nella  bassa  Liguria  e  nella  Lu- 
nigiana. 

(')  Cfr.  per  altri  tipi  simili,  dei  musei  di  Firenze  (da  Talamone)  e  di  Bologna  (da  IJolsena),  Leon 
Coutil,  Le»  cnurpies  proto-étrusques ,  itrnsques  et  gaulois.  tav,  VII,  n.  2  e  3. 


ttEGIONE   Vlt. 


169   — 


CASTIGLIONCELLO 


Nel  luogo  che  ora  è  detto  «  Leccino  »,  ad  un  chilometro  dal  paese  verso  nord,  in 
una  vigna  che  era  sino  a  due  anni  fa  della  Società  Magnesite,  e  che  ora  appartiene  al 
sig.  Lavelli,  fu  scoperta  per  caso,  nell'aprile  del  1922,  l'ara  di  cui  parlo,  la  quale  fu  pos- 
sibile assicurare  al  museo  di  Castiglioncello. 

Essa  giaceva  a  circa  mezzo  metro  di  profondità,  rovesciata  nel  terreno,  presso 
un  masso  rettangolare  di  travertino  che  costituiva  forse  in  origine  la  sua  base,  e  che 


Fio.  11. 


venne  pure  salvato,  ma  poi  fu  rotto  in  più  pezzi  ed  in  gran  parte  disperso  da  ignoti  ; 
e  vi  erano  intorno  copiosi  avanzi  di  tegoli  e  di  embrici,  risalenti  con  tutta  probabilità 
ad  una  tettoia  sostenuta  da  pali  e  posta  a  protezione  dell'ara.  Non  riscontrai  lì  presso 
nessun  residuo  o  segno  di  sepolcro.  Alcuni  frammenti  di  vasi  rozzi  (anse  e  orli  di 
pignatte  e  di  ciotole),  che  notai  fra  i  rottami  di  laterizi,  debbono  risalire  piuttosto  ad 
una  stipe  sacra,  o,  quanto  meno,  a  recipienti  rituali. 

Fatto  rimuovere  non  senza  fatica  il  monumento  che  pesa  circa  8  quintali,  questo 
mi  si  rivelò  subito  con  caratteri  inconsueti  e  strani. 

Consiste  in  un  blocco  cilindrico,  alto  m.  0.88  e  del  diametro  di  0.71  circa,  di  bella 
e  durissima  selce  piromaca  bionda,  che  si  trova  nei  monti  vicini:  insomma  una  cosa 
sorprendente  prima  di  tutto  dal  punto  di  vista  tecnico,  perchè,  come  è  risaputo,   oc- 
Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  22 


CÀSTIGLIONCELLO 


170    — 


REGIONE    VII. 


corre  una  tempra  speciale  dell'acciaio  per  incidere  la  silice.  Può  darsi  che  il  colore  fulvo 
di  tale  roccia  sia  stato  imposto  da  ragioni  rituali,  come  si  desumerà  dalla  mia  ulteriore 
trattazione.  Sul  sommoscapo  di  detto  tamburo  fu  incavata,  con  singolare  perizia  e  re- 
golarità, una  scodella  profonda  m.0.35,  riducendo  in  cima  l'orlo  della  pietra  a  soli  13 
centimetri  di  spessore.  La  scodella  ha  due  piccoli  canali  emissarii  contrapposti,  un  po' 
più  alti  del  suo  fondo  e  con  corso  lievemente  in  pendìo  verso  l'esterno,  come  mostra  lo 
spaccato  alla  nostra  fig.  11  ;  la  loro  sezione  è  rettangolare  (mm.  34  X  42,  e  50  X  32) 


Fig.  12. 


e  conserva  ancora,  in  ambo  i  lati,  gli  avanzi  di  una  fistula  plumbea  ribadita.  La  con- 
cavità ed  i  canaletti  laterali  sono  lavorati  con  una  cura  straordinaria,  a  piccoli  colpi 
di  subbia  aguzza,  ed  evitando  le  facili  sfaldature  su  simile  roccia  di  composizione 
cristallina. 

Non  minore  abilità  tecnica  dimostrano  i  rilievi  che  furono  ottenuti  abbassando 
all'esterno  la  superficie  del  singolare  monumento.  A  circa  due  terzi  della  sua  altezza 
ricorre  infatti  tutt'intorno  la  seguente  decorazione,  composta  di  più  figure  e  ricavata 
con  ogni  cautela  e  pazienza  sulla  pietra  fragile  e  tutta  solcata  da  cretti  e  fenditure. 

Un  grosso  festone  di  frutta  autunnali  (uva,  pomi  e  foglie)  è  fra  due  teste  di  gio- 
venchi dalle  piccole  corna  (non  già  bucranii)  (fig.  12)  ;  ma  la  testa  di  sostegno  a  sinistra 
è  ora  quasi  del  tutto  abrasa,  mentre  l'altra  è  conservatissima.  Segue,  procedendo  verso 
destra,  un  cane  rivolto  alla  testa  di  torello  ben  conservata,  e  sebbene  abbia  la  parte 
posteriore  abrasa,  si  vede  ancora  nitidamente  l'impronta  della  caratteristica  coda  at- 
torcigliata a  voluta.  Un  altro  cane  analogo  procede  in  senso  inverso  (fig.  13).  Segue  una 
terza  testa,  ben  conservata,  di  giovenco,  e  finalmente  si  ha  un  singolare  gruppo  di  tre 
figure,  disposte  secondo  l'andamento  del  contrapposto  encarpo:  nel  mezzo,  in  basso, 


REGIONE    VII. 


—   171    — 


CASTIGMONOELLO 


una  piccola  testa  umana  di  faccia,  con  rudimentali  corna  bovine,  e  lunghe  chiome  la- 
terali di  tipo  anguiforme  come  nelle  consuete  immagini  di  Gorgo-Medusa;  ai  suoi  lati 
seguendo  una  linea  rimontante,  due  altri  cani  semi-accovacciati,  tantoché  non  si  ve- 
dono le  code,  e  posti  inversamente  (fig.  14). 

Il  rilievo  di  tali  rappresentazioni  —  che  in  apparenza  sembrano  prive  di  collega- 
mento concettuale  —  non  è  molto  alto  ;  esso  non  supera  mai  i  3  centimetri  (groppa  dei 
cani,  che  è  il  punto  più  rilevato). 


Fio.  13. 


L'ara  fu  lavorata  da  artefici  locali,  forse  non  molto  lontano  dal  sito  dove  essa  venne 
scoperta  :  la  materia,  le  dimensioni  e  lo  stile  degli  elementi  rappresentati  concordano 
a  farci  formnlare  questo  giudizio. 

I  cani  sono  trattati  assai  sommariamente  ;  ma,  anche  così  schematici  e  grossolani, 
non  sono  privi  di  una  certa  vivacità.  L'aspirazione  naturalistica  dell'artefice  nel  ripro- 
durli,  risulta  particolarmente  dalla  posizione  rispettiva  e  dai  movimenti  di  detti  animali. 

Al  contrario,  le  teste  taurine  vive,  ostentatamente  ricoperte  di  pelle  e  di  peli,  deri- 
vano da  un  ben  riconoscibile  archetipo  di  bronzo,  e  nel  loro  schema  stilistico  serbano 
elementi  arcaicizzanti  di  particolare  interesse  :  il  pelame  fra  le  corna  giovanili  e  ro- 
buste, suddiviso  in  due  larghe  ciocche  inverse  e  simmetriche,  che  vanno  a  terminare 
sulle  orecchie  aguzze  ed  erroneamente  portate  innanzi  ;  gli  occhi  circolari,  quasi  metal- 
lici, emergenti  dal  fondo  della  vasta  orbita  nitidamente  intagliata  ;  le  narici  piccole, 
profonde,  distanziate  agli  angoli  del  piatto  muso  (fig.  15). 

Un  compendio  di  analoghi  elementi  stilistici,  ma  con  una  cura  dei  particolari  an- 
cora più  minuziosa  e  delicata,  riscontriamo  nella  piccola  protome  umana  cornuta  che 
si  riproduce  qui  isolatamente  alla  fig.  16. 


CASTIGLIONCELLO 


—    172    — 


REGIONE  VII. 


Dal  punto  di  vista  tecnico  gli  sforzi  maggiori  dell'artefice  furono  diretti  a  rendere 
con  esattezza  geometrica  i  capelli  ondulati  e  bassi  ricadenti  sulla  fronte,  e  gli  occhi 
aperti,  a  mandorla,  contornati  dalle  palpebre  che  rivelano  l'influenza  di  un  prototipo 
di  lamina  metallica.  I  capelli  e  gli  occhi  furono  trattati  appunto  con  perizia  degna  della 
toreutica.  Il  resto  del  viso,  angoloso,  bestiale,  e  di  aspetto  piuttosto  maschile  che  fem- 
minile, è  però  rozzo  e  sommario,  col  naso  schiacciato  e  le  labbra  contadinesche  legger- 
mente dischiuse,  come  del  pari  trascurate  nei  particolari  appaiono  quelle  due  appendici 


Fig.  14. 


serpentine  (capelli  o  tenie,  non  sappiamo)  che  formano  due  anse  a  contatto,  ma  non 
annodantisi,  al  disotto  del  mento. 

Per  poter  intendere  il  particolare  significato  di  questa  strana  figurazione,  noi 
dobbiamo  innanzi  tutto  stabilire,  che  il  monumento  in  istudio  non  può  classificarsi 
fra  i  cippi  funebri,  nonostante  il  suo  generale  aspetto  esteriore  ('). 

Il  capace  incavo  a  scodella  sulla  sommità  fornito  di  due  canaletti  di  scolo,  ed  ogni 
altro  carattere  formale  inducono  invece  a  ritenere  sicuramente,  che  noi  siamo  in  pre- 


(l)  Specialmente  in  Grecia  durante  il  periodo  ellenistico  non  sono  rari  i  cippi  sepolcrali  rotondi, 
a  forma  di  colonna:  cfr.  Walther  Altmann,  Die romische  Grabaltare,  pag.  2  seg.,  fig.  I:  il  cui  elemento 
supcriore  riscontra,  specialmente  per  le  protomi  taurine,  con  la  nostra  ara.  In  Etruria,  durante  il 
sec.  V  av.  Cr.,  si  hanno  non  rari  e  empi — specialmente  nei  territorii  chiusino  e  perugino  —  di  cippi 
anepigrafi  rotondi  e  figurati,  però  di  tutt'altra  tecnica,  stile,  materia  e  soggetti.  Nell'età  romana  pre- 
valgono invece  i  cippi  a  schema  quadrangolare,  mentre  la  forma  cilindrica  si  perpetua  nei  cinerarii 
marmorei:  cfr.  per  esempio  Altmann,  op.  cit,  pag.  47  e  figure  34-35. 


REGIONE  VII. 


173   — 


CASTIGHONCEIXO 


senza  di  un  raro  esempio  di  altare  per  sacrifizi  cruenti,  che  non  può  avere  avuto  nessun 
rapporto  con  la  necropoli  della  borgata  etrusca  e  romana  del  valium  di  Castiglioncello. 


Fra.  15. 

Dobbiamo  perciò  orientarci  piuttosto  verso  qualche  divinità  o  santuario  ,  al  quale 
un  monumento  così  peculiare  potè  appartenere. 


Fio.  16. 

Le  constatazioni  potute  compiere  sul  luogo  del  trovamene  furono  invero  scarse 
e  di  poca  entità  intrinseca.  Dato  però  il  peso  dell'ara,  è  difficile  ammettere  la  sua  tras- 
lazione da  molto  lontano;  e,  d'altra  parte,  dove  essa  giaceva  (semi-inclinata  e  presso 
il  masso  di  travertino  rettangolare  sopra  menzionato,  che  le  aveva  probabilmente  ser- 
vito di  base,  fatto  trasportare  al  museo  di  Castiglioncello)  non  vi  erano  resti  murarli, 


CASTIGLIONCELLO 


-    174   - 


REGIONE    VII. 


ma  solo  di  una  possibile  tettoia  o  capanna  ricoperta 
di  tegoloni  etruschi:  dunque  un  contrasto  curioso  tra 
il  monumento  descritto  —  il  quale,  fra  l'altro,  non 
rivela  segni  di  essere  rimasto  lungo  tempo  esposto  alle 
intemperie  fuori  della  terra  —  ed  il  suo  probabile  ed 
umile  ricovero  originario.  Ma  anche  ciò  apparisce  coe- 
rente e  normale,  quando  si  risalga,  attraverso  ai  suoi 
peculiari  simboli  scolpiti,  al  concetto  religioso  cui  fu 
informato  tale  altare  ed  al  rito  che  periodicamente  su 
di  esso  doveva  celebrarsi. 

L'encarpo  e  le  teste  taurine,  se  hanno  remotamente 
un  senso  allusivo  alla  fecondità  della  terra  arata,  sono 
però  divenuti,  specie  nell'epoca  romana,  simboli  deco- 
rativi triti  ed  inerti  di  ogni  manifestazione  d'arte. 
Festoni  analoghi  al  nostro,  molto  spesso  adorni  di  tenie 
svolazzanti  (delle  quali,  è  bene  ricordarlo,  quello  scol- 
pito sull'ara  è  invece  affatto  privo)  e  bucranii  o  anche 
intere  teste  di  bovini  sono  motivi  preferiti  sulle  urne 
e  sui  cippi  sepolcrali  romani.  E,  pertanto,  non  siamo 
autorizzati  a  riconoscere  a  siffatti  simboli,  anche  sul 
monumento  che  si  studia,  più  che  una  semplice  allu- 
sione generica  alla  abbondanza  dei  prodotti  della  terra, 
che  ebbe  le  dovute  cure  dell'uomo,  e  non  fu  avversata 
dall'inclemenza  divina.  Dobbiamo  perciò  lasciarli  in 
disparte,  ed  occuparci,  con  maggior  profitto,  delle  altre 
figurazioni. 

I  cani  così  isolati  e  numerosi  costituiscono  una 
novità,  e  per  ciò  stesso  il  punto  fondamentale  di  tutta 
la  questione.  Essi,  non  potendo  essere  giustificati  in 
base  a  ragioni  artistiche,  vale  a  dire  come  ripetizioni 
di  motivi  ornamentali  più  o  meno  generici  e  comunque 
noti,  debbono  ragionevolmente  rappresentare,  nel  caso 
che  si  sta  discutendo,  le  consuete  vittime  da  immolarsi 
su  quell'altare,  come  mezzo  di  propiziazione  del  favore 
di  un'oscura  divinità.  E  per  trovare  riscontri  plausibili 
ad  un  sì  strano  rito,  noi  dobbiamo  discendere  nel 
mondo  romano,  erede  anche  sotto  non  pochi  aspetti 
del  patrimonio  religioso  della  finitima  e  più  antica 
civiltà  etrusca.  Senza  disperderci  ora  in  ricerche  secon- 
darie e  quanto  mai  ardue,  conviene  tener  presente 
questo  :  che  —  mentre  per  l'Etruria  non  si  hanno  notizie 
di  sacrifizi  canini —  a  Roma,  durante  l'età  repubblicana 
ed  imperiale,  venivano  sacrificati  cani  in  talune,  sebbene 
rare,  ricorrenze  religiose  di  remota  origine,  e  cioè  nei 


t^ioi  -•■: 


7\ 


a 


REGIONE  VII.  —   175   —  CASTIGLIONCELLO 


Lupercalia  rievocanti  la  leggenda  dei  gemelli  allattati  dalla  lupa(');  per  i  Lari,  per  la 
loro  supposta  madre  Mania,  e  per  Ercole  venerato  al  Foro  Boario  (*)  ;  nei  Robigalia  (s) 
e  neWAugurium  Cauarium  presso  la  porta  Catularia  (4),  strettamente  collegati  fra  di 
loro  per  l'epoca  della  ricorrenza,  per  il  comune  spirito  cui  s'informavano  e  per  il  carat- 
tere delle  cerimonie  che  si  compivano  nella  loro  celebrazione. 

Ragioni  prevalentemente  locali  nei  riguardi  dei  Lupercalia  e  ragioni  di  natura  in- 
trinseca per  i  Lares  e  Mania  ed  Ercole  ci  fanno  escludere  a  priori  ogni  rapporto  con  l'ara 
di  Castiglioncello  ;  la  quale  invece  deve  riferirsi  al  culto  della  divinità  della  ruggine, 
Robigus  o  Robigo,  secondo  si  consideri  demone  di  sesso  maschile  o  femminile  (*). 
Le  fonti  letterarie  che  si  posseggono,  e  particolarmente  la  lunga  descrizione  che  Ovidio 
fa  nel  IV  libro  dei  Fasti  di  una  cerimonia  per  propiziare  Robigo,  alla  quale  egli  stesso 
ebbe  l'opportunità  di  assistere,  sono  sufficienti  a  farci  comprendere  —  in  mancanza  di 
qualsiasi  altro  riscontro  monumentale  specifico  —  il  senso  della  singolare  figurazione 
che  adorna  l'ara  della  quale  qui  si  discute. 

I  Robigalia  si  celebravano  a  Roma  il  25  aprile  di  ogni  anno,  cioè  nel  periodo  critico 
per  lo  sviluppo  delle  mèssi  (*),  e  comprendevano  diverse  cerimonie  rituali,  che  avevano 
inizio  dalla  città,  e  culminavano  in  aperta  campagna,  nel  bosco  sacro  a  Robigo  (lucus 
Rubigi  o  Robiginis),  al  quinto  miglio  sulla  via  Claudia  ('),  col  sacrifizio  di  una  pecora 
e  di  una  fulva  cagna  fatto  dal  fiamen  Quirinalis  sopra  «  l'altare  »  del  nefasto  nume. 

Ascoltiamo  Ovidio  che  notò  molte  cose  interessanti  in  una  di  tali  celebrazioni. 

«  Il  25  aprile  mentre  tornavo  daNomento  verso  Roma,  mi  vidi  sbarrata  la  strada  da 
una  bianca  processione.  Era  il  flamen  che  andava  nel  bosco  sacro  alla  vetusta  Robigo  per 
offrire  i  precordii  di  una  cagna  e  di  una  pecora.  Per  essere  edotto  del  rito  mi  accompagnai 


(')  Plutarco,  Rom.  21. 

(*)  Plutarco,  ibidem;  Quaest.  rom.,  61. 

(3)  Ovidio,  Fasti,  IV,  v.  907  segg.  Per  le  altre  fonti  intorno  a  Robigus  cfr.  in  Roscher, 
Lexikon  gruch.  und  ròm.  Mythologie,  IV,  l'articolo  di  J.  Ilberg,  pag.  129  seg.  ;  nonché  Preller,  Rom. 
Mythologie,  pag.  437  seg. 

(*)  Plinio,  Nat.  Hist.,  XVIII,  14.  Paul.  Diac,  pig.  46  :  «  Catularia  porta  Romae  dieta  est,  quia 
non  longe  ab  ea  ad  plaeandum  Caniculae  sidus  frugibus  immieum  rufae  eanes  immolabanlur,  ut  fruges 
flavescentes  ad  maturilalem  perducerenlur  ».  Fest.,  pag.  285,  accenna  pure  alle  rutilae  cane*.  Per  le 
considerazioni  sul  colore  rossiccio  dei  cani  da  immolare  per  tener  lontana  la  ruggine  o  golpe  di 
analogo  colore,  si  veda  il  lucido  studio  di  Tina  Campanile,  Volcamlm  e  ludi  vuleamlici,  in  Bull, 
della  Comm.  areh.  coni,  di  Roma,  fase.  I— IT,  1914,  pag.  191  seg. 

(5)  In  Roma  la  celebrazione  di  Robigus  era  associata  con  quella  di  Flora  :  cfr.  Preller,  )  loc.  cit. 
Anche  nel  mondo  greco  si  ha  qualche  riscontro  di  un  culto  analogo.   Secondo  Strabone,  XIII-912, 
i  Rodiesi  consideravano  Demeter  ed  Apollo  quali  divinità  prcservatrici  dalla  ruggine,  indicandole 
rispettivamente  con  gli  epiteti  di  erysibia  ed  erysibios. 

(«)  Verrio  Fiacco,  Fasti  Praenestim:  Rob  (igalia);  cfr.  anche  G.  Mancini,  Calendario  amiate 
anteriore  a  Cesare,  in  Notizie  Scavi  1921,  pag.  94  seg.  Anche  il  parallelo  Augurium  Cauarium 
cadeva  press'a  poco  nello  stesso  periodo,  stando  alle  parole  di  Plinio,  Nat.  Hist.,  XVIII,  14  :  -  prius- 
quam  frumento  vaginis  exeant,  nec  antequam  in  vagina*  pervemant  ». 

(')  Cfr.  Mommsen,  in  C.  I.  L.,  I,  pag.  39  e  391.  Il  Mommsen  erode,  che  Robigus  non  fosse 
altro  se  non  una  ipostasi  di  Marte  rustico:  donde  la  celebrazione  del  rito  riservata  al  fla  uen 
Quirinalis. 


OASTIGLIONCELLO  —    176   —  REGIONE    VII. 

a  lui.  11  tuo  sacerdote,  o  Quirino,  pronunziò  queste  parole  :  '  aspra  Robigo  ('),  non 
danneggiare  i  cereali  ;  qui  a  sinistra  tremolano  le  pianticelle  ora  emerse  dalla  superficie 
del  suolo.  Tu  consenti  di  far  crescere  i  seminati  fatti  sotto  le  propizie  stelle,  finché  siano 
maturi  per  essere  falciati.  La  tua  forza  non  è  di  poca  importanza:  i  raccolti  che  tu  con- 
trassegnasti, sono  dal  dolente  contadino  annoverati  fra  quelli  perduti.  Mai  i  venti  e  le 
pioggie  nocquero  tanto  alla  terra  ;  e  nemmeno  la  campagna  assiderata  per  il  candido  gelo 
impallidisce  così,  come  allorché  il  sole  riscalda  le  accumulate  nebbie.  Allora  incombe 
l'ira  tua,  o  temibile  dea.  Abbi  dunque  pietà,  ti  supplico,  e  tieni  lontane  le  tue  ruvide 
mani  dalle  mèssi  ;  e  non  nuocere  neppure  alle  nuove  coltivazioni  :  ciò  sarebbe  ugualmente 
dannoso.  Corrodi  piuttosto  il  ferro,  anziché  a  poco  a  poco  con  la  tua  ruggine  le  tenere 
biade.  E  poiché  il  ferro  può  nuocere  agli  uomini,  distruggilo  per  primo.  Più  utilmente 
ghermisci  le  spade  ed  i  nocevoli  dardi  :  non  vi  è  nessun  bisogno  di  essi  :  al  mondo  occorre 
la  pace.  Or  dunque  risplendano  al  sole  i  sarchielli,  il  robusto  bidente  ed  il  vomero  adunco, 
indispensabili  alla  campagna  :  e  siano  invece  guaste  le  armi.  E  se  alcuno  s'induca 
a  trarre  la  spada  dal  fodero,  senta  esservi  trattenuta  dalla  ruggine  prodotta  dalla  lunga 
permanenza  in  esso.  Ma  tu,  Robigo,  non  oltraggiare  Cerere  :  e  fai  sì  che  il  contadino 
possa  sempre  sciogliere  i  suoi  voti  a  te  assente  \ 

«Così  aveva  pregato  il  flamen.  Poi  tolto  dalla  destra  il  tovagliuolo  di  ruvida  lana, 
con  la  patera  colma  di  puro  incenso  costituì  un  turibolo.  Diede  indi  alle  fiamme  dell'ara 
incenso,  vino  ed  i  visceri  della  pecora,  e  si  videro  altresì  sul  fuoco  dell'altare  i  repu- 
gnanti interiori  di  una  sudicia  cagna. 

«A  questo  punto  tu  mi  chiedi,  perchè  ai  sacri  riti  si  appresta  tale  nuova  vittima? 
L'avevo  domandato  io  stesso,  ed  ecco  qual'  è  ragione,  disse  il  flamen. 

«Trattasi  del  cane  celeste  Sirio,  per  il  cui  moto  stellare  la  terra  indurita  diventa  siti- 
bonda, e  le  mèssi  si  inaridiscono.  Per  propiziare  dunque  il  cane  sidereo  qui  si  sacrifica 
una  cagna  sull'ara  ;  e  perchè  essa  così  perisca,  non  ha  invero  altro  titolo  all'infuori  del 
nome  ». 

Lasciamo  da  parte  quest'ultima  erudita  spiegazione  data  dall'ingenuo  ministro  di 
Quirino  e  di  Robigo  ad  Ovidio,  e  cerchiamo  piuttosto  di  valorizzare  i  dati  positivi  con- 
tenuti nel  lungo  brano,  per  porre  in  giusta  luce  l'ara  silicea  di  Castiglioncello. 

Non  si  ha  notizia  del  culto  di  Robigus  fuori  di  Roma  ;  ma  dall'accenno  di  Ovidio 
alla  sua  antichità  (v.  907:  Flamen  in  antiquae.  luciim  Robigwit  ibat),  dalla  circostanza 
già  opportunamente  fatta  rilevare,  che  la  celebrazione  del  suo  rito  spettava  al  flamen 
Quirinalis,  e  dal  fatto  che  questo  culto  a  fondo  agricolo  si  faceva  risalire  al  re  Numa  (2), 
può  desumersi  che  esso  probabilmente  apparteneva  al  primitivo  substrato  religioso,  di 
origine  etrusca,  della  stirpe  latina.  Anche  la  ambiguità  del  sesso  —  essendo  Robigus  con- 
siderato nelle  fonti  come  nume,  o,  meglio,  demone  maschile  e  femminile  (3)  —  deve  ri- 

f1)  Gli  epiteti  di  aspera,  mala  ecc.,  rivolti  a  Robigo,  hanno  riscontro,  presso  gli  scrittori,  con 
altrettali  aggettivi  pronunziati  per  simili  esseri  demoniaci  ugualmente  malefici,  come  per  esempio 
la  Gorgo-Medusa:  cfr.  Bruchmann,  Epitheta  deorum,  parte  2»,  rispettivamente,    pag.  90  e  pag.  40. 

(■)  Preller,  loc.  cit. 

(3)  Prima  di  Ovidio  le  fonti  conoscono  un  dio  Robigus  ;  dopo  di  lui  prevale  invece  presso  gli 
scrittori  latini  l'indicazione  della  dea  Robigo  :  cfr.  per  tale  importante  rilievo  J.  A.  Hild,  in  Daremberg- 
Saglio,  DM.  des  ant.  gr.  et  rem.,  IV-2,  pag.  875,  e  le  fonti  ivi  citate. 


1UJ0Ì0NE  VII.  —    1?7   — 


OASTIGLIONCELLO 


tenersi  elemento  di  remota  origine.  È  lecito  dunque  supporre  che  anche  nella  prossima 
Etruria  tale  culto,  cui  erano  connessi  riti  così  peculiari  e  tradizionali,  fosse  conosciuto 
ed  esercitato  per  le  sue  finalità  apotropaiche  in  rapporto  alla  cultura  dei  campi.  Nessun 
monumento  —  è  vero  —  fu  sino  ad  oggi  segnalato,  neppure  a  Roma,  che  possa  rife- 
rirsi al  culto  di  Robigus  ;  ma  ciò  non  è  una  ragione  sufficiente  per  negare  all'ara  di  Casti- 
glioncello  il  suo  particolare  carattere  di  monumento  religioso  inspirato  proprio  a  quel- 
l'antichissimo culto,  come  chiaramente  denotano  non  tanto  la  genericità  della  sua  strut- 
tura tectonica,  quanto  soprattutto  i  simboli  che  vi  furono  intorno  scolpiti. 

Quest'ara  per  i  sacrifizi  cruenti  dei  cani  acquista  dunque  una  importanza  molto 
considerevole  non  solo  per  la  Bua  novità,  ma  anche  per  tutte  le  considerazioni  storiche, 
archeologiche  e  religiose,  che  essa  può  suscitare. 

Non  solo  infatti  l'ara  in  discussione  rappresenta  il  primo  monumento  figurato  che 
si  può  pensare  riferibile  alla  religione  di  Robigus  —  o  ad  altra  analoga  con  le  medesime 
finalità  e  manifestazioni  esteriori  (il  nome,  in  fondo,  conta  poco  in  questo  caso)  per 
scongiurare  i  danni  provocati  dalla  «canicola»  primaverile  alle  biade  — •;  ma  giova 
altresì  ad  indicare  la  probabile  origine  di  tale  culto,  prima  che  esso  fosse  introdotto 
e  localizzato  a  Roma,  ed  anche  nella  stessa  Etruria. 

Fra  tutti  gli  elementi  figurati  dell'ara  che  ho  sopra  esibiti  e  descritti,  uno  special- 
mente deve  essere  di  nuovo  qui  rievocato,  cioè  la  maschera  umana  cornuta,  riprodotta 
alla  figura  16,  la  quale  maschera,  risalendo  ad  una  corrente  artistica  ben  determinabile, 
ma  non  italica,  può  indicare  forse  la  remota  provenienza  sostanziale  del  mito  e  del  rito 
di  Robigus. 

Tipologicamente  questa  protome  semi-animalesca  con  attributi  bovini  trova  ri- 
scontri, formali  e  concettuali  soltanto  nella  serie  arcaica  delle  teste  della  dea  egizia Harhor, 
che  vennero  studiate  dal  Pettazzoni  ('),  e  che  avrebbero  avuto  —  secondo  il  chiaro 
autore  —  influenza  decisiva  sulla  determinazione  artistica  dell'immagine  di  Medusa 
nel  mondo  orientale-greco  ed  etrusco  (2). 

La  faccia  demoniaca  scolpita  sull'ara  non  è  ancora  precisamente  un  Gorgoneion, 
come  sopra  si  è  visto,  ma  ad  una  simile  concezione  molto  si  avvicina.  È  certo  però  una 
figura  derivata  da  un  repertorio  esotico  ed  orientale,  che,  nonostante  le  spiegabili  altera- 
zioni e  deformazioni  dovute  alla  iniziativa  di  incolti  artefici  paesani  ed  al  periodo  relati- 
vamente tardo  in  cui  essa  fu  scolpita,  serba  pur  sempre  caratteri  e  particolari  della  sua 
remota  origine  :  oltre  alle  corna,  si  osservino  per  esempio  l'acconciatura  e  gli  occhi 
oblunghi. 

Ora,  come  mai  sopra  un  monumento,  che,  per  tutte  le  ragioni  generali  e  parti- 
colari esposte  nella  prima  parte  di  questo  studio,  non  può  concepirsi  anteriore  alla 
più  antica  fase  del  vadum  di  Castiglioncello,  cioè  al  IV  sec.  av.  (Ir.,  perdura  un  tipo 
hathorico  siffatto  ? 


(')  R.  Pettazzoni,  Il  tipo  di  Hathor,  in  Ausonia,  IV  (1909),  pag.  181  sgg.  ;  cfr.  specialmente, 
per  l'influenza  in  Etruria,  pag.  19  ì  s.  gg.,  e  fig.  15  s.'gg. 

(2)  R.  Pettazzoni,  Le  origini  della  lenta  di  Medusa,  in  Boll.  d'Arte,  XI  (1922),  pag.  496  segg.; 
efr.  specialmente  fig.  3  e  4  a  pag.  492-49:'.. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  23 


CASTIGLIONCELLO  —   Ì78   —  REGIONE  Vlt. 

Sarei  quasi  tentato  di  rispondere  a  me  stesso,  che  proprio  in  quel  tipo  era  tradizio- 
nalmente compendiato  e  personificato  il  sembiante  dell'agreste  demone  della  ruggine  ; 
ma  non  oso  :  abbiamo  troppo  poco  a  nostra  disposizione  per  potere  affermare  tanto. 

La  dea  Hathor,  cioè  V ordinata  dimora  di  Horos,  secondo  la  definizione  di  Plu- 
tarco ('),  era  una  divinità  strettamente  connessa  con  la  fecondità  dei  campi  (*),  e  nella 
sua  ipostasi  catactonica  anche  con  la  esistenza  elisiaca  nell'oltretomba,  al  pari  della 
Persephone  greca  ed  etrusca. 

Se  ora  teniamo  conto,  che  l'elemento  cane-lupo  era  in  Etruria  associato  al  culto 
delle  divinità  infere  Hades  e  Persephone  ;  e  se  ricordiamo  altresì,  che  cani  venivano 
sacrificati  anche  ad  Hecate,  divinità  infernale  per  eccellenza  (*),  la  posizione  del  Ro- 
bigus  italico  in  rapporto  da  un  lato  con  le  divinità  greco-orientali  preposte  al  periodico 
rinnovarsi  della  natura,  e  dall'altro  con  i  misteriosi  numi  del  sottoterra,  anch'essi  pro- 
motori e  presidi  dello  sviluppo  delle  mèssi,  viene  chiarita  notevolmente  dal  reciproco 
riscontro  di  tutti  i  fatti  e  circostanze  sopra  esposti. 

Ma  non  è  possibile  sviluppare  in  questo  breve  studio  tutti  i  problemi  che  possono 
scaturire  dall'esame  obiettivo  dell'ara  e  dalla  coordinazione  dei  suoi  simboli,  dell'epoca 
a  cui  essa  risale,  dalla  topografia  e  dalle  circostanze  della  sua  scoperta. 

Senza  allargare  di  più  per  il  momento  l'orizzonte,  invero  assai  allettevole  delle  illa- 
zioni e  delle  ipotesi,  limitiamoci  piuttosto  a  meditare  sugli  elementi  positivi,  non  pochi 
né  di  scarsa  portata  scientifica,  che  la  singolare  ara  di  Castiglioncello  improvvisamente 
ha  posto  sotto  i  nostri  occhi. 

Edoardo  Galli. 


(')  De  Iside  et  Osiride,  cap.  56,  pag.  101.  Si  tenga  anche  presente  che  Erodoto  (TI,  144)  iden- 
tifica Horos  con  l'Apollo  dei  Greci,  cioè  col  nume  del  calore  solare  indispensabile  alla  fecondità 
della  terra.  E  si  ricordi  anche  che  a  Rodi  lo  stesso  Apollo  era  considerato  come  dio  della  ruggine 
(cfr.  sopra,    nota  16).   Cfr.,  per  Hathor,  Pierret,  Dici,  d'arch.  égypt.,  pag.  249  segg. 

(*)  Per  le  feste  di  carattere  orgiastico  che  si  celebravano  annualmente  in  onore  di  Hathor,  dopo 
i  raccolti  e  la  vendemmia,  cfr.  A.  Moret,  Mystères  égyptiens,  pag.  266. 

(3)  S.  Reinach,  Cultes,  mythes  et  religions,  I,  pag.  58  seg. 


REGIONE   VII.  —   179 


VIGNANELLO 


IV.   VIGNANELLO  —  Nuovi  scavi  nella  città  e  nella  necropoli. 

Nelle  Notizie  degli  scavi  del  1916,  da  pag.  37  a  pag.  85,  illustrai  le  scoperte  avvenute 
nell'estate  del  1913  nella  prima  campagna  di  scavo  fatta  a  Vignanello,  nelle  contrade 
Molesino  e  Cupa  (proprietà  del  principe  D.  Alessandro  Ruspoli).  Ma,  finita  quella 
campagna,  dopo  alcuni  mesi  di  sosta  invernale,  gli  scavi  furono  ripresi  l'I t  maggio  191-1 
e  durarono  quasi  ininterrottamente  fino  al  2  dicembre  di  quell'anno  con  particolare 
intensità  nei  mesi  di  luglio  e  di  agosto.  Dopo  una  nuova  sosta  invernale,  la  terza  cam- 
pagna si  iniziò  l'8  febbraio  1915  e  continuò,  con  qualche  breve  interruzione,  fino  al 
22  settembre  dello  stesso  anno.  Brevi  riprese  si  ebbero  dall'8  al  22  luglio  1916,  e  infine 
dal  23  settembre  al  24  novembre  1921.  Inoltre,  nel  settembre  1 915  ebbero  luogo  ricerche, 
sempre  nel  territorio  di  Vignanello,  in  località  Ponzano,  nei  luglio  1916  a  Fontana 
Antica  e  nell'agosto  a  settembre  di  quell'anno  a  Casa  Mecocci,  sempre  nelle  proprietà 
Ruspoli  e  per  iniziativa  del  benemerito  Principe;  ma  di  esse  riferirò  separatamente. 

Tranne  la  breve  campagna  del  1921,  dovuta  all'assistente  Malavolta,  tutti  questi 
scavi  furono  eseguiti  dal  soprastante  Giuseppe  Magliulo,  che  con  essi  chiuse  la  sua  bella 
attività  di  scavatore.  La  morte  infatti  lo  colse,  in  ancor  giovane  età,  e  costituì  una  per- 
dita dolorosissima  per  la  nostra  scienza.  Sento  perciò  il  dovere  di  ricordare  agli  studiosi 
questo  modesto  e  integro  funzionario  che,  in  mezzo  a  difficoltà  di  ogni  genere,  eseguì 
importanti  scavi  archeologici  e  unì  all'abilità  del  ricercatore  una  rara  esattezza  nel  re- 
digere i  documenti  di  scavo.  Utilissimo  infatti  per  questa  relazione  mi  è  stato  il  gior- 
nale di  scavo  compilato  dal  Magliulo  e  conservato  nell'archivio  del  Museo  di  Villa 
Giulia.  L'opera  del  Magliulo,  presenziata  continuamente  dal  principe  Ruspoli.  appas- 
sionato fautore  delle  ricerche  archeologiche,  fu  nel  1914  e  al  principio  del  1915,  e  così  pure 
quella  del  Malavolta  nel  1921  costantemente  diretta  e  controllata  da  me,  al  quale  il  com- 
pianto soprintendente  comm.  prof.  G.  A.  Colini  volle  affidare  la  direzione  scientifica  di 
queste  ricerche.  Per  il  resto  del  1915  e  nel  1916,  essendo  io  alla  fronte  della  guerra,  fui 
sostituito  dai  miei  valenti  colleghi.  Tutto  il  rilievo  dello  scavo  e  i  disegni  che  adornano  il 
presente  scritto  (ad  eccezione  del  rilievo  delle  tombe  X  e  XVI  dovuto  al  sig.  L.  Giam- 
miti,  di  quello  dell'altare  T,  fatto  dal  non  meno  valente  sig.  A.  Berretti,  e  del  disegno 
del  sig.  A.  Paradisi  riprodotto  nella  fig.  9)  sono  dovuti  alla  nota  abilità  del  cav.  Odoardo 
Ferretti  del  Museo  di  Villa  Giulia.  Le  fotografie  sono  mie  o  del  sig.  Tonelli,  del  Gabi- 
netto fotografico  del  Ministero  della  P.  I.  Tutte  le  tombe  poi  e  buona  parte  dei  muri 
e  pozzi  scoperti  sono  stati  lasciati  dal  principe  Ruspoli  aperti  e  visibili,  e  mi  è  stato 
quindi  possibile  di  tornare  a  studiarli.  Le  ragioni  infine  per  le  quali  solo  ora  si  dà  la  rela- 
zione di  queste  scoperte,  sono  facili  a  comprendersi.  Essendo  io  restato  a  compiere  il 
mio  dovere  di  ufficiale  italiano  fino  a  dopo  la  nostra  vittoria,  solo  al  mio  ritorno,  es- 
sendo nel  frattempo  mancato  ai  vivi  il  prof.  Colini,  furono  potute  riprendere  attiva- 
mente le  pratiche  per  la  stima  e  l'acquisto  di  tutto  il  materiale  scoperto  e,  quando 
questo,  nel  1922,  entrò  finalmente  a  far  parte  delle  collezioni  del  Museo  di  Villa 
Giulia,  dove  ben  completa  quello  degli  scavi  del  1913,  già  da  anni  da  me  illustrato,  si 


VIGNANELLO 


180   — 


REGIONE   VII. 


dovette  iniziare  l'opera  di  restauro,  che  richiese  lunghe  e  pazientissime  cure,  essendo 
alcuni  vasi,  come  i  tre  falisci  della  tomba  V,  ridotti  a  un  cumulo  di  minutissimi 
frammenti,  per  giunta  confusi  tra  loro.  In  tale  restauro  fui  mirabilmente  coadiuvato 
dai  bravi  restauratori  del  Musco,  Cesare  Falcssi  principalmente,  e  poi  Giuseppe  Pen- 
nelli ed  Angelo  Del  Vecchio. 


t        r      a       d     a  \  p     i*    o     v 


S 


da  !    p 


MONUMENTO 
RUS  POLI 


iS 


P 


T 


o 


e 


=1P  » 

/ \*s 


7"ÌM)ii>',nM"'  !  • 

imi'1''"       iillll'lllia    /  "-<* 

l'in»»  \!."l»«H»Mii     Mt}\\ 


i<ttt*tuni««#«t(im"nttiiii  hnuivi^1 


Il  XI 


f    B 


•"«w»\V» 


XIII 


0 


FlG.   1. 


Dell'importanza  di  Vignanello  dal  punto  di  vista  archeologico  e  della  sua  situazione 
all'estremità  settentrionale  del  territorio  Falisco  già  trattai  nella  relazione  pubblicata 
nel  1916.  Come  quella,  anche  questa  relazione  va  divisa  in  due  parti,  secondo  che  si  rife- 
risce alle  tombe  scoperte  sulle  pendici  meridionali  del  colle,  nella  valletta  detta  la  Cupa 
o  alle  ricerche  nell'area  dell'antico  abitato,  ora  detta  Molesino.  (Vedi  pianta,  tav.  III). 
Per  uniformità  di  metodo  farò  anche  questa  volta  precedere  la  relazione  sulla  necropoli. 

Le  tombe  scavate  nel  fianco  della  Cupa  sono  tutte  a  camera,  anzi,  come  dissi  a  suo 
tempo,  fu  appunto  la  scoperta  casuale  di  una  di  esse,  nel  1913,  che  portò  l'attenzione 
sul  centro  falisco  di  Vignanello.  Le  tombe  I,  II  e  III  furono  scoperte  nella  campagna 
del  1913,  per  quelle  che  devo  ora  illustrare  m'è  parso  logico,  per  evitare  confusioni,  di 
continuare  la  serie,  numerandole  secondo  la  loro  posizione  topografica  (fig.  1).  Siccome 


REGIONE   VII. 


181   - 


VIGNANELLO 


tale  ordine  non  è  quello  ehc  fu  tenuto  nello  scavo,  aggiungerò  sempre,  tra  parentesi,  il 
numero  che  ciascuna  tomba  ha  nel  giornale  di  scavo  del  Magliulo.  La  parte  settentrio- 
nale della  Cupa,  che  è  poi,  come  dissi,  quella  subito  sotto  il  limite  meridionale  del  colle, 
che  portava  l'antico  centro  abitato,  è,  per  natura,  scoscesa  e  si  presta  quindi  singolar- 


Fiu.  2. 


mente,  data  anche  la  natura  tufacea  del  terreno,  allo  scavo  di  tombe  a  camera,  le 
quali  si  aprono  generalmente  a  mezza  altezza,  in  modo  che  l'accesso  è  piuttosto  diffi- 
cile. Ora  l'aspetto  della  parete  è  stato  in  parte  modificato  dalla  costruzione  della 
strada  che,  evitando  il  passaggio  per  l'interno  del  paese  di  Vignanello,  porta  a  Valle- 
rano,  per  evitare  confusioni,  non  fu  segnata  nella  pianta,  a  tav.  Ili,  tauto  più  che 
le  tombe  esplorate  non  ne  furono  danneggiate,  aprendosi  tale  strada  (come  si  vede  nella 
tav.  IH  a)  nella  roccia  soprastante.  Cominciamo  quindi  a  descrivere  le  tombe,  partendo 
da  quelle  scavate  nella  prima  campagna  del  1913  e  procedendo  verso  sinistra. 


VKiNANELLO 


—    182   —  RKGIONE    VII. 


*      sic 


Tomba  IV  (4°  noi  giornale  di  scavo,  p.  161  e  segg.  ;  la  suppellettile  è  inventa- 
riata nel  Museo  di  Villa  Giulia  dal  n.  43800  al  n.  43816).  —La  pianta  e  la  sezione  son 
date  alla  fig.  2  ;  nella  tav.  IV  a  si  vede  chiaramente  il  taglio  dello  stretto  e  alto  tramite. 

Si  accede  infatti  alla  tomba  (che  si  trova  (fig.  1)  nelle  immediate  vicinanze  delle 
tombe  scoperte  nel  1913  e  precisamente  a  sinistra  della  I  e  davanti  alla  III,  la  quale 
ultima,  per  una  singolare  anomalia,  aveva  una  direzione  perpendicolare  a  tutte  le  altre) 
per  un  dromos  lungo  7  metri  e  largo  m.  1,25.  La  porta  è  a  sagoma  rettangolare  e  fu 
trovata  priva  della  chiudenda.  La  tomba  apparve  subito  violata  in  antico  e  fu  trovata 
colma  di  terra  con  un  grande  numero  di  bozze  di  tufo.  Tolta  la  terra,  si  accertò  che  nella 
tomba  si  scende  per  quattro  scalini.  La  camera  è  a  pianta  trapezoidale,  con  il  lato  più 
lungo  (m.  4,50)  dalla  parte  della  porta  ;  quello  opposto  è  di  m.  3,75  ;  i  laterali  rispetti- 
vamente di  m.  3,75  e  3,70  e  l'altezza  di  m.  4,00  ('). 

Ogni  parete  aveva  loculi,  che  furono  trovati  colmi  di  terra  ;  ma  vuotati  da  ossa  e 
suppellettili.  La  parete  a  sinistra,  entrando,  ne  ha  quattro  ;  quella  a  destra  sette,tin  due 
file;  quella  infine  di  fondo  cinque.  Solo  la  parete  di  destra  appare  completamente  oc- 
cupata ;  nelle  altre  sarebbe  stato  possibile  scavare  altri  loculi.  Questi  sono  di  varie  dimen- 
sioni, proporzionate  evidentemente  a  quelle  dei  defunti.  Il  loculo  più  in  alto,  a  destra, 
della  parete  destra,  è  assai  grande,  di  altezza  pari  a  quella  dei  due  loculi  sovrapposti 
contigui. 

Pochi  i  ritrovamenti  :  A)  nel  dromos,  vagliando  accuratamente  la  terra,  furono 
ritrovati  in  minutissimi  frammenti  : 

1)  pochi  avanzi  di  una  kylix  attica  con  fig.  nere,  con  occhioni  a  fondo  bianco,  tra  i 
quali,  come  appare  da  un  resto  di  braccio,  dovevano  essere  Satiri  danzanti.  Presso  le 
anse  fiori  di  loto; 

2)  resti  di  kylix  attica  con  fig.  rosse," della  fine  del  V  secolo.  Nell'interno,  tra  una 
corona  di  meandri  (alternati  con  quadretti  con  crocette),  due  giovani  nudi,  dei  quali 
resta  solo  la  parte  inferiore  :  uno  ha  in  mano  un  altere.  All'esterno,  da  ciascun  lato  un 
gruppo  di  tre  efebi,  nudi,  in  piedi.  Da  una  parte  un  giovane  di  profilo  destro  con  una  cla- 
mide sulla  spalla  sinistra,  tiene  in  mano  un  elmo  corinzio,  che  pare  presenti  al  giovane  di 
mezzo,  volto  di  faccia,  avente  anche  esso  la  clamide  sul  braccio  sinistro  e  la  mano  destra 
al  fianco  (manca  la  parte  superiore  della  figura).  A  destra  è  un  giovane  di  profilo  sini- 
stro, completamente  nudo,  che  tiene  le  mani  dietro  la  schiena.  Dalla  parte  opposta,  il 
gruppo  nell'  insieme  si  ripete  ;  ma  la  figura  di  destra  ha  una  sola  mano  dietro  la  schiena 
e  con  la  destra  presenta  un  oggetto  (strigile  ?).  La  figura  di  sinistra  poi  invece  dell'elmo 
presenta  un  altere.  Appeso  al  fondo  un  bombylios.  Sotto  le  anse  un  insieme  di  piccole 
palmette  e  girali.  Disegno  molto  trasandato; 

3)  pezzo  del  piede  di  una  kylix  con  graffita  la  lettera  M  ; 

4)  kylix  falisca,  del  diametro  di  m.  0,27  (tav.  V  a),  notevole  per  la  fine  pittura 
del  tondo  interno.  In  una  cornice,  con  meandro  interrotto  da  quadretti  a  scacchiera, 

(')  Le  misure  di  tutte  queste  tombe  sono  qnelle  esattamente  prese  dal  Ferretti. 


REGIONE   VII.  —    183   —  VIGN ANELLO 


vediamo  un  Sileno  nudo,  caratterizzato  dalle  orecchie  equine,  che,  tenendo  le  gambe 
incrociate,  si  appoggia  con  la  sinistra  a  un  tronco  d'albero,  che  pare  potato,  da  cui  spunta 
un  ramo,  e  tiene  nella  destra  il  tirso.  È  calvo,  cinto  da  una  tenia  bianca,  porta  scarpe 
ai  piedi  (di  forma  che  ricordano  lo  zoccolo  equino  del  tipo  antico  di  sileno)  e  una  duplice 
bandoliera  di  perline.  Egli  si  volta  a  discorrere  con  una  Menade  (ora  mancante  di  gran 
parte  del  corpo)  che  si  avanza  verso  lui,  portando  un  piatto  in  mano.  Veste  un  peplo  ed 
è  adorna  di  una  collana  e  di  una  tenia.  A  lei  si  volge,  scherzoso,  appoggiando  la  zam- 
petta sulla  sua  veste,  un  cagnolino.  All'esterno  i  soliti  gruppi  da  ciascun  lato,  formati 
ciascuno  da  una  donna  (Menade?)  vestita,  tra  due" giovani  (Satiri?)  nudi,  assai  somma- 
riamente e  rozzamente  eseguiti  e  separati  da  gruppi  di  palmette  che  circondano  le  anse. 
La  rappresentazione  era  già  conosciuta  nelle  kylikes  falische,  ad  esempio  in  due 
di  Falerii  del  Museo  di  Villa  Giulia,  con  leggiere  varianti,  come  qui  l'aggiunta  del  cane. 
Dall'unica  che  conserva  quella  parte  si  vede  che  la  Menade  teneva  nella  destra  un'oino- 
choe.  Ma  la  rappresentazione  si  ritrova  anche,  capovolta,  eppur  sostanzialmente  identica, 
in  una  kylix  del  Museo  di  Berlino  (Antiquarium,  n.  2943)  proveniente  da  Chiusi  ('),  e 
appartenente  a  quella  scuola  di  ceramiche  etnische  locali  del  IV  secolo,  illustrate  dal- 
l'Albizzati  (*).  Se  nella  oppa  Chiusina  l'uomo  può  interpretarsi  anche  per  Fufluns, 
l'etrusco  Dionysos,  qui,  come  vedemmo,  è  certo  un  Sileno.  L'arte  è  poi  diversa:  più  vigo- 
rosa a  Chiusi,  più  aggraziata  nella  nostra  coppa,  che  si  raggruppa  con  alcune  delle  più 
fine  delle  falische.  Questa  comunanza  di  rappresentazione  presuppone,  come  in  altri  casi, 
un  prototipo  comune  greco  e  lumeggia  la  genesi  di  questa  arte,  che  ha  una  così  viva 
impronta  locale  e  giunge,  per  molti  riguardi,  ad  altezze  ignote  alla  greca  del  tempo. 

5)  coppa  falisca  (diametro  m.  0,185)  (fig.  3)  verniciata  di  nero  all'esterno,  la  quale 
nel  fondo,  in  una  cornice  di  puntini,  ha  il  profilo,  eseguito  con  facilità,  di  un  giovane 
Satirello,  con  una  tenia  bianca  in  fronte.  All'esterno  tra  palmette,  da  ciascun  lato,  una 
testa  simile  sommariamente  eseguita; 

6)  due  statuine  di  terracotta  acefale.  Rappresentano  figure  femminili  avvolte 
nell'himation,  in  piedi  su  alte  basi  forate  per  fissarle  a  un  perno.  Sono  assai  somiglianti 
a  quelle  rinvenute  nel  1°  loculo  di  destra  della  parete  di  faccia  della  tomba  1JI  (3),  e  do- 
vevano essere  ornamento,  probabilmente,  del  centro  di  un  candelabro,  umile  sostitu- 
zione delle  statuine  di  bronzo  (4)  ; 

7)  frammenti  di  un  vaso,  di  imitazione  metallica  (5),  con  una  protome  equina, 
certo  guarnizione  di  ansa. 

Infine  frammenti  di  vasi  falisci  o  semplicemente  verniciati  di  nero,  pezzi  informi  di 
ferro,  una  piccolissima  ansa  arcuata  di  bronzo  e  il  rivestimento,  pure  di  bronzo,  del 
piede  cilindrico  di  una  sedia. 

(')  A.  Furtwangler,  Beschreibung  beri.  Vasensamm.  p.  882.  Il  vaso  fu  pubblicato  dal  Gerhard, 
Trinkschalen  u.  Gefàsse,  I,  X,  3-4  e  poi  dal  Montelius,  La  civilisation  primitive  en  Italie,  II,  p.  999, 
tav.  235,  76. 

(3)  C.  Albizzati,  Due  fabbriche  etrusche  di  vasi  a  figure  rosse,  in  Romische  Milteit.,  XXX  (1915), 

p.  142,  fig.  7. 

(3)  Not.  scavi,  1916,  p.  71,  fig.  28. 

(4)  Così  pensa  anche  il  Sieveking  (Sammlung  Loeb,  Terrakotten,  191G,  II,  tav.  100,  n.  2). 
(6)  Della  Seta,  Museo  di  Villa  Giulia,  p.  70. 


Vlti.XANELLO 


-   184  — 


REGIONE    VII. 


Tra  la  terra  poi  dell'interno  della  tomba,  sono  stati  rinvenuti: 

1)  un  anello-sigillo  di  argento,  tutto  corroso; 

2)  un  vago  di  collana  di  vetro  azzurro,  con  occhi  bianchi; 

3)  una  piastrina  ornamentale  di  vaso  (lung.  m.,  0,027)  di  bronzo,  con  la  testa  di 
Aeheloo  (tav.  Ville)  del  noto  tipo  arcaico  che  studiai,  pubblicando  le  antefisse  del  tempio 
dell'Apollo  a  Veio  (').  Il  restauro,  fatto  dal  sig.  Hocchi  col  sistema  dell'elettrolisi,  ha 
rivelato  la  fine  incisione  della  barba. 


Fig."3. 


Inoltre  altri  frammenti  di  vasi  locali,  di  lamine  di  bronzo,  di  un  manico  d'osso,  una 
borchictta  di  bronzo. 

La  tomba  aveva  originariamente  i  loculi  chiusi  da  tegole,  come  si  vede  dall'incastro 
all'orlo.  Tali  tegole  portavano  iscrizioni  e  pitture  ;  ma  delle  prime  restano  solo  lettere 
isolate  e  delle  pitture  miserrimi  avanzi.  Ho  potuto  notare  alcune  parti  abbastanza  chiare 
di  una  sfinge  con  la  coda  anguiforme,  un  lembo  di  veste  femminile  e  alcune  rozze  linee 
che  paiono  zampe  dei  cavalli  di  una  quadriga.  Sul  fondo  queste  figure  furono  disegnate 
con  un  contorno  nero,  poi  riempito  di  pochi  colori  (giallo,  rosso,  bianco).  Non  è  possibile 
giudicare  dello  stile  ;  ma  dai  frammenti  parrebbe  trattarsi  di  interessanti  dipinti  di  età 
arcaica. 


(')  Noi.  scavi,  1922,  p,  297,  fig.  3  e  tav.  I,  1. 


REGIONE   VII. 


185 


VIGNANELLÒ 


*    * 


Tomba  V  (Tomba  dei  letti  funebri).  —  Scavata  dal  27  novembre  all'8  dicem- 
bre 1914  è  la8a  del  giornale  di  scavo  (p.  182  e  segg.). 

il  éWiùtd.** 


Fio.  4. 

La  ricca  suppellettile  è  inventariata  dal  n.  43960  al  n.  44007. 

Subito  a  sinistra  della  precedente  (tav.  Ili  e  fig.  1)  è  accessibile  anche  essa  per  uno 
stretto  tramite  (tav.  IV  a),  lung.  m.  6,25,  che  va  leggermente  allargandosi  da  m.  1  a  m.  1,25. 
Fu  trovato  colmo  di  terra,  che  conteneva  frammenti  di  rozzi  vasi  locali.  La  tomba  di 

Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI.  21 


VIGNANELLO 


186 


REGIONE   Vii. 


forma  leggermente  trapezoidale  (larg.  m.  4,30,  profondità  m.  3,30,  altezza  m.  2,15),  è 
scavata  in  un  profondo  masso  di  tufo,  il  taglio  infatti  davanti  alla  porta  misura  ben  m.  8 
di  altezza  (fig.  4). 

Nella  parete  di  fondo  si  notano  due  loculi  sovrapposti.  Addossati  alle  pareti  destra  e 
sinistra  sono  due  letti  funebri  ;  a  un  posto  quello  di  sinistra,  a  due  quello  di  destra.  Inoltre 
ciascun  letto  porta  scavati  nel  suo  interno  dei  loculi,  mentre  davanti  al  letto  di  sinistra 
un  altro  loculo  è  scavato  nel  pavimento.  Quest'ultimo  letto  con  i  suoi  due  loculi  si  può 
vedere  nella  fig.  4  ;  quello  a  destra  è  disegnato  separatamente  nella  fig.  5.  Ciascuno  di  essi 
è  a  forma  di  kline,  con  le  gambe  sagomate  e  cuscino  per  appoggiare  la  testa  ;  il  primo 
è  alto  m.  1,25,  lungo  m.  2,35  e  profondo  m.  1,35;  il  secondo  rispettivamente  m.  1,35, 
m.  2,00  e  m.  1,00. 


z^i 


detkjlu  del  loculo  A      ?....,...¥' i^_ 

Fig.  5. 


2/72 


Anche  questa  tomba  appare  sconvolta  da  devastazioni  antiche,  durante  le  quali 
furono  evidentemente  rubati  gli  ori  e  i  bronzi,  mentre  le  terracotte,  gettate  a  terra,  s' in- 
fransero e  si  confusero.  Come  già  accennai,  dal  lavoro  di  restauro,  risultò  una  bella 
serie  di  vasi  : 

A)  Vasi  attici  con  figure  nere  : 

1)  frammenti  di  kylix  attica  con  fig.  nere.  Neil'  interno  si  notano  i  resti  di  un 
guerriero  di  corsa  armato  (scudo  a  forma  di  violino);  all'esterno  c'è  una  corona  di  raggi 
intorno  al  piede  e  la  rappresentazione  di  combattimenti,  a  piedi  e  su  carri.  Riproduco 
(fig.  6)  il  frammento  più  conservato,  dove  un  uomo  barbato,  con  la  lancia  nella  sinistra  è 
sul  carro  e  dietro  è  un  guerriero  armato,  con  l'elmo  corinzio  in  testa,  che  squassa  l'asta. 
Dal  lato  sinistro  notiamo  un  altro  guerriero  in  completa  armatura  che  tiene  per  la  briglia 
un  focoso  destriero  e  un  simile  gruppo  pare  fosse,  in  senso  opposto,  dall'altra  parte. 

La  kylix  doveva  avere  un  diametro  originale  di  circa  m.  0,30.  È  di  esecuzione  ac- 
curata e  della  seconda  metà  del  VI  secolo. 

2)  grande  skyphos  con  una  zona  decorata  all'esterno  nella  parte  superiore  del 
vaso.  Da  tutt'e  due  le  parti  si  nota  la  rappresentazione  di  un  gruppo  di  tre  figure  (un  uomo 
seduto,  tra  un  altro  uomo  e  una  donna  in  piedi,  tutti  avvolti  nel  mantello)  tra  due  sfingi. 
Di  esecuzione  rozza  e  sommaria:  è  un  prodotto  tardo  del  principio  del  V  secolo.  Diametro 
superiore  m.  0,20;  altezza  m.  0,157; 

3)  coppetta  (diametro  m.  0,08)  che  presenta  nell'  esterno  una  decorazione  di 
una  serie  di  palmette,  disposte  a  ghirlanda  ; 


REGIONE   VII. 


187 


VIGNANELLO 


3)  coppetta  (d'ametro  m.  0,157)  che  presenta  nell'esterno  come  decorazione 
una  figura  seduta  da  ciascun  lato  ;  intorno  alle  anse  palmette. 
B)  Vasi  attici  con  figure  rosse  : 
1)  Kylix  verniciata  all'esterno  di  nero  e  decorata  solo  di  un  medaglione  centrale 
(diametro  m.  0,11  -  manca  quasi  tutta  la  conchiglia). 

In  un  meandro  alternato  con  crocette  vediamo  una  donna  seduta  su  uno  sgabello, 
(tav.  V  b).  Veste  un  chitone,  sul  quale  è  un  himation.  La  donna  siede  in  posizione  aggra- 
ziata e  tende  la  mano  destra  sollevando  un  filo  bianco  da  un  paniere  (tàXaQog)  che  si 
trova  in  terra  a  lei  davanti.  È  una  rappresentazione  che  si  ritrova  poco  diversa  iu  un  vaso 


Fio.  6, 


di  Nola  aH'Ermitage(M,  dove  è  però  più  rozza  e  il  filo,  almeno  nella^riproduzione,  non 
è  espresso. 

La  nostra  kylix  è  di  fattura  piuttosto  trasandata  e  attribuibile  al  periodo  di  transa- 
zione tra  lo  stile  severo  e  quello  bello  della  prima  metà  del  V  secolo. 
C)  Ceramica  apula  : 
1  Cratere  a  campana,  mancante  del  piede  e  di  gran  parte  dell'orlo  (tav.  V  e). 
La  circonferenza  sotto  le  anse  è  di  m.  0,75.  Rotto  in  antico  fu  accomodato  con  «  punti  t  di 
bronzo.  Da  una  faccia,  nel  mezzo,  una  Menade  in  piedi  vestita  di  peplo  e  dhimation, col 
quale  avvolge  la  vita,  tenendone  il  lembo  estremo  col  braccio  sinistro.  Tiene  nella  destra 
un  kantharos  e  nella  sinistra  un  timpano.  Si  volge,  offrendo  da  bere,  verso  un  Sileno  nudo, 
che  siede  alla  sua  destra  e  si  volta  indietro  all'invito.  Egli  tiene  nella  destra  un'otre, 
nella  sinistra  il  tirso  e  ha  la  testa  cinta  di  bende.  Dall'altra  parte  è  un  giovane  nudo  ; 
ma  con  il  mantello  avvolto  attorno  al  braccio  sinistro.  Tiene  nella  sinistra  il  tirso  e  nella 
destra  un  campanello  (8),  che  è  evidentemente  in  atto  di  suonare,  mentre  è  intento  a  guar- 

(')  Compte  reniu  de  l'Acad.  imp.  de  St.  Petersbourg,  1863,  Atlas,  II,  17  (Reinach,  R.  V.,  I,  p.  17, 
n.  21). 

(-)  É  noto  che  i  baccanti  e  le  baccanti  abitavano  campanelli  (xi4<fa»c)  tenuti  in  mano  o  sospesi 
al  pugno,  o  posti  all'estremità  delle  loro  ferule  e  tirsi;  vedi  Daremberg-Saglio,  s.  v.  lintinnabulum 
(Espérandieu)  dove  è  riprodotta  un  figura  assai  simile  alla  nostra  (fig.  6995  =  Laborde  II,  2  =.  Reinach, 
R.  V.  II,  216,  da  un'hydria  del  Museo  di  Vienna). 


VIGNANEtLO 


188   —  REGIONE    VII. 


dare  gli  altri  due.  Dall'altra  parte  un  Sileno  ugge  verso  sinistra  :  ha  nella  destra  il  tirso 
e  nella  sinistra  una  corona  che  offre  a  una  Menade  (peplo,  collana)  che  lo  insegue,  tenendo 
nella  destra  il  tirso.  Dalle  due  parti,  nel  campo,  tenie  appese  a  festone.  Sotto  le  anse 
palmette  e  girali  caratteristici  della  ceramica  attica  tarda  e  di  quella  apula,  nella  quale  si 
trovano  i  tipi  delle  figure.  Basta  sfogliare  le  pagine  del  Repertorio  dei  vasi  del  Reinach  (1). 
D)  Vasi  falisci  : 

1  Stamnos  (n.  inv.  43968)  (tav.  VI  a),  alto  m.  0,37;  diametro  alla  bocca  m.  0,245, 
circonferenza  sotto  le  anse  m.  0,95.  Sull'orlo  un'onda  marina  stilizzata.  Sulla  spalla  del 
vaso  linguette  e  ovuli.  Lato  A.  Un  giovane  nudo  siede  sulla  clamide  (manca  tutta  la  parte 
superiore  della  figura)  ;  probabilmente  è  Dionysos.  A  lui  dinnanzi  una  donna  (Arianna?) 
vestita  di  pep'o,  con  un  ramo  d'alloro  in  mano,  posa  un  piede  su  una  roccia  ;  dietro  a  lui 
un'altra  donna  (Menade)  si  avanza  a  gran  passi.  Tiene  anche  essa  un  ramo  nella  destra  ; 
veste  un  chitonisco  ben  decorato,  che,  slacciato  sulla  spalla  sinistra,  lascia  da  quella  parte 
nudo  il  petto.  Dietro  a  questa  è  un  giovane  completamente  nudo,  con  corona  radiata  in 
testa,  che  tiene  il  piede  sinistro  alzato  su  una  roccia.  Un'altra  donna  lo  segue,  avanzandosi 
con  un  piatto  nella  sinistra.  Veste  anche  essa  un  peplo  ben  ornato.  Tutta  questa  scena 
è  compresa  tra  due  efebi,  quello  a  sinistra  di  corsa,  quello  a  destra  con  un  piede  su  una 
roccia.  Dal  lato  opposto  un  Sileno  siede  su  un'ara  con  grosso  tirso  nella  destra  e  un 
timpano  nella  sinistra.  A  lui  davanti  è  una  Menade  danzante,  che  tiene  un  ramo  nella 
destra  e  nella  sinistra  un  timpano.  Il  campo  è  cosparso  di  foglie,  dischi,  tenie.  La  pelle  delle 
donne  è  bianca  calce.  In  basso  un  meandro  alternato  con  stelline.  Rappresentazione 
non  fine;  ma  correttamente  disegnata  e  con  colori  vivaci. 

2)  Stamnos  (n.  inv.  43969)  (tav.  VI  b,  e,  d)  altezza  m.  0,395  (compreso  il  piede 
moderno),  diametro  sotto  le  anse  m.  0,98  ;  alla  bocca  m.  0,23.  All'orlo  della  bocca  onde 
stilizzate  ;  sulla  spalla  linguette.  Inferiormente  meandro  alternato  con  quadratini  a  scac- 
chiera o  con  stella.  Nella  faccia  anteriore  c'è  una  quadriga  con  due  cavalli  bianchi  e  due 
giallicci,  adorni  di  bei  finimenti.  Essi  vanno  di  corsa  sfrenata  e  trascinano  un  carro 
della  solita  forma  delle  bighe  (le  cui  ruote  sono  disegnate  con  un  infelicissimo  scorcio) 
sul  quale  è  un  giovane  nudo  con  una  clamide.  Purtroppo  manca  la  testa.  Nel  campo 
erbe  in  basso,  una  ten:a  superiormente,  dischi  e  palle.  La  quadriga  si  dirige  verso  sini- 
stra, dove  si  vede  rappresentata  una  colonna,  o  meglio  pilastro,  di  color  bianco  ed  è 
preceduta  da  un  giovane  nudo  con  petaso,  caduceo  e  clamide  sulle  spalle,  che  si  volgfe 
indietro  a  guardarla.  Alla  sua  destra  è  una  donna  seduta  su  una  roccia,  vestita  di 
peplo  tra  due  grossi  uccelli  bianchi.  Dietro  il  carro  un  Satiro,  dalle  gambe  caprine, 
siede  su  una  roccia  tenendo  in  mano  una  fiaccola.  È  una  scena  mitologica  o  la 
riunione  di  al  cune  figure  senza  alcun  rapporto  tra  loro  ?  Il  giovane  col  caduceo  non  può 
essere  che  Hermes,  che  infatti  vediamo  spesso  precedere  una  quadriga  sia  nei  vasi 
del  Ratto  di  Kora  (*),  sia  in  quelli  dell'Apoteosi  di  Herakles  (3).  Il  giovane  sul  carro 

(»)  Cfr.  Reinach,  R.  V.  I,  8  (Compte-rendu,  Atlas,  1861,  IV  da  Jouz-oba)  ;  id.  I,  13  (Compte- 
rendu,  Atlas,  1862,  V,  dall'Italia  meridionale);  id.  I  119  (Monum.  Instituto  corr.  arch.,  Ili,  ta- 
vola XLIX,  Ruvo)  ecc. 

(«)  Es.:  Mcm.  Inst.,  II,  tav.  XXXI  (Reinach,  R.  V.,  I  99). 

(3)  Es.  :  Annali  Inst.  1880,  N  (Reinach,  R.  V.,  I,  344)  ;  Arch.  Ze.it.  1848,  tav.  17  (Rein., 
R.  V.,  I,  368);  Laborde,  I,  75  (Rein.,  R.  V.,  II,  204). 


REGIONE    VII.  —    189   —  VIGNANELLO 


somiglia  molto  al  tipo  di  Helios  (>)  ;  ma  la  presenza  del  Satiro  farebbe  pensare  piuttosto 
a  Dionysos;  allora  la  donna  potrebbe  essere  Arianna  o  una  Menade.  In  ogni  modo, 
benché  le  figure  laterali,  più  piccole,  ben  si  adattino  a  riempire  lo  spazio  sotto  le  anse, 
parmi  che  appartengano  alla  rappresentazione  principale.  La  parte  posteriore  ci  dà 
una  scena  dionisiaca;  una  donna  completamente  nuda,  col  timpano,  siede  su  un'ara. 
Davanti  a  lei  un  Sileno  completamente  nudo,  con  scarpe.  Dietro,  un  altro  Sileno,  con 
nebride,  tiene  il  piede  destro  su  una  roccia;  dall'altra  parte  donna  in  piedi  vestita  di 
peplo  e  volta  verso  il  gruppo  centrale. 

3)  Stamnos  (n.  inv.  43970)  (tav.  VI d  e  VII»)  alto  (col  piede  moderno)  m.  0,41  ; 
circonferenza  sotto  le  anse  di  m.  0,995;  diametro  della  bocca  m.  0,24;  L'ornamentazione 
identica  a  que'la  dello  stamnos  precedente.  La  rappresentazione  principale  mostra  due 
donne  completamente  nude,  che  si  avvicinano  per  lavarsi  a  un  bacino,  a  forma  di  coppa, 
di  marmo  bianco,  nel  quale  da  un  mascherone  a  testa  leonina  cade  uno  zampillo  d'ac- 
qua (!).  Sull'orlo  del  bacino  un  erote  si  regge  in  equilibrio  (3)  e  porge  alla  donna  un 
alabastron.  Interra,  dai  due  lati  del  bacino,  due  ciste  di  vimini  intrecciate,  con  tre  piedi, 
di  forma  assai  simile  a  quella  della  ciste  di  Palestrina  (4).  Alle  pareti  appese  tenie. 
Ai  lati  quattro  figure  ;  a  destra  una  donna  seduta  e  una  in  piedi,  tutt'e  due  vestite  di 
peplo  ;  presso  la  seconda  un  piccolo  felino  (gatto  ?).  Dall'altra  parte,  un'altra  donna 
seduta  simile  alla  precedente  e  un  Sileno  che,  come  spaventato,  si  butta  a  terra;  ha  la 
sinistra  avvolta  in  una  pelle  bianca.  Sotto  l'ansa,  a  sinistra  di  questa  scena  (tav.  VII  a), 
la  curiosa  rappresentazione  di  un  Satiro  con  gambe  caprine  visto  di  faccia,  con  gambe 
e  braccia  larghe.  Sotto,  un  cigno  quasi  in  atto  di  toccargli  col  becco  ily.  Sotto  l'ansa 
a  destra  resta  solo  la  nuca  di  una  grande  testa  di  profilo.  La  parte  posteriore  è  divisa 
in  due  gruppi  :  a  sinistra  vediamo  Dionysos  che  saluta  Arianna  ;  questa  è  seduta  di  profilo 
sinistro,  appoggiata  al  tirso  e  ha  la  parte  inferiore  avvolta  nell'himation.  Dionysos  in 
piedi  si  appoggia  sul  tirso  con  ritmo  prassitelico.  La  scena  ricorda  quelle  di  congedo  di 
tante  :  tele  attiche.  A  destra  un  Satiro  e  una  Menade  danzano  ;  il  primo  nudo,  calvo, 
con  scarpe  e  con  la  nebride  sulle  spalle  e  annodata  sul  petto.  La  Menade  è  vestita  e  tiene 
un'oinochoe  nella  destra  e  nella  sinistra  un  oggetto  che  per  la  frattura  (alla  figura 
manca  anche  la  testa)  resta  indeterminabile. 

La  rappresentazione  delle  donne  alla  fontana,  che  si  trova  anche  in  uno  stamnos  di 
Villa  Giulia  da  Falerii,  compare  già  nella  pittura  attica  della  metà  del  V  secolo  (5)  ed  è 

(i)  Mommi.  InO.,  II,  tav.  XXXII  (Reta.,  R.  V.,  I,  100);  Mon.  Inst.,  IV,  XVI  (Rcin.,  R.  V., 
I,  125);  Annali  Inst.  1837,  I  (Reta.,  R.  V.,  I,  188);  Annali  Inst.,  1878,  G  (Rcin.,  R.  V.  I,  339). 
(«)  Cfr.  il  vaso  di  Ruvo,  Mon.  Inst.,  Ili,  tav.  XL1X  (Rcin.  R.  V.,  I,  119). 
(»)  Cfr.  Tischbein,  V,  108  (Reta.,  R.  V.  II  303). 

(4)  Una  cista  molto  simile,  con  coperchio,  si  vede  rappresentata  in  una  kylix  coeva  di  fab- 
brica chiusina  del  Museo  Britannico,  F  478,  (Walters,  Cai.  of.  vases,  IV,  tav.  12,  2:  Albizzati, 
scr.  cit.  RBm.  Miti.,  XXX,  p.  133,  n.  3).  Così  pure  nella  parte  posteriore  della  celebre  anfora 
f  alisca  dell'  Aurora  (Savignoni,  La  collezione  di  vasi  dipinti  del  Museo  di  Villa  Giulia,  in  Bullett. 
d'Arte,  1916,  fìg.  15)  in  una  cista  assai  somigliante  urtata  da  Tetide  divincolantesi,  si  vedono  due 
alabastri  del  tipo  di  quello  portato  dall'Eros  di  questo   stamnos. 

(5)  Furtwangler-Reiehhold,  O.  VM.,  tav.  1<>7;  Tischbein,  IV,  30  (Rein.,  Il,  328).  Lo  stamnos 
di  Falerii  ha  il  numero  d'inventario  3592  (Della  Seta,  Villa  Giulia,  p.  71).  Perle  rappresentazioni 
in  altri  monumenti  italici  coevi  cfr.,  p.  es.,  lo  specchio  Gerhard,  IV,  317. 


VIGNANELU) 


190   —  REGIONE   VII. 


più  volte  ripetuta.  Alla  terza  donna  dietro  il  bacino  è  qui  sostituito  l'Erote,  che  rammenta 
quello  che  folleggia  sui  cavalli  della  quadriga  di  Dionysos  e  Arianna  nella  grande  oino- 
choe  trovata  nella  tomba  II  della  stessa  necropoli  di  V  gnanello(').  Con  questo  vaso  i  due 
stamnoi  di  questa  tomba  V  (i  quali  nonostante  le  minime  diversità  di  dimensioni  appaiono 
gemelli)  hanno  stretti  rapporti  stilistici.  Abbiamo  già  esaminato  i  tipi  delle  loro  figure, 
che  non  si  discostano  da  quelli  non  solo  della  ceramica  falisca,  ma  dell'arte  attica  e  ita- 
liota del  V-IV  secolo  a.  C.  Come  spesso  in  questa  ceramica  dipinta  tarda,  i  tipi  appaiono 
presi  senza  stretta  relazione  col  soggetto.  Cosa  resa  più  facile  della  nota  possibilità  che  un 
tipo  stesso  fosse  adattato  a  rappresentare  personaggi  differenti.  Basti  l'esempio  della 
quadriga  preceduta  da  Hermes,  per  il  quale  abbiamo  già  notato  i  casi  del  Ratto  di  Kora, 
di  Helios  o  dell'Apoteosi  di  Herakles,  e  che  si  trova  anche  in  una  quadriga  sulla  quale 
è  Nike  o  Iris  o  una  semplice  donna  (s),  mentre  in  un  altro  vaso  ruvestino  è  adattato  per 
Oinomaos  e  Myrtilos,  mentre  Iris  prende  il  posto  di  Hermes  (3).  Ciò  rende  oltremodo 
difficile  e  incerta  l'esegesi  di  simili  rappresentazioni.  Ma,  se  per  i  tipi  e'  è  questo  da 
osservare,  notevole  è  l'importanza  artistica  di  questi  due  stamnoi  che  per  finezza  di 
disegno  e  vivacità  di  composizione  sono  tra  i  migliori  di  fabbricazione  falisca  e  portano 
una  nuova  conferma  dei  singolari  pregi  di  questa  importante  fioritura  di  opere  d'arte 
del  IV  sec.  a.  C.  notevole  per  i  rapporti  con  la  Grecia,  per  la  propria  originalità  e 
per  la  vicinanza  con  Roma.  Riserbo  a  un'opera  a  cui  attendo  da  tempo  su  questa 
classe  di  ceramiche,  ancora  così  poco  studiate,  una  discussione  più  particolareggiata  e  la 
determinazione  delle  differenze  tra  i  vasi  di  questo  gruppo  e  quelli  a  cui  appartiene 
lo  stamnos  n.  43968  che,  pur  essendo  anche  esso  falisco,  si  differenzia  dagli  altri  due, 
per  tecnica  e  per  disegno. 

4)  Kylix,  mancante  ora  del  piede  (diam.  m.  0,22).  Nell'interno  in  un  cerchio 
con  meandro  alternato  con  quadratini  a  scacchiera,  due  figure.  Un  Sileno  ebbro,  com- 
pletamente nudo,  con  una  nebride  sul  braccio  sinistro,  tiene  in  mano  un  corno  potorio 
e  porge  con  la  destra  un  timpano  a  un  giovane,  pure  completamente  nudo,  che  siede  e 
vi  batte  con  la  sinistra,  mentre  con  la  destra  pare  segnare  il  tempo.  All'esterno  tra  pal- 
mette,  da  ciascun  lato  gruppo  di  un  giovane  nudo  con  donna  vestita  di  peplo,  che  tiene 
il  timpano  ;  tra  loro  una  volta  è  un  corno  potorio  e  una  volta  una  tenia. 

5)  Kylix  di  fattura  un  po' trascurata  (diam.  m.  0,195),  che  nell'interno  presenta 
un  gran  profilo  di  donna,  con  cuffia,  orecchili,  collana.  Il  tondo  è  limitato  da  un  meandro 
(fig.  7).  All'esterno  decorazione  all'orlo  della  coppa,  di  semplici  onde  stilizzate. 

6  Piccolo  skyphos  (alto  m.  0,095;  diam.  sup.  m.  0,09)  con  la  rappresentazione, 
da  ciascun  lato  tra  un  gioco  di  palmette,  di  un  uomo  avvolto  nel  mantello. 

7)  Altro  skyphos  in  frammenti,  ma  di  dimensioni  uguali  al  precedente,  con  due 
teste  di  Sileno. 

8)  Quattro  dei  comunissimi  piattelli  con  piede  (diam.  in  media  0,145,  alt.  0,06) 
che  nel  cavo  superiore  portano  in  una  cornice  di  onde  stilizzate,  un  profilo  femminile 
analogo  a  quello  della  kylix  n.  5. 

(')  Not.  scavi,  1916,  p.  65,  fig.  10. 

(*)  Laborde,  I,  tav.  84  e  85  (Rein.,  R.  V.,  II,  207  e  208). 

(»)  Mon.  Inst.  II,  tav.  XXXII  (Rcin.,  R.  7„  I,  100). 


ÉEGIONE   VII.  —   101   —  VIGNANEtLÓ 

9)  Parte  superiore  di  un'anfora  che  aveva  certo  la  pancia  verniciata  di  nero 
ed  è  decorata  sulle  spalle  di  linguette  come  gli  stamnoi  e  sul  collo  di  volute  di  logliame 
stilizzato  e  di  palmette. 

E.  Vasi  d'impasto  italico,  di  color  bruno: 
Di  questa  categoria  di  ceramica  arcaica  vennero  trovati  molti  frammenti  dai  quali 
col  restauro  si  son  potuti  ricomporre  : 

1)  Scodella  con  fondo  piatto  e  alto  orlo  divergente  in  fuori  (diam.  m.  0,36)  ; 
adorna  nella  superficie  inferiore  esterna  d'una  stella  formata  da  quattro  foglie  disposte 


Fio.  7 


a  croce  e  segnate  con  due  solchi  paralleli  ;  altre  quattro  foglie  analoghe  sono  normali  alle 
prime  negli  spazi  interposti,  il  tutto  è  compreso  in  una  cornice  formata  da  onde  stiliz- 
zate. L'orlo  superiore  è  leggermente  incavato  a  incastro,  il  che  potrebbe  far  pensare 
che  si  tratti  di  un  coperchio  di  grande  olla  (fig.  8  e). 

2)  Altra  scodella  simile,  più  piccola  (diam.  m.  0,33),  ma  che,  mancando  l'in- 
castro dell'orlo,  non  può  aver  servito  se  non  da  vera  scodella.  Anche  essa  è  decorata, 
nell'esterno,  di  una  stella  di  quattro  foglie  collegate  tra  loro  da  una  doppia  linea  a  fe- 
stone (fig.  8  a). 

3)  Coppa  su  alto  piede  con  ampio  orlo  espanso,  decorato,  nella  parte  superiore, 

di  linee  disposte  a  palmetta  (alt.  m.  0,22)  (fig.  8  b). 

4)  Testa  fittile,  adorna  di  cerchietti,  di  grossa  spilla. 
F)  Buccheri: 

Si  sono  trovati  in  gran  quantità,  ma  frammentati  e  generalmente  mancanti  di  gran 
parte  del  vaso.  Sono  tutti  del  tipo  spesso  e  rozzo.  Sono  coppe,  piattelli  su  piede,  Coto- 
lette, orli  e  anse  di  oinochoe,  tutto  del  tipo  più  comune  nelle  tombe  etrusche  e  fahsche 
del  VI-V  secolo. 


VlGNANELLO  —   192   —  REGIONE   VII. 


67)  Vasi  etrusco-campani: 
Di  questa  ceramica  del  III  secolo,  a  vernice  nera  lucente,  furon  trovati  frammenti 
delle  solite  coppe  e  ciotolette.  Notevole  un  gruppo  con  figure  bianche,  rosse  o  gialle, 
sovrapposte  alla  vernice  nera: 

1)  Skyphos  (alt.  m.  0,120  ;  diam.  sup.  m.  0,127)  ;  da  ciascun  lato  tra  due  rami  sti- 
lizzati di  olivo,  una  figura  in  piedi  ammantata  ;  il  tutto  dipinto  con  vernice  rossa  sul  nero 
del  vaso. 

2)  Altro  skyphos  simile,  più  piccolo,  di  cui  restano  pochi  frammenti. 

3)  Kylix  (diam.  m.  0,21  ;  alt.  m.  0,09)  ;  decorata  nell'interno  con  giovane  am- 
mantato (giallo)  in  cornice  di  cerchi  concentrici  ;  all'esterno  id.  tra  palmette. 


Fio.  8. 

4)  Altra  kylix  (diam.  m.  0,250  ;  alt.  m.  0,10)  ;  nell'interno,  in  cornice  a  linguette, 
giovano  in  piedi  ammantato  ;  nel  campo  corone  e  oggetto  indeterminabile  ;  all'esterno 
da  ciascun  lato  giovani  ammantati  che  si  guardano.  Colore  rossastro. 

6)  Kylix  come  le  precedenti  (diam.  m.  0,243  ;  alt.  m.  0,09)  :  nell'interno  (fìg.  9), 
guerriero  con  chitonisco  e  corazza,  con  la  destra  al  fianco  e  nella  sinistra  una  tenia.  Nel 
campo  specie  di  informe  palmetta.  Contenuto  in  una  cornice  circolare  con  linea  serpeg- 
giante. Esterno  come  la  kylix  precedente.  Colori  rosso  e  giallo. 

Tutti  questi  vasi,  per  forma  e  disegno  si  rivelano  tardi  prodotti  del  III  secolo.  Il  co- 
lore in  molti  casi  è  andato  via  ed  è  rimasta  però  nella  vernice  nera  la  impronta  della  tinta, 
in  modo  da  permettere  di  riconoscere  il  disegno  generale.  Del  resto,  solo  l'interno  della 
kylix  n.  5  6  discretamente  disegnato  ;  le  altre  figure,  eseguite  su  uno  schizzq  alla  buona, 
sono  assai  rozze.  E  un  genere  assai  frequentemente  rappresentato  nelle  tarde  tombe  f alische. 
H)  Vasi  imitanti  il  metallo: 
Di  questa  classe  di  vasi  imitanti  il  metallo  e  sórti  alla  fine  della  ceramica  dipinta, 
si  sono  trovati  minutissimi  frammenti,  probabilmente  di  uno  stamnos. 

/)  Vasi  di  terra  gialla  lasciata  grezza  o  verniciati  di  rosso  : 
14  piattelli  del  tipo  comunissimo  del  diametro  di  cm.  10,  12  ;  2  su  piede  ;  4  ciotolette, 
(diam.  cm.  6,  8),  di  cui  due  portano  il  segno  V. 


REGIONE    Vii. 


193 


VIGNANELLO 


K)  Figurine  fittili: 
1)  due  rozzissimi  idoletti  (fig.  10)  che  si  riattaccano  ai  tipi  primitivi  di  statuine 
della  prima  età  del  ferro.  Giustamente  il  Della  Seta  (]),  parlando  di  quelli  di  Conca,  che 


Fio.  9. 

pur  differenti,  offrono  un  caso  simile,  osserva  che,  siano  giocattoli  infantili,  siano  ri- 
produzione di  idoli  primitivi,  la  loro  rozzezza  non  è  segno  di  alta  antichità  ; 


| 


Fig.    10. 


2)  due  statuette  del  tipo  di  quelle  della  tomba  IV,  n.  5,  rappresentano  donne  ve- 
stite di  peplo  con  in  mano  un  alabastrai.  Sono  frammentarie,  ma  non  potevano  aver 
altro  uso  se  non  quello  ricordato. 


(')  Della  Seta,  V.  G.,  p.  308. 
Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI. 


25 


VignaNello 


194   —  REGIONE   VII. 


L)  Lance  di  ferro  : 
Se  ne  sono  trovate  parecchie  in  frammenti,  con  i  relativi  saurocteri. 

M)  Bronzi: 
Solo  quattro  borchie,  il  rivestimento  d;  una  gamba  di  mobile,  un'ansa,  chiodi,  fram- 
menti di  lamina  e  il  solo  profumiere  di  un  candelabro,  come  quelli  della  tomba  III  ('). 

N)  Osso: 
Frammenti  di  un  manico,  forse  di  uno  specchio. 


*  * 


La  tomba,  come  si  vede,  manca  assolutamente  di  orifìceria  e  quasi  totalmente  di 
bronzi,  per  la  devastazione  antica.  Fortunatamente  è  restato  l'importante  complesso 
dei  vasi  dipinti.  Da  questo  risultano  chiaramente  :  una  fase  arcaica  di  seppsllimenti  a  cui 
appartengono  i  vasi  con  figure  nere,  i  vasi  d'impasto  e  i  buccheri;  un  indizio  di  seppel- 
limento del  V  secolo  e  specialmente  l'uso  della  tomba  nel  periodo  falisco  del  IV-III 
secolo  av.  Cr. 


* 
*  * 


Tomba  VI  (3a  del  giorn.  di  scavo,  p.  154  segg.;  scavata  dal  29  al  31  ottobre  1914 ; 
n.  invent.  delle  suppellettili  dal  n.  43782  al  n.  43799;  pianta  e  spaccato  fig.  11).  —  Tro- 
vasi a  sinistra  della  precedente  (fig.  1)  e  il  suo  ingresso  è  visibile  nella  veduta  tav.  IV a.  Vi  si 
accede  per  un  corto  tramite,  largo  m.  1,40  e  lungo,  nello  stato  attuale,  m.  3,30.  La  tomba 
è  scavata  assai  superficialmente,  tanto  che  la  parete  superiore  è  spessa,  al  massimo, 
appena  80  cm.  e  perciò  presentemente  vi  si  nota  un  minaccioso  crepaccio.  La  tomba  fu 
trovata  devastata  e  colma  di  terra  ;  restava  in  posto  il  blocco  inferiore  di  quelli  di 
chiusura.  La  camera  stessa,  di  pianta  tendente  al  trapezio,  misura  nel  lato  della  porta 
m.  4,50,  in  quello  opposto  m.  4,20  ;  le  altre  due  pareti  normali  alla  prima  sono  lunghe 
m.  3,10  e  m.  3,25.  L'altezza  è  di  m.  2,10.  La  porta  è  ad  arco  arcuato,  alto  m.  1,60  e  un 
po'  a  destra;  lateralmente  in  alto  è  un  piccolo  loculo;  la  parte  di  sinistra  è  occupata 
da  un  letto  funebre  che  aveva  la  solita  forma  di  kline  (alto  m.  1,25)  e  nel  quale  è  stato 
scavato  un  loculo.  Le  pareti  destra  e  di  fondo  hanno  ciascuna  un  grande  loculo,  -che 
occupa  tutta  la  larghezza  della  parete,  si  addentra  lateralmente  ed  è  alto  m.  0,50 
nella  parte  superiore.  Sotto  a  questi  sono  altri  loculi,  e  precisamente  :  nella  parete 
destra,  quattro  in  due  file  ;  nella  parete  di  fondo  invece  furono  scavati  solo  i  due  delle 
parte  destra,  per  scavare  l'inferiore  dei  quali  è  stato  abbassato  di  32  cm.  il  pavimento. 

La  poca  suppellettile,  sfuggita  alla  devastazione,  fu  trovata  nella  terra  di  riempi- 
mento e  comprende: 

A)  Vasi  protocorinzi: 

frammento  di  bombylios  a  sezione  biconica,  decorato  di  zone  e  di  linguette. 

B)  Vasi  attici  con  figure  nere: 

piccolo  poculum  assai  frammentato;  vi  vediamo  da  ogni  lato,  disegnato  sommaria- 
mente, un  Centauro,  contro  il  quale  si  avventano  dalle  due  parti  Lapiti  armati.  Sotto  le 

(')  Not.  scavi,  1916,  pag.  75,  fig.  27. 


REGIONE    VII. 


195   — 


VIGNANELLO 


anse  oglie  d'edera.  Doveva  esserci  un  altro  poculum  simile  con  scene  dionisiache,  perchè 
l'unico  frammento  che  ne  resta  con  un  Sileno  pare  non  possa  in  nessun  modo  adattarsi 
al  precedente. 


Fio.  11. 
C)  Vasi  falisci: 
1)  Stamnos,  mancante  della  bocca  e  del  piede.  Alle  spalle  decoraz'one  di  lin- 
guette, come  in  quelli  della  tomba  V.  Circonferenza  sotto  le  anse  m.  0,88.  In  basso,  mean- 
dro, interrotto  da  quadratini  con  stella.  Sulla  faccia  anteriore  vediamo  (tav.  VII  J)  Dio- 
nysos  n  piedi,  a  destra,  nudo,  con  la  clamide  sulle  spalle  e  con  il  tirso  appoggiato  sulla 
spalla  sinistra.  Ha  lunga  chioma,  e  una  tenia  gli  cinge  la  fronte.  Con  la  destra  indica  due 


VIGNANELLO 


196   —  REGIONE    VII. 


giovani  donne,  vestite  di  peplos.  La  prima  è  china  in  atto  di  prendere  un  vaso,  che  pare 
uno  stamnos,  posato  su  una  roccia;  l'altra  si  allontana  con  un'hydria  in  testa,  tenendola 
ferma  con  la  destra,  mentre  con  la  sinistra  solleva  un  lembo  del  vestito.  Essa  si  volge 
indietro  a  guardare,  come  sollecitando,  la  compagna  che  deve  seguirla.  In  alto  un  uc- 
cello si  leva  a  rapido  volo.  Nel  campo  una  tenia  appesa.  Nella  faccia  posteriore,  invece, 
davanti  a  una  stele,  un  giovane  atleta,  nudo,  in  piedi,  ha  la  destra  al  fianco  e  tiene  nella 
sinistra  uno  strigile.  A  lui  di  fronte  è  una  donna  vestita  di  peplo,  in  piedi,  con  una  mano 
presso  il  capo.  Tra  le  due  facce,  intorno  e  sotto  le  anse,  è  un  ricchissimo  intreccio  di  pal- 
mette,  di  mezze  palmette  e  di  girali. 

2)  Frammenti  di  un  altro  stamnos  perfettamente  simile  al  precedente.  Restano 
quasi  interamente  le  figure  di  Dionysos  e  della  prima  delle  due  donne.  Dell'altra  è  conser- 
vata la  testa  e  parte  dell'hydria.  La  prima  delle  donne  è  in  uno  stato  perfetto  di  conser- 
vazione. Della  parte  posteriore  restano  la  base  della  stele,  le  gambe  dell'atleta  con  lo  stri- 
gile, e  il  piede  destro  della  donna. 

Alcuni  frammenti  della  bocca  del  vaso,  decorata  nell'orlo,  come  gli  altri  stamnoi 
sopra  descritti,  di  onde  stilizzate,  pur  non  potendo  ricongiungersi,  appartengono  certa- 
mente all'uno  o  all'altro  di  questi  due  stamnoi. 

In  essi,  particolarmente  notevole  è  la  finezza  dell'esecuzione  ;  il  corpo  di  Dionysos, 
del  color  giallo-roseo  della  terra,  è  rappresentato  villoso;  le  donne  hanno  le  parti  nude 
perfettamente  bianche  e  su  tale  colore  sono  eseguiti  in  giallo  le  armille,  gli  orecchini  e  le 
collane.  Anche  le  pieghe  delle  vesti  sono  riprodotte  con  accuratezza.  Trattasi  poi  di  due 
vasi  gemelli,  caso  assai  comune  nella  ceramica  falisca.  Basti  ricordare  nel  Museo  di 
Villa  Giulia  le  due  coppe  con  l'iscrizione  potoria  falisca  (n.  1674,75),  gli  stamnoi  con 
Zeus,  Cupido.  Minerva  e  Ganimede  (n.  1599-1600)  o  quelli  inediti  n.  1608-1609  ('), 
nei  quali  vediamo  (fig.  12)  due  donne  che  versano,  con  vasi  (uno  è  certo  un'hydria), 
dell'acqua  sur  un  rogo  funerario  sormontato  da  una  corazza.  Quest'ultima  rappre- 
sentazione, in  vasi  che  somigliano  molto,  anche  per  tecnica  ai  nostri,  mi  spinge  a  for- 
mulare un'ipotesi  per  l'esegesi.  Certo  potrebbe,  nel  nostro  caso,  trattarsi  solo  di  Dionysos 
con  due  Menadi  ;  ma  parmi  piuttosto  si  debba  pensare  a  riproduzioni  parziali,  e  forse 
fatte  da  parte  dell'artista  senza  più  coscienza  dell'insieme,  di  una  rappresentazione  del 
Rogo  e  dell'Apoteosi  di  Herakles.  Federico  Hauser  infatti,  illustrando  la  pelike  di 
Monaco  della  metà  del  V  secolo  (2),  dove,  vicino  alla  donna  che  getta  acqua  sul  rogo, 
ve  ne  è  appunto  un'altra  con  un'hydria  in  testa,  nota  la  progressiva  presenza  del  thiasos 
bacchico  nella  scena.  Per  il  motivo  della  donna  che  prende  uno  stamnos  vedi  pure  lo 
stamnos  della  metà  del  V  secolo  n.  28,  della  serie  del  Frickenhaus  dei  vasi  detti  delle 
Lenee  (8). 

3)  Uno  dei  soliti  piattelli  con  piede,  nel  quale  è  dipinta  una  grande  testa  femmi- 
nile di  profilo. 

4)  Molti  minuti  e  insignificanti  frammenti  di  vasi  falisci  (tra  i  quali  quelli 
di  una  kylix). 

(!)  Della  Seta,  V.  6.,  pp.  68,  71,  73  e  74. 

(2)  Fnrtwangler-Reichhold,  t.av.  109.  " 

(3)  fìià  Lambert  24;  A.  Frickenhaus,  Lenàenoasen,  in  72"  Winkelmannsprogr. 


REGIONE   VII. 


197  — 


VIGNANEM.O 


D)  Vasi  imitanti  il  metallo: 
Per  tecnica  dcvonsi  comprendere  in  questa  classe  di  ceramiche  i  frammenti,  purtroppo 
assai  miseri,  di  uno  stamnos  il  quale  non  presenta  i  soliti  ornati,  ma  una  rappresenta- 
zione eseguita  assai  rozzamente  con  vernice  diluita  (fig.  13).  Vediamo  un  giovane  avvolto 
in  un  mantello,  nella  parte  inferiore,  che  depone  un'offerta  su  un'ara,  a  quanto  pare. 
Dietro  a  lui  una  donna  suona  la  cetra.  Di  fronte  v'è  un'altra  figura,  anche  essa,  come 
le  due  prime,  in  piedi,  della  quale  resta  la  parte  inferiore.  Restano  pure  avanzi  di  pal- 


Fig.  12  (vaso  da  Faleri). 


mette  intorno  alle  anse  e  di  linguette  sulla  spalla  del  vaso.  Trattasi  di  un  prodotto  popo- 
lare che  si  può  datare  tra  quelli  tardi  del  III  secolo  av.  Cr.  e  che  appare  lavoro  di  un  ope- 
raio che  non  conosceva  i  primi  elementi  del  disegno.  Come  infatti  tutt'ora  dai  monelli 
che  imbrattano  le  facciate  delle  case,  vediamo  da  lui  eseguito  in  figure  di  profilo  un 
grande  occhio  di  faccia,  come  nell'arte  più  arcaica. 

E)  Vasi  etrusco-campani: 

Trovati  frammenti  sia  di  vasi  con  semplice  vernice  nera,  sia  col  color  rosso  sovrap- 
posto; inoltre  una  ciotoletta  (diametro  m.  0,045)  col  segno +  ;  un'altra  cotoletta 
(diametro  m.  0,05)  e  un  piatto  su  piede  decorato  di  cerchi  concentrici. 

F)  Vasi  grezzi: 

Sei  dei  soliti  piattelli  ;  uno  col  segno  V ,  di  terra  gialla  ;  resti  di  un'olla  di  rozzissimo 
impasto  nero;  un  frammento  piccolissimo  di  un  rhyton  a  testa  di  sat.ro  come  s. 
può  dedurre  dalia  punta  di  un'orecchia  caprina  e  dai  capelli. 

G)  Oggetti  varii  : 

1)  statuetta  di  donna  avvolta  nell'himation,  del  tipo  già  studiato,  alta  m.  0,08. 


VIGNANELLO 


198  — 


REGIONE    VII. 


2)  due  bottoni  di  terracotta,  che,  come  i  bellissimi  di  pasta  vitrea  trovati 
a  Praeneste  ('),  dovettero  essere  pedine  da  giuoco  ; 

3)  frammenti  di  una  cannula  e  di  un  cerchietto  di  ferro; 

4)  frammento  di  una  gamba  votiva  fittile. 

Un  anello  semplice  a  fascetta  d'argento  (d.  mm.  15),  andò  smarrito  prima  del- 
l'acquisto. 


Fio.  13. 


È  chiaro  quindi  che  abbiamo  i  pochi  avanzi  sfuggiti  ai  devastatori  :  la  tomba  aveva 
anche  essa  avuto  seppellimenti  nel  VI  secolo  e  altri  nel  IV-III  av.  Cr. 


* 
*  * 


Tomba  VII.  [9a  del  giornale  di  scavo,  pag.  190  e  segg.  ;  scavata  dall'8  al  12 
febbraio  (dromos)  e  dal  16  al  30  marzo  (camera)  1915].  —  Le  suppellettili  inventariate 
dal  n.  44009  al  n.  44072  (pianta  e  sezione  fig.  14).  Tomba  particolarmente  notevole  per  la 
parte  architettonica  e  per  il  maraviglioso  oggetto  d'oro  rinvenutovi,  miracolosamente 
sfuggito  alla  devastazione  completa  fatta  da  antichi  scavatori. 

È  a  sinistra  della  tomba  VI  (fig.  1),  e  assai  profondamente  scavata  (vedi  nella 
sezione  l'indicazione  del  livello  della  tomba  VI);  il  dromos  si  vede  assai  chiara- 
mente nella  tav.  IV  a,  ed  è  lungo  m.  6,70  ;  largo  da  m.  0,90  a  m.  1,30.  Il  taglio  della 


(')  Della  Seta,  V.  O.,    p.  450. 


V--4 


S3fe%y////fi,,f^,iiiik  </%,■;«,,  j»,.^-  ixxO&e*:- 


Fig.  14. 


VIGNANELLO 


—   200   —  REGIONE   VII. 


parete  sulla  porta  è  alto  ben  8  metri.  La  porta  ad  arco  è  alta  m.  2.  e  fu  trovata  chiusa  per 
metà  da  una  grande  lastra  di  tufo.  La  camera,  alta  m.  2,40,  è  di  forma  trapezoidale.  Il 
lato  lungo  è  quello  della  porta  e  misura  m.  4,80  ;  quello  di  contro  m.  3,80;  i  due  laterali, 
rispettivamente,  m.  4,40  e  4,80. 

Nella  volta  la  roccia  fu  lavorata  in  modo  da  lasciare  un  finto  trave  trasversale,  pa- 
rallelo alla  parete  di  fondo,  largo  m.  0,30  e  spesso  m.  0,18.  Tutt'intorno  alla  tomba  corre 
una  banchina.  La  parete  di  fondo  presenta  quattro  loculi  in  due  ordini  sovrapposti,  che 
presentano  ancora  gli  incastri  per  le  tegole  di  chiusura;  così  quello  a  destra  in  alto  della 
parete  a  sinistra  (per  chi  entra  nella  tomba),  dove  sono  pure  quattro  loculi  ugualmente 
disposti.  La  parete  della  porta  presenta  due  loculi  a  sinistra  (guardando  la  porta)  i  quali 
entrano  nella  parete  a  destra;  dall'altra  parte  sono  due  loculetti  per  bambini.  Il  lavoro 
architettonico  è  più  interessante  nella  parete  a  destra  (per  chi  entra  nella  tomba),  dove  è 
stata  ricavata  una  sporgenza  nella  quale  in  alto  è  un  grandissimo  loculo  bisomo  adornato 
da  gambe  di  kline  scolpite  nel  tufo.  Tra  queste  gambe  è  scavato  un  altro  loculo  che  alla 
sua  volta  ha  l'ornamento  di  altre  gambe  di  kline. 

La  camera  fu  trovata  interamente  colmata  di  terra,  con  i  loculi  perfettamente  vuoti. 
Tra  la  terra  fu  trovato  : 
A)  Orificerie: 

1)  borchia  d'oro,  di  forma  semicircolare  (tav.  Vili  e),  larga  m.  0,035, 
alta  0,030  (')•  Vi  vediamo  a  rilievo  un  Sileno  con  zoccoli  equini,  sdraiato,  con  un 
vaso  (una  olpe?)  nella  sinistra.  Il  corpo  villoso  nudo,  la  testa  quella  caratteristica 
delle  antefisse  dei  templi  della  fase  arcaica  (*),  con  le  orecchie  equine,  la  barba  ta- 
gliata rotonda,  baffi  spioventi,  aspetto  bestiale.  Nel  campo  una  stella  a  cinque  punte 
e  delle  spirali. 

Questa  parte  è  circondata  da  una  fascia  coperta  di  granulazioni  d'oro  e  circondata 
da  dieci  palmette,  alternate  con  palline.  In  ogni  palmetta  le  linee  divisionali  delle  foglie 
sono  eseguite  con  granulazioni.  Sotto,  due  fiori  e  un  pezzetto  di  quarzo  (?)  semicircolare 
incorniciato  in  oro.  La  parte  posteriore  è  coperta  da  una  lamina  d'oro  liscia,  nel  mezzo 
della  quale  è  un  gambo  per  fissare  l'oggetto.  La  riproduzione  non  dà  se  non  una  pal- 
lidissima idea  della  sua  bellezza,  per  la  finissima  lavorazione  e  il  bel  contrasto  tra  la 
lucentezza  del  corpo  del  Sileno  e  il  tremolìo  opaco  del  lavoro  a  pulviscolo. 

Per  la  sua  datazione,  la  figura  arcaica  del  Sileno  ci  mostra  essere  la  fine  del  VI  secolo; 
il  suo  tipo  a  zoccoli  equini  appare  nella  Ionia  sin  dal  VII  secolo  (3).  Così  giacente  come 
motivo  di  orificeria  si  era  già  avuto  in  esempi  sia  pure  di  pregio  assai  minore  (*);  e  anche 
per  il  lavoro  si  può  confrontare,  per  esempio,  un  pendente  d'oro  in  forma  di  melograno,  da 
Locri,  ora  al  museo  Britannico  (5).  Notevole  anche  il  gambo  forato,  che  serviva  a  trattenere 

(»)  Descritta  in  Della  Seta,   V.  0.,  <p.  112. 

(2)  Ad  esempio,  quelle  del  tempi»  dell'Apollo  a  Veto  (Notine  degli  scavi,  1922,  p.  207,  fig.  1). 

(3)  Frickenhaus,  Zur  Vrsprung  von  Satyrspiel  und  Tragódie  in  Jahrb.  d.  Inst.  1917,  p.  5;  cfr.  sta- 
tuetta di  Dodona  (Gazette  archéologique,  1877,  tav.  20). 

(4)  Compie  renda  Aeadémie  St.  Petersb.,  Atlas,  1877,  II1-1;  Cai.  Jewellery  of  Brìi.  Museum,  p.  Ili, 
n.  1270,  tav.  XI  (già  Pourtalès,  VI-V  secolo). 

(6)  Cai.  cit.,  p.  147,  n.  1472,  tav.  XXIII,  10. 


REGIONE   VII.  —   201    —  VIGNANELLO 

questo  oggetto  ('),  per  il  quale  mi  pare  però  sia  difficile  l'uso  di  orecchino,  pensando  io 
che  sia  stato  piuttosto  un  ornamento  femminile,  della  classe  delle  fibule. 

Ma  quello  che  ce  lo  rende  particolarmente  pregevole  è,  ripeto,  la  rara  finezza  del  la- 
voro, tanto  da  poterlo  considerare  un  vero  capolavoro  dell'orificeria  antica  arcaica. 

2)  Anello  (tav.  Vili  d)  di  grosso  filo  d'oro  (diam.  m.  0,017),  con  piccolo  sca- 
rabeo di  corniola  con  inciso  un  insetto.  K  di  tipo  noto  nella  orificeria  etrusca  (*). 

Insieme  con  questi  furono  rinvenuti  un  pendente  d'argento  a  fascetta,  spezzato 
da  un  lato  (lunghezza  ni.  0,0 lo)  ;  un  frammento  d'anello  di  sottile  filo  d'argento  e  un 
riccetto  di  sottile  filo  d'oro,  con  decorazioni  a  globetti  e  filigrana,  che  purtroppo  anda- 
rono  dispersi  in  occasione  del  traslocamento  degli  oggetti  dall'uno  all'altro  magaz- 
zino Ruspoli,  prima  dell'acquisto  della  suppellettile  da  parte  dello  Stato. 
E)  Vasi  attici  con  figure   nere  : 

1)  frammento  di  piccola  hydria  di  tipo  arcaico  in  cui  vediamo  un  felino  tra 
due  uomini  stanti  ammantati  (tav.  Vili/). 

2)  piccolissimi  frammenti  a  scacchi  di  rhyton,  che  ricordano  la  bocca  di  quello 
della  tomba  II,  firmato  da  Charinos  (3),  della  II  metà  del  VI  secolo. 

C)  Vasi  attici  con  figure  rosse. 

1)  frammento  di  kylix  della  fine  del  V  secolo  ;  resta  metà  dell'esterno  e  vi  ve- 
diamo un  uomo  avvolto  nello  himation  tra  due  giovani  nudi,  uno  con  le  mani  dietro  la 
schiena,  l'altro  con  uno  strigile.  Si  vede  anche  un  resto  di  scena  simile  dalla  parte 
opposta  ; 

2)  frammenti  di  altra  kylix  della  fine  del  V  secolo  (fig.  15).  Nel  centro  resta 
la  parte  inferiore  di  due  figure,  avvolte  nel  mantello,  una  seduta  e  una  stante. 
All'esterno:  a)  guerriero  armato,  con  elmo  in  mano,  in  atto  di  allontanarsi,  tra  due 
figure  avvolte  nello  himation  ;  b)  resta  solo  la  figura  a  sinistra  :  giovane  con  clamide 
e  petaso  sulle  spalle  e  due  giavellotti  in  mano.  Lavoro  piuttosto  accurato. 

D)  Vasi  falisci: 

1)  kylix,  in  parte  mancante.  Nel  tondo  centrale  un  sileno  nudo,  seduto,  con 
timpano.  All'esterno  da  ciascun  lato  figura  ammantata  tra  palmette.  Lavoro  rozzo  ; 

2)  coppa  che  presenta  nell'interno  e  all'esterno  un  profilo,  eseguito  alla  buona, 
di  testa  di  Satiro.  Cfr.  la  coppa  della  tomba  IV,  n.  5  ; 

3)  skyphos  (alt.  m.  0,065  ;  diam.  sup.  m.  0,105),  adorno  esternamente  di  un 
tralcio  di  edera  eseguito  in  vernice  nera  su  fondo  giallo.  È  uno  di  quei  prodotti  nella  tec- 
nica delle  figure  nere,  che  appartengono  al  III  secolo  (4)  (fig.  16); 

4)  due  piattelli  su  piede  con  profilo  di  donna  (diam.  m.  0,125). 

E)  Bucchero  : 

Rinvenuti  molti  frammenti  (ciotole,  tazze)  :   una  tazzina    del    diametro  m.  0,09 
e  un  piccolo  infundibolo  con  ansa  ed  occhiello. 

(')  Cat.  cit.,  Brit.  Mus.,  137,  138. 

(2)  Brit.  Mus.,  Cat.  of  the  Finger  Ring  Graek.  Etruscan  and  Roman  (1007),  p.  302,  tav.  Vili. 

(a)  Not.  scavi,  1916,  p.  53. 

(4)  Cfr.  l'anforetta  di  Falerii  ilei  Museo  di  V.  (i..  n.  inv.  3588. 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  26 


VtGNANELLO 


202  — 


REGIONE   VII. 


F)  Vasi  etrusco-campani: 
Ne  fu  rinvenuta  una  gran  quantità  in  frammenti  e  quattordici  tazzine  verniciate 
di  nero,  delle  forme  solite  in  questa  classe  di  ceramiche;  una  porta  il  segno  A  e 
un'altra  Y  I Y.  Notevoli  i  frammenti  di  un  cratere  con  figure  dipinte  in  rosso  sovrap- 
posto alla  vernice  nera:  restano  un  girale  e  un  atleta  con  strigile  e  corona  e  nella  parte 
posteriore  un  figura  ammantata. 


Fio.  15. 


^^__  O)  Vasi  di  terra  gialla  grezza  : 

Quindici  dei  soliti  piattelli,  uno   col  segno  H  ;  frammenti  di  altri,  uno  su  alto 
piede  ;  un  vasetto  cilindrico  di  argilla  rossastra,  alto  m.  0,09  ;  un  colatoio. 
H)  Bronzo: 
Solo  5  rivestimenti  di  piede  di  mobile;  4  borchie,  due  delle  quali  grandi  (m.  0,04 
e  0,06)  ;  un'asta  cilindrica. 
/)  Oggetti  varii  : 
Due  vaghi  di  collana,  uno  bianco,  uno  azzurro  (questo  manca,  come  un  frammento 
di  manico  di  specchio  da  prima  dell'acquisto)  ;  un  anello  di  ferro  ;  una  statuetta  femminile 
ammantata,  di  terracotta,  del  solito  tipo  (ornamento  verisimilmente  di  candelabro), 
trovata  acefala  ;  un  gruppo  di  chiodi  di  ferro  e  frammenti  di  lance,  pure  di  ferro. 


REGIONE   VII.  203 


VIGNANELLO 


Noto  che  sul  dromos  furono  trovati  frammenti  di  buccheri,  di  vasi  rozzi,  e  qualcuno 
piccolissimo  di  vasi  greci.  Trattasi,  anche  in  questo  caso,  di  una  tomba,  riadoperata  in  età 
tarda,  ma  che  rimonta  al  VI-V  secolo,  del  quale  periodo,  oltre  agli  ori,  ci  restano  i  fram- 
menti di  vasi  greci  e  buccheri. 


* 
*  * 


Tomba  Vili  (detta  tomba  delle  iscrizioni)  (11»  del  giornale  di  scavo,  pag.  246 
e  segg.  ;  esplorata  il  24  e  il  25  giugno  1915;  le  suppellettili  sono  inventariate  dal 
n.  44111  afn.  44119).  —  Questa  tomba,  con  la  sua  piccola  apertura,  si  vede  nella 
tav.  IV a,  a  sinistra  della  VII,  ma  tra  le  due  sono  visibili  i  resti  di  un'altra  tomba 
la  cui  costruzione  fu  cominciata  e  poi  abbandonata.  Questa  tomba  Vili  era  acccs- 


Fig.  16. 

sibile  già  prima  che  si  iniziassero  gli  scavi  governativi  a  Vignanello  nel  1913  ;  la 
notai  infatti  nella  pianta  data  nelle  Notizie  del  1916,  indicandola  con  la  lettera  a; 
pubblicai  poi  in  quella  stessa  relazione  le  due  epigrafi  che,  incise  nel  tufo,  si  leggono 
su  due-loculi  (').  Nel  breve  scavo  del  1915  la  tomba  fu  convenientemente  esplorata; 
ma  naturalmente  ben  poco  c'era  da  trovare  nella  terra  rimasta.  Importante  è  in- 
vece la  parte  architettonica  (fig.  17).  Si  accede  alla  tomba  per  un  tramite  lungo 
appena  3  metri  e  largo  da  m.  1,40  a  1,50;  la  camera  stessa  è  profondamente  scavata 
nella  roccia  che  è  tagliata,  davanti  alla  porta,  per  circa  6  metri  di  altezza.  La  pianta 
è  quasi  perfettamente  quadrata:  il  lato  della  porta  è  infatti  lungo  m.  5,20;  l'opposto 
5,30  ;  i  due  trasversi,  rispettivamente,  m.  4,75  e  4,80.  La  volta  piana  è  all'altezza  di 
m.  2,55.  La  parete  di  fronte  all'ingresso,  come  si  vede  nella  fig.  18,  sez.  AB,  è  occupata 
da  tre  loculi:  il  principale,  in  basso,  è  quello  con  l'iscrizione  di  Poplia  Cocelia;  gli  altri 
due  sono  nel  piano  superiore  alle  estremità  della  parete  ;  sotto  quello  a  destra  infine 
si  iniziò  Io  scavo  di  un  quarto,  ma  il  lavoro  fu  tosto  abbandonato. 

La  parete  a  sinistra,  entrando,  presenta  tre  loculi:  due  sovrapposti,  a  destra;  e  uno 
solo  in  basso,  a  sinistra. 

La  parete  opposta,  a  destra  entrando,  come  si  può  vedere  nella  pianta  e  nella  se- 
zione della  fig.  17,  presenta  un  aspetto  singolare;  a  sinistra  infatti  c'è,  quasi  a  metà  della 

(')  Not.  scavi,  1916,  pag.  38,  fig.  1. 


VIGNANELLO 


204 


REGIONE   VH. 


««Si^lWP^^ÌIIil;^^ìÌ!l!ll^^il)l|^^| 


=M% 


e      su     /jif 


J* 


Fio.  17. 


REGIONE   VII. 


—   205   — 


VIGNANELLO 


parete,  un  loculo  della  forma  e  delle  dimensioni  comuni  ;  a  destra  invece  un  altro  gran- 
dissimo, alto  m.  1,15,  lungo  m.  2,20  e  profondo  ni.  1,60:  di  più  ai  lati  ci  sono  due  incavi 
per  introdurvi  i  piedi  di  un  letto  funebre  o,  meglio,  di  uno  di  quei  grandi  sarcofagi  di 
legno,  dei  quali  abbiamo  avuto  esempi  nelle  tombe  della  Russia  meridionale.  Tale 
letto  o  sarcofago  doveva  essere  bisomo.  La  parete  infine,  nella  quale  si  apre  la  porta 


tfZION£    C   D 


mWiM\\m^////?W///J9lf9m9% 


I       Ut        />f 


Kig.  18. 


(che  è  piccola,  larga  m.  0,70  e  alta  m.  1,55  (fig.  18  -  sez.  CD)  ha  quattro  loculi,  due 
per  parte  ;  quello   superiore  a  sinistra  è  sormontato  dall'  iscrizione  di  Firmia  Titia. 

Aggiungo  che  alla  camera  corre  tutto  intorno  una  banchina 
alta  m.  0,45  e  larga  m.  0,55. 

Già  dissi  che  nella  tomba,  accessibile  già  prima  dello  scavo, 
benché  la  terra  da  togliere  non  fosse  poca,  poco  c'era  da  trovare. 
Le  suppellettili  rinvenute  si  limitano  infatti  a: 

1)  due  figurine  di  terracotta,  ornamento  di  candelabro, 
del  solito  tipo  ammantato,  una  particolarmente  conservata  (alta 
m.  0,12)  (fig.  19),  l'altra  mancante  della  parte  inferiore; 

2)  una  tazzina  emisferica  etrusco-campana  e  uno  dei  soliti 
piattelli  di  terra  grezza  ; 

3)  quattro  borchie,  due  del  diametro  di  6  cm.,  e  due  di 
4  cm.,  di  bronzo,  molto  probabilmente  resti  dell'ornamento  del 
letto  o  sarcofago  del  grande  loculo  di  destra; 

4)  frammenti  informi  d  ferro; 

5)  frammenti  di  un   alabastro   di  pasta  vitrea  bianca  e 

azzurra. 

Inoltre  frammenti  insignificanti  di  vasi  locali   dipinti,  di  un 
pendente  a  cerchietto    di  argento,  e  una  fuseruola  di  pastiglia 
bianca  con  filettatura  bleu  alla  base,  che  non  furono  raccolti  o  andaron  dispersi  prima 
dell'acquisto  del  materiale. 


Fio.  19. 


* 
*   * 


Tomba  IX  (detta  tomba  decorata).  —  Questa  bellissima  tomba,  la  cui  piccola 
entrata  si  vede  all'estremità  sinistra  dalla  tav.  IV  a,  fu  scavata  in  antico  ed  era  perfet- 
tamente vuota.  Essa  non  figura  quindi  nel  giornale  di  scavo,  tuttavia,  essendo  inedita, 
credetti  utile  di  farne  eseguire  un  accurato  rilievo  dal  cav.  Ferretti  (rilievo  che  ripro- 


VIGNANELLO 


—   206  — 


REGIONE   VII. 


duco  a  fig.  20,  21  e  22)  per  poterne  studiare  la  struttura  architettonica.  Piccolo  il 
dromos  in  leggera  discesa,  lungo  m.  2,25  e  largo  alla  porta  ni.  1,40.  Il  taglio  della  rupe 


"ti.'***:  : 


sesiotfE     jj 


sezione  E 


o      e  sì    t  ?n  }  3 

'....I uJ _l |_ 


5  >{ 


Fio  20. 


è  di  soli  m.  3,50.  La  porta,  larga  m.  0,90,  è  a  sguincio  e  l'interesse  consiste  nell'  in- 
solita forma  e  decorazione. 


REGIONE   VII. 


207  — 


VIGNANEU.0 


Anzitutto  è  di  forma  ovale,  nel  senso  dell'altezza  che  raggiunge  m.  1,70;  e  poi  è  de- 
corata nell'interno  con  due  pilastri  a  forma  di  mezza  colonna,  i  quali  seguono  la  curva 


iiiiiiìiiijiiiiiiiiR 


illlll!llìlli|[lllllllljll!lllll!!!|ll% 


liii  1^  Li  I  i 


iPiì|tt|il!llllllll!I!I}É 

4 

Sinodi  CD 


Wtò. 


I 


0  SSS  1Ai 

I.nit 


H  *{ 


Fio   21. 


dell'apertura.  La  decorazione  è  completata  da  linee  graffite  a  Y3  dell'altezza,  con  traver- 
sali a  croce.  La  camera  stessa  è  di  forma  trapezoidale  ;  il  lato  più  lungo  (m.  5,65)  è  quello 


/////////a 


"  mziovcE  F 


t^///^///y/////y//^ 


e        t~5&       i  j*\ 
» — i  — ' _ 


j  *{ 


Fio.  22. 


opposto  all'entrata;  l'altro,  in  cui  si  apre  la  porta,  è  di  soli  m.  4,85;  i  due  laterali  am- 
bedue di  m.  3,55.  La  vòlta  orizzontale,  alta  m.  1,75,  è  leggermente  più  alta  verso  il 
fondo  a  sinistra.  Pochi  i  loculi:  nessuno  nella  parete  destra,  entrando;  uno  solo  in 
alto  in  quella  sinistra,  con  accenni  di  decorazione  a  gamba  di  kline;  tre  in  quella 


VIGNANELLO 


—  208  — 


REGIONE    VII. 


di  fondo  nella  parte  sinistra  (uno  di  bambino);  uno  solo  (e  di  bambino)  in  alto  a  destra 
dell'entrata,  guardandola. 


* 

*  * 


Tomba  X.  —  Oltre  alla  tomba  suindicata,  uno  scavo  fu  eseguito  alla  distanza  di 
circa  100  m.  ad  occidente  di  essa,  verso  sinistra,  nel  fondo  della  Cupa  (tav.  III).  Esso  fu 
opera  delMagliulo  dal  26  giugno  al  7  luglio  1915,  e  la  tomba  rinvenuta  porta  nel  giornale 
di  scavo  (pag.  248  e  segg.)  il  numero  12.  Il  cavo  era  molto  profondo  e  vi  si  dovette 
fare  un  grande  movimento  di  terra;  la  tomba  a  camera  fu  trovata  con  la  volta 
completamente  sprofondata  ('). 


''ii ''siili''!1''!, 


Fio.  28 


La  tomba  (fig.  23)  ha  un  dromos  lungo  m.  6,80,  che  si  va  allargando  verso  la  porta. 
Questa  fu  trovata  ermeticamente  chiusa;  quindi  il  Magliulo  ne  dedusse  di  poter  con 
sicurezza  affermare  che  la  tomba  non  fu  mai  manomessa.  Infatti  ci  si  rinvenne  gran 
quantità  di  vasellame;  ma,  sia  nella  parte  architettonica,  sia  nella  suppellettile,  la 
tomba  si  rivelò  assai  povera.  La  pianta  è  trapezoidale;  la  parete  in  cui  si  apre  la  porta 
misura  m.  2,50;  quella  opposta  m.  3,00;  le  laterali  m.  3,25  e  3,50.  Nella  parete  di  fondo 
si  aprono  due  loculi:  uno  in  quella  destra,  due  altri  nella  sinistra.  La  suppellettile  rin- 
venuta è  la  seguente  (inventariata  dal  n.  44120  al  n.  44231): 

Nella  parete  di  fondo  (fig.  24): 

Loculo  superiore  :  conteneva  solo  lo  scheletro  e  presso  esso,  tra  la  terra,  insieme 
con  una  piccola  ansa  ad  occhiello  di  filo  di  rame: 

Colum  di  bronzo,  in  discreto  stato  di  conservazione;  con  un  .ansa  a  doppio  filo 
serpeggiante  (diam.  m.  0,11). 


(')  Per  la  scoperta  di  questa  tomba  trovata  non  manomessa  si  sperò  l' esistenza  in  quel 
punto  remoto  della  Cupa  di  un  altro  gruppo  di  tombe:  ma  le  ricerche  furono  infruttuose  e  solo 
a  sinistra  fu  trovata  traccia  di  cave  di  pietra  e  lavori  di  sistemazione.  Dato  l'esito  negativo,  le  ri- 
cerche non  furono  proseguite. 


REGIONE   VII. 


-'209 


VIGNANELLO 


Loculo  inferiore  :  vuoto.  Sotto  di  esso  tra  la  terra  : 

1)  11  vasi  a  vernice  nera,  detti  etrusco-campani;  una  ciotola  del  diametro 
di  m.  0,145  e  ciotolette  col  diametro  di  cm.  5  a  10  y2; 

2)  5  piattelli  di  terra  gialla  grezza,  due  dei  quali  portano  sul  fondo  graffita 
una  stella  a  cinque  punte  e  un  terzo  ha  fasce  rosse  nel  centro  e  il  segno  V  ; 

3)  un  vasetto  imitante  il  metallo,  a  forma  di  bicchiere  cilindrico  con  alta 
ansa  (altezza  m.  0,08)  ; 

4)  un  askos,  a  ciambella,  con  ansa  a  nastro  striato  (diam.  m.  0,15); 


yp//;w?M/'/y/WwW/'/b 


S.t- 


Pig.  24. 


5)  frammenti  di  uno  specchio  circolare'  di  bronzo  liscio  ; 

6)  maniglia  di  filo  di  rame,  certo  applicata  a  un  oggetto  (cassa)  ; 

7)  impugnatura  di  una  spada  e  molte  lance  di  ferro,  la  maggior  parte  in 
frammenti;  tra  le  quali  una  a  quattro  tagli  (lunghezza  m.  0,33);  altre  di  forma  piatta 
(lunghezza  0,29  e  0,135)  con  i  relativi  sauroteri. 

Nella  parte  laterale  destra,  il  loculo  conteneva  il  solo  scheletro. 
Sul  piano  del  pavimento  : 

A)  Ceramica  protocorinzia: 

tre  bombylioi  del  solito  tipo  comune  sferico,  con  decorazione  a  fasce  e  a 
foglioline.  Altezza  m.  0,09. 

B)  Impasto  italico: 

olletta  con  anse  sull'orlo  ;  ornata,  nella  pancia,  di  strie  graffite. 

C)  Bucchero: 

tazza  (diam.  0,125)  con  graffiti  separatamente  i  segni  1  Y  X  ;  altra  più  grande 
(diam.  0,175  ;  altezza  0,07)  di  color  cenerino  ;  due  tazze  emisferiche  (diam.  0,12). 

D)  Ceramica  falisca: 

1)  5  piatti  su  alto  piede,  quattro  dei  quali  (diam.  0,125)  con  il  solito  profilo 
femminile  nella  superficie  anteriore,  entro  una  cornice  di  onde  stilizzate;  essi  hanno  la 
Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI.  27 


VIGNANELtO 


210 


REGIONE  Vii. 


superficie  spiccatamente  concava  ;  uno  (diam.  0,150)  decorato  internamente  di  serie 
di  ovuli,  come  i  grandi  vasi  falisci; 

2)askos  a  ciambella  (diam.  0,100;  altezza  0,155),  decorato  di  una  doppia 
fascia  nera  serpeggiante. 

E)  Ceramica  etrusco-campana: 

1)  askos  ad  otre,  a  vernice  nera,  con  decorazione  di  un  ramoscello  a  foglie 
d'olivo  (giallo)  che  gira  attorno  al  corpo  (altezza  m.  0,09)  ; 

2)  22  vasi  verniciati  di  nero  ;  i  più  ciotole  e  ciotolette  di  varia  grandezza,  due 
delle  quali  portano  il  segno  graffito  -J-  e  una  $  ;  tazze  con  piede,  una  delle  quali  ha  pure 
il  segno  +  ;  kylix,  un  piatto  con  piede  col  segno  V  ;  una  piccola  olpe  (altezza  m.  0,08), 


Fig.  25. 


un  boccaletto,  una  tazza  cilindrica,  un  piatto  (diam.  0,175)  con  cavità  nel  mezzo  come 
quelli  italioti  con  rappresentazione  di  pesci. 

F)  Ceramica  grezza: 

15  dei  soliti  piattelli  di  terra  gialla. 

G)  Bronzo: 

una  ghiera  (diam.  0,035)  ;  un'olpe  frammentata,  un  fondo  di  vaso,  un'ansa 
rettangolare,  due  lebeti  con  l'orlo  decorato  di  tante  perline  (uno  di  essi  è  intero  e  ha 
il  diametro  di  m.  0,23). 

H)  Ferro: 
oltre  a  resti  informi,  forse  di  candelabro,  fu  rinvenuta  una  bella  serie  di  lànce, 
generalmente  della  solita  forma  allungata  con  costolatura  mediana.  Tra  esse  notevole 
una  (n.  44221)  lunga  44  cm.  e  perfettamente  conservata  (fig.  25,  in  mezzo).  Un'altra 
(44160),  lunga  cm.  56,  mi  pare  rivelarsi,  all'esame,  piuttosto  formata  dall'unione  di 
due  cuspidi  di  lunghezza  ordinaria  (circa  30  cm.),  attaccate  per  la  punta,  mentre 
erano  disposte  in  senso  inverso  (fig.  25,  in  basso).  Alcune  lance  sono  a  lama  larga; 
due  paiono  piuttosto  punte  di  giavellotti  ;  nò  mancano  resti  di  una  spada,  benché  pur- 
troppo, com'è  destino   di  questi  oggetti  di  ferro,  la  conservazione  sia  cattivissima. 

/)  Oggetti  varii: 

1)  uno  dei  cosiddetti  pesi  da  telaio  (altezza  m.  0,14)  ; 

2)  una  fusaiola  ovoidale  di  creta  scura  (altezza  0,03). 

All'angolo  di  questa  parete  destra,  dopo  il  loculo,  fu.  trovato  un  incavo,  largo 
m.  0,55,  lungo  m.  0,70,  nel  quale  fu  rinvenuta  una  lancia  di  ferro  ben  conservata 
(lunga  0,44). 


REGIONE   VII. 


—   211   — 


VIGNANELLO 


Nella  parete  sinistra  (fig.  26)  furono  trovati  pure  due  loculi:  il  superiore  era 
senza  oggetti,  nell'inferiore,  trovato  chiuso  da  tegole,  era  il  solo  scheletro.  Davanti  a 
questo  loculo  era  stata  scavata  una  fossa  (m.  2  X  0,75)  profonda  50  cm.  (vedi  fig.  23 
e  26);  in  essa  furono  rinvenuti: 

1)  colum  della  solita  forma  con  anse  di  doppio  filo  di  bronzo  serpeggiante  ; 

2)  specchio  tondo  (diam.  0,145)  con  perno,  liscio  ; 

3)  lamine  di  bronzo,  decorazione  terminale  di  cassa  o  mobile  ; 

4)  ansa  di  olpe  di  bronzo  ; 

5)  due  piattelli  gialli  ; 

6)  tre  cuspidi  di  lancia  di  ferro  (una  a  foglia  d'olivo)  lunghe  m.  0,26,  0  13 
e  0,32. 


Fio.  26. 


Sul  piano  del  pavimento,  da  quella  parte,  furono  raccolti  i  seguenti  oggetti,  insieme 
con  frammenti  varii  di  piattelli  e  ciotolette  : 

1)  tazzina  emisferica  di  bucchero  cenerina  ; 

2)  due  ciotolette  verniciate  di  nero  ; 

3)  un  piatto  su  listello,  a  vernice  plumbea . 

Anche  in  questa  tomba  quindi  si  trovano  oggetti  arcaici  del  VI  secolo,  come  i 
vasetti  protocorinzì,  con  ceramiche  tarde  da  attribuire  al  III  e  forse  più  in  giù  (vasi 
etrusco-campani,  piattelli  grezzi). 


* 


Tomba  XI  (fig.  29).  —  Terminata  la  descrizione  delle  tombe  scavate  nella 
Cupa  a  sinistra  delle  tre  trovate  nella  la  campagna  del  1913,  ci  resta  ora  da  trattare  di 
quelle  trovate  nella  stessa  scarpata  della  collina,  a  destra  delle  tre  tombe  suddette. 
La  prima  è  questa,  che,  continuando  la  numerazione,  chiameremo  XI  (5a  del  giornale 
di  scavo  ;  pp.  1 64-65),  scavata  il  9  e  il  1 0  novembre  191 4  (v.  fig.  1  e  tav.  IV  a).  Fu  trovata 
perfettamente  vuota,  tranne  un  gruppo  di  rozzi  frammenti  di  vasi  diversi,  sia  di  buc- 
chero, sia  di  piattelli  di  terra  gialla  grezza.  La  tomba  è  però  interessante  architetto- 
nicamente (fig.  27).  Breve  il  tramite  (lungo  m.  2,  largo  m.  1,40)  ;  il  taglio  della  roccia 


VIGNANELLO 


212 


REGIONE   VII. 


sulla  porta  di  soli  m.  2,80,  tanto  che,  essendo  la  tomba  alta  m.  2,  sottile  è  lo  strato  di 
roccia  restato  sulla  vòlta. 

La  tomba  è  di  pianta  trapezoidale:  il  lato  in  cui  si  apre  la  porta  è  di  m.  4,10;  l'op- 


Pio.  27. 

posto  3,20  ;  i  normali  di  m.  3,45  e  3,70.  Nella  parete  di  fondo  sono  due  loculi  e  tre  in  quella 
di  destra.  Nella  parete  di  sinistra  invece  è  stato  tagliato  nel  masso  tufaceo  un  letto 
funebre  a  forma  di  kline,  con  colonnine  ai  lati,  alto  m.  1,10,  lungo  m.  2,35,  largo 
m.  1,10.  Nel  centro,  come  motivo  decorativo  è  riprodotto  un  alto  sgabello,  come 
quello,  p.  es.,  sul  quale  nei  sarcofagi  chiusini  posa  i  piedi  la  donna  seduta  sul  letto. 


REGIONE   VII. 


—   213 


VIGNA.NELLO 


*    * 


Tomba  XII  (7a  del  giornale  di  scavo,  p.  167  segg.  ;  esplorata  dal  13  al  26  novem- 
bre 1914)  (fig.  28).  L'ingresso  si  vede  nella  tav.  IV  a,  a  destra,  e  tutta  la  tomba,  con  la 


J< 


Fio.  28. 


vòlta  franata,  nella  fotografia  che  riproduco  a  tav.  IV  b,  come  esempio  del  mirabile 
paesaggio  della  Cupa.  Noto  che  la  contigua  tomba  XIII,  della  quale  par  eremo  m  se- 
guito,Ira  stata  scavata  in  precedenza  ;  mentre  la  tomba  XII  i  stava  al.ora  appunto 
scavando. 


VIGNANELLO  —   214   —  REGIONE   VII. 


Ho  già  detto  che  la  vòlta  era  franata,  anzi  con  essa  era  franato  un  gran  pezzo  della 
parte  anteriore  della  camera.  A  questa  si  accedeva  per  un  tramite,  largo  m.  1 ,35  e  tro- 
vato quasi  distrutto.  La  pianta  della  tomba  è  quasi  rettangolare  ;  il  lato  in  cui  si 
apre  la  porta  è  lungo  ni.  4,10;  quello  opposto  3,90;  glialtri  due,  m.  2,90  e  2,65.  L'altezza 
della  vòlta,  come  si  può  vedere  dal  piccolo  pezzo  conservato,  era  di  m.  2,90;  e,  essendo 
la  tomba  stata  scavata  in  alto  sulla  Cupa,  lo  spessore  della  vòlta  era  troppo  esiguo, 
tanto  che  non  ha  resistito.  La  porta  fu  trovata  senza  chiudenda;  ma  il  gran  cumulo  di 
terra  caduto  ha  fatto  si  che  il  materiale  rinvenuto  fosse  assai  abbondante  (numero 
d'inventario  dal  n.  43822  al  n.  43959). 

La  più  notevole  particolarità  della  tomba  è  che,  addossato  alla  parete  sinistra 
e  a  quella  nella  quale  è  la  porta  d'entrata,  fu  costruito  un  pilastro  della  lunghezza  di 
m.  1,40,  larghezza  di  m.  1,40  e  altezza,  nella  parte  conservata,  di  m.  2,68,  formato  di 
rozzi  blocchi  squadrati  di  tufo.  Evidentemente  questo  pilastro  fu  costruito  per  soste- 
nere la  vòlta,  quando  questa  cominciò  a  mostrare  qualche  segno  di  rovina;  e  la  co- 
struzione fu  fatta  in  epoca  posteriore  all'impiego  della  tomba,  perchè  coprì  un  loculo, 
che  si  potè  visitare  solo  con  l'asportazione  di  parte  del  pilastro  stesso,  il  quale  fu 
tralasciato  dal  Ferretti  nel  disegno  della  tomba. 

Venendo  ai  loculi,  la  parete  di  fondo  ne  ha  tre,  due  sovrapposti  a  destra  e  uno  a 
sinistra  ;  nella  parete  a  destra  per  chi  entra  nella  tomba  furono  trovati  due  altri  loculi 
sovrapposti  ;  due  altri  in  quella  sinistra;  uno  piccolo  infine  a  destra  dell'ingresso. 

Parete  di  fondo  ;  sezione  destra: 

Il  1°  loculo  in  alto,  privo  delle  tegole  di  chiusura,  trovato  pieno  di  terra,  conteneva, 
oltre  allo  scheletro  del  defunto  : 

a)  all'altezza  della  testa:  1)  oinochoe  di  rozza  argilla  giallastra,  alta  m.  0,22; 
2)  tazzina  emisferica  di  bucchero,  su  listello,  alta  m.  0,120  ; 

b)  verso  i  piedi  :  fibuletta  e  frammenti  informi  di  ferro. 

Il  2°  loculo,  sottoposto,  era  anche  esso  aperto  ;  ma  le  tegole  di  chiusura  erano 
cadute  dentro.  Conteneva  gli  avanzi  dello  scheletro  e  ai  piedi: 

1)  piccola  pelike  (alta  m.  0,08)  a  vernice  nera,  con  decorazioni  di  color  rosso 
sovrapposto.  Presenta  da  tutt'e  due  le  parti,  tra  palmette  e  ornati,  una  figura  virile 
ammantata; 

2)  fusaiola  a  tronco  di  cono,  di  argilla  scura. 

Sul  piano  del  pavimento,  sotto  a  questi  due  loculi,  furono  rinvenuti  aggruppati, 
insieme  con  ossa  umane,  i  seguenti  oggetti,  parte  dei  quali  possono  essere  caduti  dai 
loculi  soprastanti  : 

A)  Vasi  d'impasto  : 

rozza  olletta  ovoidale  (altezza  m.  0,11,  diametro  0,10)  ;  altre  ollette  simili 
(altezza  m.  0,09)  ;  poculum  ovoidale,  altezza  m.  0,45. 

B)  Buccheri  : 

Se  ne  trovò  una  discreta  quantità,  i  più  in  frammenti.  Notiamo  : 

1)  cinque  tazze  emisferiche  su  listello  (altezza  m.  0,50;  diametro  superiore 
m.  0,115); 

2)  kantharos  di  bucchero  fine  ; 

3)  un  piatto  di  forma  piana  ;  una  ciotoletta,  ecc. 


REGI0NE   ^  -   215  -  VIGNANDO 


C)  Vasi  etrusco-campani  : 

due  tazzine  emisferiche  su  listello  (diametro  0,95  e  0,35). 

D)  Vasi  di  terra  grezza,  o  con  vernice  rossa  : 

1)  due  olpai  ; 

2)  nove  ciotole  o  ciotolette  ; 

3)  cinque  piattelli. 

Inoltre  frammenti,  non  raccolti,  di  una  cuspide  di  lancia,  di  ferro. 
Parete  di  fondo,  sezione  sinistra. 
Un  basso  loculo,  perfettamente  vuoto. 

All'angolo,  grande  pythos  ovoidale,  di  argilla  rossastra  con  orlo  frammentato,  alto 
un  metro,  che  conteneva  frammenti  di  una  rozza  olla  di  argilla  rossastra. 
Sul  pavimento  sotto  il  loculo  : 

A)  Bucchero: 

una  tazzina  emisferica  su  listello   (diametro  110)  ;  e  frammenti  di  vasi  varii. 

B)  Vasi  etrusco-campani  : 

1)  stamnos  a  vernice  nera,  con  figure  dipinte  in  color  rosso  sovrapposto  (dia- 
metro bocca  m.  0,15  ;  altezza  m.  0,25).  Tra  due  rami  di  olivo  stilizzato  ;  da  ogni  parte 
un  giovane  ammantato  offre  un  oggetto  (palla  ?  frutto  ?)  a  un  atleta  nudo  con  lo  striglie 
in  mano  ; 

2)  kylix  di  terra  assai  fina,  a  vernice  nera  con  nel  centro  dipinta,  con  vernice 
diluita,  una  stella  a  molti  raggi. 

C)  Terra  grezza,  o  con  vernice  rossa  : 

tre  tazzine  (diametro  ni.  0,12)  ;  un'olpe  (altezza  m.0,05);  quattro  piattelli,  uno 
col  segno  -f-  ;  due  ciotole  (diametro  0,16  e  0,17)  ;  frammenti  di  olla. 

D)  Oggetti  varii  : 

1)  olpe  di  bronzo,  in  buono  stato  di  conservazione  (altezza  0,13)  ; 

2)  un'olletta  di  impasto,  con  quattro  protuberanze  sotto  il  collo  del  vaso  (al- 
tezza 0,05)  ; 

3)  frammenti  di  un  vaso  con  decorazione  di  fasce  bianche  ; 

4)  fusaiola  di  rozza  creta  rossastra. 
Parete  a  destra,  entrando  nella  tomba  : 

Loculo  superiore  :  era  quasi  tutto  sprofondato  e  dalla  parte  della  testa  conteneva  : 
1)  anforetta  attica  con  figure  nere,  alta  m.  0,185.  Sulla  pancia  ha  due  occhioni, 
tra  i  quali  è  la  rappresentazione  di  Heraklcs  che  fugge  con  il  tripode  di  Delfi  (tav.Xe). 
Il  tripode  è  posto  in  modo  che  si  vede  chiaramente  che  il  tipo  è  stato  preso  dalla  scena, 
comune  nella  ceramica  del  tempo,  della  lotta  di  Herakles  con  Apollo  per  il  tripode. 
Posteriormente  il  vaso  è  in  gran  parte  mancante  ;  pare  ci  fosse  rappresentato  un  albero. 
Loculo  inferiore  :  non  conservava  alcun  oggetto  ;  ma  nella  terra,  come  caduti  sul- 
l'orlo del  medesimo,  si  sono  rinvenuti  : 

1)  piccola  kylix  di  bucchero  su  listello  (diametro  0,14)  ; 

2)  simpulum  di  bronzo,  con  il  manico  terminante  con  una  testa  d'oca.  Vera- 
mente il  manico  fu  trovato  a  un  livello  più  basso  ai  piedi  della  parete,  eper  la  corrosione 
non  si  congiunge  bene  ;  ma  non  mi  par  dubbio  sia  proprio  quello  di  questo  simpulum  ; 


VtGNANELLO 


—  216   —  REGIONE   Vii. 


3)  kylix  a  vernice  nera  (diametro  0,15),  nell'interno  della  quale,  con  vernice 
rossa  sovrapposta,  è  dipinto  un  atleta,  completamente  nudo,  che  tiene  una  corona  (as- 
sai corroso) ; 

4)  olpe  di  lamina  enea  sottilissima  (altezza  0,11),  assai  rovinata  ; 

5)  vaso  cilindrico  di  bronzo,  con  manico  mobile  arcuato,  munito  di  coperchio, 
assicurato  da  una  catenella  (in  frammenti). 

Sotto  a  questi  due  loculi,  nel  piano  del  pavimento,  furono  rinvenuti  parecchi  og- 
getti : 

A)  Vasi  d'impasto  : 

1)  frammento  della  parte  superiore  di  un  sostegno  (cosiddetto  holmos)  di 
terracotta  rossastra,  ad  orlo  piano  e  striato  ; 

2)  frammento  di  olla  sferica  di  argilla  nerastra  a  doppia  ansa  ; 

3)  varie  ollette,  intere  (altezza  0,05  e  0,08)  o  frammentate,  d'impasto  nerastro. 

B)  Buccheri  : 

1)  piatto  su  piede  (altezza  0,08  ;  diametro  0,09)  ; 

2)  due  kantharoi  (altezza  0,05  ;  diametro  circa  0,10)  ; 

3)  dieci  tazzine  e  ciotolette  del  diametro  da  0,07  a  0,12,  delle  quali  una  col 
segno  -f  ; 

4)  una  piccola  olpe,  alta  m.  0,065  ;  e  un'oinochoe,  in  frammenti  ; 

5)  una  kylix,  pure  in  frammenti. 

C)  Terracotta  grezza  : 

1)  cinque  dei  soliti  piattelli  di  argilla  giallastra  ; 

2)  una  ciotoletta  (diametro  0,06)  e  metà  di  una  ciotola  col  segno   J. 

D)  Bronzo  : 

1)  olpe  con  ansa  a  nastro  ; 

2)  colum  di  sottile  lamina  enea,  con  ansa  a  doppio  filo,  del  tipo  già  trovato  ; 

3)  due  saurocteri  di  forma  cilindrica  acuminata  (lunghezza  m.  0,18)  ; 

4)  un  frammento  di  lamina  (balteo  ?)  (lunghezza  m.  0,31  e  altezza  0,09)  ;  un'ansa 
arcuata,  un  piede  cilindrico,  una  piccola  borchia,  una  patera  di  sottile  lamina  (diame- 
tro 0,10). 

E)  Ferro  : 

1)  tre  cuspidi  di  lancia  (lunghezza  0,15)  e  un'asta  cilindrica  ;  a  una  di  queste 
lancio  dovette  appartenere  un  anello  di  bronzo  rinvenuto  ; 

2)  piccole  borchie  e  chiodi. 
Parete  opposta,  a  sinistra: 

Nel  loculo  superiore,  si  rinvenne  soltanto  una  fusaiola  di  bucchero,  a  tronco  di 
cono,  striata  (altezza  0,02). 

Nell'altro,  scoperto  dopo  la  demolizione  del  pilastro  addossatovi,  di  cui  si  è  già 
parlato,  si  rinvenne  : 

1)  rozza  olla  cineraria  di  argilla  rossastra,  di  forma  ovoidale,  con  due 
anse  a  occhiello  applicate  sull'orlo  (altezza  0,26;  diametro  0,135);  è  piena  di  ossa 
cremate  ; 

2)  due  rozzi  piattelli  di  creta  rossastra,  uno  dei  quali  ha  il  segno  V . 


RICCIONE  VII.  -  217  -  VIGNANEUO 


Ai  piedi  dei  loculi  furono  rinvenuti  : 

1)  vasi  di  l)iicchero,  i  più  in  frammenti,  tra  i  quali  un  piatto  circolare  piano 
su  goffo  piede  e  una  grande  oinoehoe  in  frammenti  ;  due  ciotolette  (diametro  0,06")) 
e  una  tazzina  emisferica  su  listello  (altezza  0,055;  diametro  0,11); 

2)  una  ciotoletta  di  argilla  giallastra  e  una  rozza  olla  di  argilla  rossastra, 
nonché  un'oinochoe  a  corpo  sferico  ; 

3)  sette  piedi  di  sedia  di  forma  cilindrica,  un  po'  ricurvi,  evidenti  rivestimenti 
di  bronzo  di  gambe  di  legno  ;  una  grande  borchia  (diametro  0,05)  e  l'orlo  di  un  vaso 
di  bronzo  ; 

4)  avanzi  di  tre  aste  di  ferro  unite  a  triangolo  (forse  del  mobile  a  cui  appar- 
tennero i  piedi  di  bronzo)  e  di  altre  aste  di  ferro  vuoto. 

La  tomba  quindi,  che  per  il  franamento  deve  aver  subito  poche  devastazioni,  pre- 
senta il  solito  fenomeno  :  a  seppellimenti  antichi  (VI-V  secolo),  a  rivelare  i  quali  baste- 
rebbe qui  l'anf oretta  attica  con  figure  nere  col  Ratto  del  Tripode,  si  sovrappongono 
in  seguito  quelli  del  III  secolo  av.  Cr. 

Assai  notevole  poi  è  il  fatto  che,  tra  la  terra  che  riempiva  questa  tomba,  fu  rinvenuto 
il  coperchio  crestato  di  un  pozzetto  (larghezza  0,7  ;  lunghezza  0,82),  il  quale  certa- 
mente era  caduto  dentro  con  lo  sprofondamento  della  volta.  Già  antecedentemente,  il 
13  luglio  1914,  il  Magliulo,  eseguendo  saggi  nella  Cupa,  appena  esplorata  la  tomba  XIV, 
rinvenne  un  disco  di  nenfro,  del  diametro  di  m.  0,78  e  con  uno  spessore  di  m.  0,16,  piano 
da  una  faccia  e  sormontato,  dall'altra  (a  calotta  sferica),  da  una  cresta  di  m.  0.25.  Al 
Magliuolo  sembrò  coperchio  di  pozzetto  ;  e  così  pure  al  prof.  Gabriel  e  a  me,  che  ordi- 
nammo perciò  di  aprire  due  grandi  trincee  nel  piano  della  Cupa,  presso  il  luogo  del  rin- 
venimento, per  determinare  se  esistesse  un  sepolcreto  a  cremazione  ;  ma  tali  ricerche 
riuscirono  infruttuose.  Eppure  l'esistenza  di  tombe  a  pozzo  della  prima  età  del  ferro 
mi  pare  assai  probabile  aVignanello;  oltre  ai  due  coperchi  suindicati,  ce  lo  fanno 
supporre  alcuni  frammenti  fittili  trovati  sporadicamente  nello  scavo. 


* 
*  * 


Tomba  XIII  (6a  del  giornale  di  scavo,  p.  166;  fu  esplorata  1*11  e  il  12  no- 
vembre 1914;  la  poca  suppellettile  rinvenuta  ha  il  n.  d'inv.  dal  43817  al  43821). — 
È  contigua  alla  precedente,  a  destra  (fig.  1);  nella  tav.  IV  &  se  ne  vede  assai  bene 
l'entrata.  Il  tramite  quasi  non  esiste;  le  porta  è  alta  m.  1,55  e  larga  0,75.  La  pianta 
trapezoidale;  la  parete  d'entrata  lunga  m.  2,45;  l'opposta  2,25;  le  altre  2,25  e  1,95. 
Questa  piccola  camera,  con  un'altezza  di  m.  2,  veniva  ad  essere  quasi  cubica  (fig.  29). 
Nella  parete  di  l'ondo  si  aprono  due  loculi,  e  così  in  quella  di  destra;  nessuno  nelle 
altre.  Fu  trovata  aperta  e  colma  di  terra,  e  nel  piano  della  tomba  furono  rinvenuti: 

1)  frammenti  di  bucchero,  tra  i  quali  uno  di  una  tazza  col  segno  -f  ; 

2)  frammenti  di  vasi  d'impasto  italico,  alcuni  dei  quali  portano  dei  graffiti  (teste 
di  cavallo;  volute):  tra  essi  noto  una  bocca  di  boccale  a  forma  di  becco  d'oca,  di  inso- 
lita grandezza,  con  decorazione  graffita  ; 

3)  frammenti  di  vasi  etrusco-campani,  con  ornati  di  color  rosso  sovrapposto  ; 
Notizie  ?(avi  1024  -  Voi.  XXI. 


VIUNANELLO 


—  218  — 


REGIONE   VII. 


4)  frammenti  di  kylikes  falische,  tra  cui  una  con  un  Satiro  (?)  molto  finamente 
disegnato  ; 

5)  un  piattello  di  argilla  rossastra; 

6)  un  bellissimo  scarabeo  di  corniola,  che  riproduco  nella  tav.  Vili  b,  lungo 


•><*LO 


.    >1    u 

•Li  .■> 


Hi^AL 


Fio.  29. 


m.  0,01.  Rappresenta  un  guerriero  che  si  arma.  Posato  a  terra  ha  il  suo  scudo,  in  mano 
ha  un  elmo.  Lo  strano  è  che  pare  che  egli  ne  porti  già  uno  in  capo.  Il  lavoro  è  piut- 
tosto accurato  ed  eseguito  col  trapano,  come  generalmente  in  questi  scarabei  etruschi 
di  pietra  dura. 

Presso,  la  tomba  si  è  rinvenuto  un  medio  bronzo  dell'imperatore  Valeriano  (254  e.  v.) 
con  la  Virtus  Augustorum  (Cohen,  Monnaies  de  l'Empire  Romain,  V,p.  279,  n.  137). 


REGIONE    VII. 


219   — 


VIGNANELLO 


* 
*    * 


Tomba  XIV  (2  del  giorn.  di  scavo,  pp.  92-94;  scavata dall'8  al 20  luglio  1914- 
lc  suppellettili  hanno  il  numero  43627-43647  d'inv.).  -  Come  si  vede  dalla  pianta  dello 


UH 


>  >. 


'«*-agS 


»\par%^ 


Fio.  30. 


scavo  (tav.  Ili)  questa  tomba  fu  rinvenuta  a  115  m.  (a  volo  d'aria)  a  oriente  delle  altre, 
nei  seggi  nel  fondo  della  Cupa,  dove  il  terreno  era  assai  sconvolto. 

Questa  tomba  (fig.  30)  ha  un  corto  tramite  di  m.  1,30,  ed  è  anch'essa  di  dimen- 
sioni assai  piccole.  Il  lato  della  porta  è  di  m.  2,35,  l'opposto  di  m.  2,65,  gli  altri  due 
di  m.  2,10  e  2,45.  La  volta  è  completamente  crollata.  La  camera  conteneva  solo  due 
loculi  (e  dato  il  luogo,  non  è  possibile  ne  siano  crollati  altri  superiormente),  uno  nella 
parete  di  fondo  e  uno  in  quella  a  sinistra  entrando. 


VIGNANEI.LO 


220 


REGIONE    VII. 


I.  Loculo  della  parete  di  fondo  :  di  dimensioni  comuni  (m.  2,55  X  0,75)  presenta 
la  particolarità  di  avere  un'incassatura  che  lascia  una  cornice  anteriormente  di 
m.  0,11  e  nel  resto  di  m.  0,12. 

Dalla  parte  della  testa  si  rinvennero  due  tazzine  di  bucchero  su  listello  (diametro 

m.  0,08). 

All'altezza  delle  cosce: 

1)  fusaiola  di  bucchero  a  tronco  di  cono  ; 

2)  piastrina  di  bronzo,  della  lunghezza  di  m.  0,03  ; 


Sotto  il  detto  loculo  sono  stati  raccolti  : 

1)  rozza  olla  di  impasto  rossastro  con  ansa  applicata  sulle  spalle  (altezza 
in.  0,25); 

2)  altra  olla  a  bulla  a  vernice  rossa  (altezza  m.  0,35); 

3)  2  olpai  di  bucchero,  altezza  m.  0,12,  una  delle  quali  di  color  cenerino  ; 

4)  quattro  tazze  emisferiche  pure  di  bucchero,  su  listello  (diametro  m.  0,12)  ; 

5)  oinochoe  di  bucchero,  ad  orlo  trilobato  (altezza  m.  0,15)  (fig.  31  e)  ; 

6)  cuspide  di  lancia  di  ferro. 

II.  Loculo  della  parete  sinistra.  Di  forma  identica  all'altro,  ma  col  solo  rialzo  dalla 
parte  della  testa. 

All'altezza  del  petto  era  la  metà  di  una  bulla  lenticolare  di  bronzo  (diametro 
m.  0,02). 

Sul  piano  del  pavimento  : 
1)  oinochoe  d'impasto  nerastro,   con  bocca  a  becco  d'oca,  decorata  sulla 
spalla  di  una  serie  di  «  denti  di  lupo  »  graffiti  (fig.  31  b); 


REGIONE    VII.  —   221 


VIGNANELLO 


2)  tazza  emisferica  d'impasto  ; 

3)  piatto  d'impasto  bruno  con  orlo  piano  e  striato  ; 

4)  piccolo  «  karkesion  »  d'impasto  bruno,  con  doppia  ansa  a  bastoncello  che 
si  attorciglia  superiormente,  e  decorato  sulle  due  facce  da  meandri  incisi  (fig.  31  «)  ; 

5)  frammenti  di  una  tazza  di  impasto  scuro. 

Questa  piccola  tomba  che  ha  dato  tutti  vasi  d'impasto  e  buccheri  e  assai  interessante 
per  l'uniformità  della  suppellettile.  Sebbene  manchino  i  vasi  greci  contemporanei,  per 
la  forma  dei  vasi  credo  che  la  tomba  debba  datarsi  piuttosto  bassa,  nella  prima  metà 
del  VI  secolo  a.  C. 


* 

*   * 


T  o  m  b  a  X  V  (la  del  giorn.  di  scavo,  pag.  87  segg.  Fu  scavata  dal  20  giugno  al  4  lu- 
glio 1914  ;  la  suppellettile  è  inventariata  dal  n.  43605  al  n.  43626.  A  più  di  100  m.  in 
linea  retta  a  oriente  della  precedente  (tav.  Ili),  fu  trovata  anche  essa  totalmente  franata. 
Il  tramite,  lungo  m.  2,65,  è  assai  largo  (m.  1,60).  La  camera  (fig.  32)  ha  forma  trape- 
zoidale, col  lato  della  porta  lungo  m.  4,75;  l'opposto  m.  3,50  e  i  due  laterali  m.  3,85 
e  m.  4.60. 

Dal  segno  delle  volte  sulla  parete  si  vede  che  l'altezza  era  assai  poca. 

Ha,  almeno  nello  stato  presente,  tre  loculi:  due  nella  parete  a  destra  e  uno  in  quella 
sinistra;  in  uno  dei  due  primi  (il  g'omale  di  scavo  non  determina  meglio)  fu  rinvenuto 
un  anello  slgil'o  d'argento,  a  castone  piatto.  La  suppellettile  fu  trovata  nel  piano  del 
pavimento  : 

A)  Ceramica  falisca  : 

I)  kylix  (d'ametro  m.  0,26),  una  delle  più  fine  e  interessanti  rappresentazioni  di 
arte  falisca  (tav.  IX  a).  Neil' interno,  .tra  un  meandro  alternato  con  quadratini  a  stella, 
sono  tre  figure.  La  scena  è  su  un  terreno  il  cui  piano  è  indicato  da  una  serie  di  ovoli,  nel 
quale  spunta  un  ciuffo  d'erba  e  sorge  uno  di  quei  caratteristici  alberi  falisci,  potati  con  un 
ramo  novello  (cfr.  la  coppa  della  tomba  IV).  Una  giovane  donna,  con  un  peplo  dall'apo- 
plygma  filettato  di  nero,  che  lascia  libera  la  spalla  destra,  le  scarpe  ai  piedi  e  una  tenia  tra 
i  capelli,  ritta  in  piedi  davanti  all'albero,  suona  il  doppio  flauto.  Essa  guarda  verso  destra 
dove  è  un  Silenopappo  in  atteggiamento  festoso,  che  tiene  nella  sinistra  un  tirso  adorno 
di  una  vitta  e  con  la  destra  solleva  in  alto  una  giovanotta  completamente  nuda,  ma  con 
le  scarpine  ai  piedi,  la  quale  muove  ritmicamente  le  braccia.  A  prescindere  dalla  figura 
della  flautista,  così  comune  nella  ceramica  attica  del  V  secolo,  interessante  e  il  gruppo. 
Esso  ricorda  quello  di  una  suonatrice  nuda  di  doppio  flauto,  sulle  spalle  di  un  Sileno,  alla 
presenza  di  Dionysos  e  di  Arianna,  in  un  vaso  d'imitazione  etnisca  che  da  un  calco  pos- 
seduto dill'Ist.  di  corrisp.  archeologica  fu  pubblicato  negli  Annali  (l).  Ricorda  pure 
il  vaso  pubblicato  dal  Tischbein,  che  però  il  Reinach  dice  sospetto,  dove,  alla  presenza 
di  due  baccanti,  una  piccola  donna  suona  pure  il  doppio  flauto  (2).  Il  motivo  delle  mani 
così  piegate  lo  troviamo  già  in  tombe  etnische  del  V  secolo,  come  quella  delle  Bighe  di 

(')  Annali  /».<*.,   1*78.  tav.  Il  (=    Rein.,  R.  V.,  I,  330,  4). 
(■)  Tischbein,  II,  52  (=    Rein.  R.  V,  Il  304). 


VIGNANELLO 


—   222 


REGIONE   VII. 


Stackelberg(').  Il  tipo  del  Silenopappo,  comune  specialmente  nella  ceramica  italiota  (!), 
rimonta  all'arte  attica  ;  basta  rimandare  all'articolo  della  signorina  Bieber  (3)  dove  si 
parla  delle  origini  del  costume  tragico,  e  della  veste  villosa  (xoQiaìog,  ^alXmtòg  xitmv) 


S  *3*       f 


Fio.  32. 


dei  Papposileni  in  uso  dalV  secolo  av.  Cr.  al  II  e.  v.  e  che  compare  appunto  nei  vasi 
attici  sin  dal  2°  terzo  del  V  secolo  (4),  derivando  dal  tipo  naturale  ionico  del  demone. 

(')  Jahrb.  d.  Arch.  Inst.  1016,  p.  120    fig.  8. 

(*)  Alla*  Compte-rendu  de  St.  Petersbourg.,  1863,  VI  (=  Rein.  R.  V.,  1,  19,  n.  2);  Arch. 
Zeit.  1809,17  (=    Roin.,  11.  V.,  I  405,  n.  2)  ecc. 

(a)  M.  Bieber,  Die  Jhrlimft  des  traqischen  Kostumt,  in  Arch.  Jahrb.,  1917,  p.  47  segg. 

(4)  Es.  il  mirabile  cratere  del  Museo  Gregoriano  Vaticano  (Helbig  Amelung-Weege,  Fiihrer,  I, 
p.  336. 


REGIONE  VII.  —  223  —  VIGNANELLO 

Questo  quadretto,  finamente  eseguito,  tutto  vita,  dove  alla  figura  grottesca  del  Pappo- 
sileno  si  contrappongono  quella  graziosa  della  piccola  danzatrice  e  la  gentile  della  flau- 
tista, conferma,  vicino  ad  altri  vasi  giustamente  celebri,  la  grande  finezza  della  scuola 
falisca  della  prima  metà  del  IV  secolo  av.  Cr.  All'esterno  il  disegno  è  tirato  via;  vi 
vediamo  da  ciascun  lato  una  donna  vestita  di  peplo  (da  una  parte  ha  il  timpano), 
tra  un  uomo  nudo  e  uno  ammantato; 

2)  altra  kylix  (diam.  m.  0,24)  (tav.  IX  6).  Entro  un  meandro  uguale  a  quello  del 
vaso  precedente  c'è  una  di  quelle  caratteristiche  nude  figure  femminili  alate  (Lase). 
Questa  procede  rapidamente  con  i  piedi  difesi  da  scarpette,  tenendo  nella  destra  una 
freccia  (?)  e  nella  sinistra  un  grosso  a  abastron.  Dietro,  posato  in  terra,  un  timpano; 
davanti,  su  una  roccia,  un  c:gno  starnazzante  le  ali.  Il  nudo  è  benissimo  disegnato  e 
l'espressione  assai  v'vace.  Questo  essere  fantastico  l'abbiamo  già,  tra  l'altro,  trovato 
nella  coppa  falisca  del  a  II  tomba  di  Vignanello  che  pubblicai  nel  1916  (').  In  essa 
presenta  appunto  il  timpano  a  un  Sileno  che  vi  batte  con  la  sinistra.  Così,  noto  è  il  tipo 
del  cigno  ;  appare  per  esempio  in  una  kylix  falisca  di  Rignano  Flaminio,  che  pubblicai 
parecchi  anni  fa  (*),  nella  quale  vediamo  che  con  questo  cigno  gioca  un  Satiro  seduto 
su  un'anfora.  L'esterno  di  questa  coppa  è,  al  solito,  sommariamente  eseguito.  Vi 
vediamo  tra  il  gioco  delle  palmette,  da  ogni  parte,  il  gruppo  di  un  giovane  nudo, 
con  il  timpano,  davanti  a  un  giovane  ammantato  :  tra  i  due  un  corno  potorio  ; 

3)  kylix,  in  parte  mancante  (diam.  0,245).  Nell'interno  un  Sileno  danzante  con 
grosso  tirso,  davanti  a  un  uccello:  il  quale  è  di  tipo  già  noto  nell'arte  falisca  (3). 
All'esterno  di  ogni  lato,  giovane  nudo  in  conversazione  con  donna; 

4)  frammento  di  kylix  (fig.  33)  che  mostra  nell'interno  un  giovane  completa- 
mente nudo  con  scarpette  ai  piedi,  che  siede  su  un  delfino  il  quale  nuota  nel  mare,  come 
si  vede  dai  pesci  rappresentati.  Il  giovane  tiene  nella  sinistra  una  grande  anfora.  Di- 
segno un  po'  tirato  via  ;  notevole  però  la  rappresentazione  degli  animali.  Il  delfino  lo 
troviamo  dell'  identico  tipo  nell'oinochoe  di  Rignano  Flaminio  che  or  ora  ho  citato  ; 
i  pesci  (una  razza,  una  triglia,  e,  pare,  un  polpo)  sono  gli  stessi  dei  caratteristici  piatti 
per  pesce  dell'Italia  Meridionale.  Noto  infine  che  una  rappresentazione  quasi  identica 
è  in  una  coppa,  ancora  inedita,  trovata  recentemente  presso  S.  Oreste  e  acquistata  per 
il  museo  di  Villa  Giulia  (<).  L'esterno  è  quasi  tutto  mancante  ;  ma  dalle  tracce  si  vede 
che  doveva  avere  il  solito  gruppo,  come  le  kylikes  precedenti; 

5)  frammenti  di  altri  vasi  falisci,  tra  i  quali  uno  skyphos  con  testa  di  profilo  ; 

6)  piattello  su  piede,  del  tipo  di  quelli  che  ordinariamente  hanno  una  testa 
femminile  di  profilo  :  qui  invece  c'è  una  croce. 

B)  Ceramica  etrusco-campana: 
1)  una  finissima  kylix  a  vernice  nera  (diam.  0,10)  con  in  fondo  6  palmette 
incise; 

(0  Noi.  scavi,  1916,  p.  59,  fig.  14. 
(•)  Not.  scavi,  1914,  p.  273,  fig.  10. 

(3)  per  es.  Not.  scavi  1914,  fig.  9  (Rignano  Flaminio). 

(4)  Cfr.  pure  la  Lasa  su  delfino  rappresentata  su  un  vaso  del  Museo  di  Volterra  (Albizzati, 
in  ser.  cit..  Som.  Milt.,  XXX,  p.  165,  fig.  17). 


VIGNANELI.0 


—  221  — 


REGIONE    VII. 


2)  una  tazza  emisferica  con  incise  nel  centro  quattro  palmette; 

3)  due  tazzine  (diam.  0,095  e  0,075),  pure  verniciate  di  nero; 

4)  una  coppa  su  alto  piede  (diam.  0,125)  e  frammenti  varii. 

C)  Cinque  dei  soliti  piattelli  di  terra  gialla  o  rossastra. 

D)  La  parte  inferiore  di  un  poetilo  della  ceramica  imitante  i  metalli. 

E)  Una  piastrina  di  bronzo,  ornamento  di  mobile,  e  una  cuspide  di  lancia, 
di  ferro. 


Fio.  33. 


Anche  questa  tomba,  notevole  per  le  belle  coppe  falische,  ha  il  pregio   di  avere 
materiale  di  una  sola  età,  IV-ITI  sec.  av.  Cr. 


* 
*  * 


Tomba  XVI  (10°  del  giorn.  di  scavo,  p.  241-244;  fu  esplorata  il  15  giu- 
gno 1915).  — Fu  scoperta  all'estremità  orientale  della  Cupa,  a  più  di  HO  m.  dalla 
precedente  (vedi  pianta  dello  scavo  tav.  Ili)  ;  era  tutta  sfaldata  e  in  parte  lesionata. 
La  porta  si  apre  sulla  destra  della  camera  la  quale  misura  nella  parete  d'ingresso 
e  nell'opposta  m.  3,30  ;  nelle  laterali  m.  3,25  e  2,80  (fig.  34).  Ogni  parete  presenta 
loculi;  in  quella  opposta  all'entrata  tre  sovrapposti,  in  quella  a  sinistra  due  sol- 
tanto (fig.  35).  La  parete  a  destra  poi  è  di  forma  notevole,  perchè  tutta  la  parte 
mediana  fu  isolata  con  lo  scavo  di  due  profondi  tagli  laterali,  larghi  70  e  80  cm. 
e  profondi  altrettanto  (fig.  36).  Tale  parte  mediana  presenta  scavati  tre  grandi  loculi, 
il  superiore  dei  quali  porta  una  decorazione  di  gambe  di  kline.  Siccome  il  loculo  infe- 


ftEGIONE    VII. 


—   225 


VIGNANKLLO 


riore  finisce  sotto  il  livello  del  pavimento,  vi  fu  scavata  davanti  una  fossa  profonda 
m.  0,30  e  larga  m.  0,70;  un'altra  identica  fossa  fu  scavata  nella  destra  della  parete  di 
fondo  (v.  fig.  34). 


**éMi 


wzmtfMwwww 


:..J 


Fio.  34. 


Tutti  i  loculi  o  erano  vuoti  o  contenevano  i  soli  avanzi  dello  scheletro,  senza  alcun 
oggetto.  Tra  la  terra  però  furono  trovati  alcuni  frammenti  di  vasi  locali,  e  un  fram- 
mento di  anforetta  di  vetro  azzurro. 


■ss*  '*tx\K     "il 


Fig.  35. 


Fig.  36. 


* 
*  * 


Term'nata  la  descrizione  delle  tombe,  devo  ricordare  che  nei  saggi  fatti  nella  Cupa 
furono  trovate  molte  camere  semidistrutte;  come  già  notai  nella  prima  relazione  ('): 
grandiose  camere  erano  dove  poi  passò  la  nuova  strada,  e  i  loro  resti  si  intravvedono 
anche  nella  tav.  IV-a  ;  un'altra  tomba  devastata  fu  trovata  tra  la  I  e  la  II  e  così  pure 
una  tra  la  VII  e  l'VIII.  Un'altra  ancora  presso  la  tomba  XV.  Ma,  come  si  vede  nella 
pianta  generale  dello  scavo  (tav.  Ili),  il  più  gran  numero  fu  rinvenuto  nelle  immediate 
vicinanze  della  tomba  XIV;  ne  sono  state  infatti  determinate  sette.  Non  è  il  caso 
di  soffermarci  più  a  lungo  su  esse,  che  dimostrano  solo  l'importanza  della  necropoli, 


(')  Not.  scavi,  1916,  fig.  1. 
Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI. 


29 


VIGNANELLO 


-   226  — 


REGIONE   Vii. 


confermata  dalle  camere  sotto  il  moderno  paese,  le  più  ora  adoperate  come  cantine. 
E  certo  molte  ancora  devono  restarne  nei  punti  di  più  difficile  accesso  della  Cupa, 
tanto  da  render  desiderabile  che  gli  scavi  possano  venirvi  presto  ripresi. 

Il  Magliulo  fece,  per  quanto  i  mezzi  e  il  tempo  glielo  permisero,  molti  saggi  nella 
Cupa  e  gli  parve  di  rinvenire  indubbie  tracce  di  un'antica  via,  in  parte  tagliata  nella 
roccia,  ai  piedi  della  scarpata  nella  quale  si  aprono  i  tramiti  delle  tombe;  una  via,  del 
resto,  è  verisimile  in  quel  punto  per  lo  svolgersi  delle  pompe  funebri,  che  sappiamo  in 
territorio  etrusco  così  notevoli. 


A 


/-'1  ''l* r  Aia/  J&$^^?m3SS£Mto3r*- '■■■■  ,vCl   "\   ^jS 


mi:::  q  r* 


-■■Vyi 


In  successive  ricerche  nell'estate  1915  il  Magliulo  scavò  sulle  pendici  della  Cupa 
dietro  la  tomba  XIV  e  rinvenne,  sotto  un  grande  tumulo  di  terra,  un  muro  formato 
di  grossi  blocchi  di  tufo  che,  più  o  meno  conservato,  continuava  per  una  ventina  di  metri 
(vedi  tav.  Ili  e  fig.  37).  Questo,  muro  che  indico  nella  pianta  con  la  lettera  F,  posava  , 
sulla  roccia  vergine,  che  in  alcuni  punti  era  essa  stessa  tagliata  verticalmente  e 
aveva  ai  piedi  una  cunetta  per  lo  scolo  dell'acqua.  In  un  punto  la  cunetta  era 
interrotta  da  un  pozzetto  di  forma  rettangolare  (m.  1,70  X  0,75),  profondo  m.  1,65 
e  trovato  perfettamente  vuoto.  Per  accertarsi  che  non  si  trattasse  di  un  edilìzio,  fu- 
rono fatti  saggi  avanti  ;  ma  ne  risultò  che  la  roccia  scendeva  rapidamente  in  dire- 
zione del  fosso  della  valletta.  Mi  pare  dunque  che  tale  muro  avesse  una  funzione 
puramente  di  sostegno  della  scarpata,  sia  per  difendere  dalle  frane  le  tombe  sottostanti, 
sia  anche  in  rapporto  con  la  strada  della  quale  si  sono  scoperte  tracce. 


* 
*  * 


Tornando  alla  visione  d'insieme  della  necropoli,  a  Vignanello  furono  trovati  indizi 
di  tombe  a  pozzo  e,  se  non  fu  rinvenuta  nessuna  tomba  a  fossa,  tra  gli  oggetti  spo- 
radici, si  trovò  negli  scavi  l' anforetta  (mancante  del  collo  e  di  un'  ansa)  che  pubblico 


REGIONE   VII  997 

_  ii(  _  VIGNANELLO 


alla  fig.  38  e  che  è  del  tipo  caratteristico  delle  tombe  a  fossa.  Le  tombe  a  camera 
esplorate  sono  sedici,  e  di  altre  12  furono  trovate  sicure  tracce  ;  calcolando  ad  altret- 
tante almeno  le  tombe  devastate  sotto  il  moderno  paese,  abbiamo  una  notevole  serie. 
Delle  sedici  esplorate,  la  tomba  più  importante  resta  sempre,  architettonicamente  par- 
lando, la  II,  concepita  regolarmente  con  la  bella  colonna  tuscanica  nel  mezzo  ;  la  più 
usata,  con  ben  30  loculi,  la  III.  Tutte  del  resto  sono  di  tipo  costante,  una  camera  cioè 
quadrangolare,  a  pianta  trapezoidale,  dove  si  entra  per  una  piccola  porta,  alla  quale 
conduce  un  tramite  ;  i  lati  vanno  tra  i  m.  5,50  e  2,50  ;  le  più  grandi  sono  la  tomba 
della  colonna  (II),  quella  delle  iscrizioni  (VIII)  e  la  decorata  (IX)  ;  le  più  piccole  la 


Fig.  38. 


XIII  e  la  XIV.  Notevole  la  presenza,  nella  tomba  V,  di  due  letti  funebri;  nella  VI  e  XI 
di  uno  accostato  alla  parete  a  sinistra  entrando;  mentre  talvolta,  come  nelle  IV  e  VI 
(parete  destra),  si  incontrano  loculi  grandi  e  alti,  bisomi,  e  nella  Vili  un  grande  loculo 
fu  scavato,  come  vedemmo,  per  introdurvi  evidentemente  un  letto  funebre.  Nella  XVI 
tutta  la  parte  media  della  parete  destra  fu  resa  sporgente,  mediante  lo  scavo  di  due  grandi 
tagli  ai  lati.  In  parecchie  tombe,  come  nella  parete  destra  della  IX,  una  parete  non  fu 
occupata  da  loculi  :  quasi  in  tutte,  in  una  o  nell'altra  parete,  c'era  ancora  posto  per  uno 
o  due  loculi:  pare  quindi  che  i  loculi  non  fossero  preparati  al  momento  dello  scavo  pri- 
mitivo della  tomba,  ma  a  mano  a  mano  che  se  ne  presentava  il  bisogno.  Nella  tomba  II, 
sia  che  si  preparassero  al  principio,  sia  che  si  volesse  seguire  un  ordine  regolare,  i  loculi 
furono  ricavati  a  due  a  due  in  ciascuna  parete  nella  parte  più  alta.  Ma  anche  qui  la 
parete  destra  fu  deturpata  da  tre  loculi  posteriori  ;  come  evidentemente  posteriori 
sono  quelli  scavati  entro  o  avanti  le  banchine  in  forma  di  letto  funebre.  Del  resto  il 
pilastro  di  rinforzo,  messo  nella  tomba  XII,  coprendo  l'apertura  di  un  loculo,  mostra 
che  le  tombe  venivano  non  solo  riaperte,  ma  restaurate  in  occasione  di  nuovi  seppel- 
limenti. Normalmente  però  erano  ermeticamente  chiuse,  come  dimostrano  le  lastre  di 
tufo  messe  nel  vano  della  porta. 


VIGNANELLO 


—  228  — 


REGIONE   VII. 


1  t 

s    s 

-S 

M 

M 

>i 

;  *  s  5  » 

?  s  5  »  S 

1^    O     X  _ 


Della  tombe  scavate,  solo  la  XVI  ha  ma- 
teriale omogeneo  della  prima  metà  del  VI  sec.  ; 
e  l'VIII  e  la  XV  paiono,  dai  vasi  trovati,  avere 
solo  seppellimenti  del  IV-III  secolo.  In  tutte  le 
altre  abbiamo  una  fase  arcaica  (dalla  proto- 
corinzia all'attica  del  secolo  V)  e  una  fase  fa- 
lisca  (IV-III  sec.)  con  la  solita  estrema  povertà 
di  trovamenti  per  il  periodo  450-300  av.  Cr. 
Ne  viene  di  conseguenza  che  le  tombe  nel  loro 
insieme  architettonico  devono  essere  opera  del 
VI  secolo,  come  confermano  la  forma  della 
colonna  tuscanica  (tomba  II)  e  le  gambe  delle 
klinai  scolpite  nella  roccia.  Perciò,  nella  grande 
penuria  di  tombe  a  camera  del  territorio  fa- 
lisco  che  siano  scientificamente  studiate,  queste 
di  Vignanello  acquistano  una  notevole  im- 
portanza. 

* 

*    He 

Cavo  I.  Nel  ripiano  superiore  al  muro 
presso  la  tomba  XIV  fu  trovato  (giorn.  di  scavo, 
p.  105)  un  doppio  cavo,  che  indico  con  la  let- 
tera I,  nel  quale  le  due  parti  erano  separate 
da  un  tramezzo  di  tufo  di  m.  0,35,  e  profonda 
ciascuna  m.  1,30.  Nel  punto  di  divisione  una 
vaschetta  circolare  di  m.  0,95  di  diametro  e 
m.  0,15  di  profondità.  Uno  dei  cavi  aveva  la 
volta  sprofondata.  In  esso  frammenti  fittili 
romani,  tra  i  quali  metà  di  una  rozza  oinochoe 
(n.  inv.  43648)  e  di  un'anfora  (n.  43649). 

*  * 

Con  questo  siamo  giunti  sul  ciglio  della 
rupe  del  Molesino,  sul  quale  era  il  centro  abi- 
tato. Tutti  gli  avanzi  scoperti  lo  confermano; 
e  quando  il  Magliulo  pei  cavi  rinvenuti  parla 
di  tombe  completamente  devastate  e  esplorate, 
evidentemente  sbaglia.  Dall'esame  di  essi  mi 
son  convinto  trattarsi  di  cavità  come  quelle 
rinvenute  nel  centro  abitato  che  scavai  ad 
Ischia  di  Castro  (')  le  quali  sono  indizio  di 
capanne  e  di  magazzini.  E,  come  vedremo,  nu- 
merosissimi erano  i  pozzetti.  Tale  centro  abitato 

(•)  Notizie  d.  team,  1913,  p.  383  segg.,  fig.  1. 


REGIONE   Vii. 


229  — 


VIGNANELLO 


occupava  la  sommità  del  colle,  del  quale  già  diedi  cenno  nella  relazione  del  1913.  Nel- 
l'ultima esplorazione  del  1921,  come  dirò  a  suo  luogo,  fu  rinvenuta  parte  del  muro  evi- 
dentemente di  difesa  che  sbarrava  l'accesso  al  colle  dalla  parte  di  occidente  (tav.  Ili, 
lettera  S):  il  luogo  era,  del  resto,  da  se  sufficientemente  forte,  come  dimostrala  sezione 
del  colle  stesso  da  N  a  S  (secondo  la  linea  segnata  nella  tav.  Ili),  che  do  nella  figura  39. 
Vediamo  che  esso  è  compreso  tra  due  vallette  e  che  il  pianoro,  traversato  ora  in  trincea 


Fio.  40. 

dalla  vecchia  via  Vignanello-Vallerano,  è  largo  circa  120  metri.  A  mezzogiorno  era  la  ne- 
cropoli ;  la  valle  a  settentrione  non  è  stata  ancora  esplorata  ;  noterò  che  a  mezza  costa 
vi  sono  ampie  grotte  scavate,  o  almeno  adattate  dalla  mano  dell'uomo.  Sul  ciglio  sono 
muri,  che,  mentre  dovettero  far  ufficio  di  consolidamento,  sono  indizi  di  antichi  edilìzi. 
Tra  questi  noto  particolarmente  quelli  a  settentrione  (R)  dei  quali  parleremo  tra  poco, 
perchè  sono  addossati  a  un  vero  banco  di  terra.  È  probabile  che  in  tempo  antichissimo  la 
sommità  del  colle  sia  stata  livellata  e  che  della  terra  sia  stata  gettata  sulle  pendici  setten- 
trionali, in  modo  che  i  muri  hanno  come  primo  officio  quello  di  servire  all'ampliamento 
della  superfìcie  del  colle  stesso,  uso  del  quale  ci  ha  lasciato  un  insigne  esempio  l'Acropoli 

di  Atene. 

* 
*  * 

Costruzione  C.  Essa  fu  già  segnata  nella  pianta  parziale  data  nel  1913  (')  e  se 
ne  accennò  allora  a  pag.  84,  dando  la  riproduzione  di  un  interessante  frammento 
di  vaso  attico  a  figura  rossa  col  nome  di  Glauco.  Ora  presento  la  pianta  (fig.  40)  con 


(«)  Not.  scavi,  1916,  fig.  1  ;  p.  84,  fig.  47. 


VIGNANELLO 


—   230  — 


REGIONE   VII. 


le  due  sezioni  (AB,  fig.  41  e  CD  fig.  42),  nonché  una  bella  fotografia  dell'insieme 
(fig.  43),  al  fine  di  conservare  il  ricordo  di  questo  modesto  rudero.  Scoperto  il  30 
settembre  1923  (giom.  di  scavo,  p.  49),  è  una  piccola  platea  di  tufi  squadrati  piantati 


Fio.  41. 


sul  terreno  vergine,  notevole  specialmente  per  la  vaschetta  o  collettore  di  forma  ret- 
tangolare (m.  1,10  X  0,56  con  una  profondità  di  m.  1,32),  dove  sembra  abbia  avuto 


~*P« 


Fio/  42. 


principio  una  apertura  di  cunicolo.  Anche  nella  vicina  costruzione  di  blocchi  è  una 
piccola  vaschetta  (lato  0,50;  profondità  0,70).  L'insieme  dette  molti  frammenti  di 
tegole  e  di  vasi  generalmente  tardi,  tra  i  quali  appunto  il  frammento  attico  ricordato. 
Muri  D.  A  occidente  di  esso  (indicati  in  pianta  con  la  lettera  D)  due  muri  di 
parallelepipedi  di  tufo  che  si  incontrano  ad  angolo  retto. 


* 


Fondazioni  H.  Dalla  parte  opposta,  sul  versante  settentrionale,  furono  tro- 
vate sul  ciglio  del  colle  vaste  fondazioni  (indicate  con  la  lettera  R),  delle  quali  dò  la 
pianta  (fig.  44),  la  sezione  (figura  45)  e  una  fotografia  (fig.  46). 


tó6Ì0^   VIL  -   231   -  VIGNARLO 


Come  si  vede  dalla  sezione,  tali  fondazioni  sono  addossate  al  colle  che  s'innalza  di 
circa  4  m.  su  esse  ;  la  parte  interna  consiste  in  un  muro  lungo  m.  7,50,  al  quale  s'inne- 
stano verso  il  colle  due  altri  ad  esso  normali,  lunghi  m.  6,30  e  4,  in  modo  da  formare 
la  fondazione  di  un  edifizio  quasi  quadrato.  Dalla  parte  occidentale  s'innesta  un  altro 
muro,  parallelo  al  primo  e  lungo  m.  6.  Davanti  corre  un'altra  serie  di  blocchi  a  linea 
spezzata,  della  lunghezza  totale  di  m.  16,50,  linea  che  ha  una  sporgenza  di  m.  2,60  in  cor- 
rispondenza del  muro  traversale  più  orientale.  Tra  la  prima  e  la  seconda  serie  di  bloc- 


Fig.  43. 


chi  resta  quindi  un  corridoio  largo  m.  0,90,  a  metà  del  quale  si  osserva  nella  serie 
esterna  la  soglia  di  una  porta  di  accesso,  che  assai  bene  si  vede  nella  fotografia  (fig.  46). 
I  blocchi  sono  generalmente  su  due  file  e  sono  lavorati  con  una  certa  cura. 

Le  esplorazioni  per  mezzo  di  cinque  trincee  (v.  tav.  Ili)  furono  continuate  verso 
occidente  e  portarono  alla  constatazione  che  le  costruzioni  continuano  per  circa  70 
metri  dello  stesso  tipo  e  nella  stessa  direzione. 

Abbiamo  resti  di  un  sistema  di  fortificazione  con  opere  sporgenti,  quasi  vere  torri, 
oppure  qualche  edifizio  pubblico  (magazzino?)  addossato  alla  collina?  I  ruderi  sono 
troppo  miseri  per  decidere  al  riguardo;  probabilmente  le  costruzioni  avevano  l'uno 
e  l'altro  ufficio,  essendo  ben  noto  che  sin  dagli  antichissimi  esempi  di  costruzione, 
come  a  Tirinto,  spesso  i  due  scopi  erano  contemperati. 

Ritengo  che  siano  avvenuti  in  questo  luogo  (il  giornale  di  scavo  qui  non  è 
chiaro)  i  travamenti  fatti  alla  fine  di  luglio  1914  (giornale  di  scavo,  pp.  106-107)  e 
precisamente  : 


VlGNANELLO 


—   232   — 


REGIONE   VII. 


1)  (n.  43650)  frammenti  di  una  kylix  a  figure  rosse  di  stile  severo  (fig.  47).  Nel- 
la 

t 


il  metri 


Fio.  44. 


l'interno  è  un  Satiro  itifallico.  Nell'esterno  :  A)  parte  inferiore  di  una  grande  figura 
seduta,  avvolta  nell'himation,  che  deve  essere  Dionysos,  verso  la  quale  un  Sileno 


MANO     OCL    MOLCSINQ 


s=*M  iii*»'*^'1  il  ■■■:■!*■  ~\ 


JyJ       ■«  I 


Fin.  46. 

spinge  un  quadrupede  (forse  un  mulo  itifallico).  B)  scena  di  combattimento.  Questa 
kylix  è  assai  bella  sia  per  il  tipo  caratteristico  nelle  scene  dionisiache  ('),  sia  per 
l'arte.  Noto  l'ardito  scorcio  della  figura  del  Sileno. 

(')  Giunge  perfino  nell'arte  etnisca  del  IV  secolo,  come  nel  cratere  di  Trieste  (Giglioli.  Cratere 
ttrusco  del  Museo  Civico  di  Trieste,  in  ausonio,  X,  1921,  p.  93,  fig.  4). 


REGIONE   VII. 


233 


VIGNANELLO 


2)  piccolissimo  infundibolo  (43.651)  di  bucchero; 

3)  due  «  pesi  da  telaio  »  di  terracotta,  uno  con  una  croce  incisa  da  una  parte, 
più  una  quantità  di  frammenti  di  vasi  e  un  grande  scarico  di  tegole  e  coppi. 


Fio.  40. 


*   * 


Venendo  alla  parte  centrale  dello  scavo  nell'abitato,  a  nord  della  strada  Vignanello- 
Vallerano,  ricorderò  che  le  ricerche  si  svolsero  tra  le  più  grandi  difficoltà,  per  il  forte 
interro  e  specialmente  per  essere  il  terreno  coltivato  a  vigna,  che  non  si  volle  dan- 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  30 


VÌGNANEUO 


—  234  — 


REGIONE   VII. 


neggiare.  Dalla  pianta  (tav.  Ili  e  fig.  48)  si  vede  che  furono  ritrovati  parecchi  cavi,  più 
o  meno  profondi,  i  quali  davano  tegole,  blocchi  di  tufo  e  frammenti  di  fittili.  Tra  questi 
trovamenti,  sono  apparsi  quattro  insiemi  che  designerò  con  le  lettere  L,  M,  N,  P. 

Pozzo  rivestito  (L).  A  circa  15  metri  a  nord  della  via  moderna,  fu  scavato  nel- 
l'agosto 1914  (giorn.  di  scavo  p.  117).  È  a  forma  di  tronco  di  cono  (fig.  49),  con  un  dia- 


Fio.  47. 


metro  alla  bocca  di  m.  3,95  p  profondo  m.  4,93.  Le  sue  pareti  sono  rivestite,  fino  al 
fondo,  di  parallelepipedi  di  tufo  grigiastro  (cappellaccio).  La  fotografia  mostra  come  il 
lavoro  sia  irregolare,  ma,  nell'insieme,  piuttosto  accurato.  Il  pozzo  fu  trovato  colmo 
di  terra,  nella  quale  erano  pezzi  di  tegole,  qualche  frammento  di  vasi  locali,  ma  special- 
mente blocchi  lavorati,  appartenenti  a  un  edifizio  rovinato  dall'incendio,  perchè  quasi 
tutti  con  evidenti  tracce  di  bruciatura.  Una  parte  di  essi  quindi,  molto  probabilmente, 
fu  gettata  in  quel  pozzo,  appartenendo  forse  all'edifizio  le  cui  fondamenta  furono 
trovate  in  I'  ;  ma  alcuni  devono  aver  costituito  gli  ordini  superiori  del  rivestimento  del 
pozzo  stesso,  il  quale  alla  profondità  di  ni.  4,50  si  riempì  naturalmente  di  un  po'  di 
acqua,  per  il  riallacciamento  di  parte  delle  polle  naturali.  La  grandezza  e  il  completo 


REGIONE   VII.  235  


VIGNANELLO 


rivestimento  ci  rivelano  un  pozzo  evidentemente  pubblico  e  che  anche  per  la  sua  posi- 
zione ci  indica  forse  il  centro  dell'abitato. 
Oggetti  rinvenuti  (n.  inv.  43697-43702)  : 

1)  «  Peso  da  telaio  »  con  foro  (altezza  m.  0,095)  ; 

2)  piccolissimi,  frammento  fittile  (di  fregio?)  (altezza  0,065);  e  poculuin  d'im- 
pasto, di  forma  cilindrica  (a.  0,01.7)  : 

31  rozza  oinochoe  d'argilla  giallastra  (altezza  0,23)  ; 

^iisssiiiiiiiiiiii 

:::o  UWll}l 


O 


co 


— ce» 


o 


J 


V 


l 

.? 

hi         & 

•  '        M 

°6    © 
L 

V 


4j   i 

D 


0o  M      o     l     e-     *s    i     n      o 


Fio.  48. 


4)  altri  due  piccolissimi  pocula  d'impasto  scuro,  di  forma  conica  (altezza  0,028); 

5)  olla  arcaica  di  argilla  rossastra,  di  forma  ovoidale,  con  tre  prominenze  coniche 
sotto  l'orlo  (altezza  0,20  ;  diametro  0,12). 

Fondazioni  di  edifizio  (P).  A  nord  del  pozzo  poco  più  di  10  metri, in  succes- 
sive ricerche  dell'estate  1914,  furono  scoperti  due  filari  irregolari  di  blocchi  di  tufo, 
come  in  C  e  in  R.  Presento  la  pianta  di  tali  costruzioni  (fig.  50),  con  due  sezioni  da  N  a  S 
(figure  51  e  52)  ;  da  esse  si  vede  che  trattasi  di  due  costruzioni  parallele,  lunga  quella 
a  sinistra  m.  7,80  e  larga  in  media  80  cm.  ;  lunga  l'altra  m.  14,50  ma  mancante  nella 
parte  mediana.  Verso  settentrione  anzi  accenna  a  estendersi  a  platea.  I  due  filari  sono 
distanti  tra  loro  m.  2,80. 

Come  appare  dalle  sezioni,  posano  sul  vergine  e  sono  in  lento  declivio  verso  il  N. 
Nei  pressi  della  parte  interna  del  muro  a  sinistra  si  apre  l'accesso  a  un  cunicolo,  che,  come 
si  vede  nella  sezione  C-D,  scorre  trasversalmente  nel  tufo  litoide  sottostante. 


VIGNANEU.O 


236  — 


REGIONE   VII. 


Grandi  discussioni  e  speranze  suscitarono  queste  scoperte;  e  in  giornali  quotidiani 
sipario  perfino  di  una  pretesa  scoperta  del  tempio  diVoltumna!  Ciò  fu  motivato  non  solo 
dall'aspetto  delle  fondazioni  ma  dal  ritrovamento  di  un'antefissa  fittile,  di  cui  parlerò 
tra  poco.  Naturalmente,  lasciando  pur  da  parte  le  fantastiche  denominazioni,  che  si  tratti 
di  un  tempio  è  anche  possibile  ;  ma  la  rovina  è  così  miseranda,  che  ogni  affermazione  sa- 


Fig.  49. 


rebbe  arrischiata.  Ciò  tanto  più  che  i  saggi  fatti  nelle  zone  contigue,  tra  i  filari  di  viti, 
hanno  portato  alla  scoperta  di  altre  fondazioni  di  blocchi,  mentre  i  cavi  e  i  pozzi,  così 
numerosi  in  quel  terreno,  hanno  dato  tutti  più  o  meno  blocchi  lavorati.  D'altra  parto 
sappiamo  ormai  che  gli  edifizi  etruschi  sorgevano  di  materia  assai  facilmente  deperibile 
sopra  basse  fondazioni  di  pietra.  Quindi  queste  scoperte  non  ci  possono  se  non  dare  la 
conferma  che  su  quel  pianoro  sorgeva  una  cittadina  ;  ma  nulla  più. 


* 
*  * 


Cavo  N.  Antefissa  arcaica.  Ho  detto  della  scoperta  di  un'antefissa.  Questa 
fu  rinvenuta  il  4  agosto  1914  in  un  grande  cavo,  lungo  m.  S,  largo  m.  2,  a  una 
diecina  di  metri  a  N-0  delle  fondazioni  P,  cavo  che  dette  origine  a  notevolissimi 


REGIONE    VII. 


—    237 


YIGNANEM.0 


travamenti  (fig.  53,  giornale  scavi,  p.  109  e  seguenti;).  Tale  terracotta  (n.  inv.  27403, 
tav.  Vili  ai  è  finora  1'  unico  esemplare  di  antefissa  della  prima  fase  della  decorazione' 
del  tempio  italico,  fiorita  intorno  alla  metà  del   VI  secolo  av.  Cr.  (').  Rappresenta 


Fio.  50. 


una  Gorgone  di  tipo  orrido,  con  l'aspetto  tradizionale  arcaico,  nel  quale  appare 
anche  più  accentuata  la  matta  bestialità.  Trattai  della  Gorgone  etnisca,  illustrando 
le  maravigliose  antefisse  del  tempio  dell'Apollo  a  Veio  (*),   nò  voglio  ora  ripetermi. 

(')  Vedine  cenno  in  A.  Della  Seta,  Museo  V.  Cr.,  p.  130  e  206  e  in  E.  Douglas  van  Buren, 
Figurative  terra-cotta  revetment*  in  F.truria  and  Latium  in  VI  and  V  cent.  b.  Chr.  (1!>21),  p.  8, 
type  VII  (la  Van  Buren  però  data  inesattamente  l'antefissa  nel  V  seeolo).  Essa  è  anclie  men- 
zionata in:  Leopold,  Over  Etrurisehe  Kunst,  in  Mededeelingen  van  het  Nrderlandsch  Hisiorisch 
liìsliluut  te  Rome,  1923,  p.  47. 

(J)  Nat.  d.  scavi,  1922,  p.  206  segg. 


VIGNAMELI,*) 


—   238  — 


REGIONE    VII. 


Noterò  soltanto  che  in  questo  esemplare  abbiamo  la  prima  riproduzione  etnisca,  in 
un'opera  plastica,  del  tipo  ellenico,  che  già  al  principio  del  VI  secolo  ^vaso  Chigi), 
se  non  prima,  era  giunto  in  Etruria,  con  i  prodotti  importati. 

La  nostra  antefissa  rappresenta  la  Gorgone  con  gli  occhi  sbarrati;  il  naso  grosso  e 
rugoso,  la  bocca  larga  con  le  zanne,  la  lingua  sporgente];  orecchie  piatte  e]i  capelli  a  rie-]] 


liuixaquiiujù). 


.  .ilMIITiiliH \W!W?^&^*^<r&^<\\\  aia 


7/i^////.V//// 


o     nhn  1  2 

■  ■■■•'—■' .  l_ 


lox- 


Fia.  6L 


ciolini  stilizzati,  come  tante  rosette.  La  terra  è  di  quell'impasto  rossastro,  assai  duro, 
caratteristico  di  questa  fase,  che  il  Della  Seta  crede  ottenuto  dall'impasto  dell'argilla 
con  materiale  vulcanico.  Una  ricca  policromia,  negli  occhi,  nei  denti,  nella  lingua  mac- 


I     050    < 

Ululimi 


-i 


Fio.  52. 


chiettata,  ravvivava  originariamente  l'antefissa;  ne  restano  chiare  tracce.  Un  confronto 
con  le  antefisse  di  Veio  è  assai  interessante;  là  sono  aggiunti  i  serpenti  e  la  figura  ha  rag- 
giunto la  perfezione  dell'orrido;  qui  il  tipo  è  più  schematico  e  presenta  particolari  somi- 
glianze con  quello  che  comparisce  nei  bronzi  ionico-italici  della  prima  metà  del  VI  secolo, 
come  il  carro  di  Castel  S.  Mariano  e  la  biga  di  Norcia  (episema  dello  scudo),  e  per  i  quali  io 
già  esposi  il  parere  di  condividere  l'opinione  di  coloro  che  li  considerano  prodotti  fatti 
in  Etruria,  sia  pure  sotto  influenza  ionica  (').  Ma,  uscendo  dal  cerchio  dell'arte  etnisca,  il 


(')  Brunn-Bruckmann,  tav.  687  e  688;  Giglioli,  in  Not.  d.  scavi,  1922,  p.  212. 


REGIONE   Vir. 


2!59 


ViriNANEI.LO 


miglior  confronto  si  può  fare  con  ii  colossale  gorgoneion  fittile  del  tempio  ('  di  Selinunte, 
ricostrutto  dal  Cabrici  (');  e  con  esso,  come  con  le  Meduse  siceliote  e  quelle  dipinte  di 


Fig.  53. 


Thermos,  ha  la  caratteristica  che  lo  sviluppo  della  faccia  è  nel  senso  orizzontale,  mentre 

(')  E.  Cabrici,  11  Gorgoneion  fittile  del  tempio  di  Selinunte,  in  Atti  della  ff.  Aecad.  di  seieme 
Mere  e  arti  di  Palermo,  III.  voi.  XI. 


VIGNANELLO 


—  240  —  KEGIONK   VII. 


nella  Gorgone  del  tempio  della  Garitza  a  Corfù  e  nella  testa  dell'Acropoli  di  Atene  la 
forma  è  tondeggiante  e  in  quelle  di  Veio  ha  ripreso  lo  sviluppo  in  senso  verticale  della 
faccia  umana.  Con  l'acroterio  Selinuntino  e  la  Gorgone  di  Siracusa,  la  nostra  ha 
particolare  somiglianza  per  la  caratteristica  solcatura  orizzontale  del  naso.  Altra 
interessante  prova  di  quei  rapporti  tra  l'arte  etnisca  più  arcaica  e  l'arte  siceliota,  che 
sempre  più  si  intravvedono. 

Già  ricordai  che  questa  antefissa,  la  quale  colmava  il  semicerchio  della  bocca  del 
coppo,  appartiene  alla  prima  fase  della  decorazione  del  tempio  italico,  dove,  se  gene- 
ralmente (Velletri,  Pitigliano)  troviamo  una  linea  laterale,  formata  di  una  fascia  bac- 
cellata  interrotta  da  colato]  a  forma  di  protome  felina,  viene  così  ad  aversi  la  con- 
ferma che  già  allora  esistesse  il  tipo  a  antefisse  e  antepagmenta.  Ora  è  notevole 
che  a  Vignanello,  negli  scavi  del  1010,  sia  stata  trovata  la  lastrina  di  terracotta  che 
pubblicai  nella  prima  relazione  (')  riconoscendone  l'alta  antichità.  La  mia  datazione 
alla  metà  del  VI  secolo  fu  confermata  dal  Della  Seta  e  dalla  Van  Buren  (2).  Come 
nA  rilievo  del  lapis  nigc-r  al  Foro,  trattasi  di  decorazioni  di  mutuli.  Per  stile  e  per 
dimensioni  la  lastrina  e  l'antefissa  di  Vignanello  jsi  possono  benissimo  considerare 
appartenenti  alla  decorazione  di  un  tempietto  arcaicissimo,  probabilmente  già  in 
antico  distrutto.  Ho  già  detto  della  difficoltà  a  determinare  se  le  fondazioni  trovate 
in  P  siano  resti  appunto  di  un  tempio.  Aggiungo,  ora,  che,  se  ciò  non  può  escludersi, 
la  mancanza  di  mura  trasversali  e  l'apertura  di  accesso  al  cunicolo  fanno  piuttosto 
pensare  alle  facciate  esterne  di  due  costruzioni  indipendenti  tra  loro. 

11  cavo  N  termina  all'estremità  occidentale  con  un  grande  pozzo  circolare  del  dia- 
metro di  m.  1,95  e  profondo  m.  7,30.  Fu  trovato  ricolmo  di  blocchi  di  tufo,  tegole  e  fit- 
tili di  cui  poi  parleremo.  Nel  fondo  si  apre  un  cunicolo  di  scolo,  largo  m.  0,50,  in  dire- 
zione orientale.  II  cavo  stesso  ha  nel  mezzo  conio  due  larghi  scalini,  a  destra  e  a  sinistra 
dei  quali  furono  sepolti  in  sarcofaghetti  tre  bambini  ;  due  a  destra,  guardando  il  pozzo 
e  li  indicheremo  con  le  lettere  A  e  B,  e  il  terzo  (C)  a  sinistra.  A  destra  lastre  di  tufo 
cingono  le  due  tombe  dalla  parte  degli  scalini  (fig.  54). 

Sarcofago  A.  Di  nenfro,  di  forma  rettangolare,  lungo  m.  0,90  e  largo  m.  0,43  ; 
rialzo  per  posare  la  testa.  Chiuso  da  coperchio  a  doppio  spiovente  (fig.  53).  Rottosi 
nel  rimuoverlo,  non  fu  potuto  conservare. 

Conteneva  mota  nella  quale  non  fu  trovata  traccia  dello  scheletro.  All'altezza 
della  mano  destra  era  un  vasetto  protocorinzio  a  forma  di  cerbiatto  accovacciato, 
di  color  giallo,  punteggiato  di  bruno  con  la  testina  mobile  che  fa  da  coperchio  (lun- 
ghezza ni.  0,10  ;  tav.  X  a,  a  destra).  Per  compiere  il  suo  ufficio,  la  testa-coperchio 
termina  inferiormente  in  una  punta  che  s'introduce  nel  collo  dell'animale  (3). 

(»)  Not.  scavi,  1916,  p.  86,  fig.  46  ;  Della  Seta,  V.  O.,  (1018),  p.  206,  n.  26280. 

(*)  E.  Douglas  van  Buren,  op.  cit.,  tav.  XXI,  2;  Giglinli,  Ritrovamenti  sporadici  di  Veto, 
in  Not.  scavi.  1923,  p.  169. 

(3)  Cfr.  Cabrici,  Cuma,  in  Monuin.  IAncei,  voi.  XXI,  tav.  LXXI,  5;  Albicati,  Vani  antichi  di- 
pinti del  Vaticano,  fase.  I  (1924)  tav.  IX  116  ;  ma  specialmente  Not.  degli  scavi,  1894,  p.  346,  fig.  13, 
(=  Montelius,  Civil.  primitive  en  Italie,  II,  tav.  203,  11,  pag.  916)  che  presenta  un  esemplare 
simile  trovato,  insieme  con  una  magnifica  serie  di  vasetti  a  forma  di  animale  e  con  un  vasetto  a 


REGIONE    VII. 


241  — 


VIGNANE1.LO 


Esternamente  nella  parte  anteriore  del  sarcofago  si  rinvennero  : 

1)  bombylios  d'impasto,  fusiforme,   striato  (lunghezza   m.    0,22);    tav.   X  a, 
C°  da  sin.); 

2)  vasetto  d'impasto  formato  di  tre  ollette  a  bulla,  munite  di  coperchio.  Ciascuna 
olletta  è  alta  m.  0,05  col  diametro  di  m.  0,03  (tav.  X  l)  ; 


Fio.  54. 


3)  due  ollette  di  impasto  rossastro,  di  forma  ovoidale  (altezza  m.  0,08;  diametro 
m.  0,07);  una  delle  due  conteneva  un  cucchiaino  di  bronzo,  lungo  m.  0,10  ; 

4)  vasetto  raffigurante  un  cerbiatto  accovacciato,  di  color  giallo,  punteggiato  di 
nero  (lunghezza  m.  0,10),  mancante  della  testa; 

5)  altro  vasetto  simile,  più  piccolo  (lunghezza  m.  0,085)  ; 

6)  piccolissima  olpc  di  bucchero  (altezza  m.  0,04  ;  tav.  X  a,  1°  da  sin.)  ; 

7)  oinochoe  di  bucchero,  con  corpo  sferico  e  orlo  trilobato  (altezza  m.  0,08; 
tav.  X  a,  4°  da  sin.)  ; 


forma  di  testa  di  guerriero  con  elmo.  11  Paribeni,  trattando  dei  vasi  del  tipo  di  quest'ultimo, 
data  le  tombe  nella  seconda  metà  del  VII  secolo  (R.  Paribeni,  Vasi  inediti  del  Museo  Kirkeriano, 
in  Monum.  Lincei,  XIV,  col.  11).  La  tomba  descritta  nelle  Notizie  fu  trovata  a  Vetulonia  e  ha  il 
nome  di  tumulo  del  Figulo. 


Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI. 


31 


VIGNANELLO 


242   —  REGIONE   VII. 


8)  kantharos  di  bucchero  su  alto  piede  (altezza  m.  0,15  ;   diametro  m.  0,11  ; 
tav.  X  a,  2°  da  sin.);,  esso  conteneva: 

9)  infundibulum  di  bucchero,  con  anse  ed  occhiello  (altezza  m.  0,04  ;  tav.  X  a, 
3°  da  sin.)  che  a  sua  volta  conteneva  : 

10)  frammento  di  una  bulla  di  sottile  lamina  nera  ; 

12)  vasetto  lenticolare  di  stile  corinzio  (tav.  X  a,  5°  da  sin.)  con  decorazione 
di  ocarelle  graffite  e  dipinte; 

13)  piccolo  frammento  informe  di  ferro  ; 

14)  olletta  a  bulla,  di  impasto  nero. 

Segnalo  questo  grazioso  corredo  di  tomba  infantile,  nel  quale  la  pietà  dei  parenti 
ha  riunito  vasetti  di  piccole  dimensioni  e  ben  tre  di  quei  graziosi  vasetti  protocorinzi  a 
forma  di  animale  (')  che  sono  abbastanza  comuni  nelle  necropoli  arcaiche  d'Italia; 
vasetti  i  quali,  se  pure  ebbero  originariamente  altro  uso,  potevano  divenire,  in  mani 
infantili,  veri  e  propri  giocattoli.  La  suppellettile  evidentemente  forma  un  insieme;  nel 
quale  notevole  il  vasetto  composto  di  tre  ollette,  che  ha  la  stessa  forma  del  vaso  trovato 
a  Roma,  con  la  celebre  iscrizione  di  Duenos  (2),  e  di  un  altro  scoperto  dal  Mengarelli  alla 
Caracupa  presso  Castelgiubileo  e  ora  al  Museo  Preistorico  di  Roma(3).  Senza  toccare  la 
questione  della  datazione  di  questi  vasi,  certo  la  tomba  di  Vignanello,  che  presenta  un 
carattere  così  omogeneo  deve  essere  di  data  intorno  al  600  av.  Cr.  L'opera  della  Maxi- 
mova,  sui  vasi  antichi  in  forma  di  figura,  pubblicata  nel  1916,  non  mi  è  stata  acces- 
sibile. 

Sarcofago  B.  Anche  esso  di  nenfro,  era  rivolto  in  senso  opposto  al  primo  (fig.  55) 
Pur  essendo  sostanzialmente  della  stessa  forma,  aveva  pianta  trapezoidale,  con  basi  di 
m.  0,42  e  0,35  e  lunghezza  di  0.70.  Dello  scheletrino  nessuna  traccia  ;  il  sarcofago  ap- 
pariva perfettamente  vuoto.  All'esterno  dalla  parte  della  testa  (caratterizzata  dal  rial- 
zamento nell'interno)  furono  raccolti  aggruppati  i  seguenti  oggetti  : 

1)  olpe  di  bucchero,  a  pareti  sottili  (altezza  m.  0,13  ;  diametro  m.  0,065)  ; 

2)  anforetta  ovoidale  di  bucchero,  con  due  anse  verticali  (altezza  m.  0,11  ;  dia- 
metro m.  0,05)  ; 

3)  olletta  ovoidale,  d'impasto  nerastro  (altezza  m.  0,07  ;  diametro  m.  0,09)  ; 
41  piccola  olpe  di  bucchero  (altezza  m.  0,08  ;  diametro  m.  0,055)  ; 

5)  kantharos  di  bucchero,  su  grosso  piede  (altezza  m.  0,07  ;  diametro  0,10)  ; 

6)  sei  pocula  d'impasto  rossastro,  di  forma  cilindrica  (diametro  m.  0,04)  ; 

7)  due  infundibula  di  bucchero,  uno  cinerino,  uno  nero  (altezza  m.  0,038)  ; 

8)  un'olletta  a  bulla,  d'impasto  rossastro  ; 

9)  frammenti  di  una  piccola  olpe  di  bucchero. 


(')  Il  Cultrcra,  Vasi  dipinti  di  Villa  Giulia,  in  Monum.  Lincei,  XXIV,  1916,  col.  13,  propende 
per  una  fabbricazione  ionica  ;  io  però  li  credo  corinzi,  almeni  i  più.,  col  Ducati  (Ceramica  greca,  II, 
p.  603).  Cfr.  pure  Albizzati,  scritto  citato. 

(*)  C.  I.  L.  1*,  II,  p.  371,  n.  4  (ora  alTAntiquarium  del  Museo  di  Berlino).  Il  Lommatsch,  autore 
della  seconda  edizione  di  questo  volume  del  Corpus,  data  il  vaso  di  Dueno  nel  periodo  dopo  il  350  av.  Cr. 

(3)  Pinza,  in  Monum.  Lincei,  XV,  602. 


REGIONE   VII. 


—   243 


VIGNANELLO 


Sarcofago  C.  Dall'altra  parte  del  cavo  fu  scoperto  un  terzo   sarcofago  simile, 
dove  sono  stati  rinvenuti  aggruppati  i  seguenti  oggetti  : 

1)  olletta  a  bulla,  d'impasto  rossastro,  con  tre  prominenze  coniche  (altezza 
m.  0,11  ;  diametro  m.  0,08)  ; 

2)  altra  olletta  di  forma  ovoidale  (altezza  e  diametro  m.  0,08)  ; 

3)  olletta  ovoidale  d'impasto  scuro  (altezza  m.  0,09,  diametro  m.  0,08)  ; 


<:-i-_-" 


g        usi       tm 

l-  •' 1 1 ...  .1  ....  I 


Fio.  55. 


}  m 


4)  due  ollette  semiovoidali,  d'impasto  scuro  (a'tezza  m.  0,06;  diametro  m.0,07); 

5)  due  piccoli  pocula  d'impasto  scuro  (altezza  m.  0,06  ;  diametro  m.  0,042)  ; 

6)  tre  oinochoai  di  bucchero,  a  corpo  sferico  e  orlo  trilobato  (altezza  m.  0,10). 
Come  si  vede,  pur  non  contenendo  i  vasetti  corinzi,  anche  questi  altri  due  seppel- 
limenti sono  quasi  coevi,  forse  un  poco  più  antichi,  e  prababilmente  si  tratta  di  tre 
bambini  di  una  stessa  famiglia  sepolti  a  non  molti  anni  di  distanza  in  questo  cavo  che 
doveva  essere  nell'orto  che  circondava  la  casetta  avita,  sapendosi  che  anche  in  tempi 
romani  i  bambini  si  seppellivano  presso  la  casa  paterna.  Queste  tombette  qui  sono 
non  un  ostacolo,  ma  una  vera  conferma  alla  conclusione  che  qui  fosse  l'antico  villaggio. 

Colgo  quest'occasione  per  ricordare  un  sarcofaghetto  di  tufo,  trovato  al  Molesino 
in  scavi  anteriori  e  conservato  in  una  stalla,  da  dove  lo  feci  portare  nel  museo  di  Villa 
Giulia  (n.  inv.  44571).  Lunga  m.  0,93  e  larga  m.  0,55  per  0,65  di  altezza,  con  coperchio 
a  doppio  spiovente,  questa  urna  per  bambinello  riproduce  un  arca  di  legno  ;  al- 


VIGNANELLO 


—  244  —  REGIONE   VII. 


trimenti  infatti  non  si  spiegherebbe  la  presenza  non  solo  di  quattro  bassi  piedi,  ma  di 
un'incastonatura  nei  fianchi.  Questo  sarcofaghetto,  che  deve  essere  coevo  ai  tre  indicati, 
conserva  tracce  di  color  rosso. 

Già  dissi  che  il  pozzo  contiguo  fu  trovato  ricolmo  :  i  massi  squadrati  sono  evi- 
dentemente resti  della  fondazione  della  vicina  casa,  la  cui  esistenza  è  provata  anche 
dalle  tegole.  Tra  queste  poi  furono  rinvenuti  interessanti,  ma  miseri  frammenti  di  sta- 
tue arcaiche,  che  paiono  aver  subito  l'azione  del  fuoco  ;  e  precisamente  (n.  inv."  43696)  : 

1)  gamba  di  statua,  di  grandezza  naturale,  conservata  dal  ginocchio   al  mal- 
leolo (lungh.  m.  0,44); 

2)  frammento  della  coscia  della  stessa  statua  (lungh.  m.  0,18)  ; 

3)  frammento  di  altra  coscia  e  di  parti  varie  della  statua.   Questa  è  di  argilla 
rossastra,  piena  ed  eseguita  piuttosto  rozzamente. 


* 

*  * 


Nelle  vicinanze  di  questo  pozzo  il  22  settembre  1914  (giorn.  di  scavo,  p.  137)  ne  fu 
scoperto  un  altro,  ovale  verso  il  fondo  (3,10  X  3  m.),  che  era  profondo  m.  2,75.  Vi 
furono  scoperti  pezzi  di  tegole,  frammenti  di  fittili  e  (n.  inv.  43764-43766). 

1)  rocchetto  da  filo,  di  terracotta  nerastra  (lungh.  0,05)  ; 

2)  parte  posteriore  di  un  vasetto  di  terracotta,  a  forma  di  quadrupede  (lungh. 
m.  0,10)  ; 

3)  frammento  che  pare  di  una  mano  votiva. 


* 
*  * 


Cavo  M  (fig.  55).  Tornando  alla  parte  opposta  dei  muri  P,  a  una  diecina  di 
metri  da  essi  e  dal  pozzo  L  fu  scoperto  in  una  fossetta  trapezoidale  (fig.  55),  dalle 
basi  rispettivamente  di  m.  1,85  e  2,00  e  con  gli  altri  lati  di  m.  1,50  e  1,60,  un 
sarcofaghetto  di  bambino,  identico,  nella  forma  e  nelle  dimensioni,  a  quelli  prece- 
dentemente rinvenuti  (giorn.  di  scavo  p.  121,  del  18  agosto  1914).  Questo  sarcofago 
aveva  una  lunghezza  di  m.  1,15,  una  larghezza  da  capo  e  da  piedi  di  m.  0,48  e  0,45 
e  un'altezza  di  m.  0,40.  Il  coperchio  a  doppio  spiovente.  La  fossa  in  cui  si  trovava 
era  difesa  a  settentrione  da  alcune  lastre  di  tufo.  Il  sarcofago  è  indicato  nella  pianta 
(tav.  Ili  e  fig.  48)  colla  lettera  M;  la  suppellettile  ha  il  n.  d'inv.  dal  43703  al  43718. 
Il  sarcofago  non  conservava  alcuna  traccia  dello  scheletro.  All'altezza  del  petto 
conteneva  : 

1)  quattro  pendaglini  d'ambra,  a  goccia,  avanzo  di  collana: 
All'altezza  delle  braccia: 

2)  frammenti  di  due  braccialetti  di  sottile  filo  eneo. 
Esternamente,  dalla  parte  della  testa,  sono  stati  rinvenuti  aggruppati: 

3)  coperchio  d'impasto  scuro,  decorato  con  denti  di  lupo  graffiti  e  ricoperti 
d'ocra  rossa  (diam.  m.  0,12).  Sulla  sommità  si  vede  l'attaccatura  di  una  figura  in  scul- 
tura ;  pare  un  animale  con  coda,  come  in  coperchi  simili  di  vasi  a  olla  ; 


REGIONE   VII.  —  245 


VIGNANELLO 


4)  frammenti  di  altra  tazza  simile  ; 

5)  frammenti  di  olla  a  bulla,  d'impasto  scuro  ; 

6)  piccolo  kantharos,  d'impasto  scuro,  di  forma  cilindrica,  con  ansa  a  nastro, 
(altezza  0,085  ;  diam.  0,06)  ; 

7)  frammenti  che  compongono  un'olla  d'impasto  nerastro,   con   decorazione 
graffita  ; 

8)  coppia  di  ollette  ovoidali  d'impasto  scuro  (altezza  0,075;  diam.  0,08); 

9)  tazzina  a  calotta  su  listello,  d'impasto  scuro  ; 

10)  frammenti  di  un'olletta  a  bulla,  d'impasto,  con  decorazione  di  denti  di  lupo 
graffiti,  colmati  di  ocra  rossa  e  altri  di  vasi  d'impasto. 
Dalla  parte  opposta,  sono  stati  raccolti  : 

11)  piccoli  frammenti  informi  di  ferro  ; 

12)  frammenti  di  un'olla  a  bulla,  d'impasto  scuro  ; 

13)  tazza  d'impasto  rossastro,  su  basso  piede. 

Anche  la  tomba  di  quest'altro  bambino  (una  femmina,  per  i  monili),  appena  più 
grandicello  dei  tre  già  ricordati,  fu  preparata  presso  la  casa,  con  minuta  cura,  e  ha  dato 
suppellettile  della  fine  VII  sec,  omogenea  e  povera. 


* 
*  * 


Intorno  a  questi  ritrovamenti  ben  individuati  nella  pianta,  nelle  lunghe  ricerche 
fatte  al  Molesino,  furono,  tra  un  filare  e  l'altro  di  vite,  rinvenuti  cavi  informi  o  pozzi 
che  dettero  tutti  qualche  suppellettile  di  mediocrissimo  valore: 

1)  Uno  (3°  del  giorn.  di  scavo,  p.  117  e  151)  alla  profondità  di  m.  3,80,  dette 
un  tamburo  di  colonna  di  tufo  del  diametro  di  m.  1,05  e  dello  spessore  di  m.  0,40,  con 
un  dente  tagliato  di  40  cm.  ;  insieme  con  esso  fu  scoperto  uno  scarico  di  grandi  bloc- 
chi squadrati  di  tufo  e  di  frammenti  di  tegole  e  parecchi  frammenti  fittili,  come  un 
fondo  di  tazza  di  argilla  rossastra  (n.  inv.  43780)  portante  graffito  all'esterno  il  se- 
gno ^>  e  un  manichetto  mobile  arcuato  di  bronzo  (n.  43781).  A  scavo  compiuto,  il 
pozzo  misurava  un  diametro  di  m.  4,40  e  una  profondità  di  m.  5,15;  e  presso  alla  pa- 
rete, in  direzione  settentrionale,  si  scoprì  un  cunicolo  di  scolo,  della  larghezza  di  m.  0,50. 

2)  Anche  un  altro  pozzo  dette  solo  frammenti  di  tegole  a  fittili  e  un  manichetto 
arcuato  di  ferro  (giorn.  di  scavo,  p.  79-80  ;  n.  inv.  44255).  Con  un  diametro  di  m.  0,85 
soltanto,  raggiungeva  la  profondità  di  m.  4  e  vi  si  accedeva  per  mezzo  di  sette  scalini 
a  tacca  scavati  nella  parete.  In  fondo  si  apriva  un  cunicolo,  alto  m.  1,70  e  non  mai 
portato  a  termine,  perchè  dall'una  e  dall'altra  parete  era  scavato  per  m.  0,80  soltanto. 

3)  Pozzo  di  forma  conica  (5°  del  giorn.  di  scavo,  p.  123)  trovato  a  un  centinaio 
di  metri  a  ponente  di  L  (tav.  Ili,  n.  5)  con  apertura  superiore  di  m.  2,90,  diam.  in 
basso  di  m.  1,20  e  profondità  di  m.  1,70.  Tra  i  pezzi  di  tegola  e  i  frammenti  fittili,  un 
«  peso  »  di  terracotta  (n.  4371 9),  il  fondo  di  una  tazza  campana  a  vernice  nera  con 
sovrapposta  una  figura  muliebre  (43720),  e  i]  fondo  di  un'altra  tazza  (43721)  por- 
tante graffito  nell'interno  il  segno  ■  T  <'  all'esterno  ^. 


VIGNANELLO 


—   246   — 


REGIONE    VII. 


0 


Fio.  56. 


4)  Altro  pozzo  (6°  del  giorn.  di  scavo,  p.  123-125),  che,  avendo  dapprima  forma 
cilindrica  assume  verso  il  fondo  forma  ovale  (m.  2,45  X  1,70)  con  una  sagoma  a 
forma  di  bottiglia  (diam.  della  bocca  m.  1,07;  profondità  m.  4,20)  (fig.  56)  e  ha 
dato  molte  tegole  e  tra  esse  frammenti  archeologici  (n.  43722  al  43747).  Noto  ben 
diciannove  tronchi  di  piramide  detti  «  pesi  da  telaio  »,  la  cui  natura  è  ancora  un 
mistero.  Misti  ad  essi,  frammenti  di  tazze  emisferiche  di  bucchero.  Uno  dei  «  pesi  » 
era  di  pietra  tufacea  e  aveva  il  segno  y.  Come  si  vede  dalla  fig.  48,  tale  pozzo 
era  presso  L  e  P. 

5)  Pozzo  (giorn.  di  scavo,  p.  133  e  134)  di  pianta  circolare  (diam.  m.  2,85),  pro- 
fondo m.  0,90,  era  colmo  di  terra  e  frammenti  fittili  di  età  diversa,  tra  essi  (n.  dal  43751 

al  43758),  oltre  a  uno  dei  soliti  «  pesi  »  e  a  un  piattello  dei  soliti 
di  rozzo  coccio,  sono  da  ricordare  due  piccolissimi  kantharoi  di 
terra  rossa  (alt.  m.  0,03;  diam.  m.  0,08)  e: 

a)  frammenti  del  centro  di  una  kylix  attica  con  figure 
rosse  (metà  V  sec).  Vi  vediamo  un  efebo  nudo  con  il  braccio 
destro  proteso  tendendo  una  patera  verso  una  figura  femminile 
ammantata.  Esterno  mancante,  tranne  le  gambe  di  una  figura 
orizzontale  ; 

b)  frammenti  varii  di  kylikes  greche  e  etrusco-campane, 
tra  cui  un  fondo  di  coppa  greca  con  giovane  atleta  nudo  il  quale 
ha  un  bastone  e  uno  strigile  (fine  V  secolo)  ;  uno  skyphos  etrusco- 
campano  con  decorazione  di  un  tralcio  d'uva  di  vernice  rossa 

sovrapposta  e  una  coppa  etrusco-campana  pure  con  figura  di  Menade  dipinta  in  rosso 
sul  nero. 

6)  Pozzo  (giorn.  di  scavo,  p.  134  e  135).  Circolare,  diam.  m.  1,35,  profondo  m.  1,60; 
pieno  dei  soliti  frammenti  di  tegole  e  di  vasi  di  bucchero,  tra  i  quali  un  piccolo  fram- 
mento di  cornice  strigilata  (alt.  m.  0,07  ;  largL.  m.  0,08  ;  n.  inv.  43759)  e  la  parte  di 
una  gamba  posteriore  di  quadrupede  (43760). 

7)  Due  pozzi  (giorn.  di  scavo,  p.  135),  dei  quali  uno  di  forma  rettangolare,  aper- 
tura forse  di  cunicolo  (0,95  X  0,60),  e  i  soliti  frammenti  di  tegole  e  di  fittili  romani  ; 
l'altro  circolare  con  frammenti  di  lastra  con  la  parte  posteriore  di  un  quadrupede  a 
rilievo  (n.  43762). 

8)  Pozzo  scoperto  a  settentrione  delle  sostruzioni  P  (supposto  tempio)  ;  giorn.  di 
scavo,  p.  293).  Di  forma  ovale  (m.  1 ,25  X  1 ,00),  profondo  m.  6.  Conteneva  una  grande 
quantità  di  fittili  locali  e  di  buccheri,  pezzi  di  tegole  e  ossa  di  animali,  nonché  qualche 
frammentino  di  vasi  greci  e  falisci  dipinti  e  laminette  di  bronzo.  Tra  essi  (n.  44244-52), 
un  pezzo  di  cws  rude;  una  fusaiola  d'impasto  scuro,  a  tronco  di  cono;  un  rocchetto  di 
terracotta  rossastra  e  5  cosiddetti  pesi  da  telaio,  di  terracotta. 

In  fondo  al  pozzo  fu  trovato  un  cunicolo,  in  direzione  nord-sud,  della  larghezza 
di  m.  0,48  e  alto  m.  1,85.      . 

9)  Grande  cavo,  di  forma  quasi  cilindrica  (diam.  m.  3,20),  colmato  di  terra  e  di 
blocchi  informi  di  tufo  (giorn.  di  scavo,  p.  297).  A  pochi  centimetri  di  profondità  vi  tu 
rinvenuta  una  parte  di  rozza  testa  di  ariete,  di  terracotta  scura  (n.  44253),  malamente 


REGIONE   VÌI  —   247  —  VIGNANELLO 

modellata  (lungh.  m.  0,12),  e,  verso  il  fondo,  una  piccola  olla  di  argilla  rossastra  di 
forma  ovale,  con  un'ansa  verticale  a  nastro  (n.  44254:  alt.  m.  0,135;  diam.  m.  0,09). 
Il  cavo  era  profondo  m.  5,80  ;  vicino  fu  rinvenuto  altro  pozzo,  più  piccolo,  che  fu  sca- 
vato fino  alla  profondità  di  m.  2,80  senza  rinvenire  alcun  oggetto. 

Come  si  vede,  tutta  la  superficie  della  vetta  della  collina  è  tormentata  di  cavi 
e  pozzi,  i  quali,  come  ad  Ischia  di  Castro,  sono  segno  dell'  esistenza,  in  quel  punto, 
di  un'  intensa  vita  cittadina  ;  ma  non  si  è  trovato  nessun  fondo  di  capanna  o  basa- 
mento di  casa. 

Di  antichità  posteriori  solo  una  tomba  a  fossa  di  età  romana  (giorn.  di  scavo  p.  81) 
incavata  nel  tufo,  per  una  profondità  di  m.  0,25,  ricoperta  di  grandi  tegole  messe  alla 
cappuccina.  Aveva  pianta  rettangolare,  con  base  di  m.  0,60  e  0,35  e  lunghezza  di 
m.  1,85.  Conteneva  qualche  avanzo  dello  scheletro,  presso  i  piedi  del  quale  erano 
(n.  inv.  43602-04)  :  1)  olletta  a  bulla,  di  argilla  rossastra,  su  alto  listello,  verniciata 
di  nero,  con  striatura  sul  corpo  (alt.  m.  0,105  ;  diam.  m.  0,07)  ;  2)  tazza  di  creta  gialla- 
stra ;  3)  anellino  di  filo  eneo  (diam.  m.  0,01). 

* 
*  *  * 

Notevole  è  invece  la  natura  dei  rinvenimenti  fatti  nella  parte  orientale  del  colle, 
nei  pressi  del  moderno  paese  di  Vignanello.  A  settentrione  dell'antica  via  Vigna- 
nello-Vallerano  fu  costruito  nel  1913  un  convento  di  monache  con  annessa  chiesa  (') 
(tav.  Ili);  di  fronte  fu. edificato  dal  Comune  un  decoroso  edifizio  scolastico,  dietro  il 
quale,  verso  la  Cupa,  fu  fabbricata  una  casa  da  certo  Annesini.  Già  ricordai,  nella 
prima  relazione,  la  scoperta  sotto  il  convento,  il  31  luglio  1910,  di  un  pozzo  del 
diam.  di  m.  0,92,  profondo  più  di  5  metri,  nel  quale,  tra  varii  frammenti,  fu  rinve- 
nuta la  lastrina  fittile  col  cavaliere,  decorazione  arcaicissima  di  un  mutulo.  Ora  là 
intorno  furono  scoperti  altri  tre-  pozzetti,  e  di  essi  un  gran  numero  fu  rinvenuto 
sotto  l'edilìzio  scolastico.  La  costruzione  della  casa  Annesini  invece  portò  alla  sco- 
perta di  costruzioni  in  blocchi  quadrati  di  tufo  (nella  pianta  lettera  G).  Descrivia- 
mole particolareggiatamente. 

A)  Area  del  convento. 

1)  Pozzo  n.  2  (il  1°  è  quello  suddetto,  già  descritto).  Scoperto  111  maggio  1914 
(giorn.  di  scavo,  p.  73),  aveva  un  diametro  di  m.  1,60  e  una  profondità  di  m.  3.  Era 
colmo  di  terra  e  di  bozze  di  tufo,  insieme  con  pezzi  di  mattoni  e  di  coppi.  In  questo 
scarico  furono  rinvenuti  (n.  43582-43585):  1)  metà  di  una  tazza  di  bucchero  su  listello  ; 
2)  molti  frammenti  di  vasi  di  bucchero  di  forma  varia  ;  3)  parte  del  coperchio  di 
un'olla  di  rozza  terra  nerastra  ;  4)  frammenti  di  rozzi  vasi  tardi. 

2)  Pozzo  n.  3.  Di  dimensioni  identiche  al  precedente.  Tra  lo  scarico  analogo 
a  quello,  si  rinvennero  :  1)  orlo  di  un  grande  pithos  di  argilla  rossastra  ;  2)  parte  di  una 
tazza  emisferica  di  bucchero,  col  segno  \i  graffito  sull'orlo  esterno  ;  3)  frammento  di 
un'oinochoe  di  bucchero,  con  l'orlo  trilobato. 

(')  Not.  scavi,  1916,  p.  82  e  segg. 


VIGNANEM.O 


—  248  —  REGIONE   VII. 

3)  Pozzo  n.  4.  Aveva  il  diametro  di  m.  1 ,05  soltanto  ed  era  profondo  m.  6.  Tra 
lo  scarico  di  terra,  di  pezzi  di  tufo,  di  mattoni  e  di  coppi,  furono  rinvenuti  : 

a)  Oinochoe  attica  a  forma  di  testa  femminile  (n.  43597),  sormontata  dal  collo  con 
bocca  trilobata  e  ansa  rotonda  (tav.  X  e,  d).  Questa,  la  bocca  e  la  chioma  della  testa 
sono  verniciate  con  una  splendida  vernice  nera.  La  testastesBae  i  capelli  sopra  la  fronte 
sono  lasciati  del  color  naturale  della  terra  e  soltanto  gli  occhi  e  le  sopracciglia  sono 
indicati  con  sottilissime  linee  nere.  Benissimo  modellata  e  finamente  dipinta,  questa 
oinochoe,  alta  con  l'ansa  m.  0,205  è  un  pregevole  prodotto  della  fine  del  VI  sec. 
av.  Cr.,  di  un  tipo  già  noto  per  parecchi  altri  esemplari.  Basti  ricordare  quella  tro- 
vata a  Chiusi,  nell'interno  di  una  di  quelle  caratteristiche  statue-cinerarie,  ora  al 
Museo  archeologico  di  Firenze  ('),  e  quelle  citate  dallo  Schncider  (2). 

Insieme  con  questo  bel  vaso,  furono  trovati  (n.  43589-43600)  : 

b)  piccolo  frammento  dell'orlo  di  grande  kylix  attica  con  figure  nere  a  occhioni 
nello  esterno,  e  nell'interno  parte  di  una  testa  di  profilo  (Dionysos  ?)  ; 

e)  piccolo  frammento  della  parte  centrale  di  una  kylix  attica  di  stile  severo 
con  figure  rosse.  Vi  si  ravvisa  la  parte  posteriore  della  testa  e  una  mano  di  una 
figura,  e  nel  campo  l'appellativo  KAUOS.  Esterno  nero  ; 

d)  altro  frammentino  di  piatto  di  fabbrica  locale,  con  decorazione  di  circoli 
rossi  e  neri  ; 

e)  parte  di  un  rozzo  coperchio  di  creta  nerastra  ; 

f)  olletta  ovoidale  di  terra  rossastra  (diametro  m.  0,06)  ; 

g)  tazzina  emisferica,  a  fondo  piano,  di  argilla  gialla  (diametro  m.  0,07)  ; 
h)  manico  piatto  di  uno  specchio  di  bronzo  ; 

i)  frammenti  di  una  colum  di  sottile  lamina  enea  ; 

j)  vaso  di  bronzo  di  forma  semiovoidale,  ad  orlo  aperto  e  sporgente  ;  ha  il  fondo 
staccato.  Pare  avesse  le  anse  (diametro  m.  0,16;  altezza  m.  0,17)  ; 

h)  frammento  del  fondo  di  una  tazza  di  bucchero,  che  all'interno  ha  il  segno  X 
e  all'esterno  ha  graffito  il  segno 


B)  Area  dell'edificio  scolastico. 

Questi  quattro  pozzi,  e  parecchi  altri  che  si  notano  nel  taglio  in  trincea  fatto  per 
tutto  il  senso  della  lunghezza  del  colle  nella  costruzione  della  vecchia  strada  Vignanello- 
Vallerano  (vedi  profilo  a  fig.  39),  hanno  il  loro  riscontro  nei  numerosissimi  pozzi  e  cavi 
che,  come  appare  dalla  pianta  dello  scavo  (tav.  Ili),  furono  rinvenuti  nei  lavori  di  fon- 
dei  quale  ne  fu  inciso  un  altro  a  croce  X. 

(')  Milani,  Museo  Archeol.  di  Firenze,  p.  234. 

(2)  R.  v.  Schneidcr,  Oinochoe  aus  Eretria,  in  Oesterreich.  Jahresh.,  1898,  p.  143. 


11EGT0NE  VII.  —  249  —  VIGNANELLO 

dazione  dell'edilìzio  scolastico.  Ne  dò  una  breve  descrizione  e  riproduco  nella  fìg.  57  la 
sezione  dei  più  caratteristici. 

Pozzo  1  (giorn.  di  scavo,  p.  205).  —  Scavato  nel  tufo  tenerissimo,  detto  vol- 
garmente goglio,  aveva  un  diametro  di  m.  3,55  e  una  profondità  di  m.  2,50.  Fu  tro- 
vato riempito  di  terra  con  frammenti  di  vasi  arcaici,  di  un'ansa  di  kylix  greca  e  dei 
seguenti  oggetti  (n.  44073  a  44083)  : 

1)  ciotola  emisferica  su  listello,  verniciata  di  rosso.  Porta  graffita  nel  fondo 
interno  a  grandi  lettere  la  parola 


2)  tazzina  emisferica  di  bucchero  cincrino,  portante  graffita  la  lettera  V  sul 
fondo  interno  (diametro  m.  0,120)  ; 

3)  tre  ciototettc  (alte  ni.  0,03,  diametro  m.0,07),  due  delle  quali  verniciate  di 
nero  (una  porta  il  segno  -f-  nell'interno)  e  una  verniciata  di  rosso-  ; 

4)  piattello  di  rozza  creta  rossastra  ; 

5)  tre  coperchi,  dei  quali  uno  di  argilla  nerastra,  l'altro  d'impasto  rossastro; 
il  terzo  di  essi  (frammento)  porta  nell'esterno  graffito  VA  ; 

6)  piccolissimo  poculum  di  impasto  nerastro  e  di  forma  cilindrica  (altezza  e  dia- 
metro m.  0,03)  ; 

7)  frammento  di  kylix  campana  con  circoli  concentrici,  ned'  esterno  del  pied'. 
C  a  v o  A  (giorn.  di  scavo,  p.  206).  —  Era  un  cunicolo  di  scolo,  alto  m.  1 ,1 5  e  largo 

m.  0,45.  Il  punto  scavato  era  stato  tagliato  superficialmente  ed  era  pieno  di  terra 
frammista  a  frammenti  di  tazze,  vasi  d'impasto  scuro  e  piattelli  di  bucchero.  Oggetti 
interi  (numero   44084-44086)  : 

1  )  olletta  d'argilla  rossastra  ovoidale,  con  4  prominenze  coniche  all'orlo  (diametro 
m.  0,095)  ; 

21  due  tazzine  emisferiche  di  bucchero,  su  listello  (diametro  m.  0,11). 
Cavo  B  (giorn.  di  scavo,  p.  207).  —  Di  forma  rettangolare  (m.  1  X  0,68).  Era  pro- 
babilmente un  altro  cunicolo  colmo  di  frammenti  di  vasi  di  varie  epoche,  tra  i  quali  : 

1)  piccolo  skyphos  (altezza  m.  0,07),  del  solito  tipo  con  la  civetta  tra  due  rami 
di  olivo;  ma  di  una  finezza  di  esecuz'one  non  comune  (manca  della  metà)  (n.  44  562) 

(tav.  Vili?); 

2)  tazza  emisferica,  verniciata  di  rosso,  su  alto  piede  (altezza  m.  0,07  ;   diametro 

m.  0,14)  (n.  44087j; 

3)  tronco  di  piramide,  di  terracotta  (n.  44088). 

Cavo  C  (giorn.  di  scavo,  p.  208).  -  Lungo  ai.  5,80,  largo  m.  0,70.  Tra  lo  sterro, 
pezzi  di  tegole  e  di  vasi  locali  e  i  seguenti  oggetti  (n.  44089-44097)  : 

1)  kylik  locale,  con  nel  centro  due  figure  virili  ammantate,  conversanti  fra  loro, 
Notizib  Scavi  1024  -  Voi.  XXI. 


VtGNANELLO 


—  250 


REGIONE   VII. 


eseguite  assai  rozzamente  con  color  rossastro  sovrapposto  alla  vernice  nera.  All'esterno, 
da  ogni  lato,  la  stessa  rappresentazione  (diam.  0,225,  alt.  m.  0,105)  ; 

2)  tazza  conica,  d'impasto  nerastro  ; 

3)  piccolissimo  infundibulum  di  argilla  rossastra,  con  ansa  a  occhiello  (altezza 
m.  0,015  ;  diametro  m.  0,030)  ; 

4)  due  tazzine  emisferiche  su  listello,  verniciate  di  rosso  (diametro  m.  0,075); 

5)  grande  ciotola,  verniciata  di  nero  (altezza  m.  0,065  diametro  m.  0,160)  ; 

6)  due  rozzi  piattelli  di  argilla  rossastra. 


jj 


e    (3 


f  »  I  ' 


H    i 


•f'-i —    ~  '    TIM  miir  * 


--:-'"  :1 


,:'  ■«•-~1 


ja  giuliette  -ferminAnfo  tri  Sjjjo    con. 
■>  )a/»»u    j-ct-ij-mt. 

IftilMlBr  \f*rr*n-°  *^r^r*tve  J-r*nsL  sottro  jrtoiio  corruntto 

t>iàù-M.a>  JuJ*  e  ex*  tisr*  èener* 
S-into (?w/ic«tf    mM.rr-ane  j-culto  meno. 


jgnS^Hp  iPSJjlinf  ca-mpxfito  cèsi  torace atenU* 


Fio.  57. 


Pozzo  n.  2.  —  Cilindrico  (diam.  m.  2,80;  profondo  m.  2,30).  Soliti  frammenti  di 
fittili  locali  e  di  un'olla  con  fasce  nere. 

Pozzo  n.  3  (fig.  57)  (').  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,10;  profondità  m.  3,80). 
Frammenti  di  tazze  di  bucchero  e  rozze  olle. 

Pozzo  n.  4  (giorn.  di  scavo,  p.  213).  —  Cilindrico  (diametro  m.  1 ,45).  Frammenti 
di  fittili  arcaici  e  buccheri  e  un  grosso  rocchetto  di  terracotta:  un'olla  d'impasto  scuro, 
di  forma  ovoidale;  un  tronco  di  piramide  di  terracotta  (n.  44098-44100). 

Pozzo  n.  5  (giorn.  di  scavo,  p.  214).  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,75;  profon- 
dità m.  3,80).  Vi  si  rinvenne  un  gruppo  di  frammenti  di  bucchero  e  d'impasto  scuro 
e  alcuni  di  vasi  greci;  inoltre  (n.  44  101-44104)  : 

1)  un  piccolissimo  infundibulum  di  bucchero,  con  ansa  ad  occhiello; 

2)  coperchio  conico  di  creta  rozza  ; 

3)  due  tronchi  di  piramide  di  terracotta. 


(')  Da  questa   figura   si   vede   la  stratificazione  del  eolie  del  Molesino,  dove  sono  alternati 
strati  argillosi  e  strati  tufacei,  secondo  le  osservazioni  del  cav.  Ferretti. 


REGIONE   VII.  —   251   —  VIGNANE1.M) 


Pozzo  n.  6.  —  Cilindrico  (diametro  m.  3;  profondità  ni.  3,80).  Soliti  frammenti 
di  vasi  arcaici  e  alcuni  insignificanti  di  kylix  greca  con  .figure  rosse. 

Pozzo  n.  7.  —  Cilindrico  (diametro  m.  0,80  ;  profondità  m.  2,45).  Fu  trovato 
già  rovistato  ;  conteneva  bozze  di  tufo  e  terra,  con  alcuni  frammenti  di  vasi  d'impasto 
e  buccheri. 

Pozzo  n.  8.  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,25;  profondità  m.  2,50ì;  frammenti 
varii,  tra  i  quali  di  kylix  campana. 

Fossa  n.  9.  —  Rettangolare  (m.  2,65  X  0,70,  con  profondità  di  m.  1,10). 
Conteneva  solo  pochi  frammenti  di  vasi  d'impasto;  in  essa  sboccava  un  cunicolo  che 
comunicava  a  sua  volta  con  un  altro  cunicolo.  Vi  si  rinvennero  frammenti  arcaici 
e  (n.  44105  44!06)  una  ciotola  emisferica  di  argilla  rossastra  (diametro  m.  0,120)  con 
graffito  il  segno  -|-,  come  pure  un  vasetto  lenticolare  d'impasto  nerastro  con  orlo 
piane  e  sporgente  (altezza  m.  0,105  ;  diametro  m.  0,0")). 

Pozzo  n.  10.  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,60;  profondità  m.  1,30).  Nello  sterro 
frammenti  di  rozze  olle  d'età  romana  e  di  una  cornice  strigliata  (n.  44107). 

Pozzo  n.  11.  —  Cilindrico  (diimotro  m.  3,50;  profondità  m.  2,10).  Conteneva 
blocchi  di  tufo,  ma  nessun  oggetto. 

Pozzo  n.  12.  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,60;  profondità  m.  1,70).  Colmo  di 
terra  con  blocchi  di  tufo,  frammenti  insign;ficanti  di  kylix  attica  con  figure  rosse  e  un 
piccolissimo  kantharos  di  creta  rossastra  (diametro  m.  0,035;  n.  44  554).  Sul  fondo  del 
pozzo  era  un  alto  strato  di  carbone. 

Pozzo  n.  13.  —  Rettangolare  (m.  3,10  X  2,80;  profondità  m.  3).  Colmo  di  terra 
con  grandi  blocchi  di  tufo  e  frammenti  di  rozzi  vasi  locali. 

Pozzo  n.  14.  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,05;  profondità  m.  1,80).  Gruppo  di 
frammenti  di  rozzi  vasi  arcaici. 

Pozzo  n.  15.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,90;  profondità  m.  1,30).  Si  restrin- 
geva verso  il  centro,  dove  eran  posate  due  grandi  tegole  (n.  44108)  tagliate  in  modo 
da  formare  un  cerchio  (diametro  m.  0,60).  Vi  si  rinvennero  frammenti  di  grandi  olle 
e  (44109-44110)  un'olpe  di  rozza  creta  giallastra  (altezza  m.  0,07);  un  piccolissimo 
poculum  d'impasto  scuro  di  forma  ovoidale  (altezza  m.  0,025;  diametro  m.  0,020) 
e  un  «  peso  da  telaio  »  di  terracotta  (altezza  m.  0,090). 

Cunicolo  D.  —Largo  m.  0,59  e  profondo  m.  2,35,  in  direzione  nord-sud,  poi 
piega  verso  est. 

Pozzo  n.  16  (fig.  57).  —  Conico,  allargatesi  verso  il  fondo.  Alla  profondità  di 
m.  2,10  cunicolo  di  scolo  (larghezza  m.  0,67)  che  termina  nel  pozzo  stesso,  ritrovato 
(giorn.  di  scavo,  p.  239),  alla  distanza  di  m.  2,40,  ostruito  da  due  pezzi  di  lastre  di 
tufo  e  alcuni  blocchi.  Profondo  m.  5,80,  conteneva  frammenti  di  vasi  locali  e  d'im- 
pasto. In  esso  sono  stati  rinvenuti  anche  due  pezzi  di  marmo  nero  accuratamente 
lavorati  (n.  inv.  44555-56).  Uno  a  forma  di  grosso  ciottolo  awicinantesi  a  un  paral- 
lelepipedo con  gli  spigoli  arrotondati  (0,125  X  0,10  X  0,05)  ricorda  molto  quei  carat- 
teristici cippi  are  della  necropoli  di  Orvieto  (').   L'altro  regolarmente  lavorato,  a 


(')  Vedi  p.  es.  Milani,  in  Sludi  e  materiali,  II,  p.  60,  fig. 


226. 


VII  INANELLO 


—   252   —  REGIONE   VII. 


base  quasi  quadrata  (in.  0,0(5  X  0,065  X  0,03)  sembra  piuttosto  un  peso.  E  pesi  li 
riterrei  senz'altro,  se  non  ci  fossero  difficoltà  di  riferirli  ai  sistemi  in  uso  in  quel 
tempo  (').  Diametro  del  pozzo  alla  bocca  metri  1,86;  in  fondo  m.  4,10. 

Pozzo  n.  17.  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,20;  profondità  ni.  2,70).  Pochi  fram- 
menti di  rozzi  vasi  arcaici. 

Pozzo  n.  18  (fig.  57).  —  Ovale  (m.  2,40  X  1,65;  profondità  m.  2,80).  Conte- 
neva, tra  la  terra,  pochi  frammenti  di  vasi  arcaici. 

Pozzo  n.  10.  —  Cilindrico  (diametro  ni.  1,80;  profondità  in.  0,45).  Non  conte- 
neva alcun  frammento. 

Pozzo  n.  20  (fig.  57).  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,15;  allargatesi  verso  il 
fondo  sino  a  raggiungere  un  diametri)  di  ni.  .'5,50;  profondità,  ni.  4.00).  Contatterà 
molti  frammenti  di  vasi,  e  molte  tegole  e  grosse  bozze  di  tufo,  tra  le  quali 
(11.44557-44558): 

due  protome  di  terracotta  a  testa  di  ariete  (altezza  ni.  0\33). 

La  testa  è  appena  abbozzata.  Nella  superficie  di  un  lato,  che  è  l'opposto  nell'altra 
proteine,  molti  buchi  rotondi,  del  diametro  di  I  crii,  e  profondi  altrettanto.  Su  queste  pro- 
tomi di  ariete,  spesso  adoperate  come  alari,  si  è  già  discusso  da  altri,  come  ad  esempio 
l'Alfonsi  e  il  Déchelette  (-).  Queste  protomi  paiono  aver  decorato  un  antico  edilizio. 

Pozzo  n.  21  (giorn.  di  scavo,  239).  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,15;  profondità 
.  m.  1 ,75).  Solito  scarico  di  tegole. 

Pozzo  n.  22. —  Conico  (diametro  m.  2,  alla  bocca,  restr'ngentesi  verso  il  fondo, 
fino  a  m.  1,80;  profondità  ni.  1,60).  Era  colmato  totalmente  da  un  grande  scarico  di 
frammenti  di  olle  e  di  tegole. 

Pozzo  n.  23.  —  Cilindrico  (diametro  ni.  0,90  ;  profondità  m.  1,15).  Soliti  fram- 
menti di  tegole  e  olle. 

Pozzo  n.  24.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,50;  profondità  ni.  4,80).  Conteneva 
tram  penti  di  olle  di  kylikcs  e  un  piede  di  un'anfora  a  vernice  nera  (n.  44559),  con  sotto  il 
fondo  le  lettere  A  A. 

Pozzo  n.  25.  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,65  ;  profondità  m.  3,40).  Da  una  parte 
apertura  di  m.  0,80;  lunghezza  m.  0,70.  Forse  inizio  di  cunicolo.  Colmato  di  blocchi  di 
tufo  e  frammenti  di  vasi  d'impasto. 

Pozzo  n.  26  (giorn. di  scavo, p. 257).  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,25;  profondità 
in.  2,30).  Pezzi  di  tegole  e  qualche  frammento  arcaico  e  di  bucchero. 

Pozzo  n.  27.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,35;  profondità  m.  2,20).  Stesso  ma- 
teriale del  precedente,  tra  il  quale  un  cosiddetto  peso  da  telaio  (altezza  m.  0,09). 

Pozzo  n.  28.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,40  ;  profondità  in.  1,35).  Conteneva 
gli  avanzi  di  una  grande  e  rozza  olla  di  argilla  giallastra. 

Pozzo  n.  29.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,80  ;  profondità  in.  2,50). 

(')  Il  pezzo  maggiore  pesa  gr.  1030  e  l'altro  gr.  335;  quindi,  nel  caso  siano  veramente  pesi 
corrispondono  assai  approssimativamente  alla  libra  di  gr.  327,46  e  il  relativo  multiplo  di  tre 
libre  (=  gr.  982,35).  Vedi  H.  Nissen,  Grieeh.  uni  Rom.  Metrologia). 

(»)  Alfonsi,  in  Bull,  di  paletnologia,  XXVII  (1001),  p.  134-39;  Déchelette,  Le  bélier  consacra 
aux  divvàtés  domesliques  su'  ìes  chéwts  gattloix,  in  JUtme  archéol.  Ili  I.,  XXXIII,  p.  63  e  segg., 
245  segg. 


REGIONE   VII. 


-    253  — 


VIGNANELI.O 


Pozzo  n.  30.  -  Cilindrico  (diametro  m.  1,45  ;  profondità  m.  2,20);  vi  sboccava 
un  cunicolo  largo  m.  0,55,  ad  un'altezza  di  m.  1,80. 

Cavo  n.  31.  —  Rettangolare  (m.  1,45  X  1,20),  profondo  m.  1,30;  comunicava 
con  un  cunicolo  della  larghezza  di  in.  0,70.  Era  totalmente  colmo  di  pezzi  di  tegole  e 
frammenti  di  fittili  locali. 


Fio.  58. 


Pozzo  n.  32.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,70  ;  profondità  m.  1,10)  ;  frammenti 
di  due  rozze  olle  e  un  «  peso  da  telaio  »  (44560). 

Pozzo  n.  33  (fig.  57).  —  Conico  (diametro  superiore  m.  1,10;  diametro  della 
base  m.  2  :  profondità  m.  3,50).  Colmo  di  terra,  tazze  di  tufo,  avanzi  di  ossa  di 
animali,  frammenti  di  tegole  e  di  vasi  di  bucchero  ed  inoltre  tre  «  pesi  da  telaio  » 
(altezza  m.  0,08  e  0,010)  e  due  pezzi  di  aes  rude  (n.  44232-44236). 

Cavo  n.  34.  —  Cisterna  ?  Da  un'apertura  rettangolare  di  m.  1  X  0,50  si  accede, 
per  mezzo  di  incavi  scavati  nella  roccia,  fino  alla  profondità  di  m.  5,90,  in  tre  piccoli 
vani  (larghezza  mass.  m.  3,17;  lunghezza  m.  3,85 circa).  Vi  si  rinvenne  nelle  calatoie: 
I)  (44561).  Kylix  etrusco-campana  verniciata,  dì  nero  con  figure  in  color  rosa 
sovrapposte,  assai  ben  conservate  (fig.  58).  Manca  del  piede  e  di  un  ter*  del  vaso. 
Interno,  due  figure  ammantate,  un  a  delle  quali  si  appoggia  sul  bastone.  Esterno,  tra 


VIGNANELLO 


— !   254  —  REGIONE    VII. 


decorazione  di  fogliame,  giovane  efebo  completamente  nudo  che  ha  due  lunghi  ba- 
stoni in  mano,  ed  ètra  due  uomini,  anch'essi  in  piedi,  ammantati,  rispettivamente 
con  un  bastone  e  uno  strigile.  L'altro  lato,  rotto  fino  alla  base,  dai  resti  dei  piedi, 
doveva  essere  uguale. 

2)  (44562).  Coppa  etrusco-campana  verniciata  di  nero,  con  decorazione,  nel 
tondo  interno,  di  due  palmette  appaiate. 

3)  (44565).  Pezzo  della  conchiglia  di  una  kyìix  attica  della  li  metà  del  V  secolo 
(fig.  59).  Vi  si  vede  un  giovane  ammantato,  appoggiato  curvo  su  un  bastone,  davanti 
ad  altra  figura  ammantata.  A  loro  si  avvicina  una  Nike  che  tende  il  kerykeion. 


I"i  r..  69 


I.'ci  vani  interni,  oltre  a  un  frammento  di  un  piccolo  sarcofago  di  tufo  da 
fanciullo: 

4)  un  frammento  di  conca  di  terracotta  con  avanzo  di  un'ala  (?)  dipinta  di  color 
giallo  (n.  44237),  e  due  «  pesi  da  telaio  »  (44238-44239). 

Pozzo  n.  35.  —  Ovale  (ni.  2,60  X  1,80;  profondo  m.  1,85).  Era  colmo  di  terra, 
con  grandi  parallelepipedi  di  tufo  e  rozzi  frammenti  d'impasto  scuro. 

Pozzo  n.  36.  —  Cilindrico  (diametro  m.  3,35;  profondità  m.  1,95).  Conteneva 
i  frammenti  di  un  grande  dolio  e  di  vasi  d'impasto  e  un  tronco  di  piramide  di  terracotta, 
con  quattro  piccoli  fori  ;  uno  in  ciascun  lato  nella  parte  superiore  (altezza  m.  0,085  ; 
n.  44241).  • 

Pozzo  n.  37  (profondità  m.  1,10).  —  Tra  la  terra  soliti  blocchi  di  tufo. 

Pozzo  n.  38.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,95  ;  profondità  m.  2,70).  Tra  la  terra 
piede  di  kylix  attica  e  tronco  di  piramide  di  terracotta  giallastra  (n.  44  566-44567). 

Pozzo  n.  39  (giorn.  di  scavo,  p.  275).  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,50  ;  profon- 
dità m.  2,60).  Colmo  di  grande  quantità  di  bozze  di  tufo,  pezzi  di  tegole,  frammenti  di 
grandi  olle,  un  «  tronco  di  piramide  »  di  creta  rossastra  e  un  ars  rude  (44242-44243). 

Pozzo  n.  40.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,60  ;  profondità  m.  3,10).  Tra  la  terra 
bozze  di  tufo  e  di  peperino. 


RKGtONE  VII.  —  255  —  VtONANELLO 

Pozzo  n.  41.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,10  ;  profondità m.  4,45).  In  un  punto 
della  circonferenza  attraversato  da  un  cunicolo  di  scolo  (larghezza  m.  0,65  ;  alto  m.  0,85). 
Nessun  oggetto. 

Pozzo  n.  42.  —  Cilindrico  (diametro  m.  2,50;  profondità  m.  1,80).  Conteneva 
uno  scarico  di  tegole  e  coppi. 

Pozzo  n.  43.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1  ;  profondità  m.  1,70).  In  un  punto 
della  circonferenza  era  stato  iniziato  un  cunicolo  di  scolo  (larghezza  ni.  0,55;  altezza 
m.  0,80  ;  lunghezza  m.  0,70).  Colmo  di  sola  terra. 

Pozzo  n.  44.  —  Cilindrico  (diametro  m.  1,70  ;  profondità  m.  1,20).  Colmo  solo 
di  terra  e  blocchi  di  tufo. 

Come  si  vede,  sulla  breve  area  dell'edilizio  scolastico  il  terreno  era  tutto  crivellato  di 
pozzi,  il  materiale  ritrovato  nei  quali  (in  prevalenza  tufi  lavorati,  tegole,  coppi  e  fram- 
menti di  vasi  di  uso)  dimostra  che  ci  troviamo  sempre  nel  centro  abitato.  L'idea  che 
potesse  trattarsi  di  un'antica  necropoli  a  cremazione  devastata  va  scartata,  perchè  nes- 
sun frammento  si  è  rinvenuto  di  terracotta  di  tale  periodo  e  perchè,  oltre  alla  difficoltà 
di  una  tale  profanazione,  i  pozzi  sono  troppo  grandi  e  sopratutto  troppo  profondi 
D'altra  parte  simili  pozzi  già  osservai  negli  scavi  del  pugus  etrusco  presso  Ischia  di  Ca- 
stro (')  e  sono  ancora  del  parere  allora  espresso,  che,  escludendosi  per  i  più  che  possano 
essere  accesso  a  cunicoli  (a).  deve  pensarsi  piuttosto  a  veri  e  propri  sylos  per  la  conser- 
vazione del  grano,  che  era  elemento  così  vitale  nell'antica  civiltà.  Ricordo  che  in  alcune 
città  del  Mezzogiorno,  come  Foggia,  le  fosse  granarie  in  terra  hanno  avuto  grandis- 
simo impiego.  Dopo  l'abbandono,  a  Vignanello,  furono;  come  appunto  a  Ischia  di 
Castro,  colmate  coi  rottami  dell'abitato.  È  probabile  quindi  che  l'area,  ove  è  sórto 
l'edifizio  scolastico,  fosse  territorio  pubblico  e  il  vero  granaio  dell'antico  villaggio. 

* 
*   * 

A  mezzogiorno  dell'edilìzio  scolastico,  erigendosi  una  casa  di  proprietà  Anncsini, 
furono  scoperti  (giorn.  di  scavo,  p.  211  a  239)  due  grossi  muri  di  blocchi  di  tufo  squa- 
drati, (fig.  60)  alla  distanza  tra  loro  di  m.  1,22.  Questi  poderosi  muri,  che  si  prolunga- 
vano per  una  lunghezza  totale  di  m.  12,40  fin  fuori  l'area  Annesini  verso  la  Cupa, 
appaiono  terminare  con  blocchi  trasversali  (fig.  61).  Posano  su  terreno  vergine;  e 
nella  parte  interna  furono  ^empre  interrati,  perchè  presentano  una  superficie  rozza. 
Trattasi  quindi  di  un  cavo  sostenuto  da  simili  poderose  muraglie;  evidentemente, 
piti  che  fondazione  di  un  edificio  del  quale  a  noi  sfugge  la  forma  e  l'uso,  lavoro  di 
sistemazione  agraria.  Il  grande  formo  ne  fu  rinvenuto  pieno  di  terra  con  frammisti 
tegole,  coppi  e  frammenti  fittili.  Accanto  ad  esso  sono  tracce  di  fondamenta  di  un 
ambiente  a  pianta  quadrata.  Un  altro  muro  poi  parallelo  a   quelli   del   forinone   e 

(')  Not.  scavi,  1913,  p.  378:  fig.  1. 

(»)  Anche  la  collina  del  Molesino  era  stata  sistemata  con  una  serie  di  cunicoli,  tra  i  quali, 
oltre  a  questi  a  cui  si  accede  dai  pozzetti  su  ricordati,  sono  interessanti  specialmente  quello  sotto 
i  muri  P  e  i  due  scoperti  nel  taglio  dilla  nuova  via  e  che  si  vedono  assai  chiaramente  nella  fig.  a 
della  tav.  IV  e  nel  profilo  fig.  39. 


VKiNANELLO 


-   256 


IÌKCIONK    VII. 


formato  da  una  sola  serie  di  blocchi  di  tufo  fu  rinvenuto,  in  cattivo  stato,  a  una 
dozzina  di  metri  a  oriente. 


*  * 


Mura  dell'abitato  (S).  —  Già  ricordai  che  negli  scavi  eseguiti  nell'autunno 
del  1921,  sotto  la  mia  direzione,  dall'assistente  cav.  Natale  Malavolta,  furono  fatti 


MB 

gKiMHM 

?!     ■ 

|pK$tP-- 

^y„  ^-   «^ 

«^1         ^Er  ^^^Eft— 14EHBB 

Ir 

mS&v  ' 

$ 

lÉifll 

«■    ^j3   "tSKK^!  "       \JP*  'ili 

**j3itA 

mwWSP^8 

~*^l£\ 

*SS  ?iM 

>3f  •  jf    /^St>  12Eé^ 

1    'M^%8rfiliHK 

****« 

uLf^-  ^si 

■^1*^8^ 

BÉtfflLM  IR?  *      T* 

H»«^ 

■  ■■ 

*    a*! 

i^F^  i 

Fio.  60. 

importanti  trovamenti  all'estremità  occidentale  del  Molesino,  dove  la  collina  si  re- 
stringe fino  a  soli  60  metri.  Come  si  vede  nella  pianta  (tav.  Ili  e  fig.  1),  presso  la 
colonna  onoraria  Kuspoli,  in  mezzo  a  un  centenario  castagneto  ('),  fu  scoperto  il 
monumento  T  (che  poi  studieremo)  dal  fine  intuito  di  scavatore  del  Malavolta,  che  si 
accorse  di  una  esilissima  fessura  nel  suolo.  Contro  la  fronte  orientale  di  questo  monu- 
mento si  trovò  accumulato  un  grande  numero  di  parallelepipedi  di  tufo  che  formavano 
come  una  grande  rovina  di  un  altro  edifizio  crollato  quindi  verso  occidente.  \oto  su- 
bito che  tutto  intorno  al  monumento  T,  e  così  pure  nei  saggi  verso  la  strada  provinciale, 


(')  Vedi  tav.  IV  a,  al  limite  sinistro,  in  alt». 


REGIONE   VII. 


257  — 


VIGNANELLO 


fu  trovato  costantemente,  a  profondità  varia  da  2,50  a  3,70  sotto  l'attuale  superfìcie 
della  campagna,  essendo  questo  assai  irregolare,  in  modo  da  raggiungere  così  uno 
stesso  piano  orizzontale,  un  antico  piano  di  battuto,  composto  di  nuclei  di  tufo,  misti 
con  terra  magra. 

Constatata  questa  rovina,  si  praticò  una  trincea  verso  occidente  e,  alla  distanza 
di  m.  9,65  dal  monumento  T,  fu  trovato  un  grosso  muro  S,  formato  di  blocchi  lavorati 
di  tufo,  uguali  a  quelli  rovinati,  i  quali  quindi  dovettero  appartenervi.  In  successivi 


Fio.  61. 


saggi  si  è  potuto  accertare,  che  questo  muro  occupa  la  più  gran  parte  della  larghezza  ] 
del  colle,  per  un  totale  di  metri  42.  Alle  estremità  settentrionale  e  meridionale  fu 
trovato  mancante,  ma  così  non  era  in  origine,  perchè  a  mezzogiorno  il  muro  appare 
chiaramente  distrutto  nei  lavori  agricoli,  e  anche  il  termine  attuale  verso  nord  non  ap- 
pare quello  originale.  È  presumibile  quindi  che  tale  muraglia  quando  era  intatta  sbar- 
rasse completamente  l'accesso  al  colle.  Doveva  in  questo  caso  esserci  naturalmente  una 
porta  d'entrata  in  città  e,  benché  essa  possa  trovarsi  ancora  nascosta  sotto  terra  nel 
tratto  mediano  che  non  fu  potuto  esplorare,  è  più  probabile  fosse  sotto  la  presente 
strada,  che,  occupando  il  punto  centrale  del  colle,  ha  verisimilmente  lo  stesso  trac- 
ciato della  strada  antica. 

Il  muro,  per  tutta  la  sua  lunghezza,  è  costruito  in  modo  abbastanza  omogeneo  con 
una  doppia  scric  di  blocchi,  cioè  con  una  serie  di  parallelepipedi  di  tufo,  messi  gene- 
ralmente uno  accanto  all'altro  per  il  lato  più  lungo,  le  dimensioni  dei  quali  variano 

Notizie  Scavi  1924  —  Vol.  XXI.  33 


VIGNANELLO 


258  — 


REGIONE   VII. 


in  lunghezza  da  m.  0,80  a  m.  0,96,  e  in  larghezza  da  ni.  0,42  a  m.  0,46.  Davanti  a 
questi,  verso  occidente,  fu  messa  una  seconda  fila  di  parallelepipedi  ;  ma  in  senso 
trasversale.  11  muro  posa  su  terreno  vergine,  una  specie  di  cappellaccio  friabile,  e 
consta  di  un  ordine  inferiore  di  massi,  alto  m.  0,54,  che  lascia  una  risega  di  m.  0,12, 
e  di  più  ordini  superiori,  dei  quali  tre  conservati  in  posto  per  un'altezza  complessiva 
di  m.  1,45  (tav.  XI  e).  Si  è  notato  però  che,  nella  parte  inferiore  il  muro  non  era  neppure 
in  origine  libero  ;  ma  fu  addossato  al  limite  occidentale  del  colle,  il  cui  tufo  era  stato 


Éo-- 


i 


TX    L>   /=*    •*! 


r  /  e  ** 


^saaarrrt-r-rrju-L 


T 


connt  io**r/ro 


■ft-f 


Fio.  62. 


prima  convenientemente  tagliato  a  piombo.  Se  si  pensa  che  tutta  la  grande  quantità  di 
parallelepipedi  trovati  davanti  al  muro,  dalla  parte  di  occidente,  deve  necessariamente 
provenire  dalla  rovina  del  muro  stesso,  e  che  essi  occupano  uno  spazio  di  oltre  nove 
metri,  se  ne  deve  dedurre  che  il  muro  era  un  forte  sbarramento,  da  nord  a  sud,  spesso 
in  media  m.  1,50  e  alto  non  meno  di  6  o  7  metri.  Esso  quindi  poteva  compiere  perfet- 
tamente l'ufficio  difensivo  e  deve  essere  crollato  in  seguito  a  qualche  scossa  di  terre- 
moto, in  un  momento  che  non  si  potè  sgombrare  la  rovina  e  ricostruirlo.  Così  a  poco  a 
poco  sparve  sotto  l'interramento. 


*  * 


Monumento  T.  —  All'esterno  del  muro  S,  dalla  parte  di  occidente,  come  fu  ac- 
certato nello  scavo,  era  una  spianata,  con  battuto  di  terra  e  di  pezzi  di  tufo.  In  essa 
sorgeva,  a  m.  9,65  dalla  fronte  del  muro  e  quasi  parallelo  ad  esso,  il  singolare  monu- 
mento a  cui  già  accennammo,  del  quale  la  rovina  del  muro  S  impedì  la  devastazione 


REGIONE    VII. 


259 


VIGNANELLO 


del  lato  ad  esso  rivolto,  permettendoci  così  di  sapere  qualcosa  della  sua  forma  origi- 
naria. Tale  lato  è  lungo  m.  9,465  (').  Il  monumento,  come  si  vede  dalla  pianta  (fig.  62), 
ha  forma  assai  regolare.  Il  lato  conservato,  orientale,  doveva  esser  la  fronte  del  monu- 
mento stesso  la  cui  pianta  è  rettangolare.  I  lati  minori,  che  si  uniscono  ad  angolo  retto 
col  primo  (!),  sono  lunghi  m.  7,435;  e  tutti  e  due  (cioè  i  lati  nord  e  sud)  hanno, 
a  m.  5,05  dal  lato  est,  una  risega  rientrante  di  un  metro.  Il  lato  occidentale  quindi, 
normale  a  questi  e  parallelo  a  quello  orientale,  è  di  una  lunghezza  di  m.  7,455.  Stu- 
diamo ora  il  lato  orientale  che  ci  presenta  una  fronte  assai  ben  lavorata. 


Fig.  63. 

Partendo  infatti  dal  piano  battuto,  noi  osserviamo  che  emergono  i  massi  delle  fon- 
damenta per  m.  0,08  (fig.  65).  Su  essi,  con  una  risega  di  centimetri  8%,  posa  una  fila 
di  massi  ben  lavorati,  alti  m.  0,37  e  di  lunghezza  varia  (3).  Su  questa  fila,  assai  rego- 
lare e  bella,  c'è  un  grande  toro  per  un'altezza  [di  m.  0,33  e  rientrante,  con  bella  curva, 
di  m.  0,505  (fig.  64  e  65).  Anche  questo  toro  è  formato  di  una  serie  di  massi  di  lunghezza 
varia  (4)  ed  è  sormontato  da  un  altro  toro  più  piccolo,  lavorato  in  massi  separati  (lo  ve- 
diamo assai  bene  nella  fig.  64  e  nella  tav.  XI  b),  alto  m.  0,16.  Su  esso  è  un'ultima  serie 
di  blocchi,  alti  m.  0,505  e  di  dimensioni  maggiori  di  tutti  i  precedenti  (i  tre  rimasti  sono 
lunghi  rispettivamente  m.  1,95,  1,84  e  1,47).  Questi  massi,  con  una  fronte  leggermente 
concava,  terminano  con  una  cornice  a  becco  (fig.  63  e  65),  di  forma  assai  caratteristica. 


(')  Le  misure  sono  state  prese  dal  disegnatore  Azeglio  Berretti. 

(')  All'angolo  sud-est  c'era  per  protezione  in  basso,  a  guisa  di  paracarro,  un  nucleo  di  silice, 
rastremato  in  alto  e  piantato  sul  piano  battuto. 

(3)  Da  sinistra  a  destra  :  m.  1,02  ;  0,05  ;  1,35  ;  1,18  ;  1,28  ;  1,30  ;  gli  altri  due  non  misurabili, 
perchè  nascosti  dalle  radici  di  un  castagno 

(4)  Da  sinistra  a  destra  ;  m.  1,32  (mancante);  1,26;  1,01;  1,44;  1,68;  1,06. 


VIGNANELLO 


—   260 


REGIONE   VII. 


Questa  serie  superiore  è  l'ultima  conservata,  ma  originariamente  doveva  essere  sormon- 
tata da  altre  file  di  massi  ;  di  una  almeno  l'esistenza  è  accertata  per  le  tracce  sulla  su- 
perficie superiore  degli  esistenti.  La  lavorazione  infatti  di  questo  peperino  fu  talmente 
accurata,  che  non  solo  le  commessure  sono  perfette,  non  solo  la  curva  dei  tori  è  rego- 


Fig.  04. 


larissima  ;  ma,  come  ben  si  vede  alla  fig.  64,  fu  segnato  su  ogni  strato  il  punto  preciso 
di  collocamento  dei  massi  superiori.  Del  resto,  se  osserviamo  il  profilo  di  questa  sago- 
matura (fig.  65),  vediamo  che  architettonicamente  presuppone  una  continuazione  in  alto. 
Prima  di  indagare  sulla  probabile  natura  del  monumento,  completiamone  la  de- 
scrizione. Dalle  figure  già  citate  e  specialmente  dalla  tav.  XI  b,  noi  vediamo  che  esso 
è  costruito  con  tre  sorta  di  pietre  :  il  bel  peperino  delle  parti  ornamentali  e  un  nucleo 
centrale  di  tufo  (tav.  XI  a)  ('),  formato  di  massi  regolari.  Questo  nucleo  consta  di  due 


(')  La  fotografia  fu  da  me  presa  da  sud-ovest  rispetto  al  monumento. 


REGIONE   VII. 


—   261   — 


VIGNANELLO 


parti  :  una  potente  fondazione  e  la  parte  sopraterra.  La  fondazione  è  costituita  da  ben 
cinque  filari  di  parallelepipedi  di  un  tufo  cinerognolo  duro,  sovrapposti,  l'ultimo  dei  quali 
è  quello  emergente  per  8  cm.,  come  vedemmo.  Nell'interno  della  parte  sopra  terra  è 
accertato  che  i  massi  giungevano  alla  stessa  altezza  del  filare  superiore  dei  massi  di  pe- 
perino lavorato,  perché,  pur  essendo  lo  strato  superiore  dappertutto  sparitole  è  restata 
traccia  tra  le  radici  di  un  castagno  secolare,  nato  sulle  rovine  (tav.  XI  a).  Questi  filari 
sopra  terra  sono  tre,  e  i  massi  che  li  compongono  sono  di  un  tufo  chiaro  e  meno  duro. 


Fio.  65. 


È  evidente  quindi  che  il  monumento  fu  devastato,  e  ne  fu  asportato  quasi  tutto  il  pepe- 
rino e  buona  parte  del  tufo  chiaro.  Solo  conservata,  per  il  crollo  del  muro  S,  è  così  la 
parte  inferiore  del  lato  orientale.  Quelli  settentrionale  e  meridionale  restano  solo  in  mi- 
nima parte,  e  manca  totalmente  quello  occidentale.  La  sua  esistenza  da  ogni  lato  è  però 
assai  probabile  e  confermata  dal  fatto  che  in  una  massicciata  posteriore,  scoperta  un 
mezzo  metro  sull'antico  suolo  a  nord  e  ad  ovest,  e  così  pure  nel  lato  sud  del  monumento, 
tra  i  nuclei  di  tufo  erano  frammenti  dei  tori  dalla  caratteristica  cornice  a  becco. 

Per  quanto  nelle  attuali  condizioni  sia  assai  difficile  una  ricostruzione  ideale  del 
monumento,  parmi  evidente  che  esso  avesse  la  fronte  ad  oriente  e  fosse  costituito  da 
una  parte  anteriore  a  pianta  perfettamente  rettangolare  di  m.  9,455  X  5,05  e  da  un 
avancorpo,  rientrante,  come  dicemmo,  un  metro  per  lato  e  anche  esso  quindi  a  pianta 
rettangolare,  di  m.  7,455  X  2,385.  Se  nel  monumento  si  doveva  accedere,  è  evidente 
che  da  questa  parte  doveva  esserci  la  scalea. 

Per  determinarne  l'uso,  mi  pare  sia  assai  istruttivo  il  confronto  che  si  può  fare  con 
il  monumento  d  dell'area  etrusca  di  Misanello  a  Marzabotto,  or  ora  studiata  magistral- 


VIGNANELLO 


—   262   —  REGIONE   VII. 


mente  da  Pericle  Ducati  (').  In  quell'importante  centro  etrusco,  il  Ducati  ha  identificato 
i  templi  e  gli  altari.  La  costruzione  d,  presso  il  tempio  e,  fu  dal  Gozzadini  erroneamente 
creduta  un  sepolcro  (*)  ;  ma  la  sua  vera  natura  è  stata  riconosciuta  dal  Ducati.  È  di 
pianta  quadrata,  misura  m.  9  per  lato  ed  è  preceduta  da  un  avancorpo  di  tre  gradini. 
11  podio,  alto  m.  1 ,15,  è  costruito  con  tufi  elegantemente  sagomati  a  gola,  tra  due  tori 
ad  echino  con  una  cornice  ad  abaco  al  di  sopra.  Ora,  se  si  paragona  la  sagomatura  del 
nostro  monumento  di  Vignanello  con  quella  dell'ara  d  di  Misanello,  si  vede  che  ha  molte 
somiglianze  e  che  a  Vignanello  devono  mancare  il  toro  superiore  e  la  cornice  ad  abaco. 
Siccome  la  parte  conservata  è  alta  già  m.  1,37  e  le  parti  mancanti  devono  considerarsi 
di  circa  70  cm.,  ne  verrebbe  un  totale  originale  di  più  di  2  metri.  Quindi,  essendo  la 
lunghezza  del  lato,  a  Vignanello,  di  m.  9,455,  quasi  identica  a  quella  del  lato  di  Misa- 
nello, il  monumento  di  Vignanello  era  notevolmente  più  alto. 

Il  Ducati  giudica  che  la  costruzione  d  per  la  presenza  di  un  prossimo  tempio  e 
tripartito,  sia  un  altare  (come  b  del  tempio  e),  e  trova  conferma  alla  sua  idea  nella 
sagoma  di  d,  che  rievoca  un  tipo  di  ara  caratteristico  dell'Etruria  arcaica.  Tra  i  mo- 
numenti da  lui  citati  è  particolarmente  caratteristico  lo  specchio  del  Cabinet  des  mé- 
dailles  della  Bibliothèque  Nationale  di  Parigi  (3)  con  devoti  che  invocano  Usil  su  due 
basse  are  del  tipo  ;  e  la  primitiva  costruzione  della  cosiddetta  Tomba  di  Romolo  al 
Foro  (4)  che,  per  lavorazione,  pietra  e  profilo,  molto  ricorda  la  costruzione  di  Vigna- 
nello. Menzionerò  anche  i  plutei  in  cima  alla  grande  scala  del  tempio  di  Fiesole, 
con  sagome  di  tipo  arcaico,  come  pure  i  frammenti  incastrati  nel  consaeplum  maceria 
davanti  al  tempio  stesso  (5). 

Così  pure  c'è  concordanza  per  la  data:  lo  specchio  della  Bibliothèque  Nationale  è 
del  500  circa  av.  Cr.;  la  primitiva  tomba  di  Romolo,  nonostante  quanto  si  è  da  altri  affer- 
mato, ha  chiaramente  il  tipo  delle  costruzioni  del  VI-V  secolo,  come  conferma  la  stipe  ; 
l'ara  d  di  Misanello  è  giudicata,  dal  Ducati,  di  età  non  posteriore,  al  massimo,  all'inizio 
del  V  secolo  (8).  Una  tale  datazione  conviene  perfettamente  al  monumento  T  di  Vigna- 
nello, che,  per  tipo  di  sagomatura  e  finezza  di  esecuzione,  porrei  alla  fine  del  VI  secolo, 
età  che,  come  abbiamo  visto  in  questa  relazione,  segna  un  periodo  di  grande  prosperità 
e  attività  per  il  piccolo  centro  che  sorgeva  sul  Molesino. 

Il  monumento  T  dunque,  come  tutto  fa  credere,  fu  un'ara  sulla  quale,  con  la  fronte 
ad  oriente,  salivano  i  devoti  per  compiere  qualche  cerimonia.  Purtroppo  a  Vignanello 
non  si  son  trovate,  come  a  Misanello,  prossime  rovine  di  un  tempio:  né  veramente  finora 
ce  ne  è  indizio  alcuno.  Ma  è  vero  che  il  terreno  circostante  non  è  stato  ancora  esplorato. 

(1)  P.  Ducati,  Contributo  allo  studio  dell'area  etnisca  di  Marzabotto,  in  Atti  e  memorie  della 
R.  Deputazione  di  storia  patria  per  le  Romagne,  IV  serie,  voi.  XIII  (1923). 

(2)  Gozzadini,  Antica  necropoli  a  Marzabotto  nel  Bolognese,  p.  22,  tav.  VI,  1,  3-5. 

(3)  Gerhard,  Etruskisehe  Spiegel,  IV,  1,  tav.  292;  Studniczka,  in  Oesterr.  Jahresh.,  XII,  1903, 
p.  139,  segg.,  fig.  83;  Ducati,  in  Rom.  Miti,  XXVII  (1912)  p.  244  e  segg. 

(4)  Studniczka,  np.  cit.,  p.  129;  De  Ruggiero,  Il  Foro  romano,  fig.  a  pp.  216  e  223. 

(5)  E.  Galli,  F icsole,  p.  18-22,  fig.   7  e  6. 

(«)  Ducati,  scr.  cit.,  p.  15  (dell'estratto).  Il  Ducati  giudica  la  primitiva  tomba  di  Romolo  certo 
anteriore  al  450  av.  Cr, 


REGIONE   VII.  —   26H   —  VIGNANEUO 


È  intanto  importante  constatare  la  duplice  circostanza  che  il  monumento  sorgeva  fuori 
delle-  mura  e  sopra  alla  necropoli.  Aveva  esso  qualche  relazione  con  il  culto  in  onore 
dei  defunti  ?  Per  esempio,  presso  il  tumulo  I  di  Cerveteri  (')  c'è  una  costruzione  che  me- 
riterebbe di  esser  studiata  a  questo  riguardo. 

In  ogni  modo,  tra  tutte  le  ipotesi  che  mi  si  sono  affacciate  alla  mento,  questa  che 
il  monumento  T  sia  stato  un'ara  destinata  al  culto  mi  pare  l'unica  attendibile. 

Ricordo  infine  che  all'angolo  sud-ovest  del  monumento  stesso  si  attacca  un  muro 
di  massi  di  tufo  in  direzione  ovest,  che,  dopo  m.  4.10,  piega  a  sud  e  corre  per  circa  m.  16 
fino  all'orlo  della  collima,  dove  ci  sono  altre  costruzioni  (fig.  62).  È  a  uno  o,  al  più,  due 
filari  ;  e  in  tale  stato  di  rovina  che  ogni  ipotesi  è  impossibile.  Era  il  limite  di  un  temenos  ? 
A  me  e  al  Malavolta  ha  fatto  l'effetto  di  essere  una  costruzione  posteriore,  aggiunta 
quando  l'ara  era  già  abbandonata  per  il  crollo  del  muro  S.  Questo  crollo  può  essere  av- 
venuto in  età  assai  antica  :  il  frammento  di  fittile  più  recente,  dei  pochi  trovati  sotto 
i  massi,  è  di  una  kylix  attica  del  V  secolo. 


*  * 


Con  questo  monumento  T  ho  terminato  lo  studio  di  tutti  i  resti  antichi  che  sono 
venuti  alla  luce  al  Molesino  e  nella  Cupa.  Con  queste  campagne  di  scavo  si  è  deter- 
minata l'esistenza  del  centro  abitato,  e  si  sono  rinvenute  parecchie  notevolissime  tombe, 
che  hanno  dato  una  suppellettile  importante  per  il  pregio  dei  singoli  oggetti  e  perchè 
ha  dimostrato    inconfutabilmente  che  Vignanello  apparteneva  al  territorio  Falisco. 

Ma  l'esplorazione  è  tutt'altro  che  compiuta  nella  necropoli,  mentre  nella  città  sa- 
rebbe assai  interessante  esplorare  a  fondo  il  terreno  circostante  all'ara  T.  Termino  per- 
tanto con  l'augurio  che,  mercè  lo  zelo  del  principe  Ruspoli  e  l'interessamento  della 
Soprintendenza  agli  Scavi,  le  ricerche  possano  essere  presto  riprese  e  ci  diano  altri 

importanti  risultati. 

G.  Q.  Giglioli. 

(')  Not.  scavi,  1915,  p.  349,  fig.  1. 


.OlUNVN'llv    IO    ViHJd 


L 


0       »        O" 


2» 
0' 


•5-  '/%&£''!&& 

i: 


.or       /' 


t?4  : 


S2S 


a^so    **       u       *ìK?àf#l|  | 


i^       ;U^|i||\!  =<3$| 


II 

'  *s? 

^r^ 

'©-*»       '* 

E- 

§•          v 

€r  ■ 

[i-Wj 

,;,}      vo 

^y;w     e 

Qi,'  '  1                      ^ 

*K     -          : 

ì                \ 

V 

// 


•OC 


o 

e 
o 


O 


T3 


0» 
I 

O 
_i 
_i 
uj 
Z 
< 

z 

g 
> 


Notizie  degli  Scavi  -  1Q24. 


Tav.  IV. 


IX  Vili 


VII        VI        V  IV 

Fig.  a 


XI  XII 


Fig.  b 


XII 


XIII 


VIONANELLO  -  L'entrata  delle  Tombe  della  Cupa 


Danesi-Roma 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  V. 


Fig.  a  -  Kylix  falisca 


Fig.  b  -  Kylix  attica 


Fig.  e  -  Cratere  apulo 


V1QNANELLO  -  Vasi  dipinti 


Danesi-Roma 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  VI. 


Fig.  e 


VIGNANELLO  -  Stamnoi  falisci 


Fig.  d 


lancsi-Roma 


Notizie  degli  Scavi  -  1Q24. 


Tav.  VII. 


Fig.  a 


a  s^^^^m^ 


^ 


Fig.  b 


VIONANFI.LO  -  Stamnoi  falisci 


- 


. 


- 


V. 


I 


Notizie  degli  Scavi  -  1Q24. 


Tav.  IX. 


Fig.  a 


Fig.  b 
VIGNANF.LLO  -  Kylikes  falische 


Danesi-Roma 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  X. 


Fig.  e 


Fig.  a 


Fig.  b 


Fig.  d 


Fig.  e 


VIQNANELLO  -  Fig.  a  b  -  Suppellettile  di  tomba  (vasi  locali  e  protocorinzi) 

Fig.  e  d  e  ■  Vasi  attici 


Danesi-Roma 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  XI. 


Fig.  a 


Fig.  b 


Fig.  e 


VIGNANELLO  -  Fig.  a  b  ■  Grande  altare  fuori  le  mura 
Fig.  e  -  Muro  di  cinta  della  antica  città 


Danesi-Roma 


NOTIZIE    DEGLI   SCAVI 


Anno  1924  —   Fascicoli'  7,  8,  O. 


Regione  XI   (TRANSPADANA). 

I.  PAVIA  —  Avanzi  di  edifìcio  sovrapposto  al  pavimento  romano  sco- 
perto sotto  il  Corso  Vittorio  Emanuele.  —  Altri  frammenti  architettonici. 

Proseguendosi  i  lavori  por  l'acqua  potabile,  che' condussero  alla  scoperta  di  un 
pavimento  o  lastricato  romano  sotto  l'attuale  Corso  V.  Eni.,  che  fu  sempre  via  cit- 
tadina, ed  era  il  curilo  di  Ticinum  (vedi  in  queste  Notizie,  anno  1!I2.">,  pag.  •210).  av- 
venne una  scoperta  notevole,  in  relazione  con  la  precedente,  ma  di  non  facile  inter- 
pretazione. 

Quasi  nel  mezzo  dell'incrocio  che  forma  il  Corso  con  le  vie  Calatafimi  e  Mentana 
(che  si  continuano  una  nell'altra  da  occidente  ad  oriente,  conservando,  come  altre 
vie  parallele,  l'andamento  del  reticolato  stradale  romano),  ed  a  circa  m.  6  dallo  spi- 
golo del  palazzo  universitario  che  volge  dal  Corso  sul  Iato  settentrionale  di  via  Men- 
tana, apparve,  a  soli  60  cm.  dal  piano  stradale,  mia  tozza  colonna  o  piedistallo  ro- 
tondo in  granito  a  grossi  elementi  (sarizzo),  ancora  in  silu  e  mostrante  la  faccia  su- 
periore di  giuntura  con  buco  per  un  pernio.  Avvertito,  e  presi  gli  opportuni  accordi 
con  l'Ufficio  tecnico  municipale,  feci  allargare  lo  scavo  ed  eseguire  il  rilievo  planime- 
trico e  la  fotografia  che  qui  si  riproduce  (fig.  1).  Mostra  quest'ultima  lo  spigolo  di  una 
costruzione  in  muratura,  a  doppio  paramento  senza  interstizio  di  altra  struttura: 
il  paramento  esterno,  di  maggiore  spessore,  in  pietra  da  taglio  ;  l'interno  di  mattoni. 
I  due  muri  s'incontravano  ad  angolo  non  perfettamente  retto,  ma  alquanto  ottuso. 
e  proseguivano  l'uno  sul  Corso,  parallelamente  alla  facciata  dell'Università,  l'altro 
verso  via  Calatafimi,  con  tendenza  ad  attraversarla  obliquamente.  Né  avevano  una 
grossezza  complessiva  uguale,  risultando  più  spesso  il  primo  (cm.  61)  e  più  sottile 
il  secondo  (cm.  52).  La  costruzione  poggiava  sul  pavimento  stradale  romano,  che 
appariva  ben  conservato  al  disotto  di  essa,  ed  aveva  invaso  e  usurpato  la  maggior 
larghezza  dell'antica  via,  riducendola  senza  dubbio  notevolmente;  non  si  può  dire 
con  precisione  di  quanto,  perchè  non  sappiamo,  se  l'attuale  larghezza  inedia  del  Corso 
corrisponda  appuntino  a  quella  della  via  romana. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  84 


PAVIA 


266  — 


KKGIONi;    XI. 


Sull'angolo  ora  situata  la  colonnetta,  formandole  la  muratura  un  breve  Beccolo 
dell'altezza  di  2ó  cm.  ;  e  dalla  cura  con  cui  si  fece  corrispondere  il  profilo  del  luto 
con  l'allineamento  dei  muri,  parrebbe  potersi  desumere,  che  questo  pezzo  lavorato 
era  collocato  a  vista. 

In  tutte  le  epoche,  chi  avesse  voluto  costruire  in  quel  punto,  usurpando  parte 
della  larghezza  dell'antica  via  o  giovandosi  di  anteriori  occupazioni  abusive  del  suolo, 


'/rfSW 


Fio.  1. 


non  sarebbe  stato  invitato  dalle  condizioni  di  fatto  a  svellere  i  poderosi  blocchi  del 
selciato  romano,  ma  piuttosto  a  servirsene  come  di  fondazione,  rinunziando,  almeno 
nella  parte  ove  l'area  della  nuova  costruzione  coincideva  con  l'antico  pavimento. 
ad  ottenere  cantine  profonde  nel  sottosuolo.  Tuttavia  l'avanzo  di  edificio  che  ci  è 
riapparso,  non  può  a  nessun  patto  appartenere  ad  epoche  recenti,  perchè  l'antico 
selciato  romano,  quantunque  ristretto  nella  sua  larghezza,  doveva  essere  ancora  in 
uso,  come  dimostra  il  rinvenimento  di  un  paracarro  piramidale  di  dimensioni  mo- 
deste, ancora  in  silu  sull'angolo  dell'edifìcio  ;  il  che  dimostra  all'evidenza,  che  le  strut- 
ture che  abbiamo  davanti  non  sono  fondazioni  interrate,  ma  parti  basse  a  vista,  con- 
fermando così  l'impressione  che  dà  la  collocazione  della  colonnetta  in  linea  con  i  muri. 
Basterebbe  il  fatto  che  tutto  rintcrramento  sino  al  livello  di  oggi  risulta  poste- 
riore alla  fondazione  dell'edificio  scoperto,  per  riconoscere  che  questo  deve  risalire 
a  una  notevole  antichità.  La  struttura  muraria  è  ancora  accurata,  e  le  uniche  forme 
un  po'  artistiche  che  abbiamo  a  disposizione  per  un  esame  stilistico,  cioè  quelle  della 
tozza  colonna,  mostrano  decadenza,  ma  non  abbandono  delle  forme  classiche  tarde, 


REGIONE    XI.  —    267 


PAVIA 


con  la  lavorazione  degli  scapi  a  doppio  toro,  ossia  a  due  bastoni  quasi  uguali  divisi 
da  profondo  solco  orizzontale,  e  ripetuti  quasi  identicamente  alla  base  e  sotto  il  piano 
di  posa  del  capitello,  mentre  e  dall'uno  e  dall'altro  capo  una  fascetta  o  listello  forma 
passaggio  graduale  o  invito  da  quella  forma  più  sporgente  al  fusto  liscio.  Né  certa- 
mente si  ha  qui  un  pezzo  dei  migliori  periodi  dell'età  classica  riadoperato,  bensì  un 
pezzo  lavorato  contemporaneamente  alla  costruzione  dell'edificio,  quando  la  preci- 
sione e  il  gusto  dell'esecuzione  tecnica  e  delle  forme  eostruttive  ed  ornamentali  si 
andavano  affievolendo,  ma  non  erano  spenti. 

Il  paracarro  di  arenaria  misura  in  altezza  cui.  27,  ed  alla  base  cm.  11x9;  ma 
essendo  consunto  sui  lati  esterni,  ove  mostra  tracce  di  urti  che  asportarono  parte 
della  superficie,  si  può  ritenere  che  in  origine  avesse  una  base  quadrata.  La  colonna 
di  sarizzo  misura  m.  1,10  in  altezza,  con  una  circonferenza  del  fusto  di  m.  1,70  e  un 
diametro  di  0,60  al  sommoscapo;  il  foro  pel  pernio  e  profondo  0,10.  È  certo  che  dovesse 
avere  un  capitello  ;  e,  se  questo  si  fosse  conservato  fino  a  noi,  avremmo  sicuramente 
maggiori  e  più  sicuri  elementi  per  il  giudizio  stilistico.  Stando  al  carattere  del  fusto, 
e  limitandoci  a  comparazioni  locali,  esso  ci  appare,  con  le  sue  proporzioni  tozze,  quasi 
un  precursore  di  colonne  romaniche  che  troviamo  adoperate  in  edifici  civili,  e  segna- 
tamente nel  Broletto  di  Pavia  ;  se  non  che  qui  le  colonne  sono  costruite  in  muratura 
e  non  già  tratte  da  monoliti:  in  piccoli  blocchi  di  pietra  da  taglio  quelle  del  cortile, 
assai  più  grosse  ;  in  cotto  quelle  delle  logge  superiori  ;  e  le  une  come  le  altre  portano 
al  sommoscapo  un  sol  toro  assai  rilevato,  di  sezione  semicircolare  e  di  gusto  già  af- 
fatto diverso. 

Ardua  cosa  è  l'indagare  quale  fosse  l'ufficio  della  nostra  colonna  angolare.  L'esi- 
stenza di  un  portico  sembra  da  escludere,  non  essendosi  potuta  notare  differenza  di 
sorta,  né  nel  paramento  esterno  nò  nell'interno,  fra  i  corsi  inferiori  della  muratura 
che  passavano  anche  sotto  la  colonna,  formandole  zoccolo,  e  quelli  superiori  che, 
nell'ipotesi  del  portico,  avrebbero  dovuto  accecarlo.  Forse  aveva  uno  scopo  ornamen- 
tale,nel  qual  caso  doveva  esisterne  un'altra  simile  all'altro  cantone  della  facciata  sulla 
via  romana  ;  forse  sosteneva  una  loggetta  angolare.  Nell'un  caso  e  nell'altro  essa  mo- 
stra, pur  nella  decadenza,  che  i  costruttori  di  questo  edificio  ebbero  una  certa  cura 
anche  per  l'adornamento,  confermando  così  l'impressione  che  si  riceve  dalla  buona 
struttura  muraria.  Pertanto,  ci  sembra  che  l'edificio  possa  assegnarsi  o  all'ultima  de- 
cadenza del  periodo  romano,  prima  che  si  aprisse  l'età  barbarica,  ma  quando  già  il 
rispetto  delle  vie  pubbliche  si  affievoliva  ;  ovvero  al  principio  dell'età  barbarica, 
quando  gli  artefici  conservavano  ancora  in  gran  parte  la  tecnica  romana,  e  cioè  al  pe- 


riodo gotico. 


Non  era  però  questa  la  prima  volta  che  la  colonna  veniva  alla,  luce.  Ci  venne, 
almeno  in  parte  e  senza  che  attorno  si  facessero  indagini,  quando,  nel  passato  secolo, 
si  collocarono  i  tubi  pel  gas,  che  le  si  fecero  girare  attorno  (ved.  la  fotografia);  e  la  vi- 
dero il  Brambilla  e  parecchi  cittadini  che  erano  tuttora  viventi  quando,  nel  1897, 
Pietro  Pavesi,  professore  di  zoologia  nella  r.  Università  e  benemerito  studioso  di  me- 
morie locali,  fece  di  ciò  menzione  nel  suo  opuscolo  su  La  slmili  il  Ile  Calme,  stampato 
in  quell'anno  a  Pavia  (pag.  12,  nota  3).  11  Pavesi  esclude  giustamente,  che  la  detta  co- 


PAVIA  —   268  —  -  REGIONE  XI. 

Ioana  potesse  mai  aver  appartenuto  alla  demolita  chiesa  del  Letto,  e  con  pari  giu- 
stezza ne  riconosce  il  carattere  romano,  pur  ponendo  innanzi  la  infondata  ipotesi  che 
sia  da  riconoscervi  un  milliario.  Devo  la  indicazione  bibliografica  al  chiaro  dottor  Re- 
nato Sòriga,  conservatore  del  Museo  civico  di  Pavia  ;  nel  quale  Istituto  ho  fatto  tras- 
portare tanto  il  paracarro  quanto  la  colonna,  affinchè  tutti  possano  osservarla  e  verifi- 
care che  il  fusto  non  portò  mai  iscrizione  di  sorta.  Gli  avanzi  dell'edificio  furono  rin- 
terrati. 

Negli  stessi  lavori  per  la  distribuzione  dell'acqua  potabile,  ma  in  tutt'altra  parte 
della  città,  e  precisamente  in  via  Giov.  Antonio  Scopoli,  vennero  in  luce  poderosi 
avanzi  di  mura  medievali  che  evidentemente  fecero  parte  di  una  delle  cinte  fortificate 
di  cui,  successivamente  e  sempre  allargandosi,  fu  munita  Pavia;  l'Ufficio  tecnico  mu- 
nicipale ne  fece  il  rilievo  planimetrico  prima  di  rinterrarli.  Si  presentavano,  per  chi 
entrava  in  quella  via  dalla  piazza  del  Municipio,  sulla  destra  poco  oltre  la  casa  Quinci 
e  volgendo  verso  la  via  di  Porta  Palacense,  a  guisa  di  un  robusto  bastione  sporgente, 
o  grande  torre,  che  avesse  fiancheggiato  la  detta  porta.  Entro  la  muratura  di  mattoni 
erano  posti  in  opera  come  materiale  di  costruzione  frammenti  di  marmo  bianco  che 
avevano  appartenuto  ad  antichi  edifici,  e  dei  quali  feci  estrarre  e  trasportare  al  Museo 
civico  i  più  significativi,  alcuni  con  residui  di  ornamentazioni.  È  probabile,  che  fossero 
stati  tolti  alle  rovine  del  prossimo  palazzo  di  Teodorico,  se  non  anche  a  quelle  del 
pur  vicino  anfiteatro. 

La  via  Scopoli,  alcuni  anni  or  sono,  proseguendo  e  passando  davanti  all'Orto  bo- 
tanico, conduceva  in  forte  salita  ai  bastioni  della  terza  ed  ultima  cinta,  tuttora  in 
parte  esistente;  ora  vi  conduce  in  piano,  per  essere  stato  abbassato  il  terrapieno  dei 
bastioni  a  livello  delle  vie.  Durante  gli  sterri — che  visitai  talora  anche  in  compagnia 
del  compianto  collega  T.  Tarainelli,  il  rinomato  geologo  dell'Università  di  Pavia  — 
venivano  in  luce  pietre  lavorate  di  lontana  provenienza  (fra  le  altre  alcuni  enormi 
blocchi  di  marmo  rosso  di  Verona)  che  pure  dovevano  derivare  dallo  spoglio  delle 
rovine  d'insigni  edifici,  come  i  due  sopra  detti,  ed  erano  state  adoperate  per  colmare 
il  terrapieno. 

Nel  correggere  le  bozze  di  stampa  della  predente  Relazione  sono  in  grado  di  comu- 
nicare che,  par  merito  del  citato  dott.  Sòriga,  il  Museo  civico  di  Pavia  ha  ricuperato  un 
altro  pezzo  importante  proveniente  dagli  sterri  di  via  Scopoli,  che  era  stato  momenta- 
neamente sottratto  dngli  operai  ;  e  cioè  la  parte  inferiore  di  una  statua  marmorea  togata 
d'epoca  tarda  un  po'  maggiore  del  vero,  comprendente  (purtroppo  per  poca  altezza)  il 
panneggio  aderente  alla  base,  col  piede  sin.  calzato  che  sporge  fuori  (il  destro  manca). 

G.  Patroni. 


REGIONE   X. 


269 


ESTE 


Regione  X  (VENETI A  ET  HlSTRIA) 

IL  ESTE  —  La  ùlula  figurata  Randi.nel  Museo  di  Este  (Uv.  XII). 

La  situla  figurata  del  podere  Mandi  si  può  dire  ancora  inedita,  per  quanto  v'abbia 
accennato  il  Ghirardini  (')  promettendo  di  rioccuparsene.  Proposito  non  effettuato, 
né  pur  troppo  effettuabile  più. 


I  I  P.W.rf. 

£233  ••    -    iv 
1223  ••    •■    ///■ 


I  Aj  t*gf>°  -UI  111**1  fi*  pv  * 

3  P*u*tf>0  <1*l  11**1111'  P*r  ** 
\p**M°    II' 


Fio.  1. 


È  uscita  nel  gennaio  1906  da  una  tomba  della  necropoli  dell'ovest  (v.  pianta  e  tìg.  I  ). 
Appunto  in  quell'inverno,  la  direzione  del  Museo  Nazionale  Atestino  scavò  nel  po- 
dere Kandi,  ex  Franchini,  scoprendo  trentotto  tombe  (2)  ;  delle  quali  sei,  appartenenti  al 

(')  Bull,  paletti.  1913,  p.  160. 

(»)  Dodici  appartenevano  a!  II  per.  Prosdorimi.,  a  prof,  da  m.  1,00  a  2,10;  diciannove  al  IH, 
prof,  da  0,40  a  1,70;  quello  del  TV  prof .  da  0,50  a  1  ;  una  sola  era  romana,  a  m.  0,40.  Anelie  qui 
dunque,  silvo  l'assenza  compierà  del  primo  periodo,  la  stratificazione  si  presenta  chiara.  Si  sco- 
prirono anche  due  stele  trachitiche,  anepigrafi,  infìsse  verticalmente,  e  si  segui  per  buon  tratto  a 


ESTE  —   270  —  -  REGIONE   X. 

Ili  periodo  Prosdocimi,  risultarono  violate;  alcune,  pare,  fin  dall'epoca  romana,  altre 

—  è  facile  il  sospetto  —  ad  opera  di  Girolamo  Franchini,  maioliearo,  quando  sullo 
scorcio  del  secolo  XVIII  frugò  i  sepolcreti  e  per  sé  e  per  conto  del  marchese  Tomaso 
degli  Obizzi  ('). 

Riporto  dal  giornale  di  scavo,  tenuto  con  la  solita  esattezza  dal  compianto  Alfonsi, 
quanto  concerne  la  nostra  tomba  : 

«26  gennaio:  tomba  n.  -'54,  a  cassetta,  alla  profondità  di  m.  1,70.  Lunga  0,70, 
larga  0,65,  alta  0,60.  Il  coperchio  di  questa  stava  sotto  la  platea  della  tomba  n.  22  (2) 
e  distava  da  questa  m.  0,70.  Era  vuota  da  terra  ;  ma  la  platea,  per  pressione,  si  era 
sollevata  nell'interno  rovesciando  i  vasi.  Superba  sitala  ornata  di  cordoni  racchiu- 
denti zone  con  figure  animali,  munita  di  coperchio.  Disgraziatamente  era  profonda- 
mente ossidata  e  frammentala.  Conteneva  un  ossuario  fittile  lucidato  a  nero;  con 
ciotola  coperchio  che  racchiudeva  le  ossa,  due  aghi  crinali,  due  spirali  di  bronzo 
e  un  oggetto  pure  di  bronzo,  non  definibile.  Oltre  a  questi  vasi,  si  trovarono  cinque 
Doppine  a  basso  piede  e  un  vaso  situliforme  contenente  una  scodellina  a  manico 
rialzato  ». 

Prima  di  parlare  della  situla,  esaminiamo  più  minutamente  gli  oggetti  che  l'ac- 
compagnavano.  e  che  oggi  si  vedono  esposti  con  essa  in  una  vetrina  della  sala  E  (se- 
zione preromana).  La  rassegna  ci  servirà  ai  fini  della  datazione. 

Terracotta  :  a)  ossuario  (n.  4893  d'inventario)  situliforme,  lavorato  al  tornio,  tinto 
di  grafite.  Altezza  nini.  260  ;  diametro  alla  bocca  0,185.  Colmo  di  ossa  combuste  e  ce- 
neri (fig.  2). 

b)  Vi  è  imposta  una  ciotola-coperchio  (n.  4804)  a  labbro  rientrante,  tinta  di 
grafite  e  decorata  esternamente  a  stralucido  di  strie  radiali.  Per  base  un  disco  piatto 
dipinto  con  una  croce,  pure  a  stralucido.  Diametro  0,210. 

e)  Vaso  (n.  4895),  uguale  di  forma  al  precedente  ossuario,  ma  di  argilla  rossa. 
che  reca  tracce,  quasi  svanite,  di  un  disegno  a  reticolato  ottenuto  con  ingobbatura, 
dove  i  rombi  risultanti  dalle  linee  che  s'intersecano,  vengono  tagliati  a  metà  da  altre 
linee  orizzontali.  Tale  decorazione  non  è  abbondante  nella  ceramica  atestina.  Semplifi- 
cata, senza  cioè  le  righe  traverse,  la  si  vede  in  un'olla  vent ricosa  del  IH  periodo  uscita 


prof,  variante  da  in.  0,40  a  1,  una  cordonata  circolare  di  precintone.  lo  un  dileguo  trovato  al 
Museo  ho  potuto  notare  che  a  sua  volta  anche  la  tomba  contenente  la  situla  figurata  era  compresa 
in  un  recinto  di  sassi  conforme  un  rito  non  infrequente  nelle  necropoli  atestine  e  ad  esse  carat- 
teristico pel  quale  si  distinguevano  i  sepolcreti  di  famiglia  e  le  tombe  dei  capi. 

(')  «  Osservo  essere  cosa  certa,  che  circa  la  metà  dello  scorso  secolo  un  certo  Franchini  Girolamo 
di  qui,  proavo  del  superstite  Luigi  Franchini,  nei  pressi  di  Morlnngo  [che  è  il  sito  dove  fu  importa 
la  situla  Ramli]  ed  in  altre  località  fece  fare  degli  scavi  cedendo  Boi  il  frutto  dei  medesimi  al  Museo 
del  Cataio,  allora  della  nobilissima  famiglia  degli  Obizzi  >  (Soranzo,  Scavi  e  scoperte  nei  poderi  Nazari 
di  Sale,  p.  41)  E  l' Alessi  a  p.  288  delle  sue  Ricerche  istor.  crit.  delle  ant.  di  Jkte:  «  Circa  un  centinaio 
fdi  lucerne]  ne  ha  raccolto  il  sedo  Girolamo  Franchini,  uomo  amante  delle  cose  antiche...,  estratto 
la  maggior  parte,  com'egli  afferma,  in  questi  ultimi  anni  ne'  campi  suoi  fuori  del  borgo  di  Caldivicn 
verso  la  pendice  »  |Caldivico  è.  compresa  nella  necropoli  del  nord  |. 

(-)  Di  passaggio  dal  III  al  IV  per.,  a  prof.  m.  0,60.   Violata. 


KKliloNK   X. 


—  271  — 


KtìTh 


dal  sepolcreto  Pela  (n.  1958,  tomba  n.  13),  e  in  due  ossuarii  di  tipo  gallico  del  sepol- 
creto Benvenuti  (a.  0937,  tomba  n.  123;  e  n.  5855^  tomba  n.  118)  (').  È  frequente 
invece  in  una  necropoli  del  111  periodo  scoperta  a  Padova  in  Borgo  Ognissanti  (*).  Ai- 
tozza  nini.  250  ;  diametro  alla  bocca  min.  185  (fig.  3). 


Fio.  2. 


il)  Coppe  (nn.   4896-4897-4898-4900)  a   basso   piede  campanato,  vuoto,  con 
labbro  rientrante;  uguali  nella  forma  e  colorate  a  raggiera  colla  grafite  sulla  tesa 

esterna  (fig.  3). 

e)  Coppa  (n.  4899)  a  piede  bassissimo,  con  grosso  labbro  rientrante;  ricomposta 

da  più  pezzi  (fig.  3). 

f)  Scodellimi  (n.  4901)  di  fattura  fine,  in  argilla  nerastra  verniciata  in  bruno, 
con  ansa  verticale.  Tipo  comunissimo  fin  dall'inizio  del  II  periodo  (fig.  3). 

Bronzo  :  «)  Frammento  (n.  4902)  d'ansa  o  manichetta,  munito  di  aletta.   In  due 
pezzi.  Fuso.  Dev'essere  questo  l'oggetto  indicato  dall'Alfonsi  come  indefinibile  (fig.  3). 


(>)  Cfr.  ProsdMimi.  Notizie  ìc,  1882,  tav.  VITI,  Bg.  2;    e  Ghignimi.  ìi«lì.  pai.,  anno  XXX, 

p.   114. 

(2)  Moschetti-Conlenons,  in   Bott.  d<  1  Mus.  Civ.  di  Padova,  anno  XIV,  fase.  1-6. 


ESTE 


—  272  — 


KKG10NE  X. 


b)  Due  aghi.  Duo  (n.  4905)  intero,  che  si  presenta  piegato  ad  arco,  reca  quattro 
globetti  e  due  costole  nella  parte  superiore.  È  munito  di  grazioso  salvapunta  di  0880. 
Lungo  0.1  '-•(>.  (Hi  aghi  a  globetti,  di  grandezza  variabile,  si  trovano  spesso  nelle  tombe 
di  Este  ;  e,  particolare  notevole,  sono  gli  unici  fra  i  differenti  tipi  di  ago,  ai  quali  si 
accompagni  il  salvapunta,  così  che  pare  debba  arguirsi  fosse  una  caratteristica  loro 
propria  (')  (fig.  3).  L'altro  (n.  4904)  in  due  pezzi  e  incompleto,  fatto  di  lamina  accar- 
tocciata, presenta  due  dischi  infilati,  uno  dei  quali  funziona  da  capocchia.  Lunghez- 
za 0,180  (fig.  3). 


Fio.  3. 


fi)_Doppia  spirale.  TI  cordone,  che  avvolgendosi  la  origina,  si  curva  ad  arco  fra 
esse.  Probabile  frammento  di  una  fibula  (fig.  1). 

A  questi  oggetti  va  unito  un  ciottolo  fluviale  marmoreo  (n.  4906).  Forse  un  amu- 
leto, se  pure  non  servì  per  macinare  l'ocra.  Che  fosse  nella  tomba,  benché  l'Alfonsi  non 
vi  accenni,  lo  desumo  dal  trovarsi  esso  esposto  col  resto  del  corredo  funebre,  e  tutti 
sanno,  come  nel  Museo  atestino  il  concetto  topografico  sia  stato  sempre  seguito  scrupo- 
losamente. Del  resto  la  sua  presenza  si  riscontra  con  altri  trovamenti  di  ciottoli  fluviali 
in  tombe  del  IT  periodo  (*). 

E  veniamo  alla  situla  (n.  4891)  (tav.  XII).  Altezza  min.  320-330  ;  diam.  superiore 
230-235  ;  diametro  inferiore  131   (3).  Patina  di  un  bel  verde,  o  bleu  di  Prussia  intenso. 


(')  Cfr.  (ìhirardini,  Unii,  pai,  anno  XXX;  pp.  121-122.  Il  piti  bello  p  guada,  aurora  infilato 
in  un  copripunto,  uscì  dalla  tomba   187  Rebato.  Cfr.  Alfonsi,  Notizie  1022,  pp.  47-48. 

(2)  Due  ciotoletti  fluviali  si  trovarono  nella  tomba  19  Benvenuti  del  II  per.  contenente  le  ossa 
non  ben  combuste  di  un  bambino  di  cui  quei  ciottoli  saranno  stati  il  giocattolo  caro.  Un  altro  ciot- 
tolo usci  dalla  tomba  n.O  (II  per.)  appartenente  allo  stesso  sepolcreto.  Vedi  Alfonsi,  Notizie,  1907, 
pp.  172  e  174. 

(3)  L'oscillazione  delle  prime  cifre  esposte  trova  giustificazione  nel  fatto  che  la  situla  ci  per- 
venne in  pessima  conservazione,  lacunosa,  frammentata,  guasta  dall'ossido  ;  e  nel  ricomporla,  per 


regione  x.  •_  273  -  ksh: 


È  a  tronco  di  cono  rovescio  che  in  basso  s'ingentilisce.  Tecnica  solita  :  lamiere  di 
bronzo  tirate  sottili  a  martello,  unite  per  sovrapposizione  e  tenute  in  sesto  mediante 
bullette  a  testa  piatta  e  tonda,  ribadite  all'interno.  Ma  la  struttura  è  più  complessa  del 
consueto.  Due  lamine,  congiunte  verticalmente,  formano  la  parte"  alta  del  corpo,  la 
spalla,  il  collo.  A  quelle  si  unisce  per  una  serie  orizzontale  di  borchie  una  striscia  che 
comprende,  come  vedremo,  la  zona  colle  palmette  e  uno  dei  grossi  cordoni  che  le  st,i 
sotto  ;  una  quarta  infine,  liscia,  fermata  con  chiodi  di  testa  più  piccola,  costituiva  la 
parte  inferiore  e  probabilmente  anche  il  fondo,  ora  mancante. 

Quattro  grossi  tori,  fiancheggiati  ciascuno  da  altri  due  sottili,  dividono  il  corpo 
in  quattro  zone. 

Inusitati  per  le  dimensioni  nelle  situle  atestine,  paiono  davvero  la  sopravvivenza 
dei  cerchi  che  assicuravano  le  doghe  nelle  secchie  di  legno.  E  questi  tori  o  cordoni  sono 
graffiti  a  trattini  disposti  a  spina-pesce. 

La  spalla,  a  piano  inclinato,  forma  col  corpo  angolo  acuto.  Il  collo,  verticale,  ha 
il  labbro  arrotolato  attorno  a  un'anima  di  metallo. 

Delle  zone  l'inferiore  resta  liscia,  le  tre  altre  sono  sbalzate  a  mano  libera  dal- 
l'interno  all'esterno,  ma  d'uno  sbalzo  depresso.  Xella  zona  con  figure  d'animali,  un 
po'  meno  in  quella  colle  rosette,  i  contorni,  incisi  una  prima  volta  a  tagli  rettilinei, 
vennero  ripassati  premendo  forte  un  istrumento  acuminato.  Invece  nella  terza  il 
lavoro  è  piìi  frettoloso,  e  le  palmette  riuscite  assai  irregolari  si  presentano  con  le 
curve  risultanti  dalla  unione  di  tratti  squadrati,  e  appena  qua  e  là,  come  di  volo,  vi 
è  segno  della  punteggiatura.  Questa  diversità  di  sentimento  e  di  mezzi  di  esecuzione, 
ancora  maggiore  sul  coperchio,  che  artisticamente  è  la  cosa  più  bella,  permette  di 
credere  che  più  d'uno  siano  stati  gli  artefici,  i  quali  forse  —  giusta  l'ipotesi  del 
Ghirardini  (l)  —  erano  uniti  in  corporazioni. 

Attorno  alla  prima  zona  (alta  mm.  36)  una  teoria  di  nove  quadrupedi  cammina 
verso  sinistra.  Vediamo  due  stambecchi  susseguirsi  chinati  nel  solito  atteggiamento 
del  pascere  ;  dietro,  i  bovi  (*).  D'uno  di  questi  è  rimasta  la  sola  parte  deretana  e  la  testa 
presso  uno  stambecco.  I  corpi,  eccetto  due  stirati  per  necessità  di  riempire  lo  spazio 
troppo  ristretto  ormai  per  capire  un  decimo  animale,  sono  abbastanza  organici,  non 
esageratamente  allungati  come  quelli  della  situla  Benvenuti  Pi,  né  stecchiti  e  legnosi 


quanto  'l'esecutore  sia  stato  quel  Calore  che  già  si  era  meritato  lodi  anche  straniere  quale  abile  imi- 
tatore dei  prodotti  sphyrelata,  non  si  seppe  o  non  si  potè  operar  bene,  e  non  combaciando  le  zone, 
ma  quale  restando  più  alta,  quale  più  bassa,  salta  all'occhio  la  situla  essere  uscita  dal  restauro  alterata 
nell'insieme,  e  in  origine  dover  risultare  un  poco  più  bassa.  Alcuni  frammenti  conservati  in  una  sca- 
toletta unita  alla  suppellettile  della  tomba  mostrano  di  appartenerle,  lasciati  da  parte  dal  restaura- 
tore perette  troppo  minuti.  Per  tenerla  su,  venne  assicurata  a  una  rete  metallica  riposante  su  scheletro 
di  legno,  e  i  vuoti  vennero  risarciti  col  gesso.  Il  coperchio,  fragilissimo,  fu  assicurato  a  una  callotta 
di  rame. 

(')  Bull.  l'ai.  /<.,  1911,  p.  102. 

(2)  Ghirardini  (Bull.  lai,  1913)  parla  di  quattro  bovi.  In  realtà  sono  sette,  riconoscibilissimi, 
anche  quelli  più  danneggiati. 

(3)  Cfr.  tav.  I  della  pubbl.  cit.  del  Benvenuti. 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  35 


KS'I'K 


—   274  —  REGIONE    X. 


come  nel  soperchio  Rebato  (').  Le  froge,  la  bocca  formano  in  molti  come  tre  grosse  lab- 
bra che  conferiscono  un  aspetto  infantilmente  umano.  Secondo  il  solito,  abbiamo  espresso 
un  corno  solo,  immaginandosi  l'altro  prospetticamente  nascosto;  e  queste  corna,  che 
par  si  partano  dal  mezzo  della  fronte,  sono  striate  come  quelle  Kebato,  mentre  il  corno 
del  bue  Benvenuti  è  liscio.  Le  code  bovine  sono  trattate  variamente:  in  alcune  lo  spa- 
zio limitato  dal  contorno  è  occupato  da  trattini  obliqui;  in  altre  questi  trattini  si  bipar- 
titilo, più  conforme  al  vero,  da  una  lineola  mediana.  Tutte  le  quali  disuguaglianze  ci 
dicono  il  lavoro  essere  stato  condotto  così  a  occhio,  senza  uso  di  calchi. 

La  seconda  zona  (alta  ugualmente  nini.  35)  è  piena  di  rosette  a  otto  petali  attorno 
al  bottone  centrale,  ricorrenti  vicine  vicine. 

La  terza  (alta  mm.  52  circa)  ha  le  palmette  fenicie  diritte  e  rovescie,  alternata- 
mente. Dove  le  volute  si  toccano,  sta  un  chiodo  che  accortamente,  fatto  corrispondere 
alle  bugne  centrali  delle  palmette,  non  sembra  vero  ma  bulinato. 

Sul  collarino  si  scorgono  quattro  coppie  equidistanti  di  fori  tondi.  Evidentemente 
due  servivano  per  fissarvi  le  gambe  a  grappa  con  occhiello  dove  s'innestavano  i  manichi. 
due  gli  uncini  dove  quelli  riposavano.  La  situla  era  dunque  provvista  di  manico  gire- 
vole doppio  per  ottenere  maggiore  equilibrio. 

Ghirardini  scriveva  (2):  «  I  manichi  mobili  non  si  hanno  in  Este  se  non  per  secchielli 
di  piccole  dimensioni  ».  È  una  osservazione  che  ha  perso  valore  dopo  le  scoperte  poste- 
riori a  quello  studio.  Oltre  alla  nostra,  abbiamo  la  situla  (n.  51 62,  tomba  73,  III  periodo) 
proveniente  dal  fondo  Kebato  che  tuttora  la  mantiene  (8).  E  la  nostra  servì  prima  a 
trasporto  di  liquidi;  la  si  privò  dei  manichi  e  degli  uncini,  quando  entrò  nella  tomba. 
Si  può  pertanto  pensare,  che  tutte  le  altre  grandi  situle  uscite  dalle  necropoli  atestine, 
poiché  non  recano  né  manichi  nò  tracce  di  essi,  furono  espressamente  eseguite  per  uso 
funebre.    ' 

Il  coperchio  (n.  4892,  diametro  245  mm.),  a  callotta  con  bordo  piegato  vertical- 
mente, più  ancora  del  vaso  è  intaccato  dall'ossido,  tanto  che  a  mala  pena  vi  si  distingue 
la  figurazione.  Dovette  l'umidità,  filtrando  attraverso  le  sfaldature  calcari  della 
cassetta,  deporvisi  sopra  e  guastarlo  ;  per  la  stessa  ragione  il  fondo  pure  andò  perduto. 
In  migliori  condizioni  si  mantenne  la  parte  centrale  del  corpo  che  opponeva  una  super- 
ficie sfuggente.  Impossibile  darne  la  fotografia  ;  il  disegno  che  presento  fu  però  da  me 
eseguito  con  la  maggior  cura  (fig.  4).  Un  poco  indietro  dall'orlo  il  coperchio  si  gonfia 
a  toro  cerchiato  da  un  cordoncino  ;  un  altro  toro  e  un  altro  cordoncino  girano  attorno 
alla  presa  centrale.  Anche  questi  tori  sono  decorati  a  spina-pesce.  La  presa,  lavorata 
e  saldata  a  parte,  ha  forma  elegante  di  calicetto  con  largo  labbro  espanso,  e  sopra  la 
bocca  della  scodella  è  fissato  un  disco  che  s'innalza  a  cono  nel  mezzo,  e  finisce  sormon- 
tato da  un  pometto.  Tale  forma  a  scodella  e  il  pometto  si  riscontrano  con  quelli  del  co- 
perchio della  casa  di  Ricovero  (n.  3551,  tomba  n.  34  ;  di  transizione  dal  11  al  III  periodo) 
nel  quale  coperchio  il  pometto  sta  nascosto,  e  più  con  quelli  del  coperchio  Rebato  di 

(')  Cfr.  Kg.  41  in  Alfonsi,  Noi  scavi,  1922.  pag.  47. 
(*)  La  situla,  in  Mon.  antic'.i,  part.  I,  col.  38. 
(s)  Ofr.  fi?.  22  in   Alfonsi,  Not.,  1922,  p.  24. 


REGIONE   X. 


275 


ESTE 


pieno  II  periodo  nel  quale  invece  spunta  fuori  a  forma  di  melograno  (vedi  fìg.  4). 
Questo  tipo  di  presa  lo  troviamo  anche  nelle  situle  felsinee,  già  in  quella  del  sepol- 
creto Benacci  (*)  ;  il  che  dimostra  l'arcaicità  del  motivo  (*). 

La  zona  compresa  fra  i  tori  è  decorata  con  figure  di  quadrupedi.  Uno,  gradiente  a 
destra,  sta  chino.  Non  se  ne  distinguono  se  non  le  zampe  che  sono  quelle  proprie  dei  felini 


Fio.  4. 


e  la  lunga  coda  ricurva  passante  fra  le  gambe  sotto  il  ventre.  La  linea  del  collo  inclinata 
denota  la  belva  essere  in  atto  di  pascere  se  non  piuttosto,  conforme  alla  sua  natura 
ferina  e  a  somiglianza  di  altre  belve  che  s'incontrano  sui  bronzi  atestini,  in  quello  di 
lambire  le  gambe  posteriori  del  cervo  che  le  pascola  quieto  davanti.  A  quest'ultimo 

0)  Cfr.  /arnioni,  Gli  scavi  della  Certosa  di  Boi.,  tav.  OXLVIII,  flg.  24,  dove  però  la  riproduzione 
è  di  così  minuscole  proporzioni  da  potersi  dir  solo  che  il  coperchio  è  munito  di  presa. 

(*)  Una  derivazione  da  questo  tipo  di  presa  rivelano  i  vasi  zonati  n.8163,  3147  rinvenuti  nella 
tomba  42  (ITI  per.),  necrnp.  dell'ovest.  la  presa  dei  loro  coperchi  è  foggiata  a  forma  embrioni*  di 
testa  umana. 


ESTE 


—   276  —  REGIONE   X. 


fanno  sèguito  due  stambecchi  affrontati  a  testa  alta  così  che  le  corna  ricurvo  seguono 
parallele  al  cordone  interno.  In  mezzo  agli  stambecchi  qualcosa,  al  tatto  più  che 
all'occhio,  riconoscibile  per  una  palma  fogliata  (').  di  quelle  che  di  solito  pendono 
dalle  bocche  dei  quadrupedi. 

Da  quanto  sopra,  risulta  essere  la aitula  blandi,  oltre  che  la  più  adorna,  dopo  la 
Benvenuti,  di  forma  affatto  nuova  per  Kstc  Al  Ghirardini  sorriso  l'idea  di  trovarsi 
lilialmente  di  fronte  a  un  prodotto  ionico  di  quelli  che  servirono  di  modello  ai  calchcuti 
veneti.  Però,  a  mio  modesto  avviso,  malgrado  le  particolarità  e  singolarità  tecniche  e 
stilistiche  e.  lino  a  un  certo  punto,  una  tal  quale  maggior  felicità  nel  rendere  forma 
e  movimento,  troppe  sono  le  negligenze,  di  esecuzione  per  ritenerla  fabbricata  in  ( 'uccia 
a  scopo  d'esportazione,  o  uscita  —  il  che  sarebbe  lo  stesso  —  da  mani  esotiche  ope- 
ranti nel  Veneto.  Io  credo  si  debba  farla  rientrare  nell'ambito  dell'arte  nostrana.  Nes- 
sun elemento  vi  è  nuovo  :  gli  animali,  le  rosette,  gli. spina-pesce  sono  elementi  soliti  degli 
sphyrelata.  Anche  per  i  cordoni  la  novità  si  riduce  in  fondo  alla  grossezza,  e  del  resto 
uno  altrettanto  voluminoso  cinge  il  collo  del  piede  nella  situla  della  casa  di  Ricovero 
(n.  3550,  tomba  234)  (2).  Maggiore  novità  offrono  le  palmette.  che  —  se  non  sbaglio  — 
si  trovano  solo  sulla  guaina  di  pugnale  di  una  tomba  Franchini  (3),  dove  però  il  motivo 
diritto  e  rovescio  è  espresso  con  qualche  diversità. 

Oso  poi  non  condividere  l'opinione  del  Ghirardini  che  la  assegnò  al  III  periodo. 
Di  questo  è  l'uso  (che  troviamo  già  nella  situla  Benvenuti  e  in  quella  della  cisa  di 
Ricovero,  entrambi  di  transizione  fra  il  IT  periodo  e  il  ITI)  di  non  far  servire  la  situla  a 
contenere  direttamente  le  ceneri.  Ma  l'ossuario  situliforme  inizia  il  secondo,  ma  il  tipo 
di  presa  si  trova  nei  coperchi  di  ambedue  i  periodi,  ma  la  decorazione  a  stralucido  è 
più  antica  del  ITI  (4)  e  la  ciotola  coperchio  nel  TU  periodo  autentico  non  finisce  piatta 
ma  si  aggrazia  nel  tipo  di  presa  derivato  da  modelli  metallici  quale  appunto  il  nostro 
coperchio  ;  infine  —  e  questa  è  la  prova  più  certa  —  gli  aghi  crinali,  frequenti  nel  II. 
se  reperibili  tuttavia  nello  stadio  di  transizione  come  nelle  due  tombe  citate  sopra,  nel  ITI 
spariscono  completamente  (s). 

Ritengo  perciò  giusto  ascriverla  alla  fine  del  periodo  secondo,  cioè  a  subito  dopo 
la  metà  del  sec.  VI  av.  Or.,  se  anche  non  più  su,  considerando  che  la  situla  servì  ai  vivi 
prima  che  ai  morti  (8). 

(')  Si  noti  la  stretta  analogia  decorativa  e  di  forma  fra  il  nostro  e  il  coperchio  Rebato. 
II  motivo  degli  animali  affrontati,  come  il  Ducati  osserva  ('tuli,  l'ai,  1923,  p.  89  e  segg.)  è  «  tardo 
riflesso  di  arte  sub-micenea  e  orientalizz%itc  nel  tempi  stesso  ». 

(')  Pubblicata  da  Ghirardini  in  Bull,  anno  XXVIT,  ftg.  2:  Nuova  sit.  alcstina con  ornali  geom. 

(3)  Cfr.  in  Ghirardini.  Bull.  1911,  la  fig.  2  della  tav.  IV. 

(')  Xella  tomba  n.  78  del  se)).  Benvenuti  la  vediamo  nelle  cintole  n.5041  e  5046  ;  e  in  una  coppa 
li.  6339  della  tomba  142  della  casa  di  Ricovero,  e  nella  ciotola  n.  2368,  tomba  149  delle  stesse  necropoli. 
Tombe  tutte  del  li  periodo. 

(6)  Per  gli  aghi  crinali  cfr.  Prosdocimi,  Notizie,  1882,  tav.  TV,  fig.  38-39;  Soranzn,  <>p.  cit., 
tav.  VT,  fig.  9  e  11  ;  Ghirardini,  Bull,  pai,  XXVII,  p.  207,  fig.  6  ;  Benvenuti,  op.  cit.,  tav.  TI. 

(«)  11  Grenier,  Kologne  villanovienne  et  étrusiue,  1912,  e  il  Ducati,  Hull.  Pai,  citato,  e  La  situla 
della  Certosa,  Bologna,  1923,  p.  72,  pensano  a  un  ritardo  culturale  di  Bste  rispetto  a  Bologna. 
Io  però,  considerate  le  favorevoli  condizioni  geografiche  della  pianura  veneta,  mi  attengo  ancora 
alla  cronologia  proposta  dal  Ghirardini. 


REGIONE    X.  —    277  —  ESTE 


Il  Ghirardini  riconobbe  al  III  periodo  l'uso  pieno  della  decorazione  zoomoriìca, 
e  credette  a  un  perfezionamento  nella  tecnica  dovuto  all'esercizio.  Dopo  la  scoperta 
della  situla  Rebato  e  di  questa  Randi,  che  si  collega  dunque  per  la  datazione  alla  Ben- 
venuti (proprio  le  tre  situle  più  prezioso  sono  anteriori  al  III  periodo),  quei  concetti 
non  possono  più  essere  sostenuti.  Noi  troviamo  abilità  e  ricchezza  decorativa  agli  inizi, 
anzi  più  allora  che  appresso,  fatto  comprensibile  in  una  forma  d'arte  importata  e  copiata, 
che  non  ebbe  sviluppi,  presto  in  decadenza  quando  per  la  cresciuta  produzione  locale 
dovette  mancare  la  necessità  di  nuove  importazioni.  Gli  artefici  veneti  hanno  copiato  e 
interpretato  da  barbari,  e  niente  aggiunto.  Se  avessero  creato  elementi  nuovi,  questi 
sarebbero  perdurati  più  degli  stranieri  corrispondendo  a  un  sentimento  —  per  dir  così  — 
nazionale.  La  poca  attitudine  e  genialità  artistica  si  tradisce  appunto  nella  cristalliz- 
zazione, nel  sempre  più  stanco  e  più  infantile  ripetersi  dei  vecchi  motivi.  Forse  ciò  di- 
pese anche  dal  costo  e  dalla  conseguente  scarsità  di  ordinazioni.  La  mancanza  di  gua- 
dagno dissecca  le  fonti  migliori.  Né  la  decorazione  zoomorfica  dei  bronzi  si  può  calco- 
lare un  nuovo  stile  (')  venuto  in  onoro  dopo  il  geometrico.  L'osservazione  che  senza  i 
criterii  topografici  «  avremmo  probabilmente  pensato  ad  una  decorazione  geometrica, 
che,  povera  agli  inizi,  fosse  andata  via  via  arricchendosi  di  nuove  forme,  in  guisa  da 
trapassare  dal  semplice  al  complesso  »  mentre  invece,  «  quando  penetrò  nella  regione 
veneta,  aveva  già  attraversato  tutti  gli  stadii  del  suo  svolgimento  »  (2)  è  forza  ripeterla 
per  la  zoomorfica  interpretata  finora  quasi  un  progresso,  un  raffinamento  di  quella.  I 
due  generi  furono  concomitanti  fin  da  principio.  Piuttosto  da  un  fare  —  per  intendersi — 
naturalistico  degenerarono  in  uno  più  convenzionale.  E  quel  terzo  periodo,  che  apparve 
come  il  massimo  della  civiltà  de'  Veneti,  dove  coderò  forse  il  passo  a  quello  che  la  pre- 
cedette. Tutt'al  più  si  potrà  riconoscergli,  che  vi  raggiunse  maggior  bellezza  (s)  e  varietà 
la  ceramica,  vittoriosa  per  ragioni  economiche  nella  concorrenza  degli  oggetti  enei  che 
aveva  impreso  a  imitare. 

E  qui  si  presenta  di  nuovo  il  vecchio  problema  :  sono  le  situle  d'importazione  d'ol- 
tremonte  o  d'oltremare  ?  Come  è  noto,  il  Ghirardini,  basandosi  sulla  successione  degli 
stili,  ammise  la  forma  del  vaso  e  i  motivi  geometrici  venuti  dall'Etruria  por  il  tramite  di 
Felsina,  i  motivi  zoomorfici  direttamente  da  un'influenza  adriatica.  Ora  il  fatto  di  tro- 
vare già  nel  II  periodo,  cioè  al  primo  apparire  della  situla  nel  Veneto  e  al  tempo  stesso 
che  la  geometrica,  la  decorazione  zoomorfica  fa  dubitare,  che  unica  sia  la  provenienza 
del  recipiente  e  della  sua  decorazione.  È  però  ancora  prematuro  di  esprimere  afferma- 
zioni decise.  Troppo  resta  da  conoscere  e  da  indagare.  Che  sappiamo  noi  degli  scali  di 
Adria  e  di  Spina  ?  Ricordiamo  che  Adria  ci  diede  numero  grande  di  vasi  greci  uniti  a 
ceramica  del  III  periodo  (4),  vasi  che  in  numero  minore  e  ben  più  modesti  di  pregio  e  di 
dimensioni  troviamo  nelle  tombe  coeve  di  Esto,  dove  poi  appariscono,  benché  si  tratti 
di  un  trovamento  isolato,  in  pieno  secondo  periodo  (5).  Era  là  dunque  la  fonte  principale 

(')  Ghirardini,  La  situla,  part.  II,  col.  54. 

(2)  Ghirardini,  La  liL,  part,  li,  col.  57  e  58.  Del  resto  nella  stessa  Memoria  a  col.  58  nota  che  le 
due  situle  ove  la  decorazione  è  più  complessa  sono  anche  le  più  antiche. 

(3)  E  anche  questo  è  discutibile,  se  noi  pensiamo  alla  bellezza  dei  vasi  [torchiati  del  li  per. 

(4)  L.  Couton,  Le  antiche  necropoli  di  Adria  scop.  dal  16  nov.  1902  al  7  apr.    1904,    p.  38. 

(5)  Ghirardini,  Bull.  pai.  XXX,  p.  11-12-13-14. 


MONTECALVO   VERSIGGIA  —   278  —  REGIONE    IX. 


d'importazione  e  d'influenza  ?  E  chi  può  escludere  —  colle  sorprese  che  di  continuo 
ci  riserva  lo  scavo  —  che  la  terra  non  celi  bronzi  anche  in  quei  porti  scomparsi  ?  Chi 
avrebbe  sospettato  le  situle  di  Leontini  e  del  Piceno  pochi  anni  fa  ? 

Un'ultima  parola  sui  soggetti.  Sempre  il  Ghirardini  scrisse  ('):  «  Le  situle  istoriate 
della  necropoli  etnisca  di  Bologna  e  del  gruppo  veneto  illirico  hanno  fine  sepolcrale, 
e  gli  episodii  espressi  su  di  esse  debbono  essere  principalmente  ricondotti  al  culto  dei 
morti.  Io  mi  riserbo  di  dare  di  ciò  più  larga  dimostrazione  ». 

Che  tristezza  la  morte  abbia  suggellato  la  bocca  del  chiaro  archeologo  !  Tuttavia 
io  sono  d'opinione  che — sebbene  qualche  rappresentanza  si  potrebbe  riferire  ai  riti  fu- 
nebri (come  le  teorie  degli  animali  del  sacrificio,  i  ludi),  e  forse  per  i  soggetti  di  animali 
domestici  uniti  alle  belve  arrivare  a  una  qualche  ragione  affine  a  quella  per  cui  più  tardi, 
nel  tempo  romano,  sui  nostri  coperchi  di  tombe  scorgiamo  i  leoni  e  i  mastini  tenere  at- 
terrato o  il  coniglio  o  la  lepre  o  l'ariete  —  in  genere  si  debba  pensare  a  uno  scopo  sempli- 
cemente decorativo  delle  figurazioni  umane  e  animali.  Si  pretese  riconoscere  il  costume 
veneto  nella  situla  Benvenuti.  Ma  questo  costume  si  sarebbe  riscontrato  il  medesimo 
nel  Bolognese,  nel  Veneto,  nella  bassa  Austria,  in  epoche  diverse,  in  paesi  diversi,  presso 
popoli  etnicamente  diversi.  Io  concordo  col  Della  Seta  che,  trattando  delle  antichità 
prenestine  Barberini (2),  espose. il  concetto,  che  le  ornamentazioni  afigure  di  animali, 
venute  d'oriente,  qui  e  altrove  si  poterono  diffondere  appunto  per  la  loro  mancanza  di 
altro  significato  che  non  fosse  di  allettamento  visivo.  E  infine,  se  si  potesse  immaginare, 
coi  criterii  nostri,  una  ornamentazione  allusiva  al.  culto  dei  morti  per  le  tante  situle 
appositamente  costruite  per  la  pietà  del  sepolcro,  come  si  potrebbero  gli  stessi  criterii 
conciliare  per  quelle  più  antiche  —  come  questa  Randi  —  che  prima  furono  secchie 
davvero  per  gli  usi  domestici  o  religiosi,  e  pure  vediamo  adorne  degli  stessi  soggetti? 

Adolfo  Callegari. 


Regione  IX  (LIGURIA). 


III.  MONTECALVO  VERSIGGIA  —  Tesoretto  di  antoninianì  scoperto 
nella  frazione  Michelazza. 

Nello  scorso  anno  il  sig.  Luigi  Torti,  facendo  degli  scassi  per  l'impianto  di  nuove 
vigne  nel  suo  fondo  sito  in  frazione  Michelazza  del  comune  di  Montecalvo  Versiggia, 
mandamento  di  Broni,  circondario  di  Voghera  nell'Oltrepò  pavese,  mise  allo  scoperto 
ruderi  informi  di  una  villa  rustica  (a  quanto  pare,  d'età  romana),  tra  i  quali,  entro 
un'anfora  che  andò  in  frantumi,  era  deposto  un  tesoretto  di  antoniniani.  Provveduto 
per  cura  della  Sovrintendenza  agli  scavi  di  Lombardia  al  recupero  delle  monete  ed 
alla  consegna  al  r.  Medagliere  di  Brera,  oggi  depositato  nel  Medagliere  Milanese  al 

(')  Bull,  palei.,  1911,  \ì.  95. 

(2)  Bulletl.  d'arte  ari  minisi,  della  pubbl.  istruì.,  190!»,  p.  18G. 


> 

n 
u 
in 


tuo 
tv 

T3 
<L> 

o 
Z 


E 


CO 
I 

w 
f- 
(/) 

UJ 


(H  (MACCHIO  279  


REGIONE   Viti. 


Castello  Sforzesco,  le  monete,  in  numero  di  357,  furono  riconosciute  e  distribuite 
dall'egregio  conte  G.  L.  ('omaggia  tra  le  zecche  qui  elencate  : 

1  di   Filippo  padre,     zecca  di  Roma 
79    »   Gallieno,  »        »       ,, 

2  »  »  »        »    Antiochia 
126    »          »                        »       »    Mediolanum 

3  »   Salonina,  »       »    Roma 

1  »           »  »  »  Antiochia 
23  »           »  »  »  Mediolanum 

2  »  Salon.  Valer.,  »  »  » 
61  »  Claudio  Gotico,  »  »  Roma 

59    »         »  »  »       »   Mediolanum. 

La  Sovrintendenza  ha  proposto  al  Ministero  l'acquisto  della  metà  del  tesoretto 
spettante  al  proprietario  fortuito  scopritore;  e  la  proposta  è  stata  accolta. 

G.  Patroni. 


Regione  Vili  (CISPADANA). 

IV.  COMA00HIO  —  Vasto  sepolcreto  etrusco  scoperto  in  valle  Trebba. 
(Kelazioao  provvisoria  delle  campagne  di  scavo  del  1922  e  del  1923)  (tav.  XIII- 
XV). 

Nell'aprile  del  1922  l'ing.  Aldo  Mattei  del  Genio  civile  di  Ferrara  ^sezione  di 
Comacchio)  annunciava  al  R.  Sopraintendente  degli  scavi  di  antichità  in  Bologna, 
conte  Malaguzzi-Valeri,  che  in  valle  Trebba  —  una  delle  valli  comacchiesi  di  recente 
prosciugata  —  si  era  scoperto  un  sepolcreto,  probabilmente  di  epoca  etrusca,  a  giu- 
dicare dai  frammenti  di  vasi  istoriati  rinvenuti.  Essendo  io  assente  da  Bologna  per 
altra  missione,  si  recò  a  Comacchio  e  in  valle  Trebba  il  sagace  assistente  degli  scavi 
sig.  Francesco  Proni  ;  il  quale,  famigliare  com'è  col  materiale  archeologico  del  Museo 
civico  di  Bologna,  a  Comacchio  prima,  nei  pezzi  mostratigli  (principalmente  di  cera- 
mica greca  a  figuie  resse  e  di  quel  vasellame  comune  in  argilla  rossiccia  ovvio  nelle 
tombe  felsinee)  riconobbe  subito  una  corrispondenza  col  materiale  delle  tombe  etni- 
sche di  Felsina  e,  in  valle  Trebba  poi,  sul  luogo  della  scoperta  mediante  un  esame  dei 
terreni  circostanti  —  nei  quali  qua  e  là  affioravano  frammenti  di  materiale  simile  a 
quello  detto  sopra  —  potè  farsi  la  convinzione,  che  il  sepolcreto  dovesse  essere  piut- 
tosto esteso. 

All'estensione  del  sepolcreto  sul  terreno,  sulla  base  dei  pezzi  già  venuti  in  luce, 
appariva  d'altra  parte  far  riscontro  una  non  breve  estensione  anche  nel  rispetto  cro- 
nologico. E  infatti  l'esame  che  io  feci,  prima  a  Bologna,  di  alcuni  pezzi  recati  dal 


«OMAOOBlO  —    2B0   —  REGIONE  Vili. 


Proni,  p,  poi  a  Comacchio,  di  altri  pezzi  di  scavo  abusivo,  sequestrati  presso  i!  locala 
Ufficio  del  Genio  civile,  mi  permise  di  riconoscere  nelle  varie  categorie  di  materiata 
fittile  (specialmente  greco  a  figure  rosse  ed  «  etrusco-campano  »  a  ornati  impressi) 
rappresentato  uno  sviluppo  di  circa  un  secolo  e  mezzo,  e  veramente  da  poco  prima 
della  meta  del  V  secolo  av.  Or.  fin  ben  addentro  alla  seconda  metà  del  secolo  IV. 

Non  era  quindi  fuori  luogo  nutrire  la  fiducia  che  il  sepolcreto,  già  per  i  termini 
cronologici  provvisoriamente  acquisiti,  di  notevole  estensione,  avesse  avuto  una  du- 
rata anche  maggiore,  e  pensare  che  anche  per  i  limiti  topografici  esso  dovesse  risultare, 
all'atto  dello  scavo,  assai  più  esteso  di  quanto  avevano  accertato  le  prime  constata- 
zioni. Poiché  pertanto  la  vastità  e  la  lunga  durata  del  sepolcreto,  argomentate  fin  da 
quei  primi  giorni,  unitamente  colla  situazione  della  località  nella  bassa  valle  padana 
considerata  nel  suo  insieme,  mi  parevano  consentirlo,  mi  lusingai,  che  quello  dovesse 
essere  il  sepolcreto  della  tanto  sospirata  Spina. 

La  notizia  della  scoperta  ora  detta,  se  mi  rallegrò  vivamente,  non  mi  colpì  come 
un  fatto  inaspettato.  E  ciò  non  soltanto  perchè  era  verosimile  che,  in  questi  tempi  di 
estesi  lavori  di  bonifica  nel  Basso  Ferrarese,  la  zappa,  tanto  invocata  da  geografi,  sto- 
rici ed  archeologi,  potesse  finalmente  giungere  a  squarciare  il  mistero  che  avvolge 
Spina  perfino  nella  sua  ubicazione;  ma  anche  perchè  a  me,  in  qualche  modo,  parecchi 
anni  fa,  ne  aveva  quasi  preannunziato  la  scoperta  il  vedere  in  Ferrara,  oltre  a  due 
vasetti  di  minor  conto,  una  lekythos  attica  (assai  guasta)  a  figure  nere  e  una  troz- 
zella  di  accertata  provenienza  locale,  e  cioè  da  possedimenti  del  Comune  di  Porto- 
maggiore. 

I  quali  due  pezzi  mi  permisero  di  dichiarare  al  R.  Sopraintendente,  con  rapporto 
d'ufficio  4  gennaio  1910,  che,  se  la  trozzella  attestava  come  i  prodotti  dell'  antica 
ceramica  indigena  dell'Apulia  arrivassero  per  commercio  marittimo  anche  nelle 
regioni  del  Basso  Ferrarese,  la  lekythos  faceva  pensare  a  un  non  lontano  stanzia- 
mento etrusco. 

Aggiungerò  anzi,  che  in  un'appendice,  inavvertitamente  soppressa  a  Roma,  ad 
un  mio  articolo  su  tre  kylikes  del  Museo  civico  di  Ferrara  ('),  dichiaravo  di  riconoscere 
in  quei  quattro  vasetti  una  testimonianza  del  commercio  attraverso  Spina  ;  alla  qua! 
città  rivendicavo  nel  commercio  delle  provenienze  per  la  via  dell'Adriatico  quella  fun- 
zione di  scalo  per  le  destinazioni  a  sud  del  Po,  che  per  Adria  mi  pareva  conveniente  di 
riferire  soltanto  0  prevalentemente  alle  destinazioni  a  nord  del  Po. 


(')  1  quattro  vasetti,  da  me  osservati  sul  fluire  del  190!),  imi  l'anno  parie  delle  co  lesioni  ilei  Mu- 
seo civico  di  Ferrara,  comi'  quelle  tre  kylikes  a  f.  r.  —  di  p  ive  ie.zi  non  ferrarese  —  che  pubblicai 
a  mezzo  di  un  breve  articola  nel  BoUettmo  d'arte  del  Ministero  I.  P.  (anno  V,  pagg.  341-340),  ma  si 
trovano  presso  l'intelligente  amatore  di  cose  d'arte  sig.  Giova  ini  Pasetti.  Il  quale  dal  direttore  del 
Museo  di  Ferrara,  che  mi  vedeva  ansioso  di  rintracciare  vasi  greci  di  provenienza  locale,  mi  fu  se- 
gnalato come  possessore  di  una  raccolta  di  ceramiche  (per  la  maggior  parte  dei  secoli  XV  e  XVT) 
di  accertata  provenienza  ferrarese  (città  e  provincia);  raccolta  che  ora  nella  parte  più  cospicua 
è  slata  illustrata  dal  coram.  Agnelli  nel  voi.  XXV  degli  Atti  e  Memorie  delia  Deputatane  ferrarese  di 
Storia  patria. 


REGIONE   Vili.  —   281 


l'OMACOHIO 


Il  conte  Malaguzzi-Valcri,  compreso  della  eccezionale  importanza  della  scoperta, 
invocò  ed  ottenne  dal  superiore  Ministero  mezzi  straordinarii  per  eseguire  le  esplora- 
zioni archeologiche,  mezzi  che,  dopo  i  felici  risultati  della  prima  campagna  di  scavo, 
vennero  per  le  campagne  successive  concessi  in  misura  più  larga.  E  così  fu  possibile 
nei  due  anni  1922  e  1923  scoprire  più  che  duecento  tombe;  le  quali,  sommate  con  una, 
abusivamente  scavata  ma  poi  ricuperata,  e  con  alcune  altre,  venute  in  luce  per  effetto 
dei  lavori  di  canalizzazione  del  Consorzio  bonifica  agraria,  formano  un  complesso  di 
ben  221  tombe. 

Prima  di  proseguire,  voglio  qui  ringraziare  il  R.  Sopraintendente  per  avermi  af- 
fidato l'incarico  della  direzione  tecnica  dei  lavori,  per  la  cui  esecuzione  ebbi  a  giovarmi 
dell'opera  intelligente  e  dello  zelo  indefesso  dell'assistente  Proni. 

Condizioni  di  valle  Trebba  e  del  sepolcreto.  —  Per  mettere  sott' occhio 
i  varii  punti  di  riferimento  che  verranno  citati  in  seguito,  ed  anche  per  segnalare 
la  vastità  della  valle,  che  ho  ragione  di  credere  esser  seminata  di  tombe  anche  in 
molti  altri  punti  situati  fuori  delle  zone  finora  scavate,  riporto  qui  a  fig.  1  parte  di  una 
pianta  di  valle  Trebba,  tratta  da  un  disegno  favorito  dal  già  ricordato  ing.  Mattei  ; 
pianta,  nella  quale,  oltre  ai  particolari  reperibili  anche  in  altre  carte,  sono  segnati 
altresì  i  lavori  eseguiti  dal  Genio  civile  di  Ferrara.  Detta  valle,  di  forma  irre- 
golare, ha  una  superficie  di  più  che  2000  ettari.  Entro  quest'ampia  valle  il  punto 
della  scoperta  denunziata  (vedi  il  segno  -^-  nella  figura)  trovasi  1500  metri  a  nord 
della  strada  provinciale  e  a  m.  200  verso  ovest  dalla  strada  poderale  più  orientale, 
che  corrisponde,  rispetto  a  Comacchio,  a  una  distanza  di  km.  6. 

Come  dalle  prime  ricerche  fatte  in  prossimità  del  punto  della  scoperta,  così  da 
tutto  il  sèguito  dello  scavo  si  rivelò  che  le  tombe  erano  state  scavate  nelle  dune  di  sabbia 
che  —  insieme  con  quelle  delle  altre  valli  del  Comacchiese  —  col  loro  andamento  gros- 
solanamente nord-sud,  ora  rettilinee,  ora  curvilinee,  sono  ancora  una  testimonianza 
del  graduale  sviluppo  della  costa  orientale  d' Italia  nel  tratto  dominato  dal  corso 
del  Po  (*). 

Ma  mentre  le  dette  dune  dovettero  dapprincipio  ben  emergere  dal  piano  circostante, 
col  progresso  del  tempo  il  continuo  costiparsi  del  sottosuolo  torboso  portò  alla  conse- 
guenza che,  abbassandosi  il  livello  della  regione,  questa  venisse  quasi  totalmente 
allagata  (come  appunto  rimase,  ove  non  intervenne  l'opera  dell'uomo,  fino  a  pochi 
anni  fa),  restando  in  tal  modo  emergenti  solo  le  dune  più  elevate.  E  così  avvenne, 
che  valle  Trebba  nelle  carte  dell'Istituto  Geografico  Militare  del  1911,  eseguite 
a  valle  non  prosciugata,  mostra,  sull'estensione  di  km.  8  da  nord  a  sud,  cordoni 
di  dune  soltanto  nei  sei  chilometri  più  settentrionali.  Senonchè  anche  nei  due  chilo- 
metri più  meridionali  proseguono  i  cordoni  di  dune,  come  c'insegna  l'osservare 
certe  lievissime  ondulazioni,  quasi  fuse,  per  forma  e  per  composizione  superficiale, 


(»)  Ved.  l'articolo  del  prof.  O.  Marinelli  nella  rivista  Le  vie  d'Italia  (aprile  1924),  sulle  vicende 
del  delta  del  Po. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  36 


COMACCHIO 


282  — 


REGIONE   Vili. 


Fio.  1. 


REGIONE  Vili.  —  283 


COMACCHIO 


col  fondo-valle  (')  ;  le  quali  talora  sfuggirebbero  all'osservazione,  se  non  le  rive- 
lasse la  zappa  mettendone  in  luce  la  composiziono  interna  di  sabbia  pura,  e  facen- 
done rilevare  il  profilo  curvilineo. 

Ho  voluto  mettere  in  evidenza  questo  particolare  del  prolungarsi  delle  dune 
anche  nella  parte  più  meridionale  di  valle  Trebba,  perchè  gli  è  appunto  a  queste  dune 
più  meridionali  (non  segnate  né  dalle  carte  dell'Istituto  Geografico  Militare,  nò  dalla 
pianta  del  Genio  civile  di  Ferrara)  che  appartiene  la  quasi  totalità  delle  tombe  finora 
scoperte  (*). 

Come  s' intende  di  leggieri  a  guardare  la  pianta  a  fig.  1,  si  tratta  di  un  vastissimo 
territorio,  aperto  su  tutti  i  lati;  il  quale,  formicolante  com'è  di  uomini  del  paese 
(poiché  ai  Comacchiesi  e  agli  abitanti  di  Lagosanto  fu  concesso  di  scegliersi  una  parte 
del  terreno  per  lavorarlo  a  proprio  profitto),  mal  si  presta  ad  assicurare  che  non  avven- 
gano scavi  abusivi. 

Svolgimento  degli  scavi.  —  La  prima  campagna  di  scavo  si  svolse  anzitutto 
in  un  riparto  che  chiamerò  zona  II  (3),  sopra  una  lievissima  duna  (4),  là  dove  era 
avvenuta  la  scoperta  denunziata  dall'ing.  Mattei,  e  successivamente  in  zona  III, 
entro  a  un'area  (5)  prossima  a  un  punto  ove,  durante  i  nostri  lavori  nella  zona  II, 
si  scoperse  fortuitamente  una  tomba  con  candelabro,  a  norma  di  legge  denunciata. 

La  seconda  campagna  ebbe  a  soffrir  limitazioni  per  dover  rispettare  le  aree  col- 
tivate a  frumento  ;  ma,  malgrado  ciò,  riuscì  a  mettere  in  luce,  principalmente  in  tre 
aree,  due  (')  in  zona  I  ed  altra  (7)  in  zona  II,  nel  breve  spazio  di  un  mese  e  mezzo, 
79  tombe  ;  fra  le  quali  una  con  rarissimi  vasi  fittili  configurati. 


(')  Per  spiegare  come  le  dune  piti  meridionali  abbiano  potuto  ridursi  nelle  condizioni  sopra  accen- 
nate —  se  pur  non  vi  contribuirono  anche  una  minor  elevazione  primitiva  delle  dune  stesse  e  una 
più  forte  costipazione  locale  del  sottosuolo  torboso  —  deesi  pensare  all'azione  delle  acque  melmose 
dirompenti  in  tempi  di  piena  e  inondazione  dal  vicino  Po  (e  ben  noto  che  in  antico  il  corso  del  Po 
si  svolgeva  più  a  mezzogiorno  che  non  attualmente)  ;  azione  che  ,  corrodendo  lateralmente  e  superior- 
mente le  dune,  le  assottigliava  ed  appiattiva  sul  fondo-valle,  mentre  depositi  alluvionali  alzavano 
il  livello  del  detto  fondo-valle,  colmavano  gli  intervalli  fra  duna  e  duna,  e  finivano  anche  per  amman- 
tare di  uno  strato,  ora  di  argilla,  ora  di  sabbia  argillosa,  le  dune  meno  elevate. 

(*)  Quelle  scoperte  in  dune  emergenti  si  limitano  ad  un  gruppetto  di  6  tombe  presso  la  «  Motta 
degli  Ortazzi  ».  Si  ebbe  anche  notizia  che  uno  o  due  chilometri  più  a  nord,  nei  lavori  di  scavo  per  il 
collettore  centrale,  venne  scoperto  alla  profondità  di  m.  3,60  uno  scheletro  con  vasi  simili  a  quelli 
delle  tombe  dei  nostri  scavi.  Ma  se  fu  possibile  di  accertare  la  notizia,  nò  si  pervenne  a  precisare  il  punto 
della  scoperta,  né  si  riuscì  a  ricuperare,  del  materiale  rinvenuto,  più  che  una  tazzetta  a  vernice  nera 
con  ornati  a  impressione. 

(3)  Con  le  indicazioni  «  zona  I,  II,  III,  ecc.  »  si  indicano  i  tratti  di  terreno  situati  rispettivamente 
a  sud  dei  varii  canali  :  Donna  Bianca,  Ortazzi,  Anima  mozza  ecc. 

<*)  Ved.  fig.  1,  letr.  a. 

(5)  Ved.  fig.  1,  lett.  b. 

(«)  Ved.  fig.  1,  lett.  e  ed  e. 

(')  Ved.  fig.  1,  lett.  d. 


OOMACCHIO  —    284    —  REGIONE    VII]. 


Nell'agosto  del  1H2.'!,  dopo  la  felice  scoperta  ili  10  tombe— Ira  le  quali  una  ricchis 
sima  —  per  l'apertura  di  uno  scolo  (x)  da  parte  del  Consorzio  bonifica  agraria,  fu  pos 
sibilo,  per  il  benevolo  interessamento  del  Sottoprefetto  di  Comacchio,  sig.  cav.  Silve- 
stro Ales,  ottenere  che  qualche  propizia  area  di  terreno,  anziché  ridata  alla  coltiva- 
zione, fosse  provvisoriamente  riservata  per  gli  scavi  archeologici. 

I  quali,  nella  terza  campagna,  dopo  saggi  larghi  ma  infruttuosi  nei  pressi 
della  ricchissima  tomba  ricordata,  si  svolsero  con  felici  risultati  in  zona  I,  sopra 
un'area  (*)  vicina  ad  altra  delle  10  tombe  sopra  mentovate. 

II  materiale  delle  221  tombe  è  stato  trasportato  al  Museo  civico  di  Bologna.  E 
poiché  troppo  tempo  dovrebbe  passare,  se  si  volesse  comporre  la  relazione  di  tutto  lo 
scavo,  tomba  per  tomba,  dopo  il  restauro  di  tutti  gli  oggetti,  mando  intanto  innanzi 
questa  relazione  provvisoria,  acciocché  gli  studiosi  possano  essere  informati  al  più 
presto  della  presente  scoperta  ;  la  quale  è  di  eccezionale  importanza. 

Durata  del  sepolcreto  determinata  dalla  successione  degli  stili  nei  vasi 
dipinti.  —  Lo  scavo  delle  tombe  di  valle  Trebba  (se  si  prescinda  dalle  stele  figurate 
che  qui  non  apparvero)  ci  fece  rivivere,  per  così  dire,  in  mezzo  ad  un  sepolcreto  per 
gran  parte  di  tipo  etrusco-felsineo.  Ma,  così  dicendo,  soggiungo  subito  che,  per  quanto 
riguarda  l'età,  le  scoperte  attuali  abbracciano  un  periodo  di  tempo  che  non  corri- 
sponde esattamente  a  quello  dei  sepolcreti  di  Felsina  ;  il  qual  giudizio  si  trae 
dall'esame  della  classe  di  monumenti  più  numerosa  e  significativa,  e  cioè  della  cera- 
mica e  specialmente  dei  vasi  greci  dipinti. 

Imperocché  se  da  un  lato  i  vasi  dipinti  più  antichi  finora  scoperti  ci  consentono  di 
attribuire  al  sepolcreto  di  valle  Trebba,  in  confronto  ai  sepolcreti  bolognesi,  un  inizio  di 
poco  posteriore  e  forse  quasi  contemporaneo  (cfr.  quanto  è  detto  sulla  fine  di  questo 
capitolo),  dall'altro  lato  l'esame  della  ceramica  ci  fa  riconoscere,  che  la  necropoli  di  valle 
Trebba,  protraendosi  di  là  dalla  fine  di  quelle  felsinee,  scende  fino  a  trovare,  pel  suo 
materiale  fittile,  oltreché  qualche  riscontro  con  pezzi  del  sepolcreto  gallico  di  Monte- 
fortino,  altre  corrispondenze  nelle  necropoli  galliche  del  Bolognese. 

Se  consideriamo  la  categoria  dei  vasi  attici  a  f.  n.,  vediamo  che  questa,  mentre 
nelle  tombe,  bolognesi  si  presenta  con  una  copiosa  serie  di  esemplari,  a  valle  Trebba 
è  rappresentata  da  un  numero  assai  limitato  di  pezzi  :  una  trentina.  Al  che  è  da  aggiun- 
gere che,  laddove  la  serie  bolognese  presenta  nel  noto  stile  «  tradizionale-convenzio- 
nale  »  numerosi  pezzi  di  grandi  dimensioni,  come  anfore  e  crateri,  e  per  grandissima 
parte  appartiene  allo  stile  anzidetto,  risalendo  tuttavia  qualche  pezzo  anche  allo 
stile  precedente,  la  limitata  serie  di  valle  Trebba  è  invece  costituita  di  vasi  di  piccole 


(')  Ved.  lìg.  2,  senio  B.  (Ad  oriente  del  collettore  centrale,  tra  questo  e  l'argine  dello  Spina,  fu- 
rono scavati  cinque  scoli  paralleli,  dei  quali  soltanto  uno,  il  B,  rivelo  la  presenza  di  tombe.  L'aper- 
tura di  altri  seoli  paralleli  a  ponente  del  collettore  centrale  darà  alla  Snvrintendcnza,  cui  urgeva 
sempre  di  scavare  in  zone  dense  di  tombe,  per  prevenire  i  facili  rapinamene,  occasione  di  prendere 
una  prima  < scensa  della  condizione  delle  cose  in  quel  settore  occidentale  della  valle). 

(■)  Ved.  fig.  1,  lett.  f. 


REGIONE  Vili.  —    285 


COMÀCCHIO 


dimensioni,  eoa  scene  nello  stile  tradizionale  sopradetto,  eseguito  quasi  tutte  cori  di- 
segno trascurato  e  talora  trascuratissimo  ;  dei  quali  vasi  anzi,  mentre  qualcuno  può 
forse  risalire  agli  ultimi  anni  del  sec.  VI,  più  di  uno  può  scendere  parecchio  entro 
il  sec.  V,  come  manifestazione  di  tarda  sopravvivenza  di  stile. 

Non  devo  però  omettere  di  ricordare,  che  ultimamente  in  un  piccolo  gruppo 
di  frammenti  di  vasi  —  raccolto  dall'attivissimo  Proni  nei  terreni  sepolcrali  di  valle 
Trebba  e  rettamente,  per  le  condizioni  di  fatto,  giudicato  da  lui  un  residuo  abban- 
donato da  recenti  scavatori  clandestini  —  osservai  qualche  frammento  di  vasi  di 
maggiori  dimensioni,  come  ad  esempio  di  quel  noto  tipo  d'anfora  a  corpo  non  verni- 
ciato che  a  Bologna  apparve  in  un  discreto  numero  di  esemplari  del  terzo  stile  (')  ; 
la  qual  cosa  dimostra,  che  anche  vasi^siffatti  trovavansi  nei  corredi  funebri  di  valle 
Trebba,  e  fa  sperare  che  il  seguito  degli  scavi  potrà  mettere  in  luce  qualche  tomba 
che  ne  contenga. 

Mostra  associate  le  due  tecniche  una  grande  anfora  ;  la  quale,  rinvenuta  da 
operai  del  Consorzio  bonifica  agraria  senza  la  presenza  dell'assistente  Proni,  fu  a 
questo  poi  consegnata  insieme  con  alcuni  vasetti  a  f.  n.  dichiarati  della  stessa  tomba. 
Detta  anfora  è  alta  —  compreso  il  coperchio  —  m.  0,74ó,  ha  il  corpo  tutto  verniciato 
a  nero  e  il  coperchio  fornito  di  pomello  a  melograno.  Essa  ricorda  le  anfore  a  riquadro 
di  Bologna  (*),  per  la  forma  del  corpo,  del  coperchio  e  del  pomello,  ed  è  provvista  di 
anse  larghe  a  nastro  con  margini  rialzati,  quali  vediamo  in  taluna  di  dette  anfore. 
La  sua  sobria  decorazione  poi  consiste,  per  il  coperchio,  in  una  baccellatura  nera  in- 
torno al  pomello,  in  un  paio  di  cerchielli  risparmiati  in  mezzo  e  in  una  ghirlandimi 
d'edera  stilizzata  all'orlo  e,  per  le  anse,  sulla  costa,  in  ramoscelli  d'edera  stilizzata, 
nonché,  all'attacco  inferiore,  in  una  palmetta  capovolta,  risparmiata  ;  palmetta, 
che  fra  i  pezzi  bolognesi  ritroviamo,  peraltro  in  vernice  nera,  nella  notissima  anfora 
a  doppia  tecnica  e  in  un'altra  anfora.  La  particolarità,  entro  la  sobria  decorazione, 
dell'associazione  delle  due  tecniche  mi  induce  ad  avvicinare  cronologicamente  la 
presente  anfora  al  famoso  pezzo  ora  citato,  e  a  riferirla  al  penultimo  decennio  del 
VI  sec.  ;  alla  quale  alta  datazione  confortano  anche  le  alte  dimensioni  del  pezzo. 

Quanto  ai  vasi  attici  a  f.  r.,  ho  avuto  la  fortuna,  in  una  delle  mie  ultime  gite  a 
Comacchio,  di  scoprire,  fra  il  materiale  sporadico  proveniente  dalle  aree  sepolcrali 
di  valle  Trebba,  un  frammento  di  tazza  del  cosiddetto  ciclo  di  Epitteto.  In  detto 
frammento,  che  presenta  poco  più  del  quarto  inferiore  a  sin.  del  medaglione,  vedesi 
una  figura  nuda  a  destra  ;  la  quale  col  passo  largo  e  sforzato  dei  primitivi  appoggia 
il  piede  posteriore  all'arco  del  listello  circolare,  mentre  un  braccio  della  figura 
(certo  ripiegato  al  gomito)  è  ricacciato  indietro  per  ottenere  una  composizione  che 
riempia  meglio,  secondo  la  costante  preoccupazione  degli  artisti,  lo  spazio  circolare 
da  decorare.  E  lateralmente  veggonsi  le  tracce  delle  lettere  HOPA,  residuo  della 
nota  acclamazione. 


(')  Ved.  Pellegrini,  Catalogo  dei  vasi  greci  dipinti  dilli'  necropoli  felsinee,  mi.  16-41. 
(*)  Ved.  Pellegrini,  op.  cit.,  nn.  3-7  e  151. 


COMAOCHIO  —    286    —  REGIONE   Vili. 


Quanto  alla  produzione  del  tempo  immediatamente  successivo,  come  è  limitato 
il  numero  dei  vasi  a  f.  n.  del  terzo  stile  tradizionale-convenzionalc,  così  assai  scarsi (') 
trovai  i  vasi  a  f.  r.  che  possano  riferirsi  al  periodo  del  secondo  stile  severo. 

Ricorderò  fra  questi:  tre  oinochoai  configurate  a  testa  femminile,  una  delle  quali 
mostra  sopra  la  testa  di  donna  impostato  non  il  collo  del  vaso,  ma  il  prolungamento 
della  forma  dell'oinochoe  fin  oltre  la  spalla  (v.  tav.  XIII,  3)  —  il  qual  carattere,  come 
reminiscenza  del  periodo  anteriore,  fa  porre  il  pezzo  sùbito  all'inizio  di  questo  secondo 
periodo  — :  una  bella  kylix  (tomba  1%),  decorata  solo  internamente,  con  la  figura  di 
un  Sileno  vendemmia-lite,  il  quale  finisce  di  riempire  un  cestone  con  grappoli  d'uva, 
mentre  nello  sfondo  vedesi  appeso  un  otre  colla  scritta  KAUOS;  e  tre  kelebai  (tombe 
143,  153  e  154),  due  delle  quali  con  coperchio.  Di  queste  tre  kelebai,  due  sono  deco- 
rate con  scene  di  simposio:  l'una,  ridotta  alla  più  semplice  espressione  perchè  limitata 
(in  A)  a  un  uomo  sdraiato  su  cline,  il  quale,  tenendo  con  la  sin.  la  sua  ricca  coppa 
metallica,  invita,  col  protendere  una  kylix  comune,  un  giovane  ammantato  (in  B) 
che  si  affretta  ad  accorrere  :  l'altra,  sebbene  più  complessa,  ben  lontana  da  quella 
monotonia  che  si  fisserà  più  tardi  in  queste  rappresentazioni  ;  mentre  la  terza  kelebe 
esibisce  (*)  Achille  che  si  veste  delle  enemidi  in  presenza  di  Tetide  e  di  una  Nereide 
recintegli  scudo  e  lancia.  Nò  tralascierò  di  rilevare,  che  il  coperchio  con  pomello  in 
forma  di  melograno,  qui  apparso  con  le  kelebai  a  f.  r.  più  antiche,  riappare  frequente 
nelle  coeve  anfore  a  f.  n.  con  corpo  non  verniciato,  delle  necropoli  felsinee. 

Gli  è  tuttavia  dopo  questo  periodo,  e  specialmente  dalla  metà  del  V  secolo,  che  si 
mostra  più  abbondante  la  produzione  ceramica,  e  quindi  anche  maggiore  il  numero 
delle  tombe.  In  causa  di  questa  maggiore  abbondanza  di  vasi,  raggrupperò  ora  i  pezzi 
principali  secondo  le  forme,  trascurando  quelle  forme  minori — qui  rappresentate 
da  pezzi  secondarii  —  che  proseguono  il  loro  sviluppo  nel  sec.  IV,  e  rilevando,  quando 
convenga,  il  soggetto  dei  vasi  passati  in  rassegna. 

Ed  anzitutto  due  grandi  coperchi  (non  provenienti  dagli  scavi  regolari),  fram- 
mentati e  lacunosi  ;  uno  dei  quali  è  notevole,  oltreché  per  la  forma,  per  una  magnifica 
rappresentanza  di  Gigantomachia,  espressa  con  mirabile  energia  in  stile  grande- 
scvero,  mentre  l'altro  è  decorato  di  una  scena  raffigurante  una  corsa  di  cavalieri  nello 
stadio. 

Sulle  kelebai  le  più  frequenti  sono  le  monotone  scene  di  symposion  ;  seguono 
poi  le  rappresentanze  del  ciclo  dionisiaco,  fra  le  quali  è  degna  di  rilievo,  per  la  vigo- 
rìa dello  stile,  una  (dalla  tomba  123)  raffigurante  Dioniso  seguito  da  un  Sileno,  en- 
trambi su  muli  itifallici  :  in  altre  due  sono  rappresentate  rispettivamente  la  lotta  di 
due  Centauri  contro  Ceneo  (ved.  fig.  2)  e  due  cavalieri  delle  Panatenec. 


(')  Questa  maggiore  scarsità  è  naturale  per  le  difficoltà  che  la  nuova  tm-nica  doveva  vincere 
presso  gli  acquirenti,  avvezzi  ai  prodotti  con  l'antica  tecnica  a  f.  n.. 

(*)  Nei  vasi  a  duo  facce,  come  le  kelebai,  i  crateri  a  calice  e  a  campana,  etc.,  ove  spesso  la  scena 
del  rovescio  e  insignificante,  e  in  questi  vasi  come  anche  nelle  kylikes,  quando  per  lo  stato  frammen- 
tano o  per  concrezioni  aderenti  non  sia  possibile  o  opportuna  una  dichiarazione  piii  piena,  verrà  data 
indicazione  solo  della  scena  principale. 


FtEGlONE   Vili. 


•287  — 


OOMAC'CHIO 


Scarse  di  numero  sono  le  anfore  a  volute,  ma  di  primissimo  ordine.  Si  tratta  di  due 
pezzi  grandiosi  —  entrambi  in  frammenti,  uno  restaurabile  quasi  per  intero,  l'altro, 
purtroppo,  molto  lacunoso  —  ornati  di  superbe  composizioni,  ragguardevoli  sia  per 
lo  stile,  sia  per  i  soggetti  delle  rappresentanze,  È  ornata  la  prima  (tomba   128)  di 


Fig.  2. 


una  grandiosa  composizione  di  stile  polignoteo,  che,  comprendendo  18  grandi  figure 
e  sviluppata  per  tutto  il  giro  del  vaso,  presenta  una  scena  del  culto  dionisiaco  ('). 
È  ornata  la  seconda  (tomba  127),  sul  collo,  di  una  lampadodromia  e,  sul  ventre,  di 
una  vasta  e  pittoresca  scena  riferibile  già  all'inizio  dello  stile  bello-florido  ;  la  quale 
presenta  -  rarissimo  soggetto  -  Hera  seduta  sul  trono  in  attesa  della  prossima 
liberazione,  mentre  Efesto,  a  banchetto  con  Dioniso  e  ormai  ebbro,  è  già  stato 
derubato  delle  tenaglie  (*). 

(■)  Per  la  descrizione  della  rappresentanza  in  particolare,  vedasi  pag.  314,  ove  è  data  la  de- 
scrizione di  tutta  la  suppellettile  della  tomba. 

(')  A  questa  scena  partecipano  anche,  contornando  le  figure  principali,  altre  numerose  figure, 
in  piani  diversi  e  in  isvariati  atteggiamenti.  Mi  preme  aggiungere,  che  in  alcune  figure  di  questa  scena 


roMAfCHlO 


—    288    —  REGIONE    VITI. 


Nell'unico  cratere  a  calice  (tomba  128)  una  rappresentanza  di  stile  bello  :  il 
combattimento  di  Antiope,  a  cavallo,  contro  Teseo  accompagnato  da  Piritoo  ;  e 
fra  i  pochi  crateri  a  campana,  tutti  in  frammenti,  uno  (tomba  203)  con  un'Amaz- 
zone che,  or  ora  appiedatasi,  cammina,  seguita  dal  cavallo  di  cui  tiene  con  la  destra 
le  redini. 

Nella  categoria  dei  vasi  minori  numerose  oinochoai  con  una  notevole  varietà 
di  soggetti  e  parecchie  kylikes  ;  delle  quali  ultime,  per  pregi  stilistici,  vanno  segna- 
late :  una  con  scene  di  palestra  (tomba  132),  altra  con  scene  di  gineceo  (tomba  152) 
e  una  terza  (tomba  128)  —  il  cui  stile  fa  risovvenire  della  notissima  tazza  di  Codro  — , 
esibente  nel  medaglione  Apollo  (coppa  e  lira)  e  Ninfa  (oinochoe  e  coppa),  il  primo 
col  nome  apposto,  la  seconda  con  alcune  lettere  presso  la  testa. 

Merita  infine  particolare  menzione  un  raro  rhyton  a  testa  di  ariete,  fornito  di 
piede  (ved.  tav.  XIV,  3),  nei  due  registri  fregiato  di  scene  di  Sileni  e  Menadi,  di  stile 
bello  con  qualche  reminiscenza  del  severizzante. 

Ben  rappresentata,  ma  veramente  più  per  il  numero  dei  pezzi  che  per  la 
qualità  della  produzione,  è  la  ceramica  del  sec.  IV  ;  nel  qual  secolo,  se  non  anche  nei 
primissimi  tempi  del  successivo,  il  sepolcreto  di  valle  Trebba  presenta,  oltre  ad  altri 
fittili  di  fabbriche  italiote,  qualche  modesto  pezzo  della  cosiddetta  ceramica  di 
Gnathia  e  vasi  protoellenistici  con  anse  risvoltate  al  sommo  o  annodate,  per  mo- 
strare da  ultimo,  insieme  con  trascurate  tazze  «  etrusco-campane  »  a  ornati  impressi, 
tazzette  congeneri  con  iscrizioni  etnische  graffite. 

Non  fa  certo  maraviglia  che  la  ceramica  attica  del  IV  secolo,  tanto  rigogliosa 
nelle  tombe  della  Crimea,  in  questa  regione  dell'Alto  Adriatico  si  mostri  in  forme  e 
modi  più  modesti.  Ma  mentre  l'attuale  scoperta  non  aggiunge  alle  collezioni  —  per 
quanto  si  riferisce  al  IV  secolo  —  vasi  dipinti  notevoli  quali  quelli  della  Crimea,  è 
pur  un  notevole  acquisto  il  poter  dichiarare  che,  se,  prima  dell'attuale  scoperta,  era 
lecito  sostenere,  che  coi  più  tardi  vasi  greci  delle  tombe  etnische  di  Felsina  l' impor- 
tazione di  questa  ceramica  era  del  tutto  cessata,  ora  si  possa  affermare,  che  la  cera- 
mica attica  continuò  ad  approdare  alle  coste  del  Basso  Ferrarese  ben  più  tardi  del 
tempo  di  cui  danno  testimonianza  i  vasi  delle  necropoli  etnische  di  Felsina. 

In  valle  Trebba  la  ceramica  attica  del  IV  secolo  non  è  rappresentata  dunque, 
come  nella  Crimea,  da  numerose  idrie,  pelikai,  crateri  a  campana  e  lekanai,  ma  è  co- 
stituita in  prevalenza  da  pezzi  minori,  p.  es.  da  numerosi  piattelli,  decorati,  nel 
tondo,  quasi  sempre,  con  teste,  il  più  spesso  femminili;  da  ariballi  e  da  lekythoi 
ariballesche  ;  da  poche  e  scadentissime  lekanai  (*). 


appariscono  scorci  arditissimi  e  torsioni  di  corpo,  par  in  pose  tranquille,  piene  di  verità,  rivelanti  nel- 
l'artista sia  una  perfetta  conoscenza  del  giuoco  delle  membra  umane,  sia  un  temperamento  vivace 
e  audacissimo,  sia  un'eccezionale  padronanza  dei  mezzi  di  esecuzione. 

(')  Si  parla,  qui,  soltanto  di  pezzi  attici  figurati.  La  lekanc  a  tutta  vernice  nera  è  rappresentata 
da  begli  esemplari  di  minori  dimensioni.  Riguardo  a  lekanai  italiote  con  ornati  geometrici  e  fitomorfi, 
vedi  oltre. 


KElUONE    Vili. 


-    28lJ  — 


t'oMM  omo 


Rileverò  poi  in  particolare  :  due  piatti  ria  pesce,  decorati  ciascuno  di  tre  pesci 
(ve:l.  fig.  3)  :  una  piccola  pelike  (ved.  fig.  4)  che  sul  lato  nobile  mostra  un  gruppo  di  tre 
Combattenti  (parte  delle  armature  in  bianco)  :  i  Frammenti  di  un  cratere  con  figure 
sedute  e  retrospicienti.  in  mezzo  alle  quali  avanza  Eros  (in  bianco);  una  lekane.  sul 
cui  coperchio  due  donne  fuggenti  e  retrospicionti,  inseguite  da  Eroti  (in  bianco)  ; 
i  fpiali  cinque  pezzi  provengono  tutti  da  una  sola  tomba  (n.  lìl).  E  rileverò  ancora 


Fio.  3. 


altri  due  crateri  a  campana,  in  frammenti  :  "uno  (tomba\l30)  con  un  Arimaspo  ap- 
piedato che  difende  il  cavallo  da  due  grifoni^  altro  (tomba  187),  sui  cui  frammenti 
riconobbi  un  gruppo  di  tre  divinità  (Apollo,  Demeter  e  Hermes),  cui  s'accosta  un 
Sileno  con  piatto  pieno  di  grappoli  d'uva  ;  e,  infine,  due  oinochoai  (tomba  40),  deco- 
rate, ciascuna,  di  una  gran  testa  femminile  fra  due  busti  di  grifoni. 

Quanto  ai  fittili  di  fabbriche  italiote  —  prescindendo  per  ora  dai  cosiddetti  va'si 
di  Gnathia  —  rileverò  anzitutto,  che  in  valle  Trebba  si  raccolse  una  mezza  dozzina 
di  oinochoai  a  bocca  trilobata  di  terra  giallognola,  sulle  quali  a  larghe  e  rozze  pen- 
nellaturc,  dal  nero  al  brunastro,  sono  contornati  e  internamente  dettagliati  testimi 
femminili  a  sin.,  circondati  da  fogliami  e  viticci  (l),  nonché  un  cratere  a  campana 


(l)  Duo  altra  oinochoai  recano,  invece  del  testone,  soli  ornati  fìtomorfi.  Q.iesto  stesso  genere  di 
penncllature  a  linee  brune,  piti  o  meno  larghe,  si  ripete  nelle  Eorme  più  semplici  degli  ormiti  fttomorfl 
-<)  delle  a  trùcie  circolari,  anche  sopra  un  certo  numero  di  doglietti  e  coperchi  relativi,  nonché  su  due 
brocche,  fornite  di  due  anse  avvicinate,  della  stessa  terra  giallognola. 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  37 


(JOMAC0I1IO 


—  290  — 


REGIONE   Vili. 


di  terra  più  rossiccia,  che  sulle  due  facce  è  ornato  rispettivamente  di  due  e  tre  testoni 
a  sin.  di  esecuzione  trascuratissima.  Testoni,  simili  a  quelli  delle  oinochoai,  ricordo 


F 


Fio.  1. 


di  aver  osservato  molti  anni  fa  su  crateri  di  Numana  nel  Museo  di  Ancona  ;  e  questi 
sono  quei  crateri,  dei  quali  —  oltreché  di  certe  oinochoai  similmente  decorate  a  te- 
stoni tra  fogliami  —parla  il  Brizio  nelle  Notizie  d°gli  scavi  1891,  a  pajr.  150-151  ('). 


(  )  Il  Tìrizio  tuttavia  dichiara  che  le  decorazioni  ora  suini  in  color  russo,  ora  in  color  nero,  per  lo 
più  accurate  e  di  rado  negligenti. 


REGIONE    Vili.  —    291    — 


COMACTHIO 


Due  di  tali  oinochoai  furono  trovate  in  una  sola  tomi»  (n.  16),  e  ad  esse  era  associata 
una  coppia  di  pelikai  con  coperchio  pomellato;  ciascuna  delle  quali  sul  lato  nobile 
mostra  una  figura  femminile  alata  nuda  (una  volta  seduta,  una  volta  camminante) 
verso  destra,  che  tiene  nella  mano  sinistra  un  piatto  sormontato  da  oggetto  di  forma 
conica,  Nessun  dubbio,  che  questi  quattro  pezzi  appartengano  ad  un'officina  etnisca. 

E  ad  officina  etrusca  riferirei  pure  il  gruppo  delle  altre  oinochoai  con  testone 
di  valle  'Preliba  ;  gruppo  al  quale  si  collega  un  altro  esemplare  proveniente  da  tomba 
gallica  del  Bolognese  (1). 

Mi  sembrerebbe  che  dovesse  riferirsi  ad  altra  officina  italiota  il  cratere  coi  te- 
stoni sopra  ricordato  ;  ma  mi  manca  il  modo  di  riconoscere  a  qual  gruppo  esso  po- 
trebbe piìi  opportunamente  accostarsi. 

Di  fabbriche  italiota  sono  alcune  lekanai,  sul  coperchio  decorate  di  ornati  geo- 
metrici e  fitomorfi  ;  ma  credo  italiota  anche  qualche  lekane  figurata,  p.  es.  una,  sul 
cui  coperchio  si  ripete  due  volte  la  successione  :  testa  femminile  a  sinistra  (in  rosso), 
oca  a  sinistra  (in  nero),  palmetta  (in  rosso),  viticci  (in  nero).  A  due  diverse  offi- 
cine italiote  sono  da  riferire  altri  due  vasi:  il  primo,  un  oxybaphon,  con  scena  di  gi- 
neceo (padrona  e  ancella)  ;  il  secondo  (*),  assai  frammentato,  con  decorazioni,  in 
rosso-sangue,  di  fini  meandri  sull'orlo  della  bocca  e  di  un  giro  di  tralci  e  foglie 
sul  coperchio. 

Nella  categoria  dei  vasi  di  Gnathia  trovo  rappresentati  i  tipi  del  boccaletto  a 
bocca  tonda  e  della  piccola  kotyle,  nonché  della  grande  oinochoe  trilobata,  sempre 
con  costolature  e  con  elementi  decorativi  semplicissimi. 

Sebbene  finora  sieno  sempre  stati  omessi  i  vasi  privi  di  decorazione  pittorica,  ora, 
per  la  ragione  cronologica  e  il  confronto  tipologico,  credo  opportuno  ricordare 
che  di  vasi  protoellenistici,  da  prototipi  metallici  e  senza  lenocinlo  di  colori  quali 
nei  vasi  di  Gnathia,  trovo  rappresentato  due  volte  (tomba  156)  il  tipo  della  coppa 
verniciata  in  nero,  emisferica,  con  pareti  sottili,  con  piede  a  calice  rovesciato  e  con 
due  anse  snelle,  oblique  e  risvoltate  al  sommo,  forma  che  trova  corrispondenza 
—  salvo  in  un  dettaglio  del  piede  —  in  una  tazza  verniciata  a  nero,  riferibile  senza 
dubbio  a  tomba  gallica,  di  Montefortino  (3).  E  in  valle  Trebba  trovo  due  volte 
(tombe  156  e  186)  anche  il  tipo  del  cantaro  verniciato  in  nero  con  anse  a  doppio 
bastoncello,  ornate,  al  sommo,  di  un  nodo  ;  il  qual  tipo  in  un  esemplare  conserva- 
tissimo  (ved.  fig.  5)  —  appartenente  a  blocco  di  materiale  sporadico  —  è  ripetuto 
in  proporzioni  minori  quali  corrisponderebbero  a  quelle  dei  cantari  del  sepolcro  XXX 
a  Montefortino  (4). 

(')  Ved.  l'oiaochoe  riprodotta  a  tav.  V,  n.  4  nel  lavoro  del  Brizio,  Tombe  e  necropoli  tyiUiehe  (lei 
Bolognese,  Atti  e  Memorie  Deputazione  Storiti  Patria  per  la  Romagna,  1887;  ina  il  Brizio,  parlando 
dell'ninochoe  a  pag.  473,  non  riconobbe  il  testone  per  il  grande  deperimento  della  pittura. 

(')  La  sua  forma  doveva  esser  quella  di  un  vaso  a  trottola  con  alto  collo  cilindrico,  sormontato 
da  labbro  sporgente  orizzontale  e  fornito  di  anse  a  sottili  colonnette  binate,  raccordate  al  sommo  da 
un  archetto.  11  coperchio  era  sormontato  da  un  pomello  in  forma  di  vasetto.  Zone  di  color  rosso-sangue 
decoravano  il  ventre  del  vaso. 

(-1)  Ved.  Iìrizio,  Il  sepolcreto  gallico  ili  Montefortino,  in  Mon.  ant.  Lincei,  IX,  col.  Gì)6-fi!HS,  fig.  24. 

(4)  Ved.  llrizio,  op.  cit.,  col.  68'J  e  tav.  X,  n.  li. 


roMArrmo 


292 


REGIONE    Vili. 


La  tomba  L56,  che  ci  ha 'dato  tre  dei  pezzi  ora  considerati,  ha  dato  pure  una 
kotyle  in  forma  di  calotta  emisferica  su  piede  cilindri©»,  verniciata  in  nere  e  recante 


Fio.  5 


le  I  linci'  di  una  decorazione  in  rosso  sovrapposto,  per  gran  parte  svanito  (ved.  fig.  (3)  : 
un  gran  cigno  a  sinistra  (su  ciascuna  faccia)  alternato  con  una  palmctta  fiancheg- 


Fio.  ti. 


giata  da  girali  e  fogliami  (sotto  a  ciascuna  ansa).  Tale  kotyle  richiama  subito  alla 
mente,  per  la  decorazione  (tecnica  e  ornati),  due  kotylai  di  forma  simile,  provenienti 
da  due  tombe  galliche  del  sepolcreto  Benacci  nel  suburbio  bolognese  (*)  ;  al  quale 

(')  Ved.  Brino,  Tombe  e  necropoli  galliche  ecc.  pag.  478,  scp.  Xt,T,  n.  4,  t-av.  V,  n.  5  e  pag.  499, 
sep.  XVIII,  ii.  1,  e  rispettivamente  Pellegrini,  Catalogo  citato  ira.  826  e  827.  Anche  nella  seconda  di 


REGIONE  Vili.  —    293    


COMACCHIO 


sepolcreto,  che  ha  dato  una  ciotola  «etrusco-campana»  con  iscrizione  graffita  dopo 
la  cottura  (»),  ci  richiamano  altresì  tre  ciotole,  a  vernice  nera  scadente  e  con  iscri- 


*>■■   / 


(^ 


'•1/1  ' 


Fio.  7. 

rioni  etnische  graffite  dopo  la  cottura.  Le  tre  ciotole  appartengono  alle  tre  tombe 
150,  168,  218  e  recano  nell'interno  rispettivamente  lo  iscrizioni  seguenti: 

parìft  :  attui  venne  pulius  mi  anta 

riprodotte  in  facsimile  alla  figura  7. 

I  termini  cronologici,  più  alto  e  più  basso,  della  rassegna  ora  fatta  risultano 
pertanto  segnati  rispettivamente  dal  frammento  sporadico  di  tazza  del  ciclo  di  Epit- 
teto  nonché  dalla  grande  anfora  a  doppia  tecnica  rinvenuta  dagli  operai  del  Consorzio, 
e  dai  pezzi  che  indicai  sulla  fine  di  questa  rassegna,  riscontrandoli  con  oggetti  dei 
sepolcreti  gallici  di  Montefortino  e  del  Bolognese.  Queste  per  l'età  dei  pezzi  vascolari. 

Quanto  alla  data  della  più  antica  tomba,  è  ben  vero  che.  a  stretto  rigore,  non 
converrebbe  prendere  per  base  un  corredo  che  non  sia  stato  scavato  sotto  gli  occhi 
dell'assistente,  con  perfetta  garanzia  che  nessun  oggetto  sia  andato  disperso  (mi 
riferisco  alla  tomba  con  anfora  a  doppia  tecnica)  ò  un  frammento  di  oggetto  isolato 
(quale  la  kylix  del  ciclo  di  Epitteto)  e  che  quindi,  prescindendo  da  tali  pozzi,  e  rife- 
rendosi a  qualche  tomba  intatta  con  vasi  comuni  a  f.  n.  del  terzo  stile,  si  potrebbe 
fissare  verso  il  470  l'inizio  del  funzionamento  del  sepolcreto  di  valle  Trebba. 

Non  ometto  però  di  osservare,  riguardo  ai  due  pezzi  poco  sopra  ricordati,  che 
fra  due  tombe  non  intatte,  di  cui  facessero  parte  rispettivamente!  ed  anzi  dei  cui  cor- 
redi fossero  sole  superstiti  l'anfora  a  doppia  tecnica  e  la  kylix  del  ciclo  di  Epitteto, 
con  minor  esitazione  sarebbe  da  arguire  la  data  della  tomba  della  kylix  in  confronto 


queste  kotvlai,  sopra  una  delle  due  facce  principali  restano  tracce  di  pittura  riferibili  a  un  volatile. 
Il  Brizi»  accenna  a  decorazione  di  fogliame;  ina  non  intendo,  se  si  riferisca  a  quelle,  ben  visibili, 
die  sano  sotto  le  anse,  o  se  pensi  che  tal  decorazione  si  svolgesse  per  tutto  il  giro  del  vaso.  Il  Pellegrini 
non  accenna,  a  decorazione. 

(')  Ve  l.  Brizi'),  T,>  nhi  e  •(•,.,  pag.  47!>,  sep.  XLIV,  tav.  V,  n.  8  e  Pellegrini,  op.  eit.,  n.  888. 


COJIACCHIO  —    294    — v  REGIONE   Vili. 


a  quella  dell'altra;  porche  l'anfora  poteva,  con  l'eccezionalità  dello  sue  dimensioni, 

far  desiderare  che  per  maggior  tempo  la  si  conservasse  sopra  terra  a  decorare  la  casa 
dei  vivi  prima  di  passare  ad  ornamento  della  tomba,  mentre  non  sembra  verosimile 
che  una  kylix  con  una  comune  e  modesta  figura  possa  aver  risvegliato  un  analogo 
desiderio.  La  qua!  considerazione  induce  a  pensare,  che  non  sia  troppo  ardito  il  col- 
locare sia  la  tomba  cui  apparteneva  il  frammento  di  kylix  ('),  sia  l'inizio  del  fun- 
zionamento del  sepolcreto  nell'ultimo  decennio  del  sec.  VI. 

Così  per  il  termine  più  basso  della  necropoli,  già  sulla  base  del  solo  materiale 
ceramico  considerato,  si  potrà  arrivare,  anche  oltre  la  fine  del  sec.  IV.  entro  all'inizio 
del  sec.  III.  E  così  dico,  perchè,  anche  se  la  maggioranza  dei  pezzi  da  me  indicati 
quali  i  più  tardi  appartiene  al  sec.  IV,  credo  tuttavia  che  più  d'uno  possa  scendere 
nel  III,  trovando  essi  riscontro  nel  materiale  delle  tombe  galliche  sopraccennate  e 
specialmente  in  quelle  del  Bolognese  (*)  ;  le  quali  insieme  sono  dai  dotti  attribuite  o 
tutte  al  sec.  Ili  o  parte  alla  fine  del  IV  e  parte  al  III. 

Riti  funebri  e  altri;  particolarità  delle  tombe.  — Delle  221  tombe  rin- 
venute, 118  mostravano  il  rito  della  umazióne  (tra  queste,  anzi,  due  erano  i  sepol- 
cri bisomi)  e  94  quello  della  cremazione.  Quanto  alle  9  rimanenti,  mentre  di  una, 
scavata  abusivamente,  non  si  potè  conoscere  il  particolare  del  rito  funebre,  delle  al- 
tre 8,  scavate  sotto  l'assidua  sorveglianza  dell'assistente,  non  è  certo  quale  fosse  il 
rito,  perchè  non  si  trovò  né  scheletro  né  ossuario  (3). 

(')  Mentre  da  un  lato  sembra  poco  verosimile  clic  nel  vasto  sepolcreto,  per  tanta  parte  ancora 
inesplorato,  dovesse  essere  unico  quel  comune  pezzo  vascolare,  del  quale  ci  pervenne  casualmente  un 
frammento,  d'altro  lato  la  vastità  del  sepolcreto  e  il  molto  che  vi  è  ancora  da  esplorare  permettono 
di  pensare,  che  la  facile  obbiezione  del  non  essersi  finora  trovati  vasi  a  f.  n.  del  secondo  stile  potrebbe 
avere  soltanto  un'apparenza  di  verità.  Al  (piai  proposito  ricorderò  eh*  nessun  vaso  a  f.  n.  apparve 
negli  scavi  del  '22,  che  negli  scavi  del  '23  apparvero  vasi  a  f.  n.  ma  solo  di  piccole  dimensioni,  e  che  nel 
'24   rintracciai  qualche  frammento  di  anfora  a  corpo  non  verni "i  ito. 

(*)  Del  resto,  come  si  vedrà,  dalle  tombe  di  valle  Trebbi  prove  nera  aich  •  altri  Oggetti,  i  quali 
trovano  riscontro  più  o  meno  diretto  il  oggetti  delle  tomba  galliche  del  15  dogiese.  Cito  ad  es.  un  raris- 
simo colatoio  in  stagno  (tomba  186)  con  appendice  per  sostegno  sul  Iato  opposto  al  manico,  una  cio- 
tola-colatoio fittile  con  maniglia  verniciata  a  nero,  nonché  un  askos  otriforme  (entrambi  della  tomba 
156),  ricordando  per  il  primo  di  questi  tre  pezzi  che  l'appendice  di  sostegno,  mai  apparsa  negli  esem- 
plari bronzei  della  Certosa  (ved.  Brizio,  Tombe  e  necrop.  ecc.,  pag.  475),  appare  negli  esemplari  di  età 
gallica  di  Bologna  e  di  Montefortino,  e  richiamando,  per  il  secondo,  un  frammento  fittile  emisferico  bu- 
cherellato, parte  centrale  di  colatoio,  del  genere  etrusco  -campano,  proveniente  dal  territorio  di  Mon- 
zuno  (ved.  Not.se.  1884, ser. 3*,  voi.  XIII,  p.  16S),  nonché,  per  il  terzo,  un  askos  otriforme  similissimo 
(ved.  Brizio,  op.  cit.,  tav.  V,  n.  <S),  proveniente  da  tómba  gallica  del  suburbio  bolognese. 

(3)  Mentre  per  alcuna  di  queste  potrà  valere  l'ipotesi  che  si  tratti  di  tombe  di  bambini,  per  al- 
tre—  tenendo  presente  che  nella  tomba  11  lo  scheletro  fu  trovato  coperto  da  un  leggero  strato  di  calce 
e  che  nella  tomba  13  lo  scheletro  si  trovava  tutto  avvolto  nella  calce — •potrebbe  valere  la  spiegazione 
data  dal  Brizio  (Afon.  IAneei,Y,  col.  184),  per  certe  tombe  di  Novilara  senza  scheletro,  la  scomparsa 
del  quale  fu  da  lui  attribuita  all'azione  corrosiva  dell'abbondante  calce  che  si  spargeva  nelle  tombe 
di  quel  sepolcreto. 

Le  tombe  che  risultarono  violate  e  sconvolte  possono  derivare  questa  condizioni'  di  cose  o  dal- 
l'azione delle  correnti  d'acqua  impetuose  o  dal  fatto  di  depredatori  sia  antichi,  sia  dei  tempi  nostri  ; 


REGIONE   VITI.  —   295    —  COMACCRIO 


Le  tornile  ciano  scavate  ne!  terreno  sabbioso  delle  dune,  estendendosi  però 
talora  il  sepolcreto  anche  in  certi  margini  di  terreno  sabtnoso-argilloso,  frutto  di 
antichissime  alluvioni  (così  p.  es.  le  tombe  101,  104  e  1 10);  in  certe  aree  poi,  ove  lo 
dune  erano  state  rivestite,  per  effetto  delle  alluvioni,  di  un  manto  di  terreno  sab- 
bioso-argilloso,  si  riscontrò  che,  mentre  la  gran  maggioranza  delle  tombe  erano  state 
scavate  tanto  profonde  da  essere  interamente  circondate  dalla  sabbia  pura,  altre 
erano  state  tenute  più  superficiali. 

Nessuna  tomba  rivelò  costruzioni  di  pareti  di  ciottoli  a  secco  o  costruzioni  si- 
mili di  pozzetti,  quali  si  rinvennero  nelle  tombe  felsinee.  Una  sola  volta  si  riscontrò 
una  massicciata  dello  spessore  di  cm.  80,  costituita  di  sfaldature  di  pietra  forte,  messe 
a  coltello,  disposta  quasi  coperchio  protettivo  nel  sepolcro  128,  il  più  ricco  di  tutto 
il  sepolcreto. 

Le  tombe  a  umazione  avevano  pianta  rettangolare,  e  non  erano  provviste  di 
cassa  di  legno.  In  qualche  tomba  si  rinvennero,  molto  danneggiati  dall'acqua  del 
sottosuolo,  tronchi  o  rozze  travi  di  quercia,  disposti  sui  lati  della  fossa:  in  una 
(n.  106)  sopra  un  lato  lungo,  in  altra  (n.  107)  sui  due  lati  lunghi  e  sopra  uno  dei 
brevi  e  in  quattro  (nn.  177,  182, 199  e  203)  sui  soli  lati  lunghi.  Mentre  le  due  prime 
tombe,  per  essere  state  saccheggiate,  lasciano  pensare  che  anche  qualche  troncone 
possa  essere  andato  disperso,  nelle  altre  quattro,  che  si  scopersero  intatte,  i  tronconi 
sui  soli  Iati  lunghi  fanno  pensare,  piuttostochè  ad  un  espediente  tecnico  per  lo  scavo 
della  fossa  nella  mobile  sabbia,  ad  una  recinzione  sommaria  dell'area  sepolcrale  in- 
dividuale nel  sottosuolo  per  tener  corpi  e  corredi  separati  da  corpi  e  corredi  di  tombe 
contigue.  Noterò  infine  che  la  ricchissima  tomba  128,  già  segnalata  per  la  massicciata 
della  potenza  di  cm.  80  che  la  proteggeva  superiormente,  mostrava;  anche  sul  fondo 
un  particolare  che  non  si  riscontrò  in  nessun'altra  tomba  ;  che  il  suo  fondo  era  co- 
perto da  un  tavolato  di  quercia  dello  spessore  di  cm.  2. 

Gli  scheletri  erano  disposti  supini,  con  la  testa  per  lo  più  a  ponente  (');  e  ricor- 
derò anche  che  in  due  casi  (tombe  11  e  13)  lo  scheletro  apparve  coperto  di  calce. 

Di  fronte  all'uso  comune  di  distribuire  la  suppellettile  funebre  —  prescindendo 
da  quella  che  riguarda  l'ornamento  personale  —  intorno  al  corpo,  si  trovò  che  in  qual- 
che caso  questo,  anziché  circondato,  era  coperto  o  totalmente  o  parzialmente  dai 
vasi  (*).  In  tutto  lo  scavo  si  riscontrò  sei  volte  collocato  il  pezzetto  di  aes  rude  nella 


uè  infine  è  da  escludere  una  manomissione,  parzialmente  involontaria,  occasionata  da  lavori  agricoli, 
là  dove  le  tombe  si  trovavano  molto  superficiali  (p.  es.  tomba  14;  ved.  anche  area  a  sud  delle  tombe 
34  e  35).  Né  mancano  casi  di  sconvolgimento  da  imputare  ad  antichi  seppellitori  ;  i  quali,  scavando, 
s'imbatterono  in  una  tomba  forse  insospettata,  e  in  questa  produssero  spostamenti  per  far  posto  al 
nuovo  defunto  (cosi  nelle  coppie  :  20  e  22  ;  182  e  183).  fili  spostamenti  delle  antiche  deposizioni  in  qual- 
che caso  si  sarebbero  spinti  fino  al  ridurre  i  resti  dello  scheletro  in  un  mucchietto  d'ossa  col  cranio 
sovraimposto  (179  e  183)  ;  nella  qual  disposizione  è  tuttavia  da  vedersi  un  atto  di  pietà. 

(1)  Dei  118  sepolcri  a  umazione  (nel  qual  numero  vengono  conteggiati  per  uno  anche  i  sepolcri 
bisomi),  dopo  aver  escluso  quelli  che,  per  una  od  altra  ragione  non  pitev.no  conteggiarsi  per  la  orien- 
tazione, mi  è  risultato  che,  su  70  sepolcri,  in  48  la  testa  era  a  ponente,  in  12 a  levante,  in  5  a  nord-nord- 
ovest, in  2  a  nord-ovest,  ancora  in  due  a  nord  e  in  uno  a  sud. 

(2)  Totalmente  nelle  tombe  15,  42,  101,  206  ;  parzialmente  nella  19. 


iom  urino  —  296  —  REGIONE  Vili, 


mani)  destra  dej  defunto;  sembra  d'eccezione  il  caso  dell'oes  rttde  trovato  una  volta 
dentro    una  scodella   insieme  eoi   resti  delle  vivande  funebri  ('). 

Non  mancarono  esempii  di  tombe  bisome;  e  tali  tombe  sono  quelle  contrasse- 
gnate coi  nn.  L49  e  203,  ciascuna  coi  due  corpi  innati  (*). 

Riguardo  alle  tombe  a  cremazione,  dissi  già  che  mai  non  apparve  una  costru- 
zione a  pozzetto  in  ciottoli  a  socco,  ma  tal  forma  viene  in  qualche  modo  rievocata 
in  quei  rarissimi  casi  (tombe  lòti  e  10Ò)  che  mostrano  i  vasi  disposti  in  circolo  intorno 
al  cumuletto  delle  ossa  bruciate.  Salvi  questi  rarissimi  casi  di  eccezione,  le  ossa  sono 
contenute  entro  un  vaso  ;  il  quale,  mentre  in  qualche  raro  caso  è  un  grande  ziro 
(senza  un  vaso  interno  per  ossuario),  consiste  generalmente  in  un  doglie! lo.  di  forma 
ovoidale,  più  o  meno  grande  e  di  genere  fittile  più  o  meno  fino.  Come  a  Bologna, 
anche  qui  fungono  talora  da  ossuarii  vasi  greci  dipinti;  e,  naturalmente,  per  tale  uso 
vengono  sempre  scelti  vasi  capaci,  quali  l'anfora  (tomba  1251  e  la  kelebe  (tombe 
51,  84  e  198).  Sebbene  non  manchino  tombe  ricche  anche  fra  i  cremati,  fra  questi 
sono  abbastanza  frequenti  le  tombe  povere  e  poverissime. 

Nelle  tombe  a  cremazione  gli  oggetti  eventualmente  aggiunti  all'ossuario  sono 
collocati  talora  dentro  all'ossuario,  talora  fuori  sul  piano  della  tomba,  e  talora. 
infine,  sono  distribuiti  parte  dentro,  parte  fuori  dell'ossuario.  Una  volta  (tomba  207) 
il  vasetto  aggiunto,  una  piccola  idria  a  f.  n.,  si  trovò  posato,  anziché  sul  piano  della 
tomba,  sopra  la  ciotola  rovesciata  che  faceva  da  coperchio  all'ossuario. 

Come  segnale  della  tomba  si  rinvenne  alcune  volte  un  grosso  ciottolo  fluviale  : 
il  quale  per  lo  più  si  trovò  a  un'altezza  fra  i  cui.  55  e  i  70  dal  piano  di  fondo  della 
tomba.  Il  ciottolo  doveva  essere  impostato  sul  cumuletto  formato  dalla  terra  ecce- 
dente dopo  compiuto  il  seppellimento,  cumuletto  che  col  naturale  asscMamenlo 
della  terra  era  destinato  a  sparire  ;  ma,  comunque,  il  ciottolo,  per  esser  privo  di 
qualsiasi  indicazione  specifica  relativa  al  defunto,  finiva  per  indicare  solamente  che 
il  terreno  sottostante  era  già  occupato  da  una  tomba. 

Come  a  Bologna,  nel  sepolcreto  etrusco  fuori  porta  S.  Isaia  (3),  così  in  valle 
Trebba  fu  riscontrato,  che  aree  diverse  del  sepolcreto  furono  in  uso  contemporanea- 
mente; dimodoché,  come  tombe  di  uno  stesso  periodo  sono  situate,  parte  in   una 


(')  Tali  residui,  abbastanza  frequenti,  si  rinvennero,  quasi  sempre,  entro  scodelle  a  piatti  e  con- 
sistevano, per  lo  piti,  in  valve  di  molluschi  comuni  e  in  ossicini  di  pollo  o  ossa  di  quadrupedi.  Eccezio- 
nale ('■  il  caso  di  tre  frutti  fittili  dipinti (efr.JVo*. te.  1918  «Supplemento»,  pag.  130,  fig.  174).  Per  quanto 
potei  riscontrale,  le  tombe  degli  untati  sono  piìi  ricche  e  varie  riguardo  al  particolare  delle  vivande, 
mentre  presso  i  cremati  non  trovansi  che  valve  di  molluschi.  Quanto  all'uovo — ili  cui  in  una  tomba  si 
rinvenne  il  guscio  —  l'Orsi  (ved.  Camarha,  in  Mnn.  Lincei,  XIV,  col.  847,  n.  1)  In  già  rilevato  come 
esso  avesse,  invece,  un  significato  di  purificazione. 

(*)  Così  rilevo,  perchè  non  mancano  altrove  esempi  di  doppii  sepolcri  con  inumato  e  cremato 
(ved.  p.  es.  a  Bologna,  nel  sepolcreto  alla  Certosa,  la  tomba  319-320). 

(3)  Cfr.  Ducati,  Contributo  alla  storia  ddla  civiltà  etrusci  in  Felsint,  in  Rendiconti  dell'  Accademia 
dei  Unni,  voi.  XVIII,  1909,  pag.  208  e  segg.  Pellegrini,  op.  cit.  LII;  Ducati,  S'iti:  riti  funebri  dei  se- 
poli-refi  etruschi  felsinei,  in  Atti  e  Memorie  della R.  Deputazione  di  Storia  patria  per  la  Romagna,  IV  serie, 
voi.  V,  1916,  pag.  7  e  segg. 


IlEGiONE  Vili.  _   297   —  COMACCHIO 


area,  parte  in  altre,  così  in  una  stessa  area  trovansi  alternate  —  con  diversa  preva- 
lenza da  un  punto  a  un  altro  — tombe  più  antiche  e  tombe  più  recenti. 

Riguardo  alla  profondità  delle  tombe,  è  da  notare  che  essa  è  molto  varia,  poiché, 
mentre  nella  zona  II  si  trovarono  tombe  affioranti,  col  letto  a  cm.  20  e  25  dal  piano 
di  campagna,  nella  I  le  più  profonde  arrivavano  col  letto  fino  a  m.  1,60  e  1,80  ; 
della  qual  maggiore  profondità  può  dar  talora  spiegazione  o  la  circostanza  del  tro- 
varsi nel  corredo  funebre  un  oggetto  molto  sviluppato  in  altezza  (come  un  cande- 
labro, da  collocarsi  verticalmente),  o  la  ragione  pratica  —  prescindendo  anche  da 
motivi  ideali  —  di  meglio  proteggere  con  un  più  profondo  interramento  una 
tomba  ricca. 

Considerando  tombe  contemporanee  in  aree  poco  estese  o  in  aree  vicine  è,  in 
genere,  possibile  riconoscere  una  certa  uniformità  di  livello  nei  piani  di  fondo  ;  ma 
se  il  confronto  sia  fatto  da  un'area  ad  altra  lontana,  p.  es.  della  prima  e  della  seconda 
zona,  sembra  più  frequente  il  caso  di  livello  disforme.  La  qual  cosa  appare  naturale, 
appena  si  pensi  alla  vastità  del  sepolcreto,  distribuito  in  un  terreno  che  subì  tante 
vicende  specialmente  per  opera  della  natura. 

In  relazione  alle  cose  dette  aggiungerò,  che  in  qualche  punto  del  sepolcreto  ho 
già  individuato  qualche  gruppo  di  tombe  non  solo  contemporanee  per  le  caratteri- 
stiche dei  corredi,  ma  situate,  entro  lievissime  differenze,  a  un  medesimo  livello. 

Gioverà  anche  sapere  che  gli  scavi  del  1923  hanno  fatto  conoscere  alcuni  casi 
di  tombe  sovrapposte  :  la  coppia  63-64  con  insensibile  intervallo  e  le  coppie  159-160, 
176-177,  181-182,  202-203  con  intervalli  rispettivamente  di  cm.  70,  105,  75  e  25  ; 
nei  quali  casi  si  riscontrò  sempre  il  rito  dell'umazione  nella  tomba  inferiore  e  quello 
della  cremazione  nella  superiore,  salvo  per  la  tomba  202  che  è  anch'essa  a  umazione 
come  la  sottostante. 

Oggetti  fittili.  —  Ebbi  già  occasione  di  occuparmi  dei  vasi  dipinti,  quando 
presi  in  esame  questa  classe  di  monumenti  all'effetto  di  determinare  la  durata  del 
sepolcreto.  Ora  tratterò  degli  altri  fittili  apparsi  in  questa  necropoli,  cominciando 
dai  vasi  configurati  ;  ai  quali,  per  ragioni  di  affinità,  associerò  gli  altri  pochi  prodotti 
di  plastica  figurata  :  statuine  e  rilievi. 

Dagli  scavi  del  '22  provenne,  oltre  il  rhyton  attico  a  testa  di  ariete,  già  menzio- 
nato per  le  scene  dipinte  di  Sileni  e  Menadi,  un  askos  di  argilla  figulina  giallo-chiara 
finissima,  in  forma  di  oca,  con  finissimi  ornati  (in  nero)  di  palmette  ed  ovuli  distri- 
buiti in  opportuni  spazii,  mentre  longitudinalmente  il  corpo  dell'animale  è  attra- 
versato da  sottili  linee  nere  secondo  l'andamento  delle  penne  maestre  delle  ali. 

Dagli  scavi  del  '23  i  pezzi  configurati  uscirono  più  numerosi.  Ricorderò  anzitutto, 
oltre  a  tre  oinochoai  configurate  a  testa  femminile  (già  menzionate  nella  rassegna 
per  la  cronologia  del  sepolcreto),  un  pezzo  notevolissimo  consistente  in  un  guttus  con 
vernice  nera,  eccezionale  per  essere  di  pianta  rettangolare  e  decorato  in  rilievo  di 
una  vigorosa  testa  di  Hcrakles  di  ottimo  stile  (tomba  54). 

Fra  i  più  preziosi  trovamenti  è  da  annoverare  un  gruppo  di  quattro  vasi  configu- 
rati in  t'orma  di  quadrupedi  (tav.  XIII)  tre  dei  quali  eccellenti.  Di  essi  si  parlerà  diffu- 
Notizie  Scavi  1024  —  Voi.   XXI.  38 


COMACCHIO 


298    —  REGIONE    Vili. 


samente  quando  si  descriverà  il  corrodo  della  tomba  relativa  (83).  Per  la  novità  del 
travamento,  conviene  ricordare  alcuni  bustini  di  divinità  femminile  modicità  (7  pezzi; 
in  parte,  di  diverse  grandezze  e  di  vario  stile).  Meno  inaspettate  ci  arrivano  invece, 
dopo  la  comparsa  di  prodotti  simili  a  Montefortino,  alcune  statuine  coronate  di  foglie 
d'edera,  di  età  protoellenistica  (due  maschili  e  identiche,  da  due  tombe  diverse  ; 
due  femminili,  di  cui  una  priva  della  metà  superiore);  le  quali,  insieme  con  altro  ma- 
teriale che  abbiamo  considerato  più  su,  sembrano  trovarsi  ai  più  bassi  limiti  crono- 
logici del  sepolcreto. 

Ed  ora,  sommariamente  degli  altri  fìttili,  tutti  della  categoria  vasellame. 

Un  impasto  grossolano  —  in  terra  nerastra,  rossastra  e  anche  cenerognola  — 
appare  esclusivamente  nei  dogli,  negli  ossuari  e  nei  coperchi  di  questi  ultimi  (').  Ri- 
guardo agli  ossuari,  ho  già  detto  (ved.  sopra)  che  son  generalmente  dì  forma  ovoidale. 
Senonchè,  malgrado  la  prevalenza  di  questa  forma,  non  mancano  esempii  di  do- 
glietti  o  più  ventricosi  o  più  elissoidali;  e  in  ogni  modo  contribuisce  a  portar  fra  essi 
una  certa  varietà  d'aspetto  la  presenza  o  meno  di  anse,  di  pomelli,  di  cordoni  o  solca- 
ture decorative. 

D'altra  parte  ossuari  ovoidali  appaiono  abbastanza  frequenti  anche  in  argilla 
ben  purgata  e  ben  cotta,  sia  rossiccia  sia  giallognola,  talora  —  in  questo  secondo 
caso  —  con  una  coloritura  rossiccia  su  tutta  la  superficie,  e  talora  con  decorazioni 
geometriche  o  fitomorfe  in  pennellature  brune.  Tale  argilla  ben  purgata  e  ben 
cotta  appare  altresì  sia  in  alcune  anfore,  raramente  a  fondo  piatto,  spesso  a  ter- 
minazione puntuta  (le  quali  fanno  risovvenire  delle  anfore  puntute  così  frequenti 
nel  sepolcreto  di  Montefortino)  (-),  sia  anche  in  vasi  di  piccole  dimensioni,  special- 
mente piattelli  con  e  senza  piede,  scodelle,  ollette,  corrispondenti  ad  esemplari  dei 
sepolcreti  etrusco-felsinei,  nonché  askoi  otriformi  simili  ad  esemplari  dei  sepolcreti 
gallici  del  Bolognese  (8).  E  qui  compare  —  per  lo  più  usata  per  piccoli  vasi,  quali 
piattelli  con  e  senza  piede,  tazzette,  scodelle  —  quell'argilla  cenerognola,  la  quale, 
dapprima  riferita  alla  ceramica  gallica,  fu  più  tardi  riconosciuta  dal  Brizio  anche  in 
vasi  delle  tombe  etnische  di  Felsina  (4). 

Ma  la  classe  più  numerosa  è  quella  dei  «  vasi  verniciati  a  nero  »,  che  riproducono 
una  gran  parte  delle  forme  dei  vasi  dipinti  greci;  senonchè  è  da  notare,  che  la  vernice 
in  molti  esemplari,  anziché  fina  e  di  un  tono  nero  brillante,  si  mostra  scadente  e  di 
tinta  verdognola.  Da  segnalare  fra  i  vasi  a  vernice  nera  una  coppa-colatoio  con  sua 
maniglia. 

Fra  i  vasi  a  vernice  nera  compaiono  altresì  esemplari  della  ceramica  cosiddetta 
etrusco-campana  a  ornati  impressi  (per  lo  più  tazze  biansate,  ciotole,  piattelli  con  o 
senza  piede)  ;  dei  quali  esemplari,  se  abbiamo  una  serie  piuttosto  numerosa  in  pro- 
dotti italioti,  poveri  d'ornati  e  assai  scadenti  di  fattura,  non  manca  in  questo  sepolcreto 

(')  Non  è  raro  il  caso  che  il  coperchio  sia  di  una  terra  e  di  una  fattura  che  non  concordano  con 
quelle  del  vaso. 

(*)  Ved.  in  Brizio,  op.  cit.,  tav.  V,  n.  17  e  Vili,  n.  13. 

(3)  Ved.  in  Brizio,  Tonile  e  necropoli  ecc.,  tav.  V,  n.  8. 

(*)  Ved.  Brizio,  Il  sepolcreto  gallico  di  Montefortino,  in  Mon.  Lincei,  IX,  col.  782. 


REGIONE  Vili.  299 


COMACCHIO 


qualche  esemplare  con  ricca  varietà  ornamentale,  che,  malgrado  qualche  imperfezione  di 
esecuzione,  non  esito  a  giudicare  di  produzione  greca  (ved.  fig.  8;  dalla  tomba  15).  In 
tale  categoria,  e  certamente  di  fattura  greca,  è  da  rilevare  anche  una  coppia  di  patere 
ad  omphalos  (tomba  186),  eccellenti  per  la  delicatissima  decorazione  a  zonette  di  in- 
taccature oblique,  che  circondano  l'interno  giro  di  palmctte  e  fiori,  per  l'eleganza  della 
forma  e  per  la  sottigliezza  delle  pareti. 


Fio.  8. 


Oggetti  di  metallo.  —  Se  l'umile  terracotta  ha  potuto  quasi  sempre  vittoriosa- 
mente contrastare  alle  insidie  disgregatrici  del  sottosuolo  salmastro  di  valle  Trebba. 
altrettanto  non  si  può  dire  degli  oggetti  di  bronzo  e  di  ferro. 

IVegli  oggetti  di  ferro  —  dei  quali  dirò  subito  brevemente,  per  passare  poi  al 
più  lungo  discorso  intorno  ai  bronzi  —  la  devastazione  è  molto  profonda.  Infatti, 
se  si  eccettuano  i  casi  di  pochi  chiodi,  di  una  cuspide  di  lancia  (tomba  83)  e  pochissimi 
altri,  nei  quali  l'oggetto  si  riconosce  con  maggiore  o  minore  difficoltà,  negli  altri 
pochi  casi  il  ferro  —  talora  avvolto  da  concrezioni  sabbiose  e  sassose  —  è  ridotto  a 
frammenti  informi. 

Degli  oggetti  in  bronzo  lo  stato  di  conservazione  è  assai  vario,  poiché,  mentre  le 
parti  laminate,  sottili,  quali  le  pareti  dei  vasi,  furono  assai  spesso  ridotte  a  miseri 
brandelli  ed  altri  bronzi,  massicci,  sfuggirono  quasi  totalmente  all'azione  disgrega- 
trice, certi  pezzi  fusi  che  erano  ornati  con  delicata  cesellatura,  ora  resistettero  bene, 
ora  soffrirono  più  o  meno  fortemente  per  le  insidie  dell'ambiente. 

Degli  Oggetti  in  bronzo,  quello  che  apparve  con  maggior  frequenza  è  il  cande- 
labro, in  quel  tipo  con  statuina  al  sommo  fra  la  raggiera  per  le  candele,  di  cui  ha  dato 
tanti  esemplari  il  suolo  felsineo.  Dieci  candelabri  di  questo  tipo  sono  finora  rappresen- 


COMACCHIO 


300    —  REGIONE    Vili. 


tati  in  questo  sepolcreto  :  4  volte  dall'intero  pezzo,  3  volte  dalla  statuina  con  o  senza 
raggiera,  3  volte  dal  candelabro  senza  statuina. 

Mentre  in  genere  tali  pezzi  sono  di  lavoro  comune,  di  lavoro  eccellente  è  un  reggi- 
lucerne  a  piede,  sormontato  da  una  statuina  di  danzatrice  con  crotali  ;  il  quale  cor- 
risponde nel  tipo  ai  candelabri  sopra  indicati,  sostituendo  però  alla  raggiera  per  le 
candele  una  corona  di  sette  gambi  ondulati  per  la  sospensione  delle  lucerne.  Ma  su  tal 
pezzo  mi  diffonderò  largamente  più  avanti,  quando  descriverò  tutto  il  corredo  della 
sontuosissima  tomba  128,  ricchissima  di  bronzi  ;  tra  i  quali  un  superbo  tripode  del 
noto  tipo  «  a  verghette  »  e  un'anfora  a  volute,  di  cui  si  conservano,  oltreché  parti 
della  parete,  il  piede  modulato  e  ornato  e  le  magnifiche  anse  con  attacchi  in  forma  di 
gruppi  di  figure  e  ricche  di  elementi  ornamentali.  Fa  pensare  che  altra  anfora  dello 
stesso  tipo  si  trovasse  nella  tomba  saccheggiata  106,  l'aver  trovato  in  questa  un 
smagliante  piede  rotondo,  modinato  e  ornato,  sebbene  di  lavoro  meno  accurato. 

Si  trovarono  :  un  pugnale,  in  frammenti,  a  doppio  taglio,  entro  la  sua  guaina;  due 
xQfaYQw;  un'olpe  (simile  a  quella  pubblicata  dall'Orsi  in  Not.  te,  1912,  Supplem., 
pag.  15,  fig.  17)  e  i  frammenti  di  altri  due  vasi  (forse  entrambi  olpai),  in  uno  dei  quali 
l'attacco  inferiore  dell'ansa  finisce  in  un  gorgoneion  lavorato  su  dischetto  di  grossa 
lamina;  resti  di  qualche  tegghia;  qualche  piccola  maniglia  girevole;  un  paio  di  robuste 
e  ornate  maniglie  fìsse  con  attacchi  cuoriformi  per  bacile  circolare;  iresti  di  un  bacile 
circolare  ornato  con  una  fascia  di  «  corrimi-dietro  »;  un  paio  di  situle  con  coperchio  a 
pomello  e  con  doppio  manico  girevole;  un  nappo  ad  alta  ansa;  tre  modioli  idi  diversa 
grandezza  e  un  colatoio.  Il  quale  ultimo  pezzo  ci  porge  l'occasione  di  aggiungere  qui 
subito  che  una  tomba  ha  dato  —  rarissimo  esemplare  —  un  colatoio  in  stagno,  for- 
nito dell'appendice  di  sostegno  sul  lato  opposto  al  manico. 

Quanto  agli  oggetti  metallici  di  ornamento  personale,  se  ne  sono  trovati  assai 
pochi 

Fra  le  fibule  —  assai  poche  e  quasi  tutte  frammentarie  —  incontriamo  quasi 
sempre  l'esemplare  in  argento,  piuttostochè  quello  in  bronzo.  Salvi  tre  casi  di  limitata 
importanza  —  nei  quali  la  fibula  si  presenta  con  corpo  o  a  navicella  ordinaria  o  a  navi- 
cella schiacciata  o  con  corpo  fornito  di  costola  longitudinale  ed  esibente  nell'arco 
un'andatura,  quasi  ad  angolo  ottuso,  frequente  nel  tipo  Certosa  —  e  un  quarto  caso, 
invece  assai  notevole,  di  cui  dirò  fra  poco,  le  fibule  presentano  in  grandezza  varia,  da 
una  misura  piccolissima  ad  una  misura  parecchio  più  grande  del  normale,  il  tipo  Cer- 
tosa ;  anzi  dirò  che,  quando  è  conservata  la  terminazione  della  staffa,  essa  si  presenta 
sempre  col  bottoncino  e  mai  con  la  coda  di  rondine.  I  più  begli  esemplari  son  quelli 
costituiti  da  una  coppia  di  fibule  d'argento,  provenienti  dalla  tomba  128. 

In  bronzo  sono  le  fibule  assai  notevoli,  cui  poco  fa  accennai.  Esse  consistono  in 
due  esemplari  del  tipo  detto  «  a  timpano  »  (tomba  ó)  e  sono  simili,  per  la  forma  gene- 
rale, a  una  fibula  già  apparsa,  in  quattro  esemplari,  alla  Certosa  ('),  accostandosi  tut- 
tavia maggiormente,  per  la  forma  particolare  e  decorazione  dei  timpani,  a  due  altri 
esemplari  apparsi  entro  tombe  galliche  di  S.  Maria  di  Cazzano  (*).  In  ciascuna  delle 

(')  Ved.  Brizio,  Tombe  e  necropoli  galliche  ecc.,  tav.  VI,  n.  8. 
(*)  Ved.  Brizio,  op.  cit.,  tav.  VII,  n.  47. 


REGIONE   VIH.  —   301    —  OOMACOHIO 

due  fibule  di  valle  Trebba  il  timpano,  che  occupa  quasi  interamente  l'arco,  è  a  dischetto 
convesso  con  incavo  centrale  e  cordoncini  concentrici,  mentre  sull'estremità  della 
staffa  si  ergono  due  dischetti  simili,  ma  più  piccoli,  impostati  normalmente  rispetto 
alla  direzione  dello  spillo  (lungh.  delle  fibule  cm.  4). 

Fibule  di  un  tal  tipo  a  Bologna  apparvero  una  volta  associate  a  vasi  dipinti  del 
sec.  V  ('),  appunto  come  appaiono  associate  ora  qui  nella  tomba  5  di  valle  Trebba, 
contenente  il  già  citato  rhyton  a  testa  di  ariete  del  pieno  V  secolo. 

Ora  l'associazione  di  tali  fibule  —  che  sono  un  preannunzio  del  tipo  la- Tene  — 
con  vasi  dipinti  del  secolo  V  ci  è  argomento  per  considerare  tali  coppie  di  fibule  nella 
valle  Padana  non  come  pezzi  di  poco  anteriori  alle  fibule  la-Tòne  —  che  a  Bologna 
compaiono  nelle  tombe  galliche  —  sibbene  come  isolate  e  lontane  ripercussioni  di 
un  tipo  che  in  regioni  oltremontane  aveva  già  avuto  una  larga  diffusione  ('). 

Di  armille  s'ebbero  quattro  esemplari  del  tipo  a  capi  sovrapposti  ;  dei  quali  uno 
di  solo  bronzo,  mentre  gli  altri  tre  hanno,  sopra  un'armatura  in  filo  di  bronzo,  un 
grosso  rivestimento  d'argento. 

Anche  in  oro,  di  ornamenti  personali,  si  rinvenne  pochissimo  :  un  a/unvì;  (tom- 
ba 160),  di  forma  rettangolare  —  tenuto  stretto  sulla  fronte  del  defunto  da  una  fet- 
tuccina  d'oro  che  girava  sull'occipite  —  decorato,  a  ciascuna  estremità,  di  un  arciere 
a  cavallo,  in  sbalzo  a  stampa,  entro  campo  convesso  a  testa  di  borchia  e  un  orecchino 
a  cerchio  con  testa  di  leone  (3)  di  valore  artistico  assai  limitato. 

Oggetti  varii  In  materie  dìverse.  —  Oltre  alle  fibule  —  che  qualche  volta  si  rin- 
vennero ancora  sul  petto  del  defunto  (tombe  128  e  203) — altri  oggetti  si  trovarono  i 
quali  o  stavano  ancora  sul  petto  o,  per  essere  forniti  di  foro  pervio,  manifestavano  la 
loro  antica  destinazione  ad  essere  appesi  al  collo,  sia  singolarmente,  sia  in  collana. 

Undici  tombe  han  dato  grani  di  collana  in  ambra  :  dal  pezzetto  bruto,  attraverso 
alle  forme,  più  comuni,  dell'anello  a  ciambella,  fino  alle  forme  a  goccia,  a  piramide,  ad 
ascia  piatta  e  ad  anello  con  castone.  Sul  petto  si  trovarono  anche  un  disco  fittile 
grezzo  in  terra  giallo-rossiccia  (tomba  172)  con  foro  centrale  e  con  altro  foro  presso  la 
periferia,  una  valva  di  mollusco  comune  forata  all'apice  (tomba  195)  e  una  cypraca 
tigri?  pure  forata  (4)  (tomba  221). 

In  due  tombe  diverse  trovaronsi  anche  una  piastrella  forata  in  testa  (tomba  37), 
di  una  materia  che  non  potei  fare  analizzare,  e  una  perla  di  pietra  oliare  (tomba  168), 
che  merita  di  essere  ricordata  per  l'indizio  di  tardività  da  essa  significato. 


(')  Zannoni,  Scavi  della  Certosa,  tomba  371,  pag.  383,  tav.  CXXIII. 

(2)  Il  Déchelette  (Manuel  d'archéol.  préhist.  celtiquc  et  <jallo-ro  inaine,  II,  2»  parte,  pag.  869) 
pone  verso  la  fine  del  secondo  periodo  di  Hallstatt  (700-500)  il  tipo  della  fibula  a  timpano  e  a  doppio 
timpano,  riconoscendo  anche  che  nella  civiltà  di  Hallstatt  tali  fibule  sono  più  comuni  dello  altre  fibule 
coeve. 

(3)  Si  ricuperò  altro  orecchino  dello  stesso  tipo,  ma  più  grande,  proveniente  da  scavi  clandestini. 
(*)  Non  forata,  la  c:/praea  moneta  apparve  in  tre  tombe  ;  e  in  una  di  queste  è  rappresentata 

da  ben  26  esemplari. 


COMACCHIO 


—  302 


REGIONE    Vili. 


In  altre  tombe  si  rinvennero  da  una  a  tre  perle,  con  foro  pervio,  di  pasta  vitrea  ; 
ed  altra  tomba  ha  dato  una  bella  armili»,  di  tipo  gallico,  a  cerchio,  di  vetro  verde 
chiaro  trasparente. 

Se  la  pasta  vitrea  si  presenta  piuttosto  scarsa  nella  forma  delle  perle,  essa  appare 
invece  abbastanza  frequentemente  in  piccoli  ed  eleganti  vasetti,  che  dovevano  servire 
per  le  cure  dell'abbigliamento  personale  (fig.  9).  La  forma  più  frequente  è  quella  del- 
l'unguentario derivata  dall'alabastro!!  (>),  perocché  essa  appare  in  una  decina  d'esem- 
plari; ma,  oltreché  dell'alabastro!!,  son  riprodotte  le  forme  dell'oinochoe  trilobata, 


w#* 


Fio.  9. 


dell'idria,  dell'anfora  e  dell'ariballo  (2).  Particolarmente  ricca  di  tali  vasetti  è  una 
tomba  (n.  83)  ,  con  due  alabastra,  tre  piccole  idrie  e  due  anforine. 

Aggiungerò  anche,  che  in  un  unguentario  alabastriforme  della  tomba  147  fu  tro- 
vato ancora  immesso  un  bastoncello  aguzzo  d'avorio  che  doveva  servire  all'applica- 
zione dell'unguento,  e  che,  quando  si  lavarono  i  vasetti  della  tomba  83,  l'acqua  da 
uno  di  essi  uscì  leggermente  tinta  in  rosso. 

L'aspetto  di  opulenza  (3)  e  di  serenità  che  si  rivela  dai  corredi  del  miglior  tempo 
di  questo  sepolcreto  non  poteva  esser  disgiunto  da  segni  della  giocondità  del  giuoco  ; 
ed  ecco  che  sei  tombe,  a  somiglianza  delle  etnische  della  vicina  Felsina.  ci  danno 

(')  L'alabastron  in  valle  Trebba  appare  parecchie  volte  anche  in  alabastro  e  in  argilla  figulina. 

(*)  Un  esame  comparativo  fra  i  varii  pezzi  fa  riconoscere,  come  sia  varia  la  loro  qualità,  che  di 
fronte  a  pezzi  finissimi  ce  n'è  altri  piuttosto  scadenti. 

(3)  La  ricchezza  della  città  cui  si  riferiva  il  sepolcreto  di  valle  Trebba  e  la  noncuranza  signorile 
con  la  quale  quegli  abitanti  dovevano  trattare  l'abbondante  vasellame  greco  che  avevano  a  così  facile 
disposizione,  si  rivelano  anche  dal  fatto  che,  mentre  a  Numana  il  Brizio  trovò  tanto  frequenti  nei 
vasi  i  fori  per  riattaccarne  i  frammenti,  i  pezzi  di  valle  Trebba  coi  fori  per  la  raggiustatimi  sono  piut- 
tosto rari. 


REGIONE   Vili.  —    3Ó3   —  COMACCHIO 

dadi,  in  avorio,  in  osso,  in  marmo,  ora  parallelcpipedf,  ora  cubici,  con  un   numero 
vario  di  sassolini  ('). 

Descrizione  di  alcune  tombe.  —  Tomba  5  (zona  II,  area  a):  a  umazione, 
orientazione  O-E,    a  m.  0,50  di  profondità. 

Presso  la  testa,  a  sin.,  6  grani  d'ambra  per  collana  (la.  maggior  parte  cipolliformi, 
uno  a  ciambella,  uno  trapezoidale),  e  a  d.  un  raro  e  conservatissimo  rhyton  a  testa 
di  ariete,  con  piede  (tav.  XIV,  3)  tornito  di  abbondante  applicazione  plastica  per  la 
riproduzione  dei  bioccoli  di  lana  e  decorato  di  scene  dionisiache  a  f.  r.,  di  stile  bello 
con  qualche  reminiscenza  del  severizzante  (registro  superiore  :  al  centro  due  Sileni, 
l'uno  con  ramo  d'edera,  l'altro  con  anfora  vinaria  coronata  d'edera,  che  si  corrono 
incontro  saltando,  mentre  su  ciascun  lato  si  allontana  una^ Ninfa  retromirante  ; 
registro  inferiore  :  due  Sileni,  in  danza  e  mosse  agitate  intorno  a  un'anfora  vinaria 
coronata  d'edera,  posta  in  terra  verticalmente  e  appoggiata  a  un  rialzo  retrostante). 

Presso  la  spalla  d.  : 

a)  un  paio  di  fibule  in  bronzo  «a  timpano»  e  cioè  con  un  allargamento  a  testa 
di  borchia  occupante  quasi  tutto  l'arco  e  con  due  timpani  minori  all'estremità  della 
staffa  impostati  normalmente  rispetto  alla  direzione  dello  spillo  (lungh.  cm.  4  ;  simili 
in  Brizio,  Tombe  e  necropoli  galliche,  tav.  VII,  47)  ; 

b)  tre  frammenti  di  pugnale  in  bronzo  (guaina  e  lama)  a  doppio  taglio,  la  cui 
guaina  è  fornita,  sulle  due  coste,  di  appendici  anelliformi  per  infilarvi  il  cordone  di 
sospensione  ed  è  decorata  di  borchie  ; 

e)  un  frammento  in  sottile  lamina  di  bronzo  di  forma  trapezoidale  (lungh. 
mm.  55),  con  incerte  tracce  di  incisioni,  finiente,  a  un  lato,  in  linguetta,  forse  un'estre- 
mità di  cinturone. 

Fra  le  dita  della  m.  d.  un  pezzo  di  aes  rude. 

Sempre  sul  fianco  d.,  dall'altezza  del  bacino  fin  presso  ai  piedi:  una  decina  di 
vasi  a  v.  n.  (ora  in  duplice  esemplare,  ora  in  esemplare  unico,  delle  forme  :  oinochoe 
a  bocca  trilobata,  scodella  senz'anse  con  parete  bassa  e  sgusciata,  scodella  mono- 
ansata con  piede-listello,  scodellimi  senz'ansa  con  piede-listello,  coppina,  skyphos 
cantaroide)  e  due  piattelli  con  piede  decorati,  entro  e  fuori,  di  una  zona  rossa  rispar- 
miata e,  dentro,  di  tondo  centrale  rosso. 

A  nord  della  testa,  a  cm.  50  di  distanza,  due  borchie  in  bronzo,  una  delle  quali 
con  spina  in  ferro  frammentaria. 


(')  Che  tali  tombe  col  giuoco  dei  dadi  siano  in  numero  piuttosto  limitato  non  deve  far  mara- 
viglia ;  perocché  ogni  località  ha  sempre  qualehe  sua  propria  particolarità  e  preferenza.  Così  cito  qui 
il  fatto  che,  mentre  a  Felsina  troviamo  usati,  per  segnare  i  punti  dei  dadi,  non  solamente  sassolini 
naturali  ma  anche  certe  semisferette  di  pasta  vitrea,  che  appaiono  anche  nelle  tombe  galliche  di  Mon- 
tefortino,  in  valle  Trebba  invece  non  s'incontrano  che  sassolini;  e  così  cito  l'altro  fatto  che  in  valle 
Trebba,  in  un  sepolcreto  che  si  estende  più  in  giù  dei  sepolcreti  di  Felsina,  non  si  è  trovata  una  sola 
fibula  a  coda  di  rondine,  sebbene  tal  forma  di  fibula,  com'è  noto,  cominci  ad  apparire  un  po'  più 
tardi  della  fibula  Certosa  a  bottoncino  terminale. 


OOMACUHIO 


—    304   —  REGIONE  Vili. 


Si  raccolse  anche  una  fibula  frammentata  d'argento,  priva  della  staila  e  di  parte 
dello  spillo  (lungh.  mm.  35),  che,  a  considerare  l'andamento  dell'arco,  sembrerebbe  da 
giudicare  di  tipo  Certosa. 

Considerando  il  rhyton  e  tenuto  conto,  come  si  deve,  del  ritardo,  per  la  depo- 
sizione del  vaso  nella  tomba,  in  confronto  al  momento  della  sua  fabbricazione,  giu- 
dico, che  con  questa  tomba  si  scenda  verso  il  425. 

Tomba  15  (zona  II,  area  a)  :  a  umazione,  con  scheletro  O-E  coperto  dalla 
suppellettile,  alla  profondità  di  m.  0,80. 

La  suppellettile  consiste  per  la  maggior  parte  in  scodelle  a  v.  n.  con  impressioni 
del  genere  e.  d.  etrusco-campano,  varie  per  dimensioni  (diam.  mm.  196,  150  e  105) 
e  per  finezza  d'esecuzione.  In  tutto  sono  nove  pezzi,  dei  quali  i  maggiori  son  decorati 
di  un  largo  giro  di  palmette  impresse,  legate  insieme  da  gambi  incurvati  a  semicer- 
chio, di  una  zonetta  di  fogliette  a  ferro  di  cavallo,  di  un  altro  giro  di  palmette  coi 
gambi  come  sopra  e,  al  centro,  da  quattro  fogliette  a  ferro  di  cavallo  disposte  in  croce 
(ved.  fig.  8).  Nei  pezzi  di  media  grandezza  la  decorazione  è  ridotta,  e  ancor  più  nelle 
scodelle  più  piccole  ;  le  quali  ultime  si  differenziano  dalle  altre  anche,  sia  per  avere 
esternamente  la  parte  inferiore  della  parete  sgusciata,  sia  per  avere  la  zona  perime- 
trale della  decorazione  costituita  da  zonette  di  intaccature  oblique. 

Due  grandi  piatti  a  v.  n.  con  cavità  nel  centro,  della  forma  dei  noti  piatti  da 
pesce. 

Di  vasi  dipinti  :  un'oinochoe  con  bocca  trilobata  a  f.  r.  (giovane  nudo  a  d.,  con 
timpano,  fra  due  uomini  ammantati),  pessima  per  disegno  e  conservazione  ;  e  due 
kotylai  rastremate  verso  il  piede  così  da  accostarsi  agli  skyphoi  dell'  Italia  meri- 
dionale (sulle  due  facce  di  ciascuna  :  due  giovani  ammantati  e  affrontati,  uno  dei 
quali  con  uno  striglie  enorme  in  mano),  di  pessimo  disegno. 

Otto  piattelli  grezzi,  di  cui  sette  cenerognoli  e  uno  rossiccio. 

Giudicherei  questa  tomba  dei  primi  decenni  del  secolo  IV. 

Tomba  16  (zona  II,  area  a)  :  a  umazione,  orientazione  E-O,  alla  profondità 
di  m.  0,50,  con  gli  oggetti  posti  in  mucchio  sul  fianco  sin.  dello  scheletro. 

Due  pelikai  (alte  l'una  m.  0,295,  l'altra  m.  0,265)  con  proprio  coperchio  pomellato, 
in  terra  figulina  giallo-chiara  molto  fine,  con  pitture  a  vernice  bruna,  di  fabbrica 
etnisca. 

Nella  prima,  sul  lato  principale  :  figura  femminile,  alata,  nuda  e  con  sandali, 
seduta  a  d.,  con  mano  d.  protesa  e  reggente  con  la  sinistra  un  piatto  sormontato  da 
oggetto  conico  ;  dall'altro  lato:  giovane  stante  a  sin.,  ammantato,  che  nella  parte  pan- 
neggiata si  presenta  come  un  fagotto  enormemente  gonfio;  sul  collo  palmette,  al- 
ternate, con  altro  fogliame  ;  sotto  le  anse  :  grandissime  palmette  affiancate  da  mezze 
palmette,  spirali  e  volute.  Sul  coperchio  :  zona  circolare  di  bastoncelli  bruni  e,  sul- 
l'orlo verticale,  risvoltato  in  giù  :  «  corrimi-dietro  »  risparmiato. 

Nella  seconda  pelike,  sul  lato  principale:  fig.  simile  a  quella  della  precedente, 
salvochè,  anziché  seduta,  è  gradiente,  e  con  la  mano  d.  tocca  una  tracolla  che  le  tra- 
versa il  petto  ;  sull'altro  lato  :  giovane  stante  a  d.  ammantato,  presentato  goffamente 
come  quello  della  prima  pelike;  sul  collo,  sotto  le  anse,  sul  coperchio  :  le  decorazioni 
come  nell'altro  pezzo,  salvochè  eseguite  più  rozzamente. 


ItElilUNK    Vili.  _    3(Ja    _ 


COMAOCHlO 


Due  grandi  oiaochoai,  corrispondenti  per  argilla,  vernice  e  fabbrica  alle  due  peli- 
kai;  una,  priva  dell'ansa,  è  alta  cm.  21»,  l'altra  è  in  frammenti:  ma  entrambe  sono 
ornate,  a  (pianto  sembra,  delle  stesse  decorazioni:  sul  davanti  una  grande  testa 
femm.  a  sin.,  con  diadema  a  linguette:  sotto  l'attacco  inferiore  dell'ansa,  palmctta 
fra  girali. 

Lekane  frammentata,  esibente  sul  coperchio  una  scena  di  gineceo  (cinque  figure 
femminili  in  atteggiamenti  sforzati,  che  (piasi  tutte  sono  rctrospieienti,  e  quelle  che 
non  son  sedute  si  muovono  con  passo  troppo  largo),  di  disegno  assai  scorretto:  sul  ri- 
svolto verticale  del  coperchio:  giro  di  ovuli  a  semplice  contorno  nero;  sul  piano  oriz- 
zontale della  rotella  del  coperchio:  giro  di  ovuli  simili,  alternati  però. nei  vuori  trian- 
golari con  grossi  punti  neri  :  al  sommo  del  venere  della  tazza  :  zona  di  palmette  rosse. 
alternatamente  con  la  base  in  alto  e  in  basso.  Prodotto  forse  attico,  ma  tardo  e  sca- 
dentissimo. 

Askos  con  ansa  a  stalla,  con  bocchino  molto  inclinato  e  a  orifizio  assai  svasato; 
sulla  caloria,  al  centro,  bottone  plastico  conico,  circondato  da  un  giro  di  ovuli  (a  v.  n.) 

e.  più  esternamente,  da  una  corona  di  foglie  di  lauro  (in  r.). 

Tre  ciotole  a  v.  n.,  con  ornati  impressi  (un  giro  di  palmette  alternate  con  fiori 
di  loto,  oppure  con  ornati  a  ferro  di  cavallo  aventi  un  bastoncello  intromesso,  op- 
pure di  sole  palmette  sormontate  da  ferro  di  cavallo  ;  la  qual  zona  gira  intorno  ad 
alcuni  circoli  concentrici,  ed  è  circoscritta  da  parecchie  zonette  delle  note  intaccature 
oblique,  sottili  e  fitte). 

Due  grandi  kotylai  a  v.  n.,  con  piede  rastremato,  in  frammenti. 

In  terra  cenerognola:  6  piattellini  e  alcune  scodelle;  delle  quali  ultime,  la  mag- 
gior parte  è  decorata  con  ornati  impressi  (stelle;  stelle  e  palmette). 

Tomba  19  (zona  II,  area  a):  a  umazione,  orientazione  N-S,  alla  profon- 
dità di  m.  0,80,  con  gran  parte  degli  oggetti  sullo  scheletro. 

Sul  lato  sin  ,  sotto  alla  mano  trovaronsi  parecchi  frammenti  di  ferro  indeter- 
minabili. 

Sulla  mano  d.  poggiava  una  pelike  attica  a  f.  r.,  intatta  (alta  m.  0,196  ,  esibente, 
sul  lato  nobile,  un  gruppo  di  tre  guerrieri  che  combattono  in  terreno  accidentato 
(vcd.  fig.  4);  dei  quali  il  centrale  (clamide,  scudo  e  spada),  caduto  a  d.  sul  gin.  sin., 
guarda  all'indietro  ed  alza  la  spada  contro  un  nemico  (pileo,  clamide,  scudo 
e  spada)  che  avanza  da  sin.,  mentre  da  destra  in  aiuto  del  primo  accorre  un  terzo 
guerriero  (clamide,  scudo  e  lancia).  Sono  sovrappinti  in  bianco  gli  scudi,  quando 
si  presentano  dal  lato  esterno,  e  il  pileo  del  secondo  guerriero.  Sul  rovescio:  collo- 
quio di  due  ammantati. 

Sul  petto  dello  scheletro  si  raccolsero  i  frammenti  di  un  cratere  a  campana  a 

f.  r.,  che  mostra  sedute  ai  due  lati  di  una  colonna  ionica  una  figura  giovanile  maschile 
e  ignuda  (seduta  sulla  sua  clamide)  e  una  donna  riccamente  vestita  e  con  ornato 
serperttiforme  sulla  stoffa  in  corrispondenza  del  petto,  rivolgentesi  ciascuna  all'in- 
dietro, la  prima  figura  verso  una  donna  stante  (con  vestito  simile  a  quello  dell'altra 
donna)  e  recante  colle  due  mani  una  collana  a  globi,  la  seconda  verso  un  Sileno  stante 
le  cui  mani  reggevano  oggetti  ora  scomparsi  (tenie?);  e  nel  mezzo,  presso  la  colonna, 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  39 


0OMACCU1U  —    306    —  REGIONE    Vili. 


Kros  (in  bianco)  che  si  protende  verso  la  donna  seduta,  recandole  un  aggetto  non 
determinabile  (scena  legata  con  le  nozze  di  Dioniso  e  Arianna);  sul  rovescio,  scena 
di  palestra. 

A  d.  dello  scheletro  :  una  lekane  intatta  a  f.  r.  (diani.  ni.  0,17)  di  disegno  trascu- 
ratissimo,  sul  cui  coperchio  veggonsi  due  Eroti  (in  bianco)  che  volano  inseguendo 
ciascuno  una  donna  fuggente  con  largo  passo,  retrospiciente  e  reggente  una  cassel- 
tina  rettangolare  con  larga  benda;  sul  risvolto  verticale  del  coperchio  e  sul  piano 
orizzontale  della  rotella  del  coperchio  si  ripetono  gli  ornati  della  lekane  di  tomba  16; 
al  sommo  del  ventre  della  tazza  :  corona  di  foglie  di  lauro  (in  r.). 

Sul  fianco  d.,  dal  ginocchio  al  piede  : 

a)  un'anfora  di  argilla  cenerognola  a  doppia  ansa  verticale  e  puntuta  (alt. 
m.  0,45  circa),  completamente  marcita  così  da  non  potersene  raccogliere  nemmeno 
i  frammenti  ; 

b)  due  grandi  piatti,  con  cavo  circolare  centrale  e  con  orlo  risvoltato  (diam. 
m.  0,22),  su  cui  son  dipinti  tre  pesci  (ved.  fig.  3)  ;  sull'orlo  risvoltato,  giro  dei 
soliti  ovuli  a  semplice  contorno  nero;  intorno  al  cavo  centrale,  giro  di  ovuli  simili 
con  grossi  punti  negli  spazii  triangolari  ; 

e)  due  kotylai  con  piede  rastremato,  in  frammenti  (alt.  in.  0,11),  esibenti 
ciascuna,  su  ogni  faccia,  una  coppia  di  giovani  ammantati,  stanti,  affrontati,  in 
tecnica  a  f.  r.  e  stile  della  massima  decadenza; 

d)  un  askos  con  ansa  a  staffa,  con  bocchino  molto  inclinato  e  finicnte  in  bocca 
di  tromba  molto  espansa  ;  sulla  calotta  duo  oche  a  d.  in  rosso  risparmiato  e,  al  sommo, 
tubercolo  plastico  qual  centro  di  quattro  linee  nere  in  croce  alternate  con  grossi 
punti  neri; 

p)  sei  ciotole  —  una  delle  quali  biansata  —  (diam.  da  mm.  175  a  146)  a  ornati 
impressi  ;  la  più  grande  delle  quali  ha  una  decorazione  che  consiste  in  una  zona  di 
9  palmette  con  gambi  intrecciati,  svolgentesi  intorno  a  un  cerchio  e  circoscritta  da 
due  zonette  —  una  triplice  e  una  duplice  —  delle  solite  intaccature  oblique;  le  altre 
ciotole  hanno  decorazioni  più  semplici  ; 

f)  nove  piattelli  e  un  piatto,  con  piede,  in  terra  cenerognola. 

La  decorazione  della  pelike  sul  lato  principale  richiama  vivamente,  porgli  at- 
teggiamenti delle  figure  del  gruppo,  il  fregio  del  Mausoleo  con  la  lottatici  (imi 
contro  le  Amazzoni;  e  perciò  sembra  che  questa  tomba  possa  collocarsi  verso  il 
326  av.  Cr. 

Tomba  54  (zona  I,  area  e):  a  umazione,  orientazione  O-E,  alla  profondità 
di  m.  0,50. 

Presso  il  fianco  d.  dello  scheletro: 

un  alabastron  di  argilla  figulina  (alt.  cm.  17),  già  ricoperto  di  un'incamiciatura 
di  latte  di  calce  e  con  zone  di  ornati  (riconoscibile  un  quadratino,  entro  cui  una  croce 
obliqua  alternata  con  quattro  punti);  un  prezioso  askos  fittile,  di  pianta  rettangola  re 
(nini.  05  X  80),  verniciato  in  nero-bruno,  decorato  in  rilievo,  siila  faccia  superiore, 
di  una  testa  di  Herakles  con  xvvét]  che  riflette  nel  trattamento  del  volto  gli  imme- 
diati influssi  della  grande  scultura  fidiaca  ;  tre  piccoli  busti  fittili  di  divinità  fem- 
minile uiodiata,  tratti  da  una  stessa  forma  e  fiacchi  nei  dettagli. 


REGIONE    Vili.  3Q7    


COMAC^HIO 


Presso  i  piedi:  una  piccola  idria  frammentaria  di  argilla  giallo-chiara  e  grezza. 

Presso  il  fianco  sin.  :  dodici  lekythoi  ariballesche,  della  stessa  argilla  e  grezze, 
per  lo  più  frammentate  nella  bocca  e  nell'ansa,  ed  altri  vasetti  ;  da  ricordare  un  fram- 
mento di  coppa  «  etrusco-campana  »  con  ornati  impressi  (palmette  e  fiori  entro  una 
larga  zona  di  sottili  intaccature  oblique)  e  una  scodellina  di  terra  cenerognola. 

Per  l'askos  con  testa  di  Herakles  collocherei  questa  tomba  nell'ultimo  decennio 
del  secolo  V. 

Tomba  77  (zona  I,  area  e):  a  umazione,  orientazione  N-S,  profondità  in.  1,60 
cosi  che  gli  oggetti  si  dovettero  pescare  nell'acqua  fangosa,  senza  poterne  ricono- 
scere la  posizione  rispetto  allo  scheletro. 

Si  scoperse  anzitutto,  collocato  verticalmente,  un  candelabro  in  bronzo,  del  tipo 
così  frequente  nel  territorio  felsineo,  con  statuina  al  sommo  e  con  raggiera  a  4  uncini 
per  l'innesto  delle  candele;  senonchè  qui  non  si  trovò  né  la  statuina  nò  la  raggiera. 
Alto  cui.  86,  ha  il  fusto  faccettato,  mostra  tre  palmette  negli  incavi  angolari  fra  le 
(re  branche  del  piede  finienti  in  zampe  di  leone,  è  decorato  di  grandi  linguette  incise 
sul  piattello,  e,  parte  presso  il  piede,  parte  presso  la  sommità,  di  anelli  di  perline  e  di 
ovuli. 

Presso  al  candelabro  una  ventina  di  ciottolini  (bianchi  e  a  colori),  molti  dei  quali 
levigati. 

Una  kelebe  a  f.  r.  in  framm.,  rappresentante  sul  lato  nobile  la  lotta  di  ('eneo, 
in  parte  già  sprofondato  nel  terreno,  contro  due  Centauri,  armati,  l'uno  di  un  ramo 
secco,  l'altro  di  un  gran  masso  (vcd.  fig.  2).  Di  stile  bello,  con  qualche  reminiscenza 
del  severo.  Sul  rovescio  :  tre  figure  stanti,  eseguite  trascuratamente,  in  parte  ancora 
coperte  da  concrezioni. 

Due  altri  vasi  dipinti,  molto  frammentati,'  trovaronsi  in  questa  tomba. 

È  il  primo  una  kylix  a  f.  r.  (di  stile  bello,  ma  con  disegno  affrettato  e  sommario, 
specie  nelle  figure  delle  facce  esterne);  la  quale,  per  quanto  si  può  giudicare  dallo  stato 
assai  frammentario,  nel  medaglione  interno,  circoscritto  da  ghirlanda  di  lauro,  mo- 
strava due  figure  maschili  stanti  e  in  colloquio  (cfr.  Pellegrini,  Cai.  419  bis)  e  nelle 
facce  esterne  era  decorata  di  gruppi  che  sembrano  ripetersi  :  un  efebo  clamidato 
con  petaso  sulla  schiena  e  appoggiato  con  la  d.  a  una  lancia,  fra  un  efebo  amman- 
tato fin  sulla  nuca  e  un  uomo  barbato,  ammantato  e  appoggiato  a  bastone. 

L'altro  vaso  dipinto  è  un  piatto  con  piede,  decorato,  sull'orlo,  d'una  corona 
di  foglie  d'edera,  assai  guasta  e,  al  centro,  di  una  ruota  a  quattro  raggi  (in  nero). 

Jv'on  è  senza  interesse  il  notare,  come  questi  due  vasi  trovino  riscontro  in  due 
pezzi  similissimi  trovati  in  una  stessa  tomba  del  suburbio  di  Bologna,  (ved.  Pelle- 
grini, Cai.  419  bis  e  572  bis). 

Fra  il  numeroso  vasellame,  a  vernice  nera,  per  gran  parte  frammentato,  son  rap- 
presentati specialmente  i  piattelli  con  piede,  le  coppe  con  piede  ;  ma  si  trovano  al- 
tresì una  scodella  con  parete  a  sguscio,  una  scodellina  con  un'ansa  orizzontale,  due 
askoi  discoidali  con  ansa,  a  staffa. 

In  terra  rossa  non  verniciata:  due  piattelli  con  piede  e  un  terzo  apodo. 

1  vasi  dipinti  mi  inducono  ad  assegnare  alla  tomba  una  data  intorno  al  420. 


COMACCHIO  -    308    —  REGIONE   Vili. 


T  ii  in  I)  a  83  (zona  I,  arca  e):  a  umazione,  orientazione  incerta  per  essersi 
trovate  marcite  le  ossa  ;  profondità  m.  0,80. 

È  questa  una  delle  tombe  più  pregevoli  di  tutto  lo  scavo. 

Del  corredo  faceva  parte  anzitutto  un  gruppetto  di  askoi  fittili  configurati: 
e  cioè  quattro  vasetti  da  profumi  in  forma  di  animali,  tre  dei  quali  mostrano  di  ap- 
partenere a  una  stessa  serie  e  sono  di  splendida  fattura  (*). 

11  vasetto  men  pregevole  rappresenta  un  capriolo  accoccolato,  con  le  estremità 
fortemente  contratte  contro  il  ventre,  così  da  poggiare,  sul  piano  ove  venga  collo- 
cato, coi  quattro  ginocchi  (tav.  Xlll,2). 

11  capriolo  è  modellato  in  maniera  sommaria  e  la  variegazione  del  suo  pelame 
è  stilizzata,  essendo  costituita  da  trattini  paralleli  di  vernice  nera  diluita,  distri- 
buiti qua  e  là  in  varie  parti  del  corpo  e  da  grossi  punti  neri  di  forma  ovale  distri- 
buiti uniformemente.  Con  tal  vernice  nera  sono  trattati  in  modo  sommario  anche 
la  parte  anteriore  del  muso,  gli  occhi  (punto  entro  contorno  amigdaloide)  e  gli  zoc- 
coli ;  e  resti  di  vernice  nera  osservansi  anche  sui  cornetti. 

In  mezzo  a  questi  è  impostato  verticalmente  il  bocchino  di  immissione,  pure 
verniciato  a  nero,  come  verniciata  a  nero  è  l'ansa  del  vasetto,  ad  anello  verticale,  im- 
postata sul  dorso  dell'animale;  la  quale  ansa,  come  già  il  bocchino  fra  le  corna,  cor- 
rendo con  la  parte  anteriore  aderente  al  collo  del  capriolo,  cerca  di  occultare  la  sua 
presenza  per  alterare  il  meno  possibile  la  linea  della  statuina.  11  forellino  di  emis- 
sione è  situato  al  centro  delle  labbra.  L'altezza  del  pezzo  è  min.  98. 

Un  notevole  valore  artistico  hanno  gli  altri  tre  vasetti. 

Uno  di  essi  rappresenta,  accoccolato  come  il  capriolo,  un  cervo  (tav.  X1U,  1),  mo- 
dellato con  grande  accuratezza  in  tutto  il  corpo,  ma  specialmente  nella  testa,  nelle 
corna  e  nelle  zampe.  Kestano  abbondanti  tracce  di  sottili  pennellature  rosse,  che 
dovevano  simulare  l'andamento  del  pelo.  Ma  altri  colori  erano  aggiunti,  come  un 
giallo,  vòlto  ora  in  verdognolo,  sulle  corna,  e  così  una  vernice  nera  vòlta  in  bruno, 
conservata  sulla  punta  del  muso,  alle  sopracciglia  e  all'occhio,  ove  in  nero  è  segnato, 
oltreché  la  pupilla,  il  cerchio  dell'iride. 

Sottili  striature  lungo  le  corna  e  al  nascimento  di  queste,  nonché  in  altri  punti 
del  corpo  (come  all'attacco  degli  zoccoli  e  lungo  le  gambe),  mostrano  la  grande  cura 
con  la  quale  l'artista,  anche  in  minuti  dettagli  naturalistici,  ha  voluto  rifinire  il  suo 
lavoro.  Il  bocchino,  giacché  non  avrebbe  potuto  impostarsi  fra  le  corna,  fu  impostato 
sulla  parte  estrema  del  dorso,  così  aderente  all'ansa  da  compenetrarsi  quasi  con  essa; 
la  quale,  a  sua  volta,  aderendo  al  collo  del  cervo  ed  essendo  dominata  dalle  alte  e 

(')  Questo  gruppetto  di  vasi  fa  risovvenire  della  tomba  di  Vetulonia,  dal  Falchi  denominata 
«  del  figlilo  »  (vcd.  Noi.  se.  '94,  p.  344-350)  ;  è  però  da  rilevare  che,  mentre  i  vasetti  di  Vetulonia  hanno 
tutti  un  solo  foro  per  l'immissione  e  remissione  del  liquido,  i  vasetti  di  vai  Trcbba  hanno  un  boc- 
chino per  l'immissione  e  un  forellino  per  l'emissione.  È  anche  da  rilevare  che  i  pozzi  di  Vetulonia  sono 
geni  ansa,  al  contrario  di  quanto  appare  nei  nostri  vasi  ;  i  quali,  quindi,  sia  per  le  due  aperture,  sia 
per  l'ansa,  trovano  tipologicamente  una  piti  stretta  parentela  in  vasi  antichissimi,  della  classe  «cre- 
tese-micenea »,  quali  quelli  indicati  dal  Sieveking  ai  un.  48-51,  e  riprodotti  in  tavole,  del  suo  catalogo 
Die  K6n.  Vusensammlung  zu  Muncheu. 


REGIONE    VIIT.  —    309    —  COMACCHIO 

ramose  (-orna,  finisco  per  ridursi  tanto  dnvanti  all'occhio  dell'osservatore,  da  per- 
mettergli di  gustare,  senza  veruii  disagio,  questa  bella  opera  d'arte. 

Il  bocchino,  di  forma  cilindrica,  leggermente  campanulato  all'estremità  così 
da  sembrare  un  fiore,  è  decorato  esternamente  —  in  rosso  —  di  linguette  al' v  vite 
con  bastoncelli  ;  il  quale  aspetto  di  elemento  vegetale  —  sia  per  la  parte  p!  Cica, 
s:a  per  l'aggiunta  pittorica— fu  opportunamente  scelto,  perchè  più  armonizzante 
che  non  una  forma  geometrica  con  l'organismo  vivo  dell'animale.  Anche  sull'ansa 
restano  tracce  della  coloritura  rossa.  Il  forellino  di  emissione  è,  anche  qui,  sul  mezzo 
delle  labbra.  L'altezza  del  pezzo  è  di  min.  185. 

Il  terzo  vasetto  (tav.  XIII,  4)  presenta  un  toro  che,  dop'i  e  sersi,  dilli  posizione 
di  accosciato,  cretto  sulle  gambe  ripiegate  al  ginocchio,  punta  contro  il  suolo  con  la 
zampa  anteriore  destra  per  alzarsi  da  terra.  In  relazione  a  tal  movimento,  che  si 
accentra  contro  il  suolo  sull'arto  relativo,  tutto  il  corpo  è  spostato  in  pendenza 
verso  destra. 

Anche  qui  è  molto  curata  la  riproduzione  naturalistica  dei  dettagli  (vedi,  oltre 
ai  particolari  della  testa,  le  costolature  sui  fianchi,  le  grinze  della  pelle  sul  collo  e 
perfino  le  brevi  striature  all'attacco  degli  zoccoli).  L'ansa,  che  qui  è  meno  occultata 
(poiché  il  toro  non  tiene  il  collo  inclinato  all'indietro  come  il  cervo,  e  d'altra  parte 
qui  manca  il  sussidio  delle  grandi  corna),  è  più  depressa;  e  dietro  ad  essa  è  impo- 
stato il  bocchino,  che,  anziché  di  t'orma  leggera,  come  conveniva  per  il  cervo,  è  di 
forma  massiccia,  come  conviene  per  il  toro.  Detto  bocchino  è  costituito  da  un  breve 
collo  cilindrico,  sormontato  da  un  labbro  discoidale.  Scarsissime  tracce  di  vernice 
bruna  sull'ansa  e  sul  labbro  del  bocchino. 

Numerosi  resti  di  color  bianco,  sul  corpo,  fanno  pensare  che  il  toro  fosse  tutto 
dipinto  in  bianco. 

La  statuina,  a  differenza  dalle  due  precedenti,  ha  una  sua  basetta  costituita 
da  quattro  listelli  disposti  a  trapezio,  in  modo  da  compienti"]"  i  punii  d'appoggio 
della  statuina  stessa.  Sui  listelli  restano  tracce  della  coloritura  rossa.  Il  forellino 
di  emissione  è,  ancora,  sul  mezzo  delle  labbra.  L'altezza  della  statuina  è  di  min.  130. 

11  quarto  vasetto  (tav.  XIII,  5)  presenta  un  toro  ferito,  che,  col  muso  levato,  come 
per  respirar  meglio,  si  muove  penosamente  agitando  la  coda  e  sembra  in  procinto 
di  cadere,  quasi  gli  mancassero  le  forze  per  sostenersi.  Il  movimento  di  due  delle 
gambe  (sin.  rat',  e  d.  post.)  è  irregolare,  come  d'altra  parte  non  è  del  tutto  esente  da 
tracce  di  sforzo  il  movimento  delle  altre  due;  in  conformità  poi  ai  particolari  ora 
osservati,  l'occhio  è  smorto  e  la  lingua  peiidula. 

È  questo  il  più  bel  pezzo  di  tutta  la  serie,  sia  per  il  concepimento,  sia  per  l'espres- 
sione raggiunta.  In  esso  sono  meno  numerose  che  non  nel  precedente  le  pieghe  della 
pelle  ;  ma  non  mancano  solcature  per  le  grinze  del  collo,  per  il  muso,  per  l'occhio  e 
per  il  fesso  delle  unghie.  Sull'ansa  qualche  traccia  di  color  fosso  :  e  sul  corpo  qualche 
debolissima  traccia  di  color  bianco. 

Nella  bocca  aperta  del  toro  redesi  il  forellino  di  emissione:  (piatilo  al  bocchino, 
che  manca  in  questo  pezzo,  esso,  come  si  rileva  da  una  rappezzatura  sul  dorso,  do- 
veva trovarsi  dapprima  presso  all'ansa,  in  posizione  corrispondente  a  quella  nell'ai- 


COMACCHIO  —    310    —  REGIONE   Vili. 

tro  toro.  Come  il  toro  precedente,  questo  è  fornito  di  una  sua  basetta  a  listelli.  Si 
t i-.i1  la  di  tre  listelli  (fu  omesso  quello  fra  le  due  zampe  anteriori),  sui  quali  sono 
anche  sparsi  due  piccoli  appoggi  per  le  due  gambe  di  sin.  e  un  sostegno  più  alto 
—  perchè  collocato  in  corrispondenza  della  coscia  —  per  la  gamba  posteriore  de- 
stra. Altezza  della  statuina  nini.  144. 

Oltre  a  tali  preziosissimi  fìttili,  facevan  parte  del  corredo  funebre  iinainiilla 
di  vetro  e  alcuni  vasetti  di  pasta  vitrea,  nonché  una  punta   di   lancia  in  ferro. 

L'umilia  è  in  forma  di  cerchio  (diam.  interno  mot.  00)  ed  è  costituita  di  una 
verga  a  seziono  pentagonale  di  vetro  verdiccio  trasparente;  così  da  farci  ricordare 
l'aratila  di  Montcfortino  (ved.  Brizio,  op.  cit.,col.  123,  tav.  VII.  n.  20), 

I  vasetti  —  tutti  a  fondo  azzurro  —  sono  due  alabastro,  tre  idric  con  piede  a 
dischetto  e  due  anforine  finienti,  al  basso,  in  pomello. 

1  duo  alabastro  (alt.  mm.  120  e  123)  sono  ornati  di  fasci  di  linee  ondulate,  alter- 
nai ivani"nte  gialli  e  bianchi  ;  le  idrie  (alt.  nini.  70,  74  e  75)  sono  ornate  di  una  fascia 
di  linee  ondulate,  alternatamente  gialle  e  bianche;  le  anforine  (alt.  111111.6;")  e  77)  sono 
ornate,  l'ima  di  una  fascia  di  linee  ondulate  gialle,  chiusa,  sopra  e  sotto,  da  linee 
ondulate  bianche,  e  l'altra  di  una  fascia  di  linee  ondulate,  tutte  gialle.         , 

Nessuna  tomba  ha  dato  tanti  vasetti  di  pasta  vitrea  ;  ed  è  curiosa  la  singolarità 
di  questo  corredo,  che,  costituito  quasi  interamente  da  vasetti,  fittili  e  di  pasta  vi- 
trea, riferibili  tutti  ad  acque  odorose,  essenze  0  unguenti,  rivela  un  pensiero  unico 
predominante. 

La  cuspide  di  lancia  in  ferro,  assai  corrosa  nella  foglia,  è  lunga  cm.  11. 

Dei  quattro  fittili  configurati,  i  tre  ultimi,  insieme  con  quelle  larghe  forme  pro- 
prie della  statuaria  del  V  secolo,  mostrano  associato  un  così  sorprendente  senso  della 
natura  da  destare  la  più  viva  ammirazione.  Alla  quale  ammirazione  si  accompagne- 
rebbe anche  la  maraviglia,  se  i  ceramisti,  con  altri  dei  loro  vasi  configurati,  non  ci  aves- 
sero già  preparati  a  precoci  manifestazioni  realistiche. 

Tomba  128  (zona  I,  scolo  B,  al  segno  °)  :  a  umazione,  orientazione  O-E, 
alla  profondità  di  ni.  1,60,  con  scheletro  giacente  su  tavolato  di  quercia  dello  spes- 
sore di  em.  2  e  circondato  dagli  oggetti  del  corredo  funebre;  che  furono  estratti 
con  gran  difficoltà  per  l'abbondante  acqua  del  sottosuolo.  L'integrità  del  depositi», 
in  questa  tomba  che  è  ricchissima  ed  anzi  di  gran  lunga  la  più  ricca  fra  quante  finora 
si  scopersero,  era  assicurata  da  uno  strato  alto  ni.  0,80  di  sfaldature  di  pietra  forte 
disposte  in  coltello. 

Ne  uscì  anzitutto,  in  frammenti  ma  restaurabile,  un  tripode  del  noto  tipo  vul- 
centé  «  a  verghette  »  studiato  dal  Savignoni  ('). 

I  tipi  delle  figure,  in  gruppo  0  separate,  che  lo  decorano,  non  sono  nuovi. 

Sulle  asticelle  diritte:  un  Ercole  che.  impugnando  nella  mano  d.  alzata  un 
oggetto  ora  perduto  (certamente  una  clava)  è  trascinato  verso  d.  da  una  donna 
(tav.  XIV,  1)  e  due  coppie  di  uomo  e  donna  gradienti  a  d.,  traendosi  dietro  il  primo 

(')  In  un  bronzetti)  arcaico  dell'acropoli  4' Atene  e  ili  una  classe  di  tripodi  ili  tipi  greco-orirn- 
tuie,  in  Man.  ant.  Lincei,  VII. 


UEUlONE   Viti.  —   oli    —  CQMACCaiO 

la  seconda  col  tenerla  pel  polso  sin.  ;  nelle  quali  due  eoppie  l'uomo  una  volta  è  bar- 
bato (tav  XIV,  2),  l'altra  imberbe. 

Sugli  archetti,  una  volta  pantera  a  d.  che  divora  un  toro  atterrato,  e  due  volte 
pantera  a  sin.  che  divora  un  cerbiatto  o  capriolo  atterrato  (tav.  XV,  2). 

E  infine,  sull'anello  in  basso,  tre  anitre  verso  destra. 

Non  sono  nuovi  i  tipi  dei  gruppi,  perchè  essi  trovano  vive  corrispondenze  e 
confronti  nei  gruppi  figurali  di  alcuni  dei  tripodi  raccolti  e  studiati  dal  Savignoni, 
e  specialmente  di  tre  ('),  due  da  Vulci  e  il  terzo  da  Durkheim  (Palatinato  Renano)  (*), 
mentre  anche  le  figure  isolate  delle  anitre  sull'anello  in  basso  trovano  riscontro  in  tre 
figure  di  uccelli  di  altro  tripode  (•>). 

Ma  certamente  sono  singolari  nel  presente  esemplare  l'espressione,  piena  di 
umanità,  delle  teste  nei  gruppi  sulle  asticelle  e  specialmente  la  dolcezza  del  viso  nella 
donna  con  Ercole,  la  vigoria,  così  nelle  agili  pantere  come  nel  toro  possente,  oppresso, 
col  muso  e  coi  ginocchi  in  terra,  dal  soverchiale  assalto,  e  lo  sbigottimento  nel  gen- 
tile capriuolo  e  infine  l'accurata  esecuzione  di  tutte  le  figure  ;  nelle  quali  tutte  un 
delicato  e  sapiente  lavoro  di  cesellatura  si  è  sovrapposto  al  prodotto  della  fusione, 
ora  per  ravvivare,  ora  per  aggiungere  particolari  ;  lavoro  che  fu  usato  non  soltanto 
per  i  sci  gruppi  di  figure  (ved.  specialmente  la  pelle  variegata  e  il  pelo  sulla  fronte 
della  pantera,  le  pieghe  della  pelle  degli  animali,  i  capelli  e  la  barba  delle  figure 
umane  e  l'indicazione  di  certi  tessuti  nelle  stoffe),  ma  non  fu  omesso  nemmeno  per 
i   corpi  (ved.  penne  e  piume)  delle  anitre  sull'anello  in  basso. 

Di  un  bacile  di  bronzo  (diam.  circa  m.  0,35)  si  rinvenne  l'orlo,  periato,  con  buona 
parte  della  parete  contigua  su  cui  girava  una  fascia  di  «  corrimi-dictro  »  incisi  ;  il 
qual  pezzo  frammentario  trova  il  suo  riscontro  in  altri  bacili  simili  con  le  stesse  de- 
corazioni, che,  come  il  tripode,  il  commercio  nell'antichità  fece  pervenire  anche  in 
paesi  transalpini  (4). 

Due  grosse  anse  orizzontali  in  bronzo,  con  attacchi  a  foglia  cuoriforme  (largii, 
m.  0,12),  poteansi  credere  da  principio  appartenere  al  bacile  frammentario  ora  indi- 
cato ;  senonchè  l'osservare  che  bacili  con  anse  similissime  o  identiche  a  queste 
non  sono  mai  ornati  di  «  eorrimi-dictro  »,  ma  sono  pezzi  distinti  e  appaiono  talora, 
associati  (»)  ad  altri  bacili,  senz'anse,  decorati  appunto  di  quell'ornato,  persuade 

(')  Ved.  gli  esemplari  VI,  VII  e  Vili  nella  Memoria  citata  del  Savignoni. 

(•)  11  tripode  trovato  a  Durkheim  mostra  quanto  lontana  si  estendeva  l'esportazione  di  tali 
prodotti  etruschi  ;  dei  quali,  per  esser  stata  la  maggior  parte  degli  esemplari  noti  rinvenuta  a  Vulci, 
fu  ragionevolmente  attribuitala  fabbricazione  a  questa  città.  Né  forse  sarà  troppo  ardito  attribuire 
alla  città  stessa,  se  così  essa  si  sarà  guadagnata  fama  per  lavori  in  broli»,  la  fabbricazione  di  altri 
bronzi  (che  similmente  vediamo  largamente  esportati  in  paesi  transalpini),  quali  certi  bacili  che  si 
citeranno  nelle  note  successive. 

(=)  Ved.  l'esemplare  IX  nella  Memoria  citata. 

(«)  Ved.  in  Déchelette,  op.  cit.,  TI,  parte  ITI.  fig.  415,  ri.  i  (a  pag.  107!»  ;  fìg.  «44,  nn.  1,  2  e  3 
(a  pag.  1438).  e  fig.  G45,  n.  1  (a  pag.  1439). 

(•'•)  Ved.  in  Déchelette,  op.  cit.  II,  p.  HI,  fig.  045.  nn.  1  e  2  (a  pag.  1439),  e  lig.  644,  n.  1  (a  pag.  1438), 
associata  a  fig.  645,  n.  3  (a  pag.  1439). 


OOMACCMO 


312 


UEGlUNli    VII). 


che  in  valle  Trebba  nella  parete  di  bacile  con  «  corrimi-dietro  »  e  nelle  due  grosse 
anse  (')  devonsi  riconoscere  i  resti  di  due  bacili  diversi. 

Appartenevano  a  un'anfora  a  volute  due  superbe  e  identiche  asse  a  voluta  in 
bronzo  (alt.  rum.  175),  una  delle  quali  è  riprodotta  a  tav.  XV,  3,  e  un  piede  rotondo, 
modulato  e  ornato,  riprodotto  alla  fig.   10. 

Le  anse,  in  ciascuna  delle  quali  ogni  attacco  è  costituito  da  un  gruppo  (alt.  mm. 
64)  consistente  in  un  cavaliere  appiedato  clic  tiene  il  cavallo  per  le  briglie,  hanno 


Fw».    1!). 


un  diretto  confronto  con  un'ansa  conservala  al  Louvre  (!)  ;  ma  i  due  pezzi  di  valle 
Trebba  sono  indubbiamente  superiori  per  l'alto  spirito  d'arte  che  manifestano  nel 
concepimento  e  nell'esecuzione.  Sono  particolarmente  espressive  le  vigorose  teste  dei 
cavalli;  i  quali,  lievemente  protesi,  mostrano,  nel  muso  sforzato  verso  il  collo,  di 
sentire  il  freno  delle  briglie.  Ad  elevare  il  pregio  dell'opera  concorre  un  accuratis- 
simo lavoro  di  cesello, rilevabile  specialmente  nelle  criniere,  nei  particolari  del  muso 
e  nelle  pieghe  della  pelle  sul  collo  dei  cavalli. 

Le  statuine,  che  sono  trattate  a  tutto  tondo  e  non  a  maniera  di  applique»,  come 
i  gruppi  figurali  del  tripode,  hanno  in  confronto  al  bronzo  del  Louvre  il  pregio  di  non 
essere,  nel  lato  posteriore,  intaccate  da  un  chiodo,  come  Bell'esemplare  di  Parigi, 
che  in  tal  modo  era  fissato  al  corpo  dell'anfora. 


(')  Il  Musco  di  Bologna  possiede  un  b  irile  eoa  anse  identiche  a  quelle  di  valle  Trebba  per  forma, 
particolari  decorativi  e  dimensioni.  Proviene  dalla  gran  tomba  del  giardino  Margherita  e  misura 
cm.  31'  di  diametro. 

(•')  Ved.  De  Ridder,  Lcs  bronzes  antiques  du  Louvre,  n.  2635,  a  tav.  96. 


REGIONE   Vili.  —    3L3   —  OOMACCIJIO 


Anche  la  disposiziono  dello  tre  palmette  (elemento  di  transizione  tra  le  parti 
inferiore  e  superiore  dell'ansa),  qui  più  varia  e  più  opportuna  che  non  nel  bronzo  di 
Parigi,  serve  ad  elevare  il  pregio  delle  anse  di  valle  Trebba  ;  le  quali,  nella  parte  supe- 
riore, all'ornamentazione  della  faccia  principale,  visibile  nella  figura,  aggiungono, 
sui  fianchi,  una  decorazione  semplice  e  piena  di  gusto:  al  centro,  una  voluta  a  dop- 
pia linea  allargantesi  in  una  cornucopia  rovesciata,  chiusa  da  una  frangia  di  embri- 
cature; all'orlo,  una  fila  di  linguette  cave. 

Altro  dei  bronzi  più  importanti  di  questa  tomba  è  un  porta-lucerne  con  piede 
a  tre  zampe  leonine,  con  fusto  scanalato  (rotto  in  tre  pezzi),  con  raggiera  a  sette 
gambi  ondulati  per  reggere  lucerne  (')  sospese  a  catenelle  ed  esibente,  al  sommo, 
sopra  una  basetta  modulata,  impostata  sopra  un  singolare  basamento  cipolliforme, 
una  pregevolissima  statuina  di  danzatrice  con  crotali  (tav.  XV-1). 

Elaboratissimo  è  questo  oggetto  in  ogni  sua  parte,  e  cioè  sia  nell'ornato  —  un 
vago  intreccio  di  palmette,  doppie  spirali  e  conchiglie  —  che  decora  i  tre  spazi  ango- 
lari fra  le  branche  del  piede  ;  sia  nel  fusto,  in  cui  le  scanalature  si  alternano  con  li- 
stelli gemini  rotondi  separati  da  linea  incisa;  sia  nel  nucleo  cipolliforme  ornato  di 
due  ordini  di  foglie  triangolari  rovesciate,  dal  quale  sembrano  (2)  spiccarsi  i  gambi 
della  raggiera  ;  sia  nei  gambi  ondulati  che,  alternando  due  curve  ascendenti  con  due 
discendenti,  finiscono  in  bottoni  di  fiori  di  loto  (con  linee  incise  per  separare  i  sepali) 
rivolti  con  la  punta  all'insù;  sia  nella  basetta  modinata,  ornata  di  una  fila  di  ovuli 
e  di  altra  di  perline,  la  cui  accurata  esecuzione  è  ancora  riconoscibile  malgrado  i  danni 
dell'ossidazione. 

Ma  tal  portalucerno  è  sopratutto  pregevole  per  la  squisita  statuina  della  dan- 
zatrice. Vestita  di  un  chitone  leggiero  con  mezze  maniche  scendente  fino  a  metà  dei 
polpacci  e  di  un  giubbetto  sovrapposto,  senza  maniche  e  attillato  ;  ornata  di  orecchini 
a  disco,  con  stephane  e  cuffia  in  capo  e  con  stivaletti  nei  piedi,  essa  asseconda  il 
movimento  della  danza  sia  col  movimento  delle  braccia,  mentre  stringe  con  le  mani 
i  crotali,  sia  con  una  leggiera  inclinazione  in  avanti  e  di  fianco  della  bella  testa. 

Per  effetto  dell'azione  disgregativa  del  sottosuolo  di  valle  Trebba,  più  che  in 
altre  parti  l'epidermide  della  statuina  fu  danneggiata  negli  stivaletti  ;  sicché  in  essi 


(')  Tal  sistema  di  gambi,  per  reggere  lucerne  sospese  a  catenelle,  anziché  ili  branche  orizzon- 
tali con  terminazioni  acuminate  per  infiggervi  le  candele,  vediamo  anche  in  un  bellissimo  reggi-lu- 
cerne  etrusco,  già  appartenente  alla  collezione  Fould  (vcd.  Daremberg  et  Saglio,  Dictionni  re  ecc., 
s.  v.  «eandelabrum»,  fig.  1099)  ;  il  quale  qui  cito  volentieri  perchè  fra  le  decorazioni  figurali  di  esso 
havvene  che  Io  apparentano  coi  tripodi  del  tipo  vulcentc  «  a  verghette  ».  Ed  anzi  richiama  particolar- 
mente al  nostro  tripode  quel  gruppo  di  Ercole  e  donna  gradienti  a  d.  rapidamente  che  nella  figura 
data  dal  Daremberg  si  vede  decorare  una  delle  facce  del  basamento  piramidale  del  pezzo. 

(')  Il  nucleo  cipolliforme  ornato  di  foglie  triangolari  rovesciate  incapsula  un  rocchetto  cilin- 
drico, nel  quale  s'innestano  da  sotto  l'estremità  superiore  del  fusto  del  porta-lucerne  e  lateralmente, 
tutto  in  giro,  i  sette  gambi.  Le  foglie  rovesciate,  cui  ora  ho  accennato,  trovansi  disposte  in  due  or- 
dini, e  in  ciascuno  di  essi  sono  in  numero  di  14  ;  ma  mentre  nell'ordine  superiore  si  susseguono,  tutt'in 
giro,  senza  interruzione,  nell'inferiore  sono  distribuite  in  sette  coppie  che  si  alternali.,  con  sette  spazi 
vuoti  ;  dai  quali  spuntano  i  sette  gambi  innestati  nel  rocchetto  interno. 

Notizib  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  40 


COMACCHIO  —    314   —  REGIONE    Vili 

non  si  scorge  veruna  certa  traccia  di  decorazione.  Ma  probabilmente  anch'essi  erano 
decorati  ;  perchè  l'autore  della  statuina,  ritoccandola  col  cesello  dopo  la  fusione, 
profuse  gli  ornati  su  quasi  ogni  parte  di  questo  magnifico  pezzo  :  nel  giubbetto.  BOB 
bordi  presso  gli  orli,  fascie  verticali  sotto  le  ascelle  e  decorazioni  a  campo  rettango- 
lare sul  petto  ;  negli  orecchini,  con  un  ornato  a  rosetta  ;  nella  stephane  con  una  fila 
di  cerchielli  (borchie)  ;  nella  cuffia,  fatta  di  una  stoffa  tutta  a  rombi,  con  un  minutis- 
simo ornato  entro  a  ciascun  rombo. 

La  statuina,  rotta  in  due  pezzi,  misura  dal  capo  alla  metà  del  polpaccio  min,  104. 

Basterebbero  i  tre  splendidi  bronzi:  tripode,  anfora  a  volute,  reggi-lucerne  con 
danzatrice  (fine  Vl-principio  V  secolo)  —  nei  quali  l'arte  etnisca  si  presenta  ancora 
nella  fase  ionicizzante  — ,  a  rendere  insigne  ed  eccezionale  un  corredo  funebre;  ma, 
come  vedremo,  anche  nel  campo  della  ceramica  figurata  il  corredo  di  questa  tomba 
mostra  un  analogo  carattere  di  eccezionalità. 

Del  resto  questa  tomba  si  singolarizza  nella  sua  tendenza  alla  ricchezza  e  al  fasto 
anche  con  particolari  di  minor  conto,  quali  ad  es.  —  per  restar  sempre  fra  i  bronzi  — 
l'aggiunta,  al  reggi-lucerne,  di  un  candelabro  del  solito  tipo,  e  l'argentatura  di  cui 
furono  abbelliti  parecchi  vasi. 

Il  candelabro,  trovato  senza  statuina  e  alto  m.  1,10,  corrisponde  al  tipo  comune  ; 
ha  tuttavia,  a  differenza  dagli  altri  candelabri  di  vai  Trebba,  il  fusto,  anziché  liscio, 
scanalato. 

Fan  parte  del  gruppo  di  vasi  di  bronzo  inargentati  : 

a)  un  paio  di  sitale  a  coperchio  pomellato  e  con  doppio  manico  girevole  (cfr.,  pel 
tipo,  Montelius,  I,  104,  n.  12),  assai  frammentate  (alt.  m.  0,255),  con  decorazioni  sul 
pomello,  sui  manici  e  terminazioni,  agli  attacchi  pei  manici,  sul  labbro  del  vaso  e  sul 
risvolto  del  labbro  e  infine  sulla  parete  presso  il  fondo;  da  rilevare,  fra  tali  decora- 
zioni, Partii  tqìttXccS,  inciso  sul  labbro  e  presso  il  fondo: 

b)  bicchiere  in  forma  di  tronco  di  cono  rovesciato  con  alta  ansa  verticale 
(cfr.,  per  il  tipo,  Brizio,  Tombe  e,  necropoli  galliche  ecc.,  tavola  V,  39),  decorato  con 
giro  di  perle  sull'orlo  e  con  zona  di  «  corrimi-dietro  »  incisi  presso  il  fondo  ; 

e)  tre  modioli  (cfr.,  per  il  tipo,  Montelius,  1, 103,  n.  1 3)  di  altezze  digradanti  (alti, 
senza  l'ansa,  mm.  87,  75  e  62),  con  due  giri  di  perline  presso  il  fondo,  con  un  giro  di 
perline  e  uno  di  ovuli  presso  l'orlo  e  con  tre  costolature. periate  sull'ansa. 
In  bronzo  senza  argentatura  sono  principalmente  da  ricordare  : 

a)  un  colatoio  con  ornati  fitomorfi  incisi  sul  manico  ; 

b)  una  xQeàyQa  a  sette  uncini  esterni  e  due  interni,  con  fusto,  in  parte,  tortile  ; 
e)  un  manico  semicircolare  tortile  (diam.  int.  cm.  7),  fornito  di  attacchi  si- 
mili a  piccole  pinzette  con  testa  ad  anello  ; 

d)  un'asticella  (lungh.  mm.  135),  finiente  al  sommo  in  disco  piatto  e  forato, 
contornato  da  4  appendici  rotonde. 

Oltreché  per  i  bronzi,  questa  tomba,  come  si  disse,  è  insigne  per  i  vasi  dipinti  che 
conteneva.  Fra  i  quali  in  primo  luogo  è  da  segnalare  un'anfora  a  volute,  rinvenuta 
in  frammenti,  con  grandiosa  composizione  di  stile  polignoteo,  che  con  diciotto  figure 
svolge  per  tutto  il  giro  del  vaso  una  scena  del  culto  dionisiaco. 


REGIONE    Vili.  —    315 


COMACCHIO 


In  questo  vaso,  entro  un  tempio  indicato  da  due  colonne  doriche,  veggonsi  rappre- 
sentate, con  un'ara  davanti,  due  figure  di  aspetto  statuario  e  di  statura  sovrumana, 
Dioniso  e,  a  quanto  penso,  Kora-Persephone  (').  ciascuna  su  proprio  trono  e  con 
coppa  e  scettro,  la  prima  col  capo  ornato  di  due  serpenti,  la  seconda  con  un'ricco  dia- 
dema in  capo  e  con  un  leoncino  dappresso,  che  dalla  spalliera  del  trono  stende  il  suo 
corpo  fino  alla  mano  sin.  della  dea.  Si  avanza  lentamente  verso  le  due  divinità  una 
figura  femminile  con  bianchi  capelli,  che  reca  in  capo  e  regge  con  ambe  le  mani  il 
liknon  velato,  e  la  seguono  due  figure  femminili,  sonanti  l'una  le  doppie  tibie,  l'altra 
il  timpano.  E  intanto,  dietro  ai  due  personaggi  in  trono,  spiranti  una  maestà  divina 
e  una  calma  solenne,  si  svolge  in  felice  contrasto  una  danza  scomposta  di  Menadi, 
agitanti  serpi  nelle  mani,  al  suono  commisto  di  doppie  tibie,  cembali  e  timpani.  Più 
di  una  figura  mostra  le  forme  del  corpo  sotto  il  leggiero  panneggiamento,  e  in  più  che 
una  figura  la  testa  è  presentata  quasi  di  prospetto! 

Altro  vaso  assai  notevole  è  un  cratere  a  calice,  raccolto  pure  in  frammenti,  sulla 
cui  faccia  principale,  in  stile  bello,  è  raffigurato  il  combattimento  di  Antiope,  a 
cavallo,  contro  Teseo  accompagnato  da  Piritoo. 

La  corrispondenza  di  tal  soggetto  e  composizione  con  quelli  della  nota  pelike  della 
necropoli  del  Fusco  (ved.  Not.  Se.  1891,  tomba  XIII,  p.  407  e  segg.)  è  una  conferma 
dell'osservazione  fatta  dall'Orsi  nel  parlare  di  tale  vaso,  e  cioè  che  tanto  la  scena  della 
pelike,  quanto  altre  similissime,  debbono  ricondursi  a  un  prototipo  comune,  molto  in 
voga,  da  ricercarsi  nell'Amazonomachia  dipinta  da  Polignoto  sulle  pareti  del  The- 
seion.  Al  qual  proposito  anzi  non  è  inopportuno  osservare,  che  mentre  nella  composi- 
zione del  vaso  del  Fusco,  Teseo,  nell'alTrontare  Antiope,  si  raccoglie  tutto  su  se  stesso 
puntando  su  di  un  masso  il  piede,  nel  vaso  di  vai  Trebba  Teseo  assale  Antiope  avanzan- 
dosi con  un  largo  passo.  Ma  quel  masso,  che  lì  serviva  per  il  motivo  polignoteo  (ved. 
Diimmler,  in  Jahrìmch.  il.  d°al*ch,  ardi.  Instìt.,  1887,  p.  170)  del  piede  puntato,  nel 
vaso  di  vai  Trebba,  sebbene  non  utilizzato  per  tale  motivo,  viene  ripetuto  davanti 
al  piede  di  Teseo  ;  il  che  prova  che  nell'originale  polignoteo  il  masso  esisteva  con 
la  funzione  di  appoggio  per  il  piede. 

Conteneva  inoltre  questa  tomba  due  kylikes  a  f.  r. 

Una  di  queste,  in  frammenti  e  lacunosa,  mostra  nel  tondo  interno  la  lotta  di  Teseo 
col  toro  di  Maratona,  ed  è  inoltre  decorata  di  altre  rappresentazioni  relative  alle  im- 
prese di  Teseo,  distribuite  in  due  zone,  l'una  sulla  faccia  esterna,  l'altra  sulla  faccia 
interna  intorno  al  medaglione. 

L'altra  tazza,  in  frammenti,  ma  ricostruibile  forse  per  intero,  ha  nel  medaglione 
Apollo  (coppa  e  lira)  e  Ninfa  (oinochoe  e  coppa)  e  nelle  due  facce  esterne  scene  di  con- 
gedo —  costituite,  ciascuna,  di  cinque  nobili  figure  —  con  donzelle  che  recano  la  liba- 
zione. Nel  medaglione,  presso  Apollo  è  chiara  la  iscrizione  del  nome,  mentre  presso  la 
testa  della  Ninfa  veggonsi  alcune  lettere,  in  parte  mal  conservate,  che  non  consentono 
una  sicura  lettura  ;  nelle  due  scene  esterne,  presso  qualcuna  delle  figure  qualche  let- 

(')  Ved.  Daremberg  et  Saglio,  Dictionmire  ecc.  s.  v.  -Proserpina»  e  la  moneta  di  Oizico  ivi 
riprodotta  (fig.  5815),  con  testa  di  Kora,  sul  diritto,  e  testa  di  leone,  sul  rovescio. 


OOMACCHIO  —    316    —  REGIONE    Vili. 

tera,  più  o  meno  chiara,  del  nome.  Il  nobile  stile  di  questa  tazza  fa  risovvenire  della 
famosa  tazza  di  Codro. 

Facevano  inoltre  parte  del  vasellame  fittile  di  questa  tomba  i  seguenti  pezzi  : 

a)  un  vaso  singolare,  assai  frammentato  e  lacunoso,  in  forma  di  olletta  con 
coperchio  ;  il  quale  aveva  decorazioni  di  carattere  osceno,  sia  nella  scena  dipinta, 
sia  nella  configurazione  plastica  di  certe  sue  parti  ; 

b)  due  oinochoai  configurate  a  testa  femminile  (alt.  m.  0,20)  con  la  massa  dei 
capelli  avvolta  in  una  cuffia  nera,  dalla  quale  la  capigliatura  sporge  sulla  fronte  con 
una  frangia  di  ondulazioni  stilizzate  ad  archetti  ;  sulla  cuffia  una  ghirlandimi  di  foglie 
di  mirto,  originariamente  bianche  ;  sopracciglia  e  contorno  amigdaloide  dell'occhio, 
cerchio  dell'iride  e  pupilla  a  vernice  nera,  con  fondo  bianco  ; 

e)  un  askos  con  ansa  a  staffa,  decorato  di  un  quadrupede  che  s'appresta  a  fare 
un  salto  per  aggredire  una  lepre  ; 

d)  quattro  piattelli  con  alto  piede  a  vernice  nera,  decorati,  al  centro,  di  una 
ruota,  risparmiata,  a  quattro  raggi  e,  sull'orlo,  di  una  ghirlanda  d'edera  a  foglie 
risparmiate,  con  gambo  e  bacche  sovrappinti  ; 

e)  scodella,  senz'anse  e  con  piede-listello,  con  ruota  nera  nel  centro  e  con  can- 
taro, a  macchia,  nella  parte  inferiore  del  fondo  ; 

f)  altre  scodelle  di  limitata  importanza. 
Si  rinvennero  inoltre: 

a)  due  fibuloni  d'argento,  tipo  Certosa  a  bottone  (lungh.  mm.  155),  che  erano 
collocati  sul  petto  del  defunto  ; 

b)  alcuni  pezzi  informi  di  ferro  avvolti  in  spessa  concrezione,  taluno  dei  quali, 
mostrando  nella  frattura  verghette  parallele  di  ferro,  fa  pensare  a  un  fascio  di  spiedi  ; 

e)  due  dadi  parallelepipedali  d'avorio  (lungh.  mm.  35)  ; 

d)  cinque  ciottolini  levigati  (tre  bruni  e  due  rossi)  ; 

e)  frammenti  di  tre  alabastra  di  alabastro,  di  grandezze  diverse  ; 

f)  alcune  anse,  intere  e  frammentate,  e  frammenti  di  pareti,  in  genere  sottilis- 
sime, pertinenti  a  vasi  in  cera. 

A  tale  insigne  tomba  assegnerei  per  data  l'inizio  dell'ultimo  venticinquennio  del 
V  secolo. 

Tomba  143  (zona  I,  area  f )  :  a  cremazione,  a  m.  0,90  di  profondità;  con 
dolietto  ovoidale  d'impasto  grossolano  e  completamente  marcito,  entro  cui  le  ossa 
combuste. 

Presso  al  dolietto  una  kelebe  a  f.  r.  di  stile  severo  progredito,  in  frammenti, 
ma  restaurabile,  alta  cm.  36,  esibente  sopra  un  lato  un  banchettante  barbato  su  cline  ; 
il  quale,  protendendo  una  kylix,  invita  un  giovane  (sull'altro  lato)  ad  affrettarsi  pei 
piaceri  del  symposion. 

E  su  altro  lato  del  dolietto  una  brocca  di  forma  slanciata  a  bocca  circolare  e  con 
la  spalla  a  spigolo,  a  v.  n.,  alta  cm.  28;  e  un'oinochoe  a  bocca  trilobata,  pure  a  v.  n., 
alta  cm.  18.  La  kelebe  c'induce  a  collocare  questa  tomba  nel  decennio  460-450. 

Tomba  149  (zona  I,  area  f )  :  bisoma,  a  umazione,  con  gli  scheletri  affian- 
cati, orientazione  O-E,  alla  profondità  di  m.  1,25,  Salvi  i  due  primi  oggetti  che  eran 


REGIONE    Vili.  —    317    _ 


COMACCHIO 


collocati  ad  ovest  e  in  prossimità  dei  due  cranii,  gli  altri  oggetti  eran  situati  sul 
fianco  d.  dello  scheletro  di  sud,  dal  gomito  ai  piedi. 

Un'anfora  a  puntale,  con  due  brevi  anse  verticali  presso  la  bocca,  in  terra  giallo- 
rossiccia  (cfr.,  per  la  forma,  Brizio,  Il  sepolcreto  di  Monteforlino,  tav.  Vili,  13),  alta 
m.  0,675. 

Un  dolictto  ovoidale,  in  frammenti,  di  terra  cenerognola. 

Due  grandi  oinochoai  ventricose  con  bocca  trilobata,  a  v.  n.  scadente,  alte 
m.  0,27. 

Un  askos  otriforme  (cfr.,  per  la  forma,  Brizio,  Tombe  e  necrop.  gali,  tav.  V,  8), 
grezzo,  in  terra  giallognola,  con  diaframma  bucherellato  all'imboccatura;  alt.  m.  0,175. 

Una  lekane  e  suo  coperchio,  frammentati;  decorata  nel  coperchio,  in  rozze  pennel- 
lature  nere,  con  una  zona  di  semicerchi  intromessi  tagliati  da  una  verticale  e,  sull'orlo 
ripiegato,  con  larghe  gocce  rettangolari,  mentre  il  ventre  della  tazza  ha  una  zona  di 
simili  gocce  rettangolari  nella  parte  alta  e,  per  la  parte  restante  fino  al  piede ,  strie 
circolari. 

Il  resto  della  suppellettile  è  costituito  da  fittili  ricoperti  di  vernice  nera  scadente 
(una  gran  kotyle  in  frammenti,  a  corpo  emisferico  su  piede  cilindrico;  due  grandi  piatti 
con  cavità  circolare  centrale  e  orlo  risvoltato;  due  piattelli  con  piede;  una  scodella 
senz'anse  e  una  scodella  biansata)  e  da  una  scodella  senz'anse  in  terra  cenerognola. 

I  pezzi  più  significativi  di  questo  corredo  c'inducono  ad  assegnare  questa  tomba, 
non  troppo  ricca  d'oggetti  per  due  defunti,  alla  fine  del  sec.  IV,  se  non  anche  ai 
primi  anni  del  III. 

Tomba  154  (zona  I,  area  f)  :  a  umazione,  col  cranio  a  NNO,  alla  profon- 
dità di  m.  1,10. 

Gli  oggetti  erano  collocati  presso  il  fianco  d.  e  sono  : 

Una  kelebe,  con  coperchio  pomellato,  a  f.  r.  di  stile  severo  progredito,  in  fram- 
menti; la  quale  kelebe,  sul  lato  principale,  presenta  Achille  che  si  cinge  la  cnemide 
sin.  in  presenza  di  Tetide  e  di  una  Nereide  che  gli  ìeca  scudo  e  lancia  (sul  rovescio: 
tre  figure  virili  ammantate). 

Tre  vasi  a  v.  n.  :  una  kylix  intera  e  un  paio  di  vasetti  ovoidali  con  bocca  tonda 
(alt.  mm.  125),  uno  privo  dell'ansa  verticale  ad  orecchio,  l'altro  in  frammenti. 

In  terra  rossiccia  :  sette  pezzi  (scodelle,  piattelli  con  e  senza  piede),  uno  dei 
quali  contenente  resti  di  ossa  animali. 

In  terra  cenerognola  :  un  piattello  senza  piede,  frammentario. 

Tomba  del  decennio  460-450. 

Tomba  156  (zona  I,  area  f)  :  a  cremazione,  con  gli  oggetti  disposti  in  circolo 
intorno  al  cumulo  delle  ossa  bruciate,  alla  profondità  di  m.  0,80. 

Fra  le  ossa  si  rinvenne  una  capocchia  di  chiodo  in  bronzo  a  segmento  sferico  con 
tracce  della  spina  di  ferro  e,  presso  al  circolo  degli  oggetti  (tutti  vasi  fittili),  una 
anfora  a  puntale  (alt.  ni.  0,64),  di  argilla  gialliccia  e  ben  cotta,  simile  a  quella  della 
tomba  149. 

I  vasi  sono  quasi  tutti  a  sola  v.  n.  e  quasi  sempre  di  qualità  scadente.  1  pezzi  inte- 
ramente verniciati  in  nero  sono  ; 


OOMACCHIO  —    318    —  REGIONE    Vili. 

ff)  un  askos  otriforme,  simile  per  forma  a  quello  della  tomba  149,  ma  senza 
diaframma  bucherellato  all'imboccatura; 

h)  un'oinochoe  con  corpo  cuoriforme,  piede  cilindrico,  collo  tronco-conico  e 
beccuccio  accartocciato  inclinato  obliquamente  all'insti  ; 

e)  una  ciotola-colatoio  con  maniglia  laterale  (ved.  fig.  "20),  deldiam.  dim.  0,18; 
d)  un  askos  o  guttus  con  ansa  a  staffa,  di  forma  larda  (alt.  m.  0,09)  ; 

è)  due  grandi  kotylai  a  calotta  emisferica  e  con  piede  cilindrico,  l'uno  intero 
(alt.  m.  0,19),  l'altro  in  frammenti  ; 

f)  un  gran  piatto  apodo,  con  quattro  palmette  impresse,  disposte  disordina- 
tamente intorno  al  centro  (diam.  m.  0,215),  piatto  che  era  collocato  come  coperchio 
di  altra  kotylc  di  cui  si  parlerà  fra  breve  ; 

g)  due  tazzine,  in  frammenti,  a  calotta  emisferica,  con  pareti  sottili,  con 
anse  alte,  snelle,  oblique,  risvoltate  al  sommo  e  con  piede  elegante,  rivelanti  la 
derivazione  da  prototipi  metallici  (una,  ricostruita,  è  riprodotta  alla  fìg.  21;  altezza 
m.  0,09;  diam.  0,125  senza  le  anse  e  m.  0,207  con  le  anse); 

h)  un  cantaro,  con  anse  annodate  al  sommo,  in  frammenti  (alt.  circa  m.  0,25; 
ved.,  per  la  forma,  a  fig.  22  un  altro  cantaro,  più  piccolo,  proveniente  pure  da  valle 
Trebba)  ; 

i)  tre  piccolissimi  boccalini  con  corpo  sferico,  collo  a  carrucola,  bocca  tonda, 
ansa  ad  anello  verticale  non  sormontante  la  bocca  e  fornita  di  due  apici  laterali 
all'attacco  superiore  (alt.  mm.  52,60  e  67)  ; 

j)  undici  scodelle  apode  e  senz'anse  (diam.  da  mm.  100  a  155);  delle  quagli, 
tre  decorate  nell'interno  con  zonette  d'intaccature  oblique  e  una,  pur  nell'interno, 
con  la  seguente  iscrizione  etnisca,  graffi t a  dopo  la  cottura:  MV<KA:AJ4(H  (ved. 
il  facsimile  a  fig.  7)  ;  ' 

k)  quattro  piattellini  con  piede  ; 

l)  tre  grandi  piatti  con  piede,  il  massimo  dei  quali,  intero,  ha  il  diam.  di  m.  0,24  ; 
degli  altri  due,  frammentati,  uno  ha  nel  rovescio  la  sigla  />  ,  granita  dopo  la  cottura; 

m)  due  oinochoai  a  bocca  trilobata  e  di  forma  ventricosa  (alt.  m.  0,27  e  0,255)  ; 

«)  una  lekane  (diam.  m.  0,18)  col  coperchio  in  frammenti. 

Ha  da  mettersi  in  rilievo  una  grande  kotyle  (alt.  m.  0,175)  della  forma  di  quelle 

indicate  alla  lettera  e  e  verniciata  similmente  in  nero,  senonchè  essa  è  decorata,  sulle 

due  facce,  di  un  gran  cigno  a  sin.,  in  color  rosso  sovrapposto  —  ora  per  gran  parte 

svanito  —  e,  sotto  le  anse,  di  una  palmctta  fiancheggiata  da  girali  e  fogliami  (fig.  6). 

Faceva  parte  della  suppellettile  funebre  anche  un  vaso  in  terra  giallo-chiara  ben 

depurata,  con  scarsa  decorazione  In  vernice  brunastra;  esso  ha  la  forma   di  un 

fiasco  a  ventre  emisferico,  con  collo  alto  allargantesi  verso  la  spalla,    con  bocca 

tonda  e  con  due  anse  verticali  non  contrapposte  ma  ravvicinate  che  vanno  dalla 

spalla  all'orlo  (alt.  m.  0,19)  ;  l'orlo,  il  collo  e  le  anso  sono   parzialmente  coperti 

di  una  tinta   brunastra;  mentre  sul  ventre  girano  due  striscie  brunastre  parallele. 

Per  l'anfora  a  puntale,  le  tazzine  e  il  cantaro  da  un  lato,  per  l'askos  otriforme,  la 

ciotola-colatoio,  la  kotyle  con  decorazioni  sovrappinte  e  la  scodella  con  iscrizione 


REGIONE   Vili.  —   319   _ 


COMAGGHIO 


gl«ffita  dall'altro  lato,  ebbi  già  occasione  di  richiamare  confronti  con  oggetti  dei 
sepolcreti  gallici  rispettivamente  di  Montefortino  e  del  territorio  bolognese. 
La  tomba  può  riferirsi  all'inizio  del  III  secolo. 

Tomba  196  (zona  I,  area  f  )  :  a  umazione,  orientazione  0-E,  alla  profondità 
di  m.  1,10.  Gli  oggetti  erano  collocati  sul  fianco  d.,  tutti  presso  la  mano,  salvo  il 
primo,  collocato  presso  la  spalla,  e  sono  : 

un  vasetto  ovoidale  in  forma  di  kotyle  senz'anse,  d'impasto  assai  grossolano 
(alt.  m.  0,15); 

una  bella  kylix  a  f.  r.  di  stile  severo  progredito,  in  frammenti,  ma  quasi  perfet- 
tamente ricostruibile,  esibente  nell'interno  un  Sileno  itifallico  che  s'accosta,  recando 
due  grossi  grappoli  d'uva,  a  un  gran  cesto  pieno  di  grappoli,  posato  in  terra,  per  ter- 
minarne la  colmatura  ;  appeso  nel  fondo  un  otre  con  la  scritta  KAUOS  numerosi 
fori,  indizio  di  antica  raggiustatura  ;  diam.  della  kylix,  circa  m.  0,180)  ; 

un  piatto  con  alto  piede,  due  scodelline  a  tronco  di  cono  rovesciato  e  una  sco- 
della sul  cui  fondo  esterno  è  graffito  <AU  tutti  in  argilla  rossiccia; 

una  coppina  con  piede,  in  argilla  cenerognola. 
Questa  tomba  è  del  secondo  quarto  inoltrato  del  V  secolo. 

Dell'identificazione  dello  stanziamento  cui  si  riferisce  il  sepolcreto.— 
Si  è  già  visto,  per  l'esame  del  materiale  dei  corredi  funebri  di  valle  Trebba,  del  carattere 
etrusco  (')  di  quel  sepolcreto,  e  si  vide  anche  dell'età  cui  il  sepolcreto  ste?so"e  da  rife- 
rire. Ora  ricorderò  che  sul  principio  di  questa  relazione  io  espressi  la  lusinga,  tramuta- 
tasi poi  in  convinzione,  che  il  detto  sepolcreto  fosse  da  riferire  alla  misteriosa  città  di 
Spina. 

Che  fosse  da  riferire  a  Spina,  in  un  primo  momento  balenò  anche  al  Ducati  (l)  ; 
senonchè,  malgrado  che  egli  propenda  a  collocare  Spina  altrove  e,  tra  due  ubicazioni, 
una  più  a  nord  di  valle  Trebba  (sul  Po  di  Goro)  e  una  più  a  sud  (sul  Po  di  Primaro), 
propenda  per  questa  seconda,  in  fondo  non  mi  sembra,  che  egli  rigetti  del  tutto  la  pos- 
sibilità che  le  vestigia  della  città  di  Spina  sieno  da  ricercare  in  prossimità  del  sepolcreto 
ora  scoperto. 

È  ben  vero  che  Spina,  in  base  ad  antiche  fonti  (3),  viene  da  Dionigi  d' Alicarnasso 
(1, 18  ;  cfr.  anche  I,  28)  collocata  alla  foce  di  un  fiume,  il  ramo  spinetico  del  Po,  e  che 
la  ragionevole  sostituzione  di  2nìva ad' EMijic in  un  passo  dello  pseudo-Scilace  (17) 
conferma  l'ubicazione  di  detta  città  sopra  un  corso  d'acqua;  ma  è  pur  vero  che,  qua- 
lunque ubicazione  si  dia  a  Spina,  resta  pur  sempre  la  difficoltà  accennata  dal  Ducati, 

(')  Si  ripete  anche,  quasi  a  riprova,  il  fatto  già  osservato  a  Bologna  dal  (ìnzzadini,  della  grande 
scarsità  d'armi  nei  sepolcri. 

(")  Ved.  il  suo  articolo  Scavi  archeologici  nel  Comacchiese,  in  Rivista  di  filologia  e  di  istruzione 
classica,  1924,  p.  91-95. 

(*)  Il  Christ  (Griechische  Nachrichten  iiber  Italien,  in  Sitzungtberichte  der  K.  Akad.  der  Wis- 
sensrhaften  zu  Munchen,  19115,  p.  78-79),  per  la  notizia  di  Dionigi  in  I,  18,  crede  che  la  fonte  sia  da 
ricercare  in  Eudoxo  rodio  o  in  Artemidoro  e  giudica  il  tratto  I,  17-30,  oltreché  come  una  continua- 
zione, come  un'integrazione  della  notizia  di  Ellanico  (Dion.  I,  28). 


COMACCHIO  —   320    —  REGIONE   VÌII. 


che  una  città,  indicati)  al  tempo  dello  pseudo-Scilace  (intorno  al  350  av.  Cr.)a  poco  più 
di  km.  3  e  mezzo  dal  mare,  venga  indicata  poi  al  tempo  di  Strabone  (V,  p.  214)  a  una 
distanza  dal  mare  che  in  poco  più  di  350  anni  si  sarebbe  accresciuta  di  km.  12  e  mezzo. 

Non  mi  risulta  che  critici  di  testi  o  studiosi  di  geografia,  infirmando  l'esattezza 
delle  distanze  indicate  da  quegli  autori  o  in  altro  modo,  abbiano  cercato  di  risolvere 
questa  difficoltà. 

Non  so  se  sia  troppo  ardito  il  pensare  che,  fermo  restando  (e  di  ciò  esporrò  fra 
poco  le  ragioni)  il  punto  che  Spina  si  trovasse  poco  lungi  dal  sepolcreto  che  ora  si  sta 
scavando,  il  ramo  Spinetico  del  Po  —  analogamente  a  quanto  si  sa  essere  avvenuto 
in  tempi  più  vicini  a  noi  per  altri  rami  del  Po  e  perfino  per  il  ramo  principale  —  abbia 
potuto,  posteriormente  al  350  e  a  valle  di  Spina,  mutar  corso  e  venire  a  sboccare  in 
mare  più  a  mezzogiorno,  dopo  un  più  lungo  percorso,  sfociando  per  la  bocca  del  Po 
di  Primaro,  che  corrisponderebbe  allo  Spineticum  ostium  di  Plinio  (N.  H.  Ili,  120). 

Mi  resta  ora  a  dire,  perchè  io  insista  a  tener  fermo  il  punto,  che  il  sepolcreto  di  valle 
Trebba  sia  appunto  quello  di  Spina. 

Il  Ducati  stesso  ('),  riconoscendo  la-grande  somiglianza  fra  le  suppellettili  funebri 
di  valle  Trebba  e  i  corredi  funebri  dei  sepolcreti  etruschi-felsinei,  espose  la  congettura 
—  già  da  me  esposta  sul  principio  di  questa  relazione — che  «  il  centro  abitato,  a  cui 
apparteneva  la  necropoli  di  valle  Trebba,  fosse  lo  scalo,  il  punto  di  approdo  (!)  della 
numerosa  e  preziosa  merce  vasaria  »  attica  destinata  agli  Etruschi  di  Felsina. 

Certo  che  principalmente  dovevano  dirigersi  a  Felsina  i  vasi  attici  che  passavano 
per  tale  scalo  (3)  ;  ma,  come  già  dissi,  tale  scalo  dovette  essere  un  centro  di  irradia- 
zione e  diffusione  per  tutto  il  retroterra  a  sud  del  Po. 

Che  infatti  per  tale  scalo  (vedi  sopra)  io  giudicavo  essere  stati  importati  nella  valle 
padana  dalle  lontane  provenienze  —  attica  ed  apula  —  quei  quattro  vasetti,  scoperti 
nel  territorio  del  Comune  di  Portomaggiore,  che  io,  sul  finire  del  1909,  avevo  osservati 
a  Ferrara  nella  raccolta  Pasetti  (4). 

D'altra  parte  la  città  di  Spina,  etnisca,  se  non  d'origine,  certo  nel  sèguito  della  sua 
storia  (5),  preminente  per  lungo  tempo  sulle  altre  città  dell'Adriatico,  prosperosis- 

(»)  Ved.  art.  cit.,  pag.  92. 

(*)  E  al  Ducati  non  sfuggi  l'importanza  della  notizia  che  il  Proni,  sempre  zelantissimo,  mi  aveva 
riferita  in  una  delle  mie  prime  gite  a  Comacchio,  che  cioè  un  venti  anni  fa,  durante  i  lavori  per  la 
bonifica  delle  contigue  Gallare,  si  sarebbe  scoperta  una  barca  ripiena  di  vasi  dipinti;  poiché  tale 
notizia  proverebbe  come  in  valle  Trebba  ci  dovesse  essere  un  passo  obbligato  per  l'introduzione 
dei  prodotti  transmarini. 

(s)  A  tale  scalo,  già  in  suo  discorso  del  1908  accenna  il  Ghirardini,  quando  dice  di  fattorie 
fondate  degli  Etruschi  a  Spina  e  ad  Adria  (vedi  in  Al'.i  e  Me  orie  R.  Deputazione  di  Storia  patria 
per  le  Romagne,  1914,  s.  IV,  voi.  IV,  pag.  279). 

(*)  Il  Pellegrini  (op.  cit.,  pag.  LUI)  ammise,  oltre  allo  scalo  principale  di  Adria,  uno  scalo  secon- 
dario a  Spina  per  l'importazione  dei  vasi  greci  diretti  a  Felsina  ;  e  ad  accennare  a  Spina  lo  indusse 
la  notizia  dei  quattro  vasetti  sopra  indicati  (ved.  op.  cit.,  nota  63). 

(5)  Per  le  fonti  letterarie  riguardanti  Spina  e  critica  relativa,  ved.  De  Sanctis,  Storia  dei  Romani 
voi.  I  nei  capitoli  IV,  IX  e  XII  e  specialmente  alle  pagine  132, 326, 436-437.  Ved.  anche  Pais,  Storia 
della  Sicilia  ecc.,  Appendice  III  in  fine  e  Appendice  IV. 


HEGIONE   Vili.  —  32L    —  0UMAC011IO 


sima  per  lauti  guadagni  nei  eommercii  marittimi,  cosi  da  fondare  con  le  decime  di  tali 

utili  un  proprio  tesoro  a  Delfo,  e  tanto  imbevuta  di  ellenismo  che  Stratone,  ricordan- 
done l'antico  splendore,  dice  (V,  p.  214)  «  nàlai ....  'EUtjvìs  nóhg»,  si  presenta,  per 
le  notizie  degli  antichi  scrittori,  tale  quale  dobbiamo  immaginare  lo  stanziamento  cui 
si  riferiscono  le  ricche  e  numerose  tombe  di  Valle  Trebba;  tombe,  le  quali  dimostrano 
di  appartenere  a  un  centro  etrusco  popoloso,  che,  ricco  per  commerci  con  lontani  paesi, 
doveva  anche  nella  pratica  quotidiana  mostrarsi  famigliare  con  i  ricchi  oggetti  di  cui 
faceva  commercio  e  godere  di  una  larga  faina,  così  da  offuscare  col  suo  nome  località 
minori  del  territorio  circostante. 

Unica  località  indicata  dal  Periplo  dello  pscudo-Scilace  in  tale  regione  è  Spina. 

E  perciò,  tenuto  conto  che  questa  città  già  premineutissima,  se  pure  ai  tempi 
della  redazione  del  Periph,  non  era  più  così  florida  come  anteriormente,  doveva  an- 
cora essere  preminente  nella  regione,  trovo  nella  menzione  del  Periplo  e  nella  condi- 
zione del  sepolcreto  argomento  per  confermarmi  che  il  sepolcreto  di  valle  Trebba 
sia  appunto  quello  di  Spina. 

Il  Pellegrini,  come  ricordai,  ammise  per  Felsina,  oltre  allo  scalo  principale  di 
Adria,  la  possibilità  di  uno  scalo  secondario  a  Spina.  A  tal  proposito  osserverò  che 
l'abbondanza  e  la  qualità  del  materiale  ceramico  rinvenuto  in  vallo  Trebba  sono 
tali,  che  si  può  senz'altro  pensare,  che  lo  scalo  di  Spina  provvedesse  da  solo  ai  bisogni 
di  Felsina. 

Non  c'è  dunque  più  questione  intorno  a  questo  punto.  Può  sorgere  invece  que- 
stione intorno  al  momento  nel  quale  l'importazione  dei  vasi  diretti  a  Felsina  comin- 
ciò ad  avvenire  per  mezzo  di  Spina. 

Si  è  già  visto,  che  in  valle  Trebba  i  più  antichi  vasi  greci  a  f.  n.  provenienti  da 
tombe  intatte  del  sepolcreto  non  rimontano  fino  ai  tempo  dei  più  antichi  vasi  greci 
delle  necropoli  felsinee  ;  ma  d'altra  parte  quel  piccolo  frammento  sporadico  di  kylix 
a  f.  r.  del  ciclo  di  Epitteto,  la  cui  forza  probante  per  attribuire  all'ultimo  decennio  del 
sec.  VI  la  tomba  cui  apparteneva  può  da  qualcuno  essere  considerata  con  riserva,  nei 
riguardi  della  data  d'importazione  è  di  un  valore  assoluto. 

Si  può  quindi  affermare  con  sicurezza  che,  se  l'importazione  dei  vasi  attici  a 
Felsina  cominciò  col  principiare  dell'ultimo  quarto  del  sec.  VI('),  l'inizio  dell'  impor- 
tazione a  Spina  si  mostra,  finora,  quasi  contemporaneo. 

L'importazione  dei  più  antichi  vasi  a  Felsina,  anche  senza  ciò,  avrebbe  una  natu- 
rale spiegazione  nella  derivazione  attraverso  Adria  ;  dove  anzi  l'importazione  dei  vasi 
greci  mostra  di  risalire  fino  a  categorie  anteriori  a  quelle  rappresentate  a  Felsina. 

Senonchè,  ad  osservare  che  in  Adria  mercatanti  ellenici  facevano  pervenire  i  pro- 
dotti delle  industrie  greche  ancora  prima  che  gli  Etruschi  discendessero  nella  valle  pa- 
dana, e  a  considerare  che  da  qualche  dotto  (»)  il  nome  di  Spina  è  dichiarato  di  impronta 
schiettamente  italica,  vien  fatto  di  domandarsi  se  colla  fondazione  di  Spina  anteriore 


(')  Veti.  Pellegrini,  op.  cit.,  p.  LIV. 

(*)  Ved.  De  Sanotis,  op.  cit.,  p.  102;  e  cfr.  Paia,  op.  cit.,  p.  457,  nota  1. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  41 


PERUGIA  — ■    32 J    —  REGIONE    VII. 


alla  discesa  degli  Etruschi  i  mercanti  greci,  indipendentemente  dagli  Etruschi,  non 

abbiano  cominciato  ad  introdurre  le  loro  meni  qui  così  come  facevano  in  Adria. 

Il  che  in  altri  termini  significa  considerare  la  possibilità, che  il  sèguito  degli  scavi 
in  valle  Trcbba  produca  vasi  greci  di  quelle  più  antiche  categorie  rappresentate  ad 
Adria  e  non  a  Felsina. 

Certo  è  che  dalle  più  antiche  tombe  del  vastissimo  sepolcreto  —  contengano  esse 
vasi  dipinti  di  antiche  categorie  o  sieno  affatto,  per  la  non  ancor  iniziata  importazione, 
prive  di  vasi  dipinti  —  ci  potrà  esser  rivelato,  quali  sieno  stati  i  primi  abitatori  della 
città  —  ancora  ignota  nella  sua  ubicazione  —  cui  si  riferiva  il  sepolcreto  di  valle 
Trcbba,  il  che  è  quanto  dire  i  fondatori  della  città  di  Spina.  Al  quale  risultato  si 
potrà  similmente  pervenire,  se  felici  circostanze  ci  permetteranno  di  riconoscere  final- 
mente l'ubicazione  della  città,  la  quale  per  necessità  locali  pensiamo  essere  stata  co- 
stituita, come  Adria,  di  abitazioni  su  palafitte.  Perchè  le  ricerche  intorno  ai  pali,  ap- 
profondite fino  al  più  antico  segno  di  opera  umana,  potranno  farci  trovare  nei  più 
profondi  strati,  gelosi  e  fedeli  custodi,  il  segreto  delle  origini  della  misteriosa  città. 

A.  Negrioli. 


Reoione  VII  (ETRU RI  A). 

V.  PERUGIA  —  Tomba  etrmea  costruttiva  del  Faggeta. 

Sino  al  1908  le  tombe  etnische  costruttive  con  volta  a  botte  e  con  porta  di 
pietra  girante  sui  cardini,  ad  uno  e  qualche  volta  a  due  battenti,  erano  localizzate 
nel  territorio  chiusino;  ma  costituivano  tipi  di  sepolture  gentilizie  piuttosto  rare. 

L'ultimo  sepolcro  del  genere,  di  cui  si  abbia  notizia  nel  predetto  territorio, è  quello 
di  Vaiano  nel  comune  di  Castiglione  del  Lago,  nella  piana  che  si  stende  ad  occidente 
del  Trasimeno,  e  fu  da  me  illustrato  nelle  N etisie  fagli  Baivi  appunto  del  1908, 
pag.  317  sgg.  (cfr.  anche  gli  altri  esempi  ivi  ricordati).  Dai  caratteri  della  suppel- 
lettile vascolare  e  delle  urne  rinvenute  in  questo  sepolcro  di  Vaiano  si  potè  desu- 
mere, che  esso  risaliva  alla  fine  del  IV  o  ai  primi  del  III  sec.  av.  Cr. 

Ora  alla  serie  già  nota  va  aggiunto  un  ultimo  esemplare  interessantissimo,  sco- 
perto circa  quattro  anni  fa  nel  cuore  dell'Umbria  e  rimasto  inedito  fino  ad  oggi.  Prima 
di  parlare  di  esso,  debbo  mettere  bene  in  rilievo  la  topografia  della  scoperta,  ed  il 
fatto  ehe  il  trovamento  fu  potuto  controllare  quasi  subito  dalla  r.  Soprintendenza 
per  i  monumenti  di  Perugia,  dimodoché  debbono  ritenersi  fantastiche  le  dicerìe  sui 
tesori  che  vi  si  sarebbero  rinvenuti.  Ecco  invece  come  precisamente  stanno  le  cose: 

Nel  territorio  montuoso  a  settentrione  di  Perugia,  non  lontano  dal  confine  tra 
questo  comune  e  quello  di  Umbertide,  nella  regione  detta  «  il  Faggeto  »,  proprietà 
del  sig.  Ettore  Calderoni,  tra  la  fine  del  1919  ed  il  principio  del  1920.  fu  fatta  la  for- 
tuita scoperta  alla  quale  si  riferisce  la  presente  relazione.  Il  luogo  preciso  dove  la 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  XIII 


COMACCHIO  -  Vasi  modellati. 


Danesi-Roma 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  XIV 


COMACCHIO  -  Figurine  in  bronzo  e  rhyton  in  terracotta. 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  XV 


COiMACCHlO  -  Decorazioni  in  bronzo. 


REGIONE    VII. 


—    323    — 


PERUGIA 


tomba  fu  costruita,  è  il  crinale  di  un'altura  ricoperta  da  fitta  macchia  di  quercie  e 
di  ceni,  e  fa  parte  della  tenuta  di  caccia  del  sig.  Calderoni  denominata  «  S.  Giovanni 
del  Pantano  ».  Il  sepolcro  dista  dal  casino  di  caccia  circa  SdO  inetri  verso  X-O.  È 
motto  probabile,  che  quel  luogo  abbia1  conservato  lo  stesso  aspetto  che  aveva  nell'an- 


o.l  75 


£ 


l'IG.    1. 


tichità  ;  le  secolari  quercie  e  i  corri  e  la  fitta  boscaglia  che  degrada  giù  giù  dal  colle, 
escludono  che  ivi  potesse  sorgere  qualche  notevole  centro  agricolo  ;  e  d'altra  parte, 
non  affiorando  ruderi  per  tutta  una  larghissima  zona  intorno  alla  tomba,  nò  essen- 
dosi mai  rinvenute  a  memoria  d'uomo  altre  antichità  in  quelle  vicinanze,  bisogna 
pensare  che,  anche  nel  remoto  secolo  in  cui  lassù  si  deposero  i  resti  mortali  di  un  in- 
dividuo della  grande  famiglia  etnisca,  un  profondo  agreste  silenzio  regnasse  all'intorno, 
e  che  il  panorama  dominato  da  quell'altura  offrisse  press'a  poco  le  medesime  carat- 
teristiche di  Oggidì  :  una  corona  di  colli  avvolti  da  vegetazione  e  da  ombre  ;  a  sinistra 
invece  brullo  e  biancheggiante  il  monte  Acuto  a  foggia  di  piramide  :  di  faccia  il  monte 
Tezio  che  cela  la  valle  del  Tevere  :  a  destra,  lontano,  le  case  di  Perugia  dal  lato  di 
porta  Sole.  Colà  dunque  fu  costruito  il  piccolo  sepolcro  tra  il  IV  ed  il  III  sec.  av.  Cr.  da 
gente  che  forse  sentiva  l'ineffabile  fascino  di  quel  luogo  alpestre  e  solitario. 


PERUGIA 


—  324  — 


REGIONE    VII. 


11  suolo  e  ivi  schistoso  ed  in  continua  erosione,  dato  il  displuvio  del  colle,  e  la 
roccia  arenaria  usata  nella  costruzione  fu  tratta  perciò  dalle  vicinanze  che  hanno  tut- 
tora cave  di  tale  pietra. 

La  tomba  è  composta  di  una  sola  cella  quadrangolare  (m.  1,25  X  1,12),  di  cui 
circa  la  metà  di  fondo  è  costituita  da  una  larga  e  bassa  banchina  (cfr.  fig.  1).  Tra 
questa  e  l'ingresso  rimane  un  angusto  spazio  abbassato  di  alcuni  centimetri  in  rap- 


Fio    2. 


porto  alla  soglia,  col  pavimento  costituito  dal  terreno  naturale  battuto.  Le  pareti 
risultano  invece  di  tre  sole  assise  di  massi  rettangolari  combacianti  perfettamente 
a  tenuta  di  acqua,  però  sovrapposti  senza  cemento  (cfr.  fig.  2).  Soltanto  nella  pa- 
rete di  fondo  furono  aggiunte  alcune  altre  piccole  bozze  per  sostenere  la  copcrtiua, 
come  mostra  la  nostra  figura.  La  pietra,  come  ho  già  accennato,  è  un'arenaria  gri- 
gia e  compatta,  e  fu  lavorata  con  minuziosa  cura. 

È  evidente  che  i  costruttori  del  sepolcro  del  «  Faggete  »  non  lavorarono  in  gal- 
leria, ma  come  in  molti  altri  casi  simili  specialmente  del  territorio  chiusino,  scavarono 
prima  una  gran  fossa,  vi  inalzarono  nel  fondo  l'edilìzio  funebre  e  lo  ricoprirono  di 
un  tumulo  artificiale.  Sparito  il  tumulo  in  seguito  al  millennario  lavorio  delle  in- 
temperie, i  massi  della  vòlta  finirono  per  affiorare,  ed  offrirono  il  primo  disordinato 
passaggio  agli  scopritori. 


REGIONE    VII. 


—    325    — 


PERUGIA 


La  volta,  molto  interessante  per  la  sua  struttura,  fu  fatta  mediante  massi  ac- 
costati, e  combacianti  perfettamente,  tra  il  fondo  della  cella  e  l'ingresso  (nel  senso 
cioè  della  linea  C-D  della  fig.  1). 

Detti  massi,  ora  in  parte  spostati  per  aprire  un  àdito  agli  scopritori  del  sepolcro, 
sono   lunghi  circa  m.  1,50,  ed  in  origine  poggiavano  solidamente  sull'architrave 


A& 


.ti-/"*, 
i.  .•  •    •  •  •  A--*' 


-•,      y   "i    U         '    "fi"'" 


Fio.  3. 


della  porta  e  sulla  parete  di  fondo.  Essi  potranno  ritornare  al  loro  posto  senza  dif- 
ficoltà. 

Noto  intanto  che  ^siffatto  tipo  di  volta  e  nuovo,  e,  mentre  forma  una  sezione 
semicircolare  (o  a  botte)  analoga  a  quelle  delle  tombe  chiusine  del  medesimo  genere- 
sopra  ricordate,  se  ne  differenzia  nettamente  per  la  originale  struttura. 

Un  altro  elemento  del  tutto  originale,  e  degno  perciò  di  particolare  attenzione, 
è  il  frontoncino  triangolare  monolito,  in  funzione  di  architrave  sulla  faccia  esterna 
dell'ingresso  rivolto  ad  oriente  (cfr.  fig.  3). 

Nella  parete  orientale  della  tomba  si  apre  la  porta  larga  0,55,  che  era  all'esterno, 
verso  la  valle,  preceduta  originariamente  da  un  corridoio  {aroma*)  scavato  a  tr.ncea 
nel  terreno,  e  solo  ora  in  parte,  presso  l'entrata,  reso  transitabile,  largo  a  sua  volta 


PERUGIA  —   323    —  REGIONE    VII 

in.  0,75  e  lungo  forse  8  o  10  metri.  Il  blocco  di  arenari»,  foggiato  a  timpano  verso 
l'C3torao,  forma  invece  internamente  l'arco  a  tutto  sesto  dell'ingresso,  e  mostra  di 
ess":v  stato  scolpito  con  molta  attenzione  ed  abilità.  Esso  pertanto  col  suo  aspetto 
esterno  a  frontone,  quantunque  liscio  e  disformo  nelle  due  appendici  laterali,  vuol  ri- 
chiamare economicamente  il  ricordo  degli  analoghi  frontoni  templari,  e  sottolinea  —  si 
direbbe  —  l'ovvio  carattere  sacro  del  sepolcro  considerato  come  dimora  ed  insieme 
tempio  dello  spirito  del  defunto.  Sotto  questo  punto  di  vista  esso  si  ricollega  più  par- 
ticolarmente ai  frontoni  scolpiti  delle  tombe  rupestri  di  \orchia  e  di  Sovana  in  Etra- 
ria  (senza  bisogno  di  risalire  ad  altri  esempi  delle  civiltà  mediterranee,  più  remoti 
nello  spazio  e  ivi  tempo),  le  quali  furono  imitate  da  veri  e  propri]  santuari  co- 
struttivi. 

La  porta  è  ad  un  solo  battente,  ed  è  costituita  da  un  lastrone  rettangolare  di 
rrc'i-ria.  un  po'  più  chiara  di  quella  dei  massi  delle  pareti,  e  fu  scalpellata  e  lisciata 
con  notevole  maestrìa,  così  da  incastrare  perfettamente  nell'incasso  quando  il  pas- 
saggio rimaneva  chiuso  (cfr.  fig.  3).  Due  sporgenze  cilindriche  lasciate  alle  due  estre- 
mità del  lastrone,  muovendosi  in  due  corrispondenti  incavi  a  rallino  dell'architrave 
e  (Via  soglia,  hanno  funzione  di  cardini,  e  consentono  alla  porta  di  aprirsi  e  chiudersi 
agevolmente  girando  sul  lato  destro.  Ma  poiché  sulla  sua  faccia  esterna  non  si  scor- 
gono attacchi  per  anelli  metallici  o  altre  prese,  si  deve  supporre  che,  nonostante  la 
sua  ingegnosa  struttura  per  essere  facilmente  aperto,  l'uscio  lapideo  doveva  venire 
molto  di  rulo  o  forse  anche  urti  spalancato  per  lasciare  il  passaggio  ai  viventi. 

Se  cosi  è.  coni"  io  credo,  il  tipo  naturalistico  della  chiusura  della  tomba,  desunto 
dalle  pori"  delle  abitazioni  dei  mortali,  coordinandosi  idealmente  e  materialmente, 
in  q'i-sto  caso  del  <>  Faggcto  »,  al  sovrapposto  frontoncino  templare,  serve  a  chiarire 
appunto  il  duplice  carattere  del  funebre  edifizio.  che  è  quello  di  casa-santuario  del 
morto.  E,  in  base  a  questa  concezione  fondamentale,  possiamo  bene  ammettere  che 
l'uscio  in  pietra  girante  sui  cardini  avesse  solo  un  valore  simbolico,  e  fosse  perciò  de- 
stinato a  rimanere  eternamente  chiuso. 

Infatti  lo  spazio  angustissimo  nell'interno  del  sepolcro,  lasciato  libero  dalla  ban- 
china, non  era  certo  adatto  e  sufficiente  a  consentire  il  periodico  svolgersi  di  riti  fu- 
nebri là  dentro.  L'ingresso  pertanto,  così  relativamente  sontuoso  di  aspetto  e  per 
struttura,  avrebbe  servito  una  sola  volta  e  soltanto  per  il  passaggio  del  defunto. 

Analogamente  ancora  oggi  in  molte  vecchie  case  di  Toscana  e  di  Umbria  e  di 
Abruzzo  si  nota  una  piccola  porta  ad  arco  (*)  murata,  diversa  e  discosta  dal  portone 
«l'ingresso,  la  quale  viene  (o  veniva)  aperta  soltanto  per  il  passaggio  di  un  morto, 
e  poi,  subito  dopo,  di  nuovo  murata. 

La  serie  dei  contrasti  tra  la  solidità,  l'accuratezza,  il  modello  della  piccola  co- 
struzione e  l'ufficio  cui  essa  era  destinata,  aumenta,  quando  consideriamo  l'umile 
suppellettile  che  vi  fu  rinvenuta. 


(')  Anclic  l'ingresso  ili  questa  tomi)»  del  «  Faggeta  »  è  ad  arco,  come  ho  fatto  sopri    notare    (cfr. 
fig.  ;!)  ;  e  sempre  ad  Meo  è  altresì  l'entrata  dell'Ade  sulle  urne  etnische. 


(UHilONK   VII.  —  32Y  —  PERUGIA 


Bisogna  intanto  escludere  che  la  tomba  avesse  subito  una  precedente  viola- 
zione in  antico  ;  si  deve  però  ammettere  che  gli  incolti  contadini,  che  la  scoprirono, 
non  posero  attenzione  a  salvare  tutto  il  suo  contenuto.  Poiché  il  fondo  della  cella  era 
stato  invaso  dall'acqua,  parecchi  vasi  del  corredo  funebre  andarono  in  briciole,  ap- 
pena toccati,  e  si  perdettero.  Nonostante  però  tale  condizione  avversa,  fu  possibile  di 
constatare:  1°)  che  la  cella  conteneva  una  sola  urna  cineraria  deposta  sulla  banchina: 
2°)  che  alcuni  v;>s;,  abbastanza  bene  conservati,  erano  al  loro  posto  sulla  banchina  ai 
lati  dell'urna  (cfr.  figg.  t  e  2);  ;5°)  che  non  vi  furono  riscontrate  ossa  di  nessun  genere, 
e  perciò  bisogna  escludere  ogni  altro  seppellimento  all'infuori  di  quello  rappresen- 
tato dall'urna;  4°)  che  non  vi  sarebbero  stati  oggetti  di  metallo:  anche  nella  più 
grande  ma  analoga  tomba  di  Vaiano,  ricordata  al  principio  di  questa  relazione,  fu 
rinvenuta  una  sola  aratila  di  bronzo. 

Gli  oggetti  raccolti  nella  tomba  del  «  Faggeto  »,  e  custoditi  nella  vicina  fattoria 
del  sig.  Calderoni,  sono  i  seguenti  : 

a)  Urna  architettonica  in  travertino  col  coperchio  a  timpano,  di  rozza  fattura 
frammentaria  nel  lato  sinistro,  priva  di  qualsiasi  decorazione  e  di  piedi.  Conteneva 
ceneri  e  avanzi  di  ossa  imperfettamente  combuste.  Sull'orlo  della  faccia  anteriore, 
prossima  al  coperchio,  porta  incisa  superficialmente  e  con  avanzi  di  colorazione 
rossa  questa  epigrafe,  da  destra  a  sinistra:  arnth.  Mimma  (fig.  4). 

flMItfqi/ì  >OMSfl 

Fio.  4. 

Il  pronome  m-nlh,  solo  o  con  i  suoi  composti  arn'h-ial.  arnth-al  ecc.,  s'incontra 
frequentemente  nelle  iscrizioni  funebri  etnische;  ma  il  nome  eaimmà  non  ha  ri- 
scontro in  altre  epigrafi.  L'unico  nome  etrusco  che  più  gli  si  avvicini  per  la  radicale 
è  un  isolato  eairiei,  che  il  Gamurrini  lesse  sopra  un  tegolo  chiusino  (l). 

h)  Il  gruppo  di  vasi  recuperati  comprende  un'olla  priva  di  anse,  di  media 
grandezza,  d'impasto  grigiastro  fine  fessa  si  vede  a  sinistra  dell'urna,  nella  fig.  2): 
una  ciotola  con  breve  piede  verniciata  in  nero,  di  produzione  puMidocainpana  (ve- 
desi  a  destra  dell'urna,  nella  predetta  figurai;  un'altra  ciotola  di  argilla  naturale  non 
depurata,  malcotta,  priva  di  piede  e  di  anse,  forse  originariamente  con  funziono  di 
coperchio  :  trattasi  però  certo  di  un  umile  prodotto  di  un'officina  non  lontana. 

La  povertà  del  contenuto  contrasta  con  la  costruzione  del  sepolcro  così  solida 
ed  accurata  :  tanto  più  quando  riflettiamo  che  la  tomba  servì  ad  un  solo  individuo, 
le  cui  ceneri  vennero  raccolte  nella  rozza  urna  di  travertino. 

La  piccola  cella  costruttiva  s'ingrandisce  dunque  idealmente,  ed  assume  il  va- 
lore di  una  degna  magione  consacrata  allo  spirito  del  defunto,  al  confronto  dell'unica 
urna  che  fu  destinata  a  racchiudere.  Un'analog.t  idea  iiifomnlrico  già  aveva  rico- 


(')  Cfr.  Appendice  al  C.  I.  I-  del  Fabretti,  n.  218. 


sant'okeste  —  328  —  iìkcione  vii. 

noscioto  acutamente  il  Milani  nella  tomba  a  tholos  di  Casal  Marittimi»,  ora  nel  giar- 
dino del  Museo  archeologico  di  Firenze  ('). 

Date  le  caratteristiche  di  questa  tomba  del  «  Faggete  »,  che  ho  cercato  qui  di 
mettere  in  rilievo,  e  dato  il  fatto  che  nessun  altro  sepolcro  etrusco  del  genere  esiste 
per  una  larga  zona  circostante  (2),  la  Soprintendenza  d'Ktruria  ne  ha  consigliato  il 
ripristino  e  la  salvaguardia  in  situ  al  proprietario  del  terreno,  sig.  Calderoni,  al  quale 
il  sepolcro  verrebbe  lasciato  in  consegna  per  rimanere  accessibile  agli  studiosi. 

Edoardo  Galli. 


VI.  SANT'ORESTE  —  Campioni  di  ceramica  figurala  f olisca  prove- 
nienti dal  territorio. 

Provengono  dal  territorio  di  Sant'Oreste,  e  furono  recentemente  acquistate  sul 
commercio  antiquario  per  il  Museo  di  Villa  Giulia,  talune  kylikeé  figurate,  più 
o  meno  frammentarie  e  ricomposte  da  frammenti.  Xe  offriamo  ora  per  la  prima 
volta  le  riproduzioni  fotografiche,  accompagnate  da  un  adeguato  commento. 

1.  Kylix  biansata  a  figure  rosse  su  alto  piede,  ricomposta  da  molti  pezzi  e  restau- 
rata. Vernice  nera  opaca  e  rosso  arancione.  Alt.  m.  0,005;  diam.  del  piatto  0,26,  del 
piede  sottile  sagomato  0,10.  Scene  figurate  all'interno  e  all'esterno  del  piatto.  Nel- 
l'interno, grande  medaglione  centrale  (diam.  est.  0,177;  int.  0,145)  chiuso  entro  cor- 
nice a  meandro  (fig.  1).  A  destra  Minerva,  il  volto  di  profilo  a  sin.,  la  persona  quasi 
di  fronte.  La  dea  porta  sul  capo  un  elmo  attico  adorno  di  lungo  cimiero,  nonché  di 
palmette  dipinte  sulla  calotta.  Di  sotto  l'elmo  scendono  ciocche  di  capelli  sul  collo 
alla  dea,  la  quale  è  poi  vestita  di  chitone  ionico,  con  apoptygma,  egida  con  testa 
di  Medusa  sul  petto  e  breve  mantello  (chlàr.ia)  gettato  di  dietro  sulle  braccia;  ha 
sandali  ai  piedi  (3).  La  figura  regge  olla  destra  quasi  verticalmente  la  lancia, 
mentre  colla  sinistra  si  appoggia  allo  scudo  rotondo  e  convesso,  pure  in  posizione 
verticale.  Il  bordo  inferiore  del  chitone  porta  una  ricca  decorazione,  consistente  in 


(')  Cfr.  Milani,  Guida  del  Museo,  I,  pag.  287. 

(2)  L'unica  tomba  etnisca  piti  vicina,  ma  quasi  del  tutto  demolita  e  di  difficile  accesso,  è  quella 
di  ■  Sagraia>  pressa  Preggio  (Umbertidc),  intorno  alla  quale  riferì  nelle  Notine  dogli  -'cavi  1932, 
pag.  10C,  l'architetto  Amerigo  Contini. 

(')  Caratteristico  il  modello  dell'egida  la  quale,  lungi  dal  presentarsi  nella  forma  ordinaria  d'un 
copripetto,  si  divide  in  due  ali  distinte,  tangenti  sul  petto  e  riunite  e  saldate  nel  punto  di  tangenza 
da  una  maschera  di  Medusa.  I  bordi  superiori  delle  due  alette  oltrepassano  le  spalle,  mentre  i  bordi 
inferiori  sembrano  assicurati  alla  cintura.  Questo  tipo  di  egida  si  incontra  nell'Atena  l'arth enos  e  in 
quella  Hope  e  sue  repliche,  derivanti  da  un  tipo  statuario  attico  del  V  secolo  che  si  è  voluto  attribuire 
a  Fidia  (A.  Prevss.  Athena  llnpe  nnd  Pallas  Albani-Farnese,  in  Arrh.  Jahrb.  d.  Itisi.  XXVII,  1912, 
p.  83  segg.).  Effettivamente  la  figura  di  Atena  dipiata  nella  modesta  kylix  riecheggia  tipi  statuari! 
fidiaci,  non  esclusa  la  Parthenos. 


ItEGIONE   VII. 


32U 


SAN'l'oKI  STI. 


una  serie  di  «  corridietro  »,  una  fascia  a  ricamo  e  triangoli  a  denti  di  lupo  in  alto. 
Pure  decorati,  sebbene  meno  riccamente,  l'apoptygma  e  i  bordi  laterali  della 
chldina.  Intorno  all'umbone  dello  scudo  è  disegnata  una  corona  di  lauri,.  Tutti 
questi  elementi  decorativi  sono  ispirati  dalla  ceramica  attica  del  periodo  contras- 
segna o  dallo  stile  detto  «fiorito»  o  «  midiaco  ». 


Di  fronte  alla  dea  sta  Eracle,  pure  di  profilo,  in  conversazione  con  essa.  L'eroe 
in  aspetto  giovanile,  con  la  prima  pelurie  delle  gote  accennata  con  pochi  punti  neri 
sulla  guancia  destra,  ha  il  corpo  ampiamente  coperto  dalla  pelle  leonina  gettata  su- 
gli omeri  e  annodata,  per  le  zampe  anteriori  della  fiera,  sul  collo.  Egli  si  regge  posando 
il  piede  destro  sul  suolo,  il  piede  sinistro  sopra  un  rialzo  rettangolare.  E  rappresen- 
tato in  atto  di  sollevare  la  mano  destra  dalle  dita  aperte  verso  la  dea.  cui  rivolge  il 
discorso,  mentre  colla  mano  sinistra  sostiene  la  clava  aderente,  per  l'estremità  su- 
periore, al  suolo.  Nel  campo  superiore,  tra  le  due  figure,  patera  dipinta.  Soggetto 
della  se  Mia  d  srritta  è  p  obab;,mente  l'apoteosi  di  Era-le  e  l'entrata  di  questo  nel- 
l'Olimpo, così  come  si  vede  sopra  altre  pitture  vascolari,  e  an  he  sopra  una  pittura 
murale  romana  (S.  Reinach.  RPIìR,  p.  21,  3). 

Notizie  Scavi  1024  —  Voi.    XXI.  42 


sant'orate 


—  330 


Regione  vii. 


All'esterno,  palmette  sotto  le  anse:  e  precisamente  palmotta  centrale  sotto 
l'ansa,  riunita,  mediante  volute,  a  due  palmette  laterali  simili.  Il  motivo  ornamentale, 
di  perfetta  origine  attica, rivela  il  suo  imbarbarimento  in  suolo  straniero,  per  via  di 


Fio.  2 

certi  hocciuoli  ignoti  alla  ceramica  attica,  i  quali  sbocciano  al  di  sotto  di  ciascuna 
paimetta  laterale.  Entro  ciascun  campo,  limitato  dalle  volute,  scena  figurata  ripetuta 
per  due  volte  nell'identica  forma.  A  sinistra  efebo  nudo,  il  quale  muove  al  passo 
insistendo  sulla  gamba  sinistra  e  avanzandosi  verso  una  figura  muliebre  giovanile, 
rivolta  verso  la  prima,  vestita  di  chitone  dorico  cinto  alla  vita,  coi  capelli  annodati 
sulla  nuca.  L'ima  e  l'altra  figura  eseguiscono  dei  gesti  che  possono  essoro  interpretati 
come  gesti  di  saluto  (io  ìvers;  zione  amorosa).  Dietro  alla  donna  e  nella  stessa  dire- 
zione di  questa,  una  figura  giovanile,  tutta  avvolta  e  chiusa  in  ampio  mantello. 
11  gruppo,  di  contenuto  così  grazioso  e  cosi  sommariaraontG  eseguito,  rivela  la 
funzione  puramente  riempitiva  «Iella   scena  due  volte  ripetuta. 


REGIONE    VII.  3;>| 


SANT'ORESTE 


2.  Kylix  figurata,  frammentaria,  su  alto  piede  ;  dei  piatto  superiore  non  ri- 
mane se  non  la  parte  centrale  con  medaglione  figurato,  incompleto  (fig.  2).  La  coppa 
risulti-,  restaurata  in  antico  e  precisamente  Io  stelo  del  piede,  essendo  stato  rinfor- 
zato dall'introduzione,  nell'interno  di  esso,  di  un  perno  di  bronzo,  verticale.  Alt.  del 
centro  del  piatto,  ni.  0,07.  Diam.  approssimativo  esterno  del  medaglione,  cu.  18. 

XeH'interno  del  medaglione  figura  efebica  di  Dioniso  nudo,  seduto  a  destra  su 
sedile  invisibile,  al  di  sopra  del  quale  appare  essere  stato  gettato  l'himation  stesso  del 
dio.  Questi  si  riconosce   perfettamente   dal  tirso  sorrètto  leggermente  colla  mano 


Fio.  3. 

destra;  eoll'altra  mano  egli  aliena  l'avambraccio  di  un  Erote  che  si  avanza  a  volo 
verso  di  lui.  L'Erote  giovinetto  regge  con  la  mano  destra  una  larga  patera,  sulla  quale 
dall'alto,  e  precisamente  dalla  bocca  di  un  vaso  della  forma  di  un'anfora,  si  versa  del 
liquore.  All'avambraccio  sinistro  dell'Erote  è  avvolti!  e  annodata  una  lunga  tenia 
svolazzante  ;  simbolo  questo  dei  vittoriosi,  come  si  vede  sopra  monumenti  di  arte 
vascolare  attica.  Xel  campo  limitato  dalia  linea  dello  gambe  delle  due  figure,  trovasi 
un  corno  potorio  (xe'Qac),  altro  attributo  di  Dioniso. 

11  medaglione  è  rotto  in  maniera  clic  mancano  1;:  spalla  destra  e  i  piedi  della 
figura  seduta  ;  le  gambe,  le  estremità  della  tenia  e  dell'ala  sinistra  della  figura  volante. 
Il  corno  potorio    manca   dell'estremità    inferiore. 

Anche  la  superficie  esterna  del  piatto  della  coppa  era  istoriato  con  figure  amane, 
oltre  che  essere  decorato  con  palmette  sotto  le  anse.  Dei  due  quadretti  sotto  le  anse 
rimangono  poche  tracce  di  uno  solo.  Vi  si  riconosca  una  composizione  allatto  iden- 
tica a  quella  già  riscontrata  nella  coppa  precedente  :  e  cioè  una  figura  muliebre 
in  mezzo  a  una  figura  efebica  nuda,  a  sinistra,  e    ;i  un'altra  ammantata,  a  destra. 

3.  Kylix  figurata,  simile  alle  precedenti,  frammentaria  e  restaurata.  Diam.  del 
piatto  m.  0,270. 

Xel  medaglione  centrale  (fig.  3).  chiuso  entro  cornice  circolare  a  meandro  più 
larga  del  consueto  (cui.  3  circa),  è  una  figura  di  Satiro  giovinetto,  il  torso  disegnato 


—   332    —  REGIONE    VII. 


di  tre  quarti  a  destra,  la  faccia  rivolta  indietro  di  profilo,  seduto  sul  dorso  di  un 
delfino  natante  a  sinistra.  11  Satirello  regge  in  equilibrio  sulla  mano  sinistra  un'an- 
fora di  quelle  del  tipo  tardo,  a  corpo  ovoidale,  terminante  inferiormente  in  punta, 
mentre  tiene  la  mano  destra,  dallo  dita  aperte,  sospesa  sul  capo  del  delfino.  La 
natura  satiresca  del  fanciullo  è  qui  unicamente  indicata  dall'orecchio  caprino  presso 
la  tempia  sinistra,  dal  naso  accentuatamente  camuso  sotto  una  fronte  sfuggente,  e 
da  breve  coda  equina  che  gli  sferza  i  fianchi.  Il  Satirello  è  munito  di  calzari  ai  piedi. 
Nel  campo  sotto  il  delfino  è  disegnata  una  seppia,  a  meglio  indicare  l'elemento  ma- 
rino sul  cui  sfondo  si  svolge  la  scena.  Nel  campo  superiore,  a  sinistra,  corno  potorio  ('). 

1  tratti,  con  i  quali  il  disegno  è  eseguito,  sono  assai  grossi;  il  colore  ineguale 
e  diluito. 

Sul  rovescio  del  piatto  la  stessa  scena  stereotipata  delle  precedenti,  ma  eseguita 
assai  più  rozzamente,  senza  rispetto  alcuno  per  le  proporzioni  e  per  i  dettagli.  Il  mo- 
tivo, privo  di  qualsiasi  interesse  artistico  o  di  altro  genere,  è  tuttavia  interessante, 
giacche  ci  permette  con  sufficiente  sicurezza  di  ritenere  che  le  tre  coppe  siano  uscite 
tutte  da  un'unica  fabbrica,  anche  ammettendo  tra  l'uria  e  l'altra  di  esse  una  certa 
distanza  di  tempo.  L'identità  di  fabbrica  e  di  stile  può  essere  riscontrata  in  base 
ad  altri  elementi.  Tale  il  corno  potorio,  il  greco  rhyton,  rappresentato  identico  su  ambe 
le  coppe  2  e  3.  Così  per  analogia  possiamo  ritenere  che  i  piedi  mancanti  di  uva 
delle  due  figure,  l'Erote,  sulla  coppa  n.  2,  fossero  muniti  di  calzari,  allo  stesso  modo 
che  si  vedono  Eroti  calzati  sopra  vasi  dipinti,  tardi,  dell'Italia  meridional".  Il  Sati- 
rello con  calzari  rappresenta  una  diretta  derivazione  da  quegli  Eroti  e  costituisce 
la  più  viva  contraddizione  immaginabile  tra  la  natura,  più  che  selvatica,  animalesca 
di  questo  essere  mitologico,  e  questo  attributo  di  effeminatezza  raffinata,  quali  sono 
i  calzari  ai  piedi  di  Eroti  androgini  al  seguito  di  Afrodite. 

Non  si  può  menomamente  dubitare  che  le  tre  coppe  fossero  impiegate  come 
suppellettile  di  tombe  e.  provengano  da  una  qualche  necropoli  dei  dintorni  di 
Sant'Oreste.  L'arte  di  coteste  kylikes  si  rivela  sotto  tutti  gli  aspetti  un'arte  locale, 
da  identificarsi  con  quell'arte  ceramica  falisca  già  nota  per  esemplari  numerosi,  di 
cui  taluni  pregevolissimi,  rinvenuti  specialmente  a  Corchiano  e  Vignanello.  a  nord 
di  Civita  Castellana.  L'età  del  massimo  fiore  di  questa  ceramica  locale,  oggi  larga- 
mente rappresentata  nel  Museo  etrusco  di  Villa  Giulia,  si  può  ritenere  coincida  con 
'la  seconda  metà  del  secolo  IV,  non  senza  escludere  che  essa  si  protragga  sino  ai  primi 
decenni  del  secolo  successivo,  e  cioè  sino  al  termine  della  ceramica  classica  dipinta  (*). 

G.  Bendinelli. 

(')  Un  incitivi)  affatto  identico  si  riscontra  sopra  una  piccola  coppa  dipinta  proveniente  dalla 
necropoli  di  Vignanello  (Notizie  1924,  p.  224). 

(')  Nel  libro  di  C.  Watzinger,  Grieehische  Vasen  in  Tùbingen  (Reutlingcn,  1924)  viene 
elencata,  a  pag.  GO  segg.,  una  serie  di  frammenti  vascolari  sotto  il  capitolo  Mittelitalien  Falerii. 
Dopo  i  frammenti  falisci  (tav.  46  e  46)  è  ricordata  una  Hydria  ungewbhnlicher  Grosse  (grosses 
FragiiierU  dcr  Schulter),  F  37.  Il  vaso  ft  giudicato  di  stile  campano  (spa'.kamjtaniseher  SUI,  srhr 
karalcteristiseh.  Non  sappiamo  se,  come  sembra,  si  tratti,  anche  qui,  di  un  prodotto  di  arte 
ialisca. 


RF.fi  IO  NE    I.  —   333 


NETTUNO 


Keoione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

VII.  NETTUNO    —  Piscinae  in  litore  constructae  (tav.  XVI). 

Dei  tre  monumenti  marittimi,  appoggiati  alla  spiaggia  tra  il  porto  d'Anzio  e  la 
torre  d'Astimi,  di  cui  dò  qui  notizia,  non  si  hanno  altri  cenni  nella  lei  t  era  lina  archeo- 
logica, tranne  quelli  del  Winckelmann,  in  ima  lettera  del  1  7(>4  al  Big.  Enrico  Fuessly  (')  ; 
e  del  Gregorovius,  negli  idilli!  delle,  spiagge  romane  (*).  Il  primo  così  ne  parla  :  «...ro- 
vine di  sei  o  sette  case  di  campagna  situate  tra  il  porto  dell'antica  Antium  e  la  città  di 
Nettuno,  in  uno  spazio  di  un  miglio  e  mezzo.  I  muri  di  queste  fabbriche,  al  tempo  del 
flusso  che  in  quel  mare  viene  tutte  le  dodici  ore,  non  sono  coperti  per  più  di  due  palmi 
dall'acqua,  e  durante  il  riflusso,  dopo  pranzo  e  verso  sera,  ed  anche,  nelle  giornate 
lunghe,  al  nascere  del  sole,  sono  in  asciutto.  Se  ne  potrebbe  aneli"  ora  prendere  la 
pianta,  tanto  chiaramente  si  conosce  la  loro  situazione,  e  quella  principalmente  di 
una  casa  di  campagna  immediatamente  accanto  all'antico  porto  di  Astura,  otto  miglia 
di  qua  da  Nettuno,  casa  che  fu  una  villa  in  cui  vi  sarebbe  stato  luogo  per  una  famiglia 
principesca.  Che  però  queste  fabbriche  anche  anticamente  s'inoltrassero  tanto  nel 
mare  lo  provano  chiaramente  due  grosse  muraglie  tirate  dalla  spiaggia  piana  in  forma 
di  argine  fino  a  dentro  il  mare  ».  11  secondo  è  piti  breve  :  «  Tutta  questa  spiaggia  non 
era  se  non  un  sèguito  di  grotte,  di  bagni,  di  templi,  di  palazzi,  le  cui  fondazioni  in  gran 
parte  sussistono  in  fondo  al  mare  o  sotterra  nelle  sabbie  della  spiaggia».  11  Volpi  (*) 
si  occupa  solamente  dell'ultimo  degli  edificii,  notato  poi  dal  Winckelmann.  cioè  di 
quello  congiunto  ai  moli  del  porto  di  Astura,  e  di  un  altro,  semicircolare,  esistente 
sulla  spiaggia  tra  i  nostri  ed  il  mentovato,  e  ne  dà  anche  piante  erronee  (*).  Il  Cani- 
na (•),  pure  con  piante  sbagliateci  limita  a  questi  due;  uè  altri  posteriormente  parla 
delle  costruzioni  marittime  di  quel  tratto  di  spiaggia  tra  essi  ed  Anzio.  1  tre  monu- 
menti, adunque,  possono  considerarsi  del  tutto  inediti. 

Io  ne  iniziai  l'accurato  rilievo  topografico  nell'estate  dell'ultimo  anno  della 
guerra  europea,  ed  ero  già  a  buon  punto  allorché  alcuni  solerti  bagnanti,  al  vedermi 
occupato  a  misurare  angoli,  prendere  nota  di  grandezze  e  scand'gliare  profondità, 
credettero  di  scorgere  in  me  una  spia  di  nemici,  e.  eorsi  ad  avvisare  i  carabinieri  di 
Nettuno,  mi  fecero  trarre  in  arresto  in  quella  caserma  per  circa  mezza  giornata.  Intanto 
che  davo  affidamenti  sull'esser  mio  (*),  la  marea  bassa  ed  il  tempo,  già  calmo  e  pro- 

(')  Winckelmann,  Opere,  1»  eia.  italiana.  Piatii,  1831,  timi.  VII,  p.  262. 

(•)  Gregorovius,    Wanilerjahre  in  Italien.  Leipzig,  1870,   I,  4. 

(*)  Volpi,  Vthts  IjUìhw  profanum.  Padova,  172(>,  timi,  in,  lib.   IV,  cap.  11. 

(4)  Su  ciò  si  consulti  il  min  articolo  :  Noie  ili  archeologia  marittima,  in  Neapotis,  anno  1,  Case.  1 1 1- 
IV,  p.  363. 

(*)  Canina,  Edifici  dei  contorni  di  Roma  aulica.   Roma,   1848,  tav.  196. 

(")  S  >u  lieto  ili  mi  lei-, numi,  pubblicamente,  assai  grato  al  mio  illustre  amico  oomm.  I>>- 
menieo  (listai, li,  allora  Qiintor.)  ili  Rimi,  per  la  cui  attestazione  mi  pi. lei  districare  ila  quel- 
l' impiccio. 


KETTT'NO  —    334    —  REGIONE    I. 


pizio  a  siffatti  iMBcoltosi  rilievi,  mutarono,  ed  io  ras  ne  partii,  sospendendo  ogni  ope- 
razione. Ho  compiuto  il  lavoro  pochi  ni"si  fa.  quando  intesi  di  lavori  che  s'andavano 
compiendo  nel  castello  del  Sangalli»,  cui  soggiace  il  secondo  dei  monumenti,  nella 
téma  che,  come  purtroppo  è  accaduto  nel  seno  Bajano,  tali  lavori  di  trasforma- 
zione si  prolungassero  fino  ad  investire  'e  murature  esistenti  nel  mare,  e  la  memoria 
non  ne  rimanesse  in  alcun  documento. 

Denominerò  i  tre  avanzi  monumentali,  Bell'ordine  coni"  si  susseguono  lrngo  la 
spiaggia  da  occidente  ad  oriente  :  piscina  A.  piscina  B,  piscili;',  ('.  giacché  trattasi 
di  piscino,  e  mi"  vedremo  appresso.  Avverto  eh".  Belle  piantiti",  hi  parto  ombreg- 
giata è  la  torri,  quella  bianca  il  mare,  secondo  l'uso  delle  carte  inaline  :  e  che  in  alto 
ho  situato  il  mezzogiorno,  come  penso  debbano  orientarsi  le  planimetrìe  in  materia 
archeologica. 

P  i  ■  -  i  n  a  A. —  Giace  in  corrispondenza  del  villino  del  cav.  Adolfo  Nesi  di 
Roma,  Ed  il  villino,  al  pari  di  tutti  quelli  allimati  di  fronte  al  golfo  incantevole,  è 
costruito  sopra  la  pendice  di  una  terrazza  costiera,  percorsa  dalla  strada  tra  Anzio 
e  Nettuno,  alta  una  diecina  di  metri  sul  livello  del  mare;  sicché  tutta  quella  co- 
rona di  costruzioni  c'vettuole,  mentre  ha  l'accesso  dalla  strada  che  la  cinge  a  setten- 
trione, scende  a  piantare  i  muri  vòlti  a  mezzogiorno  nelle  arene  della  sottoposta  spiag- 
gia. Nessun  dubbio  vi  può  essere  che,  nei  tempi  imperiali,  una  serie  di  ville  marittime, 
allo  stesso  modo,  si  assideva  sul  ciglio  della  terrazza  costiera  :  ed  il  villino  Nesi  è  pre- 
cisamente al  posto  di  una  di  quelle. 

La  costruzione  in  pieno  mare  (fig.  1)  dista  una  quindicina  di  metri  dal  piede  del 
villino  :  è.  in  parte,  allogata  sopra  una  serie  di  scogli  affioranti  costituiti  da  un'arenaria 
verdastra,  della  quale  l'antico  architetto  ha  tratto  profitto,  incidendola,  secondo  il 
suo  disegno,  e  completando  poi  il  tutto  con  muratura  cementizia,  la  cui  sommità  è  a 
livello  dell'alta  marea,  K  un  quadrato  di  60  piedi  di  lato,  contenuto  in  due  muraglioni 
larghi  (i  piedi,  i  quali  a  mezzogiorno  vanno  a  ripiegarsi  a  guisa  di  timpano  o  triangolo 
sul  tato  anteriore  del  quadrato.  Questo  è  spartito  da  due  muri  in  croce,  spessi  piedi 
2  e  mozzo,  in  quattro  quadrati  minori,  di  piedi  25  di  lato,  porche  alla  parte  interna  di 
tut!"  queste  muraglie  appariscenti  si  notano,  a  livello  della  bassa  marea,  dei  marcia- 
piedi intomo  intorno.  Nel  bel  mezzo  delle  quattro  vasche  quadrate  sorgevano  dei 
pila;!  ri  isolati,  di  cui  avanzano  tre,  come  li  ho  segnati  nella  pianta,  a  sezione  quadrala 
con  i  piedi  di  lato.  Altri  marciapiedi  simili  sono  nella  parte  interna  del  triangolo,  con 
divinoni  che  accennano  a  due  triangoletti  laterali  e  ad  un  cerchietto  nel  mezzo.  Più 
innanzi,  in  corrispondenza  del  vertice  del  triangolo,  si  sviluppa,  fra  il  banco  d'arena- 
ria, conente  verso  libeccio,  opportunamente  tagliato,  e  la  muratura  sovrappostavi, 
una  vasca  circolare  di  circa  40  piedi  di  diametro,  che  ha  .  più  innanzi  ancora  nel  mare, 
due  braccia  circolari  aperte  a  guisa  di  chele.  Molte  strette  aperture  nei  fianchi  ed  in 
mezzo  a  tutti  questi  recinti  li  mettono  in  connina  azione  fra  loro  e  col  mare  libero  ; 
e.  anzi,  sulla  spiaggia  qualche  altro  piccolo  recesso  vedesi  scavato  nell'arenaria  verde. 
La  profondila  delle  !  vasche  quadrate  non  supera  i  3  piedi  :  nel  triangolo  va  fino  a  4, 
laddove  nella  vasca  circolare,  e  più  innanzi  nel  mare,  è  di  ò  a6  piedi.  La  disposizione 
delle  aperture  favorisce  il  continuo  rinnovarsi  dell'acqua  del  mare  nel   complesso  re- 


KEGlONE   1. 


—  3^5 


NETTUNO 


la  iihì 


cinto.  Il  va^o  aspetto  del  quale  rende  assai  bene  la   fotografia  (tav.  XVI,  1)  da 
tratta  dall'alto  del  villino  Xesi  ('). 

/'  i  *cin«   B.  —  È  dominata  (fig.  2)  dal  castello  del  S»ngallo,  ed  il  castello, 
indul)l)iainen(e.  prese  il  posto  della  villa  romana,  di  cui  la  piscina  era  appendice  ne- 


■ 


I         »       III       11        V        VI       VII     Viti     I»      C  CC  PfStC 

l.M.'ll  mI;    '   ■  \  •   '  '■■  "r  '  ■  \'  '  M  •'  t)  ■  tTT-t-   f  •  I   ■,!  ^       ^ 
o  li)  lo  i°  tc>  SO  tonimi 


Fio.  1. 

Dcssaria.  L'opera  marittima  comincia  sulla  spiaggia  a  circa  22  moiri  dal  piede  del  ca- 
stello, con  un  taglio  nel  sottosuolo  di  arenaria  verdastra,  già  menzionato,  che  affiora 
anche  qui  in  diversi  scogli  protraentisi  in  direzione  di  libeccio,  dei  quali  il  rumino  ar- 
chitetto tenne  partito.  Una  prima  vasca  rettangolare,  larga  piedi  28,  lunga  piedi  90 
(quanto  distami,  cioè,  i  due  muraglioni  o  argini,  larghi  Itì piedi,  che  contengono  tutto  il 


(')  Ringrazio  sentitamente  il  cav.  Adolfo  Nesi  e  li  su  iff.it  ile  sij-wr.i  delle  cortesie  e  delle  faci- 
litazioni usatemi  in  tale  occasione. 


NETTUNO 


336  — 


KKUtONE   1. 


recinto),  è  preceduta  nell'arena  all'estremo  occidentale  da    una  vaschetta  circolare 
del  diametro    di    piedi    12. 


i     "     in      tv     v      vi     vii   vi»    tx    C 


I-'  <  '.i  ..■■l'-t  •  t,  ■  i  -,i  ■  I-,  i  ■  y  ■  -  ,i  -  i  y  .  i,-  i  .  i,  •  i  m  ■  1 


Ce  reBEj" 


io 


so 


*0 


So 


60  METRI 


Fig.  2. 


Più  eltre.  verso  il  mare,  apparisce  dna  serie  di  4  bacini  rettangolari,  originati  da 
muri  di  paramento,  tripedali  ;  e,  mentri  la  lunghezza  di  questi  4  bacini  è  costante, 
cioè  di  piedi  .">"),  le  larghezze  differiscono,  presentandosi  così  da  occidente  ad  oriente  : 
il  1°  bacino  piedi  15  ;  il  -1°  piedi  22  ;  il  3°  piedi  25;  il  4°  piedi  13.  All'intorno  del  1°  e 


REGIONE   I.  _   337  -  NETTUNO 


del  2°  esistono  ancora  i  soliti  marciapiedi  a  livello  ribassato,  come  si  può  osservare  nella 
figura  ;  il  divisorio  tra  il  2°  ed  il  3°  bacino  è  rovinato.  La  costruzione,  dopo  aver  ripie- 
gati all'indentro  i  due  moli  per  altri  10  piedi  di  qua  e  di  là  ad  angoli  retti,  continua 
con  una  vasca  semicircolare,  del  raggio  di  piedi  18,  appoggiata  alle  due  vasche  rettan- 
golari centrali,  e,  ancora  più  innanzi,  con  un  curvo  corridoio  di  acqua,  largo  piedi  10, 
diviso  in  due  nel  mezzo,  chiuso  da  un  muro  concentrico  a  quello  della  vasca  semi- 
circolare ;  e  termina,  in  pieno  mare,  con  una  specie  di  terrazzina,  anch'essa  a  semicer- 
chio, i  cui  avanzi,  parecchio  elevati  sol  livello  del  mare,  denotano,  che  il  canale  d'ali- 
mentazione, foggiato  a  cateratta,  fosse  già  coperto  da  volticella.  Quantunque  protetta 
ed  inserita  negli  scogli  d'arenaria,  la  parte  semicircolare  antistante  del  manufatto, 
nel  corso  di  tanti  secoli  abbandonata,  molto  ha  patito  dalla  furia  del  mare  in  direzione 
di  libeccio. 

La  profondità  delle  vasche,  da  terra  verso  l'alto  mare,  cresce  da  piedi  2  a  6. 

Anche  qui  le  aperture,  più  o  meno  anguste,  praticate  nei  muri,  favoriscono  per- 
fettamente il  ricambio  dell'acqua  marina  racchiusa  nel  recinto.  La  fotografia,  che  esi- 
bisco (tav.  XVI,  2),  è  presa  dall'alto  della  scala  esterna  del  castello. 

Piscina  C.  —  È  posta  di  rincontro  (fig.  3)  all'estremo  orientale  della  cinta 
murale  di  Nettuno,  quasi  in  linea  col  corso  d'acqua  detto  «  del  mulino  »,  che  alimenta 
la  pubblica  lavanderia.  È  in  pieno  mare,  profondo  circa  9  piedi,  e  dista,  in  media,  me- 
tri 24  dalla  detta  cinta  murale,  battuta  anch'essa  dal  mare.  L'opera,  tutta  cementizia, 
comincia  con  l'avanzo  di  un  muro  ad  angolo  retto,  largo,  come  tutti  gli  altri,  piedi  3,5, 
cui  segue  una  specie  di  corridoio,  largo  piedi  15.  Più  in  là,  verso  il  mare,  tre  vasche 
(le  estreme  quadrate,  di  piedi  18  di  lato,  e  la  media  rettangolare,  di  18  per  22)  si  ap- 
poggiano ad  un  muro  perimetrale  che  esce  fuori  la  linea  delle  vasche  dalla  parte  di  oc- 
cidente, e  dimostra,  così,  che  la  costruzione  continuava  ancora  in  quel  senso.  Seguono, 
coll'allungarsi  dei  muri  verso  mezzogiorno,  altre  tre  vasche  rettangolari,  lunghe  piedi 
30,  larghe  quanto  le  precedenti  :  la  vasca  occidentale  è  mezzo  diruta,  come  può  vedersi 
dalle  linee  a  tratti  nella  pianta.  In  ultimo  una  vasca  più  piccola,  in  corrispondenza 
delle  mediane,  sporge  ancora  per  altri  piedi  12  ;  ma  non  saprei  dire,  se  lo  sperone  di 
muro,  che  apparisce  in  fondo  al  mare,  dall'angolo  di  scirocco,  fosse  un  semplice  rin- 
forzo dello  spigolo  stesso,  oppure  l'avanzo  di  una  seconda  vasca  Laterale  a  quella, 
onde  poi  bisognerebbe  suppbrne  una  terza  all'altro  fianco. 

Tutti  i  muri  presentano  aperture  ai  luoghi  indicati  nel  disegno  planimetrico,  e, 
attraverso  di  esse,  l'acqua  del  mare  si  rinnova  in  continuazione  dentro  i  bacini.  Un 
molo  poderoso,  costituito  da  una  serie  di  pile  larghe  piedi  10,  e  di  varia  lunghezza,  di 
cui  avanzano  tre,  proteggeva  la  struttura  dalla  veemenza  dei  marosi:  la  pila  maggiore 
superstite,  al  lato  occidentale,  è  denominata  «  scoglio  Orlario  ». 


La  vicinanza  dei  tre  caratteristici  manufatti  ora  descritti  alla  grande  piscina 
di  Astura  esclude  subito,  che  questi  possano  essere  delle  case  affondate  nel  mare 
dai  bradisismi,  giacche  il  movimento  non  poteva  non  manifestarsi  anche  ad  Astura, 
impegnando,  com'è  risaputo,  dove  si  verifica,  aree  vastissime  :  ma  ad  Astura  la  pi- 

Notizie  Soavi  1924  -  Voi.  XXI.  43 


NETTUNO 


338 


REGIONE    I. 


scina,  con  le  sue  tipiche  losanghe  e  con  la  sua  anche  più  tipica  catena  di  vasche,  è 
tuttavia  al  livello  dove  fu  piantata  dagli  antichi.  Né  meno  si  comprenderebbe,  ove  si 


5COQLIO    ORLAPIO 


sr> 


I 


O^ 


ZlW 


{LAVANDERIA 
PVBBLICA 


i      tt     iit     iv     v     vi    v«    viti    i*    C  CLffDtf 

plt^rzUZ^Z  I"-,'  .itrt:Li  '  '  •■  '^T1^ 

O  iO  20  J«  *"  MS  METM 

Fio.  3. 


volesse  sostenere,  che  si  tratti  di  costruzioni  di  edifici  piantati  in  mezzo  al  mare  e  poi 
rovinati  e  spariti,  perchè  sarebbero  stati  incavati  nel  banco  di  arenaria  gli  ambienti, 
che  ho,  volta  per  volta,  segnalati  nella  descrizione  ;  o  perchè  i  muri  perimetrali  aves- 


REGIONE   I.  —   339  —  NETTUNO 

sero  quell'eccessivo  spessore  ;  o  perchè  i  tagli  delle  mura  non  raggiungessero  mai,  come 
si  verifica,  l'ampiezza  d'una  porta  ;  o  perchè  sarebbesi  qui  bandita  affatto  la  forma  delle 
case  romane,  pur  sempre  riconoscibile  nelle  ville  dalle  piante  più  capricciose  da  noi 
studiate  ;  oppure  perchè,  infine,  le  dimensioni  delle  camere,  se  fossero  camere,  sareb- 
bero state  enormemente  dilatate. 

Invece,  il  livello  uniforme  delle  sommità  delle  mura  esaminate,  in  rapporto  al 
livello  medio  del  mare,  le  anguste  aperture  atte  a  contenere  le  grate  metalliche,  e 
la  somiglianza,  secondo  il  paragone  vivace  di  Varrone  ('),  con  le  cassette  loculate, 
dove  i  pittori  pongono  separati  i  colori  diversi,  ci  rendono  sicuri  che  ci  troviamo  in 
presenza  di  altrettante  peschiere,  piseinae,  rivarrà,  che  costituivano  la  più  essenziale 
parte  della  villa  marittima,  in  fra  gli  ultimi  anni  della  Repubblica  ed  i  primi  dell'Im- 
pero. Anzi  qui  abbiamo  proprio  tre  di  quelle  peschiere  eostruite  sul  lido,o;w  stanino, 
delle  quali  ci  tien  parola  Columella  (*);  dovendosi  intendere  con  tale  dicitura,  non 
esclusivamente  il  solito  manufatto  di  coccio  pesto,  masibbene  di  quello  che  oggi  si 
chiama  (ed  ignoro,  nò  mi  preme  ricercarne  l'etimologia)  un  calcestruzzo,  nel  quale 
fosse  di  qualsivoglia  natura  l'elemento  «  pietra  »,  caementum,  purché  non  eccedesse 
il  peso  di  una  libbra,  in  armonia  con  le  espressioni  di  Vitruvio  (3)  e  di  Plinio  (4). 

Ma  la  poca  profondità  delle  vasche,  nelle  piscine  A  e  B,  ci  richiama  alla  mente  il 
precetto,  che  Columella  (loc.  cit.)  toglie  da  Virgilio  (5),  cioè  «di  osservar  bene  ciò  che 
compete  ad  ogni  contrada  ».  Eppcrò,  qui  che  siamo  sopra  un  lido  arenoso,  se  biso- 
gna escludere  che  trovassimo  adattamenti  per  la  coltura  delle  conchiglie,  amanti 
del  fango,  è  logico  di  trovarne  pei  pesci  saxatiles,  ma  è  più  logico  ancora  di  trovarne 
pei  cubantes,  cioè  quelli  che  vivono  adagiati  sul  fondo  arenoso.  E  giova  trascrivere 

quanto  soggiunge  Columella  (loc.  cit.):  « namque  soleis  ac  rhombis,  et  simillimis 

animalibus,  humilis  in  duos  pedes  piscina  deprimitur  in  ea  parte UtorÌ8,quae  profluo 
recessu  nunquam  destiti!  itur.  Spissi  deinde  clathri  marginibus  infiguntur,  qui  super 
aquam  semper  eminent,  etiam  curri,  mari»  aestus  intumverit.  Mox  praejaciunlur  in  gy- 
rum  molcs,  ila  ut  complectantur  sinu  suo,  et  tamen  excedant  stagni  modum  :  sic  mi/m 
et  maris  atrocitas  obiectu  crepidinis  frangilur  ;~el  in  tranquillo  consistens  piscis  sedibus 
suis  non  exturbalur,  ncque  ipsum  vivarium,  repletur  algarum  congerie,  quam  tempesta- 
tibus  eructat  pelagi  violentia.  Oportebit  autem  nonnullis  locis  moles  intercidi  more  Mean- 
dri, parvis  sed  angustis  itineribus,  quae  quantalibet  hiemis  saevitia  mare  sine  fluctu 
Iransmittah.ìo  credo  non  vi  sia  bisogno  di  commento  per  comprendere  come,  a  pun- 
tino, i  nostri  manufatti  A  e  B  corrispondano  alle  prescrizioni  di  Columella. 

Solo  voglio  dichiarare  a  che  potessero  servire  quei  pilastri  nel  mezzo  delle  4  va- 
sche quadrate  della  piscina  A.  Potevano  essere  basi  di  statuette-fontane  di  acqua 
dolce,  che,  mentre  accrescevano  vaghezza  al  conseptum,  servivano  a  temperare  la 
salsedine  ;  numerosissime  statuette  emergenti  dall'acqua  troviamo  nelle  peschiere  dei 
giardini  di  Pompei.  Potevano  anche  essere  basi  di  colonne  destinate  a  sostenere  una 

(')  Varrnnis  R.  r.,  Ili,  17. 
(•)  De  re  rustica,  Vili,  17. 
(3)  De  architedura,  Vili,  6. 
(')  Nat.  Hist.,  XV,  12. 
(•)  Georgica,  1,  v.  63. 


NETTUNO  —   340  —  rtEGIONE   I. 


rimovibile  copertura  da  stendersi  su  quelle  vasche  contro  l'eccessivo  ardore  del  sole  ; 
oppure  potevan  servire  all'una  ed  all'altra  cosa  insieme. 

La  piscina  C,  infine,  piantata  in  alto  mare  e  protetta  da  un  molo  al  largo,  non 
presentando  alcuna  estetica  di  linee  nella  pianta,  e  trovandosi  in  corrispondenza  della 
foce  d'un  corso  continuo  d'acqua  dolce,  mi  sembra  sia  stata  destinata  alla  cattura 
ed  alla  stabulazione  per  ingrasso  dei  pesci,  secondo  spiegai  nella  citata  mia  memoria. 


Del  resto,  anche  le  parti  più  avanzate,  quelle  circolari  e  triangolari,  delle  piscine 
A  e  B  erano  certo  destinate  alla  pesca  diretta. 

I  larghi  moli,  che  circondano  questi  graziosi  consepta  o  condusiones,  erano  dilet- 
tevoli e  fantastici  ambulacri  (crepidines)  sul  mare,  fiancheggiati  dai  plutei  clathrati, 
ricordati  da  Columella,  e  menavano  alle  terrazzine  anteriori,  come  quella  semicircolare 
della  piscina  B. 

E  quando  le  ville  eran  molto  su  nella  collina,  per  godere  la  vista  delle  piscine, 
l'andirivieni  festoso  delle  barchette  variopinte  da  una  villa  all'altra,  e  la  brezza  del 
mare,  lunghe  scale  marmoree  adorne  di  stucchi  modinati  scendevano  ad  apposite  alte 
terrazze:  su  questa  spiaggia,,  poco  più  ad  occidente  della  piscina  A,  è  quella  che  ho 
fotografato  (fig.  4).  Ma  altre  molte  di  siffatte  scale  ho  viste  e  studiate  e  rilevate  sul 
litorale  d'Italia,  a  Posilipo,  a  Baja,  a  \3apri,  e  presso  Formia,  una  grandiosa,  che 
scende  dall'alto  della  collina  di  Scauro. 

Ritornerò  ai  monumenti,  di  cui  ho  parlato,  per  classificarli  scientificamente  in- 
sieme a  numerosi  loro  compagni  nel  lavoro  generale  sulle  antichità  marittime,  che 
ho  per  le  mani:  qui  ho  solo  voluto  darne  una  concisa  notizia. 

L.  Jacono. 

'■ — , P 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  XVI 


•#■< 


f  ■        \* 


t 


Jfm? 


■ 


»**" 


NETTUNO  -  Piscine  romane. 


REGIONE    I.  —   341    — 


VELLETRI 


Vili.  VELLETRI  —  Scoperta  di  un  antico  sepolcreto  cristiano  nel 
territorio  veliterno,  in  località  Sollum. 

Circa  5  km.  a  sud  della  città  di  Velletri,  in  località  Solluna,  e  precisamente  presso 
il  luogo  ove  la  strada  di  Lazzaria  taglia  la  via  Appia  antica,  tra  il  XXI  ed  il  XXII 
miglio,  eseguendosi,  a  poca  distanza  dal  margine  destro  dell'antica  via,  lo  scassato 
per  le  piantagioni  di  una  nuova  vigna,  si  rinvennero,  nei  primi  mesi  dell'anno  1922,  al- 
cune tombe  e  qualche  iscrizione  cristiana.  La  scoperta  fu  sommariamente  annunziata 
dal  benemerito  ispettore  onorario  di  Velletri,  ing.  cav.  Oreste  Nardini  (l). 

Il  soprintendente  agli  scavi  di  Roma,  prof.  Roberto  Paribeni,  riconosciuta 
l'importanza  della  scoperta,  decise  di  fare  eseguire  un  saggio  di  scavo  per  mettere  in 
luce  quanto  ancora  rimanesse  celato  in  quel  luogo  e  per  identificare  i  resti  di  antiche 
costruzioni  che  qua  e  là  affioravano  nel  terreno.  Affidato  a  me  l'incarico  di  dirigere 
lo  scavo,  lo  iniziai  nell'ottobre  del  decorso  anno,  protraendolo  fino  a  mezzo  no- 
vembre ('). 

Si  è  riconosciuto  esservi  stato  colà,  a  circa  40  m.  dalla  crepidine  destra  dell'Appia, 
un  piccolo  cimitero  sopra  terra,  recinto  di  muri  tardi  a  piccoli  parallelepipedi  silicei 
o  di  calcare  con  un  ricorso  di  mattoni  ogni  30  cm.,  di  forma  basilicale  absidata 
(ved.  fig.  1).  I  muri  in  parte  affioravano  sul  terreno,  ed  in  parte  erano  mozzati  quasi 
fino  al  piano  che  fu  raggiunto  alla  profondità  di  m.  1,50  sotto  il  piano  di  campagna. 
L'ingresso  al  cimiteriolo  non  era  sull'Appia,  ma  di  fianco,  verso  sud;  tutto  il  suo 
lato  verso  la  via  era  appoggiato  a  costruzioni  preesistenti,  estendentisi  fin  sulla  crepi- 
dine dell'Appia  (ved.  fig.  2).  Le  murature  delle  costruzioni  più  antiche  erano  a 
reticolato  con  prismi  di  selce  (v.  fig.  4).  Il  muro  al  fondo  del  recinto  incurvavasi 
a  piccola  abside  ;  il  raggio  dell'arco  absidale  era  di  m.  7,20.  L'interno  era  diviso  in 
tre  navatelle  da  una  serie  di  quattro  pilastri  per  lato  (ved.  fig.  1)  ;  quel  tanto  che 
si  è  potuto  scavare  del  cimitero  misura  m.  18,60  di  lunghezza  e  m.  15,75  di  lar- 
ghezza. La  navata  centrale  era  larga  m.  7,10:  quella  di  sinistra  m.  3,80;  quella  di 
destra  si  allargava  invece  per  circa  7  metri  fino  a  raggiungere  il  muro  a  reticolato 
parallelo  alla  via  Appia  che  formava  il  lato  destro  della  recinzione  del  cimitero 
(ved.  figg.  1,  4).  All'altezza  del  terzo  pilastro,  a  procedere  dall'abside,  e  cioè  a 
m.  14,20  dalla  fine  di  questa,  erano  tirati  muretti  divisorii,  che  lasciavano  àdito  tra 
l'esterno  e  l'interno  (v.  fig.  1  lett.  a-h-c).  Sembra  che  il  quarto  pilastro  (lett.  A) 
facesse  già  parte  di  una  specie  di  atrio;  i  limiti  imposti  allo  scavo  non  hanno  per- 
messo di  vedere  meglio  questa  parte  del  cimiteriolo.  Presso  il  suddetto  pilastro  era 
ficcato  in  terra  un  grande  dolio  fìttile  (lett.  e)  che  si  rinvenne  rotto  in  più  pezzi. 

Gli  spazi  fra  i  pilastri  non  erano  uniformi,  e  cioè  correvano  m.  6  tra  il  muro  di 
cinta  ed  i  primi  pilastri  verso  l'abside,  in.  4  tra  i  primi  ed  i  secondi,  m.  4,20  tra  i  secondi 
ed  i  terzi.  La  distanza  fra  il  terzo  ed  il  quarto  pilastro  era  invece  di  ni.  3,20. 

(')  O.  Nardini,  Notizie  degli  scavi,  1922,  pag.  250  segg. 

(*)  Una  breve  notizia  sull'esito  di  questo  scavo  fu  già  da  me  pubblicata  nel  Nuovo  liullettino 
di  archeologia  cristiana,  anno  XXVIII  (1922),  un.  1-4,  pag.  132  segg.,  tav.  Vili. 


VELI,ETRI 


—  342  — 


REGIONE    I. 


Fio.  1. 


REGIONE   I. 


—   343  — 


VELLETRI 


È  inoltre  da  rilevare  ehe  l'asse  della  navata  mediana  non  «incide  esattamente 
con  il  vertice  della  piccola  abside,  ma  è  alquanto  spostato  verso  destra,  ciò  che  farebbe 
ritenere  essere  i  pilastri  divisorii,  anch'essi  a  parallelepipedi  silicei  e  mattoni,  costruiti 
non  contemporaneamente  al  muro  absidato  di  recinzione.  È  vero  anche,  che  una  tale 
irregolarità  non  nuoceva  alla  destinazione  dell'edificio. 


Fio.  2. 


Infatti  il  pavimento  di  tutte  le  tre  divisioni  risultò  cosparso  di  tombe  ad  inuma- 
zione, a  due  o  tre  ordini  sovrapposti,  a  cassettoni,  con  le  sponde  in  muratura  a  blocchi 
di  selce  o  calcarei  e  mattoni.  Erano  tutte  ricoperte  da  tegoloni  in  piano,  con  sopra  una 
ulteriore  copertura  di  lastre  marmoree  ;  alcune  erano  invece  ricoperte  da  un  doppio 
strato  di  tegoloni. 

Gli  scheletri  giacevano  su  di  un  piano  di  mattoni  o  di  tegole  e,  come  di  consueto, 
avevano  i  cranii  orientati  verso  nord.  Molte  fòrmae  contenevano  ossa  di  più  scheletri, 
alla  rinfusa,  ricoperte  di  calce  bianca. 

Fra  le  numerose  formae,  vanno  rilevate  due  contigue,  unite  per  uno  dei  lati  stretti, 
praticate  circa  nel  mezzo  della  navata  centrale  (ved.  fig.  1,  lett.  f-g),  le  quali  contene- 
nevano  ciascuna  uno  scheletro,  i  cui  cranii  convergenti  erano  semplicemente  divisi  da 
un'ermetta  marmorea  o  pilastrino  di  transenna  di  qualche  recinzione  (m.  0,90  X0,18 
X  0,13),  preso  dal  suo  posto  d'origine  e  messo  quivi  a  dividere  i  due  cadaveri.  Si  ebbe 
cura  di  porre  l'effìgie  della  piccola  erma  verso  terra. 


VElLeTIU 


344 


ÙKGIONE    I. 


Le  due  tombe  erano  chiuse  ciascuna  da  un  grande  blocco  di  travertino  sagomato, 
già  facente  parte  della  trabeazione  di   qualche   monumento   sepolcrale   dell'Appia. 


Fio.  3. 


I  due  blocchi  hanno  ciascuno  incisa  un'iscrizione  nella  parte  superiore,  ove  è  l'intacco 
di  presa  dell'olivella  per  sollevarli.  Il  primo  blocco  (m.  1,22X1,07X0,15)  ha  incisa  la 
seguente  epigrafe  : 


colomba  e  ramoscello 

martinvs  se  vivo 
fecit  sibi  et  hilare 
coivgi  svhae    secv 
ndvm    meritvm 
svvm  sibi  martino 
patri  benemeI  JrentiinpaCe 
qvi  vixit  an  plvs  m  iju 
&  iii  idvs  mar  fl  syagrio 
v  c  consvli 


a.  ?.81 


HEGIUNE   l. 


—  345 


VliLLETltl 


11  secondo  blocco  (ni.  1,33  X  1,13  X  0,15)  reca  quest'altra  epigrafe 


BENEMERENTI  IN  PACE 
DVLCISSIMA  MATER  QVAE 
VIXIT  AN  PL  M  l_X  ET  BIXIT 
HILARA  SVPER  VIRGINIV 
AN  Vili  D  XMII  KAL  NOB 
ARCADIO  AVG  ET  BAVTONI  VC  CONS 


a.  3H5 


Lo  due  tombe  contenevano  dunque  i  resti  mortali  di  due  coniugi.  Il  marito  Mar- 
tmus,  morto  in  età  di  61  anni,  vi  fu  deposto  il  13  marzo  dell'anno  ."Ì8I  ;  la  moglie  H i- 
l'ifii,  mòrta  di  anni  60,  il  1 7  ottobre  dell'anno  38§.  Secondo  l'iscrizione  di  Hilara,  questa 
sopravvisse  al  marito  otto  anni  [yixit  super  virginiu(m)  an(nos)  Vili];  invece,  dalla 
precisa  data  consolare  dell'anno  385,  si  desume  che  ella  fu  deposta  nella  tomba  quattro 
anni  dopo  la  deposizione  del  marito.  Evidentemente  il  lapicida  ha  errato  ed  ha  inciso 
la  cifra  Vili  invece  di  TIII.  Le  sepolture  erano  state  preparate  da  Martmus  ancora  vi- 
vente; la  deposizione  e  l'apposizione  dei  titoli  furon  fatte  dai  figli. 

Queste  sono  le  due  sole  iscrizioni  rinvenute  al  loro  posto  e  datate  ;  esse  indicano  che 
siila  fino  del  secolo  IV  il  piccolo  cimitero  era  in  piena  attività. 

Di  grande  interesse  è  un'altra  epigrafe  incisa  su  di  un  lastrone  di  marmo  (me- 
tri 1,23  X  0,47  X  0,02)  rinvenuto  quale  chiusura  di  una  tomba  presso  il  muro  esterno 
di  sinistra  del  cimitero  (ved.  fig.  1,  lett.  h),  e  messa  in  modo  che  il  lato  scritto  rimanesse 
nella  parte  rovescia.  Infatti,  quando  fu  trovata.il  lato  scritto  era  tutto  coperto  da 
calce  rappresa.  Il  marmo  conserva  le  tracce  di  tre  grappe  di  ferro  esterne  che  la  soste- 
nevano al  suo  posto  d'origine.  L'iscrizione  è  del  seguente  tenore  (*)  : 

FALTONIAE    HILARITATI 
DOMINAE    FILIAE    CARISSIMAE 
QVAE    HOC    COEMETERIVM 
ASOLO-SVA    PECVNIA    FECIT 
ET-HVHIC    RELIGIONI    DONAVIT         (sic) 


L'importante  testo  la  cui  paleografia  è  propria  della  fine  del  III  o  dei  primordi] 
del  IV  secolo,  ci  dà  il  nome  della  fondatrice  e  donatrice  del  cimitero,  Faltmia   ìlììn- 


(')  Il  testo  fu  già  pubblicato  da  O.  Nardini,  in  Notizie  degli  scavi,  1922,   pag.  360,  e  da  me  in 
Nuovo  Ballettino  di  archeologia  cristiana,  1922,  pag.  134,  tav.  Vili. 

Notizie  Soavi  1024:  —  Voi.   XXL 


44 


Y'KLLETltt 


-   340    - 


UJiUluNE   I. 


rilns,  seguito  dall'epiteto  di  domina,  che  in  segno  di  rispetto  si  faceva  precedere  nelle 
epigrafi  di  quella  età  ai  titoli  di  parentela.  L a  donna  della  nostra  iscrizione  fu  forse 
una  liberta  della  ricca  gens  Fnltonio,  imparentata  con  gli  Anieii,  di  origine  prene- 
stina;  non  è  improbabile  che  avesse  possessioni  anche  nel  territorio  reliterno. 

Degna  di  rilievo  è  la  frase  et  inde  religioni  donni  il.  Credo  debba  intendersi  clic  Fnlto- 
nia  Hilaritas  concesse  l'uso  del  cimitero  da  lei  fondato  ai  suoi  correligionarii  cristiani, 
intendendosi  per  religio  il  culto  del  vero  Dio  in  contrapposto  alla  superstite  pagana  ('). 

La  circostanza  chi'  la  lapide  non  fu,  come  si  è  detto,  trovata  al  suo  posto  d'origine, 
ma  adoperata  come  copertura  di  una  tomba,  indica  che  il  piccolo  cimitero  fu  in  atti- 
vità tanto  a  lungo  da  permettere- che  impunemente  se  ne  distaccasse  dall'ingresso  la 
targa  di  fondazione  per  servirsene  allo  sopì  di  ricoprire  una  nuova  tomba.  Il  titolo 
fu  posto,  come  indica  la  voce  filine,  dai  genitori  di  Faltonia  HUaritas,  probabilmente 
premorta. 


* 
*  * 


Riferisco  ora  altre  iscrizioni  pagane  e  cristiane  rinvenute  durante  lo  scavo:  le 
prime  furono  asportate  da  vicine  tombe  fiancheggiantilavia  Appia  ed  adoperate  come 
chiusura  o  rivestimento  di  formae;  le  seconde  appartennero  propriamente  al  sepolcreto. 

1)  Lastra  marmorea  frammentaria;  ne  rimangono  sei  pezzi  che,  riuniti,  costitui- 
scono gran  parte  del  testo  della  seguente  iscrizione  : 


\ 


M-IVL  io  .    1F-  VOL-  RO  mu  LOPROCos. 

EXT  R  A    sort  E  M  •  P  R  O  V  inciae  M  A  C  E  D  O  N  1  ae 

\ 
LEGATO  propK-  PROVINctae      PRO-    PRAEr 

FRVMEN\/i    c/a\jDIEXS-C      le  G  ATO   PROPiJ. 

ITERVM 

LEGATO- 


ì  N  ( 


E-PRAETORl 
\ivi    <jÌ.AVDll-LE&    x  V  •  APOLLIN  AB/ 


provi 'INC  I  AE*  ASI  ia 


ADLECTO  /ni  p  LEBlS-A-DlVo  •  CL-AJ  D 
SERVIRÒ   EO)  ut /u  MROMANO!IVEQVl-5)«W. 
.VM-TRIB-Mi7   ITV.ot 


o 


L'iscrizione,  eertamente  funebre  e  già  appartenente  ad  una  delle  tombe  fìanchcg- 
gianti  la  via  Appia,  contiene  il  cursus  honorum  misto  di  M.  lulius  f. ,  Vol(linia  tribù), 
Romulus,  nell'ordine  discendente. 

Appartenne  dapprima  all'orbo  equestri/!  ;  come  ufficiale  montato,  fu  trihnnus 
mililum  in  una  legione  o  in  una  coorte,  ed  ebbe  poi  un'altra  delle  funzioni  preparatorie 
alla  carriera  equestre,  che  ci  è  ignota  per  essere  il  marmo  mutilo.  Fu  quindi  tevir 

(')  Cfr.  G.  B.  De  Rossi,  Bullettitw  di  archeologia  cristiana,  1865,  pag.  92  segg.  ;  ivi  egli  com- 
menta la  frase  ad  religionem  pertine.ntes  meam  che  ft  assai  somigliante  a  quella  della  nostra  epigrafe. 
Questa  frase  si  legge  in  un'iscrizione  trovata  presso  il  cimitero  cristiano  detto  di  Nicomede  sulla  via 
Nomentana  (C.  I.  L.,  VI,  10412). 


REGIONE    I.  —    347    —  VELLETRI 


eq(uilu)m  romanor(um)  equ(o)  p[ubl(ico)],  cioè  preposto  ad  una  delle  sei  hirmac  di 
cavalieri  romani,  onorati,  per  imperiale  concessione,  dcllVgitMs  ftublieus. 

A  queste  cariche  della  carriera  equestre  segue  la  funzione  di  passaggio  alla  car- 
riera senatoria  per  concessione  dell'  imperatore  Claudio  (a.  42-54),  che  lo  ascrisse, 
mediante  Vadleetio,  tra  i  tribuni  plebis.  Leggesi  infatti  nell'iscrizione:  adleclus 
[_lrih(unus)  p~Jebis  a  divo  Claudio.  Le  cariche  assunte  dal  nostro  personaggio  nel  per- 
correre la  carriera  senatoria  sono  le  seguenti  : 

1)  legatus  d[ivi  Claudi  leg(ionis)  \x~\u  Apollinar(is).  I  legati  legioni*,  comandanti 
di  una  legione,  erano  generalmente  praetorii,  ma  se  ne  trovano  anche  fra  i  tribunicii; 
come  tale  M.  Iulius  Romulus  fu  preposto  dall'imperatore  Claudio  al  comando  della 
XV  legio  Apollinaris. 

2)  praetor. 

3)  legatus  prò  pr(aetore)  iterimi  [prori]neiae  As[ia]e,  ossia  coadiutore,  nel  governo 
della  provincia  di  Asia  del  proconsul.  Fu  confermato  in  tale  carica  (iterum):  d'or- 
dinario Viteratio^ndica,  la  conferma  fatta  nella  carica  da  un  nuovo  imperatore.  Nel 
nostro  caso,  morto  Claudio  nell'a.  54  e  succedutogli  Nerone,  questo  avrebbe  confer- 
mato M.  Iulius  Romulus  nell'ufficio  di  legatus  prò  praetore.  prorineiae  Asiae. 

4)  prò  praef(ecto)  frumenti  da]ndi  ex  s(enatus)  consulto).  La  voce  prò,  che  pre- 
cede, deve  far  parte  di  questa  carica,  quantunque  ciò  non  abbia  raffronti.  Comunque, 
od  effettivamente  o  per  subordinato  incarico,  M.  Iulius  Romulus  fu  praefpctus  fru- 
menti dandi  ex  s.  e.  in  uno  dei  primi  anni  del  regno  di  Nerone  (a.  54-68). 

Viene  ad  aggiungersi  alla  serie  di  tali  magistrati  (*),  nominati  dal  senato  fra 
i  praetorii  in  occasione  di  straordinarie  fniHicntofóun/'s  elargite  dall'imperatore  a  spese 
dell'erario  e  distribuite  a  cura  del  senato  stesso  (*).  Per  il  fatto  che  nella  serie  di  tali 
praefeeli  eravi  finora  una  lacuna  che  andava  dal  tempo  di  Claudio  a  quello  di  Traiano, 
il  Kornemann  (3)  ed  il  Rostowzew  (4)  hanno  creduto  che  tale  carica  sia  stata  abolita 
da  Claudio  e  poi  ripristinata  da  Traiano.  La  nostra  epigrafe  farebbe  restringere  al- 
quanto la  lacuna  indicando,  che  anche  durante  il  regno  di  Nerone  furono  nominati 
praefecti  o  prò  praefeeti  frumenti  dandi  ex  s.  e. 

5)  legatus  [prop]r(aetore)  provin[eiae].  In  questo  punto  il  nostro  marmo  presenta 
una  difficoltà  ;  lo  spazio  da  supplire  tra  la  voce  provili....  e  la  seguente  prò  non  è  suf- 
ficiente se  non  per  completare  la  parola  provin[ciae].  Si  ha  pertanto  una  indicazione 
incompleta,  non  essendo  specificatala  provincia  nella  quale  M.  Iulius  Romulus  eser- 
citò il  suo  mandato  di  legatus  prò  praetore.  Sappiamo  che  un  M.  Iulius  Romulus  tu 
legatus  ino  praetore  provineiae  Sardiniae  nell'anno  69,  in  sottordine  al  proconsul 
L.  Helvius  Agrippa  (C.I.L.,  X,  7852).  Soltanto  due  anni  prima,  nell'a.  67,  ì&  Sardinia, 
da  provincia  procuratoria  imperiale,  era  divenuta  di  nuovo  senatoria,  per  poi  tornare, 
dopo  breve  intervallo  di  tempo,  un'altra  volta  imperiale  con  Vespasiano.  Non  credo 
esservi  dubbio  che  il  legato  della  Sardinia  dell'a.  69  sia  lo  stesso  personaggio  della 

(')  Cfr.  L.  Cantarelli,  in  Bull,  della  Commiss,  archeol.  comun.  di  Rama,  1896,  pag.  217  segg. 

(•)  Cfr.  G.  Cardinali,  in  Dizionario  epigrafico  di  antichità  romane  .li  E.  De  Ruggiero,  s.  v.  .  Fru- 

raentatio.,  III,  pag.  248. 

(»)  Kornemann,  in  Real  Kncyclopaedie  von  l'anh,-\Vtssowa,  B.  v.  Curatore*,  IV,  pag.  177.». 
(')  M.  Rostowzew,  Tessere  romane  di  piombo  (testo  russo),  pag.  72,  318  segg. 


VELLETRI  —    348 


REGIONE   I. 


nostra  iscrizione  e  che  l'indicazione  della  carica  di  cui  ci  occupiamo  debba  essere  : 
\egatu8  [prò  p]r(aetore)  provin[ciae]  (Sardiniae). 

6)  proc[o(n)s(ul)\  extra  [sort]em  prov[inciae]  Maeedoni[ae}.  11  coronamento  della 
carriera  di  M.  Iulius  Romulus  fu  il  governo  della  provincia  senatoria  pretoria  della 
Macedonia,  che  gli  fu  attribuito  eccezionalmente  dal  senato  extra  sorteti,,  derogando 
cioè  dalla  consueta  estrazione  a  sorte  fra  i  senatori  candidati  al  governo  delle  provìncic. 

Non  essendovi  nella  nostra  epigrafe  alcun  accenno  a  magistrature  municipali, 
non  è  possibile  di  decidere  se  M.  Iulius  Romvlus  fu  cittadino  velitcrno,  tanto  più  che 
è  tuttora  incerto  a  quale  tribù  fosse  ascritta  la  colonia  di  Velitrae.  Egli  appartenne 
alla  tribù  Voltinia,  mentre  Velitrae  sembra  abbia  appartenuto  alla  Outiumma  (C.I.L., 
X,  6555)  od  alla  Quirino  (C.  I.  L.,  X,  6576). 

2)  Frammento  di  lastra  marmorea  con  cimasa  a  cuori  e  resto  di  un'iscrizione 
sepolcrale  con  grandi  lettere,  alte  cm.  8,  di  buon  durlus,  che  la  fanno  risalire  alla  prima 
metà  del  11  secolo  dell'impero  (m.  0.69  X  0.61  X  0.04)  : 

• 

p.  vai  E  R  I  V  S  *  P  *  L»  A  P  O   


Q,  V  I  N  Q  *  C  O  N  legi  fahrum 
tignuarioKP^t_LyjS^T-Rrì^ 

Il  defunto  fu  [mag(istcr)]  quinq(uennalis)  eon[legi  fabrum  lignuario]r(ini,),  con 
tutta  probabilità  di  Velitrae  (cfr.  C.I.L.,  X,  6585).  Seguiva  l'indicazione  numerica  del 
lustrimi  collegiale  che  egli  aveva  esercitato  nella  sua  qualità  di  quinquenne /*. 

3)  Grande  lastra  marmorea  frammentaria,  con  iscrizione  sepolcrale  ("metri 
1,28  X  0,76X0,03). 


TI'CLAVDIVS-CELA, 

REDEMPTORINTESTINARIVSFECIT« 
CLAVDIAESYNTYCHECONIVGICA*, 
ET-  IVLIAE-  NEREIDI  •  ET-  L  I  B  iL* 

LIBERTABVSQVESVIS-POSTERISQVE-EORVM-EXCEPTO-FAVST/o  et 
SABINA  •MALISLIBERTIS-HVICMONVMENTOTVTELAE-NOMINe/  ceda 
C VMT ABERN AET- AGRO-I VGERIBVS •  PLVSMIN VS- OCTOITAVTIOMQVE  Ut  prò 
INDIVISO  PARTEM-DIMIDIAM-  HA  C-  LECE-  ET  ■  CONDIClOUe  ul  quod 
RELICTVM  •  EST  •  POSSIDEANT  •  NEQVE  •  DE  •  MANIBVS  •  EORVjil  exeat  et 

LICIAT-    V  L  L  I    •    ABALIENARE-AVT    •     V  E  ti  Ù  ere 
HOC    •    MONIMENTVM    ■    SIVE    •    SEPVLCHRVM    •     EST     cum    aqro 
ET-      TABERNA-     ET-     HORTO-      HEREDEM     •     N0rt   sequelur 


REGIONE    I. 


—  349  — 


VELLETRI 


È  da  rilevare  la  professione  esercitata  dal  fondatine  del  sepolcro  77.  Clau- 
dia*  Cela  [il us],  che  fu  redemptor  intestinarius,  e  cioè  appaltatore  di  quei  lavori 
da  falegname  di  rifinitura  interna  degli  edifici  (intestmum  opus),  quali  le  intra- 
vature ed  i  lacunari  dei  soffitti,  le  intelaiature  delle  finestre  e  delle  porte,  i  pian- 
ati in  legno,  ecc.  (cfr.  Vitruv.,  IV  4,  V  2,  VI  3;  Varrò,  de  re  rust.,  111,  1  :  ('od. 
Theod.,  XIII,  4,  2). 

Il  sepolcro  fu  destinato  da  Ti.  Claudius  Celadus  a  sé,  a  sua  moglie  Claudia 
Syntyche,  a  lidia  Nereis  ed  ai  loro  liberti  e  discendenti,  con  esclusione  di  Faustus 
e  di  Sabina,  perchè  mali  liberti.  A  questa  esclusione  segue  nel  testo  dell'epigrafe 
una  disposizione  riguardante  lo  jus  sepulchri,  estratta  dal  testamento  del  fonda- 
tore, con  la  quale  egli  destina,  a  meglio  garantire  l'incolumità  della  tomba  (tuteUte 
nomino),  la  metà  del  terreno  adiacente,  di  circa  otto  jugeri,  con  una  casetta  per 
il  custode  (tàberna).  È  notevole  la  formula  riguardante  il  terreno,  ita  uti  ofptimus) 
m(aximas)que  est,  che  fu  usata  dai  giureconsulti  ad  indicare  essere  Vager  in  buono 
stato  e  libero  da  ogni  cànone  o  servitù  (cfr.  C.  I.  L.,  V,  7454;  Dig.,  I,  16,  126). 
La  parte  del  terreno  che  rimaneva  a  tutela  della  tomba  doveva  restare  prò  indi- 
riso,  ossia  di  comune  proprietà  ex  aequo  degli  aventi  diritto  alla  sepoltura,  e  non 
poteva  essere  da  alcuno  alienata  o  venduta.  L'iscrizione  termina  con  la  consueta 
formula  che  tutela  i  diritti  sepolcrali  di  famiglia,  escludendo  le  tombe  e  gli  annessi 
da  eventuali  passaggi  di  proprietà.  Può  risalire  alla  metà  circa  del  I  secolo  del- 
l' Impero. 

4)  Lastra  marmorea  sepolcrale  frammentaria  iscritta  (ni.  0,37  X  0,40  X  0,02): 


D  m. 

C-IVLIO  •  SECVN  do  saccr 
DOTI  MATRIS  deum  conia 
Gì  ET  PATRONO^  optimo 
ET  1NCOMPARAB  ili  qui  vi 

X   ANNIS    LXXXIIII  ' 

ANCT  IXS  ET  FILI  ET  AV     re 
LIVS  QVINTVS  CONVIC 
TOR  FECERVNT  BENEMER 
ENTI  CVM  QVO  VIXIT  ANNIS 
VIGINTI    SEPTE  B 


Il  defunto,  che  raggiunse  la  bella  età  di  84  anni,  fu  sacerdote  municipale  di 
Cibele  (Maler  deorum).  Tra  i  dedicanti  la  tomba  vi  è  Aurelius  Vietar,  che  fu  suo 
nmriHor,  ossia  ebbe  con  lui  consuetudine  di  vita  famigliare.  Confidar  è  anche  chi 
fa  parte  di  uno  stesso  collegio^*  HwTepvlo  resei  noletlt). 


VELI-ETRI 


—    350 


REGIONE    I. 


5)  Parte  sinistra  di  una  tabula  lusoria,  in  tre  pezzi  (ni.  0,80  X  0,03  X 0,02) : 


ri  locu 


D  A  L  V  S  O 

r^. 

S1DS3N 

rosone 

V  I  C  T  V  S 

r^j 

ouspnj 
recede 


È  facile  supplire  il  testo  della  parte  mancante,  riferendosi  ad  altre  tabular  lu- 
soriae  analoghe  rinvenute  presso  il  Castro  Pretorio  e  nel  cimitero  di  S.  Agnese  fuori 
le  mura  (').  Esso  così  suona:  di  lusori  locit(m),  liniere  nescis,  rictus  recede  (o  leva  le). 
Essondo  due  i  giuocatori,  il  vincitore  schernisce  il  vinto,  e  lo  deride  dandogli  del- 
l'inetto,  ed  invitandolo  ad  allontanarsi  sconfitto  ed  a  lasciare  il  posto  ad  un  altro 
giuocatoro. 

Riferisco  ora  alcune  iscrizioni  cristiane  rinvenute  fuori  posto  durante  lo  scavo. 

1)  Lastra  marmorea  (m.  0,50  X  0,66  X  0,04)  (*)  : 


A    $    (O 

BONE     MEMORIE 

GÈ N ESO  QVI 

BIXIT 

ANNOS  LXXII  MEN 

II II  -  D 

XI 

DEP-VIKAL  AVG 

IN  PACE 

m 

2)  Lastra  marmorea  rotta  in  due  pezzi  (m.  0,41  X  0,45  X  0,03)  (3)  : 


Y 

LEO    QVI    VIXIT    AN 

A 

NOS    N    XXVII    CVM 

VXORE  MENSIS  N   X 

DEPOSITVS  X    KAL. 

OCTOBRIS 

(  )  Cfr.  L.  Bruzza,  Tavole  tutorie  det  Castro  Preorio,  in  Bull,  della  Commiss,  archeol.  comunale 
ili  Roma,  1877,  pag.  94  scg. 

«  (-)  (ìià  edita  con  lettura  incompleta  in  queste   Notizie  degli  ICOOi,  1922,  pag.  261,  ed  in    Nuoto 
Hiilliltiiio  di  archeologia  cristiana,  a.  XXVHI  (li>22),  ]iag.  135. 

(•')  (ìià  edita  in  Nuovo  bnlMtiiut  di  archeologia  cristiana,  a.  XXVIII  (1!'22),  pag.  136. 


REGIONE    1. 


—  351 


VULUSTllI 


3)  Lastra  marmorea  frammentaria  in  22  pezzi  che  riconnessi  danno  il  seguente 
resto  d'iscrizione  sepolcrale  cristiana  (ni.  0,74  X  0,92  X  0,02)  : 


JTA    VERSORVM    NOMEN    SCIRE^QVr 

IERITA  QVESQVET  IN  PACE  FIDELESl 

pa  /  IlENTES    VT    POSSVNT    FLETVS   OPTV   TIB*      dare 

/ECCE  VENIT  TEMPVS  VBI  MERITI  PECCA 

SEMPITERNE    DEVS    MISERERI    OS5IBVS    ISU/s 

jCERTIS    CALENDIS    DIEM     M  O  R  i ^T-ALJ*/ 

A  N  N  V  S     OCTO     V  I  X  I  T    VENIT   die   }(oVì?mbrcs 
S  E  P  T  I  M  A    POS    DECIMA    I  N  '•■   *  /O  M  N  I O  I   paeis 

1 

palomba 


palomba  j  $$> ,. 


È  l'iscrizione  funeraria  di  una  fanciulla  di  otto  anni,  di  nome  Merita,  deposta 
il  decimo  settimo  giorno  di  novembre,  [die]  nove[mbri$]  aeptima  pos(t)  d>n'»ta.  Que- 
sta data  è  espressa  con  la  miniera  più  semplice  e  naturale  di  numerare  in  ordine  pro- 
gressivo i  giorni  di  ciascun  mcso,  ciò  che  si  cominciò  a  praticare  nel  corso  del  V  secolo. 
L'iscrizione  è  redatta  in  versi  ritmici,  detti  quasi  versus,  il  cui  uso  ebbe  principio  fin 
dal  IV  secolo  dell 'é. a  nostra. 

Si  rinvennero  inoltre  un  acroterio  a  palmctta  di  travertino  (m.  0,3")  X  0,28  X  0,10ì, 
una  punta  di  lancia  di  rame  a  foglia  di  alloro  con  cottolo  e  due  alette,  ed  una  specie 
di  puntale  di  asta  di  rame  con  tracce  di  doratura. 

* 
*  * 

Il  viandante  che  proveniva  da  Roma  percorrendo  la  via  Appia.  oltrepassato  il 
XXI  cippo  miliario,  trovava,  poco  più  lungi  da'  luogo  ove  è  avvenuta  la  scoperta  del 
piccolo  cimitero,  sulla  sua  destra  una  via  che  lo  conduceva  a  Velitrae  ed  a  sinistra 
un  diverticolo  verso  il  mare  (»)  (vel.  fig.  2).  Attorno  a  questo  quadrivio  doveva 
estendersi  una  stailo  o  mangio  dell' Appia:  ed  infatti  chi  investighi  tutt'attorno  i  vi- 
gneti può  riconoscere  essere  il  suolo  cosparso  di  ruderi  e  di  tracce  di  abitato.  Questo 
piccolo  centro  fu  già  riconosciuto  da  vari  autori  (*)  essere  la  mnwio  ad  Sponsas, 
menzionata  nell'itinerarium  Hierosolymitanum  o  Burdigalmse  (3). 

(')  Cfr.  E.  Desjardins,  Essai  sur  la  topographie  dn  Latiwn,  pag.  129  ;  O.  Nardini,  Notizie  degli 
srari,  pag.  138  segg.,  fig.  2. 

(•)  A.  Ricchi,  Lareggiadei  Volsei,  pag.  248;  G.  R.  V.  lpi,  Yelas  Laìium  profanum,  tnm.  IV, 
pag.  48;  Teoli,  Storia  di  Velletri,  pag.  40;  A.  «orgia.  Misulhtiia  IVWv.i;,  m».  LVIII,  28,  n.  14. 

(J)  Cfr.  M.  Fortia  ri' Urban,  Récueil  des  itinéraires  ancien*,  pag.  102.  La  munito  fu  forse  così  chia- 
mata da  un'insegna  d'osteria  raffigurante  due  coniagi  che  si  te.igoao  per  le  mxni  (cfr.  G.  Tomassetti, 
La  campagna  romana,  II,  pag.  381). 


VELLl.TKt 


—  Bà2 


HE010NE   1. 


Dalla  stesso  itinerario  sappiamo  che  la  sfatte  <id  tre*  Tabernas  precedeva,  per 
chi  veniva  verso  Roma,  soltanto  di  circa  tre  miglia  la  fermata  ad  Bponeas.  Ora.  pre- 
cisamente a  ó  km.  all'incirca  più  lungi  da  Roma  dalla  località  Solluna,  ove  si  rico- 
noscono le  tracce  del  quadrivio  ed  i  ruderi  della  mcmsio,  è  un  luogo  detto  «  le  Castella» 


Fig.  4. 


nel  quale  sono  state  rinvenuti  resti  di  un  vasto  abitato'(').  Ivi  presso,  Antonio 
.Nibby  (*)  pose  le  Tres  Tabernae,  corretto  poi  dal  De  la  Blanchère  che  le  situa  più 
lungi,  presso  il  ponte  di  Mele  (3)  e  dal  Kiepert  che  ne  fissa  l'ubicazione  oltre  Cisterna  (4). 
Credo,  per  le  ragioni  su  esposte,  essere  più  vicina  al  vero  l'ipotesi  di  Antonio  Nibby, 
e  sarebbe  così  definitivamente  fissato  il  luogo  ove  i  primi  cristiani  di  Roma  corsero 
ad  incontrare  l'apostolo  Paolo,  già  circondato  da  altri  fedeli  che  si  erano  spinti  a 
riceverlo  fino  a  Forum  Appii,  per  accompagnarlo  alla  città  eterna  (5). 


(')  Notizie  degli  scavi,  1900,  pag.  235  segg. 

(*)  A.  Nibby,  Analisi  della  carta  dei  dintorni  di  Roma,  III,  pag.  282  seg. 
(a)  De  la  Blanchère,  La  ponte  sur  la  voie  Appietme.  in  Mélniujes  d'arelii'ol.  et  d'hisl.  de  VÉcole  fran- 
caise  à  Rome,  1888,  pag.  54  seg. 

(4)  11.   Kiepert,  Latti  mteris  tabula;  cfr.  la  pianta  annessa  al  C.  I.  L.,  vul.  X. 
(6)  Actus  apostoloruiit,  XXVIII,  16. 


REGIONE   I.  —    353    —  S-    MARIA    DI   CAPITA    VETERE 


Adunque  nella  località  Solluna  esisteva  una  mansio  della  via  Appia  che  tutto 
fa  credere  fosse  le  mansio  adSponsas,  i  cui  abitanti  di  fede  cristiana  ebbero  fin  dalla 
fine  del  III  o  dai  primordi]  del  IV  secolo  un  piccolo  cimitero  eretto  dalla  pietà  e  dalla 
munificenza  di  Faltonia  HUaritas.  Quantunque  in  territorio  di  Velilrac,  il  cimiteriolo 
non  fu  propriamente  il  veliterno  (>)  per  essere  distante  dalla  città  ben  tre  miglia  ; 
anche  le  sue  dimensioni  indicano,  che  non  fu  se  non  il  cimitero  di  una  piccola  borgata. 

G.  Mancini. 


IX.  S.  MARIA  DI  CAPUA  VETERE  —  Scoperta  di  una  cripta  mi- 
triaca  (tav.  XVII). 

Sulla  fine  di  settembre  del  1922,  in  vico  Caserma  (rione  di  S.  Erasmo),  facendo 
le  fondazioni  per  la  costruzione  di  una  casa,  si  è  rinvenuta  una  interessante  cripta 
mitriaca  con  affreschi,  che  è  stata  esplorata  solo  nella  primavera  di  quest'anno  (*). 

La  località  è  vicinissima  all'antico  Capitolium  di  Capua  (3),  attorno  al  quale  si 
conservano  numerosi  sotterranei,  appartenenti  a  costruzioni  della  città  romana  ; 
sono  dei  criptoportici,  con  volta  a  botte,  in  comunicazione  fra  loro,  illuminati  dal- 
l'alto mediante  lucernarii,  conformati  a  tronco  di  piramide,  disposti  alternativamente, 
ed  a  distanza  uniforme,  sulla  sommità  o  su  di  un  lato  delle  vòlte.  La  struttura  di 
questi  criptoportici  è  assai  rozza,  con  le  vòlte  e  le  pareti  grezze  ed  il  piano  a  battuto 
di  terriccio  e  calcinacci.  La  cripta  mitriaca  del  vico  Caserma  appartiene  ad  una  di 
queste  serie  di  sotterranei,  e  costituisce  il  vano  più  appartato  ed  occulto,  come  il 
rito  dei  misteri  richiedeva,  vano  espressamente  adattato  e  trasformato,  che  si  diffe- 
renzia dagli  altri  della  serie  per  le  pareti  e  la  vòlta  intonacate  e  dipinte. 


(')  L'esistenza  di  un  antico  cimitero  cristiano  veliterno  presso  S.  Maria  dell'Orto,  fuori  la  porta 
Napoletana,  nelle  vigne  Zara  e  Fantozzi,  fu  riconosciuta,  da  alcuni  indizi,  dal  compianto  G.  Schneider- 
Graziosi  ;  cfr.  L'antico  cimitero  cristiano  di  Velletri,  in  Bull,  della  commiss,  archeol.  Comunale  di  Roma, 
1913,  pag.  225  segg. 

(2)  Esprimo  la  mia  più  viva  riconoscenza  all'illustre  prof.  Franz  Cumont  che  mi  ha  onorato  di 
una  visita  durante  l'esplorazione  del  mitreo,  e  mi  ha  fornito,  con  la  sua  ben  nota  dottrina  sulla  reli- 
gione di  Mitra,  preziose  indicazioni  per  l'illustrazione  del  monumento,  intorno  al  quale  ha  breve- 
mente riferito  all' Académie  des  inscript,  et  belles  lettre*  (cfr.  Compie*  rendus,  1924,  pp.  112-115). 

Ringrazio  pure  pubblicamente  l'ispettore  onorario  prof.  G.  De  Bottis,  l'ing.  Roberto  Pane  ed 
il  sorvegliante  agli  scavi,  sig.  N.  Testa,  per  l'opera  da  loro  svolta  nell'esplorazione  della  cripta. 

(3)  Il  prof.  G.  De  Bottis,  dotto  conoscitore  delle  memorie  di  Capua  Veterc,  mi  ha  gentilmente 
comunicato,  che  in  un  antico  diploma  (cfr.  A.  Perla,  Capua  V etere,  p.  200),  la  chiesa  di  S.  Erasmo,  eretta 
all'epoca  angioina,  prendeva  il  nome  di  S.  Erasmo  in  Capitolio,  e  vicino  è  ricordata  anche  una  torre 
(iuxta  turrim  s.ti  Herasmi  de  Capua).  Michele  Monaco  (.Sancluarium  campatimi  p.  669)  riferisce  poi 
che  la  chiesa  anzidetta  ■  habel  titulum  in  cappella  turris  prope  cryptas,  et  eroi  ibi  eiusdem  nuneupationis 
villa  ». 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  45 


S.    MARIA    DI  CAPUA    VETERE  —   354   —  REGIONE    I. 

Il  riempimento  della  cripta  era  costituito  da  terra  mista  a  rottami  di  titoloni, 
calcinacci  e  pietrame  di  tufo,  con  cumuli  maggióri  in  corrispondenza  dei  lucernarii, 
che  hanno  servito  come  da  pozzi  di  scarico.  Solamente  nella  parte  inferiore  si 
sono  rinvenuti  gli  antichi  strati  di  infiltrazione  e  di  riempimento  del  piano,  e  si 
sono  scoperti  varii  residui  di  materiali  archeologici  che  qui  enumeriamo  : 
Nella  parte  mediana  della  cripta  : 

frammento  di  antefissa  in  terracotta,  che  riproduce  in  bassorilievo  a  stampo 
un  gruppo  di  centauri  (m.  0,15  x0,31)  ; 

tubo  di  conduttura  per  acqua,  in  terracotta,  di  forma  cilindrica  con  rastrema- 
zione da  un  lato  per  l'innesto  (lungh.  m.  0,49  ;  diam.  mass.  m.  0,24)  ; 

recipiente  di  terracotta  per  acqua,  frammentario,  con  il  corpo  di  forma  ovoi- 
dale, che  reca  sul  rigonfio  tre  aperture  circolari  equidistanti  per  l'innesto  di  piccoli 
tubuli  a  diramazione  di  condutture  (alt.  ni.  0,215;  diam.  delle  aperture  m.  0,010)  : 

frammento  di  una  lastra  marmorea  con  resti  di  rilievi  ornamentali  (metri 
0,29  X  n.  0,33)  ; 

piccola  base  di  marmo  (m.  0,21  X  m.  0,25  ;  alt.  m.  0,12),  che  porta  superior- 
mente un  incavo  di  forma  rettangolare  (m.  0,09  X  m,  0,12  ;  prof.  m.  0,025)  ; 

altra  piccola  base  marmorea  di  forma  rettangolare  (m.  0,18  X  m.  0,36  ;  alt. 
m.  0,30)  ; 

piccola  base  di  travertino,  frammentaria  nella  parte  superiore  (alt.  m.  0.30)  ; 

frammenti  di  una  colonnina  di  terracotta,  con  scanalature  sul  fusto  (alt.  me- 
tri 0,17). 

Delle  poche  monete  rinvenute  nell'esplorazione  della  cripta,  si  poterono  soltanto 
identificare  le  seguenti: 

medio  bronzo  di  Marco  Aurelio:  1?  M  •  ANTONINVS  AVG  •  TR  •  P  •  XXlll; 
testa  laureata  dell'imperatore  a  destra;  R/  SALVTI  •  AVG  -COS  -HI  S-  C  •  La  8afo», 
stante  a  sinistra,  reca  uno  scettro  ed  una  patera,  alla  quale  si  accosta  un  serpente, 
avvolto  attorno  ad  un  altare  (169  d.  Cr.)  ; 

piccolo  bronzo  di  Costanzo  Cloro:  1?  CONSTANTIVS  NOB  •  CAES-,  testa 
radiata  dell'  imperatore  a  destra  ;  R7  VOT  ■  XX  •  A ,  entro  a  corona  di  lauro  ; 

piccolo  bronzo  di  Costantino  Magno:  1?  CONSTANTIVS  MAX  •  AVG  •, 
busto  dell'imperatore  diademato  R7  GLORIA  EXERCITVS,  due  soldati  stanti  che 
reggono  un'asta,  e  si  appoggiano  ad  uno  scudo  ;  in  mezzo  vi  sono  due  insegne  militari 
ornate  di  corone  ;  nell'esergo  S  •  M  •  N  •  T  • 

Negli  strati  inferiori  si  rinvennero  qua  e  là  numerose  lucerne  fittili,  di  colore  ros- 
siccio, intere  e  frammentate  ;  appartengono  tutte  alla  forma  comune,  con  il  corpo 
semiovoidale  e  con  un  solo  beccuccio,  annerito  dal  fumo  per  l'uso,  e  sono  di  varia 
grandezza  (diam.  0,07-0,12).  La  maggior  parte  di  queste  lucerne  sono  liscie  ;  soltanto 
due  presentano  la  parte  superiore  decorata  con  rilievi  a  stampo  :  la  prima  (fig.  1,  n.  1  ) 
con  una  testa  radiata,  a  semplice  contorno  schematico,  del  Sole,  che  richiama  a  rap- 
presentazioni consimili,  come  ad  esempio  a  quella  del  rilievo  marmoreo  di  Colchester 
(cfr.  Cast*  of  romnn  brit.  sculpt.  fig.  8  ;  Reinach,  Reperì.  Ae  rélicfs,  II,  448,  n.  5)  ;  l'altra 
reca  sull'orlo  alcune  impressioni  a  sigillo  di  rosette,  e  nel  mezzo  l'iscrizione  M  E  N 
(fig.  1,  n.  2). 


REGIONE   I. 


—  355  — 


S.    MARIA   DI   OAPUA    VETERE 


All'incrocio  del  criptoportico  che  serve  da  vestibolo,  negli  ultimi  strati  di  riem- 
pimento,  si  rinvennero   i  seguenti  oggetti  : 

due  frammenti  di  lastre  marmoree  con  resti  di  rilievi  decorativi  (alt.  m.  0,11-0,13)  ; 


i  Fio.  1.  2 

due  frammenti  di  transenne,  marmoreo  (m.  '7-1  X  m.  0,36); 

frammento  di  una  base  di  tufo,  terminante  superiormente  in  una  piccola  co- 
lonnina rivestita  da  stucco  (m.  0,10  X  m.  0,15); 

frammento  di  una  lastra  marmorei,  di  forma  rettangolare  (lungh.  m.  0,13  ; 
alt.  ni.  0,C45),  con  resti  di  una  iscrizione  (fig.  2); 


Pio.  2 


numerose  lucerne  fittili,  di  colore  rossiccio,  più  o  meno  frammentarie,  della 
medesima  forma  e  dimensioni  di  quelle  rinvenute  nella  cripta  ;  sono  per  la  maggior 
parte  liscie,  una  soltanto  è  ornata  sull'orlo  da  impressioni  a  sigillo  con  rosette  e 
motivi  geometrici  ; 


S.    MARIA    DI   OAPUA    VETERE  —   356  —  REGIONE   I. 


anfora  di  terracotta  grossolana,  frammentaria  all'orificio  ed  alla  base  appun- 
tita (alt.  m.  0,41)  ; 

piccola  coppa  di  terracotta  grezza  (diam.  m.  0,045). 
Nella  medesima  parte,  qua  e  là  dispersi  nell'ultimo  strato  a  contatto  con  il  piano, 
si  sono  ritrovati  diversi  ossicini  frantumati  di  animali. 

Nello  scavo  delle  fondazioni  di  un  muro  di  rinforzo  a  sostegno  della  volta,  nel 

vano  indicato  nella  pianta  con  la  lettera  I,  si  è  rac- 
colta fra  i  pietrami  una  testina  (alt.  m.  0,08)  fittile 
di.  Minerva  (fig.  3). 

Levati  gli  strati  di  riempimento  nella  cripta  e 
nell'ambulacro  adiacente,  è  apparsa  chiaramente  la 
forma  del  mitreo,  quale  può  vedersi  nella  pianta  e 
nella  veduta  d'insieme  (figg.  4  e  5). 

Il  vano  è  rettangolare  (m.  12.18;  alt.  m.  3J22),  per- 
fettamente orientato  nella  sua  lunghezza.  Addossato' 
alla  parete  nord  (quella  ove  sta  l'affresco  di  Mitra 
tauroctono  che  esamineremo  a  suo  luogo)  vi  è  l'altare 
in  muratura,  rivestito  di  stucco  dipinto  in  rosso,  lungo 
quanto  è  larga  la  cripta  (m.  3,50),  largo  m.  1 ,57,  alto 
m.  0,68,  con  forte  inclinazione  verso  la  parete. 

Sul  davanti,  nella  parte  superiore,  vi  è  un  cana- 
letto largo  m.  0,09,  profondo  ni.  0,08,  inclinato  verso 
la  parete  laterale  nord,  dove  piega  per  un  tratto  sco- 
perto, e  poi  scompare  sotto  al  podium,  lungo  la  parete 
stessa. 
Dall'altare,  sulle~pareti  lunghe  di  nord  e  di  sud,  si  staccano  i  podio,  noi  quali 
si  distinguono  due  costruzioni  di  diversa  epoca.  I  podia  più  antichi  sono  di  forma 
assai  ristretta  (lungh.  m.  1,25;  largh.  m.  0,39;  alt.  m.  0,45)  e  risultano  costrutti 
in  calcestruzzo,  intonacati  e  dipinti  in  rosso.  Il  podium  della  parete  sud  termina 
in  una  piccola  vasca  rettangolare,  che  si  avanza  sulla  fronte  verso  l'ambulacro 
(lungh.  m.  1,28  ;  largh.  m.  0,67  ;  prof.  m.  0,55),  pure  in  calcestruzzo,  rivestita  di 
cocciopisto  e  di  stucco  dipinto  in  rosso.  Il  podium  della  parete  nord  termina,  di 
fronte  alla  vasca,  in  un  pozzetto  profondo,  che,  per  ragioni  statiche,  non  si  è  potuto 
esplorare;  in  corrispondenza  ad  esso,  nell'interno  della  parete,  vi  è  una  conduttura 
di  immissione,  che  scende  dall'alto,  ed  una  conduttura  di  scarico,  che  attraversa 
l'ambulacro.  Il  canaletto  che  dall'altare  piega  sul  podium,  lungo  la  parete  nord, 
per  un  tratto  scoperto  (lungh.  m.  0,22)  e  poi  ricoperto,  va  a  finire,  con  lieve  incli- 
nazione, nel  pozzetto,  ed  ha  il  fondo  formato  da  frammenti  di  lastre  di  marmo. 

La  presenza  della  vaschetta  e  del  pozzetto,  come  pure  i  resti  di  condutture  e  di 
recipienti  di  terracotta  per  acqua,  è  pienamente  giustificata  dal  rituale  dei  misteri 
mitriaci. 

La  pavimentazione  dell'ambulacro  fra  i  due  podia  è  fatta  di  cocciopisto,  nel  quale 
sono  stati  incastrati,  come  a  mosaico,  dei  frammenti  di  lastre  di  marmo  di  diversa 


REGIONE    I. 


357 


S.    MARIA   DI   CAPUA   VETERE 


natura;  il  pavimento  termina  al  limite  della  vasca  e  del  pozzetto,  ed  è  contenuto  da 
lastre  di  marmo  bianco,  dello  spessore  di  m.  0,06,  poste  per  taglie.  Tutto  il  rimanente 
piano  della  cripta,  come  pure  quello  del  criptoportico  che  serve  da  vestibolo,  è  for- 
mato da  un  battuto  di  terriccio  e  calcinacci. 


e 

a, 

... 

« 

i  F 

r. 

sii.  A -3 


o  S 


I 
1 


M 


Fig.  4. 


In  un  periodo  successivo  i  podio  Furono  ingranditi,  portandosi  con  la  fronte 
sulla  stessa  linea  della  vaschetta  e  del  pozzetto,  rendendo  così  più  stretto  l'ambulacro 
centrale  che  conduceva  all'altare  (in.  0,84).  Questi  podi/i  più  recenti,  prolungati  sulle 
pareti  laterali  per  m.  8,36,  hanno  una  larghezza  di  m.  0,90,  incorporando  i  podio 
più  antichi,  la  vaschetta  ed  il  pozzetto.  La  loro  costruzione  è  assai  rozza,  e  consiste: 
all'esterno,  verso  l'ambulacro,  in  muretti  di  parapetto,  formati  di  materiale  vario, 


S.  MARIA  DI  CAPUA  VETEKE 


—  358  — 


UEOrONE  I. 


intonacati  solo  per  lieve  strato  nei  piedritti;  all'interno,  in  un'opera  a  sacco,  assai 
grossolanamente  eseguita  con  scarico  di  materiale  vario  (pietre  di  tufo,  frammenti 
di  tegoloni  e  di  vasi  di  terracotta,  pezzi  di  marmo  e  di  intonaco  di  stucco);  dello 
stesso  materiale  erano  ricoperti  la  vaschetta  ed  il  pozzetto,  che  venivano  così  an- 
ch'essi mascherati  da  questi  podia  di  ulteriore  costruzione,  i  quali  presentano  una 
lieve  inclinazione  verso  le  pareti  della  cripta,  come  si  è  riscontrato  anche  in  altri  mitrei. 


Fio.  5. 


Sulle  pareti  verticali  dei  podia,  in  luogo  della  vaschetta  o  del  pozzetto,  si  aprono 
due  nicchie  quadrate  (alt.  0,32;  largh.  0,33;  prof.  0,30),  consimili  a  quelle  ritrovate 
altrove  (mitrei  di  S.  Clemente,  di  Spoleto  e  di  Ostia)  (l),  destinate  con  tutta  proba- 
bilità a  custodire  dei  recipienti  di  acqua  lustrale  per  le  cerimonie  purificatone. 

Nella  ripulitura  delle  pareti  si  sono  ritrovate  tracce  copiose  di  graffiti,  anche  con 
iscrizioni  :  di  queste  però  soltanto  una  è  parzialmente  leggibile  (....  MODVM),  sulla 
parete  sud,  in  fianco  all'altare. 

La  decorazione  delle  pareti  e  della  vòlta  concorda  perfettamente  con  le  parti 
della  costruzione  più  antica,  e  risale  quindi  indubbiamente  all'adattamento  primi- 
tivo della  cripta  al  culto  mitriaco. 


(*)  Cfr.  Cumont,  Notes  sur  un  tempie  mithriaque  d'Ostie,  p.  10  sg. 


REGIONE    I.  —    35<J   _  8<    MARIA    DI    CAPUA    VETERE 


Tanto  la  vòlta  quanto  le  pareti  della  cripta  sono  rivestite  di  stucco,  e  questo  in- 
tonaco si  arresta  nel  passaggio  al  criptoportico  che  serve  da  vestibolo. 

Il  cielo  della  vòlta  è  dipinto  con  stelle  a  sei  punte,  eseguite  a  stampo  uniforme, 
di  colore  verde  e  rosso-mattone,  che  spiccano  sulla  tinta  giallognola  del  fondo.  Il 
medesimo  colore  di  fondo  ricorre  anche  sull'intonaco  delle  pareti,  limitate  superior- 
mente da  una  larga  fascia  all'altezza  dell'aggetto  della  vòlta,  e  da  un'altra  fascia,  nella 
parte  inferiore,  la  quale  non  segue  una  linea  continua,  ma  si  solleva  in  corrispondenza 
ai  podici,  più  antichi,  indicando  così  chiaramente  una  contemporaneità  di  esecuzione. 
Queste  fasce  orizzontali,  alla  base  e  sull'alto  delle  pareti,  sono  congiunte  da  faseie 
verticali,  che  determinano  una  suddivisione  delle  pareti  stesse  in  tanti  riquadri  di  dif- 
ferenti dimensioni. 

Le  fasce  sono  di  un  colore  rosso-mattone,  eseguite  a  mano  libera  e  perciò  assai 
irregolari. 

Sulla  parete  breve  di  ponente  sta  l'affresco  con  la  scena  di  Mitra  tauroctono 
(tav.  XVII).  La  scena  abbraccia  tutta  intera  la  parete  sopra  l'altare  ;  solo  inferior- 
mente ricorre  a  guisa  di  zoccolo  marmoreo,  fra  l'altare  ed  il  quadro,  una  fascia  di- 
pinta in  verde  antico. 

La  vòlta  serve  a  contornare  mirabilmente  il  quadro,  seguendo  la  conformazione 
della  grotta,  dipinta  in  colore  brunastro  sullo  sfondo,  che  si  distacca  dal  cielo  azzurro 
chiaro  ;  entro  la  grotta  spicca  la  figura  di  Mitra  che  compie  il  sacrificio  del  toro. 

Il  nume,  con  un  ginocchio  sulla  groppa  ed  un  piede  sulla  coscia,  gravita  sul  toro 
atterrato,  afferrandolo  con  la  sinistra  per  le  narici,  mentre  lo  colpisce  con  la  destra 
per  mezzo  di  un  pugnale,  la  cui  guaina  gli  pende  dal  fianco.  La  foga  di  quest'atto 
esprime  tutta  l'agilità  e  la  vigorìa  del  nume  invincibile,  in  contrasto  con  il  dolore  della 
vittima,  che  contrae  le  membra  nello  spasimo  supremo  della  morte.  Il  viso  dell'eroe 
è  alquanto  danneggiato,  ma  si  intravvedono  chiaramente  i  lineamenti  giovanili  e  la 
espressione  patetica  nello  sguardo  rivolto  al  cielo,  nella  contrazione  delle  ciglia  e 
delle  labbra,  alla  quale  espressione  conferisce  il  contorno  dell'abbondante  capigliatura 
inanellata  e  sollevata  sulla  fronte. 

Nel  vestiario,  il  nume  conserva  il  tipo  orientale,  ed  è  interessante  la  varietà  dei 
colori,  nei  quali  è  riposto  un  particolare  significato  simbolico.  Mitra  veste  una  tu- 
nica di  colore  rosso,  con  sopramaniche  e  polsi  verdi,  ornati  di  frange  giallo-oro  ;  di 
colore  verde  è  pure  la  zona  della  tunica  con  le  orlature  ed  il  motivo  decorativo  a  cane 
corrente  in  giallo  oro.  Le  anassiridi,  come  la  tunica,  sono  di  colore  rosso,  con  bande 
in  verde,  ricamate  in  giallo-oro  con  stelle  a  croce  ed  a  cerchielli  variati.  Il  berretto 
frigio,  di  colore  rosso,  è  similmente  ornato  da  una  zona  mediana  in  verde,  ricamata 
e  frangiata  d'oro.  Il  mantello  è,  come  le  altre  parti  del  vestiario,  di  color  rosso,  or- 
lato di  verde  e  ricamato  e  frangiato  d'oro  ;  ma  la  fodera  sottostante  è  azzurra,  or- 
nata da  sette  stelle  in  giallo-oro,  simbolo  evidente  della  vòlta  del  cielo  con  i  pianeti. 
In  giallo  sono  dipinti  i  calzari,  l'elsa  e  la  guardia  del  pugnale. 

Questa  dovizia  di  colore  delle  vesti  contrasta  con  la  bianchezza  del  toro,  sulla 
quale  si  nota  il  candore  della  dentatura,  il  rosseggiare  delle  narici  e  del  sangue  che 


S.  MARIA  DI  CAPUA  VETKRE  —  360  —  REGIONE  I. 


esce  dalla  ferita,  il  colore  giallo-oro  delle  corna  e  delle  spighe  di  grano,  che  spuntano 
dalla  ebda  nel  momento   supremo   del   sacrificio. 

Il  trionfo  del  nume,  simboleggiante  la  potenza  vivificatrice  del  sole,  porta  un 
completo  sconvolgimento  nella  natura  rinnovellata,  e  tutte  le  altre  figure,  che  circon- 
dano il  gruppo  centrale,  hanno  una  parte  diretta  nell'azione  :  il  cane,  dal  pelo  fulvo 
maculato,  si  drizza  verso  la  ferita  del  toro  per  lambirne  il  sangue,  fonte  della  vita  ; 
lo  scorpione  punge,  con  le  acute  sue  branche,  i  genitali  del  toro  morente  (evidente 
opposizione  fra  i  due  segni  dello  zodiaco  che  i  due  animali  rappresentano)  ;  il  serpe, 
con  il  dorso  a  squame  brunastre  ed  il  ventre  verdognolo,  striscia  di  sotto,  e  solleva  la 
testa,  protendendo  la  lingua  bifida  per  raccogliere  il  sangue  che  scende  a  terra. 

Ai  lati  di  Mitra  tauroctono  stanno  i  due  dadophoroi,  in  costume  frigio,  armati  di 
arco  e  di  faretra,  l'uno  con  la  face  sollevata  (Cautes),  l'altro  con  la  face  abbassata 
(Cautopates),  doppia  inrearnazione  del  nume  che  al  mattino  s'innalza,  ed  alla  sera 
declina  sull'orizzonte,  e  si  innalza  o  si  abbassa  sulla  terra  negli  equinozi  di  prima- 
vera e  di  autunno. 

Vestono,  come  il  nume,  la  tunica  con  sopramaniche,  le  anassiridi,  il  mantello,  il 
copricapo  frigio  ed  i  calzari  ;  l'arco,  la  faretra  e  la  fiaccola  sono  dipinti  in  giallo-oro. 

Il  vestiario  tuttavia  si  differenzia  nei  colori,  con  evidente  significato  simbolico 
della  luce  solare  alla  nascita  ed  al  tramonto  :  in  Cautes,  la  tunica  e  le  anassiridi  sono 
di  colore  giallognolo  con  le  orlature  ricamate  (meandri)  e  le  bande  in  verde,  ed  il  man- 
tello ed  il  copricapo  sono  di  colore  rosso  ;  in  Cautopates,  solo  il  berretto  frigio  è  rosso, 
mentre  invece  la  tunica  e  le  anassiridi  sono  rese  con  una  tinta  grigiastra  ed  il  mantello 
è  bianco  ;  notevole  è  il  ritaglio  quadro  (tabula),  ricamato  in  verde,  che  adorna  la 
tunica  all'altezza  del  petto. 

Sull'apertura  della  grotta  fanno  capolino,  con  la  parte  superiore  del  corpo,  il 
Sole  da  un  lato  e  la  Luna  dal  lato  opposto,  i  due  dèi  luminari  che  fecondano  la  natura. 

Il  Sole,  dalla  capigliatura  rossiccia,  è  ricoperto  da  un  manto  di  colore  rosso, 
e  regge  uno  scettro  dorato.  Dal  nimbo  radiato  in  oro,  che  gli  circonda  il  capo,  si 
stacca  un  raggio  luminoso,  che  si  protende  nella  direzione  di  Mitra  ;  davanti  al  Sole, 
appollaiato  su  una  roccia  sporgente,  sta  il  corvo,  messaggero  del  dio  della  luce.  La 
Luna,  coronata  dal  crescente,  veste  un  mantello  di  colore  bianco,  e  l'incarnato  del 
volto  spicca  sul  colore  rosso-bruno  della  capigliatura,  che  scende  sulle  spalle  e  sul  petto. 

Alle  due  figurazioni  del  Sole  e  della  Luna  sul  cielo  corrispondono  in  basso  quelle 
dell'Oceano  e  della  Terra.  L'Oceano  è  barbato,  con  le  chele  di  aragosta  che  escono  dalla 
folta  capigliatura  ;  la  chioma  e  la  barba  sono  dipinte  con  diverse  gradazioni  di  blou, 
sul  quale  spicca  il  colore  rosso-bruno  del  volto,  delle  chele  e  degli  orecchi.  La  testa  della 
Terra  ha  il  volto  colore  incarnato,  circondato  da  una  lunga  capigliatura  di  colore  ver- 
dognolo, che  simboleggia  la  vegetazione. 

L'immagine  di  Mitra  tauroctono,  con  tutte  le  altre  figurazioni  simboliche,  corri- 
sponde nel  quadro  generale  all'estrinsecazione  che  del  mito  offrono  gli  altri  monumenti 
dell'arte  romana.  La  novità  invece  consiste  nel  fatto  che,  mentre  le  altre  figura- 
zioni sono  scolpite  in  bassorilievo  ovvero  a  tutto  tondo,  la  nostra  invece  è  dipinta  ad 
affresco  sulla  parete.  , 


REtìlONE   f.  —   361   —  S.    MARIA   DI   OAPUA    VF.TKRÈ 


Rare  sono  le  cripte  mitriache  finora  note  (Spoleto,  Ostia),  con  figurazioni  dipinte, 
nonostante  che  di  un  mitreo  affrescato  si  avesse  il  ricordo  di  una  iscrizione  di  Tolt- 
schach  (C.  /.  L.  Ili,  4800). 

Di  immagini  poi  dipinte  di  Mitra  tauroctono  il  Cumont  (')  dà  contezza  solo  delle 
seguenti,  scoperte  in  mitrei  di  Roma  : 

a)  della  casa  dei  Nummi  (Bull,  coni.,  1886,  p.  17  sgg.  ;  Cumont,  op.  cit, 
monum.,  11). 

b)  della  casa  di  Tito  (Bull,  com.,  1895,  p.  178  sgg.  ;  Reinach,  Reperì,  des  pein- 
tures,  p.  29,  n.  2).  (Turnbull,  A  curious  eollect.  of  ancien!,  painlings,  tav.  9)  (2). 

Nessuna  però  di  queste  pitture  può  reggere  il  confronto,  per  la  grandiosità  della 
composizione  e  per  lo  stile,  con  il  nostro  affresco. 

La  scena  dipinta,  abbracciando  tutta  intera  la  parete,  offre  un  magnifico  sfondo 
alla  cripta,  che,  avendo  la  vòlta  costellata  di  stelle,  come  nel  mitreo  di  S.  Clemente, 
doveva  dare  ai  fedeli,  nella  celebrazione  dei  misteri,  l'illusione  del  sacro  spelaeum, 
simbolo  del  mondo  terrestre  (Porph.,  de  antro  nympho,  5)  dove  il  nume  ha  compiuto 
l'uccisione  del  toro,  e  dal  quale  ò  uscito  vittorioso.  La  grotta  è  rappresentata 
come  sfondo  del  quadro  ;  entro  ad  essa  sta  il  nume  sacrificante,  con  tutte  le  figu- 
razioni simboliche  :  sull'alto  il  cielo  azzurro  con  i  due  astri  luminari,  ed  in  basso  le 
immagini  dell'Oceano  e  della  Terra  completano  la  triade  suprema  del  pantheon 
mitriaco  (3). 

La  composizione  centrale  della  scena  non  offre  alcun  particolare  notevole  di  dif- 
ferenziazione, se  si  eccettui  lo  sfarzo  delle  vesti  policrome  del  nume  e  dei  due  dado- 
phoroi.  Il  Sole  e  la  Luna  sono  figurati  a  semplice  busto,  senza  traccia  dei  loro  veicoli 
celesti  ;  l'uno  con  il  mantello  purpureo,  l'altra  con  la  veste  bianca,  a  significare  la 
diversità  della  loro  luce. 

La  luce  del  Sole  penetra  nella  grotta,  cioè  nell'oscurità,  e  va  ad  illuminare  il 
nume,  in  segno  di  saluto  per  la  sua  vittoria.  Il  particolare  del  raggio  che  dal  nimbo 
del  Sole  si  stacca  verso  Mitra  si  ritrova  in  altre  figurazioni  (*)  : 

a)  bassorilievo  scoperto  a  Roma  nella  Suburra  (Annali  delVInst.  1864,  tav.  N, 
p.  177  sgg.  ;  Cumont,  op.  cit.,  monum.,  14); 

b)  bassorilievo  scoperto  a  Roma  nell'Esquilino  (Bull,  com.,  1874,  tav.  XX; 
Cumont,  op.  cit.,  monum.,  16). 

e)  bassorilievo  scoperto  a  Capri  al  Museo  Nazionale  di  Napoli  (Mus.  borb.,  XIII, 
22  ;  Ruesch,  Guida,  n.  671  ;  Reinach,  Reperì  des  reliefs,  III,  77,  n.  2  ;  Cumont,  op.  cit., 
monum.  95). 

Così  per  la  posizione  del  corvo,  l'uccello  messaggero  del  Sole,  si  trova  un  bellis- 
simo riscontro  con  il  bassorilievo  di  Capri. 


(')  Cfr.  Cumont,  Texles  et  monum.  rei.  aux  myst.  de  Mithra,  voi.  I,  p.  214. 
(")  Forse  un'altra   testimonianza  di   Mitra  dipinto    può   aversi  in  una  iscrizione    ostiense 
(Not.  scavi,  1924,  pp.  73,  78  sg.). 

(3)  Cfr.  Cumont,  Les  mystères  de  Mithra,  3»  ed.,  p.  110. 

(«)  Cfr.  Cumont,  op.  cit.,  I,  p.  193. 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  « 


4,   MARIA   DI   CAPITA   VETERE  —  362  —  REGIONE   I. 


Nuova  è  invece  la  concezione  delle  due  rappresentazioni  dell'Oceano  e  della  Terra. 

Oceanus  era  venerato  dai  cultori  di  Mitra,  come  lo  attcsta  l'iscrizione  di  Heddcrn- 
heim('),c  lo  troviamo  rappresentato  a  figura  intera,  coricata  sul  tipo  delle  divinità  flu- 
viali, in  diversi  monumenti,  come  ad  esempio  nella  pittura  del  mitreo  della  casa  di 
Tito  (2),  nel  bassorilievo  di  Klagenfurth  (3)  ed  in  molti  altri  bassorilievi  mitriaci  (4). 
L'immagine  di  Oceanus  è  qui  contrapposta  a  Caelus  (5),  figurata  a  semplice  testa  bar- 
bata con  folta  chioma,  dalla  quale  spuntano  le  chele  di  aragosta,  alla  stessa  guisa  come 
è  figurata  nelle  pitture  e  nei  mosaici  romani,  tipo  conservatosi  anche  più  tardi  nelle 
pitture  cimiteriali  cristiane  (6).  . 

Alla  stessa  guisa  dell'  Oceanus,  anche  la  Terra  (Terra  mater),  fecondata  dalle 
acque  del  Caelus,  occupava  un  posto  assai  importante  nei  misteri  mitriaci  (7).  La  tro- 
viamo figurata  ai  piedi  del  dio  tauroctono,  dinanzi  al  serpente,  nell'atto  di  tenere 
con  la  destra  un  canestro  di  frutta,  in  un  bassorilievo  scoperto  a  Roma,  oggi  all'Anti- 
quarium  di  Berlino  (8). 

Nel  nostro  dipinto  la  Terra  è  rappresentata  non  a  figura  intera  come  la  Tellus, 
ma  come  Gaia  nelle  ceramografie  greche,  cioè  a  semplice  testa  uscente  dal  suolo,  alla 
somiglianza  di  Oceanus  che  esce  dalle  acque  del  mare. 

Gli  studiosi,  esaminando  la  policromia  di  alcuni  bassorilievi  con  la  rappresenta- 
zione di  Mitra  tauroctono,  hanno  notato  uno  speciale  significato  simbolico  nell'uso  dei 
colori  per  le  diverse  figurazioni.  Sotto  questo  riguardo  il  nostro  affresco  presenta  un 
singolare  interesse,  poiché  serve  a  controllare  ed  a  determinare  tale  policromia  sim- 
bolica, particolarmente  nei  vestiarii.  Che  a  Mitra  fosse  proprio  il  colore  rosso  del 
costume,  era  noto  dai  bassorilievi  policromi  meglio  conservati,  fra  i  quali  basterà 
rammentare  quello  del  Vaticano;  ma  nella  figura  del  nostro  affresco  appare  tutto  lo 
sfarzo  orientale  nelle  margellae,  nei  davi,  nei  lori  di  stoffa  verde,  frangiati  e  rica- 
mati in  giallo-oro,  che  adornano  le  vesti  purpuree  del  nume,  il  pileo,  la  tunica,  le 
anassiridi  ed  il  manto. 

Il  costume  orientale  di  Mitra,  per  ovvie  ragioni  di  culto,  si  è  mantenuto  intatto 
nelle  figurazioni  dell'arte,  anche  nel  mondo  occidentale  ;  e  nella  foggia  e  nei  ricami 
delle  vesti  si  riscontra  la  tradizione  costante  del  tipo  del  personaggio  persiano,  quale  è 


(')  Cfr.  Cumout,  op.  cit.,  monum.  263. 

(*)  Cfr.  Reinach,  Reperì,  des  peintures,  29,  2. 

(a)  Cfr.  Cumont,  op.  cit„  monum.,  235  b.-c. 

(4)  Per  gli  altri  bassorilievi  mitriaci  vedansi,  oltre  ai  noti  pubblicati  dal  Cumont  (op.  cit.,  mon. 
99,  162,  220),  quello  di  Salona  (Bull,  di  arch.  e  stor.  dalmata,  XXXII,  1909,  p.  67,  tav.  VII,  2)  e 
quello  di  Naunia  (Arch.  Treni.,  XXIV,  1909,  pp.  107,  121). 

(5)  Questa  contrapposizione  risulta  chiara  in  un  bassorilievo  di  un'ara  del  Louvre,  nella  quale 
è  rappresentata  Diana  Lucifera  sopra  la  testa  di  Oceanus  (Reinach,  Répert.  de  la  staluaire,  I,  p.  63). 

('),  Per  questo  tipo  di  Oceanus  nell'arte  romana,  riprodotto  in  pitture  ed  in  mosaici,  che  ritro- 
viamo anche  in  Pompei  (peristilio  della  casa  dei  Vettii),  vedasi  Reinach,  Répert.  des  peintures,  pp.  37, 
38.  Per  le  pitture  cimiteriali  cristiane  ricorderemo  le  figure  di  Oceanus  delle  catacombe  di  S.  Calisto. 

(7)  Cfr.  Cumont,  Les  mystères  de  Mithra,  p.  116  sgg. 

(8)  Cfr.  Cumont,  op.  cit.,  monum.,  60;  Besckrcibung  der  anliken  Skulpturen  p.  263,  n.  707. 


REGIONE   I.  —   363  —  S.    MARIA    DI   CAPUA   VETERE 


offerto  dall'arte  classica  nella  ceramografie,  nei  dipinti,  nei  mosaici  (basterà  ricordare 
quello  celebre  d'Alessandro)  ;  e  questa  persistenza  artistica  del  tipo,  nei  riguardi  del 
costume,  la  troviamo  mantenuta  per  le  figure  dei  Magi  nelle  scene  di  adorazione  della 
primitiva  arte  cristiana  ('). 

Il  mantello  svolazzante  del  dio,  rosso  superiormente,  ha  la  fodera  di  colore  azzurro 
ad  indicare  la  vòlta  celeste  ;  e  su  di  essa  spiccano  nel  campo  sette  stelle  dipinte  in  oro, 
rappresentazione  evidente  dei  sette  pianeti,  che  nel  culto  dei  misteri  erano  in  relazione 
con  i  diversi  gradi  dell'iniziazione  mitriaca,  e  che  ricorrono  talvolta  figurati  nei  basso- 
rilievi del  culto  (2). 

Così  il  medesimo  contenuto  simbolico,  per  la  colorazione  del  rovescio  del  manto 
e  per  gli  ornati  a  stella,  si  riscontra  nei  due  bassorilievi  policromi  di  Ostia  del  museo 
Vaticano  (Cumont.  op.  cit.,  monum.  82,85;  Paschetto,  Ostia  colonia  romana,  p.  168, 
fig.  33,  e  p.  388,  fig.  115),  ove  ai  sette  pianeti  si  unisce  il  crescente  lunare. 

I  due  dadophoroi,  sebbene  con  vesti  meno  ricche,  sono  simili  nel  costume  a  Mitra, 
entrambi  con  il  pileo  rosso  sul  capo.  Cautes  ha  però  la  tunica,  ed  anche  le  anassiridi, 
di  colore  giallo,  con  orlature  a  bande  ricamate  a  meandri,  ed  il  mantello  rosso  ;  mentre 
Cautopates  ha  la  tunica  e  le  anassiridi  di  colore  grigiastro  ed  il  mantello  quasi  bianco, 
evidente  contrasto  di  colore  fra  il  sole  levante  e  quello  ponente,  fra  il  sole  di  primavera 
e  quello  di  autunno. 

Passiamo  ad  esaminare  gli  altri  affreschi  della  cripta.  Sulla  parete  di  oriente, 
contrapposta  al  grande  affresco  dell'altare,  è  dipinta  una  scena  che  comprende  quasi 
per  intero  la  lunetta  superiore  della  parete  delimitata  dalla  vòlta  (fig.  6).  Vi  è  rap- 
presentata la  Luna,  ritta  in  piedi  sulla  sua  biga,  con  il  manto  svolazzante,  colo- 
rato di  bianco,  che  discopre  le  belle  forme  del  corpo.  Il  tipo  della  dea  è  quello  co- 
stantemente riprodotto  dall'arte  romana  (nei  sarcofagi  con  il  mito  di  Endimione; 
nel  medaglione  dell'arco  di  Costantino)  (s)  e  che  troviamo  rappresentato  in  numerosi 
bassorilievi  mitriaci,  al  di  sopra  della  grotta,  in  contrapposizione  dell'immagine  del 
Sole,  che  si  innalza  nel  cielo  con  la  sua  quadriga.  Tra  questi  ricorderemo  soltanto  i 
bassorilievi  più  noti: 

a)  quello  del  Capitolino,  conservato  al  Louvre  (Clarac,tav.204,n.57;  Cumont, 

op.  cit.,  monum.,  6); 

h)  quello  di  Neuenheim  (Cumont,  op.  cit.,  monum.,  245); 

e)  quello  di  Heddernheim  (Cumont,  op.  cit.,  monum.,  251,  tav.  Vili). 
La  dea  spazia  nelle  superne  sfere  con  la  sua  biga,  tirata  da  cavalli,  che  essa  regge 
con  le  redini  e  tiene  desti  con  la  frusta  :  l'uno,  con  il  capo  abbassato  e  la  folta  criniera 


(')  Vcdansi  le  pitture  cimiteriali  di  Domitilla  e  dei  santi  Pietro  e  Marcellino;  una  notevoli 
corrispondenza  ritroviamo  nelle  bande  ricamate  delle  anassiridi,  con  le  figure  dei  Magi  dei  mosaici 
di  S.  Maria  Maggiore  in  Roma  e  di  S.  Apollinare  Nuovo    in  Ravenna  (Ricci,    Ravenna,    in  Italia 

artisti  a,  fig.  55). 

(»)  Cfr.  Cumont,  op.  cit.,  monnm.,  84  (mosaico  di  Ostia),  97  (affresco  di  Spoleto),  106  (basso- 
rilievo di  Bologna);  Lea  mystères  de  Milhra,  p.  122. 

(3)  Cfr.  Wilpert,  in  Bull,  eomun.,  1922,  p.  55  sg.,  fig.  8. 


S.    MARIA    DI    CAPUA   VETERE 


—  364 


REGIONE   I. 


ondeggiante,  sta  per  declinare  sull'orizzonte  ;  l'altro  volge  la  testa  indietro,  quasi  per 
attendere  l'incitamento  della  dea. 

Il  fondo  grigio-bruno  della  scena,  la  massa  nerastra  dei  cavalli,  l'incarnato  oli- 
vastro della  dea.  denotano  il  più  vivo  contrasto  con  la  luminosità  e  la  gaiezza  dei  co- 


Fio.  6. 


lori  che  abbiamo  notato  nell'affresco  del  dio  tauroctono  ;  contrasto  di  luci  certamente 
voluto  per  esprimere  il  diverso  simbolismo  tra  la  Luna  declinante  sulla  sua  biga,  in 
opposizione  a  Mitra  vittorioso  del  toro  (Soli  invieto). 

Sulle  pareti  laterali  in  principio  dell'ingresso  alla  cripta  troviamo  dipinti,  l'uno  di 
fronte  all'altro,  due  dadophoroi  in  costume  orientale  (figg.  7,  8).  Vestono  una  tunica 
cinta  al  fianco,  portando  le  anassaridi  ed  il  solito  copricapo  frigio,  e  sono  figurati  stanti, 
con  le  gambe  incrociate,  sotto  due  lauri,  dalle  chiome  riunite  superiormente  ad  arco; 
quello  dipinto  sulla  parete  nord  (fig.  7)  solleva  con  la  destra  la  fiaccola  al  di  sopra  di 
un'ara  fiammeggiante,  e  dall'altro  lato  è  figurato  un  gallo;  quello  dipinto  sulla  parete 
sud  (fig.  8)  abbassa  invece  la  fiaccola,  che  tiene  nella  destra  pure  al  disopra  di  un'ara 
accesa.  Nel  primo  di  questi  dadophoroi,  quello  con  la  face  sollevata,  riconosciamo  la 
personificazione  del  Sol  Orims,  anche  per  la  presenza  del  gallo,  messaggero  dell'au- 
rora; nell'altro  con  la  face  abbassata  abbiamo  l'immagine  invece  dei  Sol  Occidens. 


REGIONE   I. 


365   — 


8.    MARIA   DI   CAPUA    VETERE 


Queste  personificazioni  non  sono  una  novità  nelle  figurazioni  mitriache  (l):  la  no- 
vità sta  invece  nel  piccolo  mazzetto  di  ramoscelli  che  i  due  dadophoroi  tengono  nella 


Fio,  7. 


mano  sinistra,  rispettivamente  sollevato  od  abbassato  in  contrapposizione  alla  fiac- 
cola; esso  richiama  il  fascio  consacrato  di  ramoscelli  (baresman)  che  i  sacerdoti 
persiani  tenevano  durante  le  preghiere  salmodiche,  dinanzi  all'altare  del  fuoco,  nel 
rituale  delle  cerimonie  purificatone  (*). 

(')  Cumont,  op.  cit.,  I,  p.  210. 

(')  Strabnne  lo  descrive  (XV,  p.  733  C)  come  §rip<hn>  ftvQixivmr  iHafirj  (rfr.  Cumont,  Le»  my- 
stères  de  Milhra,  pp.  64  e  69). 


8.    MARIA    DI    CAPUA    VETERK 


—  366 


REGIONE    I. 


All'entrata  così  della  cripta  le  due  figure  dei  dadophoroi  forse  simboleggiano  le 
antiche  prescrizioni  rituali  per  i  mystai,  i  quali,  potevano  accostarsi  all'altare  sol- 
tanto purificati  con  frequenti  flagellazioni  ed  abluzioni. 


Fig.  8. 


Sulla  parete  laterale,  quasi  sull'angolo,  presso  cioè  l'affresco  della  Luna  su  biga 
calante,  all'altezza  dì  circa  m.  1 ,20  dal  suolo,  è  rappresentata  una  figura,  quasi  svanita 
per  l'umidità  della  parete,  e  che  sembra  rispondere  al  consueto  tipo  orientale  del  Kro- 
nos  mitriaco,  con  le  ali  spiegate  ma  abbassate,  ed  il  serpe  che  gli  avvinghia  la  persona 
(altezza  m.  0,65). 

Sulla  parete  laterale  sud,  al  di  sopra  della  vaschetta  con  la  quale  termina  il  po- 
dium,  nel  mezzo  di  un  riquadro  della  parete,  è  fissato  un  bassorilievo  marmoreo  (me- 


REGIONE   I. 


367 


S.    MARIA   DI   OAPUA    VETERE 


tri  0,23  per  m.  0,30),  contornato  a  guisa  di  cornice  da  una  fascia  di  color  rosso,  ove  si 
vedono  scolpite  le  figure  di  Amore  e  Psyche  (fig.  9).  Alla  stessa  guisa  che  nella  reli- 
gione primitiva  cristiana  il  mito  di  Amore  e  Psyche,  simboleggiantc  l'anima  elevata 
dall'amore  mistico,  si  trova  accolto  nella  tradizione  artistica  funeraria,  e  rappre- 
sentato nelle  catacombe  ('),  così  pure,  benché  costituisca  una  novità,  la  presenza 
del  rilievo  nel  nostro  mitreo  può  essere  giustificata  dal  simbolismo  analogo,  che  lo 


Fio.  lJ. 

stesso  mito  doveva  avere  nei  misteri^mitriaci,  per  la  credenza  della  immortalità 
e  della  purificazione  delle  anime  (2).  11  piccolo  rilievo,  derivato  da  qualche  monu- 
mento funerario  romano  del  II-III  secolo,  è  stato  posto  a  guisa  di  quadretto  sulla 
parete,  esprèssamente  adattato  ed  incorniciato  in  un  tempo  successivo. 

Altre  scene  figurate  sono  dipinte  in  forma  assai  rozza,  a  semplice  colore  rosso,  e 
ripartite  in  riquadri,  sulla  fronte  dei  podia  della  costruzione  più  tarda.  Tale  sistema 
di  decorare  la  fronte  dei  podici  con  affreschi  o  mosaici  si  riscontra  in  altri  mitrei 
(Ostia,  Spoleto).  Disgraziatamente  la  cattiva  qualità  dell'intonaco,  poroso  ed  ineguale 
alla  superficie,  e  la  corrosione  lenta,  prodotta  con  il  tempo  dal  contatto  del  terriccio 
umido  sulle  pareti,  tanno  danneggiato  assai  queste  pitture,  facendo  anzi  scomparire 
in  tutto  o  in  parte  alcune  scene. 

Dall'esame  di  ciò  che  è  rimasto  si  rileva  una  esecuzione  assai  sommaria,  sia  nei 
riquadri,  sia  nelle  figure,  eseguite  in  rosso  a  contorni  più  marcati  e  con  l'interno  dei 


(»)  Cfr.  l'affresco  del  cimitero  di  Domitilla  :  Venturi,  Storia  dell'arte,  I,  p.  ì),  fig.  6. 
(*)  Cfr.  Cumont,  Les  mystères  de  Mithra,  pp.  141  e  202. 


3.    MARIA   DI    CAPUA    VETERK 


—  368 


kegJone  i. 


corpi  a  tinta  più  leggera  ed  uniforme.  Il  pregio  di  questo  ciclo  di  pitture  dei  podio 
sta  nel  contenuto  religioso  delle  scene,  che  esprimono  diverse  cerimonie  dell'inizia- 
zione al  culto  dei  misteri  mitriaci  ;  e  quando  si  pensa  che  ben  scarse  sono  le  notizie 
intorno  al  rituale  dei  misteri  di  Mitra  pervenuteci  attraverso  gli  scrittori  antichi,  si 
comprende  benissimo  l'importanza  di  queste  pitture  ;  e  non  si  può  se  non  con  il  più 
vivo  rammarico  lamentarne  lo  stato  di  deperimento  nel  quale  sono  a  noi  pervenute. 


Fio.  10. 


Esaminando  nell'insieme  questa  serie  di  quadretti,  balza  subito  all'occhio  la 
figura  del  mystes,  che  appare  in  ogni  scena,  e  sul  quale  si  accentra  l'azione  svolta 
dagli  altri  personaggi.  In  tutte  le  scene  il  mystes  è  rappresentato  ignudo:  ciò 
risponde  perfettamente,  come  mi  ha  fatto  notare  il  Cumont,  al  rituale  dei  mi- 
steri (l),  in  cui  l'iniziato  deve  deporre  le  vesti  mortali,  simbolo  della  sozzura 
della  sua  vita  anteriore,  per  rinascere  nudo,  come  l'infante  dal  grembo  della  madre, 
alla  vita  novella.  Così  nella  primitiva  religione  cristiana  il  rituale  del  battesimo 
ad  immersione  prescriveva  la  nudità  per  i  due  sessi. 

Nella  maggior  parte  delle  scene  conservate  la  cerimonia  attorno  al  mystes  è 
svolta  per  lo  più  da  due  personaggi:  il  mystagogus  ed  il  sacerdote. 

Nella  prima  scena  (fig.  10)  il  mystes  è  seguito  dal  mystagogus,  che  veste  una 
corta  tunica  bianca;  esso  appare  con  gli  occhi  bendati  (ciò  si  rileva  anche  nell'atteg- 


(')  Cfr.  Heckenbach,  De  nuditade  saera  sacrisque  vmculis,  in  Religiomgesch.  Versitche  u.  Vor- 
arletlen,  IX  3  p.  13  ;  p.  24  sgg.,  frg.  67. 


REGIONE    I. 


31Ì9    — 


8.    M.UUA   DI   UAl'UA   VETtRE 


giumento  dello  braccia  e  delle  mani,  che  è  quello  proprio  di  una  persona  priva  della 
vista,  e  che  procede  a  tentoni).  Ora  nel  rituale  dei  misteri  di  Mitra  sappiamo  che 
si  bendavano  gli  occhi  agli  iniziati.  Lo  Pseudo-Augustinus  (Qttaest.  veteris  et  novi 
Testamenti,  in  Migne,  Pii.tr.  Iti,.,  XXX IV,  2214)  riferisce:  «  Illud  autem  quale  est 
quod  in  spelaeo  velatis  oculis  illudunlur?  Ne  enim  horreant  turpiter  dehonestari,  oevii 
Mix  wlankir  »  (').  Il  medesimo  accenno  agli  occhi  velati  lo  troviamo  neTAmbro- 


siaster  (C<mm.  in  epist.  aijìphe».,  V,  8,  in  Migne,  op.  cit.,  XVII,  396  A):  «  Pagani 
in  tenebri»  myslica  sua  celebrante*  in  spelaeo  velatis  oculis  illuduntur  («). 

Nella  seconda  scena  (fig.  11)  il  mystes  è  rappresentato  assiso,  con  le  mani  legate 
dietro  la  schiena,  alla  stessa  guisa  come  sono  figurati  i  prigionieri,  e  nuovamente  con 
gli  occhi  bendati  (velatis  oculis)  ;  lo  segue  il  mystagogus,  vestito  di  tunica  bianca  ; 
e  sul  davanti  si  approssima  a  lui  un  sacerdote  in  costume  orientale,  con  berretto  fri- 
gio (3),  e  che  sembra  tenere  in  mano  una  spada. 

Nelle  scene  III  e  IV  (fig.  12)  noi  vediamo  il  solito  gruppo  del  mystes,  del  my- 
stagogus e  del  sacerdote,  ma  non  possiamo,  dato  lo  stato  dei  dipinti,  precisare  il  sog- 
getto delle  cerimonie  ;  solo  si  desume  che  il  mystes,  come  gli  altri  due  personaggi, 
è  figurato  stante. 

(')  Cfr.  Cumont,  op.  cit.,  textes,  p.  8. 

(2)  Cfr.  Cumont,  Les  mystères  de  Mithra,  Appendice,  p.  297. 

(»)  Il  Cumont  riconosce  in  questo  personaggio  un  sacerdote,  e  ritiene  che  anche  nel  bassorilievo 
di  Konjica  (op.  cit.,  I,  p.  175,  fig.  10)  si  debba  riconoscere,  non  già  un  persiano,  ma  un  sacerdote,  nel 
personaggio  che  si  accosta  con  un  rhyton  alla  tavola  sacra. 

Notìzie  Scavi  11>24  -   Voi.  XXI.  47 


S.   MARIA   DI   CAPO  A   VETEUE 


—  370 


REGIONE   I. 


Xelle  scene  V,  VI,  VII  (figg,  13,  14,  e  15)  il  niystes.  sempre  ignudo,  appare  in 
finocchio,  con  le  braccia  dietro  la  schiena  e  le  mani  forse  legate;  il  inystagogus, 
vestito  di  tunica  bianca,  sembra  intento  a  trattenere  con  tutta  forza  per  le  spalle  il 
mystes,  durante  la  cerimonia  compiuta  dal  sacerdote,  che  gli  sta  dinanzi  in  costume 
orientale;  il  sacerdote,  nella  scena  VII,  sembra  tenere  in  mano  una  spada,  alla  stessa 
guisa  che  nella  cerimonia  figurata  nella  scena  seconda  (fig.  11). 


»<*■» 


IV 


Fig.  12. 


La  spada,  come  osserva  il  Cumont,  aveva  una  funzione  particolare  in  alcune 
cerimonie  di  questa  religione  da  soldati,  ove  non  potevano  mancare  le  prove  di 
forza  e  di  coraggio  per  gli  iniziati.  Le  fonti  classiche  offrono  copiose  testimonianze 
di  quest'uso  della  spada  nelle  cerimonie  mitriache. 

Lo  pseudo-Augustinus,  a  seguito  del  passo  succitato  (Quaesi.  vet.  et  nov.  Testam., 
(' XI li,  11  ;  p.  308,  17,  Souter),  riferisce:  «  Alii  legatis  manibus  intestini*  pallini* 
proieiuntur  super  foveas  aqua  plenas,  accedente  quodam  ewm  gladio  ei  irrompente  inte- 
stina saprò  dieta,  qui  se  liberatorem  appellet  ». 

Tertulliano  (de.  corona,  15)  accenna  ad  una  cerimonia  che  sembra  riguardare  l'ini- 
ziazione al  grado  di  miles:  «  coronam  interposito  gladio  sibi  oblaltm,....  monetar  obvia 
marni  a  capite  pellere  ». 


REGIONE    I. 


—   371 


B.    MARIA    DI   CAPUA    VETERE 


Zàcharia  lo  scolastico,  nella  vita  di  Severo  d'Antiochi,  rifcrisoè  che  nei  misteri 

del  Solo  si  mostrava  una  spada  macchiata  del  sangue  di  un  uomo  morto  per  vi usa 

(Ptmo&àraioe).  Inoltre  cade  qui  opportuno  il  ricordo  di  (pianto  scrive  Lamprìdio 
nella  vita  di  Commodo  (vita  Comm.,  9):  «  saera  milhriara  homirtfù  fero  polluit  tmn 
mie  aliquid  ad  speeiem  timori*  vai  diri  vel  fìngi  solcai  ».  Nessuno  però  di  questi 
testi  sembra  riportarsi  direttamente  a  tali  scene. 


Fio   13. 


Nel  bassorilievo  policromo  dell'Esquilino  ('),  sotto  l'immagine  di  Mitra  tauroctono 
ricorrono  due  scene,  che  si  ricollegano  alle  note  scene  con  le  gesta  di  Mitra,  che  ritro- 
viamo nei  rilievi  di  Heddernheim,  di  Osterburchen,  di  Neiienheim  (2).  È  notevole 
però  il  confronto  di  una  di  esse  con  le  nostre  scene  dipinte  surricordate.  Un  personaggio 
vestito  all'orientale  brandisce  un  pugnale,  e  lo  pone  sulla  testa  di  un  giovane  ignudo, 
che  gli  sta  dinanzi  con  un  ginocchio  piegato  e  con  le  braccia  pendenti  un  po'  aperte, 
in  atto  di  chi  è  rassegnato  a  soffrire,  atteggiamento  frequente  nelle  figure  dei  prigionieri. 

Nella  scena  IX  (fig.  16)  si  contempla  il  mystes  ignudo  disteso  a  terra,  con  le  brac- 
cia allungate,  fra  due  personaggi  stanti  :  il  mystagogus,  del  quale  è  conservata  solo 
una  parte  delia  figura,  ed  il  sacerdote,  i  cui  tratti  risultano  assai  confusi  per  il  deperi- 


(')  Cfr.   Unii,  coni.,  1K74,  tiiv.   XX:   Cumoat,  op.  ci!.,   monuiil.  10. 
(')  Cfr.  Gummit,  op.  cit.,  I,  p.  172  sg. 


S.  MARIA  DI  CAPUA  VETERE 


—  372 


REGIONE  I. 


mento  della  pittura  ;  i  due  personaggi  protendono  le  braccia  verso  il  mystcs,  sul  corpo 
del  quale  si  scorgono  le  tracce  di  un  serpente,  che  richiama  al  nostro  pensiero  le 
immagini  del  Kronos  mitriaco.  Nulla  possiamo  dire  intorno  a  questa  singolare  ceri- 
monia di  TTQooxvrijrtie  del  mystes,  il  quale  ricorda  il  rituale  cristiano  dell'ordina- 
zione sacerdotale. 


SL^°L 


Vili 


Fio.  14. 


Altre  scene  dipinte  decoravano  gli  altri  scomparti  dei  podiu,  ma  di  esse  è  spa- 
rita ogni  traccia. 

Come  ho  già  riferito,  lo  stato  di  conservazione  di  queste  scene  dipinte  non  ci  per- 
mette di  raccogliere  se  non  pochissimi  elementi  sulle  cerimonie  rituali  in  esse  rappre- 
sentate. Noi  conosciamo  assai  male  la  liturgia  dei  sacramenti  niitriaci  ;  sappiamo  che 
i  neofiti  erano  sottoposti  ad  una  specie  di  battesimo  per  hi  rumini  (Tertull.,  do  bapti- 
smo,  5;  de  praeser.  luterei.,  40)  ed  a  molteplici  abluzioni,  e  ciò  spiega  la  presenza 
di  fontane,  di  vasche,  di  recipienti  per  acqua,  riscontrata  anche  nel  mitreo  di  Capila. 

Nella  tradilio  dei  sacramenti,  oltre  alle  abluzioni,  alle  lustrazioni,  alle  continenze 
rigorose  rituali,  il  candidato  era  assoggettato  a  diverse,  prove  di  forza  e  di  coraggio,  a 
certe  espiazioni  drammatiche,  delle  quali  troviamo  il  ricordo  in  queste  pittore.  L'ideale, 
a  cui  l'iniziato  doveva  mirare,  con  queste  prove  di  coraggio  e  di  indurimento  fisico,  era 


REGIOXE    I. 


373 


S.    MARIA   DI    OAHTA    VETERE 


l'apsti»,  l'assenza  da,  agni  emozione  ;  ed  in  ciò  si  rivola  il  fendo  di  crudeltà  di  questa 
religione  da  snidati. 

I  fedeli,  contemplando  queste  scene  liturgiche,  dovevano  provare  la  suggestione 
di  tutta  la  loro  vita  religiosa,  attraverso  i  diversi  gradi  di  iniziazione  ;  e  da  ciò  ritrae- 
vano novella  forza  e  coraggio,  nella  lotta  del  bene  e  del  male,  per  il  raggiungimento  di 
quella  purezza  perfetta,  che  costituiva  il  fine  supremo  della  legge  mitriaca. 


% 


<<SM 


»<»• 


vu 


Kio.  15. 


Nel  sistema  di  ripartizione  delle  scene  in  riquadri,  e  negli  schemi  figurativi,  pre- 
scindendo dai  soggetti  rappresentati  e  dalla  maniera  di  esecuzione  rapida  e  sprezzante, 
ritroviamo  una  certa  qua!  rispondenza  di  principi]  e  di  elementi  con  le  pitture  cimi- 
teriali cristiane. 

Le  scene  dipinte  spiccano  fortemente  sullo  sfondo  chiaro,  come  richiedeva  il 
luogo  sotterraneo,  e  palesano  una  somiglianza  di  espressione,  oltre  che  negli  schemi 
figurativi,  anche  nei  movimenti,  nei  gesti,  nei  particolari  del  vestiario,  dei  personaggi 
rappresentati.  L'origine  orientale  di  questa  religione,  legata  al  rispetto  scrupoloso 
dei  vecchi  riti  dei  misteri,  il  carattere  popolare  che  ha  sempre  conservato,  giusti- 
ficano pienamente  la  tradizione  stilistica  ed  iconografica  orientale,  fissata  dall'arte 
ellenistica,  di  queste  figurazioni  del  culto  mitriaco. 

È  noto  come  la  Campania  costiera,  e  particolarmente  Pozzuoli  con  il  suo  impor- 
tatilo emporio,  abbia  servito  alla  diffusione  di  speciali  culti  fra  l'Oriento  e  Roma. 
Per  il  culto  di  Mitra,  dall'esame  dei  documenti  epigrafici  e  monumentali,  il  Cu- 


S.   MARIA   DI   CAPUA    VETERE 


374 


REGIONE    I. 


niont  (*)  ha  posto  il  rilievo  la  scarsa  diffusione  di  esso  nella  Campania (*),  giustificandola 

con  il  fatto  che  Pozzuoli  ha  cessato  di  essere  per  Roma,  fin  dal  secondo  secolo, il  grande 
emporio  del  Levante. 

Così  a  Capila,  in  diretto  contatto  con  Pozzuoli  e  sulla  grande  arteria  dell'Appin. 
mentre  si  avevano  testimonianze  di  altri  culti  orientali  (Mater  deum,  /.s/s)  (3),  man- 
cavano fino  ad  ora  documenti  sicuri  per  il  culto  di  Mitra.  II  Mommsen  (Inseript.  neap., 
3374)  aveva  riferito  al  culto  mitriaco  una  iscrizione  dedicatoria  scolpita  su  di  una  co- 


Fio.  16. 


lonna  cl"l  giardino  Teli  (S.  Maria  di  Capila  Voterò),  oggigiorno  purtroppo  scomparsa; 
si  trattava  però  di  una  integrazione  congetturale  della  parte  lacunosa  del  testo,  che 
il  Mommsen  stesso  ha  poi  ripudiato  (CI.  L.,  X,  3793).  Un'altra  iscrizione  dedicatoria 
(Soli  Serapi  invicto)  è  data  come  scoperta  a  Capua  Vetere  dal  Ligorio  (Murat.,  29, 3) 
e  dal  Pratili!  (Via  Appia,  p.  290);  ma  dal  Mommsen  è  stata  ritenuta  falsa  (Inscript. 
neap.,  508;  C.  I.  L.,  X,  429). 


(')  Ci'r.  Ciiinont,  Le»  mystères  de  Mitkra,  p.  (>4;  Cumoitt,  Tcxles  ci  mon.  rei.  Otti  mjfst.  de  Mylhra, 
I,  p.  266. 

(2)  I  documenti  epigrafici  e  monumentali  scoperti  nella  Campania  costiera  ed  insulare  sono  i 
seguenti  : 

a)  iscrizione  con  dedica  Soli  invicto.   rinvenuta  a  Pozzuoli  (C  /.  L.,  X,  15'J1  ;  Cumont, 
op.  cit.,  inscript.,  202). 

b)  iscrizione  scoperta  ad  Ischia  (Cumo-it,  op.  cit.,  inscript.,  149): 

e)  tre  bassorilievi,  scoperti  a  Napoli  e  dintorni,  eoa  Mitra  tauroctono  (Cumont,  op.  cit.,  mo- 
mmi. 93,  04,  Mbit); 

d)  bassorilievo  scoperto  a  Cipri  (('unioni,  op.  cit.,  montili».  05;   Kuesch,  op.  cit.,  p.  182, 
n.  671).  L'IIirschfel  I  («  Sitzungber.  der  Beri  Akid.  »,  1888,  p.  823,  nota  28)  ha  creduto  di  scoprire 
un  ricordo  del  culto  mitriaco  anche  nell'iscrizione  pubblicata  in  C.  I.  L.,  X,  1874;  vedansi  però  le 
osservazioni  in  contrario  del  Dubois  (Pou:~olcs  antique,  p.  154). 
(■>)  Cfr.  Beloch,  Campante»,  2  ed.,  p.  332. 


< 

i 


> 


Cu 

6 


REGIONE    I.  .  —    375   —  SORRENTO 


Dei  diversi  fatturi  sociali  e  politici  che  hanno  concorso  alla  diffusione  del  culto 
mitriaco  (commercio  marittimo  ;  importazione  di  schiavi  :  dislocamento  di  truppe  e 
di  funzionarli  pubblici,  ecc.) è  difficile  stabilire  quale  in  particolar  modo  abbia  influito 
per  l'introduzione  del  culto  a  Capna,  tanto  più  die  questa  introduzione  deve  rimon- 
tare all'epoca  più  antica,  come  nelle  altre  città  marittime  della  Campania. 

Quantunque  non  si  abbiano  elementi  sicuri  per  la  datazione  del  nostro  mitreo, 
tuttavia  non  vi  è  dubbio  che  alcuni  degli  affreschi,  e  principalmente  quello  di  Mitra 
tauroctono,  appartengano  ad  un  buon  periodo  artistico,  risentendo  ancora  l'influenza 
del  IV  stile  pompeiano  ;  sarei  pertanto  incline  all'ipotesi  che  il  primitivo  adattamento 
al  culto  della  cripta,  possa  risalire  anche  ai  primordi!  del  secondo  secolo  dell'Impero. 
In  principio  deve  aver  servito  ad  una  piccola  comunità  religiosa,  accresciutasi  succes- 
sivamente, come  si  rileva  dal  rifacimento  dei  podia.  La  struttura  di  questi  e  gli  affreschi 
monocromi  che  adornano  le  fronti,  appartenenti  ad  un'arte  decadente,  insieme  con 
altri  elementi  che  abbiamo  segnalato,  rivelano  la  lunga  destinazione  della  cripta  al 
culto  mitriaco.  forse  lino  al  tramonto  di  esso  con  il  trionfo  del  cristianesimo. 

A.  Minto. 


X.  SORRENTO  —    Sculture  ijreehc  in  marmo  (tavv.  XVIII  e  XIX). 

11  gruppo  di  importanti  sculture,  che  si  presenta  alla  ammirazione  degli  studiosi, 
fu  rinvenuto  nel  101 1  nella  città  di  Sorrento  e  precisamente  nel  vicolo  I  Tasso  (ex-via 
dell'Accademia)  durante  i  lavori  per  una  conduttura  d'acqua.  Al  Museo  Nazionale  di 
Napoli  vennero  eseguiti  i  restauri  necessarii,  ed  ora  le  sculture,  ricomposte  per  quanto 
fu  possibile  nelle  belle  loro  forme,  son  tornate  a  Sorrento,  e  hanno  preso  dimora  in 
una  magnifica,  saletta  del  Museo  Correale  ('). 


* 
*  * 


Per  quanto  appare  dalla  loro  fattura,  dalla  qualità  del  marmo  in  cui  son  lavorate. 
di  grana  assai  affine  al  pentelico,  e  infine  da  due  preziose  iscrizioni  frammentario  che  fra 
esse  si  conservano,  si  tratta  di  sculture  greche,  forse  lavorate  da  mano  greca  che  traeva 
i  suoi  modelli  da  tipi  del  V  e  del  IV  secolo  avanti  Cristo. 

E  questa  fioritura  di  forme  artistiche  grochc  sbocciata  nella  città  di  Sorrento,  che 
già  nella  sua  famosa  «  base  »  conserva  u.i  riflesso  dell'arte  di  Scopa,  di  Timoteo  e  di  Ce- 
fisodoto  il  giovane,  acquista  un  fascino  singolare,  ed  aumenta  il  valore,  già  di  per  sé 
grande,  delle  sculture  che  ora  pezzo  per  pezzo  osserveremo. 

1)  Figura  muliebre  acefala  e  senza  braccia,  seduta,  col  corpo  lievemente  rivolto  a 
destra,  su  animale  a  lungo  collo,  privo  di  testa  e  di  gambe,  di  profilo  alla  sua  sinistra 

(•)  Un  brevissimo,  gommine  accenno  a  qne?ti  tr.i  vanititi  con  iiitcrpr.Hiziinp  errata  (lolle  scul- 
ture è  dato  da  A.  Filangieri di  Candida  nel  volumetto  Sorrento»  la  sua  penisola,  in  Coli.  IU)liaarlist.,y.  45. 


BORRENTO  —  376  —  RBUtONE   I. 

tav.  XVIII.  E  vestita  di  chitone  cinto  alla  vita  e  di  mantello  che,  attraversando  il 
dorso,  scende  da  un  lato  sulla  spalla  sinistra  e  sul  lungo  collo  dell'animale,  dall'altro 
cingo  il  fianco  destro  raccogliendosi  sur  ventre.  La  figura  muliebre  manca  di  piedi, 
e  sul  collo  porta  infisso  un  perno  di  ferro;  segno  di  un  antico  restauro. 

Le  quattro  zampe  dell'animale,  che  hanno  l'unghia  fessa,  posano  su  una  ineguale 
base  rocciosa,  da  cui  si  eleva  una  sporgenza  a  guisa  di  tronco  d'albero  che  serve  di  so- 
stegno. La  parte  anteriore  della  base  spianata  e  liscia  reca  i  resti  di  una  iscrizione  de- 
dicatoria (fìg.  1): 


^■^■OB^^ 


Fio.   I. 
àòaz  àvéd-rjx\s\ 


cioè  un  dedicante,  il  cui  nome  termina  in  <i<fa$  ("AyelàSag?).  dedicò.  La  parte  retro- 
stante, poco  modellata,  mostra  che  la  statuetta  stava  appoggiata  ad  una  parete. 
È  ricomposta  di  cinque  pezzi,  ed  ha  la  altezza  massima  di  cm.  82. 

È  evidente  che  si  tratta  di  una  Artemide.  L'animale,  su  cui  la  figura  sta  seduta, 
perle  quattro  zampe  saldamente  poggiate  a  terra  e  per  la  forma  della  coda  di  cui 
resta  l'inizio,  ha  tutti  i  caratteri  di  una  cerva.  Artemide  la  cavalca  in  posa  analoga 
a  quella  che  si  vede  in  alcune  note  rappresentazioni  della  dea  su  vasi  dipinti,  come 
quella  all'angolo  sinistro  della  zona  superiore  nella  faccia  principale  del  celebre  vaso 
apulo  col  consiglio  dei  Persiani,  del  Museo  Nazionale  di  Napoli  ('),  e  l'altra  nell'in- 
terno di  una  tazza  a  figure  rosse  della  collezione  del  dott.  Preyss  a  Monaco  (*).  La 
Artemide  potrebbe  quindi,  in  analogia  a  queste  rappresentazioni,  con  ogni  proba- 
bilità esser  completata  così:  la  testa  leggermente  rivolta  a  destra,  il  braccio  destro 
steso  lungo  il  corpo  e  l'arco  nella  mano,  il  sinistro  appoggiato  sulla  groppa  del- 
l'animale. 

2)  Parte  inferiore  di  statuetta  muliebre  seduta  in  posizione  frontale,  su  animale, 
che  sembra  essere  un  cavallo  o  un  mulo,  di  profilo  alla  sua  destra  tav.  XIX-1  e  fig.  2. 
La  donna  non  poggia  direttamente  sull'animale,  ma  su  di  un'ampia  sella  rigida,  coi 
bordi  rilevati,  che  da  un  lato  viene  coperta  dal  manto,  dall'altro  resta  scoperta.  È 

(')  Fiirhvangler-Reichliold,  Oriechischc  Vatcnmnkrei,  tav.  88. 

(J)  Pubblicata  in  AiMichc  Beriehte  aus  den  Kòitigl.  Kunstsamml.,  August  1917,   fig.  101. 


REGIONE   1. 


377  — 


SOKKKNTo 


vestita  dì  un  ehitone  leggero,  che  aderisce  strettamente  alle  forme,  come  un  velo 
finissimo  e  bagnato,  e  di  un  mantello  diesi  raccoglie  fra  le  gambe  in  pieghe  pro- 
fonde. La  rossezza  della  parte  retrostante  mostra  che  la  statuetta  era  infissa  ad  una 
parete.  Ha  la  altezza  massima  di  cui.  37. 


Fig.  2. 


È  questa  senza  dubbio,  come  indicano  i  caratteri  dell'animale  e  la  sella  che  esso 
porta  sul  dorso,  una  rappresentazione  di  Artemis-Selene,  che  faceva  da  riscontro 
alla  statuetta  precedente,  e  mostrava  la  dea  in  un  altro  degli  aspetti  multiformi  che 
le  erano  attribuiti. 

3)  Un  frammento  della  groppa  di  un  quadrupede  coll'inizio  della  coda  (lungh. 
cm.  26). 

4)  Un  frammento  della  groppa  di  un  quadrupede  coll'inizio  delle  gambe  ante- 
riori (lungh.  cm.  28). 

6)  Frammento  di  quadrupede  che  comprende  il  lungo  collo  dell'animale,  parte 
del  dorso  e  l'inizio  delle  gambe  anteriori  (lungh.  cm.  f)1).  Questi  frammenti  apparten- 
gono ad  animali  più  grandi  di  quelli  cavalcati  dalle  statuette  ora  descritte. 

Notizie  Scavi  1924  -  Voi.  XXI.  48 


SORRENTO 


2?8  - 


iiiidioNi:  I. 


til  Gamba  muliebre  destra,  piegata  al  ginocchio,  di  figura  seduta  di  maggiori  di- 
mensióni ffig.  3),  che  poteva  cavalcare  uno  degli  animali  di  cui  rimangono  avanzi 
dungh.  cui.  òO). 

7-H-10  Tre  frammenti  di  panneggio.  Lungh.  cm.  62,  cm.  39,  cm.  28. 


Fig.  3. 


10)  Un  frammento  di  avambraccio.  Lungh.  cm.  22. 

11)  Torso  giovanile  stante  sulla  gamba  sinistra  rotta  ;il  «rinocchio  (tav.  XIX) 
Il  mantello  che  copre  la  schiena,  il  fianco  e  la  coscia  nel  lato  sinistro,  viene  tenuto  ade- 
rente sotto  la  ascella  dal  braccio  di  una  minore  figura  che  formava  gruppo  con  la  mag- 
giore, e  che  la  sosteneva  cingendole  il  dorso.  Le  forme  molli,  la  posa  indolente  colla 
forte  sporgenza  del  fianco  destro  della  maggiore  figura,  il  braccio  e  la  mano  forti  e  ner- 
vosi della  più  piccola,  fanno  decisamente  pensare  ad  un  gruppetto  di  Dioniso  sostenuto 
da  un  satirello.  (Alt.  cm.  58). 

12)  Torso  virile  di  forme  più  robuste,  stante  sulla  gamba  sinistra  scheggiata  e 
rotta  al  ginocchio  (figg.  4  e  5).  Probabilmente  il  braccio  sin.,  come  mostra  l'elevarsi 


REGIONE    I. 


370  - 


SOSTENTO 


della  spalla,  ora  puntato  contro  un  pilastrino,  di  cui  resta  ancora  la  traversa  di  sostegno, 
mentre  il  destro  pendeva  lungo  il  fianco.  (Alt.  cm.  07). 


Pio.  4. 


Km.  6 


IH»  Testa  barbata  di  dimensioni  superiori  al  naturale  e  di  aspetto  do  ce  esolenne 
(fi.  6).  Ha  i  capelli  ricadenti  sulla  fronte  in  riccioli  simmetrie,  cut,  da  benda,  baffi 
Sci  spiove*  i  e  ricca  barba  a  boccoli.  Le  gote  sono  assai  spianate  e  lo  sguardo  l.eve.nente 
rivolto  in  basso.  (Alt.  cui.  36). 


SORRENTO 


-  380 


REGIONE   I. 


14)  Frammento  rettangolare  di  marmo  su  cui  si  legge  profondamente  incisa  la 
iscrizione  greca  'Pitfiriov  (fig.  7).  Lungh.  cm.  28;  alt.  cm.  10,5. 

15)  Frammento  architettonico  che  sotto  alla  cornice  con  dentelli  ionici  porta, 


Pio.  6. 


in  luogo  del  fregio,  una  serie  di  nietope  che  recano  a  rilievo  un  bocciolo  rovesciato,  alle 
quali  si  alternano  mensole  a  forte  aggetto  (fig.  8).  Lungh.  cm.  17,5  alt.  cm.  29. 
E  infino  parecchi  frammenti  informi  di  marmo. 


* 
*  * 


Ho  detto  che  le  sculture  greche  sin  qui  descritte,  a  cui  vanno  aggiunti  alcuni 
frammenti  romani  che  osserveremo  dopo,  si  ispirano  a  motivi  prediletti  dall'arte 
del  IV  secolo  av.  Cr. 


REGIONE    I. 


-    381 


SORRENTO 


Tutt'al  più  nella  Artemide  sulla  cerva  il  petto  piuttosto  largo,  la  posizione  bassa 
della  cintura,  e  lo  stile  delle  pieghe  alquanto  rigido  potrebbero  accennare  al  V  secolo. 


Km. 


e  la  grande  testa  barbata,  pur  preludendo  al  tipo  di  Asclepio  ('),  apparirebbe  ante- 
riore al   IV  secolo,  epoca  in  cui  fu  istituito  il  culto  del  dio.  Nella  Artemis-Selene 


Via.  8 


invece  compare  la  tecnica  dei  panni  che  aderiscono  alle  forme  come  un  velo  finis- 
simo e  bagnato,  e  la  figura  è  tenera  e  smiba  come  nell'arte  di  Timoteo,  di  cui  ha 
la  caratteristica  eleganza  semplice  e  tranquilla. 


(')  Ved.  sopratutto  l'erma  di  Londra  in  Brunn-Bruckmann,  tav.  229. 


SORRENTO  —  382   —  REGIONE   I. 

■  .   .  ■ ■■'■'-■  -  ■--■« 

Pure  al  IV  secolo  ci  riportano  i  due  torsi  giovanili,  quello  di  Dioniso  aggroppato 
col  satirello  ('),  l'altro  probabilmente  di  Hermes  che  esprime  il  motivo  della  figura 
appoggiate  ad  un  sostegno  (*). 

Ma  in  quale  epoca  le  sculture  sorrentine  furono  lavorate  ? 


Fio.  9 

La  prima  delle  due  iscrizioni,  quella  col  nome  del  dedicante,  sembra  appartenere 
al  III  secolo;  l'altra  è  indubbiamente  di  epoca  più  tarda.  Certo  lo  scultore,  che 
forse  lavorò  nel  III  secolo  o  dopo,  si  è  ispirato  a  motivi  artistici  di  epoca  anteriore. 

*  * 

11  frammento  di  elegante  cornice. die  fu  trovato  fra  i  marmi,  accenna  ad  un  edi- 
ficio al  quale  essi  nel  loro  complesso  dovevano  appartenere,  mi  questo  non  doveva 
essere  il  Pantheon  di  Sorrento  che  li  tradizione  colloca  ii'l  centro  della  città  (3). 

Si  tratta  di  una  serie  di  statuette  (piasi  tuffo  di  piccolo  modulo,  di  cui  una  con 
iscrizione  dedicatoria,  e  degli  avanzi  di  una  membratura  architettonica,  anch'essa 
di  modeste  dimensioni.  Questo  insieme  ci  fa  piuttosto  pensare  ad  un  tempietto  con- 
tenente degli  cx-rot-o,  ad  una  cappella,  che  non  ad  un  tempio  in  cui  la  città  di  Sor- 
rento, particolarmente  devota  alle  Sirene  e  alla  Minerva  Tirrena,  avrebbe  unito  in 
un  culto  solo  tutti  gli  dèi. 


(')  A.  Levi,  tlrii/iiii.  di  lìnceo  con  un  salirti,  in    Ausonia,   IX.   1  !•! 4,  p.  55  e  sgg. 
(')  Butte,  Der  scIiohc  Mmseh,  tav.  65,  li;.  24.  col.  12.j  e  sg«. 
(3)  Beloch,  Campanie*,  p.  2C4. 


UECÌtÓNE    1. 


38;ì 


SORRENTO 


Un  dedicante  green,  forse  della  Doride,  come  appare  dal  nome  terminante  in 
àóccg,  ed  altri  greci  di  Reggio,  (si  può  forse  supplire  il  sostantivo  àràUr^ìu  e  supporre 
dei  nomi  davanti  al  genitivo  plurale  'Pqyircop  =  dono  votivo  d-J  tal"  e  del  ta'e  Reg- 
gini?), avrebbero  fatto  eseguire  per  Sorrento  le  statue  cx-roto.  th  uno  scultore  greco, 
che  seguiva  la  corrente  artistica  attica,  di  cui  era  stato  esponente  nel  Pelopon- 
neso lo  stesso  Timoteo. 


* 
*  * 


Assieme  con  questo  gruppo  di  sculture  greche  si  trovarono  una  base  assai  con- 
sunta di  statua,  evidentemente  romana,  alla  quale  restano  attaccati  i  piedi,  lunga 
em.  08  e  larga  cm.  31,  una  testa  in  marmo,  di  arte  romana,  ed  una  (istilla  plumbea. 

La  testa  (fig.  9),  che  misura  cm.  34  di. altezza,  ha  il  naso  profondamente  scheg- 
giato, ma  i  suoi  caratteri  stilistici —  e  cioè  linea  craniale  piatta,  fronte  sporgente, 
bocca  rientrante  fra  il  naso  e  il  mento,  e  capelli  che  circondano  la  fronte  con  un  taglio 
angolare  —  accennano  chiaramente  alla  prima  metà  del  1  sec.  di  Cr.  e  più  preci- 
samente all'epoca  di  Tiberio  (1). 

La  fistula  plumbea,  frammentata  in  ambe  le  estremità,  è  lunga  m.  1,76,  e  reca 
la  seguente  iscrizione,  divisa  in  due  parti  distinte  dallo  spazio  lasciato  libero  per  la 
saldatura  (figg.   10  e  11): 


Fio.  10. 
S  TRIBVNVS   PATRONVS   ET   DEFENSOR    IVLIANI   PATRONI 


Fio.  11. 
FILIVS  REFVDIT   CVRANTE   FL.    VITVLO   II   CVRATORE   R 


(')  Bmv.ohìIIì,  Mmhchc  lkonograpkie,\>.  141  e  LfiO: 
tav.  170. 


Ilekler  Bildniskunsi  drr  Oriecìun  uni  liómcr. 


SORRENTO  —   384   —  REGIONE   I. 


Lo  stato  frammentario  di  questa  iscrizione  e  il  non  trovarne  nel  «Corpus»  alcuna 
che  te  somigli,  non  ne  rende  agevole  la  lettura.  Forse  in  essa  si  vuol  dire  che  un  tale, 
del  cui  nome  resterebbe  solo  la  lettera  S,  il  quale  era  tribuno,  patrono,  defensor  della 
città  e  fìllio  del  patrono  Giuliano,  provvide  a  far  riversare  (refudit)  le  acque  me- 
diante quella  conduttura,  con  l'assistenza  di  un  certo  Flavio  Vitulo  che  si  occupava 
di  tale  bisogna. 

Alda  Levi. 


> 


bd 
•a 

.a 

o 
Z 


(ti 

I 

O 

H 

z 


Notizie  degli  Scavi  -  1924. 


Tav.  XIX 


SORRENTO  -  Sculture  greche. 


NOTIZIE    DEGLI    SCAVI 


Anno  1924  —  Fascicoli  10,11,112. 


Regione  XI   (TRANSPADANA). 

I.  PICCOLO  SAN  BERNARDO  (Alpis  Graja)  —  Esploratone 
della  sona  archeologica. 

Alcuni  avanzi  di  edifici  di  età  romana  al  passo  del  Piccolo  San  Bernardo  avevano 
già  da  tempo  richiamata  l'attenzione  degli  studiosi  delle  antichità  valdostane.  Qualche 
saggio  di  scavo  vi  aveva  fatto  il  Promis  nel  1838,  allargando  uno  scavj  iniziato  l'anno  pre- 
cedente da  un  viaggiatore  inglese  (').  Altri  scavi  vi  si  succedettero  in  occasione  dei  la- 
vori della  nuova  strada  nazionale.  Ricerche  fece  qua  e  là  lo  Chanoux  nei  molti  anni  che 
fu  rettore  dell'ospizio. 

Da  tutti  questi  scavi  irregolari  risultarono  manomissioni  e  rimescolamenti  che  re- 
sero poi  impossibile  ogni  constatazione  stratigrafica.  Il  materiale  raccolto  andò  disperso. 

L'esplorazione  sistematica  venne  eseguita  negli  anni  1912-1914  a  cura  della  Soprin- 
tendenza delle  antichità  per  il  Piemonte  (2).  I  successivi  eventi  di  guerra  li  interruppero, 
e  ne  impedirono  il  compimento.  Dopo  la  guerra,  si  potè  riprendere  qualche  lavoro  :  ma 
si  preferì,  anziché  estendere  gli  scavi,  procedere  al  consolidamento  ed  alla  protezione 
dei  ruderi  già  scoperti.  Pur  tuttavia  l'esplorazione  è  così  avanzata,  e  presenta  già  tale 
interesse  dal  punto  tli  vista  archeologico  e  storico,  che  si  ritiene  non  doversi  più  oltre 
aspettare   a   darne   notizia. 

Gli  scavi  ed  i  lavori  presentarono  particolari  difficoltà.  La  zona  archeologica  non 
è  scoperta  dalla  neve  se  non  tre  mesi  all'anno,  ed  anche  in  questi  tre  mesi  le  intemperie  son 
così  frequenti  da  causare  continue  interruzioni  nei  lavori  all'aria  aperta.  Si  aggiunga 
che,  per  mancanza  di  mano  d'opera  sul  posto,  fu  d'uopo  procurarsela  da  luoghi  lontani: 
donde  anche  difficoltà  di  ricovero  e  di  mantenimento. 


(i)  Promis,  Le  antichità  di  Aosta  {Memorie  d.  r.  Accad.  d.  scienze  di  Torino,  ser.  II,  voi.  XXI, 

1864). 

(*)  Alla  esplorazione  della  zona  archeologica  prestò  valido  concorso  l'ispettore  G.  Moretti,  negli 

anni  in  cui  fu  addetto  a  questa  Soprintendenza. 

Notizie  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  49 


PICCOLO    S.    BERNARDO 


—    386 


REGIONE    XI. 


* 
*    * 


Chi  per  la  nuova  strada  nazionale  sale  dal  versante  italiano  venendo  da  La  Thuile, 
appena  raggiunto  il  pianoro  del  passo  e  dell'Ospizio,  arriva  alla  «Terza Cantoniera  »; 
poco  dopo  incontra  a  destra  della  strada,  e  in  parte  tagliati  da  questa,  estesi  ruderi  di 
un  edificio  a  cortile  (fig.  1).  È  di  questo  che  il  Promis  si  era  occupato.  Più  avanti,  at- 
traversa un  cerchio  preromano  (diam.  m.  72)  di  pietre  di  non  grandi  dimensioni,  distanti 
qualche  metro  l'una  dall'altra,  forse  un  recinto  funerario  da  collegarsi  a  quelli  delle 


PF.R     AOSTA  /*>- 


Fig,  l, 


età  del  ferro  in  Francia  ed  in  Italia  (').  A  destra  della  strada,  ancora  tracce  di  un  fosso 
rettangolare  :  al  Promis  aveva  suggerito  l'idea  di  un  piccolo  posto  militare;  ma  la  sua 
origine  potrebbe  essere  molto  più  recente.  Più  oltre  sul  ciglio  della  stradii  e  precisamente 
sulla  linea  dello  spartiacque,  una  colonna  romana  (alta  m.  4,50  circa)  con  sopravi  una 
piccola  statua  di  san  Bernardo  (*),  e  dal  lato  opposto  gli  avanzi  di  un  altro  vasto  edificio 
a  cortile  (fig.  2).  È  questo  l'edificio  che  si  stava  esplorando,  quando  nel  1914  la  guerra 
venne  ad  interrompere  i  lavori. 

(')  Vi  fu  chi  accennò  anche  ad  un  dolmen  di  grandi  pietre  che  sarebbe  esistito  nel  centro  del  cer- 
chio ;  ma  il  Promis,  che  disegnò  il  cerchio  (op.  cit.,  tav.  Il,  K),  nulla  vi  avrebbe  veduto.  In  questa  parte 
della  zona  archeologica  sembra  certo  l'avvenuto  rinvenimento  di  una  moneta  gallica  (RIanchet,  Déter- 
mination  d'une  monnaie  gauloise  trouvéc  cn  1869  dans  le  dolmen  du  Petit  Saint-Bernard  (Bull,  de  la  Société 
académique  de  Saint  Anselme,  Aoste,  IX). 

(*)  La  colonna  di  marmo  cipollino,  di  cava  della  Savoja,  sembra  che  per  i  lavori  della  strada  sia 
stata  spostata  dal  punto  in  cui  era  un  tempo  eretta,  e  sia  stata  collocata,  dove  ora  si  trova  dall'ai).  Chanoux 
per  porvi  sopra  la  statuetta  di  San  Bernardo.  Verosimilmente  è  la  stessa  colonna  disegnata  dal  Guiche- 
non  (Histoire  généalogique  de  la  maison  de  Savoie,  Turin,  1660),  sovrapponendovi  a  fantasia  un  oggetto 
che  doveva  figurare  un  carbonchio  di  cu:  parlano  le  leggende  meaioevali.  In  documenti  medievali  è  chia- 
mata columna  Jovis. 


REGIONE    XI. 


387  — 


PICCOLO   S.    BERNARDO 


* 
*    * 


Gli  scavi  del  Promis  presso  la  terza  cantoniera  avevano  dato  risultati  assai  limi- 
tati. La  pianta  dell'edificio,  da  lui  completata  per  ipotesi,  risultò  inesatta  anche  per 
le  misure.  Numerosi  frammenti  laterizi,  appartenenti  al  tetto,  gli  fecero  credere  ad  una 


I 


t 


y 


ONA  AN°. 


**h 


VX^ 


z 
■I? 


0    I    1  3  •    5 


Fio.  2. 

costruzione  laterizia,  mentre  in  tutto  il  vasto  edilizio  sono  laterizi  soltanto  tre  piccoli 
muretti  (fig.  1  l)  :  tutti  gli  altri  muri,  come  ordinariamente  negli  abitati  alpini, 
sono  di  opus  incedimi  di  piccolo  pietrame,  quale  fornisce  il  luogo,  colla  frome  rivestita 
di  piccole  pietre  spaccate  e  disposte  con  una  certa  regolarità.  Gli  angoli  sono  rinfor- 
zati da  piccoli  massi  squadrati  di  tufo  locale.  I  muri  maestri  hanno  lo  spessore  di 
m  0.70  circa.  Attualmente  si  elevano  appena  sopra  la  risega  delle  fondazioni. 


PICCOLO   S.    BERNARDO  —  388  —  REGIONE   XI. 

Le  rovine  coprono  un'estensione  di  m.  25,50  X  67,50.  Non  sono  tuttavia  complete, 
una  parte  dei  ruderi  essendo  andata  distrutta  per  il  passaggio  della  strada  nazio- 
nale. Ma  non  potevano  estendersi  molto  a  sud  della  strada,  per  la  prossimità  del  tor- 
rente che  scorre  al  piede  della  ripida  costa. 

Il  corpo  principale  di  questo  edificio  consta  di  locali  chiusi  disposti  intorno  ad 
un  cortile  (piano  I,  a),  troppo  vasto  (m.  23  X  11)  perchè  si  possa  dubitare  fosse  un  atrio 
coperto  a  difesa  dalle  intemperie,  come  se  ne  hanno  esempii  in  altri  luoghi  alpini.  L'in- 
gresso principale  era  al  lato  nord,  dove  verosimilmente  correva  la  strada  romana 
(fig.  le).  Davanti  alle  tracce  di  questo  ingresso  rimangono  sul  posto  due  rocchi  di  colonne 
di  tufo,  le  quali  verosimilmente  sostenevano  il  tetto  di  un  piccolo  portico.  È  un  uso, 
davanti  agli  ingressi,  constatato  anche  a  Boutae  in  Savoia  (*).  Dall'ingresso,  per  un  breve 
androne,  i  carri  potevano  entrare  nel  cortile.  Un  altro  ingresso  si  apriva  al  lato  sud 
del  cortile  (fig.  1  b)  :  seguono  ad  esso  due  muri  paralleli  rotti  per  la  costruzione 
della  strada  nazionale.  L'accurato  rinforzo  di  piccoli  massi  squadrati  agli  angoli  dei 
muri  sembra  indicare  che  trattasi  di  un  locale  particolarmente  importante. 

L'edificio  aveva  quasi  certamente  un  piano  superiore  parzialmente  costruito  in 
legname.  Era  del  resto  una  costruzione  bassa,  e  lo  si  arguisce  dal  poco  spessore  dei 
muri.  Il  largo  uso  di  legname  è  attestato,  oltre  che  da  abbondanti  tracce  di  carbone, 
da  una  grande  quantità  di  chiodi  di  ferro. 

La  disposizione  delle  stanze  risulta  dal  piano  :  sono  riconoscibili,  caratterizzati  agli 
angoli  da  piccoli  massi  di  tufo,  due  piccoli  ingressi  (fig.  1,  d,  e). 

Annesse  al  corpo  principale  erano  costruzioni  evidentemente  aggiunte,  forse  non 
molto  tempo  dopo  la  prima  costruzione  :  una  a  sud  (fig.  1  f),  formata  da  due  am- 
bienti isolati  quadrangolari,  tagliati  sulla  strada  nazionale;  un'altra  aggiunta  al  corpo 
principale,  divisa  in  due  locali  (fig.  1  gt  h),  forse  alla  loro  volta  suddivisi  in  minori  am- 
bienti da  muretti  di  cui  restano  bassissimi  avanzi  di  fondamenta  (fig.  1  i,  l).  Si 
entrava  per  un  piccolo  ingresso  all'angolo  sud-ovest  dell'edificio  principale  (fig.  1  m). 
Questa  costruzione  aggiunta  segue  il  forte  pendìo  della  costa.  Nel  locale  h  il  tratto  di 
muro  n  ha  lo  spessore  di  m.  1,30  ed  6  fondato  assai  solidamente  sul  suolo  roccioso. 

Anche  in  queste  costruzioni  aggiunte  numerosi  chiodi  mostrano  il  largo  uso  di  le- 
gname :  in  h,  oltre  a  carboni,  molte  ossa  di  animali  domestici. 

I  due  muri  divergenti  o  sono  avanzi  di  una  incerta  costruzione  di  uso  ignoto  :  il 
muro  p  sovrasta  le  fondamenta  del  muro  q  ;  sembra  trattarsi  di  una  costruzione  poste- 
riore, seppure  non  è  correzione  di  un  piano  primitivo. 

* 
*  * 

In  nessuna  parte,  sia  del  corpo  principale  sia  degli  annessi,  rimangono  tracce  di 
pavimenti,  e  neppure  di  ipocausti,  che  pure  nelle  fredde  regioni  alpine  e  transalpine 
avevano  una  importanza  notevole.  Non  è  improbabile  che  le  stanze  venissero  riscaldate 
con  focolari  costituiti  nell'angolo  di  ciascuna  stanza  al  piede  del  muro  con  un  camino 
per  l'uscita  del  fumo.  Se  ne  trovarono  esempi  in  Savoja  (*).  Nulla  che  accenni  a  fine- 

(')  Marteaux,  Boutae,  vicus  gallo-romain.  Annecy,  1913. 
(*)  Marteaux,  op.  cit. 


REGIONE    XI. 


—  389 


PICCOLO   S.    BERNARDO 


stre,  le  quali  verosimilmente  erano  piccole  e  chiuse  da  vetri.  Il  tetto  aveva  la  comune 
copertura  a  «tegulae  »  ed  «  embrices  ».  Ne  sono  sufficiente  indizio  i  numerosi  rottami 
trovati  in  grandissima  abbondanza  sul  suolo. 


* 
*  * 


Benché  i  ruderi  fossero  stati  ripetutamente  manomessi  e  sconvolti,  pure  ne  usci- 
rono frammenti  di  vasi  fittili  e  di  vetro.  Fra  le  ossa  di  animali,  frequenti  i  denti  di 
cinghiale.È  noto  come  queste  fiere  fossero  numerose  nelle  regioni  alpine,  non  solo  in 
età  romana,  ma  anche  nel  medio  evo.  Sui  laterizi,  varii  bolli  in  belle  lettere  rilevate,  già 


noti  in  Val  d'Aosta  :  frequentissimo    specie 
publicae  Augustanorum  ?), 


\r 


I/i 


SEPPI 


1/ 


.PVBtc'      :  ancora 
I/I N 


Finora  nuovo  il  bollo 


R-P-A 


(rei 


Q-V-C 


,  anche 


questo  in  belle  lettere  rilevate.  Il  bollo  in  lettere  rilevate 


M-aiV-J 


completasi  con 


altro  del  Gran  San  Bernardo  (').  Dolio  lucernette,  alcune  sono  della  forma  a  becchetto 
a  volute  (*),  in  uso  nei  primi  tempi  dell'Impero  :  un'altra,  a  becchetto  ornato  di  coste 
sporgenti  (*),  ha  il  nome  del  noto  figlilo  COMWI,  la  cui  attività,  almeno  in  parte, 
è  anteriore  alla  distruzione  di  Pompei.  11  bollo  a  lettere  disposte  a  cerchio  SEVVO-FEC- 
è  sul  fondo  di  uno  di  quei  vasi  di  impasto  nerastro  non  bene  depurato,  caratteristici  di 
officine  della  bassa  Savoja,  dalla  fine  del  I  sec.  al  principio  del  III.  Sevvo  o  Seuvo  sembra 
avesse  l'officina  a  Vienna,  dove  numerosi  si  raccolsero  i  suoi  bolli.  I  vasi  dipinti  a  fasce, 
più  o  meno  larghe,  bianche,  nere,  violacee,  brune,  che  si  trovarono  nella  Francia  Centrale, 
Svizzera,  Vallese,  ecc.,  ci  diedero  qui  scarsi  frammenti.  Il  periodo  di  maggiore  attività 
sembra  la  seconda  metà  del  I  secolo  av.  Cristo,  ma  se  ne  trovarono  anche  in  giacimenti 
posteriori.  Il  Marteaux  ne  raccolse  a  Boutae  in  istrati  che  egli  daterebbe  al  II  o  III 
secolo.  I  nostri  frammenti,  usciti  da  terreno  rimescolato,  non  portano  luce  sulla  que- 
stione. Anche  la  «  terra  sigillata  »,  a  vernice  rossa,  era  pervenuta  al  sommo  dcWAlpis 
Graja.  Non  molti  i  frammenti  italici  :  più  numerosi  quelli  gallici  transalpini  ornati 
e  non  ornati.  Le  figg.  3  e  4  riproducono  frammenti  di  caratteristiche  coppe  transalpine  : 
gli  ornati  erano  stati  impressi  entro  le  forme  in  cui  si  modellavano  i  vasi.  Il  frammento 
della  fig.  3  è  di  una  coppa  di  foggia  caratteristica,  di  uno  dei  più  antichi  periodi  della 
produzione  gallica  fin  verso  l'80  circa  d.  Cr.)  (*)  ;  la  coppa  cui  appartenne  il  frammento 
della  fig.  4  era  della  foggia  emisferica  introdotta  in  uso  posteriormente  alla  precedente, 
prima  tuttavia  della  distruzione  di  Pompei  (5).  Su  frammenti  si  lessero  i  bolli  dei  figuli 


AM-3IV-J 


n.  29 


(!)  Notizie  d.  scari  d'ant.  1892,  p.  443.  Il  bollo  completo  è 

(2)  Foggia  Dressel  (Corp.  inscr.  lai.,  XV,  tav.  Ili),  n.  9. 

(3)  Foggia  Dressel  (op.  cit.),  n.  6. 

(«)  Déchelette,  Vases  céramiques  ornfe  de  la  Gaule  Romaine,  Paris,  1904.  La  foggia  Dragendorf, 

(s)  Foggia  Dragendorf -Péchelette,  n.  37, 


PICCOLO    S.    BERNARDO  —   390   —  REGIONE    XI. 

Virilis  e  Vitalis,  delle  officine  di  cui  si  trovarono  le  tracce  nella  odierna  località  di 
Graufesenque:  ad  altra  officina,  presso  l'odierna  Lezoux,  appari  eneva  il  figulo  PeUernus, 
il  cui  caratteristico  bollo  (')  ritrovasi  anche  su  un  frammento  della  Alpi*  Qraja* 

Le  monete  trovate  sono  per  la  massima  parte  in  cattivo  stato  di  conservazione: 
alcuni  medi  bronzi  possono  essere  attribuiti  ai  secoli  I,  II,  III,  IV,  ma  non  sono  identifi- 
cabili. Le  identificate  vanno  da  Augusto  ad  Aureliano.  Della  repubblica  solo  un  denaro 
di  L.  Caesius  (a.  104  circa  av.  Cr.). 


Fio.  3. 


* 
*  * 


L'altro  edilizio,  di  cui,  come  si  disse,  sono  visibili  i  ruderi  lungo  la  strada  del  passo, 
era  stato  costruito  precisamente  sulla  linea  di  spartiacque.  In  questi  ruderi  si  ravvisa 
l'identica  muratura  dell'edificio  precedente,  lo  stesso  largo  uso  di  legname  ;  ancora  molti 
frammenti  di  tegulaeedi  imbrices,  avanzi  del  tetto.  Alcuni  frammenti  di  laterés  indicano 
che  in  qualche  parte  se  n'era  fatto  uso. 

Anche  questo  edifi zio,  raso  fino  alle  fondamenta,  presenta  un  cortile  centrale,  in- 
torno a  cui  stanno  i  varii  locali  (fig.  2).  Immediatamente  a  nord  e  ad  ovest  il  terreno 
digrada  bruscamente,  mentre  a  sud  e  ad  est  scende  con  un  lieve  pendìo  percorso  da  un 
canaletto  di  scarico  (fig.  2  a),  Qui  era  forse  l'ingresso,  al  punto  più  basso,  e  avanti  ad 
esso  passava  la  strada  romana.  Ma  a  questo  proposito  converrà  aspettare  i  risultati  di 
ulteriori  scavi,  i  quali  potranno  stabilire  pure,  se  davanti  all'ingresso  fosse  un  portico,  e 
se,  per  avventura,  ne  facesse  parte  la  colonna  oggi  eretta  sid  margine  della  strada  na- 
zionale (*). 

(l)  Déchelette,  op.  cit. 

(*)  Secondo  il  Roche  (Notiees  historiques  des  Centrons,  Moutiers,  1813),  al  principio  del  secolo  pas- 
sato era  qui,  al  passo,  entro  un  mucchio  di  pietre,  oltre  a  questa  colonna,  un  capitello  corinzio. 


REGIONE   XI. 


—  391 


PICCOLO    S.   BERNARDO 


Al  lato  del  cortile  opposto  all'ingresso  esiste  un  locale  (fig.  2  b)  di  cui  soltanto  la 
facciata  è  compresa  nel  recinto  del  cortile  stesso.  Vi  si  accede  per  mezzo  di  un  gradino 
fiancheggiato  da  un  largo  basamento  in  muratura.  Internamente  muretti  di  poco  spessore 
sembrano  stabilire  divisioni.  Nesssuna  apertura  di  accesso  di  fianco.  Nella  parte  opposta 
al  cortile  pare  fosse  una  piccola  cella  chiusa.  A  differenza  degli  altri  locali,  fu  trovato 
pieno  di  avanzi  di  carbone  e  di  ossa  di  animali  domestici.  Lungo  la  parete  esterna  furono 
rinvenuti  insieme,  evidentemente  perchè  insieme  deposti  come  in  un  ripostiglio,  tre  og- 


^vs-ertrir   , 


.    . 


Fio.  4. 


getti  di  lamina  d'argento  sbalzata:  un  nastro  cioè  ravvolto  su  sé  stesso,  ornato  di 
lineette  a  spina  di  pesce  ;  una  figurina  di  Ercole  entro  la  fronte  di  un  tempietto  ;  un  busto 
di  Giove,  a  tutto  tondo,  schiacciato  dal  peso  della  terra. 

La  tecnica  a  sbalzo,  di  arte  provinciale,  la  rozzezza  delle  figure,  le  lamine  della 
stessa  lega  d'argento,  le  circostanze  di  ritrovamento  fanno  credere  che  questi  tre  oggetti 
siano  usciti  dalla  mano  di  un  modesto  artefice,  che  lassù  provvedesse  ai  passeggeri  ex- 
votó  da  offrire  ad  una  divinità  locale,  denominata  forse  Giove  dai  Romani.  Sono  però 
i  soli  oggetti  finora  noti  che  diano  indizia  archeologico  di  culto  lassù  praticato.  Mons  Mino- 
ris  Jovis,  tuttavia,  evidentemente  per  il  perdurare  di  una  tradizione,  era  detto  nell'alto 
medio-evo  il  Piccolo  San  Bernardo,  quando  Mons  Jovis  nomavasi  l'altro  grande  passo 
valdostano,  il  Gran  San  Bernardo,  YJipis  Poenma  dei  Romani  Durante  l'Impero  visi 
ergeva  infatti  un  tempio  in  muratura,  alle  cui  pareti  erano  appese  le  note  tavolette  vo- 
tive a  «  Jupiler  Poeninus  »  a  fianco  della  grande  strada  che  conduceva  al  Reno,  presso 
alle  varie  mansiones,  solidamente  costrutte  per  resistere  ai  rigori  del  luogo. 

I  materiali  raccolti  tra  i  ruderi  dell'edificio  sono  analoghi  a  quelli  raccolti  presso  la 


Terza  Cantoniera  :  frammenti  laterizi  col  bollo 


Q-V-C 


di  «  terra   sigillata  »  italica 


e  gallica  transalpina,  ecc.  Le  monete  più  antiche  sono  un  denaro  di  Mn.  Cordius  Rufus 


PICCOLO  S.    BERNARDO  —  392   —  REGIONE    XI. 

(49  circa  av.  Cr.)  ed  un  altro  della  legione  Vili  di  M.  Antonio  ;  la  più  recente  un  medio 
bronzo  di  Teodosio  I. 

* 

*  * 

I  bolli  laterizi,  la  ceramica,  le  monete  concorrono  nel  dimostrare  che  i  due  edifizi 
esplorati  presso  la  Terza  Cantoniera  ed  allo  spartiacque  esistevano  fin  dal  I  secolo  del- 
l'era volgare.  Per  il  primo  edificio  e  per  parte  almeno  del  secondo  si  può  con  fondamento 
affermare  la  loro  destinazione  a  mansiones.  Specialmente  nel  primo  la  disposizione  dei 
molteplici  locali  non  poteva  meglio  rispondere  a  tutte  le  necessità  cui  servivano  le  man- 
siones in  luoghi,  dove  per  le  difficoltà  del  transito  ed  i  rigori  della  natura  esse  venivano 
ad  avere  un'importanza  molto  maggiore  che  non  nelle  stazioni  al  piano.  Anche  gli 
oggetti  usciti  dagli  scavi  dimostrano,  che  in  quei  locali  si  provvedeva  ai  bisogni  di  una 
mansio  :  sono  gli  stessi  oggetti  che,  in  genere,  si  raccolgono  tra  le  rovine  delle  case 
gallo-romane  della  Savoia  e  degli  altri  paesi  gallici  romanizzati. 

L'esistenza  di  una  mansio  sÀVAl-pis  Graja  è  espressamente  indicata  nella  tavola 
peutingeriana,  sulla  strada  romana  che  attraversava  il  passo. 

Di  questa  nessun  tratto  riconoscibile  finora  apparve  al  Piccolo  San  Bernardo: 
forse  constava  semplicemente  di  terriccio  battuto.  Ma  notevoli  avanzi  ancora  se  ne 
hanno  nel  versante  italiano,  lungo  la  nuova  strada  nazionale.  Essi  furono  già  illustrati 
dal  Promis,  ed  in  questi  ultimi  anni  se  ne  occupò  la  Soprintendenza  agli  scavi  del  Pie- 
monte nell'intento  di  salvare  da  ulteriori  deper'menti  le  ultime  tracce  di  romana  grandio- 
sità. Cosi  furono  a  cura  della  Soprintendenza  stessa  consolidati  a  monte  di  Aosta  e  li- 
berati da  aggiunte  posteriori  varii  tratti  di  ardite  sostruzioni. 

II  Promis  era  d'opinione  che  la  costruzione  della  strada  romana  in  vai  d'Aosta  ri- 
salisse all'età  dei  Gracchi.  Senza  togliere  valore  a  tale  autorevole  opinione,  sembra  tut- 
tavia doversi  tenere  conto  della  difficoltà  del  tracciato  e  delle  molte  ed  importanti  opere 
d'arte  che  esso  richiese,  mentre  d'altra  parte  la  valle,  per  la  fiera  resistenza  dei  Salassi, 
continuò  in  uno  stato  di  guerra  quasi  permanente  fino  ai  tempi  di  Augusto.  Siffatta  con- 
dizione di  cose  fa  ritenere  che  almeno  per  il  tratto  più  difficile,  quello  a  monte  di  Aosta, 
lagrandiosa  sistemazione  non  possa  essersi  compiuta  prima  della  pace  definitiva  imposta 
da  Augusto  ai  Salassi  e  a  tutti  i  popoli  alpini.  Quando  Agrippa,  verso  il  20-19  av.  Cr.,  fece 
costruire  le  strade  che  allacciarono  Lione  all'Aquitania,  a  Marsiglia,  al  Reno,  all'Atlan- 
tico, tutto  fa  ritenere  sia  stata  pure  completamente  sistemata  nei  due  versanti  delle 
Alpi  la  strada  che,  per  Vienna,  passando  per  VAlpis  Graja,  raggiungeva  Augusta 
Praetoria,  allora  fondata,  e  penetrava  in  Italia.  Fu  probabilmente  allora,  o  poco  dopo, 
che  Roma  fece  costruire  gli  ampli  mezzi  di  ricovero  e  di  comodo  transito  al  pa«so  del- 
l'Alpe Graia  e  dell'Alpe  Pennina. 

Pietro  Barocelli. 


REGIONE  XI.  —  393  


SEMIANÀ 


II.  SEMIANA  —  Analisi  dei  pani  di  rame  e  nuove  informazioni 
sul  ritrovamento. 

Facendo  sèguito  alla  mia  relazione,  edita  in  queste  Notizie,  anno  1923,  pag.  209, 
comunico  l'analisi  dei  pani  di  rame  rinvenuti  a  Semiana  di  Lomellina,  analisi  eseguita 
nell'Istituto  di  chimica  industriale  della  R.  Universtà  di  Pavia.  Da  essa  è  risultato  che 
si  tratta  di  rame  quasi  puro,  con  tracce  di  stagno  e  di  ferro,  ma  non  di  metalli  rari  che 
potrebbero  dar  qualche  lume  sulla  provenienza  di  essi  pani.  Le  proporzioni,  per  cento 
parti,  sono  : 

rame ■ .-  .    99,2 

stagno     0,3 

ferro 0,48 

99,98 

Dopo  che  l'Istituto  di  chimica  industriale  ebbe  rimandato  i  pezzi  da  cui  si  erano 
prelevati  i  campioni  per  l'analisi,  venne  a  trovarmi  in  ufficio  il  prof.  G.  Ponte,  r.  ispet- 
tore onorario  per  gli  scavi  della  Lomellina  occidentale,  al  quale,  sùbito  dopo  la  scopetta, 
erano  stati  mostrati  i  frammenti  di  metallo  trovati  a  Semiana  ;  e  lo  invitai  ad  osservare 
quelli  che  erano  stati  sequestrati  ai  ritrovatori  e  portati  a  me,  per  riconoscerli.  11  Ponte 
aveva  sempre  parlato  di  bronzi  lavorati,  dei  quali  non  trovavo  traccia,  e  invece  non  aveva 
mai  accennato  a  pani  di  rame  ;  e  pure  il  trovamento  era  unico,  e  le  persone  che  avevan 
fatto  la  scoperta  erano  le  stesse  presso  le  quali  si  era  poi  eseguito  il  sequestro.  Poiché 
l'interpellato  non  riconobbe  gli  oggetti  che  io  gli  mostravo,  asserendo  che  mai  non  gli 
erano  stati  mostrati  prima,  e  poiché  confermò,  in  presenza  di  esemplari  dell'Antiqua- 
rium  del  Gabinetto  archeologico  dell'Università  di  Pavia  (che  è  anche  l'ufficio  della 
Sovrintendenza),  di  aver  visto  invece  frammenti  di  spade  o  pugnali  di  bronzo  a  costola 
o  nervatura  centrale,  e  frammenti  di  accette  a  margini  ribattuti,  bisogna  concluderne 
che  il  sequestro  arrivò  troppo  tardi,  che  tutto  ciò  che  presentava  una  forma  qualsiasi, 
anche  frammentaria,  era  già  sparito,  e  soltanto  rimanevano  presso  quei  contadini 
i  frammenti  di  pani  di  rame.  Tale  conclusione  pare  a  me  sicura,  tenuto  anche  presente 
che  il  prof.  Ponte,  sebbene  non  specialista  di  preistoria,  è  persona  pratica  di  antichità, 
ed  autore  anche  di  pregevoli  pubblicazioni  descrittive  di  archeologia  locale.  Ed  è  di 
una  certa  importanza,  perchè  viene  a  stabilire  che  i  pani  di  rame  sono  effettivamente 
preistorici  e  dell'età  del  bronzo  ;  quantunque  chi  è  pratico  di  tali  rinvenimenti  e  della 
ricchezza  della  Lomellina  in  avanzi  precisamente  di  quella  età  non  avesse  motivo  di  du- 
bitare, che  appunto  all'età  del  bronzo  la  scoperta  dovesse  attribuirsi,  come  già  io  feci 
nella  precedente  relazione. 

Si  deve  anche  dedurre,  da  tutto  ciò,  che  il  ripostiglio  era  più  notevole  di  quanto  non 
si  fosse  ritenuto  ;  poiché  ai  kg.  12,  peso  attribuito  ai  frammenti  di  bronzo  lavorato  che 
furono  portati  a  vedere  al  Ponte,  bisogna  aggiungere  i  kg.  6,1/*  di  frammenti  di  rame 
in  pani;  e,  tenuto  conto  di  precedenti  dispersioni,  si  può  ritenere  che  in  totale  il  peso  del 
metallo  contenuto  nel  rozzo  vaso  andato  in  frantumi  fosse  di  una  ventina  di  chilogrammi. 
Notoib  Scavi  1924  —  Voi  XXI,  50 


PITIGLIANO  —   394  —  REGIONE   VÌI. 


Devo  ora  aggiungere  che,  esaminando  meglio  il  maggiore  frammento  di  un  pane 
di  rame,  ove  precedentemente  notai  che  una  linea  netta  di  contorno  è  quella  che  rap- 
presenterebbe il  taglio  della  scure,  un  po'  convesso,  devo  escludere  che  il  pane  intiero 
avesse  la  forma  di  doppia  ascia  o  bipenne.  Il  pezzo,  col  maneggiarlo,  si  è  meglio  ripulito 
del  terriccio  che  lo  incrostava,  e  si  vede  che  i  lati  stretti  non  sono  usciti  da  una  forma,  per 
quanto  incerta  o  sbavata  si  voglia  ammettere,  bensì  furono  ottenuti  rompendo  a  mar- 
tellate un  pane  molto  più  grosso  in  forma  di  focaccia.  Infatti  le  due  facce  maggiori,  che 
s'incontrano  in  quello  che  poteva  parere  il  taglio,  si  presentano  l'una  piana  e  l'altra  con- 
vessa ;  quella  era  la  faccia  superiore,  questa  la  inferiore  del  rame  colato  in  una  baci- 
nella di  pietra  refrattaria  situata  al  fondo  del  forno  in  cui  si  trattava  il  minerale  per 
estrarne  il  metallo  puro.  La  convessità  del  «  taglio  »  altro  non  è  se  non  un  arco  della 
circonferenza  interna  della  bacinella.  L'altezza  massima  del  nostro  pezzo,  nella  parte 
opposta  al  «taglio  »,  che  è  di  cm.  16,  ci  dà  approssimativamente  lo  spessore  massimo,  verso 
il  centro,  della  focaccia  di  rame  fuso  ;  ma  la  convessità  della  faccia  inferiore  sembra  con- 
tinuasse, e  la  parte  centrale  manca.  La  curvatura  dell'arco  di  circonferenza  fa  presu- 
mere un  raggio  di  circa  20  cm.  e  per  conseguenza  un  diametro  interno  della  bacinella 
di  40  cm.  ;  la  lunghezza  massima  del  pezzo  è,  invece,  di  12  cm.  Abbiamo  dunque  la  por- 
zione esterna  di  una  fetta,  ottenuta  con  tagli  o  rotture  approssimativamente  radiali, 
del  pane  di  rame  originario. 

G.  Patroni. 


Regione  VII  (ETRURIA). 

III.  PITIGLIANO  —  Rinvenimento  di  tombe. 

Nelle  ultime  settimane  dell'anno  1921 ,  il  sig.  Salvatore  Mastrorosati  scoprì  fortui- 
tamente, in  un  suo  terreno  a  Terralba  (a  circa  5  km.  da  Pitigliano  verso  S-O),  una  tomba 
etnisca  a  camera  (m.  3  X  4,10  X  1,75),  preceduta  da  dromos  volto  a  S-E  (largo  m.  1), 
e  tutta  circondata  internamente  da  una  banchina  (larga  da  0,73  a  m.  1,20  sul  lato  d., 
ed  alta  dal  pavimento  0,62),  sulla  quale  in  origine  avevano  trovato  posto  varii  cadaveri 
distesi.  Il  sepolcro  è  tutto  scavato  nel  tufo  di  una  bassa  collina,  e  lì  presso  pare  si  siano 
riscontrati  indizi  di  altri  seppellimenti.  Il  Mastrorosati,  ossequente  alle  disposizioni  di 
legge,  aveva  lasciato  tutto  in  ordine,  dopo  la  sua  regolare  denunzia  del  trovamento, 
cosicché  quando  io,  nel  dicembre,  mi  recai  sul  posto  per  ispezionare  la  scoperta,  potei 
senza  difficoltà  rendermi  esatto  conto  del  carattere  e  dell'entità  di  essa.  Già  il  Mastro- 
rosati  e  l'intelligente  Ispettore  onorario  di  Pitigliano,  prof.  Evandro  Baldini,  accorso  sul 
luogo  al  primo  annunzio  della  scoperta,  avevano  notato  che  il  sepolcro  era  stato  violato 
in  antico.  Tuttavia  un  gran  numero  di  vasi  fittili  della  originaria  suppellettile  era  ri- 
masto nella  cella  funeraria,  a  testimoniare  della  importanza  del  deposito.  A  questa  prima 
antica  devastazione  si  deve  attribuire  la  scomparsa  quasi  totale  degli  oggetti  metallici, 
che  non  potevano  mancare  fra  il  corredo  dei  varii  defunti  ivi  sepolti. 


REGIONE   TIL 


305 


PITIGLIASO 


I  copiosi  vasi  greci  ed  etruschi  (circa  un  centinaio  in  complesso),  raccolti  nella  mas- 
sima parte  in  buono  stato  di  conservazione,  servono  in  compenso  a  fornirci  gli  elementi 
sicuri  della  cronologia.  Tale  sepolcro  doveva  appartenere  agli  ultimi  decennii  del  sec.  VI 
av.  Cr.,  ma  potè  rimanere  a  disposizione  per  ulteriori  seppellimenti  forse  per  tutto  il 
primo  cinquantennio  del  secolo  successivo.  Dunque  esso  risaliva  ad  un  periodo  di  alta 
importanza  per  la  vita  artistica  e  culturale  dell'Etruria,  soggetta  all'influenza  ionica, 


Fio.  1. 


ed  in  rapporto  con  le  industrie  ceramiche  della  Grecia  continentale,  segnatamente  at- 
tiche. Però  tale  constatazione  di  massima  non  costituisce  una  novità,  ma  solo  una  con- 
ferma a  quanto  era  già  stato  posto  in  rilievo  in  seguito  ad  altre  scoperte  dello  stesso  ge- 
nere nel  territorio  pitiglianese  {*). 

L'elenco  completo  dei  vasi  trovati  a  Terralba  si  conserva  nell'archivio  della  nostra 
Soprintendenza,  ma  non  credo  necessario  di  riportarlo  qui  per  intero.  Agli  effetti  della 
notizia  scientifica  sull'importante  scoperta,  è  bastevole  il  dire  che  il  carattere,  l'abbon- 
danza, e  la  natura  della  suppellettile  vascolare  in  parola  corrispondono  interamente  ai 
depositi  analoghi  di  Naioli  e  del  Gradone,  ai  quali  si  riferisce  il  mio  richiamo  alle  Nat.  se. 


(»)  JL  Minto,  in  Sol.  stavi,  1913,  pag.  334  e  337  sg. 


PITIOLIANO 


396  — 


REGIONE    VII. 


del  1913.  Non  pochi  vasi  del  gruppo  Mastrorosati  provengono  senza  dubbio  dalle  me- 
desime officine  che  arricchirono  anche  le  tombe  di  Naioli  e  del  Gradone. 

I  più  interessanti  da  segnalare  sono  i  seguenti  : 

ISfel  ristretto  numero  dei  vasi  greci  d'importazione  : 
a)  Bella  kylix  ad  occhioni  (diam.  0,21%)  raccolta  in  frammenti  ricomponibili 
quasi  per  intero,  e  decorata  all'esterno  con  due  rappresentazioni  identiche  contrapposte  : 
Herakles  con  la  nemea  e  la  clava  in  corsa  verso  d.,  e  due  Sileni  pure  in  corsa  ai  lati  delle 
anse  (cfr.  fig.  1)  ;  e  nell'interno  con  un  singolare  Gorgoneion  di  tipo  orrido  radiato. 

Questa  tazza  fu  dovuta  rilasciare  (insieme  con  una  piccola  lekythos  pure  greca 
e  con  due  vasetti  etruschi)  come  quota  parte  spettante  al  sig.  Mastrorosati. 


miTtiiiiiiiiiinTr]ii;ii)iiiiiiiiiiiii!)iiiii|j[] 

Via    2. 


Fra  i  vasi  locali  di  particolare  importanza  se  ne  possono  segnalare  di  più. 

b)  Kantharos  con  anse  ritorte  e  forate  in  cima,  d'impasto  italico  fine  ma  imper- 
fettamente cotto,  alto  0,30.  Le  sagome  che  girano  intorno  alla  base  del  collo  hanno 
il  carattere  quasi  di  un  lavoro  ligneo  sottoposto  al  tornio,  e  tutta  la  superficie  dell'alto 
collo  è  decorata  inoltre  con  peculiari  graffiti  geometrici  ripieni  in  origine  di  ocra  rossa, 
dei  quali  si  riproduce  una  sezione  nell'annessa  fig.  2.  Questo  kantharos  venne  assicu- 
rato alle  collezioni  del  Museo  di  Firenze,  mentre  tutto  il  resto  del  vasellame  di  pertinenza 
governativa  fu  depositato  ad  incremento  del  Civico  Museo  di  Pitigliano. 

e)  Pisside  alta,  col  coperchio,  0,21,  decorata  con  rozzi  ed  ingenui  graffiti  rappre- 
sentanti uccelli  acquatici  intorno  al  ventre,  e  con  altri  graffiti  geometrici  nella  parte 
superiore  e  sul  coperchio,  il  quale  è  sormontato  inoltre  da  un'ocarella  plastica  (fig.  3). 

d)  Pelvis  di  bucchero  con  ingubbiatura,  fatta  sopra  un  modello  di  lamina  enea, 
come  chiaramente  dimostrano  le  anse  di  tipo  metallico  fissate  da  chiodi. 

Oltre  ai  suddetti  vasi,  debbono  essere  ricordati  in  complesso  alcuni  grandi  pithoi 
ovoidali  di  argilla  chiara  ;  parecchie  anfore  ed  oinochoai  lisce  di  bucchero  nero  e  grigio  ; 
varii  vasetti  di  argilla  figulina  depurata,  con  decorazione  a  strie  rosse  e  brune. 


DEGIONE    VII. 


—   397 


PITIGLIANO 


*   * 


Il  25  giugno  1923  fu  scoperta  fortuitamente,  mentre  si  eseguivano  lavori  agricoli 
nel  podere  del  sig.  Amedeo  Polidori,  posto  in  località  «Formica»  presso Pitigliano, una 
tomba  etrusca  a  camera  col  soffitto  franato  in  antico.  Tale  tomba  era  scavata  nella'roc- 


Fig.  3. 


eia  tufacea  :  misurava  in  lunghezza  m.  3  ;  in  larghezza  m.  2,50  ;  in  altezza  circa  m.  1,90  ; 
aveva  due  banchine  lateralmente  (quindi  il  sepolcro  era  destinato  a  più  cadaveri)  ;  la 
porta  era  chiusa  da  un  grosso  lastrone  spezzato  in  due  parti,  ed  era  preceduta  da  un  cor- 
ridoio scoperto  (dromo*),  larga  circa  m.  1,50  fefr.  fig.  4).  Sulle  banchine  si  riscontrarono, 
al  disotto  della  massa  di  terreno  precipitata  dall'alto,  resti  di  ossa  umane  ;  e  nello  spazio 
tra  le  due  banchine,  ma  più  accosto  a  quella  di  destra,  si  raccolsero  diciannove  vasi  costi- 
tuenti la  suppellettile  funebre. 

Tali  vasi  non  sono  tutti  omogenei,  ma  variano  per  fattura  più  o  meno  accurata,  per 
tipo  e  qualità  di  argilla.  Uno  di  essi  ha  la  superficie  esterna  ricoperta  da  una  sottile  in- 


PITIGLIANO 


398    - 


REGIONE   VII. 


gubbiatura  rossastra  che  si  sfalda  ;  un  altro  è  di  un  impasto  cenerognolo  (che  si  suol  chia- 
mare bucchero  grigio)  ;  mentre  tutti  gli  altri  esemplari  sono  fatti  di  argilla  impura  gial- 


!•':<,    4. 


lognokv-biancastra  di  buona  consistenza,  ma  non  presentano  decorazioni  di  soita,  se  si 
eccettua  qualche  rigatura  circolare  eseguita  al  tornio  figulino. 


Fio.  5. 


Quanto  alle  loro  forme,  le  nostre  figure  5  e  6  ne  riassumono  chiaramente  la  varia 
tipologia  ;  e  per  le  misure  basta  accennare  che  variano  da  un  minimo  di  centimetri  3X7 
(tazzina)  ad  un  massimo  di  centimetri  38  X  16  di  diametro  alla  bocca  (anfora). 


degione  vii.  —  399 


PITIGLIANO 


È  cosa  indiscutibile  che  essi  siano  tutti  prodotti  non  importati,  bensì  fabbricati 
sul  posto  ;  e  nel  loro  complesso  denotano  la  povertà  del  sepolcro  ;  il  quale  appunto 
dal  genere  di  detti  vasi,  in  mancanza  di  altri  eJementi  di  giudizio,  non  dovrebbe  essere 
molto  antico,  ma  da  collocarsi  con  ogni  probabilità  tra  il  sec,  IV  ed  il  III  av.  Cr. 


Fio.  5 


Questa  tomba  pitiglianese  della  «  Formica  »  fu  esplorata  con  grande  diligenza 
e  perizia  dal  solerte  Ispettore  onorario  del  luogo,  prof.  Evandro  Baldini,  il  quale  ebbe 
cura  di  ritirare  subito  nel  Civico  Museo,  pure  a  lui  affidato,  i  vasi  del  corredo  funebre, 
che,  pur  non  presentando  alcun  particolare  interesse  intrinseco,  sono  tuttavia  oggetti 
degni  di  studio  in  rapporto  alle  antiche  manifestazioni  dell'arte  e  dell'industria  locale, 
e  perciò  da  essere  conservati. 

Da  un  dettagliato  rapporto  del  Baldini.,  arricchito  di  disegni  fatti  di  sua  mano,  ho 
desunto  le  notizie  e  le  figure  di  questa  mia  nota,  e  debbo  perciò  ringraziarlo  ora  viva- 
mente. 

* 
*  * 

Darante  la  mia  gita  a  Pitigliano  per  l'ispezione  al  travamento  Mastrorosati,  potei 
anche  assicurare  allo  Stato  ed  al  Museo  pitiglianese  una  quantità  cospicua  di  vasi  greci 
ed  etruschi  scavati  clandestinamente  nella  celebre  necropoli  arcaica  di  Poggio  Buco 
(antica  Statonia)  nello  stesso  territorio  del  comune  di  Pitigliano.  Ma  mi  propongo  di 
pubblicare  a  parte  il  più  insigne  esemplare  di  questo  gruppo  (un  grande  cratere  tetran- 
sato  di  bucchero,  con  decorazioni  figurate  a  rilievo  e  graffite),  e  di  darne  tutti  i  ragguagli 

scientifici. 

Edoardo  Galli. 


fAKQUINIA  —   400  —  REGIONE   Vii. 


IV.  TAEQUINIA  —  Scoperte  nella  necropoli. 

Durante  lo  scorso  anno  1923,  in  seguito  alla  cessione  in  enfiteusi,  a  piccoli  lotti, 
della  contrada  detta  i  «Monterozzi»,  da  parte  de)  Comune,  a  vari  agricoltori,  sono  avve- 
nute in  quella  zona  della  necropoli  tarquiniense  alcune  scoperte,  non  per  via  di  scavi 
sistematici,  ma  di  esplorazioni  saltuarie,  che  si  son  cominciate  a  fare,  allo  scopo  di  assi- 
curarci che  qualche  tratto  di  terreno  o  qualche  tomba  a  camera,  visibilmente  già  fru- 
gata e  poi  abbandonata,  si  potessero  senza  scrupolo  lasciare  alla  libera  lavorazione  o  alla 
libera  utilizzazione  da  parte  dei  nuovi  proprietari. 


Le  prime  di  tali  scoperte  si  ebbero  tra  la  fine  di  gennaio  e  il  principio  di  febbraio,  in 
un  appezzamento  di  .terreno  passato  in  possesso  di  tal  Tarquinio  Di  Giacomo.  Detto 
terreno  è  contiguo  alla  strada  provinciale  che  conduce  a  Viterbo  e  trovasi  di  là  dal 
cimitero  moderno,  presso  a  poco  all'altezza  della  carrareccia  trasversale  che  la  mette 
in  comunicazione  con  l'altra  carrareccia  chiamata  della  <■  Madonna  del  pianto  ». 

Tomba  I.  —  La  sera  del  29  gennaio  la  Direzione  del  Museo  fu  avvertita  dal  Di 
Giacomo  che  egli  aveva  cominciato  un  lavoro  di  spianamento  per  la  costruzione  di  una 
casetta  e  che  nel  corso  di  tale  lavoro  si  era  imbattuto  nell'ingresso  di  una  tomba. 

La  tomba,  a  camera,  si  apriva  a  una  quarantina  di  metri  dalla  menzionata  rota- 
bile. Ne  fu  compiuta  l'esplorazione,  con  la  debita  vigilanza  da  parte  del  personale  del 
Museo,  nei  giorni  seguenti,  30  e  31.  Essendo  stata  frugata  e  saccheggiata  in  precedenza, 
ora  si  presentava  piena  di  terra,  anche  per  il  franamento  di  una  parte  del  succielo.  In 
ogni  modo,  se  ne  poterono  stabilire  le  dimensioni,  non  molto  grandi  (circa  tre  metri 
di  profondità  e  altrettanti  di  larghezza  e  un  paio  di  metri  e  mezzo  di  altezza),  e  le  forma, 
col  succielo  a  botte.  Era  orientata  con  l'ingresso  verso  nord  ed  era  molto  irregolare, 
senza  ornati  e  di  rozza  fattura.  Quasi  nulla  rimaneva  di  suppellettile  funebre.  Due  vaghi 
di  collana,  in  terracotta,  tre  pendaglieli  di  bronzo  (>),  l'arco  di  una  fìbuletta  di  argento, 
una  cretula  circolare  (in  due  pezzi)  del  diametro  di  13  mm.,  forata  per  traverso  come 
uno  scarabeo  e  portante  impressa  da  una  parte  la  figura  rudimentale  di  un  quadrupede, 
e  un  piccolo  frammento  di  vaso  d'argilla  figulina  bianchiccia  costituiscono  il  residuo 
recuperato. 

Tomba  IL  —  Proseguendosi  il  lavoro  di  spianamento,  a  pochi  metri  dal  primo, 
fu  trovato  un  altro  ipogeo,  che  aveva  il  suo  ingresso  verso  ponente.  Era  più  piccolo  del 
primo,  misurando  un  paio  di  metri  di  profondità  per  uno  e  mezzo  di  larghezza  e  poco 
meno  di  due  di  altezza.  Il  suo  vuotamente)  fu  compiuto  il  3  febbraio.  La  camera  non 
aveva  subito  danni  per  frane  ;  sicché  più  chiaramente  si  potò  vedere  quale  fosse  la  forma 
del  succido,  anch'esso  tagliato  a  guisa  di  volta  a  botte  ;  ma  tutta  quanta  era  pure  di 
fattura  semplice,  senza  pitture  o  altra  specie  di  ornamentazioni.  Risultò,  come  la  prima, 

(*)  Simili  a  quelli,  p.  es.,  pubblicati  in  Noi.  scavi,  1893,  p.  141,  fig.  11, 


REGIONE   VII.  _    401    —  TARQUINIA 


depredata  in  precedenza;  tuttavia,  oltre  a  qualche  oggettinodi  scarsa  importanza  (quale 
un'olletta  di  argilla  rossastra,  alta  66  mm.,  e  una  tazza  di  12  era.  di  diametro),  fu  rinve- 
nuta, ancora  al  suo  posto,  un'anfora  greca  a  figure  nere,  che  stava  nell'angolo  di  sinistra 
(rispetto  all'ingresso)  del  fondo.  Se  non  che,  quest'anfora  non  faceva  parte  del  cor- 
redo funebre,  ma  era  servita  da  urna  cineraria,  come  si  potè  riconoscere  dalle  ossa  umane 
che  ancora  conteneva  :  caso  notevole  di  associazione  dei  due  riti,  in  quanto  che  nella 
stessa  tomba  si  conservavano  avanzi  di  scheletri  inumati  (*). 

Tomba  III.  —  Un  terzo  ipogeo  fu  scoperto  o,  per  dir  meglio,  semplicemente 
esplorato  (giacché  la  sua  esistenza  era  riconoscibilissima  alla  superficie),  nella  stessa 
località,  ma  alquante»  più  a  nord,  in  vicinanza  dello  stradello  antico  che  attraversa 
tutta  la  zona  dei  «  Monterozzi  ».  Qui  il  Di  Giacomo  —  in  un  punto  ove,  tra  gli  avvalla- 
menti del  terreno,  la  roccia  affiorante  presentava  un  ampio  gradone  —  voleva  scavare 
una  fornace  da  calco.  E  siccome  a  brevissima  distanza  dal  luogo  designato  si  notavano 
appunto  le  tracce  di  una  delle  tante  tombe  a  camera  di  cui  il  terreno  abbonda,  s  i  ritenne 
opportuno  farla  vuotare  prima  che  fosse  iniziato  lo  scavo  della  fornace.  Il  lavoro  fu  ese- 
guito dal  6  all'8  febbraio.  Il  succielo  era  completamente  franato  ;  ma  si  potè  constatare 
che  la  tomba  era  a  sezione  ogivale  ricoperta  superiormente  da  lastroni  posticci,  giusta 
un  tipo  che  vedremo  meglio  esemplificato  dalla  tomba  VI.  Contrariamente  a  quello 
che  si  poteva  supporre,  essendo  —  come  si  è  detto  —  la  tomba  già  riconoscibile  alla 
superficie,  essa  non  era  stata  saccheggiata,  a  meno  che  un  possibile  depredamento 
in  antico  non  si  sia  limitato  a  particolari  oggetti  di  valore,  come  oreficerie.  Comunque, 
assai  notevole  apparve  la  quantità  di  rottami  di  vasi  fittili  giacenti  sotto  le  macerie. 
Le  condizioni  di.trovamento  erano  deplorevolissime;  tuttavia  si  cercò  di  ricuperarne 
il  più  che  fosse  possibile.  Intatti,  o  quasi,  si  trovarono  soltanto  pochi  bombii!  e  ariballi 
di  piccole  dimensioni. 

Diamo  qui  un  elenco  degli  oggetti  rinvenuti,  i  quali  in  gran  parte  si  son  potuti 
poi  ricomporre  : 

Impasto.  —  Due  piccoli  bacini  a  calotta  sferica  con  torniture  alle  labbra  e  muniti 
di  tre  piedi  ciascuno.  Diametro  rispettivo  m.  0,24  e  m.  0,19. 

Bucchero.  —  A.  Due  oinoehoai,  di  cui  una  decorata  da  due  fascie  di  semplici  linee 
parallele,  incise  al  tornio  (alt.  m.  0,28);  l'altra  con  nel  mezzo  un  fascione  di  linee  graffite 
verticali,  orlato  da  due  solchi  per  parte,  sulla  spalla  una  corona  di  pennacchi  piegati, 
a  punteggiatura  impressa,  e  torniture  sull'alto  del  collo  (alt.  m.  0.28).  B.  Due  Mntharoi, 
di  cui  uno  semplice  (diam.  m.  0,14),  l'altro  con  seghettature  alla  sporgenza  del  fondo 
e  corona  di  pennacchi  piegati,  a  punteggiatura  impressa,  presso  l'orlo  (diam.  m.  0,14). 
C.Sei  coppe  su  alto  piede,  di  cui  tre  con  seghettature  alla  sporgenza  del  fondo  e  pennac- 
chi come  sopra  attorno  alla  vaschetta  (alt.  circa  m.  0,15  ciascuna")  ;  una  (mancante  del 
piede),  simile  alle  precedenti,  ma  con  decorazioni  a  ventagli  semicircolari  pure  a  pun- 
teggiatura impressa  (diam.  mm.  145);  due  (molto  frammentate,  con  lievi  seghettature 

(!)  Le  ossa  combuste  sono  state  analizzate  e  riconosciute  per  umane.  Non  avrebbero  perciò 
ragion  d'essere  i  dubbi  che  lo  Helbig  manifestava  a  proposito  di  una  simile  concomitanza  in  una 
tomba  a  fossa  (Annali  dell'Inst.,  1884,  p.  113  e  nota  4). 

Notizie  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  51 


TARQUINIA  —   402  —  REGIONE   VII. 

o  fossette  alla  sporgenza  del  fondo  e  semplici  torniture  a  solchi  nel  corpo  della  vaschetta 
(diam.  min.  145  ciascuna).  D.  Due  coppe  su  basso  piede,  delle  quali  una  ridotta  allo 
stato  di  semplice  frammento  e  l'altra,  intera,  decorata  da  una  corona  a  pennacchi 
attorno  alla  vaschetta  (diam.  mm.  140). 

Ceramica  cosi  detta  italo-geomefrica.  —  A.  Anfora  di  argilla  chiara,  tinteggiata  di 
marrone  al  ventre  e  al  collo  ;  denti  di  lupo  marrone  su  fondo  bianco  in  basso  ;  ornati 
a  linee  serpeggianti  su  fondo  bianco  alle  spalle  e  a  volute  a  fianco  dei  manichi  (alt. 
m.  0,27).  B.  Coppa  quasi  emisferica  su  alto  piede,  a  fasce  bianche  e  rosse,  tanto  allo 
esterno  quanto  all'interno  (alt.  m.  0,21  ;  diam.  ni.  0,22  e  %).  C.  Coppa  emisferica,  a 
fasce  bianche  e  rosse  tanto  all'esterno  quanto  all'interno,  con  due  buchetti  presso 
l'orlo  da  una  parte  (diam.  m.  0,15,  alt.  m.  0,06). 

Ceramica  ionica  e  ionizzante.  —  A.  Tre  oinochoai  di  argilla  bianchiccia  a  bocca  cir- 
colare, decorate  a  piccole  squame  incise  a  punta  di  compasso  (altezza  rispettiva  :  me- 
tri 0,30  ;  0,25  ;  0,24;  (tav.  XX.  fig.  a).  B.  Quattro  grandi  anfore  di  argilla  bianchiccia, 
policromate,  delle  quali  tre  con  ornamentazioni  incise  a  punta  di  compasso  e  tutte  e 
quattro  con  figure,  incise  e  colorate,  di  cervi  e  telini  in  una  sola  zona.  C.  Quattro  oino- 
choai ài  stile  corintio,  a  bocca  circolare,  decorate  a  zone  con  figure  di  animali:  in  due 
la  colorazione  è  vivace,  nelle  altre  due  sbiadita,  così  che  esse  hanno  un  aspetto  bian- 
chiccio conforme  al  colore  naturale  dell'argilla  (altezza  rispettiva:  m.  0,33;  0,32;  0,31; 
0,30)  (tav.  XX,  fig.  b),  D.  Tre  bombilii  di  stile  corintio,  con  ornati  a  picchiettature 
(alt.  rispettiva  :  mm.  100,  65,  45)  ;  e  due  ariballi  dello  stesso  genere,  con  la  particolarità 
di  un  ornato  a  denti  in  argentatura  che  ha  lasciato  una  sottile  incrostazione  bruna- 
stra;  lo  stesso  sistema  di  decorazione  fu  usato  nel  fondo,  ove  lo  spazio  risparmiato 
forma  una  specie  di  croce;  filettature  con  riflessi  metallici  si  osservano  attorno  al  corpo 
di  ciascuno  di  questi  vasetti  (altezza  rispettiva  mm.  80,  mm.  75).  (Tav.  XX,  fig.  e). 

Bronzo.  —  A.  Coppa  a  calotta  sferica,  senza  ornati,  rotta  in  pezzi  e  ricomposta 
(diam.  m.  0,21).  B.  Due  piccole  borchiette  semplici,  di  circa  mm.  15  di  diametro,  e  al- 
cuni piccoli  frammenti,  forse  di  uno  stilo. 

Ferro.  —  Un  anello,  molto  ossidato,  del  diametro  di  circa  mm.  45. 

Vanno  infine  ricordati  alcuni  frammenti  sporadici  e  irricomponibili  di  vasi  fittili 
diversi,  ma  sempre  delle  specie  enumerate  (compreso  il  bucchero),  ad  eccezione  di  una 
grande  olla  di  impasto,  di  grosso  spessore,  della  quale  non  rimane  se  non  un  frammento. 

Quanto  all'ipogeo  in  se,  esso  si  presentava  orientato  con  l'ingresso  verso  sud-ovest  ; 
aveva  poco  più  di  tre  metri  di  profondità,  circa  due  di  larghezza  e  altrettanti  di  altezza. 
Alla  sua  struttura  si  è  già  accennato.  Due  banchine  per  la  deposizione  dei  cadaveri, 
ricavate  dalla  roccia,  si  appoggiavano  alle  pareti  longitudinali  e  alla  parete  di  fondo. 

Tomba  IV. —  Sulla  fine  di  settembre  (dal  25  al  27),  si  procedette — sempre 
con  l'assistenza  del  personale  del  Museo  —  al  vuotamente  di  una  quarta  tomba  nello 
stesso  terreno  Di  Giacomo,  a  circa  una  decina  di  metri  dallo  stradale.  Anch'essa  a  ca- 
mera, molto  interrata,  si  apriva  verso  nord-ovest.  Era  di  forma  quasi  quadrata,  misu- 
rando poco  più  di  tre  metri  di  profondità  e  altrettanti  di  larghezza  con  quasi  due  e  mezzo 
di  altezza.  Succielo  quasi  pianeggiante,  con  una  leggerissima  centinatura  a  botte.  Dal 


REGIONE    VII.  —    403    —  TARQUINIA 


lato  destro  (rispetto  all'ingresso)  conteneva  una  banchina  per  la  deposizione  del  cada- 
vere. Ma  questa  banchina  —  a  differenza  dal  consueto  — non  era  ricavata  dalla  stessa 
roccia  (troppo  friabile  e  non  omogenea  negli  strati  inferiori),  sibbene  formata  da  un 
grande  masso  posticcio,  rozzamente  squadrato  e  misurante  circa  m.  2,20  di  lunghezza 
per  m.  0,80  di  larghezza  e  altrettanti  di  altezza. 

La  tomba  era  stata  frugata  in  antico.  Non  vi  si  trovarono  che  pochi  avanzi  di 
scheletri  umani,  parte  all'interno,  parte  sparsi  nella  trincea  di  accesso,  insieme  a  scarsi 
frammenti  fittili  appartenenti  a  oggetti  del  corredo  funebre,  il  cui  residuo  consiste  in 
alcune  piccole  stoviglie  di  bucchero  senza  ornati  (tre  tazzette,  di  cui  due  frammentate,  e 
una  specie  di  attingitoio,  pure  frammentato)  e  in  altri  pochi  avanzi  di  vasellame  di  ar- 
gilla figulina  chiara  (tra  cui  un  orecchio  di  oinochoe),  un  frammentino  di  tazza  greca  a 
figure  rosse  (probabilmente  erratico),  vari  frantumi  di  vasellame  di  bronzo  e  due  fram- 
menti di  utensili  di  ferro  molto  ossidati.  A  semplice  titolo  di  curiosità,  va  ricordato  che 
furono  pure  trovati  entro  la  tomba  parecchi  avanzi  di  uno  scheletro  di  porco  spino 
(histrix  eristata,  esemplare  vecchio  più  che  adulto,  a  giudicare  dal  logoramento  del- 
l'unico dente  superstite  della  mascella  inferiore  sinistrai,  i  quali,  stante  la  loro  rela- 
tiva freschezza  in  confronto  con  il  miserevole  stato  di  disfacimento  delle  ossa  umane, 
lasciavano  comprendere  che  la  bestiola  debba  esser  penetrata  nella  tomba  in  epoca 
recente,  per  qualche  buca  rimastavi  praticabile  in  seguito  all'avvenuta  violazione. 

Tomba  V  (a  cremazione).  —  Il  giorno  9  ottobre  si  procedette  al  disotterramento 
di  alcuni  frammenti  di  un  lastrone  di  nenfro,  con  ornati  a  rilievo  su  di  una  faccia  ;  fram- 
menti che  erano  stati  visti,  ma  lasciati  sul  posto,  nell'agosto  precedente,  allorché  il  Di 
Giacomo,  arando  il  terreno,  a  pochi  metri  più  a  nord  della  tomba  IV,  si  imbatteva  in 
uno  di  tali  frammenti,  giacente  più  presso  alla  superficie  insieme  ad  altri  blocchi  grezzi 
pure  di  nenfro,  e  lo  rimoveva  per  custodirlo  in  luogo  chiuso.  Si  tratta  di  uno  dei  quei 
lastroni  con  ornati  a  figure,  di  arte  arcaica  orientalizzante,  del  tipo  ben  noto  e  specifico 
della  necropoli  tarquiniense.  Ma  la  scoperta  in  quel  punto  non  si  limitò  soltanto  al  la- 
strone, che  poi  si  è  potuto  ricomporre  quasi  per  intero.  Accanto  ai  frammenti  che  erano 
rimasti  sotterra,  dal  lato  nord,  furono  trovati  quasi  tutti  i  pezzi  di  un'anfora  greca  a  figure 
nere,  insieme  ad  un  coperchio  di  bucchero,  la  quale,  come  quella  scoperta  nella  tomba 
II,  era  servita  da  ossuario  (M,  ma  era  rimasta  schiacciata,  forse  anche  per  la  poca  resi- 
stenza determinata  dalla  cattiva  cottura,  sotto  il  peso  di  una  piccola  lastra  grezza 
e  informe  di  calcare,  rinvenuta  a  una  trentina  di  centimetri  dalla  superficie,  e  della  terra 
sovrapposta.  Furono  inoltre  trovati  alcuni  piccoli  frammenti  fittili  :  qualcuno  di  buc- 
chero, qualche  altro  di  terra  rossa  piuttosto  grezza,  e  tre  di  vasi  greci  verniciati,  uno  dei 
quali  sicuramente  appartenente  a  coppa  a  figure  rosse.  Date  le  condizioni  di  trovamento 


(!)  Nel  museo  di  Tarquinia  non  sono  rare  le  anfore  greche  figurate,  munite  di  coperchi  che  tal- 
volta appariscono  di  diversa  fattura  e  qualche  altra  sono  di  bucchero  come  nel  caso  attuale.  Eviden- 
temente si  tratta  di  vasi  adibiti,  nel  modo  istesso,  come  cinerari.  Se  non  che,  date  le  condizioni  in  cui 
si  è  trovato  il  materiale  prima  del  suo  trasporto  nel  palazzo  Vitellcschi,  non  si  può  esser  sicuri  della 
compertinenza  al  momento  dell'interramento. 


Tarquinia  —  404  —  regione  vii. 

in  un  terreno  così  sconvolto,  sarebbe  arrischiato  dedurre  senz'altro  una  originaria  asso- 
ciazione di  tutti  gli  oggetti  elencati.  Della  stessa  anfora -cinerario,  benché  rinvenuta 
—  oltre  che  ancora  con  le  ossa  combuste  e  con  il  coperchio  —  sotto  la  menzionata  lastra 
di  calcare  disposta  orizzontalmente  e  come  collocatavi  intenzionalmente,  ci  sarebbe 
quasi  da  escludere  che  quello  fosse  il  suo  collocamento  primitivo,  tanto  più  che  nessuna 
forma  di  vera  tomba,  di  qualsivoglia  tipo,  si  delineava  nel  terreno  nel  momento  della 
scoperta,  se  non  ci  fosse  da  potere  ammettere  che  della  forma  di  una  piccoja .  fossetta 
•  di  tipo  non  sconosciuto  nella  necropoli  tarquiniense  ('  ),  per  le  deformazioni  del  terreno, 
sia  andata  perduta  ogni  traccia. 

Tomba  VI.  —  Successivamente,  un  altro  enfiteuta  dei  «  Monterozzi  »,  tal  Dili 
Alfredo,  chiese  di  poter  vuotare  una  tomba  a  camera,  abbandonata,  esistente  nel  suo  ter- 
reno, a  ebrea  3  chilometri  da  Tarquinia  (all'altezza  del  posto  ove  è  tuttora  indicato 
il  2°  miglio).  Vi  si  lavorò  il  15  e  il  16  novembre.  La  tomba  si  presentava  franata  in  tutta 
la  sua  parte  anteriore.  Non  c'era,  naturalmente,  da  aspettarsi  grandi  cose.  E,  infatti, 
non  furono  recuperati  se  non  una  notevole  quantità  di  frantumi  di  vasi  di  impasto  (in 
prevalenza  —  a  quel  che  sembra  —  olle  sferiche  strigilate,  ma  con  esemplari  di  coppe, 
dello  stesso  materiale,  a  pareti  verticali,  strigilate  orizzontalmente),  alcuni  frammenti 
di  vasellame  di  bucchero,  qualche  altro  di  argilla  figulina  (del  genere  così  detto  geome- 
trico italico)  e  una  notevole  quantità  di  rottami  di  ferro  ossidato. 

Ma  vale  anche  la  pena  di  fare  un  cenno  della  tomba  stessa,  per  la  sua  struttura 
che  tuttavia  risulta  molto  frequente  tra  quelle  dei  «  Monterozzi  ».  È  a  sezione  ogivale, 
larga  m.  3,15  e  alta,  complessivamente,  m.  2,60.  Stante  il  franamento  di  tutta  la  parte 
anteriore,  non  se  ne  è  potuta  determinare  la  profondità.  Ai  due  lati,  due  dei  soliti  banchi 
ricavati  dalla  roccia,  per  la  deposizione  dei  cadaveri.  Ciò  che  costituisce  il  fatto  di  mag- 
gior rilievo  è  la  struttura  del  succielo  ;  il  quale  presenta  un  lieve  rincasso  longitudinale, 
largo  circa  m.  0,65.  Tale  rincasso  è  chiuso  superiormente  da  una  serie  di  lastroni  che 
vi  furono  collocati  dal  di  fuori  e  poscia  ricoperti  di  terra.  Il  primo,  visibile  a  causa  del 
franamento,  misura  m.  1,00  di  larghezza  e  m.  0,40  di  spessore  (fig.  1). 

Tomba  VII.  —  Dal  19  al  21  dicembre  si  lavorò  al  vuotamento  di  un  altro  ipogeo 
nel  terreno,  ora  di  Rogani  Gioacchino  (in  quel  momento  ancora  di  Rosa  Ferri),  limitrofo 
al  precedente,  dalla  parte  verso  Monteromano.  Anche  questa  tomba  presenta  qualche 
particolare  caratteristico  in  confronto  della  maggior  parte  degli  ipogei  dei  «  Monterozzi  »  ; 
ma  se  ne  osserva  qualche  altro  simile  nelle  vicinanze  immediate  (fig.  2).  Tale  particolare 
consiste  nel  rivestimento  a  lastroni  di  calcare,  un  poco  più  duro  di  quello  della  roccia  nella 
quale  è  scavata,  così  del  margine  superiore  delle  due  pareti  laterali  del  dromos  (vi  si 
nota  un  filare  per  parte  di  simili  lastroni),  come  della  parete  di  fondo  del  dromos  stesso, 
al  di  sopra  della  porta  (dove  si  notano  due  grandi  lastroni,  l'uno  sovrapposto  all'altro 
e  lunghi  così  da  coprire  tutto  il  fondo  fra  l'una  e  l'altra  parete). 


(')  Una  fossetta  del  tipo  sopra  indicato  è  stata  scoperta  durante  l'anno  in  corso  1924.  Se  ne 
parlerà  nel  rapporto  relativo  al  detto  anno. 


REGIONE   VII. 


405  — 


TARQUINIA 


Va  segnalato,  come  travamento  erratico  nelle  immediate  vicinanze  un  blocco  di  cal- 
care, frammento  di  un  lastrone  somigliante  a  quelli  di  nenfro.ma  con  i  soli  incavi  ad 
golo  senza  ornati  (>).  Misura  m.  0,57  X  m.  0,48,  con  uno  spessore  di  circa  m.  0,24. 


an- 


■'in-  *  s 


Fig.  1, 


La  principale  importanza  di  queste  piccole  scoperte  consiste  in  ciò:  che  esse  provano 
ancora  una  volta,  se  pur  bisogno  ce  n'era,  che  le  ricerche  nella  necropoli  di  Tarquinia 
non  possono  dirsi  esaurite,  neppure  ai  «  Monterozzi  »  che  rappresentano  forse  la  zona 


(')  Evidentemente  faceva  parte  di  un  lastrone  di  un  tipo  nel  quale  i  fascioni,  invece  che  di  figure 
a  rilievo  portano,  degli  ornati  geometrici  incassati  a  zig-zag.  Già  ne  esisteva  un  frammento  al 
Museo,  ma  nel  corso  di  quest'anno  se  ne  sono  scoperti  esemplari  più  completi.  Ne  parleremo  nel  rap- 
porto per  il  1924. 


TARQUINIA 


—   406   — 


REGIONE    VII. 


più  battuta  nelle  precedenti  escavazioni.  Avevamo  quindi  ragione  di  far  presente,  in 
una  precedente  relazione  ('),  l'opportunità  di  riprendere  questi  scavi  senza  esclusione  dei 
terreni  che  si  presumono  i  meglio  esplorati. 

II. 

Gli  oggetti  recuperati  fanno  ormai  parte  delle  collezioni  del  Museo  Nazionale  Tar- 
quiniense.  Di  essi  un  più  ampio  cenno  illustrativo  meritano  le  quattro  grandi  anfore 
ionizzanti  della  terza  tomba,  le  due  anfore  greche  a  figure  nere  e  il  rilievo  di  nenfro. 


^«K-.-!l': 


FlG.   2. 


Anfore  ionizzanti.  —  Sono  della  medesima  fattura,  della  medesima  forma  e,  presso 
a  poco,  delle  medesime  dimensioni  :  argilla  bianchiccia,  ben  depurata,  dall'aspetto  este- 
riore color  crema  ;  corpo  ovale  ;  collo  a  cono  tronco  rovesciato,  non  grande,  in  confronto 
delle  dimensioni  del  corpo;  anse  piatte,  piuttosto  piccole,  essendo  l'attaccatura  inferiore 


(*)  Not.  d.  scavi,  1920,  p.  224  e  segg.  ;  particolarmente,  p.  266  e  p.  275.  Nella  relazione  in  di- 
scorso volemmo  intenzionalmente  prendere  occasione  da  quel  primo  saggio  di  scavo,  per  enunciare 
un  vero  e  proprio  programma  di  future  ricerche,  impostando  nei  termini  che  parvero  più  convenienti 
le  due  principali  questioni  che  maggiormente  si  impongono  a  Tarquinia  :  l'ima  relativa  alla  storia 
della  pittura  sepolcrale,  l'altra  alla  topografia  della  città  etnisca.  Fingere  di  non  accorgersi  delle  espli- 
cite dichiarazioni  fatte  in  proposito,  null'altro  significa  se  non  voler  dare  a  intendere,  non  certo  in 
buona  fede,  che  inconsapevolmente  è  stata  supervalutata  l'importanza  intrinseca  dei  trovamenti  senza 
renderci  conto  della  sproporzione  fra  l'ampiezza  della  relazione  e  la  modestia  dei  trovamenti  stessi. 


REGIONE   VII.  —   407  —  fARQÙINlA 

non  distante  dal  collo.  Anche  l'ornamentazione,  salvo  qualche  variante,  è  uguale  in 
tutte.  Tutte  e  quattro  furono  raccolte  in  pezzi  e  in  minuti  frammenti,  del  cui  recupero  in- 
tegrale tanto  ragionevolmente  si  potò  dapprima  dubitare,  che  pareva  non  si  dovesse  riu- 
scire a  ricomporle  se  non  in  parte.  E  le  lacune  infatti,  indi  supplite  in  gesso,  all'atto 
del  restauro  risultarono  inevitabili,  ma  in  misura  assai  minore  di  quanto  non  si  pensasse. 
Per  riguardo  alle  varianti,  le  descriveremo  ad  una  ad  una,  contrassegnandole  semplice- 
mente con  le  lettere  A,  B,  C,  D  ;  ma,  per  brevità,  non  rileveremo  ulteriormente  le  la- 
cune di  ognuna. 

Anfora  A.  —  È  altam.  0,55  (tav.  XXI,  figg.a,  1  e  a,  2).  Nella  parte  inferiore  del  corpo 
(poco  più  di  un  terzo),  due  fascioni  color  marrone  (a  cominciare  dal  piede)  con  altri  due 
bianchi  (color  naturale  dell'argilla)  ;  ma  al  marrope  sono  sovrapposte  varie  strisce  vio- 
lacee, alcune  filettature  rossicce  ai  margini  e  altrove,  che  non  sempre  completano  il  giro 
del  vaso.  Il  rimanente  del  ventre  e  della  spalla  fino  all'attaccatura  dei  manichi  è  tutto 
a  fondo  marrone,  orlato  in  basso  da  due  strisce  violacee  e  da  una  più  ampia  in  alto,  che 
è  qui  preceduta  da  un'altra  bianca,  pure  a  colorazione  sovrapposta.  Un'altra  fascia  vio- 
lacea, orlata  da  strisce  bianche  ai  due  margini,  si  svolge  tutt'intorno  alla  metà  circa  del 
vaso.  Su  questa  fascia  si  imposta  la  composizione  figurata,  che  comprende  in  tutto  tre 
sole  grandi  figure  di  animali:  due  cervi  e  un  felino,  probabilmente  un  leone,  incedenti 
di  profilo  verso  destra. 

Se  si  prescinde  dagli  elementi  specifici,  che  contraddistinguono  le  due  specie  (come 
le  teste,  le  zampe  e  le  code),  per  il  resto  i  corpi  di  tutti  e  tre  questi  animali  si  somigliano 
perfettamente  :  alti,  quasi  sempre  molto  slanciati,  sono  trattati  a  graffito  e  a  pittura  ; 
i  contorni  sono  generalmente  resi  non  con  una  ma  con  due  linee  graffite  ;  sulla  schiena 
e  sull'addome  (meno  che  nel  felino,  di  cui  l'addome  è  reso  con  una  sola  linea)  lo  spazio 
intermedio  è  riempito  di  color  bianco.  Da  tutta  la  schiena,  tanto  nella  figura  del  felino 
quanto  in  quella  dei  cervi,  discendono  lunghe  ciocche  ondulate  di  peli,  colorate  in  bianco 
e  in  violaceo  alternativamente.  Strana  altresì  è  la  colorazione  delle  gambe,  comprese  le 
cosce  e  le  spalle  :  quelle  del  primo  piano  colorate  in  bianco,  le  retrostanti  in  violetto 
vivace  (colore  inconsueto).  I  due  cervi,  contraddistinti  dalle  code  molto  brevi  (e  riunite 
alle  cosce  da  un  fitto  tratteggio),  dai  piedi  ungulati  e  dalle  teste  allungate,  conle  caratte- 
ristiche corna  ramose,  si  presentano  nello  stesso  atteggiamento:  entrambi  procedono 
abbassando  il  muso  sino  a  terra;  ma  le  corna  sono  cosi  lunghe  che  con  la  cima  toccano  l'orlo 
superiore  del  campo  marrone.  La  testa  del  felino,  piccola  con  l'occhio  visibile  sporgente 
in  alto,  ha  ben  poco  che  raffiguri  effettivamente  un  leone  ;  solo  la  criniera  del  collo  agrandi 
ciocche,  simili  a  quelle  della  schiena  ma  più  fitte,  e  le  zampe  corrispondono  in  modo  appros- 
simativo a  quelle  della  specie  che  si  è  voluto  rappresentare.  La  belva  cammina  al  passo, 
con  la  coda  alzata  e  distesa  orizzontalmente  al  di  sopra  della  sehiena,  ma  arricciata 
all'estremità,  e  con  la  testa  sollevata,  addentando  per  la  base  un  lungo  corno  di  cervo, 
che  pende  fino  al  suolo.  Qua  e  là,  nel  campo,  sotto  le  figure  degli  animali,  si  notano  dei 
rosoncini  resi  con  grossi  punti  bianchi. 

La  spalla  dell'anfora  è  a  fondo  bianchiccio,  con  baccellature  a  colorazione  marrone 
e  violacea,  in  gran  parte  sparita.  Il  collo  è  a  fondo  marrone;  ma  al  di  sopra  del  bastoncello 
sporgente' dell'attaccatura  gira  una  fascetta  violacea,  sormontata  da  una  collana  di  punti 


TARQUINIA  —   408   —  REGIONE  VII. 

bianchi  e  poi,  nel  mezzo,  una  linoa  bianca  ondulata.  Il  labbro  è  tornito  a  scanalature, 
inclinato  verso  l'esterno  e  ornato  di  qualche  filettatura  marrone,  come  all'orlo,  dove  sul 
marrone  gira  una  fila  di  punti  bianchi.  I  manichi  sono  a  fondo  bianco  ed  erano  prima  or- 
nati da  una  linea  orizzontale,  tracciata  a  metà  di  ciascuno,  e  da  semplici  baccellature  di- 
pinte, di  cui  non  son  rimaste  se  non  le  tracco. 

Ciò  che  è  oltremodo  attraente  in  quest'anfora,  come  del  resto  in  quasi  tutte  le  altre 
(per  lo  meno  in  parte),  è  la  vivacità  della  colorazione,  accentuata  dall'alternarsi  delle  masse 
scure  con  le  larghe  fasce  bianchicce. 

Anfora  B.  —  Alta  m.  0,56  (tav.  XXI,  -fig.-j,  1  e  6,2).  La  differenza  principale,  in 
confronto  colla  precedente,  è  data  dall'estensione  del  graffito  anche  alle  ornamenta- 
zioni e  dall'uso  del  compasso  peruna.gran  parte  di  queste.  L'insieme  presenta  la  stessa 
vivacità  di  colori  dell'anfora  A  ;  ma  la  colorazione  violacea  ha  un'intonazione  rossiccia. 

Dalla  metà  in  giù,  fino  all'attaccatura  del  piede,  si  alternano  cinque  f  ascioni  :  tre  scuri,  ■ 
e  cioè  di  un  marrone  che  in  vari  punti  ha  un'intonazione  rossastra,  ma  con  varie  filet- 
tature o  bianche  o  violacee,  e  due  bianchicci.  Tanto  sul  fascione  scuro  più  alto  quanto 
sul  mediano  si  svolge  una  ornamentazione  a  semicerchi  intrecciati,  tracciati  a  compasso, 
ciascuno  con  due  linee  concentriche,  molto  accostate.  Una  fascetta  rossa  e  violacea, 
orlata  da  ambo  i  lati  da  filettature  bianche,  separa  questa  parte  del  vaso  dalla  zona  supe- 
riore contenente  la  rappresentazione  figurata,  la  quale,  salvo  alcune  varianti,  somiglia 
a  quella  dell'anfora  A:  due  cervi  e  un  felino,  dello  stosse  dimensioni  e  dello  stesso  stile, 
si  seguono  nel  medesimo  senso.  Dei  cervi,  quello  che  sta  immediatamente  a  tergo  del  fe- 
lino tiene  la  testa  abbassata,  l'altro  la  solleva  in  modo  che  le  corna,  meno  lunghe  del  so- 
lito, si  stendono  al  disopra  del  collo.  Il  felino  è  sfornito  di  criniera  e  non  ha  nulla  in  bocca  ; 
la  quale  è  aperta,  con  la  lingua  penzoloni,  stranamente  aderente  al  palato  così  da  lasciare 
in  vista  i  denti  della  mascella  inferiore:  Il  disegno  di  queste  figure  pretenderebbe  di  essere 
più  ricercato,  come  risulta  da  alcuni  accessori  decorativi,  quali  una  serie  di  dischetti 
bianchi  allineati  lungo  l'orlo  dell'addome,  nel  felino,  e  l'orlo  inferiore  del  collo  in  uno  dei 
cervi  ;  ma  il  corpo  del  felino  stesso  è  Sproporzionatamente  allungato. 

Tra  le  figure  degli  animali  sono  disposti,  senza  alcun  ordine,  cinque  grandi  scudi, 
graffiti  a  punta  di  compasso,  tutti  divisi  verticalmente  in  due  parti,  di  cui  la  destra  colo- 
rata in  rosso  e  la  sinistra  in  bianco  :  tre  rispettivamente  sotto  ciascuna  figura  di  animale, 
il  quarto  fra  la  protome  del  telino  e  il  cervo  che  lo  precede,  il  quinto  fra  i  due  cervi. 
Non  mancano  i  fiorellini  punteggiati  in  bianco,  ma  sono  più  piccoli.  Una  fascia  rosso-viola- 
cea, orlata  da  ambo  i  lati  di  bianco  e  portante  una  filettatura  bianca  nel  mezzo,  chiudo, 
come  nell'anfora  precedentemente  descrittala  zona  della  composizione  figurata,  separan- 
dola dalla  spalla  del  vaso,  che  è  a  fondo  marrone  ed  è  ornata  pure  a  baccellature,  ma  graf- 
fite oltre  che  colorate  in  bianco  e  rosso  alternativamente  e  separate  fra  di  loro  da  più  strette 
baccellature  color  marrone.  Il  fondo  del  collo  è  pure  color  marrone  chiaro,  meno  una  fa- 
scia rosso-violacea  che  corre  sopra  il  tondino  aggettante  dell'attaccatura,  è  cosparsa  qua 
e  là  di  fiorellini  punteggiati  in  bianco  e  sormontata  da  un  breve  tratteggio  verticale  pure 
bianco,  che  arieggia  una  collana  di  perline  lentiformi.  Sei  grossi  fiori  bianchi,  resi  da 
dischi  orlati  di  puntini,  sono  disposti  tutt'intorno  nel  mezzo  del  collo.  Labbro  tornito 
a  scanalature,  inclinato  verso  l'esterno,  variopinto  e  punteggiato  di  bianco  ai  due  orli. 


REGIONE    VII. 


-   409  - 


TARQUINIA 


Anche  i  manichi  sono  decorati  di  graffiti,  con  un  ornato  a  foggia  di  due  pilastrini  contrap- 
posti per  la  cima,  rastremati,  disuguali,  e  terminati  da  due  ampie  volute  coniche,  a  cui 
si  attaccano  delle  brevi  baccellature  a  guisa  di  palmette  o,  piuttosto,  di  fiocchi. 

Anfora  C—  Alta  ni.  0,55  (fig.  3).  In  quest'anfora  la  colorazione  non  è  conservata  se 
non  in  parte,  sicché  non  da  tutti  i  lati  mostra  la  vivacità  di  cui  si  è  parlato.  Nel  rosso- 


Fio.  3. 


violaceo,  là  dove  questa  colorazione  si  conserva,  prevale,  come  nella  precedente,  l'intona- 
zione rossiccia;  e  nell'insieme  ha  con  essa  in  comune,  oltre  alla  solita  composizione  figu- 
rata, anche  le  ornamentazioni  graffite,  con  gli  stessi  fregi  a  semicerchi  intrecciati  in  due 
dei  fascioni  scuri  della  metà  inferiore  e  gli  stessi  scudi,  che  invece  di  cinque  sono  tre, 
disposti  rispettivamente  sotto  ciascuna  figura  di  animale.  Avendo  il  disegnatore  rapprc- 
sentatoilfelino,come  nell'anfora  A,  nell'atto  di  tenere  in  bocca  un  lungo  corno  di  cervo,  e 
ambedue  i  cervi  con  la  testa  alzata,  è  venuto  a  mancare  lo  spazio  per  gli  altri  due  scudi. 
Gli  scudi  non  sono  suddivisi  per  metà  ma  in  quattro  ;  e  i  quattro  spicchi  (propriamente 
nell'unico  nel  quale  la  colorazione  si  conserva)  sono  colorati  in  rosso  e  in  bianco  a  con- 
trasto. Altra  differenza  dégna  di  rilievo  presenta  la  decorazione  dei  manichi,  in  quanto 
che  al  pilastrino  inferiore,  che  qui  è  più  alto,  non  se  ne  contrappone  un  altro  rovesciato, 

Notuik  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  62 


TARQUINIA 


—    410   — 


HEGIONE    VII. 


ma,  al  disopra  dell'ornato  a  baccellature  a  fiocco,  si  imposta  un  secondo  ornato,  pure  a 
volute  e  anch'esso  terminato  in  alto  con  una  simile  baccellatura. 

Anfora  D.  —  Alta  m.  0,54  e  %  (fig.  4).  In  questo  esemplare  la  colorazione  è  quasi 
completamente  scomparsa,  di  modo  che  manca  presso  che  del  tutto  la  bella  vivacità  che 
caratterizza  in  ispecie  le  due  prime.  Per  il  resto  il  vaso  si  accorda  in  particolar  modo  con 


Fig.  4. 


l'ultimo  descritto,  soprattutto  per  la  identità  della  decorazione  dei  manichi  (fig.  5).  Ma 
gli  scudi,  divisi  in  quattro  parti,  originariamente  colorati  in  rosso  e  bianco,  a  contrasto, 
sono  questa  volta  quattro,  essendo  il  felino  rappresentato,  come  nell'anfora  B,  senza 
corno  di  cervo,  nella  bocca  (anche  qui  aperta,  con  la  lingua  penzoloni,  ma  mostrante  i 
denti  superiori).  Particolarità  da  rilevare  :  1°)  essendo  il  corpo  di  uno  dei  cervi  riuscito 
insolitamente  troppe  corto,  lo  scudo  che  gli  è  sottoposto  incontra  entrambe  le  gambe 
interne  ;  2°)  nel  disegno  di  uno  dei  piedi  posteriori  dell'altro  cervo  si  nota  una  correzione, 
essendo  stato  disegnato  prima  come  zampa  di  felino. 

Non  sappiamo  se  altre  volte  siano  stati  rinvenuti  nella  necropoli  tarquiniense  vasi 
dello  stesso  genere  ;  comunque  è  certo  che  per  le  collezioni  del  Museo  costituiscono  —  per 
lo  meno  sotto  certi  aspetti  —  una  novità,  Una  approssimativa  affinità  si  può  riscontrare 


REGIONE   VII. 


—   411 


TARQUINIA 


in  certe  anfore  ionizzanti,  di  provenienza  eeretana,  nelle  quali  l'ornamentazione  a  zone 
con  figure  di  animali  si  associa  alle  decorazioni  graffite  a  punta  di  compasso  (squame  e 
trecce).  Riproduciamo,  per  il  confronto,  un  frammento  della  Collezione  Castellani  (fig.  6). 
Ma  queste  anfore,  oltre  a  non  presentare  identità  di  stile  disegnativo,  se  ne  differen- 
ziano notevolmente  anche  per  la  forma.   A  questo  punto  sorge  la  questione  della  loro 


Figi  6. 


provenienza:  se  si  tratti  cioè  di  oggetti  importati  dal  di  fuori  (dal  mondo  ellenico)  oppure 
di  produzione  indigena  (italica).  È  indubitato  che  le  figure  degli  animali  —  in  confronto 
di  quelle  dei  vasi  così  detti  corinti,  ove  esse  sono  caratterizzate  da  un  più  alto  grado  di 
naturalezza  e  di  verismo  —  sono  disegnate  con  una  tale  ingenuità,  da  non  potervisi  ri- 
conoscere nulla  più  che  un'assai  indiretta  reminiscenza  dei  modelli  orientali.  Tuttavia 
questa  reminiscenza  è  innegabile  ed  è  in  particolar  modo  rivelata  dalle  lunghe  ciocche 
ondulate  di  peli  discendenti  dalle  schiene  degli  animali.  E  della  reminiscenza  in  genere 
dell'arte  ionica  fanno  fede  altresì  il  sistema  di  colorazione  degli  animali  stessi,  iroson- 
cini  sparsi  sul  campo,  il  motivo  del  corno  di  cervo  in  bocca  al  felino  ;  il  qual  motivo  non 
è  se  non  una  variazione  di  quello,  ovvio  nell'arte  ionica,  della  gamba  umana  addentata 
da  simili  animali  pure  incedenti  al  passo.  Ma  si  aggiungono  poi  altri  argomenti  a  favore 


TARQUINIA 


412 


REGIONE   VII. 


della  fabbricazione  locale  :  da  un  lato  qualche  particolare  tecnico,  nel  disegno  graffito 
delle  figure,  come  i  tratteggi  paralleli  che,  non  nei  vasi  «corinti»  trovano  riscontro,  ma  in 
prodotti  italici  ('),  e,  dall'altro,  la  qualità  dell'argilla  e  la  decorazione  a  semicerchi  intrec- 


Fio.  6. 


(Frammento* della  Collezione  Castellani). 


ciati  o  a  circoli  (scudi),  incisi  a  punta  di  compasso;  qualità  di  argilla  e  decorazione,  chele 
nostre  anfore  hanno  in  comune  con  quella  categoria  di  vasi  (predominanti  le  oinochoai), 
pure  di  argilla  figulina  biancastra,  caratterizzati  dalla  decorazione  per  lo  più  a  squame, 

(»)  Cfr,  R.  Paribeni,  Monum.  dei  Lincei  XVI  (1906),  col.  277  e  segg.  ;  A.  Della  Seta,  Guida  del 
Museo  di  Villa  Giulia,  1,  p.  341  e  seg.  E.  Stefani,  Bull,  di  Pale'.,  hai,  1912,  tav.  IX,  n.2,p.  155 
(oinochoe  di  Leprignano). 


REGIONE   VII.  —  413   


TARQUINIA 


egualmente  eseguita  a  punta  di  compasso.  E  con  alcuni  esemplari  di  questa  categoria 
di  vasi  le  nostre  anfore  si  collegano  altresì  per  la  somiglianza  della  colorazione,  che  pre- 
senta, in  genere,  le  stesse  tinte  quasi  con  le  identiche  tonalità  e  lo  stesso  gusto  che  predi- 
ligeva combinazioni  policrome  vivaci,  mercè  anche  l'utilizzazione  del  bianco  crema  del 
fondo  ;  ma,  particolarmente,  con  una  oìnochoe  della  Collezione  Castellani,  per  l'affinità  di 
disegno  delle  figure  di  animali  graffite  e  dipinte  sulla  spalla  del  vaso,  di  cui,  per  con- 
fronto, riproduciamo  un  particolare  (fig.  7).  Ma  nella  suddetta  oinochoe  mancano  le  orna- 
mentazioni a  punta  di'  compasso  (l). 

Ora  è  noto  come  alcuni  archeologi  ritengano  la  categoria  dei  vasi  in  questione  di  fab- 
bricazione indigena  (2).  Pur  astenendoci  dal  volere  individuare  il  centro  di  fabbricazione 


Fio.   7. 


(tanto  più  che  la  fabbricazione  potrebbe  essersi  propagata  in  molti  centrile  pur  ammet- 
tendo la  dipendenza  da  modelli  esotici  e  in  genere  dall'arte  ionica,  anche  noi  ci  dichia- 
riamo propensi  a  credere  che,  in  assai  larga  misura  se  non  nella  totalità  (3),  questi  vasi  a 
embricazione,  e  simili,  siano  stati  prodotti  in  Italia.  E  il  fatto  che  la  decorazione  a  semi- 
cerchi incisi  a  punta  di  compasso  si  riscontra,  oltre  che  in  qualche  vaso  di  bucchero  (*), 
pure  in  qualche  lavoro  in  metallo,  come  la  fodera  in  lamiera  d'argento  dell'urna  in 


(')  Esprimiamo  vivi  ringraziamenti  al  dott.  P.  Mingazzini.  che  ha  messo  a  nostra  disposizione 
la  fotografia  del  vaso.  Alla  (Anochoe  Castellani  si  può,  in  certo  qual  modo,  ravvicinare  quella  del 
Vaticano  riprodotta  da  C.  Albizzati  in  Vasi  antichi  dipinti  del  Vaticano,  I,  tav.  VI,  n.  77. 

(•)  Cfr.  G.  Pellegrini,  Not.  d.  scavi,  1903,  p.  270. 

(3)  Sulle  relazioni  con  la  ceramica  dell'Oriente  ellenico,  G.  Karo,  De  arte  vascularia  antiquissima, 
Bonnae,  1896,  p.  35  e  segg.  ;  I.  Boehlau,  Aus  ionischen  und  italìschen  Nekropolen,  Leipzig,  1898,  pp.~91 
e  segg.  Come  corinti  classifica  piccoli  bombili,  con  analoga  decorazione  a  minute  squame,  C.  Albiz- 
zati (Vasi  antichi  dipinti  del  Vaticano,  I,  n.  83  alla  tav.  VI,  n.84,  fig.  9);  comunque,  è  indubitato  che 
di  simili  vasi  se  ne  trovano  dappertutto  nel  mondo  ellenico. 

(4)  Un  esemplare  (oinochoe  a  corpo  ovale  e  a  bocca  trilobata,  con  grandi  rotelle  all'orlo,  fian- 
cheggiati l'attaccatura  del  manico)  trovasi  nel  Museo  di  Tarquinia  (Raccolta  com.,  n.  1672).  Ricor- 
diamo anche  la  tazza  con  coperchio  della  tomba  di  Gabii,  nel  Museo  di  Villa  Giulia  (inventario 
nn,  6686  e  6687).  ... 


TARQUINIA 


—   414  — 


REGIONE   VII. 


bronzo  trovata  nella  «  Tomba  del  duco»  a  Vetulonia  ('),  opere,  queste,  sulla  cui  origine 
locale  non  sembra  che  ci  siano  da  elevare  dubbi  di  sorta,  può  in  qualche  modo  confor- 
tare l'attendibilità  di  tale  ipotesi. 

Anfore  greche  a  figure  nere.  —  L'anfora  trovata  nella  tomba  II  appartiene  alla  cate- 
goria di  quelle  anfore  di  forma  non  molto  frequente,  e  del  resto  non  molto  elegante,  che 


Fio.  8. 


hanno  il  collo  sormontato  da  un  labbro,  non  largo  e  di  forte  sporgenza,  ma  piccolo  e  di 
sporgenza  scarsa,  tanto  da  dare  l'impressione  che  nella  sagoma  di  questo  genere  di  vasi 
manchi  qualche  cosa.  È  alta  m.  0,39.  Rotto  e  riattaccato  il  piede  ;  scheggiato  e  logoro  il 
labbro.  Manichi  a  tre  bastoncelli  riuniti.  Ornamentazioni  consuete  nelle  anfore  analoghe: 
denti  di  lupo  alla  base,  sormontati  da  una  zona  a  bocciuoli  con  doppi  gambi  rigirati 
e  intrecciati,  sormontata  a  sua  volta  da  un'altra  con  un  meandro  continuo  ;  volute 
e  palmette  sotto  i  manichi.  Composizioni  figurate  sulle  due  facce,  con  la  consueta  sovrap- 
posizione di  color  bianco  e  rosso-violaceo  in  alcune  figure.  Faccia  A  (fig.  8)  :  Eracle  ed 


(»)  I.  Falchi,  Noi.  d.  scavi,  1887,  p.  503  e  segg.,  tav.  XVIII. 


REGIONE    VII. 


—    415    — 


TARQUINIA 


Euristeo.  L'eroe,  barbato,  con  spada  al  fianco,  di  profilo  a  destra,  col  cinghiale  sulle  spalle, 
poggia  il  piede  sinistro  sull'orlo  del  pithos,  di  cui  il  collo  con  la  spalla  emerge  dal  suolo. 
È  come  in  atto  di  scaricare  la  bestia  addosso  allo  spaventato  Euristeo,  rifugiato  nel  re- 
cipiente. A  destra,  Athena  con  elmo  attico,  munito  di  alto  cimiero,  e  in  gran  parte  coperta 
da  un  ampio  scudo  circolare  che  ha  un'ancora  come  episema.  Allo  stesso  scudo  è  appog- 


Fio.  9. 


giata  la  lancia  della  dea.  A  sinistra,  Iolao,  pure  barbato,  vestito  di  chitonisco  ed  egli  pure 
con  spada  al  fianco,  mentre  regge  la  clava  diEracle  nella  destra.  Faccia  B(fig.  9):  Dioniso 
barbato,  vestito  di  chitone  e  himation,  con  corno  potorio  in  mano,  sta  diritto  in  piedi  e  di 
prospetto,  con  la  testa  di  profilo  a  sinistra,  fra  due  Sileni  danzanti.  Quello  di  destra  porta 
un  otre  sulla  spalla.  Due  lunghi  e  diritti  tralci,  inclinati  in  senso  inverso,  si  incrociano 
dietro  le  spalle  di  Dioniso  f1).  Colorazione  bianca  al  chitone  di  Dioniso,  rosso-violacea 
alla  sua  barba  e  al  suo  himation,  alle  barbe  e  alle  code  dei  Sileni. 

(')  In  un'anforetta  del  Museo  di  Tarquinia  (Raccolta  comun.,  n.  3912)  si  ha  una  rappresenta- 
zione molto  somigliante,  con  la  differenza  che,  a  tergo  di  Dioniso,  ai  due  tralci  sono  sostituiti  due 
bastoni  senza  foglie. 


TARQUINIA 


416 


REGIONE  VII. 


La  seconda  anfora,  trovata  nella  tomba  V,  già  restaurata  in  antico  e  ora  ricomposta, 
con  qualche  supplemento  in  gesso,  è  di  forma  più  comune,  ma  dal  ventre  largo  e  piuttosto 
tozza.  Misura  m.  0,32  di  altezza.  Ha  pure  i  manichi  a  tre  bastoncelli  riuniti.  La  decorazione 
figurata  è  del  genere  così  detto  «  a  metopa  »  :  su  ambo  le  facce  è  divisa  in  due  zone,  che, 
su  ambo  le  facce,  sono  quasi  somiglianti.  Faccia  A  (fig.  10)  :  Nella  zona  superiore,  che 


Fio.  10. 


ha  figure  di  piccole  dimensioni,  si  vedono,  in  mezzo,  due  leoni  che  aggrediscono  un  vitello 
e,  ai  fianchi  di  questo  gruppo,  due  figure  virili  ammantate  ;  nella  zona  inferiore  un  gruppi» 
di  tre  guerrieri  elmati,  che,  imbracciando  grandi  scudi  circolari  tracciati  a  punta  di  com- 
passo, marciano  verso  sinistra,  mentre  ai  due  lati  stanno  due  cavalieri  di  prospetto,  con 
la  testa  rispettivamente  rivolta  verso  il  gruppo  centrale  (la  testa  di  quello  di  destra 
manca).  Faccia  B  (fig.  11)  :  La  composizione  della  zona  superiore  è  quasi  identica  alla 
corrispondente  dalla  faccia  A:  nella  zona  inferiore  i  guerrieri  sono  quattro  e  ai  cavalieri 
sono  sostituite  due  figure  di  uomini  ammantati  ;  sul  collo  gira  un  fregio  di  bocciuoli  a 
doppi  gambi  intrecciati. 


REGIONE    VII. 


—  417  — 


TARQUINIA 


Soggetti,  molto  comuni  (se  pure  presentanti  variazioni  nei  rispettivi  schemi  tipo- 
logici), e  disegni,  ne  troppo  andanti  (specialmente  nella  prima  anfora)  né  di  particolare 
pregio  artistico,  non  son  tali  da  richiamare  speciale  attenzione.  Ciò  non  toglie  tuttavia 
che  anche  la  loro  scoperta  dia  lo  spunto  a  qualche  opportuna  considerazione,  ma  da  ri- 
ferirsi non  all'opera  d'arte  in  sé,  sibbene  a  tutt'altro  ordine  di  idee. 


Fio.  11. 


Con  la  scoperta  di  queste  anfore,  la  raccolta  dei  vasi  greci  a  figure  nere  del  Museo 
Tarquiniense,  di  già  molto  numerosa,  si  è  venuta  ad  arricchire  di  due  nuovi  esemplari. 
Ora,  non  può  non  sorprendere  il  fatto  che  con  la  ricchezza  di  tale  categoria  di  vasi,  tutti 
riferibili  a  un  periodo  di  tempo  piuttosto  ristretto,  contrasta  in  modo  evidente  la  rela- 
tiva povertà  della  serie  di  quelli  a  figure  rosse  ;  povertà,  si  intende,  quantitativa,  non 
certo  qualitativa,  essendo  notorio  che  la  serie  stessa  comprende  esemplari  di  prim'or- 
dine.  E  si  aggiunga  che  i  vasi  a  figure  rosse  di  Tarquinia  vanno  cronologicamente  distri- 
buiti per  un  lasso  di  tempo  assai  più  lungo  :  per  Io  meno,  dal  principio  alla  seconda 
metà  inoltrata  del  quinto  secolo  av.  l' èra  volgare.  Assai  più  scarsi  sono  i  vasi  riferibili 

Nonna  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  63 


TARQUINIA  —    418    —  REGIONE    VII. 

alle  epoche  successive.  Di  riconnettibile  con  il  ciclo  dello  stile  fiorito  o  midiaco  (inteso 
in  'senso  lato),  non  sapremmo  ricordare  se  non  le  due  coppe  di  Aristofane  ed  Ergino 
(una  firmata,  l'altra  tanto  somigliante  alla  prima  da  non  potersi  ammettere  dubbi  sulla 
identità  degli  autori),  entrambe  con  rappresentazioni  di  centauromachia,  ed  entrambe 
dal  Museo  Bruschi  passate  a  quello  di  Boston  (').  Nel  Museo  di  Tarquinia  presente- 
mente non  c'è  nulla  di  simile,  meno  un  piccolo  frammento  con  rappresentazione  di  una 
Menade  e  un  Satiro  (*).  Pochissimi  sono  i  vasi  che  possono  ritenersi  contemporanei  del 
detto  ciclo  ma  di  stile  non  fiorito  e  forse  postmidiaci. 

Se  questo  stesso  rapporto  venisse  constatato  rispetto  a  tutti  i  vasi  greci  dipinti 
provenienti  da  Tarquinia,  il  fatto  non  potrebbe  ritenersi  casuale.  Non  sarebbe  arrischiata 
l'idea  che  esso  potesse  valere  a  confermare  l'ipotesi  di  un  precoce  inizio  di  relativa  de- 
cadenza (in  confronto  del  periodo  anteriore)  della  fiorentissima  città  maremmana,  pro- 
babilmente in  seguito  alla  disfatta  degli  Etruschi  nella  battaglia  di  Cuma  del  474  av.  Cr.  (3); 
e  ciò  tanto  più,  in  quanto  un'altra  questione  a  questo  proposito  ritorna  sul  tappeto.  Con 
la  diminuita  importazione  dei  vasi  greci  si  accorda  quanto  si  osserva  rispetto  alle  pit- 
ture delle  tombe  :  e,  cioè,  che  quelle  che  formano  il  gruppo  arcaico  sono  più  numerose 
di  tutte  le  altre  prese  insieme  (4).  Per  il  suddetto  gruppo  di  tombe  già  ammettevamo 
come  ragionevole,  in  linea  di  massima,  la  loro  riferibilità  al  tempo  della  importazione 
del  vasellame  greco  a  figure  nere,  in  vista  della  presenza  di  vasi  dipinti  a  ispirazione  di 
quel  genere  di  ceramografia,  tra  le  pitture  di  una  delle  tombe  tarquiniensi  del  menzio- 
nato gruppo  arcaico  ;  ma,  come  per  gli  altri  gruppi  di  tombe,  facevamo  le  più  ampie 
riserve  circa  la  delimitazione  cronologica  di  quello  stile  pittorico  (5).  Allora  non  sospet- 
tavamo minimamente  che  per  lo  stesso  gruppo  arcaico  un  qualche  nuovo  sprazzo  di  luce 
sarebbe  venuto  dal  semplice  confronto  numerico  fra  i  due  gruppi  principali  dei  vasi 
greci  esistenti  nel  Museo  (6).  Ma,  dopo  fatta  tale  constatazione,  non  potremmo  non  rite- 
nere sensibilmente  rafforzata  l'idea,  già  da  altri  avanzata  ('),  che  le  pitture  tombali  del 
primo  gruppo,  fatta  la  debita  parte  all'attardamento  e  alla  persistenza  del  relativo  stile, 
siano  da  riferirsi,  sempre  in  linea  di  massima,  a  un  periodo  di  tempo  che  può  andare 
dai  primi  decenni  del  quinto  secolo  in  su  ;  al  periodo,  cioè,  che  sta  a  cavaliere  fra  il  sesto 
e  il  quinto.  Se  non  che,  in  materia  di  pitture  sepolcrali  etrusche,  come  in  genere  in  ma- 
teria di  arte  etrusca,  bisogna  sempre  guardarsi  dalle  rigide  datazioni  e  particolarmente 
dall'attribuzione  di  tutte  in  blocco  al  medesimo  periodo. 

(')  Furhvangler-Reichhold,  Griechische  Vasenmalerei,  III,  tav.  128-129.  Intorno  alla  cronologia 
del  ciclo  suddetto  si  vegga  quanto  abbiamo  scritto  in  Ausonia,  VII,  1912,  p.  167  e  segg.. 

(»)  Raccolta  comunale,  n.  2977. 

(3)  A.  Holm,  Geschichte  Sicilienu,  I,  p.  215. 

(*)  Tredici  di  contro  a  dodici.  Se  poi  a  queste  si  vorrà  aggiungere  la  tomba  Bruschi,  anche  al 
primo  gruppo  si  dovrà  aggiungere  quella  del  «  Citaredo  »,  presentemente  chiusa. 

(*)  Scritto  cit,  in  Not.  d.  scavi,  1920,  p.  258  e  segg. 

(')  Allora  l'ordinamento  del  museo  era  lungi  dall'essere  iniziato  e,  per  l'affastellamento  e  la 
confusione  del  materiale  nei  magazzini, non  era  agevole  farsi  a  prima  giunta  un'  idea  chiara  circa  l'en- 
tità delle  varie  categorie  di  oggetti.  Solo  quando  i  vasi  furono  raggruppati  per  classi,  apparve  sorpren- 
denti la  differenza  quantitativa  fra  i  due  gruppi  di  vasi  greci  a  figure  nere  e  vasi  a  figure  rosse. 

(')  Cfr.  scritto  cit.,  in  Not.  d.  seain,  1920,  p.  260. 


KEGIONE  VII.  —   419   —  TARQUINIA 

Il  concetto  della  decadenza  di  Tarquinia  —  è  bene  insistere  su  questo  punto  —  non 
andrebbe  inteso  in  senso  assoluto  ;  di  modo  che,  pure  nel  datare  le  pitture  di  stile  arcaico, 
bisogna  continuare  a  tener  presente,  come  per  le  pitture  di  stile  evoluto,  il  possibile, 
anche  assai  prolungato,  attardamento  di  quel  medesimo  stile.  Di  un  semplice  sprazzo 
di  luce  si  può  quindi  parlare,  e  non  di  più.  I  particolari  problemi  di  cronologia,  che  cre- 
demmo di  risollevare  relativamente  alle  tombe  dipinte  tarquiniensi,  nel  loro  complesso 
rimangono  intatti  ;  e,  per  tentar  di  avviarli  a  una  soluzione,  la  via  che  si  dovrà  seguire 
rimane  sempre  quella  che  allora  indicammo.  Ma,  tornando  ai  vasi,  poiché  siamo  in  tema 
di  scarseggiamenti  e  di  lacune  (abbiamo  già  ricordato  la  quasi  mancanza  di  vasi  dello  stile 
midiaco),  dobbiamo  segnalare  un  altro  fatto  che  non  può  passare  inosservato,  quando 
si  considera  il  complesso  del  materiale  archeologico  esistente  nel  Museo  di  Tarquinia, 
e  cioè  :  il  salto  dalla  ceramica  così  detta  corintia,  con  decorazioni  a  zone  con  figure  di 
animali  (e  qualche  rara  rappresentazione  di  figura  umana  di  primitivo  disegno  alla  quale 
presso  a  poco  si  associano  cronologicamente  le  coppe  di  bucchero  ornate  a  rilievo  con 
figure  impresse),  alla  ceramica  greca  a  figure  nere.  Sono  infatti  rarissimi  gli  esemplari 
della  ceramica  ionico-attica  o  affine.  Che  poi  a  quest'altra  lacuna  si  abbia  da  riconoscere 
un  parallelismo  nel  fatto  che,  delle  tombe  arcaiche,  soltanto  quelle  dei  «  Tori  »  e  —  sebbene 
più  recente  —  della  «  Caccia  e  pesca»,  al  pari  della  tomba  «Campana»  di  Veio,  trovano 
in  qualche  modo  riscontro  nella  ceramografia  ionico-attica  e  attico -corintia,  è  cosa  at- 
tendibile, ma  in  questo  caso,  più  che  a  un  analogo  periodo  di  decadenza,  preferiamo 
pensare  a  un  periodo  di  sospensione  di  quelle  ondate  di  arte  ellenica,  di  cui  si  è  notata 
la  ripercussione  nell'arte  etrusca  ('). 

Rilievo  di  ncnfro.  —  Ricomposto  quasi  per  intero,  con  quattro  pezzi  principali  ed 
altri  piccoli  frammenti,  misura  da  m.  1,10  a  m.  1,67  in  lunghezza  e  da  m.  0,80  a  m.  0,75 
in  altezza.  Lo  spessore  è  di  circa  m.  0,15.  Il  rilievo  in  discorso,  nel  suo  insieme,  somiglia 
quasi  in  tutto  agli  esemplari  già  noti  :  vi  si  osservano  le  consuete  incassature  ad  angolo 
—  quattro  in  tutto  (le  due  superiori  più  ampie,  le  inferiori  più  strette)  —  allineate  ver- 
ticalmente a  due  a  due,  e  intramezzate,  sempre  in  senso  verticale,  da  una  larga  fascia 
divisa  in  due  riquadri  con  figure  a  rilievo  e  incorniciate  da  ambo  i  lati  da  fasce  simili, 
egualmente  divise  in  due  riquadri  in  modo  da  formare,  nell'insieme,  anche  degli  allinea- 
menti orizzontali  (tav.  XXIIj.  Ma,  mentre,  generalmente,  negli  altri  esemplari  si  osserva 
un  fregio  (figurato  o  a  semplici  ornati,  come  baccellature)  o  lungo  il  margine  superiore 
o  lungo  il  margine  inferiore,  nel  nuovo  esemplare  questo  fregio  marginale  manca  da 
ambo  le  parti.  In  ciascun  fascione  gli  orli  orizzontali  dei  riquadri  portano  l'ovvia  de- 
corazione della  treccia  semplice  ;  e  lungo  gli  orli  verticali  con  un  semplice  tratteggio 
obliquo  (che  in  alcuni  esemplari  si  ritrova  impiegato  in  altro  posto).  Ciascun  riqua- 
dro contiene  una  figura  a  bassorilievo.  In  alto,  da  sinistra  a  destra  :  1°)  TJn  uomo  che 
sembra  quasi  del  tutto  ignudo  salvo  che  certi  piccoli  tratteggi  rilevati,  ricadenti  dal 
lato  destro,  non  vogliano  significare  le  pieghe  di  un  piccolo  drappo  legato  ai  fianchi; 
ha  la  chioma  lunga,  raccolta  all'indietro  e  tagliata  all'altezza  dell'omero,  all'egiziana, 


(!)  Cfr.  scritto  cit.,  p.  261, 


SPOLETO  —  420   —  REGIONE   VI. 


e  cinta  da  una  specie  di  stretta  benda,  da  cui,  dalla  parte  dell'occipite,  svolazza  un  fiore 
di  loto  a  guisa  di  fiocco  ;  incede  verso  destra,  con  la  testa  rivolta  a  sinistra,  sollevando  e 
stringendo  per  il  collo  con  ciascuna  mano  un'oca  o  altro  uccello  aquatico.  2°)  Una 
donna  vestita  di  chitone  talare,  che  procede  verso  destra,  con  le  braccia  alzate,  come 
in  atto  di  spiegare  un  drappo  rettangolare,  sebbene  le  mani  appariscano  com- 
pletamente comprese  entro  il  drappo,  il  quale  si  presenta  disteso  a  guisa  di  sfondo  della 
figura.  3°)  Una  figura  simile,  nello  stesso  -atteggiamento  e  con  lo  stesso  drappo  disteso, 
ma  incedente  a  sinistra.  In  basso  :  1°)  una  Sirena  di  profilo  a  destra;  2°)  una  Sirena  di 
profilo  a  sinistra  (molto  rovinata  per  la  frattura  del  lastrone)  ;  3°)  un  leone  o  leopardo 
alato,  di  profilo  a  sinistra.  Il  secondo  e  terzo  riquadro,  dunque,  della  zona  superiore 
si  somigliano  come  il  primo  e  il  secondo  della  zona  inferiore;  soltanto,  il  primo  della 
zona  superiore  e  il  terzo  della  inferiore  non  hanno  riscontri.  Di  alcune  delle  rappre- 
sentazioni dianzi  descritte  (come  l'uomo  che  porta  le  oche  e  le  donne  che  sollevano 
i  drappi  distesi)  non  sappiamo  indicare  riscontri  negli  altri  esemplari  che  ci  son 
noti.  Le  Sirene  e  il  felino  alato  appariscono  altrove. 

Sulla  destinazione  di  questi  rilievi,  nulla  finora  si  sa  con  sicurezza.  Si  è  pensato 
a  chiusure  di  tombe  ;  ma  è  probabile  che  abbia  ragione  il  Milani  nel  negare  che  si  tratti 
di  simili  chiusure  (*). 

Tarquinia,  giugno,  1924. 

Giuseppe  Citltrera. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

V.  SPOLETO  —  Scoperta  di  iscrizioni  latine. 
Compiendosi  dei  lavori  agricoli  in  località  detta  Napoletto,  lungo  la  via  provinciale 
da  Spoleto  a  Terni,  a  circa  tre  chilometri  da  Spoleto  sulla  destra  del  Tessino,  si  rinven- 
nero tracce  notevoli  di  uno  dei  sepolcreti  romani  di  Spoleto.  Sulla  sponda  del  torrente 
è  visibile  gran  parte  del  nucleo  interno  di  un  monumento  sepolcrale  a  pianta  circolare, 
costruito  in  scaglie  di  pietra,  legate  da  malta  abbondante,  e  misurante  oltre  due  metri 
di  diametro.  Non  lungi  da  questo  nucleo  si  ritrovarono  tombe  protette  da  tegoloni  alla 


(')  L.  A.  Milani,  Noi.  d.  scavi,  1892,  p.  472  e  segg.  E  che  siano  chiusure  di  tombe  l'esclude  anche 
E.  Brandenburg  (Italische  Untersitchungen,  Florenz,  1923,  III,  p.  7  e  segg.);  il  quale  ha  tentato  di  dare 
una  spiegazione  dei  rincassi  ad  angolo  che  si  notano  in  questi  rilievi,  pensando  a  gradini  simboleggianti 
troni  su  cui  siederebbe  una  coppia  di  divinità.  Se  non  che,  negli  esemplari  dianzi  ricordati  (p.  406, 
nota  1),  scoperti  più  recentemente  nella  necropoli  tarquiniense,  come  si  è  detto,  in  calcare  e  decorati, 
comunemente,  con  solchi  a  «zig-zag»,  di  rincassi  c'è  una  sola  serie  anzi  che  due,  ed  essi  non  sono 
sempre  formati  da  due  piani  incontrantisi  verso  il  fondo,  sibbene  da  tre,  di  cui'uno,  che  costituisce  il 
fondo,  parallelo  alla  superficie  esteriore  e  gli  altri  due  inclinati  nella  maniera  consueta.  Con  simile 
struttura,  non  possono  simboleggiare  un  trono. 


Notizie  degli  Scavi  -  1Q24 


Tav.  XX 


Fi?,  a 


Fig.  b 
TARQUINIA  -  Vasellame  della  tomba  III. 


Danesi-Roma 


. 


• 


Jotizie  degli  Scavi  -  1924 


Tav.  XXI 


Fig.  a,   I 


Fig.  a,  2 


Fig.  b, 


TARQUINIA  -  Anfore  della  tomba  II!. 


•anesi-Roma 


OC 

I 

< 

z 

a 

ce 
< 


REGIONE    VI.  —    421    —  SPOLETO 

cappuccina,  e  avanzi  di  sarcofagi  in  terracotta.  Poco  più  a  valle,  rovesciati  in  terra  si 
rinvennero  i  seguenti  monumenti  iscritti 

1)  Cippo  in  calcare  stondato  in  alto  ;  di  m.  0,98  X  0,54 

C  HERENNENO  C  L 

STATIO 
C  HERENNENVS  C  L 

SECVNDVS 
POPPONIA  NYMPHE 

I  nomi  in  enus  (cfr.  nella  iscrizione  seguente  Aufillenus)  sono,  com'  è  noto,  comuni 
nelle  iscrizioni  latine  dell'Umbria,  e  molti  esempii  ce  ne  dà  l'onomastica  spoletina  (*). 
Anche  il  nome  Herennenus  è  due  volte  ripetuto  (C.  I.  L.  XI,  4872,  4937).  L'altro  nome 
Popponius  è  pure  noto  nella  epigrafia  di  Spoleto  (C.  I.  L.  XI,  4908,  4909). 

2)  Cippo  simile  al  precedente  per  forma  e  materia  m.  0,97  X  0,51 

NOBILIS  AVFIDIA 
D     L    SIBI    ET 
T  AVFILLIINO  MAXI 
MO 
AVFID  |  IAE 

ARBVS^CVLAE 


3)  Altro  cippo  maggiore  dei  precedenti  e  con  migliori  lettere.  Misura  m.  1,25  X  0,61. 

T  VIBVLEIO  TL 

AMICO  ANVLARIO 

RVFRIAED  L 

FAVSTAE 

H     M     H    N    S 

Anidarius  è  il  fabbricante  di  anelli.  Altre  iscrizioni  ricordano  questa  professione 
(O.  I.  L.  XI,  1235  ;  XII,  4456);  una  ci  presenta  persino  un  collegium  di  tali  artefici 
(C.  I.  L.  VI,  9144). 

4)  Altro  cippo  di  m.  1,11  X  0,56 

IN-F-P-XVI 


(>)  C.  /.  L.  XI,  4797,  4799,  4807,  4859,  4872,  4874,  4880,  4882,  4886,  4935,  4936,  4937,  4938, 
4947,  4948  ;  Not.  scavi  1900,  p.  141. 


SPOLETO  —    422    —  REGIONE    VI. 


5)  Altro  di  m.  0,48  X  0,46 

P-Q^XII 
Cfr.  C.  I.  L.  XI,  4962,  4963. 

6)  Frammento  di  cippo  (0,49X0,49): 

DAPHN 

SIBI 

EOLIAE  DL  IV. 


7)  Altro  frammento  (0,46X0,21): 


...  VSTI 
..  .  VS 

8)  Frammento  di  grande  cippo  (0,89X0,43): 

...INI 

. . .  PEX        \Harus]  pcx  ? 

Allo  stesso  gruppo  di  sepolcri  deve  avere  appartenuto  un  altro  grande  cippo  in 
marmo,  della  stessa  forma,  inserito  nella  muratura  della  spalla  di  sinistra  del  ponte  che, 
cavalcando  il  Tessino,  conduce  alla  chiesa  di  S.  Pietro.  La  corrente  lambisce  lo  specchio 
iscritto,  sicché  le  lettere  sono  del  tutto  corrose,  tranne  le  prime  tre  della  prima  linea 
LVN  e  le  ultime  due  della  quarta  linea  PR. 

Questo  complesso  di  cippi  e  gli  altri  resti  di  tombe  e  di  edifici  sepolcrali  fanno  pen- 
sare, che  colà  passasse  un'antica  via,  sulla  destra  pertanto  del  Tessino,  e  non  sulla  si- 
nistra, dove  passa  l'attuale  per  Terni.  Un  contadino  del  luogo  assicura  infatti,  che  lungo 
una  striscia  rettilinea  di  parecchie  decine  di  metri,  i  suoi  strumenti  agricoli  incontrano 
un  battuto  molto  duro,  quasi  fosse  la  ruderatio  di  una  strada  della  quale  fosse  stato  por- 
tato via  il  lastricato.  E  altre  iscrizioni  sepolcrali  sono  date  come  provenienti  dalle  vici- 
nanze della  chiesa  di  S.  Pietro  nel  luogo  stesso  (C.  I.  L.  XI,  4785,  4821,  4843,  4849, 
4906,  4923). 

Presso  la  moderna  chiesa  di  S.  Marco  extra  Pomerium  sono  i  resti  di  un  edificio  quasi 
del  tutto  interrato,  costruito  in  pietra  da  taglio  con  due  ingressi  ad  arco  e  con  una  fila 
mediana  di  colonne.  Nella  costruzione,  che  è  probabilmente  la  cripta  di  una  chiesa 
e  che  sarebbe  opportuno  esplorare,  è  inssrito  materiale  frammentario  preso  da  più  antichi 
edifici.  Così  una  delle  colonne  è  costituita  dal  pulvino  in  forma  di  festone  di  lauro  di 
una  grande  ara  classica  in  calcare.  Lungo  la  parete  sinistra  è  l'architrave  con  sobrie  cor- 
nici lisce  di  una  porta,  e  pure  nella  parete  sinistra  sono  inseriti  nella  muratura  i  fram- 
menti di  due  granii  iscrizioni,  l'una  con  bsllissime  lettere  già  pubblicata  in  C.  I.  L.  XI, 
4828,  l'altra  non  veduta  dagli  editori  del  Corpus,  e  che  qui  trascrivo, 


roma  _  423  — 


ROMA 


9)  Grande  lastrone  di  m.  1,47X0,58.  L'iscrizione  continuava  a  destra. 

OGVLNIAE  SP 
QVARTAE 
TESTAMELO  F 

Nel  libro  di  Severo  Minervio  De  rebus  gesiis  Spoletinorum  (1527)  è  riferita  un'  iscri- 
zione Ogulniae  Sp.  f.  Quartaep.  q.  XVIII  che  è  detta  esistere  nella  chiesa  di  S.  Nicola 
ad  Palatia.  Dal  Minervio  la  riporta  il  Corpus  (XI-4901).  La  nostra  deve  riferirsi  alla 
stessa  persona,  e  precisamente  la  nostra  è  l'iscrizione  principale  della  tomba,  mentre 
l'altra,  che  è  dal  Minervio  chiamata  cippo,  doveva  segnare  i  limiti  dell'area  sepolcrale. 

10)  Nella  chiesa  dei  SS.  Apostoli  si  rinvenne  un  frammento  di  lastra  di  marmo  con 
povero  avanzo  di  un'iscrizione  greca 


IO  Y 

!ioc 

iVlTH 

Per  la  diligente  cura  dell'ispettore  onorario  dei  monumenti  sig.  conte  Carlo  Ban- 
dini  le  prime  otto  iscrizioni  qui  pubblicate  sono  state  trasportate  nel  Museo  Civico  di 
Spoleto. 

R.  Pakibeni. 


VI.  ROMA. 

Via  Latina  (tav.  XXIII).  Costruendosi  un  fabbricato  ad  uso  vaccheria  nella  loca- 
lità Lucrezia  Romana,  in  tenuta  Roma  Vecchia,  di  proprietà  del  sig.  Luigi  Di  Marzio,  è  stata 
scoperta  una  parte  di  antico  fabbricato  appartenente  a  villa  rustica.  Si  riconobbe  una 
stanza  con  le  pareti  in  opera  reticolata,  lunga  m.  9,20  e  larga  m.  5,30,  avente  l' ingresso 
nella  parete  sud,  e  pavimentata  con  musaico  di  tessere  bianche  e  nere,  formanti  file 
a  squame,  metà  bianche  e  metà  nere,  larga  ciascuna  fila  m.  0,32  ;  il  pavimento  è  limitato 
verso  le  pareti  da  una  fascia  nera  larga  0,35,  a  cui  segue  una  bianca  di  m.  0,06  ed  altra 
nera  di  m.  0,04. 

L'ingresso  è  largo  m.  3,94,  e  si  accedeva  alla  stanza  mediante  due  gradini;  uno  era 
ricavato  nella  grossezza  del  muro  e  munito  di  soglia  di  marmo,  l'altro  poggiava  sopra 
il  pavimento  di  musaico,  ed  era  largo  m.  0,27. 

Sempre  dal  lato  meridionale,  e  sulla  destra  dell'ingresso  suddetto,  si  riconobbe  un 
porticato,  con  l'angolo  nord-est  costituito  da  una  fila  di  blocchi  di  pietra  albana,  larghi 
m.  0,42,  alti  0,25,  sopra  la  quale  poggiavano  le  colonne  in  laterizio,  intonacate  con 
fine  impasto  di  calce  e  polvere  di  marmo,  formanti  nel  perimetro  facce  piane  di  m.  0,09 
di  lato  ;  il  diametro  delle  colonne  era  di  m.  0,40,  e  distavano  una  dall'altra,  da  centro 
a  centro,  m.  2,40. 

Del  lato  est  si  vide  per  una  lunghezza  di  m.  26,50,  mentre  del  lato  nord  non  rima- 
neva se  non  un  tratto  di  circa  6  metri.  Il  muro  settentrionale  della  stanza  suddescritta  prò- 


ROMA  —    424    —  ROMA 

seguiva  verso  est,  e  alla  distanza  di  m.  10,40  esisteva  un  ambiente  a  pianta  rettangolare, 
lungo  ni.  8,72  e  largo  m.  4,55  ;  nella  parete  nord  aveva  una  banchina  larga  m.  0,50,  nella 
cui  metà  erano  cinque  gradini  formanti  una  piccola  scala  larga  m.  0,95.  Nella  parete  di 
fronte,  cioè  quella  a  sud,  esisteva  uh  pilastro  in  muratura  largo  m.  0,60  X  0,60  ;  nella 
parete  orientale  correva  un  canaletto  largo  m.  0,22,  profondo  m.  0,15-».  a.  sezione  con- 
cava, mentre  nella  parete  occidentale  si  apriva  l'ingresso  largo  m.  1,64. 

Uh  altro  piccolo  ambiente,  esistente  all'esterno  dell'angolo  nord-ovest  della  ca- 
mera precedente,  aveva  una  piccola  scaletta  in  muratura  formata  da  sei  gradini,  che 
discendeva  sul  piano  dell'ambiente.  Ambedue  questi  ambienti  erano  intonacati  a  coc- 
ciopesto,  e  dovevano  far  parte  dell'azienda  rustica  ;  il  primo  poteva  essere  il  torcu- 
larium  (?)  ed  il  secondo  un  vascone  per  usi  diversi. 

Poco  lontano  dal  porticato  a  colonne  laterizie  era  un  pozzo  scavato  nel  cappellaccio 
di  tufo,  e  munito  di  pedarole  del  diametro  di  m.  0,90,  entro  il  quale  fu  rinvenuta  una  testa 
marmorea  (tav.  XXIII). 

La  testa  a  grandezza  naturale  (altezza  dall'apice  dei  capelli  alla  parte  più  bassa  del 
collo  m.  0,27),  è  scolpita  in  marmo  greco  a  grossi  cristalli,  e  non  presenta  gravi  danni, 
tranne  una  erosione  piuttosto  profonda,  che  ha  in  particolar  modo  guastato  il  naso  e  le 
orecchie.  È  rappresentato  un  giovane  dai  lineamenti  fini  e  delicati,  pur  nel  rigoglioso  fiorire 
della  sua  vigoria  e  della  sua  sanità.  I  capelli  morbidi  e  ricciuti  scendono  a  coprire  piuttosto 
in  basso  la  fronte  ;  gli  occhi  formano  una  ellisse  piuttosto  allungata,  con  piccola  distanza 
verticale  tra  le  palpebre  e  con  le  arcate  superciliari  non  molto  incurvate.  Il  naso  appare 
piccolo,  la  bocca,  leggermente  aperta,  sembra  alquanto  schematicamente  trattata,  ma  di 
questa  apparenza  la  colpa  è  forse  da  attribuire  per  intero  alla  corrosione  del  marmo.  Il 
labbro  inferiore  alquanto  sporgente  e  la  robusta  mascella  danno  alla  testa  quell'aspetto 
maschio  e  forte  che  non  appare  dagli  occhi  dolci  e  melanconici  e  dalle  guance  carnosette. 
La  testa  è  volta  con  una  certa  vivacità  verso  la  propria  sinistra,  e  gli  occhi  sembrano 
guardare  piuttosto  in  basso. 

È  riprodotto  un  tipo  di  sana  e  fresca  bellezza  giovanile,  che  non  ha  nulla  di  maestoso 
e  di  divino,  ma  che  si  attribuisce  volentieri  a  uno  di  quei  bei  campioni  di  razza  umana 
che  il  ginnasio  greco  educava.  Appartenne  forse  alla  statua  di  un  atleta  vincitore,  e  ne  ri- 
produsse molto  idealizzate  le  sembianze.  Dai  caratteri  artistici  sembra  rivelarsi  una  con- 
sumata abilità,  e  una  evoluzione  stilistica  che  ha  già  avuto  campo  di  vedere  e  di  sentire 
l'influenza  dei  grandi  maestri  del  quarto  secolo,  e  forse  in  special  modo  digrassitele. 
C'è  un'aria  di  famiglia  innegabile  persino  con  la  Afrodite  Cnidia  (i).  Nella  serie  nume- 
rosa di  statue  di  olimpionici  e  di  altri  vincitori  di  gare  non  è  difficile  trovare  riscontri 
alla  nostra  testa;  abbastanza  vicina  ad  esempio  parmi  possa  ritenersi  quella  di  una  sta- 
tua di  corridore  trovata  a  Velletri,  e  ora  al  Palazzo  dei  Conservatori,  replica  di  un  origi- 
nale in  bronzo  da  attribuire  al  IV  secolo  (2). 

R.  Paribeni. 


(')  Cfr.  specialmente  la  replica  di  Tralles,  ora  a  Berlino  :  Bulle,  Ber  schSne  Mensch,  tav.  264. 
(•)  Visconti  in  Bull.  Comunale  1876,  tav.  IX;  Brunn  Bruckmann,  tav.  363',  Helbig,  Fiihrer3,  nu- 
meri 913-914. 


o 


z 
2 


l- 
i 

« 

e 

3 

« 


< 

o 

OS 


I 

k 
£ 


\ 


ROMA  _   425   —  ROMA 


Iscrizioni  sepolcrali. 

Per  dono  del  valente  pittore  sig.  Vincenzo  Fasano  son  pervenute  al  Museo 
Nazionale  Romano  due  iscrizioni  che  sembrano  rinvenute  di  recente  in  occasione 
di  nuove  costruzioni  non  lungi  da  Porta  Maggiore. 

1)  Piccola  stele  marmorea  di  m.  0,46  X  0,295  : 

©EOIZ 

KATAXQONIOIZ 

OYTOZ  O  TYMBOZ 

EXEI  AIONYZIOY  MA 

ZIMON  YION  MHTPOZ  . 

KAPnOYPNIAZ  EIKO 

ZI  KAI  AY  ETU)N  OIKO 

AOMON  ZYAOEPrON 

AMOUMTON  KATA   ~E 

XNHN  nATPlAOZ  AZ 

TAKIHZ  ENQAAE  A 

nO(pelMENON  AEI 

VANTA  ZTYrEPON 

riEN©oZ  EOIZ  TENETAIZ 

La  forma  umile  e  pedestre  non  lascerebbe  pensare  che  abbiamo  in  questa 
iscrizione  un  componimento  poetico,  ma  il  metro  ce  lo  rivela  tale,  e  forse  il  rispetto 
alle  sue  leggi  è  maggiore  qui  che  in  altri  epigrammi  funerari  di  più  elevata  con- 
cezione e  di  più  nobile  struttura.  L'epigramma  ha  due  distici  e  un  pentametro 
finale  : 

&soìg  Kutccx&ovìok; 

OvTog  ó  tv/x^og  £;j«  Jiovvotov  Mà$~i/j,ov  vlóv 

Mrjzgòg  Kaqnovqviug  sixoai  xcà  iv    èt&v 

Olxoàó/iov  ^vlosQyòv  àfiión\jf\Tov  xarà  ts%vrjv 

Ilaroióo;   'Aaraxirjg  iv&àde  ànotfd-iixévov 

Xeitparta  atvysqòv  név&og  ioìg  yeveratg 

Come  di  consueto,  sono  stati  i  nomi  propri  quelli  che  hanno  posto  in  qualche 
imbarazzo  il  poeta,  il  quale  se  l'è  cavata  bene  dal  punto  di  vista  della  metrica 
cambiando  in  'Afftaxir]  il  comune  'Aaraxóg  (verso  4;  si  può  confrontare  'Afftaxeirjg 
yérjg  in  altro  epigramma  metrico:  Kaibel,  Epigrammata,  n.  168)  e  si  è  posto  invece 
i  piedi  sotto  i  medesimi  coi  due  nomi  propri  Jiovvaiov  e  KaqnovQviag.  Il  defunto 
Maximus  figlio  di  un  peregrino  e  di  una  madre  romana  a  quanto  pai  e,  nato  ad 
Astaco?  di  Acarnania  o  ad  Astacos  di  Bitinia,  fu  olxodófiog  tvXoeqyóg,  costruttore  e 
legnaiuolo,  probabilmente  perciò  esperto  in  quei  lavori  in  legno  che  solvono  alle 
costruzioni,  come  ponti,  armature  di  tetti,  di  maeniana  etc.  SrvyeQÒv  névd-og  del 
verso  ultimo  è  in  Omero  x  376. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  64 


AlARtNO  —    426    —  REGIONE   L 

2)  Lastra  marmorea,  misura  m.  0,285X0.275: 

D  •  M  •  S  • 

HYGINVS  •  PATER 

ETY  FELICIA  •  MATER 

HYGIAE  FILIAE  DVLCIS 

SIMAE-FECERVNT-QV 

AE  VIXIT  ANN  II  M  II D  XVIII 

SIBI-POST-EORVM-SIT-TIBI'TERRA-LEVIS 

R.  Paribeni. 


Regione  I  (LA  TIUM  ET  CAMPANIA). 

VII.  MARINO  —  Resti  di  abitazioni  romane  in  località  Castruccio. 

In  località  Castruccio  presso  Marino,  facendosi  piccole  riparazioni  in  alcuni  locali 
terreni  del  casale  di  proprietà  del  signor  Valentini,  furono  messi  in  luce  alcuni  avanzi 
di  muri  in  reticolato,  conservati  per  pochi  centimetri  di  altezza,  e  resti  di  pavimenti 
in  mosaico.  La  parte  di  pianta,  che  il  disegnatore  signor  A.  Berretti  potè  delineare,  è  qui 
riprodotta  a  fig.  1,  I  muri  antichi  sono  segnati  in  nero,  si  trovarono  a  profondità  di  circa 
due  metri  dal  piano  del  cortile,  ed  accennano  ad  una  specie  di  corridoio  e  a  un  portico 
di  cui  restava  una  base  di  colonna.  Nelle  due  stanze  a  nord  del  cortile,  a  pochi  centimetri 
sotto  il  piano  attuale,  si  rinvenne  invece  un  avanzo  di  un  pavimento  a  mosaico,  di  cui 
la  costruzione  dei  muri  moderni  aveva  fortunatamente  salvato  parte  del  quadretto  cen- 
trale che,  non  potendo  esser  conservato  sul  posto,  fu  distaccato,  ed  è  ora  nel  Museo  Na- 
zionale Romano.  È  a  tessere  bianche  e  nere  non  molto  grandi;  e  riproduce,  come  ognun 
vede  dalla  figura  2,  la  scena  finale  del  mito  di  Apollo  e  Dafne,  cioè  la  metamorfosi  della 
bella  ninfa  in  pianta  di  lauro.  Apollo  con  lunghi  capelli  raccolti  a  xqwfìvXos,  dietro  la 
nuca  e  con  corona  sulla  fronte,  vestito  di  breve  clamide  svolazzante  dietro  le  spalle,  è 
rappresentato  di  pieno  profilo  in  atto  di  muoversi  velocemente  verso  destra  e  di  tendere 
il  braccio  destro  per  ghermire  la  fuggitiva  ;  la  mano  sinistra  regge  il  piccolo  arco  con  le 
estremità  ricurve.  Dafne  è  rappresentata  nuda,  di  pieno  prospetto,  mentre  già  le  gambe 
sotto  le  ginocchia  sono  imprigionate  nel  tronco  legnoso,  e  sui  fianchi,  sul  capo,  sulle  mani 
aperte  in  segno  di  implorazione,  sbocciano  i  ramoscelli  frondosi. 

Non  è  questa  la  prima  volta  che  la  storiella  leggiadra  e  toccante  tentò  l'ingegno 
degli  antichi  artisti,  e  forse  i  fluidi  versi  di  Ovidio  le  diedero  tra  i  Romani  la  più  larga 
notorietà,  così  che  nell'arte  romana  essa  più  frequentemente  ci  appare  (1).  E  se  alcune 


(')  Metamorph.  I,  v.  452  seg.  Un  primo  elenco  di  opere  d'arte  ispirate  a  questo  mito  in  Over- 
beck.  Griechische  Kunstmythologie,  III,  p.  497.  Recentissimamente  riesamina  tutto  il  gruppo  di  queste 
opere  il  Leschi,  pubblicando  un  bel  mosaico  di  Tebessa  con  la  stessa  scena  (in  Mélanyes  de  V Ecole  Fran- 
caise  1924,  pag.  95).  , 


REGIONE    I. 


—    427    — 


MARINO 


pitture  e  mosaici  si  limitano  a  raffigurare  semplicemente  la  scena  dell'inseguimento, 
senza  ardire  di  accennare  alla  metamorfosi,  altrove  invece,  come  nel  nostro  mosaico, 
abbiamo  rappresentata  in  atto  la  prodigiosa  trasformazione  (1).  L'audace  innovazione 


Pia.  1. 


fu  tentata  sia  da  pittori  sia  da  scultori  ;  ad  originali  pittorici  si  riporta  ad  esempio  cer- 
tamente il  mosaico  citato  di  Tebessa,  dove  la  ninfa  cade  in  ginocchio,  e  dove  è  accen- 
nato il  paesaggio  e  il  corso  del  fiume  Peneo  (*).  Il  nostro  mosaico  invece  con  la  figura  di 


(»)  Tn  una  pittura  di  Stabia  (Helbig,  WandgemàUe  Campanie™,  n.  206)  e  in  un  mosaico  di 
Lillebonne  (Inventane  des  mosaiques  de  la  Gaule  11-1051)  non  vi  è  alcun  segno  della  metamorfosi. 
Cfr.  Leschi,  loc.  cit,  p.  106. 

(»)  Leschi,  loc.  cit.,  p.  104- 


MARINO 


—    428 


REGIONE    I. 


Dafne  non  più  in  corsa,  ma  vòlta  di  pieno  prospetto,  e  con  la  figura  plasticamente  gra- 
diente di  Apollo,  mi  pare  si  debba  riportare  a  un'opera  di  scultura,  di  cui  una  testimo- 
nianza si  ha  nel  noto  marmo  della  Dafne  di  Firenze,  così  simile  alla  nostra  Q). 

Indubbiamente  la  scultura  aveva  trovato  meno  felici  soluzioni  della  pittura,  nella 
trattazione  del  difficile  momento,  ne  ci  voleva  meno  della  genialità  possente  di  Gian- 


Fio.  2. 


lorenzo  Bernini  per  dare  alfine  il  prodigio  invano,  a  quanto  sappiamo  noi,  cercato  dagli 
artisti  a  lui  anteriori. 

Di  oggetti  il  piccolo  scavo  non  diede  se  non  tre  frammenti  di  tavole  di  fregio 
in  terracotta  dal  tipo  detto  terrecotte  Campana,  due  dei  quali  si  riferiscono  alla  nota 
scena  di  Ercole  con  un  torello  sulla  spalla  (*),  e  uno  aveva  un  bucranio. 


(')  Collignon.  Hist.  de  la  sculplure  ijrecque  II,  p.  589. 
(■)  Winnefeld,  Antike  Terracotte»,  tav.  XLVII. 


R.  Pari  beni. 


REGIONE    I.  —    429    —  MARINO 


Vili.  MARINO  —  Sepolcreto  laziale  della  «Riserva  del  Truglio»,  nel 
Pasco'aro. 

Nella  primavera  del  1923  il  contadino  Giovanni  Properzi  denunciò  alla  r.  Soprin- 
tendenza Scavi  che,  nello  scavare  per  l'impianto  di  un  vigneto  in  un  terreno  sito  nel 
«  Pascolaro  »  di  Marino,  si  era  imbattuto  più  volte  in  materiale  ceramico,  di  bronzo 
e  di  ferro,  trovato  in  mezzo  a  grossi  blocchi  di  pietra  locale,  che  giacevano  sepolti  a 
discreta  profondità.  In  vista  dal  copioso  materiale  fortuitamente  rinvenuto,  rivelante 
in  quel  terreno  la  presenza  di  molte  tombe  laziali,  e  in  considerazione  della  notorietà 
del  luogo,  la  Soprintendenza  credette  opportuno  eseguire  saggi  di  scavo  regolare,  i 
quali  vennero  operati  in  due  riprese  nell'estate  sotto  la  continua  e  ininterrotta  vigilanza 
dello  scrivente. 

Venne  così  esplorata  una  estensione  di  terreno  di  oltre  200  mq.,  ottenendo  come 
risultato  lo  scoprimento  regolare  di  trenta  tombe  «  a  fossa  »  (*)  contenenti  un  corredo 
funebre  che  mostra  l'appartenenza  del  sepolcreto  a  quella  fase  della  civiltà  laziale  dei 
tempi  preromani  che  suole  indicarsi  con  i  nomi  di  seconda,  o  recente,  dell'età  del  ferro. 

È  doveroso  ricordare  che,  chiusasi  nell'ottobre  la  mia  seconda  esplorazione,  le 
scoperte  continuarono  in  occasione  di  altri  lavori  agricoli  ;  e  che  non  potendo  io,  per 
ragioni  d'ufficio,  assentarmi  da  Roma,  tali  lavori  furono  invigilati  dall'egregio  col- 
lega Enrico  Stefani,  il  quale  con  ammirevole  e  disinteressato  senso  ha  voluto  senza 
altro  donarmi  i  suoi  preziosi  appunti  di  scavo,  relativi  alle  ultime  cinque  tombe. 

I  materiali  recuperati,  e  depositati  nel  Museo  Preistorico,  compongono  una  serie 
ricca  e  notevolissima  ;  ma  ciò  che  più  importa  è  il  poter  dare  per  la  prima  volta  un 
resoconto  di  scavo  regolare  con  dati  precisi,  tratti  dall'osservazione  diretta,  come  mai 
per  il  passato  avvenne  per  la  vasta  zona  occupata  dalle  necropoli  albane,  se  si  eccettua, 
e  solo  in  parte,  l'illustrazione  del  Colini  e  del  Mengarelli  per  la  necropoli  di  Grottaferrata 
(villa  Cavalletti). 

I  sepolcreti  laziali  noti. 

In  previsione  di  venturi  e  augurabili  ritrovamenti  e  per  le  conclusioni  che  gli  stu- 
diosi potrebbero  trarre,  reputo  necessario  che  qui  sieno  preliminarmente  ricordate  le 
scoperte  avvenute  in  passato  nella  zona  circostante  al  terreno  ultimamente  esplorato, 
con  il  rimando,  per  gli  opportuni  riscontri,  alla  pianta  annessa  (fig.  1). 


(l)  Ne  vanno  aggiunte  parecchie  altre,  incontrate  e  manomesse  dal  contadino  prima  dello  scavo, 
e  una  trentunesima  intravista  dallo  Stefani  nella  buca  sottostante  alla  tomba  24,  fra  6°  e  7°  forinone 
(ved.  pianta  a  fig.  1),  la  quale  non  si  potè  esplorare  (a  causa  delle  coltivazioni  da  non  danneggiare)  ma 
di  cui  si  raccolsero  due  vasi  (una  tazzina-infundibolo  e  una  tazza  su  piede).  Cosicché,  nell'area  di  1000 
mq.  e  più  lavorati  dal  nostro  contadino,  il  numero  delle  tombe  incontrate  è  certo  superiore  alla  qua- 
rantina. 


MARINO 


430    — 


REGIONE    I. 


Tutta  la  zona  cstendentesi  attorno  agli  orli  del  lago  Albano,  da  Castel  Gandolfo 
a  Marino,  e  di  là  fin  giù  nella  piana  solcata  dall'Appia,  è  una  zona  sepolcrale  delle  più 
caratteristiche.  Ci  limiteremo  alla  sola  parte  occidentale,  a  quella  cioè  che  va  messa 
in  stretto  rapporto  con  l'esplorazione  recentissima,  ricordando  appena  che  le  «  necropoli 


C**1*? 


•  Scala  Chilometrica. 


.  (ALBANO)  - 


Fio.  1.  —  Carta  topografica  delle  necropoli  albane. 


albane  »  si  continuano  anche  a  oriente  di  Marino,  fin  quasi  a  Frascati,  e  che,  oltrepas- 
sato Albano,  se  ne  rintracciarono  fino  a  Vclletri  ('). 

(')  Oltre  le  menzionate,  ancora  numerose  sono  le  sepolture  messe  in  luce  sui  monti  Laziali,  ren- 
dendosene noto  il  discoprimento.  Inoltre,  copiosi  materiali  appartenuti  a  corredi  funebri  di  tombe 
«  non  localizzate  »  si  conservano  in  musei  italiani  e  stranieri,  e  sono  anche  in  possesso  privato.  E,  pur- 
troppo, anche  frequenti  sono  stati  i  rinvenimenti  fortuiti,  nei  quali  il  materiale  andò  distrutto  o  di- 
sperso, senza  ricordo  per  gli  studi.  Tutto  ciò  prova  quanto  densa  fosse  la  popolazione  sulle  ridenti 
alture  vulcaniche. 

Le  altre  località  dove  si  accertò  l'esistenza  di  sepolcreti  o  di  tombe  laziali  sono  : 
Villa  Cavalletti,  Vigna  Giusti,  contr.  Boschetto  (presso  Grottaferrata)  ;  Vigna  del  Sette  a  Capo 
Croce,  contr.  San  Rocco,  Cimitero  di  Marino,  contr.  Intergo,  Valle  Marciana,  Vigna  Caracci  nel  Prato 


REGIONE   ì.  —    431    —  MARINÒ 


A  cominciare  dal  1816,  quando  avvennero  i  famosi  ritrovamenti  del  Pasqualucci 
in  occasione  del  taglio  della  strada  che  dalla  località  «  Due  Santi  »  sale  a  Castello,  le  sco- 
perte si  succedettero  frequenti  fino  ai  giorni  nostri,  spiccando  tra  le  varie  località  le 
alture  di  Monte  Crescenzo,  di  Monte  Cucco,  con  le  loro  pendici,  e  del  Pascolavo  di  Ca- 
stello. Principiando  dal  nord,  col  numero  corrispondente  a  quello  segnato  nell'annessa 
pianta  (fig.  1),  abbiamo  i  seguenti  gruppi  : 

1)  Colle  Castel  de'  Paolis  (scavo  1903)  fj 

2)  Campo  Fattore  (scavi  1871)  (!) 

3)  Vigna  Meluzzi  (se.  1864,  1868)  (3) 

4)  Vigne  Limiti  e  Pavoni  (se.  1817,  1874)  (<) 

5)  Vigna  Testa  (se.  1817-1874)  (*) 


della  Corte,  contr.  I  Colli  (nel  territ.  e  nei  pressi  di  Marino)  ;  Vigna  Trovalusci  presso  Paianolo,  nel 
Campo  d'Annibale  (in  territ.  di  Rocca  di  Papa)  ;  presso  Cecchino,  a  Monte  Giove,  a  Fontana  di  Papa 
(in  territ.  di  Albano  e  sotto  Vallericcia)  ;  a  Monte  Pardo  e  presso  il  Cimitero  di  Ariccia;  presso  l'abi- 
tato di  Lanuvio  o  Civita  Lavinia  ;  in  vigna  d' Andrea  (presso  Velletri). 

E  con  esse,  data  la  stretta  parentela,  vanno  ricordate  Pratica  di  mare,  e  probabilmente  anche 
Ardea. 

Con  i  ritrovamenti  fatti,  infine,  a  Preneste,  a  Colonna,  in  Via  Prenestina  (Gabii),  a  Lunghezza 
sull'Amene,  a  Conca  (Satricum),  a  Caracupa  e  a  Valvisciolo  e  a  Norba,  nel  suolo  romano  (sull'Esqui- 
lino  e  nel  Foro),  si  completa  il  quadro  di  tutte  le  necropoli  laziali. 

Per  tutte  è  ora  fondamentale  il  recentissimo  volume  di  F.  von  Duhn,  Italische  Graelerkunde,  I 
(Heidelberg,  1924),  pag.  394  e  segg.,  pag.  519  segg.,  che  per  compiutezza  e  precisione  di  notizie  può 
escludere  ogni  precedente  (tranne  che  perle  figure).  Sempre  consultabili  restano  gli  ampi  lavori  rias- 
suntivi del  Pinza  :  «  Necropoli  laziali  »  in  Bollett.  comun.  1900,  fase.  2-3,  e  Mon.  ani.  XV  (1906), 
col.  325-398  [con  l'aggiunta  di  Seccia,  Bull.  pai.  it.  1907  pag.  225  (S.  Rocco)];  id.  Not.  scavi  1908, 
pag.  356  ;  di  Galieti,  Not.  scavi  1917,  pag.  27  (Lanuvio)J  col  riscontro  della  carta  geogr.  edita  nei  suoi 
Mater.  per  l'etnologia  ant.  ecc.  (Hoepli,  Milano  1915),  tav.  2a,  e  cfr.  pag.  33  segg.  Così  pure  sempre 
utili  sono  il  riassunto  e  la  bibliografia  dati  da  Montelius,  Civ.  prirn.,  2*  pari.,  Italie  centr.  (1910), 
pag.  553-690. 

Poiché,  ponendosi  a  riscontro  la  citata  carta  geogr.  edita  dal  Pinza  con  la  piantina  già  dallo  stesso 
data  in  Boll.  com.  1900  (riprodotta  in  Montelius)  e  col  rimando  fatto  a  pag.  33  dei  detti  Materiali  ecc. 
1915,  risultano  mancanze  di  perfetta  corrispondenza,  ho  creduto  opportuno  dare  qui  nuovamente 
segnate  con  precisione  le  località  della  zona  che  e'  interessa,  aggiungendo  per  ciascuna  le  particolari 
indicazioni  bibliografiche. 

Infine,  anche  ricorderò,  per  la  sua  importanza,  il  recentissimo  e  assai  utile  libro  di  D.  Randall 
Mac  Iver,  Villanovans  a.  early  Etruscans,  a  study  ecc.  (Oxford,  1924),  dove  a  pag.  79  segg.  si  tratta 
delle  necropoli  laziali. 

(')  Seccia  in  Not.  scavi,  1903,  pag.  201-204.  E  nella  vicinissima  [località  SS.  Apostoli,  è  proba- 
bile l'esistenza  di  altre  tombe  (cfr.  Pinza,  Mon.  ant.  XV,  col.  332). 

(2)  M.  St.  De  Rossi,  Nuove  scoperte  nella  necrop.  ali.  (Quarto  rapporto  ecc.),  1871,  (estr.  da  Ann. 
Inst.  1871,  pag.  243  segg.)  ;  cfr.  anche  L'Opinione  del  12  genn.  1871. 

(3)  De  Rossi,  Rapporto  sugli  studi  e  s.  scoperte  paleoetn.  ecc.,  1868,  pag.  27  (estr.  da,]Ann.  Inst. 
XXXIX).  Cfr.  Bull,  pai  it.  1875,  pag.  186  (per  gli  scavi  Schliemann). 

(4)  R.  Garrucci  :  «  Scavi  nella  necrop.  alb.  »,  in  Civiltà  cattol.  1875,  fase.  693,  pag.  582  ;  ibid., 
1877,  fase.  660,  pag.  706.  De  Rossi,  Secondo  rapporto  ecc.,  1868,  pag.  26-40  (estr.  da  Giornale  ar- 
cadico, nuov.  ser.  LVIII). 

(5)  Garrucci,  op.  cit.  in  Civ.  Cattol,  fase.  693  già  cit. 


MARINO  —    432    —  REGIONE   L 

6)  Vigna  Tomassetti  (se.  1817)  (») 

7)  Villa  Monteverde  (se.  1898)  (») 

8)  Pascolare  (se.  1816-1817)  («) 

9)  Vigne  Cittadini  e  Evangelisti  (se.  1868-1875)  (4) 
12)  Villa  Cibo  (se.  1867)  (5) 

11)  Vigna  Batocchi,  presso  S.  Sebastiano  (se.  1882)  (*) 

12)  Vigna  Marini  alle  «  Mole  »  (se.  1817)  (7). 

Nella  grande  maggioranza  le  tombe  scoperte  in  così  vasta  estensione  di  terreno 
appartengono  alla  cosidetta  «prima  fase»,  consistendo  in  sepolcri  a  incinerazione  entro 
grandi  dolii  o  con  «  urne  a  capanna  »,  talvolta  protette  da  lastre  di  pietra  formanti 
custodia  o  cassetta.  Alla  «  seconda  fase  »,  o  recente,  caratterizzata  dalla  assoluta  pre- 
valenza del  rito  inumatorio  con  fosse  scavate  nel  terreno,  dal  più  ricco  corredo,  com- 
posto di  materiale  d'impasto  più  progredito,  di  ceramiche  figuline  importate  e  d'imita- 
zione, di  bronzi  più  copiosi  e  di  tipo  più  recente,  appartengono  soltanto  i  ritrovamenti 
fatti  nelle  vigne  Cittadini  e  Evangelisti  sull'Appia,  nelle  vigne  Testa  e  Limiti  alle  falde 
di  monte  Crescenzo,  e  nella  vigna  Meluzzi  (8). 

A  questi  pochi  gruppi,  che  scarsamente  finora  ci  rappresentavano  la  più  progredita 
fase  della  civiltà  del  ferro  laziale,  viene  ad  aggiungersi  molto  opportunamente  il 
sepolcreto  della  Riserva  del  Truglio,  il  quale,  per  quanto  ho  già  detto,  è  l'unico  sistema- 
ticamente esplorato. 

Il  terreno  e  la  struttura  delle  tombe. 

Il  terreno,  nel  quale  fu  costituito  questo  sepolcreto,  trovasi  sull'estrema  pendice 
dell'altura  formata  dal  celebre  »  Pascolaro  »  di  Castello,  e  termina  al  nord  in  una  angusta 
e  breve  valletta  solcata  ancora  da  un  fosso  dirupato,  corrente  all'incirca  in  direzione 
S.  SE  —  N.  NO  nella  sua  parte  superstite,  essendosene  col  tempo  colmata  quella  supe- 
riore che  discendeva  dall'altura  di.  monte  Cucco  e  in  direzione  quindi  obliqua  alla  infe- 
riore anzidetta.  Di  là  dai  fosso,  sempre  procedendosi  verso  nord,  ha  inizio  il  pendìo 
del  Monte  Crescenzo. 

(')  A.  Visconti,  Lettera...  al  sign.  Carnevali  di  Alb.  sopra  ale.  vasi  ecc.  (stamp.  L.  Contedini), 
Roma  1817,  pag.  32  (estr.  da  Atti  d.  Accad.  rom.  di  arch.,  voi.  I,  parte  2»).  Garrucci  «  On  the  Alban 
necrop.  ecc.,  >,  in  Archaeologia,  XLV  (1879). 

(2)  Pinza  in  Boll,  comun.  1900,  pag.  63  (dell'estr.) 

(')  Visconti,  Lettera....  cit.  C.  Fea,  Varietà  di  notizie...  sopra  Castelgand.  ecc.,  (tip.  Bourlié), 
Roma,  1820,  pag.  41-45.  Garrucci  in  Archaeologia  cit. 

(4)  De  Rossi,  Secondo  rapporto,  pag.  29.    Garrucci  in  Archaeologia  cit. 

(5)  De  Rossi.  Secondo  rapp.,  loc.  cit. 
(•)  Not.  scavi,  1882,  pag.  272. 

(7)  Garrucci  in  Civ.  cattolica,  fase.  693  cit. 

(8)  Le  tombe  di  vigna  Meluzzi,  pure  appartenendo  alla  seconda  fase,  ancora  presentano  il  rito 
dell'incinerazione  (sono  a  dolio).  A  quecto  secondo  gruppo  appartengono  anche  le  sepolture  di  Vigna 
Carocci  (Prato  della  Corte)  e  di  Vigna  Del  Sette  (Capo  Croce)  ;  anche  quelle  di  Pratica  di  mare,  e  forse 
una  delle  due  tombe  scoperte  nel  Campo  d'Annibale.  Tutte  le  altre  sono  della  prima  fase,  la  cui  serie 
è  chiusa  dalla  necropoli  di  villa  Cavalletti,  alla  quale  tengon  subito  dietro  le  tombe  di  vigna  Meluzzi. 


REGIONE   I. 


—    433 


MARINO 


Il  medesimo  terreno  presenta  due   pendenze:   la  più   sentita  nella  direzione 
approssimativa  da  S.   a  N.  ;  l'altra,  di  molto  più  lieve,  nella  direzione  O-E.  Una 


v  t^L  ^27-28 


«je^^po sa^sjkZ&L *f &£ 

r-;--^<#rv  !•/-■--•--■••••- -i--- 'Il 


Fig.  2.  —  Pianta  del  sepolcreto  della  «  Riserva  del  Truglio  » . 

groppa,  quasi  pianeggiante,  occupa  lo  spazio  compreso  dalle  tombe  30,  29,  27-28 
(ved.  pianta  a  fig.  2)  (1). 

(*)  Nella  pianta  data  a  fig.  2  sono  disegnati  :  con  linea  punteggiata  i  limiti  dei  «  formoni  »,  rego- 
larissimi,  e  delle  buche,  fatte  poi  dal  contadino  per  l'impianto  di  alberi  ;  con  lieve  tratteggio  lineare 
i  limiti  delle  zone  esplorate.  Con  segno  di  croce  sono  segnati  i  punti  approssimativi  dove  il  contadino 
raccolse  materiali,  e  il  luogo  della  trentunesima  tomba  localizzata,  come  è  detto  a  nota  prec,  apag.  429. 

Notbib  Soavi  1924  —  Voi,  XXI.  55 


MARINO  —    434    —  REGIONE    I. 

Questo  in  quanto  all'apparenza  superficiale  ;  rispetto  alla  composizione,  lo  strato  di 
terra  vegetale  copre  uniformemente  tutta  la  distesa,  ma  non  con  eguale  potenza.  Lo 
spessore  dcìVhumus  varia  da  25  a  35  cm.  ;  segue  uno  strato  di  terra  lavorabile  composto 
di  detriti  di  «  cappellaccio  »  e  di  sabbie  sterili,  talvolta  compatto  e  duro,  che  non  sorpassa 
mai  la  profondità  massima  di  m.  1,50,  da  un  minimo  di  0,60.  Al  di  sotto  si  estendono,  ir- 
regolari e  interrotti  da  larghe  fratture  o  da  profondi  incavi,  gli  strati  duri,  cioè  ammassi 
impastati  di  materiali  vulcanici  incoerenti  costituenti  il  cosidetto  «cappellaccio»,  facil- 
mente rompibile  con  la  gravina,  e  veri  e  propri  strati  di  durissimo  «  peperino  »,  propria- 
mente detto  (lapis  albanus),  dalla  superficie  appena  appena  intaccabile  dai  ferri  del 
lavoro  (!). 

Il  duro  masso  del  «  peperino  »  ha  in  generale  la  stessa  inclinazione  del  terreno  super- 
ficiale ;  ma  lo  spessore  di  quest'ultimo,  specie  nella  zona  mediana  del  campo  fra  terzo 
e  quinto  formone,  dovette  in  antico  essere  maggiore.  E  certamente  una  buona  parte  di 
terra  è  scesa  nel  fondo  della  valletta,  producendo  l'interramento  del  fosso  e  quindi  una 
breve  spianata,  esistente  oggi  ai  piedi  di  tutto  il  pendìo.  Ne  consegue  che  la  profondità 
dei  «  letti  »  di  quasi  tutte  le  tombe,  salvo  in  qualche  raro  caso,  più  non  è  quella  stabilita 
dai  loro  antichi  scavatori. 

Le  fratture  o  incavi,  sopra  accennati,  esistenti  nella  dura  compagine  della  pietra 
vulcanica,  sono  pieni  di  un  fine  sabbione  di  detriti  vulcanici,  che  ha  lo  stesso  colore  ci- 
nereo del  «  peperino»  ma  quasi  sempre  più  scuro  ;  sabbione,  detto  dai  paesani  «  pozzolana  » 
perchè  servibile  agli  stessi  usi  di  quella  propriamente  detta  e  dal  ben  noto  colore.  E  per 
lo  più,  anche  in  questi  spazi  intermedii,  che  diremo  teneri,  il  passaggio  àedVhumus  al 
sabbione  è  segnato  da  un  variabile  ma  non  spesso  strato  di  terriccio  compatto,  piuttosto 
duro,  vero  risultato  d'impasto,  come  l'altro  già  detto  e  tutt'altro  che  desiderabile  ai  fini 
dell'esplorazione  archeologica.  Infatti  riesce  penosissimo  il  recupero  degli  oggetti  in 
esso  imprigionati. 

Costituzione  diversa  ha  il  terreno  sulla  «  groppa  »  ricordata  presso  il  limite  occi- 
dentale del  campo,  fra  terzo  e  sesto  formone;  consistendo  esso,  nello  strato  soprastante 
al  masso  duro,  di  terra  vegetale  mescolata  con  molta  compattezza  a  fine  terriccio  dal 
vivo  colore  giallo-rossiccio,  dovuto  evidentemente  alla  presenza  di  ossido  e  perossido  di 
ferro. 

Sul  descritto  vario  piano  sotterraneo  vennero  a  posarsi  i  «  letti  »  delle  fosse  sepol- 
crali. Di  queste,  molte  interamente  poggiano  sul  duro  masso  del  «  peperino  »,  per  tutta 
la  loro  lunghezza  e  larghezza  ;  molte  soltanto  per  metà,  e  generalmente  quella  supe- 
riore ;  molte  altre  potrebbero  ben  dirsi  addossate  al  masso,  risultando  tagliate  nel  «  pe- 


(*)  Quanto  ho  notato  è  perfettamente  rispondente  alla  descrizione  fatta  dei  banchi  di  tufo  li- 
toide alternati  con  altri  di  sabbie  ecc.  da  V.  Sabatini,  «  Vulcano  laziale  »  («  I  vulcani  dell'Italia  centr. 
e  i  loro  prodotti  :  parte  1»  :  Memorie  descritt.  d.  carta  geolog.  d'Italia,  voi.  X°),  Roma,  1900,  pag.  331 
seg.  ;  il  più  coscienzioso  e  recente  studio  sul  nostro  vulcanismo,  e  a  cui  rimando  preferibilmente  che 
ad  altii.  Il  Sabatini  distingue  un  peperino  coerente  da  un  p.  incoerente,  con  tutti  i  passaggi  intermedi; 
a  pag.  321  segg.  studia  accuratamente,  riassumendo  tutte  le  ipotesi,  la  origine  e  la  formazione  del 
peperino.   Citeremo  ancora  questo  fondamentale  lavoro. 


REGIONE  I.  _   435   — 


MARINO 


perino  »  sol  per  uno  dei  lati  lunghi.  È  probabile  che  gli  antichi  scavatori  fecero  del  loro 
meglio  per  evitare  la  dura  fortezza  della  pietra  vulcanica,  preferendo  i  punti  dove  questa 
cedeva  o  era  più  tenera  ;  ma  è  anche  certo  che  non  prescelsero  gli  spazi  occupati  dal 
sabbione,  come  resta  provato  dalla  tomba  20  che,  capitata  per  circa  due  terzi  in  uno  di 
questi  spazi,  ebbe  il  piano  del  «  letto  »  rinforzato  con  grosse  lastre  o  sfaldoni  di  pietra, 
sui  quali  fu  posato  il  cadavere. 

Tenendo  conto  di  tali  osservazioni,  si  comprende  senz'altro  la  irregolare  disposi- 
zione delle  tombe,  scavate,  come  appare  dalla  pianta  annessa,  non  a  eguali  distanze 
fra  loro,  dove  più  e  dove  meno  raggruppate,  e  sopra  tutto  varianti  nell'orientazione, 
che  non  sempre  la  linea  dell'asse  maggiore  è  in  direzione  S-N  o  SE-NO  :  la  preferita,  cioè, 
a  giudicare  dalla  maggioranza  dei  casi.  Ma  ciò  che  risulta  chiarissimo  dalle  scoperte  fatte 
è  che  il  sepolcreto,  il  quale  certamente  deve  estendersi  anche  oltre  i  limiti  del  campo 
lavorato  dal  Properzi,  si  estende  in  senso  obliquo  ai  «  formoni  »  delineati  nella  pianta, 
e  cioè  in  direzione  generale  da  S-E  a  N-O,  ma  non  però  oltrepassando  il  formone  ottavo, 
scavato  nella  piana  artificiale  percorsa  dal  fosso. 

Le  tombe,  tutte  a  fossa  [ventotto  fosse  semplici  ;  due  con  loculo  laterale  (19,  29)  ; 
una  con  doppia  tumulazione  sovrapposta  (27-28)],  in  quanto  alla  struttura  si  presen- 
tano in  modo  assai  uniforme,  costituendo  così  un  gruppo  caratteristico.  Eccettuata  una 
sola  (la  29),  tutte  le  altre  presentano  una  tipica  pianta  rettangolare  allungata  con 
gli  angoli  arrotondati,  anzi  con  i  lati  corti  per  lo  più  arcuati,  con  una  larghezza  quasi 
costante  di  m.  0,60  e  0,70  ;  meno  pochissimi  casi  di  un  parziale  maggiore  allargamento 
(nelle  tombe  2,  12,  19,  20). 

A  tale  costante  ristrettezza  si  aggiunga  la  lunghezza  poco  variata  :  eccettuata  la 
ricordata  t.  29,  tolti  i  massimi  di  m.  2,70  nella  t.  12,  di  2,50  nella  t.  di  2,45  nella  26, 
e  di  2,40  nelle  tombe  6,  11,  25,  in  tutte  le  altre  si  aggira  intorno  ai  due  metri. 

Se  i  letti  sono  incavati  nel  duro  masso  del  «  peperino  »,  lo  sono  per  non  più  di  una 
ventina  di  centimetri.  Sia  nelle  tombe  poggianti  per  intero  o  in  parte  sul  peperino,  sia 
in  quelle  costituite  nel  sabbione,  i  margini  erano  tutti  rinforzati  da  blocchi  squadrati 
di  peperino  o  da  sfaldoni  di  cappellaccio,  per  lo  più  accuratamente  lavorati,  formanti 
solide  spalliere  su  cui  si  appoggiarono  altri  blocchi  e  sfaldoni,  o  lastroni,  dello  stesso 
materiale,  i  quali,  sovrapponendosi  e  unendosi  a  contrasto,  coprivano  la  tomba  a  guisa 
di  vorticella,  non  sempre  forse  continua,  ma  pur  sempre  esistente  nella  parte  superiore 
sopra  il  capo  del  morto,  e  sopra  la  deposizione  più  ricca  dei  vasi  raggruppati.  Lo  scavo 
ha  dimostrato,  oltre  il  costante  arrotondamento  degli  angoli  e  delle  testate,  la  regola- 
rità di  tale  copertura  o  difesa,  meno  in  qualche  caso,  in  cui,  trovandosi  le  tombe  a  non 
troppa  profondità,  i  lavori  agricoli  avevano  scomposto  la  compagine  protettiva,  o  l'ave- 
van  fatta  addirittura  scomparire.  Si  è  anche  notato  che  la  maggiore  e  più  accurata  im- 
posizione dei  blocchi  di  copertura  doveva  esser  fatta  sul  capo  e  sul  petto  del  morto 
e  sopra  il  gruppo  più  numeroso  di  vasi  depositati.  Il  tempo  e  tutte  le  altre  logiche  cir- 
costanze han  fatto  sì  che,  col  peso,  i  materiali  imposti  producessero  un  malaugurato 
schiacciamento  o  crollo  ;  ma  in  parecchi  casi  fortunati,  come  nelle  tombe  3,  4,  8,  22, 
20, 26, 27,  si  è  potuto  constatare  ancora  il  vano  esistente  fra  il  piano  del  «  letto  »  e  i  blocchi 


MARINO 


—    436 


REGIONE   L 


di  copertura,  ancora  sostenuti  dalle  pietre  laterali  delle  spalliere  (>).  Anche  notevole 
è  l'accurata  scalpellatura  della  superficie  del  masso,  nel  fondo  dei  «letti»  ;  fu  poi  quasi 
generalmente  riscontrata  la  pendenza  dei  «  letti  »  stessi,  in  modo  che  la  testa  del  morto 
risultava  più  alta  dei  piedi.  Fu  altresì  accertata  la  presenza  di  pietre-segnali  delle  tombe, 
o  per  mezzo  di  rozzi  blocchi  o  sfaldoni  appuntiti,  ritrovati  ancora  ritti  fra  il  cumulo  come 
nelle  t.  3  e  29,  alla  metà  circa  della  lunghezza  o  con  veri  cippi  appositamente  tagliati 
nella  pietra,  riprodotti  nella  fig.  3  :  l'uno  con  base  distinta,  misurante  cm.  27  in  altezza 
totale  e  13,5  di  diametro,  trovato  sulla  tomba  23  a  cm.  15  di  profondità  ;  l'altro  di 
forma  conico-piramidale,  alto  cm.  25,  e  largo  alla  base  16,  proveniente  da  una  delle 
tombe  incontrate  dapprima  dal  contadino.  Ne  fu  trovato  già  uno  consimile  a  Campo 
Fattore  (De  Bossi  in  L'Opinione  cit.,  1871). 


Pio.  3. 


Qualcuna  delle  tombe  più  profonde  ci  ha  integralmente  mostrato  la  sua  pesante  di- 
fesa di  blocchi  :  così  la  12,  la  21.1a  29.  E  veramente  enorme,  date  le  maggiori  dimensioni, 
era  il  cumulo  imposto  su  quest'ultima. 

Lo  spazio  coperto  dai  blocchi  protettori  della  t.  21  misurava  all'incirca 
m.  2,45  X  2,00  ;  quello  della  1. 12  circa  3,20  X  1,25.  Fino  a  sessanta  e  più  furono  contati  i 
blocchi,  dei  quali  alcuni  di  assai  rilevanti  dimensioni  e  pesanti  fin  15  o  20  chilogrammi. 
I  lastroni  o  sfaldoni  usati  per  le  spalliere  (e  talvolta  anche  alcuni  dei  sovrapposti)  ap- 
parvero generalmente  bene  squadrati  e  tendenti  alla  forma  parallelepipeda,  spessi  da  10 


(')  Questo  vano  non  fu  certo  originariamente  più  spazioso  di  quanto  abbisognasse.  Dove  è  stato 
possibile  calcolarne  le  misure,  e  s'intenda  approssimative,  era  alto  da  m.  0,30  a  0,55  ;  ma  quasi  sempre 
fu  trovato  abolito  dalla  pressione  e  dai  movimenti  del  terreno  soprastante.  Ad  esempio,  nella  tomba  20 
le  ossa  femorali  si  rinvennero  tra  lastrone  e  lastrone  in  un  ristrettissimo  spazio  di  12-16  cm. 

Potrebbesi  anche  congetturare  che  la  costante  ristretta  larghezza  delle  nostre  tombe  sia  spie- 
gata come  conseguenza  della  costituzione  di  tali  volticelle,  e  che  le  tombe  stesse  assumessero  l'aspetto 
dia  cassoni  «appunto  perchè  i  cadaveri  venivano  tumulati  a  contatto  diretto  col  terreno,  senza  uso  di 
casse  lignee.  Mai  infatti  ho  potuto  raccogliere  il  più  lieve  indizio  di  siffatte  casse,  la  cui  esistenza  f n  in- 
vece provata  in  altre  necropoli. 


REGIONE  I.  __  437  -  MARIN0 


a  15  cm.  e  qualche  volta  di  considerevoli  larghezza  e  lunghezza;  alquanto  diversi  quindi 
dai  blocchi  di  copertura,  più  irregolari  (x). 

Da  quanto  si  è  detto  può  anche  arguirsi  il  deplorevole  stato  in  cui  si  raccolsero 
i  vasi,  specie  quelli  di  più  grandi  dimensioni. 

Veri  «  cassoni  »  funebri,  queste  tombe  a  fossa  si  presentano  con  un  tipo  ben  noto 
e  diffuso  in  varie  contrade  dell'Italia  centrale  ;  ma  i  più  utili  riscontri  possono  istituirsi 
con  quelle  ritrovate  in  suolo  romano,  anzitutto  con  alcune  della  famosa  necropoli  del 
Foro,  dove  fu  notata  la  stessa  struttura  della  rozza  volta  a  secco  protettrice,  appoggiata 
alle  serie  laterali  di  scheggioni  o  blocchi  di  sostegno  (2).  E  similmente  dovevano  essere 
costituite  le  fosse  della  necropoli  esquilina,  purtroppo  malamente  esplorate,  ma  delle 
quali  è  pur  possibile  farsi  un'idea  adeguata  (3). 

Ho  già  fatto  notare  che,  generalmente,  non  possiamo  essere  sicuri  d'aver  ritrovato 
l'originaria  profondità  delle  fosse  ;  le  misure  che  verranno  indicate,  descrivendo  le  sin- 
gole tombe,  sono  in  relazione  alla  superficie  del  terreno,  inclinato  come  fu  detto.  Ma  se 
si  delineasse  una  sezione  di  tutto  lo  scavo,  su  di  una  linea  corrente  press'a  poco  da 
S.  a  N.,  segnando  il  punto  di  profondità  di  ciascun  «  letto  »,  risulterebbe  che  le  fosse 
toccanti  una  maggiore  profondità  non  sorpassano  la  quota  di  m.  1,50,  e  che  in  generale  le 
tombe  stesse,  con  tutta  la  loro  copertura  di  blocchi,  sono  limitate  in  una  zona  alta  o 
spessa  1  metro. 

Data  la  pressione  esercitatasi  dall'alto,  è  stato  difficile  stabilire  l'originaria  altezza 
del  cumulo  protettore,  formato  da  tutta  la  complessa  imposizione  di  materiale  sul  letto 
delle  fosse.  In  ogni  modo  si  può  tenere  un  certo  conto  dei  dati  forniti  da  qualche  tomba 
che  ha  presentato  condizioni  più  favorevoli  al  rilievo  :  dati  pur  desumibili  dalle  sezioni, 
riprodotte  a  figg.  4,  20,  23,  24. 

Possiamo  pertanto  notare,  in  sezione,  misurando  dal  fondo  del  «  letto  »  all'estremo 
superiore  del  cumulo  di  copertura,  spessori  di  strato  come  i  seguenti  :  di  m.  0,50  per  la 
t.  1;  di  m.  0,55  perla  3;  di  m.  0,45  perla  17;  di  m.  0,65  per  la  20;  di  m.  0,55  perla  25;  di 
m.  0,60  per  la  29.  La  straordinaria  condizione  di  umidità  del  terreno,  aggravata  dalla 
presenza  dei  sottoposti  strati  impermeabili  di  peperino,  ha  causato  la  quasi  completa 
distruzione  degli  scheletri.  Ciò  non  ostante,  la  orientazione  delle  nostre  fosse  può  darsi 
egualmente  in  modo  sicuro,  non  tanto  desumendola  dalla  posizione  degli  oggetti  di  cor- 

(')  Per  due  volte,  tra  il  sòlito  materiale  di  peperino  e  cappellaccio,  si  raccolse  un  masso  di  lava 
pirossenica  dal  caratteristico  colore  sanguigno  scuro  ;  e  in  qualche  blocco  di  peperino  si  potè  notare 
la  presenza  di  blocchetti  inclusi  di  bianchissima  dolomite,  noto  «  incluso  »  dei  peperini  marinesi  (cfr. 
Sabatini.  Vulcano  laz.  cit.,  pag.  340).  Si  è  pure  raccolta  qualche  bomba  vulcanica.  La  lava  basaltina 
invece  non  fu  usata  nelle  coperture  delle  fosse. 

(2)  Boni,  «  Quarto  rapporto  »  in  Not.  scavi  1905,  pag.  182-187  (t.  P)  ;  Sesto  r.  in  Not.  se.  1906, 
pag.  253-256  (t.  B).  Ved.  poi  quanto  sarà  ricordato  nelle  osservazioni  conclusive  del  presente 
lavoro. 

(3)  Mariani,  «  I  resti  di  Roma  primit.  »  in  Boll,  cornuti.  1896,  pag.  20  e  fìg.  1  (dell'estr.)  ;  cfr. 
Pinza,  Mon.  ant.  XV,  col.  43  segg.  Vedasi  anche  :  Not.  scavi  1902,  pag.  285-76  (tomba  Brancaccio), 
dove,  nonostante  l'imperfetta  esplorazione  resa  evidente  dalle  parole  stesse  che  ne  illustrano  l'anda- 
mento, chiaramente  risulta  la  struttura.  Ma,  le  figurazioni  date  poi  della  stessa  t.  in  Mon.  ant.  XV, 
col.  60-64  (figg.  12-14),  considerate  bene  quelle  parole,  appaiono  troppo  «  accomodate  •, 


MARINO 


—    438 


REGIONE  I. 


redo  ornamentali,  quanto  dai  resti  delle  corone  dentarie  raccolte  in  quasi  tutte  le  fosse. 
Inoltre  le  tombe  4,  19,  20,  24,  25,  29  presentarono  anche,  dove  più  e  dove  meno  con- 
servate, le  grandi  ossa  femorali,  penetrate  dalle  esili  radici  delle  felci.  Le  sole  tombe  14, 
19,  20,  25  conservavano,  in  più,  avanzi  cranici  :  notevoli  quelli  della  t.  20,  che  mostra- 
rono, finché  non  tolti  dal  terreno,  l'intera  scatola  (meno  la  mandibola  e  l'osso  zigomatico) 
con  qualche  dente  ancora  a  posto:  sottile  e  labile  strato  di  materia  organica  che  rive- 
stiva, secondo  l'originaria  forma,  il  terriccio  infiltratosi  e  accomodatosi  nel  cavo. 


L— 


Fio.  4.  —  Sezione  della  t.  3. 


E  le  tombe  così  conservanti.gli  ultimi  resti  organici  posavano  tutte  su  strati  teneri, 
della  cosidetta  «  pozzolana  »,  la  quale  ha  naturalmente  favorito  la  conservazione  di 
quelli,  data  la  sua  permeabilità  non  permettente  i  ristagni. 

Voglio  infine  ricordare  un  interessante  particolare  di  scavo. 

Queste  sepolture  della  «  Riserva  del  Truglio  »,  anzitutto  presentano  la  stessa  iden- 
tica struttura  di  quelle  in  passato  rinvenute  a  Vigna  Cittadini,  incavate  anch'esse  nel 
peperino,  e  di  quelle  di  Vigna  Testa,  costituite  in  strati  meno  duri  e  protette  dalla  coper- 
tura di  pietre  (Garrucci  in  Civ.  Cali.,  fase,  cit.,  1875).  Ora,  più  volte,  durante  i  nostri 
lavori  di  discoprimento,  è  occorso  di  dover  rompere  a  viva  forza  e  con  ripetuti  colpi  di 
piccone  i  lastroni  di  «  peperino  »  duramente  anche  impastati  con  altri  detriti  e  con  «  cap- 
pellacci »,  e  di  aver  notato  il  duro  conglomerato  in  cui  questi  ultimi  s'erano  fissati. 

Una  volta  poi,  dopo  aver  tolto  parecchie  delle  pietre  di  copertura  nella  t.  21,1  'ope- 
raio che  scavava  si  arrestò  dicendo  di  aver  toccato  «  il  vergine  »,  e  solo  dietro  la  mia  in- 
sistenza proseguì  fino  a  scoperchiare  il  «  letto  »  funebre.  Similmente  ebbe  a  esservare" lo 
Stefani  per  le  tombe  26  e  29,  assicurandomi  inoltre  che  lo  strato  interposto  fra  i  seppel- 
limenti sovrapposti  della  t.  27-28  era  un  vero  durissimo  «impasto»  da  sembrare  quasi 
omogeneo. 


REGIONE   I.  —   439   —  MARINÒ 

Le  stesse  particolarità  erano  state  riscontrate  nelle  fosse  di  Vigna  Testa  (Garrucci, 
op.  cit.  pag.  4  dell'estratto)  ;  e  saggie  osservazioni  lo  stesso  Garrucci  scrisse  circa  la 
durezza  e  la  compattezza  dei  conglomerati  di  «  cappellaccio  »  (p.  10),  avvalorandole  con 
l'esperienza  personale  fatta  in  Palestrina,  dove  i  suoi  operai  arrivarono  al  «  punto 
forte  »,  al  vergine,  nell'identica  maniera  del  mio  !  «  La  terra  »,  scrive  Garrucci,  «  si 
trova,  in  alcuni  luoghi,  così  dura  e  compatta  e  omogenea,  che  può  ingannare  anche  gli 
esperti  »  (pag.  12). 

È  nota  la  intelligenza  del  Garrucci.  Ma,  con  ciò  io  non  intendo  qui  di  voler  interve- 
nire in  modo  decisivo  nell'aspra  e  appassionata  questione  della  «  Pompei  preistorica  » 
(questione  ripresa  con  ardore  di  fedele  dal  Pinza  in  Materiali  p.  Vetnol.  cit.,  pag.  70 
e  segg.  :  dove  per  altro  non  sono  affatto  ricordate  le  importantissime  osservazioni  di 
Garrucci)  ;  ma  ho  reputato  mio  precipuo  dovere  richiamare  l'attenzione  sul  particolare 
esposto.  E  si  trattava  di  «  fosse  »,  tanto  a  Vigna  Cittadini  e  Testa,  quanto  nella  «  Riserva 
del  Truglio  ».  Figuriamoci  uno  di  quei  conglomerati  sopra  una  buca  o  pozzetto  !... 

Nel  voi.  XLIV  del  Bull,  paleln.  tratterò  della  dibattuta  questione,  per  la  quale  il 
più  recente  e  autorevolissimo  studioso  del  vulcanismo  laziale,  il  Sabatini,  non  potè  se 
non  concludere  in  forma  estremamente  dubbiosa,  tendente  alla  negazione  (*). 

* 
*  * 

Prima  di  passare  alla  descrizione  delle  singole  tombe,  indicherò  alcuni  ritrovamenti, 
segnati  in  pianta  con  le  lettere  a-b-c-d,  che  non  possono  riferirsi  alla  serie  delle  fosse  se- 
polcrali. 

a)  Tra  le  tombe  3  e  7,  alla  profondità  di  m.  0,50  fu  trovato  un  frammento  di  grossa 
parete  di  vaso,  spessa  cm.  2,  di  rozzissimo  impasto,  e  sùbito  dopo,  sterrando,  in  mezzo 
ad  un  terriccio  misto  a  detriti  e  a  pozzolana,  altri  frammenti  di  cocci,  sassi,  ciottoli,  pic- 
coli sf aldoni  di  pietra  vulcanica.  Tale  strato  misto  fu  verificato  continuo  per  circa  due 
metri  all'ingiro.  Alla  profondità  poi  di  m.  1,50  apparve  nettissimo  nel  masso  duro  il  ta- 
glio circolare  di  una  buca  che,  esplorata  e  vuotata,  s'internava  per  circa  50  centimetri, 
avendo  la  concava  parete  accuratamente  scalpellata.  Solo  da  un  lato  di  essa  esisteva  una 
frattura,  dovuta  a  rottura  naturale  del  masso,  e  quivi  la  parete  era  regolarizzata  con  uno 
straterello  di  scheggie  e  ciottoli  basaltini,  sovrapposti  ad  arte  e  con  cura.  Il  riempimento 
della  buca,  che  ai  margini  del  taglio  misura  m.  1,25  X  1,35,  era  della  stessa  natura  dello 
strato  già  descritto:  terriccio,  pozzolana, detriti,  ciottoli, sfaldoni  (più  o  meno  grossi)  di 
pietra.  Disseminati  in  siffatto  riempimento,  fino  a  poca  distanza  dal  fondo,  e  cioè  fino 
a  m.  1,80  di  profondità,  si  raccolsero  decine  e  decine  di  frammenti  di  rozza  ceramica  d'im- 
pasto, tra  cui  abbondanti  pezzi  appartenenti  a  vasi  di  varia  forma  e  di  vario  spessore  di 
parete,  ma  tutti  egualmente  di  rozzo  impasto  e  malcotto.  Più  notevoli,  qualche  pezzo  di 
massiccie  anse  arcuate,  proprie  di  ossuarii  biconici  o  di  grandi  ciotole;  qualche  mani- 

(')  Vulcano  laz.  cit,  pag.  329.  E  per  la  appassionata,  e  in  conclusione  infeconda,  discussione, 
è  sempre  utilissima  la  diligente  rassegna  fatta  da  R.  Meli,  Elenco  bibliogr.  delle  più  import,  pubblicai, 
in  cui  trovasi  fatta  parola  dei  manufatti  rinv.  nelle  deiezioni  mie.  d.  Lazio  (Roma,  tip.  Lincei,  1908). 


MARINO  —    440   —  REGIONE   I. 

chetto  arcuato  di  più  piccoli  vasi  ;  una  fuseruola  sfaccettata  ;  un  pezzo  di  grossissimo 
orlo  forse  appartenente  a  un  dolio  e  che  potrebbe  accordarsi  con  altri  frammenti  con- 
generi. Anche  menzionabili  a  parte  sono:  un  informe  pezzo  di  terracotta  gialliccia,  arieg- 
giantela  forma  di  una  parte  di  grande  rocchetto,  adorno,  sulla  testa  piatta  e  in  giro,  di 
circoletti  impressi  ;  un  frammento  di  spessa  lastra  con  foro  circolare,  ottenuto  prima 
della  cottura  ;  un  frammento  del  corpo  di  un'anforetta  nerastra  con  spalla  adorna  di 
scanalature,  che  è  il  solo  pezzo  staccantesi  dagli  altri  per  forma  e  tecnica. 

La  forma  della  buca  —  che,  rispetto  alle  «  fosse  »,  tocca  la  maggiore  profondità, 
incidendo  per  50  centimetri  il  masso  duro  —  fa  pensare  a  un  pozzetto  scavato  per  con- 
tenere un  dolio  ;  cioè  ad  una  tomba  a  incinerazione.  Ma  il  riempimento  e  lo  strato  so- 
prastante al  taglio  hanno  tutti  i  caratteri  di  uno  «  scarico  ».  I  copiosissimi  frustuli  di 
rozze  ceramiche,  disparati,  non  autorizzano  a  precisione  d'ipotesi  ;  ma  non  è  impos- 
sibile ritenere  che  gli  scavatori  delle  fosse  sepolcrali  abbiano  incontrata  e  distrutta 
una  più  antica  tomba  a  cremazione  incavata  nel  peperino  (fig.  51. 

b)  Un'altra  buca  circolare,  di  più  piccole  dimensioni,  larga  m.  0.43,  fu  trovata  in- 
cavata per  30  o  35  centimetri  nel  masso  duro,  alla  distanza  di  m.  1,50  dalla  tomba  15. 
Era  ripiena  di  schegge  e  ciottoli  basaltini,  anche  minuti,  di  detriti  e  terriccio,  fra  cui  si 
raccolsero  due  bombe  vulcaniche  e  due  molari  di  bovino,  tra  molti  e  insignificanti  avanzi 
di  rozze  ceramiche. 

e)  Nella  stessa  direzione  della  precedente,  a  m.  0,60  di  distanza  dalla  tomba  16, 
fu  rinvenuta  una  terza  buca  scavata,  non  nel  duro  masso,  ma  in  strato  più  tenero,  per 
la  profondità  di  circa  50  centimetri  ;  risultò  composta  di  una  parte  superiore  larga 
m.  0,60  e  di  un  pozzetto  più  ristretto,  nel  mezzo,  misurante  0,25.  Anche  qui  il  riempi- 
mento era  simile  ai  precedenti  ;  anche  qui  si  raccolsero  numerosi  avanzi  della  solita  rozza 
ceramica,  fra  cui  un  pezzo  d'orlo  con  rozza  dentellatura  all'esterno.  Si  raccolsero 
inoltre  due  blocchetti  farinosi  di  dolomite,  alteratasi  allo  statolibero.il  fondo  di  questa 
terza  buca  risultò  60  centimetri  più  basso  del  piano  di  fondo  della  tomba. 

Sulla  destinazione  di  questi  due  pozzetti  non  saprei  pronunciarmi,  per  quanto  non 
sia  assurdo  attribuirli  al  rito  funebre  ricordato  per  la  prima  buca. 

Un  altro  particolare  non  trascurabile  è  dato  dal  ritrovamento  di  ceramiche  isolate. 

d)  Tra  le  tombe  11  e  12,  e  a  60  centimetri  di  distanza  dalla  prima  e  a  50  circa  di  pro- 
fondità, fu  incontrato  un  grosso  sfaldone  di  pietra  appuntito  e  di  forma  piramidale,  che 
giaceva  sopra  un' anf oretta  nerastra  depositata  in  una  piccola  buca  circolare  e  poco  pro- 
fonda, perfettamente  isolata. 

L'anforetta,  raccolta  rotta  e  con  pezzi  mancanti,  si  è  potuta  ricostituire  per  circa  una 
metà  longitudinalmente  :  è  d'impasto  bruno,  depurato  e  ben  cotto,  a  pareti  piuttosto 
sottili,  con  superficie  nera  lucidata  a  stecca.  Appartiene  a  un  tipo  di  anforette  ben  note, 
dal  corpo  depresso  e  con  ventre  tronco-conico,  spalla  adorna  di  costolature  verticali  con 
bugnette  e  impressioni  semicircolari,  con  anse  a  tortiglioni,  o  alette  elicoidali,  collo 
cilindrico  e  orlo  leggermente  rovescio  all'infiori.  Il  nostro  pezzo  misura  in  altezza  m.  0.1 7. 

e)  Tra  le  tombe  20  e  21,  a  m.  1,30  di  distanza  da  quest'ultima  e  a  soli  30  centimetri 
di  profondità,  anche  perfettamente  isolati,  ma  senza  protezione  alcuna,  furono  rinvenuti  : 


REGIONE  I, 


—  441  - 


MARINO 


1°)  una  tazzina  a  forma  di  cantharos,  con  anse  a  bastoncelli  partenti  dalla  risega, 
con  cui  termina  il  brevissimo  ventre,  divisi  e  intrecciati  nella  metà  superiore;  alt.0,215; 
diam.  0,10  ;  d'impasto  bruno-rossiccio  e  avente  sulla  risega  un  rozzo  graffito  a  zig-zag  ; 


Pio.  j. 


2°)  un  frammento  di  tazzina  con  ansa  sopraelevata  semplice,  di  impasto  grezzo. 

La  presenza  di  questi  vasi  deposti  isolatamente,  fuori  delle  fosse,  e  specie 
quella  dell'anforetta  nerastra  d  con  la  sua  pietra-segnale  soprastante,  non  è  casuale 
o  senza  ragione.  Va  collegata  invece  alla  presenza  di  qualche  vaso  depositato,  come  fu  ri- 
scontrato con  certezza,  all'esterno  della  fossa,  sopra  il  cumulo  protettore  (vedansi  le 

Notizik  Soavi  1924  -  Voi.  XXI.  &C 


MARINO  —    442   —  REGIONE   I. 

tombe  2,  19,  21).  In  ciò  si  può  riconoscere  una  deposizione  che  potremo  chiamare  «  ac- 
cessoria »,  notata  del  resto  in  altre  necropoli  preistoriche  (l). 
Passiamo  ora  alla  descrizione  particolare. 

Descrizione   delle  tombe. 

Tomba  1.  —  I  blocchi  della  copertura  furono  incontrati  alla  profondità  di 
m.  0,70-0,80;  il  fondo  del  «letto»,  inclinato,  a  quella  di  m.  1,20-1,30.  È  una  fossa 
rettangolare  con  le  testate  arcuate,  lunga  m.  2,50  e  larga  0,70,  tutta  incavata  nel  masso 
duro  per  un  màssimo  di  0,20,  orientata  in  direzione  S-N. 

.    Nella  metà  superiore,  e  in  corrispondenza  al  torace  del  supposto  scheletro,  si  rac- 
colsero : 

a)  ventotto  asticelle,  di  bronzo,  doppie  e  uncinate,  appartenenti  a  fermaglio  ; 
alcune  delle  quali  ancora  saldate  in  gruppo;  alte,  fino  alla  curvatura,  nini.  33  ; 

b)  frammenti  di  sottile  lamina  bronzea,  larga  da  28  a  30  mm.,  munita  di  fori, 
forse  applicata  su  cuoio  ; 

e)  frammenti  di  borchia  umbilicata  in  ferro  ; 
d)  un  anellino  di  bronzo. 
Ai  piedi,  e  raggruppati  in  uno  spazio  maggiormente  incavato  a  conca,  le  seguenti 
ceramiche  : 

1)  olla  sferiforme,  d'impasto  depurato  rossiccio,  con  collo  piuttosto  alto  e  orlo 
rovescio  all'infuori,  decorato  all'interno  con  solchi  circolari;  alt.  0,25;  diam.  alla 
mass,  circonf.  0,255  e  all'imboccatura  0,12  ; 

2)  piatto  concavo  su  alto  piede  campanulato  e  vuoto  internamente,  munito 
di  due  manichi  arcuati  e  di  due  lingue  di  presa  rettangolare  ;  lunghesso  l'orlo  e  nel  mezzo 
della  concavità  è  adorno  di  solchi  concentrici,  più  marcati  verso  il  centro  umbilicato  ; 
il  piede  risulta  cordonato  per  m«zzo  di  regolari  solcature  ;  alt.  0,16;  diam.  0,30  ;  una 
delle  lingue  era  rotta  dall'antico  ; 

3)  anforetta  d'impasto  bruno,  con  superficie  nero-cinerea  lucidata  a  stecca, 
a  corpo  depresso,  con  spalla  adorna  di  costolature  e  di  due  bugnette  opposte  ;  sotto  le 
anse,  che  sono  a  nastro  con  bordi  rilevati,  è  adorna  di  un  punto  circoscritto  da  cordon- 
cino rilevato  fra  due  solcature  :  alt.  0,135  ;  diam.  orale  0,08  ;  una  delle  anse,  rotta  dal- 
l'antico, non  fu  ritrovata  ; 

4)  tazza  biansata,  d'impasto  giallo-rossiccio  e  con  superficie  levigata  a  stecca, 
con  ventre  tronco-conico  e  orlo  quasi  cilindrico,  anse  verticali  a  nastro  munite  di  co- 
stola angolosa  nel  mezzo;  alt.  0,065,  diam.  orale  0,12  ;  una  delle  anse  rotta  dall'antico. 

Tomba  2.  —  Alla  distanza  di  m.  1,80  dalla  precedente,  anch'essa  tutta  incavata 
nel  masso  duro,  dopo  un  salto  a  gradini  del  medesimo,  con  un'orientazione  opposta 
a  quella  precedente  e  più  bassa  di  m.  0,55,  è  larga  in  media  0, 80.  La  sua  lunghezza  lu 
seguita  per  1,80,  ma  forse  si  aggirava  intorno  ai  due  metri  ;  delle  testate,  risultò  rico- 

(')  Ad  cs.  :  in  quella  di  Aufidena  (Mariani,  Mon.  ant.  X,  1901,  col.  274)  ;  in  tombe  di  Airi  (Bri- 
zio,  Noi.  scavi,  1902,  pag.  243). 


REGIONE    I. 


443 


MARINO 


noscibile  solo  quella  a  oriente,  arcuata  e  larga  0,70,  mentre  l'altra,  essendo  capitata 
su  strato  più  tenero,  scomparve.  Nessuna  traccia,  anche  qui,  dello  scheletro  ;  quanto 
al  corredo,  si  rinvennero  soltanto  ceramiche,  giacenti  in  gruppo  sotto  la  sponda  del 
lato  lungo  a  nord,  addossate  al  masso  : 

1)  grande  e  pesante  piatto-ciotola  su  piede  campanulato,  d'impasto  rosso-scuro, 
con  due  anse  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »,  sopraelevate  e  impostate  obliquamente 
sull'orlo,  che  ha  esteriormente  quattro  solchi  circolari  ;  alt.  m.  0,155  e  largh.  0,24  ; 


Fio.  6.  —  Vasi  della  tomba  1. 


2)  tazza  su  piede  campanulato,  d'impasto  marrone,  con  l'orlo  leggermente 
inclinato  all'infuori,  decorato  all'esterno  con  solcature  circolari,  munito  di  un  f orellino  ; 
alt.  0,115,  diam.  0,16  ;  trovata  dentro  il  vaso  precedente  ; 

3)  tazza  su  piede  come  la  precedente,  ma  con  l'orlo  più  alto  e  munite  di  due 
forellini  per  essere  appesa;  alt.  0,123;  diam.  0,15;  d'impasto  marrone  e  a  grossa  parete; 

4)  tazza  su  piede  come  le  preced.,  all'incirca  della  stessa  altezza,  diam.  0,145  ; 

5)  tazzina  d'impasto  marrone  e  a  parete  sottile,  con  manichetti  circolari  impo- 
stati orizzontalmente  sull'orlo,  dal  corpo  ovalare,  affine  alla  forma  dello  skyphos  ;  è  in 
frammenti  ricongiunti,  e  misura  in  altezza  0,075,  con  diam.  0,074  ; 

6)  calicetto  su  piede  campanulato,  d'impasto  (fìg.  44),  marrone,  con  orlo  appiattito 
verso  l'interno  e  solcato  circolarmente  per  tre  volte,  di  una  forma  inspirata  a  quella 
MVholkion  ;  alt.  0,084  ;  diam.  0,095  ; 

7)  olla  sferiforme  d'impasto  rossiccio,  col  corpo  ornato  per  due  terzi  di  solcature 
verticali,  e  con  orlo  sporgente  all'infuori  e  piuttosto  pesante  in  confronto  alla  parete 
del  corpo  ;  fu  ritrovata  rotta  in  minuti  frammenti,  e  doveva  originariamente  avere 


MARINO  —    444    —  REGIONE    I. 

considerevole  altezza,  potendosi  calcolare  un  diametro,  alla  massima  circonferenza, 
di  circa  0,24. 

Alla  distanza  di  m.  1,70  dal  gruppo  dei  vasi  descritti  e  depositati  sul  fondo  della 
fossa,  furono  recuperati,  più  in  vicinanza  della  superficie,  i  frammenti  :  di  una  anforetta 
a  superficie  nero-lucida  e  con  anse  crestato-aculeate  e  di  una  tazzina  con  ansabiforata 
e  di  rozzo  impasto  rossiccio.  Questi  due  vasi  dovevan  certo  appartenere  a  deposizione 
situata  nella  testata  occidentale,  scoperchiata,  forse,  e  sconvolta  dai  lavori  agricoli. 

L'orientazione  precisa  di  questa  fossa,  il  cui  asse  maggiore  è  in  direzione  S.SE- 
N.NO,  non  può  dirsi. 

Tomba  3.  —  Quasi  perfettamente  parallela  alla  l,e,  come  questa,  con  le  testate 
arcuate,  lunga  m.  2,30  e  larga  da  0,70  a  0,75,  è  orientata  in  direzione  S-N.  Le  pietre 
di  copertura  furono  incontrate  a  0,50  e  0,60  di  profondità  ;  ma  il  fondo  del  «  letto  », 
leggermente  inclinato,  è  a  1,20-1,30.  Si  potè  notare  la  regolare  scalpellatura  a  super- 
ficie liscia  del  fondo  (sez.  a  fig.  4). 

Nella  parte  superiore,  deposti  in  gruppo  e  ad  un  livello  superiore  a  quello  del  fondo 
della  fossa,  sull'arco  formato  dall'angolo  occidentale,  schiacciati  dalle  pietre  di  coper- 
tura, si  raccolsero  i  vasi  seguenti  (fig.  8)  : 

1)  anforetta  d'impasto  marrone-cinereo  e  con  superficie  levigata,  a  corpo  de- 
presso, con  spalla  adorna  di  costolature  verticali  e  di  due  impressioni  circolari,  con  alto 
collo  cilindrico  e  orlo  rovescio  all'infuori,  con  anse  a  nastro  munite  di  due  «  alette  eli- 
coidali »  ;  alt.  0,17  ;  diam.  orale  0,096  ; 

2)  tazza  d'impasto  cinerognolo  e  con  superficie  levigata,  con  ventre  tronco- 
conico separato  dall'orlo  con  una  accentuata  risega,  provvista  di  bugnetta  sulle  due 
facce,  e  con  anse  verticali  munite  ciascuna  di  due  aculei  ;  alt.  0,077,  diam.  0,12  ; 

3)  piccola  anforetta  d'impasto  cinereo  e  con  superficie  levigata,  dal  corpo 
«  a  bulla  »  e  con  spalla  adorna  di  lievi  scanalature  e  due  bugnette  appena  accennate, 
con  anse  ad  arco  costolato;  alt.  0,115;  diam.  0,055. 

Tra  l'anforetta  n.  1  e  quella  n.  3,  depositata  in  senso  obliquo  all'asse  maggiore  della 
fossa,  fu  raccolta  : 

a)  una  cuspide  di  lancia  a  cannone,  di  ferro,  spuntata,  lunga  0,195. 
Nella  metà  superiore,  alla  stessa  altezza  dei  vasi  : 

b)  una  piccola  asticella  di  bronzo,  doppia,  piegata  e  riunita  in  modo  da 
formare  un  occhiello  ;  trovata  infissa  in  un  frammentario  cilindretto  di  materia  li- 
gnea (?),  che  doveva  originariamente  essere  rivestito  di  placchetta  d'avorio,  di  cui  si 
raccolsero  alcuni  sicuri  avanzi. 

Sempre  nella  metà  superiore,  a  circa  m.  0,50  di  distanza  dal  gruppo  dei  vasi  e 
in  corrispondenza  del  petto  del  supposto  scheletro,  si  raccolsero: 

a)  grani  e  granellini  di  collana  (31  piccolissimi  di  pasta  o  smalto  bianchi  ; 
due  piccolissimi  di  vetro  azzurro  ;  uno  globulare  di  ambra  gialla  ;  un  secondo  di  ambra 
scura  ma  appiattito  a  placchetta  ;  uno  più  grande,  globulare,  di  vetro); 

b)  minuscola  fibuletta  di  bronzò,  a  corpo  espanso  a  losanga,  mancante  dello 
spillo  ; 

e)  frammenti  di  fibula,  il  cui  corpo  era  costituito  da  dischi  forati  di  ambra 
scura. 


REGIONE   I  —   445   


MARINO 


Più  sotto,  e  fra  loro  poco  distanti  : 

d)  grande  cerchio  di  bronzo,  piatto,  interamente  fuso,  a  sezione  romboi- 
dale, con  14  cm.  di  diametro  esterno,  avente  in  giro  e  su  ambedue  le  facce  un  graffito  a 
zigzag  regolare  ;  trovato  inserito  e  pendente  da 

e)  fibula  enea  a  navicella,  rotta  nello  spillo  e  nella  staffa,  sul  dorso  adorna 
di  linee  incise  disposte  «  a  spinapesce  »  o  «  a  spica  »  e  di  cinque  fasci  di  leggiere  linee 
trasversali  ; 

f)  altro  cerchio  di  bronzo  come  il  precedente,  più  piccolo  (diam.  0,09),  anche 
esso  inserito  e  pendente  da 


Fio.  7. 


g)  fibula  enea  a  navicella,  rotta  nello  spillo  e  alla  staffa,  con  incisioni  sul 
dorso  (due  serie  terminali  di  punti  due  volte  circoscritti  ;  una  zona  mediana  delimi- 
tata da  linee  accoppiate  e  occupata,  al  centro,  da  un  quadrato  riempito  di  linee  e  da 
due  coppie  di  punti  circoscritti)  (fig.  7)  ; 

h)  grano  quadrilatero  e  bugnato  di  ambra  rossa,  con  foro  centrale,  largo 
0,034,  trovato  in  mezzo  al  cerchio  f; 

i)  altro  grano  di  ambra  come  il  precedente,  meno  largo  e  più  rigonfio,  anche 
esso  trovato  in  mezzo  al  cerchio  d  ; 

l)  oggettino  di  bronzo,  consistente  in  un'asticella  ritorta  a  spira  terminata 
da  due  occhielli  ;  lungo  0,028. 

Ai  piedi  della  fossa,  riuniti  in  gruppi  e  depositati  in  uno  spazio  di  0,70  X  0,50, 
più  incavato  sul  fondo,  si  raccolsero  ordinatamente  : 

4)  grande  ciotola  su  piede  imbutiforme-campanulato,  d'impasto  rossiccio  pe- 
sante, con  orlo  solcato  in  giro  e  munito  di  due  anse  opposte  sopraelevate,  a  contorno 
trapezoidale  con  largo  foro  quadrangolare  e  due  punte  ;  alta  in  media  0,14;  diam.  0,29  ; 

5)  skyphos  d'impasto  argilloso  giallo-rossiccio,  assai  tenero  ;  alla  superficie 
esterna  e  sulle  ansette  ornato  di  pittura  rossiccia,  assai  superficiale  e  mal  conservata  ; 
alt,  0,075  ;  diam,  0,09  ;  trovato  in  pezzi  dentro  il  vaso  precedente  ; 


MARINO 


—    446    — 


REGIONE   I. 


6)  anforetta  d'impasto  scuro  e  con  superficie  nero-lucida,  dal  corpo  depresso 
e  con  spalla  adorna  di  costolature  verticali  e  due  bugnette  opposte,  sormontate  da  se- 
micerchi e  circoletto  impressi,  con  anse  «  elicoidali  »  superiormente  espanse  in  due  pro- 
tuberanze all'impostatura  sull'orlo  ;  alt.  0,14;  diam.  0,095  ;  porta  sulla  superficie  tracce 
d'ocra  gialla  ; 

7)  olla  sferoidale  d'impasto  rossiccio  e  pesante,  con  orlo  rovescio  all'infuori  e 
adorno  internamente  di  solcature  circolari;  alt.  0,214;  diam.  alla  mass,  circonferenza 


Fio.  8.  —  Vasi  della  t.  3. 


0,233  e  orale  esterno  0,17  ;  trovata   deposta  obliquamente  con  la  bocca  rivolta  a 
occidente  ; 

8)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  rosso-scuro,  grossolano  e  pesante,  a  superficie 
lucida,  con  alta  ansa  biforata  ;  alta  all'orlo  0,05  e  all'ansa  0,085,  con  diam.  0,084  ;  tro- 
vata obliqua  e  di  fianco  all'olla  precedente  ; 

9)  tazzina  biansata,  a  ventre  tronco-conico  depresso,  con  le  due  anse  verticali 
munite  ciascuna  di  due  piccoli  aculei;  alt.  0,054;  diam.  0,105;  d'impasto  cine- 
rognolo  con  superficie  lucidata;  trovata  adagiata  sull'altro  lato  dell'olla  precedente 
(fig.  8). 

Tomba  4.  —  Fu  incontrato  il  piano  del  fondo  a  circa  0,90  di  profondità  ;  venne 
esplorata  per  quasi  due  terzi  della  sua  lunghezza,  poiché  la  parte  inferiore  trovavasi 
sotto  lo  scassato  del  «  formone  »  ;  e  larga  da  0,65  a  0,70,  con  la  testata  superiore  arcuata 
come  al  solito.  I  lati  lunghi  eran  protetti  e  rinforzati  da  blocchi  e  sfaldoni  di  «  cappel- 
laccio ».  Soltanto  la  porzione  superiore  della  fossa,  dove  eran  situate  la  testa  e  le  spalle 
del  morto,  era  incavata  sul  masso  duro'  col  fondo  accuratamente  scalpellato  e  lieve- 
mente inclinato  ;  il  resto  veniva  a  trovarsi  su  strato  di  «  pozzolana  ».  L'orientazione 
era  in  direzione  SE-NO, 


REGIONE   I. 


—    447   — 


MARINO 


Sull'angolo  occidentale,  riuniti  in  gruppo,  e  di  15  centimetri  più  elevati  del  fondo, 
si  rinvennero  : 

1)  oinochoe  di  argilla  figulina  gialliccia,  non  equilibrata  e  irregolare  nella 
curvatura,  con  bocca  trilobata  ;  decorata  con  pittura  rossa  e  violetta,  in  parte  sva- 
nita, sul  corpo,  sul  collo,  sull'orlo  e  sulle  anse,  e  con  rosa  di  cinque  raggi  partenti  dalla 
base  ;  alt.  0,285  (fig.  9)  ; 


Fio.  9. 


2)  piallo  a  fondo  concavo,  d'impasto  rossiccio  greve,  lavorato  al  tornio,  con 
l'orlo  munito  di  solcature  concentriche  e  di  due  forellini  ;  poggiato  su  brevissimo  piede 
imbutiforme;  alt.  0,068;  diam.  0,23; 

3)  piccola  olla  ovoidale,  d'impasto  rossiccio  greve,  con  basso  orlo  alquanto  ro- 
vescio all'infuori,  decorata  con  quattro  dischetti  rilevati  disposti  a  regolari  distanze 
sul  sommo  del  corpo,  sotto  l'orlo  ;  alt.  0,29  ;  diam.  esterno  0,123,  e  alla  mass,  circonf. 

0,185. 

Nel  mezzo  della  fossa,  a  circa  0,30-0,40  dal  margine  superiore,  fu  raccolta  qualche 
corona  dentaria  di  molari  e  un  frammento  osseo  ;  ancora  a  m.  1  di  distanza  dallo  stesso 
màrgine  furono  incontrati,  giacenti  in  posizione  obliqua  fra  loro,  e  distanti  da  0,20 
a  0,15,  gli  avanzi  corrosi  delle  grandi  ossa  femorali. 

Tomba  5.  —È  una  fossa  scavata  alla  profondità  di  1,10-1,20  in  strato  tenero 
di  «  cappellaccio  »,  concava  e  col  fondo  pareggiato  per  mezzo  di  terriccio  compresso. 


Marino  —  448  —  regione  I. 


Vennero  notati  i  blocchi  e  gli  sfaldoni  posti  a  protezione  della  testata  superiore  ;  ma 
la  larghezza  della  tomba  non  risultò  chiara,  mancando  il  taglio  nel  masso  ;  in  lunghezza 
fu  rintracciata  fino  alla  distanza  di  1,40  dalla  detta  testata.  In  tal  punto  fu  raccolto 
un  frammento  di  piatto  concavo  su  piede,  d'impasto  rossiccio  greve,  con  una  delle  anse 
del  noto  tipo  trapezoidale  con  largo  foro  e  punte  terminali.  Alla  distanza  poi  di 
m.  1,80  s'incontrò  il  masso  duro  del  «  peperino  »,  su  cui  la  tomba  doveva  avere  il  suo 
termine. 

In  strato  intatto,  a  circa  0,35  dalle  pietre  della  testata  superstite,  si  rinvennero 
duramente  impastati  col  terriccio  i  seguenti  bronzi: 

a)  fibula  a  navicella,  con  l'arco  ornato  di  linee  incise  e  disposte  a  «  spinapesce  », 
con  lunga  staffa,  rotta  all'estremità,  e  con  un  ammasso  ferroso  circondante  la  molla  ; 

b)  due  pendenti  tubolari,  fusiformi  ;  dei  quali  il  più  grosso,  rotto,  ha  la  porzione 
superiore  ripiegata  a  tubetto  per  il  passaggio  del  mezzo  adatto  per  la  sospensione  ;  l'al- 
tro, di  molto  più  piccolo,  munito  in  alto  semplicemente  di  due  fori  corrispondentisi  ; 

e)  due  pendenti  dello  stesso  tipo,  ma  assai  più  piccoli  ; 

d)  fibula  dal  corpo  espanso  a  losanga  e  con  lunga  staffa  ;  rotto  lo  spillo  ; 

e)  frammento  di  cerchio  piatto  con  le  facce  adorne  di  incisione  a  zig-zag,  rotto 
dall'antico  ; 

f)  fibuletta  con  l'arco  affusolato  e  adorno  di  cordoncini  centrali  ;  spillo  e  staffa 
rotti  ; 

g)  asticella  ripiegata  in  modo  da  formare  un  occhiello  ; 
h)  anellino  rotto. 

A  non  molta  distanza  dal  gruppo  dei  bronzi,  e  a  0,50  dalla  testata,  sul  lato  lungo 
a  mezzodì,  si  raccolsero  i  frammenti  di: 

1)  skyphos  di  argilla  figulina  gialliccia,  assai  tenera  e  friabile,  decorato  di  pit- 
tura rossa,  svanita  in  parte  e  asportabile  al  tocco,  all'esterno  e  internamente  ;  alt. 
0,065;  probabile  diam.  0,11. 

La  tomba,  che  mostrò  i  caratteri  di  un  subito  sconvolgimento,  è  orientata  in  dire- 
zione E-O. 

Tomba  6.  —  Anche  questa  fu  trovata  sconvolta,  forse  da  lavori  agricoli.  Fu 
perfettamente  riconosciuta  l'arcuazione  della  testata  di  occidente,  misurata  la  lar- 
ghezza per  0,65,  e  si  potè  arguire  che  la  lunghezza  si  aggirasse  intorno  ai  2  metri,  per 
aver  trovato  a  tale  distanza  dalla  detta  testata  parecchi  blocchi  e  sfaldoni  della  solita 
pietra  vulcanica.  L'asse  maggiore  corre  in  direzione  E-O. 

Nel  vano  dell'arco  formato  dalla  testata  superstite  si  rinvennero  raggruppati 
i  vasi  : 

1)  olla  d'impasto  rossiccio,  lavorata  al  tornio,  col  corpo  munito  di  scanalature 
verticali  ;  trovata  in  pezzi,  dai  quali  può  dedursi  che  l'orlo  era  rovesciato  all'infuori 
e  che  la  sua  altezza  doveva  essere  considerevole  ; 

2)  olla-cratere  d'impasto  rossiccio  più  greve  della  precedente,  con  le  anse  cir- 
colari impostate  orizzontalmente  ma  alquanto  oblique,  alla  metà  circa  del  corpo  ;  tro- 
vata in  pezzi,  dai  quali  può  vedersi  che  l'orlo  era  rovesciato  all'infuori,  che  la  forma 
tendeva  all'ovalare,  e  che  l'altezza  si  aggirava  intorno  a  0,22  ;  diam.  orale  est.  0,157 
(interno  0,110)  ; 


REGIONE  I.  _   449   —  MARINO 


3)  piccola  anforetta  di  bucchero  leggiero,  dal  corpo  ovalare,  alto  collo  tronco- 
conico con  orlo  sporgente  all'infuori  e  anse  a  nastro  arcuate.  Porta  graffite  sul  corpo 
due  spirali  doppie,  eseguite  irregolarmente  e  opposte;  sotto  le  anse  fasci  di  tre  linee  pa- 
rallele disposte  a  triangolo,  e  sulle  anse  stesse  altre  linee  longitudinali  ;  alt.  0,11  ;  diam. 
0,06  ;  rotta  e  mancante  di  un  pezzo  ; 

4)  aryballos  ovalare  e  con  basetta,  di  argilla  figulina  gialliccia,  rotto  nell'orlo 
piatto  a  disco,  decorato  a  zone  (fasce  e  linee)  sul  corpo  e  con  tentacoli  di  polipo,  zigzag 
e  petali,  sulla  spalla:  il  tutto  in  color  rosso-marrone  ;  alt.  0,13  (fig.  10)  ; 


Fio.  10, 

5)  bombylios  d'argilla  figulina  chiara,  con  basetta  discoidale,  decorato  a  zone 
e  con  foglioline  disposte  a  rosa  inferiormente  e  sotto  l'orlo,  in  color  marrone  ;  alt.  0,095  ; 

6)  metà  di  altro  bombylios  come  il  precedente,  decorato  a  zone  e  con  foglioline 
disposte  a  rosa  solo  sotto  il  collo  ;  alt.  0,093. 

Nella  terra  cavata  si  raccolsero  poi  altri  due  frammenti  appartenenti,  l'uno  a  un 
terzo  bombylios  decorato  con  la  solita  pittura  e  con  squame  circolari  incise,  l'altro  all'orlo 
di  vaso  di  bucchero  a  parete  alquanto  spessa  con  decorazioni  impresse. 

Tomba  7.  —  Ne  fu  incontrato  il  fondo  a  circa  1  m.  di  profondità  :  i  margini 
erano  alquanto  sconvolti,  specie  nella  testata  superiore.  È  orientata  in  direzione  SE- 
NO, lunga  all'incirca  m.  2,  o  poco  più,  larga  da  0,65  a  0,70.  Anche  qui,  come  in  molte 
altre,  la  parte  dove  poggiava  la  testa  del  cadavere  era  alquanto  più  alta  del  resto. 

Superiormente,  a  nord-ovest,  sotto  un  ammasso  di  grossi  blocchi  di  «  cappellaccio  » 
e  in  uno  spazio  rettangolare  di  0,70  X  0,30,  si  recuperarono,  oltre  a  tre  corone  dentarie 
(molari  e  premolari),  i  seguenti  bronzi  (fig.  11)  : 

a)  grossa  fibula  a  navicella  con  lunga  staffa  a  canale,  terminante  con  globetto, 
sul  dorso  adorna  di  profonde  incisioni,  costituenti  un  fascio  di  tre  lunghe  linee  disposte 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  57 


Marino  —  450  —  regione  1. 

longitudinalmente  e  fiancheggiate  da  sei  coppie  di  linee  piegate  ad  angolo,  in  modo  da 
aversi  l'apparenza  di  un  ornato  «  a  spica  »  ;  il  corpo  stesso  è  limitato,  ai  due  assottiglia- 
menti, da  due  piccoli  :  tori  «  chiusi  fra  brevi  listelli  ;  integralmente  conservata,  ha  dop- 
pio giro  di  molla,  è  parecchio  pesante  e  misura  in  lunghezza  0,145  ; 

b)  fibula  a  navicella,  dello  stesso  tipo  che  la  precedente,  ma  di  più  piccole  pro- 
porzioni, col  dorso  ornato  di  linee  semplici  disposte  a  spica  ;  rotta  nella  molla  ; 

e)  fibula,  come  la  precedente,  mancante  dello  spillo  e  della  staffa  ; 

d)  fibula,  come  la  b,  con  lo  spillo  e  la  staffa  rotti  ; 

e)  fibuletta  ad  arco  pieno,  poco  espanso  in  forma  di  losanga,  con  l'arco  adorno 
di  leggiere  linee  incise  nel  solito  motivo  spicato,  lunga  staffa  con  tre  esili  cerchietti 
pendenti  dallo  spillo  ; 

f)  catenella  composta  di  sei  coppie  di  anelli  e  di  uno  isolato  ;  con  un  anello  della 
coppia  estrema  incastrato  in  un  informe  ammasso  ferroso  ; 

g)  pendaglielo  costituito  di  una  parte  principale  a  forma  di  bidente,  risultante 
da  due  simulacri  di  asce  a  tallone  accoppiate  e  ornate,  su  tutte  e  due  le  facce  piatte 
del  taglio,  di  due  cerchietti  concentrici  impressi  ;  appesa  a  una  leggera  catenina  di  nove 
coppie  di  anellini,  alla  sua  volta  pendente  da  un  informe  frammento  di  ferro,  che  potrebbe 
essere  anche  la  molla  e  parte  dello  spillo  di  una  fibula  ;  misurante  in  lunghezza  circa0,09, 
di  cui  0,045  spettano  a!  bidente  ; 

h)  pendagliene-  costituito  dalla  rozza  imagine  di  un  cavaliere,  il  cui  torace  s'in- 
nesta, senza  che  le  gambe  sieno  espresse,  al  corpo  del  cavallo,  il  quale  ha  le  gambe  po- 
steriori ripiegate  ad  arco  sotto  il  corpo,  lungo  muso  e  collo  arcuato  ;  la  rozzissima  figu- 
retta  umana,  all'altezza  delle  braccia,  ha  due  fori  che  si  corrispondono,  il  che  mostra 
che  le  braecia  dovevano  essere  riportate  e  forse  d'altra  materia  ; 

i)  grossa  e  pesante  capocchia  globulare  di  ago  crinale,  con  orli  rilevati  e  spor- 
genti attorno  al  foro  che  l'attraversa;  e  con  cerchietti  impressi  disposti  a  zone  sotto 
i  medesimi  orli  ; 

1)  tre  tubetti  fusiformi,  vuoti,  ottenuti  con  ribattitura  del  pezzo  di  lamina,  e 
usati  come  pendagli  (accanto  ad  essi  si  raccolsero  anche  i  frammenti  di  un  quarto)  ; 

m)  frammenti  di  un  cerchio  piatto,  su  una  delle  facce  adorno  di  cerchietti  im- 
pressi. 

^S'ella  parte  inferiore  della  tomba,  e  certamente  ai  piedi  del  cadavere,  riuniti  in 
gruppo  e  sotto  i  blocchi  di  «  cappellaccio  »  della  copertura,  si  raccolsero  a  0,70  di  pro- 
fondità, e  in  cattive  condizioni,  i  seguenti  fittili  : 

1)  olla  ovoidale  d'impasto  rossiccio  abbastanza  fine,  lavorata  al  tornio,  con 
alto  orlo  sporgente  all'infuori  e  imbutiforme,  internamente  solcato  più  volte  in  giro  ; 
alt.  0,25;  diam.,  alla  mass,  circonferenza  0,23,  e  orale  esterno  0,145; 

2)  anforetta  a  bulla,  d'impasto  bruno  e  con  superficie  levigata  a  stecca  ;  con 
spalla  adorna  di  solcature  verticali,  cerchietti  impressi  e  due  bugne  opposte  ;  con  anse 
munite  di  due  alette  elicoidali  ;  alt.  0,125  ;  diam.  orale  0,08  ; 

3)  tazzina-infundibolo  d'impasto  marrone  scuro  e  con  superficie  levigata,  con 
tre  bugnette  sulla  risega  e  alta  ansa  biforata  ;  diam.  0,09  ; 


REGIONE   I. 


451  — 


MARINO 


4)  tazzina  biansata  dello  stesso  impasto  che  la  preced.,  con  ventre  depresso 
e  alto  orlo,  con  la  risega  adorna  di  impressioni  a  fune  e  di  due  bugnette  opposte  :  sulle 
anse  verticali,  presso  l'orlo,  ha  una  protuberanza  globulare  ;  alt.  0,05,  diam.  0,09  ; 


Fig.  11.  —  Bronzi  della  t.  7. 


5)  frammento  di  piatlo-ciotola  su  piede,  imbutiforme-campanulato,  d'impasto 
marrone  ;  alt.  0,135  ;  diam.  probabile  0,29  ; 

6)  anforetta  (rotta  e  frammentaria)  d'impasto  marrone  scuro,  a  corpo  depresso, 
con  ventre  piuttosto  alto,  collo  cilindrico  con  orlo  rovescio  all'infuori,  spalla  adorna 
di  costolature  e  di  bugnette  opposte  ;  alt.  0,18. 

Tomba  8.  —  I  grossi  blocchi  della  copertura,  alcuni  dei  quali  bene  squadrati, 
furono  incontrati  a  0,40-0,50  di  profondità.  Il  letto  apparve  incavato  nel  masso  duro, 
.ma  fu  rintracciato  in  lunghezza  soltanto  per  circa  m.  1,30,  essendo  sconvolta  la  por- 


MARINO  —    452    —  REGIONE   I. 

zione  inferiore  ;  la  larghezza  fu  con  esattezza  misurata  per  0,70.  L'orientazione  è  in 
direzione  S-N. 

Sotto  la  testata  superiore,  si  rinvennero  raggruppati  : 
1)  olla  sferiforme,  d'impasto  rossiccio  scuro,  lavorata  al  tornio,  con  orlo  spor- 
gente all'infuori,  appiattito  e  solcato  più  volte  in  giro  ;  con  un  listello  costolato  sulla 
sommità  del  corpo,  sotto  l'orlo  ;  alt.  0,21,  diam.  orale  esterno  0,16  ; 


Fio.  12 


2)  oinochoe  di  bucchero  alquanto  pesante,  a  bocca  semplice,  con  labbro  rove- 
sciato all'infuori,  con  due  bugnette  sull'orlo,  in  prossimità  dell'impostazione  del  ma- 
nico nastriforme  ;  adorna,  sul  corpo,  di  tre  serie  di  linee  incise  circolarmente  ;  al+.  0,18  ; 

3)  ottetto,  biansata,  a  forma  di  piccolo  stamnos,  di  argilla  figulina  chiara,  deco- 
rata di  pittura  marrone  a  fasce  e  a  linee  disposte  circolarmente,  e,  in  più,  con  una  fa- 
scetta ondulata  superiormente  ;  con  ansette  a  cilindretto  vòlte  ad  anello  e  impostate 
obliquamente  un  po'  sotto  l'orlo,  che  non  è  distinto  dal  resto  se  non  con  lieve  rialzo  ap- 
piattito ;  alt.  0,115;  diam.  orale  0,065.  Trovata  col  suo  piccolo  coperchio  umbonato, 
cioè  con  presa  cilindro-retta,  e  munito  di  due  fori  opposti  ;  è  d'impasto  argilloso  dello 
stesso  colore  di  quello  dell'olletta,  ma  più  tenero  o  friabile  e  con  pitturazione  rossiccia, 
poco  tenace  (fig.  12)  ; 

4)  frammenti  di  leggerissimo  slcyphos  di  argilla  figulina  chiara,  decorato  con 
pittura  monocroma  all'esterno,  e  all'interno  in  color  marrone  ;  alto  0,08. 

Tomba  9.  —  Tutte  le  pietre  di  copertura  e  di  riempimento  della  fossa  erano 
state  asportate  dai  lavori  agricoli  ;  così  che  la  tomba,  il  cui  letto,  scavato  in  strato 
men  duro  della  pietra  vulcanica,  fu  chiaramente  riconosciuto  e  misurato  per  in,  2,20 


REGIONE    I.  —    453      -  MARINO 


in  lunghezza  e  0,70  in  larghezza,  presentò  i  pochi  superstiti  vasi  di  corredo  in  fram- 
menti. L'asse  maggiore  corre  in  direzione  S.SE-N.NO. 

Lateralmente  verso  oriente,  si  recuperarono  (i  soli  integri): 

1)  bombylios  di  argilla  figulina  chiara,  con  largo  orlo  appiattito,  con  basetta 
leggermente  imbutiforme,  decorato  di  pittura  rosso-marrone  ;  alto  0,012  ; 

2)  altro  bombylios,  della  stessa  argilla,  più  piccolo  e  di  forma  piriforme,  appun- 
tita inferiormente,  decorato  di  pittura  poco  tenace;  alto  0,09. 

Quasi  sotto  la  testata,  volta  a  N-NO,  si  raccolsero  : 

3)  tazzina-infundibolo  d' impasto  marrone  e  con  superficie  levigata  a  stecca 
(in  pezzi,  alcuni  mancanti);  alt.  0,05;  diam.  0,08; 

4)  frammenti  di  una  tazza  biansata  d'impasto  scuro  e  grezzo,  con  la  sola  ansa 
raccolta  munita  di  tre  aculei; 

5)  frammenti  di  piatto  o  ciotola  su  piede,  d'impasto  rossiccio  pesante,  che  do- 
veva avere  considerevoli  proporzioni  ('). 

Tomba  10.  —  I  blocchi  della  copertura,  non  al  completo,  apparvero  alla  pro- 
fondità circa  di  m.0,70  ;  alcuni  dei  lastroni,  bene  squadrati  in  forma  quasi  parallelopi- 
peda,  posti  a  rinforzo  come  spalliere,  si  ritrovarono  ancora  in  silu  ;  il  letto,  incavato 
interamente  nel  masso  duro,  misura  in  lunghezza  m.  2,25,  e  in  larghezza  0,70  e  più  ; 
il  piano  di  fondo  è  lievemente  inclinato,  come  in  altri  casi.  L'orientazione  è  in  dire- 
zione S-N. 

Sotto  la  testata  superiore  si  raccolsero,  raggruppati  verso  sinistra,  i  seguenti  vasi: 

1)  grande  e  bella  anfora,  d'impasto  scuro  e  pesante  ma  non  grezzo,  con  super- 
ficie nerastra  lucidata  a  stecca,  dal  corpo  depresso,  con  spalla  rigonfia  munita  di  pro- 
fonde scanalature  verticali,  collo  cilindrico  e  breve  orlo  rovescio  all'infuòri,  robuste 
anse  con  tre  alette  elicoidali  e  bernoccoli  terminali  all'impostazione  sull'orlo.  È  ornata: 
sul  collo,  con  due  figure  opposte  e  stilizzate  di  uccellacci  con  artigli  e  becco  aperto, 
eseguite  per  mezzo  di  linee  incise  e  con  punti  a  riempimento,  il  tutto  riempito  di  ocra 
gialla  ;  sulla  spalla,  in  quattro  «  metope  »  racchiuse  tra  le  scanalature,  con  quattro 
figure  schematiche  di  stella  marina,  riempite  di  punti  anch'esse  e  fiancheggiate  da  linea 
a  zigzag  o  ondulata.  Queste  stelle  sono  tracciate  equidistanti,  simmetricamente  op- 
poste, sotto  le  anse  e  sulle  due  facce,  e  quivi  al  di  sopra  di  una  grossa  bugna  cui  so- 
vrasta un  dischetto  cavo  impresso,  che  a  sua  volta  forma  il  centro  della  stella.  Anche 
queste  incisioni  sono  riempite  della  stessa  ocra.  Alt.  0,14;  diam.  alla  massima  circon- 
fer.  0,25,  orale  0,125  (figg.  13  e  42)  ; 

2)  anforetta  d'impasto  marrone,  dal  corpo  depresso,  con  collo  cilindrico,  con 
spalla  adorna  di  costolature  verticali,  due  bugnette  opposte  e  circoletti  sopra  esse 
e  sotto  le  anse  ;  le  quali  sono  formate  da  due  bastoncelli  attorcigliati  nella  metà  su- 


(')  È  da  notare  che  lo  spazio  di  terreno  nel  quale  si  trovavano  le  tombe  5-6-7-8-9,  molto  vicine 
fra  loro  e  raggruppate,  ha  certo  subito  nel  tempo  parecchie  cause  di  sconvolgimento,  sia  per  le  correnti 
d'acqua  (formando  il  detto  spazio,  oggi,  come  una  insenatura),  sia  dai  lavori  agricoli.  Il  che  spiega 
esaurientemente  le  cattive  condizioni  di  ritrovamento  degli  oggetti  :  i  soli  vasi  di  argilla  figulina,  e 
anche  quelli  d'impasto  depurato  e  ben  cotto,  meglio  resistettero, 


MARINO 


—  454 


REGIONE    I. 


periore  e  terminate  con  due  globetti  rilevati  sull'orlo,  che  è  leggermente  rovescio  allo 
infuori  ;  alt.  0,145,  diam.  orale  0,09  ; 

.  3)  tazza  biansata,  d'impasto  marrone-cinereo  e  con  superficie  levigata,  con 
breve  orlo  diritto,  due  anse  verticali  a  nastro,  e  due  bugnettine  opposte  sulla  risega  ; 
alt.  0,075;  diam.  0,14. 


Fig.  13. 


Un  poco  al  di  sotto  dei  vasi  descritti,  e  verso  destra,  oltre  qualche  corona  den- 
taria di  molari,  si  raccolsero  : 

a)  due  pezzi  assai  guasti  di  strumento  in  ferro  ;  dei  quali  il  più  piccolo  a  forma 
uncinata. 

All'estremità  opposta  della  tomba,  e  propriamente  sotto  l'angolo  di  destra  : 

4)  frammento  di  piatto  d'impasto  rossiccio  pesante  ; 

5)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  marrone  e  con  superficie  levigata  ;  con  ansa 
sopraelevata  semplice;  alt.  0,05,  diam.  0,085. 

Alla  stessa  altezza  dei  vasi,  ma  addossata  alla  parete  del  lato  lungo  di  destra 
e  con  la  punta  rivolta  alla  testata  inferiore  : 

b)  grande  cuspide  di  lancia  in  ferro,  a  cannone  ;  assai  guasta  e  in  più   pezzi  ; 
i  cui  frammenti  ricongiunti  misurano  in  lunghezza  m.  0,33. 


REGIONE    I.  —    455   —  MARINO 

Tomba  11,—  Alla  profondità  dì  m.  0,60  s'incontrarono  numerosi  e  grossi 
blocchi  di  copertura,  che  comprimevano  gli  oggetti  deposti  nel  letto  incavato,  per 
tutta  la  sua  lunghezza  di  m.  2,40  e  larghezza  variante  da  0,60  a  0,70,  nel  masso  del 
«  peperino  ».  L'asse  maggiore  corre  in  direzione  E-0  ;  e  probabilmente  la  testa  del 
cadavere  poggiava  sotto  la  testata  orientale. 

Cominciando  da  questa,  nella  prima  metà  della  fossa,  sotto  le  pietre  e  in  tristis- 
sime condizioni,  si  raccolsero  : 

a)  frammenti  di  lunga  spada  di  ferro,  fasciata  di  fili  di  rame; 
'm    b)  due  borchie  o  dischi  convessi  di  ferro,  muniti  di  presa  al  centro  del  concavo  ; 
in  parte  rotti,  ma  il  cui  diametro  può  misurarsi  per  0,08  all'incirca  ; 

e)  altri  frammenti  di  strumenti  di  ferro,  presumibilmente  appartenuti  a  coltello 
munito  di  códolo. 

Sotto  l'altra  testata,  e  quindi  forse  ai  piedi  del  cadavere,  in  spazio  ancor  più  in- 
cavato nel  masso  a  guisa  di  pozzetto,  si  rinvenne,  ancora  ben  protetta  dalle  pietre 
e  capovolta,  certo  come  originariamente  fu  deposta  : 

1)  grande  olla  globosa,  d'impasto  rossiccio  e  lavorata  al  tornio,  con  breve 
orlo  rovescio  all'infuori  e  all'interno  solcato  circolarmente;  alt.  0,245;  diam.  alla  mass, 
circonfer.  0,272,  orale  esterno  0,185. 

Accanto  ad  essa  si  recuperarono  i  miserevoli  frammenti  di  un'arma  di  ferro, 
forse  una  lancia,  insieme  con  insignificanti  pezzetti  di  laminetta  enea. 

Tomba  12.  —  Alla  profondità  di  m.  0,60  s'incontrò  intatto  l'ammasso  dei 
blocchi  di  copertura,  alcuni  dei  quali  assai  grossi  e  pesanti  da  15  a  20  kg.,  disposti  in 
uno  spazio  di  m.  3,20  X  1,20  all'incirca.  Tolte  con  cura  le  pietre  suddette,  apparve 
il  letto  funebre  regolarmente  incavato  nel  masso  duro  per  cm.  20  circa  nella  tipica 
forma  rettangolare  con  gli  angoli  arrotondati.  Orientata  in  direzione  E-O,  la  tomba 
è  lunga  m.  2,70,  larga  0,70  nella  metà  superiore  e  0,80  in  quella  inferiore,  dove  è  più 
bassa  e  più  incavata  per  contenere  vasi.  Una  specie  di  piccola  gobba,  nel  mezzo  della 
lunghezza,  divideva  le  due  parti  ;  i  margini  apparvero  nettissimi  e  rettilinei,  rinfor- 
zati da  pietre  e  sfaldoni  formanti  spalliere. 

Nella  metà  superiore,  compressi  dai  blocchi  della  copertura,  si  raccolsero  : 

a)  due  frammenti  di  fibuletta  enea  ad  arco  serpeggiante  e  senza  molla  ; 

b)  piccola  armilla  di  bronzo,  a  corpo  cilindrico  pieno  e  con  le  estremità  libere 
ravvicinate  ; 

e)  bulla  semicircolare  di  bronzo,  vuota,  costituita  di  una  lamina  circolare  del 
diam.  di  0,09  ripiegata  su  se  stessa  e  ribattuta  ai  margini  ;  munita,  alle  due  estremità 
diametrali,  di  foro  in  cui  è  inserito  un  anellino  eneo,  per  la  sospensione  ; 

d)  pochi  frammenti  di  un'altra  bulla  come  la  preced.,  e  alcuni  frammenti  di 
strumento  di  ferro,  irriconoscibile. 

Nella  metà  inferiore  e  verso  il  lato  lungo  di  destra,  in  parte  allineati  secondo  l'asse 
maggiore  della  tomba,  in  parte  raggruppati  presso  una  grossa  pietra  sita  sull'angolo, 
si  raccolsero  i  vasi  (fig.  14): 

1)  bacinella  d'argilla  figulina  chiara,  assai  tenera,  senza  base,  ornata  di  fasce 
dipinte  in  color  rosso  all'esterno  e  internamente  ;  diam.  0,115  ; 


MARINO 


—  456  — 


REGIONE   I. 


2)  piatto-ciotola  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  rossiccio  scuro, 
munito  di  due  anse  «  a  ponticello  e  con  punte  terminali  »  sopraelevate  e  impostate 
obliquamente  sull'orlo,  che  è  piuttosto  breve  e  all'esterno  solcato  più  volte  in  giro  ; 
alt.  0,11  ;  diam.  0,24  ; 

3)  olla  sferiforme,  d'impasto  rossiccio  e  alquanto  grezzo,  con  breve  orlo  ro- 
vescio all'infuori  ;  alta  0,19,  con  diam.  alla  mass,  circonf.  0,205,  e  orale  esterno 
0,135  ; 

4)  anforetta  d'impasto  marrone  e  con  superficie  cinerea  levigata,  a  bulla,  con 
anse  a  nastro  e  con  lievi  scanalature  sulla  spalla  e  due  bugnette  opposte  ;  alt.  0,12  ; 
diam.  orale  0,075; 


Fio.  14.  —  Vasi  della  t.  12. 


5)  anforetta  dello  stesso  impasto  e  con  superficie  levigata,  inegualmente  cinereo- 
nerastra,  a  corpo  lenticolare,  con  breve  collo  rientrante  e  anse  a  nastro,  adorna,  sulla 
spalla,  di  fasci  di  linee  graffite  disposte  ad  angolo,  in  giro  ;  alta  0,09  ; 

6)  piccolissima  anforetta,  dello  stesso  impasto  e  forma  della  preced.  ;  alta  0,075  ; 

7)  tazza-infundibolo  d'impasto  cinerognolo  e  con  superficie  levigata,  con  ansa 
sopraelevata  biforata  ;  alt.  0,05;  diam.  0,11. 

Fra  gli  ultimi  due  vasi  e  la  grossa  pietra  dell'angolo,  si  raccolse  pure  un  pezzo 
di  strumento  in  ferro,  ma  non  definibile. 

Tomba  13.  —  Alla  profondità  di  0,60  s'incontrarono  i  blocchi  della  coper- 
tura, ammassati  ancora  sopra  i  vasi,  e  un  grande  lastrone  quadrilatero  di  «  peperino  ». 
posto  sùbito  dopo  la  testata  superiore  e  comprimente  gli  oggetti  di  bronzo.  La  tomba, 
orientata  in  direzione  E-O,  ha  il  letto  incavato,  ma  con  irregolarità  nei  lati  lunghi, 
lungo  m.  2,00  e  largo  in  media  0,70  ;  la  testata  superiore  fu  trovata  perfettamente 
arcuata.  Nello  spazio  intercedente  fra  il  lastrone  di  «  peperino  »  anzidetto  e  i  blocchi 
sovrastanti  ai  vasi,  il  letto  era  coperto  da  uno  strato  di  terra  scura  e  molle,  impastata 
con  i  detriti  del  «  cappellaccio  ». 


MARINO 


REGIONE    I.  —    457    — 

Gli  oggetti  d'ornamento,  raccolti  sotto  il  lastrone,  non  lungi  dalla  testata  supe- 
riore, insieme  con  cinque  corone  dentarie  ben  conservate  (un  incisivo,  due  premolari, 
due  molari,  propri  di  individuo  adulto),  sono  : 

a)  fibula  enea  con  l'arco  espanso  a  losanga,  sul  dorso  adorna  di  linee  graffite 
e  punti  circoscritti  ;  rotti  lo  spillo  e  la  staffa  ; 

b)  fibula  enea  a  navicella,  col  dorso  adorno  di  linee  incise  e  disposte  «  a  spica  », 
mancante  dello  spillo,  rotta  nella  molla  e  nella  staffa,  che  era  allungata  ; 

e)  altra  fibula  come  la  preced.,  ma  più  pesante  ;  rotta  nello  spillo  e  nella  molla 
e  portante  ancora  inserito  nell'arco  un  anellino  spiraliforme  di  bronzo  ; 

d)  fibuletta  con  l'arco  espanso  a  losanga,  mancante  dello  spillo  e  rotta  nella 
staffa  ; 

e)  piccolo  cerchio  di  bronzo,  a  sezione  romboidale,  ornato  di  zigzag  inciso  su 
tutte  e  due  le  facce  ;  diam.  0,067  ; 

/)  frammento  di  bulla  semicircolare  di  bronzo,  la  cui  lamina  era  decorata  di 
una  serie  di  punti  sbalzati.  È  notevole  perchè  nell'angolo  interno,  dove  s'inserisce 
l'anellino  per  la  sospensione,  mostra  ancora  il  mezzo  usato  per  rinforzo  della  ripiegatura, 
consistente  in  un  ammasso  bianchiccio,  una  specie  di  fettuccia  di  pasta,  spessa  e  ri- 
piegata ; 

g)  frammenti  di  braccialetto  (?)  eneo,  vuoto,  formato  con  brevissima  lamina 
ripiegata  su  se  stessa,  e  all'esterno  adorna  di  punti  circoscritti  impressi  ;  l'estremità 
superstite  è  appuntita  ; 

h)  quattro  pendagli  di  bronzo,  tubolari  e  fusiformi,  forati  superiormente, 
intatti  (due  lunghi  0,12  ;  uno  0,10  ;  il  quarto  0,08)  ;  frammenti  di  altri  due  consimili, 
fra  cui  la  parte  superiore  del  pendaglio  centrale  della  collana,  munito  di  canaletto 
per  la  sospensione,  ottenuto  col  ripiegamento  della  lamina  stessa,  tagliata  ai  lati  ; 

i)  un  anello  di  bronzo  ; 

l)  due  fusamole  di  terracotta,  rigonfie  e  sfaccettate  ; 

m)  frammenti  assai  guasti  di  oggetti  in  ferro,  fra  cui  è  riconoscibile  quello  di 
una  fibula  ; 

n)  qualche  granellino  di  pasta  bianca  per  collanina. 
Alla  distanza  di  0,70  dalla  anzidetta  testata,  nel  mezzo  della  tomba,  si  raccol- 
sero i  seguenti  vasi,  disposti  ordinatamente  lungo  una  linea  di  0,70,  coincidente  per- 
fettamente con  la  linea  dell'asse  maggiore  (fig.  15)  ; 

1)  grande  ciotola  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  rossiccio 
pesante,  munita  di  due  anse  sopraelevate  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »,  impo- 
state obliquamente  sull'orlo,  che  è  abbastanza  alto  e  solcato  più  volte  in  giro  ester- 
namente ;  alt.  0,12  ;  diam.  0,26  ; 

2)  tazza  biansata  d'impasto  rossiccio,  con  anse  verticali  munite  di  tre  aculei 
(una  delle  quali  mancante),  del  diam.  0,12  circa;  trovata  in  pezzi  dentro  il  vaso 
preced.  ; 

3)  anforeita  d'impasto  scuro  e  con  superficie  nero-lucida,  dal  corpo  tendente 
alla  foggia  lenticolare,  con  spalla  adorna  di  lievi  scanalature  verticali  e  due  bugnette 

Notizie  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  68 


MARINO 


—  458 


REGIONE    L 


opposte,  e  con  anse  crestate  per  mezzo  di  tre  punte  ciascuna,  collo  cilindrico  con  orlo 
semplice  ;  alt.  0,115,  diam.  orale  0,075  ; 

4)  grande  olla  d'impasto  rossastro,  irregolarmente  sferiforme,  con  orlo  rovescio 
all'infuori  e  internamente  solcato  in  giro  ;  ^alta  0,24,  con  diam.  alla  mass,  circonfer. 
0,256  e  orale  esterno  0,165  ;  trovata  in  pezzi. 

5)  anforeita  d'impasto  marrone  e  a  superficie  levigata,  di  elegante  foggia  len- 
ticolare,  con  collo  cilindrico,  spalla  adorna  di  costolature  verticali,  due  bugnette  op- 
poste e  impressioni  semicircolari  sopra  le  medesime,  quattro  dischetti  impressi  sotto 
le  anse,  che  sono  a  nastro  e  costolate  ;  alt.  0,12,  diam.  orale  0,08  ; 


fèm 


téSESsi 


Fio.  16. 


Gyjazza-infimdibolo,  dello  stesso  impasto  della  preced.,  con  ansa  poco  sopra- 
elevata e  semplice;  alt.  0,09;  diam.  0,113. 

Presso  l'olla  n.  4  si  raccolse  pure  un  frammento  assai  guasto  di  strumento  in  ferro  : 
un  pezzo  di  forma  cilindrica  con  pedunculo  alla  base. 

Tomba  14.  —  Questa  fossa  fu  rintracciata  solo  in  piccola  parte,  poiché  lo 
scassato  già  fatto  dal  contadino  l'aveva  purtroppo  incontrata  in  larghezza  e  lun- 
ghezza. Forse  il  suo  asse  maggiore  correva  appunto  in  direzione  E-O.  Con  lo  scavo, 
alla  profondità  di  m.  1,30,  e  proprio  sotto  il  limite  del  formone,  furono  incontrati 
i  resti  del  teschio,  ancora  conservante  la  sua  forma  tondeggiante,  situati  sotto  : 

1)  piatto  concavo   su   piede   campanulato-imbutiforme,   d'impasto   rossiccio, 
con  l'orlo  solcato  più  volte  circolarmente;  alt.  0,105;  diam.  0,225. 

E,  di  tutto  il  corredo  funebre,  solo  questo  fu  potuto  raccogliere  ;  qualche  altra 
ceramica  sarà  stata  certo  infranta  e  raccolta  dal  contadino. 

Sia  gli  avanzi  del  teschio,  sia  il  vaso,  posati  su  terriccio  compresso,  erano  a  10-15 
cm.  sopra  il  masso  duro,  nel  quale  il  letto  funebre  fu  incavato.  Inoltre,  a  poca  distanza 
da  questo  ritrovamento,  verso  nord,  e  a  poca  profondità  dalla  superficie,  furono 
raccolti,  sotto  una  pietra,  i  pezzi  di  un'anforetta  d'impasto  marrone. 


regione;  i.  —  459  — 


MARINO 


Tomba  15.  —  II  letto  ne  apparve  alla  profondità  di  m.  1,50,  tagliato  per  due 
lati  nel  masso  duro  con  regolarità,  con  gradino  alto  una  ventina  di  centimetri  ;  men- 
tre gli  altri  due  lati,  capitati  su  strato  più  tenero  erano  delimitati  con  sfaldoni  di  «cap- 
pellaccio »  e  blocchi  di  «  peperino  ».  Poche  furono  le  pietre  di  copertura  ritrovate, 
sopra  il  gruppo  delle  ceramiche.  La  fossa  misura  m.  2,00  X  0,60  ;  il  suo  asse  maggiore 
corre  in  direzione  E-O. 

Presso  l'angolo  orientale  della  testata  superiore,  in  uno  spazio  più  incavato,  de- 
posti in  gruppo  e  protetti  dalle  pietre,  come  in  una  nicchia,  si  rinvennero  : 

1)  grande  olla  globosa,  d'impasto  rossastro  e  con  superficie  levigata,  munita 
superiormente,  sotto  l'orlo,  di  un  listello  a  sezione  triangolare  ;  con  l'orlo  sviluppato 
e  imbutiforme,  internamente  solcato  in  giro  ;  alt.  0,23,  con  diam.  alla  mass,  circonf. 
0,250  e  orale  esterno  0,17  ; 

2)  larga  ciotola  biansata,  d'impasto  marrone  pesante,  con  l'orlo  solcato  circo- 
larmente all'esterno  e  sovrastato  da  due  anse  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »,  impo- 
state obliquamente  ;  alt.  0,095  ;  diam:  0,315.  È  rotta  e  fin  dall'antico  fu  ricongiunta, 
come  resta  provato  da  tre  coppie  di  fori  regolarissimi  esistenti  lungo  una  frattura 
nel  fondo  e  da  altri  due  fori  sull'orlo,  certo  eseguiti  con  strumento  trapanante  per 
farvi  scorrere  una  legatura  ; 

3)  anforetta  d' impasto  scuro  e  a  superficie  lucida,  a  corpo  depresso,  con  spalla 
adorna  di  costolature  verticali  e  due  bugnette  opposte,  con  anse  munite  di  due  alette 
elicoidali,  collo  cilindrico  e  orlo  svasante;  alt.  0,14;  diam.  orale  0,086; 

4)  tazza  biansata,  a  forma  di  carcht>sion,  d'impasto  scuro  e  a  superficie  lucida, 
con  le  anse  elevate  composte  di  due  bastoncelli,  inferiormente  divisi,  attorcigliati 
dalla  metà  in  su,  fin  quasi  all'impostatura  sull'orlo,  dove  s'appiattiscono  a  nastro 
fondendosi  ;  l'alto  orlo  è  decorato  all'esterno  con  linee  e  punti  graffiti,  disposti  a  mean- 
dro; alt.  0,06;  diam.  0,11. 

Circa  alla  metà  della  fossa  e  dalla  parte  opposta  a  quella  occupata  dai  vasi  de- 
scritti, si  raccolse  : 

5)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  scuro  e  a  superficie  lucida,  con  ansa  sopra- 
elevata  biforata  ;   alt.   0,06,   diam.   0,085. 

Tomba  16.  —  Anche  questa,  come  la  tomba  14,  fu  solo  parzialmente  esplo- 
rata, e  per  le  stesse  ragioni.  Alla  profondità  di  0,60,  nel  terreno  non  sconvolto  e  sul 
limite  dello  scassato,  s'incontrarono  ancora  alcune  pietre  della  copertura,  e  precisa- 
mente quelle  messe  a  protezione  della  testata  vòlta  a  sud-est  ;  la  quale  poi  si  mostrò 
con  la  sua  forma  arcuata,  larga  0,65.  Sotto  la  medesima,  eran  stati  deposti  i  vasi  se- 
guenti che  per  fortuna  non  furono  toccati  dai  lavori  agricoli  : 

1)  piatto-ciotola  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  rosso  scuro 
pesante,  con  anse  del  tipo  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »,  impostate  obliquamente 
sull'orlo,  che  è  all'esterno  solcato  in  giro  ;  alt.  0,125  ;  diam.  0,28  ; 

2)  tazza  biansata  d'impasto  marrone  e  a  superficie  cinerea  levigata,  dal  basso 
ventre  tronco-conico,  orlo  alquanto  svasato  ;  anse  verticali  appiattite  inferiormente 
a  nastro  e  dalla  metà  in  su  aventi  corpo  costolato,  e  terminanti  sull'orlo  con  due  cor- 
netti sporgenti  all'infuori  ;  alt.  0,075;  diam.  0,12  ; 


MARINO  —    460    —  REGIONE    I. 

3)  tazza-infundibolo,  dello  stesso  impasto  della  preced.,  con  ansa  sopraelevata 
biforata;  alt.  0,065;  diam.  0,115; 

4)  anfora  tipica  a  corpo  rigonfio,  senza  ventre,  con  brevissima  spalla  appiattita, 
breve  collo  rientrante  e  orlo  svasato,  con  anse  a  largo  nastro  ;  d'impasto  depurato 
marrone,  a  parete  sottile  e  superficie  lucidata,  dal  colore  vario  fra  il  rossiccio  scuro 
e  il  nerastro.  È  adorna  di  incisioni  sul  corpo,  alla  base  del  collo  e  sulle  anse  ;  fra  esse 
primeggia  il  motivo  della  doppia  spirale  ripetuta  in  opposizione  sui  due  lati,  sormon- 
tata da  complesso  disegno  floreale  con  bottoni  di  loto.  Trovata  purtroppo  in  pezzi  ; 
alt.  0,215,  diam.  alla  mass,  circonf.  0,195,  mentre  la  stretta  imboccatura  misura 
0,07  (fig.  43). 

È  probabile  che  il  corredo  originario  della  tomba  non  si  limitasse  ai  soli  vasi  de- 
scritti ;  il  letto  doveva  estendersi  verso  N-E,  come  ho  potuto  constatare,  finché 
è  stato  possibile,  sotto  lo  scassato  del  «  formone  ». 

Tomba  17.  —  Costituita  su  strato  tenero  e  coperta  dei  soliti  blocchi  e  sfal- 
doni  di  pietra,  che  s'incontrarono  alla  profondità  di  0,60,  risultò  di  non  grandi  dimen- 
sioni, misurando  m.  1,80  X  0,60,  con  orientazione  da  SE  a  NO. 

Nella  metà  superiore,  a  poca  distanza  dalla  testata,  si  rinvenne  : 

1)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  scuro,  con  ansa  sopraelevata  biforata  ;  alt. 
0,045;  diam.  0,066. 

Più  in  là,  procedendo  sulla  linea  dell'asse  maggiore,  sotto  un  pietrone,  sito  quasi 
sulla  metà  della  fossa,  si  raccolsero  i  seguenti  oggetti  di  bronzo  : 

a)  fibvletta  ad  arco  ingrossato,  col  dorso  adorno  di  linee  incise,  disposte 
«  a  spica  »  e  in  fasci  transversali,  con  lunga  staffa  a  canale  ;  rotta  nello  spillo  ; 

b)  fibuletta,  come  la  preced.,  rotta  nello  spillo  e  nella  staffa; 

e)  frammenti  appartenenti  a  una  bulla  semicircolare  e  a  un  pendaglio  tubolare. 
A  distanza  di  m.  1,10  dalla  testata  già  menzionata,  raggruppati  presso  il  lato 
lungo  di  destra  fin  quasi  all'angolo,  si  raccolsero  : 

2)  ampia  tazza  su  piede  imbutiforme,'  d'impasto  rossiccio  pesante,  con  l'alto 
orlo  alquanto  inclinato  all'infuori  e  munito  di  due  forellini  ;  alt.  0,135,  diam.  0,185  ; 

3)  anf oretta  tipica  a  corpo  rigonfio,  senza  ventre,  con  breve  collo  rientrante 
irrotto  al  pari  delle  anse  che  erano  a  nastro),  d'impasto  depurato  marrone,  a  super- 
ficie lucida  e  con  parete  sottile,  ornata  di  incisioni  sul  corpo  e  alla  base  del  collo,  tra 
cui  primeggia  il  motivo  della  doppia  spirale,  ripetuta  in  opposizione  sui  due  lati  e  so- 
vrastata da  un  disegno  a  spina-pesce  o  foglia  di  palma  stilizzata  ;  alta  forse  0,18 
e  con  diam.  alla  mass,  circonf.  0,15  ; 

4)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  marrone  chiaro,  con  ansa  sopraelevata 
biforata;  alt.  0,042;  diam.  0,07; 

5)  tazzina  biansata,  dello  stesso  impasto,  con  basso  ventre  tronco-conico  ; 
orlo  svasante  e  piccole  anse  verticali  a  bastoncello,  presso  l'orlo  adorne  di  una  protu- 
beranza cilindrica  ;  alt.  0,06  ;  diam.  0,1 1 . 

Tomba  18  —  Rimossi  i  pochi  blocchi  rimasti  della  copertura,  il  letto  ap- 
parve scavato  in  strato  piuttosto  tenero  alla  profondità  di  m.  1,25  con  le  testate 
arcuate  e  i  lati  lunghi  rinforzati  sul  margine   da  sfaldoni  bene  squadrati.  Misura 


REGIONE   I. 


461   — 


MARINO 


1,90  X  0,60  e  il  suo  asse  maggiore  corre  in  direzione  E-O,  quasi  perfettamente  paral- 
lelo al  tracciato  del  «  formone  »,  che  per  fortuna  non  toccò  la  fossa. 

Sotto  la  testata  vòlta  a  oriente,  deposti  in  gruppi  presso  il  lato  lungo  meridionale, 
si  raccolsero: 

1)  bella  nnfora  d'impasto  scuro  e  a  superfìcie  levigata,  con  alto  ventre  tronco- 
conico, alto  collo  cilindrico  un  poco  rientrante,  robuste  anse  munite  di  tre  alette  eli- 


coidali, con  spalla  adorna  di  costolature  verticali  disposte  a  gruppi  simmetrici  e  al- 
ternati con  sei  dischetti,  impressi  ;  sotto  ciascuno  dei  quali,  sulla  linea  di  congiun- 
zione col  ventre,  sporge  una  grossa  bugna  ;  così  che  le  bugne,  molto  sporgenti,  sono 
sei  in  tutto  e  raggruppate  in  due  terne  opposte.  È  rotta  al  labbro  e  in  una  delle  anse  ; 
alta  0,325,  con  diam.  alla  mass,  circonf.  0,21  e  orale  0,1 1  (fig.  16)  ; 

2)  ciotola  biansata  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  rossiccio 
pesante,  con  le  due  anse  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »  impostate  obliquamente 
sull'orlo,  che  è  all'esterno  solcato  circolarmente  ;  alt.  0,13,  diam.  0,23  ; 

3)  bacinella  con  orlo  appiattito,  di  impasto  argilloso  gialliccio,  tenero;  munita, 
sotto  l'orlo,  di  una  coppia  di  forellini  per  essere  appesa  ;  diam.  0,105  ;  trovala  in  pezzi 
dentro  il  vaso  precedente. 

Quasi  in  linea  col  gruppo  dei  vasi  descritti,  ma  nel  centro  della  fossa,  si  raccol- 
sero, insieme  con  otto  corone  dentarie,  i  seguenti  oggetti  ornamentali  ; 


MARINO  —    462   —  REGIONE    I. 


a)  fibula  di  bronzo  a  navicella  vuota,  col  dorso  adorno  di  linee  incise  «  a  spica  », 
con  lunga  staffa  a  canalicolo,  portante  appeso  un  anellino  eneo  sul  restringimento 
del  corpo  ;  è  duramente  attaccata  al  seguente  oggetto  : 

b)  bulla  semicircolare   di   ferro,   molto   guasta  ; 

e)  fibula  di  bronzo,  come  la  preced.,  con  rotta  la  staffa,  e  portante  appeso  allo 
spillo  un  anellino  eneo  ; 

d)  altra  fibula  di  bronzo,  come  la  preced.,  rotta  nella  staffa  e  nello  spillo  ; 

e)  fibuletta  di  bronzo,  dello  stesso  tipo,  rotta  nello  spillo  e  con  la  lunga  staffa 
spuntata  ; 

f)  fibuletta  di  bronzo  ad  arco  ingrossato,  con  lunga  staffa  a  canale,  portante 
appesi  allo  spillo  due  anelli  enei,  relativamente  grandi  ; 

g-h)  due  fi  billette  di  bronzo  ad  arco  pieno,  rotte  nella  staffa  che  era  allungata  ; 
i)  frammenti  di  uno  strumento  di  ferro,  irriconoscibile  ; 
l)  una  fusaiola  in  terracotta,  rigonfia  e  sfaccettata. 
Procedendo  verso  l'opposta  testata,  sempre  nella  parte  di  mezzo  della  fossa,  si 
rinvennero  pochi  avanzi  delle  lunghe  ossa  femorali  ;  poi,  quasi  sotto  la  testata  : 

4)  tazzina-infundibolo  d'impasto  scuro,  con  ansa  sopraelevata  semplice  ;  alt. 
0,055  ;  diam.  0,08  ; 

5)  tazzina  biansata,  d'impasto  scuro,  con  basso  ventre  tronco-conicn  e  orlo 
svasante  ;  con  le  due  anse  verticali  a  costola  piena  e  ornate  al  sommo,  presso  l'orlo, 
di  una  protuberanza  cilindrica  ;  alt.  0,06,  diam.  0,105. 

Tomba  19.  —  Scavata  in  strato  occupato  per  la  maggior  parte  dal  sabbione 
vulcanico,  impastato  qua  e  là  con  detriti  di  cappellaccio,  apparve  alla  profondità  di 
0,60  ;  la  sua  forma  è  irregolare,  più  larga  ai  piedi,  dove  raggiunge  la  misura  di  0,90, 
mentre  superiormente  non  oltrepassa  quella  di  0,60.  Poche  le  pietre  di  copertura  ri- 
trovate, forse  rimosse  e  disperse  con  i  lavori  agricoli,  data  la  scarsa  profondità  ;  pe- 
raltro si  potè  ben  osservare  l'opera  intesa  a  rinforzare  i  margini,  per  mezzo  di  staldoni 
e  blocchi  di  «  cappellaccio  »  squadrati  con  cura  e  formanti  sòlide  spalliere.  La  fossa 
è  lunga  circa  m.  2,00,  orientata  da  SE  a  NO,  e  solo  nella  metà  superiore,  per  meno  di 
un  metro,  ha  il  fondo  sul  masso  duro.  ISTel  lato  lungo  orientale,  a  un  metro  circa  dalla 
testata,  si  apre  un  loculo  quasi  rettangolare,  misurante  0,80  X  0,40  e  costituito  in- 
teramente nel  fine  sabbione,  delimitato  con  piccoli  blocchi  e  con  scaglie  di  peperino. 
Altro  particolare  è  offerto  dal  notevole  dislivello  (di0,20)  esistente  fra  il  piano  del  letto, 
inclinato,  della  metà  superiore  e  il  fondo  della  porzione  inferiore,  più  larga,  come  è 
stato  detto,  e  incavata  a  catino  per  contenere  i  vasi  del  corredo  (fig.  17). 

La  testata  superiore,  cioè  quella  vòlta  a  SE,  fu  trovata  ben  conservante  il  suo 
taglio  arcuato  e  con  i  pietroni  difensivi  sul  margine  ;  sùbito  al  di  sotto,  nel  letto  della 
fossa,  si  trovarono  cospicui  avanzi  del  cranio,  e  più  giù  altri  residui  di  ossa.  A  un  metro 
circa  di  distanza  dai  resti  cranici,  sempre  sulla  linea  dell'asse  maggiore,  e  di  fronte  alla 
apertura  del  loculo  laterale,  si  notarono  anche  gli  avanzi  di  una  delle  grandi  ossa  femorali. 

Quanto  al  corredo,  nella  metà  superiore  e  lateralmente,  poco  prima  dell'aper- 
tura del  loculo,  deposta  forse  presso  la  mano  del  cadavere,  si  rinvenne  : 

1)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  scuro,  con  alta  ansa  biforata  ;  alta  0,055  ; 
mancante  di  qualche  pezzo. 


REGIONE   I. 


463  — 


Marino 


Ai  piedi,  nel  ricordato  incavo  a  catino,  si  raccolsero  : 
2)  piatto  a  fondo  concavo  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  ros- 


Fio.  17. 


siccio  pesante,  con  l'orlo  solcato  circolarmente  e  munito  di  una  coppia  di  forellini  ; 
alt.  0,095  ;  diam.  0,265  ; 

3)  tazzina  biansata,  d'impasto  marrone  e  a  superficie  levigata,  con  orlo  sva- 
sante che  s'innesta  al  ventre  con  una  risega  ;  con  anse  verticali  a  nastro  spesso  ;  alt. 
0,066;  diam.  0,11  ; 


MARINÒ  —    464  —  REGIONE    I. 

4)  anforetta  tipica  dal  corpo  rigonfio,  senza  ventre,  d'impasto  marrone  e 
"a  parete  sottile,  con  breve  collo  rientrante,  orlo  svasato,  anse  a  nastro;  è  ornata,  sul 
corpo  e  sulle  anse  di  incisioni,  fra  cui  spicca  il  motivo  della  doppia  spirale  ripetuta 
in  opposizione  sui  due  lati  e  sovrastata  da  un  lascio  di  linee  piegate  ad  angolo  ;  alta 
0,12,  diam.  alla  mass,  cireonf.  0,11. 
Sotto  il  piatto  n.  2.  si  rinvenne  : 

a)  piccola  punta  di  lancia  in  ferro,  a  cannone,  con  la  cuspide  a  foglia  di  lauro  ; 
lunga  0,16  ;  abbastanza  ben  conservata. 


Pia.  18. 

Nel  loculo  erano  posti  : 

5)  ottetto  biansata,  a  forma  di  piccolo  stanino*;,  di  argilla  figulina  chiara,  deco- 
rata con  fasce  di  color  rosso-marrone  in  giro,  e  con  figure  schematiche  di  anitroccoli 
nella  zona  superiore,  sotto  l'orlo,  che  è  appena  indicato  con  listello  piatto  ;  munita 
di  due  ansette  arcuate  a  cilindretto  pieno,  impostate  obliquamente  un  poco  sotto 
l'imboccatura  ;  alt.  0,12;  diam.  orale  0,085  (fig.  18)  ; 

6)  tazzina-infundibolo  d'impasto  scuro,  con  ansa  sopraelevata  semplice  ;  alt. 
0,05  ;  diam.  0,07  ; 

7)  anforetta  d'impasto  scuro  e  a  superficie  nero-lucida,  dal  corpo  depresso, 
con  spalla  adorna  di  scanalature  verticali  e  due  bugnette  opposie,  sovrastate  da  im- 
pressioni semicircolari  ;  con  alto  collo  cilindrico  e  orlo  svasante,  anse  a  nastro  con 
costolatura  mediana  ;  alt.  0,15  ;  diam.  orale  0,08. 

Presso  questo  vaso  si  raccolse  anche  : 

b)  una  fusaiola  di  terracotta  scura,  rigonfia  e  sfaccettata. 
E  sempre  nell'area  del  loculo,  ma  più  alla  superficie,  a  soli  10  cm.  di  profondità, 
certo  in  deposizione  «  accessoria  »,  si  rinvennero  i  frammenti  di  : 

8)  un  altro  piatto  concavo  su  piede,  d'impasto  rossiccio  pesante,  con  l'orlo 
solcato  circolarmente,  e  il  cui  diametro,  non  misurabile  per  la  mancanza  di  pezzi, 
doveva  essere  maggiore  di  quello  del  piatto  n.  2. 


REGIONE   1  —   465  —  MARINO 

Tomba  20.  —  Tolti  i  blocchi  rimasti  della  copertura,  il  fondo  della  fossa  ap- 
parve alla  profondità  di  circa  un  metro,  con  piano  leggermente  inclinato,  incavato  per 
una  metà  scarsa  nel  masso  duro,  mentre  il  resto,  e  cioè  la  porzione  inferiore,  poggiava 
su  strato  più  tenero  e  sul  sabbione.  La  forma  è  quella  tipica  :  rettangolare  allungata 
con  le  testate  arcuate  ;  sui  margini  rinforzata  da  blocchi  e  sfaldoni  facenti  ufficio  di 
spalliere.  Misura  in  lunghezza  m.  1,80  ;  la  larghezza  varia  da  0,60  a  0,70,  con  orienta- 
zione da  S  a  N. 

Nella  metà  superiore,  dove  il  masso  duro  fu  accuratamente  appianato  con  rego- 
lare scalpellatura,  formando  così  un  fondo  inclinato,  fu  trovato,  all'apparenza  ancora 
integro,  il  cranio,  con  parecchi  denti  ancora  a  posto  e  con  la  faccia  rivolta  a  levante. 

Procedendo  lungo  l'asse  maggiore  verso  l'opposta  testata,  alla  giusta  distanza 
si  rinvennero  i  resti  delle  due  grandi  ossa  femorali,  che  poggiavano  su  lastroni  di  «  cap- 
pellaccio »  perfettamente  regol;  rizzati  e  messi  appunto  per  completare  solidamente  il 
Iettò  funebre,  là  dove  il  masso  duro  s'interrompeva  per  dar  posto  al  sabbione  (fig.  19). 

Quanto  al  corredo  funebre,  presso  la  faccia  del  cranio  si  raccolse,  giacente  un 
poco  obliquamente  e  con  la  punta  vòlta  in  dentro  e  verso  la  testata  superiore  : 

a)  cuspide  di  lancia  in  ferro,  a  foglia  di  lauro  e  con  lungo  cannone,  lunga  0,217. 

Ai  piedi  del  morto,  sotto  il  margine  del  lato  lungo  orientale,  si  rinvennero  rag- 
gruppati : 

1)  olla  sferitorme,  d'impasto  rossiccio,  con  orlo  imbutiforme  all'estremo  ap- 
piattito ;  alta  0,21  ;  diam.  alla  mass,  circonf.  0,220  e  orale  esterno  0,15  ; 

2)  anf oretta  d'impasto  cinereo  e  a  superfìcie  nerastra  levigata,  a  corpo  depresso, 
con  spalla  adorna  di  costolature  verticali,  cerchietti  impressi,  sei  bugne  terminali  rag- 
gruppate in  due  terne  opposte  sui  due  lati  ;  con  alto  collo  cilindrico  e  orlo  svasato, 
anse  a  nastro  munite  di  due  alette  elicoidali  nella  metà  superiore  ;  alt.  0,16;  diam.  orale 
0,085  ; 

3)  lazza  su  brevissimo  piede,  d'impasto  rosso-marrone  pesante,  con  alto  orlo 
inclinato  all'infuori  e  all'esterno  solcato  circolarmente  e  munito  di  una  coppia  di  fo- 
rellini  ;  alt.  0,08;  diam.  0,14.  Sotto,  nel  cavo  circolare  del  piede,  porta,  grossolanamente 
graffito,  un  segno  che  ripete  la  forma  del  A,  intenzionalmente  eseguito  ; 

4)  altra  tazza  su  piede,  come  la  preced.,  con  solcature  più  spesse  e  regolari  sul- 
l'esterno dell'alto  orlo,  rotto  al  sommo  in  più  punti  ;  alt.  0,08;  diam.  0,15; 

5)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  scuro  e  a  superfìcie  nero-lucida,  con  ansa 
sopraelevata  biforata  ;  alt.  0,055;  diam.  0,084; 

6)  tazzina  biansata,  dello  stesso  impasto,  con  orlo  svasato,  con  duebugnette 
opposte  sulla  risega  e  ansette  verticali  a  costola,  sovrastate  presso  l'orlo  da  una  pro- 
tuberanza appuntita  e  vòlta  all'infuori  ;  alt.  0,05;  diam.  0,095. 

Tomba  21. —  Fu  dapprima  incontrato,  a  discreta  profondità,  l'ammasso  dei 
blocchi  di  copertura,  occupante  uno  spazio  di  m.  2,50  X  2,00  ;  alcuni  di  questi  bloc- 
chi erano  di  così  considerevoli  dimensioni  che  una  sola  persona  li  rimuoveva  a  fatica. 
Tolta  questa  schiacciante  difesa  e  compiuto  lo  sterro,  apparve  il  letto  della  fossa,  alla 
profondità  di  un  metro,  incavato  in  parte  nel  masso  duro  e  in  parte  in  strato  più  te- 
nero, avente  la  consueta  forma  rettangolare  allungata  con  testate  arcuate,  lungo 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  69 


MARINO 


466 


REGIONE   I. 


m.  2,00  e  largo  non  più  di  0,70,  con  l'asso  maggiore  corrente  in  direzione  E-O,  e  così 
orientato. 


iffl>ffls&m 


sp 


050 


Fio.  19. 


A  pochi  centimetri  di  distanza  dal  margine  della  testata  superiore,  vòlta  a  le- 
vante, si  trovarono  : 

1)  tazza  su  brevissimo  piede,  d'impasto  scuro  pesante  e  con  superficie  ne- 


REGIONE   I.  —   467   —  MARINO 


rastra  levigata,  con  l'alto  orlo  inclinato  all'infnori  e  solcato  circolarmente  all'esterno  ; 
alt.  0,08;  diam.  0,15; 

2)  bacinella  di  argilla  figulina  gialliccia,  con  orlo  piatto  e  munito  di  una  cop- 
pia di  forellini  ;  decorata  all'esterno  e  internamente  di  fasce  concentriche  in  color 
marrone;  alt.  0,04;  diam.  0,11. 

Procedendo  sulla  linea  dell'asse  maggiore,  alla  distanza  di  0,50  dai  vasi  prece- 
denti, se  ne  rinvennero  altri  raggruppati  sotto  il  lato  lungo  settentrionale  : 

3)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  scuro  e  a  superficie  lucida,  con  ansa  sopra- 
elevata semplice;  alt.  0,045;  diam.  0,075; 

4)  piccolissima  anforetta  a  corpo  globulare,  d'impasto  scuro  grezzo,  senza  base 
distinta,  con  anse  a  bastoncello,  munite  ciascuna  di  due  aculei  ;  alta  0,09  ; 

5)  olletta  biansata,  a  forma  di  piccolo  stamnos,  di  argilla  figulina  gialliccia, 
con  piccole  anse  arcuate  a  cilindretto  pieno  e  impostate  obliquamente  sotto  l'orlo; 
decorata  all'esterno  con  tasce  e  linee  di  color  rosso  e  marrone,  disposte  in  giro,  e  con 
una  fascetta  ondulata  nella  zona  superiore  ;  alta  0,11  ;  diam.  alla  mass,  circonf.  0,125. 
Trovata  con  l'imboccatura  chiusa  da  un  coperchietto  discoidale  con  presa  cilindrica 
nel  mezzo,  di  argilla  figulina  più  chiara,  e  ornato  all'esterno  di  pennellate  circolari 
rosse  ;  più  affine,  per  la  qualità  dell'impasto,  al  vaso  seguente  ; 

6)  elegante  oUetla  ovoidale,  sonza  manichi,  di  argilla  figulina  chiara,  con  orlo 
rialzato  e  svasante,  ornata  all'esterno  di  fasce  e  linee  in  color  rosso,  disposte  all'ingiro  ; 
alt.  0,097  ;  diam.  orale  0,075. 

Tra  l'anforetta  n.  4  e  Polletta  n.  5  si  rinvenne  anche  : 

a)  una  fusaiola  di  terracotta,  rigonfia  e  a  superficie  liscia. 

Sulla  linea  degli  ultimi  due  vasi,  più  nel  mezzo  della  fossa,  si  rinvennero  i  denti 
(sei  molari,  tre  premolari,  due  canini,  tre  incisivi),  alcuni  dei  quali  ancora  con  le  ra- 
dici conservate  ;  appartenenti  certo  a  persona  adulta. 

A  non  molta  distanza,  procedendo  verso  la  testata  opposta,  si  raccolsero  i  se- 
guenti oggetti  ornamentali: 

b)  fibuletta  di  bronzo  ad  arco  ingrossato  e  con  lunga  staffa  terminata  con  glo- 
betto  ;  integra,  lunga  0,046  ; 

e)  fibuletta  di  bronzo,  con  piccolo  corpo  a  navicella  piena,  con  lunga  staffa,  rotta; 

d)  fibuletta  di  bronzo,  simile  alla  prima,  rotta  nella  staffa  ; 

e)  altra  fibuletta  di  bronzo,  identica  alla  prima,  integra  ;  porta  appeso  allo 
spillo  un  anellino  di  bronzo,  da  cui  pende  una  catenella  di  nove  cerchietti  ; 

f)  frammento  di  fibuletta  enea  con  l'arco  costituito  da  sottile  sbarretta  rivestita 
di  dischetti  d'ambra  forati  (ne  rimangono  due  soltanto)  ; 

g)  grosso  pendente  di  bronzo,  a  goccia,  vuoto  e  con  superficie  baccellata.  Nella 
parte  superiore  e  imprigionato  in  un  ammasso  ferroso,  in  cui  si  scorgono  una  minu- 
scola fibuletta  enea  e  alcuni  granellini  di  collana  in  pasta  bianca  ; 

h)  piccolo  pendente  a  goccia  e  con  superficie  baccellata,  di  pasta  vitrea  bianco- 
azzurrognola  ; 

i)  due  frammenti  di  oggetti  in  ferro,  uno  dei  quali  forse  appartenente  al  corpo 
di  una  fibula  ; 

I)  altra  fusaiola  di  terracotta,  rigonfia  e  sfaccettata. 


MARINO  —   468  —  REGIONE   I. 

Sopra  i  massi  della  copertura  si  ritrovarono,  certo  in  «  deposizione  accessoria  »  : 
7)  pezzi  di  anf oretta  d'impasto  scuro,  con  anse  munite   di   alette  elicoidali  ; 
giacenti  proprio  sopra  il  gruppo  dei  vasi  descritti  ; 

m)  corpo  di  fibula  enea  a  navicella  vuota,  col  dorso  adorno  di  incisioni  «  a  spica  »  ; 
trovato  in  corrispondenza  dei  piedi  del  morto. 

Tomba  22.  —  Questa  fossa,  il  cui  asse  maggiore  corre  in  direzione  S-N, 
è  attraversata  dallo  scassato  del  «  forinone  »,  che  per  fortuna  ha  lasciato  intatte  le  due 
testate,  per  uno  spazio  sufficiente  all'esplorazione.  E  gli  oggetti  di  corredo  erano  stati 
deposti  in  due  gruppi,  sotto  le  testate,  così  che  vennero  recuperati  con  lo  scavo.  Il 
piano  del  fondo  è  a  una  profondità  media  di  0,80  ;  le  due  testate  eran  rinforzate  sul 
margine  con  blocchi  e  sfaldoni,  e  hanno  la  consueta  forma  arcuata.  A  giudicare  da- 
gli spazi  esplorati,  la  fossa  era  larga  non  più  di  0,70  ;  mentre  la  sua  lunghezza  non 
poteva  sorpassare  m.  1,80. 

Superiormente,  e  cioè  sotto  la  testata  vòlta  a  sud,  si  raccolsero  : 

1)  tazzina-infundibolo  d'impasto  scuro  e  a  superficie  levigata,  con  ventre 
tronco-conico  depresso,  alto  orlo  diritto,  ansa  sopraelevata  bitorata;  alt.  0,055;  diam. 
0,09; 

2)  olletta  biansata,  a  forma  di  piccolo  starninoli,  di  argilla  figulina  chiara,  con  due 
ansette  arcuate  a  cilindretto  pieno  e  impostate  obliquamente  sotto  l'orlo,  che  è  appena 
distinto  con  un  rialzo  piatto  ;  decorata,  sul  corpo,  di  linee  e  fasce  in  color  marrone  di- 
poste circolarmente  e  di  una  fascetta  ondulata  nella  zona  superiore  ;  alta  0,105,  diam. 
orale  0,07  ; 

3)  piccola  anforetta  d'impasto  rossiccio  scuro,  assai  grezzo,  a  corpo  depresso, 
con  anse  a  nastro  ;  diam.  alla  mass,  circonf.  0,09. 

Non  lungi  dai  vasi,  ma  sotto  il  margine  del  lato  lungo  occidentale,  si  raccolsero  : 

a)  punta  di  lancia  in  ferro,  a  foglia  di  lauro,  e  con  cannone  ; 

b)  due  pezzetti  di  bastoncello  ricurvo,  in  ferro. 

Sotto  l'altra  testata,  di  là  quindi  dallo  scassato,  eran  deposti  : 

4)  piccola  olla  di  forma  ovoidale  un  poco  depressa,  d'impasto  rossiccio  pe- 
sante, con  orlo  imbutiforme  e  all'interno  solcato  circolarmente;  alt.  0,185;  diam.  alla 
mass,  circonf.  0,196,  e  orale  est.  0,135  ; 

5)  tazza  su  brevissimo  piede,  d'impasto  scuro  pesante,  con  alto  orlo  inclinato 
all'infuori,  e  all'esterno  solcato  circolarmente;  alt.  0,066;  diam.  0,135. 

Tomba  23.  —  Sfortunatamente  questa  tomba  fu  trovata  in  spazio  di  ter- 
reno sconvolto  dai  lavori  agricoli,  che  ne  asportarono  la  difesa  soprastante  frantu- 
mando i  vasi,  di  cui  era  ben  fornita,  ma  che  giacevano  alla  poca  profondità  di  10-15 
centimetri. 

Nonostante  lo  sconvolgimento,  ne  fu  potuta  rilevare  la  larghezza  di  0,60  e  seguire 
la  lunghezza  per  soli  m.  1,70  ;  il  piano  del  letto  era  sito  su  strato  tenero  di  detriti 
e  sabbione,  con  l'asse  maggiore  corrente  in  direzione  E-O. 

A  questa  tomba  apparteneva  il  cippo -segnale  con  base  distinta,  già  menzionato 
(fig.  3). 

Sotto  la  testata  orientale,  si  trovarono  in  gruppo  : 

1)  olla  d'impasto  rossiccio,  lavorata  al  tornio,  col  corpo  solcato  da  scanala- 


REGIONE   I.  —   469  —  MARINO 

ture  verticali;  doveva  avere  considerevoli  dimensioni,  ma  tu  trovatain  pezzi,  alcuni 
mancanti  ; 

2)  altra  olla  d'impasto  rossiccio  più  grezzo,  anch'essa  col  corpo  scanalato  ;  più 
piccola  della  preced.  ;  in  pezzi; 

3)  terza  olla  d'impasto  rossiccio,  con  superficie  liscia,  e  di  minori  proporzioni 
che  la  preced.  ;  anch'essa  in  pezzi  ; 

4)  frammenti  di  tazza  su  piede,  d'impasto  marrone  pesante,  con  l'orlo  solcato 
circolarmente  all'esterno  ; 

5)  lazza  su  brevissimo  piede,  d'impasto  marrone,  con  alto  orlo  inclinato  all'in- 
fuori,  solcato  circolarmente  all'esterno  e  munito  di  una  coppia  di  forellini;  alt.  0,07; 
diam.  0,14  ; 

6)  tazzina  biansata,  a  forma,  di  cantharos,  di  impasto  scuro  e  a  superfìcie  mar- 
rone lucidata,  con  parete  sottile,  decorata  di  linee  rette  e  ondulate  graffite  in  giro  (le 
anse,  pei  la  maggior  parte  rotte  e  mancanti,  erano  a  bastoncello  forse  intrecciato)  ; 
alt.  0,062  ;  diam.  0,095, 

7)  alletta  ovoidale,  senza  manichi,  di  argilla  figulina  chiara,  con  breve  orlo  ro- 
vescio all'infuori  ;  decorata,  sul  corpo,  di  linee  e  fasce  circolarmente,  in  color  rosso;  in- 
tegra ;  alta  0,105,  con  diam.  alla  mass,  circonf.  0,115  e  all'imboccatura  0,08  ; 

8)  boccaletto  di  argilla  figulina  gialliccia,  con  ventre  ovoidale  tronco,  collo  rien- 
trante con  orlo  svasato,  ansa  a  spesso  nastro  poco  sopraelevata  ;  decorato  all'esterno 
con  linee  e  fasce  circolari  di  color  marrone  ;  alt.  0,105  ;  diam.  orale  0,07  ; 

9)  bacinella  di  argilla  figulina  gialliccia,  un  po'  tenera,  con  orlo  piatto  e  con 
coppia  di  forellini  sotto  il  medesimo;  ornata  di  pittura  scura  svanita;  alt.  0,08;  dia- 
metro 0,130  ; 

10)  altra  bacinella,  come  la  precedente,  ma  d'impasto  argilloso  più  solido  e  con 
orlo  piatto  più  sporgente;  decorata  all'interno  e  all'esterno  con  fasce  circolari  di  color 
rosso  ;  alt.  0,045  ;  diam.  0,12. 

Tomba  24.  —  1  blocchi  della  copertura  s'incontrarono  a  poca  profondità  (in 
media  a  0,25),  numerosi  come  in  altre  fosse  e  disposti  in  due  ordini  sovrapposti,  quasi 
con  continuità.  Rimossili,  e  compiuto  lo  sterro,  apparve  il  letto  funebre  rettangolare 
e  con  i  margini  rinforzati  da  altre  pietre,  incavato  nel  masso  duro  alla  profondità  di 
m.  0,90.  orientato  in  direzione  S.  SE.-N.  NO.  Delle  testate,  trovandosene  una  sotto  lo 
scassato  del  formone,  si  esplorò  solo  quella  superiore,  vòlta  a  SE,  arcuata.  La  larghezza 
è  di  0,75;  non  fu  possibile  misurarne  la  lunghezza  totale,  per  la  stessa  ragione  anzi- 
detta, ma  fu  seguita  per  m.  1,80,  nò  poteva  di  molto  sorpassare  i  due  metri. 

Superiormente,  sotto  il  margine  della  testata,  si  trovarono  riuniti  in  gruppo  : 

1)  olla  ovoidale,  d'impasto  rossiccio  pesante,  con  orlo  sviluppato  imbutiforme 
e  all'interno  solcato  circolarmente  ;  alt.  0,235,  diam.  alla  mass,  circonf.  0,255  e  orale 
est.  0,158  ; 

2)  oinochoe  di  argilla  figulina  chiara  e  tenera,  a  corpo  ovoidale  tronco  alla  base, 
con  collo  cilindrico  e  bocca  trilobata,  ansa  a  spesso  nastro,  con  tracce  di  pittura  al- 
l'esterno ;  alt.  0,233,  diam.  alla  mass,  circonf.  0,135  ; 

3)  tazza  su  brevissimo  piede,  d'impasto  marrone  pesante,  con  odo  molto  incli- 


MARINO  —   470  —  REGIONE   L 

nato  all'infuori,  solcato  esternamente  in  giro  e  munito  di  una  coppia  di  forellini  ; 
alt.  0,08;  diam.  0,152; 

4)  altra  Uizza,  identica  alla  precedente,  salvo  che  il  colore  dell'impasto,  risul- 
tante dalla  cottura,  è  più  chiaro  ;  alt.  0,076  ;  diam.  0,15  ; 

5)  tazzina  biansata,  d'impasto  marrone  e  a  superfìcie  levigata,  con  ventre  tronco- 
conico assai  depresso,  orlo  svasante,  con  la  risega  adorna  di  due  bugnette  opposte  e 
le  piccole  anse  verticali  munite  di  due  alette  elicoidali  ;  alt.  0,059,  diam.  0,096. 

Procedendo  verso  l'opposta  testata,  sulla  linea  dell'asse  maggiore,  alla  distanza  di 
0,90  dal  gruppo  dei  vasi  descritti,  si  scoprirono  per  una  lunghezza  di  circa  25  cm.  le 
due  grandi  ossa  femorali,  giacenti  un  poco  addossate  al  margine  del  lato  lungo  occiden- 
tale, comprovanti  che  il  cadavere  fu  deposto  di  lato. 

Tomba  25.  —  È  la  prima  delle  cinque  seguenti  esplorate,  come  ho  detto  in 
principio,  dal  collega  Stefani,  che  così  la  descrive.  «  Fossa  lunga  m.  2,40  e  larga  0,60, 
alla  profondità  di  1,03,  con  orientazione  S.SE. -O.NO.  Essa  trova  vasi  dentro  una 
grande  cavità  quadrangolare  scavata  per  50  cm.  nel  banco  di  pozzolana,  di  cui  si  potè 
seguire  soltanto  una  piccola  parte  del  perimetro  a  causa  delle  coltivazioni  che  si  sareb- 
bero danneggiate.  Le  prime  pietre  del  riempimento  vennero  in  luce  a  17  cm.  di  profon- 
dità ;  quelle  messe  a  protezione  del  gruppo  principale  di  vasi  erano  collocate  per  ritto 
e  leggermente  inclinate  verso  i  vasi,  in  modo  da  sostenere  meglio  le  altre  che  formavano 
la  copertura. 

A  45  cm.  di  profondità,  in  mezzo  alle  pietre  del  riempimento,  furono  raccolti  i  fram- 
menti di  un'olla.  Pochissimi  i  resti  del  cadavere:  la  calotta  cranica  schiacciata;  i 
denti,  che  si  trovarono  spostati  verso  la  spalla  sinistra  [23  in  tutto,  e  quasi  tutti  con  le 
loro  radici  conservate],  e  qualche  avanzo  dei  femori  e  delle  tibie. 

Il  piano  della  fossa  era  leggermente  inclinato  verso  i  piedi  del  morto  ». 

Il  corredo  funebre  era  composto  dei  seguenti  vasi,  depositati  in  gruppo  superior- 
mente, sotto  il  margine  della  testata,  a  poca  distanza  dagli  avanzi  del  cranio  : 

1)  olla  sf eriforme,  d'impasto  rossiccio  pesante  e  con  ingubbiatura  più  chiara,  con 
orlo  sviluppato  imbutiforme,  solcato  internamente  in  giro  ;  alt.  0,22;  diam.  alla  mass, 
circonf.  0,215  e  orale  est.  0,153  ; 

2)  anforetta  d'impasto  rosso  scuro  e  con  superfìcie  nerastra  lucidata,  a  corpo  de- 
presso, con  spalla  munita  di  scanalature  verticali,  collo  cilindrico  e  orlo  svasante,  anse 
a  nastro  (una  delle  quali  rotta  fin  dall'antico  e,  così,  mancante)  ;  trovata  in  pezzi  e 
mancante,  ma  misurabile  in  alt.  per  0,16  e  nel  diam.  orale  per  0,09  ; 

3j  elegante  tazzina  biansata,  a  forma  di  carchesion,  d'impasto  scuro  depurato 
e  con  superficie  nero-lucida,  lavorata  al  tornio,  con  ventre  depresso,  orlo  inclinato  al- 
l'infuori e  decorato  esternamente  con  due  zig-zag  in  giro,  con  anse  a  bastoncello  sopra- 
elevate (una  delle  quali  rotta  fin  dall'antico  e,  così,  mancante)  ;  alt.  0,06  ;  diam.  0,108  : 

4)  tazza  su  brevissimo  piede,  d'impasto  marrone  pesante,  con  orlo  inclinato  al- 
l'infuori, solcato  esternamente  in  giro  e  munito  di  una  coppia  di  forellini;  alt.  0,075; 
diam.  0,15  ; 

5)  altra  tazza,  come  la  precedente,  ma  d'impasto  più  chiaro,  di  misure  quasi 
identiche  ;  trovata  in  pezzi  ; 


REGIONE   I. 


4ll   — 


MARINO 


6)  bombylios  di  argilla  figulina  chiaro-verdastra,  col  corpo  ovoidale,  orlo  piatto 
a  disco,  ansetta  verticale  diritta  ;  adorno  sul  corpo  e  sull'orlo  di  linee  e  fasce  in  color 
marrone  ;  alt.  0,08. 

Ai  piedi  del  morto,  si  rinvennero  poi  : 

7)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  cinerognolo  e  a  superficie  levigata,  con  ansa 
sopraelevata  semplice  ;  alt.  0,06;  diam.  0,095  ; 


Fig.  20. 


a)  avanzi  di  una  cuspide  di  lancia  di  ferro,  a  cannone,  nel  cui  tubo  si  scorgono 
ancora  chiaramente  le  fibre  residue  del  legno  dell'asta. 

Tomba  26.  —  Scavata  nel  masso  duro,  alla  profondità  di  m.  0,70  circa,  la  fossa 
ha  forma  rettangolare  allungata  con  gli  angoli  arrotondati,  lunga  m.  2,45  e  larga  0,67. 
Furono  anche  rinvenuti  i  blocchi  e  gli  sfaldoni  di  pietra  messi  a  rinforzo  sui  margini, 
sulla  testata  superiore  e  lungo  il  lato  vòlto  a  sud,  e  due  grandi  lastroni  di  pietra  ancora 
al  loro  posto,  poggiati  sulle  pietre  laterali,  a  copertura  a  e  difesa,  sopra  la  testa  del  ca- 
davere. È  orientata  da  SE  a  NO.  Nessuna  traccia  dello  scheletro  (fig.  20). 


MARINO 


—  472  — 


REGIONE   I. 


Nella  parte  superiore,  sotto  il  margine  della  testata,  si  rinvenne  : 
1)  ciotola  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  marrone  chiaro  pe- 
sante, con  anse  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »  impostate  obliquamente  sull'orlo, 
che  è  solcato  all'esterno  circolarmente  ;  alt.  0,11  ;  diam.  0,22. 

Procedendo  verso  l'opposta  testata,  sulla  linea  dell'asse  maggiore,  in  corrispon- 
denza certo  del  petto  del  morto  e  raggruppati  in  uno  spazio  di 
0,2o  X  0,30,  si  rinvennero  i  seguenti  oggetti  ornamentali  : 

a)  pezzi  di  una  fibula  di  bronzo  con  l'arco  formato  di 
bastoncello  con  dischi  d'ambra  scura  forati  ; 

b)  granellini  di  pasta  vitrea  bianchiccia  per  collanina  ; 
e)  appiccagnolo  formato  da  sottile  filo  di  rame  ritorto  a 

spira  e  terminante  ad  occhiello  ; 

A)  fibula  di  bronzo,  a  navicella  vuota,  col  dorso  decorato 
con  fasci  di  linee  parallele  e  zig-zag  incisi,  con  staffa  a  canale  ; 
rotta  in  questa  e  nella  molla  ; 

e)  fibula  di  bronzo  come  la  precedente,  col  dorso  adorno  di 
incisioni  a  spica;  rotta  nella  staffa  a  canale  e  nello  spillo  ; 

f  )  fibuletla  enea,  a  piccola  navicella  piena,  rotta  nella 
staffa  e  mancante  dello  spillo  ; 

g)  fibuletta  come  la  precedente,  a  cui  era  attaccato 
un  pendaglio  eneo  in  forma 
di  asticella  ingrossantesi  su- 
periormente a  globetto  rac- 
chiuso fra  tre  piccoli  tori,  e 
appeso  per  mezzo  di  occhiello, 
facente  parte  integrale,  a  bre- 
ve catenella  di  bronzo;  l'asti- 
cella è  spuntata  e  misura  0,083 
(fig-  21); 

h)  fibula  di  bronzo,  a  navicella  vuota  e  col  dorso  adorno  di  incisioni  a  spica, 
con  lunga  staffa  a  canale,  terminata  con  ingrossamento;  rotta  nello  spillo  ;  lunga  0,117; 
i)  grossa  fibula  di  bronzo,  a  navicella  vuota  e  col  dorso  adorno  di  incisioni 
a  spica,  costituite  con  triplice  linea  longitudinale,  lateralmente  alla  quale  sono  doppie 
linee  piegate  ad  angolo  ;  con  staffa  a  canale  terminante  con  globetto,  robusta  molla 
a  tre  giri  ;  integra,  lunga  0,173  e  con  l'arco  largo  al  massimo  0,035  ; 

l)  pendaglietto  fuso  di  bronzo,  biforo,  a  forma  di  «  àncora  »,  ma  con  l'asticella 
centrale,  espansa  al  sommo  e  forata  transversalmente,  unita  alle  estremità  dell'ancora 
con  bastoncelli  arcuati,  così  da  completare  il  giro  :  alto  0,037  e  largo  0,035  (fig.  22)  ; 

ni)  due  tubetti  spiraliformi  di  bronzo,  formati  con  asticella  avvolta  ;  lunghi 
rispettivamente  mm.  37  e  33  ; 

«)  fibuletta  enea  con  l'arco  costituito  da  un'asticella  in  cui  erano  infilati  dischi 
d'ambra  scura  ; 

o)  altra  fibuletta,  in  tutto  affine  alla  preced.  ; 


Fio.  21. 


Fio.  22. 


REGIONE  I.  —  473  —  MARINO 

p)  fibula  di  bronzo,  a  navicella  vuota  e  col  dorso  adorno  di  incisioni  a  spica  ;  rotta 
nella  staffa  a  canale  ; 

q)  fibuletta  enea,  a  piccola  navicella  piena,  rotta  nello  spillo  ; 

r)  altro  pendaglio  eneo,  identico  a  quello  descritto  alla  lettera  g  ;  rotto  nell'asti- 
cella ; 

•?)  fibuletta  enea,  a  navicella  piena,  col  dorso  ornato  di  linee  graffite  ;  rotta  nella 
staffa  e  nella  molla  ; 

t)  fibuletta  enea  con  arco  nastriforme  e  lunga  staffa  a  canale  (forse  portava  dischi 
d'ambra  infilati). 

Ai  piedi  del  morto,  raggruppati  di  lato  verso  l'angolo  di  destra,  si  raccolsero  : 

2)  anforetta  a  corpo  lenticolare,  d'impasto  scuro  e  con  superficie  nerastra  levi- 
gata, con  spalla  adorna  di  costolature  verticali  e  due  bugnette  opposte  con  dischetto 
impresso  soprastante,  anse  munite  di  due  alette  elicoidali,  collo  cilindrico  e  orlo  rove- 
scio all'infuori  ;  alt.  0,112  ;  diam.  orale  0,07  ; 

3)  tazza  biansata,  d'impasto  scuro  e  a  superficie  levigata,  con  orlo  diritto  legger- 
mente inclinato  all'infuori,  con  due  bugnette  opposte  sulla  risega,  ansette  verticali 
a  bastoncello  costolato  (una  delle  quali  rotta  dall'antico)  ;  ale.  0,055  ;  diam.  0,10  ; 

4)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  cinereo  scuro  e  a  superficie  lucida,  con  ansa 
poco  sopraelevata  biforata  e  al  sommo  munita  di  due  rudimentali  cornetti  laterali  ; 
alt.  all'orlo  0,042,  con  l'ansa  0,064,  e  diam.  0,07  ; 

5)  olla  a  corpo  rigonfio  e  depresso,  d'impasto  depurato  rossiccio,  lavorata  al 
tornio,  con  orlo  rovescio  all'infuori  e  internamente  solcato  in  giro.  Sul  corpo  è  striata 
verticalmente  in  una  zona  limitata  sulla  massima  circonferenza  e  chiusa  al  disopra  da 
un  listello  continuo,  sotto  il  quale  corre  in  giro  una  serie  di  impressioni  semicircolari 
concentriche,  eseguite  con  stampo.  Alt.  0,163  ;  diam.  alla  mass,  circonf.  0,23,  e  orale 
0,16  ;  trovata  in  frammenti  e  mancante. 

Tomba  27-28.  —  È  una  fossa  molto  profonda,  che  servì  alla  deposizione  di  due 
cadaveri  di  diverso  sesso,  sovrapposti  ;  dei  quasi  il  maschile  fu  sepolto  sopra.  Lo  Ste- 
fani così  ne  descrive  lo  scoprimento. 

«  Le  prime  pietre  di  copertura  si  trovarono  a  circa  40  cm.  di  profondità.  Il  seppel- 
limento del  guerriero  era  a  55  cm.  sotto  il  piano  di  campagna  ed  era  protetto  da  un  solo 
strato  di  pietre  abbastanza  distanziate  l'una  dall'altra.  Nessun  avanzo  dello  scheletro. 

L'altro  seppellimento  trovavasi  alla  profondità  di  m.  1,10,  protetto  anch'esso  da 
pietre.  I  vasi  erano  stati  collocati  dentro  un  incavo  rotondeggiante,  attorniati  e  pro- 
tetti da  pietre.  Dello  scheletro,  soltanto  le  tracce  della  parte  mediana  del  femore  si- 
nistro »  (fig.  23). 

La  fossa  ha  il  fondo,  e  quindi  il  letto  del  seppellimento  inferiore,  incavato  nel  masso 
duro  che  fu  scalpellato  con  eura  ;  la  forma  è  quella  consueta,  rettangolare  allungata 
con  angoli  arrotondati.  Misure  :  2,25  X  0,60  ;  orientazione  da  NE  a  SO. 

[1°]  Nel  seppellimento  superiore  si  rinvennero,  alla  metà  circa  della  fossa  e  nel 
mezzo  : 

a)  due  borehie,  o  placche  discoidali  di  ferro,  a  sezione  leggermente  concavo-con- 
vessa, con  piccolo  umbone  al  centro  della  convessità  e  robusta  presa  forata  nel  con- 
cavo. Una  di  esse  è  in  pezzi  ;  quella  più  conservata  ha  il  diam.  di  0,08. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI.  60 


MARINO 


474  - 


REGIONE   I. 


Nella  metà  inferiore,  subito  prima  dei  vasi,  giacente  alquanto  dilato,  verso  destra  : 
b)  cuspide  di  lancia  in  ferro,  a  foglia  di  lauro  e  con  cannone  ;  >otta  nel  tubo  ; 
lunga  nella  parte  superstite  0,13. 


& 


?=5  \      O"  'V'""  fi*  V"!-:'*i'%;''     V*?('  ".  ^^S 


Fio.  23. 

Verso  la  fine  della  tomba,  allineati  sotto  il  margine  del  lato  lungo  di  destra,  erano 
i  vasi  : 

1)  piatto-ciotola  su  piede  imbutiforme  d'impasto  rossiccio,  col  fondo  concavo 
sporgente  oltre  l'impostatura  dell'orlo,  che  è  inclinato  all'infuori  ;  diam.  0,23  circa. 
Trovato  in  pezzi,  capovolto  e  ricoprente  il  seguente  : 


REGIONE   I.  —   475  —  MARINO 

2)  olla  sf eriforme  d'impasto  rossiccio  piuttosto  pesante,  irregolarmente  tornita, 
con  orlo  imbutiforme  e  all'interno  solcato  circolarmente;  alta  0,23;  diam.  alla  mass, 
circonf.  0,22  e  orale  0,155  ; 

3)  tazzina-infundibolo  d'impasto  scuro  e  a  superficie  levigata,  con  ansa  sopra- 
elevata biforata  ;  alt.  0,05  ;  diam.  0,085. 

Nella  terra  estratta  dal  cavo  si  rinvenne  pure  un  frammento  cilindrico  di  ferro 
fasciato  con  filo  di  rame,  appartenente  certo  al  detto  seppellimento. 

[2°]  Il  seppellimento  inferiore,  di  donna,  aveva  il  seguente  corredo,  più  nume- 
roso di  oggetti: 

Nella  metà  superiore  della  fossa,  in  corrispondenza  del  petto  della  morta  si  raccol- 
sero : 

a)  fibuletta  enea  con  l'arco  filiforme  rivestito  di  dischi  d'ambra  rossa,  forati  e 
gradatamente  di  minor  diametro  ;  i  due  terminali  cilindro-conici  ; 

b)  due  cerchietti  di  bronzo  :  l'uno  a  verga  più  grossa,  del  diametro  di  0,03  ; 
l'altro  più  piccolo,  del  diam.  di  0,025.  Erano  appesi  allo  spillo  della  fibuletta  prece- 
dente ; 

e)  collana  in  due  fili,  composta  ,  in  quello  quasi  interamente  conservato,  di 
granellini  di  pasta  vitrea  bianchiccia,  intercalati  con  grani  di  ambra  rossa  e  con  un 
grosso  grano  mediano  della  stessa  ambra  a  forma  di  gocciolone.  Dell'altro  filo  si  ha 
qualche  dischetto  e  un  altro  grosso  grano  a  goccia,  di  ambra  ;  il  filo  superstite  si  è  ri- 
composto per  una  lunghezza  di  0,17  ; 

d-e)  fibula  enea,  a  navicella  vuota,  col  dorso  adorno  di  linee  incise,  formanti  un 
rettangolo,  e  di  punti  circoscritti  ;  con  lunga  staffa  a  canale,  rotta.  Portava  inserito  un 
cerchio  di  bronzo,  piatto  e  a  largo  nastro,  sulle  due  facce  adorno  di  leggiere  linee  e  punti 
circoscritti,  incisi  ;  diam.  est.  0,125.  Il  nastro  è  largo  0,028  ; 

f-g)  grossa  e  pesante  fibula  enea,  a  navicella  vuota  e  molto  larga  (massimo  di 
0,05),  con  lunga  staffa  a  canale  ;  rotta  in  questa  e  nello  spillo  ;  col  dorso  adorno  di  inci- 
sioni costituite  da  punti  per  tre  volte  circoscritti,  variamente  disposti,  e  da  coppie  di 
linee  racchiudenti  uno  spazio  centrale  quadrato  e  reticolato,  avente  sui  lati  altre  coppie 
di  linee  a  triangolo.  Essa  portava  inserito  un  cerchio  di  bronzo,  a  sezione  romboidale, 
sulle  due  facce  ornato  di  zigzag  inciso  ;  trovato  in  pezzi,  ma  ricongiungibili  nel  diam. 
esterno  di  0,155. 

Disposti  lateralmente,  lungo  e  sotto  il  margine  del  lato  lungo  meridionale,  e  alli- 
neati su  considerevole  spazio  sino  all'angolo  con  la  testata  inferiore,  si  rinvennero 
i  vasi  seguenti  (il  primo  presso  l'unico  avanzo  osseo,  di  un  femore): 

1)  tazza  biansata,  d'impasto  scuro  e  con  superficie  nero-lucida,  a  profilo  lenti- 
colare,  con  breve  orlo  svasante,  brevi  anse  verticali  arcuate  a  spesso  nastro,  concavo 
nella  faccia  esterna  ;  alt.  0,074  ;  diam.  0,12  ; 

2)  anforetta  d'impasto  scuro  e  a  superficie  levigata,  col  corpo  molto  depresso, 
piuttosto  tozza  ;  con  spalla  adorna  di  costolature  verticali,  due  bugnette  opposte,  quat- 
tro impressioni  semicircolari  ;  con  collo  piuttosto  breve  e  leggermente  rientrante, 
orlo  svasato,  anse  a  nastro  ;  alt.  0,15  ;  diam.  alla  mass,  circonf.  0,165  e  all'imbocca- 
tura 0,095  ; 


MARINO  —   476  —  REGIONE   I. 

3)  olla  sferoidale,  d'impasto  rossiccio  e  a  superficie  levigata,  non  grande,  con 
breve  orlo  imbutiforme  e  solcato  internamente  in  giro;  alt.  0,195;  diam.  alla  mass, 
circonf.  0,22  e  orale  0,15  ; 

4)  tazza-attingitoio,  d'impasto  scuro  e  a  superficie  levigata,  con  ventre  assai 
depresso  ma  rigonfio,  e  con  una  bugnetta  all'inizio  dell'orlo  che  è  basso  e  diritto  e  a 
cui  sovrasta  un'alta  ansa  biforata  ;  alt.  0,065  ;  diam.  orale  0,115  ; 

5)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  cinereo  scuro  e  a  superficie  levigata,  con  ansa 
sopraelevata  biforata  :  alt.  0,05  e  diam.  0,09.  Trovata  in  pezzi  sotto  il  seguenti': 

6)  grande  piatto  ciotola  subasso  piede  imbutiforme,  d'impasto  marrone  pesante, 
con  orlo  diritto  solcato  esternamente  per  tre  volte  in  giro,  con  due  anse  «  a  ponticello  e 
punte  terminali  »,  impostate  obliquamente  verso  l'alto  (una  è  rotta  e  mancante  fin  dal- 
l'antico) ;  alt.  0,136;  diam.  0,33.  Nel  suo  fondo  concavo  era  depositato  il  vaso  metal- 
lico seguente  : 

7)  bacinella  di  rame,  baccellata,  con  breve  orlo  appiattite  e  rovescio  all'infuori 
e,  in  un  punto,  munito  di  una  coppia  di  forellini  in  cui  passa  un  filo  eneo  ripiegato,  per 
la  presa  e  la  sospensione.  Fu  purtroppo  recuperata  in  frammenti,  essendo  la  parete 
sottile  ;  probabile  diam.  0,12. 

Tomba  29.  —  È  la  più  spaziosa  fra  tutte  le  rinvenute.  La  fossa,  rettangolare  e 
con  gli  angoli  arrotondati,  è  lunga  m.  3,10  e  larga  1,30,  orientata  da  SE  a  NO.  ;  ha  il 
fondo  scavato  nel  masso  duro  alla  profondità  di  m.  1,40  dal  piano  di  campagna. 

Nella  metà  superiore  e  sul  lato  orientale  trovasi  un  allargamento,  e  loculo  laterale, 
a  un  livello  di  poco  superiore  e  di  forma  irregolarmente  rotondeggiante,  profondo  circa 
un  metro  e  largo  sull'apertura  m.  1,40.  Come  in  altre  tombe,  uno  spazioso  ammasso  di 
blocchi  e  di  sfaldoni  costituiva  la  copertura  e  il  riempimento,  tanto  della  fossa,  quanto 
del  loculo  ;  una  delle  pietre,  la  più  grande  (alta  0,60)  e  appuntita,  fu  trovata  messa  per 
ritto  in  mezzo  al  cumulo,  sporgente  fra  le  altre,  a  compiere  certo  l' ufficio  di  cippo- 
segnale  (fig.  24). 

Nessun  avanzo  dello  scheletro,  salvo  qualche  residuo  insignificante.  Gli  oggetti 
enei  dell'abbigliamento  furon  trovati  sparsi  qua  e  là,  senza  ordine,  nella  parte  più  cen- 
trale della  fossa  ;  ne  ciò  può  attribuirsi  a  cause  posteriori  al  seppellimento.  È  da  affer- 
mare che  essi  vennero  così  gettati  sul  cadavere,  dopo  deposto. 

In  quanto  al  corredo,  nel  loculo  laterale,  circondati  e  protetti  dalle  pietre,  che  in 
origine  erano  bene  assestate  a  guisa  di  volticella,  si  rinvennero  i  seguenti  vasi,  deposti 
in  gruppo  in  uno  spazio  rotondeggiante  più  incavato  : 

1)  tazza-attingitoio,  lavorata  al  tornio,  d'impasto  scuro  e  a  superficie  nerastra 
lucidata,  con  bassissimo  ventre  tronco-conico,  munita  di  un'ansetta  a  ponticello  e  con 
punte  terminali,  impostata  obliquamente  verso  l'alto  sull'orlo,  che  è  breve  e  diritto  ; 
alt.  0,04;  diam.  0,11  (fig.  25)  ; 

2)  tazza  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  rossiccio  scuro,  con 
l'orlo  un  poco  inclinato  all'infuori,  esternamente  solcato  all'ingiro  e  munito  di  una  cop- 
pia di  fori  ;  alt.  0,13;  diam.  0,19  ; 

3)  piccola  anforetta,  d'impasto  scuro  e  a  superficie  nerastra  levigata,  dal  corpo 
lenticolare,  con  striature  verticali  e  ansette  a  nastro  ; 


REGIONE    I. 


—   477 


MARINO 


41  olla  d'impasto  rossiccio  pesante,  a  profilo  ovoidale  depresso,  con  orlo  rove- 
scio all'infuori  ;  alt.  0,16,  diam.  alla  mass,  circonf.  0,19  e  all'imboccatura  0,14  ; 


'-  Uìì^*mmmF%&^^ 


Fig.  24. 


5)  tazzina-infundibolo,  d'impasto  cinereo  scuro  e  a  superficie  levigata,  con  ansa 
sopraelevata  biforata  ;  alt.  0,05;  diam-  0,09  ; 


MARINO 


—   478  — 


REGIONE   I. 


6)  anforetta  tipica,  dal  corpo  rigonfio  o  globoso,  sènza  ventre,  d'impasto  leggiero 
marrone  scuro  e  a  superficie  lucida,  con  brevissimo  collo  rientrante  e  stretta  imbocca- 
tura, brevi  anse  a  largo  nastro  ;  adorna,  sul  corpo  e  sulle  anse,  di  motivi  lineari  incisi, 


Fio.  25. 


fra  cui  spicca   quello  della  doppia  spirale,  ripetuto   in   opposizione  sui  due  lati; 
alt.  0,125;  diam.  alla  mass,  circonf.  0,124  (fig.  26)  ; 


Pig.  26. 


7)  tazza  biansata,  d'impasto  cinereo  scuro  e  a  superficie  levigata,  con  ventre 
tronco-conico  depresso,  orlo  leggermente  svasante  ;  adorna,  sulla  risega,  di  impressioni  a 
cordicella  e  di  due  bugnette  opposte  ;  con  brevi  anse  verticali  terminate  sull'orlo  con 
protuberanza  cilindrica;  alt.  0,06;  diam.  0,115. 

Nei  pressi  della  testa  del  supposto  cadavere,  si  raccolsero  : 

a)  scarabeo  di  steatite  con  smalto  verde  pallido,  lungo  0,015,  largo  0,01  e  alto 
0,006.  Il  corpo  è  alquanto  rigonfio,  la  testa  distinta  e  sul  dorso  sono  ben  segnati  il  pro- 
torace e  le  eliitre.  Sulla  base  è,  con  segni  profondi,  inciso  il  prenome  del  Faraone  Ame- 
nhopte  III,  con  l'aggiunta  del  segno  neb,  e  cioè  «  nebmare  »  (fig.  27)  ; 


REGIONE   f.  —   479  —  MARINO 


b)  altro  .scarabeo,  come  il  preced.  ma  col  corpo  un  poco  più  rigonfio,  lungo  0,017, 
largo  0,011  e  alto  0,007.  Sulla  base  porta  incisi  prof  ondamente  alcuni  segni  interpreta- 
bili con  sicurezza,  uno  incerto:  nel  mezzo  è  il  segno  was  con  ai  lati,  ripetuto,  il  segno 
anh;  sotto,  il  segno  incerto  che  può  essere  tanto  hotep  quanto  nofer,  e  poi  il  segno  neb.  Il 
tutto  significa  :  «  ogni  prosperità,  vita  (ovvero  :  bene),  tranquillkà  »  (')  (fig.  28)  ; 

e)  avanzi  di  due  fibulelte  enee  ad  arco  filiforme  ; 

d)  avanzi  di  sottile  lamina  di  bronzo  con  orlo  ripiegato; 

e)  occhiello  di  filo  eneo,  forse  per  cintura. 

Più  sotto,  in  corrispondenza  dell'addome  e  delle  gambe  : 

f)  fibidetla  di  bronzo  ad  arco  ingrossato  e  adorno  di  linee  incise  ,  con  lunga 
staffa  a  canaletto  terminata  con  globetto  ;  rotta  nello  spillo  ;  lunga  0,062  ; 

g)  bella  e  singolarissima  fibula  di  bronzo,  pesante,  costituita  da  una  grossa  sbar- 
retta piegata  ad  arco,  spessa  mm.  5,  in  una  estremità  della  quale  è  inserita  la  molla  ; 


$®p 


Fig.  27.  Fig.  28. 

mentre  l'altro  estremo  termina  a  gancio,  funzionante  da  staffa  allo  spillo,  che  manca. 
La  sbarretta  è  da  un  lato  adorna  di  una  serie  continua  di  sette  globelti,  i  quali  sono  inse- 
riti nello  spessore  della  sbarretta  con  foro  apposito,  come  è  provato  dal  loro  peduccio 
ribattuto  e  appariscente  nel  lato  opposto.  Due  coppie  di  globetti  più  piccoli  completano 
e  chiudono  ai  due  estremi  la  serie  anzidetta  e  il  semicerchio  stesso  ;  questi  globetti 
sono  inseriti  in  fascette  transverse  e  stringenti  la  sbarretta  arcuata  (a  sinistra  rotte, 
con  la  mancanza  conseguente  di  due  globetti).  Infine,  altri  due  globetti,  della  grandezza 
ridotta  degli  ultimi  ricordati,  sono  sovrapposti  sul  gancio.  Il  diametro  dell'arco  misura 
0,05  ;  l'altezza  è  di  0,043  (fig.  48)  ; 

h)  bulla  semicircolare  formata  con  sottile  lamina  discoidale  di  bronzo  ripiegata 
su  se  stessa  e  ribattuta  al  margine  ;  in  pezzi  ; 

i)  fibula  enea,  con  l'arco  espanso  a  losanga,  adorno  sul  dorso  di  punti  circoscritti 
e  di  leggiere  linee  graffite  ;  rotta  nello  spillo  e  nella  staffa,  porta  un  anello  di  bronzo  pen- 
dente all'assottigliamento  dell'arco  ; 

l)  fibula  di  bronzo,  a  sanguisuga,  col  dorso  adorno  di  linee  profondamente  incise 
e  variamente  disposte  ;  rotta  nello  spillo  e  nella  staffa  ; 

m)  metà  di  un  grazioso  pendaglio  eneo  a  forma  di  «  àncora  »,  ma  più  complesso 
di  quello  descr.  alla  t.  26,  al  quale  si  assomiglia.  I  due  bracci  dell'ancora  erano  ingros- 

(l)  Debbo  alla  cortesia  del  collega  Giulio  Farina  la  lettura  dei  segni.  Lo  stesso  giudica  i  due  sca- 
rabei d'imitazione  e  di  provenienza  siriaca.  Il  motto  inciso  nel  secondo  ha  un  riscontro  nello  scarabeo 
del  Cairo  :  Calai,  géner.  Nevrbeiry-Scarabs,  n.  36717. 


MARINO  —   480  —  REGIONE   1. 

sati  a  sanguisuga  ;  la  chiusura,  o  completamento,  del  giro  ottenuta  c.on  bastoncelli 
serpeggianti,  di  cui  il  superstite  ha  l'apparenza  di  ocherella.  Il  capo  dell'ancora 
è  munito  trasversalmente  di  un  breve  cilindro!  co  forato  e  costolato,  dentro  cui  passava 
il  filo  per  la  sospensione.  Alt.  0,036  ;  largh.  probabile  0,045  (fig.  46}  ; 

n)  resti  di  due  fibule  enee  con  l'arco  costituito  da  dischi  forati  iVambra  scura  ; 

o)  fibula  di  bronzo,  a  navicella  vuota,  col  dorso  adorno  di  tre  serie  longitudinali 
di  punti  due  volte  circoscritti  e  di  linee  incise.  Sul  corpo  esistono  due  forature,  una  delle 
quali  regolarissima,  certamente  eseguita  a  bella  posta.  È  rotta  nello  spillo  e  nellalunga 
staffa  a  canale;  portava  appeso  l'oggetto  seguente: 

p)  grossa  armilla  di  bronzo,  formata  da  un  cilindretto  pieno  con  gli  estremi  so- 
vrapposti, tutto  striato  in  lungo  come  se  fosse  composto  di  tanti  cordoncini  insieme  col-. 


Fio.  29. 

legati  a  fascio,  meno  che  nelle  porzioni  estreme,  dove  termina  con  una  specie  di  bottone. 
Diam.  0,093  ;  spessore  del  cilindretto,  mm.  9  circa;  porta  infilato  un  anellino  (fig.  29): 

q)  fibula  di  bronzo,  a  navicella  vuota,  col  dorso  adorno  di  punti  circoscritti  ; 
con  due  cornetti  terminali,  e  opposti,  sulla  linea  di  massima  larghezza  ;  rotta  nello 
spillo  e  nella  staffa. 

Sul  lato  di  sinistra,  giacevano  : 

r)  fibulella  enea,  ad  arco  pieno  e  ingrossato,  con  incisioni  profonde  sul  dorso  for- 
manti costolature  transverse  ;  rotta  nello  spillo  e  nella  staffa.  ; 

s)  fìbuletta  enea,  in  tutto  affine  alla  preced.,  ma  più  piccola  ; 

t)  resti  di  una  spiraleita,  composta  di  sottile  filo  di  bronzo  ; 

u)  fusaiola  di  terracotta,  rigonfia  e  sfaccettata,  e  con  largo  foro  ;  diam.  0,03. 
Ai  piedi  poi  del  morto,  in  uno  spazio  circolare  più  incavato,  si  rinvennero  : 

8)  elegante  tazza  su  breve  piede  imbutiforme,  d'impasto  cinereo  scuro  non  grezzo 
e  con  superficie  levigata.  È  molto  fonda,  o  capace,  e  adorna,  sulla  linea  di  unione  del 
ventre  con  l'orlo  diritto,  di  quattro  ansette,  del  noto  tipo  «  a  ponticello  e  punte  terminali  », 
egualmente  distanziate  e  fra  le  quali  sporgono,  alternate  con  esse,  quattro  terne  di 
cornetti  o  bugnette,  che  formano,  della  risega,  una  linea  circolare  dentellata  o  crestata. 
Alt.  0,115  ;  diam.  orale  0,145  (fig.  30)  ; 

9)  anforetta,  dello  stesso  impasto,  a  corpo  depresso  e  con  spalla  adorna  di  costo- 
lature verticali,  due  bugnette  opposte  con  cerchietti  impressi  e  impressioni  semicir- 
colari sovrastanti  ;  con  anse  a  nastro  imitanti  le  tòrtili,  collo  cilindrico  e  orlo  svasato  ; 
alt.  0,135  :  diam.  orale  0,09  ; 

10)  tazzina-attingitoio,  dello  stesso  impasto  ;  in  pezzi  non  ricongiungibili. 


Regione  i. 


481 


MARINO 


Presso  il  margine  del  lato  lungo  di  sinistra  : 
11)  tazzina  su  piede  (rotto  e  mancante),  di  leggerissimo  impasto  cinereo  scuro 
e  a  superficie  levigata,  ripetente  in  parte  il  tipo  della  bella  tazza  n.  8  :  cioè  con  la  risega 
adorna  di  due  terne  di  cornetti  o  bugnette,  opposte,  ma  senza  le  ansette  ;  diam.0,10. 

* 

Riservo  per  ultima  la  tomba  seguente  che  sarebbe  certo  stata  la  più  interessante, 
perchè  ricca  di  oggetti  di  abbigliamento  ;  ma  essa,  come  non  è  raro  che  avvenga  nella 
storia  dei  ritrovamenti  archeologici,  fu  sfortunatamente  incontrata  dal  contadino 
quando  eseguì  lo  scassato  per  il  quinto  «  formone  »,  e  così  scomposta. 


Fig.  30. 


Tomba  30.  —  È  situata  presso  il  margine  occidentale  del  campo  lavorato. 
In  vista  appunto  dello  straordinario  numero  di  oggetti  enei,  che  il  contadino  aveva 
raccolti,  senza  neppure  una  ceramica,  ho  voluto  esplorare  quel  punto,  che  per  fortuna 
il  contadino  ricordava  con  precisione  ;  almeno  con  la  speranza  di  rintracciare  una 
delle  «  testate  »  della  tomba  e  trovare  i  vasi  del  corredo.  Né  la  speranza  fu  delusa. 

Scavando  nello  spazio  di  un  metro  quadrato,  di  fianco  al  «  formone  »,  alla  profon- 
dità di  m.  1,10  fu  messa  in  luce  appunto  una  delle  testate,  arcuata,  vòlta  a  mezzogiorno, 
probabilmente  la  superiore.  Apparve  anche,  per  la  lunghezza  di  circa  un  metro,  il  letto 
funebre  col  piano  inclinato  verso  nord,  incavato  nel  masso  duro  e  appianato  con  rego- 
lare scalpellatura,  largo  0,80.  Si  potè  così  notare  che  il  maggiore  asse  della  tomba,  obli- 
quo alla  linea  del  formone,  correva  in  direzione  SE-NO. 

Sotto  due  grossi  sfaldoni  di  cappellaccio,  non  rimossi  prima  dal  contadino,  proprio 
sul  margine  dello  scassato,  potei  ancora  raccogliere  i  seguenti  oggetti  : 

a)  catenella  di  bronzo,  composta  di  anellini  accoppiati  ; 

b)  diciotto  bottoni  enei,  ornamentali,  a  calotta,  muniti  nel  concavo  di  occhiello 
di  presa  ;  diam.  0,021  (fig.  47)  ; 

e)  grosso  grano  quadrangolare  di  ambra  scura,  forato  al  centro,  alquanto  ri- 
gonfio e  sfaccettato  sui  due  lati  ;  misurante  0,04  X  0,038  ; 

d)  altri  tre  grani  di  ambra,  simili  al  preced.  ma  più  piccoli  ; 
Notizie  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  61 


MARINO  —  482   —  REGIONE   t. 

e)  piccola  plaechetta  quadrata  di  ambra  scura,  con  foro  al  centro,  sfaccettata 
in  un  solo  lato. 

Allargando  poi  l'esplorazione  sul  margine  della  testata,  presso  l'angolo  occidentale, 
deposti  sopra  il  margine  stesso,  e  quindi  non  nel  piano  del  letto,  si  rinvennero  i  due  vasi 
seguenti,  protetti  da  blocchi  di  pietra  : 

1)  piatto-ciotola  su  piede  campanulato-imbutiforme,  d'impasto  marrone  pesante, 
con  le  note  anse  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »,  impostate  obliquamente  verso  l'alto 
sull'orlo,  che  è  piuttosto  basso  e  solcato  circolarmente  all'esterno  ;  alt.  0,13  ;  diam.  0,285  ; 

2)  olla  ovoidale  biansata,  d'impasto  rossiccio  scuro,  con  orlo  rovesciato  all'in- 
fuori,  e  con  le  due  opposte  anse  a  ciambella  impostate  orizzontalmente  alla  metà  del 
corpo  (una  delle  quali  rotta  fin  dall'antico)  ;  alt.  0,195,  diam.  orale  est.  0,14,  e  alla  mass, 
circonf.  0,18  ;  trovata  in  pezzi. 

Null'altro  fu  possibile  recuperare  ;  né  conveniva  ricercare  l'altra  testata, 
poiché  era  facile  calcolare  ch'essa  trovavasi  in  pieno  scassato,  non  potendo  la  tomba 
sorpassare  di  molto  la  lunghezza  di  due  metri. 

Gli  oggetti  prima  raccolti  dal  contadino,  e  con  sicurezza  appartenenti  a  questa 
tomba,  sono  : 

a)  quattro  fibule  di  bronzo,  a  sanguisuga,  col  dorso  ornato  di  profonde  incisioni 
da  sembrare  costolature  ;  di  varia  grandezza;  una  delle  quali  completa  con  staffa  a 
canale,  lunga  0,066  ; 

b)  quattro  fibuletle  di  bronzo,  col  corpo  espanso  a  losanga  :  rotte  negli  spilli  ; 
e)  una  fibuletta  di  bronzo  con  arco  filiforme  ; 

d)  altra  fibula  di  bronzo  con  arco  filiforme,  rivestito  di  dischi  d'ambra  forati, 
dei  quali  restano  avanzi  ; 

e)  fibula  di  bronzo,  col  corpo  espanso  a  losanga  e  il  dorso  adorno  di  linee  graffite 
e  punti  circoscritti  incisi  ;  rotta  nello  spillo  e  nella  staffa  allungata  ; 

f)  fibula  di  bronzo,  a  navicella  vuota,  col  dorso  adorno  di  linee  incise,  un  reti- 
colato centrale  e  tre  serie  longitudinali  di  punti  circoscritti  due  volte  ;  rotta  nello  spillo 
e  nella  staffa  ; 

g)  fibula  di  bronzo,  a  sanguisuga  vuota,  col  dorso  adorno  di  profonde  solcature  e 
di  incisioni  più  leggiere  simmetricamente  disposte  ;  rotta  nello  spillo  e  nella  staffa  ; 

h)  due  catenelle  enee,  composte  di  coppie  di  anellini,  da  cui  per  lo  più  ne  pendono 
altri  ;  lunghe  rispettivamente 0,40  e  0,38  (a  una  di  esse  apparteneva  il  frammento  da  me 
raccolto  e  più  sopra  descritto)  ; 

i)  due  asticelle  enee,  formate  con  filo  addoppiato  e  piegate  ad  occhiello,  in  cui 
è  inserito  un  anello  per  la  sospensione  ;  esse  dovevano  certo  infilarsi  o  inserirsi  in  un  pen- 
daglio di  altra  materia  deperibile  ;  alte  0,037  ; 

l)  altra  asticella  enea,  affine  alle  precedenti,  ma  più  piccola  ; 

m)  pendente  di  bronzo  (forse  orecchino),  composto  di  asticella  e  di  globetto  ter- 
minale ; 

w)  pendaglio  eneo,  a  forma  di  «  bidente  »  risultante  da  due  simulacri  di  asce  a 
tallone  accoppiate  ;  alto  0,044  ;  largo  alla  base  dei  tagli  0,025  (fig.  31)  ; 


REGIONE   I. 


483 


MARINO 


o)  cinque  pendenti  tubolari,  fusiformi,  costituiti  da  un  pezzo  di  lamina  di  bronzo 
ripiegata  ;  uno  di  essi,  il  centrale  e  più  grosso,  è  anche  ripiegato  superiormente  a  tubetto 


Fio.  31. 


Fio.  32. 


per  il  passaggio  del  filo  di  sospensione,  ed  è  alto  0,133.  Gli  altri  oscillano,  per  (l'altezza, 
tra  0,09  e  0,102  (fig.  32)  ; 


Fio.  33. 


p)  bulla  semicircolare  di  ferro,  ottenuta  con  lamina  discoidale  ripiegata  su  se 
stessa  e  ribattuta  al  margine  ;  con  due  anelli  di  ferro  infilati  presso  gli  estremi  del 
diametro,  che  è  di  0,072  (fig.  33)  ; 

q)  due  cerchi  di  bromo,  a  sezione  lievemente  romboidale,  su  tutte  e  due  le  facce 
ornati  di  zigzag  inciso;  diam.  esterno  0,155  e  con  il  nastro  largo  0,02. Essi  certo  erano 
uniti  a  fibule  ; 


MARINO 


484  — 


REGIONE   I. 


r)  braccialetto  di  bronzo,  aperto,  costituite  da  spesso  nastro  a  sezione  convessa, 
tutto  striato  all'esterno  in  giro,  dentellato  nelle  estremità  che  si  toccano  chiudendo 
il  giro  ;  diam.  0,065  ;  largh.  del  nastro  0,011  (fig.  34)  ; 

s)  altri  due  braccialetti  di  bronzo  ;  costituiti,  l'uno  da  cilindretto  pieno,  l'altro 
da  spesso  nastro  ;  aperti  e  con  le  estremità  sovrapposte  ;  rispettivamente  del  diam. 
di  0,054  e  di  0,060  ; 


Fio.  34. 


Fio.  35. 


t)  due  braccialetti  da  polso,  composti  di  piccolo  nastro  convesso  di  bronzo  girato 
più  volte  a  spire,  e  ai  capi  ripiegato  ad  occhiello,  in  cui  è  inserito  un  pendentino  di  filo 
eneo  arricciato  nelle  due  terminazioni  ;  diametro  mass.  0,047  circa  (fig.  35)  ; 

w)  cinque  dischi  forati  di  ambra  scura,   per  fibula  ; 

v)  dieci  dischi,  più  grandi,  di  ambra  scura,  con  foro  centrale  e  una  serie  diforel- 
lini  all'ingiro,  per  fibula; 


Fio.  36. 


z)  due  grani  quadrangolari  di  ambra,  rigonfi  e  sfaccettati,  con  foro  centrale  ; 
per  collana  ; 

a)  una  fusaiola  di  terracotta,  rigonfia  e  sfaccettata; 

/?)  grani  e  granellini  di  collana  (cerchietti  di  pasta  vitrea  bianca  e  azzurra  ; 
uno  globulare  di  osso,  uno  allungato  fusiforme  di  ambra,  ecc.). 

Ma  il  ritrovamento  più  notevole,  e  sommamente  lamentabile  per  le  condizioni 
fortuite  in  cui  avvenne,  è  quello  di 

y)  due  «cinture»  di  sottile  lamina  enea,  rotte  e  frammentarie.  L'una,  la  più 
ampia,  di  forma  elissoidalt».  era  alta  al  massimo  0,076,  e  lunga  forse  non  più  di  0,35, 
con  le  estremità  accartocciate.  È  ornata,  sul  lato  frontale,  a  sbalzo  ;  nella  parte  centrale 
con  tre  dischetti  circoscritti  per  tre  volte,  allineati  orizzontalmente,  divisi  e  limitati 
da  linee  di  punti;  sui  lati, con  dodici  linee  verticali  di  punti,  intercalate  con  altre  linee 
di  puntini  meno  rilevati  (fig.  36). 


REGIONE   I.  —   485  —  MARINO 


L'altra,  di  forma  pure  elissoidale,  ma  di  minori  proporzioni,  vera  e  propria  fa- 
scelta,  ha  un  ornamento  analogo,  disposto  diversamente  :  quattro  dischetti  circo- 
scritti nello  spazio  centrale,  e,  negli  spazi  laterali,  punti  sbalzati  disposti  in  serie  longi- 
tudinali, cioè  orizzontalmente, 

In  verità  è  da  dolersi  che  queste  due  cinture  sieno  state  malconce,  essendo  esse 
le  uniche  finora  ritrovate  nelle  necropoli  albane. 

Non  è  infine  improbabile  che  a  questa  tomba  appartenesse  qualche  altro  vaso, 
raccolto  già  dal  contadino,  e  da  costui  non  ricordato. 


* 
*  * 


Oggetti  provenienti  da  tombe  diverse,  non  identificabili.  —  Oltre  gli  oggetti 
descritti  alla  tomba  30,  il  contadino,  nel  corso  dei  suoi  lavori  per  gli  scassati,  raccolse 
quanto  di  ceramiche  e  di  oggetti  metallici  veniva  casualmente  incontrando.  Natu- 
ralmente, tranne  che  per  pochissimi  casi,  in  quanto  alle  ceramiche,  trattasi  di  pezzi  ; 
con  i  quali  è  stato  anche  possibile  di  ricomporre  più  di  un  vaso,  al  completo  o  con 
qualche  mancanza.  Descriverò  qui  i  più  notevoli  : 


Fig.  37. 


1)  Bellissimo  piatto  a  fondo  concavo  su  alto  piede  campanulato  e  imbutiforme, 
d'impasto  rossiccio  pesante  ;  ornato,  nel  concavo,  di  solchi  concentrici  disposti  in  due 
zone  circolari,  l'una  all'orlo,  l'altra  attorno  al  centro  umbilicato.  L'orlo  è  munito  di 
due  opposte  anse  orizzontali,  ma  impostate  in  modo  da  seguire  la  linea  obliqua  del 
piatto  ;  esse  sono  a  ciambella  e  con  sporgenze  laterali  ;  lo  stesso  orlo  ha  inoltre  spor- 
genti due  «prese»  a  linguetta,  opposte  e  impostate  a  eguale  distanza  dalle  anse. 
Alt.  0,13  ;  diam.  0,325  (fig.  37). 

2)  Un  altro  piatto  d'impasto  rossiccio  su  piede  (certo  campanulato,  ma  rotto 
a  metà  fin  dall'antico,  e  intenzionalmente,  come  può  dedursi  dalla  frattura  regolare)  ; 
con  fondo  poco  concavo  nella  sola  parte  centrale,  orlo  appiattito  e  solcato  sei  volte 
circolarmente  e  munito  di  una  coppia  di  forellini  ;  diam.  0,302.  Data  la  rottura  in- 
tenzionale del  piede,  è  probabile  che  questo  piatto  fosse  stato  usato  come  coperchio. 


MARINO  —   486  —  REGIONE   I. 


$)  Grande  piatto-ciotola  su  piede  imbutiforme,  d'impasto  rossiccio  scuro  e  greve, 
con  due  robuste  anse  «  a  ponticello  e  punte  terminali»,  impostate  obliquamente 
verso  l'alto  sull'orlo,  che  è  diritto  e  all'esterno  solcato  circolarmente  ;  alt.  0,13  ; 
diam.  0,32  (fig.  38). 

4-5)  Due  piatti-ciotole,  dello  stesso  tipo  che  il  preced.,  dello  stesso  impasto, 
ma  di  proporzioni  minori  ;  rotti  in  qualche  parte  ;  con  diam.  di  0,24. 

6)  Tazza  su  brevissimo  piede,  d'impasto  scuro,  con  alto  orlo  inclinato  all'in- 
fuori  ed  esternamente  solcato  in  giro  e  munito  di  una  coppia  di  forellini;  alt.  0,07; 
diam.  0,134. 

7)  Frammento  di  altra  tazza  consimile. 


Fig.  38. 

8)  Olla  sferoidale,  d'impasto  rossiccio  pesante,  con  orlo  rovescio  all'infuori, 
alta  0,185,  diam.  alla  mass,  circonf.  0,186.' 

9)  Tazzina-infundibolo,  d'impasto  scuro,  con  ansa  sopraelevata  biforata; 
rotta  e  mancante. 

10)  Altra,  come  la  precedente. 

11)  Altra  tazzina,  come  le  precedenti,  ma  integra,  con  alto  orlo  alquanto  rien- 
trante ;  alt.  0,045  ;  diam.  orale  0,06. 

12)  Ciotoletta  d'impasto  scuro,  carenata,  cioè  con  ventre  depresso  tronco-co- 
nico incontrantesi  ad  angolo  vivo  con  il  breve  orlo,  che  è  adorno  di  impressioni  a  cor- 
dicella, disposte  a  triangolo.  È  in  parte  rotta  e  priva  dell'ansa,  che  doveva  essere 
un  poco  sopraelevata  e  a  nastro  ;  ha  il  fondo  umbilicato  ;  diam.  0,13. 

13)  Altra  ciotoletta  d'impasto  scuro,  con  profilo  tondeggiante,  corpo  depresso, 
brevissimo  orlo  ;  munita  di  una  piccola  ansa  ad  orecchietta  orizzontale,  la  quale,  più 
che  ansa  è  un  vero  e  proprio  mezzo  per  appendere  il  vaso  ;  diam.  0,115. 

14)  Altra  ciotoletta  su  piccolo  piede  campanulato,  di  rozzo  impasco  scuro,  mu- 
nita di  due  ansette  a  ciambella  orizzontali,  impostate  sulla  risega  e,  come  questa, 
striate  Cuna  è  rotta  e  mancante)  ;  diametro  0,12. 

15)  Altra  ciotoletta  di  grezzo  impasto  scuro  e  con  superficie  levigata,  a  profilo 
tondeggiante  ;  alt.  0,065  ;  diam.  mass.  0,11  e  orale  0,085, 


REGIONE   I. 


—   487 


MARINO 


16)  Tazzina  biansata,  d'impasto  scuro  e  con  superficie  cinerea  levigata,  con 
ventre  tronco-conico,  orlo  diritto  e  labbro  svasante,  munita  di  due  ansette  verticali, 
decorate  ciascuna  con  tre  piccoli  aculei;  con  la  risega  striata  obliquamente  e  con  due 
bugnette  opposte  ;  alt.  0,06,  diam.  orale  0,09. 

17)  Minuscola  anforctta  d'impasto  scuro  e  con  superficie  lucida,  dal  corpo  ri- 
gonfio e  ornato  di  otto  cordoni  verticali  e  quattro  dischetti  umbilicati,  impressi  tra 
cordone  e  cordone  ;  con  brevissimo  collo  rientrante,  piccole  anse  a  nastro  costolate 
e  terminate  sull'orlo  con  protuberanza  a  cornetto  ;  alt.  0,065  (fig.  39). 


Fia.  39. 


18)  Elegante  skyphos  di  bucchero  leggiero,  con  ansette  anelliformi,  molto  spor- 
genti ;  adorno,  sul  corpo,  di  impressioni  a  ventaglietto  e  di  leggiere  linee  graffite  in 
giro;  alt.  0,06;  diam.  0,098. 

19)  Frammento  di  piccolo  stamnos,  di  argilla  figulina  gialliccia,  decorato  al- 
l'esterno con  fasce  circolari  in  color  rosso  ;  probabile  diam.  0,155. 

20)  Frammenti  di  vasi  d'impasto  grezzo  ;  di  altri  d'impasto  meno  impuro, 
fra  cui  qualche  ansetta  biforata  di  tazzine-infundiboli,  una  porzione  di  tazza  lavo- 
rata al  tornio  d'impasto  gialliccio,  pochissimo  cotto,  ecc. 

21)  Olletta  cilindrica  a  profilo  un  poco  ovoidale,  di  rozzissimo  impasto,  quasi 
non  cotto  e  molto  pesante  ;  con  orlo  appena  svasante  ;  alt.  0,134;  diam.  orale  0,08. 
Sia  dall'aspetto  e  dal  colore  cinereo,  sia  dalla  pesantezza,  si  rivela  fatturata  con  im- 
pasto di  terra  e  di  detriti  vulcanici  ^è  il  pezzo  più  rozzo  fra  tutti  i  raccolti. 

A  questi  fittili  si  aggiungano  anche  : 

22)  Avanzi  di  due  bacinelle  di  rame,  o  lebeti.  Ne  rimangono  pochi  frammenti  ; 
esse  poggiavano  ciascuna  su  tre  piedi  a  spesso  nastro,  fissati  con  chiodetti.  Di  tali  piedi, 
furono  raccolti  quattro  integri,  da  cui  è  possibile  congetturare  la  proporzione  dei 
vasi  ; 

23)  resti  di  un  altro  vaso  di  rame,  a  lamina  sottile  e  baccellata,  con  l'orlo  ri- 
piegato all'interno;  diam.  0,08. 


M.VRIN:) 


—  488 


REGIONE  I. 


Inoltre,  furori  raccolti  i  seguenti  oggetti  : 

a)  grande  cuspide  di  lancia  in  ferro,  con  gorbia  conica  e  margini  un  poco  in- 
cavati ;  spuntata  ;  la  parte  superstite  è  lunga  0,29  ; 

b)  altra  punta  di  lancia  in  ferro,  con  foglia  stretta  e  lunga  ;  assai  guasta  ; 

e)  frammenti  di  piccola  borchia  umbilicata,  o  dischetto  a  sezione  concavo- 
convessa,  di  ferro  ; 

d)  due  spirali,  formate  da  verghetta  di  bromo  avvolta  in  parecchi  giri  ;  con 
diam.  mass,  di  0,025  ;  facenti  probabilmente  funzione  di  helikes  crinali  ; 

e)  due  piccole  armille  dì  bronzo,  costituite  da  un  cilindretto  pieno,  aperto  e 
sovrapposto  ai  capi  ;  l'uno  con  diam.  0,055  ;  l'altro  0,046  ; 

f)  corpo  di  una  fibula  enea,  a  losanga,  con  graffiti  e  cerchietti  impressi  sul  dorso  ; 

g)  parte  di  una  fibula  enea  ad  arco  serpeggiante  e  con  due  bastoncelli,  a  metà 
del  giro,  terminati  in  globetti  (fig.  40)  ; 


Fig.  40. 


Fio.  41. 


h)  conservatissima  fibula  enea  ad  arco  ingrossato  e  lievemente  solcato  da  graf- 
fiti, con  corta  staffa  semicircolare,  o  per  meglio  dire,  a  dischetto  ripiegato,  adorna,  sul- 
l'orlo, di  una  serie  di  puntini  sbalzati.  È  lunga  0,062;  alta  al  massimo  0,035  ('fig.  41). 
Infine,  come  oggetti  sporadici,  raccolti  alla  superficie,  durante  lo  scavo  regolare, 
fra  la  terra  cavata,  ricordo  due  guaine  cilindriche  di  bronzo,  leggermente  espanse  al- 
l'infuori  nell'orlo  superiore.  L'una,  alta  0,04  e  con  diametro  di  0,025,  è  riempita  nel 
cavo  da  ammasso  ferroso  ;  l'altra,  alta  0,039  e  con  diametro  di  0,024,  è  ancora  all'in- 
terno occupata  da  fibre  lignee.  Possono  giudicarsi  parti  di  impugnature  di  armi  (forse, 
spade). 

Osservazioni  sintetiche  e  conclusive, 


Su  la  struttura  delle  tombe  credo  che  sia  stato  detto  abbastanza  nella  prima  parte. 
Qui  non  sia  superfluo  ripetere  che  le  tombe  risultano  distribuite  senza  un  criterio  di 
regolarità,  raggruppate,  come  sono,  variamente,  ora  più  e  ora  meno  distanziate  fra  loro, 
e  senza  uniformità  di  orientazione:  tutto  ciò  da  attribuirsi  alla  natura  del  terreno  in 
cui  vennero  costituite.  Ma,  al  contrario,  si  ricordi  che  la  loro  forma  ci  presenta  co- 
stantemente il  tipo  rettangolare  allungato,  con  angoli  arrotondati  o  testate  arcuate  : 
la  larghezza  è  poca  ;  nella  maggioranza  dei  casi  fu  provato  che  il  morto  era  stato  col- 
locato con  la  testa  leggermente  più  in  alto  dei  piedi.  E,  salvo  i  due  soli  casi  con 


REGIONE   1.  —   489  —  MARINO 

allargamento  laterale,  abbiamo  tutte  fosse  semplici:  in  un  tipo  sostanzialmente 
assai  diffuso  in  tante  coeve  necropoli  italiane.  L'uso  di  casse  lignee  pare  che  debba 
escludersi,  che  nessun  indizio  fu  notato  :  non  tracce  di  chiodi,  non  di  terriccio  nera- 
stro-carbonioso  nel  fondo.  E  in  quanto  all'uso  di  imporre  un  cumulo  di  pietre,  più  o 
meno  considerevole,  sulle  fosse,  abbiamo  già  fatto  notare  il  riscontro  con  le  più  vicine 
necropoli  romane  ;  ma  anche  per  questa  particolarità  i  riscontri  possono  aumentarsi  ('). 

Interessante  è  la  presenza  dei  due  seppellimenti  sovrapposti  nella  profonda  fossa 
27-28,  che  ho  voluto  appunto  numerare  in  doppio.  Tombe  «  bisome  »  non  mancano 
nelle  necropoli  preistoriche  italiane,  e  dell'Italia  media  per  giunta,  ma  in  queste  i  ca- 
daveri sono  affiancati  o  deposti  allo  stesso  livello. 

Che  io  sappia,  mancano  finora  esempi  da  paragonare  al  nostro,  così  com'  è.  Al- 
l'infuori  dei  casi  riscontrati  nella  necropoli  di  Hallstatt,  e  per  cui  si  è  pensato  all'uso 
dell'immolazione  (2\  i  quali  non  ci  riguardano  direttamente,  non  trovo  da  citare  se 
non  il  solo  ritrovamento  fatto  dall'Orsi  nella  necropoli  sicula  del  Fusco  {Not.  scavi,  1897, 
pag.   475,    sep.   DXXII)   (»). 


(')  Ad  es.,  per  molte  particolarità  di  forma  ricordiamo  parecchie  tombe  di  Caraeupa  (Not.  se. 
1903,  pag.  291  seg.  ;  ibid .  1904,  p.  414).  L'uso  di  imporre  materiali,  a  riempimento  e  copertura  della  fossa, 
fino  a  formare  veri  cumuli,  è  molto  diffuso,  e  per  esso  si  fecero  varie  supposizioni  che  è  inutile  ripe- 
tere, non  potendosi  attribuire  alcun  significato  a  questa  imposizione,  che  è  semplicissima  e  naturai 
cosa.  Ved.  esempi  in  Not.  scavi  1897,  pag.  466  (Sulmona)  ;  Not.  se.  1899,  p.  68  ;  Not.  se.  1902,  p.  231 
(Atri)  ecc.  Anche  nella  necropoli  del  periodo  più  antico  greco  di  Clima  :  fosse  rettangolari  sotto  grandi 
cumuli  di  pietre,  in  Gabriel,  Cuma,  col.  255,  fig.  93  (Mont.  ant.  XXII).  E  potremmo  dilungarci,  pas- 
sando anche  lo  Stretto  per  indicare  esempì  di  analogie  formali  nelle  necropoli  sicule,  come  quelle  del 
Fusco  (Not.  se.  1897,  pag.  474  seg.);  ma  sarebbe  superfluo. 

Ricorderò  soltanto  le  fosse  con  riempimento  di  ciottoli  fluviali  della  Marsiliana  (Banditella)  : 
Minto,  Mars.  d'Albegna,  Firenze  1921,  pag.  29  seg.  Anche,  perchè  il  Minto  ha  ricontrato  l'assoluta 
mancanza  di  casse  lignee  (op.  cit.,  pag.  182). 

Nel  nostro  sepolcreto  un  dubbio  può  sorgere  (benché  ogni  attenzione  io  abbia  rivolto  per  rac- 
cogliere indizi)  di  fronte  al  caso  della  1. 13  ;  in  cui  i  sei  vasi  erano  deposti  allineati  con  l'asse  maggiore 
della  fossa,  e  nel  mezzo,  per  uno  spazio  di  ni.  0,70  su  un  totale  di  2,00  di  lunghezza  del  fondo.  Escluso 
che  si  trattasse  di  infante  (i  grossi  molari  con  i  segni  di  «  vita  vissuta  »  parlano  chiaro  !)  e  non  pò» 
tendosi  forse  ammettere  che  quei  vasi  fossero  stati  collocati  sopra,  direttamente,  o  fra  le  gambe  diva- 
ricate del  morto  ;  non  potendosi  imaginare  il  cadavere  messo  di  lato,  che  la  tomba  è  pochissimo  larga, 
non  resta  se  non  pensare  l'esistenza  di  una  cassaligneaosimil  cosa.  Ma  fui  certo  che  nel  piano  di  fondo 
residui  lignei  non  esistevano  ;  potrebbe  invece  darsi  che  sul  cadavere  fosse  stata  collocata  una  sem- 
plice tavola  di  legno,  atta  a  sorreggere  i  vasi.  A  ciò  mi  spinge  il  ritrovamento,  fatto  dal  Taramelli  nella 
necropoli  pùnica  (e  ciò  non  guastai)  di  S.  Avendrace  a  Predio  Ibba  (Mon.  ant.  1912,  XXI,  col.  80),  di 
barelle  o  «  cassoni  senza  fondo  »  ricoprenti  il  morto,  che  poggiava  le  spalle  sul  letto  roccioso,  ripulito  e 
acconciato  come  i  nostri  di  peperino;  sulla  tavola  orizzontale  eran  collocatele  stoviglie,  e,  grazie  al 
luogo,  il  legno  si  era  .abbastanza  conservato. 

(2)  Cfr.  Déchelette,  Man.,  II,  2,  pag.  603-604,  con  bibliografia. 

(3)  Anche  a  Locri  Epizeph.  (necrop.  Lucifero),  Not.  se.  1911,  Suppl.  pag.  7,  fig.  3,  l'Orsi  trovò 
un  bel  caso  di  sepolture  sovrapposte  :  tre  cadaveri,  separati  e  protetti  con  cura  da  tegole.  Ma  lo  ricordo 
per  incidenza  e  «  per  lusso  »,  che  per  ovvie  ragioni  non  possiamo  paragonarle  alla  nostra. 

Cosi  pure,  in  paesi  esteri,  ricordo  un  caso  di  sovrapposizione  (col  maschio  sopra)  in  Francia, 
all'epoca  di  La  Tene  (Déchelette,  op.  cit.  II,  3,  pag.  1036). 

Notizie  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  62 


MARINO  —  490  —  REGIONE   I. 

Dati  statistici.  —  Delle  trenta  tombe  regolarmente  esplorate,  otto  sono  da 
attribuire  a  maschi  (7  con  certezza,  1  probabilmente),  -undici  a  femmine  (7  con  certezza, 
4  con  probabilità)  ;  dieci,  in  mancanza  di  ogni  elemento  sicuro  per  l'attribuzione, 
contenendo  esse  soli  vasi,  incerte  ;  una,  infine,  assai  dubbia. 

Fra i numerosi  oggetti  raccolti  si  contano:  156  vasi  d'impasto  (oltre i frammenti); 
24  di  argilla  figulina,  4  di  bucchero  (più  un  frammento),  4  metallici;  una  trentina  di 
armi  e  strumenti  in  ferro  ;  più  di  140  oggetti  di  bronzo  (fra  cui  76  fibule,  più  o  meno 
conservate,  17  pendagli  fusiformi,  7  pendagli  «  a  bulla  »,  9  cerchi  o  anelli  piatti, 
10  armille  o  braccialetti,  ecc.)  ;  8  fusaiuole,  2  scarabei,  molti  vezzi  di  collanine  in  pasta 
vitrea  e  ambra,  e,  cosa  insolita  per  tombe  albane,  due  «  cinture  »  o  fascette  di  bronzo. 

Risulta  anche  che  le  tombe  più  adorne,  con  vasi  e  bronzi  e  altri  oggetti  comples- 
sivamente, sono  quelle  situate  sulla  groppa  presso  il  limite  occidentale  del  podere 
(t.  26-29-30).  Delle  altre,  le  più  fornite  erano  la  3,  7,  13,  18,  21.  La  più  povera  è  la 
t.  maschile  11  ;  conteneva  un  solo  vaso  :  un'olla  rossiccia. 

I  corredi.  —  Sono  composti,  come  al  solito,  di  vasi,  armi,  oggetti  vari  di  ab- 
bigliamento. 

I  vasi  sono  deposti  nelle  fosse  non  in  modo  uniforme,  cioè  collocati  ora  in  un  solo 
gruppo,  e  sia  alla  testa,  sia  ai  piedi  del  morto,  ora  in  due  gruppi  nelle  dette  posizioni. 
Più  numerosi  appaiono  i  casi  con  unico  raggruppamento  dei  fittili. 

Le  tombe  maschili  sono  tutte  indistintamente  corredate  di  lancia,  e  sprovviste 
di  ornamenti  enei  ;  una  sola  (t.  11)  conteneva  una  spada  fasciata  di  fili  di  rame. 

La  tomba,  che  ho  detto  assai  dubbia  per  l'attribuzione  al  sesso  (t.  3),  oltre  la  lan- 
cia, che  la  farebbe  maschile,  conteneva  pure  quattro  fibule  (due  delle  quali  con  cerchi 
inseriti),  due  placchette  bugnate  d'ambra  (forse  fissate  al  vestito,  data  la  posizione 
in  cui  si  ritrovarono),  e  una  collana  con  vezzi  d'ambra,  di  pasta  e  di  vetro  :  il  tutto, 
rinvenuto  regolarmente  in  situ,  in  corrispondenza  del  petto,  forma  invero  un  com- 
plesso eccezionale,  per  non  dire  strano,  per  sepoltura  di  uomo.  Oltre  che  in  questa 
tomba,  anche  nelle  machili  19  e  20  fu  raccolta  una  così  detta  «  fusaiuola  ». 

Nessuna  distinzione  fra  le  qualità  e  nel  numero  dei  vasi  deposti  nelle  tombe  dei 
due  sessi. 

Gli  oggetti  di  abbigliamento  sono  abbastanza  numerosi,  e,  nella  grandissima  mag- 
gioranza, di  bromo. 

Di  materia  più  nobile  non  abbiamo  se  non  i  granellini  per  collane,  i  grani  d'ambra, 
un  pendente  a  goccia  di  pasta  vitrea,  due  scarabei  :  nessuna  traccia  di  metallo  prezioso. 

Passiamo  ora  in  rassegne  i  singoli  capi  di  corredo. 

Vasi  d'impasto.  —  Immancabili  le  tazzine-infumliboli,  altrimenti  dette  «  ca- 
peduncole  »,  d'impasto  per  lo  più  scuro,  variante  dal  cinereo  al  nerastro,  talvolta 
marrone,  raramente  rossiccio,  con  superficie  ricoperta  di  uno  strato  di  cera  o  resina 
dopo  la  cottura  e  lucidata  a  stecca.  Le  forme  di  queste  tazzine  sono  poco  variate  ; 
più  frequente  il  tipo  con  ventre  a  tronco  di  cono  rovescio  e  orlo  diritto  su  cui  s'innalza 
l'ansa,  per  lo  più  biforata,  e,  in  qualche  caso,  semplice.  Parecchi  esemplari  hanno  la 
«  risega  »  adorna  di  impressioni  o  steccature  o  di  bugneltine.  Fabbricate  a  mano,  se 
alcune  mostrano  una  ìorma  più  regolare  con  solidità  alla  base,  in  virtù  dell'appiatti- 
mento circolare  del  fondo,  molte  altre  invece  sono  assai  grossolane,  e  talune  non 


REGIONE   I.  —   4lJl   —  MARINO 


equilibrate,  data  la  sproporzione  esistente  nel  rapporto  tra  il  piccolo  corpo  e  l'ansa 
sopraelevata.  Ripetono  insomma  i  pochi  e  conosciutissimi  tipi.  Si  raccolse  anche  qual- 
che «  infundibolo  »  propriamente  detto. 

Numerosissime,  quasi  immancabili,  le  olle  d'impasto  rossiccio  e  con  ingubbiatura 
più  fine,  dello  stesso  colore,  molte  \oJte  più  chiaro,  di  foggia  sferica  anche  ovoidale, 
in  qualche  caso  globosa  ;  hanno  un  tipico  orlo  rialz?to  e  per  lo  più  rovescio  all'in- 
fuori,  o  imbutiforme,  internsmente  munito  di  tre  o  quattro  solchi  circolari  e  concen- 
trici, regolarissimi.  Anche  l'impasto,  nella  maggioranza  dei  casi,  è  meno  impuro  del 
consueto  ;  notevole  è  la  cura  posta  dagli  antichi  ceramisti  nella  cottura.  E  l'usi  dei- 
tornio  nella  loro  fabbricazione  (bastino  i  solchi  anzidetti)  è  innegabile. 

Olle  consimili  si  ritrovarono  frequenti  nelle  coeve  sepolture  d'Elruria  fl,  del- 
l'Agro Falisco  (*)  Capenato  (*)  Veienle  {*),  del  Lazio,  sopra  tutto  dell'EsgMtiino  e  del 
Foro  (»). 

Due  varietà  di  tipo  non  sona  da  trascurare  :  l'olla  con  scanalature  verticali  sul 
corpo,  e  quella  munita  di  duo  anse  arcuate  e  impostate  circa  a  metà  del  corpo,  rav- 
vieinantesi  perciò  a  un  «  cratere  ».  Siffatti  vasi  sono  d'impasto  ancor  più  depurato. 

Per  il  primo  tipo,  che  evidentemente  risente  della  metallotecnica.  di  forma  per 
lo  più  depressa  o  rigonfia,  rappresentato  nel  nostro  sepolcreto  da  un  bello  esemplare 
che  porta  al  sommo  del  corpo  una  serie  di  impressioni  eseguite  a  stampo  (t.  28  : 
sfortunatamente  frammentario),  non  mancano  i  riscontri  in  alcune  delle  necropoli 
citate  :  ma  ricorderò  un  solo  esemplare,  assai  prossimo.  dell'Esquilino  (•). 

Il  secondo  tipo  (di  cui  abbiamo  un  bello  esemplare  nel  vaso  della  t.  30),  anch'esso 
generalmente  a  corpo  depresso,  è  assai  più  diffuso  :  numerosissimi  sono  gli  esemplari 
raccolti  a  Videi,  dalle  tombe  a  pozzo  sino  a  quelle  a  camera  (T)  ;  e  similmente  dicasi 
di  Veio  (8)  :  se  ne  ritrovarono  anche  nell'Agro  Captante  (*).  nel  Fnlisrc  (»),  nelle  tombe 
deWEsquilino  e  del  Foro  (u). 

(')  A  Vulei  (t.  a  camera)  :  Gsell.  Fotiiììes,  pag.  444  (forma  19)  :  a  Pitigliano:  Montelius,  pi. 
208,  20  :  a  Sovam:  Not.  se.  1903.  pag.  496,  figg.  1,  7,  8.  Una  qui  è  reticolata  (pag.  504,  fig.  5),  come  le 
tante  e  belle  trovate  dal  Minto  alla  Marsiliana  (op.  cit.,  pag.  186). 

(*)  A  Narce  :  Mon.  ani.  IV.  col.  235,  fig.  104  seg.:  a  Trevignano  :  Not.  se.  1911,  fig.  1  s,  e  pag.  247. 

(»)  Mon.  ani.  XVI  (1906)  col.  166  ;  molte  inedite  di  Leprignano  (Le  Macchie)  nel  mus.  Villa 
Giulia. 

(♦)  Nel  Museo  Preistorico,  da  contr.  «  Vaccareccia  »  (scavi  1888). 

(•)  Mon.  ani.  XV  (1905),  tav.  IR  18  ;  Not.  se.  1903,  pag.  168,  159,  162,  385,  404,  425.  Un 
grande  es.  da  Gabii  (Boll  cor».  1903.  tav.  XI,  4).  Mancano  a  Satriewn. 

(•)  Afon.  ani.  XV,  tav.  Vili.  12. 

(')  Gsell,  op.  cit.  pp.  275  e  444  (forma  13).  Se  ne  raccolsero  anche  a  Caere  e  a  Pitigliano:  Monte- 
lius. pi.  208,  20. 

(»)  Not.  se.  1889,  pag.  61.  Il  Lanciani,  meravigliato  di  trovarne  Unte  nelle  t.  di  contrada  «In- 
cazzano »,  congetturò  riscontri  col  tempo  moderno  e  le  ritenne  una  «  caratteristica  »  del  luogo,  esa- 
gerando (ved.  in  Montelius,  pi.  349,  10).  Per  l'Etruria  anche  es.  a  Sovana  (Not.  se.  1903,  pag.  496, 
fig.  2,  16). 

(•)  Mon.  ant.  XVI,  col.  156-160  (anche  grandiose)  ;  molte  di  Leprignano  (Le  Saliere,  Le  Mac- 
chie) ined.  nel  mus.  Villa  Giulia. 

(i°)  Mon.  ant.  IV,  col.  236,  fig.  105. 

(")  Mon.  ant.  XV,  tav.  VIII  ;  12.  Not.  se.  1903,  pag.  407,  fig.  36  ;  ibid,  1911,  pag.  160, 


MARINO  —    492   —  REGIONE   I. 


Ancor  più  notevole,  forse  il  più  notevole,  è  il  gruppo  dei  numerosi  vasi  —  piatti 
e  ciotole —  su  piede  centrale  conico,  campanulato  e  imbutiforme  per  l'ampia  espansione 
alla  base. 

D'ordinario,  sono  d'impasto  rossiccio-scuro,  o  rameico,  di  sensibile  pesantezza, 
lavorati  non  sempre,  e  talora  non  intieramente,  con  l'aiuto  della  ruota.  Sono  veri  e 
propri  piatti  a  fondo  concavo,  ma  lieve,  con  l'orlo  solcato  più  volte  in  giro,  anche 
talvolta  munito  di  anse  o  prese  che  possono  sommare  a  quattro,  come  nel  magnifico 
esemplare  riprodotto  a  fig.  37. 

Sono  più  propriamente  ciotole,  con  ventre  quasi  a  calotta,  orlo  diritto  con  sol- 
cature circolari  all'esterno,  munite  sempre  di  due  caratteristiche  anse,  opposte,  a 
contorno  trapezoidale  con  largo  foro  e  bastoncello  superiore  incurvato  in  dentro  (da 
me  chiamate,  nelle  descrizioni  particolari,  «  a  ponticello  e  punte  terminali  »),  e  i  cui 
bastoncelli  laterali  sporgono  considerevolmente  sull'orlo,  dove  s'impostano  obliqua- 
mente verso  l'alto.  Il  piede,  conico  e  imbutiforme,  varia  in  altezza,  come  pure  va- 
riano le  dimensioni  del  vaso  stesso.  Un  solo  esemplare  è  senza  piede,  con  base 
circolare  (t.  15). 

Costituiscono,  possiamo  affermarlo,  una  specialità  del  nostro  sepolcreto  ;  che 
forse  invano,  per  i  più  grandi  esemplari,  cercheremmo  riscontri  precisi  nelle  citate 
necropoli  della  Bassa  Etruria  e  romane,  mentre  non  mancavano  nelle  altre  contem- 
poranee tombe  albane  (1). 

Dopo  i  piatti  e  le  ciotole  suddette,  ricorderemo  le  tazze  su  piede,  a  tronco  di  cono 
rovescio,  ossia  con  l'alto  orlo  inclinato  all'infuori  e  munito,  all'esterno,  di  più  solchi 
circolari,  lavorate  anch'esse  al  tornio,  d'impasto  rosso-bruno  o  marrone  ;  talvolta, 
non  poggiate  su  piede  conico  sviluppato,  ma  su  base  circolare  a  listello.  Nelle 
nostre  tombe   si  presentan   tutte  con  eguale  aspetto,  di  un  tipo   già   noto  nelle 


(')  Piatti  su  piede,  ma  di  più  modesta  apparenza,  dello  stesso  impasto  e  con  le  solcature  all'orlo, 
si  ritrovarono  a  Veio  (Not.  se.  1889,  pag.  156=  Montelius.  pi.  349,  7-9)  ;  a  Trevignano  (Not.  se.  1911, 
pag.  247  ;  su  listelliito  circ.  di  base)  ;  nelYAgro  Carenate  (Mon.  ant.  XVI,  col.  160)  ;  a  Vigna  Caracci 
(Mon.  ant.  XV,  tav.  XXI.  11  :  con  molto  fondo). 

Quanto  alle  ciotole,  la  cui  lontana  origine  è  in  quella  villanoviana,  se  ne  ha  un  es.  affine  del 
Foro  Rom.:  Not.  se.  1905,  pag.  156,  fig.  16.  Identiche  a  Vigna  Caracci:  Mon.  ant.  XV,  tav.  XXI,  6, 
e  cfr.  Boll,  eom.,  1900,  pag.  74  dell'estratto. 

I  più  opportuni  riscontri,  all'infuori  del  territorio  laziale,  anzi  albano,  possiamo  farli  con  la  ricca 
serie  di  ciotole  o  tazzoni  su  p.  dell'Agro  Falisco  (Mon.  ant.  IV,  col.  192  seg.),  per  le  quali  giusta- 
mente il  Barnabei  sostenne  l'imitazione  dalla  metallotecnica  :  ma  le  nostre  restali  sempre  un  gruppo 
a  sé.  Un  es.  inedito  di  Veio  (nel  Mus.  Villa  Giulia)  ha  anche  un'ansa  sopraelevata  e  obliqua,  arieggiante 
le  nostre,  ma  i  bastoncelli  finiscono  per  attorcigliarsi  in  forma  di  corni. 

II  tipo  delle  nostre  anse,  terminanti  con  due  punte,  finisce  per  avere  la  sua  lontana  origine  nelle 
stoviglie  terramaricole.  Fuori  del  territorio  laziale,  è  interessante  il  riscontro  con  un  frammento  di 
vaso  con  anse  terminanti  a  cornetti  (ma  con  foro  circolare)  della  necrop.  di  Tolentino  (Not.  se.  1887 
tav.  XVI,  fig.  30).  Se  l'impostatura  e  il  profilo  generale  dell'ansa  di  questo  fittile  sono  molto  vicini 
a  quelli  delle  nostre,  un  esemplare  di  ansa  «  a  ponticello  e  con  punte  terminali  »,  perfettamente  ana- 
logo a  queste  laziali,  si  ha  in  una  tazza  (inedita)  della  necrop.  di  Suessula  (Museo  Preistor.,  n.  21521): 
unica  colleganza,  finora,  campana, 


REGIONE   I. 


—   493  — 


MARINO 


citate  necropoli,  e  identiche  agli  esemplari  rinvenuti  nelle  fosse,  più  recenti,  del 
Fero  Romano  (*). 

Per  importanza  e  in  numero,  sono  ad  esse  superiori  le  anforetle  d'impasto  scuro 
e  nerastro,  con  superficie  levigata  e  nero-lucente.  In  generale  non  si  discostano  dal 
noto  tipo  recenziore  dell'anforetta  laziale,  costituitosi  per  certe  particolarità  sotto 
l'influsso  dell'industria  metallica. 

Il  corpo  ne  è  quasi  sempre  depresso,  con  ventre  a  tronco  di  cono  rovescio,  sulla 
risega  adorno  di  bugnette,  con  spalla  munita  di  costolature  o  scanalature  verticali  e  di 


far*"*' 


Fig.  42. 


impressioni,  con  alto  collo  cilindrico.  Le  anse,  sostanzialmente  a  spesso  nastro,  non 
presentano  grande  varietà  di  aspetti  :  o  sono  semplici,  o  sono  crestato-aculeate,  ov- 
vero imitano  le  tòrtili.  Queste  ultime  (dette,  nelle  descrizioni,  «  con  alette  elicoidali  ») 
si  mostrano  in  prevalenza. 

Due  sono  gli  esemplari,  di  questa  classe,  più  degni  di  ricordo  :  le  anfore,  di  con- 
siderevoli dimensioni,  riprodotte  nelle  figg.  16  e  13  :  l'una  (t.  18),  col  profilo  della 
massima  circonferenza  così  singolarmente  frastagliato  per  la  presenza  delle  due  terne 
opposte  di  bugne  :  l'altra  (t.  10),  che  potrebbe  chiamarsi  un  «  capolavoro  »  della  ce- 
ramica indigena  o  del  «  bucchero  italico  »,  per  la  sua  mole  e  per  l'armonica  disposizione 
dei  suoi  ornati  incisi  raffiguranti  un  uccellacelo  con  ciuffo  caudale,  cresta,  artigli  e 
becco  aperto,  e  la  stella  di  mare  ffig.  42).  Quest'anfora  è  realmente  un  pezzo  singolare  ; 

(')  Nella  forma,  quelle  su  piede  più  alto,  sono  analoghe  a  tutte  quelle  eleganti  e  ornate  di  graf- 
fiti al  posto  delle  solcature,  di  Capsna,  dell'Agro  Fedisco,  ecc.  ;  alle  innumerevoli  e  perfette,  anche  di 
bucchero,  delle  tombe  a  camera  di  Etruria.  E  le  nostre  possono  rappresentare  prodotti  inspirati. 

Per  il  Foro  ved.  :  Not.  Se.  1903,  p.  385,  fig.  11  ;  pag.  412,  fig.  43  ;  pag.  422,  fig.  52  ;  ibjd  ,  1911, 
pag.  160,  fig.  3. 


MARIN'O  —   494  —  REGIONE   I. 

in  essa  l'antica  tradizione  del  vasaio  indigeno  si  conserva  con  l'uso  del  secolare  impasto, 
mentre  un  nuovo  spirito  industre  ravviva  i  prodotti. 

Anche  non  trascurabile  è  la  minuscola  anforetta  non  proveniente  dallo  scavo  re- 
golare, descritta  a  pag.  487,  perchè  con  le  sue  cordonature  verticali  ricorda  gli  arcaici 
vasi  con  reticolato  di  cordoni.  Ne  è,  secondo  me,  un  segno  di  tardiva  persistenza 
(fig.  39). 

Particolarissima  menzione  meritano  le  quattro  anforelte  globose,  con  brevi  anse 
«  metalliche  »  a  largo  nastro,  ornate  con  le  doppie  spirali  (tombe  16,  17,  19,  29).  Ap- 
partengono esse  a  uno  special  tipo,  diffuso  nella  Bassa  Etruria  e  nel  Lazio  e  del  quale 
Io  Gsell,  per  primo,  notò  l'importanza,  documentandone  la  diffusione  con  quella  sua 
esemplare  accuratezza  (1).  Ma,  posteriormente  al  prezioso  libro  dello  Gsell,  altri  ri- 
trovamenti avvennero  ;  e  così  il  gruppo,  già  numeroso,  si  è  ancor  più  arricchito,  dimo- 
strando di  essere  più  particolarmente  legato  ai  territori  laziale-veiente-capenate- 
falisco. 

Se  ne  ritrovarono  esemplari  isolati  a  Vulci  (2),  Chiusi  (3),  Cervetri  (4),  Tarquinia  (5), 
Gabii  (6)  ;  più  d'uno,  nelle  necropoli  albane  di  Vigna  Meluzzi  e  V.  Caracci  (7),  nelle 
romane  dell'Esquilino  e  del  Foro  i8)  ;  parecchi,  nell'Agro  Capenate  (Civitella  S.  Paolo, 
Leprignano:  Le  Saliere,  M.  Tufelloj  (9),  nell'Agro  Falisco  (10),  a  Satricum  (u)  ;  mol- 
tissimi infine  a  Vcio  (_12). 

(')  Fouilles,  pag.  371.  La  citazione,  per  allora  completa  e  che  ben  servi  ad  altri  illustratori,  si 
aggiorna  con  le  seguenti  note. 

(*)  Vedi  nota  preced. 

(-1)  Lindenschit,  cit.  in  Gsell. 

(*)  Cfr.  Gsell.  Due  inedite  nel  mus.  Villa  Giulia  ;  una  delle  quali  grandiosa  e  con  ornati  complessi. 

(6)  «  Monterozzi  »,  Not.  se.  1885,  tav.  XV,  2,  ser.  4»,  voi.  I,  pag.  686  (con  iscrizioni);  cfr.  Mon- 
telius,  pi.  296,  8  e  pi.  296,  1. 

(«)  Mon.  ant.  XV,  col.  402,  fig.  142  t  (a  Villa  Giulia). 

(')  De  Rossi  M.  St.,  Rapporto  sugli  studi  ecc.,  1867,  tav.  ann.  (estratta  da  Mon.  Inst.  VIII): 
nn.  46  e  60  ;  (anche  gli  es.  64,  62,  di  identica  fattura,  ma  senza  le  spirali). 

(8)  Mon.ant.  XV,  tav.  Ili,  3,6,  13.  Nolisie  se.  1903,  p.  408,  fig.  38:  p.  422,  fig.  53;  ibid.,  1911, 
pag.  160,  fig.  3,  a. 

(')  Paribeni  in  Bull.  pai.  1913,  pag.  70,  fig.  1  (bellissima,  con  lettere  alfabetiche  inscritte)  ; 
cfr.  Monum.  ant.  XVI,  col.  36  (è  nel  Museo  preistorico).  Della  Seta,  Mus.  Villa  Giulia  I,  1918, 
pag.  333.  Esempi,  inediti,  tra  cui  una  senza  spirali  e  con  motivo  «a  croce  »  (come  altre  di  Tre  vigna  no), 
nel  Mus.  V.  Giulia  (Le  Macchie). 

(10)  Narce  :  Mon.  ant.  IV,  col.  233,  fig.  103,  103  a,  b,  d  (senza  sipirali  la  e)  ;  cfr.  Montclius, 
pi.  326,  7,  4.  3.  7  (quest'ultima  bellissima).  Trevignano  :  Not.  Se.  1911,  pag.  248,  figg.  2,  4  (e  con  croce 
al  posto  delle  spirali,  la  2). 

(")  Mengarelli  in  Pinza,  Mon.ant.  XV,  col.  484;  Della  Seta,  Mus.  V.  G.  già  cit.,  pag.  243,  248, 
249,  282.  Una  di  esse  è  grandiosa  e  bellissima  ;  in  tutto,  con  le  affini,  sono  otto  (nel  Museo  V.  Giulia). 

(,l)  Tanto  da  contr.  «  Vaccareccia  »  quanto  da  e.  «  Picazzano  »:  sono  quindici  conservate  nel 
Museo  Preistorico.  Ve  ne  sono  cinque  inedite  nel  mus.  Villa  Giulia. 

«  Orribile  »  il  disegno  in  Notiate  se.  1889,  pag.  166  ;  si  veda  in  Montelius,  pi.  350,  7,  una  del 
Preistorico. 

Un  esempi,  emigrò  in  tempi  passati  al  Louvre,  ed  è,  oltre  che  dal  Pottier,  riprod.  in  Montelius, 
pi.  362,  4. 


REGIONE    ì.  *        —    495    —  MARINO 


Nella  serie  così  numerosa,  se  prevale  il  tipo  caratteristico  («  stereotipato  »  può 
dirsi),  quale  e  perfettamente  rappresentato  nei  nostri  quattro  vasi,  identici  a  tanti 
altri,  anche  esistono  i  particolari  differenziali,  e,  per  meglio  dire,  «  evolutivi  »  del  tipo 
stesso  generico.  Dal  rozzo  e  piccolo  esemplare  di  Tarquinia  (Montelkts,  pi.  296,  1) 
in  cui  timidamente  compare  il  motivo  ornativo  dominante  «  a  occhiali  »,  a  quattro 
capolavori  del  genere,  quali  sono  i  grandiosi  e  ammirevoli  vasi  di  Narce,  Caere,  Satricum, 
Capena  ('),  osservando  le  varianti,  anche  nella  sola  e  più  numerosa  serie  veiente,  si 
rende  possibile  il  seguire  una  linea  di  sviluppo  del  tipo;  il  quale,  come  dapprima  notò 
lo  Gsell,  trae  il  suo  compiuto  aspetto  formale  dalla  metallurgia  (2). 

Varietà  più  notevoli  ci  sono  offerte  dagli  ornati  secondari;  ed  esistono  anche 
vasi  di  identica  fattura  e  forma,  ma  senza  il  motivo  dominante  della  doppia  spirale. 
L'impasto  di  queste  belle  anforette  è  raffinato,  la  parete  sottile,  così  che  ne  risulta  una 
straordinaria  leggerezza  (e,  purtroppo,  anche  fragilità)  ;  l'uso  del  tornio  è  evidente. 
La  superficie  lucidata  assume  un  colore  non  uniforme,  ma  variante,  e  anche  digradante, 
dal  rossiccio  al  nerastro,  per  effetto  di  cottura.  Negli  esemplari  «  perfetti  »,  come  i 
nostri,  gli  ornati  incisi  sono  in  parte  costantemente  gli  stessi,  in  parte  varianti  :  fisso 
è  il  motivo  della  doppia  spirale,  ripetuta  sui  due  lati  ed  eseguita  con  una  sola  linea 
continua  che  s'avvolge  in  giri  più  o  meno  numerosi.  Soltanto  in  due  dei  grandiosi 
vasi  citati  (Narce,  Caere)  il  tondo,  invece  che  dai  giri  lineari,  è  occupaco  da  una  «  rosa  » 
di  petali.  Fissi  sono  anche  i  fasci  di  linee  parallele  che  fiancheggiano  quel  motivo  do- 
minante, ed  altri  ancora  consimili,  che,  incontrandosi  ad  angolo,  vanno  dall'imposta- 
tura delle  brevi  anse  alla  base. 

Varianti  sono  invece  gli  ornati  del  collo  (più  frequenti  sulla  base:  linee  parallele 
con  serie  di  punti  in  mezzo,  fasci  reticolati,  zigzag,  denti  di  lupe,  curve  rigirate  con- 
tinue, ecc.).  Vario  è  pure  un  ornato  accessorio,  soprastante,  in  mezzo  agli  «  occhiali  », 
e  che  manca  negli  esemplari  meno  grandiosi  e  meno  rifiniti:  ora  è  un  semplice  fascio 
di  linee  piegato  ad  angolo  (come  nei  nostri  es.  delle  t.  19  e  29),  ora  è  la  «  spina  di  pe- 

(')  Quello  di  Narce  in  Montelius,  pi.  326,'7  ;  quelli  di  Caere  e  Satricum  inediti,  come  ho  già  indi- 
cato ;  il  Capenate  in  Paribeni  già  cit.,  nel  Museo  Preistorico. 

(*)  Giustamente  lo  Gsell  richiamava  per  ciò  l'attenzione  sulle  posteriori  anforette  di  Nicostene. 
Al  contrario,  più  non  è  accettabile  la  sua  idea  della  «grecità  »  della  doppia  spirale.  Il  gruppo  merita 
davvero  uno  studio  particolare  ;  il  Bamabei  ne  comprese  l'importanza  (Mon.  ani.  IV,  col.  324),  e 
ritenne  i  graziosi  vasi  originari  di  un  «  luogo  prossimo  alla  costa  »  che  ne  produsse  moltissimi  nel  VII 
secolo.  Nulla  di  più  vero.  Segno  alcuni  appunti  utili  per  lo  studio  invocato. 

Riguardo  alla  forma  generale  del  vaso  (che  raramente  trovasi  con  corpo  più  slanciato  e  collo  più 
alto),  ad  esempio  nella  serie  veiente,  la  più  istruttiva,  esistono  esemplari  un  poco  discordanti  dal  tipo 
costituitosi  «  stereotipato»:  hanno  corpo  più  tozzo,  o  globoso  depresso,  poggiante  su  basetta  discoidale 
con  superfìcie  nerastra.  Credo  pertanto  che  non  sarebbe  difficile,  né  estraneo,  provare  che  la  forma 
prima  trae  origini  dalle  più  antiche  anforette  di  tipo  laziale  (e  cumano)  a  corpo  rigonfio  e  depresso  e 
con  brevissimo  collo  (Caracupa  insegni),  cui  la  metallotecnica,  nel  periodo  di  trasformazione  della 
l'fase  della  civiltà  del  ferro  laziale,  ingentilisce  e  perfeziona.  Subentra  lo  spirito  ornativo  :  e  in  quanto 
agli  ornati  incisi  (fasci  di  linee,  denti  di  lupo,  zigzag,  palmette  cipriote,  bocciòli  di  loto,  ramoscelli, 
uccellacci,  rose,  ecc.,  e  doppie  spirali  comprese),  nulla  di  più  agevole  a  intendere  e  a  spiegare. 

Il  tipo,  infine,  ha  l'onore  di  una  rappresentanza  in  metallo  nobile:  il  vaso  argenteo  della  t.  Re- 
golini-Galassi  (Montelius,  p.  239,  9). 


MARINO 


—   496   — 


REGIONE   I. 


sce  »  o  foglia  arborea  stilizzata  (come  in  quello  della  t.  17),  ora  una  «  palmetta  »  di 
petali  o  «  cipriota  »  sorgente  da  semicerchio  (come  nell'es.  della  t.  1 6)  (fig.  43),  motivi 
ripetutissimi  in  tanti  altri  reperti  ;  ora  è  un  uccello  dal  collo  ritorto,  ora  una  «  rosa  »,  ecc. 
Anche  le  anse  sono,  sul  piatto  esterno  munite  di  incisioni,  per  lo  più  con  linee  parallele 
longitudinali. 

Di  tronte  a  così  fatti  vasi,  che  dovevano  essere  ambiti,  è  impossibile  non  pensare 
a  un  unico  centro  di  produzione,  operante  «  in  grande  »  nei  tempi  in  cui  sulle  nostre 
contrade  tirrenie  si  affermavano  maturi  i  benefici  influssi  d'Oriente. 


Fio.  43. 


Anche  numerosa  è  la  classe  delle  tazzine  biansate,  con  ventre  a  tronco  di  cono 
depresso  e  bassissimo,  con  due  anse  opposte,  impostate  verticalmente  sull'orlo,  che 
è  generalmente  diritto,  e  sulla  «  risega  »,  più  o  meno  sporgente  e  adorna  di  lievi  bu- 
gnette  o  di  impressioni  o  steccature.  Quasi  per  nulla  variate  nella  forma  generale,  pre- 
sentano invece  qualche  differenza  nell'aspetto  delle  anse  :  generalmente  a  nastro 
più  o  meno  spesso,  brevi.  Ne  abbiamo  anche  di  «  crestate»,  con  due  o  tre  aculei  (t. 3, 
9, 13,  e  pag.  487),  o  imitanti  le  tortili  (t.  24),  ovvero  sovrastate  presso  l'impostatura 
sull'orlo  da  protuberanze  cilindriche  o  appuntite  (tombe  7,  10,  17,  18,  29).  L'impasto 
è  lo  stesso,  e  vario,  delle  anforette. 

Tre  si  distinguono  per  la  loro  foggia  a  carchesion,  con  anse  a  doppio  bastoncello, 
e  per  metà  attorcigliate  ;  d'impasto  più  raffinato,  a  parete  sottile,  lavorate  al  tornio, 
e  con  ornati  graffiti  (t.  16,  23,  25)  (*}. 

D'impasto  fine  marrone,  si  ha  anche  un  vero  e  proprio  skyphos  (t.  2),  imitante  i 
prodotti  figulini  importati. 


(')  Una  (t.  16)  con  meandri,  identica  a  es.  àeWEsquilino  (Mon.  ani.  XV,  tav.  Vili,  1). 


REGIONE   I. 


497  — 


MARINO 


Ricorderemo  poi  tre  vasi  di  forma  speciale  :  il  calicetto  della  tomba  2  (fìg.  44), 
frequente  nelle  necropoli  falische,  veienti,  laziali  (J)  ;  la  tazza  su  piede  della  tomba  29 
(fìg.  30),  col  profilo  della  risega  così  singolarmente  frastagliato  ;  e  la  tazzina  frammen- 
taria della  stessa  tomba,  che  con  varianti  ripete  in  piccolo  il  tipo  della  precedente. 
Questo  tipo,  in  generale,  non  è  nuovo  e  appartiene  particolarmente  a  quella  classe 
di  vasi,  che  spesso  sono  muniti  di  un  coperchio  poggiante  appunto  sulle  sporgenze 


Fio.  44. 


della  risega:  vasi  che  sono  specie  di  «  pissidi»  o  teche,  e  la  cui  più  perfetta  rappresen- 
tanza è  tenuta  dalle  complicate  teche  con  raggiera  di  globetti  della  tomba  Regolini- 
Galassi  (8). 

Per  la  forma  generale,  la  nostra  della  t.  29,  può  confrontarsi  con  vasi  affini  di 
Gabii  (3),  di  Vigna  Caraeci  e  doWEsquilino  (4)  ;  anch'essa  è  inspirata  ai  modelli  metallici  ; 
è  molto  più  elegante  delle  altre  citate.  Le  sue  ansette  ripetono  «  ingentilito  »  quello 
stesso  tipo  che  abbiamo  notato  nelle  grandi  ciotole  su  piede,  e  che  potremmo  dire  una 


(■)  Se  ne  ved.  di  più  o  meno  prossimi  in  Mon.  ant.  XV,  col.  399,  fig.  142  h  (Gabii)  ;  in  Not.  se. 
1911,  pag.  247  (Trevignano)  ;  in  Mon.  ant.  IV,  tav.  VI,  13,  14, 15,  e  col.  255,  fig.  117  a  (Narce)  ;  in 
Not.  se.  1906,  pag.  287  (Foro  Rom.)  ;  in  Mon.  ant.  XV,  tav.  Vili,  16  (Esquilino).  Le  differenze  con- 
sistono neWorlo,  più  o  meno  sporgente  all'infuori,  e  che  nel  nostro  es.  è  invece  totalmente  compreso 
nel  diametro  stesso  del  vaso. 

(s)  Vedile  in  Montelius,  pi.  334,  /  e  7. 

(»)  Mon.  ant.  XV,  col.  399,  fig.  142  g. 

(4)  Mon.  ant.  XV,  tav.  XXI  2  ;  e  tav.  Vili,  18  ;  col.  202,  fig.  87  (es.  con  quattro  ansette,  due 
delle  quali  come  nel  nostro). 


Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI. 


63 


MARINO 


—    49  S   —  REGIONE   I. 


«  caratteristica  »  del  nostro  sepolcreto  :  lo  ritroviamo,  ancora  in  piccolo,  nella  bassa 
coppa  o  ciotoletta  della  t.  29,  in  tutto  simile  ad  altra  ritrovata  nel  Foro  Romano  (1). 

Non  mancano  infine  alcuni  vasi  che  ripetono  le  più  usitate  forme  delle  tombe 
laziali  della  prima  fase.  Cito  la  rozzissima  alletta  cilindrica  descritta  a  pag.  487,  e  le 
ciololetie  di  cui  a  pag.  486. 

Vasi  d'argilla  figulina  e  di  bucchero.  —  Non  sono  numerosissimi,  ma  la  loro 
presenza  è  sicura  conferma  di  quanto,  per  la  datazione  del  sepolcreto,  può  già  dedursi 
osservando  i  vasi  d'impasto  e  italico,  e,  più  che  altro,  i  bronzi. 

I  pezzi  raccolti  appartengon  tutti  ai  tipi  più  comunemente  in  uso  nelle  coeve 
necropoli  della  Bassa  Etruria  e  del  Lazio,  della  classe  detta  «  italo-geometrica  »  e 
«  protocorinzia  »,  o  «  sicionia  »  secondo  i  recenti  studi  di  Friis  Johansen.  Abbiamo  in 
argilla  con  pittura:  2  oinochoai,  una  delle  quali  del  tipo  detto  «cumano  »  (2)  ;  3  shjphoi, 
5  ollette  biansate  a  foggia  di  stamnoi,  due  delle  quali  con  coperchietto  ;  2  diette  ovoi- 
dali senza  manichi  ;  1  aryballos  ovoidale  e  con  basetta  (3)  ;  1  boccaletto  arieggiante 
la  forma  dell'ode;  5  bacinelle,  anche  appellabili  phialai;  4  bombylioi  protocorinzì, 
o  sicionii.  Alcuni  di  questi  vasi,  bacinelle  e  skyphoi,  sono  di  argilla  assai  tenera  e  con 
pittura  poco  tenace,  e  potrebbero  ritenersi  non  prodotti  importati  come  gli  altri,  ma 
d'imitazione. 

In  bucchero  si  raccolsero  :  1  oinochoe,  1  skyphos  elegante,  1  anforetta  con  gli  or- 
nati di  quelli  tipiche  globose  (doppie  spirali  e  fasci  di  linee  a  V),  e  inoltre  qualche  fram- 
mento. 

Vasi  metallici.  —  La  loro  presenza,  benché  assai  scarsa,  forse  per  le  non 
ricche  condizioni  economiche  dei  sepolti,  è  assicurata  da  qualche  ritrovamento  di 
trammenti  (t.  29  e  pag.  487). 

Armi.  —  Si  riducono,  in  sostanza,  a  sole  lande,  ritrovate  in  numero  di  10  e  tutte 
in  ferro,  più  o  meno  conservate  ;  tranne  una  di  grandi  dimensioni  (pag.  488),  sono  tutte 
simili,  con  cannone  e  a  foglia  di  lauro. 

La  presenza  di  una  spada  di  ferro  è  accertata  per  la  tomba  11.  Inoltre,  qualche 
frammento  dello  stesso  metallo  può  supporsi  appartenuto  a  coltelli. 

Ornamenti  personali.  —  Sono  di  bronzo  nella  grandissima  maggioranza,  di  ferro 
pochi,  di  pasta  vitrea  e  bianca,  di  ambra,  di  terracotta.  E,  naturalmente,  le  tombe  femi- 
nili  ne  sono  le  più  provviste. 

In  quelle  maschili  si  raccolsero  alcune  borchie  umbilicate,  o  dischi  concavo-ccn- 
vessi  con  appiccagnolo  :  oggetti  ben  noti.  È  da  rilevarsi  che  in  nessuna  di  queste  tombe, 
esplorate  e  sicuramente  attribuibili  al  sesso  determinato,  si  raccolsero  altri  ornamenti. 

Ho  ricordato  già  il  caso  dubbio  della  tomba  3. 

Gli  ornamenti  di  terracotta  si  riducono  a  otto  delle  così  dette  fusaiole  :  tutte  di 
tipo  conico,  ritrovate  tanto  in  tombe  maschili  quanto  in  tombe  feminili,  a  coppia  nelle 
t.  3, 13,  21,  isolatamente  nelle  altre. 


(')  Noi.  se.  1911,  pag.  162,  fig.  3,  e. 

(2)  Cfr.  Gabrici,  Cuma,  col.  385-395,  figg.  139-147. 

(3)  Anche  questo  arylallos  con  basetta  discoidale  ha  confratelli  a  Cuma  (Gabrici,  op.  cit., 
taw.  XLI  e  XLII). 


REGIONE   I.  —   499  —  MARINO 

La  pasta  bianca  e  vitrea  è  rappresentata  dai  comunissimi  vezzi  per  collane  (cer- 
chietti, grani)  :  furon  ritrovati  ancora  numerosi  nelle  tombe  3  (con  un  globetto  di 
vetro,  forato  nell'asse),  13,  30;  anche  nella  21. 

L'ambra  può  dirsi  largamente  usata,  che,  oltre  la  copia  dei  dischi  forati  e  digra- 
danti per  misura,  inseriti  negli  archi  delle  fibule,  si  hanno  placchettine  o  grani  quadri- 
lateri, e  vezzi  per  collane  (*). 

In  pasta  vitrea  è  anche  notevole  il  pendente  «  a  goccia  »,  raccolto  intatto  nella 
tomba  21. 

E  ben  chiudono  la  serie  degli  oggetti  di  materia  vistosa  i  due  scarabei  smaltati 
della  t.  29,  che  vanno  ad  aumentare  la  già  numerosa  raccolta  fattane  nelle  necropoli 
etrusco-laziali-campane  (2),  provando  che  anche  modeste  persone,  quali  dovevano 
essere  le  nostre  sepolte,  ambivano  di  possedere  qualche  esotica  rarità  e  si  acconten- 
tavano con  facili  acquisti. 

Di  ferro,  oltre  alle  armi  e  alle  borchie  citate,  esistevano  certo  altri  oggetti  (fibule, 
ad  esempio),  ma  gli  avanzi  rimastine,  come  è  facile  intendere,  sono  irriconoscibili. 
Unico  ornamento  recuperato  intatto  nella  forma  è  il  pendaglio  a  bulla  semicircolare 
della  t.  30,  cui  s'accompagna  il  frammento  di  un  secondo,  trovato  nella  t.  18:  in  tutto 
simili  a  quelli  enei  (3). 

Copiosi  e  variati  sono  gli  oggetti  di  bronzo,  che  ripetono,  tranne  un  rarissimo 
esemplare  di  fibula,  i  più  comuni  tipi  del  non  dovizioso  patrimonio  ornamentale  che 
conosciamo  per  tanti  rinvenimenti.  Notiamo  in  questa  classe:  catenelle  a  maglia,  anelli 
e  anellini,  armille  o  braccialetti,  spirali,  pendagli  di  varie  forme,  cerchi  piatti,  bottoni, 
un  rilevante  numero  di  fibule  ;  e  finalmente,  novità  albana,  due  cinture  in  lamina 
sbalzata. 

Consideriamo  i  pezzi  meno  indegni. 

Le  poche  armille  rinvenute  si  rivelano  di  un  tipo  recenziore:  il  cerchio  è  aperto 
in  tutte,  e  con  le  estremità  sovrapposte  in  tre  esemplari  (t.  29, 30,  e  pag.  488).  Due  hanno 
il  corpo  non  semplice:  striato  per  lungo  (t.  30),  cordonato  per  lungo  (t.  29). 

Fra  le  spirali  contiamo  due  braccialetti  da  polso  (t.  30)  e  due  helikes  per  capelli 
(pag.  488).  • 

Numerosa  è  la  serie  dei  pendagli,  e  variata,  come  ho  già  detto. 

Tengono  il  primo  posto  quelli  tubolari  e  affusolati,  o  rastremati  in  alto,  dove  quasi 
tutti  portano  due  forellini  per  il  passaggio  del  filo  di  sospensione  ;  tre  soli,  e  più  grandi, 
hanno  invece  un  canalicolo  ottenuto  col  taglio  parziale  e  il  piegamento  della  lamina 
stessa.  Questa,  se  svolta,  è  trapezoidale,  e  nei  tre  pezzi  ora  detti  è  ancora,  alla  base, 
tagliata  a  dischetto  e  piegata  per  chiudere  il  tubo.  Erano  certo  usati,  e  forse  anche 
frapposti  ad  altri  vezzi,  come  pendenti  di  collane:  e  in  tal  caso  in  numero  dispari, 
col  più  lungo  nel  mezzo  (se  ne  ritrovarono  cinque  nella  t.  30,  forse  al  completo  ;  quat- 

(!)  Il  sito  d'origine  di  quest'ambra  è  molto  vicino  :  la  Sicilia  ? 

(s)  Gsell,  Fouilles,  pag.  303,  ecc.  Nel  Mus.  di  V.  Giulia  se  ne  conservano  moltissimi,  che  sarebbe 
bene  pubblicare. 

(3)  Nel  Museo  V.  Giulia  se  ne  conservano  quattro,  in  ferro,  integre,  trovate  nella  stipe  antica  di 
Satricum, 


MARINO 


—  500  — 


REGIONE   I. 


tro  nella  t.  5  e  13  ;  tre  nella  7,  uno  solo  nella  17).  Non  è  anche  da  escludersi  che,  iso- 
lati, potessero  andare  infilati  nello  spillo  delle  fibule  (*). 

Interessanti  sono  anche  quelli  a  bulla  semicircolare,  ottenuti  piegando  una  la- 
mina discoidale  e  ribattendone  l'orlo  ;  erano  sospesi  per  mezzo  di  due  anellini  infilati 
nei  due  punti  estremi  (fig.  45).  Contandovi  i  due  di  ferro  già  citati,  provengono  dalle 
tombe  12,  13,  17,  18,  29,  30.  Identici  se  ne  ritrovarono  nelle  contemporanee  sepol- 
ture del  Foro  Romano,  delVEsquilino,  dell'Agro  Falisco,  di  Satricum  (a). 

Ancor  più  notevoli  sono  i  due  pendaglietti  a  bidente,  formati  con  l'unione  di  due 
simulacri  di  «  asce  a  tallone  »,  fusi  in  un  sol  gètto  (tombe  7  e  30)  ;  anche  importanti 
per  il  loro  indiscutibile  significato  di  amuleto,  identici  a  un  esemplare  trovato  già  a 
Caracupa  (3). 

Ili 


Fig.  45. 


Fig.  46. 


Grazioso,  nella  sua  semplicità  di  prodotto  d'arte  rudimentale,  il  pendaglietto 
con  cavaliere  della  t.  7,  che  si  aggiunge  alla  serie  dei  «  cavallucci  »  deformati  e  stiliz- 
zati, non  infrequenti  nelle  necropoli  e  negli  strati  umbro-italici  della  prima  età  del 
ferro.  Il  nostro  cavallino  ha  le  zampe  posteriori  indistinte  in  una  sola  arcuazione,  lungo 
muso  con  orecchie  che  sembran  bernòccoli,  largo  collo  arcuato  ;  è  ancor  più  rozzo  dei 
confratelli  ritrovati,  ad  esempio,  aCaracupa  e  a  Satricum  (*).  Il  cavaliere  poi  è  addi- 
rittura un  «  aborto  »  (fig.  11). 

Seguono  i  due  pendaglietti  traforati,  che  ben  possiamo  dire  «  ad  ancora  »  ma 
chiusa,  fusi  di  gètto,  provenienti  dalle  tombe  26  e  29.  Quest'ultimo  (fig.  46)  aveva 
due  rudimentali  «  ocherelle  »  chiudenti  il  giro  col  becco,  ed  è  analogo  a  esemplari 
raccolti  a  Narce  e  a  Satricum  (5). 

(1)  Ved.  identici  nella  t.  M  (di  bambina)  del  Foro  Rom.  :  Not.  se.  1905,  pag.  165. 

(2)  Not.  se.  1906,  pag.  161,  fig.  25;  Mon.  ant.  XV,  col.  87,  fig.  38  (adorna  di  dischetti  sbalzati); 
Mon.  ant.  IV,  tav.  IX,  57.  Anche,  di  Satricum,  due  dalla  necrop.  (nel  Museo  V.  Giulia). 

(3)  Not.  se.  1903,  pag.  305,  fig.  16  (altro  analogo  :  una  metà,  cioè  una  sola  ascia,  a  pag.  336,  fig.  63). 

(4)  Not.  se.  1903,  pag.  305,  fig.  16  :  tanto  per  citare  i  più  vicini.  Ce  ne  sono  anche  di  Narce. 
Quelli  di  Satricum,  ined.  nel  Mus.  V.  Giulia. 

E  sui  «  cavallucci  »  ved.  Patroni  in  Bull.  pai.  1910,  pag.  36  seg. 

(6)  Mon.  ant.  IV,  tav.  IX,  47  ;  quelli  di  Satricum  (necropoli),  addirittura  identici,  son  quattro, 
nel  Mus.  V.  Giulia. 

L'origine  di  questi  pendagli  traforati  va  certo  ricercata  in  quelli  più  antichi,  «  a  rotella  »,  studiati 
da  molti  paletnologi  e  per  ultimo  dal  Colini  (Bull,  palctn.  1910,  pagg.  122-130).  Con  i  citati  presen- 
tano una  certa  analogia  due  pendaglietti  dall'Italia  merid.,  identici  fra  loro  (con  due  ocherelle  opposte 


REGIONE   I.  —   501    —  MARINO 


Chiudono  infine  la  serie  dei  pendagli:  le  due  asticelle  con  globetL  della  t.  26  (dove 
anche  si  raccolsero  due  tubetti  spiraliformi),  il  glohetto  con  peduncolo  della  t.  30,  il  pen- 
dente a  goccia  della  t.  21,  simile  all'altro  di  pasta  vitrea.  Non  dimenticheremo  però 
che  in  qualche  tomba  eran  certo  altri  pendenti  o  pendagli  di  materia  deperibile  ;  dei 
quali  rimangon  solo  le  asticelle  enee  curvate  ad  occhiello  (meglio,  allargate),  che  ne 
erano  l'anima  e  il  sostegno  (ved.  tombe  30,5,3  :  in  quest'ultima,  trovata  in  avanzi  di 
cilindretto  ligneo  con  sottile  foglia  d'avorio  in  pezzetti). 

Dopo  i  pendagli,  ricordiamo  i  cerchi  o  anelli  piatti,  per  lo  più  a  sezione  romboi- 
dale e  adorni  di  linee  incise  a  V,  trovati  a  coppia  nelle  tombe  3,  28,  30  (e  nella  prima 

al  loro  posto,  in  corrispondenza  quasi  dei  due  seni),  isola- 
tamente nelle  t.  5,  7, 13.  Quasi  tutti  inseriti  ancora  nelle 
fibule,  come  fu  riscontrato  nelle  sepolture  coeve  del  Foro 
Romano  (*),  dell' Esquilino  ('),  di  Caracupa  (3),  prima  di 
giungere  alle  numerose  serie  digradanti,  e  con  pezzi  di 

insolito  e  considerevole  diametro,  delle  tombe  dell'Offro 
Pig.  47. 

Capenate,  dove  è  singolare  il  caratteristico  costume  {*). 

Anche  notevoli  sono  i  bottoni  a  piccola  calotta,  con  appiccagnolo  nel  cavo  (fig.  47), 
raccolti  numerosi  nella  t.  30;  essi  certo  erano  cuciti  sulla  s  coffa  del  vestito,  se  non  anche 
su  cuoio.  È  un  oggetto  assai  diffuso,  che,  oltre  agli  esemplari  identici  delle  vicine  tombe 
dell'  Esquilino  (5),  non  mancavano  in  Etruria  (*ì,  a  Terni,  comuni  nel  Piceno  (7),  e 
raccolti  anche  in  Este  (9). 

E  passiamo  ora  alla  copiosissima  serie  delle  fibule  :  per  le  quali  poche  parole  oc- 
corrono, dato  che  esse  presentano  tipi  notissimi.  Basterebbero  da  sole,  per  il  loro  ca- 
rattere di  recenziorità,  a  datare  quasi  il  sepolcreto. 


e  unite  «  ad  àncora  »  e  un'altra  soprastante  con  l'occhiello  di  sospensione),  proven.  dalla  necropoli 
preellenica  di  Cuma  (Gabrici,  Mon.ant.  XXII,  tav.  XXV,  4)  e  dai  cumuli  delle  Murge  Baresi  (latta 
in  Bull,  paletti.  1904,  tav.  VII,  10). 

La  vera  forma  ancorata,  l'abbiamo  in  quattro  pcndaglietti  di  lamina  aurea  con  fodera  di  bronzo 
laminato,  prov.  dalla  t.  a  fossa  II  della  «  Banditella  »,  nella  Marsiliana  :  Minto,  Mars.  d' 4/6.,  pag.  35 
e  188,  fig.  11. 

(»)  Not.  se.  1905,  fig.  11  a  pag.  154  (t.  M)  e  pag.  166. 

(*)  Numerosi  .-Mot». ani.  XV, col. 67,  83, 165 (fig.  66),  179  (fig.  75),  189  (fig.  80)  e  tav.  XIV,  2,   3. 

(»)  Not.  Se.  1903,  pag.  331  (figg.  62  e  62)  ;  1904,  pag.  420. 

(*)  Paribeni,  Mon.  ant.  XVI,  col.  367;  Stefani,  Not.  se.  1911,  pag.  439,  fig.  7;  Bull,  paletn. 
1912,  tavv.  V  e  VI  ;  Della  Seta,  Mus.  V.  Giulia,  1,  pag.  326.  Attraente  ò  il  contemplare  le  vetrine 
di  Lcprignano  nel  musco  di  Villa  Giulia. 

(5)  Mon.  ant.  XV,  col.  139,  fig.  59. 

(•)  Un  poco  diversi  in  ipogeo  etrusco  a  Castellina  di  Ch.  (Not.  se.  1904,  pag.  237,  fig.  35). 

(')  Bellucci  in  Bull,  paletn.  XXXV  (1910),  pag.  98. 

(<>)  Bull.  pai.  1887,  pag.  191,  tav.  VII,  31. 

E  conviene,  per  essi,  citare  quelli  argentei,  più  grandi,  della  T.  Bernardini,  con  lo  stesso  appicca- 
gnolo (Curtis  D.,  The  Bern.  T.  p.  19  e  pi.  VI,  5  6:  estr.  da  «Memoirs  of  the  American  Acad.  in  Rome» 
III,  1910).  La  nota  3  del  Curtis  mi  ha  indotto  a  pensare  che  questi  bottoni  ornamentali  «  a  calotta», 
per  la  tecnica,  sono  vecchia  esperienza  dei  fonditori  laziali:  non  erano  in  fondo  dei  bottoni  concavo- 
convessi  con  appiccagnolo  quegli  scudetti  simbolici  trovati  dentro  le  urne-capanne  del  Pascolaro  ? 
(per  i  quali  ved.  Bull.  pai.  IX,  1883,  pag.  97  e  pag.  137,  e  tav.  IX,  3  ;  Not.  se.  1902,  pag.  191). 


MARINO  —  502   —  REGIONE   I. 

* 

Delle -76  rinvenute:  ben  29  sono  a  navicella  e  con  lunga  staffa  a  canale;  12  eòi 
corpo  espanso  a  losanga  (varietà,  in  fondo,  del  primo  tipo)  e  con  lunga  staffa  ;  11  ad 
arco  filiforme  o  nastriforme  ingrossato  con  l'inserzione  di  dischi  o  chicchi  d'ambra  ; 
11  ad  arco  semplice  e  ingrossalo  ma  con  lunga  staffa;  6  del  tipo  da  noi  più  propria- 
mente chiamato  a  sanguisuga  ;  3  sole  ad  arco  serpeggiante,  o,  meglio,  inginocchiato 
(frammentarie;  la  più  notevole  «a  bastoncelli  con  globetti  terminali»:  fig.  40)  »;  1  sola 
più  vicina  al  tipo  più  antico,  ad  arco  pieno  e  ingrossato  e  staffa  corta  semicircolare 
(raccolta  sporadicamente:  fig.  41)  ;  1  infine  singolarissima  e  di  cui  parleremo  sùbito. 

Quanto  a  dimensioni,  ne  abbiamo  di  piccolissime  e  due  assai  grosse  :  quella  della 
t.  7,  e  ancor  più  l'altra  della  t.  26,  lunga  più  di  diciassette  centimetri. 

Gli  ornati  incisi  si  riducono  quasi  generalmente  al  motivo  spicato  o  della  «  spina 
di  pesce  »  negli  esemplari  «  a  navicella  »,  ai  consueti  fasci  di  linee  parallele,  trasversali 
o  longitudinali,  a  reticolati,  a  punti  circoscritti;  senza  quindi  uscire  dal  comune  re- 
pertorio. Più  complessa  e  armonica  è  la  disposizione  in  qualche  fibula  «  a  sanguisuga  ». 

Quanto  ai  particolari  della  loro  collocazione,  sono  state  quasi  tutte  ritrovate  in 
tombe  femminili,  e,  all'infuori  della  t.29,  per  la  ragione  a  suo  luogo  esposta,  deposte 
nello  spazio  corrispondente  al  torace  dei  morti.  Dove  più  e  dove  meno  numerose,  se 
ne  raccolsero  ben  tredici  in  un  solo  seppellimento,  e  per  due  volte  (t.  26,  30);  dodici 
nella  t.  29  ;  sette  nella  t.  18;  sei  nella  t.  21;  cinque  nella  t.  7;  quattro  nella  t.  3  e 
nella  13  ;  tre  nella  5  e  28  ;  due  nella  17  ;  una  sola  nella  12  ;  tre  sporadiche. 

Ma  la  nostra  attenzione  deve  rivolgersi  alla  singolarissima  fibula  g  della  t.  29 
(fig.  48)  e  di  cui  non  ripeterò  la  descrizione,  rimandando  a  pag.  479. 

Nella  ricchissima  serie  delle  fibule  italiane,  essa  rappresenta  per  ora  un  unicum  ; 
né,  per  quanto  abbia  pensato  e  cercato,  ho  potuto  ravvicinarla  a  esemplari  stranieri. 
Essa  è  frutto  di  lavoro  fusorio  e  di  inserzione  di  parti. 

Non  la  forma  semplice,  che  è  un  arco  a  perfetto  semicerchio,  per  quanto  costi- 
tuito di  spessa  verga  o  sbarretta  enea,  ci  attrae  ;  ma  è  l'ornato  fatto  con  la  serie  di 
globetti  sporgenti,  veri  e  propri  chiodetti  dalla  capocchia  globulare  infissi  nello  spes- 
sore della  verghetta. 

E  non  l'uso  di  chiodetti  con  capocchia  rilevata,  per  ornamento,  costituisce  la 
novità  ;  è  chiara,  la  lontana  origine  di  questo  uso  nelle  prime  produzioni  della  metal- 
lotecnica  nostrana,  cui  tenne  dietro  la  ceramica  (1).  Ma  del  tutto  nuova  è  l'applica- 
zione di  quei  chiodetti  sul  corpo  di  una  fibula,  e  in  quella  maniera  determinata.  Il 
semplice  elemento  dei  «globetti  ornamentali»  non  costituisce  novità;  lo  ritroviamo 
già  adoperato  nella  bellissima  serie  delle  fibule  ad  arco  serpeggiante,  munite  appunto 
di  globetti  o  bottoncini  terminali;  uso  che  forse  fu  vanto  precipuo  etrusco  e  che  ha 
superba  rappresentanze  nelle  fibule  auree  ed  argentee  di  Palestrina,  di  Narce,  della 
Marsiliana  d'Albegna,  oltre  a  numerosi  esemplari  di  bronzo  ('). 

Ma,  siamo  sempre  di  fronte  a  un  diverso  sistema  nell'applicazione. 

(')  E  per  ciò  :  Ghirardini,  La  situla  Hai.  (Mont.  ant.  VII),  part.  2»,  pag.  77  seg. 

(°)  Non  ci  sarebbe  bisogno  di  citazioni  ;  ma  per  comodo  ved.  in  Montelius.  pi.  18,  261-263  ; 
pi.  19,  264-265  ;  20,  271-279  :  pi.  179,  4  ;  250,  6.  Minto,  Marsil  tav.  XI-XII1.  Anche  di  Cuna:  Bull, 
pai.  1904,  pag.  21  ;  Gabrici,  col.  301-302.  Anche  quelle  con  «  ghiandette  »,  più  proprie  dell'Italia 
merid.  :  Montelius,  pi.  20,  280  ;  Moni.  ant.  X,  pag.  311  (Aufidena). 


RKGIONÉ    I. 


503  — 


MARINO 


Cercando  paragoni  più  stringenti,  possiamo  ricordare  una  fibula  italiana  di  ferro, 
conservata  a  Cristiania,  che  porta  sugli  orli  della  laminetta  serpeggiante  una  serie 
continua  di  globetti  (1).  Ma  altri  due  oggetti  sono  più  attraenti  per  il  confronto  :  l'uno 
è  un  fermaglio  eneo,  trovato  a  Vetulonia  (Tre  Navicelle),  il  quale  su  le  traverse  porta 
appunto  una  serie  dei  nostri  globetti,  ma  più  piccoli  (2)  ;  l'altro,  e  che  mi  piace  ripro- 
durre perchè  più  istruttivo  ne  è  il  riscontro,  è  un  pezzo  di  piccola  correggia,  di  cuoio, 
che  ha  nel  mezzo,  infissi,  una  serie  di  chiodi,  con  altri  minori  sui  lati,  proveniente  dalla 
tomba  del  Guerriero  di  Tarquinia  (3)  (fig.  49). 

Con  ciò,  il  sistema,  che  ha  antiche  origini  tradizionali,  è  perfettamente  chiarito  ; 
ma  pur  sempre  resta  la  singolarità  della  nostra  fibula. 


Fig.  48. 


Fig.  49. 


Anche  importante  è  l'aver  riscontrato  per  la  prima  volta  nelle  necropoli  albane 
l'uso  di  cinture. 

Non  certo  paragonabili  ai  magnifici  «  cinturoni  »  di  considerevole  consistenza  e 
con  vaghi  ornati,  ultimi  e  frequenti  quelli  di  Capena,  i  nostri  pezzi,  dei  quali  uno  più 
piccolo  dell'altro,  ritrovati  nella  medesima  sepoltura  (t.  30),  sono  assai  modesti,  di 
lamina  sottile:  vere  e  proprie  «fascette»,  analoghe  a  quelle  rinvenute  nella  necropoli 
di  Poggio  Montano  (Vetralla)  (4). 

■Infine,  per  chiudere  questa  rassegna  di  suppellettile  funebre,  è  nel  nostro  sepol- 
creto anche  accertato  l'uso  di  cinture  di  cuoio  o  d'altro,  per  l'avvenuto  trovamento 


(')  Montelius,  tcxt.,  pag.  27,  pi.  20,  281.  La  medesima  è  riprodotta  anche  da  Pinza  in  Materiali 
p.  Vetnol.  ecc.,  pag.  162,  fig.  112,  dove  è  stampato  :  appartenente  alla  collez.  Bellucci  (?). 

(■)  Montelius,  pi.  197,  1  ;  Falchi  in  Not.  se.  pag.  489,  fig.  29.  Qui  non  si  specifica  se  le  «  tante 
pallottole  »  poste  su  gli  «  assi  trasversali  »  sieno  infisse  come  nella  nostra  fibula  :  ma  è  supponibile. 

Altri  fermagli  argentei  (di  Vetulonia  :  Montelius.  pi.  197,  1  ;  Karo  in  St.  e  mater.  I,  pag.  271 
e  fig.  40),  e  così  pure  fibule  a  nastro  serpeggiante  (della  Marsiliana  :  Minto,  pag.  197,  fig.  8)  hanno  ana- 
logia, ma  l'ornato  risulta  con  «  bottoncini  mammellari  »  di  lamina  e  «  contornati  a  cordicella  ». 

(3)  Montelius,  pi.  288, 6  ;  e  cfr.  con  Moti.  Inst.  X,  pi.  X  d,  fig.  4  (da  cui  è  tratta  la  nostra  fig.) 
e  Ann.  Inst.  1874,  pag.  263.  Inoltre  nella  medesima  tavola  dei  Mon.,  ai  n.  5  e  6,  sono  riprodotti:  un  al- 
tro pezzo  di  correggia  e  una  strisciolina  di  tela  con  chiodetti  più  piccoli  (cfr.  Ann.,  cit.). 

,(4)  Not.  Se.  pag.  303  ;  pag.  326  al  n.  11  ;  figg.  17  e  19.  Al  Colini  (pag.  360)  sembrarono  proprie 
del  «  secondo  periodo  paleoetrusco  ». 


MARINO  —   604    —  REGIONE   I. 


di  asticelle  enee  vòlte  ad  uncino  (numerose  e  ancor  legate  in  serie  nella  t.  1),  proprie 
di  un  tipo  di  fermaglio  ben  noto  per  molti  esemplari  già  raccolti  (*). 


* 
*  * 


La  visione  complessiva  del  materiale  recuperato,  i  riscontri  particolari  che  questo 
ci  ha  permesso  di  fare,  le  considerazioni  occorse  per  taluni  capi  di  corredo,  ci  consen- 
tono di  affermare  con  relativa  sicurezza  la  posizione  cronologica  del  sepolcreto. 

Esso,  per  la  struttura  delle  tombe  e  per  le  suppellettili  contenutevi,  si  lega  con 
strettissimi  rapporti  anzi  tutto  alle  sepolture  preromane  di  Roma  stessa  ;  addirittura 
con  rapporti  di  «  identità  »,  possiamo  dire,  alle  tombe  recenziori  del  Foro  C-D-G-I- 
K-M-AA,  con  le  quali  ha  comuni  stoviglie  e  bronzi  ornamentali  (2). 

Si  collega  altresì,  per  analogie  genèriche  nell'architettura  delle  tombe  e,  più,  per 
comunanza  di  parecchi  ornamenti  personali,  col  sepolcreto  di  Caracupa;  ma  non  però 
completamente  in  fatto  di  stoviglie,  che  le  due  località  mostrano  particolarità  di 
forme. 

Infine,  tanto  riguardo  ai  fittili,  quanto  rispetto  agli  oggetti  di  abbigliamento,  il 
nostro  sepolcreto  ci  ha  permesso  ampi  e  istruttivi  riscontri  con  le  tombe  a  fossa  più 
recenti,  e  con  taluna  primitiva  a  camera,  di  Veio,  Capena,  deWAgro  Falisco  ;  mostrando 
inoltre  di  avere  parentele  o  affinità  con  le  contemporanee  necropoli  della  Bassa  Etruria, 
da  Vulci  a  Caere.  E  riscontri  più  degli  altri  efficaci  per  qualche  tipo  fittile  sono  stati 
fatti  con  le  tombe  a  fossa  Veienti,  delle  contrade  «  Vaccareccia  »  e  «  Picazzano  ». 

Accanto  a  fittili  di  forme  più  arcaiche  nella  secolare  tecnica  indigena,  che  non  pro- 
vano l'antichità  dèi  pezzi  ma  sono  chiaro  indice  di  «  persistenze  »  (come  fu  già  notato 
per  Caracupa)  (3),  abbiamo  prodotti  della  stessa  tecnica  ma  regolati  dall'imitazione 
di  modelli  metallici  ;  abbiamo  vasi  di  forme  più  eleganti  e  d'impasto  raffinato,  lavorati 
al  tornio  ;  ne  abbiamo  anche  di  imitati  da  quei  prodotti  stranieri  che,  introdotti  su  larga 
scala  agli  inizi  del  VII  sec,  operarono  la  mirabile  trasformazione  delle  nostre  industrie 
locali  (<). 

1  bronzi  poi,  le  fibule  in  particolar  modo,  sono,  meno  un  tardivo  esemplare  (fig.  41), 
da  porre  tutte  fra  le  più  recenti  della  specie. 

(')  Identiche  asticelle  nei  fermagli  argentei  di  Narce  e  della  T.  Bernardini  (Karo  in  SI.  e  mater. 
1°,  pag.  271  ;  pag.  147;  cfr.  Mon.  ant.  IV,  tav.  XI,  22  e  Curtis  D.,  The  Bernard,  t.  cit.  pi.  4,  7,  8)  ; 
inoltre  di  Cuma  (Karo  in  Bull.  pai.  1904,  tav.  V,  2  ;  della  Marsiliana  (Minto,  pag.  203)  ;  ecc. 

(«)  Not.  Se.  1903,  pag.  168,  pag.  163.  pag.  386,  pag.  422  ;  ibid.  1905,  pag.  151  ;  ibid.  1911,  pag.  160. 

Se  i  loro  corredi  per  caso  si  unissero  a  quelli  delle  nostre  tombe  e  si  dicessero  raccolti  con  questi, 
non  il  minimo  appunto  potrebbe  muoversi. 

(')  Interessante,  per  lo  spirito  di  «  conservatorismo  »,  è  la  scoperta,  avvenuta  dentro  Velletri,  di  due 
vasi  d'impasto  laziali  in  una  tomba  del  I  secolo  av.  Cr.,  corredata  con  due  figuline  etrusco-campane. 
Il  Nardini  giustamente  suppose  che  i  due  vasi,  appartenuti  già  a  tombe  antichissime,  fossero  cosi  stati 
riusati  (Not.  scavi,  1903,  pag.  228). 

(4)  Accetto,  s'intende  già,  le  argomentazioni  di  coloro  che  dissentono  dalla  cronologia  del  Mon- 
telius  e  da  quella  supposta  per  la  2»  fase  dal  Gabrici  (Cuma,  pag.  489)  ;  sopra  tutti  del  Colini,  di-  cui 
rimane  la  magistrale  sintesi  per  Poggio  Montano  (Not.  se.  1916,  pag.  363  seg.) 


SEGIONE   I.  —   505  —  MARINO 

E  chiarissimo  indizio  del  tempo  sono  i  vasi  di  argilla  figulina  importati,  trovati  non 
rari,  e  i  pochi  buccheri. 

Oltre  al  fatto  di  non  avere  se  non  prove  negative  circa  l'uso  di  deporre  i  morti  in 
casse  lignee  osu  tavole,  così  da  concludere  che  i  cadaveri  vennero  adagiati  sulla  nuda 
terra,  anzi  sul  duro  e  ben  preparato  letto  funebre  di  pietra,  ho  già  a  suo  luogo  rilevato 
che  il  nostro  sepolcreto  non  ha  dato  alcun  oggetto,  neppure  in  frammenti  minimi,  di 
metallo  prezioso.  Ciò  va  attribuito  alle  condizioni  economiche  dei  sepolti  :  condizioni 
che  potrebbero  sempre  spiegarci  molte  particolari  circostanze  di  fatto,  dappertutto, 
più  che  il  gusto,  il  rito,  e  via.  dicendo.  Massimo  esponente  della  «  rarità  »  o  della 
«  preziosità  »  posseduta  dagli  agricoltori  della  Riserva  del  Truglio,  restano  semplice- 
mente i  due  scarabei  d'imitazione  egizia  ;  copiosa,  si  ricordi,  è  Y ambra  scura.  Ma  vi  sono 
altre  mancanze  da  ricordare  :  nessuna  lancia  di  bronzo,  nessun  «  rasoio  »,  nessun  fuso 
o  conocchia,  furono  trovati  (tanto  per  citare  gli  oggetti  più  comunemente  reperibili). 

Tutto  insomma  accenna  a  tempi  relativamente  recenti,  che  potremmo  ragione- 
volmente fissare  con  la  fine  del  VII  e  non  oltre  la  metà  del  VI  secolo.  A  me  pare,  infatti, 
che,  tra  la  necropoli  di  Villa  Cavalletti  e  la  tomba  Bernardini,  il  nostro  sepolcreto  debba 
accompagnarsi  con  la  celebre  tomba  prenestina.  S'intende  :  per  il  tempo.  Là,  a  Preneste, 
è  la  sepoltura  di  un  «  princeps  »  ;  qua,  nel  Truglio,  sono  le  modeste  tombe  di  agricoltori 
laziali,  discendenti  dei  foggiatori  delle  «  urne-capanne  ». 

E  come  le  tombe  di  Villa  Cavalletti  chiudon  la  serie  delle  necropoli  laziali  della 
Ì*  fase,  che  indubbiamente  fu  di  lunga  durata,  così  quelle  della  «  Riserva  del  Truglio  » 
chiudono  per  ora  (o,  meglio,  completano)  l'altra  della  seconda  fase  più  recente,  assicu- 
randoci nel  contempo  che  sui  colli  albani  il  passaggio  dal  rito  dell'incinerazione  a  quello 
inumatorio  non  è  cosa  rara  ('). 

Se  si  vuole,  e  mi  si  permette,  un'imagine,  possiamo  dire  che  la  gente,  di  cui  ora  ab- 
biamo studiato  le  modeste  reliquie,  è  quella  stessa  che  forse  aveva  già  inviato  una  parte 
di  sé  a  occupare  le  «  fatali  »  alture  tiberine. 

L'importanza  del  nostro  sepolcreto  (e  l'ho  già  accennata  in  principio)  consiste  es- 
senzialmente nella  avvenuta  sua  regolare  esplorazione  ;  così  che  sono  pienamente  avva- 
lorate le  saltuarie  scoperte  di  materiale  recenziore  già  occorse  nel  territorio  albano. 

Ma  anche  un'altra  ne  mostra,  dati  i  riscontri  fatti. 


(')  Ciò  affermo  perchè  l'osservazione  del  Gibrici  {Carni,  col.  201)  più.  non  ha  ragione  di  consi- 
stenza ;  seppure  ne  avesse  avuta  molta  prima  della  scoperta  del  nostro  sepolcreto.  Tombe  a  inuma- 
zione, anche  se  poche,  eran  pur  venuto  già  in  luee  in  un  territorio  non  esplorato  mai  con  regola  scien- 
tifica. Il  numero  prevalente  di  quelle  a  incinerazione,  col  rito  certamente  introdotto  nel  Lazio  «  neo- 
litico »  dagli  invasori  padani,  non  deve  meravigliarci,  se  si  pensa  che  indiscutibilmente  lunga  fu  la  du- 
rata del  1°  periodo  della  civiltà  del  ferro  laziale.  Ciò  deducesi  con  convinzione  se  si  considera  addentro 
tutto  il  complesso  delle  antichità  laziali,  propriamente  dette  e  contigue,  dalla  tomba  «  villanoviana  » 
di  Palombaro,  (Not.  se,  1902,  p.  20),  e  da  Tolfa  e  Allumiere,  fino  a  Villa  Cavalletti.  Si  passa  poi  al- 
l'inumartene. Perchè  ?  Sorge  qui  il  più  grave  problema,  per  la  cui  risoluzione  non  ancora  sufficienti 
sono  i  dati.  Altre  importanti  questioni,  relative  alle  sepolture  laziali,  sono  da  me  trattate  in  uno 
studio  pubbl.  nel  voi.  XLIV  del  Bull,  paletti.  (1924),  studio  al  quale  ho  più  sopra  accennato. 

Notizie  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  64 


VELLETRI  —    506   —  REGIONE    I. 

Nella  seconda  fase  dell'età  del  ferro,  gli  Agri  Veienic-Capenate-Falisco  sempre  più 
dimostrano  rapporti  di  parentela  con  i  territori  romano  e  laziale. 

È  innegabile  che,  circa  nei  tempi  in  cui  venne  fondata  la  Città  sacra,  dal  Soratte 
alla  pianura  Pontina,  e  dalle  ultime  propaggini  dell'Appennino  al  mare,  esisteva  una 
uniformità  di  cultura,  di  costumanze,  di  riti,  di  vita  insomma. 

Ed  è  con  tale  base  sostanziale  che  si  renderà  più  sicuro  il  volo  delle  aquile  romane. 

Ugo  Antonielli. 


IX.  VELLETRI  —  Rinvenimento  di  un  cippo  marmoreo  funebre  in 

contrada  «  Le  Incudini  > . 

A  circa  cinque  chilometri  dalla  città,  presso  la  via  Appia  antica,  in  contrada  «  Le 
Incudini  »  (così  denominata  per  l'esistenza  di  pilastri  e  di  avanzi  degli  archi  di  un  an- 
tico acquedotto  romano),  in  un  terreno  di  proprietà  del  sig.  Antonio  Lautizi  concesso 
al  sig.  Bizzoni  Igino  per  essere  ridotto  a  vigna,  procedendosi  al  dissodamento  del  ter- 
reno, in  un  luogo  distante  circa  cinquanta  metri  dall' Appia,  gli  operai  hanno  rinvenuto, 
a  poco  meno  di  un  metro  di  profondità,  alcuni  blocchi  squadrati  di  travertino.  Allargato 
lo  scavo,  il  Bizzoni  rinvenne  un  piccolo  cippo  marmoreo  funebre. 

Informato  immediatamente  della  scoperta,  mi  recai  sul  posto,  e  nella  buca,  quasi 
totalmente  riempita  di  acqua  di  pioggia,  potei  scorgere  il  piccolo  blocco  che  presentava 
importanti  figure  a  bassorilievo.  Date  le  condizioni  del  terreno  e  la  stagione  poco  pro- 
pizia, non  fu  potuto  estrarre  il  pregevole  cimelio  ;  e  dovetti  rimettere  l'operazione  ad 
un  momento  più  opportuno. 

Estratto  finalmente  dallo  scavo  fu  condotto  al  museo  civico  ;  ripulito  dalle  incro- 
stazioni e  dalla  calcina  di  cui  in  parte  era  ricoperto,  il  cippo  si  presenta  ora  con  i  bas- 
sorilievi ben  visibili. 

Esso  è  di  marmo  bianco,  molto  deteriorato  per  il  lungo  tempo  in  cui  è  rimasto  sot- 
terra, ed  ha  la  base  che  misura  m.  0,60  di  lunghezza  e  m.  0,44  di  larghezza  :  l'altezza  è  di 
m.  0,64. 

Le  decorazioni  a  bassorilievo  arrivano  fino  alla  estremità  inferiore  del  blocco  ;  il 
che  fa  credere  che  era  posto  su  di  uno  zoccolo. 

Gli  spigoli  anteriori  terminano  in  due  colonnine  a  tortiglione  con  piccole  basi, 
e  capitello  ;  i  posteriori,  in  parte  asportati,  raffigurano  due  faci. 

Nella  fronte  principale  del  piedistallo  (ved.  fig.  1)  è  scolpita  una  scena  conviviale 
funebre.  Distesa  sul  letto,  è  una  figura  maschile  barbata,  vestita  di  tunica  e  manto,  che 
nella  mano  sinistra  regge  una  coppa,  e  nella  destra  un  serto  di  fiori. 

A  sinistra  del  letto,  è  seduta  una  donna  appoggiata  col  piede  sinistro  ad  uno  sga- 
bello :  la  gamba  destra  si  accavalla  sul  ginocchio  sinistro  con  graziosa  mossa. 

Presso  la  figura  maschile  v'è  una  piccola  tavola  tripode,  con  sopra  due  coppe  ; 
a  destra  assiste  una  ancella. 

Sopra  alle  teste  delle  figure  principali  corre  una  ghirlanda  di  fiori,  sospesa  ai  due 
capitelli  delle  colonne,  che  discende  lungo  i  lati  di  esse,  quasi  fino  alla  base. 


REGIONE   I. 


507   — 


VELLETRI 


Il  bassorilievo  si  appoggia  sulla  cornice  di  una  targa,  che  occupa  più  del  terzo  del- 
l'altezza del  piedistallo,  e  misura  m.  0,42  X  0,26. 


Fig.  1. 


In  essa  è  incisa  la  seguente  iscrizione  in  cui  le  lettere  della  prima  riga  sono  alte 
min.  25,  quelle  della  seconda  miti.  20,  quelle  della  terza  mm.  12  e  le  altre  circa  mm.  10: 


LMARCIO-ANICETO 
MARCIA-HELPIS-PATRON 
ISDEM  •  CONIVGI  •  BENEMERENTI 

HAEC  •  ANIMA  •  BENEDICTA  •  HOC  •  LOCO  •  SECVRA 
REQVESCIT  •  CVM  •  QVO  •  V  •  A  •  XXX  •  SENE  •  VLLA 
INI  VRIA-  FECIT-  ET-  SIBI-  ET-SVIS  •  LIBER  •  UBERTABVS 

QVE-SVIS  ■  POSTERISQVE  •  EORVM  •  ITA  •  VTI 
MACERIE  •  CLVSVM  -EST-  A    PISCINA-VSQjAT  •  PVTEAL 

Q_V  O  Q_V  O  V  E  R  SV  S  •  IVGERVM  •  PLVSMINVS  •  DIMID 


VELLFTRI 


508  — 


REGIONE   I. 


Il  fianco  destro  de]  piedistallo  (ved.  fig.  2)  è  limitato  ai  lati  da  una  colonnina  e  da  una 
face.  Nel  mezzo  è  scolpita  la  figura  di  Giunone  in  piedi  vestita  di  chitone  e  col  capo 
coperto  da  velo.  A  destra  presso  il  piede  evvi  un  pavone  :  con  la  mano  sinistra  stringe 


Fio.  2. 


l'asta  di  una  lancia  e  nella  mano  destra  porta  una  patera.  Tanto  la  figura  della  dea 
quanto  quella  del  pavone  posano  sulla  cornice  di  una  targa  che  misura  m.  0,18X0,12,  in 
cui,  in  lettere  alte  mm.  25,  è  inciso  il  nome: 

I  V  N  O 

Benché  molto  corroso,  tuttavia  il  volto  della  dea  è  ben  modellato.  Un  festone  di 
lauro  orna  in  alto  la  figura  e  discende  ai  lati  fino  in  basso, 


REGIONE    I. 


"•09  — 


VELLETRI 


Nel  fianco  di  sinistra  (ved.  fig.  3),  limitato,  come  il  precedente,  dalla  colonnina  e 
dalla  face,  e  avente  anch'esso  il  testone  di  lauro,  è  scolpita  nel  mezzo  la  figura  di  Giove, 


Fig.  3. 


nudo,  ritto  in  piedi  e  coperto  da  un  semplice  manto  che  dalla  spalla  sinistra  scende  in' 
basso  per  ricoprire  l'anca  destra  ;  un  lembo  del  manto  ricade  lungo  il  fianco  sinistro  del 
corpo  e  termina  in  un  fiocco.  Nella  mano  destra  ha  il  fulmine  appoggiato  sull'avam- 
braccio, e  nella  mano  sinistra  l'asta  dello  scettro.  A  fianco  al  piede  destro  v'è  un'aquila. 
Anche  qui  vi  è  la  targa  scorniciata  che  misura  m.  0,18  X  0,1 2,  e  nel  cui  mezzo,  in  lettere 
alte  mm.  27,  è  inciso  il  nome 

JQ  VIS 


VELLETRI 


510 


REGIONE    I. 


La  fronte  posteriore  del  basamento  (ved.  fig.  4),  limitata  agli  spigoli  dalle  due  faci 
ed  avente  il  festone  come  gli  altri  lati  della  scultura  (che,  invece  di  essere  di  lauro,  è  di 
fiori),  porta  scolpito  nel  mezzo  Mercurio  a  cavallo  di  un  ariete.  La  figura  è  nuda  con 
un  manto  svolazzante,  ed  ha  il  capo  coperto  dal  petaso.  Nella  mano  destra  alzata  porta 
il  caduceo  e  nella  sinistra  una  borsa  ((rumena).  L'ariete  è  preceduto  da  un  gallo. 


Fio.  4. 


Il  profilo  della  testa  di  Mercurio  è  scolpilo  con  cura  e  ben  modellato.  L'ariete  ed 
il  gallo  posano  sulla  cornice  di  una  targa  più  grande  delle  precedenti  che  misura  metri 
0,42  X  0,15,  in  cui  è  incisa,  con  lettere  alte  mm.  20  ed  in  tre  righe,  la  seguente  scritta  : 

eT  >  T  >  FLAVIO  >  ÀVG  >  L 
HERÀMITI   >   MED   X 

ET  -L>L>      P    >     E    > 

Il  sepolcro  decorato  da  questo  cippo  fu,  oltre  che  a  L.  Marco  Aniceto  med(icus)  ed 
alla  sua  famiglia,  attribuito  anche  a  T.Flavio  Ermete,  liberto  imperiale:  et  l(ihcrtis) 
l\ibertàbusque)  prostendile)  e(orum).  Il  cippo  risale  all'età  degli  imperatori  Flavii,  alla 
fine  cioè  del  I  secolo  dell'  impero, 


REGIONE    T. 


-5Ì1  — 


VELLÈTRÌ 


Nella  parte  superiore  del  cippo  veggonsi  due  incassature  che  servirono  a  reggere 
qualche  oggetto  che  sovrastava.  I  blocchi  squadrati  di  travertino  rinvenuti  insieme  col 
cippo,  non  ancora  estratti,  tecero  certamente  parte  del  monumento  di  Marco  Aniceto, 
la  cui  area  complessiva  aveva  circa  mezzo  iugero  di  lato  (m.  35  x  18),  come  è  indi- 
cato nell'iscrizione. 

Oreste  Nardinl 


X.  VELLETRI  —  Epigrafe  bilingue  rinvenuta  nel  territorio  veli- 
terno,  in  località  Solluna. 

A  circa  5  km.  a  sud  della  città  di  Velletri,  in  contrada  Solluna,  presso  il  luogo  ove 
la  strada  di  Lazzaria  taglia  la  via  Appia  antica,  continuandosi  a  dissodare,  per  la  pian- 
tagione della  vigna,  il  terreno  di  proprietà  del  sig.  Vincenzo  Crespi,  ove  già  avvennero 
importanti  scoperte  archeologiche  (1),  fra  cui  quella  d'un  cimiteriolo  cristiano,  fu  re- 
cuperata una  lastra  marmorea  (m.  0,68  X  0,73  X  0,04)  che  ha  incisa  nella  metà  su- 
periore la  seguente  epigrafe  : 


M.  Mindio  M.  f.  Marcell[o],  praefecto  classis,  quei  meilitant  Caesari  navarchi  et 
trierarchi,  patrono. 

01  tìiQttxsvófievoi  KaiauQi,  vctvaqx01  *a<  tQirjQaQx01  >  Màgxov  Mivóiov  MciqxsXXov 
tòv  snaQXpv  toìt  Giokov. 


(')  Già  illustrate  in  queste  Not.  d"<jli  se,  1918,  pag.  138scgg.  (0.  Nardini);  1922,  pag.250  segg. 
(0.  Nardini,  R.  Paribeni)  ;  1924,  p.341  segg.  (G.  Mancini)  ;  cfr.  Nuovo  Bullettinodi  archeol.  cristiana, 
1922  (XXVIII),  pag.  133  segg.  (G.  Mancini). 


VÈLLETRI  —    512    —  REGIONE  I. 

Il  personaggio  onorato  dai  navarchi  (vavag%oi)  e  dai  Irierarchi  (tQirjQaQxoi)  al 
soldo  di  Cesare  Ottaviano  come  loro  patrono,  M.  Mindius  Marcellus,  non  è  del  tutto 
ignoto.  È  ricordato  da  Appiano  (b.  e.  V,  102)  come  uno  dei  partigiani  e  compagni  di 
Ottaviano  (MivSioi  óè  MaqxéXXy  ,  tòav  ètaigav  tiri  twv  KaiaaQog)  nell'ultima  guerra 
civile  combattuta  contro  Sesto  Pompeo.  Ora  ne  abbiamo  il  nome  completo  M.  Min- 
dius M.  f.  Marcellus,  e  sappiamo  che  raggiunse  il  grado  di  praefedus  classis  (Isttuqxos 
xov  atóXov). 

Rotta  la  pace  stipulata  nell'a.  39  av.  Cr.  fra  Ottaviano  e  Sesto  Pompeo  e  rinnovato 
il  triumvirato  per  cinque  anni,  Ottaviano  non  aveva  una  flotta  da  contrapporre  a  quella 
potente  di  Sesto  Pompeo,  che  occupava  tutta  la  Sicilia,  e  ne  aveva  commesso  la  costru- 
zione a M.  Vipsanio  Agrippa  nell'a.  37  av.  Cr.  (Appian.,  b.  e.  V,  34  ;  Cass.  Dio.,  XLVIII, 
17).  Il  grande  cantiere  navale  fu  impiantato,  al  sicuro  da  ogni  sorpresa,  tra  Baiae  e  Pu- 
koli,  nei  laghi  Lucrino  ed  AvernoC).  Nell'a.  36  av.  Cr.,  alla  ripresa  delle  ostilità  fra  Ot- 
taviano e  Sesto  Pompeo,  quel  tale  Menas  o  Menodoro,  che,  già  al  servizio  di  Ottaviano, 
aveva  disertato  passando  a  Sesto  Pompeo,  pensò  di  ritornare  al  servigio  di  Ottaviano 
(Appian.,  b.  e,  V,  101,2).  L'andamento  dell'ultima  campagna  dava  a  lui  ragione  di 
credere  che  la  parte  più  forte  fosse  per  l'appunto  quella  di  Ottaviano  ;  era  poi  indignato 
per  avere  avuto  da  Sesto  Pompeo  un  comando  in  sott'ordine.  Volendo  dimostrare 
quanto  egli  valesse  e  quanto  pesasse  la  sua  amicizia  o  la  sua  inimicizia,  prese  ad  attac- 
care con  alcune  navi  della  flotta  di  Sesto  Pompeo  gli  avamposti  del  cantiere  navale  di 
Ottaviano  (Appian.  b.  e,  V,  101,  3).  Egli  aveva,  tra  i  seguaci  di  questi  addetti  alle  co- 
struzioni navali,  un  amico,  per  l'appunto  M.  Mindio  Marcello,  il  personaggio  della  no- 
stra iscrizione,  e  sparse  la  voce  tra  i  suoi  che  questi  macchinasse  una  defezione  (Appian., 
b.  e,  102,1).  Riuscì  con  dei  messaggi  a  chiamare  Mindio  Marcello  a  segreto  colloquio 
in  un'isoletta,  ove  rivelò  all'amico  essere  egli  passato  ai  Pompeiani  per  i  rimproveri 
del  navarco  Calvisio  ;  ma,  ora  che,  invece  di  questi,  comandava  la  flotta  Agrippa,  egli 
era  disposto  a  tornare  a  Cesare  Ottaviano.  Ciò  avrebbe  potuto  ottenere  se  Mindio  lo 
avesse  raccomandato  a  Messala,  che  allora  faceva  le  veci  di  Agrippa  assente  nel  co- 
mando della  flotta.  Messala  fu  esitante,  ma  poi  accettò  ;  Cesare  Ottaviano  perdonò  a 
Menodoro,  facendolo  però  per  legittima  diffidenza  sorvegliare  in  segreto  (Appian., 
b.  e,  102,  3). 

Il  minuzioso  testo  di  Appiano  tace  la  qualifica  ed  il  grado  di  M.  Mindio  Marcello  ; 
è  naturale  però  che  egli  allora,  e  cioè  nell'a.  36  av.  Cr.,  fosse  ancora  un  subalterno  nella 
milizia  navale.  Forse  soltanto  dopo  la  grande  vittoria  della  flotta  di  Agrippa  su  quella 
di  Sesto  Pompeo,  riportata  il  3  settembre  di  quell'anno,  fra  Mylae  e  Naulochos,  sulla 
costa  settentrionale  della  Sicilia,  dovuta  in  gran  parte  ai  famosi  arpioni  di  arrembaggio 
ideati  da  Agrippa  (Appian.,  b.  e,  V,  97),  egli  ottenne  il  grado  di  praefedus  classis.  Non 
è  improbabile  che  Mindio  Marcello  come  tale  abbia  partecipato  alla  battaglia  di  Azio 
(a.  31  av.  Cr.). 

I  comandanti  delle  navi  maggiori  (navarchi)  e  quelli  delle  minori  (Irierarchi)  suoi 
dipendenti  e  protetti,  che  militavano  dalla  parte  di  Cesare  Ottaviano  (quei  meilitant 

(')  Cfr.  Drumann-Groebe,  Geschichte  Roms,  IV,  p.  565. 


REGIONE    I.  —    5Ì3    — 


VELLETRI 


Caesari=  oi  OTQcaevófifim  Kaiaccqi),  posero  a  lui  un  monumento  di  cui  faceva  parte 
l'iscrizione  in  parola. 

Questa  è  bilingue,  secondo  l'uso  frequente  degli  ultimi  tempi  della  Kepubblica.  Il 
semplice  nome  di  Gaesar  attribuito  ad  Ottaviano  fa  ritenere  che  l'iscrizione  fu  posta 
prima  che  egli  assumesse  il  titolo  di  Auguslus,  il  che  avvenne  il  16  gennaio  dell'  a.  27 
av.  Cr.  (Suet.  Aug.,  7  ;  Cass.  Dio,,  LUI,  18  ;  Monum.  ancyr.  VI,  13  seg  ;  C.  I.  L.,  I, 
p.  384).  L'iscrizione  è  forse  anche  anteriore  all'  a.  30  av.  Cr.  nel  quale  sembra  che  Otta- 
viano abbia  cominciato  ad  assumere  il  nome  di  Imperator  Caesar  (2).  Difficilmente  si 
sarebbe  omesso  il  nome  Imperator,  e  tanto  meno  quello  di  Auguslus,  se  Ottaviano  li 
avesse  già  ricevuti. 

Da  quanto  è  stato  esposto  consegue  che  l'iscrizione  che  ci  occupa  va  attribuita  agli 
anni  tra  il  36  ed  il  27  av.  Cr.  ;  con  tutta  probabilità  è  un  documento  sincrono  della  ce- 
lebre battaglia  di  Azio  e  della  fondazione  dell'Impero  romano. 

È  noto  che  con  il  nuovo  e  definitivo  ordinamento  della  marina  da  guerra,  eseguito 
da  Augusto,  gli  ammiragli  capi  delle  due  flotte  pretorie  in  Italia  non  si  chiamarono  più 
semplicemente  praefecti  classis,  senz'altra  aggiunta,  ma  assunsero  rispettivamente  il 
titolo  di  praefectus  classis  praetoriae  Misenensis  e  di  praefectus  classis  praeloriae  Ra- 
vennalis  (1). 

La  circostanza  di  aver  trovato  questa  iscrizione  nel  territorio  veliterno  indica,  che 
M.  Mindio  Marcello  fu  con  tutta  probabilità  cittadino  di  ~V ditrae,  e  quindi  conterraneo 
ed  amico  dei  membri  della  gens  Octavia,  cui  appartenne  Augusto,  la  quale  trasse  origine 
da  Velitrae  (Liv.,  II,  30  ;  III,  6  ;  VI,  36  ;  Suet.,  Aug.,  94),  ove  possedeva  una  villa. 

* 

Si  rinvenne  inoltre  una  statuetta  acefala  in  marmo  rappresentante  una  figura  mu- 
liebre seduta  ,  di  mediocre  fattura  e  molto  corrosa,  vestita  di  imation  dalle  pieghe  accu- 
ratamente eseguite  ;  è  alta  cm.  30. 

Si  ricuperarono  anche  tre  pesi  in  marmo,  di  cui  due  di  forma  conica  a  base  ellittica. 
Uno  di  essi  misura  alla  base  cm.  16  X 10  ed  è  alto  cm.  10  ;  presenta  un  incavo  nella 
parte  inferiore  e  pesa  grammi  2600.  L'altro  misura  alla  base  cm.  9  X  6  ed  è  alto  cm.  5  ; 
pesa  grammi  550.  Il  terzo  ha  la  forma  di  uno  sferoide  del  diametro  di  cm.  14  e  dell'altezza 
di  cm.  9;  presenta  i  resti  di  un  anello  in  ferrò  impiombato  nella  parte  superiore,  eh» 
serviva  di  presa  ;  pesa  grammi  2850.  Si  rinvenne  infine  un  acroterio  di  travertino,  della 
consueta  forma  a  palmetta,  alto  cm.  35,  proveniente  dalla  decorazione  di  qualche  pic- 
colo monumento  funebre  della  via  Appia. 

L'iscrizione  e  gli  oggetti  riferiti  sono  stati  immessi  nel  Museo  Civico  veliterno  a  cura 
del  cav.  ing.  Oreste  Nardini,  benemerito  r.  ispettore  onorario  di  Velletri  e  direttore  del 
museo,  il  quale  Nardini  fu  sollecito  a  riferire  l'importante  scoperta  alla  R.  Soprinten- 
denza agli  scavi  di  Roma. 


G.  Mancini. 


(*)  Cfr.  Th.  Mommsen,  Staatsrecht,  II»,  pag.  768. 

(2)  Cfr.  O.  Hirschfeld,  Kaiserliche  Verwattungsbeamten,  pag.  225  seg. 


Notizie  Soavi  1924  —  Voi.  XXI.  65 


MONTESARCHIO 


—   514 


REGIONE   ir. 


Regione  II  (APULI A) 

XI.  MONTESARCHIO  —  Scoperte  archeologiche  nel  territorio  del- 
l'antica Caudium  (tav.  XXIV). 

Nella  località  denominata  Ponteligno  o  Masseria  (ex-feudo  Foglia),  il  colono  Abate 
Biagio,  praticando  alcuni  lavori  agricoli  in  un  terreno  di  sua  proprietà,  si  è  imbattuto 
nei  ruderi  di  un'antica  costruzione,  nascosti  a  poca  profondità  da  un  leggiero  strato 
di  terra  vegetale. 

Nei  dintorni  di  Montesarchio  i  contadini,  nell'aratura  dei  campi,  incontrano  sovente 
resti  di  antichi  edifìci  della  città  romana  di  Caudium,  fondata  dalla  colonia  di  Bene- 
vento sul  luogo  della  città  sannitica,  presso  le  memorabili  furculae  eaudinae  ;  la  città 
romana,  trovandosi  fra  due  centri  cospicui,  quali  furono  Capua  e  Benevento,  e  sulla 
grande  arteria  della  via  Appia,  deve  avere  avuto  una  certa  importanza,  come  lo  testi- 
moniano i  ricordi  letterarii  ed  epigrafici  (cfr.  C.  I.  L.,  IX,  pagg.  198  e  673  ;  Hiilsen,  in 
Pauly  Wissowa,  III*,  col.  1804,  s.  v.  Caudium). 

I  recenti  travamenti  della  località  Ponteligno,  che  qui  pubblichiamo,  sono  di  un 
rilevante  interesse. 

Lungo  i  resti  delle  fondazioni  di  un  muro,  appartenente  ad  un'antica  costruzione 
romana,  alla  profondità  di  m.  0,75,  apparvero  diversi  frammenti  architettonici  mar- 
morei, un  medio  bronzo  corroso  di  Tiberio  ed  una  iscrizione  dedicatoria. 
j  Tale  iscrizione,  scolpita  su  una  lastra  di  breccia  azzurrina  (lungh.  m.  0,65  ;  alt. 
m.  0,55  ;  spess.  m.  0,03),  ricorda  Druso,  figlio  di  Tiberio,  cos.  II,  trib.  potest.  II  (fig.  1). 
Druso  fu  consul  iterum  nel  21  d.  Cr.,  e  prese  la  tribunicia  potrsias  nel  22  d.  Cr.  (Tac, 


Fio.  1. 


(fi 

I 
0 

r 
y 

< 

C/5 

LLj 

I- 

Z 

o 


REGIONE   II.  —  515   —  MONTESARCHIO 


ann.  Ili,  56)  :  il  nuovo  titolo  di  Caudium  è  quindi  contemporaneo  a  quelli  di  Cales 
(C.  I.  L.,  X,  4638)  e  di  Brundusium  (C.  I.  L.,  IX,  35)  e  può  datarsi  nel  23  d.  Cr.,  poco 
prima  cioè  della  morte  di  Druso. 

Ma  la  scoperta  più  importante  consiste  nella  statua  marmorea,  riprodotta  alla 
tav.  XXIV  ;  essa  giaceva,  coricata  di  fianco,  lungo  le  fondazioni  del  muro,  alla  stessa 
profondità  degli  altri  oggetti. 

La  bella  statua,  in  marmo  greco  pentelico,  alta  m.  1,60,  è  disgraziatamente  priva 
della  testa,  del  collo,  della  parte  superiore  della  spalla  destra  e  delle  braccia  (il  destro 
per  intero  ed  il  sinistro  dell'avambraccio)  :  poggia  sopra  un  plinto  rettangolare,  squa- 
drato nella  parte  anteriore,  rotto  invece  posteriormente  e  sul  fianco  destro.  Rappre- 
senta una  donna  vestita  del  peplo  dorico,  stretto  alla  cintura,  con  apoptygma,  allac- 
ciato sulle  spalle  in  modo  che  la  parte  posteriore  si  sovrappone  all'anteriore  scendendo 
un  po'  più  sopra  del  kolpos,  del  quale  si  scorgono  le  pieghe. 

La  figura  insiste  maggiormente  sulla  gamba  sinistra;  e  la  destra,  alleggerita  dal  peso 
del  corpo,  è  un  po'  discosta,  con  il  piede  obliquo. 

La  testa  con  il  collo  era  lavorata  a  parte  ;  da  ciò  che  rimane  superiormente  del 
corpo  si  può  desumere  che  intorno  alla  scollatura  prodotta  dalla  piega  dell'apoptygma 
vi  fosse  un  incavo  a  conca,  con  scarpellature  nell'interno,  ove  doveva  essere  innestato 
il  collo  senza  perni  metallici. 

Le  braccia  erano  coperte  superiormente  dal  chitone,  come  appare  nella  parte  con- 
servata del  sinistro  ;  il  braccio  destro  scendeva  diritto  lungo  il  fianco  ;  il  sinistro,  ripie- 
gato al  gomito,  doveva  avere  l'avambraccio  proteso. 

Tutta  la  persona  rimane  nascosta  dal  peplo  pesante,  comprese  le  gambe,  che  non 
determinano  alcuna  variazione  nell'andamento  delle  pieghe  ;  delle  parti  nude,  soltanto 
i  piedi  escono  di  sotto,  per  metà  il  destro  e  del  sinistro  le  sole  dita,  perfettamente  model- 
late ed  affusolate.  L'apoptygma  presenta  il  consueto  drappeggio  piatto  e  schematico, 
con  il  caratteristico  triangolo  derivato  dalla  sporgenza  del  seno. 

La  statua  di  Caudium  si  accosta,  per  la  forma  e  per  il  drappeggio  del  vestiario, 
ed  anche  per  la  ponderazione  del  corpo,  a  quella  serie  di  peplophoroi,  che  fa  capo  al  ce- 
lebre esemplare  Ludovisi  del  museo  delle  Terme,  completato  con  la  testa  del  Laterano  (*), 
esemplare  che  più  di  ogni  altro  riflette  l'originale  in  bronzo,  attribuito  a  Calamide,  dal 
quale  l'intera  serie  deriva. 

Questo  tipo  di  peplophoros,  ben  determinato  dall' Anti  (2),  risulta  intermedio  fra 


(')  Cfr.  Anti,  Calamide,  in  Atti  del  r.  Istituto  veneto,  LXXXII,  2°,  p.  1116  segg. 

(2)  Ringrazio  l'amico  0.  Anti,  che,  dalla  sua  memoria  in  corso  di  pubblicazione  su  Calamide,  nei 
Moti.  ant.  dei  Lincei,  mi  ha  gentilmente  comunicato  alcune  preziose  indicazioni  intorno  a  questa  serie 
di  peplophoroi,  la  quale,  secondo  i  risultati  dei  suoi  studi,  comprenderebbe  le  seguenti  repliche: 
statua  completa  del  museo  di  Candia  ;  statua  acefala  Ludovisi  ;  testa  del  Laterano  ;  testa  della  Coli. 
Torlonia;  testa  del  Brit.  Museum  (1794) ;  testa  da  Ephesos  del  museo  di  Vienna;  testa  della  Coli. 
Jacobsen  di  Copenhagen  ;  statua  acefala  delPAshmolcan  Gallery  (copia  sopralavorata,  pubblicata  dal 
Gardner  in  Journ.  of  hell.  stud.,  1918,  pag.  I  segg.)  ;  statua  acefala,  trovata  due  anni  fa  a  Roma,  ora 
all'Antiquarium  del  Celio,  ed  ancora  inedita.  L'esemplare  di  Caudium,  per  il  particolare  delle  braccia 
coperte  dal  chitone,  di  tutta  la  serie  suindicata  ricorda  più  da  vicino  la  statua  di  Candia  e  quella  del- 
l' Ashmolean  Gallery. 


BENEVENTO 


—  5!6 


REGIONE  II. 


la  così  detta  Hestia  Giustiniani  (J)  e  l'esemplare  dell'Accademia  Americana  (2),  ed  ap- 
partiene a  quello  stadio  di  transizione,  nell'evoluzione  della  figura  panneggiata  dell'arte 
calamidea,  in  cui,  nella  forma  geometrica,  attraverso  il  problema  preponderante  del 
panneggio,  fa  capolino  il  problema  dell'euritmia  del  corpo,  che  prelude  alla  classica 
ponderazione  policletea. 

A.  Minto. 


XI.  BENEVENTO  —  Lavori  nel  Teatro  romano  (tav.  XXV). 

Il  teatro  romano  di  Benevento  (figure  1  e  2  e  tav.  XXV)  appare  oggi  interamente 
invaso  da  una  moltitudine  di  casette,  in  gran  parte  con  il  solo  primo  piano,  e  che  furono 
fabbricate  col  materiale  stesso  del  monumento.  Esse  poggiano  sulle  gallerie  di  sostegno 


Fio,  1, 

delle  cavee  e  sulle  precinzioni  in  tal  modo  da  far  intravvedere,  con  gli  aggruppamenti 
dei  sovrapposti  corpi  di  fabbrica,  quale  sia  stata  la  struttura  d' insieme  del  sottoposto 
teatro. 


(')  Cfr.  Bulle,  Der  tckoene  Mensch  im  Altertum,  tav.  118. 

(«)  Cfr.  Mariani,  in  Bull,  comun.,  XXIX,  p.  71  sgg.  ;  Six,  in  Jàhrb.  Areh.  Inst.,  XXX,  1915, 
pp.  80  Bgg. 


REGIONE   II. 


517 


BENEVENTO 


Il  teatro  risulta  di  un'ampiezza  massima  di  m.  88.60,  misurati  sulla  parete  retti- 
linea posteriore  della  scena,  e  m.  48  circa  di  raggio  rispetto  all'emiciclo  della  precin- 
zione  esterna.  Davanti  allo  spazio  occupato  dalla  scena  e  dall'orchestra,  si  svolgono  in 
giro  due  cavee  con  gallerie  di  sostruzione  e,  rispetto  alla  precinzione  esterna,  due  cor- 
rispondenti ordini  ;  a  questi  doveva  sovrapporsene  un  terzo,  per  la  galleria  che  girava 
intorno  alla  «  summa  cavea  ». 


Fio.  2. 


Riguardo  al  carattere  architettonico  esterno,  per  quello  che  sino  ad  ora  è  possibile  di 
vedere  in  siiti,  e  cioè  l'ordine  basaraentale  toscano,  esso  si  presenta  di  proporzioni  ec- 
cezionalmente massiccie,  ed  è  costituito  da  grossi  conci  calcarei,  molti  dei  quali  superano 
il  volume  di  un  metro  cubo. 

I  pezzi  di  chiave  delle  arcate,  corrispondenti  al  suddetto  ordine,  dovevano  presen- 
tare dei  busti  in  altorilievo  come  nell'  anfiteatro  di  Capua.  Infatti  una  di  queste  chiavi 
con  parte  di  un  busto  togato  di  sommaria  esecuzione,  è  stata  rinvenuta  recentemente 
nello  scavo  (fig.  3). 

I  due  ordini  superiori,  che  dovevano  essere  evidentemente  jonico  e  corinzio,  non  si 
conservano  in  sita,  nò  vi  sono,  almeno  per  ora,  frammenti  sufficienti  per  una  ricompo- 
sizione grafica. 

Solo  il  forte  ordine  toscano,  con  le  sue  colonne  addossate  per  un  terzo  e  le  arcate 
con  cui  si  alternano,  è  quasi  perfettamente  conservato  per  tutta  \a,praecinctio,  e  presenta 
un  grandioso  effetto  d'insieme, 


BENEVENTO 


518  — 


REGIONE    II. 


Della  scena  e  dell'orchestra  nulla  ancora  si  può  dire  di  particolare  poiché  esse  sono 
ancora,  per  quello  che  ne  resta  in  piedi,  incorporate  nelle  case  sovrapposte.  Le  cavee 
erano  rivestite  di  marmi  come  si  rileva  da  alcuni  frammenti  rimasti  incastrati  fra  i 
gradini.  Superiormente  alla  «  summa  cavea  »,  sulla  parete  interna  della  galleria,  dovca 
svolgersi  un  motivo  di  nicchie  come  si  può  dedurre  da  una  di  queste,  ben  conservata 
nella  sua  struttura  di  mattoni  (fig.  4). 

La  muratura  del  teatro,  per  quanto  solida  e  con  potenti  spessori,  non  rileva  una 
particolare  cura  come  messa  in  opera.  Il  materiale  impiegato  è  quello  del  luogo  e  cioè 


Fio.  3. 


ciottoli  di  fiume  i  quali,  insieme  con  la  malta,  hanno  costituito  un  conglomerato  assai 
tenace  incorporato  al  paramento  di  mattoni.  Questi  ultimi  sono  stati  poi  strappati  dal 
rudere  per  essere  adibiti  a  nuovo  uso,  in  modo  da  lasciare  scoperta  in  molti  tratti  la 
gettata  interna  di  pietrame  (fig.  6). 

Nella  muratura  ad  emplecton,  all'intervallo  di  circa  un  metro  nel  senso  dell'altezza, 
si  notano  i  mattoni  della  misura  media  di  0,61  X  0,61  X  0,04  disposti  orizzontalmente 
in  unico  filare  per  la  migliore  distribuzione  del  carico.  Al  pianterreno,  per  la  stessa 
ragione,  i  pilastri  in  muratura  sono  poggiati  su  grossi  blocchi  calcarei  bene  squadrati 
nelle  singole  faccie.  Raramente  si  vede  intermezzato  al  paramento  di  mattoni  Vopus 
reticulatum. 

Quanto  allo  scolo  delle  acque,  il  teatro  doveva  avere,  come  tutte  le  altre  fabbriche 
romane,  una  propria  fognatura.  Infatti  tra  la  scena  e  l'orchestra  esiste  un  pozzo  che  pro- 
babilmente raccoglieva  le  acque  del  teatro.  Quando  tutto  il  rudere  sarà  scoperto,  potrà 
essere  ripristinato  l'antico  sistema  di  raccolta. 

Tale  si  presenta  nel  suo  insieme  il  teatro  romano  di  Benevento,  per  il  quale  si  vanno 
ora  compiendo  i  lavori  di  demolizione  e  scavo.   Questi  lavori,  iniziati  nell'agosto  del 


REGIONE   IT. 


—  519 


BENEVENTO 


1923,  non  potevano  avere,  come  programma,  data  l'esiguità  dei  mezzi  posti  a  disposi- 
zione, lo  scoprimento  di  una  gran'parte  del  teatro,  poiché  ad  ogni  passo  c'erano  case  da 


Fio.  4. 


demolire.  Si  pensò  quindi  di  liberare  almeno  un  settore  centrale  nel  quale  venisse  rap- 
presentato e  collegato  un  tratto  appartenente  alla  scena,  uno  alle  due  cavee  ed  il  terzo 
alle  gallerie  di  sostruzione.  Per  operare  questo  collegamento,  prima  si  demolirono 
alcune  delle  casette  sovrapposte,  e  si  provvide  a  qualche  consolidamento.  Poi  si  liberò 


BENEVENTO 


-  à20 


REGIONE   II. 


il  monumento  da  gran  parte  del  materiale  di  riporto  che  ingombrava  il  detto  settore. 
Per  operare  lo  sgombero,  fu  concesso  alla  Soprintendenza  dei  musei  e  scavi  l'uso  di  una 
ferrovia  Décauville  che  fu  fatta  venire  dagli  scavi  di  Pesto.  Durante  lo  scavo  del  ter- 
reno di  riporto,  non  si  sono  rinvenuti  se  non  alcuni  frammenti  di  cornice  e  qualche  altro 
particolare  decorativo,  di  cui  il  più  importante  la  chiave  di  arco  col  busto  già  accennato. 


Fio   5. 


Per  le  opere  di  restauro  e  sistemazione  statica,  si  sta  costruendo  un  muro  di  soste- 
gno al  terrapieno  del  vicolo  che  circonda  il  teatro.  Questo  muro  a  scarpata  U)  si  è  CO- 
struito  il  più  lontano  possibile  dalla  precinzione  esterna  del  teatro  in  modo  da  lasciar 
vedere  l'insieme  dei  grandi  blocchi  calcarei  dell'ordine  basamentale  e  delle  arcale  d'ac- 
cesso al  teatro.  Sul  ciglio  del  detto  muro  si  sistemerà  una  semplice  cancellata  in  ferro 
battuto  per  proteggere  il  rudere  e  la  strada  adiacente  che  è  alta  circa  quattro  metri 
sopra  la  soglia  d'ingresso  del  teatro.  Questo  dislivello,  come  e  naturale,  danneggia  il 
rudere  nel  suo  insieme  prospettico,  diminuendone  la  grandiosità. 

Un  altro  restauro  di  fabbrica  sarà  costituito  dal  completamento  di  un  tratto  di 
vòlta  ora  diruto  corrispondente  alla  precinzione  interna  che  separa  Vinta  dalla  summa 
cavea.  Questo  completamento  ci  permetterà  di  collegare  un  yomitorio  con  un  tratto  della 
cavea,  entrambi  già  scoperti. 


Notizie  degli  Scavi  -  1924 


Tav.  XXV 


BENEVENTO  -  Avanzi  del  teatro. 


REGIONE   ÌI.  —   52Ì   —  BENEVENTO 

Non  è  forse  superfluo,  di  accennare  alle  difficoltà  che  si  sono  incontrate  e  s'incon- 
treranno nello  scavo,  anche  per  mostrare  in  quali  condizioni  si  trovi  questo  grandioso 
monumento.  Basterà  dire  che  le  case  soprapposte  ad  esso  poggiano  in  falso  su  tratti  di 
vòlte  rovinati  e  che,  non  essendo  questa  zona  di  Benevento  provvista  di  fognature, 
funzionano  da  pozzi  neri  le  sostruzioni  del  teatro  ! 

Per  ciò  che  riguarda  la  data  di  costruzione  di  questo  monumento,  non  è  ancora  pos- 
sibile di  affermare  qualche  cosa  di  definitivo. 

Il  Meomartini,  nel  suo  studio  sulle  antichità  beneventane,  riporta  una  iscrizione  già 
citata  dal  PratilliJ1),  nella  quale  i  servi  pubblici  dell'erario  e  delle  terme  beneventani 
ringraziano  Commodo  di  aver  restaurato  il  teatro.  Tracce  di  restauro  sono  chiaramente 
visibili  nella  struttura  del  teatro,  ma  occorre  aggiungere  che  la  suddetta  dedicazione 
al  divo  Commodo  è  ritenuta  falsa  dal  Mommsen  [cfr.  C.  I.  L.,  voi.  lX(fàlsae),  n.  217]. 
D'altra  parte,  prescindendo  da  questo  ipotetico  documento,  e  limitandosi  a  considerare 
il  carattere  architettonico  del  teatro,  si  può  pensare  che  questo,  sebbene  appaia  costruito 
con  larghezza  di  mezzi,  debba  appartenere  al  periodo  della  decadenza,  per  quello  che 
rileva  la  messa  in  opera  un  po'  grossolana  e  disordinata. 

Ad  ogni  modo  è  sperabile  che  la  continuazione  dello  scavo  possa  fornire  elementi 
più  completi  per  una  determinazione  esatta  dell'epoca  di  fondazione  e  della  durata  del 
monumento. 

Finora  purtroppo  nessun  documento  epigrafico  è  stato  rinvenuto  che  desse  luce  suf- 
ficiente alla  suddetta  identificazione. 

Intanto  va  notato  che  il  teatro  di  Benevento,  come  tutte  le  altre  fabbriche  romane 
locali,  è  stato  sfruttato  come  una  cava  di  pietra  specialmente  per  tutto  il  medio  evo. 
Di  ciò  farfno  testimonianza  i  numerosissimi  frammenti  che  si  vedono  incastrati  nelle 
mura  di  ogni  edificio  locale.  Tra  questi  frammenti  notiamo  due  grandi  maschere  romane, 
probabilmente  appartenenti  al  nostro  monumento  per  il  loro  carattere  teatrale.  Una 
di  queste  è  sulla  facciata  principale  della  tórre  romanica  della  cattedrale  ;  l'altra  si  trova 
sul  prospetto  di  una  casa  nella  piazza  detta  «  piano  di  Corte  ». 

Facciamo  voti  che  il  lavoro  iniziato  sul  teatro  possa  avere  il  suo  compimento,  allo 
scopo  di  rimettere  in  valore  questa  che  è  tra  le  maggiori  delle  opere  romane  di  Bene- 
vento. Per  questa  continuazione  i  Beneventani  sperano  nell'aiuto  del  Governo  che  venga 
ad  incoraggiare  la  loro  nobile  iniziativa  (*). 

Si  osservi  finalmente  che  la  ripresa  dei  lavori  non  può  mancare  senza  apportare 
grave  danno  a  ciò  che  è  già  stato  fatto,  per  le  cattive  condizioni  igieniche  della  zona 
e  per  la  servitù  creata  da  tutte  le  casette,  ancora  esistenti,  nel  settore  del  monumento 
esplorato. 

Roberto  Pane. 

(•)  Pratilli,  Via  Appia,  p.  408. 

(4)  Il  lavoro  di  scavo  si  è  finora  eseguito  con  un  fondo  di  lire  centomila  sottoscritto  dal  Comune, 
dalla  Provincia  e  dalla  Camera  di  commercio  di  Ber.evento. 


Notiziu  Scavi  1924  —  Voi.  XXI. 


PERFCGAS  —    522    —  SARDINIA 


SARDINIA. 

XIII.  PERFUGAS  (Sassari)  —  Tempietto  a  pozzo  di  carattere  pre- 
romano scoperto  nell'abitato. 

Nel  marzo  dell'anno  1924,  per  cura  del  solerte  ispettore  onorario  dei  monumenti 
dell'Anglona,  cav.  Edoardo  Benetti,  la  Soprintendenza  agli  scavi  di  antichità  della  Sar- 
degna ebbe  avviso  del  fortuito  rinvenimento,  entro  l'abitato  di  Perfugas,  di  una  singolare 
costruzione  che  presentava  i  caratteri  di  un  pozzo  sacro  di  età  preromana.  La  località  del 
rinvenimento  è  l'orto  adiacente  alla  casa  di  certo  Domenico  Canopolo,  il  quale,  volendo 
provvedere  di  un  pozzo  nero  la  sua  dimora,  a  quattro  metri  di  profondità  dalla  superficie 
del  suolo  mise  in  luce  l'insospettata  rovina  e  per  la  curiosità  di  vederne  la  forma,  sia  anche 
per  la  speranza  di  trovare  dei  tesori,  vuotò  completamente  sia  il  pozzo  sia  il  vano  della 
scala  d'accesso  ed  il  piccolo  spiazzo  fronteggiante;  e  già  iniziava  la  demolizione  delle  parti 
esterne  del  pozzo  stesso,  quando  la  Soprintendenza  potè  intervenire.  L'opera  di  questa 
dovè  limitarsi  all'esame  del  rinvenimento  ed  a  disporre  per  un  rilievo  accurato,  di  cui  ebbe 
incarico  il  prof.  Filiberto  Nicolli,  al  quale  appunto  sono  dovuti  i  rilievi  che  accompa- 
gnano la  presente  relazione. 

Siccome  per  il  momento  l'ufficio  non  potè  né  estendere  gli  scavi  né  provvedere  ai 
costosi  lavori  che  sarebbero  stati  richiesti  dalla  conservazione  all'aperto  di  questi  avanzi 
—  che  potevano  essere  manomessi,  data  la  loro  ubicazione  in  un  orto  attiguo  ad  una  casa 
di  contadini  — ,  parve  opportuno  di  consigliare,  che  l'antico  manufatto  venisse  di  nuovo 
ricoperto,  tanto  più  che  il  rilievo  eseguito  ne  offriva  sufficiente  conoscenza. 

La  località  di  Perfugas  trovasi  nell'Anglona,  nel  più  basso  punto  di  quell'altipiano 
collinoso  che  si  stende  tra  la  catena  costiera  trachitica  situata  lungo  il  litorale  settentrio- 
nale dell'isola  ed  il  vasto  acrocoro  basaltico  del  Sassu,  e  si  trova  in  territorio  ricco  di 
avanzi  dell'età  nuragica.  Varii  nuraghi  sorgono  ancora,  sia  nei  mammelloni  dell'altopiano 
sia  lungo  il  corso  dell'ampio  valico  che  per  S.  Giorgio,  Bulzi  e  Sedini  degrada  verso  la 
marina  di  Castel  Sardo  ;  anche  lungo  le  altre  vallatelle,  che  sono  altrettante  porte  di 
accesso  dal  mare  al  piano  interno,  vigilano  le  torri  nuragiche,  alcune  anche  maestose 
nei  loro  massicci  rivestimenti  di  grandi  massi  di  trachiti  brune. 

Anche  il  colle  su  cui  si  aderge  il  villaggio,  rasentato  dall'acquitrinoso  corso  di  rio 
Silanis,  affluente  del  rio  Coghinas,  ebbe  avanzi  di  costruzioni  di  età  nuragica;  ed  anni 
addietro,  in  alcuni  saggi  fatti  da  me  sul  colle  di  S.  Maria,  furono  appunto  segnalati  i  resti 
di  varie  capanne  di  forma  irregolare,  di  tipo  nuragico,  che  apparivano  protette  da  una 
grossa  muraglia  megalitica,  con  tracce  di  torri  semicircolari,  sporgenti  dalla  cortina. 
Ricordo  pure  che  nella  collezione  di  antichità  primitive  sarde  formata  dal  prof.  Domenico 
Lovisato,  ed  ora  acquistata  per  il  museo  di  Cagliari,  figurano  numerose  accette  levigate 
di  roccie  dure,  dall'egregio  mineralogo  designate  col  nome  di  nefrite  e  cloromelanite,  le 
quali  attestano  la  presenza  di  abitanti  di  età  eneolitica  in  quel  territorio. 

Oltre  ad  avanzi  di  epoca  così  antica,  Perfugas  dette  molti  resti  di  età  romana,  grandi 
giare  con  grano  conservato,  ceramiche  varie,  monete  e  simili  tracce  che  provano  Pesi- 


SARDINIA  —    523    —  PERFUGAS 

stenza  di  un  abitato  nel  quale  taluno  vorrebbe  riconoscere  VErucium  dell'itinerario  An- 
toniniano,  VErycenum  di  Tolomeo,  località  che  il  Lamarmora  (*)  colloca  invece  assai  più 
presso  al  Coghinas,  tra  la  chiesa  di  S.  Rocco  ed  il  passaggio  detto  della  Scaffa. 

Ma  lasciando  la  questione  del  nome  che  Perfugas  ebbe  in  età  romana,  è  certo  che  la 
località,  difesa  dal  fiume,  fu  abitata  sino  dall'età  preromana  ;  il  nome  attuale,  dalla  riso- 
nanza latina,  farebbe  pensare  che  in  epoca  romana  fosse  un  luogo  di  reclusione  e  di  pena  di 
schiavi  fuggitivi  o  di  nuclei  di  popolazioni  ribelli,  qui  concentrati  e  sorvegliati  da  una  sta- 
zione della  via  militare  da  Turres  ad  Olbia. 

La  località  aveva  perciò  attratto  già  l'attenzione  degli  studiosi;  e  l'attuale  scoperta 
viene  a  confermare  non  solo  la  presenza  di  un  centro  di  abitazione  di  epoca  remo- 
tissima, ma  altresì  la  sede  di  un  culto  per  le  genti  di  età  preromana. 

I  diligenti  rilievi  eseguiti  dal  prof.  Nicolli  danno  sufficiente  idea  dell'interessante 
edifìcio.  Come  ho  già  accennato,  esso  si  accosta  al  tipo  dei  templi  a  pozzo  già  conosciuti 
in  Sardegna,  e  specialmente  a  quello  di  S.  Vittoria  di  Serri,  benché  di  proporzioni  assai 
più  modeste,  simili  a  quelle  del  pozzo  di  S.  Millanu  aNuragus  (*).  Come  nel  pozzo  di  S.  Vit- 
toria, sulla  Giara  di  Serri,  e  nei  consimili  di  S.  Anastasia  di  Sardara,  di  Funtana  Coperta, 
di  Ballao,  di  Mazzani  di  Villacidro,  anche  in  questo  di  Perfugas  si  notano  le  tre  parti  es- 
senziali, cioè  il  pozzo,  la  scala  di  accesso  e  l'area  sacra  antistante,  in  origine  all'aperto 
con  ara  e  sedili.  Fu  appunto  l'analogia  con  i  ricordati  e  già  noti  edifici  sacri,  recentemente 
segnalati  in  Sardegna,  che  ci  psrmise  di  riconoscere  gli  elementi  dell'interessante  rudere 
di  Perfugas,  anche  quelli  che  la  smania  del  tesoro  o  il  desiderio  di  impiegare  i  materiali  di 
costruzione  avevano  già  cominciato  a  rimovere  od  a  distruggere. 

E  fu  appunto  tale  pericolo  di  distruzione  inconsulta  che  incoraggiò  la  Soprintendenza 
a  consigliare  di  mettere  di  nuovo  le  rovine  sottoterra,  per  assicurarne  la  completa  con- 
servazione. 

Tutta  la  costruzione,  di  modeste  dimensioni,  è  però  sorprendente  per  una  incompa- 
rabile maestria  di  lavoro  :  la  esattezza  e  l'armonia  delle  linee,  l'accuratezza  dell'intaglio 
dei  singoli  conci,  la  perfezione  delle  connessure  tra  i  massi,  la  regolarità  dei  varii  filari 
e  degli  aggetti  di  ciascuno  di  essi  fanno  pensare  ad  una  insuperabile  abilità  tecnica.  Anche 
tenendo  conto  della  tenerezza  della  pietra,  che  è  il  calcare  candido  di  Laerru,  che  si  taglia 
come  sapone,  conviene  ammettere  che  il  costruttore  ed  il  tagliapietre  possedessero  non 
solo  una  sicura  conoscenza  del  disegno  per  predisporre  il  piano  dell'edificio,  ma  avessero 
una  straordinaria  esattezza  di  costruzione,  quale  non  potrebbesi  vedere  migliore  in  qual- 
siasi costruzione  antica  o  moderna  (figg.  1-3). 

Si  può  pensare  anche  che  la  rifinitura  della  superficie  dei  massi  e  la  loro  profilatura, 
dopo  il  loro  taglio  e  la  messa  in  opera,  sia  avvenuta  dopo  la  fine  del  lavoro,  in  modo  che 
le  pareti  appaiono  liscie  e  levigate,  le  sporgenze  formate  dall'aggetto  dei  corsi  di  massi 
tirate  a  perfezione,  gli  angoli  e  gli  spigoli  rigidi,  precisi;  i  gradini ,  le  porte,  gli  elementi 
tutti  insomma  del  semplice  edificio  nettamente  profilati  e  lisciati  così  da  presentare  un 
aspetto  di  un  gioiello  architettonico,  uscito  dalle  mani  di  un  artefice  singolarmente  perito 
e  diligente. 

(')  Voyage  en  Sardaigne:  II  partie,  Antiquité,  p.  450. 
(»)  Taramelli,  Notizie  scavi,  1913,  p.  96. 


PERFUGA8 


—  524  — 


SARDINIA 


Di  tale  maestria  di  lavoro  ci  dà  idea,  ancora  più  dei  disegni,  la  fotografia  fig.  3 
che  qui  presento. 

Il  pozzo  è  di  pianta  esattamente  circolare,  del  diametro  alla  base  di  m.  1 ,10,  le  pareti 
composte  di  regolari  e  ben  connessi  corsi  di  pietre  calcari,  dalla  faccia  accuratamente 


Fio.  1.  —  Perfugas. 
Pianta  del  pozzetto  votivo  e  dell'area  sacra  frontale  e  sezione  longitudinale. 


concava  e  con  l'inclinazione  necessaria  per  ottenere  la  graduale  rastremazione  della  pa- 
rete stessa.  Il  filare  alla  base  è  di  30  cm.  di  altezza;  gli  altri  7  superiori,  da  24  a  21  cm. 

Le  commessure  fra  le  varie  pietre  sono  quasi  invisibili  ;  solo  in  qualche  punto  della 
parete  appaiono,  ritagliate  nei  massi,  alcune  aperture  di  canaletti  di  drenaggio,  destinati 
al  passaggio  delle  acque  di  filtrazione.  I  corsi  di  pietra  conservati  sono  otto  al  di  sotto  della 
linea  dell'architrave  della  porta  d'accesso  al  pozzo  ed  altri  tre  superiormente,  aventi 
un'altezza  maggiore,  compreso  quello  in  corrispondenza  dell'architrave  predetto. 

I  filari  della  parete  sono  disposti  in  modo  che  quello  inferiore  sporge  di  un  centimetro 
da  quello  immediatamente  superiore,  e  questo  è  pure  disposto  con  la  faccia  inclinata,  di 
guisa  che  la  parete  si  va  gradatamente  inclinando  e  restringendo  verso  l'alto  con  un 
aggetto  complessivo,  in  modo  che  all'altezza  ora  conservata  del  pozzo,  di  m.  273,  il  dia- 


SARDINIA 


525  — 


PERFUGAS 


metro  di  esso  si  presenta  ridotto  a  m.  1,36.  Si  notò  anche  che  le  linee  dei  filari  conti- 
nuano dalla  parete  del  pozzo  a  quella  dell'andito  della  scaletta  d'accesso,  e  coincidono, 
con  poca  differenza,  con  le  linee  dei  gradini. 

Le  parti  superiori  del  pozzetto  erano  crollate  da  antico:  quindi  non  è  dato  di  conoscere 
quale  fosse  il  sistema  di  chiusura  della  piccola  cella  ;  possiamo  solo  supporre  che  nella 
parte  più  alta  l'aggetto  dei  corsi  sia  stato  più  forte,  in  modo  da  dare  alla  parete  l'inclina- 


Fig.  2.  —  La  porta  dal  pozzetto  sacro  alla  scaletta. 


zione  di  una  cupola,  forse  non  chiusa  ma  colla  bocca  aperta  al  centro  formata-  dal  giro 
superiore  del  più  alto  corso  dei  massi. 

Il  pavimento  del  pozzo  è  costrutto  in  lastre  di  calcare  spianate,  squadrate  e  connesse 
in  modo  tra  di  loro  e  contro  la  parete  circolare  da  non  lasciare  alcun  interstizio,  e  da  for- 
mare così  una  perfetta  tenuta  dell'acqua. 

Nel  lato  verso  mezzogiorno  del  pozzetto  è  aperta  la  porta  che  dà  all'andito  della 
scaletta  ;  il  vano  della  porta  è  aperto  sino  al  fondo  del  pozzo  e  misura  l'altezza  di  m.  1,83  ; 
gli  stipiti  sono  formati  dagli  otto  corsi  di  pietre  delle  pareti  aggettanti,  in  modo  che  anche 
il  vano  della  porta  presenta  la  stessa  rastremazione  delle  pareti,  dalla  larghezza  di  m.  0,85 
alla  soglia,  a  m.  0,63  all'architrave  (fig.  2). 

Questo  architrave  è  formato  da  un  blocco  di  pietra  di  m.  1,09  di  ampiezza  e  della 
gtessa  altezza  degli  altri  blocchi  del  filare  a  cui  è  connesso  in  modo  perfetto.  Al  di  sopra 


PERFUGAS 


526 


SARDINIA 


dell'architrave  si  presenta,  cornee  visibile  dalla  sezione  trasversale  (fig.  4)  e  dalla  pianta 
(fig.  1),  uno  spazio  vuoto,  determinato  dal  graduale  arretramento  dei  due  soprastanti 
filari  di  pietre.  To  ritengo  tale  provvedimento  suggerito  dal  bisogno  di  togliere  la  pres- 
sione sopra  l'architrave  che  è  di  materiale  fragile  e  non  resistente  alle  pressioni;  non  credo 
perciò  che  si  tratti  degli  scalini  più  bassi  di  una  scaletta  disposta  superiormente  a  quella 


Fio.  3.  —  Vista  dell'atrio  e  della  scala  di  accesso  al  pozzetto. 


che  accedeva  al  fondo  del  pozzo  e  destinata  ad  attingere  l'acqua  dell'interno  del  pozzo 
stesso  quando,  per  soverchio  afflusso  del  liquido,  tutto  il  vano  del  pozzo  fosse  riempito  e 
la  scaletta  inferiore  inaccessibile  (vedi  fig.  2). 

Noi  non  conosciamo  purtroppo  la  struttura  delle  parti  superiori  dell'edificio,  sia 
della  cupoletta  sia  dell'andito  di  accesso,  e  quindi  non  abbiamo  elementi  per  sostenere 
l'ipotesi  di  una  scaletta  superiore;  mentre  l'idea  di  un  provvedimento  destinato  alla 
scarico  dell'architrave  si  presenta  naturale  e  confortata  da  molti  esempii  nell'archi- 
tettura nuragica.  L'arretramento  graduale  dei  massi  nei  due  filari  soprapposti  all'ar- 
chitrave permetteva  di  coprire,  con  altri  due  architravi  progressivamente  sporgenti, 
il  vano  dell'andito,  lasciando  a  questo  l'altezza  necessaria  in  corrispondenza  al  sotto- 
stante gradino  della  scaletta  per  il  passaggio  di  una  persona  verso  il  pozzo.  Nel  tempo 
stesso,  anche  con  questo  arretramento  nei  due  filari  sull'architrave  rimaneva  assicurato 
il  legamento  compatto  della  costruzione  sia  deivano  del  pozzo  sia  dell'andito  della  scaletta. 


SARDINIA 


—  527  — 


PERFUGAS 


L'andito  in  cui  è  praticata  la  scaletta  ha  esso  pure  le  pareti  inclinate  per  la  rastrema- 
zione graduale  dei  filari,  corrente  alla  stessa  altezza  di  quelli  del  pozzo;  si  va  gradata- 
mente allargando  dalla  porta  sul  pozzo,  larga  ni.  0,85,  allo  sbocco  superiore  all'area  supe- 
riore, di  0,99  di  ampiezza.  Inclinazione  delle  pareti,  gradini  della  scaletta,  architravi  sono 
studiati  in  modo  veramente  magistrale,  a  scopo  di  permettere  la  facile  discesa  di  una 


Oez/'one  /mve/óate  C27 


Fic.  4.  —  Sezione  traversale  dell'area  sacra  di  fronte  al  pozzetto  (dis.  P.  Niccolli). 


persona  anche  alta,  senza  che  agli  ultimi  gradini  urtasse  col  capo  gli  architravi  degradanti 
posti  al  di  sopra  dell'ultima  parte  del  vano.  Gli  otto  gradini  della  scaletta  sono  così  bene 
connessi  nelle  pareti  e  tra  di  loro,  da  formare  quasi  un  blocco  unico,  ed  a  mala  pena  si 
vedono  le  commessure  tra  i  massi,  ritagliati  e  levigati  alla  perfezione.  La  lunghezza  del- 
l'andito è  di  m.  2,64,  e  dentro  ad  essa  si  svolge  la  scala  che  dall'area  frontale  scende  al 
pozzo. 

L'ultimo  gradino  non  giunge  al  limite  del  vano  interno  del  pozzo,  ma  lascia  un  pia- 
nerottolo di  cm.  32  a  livello  del  fondo  del  pozzo  ;  il  gradino  inferiore  è  alto  30  cm.,  come 
il  corso  di  base  del  pozzo  ;  gli  altri  gradini  variano  dai  21  ai  23  cm.,  ma  in  tutti  l'ampiezza 
della  pedarola  è  eguale  (cm.  29).  Anche  il  gradino  superiore  è  di  circa  30  cm.  più  entro 
dello  sbocco  della  scala  nell'area  superiore,  in  modo  che  tutti  i  gradini  sono  serrati  entro 
al  vano  dell'andito  stesso.  Si  osservi  anche  che  questi  gradini  sono  così  ben  conservati 
negli  spigoli  e  nelle  faccie,  da  lasciar  credere  che  la  scala  avesse  servito  per  un  tempo  non 
lungo. 


PtìRFÙGAS 


528 


SARDINIA 


Allo  sbocco  superiore  dell'andito  è  la  piccola  area  che  chiamo  sacra,  dai  suoi  caratteri 
e  dalle  analogie  con  l'area  frontale  del  tempio  a  pozzo  di  S.  Vittoria  di  Serri  e  quelli  di 
Sardara  e  di  Ballao  Cfig.  3).  Questa  parte  dell'edificio  era  stata  manomessa  dagli  scavatori 
al  momento  in  cui  io  la  vidi;  ma  dalle  concordi  testimonianze  del  rev.  parroco  e  di  altri 
testimonii  dello  scavo  si  poterono  avere  indizi  per  collocare  al  posto  del  rinvenimento 


Fio.  5.   —  Veduta  del  pozzetto  e   dell'atrio, 
scoperto  sotto  le  fondazioni  delle  case  vicine. 


i  vani  elementi  sconvolti,  ma  che  si  trovavano  ancora  sul  posto,  all'orlo  della  escava- 
zione fatta  dal  Canopolo.  La  costruzione  dell'andito  della  scala  conserva  ancora  l'al- 
tezza di  cm.  60  ai  di  sopra  del  piano  del  pavimento  antico  dell'area  frontale  su  di  un 
Iato  della  quale  sbocca  l'andito  stesso.  Essa  è  perfettamente  rettangolare,  con  l'asse 
maggiore  disposto  lungo  l'asse  dell'andito,  in  modo  che  a  ciascuno  dei  lati  all'ingresso 
dell'andito  si  presenta  uno  stipite  di  cm.  43  di  ampiezza,  in  perfetta  simmetria  (vedi 
pianta  a  fig.  1).  L'ampiezza  dell'area  è  di  m.  1,88  e  le  due  ali  che  la  racchiudono, 
conservate  per  l'altezza  di  due  o  tre  filari,  non  sono  di  pari  lunghezza,  essendo  quella  di 
destra  di  m.  2,53  e  quella  di  sinistra  di  m.  2,70.  Da  quanto  si  desume  dai  resti  conservai  i, 
anche  le  pareti  dell'area  erano  di  squisita  lavorazione,  con  i  soliti  filari  di  conci  in  cal- 
care; ma  quale  fosse  l'altezza  e  la  struttura  originaria  non  possiamo  immaginare,  tanto 
più  che  anche  le  aree  sacre  di  Serri,  di  Sardara,  e  di  Ballao  ci  sono  pervenute  tronche 
alla  loro  base. 


SARDINIA 


—    529    — 


PERFUGAS 


L'area  frontale  era  tutta  quanta  pavimentata  in  blocchi  di  calcare  squadrati  e  con- 
nessi con  la  stessa  cura  scrupolosa  che  è  osservata  in  tutto  questo' edificio  ;  ai  due  lati, 
lungo  la  parete,  erano  disposti  massi  di  calcare  lavorati  per  uso  di  sedile,  che,  come  si 


Schizzo  pTOSttctN'co   dUU  <>\to   Ae\  maumucnfro 

Fia.  6.  —  Vista  prospettica  dei  resti  del  pozzo  sacro  (dis.  P.  Niccolli). 

vede  dalle  sezioni  e  dalle  varie  figure,  erano  levigati  sulla  faccia  posteriore  applicata  alla 
parete  dell'andito  ;  nell'anteriore  faccia  invece  avevasi  una  specie  di  cornice  in  alto  ed 
una  rientranza  in  modo  da  formare  un  comodo  sedile,  alto  cm.  29  e  largo  30. 

Nel  mezzo  dell'area  fu  rinvenuta  e  da  me  ricollocata  al  posto  per  essere  disegnata 
e  fotografata,  una  pietra  lavorata  nella  quale  si  deve  riconoscere  un  altare,  di  forma  ad 
Notizie  Scavi  1924  —  Voi,  XXI,  67 


PEBFUGAS  530   SARDINIA 

un  di  presso  parallelepipeda,  con  angoli  smussati,  incavata  nella  faccia  superiore  con  un 
incavo  che  lascia  uno  stretto  orlo  tutto  in  giro  (figg.  1,  3,  4,  6). 

In  questo  incavo  della  faccia  superiore,  verso  una  estremità,  è  aperta  una  cavità 
tronco-conica  circondata  da  alto  orlo,  che  è  certamente  una  vaschetta  di  libazione  ;  un'al- 
tra di  queste  vaschette  si  trovava  all'estremità  opposta  del  masso,  con  foro  che  l'attra- 
versava al  fondo,  ma  con  l'orlo  slabbrato  da  un  lato.  Questa  pietra  d'altare  presentava 
su  uno  dei  lati  brevi  una  risega  dagli  spigoli  vivi  di  8  cm.  di  larghezza  ;  a  questa  risega 
si  viene  ad  adattare  in  modo  preciso  la  estremità,  pure  munita  di  risega,  di  un  masso  di 
calcare  parallepipedo,  di  m.  1  di  lunghezza  e  0,23  di  larghezza,  il  quale  era  disposto  lungo 
l'asse  mediano  dell'area  sacra,  e  si  veniva  esattamente  adattando  alla  pietra  dell'altare. 
Se  è  permesso  fare  una  ipotesi,  si  può  supporre  che  sopra  al  masso  parallelepipedo  fosse 
distesa  la  vittima  da  immolare  ;  ed  il  sangue  di  essa  e  le  libazioni  fossero  raccolte  nelle 
vaschette  dell'adiacente  altare.  Le  smussature  delle  vaschette  e  dell'orlo  di  quest'ultimo 
mostrano  che  esso  venne  usato  per  un  lungo  tempo  ;  e  dal  carattere  del  lavoro  rilevasi, 
che  esso  proveniva  da  mani  assai  più  imperite  che  non  quelle  dei  costruttori  del  tempietto. 

Tale  disposizione  dell'area  frontale  ricorda  molto  da  vicino  quella  del  tempio  di 
S.  Vittoria  di  Serri,  con  l'altare  a  vaschetta  concava,  incassato  nel  pavimento  e  con  i  due 
sedili,  pure  in  calcare,  ai  lati  per  gli  assistenti  al  sacrificio  e  per  il  deposito  dei  doni  votivi. 
Dobbiamo  quindi  riconnettere  anche  questo  tempietto  a  pozzo  alla  tradizione  degli  edifizi 
sacri  a  pozzo  già  rivelati  in  numero  abbastanza  copioso  in  Sardegna,  e  che  dobbiamo 
riferire  al  culto  dei  protosardi  (1). 

I  materiali,  che  furono  dati  da  questo  scavo  fortuito,  e  che  non  si  potè  per  il  momento 
ampliare,  sono  assai  scarsi,  ma  non  privi  di  valore. 

Si  ebbero  anzitutto  due  statuette,  una  di  toro  e  l'alti  a  di  vacca,  fuse  in  bonzo,  le 
quali,  per  quanto  un  po'  sfigurate  da  una  inopportuna  pulitura  fatta  dal  rinvenitore,  pure 
rivelano  lo  stesso  carattere  tecnico  di  altre  statuette  trovate  negli  strati  nuragici  si- 
nora esplorati. 

Figurina  in  bronzo  di  toro  (fig.  7),  fusa  in  pieno,  con  la  superficie  in  qualche 
punto  corrosa  dall'ossido  che  ha  attaccato  le  impurità  ferrose  della  lega,  in  altri  punti 
levigata  dal  rinvenitore.  La  figura  è  tozza  e  massiccia  e,  per  quanto  primitiva,  spira  un 
senso  di  naturalismo  che  riproduce  con  molta  efficacia  la  poderosa  ma  posante  e  calma 
figura  taurina.  La  posa  del  capo,  la  giogaia,  le  gambe  tozze  muscolose  con  le  zampe 
a  largo  zoccolo,  la  coda  ripiegata  sulla  schiena,  i  caratteri  del  sesso,  sono  resi  con  ingenua 
efficacia;  la  testa  allungata,  con  occhi  sporgenti,  le  ampie  corna  rivolte  in  avanti,  la 
figura  grave  ed  atticciata  ci  danno  l'immagine  fedele  della  razza  bovina  sarda,  piccola 
ma  robustissima,  razza  che  va  oggi  scomparendo  dopo  gli  accurati  incroci  con  le  razze 
continentali,  ma  di  cui  restano  gli  ultimi  campioni  nelle  remote  regioni  dell'Ogliastra. 
La  nostra  figura  ricorda,  per  le  proporzioni,  quella  rinvenuta  nel  recinto  circolare,  nu- 
ragico  dell'altipiano  di  Serri  C2)  e  varie  altre  statuette  protosarde  del  musec  di  Cagliari, 
ma  è  più  sapiente  e  progredita  nelle  forme  e  nella  vigoria  stilistica,  e  rappresenta  certo 

(')  Mon.  Lincei,  anno  XXIII  (1914),  fig.  9-11,  tav.  Ili,  1-2. 

(*)  Moni  meni  primitivi  delle  Già  e  di  .N,rri,  in  Mon.  Lincei,  anno  XXIII  (lf>14),  p.  418, 
tav.  Vili,  fig.  102, 


SARDINIA 


531     — 


PEKFUGAS 


il  più  alto  punto  a  cui  pervenne  la  plastica  sarda.  Le  corna  hanno  all'estremità  la  difesa 
che  troviamo  anche  in  altre  figure  di  tori  e  nelle  protomi  taurine  di  certe  barchette  vo- 


Fig.  7.  —  Figurina  di  toro,  rinvenuta  nell'atrio. 

tive,  e  che  riproduce  certo  una  decorazione  o,  meglio,  una  difesa  precauzionale  usata  per 
i  tori  che  erano  condotti  al  sacrificio  nelle  clamorose  adunanze  religiose  indigene. 


Fio.  8.  —  Figurina  di  vacca  rinvenuta  nell'atrio. 

Figurina  di  vacca  (fig.  8).  Anch'essa  è  fusa  in  pieno  ed  è  rappresentata  stante, 
sopra  una  basetta  orizzontale  alla  quale  si  innesta  una  breve  asticciola  verticale 
finiente  in  un  bottone;  a  questo  stava  ancora  aderente  un  po'  del  piombo  col  quale 


PERFUGAS  —   632    —  SARDINIA 

la  statuetta  votiva  era  saldata  a  1  una  pietra  o  ad  una  tavola  d'offerta.  La  statuetta 
massiccia  nel  corpo,  ha  le  zampe  astiformi  e,  per  quanto  la  superficie  sia  guasta  per 
l'inconsulta  pulitura,  si  vede  però  che  la  statuetta  era  trattata  con  assai  minore 
accuratezza  ed  energia  naturalistica  che  non  quella  del  toro.  Il  muso  è  appuntito 
e  con  scarsa  modellatura  ;  anche  le  linee  del  corpo  sono  disegnate  a  larghi  tratti,  in 
modo  molto  sommario,  senza  quel  risalto  della  muscolatura  e  quello  spirito  di  profonda 
osservazione  che  colpisce  e  sorprende  nell'altro  bronzetto.  Una  delle  corna  fu  spezzata; 
anche  la  superficie  è  qua  e  là  guasta  da  profonde  ulcere  di  ossido,  solo  in  parte  obliterate 
dalla  recente  lucidatura. 

Oltre  a  queste  due  statuette,  si  ebbe  anche  un  campanello  in  bronzo,  di  forma  al- 
quanto insolita  ;  alto  cm.  7,5,  con  parte  dell'appicagnolo  circolare,  ha  superiormente 
forma  di  ealottina  conica,  poi  un  orlo  a  forte  risalto,  da  cui  si  diparte  il  corpo  della  cam- 
pana, alquanto  svasato.  Due  fori  simmetrici  nell'alto  della  calotta  indicano  il  passaggio 
dell' asticciola  sostenente  il  battacchio,  ora  scomparso.  Noto  che  campanelli  in  bronzo 
intieri  e  frammentati  si  ebbero  anche  ad  Abini  ed  a  Serri,  ma  assai  più  frequente  è  tale 
strumento  negli  strati  punici  ed  anche  romani  dell'isola. 

Si  ebbero  molti  frammenti  di  stoviglie  di  rozzo  impasto  di  tipo  nuragico,  ma  non 
mancarono  anche  i  frammenti  di  ceramica  di  età  punica,  di  anfore  rodie  e  cartaginesi, 
come  pure  raccolsi  cocci  di  anfore  vinarie  di  età  romana,  di  cui  del  resto  è  disseminato 
il  terreno  nell'abitato  di  Perfugas. 

La  mancanza  di  uno  scavo  regolare  accurato  non  mi  permette  di  approfondire  la 
discussione  intorno  all'epoca  a  cui  riferire  questo  importante  pozzo  sacro. 

La  descrizione  ed  i  rilievi  addotti  hanno  messa  in  luce  l'identità  di  questo,  sia  per 
le  disposizioni  generali  sia  per  i  particolari  costruttivi,  con  i  noti  templi  nuragici  pre- 
romani dell'isola;  e  dobbiamo  assolutamente  ascriverlo  a  quella  classe  di  fonti  sacre 
attorno  alle  quali  ferveva  il  culto  o  uno  dei  culti  dei  Protosardi. 

Chi  ricorda  la  finezza  del  lavoro  d'intaglio  dei  conci  basaltici  e  la  diligenza  della 
costruzione  delle  pareti  del  tempio  a  pozzo  di  Serri  e  di  quello  di  S:  Cristina  di  Pauli- 
latino  o  di  S.  Milanu  di  Nuragus,  resterà  meno  sorpreso  che  il  costruttore  dei  templi 
protosardi,  avendo  tra  mano  il  materiale  obbediente  delle  cave  di  calcare  miocenico  di 
Laerru,  abbia  raggiunta  una  così  mirabile  perfezione  di  lavoro.  Se  la  tecnica  agguerrita 
dei  Protosardi  è  giunta,  nel  periodo  di  maggiore  sviluppo,  ad  ottenere  le  belle  stele  levi- 
gate di  basalto  duro  delle  note  tombe  dei  giganti  di  Goronna  e  di  Perdu  Pes,  a  Pauli- 
latino,  doveva  anche  ottenere  la  squisitezza  del  lavoro  che  ammiriamo  a  Perfugas. 

La  sapienza  notevole  nel  predisporre  l'edificio  circolare  del  pozzo,  con  le  pietre  cal- 
colate per  il  loro  posto  preciso  sia  nella  cella,  sia  nell!andito  e  nell'area  frontale,  con 
tanta  precisione  connesse  e  quasi  sigillate,  è  prova  di  una  superiorità  nell'arte  muraria, 
di  uno  sviluppo  tecnico  così  elevato,  da  lasciarci  esitanti  se  esso  debba  ascriversi  ai  rudi 
costruttori  dei  nuraghi.  Ma  il  numero  oramai  grande  di  tali  costruzioni  sacre  in  tutta 
l'isola  mostra  come  il  motivo  fosse  noto  e  diffuso  da  uno  all'altro  distretto  isolano,  e  si 
avesse  un  motivo  preordinato  e  stabilito  di  fonte  sacra,  proprio  della  civiltà  protosarda, 
e  che  la  costruzione  di  esso  fosse  patrimonio  di  una  classe  di  tecnici  di  abilità  consumata, 
arricchita  dall'esperienza  e  dagli  insegnamenti  di  tecniche  oltremarine  ed  erede  lontana 


SARDINIA.  —    533    —  PERFUGAS 

della  tecnica  micenea,  di  cui  la  luce  si  riflette,  lungi  nel  tempo  e  nello  spazio,  nell'isola 
sarda,  come  nelle  Baleari,  come  nella  penisola  iberica,  anche  lungo  tempo  dopo  il  tra- 
monto delle  talassocrazie  egee. 

La  presenza  di  statuette  protosarde,  di  ceramica  nuragica  mostra  il  carattere  in- 
digeno del  culto  e  del  tempietto.  Possiamo  però  dallo  stato  di  conservazione  delle  parti 
pervenute  sino  a  noi,  dalla  scarsa  usura  degli  scalini,  degli  spigoli,  dei  sedili,  ritenere 
che  il  tempio  dovette  essere  in  uso  per  brevissimo  tempo,  ed  essere  stato  distrutto  ed 
interrato  poco  tempo  dopo  la  sua  costruzione,  da  collocarsi  agli  ultimi  tempi  dell'atti- 
vità costruttrice  e  della  vita  indipendente  dei  protosardi.  Così  si  spiegherebbe  anche 
la  presenza  del  campanello  forse  punico  e  di  ceramica  certamente  punica,  la  quale  do- 
veva diffondersi  e  penetrare  nel  territorio  dai  poco  lontani  centri  costieri  di  Turres  Ll- 
byssonis  e  di  Olbia. 

Da  questi,  e  specialmente  da  Turres,  debbono  essersi  iniziati  assai  presto  i  tenta- 
tivi di  penetrazione  prima  commerciale,  poi  violenta  per  la  via  delle  valli  del  Coghinas 
e  di  altri  fiumi  entro  ad  un  territorio  naturalmente  ricco  di  grani  e  dei  prodotti  pastorali. 
In  una  di  tali  incursioni  può  essere  stato  distrutto  ed  interrato  l'elegante  e  finissimo 
tempio  a  pozzo  di  Perfugas,  che  non  mostra  la  degradazione  del  logorìo  e  dell'abban- 
dono, ma  quella  di  una  fine  violenta  che  lo  stroncò  ancora  quasi  nuovo  e  da  poco  co- 
strutto, facendolo  scomparire  fra  i  detriti  e  la  fanghiglia  delle  falde  del  colle,  la  quale 
celò  e  protesse  per  tanti  secoli  il  prezioso  testimonio  di  quella  che  io  sempre  ritengo  la 
tecnica  protosarda. 

Dopo  di  aver  dato  conto  di  questa  scoperta  fortuita,  non  posso  se  non  augurarmi 
che  in  avvenire  non  lontano  sia  fatta  una  più  completa  e  diligente  esplorazione  della 
località,  e  sia  possibile  di  trovare  il  mezzo  di  lasciare  in  luce,  senza  pericoli  ed  ostacoli, 
il  singolare  edificio. 

Antonio  Taramelli. 


•535  — 


INDICI 


INDICE  DEGLI  AUTORI 


Pag.  79,  429  (Manno). 
>ag.  84  (Pozzuoli)  ;  pag.  85 


Antonielli  U. 
Aiirigemma  S.  - 

(Venafro). 
Barocelli  P.  —  Pag.  386  (Piccolo  S.  Bernardo) 
Bendinelli  G.  —  Pag.   328  (Sant'Oreste). 
Callegari  A. —  Pag.  2,  269  (Este). 
Calza  G.  —  Pag.  69  (Ostia). 
Campanile  T.  —  Pag.  149  (Feltro). 
Cultrera  G.  —  Pag.  400  (Tarquinia). 
Della  Corte  M.  —  Pag.  87  (Contursi). 
Galli  E.  —  Pag.   10  (Firenze);  pag.  157  (Ca- 

stiglioncello)  ;  pag.  322  (Perugia)  ;  pag.  394 

(Pitigliano). 
Giglioli  G.  Q.  —  Pag.  179  (Vignanello). 
Iacono  L.  —  Pag.  333  (Nettuno). 
Levi  A.  —  Pag.  375  (Sorrento). 
Libertini  G.  —  Pag.  106  (Catania). 
Mancini  G.  —  Pag.    45    (Roma)  ; 

511  (Velletri). 


pag.    341, 


Marchesetti  C.  —  Pag.    121    (Isole  del  Quar- 

nero). 
Marucchi  0.  —  Pag.  67  (Roma). 
Minto  A.  —  Pag.  13    (Populonia)  ;    pag.    353 

(S.  Maria  Capua  Vetere)  ;  pag.  514  (Mon 

tesarchio). 
Moretti  G.  —  Pag.  34  (Corinaldo). 
Nardini    O.  —  Pag.    506   (Velletri). 
Negrioli  A.  —  Pag.  279  (Comacchio). 
Pane  R.  —  Pag.  616  (Benevento). 
Paribeni  R.  —  Pag.  420  (Spoleto)  ;  pag.  423, 

425  (Roma)  ;pag.  427  (Marino). 
Patroni   G.  —  Pag.    265    (Pavia)  ;    pag.    278 

(Montecalvo  Versiggia)  ;  pag.  393(Semiana). 
Raveggi  P.  —  Pag.  30  (Porto  S.  Stefano). 
Stefani  E.  —  Pag.  31(Magliano  Sabino);  pag. 33 

(Gualdo  Tadino)  ;  pag.  66  (Roma). 
Taramelli  A.  —  Pag.  110  (Cagliari)  ;  pag.  522 

(Perfugas). 


INDICE  TOPOGRAFICO 


B 

Benevento.  —  Teatro  romano,  pag.  516. 
C 

Cagliari.  —  Iscrizioni  cristiane  nella  chiesa 
dei  ss.  Cosma  e  Damiano,  pag.  110. 

Castiglioncello  (Pisa). — Ara  alla  dea  Ro- 
bigus,  pag.  167. 

Catania.  —  Scoperte  sotto  il  palazzo  delle 
Poste,  pag.  106. 

Cittanova  (Reggio  Calabria).  —  Monete  bi- 
zantine, pag.  104. 


Comacchio   (Ferrara).  —  Sepolcreto  estrusco  in 

valle   Trebbia,   pag.   279. 
Contursi   (Salerno).  —  Villa   rustica,   pag.  87. 
Corinaldo    (Ancona).  —  Statuetta    arcaica    in 

bronzo,  pag.  34. 


i: 


Este  (Padova).  —  Trovamenti  romani,  pag.  2  ; 
la  situla  figurata  Randi,  pag.  269. 


Feltre  (Belluno). — Avanzi  romani,  pag.  149. 


536 


Firenze.  —  Resti  romani  nell'area  della  cerchia 
antica,  pag.  IO. 

ti 

Gualdo  Tadino  (Perugia).  —  Antichi  sepolcri, 
pag.  33. 


Isole    del    Quarnero.  —  Ricerche    paletnolo- 
giche,  pag.  121. 

M 

Magliano    Romano   (Roma).  —  Antichi   sepol- 
cri, pag.  41. 
Marino    (Roma).  —  Fosse    da    vino    romane, 

sul  monte   Crescenzo,  pag.   79  ;  abitazioni 

romane,   pag.    427  ;   sepolcreto   laziale   nel 

Pascolaro,  pag.  429. 
Montecalvo    Versiggia    (Pavia).  —  Tesoietto 

di  antoniniani,  pag.  278. 
Montesarchio  (Benevento).  —  Statua  muliebre 

ed  epigrafe  di  Druso,  pag.  614. 
Motta    San    Giovanni    (Reggio    Calabria). — 

Monete  bizantine,  pag.  105. 

N 

Nettuno  (Roma).  —  Piscine  nel  mare,  pag.  333. 

0 

Ostia    (Roma).  —  Santuario    ed    iscrizione    di 
Jupiter  Caelus,  pag.  69. 


Pavia.  —  Edificio   romano,   pag.    265. 

Perfugas  (Sassaii).  —  Tempietto  a  pozzo  pre- 
romano, pag.  522, 

Perugia.  —  Tomba  etiusca  del  Faggeto,  p.  322. 

Piccolo  San  Bernardo.  —  Avanzi  di  edifici 
di  età  romana,  pag.  385. 

Pitigliano  (Grosseto).  —  Tombe  etrusche,  p.  394. 

Populonia.  —  Scavi  governativi,  pag.  13. 

Porto  Santo  Stefano  (Grosseto).  —  Anfore 
romane  al  Monte  Argentaro,  pag.  30. 

Pozzuoli  (Napoli).  —  Epigrafi,  pag.  84. 

R 

Reggio  Calabria.  —  Scoperte  varie,  pag.  89, 
Roma. — (Regione  V):  presso  Porta  Maggiore. 

pag.  425. 
Id.  —  (Regione  IX):  area  tra  il  Corso  Vittorio 
■     Emanuele  e  via  del  Pellegrino,  pag.  45. 


Roma.  —  (Regione  XIII):  via  Marmorata,  presso 
l'arco  di  S.  Lazzaro,  pag.  45. 

Id.  —  (via  Labicana)  :  chiesa  dei  SS.  Pietro  e 
Marcellino  a  Tor  Pignattara,  pag.  46  ;  te- 
nuta di  Torre  Spaccata,  pag.  47. 

Id.  —  (via  Latina)  :  crocevia  della  via  Tuscolana 
con  la  via  militare,  pag.  47  ;  Roma  Vecchia, 
pag.  423. 

Id.  —  (Via  Laurentina)  :  Pedica  di  Grotta 
Perfetta,  pag.  49. 

Id.  —  (Via  Nomentana)  :  presso  il  forte  No- 
mentano,  pag.  49  ;  tenuta  di  Capo  Bianco, 
pag.  62. 

Id.  —  (Via  Ostiense)  :  collina  della  Roccia  di 
S.  Paolo,  pag.  49. 

Id.  —  (Via  Portuense)  :  via  Anton  Giulio  Bar- 
rili a  Monteveide  (cimitero  di  Ponziano), 
pag.  60  ;  ospedale  della  Vittoria  (già  vigna 
di  S.  Carlo),  pag.  66. 

Id.  —  (Via  Salaria)  :  area  tra  il  viale  Parioli  e 
la  via  Salaria  Vecchia,  pag.  61. 

Id.  —  (Via  Tiburtina)  :  viale  della  Regina, 
pag.  62. 

Rosarno  (Reggio  Calabria).  —  Monete  mamer- 
tine  e  bruzzie,  pag.  103. 


Saline  Joniche  (Reggio  Calabria).  —  Scoperte 
varie,  pag.  104. 

Santa  Maria  Capua  Vetere  (Caserta).  — 
Cripta  mitriaca,  pag.  263. 

Sant'Oreste  (Roma).  —  Ceramiche  falische  figu- 
rate ;  pag.  228. 

Semiana  (Pavia).  —  Pani  di  rame,  pag.   393. 

Sorrento  (Napoli).  —  Sculture  greche,  pag. 
276. 

Spoleto  (Perugia).  —  Iscrizioni  latine,  pag.  420. 


Tarquinia    (Roma).  —  Scoperte    nella    necro- 
poli, pag.  400. 


Velletri  (Roma).  —  Antico  sepolcreto  cri- 
stiano in  località  Solluna,  pag.  341  ;  cippo 
marmoreo  funebre,  pag.  606  ;  epigiafe  bi- 
lingue di  Mindio  Marcello,  pag.  511. 

Venafro  (Campobasso).  —  Epigrafi  latine,  p.  85. 

Vignanello  (Roma).  —  Scavi  nella  necropoli, 
pag.  179. 


."37  - 


INDICE    DELLE    MATERIE 


Achille  sul  carro  (rilievo),  pag.  89. 
Amore  e  Psiche  (rilievo),  pag.  366. 
Anello  d'oro  con  figura  di    Athena-Xike,    pag. 

102. 

Anfore  greche,  pag.  378  ;  ionizzanti,  pag.  370  ; 

romane,  pag.  30. 
Antefisse   arcaiche,   pag.   93,   236. 
Aqua  abietina,  'pag.  57  ;  traiana.  pag.  57. 
Ara  dedicata  ad  Anna  Perenna,  pag.   149  ;  a 

Robigus,  pag.  l&b. 
Architettonici   (frammenti),   pag.    380. 
Armille  preistoriche,   pag.    146. 
Artemide  (scultura),  pag.  376. 
Artemis-Selene  (scultura),  pag.  377. 
Asclepio  (scultura),  pag.  380. 
Athena-Nike  (su  anello  d'oro),  pag.  102. 


15 


Braccialetto  etrusco  trinato  d'oro,  pag.  28. 

Bronzetti  etruschi,  pag.  29,  34  ;  di  arte  proto- 
sarda, pag.  92. 

Bronzi  della  necropoli  di  Spina  (Comacchio), 
pag.  299. 

Buccheri,  pag.  191,  400,  498. 

Busto  marmoreo  muliebre,  pag.  92. 


E 


Edicola    sacia    ad    Ercole    Esichiano     (Roma), 

pag.  67. 
Elena  (ratto  di)  in   un'urna  cineraria  etnisca, 

pag.  165. 
Empleeton,  pag.  618. 
Etnische  (iscrizioni),  pag.  249,  293,  318,  327. 


Fauno   (testa   di),  pag.   65. 

Fibule  dell'età  del  ferro,  pag.  142,  502  ;  in  ar- 
gento ed  in  bronzo,  pag.  300. 

Figurine   in   bronzo   etnische,   pag.   310. 

Fittili  dell'età  del  ferro,  pag.  135  ;  figurati, 
pag.  183,  297. 

Fosse  da  vino  di  età  romana,  pag.  79. 

Fullonica  (Firenze),  pag.  12. 


Gaia,  pag.  362. 
Graffiti,  pag.  358. 


G 


H 


Hermes  (sculture),  pag.  382. 


Caelus,  pag.  362. 

Calcatorium,  pag.  83. 

Capitolium  di  Florentia,  pag.   12. 

Castellieri  nelle  isole   del  Quarnero,  pag.   123. 

Cautes,  pag.  362. 

Caulopates,  pag.  362. 

Centauro  marino  (rilievo),  pag.  96. 

Cimitero  di  Ponziano  (Roma),  pag.  60. 

Cippo    marmoreo    funebre,    pag.    506. 

Collana  di  ambra,  pag.  301. 

Coriarii  (officina),   pag.    12. 

Cripta  mitriaca,  pag.  353. 

D 

Dadophoroi,  pag.  363. 

Dioniso  e  satiro  (scultura),  pag.  378. 

Notizie  Scavi  1924  —  Voi.  XXI, 


Ipogeo  pagano  di  età  imperiale  (Roma),  pag.  62. 
Iupiter-Caelus,    pag.    70. 
ìj(9voxévii(VQog,   pag.  91. 


Lucerna  in  bronzo  etnisca,  pag.  314  ;  lucerne 
fittili,  pag.  365. 


M 


Mansio  ad  sponsas  della  via  Appia,  pag.  361. 
Mitra  tauroctono  (affresco  murale)  ;  pag.  359. 
Mitreo  (Ostia),  pag.  70  ;  (S.  Maria  Capua  Ve- 

tere),  pag.  353. 
Monete  mamertine  e  bruzzie,  pag.   103. 
Id.  della  repubblica,  pag.  364. 


538 


Id.  imperiali,  pag.  8,  104,  218,  278,  364,  390.      Serbatoio  ad  imbuto,  pag.   94. 


Id.  bizantine,  pag.  104. 

Monumento  etnisco,  pag.  258. 

Mosaico  di  pavimento,  pag.  6,  9,  91,  427. 

Mystis,  pag.  371. 

Mystagogus,  pag.  371. 


Necropoli  di  Vignanello,  pag.  179. 


0 


Oceanus,  pag.  362. 
Opus  incertum,  pag.  11,  70,  387. 
Id.  reticulatum,  pag.  30,  47,  60. 
Id.  sedile,  pag.  62. 
Id.  spicatum,  pag.  88. 
Id.  tessellatum,  pag.  6. 
Oreficerie  etnische,  pag.  200. 
Oscillum,  pag.  7. 


Pani  di  rame,  pag.  357. 
Pavimento  a  cocciopesto,  pag.  356. 
Id.  a  mosaico  ;  pag.  6,  9,  87,  91,  427. 
Pephphoros  (statua)  ;  pag.  515. 
Piscina  artificiale  (Roma),  pag.  60  ;  sulla  spiag- 
gia di  Nettuno,  pag.  333. 
■nqoaxivrjaig,  pag.  372. 


R 


Rhyton  fittile,  pag.  303. 

Rilievi  (Achille  sul  carro),  pag.  89  ;  (Tritone  e 
Centauro  marino),  pag.  90  ;  (scena  convi- 
viale), pag.  507  ;  (Giunone),  pag.  608  ; 
(Giove),  pag.  509  ;  (Mercurio),  pag.  510  ; 
(di  nenfro),  pag.  419. 

Robigalia,  pag.  176. 

Rooigus  (ara  sacrificale  di),  pag.  171. 


S 


Santuario   di   lupiter-Caelus  (Ostia),   pag.   69. 

Sarcofagi   in    nenfro,   pag.    240. 

Scarabei,    pag.    478. 

Sculture  greche,  pag.   375. 

Sepolcreto  laziale  (Marino),  pag.  429;  etrusco 
(Populonia),  pag.  13;  etrusco-felsineo  (Spi- 
na-Comacchio),  pag.  279  ;  cristiano  (Ca- 
tania), pag.  108  ;  (Velletri),  pag.  341  ; 
(di  Ponziano-Roma),  pag.  50, 


Sfinge  alata  in  travertino,  pag.  48. 

Situle,  pag.  26,  163  ;    (sitala  figurata   Rundi- 

Este),  pag.  269. 
Sol  (invictus,  occidens,  orìens),  pag.  364. 
Specchi  etruschi,  pag.  24,  164. 
Speco  di  acquedotto,  pag.  56. 
Spina  (Comaechio),  pag.  319. 
Statio  adires  Tahernas  sulla  via  Appia,  pag.  352- 
Statua  togata,  p.  268  ;    di  peplophoros,  p.  615' 
Stelai  figurate  etiusche,  pag.  166. 


Teatro  romann  di  Benevento,  pag.  516. 
Tempietto    a    pozzo    preromano    (Sardegna), 

pag.  522. 
Terra  sigillata,  pag.   96,  425. 
Terra  mater  (Tellus),  pag.  362. 
Tomba  etnisca  costruttiva,  pag.  322. 
Tombe  a  camera,  pag.  13,  31, 160,  180,  359,  400. 
Id.  a  cremazione,  pag.  101,  103,  294,  303. 
Id.  a   forma,   pag.   60,   343. 
Id.  a  fossa,  pag.  33,  435. 
Id.  ad  inumazione,  pag.  23,  294,  303. 
Id.  a  tumulo,  pag.  127. 
Torcular,  pag.  12. 
Tripode  in  bronzo  a  verghette  di  tipo  vulcente. 

pag.  310. 
Tritone   (rilievo),   pag.    90. 

U 

Urna  cineraria  in  alabastro  etrusca,  pag.  165, 

V 

Vasche  in  muratura,  pag.  10. 

Vasellame  preistorico,  pag.  442. 

Vasi  apuli,  pag.  187. 

Id.  di  argilla  figulina,  pag.   498.    ' 

Id.  attici,  pag.  182,  284,  315,  369. 

Id.  etnischi,  pag.  291,  359. 

Id.  etrusco-campani,  pag.  161,  192. 

Id.  :  falisci,  pag.  183,  328. 

Id.  d'impasto,  pag.  480. 

Id.  ionici,  pag.  402. 

Id.  italioti,  pag.  289,  402. 

Id.  modellati,  pag.  307. 

Id.  protocorinzi,  pag.  194,  208. 

Villa  rustica,  pag.  87,  423,  427. 

Vivaio  artificiale  di  età  imperiale,  pag.  57. 


53'ì 


INDICE   EPIGRAFICO 


I.    —    ReS   SA'  RAE. 


V.  Res  militaris. 


Anna  Perenna,  pag.  150 

Ganimedis   (signum),  pag.  86. 

Hercules,  pag.  67  ;  invietus,  pag.  68  ;  invictus 

Esychianus,  pag.  67. 
Iuno,  pag.  608. 
Iupiter,  pag.  609  ;  I.  Caelus,  pag.  73. 

II.  Imperatores. 

Divus  Iulius,  pag.  514.  • 

Caesar  Augustus.  pag.  511  ;    KalaccQ,  pag.  511; 

divus,  pag.  514. 
Tiberius  Augustus,  pag.  514. 
Drusus  Caesar,  pag.  514. 
Divus  Claudius,  pag.  346. 
Arcadius  Augustus,  pag.  345. 


eques    singularis,   pag.    46. 
eques  singularis  augg.  nn.,  pag.  46. 
legio  XV  Apollinaris,  pag.  346. 
navan'hi,  pag.  511. 
trierarchi,  pag.  511. 

VI.  Res  municipalis. 

defensor  (Surrentum),  pag.  383. 

haruspex    (Venafrum),    pag.  85  ;     (Spoletium), 

pag.  422. 
magister  quinquennalis  conlegii  fabrum  tignua- 

riorum  (Velitrae),  pag.  348. 
patronus   (Surrentum),   pag.   383. 
patronus  coloniae  (Venafrum),  pag.  86. 
sacerdos  matris  deum  (Velitrae),  pag.  349. 


III.  Consules. 


VII.  Artes  et  officia  privata. 


Flavio  Syagrio  v.  e.  consule   (a.  381    p.  Cr.), 

pag.  344. 
Arcadio  aug.  et  Bautone  v.  e.  consul.  (a.  385 

p.  Cr.),  pag.  345. 
Flavio  Vincendo  v.  e.  consule  (a.  401  p.  Cr.), 

pag.  46. 

IV.    HONORES    PUBLICI. 


anularius,  pag.  421. 

conlcgium  fabrum  tignuariorum  (Velitrae),  p.  348. 

corpus    tabernariorum,   pag.  45. 

im(muncs  ?)    salinarum    (Sardiniae),    pag.    116- 

medicus,  pag.  474. 

redemptor  intestinarius,  pag.  348. 

tabernarii,  pag.  45. 

villicus  (praefecti  praetorii),  pag.  67. 


consul  (iterum),   pag.   514. 

consularis   Campaniae,  pag.   45. 

legatus    divi  Claudii    legionis   XV  Apollinaris, 

pag.  346. 
legatus    prò    praetore    provinciae   (Sardiniae), 

pag.  346. 
praefectus  classis,  pag.  511. 
praefectus  praetorio,  pag.  67. 
praefectus  urbis,  pag.  45. 
proconsul  extra  sortem  provinciae  Macedoniae, 

pag.  346. 
prò  praefecto  frumenti  dandi  ex  s.  e,  pag.  346. 
srvir  equitum  romanorum  equi  publici,  p.  346- 
trib(unicia)  potest(ate)  II,  pag.  514. 
tribunus,  pag.  383. 
tribunus  militum,  pag.  346. 
tribunus  plebis  adlectus  a  divo  Claudio,  pag.  346. 


Vili.  Topographica. 

Bessus  (natione),  pag.  46. 
horti  Sallustiani  (Romae),  pag.  61. 
Macedonia   (provincia),   pag.    346. 
Moesus  (natione),  pag.   46. 
Oesci  (colonia   Ulpia),  pag.  46. 
Sardinia   (provincia),   pag.   346. 
Teretina  (tribus),  pag.  85. 
Voltinia    (tribus),   pag.    346. 

IX.  Christiana. 

cesquet  in  p(ace),  pag.  65,  112. 
clericus,  pag.  112. 
coemeterium,  pag.  345. 
domina,  pag.  345. 


540 


episcopus,'pag.   114. 

indictio,  pag.  1 1% 

religio,  ]>ag.  345. 

vidua,  pag.  117. 

virginius,  pag.  845. 

1  (palma  feliciter),  pag.  c>2. 

ì. ,  pag.  108. 

cfr.  pag.  46,  51),  62,  108,  111,  344,  351). 

X.    XoTABILIA    VARIA. 

alumnus,  pag.  117. 
convictor,  pag.  34!). 
lex  sepiilcjiri,  pag.  54,  348. 
maceri»  atplioata,  pag.  420. 
pater  (mitriacus),  pag.   73. 


|i<,<!ia.  pag.  367. 

sigiami  Ganimedis,  pagi  86. 

tabula  lusoria,  pag.  350. 

veneria  ex  hortis  Sallustianis,  pag.  61. 

l 'AysXy <fag  rfi^)jx[«],  pag.  376. 
inaQx°s  toc  aróXov,  pag.  511. 
vavaQX01'  Pag-  51 1. 
ot'xodótios  (vXoiQyós,  pag.  4J5. 
'Prjyìvwv.  pag.  381. 
rgn/eapjfot.pag.  511. 


Bolli  fìttili,  pag.  64,  81,  88,  93,  353,  356. 
Bolli  dollari,  pag.  05,  88. 
Bolli  di  lucerne,  pag.  353. 
Fistule  plumbee,  pag.  383. 


*< 


l  **  '