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Full text of "Nuova antologia"

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NUOVA  ANTOLOGIA 


Sboonda  Serib  -  Volume  XL. 


*>>i 


Proprietà  letteraria. 


NUOVA 


ANTOLOGIA 


DI 


SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 


SECONDA  SERIE 


VOLUME  QUARANTESIMO 
DILLA  RACCOLTA  VOLUME  LXZ 


ROMA 

DIBEZIONE  DELLA  NUOVA  ANTOI/XIIA 
VU  del  Corw>,  N.  iW 


d'I 

m 


Tipografia  Bodoniana. 


TOMMASO  ERRICO  BUCKLE 


£  T^A.  SUA.  SXORXA.  I>£:i^r.ik  OI VJXiXA.  ' 


La  stona  di  qucst'aomo  e  di  questo  libro  inerita  d'essera 
ricordata.  Nel  destino  dell'ano  o  dell'altro  v'è  qualche  cosa  di 
aasai  tristo,  quasi  di  tragico.  Un  uomo  che  forma  da  so  solo 
la  propria  educazione;  che  concepisce  un  Tasto  disegno,  e  per 
eseguirlo  deve,  in  tutta  la  vitn,  combattere  contro  una  saluto 
debolissima;  che  lotta  ancora  qunndo  la  sfelute  lo  ha  affatto  ab- 
bandonato, ed  è  morta  coltri  in  cui  i  suoi  affetti  »'<  >ncon- 
trati;  un  uomo  che  si  trova  infclic-iisimo  in  me^sso  ai  ^  la  con- 
quistata col  proprio  ingegno,  e  muore  Istcisndo  U  suo  grande 
lavoro  appena  inoominciato;  quest'uomo  desta  di  certo  lo  nostro 
simpatie  più  vivo.  Un'opera  la  quale,  quando  no  esce  il  primo 
Tolume,  h  dichiarata  in  Inghilterra,  in  Germania,  in  America, 
una  delle  principali  nel  nostro  «ecolo,  destinata  a  produrre  una 

grande  rivo.uzione  nelle   f  ' -     'nli  e  morali,  e  poi  ad  un 

trstto,  per  un  mutamento  .       ,  della  pubblica  opinione, 

rione  da  piò  parti  severamente  giudicata,  *  e  si  cerca  in  millo 
modi  demolirla;  on«  tale  opera  offre  di  certo  materia  a  molto 
riflessioni. 

*  HsssT  T  T>((Kt.i,  llU'ory  <,f  the  Cmliéotinn  éi  JS^^tewt  Lottdoa, 
ime  s  1861  I  -  Auriii.  il.  lIoTH,  Li^  mmi  Writif  ^  JKmry 
Thcma,  BmMm.  Lovioa,  IIM»,  Two  Voi. 

*  Uno  dsi  piò  severi,  troppo  ssveto  tnrf,  nrl  f^iodirars  qaesi'  opera,  tn 
il  prof.  I>rojrMu  in  Oermaaia.  I'i&  lardi  'ono  la  critiche  in  Inghil- 
terra ed  aaa  delle  oUglkm  4  di  eerto  qoniw  imm*  da  Alfred  W.  lieno. 


6  TOMMASO   ERRICO   BDCKLE 

I. 

Il  Buckle  nacque  a  Lee,  presso  Londra,  l'anno  1821.  Suo 
padre  era  un  negoziante  abbastanza  ricco;  sua  madre  veniva 
dal  Yorksliire,  ed  aveva  una  salute  debolissima,  che  fu  poi  ere- 
ditata dal  figlio.  A  cagione  di  questa  salute  mal  ferma  lo  fecero 
studiar  tardi  e  poco.  Fino  ad  otto  anni  non  sapeva  ancora  leggere. 
Ma  allora  incominciò  ad  imparare,  e  subito  il  Don  Chisciotte,  le 
Mille  ed  una  Notti,  il  Pellegrinaggio  del  Bunyan,  i  drammi 
dello  Shakspeare  furono  la  sua  continua,  avida  lettura.  Andò 
in  una  scuola  privata,  con  l'espressa  condizione  di  studiare  solo 
ciò  che  voleva.  Vi  restò  fino  ai  quattordici  anni,  e  profittò  molto 
nelle  matematiche.  Ma  quando  il  padre  gli  domandò  che  premio 
desiderava,  rispose  :  essere  menato  via  dalla  scuola.  E  l'ottenne. 
A  diciassette  anni  il  padre  lo  volle  agli  afifari,  ed  egli  v'  andò 
di  malissima  voglia,  perchè  già  si  sentiva  nato  alle  lettere. 
Pure  come  al  Gibbon  giovò  d'essere  stato  soldato,  per  meglio 
conoscere  gli  eserciti  romani,  al  Grote  l'essere  stato  deputato, 
per  meglio  conoscere  la  politica  dei  Greci,  cosi  al  Buckle  giovò 
l'essere  stato  negli  affari,  per  conoscere  praticamente  l'economia 
politica,  che  nella  sua  opera  doveva  avere  una  parte  principa- 
lissima. 

Nel  1840  egli  aveva  appena  18  anni,  quando  gli  mori  il  padre, 
lasciandogli  una  fortuna,  di  1500  sterline  l'anno,  che  lo  rende- 
vano non  ricco  ma  indipendente.  E  abbandonò  subito  gli  affari, 
per  fare  un  viaggio  sul  continente,  con  la  madre.  Non  aveva 
ancora  alcuna  inclinazione  o  tendenza  determinata.  Era  uno  dei 
primi  giocatori  di  scacchi  in  Europa,  e  ciò  solo  richiamava  nella 
società  l'attenzione  sopra  di  lui.  S'aggiungevano  una  passione 
febbrile  per  la  lettura,  che  gli  faceva  divorare  i  libri  con  una 
rapidità  appena  credibile  ;  una  memoria  portentosa,  che  supe- 
rava quella  tanto  celebrata  del  Macaulay.  Poteva  ripetere  a  me- 
moria lunghi  brani  letti  una  volta,  e  non  solo  di  poeti,  ma  anche 
di  prosatori.  Né  minore  era  la  sua  facilità  nell'apprendere  le  lin- 
gue, senza  alcun  aiuto  di  maestro.  Il  suo  viaggio  in  Italia,  in 
Francia,  in  Germania  gli  offriva  a  ciò  una  grande  opportunità. 
Poco  visitava  le  gallerie  e  musei  d' arte,  minor  gusto  ancora 
aveva  per  la  musica.  Osservava  sopra  tutto  le  condizioni  eco- 
nomiche, sociali,  scientifiche  dei  paesi  in  cui  si  trovava. 

E  due  furono  le  principali  conseguenze  di  queste  sue  esser- 


E    LA    SUA    STORTA    DELLA    CIVILTÀ. 


vazioni.  Aveva  lasciato  l'Inghilterra  tory,  assai  conservatore 
in  politica  ed  in  religione,  vi  tornavi  radicale  ed  anti-clerìcale. 
Le  dottrine  del  Proudhon,  dei  socialisti  francesi  e  di  altri  pen- 
satori del  continente  avevano  mutalo  le  sue  idee.  Ma  vi  tornava 
ancora  con  un  pensiero  che  doveva  essere  l'occupazione  di  tutta 
la  sua  vita.  Paragonando  tra  loro  i  vari  piesi,  aveva  concepito 
l'idea  di  scrivere  una  storia  della  civiltà  in  Europa.  Doveva 
essere  un'opera  di  circa  venti  grojsi  volumi,  nella  quale  sareb- 
bero esp  )8te  le  leggi  che  producono  la  civiltà  e  ne  regDlano 
il  cammino.  Era  un'  impresa  colossale  da  spaventare  qualunque 
ingegno  più  orig'nale  e  qn  ilunqne  più  vigorosa  salute.  Il  Baeklo 
era  invece  malato,  non  aveva  avuto  un  vero  tirocinio  scolastico, 
non  aveva  ancora  dato  saggio  del  proprio  ingegno.  Ma  il  suo 
nuovo  pensiero  era  ormai  più  forte  di  lui;  egli  aveva  un'energia 
indomabile  di  volontà,  un  bisogno  febbrile  di  lavoro,  una  grande 
.a*-  '  -'  ne  letteraria,  ed  in  fmdo  della  sua  coscienza  sentivasi 
e.  >  ad  essere  il  Oalilei,  il  Newton  delle  scienze  morali. 

In  una  condizione  di  spirito    non    molto  diversa,    Agostino 
Thierry  aveva  osservato,  che  questa  passione  dello  studio 

ha,  come  ogni  altra,  bisogno  di  un  e  :  <'.  E  il  Buckh\  cho 

pareva  un  uomo  melodico,  freddo,  cnlcolaturo,  punto  entusiasta, 
confidò  con  la  madre,  la  qunle  si  esaltò  più  di  lui  per  Kar- 
lito  disegno,  e  cominciò  a  desiderarne  l'attuazione  con  una  im* 
pazienza  non  minoro  di  quella  del  figlio.  Presero  a  Londra  una 
casa,  in  Oxford  Terrscc,  N.  59,  ei  ivi  si  chiusero.  V'era  una 
l^n  sala  illuminata  di  sopri,  che  divenne  la  biblioteca,  nella 
quale  furono  a  poco  a  poco  raccolti  22,000  volumi.  Ed  il  bio- 
g^fo  del  Buckle  aflerma  ohe  questi  potè  legg«>rli  o  percorrerli 
quasi  tutti:  l'aveva  visto  divorare  in  un  giorni  due  o  tre  vo« 
lumi  in  ottavo,  pigliinlo  appunti,  ricordando  tutto  ciò  che  v'era 
di  h04tanKÌale. 

In  quella  casa  restò  quattordici    '  ^      la- 

vor.indo  sempre  da  9  ft  10  ore  il  ^i  i  a  ,  1  a;  a  ■  i  .  novo 
lingue,  sette  delle  quali  poteva  parlare  e  s^irivero.  Studiava 
re  mirali,  nitur.ili.  storio  politiohe  e  lottorario  di  tutti  i 
I,  pij^liando  continui  appunti  por  la  sua  opera,  ricusando 
ogni  altra  occupazione,  anche  qunn'lo  una  Rifiata  inglese  gli 
offri  cinque  lire  stisrlinn  a  pagina.  Persuaso  che  la  formi  ò  un 
elemento  indi  ■  -  '  u  ^  diffondere  lo  idee,  a  dare  immortalità 
allo  o|>cre  d  ,    fece  un  continuo  studio    dei  classici 

per  migliorare  il  suo  stile;  lesse  il  dizionario  d<'l  Johnson  per 


Ai 

.-ali. 


8  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

arricchire  il  suo  linguaggio.  Di  tanto  in  tanto  la  salute  cedeva, 
e  bisognava  smettere.  Ma  il  suo  sistema  nervoso,  eccitabile 
ed  eccitato,  rifaceva  ben  presto  le  forze  perdute,  ed  egli,  dopo 
qualche  breve  gita,  era  di  nuovo  all'opera.  A  colezione  man- 
giava allora  pane  e  frutta,  perchè  la  digestione  in  lui  assai 
penosa,  non  interrompesse  il  lavoro.  E  di  questa  lotta  giorna- 
liera non  v'  era  che  un  solo  confidente,  la  madre,  alla  quale 
ogni  sera  egli  esponeva  il  resultato  delle  sue  ricerche,  ed  essa 
ascoltava  con  sempre  maggiore  avidità  e  con  la  fiducia  d'un 
grande  resultato.  Più  debole  del  figlio,  travagliata  da  un  male 
che  ogni  giorno  la  conduceva  più  vicino  alla  tomba,  essa  gli 
nascondeva  il  proprio  stato,  per  non  fermarlo  nel  lavoro.  Un  solo 
pensiero  la  tormentava  più  del  male  insidioso  e  della  morte 
vicina,  il  pensiero  che  forse  non  sarebbe  stata  in  tempo  a  ve- 
dere pubblicati  almeno  i  primi  volumi  dell'opera,  ed  assistere 
cosi  alla  gloria,  al  trionfo  sicuro  di  Errico.  —  Pure  io  spero,  essa 
diceva  qualche  volta  in  segreto  agli  amici,  che  la  Provvidenza 
non  vorrà  meco  esser  tanto  crudele.   — 

Sin  dal  1850  il  Buckle  aveva  cominciato  a  scrivere  il  suo 
lavoro,  procedendo  in  sul  principio  assai  lentamente.  Ogni  ca- 
pitolo era  concertato,  discusso,  letto  la  sera  alla  madre,  che 
era  divenuta  la  seconda  coscienza  del  figlio,  il  quale  senza  di 
lei  non  sapeva  ormai  ne  pensare,  ne  scrivere.  Quando  più  tardi 
egli  non  poteva  più  lavorare,  ed  era  solo  nel  mondo,  diceva, 
ricordandosi  u  del  tempo  felice  nella  miseria  :  ?7  —  Ho  passato 
quattordici  anni  d'una  felicità  ssrbata  a  pochi  su  questa  terra.  — 
Ed  aveva  ragione.  Fissare  con  disinteresse  lo  sguardo  nel  vero,  e 
consumando  le  proprie  forze,  essere  convinto  di  lavorare  per 
l'amanita;  sentirsi  dimenticato,  sconosciuto,  ignoto  al  mondo;  ma 
avere  dinanzi  a  se  due  occhi  che,  scintillando  di  gioia  ad  ogni 
verità  da  voi  trovata,  vi  ricordano,  vi  fanno  sentire  che  il  vero 
si  trasforma  in  bene,  certo  è  questa  una  ben  rara  felicità.  Le 
ore,  i  giorni,  gli  anni  volano  inavvertiti.  Importuno  riesce  il 
bisogno  di  riposo  e  di  sonno.  La  gloria  stessa  sembra  un  pen- 
siero volgare.  Non  occorre  compenso  di  sorta,  non  c'è  neces- 
sità alcuna  d'essere  riconosciuti,  d'essere  lodati  o  ricordati.  La 
gioia  che  emana  spontanea  da  quei  due  occhi  disinteressati,  i 
quali  riflettono  la  vostra  coscienza  e  vi  sembrano  riflettere  la 
coscienza  del  genere  umano,  vi  basta.  —  E  se  si  spegnessero?  — 
A  questo  il  Buckle  non  osava  pensare,  perchè  gli  pareva  che 
con  essi  si  sarebbe  oscurata  la  sua  ragione,  spenta  la  sua  vita. 


E    LA    SUA    STORIA.    DELLA    CIVILTÀ.  9 

Nel  1856  il  primo  volume  era  finito,  ed  egli  scriveva  ad  un 
editore  per  pubblicarlo;  ma  dovette  pai  decidersi  di  farlo  a  proprie 
spese.  La  madre  sempre  più  ammalata,  era  però  viva  ancora,  e 
trepidava  all'idea  di  vedere  finalmente  il  volume  stampato  e  legato. 
Quando  Io  ebbe  finalmente  fra  le  mani,  Io  aprì  subito,  e  sulla 
prima  pagina  vide  le  sole  parole  che  non  le  erano  state  prima 
già  lette:  —  A  mia  madre,  questo  primo  volume  d^lla  mia  prima 
opera.  —  L'agitazione  della  sua  gioia  fu  tale  e  tanta,  che  si 
dovè  quasi  temere  per  lei.  u  II  giorno  dopo,  cosi  scrive  un'amica, 
nel  mostrarmi  il  volume,  ancora  non  poteva  per  la  commozione 
parlare.  E  col  dito  accennava,  tremando,  a  quelle  poche  parole, 
in  cui  erano  concentrate  tutta  la  gratitudine  e  l'affetto  del  figlio,  n 

La  rapida  fortuna  di  quel  volume  fu  divvero  prodigiosa,  e 
rispose  in  tutto  all'aspettativa  della  madre.  Una  seconda  edizione 
di  2000  esemplari,  portò  al  Buckle  500  sterline.  Poi  seguirono  le 
altre.  Era  venuto  alla  luce  poco  prima  dell'opera  del  Darwin 
L'  Oriijini  delle  specie,  o  levò  allora  anche  un  più  gran  romore. 
Il  Buckle  lavorava  al  second>  volume,  quando  dovette  provare 
il  maggior  dolore  della  sua  vita.  Il  1*  aprile  1859,  egli  scriveva 
nel  suo  Diario:  u  Alle  ore  9  1|2  parti  la  mia  angelica  madre, 
icificamcnte  e  senza  dolore,  n  Lasciò  Londra  per  qualche  tempo, 
laaodo  ritornò  nella  deserta  casa  a  riprendere  il  lavoro,  non 
Sxh  più  mettere  il  piede  nel  salotto,  là  dovo  EUa  ana  volu 
sedeva,  o  dove  egli  aveva  passato  lo  ore  della  sua  maggiore 
felicità.  Una  sola  volta,  in  tutto  il  resto  della  sua  vita,  v'entrò 
p«-r  cerciie  un  libro,  ma  ne  usci  in  fretta.  Di  lei  non  pirlava 
più  adesco.  Un  giorno  però  fu  da  un  amico  trovato  solo  che 
piangeva  dirottamente  nello  studio,  e  allora  gli  disse:  —  Ahi  voi 
non  potete  sip^rc,  che  cosa  ò  stata  per  me  la  perdita  di  mia 
madre.  —  F •■  '  ♦  tuttavia  forza  al  '  »  -  ■  alla  salute  che  rapida- 
mente lo  a  lava,  il  15  ma;:  •>  avttva  finito  il  io- 
condo  volume,  che  fu  dedicato:  Alia  msmoria  di  Ui  {io  htr 
memori/). 

La  fortuna  del  secondo  volume  non  fu  punto  minore  di 
quella  del  p  imo.  Intiero,  discussioni,  articoli,  critiche  piovevano 
da  '      L'opera  veniva  subito    tradotta  in  Oormania,    e 

la  I  tu  più  volto    riitampata  ';   venne  poi  tradotta  in 

Francia.  Un  Inglese  stabilito  in  America,  scriveva  al  Buckle, 
dicendogli    che    lo    sapeva   malato,  e  temendo    che  ciò  poteste 


'  Nel  1874  osci  la  qoUiU  edlsioM 


10  TOMMASO   ERRICO   UUCKLE 

ritardare  o  impedire  la  continuazione  d'un  libro  tanto  utile  al- 
l'umanità, 8Ì  oif'eriva  pronto  a  vendere  quanto  possedeva  colà, 
per  venire  in  Inghilterra  a  fargli  da  amanuense,  o  cosi  dimi- 
nuirgli la  fatica  materiale.  Molte  lettere  d'ignoti  vennero  ppecial- 
niente  dalla  Scozia,  di  cui  pure  esso  aveva  detto  gran  male.  Ma 
a  che  giovava  ora  la  gloria?  Egli  era  uno  dei  primi  uomini  del- 
l'Inghilterra, ed  uno  dei  più  infelici  nel  mondo.  11  suo  stato 
di  salute  era  tale,  che  non  gli  psrinetteva  più  di  lavorare.  Perchè 
soffrire?  E  sopra  tutto  per  chi  soffrire  ora  che  Ella  non  c'era 
più  sulla  terra?  A  lui  non  restava  ormai  che  una  sola  speranza, 
certo  come  egli  era  della  immortalità  dell'  anima;  ritrovarla 
presto  in  un'altra  vita.  E  così  1'  animo  desolato  invocava  quel 
giorno. 

Dalla  morte  della  madre  tutto  era  mestizia  e  dolore  per  lui. 
La  stessa  fede  che  aveva  una  volta  nutrita  pei  grandi  resultati 
della  sua  opera,  non  era  più  quella.  Di  ciò  si  vedono  i  segni 
già  nel  secondo  volume.  Da  un  pezzo  egli  s'era  avvisto  d'avere 
intrapreso  un  lavoro  troppo  gigantesco,  superiore  alle  forze  di 
un  uomo  solo,  ed  aveva  modificato  il  suo  disegno.  Non  si  trat- 
tava più  di  scrivere  una  storia  della  civiltà  in  Europa,  ma  solo 
una  grande  e  generale  Introduzione  su  di  essa,  seguita  poi  da 
una  storia  della  civiltà  in  Inghilterra.  Ma  ora  dubitava  che 
anche  questo  gli"  potesse  riuscire,  e  che  le  leggi  della  civiltà 
si  potessero  davvero,  in  una  forma  o  l'altra,  scientificamente, 
compiutamente  scoprire,  come  aveva  una  volta  sperato.  Nel  ca- 
pìtolo IV  del  secondo  volume,  egli  descrive  la  lotta  che  sostiene 
lo  scrittore  il  quale  lavora  senza  conforto  alla  conquista  del 
vero,  alla  scoperta  delle  grandi  leggi  della  natura  e  della  storia. 
u  Forse  egli  consumerà  le  sue  forze  nell'aspro  cammino,  perchè 
la  mente  umana  non  è  ancora  matura.  Non  avrà  allora  ne  sim- 
patie, né  aiuti,  e  lascerà  incompiuto  ciò  che  invano  aveva  spe- 
rato di  condurre  a  termine.  Ormai,  così  egli  continuava,  pas- 
sando dal  caso  generale  al  suo  caso  particolare,  anche  per  me 
le  illusioni  sono  passate,  ed  io  vedo  che  piccola  parte  dell'opera 
immaginata  potrò  condurre  a  termine.  Forse  le  mie  speranze 
erano  vane  e  presuntuose  :  vorrei  tuttavia  poterle  richiamare 
in  vita,  perchè  mi  restituissero  la  passata  felicità...  Ma  pur 
troppo  mi  sembrano  adesso  simili  più  alle  illusioni  d'una  mente 
disordinata,  che  alla  realtà.  E  duro  confessarlo,  ma  io  sento 
che  non  potrò  mantenere  tutto  quello  che  ho  promesso,  n  E  potè 
mantenere  anche  meno  di  quello  che  sperava    allora.    Col    se- 


E   LA   SUA   STORIA  DELLA   CIVILTÀ.  11 

condo  volume  non  era  finita  neppure  la  Introduzione  generale, 
ed  il  terzo  non  potè  mai   esser  cominciato. 

Si  risolvette  a  fure  un  viaggio  in  Oriente,  per  curare  la  salute 
e  vedere  gli  avanzi  delle  gran  li  civiltà  antiche.  E  subito  s'esaltò 
per  modo  in  quest'idea,  che  nell'ottobre  del  1881  scriveva  alla 
signora  Grote:  u  Io  addirittura  soflFro  pel  grande  eccitamento 
che  provo  al  pensiero  di  vedere  gli  avanzi  di  quella  grande  ed 
imperfetta  civiltà  dell'  Egitto,  che  è  stata  sempre  come  un  sogno 
della  m"a  vita.  77  II  20  di  quel  mese  (non  aveva  allora  che 
39  anni)  parti  in  compagnia  di  due  giovanetti,  figli  d'un  amico, 
il  ma^rg'ore  dei  quali  aveva  14  anni  e  divenne  poi  il  suo 
biografo.  I  bambini  furono  la  seconda  delle  sue  passioni,  e 
'però  OTA,  che  non  aveva  più  la  madre,  li  desiderava  intorno  a  sé. 
Durante  il  vitggio  si  levava  alle  sci,  dava  loro  una  lezione, 
dirigeva  le  loro  if'tture  e  leggeva  egli  stesso  la  storia  dei  paesi 
che  visitava.  Passarono  tre  settimane  sul  Nilo  in  uno  dei 
migliori  battelli  che  si  potevano  nllora  avere,  con  un  cuoco 
eccellente,  perchè  voleva  esser  sicuro  di  cibi  sani.  Vide 
Alrssandria,  il  Cairo,  Tebe,  le  Cateratte  del  Nilo,  la  Nubia. 
Traversò  poi  il  deserto  per  andare  al  Sinai.  Erano  tre  compsgnio 
di  15  persone  in  tutto,  con  una  scorta  di  110  armati.  Faceva 
«•ette  ore  il  giorno  di  cammino  a  cavallo,  riposando  Ire  ore  sott  > 
tcndtu  Vc«tiva  abiti  di  lana  come  a  Londra,  credendo  d'imi 
tare  i  beduini  nel  difander^i  cosi  dal  callo.  Sperava  con  tutti 

^ti  suoi  accori^menti  che  U  salato    dovo^rso    ntistere    sino 

fine  del  viaggio.  Aveva  in  vero  fatto  già    gran    cammino, 

aveva  molto  visto  e  molto  lotto,  raccolto  antichità  e  manoscritti 

che  inviava  a  Londr*,  e   nessuna    malattia    era    sopravvenuta. 

Al  Sinai  però  giunge  addirittura  esausto  di  forse.  Puro  continuò 

di  luo^o  in  luogo  la    via    prestabilita.    Fece    l' asccni'ono    del 

rlfonto  Hor;  ma  quando  fu  sulla  cima,  non  ne    poteva    più,    e 

dis4c  ridendo:  —  Non  mi  maraviglio  che  il  |)Ovcro  Aronne  mori 

quando  lo  menarono  quassù.  —   Era  ridotto  a  non  poter  man- 

iare  altro  che  riip;)a  e  latte,  perchò  altro  non  digeriva.  Puro 

idavA  oltre,  e  il  \.\  aprilo  erano  a  Geruiatemme,  dove  fu  fona 

lormire  in  un  cattivo  albergo.  Quivi  pare  che  pigliasse  Ìl  germe 

d'una  febbre  tifoidea,  la  quale  covò  lentamente  primi  di  scop- 

J'  >    E   tutuvia    andarono    oltre.    Il    21    erano    a 

^'  '    i'-ro  il  Mare  Morto  e  Nszaret,   dovo  il    Bucklo 

dovè  cedere  la  prima  volta  al  male  insidioso.  Fu  in   letto  con 

febbre  e  dolor  di  gola.  Pure  non   si    arrese,    e    pretto    riparti 


12  TOMMASO   ERRICO    BUCKLE 

per  compiere  il  suo  giro.  Il  14  maggio  era  a  Beirut,  di  dove 
scrisse  la  sua  ultima  lettera,  indirizzata  ai  parenti  dei  suoi 
piccoli  compagni  di  viaggio.  Ragguagliò  del  buono  stato  delia 
loro  salute,  e  indicò  il  luogo  dove  si  sarebbero  incontrati  in 
Europa,  tornando  dal  viaggio.  A  vederlo  faceva  però  spavento, 
tanto  era  mal  ridotto  ;  ma  andava  oltre.  Volle  ascendere  il 
Monte  Hermon.  Giunto  alla  cima  guardò  la  terra  sottoposta, 
in  cui  scorre  il  Giordano.  Ai  piedi  del  monte  vide  Damasco  : 
era  una  vista  veramente  stupenda.  Egli  non  sentiva  quel  giorno 
che  la  mano  inesorabile  della  morte  era  già  sul  suo  capo,  e 
dimentico  delle  sofferenze  lungamente  patite,  contemplando 
estatico,  esclamò:  —  Oh!  questo  spettacolo  sublime  compensa 
certo  tutto  quello  che  mi  è  costato.  —  E  gli  costò  la  vita, 
osserva  qui  il  suo  biografo. 

Discendendo  a  Damasco,  contro  il  suo  solito  cominciò  a 
parlare  della  madre,  quasi  come  di  persona  viva.  A  un  tratto 
proruppe  :  —  La  sua  morte  è  stata  la  fine  d'ogni  mia  felicità  sulla 
terra.  —  Arrivati  all'albergo,  il  male  scoppiò  in  tutta  la  sua 
violenza.  La  febbre  salì  assai  alto;  cominciò  il  delirio.  Forse 
ancora  poteva  essere  guarito,  se  fosse  stato  presente  un  buon 
medico;  ma  un  telegramma  ritardato  lo  fece  arrivare  quando 
non  v'  era  più  speranza  di  salvezza.  Appena  tornava  in  se, 
chiamava  i  bambini  per  baciarli  e  confortarli.  La  sera  del  28 
li  fece  chiamare  di  nuovo,  e  dopo  averli  baciati,  disse  :  —  Poveri 
bimbi!  —  Furono  le  sue  ultime  parole.  La  mattina  del  29, 
alle  10  e  mezzo,  era  morto.  Aveva  appena  40  anni.  La  sera 
stessa  lo  seppellirono  nel  piccolo  camposanto  protestante.  As- 
sistevano il  medico,  il  console  inglese,  un  missionario  protestante. 
Il  sole  ardente  della  Siria  mandava  i  suoi  ultimi  raggi,  illu- 
minando le  cime  dei  monti. 

La  notizia  di  questa  morte  arrivata  a  Londra,  quando  era 
colà  aperta  la  grande  Esposizione  Universale  del  1862,  fu  sen- 
tita come  una  grande  calamità  nazionale.  Pareva  che  in  quel 
momento  1'  Inghilterra  avesse  perduto  il  suo  più  gran  pensa- 
tore del  secolo.  Come  è  mai  avvenuto  che  ora  nella  stessa 
Inghilterra,  si  pensa  così  diversamente?  Perchè  l'opera  tanto 
una  volta  esaltata,  è  ora  tanto  acerbamente  criticata?  Dove  e 
quale  fu  l'inganno?  Per  rispondere  a  queste  domande,  è  me- 
stieri far  prima  un  minuto  esame  del  libro  stesso,  che  certo 
merita  di  essere  studiato. 


E    LA   SUA    STORIA   DELLA    CIVILTÀ.  13 

II. 

Il  Buckle,  come  abbiam  visto,  fu  uno  di  quegli  uomini  che 
gl'Inglesi  chiamano  self-made^  quali  ve  ne  sono  molti  colà, 
quale  fu  tra  gli  altri  J.  S.  Mill,  suo  contemporaneo.  Senza  an- 
dare ne  a  ginnasi,  ne  a  licei,  ne  ad  università,  si  formano  stu- 
diando da  sé,  leggendo,  viaggiando,  discutendo  liberamente  in 
una  libera  società.  Ma  \\  Mill  ebbe  un  padre  dotto,  d'un  ca- 
rattere fermissimo,  che  sin  dai  primi  anni  lo  sottopose  ad  una 
severa  disciplina  classica  e  scientifica,  la  quale  gli  fu  di  guida 
sicura  per  1'  avvenire.  Nella  sua  autobiografia  reca  mara/iglia 
non  piccola  il  vedere  come  egli  non  dica  una  parola  sola  della 
madre,  quasi  per  lui  non  fosse  mai  esistita.  Il  Buckle  sembra, 
invece,  non  aver  nella  vita  avuto  che  la  madre,  la  quale  fu 
certo  la  sua  seconda  coscienza,  ma  non  potè  dargli  una  severa 
disciplina  intellettuale.  In  sostanza  egli  percorse  quasi  tutto  lo 
scibile,  restando  però  sempre  un  gran  dilettante  in  ogni  disci- 
plina. Pure  i  dilettanti  hanno  anch'essi  compiuto  qualche  volta 
di  cose  sul  mondo.  V'è  egli  riuscito? 

Che  cosa  s'era  proposto  di  fare?  Dare  alla  storia  una  forma 
scientifica,  scoprire  e  dimostrare  rigorosamente  le  leggi  ohe 
regolano  la  successione  dei    fatti    sociali,    che    de*  no    il 

progresso  della  civiltà.  A  che  serve,  egli  diceva,  ac  >o  de- 

scrizioni di  costumi  e  di  battaglie,  aneddoti  biografici;  racco- 
;lJero  fatti  alla  rinfusa  per  mettere  iotieme  una  narrazione  più 
meno  dilettevole,  ma  dalla  quale  nulla  ti  può  imparare  di 
TWMBente  utile?  In  queato  modo  ogni  ingegno  più  mediocre 
può  con  alcuni  libri  scriveme  un  altro,  e  chiamarlo  poi  storia, 
la  vera  storia  è  ben  altro    che    biografia,    essa    non    devo 

oparsi  di  fatti  individuali,  né  di  aneddoti  piacevoli,  ma  di 
fatti  sociali   e   delle  loro  leggi.    Bisogna    finalmente    vedere  te 

^  ni  della  natura  sottoposti  aleggi^ 

licamentc.  In  ciò  sta  veramente 
la  stori.-i. 

Il  Hif-Uli-  N  ijM  \  a  1m  Ili  hitno  rlw  l:i  Holur.ioiM*  d'un  taio  pro- 
blema era  siala  Iculala  la  allri.  Avrebbe  quimli  dovuto  parlarci 
del  Vico,  dcir  Herder,  dell' Hegel,  del  Cumto;  giudicare  le  loro 
.  opere,  e  dirci  so  etti  erano  o  no  riusciti,  come  e  perchè.  Ma 
egli  s'ora  talmente  persuaso  di  esaminare  il  problema  sotto  un 
L  nuovo  aspetto,  di  entrare  in  una  via  affatto  inesplorata,  cho  non 


14  TOMMASO    ERRICO    BDCKLE 

&i  fermò  punto  a  discorrere  de'suoi  prò  Icccssori.  Vi  sono  o  non 
vi  sono  lejrgi  della  storia?  Ecco  la  sua  prinna  domanda. 

Molti  ne  dubitano,  perch?}  in  os^a  o  vedono  tutto  sottoposto 
ad  un  cieco  fato,  o  tutto  abbandonato  al  capriccio  od  al  caos. 
u  Forse,  egli  aggiunge,  di  ciò  sono  derivate  le  due  dottrine,  una 
delle  quali  nei  fatti  della  storia  non  ve  le  che  1'  opera  della 
Provvidenza,  l'altra  invece  non  vi  vede  che  l'opera  capricciosa 
di  un  libero  arbitrio,  che  non  può  essere  sottopoito  a  le^gi.  n 
Qui  c'ò  veramente  una  gran  confusione  d' idue,  espresse  in  un 
modo  non  meno  confuso  ed  incerto.  Dal  fato  alla  Provvidenza, 
dal  caos  al  libero  arbitrio,  il  passaggio  non  è  cosi  agevoLi.  Bi- 
sognava 0  spiegarsi  o  non  parlarne  ;  ma  l'autore  si  contenta  di 
dirci,  che  queste  due  dottrine  non  sono  che  due  ostacoli  alla 
soluzione  del  problema,  e  bisogna  quindi  rimuoverli  per  aprirsi 
la  strada  al  vero.  Chi  può  mai  credere  Iddio,  un  essere  infi- 
nitamente potente  e  buono,  autore  di  tutti  i  mali,  di  tutti  i  de- 
litti commessi  sulla  terra?  E  che  cosa  vuol  dire  questo  arbitrio 
libero  da  ogni  legge?  Vi  sono  forse  azioni  che  non  abbiano 
antecedenti  e  conseguenze  inevitabili?  E  se  le  hanno,  la  rela- 
zione che  passa  fra  loro  non  costituisce  una  legge  storica? 

Basta  paragonare  una  società  barbara  con  una  che  entri 
appena  nella  civiltà,  perchè  si  veda  subito  comparir  1'  ordine 
nella  successione  dei  fatti.  Il  selvaggio  aspetta  il  suo  cibo  dal 
caso,  l'uomo  che  appena  incomincia  ad  uscire  dalla  birbarie 
semina  piriodicamente  in  una  stagione,  per  raccogliere  periodi- 
camente in  un'altra.  Dacché  la  statistica  è  divenuta  una  scienza, 
non  è  pili  possibile  dubitare,  che  i  fatti  umani  e  sociali  siano 
Bottopoàti  a  leggi.  Essa  ci  hi  chiaramente  dimostrato  che  le 
azioni  buone,  cattive,  indifferenti,  quelle  che  più  sembrano  di- 
pendere dal  caso,  dal  l.bero  arbitrio,  da  una  risoluzione  istan- 
tanei, imprevista  o  imprevedibile,  si  succedono  con  una  rego- 
larità maravigliosi.  Basta  non  fermarsi  ai  soli  casi  individuali, 
Sf^mpre  mutabili,  ma  esaminare  la  somma,  l'insieme  dei  fatti 
sociali,  come  appunto  fa  la  statistica,  e  deve  fare  la  storia,  per 
veder  subito  che  tutto  segue  con  ordine,  secondo  una  legge  co- 
stante. La  statistica,  per  citare  qualche  esempio,  ci  dice  che  dal 
1826  al  1841,  in  tutta  la  Francia,  vi  ha  ogni  anno  un  numero 
di  delitti  ugua'e  presso  a  poco  al  numero  dei  nati  in  Parigi. 
E  se  i  dilitti  si  dividono  in  diverse  categorie,  si  avrà  la  stessa 
regolarità,  lo  stesso  ordine  nella  loro  successione.  Ogni  anno 
cioè    si    avrà    lo    stesso    numero    di    omicidi,    di    percosse,    di 


E    LA    SUA    STORIA    DELLA    CIVILTÀ.  15 

ferimenti.  Perfino  1'  arma  di  cui  si  fa  uso  è  la  stessa  :  tanti  si 
valgono  dtl  fucile  o  della  p'stola,  tanti  del  colttllo  o  del  ba- 
stone, tanti  degli  arnesi  del  loro  mestiere.  Data  una  società, 
aveva  già  detto  il  Quetelet,  son  dati  il  numero  e  la  qualità  dei 
delitti,  u  Si  direbbe  che  sia  essa  che  ponga  il  coLello  in  mano 
dell'assassino,  il  quale  ci  apparisce  solo  come  un  suo  docile 
strumento,  n  C'è  nulla,  continua  il  Buckle,  che  sembri  dipen- 
dere dalla  volontà  personale  e  libera  dell'uomo  più  del  suicidio? 
Pure  la  statistica  ci  dimostra  che  ogni  arno  v'  è  a  Londra  un 
numero  coatante  di  persone  che  pongono  fine  ai  loro  giorni.  Lo 
stesso  segue  nel  numero  dei  matrimoni,  dei  figli  illegittimi. 
V  è  nulla  di  più  accidentale,  di  più  casuale  che  il  dimenticarsi 
di  mettere  V  indirizzo  sopra  una  lettera,  che  si  manda  alla  po- 
sta? Eppure  la  statistica  dell'ufficio  postale  di  Londra  dimostra 
che  ogni  anno  lo  stesso  numero  di  persone  è  soggetto  a  tale 
dimenticanza.  Non  appena  dunque  che  noi  facciamo  della  sta- 
tistica base  della  storia,  questa  manifesta  subito  il  sao  carat- 
tere scientifico. 

Non  v'ha  dubbio  alcuno  che  siffatte  osservazioni  hanno 
molto  valore,  ed  esse  sono  esposte  dal  Buckle  con  una  granie 
evidenza,  che  spesso  è  anche  assai  eloquente.  Ma  è  certo  del 
piri  che  egli  s'è  fatto  delle  grandi  illusioni  sul  valore  della 
statistica  e  sopra  tutto  delle  relazioni  che  essa  ha  con  U  itoria. 
ndo  noi  sappiamo  che  ci  sodo  nel  mondo,  come  afferma  il 
ickle,  20  donne  per  ogni  21  maschi,  che  il  numero  dei  sui* 
cidi  a  Londra  oscilla  ogni  anno  fra  i  213  e  i  266,  che  un  nu- 
B|i  mero  determinato  di  perione  dimentica  di  mettere  l'indiiixzo 
^  sulle  lettere  che  imposta,  tutto  ciò  ò  un  fatto,  non  è  ancora  una 
legge,  come  a  lui  sembra,  e  molto  meno  poi  una  leggo  storica. 
Egli  ha  dimenticsto  che  la  statistica  è  una  sciensa  recente,  la 
quale  ha  fatto  le  sue  osservazioni  sopra  una  parte  aisai  piccola 
della  società  umana,  sopra  un  perìodo  di  tempo  at^ai  ristrcit). 
Non  posniumo  quindi  sapere  in  che  modo  i  fatti  da  ctia  rao* 
colti  mutarono  col  mutare  della  società  e  dei  tempi. 

Ma  v'  è  di  più.  La  statistica  ci  dice  quanti  omicidi  seguono 
in  una  data  società,  e  quanti  ne  furono  commessi  col  fucile,  colla 
pistola,  col  coltello.  Ma  poco  o  nulla  si  diici  dclli  paMÌune, 
dclh  stato  d'animo  in  cui  fu  commesto  il  delitto,  l'oirà  dirci 
al  più  se  fu  premeditato  o  no.  I  figli  naturali    di  cui    registra 

Kro  sono  innanzi  alla  sua  aritmetica  ugrali,  ed  essa  non 
9  alcuna  differenza  tra  U  passione  cui  cedette  Lucrezia 


I 

piri 
H|  stati 

■■■Bue] 


I 


16  TOMMASO   ERRICO   BUOKLE 

Borgia  e  quella  cui  cedette  Francesca  da  Rimini.  Ciò  che  ad 
uno  stesso  fatto  materiale  può  dare  un  valore  morale  assai  di- 
verso, ciò  che  lo  rende  umano  è  quello  che  sempre  le  sfugge  e 
che  costituisce  invece  l'essenza  della  storia,  la  quale  s' occupa 
di  fatti  certamente,  e  però  la  statistica  le  è  utile,  anzi  necessaria; 
ma  non  in  quanto  sono  semplici  fatti,  bensì  in  quanto  sono 
fatti  umani,  morali,  e  però  la  sola  statistica  è  insufficientissima. 
Innanzi  a  questa  una  frase  si  distingue  da  un'altra  solo  pel  nu- 
mero delle  parole,  delle  sillabe,  delle  lettere  che  la  compongono. 
Innanzi  alla  storia  una  frase  può  essere  un  suono  vuoto,  che  si 
confonde  con  milioni  di  altri,  o  può  invece  rivelare  un  carat- 
tere, decidere  i  destini  di  un  uomo,  di  un  popolo.  Quando  a 
Calatafimi,  nel  momento  in  cui  il  nemico  sembrava  prevalere, 
il  generale  Garibaldi  disse  :  —  Bixio  qui  si  fa  l' Italia  una  o  si 
muore,  —  egli  per  la  statistica  non  fece  che  pronunziare  dieci 
parole.  Per  la  storia  egli  decise  la  battaglia,  che  doveva  com- 
piere i  destini  d'Italia.  E  solo  perciò  quelle  parole  furono  sto- 
riche. Quando  è  che  noi  possiamo  dir  veramente  che  un  fatto  è 
storico  ?  Quando  esso  ci  rivela  il  carattere,  la  potenza  morale 
d'un  uomo,  d'un  popolo;  quando  diviene  causa  d'altri  fatti  im- 
portanti. Le  parole  con  cui  Piero  Capponi  rispose  all'insolenza 
di  Carlo  Vili  sono  un  fatto  storico,  perchè  ci  fanno  conoscere 
quell'uomo  perchè  ci  manifestano  il  sentimento  di  tutta  la  citta- 
dinanza fiorentina,  perchè  fecero  partire  il  superbo  re  di  Francia 
col  suo  poderoso  esercito.  Le  mille  azioni  che  Dante  o  altri  poeti, 
pensatori,  politici  compierono  ogni  giorno,  al  pari  di  tutti  i  più 
oscuri  mortali,  non  fanno  parte  della  loro  storia,  la  quale  è  com- 
posta di  quei  fatti  solamente,  in  cui  la  loro  anima  ed  il  loro 
ingegno  risplendono  immortali. 

Al  Buckle  sembra  che  i  fatti  individuali  abbiano  poco  valore 
per  la  storia,  la  quale  deve  secondo  lui  occuparsi  solo  di  fatti 
generali,  quasi  che  questi  non  derivino  da  quelli,  quasi  che,  a 
lor  volta,  i  fatti  individuali  non  siano  assai  spesso  la  personi- 
ficazione dei  generali.  Ma  perchè  il  passato,  che  ninno  potrà 
mai  più  far  rivivere,  desta  in  noi  cosi  vivo  interesse?  Certo 
non  solamente  per  ciò  che  può  esservi  in  esso  di  più  o  meno  dram- 
matico. La  storia  non  è  poesia.  E  come  mai  abbiamo  la  po- 
tenza di  farlo  idealmente  rinascere  e  quasi  renderlo  presente? 
A  che  fine  tanto  affaticarsi  intorno  a  ciò  ?  Il  vero  è  che  noi 
siamo  un  resultato  del  passato,  il  quale,  sotto  una  o  un'altra 
forma,  vive   ancora   in    noi,  e  possiamo    perciò  evocarlo  e  tra- 


E    LA    SUA    STORIA   DELLA    CIVILTÀ. 


17 


sferirci  in  esso.  Studiandolo,  studiamo  noi  stessi,  gli  elementi 
di  cui  si  compone  il  nostro  spirito.  Se  non  ci  fossero  stati  i 
Greci  ed  i  Romani,  noi  non  saremmo  quello  che  siamo,  perchè 
parte  del  loro  spirito  vive  in  noi,  e  però  qualche  volta  ci 
sembra  quasi  evocar  la  scoria  del  loro  passato  dalla  nostra 
propria  coscienza.  Se  quindi  isoliamo  i  fatti  della  storia  dalla 
catena  ideale  di  cut  fanno  parte,  dall'  atmosfera  in  cui  vivono 
e  da  cui  ricevono  il  loro  essere,  dalla  relazione  che  hanno  con 
noi,  essi  possono  avere  ancora  un  significato  per  la  statistica,  m  i 
non  ne  hanno  più  alcuno  per  la  storia.  Ed  è  questo  appunto  che 
troppo  spesso  ha  dimenticato  il  Buckle,  il  quale  crede  qualche 
volta  aver  trovato  le  leggi  della  storia,  quando  l' ha  invee- 
distrutta. 

In  lui  e'  è  un  errore  fondamentale,  di  cui  egli  stesso  ci  scopre 
la  prima  origine.  Suo  stadio  prediletto  era  stato  sempre  l'eco- 
nomia politica.  Questa,  come  aveva  osservato  il  Mill,  era  la 
sola,  fra  le  scienze  morali,  che  fosse  riuscita  ad  assumere  una 
vera  forma  scientifica,  ed  a  far  quindi  sicuri  e  rapidi  pro- 
gressi. Come  v'era  riuscita?  Isolando  il  fenomeno  della  ric- 
chezza da  tutti  gli  altri,  per  coti  esaminarlo  senza  che  venisse 
alteiato  o  nascosto  d»  alcuna  azione  perturbatrice  di  altri  fe- 
nomeni sociali.  Bisognava  quindi  nella  storia  seguire  l'esompio, 
e  semplificare  il  problema,  separando  i  vari  fenomeni  sociali, 
per  studiarli  gli  uni  indipendentemente  dagli  altri.  In  fatti  il 
Buckle  nella  sua  opera  esamina  l'Aziono  della  natura  sull'uomo 
senza  tener  conto  dello  leggi  proprio  dolio  spirito  umano,  e 
passa  poi  allo  studio  di  queste  leggi»  e  dell'  azione  dell'  uomo 
sulla  natura,  senza  tener  più  conto  dell'aziono  che  la  natura  n 
sua  volta  esercita  suU'  uomo,  disamina  le  qualità  morali,  sepa- 
randele  affatto  dalle  intellettuali,  per  seguir  poi  con  queste  il 
mr  '  -  metodo,  e  cosi  via  discorrendo.  K  non  s'avvedi  <  ' 
in  t  ,  l'uomo  diviene  un'asUraaìone,  e  la  storia  scompm 

come  non  si  avvede  che  nelle  sue  pagine  migliori  e  più  elo- 
qii  '<  praticamente  contraddice  alle  suo  teorie.   Che  cosn 

far  ini  il  quale,  per  esaminare  ed  intendere  la  Madonna 

della  Seggiola,  si  ponesse  a  separare  i  colori  con  cui  fu  dipinta, 
per  rimetterli  sulla  tavolozza,  gli  uni  accanto  agli  altri  ?  Nò  più 
nò  mono  che  distruggere  affatto  l'opera  dell'artista.  Eppure  clii- 
micamente  v'ò  sulla  tavolozza  tutto  ciò  ohe  costituittcu  il  capo 
lavoro  di  liaffaello.  E  cosi,  quando  il  Buckle  decompone  noi 
|Suoi  elementi  i  fatti  socialii  cmi  peteono  serbare  ancora  un  va 

fot.  XL,  %mU  II  -  I  LmìU  issi  t 


18  TOMMASO    ERRICO    BUCKLE 

lore  statìstico,  ma  hanno  di  certo  perduto  il  loro  valore  storico. 
L' economia  politica  potè  isolare  il  fenomeno  della  ricchezza 
perchè  di  questa  solamenle  voleva  occuparsi.  Partì  dal  concetto 
d'un  uomo  occupato  solo  e  sempre  d'aumentare  la  propria  fortuna, 
perchè  in  realtà  tutti  gli  uomini  la  desiderano,  e,  potendo,  l'au- 
mentano. Pure,  dopo  i  primi  e  rapidi  progressi,  l'economia  ha  visto 
sorgere  nella  via  intrapresa  una  difficoltà  nuova  ed  inaspettata. 
Quest'uomo,  dominato  sempre  da  una  sola  e  medesima  passione, 
non  esiste  nella  realtà,  è  un'  astrazione  della  nostra  mente,  e 
la  scienza  che  si  fonda  su  di  esso  corre  il  rischio  di  venire 
smentita  dai  fatti.  Mille  passioni  diverse,  inseparabili  dalla  no- 
stra natura;  la  varietà  non  minore  dei  caratteri  nazionali,  delle 
condizioni  storiche  e  sociali  modificano  tutto  1'  uomo,  tutta  la 
società,  e  quindi  anche  le  leggi  economiche,  cosa  di  cui  a  torto 
non  sì  era  voluto  tener  conto.  Se  l'economia  politica  adunque 
vuol  davvero  essere  una  scienza,  così  si  è  detto  recentemente, 
deve  tener  conto  della  natura  reale  dell'uomo  ;  rimettere  il  fe- 
nomeno della  ricchezza  in  relazione  con  tutta  la  società  e  con 
la  storia;  deve  formar  parte  della  scienza  sociale,  adottando 
anch'  essa  il  metodo  storico.  Allora  solamente  potrà  conoscere 
le  leggi  della  ricchezza,  quali  si  manifestano  davvero  nella  va- 
rietà dei  tempi  e  dei  luoghi.  Or  se  questa  scienza,  che  s'occupa 
d'uno  solo  dei  mille  fenomeni  sociali,  deve,  per  non  errare,  tener 
conto  anch'  essa  delle  molteplici  relazioni  che  un  tal  fenomeno 
lia  cogli  altri,  come  potrà  mai  esimersi  da  simile  obbligo  la  storia, 
il  cui  soggetto  è  la  società  intera? 

Se  non  che,  quando  scriveva  il  Buckle,  gli  economisti  an- 
cora non  avevano  dubbi  sul  valore  del  metodo  adottato.  La  così 
detta  scuola  di  Manchester  si  trovava  nel  suo  apogeo.  La  sua 
dottrina  fondamentale  era  che  tutto  il  progresso  economico  risulta 
dalla  iniziativa  ed  energia  degl'  individui,  lasciati  liberi  a  se 
stessi,  perchè  ciascuno  conosce  e  promuove  i  propri  interessi 
meglio  d'ogni  altro.  Dal  loro  libero  conflitto  nascono  naturalmente 
l'armonia  economica  ed  il  vero  benessere  sociale.  Al  Governo 
non  rimane  quindi  altro  ufficio  che  quello  di  rimuovere  gli  osta- 
coli, garentìre  la  piena  libertà:  u  esso,  così  aveva  detto  ancora 
il  Fichte,  deve  cercare  di  rendersi  inutile,  n  Una  tale  dottrina 
rispondeva  mirabilmente  al  carattere  energico,  intraprendente  e 
libero  del  popolo  inglese.  E  rispondeva  non  meno  ai  bisogni 
d'un  tempo  e  d'una  società,  nella  quale  s'erano  accumulate  forze 
industriali  e   sociali  di  gran  lunga  superiori  alle  leggi  antiquate. 


E   LA   SUA    STOMA   DELLA   CITILTA. 


19 


che  mantenevano  in  vigore  ostacoli  e  privilegi  che  dovevano 
aolo  essere  aboliti,  perchè  una  grande  prosperità  nazionale  ne 
seguisse  necessariamente. 

Questo  era  quello  che  la  scuola  di  Manchester  raccoman- 
clava  in  Inghilterra,  e  quando  le  sue  previsioni  s' avverarono 
rapidamente,  le  dottrine  formulate  dalla  scienza,  parvero  con- 
fermate dalla  esperienza.  Non  è  quindi  da  meravigliarsi,  se  esse 
si  diffusero  allora  per  modo  che,  come  giustamente  osservò  il 
Benn,  sembrarono  immedesimarsi  con  la  coltura  di  quel  paese, 
e  penetrarono  profondamente  in  tutta  la  sua  letteratura.  Il  pic- 
colo volume  scrìtto  da  J.  S.  Mill  Stilla  libertà,  è  interamente 
fondato  sul  concetto,  che  la  iniziativa  individuale  e  libera  è  la 
causa  d'  og^i  vero  progresso  sociale,  e  fu  perciò  chiamato  in 
Inghilterra  V  Evangelo  del  secolo  xix.  Fattosi  in  tutte  le  sue 
opere  banditore  dello  stesso  princìpio,  il  Mill  divenne  per  qual- 
che tempo  la  guida  intellettuale  del  popolo  inglese.  Lo  Spencer 
si  fece  anch'esso  apostolo  della  privata  iniziativa.  La  celebre 
opera  del  Darwin  L*  Origini  dslU  «pecte,  fu  come  dichiarò  lo 
stesso  autore,  ispirata  dalle  dottrìne  economiche,  e  più  spe- 
cialmente da  quella  del  Ifalthos  sulla  popolazione.  In  fatti  la 
legge  della  evoluzione  non  è  altro  che  la  legge  secondo  cui  i 
più  forti  individui  prevalgono  nella  battaglia  della  vita,  e  l'or- 
dine nella  natura  nasce  da  questa  lotta  che  essi  liberamente 
combattono  fra  loro.  E  come  tanti  altn  il  Buckle  cedette  allora 
anch'esso  a  questa  medesima  tendenza,  che  in  veritA  informa 
tutto  il  Boo  libro,  e  che,  unita  al  mento  del  suo  stile,  fu  causa 
non  ultima  della  sua  temporanea,  ma  grande  popolarità. 

Il  tuo  concetto  fondamentale  è  semplicemente  questo:  ap- 
plicare alla  storia  il  metodo  dell'economia  politica.  Esaminare 
quindi,  come  già  dicemmo,  i  fenomeni  sociali,  separandoli  non 
solo  gli  uni  dagli  altri,  ma  separando  anche,  qu4nJo  b  possibile, 
i  rari  elementi  che  li  compongono.  Con  quetto  metodo  l'autore 
arriva  alla  conclusione  prestabilita,  che  ogni  progregto  deriva 
dalla  libera  iniziativa  della  ragione  individti-*  -  — ■  rtiale  dagli 
ostacoli  che  ad  essa  si  oppongono.  Basta  ri.  i  ostacoli, 

perchè  subito  incominci  il  progresso.  Egli  ostacoli  principali  sono 
due:  la  natura  est(  r  ho  assai  spesao  opprimo  l'uomo,  mas* 

Simo  nei  paesi  tropp  i  governi  e  le  religioni,  che  per  voler 

sempre  proteggere  e  guidare,  finiscono  coll'arrestare  il  cammino 
della  società.  Solo  quando  l'indiv'  '  me  segue  in 

i         ,  '    **'  forte  abbsttanza  per  soggiogare  I.t  n  ria«cf),  mn* 


20  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

diante  il  dubbio  filosofico,  a  liberarsi  dai  pregiudizi  religiosi  e 
politici,  solo  al. ora  noi  abbiamo  un  vero  progresso.  Si  potrebbe 
domandare:  —  Ma  l'uomo  non  è  un  prodotto  della  natura?  Come 
dunque  essa  gli  è  nemica?  I  governi  e  le  religioni  non  sono  un 
prodotto  dello  spirito  umano,  come  dunque  gli  fanno  questa  con- 
tinua guerra  ?  —  Il  Buckle  ha  però  separato  nella  sua  mente  la 
natura,  i  governi,  le  religioni  e  l'uomo,  ed  anche  quando  studia 
le  relazioni  che  passano  fra  loro,  esamina  ogni  cosa  in  sé,  come 
separata,  indipendente  affatto  dalle  altre.  Animato  sempre  dal 
proposito  di  dimostrare,  che  le  libere  forze  intellettuali  dell'uomo 
sono  la  sorgente  d'ogni  bene  sociale,  egli  intraprende  il  suo  lungo 
viaggio  ideale.  Con  quella  fiaccola  in  mano,  divenuto  apostolo 
di  libertà,  crede  di  poter  come  illuminare  di  nuova  luce  elettrica 
tutta  la  storia. 

Due  sono  i  soggetti  principali  di  cui  deve  occuparsi  una 
scienza  della  storia  :  la  natura  e  1'  uomo»  La  natura  modifica 
l'uomo  ed  in  alcuni  paesi  lo  soggioga;  in  altri  però  esso  reagi- 
sce, la  sottomette,  e  può  allora  svolgere  liberamente  le  proprie 
forze.  Bisogna  quindi  esaminare  da  un  lato  le  leggi  della  natura 
e  la  loro  azione  sull'uomo,  dall'altro  le  leggi  dello  spirito  umano. 
Incominciando  dalla  natura,  il  Buckle  nega  subito,  senza  alcuna 
ragione  sufficiente,  ogni  importanza  alle  differenze  di  razza, 
che  chiama  ipotetiche.  Forse  il  fenomeno  è  troppo  complesso, 
perchè  possa  col  suo  metodo  di  separazione  riuscirgli  intelli- 
gibile. Certo  nella  storia  primitiva  dell'uomo  v'è  un  periodo  in 
cui  l'importanza  delle  razze  è  massima,  né  mai  essa  sparisce  del 
tutto.  Il  nostro  autore  esamina  invece  l'azione  che  hanno  sulla 
civiltà  il  cibo,  il  suolo,  il  clima,  l'aspetto  della  natura.  La  fer- 
tilità del  suolo,  egli  dice,  porta  abbondanza  di  cibo,  ottenuto 
con  poco  lavoro;  il  clima  caldo  mantiene  le  forze  dell'uomo  con 
piccola  quantità  di  legumi,  che  la  terra  produce  facilmente.  Al 
lavoratore  non  è  necessaria  la  carne,  per  aver  la  quale  è  me- 
stieri esporsi  agli  esercizi,  ai  pericoli  della  caccia.  La  prima 
conseguenza  che  risulta  da  tutto  ciò  è  un  rapido  aumento  della 
ricchezza,  base  necessaria  d'  ogni  civiltà.  La  popolazione  sì  mol- 
tiplica del  pari,  e  la  moltitudine  delle  braccia  che  si  offrono 
al  lavoro  abbassa  il  salario,  dando  così  origine  ad  una  classe 
di  ricchi  proprietari  da  una  parte,  e  dall'altra  ad  una  assai  più 
numerosa  di  proletari,  che  poi  diventano  schiavi.  La  ricchezza 
rapidamente  cresciuta  vien  divisa  con  grande  disuguaglianza,  e 
questa  è  la  seconda  conseguenza   del  suolo  fertile  e  del  clima 


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I 


E   LA    SUA   STORIA   DELLA    CIVILTÀ.  21 

aldo.  Tutto  ciò  segue  presso  i  tropici,  dove  la  civiltà  incomincia 
subito,  ma  s'arresta  ad  un  tratto  e  non  va  piìi  oltre.  Nei  paesi 
freddi,  invece,  occorre  maggiore  quantità  di  cibo  animale,  mag- 
giore energia  per  procurarselo:  il  suolo  meno  fertile  richiede 
più  arduo  e  regolare  lavoro.  Meno  rapido  è  ivi  l'aumento  della 
popolazione,  minor  numero  di  braccia  s'offrono  al  lavoro,  più 
alto  è  il  salario,  e  quindi  la  ricchezza  non  si  accumula  facil- 
mente in  pochi.  Questi  paesi  sono  perciò  democratici,  come  aristo- 
cratici sono  i  paesi  caldi  presso  i  tropici.  E  cosi  il  Buckle  crede 

aver  u.  scoperto  in  un  modo  finora  sconosciuto  n  la  relazione 

e  passa  fra  il  mondo  fisico  ed  il  morale.    Infinite  sono,  egli 

dice,  le  applicazioni  di  questa  u  nuova  legge  n  alla  storia,  come 

infinite  sono  le  prove  che  si  possono  addurre  della  sua  verità. 

Per  vedere  che  grande  influensa  abbiano  il  clima  ed  il  suolo 
sulla  forma  della  società,  basta  gnai^*rc  &>  Tartan.  Fino  a 
che  essi  rimasero  nel  piano  centrale  dell'Asia  non  poterono 
mai  uscire  dalla  vita  nomade.  Appena  che  discesero  nelle  pia- 
nure fertili  del  mezzogiorno,  accanto  ai  grandi  fiumi,  comin- 
ciarono subito  a  fondare  le  città  e  gì'  imperi,  e  si  formò  la 
j^nde  disngoaglianza  delle  classi.  L'Africa  resta  fuori  della 
-civiltà  pel  cb'ma  troppo  avverso,  pel  taolo  troppo  infecondo. 
Ma  nella  vallata  del  N  lo  dove  il  terreno  b  fertile,  pii^  mite 
il  clima,  dove  il  dattero  ed  il  lotus  offrono  cibo  abbondante 
ad  una  popolazione  che  vive  con  poco,  si  formò  subito  una 
grande  civiltà,  la  quale  ebbe  tutto  le  qualità  che  derivano  da 
queste  condizioni.  Le  grandi  piramidi  attestano  infatti  Tasi  «tenia 
di  lina  tale  civiltà,  ma  attcstano  anche  il  lavoro  di  migliaia  di 
hcliiavi.  Il  mite  clima,  il  suolo  fertile  e  rabbondaosa  prodi- 
l^'io-.'i  di  granturco  nell'America  centrale  portano  le  stesse  oon- 
^f•;:ll•  n/''.  Kd  in  vero  solamente  nel  Perù  e  nel  Messico  gli 
scopritori  doll'America  trovarono  gli  avanzi  di  antiche  civiltà. 
Ma  ivi  ancora  i  monumenti  che  furono  opera  di  molto  e  molto 
migliaia  di  operai,  i  quali  dovettero  lavorare  per  moltissimi  anni, 
attestano  l'esistenza  del  proletariato  e  degli  schiavi  In  India  i 
grandi  fiumi,  il  clima  caldo,  il  suolo  fert  le  e  l'abbonilanza  del 
riso,  che  basta  a  sostentare  il  lavorante,  de^ro  i  medesimi  re- 
•aitati.  8e  vi  s'aggiunge  la  grande  potenxa  oella  natura,  che  coi 
•«oi  giganteschi  fenomeni  spaventa,  opprime  l'uomo,  si  avrà  la 
causa  d'una  religione  di  terrore,  d'un  olerò  potentissimo,  d'un* 
letteratura  esagerata  e  fantastica. 

E  dopo  avere  aocomalato  un  numero  Infinito  di  altri  fntti  per 


I 


22  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

provare  la  sua  tesi,  il  Buckle  osserva:  tutto  ciò  non  segue  in 
Europa  dove  la  natura  è  meno  potente,  e  l'uomo  riesce  a  sot- 
tometterla. Qui  esso  può  svolgere  perciò  liberamente  le  sue 
forze,  secondo  le  leggi  proprie  del  suo  spirito.  Basta  guardare 
alla  Grecia,  tanto  vicina  all'Asia,  e  pur  cosi  diversa  per  la  confor- 
mazione geografica,  pel  suolo  e  pel  clima.  L'uomo  in  essa  trionfa 
finalmente  sulla  natura  che  non  teme,  ma  studia  ed  osserva. 
Egli  ritrova  adesso  la  indipendenza  del  proprio  spirito.  Gli  Dei 
della  Grecia  non  sono  più  mostruosi,  ma  hanno  forma  umana. 
L'arte  e  la  scienza  incominciano  a  risplendere  di  viva  luce, 
sebbene  l' immaginazione  abbia  ancora,  secondo  il  Buckle,  troppa 
grande  predominio;  la  libertà  è  fondata;  il  vero  progresso  in- 
comincia. 

Nessuno  certo  può  mettere  in  dubbio  l'azione  del  clima,, 
del  suolo  e  del  cibo  sulla  umana  società.  Di  ciò  molti  avevano 
parlato,  ed  il  Ritter  lasciò  osservazioni  di  gran  valore  su  quella 
che  egli  chiamava  la  «  funzione  storica  dei  continenti,  n  Ma 
altro  è  dire  che  queste  condizioni  sono  più  o  meno  favorevoli 
o  avverse  alla  civiltà,  e  che  in  diverse  guise  la  modificano, 
altro  è  dire  che  la  civiltà  non  europea  è  conseguenza  esclu- 
siva di  esse,  senza  tener  conto  degli  uomini  diversi  che  nei  di- 
versi paesi  si  ritrovarono.  Più  d'una  volta  il  Buckle  sembra 
voler  derivare  la  civiltà  indiana  dal  riso,  quella  dell'Egitto  dal 
dattero,  quella  del  Messico  dal  granturco.  E  ciò  è  assurdo.  Se 
quando  le  popolazioni  turaniche  si  mossero  per  venire  nell'Asia 
meridionale,  invece  di  essere  già  nella  vita  nomade  di  tribù 
erranti,  si  fossero  trovate  ancora  nella  vita  di  caccia  e  di  pesca, 
si  sarebbero  nel  nuovo  clima  avute  le  medesime  conseguenze 
storiche  e  sociali?  Chi  non  riconosce  la  grande  importanza  che 
ebbero  per  la;  storia  della  Grecia  la  sua  geografica  formazione, 
il  suo  clima?  Ma  ciò  è  ben  altro  che  voler  far  nascere  la  sua 
civiltà  da  queste  condizioni.  Quando  le  popolazioni  ariane,  dopo 
avere  in  Asia  fondata  una  società,  una  letteratura,  una  reli- 
gione e  una  civiltà,  vennero  in  Grecia,  si  deve  supporre  che 
tutto  quello  che  esse  avevano  prima  fatto  ed  appreso,  non  abbia 
avuto  alcuna  importanza  nel  determinare  la  nuova  forma  dì 
società  e  di  civiltà  i^he  andarono  a  formare,  e  che  essa  sia 
stata  conseguenza  solamente  del  nuovo  clima  e  del  nuovo  cibo  ? 
Se  vi  fossero  venute  invece  le  popolazioni  turaniche  dell'Asia 
centrale  sarebbe  stato  lo  stesso?  La  mitologia,  la  lingua,  la  let- 
teratura, la  società  greca  non  sono  una  evoluzione    naturale  e 


E    LA    SUA    STORIA    DELLA    CIVILTÀ. 


23 


più  feconda  della  primitiva  società  ariana?  Questa  evoluzione 
fu  di  certo  resa  agevole  dalle  nuove  condizioni  del  clima  e  del 
suolo  ;  ma  i  Tartari  non  ci  avrebbero  dato  Fidia  ed  Omero. 
E  pure  fino  a  questo  punto  del  suo  libro  il  Buckle  ha  preteso 
di  cavar  le  leggi  della  storia  dalle  sole  condizioni  geografiche 
dei  popoli. 

Ma  qui  si  muta  strada.  La  storia,  secondo  il  Buckle  si  di- 
vide, come  vedemmo,  in  europea  e  non  europea.  Nella  prima 
l'uomo  non  è  più  oppresso  dalla  natura,  ma  la  vince,  e  quindi 
la  scoperta  delle  leggi  della  civiltà  moderna  in  Europa  (dell'antica 
egli  non  parla)  si  muta  in  una  scoperta  delle  leggi  dello  spirito 
umano.  La  geografia  è  d'ora  innanzi  qua»i  affatto  dimenticata. 
Questa  scoperta  però  non  si  può  fare  col  metodo  metafisico,  che 
è  a  priori,  e  stadia  ruomo  individuo  ;  bisogna  farla  col  metodo 
statistico,  che  è  a  poateriori  e  si  occupa  della  società,  dei  popoli. 
In  essi  le  mutabili  o  infinite  varietà  dell'  individuo  si  equilibrano, 
si  neutralizzano,  e  cosi  solamente  è  possibile  la  costansa  delle 
l^gi  storiche,  che  negl'  individui  si  cercherebbe  invano.  Ma  non 
basta  aver  prima  separato  ruomo  dalia  natura  e  poi  l' individuo 
dalla  società,  è  necessario  andare  più  oltre  ancora. 

Noi  dobbiamo  adcMO  cercare  nell'  uomo  la  sorgente  del 
progresso.  Le  sue  facoltà  si  dividono  in  morali  ed  intellettuali. 
Quali  sono  dunque  la  vera  causa,  le  prime  o  le  seconde?  E 
qui  abbiamo  una  delle  teorie  fondamentali  del  Buckle,  quella 
che  più  di  tutte  ha  dato  origine  a  discussioni  ed  a  dispute,  in 
pur  quella  a  cut  egli  annetteva  maggiore  importanea.  Il  ca- 
rattere, le  facoltà  morali  dell'uomo  non  possono  in  alcun  modo 
essere  la  causa  del  progresso.  La  morale  ò  immutabile,  come 
potrebbe  ella  mai  essere  la  sorgente  d'un  continuo  mutamontu? 
La  morale  dei  Greci  è  ben  poco  diversa  dalla  nostm,  la  quale 
è  compendiata  nel  Vangelo,  che  è  antico  di  molti  secoli.  Anche 
le  attitudini  morali  dell'uomo  sono,  presso  a  poco,  sempre  le 
stesse;  quelle  d'un  fanciullo  nato  in  una  società  barbara,  cosi 
afferma  il  Buckle,  non  differiscono  punto  da  quelle  d'un  altro  ohe  h 
nato  in  una  società  civile.  Se  poi  essi  operano  assai  diversamente, 
ciò  nasce  dalle  diverse  condiaioni  sociali  in  cui  si  ritrovano, 
ed  è  perciò  che  bisogna  cercare  altrove  le  cause  del  progresso 
o  regresso  di  queste  condisioni.  Certo  che  c'ò  una  gran  diffe- 
renza fra  un  uomo  onesto  ed  un  uomo  disonesto.  Chi  non  Io 
vede?  Ma  la  diversità  morale  è  grandissima  negl'individui, 
minima  nelle  società.  In  esse  il  male  che  fanno   gli  uni  viene 


24  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

equilibrato  dal  bene  che  fanno  gli  altri:  la  crudeltà  o  l'ava- 
rizia di  uno  desta  la  pietà  o  la  generosità  di  un  altro,  e  cosi 
la  somma  totale  del  bene  e  del  male  sociale,  più  o  meno,  è 
sempre  la  stessa.  Ora  la  storia  non  è  biografia,  deve  quindi 
occuparsi  della  società  e  non  dell'individuo.  Ma  dove  è  dunque 
la  causa,  la  sorgente  del  mutamento  e  del  progresso?  Non  può 
essere  che  nella  intelligenza,  la  quale  accumula  ogni  giorno 
cognizioni  nuove,  e  muta  così  rapidamente  la  società  e  la  ci- 
viltà. I  primitivi  cristiani  avevano  la  stessa  nostra  morale  nel 
Vangelo;  ma  quanto  non  eran  diverse  le  loro  cognizioni,  e 
quindi  la  loro  civiltà?  Che  cosa  può  esser  causa  del  mutamento 
e  del  progresso,  ciò  che  muta  o  ciò  che  è  immutabile?  Il  bene 
che  si  fa  agli  uomini,  per  quanto  sia  grande,  osservò  giusta- 
mente il  Couvier,  è  sempre  passeggiero;  le  verità  che  loro 
si  lasciano  sono  eterne.  L'aumento  continuo  di  queste  verità, 
scoperte  dalla  scienza,  è  la  vera,  la  sola  causa  del  progresso. 
E  questa  idea  divenne  il  domma  fondamentale  del  Buckle. 
L'intelligenza  è  la  causa  della  libertà,  la  sorgente  del  benes- 
sere, del  progresso,  della  felicità  umana:  i  cultori  della  scienza 
sono  i  veri  sacerdoti  dell'  umanità.  Questa  fede  animò  la  sua 
vita,  la  sua  eloquenza;  formò  la  felicità  sua  e  di  colei  che  solo 
per  lui  e  per  vedere  il  trionfo  della  fede  che  egli  le  aveva 
ispirata,  non  voleva  abbandonare  la  terra. 

Che  cosa  ha  recato  il  più  grave  danno  al  progresso  sociale? 
La  persecuzione  religiosa.  Essa  ha  non  solo  torturato,  bruciato 
centinaia  di  migliaia  di  vittime  innocenti;  ma  ha  creato  un 
numero  assai  maggiore  d'ipocriti,  che,  per  'salvare  la  vita,  fin- 
sero di  credere  quello  che  non  credevano,  ed  ha  distrutto  più 
volte  la  libertà  della  scienza  e  della  coscienza.  Chi  erano  i 
persecutori?  Assai  spesso  uomini  buoni,  che  vivevano  in  un 
grande  errore,  pieni  di  sincera  fede,  persuasi  di  fare  il  bene, 
di  salvare  la  società  dalla  rovina,  dalla  perdizione.  Chi  perse- 
guitò più  di  tutti  il  Cristianesimo?  Alcuni  dei  migliori  impe- 
ratori, come  Marco  Aurelio  e  Griuliano,  mentre  alcuni  dei  più 
depravati,  quali  Commodo  ed  Eliogabalo,  furono,  al  paragone, 
indulgenti  e  tolleranti,  perchè  della  nuova  fede  non  s' occupa- 
rono punto.  Qui  ci  sarebbe  da  chiedere  al  Buckle  :  quali  erano 
più  colti,  più  intelligenti,  i  primi  o  i  secondi?  Ma  egli  si 
guarda  bene  dal  fare  a  se  stesso  questa  importuna  domanda  e 
prosegue:  gli  storici  della  più  crudele  Inquisizione  nella  Spagna 
sono  più  volte  costretti  a  riconoscere    che    gl'Inquisitori    eran 


E    LA   SUA   STORIA    DELLA   CIVILTÀ.  25 

quasi  tutti  gente  buona  ed  onesta.  Anzi,  osserva  qui  il  nostro 
autore,  era  la  loro  bontà  appunto  che  li  rendeva  cosi  perni- 
ciosi. Se  fossero  stati  dissoluti,  venali,  falsi  o  ambiziosi,  ci  sa- 
rebbe stato  modo  di  renderli  meno  feroci.  Le  loro  stesse  passioni 
li  avrebbero  deviati  qualche  volta  dal  perseguitare  ;  avrebbero 
aperto  una  via  a  poterli  corrompere.  Ma  chi  può  mai  fermare 
nella  loro  sanguinosa  ferocia  uomini  profondamente  disinteres- 
sati e  convinti  d'obbedire  alla  voce  di  Dio,  torturando,  bru- 
ciando gli  eretici?  Che  cosa  si  può  immaginare  di  peggio? 
K  che  cosa  potrà  mai  mettere  un  argine  a  tanta  calamità?  Non 
certo  il  miglioramento  morale  di  uomini  che  già  son  buoni,  e 
che  anzi  fanno  il  male  in  conseguenza  della  loro  cieca  bontà. 
Il  rimedio  sta  solo  nell'illuminare  la  loro  intelligenza  traviata, 
nel  far  loro  capire  tutto  il  male  che  fanno  senza  sapere.  La 
storia  infatti  ci  dimostra  che  non  fu  la  cresciuta  virtù,  ma  il 
progresso  della  cultura  ciò  che  rese  per  sempre  impossibile  la 
persecuzione  religiosa. 

Un'altra  delle  grandi  calamità  sociali  è  la  guerra,  né  il  senso 
morale  potè  mai  diminuirla.  I  barbari  sanno  bene  il  male  che 
fanno  ai  loro  vicini,  ma  ciò  non  impedisce  mai  ohe  siano  in 
continue  lotte  fra  loro.  L'invenzione  della  polvere  ridusse  la  guerra 
ad  un  mestiere,  e  creò  una  classe  militare  contro  cui  s'oppose 
una  classe  intelligente,  amica  della  scienza  e  della  pace.  K  cosi 
a  poco  a  poco  la  nazione  in  cui  l' intelligenza  ebbe  più  potere, 
maggiore  autorità,  fu  quella  che  divenne  più  amica  doila  paco. 
È  inutile  fermarsi  a  discutere  la  verità  di  queste  osservazioni, 
e  domandare  se  l'esistenza  d'una  elasse  militare  non  fece  assai 
spesso  nascere  un  bisogno  artificiale  di  guerra,  e  chiedere  anche, 
come  mai  un  magf^ore  progresso  nella  scienza  e  nella  civiltà 
abbia  oggi  condotta  l'Kuropa  al  Hcrrizio  militare  obbligatorio, 
cioè  ad  armare  di  nuovo  tutta  la  nazione.  Potremmo  anche  ri- 
cordare, che  i  Tedeschi,  i  quali  sono  gli  autori  di  questo  nuovo 
sistema  militare,  sostengono  invoce  che  quando  tutta  la  nazione 
è  obbligata  a  sopportare  i  pericoli  e  i  mali  della  guerra,  essa 
diviene  di  necessità  più  amica  della  JMC«.  Osserveremo  piuttosto 
che  il  Buckle  ha  ragione  quando  aggiunge  che  il  raperò,  le 
"^  i  popoli,  e  sopra  tatto  V  economia  poli- 
|f  là  e  la  necestità  di  questa  relazioni,  resero 

assai  meno  frequenti  le  guerre.  Adamo  Smith,  egli  dice,  fu  col 
suo  libro  sulla  r  «  dflio  nazioni  un  grande  apostolo  di  pace. 

Ed  anche  quesi  .  ro,  ed  è  certo  un  effetto  della  scienza. 


26  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

In  tutto  ciò  il  Buckle  ha  per  modo  mescolato  il  vero  col 
falso,  che  non  è  sempre  troppo  facile,  ne  giova  poi  molto  il  fer- 
marsi lungamente  per  dividere  l'uno  dall'altro.  Importa,  invece, 
anche  qui  fermarsi  a  ricercare  la  sorgente  principale  e  più  ge- 
nerale dei  suoi  errori.  Quando  egli  ci  dice  che  la  morale  dei  vari 
popoli,  nei  diversi  tempi,  è  sempre  la  stessa,  e  che  il  figlio  di 
un  selvaggio  ha  le  stesse  attitudini  morali  del  figlio  d'un  Fran- 
cese 0  di  un  Inglese,  l'errore  è  così  evidente  che  non  merita 
neppure  d'essere  confutato.  Nondimeno  egli  vi  persist*^.  con  una 
singolare  tenacità,  e  ripete  sempre  che  la  difi'erenza  è  solo  fra 
gl'individui,  come  se  le  società  non  fossero  composte  d'indi- 
vidui, e  non  avessero  con  essi  una  stretta  relazione.  Il  Buckle 
non  potè  mai  concepire  la  società  come  un  organismo  vivente, 
con  una  personalità,  una  coscienza,  un  carattere  proprio.  Pure 
noi  non  possiamo  formarci  un  concetto  chiaro  d'un  popolo,  di 
un  secolo,  d'una  società,  se  non  ce  li  rappresentiamo  sotto  una 
forma  umana.  L'Italia  del  Cinquecento,  l'Inghilterra  del  Seicento, 
la  Francia  del  secolo  decimottavo,  sono  per  noi  un  mistero  se 
non  arriviamo  a  capire  prima  che  cosa  furono  l'Italiano,  l'In- 
glese, il  Francese  di  quei  tempi,  anzi  l'una  cosa  è  poco  meno 
che  la  traduzione  dell'altra.  Questo  è  un  processo  naturale, 
spontaneo  della  nostra  mente,  tanto  è  poco  rispondente  al  vero 
la  distanza,  quasi  la  contraddizione,  che  il  Buckle  vorrebbe 
vedere  fra  l'individuo  e  la  società.  Egli  ha  visto  che  c'è  una 
differenza,  dunque  non  c'è  una  relazione.  E  qui  s'è  ingannato. 
Come  e'  è  diversità  fra  la  morale  degli  individui,  cosi  ce  n'  è 
fra  quella  delle  nazioni,  le  quali  non  si  capisce  perchè  dovreb- 
bero tanto  differire  per  cultura  e  per  intelligenza,  tanto  poco 
poi,  anzi  punto,  per  morale. 

Ed  il  Buckle  non  si  è  contentato  di  separare  affatto  l'indivi- 
duo dalla  Società;  ma  ha  voluto  anche  separare  nell'individuo 
le  qualità  morali  dalle  intellettuali,  per  vedere  in  queste  solamente 
la  causa  d'ogni  benessere,  d'ogni  progresso.  Veramente  gli  si  po- 
trebbe, per  citar  qualche  esempio,  chiedere  come  mai  l'Italia  del 
Rinascimento  era  la  più  eulta,  la  più  intelligente  nazione  del 
mondo;  maestra  all'Europa  nelle  arti,  nelle  lettere  e  nelle  scienze, 
e  pure  la  più  debole  di  tutte,  condannata  ad  inevitabile  deca- 
denza, ad  essere  preda  del  primo  venuto?  Dove  si  troverà  la 
causa  principalissima  se  non  nella  sua  morale  corruzione?  Perchè 
la  Grecia  tanto  più  eulta  e  intelligente  di  Roma,  era  tanto  più 
debole  militarmente  e  politicamente?  Il  fatto  è  che   il   Buckle 


E    LA    SDA   STORIA   DELLA   CIVILTÀ. 


27 


ha  messo  fra  la  morale  e  la  intelligenza  una  divergenza  che 
non  esiste.  L'uomo  non  sarebbe  un  essere  morale  se  non  fosse 
un  essere  razionale.  La  ragione  ci  fa  vedere  alcune  verità  che 
determinano  un  certo  modo  di  condursi.  Questa  condotta,  ripe- 
tendosi, diviene  consuetudine;  si  trasmette  per  eredità,  per  edu- 
cazione civile  o  religiosa,  e  forma  il  carattere  individuale,  il 
carattere  nazionale,  che  sono  il  resultato  d'un  lungo  processo 
intellettuale  precedente,  sono  quasi  intelligenza  accumulata  e 
trasformata.  Questo  carattere  può  trasmettersi  e  trovarsi  poi 
anche  in  uomini  di  corta  intelligenza.  Molte  volte  in  fatti  av- 
viene d' imbattersi  in  persone  che  hanno  una  grande  finezza  e 
squisitezza  di  sentire,  che  avvertono  mirabilmente  differenze 
morali,  di  cui  la  loro  intelligenza  appena  saprebbe  render  conto. 
£  vi  sono  popoli  disciplinati,  onesti,  che  nelle  lettere  e  nelle 
scienze  vengono  superati  da  altri  indisciplinati  e  corrotti.  Ciò 
non  toglie  però  che  il  carattere  morale,  senza  un  lavoro  intel- 
lettuale, non  si  potrebbe  formare,  e  che  sar«ibbe  impossibile  tro- 
varlo in  esseri  irragionevolL  Una  data  quantità  di  moto  si  tras- 
forma in  ana  data  quantità  di  calore  e  viceversa.  Sarebbe  assurdo 
negare  ogni  relazione  che  passa  tra  loro,  come  sarebbe  assurdo 
D^^e  ogni  differenza.  La  meccanica  e  la  teoria  del  calore  sono 
due  scienze  aasai  diverse.  Ma  più  strano  ancora  sarebbe,  per 
negare  il  valore  e  gii  effetti  del  calore,  affaticarsi  a  provare 
che  son  solo  e  sempre  effetti  del  moto.  Questo  significherebbe 
volersi  avvolgere  in  un  grande  equivoco  di  parole,  ed  f  ciò  che 
ha  fatto  il  Buckle  nel  caso  di  cui  parliamo.  Egli  prima  separa 
affatto  il  carattere  dalla  intelligenza,  e  poi  attribuisce  a  questa 
tutto  ciò  che  è  oons^gvansa  dall'alaiDento  intellettoale,  ohe  forma 
parte  costitutiva  del  canMmf.  Ma  eiò  non  toglie  ohe  eoel  gl'in* 
dividui  come  i  popoli  peeeeao  avere  più  intelligvnsa  che  carat- 
tere 0  viceversa,  e  che  il  carattere  abbia  nella  storia  degP  in- 
dividui e  dei  popoli  un  grandissimo  valore.  Spesso  anzi  vetlianio 
l'intelligenza  restare  impotente  per  mancanza  di  carattere.  Le 
più  grandi  iooperte  scientifiche  non  si  compierono  mai  sonsa 
abnegazione,  senza  perseveranza  e  forza  di  volontà.  Una  nazione 
assai  eulta  e  moralmente  eorrotta  paò  giovare  al  progreteo  dello 
altre,  senza  salvare  tè  •tessa  dalla  rovina,  come  avvenne  al* 
l'Italia  del  Rinaenimento.  E  ben  a  ragione,  a  questo  proposito, 
il  Mill  oeeervò  ueora,  che  m  se  le  forse  intellettuali  portano 
nella  eocictà  le  eooMgMiiM  maggiori,  non  è  perchè  esse  siano 


28  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

per  sé  stesse  di  gran  lunga  superiori  alle  altre,  ma  perchè  ope- 
rano sempre  colle  forze  riunite  di  tutta  la  società,  n 

Né  poi  è  vero  che  le  buone,  le  eroiche  azioni  siano  sempre 
passaggiere  e  non  lascino  traccia  durevole,  mentre  le  verità  che 
si  scoprono  sono  eterne.  La  memoria  dei  trecento  di  Sparta 
non  è  tuttavia  una  fonte  perenne  di  educazione  e  di  patriot- 
tismo al  genere  umano?  E  quale  non  dovette  essere  l'efFetto 
permanente  del  loro  esempio  sul  carattere  del  popolo  greco? 
Non  diciamo  noi  tutti  in  Italia,  che  il  sangue  dei  martiri  fa 
germogliare  la  libertà?  E  non  ne  abbiamo  avuta  la  prova? 
E  se  i  trecento  non  avessero  resistito,  non  sarebbe  la  Grecia 
stata  invasa  dalla  società  asiatica,  e  non  se  ne  risentirebbero 
anche  oggi  le  conseguenze  lontane  ?  Presto  finisce  la  buona 
azione,  e  passa  con  essa  il  suo  effetto  più  appariscente  ed  im- 
mediato; ma  la  forza  misteriosa,  che  si  svolge  in  colui  che 
compie  ed  in  colui  che  riceve  il  benefizio,  non  modifica  in 
nulla  mai  il  loro  carattere,  non  si  trasmette  per  eredità,  in  con- 
seguenza dell'esempio  dato?  E  proprio  il  caso  di  dire,  che  vi 
sono  nella  storia  più  misteri  che  non  ne  suppone  la  filosofia 
del  Buckle.  Ma  non  c'è  da  fermarlo  mai  nella  sua  via.  Il  pro- 
gresso è  per  lui  conseguenza  della  intelligenza,  nasce  solo  dalle 
cognizioni,  che  vengono  accumulate  come  si  accumula  la  ric- 
chezza. Egli  non  si  arresta  neppure  ad  osservare  che  e'  è  una 
grande  diff'erenza  fra  le  merci  accumulate  in  un  magazzino  e 
le  cognizioni  aumentate  nella  nostra  mente,  la  quale  viene  da 
esse  e  da  altre  condizioni  sociali  sostanzialmente  ogni  giorno 
modificata.  E  pure  in  queste  modificazioni,  delle  quali  il  Buckle 
tiene  così  poco  conto,  sia  la  storia  vera  dell'uomo  e  della  so- 
cietà. Senza  rendersene  conto,  tutto  diviene  una  serie  di  pro- 
blemi inesplicabili. 

Ed  è  ciò  appunto  che  segue  a  lui  assai  spesso.  Un  popolo 
vive  nella  superstizione  e  ciò  impedisce  il  progresso.  Un  bel 
giorno  esso  incomincia  a  dubitare,  la  potenza  del  clero  diminuisce, 
la  ragione  è  più  libera,  la  scienza  risorge  ed  accumula  nuove 
cognizioni,  il  progresso  va  rapido.  Ecco  dimostrata  da  capo  la 
verità  della  teoria.  Ma  non  è  dimostrato  nulla.  Perchè  quel  po- 
polo incominciò  allora  a  dubitare  a  un  tratto,  ad  entrare  in  una 
nuova  disposizione  d'animo  ?  Questo  è  il  problema,  di  cui  non 
si  dice  una  sola  parola.  Nulla  è  più  singolare  del  capitolo  sulle 
cause  della  rivoluzione  francese.  Tutto  si  riduce  ad  una  storia 


E    LA   SUA   STORIA   DELLA   CIVILTI. 


29 


dei  progressi  che  fecero  allora  le  scienze,  specialmente  le  scienze 
naturali.  Quasi  che  allora  non  si  apparecchiasse  invece  una  lotta 
gigantesca  di  passioni,  di  nuovi  interessi,  di  tradizioni,  di  vecchie 
e  nuove  istituzioni.  Eppure  il  fatto  era  noto  ed  il  fenomeno  già 
molte  volte  studiato.  Ma  il  Buckle  afferma,  invece,  che  egli  ha 
dato  finalmente  la  sola,  la  vera  spiegazione,  e  ciò  in  conseguenza 
del  suo  metodo  scientifico,  che  solo  conduce  alla  verità  sto- 
rica. —  E  come  mai  Galileo  e  tutta  l'Accademia  del  Cimento 
non  valsero  in  Italia,  nel  secolo  xvii,  a  produrre  nulla  che  pur 
da  lontano  somigliasse  alla  Rivoluzione  ?  Mistero. 

La  formola  sacramentale  rimane  sempre  questa  :  il  progresso 
risulta  da  tre  cause,  che  in  fondo  si  riducono  ad  una  :  1.  Dalle 
scoperte  scientifiche  e  dalle  cogn'zioni  accumulate;  2.  Dall'ap- 
plicazione pratica  di  queste  cognizioni;  3.  Dalla  loro  diffusione. 
Dovendo  scegliere  un  popolo,  per  studiare  più  particolarmente 
questa  legge  di  progresso,  il  Buckle  dice  che,  dopo  avere  nella 
Introduzione  parlato  di  tutta  l'Europa,  si  fermerà  a  fare  la  storia 
del  popolo  inglese,  come  il  popolo  tipo,  quello  in  cui  tutto  lo 
condizioni  richieste  si  verificano  a  preferenza.  La  Germania,  egli 
osserva  (ilimenttc«ndo  quanto  colà  più  che  in  Inghilterra  era 
diffusa  allora  l' istruzione  elementare),  è  un  paese  in  cui  molte 
sono  le  r-  "  •  '-ani  nelle  classi  elevate,  ma  poco  diffuso  nel 
popolo.  >.  >  rica  sono  molto  diffusa^  ma  non  c'è  una  classe 

scientifica  supcriore,  che  le  scopra  e  le  accumuli.  In  Francia 
^  ,  si  trovano  le  due  condizioni  richieste,  ma  essa  ò  troppo  sog- 
--^''-gett'i  all'azione  intellettuale  dei  popoli  vicini,  dai  quali  la  sua 
cultura  rien  continuamente  modificata.  In  Inghilterra  inrece  lo 
spirito  nazionale  si  svolge  liberamente,  secondo  lo  proprio  l<*ggi, 
senza  subire  alcuna  modificazione  dall'estero.  Per  lungo  tempo, 
egli  dice,  gli  stranieri  renivano  assai  di  hmIo  nella  nostra  isola, 
e  noi  viaggiavamo  il'mondo  solo  per  affari,  senza  avere  alcun 
intimo  contatto  cogli  altri  popoli.  —  È  curioso  l'osservare  come 
il  Gttizot  ed  il  Comte  trovino  non  meno  validi  gli  argomenti 
opposti,  per  dare  il  primato  alla  Francia,  la  quale,  appunto 
pcrchò  in  reiasione  con  tutti  i  popoli  dell'  Europa,  A,  secondo 
loro,  il  gran  centro  dolla  civiltà.  E  quanto  ai  Tedeschi,  osmì 
appena  mettono  io  discuisione  il  loro  primato  nella  civiltà 
europea,  '  '  '  imano  addirittura  cristiano-germanica.  Noi  pos- 
siamo al>  ira  siffatte  diipute,  ohe  hanno  la  loro  sorgente 
nel  patriottismo  e  non  nella  scienza,  dinanzi  alla  quale  il  solo 
popolo  tipo  è  l'amanita.  Dobbiamo  però  OMorrare  che  questa 


30  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

filosofia  della  storia  non  deve  ancora  aver  raggiunto  un  gran 
rigore  scientifico,  se  trova  argomenti  validi  per  sostenere  così 
diverse  opinioni.  Certo  l'isolamento  dell'Inghilterra,  che  in  realtà 
ha  largamente  preso  da  tutti  i  popoli,  da  tutte  le  letterature  e 
civiltà,  è  una  esagerazione  del  Buckle.  Non  si  capisce  poi  come 
nella  storia  di  Francia  egli  faccia  cominciare  il  progresso  delle 
relazioni  che  essa  ebbe  coll'Inghilterra,  mentre  questa  invece 
avrebbe  cavato  così  gran  benefizio  dal  non  ricever  nulla  mai  da 
nessuno,  e  come  non  veda  che  la  civiltà,  massime  nell'  Europa 
moderna,  nasce  dal  mescolarsi  dei  popoli  e  delle  idee,  che  cia- 
scuno   di    essi   assimila  al  suo  carattere  nazionale. 

E  qui  il  Buckle  viene  a  combattere  alcuni  che  chiama  grandi 
pregiudizi,  e  assai  diffusi.  Moltissimi  credono  che  causa  prin- 
cipale di  progresso  siano  le  religioni,  le  letterature,  i  governi. 
Nessun  errore  più  grande  di  questo.  Se  la  religione  nasce  spon- 
tanea in  un  popolo,  essa  è  conseguenza,  non  causa  della  sua 
preesistente  civiltà,  e  ne  piglia  la  forma.  Se  invece  è  trasmessa 
da  un  popolo  all'altro,  è  costretta  allora  a  modificarsi  per  adat- 
tarsi alla  nuova  civiltà  in  cui  entra.  In  India  la  religione  fu  un 
ammasso  di  brutali  superstizioni,  perchè  così  richiedeva  quella 
società.  Quando  il  Cristianesimo  s'avanzò  nell'  Impero  romano, 
s'alterò  profondamente,  accettando  le  forme  e  le  superstizioni 
pagane,  anche  più  contrarie  alla  sua  natura,  perchè  doveva  adat- 
tarsi, sottomettersi  alla  società  in  cui  entrava.  Quando  più  tardi 
la  cultura  dei  popoli  cristiani  era  cresciuta,  la  religione  dovette 
modificarsi  e  venne  la  Riforma,  che,  fondata  sul  libero  esame  e 
sulla  tolleranza,  smise  molte  delle  vecchie  superstizioni.  Essa 
parve  una  causa,  ma  era  invece  una  conseguenza  della  progre- 
dita civiltà.  Infatti,  penetrata  nella  Scozia,  non  potè  impedire 
che  quel  popolo  continuasse  ad  essere  uno  dei  più  superstiziosi, 
bigotti  e  intolleranti.  Invece  il  Cattolicismo,  rimasto  in  Francia, 
non  potè  impedire  che  questo  popolo  più  colto  e  civile  divenisse 
più  tollerante  e  meno  superstizioso  degli  Scozzesi. 

Lo  stesso  può  dirsi  della  letteratura,  la  quale  non  fa  altro 
che  dare  una  forma  elegante,  esteriore  alle  cognizioni  esistenti 
nella  società,  e  da  esse  riceve  il  proprio  valore.  Quando  infatti 
la  letteratura  è  superiore  alle  condizioni  d'un  popolo,  non  per  que- 
sto le  modifica  punto.  A  che  cosa  valse  agli  uomini  del  Medio 
Evo,  dal  V  al  X  secolo,  la  grande  letteratura  dei  classici  latini 
che  pure  avevano  dinanzi  ?  Si  può  dire  che  se  si  fosse  allora 
perduto  l'alfabeto,  sarebbe    stato    anche  meglio,  perchè    si  leg- 


E    LA   SOA   STORIA   DELLA   CIVILTÀ. 


31 


gè  vano  solo  libri  pieni  delle  più  assurde  favole  e  superstizioni. 
—  Ma  se  questo  è  vero,  non  si  applica  cosi  alle  lettere  come 
alle  scienze,  e  allora  dove  è  più  la  vera  causa  del  progresso? 
Qui  anzi  abbiamo  la  prova  evidente  che  il  Buckle,  non  tenendo 
conto  del  processo  storico  dello  spirito  umano  e  delle  sue  tras- 
formazioni, riesce  assai  spesso  a  rovinar  colle  proprie  mani  l'edi- 
fìcio che  ha  costruito^  Quando  i  Romani  cominciarono  la  loro 
inevitabile  decadenza,  non  avevano  una  grande  coltura,  che  anzi 
per  qualche  tempo  ancora  continuò  a  progredire  ?  Senza  am- 
mettere che  erano  mutate  le  condizioni  sociali  e  con  esse  le  con- 
dizioni morali  del  loro  spirito,   nulla  si  spiega. 

Ma  il  Buckle  va  oltre  e  dice  :  quanto  ai  governi  è  anche 
più  generale,  non  però  meno  errato  che  il  pregiudizio  che  attri- 
buisce ad  essi  la  causa  principale  del  progresso,  mentre  invece 
il  più  delle  volte  riuscirono  solo  ad  impedirlo.  Un  governo  è 
anch'esso  un  resultato  delle  condizioni  del  paese,  e  nessuna 
grande  riforma  fa  veramente  opera  propria  dei  governanti,  che  sodo 
creature  del  loro  tempo,  obbediscono  solo  alla  forza  della  pub- 
blica opinione,  creata  dalla  scienza.  Le  principali  riforme  furono 
opera  dei  grandi  pensatori,  che  le  roforo  necessarie,  inevitabili, 
facendone  sentire  il  bisogno  nel  paese,  obbligando  cosi  i  go- 
verni H  proclamarle.  Quante  lodi  non  furono  prodigato  al  go- 
verno inglese  per  1'  abolizione  delle  leggi  sui  cereali  ?  Eppure 
questa  salutare  riforma  fu  sanzionata  da  ministri  che  avevano 
passato  la  loro  vita  a  combatterla,  e  dovettero  finalmente  ce- 
dere alla  forza  della  pubblica  opinione.  Fu  l'economia  polìtica 
che  dimostrò  tutti  i  danni  cho  recavano  al  commercio  ed  al 
benessere  sociale  le  leggi  sai  cereali,  le  qua!i  avevano  portato 
un  effetto  contrario  a  quello  per  cui  erano  state  proclamate. 
Quando  questa  convinzione  divenne  generale,  allora  il  governo 
dovè  piegarsi,  e  fu  chiamato  autore  della  riforma  che  non  aveva 
potuto  impedire.  L'opera  saa  si  ridusse  a  rimuovere  finalmente 
quegli  ostacoli  al  benessere,  che  omo  solo  aveva  croati.  K  tutte 
le  grandi  riforme  non  sono  altro  ohe  remozioni  di  barriere  messo 
dai  governi  al  naturalo  e  libero  iTolgimento  della  società.  Non 
si  tratta  mai  di  far  nulla  di  nuovo,  si  tratta  solo  di  demolire 
l'opera  propria  quasi  sempre  dannosa.  Che  cosa  sono  Io  libertà 
della  stampa,  della  parola,  del  commercio,  queste  grandi  riforme 
del  nostro  secolo,  ae  non  un  restituire  all'  uomo  i  suoi  più  na- 
turali diritti,  che  i  governi  gli  avevano  tolti  col  pretesto  di 
proteggerlo?  Le  mille  leggi  per  promuovere  il  commercio  ter- 


32  TOMMASO   ERRICO   BUCKLE 

virono  solo  ad  incepparlo  per  modo  che  non  è  assurdo  l' affermare^ 
che  più  d'una  volta  esso  potè  essere  salvato  solo  dal  contrab- 
bando, grande  calamità,  la  quale  i  governi  avevano  resa  ne- 
cessaria. Tutto  il  bene  che  essi  possono  fare  si  restringe  in 
sostanza  al  mantenimento  dell'  ordine,  ad  impedire  che  i  potenti 
opprimano  i  deboli.  Ciò  è  molto,  di  certo,  ma  altro  non  possono. 
Farli  autori  di  civiltà  e  di  progresso  è  assurdo.  Vollero  pro- 
teg'^ere  le  verità  religiose,  e  lasciarono  sulla  terra  centinaia  di 
migliaia  di  vittime,  crearono  milioni  d' ipocriti.  Fecero  leggi 
contro  l'usura,  e  riuscirono  solo  a  far  crescere  l' interesse  sul 
capitale  imprestato.  Vollero  proteggere  il  commercio  e  lo  rovi- 
narono. Posero  tasse  sulla  comunicazione  delle  idee  e  del  pen- 
siero. Tutto  ciò  che  ora  si  chiede  da  loro  è  che  disfacciano 
l'opera  edificata  dai  loro  predecessori.  E  debbono  farlo,  perchè 
la  scienza  s'è  ormai  impadronita  della  pubblica  opinione,  e  non 
si  può  pili  resistere  alla  forza  del  vero. 

Ogni  volta  che  il  Buckle  entra  su  questo  argomento  princi- 
palissimo  nella  sua  opera,  la  potenza  cioè  della  scienza  e  della 
libertà  individuale,  il  suo  animo  s'esalta,  la  sua  eloquenza  cresce, 
le  migliori  qualità  del  suo  ingegno  e  del  suo  animo  risplendono. 
L'esagerazione  però  non  scomparisce  mai  del  tutto.  Egli  non 
ammette  che  la  protezione  dei  governi  alle  lettere  ed  alle  scienze 
abbia  fatto  o  possa  mai  fare  altro  che  male.  La  produzione  let- 
teraria e  scientifica  deve  essere  determinata  dal  bisogno,  dalla 
richiesta  che  ne  fa  la  società.  Aumentarla  artificialmente  sarebbe 
come  aumentare  le  botteghe  di  macellaio,  senza  potere  aumen- 
tare il  numero  di  coloro  che  hanno  bisogno  della  carne.  —  Ma 
non  s'è  mai  saputo  che  un  aumento  di  verità  faccia  indigestione, 
o  che  non  possa  giovare  ai  posteri,  agli  altri  popoli  vicini,  se  non 
sanno  valersene  coloro  in  mezzo  a  cui  esse  furono  trovate.  E 
dire  oggi  che  l'opera  dei  governi  è  stata  e  sarà  sempre  dannosa 
alle  lettere  ed  alle  scienze,  e  che  per  esse  non  debbono  far  nulla, 
neppur  per  le  scienze  naturali,  nessuno  certo  vorrà  crederlo. 

Forse,  se  il  Buckle  avesse  avuto  lunga  vita,  avrebbe  dalla 
storia  contemporanea  appreso,  che  l'uomo,  abbandonato  a  s  è 
stesso,  è  capace  non  solo  di  molto  bene,  ma  anche  di  molto 
male.  Avrebbe  visto  che  dalla  libera  iniziativa  individuale,  in- 
vece dell'armonia  economica  possono  nascere  anche  la  Comune, 
l'Internazionalismo,  l'anarchia,  il  caos  sociale,  e  che  in  questi 
casi  l'opera  dei  governi  non  solo  non  è  dannosa,  ma  è  la  sola 
capace  di  rimettere  la  società    in  condizioni  normali.  E  di  ciò 


E    LA    SUA    STORIA    DELLA    CIVILTÀ.  33 

si    sarebbe  anche  più  facilmente   persuaso    nel    vedere,    che  lo 
stesso  governo  del   suo  paese  si  trovò  costretto  a  mutare   strada, 
intervenendo,  costrioi^en  lo,  proteggendo  con  la  istruzione  obbli- 
gatoria, con  le  leggi  sociali,  con  le  leggi  agrarie  ed  altre  non 
poche,  che  le  teorie  ancora  prevalenti   condannavano,  e  la  pra- 
tica esperienza  rendeva  necessarie.  Ma  forse  la  Provvidenza  gli 
fu  pietosa,  perchè  quan  lo  egli  di   ciò  si  fosse  persuaso,  avrebbe 
visto  mancar  la  base  al  suo  elifizìo,  e  avrebbe  capito    quanto 
v'  era  di  effimero  nella  prodigiosa  popolarità  che  allora  godeva. 
Dire  che  le  religioni,  le  letterature,  i  governi  sono  il  resul- 
tato delle  condizioni  80t-iali  d'  un  popolo,  non  significa  punto  che 
una  volta  sorti,  non  possano  esercitare  alcuna  benefica  azione  sul 
po|jolo  da  cui  8uno  nati.  E  chi  ci  d  ce  che  le  leggi  le  quali  oggi 
si  debbono  demolire  perchè  dannose,  furon  sempre  tali?  La  siuna 
non  ci  dimostra  invece  che    1^  migliori  istituzì<  ni,  le  leggi  più 
opportune  furono  assti  spesso  c.nusa  di  uno  stato  progredito  di 
^società,  il  quale  per    pro^reJire  ancora    più,    ebbe  p<.'i   bisogno 
di  demolire  quelle  leggi,  e  quelle  Istituzioni  appunto  di  cui  era 
stato  necessaria  «onscguenza.  Una   tarìdTa  doganale  può  proteg- 
ere    un'industria  e  farla    pr     -      -ro.    Ma  quando  questa  sarà 
gorosa  in  modo  da  poter  (  i  «>  con  tutti  i  vicini,  la  pro- 

tezinne  diverrà  dannosa,  e  bisognerà    sopprìmerla  perchè   non 
manchi  "  '       "  ì/.intiva. 

La  1<  <i  «tato  sociwle,  si  vaio  dello 

idee  che  già  trova  esistenti  nella  •oci<>tà,  ed  alle  quali  dà  nuova 
fonili.   E  sia  pire.    Ma  dire    che   perciò  ohah   nulla  pro«luco  e 
nulla  etUcacomebto  opera,  è   un    altro    errore   o   non  dei  meno 
gravi.  Come  il  Buckle  ha  divido  la  nioruld  della  tciensa  per  dar 
tutto  il  merito  a  questa,  C4>si  ha  diviso  la  r  •  diilla  iin- 

nia^^ina/.ionH,  per  negare  alla  poesia,  all'arto  «v...   .  .;icaou  asiono 

F^ull  incivilimento.  M.i  riinin.iginac  one  e  la  riHis«iono  sono  duo 
lati  della  melctimi  intolligepxa  e  do!  pan    necessarie  alla  sua 
«•istenza.  K  p  ù  d'una  volta  ò  stato   os^'  ^     '  '         -li   altri 

anche  dal  iiuckle,  che  a  ere  ire  alcune  i       m  mc  una 

forza  d'  imma4(ina/ioii«  poco  minore  di  quella  che  venne  adopcrat* 
,  A  creare  1"  Iliade  e  VOlitHri.  Non  h  i>    '  .{«^  dei  dotti 

/che,  a  formare  l'educazione  d'un  uo  ..      ..         .  ...,   nulla  val^a 

quanto  on  buon  tirocinio  classico?    La  letteratura  stimola,  au- 
m-nta,   prò  luce  quilche  villa  la  forza  ii  i  e  creatrice  di 

i  hi  Hcienza  Ìì%  bino^no.  Ed  in  ogni  cu  Itveva  slu^rgiro 

Buckle,  che  alla  (litru.«i  »ne   dello    cuu  .    tanto  secondo 

ToL.  XL,  S«rte  II  ~  t  L4i(ll«  ISSS.  S 


84      TOMMASO  ERRICO  BDCKLE  E  LA  SUA  STORIA  DELLA  CIVILTÀ. 

lui  nocesòaria  al  progresso,  nulla  può  al  pari  della  letteratura 
contribuire.  Tinor  così  poco  conto  delle  lettere,  e  non  parlare 
•  punto  dell'arte  in  una  storia  della  civiltà,  dimostra  che  il  Buckle 
non  aveva  un  chiaro  concetto  ne  dello  spirito  umano,  ne  della 
vera  natura  della  società. 

E  così  noi  siamo  sempre  alla  medesima  conclusione.  L'uomo 
è  separato  dalla  natura  e  messo  in  opposizione  con  essa,  l'indi- 
viduo è  separato  affatto  dalla  società,  la  morale  dal. a  intelligenza, 
l'immaginaz'one  dalla  riflessione,  mentre  la  storia  dell'uomo  e 
della  società  risulta  dall'  armonica  un'one  di  questi  elementi, 
dalla  azione  e  reazione  continua  degli  uni  sugli  altri.  Tutti  questi 
studi  si  fanno  per  conoscere  che  cosa  è  l'uomo,  secondo  quali  leggi 
si  trasforma,  si  modifica,  ed  il  Buckle,  invece,  dopo  aver  de- 
composto r  uomo  e  la  società  nei  loro  elementi,  si  occupa  solo 
del  modo  in  cui  le  cognizioni  si  producono,  s'accumulano,  si  propa- 
gano, quc«si  fossero  una  merce  che  s' importa  e  che  si  esporta, 
quasi  che  la  società  potesse  continuamente  progredire  senza  che 
progredissero  del  pari  la  morale,  l' intelligenza,  tutto  1'  essere  del- 
l'uomo, quasi  che  c'importasse  tanto  conoscere  la  storia  del  pas- 
sato e  le  sue  leggi,  se  non  servissero  a  farci  conoscere  il  piii 
grande  prodotto  della  storia,  che  è  appunto  l'uomo. 

Tale  è  il  libro  del  Buckle.  Certamente  è  uno  spettacolo  do- 
loroso vedere  un  uomo  che  dopo  aver  lottato  eroicamente  contro 
mille  ostacoli,  incomincia  con  febbr.le  entusiasmo  ad  innalzare 
un  editìzio  colossale,  e  quando  al  suo  entusiasmo  sembra  rispon- 
dere l'entusiasmo  del  mondo  civile,  cade  esausto  dal  lavoro  e 
dal  dolore,  e  su  di  lui  precipita  subito  una  parte  non  piccola 
della  gigantesca  mole  che  aveva  innalzata.  Rimane  tuttavia  eterna 
la  memoria  del  suo  purissimo  amore  al  vero  ed  alla  libertà,  della 
sua  straordinaria  fermezza  di  volontà.  E  queste  sue  doti  morali 
traspariscono  nel  libro,  il  quale  resterà  perciò  sempre  un  mirabile 
esempio  di  perseveranza,  di  lavoro  e  di  eloquenza,  quantunque 
sulle  basi  che  l'autore  ha  poste,  non  si  potrà  mai  innalzare  alcun 
solido  edifizio.  Esso  è  quasi  una  protesta  permanente  contro 
l'errore  d'aver  voluto  troppo  esaltare  l'intelligenza  a  spese  di 
quel  carattere  morale  che  costituiva  la  miglior  parte  dt  1  suo 
autore,  come  costituisce  la  miglior  parte  del  genere  umano. 

P.   VlLLARL 


UGO  BASSVILLE  A  ROMA 


SECONDO  LE  RECENTI  PUBBLICAZIONI* 


I. 


K 


Se  non  fosse  della  nota  Cantica  del  Monti,  chi  in  Italia  ri- 
corderebbe  ancora  il  nome  di  Ugo  Bassvilie?  Né  il  valor  sao 
personale,  né  l'importanza  della  carica  che  rivestiva  lo  avrebbe 
raccomandato  alla  posteriik  Egli  dovette  questa  fortuna  al  bi- 
^gno  che  sentì  il  poeta  amico  suo  di  ingrasiursi  i  suoi  superiori 
«  farsi  da  essi  perdonare  con  nna  splendida  palinodl  i  quella 
simpatia  passei^gera  che  con  pochi  altri  romani  aveva  man ifoitata 
per  le  novità  francesi.  Cosi  nacque  la  liaMBvUliana,  Però  Bassvilie 
era  in  Roma  il  rappresentante  della  dipi  •mazin  gì  icobina,  la  quale 
non  fu  una  delle  manifeitaxioni  politiche  meno  curiose  della  gran 
rivoluzione.  In  questo  rispetto  la  personalità  sua  ci  intereaaa;  i 
d  ^ — 'i  poi  e  le  notizie  che  intorno  a  lui  contiene  l'opera  tette 
p  .1  dal  signor  Masson,  mostrandoci  come  venne  a  Roma 

il  Baaiville,  che  missione  aveato  •  come  se  ne  diilmpegnasse, 
danno  tratti  precisi  e  ben  delineati  a  que'la  fisonomia  che  fin 
ora  non  ci  era  apparsa  che  nella  luro  inciTta  e  leggendaria  dalla 
Cantica  Montiana. 


'  F.  Mamov,  Lm  éiptomaim  de  U  BhcUliom^  Plsrls,  ehas  Charavaj 
FrérM.  ÌH»L 

L.  Viix,-«',  Vinof^tao  ifonti,  le  kthtf  •  la  poUUoa  in  Italia  dal  1750 
al  ÌHHO.  Fftensa,  tip.  Conti,  lo79. 

David  (ìiltaok.  La  Oorfe  e  lm  9om*tà  romm»  mei  Mcoti  XVIII  $  XIX, 
tip.  della  Oaamta  d'ItaUa,  lotti. 


36  UGO   BASSVILLE   A   ROMA 

Ho  detto  che  il  Bassville  ora  uno  dei  rappresentanti  della 
diplomazia  giacobina.  Ma  un  giacobino  che  è?  Non  tutti  Bono 
d'accordo  nel  definire  quest'essere.  Per  Victor  Hugo  egli  è  un 
poderoso  atleta.  Il  poeta  ne  taglia,  per  cosi  dire,  la  figura  in 
blocco  e  gli  dà  profilo  e  tratti  che  hanno  quasi  le  propor- 
zioni colossali  della  gran  rivoluzione  della  quale  è  artefice.  Per 
il  Taine  invece,  un  giacobino  non  è  che  un  miscrabi  e  sofista, 
che  posto  in  faccia  ad  una  casa  in  demolizione  non  ha  per 
riedificarla  che  uno  stucchevole  manuale  di  ciancia  e  di  vuote 
frasi.  Mancandogli  larghezza  e  comprensività  di  vedute  vi  so- 
stituisce la  violenza  dalle  frasi,  l' affermazione  dogmatica,  la 
volontà  imperiosa  e  tirannica,  l'audacia  di  sopprimere  gli  osta- 
coli. In  politica,  dove  tutto  è  un  calcolo  di  probabilità,  egli 
sopprime  l'impossibile. 

Possiamo  immaginarci  quali  erano  gli  agenti  che  i  giacobini 
sceglievano  per  rappresentare  la  loro  politica  all'estero.  Più  che 
araldi  di  pace  e  leali  mediatori,  la  facevano  da  intromettitori 
e  da  padroni.  Prendiamo  Bernadotte.  Quantunque  nel  1798  i 
giacobini  fossero  scomparsi  dalla  scena  politica,  il  loro  spirito 
domina  ancora.  Bernadotte  è  scelto  dal  Direttorio  a  rappresen- 
tare la  Francia  a  Vienna.  A  Parigi  non  si  è  neanche  pensato 
di  domandare  se  è  gradito  o  no  nella  capitale  austriaca.  Il  Di- 
rettorio non  si  ferma  a  queste  minuzie.  Egli  vuole  che  la  Francia 
sia  rappresentata  a  Vienna  perchè  esige  che  l'imperatore  Fran- 
cesco mandi  un  suo  rappresentante  a  Parigi,  in  quel  centro 
rivoluzionario  dove  è  stata  pochi  anni  prima  immolata  sua 
zia  Maria  Antonietta.  Bernadotte  non  pensa  neanche  a  mu- 
nirsi dei  passaporti  d' uso.  Però  alla  frontiera  si  guardano 
bene  di  arrestarlo.  A  Vienna,  anzi,  è  subito  ricevuto  con  pre- 
mura dell'  imperatore.  Se  egli  è  inviato  di  un  governo  regi- 
cida, si  sa  però  che  è  anche  un  generale  del  vincitore  di 
Arcole.  Bernadotte  fa  le  sue  prime  prove  a  Vienna  domandando 
che  non  si  permetta  agli  emigrati  francesi  di  portare  distinzioni 
monarchiche  e  alla  figlia  di  Capeto  di  figurare  col  titolo  di 
regina  negli  almanacchi  austriaci.  Nello  stesso  tempo  chiede 
punizioni  rigorose  contro  chi  insulta  le  coccarde  tricolori  e  chi 
le  porta.  Al  teatro,  quando  la  scena  ha  il  grido  di  :  Viva  il  re! 
gli  ufficiali  e  tutto  il  seguito  di  Bernadotte  si  pongono  a  fi- 
schiare e  danno  luogo  a  tumulti  e  a  scene  violente.  Bernadotte 
tiene  col  ministro  Thugut  un  liiiguaggio  da  giacobino,  come  se 
fosse  al  Direttorio.  Parlando  dello  czar,  lo  qualifica  dì  tiranno 


SECONDO    LE   RECENTI    PUBBLICAZIONI. 


37 


del  Nord,  tigre  dalla  faccia  d'  uomo.  Il  suo  palazzo  è  il  luogo 
di  riunione  di  tutti  i  rivoluzionari  austriaci  che  cospirano  contro 
l'impero  e  di  tutti  i  polacchi  che  vogliono  lo  smembramento 
dell'Austria  e  la  ricostituzione  dell'antico  regno  di  Polonia.  Poi 
finisce  per  provocare  una  insurrezione  di  popolo  per  volere  ad 
ogni  costo  innalzare  alla  porta  del  palazzo  dell'  ambasciata  la 
ban  iera  tricolore  e  gli  stemmi  repubblicani,  quegli  emblemi 
che  significano  per  i  buoni  viennesi  una  sfida  politica  e  l'ami- 
liazione  del  paese. 

Ma  questo  scritto  è  consacrato  a  Bassville.  Torniamo  dunque 
a  lui.  Bassville  era  tutt'altr'uomo  di  fìemadotte;  questi  era  un 
uomo  di  guerra;  quello  un  letterato.  Tutt'  e  due  però  erano 
animati  dallo  stesso  spirito.  Come  tutti  gli  altri  agenti  diploma- 
tici della  Convenzione,  credevano  la  rivoluzione  onnipotente  e 
che  essa  segnasse  la  fine  di  tutte  le  vecchie  istituzioni  politiche. 
Essi  erano  gli  atleti  che  venivano  a  dare  l'ultimo  colpo  al  ca- 
dente edifizio.  Ma  il  Bassville,  come  vedremo,  si  ruppe  le  coma. 
I  documenti  che  pubblica  il  signor  Masson  ci  permettono  di 
ricostruire  da  capo  a  fondo  il  dramma  del  13  gennaio  1793, 
dando    aspetto    di    storia  a  quella  che,  come  s'  è  detto,  non  ci 

tira  apparsa  fin  qui  che  come  una  leggenda. 


II. 


Verso  la  metà  del  1792  le  relasiont  diplomatiche  fra  la 
Corte  di  Roma  e  la  Francia  erano  del  tatto  cessate;  non  già 
però  nel  rao  lo  ordinario  per  effetto  di  una  rottura  formale,  ma 
per  un  tacito  consenso,  determinato  da  atti  che  orano  ravvisati 
incompatibili  colla  continasziono  di  quelle  relazioni. 

Troppe  C040  il  Pspt  aveva  da  rimproverare  ai  rivoluzionari 
francesi.  La  costituzione  civile  del  clero,  il  giuramento  civico 
imposto  ai  preti  corno  a  tutti  i  pubblici  funzionari,  lo  persectt- 
zion*  contro  i  sacerdoti  che  non  Tolevano  giurare,  rinvasiono 
dì  Avignone  e  l'annessione  del  contado  Vono«ino,  gli  insulti 
fatti  a  Parigi  all'effigie  di  Pio  VI  e  gli  altri    non  pochi  recati 

l'^ftlle  insegne  pontificie  in  diverse  città  della  Francia,  senza  che 
10  niun  caso  il  governo  |  >  avesse  potuto  ottenere  ripa- 

razione: tutto  questo  ave    1  inmo  grado  indisposti  gli  animi 

''%  Roma  contro  la  repubblica   francese.    Il  Nunzio    del  Papa  a 
Parigi,  roons  gnor   Dugnani,  s'era  visto  costretto   a  chiedere  i 


38  UGO   BASSVILLE   A   ROMA 

suoi  passaporti  fin  dal  luglio  del  1791,  e  aveva  lasciato  va- 
cante quel  posto. 

A  Roma  la  sospensione  delle  relazioni  diplomatiche  aveva 
avuto  luogo  in  modo  anche  più  marcato.  Il  cardinale  de  Bernis, 
che  aveva,  con  quel  fasto  che  tutti  sanno,  rappresentato  la  Francia 
a  Roma  per  vent'anni  consecutivi,  non  avendo  voluto  prestare  il 
prescritto  giuramento,  dovette  dimettersi.  Il  suo  successore,  signor 
de  Ségur  che  lo  aveva  prestato,  non  fu  alla  sua  volta,  appunto  per 
quel  motivo,  voluto  ricevere  dal  Papa.  Per  tal  modo  dal  16 
marzo  1791,  giorno  in  cui  il  cardinale  Bernis  presentò  al  Papa 
le  sue  lettere  di  richiamo,  a  rappresentare  la  Corte  di  Francia 
a  Roma,  non  v'era  rimasto  che  un  incaricato  d'affari  interinale, 
il  signor  Bernard,  che  era  stato  addetto  per  vent'  anni  in  qualità 
di  segretario  del  cardinale  Bernis.  Bernard  aveva  prestato  il 
giuramento.  Malgrado  questo,  il  governo  di  Roma  lo  aveva  ac- 
cettato nella  detta  qualità,  senza  però  riconoscere  in  lui  alcun 
carattere  ufficiale.  Per  ordine  del  suo  governo  Bernard  tolse  dalla 
porta  del  palazzo  dell'ambasciata  le  insegne  della  Francia  e  con- 
tinuò a  rimanere  in  Roma,  ma  in  qualità  di  semplice  agente, 
senza  titolo  ne  qualità  ufficiale. 

Però  se  la  politica  francese  non  era  più  rappresentata  in 
Roma,  continuavano  a  rimanervi  intatti  certi  uffici  e  istituzioni 
pubbliche,  le  quali  in  mancanza  di  un'  ambasciata,  ebbero  a 
rappresentare  una  parte  più  o  meno  notevole  nel  periodo  dram- 
matico nel  quale  stiamo  per  entrare.  Vi  esisteva  un  ufficio  di 
posta  francese  che  era  diretto  da  un  francese,  Giuseppe  Digne, 
il  quale  rivestiva  nello  stesso  tempo  la  qualità  di  console  di 
Francia.  Inoltre  un  banchiere,  di  nome  Moutte,  il  quale  s'era 
da  qualche  tempo  stabilito  in  Roma  e  aveva  ottenuto  la  qua- 
lità di  agente  del  commercio  francese.  Infine,  oltre  a  molte 
cariche  e  istituzioni  ecclesiastiche  con  fondi  e  amministrazioni 
francesi,  la  Francia  aveva  a  Roma  un  grande  stabilimento  ar- 
tistico, la  cui  porta  era,  come  quella  del  console  Digne,  ornata 
dall'emblema  colle  armi  di  Francia.  Quello  stabilimento  era 
l'Accademia  di  Francia,  istituita  da  un  secolo,  e  che  nel  1792 
era  diretta  dal  signor  Ménageot. 

Se  non  che  nessuno  dei  varii  titolari  che  stavano  a  capo 
degli  indicati  uffizi,  aveva  autorità  e  influenza  bastante  presso 
i  suoi  connazionali  per  impedire  i  disordini  e  i  conflitti  che 
nelle  condizioni  in  cui  allora  Roma  si  trovava,  non  erano  che 
troppo    probabili.    V'erano    in  quel  tempo  in  detta    città  molti 


SECONDO    LE   RECENTI   PUBBLICAZIONI. 


39 


emigrati  francesi,  specialmente  preti,  che  erano  accorsi  a  Roma, 
come  ad  un  asilo  naturale;  pi  molti  gentiluomini,  che  per  la 
loro  età  avanzata  o  la  poca  salute,  non  si  sentivano  in  grado 
di  andare  a  servire  di  Condé.  Tutti  costoro  facevano  capo  al 
palazzo  dell'ambasciata  di  Francia,  dove  alloggiavano  le  zie 
del  re  Luigi  XVI,  ma^lama  Adelaide  e  madama  Vittoria,  con 
un  numeroso  corteggio  di  ufficiali  e  di  servitori.  Faceva  vivo 
riscontro  a  questo  centro  realista  l'Accademia  dì  Francia,  che 
era  nel  palazzo  Mancini  e  dove  solevano  riunirsi  i  francesi 
fautori  della  rivoluzione.  EIran  questi  quasi  tutti  artisti  venuti 
a  Roma  per  studiare,  o  antichi  premiati  che  vi  erano  rimasti 
per  terminare  i  loro  studi  e  la  loro  artistica  educazione.  Fra 
gli  altn  v'erano  Merimée,  padre  di  Prospero  Merimée,  Fabre, 
l'amico  della  contessa  d'Albanj,  e  Wicar  che  pò  dipinse  un 
quadro  rappresentante  l'asiassinio  di  Bassville.  Nel  1702  questi 
artisti  erano  ancora  piti  di  un  centinaio.  Tutti  erano,  come  s'ò 
detto,  più  o  meno  caldi  fautori  della  rivoluzione.  Però  da  essi 
Bon  erano  quasi  da  temersi  escandescenze  e  disordini.  Si  do- 
vevano invece  temere  da  gente  che  s'erano  data  la  qualità  di 
artisti  per  potere  sotto  l'egida  di  quella  qualità  etser^  più  fa- 
cilmente ammeast  in  Roma.  Infatti  fin  dai  primi  mesi  del  1792 
'alcuni  di  costoro  erano  venuti  a  conflitti  colla  popolsaione,  e 
n'erano  seguiti  arresti  ed  cspuUioni.  Era  stato  un  affare  più 
g^ave  l'arresto  dello  scultore  Chinard  e  del  pittore  Rattor,  ac- 
cusati di  mene  rivoluzionarie,  essendosi  di  più  nello  studio  del 
primo  trovato  un  gruppo  rappre«entante  II  fanatitmo  abbattuto 
dalla  ragione^  non  che  coccarJe  coi  colorì  nazionalifrancesi.  Tutti 
e  due  erano  stati  presto  liberati,  per  l'interposizione  però  di 
nn  diplomatico  licenziato  dalla  repubblica,  cioè  del  cardinal 
Beniis,  che  si  trovava  sempre  a  Roma. 

Casi  e  conflitti  simili,  o  peggiori  di  quelli  avvenuti,  |<  -  .tuo 
aspettarsi  da  un  momento  all'altro.  I  francesi  dimoranti  m  1;  ni  i, 
che  prendevano  la  carola  d'ordine  al  palasse  Mancini,  a  fatica 
si   astenevano   da  manifestazioni    y  -he  e  non    facevano 

eco  agli  avvenimenti  di  Parigi  che  t .: ..isavano  di  furore  ri- 
voluzionario; e  dal  suo  canto  la  popolazione  romana,  sobbillata 
da'prcti  e  incapace,  per  langa  servitù,  di  libere  aspirazioni,  spiava 
attenta,  per  reprimerla,  ogni  manifostaaione  di  quegli  stranieri 
che  suonasse  sfida  e  insulto  al  goveroo  papale.  Il  Vicchi  '  rac- 


'  Op.  tiuu,  p«g.  61. 


40  UGO    BASSVILLE    A    ROMA 

conta  che  un  giorno  si  fu  a  I  un  pe'o  di  verl^-re  dalla  plebe, 
invasa  l'Accadutnia  di  Francia  e  malmenati  gli  artisti  francesi, 
solo  perchè  era  corsa  voce  che  questi  avevano  abbattuti  i  busti 
dei  re  francesi  e  dei  cardinali  protettori  che  erano  in  quel  pa- 
lazzo, e  che  vi  si  ballava  intorno  alla  statua  di  <jiunio  Bruto, 
Si  trovò  un  diplomatico  il  quale  si  propose  di  volgere  a  suo 
profitto  questa  situazione  anormale  in  cui  era  la  rappresen- 
tanza della  Francia  a  Roma  e  che  metteva  al  ogni  istante  a 
cimento  la  sicurezza  e  gli  interessi  di  molti  distinti  francesi. 
Fu  questi  il  signor  di  Mackau,  che  era  minstro  della  repub- 
blica presso  la  corte  di  Napoli.  Il  signor  di  Mackau,  quantunque 
avesse  servito  la  monarchia  in  diverse  legazioni,  non  era  per 
questo  meno  un  personaggio  degno  di  figurare  nella  eollezione 
dei  diplomatici  della  rivoluzione.  Questi,  come  s'è  già  accen- 
nato più  sopra,  pili  che  a  mantener  leali  relazioni  coi  varii 
paesi  sulla  base  delle  consuetud  ni  e  del  diritto,  miravano  ad 
esercitare  una  propaganda  terrorista  negli  Stati  presso  i  quali 
erano  accreditati,  e  a  crear  proseliti  alla  repubblica  a  danno 
anche  dei  governi  esistenti.  Si  comprende  che  dovesse  nascere 
in  qualcuno  la  tentazione  di  provarsi  a  cozzare,  come  verseggiò 
il  Monti,  contro  u  l' immobil  fato  di  Roma  n  contro  quel  g  »verno 
cioè  che,  solo  fra  tutti  quelli  d«  Ha  penisola,  s'ostinava  a  non  volere 
riconoscere  la  repubblica.  Però  l'intento  del  signor  di  Mackau 
non  era  interamente  patriottico.  Egli  era  ambizioso  e  sognava  di 
diventare  il  direttore  della  politica  francese  in  Italia;  aveva  anche 
un  fine  pù  personale  e  interessato,  ed  era  di  liberarsi  del  se- 
gretario di  legazione  che  gli  aveva  imposto  Dumouriez,  e  che 
era  Nicola  Ugo  de  Bassville,  per  poter  far  dare  quel  luogo  a  un 
Fitte  de  Soucj  suo  nipote,  che  voleva  avviare  in  modo  splen- 
dido nella  carriera  diplomatica.  Fu  in  questo  modo  che  nacque 
la  missione  di  Ugo  Bassville  a  Roma.  Egli  ebbe  per  incarico 
dal  governo  della  repubblica  di  u  prendere  informazioni  precise 
intorno  alle  intenzioni  e  le  idee  dil  governo  pontificio,  allo 
stato  delle  co^e  e  degli  animi  in  Roma  è  allo  stato  del  ca- 
stello di  Sant'  Angelo,  della  fortezza  di  Civitavecchia  e  dei 
legni  di  guerra  papalini  che  vi  erano  ecc.  ecc....  n  *  Natural- 
mente egli  non  era  munito  di  lettere  di  credito,  né  rivestito 
di  qualità  ufficiale,  ma  andava  a  Rjma  come  semplice  viaggia- 
tore con  incarico  di  vedere,  osservare  e  riferire,  missione  questa 

'  Masson,  Les  diplomates  de  la  Revolution,  pag.  29. 


SECONDO    LE   RECENTI   PUBBLICAZIONI. 


41 


che,  stante  la   rottura   fra  la   Francia  e  il  Papa,   aveva  i  suoi 
pericoli. 

III. 


Il  Monti  è  stato  anch'egli  tratto  in  inganno  nel  dare  all'uomo 

Della  francese  libertà  mandato 
Sol  Tebro  a  suscitar  le  ree  scintille 

il  nome  di  Ugo  Bassville.  L'eroe  del  poema  montiano  si  chia- 
mava semplicemente  Niccola  Giuseppe  Hugou,  come  risulta 
dall'atto  di  battesimo  che  il  Vicchi  si  diede  la  pena  di  procu- 
rarsi. Egli  nacque  ad  Abbéville  da  parenti  poveri;  suo  padre 
esercitava  l'arte  del  tintore.  Fa  più  tardi,  quando  ebbe  acqui- 
stato qualche  nome  nelle  lettere  che  quest'Hugou,  seguendo 
le  consuetudini  della  maggior  parte  dei  letterati  suoi  contem- 
po^nei,  aggiunse  al  suo  nome  quello  di  Ba^isville.  £gli  Aveva 
ricevuto  una  buona  ii«truzione  in  un  collegio,  dove  godeva 
di  una  pensione  gratuita.  Ne  usci  abate  ed  ebbe  subito  ona 
cattedra  di  teologia  nella  sua  citti  nativa  di  Abbéville.  Ma  la 
sua  inclinazione  erano  le  lettere.  Perciò,  lasciata  la  tua  cattedra 
di  scienze  ecclesiastiche,  si  recò  a  Parigi  dove  pubblicò  nel 
1784-1786  alcune  opere  di  mitologia,  biografia  e  storia*  che  il 
Massnn  giudica  di  scars  sslmo  valore. 

Niccola  Hugou  era  uno  di  quegli  m-ntton  chr  li  iim  >  l>i^o 
g^o  di  mecenati  per  mettere  in  giro  la  loro  merce  1<  !irr  e  i  i.  l'in 
dal  1785  lo  vediamo  agli  stipendi  del  prìncipe  di  Con  i  •  <>  ii> 
bibliot  cario.  Egli  dedicò  a  quel  principe  il  suo  libro  su  Lctort, 
il  quale  non  fn  giudicate,  in  sosumaa,  che  una  specie  di  cambiale 
che  r  Hugou  traeva  sulla  fr<*nerosità  dello  csar  Paolo  u  figlio, 
come  ITI  'immortale  Caterina,  giovane  ero«, 

degno  i.^..  .    ,.. .^A  che  por  le  sue  grandi    qualità 

va  posta  accanto  ai  nostri  re  pia  illustri,  n  Però  V  Hugou  non 
era  stxuBionario  nelle  sue  simpatie  e  modificava   volentierì    Un- 

*  Eeeo  la  bibUesraaa  dalle  opera  41  Nlsoola  OiMspps  Hugon  de  Bassvttle 
raeeapenatc  dal  VÌa«M  ed  alla  q««ls  U  Massoo  aoo  acffiange  alvo: 

1*  EUm»mi$  de  mifk>logÌ0>,  I.  voi.  in  9>  17iM.  -  S*  MéUn^  éftipm  «I 
kùioriqatÈ  OH  Ut  mmrtm  pò  HmmrM  d'mn  isiiiiwii  pMiétm  par  mm  eiiny^m  et 
Popko»,  1784,  I.  voL  in  !<*•  —  y  Priei»  mtUviei»  Frantoi»  I^ort,  !7d6 
1.  voi.  —  4*  Memoirtt  dt  Madmm»  fTarsw,  17(M.  1  voi.  —  &•  L«  «rtf  tfc 
k  mtion  à  tt$  PaiH,  178»,  t.  voi.  ~  »  Mimalrm  kiUtrifmm,  erMqmi  ti 
poUUqmi  de  (a  Xéoohdiom  froofmitt,  1790,  vot  4. 


42  UGO    BASSVILLE    A    ROMA 

guaggio  a  seconda  dei  tempi  e  delle  circostanze.  All'alba  della 
rivoluzione,  egli  abbandonò  il  principe  di  Condé  suo  protettore 
per  gittarsi  nell'arena  politica.  Si  fece  collaboratore  del  Mer- 
curio politico^  dove  scrivevano  la  signorina  di  Kcralio,  Maclet 
e  Carra,  e  segui  quel  giornale  in  tutte  le  sue  diverse  trasfor- 
mazioni. Fu  al  Mercurio,  che  nella  sua  ultima  evoluzione  si 
intitolava  giornale  politico  dell'  Europa,  e  che  dal  6  luglio  1791 
era  diventato  proprietà  di  Lebrun,  il  futuro  ministro  degli  af- 
fari esteri,  che  Dumouriez  venne  a  cercare  Hugou  per  farne  un 
segretario  di  legazione.  L'  Hugou  accettò  e  fu  mandato,  come 
s'è  visto,  a  Nnp  di.  La  fortuna  aveva  tardato  un  poco  a  venire 
per  il  nostro  Hugou  —  nel  1792  egli  aveva  quarant'  anni  — 
ma  infine  era  venuta.  Egli  godeva  una  pensione  di  3000  franchi 
annui  datagli  dall'americano  Morris,  al  quale  aveva  educato  i 
figli,  ed  ora  aveva  un  posto  promettente  in  diplomazia.  Il  figlio 
del  povero  tintore    di  Abbéville  non  se  ne  poteva  lagnare. 

Del  resto,  V  Hugou  doveva  senza  dubbio  gran  parte  di  qiltsto 
favore  della  fortuna  anche  alle  sue  qualità  personali,  che  pare 
fossero  attraenti  ;  perocché  anche  il  Monti,  che  gli  fu  amico, 
scrisse  di  lui  che  u  per  ardita  e  naturale  eloquenza  e  per  molta 
significanza  di  volto  1'  Hugou  seduceva,  trascinava,  n  Qualità 
proprie  e  speciali  per  entrare  in  diplomazia  l' Hugou  certo  non 
ne  aveva.  Ma  badavano  forse  a  questo  i  rivoluzionari  francesi? 
L'essenziale  per  essi  era  che  i  loro  uomini  fossero,  anche  solo 
a  parole,  patriotti.  Era  questo  un  passaporto  e  una  garanzia  suffi- 
ciente per  qualsiasi  carica  pubblica. 

Arrivato  a  Napoli,  1'  Hugou,  che,  secondo  l'ambiente  e  le 
persone  alle  quali  parlava  e  scriveva,  era  solito  semplicemente 
chiamarsi  con  questo  suo  vero  nome,  o  aggiungervi  il  motto 
ci-devant  de  Bassville,  oppure  con  quello  di  Hugou  de  Bassville, 
che  certo  lusingava  maggiormente  la  sua  vanità,  non  tardò  a  dar 
prova  del  suo  zelo  patriottico  e  del  suo  ardore  rivoluzionario. 
Egli  non  era  avaro  di  lettere  a  Lebrun,  ministro  degli  esteri,  che 
era  stato  suo  caro  collega  nel  Mercurio  politico.  Pochi  giorni 
dopo  il  suo  arrivo  egli  gli  scriveva:  a  Ciò  che  ho  visto  a  Na- 
poli mi  dimostra  che  le  cose  andranno  a  dovere,  n  Una  delle 
prime  cure  che  avevano  i  diplomatici  della  rivoluzione,  nei 
luoghi  dove  erano  accreditati,  era  di  far  fare  coccarde  e  dipin- 
gere emblemi  repubblicani  nei  loro  stemmi.  Non  deve  recar 
meraviglia  questa  premura  in  rappresentanti  di  un  popolo  che 
ha  tanto  amore  per  i  gingilli.  Quegli  emblemi  e  quelle  effigie 


SECONDO   LE  RECENTI   PUBBLICAZIONI. 


43 


della  libertà  e  della  repubblica,  lusingavano  la  loro  vanità  e  il 
loro  orgoglio  nazionale.  Bernadette  non  aveva  trovato  in  tutta 
Vienna  un  pittore  abbastanza  abile,  9  suo  avviso,  per  dipin- 
gere una  repubblica  e  ne  aveva  fatta  una  questione  col  suo 
ministro  di  ricorrere  a  Parigi  per  questo.  L'  Hugou  non  rima- 
neva indietro  a  nessuno  in  questa  preoccupazione  per  i  gingilli. 
In  attpsa  di  fare  su  questo  capo  migliori  e  più  complete  prove 
a  Roma,  ecco  cosa  scrive  da  Napoli  il  de  Bassville  al  suo  mi- 
nistro :  u  Dans  le  moment  où  je  vous  écris,  un  peintre  à  mes 
cótés  pe'nt  sur  le  tableau  cu  ci-devant  brillaient  troia  ileurs  de 
Ij8  la  belle  Minerve  avec  sa  piqué  et  le  bonnet  sacre  de  la 
liberté  que  j'ai  trouvé  sur  le  cachet  de  votre  dernière  dépèche 
que  nos  urgus  n'ont  ni  brisé  ni  gardé.  Dera»in,  elle  sera  pendue 
et  je  sa' 8  d'avance  que  ce  sera  une  fete  pour  bien  dea  gens  qui 
viendront  exprés  se  promener  dans  notre  quartier  et  ju  compte 
aussi  faire  voir  mon  uniforme  de  garde  mitional  au  théatre 
Saint-Obarles.  Ce  sera  la  première  fois  qu'ii  aura  été  vu  à 
Naples  et  peut  étre  méne  dans  Tltalie.  n 

Però  il  Bascville  pensava  anche  al  sodo,  non  soltanto  a 
queste  esteriorità.  Egli  e  il  suo  capo,  signor  de  Mackau,  si 
trovisvano  d'accordo  in  ciò,  che  questi  non  ce  lo  voleva,  e  al 
Bassville  non  piaceva  stare  a  Napoli.  Non  era  ancora  scorso  un 
mese  che  era  giunto  in  quella  città  e  il  Basville  già  scriveva  a 
Lebrun:  u  Je  me  flatte,  mon  cher  camarade,  que  vous  ne  me 
ÙABcrez  pas  longtemps  secrétaire  do  légation  et  qu'à  mérite  égal 
ree  un  concurrent,  mon  expérience,  mon  &ge  et,  j'ose  dire:  mei 
servicea,  me  voudront  une  préfOrence...  n  Pochi  giorni  dopo 
ripeteva  la  sua  domanda,  soggiungendo:  u  Je  suis  un  ancien  du 
corpa  diplomatique  depuis  qu'il  est  régénéré.  n  Egli  fu  contentato 
presto,  perocché  il  suo  desidorio  era  appoggiato  anche  dal  Mackau, 
che,  come  a' è  visto,  Io  voleva  agente  a  Roma.  Qui  infatti  egli 
fu  inviato  e  vi  giunse  il  13  novembre  1793,  colle  bollo  atti- 
tudini, che  si  sono  potute  argomentare  di  lui  per  la  diplomasi», 
e  vi  giungeva  accompagnato  da  una  «ionna  por  nome  Caterina 
Colson,  ch'egli  faceva  paaaare  per  sua  moglie  e  dalla  quale  aveva 
ftTuto  un  6glio. 

IV. 


Quando  giunse  a  Roma  il  Baaavillo,  il  papa  e  il  Sacro  Col- 
legio erano  terrorizzati  dall'annunzio  della  partenza  dolU  flotta 
francese  da  Tolone,  la  quale  aveva,  sospetta  vasi,  l'incarico  di 


44  UGO   BASSVILLE   A   ROMA 

infliggere  nel  suo  passaggio  una  punizione  alla  corte  di  Roma. 
Pretesti  per  questo  certo  non  mancavano,  non  ultimo  l'arresto 
che  si  è  sopra  menzionato  degli  artisti  francesi  Ratter  e  Cliinarrl, 
per  manifestazioni  patriottiche.  La  punizione  della  flotta  poteva 
andare  fino  ad  uno  sbarco  e  ad  una  scorrazzata  nelle  terre  della 
Chiesa  colla  peggio  delle  pubbliche  proprietà.  Era  un  pensiero 
terribile  questo  per  il  papa.  Questo  stato  degli  animi  in  corte 
di  Roma  fece  la  fortuna  del  Bassville.  Il  papa,  allo  scopo  di  in- 
graziarsi i  francesi,  o  almeno  di  disarmarne  p  scibilmente  l'ostilità, 
fece  togliere  all'ingresso  del  Bassville  in  Roma  tutte  quelle  diffi- 
coltà che  solevano  opporsi  in  generale  ai  fiancesi.  Egli  entrò 
senza  passaporto  e  senza  che  neanche  sì  sottoponesse  il  suo 
legno  alle  solite  visite;  entrò  insomma  da  trionfatore.  Nella  popo- 
lazione romana  poi  e  nella  colonia  francese,  l'arrivo  del  Bassville 
in  Roma  produsse  impressioni  divers'ssime,  secondo  i  diversi 
umori.  Egli  s'installò,  come  abbiamo  dal  Silvagni,  *  presso  il  ban- 
chiere Moutte,  che  allora  fungeva  da  console,  e  la  cui  abitazione, 
che  era  al  palazzo  Palombara  dietro  Montecitorio,  soleva  essere 
il  ritrovo  di  tutte  le  teste  calde  indigene  e  forestiere  che  spasi- 
mavano per  le  novità  di  Francia.  Per  costoro  l'arrivo  del  Biss- 
ville,  che  si  poteva  considerare  come  il  rappresentante  della 
rivoluzione,  era  una  fortuna  insperata.  Il  Moutte  diede  in  suo 
onore  un  gran  pranzo,  "  al  quale  invitò  molti  signori  romani,  fra 
i  quali  vediamo  figurare  il  banchiere  Torlonia,  la  Chiaveri,  che 
poi  diventò  sua  moglie,  Bischi  e  sua  moglie  Vittoria,  notissimi  per 
la  loro  influenza  e  per  le  loro  dilapidazioni  sotto  Clemente  XIV  ; 

^  Opera  citata,  pag.  408. 

*  A  quel  pranzo  furono  fatti  molti  calorosi  brindisi  e  si  distribuirono 
coccarde  tricolori.  In  relazione  ad  esso  l'abate  Berardi  improvvisò  quella 
sera  stessa  al  caffé  del  Veneziano  il  seguente  sonetto,  che  è  riportato  dal 
Silvagni  nella  sua  opera. 

Otto  coccarde  dispensò  Bassville 
Fra  Torlonia,  Moutie  e  quattro  sceme, 
Spera  che  sian  della  discordia  seme 
£/  sian  di  libertà  laute  faville. 

Più  d'un  Tersile  già  si  crede  Achille 
E!  di  libero  orgoglio  avvampa  e  freme, 
là  '  quattro  matte  d'alta  gloria  han  speme 
Quasi  sian  quattro  vergini  Cammille. 

Di  si  scelto  drappel  superbo  ed  ebbro 
Già  Bissville  minaccia  onte  e  strapazzi 
Al  Danubio,  al  Tamigi    al   Reno,  aH'Bbro  : 

E  scrive  alla  Repubblica  di  pazzi 
Che  per  seguaci  ritrovò  sul  Tebro 
Quattro  fetide  f  ...  e  quattro  e  ... 


L  SECONDO    LE   RECENTI   PUBBLICAZIONI.  45 

^B  il  signor  Matera,  che  fu  più  tardi  compili ian te  della  guardia 
nazionale;  gli  av-vocati  CosUin'ini  e  G.\glieffi,  due  futuri  tribuni; 
ii  conte  Accorimboiii,  la  signora  Vullaiubrini,  Camillo  Massimi; 
il  prÌQcipe  di  Santa  Croce,  figlio  dell'amica  intima  del  cardinale 
Bjrrois;  p>i  i  francesi  Bisivdle,  Fl:)tte,  de  Bure  de  Villiers  e 
Araaury  Duval.  Anche  per  i  francesi  alieni  dnlla  politica,  viag- 
g  atori  oì  artisti,  TarriTo  del  Baosville  era  una  fortuna,  perchè 
speravano  da  lai  protezione  nei  casi  che  potevano  sorgere.  Per 
gli  emigrati  poi  il  sa>  arr  vo  era  stAto  il  segnale  di  un  vero 
terr.)re;  credevano  di  vedc-e  al  suo  seguito^ la  rivoluzione;  essi 
preparavano  le  1  >ro  valigie  per  mettere  al  sicuro  le  loro  per- 
sone e  le  sostanze,  e  facevano  lo  stesso  principi  romani  e  car- 
I  dina  i  che  invaiava  un  egnal  terror**. 

Il  Biissville  vide  subito  io  che  f  ivorevole  posizione  si  trovava 
e  8»?ppe  tram?  profitto.   ('  ••  visto,  egli  non  aveva  nessuna 

qualità  ufficiale;  non  eri  j  che  di  una  lettera  di  ringra- 
ziamento del  Mackaa  al  segretario  di  Slato  2^lada,  por  la 
libi-rtÀ  accordata  ai  frinc««i  Ratter  e  Chìnard.  Il  BassviUe  ai 
prt-^t'ntò  al  cardinale*.  •'  ■•■■  tle  avrebbe  potuto  benissimo  non 
ri  •  erto;  ma  ne  n«  .  !>enc.  Il  faniastna  dt^'lla  flotta  fran- 
cese era  on  terribile  spauracchio  ia  corte  di  Roma.  Bsasvillo 
'           •  y  '    «                  '  t.  ,^j^   come    Mmplice 

:;»  eterna.  Agjpunso 
però  quilche  accenno  politico;  ^li  fece  notare  che  lo  difficoltà 

"      "  trio 

--    -.    :.. -.  --    ...      i ---.4-    :.--:..        i.^i.  ,..u'SO 

che  que<t'f>s«emaionu  reni-ae  romonicala  al  Papa,  a  cosa  che 

•  ta  nel  caso  che  la  Dazione 

Qurat'uliimo  ncccMino  n«>n  «  va  latto  a  caso.  Ilastville  credeva 
che  in  corte  di  Itinta  n«n  ti  aagurasee  di  meglio  che  di  rodere 
•i  ^'  -       -  r      ,.^g|,^  Il  quii|„   fo4,^   come  aoa 

i^  '  ,^>io  di  ostilità;  e  dal  suo  oanlo 

il  Ba^evìHe,  che  agognava  per  ai  qtiol    posto,    cotninoiava  sin 
•1'  •  ■  i   tupenori 

'••  *  --      , , '-'  '■  «rrogame, 

il  tQfie  ehe  I  rivoluzionari  francesi  u«>ino  per   mh  e  impongono 

are  lo  ra^oni| 

•    •• '.  •  •  '        avenirnae, 

ni  .l.roro,  A  II  Utilità;  l»odir«.  Un 

frane-  M  -  h  arrestato?  lUssvilie  uè  eeifa  la  liberazione  e  scrive 


46  UGO    BASSVILLE    A    ROMA 

a  Zelada:  «  Prcnez  garde  aux  crimes  des  subalternes  qui  am- 
plifient  Oli  exécutent  d'  une  infinière  indecente  les  ordres  qui 
ils  re^oivent  des  rainistres  de  Sa  Sainteté.  n  Un  altra  volta  Bass- 
ville  fa  a  Zelada  u  l'historique  de^  fourberies  d'Acton,  n  il  primo 
ministro  delle  Due  Sicilie.  Poi  esige  che  si  noghi  il  soggiorno 
in  Roma  al  barone  Talleyrand,  ex  ministro  francese  a  Napoli: 
u  La  présence,  scrive  Bassvilla  al  suo  ministro  Lebrun,  des  mau- 
vais  citoyens,  ne  doit  pas  souiiler  la  vue  des  fonctionnaires 
publics.  n  Altra  volta  esige  l'espulsione  di  questo  o  quell'emi- 
grato. Si  diverte  anche  a  tormentare  le  «  signorine  Capet  n  che 
abitavano,  il  palazzo  dell'  ambasciata  di  Francia,  subornando 
contro  di  esse  il  loro  seguito  e  la  loro  gente  di  servizio. 

Nel  con  lursi  a  questo  modo  p3rò  il  Bassville  non  solo  non 
andava  oltre,  ma  stava  piuttosto  indietro  alle  istruzioni  che  ri- 
ceveva da  Parigi.  Ecco  in  che  stile  il  ministro  Lebrun,  a  pro- 
posito dell'affare  Ratter  e  Chinard  scriveva  jil  cardinale  Zelada: 

u  Je  congois  que  tourmentés  pir  la  crainte  que  les  peuples 
que  vous  teuez  assarvis  sous  le  joug  de  li  superstition,  de  l'igno- 
rance  et  du  fanatismo  ne  soient  tentés  de  faire  l'essai  des  dou- 
ceurs  de  la  liberto,  il  entre  dans  vos  principes  d'anéanfr  tous 
ceux  qui  ont  le  courage  de  détester  les  dospotes  et  le  despo- 
tisrae,  mais  cotte  morale  des  tyrans  ne  peut  jamais  étre  celle 
di  un  peuple  libre,  n  Lebrun  esige  adunque  la  liberazione  di 
Ratter  e  Cliinird;  se  no  u  la  République  se  fera  just  ice  à  elle 
mème  en  déployant  la  force  des  armes  et  en  portant  le  fer  et 
la  fiamme  dins  un  terre  où  les  hommes  ne  regoivent  depuis 
trop  longtemps  que  des  outrages.  n 

Alla  Convenzione  di  Parigi  e  nella  stampa  di  quella  capitale 
il  linguaggio,  che  non  ha  bisogno  di  freno  ufficiale,  è  naturalmente 
più  violento.  Prudhomme  scrive  nel  suo  giornale  che  bisogna 
andare  a  Roma:  «Il  n'est  pas  contro  le  droit  des  gens  d'aliar 
nous  emparer  de  la  personne  du  Pontife  et  sur  sa  haquenée  de 
lui  faire  prendre  le  chem'n  de  la  France.  Pie  VI  assisterà 
Louis  XVI  à  ses  derniers  moments.  Ce  serail  un  spectacle  édi- 
fiant  et  digne  de  la  Revolution  qu'  un  Pape  servant  de  confes- 
seur  à  un  roi  sur  l'échafaud.  n  Altri  giornali  che  seguono  la 
corrente,  dicono  p'ìi  e  peggio. 

Questa  corrente  è  impossibile  non  seguirla;  se  no,  si  rimane 
travolti.  Bassvi  le  lo  sa.  Qualcuno  sussurra  a  Parigi  u  qu'  il 
n'est  pas  à  li  hauteur  de  la  situation  n  monitorio  terribile  in 
quei  momenti  ;  ma  Bassville    non   tarda  cogli  atti  suoi  a  dissi- 


SECONDO   LE   RECENTI   PUBBLICAZIONI.  47 

pare  ogni  sospetto  e  a  rassicurare  i  rivoluzionari.  Egli  chiede 
ed  ottiene  ogni  cosa  a  Roma:  la  liberazi  ine  di  questo,  l'incar- 
cerazione di  que'lo,  rivocazioni  di  decreti  e  di  sentenze,  pas- 
saporti per  chi  vuole  e  quanti  vuole.  Il  papa  interdisce  i  diver- 
timenti carnevaleschi  e  prescrive  invece  degli  esercizi  religiosi 
e  delle  prediche?  Ecco  Bassville  che  l'a  ammonire  dal  cardinal 
Zelada  i  predicatori  —  che  il  Bassv  Ile  chiama  charlatans  en 
surplis  —  di  guardarsi  bene  dal  lanciare  attacchi  alla  Repub- 
hlica:  —  Si  non,  le  ma*elot8  de  la  flotte  pourraient  bien  deman- 
der  à  leurs  officiers  la  permtssion  de  venir  au  sermon.  Minaccia 
terribile  e  di  sicuro  effetto!  I  predicatori  sono  avvertiti.  Bass- 
ville  fa  mettere  in  libertà  persino  certi  avignonesi,  come  il  mar- 
chese de  la  Foncega,  il  che  da  parte  del  governo  pontificio 
costituisce  un  quasi  abbandono  dei  suoi  diritti  di  sovranità  su 
quel  contado.  Fa  cacciare  da  Roma  Talleyrand,  la  sua  bestia 
nera,  e  chiudere  le  porte  della  città  al  conte  di  Narbonnc  Fritz- 
lar,  l'eroe  della  guerra  dei  setti  anni,  nipote  del  cardinale  Ber- 
nis,  il  quale  desiderava  di  trovare  in  Roma  an  asilo  e  un  pane 
che  ^i  era  venuto  m/incando.  BaM^ille  non  incontra  più  nessun 
ostacolo;  la  Corte  di  R^tma  si  fe^  a  tutto.  Il  fantasma  della 
flotta  francese  nelle  acque  del  Tirreno  poteva  tanto  su  di 
lei  da  farle  perdere  ogni  sentimento  dì  fierezza  e  della  dignità 
propria. 

V.  ^ 

Ma  le  cose  doroTano  presto  cambiare.  Verso  il  fine  di  di- 
cembre arrivò  in  Roma  da  Napoli  il  cittadino  de  Flotte,  mag- 
giore di  vascello,  portatore  di  nil^  circolaro  del  ministro  della 
marina,  Monge,  U  quiile  prescrireva  ai  consoli  di  sostituire  so- 
pra le  porte  dei  Itro  uffici,  allo  stemma  coi  gigli,  un'insegna  col- 
l'efTì  '  "a  Repubblica.  Digne,  che  disimpegnava  in  quel  tempo 
le  t  di  console  francese  in  Rims,  avrebbe  voluto  aspet- 

tare  a  dare  eseciuione  a  quell'ordine,  tanto  più  che  il  ministro 
soggiungeva  nella  circolare  di  tener  calcol  i  in  questo  delle  con- 
renienae  o  delle  ragioni  di  opportunità.  Su  non  eho  Biissvillo, 
che  aveva  continuamente  alle  funi  il  de  Flotte,  il  quale  era  una 
testa  anche  più  calda  di  lui  e  che  quaii  a  sfidi  dello  autorità 
papali  aveva  fatto  un  ingnsto  teatrale  in  Roma  al  suono  della 
marsigllrso  e  colla  coccarda  tricolore  al  cappello,  non  volle  sa* 
pere  di  dilazioni.  Egli  fu  subito  da  "ZuLida  a  informiirlo  della 


48  UGO    PASSVILLE    A   ROMA 

novità  che  si  voleva  eseguire,  invitandolo  marcatamente  u  k 
prendre  les  precautions  nécessaires  pour  que  le  canaille  sacerdo- 
tale fit  respecter  le  signe  sacre  de  notre  régénération.  n  Al  Corso 
e  perfino  in  Vaticano,  con  gran  scandalo  del  Papa  e  dei  Car- 
dinali, Bassville,  Flotte  e  il  loro  seguito  si  presentavano  sempre 
incoccardati.  All'Accademia  francese  Flotte  aveva  fatto  abbat- 
tere la  statua  di  Luigi  XIV  e  sostituirvi  il  busto  di  Bruto. 

Bassville  si  vantava,  nelle  lettere  al  suo  ministro,  di  tutte 
queste  novità  come  di  un  gran  servizio  che  rendeva  al  governo 
della  Repubblica.  Inoltre  gli  sottoponeva  un  progetto  di  spedi- 
zione colle  truppe  del  re  di  Napoli  contro  Roma,  che  avrebbe 
avuto  per  quadro  finale  l'arresto  del  Papa  e  il  suo  invio  a  Parigi 
u  per  consolare  gli  ultimi  momenti  di  Luigi  XVI,  come  desiderava 
l'amico  Prudhomme.  n  E  a  completare  l'opera  sua  preparava, 
come  egli  si  vanta,  d'  accordo  con  un  nucleo  di  romani,  la 
rivoluzione  nella  città  eterna. 

Se  non  che,  ecco  che  l'S  gennaio  Bassville  riceve  per  mezzo 
del  cavalier  d' Azara,  inviato  spagnuolo,  un  promemoria  della 
cancelleria  pjntificia  per  il  console  di  Francia  in  Roma,  nel 
quale  il  governo  del  papa,  dopo  di  avere  fatto  l'enumerazione 
di  tutti  i  torti  e  oltraggi  ricevuti  dai  rivoluzionari  francesi,  se- 
gnatamente quella  degli  stemmi  dei  consoli  pontifici,  abbattuti 
e  vilipesi  in  molte  città  della  Francia,  finisce  con  dire  che  si 
oppone  risolutamente  a  che  si  innalzino  in  Roma  gli  stemmi  della 
così  detta  Repubblica  francese.  Digne,  che  era  il  console,  al  quale 
il  Pro-memora  poìitificio  era  rivolto,  e  che  per  naturale  pru- 
denza, 0  per  la  nessuna  fede  ch'egli  aveva  nelle  disposizioni 
rivoluzionarie  dei  romani,  sconsigliiva  le  progettate  novità,  non 
fu  voluto  ascoltare  da  Bassville.  Egli  informò  immediatamente 
della  cosa  il  ministro  Lebrun  e  il  de  Mackau. 

Mackau,  presa  la  cosa  sotto  la  sua  responsabilità,  approvò  in- 
teramente ciò  che  avevano  fatto  a  Roma  Flotte  e  Bassville.  Anzi 
rimandò  immediatamente  a  Roma  il  Flotte,  che  si  trovava  al- 
lora in  Napoli,  munendolo  di  due  lettere,  una  per  Digne  e  l'altra 
per  il  cardinal  Zalada.  Colla  prima,  Mackau  ord  nava  peren- 
toriamente a  quel  console  di  innalzare  entro  ventiquatt'ore  lo 
stemma  della  libertà.  Se  mai  esso  veniva  abbattuto  dalla  forza, 
egli  doveva  lasciare  subito  Roma  e  rifugiarsi   a  Napoli. 

La    lettera   del   Mackau,    della    quale  il  Masson  *    sostiene, 

*  Appendice  all'opera  citata,  pag.  261. 


SECONDO  LE  RECENTI  PUBBLICAZIONI. 

del    tenore 


40 


contro    il    Vìcchi,    la  perfetta    autenticità,    era 
guente  : 

u  Naples,  le  lOjanvier  1793,  an  II  de  la  République  fran9aise. 

u  Monseigneur,  j'avais  donne  à  Votre  Eminence  des  preuves 
de  sentiments  pacifiques;  je  suis  fàché  qii'elle  me  force  à  leiir 
donner  un  autre  caractère.  Au  nom  de  la  République  et  sur 
ma  responsahilité,  j'ordonne  au  Consul  de  France  de  piacer, 
dans  les  vingts  quatre  heures,  l'écusson  de  la  liberté.  Si  on  ose 
j  mettre  opposition,  si  un  fran9ais  est  outragé,  je  vous  promets 
la  vengeance  de  la  République.  Je  tiens  toujours  parole,  mon- 
seigneur,  et  la  confiance  dont  mon  pays  m'honore,  sera  toujours 
employé  par  moi  à  son  bien  comme  à  sa  gioire,  n 

Oltre  a  queste  due  lettere,  il  Flotte    ne  portava  una  terza 
per  Baasville,  che  il  Masson  dice  di  non  aver   potuto   trovar, 
ma  della  quale  si  può  facilmente  immaginare  il  tenore.  BaaevìlK 
fece  subito  chiamare  a  se  quattro  fra  i  pittori  francesi  (he  si  tro- 
vr.vano  ancora  a  Roma  e  li  incaricò  di  "  re  in  giornata  lo 

stemma  repubblicano  per  metterlo  il  gi'  :  .  pò  sulla  porta  del 
consolato  francese.  Poi  lai  e  il  de  Flotte  furono  dal  Zelada  a 
informarlo  della  risoluzione  pre^a  e  a  dirgli  :  u  qae  si  l'on  vou- 
lait  apportcr  quelquo  obstacle  à  l'érection  du  nouvel  écosion 
•  il  en  coótcrait  à  Rome  une  guerre,  qui  eerait  ioutenne  par  une 
nombreuse  armée  et  qui  aurait  pour  conséquence  nécessaire  la 
destruction  de  Rome  dont  il  ne  resterait  plus  picrro  sur  pierro  '.n 
Zelada  rispose  con  grandissima  moderazione,  limitandosi  a  diro 
che  Roma  era  aotto  la  protezione  di  Dio;  egli  oppose  il  diritto 
delle  genti,  la  volontà  della  nasiono  e  rimandò  Flotto  e  Basa- 
villo  al  14  gennaio,  che  in  quel  giorno  soltanto  avrebbe  potuto 
▼edere  il  papa  e  informarlo  della  cosa.  Intinto  doveva  rimanere 
fermo  il  tenore  del  l^romemorta  pontificio  che  suonava  proibi- 
zione assolata  di  inalaare  gli  stemmi  della  Repobblica. 

Cos'era  venato  a  determinare  nella  Corte  di  Roma  questa 
inaspettata  resistenza  iu  luogo  della  arrendcvolesxa  di  prima V 
Egli  è  che  una  violenta  tempesti 


èva  poco  prima,  il  17  di- 
cembre, sorpresa  e  dispersa  la  flotta  francese  comandata  dal 
contrammiraglio  I^touche  che  si  trovava  dinanzi  al  golfo  di 
Napoli  in  via  verso  Cagliari,  dove  doveva  raggiungere  la  divi- 
sione del  contrammiraglio  Truguet.  Alcuni  legni,  fra  i  quali  il 

'  Dalla  Belstione  pontificia,  eh*  é  in  quenta  parte  psrfBttsments  eoo- 
foriM  a  qasUs  dM  raeeoata  11  Flotte  stssso  asl  sao  G»syle>r«MlH  à  tÀt- 
mmblU  tMtfMMir,  Paris,  Oifooarl 

Vo«..  XL,  SOTto  11  —  t  Laglto  IMS  i 


50  UGO    BASSVILLE   A   ROMA 

Languedoc,  che  era  sotto  il  comando  dello  stesso  maggiore  Flotte, 
nostra  conoscenza,  ne  erano  stati  così  malconci  da  non  potere 
pia  per  qualche  tempo  tenere  il  mare.  La  gioia  —  e  si  capisce 
il  motivo  —  era  stata  grandissima  in  Corte  di  Roma  e  in  tutti 
i  circoli  della  città  avversi  alle  novità  francesi.  Per  alcun  tempa 
almeno,  la  tempesta  di  Napoli  aveva  colla  flotta  disperso  anche 
il  fantasma  di  uno  sbarco  francese  a  Civitavecchia,  e  in  Vati- 
cano si  poteva  di  nuovo  mostrare  coraggio  e  alterezza. 

V'ha  di  più.  Quella  tempesta  avvenuta  proprio  al  momento 
che  le  prepotenze  francesi  a  Roma  erano  al  colmo,  non  poteva 
non  essere  riguardata  come  un  segnale  della  Provvidenza.  Il 
grido:  al  miracolo!  sparso  ad  arte  dai  preti  trovò  un'eco  potente 
in  mezzo  al  popolo,  il  quale  s'immaginò  allora  essere  più  facile 
e  doveroso  fiaccar  l'orgoglio  e  gli  insulti  dei  francesi  dal  mo- 
mento che  questi  erano  evidentemente  segnati  all'odio  e  alla 
collera  di  Dio.  Fin  qui,  all'infuori  di  casi  isolati,  non  erano 
avvenuti  scrii  conflitti  in  città;  ma  da  qualche  tempo  fermen- 
tava nel  basso  popolo  contro  i  francesi  un  sordo  malcontento 
foriero  di  ben  più  tragici  casi.  A  poco  a  poco  le  pretese  dei 
delegati  francesi  a  proposito  degli  stemmi  erano  venute  a  co- 
gnizione del  pubblico,  e  non  era  che  troppo  temibile  che  av- 
venisse in  Roma  ciò  che  era  succeduto  a  Civitavecchia,  in 
Ancona  e  in  altre  città  pontificie,  dove  il  popolo  insorto  aveva 
abbattute  le  bandiere  e  gli  stemmi  della  Repubblica.  Per  pes- 
simo (jhe  sìa  un  governo,  esso  non  manca  mai  di  aderenti  in 
questa  o  in  quella  classe  del  popolo  quando  si  tratta  di  difen- 
derlo contro  le  prepotenze  dello  straniero.  Nel  nostro  caso,  tutta 
fa  pretaglia,  l'infinito  sciame  di  servitori  ch'essa  si  traeva  dietro, 
e  i  caporioni  di  Trastevere,  sempre  pronti  a  mettere  a  prezzo 
la  loro  mano  in  un  fatto  di  sangue,  erano  per  il  Papa  contro 
i  francesi.  Le  incaute  parole  di  :  guerra  e  8terminio  a  Roma!  che 
Flotte  e  Bassville  pronunziarono  nelle  anticamere  del  Vaticano, 
uscendo  dall'udienza  del  cardinal  Zelada,  riportate  e  diffuse 
dal  servi dorame  che  le  ascoltò,  nel  basso  popolo,  vi  scatenarono 
l'odio  e  la  sete  della  vendetta.  Della  materia  infiammabile  se 
n'era  sparsa  anche  troppa  e  una  catastrofe  era  vicina. 


SECONDO   LE   RECENTI    PUBBLICAZIONI. 


VI. 


5t 


L'udienza,  nella  quale  Bassville  aveva  dichiarato  al  cardinal 
Zelada  che  entro  ventiquattro  ore  avrebbe  fatto  innalzare  al 
Consolato  francese  il  nuovo  stemma  della  Repubblica^  areva 
avuto  luogo  il  12  gennaio.  Il  13  seguente  si  annunziava  adunque 
come  un  gran  giorno.  La  notizia  del  fatto  che  si  preparava 
era  stata  diffusa  nel  popolo,  il  quale  sapeva  che  i  nuovi  stemmi 
si  preparavano  all'Accademia  di  Francia  e  che  verso  sera  sa- 
rebbero stati  trasportati  di  colà  per  collocarli  alle  porte  del 
Consolato.  Epperò  già  fin  dalle  tre  pomeridiane  gran  quantità 
di  basso  popolo  armato  di  pietre  e  di  bastoni  prendeva  la  via 
di  Trinità  dei  Monti.  Giunti  alla  porta  deirAccademia,  fona- 
rono l'ingresso,  e  fu  fortuna  se  gli  artisti  francesi  che  vi  lavo- 
voravano  poterono  andarne  colle  persone  salve. 

Ma  accadeva  di  peggio  in  altra  parte  della  città.  Baatville, 
accompagnato  da  quel  suo  mal  genio  del  Flotte,  da  Amaurjr 
Duval,  suo  segretario,  dalla  cittadina  Bassville  e  da  un  tuo 
piccolo  bimbo,  usci  in  vettura  scoperta  da  una  scuderia  proMO 
il  Quirinale  per  una  paMeggiata  sul  Corto.  Meno  Bassville, 
che  la  relazione  francete  del  signor  Mackau  sostiene  aaai  che 
non  fosse  alla  passeggiata,  ma  in  casa  Moutt<*,  tutti  erano  ri- 
stosamente  incoccardati  compreso  il  bambino  Bassville,  ohe  te- 
peva  in  mano  una  bandiera  repubblicana,  cho  però,  secondo 
qualcuno,  non  sarebbe  stato  cho  il  fazzoletto  di  sua  madre.  La 
folla  in  quell'ora  al  Corso  era  molta,  e  non  in  attoggiameBlo 
benevolo  verso  i  francesi.  Pare  però  ch'essi  abbiano  potalo 
fare  tranquillamente  un  tratto  di  Corto.  Ma  a  misura  che  la 
carrozza  avanzava,  il  brontolio  nella  folla  si  faceva  vivo;  poi 
vennero  parole  di  scherno,  fitohi  tenori  e  testate.  Giunti  in 
Piazza  Colonna,  il  tumulto  e  il  pericolo  diventarono  maggiori. 
Diw  {)rctuc>oli  che  colà  si  trovavano  sì  misero,  quasi  ve  ne 
fo85c  stato  bisogno,  ad  aizzare  la  folla,  gridando:  AmmatMa, 
ammana  questi  cani  di  franeui!  '  Flotte  avrebbe  voluto  rifare 


>  La  relssioa«  pontiflda.  ossia  Pro0tftmoria  per  ii  CamtoU  di  iVaiMte 
orca  »!  fatto  d^l  18  gennaio  /7M,  «kt  fa  stampata  in  qatll'  aaae  sCasio 
par  ordiM  dalla  Corta  di  Berna,  tssUtiis  elM  i  fraaetsi  iht  erana  atUa 
eerrooM  spararono,  giwti  kt  piatta  Ctloaas,  ■■  eo^  41  pititla  sella 
Mia.  Httaado  0  Maekae  (atUa  lelttioee  M  tee  aiyoit  Fitte  ielsret  a 
qad  Iktto)  qeei  eol^  di  pistola  secebbt  stoto  la  rttposto  ad  «a  altte  ohe 


52  UGO    BASSVILLE    A   ROMA 

il  Corso,  ma  il  cocchiere  che  era  giunto  all'imboccatura  della 
via  che  conduceva  a  casa  Moutte,  meglio  avvisato,  vi  infilò  i 
cavalli.  La  vettura  fu  seguita  dalla  folla,  che  vi  scaricò  sopra 
una  tempesta  di  sassi;  però  nessuno  fu  colpito.  La  vettura  potè 
penetrare  nella  porta  dì  casa  Moutte  che  fu  immediatamente 
sbarrata  in  faccia  al  popolo  infuriato. 

Con  questo  però  il  pericolo  non  era  cessato.  La  folla,  ri- 
masta lungamente  urlante  e  minacciosa  fuori  di  casa  Moutte, 
senza  che  la  forza  pubblica,  o  fosse  impotenza,  o,  come  è  più 
probabile,  malvolere,  intervenisse  in  tempo  a  imporle  freno, 
aveva  finito  per  forzare  ad  abbattere  le  porte,  e  rovesciarsi 
assetata  di  sangue  e  di  vendetta  negli  appartamenti  alle  grida 
di:  Viva  S.  Pietro!  Viva  il  papa!  Viva  il  re  di  Francia! 
Abbasso  le  coccarde!  Morte  ai  Giacobini!  Gli  incidenti  tutti 
poi  del  dramma  che  avvennero  entro  quelle  pareti  riesce  im- 
possibile conoscerli  con  precisione.  Questo  solo  è  accertato, 
che  il  de  Flotte  fin  dal  principio,  abbandonando  Bassville  al 
suo  destino,  s'era  fatto  calare  per  mezzo  d'una  corda  da  una 
finestra  in  un  cortile  sottostante,  dove  se  ne  stette  tappato  per 
sette  ore  angosciosissime  senza  trovare  un  mezzo  di  uscita.  Il 
Bassville  che  non  aveva  voluto  seguire  Flotte  in  quella  discesa, 
credendola  un  tentativo  di  salute  inutile,  era  rimasto  con  Duval 
in  una  camera,  dove  cercava  di  barricarsi  alla  meglio.  Ma  era 
stata  una  vana  fatica  ;  la  folla  irruppe  abbattendo  la  barricata. 
Duval  e  i  domestici  si  salvarono,  chi  fuggendo  di  stanza  in 
stanza  e  chi  buttandosi  anch'essi  per  la  fune.  Bassville,  che 
volle,  pare,  difendersi,  fu  ferito  mortalmente  ai  basso  ventre 
da  uno  della  folla,  poi  trascinato  seminudo  per  le  scale  e  per 
le  vie  a  lubidrio  del  popolo.  * 

un  romano  aveva  tirato  sul  cocchiere.  Però  Duval,  che,  come  s'è  visto,  si 
trovava  anche  lui  nella  carrozza,  nega  «  dinanzi  a  Dio  e  agli  uomini  >  il 
fatto,  non  avendo  né  lui,  né  alcuno  dei  suoi  amici,  arma  da  fuoco  in  tasca. 
Come  venire  in  chiaro  della  verità  in  mezzo  a  cosi  opposte  asserzioni  ?  Sembra 
però  più  credibile  l'asserzione  del  Duval,  il  quale  avrebbe  avuto  interesse 
ad  allegare  una  provocazione  da  parte  della  folla;  non  vi  saranno  stati 
spari  di  pistole  né  da  una  parte  né  dall'altra. 

'  In  questa  narrazione  concordano,  in  fondo,  le  relazioni  Fitte  e  Duval 
che  intorno  a  questo  punto  sono  credibilissime. 

Ben  più  difficile  è  il  conoscere  la  verità  intorno  alle  peripezie  alle  quali 
andò  in  quelle  ore  angosciose  soggetta  la  signora  Bassville  e  suo  figlio 
Flotte  dice  che  avrebbe  voluto  morire  difendendola,  ma  che  non  lo  potè 
fare  perchè  aveva  trovata  chiusa  la  porta  dove  suo  marito  l'aveva    nasco- 


SECONDO    LK   RECENTI   PUBBLICAZIONI. 


53 


Ma  con  che  arma  fu  ferito  Bassville  e  chi  fu  il  suo  assas- 
sino? Anche  qui  la  difficoltà  di  conoscere  il  vero  si  presenta 
pressoché  insuperabile.  Il  console  Digne  dice  che  Bassville  fu 
ferito  con  un  a  colpo  di  rasoio  r?  al  basso  ventre;  Varon,  con 
un  colpo  di  baionetta  assestatogli  da  un  soldato.  Amaury  Du- 
val,  che  abbiam  visto  fuggente  di  stanza  in  stanza  per  sottrarsi 
alla  furia  della  plebaglia,  riferisce  che  la  ferita  dì  Bassville 
era  di  baionetta,  senza  aggiungere  che  l'autore  ne  sia  stato  un 
soldato.  La  relazione  della  Curia  romana,  che  il  Vicchi  copia, 
dice  —  cauta  ed  evasiva  anche  in  questa  minuzia  importante 
—  che  fu  un  colpo  di  arma  bianca.  Il  Fitte,  che  doveva  subire 
l'ispirazione  del  Mackau,  di  cui  era  segretario,  dice  anch' egli  che 
Bassville  fa  ferito  da  un  soldato  con  un  colpo  di  baionetta. 
Quest'ultima  versione  dovrebbe  essere  la  vera,  tanto  più  che 
l'ispezione  della  ferita  fatta  dal  dottor  Bussanì,  che  curò  il  Bass- 
ville, la  farebbe  credere  appunto  effetto  di  un  colpo  di  quel- 
l'arma. Si  aggiunge  anche  che  il  Bassville  stesso  morente  ebbe  a 
confessare  di  essere  stato  ferito  di  baionetta  da  un  soldato,  quan- 
tunque sia  da  sospettarsi  che  questa  sua  confessione  possa  essere 
un'aggiunta  del  Fitte,  avendo  il  Bassville  precedentemente  di- 
chiarato di  non  voler  nominare  il  sno  assassino  per  non  fargli 
del  male  e  perchè   voleva  morire  perdonando. 

E  pure,  sapere  chi  sia  stato  l'assassino  del  Bassville,  varrebbe 
sapere  con  fondamento  in  qual  misura  la  Curia  e  la  Segreteria  di 

•t&.  Fu  allora  che  pensò  a  mettere  in  salvo  so  stesao.  La  relaxione  Pitta- 
SoacjT  dire  che  la  cittadina  Baasrille  eritò  la  morte  gettaudoai  in  masso  ai 
•noi  aaaaaalni  col  bambino  In  braeda  Essa  sUva  per  essere  immolata, 
quando  aoo  di  easi,  per  noa  ai  sa  qnal  ragione,  grida:  •  8e  la  lasciate 
nacire  non  ne  saremo  più  padroni.  »  Ed  eeeo  che  viene  rieondotta  in  un 
granaio  dove  aapetta  il  auo  destino  in  compagnia  del  figlio.  Dice  a  un  di 
presso  lo  steMo  il  de  Flotte  nella  sua  reiasione  in  baae  a  notiiie  che  dlsae 
r'^Tnministratigli  da  alenai  «fieialL  Ma  eeeo  eke,  a  sentire  la  testimoaiansa 
Il  cameriera  sterna  dalla  signora  Bassrille,  tutta  qneaCa  iragiea  mmwi  an- 

W9  In  fnmo.  Qnalla  eameriera  rilM  ehe  «  In  meno  a  tu''  lisor 

.  Moatte  ebbe  il  coraggio  di  naseondere  qaaUe  due  ivent  <  me  in 

loogo  dove  gli  saia  nini  non  potessero  penetrare;  giunU  I*  sera  ti  travesti- 
rono le  due  donne  da  soldati  e  si  salvarono  In  quecto  mml»  «lai  furore  del 
popolo.  •  Ed  ecco  infine  una  ralasione  diveraisaima  dalle  altre,  e  pia  at- 
traente e  romansesea  di  tutte.  Essa  è  del  Console  Digne.  Egli  raooociU 
ebe  l'infeUee  dttadina  Biaaville  si  (sttA  a'  piedi  del  popolo  per  imptorars 

ita  par  eaaa  e  per  il  ano  bambino.  Il  popolo  rispose  ch^  egli  non  ne 
>      -A  né  a  deaoe  ni  a  bambini,  ma  aolamenle  al  franeed,  e  aopratutto  a 

li  ehe  erano  veanti  a  portare  II  diaordine  e  la  dÌMorrli»  in  Koma.  Ora 
^1    it»  m  aetmere  il  varo  in  sMsao  a  varsionl  essi  disoerdanti. 


54  UGO   BASS  VILLE   A    ROMA 

■tato  furono  complici  in  queirassassinio.  Però  non  è  questo 
un  punto  di  importanza  assoluta  avendosi  indizi  e  prove  suflS- 
cienti  di  quella  complicità  se  non  nell'eccidio  del  Bassville  al- 
meno nella  sommossa  che  lo  determinò.  Las  Casas,  che  non  vuole 
essere  annoverato  fra  i  detrattori  della  Corte  di  Roma,  scrive  a 
d' Entraigues,  il  26  gennaio:  u  A  l'arrivée  de  Flotte,  le  12,  le 
Pape  fttt  averti  des  ordres  de  Mackau  dont  il  était  porteur.  * 
Le  Pape  prit  son  parti,  et  il  fut  tei  que  jusqu'à  présent  aucuh 
souverain  n'a  songé  à  s'en  servir.  Ce  fut  d'empécher  que  les 
armes  ne  fussent  placées,  mais  non  de  l'empécher  par  l'usage 
de  ses  forces,  mais  bien  de  se  servir  pour  cela  d'une  insurrec- 
tion  populaire.  Dès  qu'on  en  eut  vent,  le  13  à  midi,  on  fut 
lui  représenter  les  inconvenients  de  sa  décision;  il  fut  persuade; 
il  donna  des  ordres  pour  que  les  troupes  agissent  cotte  nuit-là 
dans  un  sens  plus  conforme  aux  prescriptions  que  doit  donner 
un  souverain,  mais  ce  fut  tard,  le  branle  était  déjà  donne  et 
la  machine  agit  avant  le  temps.  n 

Questa  accusa  del  Las  Casas  fu  poi  ripetuta  da  altri  scrit- 
tori, i  quali  l'accentuarono  più  o  meno  vivamente  a  carico  di 
determinate  persone.  Ugo  Foscolo  *  incolpa  apertamente  dell'as- 
sassinio del  Bassville  u  qualcuno  dei  più  audaci  ministri  di 
Pio  VI,  i  quali  non  potevano  soffrire  di  vedere  quel  giacobino 
propagare  in  Roma  i  principi  rivoluzionari,  n  Lo  stesso  Monti, 
che  pieghevole  sempre,  insofferente  della  rea,  alla  buona  for- 
tuna, non  credette  di  seguire  in  quei  giorni  il  Gianni,  il  Ce- 
racohi  e  molti  altri  fautori  delle  idee  del  Bassville,  sulla  via 
dell'esilio,  in  poche  tenere  terzine  consacrate  u  al  cener  sacro 
di  Bassville  trafitto  n  mette  chiaramente  in  colpa  dell'assassinio 
i  preti.  Egli  fa  dire  al  morente  Bassville: 

Fuggi,  fuggi,  che  barbare  e  infedeli 
Son  queste  terre,  e  d'uman  sangue  intrise 
L'are  di  Cristo  e  chiusi  gli  Evangeli. 

Di  là  mosse  la  turba,  che  commise 
Feroce   in    me   la  man    comprata  e  schiava: 
Vedi  la  piaga  che  il  tuo  fido  uccise. 

Il  Gianni,  noto  antagonista  del  Monti,  e  autore  di  un  poema 
intitolato:  Bonaparte  in  Italia,  rende  complici  dell'assassinio 
del  Bassville  il  cardinale  Zelada,  l' abate  Beltrani,  1'  alfiere  Pa- 

'  Cioè,  di  innalzare  gli  stemmi  repubblicani. 

'  Saggi  dì  crìtica  «toricchletteraria.  —  Firenze,  Le  Mounier  1862. 


SECONDO  LE  RECENTI  PUBBLICAZIONI. 


55 


lini,  riconosciuto  da  tutti  per   aver   dato  il  colpo    di    baionetta 
al  Bassville  e  che  di  lì  a  poco  fu,  appunto  per  questo,  promosso 
sergente  ;  monsignor  Barberis,  monsignor  Passeri  vice-gerente  e 
i  prelati  Albani  e  Malvasia,  il  primo,  uditore  di  Camera.  Nel  Ter- 
mometro politico  della  Lombardia,  che  cominciò  a  pubblicarsi  nel 
1796  si  trova  la  stessa  accusa  a  carico  delle  stesse  persone.  In 
un  numero  del  detto  giornale  si  parla  anche  di  un  certo  Evange 
listi  ex-impiegato  alla  segreteria  di  Stato  del  cardinale  Zelada  e 
che  avrebbe  avuto  colle  nominate  persone  ed  altri  romani  delle 
conferenze  allo  scopo    di    assassinare  il  Bassville.    Finalmente, 
—  non  spregievole  indizio  a  carico  della  Caria  —  sul  Corso  e  a 
poca  distanza    della    casa    del    Moutte    venne,  a  perpetuare  la 
memoria   dell'  assassinio,  posta  poco    dopo    il  fatto  l' iscrizione 
sotto  un  immagine  di  Madonna:  Per  te  ab   inimici^    nostrts  li- 
berati $uimu$f   iscrizione    che  non  fu  mai    tolta,    quantunque  il 
papa  passaiae  spesso  in  quella  via,  sia  a  piedi  sia  in  vettura. 
Da  tutto  questo  non  risulta  ancora  la  prova  della  complicità  diretta 
delia  Curia  nell'assassinio  del  Bassville,  ma,  checché  dicano  in 
contrario  il  Vicchi  e  il  Masson,  ve  n'è   più  che  a  sufficiensa  per 
mettere  in  sodo  la  sua  complicitit  morale  in  quell'eccidio.  Egli 
è  che  nei  delitti    politici  la    complicità    non    risulta    solamente 
dalla  cooperazione  più  o  meno   efficace  di  uno  o  più  individui 
all'atto  che  si  incolpa,  ma    anche    dal    malvolere  o  della    sem- 
plice trascuranza  da  parte  del  governo  dei  provvedimenti  propri 
ad  impedirlo.  Nel  caso  del  Bassville,  anche  non  tenendo  conto 
dell'accusa  del  I^as  Casas,  che,  cioè.  Pio  VI  abbia  egli   stesso 
AÌsaata  la  plebe  contro  i  francesi,    rimane  fermo  che  non  solo 
il  governo  pontificio  non  prese  nessun   provvedimento  per  ov> 
viare  ai  tumulti  da  tutti  preveduti,  ma  non  si  diede  nessun  pensiero 
di  reprimerli  quando  scoppiarono  e  lasciavano  temere  il  peggio. 
In    quei    momenti    il    cardinal'  Zelada,  se  si  deve  credere  a 
qualche  scrittore,  invece  di  essere  al  suo  posto   alla  segreteria 
di  Stato,   si    sarebbe  trovato   in    compagnia   di   alcuni  abati   e 
monsignori  in  via  dell'  Impresa,    in    una  casa  in  prossimità  di 
quella  del  Moutte,  per  eetere  cosi  in  fcrado  di  saper   meglio  e 
più  presto  ciò  che  avveniva  e  si  sapeva  che  doveva  avvenire. 
Quando  si  è  cosi  lasciato  libero  corso   alle   più  feroci  passioni 
della   plebaglia,  a  quelle    passioni    che    istigava    da    parecchio 
tempo  il  motto  d'ordino:  mortt  ai  francéti!  diramato  a  tutta  la 
pretaglia  di  Roma,  vi  hft  egli  buona  graaia  a  parlare,  a  discoi  pa 
della  Curia  romana,  delle  premure  del  papa  por  il  ferito  BmmvìHc 


56  UGO    BASSVIU^E    A    ROMA 

e  per  la  sua  famiglia,  della  disapprovazione  dell'  eccidio  fatta  per 
pubblico  editto  e  dell'ordine  di  inquirere  severissimamente  contro 
i  colpevoli,  cosa  questa,  del  resto,  che  non  venne  mai  seriamente 
fatta?  Gì  si  venga  a  parlare  della  ignoranza  e  della  ferocia 
della  plebe  e  della  tristizia  dei  tempi  che  non  permetteva  alla 
Curia  romana  di  serbare  un  resto  di  dignità  di  fronte  agli  in- 
trighi e  alle  prepotenze  veramente  intollerabili  del  Bassviile  e 
de' suoi  agenti;  tutto  questo  potrà  attenuare,  ma  non  cancellare 
hi  complicità  della  Curia  nell'eccidio  del  .Bassviile. 

Ora  torniamo  a  Bassviile.  La  ferita  ch'egli  aveva  ricevuta 
come  s'è  visto,  al  basso  ventre,  era  così  larga  che  ne  uscivano 
gli  intestini  ;  pure  il  suo  miserando  stato  non  indusse  a  pietà 
gli  assassini.  Un  branco  di  soldati  —  è  il  Fitte  che  lo  rac- 
conta, e,  testimonianza  più  autorevole  della  sua,  il  pittore  Me- 
rimée,  il  quale  vide  il  fatto  dalle  finestre  di  una  casa  vicina, 
dov'orasi  rifugiato  presso  alcuni  buoni  e  sicuri  amici  suoi  — 
presolo  pei  capelli,  lo  trascinarono  per  le  vie  in  mezzo  a  una 
grandine  dì  sassi  e  di  pedate  e  bruciandone  il  volto  con  tizzoni 
ardenti  •,  fatti  questi  confermati  poi  nella  relazione  del  dottore 
curante  Bussani,  che  constatò  il  corpo  e  il  volto  del  Bassviile 
tutto  contusioni  e  bruciature.  Il  buon  Masson  chiama  scioccherie 
(sottises)  queste  prodezze  dei  soldati  papalini.  Felice  lui!  Il 
Bassviile,  così  malconcio,  fu  portato  in  un  corpo  di  guardia  in 
via  Frattina,  dove  fu  curato  alla  meglio  dal  detto  Bussani  e 
dal  farmacista  Meli,  il  quale  poi  si  ebbe  per  questo  le  perse- 
cuzioni della  Curia.  Si  trovò  subito  sul  luogo  un  prete  Fischer, 
tedesco,  parroco  di  S.  Lorenzo  in  Lucina,  il  quale  lo  confessò 
e  gli  amministrò  i  sacramenti.  Ci  venne  anche  il  dottor  Flajani, 
chirurgo  del  papa,  mandatovi,  premurosamente  —  dice  la  rela- 
zione pontificia  —  da  Sua  Santità,  e  molti  abati  e  monsignori, 
non  si  sa  bene  se  per  buoni  motivi.  Il  povero  Bassviile,  fra  gli 
spasimi  che  gli  cagionava  la  progrediente  cancrena  e  in  mezzo 
all'orrore  del  luogo  tutto  pieno  di  scherni,  di  mali  trattamenti  e 
dalle  urla  e  minaccio  della  plebaglia  che  era  fuori  in  strada, 
spirò  il  giorno  dopo  dell'assassinio    alle  7  di  sera. 

Ve  qualche  incoerenza  in  ciò  che  disse  e  fece  il  Bassviile 
in  quest'ultimi  momenti,  secondo  almeno  le  versioni  dei  diversi 
narratori,  incoerenze,  del  resto,  facilmente  spiegabili  negli  ago- 
nizzanti. Il  povero  Bassviile  era  un  po'  anch'egli  nel  caso  del 
marito  di  madama  Schwerdtlein,  il  quale  mentre  dice,  nel  ran- 
tolo dell'agonia,  di  perdonare  alla  moglie,   trova  modo  però  di 


SECONDO    LE   RECENTI    PUBBLICAZIONI. 


57 


mandare  nello  stesso  tempo  al  suo  indirizzo  un  sacco  d' in- 
giurie "".  Bassville,  adunque,  disse  di  voler  perdonare  ai  suoi 
assassini,  e  bisogna  pure  che  lo  abbia  detto  se  il  preto  Fischer 
lo  assolvette  dandogli  i  sacramenti  compresa  l'estrema  unzione. 
Ma  eccoti  che  quando  il  Bassville  si  trova  solo  col  medico 
Bussani,  la  natura  coi  suoi  istinti  e  colle  sue  passioni  prende 
il  dì  sopra;  egli  dimentica  le  promesse  fatte  e  invoca  ven 'letta 
sui  preti,  dicendo  al  dottore:  Mon  chtr  docUuVy  il  in  a  fallu 
etre  victime  d' une  cabale  infame  de»  pretree.  Con  altri  Bassville 
cambia  intonazione  di  pensiero.  Al  prete  che  l'assisteva,  egli 
mormorava  vaneggiando:  Je  $ui*  la  victhM  d'un  fou,  quan- 
tunque per  verità  avrebbe  potuto  anche  servirsi  del  plurale, 
perocché  erano  matti  tatti  e  due,  Mackaa  e  de  Flotte,  ad  uno 
dei  quali  quelle  parole  certamente  si  riferiscono.  Del  resto 
Bassville  fece  testamento  in  piena  regqla,  manifoitando  senti- 
menti cristiani.  Abiurò,  seconda  che  aasìcara  il  padre  Fischer, 
i  dogmi  repubblicani,  cosa  che  crede  anehe  il  Masson,  e  il  Vicchi 
no,  per  qual  ragione  non  si  ul  Tutti  però  credono,  tuILi  fede 
della  relazione  pontificia,  che  Baasville  mori  pentito  reemplannmiU 
de'tuoi  peccatif  e  Io  credette  anche  il  Monti,  il  quale  verseggia 
che  a  Bassville,  appunto  in  grasia  di  qaetto  «no  pentimento 

Fu  rìmeMO  dal  eielo  ofnt  peccato, 

....  o  almeno  il  Monti /n«e  di  crederlo;  il  che,  in  fondo,  toma 
lo  stesso;  perchè  già  si  sa  che  U  finsiono  ò  la  realtà  dei  poeti. 

Bassville  fu  la  sola  vittima  in  quella  sommossa  del  giorno  18, 
se  si  eccettua  qualche  sfregio  fatto  ad  altri  francesi  e  qualche 
bastona'"-'  h'a  agli  ebrei,  contro  i  quali  la  popò  Iasione  aveva 
anche  i:  .  perchè  li  sospettava  favorevoli  al  Haatville  e 

alle  novità  franoesi.  Duval  e  do  Flotte  —  quett'ultimo  a  gran 
fatica  —  riuscirono  a  salvarf'.  Coti  pare  la  signora  Bassville 
e  U  sua  camerista,  che  esoirono  da  caaa  Moutte  travetti  te  da 
soldati.  Emì  partirono  poi  tutti  per  Napoli,  dove  Maokau  li 
aspettava  con  molti  altri  franco «i  a  braecia  aperto  e  dove  la 
cittadina  BaasTÌUr  si  consolò  di  II  a  poco  della  morte  del  ano 
compagno  «potando,  non  ricordo  bene  ae  canonicamente  o  no, 
il  segretario  di  Mackau,  Fitto,  autore  della  relasiono  più  volto 
citata.  Fr.i  1u  plcìii("1i!t  rnrnntii  fu  riguardato  come  una  grande 


•  V.  H  dialogo  frm  UvIittnUU  e  MarU  SekverdUela   osila   seeoa  del 


58  UGO   BASSVILLE  A   ROMA 

prodezza  il  Vespero  del  13  '.  I  tumulti  e  le  minaccie  contro  i 
francesi  continuarono  ancora  per  parecchio  tempo,  ravvivate 
specialmente  dopo  la  miseranda  fine  del  re  cristianissimo.  I  fran- 
cesi furono  obbligati  a  lasciare  Roma  tutti  fino  all'ultimo  recan- 
dosi chi  a  Napoli  e  chi  a  Firenze.  Soltanto  allora  si  ripristina- 
rono l'ordine  e  la  calma. 

VII. 

Bassville  deve  in  gran  parte  incolpar  se  stesso  del  triste  fatto 
che  lo  incolse.  Nel  diportarsi  com'egli  faceva  in  Roma,  sfidando 
in  unione  al  de  Flotte  col  contegno  e  cogli  atti  il  Governo  e 
la  popolazione  romana,  egli  andava  oltre  alle  intenzioni  e  alle 
precise  prescrizioni  del  suo  stesso  Governo.  Il  ministro  Lebrun, 
pur  lodando  il  suo  zelo,  gli  raccomandava  però  continuamente 
di  usar  prudenza  e  di  non  compromettersi.  Nell'afifare  capitale 
poi  degli  stemmi  repubblicani  voluti  innalzare  malgrado  l'op- 
posizione della  Curia,  Lebrun  disapprova  recisamente  l'operato 
di  Bassville,  come  si  vede  dalla  seguente  nota  giunta  in  Roma 
il  23  gennaio,  dieci  giorni  dopo  che  la  tragedia  aveva  avuto 
luogo.  Lebrun  scrive  a  Bassville  : 

u  L'événement  qui  a  donne  lieu  à  l'envoi  de  votre  courrier 
était  facile  a  prévoir.  Le  Pape  n'ayant  pas  reconnu  la  Répu- 
blique  fran9aise,  il  a  dù  lui  paraitre  extraordinaire  qu'on  sub- 
stitua  brusquement  aux  anciennes  armes  de  Franco  les  signes 
caractéristiques  de  la  République.  Avant  de  prendre  ce  parti, 
on  aurait  peut-étre  dù  pressentir  l'opinion  du  Cardinal  Segrétaire 

'  Il  Diario  di  Roma  non  disse  una  parola  sulla  sommossa  del  13.  Però 
se  tacquero  i  giornali,  piovvero  i  sonetti.  Il  Silvagni  ne  cita  molti  nella 
sua  opera.  Son  tutti  notevoli  per  un  tono  selvaggio  e  per  trivialità  di  espres- 
sioni. Il  grido  àxviva  la  religione!  vi  è  sempre  associato  a  quello  di:  morte 
ai  francesi  !  Eccone  uno  dei  più  caratteristici. 

L'atnbasciator  speziai  Monsiù  Maco, 
Che  in  Napoli  con  fasto  se  ne  sta, 
Un  lavativo  a  Roma  destinò 
Di  coccarde  francesi  in  quantità. 

Roma  un  tal  lavativo  rifiutò 
Percliè  bisogno  di  cristier  non  ba, 
E  per  provarlo  così  ben  cacò 
Che  TAccaderaia  e  il  pensionato  il  sa 

Di  gennaio  il  di  tredici,  oh  che  di! 
Bassville  sventurato  prese  in  sé 
Un  purgante  per  cui  se  ne  mori. 

La  Flotte  poi  se  la  passò  da  re  ; 
Dal  Gallinaro  mio  se  ne  fuggi. 
Vieni,  Maco,  che  ce  n'è  anche  per  te. 


SECONDO  LE  RECENTI  PUBBLICAZIONI. 


09 


d'Etat.  Cette  démarche,  que  les  convenances  et  la  prudence  com- 
mandaient,  était  nécessaire  pour  ne  pas  compromettre  la  di- 
gnité  et  la  sùreté  des  Fran9ais  établis  à  Rome....  n 

E  Lebrun  finiva  con  dire  che  era  prossimo  l' invio  di  un 
nuovo  rappresentante  francese  a  Roma^  che  era  il  Cacault,  e 
che  al  suo  arrivo,  lui,  Bassville,  avrebbe  dovuto  far  ritomo  al 
suo  posto  a  Napoli. 

Come  si  vede  la  disapprovazione  del  ministro  è  chiara  e 
decisa,  ed  egli  la  ripete  nelle  istruziomi  che  dà  al  successore 
di  Bassville,  Cacault.  Né  si  può  dire  che  le  istruzioni  del  mi- 
nistro sieno  venute  a  cose  fatte.  Lebrun,  come  ho  detto,  aveva 
già  in  più  incontri  raccomandata  la  prudenza  a  Bassville.  Del 
resto,  intomo  all'affare  degli  stemmi  vi  erano  le  disposizioni 
precise  del  ministro  della  marina,  Monge,  il  quale  diceva  nella 
circolare  da  lui  inviata  al  console  Dii^e,  che  la  sostituzione 
dei  nuovi  agli  antichi  stemmi,  doveva  essere  u  subordonnée 
aux  temps  et  aux  circostances.  n  In  caso  di  opposizione  della 
Curia,  il  console  doveva  limitarti  a  redigere  u  nne  proteatation 
en  forme  n  e  in  neasun  caso  doveva  permettersi  di  innalzare 
M  lea  noQveaox  emblèmea  par  la  force  ou  par  dea  monvemenla 
convolsifa.  «  Ma  il  Baaaville  istigato  dal  de  Flotte,  e  malgrado 
i  conaigli  insistenti  che  gli  dava  in 'contrario  il  console  Digne, 
volle  prender  d'assalto  la  piazza  e  si  ruppe  le  coma. 

La  posizione  del  Baaaville  in  Roma  era  già  molto  irregolare, 
la  prudenza  e  la  moderazione  non  sarebbero  che  stato  più  ne- 
cessarie. Quantunque  il  Bassville  già  praaao  a  morire  insista  nel- 
l'attribuirsi  la  qualità  di  incaricato  d' affari  e  il  Governo  fran- 
cese nella  vertenza  coi  il  suo  eccidio  diibde  luogo  costantemente 
glie  la  attribuisca,  pare  in  realtà  non  gliela  ai  può  ammettere. 
Egli  era  staio  ricevuto  dal  cardinale  ZeUda  «d  areva  trattato  con 
lai  di  intereaai  intemasionali  ;  però  queato  era  arrenoto  in  via 
afTatto  BOfioiaie  RaaayilU  ateaao  nel  primo  ooUoqaio  oim  ebbe 
col  Zelada  avera  detto  ch'era  Tenuto  a  Boma  come  viaggiatore 
e  studioso  delle  belle  arti,  né  era  atato  mai  ricevuto  dal  Papa. 
Del  resto,  regolare  o  irregolare  che  fosse  la  sua  carica,  ò  cosa 
nuova  che  un  rappresentante  straniero  abbia  o  si  prenda  la 
misiiiooe  di  portare  la  rivoluzione  nel  paese  dov'à  accreditato. 
Questo  lo  fanno  apesao  gl'ingleai  nell'Asia,  ma  ne  vanno  qualche 
volta  a  capo  rotto,  come  nel  caso  della  missione  del  maggiore 
Cavagnari  a  Cabul.  D'altra  parte  si  dove  anche  dire  che  un 
geremo  che  aizza  le  paasioni  popolari  per  liberarsi  da  uno  stra- 


co  UGO   BA.SSVILLE    A   ROMA 

niero  che  non  gli  fa  comodo,  è  un  governo  che  merita,  come 
quello  di  Shcre-Ali,  di  sparire  dalla  faccia  del  globo. 

Quando  giunse  a  Parigi  la  notizia  dell'eccidio  di  Basaville, 
fu  uno  scatenamento  generale  di  invettive,  di  contumelie  e  di 
minaccio  accesissime  contro  la  Curia  di  Roma.  Nessuno  più  pensò 
che  da  parte  dell'  inviato  francese  vi  potesse  essere  stato  in 
qualche  modo  torto.  Non  si  vide  più  in  lui  che  il  rappresentante 
di  un  Governo  che  aveva  bandita  la  libertà  nel  mondo,  immo- 
lato nella  città,  centro  dell'  ignoranza,  dell'  ipocrisia,  del  sanfe- 
dismo e  della  duplice  tirannia  politica  e  sacerdotale.  In  tutti 
gli  atti  del  Governo  francese,  quasi  sempre  notevoli  per  uno 
stile  pomposo  e  declamatorio,  a  Bassville  vien  sempre  data  la  qua- 
lità ufficiale  di  rappresentante  della  Repubblica  a  Roma  ed  as- 
severato che  la  fine  sua  fa  una  violazione  del  diritto  delle  genti. 
La  Convenzione  nazionale  adottò  subito  come  suo  il  figlio  Bass- 
ville ed  accordò  alla  vedova  una  pensione  di  1500  lire.  Poi 
ingiunse  al  Comitato  esecutivo  di  prendere  immediatamente  i 
provvedimenti  opportuni  per  una  vendetta  esemplare.  Lebrun, 
che  aveva  cosi  vivamente  disapprovato  la  condotta  di  Bassville, 
ora  lo  vediamo  cedere  alla  corrente  e  tutto  infervorarsi  anche 
lui  per  vendicare  coi  mani  del  suo  agente  la  dignità  della  Fran- 
cia. Egli  scrive  al  Bernard,  l'ex-segretario  del  Cardinale  Bernis, 
che  nello  scompiglio  della  Legazione  francese  a  Roma,  continuava 
ad  essere  il  rappresentante  più  autorizzato  del  suo  paese  :  u  La 
vengeance  du  peuple  fran9ais  ne  pourrait  étre  suspendue  que  par 
l'empressement  qu'on  mettrait  à  prevenir  l'effet  du  juste  ressen- 
timent  de  la  République  en  allant  au  devant  de  toutes  les  de- 
mandes  qu'elle  est  en  droit  de  faire  à  titre  de  réparation  d'un 
attentat  qui  appello  sa  vengeance,  n  —  E  chiudeva  colla  mi- 
naccia :  u  C'est  à  Rome  méme  et  les  armes  à  la  main  que  nous 
irons  demander  au  Pape  satisfaction  de  cet  outrage.  n  Se  par- 
lava così  il  Governo,  immaginate  cosa  potevano  dire  la  stampa 
e  i  cìuhs.  Essi  bandivano  ogni  giorno  la  crociata  dell'umanità 
e  della  libertà  contro  Roma, 

Ma  per  allora  non  era  tanto  facile  andare  a  Roma  e  avere 
ragione  dal  papa.  Si  compilò  un  ultimatum  terribile,  che  avrebbe 
portato  il  nuovo  inviato  Cacault  nella  città  eterna  ;  ma  se  ne  do- 
vette smettere  il  pensiero,  perocché  non  si  sapeva,  in  caso  che 
il  papa  lo  respingesse,  a  che  mezzi  ricorrere  per  farlo  rispet- 
tare. Cacault  venne  in  Italia  per  vedere  di  organizzare  una 
spedizione  contro  Roma;    ma   Biron  che    comandava  l'esercito 


p 


SECONDO   LE   RECENTI  PUBBLICAZIONI.  :     61 

delle  Alpi  e  che  egli  in  proposito  interpellò,  gli  dichiarò  che  le 
sue  troppe  potevano  appena  mantenersi  sulla  difensiva,  non  che 
intraprendere  una  spedizione  contro  Roma.  Allora  si  immaginò 
una  spedizione  di  filibustieri  nella  campagna  romana,  ma  la  si 
trovò  subito  una  cosa  non  seria  e  ineseguibile.  Ultimo  mezzo 
era  di  trascinare  le  corti  di  Firenze  e  di  Napoli  a'danni  del  papa. 
Per  allcttarle  in  quest'idea  si  prometteva  loro  qualche  lembo 
degli  Stati  del  Papa:  se  non  che  il  governo  di  Firenze  si  rifiutò 
assolutamente  di  escire  dalla  sua  politica  di  neutralità;  e  dal- 
l'Acton,  Mackau  non  potè  mai  cavare  nulla  che  suonasse  assenso 
alle  idee  sue  e  del  suo  governo. 

La  Curia  di  Roma,  che  teneva  dietro  con  grande  attenzione 
a  quelle  vicende,  poco  prospere,  della  politica  francese  in  Italia, 
se  ne  sentì  rassicurata  e  cominciò  a  fare  animo  baldo  e  lieto. 
Essa  rifiutò  di  ricevere  il  naovo  inviato  francese  Cacault.  Ma 
furono  baldanze  e  gioie  passeggere.  Nel  1796,  il  generalo 
Boniparte  vittorioso  in  Piemonte,  non  dimenticava  la«  tragedia 
del  13  gennaio.  In  un  proclama  alle  truppe  del  7  floreale,  anno 
rV,  egli  diceva  u  Le  ceneri  dei  vincitori  dei  Tarquinii  sono 
ancora  calpestate  dagli  assassini  di  Bassville.  n  La  Curia  comin- 
ciò a  sabodorare  che  vi  era  tempesta  in  aria.  Scorsero  pochi  mesi 
e  dopo  una  campagna  ridicola,  il  Papa  doveva  firmare  il  trat- 
tato di  Tolentino,  il  quale  all'art.  XV^III  diceva:  u  Sa  Saintetó 
fera  dé^tavouer  pur  son  ministre  k  Paris  Tassassinat  commis  sur 
la  persone  da  secrétaire  do  lógation  Bassvillc.  Il  fera  payer 
dans  ie  courant  de  l'annéo  la  somme  de  trois  cent  mille  livros 
pour  6tTf3  repartie  entro  ceux  qui  ont  soufTcrt  de  cct  attcntat.  ry 
Non  ci  fa  verso  ;  bisognò  pagare  e  mandare  a  Parigi  il  marchese 
Massimi  a  chiedere  scasa.  Ma  il  Papa  aveva  appena  pagato  che 
gli  cascò  sullo  spalle  un  affare  ben  più  grosso.  Il  6,  7  e  8 
nevofo  1798  scoppiò  a  Roma  la  sommossa  nella  quale  lasciò 
la  viu  il  generalo  Duphot  II  23  di  detto  mese  se  no  ebbe  la 
notizia  a  Parigi.  L'inviato  romano  fu  subito  messo  sotto  buona  e 
feicura  guardia;  quindi  fu  mandato  un  corriere  a  Berthier  a  Mi- 
lane  che  gli  ordinava  di  sndare  a  vendicare  i  mAni  di  Dupliot. 
Il  9  pluvioso  le  truppe  francasi  entrarono  in  Ancona;  il  27  Bcrthior, 
generale  dell'esercito  francete,  montò  sul  Campidoglio  e  in  nome 
dulia  Repubblica  francese  riconobbe  l'indipondenaa  della  Repub- 
blica romana.  Che  volger  di  fortuna  in  cosi  breve  tempo! 

G.   BOOLIBTTI. 


IN  CALABRIA 


PASSEGGIATE. 


Quando  per  la  via  Adriatica,  dopo  aver  traversato  l' im- 
menso e  sfolgorante  tavoliere  di  Puglia  colle  sue  bianche  case 
sparse  nella  ridente  e  sterminata  pianura,  e  quasi  direi  deca- 
pitate dai  terrazzi  che  fanno  ad  esse  da  tetto,  si  giunge  a  Rocca 
Imperiale,  la  sentinella  avanzata  della  Calabria  Citeriore,  la 
quale  specchiandosi  nel  mare  colle  sue  rovine  pare  un  enorme 
teschio  di  gigante  sdentato  pieno  di  luci  e  di  tenebre  miste- 
riose, il  cervello  del  viaggiatore  affaticato  dalla  lunga  traver- 
sata; prova  come  un  risveglio  insolito  e  trepidante  e  il  cuore 
batte  confusamente  di  paure  e  di  speranze.  È  la  Calabria  che 
ci  apre  le  sue  braccia,  la  Calabria  popolata  di  leggende  pau- 
rose e  di  immani  fantasmi  colle  sue  vergini  foreste,  i  suoi  bri- 
ganti e  avventurieri,  i  suoi  eroi  e  le  sue  iettature,  dove  da 
Spartaco  a  Garibaldi,  dalla  Sila  ad  Aspromonte  si  son  rivelate 
le  indomite  e  forti  tempre  degli  animi. 

Abbiamo  lasciato  alle  nostre  spalle  Taranto,  la  Venezia  del 
Jonio,  l'antica  rivale  di  Roma  colle  sue  memorie  di  capitale^ 
della  Magna  Grecia  e  le  sue  rovine,  col  suo  mar  piccolo,  ricco 
di  ogni  fior  di  mare,  le  sue  tarantelle  morbose  guarite  dal  suon 
di  lira,  che  poi  diventano  l'arte  coreografica  dei  popoli  meri- 
dionali '  :  e  nel  traversare  quelle  terre  sull'ali  del  vapore,  ab- 

^  Tarantella  è  una  danza  di  carattere  gaio  clie  si  balla  in  tutta  l' Italia 
inferiore,  che  ha  una  somiglianza  grandissima  colla  friulana  o  furlana  e  collo 
sp'tnta-piè  o  saltarello    duU'  alta  e  della    media    Italia,  e  che   come   tutti  i 


p, 


IN   CALABRIA.  63 


biamo  veduto  i  grossi  ulivi,  le  opulenti  ficaie  e  i  mandorli  im- 
prudenti che  fanno  a  fidanza  colle  tiepide  aure  del  mezzogiorno, 
fra  le  siepi  dei  rosmarini  spontanei,  e  dei  leandri  variopinti 
nati  nei  letti  dei  fiumi  e  nelle  steppe  inaridite  delle  spisiggie 
marine.  I  fichi  d' India  spinosi  colle  foglie  striscianti  in  questo 
sfondo  di  mare  turchino  più  del  cielo  e  in  quella  profonda  ver- 
dura delle  messi  immature,  par  vogliono  cingere  delle  loro 
braccia  mostruose  le  roccie  rossastre:  e  in  quella  innumerevoh 
d'erbe  famiglia  dalla  quercia  al  castagno,  dal  cedro  al  pino, 
tutto  lascia  indovinare  una  potenza  straordinaria  di  fecondità 
latente,  a  cui  non  manca  che  la  dinamica  del  lavoro  e  la  leva 
irresistibile  dell'  idea,  perchè  una  civiltà  nuova  erompa  e  pa- 
droneggi quella  da  cui  è  dominata. 

Neil' internarci  in  terra  e  nello  spingerci  attraverso  le  pia- 
nure dove    il  Grati  porta    le. sue  acque  morte  e  stagnanti    fra 

balli  di  costume  é  castissinio  lasciando  1'  uomo  e  la  donna  ballare  cia- 
»cuno  da  sé. 

Il  nome  di  tarantella  dere  avere  la  soa  orìgine  in  etò  «he  «na  specie 
di  ragno,  a  eoi  Taranto  diede  eridentemente  il  nome  di  Isnmtela,  quaado 
prodnee  eonrolaioni  che  gli  antichi  credevano  di  poter  gvarìre 
Bvsiea,  e  obUigmado  !  tarantola  ti  a  lialUre  furìoeameote. 
Franeeeeo  Sedi  ne'raoi  mimai*  vitienti,  afferma  infatti  a' tempi  saoi 
,^he  il  tartnUolÌ0mo  è  «na  malattia  vera  o  iromaginarìa  che  consiste  in  una 
Ita  passione  per  saltare  e  daasare  e  che  si  dice  prodotta  dalla 
^morsicatura  della  taraatola.  —  Non  avendo  dato  alemt  afgno  di  tarmUo- 
lUmo  fa  tnwrt  per  fermo  ohe  la  UtrantoUt  a  non  fotte  veIraoMi.  E  nelle 
Origini  totoan*  lo  steaeo  Rodi  te  n'é  occupato  por  dire  che  :  —  La  tarantola 
di  Paglia  4  una  epooio  di  ragno  e  non  tri  é  dabbìo  che  sia  eoel  detto  dalla 
cittÀ  di  Taranto. 

II  Bemi  neir  Orlando  innmnoTaào  eompteta  II  eoneotlo  del  tiallo  p«{ 
morsi  delle  tarantole  : 

€■■■  la  Vagito  tà  (s  »■■»■  si  »<l— » 
■  «Ms—a il  la  ral«M  iMwilslML 

e  Jacopo  Soldaai  nolle  oatkf 

rtém»  la  raglU  «k*  I  larasMaU 
Otmm  ibs  MM  al  — ■■■m  m1«N« 

OmMMM*  si   MlWir  «WM*  MIMMÉ 

Vm  fétUmm  pmé  tatti  si  !■««»•• 

O  «1  «MtfMta  «M«. 

Tarantella  poi  chiamasi  anche  la  cantata  sulla  ehiiarrm  òo/lmlp,  eolia 
■■■pogna  o  Md  tnaUttollo.  oho  4  na  ommmo  daleliiima  di  umoi%  di 
laaonto  o  di  proghlora,  nna  serenata  amorosa  eome  si  &  nalU  Mareho  e  In 
Toecaoa. 


64  IN    CALABRIA. 

la  paura  della  febbre  e  della  malaria,  la  vegetazione  è  pur  là 
strapotente  :  ò  una  guerra  di  bene  e  di  male  come  nella  vita, 
dove  le  canne  palustri  sembrano  pioppi  e  i  giunchi  sembrano 
gomene  di  bastimenti:  è  una  guerra  furiosa  in  cui  s'indovi- 
nano due  giganti  che  lottano  con  forze  uguali  alternamente 
vincitori  l'uno  dell'altro,  senza  tregua  e  rinascenti  sulle  loro 
rovine. 

E  la  pallida  e  impotente  civiltà  che  pianta  intorno  intorno 
a  questa  lotta  per  l'esistenza  i  suoi  mesti  eucalipti  nel  piano 
di  Buffnlona  fino  a  Cosenza,  fa  pensare  a  qu  He  cure  omeopa- 
tiche che  lasciano  il  tempo  che  trovano,  e  al  maestro  di  Gii 
Blas,  il  quale  credeva  essere  i  debilitanti  un  rimedio  contro  le 
malattie  acute. 

}<e!la  vasta  pianura  paludosa  cominciano  a  spuntare  i  conici 
cappelli  calabresi,  coperti  di  vellutini  fino  al  vertice,  i  quali 
ricadono  in  abbondanti  fiocchi  sulle  falde,  e  che  tropr  o  strette 
nel  giro  della  testa  son  raccomandati  ad  un  laccio  legato  sotto 
il  mento.  11  giubbetto  corto,  tagliato  militarmente  di  grosso 
saio  filato,  tinto,  torto  e  tessuto  in  casa  dalle  donne  del  con- 
tado e  colle  mostre  e  i  rivolti  con  una  certa  pretesa  militare 
e  i  bottoni  lucidi,  soprastanno  ad  una  specie  di  panciotto  .ri- 
gidamente abbi  ttonato  fin  dove  cominciano  i  calzoni,  tenuti  su 
da  una  larga  cinghia  di  cuoio  affibbiato  o  da  una  ciarpa  rossa 
0  scozzese  a  larghe  righe  di  colori  vivaci  :  e  i  calzoni  a  due 
pezzi  che  o  si  rovesciano  sulla  coscia  o  ricalali  giù  come  ghette 
sulle  calze  di  lana  nera  naturale,  lasciano  vedere  intere  i  cal- 
zari, le  porcine,  pezzi  di  pelo  concio  di  capra  o  di  bue,  allac- 
ciati capricciosamente  da  rozzi  e  pelosi  cordoni  di  lana  nera 
che  si  aggirano  sulle  gambe  poderose.  Le  calzette  son  prive  di 
soppiede:  hanno  il  cappelletto  per  poter  star  fermi  e  tirati,' ma 
il  calcagno  e  la  pianta  si  scorgono  nudi  nella  rozza  e  selvaggia 
calzatura.  Portano  in  mano  un  alto  e  nodoso  bastone  dal  grosso 
pomo  rozzamente  intagliato  o  sulla  spalla  ad  armacollo  la  ca- 
rabina pericolosa  del  calabrese,  che  coglierebbe  una  mosca  a 
cento  passi  di  distanza.  Questi  uomini  che  fan  capolino  nelle 
stazioni  ferroviarie  colla  lor  pipa  in  bocca  e  la  faccia  scura  e 
mesta. emigrano  :  vanno  neW America,  come  dicono  essi  a  cer- 
carvi fortuna  e  lavoro.  P(  polo  avventuroso  e  ardito  che  non 
trova  nulla  a  casa  sua,  che  trova  piccino  il  suo  campo  e  che 
ha  bisogno  di  varcare  gli  spazii  per  sentir  di  vivere,  parte 
senza  guardarsi  indietro  :  le  donne  piangono,  i  bambini    guar- 


IN    CALABRIA. 


65 


dano  a  piangere  e  l'uomo  li  abbraccia  uno  dopo  l'altro  cogli 
occhi  asciutti,  quasi  obbedendo  ad  un  fato  tradizionale  che 
vuole  il  calabrese  avventuriero  o  soldato  o  brigante,  o  accat- 
tone, non  importa  che  cosa,  purché  sia  libero. 

La  Calabria  si  spopola  fra  le  sue  messi  lussureggianti:  si 
spopola  malgrado  il  numero  stragrande  de'  suoi  nati,  la  fe- 
condità patriarcale  delle  sue  famiglie,  che  si  moltiplicano  come 
le  arene  del  mare  e  le  stelle  del  firmamento.  Essa  nella  sua 
forza  espansiva,  colla  tradizione  delle  sue  vicende  fortunose, 
nella  impazienza  quasi  de'  suoi  confini  naturali,  lotta  per  la  sua 
esistenza:  e  siccome  crede  che  la  terra  non  basti  più  a'  suoi 
figli,  i  suoi  figli  partono. 

Quando  ritornano,  se  ritornano,  son  poveri  come  prima,  più  di 
prima:  ma  son  rimasti  calabresi  col  loro  accento  tronco  e  stringato, 
il  gesto  energico  e  pittoresco,  lo  sguardo  fiero  e  ardente.  Qualche 
volta  nelle  lunghe  traversate  del  ritorno,  cacciati  nel  loro  nido 
dalla  nostalgia  che  li  consuma,  dalle  fatiche  e  dalla  povertà  che 
han  limato  la  loro  esistenza,  muoiono  a  bordo  del  bastimento. 
Una  lettera  del  capitano  annunzia  alla  sposa  che  essa  è  vedova, 
ai  figli  che  sono  orfani,  alle  famiglie  che  uno  dei  loro  dorme 
i  sonni  etemi  nel  fondo  misterioso  e  pauroso  dell'Oceano.  £ 
allora  le  famiglie  si  raccolgono  al  focolare  per  schiatte,  per  di- 
nastie, per  tribù:  e  vanno  alla  chiesa  a  parlare  con  Dio,  a  rac- 
contargli le  virtù  del  morto,  le  pene  del  cuore,  le  immense  mi* 
serie  della  vita,  le  speranze  deluse,  i  sogni  fatti  su  colui  che 
non  è  ritornato,  e  i  rimorsi  perchè  non  l' hanno  amato  abba- 
stanza; parole  che  son  salmi,  che  sono  inni,  qualche  cosa  d'in* 
•olito  e  di  spontaneo,  come  debbono  diro  le  popolazioni  vergini 
e  primitive,  che  non  hanno  ancora  imparato  a  dare  una  forma 
al  doloro  e  a  frenare  U  veemenza  nel  manifestarlo. 

Non  l-  ancora  il  requie  che  prega  pace,  non  la  bestemmia 
che  impreca,  non  U  ditperasìone  ohe  travolge  :  è  U  vcoe  del- 
l'anima semplice  e  spontanea  come  le  ine  cansoni  amoroee,  come 
le  suo  voci  di  gaerra  nelle  foresto  sitane'  come  il  canto  a  la- 
teia  e  piglia  nelle  serenate  all'innamorata  sulla  chitarra  batt^nUf 
0  sul  tamburello  o  sulla  tampogna.  —  Tutto  ò  semplice  e  vero; 
il  duolo  come  l'allegrezza  hanno  il  carattere  della  spontaneità 
più  sincera  e  più  primitiva. 

La  famiglia  campagnuola  in  Calabria  presenta  il  tipo  più 
perfetto  delle  antiche  tribù  nomadi  che  vivevano  sotto  la  tenda 
o  nella  capanna  fabbricata   alla  meglio   per  difondcmi  dall'ar- 

VOL.  XL,  UiU  n  -  I  LagtU  IMS.  S 


6G  IN    CALAIilUA. 

dorè  del  sole  o  dal  freddo  della  notte.  La  casa  campagnuola, 
la  torre  come  si  chiama,  che  noi  siam  soliti  a  figurarci  nera  e 
affumicata,  è  invece  generalmente  almeno  nel  versante  occiden- 
tale del  Grati,  bianca  e  abbastanza  linda  al  di  fuori.  Il  iorricre, 
0  contadino,  sente  per  istinto  che  il  bianco  respinge  gl'infuocati 
raggi  del  suo  sole  :  ma  tanto  è  bianco  di  fuori  tanto  è  scuro, 
cinereo,  brullo  e  infelice  nel  di  dentro. 

Vi  si  ascende  per  una  lunga  scala  che  dà  adito  alla  cucina 
affumicata,  quasi  sempre  piccola,  e  ingombra  di  sgabelli  zoppi, 
di  sedie  spagliate,  di  orci  rozzi  a  due  manichi  fatti  al  torno, 
che  ricordano  le  antiche  anfore  e  che  trasudando  dai  pori  l'acqua 
delle  fonti,  la  tengono  fresca  per  molte  ore  fra  la  caldura  di 
quell'ambiente.  Il  soffitto  è  un  dimezzato  di  canne  o  di  vimini 
che  tiene  in  conserva  le  loro  derrate,  qualche  volta  i  bachi  da 
seta  di  cui  sono  cultori  attivi  e  gelosi,  fino  a  impedire  l'entrata 
allo  straniero  che  potrebbe  fare  il  malocchio,  e  le  loro  ciarpe 
meno  in  uso  :  poi  vi  ha  una  camera,  qualche  volta  due,  dove 
dormono  tutti  insieme  uomini,  donne,  e  fanciulli,  celibi  e  co- 
niugati. 

Il  visitatore,  cosi  detto  civile  prova  nell'entrare  in  quelle 
stamberghe  un  senso  di  meraviglia  commista  a  pietà.  —  Ma 
essi  non  comprendono  i  nostri  sentimenti  :  non  si  figurano  che 
si  possa  vivere  diversamente  di  cosi,  non  pensano  e  non  sup- 
pongono neppur  di  lontano,  che  l'uomo  civile  è  travagliato  da 
gravi  problemi  morali;  per  lui,  povero  torriere  che  è  si  felice 
di  vivere  come  han  vissuto  i  suoi  padri  nascendo,  amando  e 
morendo  in  una  camera  comune  a  due  a  tre  a  quattro  genera- 
zioni, che  vivono,*  dirò  così,  secondo  natura. 

Egli  ti  accoglie  sorridendo  cavandosi  il  suo  cappellino  a  cono 
e  tenendoselo  appuntato  al  petto  finche  non  lo  forzi  a  riporselo 
sul  capo  e  ringraziando  la  grazia  vostra  di  quella  gran  degna- 
zione. —  Ti  fa  entrare  nel  suo  tugurio  colla  cordialità  monta- 
nina e  coll'orgoglio  d'un  re,  quando  però  non  è  troppo  povero: 
e  se  gli  lodi  alcuna  cosa,  o  alcuna  persona  o  lui  stesso^  egli  ti 
dice  :  è  vostro,  è  al  tuo  servizio,  è  alla  grazia  tua. 

Chissà,  forse  avrà  posto  prima  nello  sèrico  (bachi  da  seta) 
l'olio  e  il  sale  per  allontanare  lajettatura,  pel /o?'a  fascino:  forse 
avrà  appuntato  verso  terra  l'indice  e  il  mignolo  della  mano  della 
mano  destra  borbottando  sotto-voce  o  dentro  di  se  il  consacrato 
otto  nove,  per  allontanare  la  malìa,  ma  di  fuori  uno  non  se 
n'accorge;  la  fisonomia   cordiale  dell'ospite  non  ti  lascia  tempo 


IN    CALABRIA. 


67 


né  modo  di  pensare  allo  scongiuro  :  eppoi  per  poco  che  ti  fermi 
con  lui,  per  poco  che  ne  acquisti  la  confidente  espansione,  egli 
ti  racconterà  tutti  i  suoi  segreti,  ti  mostrerà  tutti  i  suoi  tesori, 
ti  offrirà  tutto  quello  ch'ei  possiede,  con  adorabile  e  ingenua 
spontaneità. 

Poiché  il  calabrese  é  sopratutto  ospitale  :  ospitale  al  punto 
che  il  padrone  di  casa  se  ti  smarrisci  per  via  o  non  puoi  par- 
tire alla  notte  da  casa  sua,  egli  ti  fa  padrone  del  suo  letto:  o 
per  meglio  dire  lo  divide  con  te:  e  qualche  volta  lo  divide  cosi 
che  in  quel  letto  tu  ti  trovi  con  una  famiglia  intera  :  nel  qual 
caso  colui  che  fosse  scrupoloso  o  avesse  della  civiltà  un  con- 
cetto diverso  dal  suo  e  titubasse,  mostrerebbe  una  piccola  co- 
noscenza delle  cose  umane  e  una  defìcenza  completa  di  studi 
filosofici. 

Kè  "il  contadino,  il  terriere  calabrese  potrebbe  avere  un  con- 
cetto diverso  del  modo  di  alloggiare  i  pellegrini,  se  nei  centri 
più  popolosi  della  Bassa  Italia,  nelle  città  stesse,  una  sola  ca- 
mera che  ò  parecchie  volte  la  bottega  e  l'officina  e  l'asilo  d'un& 
intera  famiglia  e  apre  la  sua  porta  per  ricevere  luce  e  enlore 
vento  o  pioggia  e  aria  sulla  pubblica  via. 

Anzi  vi  ha  di  più.  In  alcuni  luoghi  della  Basilicata,  per  cscm> 
pio  le  case  sono  affittate  a  muro;  vale  a  dire  addossate  ad  un 
muro  abita  una  famiglia,  al  muro  rimpetto  un'altra  famiglia: 
qualche  fittolo  piantato  in  mezzo  alla  camera  segna  i  confini 
naturali,  la  linea  di  dotnarcuzione  dei  due  potentati,  né  v'ha 
mai  ragione  di  liti  per  turbato  possesso,  da  quel  che  ne  ho 
sentito  diro  :  in  Cosenza  invece  si  aaiocinno,  por  etonipio,  due 
donne,  lavorano  insieme,  cuociono  le  loro  vivande  allo  stesso 
fornello:  qualche  volta  c'è  un  figlio  o  una  figlia  dell'una  o  del- 
l'altra  o  di  tutte  e  due,  ma  la  pace  non  vi  è  mai  turbata:  e 
questa  associazione  quasi  sempre  Titatixin,  tfiulisionale  e  spon- 
tanea fa  chiamare  le  consocio  le  comunfinti. 

■  iitrai  una  mattina  in  una  di  qao«to  oasuocie  posta  presso 
.[  i;  nitrito,  là  dove  la  tradltiono  dico  ohe  fu  sepolto  Alarico,  il 
<!r.in   morto  di  PUtcn   '. 

I.c  acque  gorgogliavano  tra  i  sassi  e  pareva  volessero  tcen- 
doro  sotterrai  a  cercarvi  le  spoglie  del  re  Goto  per  obbedirò  al 

*  La  ir»(lixioi>fl  raceoDta  ohe  nella  foce  dei  liusento,  cbo  si  vena  nel 
Crati,  i  (ioti  »e|>p«lliroDo  Alarico  con  tetti  i  sooi  tesori,  scavando  un  nuovo 
letto  ai  due  fiumi  Vedi  U  ballaU  del  Platse  norarifliosaaente  voltaU  in 
italiano  dal  Cardncci. 


e  8  IN    CALABRIA. 

comando  del  poeta  di  recarlo  da  mare  a  mare.  A  destra  del 
Busento  rapido,  scendea  lento,  grasso  e  pigro  il  Grati  a  portare 
l'aiuto  delle  sue  acque  morte  e  stagnanti,  e  nella  china  dei 
valloni  profondi  scendevano  gli  ulivi  contorti  e  d'un  verde  quasi 
caldo  in  quel  grande  meriggio  di  luce,  muti  depositarii  di  quel 
gran  segreto,  che  i  Goti  non  vollero  lasciare  all'aquila  romana. 

La  leggenda  d'Alarico  mi  trottava  nel  cervello  eccitato  da- 
vanti a  quell'orgia  di  tinte,  a  quel  folgorio  di  sole  che  si  spec- 
chiava nelle  acque  gorgoglianti  :  e  ripensavo  a  quell'altra  gran 
leggenda  alemanna  del  tedesco  imperatore  che  uscirà  di  sotterra 
colla  barba  rossa  e  l'armatura  d'oro,  quando  sarà  sciolto  il  voto 
della  grande  famiglia  tedesca;  e  alla  leggenda  slava  sul  Natisene 
che  r  imperatore,  il  re  dei  re,  uscirà  dalla  sua  montagna  di 
pietra,  quando  il  panslavismo  avrà  rotto  le  dighe  che  gli  uo- 
mini e  i  fati  han  posto  tra  i  fratelli  :  e  in  tutte  queste  leggende 
che  si  confondevano  nella  mia  mente  colla  romanza  *  del  mago 
e  del  mostro  raccontatami  qualche  ora  prima  da  una  giovanotta 
calabrese,  io  cercava  il  nesso,  il  perchè,  il  come,  coli'  impazienza 
del  raccoglitore,  che  vede  sulla  cima  inaccessibile  del  monte  il 
flore  per  completare  l'erbario,  e  sente  l' impossibilità  di  giun- 
gervi coi  soli  mezzi  che  1'  arte  e  la  natura  gli  han  posto  in 
mano. 

Stavo  lì  sui  due  piedi  incerta  davanti  alla  porticina  aperta 
delle  due  comunanti  che  mi  guardavano  con  curiosità  mista  di 
rispetto:  di  quel  rispetto  molle  insieme  e  pauroso  che  ha  il  po- 
polino calabrese  delle  signore  e  dei  galantuomini  *,  coi  quali 
non  ha  ancora  preso  alcuna  confidenza,  sentendo  ancora  in  se 
malgrado  la  fierezza  dell'indole,  come  una  rimembranza  di  libertà 
colla  tradizione  della  servitù. 

Una  era  sulla  soglia  della  porticina  aperta  e  filava  del  co- 
tone con  un  fuso  particolare  pesante  e  velocissimo,  munito  di 
un  uncino  di  ferro  su  cui  vien  raccomandato  il  fragile  stame, 
formato  a  sfera  di  legno  al  sommo  e  terminando  a  bastoncello 
al  fondo  5  e  tirava  giù  la  bambagia  rapidamente  da  una  conoc- 
chia breve,  fatta  di  due  pezzi  di  canna  in  croce  su  cui  era  av- 
voltolata; l'altra  era  giù  dalla  scaletta  da  cui  si  scendeva  in  una 

'  Romanze  sì  chiamano  in  Calabria  le  fiabe  che  nell'  inverno  raccontano 
le  vecchie  al  focolare:  vi  è  viva  e  popolare  quella  della  Cenerentola  la  quale 
presenta  delle  varianti  interessantissime  colle  altre  cenerentole  d'Italia  e  fuori. 

*  Sì  chiamano  galantuomini  i  signori,  e  in  genere  le  persone  ben  vestite, 
è  vesiito  da  galantuomo  ;  un  galantuomo  vi  cerca,  ecc.,  ecc. 


IN    CALABRIA. 


69 


cantina  a  cui  si  dà  il  tìtolo  ampolloso  di  casa  e  cardava  la  lana 
per  filare  e  per  tesserne  poi  il  classico  saio  calabrese  di  lana 
naturale  o  per  fame  le  calzette  pei  calzoni  corti. 

Mi  guardavano  e  io  sentii  la  domanda  in  quegli  sguardi 
ansiosi. 

—  Te  ne  vai  cosi  solicella  solicella,  mi  disse  quella  che  fi- 
lava il  cotone  sulla  soglia  nel  suo  pittoresco  dialetto  calabrese 
serrato  e  forte  ;  ti  abbisogna  alcuna  cosa  ? 

Mi  scossi  e  —  vorrei  entrare,  dissi,  se  però  me  lo  permetti, 
donnina. 

—  Alla  grazia  vostra,  mi  rispose  la  donna,  entra  pure  ec- 
cellenza ma  la  povertà  è  tanta! 

E  io  :  —  povertà  non  guasta  gentilezza,  risposi  non  sapendo  li 
per  li  trovare  del  mio  una  risposta  degna  alla  urbanità  delle 
sue  maniere.  Mi  toccò  la  veste  e  si  baciò  la  mano  :  atto  di  ri- 
spetto che  non  mancano  di  fare  nelle  grandi  occasioni  della  vita: 
ed  io  discesi  nel  sotterraneo. 

La  vecchia  comunante  che  cardava  s'alzò  e  mi  fece  il  sa 
luto  ossequente  del  bacio  sulla  mano  :  io  stesi  le  mie  che  strin-- 
sero  entrambe  con  effusione,  sorridendo  d'una  tal  maniera  straor- 
dinaria in  cui  si  vedeva  la  maraviglia  vincere  il  piacere.  Due 
letti,  0  dirò  meglio,  due  canili  sui  trespoli  stavano  nel  fondo 
coi  rami  d'ulivo  e  molte  immagini  di  santi  polverosi  e  affumicati, 
amuleti  di  sai  gemma  di  Longro,  e  cenci  neri  appiccicati  al  ca- 
pezzale. È  un  s^no  di  lutto  che  la  vedova  non  toglie  so  non 
si  rimarita,  e  che  ad  ogni  lontano  parente  si  attacca  al  muro  di 
casa  e  vi  si  lascia  tutto  il  tempo  che  una  loro  leggo  ordina  in 
un  modo  perentorio  e  imprescindibile.  Il  telaio  piccolo  e  antico 
per  tessere,  che  non  manca  in  alcuna  casa  né  in  alcuna  iorre 
era  in  un  angolo  ozioso  colle  me  spole  e  l'aspo:  un  rastrello 
di  piatti  scompagni  di  Lecce  sopra  uno  Mtipo  nero  come  le  pa- 
reti, un  fornello  che  è  ad  un  tempo  il  focolare  e  il  simbolo 
della  cucina,  i  soliti  orci  rovesciati  e  alla  rinfusa  negli  ang^>H; 
e  nello  pareti  tappezzate  di  ragnatele  annose,  padelle  e  tosti 
sai  barbacani  scomposti.  Una  sacca,  cuccuxza,  da  cai  han  le- 
vato la  polpa  e  i  semi  che  han  mangiato  come  una  ghiottoneria, 
ridotta  a  utensile  tradizionale  che  utilizzano  per  una  quantità 
innumerevole  di  usi,  mi  colpi  sul  capo,  avvenimento  che  colmò 
di  mortificazione  le  due  comunanti,  le  quali  ripulirono  il  mio 
cappello  colle  loro  mani  sospette  di  non  avere  troppa  intimità 
coll'acqua  tlellj  Miotico   HuM^'iito,  e  col  loro  grciiiliiulc    di   pcUu 


70  IN    CALABRIA. 

frastagliato  e  impresso  ch'esse  chiamano,  lo  maniero  o  mantisinOf 
forse  Vantesinum  dei  latini. 

Mi  raccontarono  la  loro  storia  :  una  era  vedova  di  un  faii- 
cante  (bracciante)  che  mori  nell'America:  la  felice  memoria  del 
marito  le  aveva  lasciato  un  figlio  che  dormiva  con  lei  nel  letto, 
rotolato  per  pulizia  sulle  panche  malferme  5  l'altra  non  era  mai 
stata  maritata;  d'origine  albanese,  venuta  nei  pressi  di  Cosenza 
a  servire  un  gran  barone,  nei  tempi  della  sua  gioventù,  ne  era 
all'  ultimo  uscita  poverella  come  vi  era  entrata  e  s'era  conser- 
vata nubile  e  pura  malgrado  le  seduzioni  da  cui  era  stata  cir- 
condata nella  sua  età  più  bella.  —  Costei  conservando  il  co- 
stume del  suo  villaggio  nativo  aveva  lo  pizzietto  (la  froppa) 
della  camicia  a  spesse  crespe  rovesciata  sul  collo  e  sul  seno 
nella  scollatura  finita  a  cuore  a  metà  del  petto.  11  corpetto 
senza  maniche  di  panno  scuro,  orlato  di  rosso  coi  bottoncini 
lucenti  si  chiudeva  sul  pettino  rosso;  e  la  gonnella  di  vecchio 
castoro  pure  rosso  col  bordo  verde  a  spesse  pieghe  all'  ingiro 
nel  di  dietro  che  scendevano  giù  fino  al  fondo,  rovesciata  al- 
l' insù  sul  davanti  e  pittorescamente  legata  di  dietro,  lasciava 
vedere  la  pannella  (seconda  gonna)  più  cupa  di  colore  colla 
fascia  nera  in  fondo,  ugualmente  pieghettata  che  toccava  il 
collo  del  suo  piede  nudo.  I  capelli  spartiti  in  due  treccie  dietro 
alle  orecchie  in  cui  passava  un  nastro  turchino  (il  nastro  rosso 
nelle  treccie  è  delle  maritate)  e  giranti  intorno  al  capo  erano 
coperti  da  un  fazzoletto  legato  stretto  alla  foggia  montanina 
che  lasciava  scorgere  il  volume  delle  treccie. 

Il  costume  albanese  di  cui  avremo  ad  occuparci  un'  altra 
volta,  non  era  conservato  nella  sua  integrità,  ma  si  staccava 
da  quello  dell'  altra  comunante  che  era  vestita  di  grosso  saio 
di  lana  naturale  e  portava  il  corpetto   chiuso  sul  davanti. 

Queste  albanesi  del  cui  linguaggio  si  occuparono  insigni  fi- 
lologi, fra  cui  il  D'Ascoli,  non  han  nulla  a  fare  colle  popola- 
zioni greche  che  adagiandosi  per  così  dire,  sulle  indigene  ai 
tempi  della  grandezza  romana,  vi  stabilirono  la  tradizione  gre- 
co-latina illustrata  dall'abate  Vincenzo  Dorsa  con  tanto  vantaggio 
del  mitologo,  dell'etnografo  e  dello  storico  ^  questa    colonia    al- 

'  La  tradizione  greco-latina  nei  dialetti  della  Calabria  Citeriore,  per 
Vincenzo  Dobsa,  Cosenza,  1876. —  La  tradizione  greco-latina  negli  usi  e  nelle 
credenze  popolari  della  Calabria  Citeriore,  Cosenza  1879.  —  Il  prof.  Dorsa 
contìnua  alacremente  i  suoi  studi  e  speriamo  di  vedere  presto  ampliate  e 
ristampate  le  sue  dotte  monografie. 


IN    CALABRIA.  <  i 

banese  che  si  estende  sulle  montagne  lungo  le  provincìe  di 
Puglia,  di  Basilicata  e  delle  tre  Calabrie  fino  a  Reggio  e  che 
hanno  mantenuto  il  linguaggio,  i  costumi,  le  credenze  e  i  riti 
del  loro  paese  nativo,  son  forse  coloro  che  fuggirono  dall'Al- 
bania nel  secolo  xv  per  sottrarsi  al  dominio  turco.  Trapiantati 
in  Calabria  non  si  fusero  coi  calabresi:  ci  sono  villaggi  in  una 
lunga  striscia  di  paese  che  si  incatenano,  come  un  fiume  che 
corre  pel  suo  letto  fra  le  due  sponde:  quando  parlano  il  dia- 
letto dell'ospite  contrada  lo  fanno  con  accento  perfettamente 
diverso:  il  suono  ne  è  meno  rapido,  meno  tronco,  meno  ener- 
gico, le  immagini  più  semplici  benché  egualmente  poetiche, 
l'abito  è  più  ricco,  più  sfolgorante,  colle  loro  fioccaglie  agli 
orecchi  cariche  di  perle,  simbolo  del  loro  Oriente  lontano,  mentre 
le  donne  calabresi  le  hanno  d'oro  ad  ampi  anelloni  barbareschi, 
e  li  chiamano  orecchini. 

Delle  due  comunanti  io  capivo  più  Talbanesc  che  la  cala- 
brese pura,  la  quale  però  suppliva  colla  mimica  espressiva  del 
suo  paese:  e  stendeva  le  mani,  le  raggruppava  in  pu^i,  le 
rifregava  toccandosi  il  mento,  per  dire  non  me  ne  importa  : 
stringeva  le  dita  in  punta  per  chiedere;  le  giungeva  per  pre- 
gare; le  storceva  per  indicare  la  sua  povertà;  allargava  le 
braccia  perchè  vedessi  la  miseria  del  suo  aliog^o,  baciava  la 
palma  per  dirmi  che  ammirava  il  mio  gran  sapere  e  si  com- 
piaceva della  mia  curiosità.  E  quando  dopo  un  lungo  chiedere 
da  parte  mia  e  un  lungo  spiegare  cogli  occhi,  colla  lingua,  con 
tutta  la  persona  da  parte  sua,  arrivavo  a  comprendere  qualche 
cosa,  la  poverina  per  vezzeggiarmi  guardava  la  comunanU  e 
diceva  Cchi  ammazzata  !  —  E  questa  è  una  forma  tutta  cala- 
brese per  mostrare  ammirazione  del  sapere  d'una  persona,  come 
che  volesse  dire  che  accorta,  che  fino,  che  furba! 

In  un  angolo  al  disopra  della  porticina  c'era  attaccato  un 
ferro  di  cavallo:  gli  soprastavaoo  due  corna  dipinte  e  sotto  c'e- 
rano notiiti  i  due  numeri  fatati  Vetta  o  il  novr  per  allontanare 
la  iettatura.  Volli  rit»»ntnr<»  l'esame  sul  grave  problema:  —  E 
perchè  questo?  chiesi 

E  la  vecchia  —  IVI  loru  ijisctno,  lignorìna.' 

—  E  che  cosa  i  il  fascino? 

—  Ah  !  fece  la  vecchia  puntando  1*  indice  e  il  mignolo  A  terra: 
ah!  otto  nove,  otto  novo! 

'  lì /ora-Zueimo,  come  lo  Indie*  in  otctM  paroU  ó  lo  sfascinsre,  lo  scanUr 
l'occhio  dei  marafaifiaBi,  eoi  qvaH  I  ealabrtsi  Imo  eomanl  moltlsrfme  er«denae. 


72  IN   CALABRIA. 

—  Ma  perchè  otto  nove? 

—  Eccellenza:  le  streghe  dicono  sei  e  sette. 

Era  una  spiegazione  che  ne  valeva  un'altra:  forse  la  sola 
che  posson  dare  con  quel  terrore  che  ispira  ai  meridionali  la 
malia  a  cui  prestan  fede  non  soltanto  i  volghi:  era  infine  una 
cosa  nova  rompere  il  sette,  il  famoso  sette  cabalistico  che  per- 
seguita l'umanità  da  seimila  anni  di  storia  umana,  col  numero 
che  vien  presso  :  infine  la  comunante  m'  aveva  detto  qualche 
cosa  più  degli  altri,  mi  aveva  data  una  ragione  purchessia  del 
f ora-fascino,  e  io  non  me  ne  potevo  lagnare.  Uscii  di  là  bene- 
detta e  baciata  per  aria  dalle  due  femminuccie  che  mi  accom- 
pagnarono fin  sulla  soglia  :  la  lista  civile  destinata  al  popolino 
segnò  nel  suo  bilancio  un'  uscita  insolita;  le  comunanti  non 
avevano  perduto  la  loro  giornata. 

Ritto  davanti  a  una  botteguccia  lì  presso  con  una  berretta 
celeste,  il  cui  fiocco  rosso  ricadeva  sull'orecchio  sinistro,  stava 
un  fiero  garzone  a  guardarmi  curiosamente,  piantato  a  gambe 
larghe  sull'uscio,  in  maniche  di  camicia,  una  camicia  straordi- 
nariamente linda  per  quei  paraggi.  Spacciava  vino  e  faceva  il 
tintore,  perchè  due  matasse  di  bavella  dai  colori  sfolgoranti  rosso 
e  verde  soliti  agli  albanesi,  stavano  appiccicate  al  di  fuori  come 
insegna  della  doppia  industria. 

Una  donna  giovane  e  bella  che  era  evidentemente  sua  mo- 
glie coi  grandi  anelloni  alle  orecchie,  carichi  di  piccole  pallot- 
toline tremolanti,  lavorava  la  calzetta  calabrese  di  lana  nera  con 
un  grosso  gatto  sulle  ginocchia. 

—  Desideri  alcuna  cosa,  signorina?  mi  chiese  il  giovane 
colla  domanda  convenzionale  del  popolo.  Risposi  con  un'  altra 
domanda  dopo  aver  data  una  rapidissima  occhiata  al  di  dentro 
della  botteguccia  :  —  Non  hai  qui  il  tuo  letto  come  gli   altri  ? 

—  Oh!  no  signorina.  Il  letto  l'abbiamo  in  casa:  questa  è 
la  bottega,  fece  egli  con  un  piglio  di  industriale  educato,  che 
si  meraviglia  a  sentirsi  a  fare  certe  domande  indiscrete. 

—  Scusami:  tu  dunque  sei  stato  soldato!... 

—  Caporale  dei  bersaglieri  a  servirvi,  signorina,  esclamò 
con  solennità  il  giovane  facendo  il  saluto  militare  come  se  si 
fosse  trovato  davanti  al  comandante. 

—  Che  bravo!  gli  dissi  e  gli  tesi  la  mano  ch'egli  strinse 
dopo  di  aver  ripassata  la  sua  sotto  la  piega  del  ginocchio. 

Egli  non  aveva  né  Votto  e  nove,  né  il  ferro  di  cavallo,  né 
le  corna  dipinte:  egli  non    aveva    il    letto    nella    bottega,    non 


IN    CALABRIA.  ed 

aveva  la  cuccuzza,  non  aveva  gli  amuleti  di  sale  di  Longro  in 
alcun  luogo:  la  sua  stessa  sorpresa  a  sentirsi  apostrofare  sul 
letto,  quell'aria  di  baldanza  onesta  nel  rispondere  di  essere 
stato  caporale  dei  bersaglieri,  denotava  che  in  lui  si  svolgeva 
il  periodo  d'una  civiltà  nuova  la  quale  s' infiltra  insistente, 
acuta,  irresistibile  e  che  rapidamente  trasformerà  le  forze  brute 
d'una  gagliarda  regione  in  una  forza  intelligente  e  poderosa. 

In  mezzo  a  questo  rinnovellarsi  di  gente,  di  tendenze  e  di 
attitudini,  nel  cancellarsi  di  tutta  un'epoca  e  di  tutta  una  civiltà, 
in  mezzo  a  molte  cose  che  sono  o  a  noi  sembrano  fallaci,  scom- 
pariranno molti  usi,  molti  costumi,  molte  credenze  che  oggi 
danno  il  tipo  d'un  carattere  fiero  e  antico  pieno  di  forza  e  di 
poesia.  —  La  civiltà  livellatrice  cancellerà  i  simboli  caratteri- 
stici di  un  popolo  intiero  che  studiato  sulle  roccie  aspre  e  sel- 
vaggie o  nelle  paludi  o  nei  colli  lussureggianti,  colla  lingua 
mescolata,  colle  tradizioni  autoctone,  colle  credenze  e  coi  co- 
stumi, darebbe  forse  la  chiave  di  molti  problemi  d'indole  scien- 
tifico, dalla  cui  soluzione  siamo  ancora  ben  lontani.  Ohimè!  io 
pensava  davanti  al  caporale  emerito  dei  bersaglieri,  intanto  ch'oi 
mi  parlava  dei  luoghi  veduti,  delle  città  ammirate,  delle  costu- 
manze ch'ei  si  vantava  d'imitare  per  uguagliarle  e  forse  per 
vincerle:  ohimè!  fra  pochi  anni  non  avremo  più  calabresi  in 
Calabria!  Già  il  conico  cappello  coi  vellutini  a  fiocco  coperti 
di  spilli  dalle  capocchie  lucenti,  vanno  cedendo  il  posto  ai  cap- 
pelli a  larghe  tese,  tutti  simili  da  un  capo  all'altro  della  vecchia 
Europa,  da  un  capo  all'altro  della  nuova  America!  —  Qià  lo 
porcine  artistiche  e  legate  come  gli  antichi  calzari  di  cui  ci 
parlano  le  leggende  dei  trapassati,  van  cedendo  il  posto  ai  lunghi 
stivali  e  alle  scarpe  cogli  occhiellini  d'ottone:  già  lo  storico 
farsetto  che  ancora  luccica  co'suoi  bottoni  e  si  pavoneggia  colla 
vivace  mostreggiatura,  si  nasconde  sotto  la  giacca  antiartisca 
che  atteggia  tutti  gli  uomini  In  nn  modo  solo;  già  impallidi 
scono  le  pompe  funebri  e  le  natalizio,  e  lo  nozze  e  le  aro  van 
perdendo  il  loro  carattere  gaio  e  scìntlUumi.  Aliìinr.»  V.m  «uni 
sono  più  calabresi  in  Calabria! 

Non  dissi  i  mici  pcnAieri  al  caporale  emerito,  il  quale  segui- 
tava a  guardarmi  con  una  corta  curiosità  insoddisfatta  pel  mio 
silenzio,  che  egli  avrà  interpretato  forse  sfavorovolroonto  :  tanto 
è  vero  che  voleva  persuadermi  di  essere  meno  calabrese  di 
tutti;  nel  che  io  co' miei  gusti  non  potevo  dargli  ragiono.  K 
tirai  via  fantasticando  fino  al  vallone  di  Hovito  dove  un  sasso 


74  IN    CALAimiA. 

e  una  croco  ricordano  una  tragedia  pietosa  e  insieme  terribile, 
una  pagina  di  storia  italiana,  uno  dei  primi  bagliori  della  nostra 
libertà,  che  rifulgerà  nel  buio  de'secoli  come  la  face  d'un'ara  e 
come  una  stella. 

Nel  profondo  d'una  valle  misteriosa,  che  nell'inverno  diventa 
un  fiume,  fra  due  colline  congiunte  da  un  ponte  cupo  e  mesto, 
di  fronte  alla  città  che  a  guisa  d'anfiteatro  bianchiccio,  colle 
case  addossate  le  une  alle  altre,  si  adagia  sul  colle  fino  al  Grati, 
dove  le  lavandaie  sbattono  furiosamente  i  panni  lavati,  e  dove 
si  tien  mercato  durante  la  state,  nel  seno  d'  una  collina  uber- 
tosa caddero  i  fratelli  Bandiera  coi  loro  compagni  gloriosi.  — 
Dall'alto  del  castello  che  sovrasta  alla  città  per  fulminarla,  i 
prigionieri  politici  di  que' tempi  nefasti  sentirono  l'eco  di  quei 
colpi  nel  loro  cuore  ;  ed  essi  morirono  là  mandando  ai  loro  com- 
pagni e  all'Italia  il  loro  estremo  saluto. 

Sotto  un  ciriegio  annoso  che  ancor  stende,  i  suoi  rami  lus- 
sureggianti al  disopra  del  vallone,  fra  le  viti  cariche  di  grap- 
poli ben  promettenti  caddero  davanti  alla  città  esterrefatta  e  ai 
montanini  fuggenti  all'immane  spettacolo:  caddeio  nella  polve 
di  quel  vallone  profondo  mentre  le  vie  si  disertavano  di  popolo, 
mentre  si  chiudevano  le  finestre  e  le  botteghe,  come  usiamo  di 
chiuder  gli  occhi  per  non  vedere  un  fatto  orrendo  o  un  pericolo 
minaccioso. 

Melanconico  pellegrinaggio  è  questo  che  fa  piegare  il  gi- 
nocchio davanti  al  simbolo  di  un  gran  martirio  rinnovato  per 
l'amor  della  patria  :  il  pastore  passa  di  là  borbottando  un  requie, 
e  facendosi  il  seguo  della  croce,  il  torriere  in  ritardo  presso  le 
ventiquattro,  allunga  il  passo  quasi  temendo  di  vedervi  errare 
fantasmi  non  placati  e  si  leva  religiosamente  il  suo  cappellino 
con  reverente  pietà. 

Una  lagrima  cade  dall'occhio  del  cittadino  e  del  cristiano 
quando  il  torriere  vi  dice  che  al  giorno  della  traslazione  di 
quelle  ceneri  gloriose,  la  città  e  i  villaggi  per  cui  passò  il  fu- 
nebre convoglio,  dove  le  strade  erano  troppo  strette  per  quel 
gran  carro  trionfale,  que'  popoli  atterrarono  i  muri  delle  loro 
case  e  le  coprirono  di  drappi  neri  per  dissimularne  le  rovine. 
Nessuna  regione  come  la  Calabria,  che  ha  nel  sangue  e  nella 
tradizione  l'istinto  dell'indipendenza  che  ha  combattuto  con  Spar- 
taco la  prima  guerra  servile,  e  con  Garibaldi  1'  ultima  guerra 
della  libertà,  che  ha  avuto  un  brigantaggio  politico  e  un  bri- 
gantaggio avventuroso  pieno  di  fascini,  poteva  comprendere  cosi 


IX    CALABRIA. 


iO 


pienamente  i  fratelli  Bandiera  che  nelle  foreste  della  Sila  ave- 
vano avuto  comuni  con  essi  come  tenda  il  cielo,  come  letto  la 
terra  e  come  testimonio  Iddio. 

Mi  correvano  alla  niente  le  strofe  affettuose  del  Chiodi  ' 
tolte  forse  alle  canzoni  pittoresche  delle  montagne  calabresi  e 
ripetevo  tra  me,  seduta  ai  piedi  della  croce  di  ferro,  come  una 
preghiera  e  come  un  voto. 

Fior  d'erba  amara 
Ahi  !  mesta  come  l'ora  della  eera 
É  la  memoria  di  cotesta  bara. 

Fiorìn  di  lino 
Troppo  gentil  vi  fé'  di  Dio  la  mano 
Che  nasceste  e  moriste  in  un  mattino. 

Fior  di  cipresso 
Nel  Vallon  di  Rovito  manca  an  saaso 
Ma  vi  ricorda  il  cittadino  oppresso. 

£  intanto  sall'alto  del  colle  un  giovinetto  calabrese  sonava 
la  zampogna:  vicino  a  lui  pascolavano  le  capre  affettuose  e  lo 
pecorelle  ingenue:  egli  era  sedato  sopra  un  tronco  d'ulivo  rove- 
sciato e  stendeva  le  sue  gambe  onde  penxoloni  sul  vallo.  Vicino 
a  lui  un  altro  cantava  :  forse  la  selvaggia  civetteria  dei  giova- 
netti che  avevano  odorato  la  forestiera  a' piedi  della  croce  era 
rimasta  eccitata  e  volevano  attrarre  la  mia  attenzione.  La  me- 
lodia mesta  e  lunga  giungeva  a  me  con  le  parole  incerte  e  con- 
fuse del  dialetto:  la  zampogna  rauca  e  nasale  con  il  suo  ventre 
pieno  d'aria  accompagnava  il  dolcÌ88Ìnio  canto: 

Janoa  cchiu  de  la  carta  diiicata 
Rossa  eome  lo  mito  de  la  riemo  : 
La  naama  cbe  ti  fioe  fa  na  fiua 
E  ti  mantenae  de  booao  eavienio: 
Ti  fiee  sta  vccoeda  iggrssiata 
Chi  sette  OMle  e  maana  astate  o  ricmo 
81  sta  meenna  toa  fbrrie  raeiata 
N'anima  caoeeHs  de  intra  la'aflemo. 

Gettai  dei  soldi  agli  artisti  sotto  il  ctriegio  che  vide  rosseg- 
:->ro  le  glebe  del   sangue  de'  martiri  fratelli,  colsi   lo  marghe- 

.<;  ivi  nate  eome  il  nujoBoti»  di  <|ucllu  tombe,  e  risalii  me- 
stamente in  Cosenza. 

Caterina  PiooRiNi-BKRr. 


*  Queste  strofe  eoo  stampate  seosa  il  none  dell'  aatore  In  una  raceolta 
▼erti  di  molti  egregi  patrioti  eoeentini  nei  giorni  in  cai  fonmo  disamate 
e  traalMtc  in  Vencsia  le  ceneri  dei  fratelli  Ikndicra,  e  Domeoieo  Moro. 


I  GHIACCI  POLARI  ' 


III. 


Influenza  della  temperatura  annuale  sullo  sviluppo 
delle  due  ghiacce  polari. 

1.  Problema  della  sproporzione  —  2.  Probabile  uguaglianza  della  media 
temperatura  ne'due  emisferi  —  3.  Eccessi  del  clima  boreale  e  uniformità 
dell'  australe  —  4.  Teri-e  magellaniche  —  5,  Regioni  circumpolari  — 
6.  Il  mare  australe  non  gela  —  7.  La  sproporzione  delle  due  ghiacce 
non  dipende  dal  freddo  o  dal  caldo  —  8.  Supposta  influenza  delle  cor- 
renti marine  —  9.  Circolazione  marina  nell'  emisfero  boreale  —  10. 
Correnti  artiche  —  11.  Circolazione  antartica  —  12.  L'oceano  artico  è 
certamente  più  caldo  —  13.  Valore  minimo  di  una  tale  influenza  nel 
proposto  problema. 

1.  L'articolo  precedente  ci  ha  posto  di  fronte  un  problema 
il  quale,  per  la  speciale  accentuazione  e  la  grandiosità  del  fe- 
nomeno che  lo  costituisce,  va  indubbiamente  annoverato  tra  i 
pili  importanti  per  la  fisica  terrestre  e  per  la  geologia.  Quale 
sia  la  sproporzione  tra  le  due  ghiaccie  polari  l' abbiamo  già 
detto.  S'allarghino  o  si  restringano  i  suoi  limiti,  secondo  i  dati, 
sempre  approssimativi,  da  cui  ciascuno  volesse  partire,  q\iella 
sproporzione  rimarrà  sempre  enorme.  Io  ho  creduto  di  poter 
assegnare  per  limite  medio  alla  calotta  artica,  coperta  più  o 
meno  stabilmente  di  ghiacci,  il  75°  parallelo,  e  il  55°  alla  ca- 
lotta antartica  :  avremmo  adunque,  come  si  è  già  detto,  tra  le 
rispettive    aree   glaciali  il  rapporto  di  9  a  46  milioni  di  chilo- 

'  Continuazione,  vedi  fascicolo  del  1°  Giugno. 


m 


I   GHIACCI   POLARI.  77 


I 


metri  quadrati  (più  esattamente  di  8,870,477  a  45,914,187);  il 
che  vuol  dire  che  la  ghiaccia  antartica  occupa  un'  area  quasi 
cinque  volte  maggiore  di  quella  occupata  dall'artica. 

Prego  il  lettore  a  non  volersi  stillare  il  cervello  nell'esame 
0  nella  critica  di  queste  cifre,  avendo  io  già  ammesso  che  a 
costituirle  c'entra  per  qualche  parte  anche  l'approssimativo  e  il 
convenzionale,  come  appare  dai  particolari  esibiti  nei  precedenti 
capitoli.  Ma  badi  bene  che  lo  scopo  di  questo  scritto  non  è 
quello  propriamente  di  fissare  l'estensione  e  la  potenza  rispet- 
tiva delle  due  ghiacce.  Quali  sieno  o  possano  ritenersi  quelle^ 
la  sproporzione  di  queste  è  e  sarà  sempre  enorme.  Qui  sta  la 
questione.  Questa  sproporzione  e'  è  già  calcolando  all'  ingrosso 
la  sola  relativa  estensione;  ma  e'  è  ben  dell'altro,  se  ci  facciamo 
ad  indovinare,  come  meglio  si  possa,  il  relativo  spessore  e  la 
massa  delle  due  ghiacce  polari.  Nel  calcolo  della  relativa  esten- 
sione naturalmente  abbiamo  sommate  insieme  tanto  le  aree  ma- 
rine coperte  di  ghiacci  quanto  le  terrestri.  Ora,  ammessa  la 
esistenza  del  mar  polare  artico,  avremmo  la  calotta  artica  entro 
il  70**  di  latitudine,  occupata  per  la  maMÌma  parto  dal  mare, 
coperto  di  una  ghiaccia  avventizia,  ed  anche  assai  probabil- 
mente libero,  almeno  nella  stagione  estiva.  Entro  lo  stesso  pa- 
rallelo a  Sud  dobbiamo  collocare  invece,  come  credo  d'  avere 
con  tutta  certezza  dimostrato,  un  continente  ;  e  questo  tutto  co- 
perto di  uno  strato  di  ghiaccio,  al  quale  dobbiamo  assegnare 
parecchie  centinaia  ed  anche  migliaia  di  metri  di  spessore.  11 
volume  della  ghiaccia  antartica  su  queir  area  soltanto  dev'  es- 
sere adunque  due,  tre  ed  anche  quattro  volto  maggioro  di 
quello  della  ghiaccia  artica  sull'area  corrispondente  a  Nord.  I 
mari  intemi  di  ghiaccio,  sotto  i  quali  éono  sepolte  le  terre  bo- 
reali, lasciano  allo  scoperto,  durante  l'estate,  una  sona  littorale 
che  si  eleva  fino  a  considerevole  allessa.  Il  gran  mare  di  ghiaccio 
che  ricopro  il  continente  antartico,  è  invece  tutto  d'  un  pesso, 
discendendo  costantemente  fino  al  livello  del  vero  mare,  sicché 
non  lascia  scoperto  neppure  il  più  piccolo  lembo  di  lido.  Qui 
insomma  Vltdandeit  non  si  separa  dai  ghiacciai,  ai  quali  sol- 
tanto nelle  regioni  artiche  è  concesso  di  raggiungere  il  mare. 
Si  aggiunga  che  la  ghiaccia  continentale  antartica  si  distende 
in  genere  molto  al  di  qua  del  75*  parallelo.  Se  il  Rois,  nel 
▼iaggio  alla  Terra  Vittoria,  incontrò  la  barriera  di  ghiaccio 
verso  il  70*  di  1  •  Biseoe  se  la  trovò  invece  di  fronte 

al  (**f^*,  e  pot»'  coa!  ,.^  ...«    essa  l>arrìe'ra,  ossi»  «1  '"••^finente  an- 


78  I    GHIACCI   POLARI. 

tartico  (come  non  dubita  di  esprìmersi  in  proposito  Dumont 
D'Urville)  dal  100»  fino  al  170"  di  longitudine  Ovest.  I  ghiacci 
galleggianti,  sotto  forma  di  montagne,  isole  o  campi  di  ghiaccio, 
tra  il  50"  e  il  70"  di  latitudine  Sud,  sono  in  genere  più  radi 
di  quelli  tra  il  75°  e  1'  83"  di  latitudine  Nord:  ma,  per  com- 
penso, sono  anche  considerevolmente  più  grossi  e  smisurata- 
mente più  estesi.*  Anche  le  terre  più  avanzate  verso  l'equatore 
nell'emisfero  australe  sono  tutte  coperte  fino  al  mare  di  nevi  e 
di  ghiacci,  e  circondate  da  terribili  banchi  di  ghiacci  galleg- 
gianti. La  Terra  di  Graham,  per  esempio,  tra  il  64"  e  il  67" 
di  latitudine,  basta  a  darci  un'  idea  dell'  enorme  sviluppo  dei 
ghiacci  antartici.  Tutta  quella  terra  (così  si  legge  nel  viaggio 
di  Dumont  D' Urville)  ad  eccezione  dei  due  capi  che  si  proiet- 
tano a  Nord,  era  coperta  di  nevi  e  di  ghiacci,  che  si  levavano 
a  picco  sul  mare,  talora  fino  ad  altezze  di  2000  ed  anche  di 
3000  piedi.  Il  mare,  scatenandosi  furioso  contro  l' invincibile 
barriera,  ne  staccava  enormi  pezzi,  che  se  ne  andavan  via  gal- 
leggiando sul  mare.  Soltanto  verso  Sud-Ovest  la  Terra  di  Gra- 
ham si  mostrava  spoglia  di  nevi,  sopra  una  lunghezza  di  20 
miglia,  oltre  le  quali  vedevasi  un  grande  ghiacciaio  discendere 
da  un  monte  di  2000  piedi  d'altezza,  e  presentare  al  mare  una 
fronte  colla  solita  forma  di  una  muraglia  di  ghiaccio.  Anche  le 
isole  Schetland,  poste  verso  il  63"  di  latitudine,  sono  descritte 
dal  Weddell  come  formate  di  monti  altissimi,  coperti  dalla  testa 
fino  ai  piedi  di  nevi  e  di  ghiacci.  Nelle  stesse  condizioni  si 
trova  nelle  parti  più  elevate,  sopra  vastissime  estensioni,  la 
Terra  del  Fuoco,  anche  secondo  la  recentissima  descrizione 
fattane  dal  Bove.  *  Non  si  dimentichi  che  la  Terra  del  Fuoco 
si  trova  verso  il  55"  di  latitudine  Sud,  dove  cioè  sorgono  a 
grandi  altezze  nell'opposto  emisfero  le  montagne  della  Scozia. 
Non  mi  arrischio  a  far  calcoli  ;  ma,  dopo  tutto  questo  mi  pare 
che  si  possa  senza  paura  assegnare  ai  ghiacci  antartici,  in  con- 

II  Weddell  a  58°  di  latitudine  incontra  5  grandi  isole  di  ghiaccio.  Verso 
il  60°  lo  troviamo  già  nel  cuore  dei  ghiacci  galleggianti.  Tra  il  60°  e  il  61° 
attraversa  una  smisurata  catena  di  isole  di  ghiaccio.  Queste  si  fanno  cosi 
numerose  verso  il  69»  da  rendere  molto  difficile  il  navigarvi  nel  mezzo.  Ne 
conta  su  breve  tratto  66.  A  61°  nel  ritorno  verso  Nord,  incontra  un  campo 
di  ghiaccio,  e  lo  costeggia  per  20  miglia  senza  trovarne  la  fine.  Tra  il  63* 
e  il  61°  è  una  lotta  continua  tra  infiniti  ghiacci  galleggianti  e  centinaia  di 
enormi  isole  di  ghiaccio.  Palmer,  Powell  e  Brausfield  sono  arrestati  da 
banchi  di  ghiaccio  tra  il  60"  e  il  64»  di  latitudine. 

'  Eapporto  del  tenente  Giacomo  Bove,  Genova,  1883. 


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I    GHIACCI    POLARI.  79 


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I 


fronto  cogli  artici,  uno  sviluppo,  ossia  una  potenza  complessiva, 
non  solo  di  5,  ma  di  10  ed  anche  di  15  volte  masrsiore. 


*OD' 


2.  Come  va  dunque  questa  faccenda,  se  (ripetiamo  quello 
che  abbiamo  già  detto  nel  primo  capitolo)  le  condizioni  dei  due 
emisferi,  nei  rapporti  astronomici,  cioè  di  fronte  alla  grande, 
anzi  unica  sorgente  di  calore  che  è  il  sole,  sono  le  stesse? 
Quando  l'ultimo  raggio  saluta  il  polo  che  si  sommerge  nel  buio 
di  una  notte  di  sei  mesi,  già  il  primo  sorride  all'altro  polo  che 
ne  emerge,  per  bearsi  di  sei  mesi  di  giorno.  Cosi  una  notte  e 
un  giorno,  di  sei  mesi  ciascuno,  si  alternano  con  assidua  vece 
sulle  due  estremità  dell'asse  del  globo.  È  vero  che  il  semestre 
di  giorno  è  nell'  emisfero  boreale  alquanto  più  lungo  che  nel- 
l'australe. Sappiamo  però  che  quella  piccola  quantità  di  calore 
in  più  di  cui  il  primo  potrebbe,  per  questa  circostanza,  fruirò 
è  poi  elisa  dalla  maggiore  distansa  a  cui  si  trova  il  pianeta 
dalla  fonte  calorìfera,  quando  il  sole  passa  a  Nord  dell'  equa- 
tore. La  differenza  in  ogni  caso  è  tanto  minima,  che  non  si 
saprebbe  assegnarle  un  valore  qualunque.  In  nltima  analisi 
ciascuno  dei  due  emisferi  ha,  con  egual  misura  ripartiti,  i  suoi 
soli,  i  suoi  tepori  di  primavera,  e  i  suoi  bollori  d'estate,  come 
i  suoi  freddi  invernali.  Come  va  adunque,  ripeto,  che  tra  lo  due 
ghiacce  polari  si  verifichi  una  sproporzione  cosi  colossale?  Se 
il  cielo  ci  nega  recisamente  qualunque  ragione  del  fatto  di  cui 
cerchiamo  la  spiegazione,  è  giuocoforza  cercarne  alla  terra.  Non 
sappiamo  già  forse  come  sotto  gli  stessi  soli,  nelle  stosse  lati- 
tudini, ci  sono  tanti  climi  diversi,  secondo  le  altexze,  l'esposi- 
zione,  là  natura  del  suolo  ecc.  ecc. 

Alcuni,  come  abbiamo  già  detto,  ammettono  senz'altro  che 
australe  dev'essere  più  freddo    del    boreale.  È  vero 
.j..c^v./  i.»ito?  —  Gioverà  accertarcene  fn  modo  che  non     '   i' 
manga  più  nessun  dubbio  sul  si  o  sul  no. 

Non  e'  h  fenomeno  più  complesso  di  quello  della  distribu- 
zione del  calore  sulla  superficie  del  globo.  Io  sono  profouda- 
racnto  convinto  che,  stante  TaccennaU  identità  dei  rapporti  tra 
i  due  emisferi  e  la  fonto  calorifera  che  è  il  sole,  la  media  tem- 
peratura dev'essere  per  l'uno  e  per  l'altro  molto  approssimati- 
vamente la  stessa.  Il  nolo,  ripeto,  largisce  con  egualo  misura 
ài  due  emisferi  i  suoi  raggi  vitali.  Non  c'è  nessuna  ragiono  che 
lo  spin-a  a  guardare  con  occhio  più  benigno  quello  piuttosto 
che  qucBto.  La  ra;^ione  adunquj  della  sproporzione  tra  lo  ghiao- 


80  I   GHIACCI   POLARI. 

eie  polari  deve  dipendere  dalle  condizioni  speciali  degli  emisferi 
medesimi,  come  dipende  dalle  diverse  condizioni  dei  terreni  se, 
sotto  lo  stesso  sole,  uno  è  sterile  l'altro  fecondo. 

3.  In  ogni  caso,  per  riguardo  a  certi  fenomeni,  ed  a  quello 
nominatamente  di  cui  ci  occupiamo,  l'efficacia  maggiore  va  at- 
tribuita non  tanto  alle  medie,  quanto  alle  massime  ed  alle  mi- 
nime temperature  che  si  verificano  nei  diversi  punti  della  su- 
perficie terrestre,  secondo  le  diverse  stagioni.  Non  possiamo 
troppo  dilungarci  nella  dimostrazione  di  questa  tesi,  la  cui  ve- 
rità fu  luminosamente  messa  in  sodo  dalla  geografia  botanica. 
Mi  appoggerò  dunque  soltanto  ai  fatti  che  nessuno  può  igno- 
rare. È  noto  quali  enormi  distanze  si  verifichino  tra  i  massimi 
e  i  minimi  di  temperatura  nelle  zone  fredde  o  temperate  del 
nostro  emisfero,  specialmente  sulle  rive  dell'Atlantico.  Ai  calori 
sahariani  di  New-York  e  a  quelli  quasi  sahariani  che  ci  si  fanno 
sentire  annualmente  anche  ai  piedi  delle  Alpi,  si  oppongono 
tali  geli  d' inverno,  da  farci  credere  talvolta  trasmigrati  sulle 
rive  dell'  Obi.  La  differenza  tra  1'  estate  e  l' inverno  è  ancora 
più  spiccata  nelle  regioni  polari,  dove,  se  il  termometro  discende 
fino  a  46  ed  anche  talvolta  fino  a  56  gradi  sotto  zero  nei  mesi 
del  freddo,  non  si  dimentica  però  di  salire  nei  mesi  del  caldo 
fino  ad  11  gradi  sopra. 

Le  cose  camminano  ben  diversamente  nell'emisfero  australe 
dove  il  clima  è  da  lungo  tempo  segnalato  per  la  sua,  relativa 
sì,  ma  spiccatissima  uniformità,  e  conseguentemente  per  la  sua 
mitezza.  Della  Nuova  Zelanda,  per  esempio,  si  parla  come  d'un 
paradiso  terrestre,  tanta  è  la  bontà,  e  specialmente  l'uniformità 
del  suo  clima.  Non  parliamo  dell'isola  a  Nord,  che  spiega  tutta 
la  pompa  di  un  clima  tropicale,  ma  si  trova  anche  sotto  lati- 
tudini corrispondenti  a  quelli  della  Sicilia  e  di  Malta.  Il  sin- 
golare è  quello  che  si  osserva  nella  grande  isola  a  Sud,  la  quale 
sta  neir  opposto  emisfero  quanto  alle  latitudini,  in  corrispon- 
denza colla  regione  dei  due  versanti  delle  Alpi.  Là,  come  ho 
già  accennato,  dove  pur  discendono  i  ghiacciai  dalle  cime  di 
una  catena  altissima  di  montagne  fino  a  soli  500  metri  sul  li- 
vello del  mare,  il  clima  è  così  temperato,  che  agli  stessi  ghiac- 
ciai fanno  cornice,  fino  a  grande  altezza,  vergini  foreste,  com- 
poste delle  essenze  più  delicate,  di  felci  arboree,  di  Aralia,  di 
Dracoena,  le  quali,  al  dire  di  Ch.  Martins,  non  potrebbero  sop- 
portare il  clima  della  Provenza. 


r 


I   GHIACCI   POLARI.  SI 

4.  Ma  nulla  può  darci  un'idea  adeguata  di  quel  genere  di 
clima,  che  può  dirsi  sconosciuto  affatto  alle  regioni  a  Nord  del- 
l'equatore, meglio  delle  terre  che  costeggiano  lo  stretto  di  Ma- 
gellano. Son  esse  le  terre  più  meridionali  abitate  da  uomini 
civili,  e  quasi  possiam  dire  anche  da  popoli  selvaggi.  Una  co- 
lonia che  ormai  può  dirsi  florida  è  quella  di  Punta-Arenas, 
a  .óó**  di  latitudine  sud.  Devo  i  seguenti  particolari,  non  difformi 
del  resto  da  altri  riportati  dagli  autori,  all'  Ing.  Francesco  Gior- 
dano, che  li  raccolse  durante  il  suo  viaggio  di  circumnavigazione, 
e  precisamente  nell'ottobre  del  1875. 

Il  clima  della  costa  ovest  del  Chili,  così  mi  scrive.»  n  l.mì- 
dano,  specialmente  nella  regione  degli  stretti  Magellanici,  è  molto 
singolare  per  certi  fenomeni  e  certi  contrasti,  massimamente 
per  riguardo  alle  temperature  medie  ed  estreme.  Mentre,  per 
esempio,  vi  regna  un  clima  assai  temperato  ;  mentre  il  mare  non 
vi  gela  mai  in  nessun  punto,  né  il  termometro  discende  di  molto 
sotto  lo  zero;  mentre  vi  sono  boschi  assai  folti  in  riva  al  mare, 
composti  in  genere  d'una  flora  temperata,  e  vi  abbondano  pap- 
pagalli *,  mentre,  dico,  si  osserva  tutto  questo,  si  vedo  d'altra  parte 
molto  bassa  la  linea  delle  nevi  perpetue,  la  quale  oscilla  a  circa 
650  metri  sul  livello  del  mare,  e  non  pochi  ghiacciai  discendono 
fino  al  mare  anche  prima  del  50*  di  latitudine.  Ma  colla  linea 
delle  nevi  perpetue  cosi  bassa,  coi  ghiacciai  che  discendono 
no  al  mare,  la  media  della  temperatura  annuale  delle  terre 
agellaniche  è  di  7*  cent.,  e  la  minima  assoluta  non  giunge  mai 
a — 7*  cent  Tuttavia  anche  la  massima  estiva  non  si  eleva  mai 
molto  alta.  Insomma  il  clima  di  quelle  terrò  non  può  «ì 
un  clima   freddissimo,   se  si  guarda   all'inverno,    nò    u  i 

caldo,  se  si  guarda  all'  estate.  Cosi  nello  folto  foreste  dove 
domina  il  Fagu»  Aniarticay  il  quale  perde  le  foglio  d' i 
vidi  delle  f\idm4  (dice  il  Giordano)  ed  altri  arbo&.....  ;.i 
climi  assai  caldi.  Con  questo  elima  né  caldo,  nh  freddo,  non 
farà  meraTÌgUa  quest'altra  circostanza  notata  dal  Giordano, 
cioè  che  su  quelle  terre,  e  precisamente  a  Punta- Aromis 
(5.^  di  latitudine),  i  cereali  ri  crescono  benissimo,  ma  poi,  per 
difetto  di  alti  calori  estivi,  non  tempre  vi  giungono  a  maturitA. 
Ci  dice  invece  benissimo  il  pascolo,  il  quale  non  teme  altro.  >i 
può  dire,  che  i  grandi  calori;  e  ci  dice  per  conseguenxa  bcm^ 
timo  il  bestiame  bovino,  che  stante  la  raitosrji  doli'  inverno  può 
starvi  tutto  l'anno  all'aperto.  Anche  il  mare  nello  Stretto  è  assai 
temperato.  Nell'ottobre  (cioè  alla  fine  dell'  InTemo  por  quei  poitìX 

T*b.  XL,  S«rl«  Il  —  1  L««1U  IMI 


82  I   GHIACCI   POLARI. 

segnava  una  temperatura  di  6  gradi  e  mezzo  sopra  zero.  Ci 
vivono  delle  conchiglie  di  specie  affini  a  quelle  dei  mari  più 
temperati.  —  Possiamo  noi  nel  nostro  emisfero  formarci  un'idea 
di  un  clima  cosi  uniforme?  Lo  potremmo  massimamente  sotto  le 
nostre  latitudini  tra  il  40°  e  il  55*,  cioè  tra  la  media  Italia  e 
la  Scozia?... 

Più  in  là  dello  Stretto  di  Magellano  saranno  certamente  meno 
miti  gli  inverni.  Se  leggete  la  descrizione  della  Terra  del  Fuoco, 
dataci  dal  Bove  in  uno  degli  ultimi  fascicoli  della  Nuova  An- 
tologia, e  a  parte  nelle  pubblicazioni  del  Comitato  per  la  Spedi- 
zione Antartica,  nulla  di   certo    v'  inviterà  a  seguirlo  su  quelle 
coste  disastrose,  a  pie  di  quei  monti,  coperte  da  cima  fondo  di 
nevi  e  di  ghiacci,  e  continuo  bersaglio  delle  più  atroci  tempeste. 
Nulla  però  vi  lascia    l' impressione    di    quei    freddi,  che,  sotto 
uguali  latitudini  a  Nord,  coprono  annualmente  d'una  crosta  di 
ghiaccio  il  mare  nelle    Baie  d'Udson  e  di  Foundi.  Vediamo  i 
Fueghini    accontentarsi  del   loro   mantello    di  guanaco,    che  in 
istile  classico  panneggia  i  nudi  corpi,    e   molto   spesso  farne  a 
meno  se  occorre.  I  loro  Wigam  sono  semplici  mucchi  di  fascine 
piuttosto  che  capanne.  Dell'  Isola  degli  Stati,  estrema  appendice 
dell'America  meridionale  verso  Est,  cosi  scrive  il  Bove:  u  Po- 
vero   clima  che    è    quello    di    tale  remota  contrada!  Umido    e 
freddo,  i    due  più    terribili   nemici    dell'umana    struttura,    non 
danno  tregua,  ri  Ma  poi  tosto  soggiunge  che,  «  anche  nelle  gior- 
nate più  calde  dell'estate,   il  termometro   s'innalza  dificilmente 
sui  12  gradi,e  non  raro  è  dato  vedere,  durante  l'estate,  le  cime 
delle  montagne    {alte  soltanto  da  500  a  800  metri)   coprirsi   di 
neve  *.  n  Dunque  freschissima,  per  non  dir  fredda,  è    1'  estate. 
Altro  non  manca  se  non  che  sia  mite  F  inverno  :  e  che   lo  sia 
(sempre  relativamente  parlando)  lo  dicono  i  folti  boschi  di  piante 
d'alto  fusto  che  rivestono  i  monti  fino  a  300  o  400  metri    d'al- 
tezza, e  la  mancanza  di  nevi  persistenti  sopra  montagne  che  si 
«levano  fino  all'altezza  di  800    metri.    Questa    assenza  di  nevi 
perpetue  è  fenomeno  veramente  maraviglioso,  in  quella  località, 
dove  nevica  talvolta  anche  d'estate,  e  dove  l'acqua  cade,  come 
ne  assicura  il  Bove,  in  prodigiosa  abbondanza.  Tanto  più  ma- 
raviglioso quando   si  riflette  che  ci  troviamo  almeno  di  un  grado 
più  a  sud  dello  Stretto  di  Magellano,  dove  abbiam  visto  le  nevi 
perpetue  non  arrestarsi  che  all'  altezza  di  600  metri  sul  livello 

'  Bove,  Patagonia,  ecc.,  Genova,  1883. 


I   GHIACCI   POLARI. 


83 


del  mare.  Qualche  cosa  di  più  positivo  circa  la  mitezza  del  clima 
invernale  nella  Terra  del  Fuoco  ce  lo  dà  lo  stesso  Bove  nel 
seguente  periodo,  dove  parla  dell'  inverno  passato  nel  canale  di 
Beagle,  a  Non  eravamo  che  al  principio  di  maggio  e  già  l'in- 
Temo  annunziavasi  sotto  cosi  cattivi  auspici.  Fortunatamente  non 
fu  questo  che  un  falso  allarme,  e  più  mite  inverno  di  quello 
da  noi  speso  nel  canale  di  Beagle,  mi  si  disse  non  essere  ricor- 
dato a  memoria  di  uomo.  In  sole  due  o  tre  occasioni  fummo 
visitati  dalla  neve,  ed  in  cosi  piccola  quantità  che  dopo  pochi 
giorni  essa  era  completamente  sparita.  I  mesi  di  giugno  e  di 
luglio,  il  cuore  dell' inverno,  furono  straordinariamente  belli;  per 
giorni  e  giorni  non  un  alito  di  vento,  non  una  nuvola  che  mac- 
chiasse un  cielo  limpidissimo,  si  che  più  volte  mi  domandai 
se  quelle  erano  le  stesse  terre  che  Fitz  Boy  e  Darwin  dipin- 
sero con  si  tristi  colori.  Ma,  ripeto,  il  nostro  fu  un  anno  ecce- 
zionale, n  Si  pigli  pure  l'eccezione  come  eccezione;  ma  non 
dobbiamo  dimenticarci  di  essere  al  55*  di  latitudine,  dove  cioè 
nell'opposto  emisfero  troviamo  i!  Labrador,  le  Aleuzie,  il  Kam- 
sciatka  ed  altre  terre  famose  per  rigori  invernali,  e  quali  inverni 
si  passino  sotto  le  stesse  latitudini  anche  nel  Nord  Europa, 
benché  goda,  in  via  tanto  eccesionale,  dei  favorì  della  corrente 
del  Golfo. 


b.  Ma  ']':n 'i  iiu'iei  pure,  sulla  via  dei  più  arditi  navi<;aton, 
fino  al  pi-  '1<-  <1>11  i  muraglia  di  ghiaccio  che  segna  i  confini  tra 
il  grande  Oceano  e  il  Continente  Antartico,  cioè  tra  il  68*  e  il 
78*  di  latitudine  Sud.  Qià  sulle  coste  delle  Orcadi  del  Sud,  verso 
il  00*  di  latitudine,  navigando  col  Weddell,  vedremo  il  ghiac- 
cio formarsi  nelle  baie  durante  l'invomo.  Esso  tuttavia  si  scio- 
;_']i-  d'estate.  Appena  all'aperto  poi  il  mare,  tutto  all' ingiro  di 
<|u<;llc  ìhoIc,  benché  infestato  dai  ghiacci  galleggianti,  si  man- 
tiene sempre  liquido  anche  sotto  ai  massimi  rigori  invernali,  e 
sulle  isole  stesse,  quando  toma  la  calda  stagione,  verdeggiano 
i  pia-li,  viiiitati  da  stormi  infiniti  d'urcclli.  Oltre  quello  torre, 
dove  tuttavia  il  Wcddoll  ammirò  gli  sterminati  ghiacciai,  trovò 
che  il  clima  si  raddolciva  invece  di  farsi  più  freddo.  Fin  oltre 
il  G4*  il  termometro  all'ombra  segnava  2*,78,  e  al  sole  8*,49,  e 
la  temperatura  delle  acque  0*,66.  Questa  temperatura  del  mare 
cresceva  poi  fino  a  1*,11,  mantenendosi  tale  con  singolare  co- 
stanza, sicché  era  ancora  la  stessa  a  66*,26,  di  latitudine,  dove 
'|ii<  Ila  dell'aria  era  dÌHcesa  n  1*.67.  La  stoHaa  temperatura  del 


84  I   GHIACCI   POLARI. 

mare  lo  accompagna  nel  suo  viaggio  tra  il  70°  e  il  73"  di  la- 
titudine, durante  il  quale  navigò  sul  libero  mare,  dove  non  ap- 
l.^ariva  quasi  nemmeno  un  briciolo  di  ghiaccio. 

Lasciamo  il  Weddell,  per  farci  dappresso  a  Dumont  D'Ur- 
ville,  per  seguirlo  nel  suo  felicissimo  viaggio  fino  alla  Terra 
Adelia.  Anch'egli  trova  il  clima  mitissimo  a  Sud  del  capo  Horn  : 
i  minimi  segnati  dal  termometro  sono  di  —  1°  a  —  3°,  non 
mai  inferiori  a  6°  sotto  lo  zero.  Infine  la  temperatura  più  bassa, 
di  cui  io  abbia  trovato  farsi  menzione  finora  nelle  regioni  cir- 
cumpolari antartiche  è  quella  di  —  12°  centigradi,  esperimentata 
il  2  febbraio  del  1839  da  Ross,  sotto  l'estrema  latitudine  finora 
raggiunta,  che  è  quella  di  78°,4  di  latitudine  australe.  E  vero 
che  le  celebri  spedizioni  di  Weddell,  Ross  e  Dumont  D'Urville 
furono  eseguite  nella  stagione  estiva,  la  quale  già  per  sé  doveva 
essere  benigna  di  mite  temperatura  :  è  vero  che,  in  apparante 
contraddizione  con  quello  che  vogliamo  dimostrare,  sta  il  fatto 
già  ammesso,  che  l'estate  è  larga  alle  regioni  polari  artiche,  di 
caldi  maggiori  di  quelli  trovati  dai  nominati  viaggiatori  nelle 
antartiche.  Cominceremo  però  a  notare  che  nelle  artiche  regioni 
(come  anche  nelle  temperate  a  Nord)  vi  sono  sovente  tali  sbalzi 
di  temperatura  che  vi  riconducono  l'inverno  nel  cuore  dell'estate. 
Basta  leggere  infatti  il  viaggio  dell'Hayes,  per  vedere  di  quali 
freddi  sia  capace  anche  l'estate  nelle  regioni  circumpolari  ar- 
tiche. In  ogni  caso,  se  dalle  temperature  invernali  provate  in 
latitudini  già  molto  alte,  come  quelle  della  Terra  del  Fuoco  e 
delle  Orcadi  del  Sud,  è  permesso  di  conchiudere  a  quelle  delle 
regioni  antartiche  più  prossime  al  polo,  non  potremo  mai  nem- 
meno supporre  che  nell'emisfero  australe  possa  discendere  a 
—  45°,  e  fino  a  67°,55  come  avviene  talvolta  in  Siberia  appena 
oltre  il  60°  di  latitudine.  Tanto  ci  basta,  perchè  non  ci  sia  più 
permesso  di  attribuire  ad  un  freddo  maggiore  il  maggiore  svi- 
luppo dell'antartica  ghiaccia.  Del  resto,  nel  difetto  di  dati  po- 
sitivi, valga,  tra  le  altre  autorevoli  testimonianze  che  potrei  ci- 
tare in  favore  della  mitezza  e  uniformità  del  clima  australe, 
quella  del  tanto  celebre  quanto  coscienzioso  navigatore,  il  quale, 
forse  più  d'ogni  altro,  si  trattenne  nei  mari  australi,  percor- 
rendo in  lungo  e  in  largo  la  mobile  zona  smisurata  degli  an- 
tartici ghiacci.  —  L'esperienza,  così  si  legge  nel  viaggio  di 
Dumont  D'Urville,  ci  conduce  ad  ammettere  che  le  medie  sono 
quasi  uguali,  sotto  uguali  latitudini,  nei  due  emisferi.  Ma  il  fatto 
caratteristico  del  clima  australe  è  la  su»  molto  maggiore    uni- 


I   GHIACCI  POLARI. 


85 


formità,  quindi  l'assenza  di  quegli  estremi  di  freddo  e  di  caldo, 
che  caratterizzano  invece  il  clima  boreale.  Le  linee  isotermiche, 
che  oscillano  cosi  sentitamente  tra  paralleli  posti  a  distanza  di 
decine  di  gradi  l'uno  dall'altro  a  Nord,  sono  molto  più  regolari 
a  Sud,  girando  ciascuno  quasi  in  perfetta  coincidenza  col  ris- 
pettivo parallelo.  —  La  sintesi  di  quanto  abbiam  detto  la  tro- 
viamo in  questo  periodo  del  Grange,  che  scrisse  la  parte  fisica 
del  viaggio  di  Duraont  D'  Urville,  conchiudendo  cosi  :  u  Dana 
l'hémisphère  austral  la  temperature  varie  très-peu  dans  les  dif- 
férentes  saisons,  en  sorte  que  les  voyageurs  soni  étonnés  d'y 
trouver  des  étés  très-frais  et  des  hivers  tempere»,  n 

6.  Questo  tenersi  del  clima  antartico  sempre  lontano  dagli 
estremi  mi  persuade  sempre  più  che  sia  un  fatto  quello  che  mi 
parve  d' intravedere  in  quel  tanto  delle  spedizioni  antartiche  che 
mi  fu  dato  di  leggere,  senza  mai  trovarvi  nò  una  affermazione,  nò 
una  negazione  in  proposito.  Il  fatto  sarebbe  questo  che  l'Oceano 
australe,  almeno  al  largo,  non  geli  mai,  anche  nel  cuore  del* 
l'inverno.  Leggendo  per  esempio  il  viaggio  di  Dumont  D'Urvillc, 
non  m'incontrai  in  nessun  panto  dove  si  dicesse  che  egli  abbia 
veduto  gelarsi  il  mare  immediatamente,  o  incontra'  '  perto 
da    una   crosta   di   ghiaccia   che    dovesse   dirsi    in  ionie 

formata  dal  suo  immediato  congelamento.  Ansi  il  tanto  discu- 
tere che  si  fece  allora  tra  gli  stessi  compagni  di  Dumont  d'Ur- 
ville,  poi  delle  opero  e  dei  giornali  di  quell'epoca,  sull'origine 
della  cosidctta  banqui§e,  esclude  positivamente  il  fatto  d'essersi 
veduti  formare  dei  campi  di  ghiaccia  marina  pel  congelamento 
del  mare.  Se  lo  avessero  veduto,  quelli  che  sostenevano  essere 
la  ghiaccia  antartica,  non  già  una  terra,  ma  un  peno  di  mare 
gelato,  non  avrebbero  mancato  di  mettere  in  campo  almeno 
questo  che  poteva  dirsi  argomento  di  fatto.  Anche  quelli  che 
volevano  la  hanquise,  ossia  la  ghiaccia  mobile,  formata  dal  mare, 
confessano  però  sempre  che  essa  consta  di  pexsi  di  ghiaccio 
insieme  saldati.  Bisogna  dunque  coneludere  che  il  mare  antar- 
tico non  gela,  a  meno  che  ciò  non  avvonga  in  casi  eooesionali, 
come  quando  nell'opposto  emisfero  si  son  visti  gelare  il  BaU 
tico,  il  Mar  Nero,  ed  altri  pczai  di  mare,  che  ordinarìam«Bte 
non  vanno  soggetti  al  gelo  invernale.  Perchò  infatti  gelereb- 
bero  gli  antartici  mari?  Sappiamo  già  che  ci  vuole  un  gran 
freddo  perchò  il  mare  geli  anche  nelle  baie.  Bastano  forse  i  14, 
i  '>n  .rrfi,.];  notte  zero,  che  si  verificano  sovente  d'iuTomo  an- 


86  I   GHIACCI   POLARI. 

che  da  noi,  perchè  si  congelino  anche  per  poco,  nelle  rispet- 
tive baie,  l'Adriatico,  il  Mediterraneo,  e  i  mari  che  bagnano 
le  coste  dell'Inghilterra  e  della  Scozia  ?  Appena  è  se  si  conge- 
lano tra  il  55"  e  il  65°  di  latitudine  i  golfi  poco  profondi  di 
Botnia  e  di  Fidlannia.  Al  largo  poi  è  un  caso,  come  s'è  visto, 
se  può  congelarsi  anche  il  mare  Artico,  nelle  latitudini  piìi  inol- 
trate verso  il  polo.  La  ragione  è  chiara.  Un  corpo  d'acqua  com'è 
il  mare,  che  anche  nella  latitudine  più  elevata  verso  il  polo 
discende  ben  difficilmente  un  grado  sotto  zero;  un  corpo  di 
acqua  in  continuo  moto,  continuamente  rimescolato  dai  venti 
e  dalle  correnti  marine,  le  quali  di  continuo  riversano  le  acque 
fredde  dei  poli  verso  l'equatore,  e  le  acque  calde  dell'equatore 
verso  i  poli;  un  tal  corpo  d'acqua,  dico,  ha  ben  di  che  resi- 
stere all'influenza  di  una  temperatura  atmosferica  anche  di  30' 
a  40'  gradi  sotto  zero.  Per  ciò  appunto  abbiam  visto  l'Oceano 
circumpolare  artico  rimaner  libero  al  largo  anche  nei  massimi 
rigori  del  verno.  Dal  momento  che  la  Vega  si  trovò  il  28  set- 
tembre presa  nella  ghiaccia,  formatasi  lì  per  li  in  vicinanza 
della  terra  sotto  il  67°  di  latitudine,  la  temperatura,  dice  il  Nor- 
denskjdld  si  mantenne,  dall'ottobre  al  maggio,  sempre  al  disotto 
di  —  20'.  Si  può  stabilire  adunque  che  ci  vuole  una  tempera- 
tura almeno  di  —  20'  perchè  il  mare  si  congeli  in  vicinanza 
delle  terre:  sempre  inteso  che  non  basteranno  alle  volte  nem- 
manco  40'  gradi  .sotto  [zero  perchè  geli  al  largo.  Ciò  vale  in 
ispecial  modo  per  l'Oceano  antartico,  tutto  libero,  tutto  d'un 
pezzo,  dove  si  riversano  continuamente  le  correnti  marine,  i 
bollenti  Oceani  Indiano  e  Pacifico.  Concludo  perciò  essere  al- 
meno molto  probabile  che  l'Oceano  antartico,  dove  certe  estreme 
temperature  non  si  verificano  mai,  non  si  congeli  durante  l' in- 
verno, salvo  forse,  in  via  eccezionale,  sulle  coste  di  quelle  rade 
isole  che  rompono  l' immensa  uniformità  dell'  Oceano  australe. 

7.  In  ultima  conclusione  poi  tutto  ci  porta  ad  ammettere  che 
il  clima  invernale  sia  nell'  emisfero  australe  sensibilmente  più 
mite  che  nel  boreale.  Commetterebbe  dunque  un  errore  gros- 
solano chiunque  affermasse  doversi  ripetere  da  un  freddo  più 
intenso  o  più  diuturno  il  maggiore  sviluppo  dei  ghiacci  an- 
tartici, in  confronto  degli  artici;  mentre  invece,  quanto  alla 
temperatura  delle  due  calotte  polari,  ci  sarebbe  tutta  la  ragione 
del  contrario;  la  ragione  cioè  di  uno  sviluppo  maggiore  degli 
artici  che  degli  antartici. 


I   GHIACCI   POLARI. 


87 


Quello  che  è  certo  intanto  è  questo,  che  tanto  le  terre  cir- 
cumpolari artiche,  quanto  le  antartiche  (queste  anzi  assai  più) 
sono  coperte  di  neve.  Vi  è  dunque  nell'uno  e  nell'altro  emisfero 
un  freddo  sufficiente,  perchè  i  vapori  che  si  concentrano  in 
seno  all'atmosfera  si  convertano  in  neve,  tanto  d'inverno,  quanto 
(almeno  a  certe  altezze)  d'estate.  Questo  ci  basta.  Data  co- 
desta condizione,  la  questione  della  temperatura  relativa  dei 
due  emisferi  si  può  lasciare  decisamente  da  parte,  almeno 
per  ciò  che  riguarda  la  formazione  della  ghiaccia  terrestre,  per 
cercare  invece  quali  possano  essere  le  ragioni  per  cui,  data 
nell'uno  e  nell'altro  emisfero  una  temperatura  sufficiente  pel 
congelamento  dei  vapori  atmosferici,  ossia  per  la  loro  trasfor- 
mazione in  neve,  venga  a  cadérne  una  quantità  maggiore  sulla 
calotta  artica  che  sull'antartica.  Infatti  dalla  quantità  maggiore 
0  minore  di  neve  cadente  dipenderà  naturalmente  lo  sviluppo 
maggiore  o  minore  dei  ghiacci  terrestri,  e  quindi  lo  sviluppo 
maggiore  o  minore  dei  ghiacci  galleggianti  che  ricoprono  i  mari. 

Prima  però  di  lasciare  affatto  a  parte  la  questione  della 
temperatura,  si  può  far  questione  se,  non  avendo  essa  inflaenza 
sullo  sviluppo  della  ghiaccia  terrestre,  non  lo  possa  avere  di- 
rettamente sulla  ghiaccia  marina,  tantoché  positivamente  o  ne- 
gativamente n'abbiano  ragione  di  maggiore  o  minor  sviluppo  di 
ghiacci  le  due  calotte. 


8.  Oli  effetti  che  può  produrre  la  temperatura  atmosferica 
in  ordine  alla  formazione  dei  ghiacci,  sono  molto  diversi  da 
qu^'IIi  che  può  produrvi  la  temperatura  marina.  Abbiamo  ac- 
cennato più  innanzi  che  quella,  nel  caso  concreto  delle  due 
ghiacce  polari,  dovrebbe  influire  piuttosto  nel  senso  di  diminuire 
che  di  accrescere  o  mantenere  la  sproporzione  tra  le  due  ghiacce, 
essendo  la  media  temperatura  dei  due  emisferi  approssimativa- 
mente la  stessa.  Che  se  vi  è  differensa  tra  il  clima  artico  e 
l'antartico  per  parte  della  temperatura  atmosferica,  questa,  con- 
trariamente a  ciò  che  si  osserva  di  fatto,  farebbe  tutta  in  fa- 
vore dell'antartica,  ed  in  favore  dell'artica  ghiaccia.  Ha  della 
temperatura  marina  non  so  se  ii  possa  dire  Io  stesso,  mentre 
ci  sono  dei  fatti  ch'io  potrei  citare  in  prova  di  una  tempera- 
tura più  alta  nella  regione  artica  che  nell'antartica.  L'influenza 
che  può  esercitare  la  temparatora  marina  sullo  sviluppo  dello 
due  ghiacce  non  è  positiva,  ma  negativa.  Non  è  positiva  perchè 
in  nessun  mare  (praecindeiido   dalla   superficie    ad    immediato 


88  I   GHIACCI   POLARI. 

contatto  coll'atmosfera)  si  trovò  mai  una  temperatura  così  bassa, 
cioè  di  —  2°  a  —  3°  da  bastare  a  produrne  il  congelamento. 
È  invece  negativa,  in  quanto  quella  temperatura,  sempre  più 
0  meno  calda  anche  d'inverno,  può,  secondo  il  grado  di  calore 
che  possiede,  affrettare  o  ritardare  lo  scioglimento  della  ghiaccia 
superficiale,  d'origine  terrestre,  quindi  nuocere  o  giovare  al  suo 
relativo  sviluppo. 

Colpito,  or  son  già  molti  anni,  da  codesto  fenomeno  del- 
l'enorme sproporzione  tra  le  due  ghiacce  polari,  avevo  pensata 
e  messa  fuori  fin  dal  1865  '  una  teoria  che  mi  pareva  proprio 
vera  e  da  regger  salda  contro  ogni  attacco.  Credo,  ad  ogni 
modo,  d'esser  io  stesso  il  primo  ad  attaccarla.  In  questa  mia 
teoria  attribuivo  il  fenomeno  della  suddetta  sproporzione  alla 
influenza  delle  correnti  marine. 

9.  E  noto  come  tutte  le  acque  dell'oceano  si  rimutino  in 
due  direzioni  opposte,  dall'equatore  ai  poli  e  dai  poli  all'equa- 
tore, con  una  circolazione  continua.  L'acqua,  riscaldata  dalla 
vampa  del  sole  nella  zona  equatoriale,  tende,  per  la  sua  leg- 
gerezza, a  rovesciarsi  a  Nord  e  a  Sud  sull'acqua  fredda  delle 
zone  temperate  e  glaciali,  la  quale  per  l'opposto,  stante  la  àua 
pesantezza,  tende  continuamente  a  discendere  verso  l'equatore. 
Supposto  che  il  mare  coprisse  tutto  il  globo  con  uno  strato 
d'acqua  d'eguale  profondità  dovunque,  il  sistema  della  circola- 
zione marina  dovrebb'essere  della  massima  semplicità  nel  suo 
impianto.  Consisterebbe  in  un  semplice  va  e  vieni  del  mare 
universale,  che  si  volge,  come  corrente  superiore  verso  1'  uno 
e  l'altro  polo,  e  ritorna  dall'uno  e  dall'altro,  come  corrente  in- 
feriore, verso  la  zona  torrida.  È  facile  immaginare  però  come 
l'esistenza  dei  continenti  e  delle  isole,  e  la  diversità  orografica 
delle  coste  e  del  fondo  abbiano  per  effetto  di  modificare  pro- 
fondamente codesto  sistema  di  generale  circolazione,  riducendolo 
dalla  sua  massima  semplicità  ad  una  tale  complicazione  da 
rendere  assai  difficile  il  formarsene  un'idea.  La  duplice  fiumana 
oceanica  si  accosterà  per  conseguenza  all'ideale  delle  correnti 
terrestri,  costrette  a  torcersi,  a  dividersi  e  suddivìdersi,  secondo 
che  più  vizioso,  più  sparso  di  sassi  e  di  rupi  sporgenti  è  il 
loro  letto.  Basta  dare  un'occhiata  sul  planisfero  per  vedere  come 
l'oceano,  essendo  già  diviso  in  parziali  bacini,    dovrà    già    per 

'  Vedi  note.  Corso  di  Geologia.  Voi.  I,  cap.  IX. 


p 


I   GHIACCI   POLARI. 


89 


questo  dividersi  in  tante  parziali  correnti,  ossia  in  tanti  circoli 
parziali,  ciascuno  dei  quali  alla  sua  volta  sarà  diviso  e  suddi- 
viso, secondo  che  incontra  più  fitte  o  più  rade  le  isole,  le  pe- 
nisole, i  capi,  le  maniche,  gli  stretti.  Che  dire  specialmente 
dell'emisfero  boreale,  dove  sono  attualmente  condensate  le  terre, 
sicché  l'oceano  non  trova  più  altro  che  un  labirinto  aperto  alla 
sua  circolazione?  Fermiamoci  ad  osservare  che  debba  avvenire 
delle  acque  equatoriali,  riscaldate  dai  calori  tropicali,  che  si 
avviano  per  quel  labirinto  verso  l'artico  polo. 

10.  E  presto  veduto  come  quelle  provenienti  dai  grandi 
oceani  Indiano  e  Pacifico  debbano,  ancora  ben  lontane  dalla 
meta,  arrestarsi  contro  l'insormontabile  barriera  che  gli  fanno 
i  continenti.  Lungo  tutta  la  linea  infinita  delle  coste  dal  Capo 
di  Buona  Speranza  allo  stretto  di  Behring,  e  dallo  stretto  di 
Beh  ring  al  Capo  Hom  non  e'  è,  prescindendo  dal  medesimo 
Stretto  di  Behring,  nessun  pertugio,  per  cui  le  acque  provenienti 
(lall'equatore  possano  farai  strada  per  giungere  al  polo. 

L'antico  ed  il  nuovo  mondo,  cioè  l'Asia  e  l'Africa  colle  loro 
coste  Sud- Est,  e  l'America  colle  sue  coste  Sud-Ovest,  congiu- 
rano a  formare  una  specie  di  imbuto,  entro  il  quale  le  acque 
equatoriali  s'ingolfano,  per  essere  necessariamente  respinto  di 
nuovo  verso  l'equatore.  Lo  Stretto  di  Behring,  che  si  apre  al 
vertice  dell'  imbuto,  è  tanto  angusto,  che  non  può  permettere 
la  via  del  polo  che  ad  una  quantità  di  acqua  relativamente 
affatto  insignificante.  Un»  corrente  calda  vi  entra  difatti,  e 
questa  deve  già  necessariamente  esercitare,  per  quanto  piccola, 
un'influenza  negativa  sullo  sviluppo  degli  artici  ghiacci,  scio- 
gliendo una  parte  di  quelli  che  fanno  perenne  ingombro  agli 
interni  canali  dell'arcipelago  artico.  Quett*  corrente  calda  venne 
già  indicata  difatti  dal  tenente  Hotsebue  nel  181&.  Nel  suo 
viaggio  dal  Capo  Horn  allo  Stretto  di  Behrng,  entratovi  veno 
il  principio  d'agosto,  non  trovò  traccia  nh  di  nevi  né  di  ghiacci, 
tanto  sulla  terra  quanto  sulle  acque  dal  lato  dcH'Amcrica,  dove 
sereno  era  il  cielo,  e  tepida  T atmosfera.  La  stossa  corrente  e 
gli  stessi  effetti  furono  verificati  in  aeguito  da  quanti  ebbero 
la  fortuna  di  passare  lo  Strotto,  fino  al  bravo  «  fortunatÌMÌmo 
capitano  della  VegOf  il  quale  notò  precisamente  che  luogo  le 
spiagge  americane  del  Pacifico  fino  allo  Stretto  di  Behring 
rrente  calda,  che  vi  rende  da  quella  parte  assai 
i  di  Muanto  fi  oaimrva  sullo  prospicienti  regioni 


90  I    GHIACCI   POLARI. 

dell'Asia.  Pare  che  quella  corrente,  la  quale  per  la  sua  picco- 
lezza non  può  esercitare  una  grande  influenza  sul  clima  delle 
regioni  polari,  non  faccia  che  attraversare  l'Arcipelago  ameri- 
cano artico,  e  versarsi  nella  Baia  di  Baffin,  per  ritornare  all'e- 
quatore, anzi  certamente  a'  suoi  mari,  per  la  via  dell'Atlantico. 
E  un  fatto  che  si  raccolsero  dai  navigatori  nell'  Atlantico  pro- 
dotti dell'Oceano  Pacifico,  i  quali  non  potevano  esservi  discesi 
che  per  la  via  dello  Stretto  di  Behring  allo  Stretto  di  Davis. 
Mentre,  come  abbiamo  detto,  gli  oceani  Indiano  e  Pacifico 
si  arrestano  contro  la  barriera  continentale,  e  non  possono  man- 
dare altro  che  un  piccolo  saggio  delle  loro  acque  negli  artici 
mari,  il  solo  Atlantico  s' inoltra  verso  l'artico  polo.  Fu  da  lungo 
tempo  osservato  che  quest'  oceano  ha  la  figura,  e  certamente 
anche  le  funzioni  di  una  gran  valle,  per  cui  le  acque  possono 
salire  e  discendere  dall'equatore  al  polo  e  dal  polo  all'equatore. 
L'Atlantico  è  veramente,  letteralmente  una  gran  valle.  Il  Gulf- 
Stream  (corrente  del  golfo)  è,  dice  Maury,  un  vero  fiume,  che 
scorre  nel  mare  ;  è  un  fiume  di  acqua  calda,  scorrente  in  un 
letto  d'acqua  fredda;  un  fiume  d'acqua  salata,  in  un  letto  di 
acqua  salmastra  ;  ud  fiume,  la  cui  portata  è  migliaia  di  volte 
superiore  a  quella  del  Mississipi  e  del  Rio  delle  Amazzoni.  Questa 
grande  corrente  ha  le  sue  sorgenti  sul!'  equatore.  Volgendosi 
dapprima  verso  la  gran  foce  del  Rio  delle  Amazzoni,  si  ripiega 
bruscamente  verso  il  mare  Caraibico  e  il  Golfo  del  Messico. 
Per  uscire  dal  Golfo  attraversa,  come  impetuoso  fiume,  lo  Stretto 
della  Florida,  e  si  ripiega  verso  il  gran  banco  di  Terra  Nova, 
dove,  ripiegandosi  un'altra  volta  verso  Nord-Est,  e  sempre  più 
allargandosi,  in  guisa  da  trascinare,  direbbesi,  tutto  l'Oceano 
nella  sua  foga,  attraversa  l'Atlantico,  e  va  a  rompere  sulle  coste 
dell'Europa,  pigliando  quasi  di  mira  le  isole  Brittanniche. 

10.  Tutto  questo  costituisce,  direi,  la  parte  più  apparente 
della  grande  fiumana,  ma  non  tutta  la  sua  realtà.  Il  suo  conato 
è,  e  dev'essere,  quello  di  spingersi  fino  al  polo.  Se,  giunta  al 
60^  di  latitudine,  il  banco  di  Terra  Nova,  quindi  la  Groenlandia, 
l'Islanda  e  l'Europa  ne  formano  una  specie  di  barriera,  contro 
la  quale  la  corrente  è  obbligata  a  infrangersi  e  a  torcersi  cir- 
colarmente sopra  sé  stessa,  ciò  non  toglie  che  lo  Stretto  di 
Davis  da  una  parte,  e  il  Nord-Atlantico  dall'  altra,  1'  uno  per 
angusto,  l'altro  per  assai  più  largo  sentiero,  non  la  invitino  a 
proseguire  il  suo  cammino  fino  al  fissato  ritrovo,  cioè  fin  verso 


I   GHIACCI   POLARI.  91 

0,  donde  le  acque  rifluiranno  veramente  verso  l'equatore. 

Gulf-Stream,  dovrebbe  adunque  dividersi  in  due  rami,  l'uno 
ccolo  che  sale  verso  il  polo  per  la  Baia  di  Baffin,  l'altro  assai 
più  grande  per  cui  tende  a  salirvi  per  la  via  del  Nord- Atlan- 
tico. Esistono  questi  due  rami  ? 

Sull'esistenza  di  un  ramo  o  di  più  rami  Nord-Est  per  cui  le 
acque  calde  equatoriali  rimontano  verso  il  polo  artico  non  esiste 
più  nessun  dubbio.  Il  Nordenskjold  trovò  difatti  che  fra  il  Porto 
Dickson  e  l' Isola  Bianca  passa  una  grande  corrente  diretta  da 
Sud  a  Nord,  con  deviazione  verso  Est  In  prossimitÀ  delle  co- 
ste, a  74°  di  latitudine  constatò  una  temperatura  marina  di 
-f-  8  a  -f-  9  centigr  '  Il  Gttlf-Stream  si  fa  sentire  benissimo  fin 
oltre  il  76**  sulle  coste  della  Nuova  Zemlja.  La  temperatura  vi 
sale  fino  a  10,°  e  una  quantità  di  oggetti  vi  è  portata  tanto 
dall'America  quanto  dalla  Norvegia,  oltre  pomici  d' Islanda.  Del 
resto  a  farci  avvertire  la  presenza  della  corrente  calda,  baste- 
rebbero le  nebbie  fitte  e  ostinate  che  ingombrano  il  littorale 
della  Siberia  occidentale  tra  il  mar  di  Kara  e  il  capo  Celjusekin, 
non  che  quello  della  Nuova  Zemlja.  La  forzata  odiuea  del 
Tegetthof  mostra  1'  esistenza  d'  una  corrente  ascendente  anche 
dalla  parte  dello  Spitzberg,  per  cai  quella  nav^  presa  nei  ghiacci 
'JK  76,**  22  di  latitudine,  andò  derivando,  cioè  lasciandosi  trasci- 
nare dalla  corrente,  costantemente  verso  Nord-Est  II  2  ottobre 
1872  si  trovava  già  oltre  il  77';  nel  febbraio  a  78M5;  il  19 
agosto  1873  a  79«21,  e  finalmente  il  30  agosto  a  79*  43.  Se  vi 
sono  correnti  ascendenti  da  quella  parte,  è  ben  inteso  che  ci 
debbano  essere  anche  le  discendenti.  Nota  di  fatti  il  Nordenskjìild, 
che  alla  corrente  ascendente  sulle  costa  dell'Asia  corrisponde 
una  controcorrente  inferiore,  la  quale  è  fredda,  e  si  tiene  a  così 
poca  profondità  sotto  la  prima,  che  nelle  tempeste  l' acqua 
fredda  e  la  calda  facilmente  ti  mescolano.  È  questa  oomnte 
inferiore  che,  scorrendo  da  Nord  a  Sud  con  deriasione  rerto 
Ovest,  spinge,  durante  l'esUte,  i  ghiacci  galleggianti  sulle  coste 
orientali  della  Nuova  Zemlja,  doTe  si  sciolgono  quasi  compie* 
Umcnte  d'autunno.  Quanto  ad  un'altra  corrente  discendente  nel 
Nord-Atlantico,  più  verso  la  parte  della  Groenlandia,  ne  abbiamo 
la  t^Dtimonianza  in  quell'  altra  forzata  odissea  dell'  equipaggio 
dfir  IIan$a,  trascinato  per  si  lungo  cammino  verso  Sud  dalla 
famosa  zattera  di  ghiaccio. 

Ma  la  via  più    diretta,   la  via  regia,    direi,   per   andare    al 
polo,  è  lo  Stretto  di  Davis,  che  ok  conduce  per  la  Baia  di  Baffin 


92  I   GHIACCI   POLARI. 

e  il  canale  di  Kennedy  fino  al  mar  Polare  Artico.  Ma  una  cor- 
rente ascendente  non  si  vede  punto  alla  superficie,  dov'è  invece 
troppo  distinta,  troppo  nota  quella  gran  corrente  polare  discen- 
dente, la  quale  fu  notata  da  Baffin  già  fin  dal  1615,  nella  sua 
famosa  spedizione  oltre  lo  Stretto  di  Hudson.  Come  la  corrente 
del  golfo  si  può  definire  un  efflusso  del  mare  equatoriale  verso 
Nord,  cosi  la  corrente  della  Baja  di  Baffin  si  può  dire  un  efflusso 
del  mar  glaciale  verso  Sud.  Quanti  hanno  viaggiato  dopo  Baffin 
nelle  regioni  artiche  ci  vennero  a  dire  che  tutto  il  mar  glaciale 
coi  ghiacci  galleggianti,  e  colla  ghiaccia  che  lo  incrosta,  si 
muove  verso  Sud.  La  corrente  polare  è  fredda,  ed  occupa  si 
può  dire  letteralmente  tutta  quella  gran  manica  di  mare  tra  le 
coste  occidentali  della  Groenlandia  e  quelle  del  Canada.  Uscita 
appena  dallo  Stretto  di  Davis  si  volge  verso  il  Banco  di  Terra 
Nova,  stringendosi  specialmente  contro  le  coste  degli  Stati-Uniti 
dove  prende  l'aspetto  di  un  gran  fiume,  il  quale  va  poi  a  per- 
dersi sotto  il  Grulf-Stream,  che  rimonta  lo  stretto  della  Florida. 
Un  altro  ramo  della  stessa  corrente  discendente  incrocia  la 
corrente  del  golfo,  e  sotto  di  essa  ugualmente  si  perde,  presso 
il  Banco  di  Terra  Nova.  È  questo  il  motivo  per  cui  i  ghiacci 
galleggianti  formano  quel  convoglio  formidabile,  per  cui  i  ghiacci 
polari  può  dirsi  che  si  prolungano,  dalla  parte  dell'  Abrader, 
in  via  aff'atto  eccezionale,  fin  verso  il  55"  grado  di  latitudine 
Nord. 

Qui  abbiamo  adunque  nella  corrente  polare  discendente  la 
principalissima  rappresentante  dell'acqua,  la  quale,  dopo  essere 
salita  fino  al  mar  polare  artico,  ne  ritorna,  scendendo  verso 
l'equatore.  A  quella  corrente  discendente  deve  naturalmente, 
necessariamente  corrispondere  una  corrente  ascendente.  Se  ciò 
non  fosse  i  mari  polari  sarebbero  presto  vuoti,  che  a  nessuno 
verrà  in  mente  di  certo  di  ricorrere  alla  piccola  corrente  dello 
Stretto  di  Behring,  perchè  supplisca  allo  spaventoso  efflusso  del 
mare  verso  l' equatore.  Se  quella  corrente  ascendente  e  calda 
non  esiste  come  corrente  superiore,  esisterà  come  inferiore.  Qui 
non  c'è  da  eccepire.  Per  tale  scambio  di  acque  superiori  e  in- 
feriori, che  fu  verificato  ormai  in  tanti  luoghi  da  non  costituire 
più  altro  che  un  fenomeno  volgarissimo,  non  manca  di  certo  lo 
spazio.  Gli  scandagli  eseguiti  da  Kane  sull'  ingresso  dello  Stretto 
di  Davis,  tra  l'Islanda  e  Terra-Nova,  diedero  profondità  di  3400 
piedi  (1104  metri).  Ecco  come  la  corrente  inferiore  e  la  supe- 
riore hanno  tutto  l'agio  di  rimutarsi  e  di  svolgersi  su  centinaia 


I   GHIACCI   POLARI.  93 

ed  anche  migliaia  di  metri  di  profondità  ciascuna,  senza  di- 
sturbarsi l'una  coll'altra. 

Sarebbe  troppo  lungo,  ed  anche  inopportuno  il  riportare  qui 
gli  argomenti  di  fatto  che  dimostrano  l'esistenza  di  quella  cor- 
rente inferiore  ascendente,  e  le  ragioni,  per  cui  essa  si  man- 
tenga inferiore,  benché  sia  calda,  e  l'altra  superiore,  benché 
sia  fredda.  I  fatti  e  le  ragioni  ho  già  compendiati  altrove*  pi- 
gliandoli specialmente  dalla  celebre  opera.  Geografia  del  mare 
del  Maury.  Quello  che  qui  importa  è  di  ammettere  come  di- 
mostrato che,  comunque  e  da  qualunque  lato  avvenga  la  cosa, 
le  correnti  che  discendono  da  ÌJord  a  Sud,  quella  specialmente 
che  percorre  tutta  la  via  dal  mar  Polare  Artico  fino  all'Atlan- 
tico pel  canale  di  Kennedy  e  la  Baia  di  Baffin,  dicono  neces- 
aariamente  esistere  un  pari  efflusso  di  acque  da  Sud  a  Nord, 
cioè  dalle  zone  equatoriali  e  temperate  dall'  Atlantico  fino  al 
mare  del  polo.  Dobbiamo  ammettere  inoltro  che  queste  acque 
ascendenti  non  hanno  che  uno  spazio  relativamente  breve  da 
occupare,  la  ctii  estensione  in  largheasa  e  lunghezza  è  presto 
misurata  sommando  insieme  la  largheama  e  la  lunghezsa  dei 
due  mari  che  si  diramano  dall'  Atlantico  ad  Est  e  ad  Ovest 
della  Groenlandia. 

il.  Le  cose  camminano  molto  diversamente  nell'Oceano  An- 
tartico. Le  correnti  marino  vi  furono  notato,  ed  anche  deli- 
neate, ma  a  tratti  molto  incerti.  Nulla  di  certo  vi  esiste  che 
possa,  nemmeno  da  lontano,  paragonarsi  né  al  Qulf-Streum, 
nò  alla  corrente  polare  artica.  La  icarseisa  delle  terre  sotto  le 
zone  torrida  e  temperata,  e  l'assenaa  qaasi  totale  di  esse  nella 
zona  fredda,  accosta  Temisfero  Sud  all'ideale  di  una  terra  tutta 
ricojtcrta  dal  mare,  dove  non  ci  sarebbe  ragione  del  determi- 
narsi di  parziali  correnti,  mentre  il  mare  stesso  fluirebbe  e  ri- 
I  fluirebbe  tra  l'equatore  e  il  polo  come  una  sola  corrente.  Pare 
si  possa  dire  infatti  che,  in  seno  a  qnell'  immenso  spasio  che 
separa  lo  appendici  austr'-  '-  r^  '  ontinentl  dalla  barriera 
di  ghiaccio  che  segna  il  uonte  antartico,  il  mare 

fluisca  e  rifluisca  come  farebbe  l'acqua  entro  un  libero  bacino 
la  quale,  spinta  verso  il  messo  in  tutti  i  Bvmii,  ritornerebbe  in 
tutti  i  sensi  alla  periferia.  Lo  mostra  ad  ovidcnsa  (sensa  voler 
negare  per  ciò  il  determinarsi  qua  e  là  di  parziali  correnti)  la 

*  O9r$0  di  geologia,  parta  I,  |  80M06. 


94  I    GHIACCI    POLARI. 

zona  circolare  dei  ghiacci  galleggianti,  quali,  condotti  dal  ri- 
finsso  dell'Oceano  dal  circolo  polare  verso  l'equatore,  disegnano 
come  una  grand'iride,  di  cui  il  continente  antartico  è  la  pu- 
pilla; come  una  grand'aureola,  dì  cui  il  continente  medesimo 
è  la  testa. 

12.  Premessi  questi  fatti,  ecco  com'io  ragionavo:  —  Nel 
sistema  della  circolazione  marina  la  gran  zona  equatoriale  è 
l'enorme  caldaia  che  riversa  una  quantità  determinata  di  acqua 
calda  tanto  a  Sud  come  a  Nord,  destinata  naturalmente  a  sosti- 
tuire altrettanta  acqua  fredda  che  da  Sud  e  da  Nord  ritorna 
all'equatore,  ossia  (il  che  vale  lo  stesso)  destinata  a  riscaldare 
gli  oceani  polari  artico  e  antartico.  L'estensione  di  mare  entro 
i  due  tropici  è  uguale  ad  un  dipresso  tanto  a  Sud  quanto  a 
Nord  dell'equatore;  per  cui  uguale  ad  un  dipresso  è  la  quan- 
tità di  acqua  calda  che  la  zona  equatoriale  versa  nei  mari 
temperati  o  freddi  dell'uno  e  dell'altro  emisfero.  Ma  quella  stessa 
quantità  d'acqua  calda  che  verso  Sud  va  a  perdersi  nell'im- 
mensità dell'oceano  antartico,  a  Nord  invece,  piuttosto  che  di- 
sperdersi, si  raccoglie,  si  concentra  sempre  più  nei  seni  rela- 
tivamente angusti,  di  cui  si  compone,  stretto  fra  le  isole  e  i 
continenti,  l'oceano  artico.  Gli  è  come  si  versasse  un  ettolitro 
d'acqua  bollente  in  un  tino  che  contiene  10  ettolitri  d'acqua 
gelata,  e  un  altro  ettolitro  in  un  tino  che  ne  contenga  20. 
L'oceano  artico  rappresenterebbe  un  primo  tino,  e  l'antartico 
un  secondo.  Quello  pertanto  '  risulterà  più  caldo  ;  questo  più 
freddo.  Ultima  conseguenza  sarà  che  i  ghiacci  artici  saranno 
distrutti  più  presto  e  in  maggior  copia  che  i  ghiacci  antartici, 
e  quelli  pertanto  presenteranno  costantemente  uno  sviluppo 
minore  di  questi.   — 

Io  non  credo  nemmen  oggi  che  questa  vecchia  mia  teoria 
sia  da  mettersi  tra  gli  scarti.  Se  si  bada  principalmente  al 
fatto  che  l'acqua  calda  dell'Atlantico,  la  quale  compone  la  grande 
corrente  del  golfo,  va  tutta  a  ingolfarsi  nei  due  rami  che  s'in- 
sinuano verso  il  polo  ;  e  specialmente  in  quella  strozzatura  della 
Baia  di  Baffin  che  sembra  destinata  a  portare  direttamente  le 
acque  calde  al  mar  polare  interno;  se  si  bada,  dico,  a  questo 
fatto,  non  si  potrà  non  conchiuderne  che  debbano  subirne  una 
ben  sentita  influenza  i  ghiacci  che  ingombrano  quelle  porzioni 
di  mare  relativamente  cosi  anguste.  Anzi  tutto  vi  troveremmo 
la  ragione  più  immediata  di  quel  libero  mare  che  abbiamo  am- 


I   GHUCCI   POLARI. 


95 


messo,  non  senza  buoni  argomenti,  disteso  sul  polo  artico.  La 
corrente  calda  inferiore  che  rimonta  indubbiamente  la  Baia  di 
Baffin  e  il  Canale  di  Kennedy,  rappresenterebbe  come  la  canna 
di  una  gran  stufa,  che  va  a  sboccare  nel  libero  mare  del  polo, 
dove  l'acqua  calda,  sorgendo  a  galla,  diventerebbe  corrente 
superiore  di  ritorno;  quella  precisamente  che  si  vede  conti- 
nuamente discendere  pel  Canale  di  Kennedy  e  la  Baia  di  Baffin, 
per  far  ritorno  alla  zona  equatoriale  atlantica,  da  cui,  come 
corrente  calda  era  partita.  Non  è  senza  ragione  certamente 
che  il  Morton,  compagno  di  Kane,  trovò  sul  margine  del  libero 
mare  intemo,  oltre  r82'*  di  latitudine,  l'acqua  ad  una  tempe- 
ratura di  4*.  In  codesto  afflusso  immmediato  della  calda  acqua 
equatoriale  al  mar  polare  artico,  si  troverebbe  anche  la  ragione 
più  immediata  di  quella  sensibile  diminuzione  del  freddo  che 
si  verifica  salendo  dal  cosi  detto  polo  del  freddo  (66',30  di  la- 
titudine d'estate,  circa  62*  o  63*  di  latitudine  d'inverno)  alle 
più  elevate  latitudini,  anzi  con  tutta  probabilità,  fino  al  polo. 
La  prestezza  con  cui,  al  cessare  dei  rigori  invernali,  si  rompe 
0  si  scioglie  la  smisurata  ghiaccia  del  Canale  di  Kennedy,  sa- 
rebbe anch'essa  da  attribuirsi  a  codesto  ingolfamento  delle  acque 
calde  entro  quel  canale.  È  molto  naturale  anche  di  attribuire 
in  parte  all'influenza  delle  correnti  calde  noi  due  rami  del  Nord 
Atlantico  il  fenomeno  abbastanza  singolare  di  quella  sona  lit- 
torale  dove,  come  abbiam  visto,  non  mancano  di  spogliarsi  e 
di  verdeggiare,  anche  sotto  le  più  elevate  latitudini,  lo  terre 
polari. 

14.  Dopo  tutto  questo  però  è  pure  un  fatto  che  tutu  l'in- 
fluenza esercitata  dalle  correnti  calde  ascendenti  non  impedisco 
che  il  maro  si  copra  di  una  bella  erotta  di  ghiaccio  durante 
l'inverno  ;  che  l'atmosfera  discenda  a  temperature  cosi  estreme, 
che  sono  affatto  sconosciute  ai  mari  antartici  ;  che  insomma  la 
terre  polari,  che  sono  sempre  infino  la  matrice  e  la  culla  dei 
ghiacci  costituenti  di  seconda  mano  la  ghiaccia  marina,  non 
■iano,  per  rapporto  alla  temperatura  invernale,  in  condizioni 
assai  peggiori  dello  terre  polari  antartiche;  il  che  crediamo  di 
avere  più  che  saiBoientemente  dimostrato.  Sta  sempre  adunque 
il  fatto  che  la  temperatura  invernale  sarebbe  molto  più  faro- 
revole  allo  sviluppo  della  ghiaccia  artica  che  a  quello  dell'an- 
tertica.  Quanto  all'influenza  benefica  delle  correnti  ascendenti 
▼erse  il  polo  artico  non  la  negheremo  di  certo;  ma  ci  accon- 
tenteremo di  poter  dire  che,  soppresse  quelle   correnti,   se  ora 


96  I   GHIACCI   POLARI. 

la  va  male  in  quelle  orride  contrade,  l'andrebbe  peggio.  Ma  ci 
vuol  ben  altro  per  dar  ragione  di  quell'  enormi  sproporzioni  tra 
le  due  ghiacce  polari.  C'è  sempre  il  rapporto  tra  i  9  e  i  46  mi- 
lioni di  chilometri  quadrati  di  ghiaccio  :  c'è  sempre  che  il  va- 
lore dei  46  milioni  di  chilometri  quadrati  di  ghiaccio  può, 
guardando  alle  masse  rispettive,  duplicarsi  e  triplicarsi.  Né  si 
dimentichi  mai  come  questa  sproporzione,  se  esiste  tra  i  ghiacci 
marini,  esiste  prima  tra  i  ghiacci  terrestri,  da  cui  i  ghiacci 
marini  hanno  unicamente  origine,  e  sui  quali  la  temperatura 
del  mare  non  ha  che  pochissima  influenza.  Infine  la  maggior 
quantità  di  calore,  che  si  deve  condensare  per  effetto  della 
corrente  ascendente  nel  Nord  atlantico,  verso  il  mar  glaciale 
artico,  è  un  coefficiente  troppo  meschino  nel  calcolo,  quando  le 
differenze  in  più  o  in  meno  hanno  un  valore  del  sestuplo,  del 
decuplo,  ed  anche  molto  di  più. 

Venisse  mai  in  mente  al  lettore  che  dall'estensione  maggiore 
0  minore  delle  terre  circumpolari,  nell'uno  e  nell'altro  emisfero, 
dipendesse  la  quantità  maggiore  o  minore  di  neve  e  quindi  lo 
sviluppo  maggiore  o  minore  dei  ghiacci.  Supposto  che  la  quan- 
tità di  neve  che  cade  sulle  due  opposte  calotte  polari  sia  uguale, 
uguale  sarebbe  sempre  la  quantità  di  ghiaccio  che  ne  può  ri- 
sultare. L'obbiezione  dunque  è  ridicola. 

No;  qui  non  c'è  altro  rifugio  che  nell'ipotesi  che  al  polo 
artico  nevichi  meno,  e  al  polo  antartico  più;  anzi  che  nelle 
regioni  polari  artiche  nevichi  sei,  dieci,  venti  volte  meno,  e 
nelle  regioni  polari  antartiche  sei,  dieci,  venti  volte  più.  Ciò 
vorrebbe  dire  poi  che  il  clima  artico  deve  essere  nelle  stesse 
proporzioni  meno  umido  del  clima  antartico.  Se  noi  possiamo 
dimostrare  che  l'ipotesi  è  un  fatto,  il  problema  è  sciolto;  se 
no,  mistero...  Ma  l'ipotesi  appunto  è  un  fatto;  e  un  fatto  in- 
negabile, luminosissimo,  e  si  può  sinteticamente  esprimere  così. 
—  La  regione  polare  artica  è  una  regione  estremamente  se- 
rena ed  asciutta.  La  regione  polare  antartica  è  invece  una 
regione  estremamente  nubolosa  ed  umida. 

(Continua). 

Antonio  Stoppani. 


LA  REGALDINA 


vn. 


Era  trascorso  da  poco  tempo  il  giorno  dei  morti  e  sul  largo 
viale  che  a  nord-est  del  paese  conduce  al  cimitero,  la  schiera  dei 
mesti  devoti  cominciava  a  diradare  il  quotidiano  pellegrinaggio. 

Ippolito  se  ne  tornava  solo  dall'aver  visitata  la  tomba  della 
madre.  Cogli  anni  il  suo  dolore  aveva  acquistata  quella  dolcexza 
inefTabile  che  invita  a  trattenersi  volentieri  col  pensiero  dei  cari 
estinti;  e  a  lui  questa  dolcezza  tornava  più  soave  ancora  por 
la  fusione  di  un  altro  pensiero  fatto  oramai  suo  compagno  in- 
divÌHÌhile. 

Alla  sua  vita  così  povera  di  gioie  era  bastata  fino  ad  ora 
ebbrezza  ideale  di  un  amore  nutrito  in  segreto;  ma  col  pro- 
ire  della  passione  crescevano  i  desiJerii  e  gli  ora  pe- 
noso quel  dover  tacere  sempre  e  qoaai  nascondersi  agli  occhi 
di  colei  che  egli  amava.  D'altra  parte,  come  spiegarsi?  E  a 
qual  prò?  La  sua  misera  condizione  non  gli  permetteva  di 
creare  una  famiglia;  la  sua  giusta  dignità  d'uomo  gli  fiftceva 
uno  scrupolo  di  associare  altri  esseri  alla  sua  povertà.  Lo  stesso 
suo  carattere  inclinovole  alla  mestizia  lo  rendeva  diffidente  di 
se  stesso,  quasi  pauroso  dell'avvenire. 

Egli  invidiava  qualche  volta  la  spensierata  gaiesaa  dei  gio- 
vani che  vanno  leggermente  incontro  all'amore,  come  i  fanciulli 
van  dietro  alle  farfalle.  Ma  dell'amore  egli  aveva  un  troppo 
alto  concetto  e  l'eccesso  stesso  del  sentimento  lo  paralizzava. 

Tuttavia  nel  cuore  accarezzava  suo  malgrado  la  dolce  spe- 


'  CoatisaasioaSi  Tedi  CmoIooIo  prsoedsots. 


98  LA   REOALDINA. 

ranza;  egli  voleva  pure  battere  a  tutte  le  porte  prima  di  darsi 
per  vinto.  Chi  sa?  —  Forse  con  un  lavoro  assiduo,  con  una 
economia  rigorosa  che  gli  permettesse  di  mettere  da  parte 
una  certa  somma,  avrebbe  potuto  aspirare  a  una  posizione  mi- 
gliore, e  allora... 

Tale  lontana  lusinga  lo  cullava  quella  sera  più  del  consueto. 
Fissando  lo  sguardo  sulla  catena  di  monti  che  cinge  l'orizzonte 
dietro  al  cimitero,  parvegli  gli  venisse  da  quello  spazio  di  cielo 
una  più  ampia  speranza;  si  sentiva  quasi  felice. 

Giunto  alla  sua  casetta,  chiese  della  sorella;  Matilde  non 
c'era.  Non  poteva  essere  dai  Regaldi,  perchè  la  zia  e  la  nipote 
dovevano  appunto  quella  sera  assentarsi,  però  il  caso  non  era 
tanto  strano  da  sorprendere  Ippolito;  egli  pensò  alla  signora 
Luigia,  0  a  qualche  altra  vicina,  e  siccome  aveva  del  lavoro 
d'ufficio  molto  urgente,  accese  la  lucernetta,  e  si  pose  a 
scrivere. 

Vicino  a  lui  due  figure  di  donna  gli  sorridevano;  quelle  due 
figure  che  lo  accompagnavano  sempre,  che  gli  parlavano,  l'una 
colla  dolcezza  dei  ricordi,  l'altra  colla  soavità  della  speranza. 
E  vedeva  il  serio  profilo  della  madre  allontanarsi  tratto  tratto, 
quasi  per  lasciarlo  più  solo  nell'ebbrezza  del  suo  casto  amore, 
e  sentiva  due  labbra  innocenti  rispondere  al  bacio  che  gli  tre- 
mava sulle  labbra. 

—  La  signorina  non  è  ancora  rientrata;  disse  afiacciandosi 
all'uscio  la  vecchia  domestica. 

Ippolito  arrossì,  vergognoso  di  essersi  lasciato  cogliere  in  un 
momento   di   debolezza. 

—  Non  è  andata  dalla  signora  Luigina  ? 

—  Non  credo,  perchè  ho  visto  poco  fa  la  signora  Luigina  che 
tornava  dalla  benedizione. 

I  sogni  rosei  svanirono  d' un  tratto.  Un  pensiero  inquieto 
corrugò  la  fronte  del  giovane. 

—  E  non  sapete  dove  possa  essere? 

La  vecchia  si  strinse  nelle  spalle  e  atteggiò  il  volto  a  un 
sorriso  ambiguo  che  fini  di  togliere  a  Ippolito  ogni  calma. 

La  domestica  non  si  moveva  dalla  soglia;  pareva  volesse 
dire  qualcos'altro  ma  aspettava  di  essere  interrogata. 

—  E  singolare  !  —  mormorò  Ippolito. 

Allora  ella  si  attaccò  a  questa  esclamazione  per  soggiungere  : 

—  Non  tanto  singolare. 
■     —  Come? 


LA   REGALDINA. 


99 


Padrone  e  domestica  si  avvicinarono  con  un  movimento  si- 
multaneo. 

—  La  signorina  è  scomparsa  tante  altre  sere,  quando  lei 
scriveva  nella  sua  camera... 

In  un  minuto  Ippolito  si  rifece  padrone  e  freddamente  in- 
terruppe : 

—  Basta.  Mia  sorella  può  assentarsi  come  e  quando  le  piace  ; 
non  le  mancano  amiche  nel  paese.  Anzi  penso  ora  ch'ella  m'a- 
veva parlato  della  figlia  del  dottore;  è  là  certamente. 

Si  levò  in  piedi,  asciugò  la  penna,  chiuse  e  riunì  le  sue 
carte;  una  macchia  di  inchiostro  era  caduta  fresca  fresca  sul 
tappeto  del  tavolo;  egli  stracciò  un  pezzetto  di  carta  assorbente 
e  ne  tolse  la  parte  più  grossa.  Sembrava  perfettamente  tranquillo. 

Disse  alla  domestica  di  non  spegnere  la  lucerna  perchè  tor- 
nava subito,  essendo  il  dottore  a  due  passi.  Calcò  il  cappello 
in  testa  e  osci. 

In  fondo  alla  corte  la  porticina  del  giardino  era  aperta  e 
sul  sentiero  bianco  battuto  dalla  luna  un'  ombra  correva  stri- 
sciando contro  la  siepe. 

—  Matilde! 
Ella  si  fermò  di  botto  tentando  nascondersi,  ma  il  giovane 

raggiunse  e  prendendola  per  un  braccio  ripeta: 

—  Matilde! 
Non  aveva  voce  ;   quel  nome    gli   usci  strozzato    dall  ugola. 

Lei  fu  più  forte. 

—  Sei  già  tornato?  chiese  fingendo  indifforensa. 

—  E  tu  dove  sei  stata? 

—  Lo  vedi;  in  giardino. 

—  A  quest'ora? 

—  Gusti! 

Era  coperta  da  uno  sciallo  nero  che  le  nascondeva  la  faccia. 
Ippolito  le  prese   la  mano  e  ••  la  pose  sotto    il  braccio  — 
tremava  leggermente. 

—  Le  sere  incominciano  a  farsi  freddo:  <•. 
Lui  non  rispose:  tanta  audacia  lo  confondt  . 

La  domestica  che  avera  udito  le  loro  voci  si  feco  sulla 
porta  con  un  lume  in  mano. 

—  Andate  pure  a  letto:  disse  Ippolito. 

Entrarono  nel  salottino  dove  ardeva  ancora  la  lucerna.  Ma- 
'*'  sempre  ravvolta  nel  suo  scialle^ 

immobile. 


100  LA    REGALDINA. 

Ippolito  fece  qualche  passo  intorno  al  tavolo,  si  fermò,  tentò 
(lue  o  tre  volte  di  parlare  ma  sentiva  quel  nodo  nella  strozza  ; 
iinalmentc  prese  coraggio  dal  suo  stesso  dovere,  sedette  accanto 
alla  sorella  e  con  accento  dolce,  con  tenerezza  di  padre  mista 
all'indulgenza  d'un  amico: 

—  Eri  sola  in  giardino?  —  chiese. 

Un  lungo  silenzio  precedette  la  risposta  di  Matilde,  che 
non  fu  poi  una  risposta. 

—  Che  te  ne  importa? 

—  Dimmi  qualunque  cosa,  Matilde  ma  non  chiedere  che 
cosa  mi  imporla  di  te.  Ho  io  bisogno  di  ripetere  che  ti  con- 
sidero più  che  sorella,  figlia  mia?  Quante  volte  ho  desiderato 
di  poterti  ispirare  quella  fiducia  che  fonde  due  cuori  in  un 
cuor  solo? 

—  I  nostri  caratteri  sono  troppo  opposti  ;  non  mi  puoi  com- 
prendere. 

—  C'è  l'afifetto  che  fa  comprendere  tutto. 

—  Allora  mettilo  alla  prova. 

Ella  parlava  con  durezza,  conoscendo  la  timidità  del  fra- 
tello, trovandosi  molto  contrariata  dall'andamento  grave  del 
dialogo, 

—  Senti,  Matilde,  parliamoci  come  se  ci  fosse  presente  la 
nostra  povera  mamma.  Io  faccio  per  te  quello  che  posso;  ti 
sarò  sempre  appoggio,  conforto,  difesa  nell'orfana  vita  che  ti 
ha  preparata  il  destino-,  io  rinuncio  per  te  ad  ogni  sogno  giova- 
nile, io  sono  disposto  a  qualunque  sacrificio,  ma  ho  bisogno 
della  tua  confidenza.  Se  mai,  un  giorno,  il  mio  affetto  non  ti 
bastasse  più,  se  altro  orizzonte  si  schiudesse  a'  tuoi  pensieri, 
Matilde,  sii  sincera  col  tuo  unico  fratello,  colla  sola  persona, 
forse,  che  ti  ama  profondamente.  " 

Il  respiro  di  Matilde,  un  po'  ansante,  tradiva  una  forte  emo- 
zione; teneva  ostinatamente  la  testa  abbassata  ma  un  tremito 
l'agitava  tutta.  Ippolito  confermandosi  nel  sospetto  e  sentendo 
crescere  co'suoi  doveri  i  suoi  diritti  le  si  avvicinò  più  ancora, 
tanto  da  prenderle  le  mani  e  tenerle  ferme    sui  suoi   ginocchi. 

—  Tu  soffri,  mi  nascondi  qualche  cosa;  oh!  vorrei  avere 
la  penetrazione  e  la  delicatezza  di  una  donna  per  indovinare 
il  tuo  segreto.  In  questo  momento,  Matilde,  vorrei  essere  tua 
madre!  Ma  guardami,  parla,  tu  piangi?.... 

Sì,  Matilde  piangeva  vinta  dalla  dolcezza  del  fratello,  in- 
capace di  dominarsi  più  a  lungo.  Lo  scialle  scivolato  per  terra, 


■«. 


LA    REGALDINA.  101 


ciava  scoperta  la  sua  faccia  orribilmente  pallida,  solcata  in 
tomo  agli  occhi    da  due  cerchi  bruni.    Il  suo   pianto    era  così 
disperato,    così  violento    che   Ippolito  la  prese    fra  le  braccia; 
ma  ella  si  svincolò  e  volgendosi  verso  il  muro  coperse  col  faz- 
zoletto la  bocca  fatta  umida  da  una  schiuma  biancastra. 

—  Dio  mio  che  avvenne? 

Ippolito  gelato  dal  terrore,  prese  la  lucerna  e  l'avvicinò  al 
volto  della  sorella;  i  loro  sguardi  si  incontrarono  e  nel  raggio 
di  quelle  pupille  sofferenti  gli  si  svelò  il  triste  mistero. 

—  Matilde,  Matilde  che  hai  tu  fatto  ? 

Cadde,  come  fulminato.  Lei  esaltata,  gli  si  prostrò  ai  gi- 
nocchi singhiozzando,  come  una  pazza,  abbandonandosi  a  tutte 
le  violenze  del  suo  temperamento  nervoso. 

Ma  per  lungo  tempo  Ippolito  non  diede  sogno  di  vita;  ac- 
casciato colla  fronte  fra  le  mani  sembrava  impietrito  dal  dolore. 
Quando  sollevò  la  faccia  torse  istintivamente  gli  sguardi  dalla 
sorella;  ella  se  ne  accorse  e  riprese  a  singhiozzare  pia  forte. 
Tutta  la  sua  baldanza  era  dileguata. 

—  Perdonami,  perdonami!  —  gemeva  stringendosi  a  lui, 
sentendo  in  quel  momento  la  propria  debolezza. 

Perdonarle  1  Non  era  di  perdono  ch'egli  avrebbe  voluto  mo- 
strarsi generoso.  Non  c'era  nessuna  ira  in  lui,  nessun  pensiero 
di  vendetta.  Era  preso  da  un  dolore  immenso  e  senza   nome. 

Non  le  disse  nulla,  non  le  fece  alcun  rimprovero,  non  si 
lagnò,  non  maledl;  ma  il  suo  silenzio  angoscioso  parlava  più 
che  qualunque  espressione.  Un  momento  solo,  nella  fiera  tem* 
pesta  del  suo  animo,  Ippolito  vide  passare  come  una  meteora 
luminosa  le  due  care  visioni  che  egli  amaTa,  e  allora  una  la- 
grima non  vista  cadde  anche  dai  sooi  occhi,  braciandogli  le 
gnancie. 

—  Ippolito,  Ippolito,  dimmi  qualche  coaa!  Era  lei  che  ro* 
leva  parlare;  era  lei  che  si  faceva  umile,  dolce;  ora  lei  che 
pregava.  Parole  soonneate  uscirono  dalle  sue  labbra  miste  ai 
singhiozzi  ;  era  sempre  in  ginocchio,  per  terra,  colla  fronte 
china  sulle  mani  del   fratello. 

Ippolito,  scuotendosi  e  tornando  in  so  come  uno  che  caduto 
fieramente  riprende  i  sensi,  vide  quella  non  più  fanciulla  ma 
donna  prostrata  davanti  a  lui  e  sì  senti  invaso  da  una  pro- 
fonda compassione.  La  rialzò,  spingendola  dolcemente  sulla  poi* 
troncina  e  facendo  uno  sforzo  supremo: 

—  Chi  è?  —  disse:  non  altro. 


102  LA    REGALDINA. 

In  quella  scena  muta,  terribilmente  espressiva,  si  intende- 
vano quasi  senza  parlare.  Nella  grande  delicatezza  del  suo  cuore 
Ippolito  aveva  evitato  tutte  le  spiegazioni,  tutti  i  dettagli  inu- 
tili che  non  avrebbero  servito  ad  altro  che  a  far  crescere  il 
rossore  sulla  fronte  d'entrambi.  Ma  questa  domanda  breve,  de- 
cisiva, egli  non  poteva  ometterla:  chi  è? 

Matilde  esitò,  e  solamente  dopo  la  seconda  interrogazione 
rispose  a  voce  bassa  : 

—  Rodolfo  Regaldi. 

Anche  allora  Ippolito  non  fece  interrogazione  di  sorta.  li 
come,  il  quando,  il  perchè  erano  questioni  secondarie  che  scom- 
parivano davanti  all'  importanza  enorme  del  fatto. 

—  Il  peggio  —  soggiunse  Matilde  mordendo  un  lembo  del 
suo  scialle  —  è  che  egli  non  può  sposarmi  subito. 

Ippolito  balzò  in  piedi,  livido. 

—  Non  può?...  lo  deve  e  lo  farà! 

La  sua  fisionomia  di  giovane  timido  era  trasfigurata  5  gli  àr- 
deva negli  occhi  una  fiamma  omicida. 
Matilde  ebbe  paura. 

—  Calmati  —  disse  —  usiamo  prudenza  ;  se  la  Tatta  se  ne 
accorgesse,  se  Daria.... 

Questo  nome  dolcissimo  caduto  in  mezzo  a  tanta  procella 
risvegliò  più  acuto  in  Ippolito  il  senso  dei  dolore,  ma  valse  pure 
a  frenare  lo  sdegno.  Riprese  in  un  momento  la  sua  corazza  di 
impassibilità  e  osservando  che  Fora  della  notte  era  molto  avan- 
zata, consigliò  Matilde  di  andarsi  a  riposare. 

Il  loro  saluto  fu  mesto  assai  ;  né  Ippolito  rimasto  solo  pensò- 
a  coricarsi,  che  troppo  affanno  gli  stringeva  il  cuore.  Stette  li 
su  quella  medesima  sedia,  a  quello  stesso  tavolo  dove  poche  ore 
prima  gli  era  parso  di  essere  felice  ;  vi  stette  finche  i  primi 
bagliori  dell'alba,  facendo  impallidire  la  fiamma  della  lucerna,  lo 
avvertirono  che  era  tempo  di  mettersi  all'  opera. 


Vili. 

La  vecchia  Tatta  mettendosi  la  cuffia  accanto  alla  finestra 
vide  Ippolito  che  passeggiava  avanti  e  indietro,  e  volgendosi  a 
Daria  che  rassettava  la  camera: 

—  E  forse  per  te  che  questo  signore  viene  cosi  di  buon  mat- 
tino a  prendere  l'aria  nella  nostra  contrada?  Affé  mia  ch'é  più 


LA    REGALDINA.  103 


i 


brutto  del  solito;  ha  una  faccia  scombussolata  che  pare  abbia 
dato  il  capo  nella  luna. 

Daria  era  avvezza  a  queste  bruscherie,  né  vi  fece  caso;  si 
affacciò  ella  pure  ai  vetri  e  fu  sorpresa  nel  vedere  il  giovane 
fermo  davanti  alla  porta,  come  chi  aspetta  qualche  cosa  o  qual- 
cuno. Non  c'era  anima  nata  in  tutta  la  lunghezza  della  via;  Daria 
sospettò  subito  che  fosse  accaduto  qualche  cosa  di  straordinario, 
ma  si  frenò  per  la  presenza  della  burbera  vecchia,  la  quale  su- 
biva a  riguardo  di  Ippolito  tutte  le  cattive  prevenzioni  che  si 
avevano  in  paese  e  malignava  anche  lei  volentieri  sul  suo  conto, 
sobbillata  dalle  donnicciuole,  mal  disposta  dal  carattere  muto  e 
freddo  del  giovane  che  essa  attribuiva  a  ipocrisia  —  gelosa  forse 
a  sua  insaputa  per  l'amore  che  portava  alla  fanciulla  —  del  tacito 
accordo  che  esisteva  fra  lui  e  Daria. 

Di  li  a  poco  essendo  scesa  la  domestica  per  levare  il  cate- 
naccio alla  porta,  Daria  la  segui  e  senti  Ippolito  che  la  inter- 
rogava : 

—  £  ancora  a  letto  il  signor  Rodolfo? 
La  voce  del  giovane  era  alterata,  quasi  tremante. 

—  11  signor  Rodolfo  non  c'è  —  rispose  lesta  la  senrett*  — 
partito  ieri  sera  per  la  caccia  delle   anitre   selvatiche  e  non 

tornerà  che  fra  due  o  tre  giorni. 

A  traverso  la  fessura  dell'  imposta  Daria  vide  il  pallore  che 
queste  parole  fecero  sorgere  sulla  faccia  del  suo  amico  e  non 
potendo  più  resistere  all'ansia  che  la  tormentava  si  mostrò  im- 
provvisamente. 

Soliti  a  intendersi  cogli  occhi  più  che  collo  parole  i  loro 
•guardi  erano  sempre  lunghi  e  intensi  ;  ma  questa  volta  Ippolito 
ahinò  le  palpebre  cosi  confuso,  coti  tmarrito  che  l'angotcia  di 
Dina  invece  di  calmarti  crebbe.  Ed  egli  non  aveva  bitogno  in 
quel  momento  di  •entasioni  affettnoee.  Venuto  per  compiere  un 
dovere  tristissimo  si  era  armato  dell'oltraggio  fatto  alla  sorella 
ed  era  tale  tcudo  da  renderlo  inaccessibile. 

—  Signor  Ippolito  —  ella  incominciò  colla  sua  dolce  voce, 
reta  ancor  più  dolce  dal  terrore  —  che  avvenne? 

—  Oh  !  nulla...  —  balbettò  lui,  fatto  cauto  dalla  pretanxa  della 
domestica. 

Daria  te  ne  accorse: 

—  Klla  voleva  parlare  con  mio  cugino  nevvcroV*  l'antri,  la 
prego;  o  Pierino  o  la  zia... 

Coti  dicrndo  aveva  ammiccato  alla  torretta    che   te  ne  an- 


104  LA   REOALDINA. 

classe  e  tratto  Ippolito  in  un  cantuccio  della  corte,  bandito  il 
convenzionale  ritegno  che  troppo  pesava  alla  sua  gagliarda  fran- 
chezza : 

—  C'è  una  disgrazia!  —  esclamò.  —  Io  la  sento. 
Ippolito,  muto,  teneva  costantemente  gli  occhi  a  terra. 

—  Me  la  dica  signor  Ippolito,  ne  la  prego;  sono  forte. 

—  Non  è  a  lei  che  devo  dirla. 

—  Perchè  non  a  me  ?  Mi  crede...  indegna  delle  sue  con- 
fidenze? 

—  Oh  !  —  fece  il  giovane  con  un  pronto  gesto  di  negativa  ; 
ma  la  sua  faccia  era  cosi  seria  che  Daria  non  si  accontentò. 

Allora  per  procedere  lentamente  ella  chiese  : 

—  Matilde  viene  oggi?  Ma  non  compi  la  frase  perchè  al  nome 
di  Matilde  un  vivo  rossore  imporporò  la  fronte  del  giovane  ; 
quel  rossore  mise  Daria  in  sospetto  e  guidata  dal  segreto  istinto 
femminile  balzò  subito  a  Rodolfo  dicendo: 

—  Credevo  che  sua  sorella  lo  avesse  avvertito  della  gita  di 
mio  cugino. 

Com'era  da  aspettarsi  Ippolito  si  rannuvolò  maggiormente  ; 
Daria  stava  sulle  bragie,  ma  ad  ogni  parola  guadagnava  terreno 
e  senza  rendersi  un  conto  preciso  del  fatto  (troppo  brutale  per 
presentarsi  alla  sua  vergine  immaginazione),  intuì  qualche  cosa 
della  verità.  Allora  con  un  rapido  esame  della  situazione  senza 
falsa  modestia  che  non  avrebbe  giovato  a  nulla,  ella  vide  in  se 
stessa  e  in  Ippolito  i  veri  rappresentanti  delle  due  famiglie.  Li, 
in  quella  medesima  corte,  quasi  allo  stesso  posto  un  morente  le 
aveva  ceduto  lo  scettro  morale  della  casa;  sentiva  che  di  tut*i 
i  Regaldi  la  più  forte  era  ancora  lei,  povera  fanciulla  ;  e  fre- 
nando l'ultimo  ritegno  di  ritrosia,  dimentica  affatto  di  ogni  preoc- 
cupazione personale  : 

—  Signor  Ippolito,  vi  sono  di  quelle  cose  che  il  labbro  si 
rifiuta  a  dire,  ma  i  cuori  si  intendono  sempre. 

Egli  ebbe  uno  slancio  di  infinita  tenerezza;  avrebbe  voluto 
prenderle  la  mano  e  baciarla,  la  coraggiosa  che  veniva  in  aiuto 
alla  sua  timidezza.  Non  fece  nulla  però.  Colla  fronte  china,  in 
apparenza  impassibile  domandò  : 

—  Lei  sa  qualche  cosa? 

—  No;  ma  credo  si  tratti  di  mio  cugino  e  di... 
Non  pronunciò  il  nome  di  Matilde. 

—  È  dunque  noto  a  tutti?  —  chiese  Ippolito  con  vero 
terrore. 


LA    REGALDINA.  105 

—  Al  contrario,  nessuno  lo  sospetta.  Io  stessa  non  avrei 
indovinato  se  la  sua  visita  a  quest'ora  insolita  e  il  suo  turba- 
mento non  mi  avessero  richiamate  alla  mente  tante  piccole 
circostanze,  delle  inezie  che  sfuggono  al  momento,  ma  che  poi 
confrontate  con  altre  illuminano  all'  improvviso  e  danno  la 
certezza. 

Daria  parlava  con  calma,  seriamente,  da  persona  che  com- 
prende la  gravità  del  momento  e  non  vuol  perdersi  in  vane 
esclamazioni  ;  i  suoi  occhi  però,  sollevati  e  aperti  in  uno  sguardo 
di  completa  purezza,  mostravano  come  fosse  ancora  lontana 
dalla  bruita  realtà,  e  Ippolito  soffriva  crudelmente  al  pensiero 
di  dovergliela  svelare. 
ì  Si  trovavano  al  piccolo   cancello    che    lungo    la    Regaldina 

conduceva  attraverso  prati  e  frutteti  al  giardino  della  casa 
bianca.  Daria  piegò  da  quella  parte  per  sfuggire  alla  sorve- 
glianza della  servetta  che  andava  e  veniva  nella  corte;  il 
giovane  fece  con  lei  alcuni  passi  sul  sentiero  coperto  di  brina. 

—  Certamente  —  continuò  la  fanciulla  —  Rodolfo  ò  ancora 
troppo  giovane  e  per  la  saa  condizione  e  più  ancora  per  la  sua 

ioperatezza  non  è  io  grado  di  accasarsi  cosi  presto. 
Tacere  era  impossibile.  Ippolito,  con   uno  schianto  che  gli 
strozzava  la  voce  in  gola  intfrruppe  : 

—  È  necessario. 
Daria  si  fermò  guu  <  o   suoi   begli  occhi   innocenti, 

colpita  dairiuilessionc  iH'  i  di   quelle  parole,   o   sentendo 

rinascere  a  un  tratto  tutta  la  delicatezza  femminile  arrossi  nel 

di'        '  finte  che  comprese. 

K  .  arrossi  davanti  a  quella  donna  nel  cui  petto  arerà 
consacrato  un  culto  di  purissimo  amoro,  e  stettero  tutti  e  due 
muti,  confusi,  curvati  sotto  la  vergogna  di  una  colpa  che  non 
era  la  loro. 

Al  di  là  della  liegaldina,  sulla  strada  fiancheggiata  dagli 
alberi  che  norembro  sfrondava,  un  uomo  ed  una  donna  venendo 
dal  mercato  carichi  di  provviste,  adocchiarono  la  giorane  coppia 
e  la  donna  (che  era  la  iiignora  Ernesta)  diede  una  forte  gomi- 
tata al  signor  Giacomo  Rossetti,  il  quale  redondoci  poco  striz- 
zava le  palpebre;  e  finalmente  risero  insieme,  dondolandosi  sugli 
enormi   fianchi,  facondo  traballare  U  pancia  obesa. 

-  Kh!  signor  Giacomo,  che  ne  dico?  Quonta  sera  raccon- 
tei  lon  Paochia  che  lo  abbiamo  veduto  l'albero  dello  pere. 

>  ano  ancora  afTruttantlo   il    paiiMo.    fucrrido    fminnl    coin- 


I       tro 

Ir 


106  LA    REGALDINA. 

menti,  quando  Ippolito  con  un  sospiro  che  gli  veniva  dal  fondo 
dell'anima  mormorò  : 

—  Dio  sa  quale  strazio  io  provo  in  questo  momento!  A  lei... 
a  lei  non  chiedo  altro  che  perdono. 

Daria  gli  stese  la  piccola  mano  ch'egli  toccò  appena;  sof- 
friva immensamente. 

—  Non  a  caso  dissi  che  i  cuori  si  comprendono  anche  quando 
i  labbri  non  possono  parlare.  Abbia  fede  in  me  signor  Ippolito... 
ora  più  che  mai  la  sua  causa  è  la  mia. 

Questa  vereconda  e  schietta  confessione  gli  cagionò  una 
gioia  immensa  che  il  lampo  degli  sguardi  tradì  per  un  minuto 
secondo;  tornato  subito  in  se  e  represso  il  tumulto  del  cuore 
rispose  : 

—  Io  sono  un  disgraziato;  ma  la  disgrazia  di  mia  sorella 
mi  fa  un  dovere  di  non  occuparmi  che  di  lei. 

—  La  prego  a  credere  —  soggiunse  Daria  con  nobiltà  — 
che  la  via  della  giustizia  è  quella  che  io  scelgo  sempre  e  su 
tutte  le  altre.  Se  c'è  una  macchia  sul  nome  dei  Regaldi  i  Re- 
galdi  la  cancelleranno. 

Nell'ardore  che  la  infiammava  Daria  sembrava  ingrandita; 
la  vesticciuola  del  mattino  misera  e  succinta  non  palliava  nes- 
suna delle  sue  grazie  giovanili,  pure  aveva  l'imponenza  di  una 
matrona  e  nella  fierezza  degli  occhi  neri  ed  aperti  ben  si  leg- 
geva la  tempra  bronzina  del  suo  carattere. 

—  Daria!  Daria  !  —  gridò  in  quel  momento  la  voce  della  Tatta. 
—  Zitto  —  fece  la  giovinetta  ponendosi   un  dito   sulle  lab- 
bra —  che  nessuno  sappia  nulla  fino  all'arrivo  di  mio  cugino. 
Di  qui  a  allora...  coraggio  ! 

—  Ne  avrò  pensando  a  lei. 

Fu  la  prima  frase  significativa  che  Ippolito  ardì  pronunciare 
a  voce  bassa,  tremando  un  poco. 

E  si  separarono  così,  rapidamente,  senza  stringersi  la  mano; 
oppressi  entrambi  dallo  stesso  dolore,  ma  portando  in  cuore  la 
dolcezza  ineffabile  di  un  grande  amore  tacitamente  ricambiato. 

IX. 

Verso  la  metà  di  novembre  una  notizia  inaspettata  si  pro- 
palò per  tutto  il  paese. 

Rodolfo  Regaldi  aveva  chiesto  la  mano  di  Matilde;  e  a  ta- 
luno cui  questo  matrimonio  sembrava  spuntato  un  po'  troppo  in 


LA    REGALDINA.  107 

fretta,  la  signora  Luigina  aveva  l'incarico  di  far  sapere  che  la 
cosa  era  già  combinata  da  un  pezzo  tra  le  due  famiglie,  ma  che 
per  avversione  alla  pubblicità  si  era  tenuta  nascosta. 

Questa  versione  falsa,  per  contrappeso  di  tante  vere  che  non 
sono  credute,  ottenne  un  pieno  successo  e  circolò  di  casa  in 
casa,  provocando  soltanto  un  po'  d'invidiuzza  nelle  ragazze  da 
marito  e  facendo  crollare  il  capo  alle  mamme  che  dicevano  : 
Quel  Regaldi  è  un  poco  di  buono,  non    ha  voglia   di  lavorare. 

A  questo  proposito  una  insinuazione  partita  dall'osterìa  trovò 
subito  alloggio  in  titte  le  bocche.  Si  mormorava  piano  e  forte: 
u  £  stato  quella  gatta  morta  del  rosso,  che  per  liberarsi  della 
sorella  l'ha  appioppata  al  primo  venuto;  così  —  soggiungeva  la 
la  signora  Ernesta  dandosi  l'aria  di  persona  bene  informata  — 
egli  si  troverà  liberamente  colla  sua  monachina  infilza.  -^ 

—  Se  è  vero  —  chiese  una  volta  una  persona  ingenua  — 
che  il  signor  Ippolito  fa  all'amore  colla  signora  Daria,  perchè 
non  la  sposa? 

—  Giusto  !  —  tuonò  allora  la  signora  Emesta  —  perchè  non 
sposa  ?  Perchè  è  un  impostore,  ecco,  perchè  ci  trova  il  suo 

>maconto  a  pelare  la  gallina  senza  farla  gridare,  perchè  vuole 
le  castagne  senza  pungersi  coi  ricci.  Oh!  parlatemi  del  matri- 
monio, alla  buon'ora  ;  questo  è  un  sacramento  e  il  signor  Rodolfo 

leno  si  mette  in  regola  con  Dio  prima  di  tentare  il  demonio. 

Matilde  non  restò  a  lungo  sotto  l'impressione  dolorosa  della 
scena  avuta  col  fratello.  Lo  stesso  giorno  che  si  pubblicarono 
le  nozze  ella  riprese  la  sua  audacia  provocante,  ricevendo  a 
piede  fermo  i  complimenti  e  le  allusioni  non  sempre  dolicaie 
che  le  venivano  facendo  in  paese. 

Per  provvedere  a  questo  collocamento  Ippolito  aveva  dovuto 
fare  un  debito  di  qualche  migliaio  di  lire.  Matilde  sola  lo  ta- 
P*^*»  ®K^>  no"  n«  aveva  parlato  con  nessuno,  nemmeno  con 
Daria,  quantunque  una  profonda  malinconia  lo  struggesse  tutto 
le  volte  che  la  fanciulla  fissava  in  lui  quei  bellissimi  occhi  chie- 
denti amore  —  ed  egli  abbassava  i  propri  quasi  annientandosi 
nella  angoscia  estrema  della  sua  impotenza.  Apparteneva  per 
sua  sventura  a  quella  classe  di  persone  soverchiamente  deli- 
cate che,  per  legge  di  contrasto  sembrano  tante  volto  mancanti 
di  cuore;  piuttonto   che   alimentare    in   lei  u  nmza  lenta 

nissiroa  e  forse  impossibile  a  realizzarsi  egli  j  i  mostrarsi 

freddo,  lasciandolo  piena  liberta  d'azione  e  di  destini.   Teneva 
per  sé  la  parte  più  ingrata,  ma  più  nobile:  soffrire  tacendo. 


108  LA   REG ALDINA. 

Ai  primi  di  dicembre,  un  giovedì  mattina,  Rodolfo  e  Ma- 
tilde si  sposarono  senza  pompa  e  senza  fasto,  seguiti  dai  soli 
parenti  e  dalla  signora  Luigina  che  spargeva  lagrime  silenziose 
in  un  ampio  moccichino  di  giaconetto,  orlato  a  giorno  e  rica- 
meto  in  tutti  e  quattro  gli  angoli,  leggermente  insaldato. 

Per  fare  da  testimonio  in  chiesa  era  venuto  Pierino,  che 
da  un  mese  circa  si  trovava  a  Milano  impiegato  in  una  casa  di 
commercio. 

Quando  furono  tutti  inginocchiati  e  che  il  prete  prendendo 
l'anello  di  Rodolfo  lo  pose  in  dito  alla  sposa,  Daria  chinò  gli 
occhi  sulle  sue  mani  dove  all'anulare  della  destra,  il  cerchietto 
color  di  sangue  rosseggiava  cupamente.  Matilde  trionfava.  L'eb- 
brezza dello  scopo  raggiunto  le  brillava  negli  occhi  e  riusciva 
a  nascondere  l'alterazione  che  aveva  subito  da  qualche  tempo 
il  suo  viso.  Portava  un  vestito  semplice,  di  colore  oscuro,  ma 
in  mezzo  al  seno  il  velo  era  puntato  con  un  mazzolino  di  fiori 
d'arancio,  freschi,  ch'ella  fiutava  tratto  tratto  con  una  disinvol- 
tura insolente. 

La  vecchia  Tatta  non  aveva  voluto  venire  allo  sposalizio 
adducendo  per  scusa  che  i  vecchi  stanno  bene  in  casa.  Questa 
assenza  fece  un  po'  di  impressione  in  paese,  poi  non  vi  si  badò 
più  pensando  che  la  bizzarra  zitellona  ne  aveva  fatte  ben  altre. 

Popò  la  cerimonia  vi  doveva  essere  una  piccola  refezione, 
affatto  intima,  nella  casa  bianca;  ma  tutta  questa  parsimonia 
fece  arricciare  il  naso  agli  amici  di  Rodolfo  che  lo  andavano 
punzecchiando  perchè  in  tale  circostanza  li  facesse  stare  un  poco 
allegri.  Rodolfo  si  schermiva  dicendo  che  suo  cognato  era  un 
orso  e  che  non  si  poteva  ridere  con  lui. 

Il  signor  Giacomo  Rossetti  che  ciondolava  già  da  un'ora  in- 
torno agli  sposi,  accostò  Rodolfo  in  sacrestia  e  dandogli  un  forte 
pizzicotto  in  una  coscia  : 

—  Eh  !  —  disse  —  non  lo  abbiamo  a  fare  un  brindisi  per 
la  vostra  felicità  ? 

Due  altri  amici  si  avvicinarono  per  salutare  Piero,  dando- 
gli la  baia  che  era  diventato  cittadino.  —  E  tu  quando  la  fai 
la  corbelleria  ?  —  gli  domandarono,  nicchiando. 

Pierino  rispose  con  un  gesto  espressivo,  appoggiando  il  pol- 
lice al  naso. 

—  Olà  !  —  interruppe  il  signor  Giacomo  Rossetti,  preso  su- 
bitamente dagli  scrupoli  —  siamo  in  chiesa,  ragazzi. 

Rodolfo  stretto  intorno,  affollato  di  domande,  un  po'  stufo  e 


LA   REGALDIXA. 


109 


moltissimo  annoiato  li  accomiatò  tutti  dicendo  :  —  Venite  questa 
sera  da  me.  Xe  beveremo  un  bicchiere  alla  buona. 

Un'ora  dopo,  intanto  che  gli  sposi  si  trovavano  in  casa  di  Ippo- 
lito e  che  i  curiosi  un  po'  qua  un  po'  là  si  erano  tutti  dispersi, 
una  persona  girava  ancora,  rasentando  il  muro  della  casa  bianca, 
fermandosi  sotto  alle  finestre.  Era  il  signor  Giacomo  Rossetti 
che  fiutava  gli  odori  della  cucina  per  sapere  che  razza  di  trat- 
tamento il  rosso  offriva  a'  suoi  ospiti. 

Voltando  l'angolo  battè  il  naso  contro  il  tricorno  del  prete 
Pacchia  che  ronzava  anche  lui  per  lo  stesso  motivo  —  e  si  fer- 
marono, un  po'  grulli,  seccati  dalla  sorpresa. 

—  Eh  ?  —  cominciò  il  Rossetti  —  mi  pare  che  si  faccia  di 
magro  ;  poveri  sposi  non  è  con  questa  colazione  che .... 

Ne  disse  una  grossa. 

Don  Pietro  crollò  le  spalle,  indifferente  alla  cosa,  e  tirò  dritto 
dopo  avere  alzato  il  naso  per  un  solo  momento. 

In  causa  della  cattiva  stagione  (aveva  detto  su  tutti  i  canti 
la  signora  Luigina)  non  si  faceva  il  viaggio  di  nozze.  Tran- 
quilla, tranquilla  la  sposa  passò  dalla  casa  materna  alla  casa 
dei  Regaldi;  e  fa  di  non  poco  imbarazso  per  la  Tatta  e  per 
Daria  rannuncio  che  Rodolfo  aveva  invitato  gente  per  la  sera. 

—  Sai  bene  che  non  abbiamo  bicchieri!  —  disse  subito  la 
vecchia  ruvidamente. 

Daria  le  fece  cenno  di  frenarsi  in  riguardo  a  Matilde  che 
non  doveva  essere  molto  lieta  di  quegli  auspici  ;  ma  Matilde, 
disinvolta,  cambiava  il  posto  a  duo  piccoli  vasetti  di  porcellana 
e  soltanto  quando  la  Tatta  tornò  a  dire  qualche  cosa  a  propo- 
sito di  quegli  infelici  bicchieri,  ella  interruppe  sorridendo  : 

—  Mandi  da  Ippolito  a  prenderne  ;  oramai  siamo  una  fami- 
glia sola. 

La   frase   parvi.*  n  tmii    molto  C' n    1   i':\  i.    !!'>  ;  'Il   .   .(\\  'i 
natosi  a  som  moglie,    le   strinse   il   i^an  ■  <  m  <  iia  1   iii'ii<<     <    il 
medio. 

—  Spero  che  andcremo  d'accordo,  Tilde. 

•—  Speriamo  puro  ;  è  il  meglio  che  ci  resta  a  fare  ora.  Por 
parte  mia  lo  desidero  e  aggiungo  anche,  farò  il  possibile. 

La  signora  Luigina  intenerita  da  questa  scena  coniugalo  lo 
chiese  il  permesso  di  abbracciarla  e  poi  volta  alla  Tatta  disse  : 

—  È  un  angelo. 

La  Tatta  le  diede  una  occhiataccia  che  le  smorzò  subito  gli 
entusiasmi;  si  ritirò  nel  suo  angolo  modesto,  a  fianco  del  cuc& 


no  LA   REGALDINA. 

tenendosi  in  grembo  il  moccichino  di  giacoiietto  piegato  a  frec- 
cia, al  quale  ricorreva  di  tanto  in  tanto  per  asciugare  una  la- 
grima furtiva. 

In  fondo  in  fondo  era  una  giornata  noiosa.  Le  donne,  in 
vista  della  circostanza  eccezionale,  non  lavoravano;  Rodolfo 
non  osava  mostrarsi  in  paese;  se  ne  stava  sdraiato  sul  divano 
bigio  fumando  e  sbadigliando  un  poco;  la  Tatta  poi  faceva  il 
muso,  Daria  era  malinconica;  la  sola  Matilde  sembrava  trovarsi 
a  pieno  suo  agio,  già  fatta  padrona  della  situazione  e  della 
casa,  investita  dei  pieni  poteri  di  donna  maritata.  Stette  un 
paio  d'ore  di  sopra,  nella  sua  camera,  a  collocare  la  biancheria 
nei  cassettoni;  chiamò  cinque  o  sei  volte  la  servetta  per  farsi 
portare  dell'acqua,  un  ago,  un  lume  acceso,  un  posapiedi. 

Verso  le  sette  discese,  con  un  fiore  nei  capelli  e  un  paio 
di  guanti  chiari  che   le  salivano  fino  al  gomito  sul  braccio  nudo. 

Alle  sette  e  mezzo  incominciò  a  capitare  qualcuno.  L'uso 
generale  del  paese  conservava  il  pranzo  a  mezzogiorno;  i  più 
avanzati  desinavano  alle  quattro;  tutti  dunque  erano  pronti  e 
in  poco  più  di  mezz'ora  la  saletta  dei  Regaldi  era  piena  di 
gente.  Matilde  fece  accendere  un  lume  nel  vestibolo. 

—  Avete  lo  schic  innato,  cognatina  mia,  —  le  bisbigliò 
all'orecchio  Piero. 

Ella  si  voltò  sorridente,  guardandolo  dall'alto  al  basso  con 
una  occhiata  elittica,  rapidissima. 

Rodolfo  circondato  dagli  amici,  beveva  e  versava  da  bere 
non  occupandosi  d'altro. 

Daria  e  la  Tatta  facevano  gli  onori,  quantunque  in  modo 
ben  differente;  secondando  l' una  il  suo  carattere  irascibile, 
frenandosi  l'altra  più  che  poteva  nell'immensa  mestizia. 

Ippolito  se  ne  stava  in  disparte,  muto,  pensieroso,  offeso 
nella  sua  intima  delicatezza  dal  contegno  spavaldo  di  Matilde; 
contrariato  da  tutta  quella  gente  che  ciarlava  e  ride.va  a  voce 
alta,  sofferente  per  la  sofferenza  di  Daria.  Ella  gli  venne  dap- 
presso un  momento  col  pretesto  di  domandargli  un  dettaglio 
di  famiglia,  e  sedette  vicino  a  lui.  Avevano  da  dirsi  mille  cose, 
ma  nel  guardarsi  dimenticarono  il  resto. 

—  Si  è  fatto  un  bel  giovane  vostro  cugino  Piero  —  disse 
Ippolito. 

—  Sì  —  rispose  Daria. 

E  poi  tacquero,  sorpresi  dal  suono  delle  loro  voci,  esauriti 
per  Io  sforzo  fatto  di  occuparsi  di  cose  indifferenti. 


1^ 


» 


LA   REGALDINA.  Ili 

Matilde  venne  a  raggiungerli;  si  fermò  in  piedi  davanti  a 
loro  e  guardando  un  ritrattino  appeso  al  muro,  proprio  al  di- 
sopra della  testa  di  Daria,  esclamò  : 

—  Era  destino  ! 

H  ritratto  rappresentava  il  primo  fratello  Regaldi.  Daria  si 
morse  le  labbra  e  chinò  il  capo  intanto  che  Matilde  soggiun- 
geva con  leggerezza  :  ^ 

—  Se  non  fosse  morto  cosi  presto  mi  avrebbe  sposata  anche 
quello  li;  cioè,  intendiamoci,  o  l'uno  o  l'altro... 

Si  allontanò  ridendo  chiamata  dal  signor  Giacomo  Rossetti 
che,  avendo  bevuto  più  del  dovere,  si  sentiva  in  vena  di  ga- 
lanteria. Daria  era  pallida  come  un  cadavere. 

—  Cara  —  fece  Ippolito  dimenticando  in  quel  punto  la  sua 
freddezza  e  prendendole  la  mano. 

Ma  una  forte  esclamazione  della  Tatta  richiamò  l'attenzione 
generale  sulla  signora  Luigina,  che  era  stata  dimenticata  com- 
pletamente e  che  giaceva  svenuta  sulla  sua  sedia,  di  fianco 
al  cucù. 

Due  uomini  presero  delicatamente  la  povera  sitella  e  la 
portarono  sul  letto  della  Tatta,  non  senza  celiare,  strada  facendo, 
a  proposito  di  questo  singolare  svenimento.  Daria  la  segui  su- 
bito e  non  si  fece  più  vedere  in  sala,  divorando  meglio  lo  proprie 

rime  al  capezzale  della  vecchia  amica. 

Giù  gli  amici  di  Rodolfo  si  fermarono  fin  oltre  la  messa- 
notte,  schiamazzando.  Alla  fine  erano  tutti  un  po'  brilli,  com- 
preso lo  sposo.  Il  signor  Giacomo  Rossetti  cantò:  Padre  santo 
ai  vostri  piedi:  e  poi  si  fece  a  raccontare  la  sua  prima  gior- 
nata di  matrimonio,  dando  a  Rodolfo  dei  consigli.  Improvvisa- 
mente si  ricordò  che  era  passata  la  measanotte  e  che  si  trovavano 
in  giorno  di  venerdì.  Salutò  tutti,  prese  il  cappello,  serio,  preoc- 
cupato dei  peccati  commessi  ;  ma  passando  vicino  a  Matilde  gli 
occhi  gli  luccicarono  ancora  d'un  pensiero  lascivo: 

—  Mi  raccomando,  neh?...  giudisio! 
K  sparve. 

'-  É  capace  di  andare  a  mattutino  —  disse  Piero. 

X. 

La   iii;;!.>r.i    I.!i  .-i'  .i  ;-r;i.i'  .  .itoripi  .|iir'  nuoi  occhi 

scoloriti,    rt|';i\  intuii    -l'iii^tif^    <.'    <]a    ^.i  i    -<|i;i\  <  n  !.il .    elio  inni  por 

lo  spettacolo  che  aveva  dato  alla  compagnia. 


112  LA  REG ALDINA. 

—  Oh  !  avrei  fatto  molto  meglio  a  non  venire  ;  lo  sapevo 
che  le  emozioni  mi  fanno  male!...  questa  poi!,.. 

Daria  la  consolò  alla  meglio,  consigliandola  a  starsene  tran- 
quilla e  procurare  di  dormire. 

Difatti  non  andò  alla  lunga;  emesse  una  dozzina  di  sospiri, 
alti,  bassi  e  bassissimi,  come  un  esercizio  di  vocalizzo  e  chiuse 
le  palpebre  su  una  scala  semitonata  di  ron  ron  che  provarono 
essersi  i  suoi  affanni  calmati  sotto  l'influenza  benefica  del  sonno. 

Daria  vegliava,  colla  fronte  nelle  mani  pensando  a  tante 
cose  del  passato  e  del  presente,  affrontando  coraggiosa  i  misteri 
del  futuro  che  le  si  presentava  torbido  e  pieno  di  guai. 

Partiti  gli  ospiti  la  Tatta  venne  a  raggiungerla. 

—  Finalmente  tutto  è  finito;  sarà  poi  quel  che  sarà. 

—  Perchè  dici  cosi,  zia?  Speriamo. 

—  Non  è  frutto  della  mia  età  cotesto  ;  ben  sta  a  te  lo  spe- 
rare... chi  vive  sperando  muore  cantando. 

A  Daria  non  sfuggì  l'allusione. 

—  Parla  piano  zia;  la  signora  Luigina  si  è  addormentata 
appena  adesso. 

—  Un'  altra,  quella  lì  ! 

Era  sarcastica,  pungente;  diede  un'  occhiata  all'amica  co- 
ricata nel  suo  letto  e  sembrandole  poco  coperta  si  levò  uno 
sciallo  che  aveva  sulle  spalle  e  glielo  buttò  sopra. 

—  Aspetta  che  andrò  a  prendere  una  coltre. 

Senza  rispondere,  la  Tatta  entrò  bruscamente  nell'argomento 
che  le  stava  a  cuore  : 

—  Ed  ora  cosa  farete?  —  chiese  a  bruciapelo,  fissando  nella 
fanciulla  i  suoi  occhi  arditi,  neri  come  carbonchi. 

Daria  abbassò  il  capo. 

—  Egli  si  occupa  ad  ammogliare  gli  altri,  pare,  ma  per  se 
stesso  non  ci  pensa. 

—  Lo  sai  che  non  può!  —  esclamò  la  ragazza  scoppiando 
in  singhiozzi. 

—  E  se  non  può  perchè  ti  tiene  sulla  corda? 

—  Ma  egli  non  mi  ha  mai  detto  nulla. 

La  Tatta  parve  colpita  da  questa  osservazione  ;  riflettè  che, 
a  ben  guardare,  Ippolito  non  faceva  la  corte  a  sua  nipote  e 
se  tutto  il  mondo  lo  sapeva  e  lo  diceva  è  perchè  amore  e 
scabbia  non  la  cela  chi  se  l'abbia.  Mosse  le  labbra  in  silenzio, 
quasi  parlasse  a  sé  stessa  o  rifacesse  una  storia  vecchia  per- 
duta nella  sua  memoria. 


LA   REGALDrNA.  113 

Daria  riprese: 

—  Non  mi  ha  mai  parlato  d'amore,  mai;  non  mi  ha  mai 
parlato  nemmeno  delle  sue  condizioni  di  famiglia,  ma  io  vedo 
e  capisco  ogni  cosa. 

—  E  lo  ami. 

—  E  lo  amo.  È  tanto  nobile!  tanto  onesto! 

—  Pure  cosi  non  la  può  durare. 

—  Perchè? 

—  Bisogna  decidersi.  Se  egli  non  ti  sposa  converrà  pure 
che  tu  ne  accetti  un  altro. 

—  Non  ne  vedo  la  necessità. 

■jji         —  Vorresti  sacrificare  la  tua  gioventù,  il  tuo  avvenire?  Pensa 
"^  che  non  sei  ricca,  che  morta  io  dovrai  sobbarcarti  alle  esigenze 
de'  tuoi  cugini,  lavorare  per  loro,  servirli;  se  capitano  dei  ra- 
gazzi lì  avrai  sulle  braccia... 

—  Ma  zia... 

—  So  cosa  vuoi  dire.  Anch'io  ho  fatto  così,  ma  ero  indi- 
pendente; l'ho  fatto  per  mìa  elezione,  l'ho  fatto... 

Cercando  un  buon  motivo  la  vecchia  si  ingarbugliò.   Daria 
ttandole  le  braccia  al  collo  disse: 

—  È  inutile  zia,  non  sai  mentire!  Anche  to  ti  sei  sacrifi- 
cata per  affetto  della  tua  famiglia,  anche  tu  hai  dedicato  la  tua 
giovinezza  a'  tuoi  nipotini,  anche  tu  forse  avevi  in  cuore... 

—  No  !  —  interruppe  la  zitellona. 
E  nella  fermezza  del  suo  sguardo  si  leggeva  la  fermess*  di 

un  cuore  che  non  aveva  vacillato  mai. 

—  Ebbene  se  tu  non  conosci  amore,  sai  però  cosa  vuol 
dire  sacrificio  e  non  puoi  meravigliarti  del  mio  e  non  puoi  vie- 
tarmelo perchè  per  noi  donne  quando  la  vita  non  può  essere 
ebbrezza  di  felicità  è  ebbrezza  di  martirio;  non  conosco  messe 
misure,  non  accetto  consolazioni  moschine.  Camminerò  dritta 
al  mio  scopo  e  sul  mio  sentiero,  dovesse  condurmi  alla  mag- 
giore delle  infelicità. 

La  vecchia  tacerà;  rìconoscevs  il  suo  sangve  e  ne  gioiva 
nell'intimo  dello  Tiscere.  Alla  fine  disse  : 

—  Tu  hai  forse  ragione,  e  come  dici  sia.  Desidero  almeno 
che  l'uomo  da  te  scelto  sia  degno  di  questo  sacrificio. 

Daria  hIsò  la  fronte  raggiante  di  fede: 

—  È  il  migliore  degli  uomini! 
Su  queste  parole  pronunciate  un  po'  forte  la  signora  Luigina 

si  svegliò,  e  il  suo  primo  sentimento  fu  di  confusione  ;  tornò  a 
Tot..  ZI.,  swto  II  -.  1  uigu*  issa  t 


■ 


w^ 


114  Li   REQALDINA. 

profondersi  in  scusO;  a  dire  che  l'emozione  l'aveva   vinta,  che 
ora  però  si  sentiva  meglio  e  poteva  levarsi. 

Erano  le  due  del  mattino.  La  Tatta  l'obbligò  a  starsene  in 
letto  tranquilla,  che  quanto  a  lei  e  a  Daria  non  avevano  nes- 
suna voglia  di  porsi  a  dormire. 

—  Ah!  Maddalena  (era  questo  il  nome  della  Tatta)  sono 
passati  trent'anni,  ma  mi  pare  soltanto  ieri  ! 

La  Tatta  crollò  la  testa;  mentre  Daria  che  non  capiva  il 
senso  di  quelle  parole,  le  guardava  entrambe  con  muta  inter- 
rogazione. 

—  Cara  ragazza  —  la  signora  Luigina  in  quel  momento  di 
debolezza  aveva  ad  ogni  modo  bisogno  di  uno  sfogo  —  cara 
ragazza,  tu  non  conosci  la  mia  storia;  se  sapessi  quanto  ho 
sofferto  ! 

Questa  confessione  sorprese  moltissimo  Daria  che  1'  aveva 
sempre  veduta  incerta  e  paurosa,  scolorita  come  un'ombra,  in- 
genua come  un  bambino,  e  che  non  la  giudicava  suscettibile  di 
decidere  la  più  semplice  quistione,  nemmeno  quella  di  soffrire 
0  di  godere. 

—  Non  credi?  Domandalo  a  tua  zia. 

—  Andiamo  pazza,  quando  la  finirai  di  pensare  a  queste  cose 
che  sono  pili  vecchie  del  tabarro  del  diàvolo? 

Ma  comodamente  distesa  nel  letto  la  signora  Luigina  si 
sentiva  in  vena  di  confidenze;  una  specie  di  agitazione  nervosa 
le  accelerava  le  parole  in  bocca;  perfino  i  suoi  pallidi  occhi 
avevano  dei  riflessi  quasi  luminosi, 

—  Sì,  si,  continua  pure  ad  agitarti  e  farai  come  tua  cugina 
Petronilla. 

Positivamente  la  signora  Luigina  doveva  conoscere  sua  cu- 
gina e  sapere  quello  che  le  era  accaduto  agitandosi;  non  rispose 
e  incominciò  adagio  adagio  a  levarsi  gli  spilli  dalle  treccie. 
Però  dopo  un  momento  riprese,  volgendosi  verso  Daria. 

—  Sarebbe  pur  utile  alla  gioventù  il  sapere  a  quali  passi 
conduce  la  troppa  sensibilità  del  cuore! 

Daria  le  strinse  la  mano  in  silenzio;  intanto  che  la  Tatta  ve- 
dendo spuntare  la  storia  ch'ella  conosceva  come  il  pater  nostro 
si  accomodava  alla  meglio  sulla  sedia  e  chiudeva  gli  occhi. 

—  Mi  sono  trovata  anch'  io  col  velo  in  testa  e  coi  fiori 
d'arancio  ! 

Dicendo  così  la  signora  Luigina  era  patetica,  di  un  patetico 
comico  non  privo  di  interesse. 


LA   REG ALDINA. 


115 


—  Come,  ella  fu  sposa? 

—  Si  ragazza  mia;  andai  quasi  fino  all'altare. 

Ella  raccontava  a  spizzico,  fermandosi  ad  ogni  frase  per 
pigliare  coraggio. 

—  Ebbi  la  disgrazia  di  innamorarmi  di  un  giovine  che.... 
di  un  giovane....  un  po'  discolo;  ma  ero  sola  al  mondo,  ine- 
sperta.... credetti.... 

—  La  famiglia  però  ti  aveva  avvisata  —  interruppe  la  Tatta 
aprendo  gli  occhi. 

—  Sicuro,  sicuro;  ma  credetti...  Aspettai  quattr'anni,  final- 
mente egli  mi  diede  promessa  formale  di  sposarmi  entro  un  anno. 

Si  fermò  ancora  arrossendo. 

—  Quell'anno  lo  passai  sempre  in  casa  lavorando  al  mìo 
corredo.  All'alba  ero  in  piedi  ;  la  notte  mi  trovavo  davanti  alla 
lucemetta  coH'ago  in  mano.  Cucii  e  ricamai  trentaquattro  ca- 
mice, venti  sottane,  feci  venticinque  paia  di  calze...  Non  uscivo 
che  alla  domenica  per  sentir  messa;  l'inverno  fu  rigidissimo, 
mi  si  gelavano  le  dita  intomo  ai  ricami  fini.  A  furia  di  lavorare 
giorno  e  notte  la  vista  mi  s'indebolì;  in  prìmavera  stetti  a 
letto  un  mese  con  una  oftalmia;  appena  guarita  tomai  da  capo 
a  lavorare.  Egli  diceva  che  mi  avrebbe  sposata  in  autunno; 
l'autunno  passò,  venne  l'inverno.  Il  mio  corredo  chiuso  in  tre 
grandi  casse  empiva  la  camera:  avevo  speso  tutti  i  mio!  ri- 
sparmi, mi  ero  sciupata  la  vista  e  la  salute....  Fissò  il  giorno 
in  aprile,  il  dodici.  Ero  vestita,  pronta,  mancava  mezz'ora  alla 
cerimonia  quando  vennero  ad  annunciarmi  che  egli  era  andato 
in  America.. 

Questo  raccontf)  sempiico  o  cnniinDvmt''  l.i  rti;^'ii->r.i  l.ui;^ina 
Io  aveva  fatto  colla  sua  voce  monotona  il.-tllo  (-h<1<'ii/.i>  mno/zato; 
quand'ebbe  finito  si  asciugò  gli  occhi  col  fazzoletto  ri(  .minto 
—  unico  ayanso  forse  del  tao  corredo. 

Daria  contemplava  impietosita  quella  donna  che  portava  d« 
trent'anni  il  lutto  delle  più  care  illusioni,  senza  che  un  lamento, 
un  rimpianto,  una  imprecazione  avessero  alterato  mai  la  ras- 
segnata umiltà  del  suo  sorriso;  e  quella  povera  zitella  che  le 
era  sembrata  tante  volte  ridicola,  le  appariva  adesso  sotto  le 
spoglie  di  una  martire  gentile  —  la  vedeva  giovane,  felice, 
bella  forse,  in  attesa  del  diletto  fidanzato  e  si  immaginava  lo 
strazio    orribile    dell'abbandono,  e  capiva  ohe    in  quell'  istante 

'•;  tutto  doveva  essersi  spento  in  lei,  gioyinezzM,  coraggio, 
i    .  .  Il  corpo  solo  era  sopravvissuto  alla  morte  dell'anima. 


116  LA    REGALDINA. 

—  Se  non  avessi  avutq  questa  cara  amica  —  continuò  la 
signora  Luigina  indicando  la  Tatta  —  s'ella  non  m'avesse  sot- 
tratta allo  scherno  del  paese  e  alla  disperazione  di  me  stessa.... 

—  Ora  la  storia  è  finita  —  interruppe  la  Tatta  con  furia 
—  hai  voluto  far  sapere  le  tue  sciocchezze  e  basta;  tienti  per 
avvisata  che  a  nozze  io  non  ti  invito  più. 

Brillava  una  lagrima  in  fondo  agli  occhi  neri  della  vecchia 
irosa?  A  Daria  parve. 

La  signora  Luigina  non  replicò  nulla;  stettero  ancora  un 
po'  di  tempo  in  silenzio  tutte  e  tre.  Dopo  una  notte  così  agi- 
tata non  potevano  dormire,  ma  verso  l'alba  si  sentirono  prese 
da  leggeri  brividi  di  stanchezza. 

— ^  Va  a  riposarti  —  disse  la  zia  a  Daria.  La  fanciulla  ne 
aveva  gran  bisogno  ;  tante  emozioni  l'avevano  prostrata. 

Si  ritirò  nella  sua  cameretta  e  si  buttò  mezzo  vestita  sul 
letto;  mille  pensieri  la  seguirono  in  forma  di  visione,  di  fan- 
tasmi, di  memorie,  di  paure  ;  il  ricordo  di  suo  cugino  morto  si 
confondeva  nella  sua  mente  col  fidanzato  della  signora  Luigina 
fuggente  in  America.  L'anello  di  corniola,  Matilde,  Rodolfo,  lo 
nozze,  tutto  le  passava  davanti  turbinando  come  una  gran  ridda 
fantastica.  Finalmente  si  quotò  :  una  sola  immagine  cara,  tran- 
quilla usci  dal  caos  della  sua  fantasia  agitata;  un  solo  nome 
le  restò  sulle  labbra.  Chiuse  gli  occhi  e  si  addormentò  dolce- 
mente cullandosi  nella  musica  di  quel  nome  ripetuto  all'infinito. 

Al  di  là  della  Regaldina,  nei  silenzi  dei  campi,  le  campane 
del  Santuario  suonavano  i  primi  rintocchi  dell' Avemaria  del 
mattino. 

XI. 

Matilde  inaugurò  la  sua  vita  di  sposa  come  se  lo  fosse  già 
da  dieci  anni.  Prese  subito  il  suo  posto  nel -salotto  bigio,  vicino 
all'uscio  che  dava  sulla  corte;  vi  stabili  una  poltroncina  che 
fece  discendere  dalle  camere  superiori  e  volle  che  Rodolfo  le 
comperasse  una  pelle  d'agnello  nero  per  appoggiarvi  sopra  i 
piedi  ;  cosi  il  suo  dominio  si  trovò  subito  stabilito. 

Sdraiata  sulla  poltroncina  ella  ricamava  qualchevolta,  qual- 
chevolta  leggeva,  più  spesso  non  faceva  nulla  o  arrotolava  fra 
le  dita  una  sigaretta,  canticchiando,  lontana  col  pensiero  da 
quella  modestissima  camera.  Con  Daria  e  colla  Tatta  aveva  un 
contegno  educato    ma  indifferente;    con   suo  marito    tentava  la 


LA  REGA.LDINA.  117 

'bminazione,  ora  per  via  di  blandizie,  ora  minacciandolo  auda- 
cemente. Quando  furono  palesi  i  sintomi  esterni  della  sua  gra- 
vidanza ella  ne  parlò  con  disinvoltura,  si  fece  servire,  si  fece 
compiangere,  posò  a  donnina  delicata  e  sofferente  ;  ebbe  mille 
capricci,  i  nervi,  l'isterismo,  i  vapori.  Rodolfo  sulle  prime  fu 
paziente,  poi  incominciò  a  stancarsi  ed  avendo  assistito  a  due 
o  tre  scene  di  convulsioni,  prese  il  partito  di  farsi  vedere 
di  -rado. 

Allora  Matilde  si  lagnò  di  isolamento,  di  trascuratezza,  parlò 
di  illusioni  svanite,  di  aspirazioni  incomprese.  Disse  che  la  sua 
salute  soffriva  in  quella  monotomia    continua  e  fece   quattro  o 
cinque  gite  a  Milano. 
^|l  Quando  tornava   dalla   città  era  sempre   animata  e  per  p»- 

^*  recchi  giorni  la  casa  se  ne  risentiva.  Ella  cambiava  posto  ad 
ogni  cosa,  faceva  una  quantità  di  innovazioni  ardite,  bizzarre, 
provocando  i  sarcasmi  della  Tatta  e  gli  ooh!  meravigliati  e 
dubbiosi  della  signora  Luigina. 

Una  volta  portò  da  Milano  un  corredino  [elegantissimo  per 
neonato;  delle  camicioline  di  batista,  delle  cufBette  di  trina, 
una  coperta  di  velo  con  trasparente  di  seta  rosa...  Daria  e  la 
Tatta  non  poterono  tacere  che  qaelle  cose  le  si  sarebl><>ro  fatte 
in  famiglia  con  molta  maggiore  economia. 

In  quel  giorno  la  signora  Luigina,  vergognosa  davanti  a 
tante  meraviglie,  nascose  un  giubbcttino  all'uncinetto  ch'ella 
stava  lavorando  di  nascosto. 

Matilde  dichiarò  che  le  cose  brutte  non  le  piacevano. 

Sul  finire  della  primavera  ella  era  diventata  molto  grossa 
e  passava  le  giornate  semicoricata,  ravvolta  in  un  lungo  ac- 
cappatoio celeste,  coi  capelli  sciolti  rattenuti  appena  sulla  naca 
da  un  nastro  di  velluto.  Tutti  aspettavano  il  parto  con  impa- 
zienza e  stanchexsa  infinita;  Rodolfo  d«^iderava  un  maschio 
Wkl   bello  e  robusto  come  lui,  da  fame  an  buon  cacciatore. 

La  signora    Emesta  che  arerà    fermato  una  domenica  Ma- 

I  tilde  all'uscire  di  messa  le  preconizzò,  coU'orchio  divinatore 
I  dell'esperienza,  ohe  arrebbe  una  bambina, 
fc  Matilde  si  strìngeva  nelle  spalle,  informandosi  con  premura 
■  46  è  proprio  rero  che  nel  parto  si  perdono  i  capelli.  E  anche 
I  qui  la  signora  Emesta,  sempre  in  base  all'esperìonsa,  le  disse 
di  si,  ma  soggiunse  per  confortarla  che  c'era  un  rimedio  infal- 
^_     libile  nella  pelle  d'anguilla  appena  scorticata. 


118  LA  REO  ALDINA. 

come  una  mano,  meschina    meschina,    con    sommo    dispetto  di 
Rodolfo  che  si  sentiva  offeso  nel  suo  amor  proprio  di  genitore. 

Corse  subito  la  voce  che  era  una  settimina,  naturalmente, 
e  allora  parve  anche  giusto  che  fosse  così  grama. 

Matilde  si  riebbe  presto,  e  per  rifarsi  di  tutti  i  mesi  pas- 
sati in  veste  da  camera  si  fece  mandare  da  Milano  una  corazza 
nera,  detta  Jersey  aderente  al  corpo  come  una  maglia.  Ma 
questa  volta  Rodolfo  si  risentì  un  poco;  aveva  già  avute  le 
spese  del  battesimo,  cosi  non  si  poteva  andare  avanti  ;  nessuno 
guadagnava  in  famiglia  e  le  rendite  erano  più  che  modeste. 

—  Una  volta  —  disse  Matilde,  ironica  —  non  mi  parlavi 
delle  tue  rendite  e  parlavi  invece  molto  delle  mie  corazze. 

—  E  naturale  —  rispose  Rodolfo  brutalmente  —  allora  non 
le  pagavo  io. 

Marito  e  moglie  non  s' incontravano  nei  gusti  ;  lui  campa- 
gnuolo  nato,  un  po'  rozzo,  affatto  materiale  come  lo  erano  del 
resto  tutti  i  suoi  amici  e  compaesani,  come  li  faceva  il  genere 
di  vita  bestiale,  le  tradizioni,  l'esempio,  l'ozio,  la  mancanza 
assoluta  di  un  ideale  intelligente;  lei  sensibile,  nervosa,  cor- 
rotta nell'immaginazione,  sensuale  essa  pure  ma  di  un  sensua- 
lismo elegante  e  raffinato.  Aveva  un  sorriso  sprezzante  quando 
lui  tornando  dalla  caccia,  stanco  e  inzaccherato  la  incaricava 
di  cucirgli  il  carniere  e  di  rimettere  il  tirante  alle  sue  uose 
coperte  di  mota  —  e  lui  non  vedeva  il  sorriso,  non  compren- 
deva lo  sprezzo;  se  ne  sarebbe  meravigliato  altamente,  poiché 
le  donne  in  genere  e  le  mogli  in  ispecie  sono  fatte  appunto 
per  questo.  Credeva  anzi  di  darle  una  prova  di  tenerezza  ri- 
volgendosi a  lei  piuttosto  che  a  Daria.  Nel  suo  semplice  cri- 
terio gli  pareva  che  Matilde  dovesse  stimarsi  fortunata;  non 
era  egli  stato  galantuomo?  non  l'aveva  sposata?  le  mancava 
nulla?  Allattasse  dunque  in  pace  la  sua  marmocchietta  e  im- 
parasse una  buona  volta  a  cucinare  le  anitre  come  piacevano 
a  lui  ! 

Matilde  allattò  quindici  giorni,  poi  non  ebbe  piìi  latte,  la 
bambina  piangeva  sempre,  balie  non  se  ne  trovavano  ;  venne 
in  scena  il  poppatoio,  e  allora  tutte  erano  nutrici,  Daria  per 
la  prima,  la  Tatta  e  fin  anco  la  signora  Luigina  che  posandosi 
in  grembo  la  bimba  con  tutte  le  precauzioni  immaginabili,  sen- 
tiva fondere  la  sua  rigida  durezza  di  zitellona  in  una  calda 
ondata  d'amor  materno. 

La  piccina  crebbe  cosi  piuttosto  bene  che  male,  stentatina,. 


LA   REG ALDINA.  119 

ma  vispa  e  intelligente.  Di  li  a  qualche  mese  Matilde  accusò 
delle  forti  emicranie  per  cui  il  pianto  della  bimba  le  riusciva 
molesto,  sopratutto  la  notte  ;  e  Daria  se  la  portò  nella  sua  ca- 
meretta incaricandosi  di  tutte  le  cure  che  esigeva  quella  per- 
soncina. 

Nell'entrare  dell'inverno  ammalò;  ebbe  febbri  acutissime, 
tosse,  minacciò  due  o  tre  volte  di  morire  ;  Daria  vegliò  le  notti 
intere  colla  sua  calma  serena  di  donna  forte  e  quando  l'ebbe 
risanata  le  parve  che  un  vincolo  di  più  l'unisse  alla  innocente 
creatura,  già  la  piccina  la  riconosceva  in  mezEO  a  tutti,  le  fa- 
ceva festa  sorridendo  e  tendendo  verso  lei  ie  manine,  e  in  quei 
teneri  amplessi  Daria  dimenticava  ogni  pena  avuta. 

—  Lei  ama  molto  i  bambini  a  quel  che  si  vede. 

—  Si:  rispose  Daria  semplicente. 

Qneate  parole  venivano  scambiate  colla  moglie  del  dottore 
che  81  trovava  in  visita  di  gala  per  il  capo  d'anno.  Qià  da  un 
po'  di  tempo  le  visite  di  questa  signora  spe«seggiavano  avendo 
di  mira  Daria  specialmente.  In  quel  giorno  si  trovavano  ap- 
punto soie. 

—  L'amore  per  i  ragassì  è  nna  buona  dispo«isione  al  ma- 
trimonio. 

Qui  Daria  non  si  credette  obbligata  a  rispondere  per  cai 
l'altra  soggiunse  : 

—  Lei  è  troppo  bellina  per  fare  la  mamma  ai  figli  degli 
altri.  Conosco  qualcuno  che  sarebbe  ben  felice  di  metterla  a 
capo  di  una  famiglia  sua. 

—  Io  non  penso  a  maritarmi. 

—  Qià  una  brava  nigassa  come  lei  non  ci  pensa  mai,  ma 
quando  vi  pensano  gli  altri,  e  questi  altri  h  an  buon  giovino.... 

—  In  tal  caso  sarei  dolente  per  la  persona  che  mi  onora 
delia  sua  prefercnaa.... 

—  Come  sarebbe  a  dire? 
— >  Che  non  ho  intensione  di  prendere  marito. 

—  Sul  serio? 

—  Sul  serio. 
Un'ombra  di  tiia|)<  u<>  pasto  negli  occlu   >!<  Ihi  hi^tuiru; 

—  Chiunqìu  fuH»o   11  corcatoro?  —  doiimuil.*   o<.m    uiuli/iu. 

—  Chiunque....  per  ora. 
Questo  diaeorao   faceva   male  a  Daria;    ella    era    pallida  o 

eercava  insano  di  nascondere  la  sua  contrarietà  accarcaaando 
la  bambina  che  teneva  in  collo. 


120  LA   REGALDINA. 

—  Mi  lasci  darle  un  consiglio,  sa,  non  si  lasci  sfuggire  le 
buone  occasioni;  se  ne  troverà  pentita. 

—  Non  credo. 

—  Gli  sposatori  in  giornata  sono  rari  —  continuò  la  signora 
accalorandosi  —  il  mondo  è  pieno  di  giovani  senza  cuore  che 
si  divertono  a  pigliare  a  gabbo  le  ragazze  per  ridere  poi  alle 
loro  spalle. 

—  La  cosa  non  mi  riguarda  —  disse  Daria  con  dignità. 
E  si  levò  in  piedi  per  far  muovere  la  bambina. 

—  Dunque  rifiuta  assolutamente? 

—  Si. 

—  Senza  conoscere  il  nome  dell'  individuo  ? 

—  È  affatto  inutile. 

La  moglie  del  dottore  si  accomiatò  su  queste  parole.  Daria 
la  condusse  fuori  dell'uscio  che  metteva  in  corte  e  proprio  in 
quel  momento  vide  Ippolito  che  dal  cancello  interno  del  giar- 
dino veniva  alla  sua  volta. 

Non  aveva  tempo  di  ricomporsi;  il  suo  volto,  i  suoi  sguardi,  un 
leggero  tremito  che  l'agitava  tutta  colpirono  subito  il  giovane 
che  le  chiese  con  premura  se  si  sentiva  male. 

Daria  disse  di  no,  poi  avrebbe  voluto  dire  di  sì,  perchè  sa- 
rebbe stato  il  modo  più  spiccio  di  troncare  le  interrogazioni  ; 
ma  era  troppo  commossa.  Rientrò  nel  salottino  e  si  pose  a  rav- 
viare la  cuffietta  della  bimba  dicendo:  Eh!  Lena  saluta  lo  zio, 
da' un  bacio  allo  zio  Ippolito. 

Ippolito  avvicinò  il  volto  a  quello  della  piccina,  ma  non  era 
tanto  lontano  dal  volto  di  Daria  che  non  sentisse  il  calore  feb- 
brile della  sua  pelle.  Il  giovane  si  ritrasse  con  un  brivido  ;  tornò 
a  guardare  la  giovinetta  e   disse: 

—  Ma  davvero  lei  ha  qualche  cosa;  è  uscita  adesso  la  mo- 
glie del  dottore...  che  le  disse?  che  avvenne? 

.' —  Nulla.  —  Pronunziando  questa  parola  la  voce  di  Daria 
era  colma  di  pianto. 

—  Daria  —  diss'egli  tanto  teneramente  che  nessuna  dichia- 
razione d'amore  avrebbe  potuto  superare  la  dolcezza  di  quel 
nome  in  bocca  sua  —  io  ho  pur  versato  il  mio  dolore  nel  suo 
cuore  quand'ella  me  ne  richiese....  Ora  chiedo  la  mia  parte  nel 
dolore  che  la  affligge. 

Colla  testa  china  ella  continuava  ad  accarezzare  la  Lena, 
baciandola  lieve,  lieve  sui  capelli  e  sulle  manine,  cullandola  in- 
sensibilmente. 


u 


LA   REGALDINA.  121 

—  Un  presentimento  mi  dice  che  io  c'entro  per  qualche 
cosa  nel  suo  affanno;  forse  la  moglie  del  dottore...  non  so  ve- 
ramente cosa  possa  dire  di  me,  ma  infine.... 

—  No,  non  mi  ha  parlato  di  lei. 

—  E  allora? 

Ippolito  era  incalzante,  guardandola  ansioso  coli'  interesse 
che  dà  il  vero  affetto. 

Proprio  nulla  —  fece  Daria  tentando  di  mostrarsi  disin- 
olta  —  quella  signora  voleva...  voleva  niente  insomma  ;  voleva 
'**inari  tarmi. 

La  fronte  di  Ippolito  si  contrasse  dolorosamente. 

—  Ma  io  le  diasi  che  non  voglio  —  soggiunse  Daria  con  pron- 
tezza —  ed  ecco. 

Si  guardarono.  H  bel  sorriso  di  Ippolito  spuntò  sui  suoi  labbri 
mentre  mormorava  : 

—  E  vero  che  io  non  c'entro  per  nulla! 
Fu  un  raggio  celeste  quel  sorrìso. 

Ella  gli  stese  una  mano  mentre  coU'altra  teneva  la  bambina, 
ippolito  la  strìnse  ardentemente,    avvicinandosi    a  lei  con  uno 
ncìo  d'ebbrezza;  ma  furono  forti  tutti  e  dae.  Dana  rìssò  in 
edi  la  piccina  tendendogliela  tutta  tremante.  Egli  sensa  levare 
gli  sguardi  dalla  sua  diletta,    baciò   e  rìbaciò   intensamente  U 
testina  dell'angelo  che  stava  in  messo  a  loro. 

Ippolito  voleva  parlare,  quando  entrò  Rodolfo   in  cerca  del 
o  fucile  per  pulirlo  ;  ma  il  cane  non  gìuocava  bene  e  pensò 
e  era  meglio  mandarlo  dall'armaiolo  ;  allora  si  buttò  a  traverso 
del  divano  dicendo  a  Darìa  di  fargli  vedere  le  prodesse  di  quella 
bambolina;  egli  era  meravigliato  che  non  camminasse  ancora. 
Dopo  una  notte  di  insonnia  affannosa  Ippolito  scrisse  a  Daria  : 
u  L'amico  che  ha  tanta  stima  di  lei  e  che  desidera  la  sua 
felicità  la  prega  di  ponderare  seriamente  il  rifiuto  dato,  e  se  ha 
un  po'  d'affetto  per  lui,  in  nome  di  questo  affetto  medesimo  la 
sapplica  di  pensare  al  suo  avvenire.  •• 
Daria  rispose: 
li  Grazie;  sono  immutabile,  n 


Nbkra. 


LA  POLItlCA  ECCLESIASTICA  DELLA  PRUSSIA 


I. 

Prima  del  1860,  non  v'  era  Stato  di  Europa  del  quale  la 
Chiesa  si  chiamasse  più  contenta  che  della  Prussia.  Il  18  ot- 
tobre 1861,  re  Guglielmo,  nel  giorno  della  sua  incoronazione 
solenne,  diceva:  u  È  di  sodisfazione  al  mio  animo  il  sapere,  che 
nel  giro  di  tutto  il  mio  Stato  le  condizioni  della  Chiesa  cat- 
tolica sono  bene  ordinate  dalla  storia,  dalle  leggi  e  dalla  co- 
stituzione, n  Due  principali  fondamenti  aveva  quest'ordine  pa- 
cifico e  sicuro:  l'uno  la  bolla  de  salute  animarum  del  17  lu- 
glio 1821 ,  che  insieme  col  breve  dello  stesso  giorno  aveva 
riordinata  la  Chiesa  nel  regno  di  Prussia,  1'  altro,  la  costituzione 
del  31  gennaio  1850.  In  quella  bolla  e  in  quel  breve  Pio  VII 
coir  assenso  del  governo  di  Federico  Guglielmo  —  assenso  di 
cui  in  quei  due  atti  non  era  fatta  menzione,  ma  che  era  espli- 
citamente espresso  in  un'ordinanza  di  gabinetto  del  23  agosto 
—  aveva,  ricostituendo  le  diocesi  del  regno,  restituito  i  capitoli 
nel  diritto  d'elezione  dei  vescovi;  ma  prescritto  anche:  —  u  Si 
apparterrà  a  voi  lo  scegliere  persone,  che  oltre  alle  altre  qualità 
prescritte  dal  diritto  ecclesiastico,  sappiate  reputate  per  lode  di 
prudenza,  e  grate  al  serenissimo  Re,  delle  quali  cose  curerete 
di  essere  certificati  innanzi  di  celebrare,  conforme  a'  canoni, 
l'atto  solenne  dell'elezione  n.  *  La  costituzione  d'altra  parte  gua- 

'  «  Vestrarum  partium  erit,  eos  adsciscere,  quos,  praeter  qualitates  pra- 
dentiae  insuper  laude  commendari ,  nec  serenissimo  regi  niinus  gratos  esse 
noveritis,  de  quibus  antequam  solennem  electionis  actum  ex  canonun  regulis 
rite  celebretis,  ut  vobis  constet,  curabitis.  »  Queste  parole  non  son  nella  bolla, 
ma  nel  breve. 


LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 


123 


rentiva  la  libertà  della  confessione  religiosa,  dell'associazione 
religiosa,  del  culto  in  comune  domestico  e  pubblico  (art  12); 
dichiarava  che  la  Chiesa  evangelica  e  la  Romana-cattolica  al  pari 
di  ogni  altra  comunità  religiosa,  avrebbero  ordinato  e  ammini- 
stiato  i  loro  affari  di  per  sé,  autonome  (selbstilndig),  e  sarebbero 
rimaste  in  possesso  e  godimento  degl'  instituti,  delle  fondazioni 
e  dei  fondi,  destinati  ai  lor  fini  di  culto,  d' insegnamento  e  di 
beneficenza  (art.  16);  lasciava  libero  e  senza  ostacolo  il  commercio 
tra  le  associazioni  religiose  e  i  lor  capi,  non  assoi^gettando  la 
pubblicazione  dell'ordinanze  ecclesiastiche  se  non  alle  sole  li- 
mitazioni, alle  quali  soggiacessero  tutte  le  altre  pubblicazioni 
(art  16);  e  abrogava  ogni  diritto  che  appartenesse  allo  Stato, 
di  nomina,  proposta,  elezione  o  conferma  (art.   18). 

Era  naturale,  che,  cosi  consigliata  a  vivere  in  armonia  col 
Governo,  e  d'  altra  parte  non  impedita  in  nessun  suo  moto  o 
impresa,  la  Chiesa  cattolica  prosperasse  molto  nel  rfgao  di 
Prussia.  Io  non  so,  se  negli  anni  scorsi  dal  1821  al  1860  il 
numero  dei  suoi  credenti  crescesse;  ma  crebbe,  di  certo,  l'ade- 
renza dei  credenti  stessi  tra  di  sé  e  eoli'  autorità  religiosa  ohe 
li  guidava;  crebbe  la  dottrina  e  la  ricchezza;  e  soprattutto  pre- 
sero le  corporazioni  religiose,  e  in  ispecie  quella  dei  gesuiti, 
—  cosi  grande  spauracchio  agli  uni  e  speranza  agli  altri,  —  una 
diffusione  maggiore  forse  che  in  ogni  altro  Stato  di  Europa. 

II. 


Più  ragioni  andarono  a  poco  a  poco  turbando  un  eo§\  npotato 
e  coti  belio  vivere.  La  Chieda  cattolica  rappresenta  un  complesso 
d'influenze  sociali  e  morali,  un  complesso  di  direzioni  intellettuali, 
che  combattate  sempre,  hanno  ancora  più  aspra  guerra  nei  tempi 
in  cui  lo  spirito  umano  si  risente,  e  concepisce  in  sé  fiducie  non 
solo  grandi,  ma  smisurate,  e  s'  aspetta  ehe  ogni  verità  si  debba 
schiudere  avanti  a'  suoi  occhi,  e  disdegna  o|pii  pensiero,  ogni 
atto,  ogni  preaente,  ogni  avrenire  che  non  4i|X)ii*la  <!*  omo. 
Trr^:'  fatti  sono  atati  e  sono  i  nostri.  Sicché  in  ossi  l'ostilità 
al  umo  é  naturale,  e  tanto   più   si  arrovella,  quanto  più 

pare  che  lo  sue  radici  si  allunghino  e  si  sprofondino.  A  quosto 
motivo,  eoa!  necessario  e  cori  profondo,  di  gelosie  e  paure  via 
ria  crescenti  dei  partiti  liberali  contro  la  Chieaa,  se  n'  aggiun- 
sero parecchi,  più  accidentali,  più  passeggeri,  ma  non  meno 
efficaci. 


124  LA   POLITICA  ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

E  tra  questi,  noi  italiani,  siamo  stati  uno  dei  maggiori.  Non 
ho  da  giudicare  o  da  esaminare  qui  il  pregiudizio  dei  cattolici, 
che  alla  buona  costituzione  della  lor  Chiesa  non  solo  conferisca, 
ma  sia  necessaria,  non  dico  l'indipendenza  del  Pontefice,  ma  una 
sovranità  temporale  con  cui  quella  sia  indissolubilmente  con- 
nessa. A  ogni  modo,  è  certo  che  vi  possono  bene  essere  cat- 
tolici illuminati,  i  quali  sanno  separare  V  indipendenza  nell'e- 
sercizio dell'  autorità  spirituale  dalla  sovranità  temporale  :  e  son 
persuasi,  che,  se  la  loro  congiunzione  fosse  indissolubile,  il  pro- 
blema sarebbe  disperato,  poiché  il  fare  ora  e  il  mantenere  so- 
vrano un  capo  di  religione  è  affatto  impossibile  nella  condizione 
presente  delle  società  civili;  ma  i  più  dei  cattolici  né  possono 
né  vogliono  entrare  in  un  siffatto  ragionamento,  e  gliene  é  di 
giunta  chiusa  la  via  dall'  autorità  stessa  del  Pontefice  e  di  tutta 
la  gerarchia  che  consente  con  luì.  Ebbene,  il  moto  italiano 
dai  suoi  primi  passi  mostrò  ch'esso  sarebbe  riuscito  pernicioso 
e  deleterio  per  la  sovranità  temporale  del  Pontefice,  che  già 
nel  1860  restrinse  in  così  brevi  confini.  Sicché  sin  d'allora  fu 
guardato  di  mal  occhio  dal  Clero  cattolico  in  Prussia  e  altrove  ; 
seguito  in  ciò  come  nel  rimanente,  dalla  molta  maggior  parte 
del  laicato  cattolico,  quando  non  si  debba  dir  tutto.  Ora  il 
Governo  prussiano  che  fu  da  principio  dei  meno  favorevoli  e 
dei  più  sospettosi  verso  l' Italia,  anzi  fu  esso  quello  che  colla 
minaccia  di  unire  il  suo  esercito  all'austriaco,  fermò  al  Mincio 
l'imperatore  dei  francesi  e  il  re  di  Piemonte,  le  s'accostò  a  mano 
a  mano  che  nella  mente  del  conte  di  Bismark,  diventato  il  ministro 
dirigente  della  Prussia  nel  1862,  si  andò  facendo  più  chiara  la 
convinzione  che  si  potesse  e  dovesse  dare  al  suo  re  il  posto 
principale  nella  confederazione  germanica,  e  cacciare  l'Austria 
da  questa ,  e  che  a  ciò  1'  alleanza  dell'  Italia  sarebbe  servita. 
Se  non  che  a  mano  a  mano  ,  che  questa  sua  politica  apparì, 
il  Clero  e  il  laicato  cattolico  di  Germania  cominciarono  ad 
alienarsi  da  lui  e  ad  entrare  in  paura  dell'  indirizzo  del  Governo. 
Né  solo  doleva  loro  il  ravvicinamento  all'Italia,  ma  altresì  l'al- 
lontanamento dall'Austria;  e  l' intento  di  dar  la  prevalenza 
nella  confederazione  a  una  potenza  protestante  e  rimodellarla 
sotto  r  egemonia  di  questa ,  abbassandovi  1'  autorità  sinallora 
prevalente  d' una  potenza  cattolica ,  anzi  cacciandonela  fuori 
a  dirittura.  Pure,  il  1866  fu  appunto  vista  la  Prussia  in  guerra 
coir  Austria  e  alleata  coli' Italia;  l'Austria,  fuor  d'ogni  aspetta- 
zione, vinta  e  disfatta;  la  Prussia  non  solo  a  capo  della  confe- 


1^^       Ac 


LA    POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 


125 


derazione  germanica,  ma  accresciuta  e  arrotondata  di  territorio 
a  danno  degli  stati  protestanti  e  cattolici  di  Germania,  che  le 
sì  erano  dichiarati  contrari, 

E  fu  peggio,  quando  quattro  anni  dopo  alla  Francia  toccò 
la  stessa  sorte  dell'  Austria,  e  la  seconda  potenza  cattolica  andò, 
come  il  Bismarck  s'espresse,  per  la  stessa  via  della  prima.  Fu 
calunnioso  il  dire  che  i  tedeschi  cattolici  mostrassero  spiriti  poco 
nazionali  nella  guerra;  e  fossero  dal  sentimento  religioso  preoc- 
cupati per  modo,  che  quello  della  patria  parlasse  nei  loro  animi 
non  meno  chiara  e  forte  voce  che  non  facesse  ne'  lor  concittadini 
protestanti.  Gli  uni  combattettero  non  meno  valorosamente  degli 
altri;  e  con  pari  rabbia  e  successo.  Ma  è  d'altra  parte  sover- 
chio il  credere,  che  il  risaltato  ultimo  della  guerra,  —  la  pre- 
valenza della  Prussia,  non  solo  in  Germania  ma  in  tutta  Eu- 
ropei, e  il  distacco  di  due  provincie  da  una  potenza  cattolica 
per  incorporarle  a  una  protestante  —  questo  risultato,  dico,  pia- 
cesse alle  autontà  ecclesiastiche  in  Roma  ed  altrove.  Certo  era 
una  mutazione  nell'equilibrio  delle  fonse  rispettive  degli  Stati, 
della  quale  la  Curia  romana  non  si  poteva  aspettare  nulla  di 
bene.  E  di  fatti  fa  accompagnata  dalla  ruina  totale  del  potere 
temporale  del  Pontefice,  il  20  settembre  del  1870;  ruina  che 
non  si  può  dire,  piacesse  al  governo  Prossiano,  anzi  ne  fece 
riserve  maggiori  forse  di  qualunque  altro  governo,  ma  a  ogni 
modo  mancò  cosi  di  porvi  ostacolo  come  di  darvi  riparo. 

Che  non  volesse  né  impedirla  né  ripararla,  le  ragioni  fu- 
rono molte;  ma  tra  le  altre  e  non  ultima  la  proclamazione  fatta 
sppoim  d\u;  mesi  prinu,  nel  concilio  Vaticano,  il  18  luglio  1870, 
della  infallibilità  del  Pontefice.  Sarà  bene  ricordare  in  quali  ter- 
mini fosse:  tt  II  romano  Pontefice,  pronunciava,  quando  parla  eoo 
cathedra  —  cioè  qaando,  adempiendo  l'ufficio  di  pastore  di  tutti 
i  cristiani,  in  virtù  della  suprema  autorità  sua,  definisco,  per 
l'asiiitftcnza  divina  promessagli  nel  beato  Petro,  una  dottrina 
circa  U  fede  o  i  costumi  che  debba  OMer  tenuta  dall'universa 
chiesa,  —  possiede  quella  infallibilità,  di  cui  il  divin  Redentore 
volle  che  la  Chiesa  sua  fosso  fornita  nel  definire  la  dottrina 
circa  U  fede  e  1  costumi;  e  perciò,  le  definizioni  del  Pontefice 
Romano  fono  per  sé,  non  già  per  il  consenso  della  chiesa,  irrefor- 
mabili.  So  alcuno  presuma  di  contradire  a  questa  nostra  defini* 
aione,  il  che  Iddio  tolga,  sia  anatema.  '  Ora,  nell'aspottasione  che 

*  Eoooae  il  tosto   Utino:   Nos  trsditioni  a  fide!  eàrisliaiMM  szof^io  pei^ 
•tpU«    fidcliur  inhaereado   sd  dd  8al?atoris   nostri  glorissa  rsUgioBii  cs 


126  LA   POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA 

una  definizione  siflfatta,  o  qualche  altra  simile,  nociva  alla  buona 
intelligenza  tra  i  governi  e  la  sede  Pontificia,  dovesse  uscire  dal 
Concilio,  già  i  governi  erano  stati  in  non  piccolo  allarme;  però 
alla  proposta  venuta  dalla  Baviera  di  prendere  qualche  concerto 
(9  aprile  1869),  il  conte  di  Bismarck  aveva  risposto:  u  che  gli 
ammonimenti  e  le  rimostranze  dei  sìngoli  governi  a  Roma  sareb- 
bero bastati  a  inclinarla  a  moderazione,  e  del  rimanente,  almeno 
nella  Germania  settentrionale,  s'  avevano  armi  sufficienti  {durch- 
schlagende  Waffe)  contro  ogni  ingiusta  usurpazione  della  potestà 
spirituale  m.  Era  d'altra  parte,  o  si  credeva,  una  guarentigia  sicura 
contro  ogni  simile  esorbitanza,  la  disposizione  d'animo  deli'  Epi- 
scopato tedesco  che  le  si  chiariva  contrario  nell'  interesse  dello 
Stato  e  della  chiesa,  col  dire,  —  eh'  è  la  solita  forma  —  di  non  cre- 
dere neanche  che  la  proposta  si  sarebbe  fatta,  anzi  essere  calun- 
nioso il  diffondere  la  voce,  che  il  farla  e  il  vincerla  fosse  il 
proprio  fine  del  concilio  (Lett.  pastorale  del  6  settembre  1869). 
E  in  verità  nel  concilio  la  maggioranza  dei  vescovi  tedeschi, 
anzi  dei  forestieri  la  combattettero  quando  all'  improvviso  fu- 
rono chiamati  a  deliberarne;  e  infine,  per  non  votarle  contro 
dinanzi  agli  occhi  stessi  del  Pontefice,  se  ne  andarono  via. 

Ora,  i  teologi  protestanti,  gli  uomini  politici  e  il  governo  di 
Prussia  commisero  in  questa  circostanza  più  errori  di  giudizio. 
Credettero  che  la  definizione  della  infallibilità  pontificia  dovesse 
avere  nella  condotta  della  Curia  Romana  più  efficacia,  che  dav- 
vero non  ebbe;  e  desse  alle  sue  risoluzioni  o  ordinanze  una 
maggiore  e  più  assoluta  forza  di  prima.  Immaginarono,  che  per 
via  di  tali  definizioni,  i  governi  sarebbero  stati  alla  mercè  del 
Pontefice;  e  che  questi  avesse  voluto  quella  definizione  per  in- 
traprendere appunto  contro  i  governi  laici  una  guerra,  nella 
quale  non  si  potesse  fermarlo.  Ora,  né  questa  era  l' intenzione 
del  Pontefice ,  né  se  fosse  stata ,  la    definizione   d' un  Concilio 

tboHcae  exaUationem  et  christianorum  populorum  salutem  sacro  approbante 
concilio  docemus  et  divinitus  revelatum  dogma  esse  definimus:  Romanum 
Foutifìcem  cum  ex  cathedra  loquitur,  idest,  cum  omnium  Christianorum  pa- 
storis  niunere  fungens  prò  suprema  sua  apostolica  auctoritate  doctrinam 
de  fide  vel  moribus  ab  universa  Ecclesia  tenendam  definit  per  assistentiam 
divinam  ipsi  in  beatro  Petro  promissam,  ea  infallibilitate  poUere,  qua  di- 
vintis  Redemptor  Ecclesiam  suam  in  definienda  doctrina  de  fide  vel  moribus 
iustructam  essa  voluit  ;  ìdeoque  eiusmodi  Romani  Ponteficis  definitiones  ex 
sese,  non  autein  ex  consensu  Ecclesiae  irreformabiles  esse.  Si  quis  autem 
buie  nostrae  definitioni  contradicerct  quod  Deus  arertat*  praesumperit,  aua- 
thema  sit. 


LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 


127 


sarebbe  bastata  o  servita  ad  effettuarla.  Gli  uomini  peccano  nel 
dare,  quando  troppo,  quando  troppo  poco  valore  alle  influenze 
prettamente  morali  nel  corso  delle  società  umane. 

L'altro  errore  fu  il  credere,  che  l'opposizione  fatta  dall'Epi- 
scopato germanico  alia  definizione  dell'  infallibilità,  prima  che 
fosse  pronunciata,  sarebbe  continuata  dopo;  e  aiutata  dalla  osti- 
nazione propria  dello  spirito  tedesco  nelle  opinioni  che  crede 
fondata  nella  scienza  e  soprattutto  nella  scienza  sua,  si  sarebbe 
convertita  in  una  durevole  scissura  della  chiesa  cattolica.  Il  che, 
certo,  al  governo  pruss'ano  sarebbe  piaciuto  ;  poiché  non  gli 
gioirà  l'avere  una  pirte  non  piccola  della  sua  popolazione  di- 
pendente da  un'autorità  forestiera,  e  di  p^nsiera  difforme  da 
quello  che  penetra  tutta  la  sua  esistenza  politica. 

Se  non  che,  nelle  cond'zioni  della  chiesa,  non  solo  attuali,  ma 
quali  sono  da  qualche  secolo,  una  simile  scissura  era  inverisimile, 
o  piuttosto  impossibile.  Il  clero  ha  potuto  tibra  mostrare  qual- 
che opposizione  alla  sede  Pontificia  e  persistervi.  Ma  quando? 
Quando  si  è  sentito  sicuro  di  trovare  nei  governi  o  nei  laicati 
un  appoggio,  dipendente  non  solo  da  inter^Mse  politico,  ma 
da  simiglianza  di  convinzione  religiosa.  Questa  sicurezza,  il 
clero  oggi  non  solo  non  l'ha,  ma  ha  la  contrtrii;  cioè  che  se* 
irato  dal  contro  suo,  dtlla  base  «aa,  oh'è  U  chiesa  di  Roma, 
troverebbe  in  breve  abbandonato  da  ogni  parte  o  cadrebbe 
per  terra.  Ed  è  quello,  che  sfuggi  altresì  a  un  partito,  ohe  non 
senza  speranza  dell'aiuto  del  governo,  procurò  di  macero,  vivere, 
prosperare  nell'interno  «Ioli  i  chiesa  cattolici,  acctUtiindone  quasi 
ogni  altro  domma  da  quello  dell'  infalli bilit.'i  in  fuori.  Il  campo 
in  cai  germogliò,  era  il  più  cattolico  di  Oj''m\nia,  la  Baviera: 
l'u  ino,  che  se  ne  mise  a  cipo,  il  più  dotto  e  riputato  teologo 
<.i:i  ilico  di  Qermsnia,  il  Dollinger.  Niento  d'umano  mancava 
perchè  cotesto  scismi  riuscisse;  nh  la  ragiono,  né  la  scienaa,  né 
il  favore  di  molti  ven'^nnli  uomini.  Pure,  come  ora  un  orrore 
il  credere,  che  l'opposi /.i  me  dell'  Episcopato  sarobbe  persistita, 
cosi  fu  un  errore  non  minore  il  far  fondamento  nell'avve- 
niri liei  Vecchio  rnHolìcitmi,  e  nell'aiuto  ohe,  in  una  guerra 
contro  la  Chiesa  liomant,  se  ne  sarebbe  potuto  atip<^ttare.  Vi 
bisogna  maggiore  fede  e  maggior  ardore  di  fede  che  non  si 
trova  oggi,  per  trarsi  dietro  molta  gente,  coir«dditarlo  soltanto 
in  un  credo  vecchio  la  mntssiono  di  un  punto  di  dottrina  da 
chi  si  suppone  chr  non  avesse  il  diritto  di  fi<rla.  Pure,  il  go- 
verno prassiuno,  che  aveva  commesso  il  primo  errore,  commise 


128  LA   POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

altresì  il  secondo  5  e  si  mise  per  una  via,  nella  quale  è  rimasto 
in  fine  poco  meno  che  solo,  nella  persuasione  che  l'avrebbe  bat- 
tuta in  gran  compagnia. 

Però  questi  due  errori  di  giudizio  non  sarebbero  forse  di- 
ventati un  errore  pratico,  se  il  Conte  di  Bismarck  non  fosse  stato 
incitato,  ripeto,  a  commetterlo  dal  contrasto  che  l'opinione  cattolica 
osò,  come  tale  e  perchè  tale,fai'gli  nel  Parlamento  germanico  e  nel 
prussiano.  Ora,  già  nella  sessione  del  1871,  si  vide  come  il  sentimento 
religioso  dei  cattolici  era  abbastanza  eccitato  per  creare  di  per 
sé  solo  un  partito,  che  si  reggesse  soprattutto  sopra  esso,  obli- 
terando ogni  altra  differenza  di  opinione;  e  come  gli  venisse  forza 
e  numero  dalla  Germania  meridionale,  specialmente  dalla  Baviera. 
Tale,  di  fatti,  fu  il  partito  chiamato  del  u  centro  n.  Si  manifestò 
nella  discussione  dell'indirizzo  sul  finire  del  marzo  di  quell'anno, 
respingendone  il  testo  adottato  dalla  maggioranza  liberale,  in 
ispecie  perchè  v'era  detto  :  u  I  giorni  della  ingerenza  nella  vita 
intima  dei  popoli  non  torneranno,  noi  speriamo,  sotto  nessun  pre- 
testo e  in  nessuna  forma  n.  V'ha  occasioni,  dicevano  i  deputati 
del  centro,  nelle  quali  può  occorrere  ancora  l' ingerirsene,  nelle 
quali  la  violazione  dei  trattati  è  tanta  e  di  tal  natura,  che  non 
si  può  lasciarla  senza  rimedio  ;  e  una  occasione  "siffatta  essi  ve- 
devano nella  nostra  occupazione  di  Roma,  e  nella  spogliazione 
del  Papa.  Ebbene,  una  siffatta  opposizione  riusci  al  Conte  di 
Bismarck  particolarmente  irritante  e  noiosa.  Gli  elementi  che  le 
venivano  da  provincie  soggette  alla  Prussia  da  poco  e  di  mala 
voglia,  gliela  facevano  ritenere  pericolosa  all'unità  recente  e  fre- 
sca dell'  impero,  u  Quando  io  venni  di  Francia,  diceva  egli,  nella 
seduta  del  30  gennaio  1872,  io  era  nell'impressione  e  nella  cre- 
denza che  noi  avremmo  ritrovato  nella  Chiesa  cattolica  un  appog- 
gio per  il  governo,  un  appoggio  incomodo,  forse  e  di  cui  si  sarebbe 
dovuto  usare  con  prudenza;  ma  fui  maravigliato  di  vedere  appunto 
il  contrario  n;  e  qui  continuava,  mostrando  quanta  ostilità  e  pas- 
sione fossero  apparse,  a  suo  detto  in  ogni  parola  e  atto,  durante 
l'elezioni  e  poi,  per  parte  di  questa  accolta  di  uomini  nella  Ca- 
mera, e  de' molti  che  li  seguivano  nel  paese.  Un  uomo  della  sua 
natura  non  doveva  né  tollerare  nella  sua  via  trionfale  un  osta- 
colo siffatto,  ne  volerlo  vincere  altrimenti  che  d'  assalto  e  per 
forza.  E  vi  si  sentiva  indotto  dalla  condizione  in  cui  era,  nel 
parer  suo,  la  Chiesa  cattolica,  e  dalla  persuasione  cosi  ragione- 
vole in  apparenza  e  pur  così  poco  fondata,  che  una  parte  della 
influenza  propria  di  quella  Chiesa  si  sarebbe  separata  da  Roma. 


LA    POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 


129 


Cosi  e  da  tante  parti  il  governo  prussiano  fu  avviato  alla 
politica  ecclesiastica  nella  quale  entrò  nel  1872,  si  confermò 
nel  1873,  òi  ostinò  nel  1874,  continuò  sino  al  1880  con  molta 
risoluzione,  e  s'arrestò  nel  1881  per  retrocedere  nel  seguente  e 
forse  abbandonarla  in  tutto  nell'anno  che  corre.  Essa  nacque  e 
crebbe  in  un  miscuglio  d'influenza  liberale,  di  necessità  parla- 
mentare, di  generale  direzione  politica,  di  esorbitanza  ecclesia- 
stica e  di  tenacità  tedesca.  Non  mai  politica  è  riuscita  meno  ;  si 
può  dire  di  non  avere  raggiunto  nessuno  a  dirittura  de'  fini  che 
a'  era  proposta.  (1) 


m. 


Né  è  a  dire,  che  la  sua  mala  riuscita  avesse  ragione  o  nella 
^oca  dottrina    con  cui  la    legislazione    inspirata  da  questa  po- 
litica fu  compilata  o  nella  poca  costansa  e  sincerità  con  cui  fa 
messa  in  atto.  Quella  legislazione,  invece,  è  la  più  adatta  allo 
scopo  che  si  pjssa    pensare  ;  ò  fratto  di  stadio  accarato  e  sa- 
gace. Dalia  prima  legge  che  propriamente  le  appartiene,  qaella 
deiril  maggio  1873,  sulla  educationé  e  la  nomina  dei  sacerdoti 
IO  all'  ultima  del  7  giugno  1876,  circa   il    diritto    d'ispezione 
dio  Stato  sull'amministrazione  dei  beni  nMe  diocesi  cattoliche, 
si  sviluppa  con  molta  coscienza  un  sistema  di    messi    inteso  a 
contenere  la  vita  delia  Chies:i  nei  limiti  dell'aziono  dello  Stato, 
ad  associarla  con  questo,  a   penetrarla    degl'  interessi    o    delle 
vedute  di  esso,  a  spogliarla  d'ogni  mezzo  o  sussidio  d' opposi- 
zione, anzi  di  moto  suo  proprio  ed  indipendente,  a  restringerne 
il  potere  si    verso   il  clero    si    verso    il   laicato  che   le   appar- 
tiene, a  soggettarne  la  giurisdisfooo  alla  gtarisdisiono  suprema 
dello  Stato.  Se  questa  mota,  nella  società  nostra,  b  possibile  a 
conseguire,  le   sole   vie  che  ci  menino,  sjno   pur    quollo,    che 
questa  logislazioae  diiogoa;  la  quale  non  si  può  diro   maestra 
di  esse  sole,  ma  benil  ancora  di  tutti  gli  espedienti  propri!    a 
Tire  ogni  contrasto  attivo    o    passivo,    ogni   contrasto    che 
i  -....itta    nell'attacco    o    nella    disobbeJionza.    Non  À  possibile 
andare    più    oltre    eh'  essa    non   sia    anlata.     Basta    ricordare 
in  questo  rtipetto  dae  bggi  solo:  qaella  impsriilo  dot  4  mag- 
gio 1874,  e  l'altra  prussiana    del    22   aprile    del     1875.    Colla 
prima,  un  sacerdote,    il    qaale,    condannato    in  uno  dogli  Stati 
dell'  impero    por    avere   celebrato    atti   spiritatili    scnxn    nsinre 
nello  condizioni    volute   dallo    leggi  anteriori,   fusso  scoparto  a 

Voo    XI..  S«rto  ll-l  L«g|to  ISHb  t 


130  LA    POLITICA    ECCLESIASTJCA    DELLA    l'IlUSSIA. 

celebrarne  ancora,  come  se  tuttora  gli  competesse  l'ufficio,  che 
il  giudizio  ha  dichiarato  non  gli  competere,  può  avere  dall'au- 
torità di  polizia  del  paese  assegnato  il  posto  in  cui  stare  o  quello 
in  cui  gli  sia  impedito  di  stare  :  anzi,  quando  l'  atto  cele- 
brato da  lui  contenga  un'espressa  occupazione  dell'ufficio  o 
ne  importi  un  effettivo  esercizio,  o  egli  ricalcitri  all'  assegna- 
zione di  dimora  fattagli  dall'autorità  di  polizia,  egli  può  essere 
dall'amministrazione  centrale  (Centralbehorde)  dello  Stato  cui 
appartiene,  dichiarato  decaduto  dalla  cittadinanza  o  cacciato  via 
dall'intero  territorio  della  Confederazione.  Basta,  ci  pare  ;  il  con- 
fessare, il  dir  la  messa,  il  battezzare  in  qualità  di  curato,  il 
cresimare,  sono  atti  punibili  col  domicilio  coatto,  col  bando, 
coll'esilio,  colla  perdita  della  cittadinanza,  se  son  celebrati  da 
chi  non  ha  dallo  Stato  riconosciuta  la  sua  competenza  a  celebrarli. 
L'altra  legge  del  1876  prende  per  fame  i  sacerdoti  e  i  vescovi, 
che  non  s'obblighino  per  iscritto  a  obbedire  le  leggi  dello  Stato; 
sinché  questa  dichiarazione  non  sia  fatta,  sono  sospesi  tutti  i 
redditi  dei  vescovati,  degl'istituti  che  loro  appartengono,  dei 
sacerdoti,  i  quali  provengano  dall'erario  pubblico  o  da  fondi 
particolari,  stabilmente  amministrati  dallo  Stato.  Il  che  vuol 
dire  abbandonare,  non  già  più  il  mantenimento  dell'  ufficio 
—  poiché  questo,  é  tolto  ogni  modo  di  tenerlo  —  ma  il  man- 
tenimento della  persona  alla  carità  dei  fedeli,  e  spogliare  la 
Chiesa  cattolica  di  tutto  quanto  lo  Stato  gli  ha  dato  in  ricambio 
di  quei  beni  suoi  proprii ,  che  il  soffio  delle  rivoluzioni  ha 
spazzato  via.  Il  sistema,  dunque,  di  questa  legislazione  preven- 
tivo e  repressivo  si  può  dire  perfetto;  e  non  ha  lacune.  Un 
pensiero  compiuto ,  vigile ,  ostinato  la  penetra  mirabilmente 
tutta  quanta. 

E  il  Governo  l'ha  eseguita  con  mano  di  ferro  dal  dicembre 
1870,  che  mantenne  maestro  di  religione  nel  ginnasio  di  Braun- 
sberg  il  Wollman,  cui  questo  insegnamento  era  stato  inter- 
detto dal  Vescovo,  poiché  si  rifiutava  a  includervi  il  domma 
della  infallibilità,  sino  alla  primavera  del  1878,  che  il  sacerdote 
Kuskiewicz,  dopo  essere  stato  due  interi  anni  in  prigione,  per 
avere  accettato  l'ufficio  di  vicario  in  un  villaggio  del  circolo  di 
Pleschen  dall'arcivescovo  di  Posen,  in  opposizione  delle  leggi, 
fu  mandato  in  esilio  nelF  isola  di  Zingst  presso  Strai sund  tra 
protestanti,  tra' quali  non  aveva  modo,  non  ch'altro,  di  guada- 
gnare la  vita;  e  che  una  signora  di  Kosten  fu  multata  di  più 
di  20000  marchi  per  essersi  ricusata  di  far  da  testimone  contro 


LA   POLITICA   ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 


131 


un  sacerdote  che  a  in  opposizione  alle  leggi  n  (gesetzwidrìg) 
avea  detto  messa.  Che  resta  a  un  Governo  per  assicurare  l'ob- 
bedienza alle  leggi,  altro  che  il  patibolo  ? 

xsè  si  può  dire  che  una  cosi  industriosa  legislazione  e  una 
cosi  rigida  esecuzione  rimanessero  prive  di  effetti,  u  La  Chiesa 
cattolica  in  Prussia,  confessa  uno  scrittore  degno  di  fede  e  cat- 
tolico ,  non  s'  è  mai  vista  a  peggiori  termini  di  quelli  in  cui , 
a  riguardare  le  sue  condizioni  esteriori,  si  ritrovò  nel  1877.  I 
vescovi,  a  eccezione  dei  pastori  supremi  di  Kulm,  Elrmland, 
Osnabruck  e  Hildesheim,  morti  o  in  esilio.  Numerose  parroc- 
chie eran  prive  di  cura  di  anime;  si  calcolava  vicino  al  mo- 
mento, in  cui  gli  ultimi  u  sacerdoti  belligeri  n  sarebbero  stati 
portati  via  dalla  morte.  61'  instituti  di  educazione  del  clero 
chiusi;  i  conventi  soppressi;  le  associazioni  più  operose  soffo- 
cate ;  tutto  a  nome  della  legge  di  difesa  della  u  anica  sovra- 
nità dello  Stato,  n  E  di  giunta  la  mano  dello  Stato  premeva 
senza  ostacolo  sulle  scuole,  e  sulla  edncaaìone  della  generazione 
avvenire.  La  legge  d'ispezione  scolastica  aveva  sbandito  il  clero 
da  quelle  ;  le  nuove  disposizioni  suiriosegnamento  si  propo- 
nevano per  tutu  le  scuole  del  paese  Tunica  meta  della  educa- 
zione nazionale.  Neanche  l'insegnamento  della  religiono  doveva 
rimanere  alla  Chiesa.  Con  paurosa  chiarezza  il  ministro  del 
culto  aveva  dichiarato  :  u  L' insegnamento  di  religione  ood- 
forme  al  programma  è  dato  sotto  V  ispeziono  dello  Stato  da 
persone  a  ciò  chiamate  o  licenziate  da  esso,  n  A'  sacerdoti  ora- 
mai non  sarebbe  stato  conceduto  d'insognaro  la  verità  della  ro- 
di '  HO  non  quando  il  consiglio  scoLostico  non  vi  avesse  fatta 
oì>  ' ,  e  il  sacerdote  avos^io  seguito  gli  ordini  delio  Stato 
rispetto  a'  temi  da  usare  e  alla 'ripartizione  dello  materia.  Per- 
sino il  privato  insegnamento  r  '  «a'  fanciulli  obbligati  alla 
sriK.Ia  era  tenuto  in  conto  •...  -  ,  .mibile  usurpazione  di  un 
'  pubblico,  n  II  pia  alto  tribunale  del  paeae  aveva  con 
Uigliente  rigidità  posto  il  principio;  che  u  dritto  in  Prussia  sia* 
che  l'insegnamento  religioao  conforme  al  programma  nullo  scuole 
popolari  potesse  essere  commesso  a'  msostri  e  allo  maestre  in- 
dipen  lite  d%)la  missio  ennontca.  Cosi  era  affatto  nelle 
mani  •••  n..  .xato  ,  il  trarre  il  popolo  a' suoi  fini;  alla  Chios» 
secondo  diritto  non  rimaneva  nulla.  K  i  ponitori  soggiacevano 
a  una  violenza,  che  rendeva  pressoché  impossibile  l'educazione 
dei  fanciulli  fuori  dello  scuole  governative  s. 

So  questi  erano  i  fini  che    il   Governo   si    ora  proposti  ;  su 


132  LA    POLITICA    ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 

l'intento  suo  era  lo  stremare  di  forze,  il  dissanguare  la  sua  ini- 
mica, che  cosa  poteva  sperare  di  meglio?  Non  doveva  credere 
vicina  una  vittoria  intera  o  una  allegra  vendetta?  Basta  un  dato 
solo:  i  cattolici  contano  in  Prussia  8,711,535  anime;  a'  cui  bi- 
sogni spirituali  supplivano  nel  1873,  4627  parroci,  3812  coadiu- 
tori. Ora  nel  1881  mancavano  di  quelli  1125,  di  questi  645.  Si 
poteva  scorgere  non  lontano  l'avvenire,  in  cui  l'azione  della 
legge  avrebbe  per  se  sola  tolto  di  mezzo  il  rimanente  dei  primi 
e  dei  secondi. 

IV. 

Ma    quello    non    era    il    fine    che    il    principe   di  Bismarck 
s'era  proposto  nell'entrare  in  questa  guerra.  Non  aveva  cessato 
di  dire  che  il  suo  fine  era  appunto  l'opposto  e  gli  si  può  cre- 
dere. Nessun  uomo  di  stato  vede  senza  paura  il  giorno  in  cui 
una  gran  parte  di  popolazione  ch'egli  governa  o  che  altri  go- 
vernerà dopo  lui,  rimanesse  turbata  nella  sua  credenza  religiosa 
e  priva  di   quella   sulla    quale    posava  da  secoli,    non  fosse    in 
grado  di  acquetarsi    in    nessun    altra.    Peggio,  se,  la  credenza 
rimanendo,  alla  popolazione  vengano  meno  soltanto  o  sieno  sot- 
tratti i  mezzi  coi  quali  quella  compie  presso  di  essa  il  suo  ufficio 
spirituale.  Il  suo  ufficio  di  appagamento  in  questa  e  di  conforto 
e  fiducia  in  una  vita  di  là.  Alcuni  pregiudizi  o  passioni  che  si 
chiamano  liberali  possono  trarre  taluni  uomini  di  stato  per  una 
via  cosi  arrisicata,  ma  non  senza  esitazione;  non  si  poteva  con- 
tare, che  fosse  del  lor  numero  il  principe  di  Bismarck,  inclinato 
da  tutta  la  sua   educazione,  se  non  a   pregiare    aopra  tutte  la 
forma  cattolica  del  cristianesimo,  a  dar  pure  alle  influenze  so- 
ciali di  questo  un  gran  peso  e  valore.  S' egli  s' era  cacciato  in 
una  tal  guerra,  v'era   stato   spinto    dal    desiderio  di  liberare  il 
nuovo  impero  dal   pericolo    che,   secondo    lui,   l' organizzazione 
del  cattolicesimo,  la  sua  storia,  le  sue  affinità  naturali  creavano. 
Y'era  in  questo  suo  timore    del    fantastico,  ma  anche  qualcosa 
di  reale.  Ed   ecco    ora    si    toccava    con    mano   che  la    politica 
-jidottata  da  lui  accresceva  un  tale  pericolo,  s«  e'  era  stato  prima, 
o  lo  creava  se  non  e'  era.  L'  alienazione  dei  cattolici  cresceva. 
In  questa    alienazione    crescente  la    resistenza    persistente    del 
clero    trovava    il    suo    fomite  e  il    suo    appoggio.  La    speranza 
già  nutrita  da  lui  di  avere   aiuto    dal    di   dentro  del    cattolice- 
simo   si    era   dileguata    via  via.   Di  cattolici   non    ultramontani 


LA   POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA   PRUSSIA. 


133 


s'era  sentita  qualche  voce  in  principio;  ma  a  mano  a  mano 
s' era  spenta.  L' episcopato  germanico  aveva  mostrata  tanta  ri- 
pugnanza ad  accettare  il  domma  della  infìiUibilìtà  prima  che 
fosse  pronunziato,  quanta  ostinazione  mostrava  a  mantenerlo 
dopo.  Il  vecchio-cattolicismo  si  chiariva  privo  d'ogni  vigore.  La 
legge  del  4  luglio  1875  che  aveva  determinato  i  diritti  delle 
parrocchie  vecchio-cattoliche  sulla  sostanza  ecclesiastica,  era 
rimasta  vuota  d'effetto.  L'Imperatore,  religioso  dì  sua  natura, 
non  era  contento,  che  tanta  parte  dei  suoi  sudditi  fosse  turbata 
nella  sua  coscienza.  L'attentato  del  13  luglio  1874  contro  il 
principe  di  Bisraarck  era  stato  voluto  interpetrare  come  uno 
scoppio  d' ira  cattolica  contro  di  lui  ;  la  palla  destinata  a  colpir 
la  sua  fronte  era  rimbalzata,  si  disse,  sul  cuore  del  papato  in 
Germania  e  l'aveva  ferito  a  morte.  Ma  gli  attentati  dell' 11  maggio 
e  del  2  giugno  1878  contro  l' Imperatore  stesso  ebbero  diversa 
interpretazione.  Si  senti,  che  sarebbe  giovato  il  rafforzare  l'in- 
flusso religioso  sugli  animi  delle  moltitudini.  Nell'assemblea  del- 
l' Impero  fu  espresso  apertamente  il  desiderio,  che  la  chiesa  fosse 
adoperata  a  combattere  lo  perversioni  sociali  e  democratiche. 
E  la  principal  mira  del  principe  di  Bismarck  non  era  oramai 
più  quella,  ma  queste. 

L'entusiasmo,  con  cui  la  parto  liberale  aveva  salutato  la 
guerra  contro  la  chiesa,  andava  via  via  sfumando.  Si  sa  il  nomo 
che  l'era  stato  dato:  Kulturkampf.  Ne  abbiamo  ancora  intro- 
nate le  orecchie.  Ora  è  esagerato  l'additare  il  cattolicisiuo  corno 
a  dirittura  il  nemico  della  cultura.  Ila  avuto  troppa  parte  il 
cristianesimo  in  ogni  saa  forma  all'avanzamento  della  cultura 
stessa,  perche  ad  alcuno  delle  sue  forme  possa  spettare  il  so> 
pranDotne  di  antagonista  di  essa.  Vi  sono,  in  realità,  e  vi  sono 
state  alcune  direzioni  nella  cultura  moderna  cui  il  cattolicismo 
s'  oppon<^,  altro  cui  s' oppone  il  erìstianosimo,  altre  cui  s'opponn 
ogni  religione,  ma  cotesto  direzioni  sono  appunto  ancora  *m^ 
judice.  Non  si  può  nemiche  disconoscere,  che  parecchie  dellti 
scienze,  il  cui  rigoglio  oggi  è  più  potente  e  promettonto,  sono 
stato  riguardate  con  sospetto  dall'autorità  ecclesiastica  nei  Ior<> 
principii  ;  ma  bisogna  dire,  da  una  parto,  che  queste  scienso 
nei  loro  principii  supponevano  e«se  stesso  di  dovor  portare 
nel  sistema  delle  ideo  religioie  e  cristiano  un  maggior  turba- 
mento che  non  hanno  poi  fatto,  dall'altra  che  ora  molto  natu- 
rale, che  i  custodi  di  quello  idee  se  no  mostrassero  alla  prima 
sgoinrnt;,  e  anche  solo  si  «ontissoro  disagiati  di  csior  chiamati 


134  LA  «POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

a  ricoinciderle  e  a  riordinarle.  E  anche  vero,  che  il  cattoli- 
cismo  s'  è  posto  in  contradizione  con  tutto  il  moto  d' idee  libe- 
rali moderne,  e  tutti  gli  effetti  loro  nella  costituzione  politica 
e  sociale;  e  ha  mantenuto  contro  esse  uno  spirito  conser- 
vativo del  vecchio,  con  più  costanza  che  non  abbia  fatto  nessun 
altra  instituzione.  Ma  qui  è  pur  necessario  di  aggiungere, 
che  alcune  almeno  di  coteste  idee  liberali  sono  tutt'  altro  che 
assicurate  ora  della  verità  loro  ;  e  parecchi  dei  loro  effetti 
appaiono  misti  di  molto  male.  Sicché  si  può  dire  vero  ufficio 
della  cultura  non  già  sposare  quelle  o  queste  con  una  ostina- 
zione cieca,  ma  mantenere  lo  spirito  libero  e  aperto  a  discuterle, 
convinti,  che  ciò  che  giova  a  progredire,  non  è'  già  l' imma- 
ginarsi d'aver  trovato,   ma  il  persistere  a  ricercare. 

Ma  checche  di  ciò  sia,  è  bene  sentire  come  ora  parlano  di 
questo  celebratissimo  Kulturkampf,  quelli  stessi  che  più  lo 
vantavano.  L'  Hahn,  uno  scrittore  che  ha  raccolto  i  documenti 
di  tutta  qaesta  guerra  ecclesiastica  nell'  intendimento  di  pro- 
vare, come  il  governo  prussiano  fosse  stato  sempre  mosso  dal 
desiderio  della  conciliazione,  scrive  così:  u  In  un  programma 
elettorale  progressista  fu  per  la  prima  volta  usato  il  nome 
Kulturkampf  (nel  1874).  Il  governo  e  gli  organi  del  governo 
per  molti  anni  non  hanno  applicato  questo  nome  apertamente 
perchè  essi  non  riconoscevano  il  concetto  del  Kuliurkampfy 
che  era  diretto  contro  la  chiesa  cattolica  stessa.  Soltanto,  dopo 
che  i  cattolici  ebbero  adottato  la  parola,  per  lo  più  scriven- 
dola tra  virgolette,  essa  è  stata  usata  qua  e  là,  come  deno- 
minazione tecnica,  nei  discorsi  dei  rappresentanti  del  governo  v. 
E  un  deputato  liberale,  il  Cuny,  nella  discussione  della  legge, 
presentata  il  5  giugno  e  non  ancora  votata  dalla  Camera  dei 
Signori,  ha  nella  tornata  del  22  esclamato  :  a  Al  centro  e  anche 
da  altri  lati  —  chi  può  ora  contare  i  nostri  nemici  di  tutti  i 
partiti  —  si  pretende  che  noi  desideriamo  il  Kulturkampf.  No!  v 
Questa  è  la  presente  fortuna  d'  un  grido,  che  parve  qualche 
anno  fa  quello  dello  spirito  moderno  stesso,  e  della  parte  più 
illuminata  della  nazione  che  passa  oggi  per  la  più  colta  di 
Europa.  Nessuno  vuole  che  gli  si  attribuisca. 

Ed  è  naturale  che  cosi  succedesse;  il  Kulturkampf  non  aveva 
altro  effetto  se  non  di  rendere  ogni  giorno  più  ardenti  a  combat- 
tere e  più  fiduciosi  di  vincere  i  nemici  che  voleva  spegnere. 


LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA    PRUSSIA. 


135 


V. 


^ella  tornata  del  10  marzo  1873,  quando  si  discuteva  alla 
Camera  dei  signori  il  diségno  di  legge  del  3  aprile  1873,  inteso 
a  modificare  gli  articoli  15  e  18  della  costituzione  del  gennaio 
1850,  dei  quali  ho  discorso  più  su,  perchè  si  potesse  procedere 
innanzi  nella  nuova  legislazione  ecclesiastica  senza  violarli,  il 
principe  di  Bismarck  si  espresse  cosi  :  u  Non  si  tratta ,  come 
s'è  fatto  credere  a'nostri  compaesani  cattolici,  della  lotta  di  una 
dinastia  evangeli(ìd  contro  la  chiesa  cat^lica;  non  si  tratta  della 
lotta  tra  la  fede  e  la  incredulità  ;  si  tratta  dell'  antichissimo 
conflitto  di  forze  tra  il  potere  regio  e  il  sacerdotale,  del  con- 
flitto ch'è  dimolto  più  antico  che  la  venuta  del  redentore  nostro 
in  questo  mondo.  La  lotta  del  potere  sacerdotale  col  regio, 
la  lotta,  nel  caso  nostro,  del  Pontefice  coll'imperatore  tedesco, 
come  noi  l'abbiamo  vista  nel  medio  evo,  è  da  giudicare  come 
ogni  altra  lotta;  ha  le  sue  alleanze,  le  sue  paci,  le  sue  soste, 
le  sue  tregue.  V'ò  stato  Papi  pacifici.  Adunque  questa  lotta  sog- 
giace alle  stesse  condizioni  di  ogni  altra  lotta  politica;  ed  ò 
ano  spostare  la  quistione,  col  fine  di  fare  impressione  sulle  per- 
sone senza  criterio,  il  rappresentarla,  come  se  si  trattasse  di 
opi  '  •■  della  chiesa.  Si  tratta  della  difesa  dello  Stato,  si 
tra:  limite  in  cui  il  potere  de'sacerdoti  e  11  potere  del  Re 

vi  si  devono  estendere,  e  questo  dev'esser  posto  per  modo  che 
lo  Stato  dalla  sua  parte  vi  possa  stare  n. 

Il  che  è  vero  :  ma  nella  foga  della  lotta  il  principe  di  Bis- 
marck non  avera  considerato  se  il  limite  scelto  dalle  leggi  prus- 
siane fosse  d'altra  parte  tale,  che  vi  potesse  stare  la  Chiesa. 
Ora  certo  la  Chiesa  cattolica  non  ci  poteva  stare.  Tutto  l'errore 
di  questa  legislazione  nel  suo  processo  consisteva  nel  credere  che 
la  Chiesa  non  già  non  vi  poUsie,  ma  non  vi  voUt§é  stare.  Bi- 
sognava, quindi,  domare  questa  volontà  '  ribelle.  Ora  la  Chiesa 
si  sarebbe  lasciata  spossare,  non  piegare.  E  lo  spessarla  non 
era  nelle  intenzioni  dell'  invitto  principe.  Il  Cattolicismo  può 
avere  torti  parecchi  ;  ma  ha  questo  merito,  sopra  tutte  le  setto 
cristiai.e;  che  ha  mantenuto  meglio  di  tutte  quante  il  principio, 
cosi  proprio  del  CriHtianeeimo  rispetto  al  Paganesimo,  che  la  vita 
delia  coHcicnz:!  rcli^^'osa  &  autonoma  o  non  soggetta  alla  mano 
dello  Stato;  principio,  che  b  la  più  profonda  railico  della  libertà 
umana,    ed  h  il  carattere  più  distinto    della    società    moderna. 


13G  LA    POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

L'organizzazione  stessa  del  Cattolicismo,  la  costituzione  a  stato 
temporale  del  potere  spirituale  clic  lo  dirigeva,  possono  essere 
state  il  mezzo  e  la  causa,  perchè  esso  aderisse  a  questo  prin- 
cipio cosi  fermamente.  I  Pontefici  Romani  possono  nel  rappre- 
sentarlo avere  errato  ed  ecceduto;  l'indole  può  avere  tratto,  anzi 
ha  tratto  l'uno  e  l'altro  di  essi  più  in  là  del  dovere;  ma  se  l'orrore 
e  l'eccesso  non  ha  portato  ruina,  si  deve  al  valore  intimo,  al 
vigore  divino  del  principio  che  invocavano  nelle  loro  rimostranze 
e  persino  nelle  loro  usurpazioni,  anche  quando  1'  applicazione 
eccedeva.  Giova,  quindi,  che  il  Pontefice  sia  pacifico  d'indole; 
ma  non  si  potrà  trarre  frutto  da  ciò,  se  non  a  patto  che  non 
gli  si  chieda  cosa,  che  ucciderebbe  nella  sua  fonte  la  religione 
di  cui  è  guida.  Se  venuto  un  siffatto  Pontefice,  il  governo  avesse 
receduto  alquanto  dalla  sua  parte,  si  sarebbe  potuta  concludere 
se  non  una  pace,  almeno  una  tregua. 

E  il  Pontefice  venne  nel  febbraio  del  1878.  Pio  IX  non 
si  può  dire,  che  avesse  l'animo  battagliero  ;  ma  era  uomo  sem- 
plice, a  scatti  e  schivo  di  prudenza.  Invasato  dall'idea  dell'uffi- 
cio, di  cui  si  credeva,  nel  cuor  suo,  investito  per  volere  immediato 
dì  Dio,  trovava  in  questa  sua  persuasione  la  ragione  e  l'obbligo 
di  combattere  a  viso  aperto  ogni  tendenza  del  secolo  che  appa- 
risse o  fosse  inimica  del  magistero  suo.  Sui  principii  della  lotta 
ecclesiastica  in  Prussia,  il  7  agosto  1873  scrisse  all'imperatore 
con  una  ingenuità  davvero  mirabile,  a  Parlo,  diceva,  con  fran- 
chezza, giacche  la  verità  è  la  mia  bandiera,  e  parlo  per  esaurire 
un  mio  dovere,  il  quale  m' impone  di  dire  a  tutti  il  vero,  e  anche 
a  chi  non  è  cattolico,  giacché  chiunque  è  battezzato,  appartiene 
in  qualche  parte,  e  in  qualche  modo,  che  non  è  qui  il  luogo  a 
spiegare,  appartiene,  dissi,  al  Papa,  v  Son  parole  che  lo  dipin- 
gono al  naturale  ;  e  sono  scritte  a  un  principe,  capo,  si  può 
dire,  e  rappresentante  d'una  setta  cristiana  che  non  ammette  la 
supremazia  del  Papa.  In  un'altra  occasioae,  discorrendo  a  te- 
deschi, usò  la  similitudine  infelice  del  sassolino  che  abbatte  il 
colosso;  ed  ebbe  gran  pena  a  difendersi  dall'interpretazione, 
molto  naturale  che  vi  fu  data.  In  una  allocuzione  del  23 
dicembre  1873,  accusa  il  nuovo  impero  Grermanico  di  volere 
distrutta  da' fondamenti  la  religione  cattolica,  non  occultis  tantum 
machinationibus  sed  aperta  vi:  e  mentre  mostrava  chiaro  que- 
sta intenzione,  di  sostenere  svergognatamente,  impudenter,  di 
non  volerle  apportare  nessun  danno;  anzi  aggiungendo  la  ca- 
lunnia e  la  derisione    all'  ingiuria  accagionare  ai  cattolici  della 


r 


LA    POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA.  lo» 

persecuzione  con  cui  infieriva  contro  essi;  parole,  che  se 
anche  vere,  non  potevano  essere  appropriate  se  non  a  rinfoco- 
lare gli  animi  dei  cattolici  di  Germania  ;  e  non  eran  vere,  perchè 
esageravano  e  svisavano  le  intenzioni  di  quelli  dei  quali  il  Pon- 
tefice si  doleva.  Leone  XIII  entrò  in  tutt'altra  via.  Appena  fu 
assunto  al  Pontificato,  ne  dette  partecipazione,  il  20  febbraio  1878 
air  imperatore  di  Germania  con  parole  degne  di  Benedetto  XIV 
si  volgeva  alla  magnanimità  sua,  perchè  fosse  restituita  la  pace 
a  il  riposo  delle  coscienze  a  tanta  parte  di  sudditi  suoi,  ri- 
cordando insieme  a  questi  che  la  stessa  loro  religione  prescri- 
veva di  essere  rispettosi  e  fedeli  al  principe:  e  invocava  Iddio, 
perchè  volesse  unir  questo  a  lui  coi  vincoli  della  più  perfetta 
carità  cristiana:  espressioni  aggiustatissime  che  è  bene  parago- 
nare con  quelle  più  su  di  Pio  IX  per  intendere  la  differenza  tra  i 
due.  L' imperatore  rispondeva  il  24  marzo,  e  il  Principe  di  Bìs- 
marck  contrassegnava  la  risposta;  però  insìsteva  solo  sulla 
obbedienza  dovuta  dai  cattolici  alle  leggi  dello  Stato,  congra- 
tulandosi che  il  Pontefice  ne  proclamasse  e  paresse  disposto 
a  inculcarne  il  dovere.  L'equivoco  che  rimaneva  in  questo  pa- 
role, il  Pontefice  procurò  di  dileguarlo  con  una  sua  replica  del 
17  aprile,  che  non  è  stata  pubblicata;  ma  il  cui  senso  si  può 
ritrarre  dalla  ri<)po8ta  fattagli  dal  principe  ereditario  di  Prussia, 
il  10  giugno,  poiché  il  padre  ammalato  non  poteva.  Il  Ponte- 
fice doveva  avere  osservato,  che  qualcosa  però  nello  leggi  si 
doveva  mutare,  se  non  si  voleva,  che  l'obbedienza  dei  cattolici 
equivalesse  a  rinnegare  la  prò,  ria  coscienza;  poiché  il  Prìncipe 
risponlcva  che  al  desiderio  espresso  da  S.  Santità  di  mutare  la 
costituzione  e  le  leggi  di  Prussia  secondo  la  dottrina  della  Chiesa 
romana  cattolica  nessun  monarca  di  Prussia  avrebbe  potuto  dar 
soddisfazione  u  giacché  la  indipendenzs  della  monarchia,  la  cui 
custodia  incombe  presentemente  a  me,  come  ad  erede  dei  mici 
padri  e  come  un  dovere  verso  il  mio  paese,  patirebbe  una  di- 
minuzione, quando  il  libero  movimento  della  sua  Icgislaxione 
dovesse  essere  soggetto  ad  una  potonsa  ch'è  in  fuori  di  ossa.  » 
Pure  scartando  qualunque  tentativo  d'intondarsi  sulla  questiono 
ài  pi  '  ■  .  il  Prìncipe  offriva  di  trattare  le  difficoltà  presenti 
nell  Ila  pace  e  dulia  conciliaaione.  Non  v'era  qui  nessuna 

baie  di  trattative  sicura:  ma  v'era  quell' addolcimento  d'animo 
tra  die  conti^ndfmti,  che  h  la  migliore  preparazione  a  mutare 
le  religioni   in  cui  stanno. 

Parve    che  l'ora   dì  mutarlo    in  una  maniera  effettiva    suo- 


138  LA    POLITICA   ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

nasse  già  il  27  luglio  dì  quell'anno  stesso  quando  si  senti  che 
il  Nunzio  Masella  era  giunto  in  Kissingen  due  giorni  dopo  il 
principe  di  Bismark  e  conferivano  insieme  Ma  non  pare  appro- 
dassero a  nulla,  quantunque  il  Bisraarck  ne  partisse  con  l'im- 
pressione, che  il  cardinal  segretario  di  Stato,  Franchi  fosse  di- 
sposto a  concessioni  notevoli  e  si  sarebbe  considerata  come  tale, 
la  ripresa  delle  relazioni  diplomatiche.  Il  Cardinale,  a  ogni  modo, 
morì  poco  dopo;  e  il  cardinal  Nina  che  gli  successe,  quantunque 
il  Pontefice  gli  desse  pubblicamente  istruzione  di  procurare  una 
pace  stabile  colla  Germania  (27  agosto),  o  non  seppe  o  non 
volle.  Ma  la  spinta  alla  pace  veniva  oramai  anche  da  altra 
parte. 

VI. 

Nessun  punto  del  soggetto  che  tratto,  è  più  notevole  di 
quello  che  mi  conviene  toccare  ora.  Quel  partito  del  centro,  di 
cui  ho  fatto  cenno  al  principio,  non  s'era  mai  lasciato  ne  smuo- 
vere ne  intaccare  in  tutti  questi  anni.  Aveva  mantenuto,  mal- 
grado tutti,  salda  la  sua  base  confessionale.  Più  volte  i  suoi 
avversarii,  il  governo  stesso  aveva  tentato  di  diffondere  la  yoce, 
che  il  Pontefice  ne  censurasse  1'  opposizione,  la  credesse  nociva 
alla  Chiesa.  Ma  ne  la  voce  era  vera:  ne  se  fosse  stata  vera, 
il  centro  avrebbe  mutato,  sino  a  che  la  legislazione  ecclesiastica 
rimaneva  quello  che  era,  la  sua  condotta.  Un  uomo  abilissimo, 
oratore  dalla  parola  pronta ,  arguta,  dal  pensiero  preciso,  lo 
conduceva,  il  Windthorst;  ma  non  era  egli  il  solo  uomo  note- 
vole del  partito  ;  lo  Schorlemer,  il  Reichensperger  vanno  segna- 
lati anch'essi.  Nella  Camera  dell'Impero  e  nella  Prussiana,  nelle 
quali  le  divisioni  di  partiti  sono  così  recise  e  molteplici  quanto 
son  confuse  e  pallide  nella  nostra,  la  parte  conservativa  prote- 
stante conveniva  in  più  punti  col  centro  ;  ma  non  sempre  erano 
andati  d'accordo,  e  del  resto,  il  centro  manteneva  la  libertà  dei 
suoi  movimenti  nella  quale  era  la  sua  forza.  L'elezioni  generali, 
che  s'erano  rinnovate  durante  questi  anni,  non  ne  avevano  dimi- 
nuito il  numero  ,  anzi  accresciuto.  Quando  il  24  maggio  1878 
la  Camera  dell'impero  fu  sciolta  per  avere  respinto  il  progetto 
contro  le  tendenze  socialiste,  nell'  elezioni  del  30  luglio  gli 
uomini  della  u  opposizione  a  ogni  costo  t)  tornarono  più  nu- 
merosi. Tutte  le  grandi  città  cattoliche  di  Germania  furono 
rappresentate  da  deputati  di  parte  loro.  Ora  due  leggi  preme- 


LA  POLITICA    ECCLESIASTICA   DEU.A    PRUSSIA.  139 

%-ano  soprattutto  al  Principe    di  Bismarck,    quella    già  detta,  e 
l'altra  che  introduceva  in  tutto    l' impero  il  monopolio    del  ta- 
bacco. H  centro  non  stette  con  lui  ne  nell'una  ne  nell'altra.  E 
mantenne  rispetto  alla    prima    con    grande    risoluzione  e  chia- 
rezza il  punto  di  veduta  suo  ;  non  voleva  accrescere  nelle  mani 
del  governo  il  potere  di  polizia  contro  le  rÌTinioni,    le  associa- 
zioni, la  stampa.  La  legge  era,  diceva  il  Windthorst,  una  legge 
di  eccezione,  e  terribile  (schreiendes)  legge,  u.  Chi,  come  noi,  ag- 
giungeva lo  Schorlemer,  s'è  trovato  e  ha  sofferto  sotto  leggi  dì 
eccezione ,    quegli  non  voterà  mai  per  enei.   Volere  arginare  i 
corsi  dei  fiumi,  dove  sì  versano  nel  mare,  è  fatica    Tarn,  inu- 
tile: bisogna  risalire  sino  alla  sorgente.    Stato    e  società  dove- 
vano di  nuovo  prendere  la  legge  di  Dìo  a  loro  suprema  regola  r». 
Poiché  il  Bismarck    non  potette    ottenere    il  monopolio  del 
tabacco,  dovette    prendere    altra    vìa  per    raggiungere  la  meta 
che  a'  era  proposta  ;    un    bilancio    dell'  impero    non  dipendente 
dalle  convenzioni  degli  Stati  particolari.  E  questa  fu  la  riforma 
dei  dazii,  che  vuol  dire  l'abbandono  di  quelle  dottrine  liberali, 
che  avevano.govemato  la  legislazione  commerciale  della  Germania 
dal  trattato  colla  Francia  in  poi.  Ora,  qui  fu  trovato  un  punto 
di  conciliazione  tra  lui  e  il   centro,  e  per  contrario  un   nuovo 
punto  di  separazione  tra  lui  e  la  parte  liberale,  che  l'aveva  già 
sorretto   nella   guerra  contro  quello.    Parecchi    dei   dazii  nuovi 
non  passarono  so    non  col  voto    d'  una    maggioranza,    di  cui  ì 
conservatori  e  il  centro  facevano  il  nerbo.    E  con  questa   mag- 
gioranza passò  ancl-e  il  sistema,  ora  vigente,   rispetto  al  modo 
di   distribaire  tra   l' Impero  e  gli    Stati  1'  entrata   dei  diutii,  di 
cui  il  Frankenstein,  un  deputato  del  centro,  si  foce  atpotitorc, 
e  che  quantunque,  secondo  le  idee  del   partito,  mantenesse  di 
r  all'Impero    l'autonomia    degli  Stati,  fu    dal   fìismnrck 

);.....;  alle  scarse  concessioni  cui  i  liberali  avrebbero  tìnito 
coir  acconsentire.  Il  Frankenstein  stesto  fu  eletto  a  far  parte 
della  presidenza  della  Camera  il  24  maggio  1879;  era  la  prima 
volta,  che  ci»  a  un  drputato  di  centro  aeeadora  ;  più  tiinii  un 
altro,  rilceremann,  fu  fatto  vice-presidente.  La  situazione  par- 
lamentare era  dunque  variata.  Un  deputato  liberalo  di  Ram- 
bcrger  diceva  amaramente:  che  non  fosse  già  il  cèntro  passato 
al  Gran  Cancelliere,  ma  il  Gran  Cancelliere  al  centro. 

Tutto,  dunque,  s'avviava    verso    una    mutazione  nelle  rela- 
'zioni  tri  Berlino  n  Himn.    E  nn    fu  ancora    segno    il    congodo 
dol    Fall;,    cir  ori    st  ito    il    ministro  del    KuUurltiinyf.  Il  Rei- 


140  LA    POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

chensperger  gli  aveva  già  detto,  che  il  più.  gran  servizio,  ch'egli 
potesse  oramai  rendere  allo  Stato,  era  quello  di  p.egire  S.  M, 
di  dargli  un  successore.  Egli  stosso  senti,  che  non  avrebbe  po- 
tuto essere  il  ministro  d'una  situazione  nuova.  Il  14  luglio  del  1879 
cessò  d'  essere  a  capo  del  Culto;  e  gli  fu  surrogato  il  Puttkammer, 
il  quale,  se  è  vero  che,  secondo  s'espresse  ii  Blsmarck,  avrebbe 
filato  lo  stesso  filo,  soltanto  d'un  altro  numero,  è  vero  altresì, 
che  andò  preparando  la  mutazione  del  filo  stesso. 


VII. 


Le  leggi  del  maggio  e  le  modificazioni  della  costituzione 
avevano  dato  un  grido  al  Centro:  Abolizione  di  quelle  e  di 
queste;  ritorno  alla  costituzione  del  1850.  Ma  a  ciò  e  il  Falk  e 
il  Puttkammer  —  e  s'intende  il  Bismarck  —  si  ricusavano.  Alle 
buone  disposizioni  dell'una  parte  e  dell'altra  occorreva  una  base 
di  negoziati.  Il  Centro  d'altra  parte  assicurava,  che  qualunque 
fossero  state  le  concessioni  che  il  Pontefice  avesse  fatte,  anche 
se  gli  fossero  parse  troppe,  non  avrebbe  recalcitrato.  Forse  per 
difetto  d'una  base  siffatta,  anche  l'abboccamento  del  Principe  di 
Bismarck  col  cardinale  lacobini,  nell'autunno  a  Grastein,  rimas3 
senza  effetto.  Leone  XIII  si  risolvette  a  determinarne  una  nella 
lettera  del  24  febbraio  1880  all'arcivescovo  di  Colonia;  dove,  dopo 
confermata  la  sua  intenzione  di  por  fine  alla  discordia  religiosa  in 
Grermania,  aggiungeva  ch'egli  avrebbe  tollerato,  che  innanzi  alla 
instituzione  canonica  si  fossero  mostrati  al  governo  prussiano,  i 
nomi  di  quei  sacerdoti,  che  gli  ordinarii  delle  Diocesi  avessero 
scelti  per  il  governo  delle  anime  a  parte  delle  loro  cure  '.  Qui  fu 
il  principio  delle  trattative,  che  seguirono  in  Vienna  dal  marzo  al 
maggio  1880  tra  l'ambasciatore  di  Prussia,  Principe  von  Reuss 
e  il  cardinale  lacobini,  trattative  di  cui  non  si  ha  per  parte  della 
sede  Pontificia  nessuna  informazione,  e  per  parte  del  governo 
prussiano  una  informazione  imperfetta  e  monca.  Ciò  che  si  può 
dire  è  questo,  che  esse  non  giunsero  a  nissun  risultato  chiaro 
0  definitivo.  Nelle  parole  del  Pontefice  era  ben  detto,  che  la 
notificazione  dei  nomi  dei    candidati    non    si  sarebbe  accordata 

^  No3  huju3  concordiae  maturandaa  catisa  pascuros  ut  Beru33Ìco  gubernio 
ante  canonicam  inatitutionem  nomina  exhibeantur  sacerdotutn  illoruna  quoa 
ordinarii  Dioeesium  ad  gerendam  animarum  curam  in  partem  suae  sollecitu- 
dinis  vocant. 


LA   POLITICA    ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA.  141 

se  non  per  quelli,  a'  quali  il  conferimento  dell'ufficio  importava 
una  istituzione  canonica  ;  ma  al  governo  prussiano  importava  di 
essere  chiarito  su  questo,  e  soprattutto  che  1'  obbligo  della  no- 
tificazione s'  estendesse  a  tutti  gli  altri  sacerdoti ,  che  o  per 
mancanza  del  parroco  o  per  veLÌrgli  in  aiuto,  potessero  sotto 
diversi  nomi  di  vicari,  di  coadiutori,  di  cappellani  —  desservants, 
come  i  francesi  dicono,  —  essere  mandati  dai  vescovi  al  governo 
delle  parrocchie  e  revocati  poi  ad  arbitrio,  ad  nutum,  da  loro. 
Ma  un  altro  punto  era  per  il  Principe  di  Bismarck  di  viemag- 
giore  importanza.  Il  5  maggio  il  Principe  di  Hohenlohe  scri- 
V  èva  a  nome  di  lui  al  Principe  di  Bismarck  :  —  Se  il  Papa  non 
ha  in  realità  nessuna  influenza  sul  Centro,  di  che  aiuto  può  mai 
essere  al  governo  laico  un  accordo,  che  contenti  il  Papa?  —  Ciò 
vuol  dire  che  il  Principe  di  Bismarck  voleva  da  un  accordo 
col  Papa  trarre  il  vantaggio  d'una  più  sicura  situazione  parla- 
mentare; cavare  il  frutto  che  il  partito  del  Centro  diventasse 
ministeriale,  a  Son  sei  mesi,  diceva  1*  8  maggio,  che  la  frazione 

—  questo  nome  gli  si  dà  —  con  poca  discussione  e  po^a  spesa 
di  argomenti,  ha  votato  senza  eccezione  sempre  contro  il  governo  n. 
£  in  un  dispaccio,  che  doveva  ettere  letto  al  Nunzio  in  Vienna, 
aggiungeva:  II  partito  cattolico  che  si  dichiara  pubblicamente 
a' servizi  del  Papa,  ha  attaccato  il  governo  su  tutti  i  punti:  ogni 
tendenza  contraria  all' impero,  esso  la  prende  sotto  la  sua  tutela; 
di  dovunque  la  muova,  da'socialisti,  da'  polacchi,  dalla  fronda 
guelfa,  il  sistema  rimane  costantemente  il  medesimo;  combattere 
validamente  il  governo  dello  Stato.  Nel  suo  parere  u  non  si  po- 
teva alla  condotta  del  partito  pensare  altro  motivo,  che  l'influenza 
dei  confessori  sugli  uomini  e  soprattutto  sullo  donne,  una  parola 
del  Pspa  0  dei  vescovi  l'avrebbe  mutata.  '^ 

Ora,  non  bisognerebbe    lasciar    passare    neanche    in    Ittilia 

—  e  per  più  ragioni  —  questa  condotta  del  centro  senza  con- 
siderazione. 11  partito,  solidamente  costituito,  non  si  ò  lasciato 
mai  smuovere  né  nllentare  dalla  lusinga,  che  la  compiacenza 
al  governo  au  alcuni  punti  avrebbe  agevolato  l'intento  suo  prin- 
cipale. Esso  ha  creduto,  che  il  rimanergli  fermo  di  contro,  e 
il  non  abbandonare  in  nulla  il  suo  carattere,  ssrebbc  stato  il 
mezzo  più  certo  di  mantenere  a  so  la  propria  forza.  K  ha  avuto 
ragione.  Non  è  stato  il  minor  motivo  dulia  riputu/iono  sua,  non 
solo  mantenuta,  ma  accresciuta  durante  tanti  anni.  Mei  disgre- 
jpunonto  •!  "         -ti  politiche,  generale  dappertutto,  e  più    no- 

evole  ch<  .,  in  (Jermania,    un    gruppo    di    cinquatiUi    o 


142  LA    POLITICA   ECCLESIASTICA    DELLA   PRUSSIA. 

sessanta  deputati  bene  unito  insieme  dal  vincolo  di  una  idea 
accetta  ad  una  parte  non  piccola  della  popolazione  e  chiara,  è 
sicuro  di  trovare  prima  o  poi  l'occasione  di  prevalere.  Ma  se 
si  discioglie  0  si  confonde,  non  è  piìi  sicuro  di  nulla.  Ora  ciò 
è  inteso  e  dal  partito  e  dal  Papa.  E  mettiamo  che  il  Papà 
non  lo  intendesse,  e  che  preoccupato  soprattutto  da  un  inte- 
resse presente  della  Chiesa,  volesse  chiuder  la  bocca  a  quel 
complesso  d' interessi  che  un  partito  politico  rappresenta,  non 
vi  riuscirebbe;  gli  si  direbbe,  con  molto  rispetto,  che  ol- 
trepassa il  potere  suo  e  non  si  consiglia  bene.  Da  coloro,  i 
quali  non  guardano  molto  addentro  nella  vita  presente  della 
società  cattolica,  s'esagera  a  vicenda  in  più  e  in  meno  il  potere 
del  Papa  sopra  di  essa.  Ora,  questo  potere,  che  i  governi  li- 
berali hanno  creduto  bene  di  sciogliere  da  ogni  vincolo  con 
essi,  ne  è  stato  naturalmente  e  necessariamente  condotto  a  con- 
trarne uno  più  stretto  coi  credenti  stessi  e  con  quel  tutto, 
misto  di  spirituale  e  di  terreno,  che  forma  la  lor  condizione, 
che  dà  loro  un  posto  nei  diversi  paesi  ai  quali  appartengono. 
Questo  vincolo  se  non  appare  in  istituzioni  che  diano  al  laicato 
una  maggiore  ingerenza  nel  governo  della  Chiesa,  come  ciò 
succedeva  negli  antichi  tempi,  non  è  meno  manifesto  in  una 
azione  e  reazione  continua,  che  per  meati  sottili,  passa  tra  la 
società  retta  e  il  Papa  che  la  regge  ;  sicché  quella  e  questi  sono 
guidati  e  guidano  insieme. 

Vili. 

Il  Principe  di  Bismarck  dovette,  quindi,  rinunciare  a  cer- 
care in  un  accordo  col  Papa  il  discioglimento  del  centro.  Ma 
non  per  ciò  l'andamento  delle  cose  mutò.  La  necessità  di  al- 
terare ]a  direzione  seguita  sino  allora  nella  politica  ecclesiastica 
aveva  ragione  nella  condizione  generale  dello  Stato  e  del  Par- 
lamento. Nel  dispaccio  ultimo  del  21  maggio  1880  il  Gran  Can- 
celliere aveva  conchiuso:  u  Noi  cercheremo  di  dare  effetto  ai 
nostri  intendimenti  colla  legislazione,  senza  ottenere  o  anche 
aspettare  dalla  Curia  un  ricambio  di  concessioni,  unicamente 
nell'interesse  dei  sudditi  cattolici  di  S.  M.  il  Re.  n  E  a  questa 
decisione  si  conformarono  i  due  disegni  del  14  luglio  1880,  e 
poi  più  tardi  quello  del  21  maggio  1882.  La  prima  e  la  se- 
conda erano  leggi  di  facoltà  date  al  governo  d'usare  mitezza 
nell'applicazione  delle  leggi  del  1873  e  del  1874;  e  la  seconda, 


LA    POLITICA   ECCLESL^STICA   DELLA   PRUSSIA. 


143 


oltre  all'estendere  i  casi  di  questa  larghezza  d'applicazione,  ne 
prolungava  la  durata  sino  al  1  aprile  1884,  mentre  la  prima 
l'aveva  ristretta  al  1  gennaio  del  1882.  Sarebbe  uggioso  e  lungo 
l'entrare  nei  particolari  di  queste  facoltà;  basti  dire,  che  il 
governo  ne  aveva  modo  di  dar  sodisfazione  ai  bisogni  spiri- 
tuali più  urgenti  dei  cattolici,  lasciando  ritornare  i  Vescovi 
nelle  diocesi,  i  Parroci  nelle  parrocchie,  o  provvedere  queste 
di  sacerdoti,  senza  ottemperare  a  quelle  prescrizioni  delle  leggi 
di  maggio,  contro  cui  il  Clero  aveva  resistito  a  ogni  patto.  Senza 
il  centro  queste  nuove  leggi,  di  certo,  non  sarebbero  state  vinte; 
ma  esso  non  le  votò  senza  mostrare  la  sua  ripugnanza  ad  ac- 
cordare poteri  discrezionali  al  governo  e  senza  ripetere  che  le 
leggi  di  maggio,  non  si  doveva  dare  facoltà  al  governo  di  non 
osservarle,  bensì  rivocarle.  A  ogni  modo  le  nuove  leggi  levavano 
il  nerbo  alle  antiche  ;  e  poi  in  una  materia  in  cui  può  tanto 
l'opinione,  facevano  apparire  che  questa  si  era  voltata  contro 
la  legislazione  sin  allora  prevalsa,  anche  per  parte  di  quelli  da 
cui  era  stata  salutata  con  tanta  speranza.  Le  leggi  di  maggio 
erano  infette  di  questo  principale  vizio,  che  abbisognavano  per 
essere  eseguite  del  concorso  di  qualche  clero  cattolico;  e  il  clero 
cattolico,  fuori  che  ad  una,  ayeva  ricusato  a  tutte  le  altre  ogni 
maniera  di  concorso*;  aveva  anzi  promesso  ogni  maniera  di  op- 
posizione e  tenuta  la  parola. 

Pure,  nell'intervallo  tra  le  due  leggi  erano  occorsi  alcuni 
fatti,  che  non  giova  dimenticare.  Nei  prìncipii  del  1882,  il  Wind- 
thorst  aveva  proposto  nella  Camera  Prussiana  che  derogando 
alla  legge  dell'  11  maggio  1873,  la  somministrazione  dei  sacra- 
menti fosse  immune  da  pena;  e  la  proposta  era  stata  respinta. 
La  stessa  sorto  era  toccata  a  un'altra  proposta  sua,  che  la  leggo 
della  sospensione  dei  redditi  della  Chiosa  dai  fondi  dello  stato 
fosse  levata  ;  anzi  fu  respinta  senza  discUesiono,  in  silenzio.  Se 
non  che  il  governo,  che  anch'esso  tacque,  chiese  nella  logge 
del  21  maggio  1882  la  facoltà  cosi  di  non  castigare  la  som- 
ministrazione dei  sacramenti  fatta  da  sacerdote  non  abilitatovi 
dalla  legge,  come  di  levare  quella  sospensione.  E  a  ciò  credo 
influisse  la  diversa  sorte  che  nella  camera  dell'  imporo  toccò 
all'altra  proposta  del  Windthorst  del  12  gennaio  1882,  cho 
fosso  abrogata  quella  feroce  legge  del  4  maggio  1874  cho  cac- 
ciava in  bando  o  mandava  a  domicilio  coatto  i  sacerdoti  cho 
avcsHoro  contrawinuto  n1)e  sentonso  emanate  contro  di  osti.  La 


144  LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 

proposta  fu  accolta  a  gran  maggioranza,  quantunque  il  consiglio 
dell'  impero  non  le  desse  seguito. 

Ancora  il  14  gennaio  dello  stesso  anno,  l'imperatore  di  Germa- 
nia nel  suo  discorso  del  trono  al  Parlamento  Prussiano,  dopo  di- 
chiarato con  gran  suo  compiacimento  e  conforto,  che  la  legge 
del  14  luglio  1880  avea  dato  modo  di  restaurare  un  ordine 
regolare  di  cose  in  molte  diocesi  e  parrocchie,  aveva  aggiunto  : 
u  Le  relazioni  amichevoli  col  presente  capo  della  chiesa  catto- 
lica ci  pongono  in  grado  di  tener  conto  dei  bisogni  degli  affari 
e  di  riprendere  quindi  le  relazioni  diplomatiche  con  la  curia 
Romana.  Vi  saranno  a  ciò  chiesti  i  fondi,  n  Erano  rimaste  in- 
terrotte sin  dal  1872,  cioè  da  quando  Pio  IX  non  aveva  ag- 
gradito in  qualità  d'ambasciatore  il  cardinale  Hohenlohe. 

Sul  finire  dell'anno  il  nuovo  ambasciatore  di  Prussia,  Schlozer, 
uomo  di  molto  e  sottile  ingegno,  giungeva  in  Roma.  L'imperatore, 
nel  discorso  del  trono  tenuto  sulla  fine  del  1882,  s'era  congra- 
tulato seco  e  col  paese  che  le  relazioni  diplomatiche  fossero 
ripristinate.  Ora,  questa  cortesia  di  parole  non  fu  lasciata  senza 
ricambio  da  Leone  XIII 5  e  tra  lui  e  l'imperatore  ebbe  luogo 
una  corrispondenza,  (2)  che  consolidò  le  buone  intenzioni  delle 
due  parti,  e  portò  il  frutto  dell'ultima  legge  votata  pur  ora  e 
presentata  il  5  giugno. 

Delle  tre  lettere,  in  cui  la  corrispondenza  consiste,  la  prima 
del  3  dicembre  1882,  è  del  Pontefice,  ed  esprime  in  generale 
il  suo  contento  per  l'  avviamento  sempre  più  sicuro  a  una 
pace,  ch'era  il  più  ardente  desiderio  del  cuor  suo.  La  seconda 
del  22  dicembre  è  dell'  imperatore,  controfirmata  dal  principe 
Bismarck  ;  e  ciò  che  vi  si  chiede  al  Papa,  è  questo  solo  :  la 
notificazione  al  governo  delle  nomine  ecclesiastiche.  La  terza, 
ancora  del  Pontefice,  è. del  30  gennaio  1883;  e  determina  bene 
il  pensiero  di  lui.  Giova  il  riprodurla: 

u  Maestà,  La  lettera  che  l'imperiale  reale  Maestà  Vostra  ci  ha 
fatto  rimettere  nel  dicembre  u.  s.  per  le  mani  del  signor  Schlozer, 
inviato  straordinario  e  ministro  plenipotenziario  di  Prussia, 
presso  la  Santa  Sede,  ha  confermato  in  noi  la  speranza  lunga- 
mente nutrita,  di  vedere  risolute  con  un  completo  accordo  le 
vertenze  religiose  nel  regno  di  Prussia.  L' augusta  parola  di 
Vostra  Maestà  che  si  mostra  disposta  a  prestar  la  sua  mano  per 
una  revisione  dell'  attuale    legislazione  ecclesiastica,  ci  fa  scor- 


LA    POLITICA    ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA.  145 


gere  non  lontana  la  conclusione  dell'  accordo.  Per  tale  favore- 
vole disposizione  ci  dichiariamo  alla  Maestà  Vostra  grati  e  sod- 
disfatti. 

u  In  seguito  di  ciò  abbiamo  fatto  scrivere  dal  Cardinale 
nostro  segretario  di  Stato  al  signor  Schlozer  una  nota,  che  cre- 
diamo sia  già  stata  portata  a  cognizione  del  governo  di  Vostra 
Maestà.  In  essa  abbiamo  voluto  che  nuovamente  si  assicurasse 
il  R."  Governo  della  ferma  Nostra  volontà,  anche  altre  volte 
manifestata,  di  permettere  ai  vescovi  la  notifica  dei  titolari  da 
nominarsi  ai  benefici  parrocchiali.  E  per  avvicinarsi  il  più  pos- 
sibile alle  viste  e  ai  desideri  della  Maestà  Vostra  abbiamo  fatto 
conoscere  anche  la  disposizione  in  cui  siamo  di  non  attendere 
la  completa  revisione  delle  leggi  vigenti  per  provvedere  con  la 
richiesta  notifica  le  parrocchie,  attualmente  vacanti. 

u  Abbiamo  però  domandato  contemporaneamente  che  ven- 
gano a  modificarsi  le  misure  che  ora  vincolano  V  esercizio  del 
potere  e  del  ministero  ecclesiastico,  l' istruzione  e  V  educazione 
del  clero,  giacché  tali  modificazioni  crediamo  indispensabili  per 
la  vita  stessa  della  chiesa  cattolica. 

tt  Essa  esige  che  i  vescovi  abbiano  facoltà  d' istruirò  e  di 
^  formare  sotto  la  loro  vigilanza  e  conforme  agli  insegnamenti  e 
mllo  spìrito  della  stessa  Chiesa  i  sacri  ministri.  Lo  Stato  non 
potrebbe  richiedere  meno  di  questo  pei  suoi  funsionari. 

u  Parimenti  c>  elemento  essenziale  di  vita  una  ragionevole 
libertà  nell'esercizio  del  potere  e  del  minisioro  ecclesiastico  pel 
bene  delle  anime.  Sarebbe  indamo  ch«  si  nominassero  alle  par- 
rocchie i  nuovi  titolari,  se  questi  si  trovassero  poi  impediti  di 
agire  in  conformità  dei  doveri  che  impone  l'ufficio  pastorale. 

u  Stabilito  l'accordo  sa  questi  punti,  sarà  facile,  mediante 
il  reciproco  buon  volerò,  l' intendersi  anche  sulle  altre  condi- 
zioni necessario  per  assicurare  una  pace  Torà  e  durov- V  ^ropo 
finale  dei  comuni  nostri  desideri. 

.  Intanto  preghiamo  la  Maestà  Vostra  di  accogliere  la  rei- 
terata esprennione  dei  fervidi  voti,  cb«  non  cessiamo  di  fare 
per  k  piena  prosperità  della  stCMa  Maestà  Vostra  e  dell'  I.  U. 
Famiglia. 

a  Dal  Vaticano,  30  gennaio  1883. 

u  UuPP.XlU  T, 

uA    tSun    }f'iéyf'ì    Iinjnriiiìr    li,nle   (invilii  luto   I 
u  Imvfrnfnii'  ili  (imii'tiiKt  /,',  ili  /'rituni't. 

▼ou  XL,  Stria  II»  i  r  icM  >  i"r  10 


146  LA   POLITICA   ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

Ora,  come  bene  è  detto  nella  nota  dello  SchlcJzer  del  5 
maggio  1883  già  dall'art.  3  della  legge  del  31  maggio  1882 
era  stata  virtualmente  abolita  la  condizione  dell'esame  di  stato 
scientifico  per  la  nomina  d'un  sacerdote  in  un  ufficio  ecclesiastico; 
e  gli  alunnati  di  fanciulli  erano  stati  riaperti  a  Fulda  e  a  Paderborn 
secondo  il  diritto  comune*,  e  si  eran  lasciati  riaprire  senza 
ostacolo  i  seminari  ecclesiastici  per  perfezionamento  pratico. 
L'ultima  legge  s'è  ancora  conformata  al  pensiero  del  Pontefice 
in  ciò  che  ha  sciolto  da  ogni  obbligo  di  notificazione  le  nomine  di 
sacerdoti,  non  investiti  stabilmente  dell'  ufficio,  non  inslituiti 
canonicamente.  E  oltre  questo,  essa  ha  altresì  tolto  ogni  so- 
stanziale competenza  al  regio  tribunale  per  gli  afì'ari  ecclesia- 
stici, non  chiamandolo  più  a  risolvere  sugli  appelli  contro  l'op- 
posizione del  governo  a  nomine  che  si  fosse  ancora  in  obbligo 
di  notificargli.  E  per  ultimo,  questa  opposizione  nella  forma  che 
la  legge  è  stata  rifatta  dalla  Commissione  e  votata  dalla  Ca- 
mera, non  ha  più  per  motivo  la  mancanza  nel  candidato  di 
una  cultura  scientifica  secondo  richiedeva  la  legge  dell' 11  mag- 
gio 1873.  E  ciò  che  più  preme,  è;  che  il  governo  aveva  man- 
tenuto questo  motivo  di  opposizione  ;  e  invece  la  Camera,  non 
ostante  i  liberali  nazionali  e  i  liberali  conservatori,  —  giacche  v'ha 
gli  uni  e  gli  altri  —  col  voto  dei  conservatori  e  del  centro 
l'ha  respinto.  Il  che  vucrl  dire  che  il  governo  non  anticipa 
sul  presente  movimento  degli  spiriti  nel  paese  e  nella  camera, 
ma  lo  segue. 

IX. 

L'edificio  delle  leggi  del  maggio  1873  e  1874  non  è  stato 
voluto  dal  governo  rifare  di  capo.  Il  principe  di  Bismarck  s'è 
ricusato  a  ragione  di  affermare  apertamente  la  mutazione  della 
sua  politica  ecclesiastica,  proponendo  alla  Camera  l'abrogazione 
delle  leggi  nelle  quali  questa  s'  era  espressa.  Forse,  neanche  a 
lui  sarebbe  riuscita.  Ma  le  tre  ultime  leggi  del  1880,  del  1882 
e  del  1883  le  hanno  coi  fatti  distrutte;  e  ora  non  è  possibile, 
quando  gli  accordi  sieno  conclusi,  di  non  ridare  in  qualche 
maniera  un  assetto  alla  legislazione  ecclesiastica  della  Prussia, 
chiarendo  con  una  legge  nuova  il  poco  che  è  rimasto  e  il  molto 
che  è  sfumato  delle  vecchie. 

Già  un  anno  e  più  fa,  io  scrissi  in  questa  stessa  rivista,  che 
gli  accordi    si    sarebbero    fatti,    perchè  e  1'  una  e  1'  altra  parte 


LA   POLITICA  ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 


147 


aveva  interesse  a  farli,  come,  già  son  parecchi  anni,  sostenni 
che  la  politica  del  1873  e  del  1874  non  era  buona  e  non  si 
sarebbe  potuta  reggere.  Non  vedo  dove  ora  potesse  intoppare 
la  conclusione  d'un  accordo  definitivo;  giacché  non  è  possibile 
che  il  Pontefice  si  ricusi  oramai  a  concedere  al  governo  Prus- 
siano quel  dritto  di  notificazione  delle  nomine  ecclesiastiche  a 
uffici  stabilì,  ch'egli  stesso  ha  più  volte  offerto,  e  che  faceva, 
si  può  dire,  parte  del  diritto  pubblico  ecclesiastico  Prussiano  sin 
dal  1821.  Quando  il  Pontefice  in  ciò  si  mutasse  ora,  perderebbe 
ogni  lode  di  lealtà  e  di  prudenza;  e  non  è  tra  i  probabili  ch'egli 
la  voglia  perdere.  Oltre  che  spingerebbe  il  governo  Prussiano 
non  già  a  ritornare  sui  suoi  passi,  ma  per  una  via  che  ripugna 
più  d'ogni  altra  alla  Curia  Romana;  per  quella  di  lasciarla 
affatto  a  se  e  sciolta  da  ogni  vincolo  collo  Stato,  da  ogni  ga- 
ranzia dello  Stalo,  da  ogni  sussidio  dello  Stato,  pur  circondan- 
done la  vita  da  quei  freni  che  gli  paressero  necessari  a  salvare 
gì'  interessi  dello  Stato.  Giacché  esso  ha  ragione  in  quella  nota 
del  5  maggio,  citata  più  su;  se  lo  Stato  non  deve  sapere,  quali 
persone  sono  elette  agli  uffici  ecclesiastici  stabili,  e  non  ha  di- 
ritto di  non  accettarvi  quelle  che  gli  paiano  poter  tornare  no- 
cive alla  pace  pubblica,  meglio  che  le  due  institusioni  spezzino 
ogni  relazione,  ed  aspettino,  rassegnate,  l'ora  dei  supremi  con- 
trasti che  pur  giungeranno.  Giacché  né  lo  Sta<x)  è  privo  di 
vita  morale  sua,  né  la  Chiesa  prescinde  ora  o  prescinderà  mai 
da  ogni  influenza  o  potere  terreno. 


Alla  ultima  legge  é  stata  fatta,  nella  discussione,  questa  Gen- 
itura che  i  Vescovi,  non  avendo  obbligo  di  notificasione,  quando 
provvedano  alle  cure  d'animo  con  Moerdoti  revocabili  ad  nuium, 
«  obbligati  invece  a  notificare  al  governo  quando  si  tratti  di 
sacerdoti  investiti  stabilmente  dell'ufficio,  preferiranno  il  primo 
modo  al  secondo.  Già,  si  dice,  v'  é  questa  inclinazione  nella 
Chiesa  cosi  contraria  a  quella  che  prevale  nello  società  civili  ; 
mettervi  i  Vetcori  nelle  mani  del  Papa,  i  parroci  nelle  mani  dei 
Vescovi;  volgerla  tutta  a  monarchia  e  a  monarchia  assoluta,  in 
cui  la  decisione  del  Pontefice  infallibile  non  trovi  ostacolo  in 
nesdun  ufficio  attraverso  tutto  il  suo  reg^o,  per  la  natura  del 
t.t..L.  (.f,\  qualo    *'■    tenuto   da  chi  n'é  investito,  e  la  tutela  cho 


148  LA    POLITICA    ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 

gliene  è  data,  dal  diritto  stesso  canonico.  Certo  nella  Chiesa 
questa  inclinazione  e'  è,  come  si  vede  in  Francia,  ed  è  perni- 
ciosa. Cosi  qui  come  in  tanti  altri  casi,  la  politica  ecclesiastica 
dei  cosi  detti  liberali,  per  la  poca  perizia  e  per  i  molti  pregiu- 
dizi di  quelli  che  la  dirigevano,  ha  portato  l'effetto  contrario  a 
quello  cui  si  mirava;  ha  accresciuto  il  potere  del  Papa  sul- 
r  alto  Clero  e  la  dipendenza  del  Clero  basso  dall'alto  e  lo  sti- 
molo in  basso  e  in  alto  al  parteggiare,  anziché  scemare  quello  e 
questa.  E  non  è  anche  a  negare,  che  il  pericolo  nella  legge 
Prussiana  c'è;  e  la  tentazione  può  diventare  grossa,  se,  sta- 
bilito r  accordo,  il  governo  pretendesse  esercitare  con  molto 
rigore  il  diritto  che  consegue  dalla  notificazione,  cioè  di  accet- 
tare 0  no  le  persone  indicate  dall'autorità  ecclesiastica.  Ne  sa- 
rebbe un  rimedio  il  limitare  il  tempo,  durante  il  quale  un  sacer- 
dote rivocabile  ad  nutum  può  esercitare  un  ufficio,  e  dev'essere 
surrogato  da  uno  investito  stabilmente  ;  perchè  se  l'autorità  ec- 
clesiastica trascurasse  di  farlo,  chi  ve  l'obbligherebbe,  e  come 
la  si  obbligherebbe?  Né  alla  durata,  certo,  né  alla  bontà  del- 
l'azione della  Chiesa  nelle  società  civili  giova  l'inclinazione 
che  dicevo;  ma  per  mutarla  bisognerebbero  governi  che  nella 
legislazione  ecclesiastica  sapessero  quello  che  fanno,  e  Pontefici, 
che  avessero  l'occhio  piuttosto  all'avvenire  lontano  della  Chiesa, 
che  al  comodo  presente  del  proprio  arbitrio.  Ma  di  quei  governi 
non  pare  che  ce  ne  sia,  e  che  Leone  XIII  sia  dei  secondi, 
non  se  n'  è  avuto  ancora  una  intera  prova.  A  ogni  modo  la 
stabilità  delia  pace  che  si  conclude  colla  Prussia,  dipenderà  cer- 
tamente dalla  sincerità,  colla  quale  F  obbligo  di  notificazione 
sarà  imposto  ai  Vescovi  rispetto  ai  parroci,  ai  Capitoli  rispetto 
ai  Vescovi;  dalla  temperanza  con  cui  il  governo  eserciterà  il 
diritto  di  aggradire  o  no,  che  ne  risulta;  e  dalla  convinzione 
che  si  forma  nell'autorità  dirigente  della  Chiesa,  che  non  giovi 
di  ordinare  questa  a  modo  di  esercito  mobile  e  fazioso. 


XI. 

Dicevo  che  i  cosi  detti  liberali  sono  singolarmente  poveri 
nella  loro  inventiva  rispetto  alle  relazioni  colia  Chiesa.  S'  è  visto 
anche  nella  discussione  della  ultima  legge  Prussiana  dalla  pro- 
posta del  Virchow,  che  mi  pare  non  consistesse  in  altro,  se  non 
nello  sciogliere  da  -ogni  pena  la  negligenza  nell'  autorità  eccle- 


LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSLA. 


149 


siastica  di  nominare  alle  cure  vacanti  in  conformità  della  legge, 
e  nel  punire  con  sole  pene  ecclesiastiche,  e  non  già  con  multe, 
il  sacerdote ,  che  avesse  celebrato  atti  spirituali ,  come  se  n'a- 
vesse titolo.  Il  che  equivaleva  al  mantenere  una  legislazione  odiosa 
in  principio,  e  privarla  in  realtà  d'ogni  forza.  I  liberali,  rispetto 
alla  Chiesa  cattolica,  bisogna  che  si  ricordino,  ch'essa  è  una 
forza  soprattutto  morale,  e  non  scordino  d'altra  parte,  come  le 
forze  morali  si  combattono.  A'  tempi  nostri,  soprattutto,  scattano 
col  premerle,  né  v'  è  altro  modo  di  guerra  contro  esse,  che  il 
contrapporgliene  altre.  L'immaginare  che  la  legge  abbia  da  sola 
diritto  e  modo  a  piegarle  e  comprimerle,  è  peggio  che  una  illusione. 
La  sovranità  della  legge  non  è  nelle  società  moderne  assoluta  ; 
e  non  è  diventata  tale  per  ciò  solo,  che  i  poteri  che  la  fanno, 
hanno  origine  popolare  anziché  presunta  divina.  E  una  sovranitii 
anch'essa  costituzionale,  cioè  circondata  d'ostacoli,  di  limiti,  di 
freni.  Dovunque  la  legge  impone  obblighi  contro  i  quali  forte- 
mente resiste  la  coscienza  di  quelli  che  sarebbero  chiamati  ad 
udempierli,  oltrepassa  i  suoi  confini  legittimi  e  bisogna  che 
s'aspetti  a  esservi  ricacciata  prima  o  dopo  a  forza.  L'unità  di 
potere  nello  Stato  sta  bene;  ma  se  non  si  vuole,  che  trovi  un 
contrasto,  avanti  a  cui  si  debba  speszare,  é  necessario  che  que- 
sto Stato  non  presuma  di  esercitare  il  poter  suo,  dove  la  natura 
morale  di  ciascun  cittadino  ha  diritto  di  rimaner  libera  da  ogni 
suo  influsso  o  domanda,  oon  tutte  frasi  pericoloso  che  empiono 
la  bocca  e  accendono  la  fantasia  di  chi  le  pronuncia  ;  e  diven- 
tano causa  principalissima  di  legislazione  vana  e  torbida  por 
parte  degh'  Stati,  come  frasi  diverse,  ma  non  meno  false  diven- 
tano causa  di  legislazione  simile  per  parto  della  Chiesa. 


xn. 


Un  deputato,  il  Zedlitz,  voleva  mantenuto  un  articolo  pro- 
posto dal  Governo  e  cancellato  dalla  coromÌMÌone,  per  il  quale 
si  spiegava  per  quali  motivi  il  Governo  potesse  fare  opposizione 
alle  nomine  e  tra  questi  y'  era  il  difetto  nel  sacerdote  dì  una 
educazione  conformo  alle  leggi.  Fra  le  altre  osservazioni  suo 
v'  è  questa,  nelle  suo  proprie  parole  :  u  Senza  correr  pericolo  di 
lasciarHi  prendere  da  paure  fantastiche  —  non  si  deve  poi 
neanche  a  modo  dello  strozzo  nascondere  la  testa  per  non  ve- 
dere —  noi  ci  troviamo  in  questa  condizione;  che  a'  nostri  tempi 


150  LA    POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

il  movimento  clericale  è  in  contìnuo  progresso,  che  l'onda  cleri- 
cale di  giorno  in  giorno  sale  di  più,  ed  attrae  nel  suo  movimento 
qualità  di  persone,  che  sinora  n'erano  rimaste  esenti,  sicché  non 
si  sa  più  dove  o  come  si  possa  far  sosta,  n  Simili  aspettative, 
a  giudicare  dall'  Italia,  paiono  esagerate.  Ma  non  si  può  negare 
che  anche  in  Italia,  quantunque  in  molto  minor  misura  per  ora, 
e'  v'  è  un  ritorno  al  sentimento  religioso,  e  soprattutto  alla  per- 
suasione, che  senza  la  dottrina  e  la  speranza  di  una  religione 
le  società  non  stanno.  E  naturale  che  il  cattolicismo  profitti 
non  solo  per  la  sua  parte,  ma  anche  più  che  non  sarebbe  la  sua 
parte,  di  questo  ritorno,  poiché  esso  è  ora  la  più  forte  e  tenace 
affermazione  d'  un  sistema  religioso  e  cristiano.  Ma  quel  povero 
articolo,  che  il  deputato  voleva  mantenere,  non  è  punto  un  ri- 
medio ne  piccolo  né  grande  contro  un  pericolo  simile.  Se  è  un 
male  cotesto  ritorno,  bisogna  cercarne  le  cause  e  scansarle.  Ora, 
esso  ha  ragione  nella  falsità  di  parecchie  delle  dottrine  liberali, 
si  in  materia  politica,  sì  in  materia  economica,  che  parevano 
trenta  anni  or  sono  inconcusse;  nel  disordine  che  ne  è  nato,  cosi 
nelle  relazioni  degli  Stati  verso  la  Chiesa,  come  nell'  azione  della 
Chiesa  stessa;  negli  effetti  che  se  ne  vedono,  tra  le  sette  d'ogni 
natura,  che,  lusingando  il  desiderio  del  benessere  naturale  a  ogni 
uomo,  mostrano  immagini  false  di  bene  alle  moltitudini,  e  le 
seducono  a  sovvertire  gli  ordini  che  esistono,  nella  illusione  di 
crearne  altri  che,  in  immaginazione,  accontenterebbero  tutti  nel- 
r  avvenire,  ma  in  realità  rovinerebbero  tutti  nell'  avvenire  e  nel 
presente.  In  questa  confusione  paurosa  di  tendenze  opposte  e 
perniciose,  una  religione  che  temperi  i  desiderii  colla  carità 
quaggiù  e  colla  speranza  in  uno  al  di  là,  pare  a  molti  quello 
che  è  al  naufrago  una  tavola,  che  galleggia  sulle  onde  scosse 
dalla  tempesta.  D'altra  parte  i  nemici  del  cattolicismo  e  del 
cristianesimo  non  sono  stati  in  grado  di  ferirli  colla  sola  arma 
che  sentirebbero,  un  sistema  religioso  diverso.  Poiché  é  un  er- 
rore il  credere,  che  la  scienza  o  qualunque  attività  intellettuale 
o  morale  umana  possa  tenere  il  luogo  di  quello  ;  la  religione  ha 
campo  suo  a  parte  e  proprio.  L'  uomo  vuole  avere  risposte  chiare 
e  certe,  tali  che  la  sua  coscienza  se  ne  soddisfaccia,  a  dimande, 
a  cui  la  scienza  più  è  savia  e  più  sì  nega  a  rispondere;  ma  che 
non  perchè  essa  ne  tace,  sono  rese  o  dal  suo  silenzio  o  dai 
suoi  dinieghi  meno  vivaci  e  meno  insistenti. 


LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA    PRUSSIA. 


151 


XIII. 


r 


Ltone  XIII  si  serve  certamente  di  questo  ritorno  degli  animi, 
così  nelle  sue  controversie  colla  Prussia  come  con  ogni  altro 
Stato.  Non  si  può  negare,  ch'egli  vi  metta  molta  prudenza  ;  virtù 
che  consiste  nel  riconoscere,  che  se  qualcosa  favorisce  nel  mo- 
mento attuale  l'azione  del  Papato,  vTia  anche  molto  che  gli  fa 
guerra,  e  bisogna  reggersi  su  quel  favore  con  molta  modera- 
zione, se  non  si  vuole  accrescere  l'impeto  dei  molti  elementi 
contrari.  Gli  rende  men  difficile  questa  prudenza  la  libertà  grande 
della  Curia  Eomana  nel  negoziare;  poiché  essa  ha  bensì  delle 
relazioni  dello  Stato  colla  Chiesa  un  ideale  che  non  altera  né 
abbandona,  per  quanto  a  noi  paia  falso,  ma  dì  cui  effettua  in 
pratica  quel  tanto  che  può,  in  ciascuna  società  civile,  secondo 
gli  umori  e  le  circostanze.  Perciò  nessuna  diplomazia  é  più 
tenace  e  più  duttile  della  sua;  più  ferma  in  alcuni  principiì, 
che  sono  come  i  germi  dai  quali,  in  un  mutato  ambiente,  tutto, 
si  spera,  potrebbe  rinascere  ;  più  duttile  nelle  applicazioni  e  negli 
usi  che  riconosce  o  sopporta.  Una  potenza,  che  deriva  la  sua 
autorità  immediatamente  da  Dio,  è  anche  la  più  attenta,  —  quando 
'non  si  trovi  essere  alle  mani  d'un  santo,  cioè  come  spiega  il  cardinal 
.Pallavicino,  di  un  uomo  privo,  nel  governo  del  mondo,  di  senno 
comune,  —  più  attenta,  dico,  al  valore  e  al  peso  delle  forze  e 
influenze  reali,  sulle  quali  può  contare.  Essa  ragiona  allrimonti 
colla  Prussia  che  colla  Francia;  altrimenti  con  questa  che  culla 
Russia:  perché  sa  che  le  sue  condizioni  di  forza  e  d'influenza 
pratica  sono  diverse  nei  tre  paesi;  e  non  ne  intende  la  ttoria 
passata  o  l'azione  chi  si  maraviglia  che  essa  non  ripete  dapper- 
tutto lo  stesso  discorso  e  allo  ttetso  modo. 

Gl'Italiani  che  hanno  igoardo  lungo  e  sicnro,  non  si  derono 
dolere  che  Leone  XIII  riesca  a  porre  ordino  nelle  relazioni  della 
Chiesa  coi  diversi  Stati  d'  Europa  ch'egli  ha  trovato,  nel  sno 
avvenimento  al  trono,  mirabilmente  turbate  da  quell'entusiasmo 
(li  Pio  IX,  pieno  d'una  bonarietà  irritata  e  dispettosa.  Noi  non 
abbiamo  nessuno  interesse,  che  la  Chiosa,  in  guerra  dappertutto, 
agiti  nel  seno  della  patria  nostra  l'inquietudine  sua;  non  ab- 
biamo nessuno  interesse,  che  la  Chiesa  aggiunga  alla  società 
forestiera  e  alla  nostra  un  fomite  di  contrasto  e  di  disordino , 
anziché,  come  pure  potrebbe,  una  ragione  di  appngnmrnto  e  di 
tranquillità.  Certo  non  é  troppo  ardito  il  congetturare  die  I^o- 


152  LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA   PRUSSIA. 

ne  XIII,  il  quale  si  mantiene,  rispetto  all'  Italia  presente,  non 
meno  nemico  del  suo  predecessore,  trovi  in  questa  sua  politica 
di  conciliazione  e  di  moderazione  verso  gli  altri  Stati  il  vantag- 
gio di  non  vedersi  di  contro  che  il  nostro.  Ma  in  ciò  erra.  Do- 
vrebbe nella  sua  natura  d'  Italiano  intendere  meglio  i  compa- 
triotti  suoi.  Il  lungo  e  diverso  spettacolo  della  Chiesa  Romana, 
visto  da  vicino  per  tanti  secoli,  non  ha  reso  in  genere  gl'Ita- 
liani schivi  d'ogni  religione,  ne  alieni  dalla  cattolica,  ma  gli 
ha  resi  capaci  di  tollerare  in  pace,  più  a  lungo  di  qualunque 
altra  nazione,  la  nemicizia  politica  del  suo  capo.  Anch'essi,  vec- 
chi come  sono  e  pratici,  "sanno  calcolare  le  forze  e  le  influenze 
reali;  e  quanto  ripugnerebbero  a  un  Groverno,  che  commovesse 
i  cattolici  col  negare  all'autorità  ecclesiastica  i  diritti  e  le  libertà, 
che,  nel  suo  parere,  le  occorrono  per  amministrare  la  Chiesa, 
quanto  sono  stati  pronti  ad  ammettere,  che  la  Chiesa  abbia  ed 
eserciti  nella  lor  patria,  nel  campo  della  direzione  degli  spiriti, 
maggiori  diritti  e  libertà  che  non  ha  in  nessun'  altra  parte  di 
Europa,  quanto  sono  indifferenti  alla  negligenza,  con  cui  i  mi- 
nistri si  servono  persino  di  quelle  poche  cautele,  che  la  legge 
ha  pur  lasciate  allo  Stato,  altrettanto  sono  poco  atti  a  impaurirsi 
d'un  papato,  che  nella  presente  condizione  di  Europa  o  in  qua- 
lunque altra  che  si  possa  prevedere  oggi,  speri  di  rifarsi  uno 
Stato,  che  spezzi,  sciolga,  menomi  la  unità  italiana.  Gl'Italiani 
sanno,  che  quando  il  Papa  si  fosse  riconciliato  con  tutti  gli  altri 
Stati  e  restasse  nemico  solo  allo  St^to  italiano,  non  avrebbe 
perciò  in  quelli  nessuno  aiuto  o  incoraggiamento  a  tentare  di 
vincere  o  sopraffare  questo  in  una  quistione  d' indole  affatto 
diversa",  e  Leone  XIII  dovrebbe  sentire  egli  stesso  quanto  gli 
Italiani  hanno  ragione,  poiché  vede  coi  proprii  occhi  allearsi 
col  Groverno  italiano,  dichiarargli  si  amici,  volergli  essere  amici 
quegli  stessi  governi  che  pure  mettono  una  grande  importanza 
a  dare  un  assetto,  d'  accordo  con  lui,  alle  cose  della  Chiesa 
cattolica  nei  proprii  Stati. 

E  veda  in  che  contradizione  egli  si  dibatte  !  Non  cessa  di 
gridare  a'  Cattolici  che  il  Sovrano  Pontefice  non  è  libero;  e 
che  libertà  d'esercizio  dell'autorità  sua  non  si  può  dare  se  non 
gli  si  rende  una  sovranità  temporale,  ed  egli  non  viva  in  una 
città  sua.  Il  *  Principe  di  Bismarck  non  è  neanche  lui  parso 
mai  in  tutto  persuaso,  che  il  Papa  senza  sovranità  temporale 
possa  stare.  Ma  mentre  il  Papa  crede  che  senza  questa  egli  non  è 
libero,  il  Principe    di    Bismarck    ha    mostrato    di    credere  che 


LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA    PRUSSIA. 


153 


senza  questa  egli  è  troppo  libero.  A  lui  bisognava,  che  cotesto 
spirito,  direttore  di  spiriti,  avesse  qualche  rivestimento  di  carne, 
in  cui  pizzicarlo.  Se  il  Papa  fosse  tuttora  possessore  di  Civitavec- 
chia, forse  una  flotta  prussiana  avrebbe  aggiunto  qualche  nuovo 
argomento  a'  molti  coi  quali  egli  ha  tentato  più  volte  d'ottenere 
dal  Papa,  che  consigliasse  il  Centro  a  smettere.  La  mancanza 
di  una  cosa  cosi  volgare,  come  V  aspettativa  di  un  colpo  di 
cannone,  non  è,  nel  parer  suo  —  e  in  verità  nel  parere  di 
tutti  —  senza  efficacia  nelle  cose  umane.  Quest'  efficacia,  egli 
non  abituato  a  trascurar  nulla,  onde  può  avere  aiuto  alla  effet- 
tuazione dei  suoi  disegni,  non  1*  avrebbe  assai  probabilmente 
lasciata  inoperosa  nella  contingenza  presente.  Ma  a  Civitavecchia 
oggi  non  v'ha  il  Papa,  bensì  il  Re  d'Italia;  e  questi  è  amico 
dell'imperatore  di  Germania,  il  quale  sa  di  giunta  che  il  Re  d'Italia 
è  anche  meno  di  lui  in  grado  di  persuadere  il  Papa  o  d' influire 
sopra  di  lui  o  di  condurlo,  per  diritto  o  per  traverso,  alle  suo  vo- 
glie. Sicché  il  principe  spirituale,  rimasto  in  tutto  spirituale,  è 
stato  dovuto  combattere  nei  campo  suo  con  armi  sue  ;  e  in  questo 
campo,  con  queste  armi,  il  Principe  spirituale,  ha,  si  può  dire, 
vinto.  Non  che  essere,  dunque,  più  debole  per  la  perdita  del 
poter  temporale  il  potere  spirituale  si  è  trovato  di  tanto  più 
forte,  di  quanto  era  il  peso  che  sulle  sue  ali  gittava,  la  paura 
che  il  temporale  avrebbe  potuto  esser  messo  a  pericolo  dal  so- 
verchio ardire  e  dalla  schietta  rìsolaxione  con  cui  il  capo  della 
Religione  avesse  assunto  la  difesa  della  coscienza  religiosa  affidata 
alla  sua  guida.  E  la  storia  non  dice,  che  questo  peso  è  stato  in 
più  casi  gravissimo? 


XIV. 


Nella  tornata  del  14  mano  1872,  il  Principe  di  Bismarok, 
proposito  del  diniego  della  Curia  Itomaoa  d'accettare  ad  am- 
DMciatoro  il  cardinale  Iluhenloho,  discorrendo  dei  varii  modi 
di  vivere  in  pace  con  Roma,  espresse  il  parere,  che  un  Con- 
cordato non  era  un  messo  da  tentare,  poiché  sarebbe  bisognato 
che  il  potere  regio  avesse  accordato  troppo,  e  aggiunse:  uA 
Canossa  noi  non  andremo,  n  La  frase  felice  e  immaginosa 
girò  tutta  Europa  ed  ò  tuttora  viva  nella  memoria  del  mondo  ; 
ma,  come  suole  talora  succedere  alle  frasi  troppo  1' 
invece  di  chiarire  il  pensiero  di  lui,  lo  abbuiò, 
avverti    che    quella    frase    fu    segata    da    questo    parole:    >  I 


154  LA    POLITICA   ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA. 

governi  dell'Impero  tedesco  cercano  con  zelo,  cercano  con  tutta 
quella  cura  che  devono  a'  lor  sudditi  cosi  cattolici  come  evan- 
gelici, i  mezzi  coi  quali,  nella  maniera  più  amichevole  possi- 
bile, uscire  da  una  condizione  di  conflitto  ed  entrare  in  una 
pili  pacata  e  accettabile  v  ;  e  finì  il  suo  discorso  cosi  :  u  II  go- 
verno deve  a'  nostri  concittadini  cattolici,  di  non  stancarsi  di 
cercare  la  via,  nella  quale  si  possa  ritrovare  il  regolamento  dei 
limiti  tra  la  potestà  spirituale  e  la  laica,  del  quale  noi  nel- 
l'interesse della  nostra  pace  interna  abbiamo  assoluto  bisogno, 
nel  modo  il  più  temperato  e  confessionalmente  il  meno  ur- 
tante, n  La  strada  nella  quale  si  mise  il  1873,  e  si  lasciò  con- 
durre dal  suo  collega  del  Culto,  si  chiari,  dopo  sei  anni,  non 
solo  incapace  di  menarlo  alla  meta  proposta,  ma  anche  non 
propria  se  non  a  menarlo  alla  opposta.  Ed  egli  la  mutò,  non 
precipitosamente,  ma  a  passo  a  passo  ;  però  con  risoluzione  e 
chiarezza,  e  senza  venir  meno  alla  tutela  della  dignità  dello 
Stato,  profondamente  persuaso,  che  al  buono  assetto  di  questo 
e  alla  sua  durata  sicura  non  giovava  il  tener  sollevate  e  nemiche 
le  coscienze  di  una  gran  parte  della  cittadinanza.  Qui  è  vera 
forza  e  vero  senno.  Alla  Camera  e  fuori  da'suoi  amici  di  prima 
diventati  i  nemici  di  ora,  e  dai  suoi  nemici  di  prima,  diventati 
quasi  gli  amici  di  ora,  gli  si  è  gridato  :  "  Siete  andati  a  Canossa 
e  come!  v  II  grido  è  falso.  Lo  Stato  non  ha  perso  nessuno  dei 
diritti  suoi  e  non  gli  ha  ceduto  in  omaggio  alla  Chiesa.  Ne 
Enrico  IV  v'  ha  da  una  parte  ne  Gregorio  VII  dall'  altra.  Se 
Leone  XIII  si  scambiasse  col  suo  predecessore,  il  che  non  è 
probabile,  penerebbe  poco  a  scorgere  che  l'imperatore  Guglielmo 
non  è  punto  esposto  a  commettere  lo  stesso  sbaglio.  Il  Principe 
di  Bismarck  con  una  lealtà,  a  cui  il  Papa  risponderà  di  certo, 
ha  scelto  una  via  diversa  allo  stesso  fine,  poiché  quella  battuta 
da  prima,  invece  di  avvicinarvelo,  ne  lo  allontanava.  La  verità 
semplice  che  1'  ha  diretto ,  è  delle  più  incontestabili  nella  con- 
dotta delle  nazioni,  una  verità  che  anche  gli  uomini  politici 
italiani  dovrebbero  avere  a  mente,  se  la  scordano  altri  :  u  I  con- 
flitti, ha  egli  detto,  in  fin  dei  conti,  non  sono  istituzioni,  n 

Bonghi. 


NOTE. 


(1)  Leggi  pttbbUeeUe  Minora  nel  eomfiiUo  ecdetioMUeo  ìVmmmuo. 

Febbraio  1872  —  Le^e  sulla  ispezione  delle  scuole. 

Giugno  1872  —  Legge  per  la  espulsione  ^f^ll' Impero  Glermanico  dell'or- 
dine dei  gesuiti  e  delle  coaigragasioni  collegate  o  simili  ad  esso. 

5  aprile  1873  —  Legge  concernente  la  modificazione  degli  articoli  15 
e  18  della  costituzione  Prosmana  del  18  gennaio  1850. 

11  maggio  1873  —  Legge  suU' edaeasione  degli  Eoelesiastici  e  sulle  lor 
Bomine  agli  uffici  ecdesiasticL 

12  maggio  1873  —  Legge  sol  potere  cUfciplinare  eecleeiastico  e  sulla 
creazione  d'una  Corte  ragia  per  gli  affari  eodeaiastici 

13  maggio  1873  —  Legge  ini  limiti  dell'oso  dei  meni  di  punizione  e 
correzione  eeelenaatid. 

14  maggio  1873  —  Legge  sall'iucita  della  Chiesa. 
4  mano  1874  —  Legge  sullo  stato  e  il  matrimonio  dr ile. 
4  mag^o  1874  —  I-'Cgge  dell'impero  eoneemente  il  domicilio  coetto  e 

per  '  ligeoato  nei  leoerdoti  che  hanno  eeercitato  funzioni 

ecclesì  <  vensione  delle  leggi  dello  Stato.  ' 

20  maggio  1874  —  '-«egge  sull'amministrazione  dei  rescorati  cattolici 
vacanti. 

21  maggio  —  Legge  dichiaratira  della  Legge  dell' 11  maggio  1873. 

22  aprile  1875  —  Legge  eoneemente  U  soepeoMone  de'redditi  provenienti 
dai  fondi  dello  Stato  a'veeeovftti  e  MeerdoCi  Boaumo-CattoUci.  * 

81  maggio  1875  —  Legge  eoneemente  gli  erdini  religioei  e  le  eongre* 
gasioni  consimili  della  Chiesa  cattoUea. 

4  luglio  1875  —  Legge  eoaeemenfes  i  diritti  delle  parrocchie  reeehio- 
cattoliche  sui  beni  eccleslasticL 

7  giagno  1876  —  Legge  eoneemente  i  diritti  d^TÌgilansa  dello  Stato 
sull'ani  'ione  dei  beni  nelle  diocesi  eatioUehe. 

It  ^iO  •-  Legfe  intesa  a  introdarre  alami  cambiamenti  nelle 

Lsggi  eecieaiaatteoiwUti^a. 

81  maggio  1888  —  Legge  iatssa  a  btrodnm  alcuni  eambiamenti  nelle 
Leggi  eeelesisstieo-politiche. 

I^  proposta  del  Windthorst  di  riToeare  questa  Legge,  &tta  nella 
4  niiM  rn  l'ruMiaoa  il  15  febbraio  1881,  fti  respinta  dalla  Camera  sansa  di* 
scusnione. 

*  1^  proposta  del  Windthorst,  fatta  nell'assemblea  dellMmperOi  il  7  mar* 
so  1882,  di  nrociire  qiirvta  legge,  fu  vinta  a  gran  maffioraasa. 


156  LA    POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA    PRUSSIA. 


(2)  Testo  del  Gtoveeno. 

Art.  1. 
L' obbligo  dei  superiori  spirituali  di  designare  il  candidato  per  un  ufficio 
spirituale,  come  altresì  il  diritto  di  opposizione  dello  Stato,  cessano  : 

1.  Per  il  conferimento  di  uffici  di  cure  d' anime,  i  cui  titolari  possono 
essere  rivocati  ad  nutum. 

2.  Per  la  provvisione  d'una  supplenza  o  d'una  coadiutoria  in  un  ufficio 
spirituale.- 

Art.  2. 
Non   s'applica  la  disposizione  dell'art.  1  ad  economi  (amministratori, 
provveditori,  ecc.)  d'un  ufficio  parrocchiale. 

Art.  3. 
Cessa  la   competenza  delgfTribunale  Regio   per   gli    affari   ecclesiastici 
nella  decisione  degli  appelli  contro  la  dichiarazione  di  opposizione  dello  Stato 
in  caso  di: 

1.  Conferimento  di  un  ufficio  spirituale  (§  16  della  Legge  dell'll  maggio 
1873).  ' 

*  Art.  16.  L' opposizione  può  esser  fatta  nei  casi  seguenti  : 

1.  Se  le  condizioni  legali  per  essere  investito  d' un  ufficio  ecclesiastico 
mancano  al  candidato. 

2.  Se  il  candidato  è  stato  condannato  o  è  processato  per  un  crimine 
0  delitto,  che  il  codice  penale  tedesco  punisce  della  prigione  o  della  perdita 
dei  diritti  onorifici  del  cittadino  o  della  privazione  degli  uffici  pubblici. 

3.  Se  v'ha  contro  il  candidato  fatti  che  autorizzano  a  credere,  ch'egli 
contravverrà  alle  Leggi  dello  Stato  e  all'  ordinanze  emanate  dall'  autorità 
dello  Stato  nei  limiti  della  sua  competenza,  o  ch'egli  turberà  la  pace  pubblica. 

I  fatti  dai  quali  avrà  motivo  l'opposizione  devono  essere  enunciati. 

Dalla  dichiarazione  di  opposizione  può  esser  fatto  appello  nei  trenta 
giorni  alla  Corte  Regia  per  gli  affari  ecclesiastici,  e  sino  a  che  questa  Corte 
non  sia  instituita,  al  ministro  degli  affari  ecclesiastici. 

La  sentenza  resa  in  questo  appello  è  definitiva. 

2.  Nomina  di  un  maestro  per  la  vigilanza  della  disciplina  negli  insti- 
tuti  ecclesiastici,  che  servono  all'educazione  dei  sacerdoti  (§  12  della  Legge 
dell'  11  maggio  1873).  '       . 

*  Art.  12.  Le  disposizioni  dei  §§  15  a)  e  17  6) ,  che  regolano  l'opposi- 
zione che  può  esser  formata  contro  la  nomina  degli  Ecclesiastici,  trovano 
un'  applicazione  corrispondente  per  l' opposizione  contro  la  nomina  agli  uffici 
qui  sopra  specificati,  g) 

a)  Art.  15.  I  superiori  ecclesiastici  sono  obbligati  a  designare  nomina- 
tivamente al  supremo  presidente  della  provincia  il  candidato  al  quale  deve 
essere  conferito  un  ufficio  ecclesiastico,  e  specificando  quale  in  questo  ufficio. 
La  stessa  dichiarazione  deve  esser  fatta  nel  caso  di  conferimento  di  nuovo 
ufficio  a  un  ecclesiastico  già  provveduto  di  un  altro  o  della  mutazione  di 
una  nomina  a  titolo  revocabile  in  nomina  a  posto  fisso. 

Nei  trenta  giorni,  che  seguiranno  questa  designazione  del  candidato, 
opposizione  può  esser  fatta  contro  la  nomina. 

Appartiene  al  Presidente  supremo  di  fare  questa  opposizione. 

b)  Art.  17.  La  nomina  a  un  impiego  ecclesiastico  che  sia  in  contraddi- 
zione al  §  1  a)  o  che  abbia  luogo  prima  che  sia  spirato  il  termine  nel  §  15 
per  formare  opposizione,  è  nulla  e  non  avvenuta. 


LA    POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA    PRUSSIA.  157 

a)  Art.  1.  Un  uflScio  ecclesiastico  non  può  essere  conferito,  in  una  delle 
Chiese  cristiane,  se  non  a  un  Tedesco,  il  quale  in  primo  luogo  abbia  fatto  la 
sua  educazione  scientifica  conforme  alle  prescrizioni  della  presente  Legge, 
e  contro  la  cui  nomina,  in  secondo  luogo,  non  vi  sia  elevata  nessuna  op- 
posizione per  parte  del  governo  dello  Stato. 

e)  Art.  10.  Negl' insti tuti  menzionati  di  sopra  (quelli  per  l'educazione 
primaria  degli  Ecclesiastici)  non  può  essere  nominato  come  professore  o  per 
r  osservanza  della  disciplina,  se  non  un  tedesco  che  abbia  accertata  la  sua 
capacità  scientifica  secondo  le  prescrizioni  del  §  li  e  contro  la  cai  nomina 
non  sia  stata  fatta  nessuna  opposizione  dal  governo  dello  Stato.  Le  prescri- 
zioni dei  §§  2  e  3  (3)  trovano  qui  una  applicazione  corrispondente. 

§  11.  Per  essere  nominato  all'uno  di  questi  ufficiiin  un  seminario  di  fan- 
ciulli o  in  una  comunit\  di  fanciulli,  è  necessaria  la  capacità  richiesta  da  una 
nomina  corrispondente  in  un  ginnasio  prussiano  ;  e  per  essere  nominato  in  un 
instituto  destinato  all'educazione  primaria  scientifica  in  teologia,  bisogna 
avere  la  capacità  d'' insegnare  in  una  Università  dello  Stato  tedesco  la  sciensa 
speciale  per  la  quale  la  nomina  ha  luogo.  I  candidati  agli  uffici  della  Chiesa 
(cattolica  o  protestante)  devono  possedere  l'educazione  primaria  prescritta 
per  gli  ecclesiastici.  Questa  educazione  basta  per  avere  un  impiego  negli 
instituti  destinati  all' edacaxione  primaria  teologico-pratica. 

^)  Art.  2.  Le  prescrizioni  del  §  1  sono  applicabili  del  pari,  sia  che  l'im- 
piego  debba  ess«*r"  "■-:'■  rito  come  posto  fisso  o  a  titolo  revocabile,  sia  che 
non  ei  tratti  se  i  impiego  di  supplente  o  di  una  funzione  di  coadiu- 
tore in  cotesto  u.i ^-'l  caso  in  cui  un  ritardo  (del  confierìmento  dell'of- 

fieio)  sarebbe  pregiudicievole.  un  impiego  dì  soppleiite  o  di  eoadiatore  può 
«■sere  instituito  provvisoriamente  e  sotto  rìawra  della  oppocisione  del  go* 
verno  dello  Stato. 

Art.  3  Le  prescrizioni  del  {  1  sodo  altresì  applicabili,  sotto  riserva  delle 
dir  del  $  26,  se  un  ecclesiastico  già  in  officio  (f  9)  è  investito  di 

un  '  ncio  nella  Chiesa  o  se  una  nomina  a  titolo  revocabile  è  motata 
in  una  nomina  a  posto  fisso. 

(Le  riserve  del  §  26  si  riferiscono  alle  persone  già  in  nfficin  prima  dclln 
promulgazione  della  Legge  ovvero  esentate  dal  ministro). 

3.  Esercizio  di  diritti  o  funzioni  vescovili  in  vescovati  catt  niti 

{i  3  della  Legge  del  20  maggio  1874).  * 

*  Art  3.  Nei  dieci  giorni  dopo  ricevuta  questa  comunicazione  d;  il  Pre- 
sidente supremo  può  formare  opposizione  contro  l'esercizio,  a  cni  hI  t.ri>t< mi.- 
dei  diritti  o  funzioni  di   vescovo  designati  nel  |  1  e).  Per  ì't>\ 
formare,  le pr<m nr.ioni  del f  16 /) dell*  Lene  dell' U  maggio  I 
la  loro  Hp|i'  n  qvesta  misura  che  1  appello  avanti  alla  <  eli 

affari   e4-cl<-  >n  può  esser  fatto  sa  non  nel   termine  di  <i  mi. 

Se  nessuna  opposisione  è  formata,  o  se  Topposlsione  è  rigettata  dalla 
Corte  per  gli  affiuri  ecclesiastici,  l'oDbUgo  par  gtoramaato  prescritto  nel  |  8 
é  preso  innansi  al  preiMdeate  o  imuuut  a  «■  commissario  nominato  da  lui. 

'    "'   ■:     "  >  che  voola  essreitars  i  diritti  episcopali  o  le  funzioni 
e[  tura  é  indicata  ad  |  l,  deve  dlrifere  por  iscritto  al 

prv^i<4ciitc  ■ijprf;mo  della  proviacia,  in  cui  d  trova  la*  sedo  del  vescovato 
vacante,  «na  oomMaicsiiooo  a  (passio  riguardo,  speeifioaade  rostooslono  dol 

dir"=    '^-    • -^sore  ooerr  ♦  ♦■     coltre,  prsssntaro  il  dooreto  ooolosia' 

"t>  rasmesso,  le  provo  eh'ogU  possiede  lo  qualità 

pe(<^— •> «•••^  ■{«••i  la  Legifu  <i^<i  >•  maggio  1873  fa  aipendero  la  oolla- 

ilooo  d'un  ttfldo  ocolosiastioo.  Egli  ha  nello  stosso  tempo  a  diehiarare  d'os- 
sero pronto  a  preadore  Timpeno,  eoo  gioramonco,  d'esser  Molo  o  obbodlooto 
al  Ke  e  osservare  lo  Leggi  dolio  Slato. 

f)  Art    1    In  un  veseovato  eattolieo,  di  eul  la  lolo  sia  vaoanto«  i  dU 


158  LA   POLITICA   ECCLESIASTICA   DELLA   PRU8SLA. 

ritti  e  le  funzioni  inerenti  all'ufficio  episcopale,  insieme  o  separatamentct 
insin  dove  queste  funzioni  non  concernono  l' amministrazione  dei  beni,  non 
sono  esercitati,  sino  all'installamento  di  un  vescovo  riconosciuto  dallo  Stato, 
se  non  conforme  alle  disposizioni  seguenti  della  presente  Legge. 

/)  Vedi  n.  1. 

Art.  4. 

L'art.  16  *  della  Legge  dell' 11  maggio  1873  è  surrogato  dalla  seguente 
disposizione  : 

L'opposizione  ha  luogo,  quando  ha  causa  da  ciò,  che  il  sacerdote  da 
installare  non  sia  appropriato  al  posto  per  motivi  di  diritto  civile  o  pub- 
blico, in  ispecie  se  la  sua  educazione  non  risponde  alle  prescrizioni  di  questa 
Legge. 

I  motivi  di  opposizione  debbono  esser  enunciati. 

Contro  la  dichiarazione  di  opposizione  può  elevarsi  gravame,  nel  ter- 
mine di  trenta  giorni,  presso  il  ministro  degli  affari  ecclesiastici,  la  cui  deci- 
sione è  definitiva. 

Art.  5. 

La  disposizione  dell'art.  5  ^  nella  Legge  del  14  luglio  1880  intomo  al- 
l'impunità della  celebrazione  di  atti  d'ufficio  spirituale  in  parrocchie  vacanti 
o  tali  il  cui  titolare  sia  impedito  nell'esempio  dell'ufficio,  s'applica  a  tutti 
gli  uffici  spirituali,  e  senza  distinzione,  se  l'ufficio  abbia  o  no  il  suo  titolare. 

Art.  6. 

Le  disposizioni  contrarie  a  quelle  dell'articolo  1  e  3  di  questa  Legge 
delle  Leggi  dell' 11  maggio  1873,  del  20  maggio  1874  e  del  21  maggio  1874 
sono  abrogate. 

Tbsto  della.  Commissione. 

Art.  1. 
L' obbligo  dei  superiori   spirituali  di   designare  il   candidato  per  un  uf- 
ficio spirituale,  come  il  diritto  di  opposizione  dello  Stato,  cessano: 

1.  Per  il  conferimento  di  uffici  di  cura  d'anime,  i  cui  titolari  possono 
essere  rivocati  ad  nutum. 

2.  Per  la  provvisione  d'una  coadiutoria  o  d'una  supplenza  in  un  ufficio 
spirituale,  eccettoché  nel  caso  che  questa  consista  nella  nominazione  del- 
l'economo di  un  ufficio  spirituale  (Amministratore,  provveditore).  * 

Sono  abrogati  i  due  ultimi  paragrafi  del  §  16  della  Legge  dell' 11  mag- 
gio 1873.  6 

*  Proposta  del  Wirchow  e  compagni: 

€  Nel  caso  che  all'  obbligo  legale  della  designazione  del  candidato  per  un 
ufficio  spirituale  non  sia  soddisfatto  per  parte  dei  superiori  spirituali,  il  sa- 
cerdote, rispetto  al  quale  l' obbligo  non  sia  stato  adempiuto,  rimane  escluso 
dalle  funzioni  spirituali  del  suo  ufficio,  in  instituti  dello  Stato  o  d'un  consorzio 
politico,  da  ogni  ccfmpenso  sui  mezzi  dello  Stato  {von  alien  Bezugen  aus 
Mitteln  dea  Staates)  o  d' un  consorzio  politico,  dal  far  per  parte  del  governo 
della  Chiesa,  e  da  ogni  altro  privilegio  e  immunità,  che  al  sacerdote  appar- 
tenga per  parte  dello  Stato. 

Art.  2. 
Identico  all'art.  3. 

Art.  3. 
Identico  al  quinto. 


LA    POLITICA    ECCLESIASTICA    DELLA   PRDSSIA. 


159 


Art  4. 

La  pena  inflitta  del  §  4  ^  nella  Legge  del  20  maggio  1874  non  ha  appli- 
cazione alla  celebrazione  di  singoli  atti  di  consacrazione  per  parte  di  vescovi 
riconosciuti  dallo  Stato  in  diocesi  vacanti. 

Art.  5.  Identico  al  sesto. 

*  Vedi  numero  1. 

s  Art.  5  Alle  pene  inflitte  dalle  leggi  dell'  11  maggio  1873  e  del  21  mag- 
gio 1874  non  soggiacciono  gli  atti  di  ufficio  spirituale  che  da  sacerdoti  le- 
galmente installati  sìeno  celebrati  in  Parrocchie  vacanti,  o  in  tali  i  cui  titolari 
sieno  impediti  nell'  esercizio  del  loro  ufficio,  senza  avere  con  ciò  l'intenzione 
di  rivestire  colà  un  ufficio  spirituale. 

^  Art.  4.  Chi  prima  dell'obbligo  con  giuramento  eserciti  diritti  o  fun- 
zioni vescovili  della  natura  indicata  nell'  art.  1  ^)  é  punito  con  prigione  da 
sei  mesi  sino  a  2  anni. 

La  stessa  pena  tocca  al  rappresentante  personale  o  incaricato  d' un  ve- 
scovo (vicario  generale,  officiale,  ecc.),  che  dopo  la  vacanxa  d'una  sede  ve- 
scovile continua  a  esercitare  diritti  o  funzioni  vescovili,  seiua  avere  d'al- 
tronde conseguito  il  diritto  d'esercitarli  conforme  agli  articoli  2  e  3.  A) 

g)  Tedi  nota  ». 
h)  Vedi  noU  p. 


IL  TEMPIO  D'ISIDE  PRESSO  LA  MINERVA 

E  LE  RECENTI  SCOPERTE 


Per  apprezzare  l' importanza  della  scoperta  dei  monumenti 
egiziani  che  in  questi  giorni  medesimi  si  è  fatta  dietro  l'abside 
della  chiesa  di  s.  Maria  sopra  Minerva,  e  che  ha  vivamente  im- 
pressionato gli  amatori  delle  antichità,  è  necessario  premettere 
un  qualche  cenno  sulla  storia  del  culto  egizio  in  Roma  e  sul 
tempio  consacrato  a  siffatto  culto,  presso  il  quale  si  sono  rin- 
venuti i  monumenti  accennati. 

Già  fin  dal  secolo  sesto  di  Roma,  allorquando  la  civiltà  ro- 
mana era  venuta  a  contatto  con  l'Oriente  e  con  la  Grecia  par- 
ticolarmente, cominciarono  ed  insinuarsi  furtivamente  nella  rozza 
religione  del  Lazio  i  culti  misteriosi  dell'Asia,  e  quelli  dell'Egitto 
allora  grecizzante  sotto  i  Tolomei.  Ma  il  Senato  romano  riguardava 
come  straniere  ed  intruse  queste  religioni,  e  così  sappiamo  da 
Valerio  Massimo  che  il  console  Paolo  Emilio  nell'anno  565  di  Roma 
atterrò  di  sua  mano  il  primo  tempio  d'Iside  che  fosse  edificato 
fra  i  sette  colli  '.  Però  nel  seguente  secolo  settimo  tornò  a  ri- 
vivere in  Roma  la  religione  egiziana,  ed  anche  allora  incontrò 
l'inimicizia  dei  fieri  Quiriti,  e  fu  condannata  di  nuovo  come  turpis 
super stitio  *.  Ma  ad  onta  di  ciò  durante  il  primo  triumvirato  il 
numero  degli  adepti  a  questa  superstizione  dovè  divenire  assai 
grande,  e  quindi  non  senza  un  intendimento  politico  i  triumviri 
stessi  edificarono   un  tempio  ad  Iside    ed   a  Serapide,  come  ci 

1  Val.  Max.  I,  3,  4. 

'  Tertulliano  Apol.,  "VI. 


IL    TEMPIO   D  ISirE    PRESSO    LA    MINERVA    ECC. 


161 


attesta  Dione  ':  ed  Aiip^usto  dopo  che  ebbe  ridotto  a  provincia 
l'antico  re^no  dei  Faraoni,  o  ne  fé'  costruire  un  altro  o  restaurò 
ed  ingrandì  quello  eretto  già  ai  tempi  di  Cesare. 

I  nuovi  signori  dell'Egitto  cominciarono  a  spogliare  dei  loro 
monumenti  i  tempi  e  le  tombe  di  Menfi  e  di  Tebe  per  ador- 
narne gli  edifizi  di  Roma,  e  come  prima  i  capilavori  dell'arte 
ellenica  erano  stati  tolti  alla  Grecia  ed  alle  greche  città  del- 
l'Asia, cosi  allora  gli  obelischi,  le  statue,  e  le  misteriose  divinità 
dell'  Egitto,  dalle  valli  del  Nilo  furono  portate  sul  Tebro  per 
soddisfare  l'oziosa  curiosità  dei  padroni  del  mondo. 

Augusto  per  il  primo  volle  portare  come  trofei  di  vittoria 
due  grandi  obelischi,  e  cioè  quello  di  Ramses  II  che  pose  nel 
Circo  massimo  e  che  oggi  ammiriamo  nella  magnifica  Piazza  del 
Popolo,  e  l'altro  di  Psammetìco  II  che  collocò  come  gnomone  nel 
Campo  Marzio,  e  sta  ora  innanzi  al  palazzo  del  Parlamento. 
Egli  stesso  tolse  ancora  altri  monamenti  all'  Egitto,  ed  il  suo 
esempio  fu  seguito  dai  successori  e  specialmente  da  Adriano 
#  che  tanto  viaggiò  per  tutte  le  provi ncie  dell'impero. 

L'ultimo  Cesare  infine  che  recasse  a  Roma  il  tributo  dei 
monumenti  egiziani  fu  Costanzo,  il  quale  vi  fece  trasportare  il 
grande  obelisco  di  Toutmfs  IV,  che  poi  Sisto  V  tolse  dalle  ro* 
vine  del  Circo  massimo  per  collocarlo  dinanzi  al  venerando 
edifizio  del  Latcrano.  * 

II  culto  egizio  eccitò  in  sommo  grado  l;i  curiosità  dei  ro- 
mani, quantunque  essi  ne  schernissero  il  simbolismo  senza  com- 
prenderlo, derìdendo  la  credula  gente  cui  nascevano  negli  orti 
le  divinità.  Ma  il  mistero  stesso  di  quei  simboli  assai  piaceva 
ai  nuovi  padroni  dell'Egitto,  cosicché  gli  imperatori  furono  va- 
ghi di  fare  eseguire  numerose  imitazioni  di  quei  strani  monu- 
menti. Cosi  Domiziano  fece  innalzare  in  suo  onore  un  obelisco 
ricoperto  d'iscrizioni  geroglifiche  dove  il  suo  nomo  é  inciso  nel 
cartello  reah*  corno  quello  di  un  Faraone  •,  e  Adriano  segui  il 
suo  esempio  facendo  scrivere  in  geroglifici  sopra  un  altro  obe- 
lisco il  nome  suo  e  quello  della  consorte  Sabina  *. 

Che  anzi  questo  medesimo  principe  nella  magnifica  sua  villa 
tiburtina  vello  riprodurre  il  famoso  canale  di  Canopo  presso 
Alessandria,  e  lo  adomò  di  statue  in  parte  egiziane  e  in  parte 
di  romana  imitazione. 

'  XLVII,  16. 

*  ObelSsoo  di  pissza  NsTona. 

*  Obeliseo  d«l  Pindo. 


Tm,  XL,  Swto  II  -.  1  Lagll*  IMS. 


Il 


162  IL    TEMPIO    d'  ISIDE    PRESSO    LA    MINERVA 

Né  si  creda  che  coteste  imitazioni  consistessero  solo  nel  fare 
iscrizioni  romane  con  i  caratteri  geroglifici  e  con  le  frasi  egi- 
zic;  giacché  talvolta  si  riprodussero  anche  antiche  epigrafi  de- 
dicate ai  Faraoni,  come  lo  dimostra  l'obelisco  della  Trinità  dei 
Monti  che  è  certamente  lavoro  romano  e  contiene  i  cartelli  di 
Bamses  IL 

Alcuni  di  questi  monumenti  sia  genuini  che  di  imitazione 
stavano  nei  circhi,  nelle  piazze  e  nelle  ville,  ma  la  maggior  parte 
dovevano  esser  posti  come  è  naturale  in  quei  tempi  che  erano  con- 
sacrati in  Roma  al  culto  delle  egiziane  divinità.  Questi  edifizi 
erano  sacri  alla  gran  dea  Iside  e  vi  era  unito  anche  il  culto  di 
Serapide,  che  indica  la  trasformazione  subita  dall'antico  culto 
egiziano  nell'epoca  dei  Tolomei.  Infatti  il  nome  di  Serapide  è 
una  confusione  fatta  dai  Greci  dell' Osor  Api,  cioè  del  titolo  che 
si  dava  ad  ogni  bue  Api  dopo  la  sua  morte  allorché  diveniva 
Osiride.  Il  Serapide  poi  fu  dai  greci  e  dai  romani  assomigliato 
al  Giove  inferno  cioè  a  Plutone. 

Questi  tempi  adunque  si  chiamarono  Iséi  e  Serapéi,  ed  in 
Roma  ve  ne  erano  due  principali  :  uno  sull'  Esquilino  che  die 
il  nome  alla  regione  3'  di  Augusto  Isis  et  Serapis,  e  l'altro  nel 
Campo  Marzio  e  precisamente  nel  posto  occupato  poi  dal  convento 
della  Minerva,  presso  il  quale  sono  avvenute  le  recenti  scoperte. 
Non  conosciamo  da  chi  quell'ultimo  fosse  edificato,  ma  è  molto 
probabile  che  ciò  avvenisse  a  tempo  di  Augusto  dopo  le  con- 
quiste dell'  Egitto.  Sappiamo  solo  con  sicurezza  che  esso  esisteva 
già  ai  tempi  di  Vespasiano  e  Tito  giacché  Giuseppe  Flavio  rac- 
conta che  questi  due  imperatori  vi  pernottarono  la  sera  innanzi 
al  grande  trionfo  giudaico.  ' 

E  che  VIséum  del  Campo  Marzio  fosse  veramente  in  quel 
luogo  lo  deduciamo  dai  documenti  che  ne  fanno  ricordo,  e  poi 
jinche  dagli  avanzi  della  sua  decorazione  che  in  diversi  tempi 
sono  tornati  alla  luce  in  questi  dintorni. 

Infatti  il  catalogo  regionario  indica  l' Iseo  ed  il  Serapeo  fra 
il  portico  degli  Argonauti  ed  il  tempio  di  Minerva,  e  quel  por- 
tico stava  presso  la  piazza  di  Pietra,  ed  il  tempio  di  Minerva 
era  collocato  dove  sorge  la  chiesa  che  ha  conservato  questo  nome. 
Di  più  Giovenale  ce  ne  indica  la  posizione  presso  i  Sepia  cioè 
presso  il  recinto  degli  antichi  comizi  centuriati,  *  e  questo  è  noto 

^  Guerra  giudaica  Lib.  VII.  e.  17. 
'  Satira  VI,  v.  527. 


E   LE   RECENTI   SCOPERTE.  163 

che  si  estendeva  fra  s.  Ignazio  ed  il  Collegio  romano.  Infine 
Dione  Cassio  parlando  dell'incendio  dell'anno  80  dell'  e.  v.,  no- 
mina il  tempio  d' Iside  fra  i  Sepia  ed  il  Pantheon.  ' 

Queste  testimonianze  ci  portano  concordemente  all'area  del 
convento  della  Minerva,  ma  le  scoperte  che  aopra  ho  accennato 
pongono  il  suggello  alla  dimostrazione  e  ci  fanno  certissimi  che 
ivi  sorgesse  quel  celebre  tempio  del  culto  egiziano. 

Presso  questo  luogo  infatti  si  trovarono  i  due  obelischi  che 
oggi  stanno  sulle  piazze  del  Pantheon  e  della  Minerva.  Quello  del 
Pantheon  con  i  cartelli  di  Ramses  II  tornò  forse  in  luce  fin  dal 
secolo  XIV,  e  stette  poi  lungamente  avanti  la  chiesetta  di  San 
Macuto,  donde  Clemente  XI  lo  trasportò  dove  oggi  si  vede  ;  e 
quello  della  Minerva  con  i  cartelli  di  Hofre  o  Apriet,  si  rin- 
venne nel  giardino  dei  Domenicani  ai  tempi  di  Alessandro  VII 
ed  allora  il  Bernini  lo  innalzò  sul  famoso  elefante. 

Presso  la  Minerva  si  trovarono  pure  nel  secolo  xvi  i  ma- 
gnifici leoni  di  basalto  col  nome  del  re  Nektanebo  II,  V  ul- 
timo dei  Faraoni,  che  oggi  si  ammirano  nel  museo  Vaticano: 
ed  anche  gli  altri  leoni  che  ora  stanno  ai  piedi  del  Campidoglio. 
Nello  stesso  luogo  venne  alla  luce  nel  1719  la  celebre  Ara 
Isiaca  che  si  conserva  nel  museo  Capitolino,  la  quale  però  è  di 
lavoro  romano  e  ne  moittra  la  assimilazione  dell'  Anubi  egizio 
con  V Iltrme»  dei  greci,  e  la  strana  trasformazione  di  Oro  fan- 
ciullo cioè  Har-pa-Krat,  in  Arpocrate  preteso  dio  del  silenzio. 
Un  altro  gruppo  di  monumenti  egiziani  apparve  pure  già  da 
lun^'o  tempo  presso  la  vicina  chiesa  di  s.  Stefano  del  Cacce 
dove  il  sollevamento  del  suolo  indica  l'esistenza  di  grandi  ro- 
vine; e  qui  si  trorarono  secondo  l'AIdroandi  le  due  statue  colos- 
ili  del  Nilo  e  del  Tevere,  la  prima  delle  quali  sta  al  Vaticano 
l'altra  a  Parigi,  e  qui  si  vedora  pure  la  statua  di  un  Cino- 
cefalo che  die  il  nome  di  gopra  Cocco  alla  menzionata  chiMa 
di  s.  Stefano  *. 

Da  questi  fatu  ..•  {^ttcva  intanto  dedurre  che  V  Iseo  ed  il 
Serapéo  del  Campo  Marzio  comprendessero  un'arca  abbastansA 
vasta,  e  cioè  dalla  chiesa  testé  nominata  fino  alla  via  del  Se> 
minarlo  dove  finisce  il  fabbricato  della  Minerva. 

Ma  anche  ulteriori  scoperte  hanno  sempre  più  confermato 
questa  opinione  degli  archeologi.  Il  signor  Tranquilli  proprietario 

»  LXVI,  21. 

*  DrlU  Statue  antiche.  Veoetis,  1691,  Mg.  116. 


164  II.  TEMPIO  d'iside  presso  la  minerva 

di  una  casa  nella  via  che  conduce  alla  piccola  porta  della  Mi- 
nerva, facendo  alcuni  lavori  nel  suo  fondo  circa  il  1858  vi  rin- 
venne alcuni  pregevoli  monumenti  egiziani  che  vale  la  pena  di 
accennare.  Egli  vi  trovò  una  sfinge,  un  pastof oro,  una  statua  della 
vacca  Haihor  allattante  un  Faraone,  ed  una  colonna  con  figure 
a  rilievo. 

La  sfinge  di  eccellente  lavoro  porla  nell'iscrizione  il  prenome 
di  Toutmes  III  della  18*  dinastia,  ed  è  opinione  del  distinto 
egittologo  signor  barone  Barracco,  attuale  possessore  del  monu- 
mento, che  rappresenti  la  regina  Ilat-shepu  sorella  maggiore  di 
quel  re  e  reggente  del  regno  durante  la  sua  minorità. 

Il  pastoforo  rappresenta  un  gran  dignitario  del  periodo  Sai- 
tico  di  nome  Uah-ah-ra  ed  oggi  sta  nel  museo  egizio  di  Firenze; 
e  nello  stesso  museo  si  trova  la  sacra  vacca  Hathor  che  ha  il 
cartello  del  re  Horemheh,  ultimo  della  18*  dinastia  (1400  av. 
Gr.  C).  —  Finalmente  la  colonna  che  ancora  sta  presso  il  Tran- 
quilli, è  di  proporzioni  gra,vi  come  si  addice  allo  stile  egiziano  ; 
e  nel  fusto  intorno  intorno  porta  scolpite  le  figure  di  alcuni  sa 
cerdoti  del  culto  isiaco,  i  quali  tengono  in  mano  i  vasi  cosi  detti 
canopici  sormontati  dalle  teste  di  varie  divinità.  Questa  colonna 
appartenne  certamente  al  tempio  ed  è  eseguita  nello  stile  di 
imitazione. 

Dopo  tante  e  cosi  insigni  scoperte  era  ben  naturale  che  i 
dintorni  della  chiesa  della  Minerva  fossero  riguardati  sempre 
con  attenzione  dagli  archeologi,  e  per  questo  si  fu  che  il  valente 
nostro  topografo  comm.  Rodolfo  Lanciani  propose  testé  alla  com- 
missione archeologica  comunale  di  aprire  uno  scavo  nella  via 
di  s.  Ignazio  dietro  l'abside  della  Minerva,  e  precisamente  in- 
nanzi alla  casa  Tranquilli  dove  erano  già  avvenute  tante  sco- 
perte. L'esito  fortunato  di  questo  scavo  ha  superato  come  è  già 
noto  l'espettazione  di  tutti,  ed  eccomi  a  dare  un  cenno  dei  mo- 
numenti che  ne  sono  tornati  alla  luce. 

Per  prima  cosa  come  si  giunse  alla  profondità  di  circa  cinque 
metri  dal  suolo  moderno,  si  trovò  una  bellissima  sfinge  in  ba- 
salto nero  di  grandezza  quasi  naturale  e  che  fu  subito  traspor- 
tata nel  museo  capitolino.  Questo  animale  simbolico  con  il  corpo 
di  leone  e  la  testa  umana  è  di  eccellente  lavoro,  e  sta  accovac- 
ciato avendo  il  capo  ricoperto  dalla  consueta  acconciatura  egizia 
in  mezzo  alla  quale  dovea  spiccare  VurèiLs  o  serpente  sacro  di- 
stintivo dei  re  d'  Egitto;  il  suo  petto  è  ricoperto  da  una  ricca 
collana,  e  sotto  di  questa  entro  un  riquadro  sono  incise  tre  righe 


E   LE   RECENTI    SCOPERTE. 


165 


di  se^i  geroglifici.  L' iscrizione  è  in  gran  parte  cancellata  da 
mano  antica,  ma  pure  oltre  i  soliti  titoli  vi  sì  riconoscono  i 
due  cartelli  reali  del  prenome  cioè  e  del  nome  del  re  Amasi 
(Ah-mes-se-neit)  della  26'  dinastia  saitica  (569-525  av.  G.  C). 

La  sfinge  adunque  rappresenta  il  ritratto  di  questo  Faraone, 
giacche  è  noto  che  questi  mitici  animali  esprimevano  la  per- 
sona del  re,  nel  quale  doveano  riunirsi  la  forza  e  la  intelligenza 
simboleggiate  dal  corpo  leonino  e  dalla  testa  umana. 

L'importanza  speciale  però  di  questo  monumento  consiste 
nell'abrasione  dell'epigrafe  e  nella  rottura  violenta  di  una  parte 
della  figura.  Infatti  noi  sappiamo  dalla  storia  egizia  che  Atiuux 
usurpò  il  trono  ad  Apries,  e  che  dopo  averlo  fatto  uccidere  regnò 
gloriosamente  per  44  anni  :  ma  dopo  la  sua  morte  avvenne  la 
invasione  dei  persiani,  i  quali  sconfitto  il  figlio  di  lui  Psammé- 
nito  s'impadronirono  dell'antico  regno  dei  Faraoni.  Cambise  se- 
condo Erodoto  entrò  in  tSah  già  residenza  di  Amasi,  e  ne  dece 
bruciare  il  cadavere  per  vendicare  la  morte  del  suo  predeces- 
sore. Ecco  adunque  che  nella  sfinge  recentemente  tornata  in  luce 
noi  vediamo  la  prova  materiale  delle  devastazioni  persiane  in 
Fgitto,  e  della  memortae  damnatio  del  re  Amasi. 

Dopo  alcuni  giorni  da  questa  scoperta  facendosi  un  altro 
•«cavo  a  poca  distanza  dal  primo  e  presso  a  poco  alla  stessa  pro- 
fondità, apparve  l'estremità  inferiore  di  un'obelisco  in  sicnite  che 
nelle  due  facce  visibili  era  coperto  di  iscrizioni  geroglifiche; 
esso  è  ancora  in  gran  parte  sotterra  mentre  sto  scrivendo,  ma 
fra  pochi  giorni  sarà  intieramente  estratto  e  vedremo  quindi  so 
è  Intiero  o  frammentato.  —  Intanto  i  geroglifici  fino  ad  ora 
visibili  ci  fanno  leggere  i  cartelli  del  prenome  e  del  nome  del 
re  Ramaes  II  ( Rnmea  -  gu -  m«ri  -  nmun)  (  fia  -  U$er  •  Ma  •  uetep  -  en 
Ila)  della  19*  dinastia  c\W'  del  secolo  xiv  avanti  Cristo.  K  questo 
quel  glorioso  monarca  conquistatore  che  sottomiac  all'  Egitto 
molti  paesi,  e  che  fu  dai  gr>  '  '  '  unato  Seso$trÌM,  nome  de'ì'tt» 
da  un'altra  delle  sae  appella/.  jÙ  u  Setura.  n  ;   e  si  nminciie 

ora  corouncmcute  dagli  orientalisti  che  egli  sia  il  gran  perse- 
cutore d(>l  popolo  ebreo,  mentre  il  suo  figlio  e  successore  sa- 
rebbe stato  il  Faraone  dell'  Esodo.  A  questo  re  appartiene  l'obe- 
lisco che  sorgo  in  piazza  del  popolo,  ed  i  suoi  cartelli  si  tro- 
vano pure  in  quello  tanto  minore  che  sta  innanzi  al  Pantheon. 
Qià  dissi  che  qucHt'ultimo  proviene  dal  tempio  d'Iside,  e  sembra 
fino  ad  ora  che  ad  e»»o  gemello  sia  l'altro  rinvenuto  recento- 
mente,  e  che  si  sta  ora  scavando. 


L 


166  IL    TEMPIO   d'iSIDE   PRESSO    LA    MINERVA    ECC. 

Dopo  queste  due  scoperte  ì  desideri  della  Commissione  ar- 
cheologica comunale  erano  abbastanza  soddisfatti,  ma  pure  la 
fortuna  ha  voluto  continuarci  i  suoi  favori,  e  due  altri  monu- 
menti anch'essi  di  qualche  importanza  sono  tornati  alla  luce.  — 
Sono  questi  due  grandi  cinocefali  in  granito  accovacciati  con 
le  mani  sulle  ginocchia,  ai  quali  però  manca  la  testa  che  asso- 
migliava alquanto  a  quella  di  un  cane.  Questa  specie  di  scim- 
mie, che  si  trova  ancora  nell'Abissinia,  era  sacra  al  Dio  Thoth 
e  figurava  nella  mitologia  egizia  nella  scena  del  giudizio,  e  pre- 
cisamente sulla  bilancia  ove  si  pesano  le  azioni  del  defunto. 
I  cinocefali  (in  egiziano  aani)  erano  anche  geni  consacrati 
all'adorazione  del  Sole,  quindi  molti  di  essi  si  veggono  rappre- 
sentati con  le  braccia  alzate,  e  forse  in  questa  qualità  di  geni 
solari  si  ponevano  nei  sacri  edifizi.  Si  consideravano  poi  anche 
come  purificatori  delle  anime,  e  come  tali  erano  invocati  nel 
capitolo  126  del  libro  dei  morti,  dicendosi  che  essi  sedevano  in- 
nanzi la  barca  di  Ra  cioè  del  Sole. 

I  cinocefali  teste  scoperti  sono  di  buon  lavoro  e  di  accurata 
esecuzione  specialmente  nelle  mani  e  nei  piedi  :  di  più  nel 
plinto  hanno  una  iscrizione  geroglifica  che  salvo  alcune  va- 
rianti è  identica  nell'uno  e  nell'altro.  I  cartelli  reali  benché  in 
parte  danneggiati  pure  si  riconoscono  per  quelli  del  re  NekJit- 
har-neh  della  trentesima  dinastia  sebennitica  (381-363  av.  G.  C), 
il  terz'ultimo  dei  sovrani  indigeni  dell'  Egitto.  In  ambedue  le 
iscrizioni  è  disegnato  il  determinativo  del  cinocefalo  col  disco 
sul  capo  come  genio  solare,  e  in  una  di  esse  gli  è  sottoposto 
il  geroglifico  significante  lo  scriba  (An)  appunto  per  la  sua 
relazione  con   Thoth  dio  della  scrittura  e  delle  lettere. 

Questi  sono  i  monumenti  egizi  trovati  fino  ad  ora  presso  il 
tempio  d'Iside  nel  Campo  Marzio,  ma  chi  sa  quanti  e  quanti 
altri,  forse  di  maggiore  importanza,  giacciono  ancora  sotterra  in 
quei  dintorni,  e  specialmente  sotto  il  monticello  artificiale  di 
s.  Stefano  del  Cacco.  Sembra  infatti  che  questo  grandioso  edi- 
fizio  del  culto  isiaco  contenesse  un  vero  museo  di  antichità 
egiziane  trasportate  in  tempi  diversi  dai  principali  santuari  del 
misterioso  paese  del  Nilo. 

È  da  sperare  perciò  che  gli  scavi  così  bene  inaugurati  pro- 
seguano alacremente,  e  che  Roma  per  tal  modo  possa  ognor 
più  arricchirsi  di  nuovi  e  preziosi  tesori. 

25  giugno  1883. 

O.  Marucchi. 


RASSEGNA  POLITICA 


La  fine  dei  lavori  pariamentarì  in  Italia  —  Progetti  di  legge  rotati  dalla 
Camera  —  I  partiti  —  Preparatici  e  tentatiri  di  opposizione  —  La 
commemorazione  di  Garibaldi  a  Parigi  —  Le  relazioni  dell'  Italia  con 
l'AuBtria  e  la  Germania  —  Processi  in  Francia  —  Anarchici  e  clericali 
—  La  lettera  del  Papa  al  Preàdeote  Grerj  —  Francia  e  China 


La  CaoMra  de*  Deputati  ha  lospato  quest'anno  i  suoi   larorì  prima 
ancora  del  consueto:  il  che  non  ha  inapedito  che  neirultima  settimana 
si  accumulassero  i  progetti  importanti,  alcuni  dei  quali  avrebbero  per 
avventura  richiesto  una  più  ampia  discoMione.  Mn  la  lunga  controversia 
delle   tariffe    doganali  aveva  esaurito  le  forse  dell*  assemblea,  a  i  de- 
putati erano,  la  maggior  parte,  invasi  da  quella  fretta  di   flnire   e    di 
tornarsene  alle  loro  caie,  che  suol  maelfeetarti   dopo   alenai    mesi   di 
Msidue  fatiche.  Aggiungasi  che  il  sorteggio  de*  deputati  aveva  profon- 
dameate  tarbato  la  Camera.  Da  ogni  parie  s'imprecò  alla  sorte   deca 
che  eitrMw  dairoma  i  nomi  di  ptreeehi  Ara  gli  uomini  parlamentari 
più  autorevoli  e  eompetenti.  Quasi  tutti  fiMevano  parte  di  qualche  •am- 
missione, alcuni  erano  relatori,  e  una   parte   ooniìderevole  del  lavoro 
legislativo  si  arenò  per  TimproTrisa  manoania  dì  coloro  ohe   in   certe 
materie  spedali  erano  meglio  in  grado  d'illuminare  e  guidare   i  ed- 
leghi.  Sui  danni  della  legge  soUe  ineonpatibiliU  si  è  ormai  tutti  d'ae- 
eordo.  Dopo  l'ultimo  sorteggio  d  è  ganemlmente  rioonoeciuta   la   ne- 
esisiU  di  modifloarla,  di   temperarne   gli   effetU.    d*  Impedire   ohe   al 
Parlamento  venga  meno  la  oooperaiione  di  elette  intelligente.  In  ft>odo 
la  libertà  degli  elettori  è  por  sempre   da  anteporre  a   cerU  edgwae 
che  possono  parse  giuate  in  teoria,  ma  che  ndla   pratloa   si   paleaaao 


168  RASSEGNA   POLITICA. 

funeste  alla  cosa  pubblica.  Senza  contare  che  le  categorie,  alle  quali  si 
applica  presentemente  rincompatibilità,  non  danno  guarentigie  d'  indi- 
pendenza minori  di  quelle  che  vengono  somministrate  a  cagion  d'esempio, 
dai  deputati  schiavi  degli  interessi  locali.  Queste  ed  altre  osservazioni 
abbiamo  udito  a  fare  da  coloro  stessi  che  in  passato  avevano  più  ar- 
dentemente propugnato  la  legge  delle  incompatibilità.  Un  parlamento 
di  piccoli  possidenti  e  di  piccoli  industriali,  come  lo  aveva  desiderato 
l'Azeglio,  non  sarebbe  governato  che  da  piccole  idee  e  non  tenderebbe 
che  a  piccoli  scopi.  Per  la  soluzione  de'  grandi  problemi  fa  mestieri 
del  sussidio  della  scienza  e  dell'esperienza  de'  pubblici  affari.  Scienza 
ed  esperienza  che  vengono  appunto  escluse  da  una  legge  d'  incom- 
patibilità troppo  rigorosa. 

Il  cumulo  delle  proposte  di  legge  in  sui  finire  delle  sessioni  è  un 
inconveniente  più  volte  lamentato,  ma  che  si  eviterebbe  facilmente  se 
i  deputati  fossero  assidui  negli  uffici,  compissero  in  tempo  il  lavoro 
preparatorio  delle  leggi  che  ora  procede  con  grande  lentezza,  e  sovra- 
tutto  non  esagerassero  nelle  discussioni  pubbliche  1'  importanza  e  la 
gravità  di  questioni  che  toccano  solamente  limitati  interessi.  Certo 
non  esìste  la  dovuta  proporzione  fra  i  lunghi  discorsi  fatti  da  qualche 
deputato  intorno  alla  tariffa  sui  tonni,  e  la  rapidità  con  cui  venne 
votata  una  legge  sulle  irrigazioni  che  riguardava  numerose  provincie. 
E  si  spiegherebbe  l'incidente  sorto  a  tale  proposito  e  si  giustificherebbe 
eziandio  il  vivace  linguaggio  dell'onorevole  Zanàrdelli,  se  questi  non 
avesse  rivolto  i  suoi  rimproveri  unicamente  al  Governo,  del  quale  fino 
a  pochi  giorni  prima  aveva  fatto  parte,  ma  si  fosse  indirizzato  alla 
Camera.  Alcune  delle  leggi  che  vennero  discusse  ed  approvate  preci- 
pitosamente nell'ultima  settimana,  erano  state  presentate  dal  ministero 
in  tempo  utile,  e  tutt'al  più,  gli  si  sarebbe  potuto  muovere  il  rimpro- 
vero di  non  averne  sollecitato  abbastanza  l'esame.  Non  è  men  vero, 
però,  che  la  principale  responsabilità  di  questi  fatti  spetta  alla  Camera. 

Fra  le  leggi  ultimamente  votate  dobbiamo  notarne  due  che  riguar- 
dano Roma  e  la  provincia  romana  :  quella  relativa  all'  imprestito  del 
municipio  della  Capitale,  e  l'altra  pel  bonificamento  deir  agro  romano. 
La  seconda  non  incontrò  ostacoli,  quantunque  si  trattasse  di  materia 
che,  a  parer  nostro,  avrebbe  domandato  uno  studio  più  esteso  per  non 
correre  il  pericolo  di  fare  una  legge  poco  efficace.  Ma  la  guarentigia 
governativa  dell'imprestito  incontrò  fieri  oppositori,  non  perchè  la  si 
giudicasse  troppo  grave  per  il  Governo,  ma  perchè  in  un  piccolo  gruppo 
di  deputati  prevale  ancora  il  concetto  che  a  Roma  si  debba  applicare 


F 


Li 


RASSEGNA   POLITICA.  169 

il  trattamento  delle  altre  città,  né  più  né  meno;  dimenticando  così  le 
condizioni  speciali  della  nostra  Capitale,  dove  ai  bisogni  della  civiltà 
moderna  si  aggiunge  il  peso  delle  memorie  antiche,  tenute  vive  dalla 
permanenza  di  un  potere  e  d'istituzioni  che,  di  continuo,  si  contrappon- 
gono all'opera  del  nuovo  Governo.  Qui  adunque  la  questione  municipale 
è  questione  altamente  politica,  che  va  decisa  con  criteri  politici  e  non 
semplicemente  amministrativi.  Un  altro  progetto  va  pure  menzionato 
perchè  apre  la  serie  delle  riforme  sociali  proposte  dall'onorevole  Mi- 
nistro d'Agricoltura  industria  e  commercio;  ed  è  quello  per  la  fonda- 
zione di  una  cassa  nazionale  di  assicurazione  per  gì'  infortuni  degli 
operai  sul  lavoro.  Ci  auguriamo  che  pure  le  altre  riforme  sociali  che 
a  questa  fanno  seguito,  vengano  diacoaM  MDia  soverchio  indugio  alla 
ripresa  de'  lavori  parlamentari.  Non  entriamo  nel  merito  di  esse,  e 
ammettiamo  di  buon  grado  che  l'onorevole  Ministro  debba  prestarsi  ad 
emendare  in  molte  parti  i  suoi  progetti,  ma  si  hanno  in  essi  ad  ogni 
lo,  le  basi  di  namerosi  provvedimenti  legislativi  atti  a  rimuovere, 
per  lungo  ieiùp&i  i  periooli  sociali  che  minaeeiano  la  maggior  parta 
degli  Stati  d'  Eliropa  e  che  altrove  noo  farooo  superati  e  vinti  sansa 
^raviasima  acòsse. 

Alcune  votaaionì  avvenute  negli  ultimi  giorni  hanno  sparso  de'  dubbi 
sulla  compifc^teaia  della  nuova  maggioransa  ministeriala.  Nelle  nomina 
di  alcuni  eonnniiiari  i  candidati  ministeriali  vinaaro  di  qualche  voto 
i  loro  competitori.  E  anche  qualche  progetto  di  lagg^  coma  ad  eaampio 
quello  solle  irrigazioni,  ebbe  un  ooBtfiriamvola  àamero  di  voti  oootrari. 
Non  crediamo  che  da  questo  (atto  sia  lociio  trarre  la  oonaagaanta  che 
si  sia  indebolita  la  posizione  del  ministaro.  Inaansi  tatto  conviene  oi- 
nrare  che,  negli  aitimi  giorni,  era  scarsiasimo  il  numero  dei  deputati 
prssanti,  coaioohé  gli  avvaraari  dal  Oabinatto  avevano  buon  gioooo  par 
preparare  nao  dt  quei  Toti  di  sorprsaa  cha  Don  bastano  punto  a  proTira 
un  mutamento  nella  sitaaaiona  parlamantara.  B  inoltre  rimana  par 
sempre  il  fatto,  cba  il  Ministaro,  banobè  non  fossa  preparato  a  questi 
as«lti,  tuttavia  li  ha  rsapinti  oon  notavola  vantaggio.  Dal  resto  non 
è  alla  vifilia  dalla  vaeaaaa  eha  ai  poò  aparara  di  promuovere  una  orlai. 
Evideotamaata,  agli  avversari  del  gabinetto  premeva  soltanto  di  dar 
aegno  di  vita  a  fiMv'aoeha  di  gattara  la  fondamaota  di  qualche  aeoordo, 
1  col  affetti  si  avrebbero  a  Tadara  nal  proaaloM)  norambre.  La  qaal  eoia 
diciamo  parahé  a  noi  pare  obbligo  di  rifirire  da  fedeli  a  eoaelauiod 
cronisti  le  voci  ebe  sono  eorse  in  proposito.  Si  è  parlato  di  trattative 
e  di  inteUigansa  fira  alooai  da*priaoipali  otpi  dall'antica  sinistra,  ma  noa 


170  RASSEGNA    POLITICA. 

si  è  saputo  ancora  bene  determinare  quali  di  essi  abbiano  stretto  l'al- 
leanza offensiva  destinata  a  sgominare  le  file  della  maggioranza  e  a 
rovesciare  l'onorevole  Depretis. 

Secondo  alcuni,  gli  onorevoli  Cairoli,  Zanardelli,  Baccarini  e  Nico- 
tera  a  quest'ora  si  sarebbero  già  uniti  per  la  grande  impresa,  e  l'ono- 
revole Crispi  sarebbe  con  essi  in  ispirito,  quantunque  sia  costretto  a 
maggiori  riguardi.  Secondo  altri,  fra  gli  onorevoli  Cairoli  e  Zanardelli 
sarebbe  sorta  qualche  nube  e  l'ex  ministro  di  Grazia  e  Giustizia  ten- 
terebbe di  agire  da  sé  facendo  a  meno  dell'aiuto  dell'ex  presidente  del 
Consiglio.  Naturalmente  e  a  più  forte  ragione,  l'onorevole  Zanardelli  la- 
scerebbe in  disparte  l'onorevole  Nicotera.  E,  prosegue  la  cronaca  par- 
lamentare, già  qualche  indizio  di  divisione  si  noterebbe  pure  nel  centro, 
che  malcontento  della  soluzione  dell'ultima  crisi,  riputata  insuflBciente, 
si  sarebbe  scisso  e  non  si  manterrebbe  più  come  in  passato,  ligio  tutto 
quanto  all'onorevole  Depretis,  Si  avrebbe  in  tal  guisa  una  nuova. setta 
di  trasformisti  nel  seno  del  trasformismo. 

In  mezzo  a  tutto  questo  armeg^are  di  partiti  turbolenti  e  di  am- 
bizioni insoddisfatte,  si  vorrebbe  attribuire  all'onorevole  Sella  la  parte 
del  deus  ex  machina^  ed  ha  avuto  origine  la  diceria  diffusa^'-^atìa^li- 
ficata  in  alcune  corrispondenze  di  giornali,  che  il  Presidente  de' Lincei 
intenda  far  ritorno  alla  vita  politica  militante  e  diventare,  per  così  dire, 
il  centro  di;  una  coalizione  nella  quale  si  raccoglierebbero  i  più  dispa- 
rati elementi.  Così^  nella  fervida  fantasia  de' novellieri  si  vengono  pre- 
parando parecchie  combinazioni  che  tutte  però  fanno  capo  al  Sella,  di- 
ventato una  specie  di  uomo  politico  di  gomma  elastica  da  potersi 
allungare  o  ristringere  a  piacimento. 

Possiamo  noi  fare  a  queste  ipotesi  l'onore  di  discuterle  seriamente? 
Ci  saremmo  anche  dispensati  dalla  cura  di  accennarle,  se,  ripetiamo,  in 
questi  giorni  non  avessero  somministrato  materia  a  polemiche,  che  una 
rassegna  la  quale  voglia  riassumere  la  vita  politica  del  paese  non  può 
lasciar  passare  inosservate.  E  d'  altronde  in  tale  confusione  di  uomini, 
d' idee  e  di  partiti,  nulla  si  ha  il  diritto  di  dichiarare  impossibile  a 
priori;  i  fatti  più  improbabili  si  avverano  quando  meno  lo  si  aspetta; 
si  son  visti  i  più  strani,  i  più  mostruosi  connubi.  Tuttavia,  nulla 
nella  condotta  passata  e  presente  dell'  on.  Sella  ci  autorizza  a  prestar 
fede  alle  voci  che  si  fanno  correre  sul  suo  conto.  Può  darsi  che  nel 
presente  Ministero  egli  non  abbia  una  fiducia  così  piena  e  intera  come 
quella  dimostrata  da  alcuni  suoi  amici  politici,  ma  d'  altro  canto,  è  pur 
da  osservare  che  in  alcune  recenti  votazioni  non  si  è  punto  separato  da 


RASSEGNA    POLITICA. 


171 


quel  groppo  dell'  antica  Destra  che  ora  appoggia  l'on.  Depretis.  Nes- 
suna pubblica  manifestazione  egli  ha  fatto  che  palesi  l' intenzione  per 
parte  sua  di  porsi  a  capo  di  una  fornaidabile  opposizione.  Prese  la  pa- 
rola per  domandare  V  istituzione  del  telegrafo  alpino,  che  non  è  un  8Ìm> 
bolo  antiministeriale,  tanto  piò  dopo  le  parole  dell'onorevole  Ministro 
dei  lavori  pubblici,  il  quale  fece  plauso  ai  sentimenti  professati  dall'ono- 
revole  Sella  per  le  Alpi  e  gli  Alpinisti. 

Con  ciò  non  intendiamo  affermare  che  la  costituzione  di  una  nuova 
maggioranza  iniziata  dall'on.  Depretis  si  possa  dire  compiuta.  La  nuova 
situazione  parlamentare  deve  svolgersi  naturalmente,  a  convien  pure 
apprezzare  le  difficoltà  contro  le  quali  l'on.  Presidente  del  Consiglio  ha 
da  lottare.  Sappiamo    anche   noi  che  nel  prossimo  novembre  sarà  ne - 

.eetsario  di  fare  un  nuovo  passo  il  quale  confermi  la  deliberata  volontÀ 
^ì  proseguire  nella  via  intrapresa,  se  non  si  vuole  che  nella  Camera 
ripullulino  i  managgi  e  le  congiure  per  distroggere  i  risultati  già  ottenuti. 

^Nessun  fatto  però  e  intervenuto  che  abbia  mutato  lo  stato  di  cose  stabilite 
dal  voto  del  IO  maggio,  o  accennato  ad  un  pentimento  dell'on.  Depretis  o 
di  coloro  che  1*  aiutarono  nell'ardua  impresa.  La  maggioransa  si  ò  formata 

piovra  un  complesso  dì  quistioni  di  ordine  intemo  e  di  politica  «itra. 
Per  dividerla  sarebbe  indispensabile  che  aorgsase  qualche  nuova  qui- 
stione  gravissima  sulla  quale  i  partiti  poteasero  ordinarsi  diversamente. 
Ora  non  vediamo  la  probabilità  cha  qualcuna  di  siffatte  quistioni  si 
presenti  in  un  tempo  più  o  meno  prossimo.  La  neoeasità  di  separare 
r  azione  del  Governo  da  quella  de*  radicali  si  &  sempre  più  manifesta, 
soprattutto  dopo  La  commeiiioraiioiM  di  Oarìbaldi  arTeonta  a  Parigi, 
dove  i  radicali  italiani  inalsarono  francamente  la  bandiera  repubblicana 
come  pegno  di  amieixia  fra  l' Italia  e  la  Francia.  La  presenta  di  un 
vice  presidente  della  Camera  italiana  a  qn^e  riunioni  può  aver  sor- 
preeo  solamente  ehi  non  eonoeoe  eoo  quanta  larghetsa  nel  noeiro  Par- 
lamento si  dia  poeto  a  tutte  le  opinioni.  Ma  aeropra  più  diventa  chiaro 
eome  il  Governo  e  i  radicali  in  Italia  procedano  per  vie  diverse,  e  come 

^per  qoeeti  ultimi  le  quistioni  eetere  non  siano  che  un  preteeto  per  eom- 

rWttere  le  istituzioni  mooarehiehe.  Quindi  la  politica  del  Ministero  an- 
tiradicale all'  intemo,  impegnata  e  vincolata  dalla  triplice  alleanta  al- 
l'eetero,  non  paò  eaeere  avversata  aa  questo  terreno  ohe   in  non*  di 

^dottrine  e  di  prindpii   intorno  al   quali  ci  (tre  difBdle  che  nella  Oa- 
si raccolga   una  maggioranza    guidata   da   uomini   sinceramente 
Bhid  e  devoti  ai  veri  intereeei  della  patria. 
Rimangono  le  queetioni   d'ordine   amministrativo  ed  economico,  e 


172  RASSEGNA   POLITICA. 

prima  fra  tutte  quella  delle  ferrovie.  La  questione  dell'  esercizio  gover- 
nativo e  dell'  esercizio  privato  ha  superato  il  periodo  acuto.  Indiretta- 
mente il  Ministero  1'  ha  risoluta  rassegnandosi  e  adattandosi  alla  deli- 
berazione delle  Meridionali  che  respinse  la  proroga  del  riscatto.  Con 
ciò  si  è  ammesso  definitivamente  per  una  vasta  rete  di  ferrovie  l'eser- 
cizio privato  e  male  si  spiegherebbe  la  disparità  ili  trattamento  per 
altre  reti  e  per  altre  provincie.  La  causa  dell'esercizio  governativo  è 
stata  profondamente  vulnerata  dai  risultati  dell'  inchiesta  ed  ha  perduto 
molti  proseliti  anche  in  quella  parte  dell'  antica  Destra  che  cadde,  con 
essa  e  per  essa,  il  18  marzo  1876.  Non  crediamo  che  l'on.  Sella  voglia 
rialzare  quella  bandiera  intorno  alla  quale  si  riunirebbe  un  piccolo  ma- 
nipolo di  prodi,  ma  non  mai,  nelle  condizioni  attuali  della  questione, 
un  esercito  di  combattenti.  Nessun  sicuro  pronostico  siamo  in  grado 
di  fare  su  ciò  che  accadrà  nel  prossimo  novembre,  quando  la  Camera 
riprenderà  le  sue  sedute,  ma  se  teniamo  conto  della  situazione  parla- 
mentare come  ora  si  presenta,  e  come,  salvo  casi  impreveduti,  si  ri- 
presenterà  nel  novembre,  non  sappiamo  in  verità,  prevedere  una  crisi 
che  abbia  per  motivo  e  per  conseguenza  un  cambiamento  d' indirizzo 
politico  e  governativo.  E  grave  ci  parrebbe  la  responsabilità  di  coloro 
che  gettassero  il  paese  in  un  mare  di  nuove  incertezze,  unicamente  per 
il  gusto  di  conseguire  un  mutamento  di  persone  ne'  consigli  della  Co- 
rona. È  giusto,  è  desiderabile  che  il  Ministero,  se  occorre,  si  rafforzi 
ed  anche  si  riordini  nel  modo  indicato  dalla  maggioranza;  non  s'intende, 
però,  che  venga  rovesciato  da  una  opposizione  la  quale  non  potrebbe  essere 
mossa  che  da  uno  di  questi  due  intendimenti  :  o  richiamare  in  vita  gli 
antichi  partiti  storici,  o  far  prevalere  le  antipatie  e  le  ambizioni  per- 
sonali sovra  gli  interessi  della  cosa  pubblica. 

Né  meno  prive  di  fondamento  ci  sembrano  le  dicerie  che  si  riferi- 
scono ad  un  raffreddamento  delle  nostre  relazioni  con  l'Austria  e  la 
Germania.  Il  governo  austriaco  ha  molto  saviamente,  fatto  grazia  della 
vita  al  Sabbadini  condannato  per  complicità  nell'attentato  dell'Oberdank. 
È  tolto  così  un  pretesto  a  nuove  dimostrazioni  e  agitazioni  degl'  irre- 
dentisti in  Italia  ;  le  quali  agitazioni  e  dimostrazioni  avrebbero  costretto 
il  nostro  governo  a  nuovi  provvedimenti  di  rigore.  Del  resto  alle  mani- 
festazioni antimonarchiche  di  Parigi  si  sono  contrapposte  in  questi  giorni 
le  più  schiette  dimostrazioni  di  affetto  e  di  devozione  del  popolo  ita- 
liano alla  dinastia  che  ebbe  tanta  e  sì  gloriosa  parte  nel  compimento 
de'  suoi  destini.  La  visita  della  Regina  e  de'  Principi  di  Portogallo,  il 
varo  del  nuovo    incrociatore  Savoja,    furono    propizie  occasioni  per  la 


RASSEGNA    POLITICA.  173 

manifestazione  di  questi  sentimenti  dinastici  della  nazione,  e  certo  non 
si  sarebbe  potato  desiderare  una  più  solenne  protesta  contro  i  di- 
scorsi pronunziati,  ci  duole  il  dirlo,  da  italiani  nelle  riunioni  demago- 
giche parigine.  Ed  essendo  la  triplice  alleanza  confusa  dalla  demagogia 
italiana  con  le  istituzioni  monarchiche,  ne  consegue  necessariamente 
che  la  politica  interna  e  la  politica  estera  si  collegano  sempre  più,  della 
qual  cosa  si  è  persuasi  a  Vienna  e  a  Berlino  non  meno  che  a  Roma. 
Noi  non  siamo  di  quelli  che  sovrappongono,  in  ogni  caso,  gli  interessi 
dinastici  agli  interessi  nazionali,  ma  in  Italia  non  si  possono  disgian* 
gere  gli  uni  dagli  altri;  e  non  potrebbe  essere  altrimenti  in  un  passe 
dove  la  forma  monarchica  e  la  dinastia  sono  condizioni  indispensabili 
dell'unità. 

Neanche  al  governo  francese  devono  ri  uscir  gradite  le  dimostrazioni 
anarchiche  e  demagogiche,  se  dobbiamo  gìndieare  dal  rigore  di  cai  ha 
dato  prova,  in  questi  aitimi  tempi,  contro  i  perturbatori  dell'ordine  pub- 
Uieo.  Il  ministero  Ferry  haoommeaso  molti  errori,  ma  non  gli  si  può 
negar  la  lode  che  merita  per  aver  cercato  di  ristabilire  ali'  interno  la 
quiete  e  il  rispetto  della  legge  gravemente  compromessi  da'sooi  prede- 
>ri.  Il  processo  di  Laisa  Miefael  terminò  con  ana  severa  condanna 
»*  principali  accosat',  ai  quali  fa  inesorabilmente  applicata  la  pena  della 
reclusione,  considerandoli  rei  di  furto  e  di  saoeh^gio  aozichò  di  reati 
politici.  Se  qaeste  condanne  inflitte  dalla  Francia  repubblicana  agli  au- 
tori de'  tumulti  ed  ai  nemici  del  governo  esistente,  si  paragonano  a  qoelie 
che  nell'Italia  monarchica  colpiscono  chi  mette  a  repentaglio  la  quiete 
pubblica  e  perfino  le  relazioni  intemazionali,  non  si  può  a  meno  di  con- 
fsssareche  in  Italia  più  che  in  Francia  fioriscono  tutte  le  libertà,  com- 
presa quella  di  (are  il  maU.  B  siocoine  nessoa  uomo  di  senno  ardirà 
MMfirs  ebe  la  giustizia  fiwiosse  abbia  eoesdato  1  suoi  poteri,  così  se  ne 

ime  esiandio  ebe,  qualunque  sia  la  forma  del  governo,  al  principio  di 
"MrtorHA  spetU  il  diritto  della  legitiima  diCmà,  e  i  rep«bbUo«ii  e  i  ra- 
OOB  hanno  ragione  di  ÌApvmni  d«l  (rovemo  italiane  che  al  difende 

così  mite  misura. 

In  Francia  i  partiti  anarchici  non  si  danno  ancora  per  vinti  e  la 
condanna  di  Luisa  Michel  e  del  suo  complice  li  ha  vie  più  inaspriti. 
Ead  domandano  eoa  alte  grida  ebe  gli  effetti  della  sentenza  Tsagaoo 
imediatamento  riparati  e  si  conceda  ai  oooduinàti  1*  amnistia  in  oe- 
dalla  prossima   (asta   naaicnale.  E  già  si  minaeciaoo  oomisl,  e 

ri   torbidi,  e  terribili    vendette.    É  da  prevedere  ebe  qoànto  più 


174  RASSEGNA    POLITICA. 

forti  saranno  i  clamori,  tanto  maggiore  sarà  la  resistenza  del  governo 
pel  quale  il  domare  gli  anarchici  è  questione  di  vita- 
Ma  le  difficoltà  della  repressione  non  parranno  lievi  a  chi  consideri 
che  il  governo  del  signor  Grevy  è  costretto  a  lottare  contro  un  potere 
regolarmente  costituito  che  assumo  apertamente  il  patrocinio  delle  dot- 
trine più  sovversive  ed  è  pronto  a  rinnovare  da  un  momento  all'altro 
i  fasti  della  comune.  Questo  potere  è  il  consiglio  municipale  di  Parigi, 
emanazione  diretta  de'comunardi  e  che  con  questi  ha  pur  sempre  comuni 
le  aspirazioni.  Le  libertà  municipali  di  Parigi  sono  conciliabili  con  la  si- 
curezza del  governo  e  il  mantenimento  dell'ordine?  Ecco  il  problema 
che  la  terza  repubblica,  scostandosi  dalle  tradizioni  de'  governi  che 
l'hanno  preceduta,  tentò  di  risolvere  affermativamente,  senza  però 
raggiungere  il  nobilissimo  intento,  anzi  mettendo  sempre  più  in  luce  che 
a  Parigi  un  Consiglio  municipale  liberamente  eletto  non  può  essere  che 
un  governo  entro  il  governo,  un  nemico  ora  occulto  ora  palese  che 
insidia  di  continuo  e  tenta  di  usurpare  i  poteri  politici  legalmente  con- 
cessi dalia  Costituzione  al  presidente  della  repubblica,  ai  ministri  e  al 
Parlamento. 

Sventuratamente  il  governo  della  repubblica  non  è  obbligato  sola- 
mente a  premunirsi  contro  le  fazioni  anarchiche.  Presentemente  trovasi 
fra  due  fuochi:  gli  anarchici  da  una  parte,  i  clericali  dall'altra.  Si  po- 
trà discutere  sulla  opportunità  di  alcuni  provvedimendi  presi  dal  go- 
verno francese  contro  il  clero,  e  forse  avrebbe  fatto  meglio  di  aste- 
nersene per  non  accrescere  il  numero  di  coloro  che  apertamente  in- 
sorgono contro  la  repubblica.  Ma  d'altro  canto  è  pur  vero,  che  nessuno 
di  que'  provvedimenti  oltrepassa  le  facoltà  attribuite  al  governo  dal 
concordato  e  che  alcuni  di  essi  sono  in  vigore,  da  gran  tempo  in  molti 
paesi  cattolici  che  non  hanno,  come  la  Francia,  un  clero  salariato.  Il 
governo  francese  sopprimendo  o  sospendendo  lo  stipendio  ai  curati  che 
offendono  deliberamente  e  sistematicamente  le  leggi,  si  vale  di  un'  arma 
che  non  esce  dai  confini  delle  sue  attribuzioni.  I  vescovi  rispondono 
sopprimendo  addirittura  il  culto  là  dove  furono  soppressi  o  sospesi  gli 
stipendi.  Grande  è  la  perturbazione  che  queste  rappresaglie  recano  prin- 
cipalmente nelle  campagne,  e  certo  non  ci  guadagna  il  credito  della 
repubblica  impotente  a  ristabilire  l'esercizio  del  culto  là  dove  per  or- 
dine dei  vescovi  fu  abolito. 

La  Curia  romana  non  ha  tralasciato  di  trarre  vantaggio  da  questo 
conflitto  per  piegare  ai  suoi  voleri  il  Governo,  non  solo  nella  questione 


Il 


RASSEGNA    POLITICA.  175 

de'  carati  stipendiati,  ma  io  altre  parecchie  e  segnatamente  in  quella 
delle  corporazioni  religiose.  La  lettera  scritta  dal  Santo  Padre  al  Pre- 
sidente Grevy  è  an  fatto  del  qaale  si  cerca  invano  di  dissimulare  la 
gravità.  Leone  XIII  non  ignora  certamente  che  i  poteri  del  signor 
Grevy  sono  diversi  da  quelli  dell'Imperatore  Guglielmo  o  del  Principe 
di  Bismarck,  e  che  rivolgendosi  a  lui,  non  s'indirizzava  ad  un  monarca 
come  l'Imperatore  di  Germania,  in  certo  modo  superiore  agli  altri  po- 
teri pubblici,  ma  unicamente  al  capo  di  uno  Stato  democratico,  a  un 
Presidente  sottoposto  a  tutte  le  esigenze  del  regime  parlamentare.  Non 
ignorava  ciò,  diciamo,  eppure  ciononostante  pensò  che  lo  scrivere  al 
signor  Grcvy  anziché  al  ministero  fosse  il  mezzo  più  sicuro  per  fare 
impressione  sui  Francesi,  che,  in  mezzo  a  ripetuti  conati,  per  conqui- 
stare tutte  le  libertà,  conservano  più  d'ogni  altro  popolo  quelle  tradi- 
zioni autoritarie  che  ripudiano  a  parole  e  nei  Catti  sabisoono.  Il  Go- 
verno franceee  non  ha  pabblicato  la  lettera  del  Pontefice,  limitandosi  a 
dire  che,  essendo  essa  indirizzata  'al  signor  Grevj,  non  la  si  poteva 
considerare  che  eoroe  un  documento  privato.  Ma  in  verità  non  l'ha  pub- 
blicata perchò  ha  temuto  d'aocratoere  la  forza  ed  il  prestigio  del  Clero, 
non  badando  che  in  tal  guisa  n  esponeva  al  rimprovero  di  pusillani- 
mità, e  i  clericali  ne  avrebbero  tratto  argomento  a  nuovi  atti  di  bal- 
danza. Leone  XIII  non  dispera  di  venire  ad  ob  componimento  amiche- 
vole col  Governo  francese  come  già  si  è  àggiottàto,  almeno  in  parte, 
colla  Germania  e  colla  Russia,  proseguendo  eotà  il  suo  piano  di  paci- 
ficazione della  Chiesa  con  tutti  gli  Stati  fncrehè  con  l'Italia. 

Frattanto  però,  la  quesiiona  «edesiastica  soscita  nuovi  imbarazit  al 
ministero  Ferrj  già  mono  dà  tante  altre  eàute  e  in  specie  dalle  com- 
plicazioni nelle  quali  ha  gettato  la  Frància  là  tua  politica  coloniale.  8« 
al  Madagascar  non  ha  trovato,  almeno  finora,  gravi  ostàcoli,  altrettanto 
non  può  dirsi  del  Tonkino.  Le  notizie  intomo  alle  trattative  fra  il  Go- 
verno francese  e  la  China  moo  sooo  molto  chiare.  Pare  tuttavia,  ftàndo 
alle  più  accreditate  noCisIà,  ehà  là  mlàsiooe  del  signor  Trirou  sia  fkl- 
lita.  Era  oursa  la  voce  che  là  China  aveiàa  invocato  la  mediatione 
della  Russia,  ma  si  è  tosto  ioggiaoto  ch«  là  Roasia  aveva  declinato 
l'incarico.  Ciò  che  pare  non  poàsa  nMttani  ia  dubbio  si  è  che  In  China 
sarebbe  disposta  a  fkre  qoàlche  ooMiitioBe  alla  Frauda  a  coodiiione 
che  si  rieoaoieem  il  protettorato  dnese  soU'Annam.  vale  a  dire  ti 
tomààse  al  trattalo  eoBchiofo  dal  iigsor  Boarrée  •  che  il  Governo  fran- 
eeM  àon  volle  ratlileàM.  Ifà  il  protettorato  cìimm  soU'Annam  sarebbe 
ià  aperta  eontradisioae  con  la  politica   ob«  il  gabinetto  Ferr/  ha  an- 


176  RASSEGNA   POLITICA. 

nunziato  di  voler  seguire  in  quelle  regioni  ed  alla  quale  non  potrebbe 
rinunziare  senza  sentire  la  umiliazione  di  una  nuova  sconfitta  diploma- 
tica aggravata  da  una  sconfitta  militare  come  quella  di  Hanoi.  La  China 
non  desidera  la  guerra  ma  vi  si  prepara,  raccoglie  truppe  ai  confini  del 
territorio  già  occupato  dai  francesi,  e  si  provvede  di  navi,  di  armi  e  di 
munizioni.  Una  guerra  fra  la  Francia  e  la  China  finirebbe  non  ne  du- 
bitiamo, con  la  peggio  della  seconda.  Ma  la  Francia  dovrebbe  inviare 
in  quei  lontani  paesi  la  parte  migliore  delle  sue  forze,  e  fors'anche  sguer- 
nire di  truppe  i  suoi  possedimenti  africani,  o,  certamente  rinunziare  ad 
esercitare  qualsivoglia  azione  in  Europa.  E  non  ci  reca  meraviglia  che 
il  gabinetto  Ferry  sia  discorde  sulla  risoluzione  da  prendere  ed  esiti 
ad  assumere  una  responsabilità  di  tal  fatta. 

Roma,  30  giugno  1883. 

X. 


BOLLETTINO  F1NAN7L\R10  DELLA  QUINDICINA 


La  Società  delle  Strade  ferrate  meridionali.  Sno  andamento  dorante  l'anno 
1882,  e  saa  attitudine  al  presente.  La  questione  del  riscatto  dinanzi  agli 
Azionisti  e  dinanzi  alla  Camera.  —  Mercato  monetario  e  sitaasione  delle 
principali  Banche  di  emissione.  —  Accenni  alla  questione  delle  riserye 
metalliche  delle  Banche  italiane.  Una  risposta  al  Diritto,  —  Morimento 
delle  Borsa 


Non  essendo  ancora  pubblicata  in  relaziono  sulle  operazioni  fatte 
dalla  Banca  Toscana  di  Credito  neiranno  •corso,  dobbiamo  interrom- 
pere U  raMegna  intrapresa  degli  IsUtati  di  emissione  operanti  in  Italia; 
ma  speriamo  di  poterla  continuare  e  oltiraare  nel   bollettino   yenturo. 

Frattanto  gli  incidenti  sorti  dalfultima  deliberazione  degli  Azionisti 
delle  Ferrovie  Meridionali  e  la  nuova  situazione  che  questa  delibera- 
zione ha  creato,  ci  hanno  avvertita  la  opportunità  di  dire  qualche  cosa 
sulPattitudine  aasonta  dalla  Società  e  anche  quella  di  accennare  con 
brevi  tratti  all'andamento  della  ioa  amministrazione. 

Incominciando  da  quest'ultima,  ci  riferiamo  spedalmento  alle  no- 
tizie date  da  essa  intomo  alla  gestione  dell'anno  1883. 

La  sitaasione  finanziaria  della  Soeietà  (alla  data  del  primo  gen- 
naio 1883  era  U  tegnente:  emi  presentàTa  un  attivo  di  cassa  e  por- 
tafoglio di  L.  13;242.461.84  e  varii  crediti  per  L.  31,8^7,481,20; 
quindi  un  totale  in  attivlu  di  L.  45/)00,U4d.04.  DaU'altra  parte  le 
spese  presunte  per  Tanno  corrente  a  titolo  d*  imposte,  d' intaretsl  e 
ammortamenti  e  di  ooetrnsioni  t  altro,  ammontavano  a  L.  06,800,000  ; 
e  da  ciò  si  aveva  il  fit-bisogno  per  lo  stesso  anno  di  L.  21,790,066.00. 
determinato  dai  lavori  e  dalle  provviite  che  oooorreranno  per  la  oostru- 
sioM  delle  nuore  linee. 

Voi.  ZL,  §mÌ9  n  -  1  LmIU  MS.  Ifl 


178  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA  QUINDICINA. 

A  termini  della  convenzione  del  28  aprile  1881,  la  Società  fra  un 
minimum  di  mesi  25  e  un  maoctmum  di  mesi  50,  a  datare  dal  primo 
gennaio  1881,  doveva  compiere  e  tener  pronte  per  l'apertura  al  pub- 
blico esercizio  le  varie  sezioni  dei  tronchi  Benevento-Campobasso,  Ter- 
moli-Campobasso e  Aquila-Rieti-Terni.  Ora  la  relazione  ci  apprende 
che  parte  di  queste  sezioni  sono  già  ultimate  e  che  le  nuove  linee  in 
generale  si  troveranno  portate  a  fine,  nella  quasi  totalità,  molto  tempo 
innanzi  del  termine  stabilito.  I  lavori  più  difficili  sono  quelli  della  linea 
Aquila-Rieti  nella  quale,  tra  Rocca  di  Cerno  e  Ponte  Santa  Marghe- 
rita, s'incontrano  <juattordici  gallerie  che  misurano  nell'insieme  la  lun- 
ghezza di  oltre  cinque  chilometri,  parecchi  viadotti  e  tre  ponti  sul 
Velino.  Ma  lo  zelo  spiegato  dalla  Direzione  dei  lavori  ci  assicura  che 
le  promesse  fatte  nella  relazione  saranno  adempite.  A  ciò  si  aggiunge 
che  l'Amministrazione  ha  anche  accudito  con  pari  alacrità  ad  altri 
lavori  sulle  linee  in  esercizio,  ha  intrapreso  e  spinto  assai  innanzi  quelli 
di  riordinamento  della  stazione  di  Pescara  a  destra  del  fiume  ed  ha 
messo  mano  ai  lavori  della  stazione  definitiva  di  Taranto. 

Le  spese  di  costruzione  per  le  nuove  linee  Aquila-Rieti  e  Termoli- 
Campobasso-Benevento  ascesero  nel  corso  dell'anno,  escluso  il  materiale 
mobile,  a  L.  17,127,954.45.  Questo  importo  e  un'altra  partita  aggiun- 
tavi per  differenze  derivanti  da  giudizi  arbitrali,  portarono  la  spesa 
totale  di  costruzione  a  L.  408,527,670.97, 

Per  i  nuovi  tronchi  aperti  nell'anno  passato,  la  lunghezza  della  rete 
cresceva  da  chilometri  1450,68  a  chilometri  1550,48.  GÌ'  introiti  che 
stanno  in  relazione  colla  sovvenzione  governativa  ammontavano  a 
L  25,107,596.09;  quelli  pei  trasporti  speciali  fuori  sovvenzione,  a 
L.  267,254.13.  La  sovvenzione  dello  Stato,  accertata  nella  somma  di 
L.  24,237,360.15,  e  l'utile  netto  ricavato  dalla  linea  lombarda,  ceduta 
in  esercizio  alle  Ferrovie  dell'Alta  Italia,  nell'importo  di  L.  1,455,075.94, 
ascendevano  nel  complesso  a  L.  25,692,436.09  e  davano  una  differenza 
in  più  a  favore  dello  scorso  anno  di  L.  2,744,671.04.  Così,  fra  sov- 
venzioni e  prodotti,  la  entrata  della  Società  durante  l'anno  1882  am- 
montava a  L.  51,067,286.31  contro  quella  di  L.  47,817,366.83,  ottenuta 
nell'anno  antecedente. 

Esaminando  gli  stati  posti  a  corredo  della  relazione  si  vede  che 
l'aumento  conseguito  nell'anno  1882  deriva  per  intero  dal  movimento 
dei  viaggiatori,  e  che  le  eccedenze  più  notevoli  sono  state  date  dalla 
linea  Napoli-Eboli-Castellammare,  da  quella  Castelbolognese -Ravenna  e 
dalla  linea  Foggia-Napoli. 


w 


BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA.  179 

Per  conti'o,  nelle  linee  Bari-Taranto  e  Foggia-Bari,  la  concorrenza 
fatta  ad  esse  dalla  linea  di  Potenza  ha  determinato  anche  nello  scorso 
anno  nna  diminazione. 

Il  numero  dei  viaggiatori  è  cresciuto  per  tutte  le  classi,  eccetto  che 
per  la  quarta  a  prezzo  intero,  e  per  la  terza  e  quarta  a  prezzo  ridotto. 

Intorno  alle  mercanzie  trasportate  la  relazione  avvertiva  che  i  prin- 
cipali aumenti  caddero  nei  cereali,  nei  combustibili  vegetali,  nei  mate* 
riali  da  costruzione,  nei  metalli  lavorati  e  nelle  merci  diverse.  La 
distanza  media  del  trasporto  per  ciascuna  tonnellata  di  merce  a  tariffa 
ordinaria  fu  di  chil.  135,  con  una  diminuzione  rìmpetto  all'anno  1881 
del  4,93  per  cento. 

Del  movimento  complessivo  di  merci  a  piccola  velocità  avvenuto 
nell'anno  scorso,  il  66.84  per  cento  rappresenta  il  traffico  fra  stazioni 
sociali;  il  20.31  per  cento,  il  traffico  di  esportazione  dalle  linee  so- 
ciali ;  il  12.13  per  cento,  il  traffico  d'importazione,  e  finalmente  il  0.72 
per  cento,  il  traffico  di  transito  dall'Alta  Italia  e  dalle  Calabro-Sicule 
alle  Romane  e  viceversa. 

I  trasporti  del  bestiame  hanno  continaato  ad  emwé  in  aumento.  I 
capi  di  grosso  bestiame  ammontarono  a  166,618  •  di«d«ro  una  diffe- 
renza in  più  di  3,434  ;  quelli  di  piccolo  bestiame  atoetaro  a  326,074  e 
diedero  unn  differenza  in  meno  di  058.  Neil'  insieme  i  maggiori  tras- 
porti caddero  sul  piccolo  bestiame,  a  piccola  velocità. 

II  movimento  di  scambio  fra  la  rete  meridionale  e  le  altre  reti 
crebbe  notevolmente,  tanto  nella  esportazione,  quanto  nella  importazione 
Ciò  neir  insieme.  Nelle  particolarità,  lo  stato  che  lo  dimostra  segna  una 
diminuzione  di  quintali  16,420  nelle  esportazioni  verso  l'Alta  Italia, 
determinato  in  special  modo  dall' avveonta  diminuzione  nei  trasporti 
degli  zolfi. 

Nel  servizio  Intemazionale  le  Importazioni  sono  rimaste  pressoché 
stazionarie;  le  esportazioni,  in  grazia  delle  spedizioni  di  vino  per  la 
Fhancia  da  BarletU,  Molfetu.  Bari  e  Bisoeglie,  sono  erssoiaU  del  62.21 
fer  cento. 

Le  spese  totali  d*  esercizio  ddU  reto  meridionale  ascesero  a  lire 
19,826,123  82,  eontro  lire  17,602,723  23,  importo  delle  stesse  spsM 
neir  anno  1881.  Pertanto  1*  utile  netto,  tenendo  conto  dei  prodotti  del- 
l'esercizio o  dcgl*  introiti  diversi  nella  somma  di  lire  26,4(W,264  47, 
ammontò  a  lire  5,577,130  66.  Confrontandolo  con  l'utile  netto  ottenuto 
neir  anno  18SI.  si  ba  una  diminuzione  a  carico  dell'  anno  scorso  di 
ire  1,8  )0,821  53,  la  quale  «  derivata  dalle  maggiori  spese  per  lavori 


180  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

di  ampliamento  e  miglioramento  delle  stazioni,  per  consolidamenti  delle 
linee  e  per  altro. 

L'entrata  della  rete  Calabro-Sicula  ri  usci  a  lire  12,359,764  90  nel 
complesso,  dedotte  le  imposte  erariali,  e  a  lire  9,212  23  per  chilometro» 
Ciò  diede  un  aumento  del  6.  83  per  cento  suU'  insieme,  e  del  3. 62  per 
cento  per  chilometro.  Hanno  contribuito  all'  aumento  tutte  le  categorie 
di  trasporti  e  segnatamente  quelli  a  piccola  velocità  che  sono  avvenuti  a 
ragguaglio  di  83.  38  per  cento. 

Le  spese  ordinarie  di  esercizio  sono  ammontate  a  lire  12,576,690  58 
sul  complesso  e  a  lire  9,399.61  per  chilometro.  Quelle  straordinarie 
ascesero  a  lire  6,179,002  61.  Con  ciò  le  spese  eccedettero  sui  prodotti 
di  lire  6,395,928  29. 

La  relazione  chiudeva  esprimendo  la  convinzione  che  la  situazione 
della  Società  era  buona,  che  le  costruzioni  procedevano  bene  e  che  il 
traffico  aveva  un  regolare  sviluppo.  E  di  vero  questa  è  anche  la  conclu- 
sione alla  quale  deve  venire  chiunque  legge.  La  Società  delle  Meridionali 
è  la  sola  che  dopo  venti  anni  d' indefesso  lavoro  e  di  prudente  ammi- 
nistrazione, può  dire  di  essere  riuscita  ad  estendere  e  consolidare  il  suo 
credito  all'  interno  e  all'  estero  e  a  far  pregiare  i  servigi  che  essa  ha 
reso  e  può  rendere  al  paese. 

Alle  linee  in  corso  di  costruzione  verranno  aggiunte  quelle  di  Ca- 
serta-Cancello-Ottajano-Castellammare-Gragnano,  con  diramazione  ai 
porti  di  Torre  Annunziata  e  Castellammare.  Saranno  una  nuova  spinta 
data  al  traffico  e  un  degno  premio  alla  operosità  di  luoghi  industri  e 
fiorenti. 

E  ora  eccoci  alla  grossa  questione  del  riscatto. 

Mediante  la  convenzione  del  28  aprile  1881,  approvata  con  la  legge 
del  23  luglio  dello  stesso  anno,  il  Governo  acquistava  il  diritto  di  ri- 
scattare la  rete  delle  ferrovie  meridionali  alle  condizioni  che  seguono  : 

«  Si  prenderà  per  base  del  riscatto  delle  azioni  il  prezzo  di  lire  25 
di  rendita  per  ognuna,  se  si  tratta  di  riscatto  puro  e  semplice  ;  si  pren- 
derà invece  per  base  il  prezzo  di  lire  24  di  rendita  per  azione,  se  con- 
temporaneamente alla  convenzione  di  riscatto  ne  sarà  stipulata  colla 
Società  una  nuova  per  l'esercizio  di  una  delle  reti  che  fossero  affidate 
all'  industria  privata. 

«  Per  le  nuove  azioni  che  alla  Società  occorresse  di  emettere  in 
corrispondenza  agli  impegni  assunti  colla  presente  convenzione,  il  ri- 
scatto si  opererà  sulla  base  del  prezzo  di  emissione  calcolato  in  una 
somma  non  superiore  a  lire  450.  » 


BOLLETTINO   FINANZLIRIO   DELLA   QUINDICINA.  181 

Il  riscatto,  fermi  stanti  questi  patti,  poteva  accadere  fino  a  tatto  il 
31  dicembre  1882,  con  la  facoltà  della  proroga  di  altri  sei  mesi  dietro 
a  domanda  del  Governo  o  della  Società.  Questa  proroga,  come  tutti 
sanno,  f^he  effetto. 

A  questi  patti,  che  determinarono  i  rapporti  giuridici  fra  il  Governo 
e  la  Società,  gli  azionisti  ne  aggiunsero  altri,  consentanei,  in  riguardo 
alla  esecuzione  della  convenzione  nella  parte  accennata,  che  furono  1  se- 
guenti : 

«  É  data  facoltà  al  Consiglio  di  Amministrazione  di  aumentare  il 
capitale  sociale  emettendo  fino  a  centomila  azioni  nuove  di  lire  500  cia- 
scuna, al  portatore. 

<  Le  nuove  azioni  saranno  emesse  a  lire  450  ciascona,  prezzo  al 
quale  saranno  rimborsate  dal  Governo  qualora  avvenga  il  riscatto.  Fino 
a  quel  giorno  le  nuove  azioni  avranno  diritto  a^i  stessi  reparti  di 
utili  che  saranno  fatti  alle  vecchie  azioni  in  proporzione  oerò  dei  ver- 
samenti e  del  tempo  decorso  mii  medesimi. 

<  Quando  il  Governo  non  usi  della  facoltà  del  rùcatto,  le  nuove 
azioni  liberate  di  lire  450  saranno  in  tutto  equiparate  a  quelle  già  m 
circolazione  costituenti  il  capitale  primitivo  della  Società  e  saranno 
rimborsate  al  prezzo  nominale  di  lire  500  T  una  entro  il  termine  in 
cui  e  nei  modi  coi  quali  si  opera  Vestinzione  di  quelle  costituenti  il 
primitivo  capitale  sociale..  > 

Questi  e  gli  altri  patti  divennero  un  patto  anioo  per  effetto  della 
clausola  della  convenzione  che  la  rendeva  definitiva  e  valida  soltanto 
quando  fosse  stata  approvata  dall*  adunanza  generale  degli  asionisti 
della  Società  e  approvata  per  legge. 

Nessuna  obbiezione  è  stata  fotta,  per  quello  che  ne  sappiamo,  circa 
al  modo  d*  intenderli  ;  perciò,  dietro  alU  domanda  del  Oorsmo  ptr  OM 
nuova  proroga,  oltre  V  ultima  al  90  giugno  1888,  la  qosstione  fu  ridotta 
al  punto  di  saper*  sa  la  Società  avesse  il  diritto  di  consentirla,  •  ss, 
consentendola,  potasse  andare  immnna  da  qualunque  danno. 

I  considerando  premessi  alla  deliberaaiona  della  quale  è  stato  me- 
nato tanto  rumore,  coma  sa  fosse  stata  una  enormitA  od  una  aoointri- 
citA,  rispondono,  al  oostfo  parare,  nel  modo  più  asplleito  e  preeiso,  a 
tutte  queste  domanda.  BmI  dtoooo,  sansa  akmn  paoaiaro  soCUnisiO, 
he  la  convenzione  del  28  aprile  1881  ha  stabilito  speciali  diritti  a  flit* 
vere  di  una  eatefforìa  di  asionisti;  che  qualunque  deliberazione  sulla 
proroga  del  termine  pel  riseatto,  senta  il  preventivo  conaeaso  di  essi, 
avrebbe  ecceduto  le  facoltà  daU*adnnansa;  che  la  proposta  a  dalibara- 


182  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

zioni  relative  al  tempo  e  modo  del  riscatto  della  Società  avrebbero- 
potuto  essere  materia  d' interesse  comune  soltanto  quando  tutte  le  azioni 
fossero  divenute  di  egual  natura  e  di  eguale  condizione  giuridica,  e 
che  finalmente  la  concessione  di  un'  altra  proroga,  mancando  il  consenso 
dei  nuovi  azionisti,  avrebbe  esposto  la  Società  ad  una  serie  di  liti  e 
alle  conseguenze  derivanti  da  esse.  La  Società  delle  Romane  informi  ! 

Adunque  sopravvenendo  la  scadenza  del  30  giugno  1883,  senza  che 
tutte  le  condizioni  del  patto  fra  il  Governo  e  la  Società  fossero  state 
adempite,  si  capisce  come  l'accordo  dei  vari!  interessi,  esistito  fino  a 
quel  punto,  dovesse  necessariamente  degenerare  in  conflitto.  Dall'una 
parte  era  la  domanda  di  proroga  pura  e  semplice,  fatta  dal  Governo 
per  servire  a  convenienze  parlamentari,  o  di  altra  natura,  che  veni- 
vano a  ledere  l'interesse  degli  Azionisti.  Dall'altra  sorgeva  l'alternativa 
per  la  Società  o  di  sobbarcarsi  ad  un  grave  sacrifizio  pecuniario  per 
far  largo  a  quelle  convenienze  e  dirimere  qualunque  conflitto  fra  azio- 
nisti e  azionisti,  o  di  scindersi.  In  verità  noi  intendiamo  che  in  casi 
eccezionali,  e  per  ragioni  altissime  di  ordine  pubblico,  una  società  ita- 
liana possa  sorpassare  su  qualche  particolare  interesse;  ma  non  inten- 
diamo che  debba  fare  sacrifizio  di  sé  a  dirittura  solamente  per  lasciare 
che  il  governo,  il  quale  ha  ondeggiato  fin  qui  fra  partiti  diversi,  trovi 
il  tempo  e  il  comodo  di  stabilire  quando  che  sia  che  cosa  gli  convenga. 

Per  queste  considerazioni  noi  ci  separiamo  affatto  da  coloro  i  quali, 
trovandosi  a  stremo  di  buone  ragioni,  gridano  contro  la  Società  delle 
Meridionali  e  i  suoi  Amministratori  e  accusano  questi  e  quella  di  deli- 
berazioni prese  per  dispetto  o  per  ostilità  al  Governo,  All'opposto  noi 
pensiamo  che  il  partito  vinto  nell'adunanza  straordinaria  del  19  giugno 
sia  stato  il  solo  razionale  e  possibile  e  il  solo  che  nel  modo  come  sta- 
vano le  cose  abbia  potuto  salvare  ancora  tutti  gl'interessi. 

Di  ciò  ci  hanno  persuaso  pure  le  dichiarazioni  fatte  all'uopo  dal- 
l'on.  Ministro  dei  lavori  pubblici,  per  dimostrare  che  il  Governo  con 
l'abbandono  del  riscatto  nel  termine  convenzionale  non  recava  allo  Stato 
alcun  pregiudizio.  Esse  a  giudizio  nostro  non  potevano  essere  né  più 
esplicite  né  più  precise. 

Il  Governo  —  egli  ha  detto  —  rinunziando  alla  facoltà  del  riscatto, 
riacquista  la  sua  piena  libertà  d'azione  e  non  pregiudica  nulla  ;  non  la 
forma  dell'esercizio,  non  l'assetto  delle  reti.  E  all'on.  La  Porta  che  gli 
ricordava  le  deliberazioni  della  Commissione  d'inchiesta  e  gli  affacciava 
dei  dubbi  sull'abbandono  del  riscatto,  sia  in  rapporto  alla  situazione  fu- 
tura della  Società  delle  Meridionali,    sia   in   riguardo   all'ordinamento 


BOLLETTINO   FINANZLUUO   DELLA   QUINDICINA.  183 

delle  due  reti  longitudinali  e  alla  libertà  d'azione  del  Governo  nella 
questione  defle  tariffe,  ha  risposto  ripetutamente  nei  termini  che  se- 
guono. «  Poteva  io,  riscattando  le  strade  ferrate  meridionali  e  dichia- 
randomi addirittura  partigiano  delle  Società  di  esercizio,  vincolarmi 
a  trattare  con  la  società  delle  Meridionali  dell'esercizio  stesso,  scegliendo 
una  delle  due  forme  che  la  legge  tassativamente  impone  al  governo 
per  il  riscatto  ?  Poteva  io  fere  il  riscatto  puro  e  semplice  ì  E  sarebbe 
opportuno  di  emettere  ora  molti  milioni  di  rendita  pubblica  ?  » 

E  più  innanzi  :  <  Non  riscattando  oggi,  il  Governo  non  a"  impegna 
non  si  attira  sulle  braccia  strade  che  non  saprebbe  come  esercitare 
non  s'impegna  a  dovere  necessariamente  trattare  con  la  Società  delle 
Meridionali,  mentre  può  affrontare  in  migliori  condizioni  il  problema. 
Esso  è  più  vasto  di  quelle  che  non  si  presentò  nel  1877,  e  noi  ab- 
biamo bisogno  di  tutta  la  libertÀ  nostra  per  poterlo  risolvere  come 
richiedono  gl'interessi  generali  del  paese.  > 

E.  per  ultimo  :  <  Ora  non  soltanto  si  deve  stabilire  la  form  a  del- 
l'esercizio delle  strade  costmite,  ma  si  tratta  anche  di  provvedere  al  la 
costruzione  ed  all'esercizio  delle  strade  naove.  È  questa  una  delle  ra- 
gioni che  m'impediscono  di  risolvere  l'i,  su  due  piedi,  la  questione  delle 
strade  ferrate.  Ma  la  deliberazione  del  Goyemo  non  pregiudica  a  nalla, 
nemmeno  alla  divisione  delle  due  reti  longitadinali,  giacchd  questa  di» 
visione,  questo  aggruppamento  di  reti  potrà  essere  ottenoio  benissimo 
ad  onta  che  non  ni  faccia  oggi  il  riscatto.  » 

Ritenuto  tutto  questo,  a  noi  pare  che  della  discussione  fetta  alla 
Camera  nella  tornata  del  23  giugno  e  della  deliberazione  degli  axionisU 
della  Società  delle  meridionali,  si  possa  dire  in  conclusione:  contenti 
tatti  I  E  forse  questa  è  la  verità  vera,  sebbene  pel  colore  dato  alla 
cosa  da  nna  delle  parti  contendenti  possa  sembrare  una  burla. 

Per  conto  nostro,  poiché  abbiamo  dello  Stato  un'idea  molto  diversa 
da  quella  che  porta  la  moda,  sebbene  i  feutori  dello  Stato  proprie- 
tario e  quelli  dello  Stato  ooetmttore  ed  esercente  rischino  di  trovarsi 
a  sostenere,  come  arviene  spesso  in  Italia,  idee  tmtmt  aaebe  dalla 
democraxia  francese,  didamo  che  le  due  deliberasiotti  «oeennate  sono 
state  un  vero  benefizio,  perchè  qui  o*è  da  temere  più  dal  non  avere 
i  nostri  governanti  di  nessun  partito,  che  dal  vederne  loro  prendere  uno 
qualunque.  Al  tempo  ohe  fe,  dallo  stato  proprietario  di  tutte  le  linee 
saremmo  scivolati  allo  Stato  esercente  senza  avvedercene. 

Frattanto  non  dobbiamo  sorpMsare  ohe  fra  mexzo  alle  dichiarazioni 
avvertite  e  ad  altre  che  omettiamo  per  brevità,  scattò  qualche  minse- 


184  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

eia  e  giunse  al  Governo  e  alla  Camera  l'ammonimento  di  non  dimen- 
ticare, e  fu  alla  società  delle  Meridionali  rimproverato  il  poco  cortese 
e  giustificato  diniego.  Ma  ci  affrettiamo  a  soggiungere  che  la  tempera- 
tura  era  piuttosto  alta  in  quel  punto  e  che  il  testo  officiale  ne  ara- 
maestra  che  le  cose  non  andarono  fin- dove  vennero  portate  dai  resoconti 
riferiti  da  alcuni  giornali,  e  ne  siamo  lieti,  perchè  non  sappiamo  che 
le  critiche  appassionate  abbiano  giovato  mai  né  al  prestigio  dei  Parla- 
menti nò  al  mantenimento  del  credito. 

Senza  dubbio  il  problema  è  grave  e  complesso;  ma  appunto  per 
questo,  elevandoci  ad  intendimenti  più  alti,  ci  richiamiamo,  per  una 
parte,  piuttosto  che  ad  uno  dei  patti  stipulati  con  la  convenzione  del 
28  ottobre  per  l'esercizio  delle  Calabro-Sicule  e  ad  una  delle  disposi- 
zioni della  legge  di  concessione  delle  Meridionali,  come  ad  armi  offen- 
sive nelle  mani  del  Governo,  all'art.  4  della  legge  memoranda  del  1876 
e  alle  dichiarazioni  fatte  intorno  a  questo  articolo  dall'illustre  e  bene- 
merito Uomo  di  Stato  barone  Ricasoli.  Vale  la  pena  di  tornarvi,  e  di 
meditarvi!  Dall'altra  parte,  piuttosto  che  a  fini  reconditi  e  a  dispetti 
muliebri  che  contrastano  troppo  con  la  fama  di  serietà  e  regolarità  di 
un'amministrazione  indicata  ad  esempio  per  lunghi  anni,  torniamo  con 
piacere  ai  propositi  manifestati  dalla  Società  delle  Meridionali  nello 
stesso  punto  nel  quale  era  tratta  a  dare  voto  non  favorevole  alla  pro- 
roga del  riscatto. 

«  La  società  è  salda  nella  determinazione  : 

«1.  Di  secondare  gl'intendimenti  del  governo  per  l'assetto  delle 
strade  ferrate  italiane  in  quel  modo  che  egli  giudicherà  più  vantaggioso 
alle  nostre  industrie  ed  ai  nostri  commerci. 

«  2.  Di  prestarsi  a  tutto  quanto  possa  conciliare  con  le  condizioni 
del  pubblico  erario  gl'interessi  generali  del  paese  e  quelli  particolari 
della  società  nostra.  » 

Solamente  in  questo  modo  e  con  questi  intendimenti  il  grosso  pro- 
blema potrà  essere  risoluto  con  reciproco  vantaggio  delle  parti.  Ma  im- 
porta che  gl'indugi  sieno  troncati,  che  lo  Stato,  il  primo,  intenda  che 
tutti  gli  interessi  devono  essere  rispettati,  e  che  il  Governo  abbia  fi- 
nalmente una  politica  ferroviaria  palese  e  concorde. 


L'ultima  situazione  delle  Banche  associate  di  New- York,  a  noi  nota 
in  questo  punto,  è  quella  alla  data  del  23.  Dal  9  giugno  a  quest'  ul- 
tima data,  il  fondo  metallico  è  cresciuto  di  dollari  1,600,000  eia  ecce- 


BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA.  185 

denza  sulla  riserva  è  aumentata  di  150,000.  Cosi  il  primo  è  salito  a 
dollari  63,200,000  e  la  seconda  ha  toccato  la  somma  di  8,925,000.  Pa- 
ragonando l'ultima  situazione  con  quella  alla  data  del  24  giugno  del- 
l'anno scorso,  si  ha  che  la  situazione  odierna  sorpassa  l'altra  in  amendue 
i  capitoli;  nel  fondo  metallico  di  dollari  4,200,000  e  nella  eccedenza 
di  450,000.  Ciò  è  molto  in  riguardo  al  presente,  ma  è  poca  cosa  nei 
rispetti  dell'avvenire  poichè,|da  più  parti  vien  confermata  la  probabilità  che 
le  Banche  possano  prima  dell'autunno  perdere  buona  parte  del  loro  fondo 
di  cassa.  Nell'anno  scorso,  alla  fine  di  agosto,  nel  luogo  della  eccedenza 
d'ora,  la  situazione  delle  Banche  segnava  già  deficienza. 

Il  cambio  su  Londra  rimasto  per  qualche  tempo  quasi  al  punto  del- 
l'oro, è  caduto  da  4,85  li2  a  4,84  1|2,  che  ò  il  corso  nel  quale  dura 
dal  giorno  26. 1  banchieri  hanno  riflettuto  molto  probabilmente  che  una 
esportazione  d'oro  in  questa  stagione,  rimpetto  alla  qaksi  certezza  di 
un  movimento  opposto  fra  doe  o  tre  mesi,  sarebbe  stato  un  partito 
inopportuno.  Il  prezzo  del  danaro  è  assai  basso.  L* offerta  di  capitali 
oltrepassa  di  gran  lunga  la  domanda.  Si  calcola  che  questo  stato  di 
cose  possa  durare  fino  a  loglio  inoltrato. 

Deir  Inghilterra,  stando  eaclusivamente  ai  risultaroenti  dai  bilance 
della  Banca,  abbiamo  notizie  che  sono  discrete.  Il  fondo  in  oro  è  au- 
mentato di  sterline  1,611,771  e  la  riserra  totale  di  2,771,091.  Ciò  di- 
nota che  la  situazione  della  Banca  ò  migliorata  per  i  bisogni  presenti 
e  imminenti;  ma  non  lo  ò  ancora  quanto  basta  per  quelli  che  possono 
«opravvenire.  So  questo  punto  anche  il  Times  ò  venuto  rinnovando 
i  dubbi  che  noi  abbiamo  espresso  e  confortati  con  buone  ragioni  nei 
bollettino  antecedente.  Frattanto  il  confronto  fra  l'ultiou  sitoasiona  al 
27  con  quella  al  28  giugno  dell'anno  soofso,  oonfarma  la  MoessitA  per 
la  Banca  di  rinvigorirsi  ancora,  giaeehè  il  fondo  metallico  «  sampra 
minore  di  sterline  1,042,188  a  la  risenra  di  si.  1,315,238.  Si  noti  che 
nella  settimana  dal  20  al  27  la  itaasa  riaanra  è  diminuiU  di  st.  32,353. 

I  cambi  esteri  non  hanno  mosso  maggiormaota  io  favore  di  Londra. 
rcrcìo,  sparita  la  speranza  di  attrarrà  Toro  sia  dall' America,  sia  da 
altri  centri,  come  la  Francia  a  la  Germania,  il  mercato  londinese  pad 
contare  solamente  sullo  importasioni  dall'Australia,  a  queste  sono  yia 
più  ristretto.  Cosi  l'avvenire  non  si  presenta  sotto  Taspetto  più  soddi- 
sfacente. A  questo  si  aggiunga  che  aall'ultima  settimana  la  ciroolaiiona 
della  Banca  «  aumentata  di  starlina  377.020  a  cita  essa  può  aomantare  an» 
Cora  più.  come  negli  anni  andati  in  questo  lampo.  Un  aumento  fomiglianta 
determinerebbe  oaaasnriaiuaata  una  nuova  diminuiiuno  dalla  riserva. 


186  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

Malgrado  ciò,  non  sembra  che  i  prezzi  del  danaro  debbano  essere 
molto  alti.  Alla  vigilia  della  liquidazione  i  prestiti  brevi  facevano  3  l[l 
e  la  carta  a  3  naesi  variava  da  3  3(8  a  3  I{3  per  100.  Peraltro  convien 
por  mente  che  le  Banche  del  Joint-Stock,  cedendo  come  di  consueto 
alla  smania  di  farsi  vedere  ben  fornite  nella  imminenza  del  pagamento 
dei  dividendi,  devono  aver  chiuso  i  loro  conti  oggi  stesso  30,  e  che,  in- 
cominciando da  lunedi  prossimo  cureranno  il  ritiro  delle  somme  antici- 
pate ai  sensali  di  cambio.  Ciò  potrà  produrre  qualche  rialzo  nei  prezzi, 
per  quanto  i  corsi  accennati  debbano  essere  attribuiti  alla  mancanza 
completa  di  affari. 

Le  situazioni  della  Banca  di  Francia  dal  7  al  28  giugno  presentano 
la  diminuzionei  di  circa  5  milioni  nel  fondo  in  oro,  l'aumento  di  circa 
76  milioni  nel  portafoglio,  che  va  a  carico  esclusivamente  della  situa- 
zione al  28,  e  la  diminuzione  di  8  milioni  nella  circolazione.  I  conti 
correnti  sono  in  aumento.  Da  anno  ad  anno,  l'ultima  situazione  eccede 
quella  al  29  giugno  1882  di  oltre  32  milioni  nel  fondo  in  oro  e  di 
circa  228  nella  circolazione;  negli  altri  principali  capitoli  vi  sta  al. 
disotto.  E  noto  che  la  Banca  ha  stabilito  un  dividendo  di  franchi  120 
al  netto  dell'  imposta  su  ciascuna  azione  di  5290. 

Nel  mercato  libero  durano  gli  effetti  dell'aumentato  saggio  dei  Buoni 
del  Tesoro,  che  rese  il  denaro  piuttosto  scarso,  e  incominciano  a  farsi 
sentire  quelli  determinati  dal  pagamento  dei  dividendi.  Ma  le  transa- 
zioni sono  state  e  sembrano  ancora  limitatissime.  Lo  sconto  fnori  banca 
vien  segnato  nominale  a  2  1]2.  Lo  cheque  su  Londra  ha  oscillato  tra. 
25.31  e  25.29. 

Intorno  alle  Banche  di  emissione  svizzere  abbiamo  la  situazione  al 
23  corrente,  la  quale  segna  il  fondo  metallico  legale  di  fr.  57,015,449, 
una  potenza  di  emissione  di  103,472,610  e  una  circolazione  di  90,811,585. 
Paragonando  queste  cifre  con  quelle  della  situazione  al  26  maggio,  si- 
ha  che  il  fondo  metallico  e  la  potenza  di  emissione  sono  diminuiti,  e 
«he  la  circolazione  è  cresciuta  ;  ma  queste  differenze  sono  di  poco  ri- 
lievo. Il  fondo  metallico  eccede  ora  di  franchi  20,690,815  il  40  per  cento 
della  circolazione,  e  le  Banche  possono  emettere  ancora  biglietti  per  la 
somma  di  fr.  12,661,925. 

Il  saggio  dello  sconto  presso  le  Banche,  nelle  varie  piazze  della  Con- 
federazione, è  rimasto  quale  era. 

Le  previsioni  espresse  da  noi,  quindici  giorni  or  sono,  relati vamente- 
alla  Banca  dell'Impero  germanico,  hanno  avuto  finora  piena  conferma 
nei  fatti.  L'aumento  negl'impieghi  è  stato  sensibilissimo;   il  portafoglio 


BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA.  187 

è  cresciuto  di  marchi  34  milioni  ;  le  anticipazioni  sono  aumentate  di  7. 
In  conseguenza,  anche  la  circolazione  è  salita  a  marchi  42  milioni. 
All'opposto  sono  diminuiti  :  il  fondo  metallico,  di  oltre  4  milioni;  i  bi- 
glietti di  Stato,  di  912  mila,  e  i  conti  correnti  di  7  milioni  di  marchi. 
Le  variazioni  più  rilevanti  sono  avvenute  nella  scorsa  settimana  ;  in 
quella  che  si  chiude  oggi,  che  ò  Tultima  del  semestre,  ne  accadranno 
in  proporzioni  anche  maggiori.  Nell'anno  passato  1'  aumento  negli  im- 
pieghi fu  di  23  milioni  dì  marchi  per  la  terza  settimana  di  giugno  e 
di  96  per  la  quarta;  in  quest'anno  l'aumento  corrispondente  nella  terza 
settimana  è  stato  di  circa  45  milioni.  Ma  pel  nuovo  semestre,  come 
dicemmo  giÀ,  si  prevede  un  continuo  decremento.  Frattanto  aggiun-^ 
giamo  che  la  8ÌtU:>zione  al  23  ò  assai  migliore  di  quella  dell'anno  scorso 
a  pari  data,  nella  quale  il  fondo  metallico  era  minore  di  40  milioni  di 
marchi. 

Le  spedizioni  d'oro  in  Inghilterra  sembrano  definitivamente  cessate. 
É  vero  che  le  ultime  notizie  recano  che  il  danaro,  rimasto  lungo  tempo 
a  3  5(8  per  cento,  fuori  Banca,  ò  salito  a  3  3(4,  e  che  il  prezzo  pei 
riporti  in  liquidazione  è  andato  in  ultimo  al  5  1(2  e  anche  al  6  per 
cento.  Ma  nell'  insieme  nulla  indica  che  la  Banca  debba  ricorrere 
ad  un  rialzo  del  saggio  officiale,  nemmeno  in  vista  (lell'aamento  degli 
impieghi. 

Nell'ultimo  bollettino  abbiamo  esaminata  la  situazione  della  banca 
Austro-Ungarica  al  7  giugno;  ora  ci  troviamo  lott'occhi  l'ultima  pub- 
blicata, che  è  quella  del  23.  I  mutamenti  avvenuti  fra  questa  date  ca- 
dono ancor  qui  sulla  settimana  passata,  per  i  bisogni  del  pagamento 
degl'  interessi  di  luglio.  Cosi  vediamo  che  il  fondo  metallico  e  i  biglietti 
di  Stato  sono  diminuiti,  l'uno  di  fiorini  1,434,000,  gli  altri  di  243  ralla. 
Sono  invece  aumentati  :  il  portafoglio,  di  fiorini  7  milioni  ;  le  anticipa- 
zioni, di  802;000;  la  cirooUtioM,  di  5  miliooi.  Nell'anoo  soorao  a  pari 
data,  la  sitoasiooa  era  alquanto  divaria,  giacché  praaantava  una  dimi- 
nuzione tanto  nella  circolazione,  quanto  nel  portafoglio.  Nal  confronto 
da  anno  ad  anno,  vediamo  che  tutti  i  capitoli  accennati  sono  ora  in 
aumento;  il  fondo  maUllico,  di  13  1(2  milioni;  il  portafoglio,  di  circa 
8  milioni;  le  antieipaziooi,  di  quasi  2,  a  la  circolazione,  di  12  1(2 
circa. 

Dalla  cifra  aspoata  appare  quanto  sta  sensibile  nel  mercato  viannaaa 
la  scartità  dal  danaro.  Oià  fin  dai  primi  di  maggio  la  Direziona  dalla 
Banca  evitò  di  acontara  al  disotto  del  saggio  ofildala,  pravadando  con 
ragiona  che  i  bisogni  sarabbaro  divenuti  più  forti  alla  fine  del  lame- 


188  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

atre.  Frattanto  è  da  aspettarsi  un  aumento  negli  impieghi  pure  per  la 
settimana  prossima.  Nel  corso  del  mese  di  luglio  le  somme  ora  acca- 
parrate, ritornando  al  mercato,  vi  ricondurranno  senza  dubbio  maggior 
facilità;  ma  prevale  la  credenza  che  nell'autunno  una  certa  carestia 
sarà  inevitabile.  La  Direzione  della  Banca  terrà  certamente  conto  di 
ciò  per  sovvenire  il  mercato  ne'  suoi  bisogni. 

Nel  mercato  libero  non  si  è  più  scontato  al  di  sotto  del  saggio  of- 
ficiale; il  danaro  è  rimasto  piuttosto  scarso  con  viva  richiesta,  da  4  a 
4  1{2  per  cento. 

;  La  situazione  al  23  della  banca  Neerlandese  segna  una  nuova  di- 
minuzione del  capitale  operante.  Nel  confronto  colla  situazione  al  26 
maggio,  che  è  quella  esaminata  nell'  ultimo  bollettino,  il  portafoglio  è 
decresciuto  di  fiorini  7  milioni;  le  anticipazioni  sono  diminuite  di  oltre  11. 
All'  opposto,  il  fondo  metallico  ha  avuto  un  ulteriore  aumento,  ben- 
ché di  poco  rilievo;  esso  è  di  fiorini  54,000  pel  fondo  in  oro  e  di  75,000 
per  quello  in  argento.  La  circolazione  è  scemata  di  fiorini  11,583,000. 
Comparando  la  situazione  al  23  con  quella  al  24  giugno  1882,  vediamo 
che  la  prima  è  assai  più  soddisfacente,  giacché,  mentre  la  circolazione 
tocca  quasi  la  stessa  cifra  così  nell'  una  come  nell'  altra,  il  fondo  me- 
tallico é  maggiore  di  oltre  27  1|2  milioni  di  fiorini  e  gli  impieghi  sono 
minori  di  circa  11.  Data  la  buona  situazione  della  Banca  e  1'  abbon- 
danza del  danaro  nella  piazza  di  Amsterdam,  il  saggio  di  quel  mercato 
monetario,  che  é  da  4  a  '4  1|2  per  cento  per  le  anticipazioni  su  titoli, 
può  parere  un  poco  elevato. 

La  Banca  Nazionale  Belga  presenta  una  situazione  abbastanza  fa- 
vorevole. Dal  7  giugno  al  21,  tutti  i  principali  capitoli  sono  diminuiti 
salvo  quello  dei  conti  correnti  particolari,  che  offre  un  aumento.  Le 
differenze  in  meno  sono  di  fr.  4,339,000  pel  fondo  metallico,  di  374,000 
pel  portafoglio,  di  circa  4  milioni  per  le  anticipazioni,  di  oltre  5  per 
la  circolazione  e  di  4  e  mezzo  milioni  per  i  conti  correnti  del  Tesoro. 
L'aumento  nei  conti  correnti  ascende  ad  oltre  un  milione.  La  propor- 
zione tra  gli  impegni  a  vista  e  le  disponibilità  è  di  41  per  cento,  men- 
tre la  Banca  è  tenuta  al  33  per  cento  solamente.  Nell'anno  passato,  al 
22  giugno,  il  fondo  metallico  e  i  conti  correnti  particolari  erano  mag- 
giori; il  primo,  di  franchi  3,885,000;  i  secondi  di  1,624,000.  Per  contro, 
il  portafoglio  e  le  anticipazioni  erano  minori,  distintamente,  di  circa  9 
milioni;  la  circolazione  di  2  e  i  conti  del  Tesoro  di  circa  14  milioni. 
Oltre  a  ciò  vediamo  che  gli  sconti,  i  quali  adeguano  ora  la  cifra  dì 
205  milioni,  toccavano  alla  data  corrispondente  dell'  anno  passato  235 


BOU.ETTINO   FINANZIAiaO   DELLA   QUINDICINA.  189 

milioni,  sebbene  il  saggio  dello  sconto  fosse  allora  più  alto  dì  uno  per 
cento.  Da  ciò  le  voci  corse  di  un  prossimo  ribasso  del  saggio  della  Banca 
Nazionale,  la  quale  lo  tiene  al  3  1|2  per  cento  dal  febbraio  ultimo. 

Nulla  si  ha  dalla  Spagna  che  riguardi  al  soggetto  di  questa  ras- 
segna. È  noto  che  le  situazioni  di  quella  Banca  sono  mensuali. 

Da  Atene  è  venuta  la  notizia  che  il  governo  ha  contratto  all'estero 
un  prestito  di  130  milioni  in  oro  a  modico  interesse,  per  volgerlo  alla 
abolizione  del  corso  forzoso  ;  ma  non  ne  conosciamo  esattamente  le  par- 
ticolarità. Secondo  la  versione  di  qualche  diario,  pare  che  la  Banca 
Nazionale  dovrebbe  avere  di  quella  somma  circa  72  milioni  e  che  il 
resto  verrebbe  impiegato  nella  conversione  di  prestiti  per  lavori  pub- 
blici. Frattanto  ò  da  avvertire  che  la  circolazione  della  Banca  ascende 
a  100  milioni  di  dramme  e  che  il  valore  del  napoleone  d'oro  in  Grecia 
6  salito  a  24  franchi. 

L'esame  delle  situazioni  della  Banca  Nazionale  italiana  dal  31  maggio 
al  20  giugno  offre  l'aumento  di  circa  9  milioni  nel  fondo  in  oro  e  di 
circa  nn  milione  in  quello  in  argento,  e  una  diminuzione  di  4  milioni 
nei  biglietti  consorziali.  Ciò  per  la  riserva  e  cassa.  Il  portafoglio  segna 
l'aumento  di  poco  più  di  un  mezzo  milione;  la  iDticipazioni  a  la  cir- 
colazione segnano  una  diminuzione,  la  quale  ò,  per  le  una,  di  circa  un 
milione  e  per  l'altra  di  ciroa  7  milioni.  Pertanto  la  droolationa  affet- 
tiva all'ultima  data  ammontava  a  L.  417  milioni.  Comparando  la  si- 
tuazione al  20  giugno  cadente  con  quella  alla  staasa  data  dell*  anno 
passato  si  ha  per  la  prima  l'aumento  di  oltre  41  milioni  nel  fondo  in 
oro  a  di  circa  24  nel  fondo  in  argento,  e  la  diminutione  di  oltre  18  mi  • 
lioni  nei  biglietti  già  consorziali.  Negli  altri  capitoli,  occattoato  il 
portafoglio,  si  ha  diminuzione.  Tutti  questi  dati  dimostrano  che  la 
situazione  odierna  dalla  Banca  è,  sott'ogni  rispetto,  dvoravolistima. 

In  quest'ultinui  saitimaaa  dal  maaa  sono  incominciati  i  grossi  mer- 
cati dai  bozzoli.  È  ormai  noto  eha  il  tempo,  nonostante  la  sua  stra- 
vaganza, ci  ha  consentito  an  buon  raocolio.  Il  prtuo  par  la  qualità  mi- 
gliori ha  adagnato  quello  di  lira  3.60  par  ohilogramma.  In  oonsagoanu 
la  domanda  di  ioooto  sono  stata  imponanii  ;  aasa  hanno  assorbito  totta 
la  somma  dispoaibili  dai  banchieri  a  dai  varii  latitati  di  Credito  ad 
asiandio  qoaUa  dalia  Banca  Nasionala,  la  quali,  coma  abbiamo  vadoto, 
arano  larghtaiiiBa.  E  ooo  ea  Da  dogliamo  davvero,  sabbana  aio  abbia 
potuto  rastrìngara  la  diapooibilità  par  i  riporti  nella  Borsa,  perchè 
questo  fortunato  movimento  «salcora  naova  importazioni  d*  oro  eha 
aamantanuino  la  ciroolaiioDa  nonauria  dal  nostro  paaaa. 


190  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

Intorno  al  provvedimento  pendente  per  abilitare  le  Banche  di 
emissione  a  rinvigorire  le  loro  riserve  metalliche,  nessun  passo.  Ma 
questa  è  un'osservazione  che  riguarda  esclusivamente  all'attitudine  del 
Governo. 

Invece,  dall'ultimo  bollettino  in  poi,  nella  stampa,  è  avvenuto  qualche 
cosa.  Mentre  noi  avevamo  accennato  alla  questione  e  alle  considera- 
zioni fattevi  da.\V  Opinione  in  favore,  sopraggiungeva  un  nuovo  articolo 
dello  stesso  reputato  diario,  inteso  ad  esporre  alcuni  dubbi  sorti  nel- 
animo  di  qualcheduno  sulla  convenienza  del  provvedimento  considerato 
sotto  l'aspetto  di  una  probabile  invasione  dell'argento;  e  un  altro  del 
Pungolo  di  Napoli,  guardando  la  cosa  sotto  l'aspetto  esclusivo  di  un 
aumento  della  circolazione  cartacea,  confondeva  e  alterava  stranamente 
idee  e  fatti.  Frattanto  veniva,  terzo  interlocutore,  il  Diritto,  al  quale 
pungeva  sopratutto  il  dubbio  che  il  provv^edimento  invocato  potesse 
riuscire  a  vantaggio  di  uno  o  due  Istituti  soltanto,  ma  senza  che 
dall'insieme  delle  sue  considerazioni  si  avesse  a  concludere  che  egli  vi 
fosse  avverso  senz'altro. 

Ora  V  Opinione  in  un  articolo  "recente,  ma  non  suo,  che  risponde  a 
quei  dubbi,  e  il  Diritto  ancora,  per  impulso  avutone  da  quest'  ultima, 
son  tornati  alla  questione,  ma  in  quanto  diverso  modol 

Riassumiamo.  L'articolo  comparso  nel  primo  diario  toglie  via  lo 
spauracchio  che  dal  provvedimento  invocato  possa  venire  un'invasione 
del  metallo  bianco.  Infatti  esso  dimostra  che  la  facoltà  chiesta  per  le 
Banche  può  avere  il  solo  effetto  di  spostare  la  massa  metallica  che 
esiste  in  paese;  non  di  aumentarla  e  non  di  diminuirla.  E  su  ciò  non 
c'è  altro  da  dire. 

L'articolo  del  Diritto  si  duole  che  il  polemista  ospitato  deiW Opinione 
gli  abbia  attribuito  il  pensiero  di  osteggiare  il  provvedimento  proposto 
solamente  perchè  questo  non  profitterebbe  fuorché  ad  un  Istituto  o  a 
due  al  massimo.  Avverte  che  i  suoi  dubbi  sono  andati  e  vanno  ancora 
più  in  là,  perchè  il  provvedimento  può  avere  conseguenze  gravissime.  E 
qui,  naturalmente,  ce  ne  ha  da  essere  di  tutte  le  specie, 

Senta  il  Diri/io,  ma  non  si  turbi.  Quando  una  questione  non  è  in- 
tesa 0  non  si  vuole  intendere,  novantanove  su  cento,  la  si  dice  grave; 
{)0Ì,  ponzandola  e  gonfiandola  via  via,  la  si  viene  a  dire  gravissima,  e 
si  mette  a  dormire.  Ma  anche  le  bolle  di  sapone  ingrossano,  poi  di 
un  tratto  spariscono.  E  questa  tinta  nera  prodigata  ad  un  provvedi- 
mento di  per  sé  tanto  chiaro  e  utile,  se  non  è  precisamente  una  bolla 
di  sapone,  la  somiglia. 


BOLLETTINO   FINANZLA.RIO   DELLA   QUINDICINA.  191 

Credete,  si  o  no,  utile  al  paese  e  specialmente  al  commercio  che  le 
Banche  abbiano  una  riserra  ben  provvista  ?  Ritenete,  si  o  no,  che 
abolito  il  corso  forzoso,  non  si  ha  più  da  fare  tanto  con  i  gruppi  e  i 
sotto-gruppi  del  Parlamento,  ma  un  zinzino  anche  con  i  mercati 
esteri  ?  Volete  lo  sconto  alto  nel  caso  di  burrasca  e  il  turbamento  che 
questo  produce,  o  preferite  lo  sconto  a  un  saggio  comportabile  e  dì 
giusta  difesa  ?  A  queste  domande  non  si  risponde  né  con  riserve  né 
con  indugi  ;  e,  se  temete  ancora,  fuori  adunque  le  conseguenze  gra- 
vissime ! 

Oltre  a  ciò  il  Diritto^  che  vuol  aver  tempo  per  meditare,  nega  che 
il  provvedimento  annunziato  possa  essere  preso  per  decreto  reale  e  du- 
bita che  la  Commissione  permanente  lo  concederebbe.  Noi  primi  ab- 
biamo messa  fuori  la  idea  del  provvedimento  in  quel  modo  ;  perciò  non 
dispiaccia  al  noetro  confratello  che  rispondiamo  alle  osservazioni  fatte 
da  lai  sa  essa.  Di  rinunzia,  di  abdicazione  dei  diritti  del  Parlamento 
in  favore  di  an  Ministro  o  di  an  altro,  non  parliamo  per  l'amor  di 
Dio;  è  roba  che  non  c'entra.  Esamini  il  Diritto  tutto  quello  che  dicono 
gli  articoli  19  e  24  della  legga  del  7  aprile  1881  ;  poi  giudichi  se  è  il 
caso  di  parlare,  proprio  ora,  di  abdicazione  dei  diritti  del  Parlamento. 
Anche  noi,  non  nuovi  alla  scienza  politicn,  crediamo  al  principio  della 
separazione  dei  poteri;  ma  apponto  per  questo  non  giangiamo  ad  in- 
tendere che  al  governo  possa  essere  negato  sai  seno  l'afflcio  di  svol- 
gere l'applicazione  delle  leggi  fino  al  limite  che  esse  gli  consentono. 

Del  resto  il  nostro  confratello  sa  essere  di  buon  amore  anche  negl^ 
ozi  speculativi,  e  questo  ò  un  compenso,  e  Qaando  la  Banca  Nazionale 
—  son  sae  parole  —  avesse  sul  mercato,  non  presso  a  poco  metzo  mi- 
liardo, come  ora,  ma  più  di  un  miliardo  di  biglietti  proprii,  sarebbe 
resa  più  freile  la  solosioiM  del  grande  problema  bancario t  • 

Noi  d  guarderemmo  bane  di  fluo  oaa  somiglianie  Ipotesi,  se  prima  non 
avessimo  sooperta  una  miniera  d'oro  o  d'argento  in  Italia  per  nostro 
conto;  ma  poiché  il  Diritto  Tha  posta,  non  vogliamo  respingerla.  Po- 
trebbe essere  ana  v««  malignità  a'  suoi  cechi. 

Però  rispondiamo:  sotto  quel  rispetto,  altro  che  fkcilet  Quando  una 
Banca  qualanque  avesse  osato  di  commettere  la  enormità  di  raddoppiare 
la  propria  drooJaiione  rimettendo  nelle  sue  casse  tanto  oro  e  argento, 
qaanto  ne  carerebbe  fuori  di  biglietti  (che  questo  è  proprio  il  caso  del 
proTTedimento  pendente)  allora  il  ristringerla  sarebbe  affare  per  Tap- 
pnnto  di  una  operazione  a  rovescio.  Questa  banca  singolare  a  cui 
pesasse  V  oro  nelle  casse,  non  avrebbe  ohe  a  buttarlo  fuori  in  laogo  dei 


1192  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA  QUINDICINA. 

biglietti.  Ma  quanto  questo   metodo  gioverebbe  al  pubblico   interesse, 
lasciamo  dire  a  quelli  che  potessero  esser  chiamati  a  consigliarlo. 
E  basti,  perchè  altri  argomenti  ci  sospingono. 


La  cronaca  della  Borsa  non  avrebbe  avuto  di  che  dolersi  dell'  an- 
damento delle  cose  riferentesi  alla  quindicina  ora  trascorsa,  se  negli  ul- 
timi giorni  non  fosse  venuto  sui  mercato  di  Londra  e  su  quello  di 
Parigi  un  vento  malefico  che  ha  paralizzato  le  migliori  disposizioni. 
Queste  erano  sorte  fino  dal  principio  e  aveano  durato,  come  si  disse, 
quasi  sino  all'ultimo  della  quindicina.  Imperocché  se  l'attività  degli  af- 
fari lasciava  sempre  da  desiderare,  se  nulla  attestava  che  un  ritorno 
di  operosità  potesse  sperarsi  prossimo,  pure  sembrava  rientrata  negli 
animi  un  po'  di  calma  ed  era  nata  la  speranza  che  il  male  avesse  rag- 
giunto l'ultimo  limite. 

La  liquidazione  quindicinale  aveva  avuto  effetto  senza  incidenti  no- 
tevoli; e  per  quanto  essa  non  toccasse  il  vivo  delle  posizioni,  poco 
impegnate  nei  valori,  pure  i  facili  riporti  e  il  buon  prezzo  del  denaro 
furono  indizio  che  le  forze  del  mercato  non  si  trovavano  stremate  e 
che  un  ritorno  al  bene  poteva  ritenersi  con  ragione  non  impossibile. 

Le  convenzioni  colle  compagnie  ferroviarie  non  erano  più  un  pro- 
blema. L'accordo  dello  Stato  colle  compagnie  era  stato  stabilito  e  man- 
cava solamente  che  le  Camere  vi  consentissero.  Oltre  a  ciò  la  neces- 
sità de'  bilanci  straordinari  si  imponeva  alla  considerazione  de'  rappre- 
sentanti della  nazione  e  pareva  si  potesse  credere  che  essi  non  avreb- 
bero posto  inciampi  alla  definizione  della  grossa  pendenza  dalla  quale 
dipende  il  ristauro  delle  pubbliche  finanze. 

Nell'ordine  politico  suff'ragavano  le  ultime  notizie  in  riguardo  alla 
spedizione  francese  al  Tonkino,  fatte  migliori,  e  il  linguaggio  più  mo- 
derato della  stampa  inglese,  il  quale  lasciava  sperare  che  la  questione 
sorta  non  dovesse  uscire  dai  limiti  de'  negoziati  diplomatici,  e  che  i 
cannoni  dell'ammiraglio  Pierre  non  avrebbero  tuonato  chopper  salutare 
la  fine  del  dissidio. 

Conseguenza  della  migliorata  condizione  morale  del  mercato  fran- 
cese, determinata  dalle  cause  avvenute,  fu  che  le  rendite  non  ebbero 
a  soff'rire  ulteriormente  dal  ribasso  e  che  le  vendite  da  parte  de'  pos- 
sessori del  5  0(0  convertito  ebbero  una  sosta;  che  qualche  voglia  di 
riacquisti  si  manifestò  da  parte  di  quelli  che  avevano  venduto  ;  che 
il  risparmio   incominciò  a  pensare   se   non  gli  fosse  convenuto  di  prò- 


BOLLETTINO    FlNANZLlRIO    DELLA    QUINDICINA.  193 

fittane  de'  buoni  prezzi  per  rientrare,  come  si  suoi  dire,  nel  titolo, 
e  cho  finalmente  la  speculazione  insofferente  delPozio  si  mostrò  meno 
sfiduciata  dell'opera  sua. 

Tutto  ciò  non  significava  certo  che  l'ora  del  rialzo  e  di  una  ripresa 
vera  degli  affari  fosse  prossima  a  sponare,  ma  rivelava  che  gli  elementi 
a  determinarla  esistevano,  e  che  passato  il  tempo  della  stagione  morta 
essi  avrebbero  potuto  svolgersi  e  portare  un  mutamento  salutare  nella 
situazione  del  mercato. 

Eliminata  la  grande  questione  delie  ferrovie,  ristabilito  l'equilibrio 
ne'  bilanci,  1'  alta  Banca  che  di  proposito  deliberato  si  tenne  fin  qui 
estranea  da  ogni  atto  di  vita  operativa,  avrebbe  contribuito,  alla  sua 
ora,  a  ristaarare  le  forze  del*  mercato  francese,  a  regolarle  per  modo 
che  il  ritorno  agli  bffdH  fosse  cosa  seria  e  non  il  portato  di  una  spe- 
culazione efSmera  ed  inconsulta.  InfratUinto  esja  stava  alle  vedette 
aspettando  che  le  si  desse  mo«lo  di  assicurare  sé  stessa  che  tanto  nel 
campo  politico,  quanto  nel  finanziario,  erano  eliminati  gli  inciampi  che 
^▼eano  resa  rtlat tante  a  prestare  l'opera  sua. 

Ma,  come  accennammo  in  principio,  allorché  la  quindicina  toccara 
il  suo  termine,  e  proprio  quagdo  la  liqaidaz'one  di  fine  mese  batteva 
alle  porte,  tanto  la  bor«a  di  Parigi,  quanto  quella  di  Londra  ebbero  il 
malgradito  annunzio  dello  scoppio  del  chuiera  in  E.;itto  e  ne  furono  im- 
pressionato prorondumf>nte.  A  questo  sì  aggiunse  un  discorso  del  signor 
Qladstone  in  un  senso  non  favorevole  alla  Compagnia  del  Canale  di 
Suez,  giacché  egli  disse  che  se  in  molli  punti  il  governo  inglese  si 
trovava  d'accor<!o  c<>lU  Compignia,  io  altri  e  molto  rilevanti  ne  dis- 
sentiva. Questi  fatti  inaspettati  turbarono  vivami^nte  il  mercato  dei 
fondi  egiziani  e  per  contraccolpo  ezian>tio  quello  degli  altri  rslori.  eos\ 
allo  Stock -Exchange  eonne  alla  Borsa  di  Parigi.  Puro,  conte  oggi 
si  vede,  il  ribalto  noa  ha  pre*o  le  proporaioni  che  fui'ono  temuta 
e  gli  aitimi  corsi  venuti  da  Londra  e  da  Parigi  lasciano  sperai'*  che 
non  si  abbia  a  prooetare  più  oltre  nella  china.  Il  rholera  in  Egitti  è 
piuttosto  una  malattia  endemica,  giacché  é  raro  quell'anno  nel  quuia 
non  vi  (accia  la  sua  comparsa:  da  ciò  la  sparane  t  ohe  non  si  propaghi 
al  difuori.  E  per  riguardo  alle  dichiarazioni  del  signor  Ola'istoha,  essa 
non  es4>luduno  la  possibilità  di  trovare  una  base  d'accordo  anche  sui 
punti  cl>e  rimangono  tuttavia  controversi. 

La  oon  lisione  monetaria  eontiou.»  ad  essere  sofMisfacente  dapper- 
tutto; ra«peito  dei  raoo>»lti  é  dei  pù  lusinghieri.  Por  conseguenza  è 
permesso  di  aprir  l'Aoimo  alla  speraasa  elie  le  causo   perturbatrici-  del 

Vm.  ZI^  Sana  II  -  I  LagiU  ISSI.  1* 


li)4  ROLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

mercato  non  abbiano  ad  interrompere  un  avviamento  di  cose  che  parve 

iniziarsi  sotto  ottimi  auspici. 

In  riguardo  agli  afifar',  dobbiamo  ripetore  che  la  nullità  o  la  poca 
importanza  delle  transazioni  è  la  nota  dominante  alla  quale  nessun  mer- 
cato si  sottrae  e  che  ad  essa  soggiacciono  a  fortiori  quelli  italiani. 

La  deliberazione  presa  dalla  Società  delle  meridionali,  della  quale 
ci  siamo  occupati  nella  prima  parte  del  bollettino,  aveva  un  po'  sovrec- 
citata la  speculazione  tanto  sui  1  itoli  che  riguardano  la  Società,  quanto  su 
quelli  che  vi  hanno  interesse  indiretto;  ma  fu  un  fuoco  di  paglia,  che 
perciò  durò  poco. 

Invece,  sulla  rendita,  gl'impegni  vennero  a  mostrarsi  piuttosto  rile- 
vanti. Così  nella  liquidazione  di  fine  mese,  qualche  piazza,  e  special- 
mente quella  di  Roma,  ebbe  a  sperimentare  difficoltà  insolite  e  riporti 
non  lievi,  senza  che  ciò  si  potesse  attribuire  a  difetto  di  disponibilità.  Il 
riporto  fu  tenuto  in  generale  intorno  a  4f>  centesimi:  se  in  alcune  piazze 
si  mostrò  più  caro  e  più  difficile,  egli  è  che  in  esse  la  speculazione  aveva 
varcato  i  limiti  d-  Ila  moderatezza  e  subito  gli  effetti  della  legge  eco- 
nomica che  regola  inesorabilmente  il  rapporto  tra  IVfferta  e  la  domanda. 

Da  varii  giorni  il  mercato  di  Parigi  non  ha  più  per  la  rendita  ita- 
liana quella  tendenza  deferf^nte  che  ebbe  nel  tempo  addietro,  e  bisogna 
che  gli  italiani  non  se  ne  mostrino  indiflferenti.  Pare  che  il  capitale 
francese  vada  riconciliandosi  colle  rend.te  proprie;  perciò  un  rivolgi- 
mento a  nostro  danno,  per  quanto  ingiustificato  (perchè  il  fondo  di 
Stato  nostro  non  ha  nulla  da  invidiare  ai  fondi  stranieri)  potrebbe  ve- 
rificarsi. 

Sui  mercati  italiani  i  corsi  della  rendita  si  aggirarono  tra  93.02  e 
93.15  per  quasi  tutta  la  quindicina;  soltanto  in  ultimo  caddero  a  92  62 
e  chiusero  a  92.5').  Durante  lo  stesso  temoo  la  Borsa  di  Parigi  la  tenne 
tra  93.20  e  93.1^5;  poi  scese  a  93  e  a  92  95.  Oggi  chiuse  a  92.2  >. 

I  prestiti  cattolici  rimasero  quasi  stazionari  e  poco  trattati  :  il  Blount 
da  92  05  a  91.90;  il  Roihschild  tra  93  e  92.85;  i  certificati  del  Tesoro, 
emissione  1800-04,  tra  93.50  e  9  ',60. 

Le  obbligazioni  ecclesiastiche  non  diedero  luogo  che  a  rare  transa- 
2Ìoni  al  prezzo  di  92.50. 

Sui  valori  bancari  non  avvenne  alcun  movimento  che  si  possa  dire 
importante.  Le  azioni  della  Banca  italiana  furono  negoziate  dapprima 
a  2287  ;  durarono  su  questo  prezzo  per  qualche  tempo,  lo  perdettero 
dipoi  e  vennero  a  quello  di  2275,  e,  in  chiusurri,  a  2272, 

Le  azioni  della  Banca  Romana  oscillarono  sempre  tra  1000  e  985, 


BOLLETTINO   FINANZLV.RIO   DELLA   QUINDICINA.  195 

€on  ritorno  al  primo  prezzo,  ma  eoa  affari  inconcluilenti.  Le  azioni  della 
Banca  Generale,  per  quanto  la  speculazione  abbia  tentato  pia  volte  di 
galvanizzarle,  non  hanno  avuto  miglior  contegno.  In  principio  ebbero 
il  prezzo  di  539  e  successivamente  quello  di  5^7;  quindi  risalirono 
a  540.50,  ma  subito  dopo  caddero    di   nuovo  a  536  50. 

Il  mobiliare  italiano,  il  quale,  pel  fatto  della  deliberazione  della  So- 
cietà delle  meridionali,  da  804  aveva  toccato  il  prezzo  di  820,  piegò 
di  poi  a  810  e  a  805. 

Degli  altri  vaici  bancarii  non  è  da  far  parola,  perchè  nessuno  di 
essi  diede  luogo  a  transazioni  di  qualche  momento  ;  anzi  per  qualche 
titolo  è  da  aggiungere  che  incontro  lo  sfavore  del  mercato,  come  ad 
esempio,  le  azioni  della  Unione  Banche  di  Torino,  causa  i  fAliiraenti 
sciagurati  di  altre  Banche  dì  Piemonte  colle  quali  Y  istituto  si  trova 
impegnato,  e  qualche  defezione  interna. 

Venendo  al  valori  ferroviarii,  ebbero  un  movimento  insolito  le  axioni 
delle  ferrovie  meridionali,  per  effetto  unicamente  della  negata  proroga 
del  riscatto  alle  condizioni  prestabilite.  Queste  axioni  vennero  n^^>« 
ziafe  in  principio  di  quindicina  a  472;  poi  crebbero  da  476  a  483.50. 
Appreaso  tornarono  a  481.  Le  obbligazioni  relative  si  aggirarono  in- 
tomo al  presso  di  271.75;  i  boni  a  544.  Degli  altri  valori  non  si  fece 
caso;  essi  rimasero  ai  prezzi  indicati  nella  rassegna  anteceilente. 

Le  cartelle  fondiarie  richiamarono  poco  o  nulla  l'attenzione  del  mer- 
cato e  mantennero  per  lo  più  i  corsi  conseguiti.  • 

Circa  i  valori  pruprii  della  piazza  di  Roma,  nò  avvenne  alcun  mu- 
tamento, né  apparve  maggiore  propensione  a  negoziarli;  perciò  essi  figu- 
rarono quasi  sempre  nominali. 

Ottimo  e  a  noi  sempre  favorevole  il  eambio  coIPestoro.  Oli  chequet 
•n  Francia  si  aggirarono  tra  OJ.sO  e  01^70;  la  carta  su  Londra  a  ir« 
mesi  scete  da  25  a  24.9J;  Toro  senza  alterazione  di  prezzo. 


BOLLETTINO  BTBLIOGKAFICO 


LETTERATURA  E  POESIA. 

Un  poeta  politico  in  Germania,  sul  principio  del  secolo  XIII.  (Gual- 
tiero di  Vogelweide)  saggio  storico-letterario  del  Dott.  Sigi8ìiondo  Fbied- 
MANN,  Prof,  incaricato  di  lett.  ted.  nella  R,  Accademia  ecient.  lett.  di 
Milano  —  Livorno,  Francesco  Vigo  ed.  1883. 

Gualtiero  di  Vogelweide  primeggia  tra  i  minnesinger,  imitatori  della 
poesia  provenzale,  perchè  il  suo  ingegno  vigoroso  varcò  i  confini  del- 
l'arte convenzionttle;  né  si  restrinse  a  cantare  versi  d'amore,  ma  trattò 
pur^ialtri  argomenti,  specialmente  d'indole  politica;  onde  ha  singolare 
importanza  così  nella  letteratura  tedesca,  come  nella  storia  generale  del 
medioevo.  Ben  fece  dunque  il  signor  Dott.  Friedmann  (che  insegna 
letteratura  tedesca  nell'Accademia  di  Milano  e  che  con  altri  lavori,  come 
colla  traduzione  del  Gaspary,  si  mostrò  pienamente  padrone  delle  due 
lingue)  di  darci  un  accurato  studio  di  quel  vecchio  Poeta,  giovandosi 
all'uopo  delle  ricerche  de'più  valenti  eruditi  germanici  (Bartsch,  Bur- 
dach,  Lexer,  Lucae,  Paul,  Rieger,  Pfeiflfer),  ma  vagliandone  sempre  le 
affermazioni  con  critica  sagace  e  originale.  In  sette  capitoli  discorre  dei 
primi  anni  del  poeta  fino  al  1198,  delle  sue  vicende  sotto  Filippo  Ot- 
tone IV,  e  Federigo  II,  che  servi  successivamente,  delle  sue  idee  po- 
litiche, morali  e  religiose,  e  finalmente  delle  sue  liriche  d'amore.  Nulla 
si  sa  di  certo  della  nascita  e  della  morte  di  lui;  e  poco  anche  in- 
torno alla  vita  ;  ma  i  più  notevoli  documenti  che  ci  rimangono  sono 
le  poesie;  e  sovr'esse  si  trattiene  più  a  lungo  il  nostro  critico  analiz- 
zandole e  illustrandole  in  relazione  cogli  avvenimenti  politici  ai  quali 
si  collegano.  La   lotta  fra  l' Impero  e  la  Chiesa  dà    occasione  a  varie 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAl  ICO. 


197 


invettive  politiche  di  Gualtiero  che  il  signor  Friedmann  raffronta  op- 
portanamente  colle  analoghe  imprecazioni  di  Dante  e  del  Petrarca.  Per 
questo  periodo  si  serve  più  che  altro  della  storia  del  Cherrier,  ed  è, 
come  in  ogni  rimanente,  coscienzioso  ed  esatto.  Appena  si  può  appun- 
tarlo d'una  tenue  improprietà,  laddove  dice  che  Innocenzo  IH  conside- 
rava come  feudo  della  chiesa  il  regno  delle  due  Sicilie  (Ì2Ì0).  In  cinque 
appendici  discorre  poi  dei  rapporti  fra  Oualtiero  e  il  suo  illustre 
predecessore  Reinmar;  e  di  alcune  quistioni  d'interpretazione  filologica 
e  storica  a  cui  porgono  argomento  i  versi  del  Poeta.  Una  sesta  ap- 
pendice reca  tradotte  con  bel  garbo,  in  versi  facili  e  armoniosi,  per 
opera  del  signor  S.  Menasci,  una  leggenda  del  Longfellow,  che  ha  per 
soggetto  Valter  von  der  Vpgelweide,  e  tre  canzoni  dello  stesso  Gual- 
tiero. Il  volume  dedicato  dall' A.  al  ProC  Alessandro  d'Ancona,  con  af- 
fetto di  discepolo,  onora  e  l'uno  •  l'altro.  É  impresso  con  nitida  ele- 
ganza dall'ottimo  editore  cav.  Vigo  di  Livorno:  vi  si  desidera  peraltro 
nn  in  lice,  non  giA  alfabetico  delle  materie  (che  par  troppo  non  si  usa 
più,  Demro«no  dove  sarebbe  indispensabile  sussidio)  ma  semplicemente 
dei  titoli  dei  capitoli. 

Note  atorlche  e  lett«r«urie  di  NAaoaas  CkUTkmnt.  B^ggio-Emilia  —  Luigi 
BondavaUi,  1»83. 

Sono  fratto  di  ricerche  &tt«  dall'aatore  per  ana  Storia  thgìi  ihdi 
in  Reggio.  La  prima  intitolata  Canzoni  tnuticate  del  $ec.  XVI  dà  ra- 
gione di  an  libro  assai  raro  messo  in  luce  in  Venezia  da  Angelo  Oar- 
dano;  cioè  delle  canzonette  a  tre  voci  di  Flaminio  7W«A'  da  Lodi 
1583;  il  che  gli  porge  oecafìone  di  discorrere  del  progresso  della  ma- 
lica Della  seconda  metà  del  seo.  XVI,  e  dairorigina  del  tnelodrmnma 
che  eeoondo  Taatore,  già  si  trova  io  germe  nelle  oanioni  masicate«  an- 
teriori ai  primi  drammi  moaieali.  La  seconda  nota,  il  Mauritiano  0 
Jaeo,  illostni  ooiraioto  d'on  rogito  e  d'un  ìnTeotario  non  ancora  oeeer- 
vati,  l'antica  villa  dei  Malagaui«  nella  quile  I^xlovieo  Arioeto  paseò 
alcuni  lieti  anni  della  saa  gioventù;  e  rettifica  il  B<>nso  di  quel  verso 
della  Satira  quinta  Le  tigne  t  i  aolchi  del  fecondo  Jaeo^  che  dai  oom- 
mectatori  fu  mal  iot'teo,  vedendo  essi  il  nome  di  BaoM  (e  in  forma 
•torpiaU)  dove  invece  é  paria  d*nn'  altra  poeeeasione  dei  MUaguzzi  : 
ÌM  terea  nota.  Un  tretieo  raggiano  del  teeolo  XVt,  dà  notliia  d*l  rag- 
giano Basilio  Allabriti  aoootato  d'ereaia  dall'inquisitore  Jerottlmo  Volta  • 
ponito,  non  ai  sa  in  qnal  modo,  ai  tempi  di  Paolo  iV.  Seguono  doe 
DoU  tal  Petnuva.'  nell'  ana  ai  (k  la  deeerixiooe  di   Selvapiaaa  gradito 


198  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO, 

soggiorno  a  quel  poeta,  e  si  corregge  l'errore  di  coloro  che  ce  lo  fe- 
cero dimorare  il  1347  invece  del  1311,  e  clie  indicarono  quel  paese 
come  vicinissimo  a  Parma,  mentre  ne  dista,  ben  venticinque  chilometri: 
nell'altra,  commentando  la  lettera  in  cui  il  Petrarca  racconta  una  pe- 
ricolosa avventura  toccatagli  nella  sua  fuga  da  Parma  l'anno  1344, 
ricerca  qual  fosse  la  strada  tenuta  da  lui  in  quella  fuga  e  trova  in 
quel  fatto  l'origine  di  alcune  tradizioni  rimaste  fra  i  campagnoli. "Vn 
poeta  del  sec.  XV,  oggi  dimenticato  dalle  storie  della  letteratura,  è  sog- 
getto alla  nota  sesta:  si  tratta  di  Giovanni  Au-^elio  Augurelli  di  Ri- 
mini, umanista,  amico  del  Bembo,  e  mediocre  scrittore  di  versi  latini: 
e  si  illustra  un  codice,  che  contiene  cose  inedite  di  lui.  Più  importante 
è  il  poeta  di  cui  discorre  la  nota  sesta,  Ludovico  Carbone,  vissuto  a 
Ferrara  nella  seconda  metà  del  sec.  XV,  e  autore  d'un  poema  latino, 
ancora  inedito,  curioso  per  la  descrizione'di  Venezia  e  per  certe  notizie 
intorno  alla  guerra  di  Lombardia  dal  1439.  L'ultima  nota  illustra  il 
motto  cave  canem  solito  scriversi  dai  latini  nell'  atrio  dei  ìoro  palazzi 
presso  l'immagine  d'un  cane;  discusse  le  varie  opinioni  circa  la  spiega- 
zione di  esso,  e  fattane  come  la  storia,  conclude  che  con  tal  formula 
si  volle  «  ammonire  i  ladri  che  si  guardassero  dall'offendere  la  presenza 
del  cane,  ledendo  l'altrui  proprietà  di  cui  egli  era  fido  custode»  ed 
esprimere  in  sostanza  la  massima  «  non  rubare.  »  Queste  note  del  Cam- 
panini scritte  con  diligenza  e  senza  alcuna  pretensione,  hanno  quanto 
basti  per  trarre  a  sé  l'attenzione  degli  eruditi,  non  ostante  alcuni  errori 
che  ne  deturpano  la  stampa. 

Canti  DI  Ettore  Novelli.  —  Imola,  tip.  Galeati  e  figlio,  1883. 

Chi  legge  questi  Canti  non  sa  credere  a  prima  giunta  che  siano  dello 
stesso  autore  del  Cromi.  L'orditura  di  essi  è  larga  e  magnifica:  in  al- 
cuni, come  nel  Fetonte,  Psiche,  Ero  e  Leandro  v'ha  qualche  tratto  di 
ampiezza  epica,  mentre  nel  Cromi  ciò  che  maggiormente  si  ammira 
è  la  nervosa  brevità  del  pensiero.  Ma  dopo  un'attenta  lettura  ci  ac- 
corgiamo, che  l'ingegno  del  Novelli  per  quanto  sia  versatile,  non  perde 
mai  di  sua  natura,  eh'  è  una  robusta  immaginazione,  molta  novità  di 
espressioni  ed  accurata  lindura  di  lingua, 

Nellft  Due  Vite  è  raaravigliosa  per  forte  colorito  la  pittura  della 
vita  nell'Agro  romano  prima  del  187U;  come  nella  Psiche,  nel  Fetonte 
e  nel  Leandro  ed  Ero  è  finissima  l' arte  con  cui  al  mitico  racconto 
degli  antichi  sa  intrecciare  avvenimenti  e  pensieri  moderni  :  arto  che 
dopo  il  Foscolo  non   conosco  chi  abbia  usata   meglio  del  Novelli.  Ora 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO.  199 

86  l'arte  in  Italia  ha  bisogno  di  ritemprarsi  tornando  agli  antichi,  credo 
che  pochi  libri  meglio  di  questi  Canti  possano  giovare  alla  nosVa 
gioventù. 

STORIA. 


Milano   nei   suoi  momenti  storici,  di  B.  Bokfadiki.  Velame  primo.  — 
Fratelli  Trevea  editori,  Milano,  1883. 

La  storia  incomincia  nella  cronaca  e  Giuseppe  Ferrari  ebbe"  per 
necessario  predecessore  Giovanni  Villani.  Ciò  che  prima  colpisce  lo 
scriUore  nelfinfanzia  di  una  società  o  di  un  popolo  ò  il  fatto  e  Tindi- 
Tiduo  che  agisce  sulla  scena  del  mondo,  non  che  la  data  in  cui  il  fatto 
succede:  la  data  che  segna  gli  avvenimenti  nel  primo  stadio  della  vita 
dei  popoli  esercita  un'impressiooe  cosi  forte  nella  coscienza  popolare  da 
costituire  cogli  avvenimenti  stesti  ana  cosa  sola  e  da  non  avere  questi 
senza  di  quella  quasi  valore  e  realtà.  Ma  in  proporzione  che  nna  so- 
cietà o  un  popolo  progredisce  e  si  sviluppa.  Io  scrittore  vede  sempre 
più  rapporti  nell'ordine  delle  cose  che  succedono,  e  in  fine  finisce  quasi 
per  perdere  di  vista  (atti  e  individui  per  non  tener  d'occhio  che  all'idea 

0  pioltosto  alla  corrente  delle  idee  che  li  anima  e  della  quale  individui 
e  (atti  sono  come  lo  stroroento  e  Teepressione. 

Il  B  infadìni  vede  o  studia  la  stona  da  quest'ultimo  punto  di  visto. 
Vivi  e  parlanti  sono  i  qnadri  della  storia  di  Milano  ch'egli  ci  presenta 
in  questo  primo  volume.  Però  egli  non  ci  sembra  sempre  felice  nel  ri- 
trarre con  una  rappresentazione  visibile  an  certo  ordino  di  (atti  e  di 
pensieri,  nel  che  sta  pure  l'eccellenza  dell'ariista,  chd  tale  è  in  sommo 
gr.iilo  nurhe  lo  storico,  ^'li,  per  esempio,  ci  paragona  la  repubblica  ani- 
brosian.i  del  1 417  ad  una  fanciulla,  alla  quale  ano  zio  d'America  abbia 
apiK)rtato  una  pin^^oe  dote  e  che  per  questo  si  veda  accorrere  alterno 
a  diizzìne  i  pretendenti  alla  sna  nano.  Il  paragone  manca  dì  esattezza. 
Non  ero  no  la  potenza  e  le  ricchezze  ammassatele  dagli  sii  di  America 
politici  rhe  attiravano  intomo  alla  città  di  Milano  tanti  oonoorrenti,  ma 
la  sua  d«*bolezza  invece  e  lo  stato  di  stremamento  in  coi  era   ridotta. 

1  repubblicani  milanesi,  ap|iena  inse<liati  al  governo,  ebbero  ricorso  alle 
antiche  istituzioni  p«*liticbe  del  Comune  e  cred<vttero  in  baona  fedo 
che  bns(a<se  pubblicarle  per  Csme  rivivere  lo  spirito  e  ridare  alla  se- 
conda repubblica  la  forza  o  la  grandezza  della  prima.  Ms  si  vide  sa- 
bito alla  prova  che  quelle  btitazioni  per  il  lungo  disuso  in  cui  erano 


Si 


200  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

rimasto  sotto  i  Visconti  più  non  funzionavano  a  dovere  I  tempi  erano 
cambiati;  v'era  il  nome  della  repub'ilica  sulle  boeclie  di  tutti;  ma  lo 
spirito  di  essa  del  tutto  mancava.  Basti  a  provarle  un  fatto  fra  cento  : 
i  militi  per  quante  gride,  e  rigorosissime,  si  fice^tsero.  non  accorrevano 
più  sotto  le  bandiere,  come  due  secoli  e  più  [irima  attorno  al  Carroccio, 
per  difendere  la  libertà  o  l'imlipendenza  della  citfà;  e  se  accorrevano 
non  era  per  solito  che  per  prendere  il  gaggio  e  poi  disertare,  oppure, 
rimanendovi,  per  darsi  alla  preda  e  al  sacco  in  terra  di  amici  e  di  ne- 
mici più  che  per  fare  il  soldato. 

Fra  tutti  quei  pretendenti  alla  successiene  dei  Visconti  v'era  pure 
—  non  dispiaccia  all'egregio  Bonfadini  —  la  repubblica  di  Venezia.  Il 
Bonfadini  pul)blica  per  dimostrare  il  contrario,  e  come  per  rivendicare 
la  calunniata  onestà  politica  del  Senato  veneto,  una  deliberazione  di 
queirr.sserablea  nella  quale  essa  si  mostra  favorevole  al  governo  repub- 
blicano di  Milano,  promettendogli  amicizia  e  appoi>eio.  Senonchè  tutto 
questo  da  parte  del  Senato  veneto  non  era  che  pi-ofondo  e  ben  calco- 
lato interesse.  Non  v'è  ombra  di  generosità  politica  in  quella  determi- 
nazione. La  repubblica  veneta  non  si  metteva  innanzi  come  successore 
dei  Visconti  perohè  sapeva  che  facendolo  si  sarebbe  tirato  addo.sso  come 
in  altri  tempi  la  coalizione  di  tutti  gli  Stati  italiani.  Essa  però  era  bea 
decisa  a  voUre  un  lembo  di  quella  successione,  e  il  mi'^lior  mezzo  per 
averlo  era  di  dichiararsi  per  il  governo  repubblicano,  per  quel  governo 
cioè  che  sarebbe  stato  necessariamente  debole  o  che  non  avrebbe  mai 
potuto  nutrire  quei  disegni  d'ingrandimenti  territoriali  che  aveano  avuto 
gli  ultimi  Visconti.  Ciò  si  vide  alla  prova  dei  farti  in  quei  tre  anni  che 
durò  la  povera  repubblica  ambrosiana  I  loro  amici  veneti  quando  si 
ebbero  preso  colle  armi  quella  porzione  di  territorio  che  loro  faceva  nel 
milanese,  si  allearono  collo  Sforza,  il  quale  pur  di  vedere  riconosciuta  la 
sua  autorità  dalla  Repubblici  avrebbe  da  parte  sua  volentieriri  conosciute 
le  conquiste  venete  nel  Milanese.  In  questo  rispetto  credo  che  la  si- 
tuazione della  Repubblica  ambrosiana  di  fronte  a  Venezia  trova  un  per- 
fetto riscontro  nella  situaz  one  dell'attuai  repubblica  francese  di  fronte 
alla  Germania.  Anche  Bismarck  si  mostra  amicissimo  della  repubblica 
francese,  tanto  amico  da  fare  il  viso  dell'arme  al  minimo  sospetto  di 
restaurazioni  monarchiche.  Ma  di  queste  simpatie  repubblicane  del  Bi- 
smarck li  mondo  tutto  conosce  la  ragione  e  il  segreto. 

L'ultimo  dei  quadri  storici  contenuti  in  questo  primo  volume  del 
Bonfadini  ci  rappresenta  Cicco  Simonetta  e  la  Corte  di  Ludovico  il 
Moro.  Avremmo  amato  meglio  veder  finire  il  volume  col  quadro  prece- 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  201 

denfe  che  rappresenta  la  caduta  della  repubblica  e  l' insediamento  di 
Francesco  Sforza  in  Milane.  Esso  chiude  un'epoca  per  ricominciarne 
nn'altra  con  fine,  mezzi  e  fortuna  diversissimi.  Ma  non  è  questo  che 
un  difetto  di  forma  del  libro.  Aspettiamo  il  Bonfandini  al  secondo  volarne, 
nel  quale  speriamo  di  poter  pregiare  come  in  questo  la  coscienza  delle 
ricerche  e  il  raro  criterio  storico  dell'autore. 

Studi  storici  sul  Contado  di  Savoia  e  Marchesato  in  Italia  nella 
età,  di  mezzo  per  6.  Alberto  Gbrbaix  db  Sonhaz,  Consigliere  di  le* 
gazione.  —  Torino,  presso  Boaz  e  Favate,  1883. 

In  questo  primo  volume  si  contengono  nuovi  sludi  sulle  origini  di 
casa  Savoia.  L'autore  fa  -discendere  questa  illustre  casa  da  una  dinastia 
di  conti  ereditarli  che  fiorivano  nel  X,  secolo  nella  provincia  ecclesia- 
stica di  Vienna  e  che  portavano  alternativamente  i  nomi  di  Umberto  e 
di  Amedeo,  nomi  che  dopo  un  millennio  si  sono  conservati  nella  persona 
dei  due  figli  del  Fondatore  della  unità  italiana.  L'aatore  combatte  l'o- 
pinione dei  Tariì  scrittori  che  danno  a  Casa  Savoia  una  nazionalità  — 
se  pare  ci  ò  lecito  servirsi  di  questo  tonnine.  ~  Sassone,  Longobardica 
o  Hosonìde    É  più  probabile  che  ossa  fosse  di  nationalità  romana,  o  al- 

meno  celtica  romanizzata    Qoasta  è  pare  Topinione  che  manifesti!  il  Me- 

^H^k      nabrea  nell'opera:   Le$  origines   féodaUt   dtuu  let  Alpet  oociderUales 
^"  e  il  Carrutti  nel  sao:  Conte  Umòerto  I  Bianeamano, 

L'opera  dell'egregio  Oerbaix  de  Sonnas  è  compilata  su  nuovi  studi 
e  ricerche  fclte  negli  archivi  torinesi  dall'autore  e  da  molti  illustri 
amici  suoi  che  lo  aiutarono  nell'ardua  impresa  di  dire  qualche  cosa  di 
nuovo  e  di  accertato  intorno  al  difficile  tema  delle  origini  di  Casa  Sa- 
voia. BgU  marita  lode  a  inooraggtameoto  e  siamo  certi  che  la  seconda 
parte  del  volume  che  ci  viene  annunziata  di  prossima  pubblicazione  giusti» 
ficborà  anche  più  le  aspettazioni  nostre  o  del  pubblico. 

Storia  del  popolo  Oemano  da  Ooman  alla  pace  di  Oarlo^Rrits,  del 
senatore  Vibouso  Eit^Aara  Volume  IL  —  Eoma,  Forsani  e  C  tipo- 
grafi del  Ssuto 

Questo  soooodo  od  ultimo  volume  della  lodata  opera  del  senatoro 
Bmuito  tìmm  da  Bi^id  II  (1481)  alla  pace  di  Carlowits,  nel  1690, 
per  effetto  della  quale  furono  cedute  all'AuBtria  la  Trantilvania  e  TUn- 
gheria.  Asof  alla  Russia,  alla  Polonia  'a  Podolia  e  l'Ukrania^ai  Vano* 
ziani  la  Morsa,  Santa  Maura  e  lo  isole  adiacenti.  Quella  pao<«  sognò 
il  rsfluisa  del  popolo  Osmano;  d'allora  in  poi  omo  ta  rstrooodoodo  Tino 


202  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

l'Asia,  che  l'attende  fra  la  sue  braccia  materne.  Della  grandezza  del 
nome  Osmanico  che  rimane  ora?  Più  nulla.  Lo  storico  non  ha  più  sot- 
t'occliio  che  uno  scheletro  da  studiare.  Il  senatore  Errante  ha  rifuggito 
da  questo  compito,  ed  ha  preferito  arrestarsi  ad  un  epoca  in  cui  il 
nome  ottomano  avea  ancora  assai  prestigio.  Ce  ne  duole  per  quelli  che 
coltivano  con  umore  gli  studi  storici.  Essi  certamente  rimpiangeranno 
come  noi  che  l'autore  non  abbia  proseguito  l'opera  sua  fino  al  tempo 
nostro.  In  questo  secolo  e  mezzo  che  vien  dopo  la  pace  di  Carluwitz 
rirapero  Osmano  ha  subito  lotte  e  traversie  oltremodo  inter<»ssanti,  che 
sarebbe  pregio  dell'opera  raccontare  con  verità  e  sapienza  come  ha 
mostrato  di  saper  fare  il  Senatore  Errante. 

FILOSOFIA. 

La  Physique  moderne.  É^udes  historiques  et  philosophtques  par  Ebnest 
Naville.  —  Paris,  Germer  Baillière,  1883. 

È  noto  che  prima  di  Galileo,  di  Bacone  e  di  Newton  la  fisica  non 
aveva  un  dominio  suo  proprio,  distinto  da  quello  della  filosofia.  Il  che 
rilevasi  non  puro  dagli  scritti  di  Aristotele,  ma  anche  dalle  opere  del 
nostro  naturalista  e  filosofo  Andrea  Cesai  pino,  degno  precursore  della 
moderna  filosofia  naturale.  Bensì,  mentre  i  fondatori  veri  della  fisica 
moderna  distinguevano  ma  non  separavano  aff'atto  questa  scienza  dalla 
filosofia,  oggi  per  alcuni  naturalisti  dovrebbe  essere  più  che  separazione, 
reciso  e  profondo  antagonismo  fra  queste  due  vaste  discipline. 

L' insigne  scrittore  e  filosofo  E.  Naville  nel  presente  suo  libro  to- 
glie a  dimostrare,  con  gran  copia  di  eletta  erudizione  scientifica  e  con 
logica  stringente,  che  la  stessa  fisica  moderna  non  ha  potuto  né  può 
fare  a  meno  della  filosofia  ('checché  ne  abbia  detto  C.  Bernard),  badando 
anche  a'  suoi  veri  fondatori,  e  che  a  stabilirne  i  principi  direttivi,  oltre 
che  i  principi  filosofici  non  sono  rimasta  affatto  straniere  neppure  le 
credenze  religiose.  Ed  invero,  i  princii»!  di  causalità,  di  costanza,  di 
semplicità,  di  armonia  e  di  finalità  son  comuni  tanto  alla  filosofia 
quanto  alla  vera  fisica.  Essi  principi  si  fondamentano  in  quest'  altro 
supremo,  che  la  natura  è  regolata  in  un  modo  conforme  alle  leggi  della 
nostra  intelligenza,  ed  hanno  riscontro  nella  credenza  razionale  in  Dio 
creatore;  e  come  tali  sono  stati  riconosciuti  e  proclamati  dai  fondatori 
della  fisica  moderna,  cioè  da  Copernico,  Keplero,  Bacone,  Galileo,  Newton, 
Leibnitz,  Ampère,  Liebig,  Fresnel,  Faraday,  Mayer  ed  altri.  Né  si  op- 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  203 

ponga  per  avventura  che  ben  diverso  è  il  programma  compiuto  della 
fisica  odierna,  i  cui  caratteri  scient;fici  si  riducono  agli  infrascritti: 
natura  meccanica  dei  fenomeni;  unità  della  materia;  trasformazione  dei 
nrioti  ;  conservazione  dell'energia;  spiegazione  matematica  dei  fenomeni. 
L'ultimo  suo  programma  è  di  «  arrivare  alla  determinazione  della  ne- 
bulosa primitiva,  della  natura  de'  suoi  elementi  e  delle  leggi  iniziali 
del  moto;  poi,  movendo  da  questi  dati  di  fatto,  dedurne,  con  sintesi 
matematica,  l'ordinamento  del  mondo  materiale.»  lm{>erocchè  anche 
questa  parte  più  elevata  e  ardita  del'a  fisica  odierna,  mentre  trova  la 
sua  prima  origine  in  un  pensiero  di  Cartesio  e  poi  nella  teoria  di  Kant 
e  di  Laplace,  non  può  né  deve  condurre  all'ateismo  scientifico,  vale  a 
dire  alla  negazione  di  Dio  creatore  e  di  quei  principi  che  più  sopra 
abbiamo  ricordati.  Supposto,  infatti,  che  il  mondo  fisico  fosse  dapprima 
esistito  sotto  forma  di  materia  diffusa,  sparsa  neli*  universo,  gli  ele- 
menti di  questa  materia  sarebbero  stati  sottoposti  alla  legge  di  gravita- 
zione. Poi  il  mondo  larebbesì  ordinato  nella  serie  dei  secoli  per  l'azione 
immediata  delle  leggi  di  comanicazione  e  trasformazione  del  moto. 
Ciò  posto,  noi  possiamo  idealmente  concepire  che  an  Intelletto,  co- 
noscendo la  disposizione  degli  elementi  della  nebulosa  e  la  totalità  delle 
leggi  fisiche,  avene  vedoto  il  mondo  attuale  nel  suo  germe,  oome  un 
IH!  naturalista  vede  la  pianta  nel  seme.  Ora,  la  materia  della  nebulosa, 
non  potendo  essere  supposta  com'etema,  nò  derivata  dal  nulla,  richiede 
una  causa  superiore  e  fuori  di  essa.  Bl  eccoci  4'itornati  alla  dottrina 
della  creazione  prima,  che  non  dev'essere  scambiata  con  Ih  teoria  del* 
l'evoluzione.  Sotto  questo  rispetto  noi  potremmo  accettare  la  sentenza,  che 
la  Fitica  moderna^  non  già  nel  suo  complesso,  come  aflbrma  il  NavitU, 
ma  nella  sua  parte  più  elevata  e  ardita,  è  una  grande  ipotesi  in  via 
di  conferma. 

Il  Naville,  pertanto,  considera  la  Fisica  moderna  nel  più  elevato 
aspetto  scentiflro  e  speculstivo,  esaminandone  i  caratteri,  l'origine,  le 
conseguenze  filosofiche  e  morali.  E  pero  il  soo  libro  ^che  oerto  può  dar 
luogo  a  riserve,  specie  intorno  al  giudizio  sulla  fisica  di  Cartesio)  me* 
rita  d'esser  letto  e  ponderato  dai  fisici  e  dai  flioeofi. 

La  Filosofia  di  Aristotele  per  le  eoaole  classiche  Italiane  compilata 
e  comiueutiita  da  A.  AMsao«iai.  Voi.  I(.  Logica.  —  lk>logna.  Regia  Tip. 

Il  prot  Ambrosini  si  è  proposto  da  qualche  anno  di  (ar  conoscere  a 
ehi  s' inizia  allo  studio  della  filosofia  una  parte  delle  genuine  dottrine 
filosofiche  di  Aristotele,  cioè   la    Psicologia,  la  I^ica  e  la  Morale.  Il 


204  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

pensiero  n'è  lodevole,  oggi  specialnnente  c-he  si  ritorna  al  connubio  fra 
gli  studi  classici  e  la  filosofia.  Ciò  premosso,  il  libretto  che  abbiamo 
sotto  gli  occhi  tratta  della  logica  Aristotelica.  Al  testo  greco  dei  passi 
principali  di  questa  dottrina  segue  una  fedele  tradizi-.ine  corredata  di 
mano  in  mano  da  brevi  e  piane  osservazioni  filosofiche.  Il  libro  può 
dunque  tornare  utilissimo  agli  studenti  liceali,  che  finora  apprendevano 
gli  Elementi  di  logica  aristotelica  nel  compendio  greco-latino  del  Tren- 
delemburg  e  in  quello  italiano-latino  del  prof.  Di  Giovanni.  Salvochè 
il  presente  Manuale  dell'Ambrosini  può  solo  considerarsi  come  atto  a 
fare  apprendere  i  genuini  rudimenti  logici  di  Aristotele  e  come  prope- 
deutica alla  logica  moderna,  sia  pure  elementare.  E  però  ci  sarebbe  pia- 
ciuto che  il  lavoro  dell'Ambrosini  fosse  stato  più  esteso  e  profondo, 
avesse  cioè  trattato  anche  dello  svolgimento  della  Logica  moderna,  quale 
si  ha  da  insegnare  nelle  nostre  scuole  liceali. 

Confidiamo  che  a  questa  parte  originale  del  lavoro  consacrerà  i  suoi 
studi  l'erudito  ed  accurato  prof.  Ambrosini  quanlo  esporrà  la  Mcrale 
Aristotelica,  molto  più  che  l'Etica  ha,  nella  vita  pratica  e  sociale,  mag- 
giore importanza  della  scienza  logica. 


NOTIZIE 


I  fratelli  Bocca  editori  ecc.  hanno  messo  in  vendita  nn  naovo  ed  im- 
portante v(  lame  delle  Viti  dkoli  italumi  ecc.,  «crUU  da  Makiamo  d'àialà 
e  pubblicate  per  cura  tU^ figli.  Il  volume  che  esce  alla  luce  s'intitola  gli  ueeiti 
dal  com^ficf  e  contiene  particolari  importanti  sula  vita  di  molti  benemeriti 
cittadini  che  si  sacrificarono  per  la  redenxione  della  patria. 

—  La  solerte  Casa  Treve*  annunzia  cinque  nuovi  volumi  di  reputati 
e  simpatici  aostri  scrittori.  Easi  sono:  Per  le  vie,  nov«*llti  di  G.  Verga;  Dal 
primo  piano  alla  tofi'ta,  roautrao  di  Enrico  Castelnuovo;  —  Il  Oonoento, 
racconto  di  A.  C«ecianig%;  —  Càta  altrui,  racconto  di  Cordelia;  ed  un  vo- 
lume di  nuove  Storielle  vane  alle  quali  CHmillo  Boito  ha  dato  per  titolo:  Sento  ^ 

—  Il  30  u.  s.  fu  inaugiirato  in  Campidoglio  il  busto  di  Luciano  MunAra. 
morto  nel  1819  nella  difesa  di  Roma. 

—  Si  é  pubblicata  a  Firente  fier  cura  del  aig.  Lot|H  Ventari,  ed  a  scopo 
di  ben<«fieensa,  ana  Strenna  degli  ospizi  marini  in  eontinuazionfi  di  qu«Ila 
nota  del  pruC  Barellai. 

—  L'editor*  O.  Morelli,  d  Ancona,  ha  pubblicato  in  un  eleganta  16*: 
Kmiotekda,  ookitmta  rmooa.  Idillio  di  O.  -f^odovieo  Runenberir.  prima  veralono 
italiana,  con  prefasione  «  note  di  D.  Ciainpnii. 

—  Perla  é  il  titolo  di  nn  naovo  romanio  della  gooUle  •crittric-  li' 
rìca  rSucrini.  pubbliento  dall'editore  lìnttaasati  di  llikao. 

—  A  Firenie,  per  eara  dei  «ig.  UlisM  Oiu*tl,  fte  collocata  una  lapide 
•ommemerativa  nella  casa  a.  8.  piana  8.  Bioioiia,  dove  Qiovanni  Dupré 
modellò  Vàbel*  n^ormle. 

—  I>alla  Casa  editrice  Alfredo  Hrigola  e  0.  di  Milano  «I  A  eomineiata 
In  rulibli.rasione  in  foglio  doU'^tofa  di  '  riund,  illoatrata  da  OmUvo 
I>4iié  É  un'oprra  di  lune  «oo  caratt<  >  od  incisioni  Mperbo,  •  eba 
fa  molto  onore  all'editora.  CouaCa  di  80  quadri  e  U  disegni,  ed  esce  ia  10 
diapente. 


206  NOTIZIE. 

—  È  uscito  il  16"  fascicolo  della  Enciclopedia  Giuridica  Italiana,  edita 
dal  dottor  Leonardo  Vallardi  e  contiene  le  seguenti  voci:  Agente  diploma- 
tico (cont.  e  fine)  G.  L  unonaco,  id.  di  Cambio,  ìd.\di  Noleggio  e  id.  Si<iurtà 
id.  Con'ahlle,  della  forza  pubblica,  id.  Principale.  Ager  publicus-privatas  E.  De 
Ruggiero, 

—  Un  elegante  volume  dell'Hoepli  contiene  la  traduzione  del  Zanella 
del  grazioso  poemetto  del  Longfellow:  Evangelina. 

—  L'editore  Saldini  accolse  il  concetto  del  Collegio  degli  ingegneri  di 
Milano  di  una  grande  pubblicazione  avente  per  titolo:  L'ingegneria  alVE- 
posizione  di  Milano  del  1881:  Venne  divisa  in  tre  volumi:  1*  Le  costru- 
zioni dell'Esposizione  (Vigoni  ing.  Giulio)  2°  Le  Macchine  (Colombo,  Sal- 
dini, Ponzio,  Carmagnola).  3°  Appunti  tecnici  sull'ingegneria  (una  Commis- 
sione del  Collegio).  Di  questi  tre  volumi  sono  apparsi  saltuariamente  16  fa- 
scicoli ed  uno  di  e3si,  quello  delle  macchin'-,  è  ormai  completato.  Gli  altri 
due  lo  saranno  presto. 

Il  conte  Pajol,  generale  di  divisione  ha  pubblicato  il  2°  volume  del- 
l'opera: «Lesguerres  sous  Louis  XV»  :  va  dal  174U  al  1748  e  riguarda  le 
campagne  di  Germania.  È  edito  dal  Firmin-Didot 

—  Augustin  Filon  pubblica  presso  l'Hachette  un'  Histoire  de  la  Litté- 
rature  anglaise  dalle  sue  origini  sino  ai  tempi  nostri. 

—  Gli  editori  Joseph  Baer  et  Comp.  di  Parigi  hanno  intrapresala  pub- 
blicazione di  un'enciclopedia  generale,  i  cui  articoli  saranno  scritti  da  com- 
petenti specialisti. 

—  Sotto  gli  auspici  della  società  di  medicina  e  d'igiene,  Napìas  ed  A.  I. 
Martin  hanno  pubblicato  presso  il  Masson  un  volume  sopra  Uétude  et  le 
progrès  de  Vhygiène  en  France  de  1^78  a  1882. 

—  A  la  maison  è  un  titolo  di  volume  di  stadi  e  di  ricordi  di  Xavier 
Marmier  pubblicati  dall'Hachette. 

—  I.  L.  Dutreuil  de  Rhins  pubblica  il  suo  giornale  di  viaggi  sopra 
Le  royaume  d'Annam  et  les  Annamiles. 

—  E  Rivière  pubblica  la  p'-ima  parte  di  lunghe  ricerche  intorno  all'an- 
tiquité  de  l'homme  dans  les  Aìpes  maritimfa.  L'editore  è  il  Bailliére  di  Parigi. 

—  Alfred  Darimon,  ex  deputato  della  Senna  prepara  sotto  il  titolo 
dì'IIistoire  dea  douze  ann  un  libro  di  rivelazioni  sul  secondo  impero. 

—  Paul  de  Raynal  pubblica  pre-^so  il  Calmann  Lévy,  sotto  il  titolo  Lea 
correspondants  de  J.  Joubert  un  volume  di  lette  e  inedite  di  quel  tempo. 

—  Il  principe  Rolando  Bonaparte  sta  per  pubblicare  un  volume  di  saggi 
sull'antropologia. 

—  A.  Weill  pubblica  alcuni  Souvenirs  intimea  de  Henri  Heine. 

—  Tra  i  nuovi  romanzi  francesi,  notiamo  Jean  Bernard  di  George  de 
Peyi-ebrune:  Pauline  Tardivau  di  Albert  Dupuit:  Ilistoire  d'un  pantouflard 
di  Henry  Gréville. 


Ift 


NOTIZIE.  207 

La  Deiifsche  Revue  di  giugno  contiene  un  artìcolo  del  Prof.  De-Guber- 
natÌ3,  sulle  donne  di  Casa  Savoia. 

—  L'Tenz  von  Ste-n  ha  pubblicato  pwsso  il  Cotta  di  Stuttgart,  Da» 
BOdinufJiwesen,  che  forma  la  parte  quinta  della  sua  scienza  dell'ammi- 
nistrazione. 

—  Il  premio  offerto  dalla  Concordia  di  Praga  per  il  miglior  lavoro  sul 
tema  «  Wagners  Bedeutung  fur  die  nationale  Kunst  »  fu  vinto  da  Ludwig 
Rohl  di  Heildelberg,  biografo  di  Mozart  ed  editore  delle  lettere  di  Beethoven. 
Assicuraci  che  Wagner  durante  gli  ultimi  anni  della  sua  vita  abbia  dettate 
alla  moglie  le  proprie  memorie,  fatte  piscia  stampare  a  Basilea  in  tre  esem- 
plari:  uoo  per  sé,  uno  per  il  figlio,  ed  il  terzo  per  Liszt. 

—  Il  0  giugno  fu  collocata  a  Giessen  nna  Lapide  sulla  casa  in  cai 
nacque  Franz  Diez,  che  iniziò  gli  studii  della  lingua  e  della  letteratura 
romanza.  Erano  presenti  i  due  illustri  professori  di  filologia,  Forster  di  Bonn, 
e  Edrting  di  MQnster. 

—  Il  professore  Angusto  Miiller  di  Ronigsberga  prepara  un  manuale 
di  letteratura  arabi  su  letture  fatte  su  questo  argomento  a  Lipsia  dal  de- 
funto prof  ssore  rx>th. 

—  L'Uni  vere  t\  di  Brcslavia  ha  posto  m  concorso  il  tema:  quale  influensa 
il  recente  sviluppo  dt-ireconomia  nazionale  acientifica  abbia  esorciuta  sulla 
legislazione  dello  Stato  in  Glermanio. 

—  Gli  cdit  iri  Duncker  ed  Hnmblot  di  Lipsia  pubblicano  un  volume 
■opra  Z?»e  Vfrk^hnmi'-Ul  in  dm  Vereinigfen  S^aaten  von  Nord  Atnerica,  del- 
Tingegnere  Knpka,  gi.\  noto  per  studii  solle  ferrovie  ameneane. 

—  Presso  il  Frielrichson  di  Amburgo  è  uscita  una  monografia  di  IlQbbe 
Schleiden  sotto  il  titolo  KoltmUation  PuU'ik  u$ui  K"loni»aHi^wi  Ttdmik.  È  ia 
&vore  di  una  politica  coloniale  attiva  da  parte  della  Germania. 

—  R^i<h  pubblica presao  il  Bnuia  a Min'^ea  dne  volumi  sopra  Die  Abkàn- 
gigheU  der  CivUitation  von  drr  Pfnànliekkeit  det  U^nteh'^ 

—  Il  LUerarlmAet  OniralUatf  del  SS  gingDO  loda  gli  «letnenti  di  ge»> 
aMtrìa  proiettiva  deHiUastre  prof.  CroMNM,  testé  tradotti  ia  tadMWi, 


Il  Freeman  ba  pubblicata  preiM  il  Trflbwr  la  mm  />o^rw  la  Àmtriomt 
AwUrnera,  dìvÌM  in  daa  parti,  di  cui  Tana  li  rifiirlMC  alla  eostiittaiooa  InglaM, 
l'altra  alle  conMfoanze  pratiche  dalla  storia  gaaarale  d'Europa. 

—  Williamn  A  '  -ri  della  opara  dello  Hpcaeer,  pr^Mraao 
un'opera  in  due  %  Maasej,  intitolata  The  notmral  gmiaU, 
Tratterà  dei  oostaai  a  dallo  sapenitisiooi  dei  popoli  primitivi. 

—  8.  \V.  Back,  n>  'nnry  ha  scritto  un  volume  sui 
guanti,  sotto  il  titolo  •  i  è  trattato  sotto  l'aspetto  sto- 
rico sociala  ad  iadwiriala.  VI  aaraaoo  p«ft  nolti  diMfal  di  gvMiti.  an- 
tichi. 


208  NOTIZIE. 

—  e.  D.  Field  é  autore  d'una  grossa  opera  sulle  relazioni  tra  il  pro- 
prietario ed  il  coltivatore  del  suolo  nei  vari  paesi. 

—  Il  principe  Louis  Lucien  Bonaparte  lesse  dinanzi  alla  Philological 
Society  una  memoria  sui  nomi  neo-latini  dei  rettili,  aggiungendo  di  aver 
raccolti  materiali    per  più  volumi  su  questo  argomento. 

Il  Rev.  Denis  Murphy  ha  pubblicato  presso  il  Gill  a  Dublino  un  dili- 
gente lavoro  su  Crormoell  in  Ireland:  a  Hiatory  of  CromwclV a  IrUh  Cam- 
paign,  illustrato  da  piani  e  carte. 

—  Il  Wills  ha  edito  presso  il  Macmillan  uno  dei  migliori  viaggi  nella 
Persia  moderna,  sotto  il  titolo  In  the  Land  of  the  Lion  and  Sun. 

—  Il  col.  William  H.  Gilder  ha  raccolti  i  suoi  ricordi  di  viaggio  in 
cerca  della  Icannette,  sotto  il  titolo  Ice-Pack  and  Tundra.  Ne  è  editore  il 
Sampson. 

Al  Capo  dì  Buona  Speranza  è  morto  l'Arcivescovo  Colenso,  uno  dei 
missionari  più  illustri  della  Chiesa  Anglicana.  Scrisse  ottimi  manuali  di  ma- 
tematica elementare  e  sollevò  molto  rumore  per  alcune  opinioni  da  lui  pro- 
fessate in  teologia. 

—  Si  Edward  Sabine,  generale,  mori  a  Richmond  in  età  di  95  anni. 
Nel  1861  fu  Presidente  della  società  Reale  di  Londra.  Fece  pregiati  studii 
sul  magnetismo. 

—  William  Spottiswoode,  nato  a  Londra  l'il  gennaio  1825  attuale  pre- 
sidente della  Società  Reale  distinto  cultore  delle  scienze  fisiche,  mori  il  27 
del  mese  scorso. 

—  È  morto  a  Firenze  l'architetto  prof.  Emilio  de  Fabrìs.  Era  nato  il 
28  ottobre  1808. 


Prof.  Fr.  PROTONOTARI,  Direttore. 


David  MABCHioimit  Responsabile. 


HEHBY  WADSWORTH  LONGFELLOW 


PARTE  U. 

Tramonto — Ispira/"^'    '■•■-'^'   —  F^r 


Il  LoDgfellow  aveva  cunsc-guito  tutto  ciò  che  di  bene  nella 
vita  si  può  desiderare:  la  fama  altissima  e  diffuBa  per  tatto  il 
mondo,  il  rispetto  e  l'aniorc  de'suoi  concittadini,  una  lieta  corona 
dì  figli  che  poteva  educare  nell'agiatezsa,  lo  delizie  del  mond> 
ideale  nel  quale  si  sollevava  e  ai  tratteneva  ogni  giorno  a  suo  pia- 
cere. In  mezzo  a  questa  serenità,  la  mattliia  del  9  luglio  1861  lo 
C4>glie  una  spaventosa  disgrazia:  sua  moglie  ò  presa  dal  fuoco 
nelle  vesti  e  muore  dopo  poche  ore.  Elgli  era  accorso  alle  grida 
di  lei  e,  abbracciandola  strettamente,  aveva  soffocato  da  un  lato 
le  fiamme,  ne  ora  stato  scottato  egli  stesso  alle  mani  e  ad  una 
guancia.  —  Parve  impazsito  dal  dolore  e,  chiuso  nella  sua  ca- 
mera, andava  ripetendo:  u  mia  moglie!  la  mia  bella  moglie!  r 
I  suoi  amici  dicono  che  dn  quel  giorno  perdesse  la  sua  fresca 
e  vivace  virilità,  e  nel  suo  viso  ni  disegnsstero  lo  prime  rugbo 
della  vecchiaia.  Non  fu  mai  udito  ricordare  il  terrìbile  avveni- 
mento, e  una  sola  volta  si  narra  vi  fncrsAc  allusione  dincorrondu 
L'un  un  amico.  Parlavano  duWAnéUo  di  Policrate  dello  Schiller 
n  Cosi  è  aooadato  a  me,  proruppe  il  I»ngfollow:  mi  figurerei 
che  gli  l>ei  m'invidiassero,  so  potessi  credere  alle  divinità  pa 

'  Ciwfia— stois,  v«U  fluMieoIo  dei  15  giagm». 

Vm    il.  Swte  II  -  16  LsgB»  tSSS.  U 


210  HENRY    WADSWORTH    LONOFELLOW. 

geme,  n  Ma  vi  fu  invece  la  divinità  tutelare  dei  poeti,  l' idealità, 
che  lo  confortò,  come  prima  di  lui  aveva  confortato  Dante,  Milton, 
Cervantes,  Manzoni.  E  lo  sorresse  anche  la  convinzione  profonda 
che  una  forza  benefica  governi  ogni  cosa,  e  dalla  lotta  e  dai  dolori 
svolga  i  conforti  e  le  energie  che  adducono  l' umanità  ad  un 
miglior  avvenire.  In  uno  de'  suoi  piccoli  e  preziosi  inni  egli  aveva 
scritto  : 

u  Tutto  è  da  Dio  !  appena  Egli  muove  la  mano,  si  addensano 
le  nuvole  e  la  tempesta  si  scatena  furiosa  ;  ma  jpoi  eccolo  !  con 
mille  raggi  di  luce,  dalla  nuvola  fuggente  Egli  sorride  alla  terra 
e  al  mare.*  n 

Il  Longfellow  si  riebbe  e  ripigliò,  circondato  dai  figli  e  da- 
gli amici,  le  consuete  occupazioni.  La  sua  vena  appare  più  pa- 
cata, il  pensiero  più  grave,  la  riflessione  più  concentrata.  Nel- 
l'anno 1863  pubblica:  la  Prima  Giornata  dei  Racconti  di  una 
Osterìa  della  Via  Maestra,  e  il  Secondo  Volo  degli  Uccelli  mi- 
granti *  :  indi  il  Gitjlio  '  insieme  ad  altre  piccole  composizioni, 
fra  cui  un  sonetto  sul  Campanile  di  Giotto  e  sei  altri  sulla  Di- 
vina Commedia,  che  allora  appunto  aveva  finito  di  tradurre.  Il 
primo  di  questi  sonetti  merita  di  essere  conosciuto. 

u.  Spesso  ho  veduto,  alla  porta  di  una  cattedrale,  un  conta- 
tadino  coperto  di  polvere  e  di  sudore  deporre  il  suo  fardello,  ed 
entrare  con  passo  riverente,  e  fare  il  segno  di  croce,  e  inginoc- 
chiarsi per  recitare  una  corona  di  paternostri  :  i  rumori  del  mondo 
sono  lontani,  le  vociferazioni  della  via  si  odono  come  uno  schia- 
mazzo confuso.  Così  ogni  giorno,  quando  io  entro  in  questo  tem- 
pio, lasciando  alla  porta  il  mio  fardello,  e  mi  genufletto  pregando, 
non  vergognoso  di  pregare,  il  tumulto  della  vita  sconsolata  sva- 
nisce per  me  in  un  indistinto  mormorio,  e  l'eternità  vigila  ed 
attende,  v 

Il  tempio  è  la  Divina  Commedia  e  l'umile  visitatore  è  il 
Longfellow  che,  per  più  anni,  ogni  giorno  ha  aggiunto  alcuni 
versi  alla  sua  traduzione.  L' imagine  è  vigorosa  e  ci  fa  sentire 
la  maestà  dell'opera  di  Dante  e  il  culto  del  traduttore  per  lui. 
Ma  la  descrizione  della  cattedrale  metaforica,  protratta  poi  in 
altri  quattro  sonetti,  diventa  concetto  troppo  artifizioso  di  cui 
il  lettore  segue  a  fatica  i  rabeschi.  Nell'ultimo  sonetto  il  poeta 

'   Uccelli  migranti:  Primo  volo  —  I  due  Angeli.  —  Boston  1858. 
*  Tales  of  a  Wayside  Inn;  First  day:  with  Birda  of  Passale;  Flight  the 
Second.  —  Boston  1863. 

'  Flower  de  Luce.  —  Boston  1866. 


HENRY   WADSWORTH   LONGFELLOW.  211 

esce  dalla  cattedrale  ed  ha  di  nuovo  un  impeto  d'  ispira- 
zione. 

u  Stella  del  mattino  e  della  libertà!  Apportatore  della  luce 
che  splende  alta  sopra  gli  Appennini  precorritrice  del  giorno 
che  si  appressa!  Le  voci  delle  città  e  del  mare,  le  voci  dei  monti 
e  delle  foreste  ripetono  il  tuo  canto;  ne' tuoi  versi,  che  suonano 
familiari  in  ogni  mente,  si  muove  lo  spirito  deiritalia  !  Da  ogni 
vetta  eccelsa  la  tua  fama  risuona  fìra  tutte  le  nazioni,  e  un  rombo 
si  leva,  come  d' un  forte  vento,  e  uomini  di  cuore,  gente  di  Roma 
estrania  e  discepoli  nuovi,  ascoltano  nelle  loro  lingue  la  tua 
parola  maravigliosa,  e  molti  stanno  attoniti,  e  in  molti  si  solleva 
il  dubbio,  n  La  gente  estrania  è  parte  della  popolazione  di  Roma, 
devota  per  tradizione  e  per  abitudine  al  papato;  in  essa,  dice 
il  poeta,  come  in  molti  studiosi  fuori  d' Italia,  il  poema  dantesco 
è  venuto  sollevando  dubbi  sull' autorità  della  Chiesa. 

Il  Longfellow  ha  tradotto  la  Divina  Commedia  '  verso  per 
verso,  quasi  letteralmente  ;  e,  per  giungere  a  tanto,  ha  sagri  fi- 
cata  la  rima  e  ha  adoperato  nella  frase  e  nel  verso  costrusioni 
e  inflessioni  che  non  sono  sempre  familiari  al  lettore  inglese. 
Ha  voluto  rendere  con  scrupolosa  fedeltà  ogni  più  minuto  tratto 
dell'originale,  ed  è  giunto  ad  esprìmere  nella  sua  lingua  l'at- 
teggiamento proprio  del  pensiero  dantesco.  Fin  le  oscurità  del 
testo  sono  spesse  volte  oscure  anche  nella  traduzione,  come  se 
il  Longfellow  non  si  arbitrasse  di  scegliere  fra  le  diverse  in- 
terpretazioni;  e  ne'  luoghi  dove  il  dubbio  non  è  sull'interpre- 
tazione di  un  passo,  ma  sulla  preferenza  da  darsi  ad  una  o  ad 
un'altra  lezione,  il  Longfellow  canta  anche  le  più  plausibili 
quando  paiono  menomamente  arbitrarie.  Dire  che  qua  e  là,  in 
si  lungo  e  difficil  lavoro,  non  sia  incorsa  qualche  inesatteaxa, 
sarebbe  lontano  dal  vero  ;  ma  molti  passi  e  de'  più  notevoli  sono 
resi  con  tale  maestrìa  ed  efficacia,  da  dare  alla  lettura  quasi 
lo  stesso  senso  di  piacere  e  di  ammirasione  che  si  ha  dall'ori- 
ginale. 

Questo  lavoro  del  Longfellow  sol  poeta,  nei  versi  del  quale 
tt  muove  lo  $pirito  dell'  Italia^  mi  richiama  a  dire  della  calda 
simpatia  ch'egli  ebbe  poi  movimento  italiano  e  che  gli  ispirò  lo 
stupendo  EneUado,  dove  nel  Titano  ohe  scuote  1'  Etna  è  raffigu- 
rata r  Italia  che  si  solleva  contro  i  ìqoì  oppressori.  La  tradu- 
zione che  il  prof.  MoMwdagHa,  comiMttondo  una  delle  suo  pa- 

*  Damts's  Divine  Comedy.  A  tntnslatioo.  —  Tluee  ?ol.  Boston  1865-67. 


212  HKNRY    WA08W0RTH    LONGFELLOW. 

recchie  e  varie  infedeltà  alla  Statistica  e  all'Economia  politica, 
ha  fatto  di  questo  poemetto,  è  bellissima.  ' 

Nel  1868  il  nostro  poeta  venne  una  quarta  volta  in  Europa 
e  rimase  a  lungo  in  Italia.  La  sua  fama  era  già  diffusa  fra  noi, 
e  alcuni  saggi  di  traduzione  delle  cose  sue  la  venivano  sempre 
più  divulgando  Dappertutto  i  nostri  uomini  di  lettere  eie  per- 
sone colte  gli  fecero  onorevole  e  cordiale  accoglienza.  Credo 
ch'egli  avesse  veduto  il  Manzoni  in  uno  de'  suoi  viaggi  prece- 
denti, ma  so  qualche  particolare  della  visita  che  questa  volta 
gli  fece  a  Milano  nella  storica  casa  di  via  del  Morone.  II  Man- 
jzom  ottantenne,  curvo,  esile,  calvo,  con  pochi  bianchi  capelli 
in  giro  al  capo,  spirante  dai  tratti  sottili  del  viso  una  fine  be- 
nevolenza, con  quella  sua  espressione  grave  e  raccolta,  che  ad 
ogni  vista  piacevole  pareva  aprirsi  a  un  sorriso,  e  all'occasione 
aveva  lampi  di  sottile  ironìa:  di  fronte  a  lui  il  Longfellow,  di 
vent'anni  più  giovane,  vigoroso  e  diritto  della  persona,  pareva 
alto  di  statura,  sebbene  superasse  appena  la  media.  I  capelli 
incanutiti  gli  scendevano  lunghi  e  folti  sulle  spalle  e  la  barba 
grigia  sul  petto  :  nel  viso  mostrava  la  rigogliosa  vitalità  delle 
forze  intellettuali  e  fisiche  fuse  in  una,  e  quella  sicura  confi- 
denza di  se  che  è  dote  eminente  degli  anglo-sassoni.  Nelle 
qualità  dell'  animo  questi  due  uomini,  sì  diversi  nell'  aspetto, 
hanno  molte  rassomiglianze.  Come  scrittori,  ritraggono  entrambi 
il  modo  di  sentire  e  le  abitudini  del  popolo  a  cui  appartengono; 

'  BiBDs  op  Passaqe;  Fh'ght  the  Second.  Enceladus.  —  Eccone  le  prime 
quattro  strofe,  nella  traduzione  del  prof.  Messedaglìa: 

Bncblado. 

Kotto  1'  Etna  fumante  è  seppellito, 

Non  morto,  ma  sopito  ; 

Ad  ora  ad  or  per  sollevarsi  ei  b'  agita, 

£  il  ciel  che  gli  sta  sopra  arde  all'  ingiro 

Della  fiamma  che  manda  il  suo  respiro. 
Confitto  è  al  suol  :  sul  petto  «  sulla  fronte 

Monte  s' accalca  a  monte  ; 

Ma  dell'  aspre  sue  veglie  il  fiero  anelito, 

E  il  represso  esalar  del  suo  lamento 

Fanno  luoge  sentir  eh'  ei  non  è  spento. 
Tutto  all'  intorno  vegliano  le  genti 

Con  occhi  avidi,  intenti. 

—  Zitto  !  È  il  giorno  aspettato  :  ei  sorge,  Encèlado, 

(Si  bisbiglian  fra  loro  in  tuon  sommesso) 

Sarà  forse  dimao,  forse  oggi  stesso.  — 
B  i  vecchi  numi,  i  rigidi  oppressori, 

Della  forza  i  signori. 

Stanno  stupiti  e  di  sgomento  lividi, 

£  al  rombo  annnuziator  delle  mine 

Mormoran  tutti  tremebondi  :  —  È  il  fine  ! 


HENRY    WADSWORTH    LONGFELLOW.  213 

ma  il  Longfellow  è  più  popolare  nei  versi  che  nelle  prose,  a 
rovescio  del  Manzoni  che  nei  Promessi  Sposi  lo  è  assai  più 
che  negli  Inni  e  nei  Carmi.  Si  accordano  nel  sommettere  gli 
impulsi  della  vita  al  sentimento  religioso,  come  a  forza  diret- 
trice e  purificatrice;  ma  il  processo  delle  due  menti  è  notevol- 
mente diverso.  Nell'angloamericano  prevale  l'impulso  dell'animo 
sano,  vivace,  a  cui  spontaneamente,  nell'  esprimersi,  sovviene 
la  forma  poetica,  che  la  riflessione  seconda  più  che  non  cor- 
;^ga.  Nel  Manzoni  invece  la  riflessione  domina  tutta  T  attività 
intellettuale,  ne  eccita  e  coordina  ogni  moto,  ne  elabora  1'  e- 
spressione. 

Il  Longfellow  è  più  naturalmente  poeta  del  Manzoni  e  io 
supera  nella  spontaneità  delle  imagini,  nella  facilità  e  nel  ritmo 
della  frase  e  del  verso.  Ha  fatto  venti  volte  più  versi  del  Man- 
zoni, la  più  parte  felici,  e  molti  improntati    di    tal    sentimento 

li  tal  bellezza,  da  correre  sulle  labbra  di  tutti,  dal  sommo 
all'imo  delle  classi  sociali,  dappertutto  dove  si  parla  Tingiese.* 
Nf-lle  poche  liriche  del  Manzoni  invece  il  pensiero,  strettamente 
religioso  e  politico,  non  è  imagine  della  vita  popolare,  non  sca- 
turìsce  da  essa:  piuttosto  che  farcene  sentire  le  pulsazioni  ri- 
percosse, come  in  un  centro,  nell'  animo  del  poeta,  osse  ci  di- 
cono le  convinzioni  e  le  aspirazioni  di  lui  verso  ideali  ch'egli 

rebbe  veder  sorgere,  o  risorgere,  nel  suo  paese. 

Ma  il  Manzoni  ^  assai  più  perfetto  raccontatore  che  non  m.ì 
Longfellow.  Osservatore  acuto  e  paziente,  ama  trattenersi  sai 
minuti  particolari  che  ordina  e  descrive  con  precisione.  La  po- 
tenza analitica  del  suo  ingegno  è  straordinaria  e  tiene  strette 
le  briglie  a  ogni  moto  della  fantasia.  Indi  la  verità  costante, 
varia,  ricchissima,  perfetta  dei  quadri  che  egli  ha  delineati  nei 
Promessi  Sposi,  e  che  noi  ci  tratteniamo  ad  ammirare  in  ogni 
minuta  parte.  Il  Manzoni  narra  come  uno  storico  e  analisxa  e 
giudica  da  filosofo:  ad  ogni  passo,  leggendolo,  ci  accorgiamo 
ebe.  aomini  e  fatti,  tatto  ciò  ch'egli  descrive  è  riferito   da  luì 

<  Nel  1877  il  LshMIov  h  ummmo  sd  aa*wll«ua  naie  a  Windsor.  I 
nervi,  quando  ri  Afbis  nel  palasu  0  nooM  dal  visltators,  aeeorsero  alle 
anticamere,  e  dagli  angoli  ove  non  potevano  oMsrs  scorti  attesero  di  rederln 
iMcire.  La  regina  ne  h  avrertita,  e  dalle  interrogasioni  «he  dirssss  ad 
alcnoi,  nppTCSS  eon  nwrarii^iia  e  oon  piaesrs  ebe  la  SMgglof  parte  de'  snoi 
■erri  eonosofa  I  poaaU  pia  noti  del  Longlillow.  Nessona  persona  aaHMssa 
»  WiiMboff  aggfangeva  la  rsgfna  nel  hr  qnesko  meeonto,  ha  nuti  sssrsUnlu 
«oli»  (cnnte  di  palano  un'Htemiion»  <Ji  tal  aatiirm^  —  Kinksot,  H'^rt/  W. 
/.otifif^llote.  p»tr    1h:j. 


214  HENRY   WADSWORTH   LONOFELLOW. 

ad  un  sistema,  ad  un  tipo  di  perfezione,  ad  un  fine  ultimo  e 
sommo.  Il  Longfellow  si  contenta  di  trarre  dalla  storia  motivi 
di  ballate  e  di  canzoni  ;  e  quando  fa  della  critica,  è  sempre  per 
notare  le  forme  e  le  maraviglie  di  questa  vegetazione  poetica 
che,  in  ogni  tempo  ed  in  ogni  paese,  rampolla  dalla  vita  delle 
nazioni.  Il  suo  ufficio  di  professore  di  lettere  gli  faceva  un  ob- 
bligo di  trattenersi  in  lavori  di  critica;  ma  non  pare  che  l'in- 
dole del  suo  ingegno  vi  si  trovasse  a  suo  agio.  La  critica  era 
per  lui  un  mezzo  piuttosto  che  uno  scopo,  uno  strumento  del 
quale  i  procedimenti  della  creazione  poetica  potevano  giovarsi. 

Tornando  al  colloquio  dei  due  poeti,  il  Longfellow  ha  risposto 
in  ottimo  e  spedito  italiano  al  saluto  che  il  Manzoni  gli  aveva 
diretto  in  francese.  Questi,  che  nel  conversare  aveva  una  sin- 
golare predilezione  per  la  politica,  ha  messo  il  discorso  sulla 
guerra  di  secessione  e  sulla  questione  della  schiavitù,  ed  è 
risalito  in  proposito  fino  ad  Aristotile.  Il  Longfellow  ha  ricor- 
date le  disposizioni  memorabili  che  Giorgio  Washington  lasciò 
scritte,  circa  gli  schiavi,  nel  suo  testamento.  Quando  il  Long- 
fellow prese  commiato,  il  vecchio  gentiluomo  lombardo  lo  ac- 
compagnò, a  capo  scoperto,  fino  alla  porta  dov'era  la  vettura. 
Da  trent'anni  il  Manzoni  non  aveva  pubblicato  più  nulla,  e 
quattro  anni  dopo  questo  colloquio  moriva  :  il  Longfellow  invece 
continuò  a  poetare  fino  agli  ultimi  suoi  giorni. 

Di  questo  suo  viaggio  in  Italia  noi  ricordiamo  con  piacere 
tre  belle  composizioni  :  Cadenahhia,  Monte-Cassino  e  Amalfi. 

Nessuna  delle  diverse  chiese,  che  agli  Stati-Uniti  si  dividono 
gli  abitanti  di  ogni  piccolo  comune,  ebbe  il  Longfellow  fra'  suoi 
fedeli:  lo  attestano  parecchi  suoi  amici,  l'ha  lasciato  intendere 
il  fratello  nelle  parole  che  pronunciò  sulla  sua  bara.  L'esistenza 
nell'uomo  di  un  principio  immortale,  continuamente  attratto 
verso  un  archetipo  di  bontà,  di  bellezza,  di  armonia  infinita,  è 
il  fondamento  della  sua  religione:  religione  del  sentimento  e 
dello  spirito,  che  rifugge  da  ogni  assolutismo  di  interpreti  e  di 
formole.  Dal  suo  punto  di  vista,  è  chiaro  eh'  egli  avesse  forti 
ragioni  per  tenersi  discosto  dal  cattolicismo  di  Roma  ancor  più 
che  dalle  altre  forme  meno  autoritarie  del  Cristianesimo.  Né  da 
siffatta  maniera  di  sentire  egli  si  è  allontanato  nei  sei  anni  dal 


1  Sono  comprese  nel  Quarto  volo  degli  Uccelli  migranti,  pubblicati  in- 
sieme al  Dramma  di  Pandora,  —  Boston  1875. 


HENRY   WAD6W0RTH   LONGFELLOW,  215 

1866  al  1872,  sebbene  dai  soggetti  delle  opere  a  cui  in  questo 
tempo  attese,  sembri  potersi  indurre  che  le  sue  idee  si  siano 
più  strettamente  adattate  nelle  forme  tradizionali  della  credenza 
cristiana.  Queste  opere  sono:  Le  Tragedie  della  nuova  Inghilterra 
la  Tragedia  divina  e  il  Giuda  Maccabeo.  Le  due  prime  :  John 
Endicott  e  Giles  Corey,  coltivatore  di  Salem  *  ci  rappresentano 
una  lugubre  fase  della  storia  della  colonia  inglese,  quando  il 
fanatismo  settario  e  la  superstizione  delle  fattucchierie  la  tur- 
barono colle  persecuzioni  e  la  insanguinarono  coi  patiboli.  Ma 
entrambi  i  drammi  ci  offrono  passioni  e  lotte  a  cui  la  fibra 
umana  da  lungo  tempo  ha  cessato  di  rispondere.  Ve  al  solito 
il  pregio  del  pensiero  e  della  dizione,  ma  l'arte  del  dramma- 
turgo è  insufficiente,  come  nella  Leggenda  aurea  e  nello  Scolare 
gjpagnuolo. 

La  Tragedia  divina  ',  che  è  la  leggenda  di  Cristo  in  una 
successione  di  scene  e  di  dialoghi,  non  può  essere  giudicata 
alla  stregua  degli  stessi  criteri,  perchè  troppo  lontana  dal  dramma 
umano  nella  forma  e  nella  sostanza.  Fin  dal  sao  apparire  non 
trovò  chi  le  facesse  buon  viso  :  sgradita  ai  credenti  che  prefe- 
riscono leggere  la  vita  di  Cristo  nell'evangelo,  e  non  meno  sgra- 
dita agli  scettici  che,  se  sono  dotti  di  storia  e  di  filosofia,  stu- 
diano i  libri  sacri  per  fame  la  critica.  Eppure  nell'opera  del 
Longfellow  vi  sono  dei  passi  che  si  leggono  con  piacere,  dei 
raggruppamenti  felici  di  situazioni  e  di  personaggi,  come  nella 
scena  delle  Nozze  di  Cana,  dove  il  dialogo  degli  sposi,  le  ciarle 
dei  convitati,  le  parole  di  Cristo  e  di  sua  madre  si  alternano 
e  si  mescolano,  distaccandosi,  come  da  un  fondo  musicale,  dalle 
strofe  della  Cantica  di  Salomone  colle  quali  i  cantori  e  l'orche- 
stra accompagnano  il  banchetto.  * 

Insieme  con  queate  opere  progrediva  la  pubblicazione  dei 
Voli  d'Uccelli  migranti  6  dei  Racconti  d'un'Oeteria  della  via  mum- 
itra.  Sotto  il  primo  titolo,  il  Longfellow  veniva  raccogliendo, 
ad  intervalli,  diverse  piccole  poesie,  frutto  d'ispirazioni  momen- 
Unee,  come  aveva  già  fatto  quando  pubblicò  lo  —  Voci  della 
notte  —  e  —  In  riva  al  mare  e  Accanto  al  fuoco.  —  I  Racconti 
dell'Osterìa  sono  una  serie  di  ballate  e  «li  brevi  narrazioni  metse 

'  Nem-Fniltmi  Trofeiiee.  -  Boston  1868. 

*  Tke  Dmlme  Trwgeig.  —  BosToo  1871 

*  L'altiiM  di  qosiCl  drammi,  JmdaM  Maooahem,  é  ooot«aato  nsl  volane 
TVm  Bmì»  ef  Song».  —  Boston  I87S;  é,  pw  Ofoi  rifoardo,  U  atao  st^ 


216  HENRY    WAD8W0RTH    LONftKELLOW. 

in  bocca  del  padrone  della  vecchia  osterìa  di  Sudbury  o  di  sei 
amici  :  un  letterato,  un  israelita  di  Spagna,  un  profugo  siciliano, 
un  tedesco  suonatore  di  violino,  uno  studente  di  teologia  e  un 
poeta,  convenuti  a  Sudbury  per  respirare  una  boccata  d'aria  di 
campagna.  L'osteria,  si  capisce,  l'oste  e  i  sei  ospiti  fanno  qui 
l'ufficio  che  farebbe,  se  si  trattasse,  non  di  novelle  ma  di  statue 
e  pitture,  una  galleria  fatta  a  posta  per  metterle  in  mostra.  II 
Boccaccio  ha  usato  lo  stesso  artifi^iio  nel  Decamerone  e,  pochi 
anni  dopo  di  lui,  l'ha  adoperato  Goffredo  Chaucer  nei  Racconti 
di  Cantorbery:  né  gli  imitatori  mancarono  in  seguito;  ultimo 
il  Longfellow  lo  rinnova  e  lo  ringiovanisce.  Egli  ha  riuniti  in- 
sieme sette  narratori  diversi  di  paese,  di  studi,  di  costumanze, 
per  aver  più  largo  campo  nella  scelta  delle  narrazioni,  e  per 
poter  dare  a  ciascuna  il  sapore  e  l'accento  propri  del  soggetto 
e  di  chi  la  dice.  Così  dalla  patria  anglo-americana  de'suoi  giorni, 
ci  trasporta  indietro  nel  passato  al  novellare  gioviale  degli  italiani, 
alle  fantasticherie  della  ballata  germanica,  al  misticismo  biblico 
degli  ebrei,  ai  ricordi  romanzeschi  del  medio-evo,  alle  passioni 
religiose,  acri  e  sanguinarie,  del  16"  secolo.  Questa  gran  varietà, 
e  il  carattere  che  il  nostro  poeta  ha  impresso  in  ciascun  rac- 
conto, gli  danno  il  vantaggio  sui  suoi  predecessori  ;  ma  non  lo 
ha  del  pari  per  la  naturalezza,  ne  ritrae,  come  essi  fanno  da 
vicino  la  vita:  nelle  —  Tre  Giornate  —  egli  è  più  che  mai  lo 
studioso  innamorato  della  leggenda,  da  lui  stesso  dipinto  nel 
Preludio  della  prima.  Tra  i  sette  novellatori,  ve  n'  ha  uno  del 
quale  egli  fa  il  ritratto  seguente. 

Vera  un  giovin  dai  modi  queti  e  gravi, 
di  polverosi  e  vecchi  libri  amante, 
conto  d'ogni  paese  e  d'ogni  lingua, 
ma  del  natio  paese  innamorato; 
socievole  e  cortese,  eppur  solingo 
volentieri,  nel  cuor  di  tutti  e  tutto 
a  penetrare  acuto,  ad  amar  pronto  ; 
ma  di  sottile  incontentabil  mente, 
che  il  ben  sognando,  par  disdegni  il  meglio. 
Delizia  erangli  i  libri,  ed  in  sua  casa, 
nella  stanza  raccolta  degli  studi, 
molti  n'avea  di  preziosi  e  rari  ; 
grossi  volumi  di  candido  vello 
vestiti  e  d'aurei  fregi,  rimembranxa 
dolce  dì  Roma,  di  Firenze  e  Pisa. 
Sommo  diletto  avea  nella  dubbiosa 
luce  dove  la  storia  si  smarrisce, 


HENRY    WADSWORTH    LONGFELLOW.  217 

e  la  leggenda  romanzesca  soi^ 

con  scintillar  d'usberghi  e  d'elmi  e  lance. 

e  ondeggiar  di  bandiere,  e  suon  di  trombe, 

e  dame  in  sella  che  han  sai  pugno  il  &lco, 

e  temuti  guerrier  via  di  galoppo 

nel  vapor  laminoso  trascorrenti 

dei  secoli  e  del  canto  dei  poeti. 

Se  dopo  aver  letto  questa  pittura,  ci  rimanesse  qualche  dub- 
bio sull'intenzione  dell'autore  di  metterv-i  parecchi  tratti  di  aè 
stesso,  l'attestazione  degli  amici,  che  la  dicono  rassomigliantis- 
sima,  basta  a  dissiparlo.  Il  Longfellow  era  di  fatto  modesto  e 
contegnoso,  amava  e  rispettava  gli  artigiani  e  i  contadini  dai 
quali  era  circondato,  e  la  sua  bontà  e  la  sua  gentilezza  erano 
proverbiali  fra  i  domestici,  gli  operai  e  i  poveri  di  Cambridge. 
Ma  le  passioni  tumultuose  delle  moltitudini  non  si  ripercuote- 
vano armonicamente  nell'animo  suo;  e  per  questa  sua  tempe- 
ranza nel  conflitto  dei  partiti,  fu  accusato  di  insocievolessa,  di 
tiepidezza  nell'amore  del  suo  paese,  di  alterìgia.  Il  Longfellow, 
come  altri  poeti  e  studiosi,  ha  potuto  parer  tale  a  gente  che 
non  prova  il  bisogno  di  passare  ogni  giorno  qualche  or»  a  tu 
per  tu  coi  propri  pensieri,  né  sa  elevarsi  al  desiderio  di  vedere 
gli  nomini  animati  da  un  sentimento  di  socievolessa  più  sincero 
e  più  fine  di  quello  che  ora  sentono,  e  riscaldati  da  un  amore 
più  illuminato  del  paese.  L'accusa  di  alterigia  è  del  retto  co- 
mune a  parecchi  uomini  cek*bri,  che  contribuiscono  ad  attirar- 
sela col  lasciar  trasparire  l'irritazione  che  provano  per  le  im- 
portunità degli  scioperati  e  dei  curiosi.  L'assedio  degli  importuni 
è.  come  ce  l'ha  dipinto  il  Dickens  ',  tortura  ferissima  nella  pa 
tria  del  Longfellow  dove,  per  una  curiosa,  ma  non  inesplicabile 
combinazione,  l'aziono  dei  poteri  pubblici  sull'individuo  è  mi- 
nima ed  è  invece  massima  la  tirannia  delle  moltitudini.  Si  ca- 
pisce che  in  un  tal  paese  il  longfellow,  p^r  indole  benevolo, 
cortese,  ospitale,  dovesse  apparire  a  molti  sempre  più  freddo  e 
altero,  a  misura  che  cogli  anni,  insieme  alla  sua  celebrità,  cre- 
sceva il  numero  dei  curiosi  che  pretendevano  parlargli  o  vole- 
vano almeno  averlo  squadrato.  Ma  anche  da  questa  parte  del- 
Atlantico  gli  venivano  visitatori  a  sciupargli  buona  parto  del 
t'  nipo.  Fra  i  meno  sgraditi,  lo  stMso  Longfellow  usava  ricordare 

•  Vedansi  le  leUve  del  DUkMs  sitate  dal  Foistor  asUa  viU  di  lui.  dal 
capitolo  XVII  al  XXIV  —  Postna,  Theiifeof  Charim  DUkens,  TaMhails. 
I^eipiig,  1872. 


218  HENRY   WADSWORTH   LONGFELLOW. 

un  inglese  che  cominciò  il  suo  discorso  col  dirgli  :  u  Signore, 
poiché  nel  vostro  paese  non  vi  sono  rovine  da  visitare,  ho  pen- 
sato di  presentarmi  qui  per  veder  voi  n  e  un  gran  signore 
scozzese,  ornitologo  appassionato,  che  lo  mise  tutta  una  sera 
in  grave  impaccio,  chiedendogli  i  nomi  degli  uccelli  che  dalla 
Craigie-house  si  sentivano  cantare  sugli  alberi  vicini,  senza  po- 
tersi persuadere  che  lo  scrittore  delle  scene  naturali  dell'  Evan- 
gelina  e  dello  Hiawatha  non  distinguesse  un  fringuello  da  un 
passero  e  un  cotogno  da  un  pero.  Molti  tratti  della  vita  reale 
sfuggivano  al  nostro  poeta,  come  se  la  sua  attenzione  non  po- 
tesse fermarsi  là  dove  non  trovava  alimento  l'idealità  propria 
della  sua  natura.  Ciò  non  toglieva  che  nel  suo  conversare  si 
sentisse  quasi  continua  una  vena  di  quel  che  in  inglese  chiamasi 
humour,  e  che  differisce  dal  buon  umore,  perchè  nel  humour, 
sotto  la  parola  arguta  e  scherzosa,  non  v'  è  una  gaia  disposizione 
dell'animo,  ma  un  fondo  di  pensieri  seri.  Ecco  un  esempio  di 
humour  Longfelliano  :  un  giorno  un  giovinetto  che  gli  aveva 
portato  alcuni  libri  da  parte  d'un  amico,  mentre  il  poeta  li  os- 
servava, raccolse  dal  cestino  un  foglietto  dov'era  un  abbozzo  di 
pochi  versi  corretti  e  ricorretti,  e  gli  chiese  di  poterselo  tenere: 
il  Longfellow  prese  il  foglio,  vi  scrisse  —  rifiuti  sacrificati  alla 
fama  —  e  gentilmente  lo  rese  al  giovane. 

La  bontà  e  la  dolcezza  del  nostro  poeta  apparivano  anche 
più  vive  neir  amore  eh'  egli  aveva  pei  fanciulli  :  sapeva  tratte- 
nersi con  loro,  ciò  che  ai  più  degli  uomini  non  è  facile,  e  se 
fra' suoi  visitatori  v'era  un  bambino,  usava  tenerselo  presso,  e 
camminando  lo  conduceva  per  mano.  I  suoi  versi,  quando  parla 
di  fanciulli,  divengono  più  facili  e  più  dolci,  e  fra  le  sue  pic- 
cole composizioni  ve  ne  sono  parecchie  deliziose  delle  quali  i 
bambini  sono  l'oggetto.  I  ragazzi  di  Cambridge  lo  conoscevano 
e  recitavano  a  memoria:  H  fabbro  del  villaggio.  La  pioggia 
d'estate,  Il  vecchio  orologio  dello  scalone.  La  cavalcata  di  Paul 
Revere,  ed  altre  poesie  che  hanno  il  pregio  di  esser  capite  dai 
grandi  e  dai  piccoli,  e  di  piacere  a  tutti.  E  dai  ragazzi  il  Long- 
fellow ebbe  una  delle  più  care  soddisfazioni  della  sua  vita.  Nel 
1878  le  nuove  costruzioni  ed  i  rettifili  di  Cambridge  vennero  ad 
urtare  nel  famoso  castano  descritto  nel  —  Fabbro  del  villaggio  — 
e  furono  causa  che  lo  si  abbattesse.  Il  poeta  non  avrebbe  vo- 
luto e  se  ne  doleva.  Allora  nelle  scuole  si  aperse  una  sottoscri- 
zione, alla  quale  tutti  i  bambini  concorsero,  contribuendo  da  1 
a  10  soldi  ciascuno,  e  col  legno  dell'albero    abbattuto   si   fece 


HENRY  "WADSWORTH   LONGFELLOW.  219 

jtruire  uno  splendido  seggiolone  da  offrirsi  al  Longfellow. 
Il  27  febbraio  1879,  72*  anniversario  della  sua  nascita,  gli  stessi 
bambini  vennero  in  folla  ad  offrirglielo  *.  Nessuna  testimonianza 
di  onore  gli  andò  mai  piìi  gradita  al  cuore,  e  pochi  giorni  dopo 
egli  pubblicò,  diretti  ai  fanciulli  di  Cambridge,  i  versi  che  mi 
sono  provato  a  tradurre  cosi 

Il  mio  Skooiolonb. 

Qaesto  splendido  s^gio  è  dunque  mio? 

perch'io  vi  sieda  son  io  forse  un  re? 

qaal  dritto,  qual  ragion  vantar  poss'io 

perché  s'aspetti  qaesto  trono  a  me  ? 
Forse  è  il  dritto  divino  del  poeta; 

perchè,  n^li  anni  giovanili,  uu  dì 

del  castano  le  fronde  e  l'ombra  lieta 

lodar  cantando  il  labbro  mio  s'odi. 
De'  suoi  gran  rami  e  della  chioma  folta 

ben  rammeoto  la  pompa  ed  il  Tigor, 

e  di  lotto  U  firaaea  oaeora  volta, 

gradito  achermo  dall'eativo  ardor. 
La  facina  del  fabbro  era  U  preaao, 

s'odian  nell'aria  tepida  roncar 

l'api  sui  bianchi  fiorì,  e  nello  speMO 

fogliame  il  brulichio  d'un  alvear  ; 
e  quando  lo  scotean  d'autunno  i  venti, 

acuto  delle  foglie  uno  stormir, 

e  dagli  ispidi  ricci  al  suol  eadenti, 

scoppiando,  il  frutto  rìlueenta  wdr. 
IK  quegli  ignudi  rami  ora  foggiato, 

un  alto  seggio  nel  mio  tetto  sta 

al  focolar  d'appresso,  e  del  passato 

le  rtmembranae  Wsbigiisndo  tb. 
Indarno  il  re  dal  mo  «^erbo  Crono 

al  mar  di  ritmr  Venie  «oaMmlfr; 

io,  dal  mio  ngsioi  da*  toM  dnatl  al  aooa», 

l'oad*  del  tanpo  rstroeedsr  fo. 
RWedo  I  6orì  «  l'api  •  rirroapente 

gaio,  chiassoso,  faneiollcseo  staot; 

odo  il  fisehio  dal  vesto  ad  il  fraqoaata 

andar  dal  fratto  alM  iafaUa  0  saol  ; 
vado  naUa  facina  i  feaki  aniaoti, 

santo  gli  ansanti  naatid  soAar, 

i  farri  sairincodiae  roventi 

odo  Q  maglio  sonante  martellar. 


*  L'aatora  di  qoaato  faggio,  naDa  AuasfM  sMCmmmIs  dtU*  8  gfaifM  1871, 
raoeontò  questo  fatto  a  T'aggionaa  alaona  sommarla  notiaia  sul  Lon^ftllow. 


220  HENRY    WADSWORTH    LONOKELLOW. 

Ilo  settantaduc  anni,  il  sangae  è  tardo 

nelle  mie  vene,  ed  è  rnen  ratto  il  pie  ; 

ma  torna  un  gioTanil  soffio  gagliardo 

oggi,  per  voi,  cari  fanciulli,  in  me. 
Il  pensier  pio  del  donator  cortese 

nel  gentil  don  contesto  io  legger  305 

come  lucida  gemma  é  a  me  palese, 

fra  i  ricordi  del  cor  lo  serberò. 
A  queste  spente  fibre  un'altra  vita 

danno  i  vostri  pensieri,  il  vostro  amor, 

e  sboccia  dalla  pianta  inaridita, 

colla  nuova  canzone,  un  altro  fior. 

Oltre  al  Seggiolone  dei  bambini  il  Longfellow  possedeva  nella 
sua  memoranda  ed  ampia  casa,  della  quale  aveva  serbate  intatte 
le  parti  e  la  vecchia  decorazione^  parecchie  cose  che  mostrava 
volentieri  agli  amici  :  la  ricca  libreria,  alcuni  busti,  parecchi 
quadri,  un  ritratto  dell'abate  Listz  con  un'aureola  luminosa  in- 
torno al  capo,  prodotta  dalla  luce  di  un  lume  ch'egli  tien  alto 
con  la  mano,  una  tazza  di  agata  attribuita  a  Benvenuto  Cellini, 
eh'  era  stata  di  Samuel  Rogers,  il  calamaio  di  Coleridge,  una 
scheggia  della  bara  di  Dante,  il  cestino  di  Tomaso  Moore,  assai 
altri  ninnoli  avuti  in  regalo,  e  una  raccolta  di  curiosità  messe 
insieme  nel  Griappone  da  suo  figlio  Carlo.  Lo  studio  è  a  ter- 
reno e  da  due  lati  guarda  il  giardino,  che  gira  tutt'  intorno  alla 
casa:  ai  fianchi  vi  sono  due  deliziose  verande,  e  dinanzi  al  pro- 
spetto, dov'  è  r  ingresso,  uno  spazio  aperto  con  alcuni  grandi 
alberi.  Il  fiume  Charles  disegna  poco  lontano  i  suoi  meandri 
che  si  scorgono  dalle  finestre  del  piano  superiore.  Anche  il 
giardino,  nella  sua  folta  e  arruffata  vegetazione,  serba,  come 
la  casa,  le  vecchie  linee  e  la  vecchia  fisonomia,  sì  che  non 
occorre  un  grande  sforzo  d' imaginazione  per  figurarsi  Lady 
Washington  in  guardinfante  che  vi  passeggia,  e  al  suo  fianco 
la  figura  asciutta  ed  austera  del  Generale  in  giubba,  coda  e 
manichini. 

Noi  ci  contentiamo  di  figurarci  il  poeta  colle  tre  figlie  Editta, 
Alice  ed  Allegra.  La  prima  da  alcuni  anni  è  divenuta  Mrs.  Ri- 
chard Henry  Dana  e  dimora  a  Boston,  ma  viene  spesso  co'suoi 
bambini  a  stare  col  padre.  Così  fa  pure  Ernesto  che  ha  moglie. 
Carlo,  l'altro  figlio,  ch'è  scapolo,  ora  è  a  casa,  ora  in  viaggio. 
I  visitatori  sono  in  troppo  gran  numero;  ma  il  piccolo  cerchio 
dei  fidi  amici  s'è  venuto,  ahimè!  negli  ultimi  anni  restringendo. 
Charles  Sumner,  il  celebre  senatore,  prediletto  fra  tutti,  è  marto  ; 


HEWRY    WADSWORTH    LONGFELLOW.  221 

e  Louis  Agassiz,  il  grande  naturalista,  uno  dei  più  cari,  se  n'è 
pure  andato  ;  rimangono  Ralph  Waldo  Emerson,  poeta  meno 
fortunato  del  Longfellow,  ma  forte  pensatore,  celebre  pei  suoi 
saggi  mistico-filosofici  e  morali  ;  Oliver  Wendell  Holmes,  medico, 
poeta  e  arguto  scrittore  di  riviste;  John  Owen  editore  e  in  molte 
ricerche  letterarie  collaboratore  del  Longfellow;  Samuel  Ward, 
uomo  d'affari,  amante  delle  lettere,  e  scrittore  a  tempo  perduto  ; 
Luigi  Monti,  un  ribelle  del  re  Bomba,  scappato  di  Sicilia  dopo 
l'assedio  di  Palermo,  ottimo  stampo  d'italiano,  che  il  Longfellow 
ci  ha  ritratto  al  vivo  e  di  vena,  in  uno  dei  raccontotori  del- 
l'Osteria di  Sudburj'. 

I  — Voli  degli  uccelli  migranti  —  continuano;  dal  1858  al  187H 
ne  appaiono  cinque,  le  —  Giornate  dell'Osteria  di  Sudbury  —  sono 
cresciute  a  tre;  ma  i  lavori  di  maggior  rilievo  del  vecchio  poeta 
sono:  R  dramma  di  Paiidorny  '  Appiccar  la  catena  al  focolare^ 
Morituri  SaUUanuu.*  Il  primo  ha  il  pregio  di  mostrarcelo  non 
più  trasportato  dalla  foga  giovanile,  ma  pieno  sempre  la  mente 
d'armonia  e  di  belle  imagini,  intento  a  colorire  nelle  forme  della 
poesia  le  più  alte  astrazioni  a  cui  lo  spirito  umano  si  eleva.  Pro- 
meteo, personificazione  del  pensiero  assiduo,  acuto,  inflessibile 
nella  ricerca  del  vero,  insofferente  d'ogni  servitù  e  d'ogni  dogma, 
perseguitato  dalla  divinità,  avverso  agli  dei,  il  Longfellow  ce 
lo  ritrac  in  una  nobilissima  figura.  Epimeteo  altrettanto  appas- 
sionato e  facile  alle  illusioni,  quanto  il  fratello  ^  calmo  ed  au- 
stero, si  lascia  vincere  dalle  seduzioni  di  Pandora,  che  poi  non 
sa  e  non  vuol  ripudiare.  Dopo  che  essa,  contro  il  divieto  fattole, 
ha  scoperchiato  il  misterioso  vaso  delle  sciagure  umane,  egli  le 
dice  u  Io  non  ti  amo  meno,  per  ciò  che  è  accaduto;  la  tua  stessa 
debolezza  ti  ha  ravvicinata  a  me,  e  di  qui  innanzi  il  mio  amore 
sarà  misto  di  un  senso  di  pietà  che  gli  torrà  quello  dall'adora- 
zione che  aveva  finora,  n  Nelle  strofe  intitolate  Epim«tK«utf  colle 
quali  il  Longfellow,  parecchi  anni  prima,  arerà  chioso  il  —  Primo 
volo  d'uccelli  migranti  —  trovasi  lo  stcMO  pensiero. 

u  Tu  (Pandora)  mi  sei  sempre  più  cara,  mia  sibilla!  mia  in- 
gannatrice! tu  mi  ftchìnri.tci  ciò  che  ò  oecdro,  •>  In  mota  lon- 
tana sembra  avvicinarsi  ({uando  tu  mi  metti  la  tua  febbre  noi 
cuore,  llnaa  dei  doni  e  dolle  grazie!  i  campi  si  spogliano    in- 

'  Nel  tasto  é  The  Ma»^m^  o/  Pandora:  ma  la  parola  mta»qm  o  «MuJe  è 
talTolts  usata  tn  faig)ese«  «  qu«sto  è  ano  dei  easi,  m1  wnso  di  /tmiom  ttmtiaa. 

*  Tkt  JKssffw  ^  Paaéora  aad  Otksr  PbMMi  Boston  l(t75.  —  Afpiooar 
ia  eatrna  al  footHart  k  nel  tstto  ffamffiag  of  tke  Orami, 


222  HENRY    WADSWORTH    LONGFELLOW. 

torno  a  noi;  ma  vi  sono  dominii  e  spazi  più  ampi,  dove  finora 
piede  umano  non  impresse  vestigio  ;  volgiamo  colà  insieme,  n  — 
Neir  ultima  pagina  del  dramma,  a  Pandora  che,  tormentata  dal 
rimorso,  invoca  la  morte  e  chiede:  «  Che  altro  mi  rimane?  n 
Epimeteo  risponde  :  «  La  gioventù,  la  speranza,  l'amore  ;  sulle 
mine  d'una  vita  erigerne  un'altra,  procacciarti  un  avvenire  mi- 
gliore del  passato,  si  che  il  passato  somigli  un  torbido  sogno. 
Or  ora,  attraversando  il  giardino,  vidi  per  terra  un  nido  rotto, 
<jolmo  di  pioggia;  ma  sul  mio  capo  gli  uccelletti,  senza  metter 
lamento,  già  attendevano  a  costruirne  un  nuovo,  n  Pandora  si 
persuade,  e  dice:  «  Solo  per  la  sofferenza  noi  possiamo  ricon- 
ciliarci con  gli  Dei  e  con  noi  stessi,  n  Chiude  il  dramma  un 
coro  delle  Eumenidi  che  finisce  colle  parole:  a  II  danno  (negli 
spiriti  colpevoli)  non  sarà  riparato,  finche  Elio  non  li  avrà 
purificati  co'  suoi  fuochi  celesti;  allora  sarà  ricuperato  ciò  che 
era  perduto,  e  comincierà  la  nuova  vita  infiammata  di  più  no- 
bili passioni  e  di  più  puri  desideri,  n  In  questa  Pandora,  il 
Longfellow  ha  tentato,  alla  sua  volta,  il  dramma  dell'umanità  : 
Epimeteo  la  personifica.  Pandora  rappresenta  le  passioni  e  le 
illusioni.  Prometeo  la  scienza  e  la  filosofia;  le  forze  della  na- 
tura, che  determinano  le  condizioni  della  vita,  sono  presenti 
nei  cori  delle  Oreadi,  delle  Acque,  delle  Foreste,  dei  Venti; 
le  Eumenidi  rabbonite  hanno  sentimenti  da  cristiane  e  parlano 
di  redenzione  e  di  vita  migliore.  E  curioso  il  senso  che  la  let- 
tura di  questo  poema  ci  rende:  i  due  miti  di  Pandora,  e  del 
fallo  di  Adamo  e  di  Eva  ravvicinati  e  fusi  insieme,  e  le  alle- 
gorie poetico-morali  del  monda  greco  vedute  attraverso  diciotto 
secoli  di  pensieri  cristiani.  Una  celebre  cantatrice  amica  del- 
l'autore ebbe  la  bizzarra  idea  di  rappresentare  la  Pandora 
sulle  scene  di  Boston,  ma  l'esito,  come  era  a  prevedersi,  fu 
infelicissimo.  Un  dramma  piace  quando  l'azione  rappresentata 
giunge  all'animo  dello  spettatore  e  se  ne  impossessa  per  la  via 
dei  sensi  che  percuote  ;  la  Pandora  del  Longfellow  può  solo  es- 
sere gustata  dal  lettore  che  riflette  nella  quiete  della  sua  camera. 
Appiccar  la  catena  al  focolare  —  è  una  visione  ideale  delle 
gioie  e  delle  pene  della  famiglia.  Ai  tempi  dei  nostri  proavi 
«he  erano,  in  fatto  di  dimora,  assai  meno  volubili  di  noi,  quando 
una  famiglia  si  faceva  una  casa  nuova,  usavasi  inaugurare  con 
una  certa  solennità,  accompagnata  da  un  banchetto,  il  nuovo 
focolare,  il  dì  che  s'era  appesa  la  catena  al  camino  di  cucina. 
Di  questa  costumanza  la  lingua  francese  serba  memoria   nella 


HENRY   WADSWORTH    LONGFELLOW.  223 

frase  penare  la  cremailUre,  e  il  Longfellow  ha  probabilmente 
rintracciato  l'usanza  e  la  parola  nei  vecchi  ricordi  anglo-sas- 
soni. H  poemetto  non  ha  più  di  duecento  versi  e  si  compone 
di  sette  quadri  della  vita  di  famiglia,  dal  giorno  che  due  gio- 
vani sposi  hanno  cominciato  a  far  casa,  a  quello  in  cui,  cir 
condati  dai  figli  e  dai  nipoti,  celebrano  le  nozze  d'oro.  Fu  stam- 
pato la  prima  volta  nel  New-York  L^dger,  che  pagò  all'autore, 
per  poterlo  pubblicare,  il  prezzo  di  4,000  dollari,  cioè  20,000  lire 
di  moneta  nostra,  che  si  ragguagliano  a  100  lire  per  ciascun 
verso  :  cifra  prodigiosa  nella  storia  delle  larghezze  degli  editori 
verso  gli  autori. 

Morituri  Snlutamus  —  fu  scritto  dal  Longfellow  per  l'adu- 
nanza che,  nel  1875,  tennero  a  Bowdoin  i  superstiti  di  coloro 
che  nel  1825  vi  erano  stati  allievi  o  maestri.  È  un  carme  della 
vecchiezza,  pieno  d'idee,  di  ricordi,  di  sentimenti  affettuosi  e 
malinconici,  di  serenità  e  di  coraggio  virile.  Ne  traduco  gli 
ultimi  versi. 

<  Che  danqae?  SiedereiDO  inoperoM 
dicendo:  è  notte,  tramontato  è  il  solo? 
No,  non  é  notte  «ncor;  non  ci  distoglie 
fin  qui  d&U'opra  la  men  chiara  Ince, 
né  dell'ingegno  e  della  man  lon  cbiuM 
per  noi  tutte  le  ìmpreae.  Anche  il  Tetuito 
albero  può  dar  frutto,  e  M  ci  é  tolto 
di  compor  l'Ole  greca,  o  dell'  Edipo  ' 
l'orrida  tela,  o  il  norellar  giocondo 
de'  pellegrin  dall'Osteria  di  Tabbard 
una  mattina  usciti,  *  eh  !  non  importa, 
altro  farem,  non  ci  trattenga  il  dubbio. 
Al  par  di  giovinessa  ha  le  sue  gesta 
la  tarda  ctl*  ma  d'altra  sorta  e  garbo; 
e  quando  11  re^ertin  raggio  tTaaiNt, 
le  stelle,  ignote  al  di,  ^landooo  b  eielo.  » 

La  luca  yetperttiui  non  ai  è  ancora  dileguata  per  U  natura 
eletta  e  robusta  dello  scrittoro.  Contemporaneamente  al  lavoro 
della  Pandora  e  del  Morituri  SahUamui,  egli  attendeva,  col  con- 
corso di  John  Owcn,  ad  una  grande  compilaxione  :  Le  pouié 
dei  luoghi,  '  trentun   volami  di  Tersi  sui  luoghi  celebri  per  U 

*  SfaBoalde  TfaMs  a  premio  deOa  poesia  Urica  a  80  aaal«  e  Sofode  scrisse 
V Sdipo t  qaando  li  arerà  oltrepassati. 

*  Ooàbedo  Ghaneer  s«isse  la  migiioca  e  la  piò  gaia  della  soe  opera, 
i  HaaoomU  di  GsaIsrAsry,  a  fiO  saaL 

*  Pom»  9Ì  Plam.  —  Boston  187«-T9. 


224  HENRY    WADSWORTH    I.ONGFELLOW. 

loro  bellezza  o  per  qualche  ricordo,  scelti  dalle  opere  dei  poeti. 
E  questa  non.  era  ancora  tutta  uscita,  quando  pubblicava  Ke- 
ramos^  o  la  canzone  del  vasaio,  che  termina  colla  strofa  se- 
guente u  Fermati,  fermati,  mia  ruota  !  Presto,  ahi  !  troppo  presto, 
al  mezzodì  seguirà  la  sera,  all'oggi  il  dimani  :  dietro  di  noi,  sul 
nostro  sentiero,  noi  gettiamo  i  cocci  del  passato,  e  il  tempo  li 
trita,  e  i  piedi  che  li  calpestano  ne  rifan  della  creta,  v  Poi 
stampa  un  volumetto  che  intitola  Ultima  Thule,  *  e  che  non  è 
per  lui  l'ultima  Thule,  perchè  scrive  ancora  Ermete  Trisme()Ì8to  * 

•  Keramos  and  Other  Poems.  Boston  1878. 
»  Ultima  Thule.  Boston  1880. 

'  Hermes  Trismegistus.  Pubblicato  nel  periodico  The  Century:  Febbraio 
1882.  —  Riferisco  due  lettere  del  Longfellow  suH'argomento  della  vecchiaia, 
notevoli  per  la  semplicità  e  per  la  grazia  della  forma  e  del  pensiero.  La  prima 
è  diretta  a  Mr.  George  W,  Childs. 

Cambridge,  marzo  13,  1877. 
Caro  Signor  Childs 
Voi  non  sapete  ancora  che  sia  aver  settant'anni.  Io  ve  lo  dirò,  perchè 
la  cosa  non  vi  sorprenda  quando  verrà  la  vostra  volta.  E  come  inerpicarsi 
sulle  Alpi.  Arrivate  a  una  vetta  coronata  di  neve  di  dove,  volgendovi  in- 
dietro, vedete  la  valle  profonda  che  si  protende  per  miglia  e  miglia,  e  guar- 
dando innanzi,  vedete  altre  cime  più  alte  e  più  bianche  della  vostra,  che 
forse  avrete  forza  di  raggiungere,  e  forse  no.  Allora  vi  sedete  e  meditate,  e 
vi  chiedete  quale  dei  due  casi  avverrà. 

Non  v'è  altro,  per  quanto  vi  s'argomenti  su  colla  mente.  Tutto  si  riassume 
nel  dire  che  la  vita  è  opportunità  di  fare. 

Settanta  cordiali  auguri  agli  abitanti  di  Walnut  Street,  canto  della  22*  via 
Vostro  sinceramente  Heney  W.  Longfellotf. 

La  seconda  lettera  è  diretta  all'amico  Samuel  Ward. 

Cambridge,  23  gennaio  1882. 
«  Mio  caro  Zio  Tomaso.  —  I  prediletti  dei  numi  muoiono  giovani,  perchè 
non  diventano  mai  vecchi,  se  pur  vivessero  ottanta  e  più  anni. 

<  Cosi  dico  io  ogni  volta  che  leggo  le  vostre  graziose  e  amene  fantasie 
nei  giornali  che  mi  mandate  o  ch'io  vi  mando. 

«  Attendo  l'ultimo,  annunciato  nella  vostra  lettera  di  ieri  e  non  ancora 
giunto. 

«  Perdonatemi  se  non  sono  sollecito  e  frequente  nello  scrivere.  La  mia 
giornata  è  assai  breve  —  visto  che  mi  alzo  tardi  e  mi  corico  presto  —  come 
una  giornata  d'inverno  al  polo,  quando  il  sole  sta  poche  ore  al  disopra 
dell'orizzonte. 

«  Sì,  YErmete  si  stampa  nel  Century. 

<  Torno  a  ciò  che  dissi  da  principio,  la  gioventù  perpetua  di  certuni. 
Vi  ricordate  l'aneddoto  di  Dueis  ?  Avendo  alcuno  detto  di  lui  —  Il  est 
tombe  en  enfance  —  un  amico  corresse  —  Non,  il  est  ventre  en  jeunesse.  — 
Ecco  il  garbo  con  cui  certe  cose  vanno  dette.  Ma  vecchio  o. giovane, 

«  sempre  vostro  H.  W.  L.  » 


» 


HENRY  wadsworth  longfellow.  225 

e  H  torrente  furioso]^  e  fino  agli  ultimi  giorni  attende  ad  un 
lavoro  di  lunga  lena,  che  i  figli  pubblicarono  dopo  la  sua  morte: 
una  tragedia  di  cui  è  protagonista  Michelangelo,  e  che  da  Mi- 
chelangelo prende  il  titolo.  —  Cosi  egli  lascia  la  vita;  così  noi 
ci  separiamo  da  lui:  l'ultimo  studio  nel  quale  egli  ha  raccolta 
la  sua  mente  ha  per  oggetto  una  delle  nostre  maggiori  e  più 
care  glorie.  *  Sulla  fine  del  1881  le  sue  forze  vennero  decadendo 
senza  che  potesse  riaversi;  il  18  marzo  1882  il  male  l'obbligò 
a  porsi  a  letto,  e  sei  giorni  dopo  spirava  circondato  dai  figli, 
dai  fratelli,  dall'intera  famiglia. 

Quali  memorie  e  quali  vivi  desideri  dell'  Italia  serbasse  il 
Longfellow  nel  suo  iperboreo  Massachussetts,  appare  dall'ultima 
strofa  àeW Amalfi',  u  A  me  rinserrato  fra  dune  di  neve,  coll'in- 
grato  sibilo  dell'aquilone  nell'orecchio,  un  vasto  paese  avvolto 
di  bianco  innanzi  agli  occhi,  e  il  fiume  serrato  nel  ghiaccio;  a 
me  sovviene  questa  deliziosa  memoria,  questa  visione  di  un  pa- 
radiso ove  ho  gioito,  or  è  lungo  tempo,  nella  terra  al  di  là  del 
mare,  n  Le  splendide  e  ridenti  immagini  dell'  Italia  ebbero,  senzA 
dubbio  la  loro  parte  nell' adescarlo  a  scrìvere  il  Michelangelo^ 
eppure  il  riflesso  che  noi  troviamo  in  quest'opera  del  cielo  lu- 
minoso d'Italia  e  dei  paesi  e  delle  figure  ch'esso  avviva  e  co- 
lora, non  è  tutto  pura  luce  :  vi  si  mescolano  le  ombre  dell'animo 
del  poeta,  divenuto  grave,  meditabondo,  preoccupato  più  che 
mai  da  solenni  pensieri.  Il  soggetto  li  richiede  o  li  desta  nella 
mente  dell'autore;  ma  ci  pare,  leggendolo,  di  sentire  nel  Longfel- 
low, più  che  la  divinazione  del  poeta,  una  consonanza  vera  di 
pensieri  coi  pensieri  del  vecchio  Michelangelo,  u  La  vita  è  or* 
per  me  una  scena  vuota,  spenti  i  lumi,  muta  l'orchestra,  usciti 
gli  attori  ;  io  solo  siedo  ripensando  ai  drammi  del  passato.  Sono 
oramai  si  vecchio,  che  la  morto  ip«sso  mi  tira  pel  gherone,  in- 
vitandomi a  seguirla,  e  un  giorno,  come  questa  lucerna  n  gli 
è  caduta  di  mano  un  momento  prima  u  io  cadrò,  e  1'  ultimo 
sprazzo  di  vita  sarà  spento  in  me:  ahi!  che  tenebra  desolata! 
Si  vicino  alla  morte,  e  ancor  tanto  lontano  da  Dio  !  n  Con  questa 
parole  messe  in  bocca  a  Michelangelo  il  dramma  finisce. 

•  Mail  Rivrr.  —  l'uÒDiicKto  dopo  la  biia  morte  wì\' A'Iin'i-  M'u'ìil^f  ilnl 
magf^ìo  1HS2  ;  iodi  poco  dopo,  iiMÌ«ine  allo  Hermes  Trii«iiH-^M:.tiiH  •■  ni  ali  une 
altre  piccole  poerie,  In  an  Tolametts  intitolato:  In  the  IJarbor  —  N*i  porto. 

*  Il  MfìeManfftto  d  eonpone  di  tre  parti,  pubt»licate  sueeeMiTamaata 
Mi  numeri  di  Gennaio,  Febbraio  e  Mano  1883  àéU'ÀtlanUc  Monlhly. 

▼m.    XU,  S«r1«  It  —  tft  Laftto  tSS&  Il 


226  HENRY    WADSWORTH    LONGFKLLOW. 

Meno  tetro  è  il  soliloquio  del  protagonista  sotto  le  querce 
di  Monte  Luco  a  Spoleto,  u  Quale  silenzio  fra  queste  antiche 
querce!  L'alitare  dell'atmosfera  solleva  i  rami  frondosi  e  li 
lascia  ricadere  senza  quasi  un  mormorio.  Queste  tranquille  so- 
litudini si  affanno  alla  vecchiaia,  queste  querce  enormi,  secolari,' 
che  nella  loro  gioventù  udirono  forse  le  trombe  dei  cavalieri 
del  Barbarossa,  si  ridono  della  breve  esistenza  dell'  uomo  che, 
con  tutta  la  sua  vantata  potenza,  non  giunge  a  cento  anni.  La 
piccola  ghianda  col  suo  turbante  turchesco,  che  io  spingo  col 
piede,  può  diventare  una  quercia  che  nutrirà  del  suo  amaro 
frutto  il  feroce  cignale  e  cullerà  nelle  sue  braccia  i  nidi  gre- 
miti di  uccelletti,  quando  tutti  gli  uomini  che  ora  abitano  il 
vasto  universo,  essi  e  i  loro  figli  e  i  figli  dei  loro  figli,  saranno 
polvere  e  muffa  e  null'altro.  —  Dagli  interstizi  fra  le  piante  io 
vedo,  giù  basso,  la  valle  del  Clitunuo  co'suoi  casolari  e  co' bianchi 
buoi  pascolanti  all'ombra  degli  alti  pioppi  in  riva  al  fiume.  O  na- 
tura !  tenera  madre,  amorosa  nutrice,  io  che  non  t' ho  amata  come 
avrei  dovuto,  che  ho  consumati  tutti  i  miei  anni  fra  le  mura 
della  città,  e  respirata  sempre  l'aria  soffocante  delle  sue  vie,  io  ora 
cerco  in  te  un  rifugio,  un  conforto.  Questa  è  pace.  Ecco  i  pic- 
coli romitaggi,  sparsi  come  punti  luminosi  sul  fianco  del  monte, 
e  il  convento  di  S.  Giuliano,  come  un  nido  '  attaccato  alla  rupe 
battuta  dal  vento.  Al  di  là  dell'  ampia,  sconfinata  pianura  tra- 
monta il  sole,  rosso  come  il  disco  d'Apollo  che,  sviato  dal  soffio 
di  Zefiro  invidioso,  colpi  a  morte  Giacinto  e  macchiò  la  terra 
del  suo  giovane  sangue,  che  ricrebbe  in  forma  di  fiori.  Ora  in 
luogo  di  quelle  belle  divinità,  geni  malvagi  percorrono  la  terra,  n 
Così  il  poeta  ha  parafrasato  un  passo  di  una  lettera  del  Miche- 
langelo, dove  egli,  scrivendo  al  Vasari,  appunto  dopo  un  breve 
soggiorno  a  Spoleto,  si  lamenta  di  non  aver  prima  gustate  le 
bellezze  della  natura  e  la  pace  che  ne  viene  all'animo. 

Tutta  la  sostanza  del  poema  è,  come  nel  brano  che  ho  ci- 
tato, un  tessuto  dei  pensieri  di  Michelangelo,  che  spesso  è  solo 
sulla  scena  e  parla  con  sé  stesso,  e  che  sentiamo,  anche  quando 
conversa  cogli  altri,  seguire  il  filo  delle  sue  proprie   idee,  sor- 

'  Nel  testo  v'è  a  nest  of  eurlews  —  un  nido  di  chiurli  —  ma  l'ornitologo 
appassionato  che  visitò  il  Longfellow  alla  Craigie-hoose,  persuaso  eh'  egli 
fosse  dottissimo  negli  studi  naturali,  sarebbe  qui,  probabilmente,  molto 
sorpreso,  poiché,  a  quanto  mi  fu  assicurato,  nessuna  delle  varietà  del  chiurlo 
conosciute  in  Italia,  vi  nidifica,  e  nessuna  delle  varietà  conosciute,  in  Europa 
e  fuori,  affigge  il  nido  a  pareti  od  al  fianco  di  rupi. 


HENRY   WADSWORTH   LONGFELLOW.  227 

genti  dalle  forze  creatrici  dell'animo  suo,  non  da  ciò  che  gli 
astanti  dicono  intorno  a  lui.  Gli  altri  personaggi  lo  ascoltano 
e  gli  si  chinano  dintorno:  egli  si  regge  da  solo,  e  non  segue 
altra  luce  che  quella  della  sua  mente.  Giudice  severo,  e  animo 
benevolo;  sprezzatore  di  leggiadrie  e  di  tenerumi,  e  amico  af- 
fettuosissimo  ;  sognatore  di  colossi  e  di  titani,  dei  quali  più  e 
più  s'invaghiva,  quanto  più  la  scena  del  mondo  e  gli  uomini 
gli  parevano  piccoli,  fiacchi  e  meschini.  Il  Longfellow  mette 
nel  suo  disegno  di  questa  grande  figura  tutto  ciò  che  dei  pen- 
sieri di  Michelangelo  ci  è  rimasto  negli  scritti  di  lui,  nelle  cro- 
nache, nei  ricordi  che  gli  amici  ne  serbarono.  V'è  il  profumo 
del  suo  amore  per  Vittoria  Colonna  e  l'amicizia  per  l'umile  e 
devoto  Urbino,  v'è  il  dolore  della  patria  avvilita  e  ridotta  in 
servitù,  e  il  ricordo  del  Savonarola,  e  l'animo  che  si  rivolta  al 
contatto  della  corrotta  Corte  pontifìcia;  v'è  il  fiero  disdegno 
provocato  dagli  intrighi  dei  rivali  e  dalle  soperchierie  dei 
grandi  che  si  attentano  di  dargli  il  calcio  del  signore. 

li  poeta  gli  fa  esprimere  la  sua  predilezione  per  l'Hinntta- 
tura,  che  egli  chiamava  l'arte  sovrana,  e  la  preferenza  che  dava 
alla  scultura  sulla  pittura;  ce  lo  fa  udire  quando  spregia  la 
novità  del  colorire  ad  olio,  che  avrebbe   rin  ''ta   l'arte,   • 

quando  nota  del  Tiziano  e  dei  Veneti,  che  .  .  reno  alla  im- 
perfezione del  disegno  colla  magìa  del  colorito.  —  Ahimè  !  se 
questi  giudizi  del  sommo  artista  si  dovessero  portare  da'  suoi 
tempi  ai  nostri,  e  alla  loro  stregua  si  giudicasse  dell'urto  mo- 
derna!  Chi  parla  più  dell'architettura  come  dell'arte  suprema, 
e  fu  degli  Hcultori  e  dei  pittori  i  ministri  dell'architetto?  £  la 
scultura  che  esprime  nel  marmo  imagini  e  figure  adatte  alla 
saldezza  e  alla  nobiltà  della  materia,  dov'è?  E  la  pittura  rim- 
picciolita non  solo  dalle  proponsioni  del  fresco  a  quello  della 
tela  dipinta,  ma  via  via  rimpicciolito  anche  le  telo  fino  ai  nin- 
noli e  ai  bijou  del  salotto!  E  la  scorreziuuu  dclj<r  lini'i*  non  più 
scusata  colle  armonie  di  un  colorito  sapiente,  ma  accultu  senza 
x<  t'i|>oIi  sotto  l'artificio  delle  luci  e  delle  ombre,  dei  rilievi  e 
•  -a  '  vaporosità,  e  di  altri  lenocini  o  lustre  por  cui  i  francesi 
inventarono  il  nome  di  tromptV-oeuil!  Chi  volesse  vilipendere 
l'artr;  moderna  non  potrebbe  trovare  un  altro  punto  di  vista 
più  di  questo  adatto  al  suo  intento;  ma  bisogna  riconoscere 
ilie  esso  distorcc  in  una  certa  misura  le  iraagini  delle  cose, 
e  può  trarci  a  giudizi  esageratamente  severi.  Tuttavia  l'arer 
ricordate  le  sentenze  micholangtolesche  ci  fa  accorti  di  un  enorme 


■228  HENRY   WADSWORTH   LONGFELLOW. 

spostamento  che  è  avvenuto,  in  tre  secoli,  nei  criteri  e  nell'av- 
viamento dell'arte.  Né,  leggendo  il  poema  del  Longfellow,  ci 
sfugge  che  gli  smisurati  fantasmi  della  mente  di  Michelangelo 
toccano  da  vicino  all'esagerato,  al  convulso  e  al  contorto  degli 
artisti  che  gli  succedettero  e  si  posero  per  la  via  dei  suoi  più 
temerari  ardimenti,  senza  avere  la  smisurata  potenza  del  suo 
ingegno.  La  scena  del  Colosseo,  dove  il  poeta  mette  sulle  labbra 
del  protagonista  la  famosa  enfatica  metafora  della  —  gran  rosa 
marmorea  di  Roma  —  basta  da  sola  a  farci  sentire  che  il  barocco 
è  alle  porte. 

Intorno  a  Michelangelo  si  muovono  e  passano  Sebastiano  del 
Piombo,  Benvenuto  Cellini,  il  Tiziano,  il  Vasari,  che  il  Long- 
fellow ritrae  fedelmente  dalle  memorie  che  se  ne  hanno.  RafiFaello 
è  già  scomparso,  ma  lo  spirito  suo  è  rimasto  e  si  sente  negli 
stessi  ricordi  che  ne  fa  Michelangelo  :  Vittoria  Colonna  si  con- 
forta e  lo  conforta  della  sua  amicizia;  la  vediamo  morire  e  as- 
sistiamo al  muto  dolore  del  vecchio  che  amava  fortemente,  come 
pensava.  Papa  Giulio  III  copre  della  sua  benevolenza  l'archi- 
tetto della  cupola  di  san  Pietro,  e  spunta  le  armi  della  persecu- 
zione nelle  mani  dei  cardinali  Salvìati  e  Marcello.  In  gruppi 
secondari  appaiono  la  bella  e  avventurosa  Giulia  Gonzaga,  Ip- 
polito de'Medici  cardinale  a  ventun'anno,  fastoso,  intraprendente, 
avventato,  morto  di  veleno  a  ventiquattro,  Iacopo  Nardi  lo  sto- 
rico, Bindo  Altoviti,  Tommaso  Cavalieri,  Claudio  Tolommei  e  lo 
spagnuolo  Valdès,  che  il  Longfellow  ha  compreso  nel  quadro  per 
dar  rilievo  alla  agitazione  degli  spiriti,  propagatasi  anche  in 
Italia  e  penetrata  nell'  atmosfera  stessa  della  corte  pontificia, 
per  le  idee  della  Riforma.  Il  dramma  si  arresta  allo  scoramento 
di  Michelangelo,  quando  tentò  nel  gruppo  della  —  Deposizione  — 
l'ultima  prova  del  suo  scalpello,  ch'egli  stesso,  malcontento  del- 
l'opera sua,  spezzò  colle  sue  mani. 

Così  il  poeta  ci  fa  assistere,  grado  per  grado,  al  tramonto  di 
una  grande  anima  che  scende,  senza  perdere  i  caratteri  della  sua 
grandezza,  verso  l' orizzonte,  finch'  è  presso  a  scomparire.  Egli 
sapeva  di  non  comporre  un  dramma,  eppure  ha  voluto  dare  al- 
l'opera sua  il  titolo  di  tragedia  :  e  tragedia  invero  è,  solenne, 
fatale,  tristissima,  tanto  più  cupa  e  dolorosa,  in  quanto  il  poeta 
non  lascia  apparire  nel  suo  eroe  morente  il  senso  della  vita  che 
gli  si  prolunga  nelle  grandi  opsre  compiute,  e  non  gli  attribuisce 
il  conforto,  efficacissimo  negli  animi  vigorosi,  di  sentirsi,  anche 
nella  morte,  rinnovare  intorno  d'ogni  parte  la  luce  e  la  vita  in- 


HENRY   WADSWORTH   LONGFELLOW.  229 

finite,  eterne.  Si  direbbe  che  lo  stesso  Longfellow  fosse,  nell'ul- 
timo suo  canto,  preso  dallo  sgomento  e  dalla  desolazione.  In  un 
sonetto,  premesso  al  Michelangelo,  egli  ci  toglie  da  questo  dubbio, 
descrivendoci  le  disposizioni  d'animo  nelle  quali  lo  ha  scritto  : 
non  ha  rinunciato  a'suoi  ideali,  ma  agli  occhi  della  sua  mente 
gli  orizzonti  luminosi  della  gioventù  si  sono  tristamente  velati. 
u  Nulla  di  ciò  che  esiste  muore  per]esser  distrutto,  muore  sol- 
tanto per  rivivere  in  altre  forme,  come  le  nuvole  rendono  nella 
pioggia  i  vapori  della  terra  e  del  mare.  Gli  uomini  costruiscono 
le  loro  case  colle  macerie  raccolte  dalle  tombe;  le  passioni  e  i 
dolori  di  cuori  che  da  un  pezzo  più  non  battono,  durano  e  pal- 
pitano in  altri  cuori  adesso  e  nell'avvenire.  Cosi  io  da  vecchie 
istorie  dove,  nella  polvere,  dormono  nomi  che  risonarono  già 
famosi  nel  mondo,  traggo  la  materia  del  mio  poema,  e  i  fiorì 
del  mio  canto  approfondano  le  loro  radici  fra  le  pietre  scon- 
nesse che  vo  ricomponendo  al  mio  intento.  —  Al  contatto  delle 
ossa  del  Profeta  rìsuscitano  i  morti,    t? 

Di  raro,  per  la  morte  di  uno  scrittore,  il  compianto  è  stato, 
presso  tutti  i  popoli  civili,  concorde  ed  alto  come  nel  caso  del 
Longfellow  ;  e  in  vero  le  qualità  del  poeta  furono  in  pochi,  come 
in  lui,  spontanee,  facili,  raccolte  insieme  sema  squilibrio  e  senza 
discordanze.  Osserviamolo  attentamente:  egli  è  sempre  tempo- 
rato,  rifugge  da  ogni  espressione,  imagìne,  situazione  che  gli 
sembri  troppo  violenta  ;  il  convulso,  il  feroce,  l' orrido  non  ri- 
suonano sul  suo  strumento;  non  ha  anatemi,  non  ha  sarcasmi,  non 
•ente  disperazione;  il  male,  la  colpa  stessa  destano  sempre  in 
lui  un  misto  di  ribrezzo  e  di  pietà;  la  nota  dominante  de' saot 
scritti  è  un  sentimento  schietto,  sano,  benevolo  ch'egli  esprìme 
semplicemente  con  linguaggio  dolce,  misto  d'austerità,  alternando 

10  penembre  della  mestizia  cogli  splendori  del  bene  e  del  bello. 

11  Longfellow  è  di  saa  natura  misurato:  eppure  quale  alteas* 
d'ispirazione  nell' Excelsior !  quale  ampiezza  di  pensiero  nella 
Pandora!  come  la  delicatezza  si  unisce  alla  profondità  del  senti- 
mento nel  —  Sandalphon  —  nella  —  Sfinitezza  —  negli  —  Uccelli 
<li  passaggio  — 1  I  vari  aspetti  della  vita  non  gli  sfuggono,  ne 
sorge  le  conneisioni  e  ne  abbraccia  l'insieme,  e  coH'animo  in- 
tento ne  segue  le  fluttuazioni  nel  mare  misterioso  dell'  infinito 
cho  li  produco  e  li  assorbe. 

Per  questa  sua  temperanza,  per  questa  armonia  delle  facoltà 
che  gli  è  propria,  il  Longfellow  non  può  giungere  a  certe  enei> 


230  HENRY    WADSWORTH    LONGFELLOW. 

giche  espressioni  che  ci  sorprendono  in  altri  poeti.  Lasciamo 
da  parte  gli  altissimi  :  Dante,  Shakespeare,  Goethe.  Fra  i  poeti 
delle  generazioni  più  presso  alla  nostra,  lo  Shelley  ha  fantasie 
vertiginose  sconosciute  al  Longfellow  ;  il  Byron  lo  supera  nello 
scolpire  il  concetto  e  nel  farlo  risonare  in  versi  che  paiono 
schiocchi  di  sferza  o  rintocchi  di  bronzo  :  lo  Heine,  fra  gli  scherzi 
della  sua  musa  beffarda,  ha  guizzi  di  lampo  che  ci  rimescolano 
il  cuore  più  dei  lamenti  Acadiani.  Non  udiamo  nei  canti  del 
Longfellow  le  note  acute,  armoniose,  dolorosissime  ^el  Leopardi  ; 
non  sentiamo,  come  nel  Burns,  caldo,  vivente,  come  se  ci  inve- 
stisse, r  anelito  delle  passioni  popolari  e  plebee;  non  troviamo 
in  lui  ne  il  fine  sentimento  della  natura,  ne  la  varietà  e  la  per- 
fezione delle  modulazioni  che  ammiriamo  nei  versi  di  William 
Cowper.  Ma  nessuno  di  questi  grandi  ha  detto  come  lui,  in  versi 
facili  e  melodiosi,  con  efficacia  di  parole  e  di  immagini,  i  pen- 
sieri e  i  sentimenti  più  cari,  più  sani,  più  nobili  dell'  uomo  di 
tutte  le  condizioni,  in  tutte  le  vicende  della  vita.  Per  questo  gli 
si  tributa  simpatia  ed  ammirazione  da  tutte  le  parti  del  mondo. 
Già  vedemmo  come  a'  suoi  concittadini  dolga  di  non  aver 
trovato  in  lui  il  poeta  nazionale  anglo-americano,  e  dolga  che, 
cento  anni  dopo  l'atto  che  li  divise  dalla  corona  d'Inghilterra, 
la  letteratura  anglo-americana  sia  tuttora  un  ramo,  null'altro 
che  un  ramo,  del  vecchio  tronco  inglese.  La  giovane  repubblica 
è  sì  forte,  sì  prospera,  sì  gloriosa!  la  sua  letteratura  è  sì  riccaT 
non  si  sa,  davvero,  se  si  debba  più  ammirare  ne'suoi  scrittori 
la  perspicacia  e  la  prontezza  dell'ingegno,  o  la  freschezza  e  la 
vivacità  della  forma:  oh  perchè  si  mantiene  essa  tributaria  alle 
ispirazioni  della  Vecchia  Inghilterra  ?  perchè  nelle  sue  vene  l'an- 
tico sangue  anglo-sassone  soverchia  sempre  ì  succhi  del  feracis- 
simo suolo  natio  ?  La  risposta  invero  non  è  difficile,  e  ovviamente 
si  scorge  che  questa  gloria,  tanto  sospirata  dagli  americani,  è 
loro  contrastata  da  un'altra  gloria  nobilissima  che  già  possie- 
dono, quella  cioè  di  vivere  della  lingua  e  delle  tradizioni  let- 
terarie di  Shakespeare  e  di  Milton,  di  Byron  e  di  Walter  Scott. 
Non  è  facile  rifarsi  il  nome   e  il  blasone,  quando   si   sono  ere- 

^  Nessun'altra  nazione  può  contare  una  falange  numerosa  di  scrittori 
notevoli  come  gli  Stati  Uniti,  nell'ultimo  mezzo  secolo.  Nella  maravigliosa 
versatilità  di  attitudini  di  questo  popolo,  dove  al  più  gran  numero  accade 
di  passare,  senza  disagio,  dall'officina  di  stamperia  e  dall'ascia  del  boscaiuolo, 
all'  insegnamento,  al  pulpito,  al  tribunale,  al  Congresso,  alle  armi,  vanno 
comprese  anche  le  lettere. 


HENRY   WADSWORTH   LONGFELLOW.  231 

ditate  glorie  regali  come  queste,  clie  i  secoli  non  oscurano.  Forse 
è  vero  che  negli  scritti  di  parecchi  concittadini  e  contempo- 
ranei del  Longfellow  si  noti  un  più  sensibile  sapore  di  ame- 
ricano che  in  lui.  Lo  si  può  dire  di  William  Bryant  ',  John 
Whittier  *,  Nathaniel  Hawthorne  ',  James  Lowell  ",  Henry  Tho-* 
reau  ',  Harriett  Beecher-Stowe,  Maria  Cummings,  e  a  maggior 
ragione  di  Walt  Whitman  *,  Bret  Harte  ^,  Mark  Twain  ',  meno 
colti  scrittori  dei  precedenti,  ma  improntati  di  forme  originali 
e  di  freschi  aromi,  che  ricordano  davvero  ì  terreni  da  poco  dis- 
sodati e  la  vicinanza  delle  foreste  vergini.  D'altronde  nell'opera 
del  Longfellow  bisogna  far  la  parte  dei  suoi  ampi  e  diligenti  studi 
sulle  letterature  europee.  Da  questi  appunto  gli  venne  quel  carat- 
tere di  cosmopolitismo  che  gli  si  rimprovera  come  un  difetto,  e 
che  difficilmente  poteva  conciliarsi  colle  ispirazioni  del  poeta 
anglo-americano  per  eccellenza,  che  i  suoi  concittadini  vagheg- 
giano da  mezzo  secolo.  Ma  non  è  vero  che  queste  sue  propen- 
sioni cosmopolitiche  siano  tali  da  costituire  nell'opera  sua  una 
menda;  sono  anzi  espressioni  di  nno  schietto  e  generoso  senti- 
mento umano,  non  meno  vero  e  non  meno  generoso,  perchè  non 
proprio  di  un  ramo  della  famiglia  amana,  ma  sentito  da  tutti 
i  rami  di  essa;  e  perciò  appunto  più  cospicuo.  A  questa  qualità 
del  Longfellow  gli  anglo-americani  devono  attribuire  la  fama 
mondiale  del  loro  poeta,  che  da  lui  si  rifletto  sulla  nazione. 

Il  Longfellow  patriota  ha  scritto  nella  chiusa  del  poemetto 
La  costruzione  della  nave  *  i  versi  che  seguono. 

u  E  tu  pure  veleggia,  nave  maestosa!  Unione!  la  grande, 
la  forte  !  L'umanità  agitata  dai  timori  e  dalle  sperante  dell'av- 
venire, attende,  col  fiato  sospeso,  i  tuoi  destini!  Ma  noi  sap- 
piamo chi  t'ha  fatto  la  chiglia  e  chi  t'ha  eretto  lo    costole    di 

*  Poeta  osto  nel  1794  usi  Massaoboasetts,  morto  ael  1878  d'an  eolpo 
di  sole  artito  airinaoganuioM  del  mowuneoto  eretto  a  Giuseppe  Massini 
in  New-York. 

*  PocU,  nato  nel  1806  o«l  MassaehnsMtta 

*  Romansiere,  nato  nd  1804  nel  Masaaehttssetta,  morto  nel  1864. 

*  Poeta,  scrittore  di  m|^  e  eritieo  valente,  prete  a  Ilarrard  il  posto 
laMsUto  (Ul  LongfsOow.  È  nato  a  Cambridge  del  MasMehiuMtts,  nel  1819. 

'  Uomo  e  scrittore  originalissimo,  nato  a  Concordia  del  Massaehossstts 
nel  1817,  morto  nel  1862. 

*  Poeta,  nato  nel  1819  nello  Stato  di  NnoTS-York. 

'  Romansiere  e  poeta,  nato  nel  1837  nello  SUto  di  Nuova- York. 

*  Pteodooimo  di  Samael  Clemena,  icrìttore  di  racconti  satirici  e  di  ea- 
rìcature;  nato  nel  lOssoarì  l'anno  1885. 

*  Bt  ras  Skaiiob  akd  thb  Pibksiob    —  TV  B^dmg  qf  tht  Ship. 


232  HENRY    WADSWORTH    LONGFELLOW. 

acciaio  e  gli  alberi  e  le  vele  e  le  gómene;  e  ricordiamo  le  in- 
cudini e  i  magli  e  le  fornaci  ove  furono  temprate  le  àncore  a 
cui  le  tue  speranze  si  affidano  ;  non  temere  di  tuoni  e  di  scosse  ; 
è  l'urto  dei  flutti,  non  dello  scoglio;  è  la  vela  sbattuta,  non  il 
colpo  di  vento  che  la  laceri;  fra  i  cavalloni  e  il  mugghiare 
della  tempesta  e  i  fuochi  ingannevoli  della  riva,  corri  e  affronta 
il  mare  ;  i  nostri  cuori,  le  nostre  speranze  sono  con  te,  i  nostri 
cuori,  le  nostre  speranze,  le  nostre  preghiere,  le  nostre  lagrime, 
la  nostra  fede,  più  forte  dei  nostri  dolori,  sono  con  te,  con  te, 
con  te.  n 

Al  Longfellow  poeta  di  tutte  le  nazioni  dobbiamo  1' — Inno 
della  Vita  —  La  Vita  è  una  realtà;  non  bisogna  pigliarla  alla 
leggera;  operate,  lottate  col  coraggio  in  cuore  e  il  pensiero  di  Dio 
nella  mente;  progredite  di  un  passo  ogni  giorno;  ne  per  ostacoli 
o  per  indugi  perdete  di  vista  la  vostra  meta.  —  È  l'inno  di  tutte 
le  genti,  ed  io  voglio  credere  che  gì'  Italiani  non  ne  sentano 
meno  degli  altri  l'incitamento. 

E  al  Longfellow  dobbiamo  l'inno  dell'  umanità  travagliata 
nel  suo  penoso  cammino  e  continuamente  spinta  da  impulsi 
misteriosi  verso  ideali  sempre  più  alti,  sempre  più  alti. 

Excelsiob! 

Del  giorno  cadente  nei  raggi  dubbiosi, 
d'alpestre  declivo  pel  calle  scheggiato, 
un  giovane  ascende,  sui  gioghi  nevosi 
recando  un  vessillo  col  segno  inusato: 

ExceUior! 

Ha  grave  la  fronte,  ma  nella  pupilla 
di  falce  brandita  gli  sfolgora  un  raggio; 
e  in  suon  d'argentina  purissima  squilla, 
un  grido  ha  sul  labbro  d'ignoto  linguaggio  : 

Excelsior  ! 

Indarno  lo  allettan  dal  rustico  tetto 

la  fiamma  gioconda,  gli  onesti  sembianti; 
indarno  il  ghiacciaio  dal  livido  aspetto, 
qual  torvo  fantasma,  gli  sorge  davanti: 

Excelsior  ! 

Il  vecchio  gli  parla  di  duri  cimenti: 

—  Il  nembo,  non  vedi,  pel  cielo  si  stende  ? 
il  rombo  non  odi  dei  gonfi  torrenti?  — 
ma  in  note  squillanti  quel  grido  s'intende  : 

Excelsior  ! 


HENRY   WADSWORTH    LONGFELLOW.  233 

La  Tcrgin  lo  prega  —  su  questo  mio  seno 
lo  stanco  tuo  capo,  deh  !  vieni,  riposa  — 
il  pianto  gli  offusca  lo  sguardo  sereno, 
sospira  e  bisbiglia  con  voce  affannosa: 

Excelsior  ! 

—  Al  pino  sfrondato  mal  fido  è  il  pendio, 
l'orrenda  valanga  sfuggir  ti  sia  dato!  — 
tal'é  del  pietoso  villano  l'addio  ; 
ma  un  suon  dalle  cime  risponde  echeggiato  : 

ExeeUiort 

In  vetta  del  monte,  coll'alba  nascente, 
i  monaci  accolti  dintorno  all'aitar... 
ceasaron  le  preci^  che  un  grido  repenta 
per  l'aria  commossa  s'intese  sonar: 

ExoeUior  t 

I  cani  sagaci,  frugando  la  traccia, 

in  messo  alle  nevi  trovaron  ghiacciato 
an  giovin  che  stringe  con  rìgide  braccia 
on  stranio  vessillo  col  motto  inosato: 

Elxoelnort 

AI  pallido  raggio  del  freddo  mattÌDo 
TeMuiime  spoglia  non  sembra  men  bella, 
e  Mende  sov'easa  dal  cielo  axsarrino 
un  mistico  appello,  qoal  fulgida  stella: 

Exeeltior! 

Lo  stesso  Longfellow,  scrivendo  a  Mr.  Tuckermann  '  doi  pen- 
•ieri  che  ebbe  nel  compor  questi  versi,  dice: 

u  I  monaci  del  S.  Bernardo  rappresentano  le  formo  e  i  riti 
religìoii,  e  la  sua  voce  (del  pellegrino)  mescolandoti  alle  iterata 
loro  preghiere,  dice  loro  che  vi  è  qualche  cosa  di  più  alto 
che  le  formo  e  i  riti.  Pieno  di  questo  Mpirasioni,  egli  muore 
senza  giungere  alla  perfexiono  ch'era  ne'  suoi  voti;  e  la  voce 
che  si  ode  nello  spazio  gli  promette  l'immortaliti  e  un  continuo 
elevarsi  a  sfere  pia  alte,  n 

Cosi  pensava  il  nostro  poet*  nel  comporre  VExceUior;  né 
mai,  nei  quarantun  anno  che  aegnirono,  quando  ebbe  conosciuti 
gli  aspetti  più  tristi  e  più  sconfortanti  della  vita,  •  al  brìo  e  alla 
luce  della  gioventù  fu  sottentrata  nell'animo  suo  una  austera  ^ 

'  Seritlora  di  Uografla  •  di  siggi  «itici  Nato  a  Boston  nel  IBIS,  sorto 
nel  1871. 


234  HENRY   WADSWORTH   LONaFELLOW. 

pacata  mestìzia,  egli  mostrò  che  la  poetica  sua  fede  nell'  im- 
mortalità e  nella  perfettibilità  al  di  là  della  morte  gli  fosso 
venuta  meno.  * 

F.   RODRIGUEZ. 

'  Non  v'è  altro  luogo  d' Europa  ove  la  parola  Excelsior  abbia  fatto  for- 
tuna come  in  Italia:  fortuna  curiosa  e  stranissima,  che  erapirebbe  di  mara- 
viglia il  barone  Manno,  se  fosse  ancor  vivo  e  volesse  farne  un  capitolo  da 
aggiungere  alla  sua  opera  La  fortuna  delle  parole.  L'  hanno  strappata  giù 
dalle  sue  alte  regioni  per  confonderla  colle  cose  volgari;  l'hanno  usata,  per 
dritto  e  per  traverso,  dopo  che  i  parecchi  traduttori  dei  versi  di  Longfellow 
le  ebbero  dato  corso  in  Italia,  anche  dove  meno  poteva  stare;  ed  è  andata 
per  le  mani  di  molti  che  non  hanno  mai  letto,  né  in  inglese,  né  in  italiano, 
la  poesia  del  Longfellow,  fra  i  quali  è  di  certo  l'albergatore  che  ha  scritto 
—  Excelsior  —  sull'insegna  della  sua  locanda  a  Varese. 


UNA  MONACA  DEL  CINQUECENTO 


SXJOX*  FELXCE  RASI*0>'I. 


Io  tei  m*ì  moimIo  vargla*  toralU; 
B  M  la  M*at«  tu*  bea  «t  rigaard», 
HoB  Mi  ti  MUrà  r«M«r  piò  MI*. 


I. 


La  storia  della  Romagna  nel  cinquecento^  ò  una  storia  tutta 
insanguinata. 

E  tra  le  città  romagnole  la  {)i<>  -ii.t^.i.t.i  in  <^ut>gii  anni  <^ 
Ravenna,  Ravenna  dove  i  Ramponi,  schiatta  d'antichi  condottieri 
sassoni,  invaghiti  non  si  sa  pia  se  dì  dominio  o  di  strage,  ac- 
catastarono nello  spazio  di  circa  ottant'  anni  tanti  e  tali  delitti, 
che  oggi  nemmeno  un  beccaio  potrebbe  leggere  senza  racca- 
pricciare. 

Ma  anche  tra'  pruni  naHcn  talirn  qualche  fiore;  e  se  non 
•empre  per  li  rami  ritorgti  V  um'ina  bontà,  anche  non  sempre 
nsorgono  le  cattività.  D'una  delle  otto  famiglie  (nò  certo  la 
meno  numerosa  e  importante)  nelle  quali  dÌNtln^uevasi  nel  se- 
colo decimosesto  la  gente  raspona,  fu  capo  Teseo,  vocato  pii\ 
comunemente  R*«pone,  valoroso  uomo  d'arme,  che  militò  con 
onore  nell'esercito  di  Prospero  Colonna,  e  alTsssedio  di  Parma 
fu  de'  primi  a  salire  nulla  breccia.  Fazioso  del  resto  e  prepo- 
potente  al  modo  degli  altri  Rasponì;  anch'esMO  ni  trovò  alla  no- 
fitnda  carneficina  della  Camera,  quando  Ostasio  Rasponi,  fece, 
nella  sala  del  consiglio   cittadino   scannare  da'  suoi  cagnotti  i 


236  UNA    MONACA    DEL    CINQUECENTO. 

consiglieri  che  credeva  avversari  suoi.  Raspone  vide  fredda- 
mente cadérsi  al  fianco  il  buono  e  valente  capitano  Tombesi 
col  quale  aveva  militato,  e  s'erano  giurati  fratellanza  d' armi. 
Ma  forse  più  di  lui  invasata  di  spiriti  turbolenti  e  crudeli,  più 
tuffala  in  politiche  triste  e  bieche,  fa  la  moglie  Giovanna  Fabri 
cui  non  alleai  la  fibra  e  non  rese  più  mansueto  l'animo  l'aver 
partorito  a  Raspone  undici  figliuoli.  Certo  è  che  per  questi 
ebbe  e  mostrò  più  cuore  il  padre  che  la  madre.  Ultimo  di 
quella  copiosa  e  florida  figliuolanza  fu  una  femmina  cui  imposero 
il  nome  di  Felice.  L'augurio  del  nome  purtroppo  non  s'adempì  ! 
Messa  presso  una  nutrice  u  donna  di  bello  ingegno,  di  gentil 
maniere,  e  di  buone  persone  nata  n  vi  stette  Felice  fino  dopo 
la  morte  del  padre,  avvenuta  mentre  ella  non  era  per  anco 
giunta  all'età  di  tre  anni. 

Ammalatasi  la  nutrice,  che  anche  mori  di  li  a  poco,  dovè 
la  bambina  ridursi  a  casa.  Ma  la  fiera  madre  non  l'amava  e 
non  la  voleva  seco  ;  e  la  mise  in  un  convento.  Uscitane  appena 
seppe  leggere  e  cucire,  cominciò  madonna  Giovanna  u  a  infe- 
starla di  farla  monaca,  n  Mirava  la  vedova  di  Raspone  a  ridurre 
ne'  maschi  e  specialmente  nel  capitano  Cesare  le  ricchezze  della 
casa,  e  sappiamo  appunto  che  Cesare  u  segretamente  teneva 
coll'empia  madre  a  monacarla,  n  Non  cosi  gli  altri  fratelli  e  la 
sorella  Giustina  che  tuttavia  era  in  casa  fanciulla  da  marito. 
Ma  la  madre  non  era  donna  da  smuoversi  dalle  sue  volontà. 

Avendo  un  giorno  ardito  Felice  u  sebbene  tremante  come 
foglia  al  vento  n  risponderle  che  non  voleva  farsi  monaca,  la 
indomita  matrona  la  prese  pe'  capelli,  e  trascinatasela  dietro, 
attraverso  molte  stanze,  in  camera  sua,  per  sì  fatto  modo  la 
percosse  che  la  lasciò  livida,  sanguinosa  e  co'  capelli  strappati. 
Ne  si  restrinsero  a  una  volta  sola  queste  fiere  e  sconce  scene. 
Più  degli  altri  difensore  della  Felice  contro  le  crudeltà  materne 
era  il  fratello  Giulio.  Il  quale,  risaputo  delle  battiture,  ardita- 
mente disse  a  madoina  Giovanna  essere  sua  intenzione  che  si 
rispettasse  la  volontà  paterna  mostratasi  sempre  contraria  che 
le  figliuole  s'avessero  a  far  monache.  Ma  di  lì  a  poco  Giulio  fu 
ucciso  per  mano  d'uno  dei  Lunardi.  E  allora  accadde  quello 
che  doveva  accadere,  quello  che  probabilmente  sarebbe  acca- 
duto, sebbene  forse  più  tardi,  anche  non  morendo  Giulio  u  Non 
così  presto  fu  la  cruda  et  non  humana  madre  racconsolata  della 
morte  del  figliuolo,  che  senza  fargliene  parola,  la  fece  accettar 
monaca  in  questo  maledetto   convento,    et   poi  fatti  radunare  i 


UNA   MONACA   DEL   CINQUECENTO.  237 

parenti,  et  li  altri  convenevoli  a  tale  effetto,  le  fece  far  carta 
di  fine,  non  sapend'ella  quello  si  facesse;  et  la  sera  al  tardi  le 
disse  che  o  volesse  o  non,  era  dispostissima  di  farla  monaca, 
con  parole  spaventevole  et  arrogante,  e  che  non  vi  volendo  an- 
dare ve  la  farebbe  portare  violentemente.  I  fratelli,  fuor  che  'I 
capitano  Cesare  che  di  ciò  era  consapevole  et  aderiva  alle  ma- 
terne voglie,  pregamo,  ma  invano,  non  volesse  forcìarla,  ale- 
gandovi molte  ragioni.  Ma  lei  facendo  l'orecchia  sorda,  a  tutti 
dicendo  voler  fare  a  modo  suo,  fra  tre  giorni,  una  domenica 
quasi  all'alba,  con  la  nutrice,  ma  non  la  vera,  che,  sapete  howi 
detto,  era  uscita  di  questa  vita,  l'inviò  al  monastero  senz'altra 
compagnia.  Come  lei  si  vide  fuor  dalla  patema  casa,  volta  a 
colei  che  dietro  le  era,  con  amarissime  lagrime  più  e  più  fiate 
la  pregò  a  menarla  al  fiume  et  ivi  aniegarla,  che  giù  mai  con- 
durla a  quella  dura  et  a  lei  spiacevol  carcere;  et  la  donna  che 
non  meno  havea  intenerito  il  petto  che  gli  occhi  pregni  di  la- 
grime, per  pietà  la  confortava,  ma  invano  ad  obedire  il  coman- 
damento materno,  et  giontA  al  tempio,  ove  un  prete  maledetto 
l'attendeva  aparato  all'altare  per  vestirla,  fa  da  esso  fatta  por 
inginocchioni,  et  in  tal  stato  vedutasi,  se  lo  chiuse  di  maniera 
il  cuore,  che  senza  poter  formar  parola  fu  vestita  monaca,  et 
vi  stette  un  anno  con  febre,  né  mai  volle  stare  in  letto,  uè 
mai  fa  chi  la  vedesse  ridere  né  altiar  gli  occhi  di  terra,  né  a 
fatica  la  sentisse  parlare,  ne  mai  le  lagrime  se  le  asciugavano 
dagli  occhi,  dove  a  gran  pietà  moveva  tutte  le  monache »» 


li. 

Chi  scrive  cosi  è  l'aatore  del  libro  dal  qaale  ho  di  sopra 
spigolato  più  frasi;  appunto  La  Vita  della  madre  donna  Felice 
Raeponi.  *  Chi  scrive  è  una  monaca  stata  •  suor  Felice  com- 
pagna, amica,  serva  devota  affettuosissima.  Appare  scrivesse 
vivente  ancora  la  Rasponi,  sebbene  negli  ultimi  anni  di  questa. 
Rimase  questa  Vita  manoscritta  sino  a  oggi,  nota  tuttavia  al- 
l'Armellini, al  Oinanni  e  agli  altri  letterati  ravegnani  che  se  ne 
gioviirono.  Facile  è  immarrinarc  quali  riguardi  e  scrupoli  n'abbiano 
sempre  impedito  la  pubblicazione.  Sul  manoscritto,  di  mano  del 

'  «  Vit«  delU  fn«dro  Fcllco  RMponi,  ■rrìtta  da  ana  monaca  usi  aoiix 
e  puhhlicntA  dn  Corrado  Ricci.  •  nolo|rna,  Zanirhelli,  1888.  —  EU  priao 
▼olum«  d'aoa  (MUtiam  di  emrioeità  tturtehe  e  leUerttrie. 


238  UNA   MONACA   DEL   CINQUECEKTO. 

padre  Benedetto  Fiandrini,  diligente  cultore  delle  memorie  patrie, 
leggesi  scritto  questo  pio  ammonimento  :  u  Leggete  ma  non  vi  scan- 
dalizzate. ?5  II  Ricci  Ila  fatto  benissimo  a  darlo  in  luce.  Non  tanto 
perchè  se  ne  avvantaggia  la  notizia  di  una  donna,  per  molti 
rispetti,  non  indegna  d'esser  meglio  conosciuta,  quanto  perchè 
è  tal  libro  che  fornisce  nuovi  e  curiosi  e  importanti  particolari 
della  vita,  massime  della  vita  intima,  del  cinquecento. 

Pier  Desiderio  Pasolini  nel  suo  bel  saggio  di  storia  delle 
famiglie  Rasponi,  accennò  a  un  suo  dubbio  che  questa  vita, 
contrariamente  alla  lode  di  «  molta  esattezza  n  che  le  dà  il 
Ginannì,  non  sia  piuttosto  w  una  novella  artefatta  e  romanze- 
sca, alla  quale  facilmente  potevano  dar  luogo  la  bellezza,  le 
sventure,  1'  ingegno  e  la  virtù  di  Felice,  n  '  Veramente  la  sua 
forma  e  certe  sue  parti  danno  a  questo  libro  un  po'  l'aria  di 
romanzo.  Esso  figura  un  dialogo  tra  due  suore,  suor  Aurelia  e 
suor  Serafina  (secondo  il  Ricci,  suor  Serafina  Majola;  e  quésta 
sarebbe  anche  l'autore):  la  seconda  è  quella  che  veramente 
narra  la  vita  della  Rasponi;  l'altra  di  quando,  in  quando,  se- 
condo gli  aspetti  e  le  pause  che  piglia  la  narrazione,  entra  alla 
sua  volta  a  raccontare  fatti  o  esempi  analoghi,  i  quali  potrebbe 
ben  anche  darsi  il  caso  che  non  fossero  che  altrettante  no- 
velle. Ma  pure  la  parte  che  spetta  a  Felice  e  alle  cose  rave- 
gnane  è  storia,  e  ne  accerta  il  diligente  editore  che,  avendo 
ricercato  nei  documenti  d'archivio  ed  in  genere  dove  credeva 
di  poter  trovare,  la  riprova  di  più  cose  narrate  in  questa  Vita, 
i  documenti  hanno  sempre  risposto  confermando  la  narrazione. 
Ma  forse  la  esattezza  minuta  dei  particolari,  e  nemmeno  forse 
la  rigorosa  cronologia  de'  fatti,  non  sono  le  due  cose  che  diano 
il  pregio  maggiore  a  questo  libro;  lasciando  anche  stare  la 
continua,  evidente  intenzione  d'elogio  troppo  palese  nello  scrit- 
tore a  riguardo  del  suo  personaggio.  Quello  che  per  me  rende 
prezioso  questo  libro  sono  certi  tratti  stupendamente  figurativi 
di  quell'età,  certi  particolari  di  costume  e  di  sentimento  con 
inconscia  vivezza  ritratti  in  certi  periodi,  in  certe  linee  ani- 
mate e  balde  che  staccano  dalla  pesantezza  d'una  prosa  d'ordi- 
nario composta,  ma  pure  qua  e  là  calda  e  scalpitante  di  secen- 
tismo prepostero.  I  cicalecci,  i  battibecchi  del  convento,  le 
ridicolaggini  e  le  magagne  di  suor  tale  e  di  suor  tal'  alti-a, 
oh  come  queste  cose  le  son  dette  che  non  si  potrebbe  meglio! 

^  Memorie  storiche  della  famiglia  Basponi,  177. 


UNA   MONACA   DEL   CINQUECENTO.  239 

Come  quella  vita  dei  conventi  italiani  nei  due  primi  terzi  del 
cinquecento  ci  si  palesa  schietta  e  vivace,  colle  sue  risse,  colle 
sue  libertà,  colle  sue  facili  e  lunghe  conversazioni  alla  grata 
di  chiesa,  co'  suoi  amori,  colle  sue  molteplici  e  multiformi  rela- 
zioni col  di  fuori,  co' suoi  scambi  non  troppo  furtivi  di  doni, 
di  lettere  e  di  madrigali! 

Dalle  finestre  basse  di  strada  escono  i  suoni  dell'arpicordo, 
cui  la  suora  mesta  e  fantasiosa  accompagna  colla  dolce  voce 
argentina;  ed  il  solitario  passeggiatore  nella  notte  si  ferma  e 
ascolta  e  si  gode  e  vaga  colla  fantasia  innamorata.  Un  lume 
brilla  ancora  lassù  a  una  finestra  alta;  è  una  suora  che  veglia 
scrivendo  un  trattato  tra  l'ascetico  e  il  platonico  trafilato  in  una 
larga  forma  di  periodo  che  vorrebbe  essere  boccaccesco.  Il  Can- 
zoniere del  Petrarca  e  V  Orlando  Furioso  sono  sul  tavolino  da  la- 
voro. Ma  dall'altra  parte  delle  mura  in  vista  austere,  a  un  uscio 
che  dà  su  un  vicoletto  remoto  e  scuro,  un'altra  suora  origlia  e 
par  che  aspetti.  Un  passo  cauto  e  leggero  rasenta  il  muro,  l'uscio 
cigola  lievemente,  poi  tutto  torna  in  silenzio.  E  domani  il  con- 
vento si  risveglierà  chiaMoso  e  riprenderà  il  suo  traino  quoti- 
diano. Verranno  dalle  case  delle  suore  più  ricche,  provvisioni 
e  ambasciate,  verranno  monaci  e  preti,  verrà  il  medico,  verrà 
il  maestro  di  musica.  Forse  una  brigata  di  gentiluomini  mona- 
chini, giunti  in  città  e  facendo  il  giro  di  tutti  i  conventi,  verrà 
con  qualche  conoscente  per  ammirare  al  parlatorio  lo  suore  più 
belle,  e  partiti,  invieranno  ne'  dì  successivi  ricchi  presenti  di 
cibarie,  o  gentili  doni  di  fiori.  Qualcuno  forse  parti  innamorato 
e  a'  fiori  accompagna  i  versi  che  petrarchescamente  gli  facciano 
da  turcitnanni.  Chi  credesse  che  quotiti  siano  giochi  o  ricami 
di  fantasia,  legga  la  vita  di  Felice  Rasponi,  e  li  disingannerà. 

La  buona  e  gentile  figliuola  di  Rampone  dorè  menare  una 
vita  tutt'aitro  che  felice  in  quel  convento  di  S.  Andrea,  dove 
ella  entrò  a  quattordici  anni  e  vi  morì  di  cinquantasei;  anche 
senza  creder    noi    in    tutto  e  per  tutto   a   quello  che  scrivo    il  '^ 

biografo  di  lei  circa  alle  suore  sue  compagne:  u  delle  insolente 
parole  di  quella  sciagurata  doU'Elisabetta  et  puochi  degni  por- 
1  UH'  riti  di  quella  ignorante  della  Cassandra  et  vigliacca  della 
M  i  ìmmI'.'i  .t  fì'lla  pazza  Kafadla  et  altre  canoglie  n  desiderose 
■'  (-'-re  e  trancorrcnti   alle  risso,  allo  liti  e  (quello 

'  ''  '•*'  n'>i  oggi  sembra  stranissimo  in  suore)  alle  bestemmio. 
ìM»  tant'è;  anche  suor  Camilla,  che  fu  badessa  dopo  suor  Fe- 
lice, ci  i  dipinta  u  pizza,  di  mala    lingua,    di    prtisinw    inmii 


I 


240  UNA   MONACA    DEL    CINQUECENTO. 

ubriaca,  golosa,  imprudente,  leggiera  come  foglia,  inconsiderata, 
bestemmiatrice,  et  piena  d'ogni  vicio  et  mancamento,  v  C'erano 
di  curiose  figure  tra  quelle  suore!  la  Massimilla,' per  esempio. 
Piantata  da  due  amorosi,  de' quali  il  secondo  era  un  frate 
u  figlio  d'un  fornaro,  che  don  Federigo  si  nomava  n  s'inna- 
morò d'uno  u  sgratiatello  barbirolo.  n  E  graziosissima  la  pit- 
tura che  di  questo  suo  terzo  amore  fa  l'autore  della  Vita  u  La 
sgarbatazza  s'innamorò  di  lui  di  maniera  tale,  che  consentiva 
che  tre  o  quattro  fiate  il  giorno  elio  andasse  a  parlarle,  viven- 
done pazza  talmente  che,  portando  lui  una  cappa  et  un  saglio 
tutto  pelato,  un  par  di  calze  stracciate,  una  beretta  ove  non 
era  pure  un  maledetto  pelo  per  testimonio,  et  in  conclusione 
non  havea  pan  da  magnare,  la  leggerona  dato  in  tutto  di  piglio 
alla  pazzia,  incominciò  a  fargli  pannicelli,  scuffie,  facciolletti  et 
altri  simili  presenti,  et  crescendo  in  lei  l'amorose  fiamme,  gli 
fece  un  paio  di  calze  et  lo  vesti  tutto  di  nuovo,  e  per  farlo 
più  civile  che  potè  gli  comprò  una  beretta  di  velluto,  et  se 
mentre  era  tutto  straccioso  non  si  contentava  di  vederlo  una 
fiata  al  giorno,  allora  che  attillato  e  ribellito  l'havea,  non  stava 
mai  in  altro  tutto  il  di  che  hor  all'udienza  et  hor  alla  porta 
a  favellare  con  costui,  et  sovente  da  un' bora  o  due  di  notte 
era  a  ragionamento  seco  alla  sudetta  porta,  havendovi  fatti  certi 

buchi,  che  si  convennero  serrare  con  lastrette  di  ferro n 

Di  amori  monacali  questo  libro  abbonda.  Suor  Benedetta 
(pare  fosse  la  portinaia)  s'innamorò  di  un  cavaliere  bolognese 
che  veniva  al  convento  a  chiedere  nuove  di  suor  Felice  amma- 
lata, u  Veggendolo  attilatissimo,  profumato,  imperocché  faceva 
la  nimpha  et  assai  bello,  s'accese  di  maniera  dell'amor  suo,  che 
ne  viveva  pazza,  ne  restava  dargliene  onesti  segni,  et  egli  av- 
vedutosi di  ciò  se  ne  pigliava  giuoco,  dicendo  che  la  bruttezza 
di  lei  era  tale  che  sol  la  forca  in  spalla  le  mancava  per  essere 
affatto  il  diavolo,  n  E  u  la  colei  (il  nome  vero  è  così  cambiato 
sovra  una  abrasione  del  manoscritto)  non  s' innamorò  ella  del 
fattore  Giovanni  da  Vaio  ch'era  bruttissimo,  di  maniera  che 
tutte  di  casa  se  ne  accorsero?  E  quando  fu  privo  della  fatto- 
ria, non  gli  mandava  ella  presenti  continuamente  a  casa?  Et, 
che  è  peggio,  non  faceva  parimenti  l'amore  con  mastro  Antonio 
muratore?  Et  prima  di  costoro,  non  fu  lei  più  mesi  innamorata 

*  Il  Ricci  delle  suore  ricordate  in  questa  Vifa  soltanto  col  nome,  ha 
rinvenuto  i  cognomi  nelle  carte  del  monastero  di  S.  Andrea,  esistenti  nel- 
l'archivio comunale  di  Ravenna. 


DNA   MONACA   DEL    CINQUECENTO.  241 

di  Girolamo  castaido?  E  quando  egli  era, infermo  gli  mandava 
bracciatelli  et  altre  cose  e  fin  il  cocchiaro  d'argento  acciò  con 
esso  mangiasse,  e  gli  donava  molti  presenti.  E  suor  Bona  non 
era  ella  impaccita  di  Ludovico  Diedi,  e  pure  è  bruttissimo?  Et 
avendolo  bisognato  lasciare  per  timore  di  non  perdere  il  gran 
tributo  di  messer  Cesare,  non  si  è  lei  così  smagrita  che  ben  se 
gli  pare  il  dolore  che  n'ha  sentito?  Et  che  diremo  dì  quella 
cagna  della  Vittoria?...  Innamoratasi  di  Gioachino  ....  non  po- 
tendo ottenere  il  contento  suo  che  egli  la  volesse  amare,  né  po- 
tendolo a  voglia  sua  seguire,  si  dispose  uscire  dal  convento,  non 
mirando  d'esservi  entrata  di  proprio  volere  contro  la  volontà  del 
marito,  et  d'haver  più  fiate  fatto  da' superiori  ricercar  il  marito 
per  la  dispensa  per  volersi  monacare  . . , .  v 

Del  resto  andrebbe  errato  chi  credesse  che  la  monaca  che 
scrisse  queste  cose  fosse  severa  nell'articolo  dell'amore,  u  non 
essendo  (ella  osserva)  comò  ben  sapete  mai  sempre  in  poter 
nostro  lo  dififendersi  dalle  forze  di  Cupido...  n  Già: 

Omnia  vinci  t  smor  et  no*  cedamna  aoiorì. 

E  alla  fin  fine,  perchè  non   l'avrebbe  a   riconoscere  anche 

una  monaca? 

m. 

u  Questa  monaca...  con  molta  esattezza  tutto  descrive  n  dice 
Pietro  Paolo  Ginanni  abate  cassineso  '.  Ed  io  torno  molto  volon- 
tìeri  a  dire  che,  in  genere,  egli  ed  il  Rìcci  credo  ch'abbian  ra- 
gione. Mantengo  nonpertanto  le  mie  poche  risi'rve.  Recherò  un 
esempio  togliendolo  da  certe  rime  del  Caro  che  l'autore  della 
Vita  afferma  scritte  p^r  suor  Felice. 

Annibal  Caro  stette  circa  sette  mesi  col  Guidiccìoni  io  Ro> 
magna.  Quel  pazserellino  di  monsignor  De'  Caddi  l'aveva  pre- 
stjito  all'amico  Presidente  sol  finire  dtl  1539,  ma  alla  metà  di 
marzo  del  l.')40  lo  rivoleva.  Il  Caro  lo  pregava  calorosamente 
di  concedergli  di  restare,  u  Supplico  —  scriveva  ~  di  fare  al 
signor  Presidente  qoesto  comodo,  e  a  me  questo  bene;  n  egli 
si  protestava  che  contentandolo,  gli  avrebbe  fatto  u  beneficio 
in  più  modi,  n  Tornato  a  Roma  nel  maggio,  per  vedere  pur 
d'aggiustarsi  col  Caddi  che  sempre  e  più  strepitava,    ebbe  un 

'  iitmorie  èt^rieo-criticke  degU  »mmH  BmmmaU  I,  87. 

▼•U  IL.  ««rta  II  .  U  LmU*  1M>.  lì 


242  UNA    MONACA    DEL    CINQUECENTO. 

momento  speranza  di  .ritornare  per  un  anno  ;  onde  avvertiva  il 
Guidiccioni  :  «  Provvisto  che  sarò  di  cavalcature  e  fatte  le  visite, 
me  ne  verrò  subito  a  lei.  n  Ma  poi  come  si  fu  allo  stringere, 
non  credè  di  poter  tornare,  e  non  tornò;  di  che  visse  per 
qualche  tempo  di  molto  mala  voglia.  Ai  20  di  novembre  di 
quell'anno,  scriveva  a  Mattio  Franzesi:  u  La  stanzia  di  Ro- 
magna fini  perchè  le  allegrezze  del  mondo  durano  poco.  Tro- 
vomi  nella  Marca  al  piacer  vostro  ed  a  mio  dispetto,  n 

Non  era,  mi  cred'  io  la  bella  vita  che  si  menasse  in  Romagna 
quello  che  al  Caro  faceva  rimpiangere  il  soggiorno  in  un  paese 
dove,  come  egli  stesso  contava,  la  gente  dava  mano  ad  ammar- 
zarsi  subito  che  il  Presidente  volgeva  le  spalle.  Il  piacere  di 
convivere  col  dotto,  buono  ed  amabile  vescovo  di  Fossombruno 
c'entrava  certo  per  qualche  cosa;  e  anche  e  forse  più  il  desi- 
derio d'avanzarsi  sotto  la  protezione  di  quel  prelato  allora  molto 
ben  visto  e  potente  in  corte,  e  la  speranza  che  quello  lo  u  do- 
vesse arricchire,  n  Ma  c'era  probabilmente  anche  altra  cosa, 
pensa  il  Pasolini.  Il  Caro  aveva  conosciuta  suor  Felice  in  età 
allora  di  diciott'  anni  e  u  certo  non  ultima  fra  le  cause  che 
resero  gradito  al  poeta  il  soggiorno  di  Ravenna  dovette  essere 
la  conoscenza  di  quella  ragguardevole  donna  n  *. 

S'  è  sempre  detto,  ed  è  cosa  molto  verosimile,  che  il  Caro 
scrivesse  versi  per  la  Rasponi.  Ora  il  Ricci  con  molte  buone 
ragioni  dimostra  che  tali  versi  non  poterono  essere  né  due 
dei  tre  sonetti  che  credè  il  Ferretti,  né  i  tre  che  credè  il  Pa- 
solini. * 

Ma  il  guaio  è  che  forse  anche  i  tre,  cui  il  Rìcci,  fondato 
sull'autorità  dell'anonimo  biografo,  crede  scritti  dal  Caro  per 
Felice,  non  sono  forse  scritti  per  lei  neanche  quelli,  e  furono 
probabilmente  composti  essi  pure  per  la  Marchesa  di  Pescara, 
tre  anni  almeno  prima  che  il  segretario  del  Guidiccioni  cono- 
scesse la  bella  monaca  ravennate. 

Scriveva  il  Caro  al  Varchi  nell'agosto  del  1536: 

«  Li  vostri  sonetti  mi  sono  piaciuti,  ma  non  mi  paiono  dei 
più  belli  che  voi  abbiate  fatti.  Saremo  con  Carlo  da  Fano  che 
e  tutto  rostro  e  molto  intrinseco  della  Marchesa  e  anche  di 
M.  Giovanni  della  Casa;  e  parendogli  di  darli,  li  daremo. 
Mattio   mi   dice  avervi  mandato  tutti  e  tre  li  miei   sonetti  alla 


Op.  cit..,  176,  177. 

Vita  ecc.  Note  e  documenti,  202. 


USA   MONACA   DEL    CINQUECENTO.  243 

detta  Marchesa  che  gli  ho  fatti  ad  imitazione  delli  tre  fratelli 
del  Petrarca;  voi  non  accusate  se  non  uno  e  la  risposta  del- 
l'Ombroso, qual  è  un  sanese  dell'Accademia  degli  Intronati, 
segretario  di  Santa  fiore  che  mi  rispose  invece  della  signora  e 
non  me  ne  fece  troppo  piacere,  perchè  la  signora  aveva  pro- 
messo di  rispondere  ella.  Avvisate  quel  che  vi  pare  dì  tutti 
insieme  e  di  ciascheduno  da  sé,  che  si  disputa  qual  sia  o  meglio 
o  manco  tristo  di  essi,  n  ' 

Anton  Federigo  Seghezzi  vide  nei  sonetti  qui  accennati  dal 
Caro  i  tre  riferiti  nella  Vita^  che  sono  appunto  fatti  ad  imita- 
zione dei  tre  fratelli  del  Petrarca,  ossia  de'  tre  notissimi  sonetti 
del  Petrarca  tes&uti  colle  stesse  desinenze.  E  vero  che  del  Caro 
vi  sono  altri  tre  sonetti  fatti  collo  stesso  artifizio  (anche  quelli 
dedicati  alla  Colonna);  ma  insomma  i  tre  sonetti  sui  quali  si 
disputava  dai  contemporanei  che  li  ebbero  per  bellissimi,  che 
l'Atanagi  chiamò  addirittura  miracolosi,  che  Ludovico  Antonio 
Muratori  esaltò,  ultimo  ammiratore,  nella  Perfetta  poesia  sono 
proprio  questi  della  Vita,  molto  artifiziosi,  ai  quali  a  me  par 
certo  che  accenni  Annibale  nella  sua  lettera  al  Varchi.  L'er- 
rore del  biografo  di  Felice  (so  errore  v'ò,  come  a  me  sembra) 
nacque  con  molta  probabilità  da  questo,  che  ei  sapeva  di  tre 
sonetti  scritti  dal  Caro  per  la  Rasponi  (si  sarà  parlato  di  tre  so- 
netti belli,  molto  belli,  bellissimi);  non  trovandoli  fra  le  carte  di 
Felice,  pescò,  chi  sa  con  che  criteri  ?  nelle  rime  del  Caro  e  trasse 
fuori  questi.  O  forse  il  criterio  suo  fu  l'aversi  fitto  in  mente  che 
i  sonetti  per  suor  Felice  dovevano  essere  dei  più  belli  della 
raccolta,  onde  scelse  questi  tre  che  veramente,  come  abbiamo 
detto  sopra,  furono  tenuti  bellissimi  dai  contemporanei  e  l'Ata- 
nagi li  chiamava  addirittura  miracolosi. 

Forse  i  sonetti  dal  Caro  indiriasatì  a  suor  Felice  sono  i  tre 
che  cominciano: 

Fra  U  piò  bella  maao  e  il  pi&  bel  Tolto. 
Contro  il  vostro  eortMe  e  gentil  «so. 
Press  mmcn  in  fiur  voi  quanto  mai  foro. 

In  due  di  qaesti  (il  primo  e  il  terzo)  le  allusioni  allo  Htato 
monacalo  della  donna  non  mi  sembrano  neanche  troppo  difficili 
a  cogliere;  per  esempio  il  velo,  lo  spéeo,  il  bianeo  pitto  e  il 
nero  manto  (proprio  l'abito  dello  benedettine).  Nel  primo  sonetto, 

'  Caso,  UtUrf   ~  Bologna,  Masi,  1819.  Voi.  V,  103,  JOi. 


244  DNA    MONACA   DEL   CINQUECENTO. 

che  mi  p'ace  trascrivere  infero  è  anche  notabile  l'artifizio,  fnk~ 
molto  usato  presso  certi  antichi,  di  far  uscire  da    una  fra^e  o 
da  una  paiola  qualsiasi  il  nome  della  signora. 
Udite: 

Fra  la  più  bella  mano  e  il  più  bel  volto 

De  la  più  bolla  <l«>iina  Amore  atteso 

Al'  ha  quasi  al  varco  ov'un  bel  velo  é  teso 

Con  b»'ll'>tite  da  !•  i  sparso  e  raccolto. 
Ivi  fu  (m<  ntre  io  mro  e  mentre  ascolto 

Un  siumo,  un  lume,  non  mai  vi  io  o  'nteso) 

Disavedutamente  il  mio  cor  preso 

Fra  '1  bianco  petto  e  'I  nero  manto  involto. 
Ivi  d'un  nuovo  boI  nuova  Fenice 

In  si  gelato  nido  ardendo  sempre 

Di  luce  e  di  candor  m'inebria  e  pasce. 
,  E  sì  come  ne  tragge  m  varie  tempre 

Ardore  e  pielo    or  misera  or  fp lite. 

In  mille  guise  il  di  more  e  rinasce. 

Anche  l'autore  della  Vita  ricorda  tra  le  lodi  date  alla  bel- 
lezza di  Felice  quelle  sj  ecìalraente  degli  occhi  e  delle  mani 
u  più  begli  occti  dei  di  lei  veder  non  si  potevano,  ne  la  più 
bell'aria,  ne  le  più  bellissime  mani,  n 

E  forse  tra  le  rime  di  Caro  ce  n'è  qualchedun' altra  ispi- 
rata da  suor  Felice:  quando  i  poeti  si  mettono  a  cantare  una 
donna,  non  sogl'ono  smettere  cosi  presto.  Se  non  clie,  è  proprio 
cerio  che  il  Caro  uia  stato,  come  scrive  il  Ricci,  innamoratis- 
sinio  della  Ras^p  mi  ?  Isiuna  prova  p;  rnii,  a  dir  vero,  che  resti 
di  un  amore  e  >sì  grande.  Il  biografo  di  suor  Felice  tra  i  non 
pochi  amori  ispirati  da  quella,  non  ne  narra  alcuno  le  cui  cir- 
costanze ci  faccian  vedere  che  11  si  tratta  del  Caro,  anzi  la 
descrizione  a^sai  parliool.'r'  ggiata  di  ciascuno  di  quegli  amori 
mi  sembra  cscluflere  esso  Caro  addirittura,  sempre.  Ne  bisogna 
tralasci-  r  di  considerare  che  1'  ufficio  stesso  di  segretario  di 
monsignor  Guidiccioni,  fieramente  severo  ai  Rasponi,  avrebbe 
concesso  a  mcsser  Ann  baie  una  troppo  spessa  frequenza  presso 
una  persona  di  quelli  famiglia,  fosse  pure  una  s'gnora  e  una 
monaca.  E  il  Caro  era  tropp)  fino,  tropoo  diplomatico,  troppo 
SRfjietario,  per  non  dover  oltrepiss^ir  certe  convenienze,  por  non 
risicare,  arche  per  un  paio  d'occhi  bellissimi,  di  perdere  il  fa- 
vore del  padrone.  E  il  tutto  con  molta  prolabilità  .i  ridusse  a 
un  poetico  omaggio  e  presso  nella  forma  tradizi  male  erotica, 
corrisponvlcntc  (questo  non  vo'  certo   negare)    al    sentimento  di 


ae 


UNA   MONACA   DEL    CINQUECENTO.  245 

affettuosa  ammirizione  cui  ispiravano  il  valore,  la  bellezza  e  la 
grazia  di  suor  Felice. 

Amore  di  ben  altra  guisa,  di  ben  altra  forza  ci  mostrano 
queste  pagine  dell'anonima  scrittrice  aver  ispirato,  3  non  a  uno 
solo,  la  Leila  suora  di  S.  Andrea. 

Non  avendo  ella  più  di  quattordici  anni,  s'accese  di  lei  fie- 
ramente il  conte  Giovan  Francesco  Roverella,  bello  e  valoroso 
giovane.  Impetuoso  di  natura,  come  si  inn\m')rò  di  repente, 
così  si  mostra  nell'amarla  furibon  lo.  La  segue,  la  perseguita, 
l'assedia,  vuole  essere  amato  ad  o^\  costo.  Parte  da  Rivonnx, 
va  a  N'p»Ii,  torna,  s'ammala,  muore;  e  muore,' mandindole  a 
dire  che  muore  per  lei.  Passiam  olire  a  un'aff.'zione  non  ben  dimo- 
strata e  forse  non  ben  determinata  di  don  Giulio  Pignatti,  arci- 
diacono; sebbene  non  mancò  chi  ten  asse  ogni  vi  i  per  porlo  in 
grazia  a  Felice.  Tien  dietro  un  gentiluomo  romano  di  gran 
famigliai,  di  grandi  aderenze  e  parentele  cardinalizie  il  quale 
vuole  aposarla  e  dotarla  di  seimila  scudi,  e  non  vuol  dote  dai 
fratelli.  Anch'egli  parte,  va  a  Roma,  torna,  si  reca  in  Francia, 
sempre  piiì  che  mai  innamorato,  sempre  chiedente  merco,  chie- 
dente almeno  qualche  piccolo  ricordo  (non  ebbe  che  ano  spil- 
tto):  all'ultimo  giurando  u  di  non  voler  mai  più  legarsi  con 
tra  donna  n  per  disperato  si  fa  prete.  Il  terzo  è  un  gentiluomo 
logiieie  gentilissimo,  elegantissimo,  tutto  dato  all'amorosa  vita. 
Conoscente  di  suor  Vittoria,  come  giunge  a  vcdnr  Felice,  se  ne 
confessa  vinto  e  preso,  e  la  corteggia  e  la  canti  con  riaie  ne!Ie 
quali  la  Vittoria  serve  da  ichermo  alla  donna  più  caramente 
desiderata.  Pare  che  fini  «so  coli'  innamorarsene  da  maledetto 
senno.  Egli  era  ammobiliato:  le  fece  sipere  u  cho  quando  si 
vuoleise  risolvere  di  d  irgli  la  fede  di  prendorlo  per  marito, 
atto«icarebbe  segretamente  la  moglie  e  ne  pigliarebbe  lei.  n 
Viste  sdegnate  e  sprezzate  queste  suo  prete 4t*v  si  levò  di  Ha* 
venni,  e,  sendo  gran  servitore  de!  duca  di  Forense  andò  alla 
guerra  di  Siena,  n 

Persino  un  presidente  (il  Ricci  op'na  foss')  il  piria)  restò 
preso  alla  bellessi  di  Felice  e,  u  travestito  da  secolare  n  la 
andò  a  visitare  pii^  Tolto,  in  certe  ore  bruciate,  richiedendola 
'l'amore,  ma  sens'alcun  frutto.  Le  inviò  anche  ricchi  prosenti 
che  tutti  furongli  rimanditi  indietro. 

Kra  medico  del  convento  Giovanni  Arrigoni  uomo  in  quei 
tempi  di  gran  riputazione,  grecista,  latinista,  filosofi,  oratore; 
ii'li  t  "v-dicina  poi  tenuto  d^i  primi.  K  piasicava  anche  di  poeta, 


246  UNA   MONACA   DEL   CINQUECENTO. 

come  del  resto  er»  nella  bella  creanza  d'ogni  gentiluomo  in 
allora.  C'era  del  tenero  tra  l'Arrigoni  e  un'altra  suora  di 
S.  Andrea,  suor  Cassandra,  ma  avendo  egli  avuto  occasione 
(l'intrattenersi  con  donna  Felice,  affine  di  curarla  e  consolarla 
per  la  morte  del  fratello  di  lei  il  capitano  Lodovico  (essa  dalla 
passione  s'era  ammalata)  se  ne  invaghi  fortemente.  Il  nostro  filo- 
sofo aveva  de'  propri  meriti  un  concetto  tutt'altro  che  mode- 
stissimo, ed  era  uomo  di  non  mezzano  ardire  o  poca  intrapren- 
denza in  amore.  Pensò  adunque  di  provare  sua  ventura,  come 
allora  dicevanp.  Cominciò  col  dichiararsi  con  u  parole  velate  n 
e  coll'andar  lodando  la  signora  con  tutti  e  dappertutto,  lodan- 
done il  senno,  le  virtù,  la  grazia,  le  maniere,  le  gentili  creanze, 
la  compita  beltà.  Capitata  l'occasione  si  scoperse  ..  Ma  è  meglio 
far  parlare  l'autore  della  Vita:  è  una  delle  più  graziose  pagine 
del  libro,  u  ...  Essendo  lei  indisposta,  il  buon  medico  le  pre- 
sentava tutte  le  gentilezze,  e  parendoli  di  non  più  ragionare 
in  metafora,  dopo  averle  sentito  il  polso,  una  mattina  le  prese 
la  mano  e  con  un  sospiro  glie  la  strinse  e,  veggendo  come 
tutte  s'erano  partite  fuor  che  la  Vittoria,  incomintiò  con  buon 
modo  a  dirle  ch'era  innamorato  del  suo  bellissimo  intelletto, 
del  suo  favellare  et  delle  virtù  et  bellezze  di  lei,  e  che,  se  ben 
conoscendosi  amato  dalla  Cassandra,  egli  fingeva  (per  meglia 
celare  il  suo  desio)  d'amarne  lei,  non  era  però  vero  egli  po- 
tessi mai  amar  donna  brutta  et  inetta 5  et  ivi  le  diede  gran- 
dissimi biasimi.  La  padrona  mia  arrossita  in  viso,  con  voce 
tremante  gli  rispose  che  si  teneva  fortunatissima  d'esser  da 
così  raro  et  perfetto  in  ogni  virtù  gentiluomo  amata,  e  da  lui 
oltre  ogni  di  lei  merito  lodata,  poscia  ogni  picciol  lode  d'un 
saggio  come  lui  le  rendeva  grandissima  riputazione,  e  la  face- 
vano parer  copiosa  et  abbondante  di  quelle  gratie  e  doni  di 
che  i  cieli  et  natura  le  erano  stati  avari,  et  che  ella  aveva 
mai  sempre  amato  lui  come  maggiore,  pel  gran  valore  et  infi- 
nito suo  merito,  et  che  sempre  l' havrebbe  in  quella  veneratione 
che  la  virtù  di  lui  e  cortesia  meritavano.  Cosi  egli  si  partì  et 
incomintiò  a  fare  grandissime  carezze  alla  Vittoria,  e  a  dirle: 
La  padrona  essendo  di  tanta  rarità,  non?  dover  degnarsi  di 
lasciarsi  veder  da  persona  veruna,  et  che  fuor  di  lui  non  era 
chi  fusse  degno  dell'amor  di  lei...  Non  vi  dico  poi  come  il 
pazzo  Arrigoni,  quando  favellava  con  lei  (con  suor  Felice)  si 
lodava  di  perfetione  sopra  tutti  i  saggi  del  mondo  in  ogni 
scientia  et  virtù  e  di  bellezza  di  corpo    sotto    panni,  mi   do  a 


I 


p 


UNA   MONACA   DEL   CINQUECENTO.  247 

credere  per  accenderla  nel  di  lui  amore,  ma  egli  cantava  ai 
sordi  7ì. 

L'Arrigoni  che  era  una  pessima  lingua,  se  ne  vendicò  cer- 
cando d'offenderla  in  più  modi  colle  sue  ciarle.  Povera  filo- 
sofia!... 

I  vagheggiatori  e  innamorati  di  suor  Felice  de'  quali  si  fa 
cenno  nella  Vita  son  molti,  ma  più  sono,  al  dir  dell'autore, 
quelli  che  son  taciuti,  u  Fora  troppo  lungo,  se  di  tutti  il  nome 
dir  si  volesse;  bastivi  sapere  che  desiavano  farle  servitù,  ma 
pestavano,  come  si  suol  dire,  l'acqua  nel  mortaio.  r> 


IV. 

Ma  se  Felice  era  rimasta  fin  qui  inconcussa  a  tanti  amorosi 
assalti,  se,  oramai,  non  più  giovane  pensava  con  mesta  com- 
piacenza, che  pentier  gelati  le  avessero  fatto  intorno  al  cuore 
un  adamantino  $maltOf  all'effetto  dovè  accorgersi  ch'ella  s'in- 
gannava. Amore  ch'ella  aveva  vinto  nella  primavera  si  vendicò 
di  lei  nell'autunno,  e,  come  accade,  si  vendicò  a  misura  di 
carboni.  Anch'essa  amò;  amò  tardi,  dia  amò;  breve  e  sfortu- 
nato amore,  ma 

Boa  Tentoni  ha  cimacun  dal  di  che  nsse«. 

Circa  air  uomo  da  donna  Felice  amato,  il  biografo  di  lei  è 
ancor  più  oscuro  e  misterioso  del  solito:  di  lui,  contrariamente 
a  quello  che  la  scrittrice  pratica  per  gli  altri  innamorati  non 
riferisce  alcuna  rima,  scosandosi  col  dire  che  Felice  serbava 
quelle  rime  come  cosa  sacra  e  non  voleva  che  fosser  né  viste 
nò  toccate.  Dice  solamente  che  si  trattava  d'un  u  nobilissimo, 
valorosissimo  e  meritevolissimo  gentiluomo,  n  e  ch'egli  avendo 
avuto  alle  mani  per  impensato  e  strano  caso  certo  lettere  di 
Felice,  Ktapito  d'un  tal  scrivere  in  donna,  e  giudicandola  di 
divino  intelletto,  se  ne  innamorò  fieramente.  Cominciò  a  man- 
darle lettere  e  versi,  e  Felice  che  tante  lettore,  tanto  rime 
amorose,  tante  passionate  dichiarazioni  non  avevano  smossa 
dp.Ua  sua  calma.  Felice  che  aveva  u  vilipeso  l'amore  di  tanti 
gentiluomini  n  stavolta  u  contro  ogni  suo  solito  et  volontà,  si 
compiacque  di  maniera  delle  cortese  e  dotte  carte  di  lui,  che 
non  se  ne  avcdcndo,  di  puoco  in  puoco  se  gli  affetionò  di  maniera 
che  in  capo  ad  otto    mesi  ella  si    conobbe    aver    per    maggior 


248  UNA    MONACA    DEL    CINQUEBENTO. 

sua  voglia  perduto  affatto  ogni  di  lei  libertà,  ne  per  scuotere 
che  si  facesse  puotè  fir  di  non  amare...  n  II  fatto  curioso,  ma 
non  nuovo  né  strano  è  che  per  otto  mesi  il  reciproco  amore 
si  mantenne  e  crebbe,  senza  che  gli  amanti  si  fossero  mai  visti. 
Non  fu  che  dopo  un  bel  spazio  di  tempo,  e  poi  altre  due  volte 
in  trentadue  mesi  ch'essi  alla  ferriata  poterono  cogli  occhi  taci- 
tamente pJesar  l'uno  all'altro  il  loro  u  ardentissimo  amore  n. 
Per  tre  anni  il  gentiluomo  fu  amante  vero  e  perfetto.  Ella  l'a- 
dorava: quanto  a  sé,  la  si  sentiva  meno  triste  e  u  con  più  quiete 
tollerava  la  sua  violenta  prigionia  n.  Ma  l'amore  nel  gentiluomo 
dopo  quei  tre  anni  cessò.  Perchè?  La  narratrice  ne  incolpa 
non  altro  che  la  solita  incostanza  degli  uomini,  e  noi,  se  anche 
non  ci  avessimo  a  contentare  di  una  cagione  così  generica,  non 
ne  abbiamo  purtroppo  altre,  almeno  accertate,  da  portare  innanzi. 
Forse  mentre  l'amore  nella  gentile  benedettina  divampò,  dopo  si 
lunga  comprossi'one,  diU' intimo  cuore,  forse  l'amore  dell'ignoto 
cavaliere  non  fu  altro  che  una  pissione  di  testa.  E  fors'anco 
egli  amò  Felice  un  po'  troppo  a  credenza,  prima  d'averla  vista 
e,  vistala,  quella  bellezza  ormai  suLa  quarantina  non  rispose 
al  tanto  che  ne  aveva  udito  dire  e  ch'ei  s'aspettava  :  ma  gli 
anni  passano  purtroppo  per  tutti  ;  anche  per  le  belle  s'gnore. 
La  derelitta  u  fu  assalita  da  così  fiero  cordoglio  che  in  lagrime, 
sospiri  e  vigilie  tutta  si  consumava,  ne  ammalò,  e  come  della 
persma  così  dell'animo  non  guari  presto;  dell'animo  forse  non 
guarì  compitamente  mai  più: 

Ulcas  vivescit  et  inveterascit  alando. 

L'amore,  narra  l'amica  sua,  u  ha  fatto  nel  di  lei  petto  si 
salde  radici  che  non  si  può  svellere,  et  prima  finirà  la  vita 
fuor  che  cessi  d'amare  quell'incostante...  Ben  vi  dico  ch'ella 
ha  fatto  e  fa  fare  voti  e  continuamente  porge  caldissime  preci 
ai  cieli  che  le  diano  forza  di  non  più  amarlo;  ma  nulla  le 
giova  v 

Povera  suor  Felice  !  Ella  non  sapeva  u  se  non  perfetta- 
mente amare,  n  Vengono  spontanei  alla  memoria  i  bei  versi  di 
Alfredo  De  Musset: 

Cloitres  silencìeux,  voùtea  des  monastéres, 

C'est  vous,  aombres  careaux,  vous  qui  savez  aimer! 


UNA   MONACA   DEL   CINQUECENTO.  249 


H  Ricci  ha  dito  non  pic3->1a  prova  di  senso  di.  verità  e 
d'arguzia,  dicendo  che  su -r  F  lici  Risponi  non  vive  altrove 
che  in  questa  Vita:  in  ques  o  libro  tutti  p'en;>  delli  sua  bontà, 
della  sua  bellezza,  d  He  sue  sventure.  Che,  qu-mto  alla  vantata 
dottr'na  di  donna  Felice,  sebbene  l' una  delle  operette  sue  in 
prosa  (Dalla  cojnitione  di  Dio)  non  si  rÌ33ce  più  a  trovarl*, 
basta  l'altra  DelV eccellenza  dello  ttato  monicale  per  f  irci  chiari 
quali  e  quante,  voglio  dire  che  misera  c<'8\  fossero  veramente 
le  sue  cognizioni  ar  sfotelic'ie  e  p'atoniche.  Lettala,  vi  trovate 
aver  letto  una  delle  solite  pelanterie  ascetiche  cui  nemmeno 
rifiorisce  grascia  alcuna  di  stile.  E  un  dialogo  tra  una  certa 
Madonna  Fulvia  e  un  Mei-ter  Quinzio  sulla  qu(>stIone:  Quale 
dei  dud  -stati  il  monacale  o  il  secolare  sia  il  migliore  e  il  più 
degno. 

E  inutile  «g;iuni;nrt'  ri  >1  "  !a  soluzione  che  dà  messer  Quin- 
zio del  quesito:  s'intend-  1" m  <  ],•■  U  palma  doveva  n-stir  h1!o 
stato  monastico.  V'è  an  pisso,  un  pisso  solo  in  q  esto  libretto 

I^^che,  a  chi  conosce  la  vita  di  H'autrice,  riesce,  nella  sua  incol- 
se tezza,  commovente,  u  Ditemi  —  domanda  a  un  certo  punto 
Fulvia  a  messer  Quinzio  —  essrnlo  le  cose  violenti^  come  dice 
Aristotile,  non  dilettevoli  e  la  violenza  contro  natura,  ed  ogni 
necessità  violenta  è  per  natura  contristovole,  mi  do  a  crederò 
non  porrete  in  così  pjrf'tio  stato  le  monache  fatte  a  forza  da 
parenti  loro,  essendo  che  invece  di  contemplaxione  gettano 
amare  lagrime  e  cocentissimi  sosjiiri  che  rouovoni  a  pietà  chiun- 
que le  vede:  e  cosi  come  il  veli  no  va  dritto  al  cuore  e  indi  mai 
non  si  parte,  finché  non  abbia  consumato  tutti  gli  spi  riti  i  quali 
gli  vanno  dietro,  e  infrigidand  »  g'i  estremi  bva  totalmente  la  vitAi 
ogni  fiata  che  qunlche  esterior  rimedio  non  gli  si  vada  approaai- 
mando;  coti  il  dolore  è  dentro  della  mente  aenxa  mai  partirti, 
traendo  a  tè  tutte  le  virtù  e  spirili,  e  M  dal  divino  aiuto  aoo- 
corse  non  fossero,  g'i  leverebbe  affatto  la  vita,  tanta  è  la  potonsa 
e  la  violensa  d'esso,  ed  è  tanto  miggiore  quanto  è  più  celato 
e  taciturno   n 

A  che  metter  Quinsio  risponde:  s  Sopra  tal  violenza  dicovi...  n 
Ma  a  noi  pico  in  «erìtà  importa  quidlo  che  dica  questo  signore: 
noi  sontiaino  nelle  purolo  di  Fulvia  il  grido  incontcionto  di  do* 
loro  della  figlia  di   Giovanna   Fabri,   delia   infelice    giovanttte 


260  UNA    MONACA   DEL   CINQUECENTO. 

monaca  per  forza  a  quattordici  anni;  a  noi  basta  questo  :  basta 
alla  nostra  conoscenza  e  alla  nostra  pietà. 

Il  dialogo  Dell'  eccellenza  dello  stato  monacale  fu  scritto  dopo 
che  Felice  contro  ogni  sua  voglia,  almeno  al  dire  del  suo  bio- 
grafo, fu  innalzata  al  grado  di  badessa,  vale  a  dire  certamente 
dopo  il  1569  :  la  lettera  di  dedica  alla  nipote  suor  Giulia  An- 
gelica Rasponi,  reca  la  data  del  18  marzo  1572.  Felice  fu  poi 
abbadessa  una  seconda  volta  (essendo  ancora  in  ufficio  mori  nel 
1579)  e  tutto  e  due  le  volte  intese  a  riformare  sul  serio  il  mal 
regolare  monastero,  di  che  la  generalità  delle  monache  glie  ne 
volle  tutt'altro  che  bene.  Ma  oramai  a  mettere  in  briglia  le 
suore  giungeva  di  galoppo  il  Concilio  di  Trento,  facendo  chiu- 
dere parlatorii,  porte,  usci  e  finestre,  e  spargendo  a  destra  e  a 
sinistra  gran  minaccio  di  scomuniche,  di  confische  e  d'altre  ga- 
stigatoie.  Un  certo  moto  di  riforma  ci  fu:  si  chiusero  porte,  si  ri- 
strinsero clausure,  si  alzarono  le  grate  di  chiesa  (quelle  famose 
grate  di  chiesa  !)  al  punto  che  le  monache  potesssero  vedere  il 
Sacramento  soltanto  all'elevazione.  E  poi?  Poi  un  po'  alla  volta, 
salve,  s'intende,  meglio  le  apparenze,  si  tornò  alla  vita  e  alle 
usanze  di  prima.  Quello  che  in  generale  fossero  ,r  conventi  nel 
secolo  scorso,  non  è  necessario  che  lo  diciamo  noi  qui.  Riveniamo 
a  Felice. 

Ch'ella  scrivesse  altri  versi  oltre  il  sonetto  che  solo  ci  resta 
di  lei: 

Rossi  gentil  buono  è  sperar  in  Dio, 

se  la  cosa  non  s'ofi'risse  per  se  stessa  probabilissima,  ne  avremmo 
in  prova  qualche  cenno  per  entro  le  rime  de'  suoi  anonimi  ado- 
ratori riferite  nella  Vita.  Pare  che  come  ella  era  vaghissima  di 
leggere  versi,  e  però  accettava  e  leggeva  quelli  che  le  erano 
inviati,  così  a  coloro  o  a  taluno  di  coloro  che  glieli  inviavano, 
non  isdegnasse  di  rispondere,  giostrando  rimatamente  con  onestà 
e  cortesia.  Il  sonetto  al  Rossi  ci  dà  indizio  di  colta  e  polita 
rimatrice,  non  d'altro.  Non  ce  ne  meraviglieremo  e  tanto  manco  ne 
faremo  in  qualsiasi  maniera  rimprovero  a  Felice.  Il  cinquecento 
italiano  formicola  di  verseggiatrici,  delle  quali,  se  togli  alquanti 
versi  della  povera  Stampa,  che  rimane,  di  grazia,  che  resista 
alla  lettura  ?  Per  me,  non  sarei  troppo  disposto  a  fare  ecce- 
zione nemmeno  per  Vittoria  Colonna  che  mi  pare  sia  stata  sem- 
pre troppo  adulata,  e  nelle  rime  della  quale  quella  continua 
tensione  di  filosofismo    e   la  interminabile  sfilata  di  astrattezze 


UNA   MONACA   DEL    CINQUECENTO.  251 

morali  e  astruserie  platoniche  mi  pare  che  manifestino  tutt'altro- 
che  schiettamente  ed  efficacemente  l'affetto  che  pur  dicono  sen- 
tisse ardentissimo  pel  marito  e  vivo  e  morto. 

Non  sono  poche  nella  letteratura  italiana  le  monache  rima- 
trici. Non  ho  certo  la  pretesa  di  darne  qui  il  catalogo  compito, 
e  mi  basterà  ricordare  suor  Umiltà  da  Faenza,  vissuta  nel  se- 
colo XIII,  suor  Diana  degli  Imbarcati,  da  Pistoia,  suor  Dea 
de'  Bardi  da  Firenze,  suor  Geronima  (al  secolo  Batista  Malatesti 
da  Pesaro),  suor  Caterina  de'  Vigri  da  Ferrara,  tutte  del  se- 
colo xv;  suor  Barbara  da  Correggio  del  xvi  e  quasi  esattamente 
contemporanea  della  nostra  Felice,  quella  suor  Beatrice  del  Sera 
fiorentina  monaca  domenicana  a  Prato,  ne' versi  della  quale  (da 
quel  po'  che  ne  diede  il  Trucchi)  si  sente  troppo  bene  come 
sotto  la  bianca  tonaca  palpita  un  cuore  innamorato.  Taccio  di 
Caterina  de'  Ricci,  perchè  non  è  ben  provato  se  quelle  laudi 
che  taluni  vogliono  sue,  sieno  sue  propriamente.  Ma  Caterina 
nata  l'anno  stesso  o,  al  pi&,  un  anno  prìm«  di  Felice,  ha  più 
di  una  comunanza  seco  :  anch'clla  piena  d' ingegno  e  coltissima, 
amica  d'  artisti  e  letterati  che  le  dedicarono  volumi  di  versi  ; 
anch'ella  trova  un'amica  (suor  Maddalena  Strozzi)  che  le  scrìve 
la  vita,  lei  tuttora  vivente,  sebbene  a  dir  la  verità,  con  ben 
altra  grazia  ed  eleganza  che  non  Tamica  della  Rasponi.  La  quale 
amica  e  narratrice  (quella  della  Rasponi)  se,  come  il  Ricci  crede, 
ed  è  assai  probabile,  fu  suor  Serafina  Majola,  eccovi  un'altra 
monaca  rimatrice.  Un  sonetto  suo  d  retto  appunto  a  suor  Felice 
ò  riferito  dal  Qinanni  nelle  rime  d'autori  ravennati.  Non  credo 
di  lei  resti  altro;  che,  in  genere  parlando,  le  rime  d'argomento 
non  religioso  o  morale,  o  le  suore  stesse  cercaTano  non  si  di- 
rulgassero  troppo  o  anche,  a  certi  tempi,  le  distruggerano,  ov- 
vero le  furono  distrutte  dagli  •cnipoli  o  dalla  ipocrisia  di  quelli 
a  cai  vennero  in  seguito  allo  mani. 

Oh  perchè  non  ci  sono  stati  consenrati  i  versi  che  Felice 
love  puro  aver  scritti  pel  suo  u  incostante  I  »  Certo,  mi  cred'io, 
i  mostrerebbero  assai  meglio  che  non  i  reni  di  molti  suoi  ado- 
ratori bolognesi,  romani,  napoletani,  imolesi,  ferraresi  e  d'altre 
parti  d'  Italia.  Dacché  suor  Felice,  per  detto  del  suo  biografo, 
«  w'u...  molto  conosciuta  da  maligni  ravennati  n  destò  princi- 
palmente ammirazione  e  amore  ne'  «  forastierì  •  che  la  conob- 
bero o  U  videro,  o  anche  solamente  l'udirono  celebrare  o  les- 
sero scritti  suoi.  Qran  quantità  di  quelle  rimo  sono  riferito 
adespote  nella  Vita  e,  fatta  «coesione  per  pochissimo  già  noto, 


222  UNA   MONACA    DEL    CINQUECENTO. 

escono  oggi  per  la  prima  volta  in  luce.  Esse  non  aggiungono 
per  fermo  gran  cosa  al  patrimonio  poetico  di  una  nazione  che 
ha  sempre  fatto  troppi  versi;  anzi,  se  ne  togli  una  certa  inver- 
niciatura d'estrinseca  eleganza,  non  c'è  in  esse  nulla  da  cogliere 
né  da  stringere;  dico  nulla  di  nuovo,  di  sentito,  di  personal- 
mente vero  e  passionato.  Quella  è  sempre  gente  (intendo  i  piiì 
de'  rimatori  cinquecentisti)  che  vive  girando  sul  mercato  i  fondi 
del  Banco  Francesco  Petrarca.  Il  quale  se,  per  impossibile, 
avesse  un  bel  giorno  volato  fare  quello  che  oggi  si  chiama 
una  liquidazione...  Misericordia!  sarebbe  stato  un  fallimento  ge- 
nerale. Ma  chi  non  sa  oramai  queste  cose?  Così  piuttosto  serva 
l'esempio  ai  nostri  giovani  poeti,  i  quali  CGl'a  bocca  piena  di 
originalità  (i  cinquecentisti,  bisogna  loro  rendere  questa  giustizia, 
d'originalità  non  parlavano,  anzi  non  ci  pensavano  neppure),  ri- 
fanno, e  assai  meno  bene,  con  altri  autori  lo  stesso  giuoco  che 
quelli  là  facevano  col  Petrarca.  Nil  sub  sole  novum;  e  purtroppo 
nemmeno  la  citazione  è  una  novità! 


VI. 

Gli  ultimi  anni  di  Felice  furono  ancora  più  infelici  del  resto  : 
sembra  un  bisticcio,  e  non  è  altro  che  la  verità  espressa  nel  più 
semplice  modo.  Costretta  a  forza  a  veder  passare  la  sua  gioventù 
tra  le  mura  di  un  convento,  in  mezzo  a  compagne  invidiose  e 
nemiche,  ella  aveva  nonpertanto  ne' primi  anni  addolcito  la  sua 
cattività  colla  musica,  coi  versi  e  nell'elegante  conversazione  di 
d  >tti  e  gentili  visitatori.  Ora  fattasi  oramai  alla  vita  claustrale, 
vinte  (forse)  le  tardive  illusioni  d' amore,  rassegnata  forse  in 
tutto  al  suo  destino,  altre  potenti  cagioni  di  sofferenza  le  so- 
pravvennero. La  salute  le  si  era  da  qualche  tempo  guasta,  il 
ripetersi  e  succedersi  di  svariati  dispiaceri,  l'avevano  resa  sog- 
getta ad  una  sincope  della  quale  non  guari  più:  la  sua  stirpe 
sempre  a  lei  funesta  le  portò  gli  ultimi  dolori.  Dopo  una  specie 
di  sosta  la  rabbia  bestiale  dei  Rasponi  scoppiò  di  nuovo  nel  1576. 
La  Romagna  e  l'Italia  inorridirono  nell'udire  l'eccidio  della  fa- 
miglia dei  Diedi,  immane  e  lagrimosa  carneficina  condotta  in 
persona  da  Girolamo  Rasponi  che  nella  notturna  strage  non 
volle  risparmiata  nemmeno  la  nipote  Susanna  moglie  a  Bernar- 
dino Diedi  :  l' infelice  fu  sgozzata  nel  letto,  mentre  aveva  le 
doglie  del  parto.  La  vendetta  della  legge  e  l'odio  popolare    si 


DNA   MONACA   DEL    CINQUECENTO. 


253 


levarono  tremendi  contro  tutti  i  Rasponì.  Felice  mori  di  lì  a 
tre  anni.  Nessuno  dei  molti  che  avevano  celebrato  in  rima  la 
sua  bellezza,  che  avevano  innamoratamente  cantato  le  sue  belle 
mani  e  i  suoi  occhi  bellissimi,  scrisse  un  verso  per  la  mort» 
di  lei.  Meglio  cosi!  Nessuno  di  coloro  avrebbe  provato  ed 
espresso  il  sentimento  vero  che  ispirano  la  vita  e  la  morte 
della  povera  suora^  nelle  cui  vene  scorreva  il  sangue  dei 
Rasponi  : 

Te  de  la  rea  progenie 

De  gli  oppressor  discesa 

Cai  fu  prodezza  il  namero, 

Cui  fa  ragion  l'offésa, 

£  dritto  il  sangue,  e  gloria 

Il  non  aver  pietA  ; 
Te  collocò  la  provvida 

STentara  in  tra  gli  oppre^i. 

Muori  compianta  e  placida 

8ceudi  a  dormir  con  omì 


Adolfo  Borooononi. 


LE  ASSICURAZIONI  CONTRO  I  DANNI  E  SULLA  VITA  DELL'UOMO 

E  IL  NUOVO  CODICE  DI  COMMERCIO  ITALIANO 


§  I.  Le  riforme  e  le  proteste  delle  assicurazioni,  —  §  II.  Le  questioni  at- 
tuali sulle  assicurazioni.  —  §  III.  Lo  stato  economico  delle  assicura- 
zioni sulla  vita  in  Italia.  —  §  IV.  Cenno  statistico  sulle  assicura  • 
zioni.  —  §  V.  Gli  attuarii.  —  §  VI.  Le  assicurazioni  e  la  legislazione 
estera.  —  §  VII.  La  legislazione  e  le  assicurazioni  nel  Regno  d' Italia.  — 
§  VIII.  Il  Codice  di  commercio  commentato  nella  parte  attinente  alle 
assicurazioni  ed  il  Regolamento  (27  Dicembre  1882).  —  §  IX.  Con- 
clusione e  nota  statistica  particolareggiata. 


§  I.  Ragione  del  lavoro.  —  In  un  momento,  in  cui  si  sta 
agitando  una  questione  importante  e  vitale  sulle  Assicurazioni, 
quando  si  teme  che  il  nuovo  Codice  di  commercio  del  Regno 
d' Italia  e  il  regolamento  per  la  sua  esecuzione,  possano  com- 
promettere l'avvenire  e  la  solidità  delle  Società  nazionali,  più 
ancora  che  delle  estere,  non  ci  parve  fuor  di  luogo,  né  senza 
interesse,  esporre  al  pubblico  nel  modo  il  più  chiaro  e  il  più 
completo  che  ci  fosse  possibile,  lo  stato  e  lo  svolgimento  di 
parecchie  fra  queste  istituzioni  in  Italia,  e  di  accennare  anche 
alle  difficoltà  che  le  nuove  legislazioni  presentano. 

L'agitazione  attuale  interessa  non  solo  il  ceto  numeroso  e 
ragguardevole  degli  assicuratori,  ma  degli  assicurati,  che  sono 
un  pubblico  infinitamente  più  numeroso  di  persone  laboriose  e 
rpevidenti,  i  cui  interessi  il  Governo  vuole  o  deve  voler  tutelare. 


LE  ASSICURAZIONI  CONTRO  I  DANNI  E  SULLA  VITA  DELL'UOMO.    255 

§  n.  Le  questioni  attuali  sulle  Assicurazioni.  —  Perchè  in 
Italia  non  attecchirono,  come  all'estero,  le  Assicurazioni  sulla 
vita?  Perchè  fino  ad  ora  se  ne  occuparono  cosi  poco  il  legis- 
latore e  lo  scienziato?  Quali  sono  le  spiegazioni  che  a  tale  ri- 
guardo possiamo  dare? 

Il  1  gennaio  1883  andò  in  vigore  un  nuovo  Codice  di  com- 
mercio, col  quale,  per  la  prima  volta,  si  disciplinarono  le  Società 
di  Assicurazioni  in  Italia. 

Quali  ne  saranno  le  probabili  conseguenze?  Il  nuovo  Codice  si 
avvicina,  per  avventura,  alla  vecchia  legislazione,  che,  a  tale  pro- 
posito, era,  per  lo  passato,  in  vigore  nell'ex  regno  Lombardo  Ve- 
neto? Quale  è  la  condizione  della  Società  d'Assicurazione  in  Italia 
coll'attuale  Codice  di  commercio?  Vi  sono  ancora  miglioramenti 
da  chiedere  oltre  di  quelli  espressi  nel  Regolamento?  o  misure 
transitorie  da  adottare? 

Ecco  le  varie  questioni  che  vorremmo  analizzare  trattando 
specialmente  delle  assicurazioni  sulla   vita. 

Il  nuovo  Codice  di  commercio  all'articolo  145  dice:  che  le 
Società  d'assicurazioni  sulla  vita  e  quelle  amministratrici  di 
tontine,  devono  impiegare  in  titoli  del  debito  pubblico  dello 
Stato  un  quartOf  se  sono  nazionali,  e  la  metà,  se  sono  estere, 
delle  Bomme  pagate  per  le  assicurazioni  e  dei  frutti  ottenuti  (jai 
titoli  medesimi.  Il  codice  non  volle  però  stabilire  o  determinare 
i  modi  ed  i  termini  di  questo  impiego  e  dei  graduali  tvincola- 
menti,  ma  dichiarò  che  sarebbero  stabiliti  con  regio  decreto. 

Il  legislatore  ha  adoperato  le  parole  Bomme  pagate  ed  ha 
sbagliato  :  doveva  dire:  premi  rÌBC0BBÌ.  Ciò  è  evidente,  e  non 
di  meno  sarà  utile  che  si  spieghi,  chiaramente,  cuesto  errore 
di  forma.  Ma  per  quello  che  si  riferisce  a\V investimento  in  titoli 
del  debito  pubblico  il  Codice  non  ammette  incertesse:  non  po- 
trebbe esprimersi  con  maggior  chiaressa.  Noi  vorremo  che  tutti 
si  persuadessero  che  soltanto  il  potere  legislativo  potrebbe  cam- 
biare questa  disposizione  di  legge.  Alludiamo  a  quelli  fra  gli 
stranieri  che  esercitando  tra  noi  l'ufficio  di  assicuratori,  si  cul- 
lano nella  beata  illusione  che  un  decreto  reale  o  una  circolare 
ministerialo  valgano  a  contradire  il  nuovo  Codice.  Non  viviamo 
in  uno  Stato,  nel  quale  ciò  si  farebbe  impunemente.  Conve- 
niamo anche  noi,  che  il  Codice  obbliga  ad  un  determinato  ini 
piego  di  capitali,  che  è  contro  i  buoni  principii  economici  «mI 
amminiHtrativi,  perchè  oltre  i  titoli  del  debito  pubblico,  ve  no 
sono  altri  meno  alcatorii.  e  che  meritano  altrettanta  fiducia  da 


256  LE    ASSICURAZIONI    CONTRO    1    DANNI 

parte  dei  privati.  Ma  dura  lex  sed  lex.  Un  Regolamento  non 
arrecherà  nessun  rimed'o  a  ciò.  Invece  possono  essere  cliiarite 
da  un  nuovo  Regolamento  vare  dubbiezze  e  alcune  questioni. 
Per  es.  :  se  una  Società,  la  quale  ha  riscosso  una  data  somma 
di  premii  ed  ha  investito  un  quarto  o  più  della  somma  riscossa 
per  dotazioni  in  rendita  sii  in  regola  col  Codice  (come  noi 
crediamo);  oppure  se  si  d  bbrno  considerare  le  dotazioni  a 
parte  e  non  nel  bilancio.  Citiamo  l'esempio  clie  sì  riferisce  ad 
una  R.  Compagnia  Italiana!  Ciò  ha  sollevato  non  poche  la- 
gnanze, ed  altro  se  ne  aggiunsero  anche  per  le  disposizioni  del 
Regolamento,  per  le  quali  il  legislatore  non  predispose  nulla  e 
dovette  accordare  proroghe,  emettere  circolari^  che  contraddi- 
cevano alle  proroghe  concesse. 

All'uopo  di  studiare  la  questione  vi  furono  riunioni,  nel 
giugno  di  questo  anno,  prchiodute  dal  Ministro  di  agricoltura, 
industria  e  commercio  D.  Berti  e  Jille  quali  intervennero  gli 
on.  Simonclii,  Maurogora^o,  Se*8:nit-Doda,  cons.  Gia'0;nelli  e 
Mirone  e  il  segretario  cav.  Padoa.  Fu  detto  '  che  il  Governo 
avrebbe  invitate  le  dette  Società  ad  eseguire  il  deposito  delle 
somme  riscosse  a  tutto  miggio  188-^,  sino  a  che  il  Governo 
potesse  chiarire  i  dubbi  s  diovati  specialmente  dall'  articolo  55 
al -60  del  Regolamento;  cioè  là  dove  è  maggiore  l'ingiustizia  e 
diremo  pure  la  illegalità.  Invero  si  poteva  dire  a  chi  compilò:, 
il  Regolamento  :  Surtout  pas  irop  de  zììle. 

Infatti  il  Codice  all'articolo  145  obbliga  le  Società  a  deter* 
minati  impieghi  in  titoli  del  debito  pubblico  dello  Stato:  il  re- 
golamento aggiunge  in  debito  pubblico  consolidato  (!?)  e  ha 
r ingenuità  di  citare  l'articolo  del  Colico  che  gli  dà  torto. 

Mentre  il  regolamento  dovrà  essere  corretto,  il  Governo 
stesso  non  adempie  alle  prescrizioni  dell'articolo  58. 

Perciò  non  fa  gli  accertamnti  che  gli  sono  imposti.  Se  li 
facesse  si  accorgerebbe  che  sono  scaduti  ^ià  due  trimcs  ri  e  che 
società  e  ass  )CÌaz!oni  nan  —  se  lo  non  obbedirono  all'  art.  145 
del  Codice,  ma  non  lo  hanno  taciuto  e  meno  anj^ora  obbe  lirono 
all'art.  55  del  Regolamento.  Il  Governo  può  punire  fino  a  lire 
50oO,  salvo  le  maggioi  pene  comminate  n^l  Codice  penale  gli 
inadempienti  agli  obblighi  che  abbiam)  sopri  enunciati. 

Finora  il  Governo  non  se  ne  diede  pensiero,  ra  i  tanto  per 
le  Società  nazionali  come  per  le  estere  è  necessario  che  prenda 

^  Cfir.  r  ottimo  periodico  La  finanza  di  M^Iauo,  16  giagno  1883. 


E    SULLA   VITA   DELL'uOMO.  257 

un  partito  e  in  luogo  di  assistere  indifferente  alla  inosservanza 
delle  leggi,  dia  opera  sollecita  (come  sembra  voglia  fare)  perchè 
avvenga  la  esecuzione  della  legge,  riformando  le  disposizioni 
arbitrarie  del  titolo  3'  del  Regolamento  27  Dicembre  1882. 

Il  Governo  ha  inoltre  l'obbligo  di  mettere  in  relazione  le 
sue  precedenti  circolari  e  i  decreti  reali  col  Codice  e  col  rego- 
lamento. Se  continuano  le  contraddizioni  attuali  accadranno 
gravi  disordini.  Se  il  Governo  ha  obbligata  (prima  del  nuovo 
Codice)  una  fra  le  Società  di  assicurazioni  sulla  vita,  ad  impie- 
piegare  in  rendita  le  dotazioni,  perchè  non  imporrà  ora  il  me- 
desimo obbligo  a  tutte  le  Società  che  si  propongono  lo  stesso 
scopo?  0  perchè  non  libererà  quell'una  dalla  suaccennata  im- 
posizione? Se  esclude  dal  bilancio  dell  esercizio  di  una  di  queste 
Società  la  gerenza  delle  associazioni  per  dotazioni,  perchè  non 
fa  lo  stesso  con  gli  altri  bilanci  delle  istituzioni  che  hanno 
pure  esse  questa  gerenza? 

Ora  si  dibatte  la  quistione  se  una  compagnia  italiana,  che 
abbia  impiegato  in  rendita  i  fondi  aMoóiaxùmi  debba  essere 
obbligata  nulladimeno,  (col  nuovo  Codice)  ad  impiegare  un 
quarto  dei  premi  riscossi^  che  compariscono  nel  bilancio,  in 
rendita  dello  Stato.  H  Governo  deve  tener  conto  della  severa 
disposizione  dell'articolo  145  del  Codice,  ma  non  esagerare 
nella  esecuzione  della  legge.  Quando  una  Società  (e  prendiamo 
per  esempio  la  R.  Compagnia  Italiana  in  Milano  di  assicura- 
zioni sulla  vita)  ha  più  di  5  milioni  in  rendita  per  i  fondi  di 
associazioni  di  dotazioni:  ha  incassato  un  milione  e  mezzo 
di  premi  e  nel  suo  attivo  vi  è  più  di  un  milione  investito  in 
rendita,  non  si  può  obbligarla  ad  invMtimenti  maggiori  in  titoli 
del  debito  pubblico  dello  Stato,  sansa  mettere  a  repentaglio  la 
sua  solidità.  Perchè  lo  Stato  vuole  rendere  solidali  a  so  le  Im- 
preso private  ?  Perchè,  se  la  rendita  fratta  meno  di  cartello  di 
credito  fondiario,  di  buoni  di  ferrovie,  di  obbligazioni  di  f-  ' 
vie,  di  stabili,  ecc.,  pretende  che  le  Società  rinuncino  .  j:. 
danno  degli  azionisti  e  del  pubblico)  a  questo  maggioro  inte- 
resse ?  Il  commercio,  l' industria,  'non  devono  essere  sacriti 
i  titoli  del  debito  pubblico  non  possono  divenire  un  inv'  ;  - 
mento  a  corso  forsoso,  specialmente  da  noi  dove  questo  paroln 
non  mì  vogliono  nemmeno  udirò  a  ripetere! 

Ecco  esposte  imparzialmente  le  controversie,  che  oggidì  si 
dibattono,  in  Italia  dopo  il  nuovo  Codice,  il  quale,  avendo  mu- 

VoL.  ZL,  SOTto  n  —  15  L«clU  IMS.  IT 


258  LE    ASSICURAZIONI    CONTRO    I    DANNI 

tato,  radicalmente,  la  condizione  giuridica  delle  Società  com- 
merciali, ha  influito,  anche  perciò,  sui  contratti  di  assicurazioni 
contro  i  danni  e  sulla  vita,  per  i  quali,  come  diremo,  si  è  occu- 
pato nel  titolo  XIV  del  libro  1»  dall'articolo  417  al  454. 

§  III.  —  Lo  $tato  economico  attuale  delle  assicurazioni  in 
Italia.  —  Noi  abbiamo  parlato,  fino  ad  ora,  della  lotta  legale 
attenente  alle  assicurazioni  e  del  Regolamento  pel  nuovo  codice 
di  commercio  italiano. 

Ma,  ci  si  potrebbe  chiedere,  era  veramente  necessaria  per 
l'Italia  una  nuova  e  particolareggiata  legislazione  commerciale. 

Poteva  essa  dar  prova  di  avere  così  grande  copia  di  tali 
istituzioni,  da  richiedere  che  il  nuovo  codice  se  ne  occupasse 
di  proposito  ? 

A  ciò  risponderemo  con  la  disamina  di  alcuni  fatti. 

1)  Analizzeremo  i  risultati  ottenuti  dalle  ultime  Esposizioni. 

2)  Tenteremo,  per  i  primi,  di  fare  una  critica,  meno  inesatta 
di  quelle  che  finora  si  pubblicarono,  delle  Assicurazioni. 

3)  Proveremo  se  il  legislatore  segui,  di  pari  passo,  la  via 
tracciata  dalla  nazione  nel  suo  sviluppo  economico. 

La  statìstica  ha  messa  in  bella  luce  la  importanza  delle  Assi- 
curazioni in  Italia.  Lo  studio,  che  sopra  di  esse  si  è  potuto 
fare,  a  mezzo  delle  pubblicazioni,  nelle  quali  la  scienza  ma- 
tematica fu  messa  a  contribuzione  come  la  scienza  sociale, 
le  tavole  grafiche  colorate,  i  diagrammi,  i  prospetti',  le  carte 
geografiche  indicanti  la  distribuzione  degl'  istituti  di  assicura- 
zioni ecc.,  diradarono  nel  pubblico  molti  pregiudizi,  diffusero 
utili  insegnamenti,  anche  per  la  pratica  della  vita  e  fornirono 
argomento  al  pensatore  di  proporre  ciò  che  manca  finora  nei 
trattati  scientifici  italiani  e  nella  legislazione,  su  tale  argomento. 
Ma  rimase  ancora  da  sciogliere  un  quesito.  E  progredita,  in  vero, 
in  Italia,  l'abitudine  della  assicurazione  come  quella  della  pre- 
videnza, del  risparmio,  delle  mutualità,  della  cooperazione?  0 
forse  tale  progresso  è  limitato  ad  alcuna  specie  di  assicurazioni  : 
come  per  esempio  all'incendio,  alla  grandine,  ai  trasporti,  agli 
accidenti,  e  non  comprende  le  operazioni  che  riguardano  1'  as- 
sicurazione sulla  vita?  E  ciò  dipende  dall'  ignoranza  del  pub- 
blico o  dal  cattivo  ordinamento  delle  società?  Ecco  il  quesito 
che  ci  si  affacciò  alla  mente  nel  soffermarci  sopra  le  Statistiche 
surricordate.    E  ci  siamo  persuasi  che    gli  errori    del  codice  di 


E    SULLA   VITA   DELL ' UOMO.  259 

commercio,  la  poca  sorveglianza  delle  autorità,  le  circolari  mi- 
nisteriali incomplete  o  erronee,  insomma  la  mancanza  di  una 
l)uona  legislazione  commerciale  (come  quella  dei  migliori  fra  gli 
Stati  moderni),  contribuirono  a  ritardare  lo  svolgimento  delle 
ottime  imprese  assicuratrici,  e  per  lo  contrario  ad  agevolare  quelle 
che  abusano  della  buona  fede  degli  italiani. 

Alla  Esposizione  di  Milano  il  gruppo  undecime,  che  risguar- 
dava  anche  le  Assicurazioni,  nella  classe  61  comprendeva  le 
istituzioni  di  beneficenza,  assistenza,  previdenza  e  cooperazione. 
Questa  classe  si  divideva  in  due  sotto-classi,  la  sotto-classe  1"  o  la 
sotto-classe  2*.  La  sotto-classe  1'  comprendeva  :  a)  Beneficenza. 
h)  Assistenza  pubblica.  La  sotto-classe  2*  abbracciava  :  a)  Previ- 
denza, b)  Cooperazione. 

L'Esposizione  di  Milano,  per  ciò  che  si  attiene  alle  Assicura- 
zioni fu  studiata  forse  meglio  all'  estero  che  in  Italia.  Quel- 
r  ottimo  periodico  che  è  il  Montteur  de»  A$8urance9  '  or  sono 
pochi  giorni  ne  faceva  argomento  di  uno  studio  speciale  (t.  XIV, 
fascio.  169),  intitolato:  L'cusurance  tur  la  vie  à  VExpo$ition 
de  Milan,  ISSI.  Esso  diceva  lodando  l'Italia:  u  Nous  avena, 
eu  en  France,  deux  Expositions  univervelles,  en  1867  et  en  1878; 
quelle  place  l'assurance  sur  la  vie  j  a-t-elle  occapée?  Par  quels 
documenta,  par  quels  tableaux,  par  quelles  brochures,  par  quel 
enseignement  s'y  est-elle  fait  reprósenter?  Quello  attontion  los 
organisateurs  de  ces  grandes  aasises  intemationalos  et  le  public 
lui-mémc  lui  ont-ils  accordée?  A  peine  pourrait-on  citer,  en 
1867,  de  faibles  indices  d'une  próoccnpation  do  cette  nature, 
pcrdus  dans  une  esposition  de  librairie.  Co  n'eat  paa  ainai  qu'on 
Ta  entendu,  en  Italie,  à  l'Expoaition  de  Milan,  en  1881.  Un 
groupe  a  été  forme,  (comprenant  lea  aasarancoa)....  n  Dopo  ciò  il 
Moniteur  contino*  a  rivolgere  l'attensione  dei  francoai  au  quoato 
fatto,    illustrando    le  geaU  di  una  delle  noatre  Compagnie. 

Noi  invece  diremmo  di  tutto  le  istituzioni  che  facevano  bella 
moatra  di  aò  a  Milano,  indicandone  i  numeri  del  catalogo. 

n  n.  6596  ai  riferiva  allo  Assicurazioni  generali  di  Venesia 
e  dopo  i  quadri  grafici,  gli  atatuti,  i  programmi,  le  tabelle  di 
eaaa,  acguivano  al  n.  6r)97  le  eapoaizioni  dell' Aaaociasiono  delle 
Banche  popolari  italiane,  delle  Società  operaie    a  cooperativo  e 

*  In  qoeato  otiiao  pariodfeo  di  eoi  é  dlrettora  gwwta  II  aigaor  Tbo- 
■Mrmu,  KrtroM  t  prineipali  eeonoabti,  stjitictici  fraaoeal,  e  qualli,  obe  ai 
oecapaao  apeelahaenta  dalle  Aaaiearasioni.  Sono  già  pnbblteatl  qaattoitliei 
volami  (1868-1873)  degai  di  molU  lode. 


260  LE   ASSICURAZIONI   CONTRO   I   DANNI 

di  credito  popolare  e  quindi  le  pubblicazioni  in  proposito  di  pri- 
vati, di  corpi  morali  e  del  Governo.  Nei  numeri  seguenti  erano 
indicate  non  tutte  le  Società  di  assicurazioni,  ma  soltanto  quelle 
che  avevano  preso  parte  alla  mostra.  E  di  esse  soltanto  noi  ci 
occuperemo,  incominciando  dalle  Assicurazioni  generali  di  Vene- 
zia.* Essa  introdusse  fra  i  rischi  accessori  quello  delle  conseguenze 
dei  danni  d'incendio,  in  quanto  si  riferiscono  alla  interruzione 
della  rendita  o  dell'uso  delle  case  o  alla  sospensione  della  pro- 
duttività degli  stabilimenti  industriali.  Ora  1'  assicurato  è  fatto 
sicuro  di  percepire  integralmente,  l'indennizzo  della  rendita  che, 
come  conseguenza  del  sofferto  incendio,  gli  verrebbe  realmente 
a  mancare.  Cosi  tanto  con  la  polizza  vecchia  come  con  quella 
nuova  la  società  potè  il  V  gennaio  dell'anno  1881  riconoscere 
che  aveva  in  vigore  per  le  sole  operazioni  fatte  in  Italia,  po- 
lizze 130,141  rappresentanti  una  somma  di  capitali  assicurati 
della  entità  di  lire  3,212,252,099.  00.  Oltre  alle  operazioni  del 
ramo  incendi  e  del  ramo  grandine  la  Compagnia  si  dedica  a 
quelle  sulla  vita. 

Essa  si  adoperò  a  vincere  grado,  grado  la  ripugnanza  del 
pubblico  contro  le  assicurazioni  sulla  vita. 

A  ciò  hanno,  anche,  molto  contribuito  la  Gresham  e  la  Reale 
Compagnia  di  Milano.  Furono  utili  le  riforme  introdotte  dalle 
Assicurazioni  Generali  nelle  condizioni  delle  polizze,  di  quelle 
sopratutto  in  cui  è  elemento  principale  di  contratto  il  caso  di  morte 
dell'assicurato.  Sull'esempio  delle  Compagnie  inglesi  si  è  tolto 
dalle  polizze  le  antiche  severità,  che  moltiplicavano  i  casi  di  nul- 
lità e  di  decadenza,  e  si  facilitò  la  adesione  dei  padri  di  fami- 
glia, specialmente  ammettendo  nuove  combinazioni,  mercè  le  quali 
si  può  ottenere  un  dujilicato  pagamento  della  somma  assicurata. 

Nel  mese  di  Settembre  1882  vennero  presentate  338  pro- 
poste di  Assicurazioni  sulla  Vita  per  una  somma  di  L.  2,233,654.25 
e  vennero  emesse  277  polizze  per  una  somma  di  L.  1,752,419.20. 

^  Nata  nel  1831  la  Società  di  Assicurazioni  generali  di  Venezia,  fin  dalle 
prime  fu  sulla  via  tracciata  dalla  Compagnia  di  Milano  detta  di  Via  del 
Lauro,  ma  avanzò  il  passo  e  prudentemente  volle  poi  sempre  progredire. 

Ebbe  le  sue  rappresentanze  a  Napoli  ed  in  Sicilia  nel  1833,  in  Lombardia 
nel  1834,  nel  Trentino  nel  1835,  in  Toscana  nell  856,  nell' Emilia  nel  183  7, 
in  Piemonte  nel  1843,  e  si  sostituì  in  altre  provincie  alla  Privilegiata  società 
pontificia  nel  1863. 

La  polizza  progredì  e  migliorò  essa  pure  col  tempo,  e  migliorò  le  condi- 
zioni dell'assicurato,  dacché  si  iniziarono  le  operazioni  in  Piemonte,  e  ancor 
più  nel  1860,  nel  1863  e  nel  1866  allorquando  si  adottò  il  testo  cbe  vige  ora. 


E   SULLA   VITA   DELL'UOMO.  261 

Dal  1  Gennaio  dell'  anno  1882  il  numero  delle  proposte 
presentate  ascese  a  3448  per  una  somma  di  L.  24,049,804.40 
e  la  somma  delle  nuove  assicurazioni  assunte  [ammontò  a  lire 
21,291,801.87  ripartite  fra  2972  polizze,  mentre  i  sinistri  annun- 
<;iati  nello  stesso  periodo  raggiunsero  l'importo  di  L.  2,239,159,42. 

Al  31  Dicembre  1881  lo  stato  del  ramo  Vita  era  il  seguente. 
Somma  assicurata:  L.  164,019,136.57  di  capitali  e  L.  528,067.50 
di  rendite  vitalizie  sopra  37,649  polizze.  —  I  danni  pagati  nel 
1881  salirono  a  L.  2,490,104.12.  E  i  danni  pagati  in  tutti  i  rami 
di  assicurazione,  dall'epoca  della  fondazione  della  Compagnia  a 
tutto  il  1881  ammontano,  come  risulta  dall'ultimo  bilancio  pub- 
blicato, a  L.  377,469,857.17. 

Ecco  al  31  dicembre  1881  le  somme  assicurate  pel  Ramo 
Vita  in  Italia. 

8orama  assicurata  in  vigore  al  31  Dio.  1881    L.  16,716,606.20 
Rendite  vitalizie  n  r»  n  163,482,64 

Premi  annui  n  n  n  631,909,01 

Polizze  relative  suddivise  in  N.  214^,  tutte  assunte  nel  Regno 
d' Italia. 

Questi  dati  risguardano  laiìiNita  della  Compagnia  (Ramo 
Vita)  soltanto,  come  dicemmo,  presso  di  noi. 

Volendo  dare  notizie  più  recenti  (per  confrontarle  con  quello 
sopraindicate)  potranno  riferirsi  ai  dati  del  maggio  1883. 

Nel  mese  di  Maggio  1883  vennero  presentate  462  proposto 

di  Assicurazioni  sulla  VitA  per  una  somma  di  L.    3,644,332,15 

vennero  emesse  384  polizze  per  una  somma  di  L.  8,128,425,90, 

Dal  1  Gennaio  dell'anno  corrente  il  numero  delle  proposto 
presentate  ascese  a  2123  p«r  una  somma  di  L.  17,274,071,25 
e    la  delle    nvore    assicurazioni    assunte    ammontò    a 

T<.  14,'    ..,..■)  ripartite  fra  1770  polizze,    mentre  i  vinistri  an- 
inciati    nello    steno   periodo   raggiunsero    l'importo    di   Liro 
1.284,157.90. 

Al  31  Dicembre  1^82  lo  sUto  del  ramo  Vita  era  il  se- 
guente: Somma  assicurata  L.  177,055.514,55  di  capitali  e 
L.  521,612,28  di  rendite  viulizic  sopra  88,176  polizze.  —  I 
^anni  pagati  nel  1882  salirono  a  L.  8,011,379.05.  —  E  i  danni 
pagati  in  tutti  i  rami  di  assicurazione,  dall'  epoca  della  fonda- 
zione della  Compagnia  a  tutto  il  1882  ammontano,  ooroe  risulta 
^air  ultimo  bilancio  pubblicato  a  lire  400,4.16.79.5. 

AUrupo'^izioiin  di   Milano  ciò  che  riguardavn  rAHHicuraziono 


262  LE  ASSICURAZIONI  CONTRO  I  DANNI 

sulla  grandine  divenne  argomento  della  curiosità  speciale  del 
pubblico,  cosi  per  la  storia,  come  per  la  statistica  e  per  i  dia- 
gramma relativi. 

Le  assicurazioni  contro  la  grandine  cominciarono  a  prati- 
carsi fin  dall'anno  1836.  Iniziate  nelle  provincie  lombarde  e 
nelle  venete  e  in  una  parte  soltanto  di  quelle  dell'  Emilia,  fu 
cinque  anni  dopo  che  s'introdussero  anche  in  Piemonte  e  poi  nelle 
altre  regioni  italiane.  In  breve  cominciò  la  concorrenza,  con  una 
associazione  mutua  in  Lombardia,  una  in  Piemonte,  una  mutua, 
cremonese,  e  caddero  tutte.  Ma  nel  1857  ebbe  vita  una  mutua 
lombarda,  che,  ampliata,  oggi  chiamasi,  Società  Italiana  di 
mutuo  soccorso  contro  i  danni  della  grandine  e  che  meritamente 
ottenne  la  medaglia  d'oro.  Dappoi  sorsero  una  Mutua  Estense,. 
e  pili  tardi  una  Mutua  Suzzarese. 

Le  compagnie  straniere  a  premio  fisso  non  vennero  volentieri 
nei  primi  tempi  in  Italia,  per  affari  contro  il  rischio  delle  gran- 
dini. E  soltanto  nel  1854  l' intrapresero  regolarmente  La  Riu- 
nione Adriatica  di  Sicurtà  e  la  Nuova  Società  Commerciale  nel 
1855,  ma  questa  cessò  nel  1866  e  l'altra  continua  per  bene. 

Diremo  ora  della  Reale  Compagnia  Italiana  alla  Esposizione. 

La  Reale  Compagnia  Italiana  di  assicurazioni  generali  sulla 
vita  dell'  uomo  (sedente  in  Milano),  fu  costituita  e  abilitata  ad 
esercitare  la  sua  industria  con  Reale  Decreto  27  luglio  1862. 

La  storia  della  Reale  Compagnia  risultò  dalle  tavole  gra- 
fiche, dagli  opuscoli,  dal  giornale  e  dai  bilanci  dei  diciotto  eser- 
cizi dell'azienda  sociale,  decorsi  dall'anno  1863  all'anno  1880' 
inclusivi. 

Nelle  prime  viene  segnato  lo  sviluppo  progressivo  degli  affari, 
saliti  ad  ottantatre  milioni  e  mezzo  di  lire,  se  si  considerano  le 
proposte  presentate,  e  a  più  di  settantaquattro  milioni,  se  si  pone 
mente  ai  soli  affari  accettati  dalla  Compagnia.  Uno  speciale 
rapporto  illustrativo  risguarda  le  fasi  di  ciascun  ramo  della  istitu- 
zione. 

Negli  opuscoli  e  nel  Bollettino  vi  è  la  storia  degli  sforzi 
fatti  dalla  Reale  Compagnia,  per  raggiungere  i  risultati  che  rile- 
vansi  dalle  tavole  suddette. 

Dai  bilanci  si  provò  lo  stato  buono  della  Compagnia,  avendo 
essa  disponibile  fra  capitale  sociale  o  fondi  rea  izzati,  un  im- 
porto di  oltre  diciassette  milioni  di  lire,  a  cui  si  dovrebbero 
aggiungere  i  premi  futuri,  dovuti  dagli  assicurati  pel  manteni- 
mento dei  loro   impegni.    Risultò    di   più   che   una   formidabile 


E   SULLA   VITA   DELL'uOMO.  263 

riserva  è  costituita  dalla  sola  differenza,  che  emerge  fra  i  prezzi 
esposti  in  bilancio  degli  effetti  pubblici  ed  industriali  di  pro- 
prietà della  Compagnia,  e  il  valore  che  essi  hanno  in  giornata. 
S'introdussero  articoli  tendenti  a  rendere  possibile  e  facile 
l'emissione  di  duplicati  di  titoli  smarriti  o  perduti,  evitando 
cosi  i  danni  che  derivano  da  una  lacuna  in  alcuni  codici,  per 
la  quale  non  è  valido  un  duplicato  di  titolo  perduto. 

È  notevole  che  in  tanti  anni  d'esercizio  16  presentano  nei 
sinistri  verificati,  una  somma  inferiore  alle  cifre  presuntiv». 
Eccetto  il  1864  e  1872,  negli  altri  anni  il  rischio  presunto  oscillò 
fra  1.30  —  1.31  —  1.29  per  cento,  per  gradatamente  elevarsi 
a  1.50  e  fino  a  1.67  per  cento.  Al  31  dicembre  1880  l'età  media 
degli  assicurati  pei  contratti  caso-morte  per  la  vita  intiera  fu  di 
anni  49.40  ;  per  contratti  temporari  in  caso  di  morte,  fu  di  48.40  ; 
mentre  per  contratti  misti,  era  di  anni  41.33;  pei  contratti  a 
termine  fisso,  di  anni  41.40;  complessivamente  l'età  media  risultò 
di  anni  44.56.  Il  limite  1.65  per  cento  circa,  cui  si  giunse  ra- 
pidamente nell'anno  1877,  fu  mantenuto. 

Neil'  esercizio  1882  gli  affari  conclusi  erano  per  oltre 
41,200,000.  Riassumendo  il  risaltato  delle  operazioni  del  1882 
si  vede  che  l'aumento  dei  conti  assicurazioni  a  premio  e  delle 
gerenze  delle  associazioni  per  dotasioni  fu  complessivamente 
di  2,398,314,  dal  quale  defalcata  la  somma  erogata  per  la  ef- 
fettuatasi liquidazione  dell'  associazione  per  dotazione  XII  di 
436,071. 

La  prima  società  mutua  italiana  di  tutela  e  di  assicurazione 
pel  fido  commerciale  (il  credito),  iniziata  a  Milano  nel  1880  da 
400  soci  fondatori  era  rappresentata  all'esposizione. 

L'associazione  ha  por  iscopo  :  di  propugnare  la  moralità  nel 
commercio  e  nell'industria,  di  tutelare  il  credito  commerciale 
col  prevenire  e  reprimere  i  fallim<>nti,  di  patrocinare  i  soci  col- 
piti da  fallimenti,  o  cessazione  di  pagamenti  dei  propri  debitori, 
e,  quando  ne  facciano  richietta,  di  assicurare  i  propri  associati 
contro  i  rischi  del  fido  commerciale,  verso  compenso  delle  speso  e 
dei  premi,  che  verraono  stabiliti  da  regoUmento  e  tariffo  apposite. 

L'associazione  vuole  procurare  ai  soci,  senaa  garanzia  pro- 
pria, e  dietro  un  compenso  (giusta  le  tariffe  sociali),  colla  mas- 
sima sollecitudine,  informazioni  sulla  solvibilità  ed  onorabilità 
delle  ditte  commerciali  ed  industriali,  cosi  italiane  che    estere. 

hUtA  si  propone  di  offrire  agli  industriali  e  commerciali  il 
modo  di  definire  amichevolmente  le  eventuali  loro  questioni. 


I 


264  LE   ASSICURAZIONI   CONTRO   I   DANNI 

GÌ'  intendimenti  dell'  impresa  non  potrebbero  essere  più  de- 
gni di  ammirazione,  ma  nella  pratica  non  abbiamo  fede  che 
possano  riuscire.  Il  fallito  se  non  può  pagare,  non  ha  modo  di 
soddisfare  al  proprio  impegno  :  se  non  è  onesto,  non  vi  è  pre- 
videnza che  basti  a  salvarsi  dalle  sue  male  arti,  non  solo  col 
nostro  nuovo  codice  di  commercio,  ma  col  migliore  fra  quanti 
codici  si  possano  immaginare.  Il  commerciante  deve  tenere  gli 
occhi  aperti  quando  si  mette  con  altri  in  attinenza  di  affari  e 
la  sola  cosa  per  la  quale  ci  pare  che  l'Italia  potrebbe  tentare 
(ciò  che  già  fu  progettato  e  discusso  a  Napoli  come  utile  innova- 
zione), riguarderebbe  una  società  che  si  limitasse  a  dare  infor- 
mazioni (mediante  pagamento  di  tassa),  sullo  stato  finanziario 
dei  commercianti.  * 

All'Esposizione  geografica  internazionale  in  Venezia  nel  set- 
tembre 1881  all'epoca  del  3"  Congresso  nella  classe  6*  (geo- 
grafia economica  commerciale  e  statistica)  vi  erano  molte  im- 
portanti pubblicazioni,  studi  interessanti  per  la  attinenza  delle 
assicurazioni  con  la  vita  :    specialmente    era  degna  di  ammira- 

'  Le  esposizioni  più  complete  (a  Milano)  furono  quelle  delle  Assicurazioni 
generali,  e  quindi  si  notavano  le  seguenti  : 

Credito.  (Prima,  Società  Mutua  italiana  di  tutela  e  di  assicurazione  II  fido- 
commerciale),  Milano.  —  Schema  — Statuto.  —  Relazione  illustrativa  circolare- 
programma.  —  Scheda  di  adesione.  Elenco  di  azionisti.  —  Bolletta  dei  versa- 
menti a  fondo  perduto.  Regia  Compagnia  Italiana  di  assicurazione  sulla  vita 
dell'  uomo  Milano  —  Opuscolo,  pubblicazioni  ecc. 

Società  di  Vicendevole  Assicurazione  contro  i  danni  della  grandine.  Suz- 
zara  (Mantova)  Statuto.  —  Resoconto. 

Società  Italiana  di  mutuo  soccorso  contro  i  danni  della  grandine,  Milano. 
—  Statuti  e  statistiche  della  Società.  —  Quadri  grafici  a  due  albums. 

Di  alcune  società  delle  quali  il  catalogo  ufficiale  dava  il  Jnome,  come 
p.  e.  il  6649,  non  solo  mancavano  completamente  le  notizie  ma  ci  fu  dichia- 
rato che  nemmeno  vennero  spedite  all'Esposizione  semplici  Memorie. 

Questo  numero  risguardava  la  Fondiaria,  e  dovendoci  noi  limitare  a  par- 
lare delle  società  che  hanno  preso  parte  alla  [esposizione  di  Milano,  cosi  a 
malincuore  dobbiamo  tacere  della  Fondiaria,  e  di  altre  importanti  assicura- 
zioni, come  la  Riunione  Adriatica  ecc. 

Oltre  alle  informazioni  utili  per  gli  uomini  d'affari  giovarono  alla  Espo- 
sizione di  Milano  i  quadri  grafici,  le  carte  e  i  diagrammi. 

Il  1"  quadro  grafico  riguarda  le  grandini  nel  decennio  1871-80  con  in- 
dicazione dei  prodotti  campestri  assicurati  e  dei  risarcimenti  pagati  per 
ciascuna  grandine  e  con  due  diagrammi,  uno  relativo  allo  stesso  periodo 
decennale  e  l'altro  relativo  a  tutto  il  periodo  1836-1880.  La  ,2*  carta  di- 
mostra le  grandini  dell'anno  1880. 


E    SULLA    VITA    DELL'uOMO.  265 

zione  la  bellissima  carta  del  cav.  Marco  Besso:  si  trattava  di 
una  carta  di  Europa  coi  dati  relativi  alle  Compagnie  di  assi- 
curazioni che  in  Europa  hanno  vita. 

Il  municipio  di  Napoli  espose  il  prospetto  grafico  di  morta- 
lità e  di  metereologia  dell'anno  1873  al  1879  in  sette  quadri  : 
il  ministero  italiano  di  agricoltura,  industria  e  commercio  espose 
due  stereogrammi  di  statistica  della  popolazione  ed  album  di 
stereogrammi  fotografici  dei  modelli  della  popolazione  esistenti 
presso  la  direzione  di  statistica  generale  del  Regno  e  del  clas- 
sificatore delle  schede  per  il  censimento,  ecc.  ecc. 

La  direzione  delle  Assicurazioni  generali  in  Venezia,  espose 
la  carta  d'Italia  dimostrante  l' ordinamento  e  la  sfera  d' azione 
economico-industriale  delle  rappresentanze  in  Italia  e  ne'  paesi 
finitimi,  che  dipendono  dalla  direzione  di  Venezia.  Questa  carta 
è  tratta  da  quella  geografica  postale,  ideata  dal  cav.  Fr.  Sal- 
viette,  capo-sezione    della    direzione  generale  delle  Poste. 

Come  abbiamo  accennato,  il  1*  quadro  esposto  dalle  Assicu- 
razioni generali  in  3Iilano  conteneva  tre  figure,  che  si  riferivano,  cia- 
scuna, alle  regioni  in  cui  si  sviluppò  i'assicur&xione  contro  U 
grandine.  La  prima  rappresenta  il  capitale  totale  dell'  assicu- 
rato, per  ogni  prodotto  ed  i  risarcimenti  pagati  per  ogni  prodotto 
nel  periodo  1871-1880.  La  seconda  figura  contiene,  per  ogni  re- 
gione, 3  diagrammi  :  il  1*  rappresenta  la  linea  funziono  del  ca- 
pitale totale  assicurato  ogni  anno  e  del  tempo  espresso  in  anni  ; 
il  2*  la  linea  funzione  del  risarcimento  totale  annuo  e  del  tempo 
espresso  in  anni;  il  3**  la  linea  funzione  del  numero  totale  dei 
danni  e  del  tempo  espresso  in  anni. 

La  figura  terza  è  il  riassunto  di  tutte  lo  operazioni  sulla 
grandine  fatte  dalla  Societii,  per  tutti  gli  anni  del  suo  esercisio 
cioè  dal  1836  a  tutto  il  1880. 

Il  secondo  quadro  si  riferisce  alle  operasioiii  fatte  dalla 
Compagnia  nel  1880. 

La  carta  è  a  colorì;  la  preralensa  dell' un  colore  '     ) 

indica  la  prevalenza  del  prodotto  assicurato  in  ogni  pi  ...a. 
I  mandamenti  colpiti  dalla  grandino   furono   rapprosontati   con 

0  meno  ampie,  a  seconda  del    numero 

r,  -; .  ..a  Kuperficie  a  cui  queste  si  riforiscono;  e 

i  vari  settori  indicano  coi  loro  diversi  colorì  il  mese  in  cui  av- 
vennero le  gran 

Delle  grand ..*  l  1880  le  maggiori  furono  nel  29  maggio 

e  nel  24  giugno.  Sopra  quarantatre  esercizi,  sodici  furono  i  più 


266  LE    ASSICURAZIONI   CONTRO   I   DANNI 

colpiti  da  grandini,  e  fra  questi  principalmente  quelli  degli 
anni  1855,  1866  e  1867,  e  dopo  quelli  degli  anni  1856,  1860 
e  1878. 

Oltre  a  ciò  si  presentarono  due  quadri  :  —  l'uno  dei  quali 
rappresentava,  mediante  diagramma,  il  numero  delle  giornate  in 
cui  caddero  grandini,  durante  i  sette  mesi  da  aprile  ad  ottobre, 
per  ogni  anno  dal  1871-1880,  più  la  media  delle  giornate  stesse 
nel  decennio,  l'altro  rappresentava  il  numero  delle  giornate  di 
grandini  per  ogni  mese  e  per  ogni  anno  nel  1871-1880. 

Da  ciò  risulta  che  il  mese  di  giugno  ha  maggior  numero  di 
grandini  e  maggiore  entità  dei  danni,  e  l'agosto  è  il  quarto 
mese  nell'ordine  del  numero  delle  grandini,  per  la  gravità  dei 
danni. 

Dopo  avere  cosi  riferito  sulla  particolareggiata  statistica 
che  fu  oggetto  delle  esposizioni,  darò  in  appendice  alcune  ta- 
belle, che  riguardano  varie  specie  di  assicurazioni. 

Dovrei  fare  innanzi  tutto  un'  avvertenza  al  lettore  :  di  non 
prendere  alla  lettera  il  significato  delle  operazioni  dalle  quali 
le  Società  s'intitolano.  Cosi,  in  generale,  le  Assicurazioni  Marit- 
time si  propongono  di  fare  anche  operazioni  commerciali  per  i 
rischi  dei  laghi,  fiumi,  canali,  ed  in  tal  modo  le  considerava  il 
vecchio  Codice  di  commercio  (a.  449). 

Simile  avvertenza  è  da  fare  anche  per  quelle  assicurazioni 
che  si  chiamano  terrestri.  Non  crediamo  nemmeno  qui  che  sia 
sufiiciente  di  comprendere  il  vocabolo,  per  formarsi  il  concetto 
degl'intendimenti  dell'impresa.  Si  dicono  assicurazioni  terrestri 
tutte  quelle  che  non  sono  marittime? 

Che  cosa  c'è  di  terrestre  nelle  assicurazioni  contro  la  gran- 
dine, che  viene  dall'  alto  ?  La  causa  del  danno  viene  dall'  alto, 
potete  rispondere,  ma  il  danno  colpisce  la  Lerra,  e  l'assicura- 
zione protegge  i  prodotti  della  terra.  Il  Codice,  a  ragione  parla 
a  parte,  delle  assicurazioni  sulla  vita.  Ma  che  direste  quando 
si  chiamassero  terrestri  quelle  sulla  vita  dell'uomo  ? 

Notiamo  che  quando  pure  egli  viaggiasse,  e  sfidando  nei  più 
lontani  oceani  le  burrasche  e  le  tempeste,  e  sopra  una  nave 
passasse  la  più  gran  parte  della  sua  esistenza,  si  continuerebbe 
a  chiamar  terrestre  e  non  marittima  l'assicurazione  sulla  di 
lui  vita! 


I 


E   SULLA   VITA   DELL'UOMO.  267 

§  IV.  —  Cenno  statistico  sulle  assicurazioni.  —  Riservandoci 
di  dare  in  nota  maggiori  particolari,  riferiamo  qui  le  notizie 
statistiche  che  si  poterono  appurare  con  studi  comparativi  al- 
l'esposizione internazionale  di  Venezia.  (1881) 

Le  Società  di  assicurazioni  in  Italia  allora  erano  57,  e 
quindi  in  numero  maggiore  della  Svizzera  (39)  del  Belgio,  della 
Spagna,  della  Danimarca  (26),  per  non  dire  della  Russia  (20)^ 
del  Portogallo  (12)  della  Grecia  (9)  della  Romania  (2)  della 
Turchia  (3),  che  diedero  minore  aiuto  alla  previdenza  ed  al  ri- 
sparmio. 

Ma  questa  maggioranza  numerica  non  basta.  Dobbiamo  con- 
fessare che,  per  quanto  riguarda  il  giro  degli  affari,  noi  siamo 
inferiori  non  solo  agli  Stati  dei  quali  siamo  inferiori  numerica- 
mente, ma  anche  al  Belgio,  alla  Svizzera. 

Vi  è  una  delle  operazioni  che  (come  dicemmo)  da  poco  tempo 
attecchisce  fra  noi  ed  è  quella  del  Ramo-Vita:  ne  sappiamo  la 
causa:  che  in  una  parola  si  riassume,  cioè  nel  pregiudizio. 
Notiamo  ostacoli  che  fino  ad  ora  furono  maggiori  qui  che 
all'estero,  per  lo  sviluppo  delle  assicnraxioni,  cioè  la  mancanza 
di  una  legge  sulle  assicurazioni  generali  (che  avemmo  col  nuovo- 

ce)  e  la  istituzione  degli  attuari. 


rii. 


V.  —  Gli  attuarli  e  V  utilità  di  taU  iitituexone  in  Italia, 
—  Un  buon  esempio  che  ci  vien  dato  dall'estero  e  che  manca 
nelle  abitudini  e  nelle  leggi  italiane  è  quello  degli  attuari. 

In  Italia,  attuario  significa  notaio  pubblico,  scrittore  e  cu- 
Ktode  di  atti  pubblici  :  in  Inghilterra  colla  parola  actuary  si 
comprende  colui  che  si  occupa,  esclusivamente,  dell'applicaziono 
delle  matematiche  alle  assicurazioni  o  più  generalmente  alln 
questioni  finanziarie. 

I  francesi  adoperarono  la  parola  acttiaire  nel  significato' 
inglese. 

In  Inghiilcrr.'i  ^'i'iiii|)i<7;.-iti  :i<i(i(  tti  '.v\\<-  compagnio  di  assi- 
curazione, per  calcolar*.-  Ir  lanli'--  e  diriger»'  le  operazioni  scien- 
tificamente, ebbero  il  titolo  di  attuari.  —  Le  compagnie  di  a«- 
«icurazionc  crescendo  sempre  in  numero,  la  professione  di  at- 
tuario cominciò  ad  essere  conosciuta  da  tutti,  e  ben  presto  si 
addivenne  alla  distinsione  fra  gli  attuari  residenti, 'cioè  quelli 
specialmente  addetti  ad  una  compagnia,  e  gli  attuari  consulenti. 

Si  riunirono  in  società  con  un  Istituto,  per  dare  in  qualche 
modo  un  regolamento  alla   loro    professione.    Ciò    avvenne  nel 


'268  LE   ASSICURAZIONI   CONTRO   I   DANNI 

1848.  Per  consuetudine,  non  si  è  attuari,  in  tutta  la  forza  della 
parola,  se  non  si  è  stati  ricevuti  nell'  Istituto  della  Gran  Bret- 
tagna e  dell'  Irlanda  o  dalla  Facoltà  di  Scozia,  che  è  stata  fon- 
data sulle  stesse  basi. 

È  certo  altresì  che  verun  tribunale  designerebbe  come  at- 
tuario, in  una  causa,  chi  non  fosse  membro  delle  nominate  società: 
è  la  legge  del  1870  che  dispone  dover  ciascuna  compagnia,  a 
determinate  epoche,  far  esaminare  la  sua  situazione  da  un  actuary, 
ed  ha  inteso  indicare  con  ciò  un  attuario  riconosciuto  da  quegli 
Istituti. 

In  Inghilterra  per  esser  ricevuto  come  attuario  si  devono 
fare  esami  di  capacità,  ma  si  può  esserne  anco  dispensati. 

In  Francia,  sebbene  la  professione  di  attuario  non  abbia 
tanti  cultori  come  in  Inghilterra,  nel  1872  fu  istituita  una  so- 
cietà di  attuari,  che,  prese  il  titolo  di  Cercle  des  Actuaires 
Frangais,  e  per  cura  della  quale  si  pubblica  una  rivista  trime- 
strale assai  importante.  In  Italia  non  abbiamo  veruna  istituzione 
di  questo  genere.  Si  è  appunto  pel  desiderio  di  mostrare  quanto 
sìa  degna  la  professione  di  attuario,  che  si  tradusse  anche  in 
italiano  un  lavoro  del  signor  Spragne,  vice-presidente  del  Cir- 
colo degli  attuari  di  Londra,  letto  da  esso  innanzi  alla  società 
degli  attuari  di  Edimburgo  *. 

Noi  vorremmo  che  tale  Istituzione  si  formasse  pure  in  Italia, 
che  la  pubblica  opinione  e  anche  il  legislatore,  se  ne  occupasse. 
Allorquando  ciò  accadesse,  molti  degli  inconvenienti  che  tuttora 
si  deplorano  scomparirebbero  dal  nostro  paese,  per  quanto  si  ri- 
ferisce alle  assicurazioni. 

Dopo  aver  parlato  sulle  istituzioni  e  sulle  riforme  le  più 
necessarie  per  il  buon  andamento  delle  Società  di  assicurazioni 
in  Italia,  riferiremo  ciò  che  risguarda  lo  stato  della  legislazione. 

Prima  del  nuovo  Codice  di  commercio  (1883)  una  sola  parte 
d' Italia  avea  una  buona  legge  sulle  assicurazioni  cioè  il  Lom- 
bardo-Veneto, ed  è  prezzo  dell'  opera  di  riferirne  i  particolari. 

§  VI.  Le  Assicurazioni  e  la  legislazione  nell'ex  regno  Lombardo' 
Veneto.  —  L'ex  regno  Lombardo-Veneto  fu  soggetto,  come  è  noto, 

'  Journal  of  the  Istituti  of  actuaries  and  Assurance  Magazine,  voi.  18, 
n.  xcviii.  On  the  usufulness  of  Mathematica!  studies  to  the  actuaiy.  An  address 
to  the  Actuarial  Society  of  Edimburgh  by  the  Honorary  President  T.  B. 
:Spragne  M.  A.,  Vice-President  of  the  Istitute  of  actuaries. 


E    SULLA   VITA   DELl'UOMO.  269* 

alle  leggi  austriache.  '  Unite  queste  provincie  al  Regno  d'Italia, 
fu  mantenuta,  per  la  Venezia  e  Mantova,  la  legge  austriaca  sulla 
lettera  di  cambio,  ma  non  quanto  riguardava  le  Assicurazioni. 

Il  Codice  di  commercio  austriaco  (che,  in  parte,  si  avvicina 
al  tipo  della  nostra  nuova  legislazione  commerciale)  fu  attivato 
in  Austria  e  nelle  provincie  italiane  da  essa  dipendenti,  il  1  lu- 
glio 1863.  All'articolo  271  dice: 

(n.  3*)  ti  Sono  atti  di  commercio  l'assunzione  d'un  assicurazione- 
verso  premio,  n  Alcuni  deputati  proposero  di  aggiungere  al  n.  3 
le  parole:  u  in  quanto  tali  assicurazioni  sono  contemplate  da,  que- 
sto Codice  p  perchè  non  ritenevano  che  tutte  le  assicurazioni 
possano  riguardarsi  atti  di  commercio  assoluti,  ed  in  particolare 
non  credevano  tali  le  assicurazioni  contro  i  danni  della  gran- 
dine ecc.  perchè  queste  se  anche  assunte  verso  premio,  sono 
affatto  estranee  al  commercio.  Essi  osservavano  inoltre  che  vi 
sono  le  assicurazioni  reciproche,  nelle  quali  l'assicurato  paga 
bensì  un  premio,  ma  la  utilità  depurata  dalle  spese,  e  derivante 
dai  premi  incassati,  va  divisa  fra  gli  stessi  assi  e  t>r  modo 

che  non  può  parlarsi  in  queste  caso  di  una  sp'  ne  mer- 

cantile. 

La  maggioranza  dei  deputati  respinse  tale  proposta. 

In  un'altra  tornata  (580)  si  propose  di  tiggi ungere  all'  a  an- 
che le  parole  u  e  cosi  pure  U  cusicurationi  muttu.  »  Conciò  per 
altro  non  si  alludeva  agli  affari  dei  pubblici  stabilimenti  di  assi- 
curazioni T). 

Tale  proposta  si  giustificava  colla  considerazione,  che  il  mo- 
tivo per  il  quale  si  accolsero  fra  gli  u  atti  di  commercio  assoluti  n 
le  sole  assicurazioni  verso  premio  non  può  stare  scir-  '• — ionio 
in  ciò,  che  l'assicuratore  intraprendo  con  esso  una  k]  «ne, 

perchè  molti  altri  affari,  che  non  sono  annoverati  in  questo  ar« 
ti<  ..Io  si  fanno  per  speculasiono.  L'  ulteriore  e  vero  motivo  h 
{•roprìamcnte  in  ciò,  che  l'istituto  dello  asticurasioni  si  sviluppò 
nel  commercio  e  per  il  commercio,  e  che  lo  più  importanti  as- 
sicurazioni, ed  il  maggior  numero  dolio  stesso,  riguardano  merci, 
0  mezzi  di  trasporto  mercantili.  Siccome  poi  imcbc    !<•    ummIcu- 

*  Cfr.,  fni  -rori  ehs  {rabblicaroao  le  loro  opera  inrima  Uolk  prò. 

mulgaziono  d.  '  li  coininócio  (1866),  nella  parte  attUMote  alle  Amì- 

curszioui  : 

('^•'  ...  fi.  —  /  jrtrineipii  del  diritto  eommereiaU  secondo  le  Uggì 
di  fr.  u  Due  SMUé,  ed  a  Codice  di  Oommtroio  per  gU  SMi  sardi, 

—  CaUuia.  ldtìl-68. 


270  LE    ASSICURAZIONI    CONTRO    I    DANNI 

razioni  reciproche  verso  premio,  si  sviluppano  nel  commercio 
ed  hanno  per  oggetto  di  favorirlo,  cosi  non  vi  era  ragione  di 
non    comprenderlo  in  questo  articolo,  fra  gli  atti  di  commercio. 

Oltrt;  a  ciò  osservavasi,  che  se  ben  si  considera,  le  assicura- 
zioni reciproche  racchiudono,  come  le  altre  assicurazioni  verso 
premio,  l'elemento  della  speculazione  mercantile,  perchè  sebbene 
ogni  membro  di  una  società  di  assicurazioni  reciproche,  assi- 
curandosi con  una  società,  voglia  evitare  un  danno  anziché  con- 
seguire un  lucro,  pure  nella  contemporanea  sua  qualità  di  assicu- 
ratore, intraprende  un  atto  di  speculazione  ed  assume  il  rischio 
■altrui,  nella  speranza  di  ottenere  dai  soci  un  proporzionato  in- 
dennizzo, per  il  caso  che  egli  stesso  avesse  a  soffrire  un  danno. 

La  riserva  fatta,  nella  proposta  pei  pubblici  stabilimenti  di 
assicurazione,  appariva  ai  proponenti  indispensabile,  affinchè 
non  fossero  trattati,  come  atti  di  commercio,  gli  affari  di  assi- 
curazione reciproca  che  intraprende  lo  Stato. 

Altri  deputati  però  si  opposero  alla  proposta  aggiunta.  Essi 
osservarono  in  particolare,  che  quando  la  si  accogliesse  si  di- 
chiarerebbero atti  di  commercio  tutte  quelle  piccole  società  di 
assicurazioni  reciproche,  che  s' istituiscono,  ad  esempio,  nei  pic- 
coli contadi  per  il  bestiame,  ecc.,  e  che  non  furono  giammai, 
né  possono  essere  riguardate  d'indole  commerciale.  Il  distinguere 
poi  queste  piccole  società,  da  quelle  che  hanno  un'estensione 
maggiore,  sarebbe  impossibile,  senza  gravi  inconvenienti,  nella 
pratica  applicazione  della  legge. 

Dopo  ciò  un  deputato  osservò,  che  vi  sono  alcune  società 
di  mutua  assicurazione,  nello  statuto  delle  quali  è  stabilito,  che 
gli  azionisti  debbano  pagare  un  importo  annuo  come  premio 
di  assicurazione,  e  fare  anche  ulteriori  versamenti  se  il  premio 
di  metodo  non  bastasse  a  coprire  V  importo  dei  danni  assunti. 
Nelle  società,  cosi  costituite,  è  evidente  la  intenzione  di  guada- 
gnare, perchè  ognuno  può  toccare  sicurtà  coli'  accedere  alla 
società,  ed  in  tal  guisa  lucrare  secondo  1'  esito  della  gestione. 
Egli  è  perciò  che  queste  società  trattano  affari  d' indole  com- 
merciale, anche  nel  senso  dell?  maggioranza;  ma  essendo  ov- 
via tale  qualifica,  non  è  mestieri  l'assumere  un'espressa  men- 
zione delle  stesse,  nella  legge. 

Con  tali  considerazioni  e  per  questi  motivi  fu  accolto  il  nu- 
mero 3  nella  sua  forma  attuale  :  e  respinta  quell'aggiunta,  che 
era  stata  proposta  per  comprendere  le  assicurazioni  reciproche. 
Nello    stesso  tempo  fu  respinta  l'ulteriore  proposta  di  contem- 


E    SULLA   VITA   DELL'uOMO.  271 

piare  le  sole  assicurazioni  mariltime,  perchè,  sebbene  le  assi- 
curazioni terrestri  non  sieno  disciplinate  dal  Codice  di  Com- 
mercio, pure  non  potrebbero  sottrarsi  alle  disposizioni  riguar- 
danti gli  atti  di  commercio,  gli  affari  che  esse  conchiudono  e 
che,  per  l'indole  loro,  sono  commerciali  '. 

Delle  altre  legislazioni  estere  (per  le  ragioni  esposte  in  prin- 
cipio) non  è  qui  il  luogo  di  occuparci.  * 

§  Vn.  Le  assicurazioni  e  la  legislazione  nel  Regno  d'Italia,  — 
L'Italia  mancò  fino  al  1883  di  una  buona  legge  sulle  assicura- 
zioni e  anche  di  opere  scientifiche  complete  adatte  all'importanza 
di  queste  istituzioni.  I  lavori  del  Sacerdoti  e  del  Romanelli  sono 
una  eccezione.  Se  non  che,  per  ragione  di  data,  nessuno  dei 
due  esamina  il  nuovo  Codice  di  commercio,  sicché  le  mie  ri- 
cerche hanno  una  qualche  novità  su  tali  scritti.  —  Ho  espresso 
al  Congresso  delle  Camere  di  commercio  (in  Napoli  1871)  alcune 
idee  intomo  alla  libertà  delle  assicurazioni  marittime,  le  quali, 
con  piacere,  vidi  accolte,  in  parte,  nel  nuovo  Codice  surri- 
cordato, e  cosi  parecchie  fra  lo  idee  che,  intomo    alle    assicu- 

*  Dal  Codice  di  eoimmerdo  amttriaeo  spiegato  eo'  processi  verbali  delle 
conferente  ecc.  per  il  doU.  O.   Venturi.  VeiMBÌa  186S. 

*  Nell'Austria  eiileitaiui,  perché  una  tocieti  di  aasieonsiom  potM*  fiire 
quaUivoglUi  operazione  dorrà  prorare  che  arri  legale  eaisteosa  nello  Stato 
oye  è  lorta,  che  non  si  proponga  scopo  contrario  alle  leggi  austriache,  che 
si  obl)lìghi  all'osservanza  delle  leggi  e  dei  regolamenti  dell'Impero,  e  che  lo 
Stato  nel  quale  ebbe  origine,  accordi  la  reciprocità.  L'ammissione  può  eesere 
sottoposta  a  speciali  condizioni  rispetto  al  tempo*  come  riguardo  all'esteoaione 
delle  operadoni.  La  soeietà  deve  nominare  una  rappr«seatansa  composta  di 
una  o  pi&  penona,  la  quale  deve  risiedere  nel  luogo  dove  é  poeto  l'ufficio  prln« 
cipale.  Tutte  le  controrersie  che  riguardino  sudditi  austriaci  o  l'Amministra- 
sione  imperiale  sono  soggette  al  foro  austriaca  L'ansidetta  rappresontansa 
dere  preseotare  airantorìtà  politica,  osi  primi  8  mesi  di  ogni  anno,  i  ver 
bali  dslle  assemblee  gwierali  cbo  ebbero  luogo,  il  bilaoeio  generalo  delia 
soeietà  ed  U  bilancio  speeialo  dsUe  oporasiotti  fstU  in  Austria  ;  questi  bi- 
lanci derono  essere  tsisudio  pabblieati.  I  OMmbri  della  rappreeentansa 
rispondono,  persooatBMote,  deH'ssstteita  dal  bilaad  speciali.  La  concessione 
é  soggetta  a  reroea,  quando  lo  Stato,  da  cui  le  società  traggono  origine,  eessa 
di  accordare  la  reciprocità  (Cfr.  negli  Annali  dtW Industria  •  d«l  Commeroiot 
Roma  1879,  la  rslàsione  del  oonun.  BomancUi  Le  Soeietà  di  tusiomrasioni  : 
ivi  egli  espose  qoesti  e  suiggiori  partieolari  solle  assicnraaioni). 

In  Austria  oltf«  ciò  ebe  ■•  diec  il  Oodiee  di  Oomasercio  ri  é  il  decreto 
imperiale,  SU  nor.  186»,  U  legge  Ì9  wkMno  1878,  l'ord.  19  ag.  1880. 

In  Ungfa'via  0  Codiee  di  eomoMreio  promulgato  nel  187&  ha  dbpoei- 
sioni  qMeiali  solle  aasieorasioaL  In  Germania  si  attende  ora  ad  una  riforma. 
Nell'Unione  amerisana  ogni  Stato  ha  per  le  assiourasioni,  leggi  proprie. 


272  LE   ASSICURAZIONI    CONTRO   I   DANNI 

razioni  terrestri,  —  specialmente  sulla  vita  —  ho  esposto  nei 
miei  libri,  si  sono  grado,  grado,  acquistato  lo  assentimento  di 
legislatori. 

Da  gran  lunga,  in  Italia,  si  manifestava,  dalle  provincie  che 
erano  governate  da  buone  leggi,  da  autorevoli  pubblicisti,  da 
membri  del  Parlamento  e  da  ministri,  il  bisogno  di  avere 
una  completa,  nuova  legislazione  sulle  società  commerciali,  che 
tenesse  conto  dei  progressi  moderni.  Un  progetto  fu  presen- 
tato al  Senato  dal  ministro  di  grazia  e  giustizia  nel  1865  e 
dal  Senato  venne,  dopo  discussione,  approvato.  Ma  nella  Ca- 
mera dei  deputati  non  si  volle  o  non  si  potè  occuparsene.  Cosi 
finora,  tanto  le  società  in  generale  come  quelle  di  assicurazioni, 
mancarono  di  una  legge  conveniente. 

Nell'adunanza  del  22  giugno  1879,  il  ministro  di  agricoltura, 
industria  e  commercio  faceva  sottoporre  all'  esame  del  Consi- 
glio del  commercio  e  dell'industria,  una  serie  di  proposte  rela- 
tive alle  società  di  assicurazioni,  redatte  dal  comm.  Romanelli 
e  che  diedero  motivo  ad  un'ampia  e  particolareggiata  discussione. 

Fra  coloro  che  presero  parte  a  questi  lavori  ricorderemo  il 
presidente  senatore  Boccardo,  il  comm.  Ellena,  il  deputato  Ca- 
stellano, il  deputato  Boselli  e  i  signori  Franchetti,  Nattini,  il 
deputato  Maurogonato  che  metteva  in  chiaro  il  bisogno  di  una 
legge. 

§  V.  —  Le  assicurazioni  e  il  nuovo  Codice  di  Commercio 
italiano.  —  Il  1°  gennaio  1883,  come  abbiamo  accennato,  andò 
in  vigore  il  nuovo  Codice  di  Commercio.  Noi  ci  occuperemo  di 
quella  parte  che  ivi  si  riferisce  alle  assicurazioni  terrestri  e 
sulla  vita  e  non  alle  mutue  che  saranno  argomento  di  un'altra 
speciale  monografia. 

L'assicurazione  vi  si  definisce  :  il  contratto  con  cui  l'assicu- 
ratore si  obbliga,  mediante  un  premio  a  risarcire  le  perdite  o 
i  danni  che  possono  derivare  all'assicurato  da  determinati  casi 
fortuiti  0  di  forza  maggiore,  ovvero  a  pagare  una  somma  di 
danaro  secondo  la  durata  o  gli  eventi  della  vita  di  una  o  più 
persone.  * 

Le  associazioni  di  mutua  assicurazione  regolate    dal   titolo 

^  Art.  417.  Vedi  verb.  comm.  min.  n.  4,  85,  113,  129,  130,  372,  457, 
462,  531  e  886.  —  Rei.  Villa,  pag.  7.  —  Rei.  com.  Dep.  e  LI  e  LII,  p.  45. 


E   SULLA   VITA  DELL'uOMO.  273 

sono  soggette  anche  alle  disposizioni  del  titolo  delle  Società  e 
delle  Assicurazioni  commerciali,  in  quanto  non  siano  incom- 
patibili colla  loro    speciale  natura.  * 

Il  contratto  di  assicurazione  deve  esser  fatto  per  iscritto. 

La  polizza  di  assicurazione  dev'  essere  datata  e  deve  in- 
dicare : 

1.  la  persona  che  fa  assicurare  e  la  sua  residenza    o  il 
suo  domicilio; 

2.  la  persona  dell'assicuratore  e  la    sua   residenza    o    il 
suo  domicilio; 

3.  l'oggetto  dell'assicurazione; 

4.  la  somma  assicurata; 

5.  il  premio  di  assicurazione  ; 

6.  i  rischi  che  l'assicuratore  assume  a  suo    carico    e    il 
tempo  da  cui  cominciano  e  in  cui  finiscono.  * 

Se  non  è  dichiarato  nella  polizza,  che  l'assicurazione  è  con- 
tratta per  conto  altrui  o  per  conto  di  chi  spetta,  si  reputa  con- 
tratta per  conto  proprio  di  chi  fa  assicurare.  * 

L'assicuratore  può  far  assicurare  da  altri  le  cose  che  ha 
assicurate.  L'  assicurato  può  far  assicurare  il  premio  della 
assicurazione.  La  cessione  dei  diritti  verso  V  assicuratore  si 
opera  col  trasferimento  della  polizza  mediante  dichiarazione 
sottoscritta  dal  cedente,  e  dal  cessionario  e  non  ha  effetto  verso 
i  terzi  se  non  è  notificata  all'assicuratore  o  da  lui  accettata 
per  iscritto.  ' 

Il  capo  secoli,!..  .-,!  rit.  ri^c-  air.!--!.:!!-:!/:-  :;■  ■'■litro  i  danni: 
nella  sezione  prima  fMi-l'liTa   i<-  «ii--|t'.>.i/,ÌMiii   ^ciii-rali. 

Può  far  assicurare  non  solo  il  proprietario,  ma  anche  il  cre- 
ditore che  ha  privilegio  o  ipoteca  sulla  cosa,   ed    in    generalo 

*  Copiaodo  la  legge  belga  dell'I  1  giagno  1874  n  commbe  in  qnesta 
parte  un  errore.  Ciò  però  non  fa  abbasUnia  arTertito  dalle  varie  eoamls- 
sionL  Vedi  Prog.  min.  art  412.  Prog.  Ben.  art.  414.  »  Verb.  comm.  min. 
n.  2^.  —  Rd.  eom.  Dep.  e  LIT,  pag.  46.  —  Verb.  oomn.  eoord.  n.  91. 

*  Vedi  Cod.  oomm.,  art.  446,  447.  --  Prog.  preL,  art  491.  ~  Prog. 
....ii.,  413.  —  Prog.  8en..  415.  —  Verb.  conun.  min.,  n.  536,  684,  626  e  627. 
'-  Rei.  com.  Dep.  e  Lll,  peg.  46.  —  Verb.  eomm.  eoord.,  n.  98. 

*  Art  421  Cod.  —  Vedi  Prog.  prel.,  art  496.  —  Prog.  min.,  art  414. 

—  Prog.  8«n,  art.  416.  —  Verb.  eomm.  min^  n.  686  e  689.  —  Bel.  com 
Dfp.  e  LII,  peg.  46. 

*  Cod.  eomm.,  art.  466.  •  Vedi  Prog.  prel.,  art  496  e  S18.  —  PMg. 
min.,  art  415.  —  Prog.  8en.,  art  417.  —  Vedi  rerb.  comm.  min.,  689  e  643 

—  IM.  Coru,  art  41^  pag.  88.  —  Dìmom.  Ben.  1880,  pag.  121.  —  Rei. 
com.  Dep.  e  LII,  pag.  46  e  CXXIV,  pag.  183.  >    Mod.  red.,  art  417. 

Vm.  xl.  §tu  if  —  tfi  Liriio  iM>a  » 


274  LE    ASSICURAZIONI    CONTRO    I    DANNI 

chiunque  ha  un  interesse  reale  e  legittimo,  o  una  responsabi- 
lità per  la  conservazione  di  essa. 

L'assicurazione  contro  i  danni  può  essere  fatta  per  tutto  il 
valore  della  cosa,  per  una  parte  di  esso  o  per  una  somma  de- 
terminata. *  Può  anche  farsi  l'assicurazione  di  una  parte  aliquota 
della  cosa,  di  più  cose  congiuntamente  o  separatamente  o  di  una 
universalità  di  cose.  Si  possono  assicurare  i  profitti  sperati  e  i 
frutti  pendenti  nei  casi  preveduti  dalla  legge.  ' 

Se  l'assicurazione  contro  i  danni  non  copre  che  una  parte 
del  valore  della  cosa  assicurata,  l'assicurato  sostiene  una  parte 
proporzionale  dei  danni  e  delle  perdite. 

Le  cose  assicurate  per  l'intiero  valore  non  possono  essere 
nuovamente  assicurate  per  lo  stesso  tempo  e  per  gli  stessi  rischi. 

Tuttavia  la  seconda  assicurazione  è  valida: 

1.  se  è  condizionata  alla  nullità  della  precedente  assi- 
curazione o  all'insolvenza  totale  o  parziale  del  primo  assicu- 
ratore ; 

2.  se  dei  diritti  derivanti  dalla  prima  assicurazione  è 
fatta  cessione  al  secondo  assicuratore,  o  rinuncia  al  primo.  * 

Se  l'intiero  valore  delle  coje  assicurate  non  è  coperto  dal 
primo  contratto,  gli  assicuratori  posteriori  rispondono  per  il 
valore  residuo,  secondo  l'ordine  di  data  dei  contratti. 

Tutte  le  assicurazioni  contratte  nello  stesso  giorno  si  reputano 
contemporanee,  e  sono  valide  fino  alla  concorrenza  del  valore  in- 
tiero, in  proporzione  della  somma  assicurata  da  ciascuna  di  esse. 

L'assicurazione  per  una  somma  eccedente  il  valore  delle  cose 
assicurate  non  produce  effetto  riguardo  all'assicurato,  se  vi  fu 
dolo  0  frode  da  parte  sua,  e  l' assicuratore  di  buona  fede  ha 
diritto  al  premio. 

Se  non  ci  fu  dolo  ne  frode  da  parte  dell'assicurato,  l'assicu- 
razione è  valida  sino  alla  concorrenza  del  valore  delle  cose  as- 
sicurate; r  assicurato  non  è  tenuto  a  pagare  il  premio  per  la 
«omma  eccedente,  ma  deve  soltanto  un'  indennità  uguale  alla  metà 
del  premio  e  non  maggiore  del  mezzo  per  cento  della  somma 
assicurata.  * 

*  Vedi  Cod.  comm.,  art.  449. 

'  Vedi  Cod.  proc.  civ.,  art.  589,  non  si  tratta  dei  frutti  esistenti  dei 
quali  ivi  si  parla.  —  Rei.  com.  Dep.,  n.  LUI  e  XXV.  —  Verb.  comm,  coord., 
num.  93. 

*  Vedi  Cod.  comm.,  art.  473. 

*  Cod.  com.,  art.  471  e  472.  Per  le  ultime  parole  dell'ultima  alinea  si 
darà  luogo  a  diverse  questioni.  -  -  Vedi  Rei.  com.  Dep.  LII  e  CXXVI. 


E   SULLA   VITA   DELL'uOMO.  275 

Qualunque  dichiarazione  falsa  o  erronea,  e  qualunque  reti- 
cenza di  circostanze  conosciute  dall'assicurato;  è  causa  di  nullità 
dell'assicurazione,  quando  la  dichiarazione  o  reticenza  sia  di  tale 
natura,  che  l'assicuratore  non  avrebbe  dato  il  suo  consenso  al 
contratto  o  non  lo  avrebbe  dato  alle  medesime  condizioni,  se 
avesse  conosciuto  il  vero  stato  delle  cose. 

L'assicurazione  è  nulla,  sebbene  la  dichiarazione  o  reticenza 
riguardi  circostanze  che  in  effetto  non  hanno  influito  sul  danno 
o  sulla  perdita  delle  cose  assicurate. 

Se  da  parte  dell'assicurato  vi  è  stata  mala  fede,  l'assicura- 
tore ha  diritto  al  premio.  * 

L'assicurazione  è  nulla  se  l'assicuratore  e  l'assicurato  o  la 
persona  che  ha  fatto  assicurare,  conoscevano  la  mancanza  o  la 
la  cessazione  dei  rischi  o  l'avvenimento  del  danno.  Se  il  solo 
assicuratore  conosceva  la  mancanza  o  la  cessione  dei  rischi, 
l'assicurato  non  è  obbligato  a  pagare  del  premio;  se  la  persona 
che  ha  fatto  assicurare  sapeva  che  il  danno  era  già  avvenuto, 
l'assicuratore  non  e  tenuto  all'adempimento  non  del  contratto  ma 
ha  diritto  al  premio.  * 

L'assicurazione  si  ha  come  non  avvenuta,  se  la  cosa  assicurata 
non  è  stata  esposta  a  rischi,  ma  l'assicuratore  ha  diritto  ad  una  in- 
'lennità  che  si  determina  secondo  la  disposizione  surriferita  (Arti- 
colo 428).  • 

L'assicuratore  è  liberato  quando  per  fatto  dell'assicurato,  i 
rischi  vengano  trasformati  od  aggravati  col  cambiamento  di 
una  circostanza  essenziale  in  guisa  che  l'assicuratore  non  avrebbe 
lato  il  suo  consenso  o  non  lo  avrebbe  dato  allo  medesimo  con- 
dizioni, se  al  tempo  del  contratto  fosse  esistito  questo  nuovo 
stato  di  cos<-. 

Questa  dispotiizionc  non  si  applica  se  1  assicuratore  abbia 
continaato  ad  eseguire  il  contratto  dopo  aver  avuta  notixia  del 
cambiamento.  ^ 

Se  l'assicurato  f.ilIÌ8('c  quando  il  riticliio  non  è  ancora  finito, 
e  l'assicuratore,  non  è  pagato  del  premio,  questi  può  chiedere 
<  auzione,  oppure  lo  •cioglimento  del  contratto.  L'assicurato  ha 
lo  stcHso  diritto  se  l'assicuratore  fallisce  o  si  metto  in  stato  di 
liquidazione. 

'  Vsdi  Cod.  comm ,  463. 

*  Vedi  ReL  com.  Dep ,  n.  LIU.  —  Yttrb.  omnia,  eoord.,  a.  9ft. 

*  Ood.  eooB^  art.  468.  —  R«L  oom.  Dep.,  n.  LIIL 
«  QiMsIt  disposhtooi  sembrano  troppo  rifforoM.  Vedi  art  87,  |  IL 


276  LE    ASSICURAZIONI   CONTRO   I   DANNI 

Sono  a  carico  dell'assicuratore  le  perdite  ed  i  danni,  che 
accadono  alle  cose  assicurate,  per  cagione  di  casi  fortuiti  o  di 
forza  maggiore,  dei  quali  ha  assunto  ì  rischi. 

L'assicuratore  non  risponde  delle  perdite  e  dei  danni,  deri- 
vanti da  solo  vizio  inerente  alla  cosa  assicurata,  e  non  denun- 
ciata ne  di  quelli  cagionati  da  fatto  o  da  colpa  dell'assicurato 
0  dei  suoi  agenti,  committenti  o  commissionari. 

Egli  non  risponde  dei  rischi  di  guerra  e  dei  danni  derivanti 
da  sollevazioni  popolari  se  non  vi  è  convenzione  contraria. 

Il  Codice  dice  che  il  risarcimento  del  danno  dovuto  dall'as- 
sicuratore si  determina  secondo  il  valore,  che  le  cose  asnicurate 
avevano  al  tempo  del  sinistro. 

Se  all'assicurazione  ha  preceduto  una  stima  accettata  dall'as- 
sicuratore, questi  non  può  impugnarla  che  per  frode,  simula- 
zione 0  falsificazione,  senza  pregiudizio  di  ogni  altra  azione, 
anche  penale. 

Se  non  vi  è  stima  accettata,  il  valore  delle  cose  assicurate 
può  essere  stabilito  con  tutti  i  mezzi  di  prova  ammessi  dalla  legge. 

Salve  le  disposizioni  riguardanti  le  assicurazioni  contro  i 
rischi  della  navigazione,  l'assicurato  non  ha  diritto  di  abban- 
donare all'assicuratore  le  cose  avanzate  o  salvate  dal  sinistro. 
Il  valore  delle  cose  avanzale  o  salvate  si  deduce  dalla  somma 
dovuta  dall'assicuratore. 

L'assicurato,  entro  tre  giorni  dacché  avvenne  il  sinistro,  o 
dacché  n'ebbe  conoscenza,  deve  darne  notizia  all'assicuratore; 
deve  inoltre  fare  quanto  sta  in  lui  per  evitare  o  diminuire  i  danni. 

Le  spese  fatte  a  tale  scopo  dell'assicurato  sono  a  carico  del- 
l'assicuratore, quantunque  il  loro  ammontare  aggiunto  o  quello 
del  danno  ecceda  la  somma  assicurata,  e  lo  scopo  non  siasi  ot- 
tenuto, se  non  è  riconosciuto  che  in  tutto  o  in  parte  siano  state 
fatte  inconsideratamente.  ' 

Se  l'assicurazione  ha  per  oggetto  i  danni  o  la  perdita  di  cose 
mobili,  il  pagamento  dell'  indennità  fatto  all'  assicurato  libera- 
l'assicuratore  quando  non  siavi  opposizione  al  pagamento.  * 

L'assicuratore,  che  ha  risarcito  il  danno  o  la  perdita  delle 
cose  assicurate,  è  surrogato  verso  i  terzi  nei  dritti  che  per 
causa  del  danno  competono  all'assicurato.  Questi  è  responsabile 
di  ogni  pregiudizio  da  lui  recato  a  tali  diritti. 

'  Vedi  Cod.  com.  486,  492,  499. 
'  Rei,  com.  Dep.  n.  LUI. 


E    SULLA  VITA   DELL'uOMO.  277 

Se  il  danno  fu  risarcito  solo  in  parte,  V  assicurato  e  l'assi- 
curatore concorrono  insieme  a  far  valere  i  loro  diritti  in  propor- 
zione di  quanto  ad  essi  è  dovuto.  *  In  caso  di  alienazione  delle 
cose  assicurate,  i  diritti  e  le  obbligazioni  del  precedente  proprie- 
tario non  passano  all'acquirente,  se  non  è  convenuto  il  contrario.  ' 

La  sezione  II  tratta,  nel  modo  seguente,  di  alcune  specie  di 
assicurazioni  contro  i  danni. 

Se  il  creditore  ha  fatto  assicurare  la  solvibilità  del  suo  de- 
bitore, l'assicuratore  prima  di  pagare  la  somma  assicurata  ha 
diritto  di  esigere  che  il  debitore  sia  escusso  secondo  le  espres- 
sioni degli  art.  1908,  1909,  1910  Cod.  civile. 

L'assicuratore  che  paga  la  somma  assicurata,  è  surrogato 
nei  diritti  dell'assicurato  verso  il  debitore,  colla  riserva  indicata 
nell'art.  438  in  caso  di  risarcimento  parziale.  * 

L'assicurazione  contro  i  danni  del  fuoco  comprende  tutti  i 
danni  cagionati  dall'incendio  prodotto  da  qualsiasi  causa,  esclusa 
quella  dipendente  da  colpa  grave  imputabile  personalmente  al- 
lassicurato,  ed  esclusi  i  casi  su  indicati.  ^ 

Comprendo  pure  i  danni  derivanti  da  vizio  proprio  dell'  edi- 
fìcio assicurato,  ancorché  non  denunciato,  se  non  si  provi  che 
1  assicurato  ne  avesse  conoscenza  al  momento  del  contratto.  * 

Sono  parificati  ai  danni  di  incendio  se  non  vi  è  convenzione 
>ntraria: 

1*  i  danni  derivati  alle  cose  assicurate  dall' incendio  av- 
venuto in  altro  prossimo  •  '  '  '  .  o  dai  mezzi  impiegati  por  ar- 
restare o  per  estinguerò  i  lio; 

2'  le  perdite  ed  i  dMini  ATrenati  per  qualunque  cauta 
durante  il  trasporto  delle  cose  aasicurate  eseguito  allo  scopo  di 
sottrarle  ai  danni  dell'  incendio. 

3*  t  danni  derivati  dalla  demolizione  dell'  edificio  assicu- 
rato eseguita  allo  scopo  d'impedirò  o   di    arrestare    T incendio. 
4^  i  danni  prodotti  dall'azione  del  fulmine,  dallo  esplosioni 
<><1  altri  simili  accidenti,  ancorché  non  ne  sia  derivato  incendio. 


•  Qui  occorre  coosuItAre  il  cod.  cìt.  a  1S68.  Per  il  risarcimonto  pftnriito 
(]i  cai  sopra  li  parU  ni  annlira  ralin.  9*«  art.  1954  cr><I.  c-ìv.  —  TL^I    eom. 

I  '.  p   n.  XIII. 

*  Cosi   si  é  voguit*   III   giuriB|irQdensa  preTalsDtv.    ^ .  tii'i.  com.  i>ep. 

II  LUI.  —  Vcrb.  comm.  coord.  n.  97. 

'  V<rb.  coauB.  coord.  n.  96. 

'  V.  ult  eapOT.  art.  iSi. 

^  V.  RcL  com.  D^.  n.  LIV.  —  Verb.  eoaun.  coord.  n.  99. 


278  LE    ASSICURAZIONI   CONTRO    I   DANNI 

Il  rischio  dell'assicuratore  contro  i  danni  dell'  incendio  co- 
mincia dal  mezzodì  del  giorno  successivo  alla  data  della  polizza^ 
se  non  ci  è  convenzione  contraria.  * 

I  danni  prodotti  dall'  incendio  di  un  edificio  si  determinano 
col  confronto  del  valore,  che  l'edificio  aveva  prima  del  sinistro^ 
col  valore  di  ciò  che  resta  dopo  l' incendio.  ' 

L'assicuratore  del  rischio  locativo  o  del  rischio  del  ricorsa 
dei  vicini,  risponde  soltanto  dei  danni  materiali  che  sono  con- 
seguenza immediata  e  diretta  del  sinistro.  * 

Nell'assicurazione  dei  prodotti  del  suolo  il  risarcimento  do- 
vuto dall'assicuratore  si  determina  secondo  il  valore,  che  i  pro- 
dotti avrebbero  avuto  al  tempo  della  loro  maturità,  o  al  tempo 
in  cui  ordinariamente  si  raccolgono,  se  il  sinistro  non  fosse 
avvenuto.  "" 

L'assicurazione  delle  cose  trasportate  può  avere  per  oggetto 
il  valore  di  esse,  colle  spese  occorrenti,  fino  al  luogo  di  desti- 
nazione, ed  il  profitto  sperato  per  il  maggior  prezzo  che  avranno 
nel  luogo  stesso. 

Se  il  profitto  sperato  non  è  distintamente  valutato  nella  po- 
lizza non  è  compreso  nell'assicurazione.  " 

II  rischio  dell'assicuratore  di  trasporti  comincia  dal  momento 
in  cui  le  cose  vengono  consegnate  per  il  trasporto,  e  contìnua 
fino  al  momento  in  cui  sono  riconsegnate  nel  luogo  di  destina- 
zione, se  non  vi  è  convenzione  contraria. 

La  temporaria  interruzione  del  trasporto  e  il  cambiamento 
della  convenuta  linea  di  viaggio,  o  dei  modi  di  spedizione,  non 
liberano  1'  assicuratore  dal  rischio  quando  siano  necessari  alla 
esecuzione  del  trasporto. 

A  questi  articoli  del  capo  2°  e  3°  del  Codice  di  commercio 
bisogna  aggiungere  l'articolo  145.  Tale  articolo  era  stato  cosi 
formulato  nel  progetto  di  legge  presentato  al  Senato  nella  tor- 
nata 18  giugno  1877  !  —  u  Gli  amministratori  delle  Società 
u  nazionali  ed  estere  di  assicurazioni  sulla  vita  ed  amministra- 
u  trici  di  tentine  devono  impiegare  nell'  acquisto  di  obbligazioni 
ti  dello  Stato,  o  d'altri  titoli  di  credito,  che  saranno,  a  tale  og- 
u  getto,  designati  con  regio  decreto,  quella  parte  delle    somme 

•  Eel.  com.  Dep.  LIV. 

*  Ibidem. 

'  Cfr.  art.  1578,  1589,  1590  cod.  civ.  ~  Vedi  Eel.  com.  Dep.  n.  LIV. 
'  Rei.  com.  Dep.  n.  LIV. 
5  Ibidem. 


■il 


E   SULLA  VITA   DELL'uOMO.  279 

u  esatte  durante  ogni  esercìzio  sociale  per  le  assicurazioni  in 
ti  corso,  0  per  gl'interessi  delle  somme  precedentemente  impio- 
u  gate,  che  è  stabilita  nell'atto  costitutivo,  e  che  non  può  essere 
u.  inferiore  ai  tre  quarti  delle  fatte  esazioni,  depurate  di  quanto 
u  fu  pagato  per  sinistri  avvenuti  e  per  spese  d' amministrazione, 
u  I  titoli  devono  essere  ogni  anno,  o  ad  ogni  chiusura  dello 
u.  esercizio  sociale  vincolati  a  favore  dei  creditori  della  società, 
«  o  depositati  presso  la  cassa  dei  depositi  e  prestiti.  I  modi  e 
u  i  termini  d'imposizione  del  vincolo  e  dei  graduali  svincolamenti 
u  saranno  stabiliti  col  decreto  suddetto.  »   * 

n  Senato  non  volle  votare  questo  articolo  per  troppa  seve- 
rità e  nell'erroneo  timore  di  danneggiare  il  pubblico  degli  as- 
sicuratori. Così  dopo  molte  discussioni  si  ebbe  il  torto  di  intro- 
durre nel  Codice  l'articolo  145  che  abbiamo  citato  in  principio 
e  che  testualmente  cosi  è  espresso  :  u  Le  società  dì  assicurazioni 
sulla  vita  e  le  società  amministratrici  di  tentine,  nazionali  od 
estere  devono  impiegare  in  titoli  del  debito  pubblico  dello  StatOf 
vincolate  presso  la  cassa  dei  depositi  e  prestitif  un  quarto  se 
sono  nazionali,  e  la  metà  se  sono  estere,  delle  somme  pagate  per 
le  assicurazioni  e  dei  frutti  ottentUi  dai  titoli  medesimi,  I  modi 
ed  i  termini  di  questo  impiego  e  dei  graduali  svincolamenti, 
sono  stabiliti  con  regio  decreto,  n 

Per  questo  articolo  che  darà  luogo  a  molte  contestazioni 
converrà  consultare  i  vari  progetti  di  codice  e  le  relazioni  pre- 
sentate da'  Ministri,  quelle  della  Commissione  del  Senato,  quelle 
dell'altra  Commissione  della  Camera  dei  Deputati,  nonché  le 
discussioni  importantissime  che  sono  avvenute  nel  Senato  nel 
1875  e  nel  1880.  —  Circa  ai  vari  progetti  voggasi  quello  mi- 
nisteriale all'articolo  143,  e  intomo  ai  verbali  si  consulti  ipe- 
cialmente  quello  della  Commistione  ministeriale  che  ha  compi- 
!i  •  il  progotto  preliminare  e  che  costitaiscono  le  parti  1,*  2* 
>'  degli  Atti  della  Commissione  incaricata  di  studiare  le  mo- 
dificazioni da  introdursi  nel  Codice  (N.  70  e  518)  per  Io  diicus- 
«ioni  del  Senato  del  1875,  e  veggasi  la  pagina  lOOO;  per  quello 
del  1880  la  pagina  GC  a  08:  per  !a  relazione  della  Comniin- 
HÌone  della  Camera  dei  Deputati  a  relatori  Mancini  e  Pasquali 
vr>^;;aKÌ  In  pagina  116:  per  le  modificazioni  di  reiasioni  veggasi 
l'articolo   144.  ' 

<  Articolo  143. 

•  Prog.    prel.,   art  liO;  —  Prog,    Finali,   art.    66;  —  Prog.   ViglUni, 
articolo  74  ;  —  Prof.  Hen.  toc.,  art  66  ;  —  Prog.  Min.,  art  148  ;  -  Prog. 


280  LE   ASSICURAZIONI   CONTRO   I  DANNI 

Il  Regolamento  per  l'esecuzione  del  Codice  di  commercio 
approvato  con  regio  decreto  27  Dicembre  1882  —  sarà  modi- 
ficato 0  chiarito  dal  Ministro  di  Agricoltuja,  Industria  e  Com- 
mercio. 

§  XI.  Conclusione.  —  Riassumendo  le  critiche  che  abbiamo 
fatte  e  le  proposte  intorno  al  Codice  e  al  Regolamento  ed  alle 
istituzioni  attenenti  alle  assicurazioni,  ci  sembra  di  poterle  for- 
mulare in  questa  maniera.  * 

1.  Le  garanzie  si  dovrebbero  misurare  in  base  al  bilancio 
tecnico  attuale  e  non  in  ragione  dei  premi  lordi. 

2.  Le  società  estere  offrendo  maggiore  sicurezza  al  pubblico 
perchè  devono  impiegare  in  rendita  una  somma  maggiore  delle 
nazionali,  saranne  preferite  dal  pubblico  :  e  se  ne  hanno  già  pre- 
sentemente delle  doglianze  dalle  Società  nazionali. 

3.  E  urgente  che  l'articolo  145  del  Codice  di  commercio 
(là  dove  parla  delle  somme  pagate)  sia  interpretato  esattamente: 
e  quelle  parole  sieno  considerate  come  se  indicassero  premi 
riscossi. 

4.  Il  Governo  deve  ora,  di  nuovo,  esplicitamente  dichia- 
rare se  con  le  attuali  leggi  la  gerenza  delle  associazioni  per  do- 
tazioni delle  Assicurazioni  sulla  vita  sia  da  considerarsi  nel 
bilancio,  e  se  l'obbligo  dell'investimento,  espresso  nell'  articolo 
145  del  codice  si  riferisca  anche  agi'  investimenti  dei  fondi  di 
associazioni  e  sia  da  computarsi  nel  quarto  della  somma  dei 
premi  riscossi  da  impiegarsi  in  rendita. 

5.  Il  Regolamento  per  la  esecuzione  del  Codice  di  com- 
mercio deve  essere  rifatto  dall'articolo  55  all'articolo  61.  E 
illegale  l'articolo  55  che  obbliga  l'impiego  in  titoli  del  debito 
pubblico  consolidato  in  relazione  coli'  articolo  145  del  Codice; 
il  quale  non  parla  di  consolidato,  ma  dice  soltanto  in  titoli  del 
dehito  puhhlico  dello  Stato.  E  necessario  di  provvedere  con  di- 
sposizioni transitorie  alle  lacune  del  Regolamento. 

Sen.,  art.  144.  Verb.  Comm.  min.,  n.  70  e  518  ;  —  Rei.  Lampertico,  e.  Vili, 
pag.  10  ;  —  Discuss.  Sen.  1875  ;  pag.  1600  ;  —  Rei.  Mancini,  e.  LXXXI, 
pag.  333  ;  —  Rei.  Corsi,  e.  VI,  pag.  16  e  35  ;  —  Discuss.  Sen.  1880,  pa- 
gina 76  e  78  ;  —  Rei.  Cam.  Dep.,  e.  CXII,  pag.  116  ;  —  Mod.  red.,  art.  144. 

Per  queste  e  per  le  altre  citazioni  copio  —  Codice  di  commercio  del 
Begno  d'Italia^  testo  definitivo  illustrato  col  richiamo  dei  lavori  prepara- 
tori e  legislativi  per  cura  di  G.  B,  Ridolfi.  Venezia,  Naratovicli,  1882 

^  Cfr.  Il  nuovo  Codice  di  commercio  volgarizzato  dal  prof.  Alberto 
Errerà.  —  Firenze,  tipografia  Pellas,  1883.  Un  volume. 


E    SULLA   VITA    DELL'UOMO.  281 

Intanto  non  essendo  state  adempiute  da  tutte  le  Società  le 
prescrizioni  degli  articoli  55,  56  e  57  del  Regolamento  :  non 
avendo  il  Governo  dal  1*  Gennaio  ad  oggi  fatti  gli  accerta- 
menti dei  quali  avea  facoltà  ogni  trimestre  (art.  58  del  Reg.) 
è  indispensabile  far  cessare  quest'inconveniente,  fosse  pure  con 
disp'osizioni  provvisorie,  cercando  di  diminuire  almeno  in  parte 
le  lagnanze  che  giustamente  si  muovono  contro  il  modo  col 
quale  è  messo  in  esecuzione  il  Codice. 

6.  Avi'emo  ancora  molti  inconvenienti  :  non  si  saprà  come 
e  quando  applicare  le  disposizioni  speciali  per  le  Assicurazioni 
a  premio  e  quelle  che  sono  comuni  con  le  Associazioni  mutue. 

Fin  d'  ora  diciamo  che  è  stato  un  errore  del  legislatore  di 
indicare  come  Società  Commerciale  le  mutiUi,  le  quali  non  sono 
commerciali,  né  quando  si  propongono  lo  scopo  dolle  assicu- 
razioni, ne  allorché  hanno  un  altro  intendimento. 

7.  Allorché  avrà  il  legislatore  adempiuto  al  proprio  dovere 
spetterà  ai  privati,  alle  istituzioni  scìcotitìche  di  completare  la 
riforma  delle  Assicurazioni.  Una  buona  iniziativa  sarebbe  quella, 
d' istituire  una  scuola  speciale  degli  attuari  o  di  aggiungere 
nelle  scuole  commerciali  o  negli  istituti  tecnici  un  qualche  in- 
segnamento, che  avesse  un  particolare  riferimento  alle  Assi- 
curazioni. 

I  nostri  regi  laiuuii  u  ic  accademie  di  scienze,  lettore  ed  arti  e  i 
corpi  morali  i  quali  mettono  al  concorso  argomenti  di  economia, 
di  diritto,  di  amministrazione,  dovrebbero  imitare  ciò  cho  si  fa 
all'estero  per  lo  studio  del  problema  delle  assicurazioni.  La  bella 
esposizione  di  Milano  Borrirà  ad  eMi  di  eccitamento?  Convinti 
del  progresso  pratico  dei  nostri  istituti,  e  della  lacuna  cho  vi  ò 
nella  ttcicnza  di  statistiche,  di  trattati  completi  sul! 'argomento, 
potrebbero  bandirò  un  concorso  a  premio,  corno  fecero  alcune 
Accademie  estere. 

L'accademia  di  tcienze  morali  o  politiche  di  Parigi,  '  mise 
a  '-  '  'intro  proposta  del  Levasseur,  per  il  promio  Leone 

Fa  i  O  lire)  la  questione  dello    assicurazioni    noi    se- 

guenti termini:  u  Los  assurancet:    étudier    lours   origines.    Ics 
u  développcmcnts  qu'ellos  ont  rc^us  et  qu'elles  peuvent  ro9ovoIr; 
u  les    principos    sur    lesquels    oUos    reposent   et   Icm    nvantuifcs 
|u'cllos  peuvent  procurer  à  la  socióté.  *< 

II  }fnniUur  de»  asaurance»  aggiunse  al  premio   KM^K)  lire,  6 

<  BedaU  i  norembre  188a 


282  LE    ASSICURAZIONI    CONTRO    I   DANNI 

la  Librairie  des  assurances  altre  lire  1000,  per  l'autore  che  vin- 
cerà il  concorso  e  del  quale  essa  stamperà  l'opera! 

Intanto  facciamo  voti  che  il  nuovo  Codice  di  Commercio 
(malgrado  le  poche  inesattezze  che  abbiamo  notate)  faccia  ot- 
tima prova  in  Italia  e  che  gli  esempi  degli  americani,  degli 
inglesi,  dei  tedeschi  e  dei  francesi  ecciti  qualcheduno  dei  no- 
stri illustri  scienziati  a  scrivere  un'  opera  sulle  assicurazioni 
degna  di  far  riscontro  a  quelle  che,  da  gran  lunga,  furono 
ammirate  all'estero. 

Alberto  Errerà. 


NOTE  STATISTICHE. 

Ripartizione  delle   Società  di  assicurazioni  in  Italia 
secondo  le  specie  d'assicurazione  (1  gennaio  1881). 

Assicurazione  incendi Società  anonime 2 

»                >                                    »       mutue 4 

Assicurazioni  sulla  vita  ....        >       anonime 2 

»                 »                                   >       mutue 3 

Assicurazione  sulla  grandine  .     .        >       anonime — 

»                »                                    »       mutue 3 

Assicurazioni  sui  trasporti  ...        »       anonime 18 

>                >                                    »       mutue 8 

Assicurazioni  sugli  accidenti   .    .        »       anonime — 

»                 »                                    »       mutue 1 

Assicurazioni  miste  e  diverse .    .        »       anonime 4 

j>                »                                   >       mutue 12 

Totale  delle  Società  anonime .26 

Totale  delle  Società  mutue 31 

Istituti  governativi — 

Assicurazioni  locali — 

Totale  generale  . 57 


E    SULLA   VITA   DELL  COMO. 


283 


NOTA  delle  Sedi  e  delle  operazioni  delle  Compagnie  di  assicura- 
zioni nazionali  ed  estere  che  operano  in  Italia  (1  luglio  1883) 
indicate  nel  Bollettino. 


li. 


il^F 


Sede  sociale  Rami  di  opebazioke 

Milano Incendi,  Vita 

Torino Incendi 

Venezia  e  Trieste  .  .  Incendi,  Vita,  Grandine,  Tra- 
sporti      

Trieste Incendi,  Vita,  Grandine,  Tra- 
sporti      

Milano Vita 

Torino Incendi >     •     • 

Genova Trasporti  maritt.,  fluv.  e  terr. 

Parigi Vita .".... 

Parigi Incendio 

Londra Vita.     .     , 

Parigi Vita. 

Parigi Incendio 

Parigi Incendi 

Vienna Tn(<'ii'li,  Grandine,  Vita,  Mar. 

Parigi Iiicniiiio •     . 

Livrrpool Incendio 

Vinterthur     ....     TVasporti 

Parigi Incendio 

Pe»t Incendio,  Grandine,  Trasporto 

Firenze Inc<-ii(iio 

Parigi Itu'ciKiio 

Parigi Iiictiidio    ...... 

Parigi Vita 

JAverpool Trasporti  . 

Firenze Vita.     ... 

Torino Bestiame  ....... 

Parigi Vita 

BasìTea Trnsporfì  ninrittlmi  «>  terrestri 

Parigi 

P*rigi    . 

Parigi    . 

Parigi 

Parigi    . 

Parigi    . 


Capitale  scoalb 

5,200,000 
1,500,000 

13,125,370 

8,250,000 

6,250,000 

4,000,000 

8,000,000 

20,000,000 

6,000,000 

2,500,000 

15,000,000 

12,000,000 

20,000,000 

2,500,000 

10,000.000 

20,000,000 

5,000,000 

10,000,000 

7,600,000 

40,000,000 

6,000,000 

9,000,000 

30,000,000 

S5/)UO.00O 

25,000.000 

1,000,000 

4,000,000 

5.000,000 

12.000,000 

10,000,000 

10.000,000 

12,000,000 

10,000,000 

3,000,000 


N.B.  —  A 


qii 


Torino  . 

New- York  . 
Milano  ... 
Huzzara  (Mantova^. 
Milano  .     .     .     .     . 
Napoli  . 
Napoli  . 


•'^giungono  Io  segmenti  società  matuc: 
Viu 

Grandine 

Grandine 

Fido  cnmroerciale  (il  eredito) 

Incendio  e  Vii» 

MatoA 


LA  REGALDINA  ' 


XII. 


Pierino  era  venuto  a  casa  a  passare  le  feste  e  con  lui  entrò 
in  famiglia  un'aria  mondana  che  Matilde  respirava  a  pieni  pol- 
moni, assetata  com'  era  di  emozioni  nuove.  Uno  scandaluccio 
galante  di  cui  la  fama  era  giunta  in  paese  lo  mise  subito  sul 
piedestallo  di  uomo  alla  moda.  I  giovinotti  lo  guardavano  con 
una  certa  curiosità  mista  ad  invidia  e  cercavano  di  imitare  il 
suo  modo  di  portare  il  cappello,  di  annodare  la  cravatta  ;  copia- 
vano il  taglio  de'  suoi  pantaloni  e  il  colore   del  suo   panciotto. 

Era  capitato  come  un  raggio  di  sole  in  un  giorno  piovoso. 
Davanti  al  caminetto,  Rodolfo,  colle  gambe  allungate,  faceva 
asciugare  al  fuoco  la  suola  de' suoi  stivali;  Daria  cuciva;  la 
Tatta  e  la  signora  Luigina  discutevano  sul  prezzo  del  burro. 
Matilde  moriva  di  noia,  battendo  i  piedini  impazienti  sulla  pelle 
d'agnello  nero,  invocando  una  scossa  qualsiasi  che  venisse  a  to- 
glierla da  tanta  apatia.  Una  meta  fissa  non  l'aveva  ;  desiderava 
vagamente  i  trionfi  della  bellezza,  della  vanità,  i  motti  piccanti, 
le  cortigianerie,  le  punzecchiature  della  tentazione  ;  sognava  un 
salotto  tappezzato  di  raso,  con  specchi  immensi  e  fiori  a  profu- 
sione e  vicino  a  lei  una  voce  —  non  importa  quale  —  cento  voci 
che  le  ripetessero  parole  lusinghiere.  Quel  tanto  che  conosceva 
dell'amore  non  le  bastava;  la  sua  relazione  con  Rodolfo  non  era 
stato  altro  che  l' incontro  patologico  di  due  desideri  latenti  ; 
Matilde  presentiva  altre  gioie,  scandagliava  coli'  immaginazione 

*  Continuazione  e  fine,  vedi  fascicolo  precedente. 


LA  REGALDINA.  285 

abissi  di  voluttà  inesplorate;  era  agitata,  fremente,  e  fu  con  un 
impeto  sincero  che  esclamò  all'arrivo  del  suo  cognato  : 

—  Finalmente  si  vede  qualcuno! 

Lo  assali  subito  di  domande  ;  volle  sapere  le  novità  citta- 
dine, il  successo  dell'opera  e  del  romanzo  nuovo,  ma  più  ancora 
quello  del  cappello  Direttorio  ;  e  poi  gli  chiese  se  si  divertiva 
a  Milano,  se  andava  a  balli,  a  teatri. 

Pierino  era  informato  di  tutto.  Aveva  preso  uno  spolvero  di 
giovinotto  elegante,  con  un  pizzico  di  audacia  naturale  che  stavano 
insieme  magnificamente.  L'antico  birichino  che  faceva  scherzi 
alla  innocua  signora  Luigina,  si  era  mutato  in  un  birichino  di 
miglior  gusto,  che  sapeva  all'occorrenza  assumere  anche  un'aria 
grandiosa  tra  l'artista  e  il  gran  signore. 

—  Girandole  !  —  brontolava  la  vecchia  Tatta  —  Fumo  negli 
occhi  ! 

Il  primo  giorno  dell'anno  verso  le  due  pomeridiane  Matilde 
passeggiava  nella  corte,  pestando  i  piedi  per  riscaldarsi  ;  aveva, 
un  lungo  soprabito  di  panno  verde  guarnito  d'astrakan  con  ala- 
mari e  cordoni  all'ussera  e  in  testa  un  tocco  di  velluto  nero  con 
penne  di  gallo. 

—  La  mia  signora  cognata  ha  freddo,  a  quanto  pare? 

—  E  il  lignor  cognato  no?  —  fece  Matilde  con  graxia  ci- 
vettuola, rispondendn  -  Plorino  che  l'aveva  apostrofata  dalla 
finestra. 

—  Ho  un  preservativo  infallibile,  io. 

—  Davvero?  Me  lo  insegni. 

—  Oh!  cosi  dall'alto  al  basso.... 

^latilde  non  gli  fece  caso  ;  tornò  a  paise^iare  in  su  e  in 
giù,  poi  vedendo  Pierino  immobile  alla  finestra: 

—  Non  potrebbe  ui-endero  anche  lei?  Andiamo,  voniru.  ni» 
accompagni  a  fare  quattro  passi. 

—  \'  '  iitieri. 

>. tv. nono  adagio  adagio  fuori  del  paese,  i«ii!  v;.i..  ,1,1 
>     t  Ilario. 

—  Come  deve  annoiami  in  questi  giorni  !  disse  Matilde. 

—  Perchè?  L'ho  fatta  per  tanti  anni  quonta  vita. 

^-  8),  ma  ora  che  ha  provato  a  vivoro  a  Milano  e  che  —  lo- 
pratutto  —  vi  ha  laaciato  caro  persono.... 
Perino  rise,  croi!      '     M   capo. 

—  Non  dica  di  1  Ma  cosa  che  la  sanno  tutti;  del  resto 
non  c'è  niente  di  malo. 


286  LA   REOALDINA. 

Poi  con  un  movimento  di  prontezza  felina  appoggiandogli 
una  mano  sul  braccio  e  guardandolo  in  fondo  alle  pupille: 

—  È  bella?  domandò. 

Lui  volle  schermirsi;  Matilde  insistè: 

—  Peuh!...  discreta.  La  bellezza  d'altronde  non  è  tutto  nem- 
meno in  una  donna;  ci  vuole  lo  spirito,  la  grazia,  il  brio. 

—  Ha  ragione.  È  come  negli  uomini  ;  che  valore  ha  un  uomo 
grande  e  grosso  quando  non  sa  far  altro  che  fumare,  bere  e  an- 
dare a  caccia? 

Pierino  finse  di  non  capire"'  1'  allusione.  Ella,  seguendo  la 
volubilità  de'  suoi  pensieri,  tacque  un  momento  e  poi  disse  : 

—  Oh  !  io  muoio  d' inedia  venti  volte  al  giorno.  Vorrei  essere 
un  uccello  per  scappare  subito  subito  a  Milano.  Si  figuri  che 
qui  non  si  parla  altro  che  di  cucina,  di  chiesa,  di  bucato  e  di 
peccati  del  prossimo.  Ho  pregato  tante  volte  Rodolfo  di  abbo- 
narmi almeno  a  un  giornale  di  mode,  di  quelli  che  narrano  un 
po'  di  cronaca  elegante...  ma  si! 

—  Se  non  è  che  questo  io  posso  soddisfare  i  suoi  voti.  Le 
manderò  un  periodico  che  la  terrà  al  corrente  di  tutto. 

—  Ah  !   che  piacere.  Grazie,  grazie. 

Così  dicendo  gli  si  appendeva  al  braccio  stringendolo. 

—  Ma  che  sciocchezza!  —  esclamò  poi,  ridendo  —  noi  con- 
tinuiamo a  darci  del  lei  come  se  fossimo  forestieri. 

—  Già.  A  Milano  non  si  usa  tra  cognati. 

Provarono  a  darsi  del  tu,  ma  non  vi  riuscivano  cosi  subito; 
tentarono  il  voi,  ma  anche  questo  non  andava. 

—  Ci  faremo  a  poco  a  poco.  Mi  dica  intanto,  è  vero  che  tutte 
le  signore  si  tingono  gli  occhi  a  Parigi  e  molto  anche  a  Milano? 
Io  sarei  curiosa  di  conoscere  come  ;  è  una  moda  orientale  di- 
cono; il  segreto  della  tintura  perfetta  lo  hanno  le  odalische. 

—  Lo  potete  avere  anche  voi,  quantunque  i  vostri  occhi  non 
abbiano  bisogno  di  questo.  Prendete  il  turacciolo  della  prima 
bottiglia  che  vi  capita,  lo  affumicate  alla  fiamma  di  una  can- 
dela, lo  fate  scorrere  leggermente  sulle  palpebre,  levate  quello 
che  c'è  di  troppo  con  un  fazzoletto  fino  ed  eccovi  dipinta  come 
la  sultana  Valide;  ma  non  ve  lo  consiglio  perchè  l'occhio  perde 
in  freschezza  quello  che  guadagna  in  colore. 

—  Oh  !  io  non  voglio  farlo  ;  è  solamente  per  sapere. 

—  La  smania  della  scienza!  —  esclamò  Pierino  ridendo. 

—  Voi  potreste  proprio  insegnarmi  tante  cose  —  disse  lei, 
pensierosa,  mordendosi  le  labbra. 


LA   REGALDINA.  287 

—  Non  è  certo  la  buona  volontà  che  mi  manca  —  rispose 
egli  con  prontezza. 

Ma  il  suo  sguardo  fu  troppo  ardito.  Matilde  si  staccò  di 
qualche  passo  mormorando  :  —  Non  facciamo  ragazzate. 

Erano  giunti  fin  quasi  al  Santuario.  Sul  piazzale  deserto 
spirava  un  vento  freddo  di  tramontana. 

—  Vuol  nevicare. 

—  Ho  paura  di  si.  Torniamo  indietro. 

E  rifecero  il  viale  silenziosi.  Quando  furono  in  vicinanza 
del  paese  invece  di  entrare  per  la  porta  grande  presero  il  sen- 
tiero dei  campi  che  costeggiava  la  gora. 

—  Quest'acqua  ha  per  me  un  fascino  particolare  —  disse 
Matilde  —  quando  siamo  venuti  a  stabilirsi  qui  cojla  mamma 
io  avevo  otto  o  nove  anni  al  più,  ma  mi  ricordo  ancora  l'effetto 
che  mi  fece  e  che  pregai  tanto  la  mamma  di  prendere  una  casa 
sulla  Roggia.  Si  ricorda  lei  quando  siamo  venuti  qui? 

—  Mi  ricordo  il  giorno  del  suo  arrivo.  Sapevo  che  la  casa 
bianca  era  stata  affittata;  Rodolfo  ed  io  ci  siamo  arrampicati 
sopra  un  fico  per  spiare;  abbiamo  visto  una  carrozza  dalla 
quale  discese  prima  suo  fratello,  poi  lei  con  un  salto  così  irrì- 
flessivo che  a  momenti  si  rompeva  l'osso  del  collo... 

—  È  vero! 

—  Portava  un  gran  cappellone  di  paglia  e  aveva  lo  gam- 
bette nude;  questo  particolare  a  Rodolfo  e  a  me  fece  molta 
impressione  perchè  non  avevamo  mai  visto  in  paese  delle  ra- 
gazzine eleganti  colle  gambe  nube. 

Matilde  rise  molto. 

—  £  mio  fratello  maggiore  lo  ha  conosciuto  newero?  Se 
ne  ricorda? 

—  Oh  si.  Era  amico  di  Ippolito. 

—  Come  ò  morto  presto! 

—  Si.  Non  somigliava  punto  ai  Regaldi. 

—  Per  chi  ò  il  complimento?  —  chiese  Pierino  con  un  po' 
iV\   malizia. 

Oh!  per  nessuno,  o  per  tutti,  eome  vuole.  Non  avevo  di 
mira  niente  dicendo  cosi  ;  è  però  un  fatto  che  di  tre  fratelli  non 
vi  assomigliate  nessuno. 

—  Bene;  torniamo  al  voi. 

—  Mi  sono  sbagliata. 

—  Sei  adorabile. 

—  Oh! 


288  LE    REGALDINA. 

—  Perdono.  Mi  sono  sbagliato  anch'  io. 

Entrarono  in  casa  spigliati  ;  Matilde  aveva  le  guancie  rosse 
per  il  freddo,  però  la  passeggiata  le  aveva  fatto  bene;  era  al- 
legra, parlò  e  rise  tutto  il  tempo  del  desinare. 

Alle  frutta  si  fecero  dei  brindisi  -,  Pierino  in  isbaglio  rovescia 
il  biccbiere  sul  vestito  verde  di  Matilde. 

—  Bisogna  lavarlo  subito. 

—  Al  contrario,  è  meglio  lasciarlo  asciugare. 

—  Per  togliere  le  macchie  di  vino  ci  vuole  il  latte. 

—  La  benzina. 

—  Ma  che  benzina  !  Acqua  fresca. 

—  In  mezzo  al  trambusto  di  tante  opinioni  discordi  Pierino 
disse  con  calma: 

—  Ve  ne  manderò  un  altro,  e  più  bello;  più  alla  moda  so- 
pratutto. Il  verde  è  un  po'  vecchio,  quest'anno  la  gran  voga  è 
per  il  color  testa  di  negro. 

—  Bravissimo  il  signor  cognato.  L' idea  mi  piace  ;  vedremo 
se  saprete  ricordarvene. 

Pierino  rispose  alla  raccomandazione  di  Matilde  con  un  gesto 
convincente. 

—  Vorrei  sapere  (borbottò  la  vecchia  Tatta  guardando  al 
disopra  degli  occhiali)  da  quanto  tempo  quelle  due  teste  balzane 
sono  entrate  in  tanta  confidenza. 

Il  domani  Pierino  tornò  in  città,  ma  nella  stessa  settimana 
Matilde  ricevette  l'abito  color  testa  di  negro. 

Qualche  giorno  dopo  arrivò  il  giornale  di  mode,  e  poi  tratto 
tratto,  insieme  al  giornale,  dei  libri  eleganti  che  portavano  nel 
silenzio  dell'umile  casa  l'eco  dei,  rumori  del  bel  mondo.  Matilde 
si  faceva  sempre  più  insofferente  di  quella  vita  ;  ogni  giorno 
le  crescevano  i  desideri,  i  bisogni.  Con  Rodolfo  si  bisticciava 
spesso  rimproverandolo  di  essere  grossolano;  gli  chiedeva  de- 
nari che  lui  non  aveva  —  allora  si  rinfacciavano  a  vicenda 
il  passato,  coprendosi  di  vituperi],  arrivando   quasi  all'  insulto. 

Verso  il  mese  di  giugno  ella  dichiarò  recisamente  che  vo- 
leva andare  ai  bagni;  disse  di  aver  venduto  alcune  gioie  che 
possedeva,  e  che  se  non  bastava  la  somma,  trattandosi  della 
salute,  si  poteva  anche  incontrare  qualche  debito.  Ippolito  volle 
farle  delle  osservazioni;  ma  lei  tagliò  subito  la  strada  dicendo 
che  la  moglie  dipende  dal  marito  e  non  dal  fratello. 

La  posizione  di  Daria  in  famiglia  non  le  lasciava  autorità 
manifesta  ;  solo  nei  casi  estremi  la  giovinetta  imponeva  a'  suoi 


LA   REGALDINA.  289 

cugini  la  via  del  dovere;  del  resto  ella  se  ne  viveva  a  parte, 
lavorando,  pensando  e  occupandosi  molto  della  bambina  che  la 
madre  trascurava  affatto. 

Chi  fece  un  buscherio  indiavolato  fu  la  Tatta,  che  cogli 
occhi  fuori  dell'  orbita  dichiarò  che  Matilde  era  più  pazza  an- 
cora della  moglie  di  Tarantolino,  la  quale  aveva  divorato  in  un 
anno  due  campi  e  una  cascina  —  secondo  le  cronache  di  Pom- 
ponesco. 

Rodolfo,  il  solo  che  avrebbe  potuto  opporre  una  seria  resi- 
stenza, preferiva  sfuggire  la  lotta  —  così  Matilde  parti  —  e  la 
sera  stessa  Rodolfo  si  ubbriacava  all'osteria  dei  Tre  mori,  be- 
stemmiando contro  le  donne,  con  gran  divertimento  della  signora 
Emesta  e  de'  suoi  amici. 

xra. 

Un  altr'anno  passò,  monotono,  senza  portare  nessun  cam- 
biamento visibile,  ma  lasciando  cadere  quotidianamente  il  suo 
granello  di  sabbia  come  la  clepsidra  antica. 

Era  il  mese  di  luglio.  Il  paese,  cessata  la  gran  faccenda  dei 
bachi,  riposava  nella  sua  calma  sonnolente  in  mezzo  ai  prati 
grassi  che  lo  cfrcondano  e  ai  campi  di  ravettone  splendenti  del 
loro  giallo  intenso.  Un  caldo  soffocante  teneva  tutte  le  case  rin- 
chiuse, e  solo  passando  da  qualche  finestra  terrena  si  sentiva 
l'odore  nauseabondo  dei  bozzoli  ammonticchiati  per  la  semente. 
Sciami  di  mosche  aleggiavano  intorno  rompendo  il  silenzio, 
picchiettando  i  vetri  delle  botteghe,  spingendosi  attraverso  lo 
fessure  nelle  camere  abitate,  aggruppandosi  sui  muri  bianchi 
arsi  dal  sole.  E  al  disopra  delle  case  silenzioso,  sullo  vie  de- 
serte abbruciate  dalla  caldura,  pesara  un  cielo  grave  come  co- 
perchio di  piombo.  Daria  era  aitata  colla  bimba  a  trovare  la 
signora  Luigina,  che  da  qualche  tempo  inferma,  non  si  moveva 
quasi  più  dalla  camera.  Da  quella  notte  che  ayeva  ricevuto  la 
confessione  de'  suoi  casi  pietosi,  Daria  si  sentiva  maggiormente 
trascinata  ad  amare,  a  comprendere,  a  compMiro  la  povera  zi- 
tellona. Dove  gli  altri  non  vedevano  che  il  ridicolo  di  una 
isterica  donnicciuola,  ella  trovava  le  cicatrici  di  ferite  profonde, 
di  dolori  indimcntiodbilì;  e  forse  pensava  che  lei  stessa  potrebbe 
diventire  cosi,  isterilita  nelle  lotte  contro  un  amoro  inOlieo. 

Ciò  per  altro  non  la  scoraggiava;  la  sua  pnssiuno  l'aveva 
elevata  all'altezza  di  una  fede.  Doll'anlentc  amplesso  che  lu  ora 

T«L.  XL,  SotU  n  —  15  Lsffll*  ISSS.  It 


290  LA   REGALBINA. 

negato  ella  formava  una  ardente  fiamma  di  pensiero  e,  certa  di 
essere  ricambiata,  viveva  nella  mente  e  nel  cuore  dell'  uomo 
che  essa  amava.  Martiri  entrambi  della  famiglia,  riuniti  nel 
medesimo  sacrificio,  accettavano  coraggiosi  l'aspro  dovere  che 
8Ì  erano  imposti,  sostenendosi  a  vicenda. 

Nell'ambiente  corrotto  in  cui  vivevano,  la  purezza  delle  loro 
anime  creava  loro  un  oasi  di  riposo  ;  essi  vi  si  rifugiavano  nelle 
ore  dello  sconforto,  sfuggendo  alle  malignità  crasse  e  volgari, 
temprandosi  alla  virtù  del  perdono.  Si  sentivano  generosi  perchè 
si  sentivano  grandi. 

Di  sé,  del  proprio  amore,  non  parlavano  quasi  mai;  esso 
trapelava  negli  sguardi,  nel  suono  della  voce,  nei  rapidi  muta- 
menti del  volto  ;  esso  gemeva  represso  quando  considera- 
,vano  la  condotta  di  Matilde;  sospirava  malinconico  vicino  alla 
bimba  della  quale  poteva  dirsi  il  vero  padre  e  la  vera  madre  ; 
si  univa,  si  fondeva  in  ogni  loro  azione  facendosi  nel  medesimo 
tempo  soggetto  ed  oggetto,  umile  sempre,  tenuto  in  freno  da 
una  volontà  potente  e  da  una  idea  grandiosa  del  dovere. 

Poche  volte,  qualche  volta  tuttavia,  la  loro  virtù  vacillava. 

Si  chiedevano  allora  quale  compenso  avrebbero  di  tanti 
sacrifici  e  se  proprio  valeva  la  pena  di  soffocare  come  una  colpa, 
come  un  delitto  quella  passione  che  tutti  gli  altri  ostentavano 
con  pubblica  impudenza. 

Quando  l'ebbrezza  dell'amore  li  prendeva  alla  sprovvista  e 
si  trovavano  tutti  e  due  smarriti,  confusi,  colle  mani  avvinte, 
cogli  occhi  perduti  nella,  infinita  dolcezza  del  desiderio,  una 
voce  mormorava  ai  loro  sensi  soggiogati  :  Perchè  ?  Perchè  sof- 
frire in  mezzo  al  gaudio?  Perchè  resistere  dove  tutti  cedono? 
Perchè  voler  vincere?  —  E  la  natura  rigogliosa  mandava  on- 
d.ate  di  sangue  caldo  nelle  loro  membra  che  tremavano,  e  l'ob- 
blio  d'ogni  cosa  sfiorava,  tentandole,  quelle  pure  fronti.  Uscivano 
dalla  lotta  disfatti,  pallidi;  ma  un  sentimento  potente  reggeva 
la  loro  debolezza.  Quelle  prove  affermavano  sempre  più  il  loro 
ideale  divino,  li  faceva  certi  che  la  virtù  non  è  un  nome  vano 
che  il  dovere  non  è  una  larva,  e  ritemprati  di  nuova  fede  aspet- 
tavano, sereni,  nuove  battaglie. 

La  loro  prima  giovinezza  era  trascorsa;  si  trovavano  oramai 
al  meriggio  e  già  1'  ombra  grave  di  chi  ha  molto  vissuto  e 
molto  sofferto,  palliava  nei  loro  colloqui  la  vivacità  del  desiderio. 

Le  loro  giornate  passavano  quasi  eguali  nel  ritiro  e  nel  la- 
voro. Ippolito,  che    non    aveva    finito  di  pagare  il  debito  con- 


LA   REGALDINA.  291 

tratto  per  il  matrimonio  di  Matilde,  si  levava  alla  mattina  per 
tempo;  spesso  anche  alla  sera  Daria  vedeva  ardere  per  molte 
ore  il  lume  nella  cameretta  della  casa  bianca  e  lei  pure  ve- 
gliava coll'ago  in  mano  compiendo  presso  la  culla  della  bam- 
bina il  sacrificio  della  sua  gioventù,  chiedendo  alla  pietà  le 
gioie  che  le  negava  l'amore. 

La  visita  alla  signora  Luigina  stava  per  finire  e  Daria  l'af- 
frettava avendo  dato  un  appuntamento  a  Ippolito  nella  chiesetta 
romita  del  viale.  Ella  era  molto  turbata  perchè  le  cose  che 
doveva  dire  al  suo  amico  le  sembravano  gravissime.  Ma  la 
piccina  non  voleva  abbandonare  la  camera  della  zitellóna  dove 
c'era  una  quantità  di  oggetti  curiosi  e  bizzarri;  fiori  di  cera, 
di  cannutiglie  e  perfino  di  droghe  schierati  sul  caminetto  sotto 
le  campane  di  vetro;  panierini  di  cotone  bianco  fatti  all'unci- 
netto e  insaldati;  ornamenti  di  zucchero  dipinto  avanzati  dalle 
torte;  stuzzicadenti  traforati  con  pappagalli  e  pagode  chinesi 
appoggiati  dentro  a  vasetti  di  vetro  colorato;  quadri  ricamati 
sul  canovaccio  dove  le  figure  principali  avevano  gli  occhi  di 
vetro  e  il  naso  formato  con  un  chicco  di  riso.  La  piccola  Lena 
era  felice  in  mezzo  a  questo  mondo  grottesco  dai  colori  sma- 
glianti e  la  signora  Luigina  avvezza  da  trent'anni  a  vivere  sola 
tremava  ad  ogni  mossa  imprudente,  ad  ogni  strepito  di  quei 
piedini  irrequieti  e  di  quelle  manine  che  dovunque  si  posavano 
mettevano  la  strage  e  la  rovina. 

Come  avviene  negli  scavi  delle  città  sepolte  sotto  la  lava, 
dove  si  trovano  le  persone  ritte  e  intero  fra  gli  utensili  e  gli 
ornamenti  che  usavano  in  vita,  la  signora  Luigina  si  era  mum- 
mificata co'  suoi  mobili,  collo  sue  memorie  e  la  voce  argentina 
della  bimba  squillando  fra  quello  pareti  risvegliava  un'eco  che 
pareva  di  tomba. 

Eppure  la  signora  Laigina  sorrideva,  alxando  la  mano  scarna 
per  accarezzare  Ja  fanciulletta. 

—  Snv%'ia  andiamo!  —  disse  Daria  risolutamente  prenden- 
dosi in  collo  la  Lena. 

—  Bada  a  non  farti  male  —  avverti  la  «ignorii  I.u  .,'iiia, 
sempre  spaventata  —  la  piccina  cresco  e  non  ò  più  tanto  Ic^'^'ira. 

—  Se  tutti  i  peti  fossero  qaetti!  —  sospirò  Daria  e  strin> 
gcndo  fra  le  braccia  la  sua  figliuola  adottiva,  usci  dalla  casa 
della  zitellona  e  s'avviò  alla  chiesetta. 

Ippolito  era  U  ad  aspettarla. 

Gli  sforzi  fatti  dalla   povera  ragazza  per  nascondere  il  sua 


292  LA   REGALDINA. 

turbamento  agli  occhi  dell'amico,  cedettero  sulla  soglia  della 
chiesuola.  Appena  ella  vide  Ippolito  gli  corse  incontro,  e  poi 
mancandole  a  un  tratto  il  coraggio  continuò  a  correre  fino  al- 
l'altare maggiore  dove  si  fermò,  agitata,  non  curandosi  più  di 
nascondere  le  lagrime. 

Ippolito  la  fece  sedere  e  le  prese  la  mano  in  silenzio.  Era 
la  prima  volta  ch'ella  gli  dava  un  appuntamento,  ne  si  poteva 
nemmeno  sospettare  che  fosse  un  appuntamento  d'  amore;  tale 
pensiero  era  affatto  lontano  dalla  sua  mente.  Ma  egli  non  l' a- 
veva  mai  veduta  in  tanta  agitazione  e  fu  preso  subito  dal  ti- 
more di  ana  disgrazia. 

—  Si  —  rispose  Daria  all'interrogazione  di  lui  —  nuove 
sventure,  nuove  colpe,  nuovi  obbrobri!  in  questa  famiglia  ma- 
ledetta !... 

Era  strano  che  Daria  parlasse  cosi;  i  suoi  occhi  fiammeg- 
giavano ;  un  rossore  vivissimo  le  coloriva  le  guancie.  Qualche 
cosa  della  violenza  della  vecchia  Tatta  era  rimasta  anche  a  lei 
e  in  quel  momento  disperato  le  saliva  al  cervello  vincendo  l'a- 
bituale dolcezza.  E  però  anche  nell'eccitamento  dello  sdegno  la 
sua  fronte  era  nobile,  il  suo  sguardo  puro  ;  Ippolito  la  contem- 
plava con  devota  ammirazione. 

Daria  continuò,  parlando  a  voce  bassa  e  concitata: 

—  Si  ricorda  quel  mattino  di  novembre,  quando  lei  venne 
in  casa  nostra  a  chiedere  conto  dell'onore  di  sua  sorella?... 

Ippolito  impallidi  cosi  visibilmente  che  Daria  ne  ebbe  com- 
passione e  passando  dall'ira  alla  improvvisa  tenerezza,  strinse 
la  faccia  sulle  mani  di  lui  in  un  atto  d'amore  insieme  e  di  im- 
mensa desolazione: 

—  O  Ippolito,  amico  mio,  mio  unico  amico,  perdono.  Il 
dolore  mi  accieca.  Ma  perchè  siamo  noi  condannati  a  tante 
miserie? 

Il  pianto  le  troncò  le  parole  in  gola. 

—  Matilde?... 

Egli  osò  pronunciare  il  nome  di  sua  sorella,  quel  nome  che 
gli  apriva  una  eterna  ferita;  ma  non  potè  proseguire.  Incapace 
di  abbandonarsi  a  uno  sfogo  di  dolore  si  sentiva  paralizzato 
dalla  gravità  stessa  della  situazione  ;  le  lagrime  che  non  usci- 
vano da'suoi  occhi  gli  ricadevano  ad  una  ad  una  sul  cuore.  Fi- 
nalmente con  uno  sforzo  disperato  su  se  stesso,  disse: 

—  So  che  ha  fatto  dei  debiti... 

—  Non  è  tutto. 


LA   REGALDIXA.  293 

Ad  onta  della  sua  freddezza  Ippolito  diede  un  balzo. 

—  Che  c'è  ancora? 

Daria  si  era  calmata.  Seriamente,  con  accento  sicuro,  rispose  : 
-^  C'è  di  mezzo  l'onore  di  Rodolfo. 

—  E  impossibile!  scattò  Ippolito,  quasi  invertite  le  parti,  la 
violenza  di  Daria  fosse  passata  in  lui. 

—  Lo  spero  —  disse  Daria  freddamente  —  ma  le  apparenze 
sono  tali.  Fu  vista  parecchie  volte  a  Milano  insieme  a  Pierino  ; 
c'è  anche  chi  assicura  che  l'anno  scorso  ai  basrni  eerli  andava 
sempre  a  trovarla.  Da  molto  tempo,  io  che  vivo  in  casa,  ne  avevo 
il  sospetto.  Oh!  Ippolito,  è  ben  triste  cosa  dover  parlare  cosi 
dei  propri  parenti  ;  ma  a  che  servirebbe  il  silenzio  con  lei  ?  Non 
è  forse  la  sola  persona  alla  quale  io  possa  chiedere  aiuto?  Alla 
zia,  cosi  violenta,  no  certo.  Tutti  i  miei  sforzi  mirano  a  tenerle 
nascoste  queste  brutture;  quanto  a  Rodolfo  nello  stato  in  cui  è 

I  caduto  non  si  accorge  di  nulla... 

^K  Una  vocina  giuliva  interruppe  il  grave  colloquio.  La  bimba 

che  Daria  aveva  posta  a  sedere  sui  gradini  dell'  altare,  aveva 
scoperto  tra  le  fessure  dei  mattoni  una  tribù  di  formiche  e  bat- 
teva le  manine  ridendo,  sorpresa  di  vedere  tante  creaturine  più. 
piccole  di  lei.  La  gioia  innocente  della  Lena  parve  ai  due  af» 
flitti  un  contrasto  cosi  atroce  che  ammutolirono;  'ma  i  loro 
sguardi  profondi  si  ricambiavano  i  medesimi  pensieri. 

La  piccina  continuava  a  baloccarsi  sulla  scalinata,  presso  la 
balaustra  di  legno  dipinta  in  celeste;  e  le  ghirlando  barocche 
del  soffitto  le  facevano  una  cornice  graziosa,  cui  illuminava 
biandemente  la  luce  delle  ogive,  al  di  faorì  delle  quali  tremo- 
lavano i  rami  dei  castagni. 

Una  quiete  di  chiostro  rognava  nella  chiesetta  dove  i  fron- 
toni barocchi  dell'altare  e  le  pareti  vetuste  proiettavano  delle 
ombre  molli,  piene  di  raccoglimento  e  di  mistero. 

In  mezzo  a  tanta  pace  la  tempesta  di  quello  due  anime  con- 
tinuava rinchiusa,  solitaria  no,  perchè  non  un  tumulto  dell'una 
sfuggiva  all'altro.  Tutte  le  vergogne  a  cui  assistevano  forcata- 
mente passavano  sullo  loro  fronti  lasciandovi  una  trnccia. 

Ippolito  si  informò  d'ogni  particolare;  volle  conoscere  fino 
a  quel  punto  poteva  giungere  colla    speranza,  ma  sotto  la  tua 

Iw^      calma  forzata  trapelava  la  disperazione  del  dubbio.  Egli  sentiva 
H     che  nessuna  forza,  nessuna  voce  potrebbe  arrestare  Matilde,  •• 
■I      non  l'arrestava  la  voce  della  sua  innocente  bambina,  se  non  In- 
frenava la  cosclcnz«  imperiosa  del  dovere. 


294  LA   REGALDINA. 

—  Farò  il  compito  mio  —  disse  alla  fine,  avendo  riacqui- 
stato la  padronanza  dei  propri  sentimenti  —  qualunque  cosa 
accada  lei  sa  che  non  mancherò. 

Non  aggiunse  altro.  Si  levarono  entrambi,  magnanimamente 
forti,  e  presa  per  mano  la  piccina  uscirono  dalla  chiesa  senza 
più  scambiare  una  parola.  Quando  si  separarono  Daria  gli  tese 
la  mano  dicendo; 

—  Addio. 

—  Addio.  —  rispose  Ippolito. 

E  in  quel  momento,  in  quel  momento  solo,  un  raggio  d'a- 
more temperò  la  profonda  mestizia  dei  loro  sguardi. 

XIV. 

Le  precauzioni  di  Daria  non  bastavano  a  deludere  l'astuta 
accortezza  della  Tatta  che,  avvertita  da  un  senso  misterioso, 
sorvegliava  con  sospetto  la  condotta  della  nuova  nipote. 

Dopo  il  colloquio  con  Daria,  Ippolito  aveva  fatto  chiamare 
Matilde,  e  pare  che  le  cose  da  lui  dette  alla  sorella  fossero 
serie  molto  perchè  Matilde  usci  dalla  casa  bianca  tutta  alte- 
rata in  volto  e  cogli  occhi  rossi. 

La  Tatta  la  vide  attraversare  la  corte,  salire  rapidamente 
nella  sua  camera  e  rinchiudervisi. 

—  Gatta  ci  cova  —  brontolò  la  Vecchia. 

—  Oh  perchè?  —  fece  Daria  con  naturalezza.  Sai  che  tra 
loro  due  vanno  poco  d'accordo  ;  il  signor  Ippolito  è  cosi  severo, 
così  rigido  e  Matilde  è  viva.... 

—  Vorresti  concludere  —  interruppe  la  vecchia  fissando 
sulla  giovinetta  il  suo  sguardo  acuto  e  sardonico  —  che  il  signor 
Ippolito  ha  torto?  Daria  chinò  il  capo  senza  rispondere.        ^ 

—  I  Regaldi  —  continuò  la  Tatta  con  impeto  —  sono  forse 
deboli,  inetti  e  fannulloni,  ma  vivaddio  sono  onesti.  E  questa 
civetta  che  si  è  fatta  sposare  per  forza.... 

—  Parla  piano  zia  —  implorò  Daria  —  le  finestre  sono  tutte 
aperte. 

—  Non  mi  importa  affatto.  Non  ho  niente  da  nascondere 
io,  e  se  c'è  qualcuno  cui  preme  il  silenzio  peggio  per  lui,  o  per 
lei,  0  per  loro! 

L'esplosione  furiosa  della  Tatta  terminò  con  un  violento 
sbattere  dell'uscio.  Daria  rimasta  sola  pensava  più  che  tutto  ad 
evitare  uno  scandalo  che  sarebbe    ricaduto  sull'intera  famiglia 


LA   REGALDINA.  295 

e  sulla  povera  piccina  che  non  sapeva  nulla,  che  non  doveva 
mai  saper  nulla. 

Se  qualche  volta  il  disgusto  di  vivere  in  quel  paese  e  in 
quella  casa  suggeriva  a  Daria  la  tentazione  di  andarsene  via  — 
e  la  tentazione  era  forte  perchè  anche  Ippolito  la  sentiva  — 
la  sola  immagine  della  Lena  abbandonata  la  faceva  tornare  in 
se  e  le  ribadiva  la  catena.  Sono  legata  qui  —  sospirava  la  po- 
vera ragazza  —  chi  sa  —  forse  per  sempre! 

E  intanto  che  rifletteva,  a  capo  chino,  colle  mani  abbando- 
nate sui  ginocchi,  entrò  Rodolfo  e  andò  come  il  solito  à  get- 
tarsi sul  divano  bigio.  H  bel  giovane  d'  una  volta  era  assai 
mutato.  Divenuto  immensamente  pingue  e  acceso  in  volto  per 
l'abuso  del  bere,  aveva  perduta  ogni  grazia  giovanile  5  sembrava 
vecchio  di  die«à  anni.  L'occhio  aveva  imbambolato,  le  labbra 
cadenti  ;  la  fronte,  senza  pensieri,  muta  e  triste  sotto  1'  abbon- 
dante capigliatura,  nerissima  ana  volta,  ora  già  brizzolata. 

—  È  pronto  il  desinare  ?  —  domando,  sbadigliando. 

—  Non  ancora  ma.... 

Rodolfo  cacciò  faorì  una  bestemmia. 

—  Non  c'è  mai  niente  all'ordine  in  questa  casa.  Voglio  che 
il  pranzo  sia  in  tavola  alle  quattrcr,  voglio.  Sono  o  non  sono  il 
padrone? 

Per  tutta   risposta    Daria  gli   indicò  il  quadrante  del  cucù 
che  segnava  le  tre  e  mezzo. 
Egli  si  rabbonì. 

—  Non  dico  questo  per  te  sai?  Tu  sei  buona.  Anzi  voglio 
dirti  una  cosa. 

Si  fermò  un  poco,  grattandosi  la  testa  cercando  le  parole. 

—  Se  hai  bisogno  di  me,  Rodolfo,  parla. 

—  Bisogno,  bisogno,  sicuro!  Di  tutto  ho  bisogno.  Di  denaro 
ho  bisogno. 

—  Oimè.... 

—  Non  ne  hai  nemmeno  tu,  lo  so.  Tutti  spendono  e  nessuno 
ne  ha.  Ma  non  saprt-'^ti  trovar  fimr!  fjiiMlclio  cosa...  «•"■''<'1>" 
cosa  da  vendere,  qui  ' 

•Si  rizzò  sul  gomito  gUHrdnnduMi  attorno.  N^  occor 
Daria  gli  rispondesse.  Lo  stipo  antico,  la  sola  cosa  bella  .  uim 
che  fosse  rimasta  in  casa  era  già  stato  venduto.  Al  suo  posto 
la  bambola  della  Lena  aveva  trovato  un  lettuccio  provvisorio 
•ttl  gnanoialino  dei  conigli,  e  Quattrina  diventata  vecchia  e  pi- 
gra ruspava  li  accanto. 


296  LA    REGALDINA. 

Rodolfo  si  fermò  a  guardare  quel  posto  e  quella  bamLola; 
scosse  il  capo,  tornò  a  grattarsi,  sbuffò  e  ricadde  pesantemente 
sul  divano. 

Non  disse  più  nulla. 

Daria  incominciò  ad  appparecchiare  la  tavola,  in  apparenza 
tranquilla,  ma  con  uno  struggimento  die  le  rodeva  il  cuore.  Ad 
ogni  tratto  le  lagrime  le  facevano  groppo  in  gola  ed  ella  le 
cacciava  giù  come  un  boccone  amaro  che  è  d'  uopo  ingollare 
per  forza.  La  sua  famiglia  le  si  sfasciava  sotto  gli  occhi,  an- 
dava a  rotoli  ;  ogni  pena  era  stata  inutile,  ogni  sacrificio  sprecato. 

Si  fermò  un  momento  davanti  al  ritratto  del  maggiore  dei 
Regaldi  —  l'onore  della  famiglia  —  come  essa  lo  chiamava,  e 
le  parve  davvero  che  con  lui  ne  fosse  morta  la  parte  più  no- 
bile. Rifece  ancora  colla  mente  l'ultimo  loro  dialogo,  in  riva 
alla  gora;  ripensò  alla  fatalità  che  fin  d'allora  poneva  Matilde 
sul  sentiero  dei  Regaldi,  e  l'avversione  che  le  aveva  sempre 
destata,  e  le  sue  paure,  le  sue  preghiere,  finalmente  il  suo 
trionfo  dell'anello;  povero  trionfo  che  non  era  bastato  a  scon- 
giurare il  destino. 

Continuando  a  frugare  nel  passato  le  venne  il  rimorso  di 
essere  stata  forse  troppo  pronta  a  favorire  le  nozze  di  Rodolfo 
con  Matilde  e  volle  scrutare  a  vivo  il  proprio  cuore  per  sapere 
se  l'amore  di  Ippolito  avesse  fatto  traboccare  la  bilancia.  Ma 
dopo  un  esame  coscienzioso,  durante  il  quale  ella  si  sentiva 
disposta  a  tutte  le  espiazioni,  rialzò  la  testa  fieramente  e  disse: 
No  —  ho  fatto  soltanto  il  mio  dovere. 

Questo  pensiero  consolante,  l'unico  che  abbia  la  potenza  di 
rialzare  un'  anima  abbattuta,  colorì  di  un  lieve  incarnato  le 
guancie  di  Daria. 

Ella  posò  i  piatti,  le  quattro  posate,  e  poi  un  piattino  e  un 
cucchiaino.  Rodolfo  seguiva  macchinalmente  cogli  occhi  ogni 
suo  movimento. 

—  Dov'è  lei?  —  domandò  bruscamente. 

Lei  era  Matilde,  Daria  si  affrettò  a  rispondere  in  modo  con- 
ciliativo : 

—  È  di  sopra  ;  forse  ripassa  gli  abitini  di  Lena. 
Rodolfo  fece  un  sogghigno  incredulo,  ma  non  aggiunse  altro. 
La  tavola  era    pronta;  la   Tatta    venne    dalla    cucina  colla 

zuppiera  in  mano  e  colla  Lena  attaccata  alle  gonne.  Daria  le 
corse  incontro,  prese  la  piccina  e  la  pose  sul  suo  piccolo  trono 
davanti  al  piattino  della  pappa. 


LA   REGALDINA.  297 

La  vecchia  girò  intorno  gli  occhi. 

—  Vado  a  chiamarla  —  disse  Daria  rispondendo  a  quella 
muta  interrogazione. 

E  intanto  che  Rodolfo  e  la  Tatta  sedevano  al  desco  ella 
volò  su  per  le  scale  fino  all'uscio  della  camera  di  Matilde.  • 

La  chiamò  due  o  tre  volte,  invano;  premette  la  molla,  ruscio 
era  aperto,  entrò.  Matilde  era  seduta  nel  corsello  colla  faccia 
sprofondata  in  mezzo  ai  guanciali  ;  aveva  i  capelli  scarmigliati, 
le  vesti  in  disordine,  tutte  le  apparenze  di  esserci  abbandonata 
a  uno  di  quegli  eccessi  nervosi  che  in  lei  erano  frequenti. 

Sollevò  la  testa  all'udire  i  passi  di  Daria  e,  sgarbatamente, 
senza  frenare  l'impulso  di  una  viva  contrarietà  gridò  subito  : 

—  Cosa  vieni  a  fare  qui  ?  Va  via. 

—  Ti  aspettano  a  desinare  —  disse  la  ragazza,  fedele  al 
suo  partito  preso  della  calma. 

—  Non  ho  fame. 

Daria  esitò  un  momento;  Matilde  si  era  ricacciata  colla  fronte 
nei  guanciali,  decisa  a  non  muoversi.  Ella  le  si  avvicinò  e  acca- 
rezzandole blandemente  le  treccie  scomposte. 

—  Andiamo  Matilde.  Tuo  marito  è  già  a  tavola;  la  Lena 
chiama  la  mamma....  Ti  senti  male?  Vieni,  ti  daremo  qualche 
cosa;  non  star  qui  tutta  sola  abbandonata  ai  cattivi  pensieri. 

—  Bella  pretesa  di  voler  conoscere  se  i  pensieri  degli  altri 
sono  buoni  o  cattivi. 

—  Tutti  abbiamo  dei  momenti  tristi.... 

—  E  a  mettere  insieme  i  momenti  si  fanno  le  ore  —  esclamò 
Matilde  con  impeto  irato  —  poi  i  giorni  e  gli  anni,  e  le  vite 
intoro.  Oh!  va,  lasciami. 

—  No,  non  ti  lascio  cosi.  Tu  «0011,  sci  afflitta,  malcontenta, 
inquieta....  * 

—  Come  polso  essere  allegra  e  contenta  se  tutti  fate  a  gara 
per  seccarmi,  por  tormentarmi  ?  Sono  stanca,  stanca,  stanca.  Vi 
odio  tutti.  Va  via. 

Daria  fu  presa  da  nn  singhio//"  iJoloro.M;  il  cuorr  !<>  si 
schiantava  a  vedere  tanta  ingratitii<iiii<';  pur.-  .«-.l.-niio  u*«u<)i 
nobili  impulsi  di  carità  e  di  perdono  disse:  —  Iddio  sa,  Matilde, 
quanto  ti  mmo  amica  e  come  vorrei  vederti  tranquilla. 

Klla  lu  interruppe  con  immensa  collera  : 

—  Tu  peggio  degli  altri  !  Tu  sei  una  ipocrita  che  lavori  ni 
<•  I»  rio,  tu  ftiezi  Uodolfo,  tu  travii  mio  fratello,  tu  mi  togli 
1  aiiKi.-  di  mia  figlia  per  ornartene  e  fartene  un  vanto. 


298  LA   REGALDINA. 

Alle  prime  parole  di  questa  sfuriata  Daria  si  era  fatta  pal- 
lida; all'ultima  accusa  gettò  un  grido  e  incapace  di  frenarsi  più 
a  lungo  ruppe  in  un  dirottissimo  pianto. 

—  Mio  Dio!  Mio  Dio!  Mio  Dio! 

Daria  non  diceva  altro,  e  si  stringeva  le  tempie  colle  dita 
perchè  le  pareva  che  la  testa  scoppiasse. 

Era  troppo. 

Matilde  invelenita  continuò  a  ingiuriarla,  trovando  uno  sfogo 
impensjlto,  esaltandosi  al  suono  delle  proprie  parole,  e  così  con- 
traffatta nel  viso  e  nella  voce  la  si  sarebbe  presa  per  una  furia. 
Finalmente  viepiù  contrariata  dal  contegno  passivo  di  Daria 
e  da  quel  pianto  insistente,  la  prese  per  le  spalle  e  tornò  a 
gridare  : 

—  Va  via,  va  via,  va  via. 

Daria  ebbe  un  momento  di  rivolta.  Le  balenò  l'idea  di  gri- 
dare anche  lei,  di  ricacciarle  in  volto  tutto  il  passato,  tutto, 
incominciando  dall'anello  di  corniola;  e  dirle  che  soltanto  in 
grazia  sua  aveva  trovato  un  nome  onorato  in  quella  famiglia 
che  essa  ora  trascinava  alla  rovina.  Si  voltò  indietro,  piena  di 
giusta  alterezza,  ma  nel  mirarla  ravvisò  sulla  bocca  di  lei  quella 
linea  che  la  faceva  tanto  rassomigliare  a  Ippolito  e  allora  ebbe 
vergogna  della  propria  debolezza.  Un  altro  ordine  di  idee  venne 
a  sovrapporsi  al  bollore  dello  sdegno;  riprese  d'un  tratto  la  sua 
forza,  la  sua  superiorità  serena;  dimenticò  se  stessa;  e  ferma 
e  dignitosa,  s'avviò  fuori  dell'uscio  dicendo  con  voce  che  non 
era  più  tremante,  ma  che  vibrava  sotto  l'ispirazione  di  un  ideale 
altissimo  : 

—  Vado,  poiché  tu  non  mi  conosci  ancora. 

Matilde  balzò  in  piedi  e  lanciando  l'ultima  parola  iraconda 
chiuse  a  doppio  giro  la  chiave  dell'uscio.        * 

XV. 

La  pace  era  affatto  scomparsa  da  casa  Kegaldi.  Matilde  stava 
chirfsa  tutto  il  giorno  nella  sua  camera  ;  non  scendeva  nemmeno 
all'ora  dei  pasti.  Qualche  volta  usciva,  sola,  girava  per  le  cam- 
pagne e  nel  rientrare  passava  davanti  all'ufficio  della  Posta  per 
vedere  se  c'erano  lettere. 

Quando  la  lettera  c'era  Matilde  sembrava  più  allegra,  ma 
anche  quella  allegria  la  teneva  per  se,  la  nascondeva  gelosa- 
mente come  un  ladro  nasconde  l'oro  che  ha  rubato. 


LA   REGALDINA.  299 

Non  voleva  vedere  nessuno,  nemmeno  suo  fratello.  La  Lena, 
inviata  da  Daria,  saliva  una  volta  al  giorno  a  trovarla  e  se  Ma- 
tilde era  di  buon  umore  l'abbracciava  e  la  baciava.  Una  volta 
le  chiese  se  sarebbe  partita  volentieri  con  lei,  per  un  paese  lon- 
tano lontano... 

La  piccina  pianse  e  corse  subito  a  raccontare  la  cosa  a  Daria. 

Le  persone  benevoli  dicevano  che  Matilde  era  presa  da  ec- 
cessi isterici  ;  si  vociferava  anche  qualcos'altro  però  ;  e  quando 
se  ne  parlava  nell'aula  magna  dei  Tre  mori,  la  signora  Ernesta 
stringendosi  nelle  spalle  esprimeva  l'opinione  che  quando  si  ma- 
ritano le  ragazze  col  solo  scopo  di  sbarazzarsene  bisogna  essere 
preparati  a  tutto.  Del  resto  Rodolfo  era  un  avventore  assiduo 
e  la  signora  Emesta,  per  sistema,  rispettava  gli  avventori. 

L'osteria  era  diventata  la  vera  abitazione  di  Rodolfo;  egli 
vi  passava  le  giornate  intere  sdraiato  sulle  panche,  in  uno  stato 
di  dormiveglia  perenne;  non  parlava  quasi  mai;  tratto  tratto 
bestemmiava,  come  se  rispondesse  a  dei  ragionamenti  interni 
fatti  con  tin  interlocutore  invisibile. 

Nella  vecchia  casa  nera  le  due  povere  donne  layoravano  e 
piangevano;  Daria  aveva  chiesto  dei  ricami  in  città  per  poter 
sopperire  alle  spese  della  famiglia;  Ippolito  era  il  suo  interme- 
diario ;  lavorava  anch'egli  segretamente  per  un  avvocato  e  univa 
il  prezzo  del  suo  lavoro  a  quello  dell'amica  lasciandole  credere 
che  la  sorgente  fosse  la  stessa. 

Fino  allora  i  due  giovani  avevano  nutrito  qualche  sperama, 
vaga,  repressa,  dolce  tuttavia.  Ora  non  speravano  più.  Nelle 
lotte  continue,  nelle  continue  sofferenze  il  loro  amoro  si  era 
spossato  ;  tutto  ciò  che  era  materia  l'  urto  della  vita  lo  aveva 
infranto  ;  ma  da  quelle  ceneri  palpitanti,  l'anima,  retorna  fenice, 
si  inalzavi  a  regioni  divine.  Quando  il  sentimento  sopravvivo 
all'istinto  brutale,  esso  acquista  una  delicatasEa  tomma,  come  un 
anfora  in  cui  sieno  state  chiose  delle  essenze,  ma  dove  non  resta 
che  il  profumo. 

àSoffriff;  iinionif*,  |M'ns:ir«',  lavorar»*  iii-rifin«;,  rjH''st;i  iii«livisi- 
bilit'i  d'o;^ni  loro  azion»'  era  la  «ohi  gioia  conrossa  n  Ippolito  o 
a  Daria;  gioia  serena,  profonda  che  li  corazsara  contro  ogni 
attacco  della  sorte.  E  cosi  in  messo  alle  provo  Io  pii\  crudoli 
bastava  loro  uno  sguardo,  una  stretta  di  mano  per  sentirsi  quasi 
felici;  il  loro  amoro  li  compensava  di  tatto,  e  lo  averano  messo 
tanto  alto  che  non  temevano  per  osso  nessun  pericolo. 

La  btir1><r>  Tatta  non  diceva  più  nulla  a  Daria   su  questo 


300  LA    REGALDINA. 

soggetto  ;  la  sua  attenzione  era  tutta  concentrata  in  Matilde  con 
una  rabbia  sorda,  con  an  violento  impeto  d'odio  verso  quella 
donna  che  aveva  portata  la  sventura  sotto  il  tetto  dei  Regaldi. 

La  zitellona  austera  e  forte  che  non  aveva  mai  saputo  che 
cosa  fosse  debolezza,  piangeva  come  un  bambino.  Mai  il  salotto 
bigio  era  stato  cosi  triste,  cosi  muto  e  deserto,  colle  sue  tende 
di  percallo  bianco  che  il  tempo  aveva  ingiallite,  colle  sue  spec- 
chiere scrostate  nelle  cornici  smunte.  Presso  al  cucù  il  posto 
della  signora  Luigina  restava  vuoto  ;  Ippolito  sedeva  qualche 
volta  a  quel  posto  prendendosi  sui  ginocchi  la  Lena  per  mo- 
strarle il  pendolo  che  faceva  tac  tac  ;  e  se  la  bambina  rideva 
nella  sua  inconscia  gaiezza  infantile,  nessuno  faceva  eco  —  la 
vocina  si  perdeva  in  un  silenzio  sepolcrale. 

Da  molto  tempo  Pierino  non  si  lasciava  vedere.  Egli  si  era 
lanciato  in  speculazioni  grandiose,  faceva  carriera,  rabidamente 
appoggiato  alla  sua  audacia  e  alle  sue  fortune  di  giovinetto  alla 
moda.  Era  vero  che  Matilde  andava  a  trovarlo  a  Milano  ]  la  dis- 
graziata sentiva  per  lui  un  amore  pazzo.  Sulle  prime' sembrava 
che  Pierino  corrispondesse,  poi  era  sopraggiunta  la  sazietà,  in- 
fine gli  mancava  il  tempo  per  occuparsi  di  una  relazione  che 
non  gli  rendeva  nulla. 

Ma  Matilde  lo  tempestava  di  lettere,  di  preghiere,  di  mi- 
naccie,  di  promesse.  Ella  aveva  trovato  in  quel  giovane  elegan- 
temente cinico,  la  realizzazione  di  un  ideale  covato  lungamente 
nelle  veglie  malsane,  nei  fantastici  trasporti  di  una  immagina- 
zione corrotta  ;  ella  si  era  data  a  lui  coll'ardore  di  una  belva 
che  ha  trovato  finalmente  una  belva  della  stessa  razza. 

Sulla  fine  di  settembre,  in  seguito  ad  una  lettera  disperata 
di  Matilde,  Pierino  venne.  Fu  accolto  freddamente  da  tutta  la 
famiglia  in  modo  che  Matilde  rimase  sconcertata.     , 

—  Sarai  contenta  —  le  surrurrò  all'orecchio  mentre  si  china- 
vano insieme  per  raccogliere  un  oggetto  che  non  era  mai  caduto. 

—  Voglio  parlarti  —  rispose  lei  decisa  a  tutto. 
Pierino  si  strinse  nelle  spalle. 

Matilde  fece  il  giro  della  stanza,  aperse  un  tiretto,  frugò  in 
un  paniere,  smosse  alcuni  libri;  il  tutto  per  aver  agio  di  scrivere 
su  un  pezzettino  di  carta:  A  mezzanotte  qui:  e  glielo  fece  scivo- 
lare in  mano.  Ma  non  era  capace  di  frenarsi;  la  sua  agitazione 
avrebbe  colpito  un  cieco.  Pierino  prese  il  cappello  e  usci  di- 
cendo che  andava  al  caffè.  A  mezzanotte  rientrava,  un  po'  sec- 
cato  della  scena  che  Matilde  gli  avrebbe  fatta,  promettendo  a 


LA   REGALDINA.  301 

se  stesso   che  sarebbe  l'ultima.  Non  era  appena  sulla  soglia  che 
Matilde  gli  si  buttò    nelle  braccia. 

—  Andiamo,  non  facciamo  ragazzate. 

Due  anni  prima,  sul  viale  del  Santuario,  in  una  fredda  gior- 
nata d'inverno  era  stata  lei  a  dire  :  Non  facciamo  ragazzate. 

Matilde  questa  volta  era  ferita  sul  serio  ;  aveva  portato  in 
questo  amore  colpevole  il  meglio  di  se  stessa,  tutto  ciò  che  le 
restava  di  memorie  buone,  di  istinti  gentili  : 

—  Ti  amo  !  —  disse  stringendosi  a  lui  con  un  movimento 
umile,  pieno  di  tenerezza  e  di  deferenza. 

Pierino  aveva  in  bocca  il  sigaro  ;  lo  levò  a  malincuore  e 
tenendolo  fra  le  dita  : 

—  Eppure  mia  cara  è  una  vita  impossibile  questa.  Sii  ra- 
gionevole. Tu  hai  marito,  io  devo  farmi  una  posizione... 

—  Non  dirmi  di  queste  cose,  Piero,  o  mi  farai  perdere  la 
testa,  lo  ti  amo,  ti  amo,  e  non  voglio  saper  altro. 

Ella  sedette  sul  divano  bigio;  era  pallida,  affranta  dalle  con- 
tinue emozioni. 

—  Come  va  la  salute  ? 

Nel  farle  questa  domanda  con  accento  affcttnoso  Pierino  le 
si  sedette  accanto  e  le  circondò  la  vita  col  braccio. 
Matilde  era  incinta  di  due  mesi. 

—  Quando  ti  vedo  sto  bene. 

Si  guardarono  per  un  istante  imbnrnz7.atì  ;  egli  cercava  un 
argomento  serio  e  capiva  la  difficoltà  di  farglielo  accettare. 

In  questo  silenzio  altissimo  rotto  appena  dal  respiro  affan- 
noso di  Matilde  hì  udi  un  rumore  sulla  acala. 

Pierino  balzò  in  piodi  ;  Matilde  lo  trattenne  dicendo  con  in- 
differenza : 

—  Oh,  è  liu  lotto;  .->,»•. liti.  <v;li  non  entra  qui. 

Difatti  il  ruiuurc  cluaò.  Matilde  riprese  le  tuo  caresse  rac- 
contando lo  squallore  della  sua  vita  e  l'arrersione  che  provava 
per  quella  famiglia.  Improvvisamente  si  spalancò  l'uscio  che  met- 
teva in  cucina  e  la  vecchia  Tatta,  terribile,  apparve.  Aveva  l'oc- 
chio fiammeggiante,  la  fronte  minacciosa  sotto  i  bianchi  capelli 
scomposti.  Con  una  vigoria  singolare  e  che  era  il  risultato  di 
un  0  straordinario  si  slanciò  sui  duo  colpevoli  in  atto 

di  ]  .  uiu  n«*l  momento  che  levava  la  mano  lo  vene 

della  fronte  e  del  collo  le  si  fecero  turgide,  il  braccio  si  irrigidi; 
▼ni!  ^         lina  imprecazione  violenta  usci  a  mozxo  dalle  lue 

lai*  ■.  il  pcDMÌero  di  una  atroce  maledizione  le  si  sve- 


302  LA  REGALDINA. 

lava  sul  volto  reso  quasi  pavonazzo  ;  brancicò  ancora,  ruggì, 
cadde. 

Pierino  fu  appena  in  tempo  a  sostenerla  e  a  stenderla  sul 
divano  al  posto  lasciato  vuoto  da  Matilde,  che,  sbigottita,  s'era  ri- 
fugiata in  un  angolo  della  stanza  coprendosi  gli  occhi  colle  mani. 


XVI. 


La  Tatta  moriva. 

Non  avevano  nemmeno  pensato  a  trasportarla  sul  suo  letto  ; 
moriva  nel  salottino  bigio  dove  erano  trascorsi  trentanni  della 
sua  vita  operosa  e  modesta,  divisa  tra  il  lavoro  e  la  beneficenza. 

Daria,  accorsa  quasi  subito,  la  teneva  abbracciata  sostenen- 
dole la  testa;  Pierino  ritto  ai  piedi  del  divano,  colle  braccia 
conserte,  sembrava  una  statua;  difficile  sarebbe  stato  il  poter 
leggere  sulla  sua  faccia  le  interne  emozioni. 

Matilde  restava  dimenticata  nel  suo  angolo;  nessuno  pensava 
a  lei,  nessuno  la  cercava,  benché  ella  fosse  la  causa  principale 
della  disgrazia. 

La  povera  vecchia  cui  un  travaso  di  sangue  aveva  tolta  la 
facoltà  di  muoversi  e  di  parlare,  risensava  momentaneamente 
sotto  le  cure  di  Daria.  Nella  posizione  in  cui  si  trovava  non 
poteva  vedere  Matilde  ;  Daria  accennò  a  Pierino  di  nascondersi 
esso  pure  per  non  renderle  troppo  penosi  quegli  ultimi  momenti. 
Difatti  girando  attorno  le  pupille  ella  parve  contenta  di  non  ve- 
dere altri  che  la  giovinetta  e  le  sorrise  come  se  l'orribile  scena 
di  poc'anzi  fosse  stata  un  sogno. 

Daria  la  baciò  appassionatamente  ;  la  zitellona  rispose  a  quel 
bacio,  forse  per  la  prima  volta,  e  tale  abbandono  di  tenerezza 
commosse  Daria  fino  alle  lagrime. 

—  Oh!  mia  zia,  cara  zia....  —  esclamò  gettandosele  al  collo, 
sentendo  che  quella  bell'anima  stava  per  abbandonarla. 

La  vecchia  mosse  le  labbra,  ma  la  parola  era  ribelle  ;  final- 
mente potè  articolare  a  stento: 

—  Lascia  questa  casa  infame....  va  egli  ti  ama,  egli  ti  se- 
guirà. Sii  felice. 

—  Grazie  —  mormorò  Daria  sempre  piangendo,  eppure 
paga  di  vedere  alfine  riabilitato  l'uomo  eh'  essa  amava,  di  tro- 
varlo, ultimo  pensiero,  suHe  labbra  di  una  morente. 

Matilde  nel  suo  cantuccio  singhiozzava,   repressa,  essendosi 


LA   REG ALDINA.  303 

lasciata  cadere  sui  ginocchi  colla  persona  tutta  accasciata  ;  Pie- 
rino in  piedi  appoggiato  al  muro  dietro  il  capezzale  della  Tatta 
non  si  muoveva.  Questo  silenzio  dei  due  colpevoli  era  spietato  ; 
era  come  un  abisso  che  li  divideva,  li  esiliava  dal  resto  della 
famiglia  senza  che  essi  trovassero  la  forza  di  reagire  nemmeno 
con  un  lamento. 

L'agonia  fu  breve.  Neil'  istante  che  la  Tatta  chiudeva  gli 
occhi  per  sempre  si  udi  Rodolfo  che  tornava  a  casa.  Egli  at- 
traversava la  corte  col  suo  passo  pesante  e  malfermo,  cantando 
un'aria  d'opera. 

Daria  si  voltò  a  mezzo  e  fece  cenno  a  Pierino,  il  quale  uscì 
tacitamente  incontro  al  fratello,  trattenendolo  fuori  per  prepa- 
rarlo in  qualche  modo.  Quando  rientrarono  tutti  e  due  un  ri- 
gido cadavere  era  steso  sul  divano. 

Nessuno  si  coricò  quella  notte;  nemmeno  Rodolfo  che  cogli 
occhi  imbambolati  guardava  la  Tatta,  non  potendo  capacitarsi 
che  fosse  stata  colpita  cosi  all' improvviso.  Pierino  e  Matilde 
sapevano  bene  che  Daria  non  avrebbe  parlato,  puro  il  tristo 
segreto  di  quella  morte  aleggiava  funereo  nel  salottìno;  e  pe- 
sava grave  come  il  rimorso  sopra  i  due  sciagurati  che  non 
osavano  scambiare  né  un  motto,  né  uno  sguardo. 
Cosi  li  sorpresero  le  prime  ore  del  mattino. 
La  servetta,  senza  averne  avuto  incarico  dai  padroni,  fu 
lesta  a  correre  nella  casa  bianca  a  narrare  l'accaduto  e  poco 
dopo  Ippolito  comparve,-  inaspettato,  nella  lugubre  scena.  Gli 
si  diede  li  per  li  una  spiegazione  improvvisata;  ma  egli  era 
troppo  avvezzo  a  leggere  negli  occhi  |di  Daria  e  gli  occhi  di 
Daria  non  sapevano  mentire. 

Fortunatamente  le  disposizioni  che  occorrevano  per  il  decesso 
copersoro  il  generalo  imbarazzo.  Pierino  andò  dal  medico;  Ma- 
tilde iicomparve  tacitamente,  rotta  dalla  fatica  e  da  tante  scosso 
avute.  Ippolito  allora  si  avvicinò  a  Daria  e  le  chìoHo  risoluta- 
mente la  verità. 

—  Più  tardi  —  balbettò  la  giovane  —  più  uirdi  le  dirò 
tutto,  a  lei  toh. 

Kgli  si  accorse  che  stava  per  cadere  e  la  cinse  colle  sao 
braccia.  Non  aveva  mai  arrischiato  una  cosa  simile,  ma  in  quel 
momento  Mentiva  il  diritto  di  stringersela  sul  cuore  perché  la 
poveretta  non  aveva  più  neisun  protettore  al  mondo;  egli  lo 
si  affermò  tutto  sao,  eternamente  suo  posandole  le  labbra  sugli 

occhi,   bcvcndonf!  In  laLTunn.    « 


304  LA   REGaLDINA. 

Alle  vive  preghiere  del  suo  amico,  Daria  acconsentì  di  ce- 
dergli la  custodia  della  morta  ed  ella  si  ritirò  per  riposare 
un  poco. 

Il  giorno  seguente  tutto  il  paese  correva  ai  funerali  della 
Tatta;  la  maggior  parte  meravigliavano  che  una  donna  cosi 
robusta  avesse  cessato  di  vivere  repentinamente  e  in  questa 
occasione  la  signora  Ernesta  sentenziò  che  le  persone  forti  sono 
appunto  quelle  che  muoiono  più  in  fretta  delle  altre.  Quando 
il  corteggio  funebre  passò  sotto  le  finestre  della  signora  Lui- 
gina, fu  vista  la  povera  inferma  rizzarsi  contro  i  vetri  e  man- 
dare baci  e  benedizioni  a  colei  che  le  era  stata  più  che  amica, 
sorella  e  benefattrice  unica.  Tutti  furono  d'accordo  nel  dire  che 
era  una  scena  commovente. 

Poi  un  po'  alla  volta  il  paese  dimenticò  la  vecchia  Tatta  e 
la  sua  memoria  si  ridusse  nelle  quattro  pareti  della  casa  nera, 
compagna    invisibile  e  costante  alla  solitudine  di  Daria. 

C'era  un'altra  persona  però  che  non  dimenticava.  Matilde, 
dopo  quella  notte  tremenda,  si  era  affatto  mutata.  Non  faceva 
più  bizzarrie,  non  si  chiudeva  nella  sua  camera  fantastica  e 
svogliata;  stava  abbasso  lavorando  anche  lei  vicino  a  Daria, 
si  occupava  un  po'  della  bambina;  sempre  triste  tuttavia,  di 
una  tristezza  concentrata  e  muta  che  faceva  spavento. 

I  disturbi  della  gravidanza  la  tormentavano,  dimagrava  a 
vista  d'occhio,  ma  non  si  lagnava  mai.  Lei,  prima  così  esigente, 
accettava  ogni  cosa  con  una  rassegnazione  passiva,  con  un  in- 
differenza da  maniaca.  In  tutto  l' inverno  non  fu  mai  vista  fuori 
di  casa,  passava  le  giornate  china  sul  lavoro,  spiegando  una 
attività  morbosa,  trascurando  le  cure  dell'abbigliamento  ch'e- 
rano una  volta  le  sue  predilette. 

A  chi  l'interrogava  rispondeva  brevemente,  con  frasi  asciutte, 
con  sorrisi  che  parevano  piaghe  spasmodiche. 

Pierino  non  si  era  più  lasciato  vedere.  Ippolito  e  Daria 
avevano  ogni  motivo  per  credere  che  la  relazione  fosse  termi- 
nata e  in  questa  credenza  li  confermava  la  taciturna  malinconia 
di  Matilde. 

Si  aspettava  il  secondo  bambino  con  grandi  speranze,  fidando 
su  di  lui  per  un'  era  nuova  di  pace,  di  perdono  e  d'oblio. 
Daria  aiutava  Matilde  nella  preparazione  del  piccolo  corredo 
e  tentava  per  questa  via  di  introdurre  un  raggio  sereno  in 
famiglia. 

Fra  le  pochissime  persone    che  frequentavano  i  Regaldi  vi 


LA   KEGALDINA.  305 

era  sempre  la  moglie  del  dottore,  la  quale  venne  un  giorno  a 
raccontare  la  grande  novità  del  paese,  cioè  che  la  signora  Er- 
nesta neve  mesi  giusti  dopo  aver  maritata  la  figlia  —  e  in- 
tanto che  si  aspettava  la  gravidanza  della  sposina  —  aveva 
messo  al  mondo  il  suo  quattordicesimo  figliuolo.  Il  fatto  si  pre- 
stava moltissimo  allo  scherzo  e  la  moglie  del  dottore  non  si 
peritò  a  ricantarvi  sopra  delle  variazioni;  ma  improvvisamente 
e  come  ricordandosi  di  un  altro  argomento  più  importante 
disse: 

—  Ed  è  vero  poi  che  il  signor  Pierino  prende  moglie  ? 
Matilde  ebbe  una  scossa  così  violenta  che  Daria  sì  affrettò 

a  rispondere  : 

—  Noi  non  ne  sappiamo  nulla;  è  giovane  ancora  e  forse 
non  vi  pensa  nemmeno. 

—  Oh  !  si,  oh  !  si  —  riprese  l'altra  —  mi  hanno  detto  anche 
il  nome  della  sposa;  è  ricchissima,  un  matrimonio  di  conve- 
nienza pare;  eh!  il  signor  Pierino  ì>  furbo.  Sa  ben  lai  che  di 
amore  non  si  campa. 

Daria  si  accingeva  a  troncare  bruscamente  il  discorso,  m» 
Matilde  sollevando  la  faccia  pallidissima  e  seria  domandò  : 

—  Non  se  lo  ricorda  questo  nome? 

La  moglie  del  dottore  ci  pensò  un  poco  e  dopo  avome 
sbagliati  due  o  tre  pronunciò  finalmente  un  nome  che  disse  as- 
solutamente essere  quello. 

Mfltilde  non  chiese  altro. 

La  sera  stessa  chiamò  a  parte  la  servetta  e  le  consegnò 
una  lettera  da  mettere  in  posta. 

Nei  giorni  seguenti  nulla  parve  mutato;  ella  continuò  a  la- 
vorare taciturna  e  pensierosa;  solo  a  rari  interyalli  si  poteva 
osservare  che  un  tremito  nervoso  l'agitava  tutta  e  il  pallore 
intenso  delle  sue  guancie,  i  solchi  lividi  dello  occhiaie  dicevano 
che  neppure  nel  sonno  ella  trovava  pace. 


XVII. 

Daria  ti  era  ben  guardata  dal  seguire  il  consiglio  della 
Tatta;  non  aveva  abbandonata  la  caia,  ma  continuava  a  ctor- 
citarvi  la  sua  missione  d'angelo  conciliatore. 

Il  contegno  passivo  di  Matilde  le  lasciava  ana  completa 
libertà  d'asionc.  Apparentemente  le  due  cugino    andavano    dol 

Voi.    XL,  S«rU  II  ->  U  Luflto  ina  M 


306  LA    REOALDINA. 

massimo  accordo,  in  fondo  erano  scisse  da  una  assoluta  diver- 
sità di  carattere  e  dì  condotta,  o  quantunque  n'Sfuna  parola 
venisse  mai  a  far  allusione  al  passato,  Maiildti  sentivi*,  V  infe- 
riorità umiliante  che  la  sua  colpa  le  aveva  creata. 

Terminato  l'inverno,  quando  ai  primi  t(p')ri  d'aprile  la  na- 
tura si  ridestava  e  sulle  sponde  della  Rt'^-ildina  gli  alberi  in- 
verdivano, tappezzando  di  fronde  e  di  tìf»ri  le  ^et•cllie  mura 
della  casa,  Matilde  non  si  moveva  ancora  dil  cantuccio  dove 
aveva  passata,  la  brutta  stagiono,  tutta  cliiu.sa  e  quasi  nascosta 
in  una  sdruscita  vestaglia  come  se  niente  più  le  importasse 
del  mondo. 

A  chi  la  osservava  da  vicino  e  assisteva  a  quel  profondo 
mutamento  faceva  pietà. 

—  Non  ti  vedrò  dunque  più  a  sorridere?  -  le  chiese  un 
giorno  suo  fratello  dopo  aver  tentato  inutilmente  di  richiamare 
la  dì  lei  attenzione  sui  giuochi  della  Lena. 

Ella  strinse  le  labbra  con  una  contrazione  dolorosa  dì  tutto 
il  volto.  Ippolito  soggiunse: 

—  Sei  troppo  giovane  per  chiudere  la  tua  vita  e  porvi  fine. 
Qualunque  sìa  stato  il  passato,  alla  tua  età  e'  è  ancora  un 
avvenire. 

—  Noi  —  disse  Matilde  con  fiera  audacÌD,  —  apparteniamo 
ad  una  medesima  razza  e  quando  abbiamo  scritto  un  nome  in 
fondo  al  cuore  non  c'è  tempo,  ne  potere,  ne  ragione  che  arrivi 
a  cancellarlo. 

Ippolito  arrossì  fino  alla  radice  dei  capelli. 

—  Nemmeno  il  dovere?  —  fece    egli   abbassando   la  voce. 
Matilde  diede  un  gran  sospiro,  si  chiuse  la  faccia  nelle  mani 

e  non  rispose,  restando  così  immobile  quasi  a  far  conoscere 
che  ogni  discorso  era  vano. 

Tutte  le  sere  la  servetta,  inviata  furtivamente  da  Matilde, 
andava  alla  Posta  per  vedere  se  c'erano  lettere;  ma  la  risposta 
attesa  con  tanta  impizienza  tardava  a  venire.  Matilde  si  faceva 
ssmprc  più  triste,  rifiutando  anche  le  carezze  della  sua  bam- 
bina; non  trovava  sollievo  che  in  una  occupazione  continua  e 
febbrile. 

Il  primo  di  maggio  ella  si  ssntl  mollo  male;  discese  a  co- 
lazione ma  poi  tornò  subito  nella  sua  camera. 

—  Come  sono  stanca  —  disse  a  Daria  che  l'assisteva. 
E  si  capiva  che  era  una  stanchezza  d'ogni  cosa. 

Daria  la  confortò,  la  pose  a  letto,  si  diede    a    fare    tacita- 


LA    RSQALDINA.  307 

mente  i  preparativi  per  la  circostanza.    Nella    notte    venne    al 
mondo  un'altra  bambina,  bella  bella,  più  bella  della  Lena. 

—  Ancora  una  femmina!  —  borbottò  Rodolfo. 
Daria,  tra  seria  e  faceta  disse  : 

—  Datti  pace;  i  maschi  non  portano  fortuna  in  casa  Re- 
galdi.  Sarà  meglio  cosi. 

Matilde  stava  benino.  Passò  la  giornata  tranquilla;  sorrise 
a  Daria  che  faceva  dei  complimenti  alla  neonata  chiamandola 
la  bellezza  della  famiglia.  Verso  sera  Daria  preparò  il  velo  li- 
carnato,  l'abito  di  seta  rosa,  la  cuffiettina,  il  nastro  rosa  colla 
medaglia  benedetta,  il  guanciale  guarnito  di  trine  e  tutto  l'occor- 
rente per  il  battesimo  che  si  doveva  fare  alla  mattina  per  tempo. 

—  Ora  non  ti  occorre  nulla?  —  domandò  all'ammalata. 

—  Nulla;  sto  bene. 

—  Allora  vado  a  mettere  in  letto  la  Lena. 

Daria  usci,  e  quasi  subito  comparve  la  servetta  dandosi 
l'aria  importante  di  chi  reca  grandi  notizie.  Si  avricinò  in 
anta  di  piedi  e  consegnò  una  lettera  a  Matilde,  le  cui  pallide 
oancie  avvamparono  di  subitaneo  ardore. 

Vedendo  l'agitazione  della  sua  signora  la  servetta  pensò  che 
aveva  forse  fatto  malo  a  darle  quella  lettera,  ma  era  troppo 
tardi.  Matilde,  ritta  a  sedere  sul  letto,  coU'occhio  in  fiamme  e 
il  petto  ansante  divorava  lo  scritto;  gettò  un  grido  altissimo, 
poi  balzò  a  terra. 

La  ragazza  spaventata  corcò  di  trattenerla. 

—  I  miei  vestili  —  gridò  Matilde  —  dammi  i  vestiti;  devo 
uscire,  devo  andare,  presto,  presto.  Purchò  sia  ancora  in  tempo! 

—  Signora,  per  carità... 

—  I  miei  vestili!  Dammeli.  Questo  matrimonio  non  si  devo 
fare.  Non  voglio!  Non  voglio! 

Matilde  nrmoggiava  collo  braccia  prendendo  e  mettendosi 
addosso  quello  che  lo  capitava  esaltata,  furente. 

La  servetta  vedendo  TinatilitÀ  dello  sue  rimoslranse  o  to- 
TAìwuUt  Jiltt'rrita  perchè  aveva  udito  narrare  di  donno  cui  va 
il  pu'-to  alla  testa  e  diventano  passo,  si  allontanò  in  furia  a 
cercare  aiuto. 

Ma  la  camera  di  Daria  ora  lontana;  nella  sua  confusione 
ella  non  aveva  proso  il  lume,  urtò  parecchio  volto  negli  angoli 
dei  mobili,  rovesciò  sedie,  sbatto  usci  tifchò  giunse  tutta  an- 
sante e  scarmigliata  a  narrare  l'accsduto  a  Daria  e  allora  via 
di  corsa  tutte  e  duo  con  un  batticuore,  uno  sgomento  indicibile. 


308  LA    REGALDINA. 

Entrano  da  Matilde;  la  camera  è  vuota. 
Si  precipitano  sulla  scala;  nessuno. 

—  Matilde,  Matilde! 

Daria  grida  a  perdifiato.  Scende  le  scale  in  un  baleno,  at- 
traversa il  salottino  e  vede  un'  ombra  bianca  che  si  dirige 
verso  la  corte. 

—  E  lei!  Mio  Dio  aiutatela. 

L'ombra  bianca  corre  in  direzione  della  porta;  vi  si  slancia 
sopra,  tenta  aprirla,  percuote  invano. 

—  Matilde,  fermati! 

Ella  non  ode.  Torna  indietro  costeggiando  la  sponda  della 
Regaldina.  Daria  spera  di  raggiungerla;  affretta  il  passo  con- 
tinuando a  chiamarla  per  nome. 

Matilde  finalmente  si  accorge  di  essere  inseguita;  fa  due  o 
tre  balzi,  si  ferma  un  momento,  e  ripigliando  la  corsa  impetuosa 
salta  nel  mezzo  della  gora  dove  l'acqua  era  più  profonda. 

Daria  impietrita  d'orrore  vede  galleggiare  per  pochi  istanti 
il  suo  corpo,  poi  sparire  nelle  onde  cupe. 

Sui  veli  della  neonata  che  portarono  a  battezzare,  un  nastro 
nero  indicava  che  la  poveretta  era  senza  madre. 

Ippolito  e  Daria  rimasero  soli  accanto  a  due  culle. 

Si  sposarono  ?  No.  Erano  troppo  disillusi,  troppo  affranti 
dalla  lotta.  Il  loro  amore  giovanile  pieno  di  ansie  e  di  desideri 
lo  trasfusero  in  una  viva  fiamma  di  carità;  educarono  le  due 
orfanello,  furono  la  provvidenza  di  tutti  qucdli  che  piangono, 
di  tutti  quelli  che  soffrono.  Invecchiarono  insieme  tenendo  ferrai 
gli  occhi  nell'astro  raggiante  ch'era  stato  la  guida  della  loro 
vita,  il  loro  sostegno,  il  loro  conforto  sempre  —  il  dovere. 

Neera. 


LE  CONDIZIONI  MILITARI  DELLA  CINA 


■ 


I. 


Fino  a  pochi  anni  or  sono  la  Cina  era  an  mistero  per  noi. 
Separata  <la  lanrle  interminate,  da  eccelsi  monti,  svolse  la  sua 
civiltà,  chiusa  in  se  metlesima,  sensa  la  vita  rigogliosa  e  forte 
che  viene  dal  contrasto  con  altre  civiltà:  lungo,  difficile  peri- 
glioso era  il  cammino  a  traverso  le  steppe  della  Scythìa;  im- 
possibile il  valico  dei  monti  altissimi  che  servirono  di  culla  al- 
l'umanità; ignota  la  via  di  mare  girando  l'Africa  e  le  Indie.  I 
romani  ebbero  appena  sentore  dell'  immenso  imporo,  il  quale  già 
quindici  secoli  prima  della  fondazione  di  Roma  era  giunto  ad 
un  gradino  elevato  di  incivilimento  e  dalla  Siberia  all' India  spar- 
geva dottrine  morali  mirabilmente  consone  ai  sentimenti  uma- 
nitari moderni. 

lioina,  con  quell'espansione  di  vita,  ohe  proveniva  dalla  si- 
tuazione geografica  e  dall'istituzioni  militari,  si  allargava  in 
Asia,  mentre  la  Cina  per  l'altipiano  di  Pamir  si  spingeva  fino 
jtì  Caspio.  Sotto  Traiano  era  imminente  il  cozzo  dei  due  imperi 
che  si  dividevano  il  mondo;  ma  quasi  paurosi  1' uno  dell'altro, 
r  guardarono  al  tempestoso  Caspio  senza  passarlo.  Roma  si  con- 
tentò vagamento  di  chiamare  Serica  la  regione  donde  veniva 
la  stoffa  preziosissima  che  serviva  a  soddisfarne  il  lusso. 

Mentre  l'Occidente  covava  nel  buio  un  nuovo  ordine  di  cose, 
mentre  l'Islamismo  precipitando  dall'Arabia  preparava  una  nuova 
civiltà,  la  Cina  toccava  l'apogeo  della  sua  potenza  colle  armi, 
coll'iiftruzione  largamente  difTusn,  colle  scoperte  che  più  tardi 
tanto  giovarono  a  noi.  Ricordo  solo  che  l' invenzione  della  stampa 


310  LB   CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA- 

rimonta  al  581  dopo  Cristo.  Allora  i  Cinesi  si  diedero  al  navi- 
gare, favoriti  dalla  conoscenza  della  bussola,  e  visitarono  tutti  i 
porti  del  seno  Gangetico  e  del  Mare  Eritreo  giungendo  fino  al 
Mare  Arabico;  ma  più  tardi  gli  Arabi  li  vinsero  per  ardimento 
e  costanza. 

E  veniva  poi  condensandosi  quella  terribile  burrasca  dei  Mon- 
goli, che  condotti  da  Gengiskan  superarono  (1209)  la  Grande 
Muraglia,  batterono  Cinesi  e  Tongusi,  raserò  al  suolo  città  e  vil- 
laggi e  sulle  sanguinanti  rovine  formarono  un  vastissimo  im- 
pero che  dal  mare  del  Giappone  si  stendeva  al  Mar  Nero,  dal 
centro  della  Siberia  e  della  Russia  europea,al  centro  della  Cina 
e  della  Persia.  Poco  appresso  i  Mongoli  si  assisero  con  Cublai- 
kan  sul  trono  della  Cina;  ma  ne  assorbirono  il  fiaccante  inci- 
vilimento in  guisa  che  un  secolo  appresso  furono  cacciati  dai 
Cinesi. 

Chi  all'Europa  svelò  molti  segreti  della  Cina  fu  Venezia  coi 
suoi  viaggiatori,  sovra  i  quali  Marco  Polo  come  aquila  vola  e 
non  trova  pur  riscontro  fra  gli  esploratori  moderni.  I  Portoghesi, 
tutti  intenti  al  commercio,  quasi  nulla  ci  dissero  dei  loro  viaggi 
nella  Cina  e  delle  loro  relazioni  con  Canton  e  Maccao.  Gli  Inglesi, 
da  prima  poco  fortunati,  vinsero  nel  secolo  scorso  coli' importa- 
zione dell'oppio  e  punto  si  curarono  del  paese  inebetito. 

Invece  gloria  pacifica  italiana  fu  il  missionario  Matteo  Ricci 
di  Macerata,  il  quale  nel  1585  andò  in  Cina  vestito  da  prete 
buddista,  acquistò  grandissima  influenza  ed  estese  d'assai  il 
cristianesimo  conciliandolo  colla  venerazione  a  Confucio  e  col 
culto  degli  avi,  in  appresso  proibiti  dalla  corte  di  Roma;  e,  con 
larghezze  di  idee,  corrispondenti  alla  grandezza  del  cuore,  des- 
crisse le  cose  vedute.  Le  missioni  si  succedettero,  favorite  dalla 
tolleranza  del  governo,  dall'  indifferenza  delle  popolazioni  per  le 
credenze  religiose,  dall'indole  del  cristianesimo,  così  accetto  ai 
Cinesi  e  cosi  conforme  alle  dottrine  di  Confucio,  dal  contegno 
stesso  dei  missionari  in  Cina,  per  forza  di  circostanze  più  acco- 
modanti che  altrove.  * 

Ma  nel  secolo  presente  la  proibizione  dell'oppio  (1838)  trasci- 
nava l'Inghilterra  alla  guerra  del  1840  per  imporre  a  colpi  di 

*  Eaccomando  la  lettura  dell'opera  del  barone  Richthopbn  China,  Er 
gebnisse  eigener  Rtisen,  della  quale  fino  ad  ora  sono  apparsi  tre  magnifici 
volumi,  pubblicati  da  Reimer  a  Berlino.  Dei  primi  due  off're  ai  lettori  italiani 
un  sunto  assai  ben  fatto  il  Prof.  Pokena  nei  Bollettini  della  Società  Geo- 
grafica di  ottobre,  novembre,  dicembre  1882. 


LE  CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA.  311 

fucile  e  di  cannone  il  degradamento  intellettuale  e  morale  agli 
infelici  Cinesi;  i  quali  dovettero  aprire  agli  europei  ed  agli 
americani  oltre  al  porto  di  Canton,  i  porti  di  Araoy,  Fu  cìau, 
Ning-po,  Scanghai  e  cedere  Hong  Kong.  *  Gli  stranieri  furono 
ovunque  assai  cortesemente  accolti  dai  Cinesi,  salvo  dal  viceré 
di  Canton,  col  quale  più  tardi  si  venne  a  conflitto.  Canton  fu 
bombardata  (1856),  e  i  Cinesi  in  risposta  bruciarono  le  fattorie 
europee.  Onde  Francia  ed  Inghilterra,  fatta  causa  comune,  apri- 
rono la  ostilità  contro  la  Cina.  Ma  tutto  si  ridusse  a  qualche 
presa  di  navi  cinesi,  ad  un  altro  bombardamento  di  Canton  ed 
all'occupazione  di  questa  travagliata  città. 

Il  1858  passò  in  trattative  d  plomatiche  :  il  nemico  era  troppo 
lontano  e  difficile  riesciva  lo  afferrarlo.  Tuttavia  si  entrò  colla 
flotta  nel  golfo  di  Pe-ci-li  e  si  occuparono  i  forti  costrutti  a 
guardia  dell'  imboccatura  del  Pe-ho.  Furono  poi  lasciati  in  se- 
guito ad  una  convenzione  che  doveva  essere  ratificata  a  Pechino. 
Ma  gli  ambasciatori,  che  si  presentarono  Tanno  appresso^  tro- 
varono sbarrata  la  via  nello  stesso  posto.  E  la  flotta  inglese  es- 
sendosi messa  a  torre  di  mezzo  gli  ostacoli,  fu  presi  n  colpì  di 
fuoco,  in  guisa  che  dovette  riparare  a  Scanghai. 

Il  prestigio  era  velato  :  bisognava  riprendere  la  rivincila,  e 
la  guerra  fu  decisa  pel  1860. 

Le  potenze  occidentali  avevano  un  terribile  alleato  nell'in- 
surrezione dei  Taiping,  che  si  orano  impadi*oniti  di  Nanchino  e 
l'avevano  da  qualche  anno  fatta  sede  dell'  impero  ribelle.  Di  là, 
lanciando  scorrerie,  mantenevano  largamente  il  loro  dominio 
sulle  popolazioni  avverse  alla  dinastia  regnante  ed  indifferenti 
agli  avvenimenti  esterni.  L'esercito  era  in  parto  disperso,  in 
parte  unito  ai  ribelli:  <utto  era  dissoluzione  e  rovina 

Il  corpo  di  spedizione  francese  contava  circa  7000  uomini  sotto 

gli  ordini  del  generale  M  '  m,  l'inglese  12,000,  in  massima 

parte  soldati  dello  Indie  <  i,  sotto  gli  ordini  del  generale 

Grant    Quasi  tutto  il   materiale  si  dovette  pigliare  in  Oriente. 
^•"^    '  ''     "      luisto  di  cavalli  da  solla  e  da  tiro.  Egual- 

^"  I  tendersi  sul  piano    di    campagna;  essendo 

le  truppe  inglesi  prime  sul  posto  ed  avendo  gli  Inglesi  per  molti 
rÌMpetti  voglia  di  fare  da  so  e  mire  speciali. 

Napoleone  Ili  pose  grandissima  cura  ai  preparati.,   ^.-i   ms 
sicurare  il  servizio  di  sussistenza  «  di    sanità.   Jjn  truppa  fran- 


h  '^'■^  iirrtir  a'^r  mgi.  c'itn    Krteyr»  tti40'4'S.  Leipiig,   Ih46. 


312  LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA. 

cesi  presero  il  mare  verso  la  fine  di  dicembre  1859,  e  facendo 
brevi  soste  a  Teneriffa,  al  Capo  di  Buona  Speranza,  a  Singa- 
pore e  a  Hong-Kong,  giunsero  successivamente  in  maggio  e 
giugno  1860  a  Scanghai  e  poi  al  porto  di  Ci-fu,  presso  l'entrata 
del  golfo  di  Pe-ci-li,  a  difesa  del  quale  la  natura  ha  schierato 
una  serie  dì  isolotti  e  di  bassi  fondi  che  sembrano  sentinelle 
avanzate  della  capitale  verso  il  mar  Griallo. 

Ma  nessuno  pensò  a  resistere.  Liberamente  le  navi  alleate 
mossero  all'imboccatura  del  Pe-ho  e  poco  al  nord  di  essa,  mal- 
grado la  bassezza  del  fondo  e  le  difficoltà  della  riva,  operarono 
tranquillamente  uno  sbarco  decisivo  per  l'esito  della  campagna 
{1*  agosto). 

I  primi  giorni  passano  nel  prendere  piede  sulla  melmosa 
riva:  poi  si  procede  all'attacco  di  un  campo  trincerato  che  non 
può  resistere  alle  armi  europee.  La  difesa  è  stabilita  sulle  due 
rive  del  fiume;  ma  senza  ordine,  senza  sistema,  con  poche  e 
cattive  armi  come  lancie,  archi,  vecchi  arnesi  d'  ogni  maniera 
perfino  cannoni  di  legno.  Grli  inventori  della  polvere,  che  prima 
del  mille  avevano  il  segreto  delle  racchette,  rimasta  la  scienza  e 
r  arte  bambine,  non  hanno  di  meglio  che  le  armi  dei  barbari. 

II  21  agosto  gli  alleati  attaccano  con  due  brigate  una  inglese 
l'altra  francese;  le  cannoniere,  che  rimontano  il  fiume,  battono 
ad  un  tempo  due  poveri  forti.  Alla  sera  il  governatore  della 
provincia  di  Pe-cì-li  mette  basso  le  armi  cedendo  quattro  forti, 
500  cannoni  e  la  via  di  Pechino  ;  1000  Tartari  giacciono  sul 
campo,  mentre  200  Francesi  e  250  Inglesi  sono  fuori  di  com- 
battimento. 

I  Cinesi  fuggono  ai  monti.  Tutto  sorride  al  vincitore:  e 
mentre  in  alcuni  punti  della  costa  intere  famiglie  si  avvelenano 
per  non  subire  le  vergogne  ed  il  danno  dell'invasione  straniera, 
molti  indigeni,  tristissimo  contrasto  che  pur  troppo  si  nota  fra 
quella  popolazione  rammollita  da  una  fiacca  civiltà  ed  invilita 
dall'ansie  del  guadagno,  vengono  ai  campi  europei  a  fare  mer- 
cato d'ogni  cosa. 

I  soldati,  piccoli  e  deboli  di  costituzione,  avevano  mostrato 
risolutezza  e  coraggio  :  parecchi  piuttosto  di  sopravvivere  alla 
disfatta,  colle  cattive  sciabole  che  portavano  a  lato,  in  vista  del 
campo  nemico,  s'erano  aperto  il  ventre.  Ma  l'indecisione  del  go- 
verno, le  discordie  dei  capi,  la  sorpresa,  il  crollo  morale  che  suole 
tener  dietro  alla  disfatta,  avevano  paralizzato  ogni  resistenza. 

Una  grande  strada    selciata  con    grosse  pietre,  somigliante 


'le   condizioni   militari   della    CINA.  313 

alle  antiche  vie  romane,  reliquia  quasi  abbandonata  della  ma- 
gnificenza antica,  congiunge  la  città  di  Tien-sin  (400,000  abi- 
tanti) alla  capitale.  Bisogna  procedere  lentissimamente.  La  base 
di  operazione  è  incerta,  il  paese  povero  d' acqua,  varie  e  con- 
traddittorie le  notizie  del  nemico.  Il  settembre  avanza  e  i  Cinesi 
mostrano  velleità  di  resistenza  in  una  località  detta  Palikao  dinanzi 
al  ponte  del  canale,  che  congiunge  il  fiume  Pe-ho  alla  capitale. 

Infatti  sono  colà  in  grande  numero  schierati  a  macello.  Si 
avanzano  all'  attacco  con  spensieratezza  e  slancio.  Ma  sono 
respinti  dall'artiglieria,  che  poi  si  volge  contro  i  villaggi  e  ne 
abbatte  le  povere  case.  Inutile  seguire  le  fasi  del  combattimento, 
tanto  più  che  abbiamo  relazione  di  soli  europei.  Alla  sera  del 
21  settembre  :  u  tutti  i  cavalieri  si  ardenti  il  mattino  n  (dice  la 
relazione  del  generale  Montauban)  a  erano  scomparsi.  Sovra  il 
ponte,  monumento  grandioso  di  una  invecchiata  civilizzazione, 
i  fanti  riccamente  vestiti,  agitavano  gli  stendardi  e  risponde- 
vano allo  scoperto  con  tiri  fortunatamente  impotenti,  al  fuoco 
dei  nostri  pezzi  e  delle  nostre  moschetterìe.  Era  il  fiore  dell'eser- 
cito che  si  sacrificava    per    coprire  una    ritirata  precipitosa.  » 

La  vittoria  non  può  essere  dubbia.  Il  massacro  ,è  completo  : 
il  ponte  preso,  la  via  di  Pechino  aperta.  Pure  prudenza  esige 
d'aspettare  rinforzi,  con  i  quali  il  5  ottobre  si  riprende  la  marcia. 
II  7,  senza  contrasto,  si  piglia  possesso  dello  ville  imperiali  fuori 
di  città  occupanti  una  superficie  di  15  chilometri.  Nessuno  aveva 
pensato  di  toglierne  le  ricchezze;  gli  dei  d'oro  e  d'argento, 
divengono  gradito  bottino  ad  ufiìciali  e  soldati  cui  la  marcia 
ha  costato  meno  fatica  di  una  grande  manovra  in  Europa.  Lo 
ville  furono  poi  bruciate  per  rappresaglia  dagli  Inglesi  ed  an- 
cora ii(\<;i»o  mostrano  al  viaggiatore  le  miserande  rovine. 

Il  17,  giunti  altri  rinforzi,  Io  batterie  d'assedio  si  sUibilÌHCono 
a  (30  metri  dalla  città;  ma  più  por  terroriizarla,  bombardandola, 
che  per  vincerne  la  resistenza.  Oli  Europei  hanno  Terso  i  popoli 
deboli  il  costume  di  imporre  loro  il  sentimento  della  inferiorità 
colla  distruzione  e  colla  morte.  Le  armi  della  civiltà  servono 
a  dominare  colla  barbarie  e  ad  Ingrandire  il  prestigio  dei  soldati 
europei^  in  modo  che  pochi  bastino  a  tenere  in  rispetto  interi 
regni.  È  il  tristo  destino  dell' umanità:  le  conquiste  della  civi- 
lizzazione hanno  per  base  monti  di  cadaveri. 

Povera  Ci«a!  Pechino  ò  salvato  dall'incendio  con  pronte  trat- 
tative di  pace  che  obbligano  a  dare  60  milioni  di  lire  ni  Fran- 
cesi, il    doppio    agli  Inglesi,  oltre   il  già  dato,   e  ad    .npriro    al 


314  LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA. 

commercio  europeo  la  città  di  Tien-sin  sulle  rive  del  Pc-ho, 
a  100  chilometri  da  Pechino,  la  base  di  operazione  migliore 
contro  il  centro  della  vita  cinese.  ' 


II. 

Dagli  eccelsi  Himalaia,  dall'altipiano  di  Pamir,  tetto  del 
mondo,  cui  lentamente  degradando  s'allacciano  i  Monti  Celesti 
e  gli  Aitai,  al  mare  Cinese  contornato  di  isole,  si  stende  l'im- 
menso impero  sopra  uno  spazio  che  è  la  33"  parte  della  terra 
ferma  e  la  cui  popolazione  è  quasi  un  terzo  dell'  umanità.  A 
mezzo  giorno,  la  catena  dell'Himalaia  coi  suoi  eterni  ghiacciai 
lo  isola  dall' Indostan  e  lo  separa  dall'Indocina;  a  settentrione 
i  monti  Saiani  e  l'Amur  lo  separano  dalla  Siberia  ;  dal  .52°  pa- 
rallelo, che  nel  suo  prolungamento  ad  occidente  passa  a  tra- 
verso la  Polonia,  la  Prussia,  l'Olanda,  giunge  al  20°  che  segna 
a  metà  i  deserti  di  Nubia  ed  il  Sahara.  Che  varietà  di  climi, 
di  prodotti,  di  popolazione  in  questo  spazio  coprente  circa  due 
milioni  dì  chilometri  quadrat'  più  dell'Europa! 

Ma  è  d'uopo  distinguere  fra  la  Cina  propria  ovvero  politica 
e  gli  Stati  dipendenti  ovvero  annessi.  La  prima  si  adagia  al 
mare  ed  è  percorsa  dai  grandi  fiumi  ;  è  la  Cina  della  Muraglia, 
della  fittissima  popolazione,  della  vecchia  civiltà,  dalle  larghe 
credenze  religiose;  i  secondi  sono  vastissimi  paesi  che  la  circon- 
dano, che  la  coprono,  che  formando  intorno  ad  essa  un  semi- 
cerchio, la  dividono  da  tutto  il  rimanente  dell'Asia. 

La  Cina  propria,  secondo  gli  ultimi  dati,  *  comprende  una 
superficie  di  4,024,690  chil.  con  350,000,000  di  abitanti,  vale  a 
dire  nutre  una  popolazione  d'alquanto  superiore  a  quella  del- 
l' Europa  sopra  uno  spazio  minore  della  metà.  In  alcune  Provin- 
cie, come  nel  Kiang-su,  è  fitta  il  doppio  che  nel  Belgio  (il  paese 
a  popolazione  più  fitta  d' Europa)  nutrendo  364  abitanti  per 
chil.  quadrato,  mentre  il  Belgio  ne  nutre  188.  Delle  18  pro- 
vinole che  compongono  la  Cina  politica,  l' Italia  per  fittezza  di 
popolazione  sarebbe  l'ottava.  Unisco  qui  in  calce  una  tavoletta 
statistica  dei  dati  ora  più  accettati,  quantunque  debbano  essere 

'  Gli  avvenimenti  di  questa  guerra  sono  raccontati  da  parte  dei  Fran- 
cesi dal  Dépót  de  la  guerre,  e  dallo  storiografo  delle  guerre  di  Napoleone  HI. 
Bazancoort.  (ParÌ8-1862)  da  parte  degli  Inglesi  da  Wosei.ey  (London  1862). 

*  Bbhm  und  Wagner  Die  Dew'ólkerang  der  Erde-Gotha,  1882,. 


LE   CONDIZIONI   MILITARI   DELLA    CINA. 


315^ 


ben  lontani  dal  ritenersi  esatti  in  tanta  contraddizione  di  studi.  * 
Sono  gli  ultimi  ;  sono  battezzati  dai  periodici  classici,  è,  quel 
che  è  curioso ,  combinano  quasi  perfettamente  con  quelli  che 
ci  ha  dato  Marco  Polo,  quando  sei  secoli  or  sono  in  Europa  si 
conosceva  appena  di  nome  la  Cina. 

Che  formicolio  di  esseri  viventi  accatastati  in  immense  cìttà^ 
accovacciati  in  tuguri,  o  sparsf  in  interminabili  villaggi,  sopra 
flottiglie  galleggianti  o  nelle  caverne  dei  monti,  sopra  palafitte 
come  i  popoli  preistorici,  o  sotto  tende  erranti  pei  piani  ster- 
minati ! 

Colà  si  moltiplica  a  dismisura.  L'amore  che  sorride  ai  più 
miserabili;  i  costumi  facili  si,  ma  non  degradati  da  innaturali 
lascivie;  i  legami  di  famiglia  più  che  altrove  rispettati;  la  fe- 
racità del  suolo;  la  stessa    parsimonia    ed,    in    certe   classi,  la 

promiscuità    dei    sessi tutto    contribuisce    alla    meravigliosa 

prolificazione,  a  petto  della  quale  le  condizioni  di  Europa  fanno 
erollare  tristamente  il  capo. 


ProTlael* 

Okll. 

^"»»-«    1ilL%dr. 

Pe-cìli 

148,3,57 

23,030,000 

1S9 

8cian-tunfr 

^r^  '■■<> 

?•'  '   ■•ojo 

20S 

Sci:in-9Ì  .     . 

■UH) 

82 

Ho-nan  .     . 

1  7  i..i.'ii; 

i.'.i.ip«»,oO) 

138 

Kiang-sn 

1()3.9>9 

37,Si)(»,000 

861 

N^an-huei  .     . 

IHO.Ùh 

34.A)(VX)0 

245 

KiHng-8Ì      .     . 

177,<>5(J 

23,000,000 

129 

Fukien  coll'isolu 

1/M.M7 

> 

Formosa 

.■;•^,■^M.■i 

5  14,800,0J0 

94 

Ce-Kiang    . 

'.  .    ;.  ; 

H  vwinoo 

88 

Ifii-pei    . 

I  .    '      ! 

,'KJO 

152 

Honan    . 

NX) 

87 

Scen-S!  . 

ni) 

48 

Kan  su  .     . 

i77 

U 

Se  Cicuan 

HJO 

73 

Kuan^-tung  coli'  inola. 
H«i  nari 

,  l:',A'U,0<K) 

71 

Kuang-Hi 

7.1100.000 

86 

Yàn-nau 

..i  .1'.  ' 

'•.'.1  i.tHK) 

18 

K«U-scea    . 

l..,->... 

.»,»'>' V'OO 

81 

Total»  Cìim  ; 

4,024^090 

860,000,000 

87 

MHnrìiiria  . 

iM8,S80 

12,000,000 

12 

Mongolia 

■'•*77.283 

2,«i00,000 

0.6 

Tibet      . 

r.»*!» 

6,0Oi),UOO 

8,6 

Di:ingarìa  ... 

..  j.aoo 

iioo.000 

13 

Tarcbeatan  oricntaln 

l,ll»,713 

580,000 

0.5 

Total»  Stati  loggetti 

7,631,074 

81.180,000 

8 

lapcto  cia«M  (aenu  Korea;   . 

n,55&,764 

871,200,000 

82 

316  LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA. 

Sacharoff,  un  russo  che  ha  potuto  leggere  nei  libri  di  sta- 
tistica cincso  ed  ha  fatto  il  più  diligente  lavoro  in  argomento 
che  si  conosca,  ed  il  più  sicuro,  sebbene  rimonti  a  parecchi 
anni  addietro,  '  crede  che  dal  1749  al  1812  la  popolazione  della 
China  sia  cresciuta  di  184,000,000  di  abitanti.  Ma  terribili  bur- 
rasche attraversano  quel  paese  e  tratto  tratto  spazzano  via  le 
esuberanze.  Si  vuole  che  la  ribellione  dei  Taiping  abbia  co- 
stato 40  milioni  di  vittime  umane.  Nelle  provincie  più  prospere 
ancora  oggi  si  vedono  i  segni  di  desolazione  :  città  ridotte  a 
mucchi  di  macerie,  campi  deserti  in  una  regione  dove  a  stento 
solevasi  trovare  ricovero.  Dal  1812  in  poi  v'è  chi  calcola,  così 
air  ingrosso,  per  guerre  e  fame  oltre  60,000,000  di  vittime.  Ma 
non  può  essere  mancato  un  corrispondente  aumento;  sicché, 
malgrado  le  asserzioni  di  Kaltbrunner  e  di  altri,  i  quali  to- 
glierebbero alla  Cina  un  100  milioni  di  abitanti  o  giù  di  li, 
tutto  pesato,  studiato  e  vagliato  dalla  critica  tedesca,  bisogna 
ancora  tornare  al  viaggiatore  veneziano  e  conchiudere  che  mal- 
grado la  fecondità  delle  donne  cinesi,  la  natura  coi  suoi  flagelli 
gli  uomini  colle  loro  guerre,  hanno  mantenuto  un  certo  equi- 
librio. 

Del  rimanente  l'equilibrio  si  mantiene  ora  più  che  mai  col- 
l'emigrazione,  che  ha  destato  timori  seri  negli  Stati-Uniti,  i  quali 
hanno  dovuto  ricorrere  a  leggi  proibitive  contro  quel  popolo  di 
lavoratori.  La  prolifica  razza  ci  richiama  alla  memoria  i  tempi 
appena  rischiarali  dai  primi  albori  della  storia,  quando  proprio 
in  mezzo  all'ombelico  dell'Asia,  i  popoli  crescevano  a  dismisura 
e  si  riversavano  o  pacifici,  o  colle  lancìe  in  resta  sulla  groppa 
dei  loro  cavalli,  a  conquistare  il  vecchio  mondo. 

Ed  ora  i  Cinesi  pare  vogliano  conquistare  l'antico  e  il  nuovo 
mondo  col  lavoro  e  col  risparmio.  Le  coste  delle  Indie  sono  invase. 
Da  Maccao  si  spargono  per  le  due  Americhe,  nell'  Oceania,  in 
Africa  e  già  nell'  Egitto  hanno  pure  toccato  il  Mediterraneo. 
Nessuno  può  far  loro  concorrenza  perchè  nessuno  sa  vivere 
così  parcamente,  nessuno  dura  tanto  alla  fatica.  Incredibilmente 
basso  è  il  prezzo  di  questi  nuovi  Negri,  i  quali  nei  contratti 
pongono  sempre  la  clausola  di  essere  riportati  morti  alla  patria  ; 
sicché  molte  navi  ritornano  periodicamente  in  Cina  col  triste 
carico  di  cadaveri. 


'   Arbeitm  der  K.  ruasiachen    Geaandtschaft  zo  Peking   iiòer  China.  — 
IBerlin  1858. 


LE   CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA.  317 

Intorno  intomo  alla  Cina  propria,  sopra  uno  spazio  quasi 
doppio  della  medesima,  vivono  21,000,000  di  abitanti,  sogf^etti 
al  Celeste  impero,  sparsi  fra  monti  e  steppe.  E  una  zona  diffi- 
cilmente penetrabile  agli  eserciti,  che  protegge  la  Cina,  verso 
terra,  dagli  attacchi  della  Russia  pel  Turchestan  e  la  Siberia, 
e  dagli  attacchi  dell'Inghilterra  per  l'India. 

Cominciando  da  Oriente  abbiamo  li  Manciuria,  cui  segue 
la  triste  Mongolia,  traversata  dal  grande  deserto  di  Gobi.  L* 
Manciuria  costituisce  il  punto  debole  della  Cina  verso  la  Russia 
perchè  quivi  la  provincia  russa  dell'Amur  pili  6Ì  avvicina  alla 
frontiera  della  Cina;  perchè  la  città  di  Blagowiesch  suH'Amur, 
sede  di  guarnigione  relativamente  importante,  offre  una  discreta 
base  di  operazione,  potendosi  ivi  agevolm(nte  riunire  i  presidi 
dello  Zabaikal  ed  i  soccorsi  da  mare  pel  porto  russo  di  Wal- 
diwostok  nel  mare  del  Giappone,  sulle  frontiere  della  penisola 
di  Korca,  vassalla  alla  Cina.  Il  terreno  in  Manciuria,  sebbene 
montuoso  e  qua  e  là  deserto,  non  è  difficile  a  percorrerei  da 
truppe  siberiane  le  quali  abbracciAno  colte  loro  stazioni  proprio 
il  paese  di  fronte  e  di  fianco.  Pechino,  obbiettivo  di  ogni  serio 
attacco  contro  il  Celeste  Impero,  è  relativamente  vicina  alle 
frontiere  di  Manciuria  e  vicina  al  mare.  Onde  le  operazioni  dì 
terra  potrebbero  essere  agevolate  da  attacchi  di  mare,  cui  baso 
di  operazione  sarebbe  il  porto  di  Waldiwostok,  che  pel  passo  dì 
Korea  trovasi  in  diretta  comunicazione  col  mar  GìaIIo. 

Nel  1870  la  Russia,  nel  suo  progressivo  allargarsi  e  spingersi 
verso  la  frontiera  dell'India,  aveva  rimontato  dal  Turchestan  la 
valle  dell'Ili  sul  versante  settentrionale  dei  Monti  Celesti  e  si 
ora  annessa  la  città  di  Culdscha,  punto  di  qualche  rilievo  per 
tonerò  in  rispetto  la  provincia  asiatica  del  Scmiriotscon.  Ma 
allora  i  Cinesi  erano  molto  occupati  contro  Jnkub-bcg,  signore 
dr;l  Turchestan  orientale,  il  quale,  sebbene  battuto  in  parecchi 
scontri,  av<;va  dato  assai  noia  alla  Cina  fino  a  tanto  che  nel 
1878  i  generali  cinesi  poterono  far  sventolare  in  tutta  la  Casga- 
ria  lo  Htondardo  d*l  celaste  impero. 

Ma  altro  affare  era  cacciare  i  Kassi  dal  territorio  di  Culdscha^ 
dove  stavano  a  loro  agio  contentando  puro  lo  popolazioni  l)un- 
gano  asRisc  fra  Mongolia  e  Siberia. 

A  Pechino,  vista  la  lontananza  dal  teatro  di  operazione,  le 
gravi  difficoltà  dell'attacco  a  traverso  ahi  monti  contro  un  eser- 
cito fortemente  Mtabilito  ed  i  gravi  pericoli  minaccianti  d  ill'Amur, 
si  cercò  di  girare  la  posisione  e  fu  inviato  un  ambasciatore  a 


318  LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA. 

Pietroburgo  per  combinare  la  recessione  della  valle  d(;li'Ili, 
grande  p'ù  assai  della  valle  del  Po  colla  Svizzera  per  giunta. 
La  Russia,  che  sa  trattare  a  modo  le  cose  di  Asia,  si  mostrò 
•cortese  e  promise  di  cedere  porzione  del  territorio  superiore, 
pure  di  avere  in  compenso  5  milioni  di  rubli,  parecchi  vantaggi 
commerciali  ed  un  console  residente.  II  povero  ambasciatore 
tornò  a  Pechino  riferendo  intorno  alle  condizioni  ottenute;  l3 
quali  piacquero  tanto  poco  che  egli  dovette  segarsi  il  ventre  e 
le  trattative  furono  interrotte. 

Tuttavia  né  alla  Russia  né  alla  Cina  garbava  la  guerra; 
non  alla  prima  per  non  tirarsi  sul  fianco  sinistro  del  auo  lento 
avanzare  verso  il  mezzogiorno  uno  sterminato  popolo  come  il 
cinese,  il  cai  esercito,  quantunque  male  in  arnese  e  poco  atto 
all'offensiva,  pure  nella  difensiva  aveva  come  alleati  formidabili 
le  sorgenti  inesauribili  di  uomini,  le  enormi  distanze,  le  diffi- 
coltà delle  comunicazioni  e  la  stoica  indifferenza  degli  abitanti 
per  le  fatiche,  per  le  privazioni  e  per  la  morte  ;  non  alla  Cina 
per  le  ragioni  già  dette  e  per  la  prostrazione  nella  quale  si 
trovava  in  seguito  alle  guerre  ed  alle  rivoluzioni  che  da  trenta 
anni  non  le  lasciano  tregua. 

Onde  il  16  agosto  1881  si  firmò  una  convenzione  per  la 
quale  la  città  di  Caldscha  ed  il  corso  supariore  dell'Ili  veni- 
vano restituite  alla  Cina,  rimanendo  pur  sampre  alla  Russia  una 
larga  zona  del  territorio  arbitrariamente  occupata  ed  un  inde- 
nizzo  di  9  milioni  di  rubli  per  le  spese  militari  dell'  occupa- 
zione di  Culdscha.  Da  canto  suo  la  Cina  cedeva  un  tratto  di 
«territorio  suU'  Irtisch  nero,  dipendenza  meridionale  dei  grandi 
Aitai,  Ambi  i  territori  appartengono  alla  Diungiria. 

Ora  la  Russia  è  in  pienissimo  accordo  col  Celeste  Impero; 
ne  le  conviene  di  guastarsi  per  nessun  conto  perchè  le  forze 
della  Cina  aumentano  di  assai,  specie  nel  Turchestan  pacificato, 
dove  si  può  stabilire  una  buona  base  di  operazione  e  dove  dal 
1870  fino  agli  ultimi  avvenimenti  sono  rivolti  l'attenzione  e  le 
'Cure  dei  generali  cinesi. 

Dopo  la  Manciuria  e  la  Mongolia  viene,  quale  terzo  stato 
soggetto  alla  Cina,  la  Diungaria,  li  qunle  col  trattato  del  1881 
ha  avuto  un  arrotondamento  di  59,925  kilom.  q.  con  circa  70,000 
abitanti. 

Al  sud  della  Diungaria  e  dei  monti  Celesti  largamente  si 
stende  il  Turchestan  orientale,  il  cui  centro  ò  occupato  dui 
'deserto  di  Gobi,  regione  chiusa,  nella  quale  le  acque  si  river- 


LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA   CINA.  319 

sano,  e  vengono  assorbite,  dalla  periferia  al  centro,  abitato  da 
popoli  nomadi  e  pastori.  È  il  bacino  <l<  1  Tarim,  la  culla  dei 
Cinesi,  vicino  alla  culla  degli  Sciti  e  de  ;1;  Ari,  quasi  in  vista  al- 
l'altipiano di  Pamir,  la  culla  deiruiuaiiirà. 

Il  Turchestan  orientale  è  separato  per  mezzo  della  catena 
dei  Kun  Lun  dal  quinto  Stato  soggetto  alla  Cina,  cioè  dal  Tibet, 
dove  hanno  sorgente  gli  immensi  fiumi  della  Cina  e  dell'India, 
intorno  al  quale,  malgrado  molti  e  recenti  studi  e  scoperte,  si 
curvano  tanti  punti  di  interrogazione  e  dentro  al  quale  il  vuoto 
delle  carte  indica  le  p?no3e  incertezze  della  geograBa. 

A  questi  Stati  soggetti  qualcuno  aggiunge  il  regno  di  Korca, 
costituito  dalla  montuosa  penisola  che  dalla  Manciurìa  si  lancia 
verso  il  Giappone.  Il  re  di  nome  è  vassallo  cosi  alla  Cina  come 
al  Giappone;  ma  di  fatto  governa  dispoticamente  i  suoi  10  o 
12,000,000  di  sudditi  e  mantiene  un  esercito  relativamente  ben 
ordinato  e  disciplinato,  che  quando  fosse  alleato  alla  Cina  potrebbe 
renderle  servizio,  imperocché  la  penisola  di  Korea  domina  dai 
suoi  porti  e  dalle  sue  innumerevoli  isole  il  mare  Giallo.  Il 
paese  è  chiuso  agli  Europei.  Nel  1866  il  cattolioismo  fu  soffo- 
calo nel  sangue,  onde  i  Francesi  sbarcati,  pigliarono  e  distrus- 
sero la  piccola  città  di  Kamphoa;  ma  dovettero  poi  abbando- 
narla, senza  aver  ricevuto  soddisfazione  di  sorta. 


111. 

La  Cina,  n  Ila  espansione  della  sua  vita  in  tanti  secoli  di 
storia,  si  è  venuta  formando,  verso  il  sud,  alcuni  Slati  tributari 
di  fatto,  di  tradirono  ovvero  soltanto  di  nome:  e  touo  il  Nópal, 
la  Birmania,  il  regno  di  Siam,  il  ro^o  di  Annam. 

11  N/jpal  è  la  reliquia  dì  un  impero  caocÌAto  dalla  Compa- 
gnia dell*}  Indio  colle  vittorie  dv\  1816  dalle  rive  dorato  del 
n  gli  altissimi  Himalaja,  che  quivi  coli' Kvercrst,  col  Da- 

,;     ,  ci)l  Cincin-Ingtt  superano  le  più  elevato  cimo  del  globo. 

Il  paese  in  media  ò  un  altipiano  a  5  o  600D  piedi,  Rp'endidn 
per  vegetazione  e  per  vita  animale,  dove  fra  i  magnifici  boiohi 
li;  0  nello  valli  profondo,  sulto  quili  si  lanciano  i  vergini  ghiaci'iii, 
vivono,  oltre  tutti  gli  animali  dei  climi  nostri,  elefanti,  li^ri,  leo- 
pardi, rinoceronti  in  un  clima  dolce  quanto  quello  d'Italia.  Il 
Uiji  di  Nepal  reggo  di  despota  sopra  i  suoi  2,5  XJ,ODO  abitanti  ; 
ma  ogni    cinque    anni    invia    a   Pochino   un  tributo   in  atto  di 


320  LE   CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA. 

sorameBsìone,  e  deve  pigliarsi  in  santa  pace  un  residente  inglese 
con  una  compagnia  di  soldati.  E  un  avvertimento  ben  tristo 
dell'avvenire  che  gli  spetta,  perchè  gli  Inglesi  sono  potenti  e 
male  tollerano  uno  Stato  che  può  servire  di  focolare,  di  base  o 
di  rifugio  alle  insurrezioni  indiane. 

La  Birmania,  lungo  le  sponde  dell' Iravadi  si  stende  fin  quasi 
al  golfo  del  Bengala,  dal  quale,  con  grave  danno  suo,  è  sepa- 
rata ed  avvolta  dalla  Birmania  inglese.  E  dolce  di  clima,  ferace 
di  suolo ,  ricca  per  miniere  d'  ogni  natura  e  per  sabbie  d'  oro 
e  pietre  rare  condotte  dai  fiumi.  Un  porto  sul  mare  la  rende- 
rebbe utilissima  al  commercio  europeo.  Ma  gli  Inglesi  gelosa- 
mente la  custodiscono;  onde,  impauriti  i  Birmani,  ordinano  ed 
armano  le  loro  truppe,  cercano  costrurre  fortificazioni  e  si  vol- 
gono alla  Cina  come  tutrice  naturale  del  paese  loro. 

La  Birmania,  che  conta  4,000,000  di  abitanti  largamente 
disseminati  sopra  un  territorio  grande  quanto  la  Spagna,  co- 
munica colla  Cina  mediante  i  suoi  fiumi  che  scorrono  l' Indo- 
Cina.  Onde  per  essi  si  potrebbe  esercitare  influenza  commer- 
ciale e  militare  sulla  provincia  cinese  del  Yun-nan,  ricchis- 
sima a  metalli,  e  comunicante  per  mezzo  del  fiume  Si-kiang  col 
triangolo  commerciale  costituito  da  Maccao,  Canton  e  Hon- 
Kong.  E  una  grande  tentazione  davvero  per  l' impero  Anglo- 
Indiano  ! 

Il  regno  di  Siam,  lungo  la  valle  del  Cambodja  si  stende  fino 
alla  base  della  penisola  di  Malacca,  più  caldo,  più  vasto,  men 
coltivato  e  fruttifero,  della  Birmania.  Nutre  5,700,000  abitanti 
sopra  un  territorio  vasto  due  volte  e  mezzo  l' Italia.  Ha  due 
re,  uno  dei  quali  impera ,  1'  altro  è  circondato  dalle  cerimonie 
più  umilianti  per  1'  umanità.  Anche  Siam  ora  arma  e  si  ac- 
costa alla  Cina  perchè  teme  dei  Francesi  stabiliti  in  Cocin- 
cina, i  quali  ne  dominano  il  golfo,  occupano  la  parte  inferiore 
del  fiume  Cambodja  e  ne  minacciano  la  capitale  colle  ricche 
isole  della  costa. 

Ma  i  Francesi  più  minacciano  l'altro  stato  tributario  alla 
Cina,  l' impero  d'Annam,  che  pure  confina  colla  Cocincina  e  del 
quale  fa  parte  integrale  il  Ton-kin  o  Tonchino,  prossimo  alla  fron- 
tiera cinese  ed  ora  scintilla  che  può  fare  scoppiare  l'incendio 
fra  la  Cina  e  l'Europa. 

Il  regno  di  Annam  descrive  una  immensa  S  intorno  alla 
costa  orientale  dell'Indo-Cina,  abbracciando  colla  curva  superiore, 
che  sì  salda  alla  Cina,  l'ampio  golfo  di  Ton-kin  e  girando  colla 


LE   CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA.  321 

curva  inferiore,  alla  cui  estremità  trovasi  la  Cocincina  fran- 
cese, nel  mare  della  Cina  meridionale. 

Una  lunga  catena  di  monti  paralleli  alla  costa  lo  accompagna 
in  tutto  il  suo  sviluppo  dalla  frontiera  cinese  fino  alle  colline 
dominati  Saigon,  la  capitale  della  Cocincina  francese,  la  base 
di  operazione  della  flotta  francese  contro  le  coste  annamite  e 
specialmente  contro  il  Ton-kin. 

Gli  abitanti  appartengono  al  gruppo  dei  popoli  indocinesi, 
adorano  Buddab  e  la  classe  colta  venera  Confucio.  Notevoli  sono 
i  loro  traffici  colla  Cina,  favoriti  dalla  natura  della  costa  pon- 
tuosa  e  solcata  da  fiumi  fino  ad  un  certo  punto  navigabili,  dai 
bisogni  dei  10,000,000  di  abitanti,  dallo  spirito  commerciale  dei 
Cinesi,  dal  fertile  suolo,  dalle  ricchezze  celate  nei  monti.  Tutto 
vi  è  alla  cinese  :  sistema  di  governo,  istruzione  nelle  scuole,  pesì^ 
monete  e  misure,  ordinamento  militare. 

L'esercito  conta  per  la  guerra  circa  100,000  uomini  ;  la  flotta 
qualche  centinaio  di  battelli.  Ma  queste  forze  non  hanno  impe- 
dito alla  Francia  nel  1862  di  estendere  la  suprema  signoria  sul 
territorio  di  Cambodja  e  su  parte  della  Cocincina,  e  non  ha  im- 
pedito recentemente  l'occupazione  di  Ha-noi 

La  Francia  da  Saigon  si  vede  cinta  tutta  intorno  da  coionio 
inglesi  ed  olandesi,  che  sono  guardate  a  dovero  da  pochissimo 
truppe,  che  sono  visitate  dal  commercio  mondiale,  che  prospe- 
rano e  che  inviano  alla  madre  patria  grandi  ricchezze.  E  là 
in  quei  mari,  tanto  frequentati,  vede  i  suoi  possedimenti  ristretti 
ad  una  punta  di  territorio,  mal  compensante  i  fastidi  e  le  spese. 

La  politica  coloniale  la  invita  con  tutte  lo  sue  seduzioni  ad 
intraprese,  che  in  altri  tempi,  con  altri  popoli  e  con  altri  in- 
tendimenti, condussero  all'odierna  prosperità  lo  nazioni  coloniali 
europeo;  ma  ora,  colle  diffi<lenzo  create  e  col  sistema  di  sfrut- 
tare indigeni  e  suolo,  conducono  a  contraati  ed  a  lotto  peri- 
colose. 

Niente  di  più  bello  e  di  più  utile  che  occupare  il  Ton-kin. 
E  paese  assai  fertile  chn,  giungendo  a  monti  rÌccliÌ8HÌmi  di  me- 
talli, raccoglie  i  traffici  della  Cina,  che  tocca  allo  frontiere  dello 
Siam  e  della  Birmania,  che  offre  facili  approdi,  che  ò  solcato 
da  un  fiume  navigabile,  '  che  abbraccia  infine  un  golfo  stupendo, 

*  V«gi;s«i  la  cjirtiria  rRrenti»8Ìinatnoiito  pubblicata  a  Parigi  par  Hikri 
Maokb.  —  Carle  dt  Tongking  dmtér  d'apri*  lf$  U  levi$  et  U§  doimmenU  U» 
plut  rfrmU.  Il  fiomo  Honnn  t)  scf^iiato  Darigabile  sin  oltre  alU  frontiera  eU 
nese,  e  intomo  intorno  si  accavalcano  •accessiramente  miniere  di  rame,  di 

Tot..  XL,  S«rW  II  -.  1»  Lar'io  IWI.  ti 


322  LE   CONDIZIONI  MILITARI  DELLA   CINA. 

protetto  da  una  penisola  e  da  un'  isola  cinese,  prede  assai  pro- 
babile negli  avvenimenti  futuri.  E  là,  rimpetto  alle  Filippine, 
a  mezza  via  tra  Saigon  e  Hong-kong,  dove  sulle  carte  mon- 
diali un  fascio  di  linee  segna  la  rotta  dei  piroscafi  che  perio- 
dicamente si  recano  alla  Cina  ed  al  Giappone.  Quante  combi- 
nazioni fruttifere,  quanti  guadagni,  che  vasto  campo  di  specu- 
lazioni, che  carriera  alla  fervida  immaginazione  degli  affaristi! 

Ma  nell'occupazione  di  un  paese,  le  vie  di  mezzo  conducono 
raramente  allo  scopo.  0  bisogna  vincere  accarezzando,  o  debel- 
lando. Gli  interessi  materiali,  il  prestigio  morale,  l'indipendenza 
conservata,  gli  usi  rispettati...  possono  indurre  popolazioni  sner- 
vale ovvero  selvaggie  a  tollerare  in  pace  l'ingerenza  straniera: 
sovratutto  in  ciò  sovrana  è  la  lunga  consuetudine.  Ma  ci  vo- 
gliono riguardi  infiniti,  calma,  prudenza,  pazienza  nello  aspet- 
tare. Non  è  questa  la  via  abituale  ai  Francesi  ;  e  d'altro  lato 
forse  pochissimo  avrebbe  giovato  su  questi  lidi,  dove  i  carat- 
teri sono  mobili  assai  e  dove  la  difiidenza  ai  Francesi  è  tenuta 
viva  dall'occupazione  della  Cocincina. 

Rimaneva  la  via  della  forza  ;  ma  all'uopo  bisognava  agire 
energicamente;  inviare  navi  e  truppe  da  sgominare  gli  indigeni 
e  piantare  la  bandiera  francese  su  fortilizi  atti  a  servire  come 
perno  di  operazione  offensiva  ed  a  soffocare  qualunque  tentativo 
di  resistenza. 

La  spesa  sarebbe  stata  soverchia:  onde  si  stette  paghi  a 
mandare  alcune  compagnie,  per  occupare  con  esse  la  principale 
città,  nella  speranza  che  le  cose  si  sarebbero  accomodate  ov- 
vero che  pochi  Francesi  avrebbero  facilmente  avuto  ragione  delle 
turbe  annamite.  Non  erano  forse  i  Francesi  entrati  trionfalmente 
in  Pechino  ? 

Come  le  vittorie  contro  l'Austria  nel  1859  hanno  contribuito  a 
trascinare  alla  guerra  del  1870,  cosi  la  ricordanza  della  vittoria 
di  Palikao  toglierà  forse  adesso  valore  ai  consigli  della  pru- 
denza che  ammonisce  di  non  impegnarsi  in  una  guerra  contro 
la  Cina. 

Ma  due  parole  intorno  agli  avvenimenti. 

ferro,  d'oro,  d'argento,  di  piombo  e  proprio  là  presso,  dove  un'ancora  indica 
il  principio  della  navigabilità,  si  trova  il  carbon  fossile. 

Per  lo  studio  del  regno  di  Annam  e  per  seguire  gli  avvenimenti  è  utile 
il  libro  di  DoTREUiL  de  Rhins  Le  Boyaume  d'Annam  et  les  Annamltes  — 
Parigi  1833,  ed  utilissima  la  carta  dello  stesso  autore  (dalla  quale  si  trag- 
gono tutte  le  altre)  Carte  de  V  Indo-Chine  orientale^  5  fogli.  Parigi  1880. 


LE    CONDIZIONI   MILITARI    DELLA    CIN\.  323 

Nel  1874  la  Francia  ha  conchiuso  un  trattato  col  re  di  An- 
nam  per  il  quale  questi  si  obbligava  a  non  concludere  alleanze 
politiche  con  nessun  altro  Stato,  a  riconoscere  l'intera  sovranità 
della  Francia  sulla  Cocincina,  a  concedere  l'entrata  in  alcuni 
porti  pel  commercio,  a  ricevere  nella  capitale  un  ministro  resi- 
dente francese,  infine  ad  aprire  il  fiume  Rosso  alla  navigazione 
europea. 

Questa  convenzione,  per  quanto  umiliante  ed  onerosa,  a  con- 
fessione stessa  dei  Francesi  fu  fedelmente  rispettata  dal  re  di 
Annam  '. 

Ma  ai  Cinesi  garbava  poco  l'ultima  clausola,  volendo  sfrut- 
tare essi  il  ricco  commercio  che  dalla  provincia  meridionale  di 
Yun-nan  pel  fiume  Rosso,  attraversando  nel  suo  bel  mezzo  la 
conca  del  Ton-kin,  scende  al  mare.  Allora  furono  inviati  ad 
Ha-noi  uomini  di  guardia  francesi  ed  infine  l'anno  scorso  fu 
decisa  la  spedizione  pacifica  del  comandante  Rivière,  come  se 
l'occupazione  a  mano  armata  potesse  farsi  pacificamente  e  con 
deboli  forze  in  un  paese  avverso  per  le  patite  soverchierie.  E 
questo  paese  trovasi  alla  frontiera  della  Cina,  che  vanta  supre- 
1  la  sul  Ton-kin,  che  possiede  nel  Yun-nan  e  nel  Kuang-si 
!  I  /<■  ragguardevoli,  che  ha  una  squadra  rispettabile  a  guardia 
di  quella  costa,  che  ha  ogni  interesse  morale  e  materiale  per 
impedire  l'occupazione. 

Il  paese  è  insorto;  né  sarà  cosi  facile  domare  il  movimento. 
Nei  monti  sconosciuti,  detti  i  Dieci  Mila,  che  tracciano  all' in- 
circa il  confine  fra  la  Cina  ed  il  Ton-kin,  errano  gli  avanzi 
delle  bande  lasciate  dalla  terribile  insurrezione  dei  Taiping,  le 
^uali  vivono  di  commercio  e  di  brigantaggio,  per  lunga  con- 
suetudine amano  la  guerra,  ed  ora,  favorite  dagli  abitmti,  sono 
srnso  verso  il  cuore  della  regione  a  combattere  i  Francesi.  Ad 
111.  fazione  della  milizia  cinese,  si  tono  riuniti  intorno  a  sten- 
dardi di  diversi  colori. 

n  il!»'  notizie  provenienti  di  lau'-'in  j'aiono  prevalenti  gli  ar- 
r  ,  111  Miito  stendardi  neri,  forse  pcrrht-  il  nomo  lugubre  più 
ferisce  la  fantasia.  Nessuno  paò  dire  quanti  sieno:  la  sorgente 
di  guerrieri  fra  quelle  montagne  formicolanti  dì  popolazione  è 
inesauribile.  Saranno  molti  o  pochi  secondo  iu  circoMtanze,  lo 
occasioni  di  preda,  la  fiducia  nei  capi.   A   loro  si  uniranno  di 


'  L' ExplortUion.  Le  protectorat  frao^ais  an  Tong-King,  teoondo 
atre  lb82. 


S24  LE    CONDIZIONI   MILITARI  DELLA   CINA. 

leggieri  soldati  annamiti  o  volontari  del  paese.  Coraggio  ne 
hanno  per  recenti  tradizioni  di  una  lotta  ferocissima,  nella  quale 
le  vittime  si  contano  a  decine  di  milioni,  per  costumanza  di 
vita,  per  ingenita  non  curanza  della  morte.  Armi  se  le  procu- 
rano. Dalla  costa  cinese,  dove  si  condensano  i  traffici  europei 
ed  americani,  pel  Si-Kiang  si  arriva  comodamente  ai  piedi  delle 
montagne  che  servono  loro  di  recesso;  gli  scambi  sono  facili 
per  la  naturale  accortezza  dei  Cinesi  e  per  l'interesse  che  hanno 
di  favorire  i  combattenti.  Non  parlo  delle  armi  che  si  fabbri- 
cano in  Cina-,  ma  cosi  dall'America  come  dall'Europa  possono 
giungervi  fucili  ;  ne  è  meraviglia  che  le  bande  nere  siano  ar- 
mate di  Remington,  di  Mauser  e  perfino  di  Gras  francesi. 

Il  paese  rotto,  frastagliato,  a  risaie  ed  a  dighe,  senza  strade, 
si  presta  mirabilmente  ad  una  guerra  di  partigiani  e  scotta  sotto 
il  piede  dello  straniero. 

Per  giungervi  bisogna  stabilire  la  base  di  operazione  nella 
Cocincina,  malcontenta  dei  Francesi,  perchè  hanno  disconosciuto 
tradizioni  e  leggi  paesane,  disprezzati  i  costumi  e  religione, 
maltrattati  gli  indigeni,  e  persino  reso  in  quell'ambiente  obbli- 
gatorio il  codice  napoleonico.  E  il  malcontento  che  la  Cocincina 
ha  dimostrato  nel  1872  potrebbe  dimostrarlo  ora  che  si  tratta 
di  combattere  contro  i  fratelli  Toncinesi.  Dalla  base  di  opera- 
zione ,  da  Saigon ,  bisogna  girare  pel  mare  cinese  meridionale 
lungo  il  lido  annamita  per  la  bellezza  di  1300  chilometri,  guar- 
dando il  fianco  sinistro  delle  imbarcazioni  dagli  attacchi  che 
probabilmente  gli  Annamiti  vorranno  lanciare  dai  loro  porti  , 
attacchi  agevoli  su  quella  costiera  corrosa  e  coperta  di  isolotti. 

Si  giunge  ad  un  buon  punto  di  approdo  sulla  costa  del 
Tonchino;  ma  le  imbarcazioni  per  accostarsi  a  terra  devono 
essere  leggere;  e  lì  presso  sorgono  le  celebri  isole  dei  Pirati 
che  stanno  proprio  in  faccia  al  delta  del  Tai-bihn,  costituente 
nel  suo  sbocco  a  mare  una  delle  porte  principali  del  paese  per 
la  quale  si  naviga  fino  a  Bac-ninh,  luogo  considerevole  nell'in- 
terno. La  spiaggia  è  solcata  normalmente  al  mare  da  molti  canali 
perchè  quivi  su  breve  tratto  defluiscono  tutte  le  acque  del  bacino 
formato  dal  fiume  Rosso  e  dal  Tai-bihn. 

Alquanto  al  nord,  proprio    vicino    alla    spiaggia    cinese,    si 

appiatta  un  labirinto  di  roccie,  di  banchi  di  sabbia,   di    stretti 

e  di  canali,  nei  quali  nessuno  può  inseguire  i    corsari    che  da 

secoli  esercitano  il  mestiere  loro,   sono  cinesi  ed  alleati  naturali 

^icgli  insorti.  Gli  scogli  si  accavalcano  agli  scogli,  eternamente 


LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA    CINA.  325 

SIfuti,  corrosi  e  perforati  dai  flutti  che  vengono  da  Manilla. 
Si  drizzano  allargandosi  sopra  Fonda  cupa  e  rumoreggiante  col 
capo  superbo  per  splendida  vegetazione.  Il  mare  sprofonda  nelle 
caverne  buie  e  là  in  mezzo  lo  stridulo  guaire  degli  uccelli  da 
preda  si  mescola  ai  tianti  melanconici  ed  alle  grida  selvagge  dei 
pescatori  annamiti  e  dei  corsari  cinesi. 

Mal  definito  è  su  questo  lido  il  confine  fra  la  Cina  e  l'An- 
nara.  Da  prima  i  Dieci  mila  monti,  nome  assai  esprimente  la 
condizione  delle  cose,  possono  pigliarsi  a  limite  fra  i  due  Stati 
sin  presso  al  raare.  Ma  i  covi  marittimi,  di  cui  ho  detto  sopra, 
appartengono  all'Annam,  quantunque  la  terra  ferma  sia  cinese. 
E  così  si  prolunga  per  mare  il  territorio  annamita,  poi  prende 
piede  pure  a  terra  ferma  con  un  lembo  che  cinge  una  piccola 
baia  terminata  dal  capo  Paklong.  ' 

Dunque,  se  il  governo  annamita  fiaccamente  non  cede,  sarà 
assai  difficile  ed  assai  dispendioso  alla  Francia  occupare  il 
Tonchino;  e  per  tenerlo  dovrà  lasciarvi  di  presidio  permanente 
per  lo  meno  una  divisione  sul  piede  di  guerra,  sempre  pronta 
a  venire  alle  pre^e,  trincerata  in  località  forti,  ben  provvista 
di  ogni  cosa,  perchè  gli  assedi  saranno  frequenti,  la  resistenza, 
se  non  tenace,  lunga  ed  i  nemici  incalcolabili. 

Ed  a  quale  prò,  se  questi  stessa  occupazione  inaridirà  le 
sorgenti  delle  ricchezze,  le  quali  invece  di  prendere  dal  Yun-nan, 
la  famosa  via  del  fiume  Rosso  scoperta  dal  Dupuis,  continue- 
ranno per  le  solite  vie,  da  un  lato  al  mare  della  Cina  e  dal- 
l'altro alla  Birmania  ed  al  regno  di  Siam? 

IV. 

L'Impero  Cinese  non  ha  un  mare  mediterraneo,  non  un  golfo 
chn  si  addentri  buon  tratto,  non  una  penisola  che  si  lanci  ar- 
ditamente fra  le  onde,  non  un'isola  di  grande  rilievo.  Tutto  ò 
chiuso,  concentrato,  raccolto;  la  natura  dotta  lo  suo  inesorabili 
Ic^'i^i  alla  storia:  di  qui  l'iiolamonto  della  civiltà  cinese,  isola- 
m<  lito  che  tende  ad  estero  vinto  daifo  scopi^rto  moderne;  di 
qui  la  millenaria  unità  dell'impero  alla  qnile  si  spoz/.arono  come 
lii  >ntro  gli  scogli  i  popoli  sterminati  o  lo  tremende    in' 

f>    .  !li. 


'  /y  UmUe$  du  Tong-King  fi  de  la  Chine  oii  oap  VcMong  par  Ch.  La- 
bari hl  Bevme  de  Oiographie,  mai  1883. 


326  LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA    CINA. 

Dal  Iato  di  terra  la  Cina  è  tutto  intorno  coperta  da  altis- 
simi monti  e  da  deserti:  dal  lato  di  mare  tre  grandi  vie  fluviali 
conducono  nel  cuore  del  paese  attraversando  tutta  o  quasi  la 
Cina  politica:  e  sono  i  tre  fiumi  Si-kiang,  Jang-tse  e  Hoang-ho. 

Il  primo  sbocca  presso  Maccao,  e  nei  suoi  pressi  sorgono 
gli  empori  del  commercio  mondiale  di  Cunton  e  Hong-Kong. 

Lungo  il  secondo,  stanno  successivamente  le  città  di  Scan- 
ghai,  di  Cin-kiang,  di  Chieu-kiang  e  di  Han-keu  aperte  al  com- 
mercio americano  ed  europeo.  Per  condurre  operazioni  militari 
lungo  questi  fiumi  bisogna  dunque  cominciare  dal  pigliarsela 
cogli  Stati  civili  che  hanno  interessi  di  grandissimo  rilievo  da 
tutelare.  I  bombardamenti  ormai  in  quelle  condizioni  rovi- 
nano le  ricchezze  non  cinesi,  senza  giovare  alle  operazioni  mi- 
litari. 

A  che  condurrebbe  un  attacco  contro  quelle  parta  della  Cina 
se  non  ad  una  guerra  spicciolata  in  paesi  rotti,  frastagliati,  po- 
polatissimi;  senza  base  stabile  di  operazione*,  senza  obbiettivo 
determinato;  senza  probabilità  di  finire  le  operazioni  con  un 
colpo  sicuro  che  fiacchi  moralmente  e  materialmente  la  resi- 
stenza ?  Quante  linee  successive  di  difesa  formate  dai  monti  che 
si  schierano  mano  mano  paralellamente  alla  costa,  o  formate 
dagli  affluenti  che  ne  seguono  il  piede  e  sono  normali  alle  due 
grandi  arterie  fluviali.  Quanti  agguati,  quante  insidie,  quante 
sorprese!  Quali  difficoltà  a  vivere  ed  à  marciare! 

Per  giungere  alla  terza  via,  cioè  alla  foce  dell'  Huang-ho 
(fiume  Giallo),  bisogna  penetrare  a  traverso  gli  ostacoli  che 
difendono  lo  stretto  di  Pe-ci-ìi  dei  quali  parleremo  in  appresso  ; 
ma  una  volta  là  dentro  assai  meglio  vale  dirigere  l'attacco  al- 
l'imboccatura del  Pe-ho  che  mena  a  Pechino. 

Forse  che  si  potrà  assalire  le  provincie  meridionali  cinesi 
dal  Ton-kin? 

Ma  si  avrà  il  perno  di  operazione  in  paese  nemico,  sulla 
costa  del  quale  dovranno  sbarcare  successivamente  le  truppe 
sciogliendo  gli  intricati  pn^blemi  logistici  onde  si  è  già  parlato. 
Poi  si  darà  di  muso  negli  anfratti  dei  Dieci  mila  monti  occu- 
pati dagli  stendardi  gialli  e  neri.  Come  guardarsi  fianchi  e  spalle^ 
come  procedere  oltre?  La  popolazione  discende  in  massima 
parte  dai  barbari  originali,  ed  è  in  basso  grado  di  civiltà: 
quindi  più  bellicosa,  anche  perchè  montanara;  il  paese  è  senza 
strade,  e  i  pochi  sentieri  si  rompono  facilmente;  lontani  sono 
gli   obbiettivi  secondari  o  terziari   di    guerra,    cioè    le   città   in 


LE   CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA.  327 

posizione  strategica  tale  da  dominare  un  certo  tratto  di  paese 
all'intorno.  Le  conquiste  sarebbero  senza  risultato  pratico  nella 
decisione  della  guerra. 

Ma  altro  che  parlare  di  conquiste  !  Sarà  assai  se  su  quella 
plaga  i  Francesi  potranno  difendersi  dai  Cinesi.  1  quali  col  loro 
numero  sterminato,  in  paese  loro,  potranno  mettere  insieme  pa- 
recchi eserciti,  e,  mentre  difendono  la  capitale  nel  nord,  potranno 
a  loro  volta  attaccare  dalle  estreme  provincie  del  mezzogiorno 
i  Francesi  i:àl  Ton-kin,  i  quali  non  avranno  ritirata  sicura  in 
quei  paraggi  se  non  appoggiandosi  ad  una  poderosa .  flotta. 

Il  punto  vulnerabile  della  Cina  non  può  essere  che  Pechino: 
per  terra  e  per  maro  da  parte  della  Russia,  per  mare  soltanto 
da  parte  delle  altre  potenze. 

L'attacco  da  mare  non  era  prevedibile  quando  il  grande 
Cublai,  che  estese  il  suo  dominio  fino  alla  Birmania  ed  al  Ton- 
chino,  creò  dalle  fondamenta  la  sua  capitale,  la  più  grande  cìttìi 
del  mondo,  e  la  pose  nel  punto  strategicamente  e  politicamente 
migliore  per  guardare  i  suoi  Stati  (an.  1280). 

Siede  Pechino,  cinta  a  nord  da  una  corona  di  montagne, 
quasi  al  vertice  settentrionale  della  pianura  cinese;  la  qoalo 
forma  una  specie  di  triangolo  equilatero  di  circa  1200  chilo- 
metri di  lato  che  ò  obliquamente  tagliato  dalle  duo  arterie  flu- 
viali della  Cina:  verso  il  mezzo  dell'  Uuang-ho,  verso  la  base 
dallo  Jang-tse.  Il  lato  orientale  si  adagia  al  mare,  il  lato  occi- 
dentale alla  mont^igna,  la  base  è  segnata  dalle  estreme  pendici 
dei  monti  che  venendo  dal  mezzodì  bagnano  il  loro  piede  nello 
acque  dello  Jang  tse.  Allora,  al  tempo  della  fondazione,  duo 
belle  reti,  una  di  strade  e  l'altra  di  canali  navigabili,  in  mezzo 
ai  quali  sovrano  scendeva  da  Pechino  sin  presso  Nanchino  il 
Grande  Canale,  ambedue  le  reti  irradianti  dal  vertice  alU  bMO, 
ponevano  in  comunicazione  tutte  le  località  importanti  e  per- 
mettevano di  dominare  da  Pechino  la  vasta  pianura.  La  qaale 
comprende  ora,  come  allora,  la  metà  dello  18  provincie  della 
Cina  politica  mentre  un'altra  provincia  vi  comunica  da  presso. 
K  coiti  mì  forma  un  gran  tutto  omogeneo  e  compatto,  che  costi- 
tuisce una  forza  unitaria,  di  potenza  sterminata  perchè  non  solo  hì 
signoreggia  il  corso  inferiore  e  lo  sbocco  a  mare  (loHTIuang-ho 
e  dello  Jang  Uè,  ma  eziandio  i  bacini  meridionali,  affluenti  allo 
I mgtse,  di  due  grandi  fiumi  il  Kia-kiang  e  lo  Ilong-kiang,  i 
'inali  pongono  in  comunicazione  colle  regioni  monto***. 

Coni  dalla  pianura  si  guarda  la  montagna:  •'•  ì-  <it.«. 


328  LE   CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA. 

pericolo  fino  a  che  ribelli  od  invasori  sieno  calati  in  essa  e 
v'abbiansi  distesi.  Ma  da  Pechino  si  fa  in  tempo  a  concentrare 
i  necessari  rinforzi  sul  punto  minacciato  ed,  appoggiati  a  base 
di  operazioni  che  moltiplica  le  forze,  a  battere  i  nemici  che  scen- 
dono frastagliati  e  divisi. 

Le  altre  parti  dell'Impero  che  circondano  la  pianura  sono 
pure  separate  da  monti  impervii,  da  fiumi  profondi,  da  radicaKì 
differenza  di  popoli,  da  enormità  di  spazi.  Onde  è  difiicile 
che  sì  accordino  fra  loro,  mentre  il  leone  sta  al  vertice  della 
grande  sala  e  guarda  tutte  le  entrate  delle  piccole  stanze  cir- 
costanti. 

L'insurrezione  maomettana  nello  Yun-nan  sui  confini  di  Bir- 
mania per  tal  guisa  rimase  isolata  dall'insurrezione  del  Kan-su 
sui  confini  di  Mongolia,  ed  ambedue  furono  represse.  E  così  lo 
furono  altri  movimenti,  che  in  quel  pelago  di  popoli  montano 
come  le  tempeste.  Ma  quando  le  insurrezioni,  come  quelle  dei 
Nìan-fei  e  dei  Taipìng  negli  ultimi  trent'anni,  guadagnarono  la 
pianura ,  le  cose  precipitarono  ed  a  grande  stento  si  giunse  a 
domarle. 

Un'altra  ragione  strategica  ha  consigliato  Cublai  Kan  a  col- 
locare Pechino  dove  trovasi  attualmente  :  e  questa  fu  per  sbar- 
rare la  lìnea  principale  di  invasione  che  dalla  Manciuria  mette 
nella  Cina  e  per  tenere  di  pari  passo  in  rispetto  i  Mongoli  e 
gli  abitanti  delle  steppe.  Non  si  scordi  che  in  uno  Stato  dispo- 
tico come  la  Cina  tutte  le  forze  si  concentrano  intorno  alla  di- 
nastia, intorno  alla  capitale,  e  che  da  questa  si  diramano  le 
arterie  delle  offese  e  delle  difese.  Non  si  scordi  che  la  difesa 
tattica  era  allora  incomparabilmente  piìi  agevole  che  ora  e  che 
la  Grande  Muraglia,  eretta  già  quindici  secoli  prima,  date  le 
armi  ed  i  mezzi  di  guerra  di  allora,  possedeva  un  valore  difen- 
sivo di  grandissimo  rilievo;  si  aggiunga  che  nessun  pericolo 
si  correva  da  mare  ed  apparirà  chiaramente  la  grandezza  del 
concetto  strategico  del  conquistatore  cinese. 

E  quanto  a  difesa  locale  egli,  pei  suoi  tempi,  vi  aveva  prov- 
veduto a  dovere. 

Enormi  muraglie  formano  un  quadrilatero  che  serra  la  città 
manciìi  imponendo  agli  abitanti,  qui  trasportati,  la  tirannia  dello 
spazio  e  della  forma.  Alla  città  manciù  si  unisce  a  mezzodì  la 
città  cinese,  di  forma  simile  ma  alquanto  più  larga,  in  guisa  che 
i  suoi  lembi  estremi  oltrepassano  la  prima.  Le  porte  afforzate 
con  tutta  l'arte  dì  allora  sono  sormontate  da  specie  di  caserme 


LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA.  329 

e  guardate  da  torri  le  quali  pittorescamente  interrompono  la 
monotonia  delle  larghe  muraglie.  * 

Ma  la  gigantesca  città  va  rovinando.  I  quartieri  sono  spopo- 
lati ;  le  case  cadenti  ;  il  mirabile  sistema  dei  canali  è  abbando- 
nato ;  dove  regnava  il  lusso  ed  il  fasto  ora  intristisce  nel  più 
ributtante  sudiciume  la  più  squallida  miseria.  Eppure  ai  resi- 
denti europei  che  vanno  a  passeggio  sopra  la  muraglia  di  cinta, 
dove  le  due  città  si  uniscono,  si  presenta  sempre  un  magico  spet- 
tacolo. Un  mare  di  case  con  un  arcipelago  di  giardini,  dal  quale 
sorge  il  palazzo  reale  singolarissimo  edificio  :  intorno  intorno 
bizzarramente  elevano  gli  angoli  dei  tetti  gialli  o  verdi  ì  templi 
cinesi,  incurvano  le  cupole  bianche  o  lanciano  gli  svelti  mina- 
reti le  moschee  dei  maomettani,  mentre  giù  in  fondo  si  scorgono 
templi  del  sole  e  della  terra,  e  il  campanile  della  cattedrale  i 
cattolica. 

E  il  pensiero  corre  a  3Iarco  Polo,  che  stette  alla  corte  del 
gran  Can  dal  1275  al  1292  e  che  pieno  di  ammirazione  descrisse 
la  grandezza  di  Cambaluc  o  città  del  Can,  allora  per  un  tratto 
di  potenza,  solo  esplicabile  collo  sterminato  dispotismo  orientale, 
tratta  dal  nulla.  La  descrizione  pare  scrìtta  ierì:  vale  la  pena 
di  riprodurla  oggi  : 

u  Questa  città  è  grande  in  giro  da  ventiquattro  migliai  cioò 
sei  miglia  per  ogni  canto,  ed  è  tutta  quadra,  che  non  è  più 
dall'uno  lato  che  dall'altro;  questa  città  è  murata  di  terra,  e 
sono  grosse  le  mura  dieci  passi  e  alte  venti,  ma  non  sono  cosi 
grosse  di  sopra,  come  di  sotto;  anzi  vengono  di  sopra  assetti- 
^'li. ite  tanto,  che  vengono  grosse  di  sopra  tre  possi,  e  sono  fatte 
iiKtrlate  e  bianche;  e  quivi  ha  dieci  porte  e  in  su  ciascuna 
porta  un  gran  palagio,  sicché  in  ciascuno  quadro  ha  tre  porto 
con  palagi.  Ancora  in  ciascuno  quadro  di  questo  muro  hao  un 
granale  palagio,  ove  stanno  gli  uomini  che  guardano  la  terra. 
K  sappiate  che  lo  rughe  della  città  sono  si  ritte,  che  V  una 
})arto  vede  l'altra  e  tutte  quante  incontrano  cosi,  n  ' 

'  VsggMt  in  Btonaom  (opera  citata)  il  capitolo  intitolato  Pekm  wné 
teim»  Umgebumg.  Vallumiom  FuurMjt  in  Nord  China.  —  Ksmmib  Ptkmg 
and  tìtf  Pekinrtr. 

*  Il  Milione  di  ...'w...  ;  .>M/,  testo  di  lingua  dal  secolo  dcciinoterao,  ora 
per  la  prima  vulta  pubblicato  «d  illostrato  dal  oonte  BAtuiNSLLi  Firense 
1827. 

A  proposito  delle  porte  si  goardi  il  disegno  che  ci  presenta  il  signor 
Yci.E  nel  tuo  libro  Tfù;  Book  of  Ber  Maroo  Polo  London  1875  che  oor- 
ri.-^jHjuilo  (iiiruliiiiiiiiifc  nlla  descrtsìone  del  grande  viaggiatore. 


330  LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA. 

I  superbi  Veneziani  si  ribellarono  allora  all'idea  che  esi- 
stesse in  luoghi  remotissimi,  mai  uditi  menzionare,  una  città 
più  splendida  della  loro;  e  pochi  vollero  prestargli  fede.  Era 
serbato  alla  nostra  epoca  di  provare  la  scrupolosa  esattezza 
della  narrazione,  la  quale  può  essere  dimostrata  ora  parola  per 
parola  sulla  faccia  dei  luoghi. 

Pechino  conta  2  milioni  di  abitanti,  dei  quali  24,000  cristiani. 
La  sua  popolazione  nei  secoli  decorsi  deve  essere  stata  mag- 
giore d'assai.  Tutto  vi  deve  essere  portato  dalle  provincie  del 
mezzodì:  vastissimi  magazzini  sempre  ricolmi  di  riso  provve- 
dono in  caso  di  bisogno.  Tra  gli  edifizi  d'ogni  natura,  noterò 
soltanto,  per  l' indole  del  mio  lavoro,  le  vastissime  caserme  ca- 
paci di  80,000  uomini. 

A  dare  unità,  centralizzazione  e  forza  alla  Cina  assai  prima 
della  fondazione  di  Pechino  aveva  contribuito  la  Grande  Mu- 
raglia. E  opera  che  stordisce  per  la  sua  grandiosità  politica  e 
strategica. 

Non  posso  entrare  nel  labirinto  dei  particolari,  nel  quale 
del  resto  si  rischia  di  perdersi  e  di  dire  cose  inesatte.  Questo 
mi  pare  provato  che  la  muraglia  della  Cina  fu  fatta  costruire 
dal  gran  re  Tshing  Tsin  due  secoli  e  mezzo  prima  di  Cristo 
per  assicurare  il  paese  dai  nemici  esterni  a  fine  di  procedere 
gagliardamente  contro  i  nemici  interni.  Era  il  tempo  delle 
emigrazioni  di  popoli  verso  luoghi  più  fertili,  più  dolci,  più 
ricchi  ;  bastava  una  diga  per  rompere  il  corso  a  quelle  fiumane 
e  per  indirizzarle  altrove  ;  ed  infatti  i  popoli  delle  steppe  ripie- 
garono verso  occidente,  e  cosi  la  Muraglia  della  Cina  esercitò 
un'  influenza  incalcolabile  sui  destini  di  Europa. 

Ma  frattanto  i  dominatori  della  Cina  poterono  raccogliere 
sotto  un'  unica  direzione  grandi  masse  di  truppe  colle  quali 
avanzando  verso  i  monti  estesero  e  consolidarono  il  loro  do- 
minio. Il  quale  in  seguito,  appunto  perchè  tutelato  verso  il 
nord,  potè  uscire  dai  suoi  confini  ed  estendere  le  conquiste 
verso  r  Asia  centrale.  Era  una  sterminata  base  di  operazione, 
protetta  alle  spalle  dal  mare,  nej.  fianco  pericoloso  dalla  Muraglia, 
che  permise  alla  Cina  di  raggiungere  l'altissimo  grado  di  esten- 
sione e  forza  cui  è  pervenuta. 

Ad  imitazione  della  Grande  Muraglia,  la  cui  costruzione  segna 
epoca  nella  storia  universale,  altri  principi  costrussero  altre  for- 
tificazioni. Ma  la  Grande  Muraglia  incomincia  nella  provincia 
di  Kan-su  e  per  monti  e  valli,  per  burroni  e  dirupi,  va   verso 


LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA    CINA.  331 

oriente  con  un'ampia  e  profonda  insenatura  a  mezzodì.  La  sua  lun- 
ghezza olii  dice  di  3,000  chi  5,500  chilometri  ;  giunge  per  tal  modo 
fino  al  golfo  di  Pe-ci-li,  donde  si  stacca  il  cosidetto  Muro  di 
palizzate  che  va  nella  Manciuria  verso  nordest  con  diramazione 
al  sud.  La  muraglia  è  condotta  in  modo  che  sul  dinanzi,  al- 
l'esterno, non  ha  se  non  difficili  strette,  mentre  dall'interno  vi 
si  giunge  con  dolci  pendii.  Tratto  tratto  è  munita  di  torri  fian- 
cheggianti  ed  in  alcuni  punti  si  presenta  doppia  e  perfino  tri- 
pla; in  questo  caso  l'opera  avanzata  consiste  in  terrapieno,  le 
retrostanti  in  muraglia.  La  mediana  altezza  è  di  11  metri,  la 
larghezza  mediana  è  di  metri  7,50  alla  base,  3  alla  sommità. 
Le  comunicazioni  hanno  luogo  per  mezzo  di  porte  difese  da  torri. 

Trasportiamoci  a  venti  secoli  addietro  e  pensiamo  ai  mezzi 
di  attacco  onde  erano  muniti  i  popoli  delle  steppe,  che  face- 
vano la  guerra  trascinandosi  donne,  figliuoli,  masserìzie  e  che 
non  potevano  sostare  a  lungo,  senza  correre  rischio  di  perire  di 
fame,  sai  lembi  dei  deserti  che  si  estendono  a  settentrione 
della  Gran  Muraglia;  e  senza  fatica  dovremo  conchiudere  che 
essa  nell'epoca  in  cui  fu  costrutta,  ha  raggiunto  il  suo  scopo. 
Certamente  ora,  in  gran  parte  rovinata,  non  potrebbe  esser»- 
nn  ostacolo  serio  ad  un  esercito  che  dall'  Amur  calasse  por 
la  Manciuria. 

L.-i  Grande  Muraglia,  seguendo  l'avvicendarsi  delle  montagne 
formanti  il  bacino  ovw  è  la  provincia  di  Pe-ci-li,  cinge  ad  occidente 
ed  a  settentrione  questa  testata  della  pianura  cinese,  che  a<l 
oriente  è  chiusa  dal  golfo  di  Pe-ci-li  o  mure  Giulio  intemo,  a 
mezzogiorno  dal  largo  corso  dell' Huang-ho  ossia  fiume  Ginllo. 
E  un  campo  trincerato  che  coprirebbe  metà  della  superficie 
d'Italia  e  contiene  un  eguale  numero  di  abitanti.  Una  volta  era 
]>erfettflmentc  al  sicuro;  ora  dalla  parto  di  mare  costituisco  il 
p"  '  '  '  '  '  della  Cina,  come  lo  ha  dimostrato  la  guerra 
d«  -rabilo  so  la  Cina  vuole  essere  vulnerata. 

Mare  Giallo,  fiome  Giallo  non  sono  nomi  casuali,  ma  vengono 
cosi  tinti  dalle  acque  del  fiume  Giallo  attraversanti  uno  strato 
speciale  di  terreno,  che  ha  una  certa  influenza  nelle  condizioni 
milita^.  E  la  formazione  del  USig,  che  sopra  minore  scala  si 
presrnta  nella  valle  del  Reno. 

Non  spetta  a  questa  rapidissima  rassegna  ficrnrr  I.  s^uik.*» 
nei  segreti  della  geologia;  basti  notare  che  il  L.  :.  jinnai  di 
leggieri  si  sfalda  dal  basso  all'alto  e  per  la  sua  struttura  ca- 
pillare prosciuga  e  dissecca  prontamente  il  terreno.  Il  Kichthofcn 


332  LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA.   CINA. 

osserva  che  dovunque  il  Lòss  è  percorso  da  acque,  queste  si 
sono  profondamente  incassate  in  molteplici  direzioni-,  onde  il 
paese  è  solcato  da  fossi,  da  trincee  che  rompono  i  movimenti 
dell'assalitore  e  costituiscono  linee  coprenti  di  grande  momento 
pel  difensore.  Sono  burroni,  precipizi  dalle  pareti  a  piombo  che 
si  sprofondano  di  parecchi  metri  per  tratti  di  parecchi  milometri; 
sono  muraglie  naturali  a  picco  contro  le  quali  dando  di  cozzo 
si  è  costretti  a  lunghissimi  giri.  Si  aggiunga  per  lo  straniero  la 
scarsezza  di  acque,  la  mancanza  di  ponti,  le  strade  facilmente 
distrutte,  la  vegetazione  lussuriosa  in  suolo  ferace,  ed  apparirà 
chiaramente  come  la  formazione  geologica  sia  alleata  dei  Cinesi 
nella  difesa  del  loro  territorio. 

Uno  sbarco  sulle  coste  della  Cina  non  potrebbe  tentarsi  con 
speranza  di  buon  successo  sulle  rive  del  mare  Giallo  esterno, 
nell'insenatura  che  forma  prima  di  penetrare  nel  golfo  di  Pe-ci-li, 
perchè  il  corpo  sbarcato  avrebbe  subito  a  superare  i  monti  che 
prolungandosi  in  penisola  abbracciano  il  golfo  di  Pe-ci-li;  poi 
una  zona  di  Loss,  lungo  la  quale  scorre  il  fiume  Giallo  ;  poi 
altre  linee  successive  di  difesa  costituite  da'  fiumi  a  letti  pro- 
fondi, mentre  il  fianco  sinistro  della  lunga  linea  d' operazione 
basata  sul  mare  sarebbe  esposto  a  tutti  gli  attacchi  provenienti 
dai  monti. 

Non  rimane  che  a  penetrare  nel  santuario,  nell'unico  golfo 
degno  di  tale  nome  che  abbia  la  Cina.  Ma  la  provincia  di  Scian- 
tung  esce  fuori  verso  oriente  e  costituisce  una  barriera,  la  peni- 
sola di  Liao-tong  o  Schin-king  viene  giìi  da  settentrione  e  ne 
innalza  un'altra:  sicché  rimane  una  bocca  non  largane  profonda, 
rivolta  ad  oriente  e  ben  munita  di  denti  costituiti  da  tanti  iso- 
lotti e  banchi  di  sabbia,  preziosi  per  un  sistema  di  difesa  a  tor- 
pedini mobili  0  fisse,  tanto  più  efficace  quanto  meglio  appog- 
giato a  fortificazioni  e  ravvivato  dalle  mosse  di  una  flotta.  Ora 
la  punta  meridionale  della  penisola  di  Liao-tcng  va  munendosi 
di  cannoni  Krupp  di  grosso  calibro  che  spazzano  largamente  lo 
specchio  delle  acque. 

I  Cinesi  dopo  il  1860  hanno  avuto  tempo  di  riflettere  e  di 
apparecchiarsi*,  e  lo  hanno  usufruito  con  accorgimento  loro  e 
con  energia  europea.  Dati  i  mezzi  moderni,  le  opere  locali  ne- 
cessarie per  chiudere  il  golfo  di  Pe-ci-li,  sono  giocattoli  da 
bambini,  rimpetto  alla  Grande  Muraglia  opera  di  giganti. 

In  conseguenza  della  terra  trascinata  dal  corso  delle  acque  a 
traverso  il  friabile  Loss,  il  golfo  di  Pe-ci-li  si  fa  sempre  meno  prò- 


m. 


LE   CONDIZIONI   MILILARI   DELLA    CINA. 


ondo  mano  mano  che  si  viene  a  costa  :  onde  nessun  porto  è  capace 
di  grosse  navi  europee  ed  unico  punto  di  sbarco  è  la  foce  del 
Pe-ho  nella  quale  tante  difficoltà  hanno  incontrato  gli  alleati 
nel  1860,  quantunque  nessuno  vi  fosse  a  difesa.  Al  presento 
presso  Ta-kù,  luogo  dello  sbarco,  già  da  qualche  anno  sor- 
gono fortificazioni  all'europea  armate  di  eccellenti  Krupp;  ed 
ora  si  sta  costruendo  un  vasto  campo  trincerato  intorno  alla 
città  di  Tien-sin,  avanguardia  di  Pechino,  a  pochi  chilometri 
dallo  sbocco  del  Pe-ho  che  ne  forma  il  porto,  posizione  impor- 
tantissima perchè  nodo  di  comanicazioni  terrestri  e  fluviali  nella 
Cina  settentrionale.  Il  governatore  del  Pe-ci-li  già  da  quattro 
anni  ha  ordinato  un  70,000  uomini  di  milizia  territoriale  e  suc- 
cessivamente è  venuto  armandoli  con  fucili  all'europea:  una 
parte  di  essi  serve  ora  al  riordinamento  delle  forze  cinesi.  Ma 
è  tempo  che  ci  occupiamo  dell'esercìlo  e  della  flotta. 


V. 

L'esercito  cinese  è  in  piena  trasformazione.  Gli  avvenimenti 
che  dal  1860  in  poi  hanno  travagliato  la  Cina,  le  insurrezioni 
che  l'hanno  condotta  vicina  all'abisso,  le  umiliazioni  patito... 
ìmj^  hanno  preparato  gli  studi  per  un  serio  ordinamento;  i  pericoli 
di  una  guerra  colla  Russia  lo  hanno  determinato. 

Ormai  stanno  per  essere  ricordi  storici  Vetercito  degli  otto 
Mtendardi,  V  esercito  dello  $1endardo  verde^  istituiti  duo  secoli 
addietro  dalla  dinastia  Manciù;  ed  anche  la  giovane  gu/irdia, 
sta  per  discendere  nel  sepolcro  senza  gli  onori  di  guerra.  Questo 
diyerso  specie  di  milizie  somministrano  ora  gli  uomini  por  l'at- 
tuale ordinamento,  che  collo  spirito  di  imitazione  cinese,  colla 
intelligenza  chiara  e  coll'ahilitÀ  di  girare  gli  ostacoli,  viene  ac- 
costandoti agli  ordinamenti  europei. 

L'esercito  degli  otto  stendardi  ora  composto  in  massima  parto 

di   ^' •'.  una  razza  di  soldati,  già  conquistatori,   nella  quulo 

il  !  delle  armi  dura  tutta  la  vita  e  si  erodila  di  pitdro 

in  figlio.  Formano  ona  specie  di  casta  militare  nella  quale  quaii 
esclusivamente  si        '  o  i  matrimoni.    Scrivo    conio  si  trat- 

tasse di  cosa  preso;  ,  he,  malgrado  il  dispotismo  cinese,  non 
■i  può  con  un  tratto  di  penna  distruggere  radicato  consuetudini 
sociali.  I  Manciù  potevano  attendere  ai  loro  nogozi,  ma  non 
;ill(.nf:iiKirK;  lìi.J  ìnr.^r,.  ,11  i.r.  «I.ljo  senza  permesso.  Persino  nello 


334  LE   CONDIZIONI    MILITARI   DELLA    CINA. 

guerre  recenti  entrarono  in  campagna  con  donne  e  fanciulli. 
Così  si  spiegano  le  carneficine  che  i  Dungani  e  Jacub  beg 
hanno  fatte  di  loro.  È  tale  la  differenza  cogli  altri  abitanti  del- 
l'impero  che  in  generale  i  quartieri  delle  città,  loro  assegnati, 
sono  indicati  come  quartieri  tartari. 

Li' esercito  dello  stendardo  verde  o  milizia  territoriale  com- 
prendeva un  corpo  per  ciascuna  provincia  —  dunque  formava 
insieme  18  corpi  soggetti  ai  governatori.  Gli  ufficiali  proveni- 
vano generalmente  dalla  classe  militare  degli  otto  stendardi  ed 
arrivavano  al  grado  mediante  esami  nel  tirare  di  freccia  e 
di  spada.  Fino  adesso  erano  tenuti  in  poco  conto  e  pagati  male; 
i  posti  superiori  venivano  occupati  da  personaggi  civili,  cui  si 
voleva  dare  una  distinzione  od  una  sorgente  di  guadagno. 

I  soldati  avevano  pure  meschinissima  paga  e  talvolta  un 
pezzo  di  terreno,  ma  insufficiente  a  vivere,  massime  se  cari- 
chi di  famiglia;  onde  parecchi  venivano  a  patti  cogli  ufficiali, 
pur  essi  bisognosi  assai,  e  lasciavano  a  questi  la  incerta  paga 
per  attendere  ad  ogni  specie  di  mestiere  o  di  industria  mentre 
quelli  che  rimanevano  alle  bandiere  facevano  il  servizio  di  pu- 
lizia. 

Sono  cose  di  ieri  che,  radicate  da  secoli,  esercitano  la  loro 
influenza  sulle  condizioni  di  oggi  e  l'eserciteranno  per  parecchio 
tempo  avvenire.  Così  all'  ingrosso,  qualche  anno  fa,  si  poteva 
calcolare  che  l'esercito  degli  otto  stendardi  comprendesse  poco 
più  di  200,000  uomini,  che  la  milizia  territoriale  montasse  ad 
oltre  650,000  uomini,  che  nella  giovane  guardia  fossero  inscritti 
circa  18,000  uomini;  —  sicché  tutto  sommato  si  aveva  un  870,000 
uomini,  senza  contare  le  popolazioni  di  Mongolia,  che,  ordinate 
militarmente,  potrebbero  dare  oltre  100,000  buoni  soldati,  for- 
niti di  maggiori  virtù  militari  dei  Manciù  e  dei  Cinesi. 

Ma  non  è  certamente  il  numero  degli  uomini  che  manca  alla 
Cina;  e  neppure  deve  dare  pensiero  1'  introdurvi  leggi  di  reclu- 
tamento all'europea  per  avere  col  numero  l'interesse  nella  di- 
fesa nazionale. 

Nei  Cinesi  manca  bensì,  o  dorme,  od  è  scomparsa  la  facoltà 
creativa;  ma  possiedono  una  meravigliosa  qualità  imitativa,  una 
potenza  di  assimilazione  tale  da  costituire  un  compenso  e  tal- 
volta da  dare  un  vantaggio.  Assai  probabilmente,  pacificato 
r  impero  all'  interno,  si  procederà  ad  un  nuovo  sistema  di  re- 
clutamento, il  quale  basato  sulla  salda  ed  ordinata  amministra- 
zione delle  Provincie,  favorito  dallo  spirito  pratico  nazionale  e 


LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA   CINA.  ÓOO 

dal  bisogno  di  difendere  gli  interessi    materiali,  potrà  dare  ec- 
cellenti frutti. 

Xel  considerare  le  cose  di  Oriente  noi  non  dobbiamo  fer- 
marci alla  superficie  o  restringersi  nel  breve  periodo  della  storia 
contemporanea.  Per  giudicare  della  vita  e  della  forza  di  un 
popolo  bisogna  ficcare  lo  sguardo  a  fondo  e  considerare  un  largo 
periodo  della  sua  storia.  La  Cina  poco  tempo  addietro  era  con- 
siderata morta  come  potenza  e  taluno  la  considera  tale  anche 
adesso.  Ma  chi  può  asserire  che  le  sventure  toccate  alle  attuali 
generazioni  non  sieno  una  crisi  salutare,  non  indichino  il  periodo 
della  trasformazione,  non  segnino  il  principio  di  una  nuova  era 
nella  millenaria  vita  di  quel  saldissimo  popolo? 

Qualunque  sia  l'avvenire  militare  e  politico  della  Cina,  al 
presente  essa  riforma  attivamente  il  suo  esercito  e  crea  la  sua 
flotta. 

Cogli  uomini  in  diverso  modo  obbligati  al  servizio  militare  si 
sono  formati  e  si  stanno  meglio  ordinando  ed  afforzando  due 
eserciti  ben  distìnti  uno  di  operazione,  l'altro  di  difesa, 

II  primo  proviene  in  massima  dall'esercito  degli  otto  sten- 
dardi ed  è  diviso  in  tre  armate,  cioè: 

L,'annata  di  ^fanc^urxa,  la  quale  in  sui  primordi  non  si  com- 
poneva se  non  di  30,000  uomini;  or»,  secondo  le  ultime  infor- 
mazioni e  secondo  ci  persuade  la  ragione  dello  cose,  va  affor- 
zandosi con  volontari  mongoli.  Trovasi  scaglionato  parto  a  Zi- 
zicar,  povera  fortezza  capitale  della  Manciuria  settentrionale, 
quasi  ai  confini  di  Mongolia,  e  parte  a  Mukden,  capoluogo  della 
Manciuria  meridionale  (Schin-king)  annessa  alla  provincia  di 
Pe-ci-li.  a  breve  tratto  dal  golfo  di  Liao-Tong,  che  è  il  prolun- 
gamento settentrionale  del  golfo  di  Pe-ci-li  e  che  possiede  un 
buon  porto,  cioè  Niu-cuan,  aperto  agli  americani  ed  agli  europei, 
e  in  città  vasta  e  ricca,  in  suolo  ferace. 

L'armata  di  Manciuria  si  batte  con  fucili  tedeschi  Mauser 
'he  disputano  in  Europa  il  primato  ai  francesi. 

Nulla  di  meglio  indovinato:  reclutamento  sotto  mano  di  gente 
più  atta  alla  guerra  offensiva  cbo  non  sieno  i  Ctnosi  propri  ; 
dislocazione  (mi  si  permetta  la  parola)  opportunissiroa.  In&tti 
pronto  ed  agevolo  è  il  concontramento  a  sud  intomo  Mukden, 
londe  per  terra  e  per  mare  si  può  pigliare  di  fianco  uno  sbarco 
■  111  spiaggia  del  golfo  di  Pe-ci-li,  che  miri  a  Pechino:  una 
!>•  llisnima  strada  congiungo  le  due  città.  Pronto  ed  agevole  è 
il  concentramento  al  nord    intorno  a  Zizicar,  dove  si  sbarrano 


336  LE   CONDIZIONI   MILITARI  DELLA   CINA. 

le  vie  di  comunicazione  più  brevi  tra  la  Russia  e  Pechino  e  si 
fronteggia  Blagoviesch,  centro  dei  presidi  rusni  nell'Amur. 

"L'armata  del  centro  e  raccolta  presso  Kalgang  nelle  mon- 
tagne al  nord  di  Pechino.  Quivi  si  uniscono  le  strade  che  at- 
traversano la  Mongolia  ed  il  deserto  di  Gobi  e  poi  salgono  al 
passo  montano,  detto  esso  pure  di  Kalgang  elevato  a  circa  1800 
metri.  Quivi  la  Grande  Muraglia,  coronando  le  cime  dei  monti 
ed  i  bacini  delle  sorgenti,  costituisce  quasi  un  gigantesco  campo 
trincerato  che  spinge  innanzi  i  suoi  forti. 

L'armata  del  centro  si  cerne  fra  gli  arditi  montanari  di  razza 
guerriera  e  serve  principalmente  alla  difesa  attiva  della  capi- 
tale. Verso  il  deserto,  verso  la  Russia,  all'  avanguardia  stanna 
le  truppe  irregolari  e  nomadi  della  Mongolia;  verso  il  mare, 
verso  il  golfo  di  Pe-ci-li,  sta  la  milizia  territoriale  in  questi 
ultimi  anni  attivamente  riordinata  dal  generale  Li-hung-hong.  E 
nel  golfo  stesso  suole  ormeggiare  la  flottiglia  del  Pe-ho.  La 
seconda  armata,  a  quel  che  si  assicura,  ha  ora  una  forza  di 
30,000  uomini,  armati  di  fucili  rigati  a  retrocarica  non  saprei 
dire  di  quale  modello.  Le  due  armate  di  Manciuria  e  del  centra 
possono  operare  in  perfettissimo  accordo  per  linee  concentriche 
contro  un  nemico  che  sbarchi  ad  offesa  di  Pechino. 

La  terza  armata  è  quella  del  Turchestan,  raccolta  principal- 
mente nelle  provincie  interne  e  montuose  del  Kan-su,  dove  la 
Grande  Muraglia  racchiude  un  campo  trincerato  per  uno  spazia 
di  forse  60,000  chilometri  quadrati,  cui  da  due  lati  serve  di 
fosso  il  fiume  Giallo.  Creata  al  tempo  dei  torbidi  colla  Russia, 
suo  scopo  principale,  come  lo  indica  il  nome,  era  la  guardia 
del  Turchestan,  verso  il  quale  aveva  anche  spinto  la  maggior 
parte  delle  sue  forze.  Contava  da  40,000  uomini,  abbastanza 
bene  in  arnese  ed  agguerriti  dalle  campagne  contro  Jakub-beg. 
Sebbene  alquanto  lontana,  pure  anch'essa  può  concorrere  assai 
facilmente  ad  operazioni  campali  nella  Cina  orientale,  perchè 
il  paese  ormai  può  essere  lasciato  a  se  medesimo  e  perchè  il 
tempo  non  farà  mai  difetto  per  contrastare  uno  sbarco  od  un 
attacco  la  cui  prima  base  di  operazione  trovasi  in  Europa. 

Il  Governo  cinese  non  è  chiuso  ,  come  una  volta  nel  suo 
immenso  guscio,  ma  riceve  informazioni  da  ministri  e  diploma- 
tici intelligenti  accreditati  presso  le  principali  Corti,  ed  i  suoi 
più  autorevoli  generali  hanno  avuto  la  loro  educazione  militare 
negli  stati  più  civili  del  mondo. 

h' esercito  di  difesa  o  di  presidio  proviene  dalla  Milizia  ter- 


LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA.  337 

ritoriale  fino  da  quando  minacciavano  le  ostilità  colla  Russia. 
In  guerra  si  calcola  sopra  700,000  uomini;  ma  le  forze  effet- 
tive di  pace,  che  hanno  quadri  sufficienti  per  numero  se  non 
per  qualità  ed  a  quest'  ora  forse  sono  armate  di  fucili  nuovi 
a  retrocarica ,  non  oltrepassano  i  200,000  uomini.  Dei  quali 
metà  sono  destinati  a  guardia  alle  coste  e  metìi  a  tutelare  l'or- 
dine interno  nelle  grandi  città  e  specialmente  a  Pechino. 

Ciascuna  provincia  deve  concorrere  a  mantenere  quest'eser- 
cito pagando  lo  stesso  contributo  che  pagava  dianzi;  ma  sic- 
come in  passato  doveva  nominalmente  somministrare  un  nu- 
mero di  uomini  triplo,  così  il  contributo  serve  meglio  a  mante- 
nere l'esercito  ridotto  al  terzo.  E  il  principio  che  si  vuol  far 
prevalere  nella  Cina  :  minor  numero,  ma  più  scelto  e  meglio 
armato. 

In  ciascuna  provincia  gli  stendardi  verdi  dipendevano  dal, 
governatore,  il  quale  li  teneva  a  numero,  li  armava  e  faceva 
istruire  a  piacere  suo,  secondo  le  circostanze,  secondo  i  bisogni, 
secondo  la  situazione  stessa  delle  provincie  od  il  pericolo  di  ve- 
nire più  0  meno  coinvolto  in  una  guerra  o  in  un'  insurrezione. 
Ed,  a  capriccio,  chi  osservava  scrupolosamente  le  tradizioni,  e 
conservava  archi  e  freccio  cinesi;  chi  si  lanciava  nel  pelago 
delle  innovazioni.  I  conservatori  erano  in  maggior  numero  sta 
perchè  nei  grandi  dignitari  cinesi  è  naturale  l'avversione  allo 
riforme,  sia  perchè  costava  assai  meno  danaro,  tempo  e  pen- 
sieri l'attenersi  al  vecchio.  I  novatori  si  dividevano  poi  secondo 
i  gusti  o  le  simpatie,  molte  volte  strane  o  ridicole,  come  era 
da  aspettarsi  da  nomini  che  affatto  digiuni  di  coso  militari, 
volevano  applicare  alle  truppe  oineti  i  ■istcmì  europei. 

I  governatori  tono  tutti  o  qaa«i  di  carriera  politica  ed 
amministrativa;  ed  in  generale  tengono  in  pochissimo  conto  la 
carriera  militare. 

Attualmente  a  ciascun  governatore  di  provincia  è  posto  a 
lato  un  generale,  e  tutte  le  truppe  dipendono  dal  potere  mili- 
tare centrale  che  effettivamente  sta  nelle  mani  dell'  accorto  ed 
energico  generale  Li-hung.  I  Cinesi  hanno  imparato  a  loro 
spese  :  al  disperdimento  delle  forzo  è  seguita  una  rigorosa  cen- 
tralizzazione, tanto  più  facile  quanto  più  dispotico  è  il  poterò 
che  l'imperatore  concede  al  suo  ministro  della  guerra.  Il  po- 
tere militare  poi  non  risiede  a  Pechino  ;  ma,  per  separarlo  com- 
pletamente dal  potere  amministrativo,  e  per  imprimergli  carat* 
terc  eminentemente  militare,  «i  volle  chv  prondeise  sede  nella 

Vou  XL,  S«ri«  n  —  IS  Latito  IM).  ti 


338  LE   CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA. 

città  di  Tien-sin,  intorno  alla  quale  ora  soreje  una  cerchia  di 
forti;  d  )nde  si  ha  pure  il  doppio  vantaggio  di  guardare  meglio 
un  punto  strategico  di  primo  ordine  e  di  meglio  dirigere  la  di- 
fesa di  mare  e  di  terra,  essendo  Tien-sin  porto  sul  Pe-ho  ed  aasai 
vicino  all'  estuario  del  Pe-ci-li. 


VI. 

Le  qualità  morali  del  soldato  cinese  sono  assai  diverse;  e 
come  potrebbe  essere  altrimenti  in  tanta  ampiezza  di  spazio, 
in  tanta  diversità  di  natura?  Ma  non  sono  così  diverse  come 
potrebbe  credersi  a  bella  prima  giudicando  alla  streg  la  dell'Eu- 
ropa. Religione  quasi  in  tutti  buddisti,  stato  per  eccellenza  uni- 
tario, educazione  plasmata  ad  un  modello,  millenarie  consuetu- 
dini   hfmno  piallato    molte    differenze.    Rimangono    tuttavia 

appariscenti  le  varietà  prodotte  dalla  origine,  dal  clima,  dalle 
maniere  di  vivere. 

I  Manciù  provenienti  da  popoli  guerrieri,  sebbene  rammolliti 
dai  civili  costumi  della  Cina,  conservano  tuttavia  qualche  tratto 
di  carattere  bellicoso  superiore  alle  popolazoni  raffinate  del 
centro  e  del  sud.  I  Mongoli,  sempre  in  lotta  colla  povera  na- 
tura, rozzi,  in  clima  aspro,  contorniti  da  popolazioni  nemiche, 
sono  anche  più  coraggiosi  e  gagliardi,  ma  n:)n  sempre  sicuri  e 
fedeli.  Le  popolazioni  dei  monti,  per  la  vita  dura  che  sono  co- 
strette a  menare,  in  aria  meglio  corroborante,  sono  più  robuste 
di  garetti,  piìi  acute  d'occhio,  più  destre  di  mano,  e  nella  cerchia 
segnata  dai  monti  del  luogo  natio,  valgono  p'ù.  ;mche  per  amore 
di  patria,  dei  popoli  della  pianura  alquanto  indifferenti,  sfibrati 
e  fiacchi. 

Ma,  presa  in  generale,  la  popolazione  cinese,  massime  nel 
cuore  dell'impero,  cioè  nella  Cina  propria,  è  la  meno  guerresca 
del  mondo.  Essa  non  conìprende  la  sanguinosa  gloria  delle  armi 
che  solleva  il  carattere  delle  nazioni,  le  scuote,  le  sveglia,  le 
toglie  dai  meschini  interessi  e,  malgrado  il  tristissimo  codazzo 
di  flagelli,  indica  senipre  n  1  mondo  i  p  o.;rus.->i  della  civiltà. 
For^e  è  quest'avversione  alle  armi,  quest'a.-ssenza  di  spirito  mi- 
litare che  ha  più  di  ogni  altra  cosa  contribuì. o  a  chiudere  la 
Cina  nella  sua  immobilità. 

Suprema  gloria  colà  non  è  la  spada:  è  la  penna.  Con  questa 
idea  la  Cina  dovrebbe  esserci   maestra  anche  al  g  orno  d'oggi, 


LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA.  339 

se  non  vi  fosse  qualcosa  più  del  calamaio  che  rende  i  popoli 
civili  ed  influenti.  La  più  volta  millenaria  storia  dell'impero  non 
cita  che  un  solo  conquistatore  cinese  :  è  il  fondatore  della 
Grande  Muraglia;  ma  gli  Annali  non  gli  tributano  gloria  con- 
degna e  la  sua  memoria  non  ha  conserv^ato  presso  il  popolo  ci- 
nese prestigio  di  sorta. 

L'attuale  dinastia  dei  Manciù  si  è  guadagnata  il  trono  colla 
spada;  ma  ben  presto  il  suo  spirito  militare  decadde  sia  perchè 
addormentato  dall'ambiente  adiposo,  sia  perchè  non  occorreva 
spiegare  molte  forze  per  tenere  a  freno  gli  indigeni,  sia  perchè 
non  minacciavano  nemici  esterni.  Onde  dal  tempo  dell'invasione 
dei  Manciù  (1600)  alla  guerra  inglese  dell'oppio,  gli  ordinamenti 
militari  si  corruppero  come  si  corrompe  l'acqua  immobile  di 
uno  stagno. 

Pure  il  soldato  cinese  non  è  sprovvisto  di  valore,  massime 
colle  armi  e  colla  tattica  moderne. 

Se  il  suo  coraggio  non  è  brillante;  pare  è  quieto  e  sereno 
come  suole  manifestarsi  in  chi  non  tiene  molto  alla  penosa  esi- 
stenza e  vede  oltre  le  stelle  un  avvenire  migliore.  1  terribili 
macelli  nelle  insurrezioni  provano  da  un  lato  come  le  popola- 
zioni si  espongano  ad  ogni  periglio  ed  anziché  fuggire  si  U- 
«cìno  sgozzare,  e  dall'altro,  come  nell'esaltamento,  il  Cinese  si 
ubbriaclii  di  sangue  e  gavazzi  nella  strage.  La  vita  umana  vale 
«ssai  poco  laggiù  :  franca  solo  la  spesa  di  venderla  a  caro  prezzo 
vendicandosi. 

Ma  r  accasciamento  morale  in  un  popolo  non  vile,  il  quale 
non  sia  ravvivato  dallo  spirito  militare,  giungo  a  tale  che  in 
Cica  non  è  raro  il  caso  di  chi  rivolga  l'arma  contro  se  medesimo 
sentendosi  impotente  da  ferire  il  nemico.  Questo  si  ò  visto  nello 
guerre  contro  gli  europei  quando  ai  fucili  ed  ai  cannoni  non  si 
aveva  da  contrapporre  che  freccie  e  «pade.  Mutorii  il  registro 
quando  i  Crnesi  avranno  armi  egUAli  agli  avversari. 

Queste  armi  poi,  a  quel  che  si  può  giudicare,  le  adopre- 
ranno  bene.  Il  genio  inventiro  dei  Cinesi  sembra  osiurito  da 
secoli  e  secoli;  rimane  però  loro  un  meraviglioso  genio  imita- 
tivo, cosi  nell'arte  come  nella  guerra,  che  fa  loro  apprendere 
facilmente  il  modo  di  combattere  nostro  e  Io  nostre  manovre. 
I  molti  ÌHtruttori  europei,  sebbene  non  sieno  dei  migliori,  nh 
dei  più  ammanierati  e  non  conoscano  per  solito  nò  lin;;iia  nò 
costumi,  riescono  assai  presto  ad  insegnare  l'esercizio.  In  guerra 
poi  l'indole  calma  del  soldato  lo  rende  eccellente  nel  difendere 


340  LE    CONDir^IONI    MILITARI   DELLA    CINA. 

col  tiro  le  posizioni  che    gli  offre  il   suo  terreno  e  nel    valersi 
dei  pregi  dell'arma  a  fuoco. 

Nel  combattimento  spicciolo,  in  terreno  insidioso  e  proprio, 
fra  fiumi,  canali,  avvallamenti,  burroni,  argini,  siepi  e  muri  può 
giovargli  assai  il  suo  sapere  trarre  partito  di  ogni  cosa;  fin  la 
mancanza  di  slancio,  di  passione,  data  la  natura  e  lo  scopo  di 
una  guerra,  in  paese  suo,  può  preparargli  la  vittoria.  Imperocché 
non  bisogna  dimenticare  che  qui  si  tratta,  non  di  guerra  offen- 
siva 0  di  conquista  in  paese  altrui,  ma  di  difesa  contro  truppe 
europee  sbarcate  e  sempre  in  numero  incomparabilmente  minore; 
le  quali  devono  superare  difficoltà  infinite  per  stabilire  la  loro 
base  di  operazione  sul  mare,  per  avanzare,  per  vivere,  per  for^ 
nirsi  di    munizioni,  per  guardarsi  all'intorno. 

Si  aggiunga,  circa  le  qualità  del  soldato,  la  sua  sottomis- 
sione, vorrei  dire  naturale,  all'  ufficiale  in  un  paese  dove  la 
gerarchia  circondata  da  forme,  che  impongono  alla  folla,  si  eleva 
potente  sopra  i  suoi  gradini  successivi  e  tiene  tutti  nella  più 
reverente  sommissione. 

Forse  ora  come  ora,  questo  prestigio  non  l'avranno  intero 
gli  ufficiali  ;  ma  coi  nuovi  ordinamenti,  elevata  l' istruzione  ed 
il  contegno,  migliorate  le  paghe,  non  sarà  difficile  agli  uomini 
intelligenti  che  reggono  le  cose  dell'esercito  in  Cina,  di  farlo 
crescere  in  un  terreno  che  gli  è  tanto  propizio. 

La  naturale  sommissione  dei  Cinesi  all'  ordine  gerarchico 
può  essere  la  base  di  un  eccellente  disciplina,  che  trasportata 
dalle  caserme  in  campagna,  particolarmente  cogli  eserciti  mo- 
derni, è  condizione  imprescindibile  di  ccesioce  e  di  vittoria. 

Un'  altra  virtù  militare  hanno  i  Cinesi,  cioè  la  sobrietà  e 
la  tolleranza  delle  fatiche  e  degli  strapazzi.  Un  pugno  di  riso 
basta  ad  un  soldato  per  l'esistenza  sua:  due  lumache,  che  trova 
dovunque,  formano  il  suo  companatico  di  lusso.  Il  soldato  non 
può  essere  diverso  dal  lavoratore  :  e  di  lavoratori  come  i  Cinesi 
ve  ne  sono  pochi  al  mondo.  Bisogna  estirpare  il  vizio  dell'oppio 
che  abbrutisce,  specialmente  gli  ufficiali,  vizio  che  tanto  bene 
ha  servito  agli  Inglesi*,  ma  a  ciò  si  procede  con  grandissimo 
rigore  ed,  a  quello  che  sì  assicura  e  che  si  può  indovinare,  con 
ottime  conseguenze. 

Gli  ufficiali  sono  in  gran  parte  molto  ignoranti  perchè  in 
passato  nessuno  si  curava  della  loro  coltura  intellettuale,  quan- 
tunque la  Cina  sia  sempre  il  paese  degli  eterni  esami.  Del  ri- 
manente a  che  avrebbero  servito  le  lettere  e  le  scienze  se  ogni 


LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA   CINA.  341 

arte  della  guerra  .  consisteva  a  trarre   d' arco  ed  a    maneggiare 
la  lancia? 

Il  libro  àeìVArte  della  Guerra  cinese  è  un  codice  di  mas- 
sime morali,  di  proverbi,  di  sentenze  filosoficlie,  scritto  pei 
principi  e  pei  generali  supremi  non  per  gli  uflScialì  minuti;  i 
quali  non  avevano  al  occupirsi  di  alcuna  combinazione  tattica. 
Le  bandiere  variopinte  andavano  innanzi  e  servivono  alla  rac- 
colta. La  folla  seguiva.  Nessuna  ripartizione  per  manovra  tat- 
tica: tutto  si  limitava  allo  stendardo,  che  può  corrispondere  se- 
condo i  tempi  ed  i  governatori,  ad  una  noitra  divisione  o  ad 
un  nostro  corpo  di  esercito,  ogni  altra  suddivisione  essendo  di 
carattere  amministrativo. 

Ora  le  cose  sono  mutate.  Si  è  introdotto  una  distribuzione 
di  truppe  non  molto  diversa  dall'europea.  L'unità  tattica  è  for- 
mata dalle  Lianza  o  compagnia  di  2.Ó0  uomini  per  la  fanteria, 
di  150  per  la  cavalleria.  Si  sono  fondati  e  si  vanno  fondando 
molte  scuole  pjr  gli  ufficiali,  dei  quali  un  certo  numero  va 
all'c«tero  per  venire  poi  negli  stati  maggiori  e  percorrere  la 
carriera  superiore.  Il  fondo  di  coltura  popolare  cinese,  che  in 
Oriente  è  superata  dal  solo  Giappone,  le  molte  scuole  di  ogni 
grado  onde  è  seminata  la  Cina  politica,  il  pregio  nel  quale 
sono  tenute  le  lettere  e  le  scienze.  Io  studio  man  mano  allarga- 
tesi delle  scoperte  moderne,....  tutto  contribuisce  a  preparare  alla 
Cina  ufficiali  relativamente  istruiti  in  un'  epoca  nella  quale 
l'istruzione  giova  tanto  all'incremento  delle  forze  militari. 

A  Ticn-sin  da  qualche  anno  fu  istituita  una  scuola  degli 
istruttori  per  dare  unità  di  addestramento  all'esercito  con  indi- 
rizzo non  dissimile  da  quello  degli  stati  europei. 

Il  Giap{K>ne  è  vicino  ed  esercita  uni  continua  influenza  ; 
gli  stranieri  nei  molti  porti  e  città  aperti  al  commercio  ammo- 
niscono quotidianamente  la  Cina  della  necessità  sua  di  essere 
forte;  le  umiliazioni,  i  bombardamenti,  gli  incendi,  le  tasse  di 
guerra  sono  memorie  recenti.  Le  distanse  sono  scomparse;  il 
mare  più  non  diride  ;  bisogna  provvedere  alla  propria  sicurezsa. 
Ecco  ciò  che  vedono  ora  le  classi  dirigenti  in  Cina,  le  quali 
esercitano  una  sterminata  autorità. 

Gli   ultimi  avvenimenti   del  Ton  kin   ed   il   contegno    della 
Francia  devono  necessariamente  avere  spinto  i  lavori  e  le  prov- 
^^viste  con  maggiore  aUcrità 

Si  calcola  che  la  Cina  abbia  speso  in  questi  ultimi  tiMupi 
300  milioni  ili  lire  l'anno   par   l'esercito   e    per  la  marineria 


342  LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA. 

senza  comprendervi  il  mantenimento  delle  truppe  che  va  a  ca- 
rico delle  Provincie.  Eppure  ha  pagato  quasi  metà  del  prestito 
di  100  milioni  incontrato  nel  1874.  Dunque  imbarazzi  finan- 
ziari non  ne  dovrebbe  avere  per  il  suo  armamento. 

La  fabbrica  Krupp  in  Essen  le  fornisce  continuamente  can- 
noni da  campagna  e  da  fortezza.  Due  anni  or  sono  erano  già 
più  centinaia,  ed  ora  si  parla  di  una  colossale  provvista  di  can- 
noni da  costa.  Anche  di  fucili,  avendo  adottato  il  Mauser,  ne  prov- 
vede a  iosa.  Non  voglio  addurre  cifre  di  periodici  che  possono  es- 
sere fallaci  :  questo  è  certo  che  molte  armi  dall'America  e  dal- 
l'Europa pigliano  la  direzione  della  Cina;  coiài  fabbricanti  fanno 
sempre  buoni  affari  ed,  una  volta  avviata  la  corrente,  non  si 
ferma  cosi  di  leggieri,  specialmente  se  il  cielo  si  intorbida. 

Ma  la  Cina  non  si  contenta  di  provvedersi  fuori  di  casa. 
I  suoi  uomini  di  stato  comprendono  bene  che  una  nazione  per 
assicurare  solidamente  la  propria  indipendenza,  deve  sapersi- 
armare  da  se  coll'industria  propria,  perchè  il  ricorrere  ad  altri,, 
oltre  a  sperperare  ricchezze  e  lavoro,  oltre  a  scemare  prestigio^ 
può  essere  sorgente  nelle  angustie  del  bisogno,  di  grossi  guai. 
Cosi  la  Cina  ha  eretto  stabilimenti  militari  suoi  ed  incoraggia 
industriali  stranieri  e  cinesi  ad  erigerne  per  conto  loro. 

Attualmente  la  Cina  possiede  sette  stabilimenti  per  la  fab- 
bricazione delle  polveri  e  del  materiale  da  guerra.  A  Canton, 
v'  è  un  antico  arsenale  :  un  arsenale  è  stato  recentemente  co- 
strutto da  un  inglese  nella  più  volte  menzionata  città  ni  Tien- 
sin,  perno  delle  difese  del  Pe-ci-li.  Un  altro  arsenale,  con  fon- 
deria e  fabbrica  d'armi,  è  stato  fondato  nel  1880  a  Nanchino, 
l'immensa  città  che  per  non  essere  esposta  ad  un  colpo  di  mano- 
in  seguito  a  sbarco,  viene  ora  fortificata,  mentre  si  difende  con 
torpedini  l'entrata  dell'ampio  canale  formato  dallo  Jang-tse. 

Lan-ceu,  capoluogo  della  provincia  di  Kan-Su,  sul  fiume 
Giallo,  località  notevole  pel  suo  commercio  colla  Mongolia,  dove 
la  Grande  Muraglia  forma  il  campo  trincerato  di  cui  ho  detto 
innanzi,  si  è  fondata  tre  anni  or  sono  una  fabbrica  d'armi. 

A  Fu-ciau,  nel  fiume  Min,  vicinissima  al  mare  quasi  in  faccia 
all'isola  di  Formosa,  si  trovano  due  stabilimenti  d'artiglieria,  nei 
quali  si  costruiscono  pure  torpedini.  E  posizione  buona  perchè 
alquanto  dentro  terra,  tra  lo  sbocco  a  mare  guardato  da  pa- 
recchi isolotti  ed  i  molti  depositi  inglesi,  americani  e  tedeschi 
la  proteggono  dal  bombardamento. 


li 


I 


LE   CONDIZIONI  MILITARI   DELLA    CINA.  343 

VII. 

I  marinai  cinesi  sono  relativamente  migliori  dei  soldati.  Si 
fa  la  cerna  nella  fitta  popolazione,  che  per  una  cosi  lunga  di- 
stesa d'  costa  seminata  di  isolotti,  vive  quasi  nel  mare  in  con- 
tinua lotta  coi  flutti.  Dille  bocche  della  Jang-tse  fino  a!  golfo 
di  Ton-kin  è  un  succedersi  di  minuti  arcipelaghi  sporadici,  che 
man  mano  quasi  si  attaccano  al  lido  e  formano  qua  corone,  là 
gruppi  intorno  ai  seni  capricciosi  ed  alle  brevi  rade;  e  lì  in 
mezzo  si  aggira  e  si  contorce  una  moltitudine  di  canali,  dì 
stretti,  di  angusti  estuari  eternamente  flagellati  dai  cavalloni 
del  grande  Oceano,  i  quali  a  traverso  i  larghi  spazi  delle  isole 
Lieu-Chien,  schierate  come  a  battaglia  tra  la  Formosa  ed  il 
Giappone,  penetrano  nel  mare  della  Cina. 

Fra  questi  isolotti  e  la  terra  ferma,  dalle  larghe  vie  fluviali, 
fra  la  Formosa  e  le  Lieu  Chieu  cinesi,  ha  luogo  un  vivissimo 
traflìco,  che  forma  ed  adle^tra  coraggiosi  ed  esperti  marmai 
mentre  alletta  e  nutre  temuti  corsari.  L'età  presente  coi  suoi 
maggiori  bisogni  e  colla  crescente  emigrazione  allarga  la  cer- 
chia di  azione  in  g^isa  che  dovunque  nei  mari  orientali  si  ve- 
dono marinai  cinesi. 

Dicono  che  attualmente  di  occupati  nel  servizio  della  mari- 
neria militare  sieno  32,000;  ma  dì  cotati  cifre  non  v'è  a  fidarsi. 
Fatto  si  è  che  la  fonte  ò  buona  ed  abbon<lantc;  basta  sapersene 
valere.  A  fare  la  cerna  fra  i  marmai  di  professione  pei  bi-iogni 
di  guerra  non  si  è  alle  strette  come  in  Europa,  dove  i  mari 
facili  e  le  basi  di  operazioni  vicine  esìgono  difesa   immediata. 

Fanno  difetto  gli  ufficiali  cosi  per  numero  come  por  qualità. 
Le  moderne  nari  richiedono  macchinisti  abili  ed  oARcìmIì  istrutti  ; 
—  e  gli  uni  e  gli  altri  mancano  per  ora  alla  Cina.  Fino  che 
si  tratta  di  condarre  le  grosse  navi  in  lejrno,  fornite  di  arti- 
glieria alla  meglio,  servono  gli  ex  capitani  marittimi  del  com- 
mercio e  gli  esperti  timonieri;  ma  per  condurre  lo  fregate,  le 
corvetto,  '  (iiniere,  le  cannoniere  a  vapore,  bisogna  ricor- 

rere ad    .  I  ed  *  maoohinisti  europei,    i  quali  in   caso    di 

guerra  devono  essere  licenziati. 

Siamo  bensì  in  un  periodo  di  transizione  nel  quale  la  Cina 
colle  scuole  sta  creando  pure  un  personale  indigeno.  Q'tk  di  parec- 
chi anni  a  Fa-ciau  v'ò  una  scuola  di  macchinisti,  che  a  quanto  si 
assicura,  procede  bene  ed  ha  già  dato  eccellonta  personale. 


344  LE    CONDIZIONI   MILITARI   DELLA    CINA. 

Il  materiale  della  flotta,  senza  contare  due  corazzate;  si  può 
dividere  come  segue: 

1"  Navi  per  il  Pe-ho; 

2'  Squadra  di  Fu-ciau; 

3°       id.        di  Scanghal  ; 

4**  id.  di  Canton. 
Le  navi  del  Pe-ho,  destinate  alla  guardia  delle  coste  intorno 
alla  capitale,  comprendono  due  incrociatori  e  parecchie  canno- 
niere di  prima  classe  le  quali  vanno  tuttodì  aumentando.  A 
capo  d'anno  1883  si  parlava  di  13  cannoniere.  Sono  di  acciaio 
e  di  ferro  armate  in  vari  modi  di  Armstrong  da  28  e  da  32 
centimetri  e  di  mitragliere  GratUng.  È  dal  1875  che  si  sta  for- 
mando la  flottiglia  :  a  quest'  ora  essa  deve  trovarsi  in  condi- 
zioni tali  da  bastare  allo  scopo  suo. 

La  squadra  di  Fu-cìau  che  piglia  il  nome  da  questo  centro 
della  vita  marittima  cinese,  ormeggia  quasi  a  mezza  via  tra  Scan- 
ghai  e  Canton  nelle  acque  settentrionali  del  canale  di  Formosa. 
Proprio  nel  bel  mezzo  della  costa  cinese,  alla  sommità  che 
essa  forma  inoltrandosi  in  mare  tra  la  gran  baia  di  Han-ceu 
ed  il  delta  dello  Jang-tse,  trovasi  la  grande  città  di  Scanghai, 
cosi  frequentata  dagli  europei.  Da  essa  si  nomina  la  seconda 
squadra  che  annovera  parecchie  fregate  (6  al  principio  dell'anno) 
ed  una  cannoniera  corazzata. 

La  terza  squadra  piglia  il  nome  da  Canton,  si  basa  su  quel- 
l'amplissimo golfo,  guarda  le  coste  meridionali  della  Cina  ed  è 
composta  in  massima  parte  di  cannoniere.  Si  devono  aggiun- 
gere 10  battelli  torpedinieri,  di  cui  gli  ultimi  sei  sono  stati  con- 
segnati in  questi  giorni.  ' 

'  Ecco  la  situazione  della  flotta  cinese  secondo  VAlmanach  fur  die  K.  K 
Krtegsmarine  1883. 

2  Corazzate  (Ting-Yuen,  Chen-Yuen). 

Navi  pel  Pe-ho 

2  Incrociatori  (.Yang-Ouei,  Tschao-Yong). 
13  Cannoniere. 

Squadra  di  Fu-ciau 

2  Incrociatori  (Yang-Ou  ed  uno  in  costruzione). 

3  Cannoniere  avviso. 

2  Cannoniere. 

13  Trasporti  avviso. 

3  Avvisi  di  flottiglie. 


LE    CONDIZIONI    MILITARI    DELLA    CINA.  345 

Fu-ciau,  Scanghai  e  Canton  possiedono  arsenali  marittimi. 

Le  due  corazzate  Ting-Yuen  (Pace  eterna)  e  Chen-Yuen 
{Guardacoste)  furono  costrutte  nel  cantiere  della  società  u  il 
Vulcano  n  a  Bredow  presso  Stettino.  Hanno  uno  spostamento 
di  7,500  tonnellate,  una  forza  di  6000  cavalli,  una  velocità  di 
14,5  nodi.  Sono  armate  di  cannoni  Krupp  da  35  cent,  e  di  mi- 
tragliere Hotchkiss  a  difesa  contro  le  torpedini;  ciascuna  coraz- 
zata poi  possiede  due  grosse  torpediniere  dotate  di  maggiore 
velocità  della  sua,  che  le  servono  di  braccia  nel  combattimento. 

Sono  in  costruzione  nello  stesso  cantiere,  una  corvetta  in 
acciaio  e  7  torpedinieri,  delle  quali  2,  già  consegnate,  hanno 
fatto  buona  prova  presso  Tien-sin. 

In  complesso  la  Cina  ha  già,  o  sta  per  avere  nel  corso  del- 
l'anno, una  flotta  assolutamente  moderna  di  oltre  70  n&vì  di  ogni 
dimensione,  delle  quali  due  fregate,  che  sebbene  piccole  a  petto 
^elle  nostre  grandi  corazzate,  pure  rappresentano  una  ragguar- 
devole forza.  E  queste  navi,  armato  tra  grandi  e  piccole  di 
oltre  350  cannoni  nuovi,  per  le  loro  dimensioni  sono  adatte  ai 
bisogni,  alla  natura  delle  coste,  al  personale,  al  piano  di 
difesa  adottato  dai  Cinesi,  la  preoccupazione  principale  dei  quali 
è  ora  la  costruzione  sollecita  delle  torpediniere. 

Due  altri  incrociatori  d'  acciaio  devono  nel  corso  dell'anno 
«sscre  forniti  da  case  inglesi  ;  due  sono  ordinati  alla  casa  Howalt 
in  Kiel ,  sicché  col  materiale  della  marina  si  procede  lestamente. 
Ma  è  da  dubitare  che  cosi  lestamente  si  possa  preparare  il  per- 
sonale tecnico. 

Ad  ogni  modo  questo  è  indubitato  che  la  iiKirmc-n.i 
su  quel  litorale,  tormentato  dallo  convulsioni  tellurich<  .  i n 
marosi  dell'Oceano,  con  quei  rifugi  sempre  aperti  «ntro  terra, 
ad  enorme  distanza  dalle  grandi  potenxe  marittime,  può  guar- 
dare serenamente  in  faccia  agli  avvenimenti  nella  fiducia  di 
trovarsi  al  coperto  dai  danni  patiti   alcuni    anni   addietro.   Ma 


fmrti'  a;  proreaieu 

a. 

Sqmadra  di  Cemton 


Fregata  (la  mafKior  jwrt^  d\  pror— i— m  ifooU). 
1  Cannoaien  eorassau 


Inn         i' 
1   Vaporo  traa|>orto. 
Vi  tonu  io&ltre  lU  canaontare. 


340  LE   CONDIZIONI   MILITARI  DELLA   CINA. 

scemerebbe,  specialmente  sul  mare,  la  sicurezza  del  Celeste 
Impero  e  molta  forza  sarebbe  paralizzata,  se  la  Francia  pren- 
desse stabile  piede  al  Ton-kin,  dove  col  tempo  e  col  lavoro  po- 
trebbe creare  un'  ottima  base  di  operazione  marittima  contro 
la  Cina. 

Ond'  è  che  ragioni  militari  si  uniscono  alle  commerciali  per 
spingere  la  Cina  sulla  via  della  resistenza  ad  ogni  costo  :  nel 
che  le  giova,  rispetto  al  dritto,  il  tradizionale  vassallaggio  del 
regpo  di  Annam,  rispetto  alla  forza,  il  contegno  degli  Annamiti, 
dei  Toncinesi  e  delle  Bandiere  Nere. 

Troppo  lungi  dallo  scopo  mi  condurrebbe  lo  studio  intorno 
alle  prevedibili  contingenze  di  una  guerra  tra  la  Francia  e  la 
Cina.  Mi  basta  per  ora  di  avere  indicato  cosi  all'  ingrosso  la 
forza  di  resistenza  della  seconda. 

L'ardore  col  quale  si  procede  nei  preparativi  di  difesa  ha 
scosso  la  natura  tarda  del  Cinese,  cui  in  generale  assai  poco 
importano  gli  interessi  dello  Stato.  Ha  troppo  da  pensare  e  da 
fare  a  vantaggio  suo  individuale  per  crucciarsi  della  patria. 
La  quale  del  resto  è  cosi  grande  che  non  cape  nel  cuore  suo. 
Ed  a  che  giova  affannarsi  per  la  patria  quando  patria  pro- 
priamente non  esiste  in  un  paese  retto  a  dispotismo  così  asso- 
luto? Tutto  appartiene  all'imperatore,  tutto  dipende  dal  suo 
beneplacito.  Nessuno,  tranne  i  grandi,  si  occupa  del  governo 
della  cosa  pubblica  ;  nessuno  vive  e  sente  come  sentono  i  po- 
poli europei  anche  meno  progrediti  nella  via  della  libertà.  L'in- 
dividualismo compresso  ed  assorbito  dallo  Stato,  si  vendica  alla 
sua  volta  e  scatta  pensando  e  lavorando  nella  piccola  cerchia 
dell'esistenza  sua,  soltanto  per  se  e  per  la  propria  famiglia.  Le 
offese  inflitte  dagli  stranieri,  le  umiliazioni,  l'invasione  stessa 
dello  Stato  possono  sopportarsi  con  impassibilità  tale  da  far 
pena  persino  agli  invasori.  Ecco  una  delle  ragioni  per  le  quali 
perdurava  l'insurrezione  mentre  lo  straniero  saccheggiava  i 
palazzi  imperiali  e  pigliava  con  poche  migliaia  di  uomini  la 
capitale. 

In  tanto  fluttuare  di  popoli,  legati  bensì  al  potere  centrale, 
da  secolari  abitudini,  da  forma  geografica  della  regione,  ma 
non  abbastanza  uniti  da  evidenti  interessi  politici,  sono  possi- 
bili quelle  ribellioni  che  durano  anni  ed  anni,  che  si  estendono 
ad  intere  regioni,  che  talvolta  rovesciano  dinastie,  mai  riformano 
le  leggi  fondamentali.  Provengono  ordinariamente  da  fanatismo 


LE   CONDIZIONI  MILITARI  DELLA   CINA.  347 

religioso,  quantunque  il  cinese  sia  piuttosto  tiepido  nelle  cre- 
denze religiose  e  tollerantissimo.  Un  fanatico  o  un  mattoide- 
affascina  le  turbe  e  le  trascina  ai  voleri  suoi,  od  a  quelli  del 
Cielo.  In  Europa  si  fa  presto  a  sbarazzarsene  ;  ma  in  C  na,  con 
quell'ordinamento  dello  Stato,  con  quelle  truppe  di  presidio,  con 
quel  teatro  di  azione....  le  cose  procedono  assai  diverse.  Dal 
1849  al  1864  è  durata  l'insurrezione  dei  Taipingr,  ed  ha  perfino 
costretto  il  governo  centrale  a  chiedere,  per  domarla,  l' inter- 
vento delle  potenze  occidentali.  Il  fanatismo  religioso  infiamma 
ed  esalta  le  moltitudini;  ma  sotto  di  esso,  allo  stato  latente, 
trovasi  sempre  la  quistioae  sociale,  la  quale  sprigionandosi  fa 
guizzare  lampi  di  fosca  luce  molto  più  in  Cina  che  in  Europa. 

Forse  l' immensa  emigrazione  è  colà  una  valvola  di  sicu- 
rezza. Ma  la  questione  sociale  avrà  una  grandissima  influenza 
nella   questione  militare. 

Pt-r  ora  tutto  ci  induce  a  credere  che  la  Cina,  vincendo 
r  indifferenza  proverbiale  e  l'amore  soverchio  al  guadagno,  si 
prepari  seriamente  alla  guerra.  Lasciando  da  pirtu  la  grande 
incognita  sociale,  che  spesse  volte  anche  in  Europa  tuT\>&  il 
sonno  degli  uomiai  di  Stato,  è  lecito  conchiuderc  dal  fin  qui 
detto  che  la  Cina  può  non  solamente  difendersi,  ma  preparare 
alla  Francia  una  situazione  molto  critica,  attraendola  nelle  spire 
di  una  guerra  che  per  ineluttabile  necessità,  se  mai  scoppiasse, 
ingoierebbe  tesori  di  tempo,  di  uomini  e  di  den<iro.  Ciò  mal- 
grado nessuna  ragione  induce  a  credere  che  la  Cina,  qualunque 
sia  il  riordinamento  militare  o  politico  che  voglia  adottare,  posta 
vincere  la  natura  sua  e  gli  ostacoli  della  posisìone  geografica,, 
possa  slanciarsi  poderosa  sai  mare,  troTando  in  sé  medesima  il 
fuoco,  l'energia,  la  potenza  di  divenire  a  sua  volta  conquista- 
trice, di  far  seguire  alio  umili  turbe  degli  infiniti  emigranti,  le 
truci  schiere  dei  suoi  soldati. 

O.  Baratibri. 


LE  PITTURE  MURALI 

SCOPERTE  NEL  PALAZZO  DEI  CONSERVATORI  IN  CAMPIDOGLIO 


Nei  primi  dello  scorso  anno,  adattandosi  ad  uso  di  sala  dei 
matrimoni,  la  Protomoteca  capitolina  nel  pianterreno  del  Pa- 
lazzo dei  Conserv'atori,  mentre  spicconavasi  il  muro  per  accon- 
ciare alcune  finestre  prospicienti  il  cortile,  apparvero,  sotto 
l'intonaco  delle  costruzioni  michelangiolesche,  alcuni  archi  a 
sesto  acuto,  sostenuti  da  colonne  di  granito,  ornate  di  capitelli 
di  marmo  con  volute  joniche. 

L'amministrazione  comunale,  per  suggerimento  del  commen- 
-datore  Augusto  Castellani  direttore  dei  Musei  Capitolini,  ordinò 
saggiamente  che  gli  archi  rimanessero  discoperti,  essendo  essi 
le  uniche  vestigia  dell'antico  Palazzo,  fatto  costrurre  da  Ni- 
cola V,  se  pure  non  appartengono  a  più  vetusto  edificio,  come 
indicherebbe  lo  stile  architettonico  e  come  è  inclinato  a  cre- 
'dere  il  signor  Camillo  Re  nell'erudito  lavoro,  il  Campidoglio  e 
le  sue  adiacenze  nel  secolo  xiv,  da  lui  edito  nel  n.  II,  anno  1882 
del  Bullettino  della  Commissione  archeologica  del  Comune  di 
Roma.  ' 

Quasi  contemporaneamente,  nell'interno  delle  sale  si  rin- 
vennero sotto  lo  strato  della  tinta  moderna,  gli  avanzi  di  alcuni 
stemmi  dipinti,  talmente  guasti  e  danneggiati  da  non  potersene 
trarre  alcun  utile,  per  modo  che  furono  condannati  a  scompa- 
rire di  nuovo  sotto  il  pennello  degl'imbianchini. 

Nella  precedente  settimana,  eseguendosi   nuovi    ristauri    in 

'  Roma,  tipografia  Salviucci,  1S82. 


LE   PITTURE   MURALI   ECC.  34Ì> 

altra  sala,  occupata  dagl'impiegati  dello  stato  civile,  sulla  pa- 
rete che  prospetta  la  finestra,  tornò  alla  luce  una  grande  pit- 
t^l^a  murale  che  la  riveste  per  intiero,  fino  all'  imposta  della 
volta. 

Si  imagini  una  decorazione  architettonica,  composta  d'  una 
cornice  sostenuta  da  pilastri  che  divìdono  la  parete  in  tre  spazi. 

Nel  primo,  —  di  maggiori  dimensioni,  —  è  collocata  la 
Madonna  in  trono  che  sorregge  sulle  ginocchia  il  bambino  di- 
ritto in  piedi.  Il  trono  è  decorato  da  due  alberi  di  cipresso  e 
da  due  figure  rappresentanti  i  principi  degli  Apostoli,  San 
Pietro  e  San  Paolo  ;  presso  i  quali  vedonsi.  a  sinistra  San  Se- 
bastiano, a  destra  Sant'  Omobono.  Inutile  dire  che  le  teste 
di  tutte  le  figure  sono  adorne  d'aureola.  La  pittura  è  chiusa 
al  di  sotto  da  un  alto  fregio,  ove  in  mezzo  a  ghirlande  di  lauro 
Cc'impeggiava  una  serie  di  stemmi,  dei  quali  avanzano  solo  due. 
Il  primo,  vicino  alla  parete  sinistra,  reca  un'aquila  nera  in  campo 
azzurro,  il  secondo  uno  scudo  azzurro  tagliato  da  nna  banda 
rossa,  sulla  quale  poggia  un  corvo. 

Nel  basso  della  parete,  sopra  un  piccolo  festone  rosso  ter- 
minante a  semicircoli,  ricorre  un  frammento  d'  iscrizione  nel 
quale  leggesi  : 

o 
Petrus.  Ispanus,   e   Mieti  liei  lo.  ^I 

Nelle  altre  pareti  della  sala,  solamente  in  quella  di  destra, 
apparvero  fin  qui  pochissimi  avanzi  della  decorazione  finale  o 
un  altro  stemma  di  forma  diversa  dagli  altri,  recante  su  fondo 
azzurro  un  vaso  d'oro,  dove  germoglia  una  pianta  di  garofani. 
Nello  spazio  della  parete  opposta  a  quella  dipinta,  non  si  è 
trovata  che  la  decorazione  finale,  la  quale  lembra  ricorra  in 
giro  per  tutta  la  sala.  Forte  qui  la  muraglia  è  rimasta  bianca, 
in  attesa  d'un  benefattore  che  ordinasse  all'artista  di  abbellirla 
coi  colori  della  sua  tavolozza. 

Abbiamo  detto  fin  dal  principio  che  in  questo  salo  esiste- 
vano i  busti  dogli  uomini  celebri,  che  solo  da  pochissimi  anni 
furono  collocati  in  più  acconcia  sede  nel  primo  piano  d«'IIo  stosuo 
Palazzo  dei  Conservatori. 

Chi  avesse  desiderio  di  sapere  in  qual  modo  e  in  che  epoca 
abbia  avut/)  origine  la  Protomoteca  capitolina,  non  ha  che  a 
\(\i\i(>w   ìiomn  nell'anno  IHSS  descritta  da  Antonio  Kibby  '  ove 

'  Parte  prìina  moderna.  —  Roma,  tipografia  delle  Belle  Arti  1A39. 


350  LE   PITTURE    MURALI 

è  narrato  che  nella  chiesa  d-  S.  Maria  ad  Martyres  (Pantheon) 
u  erano  state  collocate  entro  nicchie  semisferiche  le  effigie  in 
busti  di  marmo  degh  artisti  principali  sepolti  nel  santuario,  e 
•di  altri  che  si  credette  bene  di  riporvi  a  causa  del  loro  merito. 
Ma  la  ecclesiastica  liturgia,  non  potendo  permettere  che  in  un 
tempio  santo  si  collocassero  tanti  ritratti  d'uomini  illustri  si  ma 
pure  profani,  i  quali  di  giorno  in  giorno  andavansi  accrescendo, 
nel  1820  diedesi  incarico  al  Marchese  Canov^a  di  traslocarli 
altrove,  ed  allora  fu  che  il  mag-.strato  romano  concesse  alcune 
sale  terrene  nel  Palazzo  dei  Conservatori  sul  Campidoglio,  per- 
chè ivi  si  erigesse  una  Protomoteca,  da  riporvi  in  onorevole 
maniera  le  memorie  degli  illustri  italiani,  che  lasciarono  dopo 
se  chiara  rinomanza  sia  nelle  arti,  sia  nelle  scienze,  sia  nelle 
lettere,  n 

Per  incastrare  nei  muri  le  msnsole  destinate  a  sorreggere 
i  busti  in  marmo  provenienti  dil  Pantheon,  le  pareti  soggiacquero 
a  notevolissimi  guasti,  senza  calcolare  l'apertura  di  due  porte 
rese  necessarie  dalla  mutata  destinazione  di  quella  parte  ter- 
rena del  palazzo.  Quindi  è  che  sventuratamente  delle  pitture 
scop'^rte  non  rimangono  che  alcuni  frammenti  offesi  dal  tempo 
e  dall'intonaco,  i  quali  presentano  anche  traccie  evidenti  di  re- 
stauro antico. 

In  esse  mentre  S.  Sebastiano  conservasi  quasi  intatto,  del 
S.  Pietro  non  è  salva  che  la  testa;  alla  Vergine  manca  la  m^-tà 
inferiore  delle  gambe,  di  S.  Paolo  e  di  S.  Omobono  è  rimasta 
appena  mezza  figura. 

Ora  resta  a  vedersi  se  il  frammento  d'iscrizione  che  lpgj:esi 
in  fondo  al  dipinto  stia  ad  indie  irne  l'artista,  come  alcuno  ere  le, 
o  piuttosto  ricordi  il  devoto  personaggio  a  spese  del  quale  fu 
eseguito  il  lavoro. 

Gli  stemmi  scoperti  attualmente  e  gli  altri  apparsi  nei  re- 
stauri dell'anno  scorso,  ci  consiglierebbero  a  ritenere  che  questa 
pittura  sia  stata  eseguita  per  ordine  d'una  delle  tante  università 
d'arti  e  mestieri  de  avevano  stanza  nel  palazzo  del  Comune. 

I  due  santi,  posti  lateralmente  ai  principi  degli  Apostoli,  ci 
fanno  pensare  alle  maestranze  dei  balestrieri  e  dei  sarti,  dei 
quali  secondo  gli  agiografi,  San  Sebastiano  e  S  mt'Oaiobono  fu- 
rono dichiarati   patroni. 

E  agevo[e  dimostrare  che  le  università  operaie  nei  tempi 
■di  me/.zo  avevano  in  Campidoglio  e  nelle  sue  adiacenze  la 
loro  sede. 


SCOPERTE   NEL   PALAZZO   DEI   CONSERVATORI.  351 

Per  quanto  la  topografia  di  Roma  in  quell'epoca  non  sia 
finora  completamente  accertata,  è  nondimeno  faori  dubbio  che 
nel  medio-evo,  il  Campidoglio  era  il  centro  materiale  della  città, 
intorno  al  quale  per  antiche  tradizioni  e  per  recenti  speranze, 
continuavano  a  far  capo  gl'interessi  più  elevati  della  vita  po- 
litica e  amministrativa  dei  cittadini  romani. 

Una  serie  di  documenti,  compulsati  dal  signor  Re,  mostrano 
che  le  università  d'arti  e  mestieri  avevano  negli  edifici  del  co- 
mune apposite  loggie,  come  una  ne  possedevano  anche  i  con- 
servatori nella  quale  sovente  giudicavano  delle  liti  insorte  fra 
le  varie  maestranze. 

Le  iscrizioni  delle  loggie  di  molte  corporazioni,  si  leggono 
ancora  sotto  il  Palazzo  dei  Conservatori  e  sul  iato  sinistro  della 
scala  per  la  quale  ascendesi  al  portico  del  Vignola,  come  anche 
su  pei  muri  della  scala  medesima  se  ne  veggono  ancora  infissi 
gli  avanzi  delle  insegne  e  degli  emblemi. 

Alcuni  artisti  autorevoli  che  hanno  esaminato  i  dipinti  della 
sala  dei  Conservatori,  non  seppero  trovare  in  essi  alcuno  dei  ca- 
ratteri che  distinguono  le  opere  di  Giovanni  detto  lo  Spagna, 
al  padre  del  quale  taluno  si  piacque  attribuirli 

Nondimeno  si  fanno  riconoscere  per  opera  di  un'  artista  del- 
l'Umbria.  Arieggiano  alquanto  alla  maniera  di  Niccolò  Alunno 
e  più  ancora  a  quella  di  Benedetto  Bonfigli  che  decorò  con  mi- 
rabili affreschi  il  palazzo  del  popolo  a  Perugia.  —  Io  ogni  modo 
sono  opera  di  artisti  umbri  contemporanei  di  Pietro,  ma  non 
potrebbero  attribuirsi  a  Pietro,  nò  a  quella  pleiade  di  artisti 
del  rinascimento  che  uscirono  dalla  sua  celebratissima  scuola. 
Clic  le  pitture  del  palazzo  dei  Conserratori  sieno  di  maniera 
umbra  lo  prora,  per  non  dir  altro,  il  manto  della  Vergine  or- 
nato ai  lembi  di  frrgi  d'  oro,  e  la  itella  egualmente  in  oro  che 
lo  sorregge,  a  guisa  di   fibula,  sulla  spilla  sininistra. 

Il  professore  Cesare  M  triani  che  l'amminiritrasione  comunale 
ha  l'abitudine  di  consultare  in  tèli*  le  questioni  d'arte,  presie- 
dette intieme  al  comm.  CMStellani  silo  scopnraento  dolio  pitture. 
Eglino  hanno  ordinato  nuove  esplorazioni  sovra  1'  imposta  della 
vòltxi,  alle  quali  noli'  iatorcMa  dell'arte  e  di  Roma,  noi  augu- 
riamo di  gran  cuore  il  più  Oauito  successo. 

R.  Ercdlkl 


NOTIZIA  LETTERARIA 


GLI    STUDI    DANTESCHI.  ^ 


I  cinque  studi  danteschi  raccolti  in  un  elegante  volume  dal  profes- 
sore Fornaciari  non  hanno  nulla  che  vedere  né  colle  arbitrarie  fanta- 
sticherie filosofiche  né  colle  insetiologie  filologiche  (come  le  chiama  il 
Carducci),  che  sono  più  d' ingombro  che  d'aiuto  all'  intelligenza  del  Poeta. 
Il  nome  dell'autore  non  ha  bisogno  di  lodi,  segnatamente  per  i  lettori  della 
Nuova  Antologia,  i  quali  sanno  come  egli  ravvivi  ed  avvalori  con  mo- 
dernità di  scienza  e  di  critica  le  tradizioni  del  buon  gusto  che  sono 
quasi  in  lui  patrimonio  domestico.  Di  questi  pregi  egli  dà  nuova  prova 
in  questi  lavori,  i  quali,  sebbene  possano  stare  ciascuno  da  so,  e  i 
primi  quattro,  sieno  stati  in  fatti  pubblicati  sparsamente  in  periodici  o 
in  atti  di  varie  accademie,  sono  poi  tutti  ricollegati  fra  loro,  non  solo 
per  le  attinenze  degli  argomenti  trattati,  ma  anche  per  la  qualità  del 
metodo  costantemente  seguito.  Esso  consiste  ("dice  l'Autore  stesso  nella 
Prefazione)  nel  cercare  V  interpretazione  di  Dante  per  mezzo  di  Dante 
medesimo^  non  tanto  studiato  nella  parola  staccata,  quanto  in  quel 
generale  sistema  che  in  ogni  parte  delle  opere  di  lui  si  svela  e  armo- 
nizza con  una  mirabile  unità. 

Così  prende  a  spiegare  Vallegoria  della  Lucia,  giovandosi  d'un' opi- 
nione espressa  dal  Ruth  in  quella  sua  opera,  di  non  grossa  mole,  ma 
di  magistrale  fattura,  dove  indagate  e  ordinate  sistematicamente  le  vere 

*  Raffaello  Fobnaciari,  Studi  su  Dante  editi  e  inediti  ;  Milano,  E.  Tre 
visini,  1883. 


NOTIZIA    LETTERARU.  OOÓ 

dottrine  di  Dante,  ne  trae  fuori  con  ragionevolissima  induzione  il 
concetto  fondamentale  della  Commedia.  Il  quale  fa  sostanzialmente 
religioso,  mirando  il  Poeta  a  richiamare  nella  lor  via  le  due  supreme 
potestà,  destinate  da  Dio  a  scorgere  l'uomo  alla  sua  doppia  felicità  spi- 
rituale e  temporale.  Di  qui  la  perpetua  dualità  di  termini  egregiamente 
messa  in  luce  dal  dotto  tedesco,  tra  vita  attiva  e  vita  contemplativa, 
filosofia  e  teologia,  impero  e  pontificato,  civiltà  latina  e  civiltà  cristiana, 
Lia  e  Rachele,  Virgilio  e  Beatrice.  Ma,  come  sopra  Beatrice  sta  Maria, 
che  rappresenta  la  misericordia  suprema,  similmente  sopra  Virgilio  è 
posta  Lucia  a  significare  l'altro  attributo  divino  della  giitstisia^  Lucia 
nimt'ca  di  ciascun  crudele  (cioè  delle  fazioni,  dei  tiranni,  degli  uomini 
iniqui  e  violenti)  la  quale  si  muove  per  dare  opera  alla  salute  di  Dante. 
Tale  è  rinterpretazione  del  Ruth,  disforme  da  quella  degli  autichi  e  dei 
moderni,  che  sotto  diversi  nomi,  vedono  in  Lucia  una  specie  di  lume 
celeste,  un'appendice  e  una  prosecuzione  della  misericordia  simboleg- 
giata in  Maria.  Essa  sarebbe  in  fatti  la  grazia  prima  o  predestinaxione 
per  Benvenuto  da  Imola  ;  la  grazia  cooperante  per  Pietro  Alighieri  ; 
l'illuminante  e  cooperante  per  l'Ottimo;  l'illuminante  pel  Buti,  per  Quini- 
forte  delli  Bargigi,  pel  Landino,  pel  Fraticelli,  pel  Lubin;  la  grazia  senz'altro 
pel  Giuliani  e  per  molti  più;  la  verità  pel  Biagioli;  la  fede  pel  Balbo;  la 
carità  illuminante  pel  Tommaseo..^.  Ma  uno  studio  profondo  del  pen- 
siero dante^o  e  soprattutto  il  raffronto  di  due  passi,  l'uno  del  Convito^ 
dove  Lucia  è  contrapposta  a  Maria,  l'altro  del  Paradiso,  dove  essa 
stessa  apparisce  raffigurata  dall'aquila,  segno  della  monarchia  e  della 
giustizia,  rendono  probabilissima,  per  non  dir  certa,  la  congettura  del 
Ruth  ;  la  quale  vien  qui  dal  nostro  autore  pienamente  illustrata  e  sin- 
golarmente avvalorata  di  salde  ragioni  e  di  nuovi  riscontri  con  vari 
luoghi  del  Posma  e  della  opere  minori.  Meritano  in  spedai  modo  di 
esser  raccomandate  ai  dantofili  le  iaoeoee  note  aggiunte  alla  memoria 
e  quella,  tra  le  altre,  in  cui  dalla  relazione  (da  lui  dimostrata  strettissima) 
dell'allegoria  di  Lacia  coll'idea  dell'Impero,  il  prof.  Furnaciari  trae  qual- 
che lume  a  portare  on  gindisio  sulla  controversia,  se  nel  mistico  Veltro 
sia  profetato  an  Imperatore  ovvero  un  Pontefice.  Questa  seconda  opi- 
nione fu  ripresa  a  sostenere  con  novità  di  ricerche  dal  Pr.  Del  Lungo, 
nelle  illustrazioni  dantesche  poste  in  appendice  alla  Cronaca  di  Dino, 
illustrazioni  che  tono  di  capitale  Importania  per  la  Tita  del  Poeta  e 
per  Tintelligensa  ttorioa  del  Poema.  Bensì  gli  argomenti  addotti  dal 
prof  Furnaciari  a  difesa  della  comune  dottrina,  secondo  la  quale  il  Veltro 
dovrebbe  essere  on   grande   Imperatore  o  forte   nn  sao   Tioario,  sono 

Tm.   XL,  Serto  II  -  1&  Lacllo  ISSI.  IS 


r>54  NOTIZIA   LETTERARIA. 

COSÌ  stringenti  da  dar  da  pensare:  è  prol)abile  che  il  prof.  Del  Lungo  non 
si  ristarà  dal  ribatterli;  e  ne  nascerà  una  cortese  polemica,  che  non 
riuscirà  infruttuosa  pe'buoni  studi. 

Trattando  poi  della  ruina  che  Dant«  nomina,  senza  designarla  al- 
trimenti, nel  secondo  cerchio  dell'Inferno,  il  nostro  Autore  riferisce  e 
fa  sua  la  spiegazione  datane  dal  Benassuti.  di  frana  o  scoscendimento  ; 
e  ne  prende  occasione  a  ragionare  delle  altre  rovine  (prodotte  tutte 
dal  tremoto  che  seguì  la  morte  di  Cristo),  e  ancora  dell'  architettura 
dell'inferno  dantesco,  e  del  viaggio  del  Poeta.  Con  questo  studio  è  stret- 
tamente collegato  il  seguente  dove  egli  esamina  il  mito  delle  furie; 
e,  fatte  conoscere  le  principali  interpretazioni  che  ne  furono  date,  ne 
indaga  il  vero  significato  in  relazione  colle  altre  figure  mitologiclie 
che  si  trovano  negli  altri  otto  cerchi  infernali,  sia  fuori  sia  dentro  alla 
città  di  Dite,  cioè  Caronte,  Minosse,  Pluto,  Flegias,  il  Minotauro,  Ge- 
rione,  i  Giganti,  Conclude  quindi  che,  per  ragione  di  convenienza 
con  quelle,  non  che  pei  loro  stessi  attributi,  le  Furie  debbono  rappre- 
sentare i  peccati  puniti  nella  palude  Stigia,  i  quali  ben  si  compendiano 
ed  hanno  i  adice  nell'invidia,  contrapposta  all'amore  del  prossimo.  E  la 
minaccia  che  fanno  a  Dante  di  chiamar  Medusa,  è  una  tentazione,  un'in- 
sidia ordita  appunto  per  renderlo  invidioso,  estinguendo  in  lui  il  buono 
amore,  addormentandone  la  ragione,  e  così  convertendolo  in  duro  smalto, 
funesto  effetto  dei  piaceri  mondani  e  delle  false  immagini  di  bene,  se- 
condo la  dottrina  e  il  linguaggio  stesso  di  Dante  e  de'suoi  contempo- 
ranei. Ed  invero  il  Boccaccio,  nel  suo  commento  a  questo  luogo,  espo- 
neva la  medesima  allegoria  assimilando  la  Gorgone  agli  allettamenti  e 
alle  vanità  terrene;  e  nel  medesimo  senso  il  Petrarca  scriveva:  Medusa 
e  Verror  mio  mi  han  fatto  un  sasso.  Fin  qui  il  nostro  Autore  procede 
sul  sicuro  ;  e  probabilissima  è  ancora  la  ragione  che  dà  dell'  avverti- 
mento espresso  da  Dante  colle  parole,  0  voi  che  avete  gl'intelletti  sani, 
affinchè  ognuno  ponesse  mente  al  senso  figurato  né  si  fermasse  al  let- 
terale che  sembrerebbe  ripugnante  al  concetto  cristiano  del  Poema; 
intendimento  analogo  a  quello  dei  noti  versi  del  Purgatorio:  Aguzza 
qui,  lettor,  ben  gli  occhi  al  vero.  Ma  più  dubbia  è  l'opinione  manife- 
stata dal  nostro  autore  intorno  al  messo  celeste  venuto  ad  aprire  le 
porte  di  Dite;  nel  quale  egli  ravvisa,  non  un  Angiolo  (per  le  ragioni 
recate  già  dal  Duca  di  Sermoneta)  e  nemmeno  Enea,  Ercole  o  Mercu- 
rio (persone  tutte  di  cui  Virgilio  non  avrebbe  fatto  fatica  a  palesare  il 
nome),  ma  l'istesso  Gesù  Cristo,  come  quegli  che  pure  altra  volta  vinse 
ia  resistenza  dei  Demoni  e  che  Virgilio  designa  sempre  con  velate  allu- 


NOTIZIA   LETTERARIA.  355 

aioni.  È  una  semplice  congettura  sopra  uà  punto  che  il  Poeta  volle  proba- 
bilmente apposta  lasciare  oscuro,  come  forse  è  altresì  da  dire  ^i  quanto  si 
riferisce  al  misterioso  sia  al  Veltro  sia  al  Dux  (che  è  chiamato  del  pari 
messo  di  Dio)  ;  ma  sebbene  a  prima  giunta  appaia  strana,  esaminati  più  da 
presso  gl'ingegnosi  argomenti  eoo  cui  la  sostiene  il  nostro  A.,  sembrerà  tut- 
tavia più  ragionevole  delle  altre  che  furono  messeinnanzi  dai  commentatori. 
I  due  studi  sulla  Ruina  e  sulle  Furie  erano  stati  pubblicati  in  questo 
stesso  periodico  ;  l'altro  sopra  Ulisse  nella  divina  Commedia  fu  letto 
cella  solenne  tornata  dell'Accademia  della  Crusca  del  novembre  del  1881  ; 
ma  qui  l'A.  r  ha  riordinato  e  ridotto  in  forma  più  didattica.  Egli  per  il 
primo  ci  ha  dato  illustrazione  compiuta  di  queir  episodio  assai  trascu- 
rato fin  qui  dagli  interpreti.  Comincia  dal  notare  come  e  perchè  il  Poeta 
avesse  per  gli  eroi  greci  molta  minor  benevolenza  e  simpatia  che  pei 
latini  (salvo  s'intende  la  grande  riverenza  verso  gli  scienziati  e  gli  ar- 
tisti). Onde  è  tanto  più  notevole  l'ammirazione  che  mostra  per  l'astuto 
Itacense,  tuttoché  lo  condanni  alle  pene  eterne.  Poi  il  nostro  critico 
indaga  a  quali  tradizioni  attingesse  Dante  nel  suo  racconto,  sia^per  la 
parte  conforme  alle  storie  poetiche  di  Virgilio  e  di  Ovidio,  sia  nel- 
l'altra che  immaginò  con  ardita  e  felicissima  invenzione,  pure  ispirata 
anch'essa  dai  testi  classici  e  da  certe  credente  e  leggende  diffuse  nel 
medioevo.  Per  ultimo  chiarisce  qual  sia  stato  in  ciò  il  fine  morale  pro- 
postosi da  Dante,  spiegando  come  sia  personificato  in  Ulisse  l' ingegno 
greco  che  ai  doveri  ili  famiglia  e  di  patria  antepone  Vardort  a  divenir 
del  mondo  esperio,  e  per  effettuare  tal  suo  desiderio  non  rispetta  i  ter- 
mini posti  da  Dio  alla  curiosità  degli  uomini;  uocbe,  giunto  appena  al 
cospetto  della  terra  misteriosa  (che  secondo  la  ooimografla  dantesca 
t.jiì  poteva  essere  se  non  il  monte  del  Purgatorio)  il  sao  rolo  apparve 
folle,  e  il  vec>;hio  audace  perì  miseramente  co'snoi  compagni.  «Il  ten- 
tativo d'Ulisse  (dice  terminando),  nonostante  la  sua  triste  fine,  mocbiu<1<> 
nello  stupendo  episodio  dantesco  comi  un'aura  di  baldanzosa  spenuizi 
per  l'avvenire  dell'umanità.  Tu  senti  che  e  scritto  dopo  i  Tiiggi  «li 
Marco  Polo,  e  che  il  Poeta,  affretta  coi  voti  il  tempo,  in  cui  altri  sart\ 
più  fortunato  dell' Itacense,  come  mostra  anche  quei  chiudersi  della  nar- 
razione col  canto  stesso,  senza  veruna  osservazione  o  commento,  qvasi 
per  lasciarne  il  giudizio  al  lettore.  Quindi  la  narraxione  di  Dante  dt>- 
v<)va  avere  ed  ebbe  un'eoo  potente;  che  non  solo  l'accolse  il  Petrarca.. , 
ma  T.  Tosto  ne  prese  le  mosse  per  celebrare...  l'  impres.i  di  Colombi). 
1-on  quei  versi  dei  più  sublimi  e  ispirati  eh'  egli  abbia  composto.  >  K 
roolemamente  il  Tenn^-son  ne  tolse  argomento  ad  un  bollissimo  canto 


356  NOTIZIA   LETTERARIA. 

che  il  Fornaciari  dà  in  appendice,  giovandosi  della  facile  tradazione  di 
Carlo  Faccioli. 

Anche  più  originale  ed  inaportante  è  il  quarto  di  questi  scritti,  dove 
il  nostro  A.  tratta  largamente  nna  grave  questione  discussa   pure  in 
recenti  lavori  e  con  varia  sentenza  da  critici  valorosi,    cioè  del  nesso 
fra  la  Vita  Nuova,  il  Convito,  e  la  Commedia.  In  tale  opere  che  co- 
stituiscono  quoUa   che   fu  chiamata  trilogia  dantesca,    trovasi  narrato 
0  ricordato,  l'episodio  della  Donna  gentile,  la  quale  consolando  Dante  ad- 
doloratissimo  per  la  morte  di  Beatrice,  suscitò  involontariamente  nel  cuore 
di  lui  un  malvagio  desiderio  e  una  vana  tentazione  ;  ma  non  senza  no- 
tevoli diversità;  poiché  quella  che  appariva  persona  reale    nella   Vita 
Nuova,    diventa  figura  allegorica   nel    Convito,  e  Beatrice  stessa  nel 
Poema,  mostrandosi  a  Dante,   gli  muove   rimprovero  di   essersi  stra- 
niato da  lei,  dopo  morta,  in  termini  assai  più  aspri  che  non  convenga 
a  quel  breve  traviamento  presto  espiato.  Altre  dubbiezze  spuntano  ad 
ogni  passo  :  sebbene    l'Allighieri   medesimo    dica  che  non   intende  in 
alcuna  parte  derogare  alla   Vita  Nuova,  col  suo  Convito,  nella  prima, 
vede  la  Donna   gentile  poco    più  d'un  anno  (a  quanto    sembra)  dalla 
morte  di  Beatrice,  nel  secondo  invece,   dopo    due   anni    (accennati  coi 
due  giri  del  pianeta  di  Venere);    nell'una,  egli  è  preso  per  lei    da  un 
desiderio  vHissimo  che  dopo  alquanti  di  è   vinto  dalla  costanza  della 
ragione  ;  nell'altro,  l'amore  che  essa  ispira  al  Poeta,  finisce  col  trion- 
fare, dopo  trenta  mesi  circa,  accordandosi  coli'  antica  fiamma  ;  ond'egli 
detta  sublimi  canzoni  ed  eloquenti  parole  in  lode  di  quella    donna,  che 
è  la  nobilissima  e  bellissima  filosofia,  figlia  dello  imperadore  delV  Uni- 
verso. La  soluzione  di  queste  difficoltà  si  collega  colle  più  alte  indagini 
della  critica  dantesca,  per  esempio,  quando  sieno  state  composte  tali  due 
opere,  e  se  in  uno  o  in  più  tempi;  se  la  Beatrice  e  YaMra. geniildotma 
sieno  reali  o  simboliche,  o  1'  uno  e  l'altro  insieme  ;   in   che  consistano 
le  colpe  che    Dante   si   fa    rimproverare   cosi  acerbamente   nel  Para- 
diso terrestre...    Non  basterebbe    un    volume   a   compendiare,  sia  pure 
sommariamente,  il  molto  che  fu  ricercato  e  congetturato  sopra  simili 
argomenti.  Il  professor   Fornaciari,    fatta  una  lucida    esposizione  della 
materia,  si  ristringe  ad  analizzare  le  opinioni  dei  più  moderni    ed  au- 
torevoli, il  Dionisi,  il  Trivulzio,  il  Fraticelli,   il  Balbo,    il  P.  Giuliani, 
il  Ruth,  il  Lubin,    il   Carducci,    il  D'Ancona,    il  Witte,    il  Wegele,  il 
Selmi,  il  Renier,  il  Bartolì,  ai  quali  aggiunge  il  Biscioni   (sebbene  re- 
lativamente antico)  perchè  studiò  più  accuratamente  de'  suoi  predeces- 
sori la   Vita  Nuova  e  può  dirsi    padre    della    dottrina   che    nega  ogni 


NOTIZIA   LETTERARIA.  35 

realtà  a  Beatrice,  dottrina  or  rimessa  io  onore  con    singolare  ingegno 
dal  prof.  Adolfo  Bartoli, 

Dal  coscienzioso  esame  dei  diversi  pareri  egli  desume  alcane  con- 
clusioni che  stima  men  soggette  a  controversia:  cosi,  rigetta  la  con- 
gettura del  Lubin  e  de'  suoi  seguaci  che  la  parte  prosastica  della  Vita 
Nuova  sia  stata  scritta  o  finita  di  scrivere  solo  nella  primavera  del  300, 
ma  preferisce  tornare  al  Boccaccio  che  la  pone  duranti  ancora  le  la- 
crime della  sua  moria  Beatrice  e  quasi  nei  ventesimo  sesto  anno  del 
Poeta,  asserzione  consonante  colla  testimonianza  del  Convito,  dove  sotto 
il  nome  di  libello  composto  dinanzi  all'entrata  della  s%m  gioventù  a 
da  credere  che  si  comprendano  non  le  sole  poesie  ma  anche  le  prose, 
x;ioò  l'opera  intera.  Né  vi  fa  ostacolo  il  celebre  passo  del  cap.  41  della 
sa  Vita  A'Mora,  dove  sì  accenna  al  pellegrinaggio  di  voto:  In  quel 
tempo  che  molta  gente  andava  per  vedere  quelCimmagine  benedetta^  ecc.  ; 
acche  i  migliori  Codici  hanno  va  in  lac^o  di  andava,  e  quando  part> 
volesse  tenere  quest'ultima  lezione,  non  ne  verrebbe  per  necessari;! 
conseguenza  che  le  parole  citate  si  riferissero  al  giubileo  del  1300;  mentre 
il  fotte  raccontato  da  Dante  si  ponesse  in  quell'anno,  cioò  dieci  anni 
iopo  la  morte  di  Beatrice,  davvero  non  si  capirebbe  oom'ei  si  mera- 
igliasse  di  vedere  che  i  pellegrini  non  piangevano,  e  pensaste  che  non 
conoscevano  la  sventura  ond'era  colpita  la  città  dolente;  per  il  che  In 
leso  loro,  dicendo:  ella  ha  perduto  la  sva  Beatrice.  Le  quali  coso, 
Affinchè  sieno  verosimili,  bisogna  immaginarle  prossime  a  quella  perdit  i 
luttuosa,  e  non  già  avvenute  dieci  anni  dopo.  La  mirabile  visione  de- 
scritta poi  in  sul  finire  della  Vita  Nuova  rappresenta  seosa  dubbio  uni 
apparizione  di  Beatriee,  ma  non  va  confusa  con  quella  della  Divina 
Commedia  che  arriene  in  beo  diverse  condizioni.  Tutto  il  Convito, 
prosa  •  poesia,  è  certamente  postariore  alla  Vita  Nuova:  e  neiroper.i 
stessa  ve  n'ha  chiari  riscontri;  poiché  vi  si  accenna  che  la  oanion**: 
Voi  che  intendendo  il  terso  del  movete,  venne  composta  trenta  meu 
circa  dopo  che  il  Poeta  era  andato  là  dove  la  (llotofla  si  dimostrava 
nte;  or,  aggiunti  a  qaesto  tempo  i  due  anni  trascorsi  dalla 
orto  di  Beatrice  (di  che  si  parla  nel  2*  cap.  dol  T  Trattato)  si  giun- 
agli  ultimi  mesi  del  1201,  avanti  per  altro  alla  morte  di  Carlo 
Martello,  il  quale  recita  la  canzone  medesima  nell'ottavo  del  Paradisi). 
Ma  come  conciliare  il  ritomo  a  Beatrice  con  cui  si  chiude  la  Vita  Nuova 
il  sooosnÌTO  abbandono  attestato  dal  Cburttof  Secondo  il  prof.  Forna- 
,  qoaUa  prima  conversione  fa  passeggiera,  e.  terminato  il  suo  lavori 
giovanile,  Dante,  non  senza  on  certo  contrasto,  si  volse  daccapo  all'amerò 


358  NOTIZIA   LETTERARIA. 

e  allo  studio  della  filosofia.  Giacché  la  donna  gentile  ò  nel  tempo  stessa 
persona  viva  e  allegoria  della  scienza  unaana;  ma  probabilmente  nello 
scrivere  la  Vita  Nuova  il  Poeta  ebbe  soprattutto  in  mira  il  senso  let- 
terale, mentre  poi  nel  Convito  volle  trattare  piti  virilmente  quella 
materia,  senza  derogare  alla  Vita  Nuova,  cioè,  senza  negare  la  verità 
dell'amore  provato  per  la  sua  confortatrice,  né  spiegò  il  significato  che 
eravi  incluso.  E  sarebbe  errore  il  vedere  alcunché  di  malvagio  o  di 
lascivo  nell'affetto  che  dà  argomento  all'episodio  della  Vita  Nuova. 
Anzi  dal  contesto  si  rileva  il  contrario,  come  giustamente  fu  notato 
anche  dal  prof,  Renier  nel  suo  bel  saggio  ciùtico  sulla  Vita  Nuova  e  la 
Fiammetta  ;  la  tentazione  fu  vana,  e  vile  il  desiderio,  rispetto  a  Dante, 
nello  stato  in  cui  trovavasi;  ma  la  donna  era  savia  e  gentile,  e  con  lei 
sarebbe  stato  nobilissimo  amore;  sicché  essa  poteva  senza  contradi- 
zione venire  assunta  a  simbolo  della  filosofia.  Quanto  alle  altre  canzoni, 
d'ispirazione  più  sensuale  (sulle  quali  il  Carducci  ragiona  a  lungo  e 
da  par  suo,  nel  bellissimo  studio  delle  Rime  di  Dante),  perché  non 
crederle  indirizzate  a  donna  diversa? 

I  rimproveri  di  Beatrice  nella  Commedia,  contengono,  per  comune 
sentenza,  un  doppio  significato,  letterale  l'uno  e  simbolico  l'altro  :  nel 
primo,  si  riferiscono,  senza  dubbio,  non  alla  sola  tentazione  ritratta 
nella  Vita  Nuova,  ma  anche  ai  vari  traviamenti  amorosi  del  Poeta 
che  aveva  prestato  facile  orecchio  alle  sirene,  donne  o  pargolette  che 
fossero,  onde  morta  Beatrice,  si  tolse  a  lei  e  diessi  altrui  (nelle  quali 
parole  anche  il  prof.  Bartoli,  che  nega  a  Beatrice  ogni  realtà  storica, 
ravvisa  pure  un'allusione  a  veri  amori  terreni)  ;  nel  secondo  poi,  cioè  nei 
senso  figurato,  la  scienza  delle  cose  divine  fa  colpa  a  Dante  di  averle 
preferita  la  scienza  delle  cose  umane,  che  è  la  filosofia  dominatrice 
della  vita  attiva,  e  ciò  seguendo,  per  via  non  vera,  false  immagini  di 
iene  :  giacché,  secondo  il  concetto  medievale  del  Poema  (chiaramente 
espresso  in  più  luoghi  e  in  ispecie  nell'undecimo  del  Paradiso  e  nel 
trentesimo  e  trentunesimo  del  Purgatorio)  tutte  le  cure  e  gli  studi  dei 
mortali  sono  insensati  e  difettivi,  quando  non  abbiano  ragione  di  mezzo 
e  non  sieno  scala  per  giungere  al  bene  eterno,  di  là  dal  qual  non  è 
a  che  s^aspiri.  Ora  la  donna  pietosa  che  nel  Convito  personifica,  come 
ivi  è  detto,  la  filosofia,  sebbene  in  sé  nobile  e  gentile  e  cara  a  Dio  nel 
regno  e  nello  stato  ad  essa  attribuiti,  distolse  nondimeno  Dante  dalla 
contemplazione  della  pura  bellezza  celeste  (la  sua  Beatrice)  e  da  un  lato 
lo  immerse  nelle  letture  e  nelle  disputazioni  filosofiche,  come  narra 
nell'opera  citata,  dall'altro  lo  travolse  nelle  brighe  politiche,  onde   do- 


Sv^ii^.A    LETTERARIA.  359 

Tevano  venirgli  'e  amarezze  del  Priorato  e  dell'ambasciata    a    Roma, 
Iella  condanna  e  dell'esiglio. 

Pertanto  il  soverchio  ardore  per  la  filosofia  fa  il  sao  primo  passo 
fuori  della  via  diritta;  il  qual  sentimento  si  ridestò  in  lui  più  vivo. 
dopo  il-  fugace  proposito,  manifestato  nella  Vita  Xuova,  di  tornare  a 
Beatrice  che  lo  aveva  rivocato  a  sé  in  sogno;  ma  poco  a  lui  ne  caìse; 
e  così  egli,  ingolfatosi  nelle  faccende  mondane, 

Tanto  giù  cadde  che  tatti  argomenti 
Alla  salate  eaa  eran  gìA  corti, 
Fuor  che  mostragli  le  perdute  genti. 

Qaesto  lento  ritorno  (di  cui  può  trovarsi  un  accenno  anche  nel  famoso 
sonetto  Parole  mie  che  per  lo  mondo  siete,  ove  sembra  che  si  licenti 
dalla  filosofia)  è  rappresentato  dal  mistico  viaggio  della  Commedia,  col 
quale  il  peccatore  pentito  rifa  dal  basso  in  alto  il  cammino  stesso  che 
aveva  {«r^rorso  calando  neirabiaso.  A  tal  fine  egli  riprende,  le  stesse 
guide  della  vita  attiva,  indirizzate  ora,  per  voler  di  Beatrice,  a  ricon- 
durlo fino  alle  porte  del  Paradiso.  E  come  in  Virgilio  e  in  Stazio  è 
rappresentata  la  scienza  pagana,  così  in  Matelda  la  filosofia  scolastica  ; 
è  questa  l'interpretazione  del  Ooeschel,  del  Piochioni  e  del  Notter,  che 
il  Fornaoiari  sostiene  confortandola  di  nuovi  argomenti,  e  mostrando 
esser  conveniente  al  sistema  dantesco,  che,  non  la  vita  attiva,  ma  la 
dottrina  che  la  governa,  cioè  la  filosofia  eristiana,  compia  l'opera  dei 
due  poeti  dell'antica  Roma,  meni  il  poeta  deiritalia  nuova  nel  Paradiso 
terrestre,  e,  appiè  dell'albero  della  scienza,  lo  faccia  assisterò  alle  em- 
blematiche visioni,  incarnate  in  una  donna  beila  per  eccellenza  e  pia 
verso  Dante  d'un  aflietto  quasi  materno. 

La  conciliazione  proposta  dal  Fomaciari  fra  le  tr«  parti  dalla  tri- 
logia in  alcuni  punti,  si  conforma,  come  vedeai,  alla  dottrina  del 
(•rof.  D'Ancona,  che  forte  più  profondamente  d'ogni  altro  ha  studiato  la 
ratura  a  il  concetto  della  Beatrice  di  Dante.  Questi  infatti  (nella  me- 
moria  da  lui  scritta  su  tale  argomento  e  ristampata  come  introduzione 
alla  sua  edisione  della  Viut  Suova),  analiuando  eoo  fino  acame  le  de- 
viazioni del  pensiero  e  del  cuore  del  poeta  dalla  tua  prima  amante  nt 
r  trovava  tre;  l'una  avrebbe  per  oggetto  la  donna  gentile  della  Vita 
iVt4om,  l'altra  gli  amori  mondani,  e  piò  la  vita  politica  e  settaria  rin- 
facciati al  Poeta  nel  Paradiso  terrestre,  la  terza  gli  studi  scientifici  di 
cui  »i  ragiona  nel  Convito  :  le  tre  canzoni  di  quest'opera  e  le  rime  del 
ii>*retto  giovanile,  sarebbero  state  oompoita  con  intendimenti   diversi; 


360  NOTIZIA   LETTERARIA. 

e  solo  posteriormente,  nel  commento  prosastico,  fatto  dopo  l' esiglio , 
Dante  avrebbe  identificato  le  due  immagini,  l'una  reale,  l'altra  simbolica, 
e  dato  un  significato  spirituale  ad  una  passione  momentanea,  anzi  ad  un 
principio  di  passione  di  cui  sentiva  vergogna.  Ambedue  lo  avevano  ef- 
fettivamente allontanato  da  Beatrice:  ma  la  filosofia  è  pur  quella  che  ad 
essa  lo  riconduce,  cessato  l'apparente  contrasto,  e  poi  Beatrice  stessa, 
simbolo  deir  idea,  lo  innalza  alla  contemplazione  delle  cose  divine. 
Quindi  il  prof.  D'Ancona  ravvisava  nelle  tre  parti  della  trilogia,  quasi 
tre  «  anelli  di  una  stessa  catena,  de'  quali  ciascuno  promette  il  succes- 
sivo e  presuppone  l'antecedente.  La  Beatrice  della  Vita  Nuova  è  raffi- 
gurata in  modo  da  poter  poi  diventare  la  Beatrice  della  Divina  Com- 
media; e  gli  occhi  suoi  han  virtù  nuova  di  attrarre  il  Poeta  di  cielo 
in  cielo,  solo  perchè  furono  capaci  qui  in  terra  di  farlo  tremare  di  vero 
ed  innocente  amore.  Ma  alla  Vita  Nuova  sussegue  un  periodo  di  tempo, 
di  che  si  trovano  le  traccio  nel  Convito^  in  cui  le  due  immagini  di  per- 
fezione che  insieme  dovranno  formare  la  seconda  bellezza  di  Beatrice, 
sono  ancora  distinte  fra  loro,  né  si  uniscono  indissolubilmente  altro  che 
nell'ultima  parte  del  Poema.  »  Il  prof.  Fornaciari  dal  canto  suo,  tut- 
toché lodi  il  sistema  del  suo  predecessore,  come  quello  che  risolve 
maggior  numero  di  difficoltà^  gli  fa  appunto  sia  di  scinder  troppo  ciò 
che  il  Poeta  volle  unito  nel  rimprovero  di  Beatrice  (del  torsi  a  lei  per 
darsi  altrui)  sia  di  non  distinguere  abbastanza  nel  rimprovero  stesso 
ciò  che  può  esserci  di  letterale  e  d'allegorico.  In  oltre  non  reputa  che 
il  Convito  possa  dirsi  un  mezzo  per  ritrovare  Beatrice,  nò  la  donna 
della  Vita  Nuova  una  deviazione  fugace,  separata  affatto  dal' e  altre  : 
gli  pare  insomma  che  l'ingegnosa  analisi  difetti  forse  alquanto  di  sintesi. 
La  sintesi,  a  dir  vero,  del  lavoro  del  prof.  d'Ancona  ritrovasi,  nella 
luminosa  dimostrazione  da  lui  data  del  proprio  assunto,  che  era  di  pro- 
vare, mediante  uno  studio  psicologico,  l' identità  di  Beatrice  (donna, 
personificazione  e  simbolo)  a  cui  Dante  consacrò  il  verso  e  l'affetto. 
Ma  da  un'altra  parte  in  queste  ardue  controversie  (che  appena  si  possono 
sfiorare  nei  confini  d'una  modesta  recensione  bibliografica)  il  più  grave 
ntoppo  sta  nella  cronologia  delle  opere  minori.  Or  qui  il  nostro  autore, 
avendo  già  finito  e  in  parte  stampato  il  suo  lavoro,  ebbe  la  buona  fortuna 
che  gli  venissero  alle  mani  gli  scritti  danteschi  di  Giuseppe  Todeschini 
raccolti  in  due  volumi  dal  prof.  Bressan;  i  quali,  sebbene  nominalmente 
usciti  alla  luce  in  Venezia  fin  dal  1872,  non  sono  diffusi  né  conosciuti 
come  meriterebbero  ;  anzi  rimasero  per  molti  anni  sepolti,  cosicché  i 
dantofili  che  ne  vollero  un  esemplare  dovettero  quasi  penar  più  che  a 


XOTIZIA    LSTTERARIA.  361 

procacciarsi  un'edizione  del  400.  Nelle  preziose  Osservazioni  e  censure 
alla  vita  di  Dante  del  Balbo,  e  nella  memoria  pur  troppo  incompiuta 
sulla  cronologia  della  Vita  Nuova,  che  stanno  fra  le  opere  di  quel  valen- 
tuomo, il  nostro  critico  fu  lieto  di  trovare  una  notevole  conferma  della 
sua  opinione,  sull'anno  in  cui  va  posta  l'apparizione  della  donna  pietosa  che 
fu  il  secondo  amore  del  Poeta.  Poiché  il  Todeschini,  conciliando  la  te- 
stimonianza della  Vita  Nuora  e  del  Convito,  spiega  ed  illustra  colle 
cognizioni  astronomiche  di  quella  età  come  le  due  fiate  che  Venere  era 
rivolta  nel  suo  cerchio  (delle  quali  si  parla  in  quest'ultima  opera)  non 
sono,  secondo  che  si  credette  fin  qui  due  riapparizioni  del  pianeta  stesso» 
fenomeno  che  avviene  ogni  584  giorni,  ma  due  rivoluzioni  di  esso  nel- 
l'orbita sua,  cioè  il  doppio  di  224  giorni  e  1(5  ore.  E  tale  spazio  di  poco 
meno  che  quindici  mesi  dalla  morte  di  Beatrice,  corrisponde  precisa- 
mente air  indicazione  dell'altro  libro  dantesco,  cioè  alquanto  tempo  dopo 
il  giorno  in  cui  si  compira  l'anno  che  Beatrice  era  fatta  delle  citta- 
dine di  vita  etema;  il  che  ci  conduce  al  principiare  del  settembre  dei 
1291.  Quindi,  potendosi  assegnare  al  1392  la  composizione  delia  Vita 
Nuova,  ne  viene  accertata  la  notizia  del  Boccaccio  che  il  Poeta  ora 
allora  quasi  nel  suo  ventesimo  anno;  e  più  facilmente  s'intende  ooroe 
egli  stesso  dicesse,  nel  Convito^  di  averlo  scritto  dinanzi  all'entrata  di 
sua  gioventù  ;  il  che  significherebbe,  secondo  la  distinzione  che  pone 
tra  adolescenza  e  gioventù,  che  lo  cominciò  prima  di  aver  compito 
venticinque  anni.  E  sia  lecito  aggiungere  che  la  parola  entrata^  avendo 
un  sento  assai  largo,  doveva  comprendere  non  un  giorno  o  un  anno 
solo,  ma  un  periodo  non  breve  di  tempo. 

Tatto  ciò  avverte  il  prof.  Pornaciari  in  una  annotasione  che  chiude 
d^namente  la  serie  dei  suoi  studi,  dei  quali,  dopo  l'analisi  fattane, 
non  occorre  dimostrare  Timportanza,  Basti  OMenrare  che  la  sobrietà 
della  forma  sta  in  armonia  colia  severità  della  dottrina  e  del  metodo. 
Non  vi  s'incontrano  ponti  di  quei  fioretti  o  di  quelle  frasche  ondt 
Tanno  spesso  sopraccarichi,  ma  non  adorni,  certi  scritti  danteschi: 
qui  l'ammirazione  verso  il  Poeta  non  si  manifesta  con  frasi  ampollose 
e  con  smancerie  retoriche;  bensì  con  indagini  pallenti  e  sagaci  in- 
torno alle  opere  sue»  rivolte  a  interpretarne  il  pensiero,  quale  esso  fu 
in  relazione  colle  dottrine  e  colle  idee  dominanti  nella  civiltà  del  300 
e  non  già  secondo  i  gysti  e  le  cognizioni  del  nostro  secolo. 

Chi  dia  un'occhiata  alla  bibliografia  del  Ferrazti,  o  semplicementi« 
ai  cataloghi  de*  librai  o  degli  infelici  raccoglitori,  vedrà,  anche  dai  soli 
titoli  pomposi   e  vuoti,  quanta  congerie  di  ciance  sia  stata  scritta  e 


302  NOTIZU    I>F,TTERARIA. 

stampata,  sotto  pretesto  di  fare  onore  a  Dante,  segnatamente  fra  il  65 
e  il  70! 

Ma  v'è  pur  fra  noi  una  schiera  di  coscienziosi  eruditi,  i  quali  recano 
nello  studio  dell'opera  dantesca  i  canoni  e  le  norme  della  sana  critica; 
e  procedendo  ciascuno  coi  proprio  passo  e  pur  talvolta  senza  incontrarsi 
nò  accordarsi,  battono  ciò  nondimeno  la  medesima  strada.  Il  prof.  For- 
naciari  appartiene  a  questa  eletta  compagnia,  grazie  alla  quale  si  è 
proceduto  più  innanzi  da  un  lato  nell'interpretazione  dell'allegoria  del 
Poema  e  dall'altro  nella  conoscenza  della  vita  di  Dante  e  della  storia 
de' suoi  tempi.  Molto  tuttavia  rimane  da  fare,  sia  in  queste  due  pro- 
vince, sia  nell'altra,  non  meno  importante,  della  critica  del  testo,  così 
per  la  Commedia  come  per  le  opere  minori.  Possano  raccogliersi  in 
questa  impresa  lo  forze  degli  studiosi,  che  isolate  e  disseminate  non 
basterebbero  a  tanto,  come  è  provato  dallo  stesso  tentativo  del  Witte, 
per  tacere  di  altri  benemeriti,  fra  i  quali  il  Barlow  ha  un  luogo  emi- 
nente. Già  è  noto  che  il  prof.  Adolfo  Bartoli,  coU'aiuto  di  valenti  gio- 
vani suoi  discepoli,  ha  incominciato  ad  estrarre  tutte  le  varianti  dei 
Codici  fiorentini  del  Poema:  ottimo  lavoro  preparatorio  al  quale  con- 
verrebbe aggiungere  l'esame  degli  altri  Codici,  dopo  averli  tutti  quanti 
aggruppati  e  classificati,  determinandone,  per  quanto  si  possa,  l'età  e 
l'autorità  e  procedendo  colle  savie  norme  suggerite  dal  Mussafia;  oltre 
ai  codici  sarebbero  da  tenere  a  riscontro  le  primitive  e  migliori  edizioni  ; 
con  tale  scorta  e  con  quella  di  scritture  sincrone  dovrebbe  ricostruirsi  !a 
grammatica  di  Dante,  come  fece  il  Caix  per  i  poeti  del  Dugento.  Ma 
un  uomo  solo  (giova  ripeterlo)  fosse  pure  un  Muratori,  riuscirebbe 
impari  a  sì  ponderosa  fatica:  bensì  potrebbe  accingervisi  una  associazione 
potente  per  gagliardia  d'ingegni  operosi  e  per  larghezza  di  sussidi 
d'ogni  maniera.  E  davvero  sarebbe  tempo  che  si  costituisse  anche  fra 
noi  una  società  dantesca,  simile  a  quella  che  fiorisce  in  Germania,  sul 
cui  esempio  (se  è  vero  quel  che  fu  annunziato)  altre  ne  sorsero  in 
altri  paesi  e  persino  nella  lontana  America.  Bene  sta  che  il  culto  di 
Dante  sia  universale:  ma  il  principal  tempio  dovrebbe  essergli  dedi- 
cato in  patria,  presso  la  casa  dove  nacque,  presso  il  fonte  dove  ebbe  il 
battesimo. 

Augusto  Franchetti. 


RASSEGNA  POLITICA 


La  proroga  della  Sessione  —  La  chiasura  —  Sua  utilità  —  Le  elezioni  del 
15  Luglio  —  La  questione  delle  quarantene  —  Rappresaglie  —  Le  re- 
lazioni tra  la  Francia  e  l'Inghilterra  —  I  fìitti  di  Tamatava  —  La 
IdÌKonione  sol  Tonkino  —  Speranze  de'  monarchici  —  Il  conte  di 
Chambord  —  I^  leene  ecclesiastica  in  Prussia. 
» 

Un  decreto  pabblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  ha  prorogato  la  soi- 
sione  del  parlamento  italiano.  Di  regola  generale  la  proroga,  in  qaesia 
forma,  precede  il  decreto  di  chioiura  della  sessione.  É  quindi  assai 
probabile  che  fra  qualche  tempo  la  sessione  Tenga  chiusa,  e  così  in 
novembre  si  abbia  un  discorso  della  Corona.  La  stampa  di  opposizione 
fa  udire  alti  lagni  per  questa  risointione,  ma,  in  verità,  ci  pare  ohe 
le  sue  eensnre  non  abbiano  serio  fondamento.  L'  argomento  più  forte 
contro  la  chiusura  consiste  nel  dire  che  molti  progetti  di  legge  impor- 
tantissimi sono  rimasti  in  sospeto  •  che  il  doverli  ripreientare  nella 
nuova  senione  eagioMrft  una  perdita  di  tempo.  Ma  è  fitdle  rispondere 
che  la  nocva  pretentasione  si  riduce  ad  una  mera  formalità,  in  quanto 
che  nulla  impedirà  alla  Camera  di  rtoonfermare  nel  loro  ufficio  le  com- 
missioni che  già  avevano  preso  ad  esaminarli  e  che  potrebbero  imme- 
diatamente proseguire  i  propri  studi.  Non  è,  dunque,  ragionevole  il 
timore  ehe,  per  questa  sola  ragione,  abbiano  a  soffrire  indugio  la  pe- 
requazione fondiaria,  la  riforma  della  legge  provinciale  e  corounaU  e  i 
progetti  sodali  dell'on.  Berti.  Oli  indugi,  se  ve  ne  saranno,  proverranno 
dalle  difficoltà  intrìnseche  delle  materie  alle  quali  questi  progetti  si 
rifanaoooo,  non  mai  dalla  chiusura  della  sessione. 

D'altro  canto,   questo   darà   modo   al    ministero  di  ripreseotare  io 


m 


364  RASSEGNA.    POLITICA. 

forma  alquanto  diversa  alcuni  dei  progetti  che  presentemente  stanno 
davanti  al  Parlamento.  L'  onorevole  ministro  dei  lavori  pubblici  non 
aveva  ritirato  il  progetto  di  legge  suU'  esercizio  delle  strade  ferrate 
presentato  dal  suo  predecessore.  Ma  è  possibile  oramai  che  la  discus- 
sione si  apra  sul  progetto  Baccarini  ?  Il  rifiuto  delle  Meridionali  di  ac- 
cettare la  proroga  del  riscatto,  ha  mutato  essenzialmente  i  termini  della 
questione.  Il  ministero,  che  di  quel  rifiuto  ha  accettato  le  conseguenze, 
non  può  ora  esimersi  dall'  entrare  francamente  nella  via  dell'  esercizio 
privato,  che  il  progetto  Baccarini,  checché  se  ne  dica,  tende  a  rendere 
impossibile.  Ciò  dovrebbe  esser  conforme  anche  alle  idee  dell'on.  Genala 
il  quale  è  stato  sempre  dell'esercizio  privato  uno  dei  più  ardenti  pa- 
trocinatori. Del  pari  potrà  essere  in  qualche  parte  emendato  il  pro- 
getto sulla  perequazione  fondiaria,  che  ora  viene  aspramente  combat- 
tuto dalla  maggior  parte  dei  deputati  delle  provincie  meridionali.  Non 
vogliamo  entrare,  per  incidente  nell'  ardua  controversia  ;  accenniamo 
soltanto  alle  preoccupazioni  che  il  ministero  deve  avere  a  questo  pro- 
posito e  che  lo  persuaderanno,  forse,  ad  intraprendere  nuove  indagini 
per  rimuovere  il  pericolo  che  la  perequazione  fondiaria  sia  il  pomo 
della  discordia  fra  le  diverse  regioni  d'Italia. 

Tutto  ben  considerato,  pertanto,  la  chiusura  della  sessione  non  so- 
lamente non  meriterebbe  biasimo,  ma  sarebbe  necessaria  per  riordinare 
il  lavoro  legislativo  e  dargli  un  indirizzo  ben  determinato.  Certamente 
l'on.  Depretis  cercherà  di  trarne  profitto  anche  dal  lato  politico.  Non 
investigheremo  quanto  vi  sia  di  vero  nelle  voci,  che  l'on.  presidente 
del  consiglio  intenda  giovarsi  della  chiusura  della  sessione  per  raffor- 
zare il  ministero  in  Senato,  chiamando  alcuni  deputati  suoi  amici  a  far 
parte  della  Camera  vitalizia.  Non  vediamo  quale  relazione  esista  fra 
la  chiusura  della  sessione  parlamentare  e  la  nomina  di  nuovi  senatori, 
la  quale  può  essere  fatta  in  ogni  tempo.  L'  on.  Depretis  si  rafforzerà 
ben  maggiormente  nel  Senato  e  nella  Camera  elettiva,  se  il  discorso 
d'inaugurazione  della  nuova  sessione  sarà  l'affermazione  delle  condi- 
zioni parlamentari  sorte  dal  voto  del  19  maggio.  Se  la  sinistra  storica 
riuscirà  a  riordinarsi  e  a  costituire  una  forte  opposizione,  l'on.  presi- 
dente del  consiglio  avrà  l' obbligo  di  contrapporle  una  maggioranza 
forte  essa  pure  e  compatta,  alla  quale  darà  le  più  ampie  guarentigie 
di  voler  perseverare  nella  via  additata  dal  discorso  di  Stradella.  In- 
tanto non  si  può  negare,  che  anche  gli  ultimi  atti  dell'  onorevole 
Depretis  provano  la  sua  ferma  intenzione  di  serbarsi  fedele  a  quel 
programma.  Le  nomine  dei  segretari  generali  dei  ministeri  di  grazia  e 


RASSEGNA    POLITICA.  365 

giustizia  e  di  agricoltura  e  commercio  rispondono  esattamente  alla  nuova 
situazione  parlamentare.  L'on.  Solidati-Tiburzi  appartiene  alla  sinistra 
moderata,  l'on.  Vacchelli  al  centro.  Né  crediamo  che  si  avranno  a  su- 
perare gravi  ostacoli  per  nominare  gli  altri  segretari  generali  che  an- 
cora mancano.  Si  è  parlato  di  offerte  respinte  da  parecchi  uomini 
politici,  ma,  a  nostro  avviso,  l'on.  Depretis  non  è  uomo  proclive  ad 
offrire  senza  aver  prima  acquistato  la  certezza  che  l'offerta  venga  ac- 
cettata. Rimane  sempre  la  questione  se  non  sarebbe  meglio  che  i  se- 
gretari generali,  anziché  un  carattere  politico,  avessero  un  carattere 
meramente  amministrativo,  fossero,  per  dir  così,  i  rappresentanti  delle 
tradizioni  nelle  amministrazioni  dello  stato.  Ma  per  lungo  tempo  an- 
cora nessun  ministro  in  Italia  oserà  accingersi  a  questa  riforma.  Im- 
perocché la  distribuzione  dei  segretariati  generali  è  un  mezzo  per  otte- 
nere proseliti  e  allargare  la  base  parlamentare  del  gabinetto.  Incomin- 
ciano sventuratamente  ad  assumere  un  carattere  politico  anche  i  di- 
rettori generali,  e  non  sappiamo  dove  si  andrà  a  finire  di  questo  passo 
Ma,  purtroppo  questi  inconvenienti  sono  inseparabili  dal  regime  par- 
lamentare come  è  inteso  e  messo  in  pratica  pv'esso  di  noi. 

Oggi,  mentre  scrìviamo,  molti  collegi  elettorali  d'Italia  sono  conro- 
rati  per  nominare  i  loro  rappresentanti  in  sostituzione  dei  deputati  sor- 
teggiati. Se  si  volesse  una  prova  della  scarsa  utilità  ed  efficacia  della 
legge  sulle  incompatibilità,  e  del  conto  in  cui  è  tenuta  dall'opinione 
pubblica,  lo  si  avrebbe  nel  fotto  che  la  maggior  parte  dei  deputati 
sorteggiati  si  ripresentano  agli  elettori  senta  aver  rinunziato  all'ufflcio 
che  li  costrinse  ad  uscire  dalla  Camera.  E  quasi  tutti,  o  almeno  il  mag- 
gior  numero,  saranno  rieletti,  quantunque  sia  quasi  imponsibile  che  la 
loro  elezione  sia  convalidata.  Oli  ó  che  gli  elettori  non  trovano  altri 
nomini  autorevoli  e  competenti.  In  alcool  collegi,  all' antico  deputato 
Korteggiato  si  eootrappoogono  ooovi  candidati  ohe  anch'essi  coprono  offlti 
pei  quali  difficilmente  tara  loro  concesso  di  sedere  Dell'assemblea.  Insomma 
colla  speranza  che  l'importuno  vinca  l'avaro  e  che  si  faccia  vacante 
qualche  posto  nella  cfttegoria  degP  impiegati,  oppure  che  la  Camera  vinta 
dairinsistenia  degli  elettori  trovi  modo  d'interpretare  più  largamente 
la  legge,  di  qoeiU  doo  si  iien  conto  e  si  procede  alle  elezioni  come  se 
esM  non  esistesse.  Tutti  i  partiti,  oonpreso  il  radicale,  procedono  in 
qoMta  goisa.  L'argeosa  di  riformare  e  modificare  la  legge  solle  incom- 
patibilità si  fk  sempre  più  evidente,  per  confessione  di  coloro  stessi  che 
a  quella  legge  attribuivano  virtù  miracolose. 

Da  qoioto  abbiamo  esposto  oasoe  U  peranaiioDe  che  queste  elezioni 


36(5 


RASSEGNA   POLITICA. 


parziali,  non  muteranno  gran  fatto  le  condizioni  dei  partiti  nella  Ca- 
mera. Alcune  di  esse  saranno  dichiarate  nulle,  e  se  non  vi  si  provvede, 
avremo  in  novembre  un  altra  agitazione  elettorale.  È  questo  un  male, 
perchè  l'esperienza  dimostra  come,  anche  coi  suffragio  allargato,  eh 
elettori  siano  restii  all'adempimento  dei  loro  doveri,  e  certo  il  costrin- 
gerli a  votare  eosì  frequentemente,  non  ne  accrescerà  la  solerzia.  Ci 
asteniamo  dall'entrare  ne' particolari  della  lotta,  perchè  quando  la  pre- 
sente rassegna  verrà  alla  luce,  già  se  ne  conosceranno  i  risultati,  e  le 
nostre  congetture  non  avranno  più  alcun  valore.  Notiamo  soltanto  la 
mancanza  quasi  assoluta  di  programma  politici  propriamenti  detti.  Pochi 
sono  i  candidati  che  non  promettono  di  appoggiare  il  ministero  o  quanto 
meno,  l'on  Depretis.  E  queste  promesse  sono  quasi  sempre  accompa- 
gnate da  tenere  dichiarazioni  d'affetto  agli  operai  che  ora,  in  forza  del- 
l'articolo 100,  hanno  acquistato  una  ragguardevole  importanza  nel  mo- 
vimento elettorale.  Nei  programmi  elettorali  le  questioni  sociali  prendono 
il  sopravvento  sulle  politiche  ed  anche  sulle  amministaative.  Che  cosa 
ne  direbbe  il  conte  di  Cavour  che,  in  una  delle  sue  lettere  testé  pub- 
blicate, manifestò  la  propria  sfiducia  intorno  alla  possibilità  di  risolvere  le 
questioni  sociali  altrimenti  che  col  tempo,  lentamente  per  gradi,  e  in- 
sisteva sulla  necessità  di  non  solleticare  i  volgari  pregiudizi? 

A  proposito  di  pregiudizi  devon  dirsi  tali  le  paure  che  hanno  invasa 
tanta  parte  d'Italia  dopo  la  comparsa  del  colera  in  Egitto?  L'Inghilterra, 
fedele  alle  sue  consuetudini  e  sollecita  principalmente  di  non  danneggiare 
i  suoi  interessi  commerciali,  reputa  eccessive  le  precauzioni  che  talune 
potenze  prendono  contro  l'invasione  del  fatai  morbo.  Si  discute  se  il  co- 
lera sia  stato  importato  in  Egitto  dall'India,  oppure  se  vi  si  sia  sviluppato 
spontaneamente.  Nel  primo  caso,  dicesi,  io  si  dovrebbe  alla  studiata 
negligenza  del  governo  inglese  che  non  si  curò  di  sottoporre  le  pro- 
venienze dall'India  alla  quarantena.  Com'  era  da  immaginare,  l'Inghil- 
terra ha  trovato  medici  autorevolissimi,  pronti  a  negare  quell'importa- 
zione. Ma  ora  la  questione  delle  origini  diventa  oziosa.  Il  colera  è  in 
Egitto  e  le  potenze  Europee  intendono  premunirsi.  E  siccome  il  governo 
inglese  non  se  ne  dà  per  inteso,  cosi  in  molti  porti  europei  fu  imposta 
la  quarantena  alle  provenienze  inglesi. 

Il  lettore  non  si  aspetterà  da  noi,  che  intavoliamo  qui  una  polemica 
sui  caratteri  dell'  epidemia  e  sulla  maggiore  o  minore  efficacia  dei  mezzi 
d'isolamento.  Con  lo  sgomento  delle  popolazioni  non  si  ragiona.  In 
Italia,  per  esempio,  lo  stabilire  immediatamente  quarantene  di  lunga  du- 
rata era  una  necessità  imprescindibile  per    impedire  che  fosse  turbato 


RASSEGNA   POLITICA.  36  7 

Tordiae  pubblico.  La  notizia  che  1'  Italia,  la  Spagna,  la  Francia,  e  la 
Germania  si  fossero  unite  per  muovere  rimostranze  in  comune  al  go- 
verno inglese  è  stata  smentita  ;  non  è  men  vero  ad  ogni  modo  che  le  qua- 
rentene  furono  ordinate  da  tutte  indistintamente  le  potenze  continentali. 
Di  questo  fatto  non  avi'emmo  tenuto  parola,  se  indirettamente  non  vi 
si  fosse  immischiata  la  politica.  L'Inghilterra  ha  provveduto  per  via 
di  rappresaglia,  sovratutto  contro  la  Francia,  da  lei  accusata  di  avver- 
sare sistematicamente  gli  interessi  inglesi.  Anche  essa  ha  stabilito  qua- 
rantene per  le  provenienze,  e  da  "paesi  notoriamente  immuni  dal  colera, 
e  queste  quarantene  ha  aggravato  per  le  navi  partite  da  porti  fran- 
cesi. —  La  qual  cosa  ha  servito  ad  inasprire  sempre  più  le  relazioni  tra 
r  Inghilterra  e  la  Francia,  già  tanto  tese  da  qualche  tempo. 

Siamo  lontani  daWenfente  cordiale  che  pareva  indissolubile  sotto 
r  impero  di  Napoleone  III.  Il  linguaggio  dei  giornali  Francesi  non  ò  ora 
meno  aspro  verso  V  Inghilterra  che  verso  la  Germania.  E  dal  suo  canto 
la  stampa  inglese  giudica  molto  severamente  la  politica  coloniale  della 
Francia,  alla  quale  pronoetica  gravi  disinganDÌ.  Le  recriminazioni  sono 
diventate  più  acri  dopo  il  tatto  di  Tamatava.~doTe  alcuni  funzionari  in* 
glesi  furono  arrestati  e  maltrattati  dalle  truppe  firanoasi  di  occupa- 
zione. Il  ministero  brittannico  se  n*é  lagnato  pubblicamente  in  parìa- 
mento,  aggiungendo  di  aver  chiesto  spiegazioni  al  governo  della  Re- 
pubblica e  di  attendere  da  questo  una  soddisfaaente  risposta.  Lastanapa 
francese  scherza  su  queste  pretensioni  e  incoraggia  il  ministero  Ferry 
a  resistere.  Non  intendiamo,  con  ciò,  di  affermar  prossima  una  rottura 
della  relazioni  fra  i  due  governi,  ma  sono  continue  puntare  di  spillo  che, 
moltiplicandosi,  possono  tosto  o  tardi  aprire  una  larga  forita. 

Finora  la  Francia  non  ha  da  rallegrarsi  gran  fatto  dei  frutti  che 
raccoglie  dalla  sua  politica  coloniale.  La  questione  del  Tunkino  non  ba 
progredito  di  un  passo,  ma  fu  causa  di  scandali  inauditi  nella  Camera 
francese  dei  deputati.  Il  GasMgnao  ha  inveito  siflattamente  contro  il  Qo- 
Teroo  e  particolarmente  contro  il  Perrjr,  da  ouctringere  il  Presidente  del- 
rafsemblea  a  pronunciare  contro  di  lui  la  censura  e  TallontanamMlo 
per  quindici  giorni  dall'aula.  É  da  notare,  però,  che  quel  violentissimo 
oratore,  il  quale  assicurava  di  aTer  le  prove  che  la  spedisione  del  Ton- 
kino  fosse  stata  determinata  da  ignobili  speculazioni,  non  ha  poi  citato 
un  fatto  0  OD  nome  che  raleue  a  confermare  la  sua  osservazione.  In  fon'io 
lo  scopo  di  Cassagnae  è,  più  che  altro,  quello  di  dimostrare  TimpoMi- 
biiità  del  regime  parlamentare  in  Francia.  Bgli  ò  innanzi  tutto  autori- 
i!\r'..   V.n.in.  ;i  Konapartismo  a  cocdiziuoe  che  eaerciti  il  potere 


368  RASSEGNA   POLITICA. 

luto  e  riconosca  l'onnipotenza  del  Clero.  Se  il  bonapartismo  non  si 
impegna  n  far  ciò,  egli  sarà  lieto  che  lo  tacciano  gli  Orleans,  i  quali, 
però,  non  sembrano  disposti  a  seguire  fino  a  questo  punto  i  suoi  consigli, 

Ritornando  alla  discussione  sul  Tonkino,  osserveremo  ancora  che  i 
ministri  francesi  si  sono  adoperati,  senza  riescirvi  interamente,  a  dissi- 
pare le  inquietudini  intorno  al  contegno  della  China.  Nulla  prova  che  il 
governo  cinese  si  rassegni  a  perdere  il  protettorato  suU'Annam.  Fal- 
lita la  missione  Tricou,  dove  e  come  furono  riannodate  le  trattative  ? 
La  controversia  è  sempre  aperta,  e,  quel  ch'è  peggio,  i  francesi  non 
hanno  ancora  ripreso  1'  offensiva  nel  Tonkino  e  sono  constretti  a  di- 
fendersi contro  gli  annamiti  che  li  circondano  da  ogni  parte.  Si  capisce 
che  questa  condizione  di  cose  non  giovi  al  il  prestigio  della  Repubblica 
in  Francia  e  accresca  mille  doppi  l'audacia  di  coloro  che  spiano  il  mo- 
mento opportuno  per  abbattere  un  governo  che  non  seppe  o  non  volle 
dar  guarentigie  sufficienti  ai  fautori  deirordine  e  della  pace.  La  morte 
ritenuta  imminente  del  Conte  di  Chambord  toglie  uno  degli  ostacoli 
principali  al  ristabilimento  della  monarchia.  Se  egli,  come  si  assicura, 
ha  nominato  erede  al  trono  il  Conte  di  Parigi,  questi  potrà  ora  agire . 
assai  più  liberamente  che  in  passato,  per  i  legittimisti  sarà  il  rappre- 
sentante del  diritto  divino,  mentre  i  buoni  borghesi  non  vedranno  in 
lui  che  il  nipote  di  Luigi  Filippo,  a  cui  la  Francia  deve  diciotto  anni 
di  quiete  relativa  e  di  prosperità  economica.  Assai  minori  sembrano 
a  noi  le  probabilità  in  favore  del  ristabilimento  dell'Impero,  sia  perchè 
è  troppo  recente  la  memoria  dei  disastri  del  1870,  sia  perchè  il  prin- 
cipe Napoleone  non  gode  personalmente  numerose  simpatie,  sia  ancora 
perchè  i  bonapartisti  sono  più  che  mai  divisi  fra  loro. 

Le  condizioni  della  Francia  sono,  dunque,  tutt'altro  che  liete  e  non 
ci  recherebbe  meraviglia  ch'essa  avesse  ad  essere  ancora  fra  breve  il 
teatro  di  gravi  avvenimenti.  Il  ministero  Ferry  si  regge  unicamente 
per  la  difficoltà  di  trovare  nel  partito  repubblicano  chi  ne  raccolga 
l'eredità  senza  scendere  fino  ai  radicali.  E,  ciononostante,  v'è  chi  dubita 
che  possa  uscire  incolume  dalla  prossima  discussione  sulle  convenzioni 
delle  strade  ferrate. 

L'Imperatore  Guglielmo  ha  sancito  la  nuova  legge  ecclesiastica  prus- 
siana, senza  tener  conto  dell'ultima  nota  della  Curia  romana  la  quale 
pareva  inviata  a  posta  per  ritardare  la  promulgazione  di  quella  legge,  che 
d'altro  canto,  dai  liberali  è  considerata  come  una  concessione  soverchia 
alla  Santa  Sede.  Ma  il  principe  di  Bismark,  ha  mantenuto  la  parola 
di  dar  pegni  di  conciliazione,  lasciando  alla  Curia  romana  la  responsa- 


RASSEGNA   POLITICA.  369 

bilità  di  non  accettarli.  Il  testo  della  nota  non  venne  pubblicato;  il 
governo  prussiano  non  ha  risposto  ad  essa  uflScialmente,  e  si  è  con- 
tentato di  farla  giudicare  dai  giornali  ufficiosi. 

Ora  rimane  soltanto  a  vedere  se  la  legge  ecclesiastica  avrà  gli  ef- 
fetti politici  che  il  Gran  Cancelliere  se  ne  ripromette;  vale  a  dire  se 
basterà  a  riavvicinare  il  partito  del  Centro  al  governo  e  a  renderlo 
benevolo  ai  progetti  di  riforma  sociale  che  il  principe  di  Bismark,  con 
la  consueta  sua  tenacità,  vuole  ad  ogni  costo  far  approvare  dal  Par- 
lamento. 

Roma,  15  luglio  1883. 


tm.  xl.  awi»  n  -  u  im^u  iim. 


BOLLETTINO  FINANZIARIO  DELLA  QUINDICINA 


Le  operazioni  del  Banco  di  Sicilia  e  della  Banca  toscana  di  credito  nel- 
1*  anno  1882  e  negli  anni  antecedenti  —  Ancora  della  questione  dei 
biglietti  rappresentativi  la  valuta  metallica.  Obbiezioni  e  risposte  — 
Mercato  monetario  e  situazione  delle  principali  banche. 


Possiamo  oggi  compiere  la  nostra  rassegna  degli  istituti  di  emissione 
operanti  in  Italia,  essendo  uscita  or  ora  la  relazione^  sulle  operazioni 
della  Banca  toscana  di  credito  durante  l'anno  1882. 

Ma  prima  di  occuparci  di  questo  istituto,  dobbiamo  parlare  del  Banco 
di  Sicilia  del  quale  ci  siamo  proposti  di  dar  notizia  contemporaneamente, 
perchè  1'  uno  e  1'  altro  sono  fra  gli  istituti  di  emissione  i  due  minori 
per  capitale  e  operazioni  fatte. 

Il  movimento  di  cassa,  del  Banco  durante  l'anno  18'^2  adeguò,  fra 
introiti  ed  esiti,  la  somma  complessiva  di  1,524,590,5)9.  Gli  scon'ti  am- 
montarono a  L.  119,030,893  con  una  rimanenza  al  31  dicembre  di 
L.  22,931,054.  Le  anticipazioni  ragguagliarono  l'importo  di  L.  18,022,955 
e  presentarono  una  rimanenza  di  L.  5,584,295.  I  conti  con  i  corrispon- 
denti del  continente  ebbero  il  movimento  di  L.  18S,9ci4,796:  i  conti 
correnti  infruttiferi  presso  le  varie  sedi  e  succursali  del  Banco  asce- 
sero a  L.  28,119,666  con  una  rimanenza  di  L.  1,914,056.  La  circola- 
zione dei  biglietti  al  portatore  adeguò  l' importo  medio  di  L.  33,092.540; 
quella  detta  apodissaria,  che  si  compone  di  fedi  nominative,  pulizzini  e 
polizze,  ascese  a  L.  27,506,361.  La  prima  presentò  un  residuo  al  31 
dicembre  di  L.  32,467,578  ;  la  seconda,  di  L.  27,085,47 1.  Gli  utili  netti 
ascesero  a  L.   1,072,332,  dei  quali  L.  400,000  andarono  ad  aumento  del 


BOLLETTINO    FINANZLIRIO   DELLA   QUINDICINA.  371 

patrimonio  del  Banco,  e  L.  672,332  ad  aumento  della  massa  di  rispetto. 
Così  l'uno  rappresenta  l'importo  di  L.  11, 6DD, 000,  l'altra  adegua  quello 
di  L.  2,972,332  73.  È  noto  che  il  Banco,  per  obbligo  fattogliene  dalla 
legge  del  30  aprile  1874,  deve  avere  il  patrimonio  effettivo  di  lire  12 
milioni. 

Questo,  in  succinto,  è  il  movimento  del  Banco  nello  scorso  anno. 
Venendo  ai  confronti  si  ha  che  il  movimento  delle  casse,  gli  sconti,  il 
movimento  dei  corrispondenti  e  i  conti  correnti  infruttiferi  furono  in 
aumento,  e  che  le  soie  anticipazioni  sopra  depositi  di  titoli  ebbero  una 
•diminuzione. 

L'aumento  nel  primo  capitolo  ammontò  a  L.  170,126,130;  quello 
nel  secondo,  a  lire  23,408,0o6;  quello  nel  terso  (corrisoondenti)  a 
L.  73,770,782;  quello 'nel  quarto,  a  L.  3,634,721  nei  versamenti,  e  a 
L.  3,017.534  nelle  restituzioni. 

La  diminuzione  nelle  anticipazioni  adeguò  l' importo  di  6  milioni 
circa. 

È  da  por  mente,  in  quanto  agli  sconti,  che  il  portaiogiio  rimase 
formato  in  buona  parte  da  effetti  indiretti,  che  sono  generalmente  i  più 
sicuri;  che  la  scadenza  media  di  eiasean  recapito  fu  di  giorni  63;  che 
il  valore  medio  di  essi  adeguò  la  somma  di  L.  9064,  e  che  le  cambiali 
fino  a  L.  2000  ascesero  a  L.  22,002,054. 

Risalendo  ad  un  decennio,  vediamo  che  il  movimento  dello  casse 
ha  variato  da  un  minimum  di  lire  951,412,240  a  un  maximum  di 
L.  1,524,590,509.  La  somma  più  bassa  si  riferisce  «iranno  18ì7;  quella 
più  alta  appartiene,  com'  ò  noto,  allo  scorso  anno.  La  minor  somma  di 
sconti  è  quella  di  L.  49,240,376,  toocaU  nell'anno  1878;  lu  somma 
maggiore  è  quella  di  L.  131,498,076,  che  riguarda  all'anno  lò75.  Le 
anticipazioni  hanno  variato  fra  un  minimum  di  L.  12,710,10),  conse- 
guito nell'anno  1877,  e  un  maximum  di  L.  24,710,220,  ottenuto  nel- 
l'anno 18bl.  Circa  i  oorrispondeati  del  continente,  il  conto  incomincia 
dall'anno  1875.  Esso  dimostra  un  mmi'/num  di  I*.  35.8()U,Ull  nell'anno 
1876  e  un  wuuBimum  di  L.  188,W8 1,706  nell'anno  ultimo. 

L' importo  medio  della  eiroolaziooe  al  portatore  e  ({uello  d<>lla  cir- 
colazione aiKHiisearìa  sono  sUti  sèmpre  alti.  Il  minimum  della  prima 
non  e  andato  al  di  sotto  di  L.  30,809,848,  fomma  toeojita  nell'unno 
1881;  quello  della  seconda  ha  rairguagliato  l'importo  di  L.  1 1,224,»>0(), 
somma  segnata  nell'anno  1876.  Il  mawimum  della  ciroolation»»  al  por- 
tatore ascese  a  L.  34,8ti3,482  ;  quello  della  cirrolazione  aiiodiwnria, 
ammontò  a  L.  29,8.ft  H»    'tino  fn  conseguito  nell'anno  1874;  l'altro 


372  BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

nell'anno  1881.  I  conti  correnti  infruttiferi  ebbero  un  minimum  di 
L.  21,484,915  nell'anno  1881  e  un  maximum  eh  L.  28,9i 7,530  nel- 
l'anno 1873.  Gli  utili  notti  variarono  fra  un  minimum  di  L.  4r?,839, 
toccato  nel  1876,  e  un  maximum  di  L.  1,295.716,  conseguito  nel  1875 

Il  Banco  fa  nell'  isola  il  servizio  del  pagamento  delle  cedole  del 
debito  [ìubblico  e  tiene  l'appalto  di  cinque  ricevitorie  provinciali.  Ha 
otto  stabilimenti  dei  quali  sette  in  Sicilia  e  uno  in  Roma. 

Il  saggio  dello  sconto  per  le  cambiali  a  tre  mesi  è  ragguagliato  al 
5  0[0  all'anno  dal  13  luglio  1882;  quello  per  le  cambiali  a  4  mesi,  al 
5  li2.  L'interesse  sulle  anticipazioni  ò  del  6  0[0  all'anno  dal  14  set- 
tembre 1882. 

L'andamento  della  Banca  toscana  di  credito  è  stato  il  seguente:  il 
movimento  di  cassa  nell'anno  scorso  ha  ragguagliato  l' importo  di  lire 
105,177,090,  con  una  differenza  in  meno  rimpetto  all'anno  antecedente 
di  L.  374,267.  I  recapiti  scontati  furono  5892  per  L.  23,613,119.  36, 
con  un  aumento  sull'anno  1881  di  N.  296  recapiti  e  di  L.  2,526,347. 
Il  capitale  impiegato  in  queste  operazioni  venne  ripartito  come  segue  : 
A  possidenti,  L.  3527,600.  —  A  commercianti  e  industrianti,  L.  4,816,366 
—  A  banchieri,  L.  4,702,604.  —  A  stabilimenti  diversi,  L.  10,566,547. 
Gli  sconti  sul  portafoglio  estero  ammontarono  a  L.  227,591,  che  fu  la 
somma  delle  compre  e  vendite  fatte  per  ordine  e  conto  dei  clienti.  Le 
anticipazioni  contro  pegno  andarono  soggette  ad  una  diminuzione  tanto 
nella  quantità,  quanto  nel  valore.  Furono  N.  285  per  L.  561,180, 
contro  N.  302  per  L.  706,030  nell'anno  1881.  I  conti  correnti  con  ga- 
ranzia diedero  un  movimento  di  L.  20,510,735,  il  quale  fu  minore  per 
L.  5,328,993  a  quello  dell'anno  antecedente. 

I  conti  di  banca  ascesero  a  L.  24,044,757,  verso  L.  19,273,879 
toccate  nell'anno  1881.  La  circolazione  media  a  fine  di  mese  fu  di  lire 
14,070,103;  la  circolazione  media  giornaliera  in  tutto  l'anno  adeguò 
l'importo  di  L.  14,566,428. 

Così  il  rapporto  fra  la  circolazione  e  il  capitale  dì  L.  5,000,000  fu 
pel  primo  titolo  quello  di  1  a  2,93,  e  pel  secondo,  quello  di  1  a  2,91. 
11  rapporto  fra  la  circolazione  e  la  riserva  media  di  L.  5,336,741,  fii 
nel  primo  caso  quello  di  1  a  2,7 1,  e  nel  secondo  quello  di  1  a  2,73. 
La  spesa  pel  cambio  ascese  a  L.  62,703;  essa  fu  maggiore  di  L.  ^7,l43 
a  qu'lla  che  la  Banca  dovette  incontrare  nell'anno  antecedente.  L'utile 
netto  distribuibile  ammonio  a  L.  328,536.  79,  d'onde  si  ebbe  la  rimu- 
nerazione di  6  0(0  per  ogni  100  lire  di  capitale  versato. 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  373 

Riandando  anche  per  questo  Istituto  le  operazioni  fatte  durante  l'ul- 
timo decennio,  si  ha  che  il  movimento  delle  casse,  in  entrata  e  uscita, 
ragguagliò  Y  importo  complessivo  di  1,233  milioni  ;  che  gli  sconti  asce- 
sero a  L.  365  milioni  con  un  minimum  di  L.  25  milioni  nell'anno  1831 
e  un  maximum  di  L,  47  milioni  nell'  anno  1873  ;  che  il  portafoglio 
estero  variò  fra  un  minimum  di  L.  227,591  nelfanno  1882  e  un  ma- 
ximum di  L.  ó  milioni  nell'anno  1880;  che  i  biglietti  cambiati  am- 
montarono a  L,  444,807,501  e  diedero  la  spesa  di  L.  272,073,  e  che 
i  conti  correnti  con  garanzia  ebbero  un  movimento  di  L.  275,490,390 
con  un  minimum  di  L.  19,273,879  nell'anno  1881  e  un  maximwn  dì 
L.  33,240,828  nell'anno  1878. 

I  maggiori  dividendi  furono  quelli  dati  nel  triennio  1873-1875  nel 
<)aale  variarono  fra  un  minimum  di  L.  20  e  un  maximum  di  L.  32,  50. 
Poi  decrebbero  man  mano  fino  a  L.  12.  Negli  ultimi  due  anni  furono 
di  L.  15  per  azione,  al  prezzo  corrente  di  L.  550  V  una,  delle  quali 
L.  250,  sono  da  versarsi. 

II  fondo  di  riserva  della  Banca  ascende  a  L.  360,000.  Il  saggio 
dello  sconto  e  deirinteresse  sulle  anticipazioni  raggnaglia  il  5  O(0  al- 
l'anno. 

Questo  Istituto  incominciò  le  proprie  operazioni  dal  15  dlccmbra 
1863.  Venne  alla  luce  con  un  programma  largo  che  fu  assai  contra- 
stato; ma  gli  effetti  non  vi  hanno  corrisposto.  Sebbene  la  Banca  abbia 
avuto  la  facoltà  di  istituire  delle  case  succursali  e  di  collogarsi  con 
altri  stabilimenti  congeneri  dell'  Italia,  pure  non  ò  uscita  mai  dalla  sua 
sede  originaria  che  ò  a  Firenze. 

Nelle  relazioni  annuali  che  abbiamo  discorso  sono  stato  lamentato 
spesso  le  difficoltà  create  dalla  legge  del  30  aprile  1874,  la  inoppor- 
tunità del  limite  fisso  delia  circolazione,  la  enormità  delle  tasse  che 
portano  via  una  parto  cospicua  degli  utili,  la  soverchia  ingerenza  che 
la  legge  vuole  avere  ralla  viU  degli  Istituti  bancari  od  eziandio  le 
opinioni  che  sembrano  prevalenti  in  quanto  all' ordinamento  definitivo 
di  essi. 

E  cosa   innCf.' li'M'    .no    m    qu<'-*'      ,  :i  ,  .   ;    ntf  di   V'oro; 

ma  in  riguanlu  airuliimo  in  pard  in  ;ii  ■  ;  ■,  ,i.  \.  ;  .mid  ripotuto 
anche  nella  relazione  sulle  operazioni  dell'anno  scorso,  sentiamo  il  bi- 
sogno di  fare  qualche  riserva. 

Nel  caso  speciale  della  Banca  toscana  di  credito,  noi  primi  ammet- 
tiamo con  piarerc  che  essa  è  stato  ed  è  ancora  un  modello  di  pra- 
dcnza  e  di  esattezza,  ma  questo  considerazioni  non  possono  darle  titolo 


374  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDCINA. 

a  regolarsi  come  le  conviene.  Poiché  ancor  essa  è  un  Istituto  di  emis- 
sione, bisogna  che  si  adatti  alle  norme  della  legge  generale  e  sappia 
conformarvisi.  Un  Istituto  di  credito  semplicemente  può  operare  come 
crede,  salve  le  responsabilità  cbe  gli  incombono;  ma  un  Istituto  di 
emissione  non  lo  può,  E  anche  nel  caso  della  Banca,  dacché  leggiamo 
ne'  suoi  Statuti  che  essa  è  abilitata  a  prendere  e  dare  a  sconto  cam- 
biali o  pagherò  muniti  almeno  di  due  firme,  di  scadenza  non  maggiori 
di  cinque  mesi,  non  possiamo  escludere  cbe  la  legge  generale  venga 
a  limitare  questa  facoltà. 

Quello  che  noi  crediamo  ragionevole  e  necessario,  poiché  siamo 
entrati  in  questo  campo,  è  che  molti  degl'  impedimenti  creati  per  fre- 
nare la  circolazione  cartacea  durante  il  corso  forzoso  devono  essere 
rimossi,  e  cedere  ad  altri  più  consentanei  alla  situazione  odierna  ed 
alle  condizioni  presenti  del  paese. 

Un'  altra  osservazione  e  terminiamo.  Pare  che  la  relazione  ultima 
lamenti  ancora  che  il  Governo  non  abbia  dato  alle  Banche  una  parte 
del  suo  oro  e  che  dal  tenerlo  esso  inoperoso  possa  venire  il  rischio  che 
vi  sia  cercato  impiego  al  di  fuori.  Noi  non  abbiamo  inteso  bene  il  con- 
cetto che  si  racchiude  in  queste  parole,  e  dall'altra  parte  non  sappiamo 
come,  mentre  la  valuta  «letallica  è  rinchiusa  nelle  casse  possa  essere  im- 
piegata in  altro  luogo. 

In  ogni  modo  ci  sembra  che  il  contegno  tenuto  dal  Governo  sia 
stato  e  sia  ancora  quello  migliore,  salvo  la  misura,  giacché  si  avrà 
per  esso  la  trasformazione  desiderata  della  circolazione  la  quale  non 
poteva  esser  fatta  di  botto  e  soltanto  può  accadere,  con  effetti  durevoli, 
poco  alla  volta. 

Dopo  una  viva  discussione  della  quale  si  ebbero  manifesti  indizi 
nelle  dichiarazioni  di  alcuni  giornali,  la  Commissione  parlamentare  isti- 
tuita dalla  legge  del  7  aprile  I88I  per  coadiuvare  il  Governo  in  tutte 
le  disposizioni  necessarie  alla  esecuzione  della  stessa  legge,  ha  ritenuto 
che  il  Governo  possa  consentire  che  non  si  comprenda  nel  limite  le- 
gale della  circolazione  dejle  Banche  di  emissione  quella  parte  di  circola- 
zione che  fosse  rappresentata  per  eguale  importo  da  un'eccedenza  nella 
riserv^a  metallica  nella  proporzione  di  due  terzi  in  oro  e  un  terzo  in 
argento,  o  possa  esonerare  le  Banche  dal  pagare  su  questa  eccedenza 
la  enorme  tassa  imposta  dall'art.  25  della  legge  del  30    aprile    1874. 

La  stessa  commissione,  se  sono  vere  le  notizie  corse,  ha  anche  la- 
sciato al  Governo  la  cura  di  stabilirne  i  modi. 


BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA    QUINDICINA.  375 

Se  noi  pungesse  il  desiderio  di  menarne  vanto,  potremmo  dire  che 
queste  risoluzioni  confermano  l'aggiustatezza  delle  opinioni  espresse  ri- 
petutamente da  noi  su  questo  punto;  ma  sarebbe  cosa  puerile.  Quello 
che  importa  più  è  la  cosa, 

E  noi  ora,  come  quando  l'accennammo  e  sostenemmo,  e  adesso  più 
che  mai  dopo  quel  voto,  persistiamo  a  credere  che  i  vaghi  timori  messi 
innanzi  da  alcuni  e  la  conseguenze  gravissime  minacciate  o  intrave- 
dute da  alcuni  altri,  sono  state  l'effetto  principalmente  di  un  esamo 
scarso  e  superficiale  della  questione.  A  buon  conto  noi  abbiamo  veduto 
rispondere  a  quelle  che  furono  dette  nostre  facezie,  ma  non  abbiamo 
letto  alcuna  risposta  e  nemmeno  alcuna  obbiezione  sia  aUe  nostre  do- 
mande sia  alle  ragioni  addotte  per  avvalorare  quella  proposta. 

Cosicché  non  sappiamo  davvero  d'  onde  la  Rassegna  abbia  potato 
togliere  che  quest'ultima  sia  stata  combattuta  vivacemente  da  alcuni, 
a  meno  che  per  combattimento  non  si  debba  intendere  lo  strazio  che 
ne  renne  fatto  fin  da  principio  da  chi  la  esagerò  e  confuse. 

Resta  ora  a  vedere  come  il  Governo  prorvederà  per  Tat inazione; 
ma  SD  ciò,  pensando  che  il  Ministro  chianuto  a  dare  le  disposizioni 
opportune  è  Ton.  Magliani,  siamo  tranquillissimi.  Egli  ò  vero  che  al- 
cuni hanno  detto  che  l'on.  Magliani,  iniziatore  e  artefice  di  ima  cir- 
colazione metallica  a  bcue  cTorOy  non  paò  sconvolgerla  aprendo  le 
porte  all'argento,  e  che  alcuni  altri,  per  «(Tetto  di  questa  presunzione, 
n  di  convinzioni  particolari  che  vi  si  confermano,  hanno  chiesto,  come 
'omponimento,  che  la  valuta  metallica  valevole  alla  eitonsione  della 
'^■ircolazìone  cartacea,  oltre  il  limite  legale,  debba  essere  esclusivamente 
d'oro,  e  debba  esser  rappreriontata  da  un  biglietto  speciale 

Ma,  a  queste  idee,  che  tendono  in  sostanza  a  staccare  l'Italia  dai 
suoi  naturali  alleati  nel  campo  monetario,  quali  la  Francia,  il  Belgio  a 
la  Svizzera,  la  Commissione  permaneote  ha  conceduto  fin  troppo.  Per- 
ciò crediamo  che  non  ti  anJrà  oltre.  B  infatti  una  co«a  é  la  circola- 
zione metallica  a  base  dCoro^  altra  coaa  è  una  circolacione  nMtallìca  con 
iì-evalemn  dell'oro.  Idi  prima  non  ci  6  permessa  finche  dura  la  Con- 
■  unzione  internazionale  e  finctie  vige  il  nist(*roa  munotario  stabilito  con 
la  legge  del  1S^2.  Cosi  Tgo.  Magliani  non  ha  consentito  cho  nella  leggo 
del  7  aprilo  1881  venisse  determinata  una  proporzione  flxsa  fra  Toro 
e  l'argento  della  riserva  normale  delle  banche  ed  ha  conceduto  «ola- 
m«n;'»  cho  la  legge  inibisce  a  queste  nltime  di  alienare  l'oro  allora  irn* 
m(jbi lizzato  o  di  convertirlo  In  argento.  E  fu  siivio  consiglio,  perchè 
certe  questioni,  intorno  alle  quali  si  affatìcnno  ds    lunga  mano  gli  uo- 


.'576  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA. 

mini  più  competenti  del  mondo,  non  possono  essere  risolute  per  in- 
cidenza. 

In  questo  stato  di  cose,  la  proporzione  dell'oro  e  dell'argento  im- 
posta alle  banche  nel  caso  speciale  può  essere  accettata  senza  grande 
rammarico  soltanto  come  una  cautela  ed  una  riserva  per  l'avvenire. 

In  quanto  al  biglietto  speciale,  confessiamo  ingenuamente  che  non 
siamo  giunti  ad  intenderne,  nella  odierna  questione,  né  la  idea  nò  la  con- 
venienza. Sarebbe  un  di  più  nella  nostra  circolazione  cartacea,  già  esube- 
rante di  tipi,  di  novità  di  forme  e  di  colori,  senz'alcun  bisogno,  e  la 
disturberebbe.  Mentre  la  trasformazione  è  appena  incominciata  e  nessuno 
può  quindi  sapere  a  che  cosa  ci  troveremo  quando  sarà  compita  in 
fatto,  e  mentre  il  pubblico  ha  per  non  dubbi  segni  addimostrato  di  pre- 
ferire il  biglietto  alla  valuta  metallica,  la  creazione  di  un  biglietto 
speciale  a  base  d'oro  sarebbe  sotto  alcuni  rispetti  un  fuor  d'  opera, 
sotto  alcuni  altri  potrebbe  valere  solamente  a  deprezzare  la  massa  ge- 
nerale dei  biglietti.  Crediamo  che  nessuno  vorrà  giungere  a  questo. 

Pertanto  le  osservazioni  fatte  da  altri  su  questa  materia  riescono, 
al  nostro  modo  di  vedere,  in  un  vero  anacronismo  e  sono  postume. 

Relativamente  alla  questione  costituzionale,  quelli  che  l'hanno  sol- 
levata già  e  gli  altri  che  si  son  proposti  di  discorrerne  a  tempo  avan- 
zato, sol  che  vogliano  tornare  alquanto  sul  passato,  possono  rassicurarsi. 
Con  Decreto  Reale  è  stato  anche  stabilito,  poco  prima  dell'apertura  del 
cambio,  che  le  Banche,  nei  luoghi  dove  questo  non  è  fatto  dalle  Teso- 
rerie dello  Stato,  possano,  nel  caso  di  domande  rilevanti  od  eccedenti 
la  riserva  ordinaria  di  cassa,  differirne  il  soddisfacimento  per  il  tempo 
necessario  al  trasporto  dei  valori  da  un  altro  più  vicino  stabilimenlo 
dello  stesso  istituto. 

Questa,  o  volere  o  non  volere,  è  stata  in  principio  una  limitazione 
al  diritto  dei  portatori  di  biglietti  bancari  ;  eppure  la  commissione  per- 
manente vi  ha  consentito  e  il  R.  Decreto  del  25  marzo  1883,  inspi- 
randosi giustamente  a  scopi  di  alti  interesse,  1'  ha  conceduta.  Perchè 
adunque  un  altro  Reale  Decreto  non  avrebbe  potuto,  per  rendere  sempre 
più  effettiva  l'abolizione  del  corso  forzoso,  provvedere  in  un  senso  che 
non  contrasta  allo  spirito  delle  disposizioni  legislative  esistenti  e  nella 
parte  sostanziale  tenda  vie  più  ad  assicurare  l' abolizione  del  corso 
forzoso  e  ad  allontanare  le  eventualità  di  un  aumento  nel  saggio  dello 
sconto  delle  Banche  ? 

Noi  primi  avremmo  preferito  una  legge  sull'ordinamento  bancario, 
o  anche  una  legge  speciale  sull'oggetto  in  esame,  perchè  questo  metodo 


BOLLETTINO   F1NANZL4RI0    DELLA   QUINDICINA.  O  l  i 

avrebbe  potuto  risolvere  molte  questioni  in  un  punto  solo,  che  soffrono 
per  soverchio  indugio,  o  avrebbe  potuto  dare  carattere  di  maggioro 
stabilità  a  quella  che  ora  ne  occupa.  Ma  l'impossibile  non  può  essere 
preteso  da  nessun  Parlamento  e  da  nessun  uomo.  E  se  l'on.  Magliani, 
il  quale  prosegue  la  questione  da  lunga  mano,  ha  considerato  che  il 
protrarre  la  presentazione  del  suo  disegno  può  giovare  all'interesse 
pubblico,  perchè  egli,  offrendosi  altre  questioni  che  debbono  essere  ri- 
solute subito  e  in  tempo,  o  debbono  essere  abbandonate  del  tutto,  avrebbe 
dovuto  rinunziarvi  a  dirittura? 

Noi  preghiamo  i  timorati  e  i  morosi  a  ricordare  che  il  settembre 
innanzi  viene.  Qui  sta  il  fondo  della  cosa.  Possono  a  prima  giunta  non 
andarne  persuasi  quelli  i  quali  sembrano  innamorarsi  o  comprendersi 
di  certe  questioni  soltanto  quando  esse  capitano;  ma  siamo  sicuri  che 
tutti  quelli  i  quali  o  per  istudio  o  per  altro  interesse  tengono  dietro 
all'andamento  del  mercato  monetario  e  ne  iodagano  i  bisogni  e  ìie  pre- 
sentono le  vicende,  ne  sono  convinti  anche  troppo. 

E  se  ciò  non  basta  rimandiamo  i  dubbiosi  a  quello  che  segue. 

Nell'ultimo  bollettino  abbiamo  accennato  alla  prohabilitA  che  le 
Banche  associate  di  New- York  potessero  perdere  buona  parte  dei  loro 
fondi  prima  dello  autunno.  La  situazione  al  7  luglio,  che  ò  Tultima 
pervenutaci,  viene  già  a  dar  ragione  alle  nostre  previsioni.  Infatti  ab* 
biamo  lasciato  il  fondo  metallico  alla  data  del  23  giugno  a  dol- 
lari 63,230,0(X)  e  la  eccedenza  della  riserva  sul  limite  legale  a  dol- 
lari 8,925/;00.  Ora  queste  cifre  sono  molto  ridotte;  la  prima  ò  soesa 
a  dollari  62,800,000;  la  seconda  a  6,625,000.  Queste  diminuzioni  hanno 
avuto  effetto  in  quest'anno  prima  del  solito,  giacché  il  di  8  luglio  1882 
il  fondo  metallico  delle  Banche  associate  di  New- York  ammontava 
u  dollari  04,300,000  e  la  riserva  eccedeva  il  lirdite  Ivgale  di  8,330,000, 
e  questi  capitoli  continuarono  ad  aumentare  nel  oono  del  mese,  finché 
i  bisogni  del  raccolto  vennero  a  sottrarre  i  fondi  alle  Banche. 

L' indebolimento  anticipato  delle  Banche  associate  di  New* York 
ha  destato  apprensioni  così  in  America  come  a  Londra.  Lo  Statiit^ 
trattanrlo  la  questione  della  probabilità  di  un  esodo  d'oro  per  l'Ame- 
rica nel  prossimo  autunno,  dopo  aver  chiarito  che  la  bilancia  commer- 
ciale vi  ha  poca  o  nessuna  iniluenta  e  che  la  cosa  dipende  dai  bi- 
sogni del  mercato  monetario  degli  Stati  Uniti,  rileva  che  stante  la 
insufll'ienza  della  riserva  delle  Banche  associate  di  New- York  per 
fare  le  dumande  che  possono  sorgere,  il  mercato  americano  dovrà 


378  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

ricorrere  nel  caso  di  strettezza  alle  disponibilità  del  Tesoro  degli 
Stati  Uniti  0  alla  importazione  d'  oro  dall'  Europa.  Frattanto  dimostra 
che  i  fondi  disponibili  del  Tesoro,  dedottone  l' importo  dei  certificati 
messi  in  circolazione  contro  deposito  d'  oro,  sono  notevolmente  infe- 
riori a  quelli  delle  annate  antecedenti,  nelle  quali  la  esportazione 
d'oro  fu  una  necessità,  e  che  l' importo  degli  stessi  certificati  sarà 
molto  più  ragguardevole  in  quest'  anno  per  i  maggiori  bisogni  prodotti 
dall'accrescersi  in  numero  e  in  ricchezza  della  popolazione  e  per  la 
continua  diminuzione  della  circolazione  delle  Banche  nazionali.  Con- 
clude che  è  probabilissimo  che  nell'autunno  il  mercato  monetario  ame- 
ricano abbia  a  fare  appello  alle  risorse  dell'Europa. 

D'altra  parte  le  notizie  di  colà  ci  app  endono  che  agli  Stati  Uniti 
sono  consci  della  situazione  e  che,  incominciando  dal  Tesoro,  tutti  si 
preparano  per  far  fronte  agli  eventi.  Le  Banclie  e  il  Tesoro  cercano 
di  accumulare  le  loro  attività  disponibili  e  si  aggiunge  che  per  offrire 
maggiori  facilità  al  mercato,  nello  spazio  di  tre  settimane,  sono  state 
organizzate  non  meno  di  26  Banche  nazionali,  con  un  capitale  com- 
plessivo di  dollari  4,310.000. 

Il  cambio  della  sterlina  è  stato  fino  a  questi  ultimi  giorni  quasi 
al  punto  da  permettere  invii  d'oro  a  Londra:  poi  è  sceso  a  4.84.  Ma 
non  è  impossibile  che  le  domande  causate  dal  raccolto,  le  quali  soprag- 
giungono usualmente  verso  il  mese  di  agosto,  sorgano  quest'anno  prima 
del  solito;  allora  vedremmo  il  cambio  scendere  sempre  più.  Con  tutto 
ciò  il  danaro  è  rimasto  abbondante  e  facile.  Il  Governo  ha  pagato 
11  milioni  di  dollari  per  interessi  sul  debito  federale  e  questi  sono 
venuti  ad  aumentare  l'agiatezza  del  mercato.  I  saggi  sono  anche  rimasti 
moderati. 

Le  notizie  dell'Inghilterra,  per  quanto  riguarda  alle  situazioni  della 
Banca,  non  sono  troppo 'soddisfacenti.  Il  fondo  in  oro  è  scemato  di  ster- 
line 191,925;  la  riserva,  che  per  effetto  del  rialzo  del  saggio  officiale 
al  4  per  cento  aveva  potuto  tornare  a  sterline  12,714,758  al  27  giugno, 
è  ora  di  nuovo  a  11,646,513,  nonostante  che  l'ultima  situazione  rim- 
petto  a  quella  al  5  abbia  portato  un  aumento  di  sterline  29t5,918;  11 
portafoglio  segna  una  diminuzione  di  quasi  14  milioni.  Gli  altri  capitoli 
non  offrono  mutamenti  rilevanti,  salvo  la  diminuzione  di  oltre  4  milioni 
di  sterline  nel  conto  corrente  dello  Stato.  Adunque  non  essendo  migliorata 
la  situazione,  persistono  più  che  mai  i  dubbi  da  noi  affacciati  or  son  quin- 
dici giorni.  Ad  un  ribasso  del  saggio,  al  quale  alcuni  hanno  avuto  il 
coraggio  di  accennare,   non    è    certo    questo    il    momento    di    pensare. 


BOLLETTIN'O   FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  379 

È  d'uopo  invece  tener  presente  che  la  Banca  va  ora  incontro  alle  so- 
lite domande  estive  per  le  ferie  e  sopratutto  per  il  raci^olto,  che  si 
annunzia  abbondante,  e  che  la  sua  situazione  è  più  debole  dì  un  anno  fa. 
Al  12  luglio  18S2  il  fondo  metallico  ammontava  a  sterline  23,677,541 
e  la  riserva  a  12,455,951;  al  di  11  corrente  questi  due  capitoli  pre- 
sentano rispettivamente  una  differenza  in  meno  di  1,430,713  e  809,438 
sterline  Già  abbiamo  detto  come  sia  probabile  che  divenga  necessaria 
l'esportazione  d'oro  per  l'America  prima  della  stagione  consueta,  perciò 
ripetiamo  che  la  Banca  è  nella  necessità  di  adoperare  ogni  mezzo  per 
rinforzare  e  aumentare  le   proprie  risorse. 

Gli  scontisti  Ipndinesi,  i  quali  si  rendono  conto  di  questo  stato 
di  cose,  sono  andati  a^sai  cauti  nello  acquisto  di  effetti,  temecdo 
sempre  che  la  Banca  rimetta  in  vigore  l'antica  usanza  di  non  fare 
anticipazioni  su  titoli  o  cambiali  nelle  sei  settimane  seguenti  il  piigamento 
semestrale  dei  dividendi.  Essi  sono  stati  piuttosto  disposti  a  vendere  carta 
che  a  comprarae.  Ciò  non  ostante,  e  sebbene  il  danaro  non  abbia  scar- 
seggiato troppo  nel  mercato  libero,  i  saggi  non  sono  calati,  e  anche  su 
questo  punto  è  confermato  il  nostro  asserto.  Stando  alle  notizie  più  re- 
centi, i  prestiti  brevi  sono  stati  trattati  da  3  a  3  li4  per  cento;  la  carta 
a  3  mesi  è  scontata  a  3  1(4  e  3  3(8  per  cento. 

Dal  23  giugno  al  12  luglio,  i  bilanci  della  Banca  di  Francia  se- 
gnano un  certo  indebolimento  prodotto  dalle  scadenze  semestrali.  Il  fondo 
in  oro  e  quello  in  argento  sono  diminuiti  di  circa  11  milioni  ciascun", 
il  conto  del  Tes  ro  ò  scemato  di  16,  quelli  dei  privati  sono  diminuiti 
di  40  milioni.  Per  contro  hanno  avuto  aumento  il  portafoglio,  di  70;  le 
anticipazioni  di  quasi  7,  e  la  circolaziooo  di  oltre  105  milioni  di  franchi. 
Nel  confronto  colla  situazione  al  13  luglio  1882,  il  fondo  motallioo  è  ora 
maggiore  di  25  1(2  milioni;  ma  anche  la  circulaziooe  sorpassa  la  cifra 
dell'anno  scorso  di  ben  274  li2  milioni;  gli  altri  capitoli  sono  tutti  in 
diminuzionf>. 

Durante  la  priiii.i  settimana  di  questo  mese,  in  consegoenu  dei  bi* 
sogni  del  pagamento  dei  tagliandi  a  della  liquidazione  di  Borsa,  il  mer> 
cato  si  e  trovato  piuttosto  corto  di  mezzi  e  gli  sconti  fra  Imnchieri 
1000  stati  quasi  nulli.  In  ultimo  è  tornata  un  po'  più  di  facilità;  le 
acccttazioni  di  alta  banca  sono  state  trattate  da  2  1(2  a  2  3|8  por  conto  ; 
le  lirriie  b.inrarie  e  di  alto  oommereto  hanno  fatto  i  saggi  di  2  3(4  o 
2  5(8  \ter  cento.  Con  tutto  ciò  gli  affari  in  sconto  sono  rimasti  sempre 
scarsi . 

Dal  ..■>  ^iii^iiu  III   I   iiiKiiw  II  ìmkIo  metallico  delle  Banche  svizzero 


380  BOLLETTINO    FINANZIARIO    1>ELLA    QUINDICINA. 

di  emissione  ò  alquanto  variato.  Il  fondo  in  argento  ha  subito  la  di- 
minuzione di  franchi  2,219,7t>4;  quello  in  oro,  invece,  ha  avuto  l'au- 
mento di  169,287.  Questo  ammonta  a  34,655,604;  quello,  a  20,y09,:J68. 
La  potenza  d'emissione  ò  aumentata  di  poco  e  ragguaglia  la  cifra  di 
fr,  103,483,840,  ma  la  circolazione  è  cresciuta  sensibilmente  e  importa 
fr.  95,176,615.  L'eccedenza  del  fondo  metallico  sul  40  per  cento  della 
circolazione  è  di  16,894,326;  quindi  la  somma  di  biglietti  che  le  Banche 
potevano  ancora  emettere  era  ridotta  a  franchi  8,307,225. 

Del  resto  le  oscillazioni  nei  vari  capitoli  dei  bilanci  complessivi  delle 
29  Banche  svizzere  di  emissione  non  sono  quasi  mai  di  grande  entità. 
Aggiungiamo  che  durante  il  semestre  al  30  giugno  ultimo  la  potenza 
media  di  emissione  è  stata  di  fr.  10'^,674,000;  la  circolazione  media  è 
ascesa  a  92,307.000  e  l'importo  medio  del  fondo  metallico  è  stato 
di  56,678,000.  Le  cifre  massime  per  questi  capitoli  furono  rispettiva- 
mente quelle  di  104,027,000,98,854,000  e  58,642,000;  le  cifre  minime 
quelle  di  103,182,000,  87,308,000  e  54,116,000.  La  circolazione  media 
ha  ragguagliato  a  89  per  cento  della  potenza  d'emissione  ;  il  6  gennaio 
sali  a  95,  che  fu  il  punto  massimo;  il  24  febbraio  scese  a  84,  punto 
minimo.  11  fondo  metallico  ha  ecceduta  sempre  la  proporzione  legale  del  40 
per  cento  della  circolazione.  La  proporzione  media  fu  nello  scorso  seme- 
stre di  61  per  cento;  toccò  il  maximum  di  75  per  cento  li  24  feb- 
braio e  il  minimum  di  57  per  cento  li  6  gennaio  e  28  aprile. 

I  saggi  officiali  dello  sconto  nelle  principali  piazze  della  Confedera- 
zione elvetica  sono  i  seguenti.  Losanna,  4  per  cento  ;  Berna,  Basilea, 
Ginevra  e  San  Gallo,  3  per  cento;  Zurigo,  2  1[2  per  cento. 

Le  situazioni  della  Banca  dell'  Impero  germanico  al  30  giugno  e 
al  7  luglio  sono  pienamente  conformi  alle  nostre  previsioni.  11  portafo- 
glio, lasciato  il  23  giugno  a  marchi  362,281,000,  è  salito  nella  settimana 
seguente  a  410,437,000,  per  ridiscendere  nella  prima  settimana  di  luglio 
a  390,265,000.  Le  anticipazioni,  da  marchi  42,287,000,  aumentarono  fino 
a  80,287,000;  poi  diminuirono  fino  a  55,801,000.  La  circolazione  tenne 
la  stessa  via;  toccò  la  cifra  di  734,505,000  al  23  giugno,  quella  dj 
820,428,000  al  30  e  quella  di  790,750,000  al  7  luglio.  Nel  confronto  con 
la  situazione  a  quest'ultima  data  dell'  anno  scorso,  la  situazione  d'ora 
è  più  soddisfacente  :  il  fondo  metallico  è  maggiore  di  oltre  47  milioni 
di  marchi  e  la  circolazione  è  minore  di  oltre  13  milioni. 

Abbiamo  sott'occhi  anche  il  bilancio  delle  banche  d'emissione  della 
Germania.  Esse  sono  in  numero  di  18,  compresa  la  Banca  dell'Impero, 
con  un  capitale  complessivo    di    marchi  368,332,000.    È   noto  che  col 


BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA.  381 

I  gennaio  1891  tutte  le  banche  di  emissione  in  Germania  cesseranno  di 
esistere,  e  cl>e  resterà  la  sola  Banca  dell'Impero,  col  capitale  di  120  mi- 
lioni di  marchi,  semprechè  il  Governo  non  usi  del  suo  diritto  di  riscat- 
tarla. Rileviamo  da  questo  bilancio  che  il  fondo  metallico  delle  banche 
ascendeva  al  30  giugno  ultimo  a  marchi  694,585,000,  mentre  alla 
stessa  data  dell'  anno  scorso  era  di  soli  marchi  650,359,000  ;  e  che  i 
biglietti  di  Stato  ammontavano  a  marchi  23,892,000  contro  33,597,000 
nel  1882.  Il  portafoglio  e  le  anticipazioni,  che  nell'anno  scorso  avevano 
adeguato  rispettivamente  le  somme  di  6t2,3l9,000  e  127,89^,000  raarchit 
ascendevano  in  questo,  l'uno  a  680,441.000,  le  altre  a  109,429,000.  La 
circolazione  di  biglietti  toccava  la  somma  di  1,011,815,000;  i  biglietti 
non  coperti,  quella  di  260,268,000  marchi.  Al  30  giugno  1882  queste 
due  somme  erano  di  1,023,791  e  301.494,000  marchi.  Ciò  denota  uno 
stato  di  cose  abbastanza  soddisfacente. 

Nel  mercato  monetario  l'offerta  ò  venata  man  mano  aumentando, 
di  modo  che  il  paggio  dello  sconto  fuori  Banca,  già  a  3  Sii,  è  disceso 
fino  a  2  7(8  per  cento.  Ora  è  segnato  a  3  per  cento.  In  questa  sta- 
gione si  verifica  quasi  sempre  un  forte  riflusso  del  danaro  alle  banche 
e  alla  Borsa.  Ma  la  nullità  degli  affari  fa  parere  sovrabbondante  il  da- 
naro; da  ciò  la  mitezza  dei  saggi. 

Relativamente  alla  Banca  austro- ungarica  dobbiamo  rilevare  che 
l'anmento  negli  impieghi  da  noi  preveduto  si  è  avrerato.  Nelle  due 
settimane  comprese  fra  il  23  giugno  e  il  7  luglio,  il  portafoglio  è  au- 
mentato di  oltre  13  milioni  di  fiorini  e  le  anticipazioni  di  1,275,000  ; 
in  conseguenza  di  ciò  an:;he  la  circolazione  ha  avuto  l'aumento  di  18  mi- 
lioni di  fiorini.  Il  fondo  metallico  ò  cresciuto  di  fi  317,044.  Parago- 
naodo  la  situazione  ultima  con  quella  al  7  luglio  1882.  si  ha  che  il 
fondo  metallico  è  ora  maggiore  di  fiorini  03l,5i2  e  che  la  circolazione 
è  minore  di  19932.900.  Per  contro  il  portafoglio  eccede  nel  confronto  di 

II  milioni  circa  Ma  si  può  attendere  che  questo  oapltulo  dimii.oirà  n*lld 
settimane  vegnenti  e  che  il  mete  di  luglio  raffjrxorA  ancora  senaibii mento 
la  situazione  della  Banca.  Convien  por  mento  cliu  fra  alcune  settimane 
i  raccolti  dell'Ungheria  saranno  mietuti  e  die  il  commercio  dei  cercali 
larft  sentire  le  sue  domande  nel  niareato  monetario.  5^  non  avvcnissa 
un  forte  riflusso  di  nomerarìo  alla  Banca  nelle  pros«ime  settimane,  tor- 
nerebbe la  carestia  manifestatasi  nell'anno  scorso.  Mu  la  Hanm,  ntumne- 
strata  dall'esperienza,  prenderà  indubbiamente  i  provvediinriiii  po- 
lari. 

Avvertiamo  fratfiinto   rhe  il    denaro  è  divenuto  piò  abbondanto  nel 


382  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

mercato  libero.  La  carta  bancaria  è  scontata  a  3  3[4;  quella  commrticiale 
da  3  7^8  a  4  per  cento;  in  Borsa  i  riporti  vengono  negoziati  al  4  per 
cento  senza  grande  ricerca. 

I  mutamenti  avvenuti  in  questa  quindicina  nelle  situazioni  della 
Banca  Neerlandese  non  sono  gran  fatto  importanti.  Dal  23  giugno  al 
7  luglio  il  fondo  in  oro  è  scemato  di  fiorini  1,017,  383  e  quello  in  ar- 
gento di  916,876.  Il  portafoglio  è  aumentato  di  fiorini  4,423,9i)7;  la 
circolazione  di  9,450,435  ;  i  conti  correnti  sono  diminuiti  di  6,927,231. 
Nonostante  questi  movimenti  poco  favorevoli,  la  situazione  della  Banca 
è  incomparabilmente  più  forte  di  un  anno  fa,  allorquando  il  fondo  me- 
tallico era  minore  di  oltre  26  milioni  di  fiorini. 

Le  situazioni  della  Banca  Nazionale  belga  dal  21  giugno  al  5  lu- 
glio danno  il  movimento  che  segue.  La  diminuzione  di  oltre  un  mi- 
lione nel  fondo  metallico  e  quella  di  circa  5  milioni  nel  portafoglio; 
l'aumento  di  circa  un  milione  nelle  anticipazioni  e  quello  di  oltre  11 
nella  circolazione.  Il  conto  corrente  del  Tesoro  e  quelli  dei  privati  sono 
diminuiti;  l'uno  di  fr.  14  milioni,  gli  altri  di  un  milione  circa.  Nulla 
di  nuovo  in  quanto  al  saggio  dello  sconto,  sebbene  la  diminuzione  del 
portafoglio  continui. 

II  mese  di  giugno  ha  portato  un  grande  miglioramento  nella  riserva 
metallica  della  banca  di  Spagna,  grazie  all'operazione  di  35  milioni  col 
credito  mobiliare  spagnuolo.  Dal  31  maggio  al  30  giugno  l'esistenza  di 
numerario  in  cassa  è  salita  da  116  nóilioni  di  pesetas  a  165  milioni.' 
Deducendo  da  questa  somma  25  milioni  di  cambiali  scadenti  il  30  giugno 
e  36  milioni  di  depositi  in  effettivo,  resta  un  fondo  attivo  di  104  mi- 
lioni, contro  soli  66  3^4  nel  mese  antecedente.  Inoltre  la  circolazione 
della  Banca,  la  quale  ragguaglia  la  cifra  di  pesetas  344,909.000,  segna 
una  diminuzione  di  quasi  9  milioni.  Anche  il  portafoglio  e  le  anticipa- 
zioni sono  scemati;  l'uno  di  circa  6  milioni,  le  altre  di  circa  3,  toccando 
il  primo  la  somma  di  pesetas  725,753,000,  le  seconde  quella  di  11,814,553. 
In  questo  bilancio  al  30  giugno  figura  al  passivo  l'anticipazione  di  35 
milioni  fatta  dal  credito  mobiliare  spagnuolo. 

Gli  utili  del  semestre  ascendono  a  15,347,653.  Dietro  a  ciò  il  con- 
siglio della  banca  ha  deliberato  il  pagamento  di  un  dividendo  di  40  pesetas 
per  ciascuna  delle  300,000  azioni  che  segnano  il  corso  di  pesetas  292. 

Passando  all'Italia,  abbiamo  la  situazione  della  Banca  Nazionale 
Italiana  al  30  giugno  scorso. 

In  relazione  all'ultima  data,  che  è  stata  quella  al  20,  la  situazione 


BOLLETTINO    FINANZLA.R10   DELLA   QUINDICINA.  383 

nuova  presenta  una  eccedenza  di  2  milioni  nel  fondo  in  oro  e  una  di- 
minuzione di  oltre  15  milioni  nei  biglietti  già  consorziali,  d'onde  si  ha 
nel  capitolo  riserva  e  cassa  nna  diminuzione  di  circa  12  milioni  di 
lire.  Per  contro  essa  offre  un  aumento  di  37  milioni  nel  portafoglio, 
determinato  dalle  domande  del  mercato  serico;  un  aumento  di  circa 
400  mila  lire  nelle  anticìpazioM  e  un  aumento  di  circa  54  milioni 
nella  circolazione. 

Ma,  più  che  al  confronto  fra  le  due  ultime  situazioni,  conviene 
badare,  secondo  noi,  a  quello  fra  la  situazione  al  30  giugno  1883  e 
Taltra  alla  stessa  data  dell'  anno  sborso.  Questo  esame  dà  nn  indìxio 
abbastanza  chiaro  dell'andamento  dell'Istituto. 

Ci  duole  che  il  tempo  e  lo  spazio  non  ci  consentano  an  esame  largo 
della  cosa,  come  sarebbe  necessario;  pure  accenneremo  i  dati  più  ri- 
levanti. 

La  situazione  odierna  presenta  un  aumento  di  circa  45  milioni  nel 
tordo  in  oro  e  quello  di  circa  50  nel  fondo  in  argento  ;  poi  dà  una 
diminuzione  di  ultre  26  milioni  nell'argento  divisionale,  che  dipende 
dalle  restituzioni  fattene  al  tesoro  dello  stato  a  fronte  del  ritorno  da 
questo  alla  banca  di  una  somma  corrispondente  in  scudi  d'argento,  e 
quella  di  oltre  31  milioni  nei  biglietti  già  consorziali.  Calcolando 
questi  aumenti  e  queste  diminuzioni,  si  Tede  che  il  capitolo  riserva 
e  cassa  è  cresciuto  da  un  anno  all'altro  di  circa  49  milioni,  e  che 
questo  maggior  contingente  ò  derivato  essenzialmente  da  maggiori  ri- 
fornimenti di  valuta  metallica.  Il  confronto  fra  il  portafoglio  arreca  alla 
situazione  odierna  un  aumento  di  22  milioni;  quello  delle  anticipazioni 
ie  segna  una  diminuzione  di  2  milioni;  quello  doiranticipazione  statu- 
laria  al  tesoro  porta  l'aumento  all'  ultima  data  di  24  milioni. 

Il  capitolo  debitori  diversi  si  «leva  oggi  a  circa  Mi  milioni;  a  pari 
data  dell'anno  scorso  as'^endeva  a  olCre  115.  Ma  nella  situaxiooe  ultima 
il  capitolo  dei  fondi  Buire««t4»ro  figura  per  oltre  47  milioni.  I  fondi 
pubblici  e  altri  titoli  di  proprietà  della  Banea,  comprendendovi  quelli 
della  riserva,  sono  diminuiti  di  circa  28  milioni. 

La  circolazione  e  in  aumento  di  oltre  8  milioni;  i  debiti  a  vista 
sono  cresciuti  di  circa  4. 

Questa  analisi,  ancorché  rapida,  dimostra  che  la  situacione  della 
Banca,  consideraU  nel  compl<»8<»o,  è  ottima  e  capace  di  opporre  Talida 
resistenza  anf'he  ai  turbamenti  che  nel  pronimo  autunno  pote«ero  re- 
rilicarsi  nel  mercato  mon«turio  d*  Kuropa. 


384  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

Le  disponibilità  nei  nostri  mercati  sono  piuttosto  scarne;  è  da  pre 
vedere  che  la  strettezza  esistente  durerà  ancora  per  qualche  tempo. 


La  quindicina  passata  lascia  la  borsa  di  Parigi  sopra  un  terreno 
meno  angustiato  di  quello  sul  quale  l'avevano  condotta  i  primi  giorni 
di  essa. 

La  liquidazione  di  fine  giugno  che  ha  avuto  luogo  il  giorno  3  del 
corrente  ha  recato  nuovi  e  non  lievi  sacrifizi  ai  capitali.  Dopo  la  ri- 
sposta dei  premi,  dei  quali  la  massima  parte  venne  abbandonata,  i  corsi 
di  compensazione  furono  stabiliti  in  ribasso  sensibile  in  confronto  ai 
prezzi  di  compensazione  del  mese  antecedente.  Il  5  Oiq  compensato  a 
109  il  1"  giugno  non  ebbe  più  al  2  luglio  che  il  prezzo  di  108,25,  in 
ragione  cioè  di  75  centesimi,  il  3  0|0  perpetuo  venne  ridotto  da 
80,25  a  78,80,  cupone  staccato  di  75  centesimi,  l'ammortizzabile  indie- 
treggiò da  una  liquidazione  all'altra  da  81,40  a  80,30  cupone  stac- 
cato di  75  centesimi.  Le  operazioni  impepnate  a  termine  non  ebbero 
importanza  che  sul  3  0[0  perpetuo  e  sul  5  0[0  e  questi  furono  i  valori 
più  bistrattati.  Tutto  ciò  mentre  i  riporti  venivano  offerti  ad  un  saggio 
più  moderato.  In  tempi  normali  sarebbe  stato  questo  un  elemento 
efficacissimo  di  rialzo,  ma  la  borsa  di  Parigi  si  trovava  proprio  in  quel 
momento  sotto  l'incubo  d'idee  troppo  nere  perchè  l'abbondanza  del  da- 
naro e  la  facilità  di  ottenerlo  potessero  aver  presa  sopr'  essa  e  gio- 
varsene. 

Correvano  allora  voci  insistenti  che  le  convenzioni  colle  compagnie 
ferroviarie  non  sarebbero  discusse  innanzi  le  vacanze,  locchè  avrebbe 
resa  impossibile  la  presentazione  de'bilanci.  A  ciò  si  aggiungeva  il  pro- 
gresso del  cholera  in  Egitto  e  il  conseguente  ribasso  de'valori  orientali. 
L'agitazione  inglese  contro  la  compagnia  di  Suez  era  un'  altra  spina  al 
cuore  di  quella  borsa,  la  quale  si  vedeva  da  ciò  colpito  quel  valore  che 
tanto  contribui-sce  a  mantener  viva  la  speculazione  sul  mercato.  Della 
spedizione  del  Tonckino  non  si  parlava  più  da  qualche  giorno,  ma  non 
è  da  vedere  che  la  si  fosse  posta  nel  dimenticatoio  e  che  il  pen- 
siero di  essa  non  avesse  la  sua  parte  nel  malessere  del  mercato.  Egli 
è  sotto  questi  influssi  che  la  liquidazione  di  fine  giugno  venne  a  com- 
pimento, e  non  deve  meravigliare  che  in  quella  ricorrenza  si  sia  visto 
il  5  Oio  cadere  a  108,10  a  termine  e  a  107,90  contanti,  che  è  quanto 


HOhLhlJl.Mi    HNA.N/,ÌAKio    ULLLA    yUlNi)lClNA.  "  ^ 

di/t  a  1/7  circa  detratta' la  cedola  trimestrale  che  va  ad  essere  uisììh- 
cata  col  1°  agosto.  Come  sì  vede  la  situazione  minacciava  di  diventare 
disasti  osa,  e  forse  la  borsa  di  Parigi  avrebbe  avuta  qaella  crisi  che 
con  tanti  sforzi  potè  finora  evitare,  ove  un  rivolgimento  istantaneo  e 
improvviso  non  si  tosse  verificato  opportunamente  nelle  cause  stesse  che 
la  rendevano  probabile  non  che  possibile. 

Per  riguardo  alle  convenzioni  ferroviarie,  si  apprese  che  il  governo 
era  ben  deciso  di  aggiornare  le  vacanze  delle  Camere  fino  a  che  non 
fossero  discusse;  si  aggiunse  che  la  commissione  incaricata  a  studiarle 
si  era  atteggiata  a  migliori  intendimenti,  che  il  relatore  era  stato  no- 
minato e  che  la  relazione  di  tutte  cinque  le  convenzioni  sarebbe  stata 
presentata  non  più  tardi  del  sriomo  14  luglio  ovvero  subita)  dopo  la  festa 
nazionale. 

A  queste  assicurazioni  la  borsa  si  sentì  rincorata,  poiché  essa  vide 
nelle  mutate  disposizioni  della  commi^i^ione  un  sintomo  da  cui  poteva 
rip>*ometter8Ì  eguali  disposizioni  per  parte  della  camera,  quindi  un  esito 
felice  delle  discussioni  che  si  andavano  ad  intraprendere  e  un  affida- 
mento a  bene  sperare  nell*aTTdnire  finanziario  dello  Stato. 

Quasi  contemporaneamente  corse  la  buona  novella  che  il  signor  de 
I^esseps  si  era  posto  d*accordo  col  governo  ingleee  soUe  basi  di  un  nuore 
Modus  vivendi.  Perciò  le  azioni  Suez,  come  tocche  da  verga  magica,  si 
rianimarono  e  con  esse  si  rianimarono  gli  altri  valori 

Per  riguardo  al  cholera  le  ansie  vennero  mano  ujatm  •ttnunudo 
•lacchè  si  vide  che  il  morbo  non  aveva  tendenza  ad  uscire  dal  suo  nido 
e  che  i  governi  si  erano  accordati  a  sbarrargli  la  entrata  ooi  modi  più 
energici  e  più  appropriati. 

r'osta  a  fronte  di  un  insieme  di  cote  ooei  prumetteati,  la  apeoulasione 
francese  credette  giunto  il  monoento  di  OMÌre  dal  mare  morto  in  cui 
HI  trovava  impelagata  da  tanto  t^mpo:  il  suo  primo  sforzo  fa  volto  ad 
arrestare  il  ribaaeo  dalle  reodite  e  a  dart  loro  una  spinta  a  salire. 

Il  risparmiot^qoaatonqod  «Mai  rimeMùmeote,  ne  eeooodò  le  rocete,  e 
ttuono  o  malgrado  le  «eeondò  indirettamente  anche  lo  looperto,  il  quale 
scotso  un  pò*  da  quatte  mutate  dispoeitioni  del  mercato  ti  diede  a 
ricomperare  parte  del  vendalo. 

Era  questa,  pel  venditore  allo  scoperto,  una  semplice  misura  di  pre- 
cauzione, non  Teffetto  di  mutato  convincimento,  poiché  tatto  ciò  ohe 
aveva  contribuito  a  dare  alle  ooae  an  aspetto  un  po'  diverso  da  quali o 


386  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

che  avevano  non  bastava  secondochè  esso  ne  pensava  a  garantire  che 
un  miglioramento  sostanziale  fosse  avvenuto. 

Ed  invero  chi  può  dire  che  le  tante  questioni,  le  quali  fin  qui  fu- 
rono d'impediiaento  ad  un  ritorno  normale  ed  attivo  degli  affari,  siano 
già  state  risolute  o  prossime  a  risolversi  in  guisa  da  soddisfare  le  co- 
muni aspettazioni? 

Le  convenzioni  ferroviarie,  se  gli  ultimi  fatti  hanno  la  importanza 
che  si  annette  loro,  verranno  discusse  innanzi  le  vacanze  e  forse  ap- 
provate; ma  questa  soluzione  la  quale  ha  il  gran  merito  di  scongiurare 
la  ruina  delle  pubbliche  finanze  e  lo  scompiglio  gravissimo  di  una  crisi 
ministeriale  ove  la  camera  le  respingesse,  non  è  scompagnata  dalla  ne- 
cessità di  un  prestito  di  300  milioni  di  ammortizzabile  e  di  una  emis- 
sione enorme  di  obbligazioni  che  verrà  fatta  dalle  compagnie  ferro- 
viarie alle  quali  si  dà  il  carico  delle  costruzioni. 

D'altra  parte  l'agitazione  inglese,  che  parve  quietata  in  seguito  agli 
accordi  intervenuti  tra  il  signor  Gladstone  e  il  signor  de  Lesseps  risorge 
viva  più  che  mai  nei  meeting  e  nelle  proteste  della  camera  di  commercio 
di  Londra  contro  la  convenzione  stabilita.  Il  Parlamento  inglese  terrà 
fermo  contro  queste  opposizioni? 

E  il  Madagascar,  il  Tonchino  e  la  Cina,  questioni  che  parvero  so- 
pite non  daranno  nuovamente  a  pensare  e  non  potranno  mettere  in 
forse  i  buoni  rapporti  or  ora  stabiliti  tra  la  Francia  e  l' Inghilterra? 

Come  si  vede  l'orizzonte  politico  non  è  ancora  sgombro  affatto  di 
nubi  e  non  è  a  meravigliare  se  la  borsa  di  Parigi  non  ha  durato 
molto  ne'  suoi  slanci  e  se  lo  scoperto  non  ha  creduto  che  sia  giunto 
per  esso  ancora  il  momento  di  sacrificarsi  sull'altare  del  rialzo. 

La  rendita  5  Oiq  che  la  mercè  di  tanti  sforzi  era  stata  spinta  al 
corso  di  109,  scese  di  poi  a  107.75  e  ora  si  tiene  a  stento  a  108.90. 
Le  azioni  Suez  arrivate  anch''esse  cosi  risolutamente  al  rialzo  ripie- 
garono. 

Il  mercato  di  Londra  d'ordinario  tanto  calmo  e  poco  sensibile  ai  mali 
influssi,  è  in  preda  ad  un  malessere  insolito  che  si  riverbera  special- 
mente sui  consolidati,  i  quali  hanno  subito  in  questi  ultimi  giorni  un 
ribasso  notevole.  Forse  vi  hanno  contribuito  anche  le  divergenze  sorte 
tra  il  governo  inglese  e  francese  a  riguardo  del  procedere  singolare 
dell'  ammiraglio  Perret  inverso  dei  sudditi  inglesi  al  Madagascar,  e 
crediamo  che  non  ci  sieno  estranee  affatto  nemmeno  le  incertezze  che 
si  hanno   suU'  avvenire    del  mercato   monetario.   Ma  sieno    queste   od 


BOLLETTINO   FINANZLA.RIO   DELLA   QUINDICINA.  387 

altre  le  cagioni  delle  mali  disposizioni  del  mercato  inglese,  queste 
esistono  purtroppo  e  concorrono  alla  mala  disposizione  degli  altri. 

Come  il  movimento  delle  transazioni  abbia  potuto  svolgersi  durante 
la  quindicina  passata  sotto  l'influsso  di  queste  alterne  vicende  è  agevole 
il  comprendere.  Velleità  molte  di  fare  tentativi,  di  dare  un  po'  di  vita 
al  mercato;  ma  sempre  senza  effetto  apprezzabile,  per  modo  che  ti- 
rate le  somme  degli  affari  spettanti  a  questa  quindicina  ed  all'  altra  i 
risultati  rispettivi  quasi  si  bilanciano. 

Quale  a  fronte  di  questo  stato  di  cose  è  stato  il  contegno  delle 
Borse  italiane  in  questo  periodo  di  tempo  ?  Hanno  esse  avuto  una 
vita  propria  quale  avrebbero  potuto  consentire  loro  le  ottime  condi- 
zioni in  cui  versa  il  paese  nostro  tanto  sotto  il  punto  di  vista  politico, 
quanto  sotto  il  punto  di  vista  finanziario  ? 

Duole  il  rispondere  che  noi  ci  tenemmo  nella  via  percorsa  dagli 
altri,  e  come  gli  altri,  ne  provammo  le  asprezze. 

La  vera  speculazione  che  ò  indizio  dell'esistenza  di  un  vero  mercato, 
ha  fatto  sempre  difetto;  le  transazioni  che  ebbero  luogo  si  aggirarono 
in  nn  circolo  assai  ristretto  e  poco  importante.  Tatto  fu  &tto  a  spinico 
e  sulla  rendita  e  sui  valori,  e  anche  per  questo  modo  fatto  raramente. 
Non  pertanto  le  disposizioni  durarono  sempre  buone;  e  se  di  Francia 
si  levasse  un  vento  favorevole,  il  terreno  qui  sarebbe  bene  preparato 
e  una  campagna  vigorosa  all'aumento  verrebbe  intrapresa  con  islancio  e 
con  successo. 

Il  corso  della  rendita  nostra  a  Parigi  durante  la  quindicina  variò 
da  92  25  a  90.  45  ex  coupon,  poi  ricadde  a  90. 25.  A  Londra  da  89  1^4 
scese  a  88  TfS  e  risalì  a  89  li4.  A  Berlino  da  91.90  cadde  a  91.20; 
risali  a  91.  80  e  piegò  di  nuovo  a  91.  dO. 

In  Italia  la  rendita  venne  negoziata  a  principio  a  90.  40 ,  detratta 
s'intende  la  cedola  semestrale;  poi  sceie  a  90.  25  e  vi  rimMe. 

Tra  i  valori  cattolici  solo  il  BUnmt  legal  pretto  a  poco  l'andamento 
della  rendita,  aggirandoti  tra  91.92  e  91.60.  Il  Rothschild  inreot  da 
VS.  05  si  elevò  a  91;  i  certificati  del  Te^uro.  «mÌMione  1860-^4,  sa- 
lirono da  93.  30  a  94. 

Il  Consolidato  Turco  non  ebbe  mercato  degno  di  nota  ;  rimata  tra 
11.35  e  11.50. 

Nei  valori  bancari  si  ebbero  transazioni  continuate  talle  azioni 
della  Banca  italiana,  ma  non  favorite  molto  dal  lottegno.  Infatti  da 
2275  scesero  a  2265  e  chioserò  a  questo  prezzo. 


388  BOLLETTINO    IINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

Le  azioni  della  Banca  romana  diedero  luogo  a  qualche  scambio  al 
corso  di  980  a  principio,  e  a  quello  di  995  in  ultimo. 

La  Banca  Generale  rimase  piuttosto  fredda  sempre  e  venne  segnata 
a  532.60  ex  coupon  e  a  530.75  in  chiusura. 

Il  mobiliare  italiano,  negoziato  ne'  primi  giorni  a  782  ex  dividendo, 
salì  a  789  e  toccò  un  giorno  il  prezzo  di  801,  ma  successivamente  scese 
a  793. 

La  Banca  di  Torino  ebbe  momenti  favorevoli  dopo  che  la  Ciorte  dj 
Appfillo  emanò  la  sentenza  che  conservava  i  diritti  al  rimborso  della 
Compagnia  Guastalla,  nella  quale  causa  l'Istituto  è  interessato.  Le  azioni 
salirono  da  620  a  641  ;  ma  poco  dopo  reagirono  a  630. 

Passiamo  sotto  silenzio  le  vicende  toccate  alle  Banche  Piemontesi  e 
Milanesi  perchè  queste  non  diedero  campo  ad  affari  che  debbano  essere 
ricordati. 

I  valori  ferroviari  ebbero  qualche  movimento.  Ottennero  scambi  le 
azioni  delle  ferrovie  meridionali  a  472  ex  coupon,  poi  a  480  e  479.  Le 
obbligazioni  relative  vennero  negoziate  a  272,75  ;  i  boni  a  530. 

Le  Sarde  serie  A  tennero  il  prezzo  di  271,50;  quelle  della  Serie  B 
di  268.50,  le  nuove  di  269.50.  Le  Palermo-Trapani  di  prima  emissione 
furono  negoziate  al  corso  di  286.50;  le  altre  di  seconda  a  285.  Rimasero 
nominali  le  Centrali  Toscane  a  455;  le  Pontebbane  a  340  ex  coupon;  le 
meridionali  austriache  a  291.50  ex  coupon;  le  azioni  Romane  a  135, 
A  Parigi  le  azioni  Lombarde  ebbero  prezzo  a  328.75  e  a  33.625;  le  obbli- 
gazioni relative  a  293  ex  coupon  e  a  292.50;  le  obbligazioni  Vittorio 
Emanuele  a  290  e  292.50;  le  azioni  delle  Ferrovie  Romane  a  130.  Le 
azioni  della  Regìa  dei  Tabacchi  rimasero  abbastanza  sostenute  a  584 
ex  coupon  e  liberate  al  valor  nominale  di  L.  500. 

Le  cartelle  fondiarie  non  diedero  luogo  a  scambi  di  qualche  entità, 
ma  conservarono  i  soliti  corsi:  Milano  a  t02  e  £03.50;  Torino  482; 
Napoli  478;  Palermo  481:  Bologna  471.50;  Siena  473;  Roma  439; 
Cagliari  420. 

1  valori  proprii  della  Borsa  di  Roma  rimasero  in  generale  piuttosto 
trascurati  e  in  ribasso.  Le  azioni  dell'  acqua  Marcia  da  836  ex  coupon 
scesero  a  823;  le  azioni  del  Banco  di  Rema,  da  574  ex  coupon  a  565; 
le  Condotte  da  481  ex  coupon  a  473;  le  Complementari  da  247  ex 
coupon  a  220.  Qualche  scambio  ebbero  le  fondiarie  (incendi)  ex  coupon 
a  495;  le  azioni    immobiliari    a  500  e  a  4€6. 75;  le  relative  obbliga- 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  389 

zioni  a  475.    Le  azioni  Gaz,  sola   eccezióne,  rimasero  ferme  a  1025  e 
per  ultimo  a  1034. 

I  cambt  rimasero  deboli  sempre  e  solo  in  ultimo  accennarono  a 
qualche  fermezza,  specialmente  la  divisa  su  Londra.  1  cheques  su 
Francia  si  aggirarono  tra  99.  75  e  99.  90;  la  Londra  a  vista  tra  25.  23 
e  25.27;  quella  a  tre  mesi  tra  24.95  e  25.02.  Nominale  sempre  il 
pezzo  da  20  franchi. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


LETTERATURA  E  POESIA. 


Storia  della  letteratura   in  Italia  ne'  Hecoli  barbari,   per  Euamuelr 
Celesu.  Voi.  II.  —  Genova,  Istituto  Sordo-Muti,  1883. 

Questo  secondo  ed  ultimo  volume  dell'opera  annunziata,  contiene, 
per  la  maggior  parte,  una  materia  più  piana  e  più  conosciuta  general- 
mente ;  e  molti  profondi  studi  fatti  recentemente  in  Italia  e  fuori,  sopra 
di  essa,  Tmnno  agevolato  all'autore  la  via.  Ciò  dicasi,  per  esempio,  ri- 
spetto ai  capitoli  Sulle  leggende  virgiliane,  sui  Goliardi,  sulle  Origini 
della  drammatica,  su  quelle  della  lingua,  e  su  tutta  la  storia  della 
letteratura  italiana  de'primi  secoli,  dove  il  Celesia  non  ha  avuto  altra 
fatica  che  di  compendiare  dalle  opere  del  Comparetti,  del  D'Ancona, 
del  Bartoli,  e  d'  altri  parecchi.  Né  il  compendio  ci  par  sempre  fatto 
con  giusta  misura  e  proporzione,  né  con  scrupolosa  diligenza.  L'au- 
tore aggruppa  in  un  capitolo  troppe  cose,  e  non  le  può  digerire  tutte 
abbastanza  ;  in  alcune  si  estende  troppo,  d'altre  si  passa  troppo  succin- 
tamente. Nel  capitolo  sull'origine  della  lingua  si  dilunga,  non  sappiamo 
con  qual  prò,  rispetto  ai  limiti  ed  allo  scopo  del  suo  lavoro,  sugli  an- 
tichissimi dialetti  italici  e  fa  sfoggio  di  erudizione  osca  ed  etrusca,  per 
venir  poi  a  concludere,  colle  teorie  del  Diez  che  la  lingua  nacque  dal 
latino  rustico  ;  cosa  che  non  aveva  punto  bisogno  di  quella  prolissa  in- 
troduzione. Ma  un  maggior  rimpinzamento  di  dati  male  ammassati,  e 
trattati  con  poca  critica,  non  ostante  l'apparenza  d'avercene  messa  troppa, 
è  nel  capitolo  sulla  Leggenda  di  Satana,  che  dal  secolo  vii  nel  quale, 
secondo  l'autore,  Satana  cominciò  a  mostrarsi,  giunge  fino  al  Milton, 
e  si  spinge,  niente  meno,  nell'avvenire,    prevedendo  la  piena  sconfitta 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  391 

di  qaesto  mito  per  opera  della  scienza.  0  non  si  doveva  intraprendere 
una  ricerca  si  difficile  e  complicata,  o  trattarla  con  altro  metodo  e  con 
altra  serietà.  Ma  di  questo  modo  che  diremmo  abborracciato  e  preten- 
sionoso,  non  mancano  tracce  frequenti  anche  nel  rimanente  dell'opera. 
Difetto  che  si  avverte  anche  più,  per  aver  l'autore  trascurato,  non 
ostante  che  nel  commiato  voglia  giustificarsene,  di  citar  via  via  le 
fonti  principali  a  cui  ha  attinto,  delle  quali  mal  si  può  fare  a  meno 
in  materia  di  cui  si  disputa  sì  variamente,  e  intomo  a  fatti  non  sempre 
bene  accertati.  Per  esempio,  su  quale  autorità  appoggia  l'autore  quel- 
l'ardita asserzione  (pag.  208)  che  il  canto  di  Giulio  d'Alcamo  sia  uno 
tra  i  pochi  cimelii,  rimasti  da  un  ciclo  poetico  averroista  o  normanno^ 
anteriore  all'influenza  occitanica?  bisognava  che  ce  l'indicasse.  E  l'opi- 
nione sulla  non  esistenza  di  Dante  da  Majano.  benché  questa  volta  l'au- 
tore ce  ne  accenni  la  fonte,  meritava  d'  essere  abbracciata  con  tanta 
sicnrezza,  dopo  il  serio  stadio  del  Novati,  che  distrale  gli  argomenti 
di  chi  volle  distruggere  quell'antico  poeta?  B  con  qual  coraggio,  par- 
lando l'antore  della  donna  presso  i  diversi  popoli,  può  asserire  che  ìa 
tradizione  semitica  ìa  maledisse,  mentre  abbiamo  in  quella  tradizione 
tanti  esempi  di  donne  venerabili  e  venerate?  Qua  e  là  ci  è  dato  in- 
nanzi anche  qualche  errore  di  f&UOy  come  a  pag.  254,  dove  si  pone  nel 
sec.  XII  Giovanni  da  Fabriano,  che  mori  (vedi  il  Tiraboeohi,  St.  let. 
ital.  tom.  V,  lib.  Il,  cap.  I,  §  XV)  nel  1348!  Rd  a  pag.  260,  dove  si  fa 
morire  Guido  Cavalcanti  «  intomo  al  1300  •  quasi  oggi  non  si  «apMte 
con  sicurezza  la  data  precisa  della  sua  morte  (vedi  Dino  Compagni  eoo. 
per  I.  Del  Lungo,  Firenze,  1879,  voi.  II,  pag.  98,  noU  26).  Ma,  la- 
sciando anche  questi  e  simili  difetti,  crediamo*  ehe  il  libro  del  signor 
Celesia,  non  ostante  il  vantaggio  di  rionire  molta  notisie  sparae  in  cen- 
tinaia dì  libri,  non  possa,  neppare  in  quetU  Moonda  parte,  appagare  il 
desiderio  dei  critici  rigorosi  e  coecienzioei,  e  che  non  risponda  al  su- 
perbo titolo  postogli  in  fronte.  Ciò  non  toglie  per  altro  che  ritornando 
l'autore  sul  suo  lavoro,  non  poesa  utilmente  rifonderlo  dentro  limiti  più 
ristrettì  (giungendo,  per  eeempio,  fino  al  secolo  \m  esclusive),  o  usare 
un  metodo  pid  scientifico,  lontano  da  rettoriohe  deoltmasioni  e  da  luoghi 
comuni. 

La  Beatrice  di  Dante.  Studio  erìtieo  del  Prof.    Vimcbmso   Tishimi   Tai- 
aoHA.  —  Catania,  Martioes»  1888   (pag.  72). 

Sostenere,  come  (a  il  Trigona,  che  la  Beatrice  dantesca  sia  un  mero 
simbolo  e  non    uria  ner*on:i    ron\o    rid.ittn  a  «imitolo;  può  aromeftorsi, 


H02  BOI.LKTllNò    Bini.IOQRAKrCO. 

ma  a  patto  che  si  riprenda  la  questione  al  punto  cui  é  atrivat^,  che 
8i  confutino  le  tante  e,  secondo  noi,  irrepui,'nabili  ragioni  contrarie,  e 
soprattutto  che  si  dicano  cose  ragionevoli  e  non  si  facciano  confusioni. 
Egli  tratta  la  questione  come  se  cominciasse  ora.  Dante  non  nomina 
mai  Folco  Portinari;  dunque  Beatrice  non  dev'essere  sua  figliuola 
Beatrice  è  un  simbolo  della  religione,  perchè  in  lei  cade  sempre  il  nu- 
mero nove;  ma  è  stato  giustamente  osservato:  perchè  in  questa  cor- 
rispondenza il  poeta  ammette  varie  eccezioni,  e  spesso  il  nove  non  e 
completo,  e  spesso  deve  egli  ricorrere  a  sottili  e  strani  partiti,  affinchè 
in  qualche  modo  si  trovi  il  nove?  perchè  appunto  egli  aveva  davanti 
una  cosa  reale,  e  si  sforzava  di  adattarla,  o  per  fa&  o  per  nefas^  ad 
un  ideale.  Ma  ti  questo  tace  il  Trigona.  Vi  è  poi  confusione  nell'uni- 
ficare  la  donna  del  Convito  con  Beatrice,  mentre  tutto  il  contesto 
mostra  che  quelle  due  donne  sono  in  opposizione,  e  il  poeta  non  può 
cantar  dell'una,  senza  scordar  l'altra,  salva  l' intenzione  di  ritornare, 
quando  che  sia,  alla  prima.  E  il  non  badare  a  questo  conduce  l'autore 
a  confondere  la  filosofia  colla  religione  in  una  persona  medesima,  scu- 
sandosi col  dire,  che  allora  tutto  il  sapere  faceva  una  cosa  sola  colla 
religione.  Il  che  prova  troppo  e  prova  nulla.  Curiosa  poi  è  la  fran- 
chezza con  cui  sono  spiegati  i  passi  più  difficili.  Ne  diamo  un  saggio. 
Nella  prima  visione  che  cos'è,  secondo  1'  autore,  quell'  amore  che  fa 
mangiare  a  Beatrice  il  core  ardente  di  Dante,  e  poi  se  ne  va  pian- 
gendo? È  il  desiderio  della  scienza,  che  trova  appagamento  nella  filo- 
sofia (la  Beatrice  che  lo  mangia)^  e  quindi  muore  e  sparisce  esso 
stesso,  perchè  desiderio  appagato  non  e  più  desiderio.  E  amore  dunque 
piange  la  propria  morte.  Ma,  si  potrebbe  obbiettare,  perchè  questo 
amore  non  muore  poi  mai  nel  seguito  della  narrazione,  anzi  è  più  vivo 
di  prima?  Nello  spiegare  poi  la  donna  dello  achermo  vi  è  una  strana 
confusione  fra  il  senso  letterale  e  l'allegorico;  perchè  l'autore  suppone 
che  quella  donna,  veduta  da  lui  veramente  in  chiesa,  fosse  causa  d'un 
amoretto  reale  per  molti  mesi,  che  lo  distrasse  dal  suo  studio  per  la 
scienza.  Vedete  un  po'  che  fecondità  d'immaginazione!  E  le  donne,  fra 
le  quali  Dante  fu  menato,  le  quali  tutte  in  un  luogo  mostravano  le 
loro  bellezze  devono,  secondo  l'autore,  essere  rami  della  filosofia,  perchè 
se  fossero  state  donne  reali.  Beatrice  che  era  in  mezzo  a  loro,  si  sa- 
rebbe trovata  a  dirittura  in  un  lupanare.  D'altra  parte  crede  l'autore 
che  il  padre  di  Beatrice  (pura  idea)  sia  persona  reale  e,  indovinate  un 
po'  chi  ?  S.  Tommaso  d'Aquino.  E  sentitene  una  più  curiosa.  Il  sommo 
piacere  che  f alito  a  Dante  per  la  morte  di  Beatrice   è,   secondo   l'aa- 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO.  393 

tore,  l'ultinio  termine  d'amore;  mentre  è  chiaro  che  xommo  piacere  in 
tal  laogo  significa  bellezza  suprema:  e.  più  strano  ancora,  le  membra 
di  Beatrice  che  ella  lasciò  in  terra  sparte,  sono  i  ministri  della  reli- 
gione corrotti,  e  però  separati  da  quella.  Ma  basti  questo  poco  a  mo- 
strare dove  può  condurre  un  metodo  avventato  e  capriccioso. 

Gli  scritti  inediti  di  Bartolomeo  Corsini,  preceduti  dalla  sua  vita,  e 
annotati  da  GiusErps  Baccini.  —  Firenze,  Tip<^nnifi&  Bencioi,  188S 
(pagine  cxxx-328). 

Bartolomeo  Corsini  di  Barberino  del  Mugello  era  noto  ai  letterati 
per  una  versione  d'Anacreonte  (fra  le  prime  che  se  ne  fecero)  e  per 
ano  di  que'  poemi  eroicomici,  onde  tanto  si  deliziò  il  secolo  xvii.  Ma 
poco  ne  dicono,  secondo  il  solito,  le  storie  letterarie;  T  illustrarne  meglio 
la  memoria  toccava  ad  ano  studioso  suo  compaesano,  il  sig.  Giuseppe 
Bacoinr.  Mentr'egli  sta  preparando  una  naova  edizione  del  Torracchione 
desolato^  ricorretta  sulfautografo,  chVgli  potò  scoprire  nella  Biblioteca 
del  Seminario  fiorentino,  da  un  saggio  de' suoi  stadi  sul  poeta  Barbe- 
rinese,  in  questo  volumetto,  che  contiene  cose  inedite  di  lui.  Il  Corsini 
fu  un  poeta  di  fecondissima  vena,  piacevole  di  costumi,  ma  poco  fortu- 
nato, specialmente  per  la  trista  compagnia  d'una  moglir  ptirversa,  dalla 
quale  dovette  separarsi.  Si  consolò  de'suoi  mali  coll'arte  delle  muse,  e 
fra  le  poesie  qui  edite  per  la  prima  volta  si  trova  appunto  un  libretto 
di  Epigrammi  e  poesie  diverse  contro  la  moglie,  tanto  più  singolare 
<|iianto  no'  poeti  son  più  frequenti  i  versi  che  infiorano  e  adulano  le 
•ionne.  Spiritosi  assai  sono  alcuni  di  questi  epigrammi,  ed  uno  ve  ne 
iiH  che  analizza  la  parola  uxor^  per  ricavarne  poi  questa  conclusione; 
('he  l'uomo  che  prende  moglie,  a  pii  veloce  »en  ra  per  rie  ben 
funf/he,  e  ben  sicure  —  alla  forca,  alla  croce  alta  rola^  alla  acure. 
\^  altre  poesie  lianno  anch'esse  quella  facile,  armuaiosa  e  leggiadra 
vtiim,  che  e  propria  de'  poeti  «eoentisti.  Notabili,  fra  le  altre,  ci  sem- 
brarono alcuni  saggi  AeWOdiuea,  rifatta  in  burlesco,  secondo  l'uso  di 
quel  secolo;  che,  se  l'avessa  terminata,  supererebbe  d'assai  la  poco 
Kraziata  Eneide  del  norcino  I^lli.  Ma  di  maggior  rilievo  sono  le 
ros",  cioè  gli  Annali  barberineti  (dal  ICttJ  al  1049).  con  notizie  sul- 
)'orii2:ine  di  Barberino,  sulle  chiese,  sulle  persone  illustri,  sopra  la  isti- 
tuzioni religiose,  sopra  certa  rappresentazione  sacra,  e  sopra  fatti  d'armi, 
in  cui  furono  infolti  i  Barbarioeai;  oltre  ad  aneddoti  diversi.  Il  signor 
Barrì  ni  ha  premesso  a  qnsate  opere  nn  erudito  e  ben  tessuto  iti  «corvo 


394  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

sulla  vita  dell'autore  e  sugli  scritti,  principalmente  sul  Torracchione ; 
ha  illustrato  poi  con  note  e  con  documenti  riguardanti  il  suo  paese, 
tuttociò  che  negli  Annali  meritava  spiegazione.  Vedansi,  per  esempio 
le  notizie  sulla  villa  medicea  di  Cafaggiolo  (pag.  250  e  seg.),  che  con. 
tengono  la  storia  de'  fondatori  e  degli  uomini  illustri  che  ivi  dimorarono- 
Un  indice  alfabetico  in  fine,  raccoglie  le  cose  più  ricordevoli  del  volu- 
metto, cui  non  si  può  negare  una  importanza,  sia  per  la  storia  muni- 
cipale, sia  pure  per  la  storia  letteraria. 

PEDAGOGIA. 

La  Pedagogia  di  Emanuele  Kant  con  una  nota  di  Angslo  Yaldabnini. 
—  Roma  tip.  Bodoniana  e  ditta  Paravia. 

Il  breve  tratto  pedagogico  del  filosofo  tedesco  venne  pubblicato  fino  dal 
1803,  e  si  meritò  in  Germania  il  titolo  di  aureo  non  solo  per  i  prin- 
cipi elevati  e  peregrini  che  racchiude,  ma  ancora  per  le  assennate  e 
pratiche  osservazioni  onde  è  cosparso,  e  per  avere  unito  l'educazione 
intellettuale  e  morale  all'educazione  fisica,  la  quale  ultima  fino  ai  tempi 
di  Kant  ordinariamente  era  trascurata.  Anzi  è  degno  di  nota  che 
mentre  la  stessa  filosofia  niorale  di  Kant  appare  molto  discosta  dalla 
vita  pratica  sociale,  a  riscontro  di  altri  sistemi  morali  ;  invece  la  sua 
pedagogia  si  fonda  per  lo  più  sull'esperienza  e  quindi  torna  essenzial- 
mente pratica.  Ma  quali  principi  filosofici  le  danno  vita?  La  diversità 
di  essenza  e  di  fine  tra  l'uomo  e  il  bruto;  il  vivo  sentimento  della  per- 
sonalità ed  autonomia  umana;  il  fine  supremo  dell'uomo  e  della  società, 
fine  che  non  si  restringe  ai  soli  individui,  a  una  o  più  nazioni,  e  a  una 
data  epoca,  ma  che  abbraccia  tutta  l'umanità  consociata  nella  distesa  del 
tempo;  la  differenza  profonda  tra  il  dovere  e  l'onesto  da  un  lato,  il  pia- 
cere e  r  utile  dall'altro  :  ecco  i  principi  fondamentali  a  cui  s'  informa 
la  scienza  e  l'arte  educativa  di  Kant. 

Queste  nobili  e  pratiche  verità  desunte  dal  trattato  pedagogico  Kan- 
tiano, con  acconce  e  proprie  considerazioni  sull'indirizzo  vero  della  Pe- 
dagogia, sono  dal  prof.  Valdarnini  messe  in  rilievo  in  una  dotta  e  chiara 
prefazione  che  precede  la  sua  forbita  versione,  la  prima  che  si  abbia 
in  Italia.  Se,  come  diceva  Kant,  Varte  perfetta  ritorna  alla  natura^ 
facciamo  che  la  vera  e  compiuta  scienza  ed  arte  educativa  riposi  dav- 
vero sulla  natura  e  vi  ritorni.  A  conseguire  questo  nobile  intento  con-^ 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  395 

fidiamo  che  gioverà  assai  la  pedagogia  di  Kant  :  onde  va  lodato  iì 
prof.  Valdarnini  per  avervi  richiamata  l' attenzione  dei  suoi  conna- 
zionali. 

Herbert  Spencer.  —  Educazione  intellettuale,  morale  e  fisica,  traduzione 
dall'inglese  di  Sofia  Fortini  Sahtarelli,  2*  ed.,  Firenze  G.  Barbèra,  1883. 

Sarebbe  inutile  ripetere  le  lodi  della  celebre  operetta  educativa  dello 
Spencer,  che  ebbe  in  Inghilterra  nove  ristampe,  fu  tradotta  in  tutte  le 
lingue,  e  in  Francia  pubblicata  a  spese  dello  Stato  e  distribuita  nelle 
scuole  della  Repubblica.  Rallegriamoci  piuttosto  che  anche  fra  noi  sìa 
già  esaurita  la  prima  edizione  e  che  il  solerte  cav.  Barbèra  ce  ne 
dia  una  seconda,  alla  quale  auguriamo  ugual  successo,  pel  vantaggio 
della  educazione  nazionale.  Giacché,  sebbene  si  possa  disapprovare  qualche 
idea  deirA.,  e  specialmente  il  poco  pregio  in  cai  tiene  l'istruzione  clas- 
sica) lo  spirito  che  informa  il  libro  e  gli  eccellenti  e  pratici  consigli 
di  cui  è  pieno,  ne  fanno  una  guida  preziosa  a  tutti  i  genitori  e  a  tutti 
i  maestri  intelligenti.  La  signora  Fortini  Santarelli  che  già  aveva  dato 
buona  veste  italiana  ad  uno  tra  i  più  importanti  lavori  dello  Spencar 
(f Introduzione  alla  Sociologia)  meritandone  gli  encomi  dell'A.  stesso- 
e  di  dotti  critici,  ha  pur  tradotto  questo  volumetto  in  una  forma  piana 
e  popolare  che  rende  pienamente  il  pensiero  del  filosofo  inglese  e  che  si 
fu  leggere  volentieri.  Citiamo  a  dimostrarlo  qualche  linea,  tolta  dal  primo 
capitolo,  intomo  alle  cognizioni  a  cui  si  attribuisce  maggior  valore  : 
«  I  viaggiatori  dicono  che  le  corone  di  chicchi  colorati  etl  i  gingilli  rie- 
scono molto  più  graditi  alle  tribù  selvagge  che  i  tessati  e  le  stoffe.  Sr 
raccontano  aneddoti  curiosissimi  su  quel  che  fanno  i  selvaggi  delle 
camicie  e  degli  abiti  che  vengono  loro  donati....  Insomma  tutti  i  fstti 
della  vita  aborigena  sembrano  indicare  che  il  vestiario  è  nato  dal  gusto 
deirornamento.  > 

RACCONTI. 

Homol  Luioi  CAroAiA.  —  Milano,  Brìgola  1888. 

Il  Gapoana  è  ano  de*  nostri  più  oosciensiosi  a  ingagnosi  scrittori  di 
novelle  e  bouatti;  a  le  sue  qualità  aKistiche  si  manifestano  maggior- 
mente io  bravi  pittare  che  io  ona  vasta  tela  da  romanso.  È  naturalista 
di  tre  cotta;  ma  non  è  vero  "he  sia  (come  fu  detto)  pedissequo  aagoaoa 
di  latta  la  dottrine  dello  Zola,  alcane  delle  quali  ha  ansi  sbarUta,  par 
aaampio  l'assurda   idea  d'nn   romansn  tperimentnle.   Piuttosto  agli,  é« 


390  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

al  pari  dello  Zola  stes^to,  discepolo  e  continuatore  del  Balzac,  che  emala 
anche  nel  faticoso  studio  d'uno  stile  efficace  ed  originale,  senza  reto- 
rica. Non  sempre  felice  riesce  nella  scelta  de'suoi  temi;  poiché,  i  na- 
turalisti hanno  un  bel  dire;  tutto  non  si  può  descrivere  né  raccontare, 
e  scegliere  bisogna.  Ora  questa  modernissima  scuola  ha  il  vezzo  d'ap- 
pigliarsi sopratutto  al  brutto  e  al  triviale;  e  di  tal  pecca  non  va  im- 
mune il  nostro  novelh'ere,  il  quale  peraltro  si  adopera  ad  essere  almeno 
gastigato  nella  forma,  IJ impersonalità  del  racconto  è  pure  un  canone 
dei  naturalisti;  ed  in  sé  è  rosa  buona;  ma  non  ne  viene  per  conse- 
guenza che  il  racconto  stesso  debba  parere  una  fredda  e  spietata  vivi- 
sezione. Senza  che  si  veda  la  mano  dell'  artefice,  il  fatto  deve  essere 
esposto  in  modo  da  commuovere:  il  sentimento  profondo  che  traspare 
da  molte  pagine  di  Alfonso  Daudet,  dà  loro  un  pregio  che  vince  di  gran 
lunga  l'afiettata  aridità  dello  Zola.  Peccato  che  alcuni  dei  nostri  mi- 
gliori, quali  il  Verga  e  il.  Capuana,  in  ciò  si  accostino  più  volentieri 
al  secondo  che  al  primo!  Contuttociò  il  libro  che  annunziamo  si  legge 
con  piacere,  perchè  ognuno  dei  dieci  quadretti  che  contiene  è  un  finis- 
simo lavoro  d^arte.  Non  si  possono  analizzare,  perchè  il  merito  sta  prin- 
cipalmente nella  forma,  onde  sono  ritratte  al  vivo  figurine  d'uomini 
e  di  donne,  costumi  di  Milano  o  di  Mineo,  amori  e  gelosie,  mostruosità, 
raffinatezze  di  sentimento.  I  migliori  sono,  a  nostro  avviso  Povero  Dot- 
tore, Don  Peppantonio,  Comparatico.  Quest'ultima  storia  è  riprodotta 
in  appendice  nella  forma  datagli  già  dall'autore  stesso  il  quale,  valente 
poeta  com'è,  l'aveva  verseggiata  or  son  dieci  anni  nel  suo  dialetto  na- 
tivo; ed  il  bravo  Vigo  l'aveva  accolta  e  pubblicata  tra  i  canti  popolari 
siciliani  (Catania,  1870-74).  Né  fa  meraviglia;  poiché  ha  tutto  l'an- 
damento d'una  leggenda  popolare.  Nello  stile  e  nella  lingua  il  Capuana 
pone  una  cura  non  comune;  si  sente  che  ha  abitato  a  lungo  la  Toscana, 
■e  si  sente  ancora  lo  sforzo  che  fa  per  dare  un'impronta  italiana  sia  al 
parlare  dei  suoi  interlocutori,  sia  a  certe  espressioni  e  locuzioni  predi- 
lette della  scuola  naturalistica. 


BELLE  ARTI 

I  Codici  miniati  con  20  tavole  per  l'Avv.  Vinobnzo  Padtassi.  —  Torino 
Ermanno  Loescher  1883. 

Dell'arte    nobilissima    della    miniatura,    per  la  quale  in  tempi  poco 
propizi  alle  discipline  del  bello,  si  è  conservata  in  Italia  la  tradizione 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO.  3i>7 

e  la  tecaica  della  pittara,  la  nostra  rivista  si  è  più  volte  occupata,  per 
opera  di  scrittori  valorosi  e  competenti.  —  Crediamo  nondimeno  riu- 
scirà gradito  ai  cultori  di  questi  studi  geniali,  che  noi  dedichiamo  poche 
osservazioni  al  libretto  del  signor  Pautassi,  rapito  ai  viventi  prima  che 
riuscisse  a  veder  la  pubblicazione  della  sua  monografia,  alla  quale  aveva 
atteso  con  tanto  amore. 

Veramente  non  potrebbe  dirsi  che  il  lavoro  del  Pautassi  sia  una 
storia  completa  dell'arte  del  minio;  —  lo  diremmo  piuttosto  un  indice 
ragionato,  o  una  guida,  per  chi  si  volesse  accingere  ad  opera  di  maggior 
lena,  e  metterne  in  evidenza  i  t^?sori  sparsi  per  le  biblioteche  pubblicha 
e  private. 

Tutte  le  volte  che  ci  è  dato  imbatterci  dinanzi  ad  un  codice  mi- 
niato, restiamo  maravigliati  nel  veder  la  paziente  perizia  di  quella 
schiera  di  anime  delicate,  le  quali  infiorando  il  margine  delle  perga- 
mene di  figurine  ingenue  e  bizzarre,  chiudevano  le  loro  estetiche  vi- 
sioni entro  il  poco  spazio  d'una  lettera  gotica,  dove  Parte  par  si  affaooi 
timida  e  paurosa  fra  il  bagliore  dell*  oro  e  le  ombre  traiparenti  e 
leggere. 

Ma  di  codesti  artefici  chi  ooooeoe  la  storia? 

Eppure  «luesti  uomini  dimenticati  ed  oscuri,  furono  insieme  ai  mu- 
saicisti,  i  veri  fondatori  dell'  arte,  e  come  bene  osserva  un  elegante 
scrittore,'  diedero  origine  alle  tre  antiche  scuole  italiane:  la  fiorentina, 
la  seneHe,  Tunibra. 

Infatti,  frate  Mino  da  Turrita*  i  Cosmati,  Iacopo  <la  Camerino  pò* 
polandu  colle  loro  {grandiose  figure  musive  le  basiliche  delle  nostre  dtt* 
davano  le  prime  ispirazioni  alla  scuola  fiorentina  ;  —  mentre  Oderiiio 
lionagiunta  e  Franco  Bolognese,  sottratti  pietosamente  all'oblio  dal- 
l'Alighieri e  immortalati  nel  eatito  XI  del  Purgatorio^  orearano  una 
serie  di  miniatori,  donde  uscì  quella  luce  cha  irradiò  la  tcoola  eanesa 
e  umbra,  le  interpreti  più  rere  e  più  nobili  del  casto  ideale  erisiiano. 
E  veramente  da  quei  TÌrad  eolori  delle  miniatore  smaglianti  d*  oro, 
dalla  magia  di  quei  tòni  or»  caldi  ora  languidi,  da  quelle  graxiose  te- 
stine dipint«  i-on  tanto  amore  •  eoo  tanta  vita,  dallo  studio  diligsote 
posto  nella  bellezza  e  nella  varietà  dei  firegi  e  adomameati  aoosssori, 
nacquero  le  o|iore  di  pittnra  dei  quattrocentisti,  ehe  formeranno  costan- 


'  H.  KkiiirAiiBi.i.i  (3iiM>.  Sit^otò  Àkmno  e  la  tettola  mnfna.  —  Ho  mai  ti- 
pogrmfiA  Kurhéni  187V. 


398  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

temente  Tadorazione  di  tutte  le  anime  capaci  di  godere  le  soavi  visioni 
dell'arte  pura. 

L' autore  discorre  brevemente  àAìa.  miniatura  presso  gli  antichi  ;  — 
ricorda  come  le  lettere  e  quest'arte  trovassero  ospitalità  all'ombra  dei 
chiostri;  come  fosse  in  onore  l'arte  del  calligrafo  in  un'epoca  in  cui  la 
stampa  non  era  stata  ancora  inventata;  —  come  venisse  il  desiderio 
di  adornare  alcune  pagine  del  libro  ascetico  con  lettere  a  colori  e  su 
fondo  d'oro. 

Il  Pautassi  rileva  il  valore  artistico,  archeologico  e  storico  della 
(pergamena. 

Bisogna  riconoscere  che  sovente  i  miniatori  ecclissarono  i  dipintori 
più  insigni,  furono  i  primi  ad  introdurre  nei  fondi  i  piccoli  paesaggi, 
dettero  prova  d'un  potente  e  fecondo  ingegno  decorativo. 

Le  miniature  ci  pongono  sotto  gli  occhi  i  costumi  civili,  religiosi, 
militari  del  loro  tempo,  l'effigie  dei  personaggi  più  celebri,  i  riti  reli- 
giosi, le  armi,  i  mòbili  ed  ogni  sorta  di  monumenti,  che  talvolta  sa- 
ranno stati  inventati,  il  più  spesso  copiati  dal  vero.  Da  ciò  l'autore 
trae  ragione  ad  affermare,  e  crediamo  con  ragione,  che  la  storia  della 
nostra  pittura,  per  esser  'completa,  dovrebbe  incominciare  dalla  disa- 
mina delle  pergamene  miniate,  come  anche  le  pinacoteche  bene  ordinate 
dovrebbero  esporre  le  più  pregevoli  opere  di  minio,  specialmente  quelle 
eseguite  dai  precursori  di  Giotto. 

L'autore  rende  conto  di  molti  codici  miniati  esistenti  nelle  biblio- 
teche di  Napoli,  di  Montecassino,  di.  Roma,  di  Firenze,  di  Perugia,  di 
Siena,  di  Milano,  di  Verona,  di  Venezia  e  specialmente  di  Torino,  e 
dà  in  brevissimi  tratti  i  cenni  biografici  dei  più  noti  e  celebri  miniatori 
del  medio-evo  e  del  rinascimento. 

In  breve,  le  90  pagine  di  testo  si  leggono  con  piacere  e  utilità  come 
con  piacere  e  utilità  si  scorrono  le  venti  tavole  contenenti  disegni 
inediti  di  lettere  e  fregi,  tolti  dai  codici  miniati  esistenti  nella  biblioteca 
nazionale  di  Torino,  patria  dell'autore. 

Guida  pei  monumenti  di  Monreale  per  S.  Giaconia,  —  Palermo,  Tipo- 
grafia del  Giornale  di  Sicilia,  1883. 

Il  signor  Salvatore  Giaconia  è  ispattore  per  la  conservazione  dei 
famoso  monumentò  benedettino,  una  delle  glorie  dell'arte  normanna  in 
:  Sicilia. 

Gli  studiosi  e  i  dotti   conoscono  la  splendida  illustrazione    di  quel 


BOLLETTINO   BffiLIOGRAFICO.  399 

tempio,  compilata  dal  benemerito  abate  Gravina  ',  quindi  il  libriccino 
del  signor  Giaconia  non  è  per  essi. 

Ma  come  rilevasi  dal  titolo,  egli  ebbe  in  animo  per  comodo  dei  vi- 
sitatori del  monumento,  restringere  in  pochissime  pagine  un  sunto  sto  - 
rico  ed  una  descrizione  della  chiesa,  della  sagrestia,  della  badia  e  chio- 
stro innalzati  da  Guglielmo  li  figlio  di  Guglielmo  il  Malo,  secondo  una 
tradizione  che  merita  essere  ricordata. 

Un  giorno  Guglielmo  II,  stanco  dalla  caccia,  si  addormentò  in  pros- 
simità del  castello  di  Monreale  e  in  sogno  gli  apparve  la  Vergine  che 
indicogli  un  tesoro  nascosto.  Guglielmo  destatosi,  trovò  in  realtà  il  te- 
soro e  poiché  era  uomo  pio  e  credente,  volle  con  esso  edificare  il  tempio, 
mitigando  così  in  parte  la  maledizione  degli  oppressi  che  gravavano  la 
memoria  del  defunto  genitore. 

I  monumenti  di  Monreale  sono  famosi  per  le  decorazioni  di  marmi 
intagliati  e  di  musaici  e  le  loro  porte  sono  dovute  a  Barisano  da  Trani 
e  a  Bonanno  di  Pisa,  famosissimi  fusori  in  bronzo  del  XII  secolo. 

La  breve  guida  del  signor  Giaconia  si  chiude  con  una  conclusione 
che  merita  esser  segnalata  agli  egregi  uomini,  i  quali  presiedono  alla 
conservazione  dei  monumenti  in  Italia.  Sembra  all'autore  che  la  spesa 
di  L.  22,000  annue  stanziate  nel  bilancio  per  la  conservazione  del  duomo 
di  Monreale  non  sieno  sufficienti  ad  impedirne  i  continui  guasti,  i  quali 
potrebbero  oggi  esser  facilmente  riparati,  ma  col  tempo  diverrebbero 
irreparabili. 

Noi  non  possiamo  entrare  in  questa  controversia,  ma  per  amor  del- 
l'arte vi  richiamiamo  l'attenzione  di  coloro  cui  la  legge  impone  l'ob- 
bligo di  mantenere  intatto  il  patrimonio  artistico  della  Nazione. 


STATISTICA. 

AniiAU  di  ■tAtistioa  [DirwioM  ftMrmle  della  lUtistiea),  serie  Sa,  voi.  4. 
Saggio  di  bibliografia  itatiattca  italittaa.  —  Roma,  Begia  tipografia 
D.  Ripamoati,  1883. 

Non  ostante  la  difBoolU  dell'impresa  il  eomm.  Bodio,  Direttore  ge- 
nerale della  statistica,  è  riuscito  a  mettere  insieme  un  elenco  copioso 
e  metodico  dei  lavori  statistici  pubblicati  in  Italia.  A  questa  ricca  bi- 

I  n  émtmo  di  Monreale  illustrato  e  riprodotto  in  tavole  cromO'litogra* 
ielM  da  D.  DeMaaioe*BtsKotTTo  Gsatiiia  abate  Csssinsss.  —  Palenso  sta- 
blHmento  tlpografieo  di  F.  Lao  1669. 


400  BOLLETTINO    RIBLIOGRAFK^O. 

blìografia  l'illustpe  autore  ha  premesso  alcone  pagine  di  introduzione, 
nelle  quali  prefinisce  i  criteri  direttivi  che  debbono  esser  segniti  per  la 
compilazione  di  un  catalogo  bibliografico  di  statistica.  La  difficoltà  prima 
sorge  dalla  stessa  varietà  delle  definizioni  che  si  danno  di  questa  scienza. 
L'autore  delinea  perciò  i  limiti  della  statistica,  distinguendo  con  ammi- 
revole nitidezza  la  scienza  del  metodo.  Rilevato  come  in  Italia  prevalga 
un  concetto  della  statistica  più  ampio,  e  più  pratico,  forse,  che  in  altri 
paesi,  l'Autore  avverte  come  pel  saggio  bibliografico  la  parola  statistica 
sia  stata  accettata  nel  suo  significato  più  ampio  e  coi  criteri  più  ecclet- 
tici,  a  fine  di  apprestare  le  indicazioni  più  copiose  e  servire  agli  stu- 
diosi sotto  molteplici  punti  di  vista.  C3on  tutto  ciò  il  comm.  Bodio  non 
presume  di  aver  messo  assieme  un  elenco  bibliografico  compiuto  e  inap- 
puntabile, ma  offre  al  pubblico  questo  saggio,  proponendosi,  so  V  aiuto 
degli  studiosi  non  gli  venga  meno,  di  arricchirlo  successivamente  e  di 
tenerlo  a  giorno  con  frequenti  supplementi.  Cosi  mentre  l'elenco  biblio- 
grafico offre  una  guida  preziosa  dei  lavori  di  statistica  dovuti  ad  autori 
italiani,  l'introduzione  del  comm.  Bodio,  in  cui  alla  profondità  della  dottrina 
si  accompagna  la  più  geniale  semplicità  della  forma,  aggiunge  un  nuovo 
e  brillante  capitolo  alla  letteratura  di  questa  scienza  nel  nostro  paese. 

Die  Moralstatistik    in  ihrer   Bedeutung  fur    eine  Sooialethik  von 

AtExANDBK   von  Oettingen  ;   Dritte   voUstèlndig   uragearbeitet  Auflage, 
mit  tabellari schem  Anhaug.  Erlangen.  Verlag  von  Andreas  Dechert.  1882 

L'illustre  autore  ha  ragione  di  dire  che  una  nuova  edizione  di  un 
lavoro  statistico,  se  voglia  rispondere  ai  bisogni  del  tempo  in  cui  è 
data  al  pubblico,  presenta  una  speciale  difficoltà.  Il  materiale  cresce, 
muta,  sovente,  forma  e  significato  a  distanza  di  pochi  anni.  Bisogna 
tener  conto  delle  più  recenti  osservazioni  e  per  ciò  non  basta  sempre 
aggiungere  alle  notizie  vecchie  qualche  altra  notizia  di  data  più  recente. 
E  questa  difficoltà  diventa  anche  più  grave  laddove  si  voglia  studiare, 
in  certe  manifestazioni  della  vita  esteriore,  l'organismo  morule  della 
società.  Di  quanti  elementi  non  conviene  tener  conto,  quanta  cautela 
non  convien  porre  nelle  induzioni  ;  quanta  conoscenza  non  conviene  avere 
del  cuore  umano  ;  quanto  amore  di  verità  non  deve  animare  lo  scienziato 
che  attende  a  questo  genere  di  ricerche,  in  cui  tanto  facilmente  agiscono 
passioni  o  tendenze  personali  !  Ciò  che  l'Oettingen  modestamente  chiama 
una  nuova'edizione  del  lavoro,  che  lo  ha  reso  celebre  fra  i  cultori  degli 
studi  statistici  e  morali,  rappresenta  per  notevole  parte  1'  applicazione 
tiel  suo  metodo  di  indagine  a  fatti  nuovi  ;  offre  riscontri  ora  appena  resi 


.i 


BOLLETTINO   BIBLI0GR-\F1C0.  401 

possibili,  per  effetto  dell'immenso  svolgimento  ch'ebbero  negli  ultimi  anni 
le  ricerche  statistiche  ;  porta  nuovi  contributi  di  esperienza  alla  solu- 
zione di  problemi  filosofici  e  sociali.  In  sostanza,  sotto  certi  rispetti,  forse 
all'opposto  di  quanto  si  costuma,  questo  libro  dell'Oettingen  è  un'opera 
nuova  sotto  sembiante  antico. 

Il  libro  è  assai  voluminoso.  Conta  832  pagine  in  8"  di  testo  e 
152  pagine  di  tabelle  e  d'indici.  Il  testo  si  divide  principalmente  in 
tre  parti,  oltre  l'introduzione.  La  prima  parte  riguarda  la  generazioìie 
considerata  come  fenomeno  delt  organhìno  sociale,  la  seconda  e  la 
terza  riguardano,  l'una  le  manifestazioni  della  vita,  l'altra  il  fenomeno 
della  morte  nell'organismo  medesimo.  Il  pensiero  temperante  dell'autore, 
associa  maestrevolmente  nelle  ricerche  il  metodo  induttivo  a  quello  de- 
duttivo; lo  studio  è  severo,  le  conchiusioni  sono  pratiche  e  persuasive. 
Nò  la  teoria  di  un  capriccioso  atomismo,  né  quella  di  un  determinismo 
ferreo,  che  sopprima  ogni  arbitrio  ed  ogni  responsabilitA  dei  singoli, 
no  dall'autore  osclusivamente  abbracciate.  Dimostra  l'esistenza  di  leggi 
sociali,  che  agiscono  sull'individuo  e  neli'istesso  tempo  si  estrinsecano 
per  effetto  di  libere  determinazioni  individuali.  Le  forme  mistiche  di 
cui  talvolta  l'autore  veste  i  suoi  concetti  non  tolgono  nemmeno  alla 
parte  più  specialmente  filosofica  del  lavoro  V  impronta  di  ano  stadio 
rigorosamente  scientifico. 

Dalle  statistiche  dell'emigraBione  —  Giotaxni    Hobubtklm  —  Hoidn, 
Forzani  e  C,  tipografi  del  Senato  188;3. 

L'autore  studia  quali  rapporti  intercedano  fra  l'emigrazione  '•  il  mo- 
▼imento  socialista  de*  nostri  giorni  e  non  tempre  trova  i  due  fenomeni 
così  strettamente  collegati  come  alcuni  vorrebbero.  Dimostra  come  il 
problema  dell'emigrazione  vada  però  studiato,  specie  in  Italia,  sotto  il 
riguardo  delle  condizioni  in  cui  versano  le  plebi  agrarie.  Fa  quindi  la 
storia  delle  statistiche  italiane  dell'emigrazione,  compiacendoai  dei  ri- 
sultati che  se  ne  otteBoero  non  ostante  le  grandi  difficoltà  che  presen- 
tano simili  indagini.  Valendosi  dei  dati  delle  statistiche  ufficiali  de- 
termina quale  influensa  risenta  l'aumento  della  nostra  popolazione 
dal  fatto  dell'emigrazione  e  studia  il  carattere  di  questa,  i  motivi  che 
prcvn'  ' '--  ^^nte  concorrono  a  determinarla.  Trutta  quindi  in  partico- 
lare .raziona  temporanea  delineandone  il  carattere  eoouoroico 
e  morale.  Accenna  alle  diverse  oondizioni  in  cui  si  trova  1'  emigrantu 
italiano  nei  vari  paesi  a  cui  si  dirìge,  trattenendoci  più  siieoialiuento 
a  parlare  dell'emigrazione  per  rAm<»r<'-t   r<M<-"""'pN  misuro  legislativo 

VoL    XL..  StrU  li  -  L'i  LuffUo  iMS.  V> 


402  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO. 

temperate  e  medie  a  favore  degli  emigranti,  in  cui  questi  trovino  tu- 
tela, senza  lesione  delle  loro  libertà. 

È  un  libro  che  senza  istituire  un'analisi  minuta  dell'emigrazione  ita- 
liana, ne  dipinge  con  una  certa  vigorìa  di  stile  i  tratti  principali.  È  una 
guida  fatta  con  buon  garbo  dei  temi  da  studiare,  e  delle  fonti  principali 
a  cui  ricorrere  per  approfondire  la  conoscenza  di  si  complesso  problema. 


NOTIZIE 


Il  raloroso  capitano  Bove  è  partito  da  Genova  per  Buenos  Ajrw,  donde 
salperà  con  nave  e  sotto  bandiera  Argentina  per  un  nuovo  viaggio  alla 
Terra  del  Fuoco,  onde  studiare  le  difficoltà  della  navigazione  in  quei  mari. 
Il  Capitano  Bove  si  propone  per  il  1885  una  spediiione  italiana  ai  ghiacci 
polari  su  di  una  nave  costrutta  appositamente  e  che  si  chiamerà  l'iliitor- 
lieo.  A  Milano  ed  in  altre  citt\  si  sono  gii  costituiti  comitati  per  raccogliere 
fondi,  e  si  spera  nel  concorso  di  tutti  gli  itAliani. 

—  David  Levi  ha  pubblicato  presso  l'editore  Brigola  di  Milano  un  vo- 
lume sopra  La  Mente  di  Michelangelo.  Esso  i  diviso  in  sei  parti:  La  cap- 
pella Sistina:  L'uomo,  il  figlio  e  il  cittadino:  Vittoria  Colonna:  L'Artista: 
Ìjc  sue  opere:  II  pensatore  e  l'eresiarca  dell'arte. 

—  É  stata  nominata  una  Commissione  mista,  compoota  di  delegati  dei 
varii  ministeri  e  dell'Accademia  dei  Lincei  per  l'csplorasione  talaasografloa 
del  Me<Iiterraneo,  in  base  alle  proposte  ed  agli  stndii  del  Cap.  Magnaghi. 
Essa  si  compone  del  Cap.  Magnaghi,  del  Cap.  Serra,  del  Comm.  Baecarini, 
del  Prof.  Targioni-Toxsetti,  del  Prof.  Giglioli  quali  delegati  dei  Ministeri, 
nonché  dei  Prof  Coesa,  Trinehe8e,'Taramelli,  Pisat!  e  del  Col.  Ferrerò,  quali 
membri  designati  dall'Accademia  dei  Lincei.  I^  campagna  idrografica  sarà 
fatta  in  agosto  dal  Cap.  Magnaghi  col  Waikk^ton, 

—  A  Napoli  ebbe  luogo  una  solenne  eomnemonulone  di  Romolo  Oesai. 
L'adunanza  voti'j  un  invito  al  &fìnistro  degli  esteri  di  adoperarsi  eolle  altre 
potenze  per  far  ceMar*  U  tratta  dei  Negri  nel  Hudan. 

—  La  Naova  BibUotaea  deirAgrìeoltora  ediU  dalla  ditta  Brigola  di  Mi- 
lano pubblica  una  Monografia  intitolata  II  Prato  di  Ottavio  Ottavi,  noto 
per  i  suoi  importanti  scritti  di  cose  agricole. 

—  Il  dott  Emesto  Bchiaparelli  ha  pubblicato  negli  Atti  dell'Aocademia 
dei  Lincei  una  memoria  sopra  le  emlgrasioni  degli  antichi  popoli  dell'Asia 
minore,  studiate  col  raasidio  dei  monumenti  egiziani.    Eaea  4   tratta   dalla 


404  NOTIZIE. 

sua  prolusione  al  cor.so  di  egittologia  presso  l'Istituto  di  studi  superiori  in 
Firenze. 

—  Il  premio  Riberi  di  L.  20000  fu  dall'Accademia  di  medicina  di  To- 
xùno  aggiudicato  al  dott.  Giulio  Bizzozero  professore  a  quella  Università. 
Il  t«ma  del  concorso  era  la  Fisiologia  del  Sangue, 

—  Sappiamo  che  la  Casa  Barbèra  pubblicherà  quanto  prima  in  due  vo- 
lumetti, edizione  Diamante,  le  Poesie  di  Ugo  Foscolo  (Poesie  liriche  e  sa- 
tiriche, Tragedie  e  Traduzioni)  rivedute  sulle  stampe  e  con  un  discorso  del 
prof.  Giovanni  Mestica. 


Geoi'ge  Picot  pubblica  presso  il  Calman  Levy  un  volume:  M.  Dafaure, 
ea  vie  et  sa  discours. 

—  A  quanto  si  dice  il  generale  Le  Fio  già  Ambasciatore  di  Francia  a 
Pietroburgo  preparerebbe  per  la  pubblicazione  le  sue  memorie  diplomatiche. 

—  James  Darmesteter  prepara  presso  la  libreria  Delagrave  un  volume 
di'Essais  de  lìttérature  anglaise. 

—  Gli  editori  Charavay  ci  presentano  due  volumi  sul  secolo  XVIII:  l'uno 
di  M.  Feuillet  de  Conches  sopra  Les  salons  de  conversation  au  XVIII siede: 
l'altro  di  Honoré  Bonhomme:  Grandes  dames  et  pécheresse  au  XVIII  siede.. 

—  Angustili  Filon  pubblica  presso  1'  Hachette  un'  Histoire  de  la  Lille- 
rature  Anglaise, 

—  Juliette  Lamber  (nota  sotto  il  nome  di  madame  Adam)  è  autrice  di 
un  nuovo  volume  Pdienne^  pubblicato  dall'OUendorf.  É  preceduto  da  una 
lettera  ad  Alessandro  Dumas. 

—  Nella  Bibliothèque  Universelle  del  luglio,  il  conte  Carlo  Alfieri  pubblica 
uno  studio  sullo  stato  politico  e  sociale  dell'Italia,  combattendo  il  radica- 
lismo. Seguendo  le  idee  del  Brioschi,  del  Desanctis  ed  il  recente  lavoro  del 
Turiello  dimostra  l'importanza  e  la  gravità  della  questione  sociale  in  Italia. 
Nello  stesso  fascicolo  il  Marc  Mounier  conclude  le  sue  piacevoli  note  di 
viaggio  pubblicate  sotto  il  titolo  Quinze  Jours  en  Italie, 


Oscar  Lenz  prepara  presso  il  Brochkaus  di  Lipsia  la  narrazione  dei 
viaggi  intrapresi  per  invito  della  Deutsche  Afrikanische  Gesellschaft.  Avranno 
per  titolo  Timbuìcta,  Reise  durch  Marokko,  die  Sahara  und  den  Sudan. 

—  Il  Dr.  A.  Reményi  ha  intrapresa  colla  collaborazione  di  Deak,  Jokai, 
Vambery,  ecc.,  un'opera  sopra  Das  moderne  Xlngarn. 

—  Schiller,  sein  Leben,  und  sein  Streben  è  il  titolo  di  un  interessante 
volume  sul  grande  poeta,  e  di  cui  è  autore  Adelbert   Kiihn  di  Weimar. 

—  I.  Pohle  ha  pubblicato  in  tedesco  una  biografia  di  Angelo  Secchi. 

—  Il  noto  Dr.  Moritz  Busch,  pubblicherà  quanto  prima  una  nuova  opera 
sul  principe  Bismarck  in  relazione  alla  politica  ed  ai  partiti  tedeschi.  Trat- 


NOTIZIE.  405 

t€rà  pure  della  vita  privata  del  Cancelliere.  Se  ne  prepara  eziandio  iin 'edi- 
zione inglese. 

—  Il  Drugulin  di  Lipsia  ha  stampato  un  fac- simile  della  lettera  di  Martin 
Lutero  «  An  die  Radherm  aller  stedte  Deutsches  Lands:  das  sie  Christlielie 
Schulen  Aufrìchten  und  Halten  soUen.  "Wittenberg  1524». 

—  Otto  Brahm  pubblica  presso  l'Auerbach  di  Berlino  uno  stadio  sul  poeta 
Gottfried  Keller, 

—  I.  Clarissa  è  autore,  presso  il  Bertelsmann  dì  Gutersloh,  di  una  uìo- 
nografia  su  Dante. 

—  L'Hellwald  ha  iniziata  presso  Schmidt  e  Gunther  di  Lipsia  una  de- 
scrizione illustrata:  Amerika  in  Wort  und  Bild. 

—  Presso  l'Hartleben  a  Vienna  è  uscita  la  seconda  edizione  del  lavoro 
del  Wehle:  DU  Zeitung. 

—  n  SchottISnder  di  Breslavia  pubblica  un  romanzo  di  Rudolf  Liuiliui, 
Der  Gast. 

■—  M.  B.  Lindaa  é  autore  di  una  monografìa  su  Lncas  Cranach,  r*niioo 
di  Lutero  :  fu  pnbUicata  da  Veit  e  C.  di  Lipaia. 


Lft  casa  T.  V.  Whitte  annunzia  i  seguenti  nnori  romansi:  A  fa$ktO' 
nahle  mariagf  di  Florence  Marryat:  On  fortmg  »oil  di'  M.  Montf^mery 
Campbell:  Poppy  di  mrs.  Beresford:  ecc. 

—  Presso  lo  stesso  editore,  mrs.  Houstoun,  autrice  del  Rfeommmied  (•* 
Mrrey  pubblica  A  tooman't  tnemories  of  World-Knoten  Men.  Vi  si  parla  di 
Wordsworth,  Croker,  Th.  Hook,  Guglielmo  IV  Ainswortb  ecc. 

—  Sampson  e  C.  ci  presentano  due  nuovi  volumi  di  viaggi:  ano  del 
Wilfred  Powell,  relativo  alia  nuova  Guinea  sotto  il  titolo  Wandering»  m  a 
rrild  country:  l'altro  «ul  Bengal  del  Florio  HatchisAon,  sotto  il  titolo  di  /V.t 
and  Ffncil  Sk^tdtet. 

—  Edward  A.  Prtemamn  pubblica  preeso  il  Macmillan  alcune  rìcerclie 
fltorìche  illostrsle  relative  ad  Engliak  Town»  9wi  Dùtriet». 

■  -  \J  Atnèemg  del  7  loda  aswil  gli  fHnidi  tm  Lhnlrf  del  prof.  Raffaello 
l'irnaciari. 

-•   Th''  eronointe  JitooliUion  nj  innta  v  ii  titoio  «ii  un    opera  che    A.   K. 

Connell  prepara  prewo  U  Kegaii.  Sarà  In  parte  una  risposta  al  lavoro  di  «ir 
trachey,  Fimtmee»  ami  PMio  Work»  of  India. 

—  L'ottima  serie  di  manuali  per  il  cittadino  inglese  conterrA  fra  breve 
due  nuovi  fasciooli,  ano  di  L  S.  Cotton  tvWIndia,  l'altro  di  K.  I.  Pajiic 
sotto  il  titolo  Coloni»»  and  Dependende». 

—  James  Stevenson  ha  pubblicato  an  piccolo  manuale  illustrato  dei  fiumi 
delI'AATrica  intitolato  Thr   H'atn"  Ilighvoay»  of  the  InUrior  of  Africa, 

—  Il  niackieood"»  mayatinr  del  loglio  contiene  on  articolo  sol  Rinaldo 
•li  Torquato  Tasso. 


406  NOTIZIE. 

—  Sono  molto  encomiati  i  saggi  critici  e  letterari  testé  pubblicati  dal 
P.  W.  Myers  presso  il  Macmillan. 

—  Mackenzie  Wallace  prepara  presso  il  Macmillan,  un  volume  intitolato 
Egypt  and  the  Egyptian  Queation. 

—  Gli  editori  Kegan  Paul  annunciano  un  nuovo  volume  di  Henry 
Maudsley:  Body  and  Will:  un  libro  sul  Giappone  di  Holtham,  ed  un  volume 
sul  paese  dei  Zulù  di  Bertram  Mitford. 

—  Presso  Alien  e  C.  è  uscita  una  biografia  di  Alessandro  II  e  di  cui  é 
autore  un  anonimo  e  diligente  studioso  delle  cose  di  Russia. 

—  L'Athaeneu.n  del  7  corr.  dedica  un  lungo  artjpolo  di  lode  al  Machia- 
velli del  prof.  Villari,  di  cui  fu  pubblicata  una  traduzione  in  inglese  dal- 
l'Americano Detmold. 


Mary  Morgaret  Heaton  autore  d'opere  relative  alla  Storia  dell'arte  mo- 
riva in  età  di  47  anni. 

—  Il  Barb  direttore  dell'Accademia  orientale  a  Vienna  moriva  nell'età 
di  47  anni. 

—  È  morto  a  Vienna  il  prof,  di  ai'chitettura  barone  Ferstel  costruttore 
del  Museo,  e  dell'Università. 

—  Monsignor  Mirabelli  chiaro  latinista,  professore  nella  R.  Università 
di  Napoli  cessava  di  vivere  il  2  luglio. 

—  Il  10  luglio  moriva  in  Firenze  il  professore  Filippo  Pacini  professore 
all'istituto  di  studi  superiori  (Sezione  di  medicina)  uomo  illustre  e  noto  per 
diverse  scoperte  in  particolare  per  quella  della  respirazione  artificiale. 


Prof.  Fr.  PROTONOTARI,  Direttore. 


Davh)  MABCuiONNif  Responsahile. 


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moderna.  —  Er.skink  May,  Storia  della  Democrazia  in  Eu- 
ropa,—  ToQUKVlLi.K.    La   Dcmtjcrazui   in   Americo, 


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TIPOGRAFIA   BODONIANA 

1883 


PARALLELI  LETTERARI 


PERCY  BYSSHE  SHELLEY  e  GIACOMO  LEOPARDL 


Molto  si  parlò  delle  cause  che  indussero  il  Leopardi  a  la- 
sciare le  vecchie  credenze  per  le  sconsolate  dottrine,  di  cui  sono 
informate  le  sue  prose  e  poesie.  La  filosofia  francese  dell'ultimo 
secolo,  le  malattie,  l'angustie  famigliari,  la  solitudine  di  Recanati 
e  l'amicizia  di  Pietro  Giordani  si  tenne  che  fossero  i  principali 
motivi  di  questa  trasformazione  del  suo  animo  e  del  suo  ingegno. 
Si  parlò  molto  anche  di  quella  scuola  poetica,  che  fece  suo 
tema  il  dolore,  il  dolore  mondiale,  Weltschmerz,  come  lo  chia- 
mano i  tedeschi  :  scuola,  in  cui  sono  illustri  i  nomi  di  Byron, 
Shelley,  Platon  ed  Heine  ;  ma  per  qual  via  questo  spirito  di 
disperata  tristezza  entrasse  nell'anima  ingenua  del  giovine  re- 
canatese, non  mi  sembra  abbastanza  chiarito.  In  una  dolio  molte 
prefazioni  alle  poesie  del  Leopardi  ti  dico  eh'  egli  si  aperse 
innanzi  una  vìa  dove  non  era  vestigio  prima  di  lui.  Ciò  non  ^ 
vero:  Byron  e  Shelley  lo  hanno  preceduto;  e  Byron  e  Shelley 
vivevano  in  Italia,  quando  l'ingegno  di  Leopardi  metteva  i 
primi  frutti.  M'  è  nato  quindi  il  sospetto  che  gli  scritti  di  questi 
due  Inglesi  siano  stati  conosciuti  da  lui;  o  almeno  cho  dai  col- 
loqnii  col  Giordani  e  con  altri  abbia  preso  ad  ammirare  e  per 
naturale  parentela  di  spirito  a  seguire  quella  loro  forma  di  poe- 
tare. Verrebbe  da  ciò  che  la  poesia  leopardiana  non  sia  cho  In 
continuazione  dei  canti  del  Conaro  e  della  Rivolta  ddl'hlnm,  ma 
con  forma  diversa,  dirò  anzi  originalissima,  secondo  la  smitarata 
potenza  dell'  ingegno  del  Leopardi  e  l' indolo  della  nostra  pocs'a. 
l'arlorò  dopo  dello  Shelley;  ora  dirò  ;ilenna  cosa  del  bo  jiorn< 
Tm.  XL,  Urta  II—  1  AgMt*  im. 


410  PARALLELI  LETTERARL 

del  Byron  in  Italia,  e  della  opinione  che  di  lui  avevano  il  Monti 
ed  il  Giordani,  de'  quali  il  Leopardi  giovinetto  venerava  i 
giudizii. 

Lord  Byron  giunse  a  Milano  circa  la  metà  di  ottobre  1816. 
Veniva  dalla  Svizzera,  ove  avea  passato  qualche  mese  collo 
Shelley  attraversando  que'  laghi,  salendo  quelle  montagne  e  vi- 
sitando i  luoghi  resi  famosi  dalla  dimora  di  Voltaire,  di  Gibbon  e 
della  Stael.  Frutto  di  questa  peregrinazione  furono  il  terzo  canto 
del  Giovane  Araldo  e  il  Prigioniero  di  Chillon.  Veniva  in  Italia 
preceduto  dalla  fama  grandissima,  che  in  tutta  Europa  gli 
aveano  acquistata  il  Giaurro,  la  Sposa  di  Ahido,  il  Corsaro, 
Lara  e  la  Parisina.  La  sua  gioventù,  la  bellezza,  la  forza  cor- 
porale di  cui  si  narravano  prove  meravigliose;  il  mistero  che  cir- 
condava le  cause  del  suo  divorzio  e  del  suo  esiglio  dall'Inghil- 
terra; e  la  splendida  vita,  che  le  sue  grandi  ricchezze  gli  per- 
mettevano di  condurre  con  fasto  di  servitori,  di  cavalli  e  di 
medico  proprio,  non  poteano  non  eccitare  la  meraviglia  de'  Mi- 
lanesi caduti,  dopo  i  gloriosi  tempi  del  regno  italico,  nel  sonno- 
lento torpore  della  dominazione  austriaca.  Da  Milano  scriveva 
a  Londra  al  suo  editore  Murray  sulla  bellezza  del  Duomo  e 
sui  tesori  che  si  conservano  nella  biblioteca  ambrosiana,  fra  i 
quali  nota  con  particolare  interesse  le  lettere  autografe  di  Pietro 
Bembo  e  di  Lucrezia  Borgia,  di  cui  sperava  trar  copia.  Termina 
la  lettera  con  dire,  che  fra  pochi  giorni  si  sarebbe  trovato  col 
Monti. 

Enrico  Beyle,  più  conosciuto  sotto  il  nome  di  Stendhal,  nella 
sua  Storia  della  pittura  in  Italia  narra  come  nell'  autunno  del 
1816  conoscesse  in  Milano  il  Byron  ed  il  Monti.  Traduco  il 
passo  :  «  ho  veduto  Byron  al  teatro  della  Scala  nel  palco  di 
Lodovico  di  Breme.  Fui  colpito  dallo  splendore  de'  suoi  occhi, 
mentre  ascoltava  un  sestetto  nella  Elena  di  Mayer.  Non  ho 
veduto  in  vita  mia  niente  di  più  vivo  e  parlante.  Anche  oggi 
se  penso  quale  espressione  un  pittore  dovrebbe  dare  al  genio, 
quella  testa  sublime  mi  viene  innanzi  al  pensiero.  Preso  d'en- 
tusiasmo e  dimenticando  quella  giusta  ritrosia,  che  deve  avere 
ogni  uomo  di  farsi  presentare  a  un  lord  inglese,  pregai  il  di 
Breme  che  m' introducesse  da  lord  Byron.  Mi  trovai  il  giorno 
dopo  a  pranzo  in  casa  di  Breme  con  lui  e  col  Monti,  l'immor- 
tale autore  della  Bassvilliana.  Si  parlò  di  poesia,  e  si  venne  a 
chiedere  quali  fossero  i  più  bei  dodici  versi  che  in  questo  ul- 
timo secolo  fossero  scritti  in  francese,    italiano  ed  inglese.  Gli 


i 


i 


PARALLELI  LETTERARI.  411 

italiani  si  accordarono  in  dire  che  i  dodici  primi  versi  della 
Mascheroniana  di  Monti  era  quanto  di  più  bello  si  fosse  scritto 
nella  loro  lingua  da  un  secolo  in  qua.  Il  Monti  consenti  di 
recitarli:  io  guardai  lord  Byron,  che  ne  fu  rapito.  Ogni  tratto 
di  alterigia,  o  piuttosto  quell'  aria  di  uomo  che  si  dispone  a 
respingere  un  importuno,  la  quale  deformava  alquanto  la  sua 
bella  presenza,  sparve  suU'  istante  per  dar  luogo  aHespressìonc 
della  gioia.  Il  primo  canto  della  Mascheroniana,  che  Monti  re- 
citò quasi  tutto,  fra  le  acclamazioni  degli  uditori,  cagionò  vi- 
vissima sensazione  all'autore  àeW Araldo.  Io  non  dimenticherò 
mai  la  divina  espressione  de'  suoi  lineamenti:  era  l'aria  serena 
della  potenza  e  del  genio;  io  credo  che  in  quel  momonto  lord 
Byron,  non  aveva  affettazione  alcuna  da  rimproyerarsi.  n 

Ugo  Foscolo  era  esule  in  Londra;  nò  certo  poteva  lodarsi 
ne  del  di  Breme  ne  del  Monti,  come  apparo  dalla  lunga  e 
bellissima  lettera  a  Silvio  Pellico  30  settembre  1818.  11  Byron 
ed  il  Monti  si  trovarono  spesso  insieme,  e  so  stiamo  alle  pa- 
role dell'ultimo,  pare  che  convenissero  nelle  loro  dottrine  poe- 
tiche. Il  Monti  in  una  lettera  a  Tebaldi  Forea  del  30  norembre 
1825,  nella  quale  difende  il  suo  famoso  Sermone  aulla  MitolotjiOy 
dice:  u  Ho  trattato  amichevolmente  lord  Byron  nel  suo  sog- 
giorno di  quindici  giorni  a  Milano.  Sapete  voi  eh'  egli  fremea 
di  sdegno  se  alcuno  per  avventura,  credendosi  di  onor-\rlo,  en- 
trava nelle  lodi  della  scuola  romantica?  E  nel  senso  che  oggi 
a*  intende,  nessuno  fu  romantico  più  di  lui.  Ma  egli  sdegnava 
un  tal  nome  per  non  trovarsi  compagno  all'  infinita  turba  dogli 
sciocchi  che  disonorano  questa  nobile  scuola,  n  Lo  stesse  coso 
avea  detto  all'annunzio  della  morto  di  Byron  In  una  lettera  a 
T.i-liabò  del  24  maggio  1824.  u  La  morte  di  lord  Byron  è  una 
'^v.iì\  perdita  por  lo  Muse.  I  romantici  il  voglion  tutto  loro.  Ma 
^■^\\  nutrito  ne'  gravi  studii  dtri  classici  greci  o  latini  dotestaTa 
la  setta  romantica,  come  la  più  frivola  o  pas»i  di  quante  mai 
7  ro  in  Elicona;  o  il  suo  ronnaDticismo  è  d'un  genore  cosi 

.  che  Omero  medesimo  perdonerebbe,  n 
E  nota  r  intima  amicizia  del  Monti  e  del  Giordani  cho  in 
quell'anno  IHlfJ  con  Broyslnk  od  Acerbi  attendevano  in  Milano 
mlhv  compilazione  della  liiblioteca  italiana.  Duo  unni  dopo  il 
Giordani  si  trovava  col  Byron  in  Venezia,  corno  appare  da 
uesto  brano  di  una  sua  lettera  a  Gaetano  Dodici,  3  luglio 
818:  u  un'altra  mia  conoscenza  farà  molta  invidia.  La  danni 
che  tiene  la  più  numerosa  conversazione  di  Venezia,  ti  miao  in 


il 2  PARALLELI    LETTERARI. 

testa  che  dovessi  parlare  con  lord  Byron,  che  la  frequenta,  e 
non  vuol  parlare  con  nessuno,  fuorché  con  qualche  inglese.  Egli 
dapprima  ricusò  come  suole:  poi  condiscese,  a  patto  che  non 
gli  parlassi  delle  sue  opere,  non  di  poesia,  peggio  poi  di  ro- 
mantici, ch'egli  abbomina  !  (e  sai  che  essi  l' hanno  costituito  lor 
patriarca,  anzi  idolo).  Io  osservai  i  patti;  e  i  nostri  parlari  fu- 
rono poi  sempre  sì  lunghi  e  intimi,  che  la  conversazione  nu- 
merosa ne  meravigliava  e  ne  rideva.  I  nostri  discorsi  erano  di 
filosofia  politica:  odia  con  disprezzo  i  francesi  che  in  25  anni 
han  mutato  19  volte  governo  e  opinioni  :  detesta  il  governo  in- 
glese, tiranno  della  sua  nazione  e  del  mondo;  ne  dispera  affatto 
del  genere  umano.  Parlavamo  dell'  Italia  :  parlavamo  de'  suoi 
viaggi.  Fu  due  anni  in  Grecia,  dove  imparò  l'italiano  che  parla 
assai  bene.  Ha  faccia  rotonda  e  bella:  dicono  però  che  ora 
sembra  un  altro  ;  e  che  la  sua  bellezza  fu  eccellentissima  e 
mutata  da  poco  in  qua.  Nulla  afi'atto  trovai  in  lui  dell'arroganza 
d'un  uomo  in  tale  gioventù  tanto  famoso  :  nulla  della  superbia 
inglese  :  nulla  del  disprezzo  che  ad  alcuni  pare  che  dimostri 
universalmente.  Più  volte  mi  lasciò  vedere  il  ritratto  della  Se- 
gatti,  veneziana  già  da  lui  amata  (e  cominciò  dal  soccorrerla 
liberalmente  assai  nelle  sue  strettezze),  donna  semplice,  e  che 
egli  ha  lasciata.  Di  sua  moglie  non  gli  avrei  parlato  ;  e  già 
sapevo  ch'è  stranamente  dotta,  espertissima  del  greco  e  sempre 
innamorata  di  lui:  non  so  con  quale  occasione  egli  mi  dicesse 
una  volta  che  non  aveva  potuto  sopportare  la  sua  troppa  di- 
vozione. 

Più  volte  Dii  esortò  a  stabilirmi  in  Venezia,  acciocché  po- 
tessimo vederci  spesso  ;  avendovi  egli  fermato  l'appartamento 
per  tre  anni.  Grii  parlai  dell'  Ellesponto  passato  a  nuoto  :  mi 
confermò  con  molta  semplicità  il  fatto  ;  dicendomi  che  fu  per 
una  scommessa;  ma  che  era  ben  altra  cosa  avere  passata  la 
foce  del  Tago,  tanto  più  larga  e  pericolosa;  ma  non  se  ne  fa 
romore,  perchè  non  ha  fama  dai  poeti,  n 

E  lord  Byron,  come  si  legge  nelle  sue  Lettere  e  Giornali 
raccolti  da  Tommaso  Moore,  diceva  di  Giordani  :  u  Con  letterati, 
in  genere,  non  vo  d'accordo:  non  ch'io  li  disami;  ma  lodata 
ch'io  abbia  a  ciascuno  di  essi  l'ultima  sua  opera,  non  mi  so  più 
che  dirgli.  Eccettuo,  per  verità,  parecchi;  ma  questi,  o  uomini 
di  società,  quali  lo  Scott  e  il  Moore  ecc.;  o  visionari,  fuori  di 
essa,  come  lo  Shelley,  ecc.  L'  ordinario  letterato  non  fu  mai 
verso  che  ci  accoppiassimo  :  massime  se  forastiero,  che  non  ho 


PARALLELI   LETTERARI.  41 


o 


mai  potuto  soflfrlre;  salvo  il  Giordani  e...  e...   e...   (in  fede  mia 
non  80  nominare  un  altro),  n 

Due  mesi  dopo  questi  colloqui  del  Giordani  col  Byron  nello 
stesso  anno    1818  il  Giordani    era  a  Recanati,    ove    rimase  un 
paio  di  settimane.  Sino    dall'  anno    innanzi  il  Leopardi  era  en- 
trato in  commercio  di  lettere  coli'  illustre   Piacentino,  al  quale 
sin  dapprincipio  non  aveva  nascoso    l' infelice  tenore  della  sua 
vita.  Nella  lunga  lettera  del  30  aprile  1817  parlando  di  Reca- 
nati gli  dice:   u  ed  io  di  diciotto  anni  potrò  dire:  in  questa  ca- 
verna vivrò,  e  morrò  dove  son  nato?  le  pare  che   questi  desi- 
deri si  possano  frenare?  che  siano  ingiusti,  soverchi,  sterminati? 
che  sia  pazzia  il  non  contentarsi  di  Recanati?  L'aria  di  questa 
città  r  è  stato   mal    detto    che    sia    salubre.    E    mutabilissima, 
umida,    salmastra,    crudele  ai  nenù  e   per    la    sua    sottigliezza 
niente    buona  a  certe    complessioni.  A  tutto    questo    aggiunga 
l'ostinata,  nera,  orrenda,  barbara  malinconia  che  mi  lima  e  mi 
divora,  e  collo  studio  si  alimenta  e  senza  studio  si  accresce.  So 
ben  io  qual'  è,  e  l' ho  provata,  ma  ora  non  la  provo  più,  quella 
dolce  malinconia    che    produce  le  belle  cose,  più  dolce  dell'al- 
legria, la  quale,  se  m'è  permesso  di   dire  così,  è  come  il  cre- 
puscolo,   dove    questa  è  notte    fittissima    e    orribile;  è  veleno, 
com'ella  dice,  che  distrugge  le  forze  del  corpo  e  dello  spirito. 
Ora  come  andarne  libero  non  facendo  altro  che  pensare,  e  vi- 
vendo di  pensieri    senza   una    distrazione  al  mondo  ?  n  Ed  un 
altra  lettera  dell'  8  agosto  allo  stesso  Giordani  :  u  Mi  fa  infelice 
primieramente    l'assenza  della    salute,    perchè    oltreché  io  non 
sono  quel  filosofo  che  non  mi  curi  della  vita,  mi  vedo  forzato 
a  star  lontano  dall'amor  mio,  eh'  è  lo  studio.  L'altra  cosa  che 
mi  fa  infelice  è  il  pensiero.  Io  credo  che  voi  sappiate,  ma  spero 
che  non  abbiate    provato,  in  che  modo  il  pensiero   possa   cru- 
ciare e  martirizzare  una  persona,  che  pensi   alquanto    diversa- 
mente dagli  altri,  quando  V  ha  in  balia,  voglio  dire,  quando  la 
persona  non  ha  svagamento  e  distrasione,  o  solamente  lo  studio 
il  quale  perchè  fissa  la  mente  •  la  ritiene  immobile,  più  nuoce 
di  quello  che  giovi.  A  me  il  pensiero  ha  dato  por  lunghissimo 
tempo  e  dà  tali  martiri,  por  questo  solo  che  m'  ha  avuto  sempre 
e  mi  ha  interamente  in  balia  (o  vi  ripeto,  senza  alcun  desiderio) 
che  mi  ha  pregiudicato  evidentemente  e  mi  ucciderà,  se  prima 
io  non  muto  condiziono.  Abbiate  per  certissimo  che  io,  stando 
come  sto,  non  mi  posso  divertire  più  di  quello  cho  fo,  che  non 
mi  diverto  niente.  InBonima  la  solitudine  non  è  fatta  por  quelli 


414  PARALLELI  LETTERARL 

che  si  bruciano  e  si  consumano  da  loro  stessi,  n  E  nella  lettera 
2  marzo  1818:   u  io  mi  sono  rovinato  con  sette   anni  di  studio 
matto  e  disperatissimo  in  quel  tempo,    che    mi  si  andava    for- 
mando e  mi  si  doveva    assodare  la  complessione.    E    mi    sono 
rovinato  infelicemente  e  senza  rimedio  per  tutta  la  vita,  e  ren- 
dutomi  l'aspetto  miserabile  e  dispregcvolissima  tutta  quella  parie 
dell'uomo,  eh'  è  la  sola  a  cui  guardino  i  più,  e  coi  più  bisogna 
conversare  in  questo  mondo  ;  e  non   solamente  i  più,  ma  chic- 
chessia è  costretto  a  desiderare,    che    la    virtù    non    sia  senza 
qualche  ornamento  esteriore,  e  trovandonela  nuda  affatto,   s'at- 
trista e  per  forza,  di  natura  che    ninna    sapienza   può  vincere, 
quasi  non  ha  coraggio  di  amare  quel  virtuoso,  in  cui  niente  è 
bello  fuorché  l'anima.  Questa    ed    altre    misere    circostanze  ha 
posto  la  fortuna  intorno  alla  mia  vita,  dandomi  una  cotale  aper- 
tura d' intelletto,  perch'  io  le  vedessi    chiaramente  e  mi  accor- 
gessi di  quello  che  sono,  e  di  cuore    perchè    conoscesse  che  a 
lui  non  si  conviene  l'allegria  e,  quasi  vestendosi  a  lutto,  si  to- 
gliesse la  malinconia  per   compagna    eterna  e  inseparabile.    Io 
so  dunque  e  vedo  che  la  mia  vita  non  può  esser  altro  che  in- 
felice :  tuttavia  non  mi  spavento,  e  così  potess'ella  essere  utile 
a  qualche  cosa,  com'  io  procurerò  di  sostenerla    senza    viltà,  n 
Tal'  era  la  disposizione  di  spirito  nel    Leopardi  quando  nel 
settembre  del  1818  era  visitato  dal  Griordani.  Appare  dalle  let- 
tere che  ho  citate,  come  i  lumi  ed  i  conforti  della  fede  già  gli 
fossero  dileguati    dall'anima;  e  come  le  parole    dell'amico  non 
possano  avere    avuta    altra    efficacia  che  di  averlo  confermato 
nelle  prese  risoluzioni.  Io  non  dubito  che  nelle  lunghe  passeg- 
giate che  fecero  insieme  per    que'  colli  cantati  così  spesso  dal 
poeta,  il  Giordani  non  gli  parlasse  del  Byron,  di  cui  portava  la 
viva    memoria  di  poche    settimane    innanzi.    L'  esempio  di  un 
uomo  famoso,  che  sotto  lo  sfarzo  di  una  vita  quanto  romorosa 
altrettanto  dissipata,  non  era  meno    infelice  di   lui,  deve  avere 
avuto  grandissima  forza  sull'anima  del  giovane  recanatese.  La 
corporale  bruttezza,  di  cui  si  lagna  nella  lettera  che  ho  citato, 
era    potentissimo    sprone   per    aspirare    alla    gloria,  come  dice 
nell'Appressamento    della    morte:   «   Fama  quaggiù  sol  cerco  e 
fama  attendo.  r>  Anche    Byron    intende  di  se,  quando  dice  nel 
Deforme    trasformato',  u   la  bruttezza  è  piena  d'audacia:  è    dt 
sua  natura  sorprendere  l'umanità  col  cuore  e  coll'anima,  e  farsi 
eguale  anzi  superiore  al  resto  degli    uomini.  Ne'   suoi  passi  di 
zoppo  v'  ha  uno  sprone  a  divenire  ciò  che  non  possono  essere 


PARAXLELI  LETTERARI.  415 

gli  altri  per  compensare  V  avarìzia,  che  ebbe  dapprincipio  con 
lei  la  ma+rigna  natura,  n 

Il  Byron  zoppicava  leggermente.  Questo  difetto,  che  cercava 
con  ogni  studio  di  coprire,  lo  irritava  sino  da  fanciullo.  Narra 
il  Moore,  com'egli  si  sentisse  preso  di  sdegno  e  di  orrore  quando 
la  madre  in  un  accesso  di  stizza,  lo  chiamava  :  zoppo  babbuino  ; 
soggiunge  che  ciò  gli  fu  stimolo  a  cercare  distinzione  e  gloria 
nello  studio.  Lo  stesso  Bvron  in  una  lettera  a  Leigh  Hunt  di- 
chiara che  la  vocazione  poetica  è  spesso  un  effetto  d'una  indispo- 
sizione di  spirito  in  una  indisposizione  di  corpo,  e  soggiunge  che 
l'indisposizione  o  la  deformità  si  accompagnarono  spesso  col- 
r  ingegno  poetico  ;  porta  in  esempio  i  nomi  di  Collins,  Chat- 
terton,  Cowper  pazzi,  di  Pope  gobbo  e  di  Milton  cieco.  Il  Goethe 
ha  detto  che  il  genio  del  dolore  ha  dettato  la  poesia  del  Bjron; 
fu  un  iroso  dolore  che  lungi  d'abbattere  quell'anima  superba  e 
sdegnosa,  le  diede  armi  terribili  contro  la  società  del  suo  tempo, 
la  quale  non  paga  di  rinfacciargli  le  vere  sue  colpe,  lo  perse- 
guitava di  paese  in  paese  con  le  più  strane  e  nere  calunnie. 
La  vita  solitaria  del  Leopardi  lo  salvò  da  queste  collere  contro 
il  genere  umano:  lo  condusse  invece  a  lagnarsi  •  sdegnarsi 
della  natura  che  lo  avea  creato  al  dolore.  L' ira,  se  ben  si 
guarda,  fu  la  musa  dell'uno  e  dell'  altro  :  più  violenta  nell'  In- 
glese, più  contenuta  nell'  Italiano  pe'  maggiori  freni  dell'educa- 
zione e  dell'arte.  Che  i  poemi  del  Byron  siano  stati  letti  dal 
Leopardi  io  non  so  dubitarne.  La  lingua  inglese  si  studiava  e 
si  conosceva  in  quella  gentile  e  colta  famiglia.  Io  possiedo  l'au- 
tografo d'una  versione  dall'  inglese  di  Lady  Montagu  fatta  da 
Carlo  Leopardi,  il  prediletto  fratello,  giovanissimo.  Devo  il  dono 
prezioso  alla  cortesia  della  vedova  di  lui.  Ho  chiesto  al  conte 
Giacomo,  erede  delle  sostanze  e  della  gloria  della  famiglia,  se 
nella  biblioteca  domestica  esistesse  opera  alcuna  del  Byron,  che 
potesse  essere  stata  letta  in  suo  vivente  dal  zio.  Mi  rispose  ohe 
vi  si  trova  una  traduzione  del  Cor$aro  fatta  da  un  L.  C.  e 
stampata  in  Milano  nel  1820,  che  nella  copertina  porta  scritto  : 
Libro  di  Paolina,  per  cui  si  può  credere  che  sia  uno  di  quei 
molti  libri  che  il  poeta  veniva  mandando  alla  sorella  nella  sua 
aatenxa  dalla  (amiglia.  Soggiunge  che  lo  opere  del  poeta  inglese 
^  possono  essere  state  fatte  conoscere  dal  suo  cugino  mar- 
chese Giuseppe  Antìci,  uffiziale  di  Napoleone  I,  che  avea  veduto 
molte  parti  di  Europa  e  posto  grande  amore  allo  letterature 
straniere.  Del  rimanente  che  i  poemi    del    Pvr'^n  '«  nella    loro 


416  PARALLELI  LETTERARI. 

lingua  0  tradotti  nella  nostra  corressero  a  que'  giorni  in  Italia 
abbiamo  molte  testimonianze;  ne  parla  lo  stesso  Byron  nelle 
sue  lettere  all'editore  Murray  ;  e  Pellegrino  Rossi,  per  non  dir 
d'  altri,  prima  del  1819,  in  cui  esule  nella  Svizzera  cominciò 
la  sua  gloria  di  profondo  legista,  diede  tradotti  in  versi  la 
Parisina,  il  Corsaro  ed  il  Giaurro. 

Il  Byron  ed  il  Leopardi  espressero  nudamente  e  francamente 
i  loro  pensieri,  che  contrastavano  colle  opinioni  e  credenze  dei 
più;  li  espressero  collo  stesso  vigore,  ma  con  forma  diversa.  Il 
Leopardi  mette  innanzi  se  stesso  :  il  Byron  vive  e  si  agita  nei 
personaggi  de'  suoi  poemi;  il  Giaurro  appiedi  del  frate,  il  Cor- 
saro, che  si  stacca  da  Medora,  Alp  che  guarda  al  passaggio 
della  nuvola,  Manfredo  chinato  sul  precipizio,  Azzo,  che  giudica 
Ugo  e  Parisina,  Marin  Faliero,  Sardanapalo  e  Caino,  sono  sem- 
pre il  Byron  colle  sue  passioni  e  rimorsi.  L'Europa  lo  raffigurò 
dietro  il  velo  della  favola;  ne  si  tenne  dal  giudicarlo  secondo 
il  valore  morale  delle  sue  creazioni  poetiche  ;  il  che  non  accrebbe 
certamente  l'onore  del  suo  nome.  Anche  il  Leopardi  parlò  qual- 
che volta  per  bocca  altrui  :  Bruto,  Saffo  e  Consalvo  non  espres- 
sero che  i  suoi  dolori  e  la  sua  disperazione.  Trovo  nel  Consalvo 
leopardiano  un'  eco  del  Corsaro  del  Byron.  Consalvo  è  il  nome 
del  segretario  del  Corsaro  ;  e  ciò  che  questi  domanda  nel  canto 
terzo  a  Gulnara,  non  è  che  il  bacio  che  il  Consalvo  del  Leo- 
pardi domanda  ad  Elvira: 

Yet  even  Medora  might  forgive  the  kiss 

Thatask'd  from  so  fair  no  more  than  this, 

The  first,  the  last  that  frailty  stole  from  faith  — 

To  lips  were  love  had  lavish'd  ali  his  breath, 

To  lips  —  whose  broken  sights  such  fragrance  fling, 

Aa  he  had  fano'd  them  freshly  with  his  wing! 

Anche  i  versi  della  Parisina  dopo  il  bacio: 

And  what  unto  them  is  the  world  beside, 
With  ali  ita  change  of  time  and  tide? 

chiamano  alla  mente  que'  del  Leopardi  : 

Che  divenisti  allor?  quali  apparirò 
Vita,  morte,  sventura  agli  occhi  tuoi, 
Fuggitivo  Consalvo  ? 

Nel  poemetto  giovanile  di    Leopardi,  1'  Appressamento  della 
Morte  v'ha    l'episodio  di  Ugo  e  di    Parisina,  tolto    senza  fallo 


PARALLELI  LETTERARL  417 

dal  Bjron,  che  avea  pubblicato  il  suo  poemetto  un  anno  innanzi 
nel  1815.  La  poesia  di  Leopardi  si  accusa  di  poca  varietà,  anzi 
di  monotonia.  Io  dirò  che  il  Bjron  per  diverse  che  siano  le 
situazioni,  in  cui  colloca  i  suoi  personaggi,  cioè  se  stesso,  riesce 
più  uniforme  del  Leopardi  nell'effetto  sull'animo  de'  lettori.  Il 
Bjron,  nato  per  la  lirica  e  per  la  satira,  volle  essere  dramma- 
tico nel  senso  più  largo  della  parola;  ma  non  seppe  molto  va- 
riare né  la  tela,  né  il  colorito,  come  esige  la  drammatica.  Anche 
le  sue  donne,  Aidea,  Leila,  Zulica,  Medora  e  Gulnara  sono 
d'uno  stesso  tipo  ;  e  posta  l'una  nelle  condizioni  dell'altra  non 
avrebbe  operato  in  guisa  diversa:  né  v'ha  fra  loro  la  distanza 
che  separa  la  Silvia  e  la  Nerina  àd^W Aspasia  e  àsW Elvira  del 
Leopardi  ;  il  quale  attenendosi  alla  forma  lirica  mostrò  d'inten- 
dere la  natura  del  suo  ingegno  più  che  non  fece  il  poeta  bri- 
tanno. 

Più  giovane  di  quattro  anni  del  Byron  e  di  sette  più  vec- 
chio di  Leopardi,  Percy-Bisshe  Shelley  venne  in  Italia  nel  1816, 
ove  rinnovò  l'amicizia  col  cantore  del  Corsaro,  già  contratta 
due  anni  innanzi  sulle  montagne  e  sui  laghi  della  Svizzera.  A 
veder  quella  sua  faccia  infantile  che,  come  di  una  verginella, 
arrossiva  di  nulla:  que' grandi  occhi  limpidi  e  pensosi,  e  quel 
gracile  corpo  vestito  strettamente  di  nero,  non  si  avrebbe  pen- 
sato che  sotto  quelle  spoglie  albergasse  uno  spirito  in  aperta 
ribellione  con  tutte  le  leggi,  che  governano  l'umano  consorzio. 
Dirò  nondimeno,  che  Shelley  arditissimo  nelle  sue  filosofiche 
conclusioni,  rispettava  le  regole  del  viver  sociale  ;  e  che  dopo 
le  seconde  sue  nozz»i  (questo  odiatore  del  matrimonio  fu  marito 
due  volte),  la  sua  vita  fu  ben  lontana  dalle  tresche  a  cui  s'ab- 
bandonava il  Byron  in  Venezia  ed  altrove.  La  sua  giornata  era 
quella  d'un  eremita.  Si  levava  per  tempissimo,  passeggiava  e 
leggeva  alquanto  prima  dell'asciolvere  che  era  frugalissimo; 
studiava  e  scriveva  la  più  parte  della  mattina;  passeggiava  e 
leggeva  di  nuovo;  pranzava  di  soli  vegetabili,  non  avendo  mai 
gustato  né  carni  né  vino:  la  sera  leggeva  alU  moglie  sino  alle 
dieci  ore  ;  poi  andava  a  Ietto.  I  suoi  libri  prediletti  erano  Omero, 
Platone,  i  Tragici  greci  e  la  Bibbia;  era  specialmente  entusiasta 
del  Libro  di  Giobbe.  Nel  Nuovo  Uetamento  VEpitiola  di  San 
Oiacomo  ed  il  Sermone  detta  Montagna  Io  empievano  di  pro- 
fonda ammirazione. 

I^  poesia  dolio  Shelley,  come  quella  del  Leopardi,  deriva 
dalle  dottrino  degli    antichi  filosofi,  ringiovanite  da  Montaigne, 


418 


PARALLELI    LETTERARI. 


Bacone,  Locke  e  dai  moderni  sensisti.  Il  poeta  britanno,  come 
il  recanatese,  hanno  gettato  sulla  nudità  di  que'vecchi  sistemi 
la  splendida  veste  della  loro  immaginazione,  colla  differenza  che 
nel  primo  sovrabbonda  la  fantàsia,nel  secondo  il  ragionamento. 
Lo  Shelley  nella  introduzione  alla  Rivolta  dell'  Islam  dice  di 
sé:  «V'ha  Tina  educazione  poetica,  senza  la  quale  il  pensiero 
ed  il  sentimento  possono  difficilmente  manifestare  la  loro  po- 
tenza. Io  la  ebbi  questa  educazione;  i  casi  della  vita  me  l'hanno 
procurata.  Sino  dall'infanzia  io  vissi  nel  seno  delle  montagne, 
sovra  i  laghi,  in  faccia  al  mare,  nella  solitudine  delle  selve.  Il 
pericolo,  che  si  dondola  sull'orlo  degli  abissi,  fu  il  mio  compa- 
gno di  giuoco.  Ho  calcato  i  ghiacciai  delle  Alpi;  sono  vissuto 
sotto  lo  sguardo  del  Monte  Bianco.  Ho  percorsi,  errante  viag- 
giatore, paesi  lontani.  Discesi  le  correnti  dei  fiumi  :  dalla  barca, 
ove  ho  passati  i  giorni  e  le  notti,  ho  veduto  levarsi  e  coricarsi 
il  sole  e  riempiersi  il  cielo  di  stelle.  Nelle  città  popolose  ho 
seguito  i  moti  tumultuosi  della  folla  incostante.  Passai  sovra  le 
terre  che  la  tirannia  e  la  guerra  aveano  funestate;  passai  per 
villaggi  e  città  incendiate,  dove  la  miseria  affamata  giaceva 
ignuda  sulle  ruine  delle  annerite  muraglie;  conversai  cogli  in- 
gegni viventi.  La  poesia  greca,  la  romana  e  quella  del  mio 
paese  ebbero  per  me  le  -stesse  lusinghe  e  le  stesse  rivelazioni, 
ch'ebbe  per  me  la  natura.  Tali  sono  le  sorgenti,  a  cui  ho  ab- 
beverato il  mio  spirito,  n  E  chiaro  che  questa  vita  tanto  variata 
di  strane  avventure  dovea  imprimere  all'ingegno  dello  Shelley 
un  movimento  ben  diverso,  che  la  vita  ristretta,  uniforme,  noiosa 
di  Recanati  non  impresse  a  quello  del  Leopardi.  La  poesia 
dello  Shelley  si  avvolge  di  un  sottile  ed  abbagliante  splendore 
che  dapprincipio  offusca  la  mente  de'  lettori;  poi  sotto  quel  velo 
a  poco  a  poco  si  scoprono  i  suoi  filosofici  intendimenti  che 
sono  :  un'intima  corrispondenza  di  affetto  con  tutto  l'universo 
sia  della  materia,  sia  dello  spirito  :  un  ardente  desiderio  di  gio- 
vare al  genere  umano:  una  sdegnosa  impazienza  d'ogni  tirannia 
e  d'ogni  superstizione  ;  ed  un  segreto  dolore  che  le  forze  d'un 
nomo  non  siano  pari  al  desiderio;  ne  sia  pari  a  tanto  amore 
l'accoglienza  che  gli  vien  fatta  dagli  uomini.  Lo  Shelley  sde- 
gnato della  calcolatrice  freddezza  del  secolo  si  getta  nei  campi 
selvaggi  della  fantasia;  ma  nelle  sue  stesse  più  strane  visioni, 
come  la  Regina  Mah  e  la  Fata  dell'Atlante,  non  dimentica  mai 
l'umana  società,  di  cui  flagella  le  colpe  e  vorrebbe  sanare  le 
piaghe.  Era  un  visionario,  come  l'ha  detto  il  Byron  ;  un  visio- 


PARALTELI   LETTERARI. 


419 


nano  che  da  un  lato  toccava  la  sommità  del  genio,  dall'altro  la 
follia.  Questo  uomo,  che  non  tremava  innanzi  alle  più  spaven- 
tose convulsioni  della  natura;  che  sovra  un  piccol  legnetto,  che 
si  era  fatto  costruire  a  Genova,  affrontava  imperterrito  le  burra- 
sche del  Mediterraneo,  in  cui  finalmente  periva,  quest'uomo  tre- 
mava, impallidiva,  sveniva  a  un  racconto  fantastico  :  i  siti  paurosi, 
che  aveva  veduti  una  volta,  ricordava  con  visibil  raccapriccio  ; 
cadeva  a  terra  come  per  accesso  catalettico  e  la  sua  intelligenza 
si  sviava  per  campi  misteriosi  dietro  i  sogni  dell'  amore  e  la 
sete  dell'infinito. 

Prima  che  il  Leopardi  appiè  del  Vesuvio  scrivesse  la  sua 
Ginestra,  Shelley  nel  1818  avea  scritto  le  Stanze  in  tristezza 
jpreato  Napoli.  La  morte  avvenuta  in  que'luoghi  di  una  giovane 
inglese  che,  pellegrina  d'amore,  avea  seguito  il  poeta  in  tutti 
i  suoi  /iaggi  nel  continente,  gl'inspirò  que'bei  versi  ne'quali  al 
sorriso  di  quel  mare  e  di  quelle  nevose  montagne  imporporate 
dal  sole  del  mezzogiorno,  oppone  la  nera  melanconia  che  op- 
primeva il  suo  spirito.  Le  do  tradotte: 

£  calda  l'aria,  cristallino  il  cielo 
E  l'acque  del  Tirren  splendono  in  daaia: 
Veste  il  merìggio  di  purpureo  velo 
Aanure  itole  e  nevi  in  lontanansa, 
Lango  i  oespogli  ancor  senza  fragranaa 
Lieve  un'umida  brezza  agita  il  volo; 
£  qual  d'antiche  gioie  rìmembranza 
U  romor  cittadino  e  l'usignuolo 
L'ermo  confin  mi  fan  parer  pia  solo. 

Veggo  la  riva  inospitai  del  mare 
Di  Tcvdi  e  rubiconde  alghe  rìpieiia; 
E  veggo  il  flutto  che  sliiftvuige  e  pare 
Uaa  piogfia  di  staUe  in  MUl'areaa. 
Siedo  aolingo  :  la  eretoente  piena 
Dell'Oceano  intorno  mi  sfarilU; 
E  fuor  dell'onde,  che  toq^inge  e  fiena 
Alterno  moviaiento,  una  traaqnilla 
Mnaiea  «Meode  che  l'oblio  distilla. 

Ahiaél  Di  ipenie  e  di  saluto  un  raggio 
Io  pi&  non  ho  :  non  dentro  o  di  fuor  calma  : 
Non  ho  la  gioia,  che  derìva  al  saggio 
Dalle  sublimi  indagini  dell'alma, 
Onde  d'interna  ineormttibii  palma 
Va  coronato.  A  me  lieta  rentora 
Mai  non  arrìse:  ho  onore  inlenno  e 
Ride  agl'sltri  la  vita:  a  me  natura 
Qoesto  nappo  colmò  d'altra  miMira. 


420  PARALLELI  LETTERARI. 

Pur  oggi  é  dolce  lo  sconforto  istesso; 
Cosi  dolce  é  la  brezza  e  dolce  l'onda  ! 
Come  fanciullo  da  stanchezza  oppresso 
Singhiozzando  io  mi  getto  in  sulla  sponda, 
E  piango,  piango  l'aspra  ed  ingioconda 
Soma  che  porto  e  porterò,  se  l'ale 
Pria  non  apre  la  morte  e  non  circonda 
Sotto  questo  bel  sol  d'ombra  il  mio  frale, 
Né  mi  mormora  il  mar  l'ultimo  vale. 

Il  Leopardi  nel  Tramonto  della  Luna,  più  che  nella  Ginestra, 
ha  qualche  cosa  di  questa  accorata  malinconia  dello  Shelley. 
Anche  il   Tramonto  della  Luna  fu  scritto  appiè  del  Vesuvio. 

Che  gli  scritti  dello  Shelley  fossero  noti  al  Leopardi,  io  non 
posso  con  certezza  affermare,  ma  certi  tratti  e  certa  corrispon- 
denza d'immagini  per  poco  non  m'inducono  a  crederlo.  Lo  Shel- 
ley nell'ode  alla  Luna: 

Art  tha  pale  for  weariness 

Of  climbing  heaven,  and  gazingon  the  earth: 

il  Leopardi  nel  Canto  notturno  di  un  pastore  errante  dell'Asia: 

Ancor  non  sei  tu  paga 

Di  riandare  i  sempiterni  colli? 

Ancor  non  prendi  a  schivo,  ancor  sei  vaga 

Di  mirar  queste  valli? 

E  nel  secondo  de' Paralipomeni  : 

Ma  già  dietro  boschetti  e  coUicelli 
Antica  e  stanca  in  ciel  salìa  la  luna. 


Shelley  neìV JEpipsychidion. 

Seraph  of  Heaven  !  too  gentle  to  be  human, 
Verling  beneath  that  radiant  form  of  Woman 
AH  that  Ì3  insupportable  in  thee 
Of  ligth,  and  love  and  immortality! 
I  never  though  before  my  death  to  see 
Youth's  vision  thus  made  perfect .... 
There  was  a  Being  whom  mi  spirit  oft 
Met  on  its  visioned  wandering,  far  aloft .... 

Il  Leopardi  nel  Canto  alla  sua  donna: 

Cara  beltà,  che  amore 

Lungi  m'ispiri,  o  nascondendo  il  viso, 

Fuor  se  nel  sonno  il  core 

Ombra  diva  mi  scuoti.... 


PARALLELI  LETTERARI.  421 

—Viva  mirarti  ornai 
Nulla  speme  m'avanza, 
Se  allor  non  fosse,  allor  che  ignudo  e  solo 
Per  novo  calle  a  peregrina  stanza 

Verrà  lo  spirito  mio 

Se  dell'eterne  idee 
L'ana  sei  tu,  cui  di  sensibil  forma 
Sdegni  l'eterno  senno  esser  vestita, 
0  se  altra  terra  ne'superni  giri 
Fra  mondi  innumerevoli  t'accoglie.... 


Lo  Shelley  nell'Inno  alla  Bellezza  intellettuale  si  lagna,  che 
siasi  dileguato  dall'universo  quello  spirito  della  Bellezza,  che 
del  suo  divino  colore  tingeva  tutte  le  cose.  Eccone  la  mia  ver- 
sione : 


IkITO   alla    BsLLEZZÀ   urrBLLKTTVALE. 

Di  non  visto  poter  l'ombra  tremenda 
Flattua  fra  noi:  con  fuggitive  penne 
Qaesta  varia  del  mondo  immensa  scena 
Visita  e  passa,  come  soffio  estivo 
Che  va  di  fiore  in  fior:  come  di  lana 
Tremolo  rargio  dietro  gli  ardui  pini 
Della  montagna:  il  fug^tivo  sguardo 
Getta  ne'cuorì  e  nelle  menti  umane, 
Pari  a'colori  di  tranquilla  sera 
Ed  alle  nubi  di  stellata  notte; 
Pari  al  ricordo  di  cessati  suoni; 
Pari  a  quanto  é  quaggiù  di  più  giocondo, 
A  cui  grazia  e  valor  cresca  il  mistero. 

Spirito  di  Beltà,  che  col  tao  riso 
Ogni  pensiero  e  temi  ed  ogni  forma 
Sovra  cai  splendi,  ove  set  tu?  Le  penne 
Perché  volgesti  altrove  e  sconsolato 
Al  tedio,  al  pianto  abbandonasti  il  mondo? 
Io  chiedo  al  ciel,  perché  del  sole  il  raggio 
Perpetna  sona  d'iridi  non  tesse 
Sovra  le  spume  di  torrente  alpino: 
Per^é  mente  la  solla  e  non  matora 
Qael  dM  dell'uomo  vi  geU&  la  mano; 
Perehé  sogni  e  terror,  calle  e  sepolcri 
Di  tanto  buio  attristano  le  aurore 
Del  viver  nostro;  perché  l'uom  si  muta. 
Ama  ed  abborre,  s'abbandona  e  spera. 
Voee  discesa  da'supemi  cieli 
Al  poeta  non  die.  non  diede  al  soft) 
Cotal  responno.  Di  lor  vane  inchieste 
Moosmeato  quaggiù  vivono  i  nomi 


422 


PARALLELI    LETTERARI. 

Di  genio  e  spirto:  nebulosi  miti 

Che  col  linguaggio  lusinghier  non  sanno 

Scevrar  da  quanto  l'uomo  ode  e  contempla 

L'acerbo  dubbio  ed  il  mutabil  caso. 

Sol  la  tua  luce,  come  bianca  falda 

Di  neve  sovra  l'alpe;  o  come  suono 

Che  dalle  corde  d'invisibil  arpa 

Elice  il  vento  della  notte;  o  come 

Raggio  di  luna  in  solitario  fiume, 

Dona  grazia  e  splendore  all'inquieto 

Della  vita  mortai  perpetuo  sogno. 

Amor,  speranza  e  quel  del  proprio  merto 
Intimo  senso,  come  rotte  nubi 
Vengono  e  vanno  e  non  han  posa  un'ora. 
D'eternità,  d'onnipotenza  il  vanto 
Nostro  sarebbe,  se  tu,  dia  Bellezza, 
Sconosciuta  e  terribile  qual  sei, 
Col  tuo  corteggio  glorioso  un  trono 
Stabile  avessi  in  noi.  Tu  messaggera 
Del  dolce  foco,  che  s'aumenta  e  scema 
D' innamorati  giovani  nel  guardo  : 
Dell'umano  pensier  tu  pia  nutrice, 
Come  a  morente  laeapada  la  notte! 
Quando  vien  l'ombra  tua,  con  essa  a  lungo 
Fra  noi  rimani  :  oh,  non  partir  !  La  vita 
Senza  i  tuoi  rai  non  è  ch'uno  sgomento 
Ed  una  tomba  illacrimata  il  mondo. 

Ero  fanciullo  e  per  deserte  sale, 
Per  antri  e  per  mine  interrogando 

10  già  l'ombre  de'morti  :  in  cupe  selve. 
Delle  stelle  al  chìaror,  con  paurose 
Orme  seguiva  indomita  speranza 

Di  parlar  co'defunti  eccelse  cose. 

Sussurrava  le  magiche  parole. 

Che  sono  incanto  a'  fanciulleschi  orecchi; 

Ma  l'ombre  non  m'udir,  né  spettro  apparve. 

Un  di  sedendo  e  meditando  assorto 

Sul  destin  della  vita,  al  dolce  tempo 

Che  l'aure  amoreggiando  ogni  creata 

Cosa  tolgono  al  sonno,  e  degli  uccelli 

E  delle  rose  annunziano  il  ritorno. 

Repente  l'ombra  tua  sovra  mi  cadde; 

Misi  uno  strido  e  le  man  giunsi  estatico! 

Giurai,  diva  Beltà,  tutte  sacrarti 

Le  mie  potenze.  Non  mantenni  il  giuro? 

11  cor  mi  batte  e  nuotan  gli  occhi  in  pianto. 
Mentre  ti  parlo  e  dalle  mute  tombe 

Desto  di  mille  e  mille  ore  i  fantasmi; 
Fidi  fantasmi,  che  con  me  vegliando 


PARALLELI  LETTERARL  423 

In  begli  studi  od  in  pensier  d'amoie 
Ingannarono  il  voi  d'in  vide  notti. 
Sanno  ben  essi  che  giammai  di  gioia 
Sulle  mie  guance  non  trascorse  un  lampo, 
Senza  la  speme,  che  per  te  disciolto 
Da  sue  nere  catene  andrebbe  il  mondo  ; 
Che  tu,  diva  Beltà,  dato  gli  avresti 
Quanto  immagina  il  cor  né  il  labbro  esprime. 

Quando  varcata  del  meriggio  è  l'ora, 
Kide  più  sgombro  e  più  solenne  il  giorno: 
Dopo  la  state,  a'rai  d'autonro,  il  cielo 
S'ammanta  d'un  seren  prima  non  visto, 
E  son  le  cose  tuttequante  al  guardo 
Un'armonia.  La  tua  terribil  possa, 
Diva  Beltà,  che  nel  mio  giovin  core 
Tanta  tempesta  sollevò  d'afiètti, 
A  questo  vespro  della  vita  imparta 
Durevol  calma.  Ascolta  un  che  ti  adora. 
Che  ti  cerca,  t'inchina  ovunque  splendi; 
Un  che  di  sé  paventa  e  i>er  le  umane 
Infelici  prosapie  arde  d'amore. 

Leopardi  nel  Canto  alla  Primavera  deplora  anch'cgli 

La  bella  età,  cui  la  sciagura  e  l'atra 
Face  del  ver  consunw 
Innanzi  tempo.  Ottenebrati  e  spenti 
Di  febo  i  raggi  al  misero  non  sono 
In  sempiterno? 

E  neir  Inno  ai  Patriarchi  '  lamenta  parimenti  perduto  Varano 
error,  le  fraudi,  il  molle  Pristino  velo  che  nascondendo  la  dura 
verità  abbelliva  dì  lieti  sogni  la  vita.  Ciò  mi  chiama  a  parlare 
d'un  altro  poeta  ingleae,  amico  del  Byron  e  dello  Shelley  vissuto 
anch'esso  qualche  tempo  in  Italia  e  fondatore  di  una  scuola  poe- 
tica, che  ha  ancora  qualche  seguace  in  Europa.  Giovanni  Kuats. 
Fino  al  principio  di  questo  secolo  la  mitologia  greca  e  ro- 
mana ebbe  parte  grandissima  nelle  composizioni  poetiche.  Fra 
noi  8c  no  giovarono  Foscolo  o  Monti  ;  né  lo  stesso  Panni  se 
ne  mostrò  schivo.  Ma  l'uso  che  ne  fecero,  fu  di  solo  ornamento; 

'  n  professore  B.  Zuuibiui  in  un  suo  bellissimo  studio  sulla  canione  del 
I^copardt,  Alla  Primaoera^  ba  notata  di  volo  questa  analogia  che  corre  fra 
la  poesia  di  Shelley  e  di  Leopardi  Nel  canto  Y Infinito  di  Leopardi  v'ha 
un  passo,  che  mi  par  tolto  di  peso  dalla  ode  A  Night  Piece  di  Wordsworts: 
^  eomf  U  vento  Odo  etormir  fra  queste  foglie,  io  quello  Infinito  eOenuio  a 
qmeta  voce  Vo  comparando;  e  l' inglese:  Me  wimd  ss  m  Me  Irsr,  IhU  tke^ 
art  eOmt  (le  stalle).  QoesU  ode  di  Wordsworts  è  del  1796. 


424 


PARALLELI    LETTERARL 


per  non  dire  che  la  veste  mitologica  servi  loro  a  nascondere 
la  pochezza  o  volgarità  del  pensiero.  Caduto  l'Olimpo  e  distrutto 
il  santuario  di  Apollo,  furono  per  qualche  tempo  in  onore  le 
leggende  monastiche  e  1'  imprese  eroiche  dei  tempi  di  mezzo, 
non  cosi  però  che  qualche  spirito  nutrito  dalle  nmse  greche  e 
latine  non  si  dolesse  della  morte  dei  numi  e  non  tentasse  di 
rialzare  le  statue  di  Venere  e  delle  Grazie.  Il  Keats  malato  sino 
dalla  fanciullezza  e  nauseato  della  vita  reale,  credette  di  scor- 
gere nella  vita  degli  antichissimi  Elleni,  quale  ci  viene  porta 
da'  poeti,  quella  felicità,  che  il  mondo  odierno  non  conosce;  e 
^creossi  nella  morbida  immaginazione  una  specie  di  Eliso,  ove 
fossero  perpetue  le  danz'ì,  sempre  giovani  la  bellezza  e  l'amore, 
eterna  la  primavera,  sempre  verdi  le  piante  e  sempre  fiorite  le 
campagne.  Neil'  Endimione,  eh'  è  il  più  lungo  de'  suoi  poemi. 
Diana  visita  l'amato  pastore  durante  il  sonno  :  Endimione  è  lo 
stesso  poeta,  che  solo  nel  sonno,  cioè  nell'  ora  delle  visioni, 
trova  la  vita  e  l'amore.  Il  Keats  non  avea  l'erudizione  di  Byron, 
di  Shelley  e  meno  ancora  di  Leopardi,  la  quale  regolasse  i  voli 
della  sua  mente  :  non  sapeva  di  greco  ;  apprese  le  antiche  favole 
un  po'  da  Virgilio  e  dal  Telemaco  di  Fenelon,  il  rimanente  dai 
dizionarii  ;  quindi  il  contrasto  fra  l'antico  ed  il  nuovo;  fra  la 
dorica  semplicità  dell'argomento  e  la  giovanile  esuberanza  del 
colorito  moderno. 

Ma  la  poesia  del  Keats  richiamando  in  vita  gli  Dei  d' Esiodo 
e  di  Teocrito,  non  usci  mai  da' campi  sereni  dell'arte;  né  osò  di 
opporre  il  Giove  ellenico  al  Dio  della  Bibbia,  Pafo  a  Betlemme, 
r  Ida  al  Calvario.  Se  ricondusse  fra  i  moderni  le  Grazie,  non  ne 
sciolse  la  zona;  i  suoi  versi  pagani,  come  quelli  di  Virgilio,  non 
offendono  il  pudore  ;  né  pongono  sul  labbro  d'Apollo  la  bestem- 
mia dell'ateo  moderno.  Conosceva  il  gentile  poeta  come  l'arte 
degli  antichi  coprisse  d'un  velo  piacevole  quanto  ha  di  più  crudo 
e  di  più  sozzo  la  vita;  e  però  guardossi  di  contrapporre  il  mondo 
ellenico  al  mondo  cristiano,  nel  quale  solo  l'uomo  e  la  donna 
hanno  tutta  la  grandezza  e  dignità  loro.  Ma  dentro  questi  con- 
fini richiesti  dalla  morale  e  dall'arte  non  si  tenne  Carlo  Swin- 
burne,  che  prese  la  religione  pagana  in  sul  serio,  e  delle  favole 
antiche  si  fece  un'arma  a  combattere  le  austere  verità  del  Cri- 
stianesimo. Lo  Swinburne  vorrebbe  che  la  vita  fosse  un  pia- 
cere, il  piacere  sensuale,  anche  macchiato  di  sangue;  e  perchè 
Dio  fece  altrimenti,  gli  scaglia  incontro  le  sue  bestemmie  ret- 
toriche,  e  stende  le  braccia  a  Satana,  come  a  migliore  amico  e 


PARALLELI    LETTERARI. 


425 


benefattore  dell'uomo.  Ma  le  condizioni  della  vita  non  mutano  ; 
e  se  lo  Swinburne  e  seguaci  possono  respingere  le  divine  spe- 
ranze, che  Cristo  ha  portate  sulla  terra,  non  possono  svellere 
dal  cuore  dell'  uomo  le  spine,  che  durante  lo  stesso  piacere  dei 
sensi,  vi  germogliano  in  copia.  Ora  questa  scuola  poetica  ha 
preso  radice  anche  in  Italia  sempre  disposta,  ad  imitiire  quanto 
di  più  bizzarro  o  di  più  reo  ci  danno  le  letterature  straniere. 
Marco  Tabarrini  nel  suo  Gino  Capponi  h.a  queste  gravi  parole  : 
u  quando  dopo  il  1850  sorse  in  Toscana  una  scuola  di  giovani  di 
ingegno  e  di  studi,  la  quale  proclamando  il  ritorno  all'ellenismo 
delle  forme,  non  nascondeva  i  suoi  fini  anticristiani,  il  Capponi 
vide  subito  il  principio  d'una  letteratura  empia  e  beffarda,  che 
avrebbe  fatto  tabula  rasa  d'ogni  credenza  e  sovvertita  la  morale, 
e  sempre  più  deplorò  la  supina  ignoranza  di  chi  senza  volerlo 
0  saperlo,  spingeva  le  nuove  generazioni  in  quel  precipizio,  n 

Il  Leopardi,  come  il  Keats,  nel  canto  Alla  Primavera  e  nel- 
V Inno  ai  Patriarchi^  come  ho  notato,  toma  col  desiderio  all'in- 
fanzia del  genere  umano  e  piange  la  perdita  di  quelle  care  il- 
lusioni che  abbellirono  la  vita  do'  primi  mortali.  Sospira  il  pas- 
sato, quando 

Vissero  i  fiori  e  l'erbe, 
Vissero  i  boschi  an  di: 
e  quando  : 

Fa  certo,  fu  (nò  d'error  vano  e  d'ombra 

L'aonio  canto  e  della  fama  il  grido 

Pasce  l'arida  plebe)  amica  un  tempo 

Al  sangue  nostro  e  dilettosa  e  cara 

Qaesta  mìsera  piaggia,  ed  aurea  corse 

Nostra  caduca  età. 

Dimentico  per  un  istante  dei  torti,  cho  altrovo  si  lagna  di  avero 
ricevuto  dalla  matrigna  natura,  la  salata  e  benedice  con  affetto 
figliale: 

Tu  le  core  infelici  e  i  fati  indegni 

Tu  de' mortali  asoolta. 

Vaga  natura,  a  la  favilla  antica 

Rendi  allo  spirto  min. 

....  Oh  contro  il  uoittru 

Scellerato  ardimento  inermi  regni 

Della  saggia  natura!  I  lidi  e  gli  antri 

E  le  quiete  selve  apre  l' inritto 

Nostro  furor:  le  rYolate  genti 

Al  pellcf^rino  affanno,  agi' ignorati 

I>esiri  educa;  e  la  fugace,  ignuda 

Felicit\  per  l'imo  sole  incalsa. 

V«u  XL,  •«ri*  Il  —  t  Ar>«te  ÌUJ.  M 


426  PARALLELI  LETTERARI. 

In  questa  confessione,  che  i  mali  nostri  provengono  da  noi 
e  non  dalla  natura,  il  Leopardi  contraddice  a  se  stesso,  consente 
collo  Shelley  sempre  in  pace  colla  natura  e  sempre  in  guerra 
coir  uomo.  Abborrivano  l'uno  e  l'altro  il  presente  ;  ma  mentre 
r  Italiano  cercava  un  conforto  nei  sogni  di  un  passato,  che  pur 
disperava  potesse  rinnovarsi,  l'Inglese  si  pasceva  dei  sogni  di 
un  avvenire  altrettanto  impossibile  quanto  meraviglioso.  Imma- 
ginava un  avvenire,  in  cui  più  non  fossero  ne  padroni,  ne  servi, 
distrutti  i  troni,  aperte  le  carceri,  e  l'amore  unica  legge  e  po- 
tenza nel  mondo.  Nella  tragedia  Prometeo  liberato  Ercole  spezza 
le  catene  dell'  antico  Titano,  simbolo  dell'oppressa  umanità  :  Pro- 
meteo si  leva  raggiante  ed  immortalo,  come  il  sole  delle  nuove 
generazioni.  Nel  frammento,  che  ha  per  titolo  II  principe  Ata- 
nasio, Shelley  descrive  un  giovine  consumato  dalla  sete  del  bene, 
errante  sopra  la  terra,  che  si  affligge  ed  irrita  vedendo  la  forza 
nelle  mani  de'  cattivi,  disconosciuta  la  giustizia,  gli  oppressori 
senza  rimorso,  e  senza  ardimento  gli  oppressi.  Nella  Rivolta 
deir Islam,  v'  ha  un  canto  superbo  sulle  future  vittorie  della  giu- 
stizia, sulla  disfatta  dei  tiranni  e  sulla  eguaglianza  degli  uomini 
che  dice  la,  primogenita  d'ogni  cosa  m,ortale  ;  e  nella  Regina  Mah, 
quando  la  fata  mostra  alla  bella  Jante  l'uomo  coronato,  che  nel 
fondo  della  reggia  sovra  il  suo  letto  di  porpora  è  straziato  dai 
rimorsi  ;  quando  all'ozio  insolente  dei  ricchi  oppone  le  fatiche 
del  povero  e  prega  che  cessino  i  privilegi  inumani  ed  assurdi; 
in  tutte  queste  pagine  ardenti  di  fede  è  trasfusa  l'anima  del  poeta, 
che  anticipa  a  tutti  gì'  infelici  della  terra  il  canto  liberatore. 

Queste  infinite  speranze  nel  progresso  della  ragione  e  nel 
finale  trionfo  dell'umana  eguaglianza,  che  lo  Shelley  ebbe  co- 
muni co'  più  audaci  novatori  del  suo  tempo  hanno  chiamato  più 
volte  il  sorriso  sul  labbro  del  Leopardi,  che  nella  Ginestra,  nella 
Palinodia  e  nei  Paralipom^eni  prese  apertamente  a  schernirle. 
E  nondimeno  chi  legge  attentamente  i  suoi  versi  sente  uscirne 
una  voce  gagliarda  che  invita  alla  speranza,  anche  quando  il 
poeta  sembra  più  disperare  delle  sorti  della  patria  e  dell'uomo. 
Lo  Shelley  co'  suoi  splendidi  sogni  di  rinnovamento  sociale  può 
rendere  più  gravi  ed  intollerabili  i  guai  della  vita,  e  spingere 
a  forsennate  imprese  i  volghi  sedotti  :  il  Leopardi  gettando  sulla 
natura  la  colpa  delle  nostre  miserie,  chiama  gli  uomini  a  col- 
legarsi per  combattere  con  più  vantaggio  il  comune  nemico,  e 
con  ciò  rende  più  forti  e  più  cari  i  vincoli  dell'umana  famiglia. 
Non  credo  che  i  versi  dello  Shelley  abbiano   acceso  in  Inghil- 


PARALLELI  LETTERARI.  427 

terra  tanto  ^ore  di  patria,  quanto  que'  del  Leopardi  ne  acce- 
sero in  Italia;  gì'  Inglesi  ebbero  nello  Shelley  una  gloria  poetica, 
gì'  Italiani  nel  Leopardi  una  gloria  nazionale. 

Ora  dirò  qualche  cosa  di  questi  due  ingegni  come  scrittori. 
L'uno  e  l'altro  conobbero  profondamente  la  letteratura  greca, 
donde  attinsero  quelle  grazie  dello  stile,  che  li  distinguono  da 
tutti  i  poeti  moderni.  Ma  prima  che  poeta,  il  Leopardi  fu  filo- 
logo; quindi  più  temperata  in  lui  la  forza  dell'immaginazione, 
più  misurato  il  pensiero  e  più  sobria  la  parola.  Lo  Shelley 
nelle  poesie  minori  gareggia  con  quanto  v'ha  di  più  perfetto 
nel  Leopardi;  il  suo  canto  aìV Allodola  non  solo  non  teme  il 
paragone  col  Passero  Solitario  del  Recanatese,  ma  credo  che 
sia  il  canto  più  spirituale,  più  etereo,  più  veramente  poetico, 
che  possa  uscire  da  labbro  mortale.  Ma  nei  lunghi  poemi  l'im- 
maginazione di  lui  trascende  i  confini.  I  romanzi  della  Radcliffe, 
VAhasvero  di  Schubart  e  la  Leonora  di  BUrger,  che  lesse  da 
fanciullo;  e  lo  studio  della  chimica,  che  lo  condusse  ai  panteismo 
e  dal  panteismo  alla  credenza  che  in  ogni  essere  palpitasse  uno 
spirito,  gli  popolarono  per  tempo  la  mente  di  fantasmi  grandiosi 
e  terribili  che,  come  ho  detto  lo  spaventavano  nella  atessa  veglia 
e  spesso  lo  facevano  cadere  tramortito  sul  pavimento.  Questo 
eccesso  della  potenza  fantastica  è  reso  ancora  più  sensibile  ai 
lettori  dal  contrasto  che  ha  colle  dottrine  filosofiche  che  sono 
l'ordinario  fondo  de'  suoi  poemi  ;  cosicché  manca  in  essi  quel 
temperamento  dell'immagine  colla  idea  e  quell'  armonia  della 
favola  colla  verità,  che  costituiscono  la  perfetta  bellezza  nell'arte. 
Spesse  volte  div.'iga  più  che  non  sia  concosso  alla  libertà  dei 
poeti;  e  se  al  Leopardi  si  rimprovera  qualche  ripetizione  di 
penHÌero  e  di  sentimento,  alio  Shelley  con  più  ragiono  puossi 
rimproverare  la  frequente  ripetizione  d'immagini  tratte  dall'aspetto 
dell'universo  e  specialmente  del  mare.  Ama  inoltre  lo  Shelley 
le  grandi  parole  e  si  compiace  degli  ellenismi  ;  il  Leopardi  non 
si  scolta  dal  linguaggio  comune  ai  nostri  clJi^.si(•i  «•  licrti'.-  più 
efficace  quanto  più  semplice. 

Shflloy  e  L«!opnrdi!  Morti  entrambi  innitu/.i  leiiipo,  prima 
vAìc  all'anima  rosa  dui  dubbio  e  dalia  disperazione  si  l(>vasso 
il  sole  benefico  della  cristiana  speransa.  Verso  il  fine  della  viUi 
Shelley  piegava  alle  dottrine  di  Platone,  dallo  quali  non  sono 
che  pochi  passi  a  Sant'Agostino  ed  alla  dottrina  evangelica. 
Nella  Retjina  Mah  e  nel  Prometeo  liberato  àShelley  invoca  un 
divino  Salvatore,  che  tolga  alla  schiavitù  le  umane  gonerasioni. 


428  PARALLELI  LETTERARI. 

Chi  può  dire,  che  dopo  avere  bestemmiata  la  vTttima  divina 
del  Golgota,  Shelley  non  sarebbe  venuto  ad  adorarla  come  la 
più  magnifica  immagine  di  quell'amore  per  l'uomo  e  di  quel 
sacrificio  di  sé  stesso,  che  in  ogni  tempo  aveano  sedotta  la  sua 
immaginazione  e  riscaldato  il  suo  cuore  ?  Un  anno  prima  che 
morisse  passeggiando  sotto  gli  archi  della  cattedrale  di  Pisa 
diceva  all'amico  Leigt  Hunt  :  «  qual  divina  religione,  se  si  ap- 
poggiasse non  sul  dogma,  ma  sulla  carità!  n  Una  mente  come 
quella  di  Shelley  potea  facilmente  conoscere,  che  senza  dogma 
non  v'  ha  religione,  e  che  la  stessa  carità  prende  la  sua  forza 
dal  dogma.  Quanto  al  Leopardi  dalle  lettere,  che  poco  tempo 
prima  di  morire  scrisse  al  padre,  si  rileva  che  le  memorie  della 
sua  pia  fanciullezza  non  erano  affatto  spente  nel  suo  cuore. 
Ambedue  furono  sedotti  da  falsi  sistemi  di  filosofia,  ma  nel  loro 
errore  furono  almeno  sinceri;  espressero  negli  scritti  il  dubbio, 
perchè  realmente  dubitarono  ;  scrissero  non  per  secondare  l'an- 
dazzo dei  tempi  e  buscarsi  il  nome  di  liberi  pensatori;  dubi- 
tarono, errarono,  ma  candidamente  ;  ora  dall'errore  e  dal  dubbio 
v'ha  un  ritorno  alla  verità  ;  dal  nulla,  che  piace  a  molti  mo- 
derni, ne  si  trae  la  verità,  né  si  ritorna.  Morirono  ambedue 
giovani,  come  giovani  morirono  Byron  e  Keats,  l'uno  di  tren- 
tasei anni,  l'altro  di  venticinque.  Shelley  aveva  ventinove  anni, 
quando  il  giorno  8  luglio  1822  partito  da  Livorno  ed  avviato 
per  mare  alla  sua  villa  di  Lerici  presso  la  Spezia,  sorpreso  da 
violenta  tempesta  affogava;  la  sua  salma  era  abbruciata  dal 
Byron  ed  altri  sulle  rive  del  Tirreno;  le  sue  ceneri  furono 
deposte  nel  cimitero  de'  Protestanti  in  Roma  presso  quelle  di 
Keats,  che  v'era  stato  sepolto  l'anno  innanzi,  e  di  cui  Shelley 
aveva  pianta  la  morte  col  più  bello  de'  suoi  canti,  Adonais. 
Sul  fine  di  quell'anno  1822  il  Leopardi  era  in  Roma,  e  non  è 
incredibile  che  il  caso  dello  Shelley  e  le  stranissime  esequie,  di 
cui  parlarono  tutti  i  giornali  d'Italia,  gli  siano  giunti  ail'orec- 
chio  ed  abbiano  destato  in  lui  il  desiderio  di  conoscere  gli  scritti 
del  poeta,  se  prima  non  gli  fosse  conosciuto. 

Ciò  che  sono  venuto  esponendo,  forse  non  è  che  una  sem- 
plice congettura;  ma  se  non  ho  potuto  mostrare  con  evidenza 
che  la  poesia  leopardiana  è  una  figliazione  *  della  poesia  di- 
Byron,  di  Keats  e  di  Shelley,  mi  basta  avere  mostrato  che 
questi  ingegni  tanto  grandi,  quanto  infelici,  sono  fratelli;  figli 
tutti  d'un  secolo  travagliato  dalla  più  funesta  delle  malattie 
sociali,  il  tedio,  per  non   dir   l'odio,    d'ogni   religione;    e    che 


PARALLELI   LETTERARI. 


429 


vissuti  senza  avere  un'  ora  di  pace,  sempre  anelando  dietro 
un  bene  che  dileguavasi  loro  innanzi,  mostrarono  un'  altra 
volta  al  mondo  quanto  sia  vero  il  detto  di  Sant'Agostino, 
che  il  nostro  cuore  è  inquieto,  finche  non  trovi  in  Dio  il  suo 
riposo. 

Giacomo  Zanella. 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X  ' 

(1513-151'?) 


Giovanni  De'  Medici  saliva  sulla  cattedra  pontificia  con  gran- 
dissima aspettazione  di  Roma,  e  del  mondo.  Figlio  di  Lorenzo 
il  Magnifico,  alunno  di  Marsilio  Ficino,  del  Pico,  del  Poliziano, 
ingegnoso  e  dotto  egli  medesimo,  aveva  fama  di  esser  prudente, 
affabile,  buono  e  generoso.  Sapevasi  generalmente  che  egli  bra- 
mava la  pace,  e  ciò  confortava  gli  animi  stanchi  dell'  indole 
battagliera  del  suo  predecessore.  E  per  verità  non  si  può  negare 
che  Leone  avesse  tutti  quei  pregi  che  gli  erano  attribuiti,  ma 
purtroppo  non  disgiunti  da  vizi  opposti  ;  leggerezza,  simulazione, 
cupidigia,  scialacquìo  e  talvolta  anche  crudeltà.  E  gli  manca- 
vano poi  le  parti  più  eccelse  dell'  intelletto  e  dell'animo  5  altezza 
di  pensieri,  austerità  di  costume  e  fermezza  di  carattere.  Per  la 
qual  cosa  sebbene  il  suo  pontificato  risplenda  nell'  istoria  come 
periodo  felice  e  sia  chiamato  il  secolo  d'oro  delle  arti  e  delle 
lettere,  pure  fu  seguito  poco  dopo  da  una  serie  di  calamità  che 
precipitarono  l'Italia  al  fondo  di  ogni  miseria. 

'  Vedi  Nuova  Antologia  del  15  giugno  1883,  «  Raffaello  a  Roma  sotto 
Giulio  II  » .  Ivi,  a  pagina  622,  nota  2,  è  occorso  un  errore  materiale.  Par- 
lando di  due  ritratti  di  Giulio  II,  e  di  un  ritratto  di  Bindo  Altoviti,  dopo 
aver  detto  che  uno  dei  due  primi  è  nella  Galleria  degli  UflSzi,  la  stessa  ci- 
tazione fu  ripetuta  anche  per  quello  di  Bindo  Altoviti,  mentre  doveva  dirsi 
Pinacoteca  di  Monaco  dove  fu  portato  da  Re  Lodovico  I  che  lo  acquistò 
dalla  famiglia  Altoviti  nel  1808. 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X.  431 

Vero  è  che  quei  tempi  erano  difficilissimi  per  un  pontefice 
e  per  un  principe  italiano.  Già  contro  i  vizi  del  elencato  ro- 
moreggiava  la  riforma  protestante  in  Germania  e  due  giovani 
emuli  occupavano  il  trono  di  Francia  e  di  Spagna,  minacciando 
per  l'ambizione  e  la  rivalità  loro  di  metter  sossopra  l'Europa. 
Ma  se  i  tempi  erano  difficili,  Leone  fu  impari  al  suo  compito. 
Ad  offuscarne  l'antiveggenza,  ed  a  far  balenare  i  suoi  pro- 
positi si  aggiungeva  in  luì  una  smaniosa  brama  dell'  ingrandi- 
mento della  casa  Medici,  alla  quale  non  bastando  omai  più  il 
dominio  civile  di  Firenze,  si  voleva  creare  un  regno. 

E  Leone  X  vagheggiò  nel  pensiero  per  suo  fratello  Giuliano 
che  diventasse  signore  di  Napoli,  e  pel  nipote  Lorenzo  volle  fare 
uno  Stato  nuovo  di  Parma,  Piacenza,  Modena  e  Reggio.  Forse 
anche  sognò  in  qualche  momento  che  casa  Medici  potesse  pi- 
gliarsi nelle  mani  tutta  Italia  sotto  l'alta  signoria  della  Chiesa  ; 
che  se  pur  questo  sogno  non  balenò  al  Pontefice,  un  altro  poco  dis- 
simile potè  esser  creduto  possibile  dalla  gran  mente  di  Niccolò 
Machiavelli  e  gli  porse  occasione  a  scrìvere  il  suo  libro  del 
Prìncipe  che  primieramente  doveva  essere  dedicato  a  Giuliano, 
e  lo  fu  poscia  a  Lorenzo.  Imperocché  Giuliano,  forse  il  miglioro 
dei  Medici  di  suo  tempo,  mori  il  17  marzo  1516.  E  Leone  non 
potendo  dare  a  Lorenzo  le  agognate  provincie  dell'Emilia,  con 
lunga,  e  sleale  guerra,  discacciati  i  della  Rovere  da  Urbino,  ne 
lo  fece  signore;  ma  per  breve  ora,  perchè  Lorenzo  stesso  mori 
il  4  maggio  1519. 

Ma  questa  smania  di  nepotismo,  congiunta  a  un  carattere 
timoroso,  fu  in  parte  la  origine  della  versatilo  politica  di  Loono. 
Imperocché  quando  Francesco  I  re  di  Francia  ebbe  vinto  la 
battaglia  dì  Marignano,  Leone  che  sin  qui  erasi  tenuto  stretto 
a  patti  con  l' Imperatore,  mutò  d'un  tratto,  o  fece  alloanxa  con 
Francesco  contro  i  suoi  antichi  anfTci.  £  per  riconfermare  questa 
alleanza  non  fsitò  a  mettersi  in  viaggio,  o  dopo  aver  passato 
alcuni  mesi  a  Firense,  sceso  a  Bologna  dove  noi  deccmbrc  1515 
s'incontrò  con  Francesco  I.  Quivi  fra  loro  convennero  dei  punti 
seguenti  :  prima  di  tutto  abolirono  la  prammatica  sanzione  che 
regolava  le  materie  ccclesiaMticho  di  Francia,  usurpandosi  e  divi- 
dendosi Re  o  Papa  fra  di  loro,  molte  attribuzi-ni  che  spettavano 
fino  allora  al  clero  e  al  popolo;  in  secondo  luogo  Leone  rìoonoblo 
a  Francesco  non  solo  il  dominio  di  Milano  e  di  Genova,  ma 
pur  anche  quello  di  Parma  e  Piacenza  coniocchè  a  ciò  n'indu- 
cesse con  rammarico.  Infine  Francesco  prese  sotto  il  suo  patru- 


432  RAFFAELLO   A   ROMA   SOTTO    LEONE   X, 

cinio  lo  Stato  ecclesiastico  e  la  casa  Medici.  Ciò  fatto,  giura- 
ronsi  fede  perpetua.  Ma  non  eran  trascorsi  tre  anni  che  con 
l'usata  doppiezza  Leone  s'accostò  a  Carlo  V,  e  in  sul  principio 
del  1519  conchiuse  con  esso  un  patto  segreto  e  difensivo  contro 
la  preponderanza  francese;  *  il  qual  patto,  nel  marzo  1521,  si 
trasmutò  in  vera  e  aperta  lega  contro  la  Francia.  Per  essa  fu 
stabilito  che  Milano  sarebbe  tolto  ai  francesi  e  restituito  all'im- 
peratore, che  il  papa  lo  aiuterebbe  a  tal  fine,  come  pure  a 
debellare  i  Veneziani,  che  coronerebbe  Carlo  imperatore  e  gli 
darebbe  la  investitura  di  Napoli.  E  l'imperatore  da  sua  parte, 
scacciati  i  francesi  dalla  Lombardia,  aggiungerebbe  allo  Stato 
ecclesiastico  Parma  e  Piacenza,  assisterebbe  Leone  alla  conqui- 
sta di  Ferrara,  prenderebbe  sotto  il  patrocinio  suo  Firenze  e 
la  casa  Medici,  infine  s' impegnerebbe  a  perseguitare  con  ogoi 
possa  tutti  i  nemici  della  fede  cattolica  e  della  Santa  Sede. 

A  questo  trattato  seguì  in  breve  la  guerra  si  temporale  che 
spirituale,  perchè  il  papa  pronunciò  la  scomunica  contro  gli 
avversari  e  assolse  i  sudditi  loro  dal  giuramento  di  fedeltà. 
Narra  Guicciardini  che  il  cardinale  Giulio  de' Medici,  il  quale 
aveva  avuto  gran  parte  in  quei  negoziati  (come  generalmente 
ebbe  sotto  Leone  in  tutto  il  governo  delle  cose  sacre  e  profane) 
il  cardinale  Giulio  de'  Medici  adunque,  conscio  dei  segreti  del 
papa,  gli  disse  che  Leone  sperava  u  scacciato  prima  Francesco 
u  da  Genova  e  dal  ducato  di  Milano,  potere  poi  facilmente  cac- 
ti ciare  Cesare  dal  reame  napoletano,  vendicandosi  quella  gloria 
ti  della  libertà  d' Italia,  alla  quale  prima  aveva  manifestamente 
u  aspirato  1'  antecessore  n.  *  Io  non  so  se  veramente  il  cardi- 
nale de' Medici  avesse  udito  queste  cose  dalla  bocca  di  Leone, 
ovvero  se  le  interpretasse  di  suo  capo,  per  scusarne  la  versa- 
tilità. Certo  è  che  il  Guicciardini  si  mostra  poco  persuaso  di 
questi  sentimenti;  e  lo  stesso  cardinale,  divenuto  pontefice  più 
tardi  col  nome  di  Clemente  VII,  ebbe  ad  accorgersi  quanto 
pericoloso  fosse  il  giuoco  di  attirare  gli  stranieri  in  Italia,  col- 
legandosi or  all'uno  or  all'altro,  per  tradirli  a  vicenda.  Che  se 
papa  Giulio  II  aveva  anch'egli  partecipato  ai  medesimi  inganni 
nella  prima  parte  della  sua  vita  avventurosa,  nell'ultima  invece 
s'era  posto  alta  e  chiara  una  meta,  e  con  fortissima  volontà  e 
sforzo  vi  aveva  inteso:  ma  le   sue   virtù   mancavano  a   Leone, 

1  Trattato  segreto  fra  Leone  e  Carlo,  pubblicato  dal  Capponi.  Archivio 
storico  italiano,  voi.  I,  pag.  379. 

*  GuicciABDiNi,  Storia  d'Italia,  Capolago,  1833,  v.  5,  pag.  369. 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X.  433 

che  perciò  non  saprebbe  in  guisa   alcuna   paragonarsi  al  terri- 
bile suo  predecessore. 

Se  la  condotta  di  Leone  X  negli  affari  temporali  tornò  fu- 
nesta all'Italia,  non  lo  fu  meno  alla  religione  cattolica  la  sua 
condotta  spirituale;  le  quali  due  cose  ai  tempi  che  descriviamo 
si  connettevano  strettamente  l'una  all'altra.  Imperocché  le  spese 
della  guerra  e  la  prodigalità  di  Leone  furono  una  delle  cagioni 
precipue  di  rinnovellare  con  maggior  ardore  la  vendita  delle 
indulgenze,  col  pretesto  di  concorrere  alla  edificazione  della  ba- 
silica di  San  Pietro,  ma  in  verità  per  supplire  agli  infiniti  ed 
insaziabili  bisogni  del  papa  e  della  Corte.  E  questa  fu  scintilla 
onde  un  incendio  divampò  in  Germania,  della  grandezza  ed 
estensione  del  quale  Leone  X  non  ebbe  chiara  conoscenza  mai, 
sebbene  all'ultimo  di  sua  vita  sentisse  la  necessità  di  condannare 
espressamente  Lutero  e  di  assicurarsi  la  difesa  di  Carlo  V.  Ma 
i  modi  del  suo  pontificato  furono  fomite  non  piccolo  dello  scisma 
più  formidabile  che  abbia  lacerato  la  Chiesa. 

Questo  è  il  tristo  aspetto  della  vita  di  Leone,  aggiuntavi  la 
immanità  colla  quale  volle  punire  una  congiara  ordita  contro 
di  lui,  e  la  cupidigia  colla  quale  ne  spogliò  gli  autori  facendo 
strangolare  un  cardinale,  e  altri  condannando  a  ricomprar  1» 
vita  con  ingenti  somme  di  denaro. 

L'aspetto  lieto  e  glorioso  del  suo  regno  è  troppo  noto,  e  fu 
celebrato  allora  e  poi  dagli  storici  e  dai  poeti,  anzi  può  dirsi 
che  pochi  principi  ebbero  lodatori  tanti  e  non  di  rado  con 
adulazione,  quanti  egli  ne  ebbe;  ondo  l'età  aurea  dello  lettere 
e  delle  arti  prese  da  lui  il  nome.  Veramente  in  quel  momento 
Roma  ospitava  uomini  insigni  d'ogni  paeic,  e  Leone  «.tutti  era 
mecenate,  benigno  ncll'  intrattenerli,  profusissimo  nel  premiarli. 

Già  dai  primi  giorni  del  pontificato  la  prosa  di  possesso  fu 
fatta  con  una  pompa  quale  non  s'era  rista  mai.  Da  8.  Pietro 
fino  al  Laterano  egli  cavalcò  per  le  vie  adorne  di  arazzi  olo- 
gantissimi,  passando  sotto  archi  di  trionfo  in  meizo  a  statue  ora 
dei  santi,  ora  degli  Dei  pagani,  qua  fra  gli  emblemi  di  Cristo,  U 
fra  quelli  di  Venere  e  di  Fallade.  Era  attorniato  non  pur  dai  car- 
dinali e  dai  vescovi,  ma  dai  baroni  di  Roma,  dai  gentiluomini 
di  Firenze,  dai  prìncipi  vasnalli  della  chiesa,  e  dagli  ambascia- 
tori dello  potenze  strrtìjicre.  Splendida  <•  questa  cavalcata,  della 
quale  i  contemporanei  ci  lasciarono  minute  descrizioni.  Il  duca 
Francesco  Maria  d<lla  Rovere  che  per  la  dignità  sua  di  Pre- 
fetto di  Roma,  in  .•«egno  d'onore,  viene  ultimo  dei  laici,  e  che 


434  RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X. 

Oggi  è  careggiato  ed  onorato  da  Leone  X,  si  vedrà  fra  pochi 
anni,  per  opera  dello  stesso  Leone,  combattuto,  spogliato,  esule 
dai  suoi  dominii,  messo  al  bando  della  cristianità.  E  cagione  *di 
questa  guerra  sarà  quel  Lorenzo  de'  Medici  che  oggi,  come  ni- 
pote del  Papa,  gli  cavalca  a  fianco.  Fra  i  cardinali  che  seguono 
vedi  orgoglioso  il  Petrucci,  che  sarà  fra  breve  come  capo  della 
congiura  contro  Leone,  fatto  strangolare  in  Castel  S.  Angelo,  e 
in  vista  reverendo  il  decano  del  sacro  collegio  cardinal  Riario 
che  dovrà  spogliarsi  di  ogni  bene  di  fortuna  per  salvar  la  vita. 
Risplende  sopra  gli  altri  Alfonso  d'Este  duca  di  Ferrara  l'eroe 
della  battaglia  di  Ravenna,  il  marito  di  Lucrezia  Borgia;  astiato 
già  fieramente  da  Giulio  IL  Ora  si  confida  vivere  in  pace  colla 
Santa  Sede,  ma  non  tarderanno  guari  gli  odii  a  rinfocolarsi,  e 
la  scomunica  piomberà  come  fulmine  sovra  il  suo  capo. 

Queste  pompe  magnifiche  piacevano  a  Leone,  e  durante  il 
suo  regno  ad  ogni  tratto  si  videro  processioni  grandiose,  ca- 
valcate di  cardinali,  sontuosi  ingressi  di  ambasciatori,  e  questi 
spettacoli  rinnovellavansi  ovunque  il  papa  si  recasse.  E  così 
il  suo  viaggio  sino  a  Bologna  per  incontrarvi  Francesco  I  fu 
una  serie  di  lieti  trionfi,  tanto  nell'andata  quanto  nel  ritorno,  e 
specialmente  in  Firenze  per  tutto  il  tempo  di  sua  dimora.  A 
tali  spettacoli  si  aggiungevano  rappresentazioni  sacre  e  profane, 
come  quella  della  Passione  di  Cristo  al  Colosseo  e  di  gesti  mi- 
tologici al  Campidoglio;  e  oltre  le  pubbliche  rappresentazioni 
v'eran  le  private  in  Vaticano,  dove  si  recitavano  tragedie  e 
commedie  intramezzate  di  canti,  di  balli  e  di  Moresche.^  Pigliava 
Leone  diletto  della  caccia  e  spesso  andava  alla  Magliana  ac- 
compagnato da  comitive  di  amici  e  di  servi..  Amava  i  geniali 
conviti,  non  già  eh'  ei  fosse  ghiotto  e  intemperante,  ma  voleva 
che  i  banchetti  venissero  serviti  con  lusso  di  finissimi  mangiari 
e  di  delicatissimi  beri,  e  rallegrati  da  canti  e  da  suoni  per  molte 
ore  si  prolungassero.  Della  musica  era  cultore  appassionato,  e 
narra  un  suo  biografo  che  ripetendo  con  sommesso  mormorio  le 
note  che  ascoltava,  parca  talvolta  venir  meno  dal  piacere  quasi 
immemorD  di  sé.  *  Sopratutto  dilettavasi  di  esser  sempre  circon- 
dato da  colti  uomini  e  lieti.  Laonde  il  Vaticano  era  un  continuo 

'  Vedi  la  descrizione  vivissima  di  una  di  queste,  nella  lettera  del  Pau- 
lucci  al  duca  di  Ferrara.  —  Campori,  Notizie  inedite  di  Raffaello  tratte  dai 
documenti  dell'Archivio  politico  di  Modena  ecc.  Modena,  1883,  p.  18  e  seg. 

^  Vita  anonima  di  Leone  X  riferita  dal  Roscoe  nella  sua  Vita  dì  Leone 
al  N.  CCXVIII  Appendice. 


RAFFAELLO    A    ROMA    SOTTO    LEONE    X.  435 

convegno  di  letterati,  di  artisti,  di  suonatori,  di  cantori  ;  e  non 
di  rado  anche  d' improvvisatori  e  di  buffoni  eh'  ei  doveva  lar- 
gamente rimunerare  comecché  sovente  si  facesse  di  loro  zim- 
bello. Aveva  agenti  in  tutte  le  parti  del  mondo  che  gli  procura- 
vano a  gran  prezzo  manoscritti,  favoreggiava  la  stampa  (di  corto 
inventata)  e  non  solo  faceva  ripubblicare  i  classici  latini  ed  i 
greci,  ma  eziandio  libri  di  letteratura  orientale.  Fondava  biblio- 
teche, l'accademia  romana  proteggeva,  faceva  ampliare  le  loggia 
vaticane  e  le  abbelliva.  Chiese,  palagi  sorgevano,  poiché,  ad 
esempio  del  Pontefice  i  ricchi  e  i  signori  gareggiavano  nel  pro- 
teggere le  arti.  Roma  esultava,  e  il  popolo  pareva  felice  nella  sua 
letizia,  u.  Voleva,  dice  Gino  Capponi  nella  sua  storia,  voleva  il 
tempo  queste  allegrie  che  sono  accuse  di  spensieratezza,  «e  si 
videro  sempre  venire  innanzi  alle  calamità  ultime  e  prepararle 
con  quella  molle  scioperataggine  ch'esse  inducono  in  fondo  agli 
uomini  già  prima  guasti  ed  avviliti  '.  n 


II. 

Leone  X  commise  a  Raffaello  di  continuare  gli  affreschi  della 
stanza  d'  Eliodoro,  della  quale  come  dicemmo  '  avea  dipinto  già 
due  pareti.  Ed  egli  rappresentò  nella  terza  san  Leone  papa  che 
incontra  e  raffrena  Attila  nelle  sue  invasioni.  Vedesi  in  cielo 
S.  Pietro  e  S.  Paolo  con  la  spada  affocata  accorrenti  a  dcfen- 
sione  della  Chiesa;  vedesi  in  terra  Attila  come  colpito  dalla  ce- 
leste visione,  e  i  suoi  seguaci  arretrarsi  davanti  al  Pontefice  che 
inerme,  seguito  soltanto  da  cardinali,  si  avanza  in  atto  di  be- 
nedire. E  anche  di  questo  quadro  la  composiziono  è  maraviglio- 
samente semplice  e  viva.  Forse  il  soggetto  era  già  stato  dato  da 
Giulio  II,  tantoché  vi  fu  chi  volle  persino  nelle  fattezze  di  At- 
tila raffi ;,'!! rare  il  ritratto  di  Luigi  XII  Redi  Francia;  certo  fu 
eseguito  sotto  Leone  X,  e  nel  pontefice  è  effigiato  ;  Leone,  non 
Giulio.  Ma  so  questi  poteva  aver  dato  il  soggetto  di  Attila,  quello 
della  liberazione  di  san  Pietro  è  certamente  suggerito  dal  suo 
sueccHsore;  e  fu  destinato  a  simboleggiare  un'altra  liberasione, 
quella  di  Leone  stesso  quand'era  cardinale,  da  lui  reputata  mi* 
racoloHa.    Imperocché   essendo   legato  al  campo  dei  foderati  fu 

'  *'^'  r  BepttbhUca  di  Firmg^,  C.  V.  p.  81R. 

^  '  ■         _  "I  tatto  Oimlio  II.  —  Xuovn  Antoltnla.  IS  lmu 

gno  l«s:j. 


436  RAFFAELLO    A    ROMA    SOTTO    LEONE    X. 

fatto  prigioniero  nella  giornata  di  Ravenna  dai  francesi,  i  quali 
nella  ritirata  sopra  Milano,  e  poi  verso  le  Alpi  il  trassero  seco  ; 
ma  nel  passaggio  del  Po,  riuscì  a  sottrarsi  ai  suoi  custodi  e  a 
fuggire.  *  Pertanto  nella  quarta  parete,  sopra  ed  intorno  alla 
finestra,  Raffaello  rappresentò  S.  Pietro  in  carcere  incatenato, 
al  quale  appare  un  angelo  che  spezzati  i  ceppi  gli  apre  le  porte, 
e  lo  conduce  in  salvo  felicemente.  In  questo  fresco,  fu  infra  le 
altre  cose  molto  ammirato  l'effetto  di  tre  luci,  imperocché  la  luna 
splende  in  cielo,  un  soldato  fra  i  guardiani  tiene  in  mano  una  fiac- 
cola accesa,  e  finalmente  l'angelo  irradia  di  suo  splendore  tutta  la 
scena.  Qui  il  Vasari  esclama,  u  Si  scorgono  nell'arme  le  ombre, 
gli  sbattimenti,  i  riflessi,  e  le  fumosità  del  color  dei  lumi,  lavorati 
con  ombre,  e  sì  abbacinati  che  in  vero  si  può  dire  ch'egli  fosse 
il  maestro  degli  altri,  e  per  cosa  che  contrafaccia  la  notte,  più 

simile  di  questa  la  pittura  non  fece  giammai questa  è  la 

più  divina  sua  opera  e  da  tutti  tenuta  la  più  rara.  *  n 

Tali  sono  le  pitture  delle  pareti  nella  stanza  di  Eliodoro, 
nella  soffitta  della  quale  stanza  Raffaello  conservò  gli  ornamenti 
fatti  da  Baldassarre  Peruzzi,  aggiungendovi  quattro  quadretti 
di  sacra  storia  e  sono  i  seguenti  :  Dio  apparisce  a  Noè  ;  Il  sa- 
crificio di  Abramo;  Il  sogno  di  Giacobbe;  Mosè  al  roveto  ar- 
dente. Qui  per  la  prima  volta  dicesi  che  Raffaello  facesse  lavo- 
rare il  suo  discepolo  Giulio  Romano,  e  talune  parti  sono  dagli 
intendenti  ad  esso  attribuite,  cosicché  per  tal  riguardo  la  stanza 
dell'  Eliodoro  vien  messa  dopo  quella  della  Segnatura  nella 
quale  lavorò  egli  solo  tutte  le  cose  più  importanti,  mentre 
invece  qui  si  fece  aiutare  da  altri.  E  ciò  fece  assai  più  larga- 
mente nella  terza  stanza,  che  è  quella  dell'Incendio  di  Borgo, 
dove  come  diremo  poi  lasciò  ai  suoi  scolari  la  maggior  parte 
dell'esecuzione.  Finalmente  per  la  gran  sala  di  Costantino  la- 
sciò morendo  disegni,  ma  non  toccò  pennello.  Ora  per  tornare 
alla  stanza  d'  Eliodoro,  le  cariatidi  che  formano  basamento  ai 
quadri,  e  ì  chiaroscuri  di  color  verderognolo  che  tramezzano 
ad  essi,  furono  opera  di  Polidoro.  Le  porte  e  le  finestre  hanno 
bellissimi  intagli  di  legno,  al  disegno  dei  quali  non  fu  estraneo 
Raffaello,  ma  la  esecuzione,  appartiene  a  Giovanni  di  Verona  e 
al  Barrili  di  Siena,  nell'arte  loro  eccellenti. 

La  sala  d'Eliodoro  ha  due  date,  l'una  delle  quali  1512  (sotto 

1  GrREaoROvius  —  Storiu  della  città  di  Roma  nel  medio  evo,  voi.  Vili 
pag.  116. 

*  Vasaki,   Vita  di  Raffaello,  voi.  Vili,  pag.  26. 


RAFFAELLO    A    RO>L\    SOTTO    LEONE    X.  437 

GiuKo  II),  si  riferisce  ai  primi  due  freschi,  l'altra  1514  (sotto 
Leone  X),  ne  segna  il  compimento;  ma  sino  a  quel  tempo  non 
erano  cominciati  ancora  gli  evenni  guerreschi  dei  quali  abbiamo 
parlato  innanzi,  e  che  mutarono  la  polìtica  di  Leone  X  renden- 
dolo amico  ed  alleato  di  Francesco  I  di  Francia. 


IIL 

Or  mi  converrebbe  parlare  delle  altre  pitture  fatte  dall'Ur- 
binate nel  1513  e  nel  1514.  Ma  necessità  mi  sforza  di  trascor- 
rere anche  più  innanzi  nel  tempo  e  comprendere  in  questo 
periodo  le  opere  del  1515  e  del  1516.  Determinare  con  pre- 
cisione la  data  di  un  quadro  di  Raffaello,  quando  non  vi  sia 
una  iscrizione  come  nelle  stanze  vaticane,  o  altri  documenti 
precisi,  è  difficile  assai.  Ed  è  a  notare  ancora  che  non  di  rado 
l'artista  incominciava  un  lavoro  che  poi  era  costretto  ad  intra- 
lasciare per  Io  sopravvenire  di  nuove  e  più  argenti  commis- 
sioni, e  lo  riprendeva  e  lo  finiva  più  tardi.  Ora  pare  a  me  che 
in  mancanza  di  una  data  precisa,  e  volendo  pur  classi Hcare 
una  pittura  secondo  la  cronologia,  sia  da  tener  conto  dello  stile 
e  della  maniera  dell'autore,  e  nell'induzione  preferire  il  mo- 
mento in  cui  il  quadro  fu  coiuMMtito  .i  f|uollo  nel  quale  ebbe 
compimento. 

Fin  dal  1510  Agostino  Chigi,  banchiere  e  amico  carissimo 
di  Raffaello,  del  quale  avrò  occasiono  di  parlare  altrove,  avea 
ottenuto  da  Raffaello  il  disegno  di  due  piatti  che  fece  poscia 
cesellare  in  bronzo  da  Cesarino  Rosctti  da  Perugia  ',  quindi 
volendo  Agostino  farsi  una  cappella  gentilizia  nella  chiesa  di 
S.  Maria  del  Popolo  e  quivi  esser  sepolto,  pregò  Raffaello  che 
non  solo  gli  facesse  il  disegno  dell'architettura,  ma  altresì  dei 
mosaici  della  cupoletta.  Codesti  mosaici  furono  compiti  da  Luigi 
de  Paco  veneziano,  fatto  venire  espressamente  dal  Chigi  perchè 
lavorasse  sotto  la  direzione  di  Ilaffaello,  e  vi  si  leggono  an- 
cora le  iniziali  eolla  data  del  1510.*  Risogna  dunque  che  i  di- 
segni della  cappella  e  dei  moHaici  risalgano  a  qualche  anno 
prima,    anzi    alcuni    critici    stimano    che    fossero    fatti   vivente 

*  Vedi  noikie  attorno  a  RaffaéUo  Seuuio  di  Urbino,  deirsTT.  Oaslo  Fba, 
Roma,  IH'i'i,  pag.  81.  Uno  ichixxo  di  questi  piatti  ti  trora  all'Unfrersità  di 
Oxford,  l'Hltro  disogno  nella  raecollA  di  Drfynla. 

'  Le  Inisiali  sono  L.  D.  P.  V.  F 


438  RAFFAELLO    A    ROMA    SOTTO    LEONE    X. 

Giulio  II.  *  Nel  mezzo  della  cappella  delineò  il  Padre  Eterno,  e 
nella  fascia  superiore  la  creazione  del  firmamento,  dove  si  vede 
l'ispirazione  di  Dante  in  ciò  che  ogni  pianeta  è  mosso  da  un 
angelo  *.  Che  se  Raffaello  non  pose  mano  allo  scalpello,  come 
pur  alcuni  vogliono,  disegnò  certo  quella  statua  di  Giona  che 
nella  cappella  s'ammira. 

Infine  avendo  il  Chigi  edificato  una  sua  villa  nella  Lungara, 
che  dai  successivi  destini  suoi  fu  chiamata  la  Farnesina,  quivi 
egli  invitò  i  più  insigni  architetti  e  pittori  a  lavorare  quasi  in 
gara,  e  a  gran  fatica  ottenne  che  Raffaello  vi  dipingesse  allora 
sopra  una  parete  Galatea,  e  gli  promettesse  eziandio  che  più 
tardi  gli  avrebbe  dato  i  disegni  anche  per  la  volta,  siccome 
poi  fece. 

Quando  si  pensa  alla  ispirazione  mistica  delle  Madonne  di 
Raffaello,  mal  saprebbesi  immaginare  che  quello  stesso  uomo 
sia  l'autore  della  Galatea,  nella  quale  è  trasfuso  tutto  lo  spirito 
del  paganesimo,  e  quella  spensierata  gaiezza  onde  si  abbella 
la  mitologia  nelle  sue  parti  più  serene.  Io  intendo  che  gli  uma- 
nisti del  suo  tempo  insinuassero  nell'animo  del  giovine  artista 
il  gusto  della  classica  letteratura  5  intendo  che  la  vista  delle 
antiche  statue  novellamente  scoperte  lo  esaltassero,  voglio  anche 
concedere  che  abbia  preso  la  invenzione  dalle  stanze  di  messer 
Angelo  Poliziano  che  allora  correvano  per  le  bocche  di  tutti  '; 
ma  bisognava  che  un  genio  divinatore  della  bellezza  pagana  ne 
ricomponesse  col  pensiero  gli  sparsi  elementi  e  sapesse  effigiarli. 
Che  se  tal  pittura  si  vuol  paragonare  a  qualche  poesia  antica, 
bisognerebbe  risalire  all'aureo  tempo  della  Grecia  e  di  Roma.  Ed  è 

1  Fra  gli  altri  il  Passavant.  Vedi  anche  il  Vasabi,  voi.  8",  p,  42,  nota  3. 
Questa  cappella  è  descritta  minutamente  in  un  opuscolo  pubblicato  a  Roma 
nel  1839,  con  disegni. 

2  Lo  moto  e  la  virtù  dei  santi  giri, 
Come  dal  fabbro  l'arte  del  martello, 
Da  beati  motor  convien  che  spiri. 

ParadUo,  C.  II,  v.  128. 

3  Due  formosi  delfini  un  carro  tirano, 
Sovr'esso  è  Galatea  che  il  fren  corregge, 
E!  quei  notando  parimenti  spirano. 
Ruotasi  attorno  più  lascivo  gregge 

Qual  le  salse  onde  sputa  e  quai  s'aggirano  : 
La  bella  ninfa  con  le  suore  fide 
Di  si  rozzo  cantar  vezzosa  ride. 

Stanze  di  messer  Angelo  Poliziano  cominciate  per  la  giostra  del  ma- 
gnifico Giuliano  di  Piero  de'  Medici.  Lib.  I.  Stanza  118. 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X.  439 

a  notarsi  che  Raffaello  sino  a  quel  tempo  poco  o  nulla  aveva 
trattato  soggetti  pagani.  Si  cita  il  quadro  delle  Grazie,  opera 
giovanile,  preso  dal  gruppo  di  Siena,  il  fresco  c*he  rappresenta 
il  Parnaso  nella  stanza  della  Segnatura  e  quivi  ancora  il  quadretto 
nella  volta  di  Apollo  e  Marsia  che  facevan  parte  del  concetto 
generale  della  stanza,  infine  il  disegno  del  giudizio  di  Paride 
che  servi  a  Marcantonio  per  la  stampa,  ma  che  non  fu  mai  da 
lui  dipinto.  La  Galatea  era  il  primo  fresco  propriamente  mito- 
logico al  quale  poneva  mano;  più  tardi  per  la  villa  medesima 
del  Chigi  delineò  come  aveva  promesso  la  favola  di  Psiche. 

Del  favore  onde  la  Galatea  fu  accolta  in  quel  tempo  si  può 
argomentare  dalla  lettera  eh'  egli  stesso  scrive  a  Baldassarre 
Castiglione  nella  quale  dice  «  della  Galatea  mi  terrei  un  gran 
u  maestro,  se  vi  fosse  la  metà  delle  tante  cose  che  V.  S.  mi  scrive, 
u  ma  nelle  sue  parole  riconosco  l'amor  che  mi  porta,  e  le  dico 
a  che  per  dipingere  una  bella  mi  bisogneria  veder  più  belle  con 
u  questa  condizione  che  V.  S.  si  trovasse  meco  a  far  la  scelta 
tt  del  meglio.  Ma  essendo  carestia  di  buoni  giudici  e  di  belle 
tt  donne,  io  mi  servo  di  certa  idea  che  mi  viene  alla  mente.  Se 
u  questa  ha  in  sé  alcuna  eccellenza  nell'arte  io  non  so;  ben  mi, 
a  affatico  di  averla.  V.  S,  mi  comandi,  n  '  Panni  che  la  Gala- 
tea,  anche  pel  testo  di  questa  lettera,  sia  stata  dipinta  al  prin- 
cipio del  1514.  Alquanto  posteriori  son  le  SibilUf  intorno  alla 
data  delle  quali  è  molta  incertezza,  ma  io  le  registro  qui  anche 
per  ciò  che  gli  furono  commesso  dal  medesimo  Agostino  Chigi, 
e   da  lui  almeno  ideate  in  questo  tempo.  * 

Agostino  Chigi  veramente  non  cessava  di  chiedere  a  liaffaollo 
qualche  sua  opera  e  fra  le  altre  cose  volle  che  in  S.  Maria  della 
Pace  dipingesse  le  quattro  Sibille.  Questo  gr«ndio«o  dipinto  fu 
sventuratamente  cosi  guasto  e  rifatto  in  apprortsn,  che  bisogna 
indovinare  l'originale  sotto  la  coperta  del  restauro.  E  nondimeno 

*  QneiU  lettera  fb  pabblicaU  la  prima  ?olu  da  Bernardino  Pino  nella 
nuova  scelta  di  lettere.  Venasia  158»,  T.  II  pag.  400  N.*  849.  Veramente 
lo  Mtilo  di  questa  lettera  li  diiinrensia  totalmente  da  quella  scritU  nel  tempo 
incdeBiino  a  Simone  Ciarla  suo  sic.  Per  repotarla  autentica  bisogna  «ap- 
porre che  icrìTendo  al  conte,  Rafiaello  ennuee  aaaai  più  la  lingua  e  lo  itile. 

*  Pauavamt  voi.  II.  pag.  189,  dA  a  qaesti  larori  la  daU  del  9*  semestre 
1514.  SimibiMite  il  Monta,  op  cit,  p.  511.  Sprinfer,  op.  cit..  li  pone  prima 
della  Galatea  In  onUae  di  deaerìtione  sansa  dateminaro  la  data  pag.  8S6. 
Io  inciinorei  a  credare  che  appartengano  a  un'epoca  alquanto  postarlora; 
perù  certo  è  che  i  Profeti  furon  fatti  da  Timoteo  Viti,  il  quale  rimasa  a 
Roma  «in  al  1  maggio  1515,  e  nan  più  oltre  V.  Pasaavant  loco  eitalo. 


440  RAFFAELLO    A    ROMA    SOTTO    LEONE    X. 

anche  cosi  deturpato,  è  una  delle  più  belle  opere  sue  che  ci 
rimangono.  Qui  però  è  d'uopo  confessare  che  si  mostra  aperto 
l'influsso  di  Michelangelo  '  poiché  Raffaello  aveva  già  potuto 
veder  la  volta  della  Sistina,  e  ammirarne  la  maniera  grandiosa 
e  originale.  Esso  ne  ritrasse  alquanto  in  queste  Sibille,  e  ne  imitò 
eziandio  il  concetto  di  aggiungere  ad  ogni  Sibilla  un  angelo  che 
porta  il  testo  della  profezia,  la  quale  aggiunta  dà  alla  composi- 
zione una  varietà  ed  una  vaghezza  maggiore.  Cosi  Raffaello 
avendo  rappresentate  le  altre  Sibille  come  giovani  donne,  vez- 
zose e  nobili,  nella  Tiburtina  fece  una  vecchia  austera,  e  vera- 
mente michelangiolesca.  E  forse  egli  è  perciò  che  il  Vasari  tanto 

10  loda  e  dice:  u  che  fu  tenuta  la  miglior  opera,  e  fra  tante 
«  belle  bellissima  77  e  più  oltre  a  quest'opera  lo  fa  sfmare  gran- 
ii demente  e  vivo  e  morto  per  essere  la  più  rara  e  la  più  ce- 
ti celiente  opera  che  Raffaello  facesse  in  vita.  *  n 

Due  altre  pitture  io  colloco  di  buon  grado  in  questo  tempo, 
la  Madonna  del  Pesce  e  la  Santa  Cecilia.  La  Madonna  del  Pesce 
fu  fatta  per  commissione  del  cardinale  Riario  e  per  la  chiesa 
di  S.  Domenico  Maggiore  di  Napoli,  donde  fu  usurpata  nel 
secolo  posteriore  dal  viceré  duca  di  Medina  e  spedita  in  Ispagna. 

11  soggetto  n'è  il  seguente:  La  Vergine  seduta  sul  trono  tiene 
il  bambino  sulle  ginocchia  5  entrambi  bellissimi,  anzi  la  Madonna 
può  reputarsi  delle  più  soavi,  e  il  bambino  è  di  luce  divina 
radiante.  L'angelo  Raffaello  gli  si  fa  innanzi  e  gli  presenta  il 
piccolo  Tobia,  dalle  cui  mani  pende  il  pesce  che  ridonerà  al 
padre  la  vista,  e  da  ciò  il  quadro  prese  in  Ispagna  il  nome 
presente.  Gesù  lo  riguarda  con  dolcezza,  e  tiene  la  mano  po- 
sata sopra  un  libro  che  S.  Girolamo  sta  leggendo,  diritto  in 
piedi  presso  il  trono  col  leone  che  gii  giace  ai  piedi.  Se  la 
Madonna  e  il  bambino  rifulgono  di  tanta  vaghezza  quanto  mai 
Raffaello  seppe  dipingerne,  anche  gli  altri  tre  personaggi  del 
quadro  non  hanno  minor  pregio  di  convenienza  all'indole  e  al 
fine  loro;  nobilmente  sereno  l'angelo,  semplice  e  timido  il  To- 
biolo,  austero  il  S.  Girolamo.  Ma  perchè  furono  in  una  sola 
tavola  riuniti  questi  personaggi?  La  più  semplice  spiegazione 
è  che  il  quadro  fosse  destinato  ad  una  cappella  frequentata  da 

1  L'imitazione  di  Michelangelo  apparisce  anche  nel  profeta  Isaia,  che 
dipinse  nella  chiesa  di  S.  Agostino  e  fu  fatto  a  petizione  di  Giovanni  Go- 
ritz,  ma  è  assai  più  guasto  e  rifatto  della  Sibilla,  sicché  ormai  dell'originale 
non  v'ha  più  nulla. 

*  Vasari,  Vita  di  Raffaello,  voi.  8,  p.  46. 


RAFFAELLO    A    ROMA   SOTTO    LEONE    X.  441 

nomini  affetti  di  male  degli  occhi  che  andavano  a  invocare  la 
divina  assistenza,  onde  torna  opportuna  la  leggenda  di  Tobia  ; 
e  S.  Girolamo  vi  sarebbe  posto  per  special  divozione  del  com- 
mittente secondo  il  costume,  imperocché  i  committenti  volevano 
sempre  effigiato  nei  quadri  il  santo  loro  patrono  sia  che  egli 
avesse  o  no  attinenza  col  soggetto  principale.  Ma  non  manca- 
rono altri  i  quali  vollero  trovarvi  un'allegoria  dell'accettazione 
del  libro  di  Tobia  fra  i  libri  canonici,  alla  qual  cosa  colla  sua 
traduzione  contribuì  fortemente  S.  Girolamo,  ed  è  perciò,  dicono 
che  il  bambino  Gesìi  tien  la  mano  sul  libro  come  in  atto  di 
approvarlo;  ma  io  dubito  forte  che  Raffaello  si  ingolfasse  in 
questi  simboli.  Aveva  simboleggiato  si  negli  affreschi  della  stanza 
vaticana,  ma  in  modo  trasparente  e  piano,  e  non  era  conforme 
al  suo  genio  la  sottilità  teologica. 

La  Santa  Cecilia  gli  fu  commessa  nel  1513  dal  cardinal 
Pucci  per  Elena  Duglioli  bolognese  che  fu  poi  beata,  ed  ei  la 
concepì  allora,  ma  forse  la  fini  più  tardi  e  fu  collocata  solo  sul 
finir  del  1510.*  Ma  in  questo  venustissimo  quadro  ò  ancora  quella 
ingenuità  che  ricorda  le  prime  sue  opere,  e  il  modo  di  comporre 
e  di  aggruppare  le  figure  dei  quattrocentisti.  La  santa  protettrice 
della  musica  sta  nel  mezzo,  ed  ha  cessato  di  suonare,  perchè 
r  ha  rapita  una  musica  ben  più  soave  che  le  fanno  gli  angeli 
nel  cielo.  E  però  lasciando  cader  dalle  mani  l'organo,  volge  in  sa 
lo  sguardo  estatico,  là  dove  i  celesti  cantano  la  divina  melodia.' 
Dall'una  parte  di  S.  Cecilia  stanno  S.  Giovanni  in  vista  affettuoso, 
e  S.  Paolo  appoggiato  alla  spada;  figura  severa  e  nobile,  che 
ci  ricorda  quella  del  Masaccio  e  fu  da  Raffaello  stesso  ripetuta 
più  tardi  ;  dall'  altra  parto  S.  Agostino  meditabondo,  e  la  bolla 
Maddalena.  In  questa  Maddalena,  onestamente  composta,  la  tra- 
diziono  vuole  che  il  pittore  raffigurasse  le  fattexse  della  donna 

(la   lui   fiin.'ita. 


'  Fa  collocati!  m  un  Mltar«  della  chifsa  di  8.  Gioranni  in  Monto  a  Bo- 
logna. T>a  comico  iuUttati«aiina  o  piena  di  eleganza,  é  ancora  al  «uo  antieo 
posto.  La  tanta  Cojilia  andò  a  Parigi,  dove  trasportata  dalla  tavola  in  (««la 
ebbe  a  aiibire  g'-avi  ilaiioì  dal  reatauro.  Ora  é  nella  Pinacoteca  a  Bologna. 

*  Oli  Rtrumcnti  di  moaica  che  giaeciono  a  pie  della  Santa  furono  dipinti 
da  Giovanni  da  Udine  suo  scolaro. 

Voi..  XL,  SarU  li  -  l  Agatto  IMS  « 


442  RAFFAELLO    A    ROMA    SOTTO    LEONE    X. 

IV. 

E  qui  mi  par  tempo  di  toccare  alcun  poco  del  ritratto  della 
sua  bella  e  comindierò  dalla  storiella  che  il  Vasari  ci  ha  tra- 
mandato a  questo  proposito  ed  è  la  seguente  :  u  Facendogli  Ago- 
«  stino  Chigi  amico  suo  caro,  dipingere  nel  palazzo  suo  la  prima 
u  loggia  dov'è  Galatea,  Raffaello  non  poteva  molto  attendere  a 
u  lavorare  per  l'amor  che  portava  a  una  sua  donna:  per  il  che 
u  Agostino  si  disperava  di  sorta  che  per  via  di  altri  o  da  se  e 
«  di  mezzi  ancora,  operò  sì  che  a  pena  ottenne  che  quella  sua 
«  donna  venisse  a  stare  continuamente  in  quella  parte  dove 
u  Raffaello  lavorava:  il  che  fu  cagione  che  il  lavoro  venisse  a 
u  fine  '.  -i  Veramente  questi  amorosi  ardori  di  Raffaello,  ai  quali 
più  tardi  Vasari  attribuì  persino  la  precocità  di  sua  morte,  non 
hanno  altro  fondamento  di  verità  che  la  sua  stessa  assertiva,  e 
quella  di  Simone  Fornari  da  Reggio.  *  Ma  i  biografi  suoi  con- 
temporanei come  il  Giovio  non  ne  parlano  punto.^  E  nelle  let- 
tere scritte  lui  vivente,  o  poco  dopo  la  sua  morte  *  o  anche  po- 
steriori di  alcun  tempo,  non  se  ne  fa  cenno  veruno.  Soltanto 
nel  principio  del  secolo  successivo  Fabio  Chigi  pronipote  di 
Agostino  narrando  le  virtù  del  suo  antenato,  tradusse  in  latino 
quasi  letteralmente  le  parole  dello  storico  aretino;  "  ma  appunto 

1  Vasari,  voi.  Vili,  pag.  45. 

'  Nella  Sposizione  di  M.  Simone  Fornari  da  Reggio  sopra  l'Orlando 
Furioso,  Firenze  presso  Torrentino  1549,  al  canto  XXXIII  pag.  514  si 
legge  di  Raffaello  mentovato  dal  poeta  :  «  Il  Cardinal  Bibbiena  il  co- 
strinse a  prendere  una  sua  nipote,  ma  egli  non  volle  il  matrimonio  consu- 
mare, perciocché  aspettava  il  cappel  rosso  della  generosa  liberalità  di  Leone, 
il  quale  li  pareva  per  le  sue  fatiche  e  per  le  sue  virtù  averlo  meritato.  Ul- 
timamente per  continuar  fuor  di  modo  i  suoi  amori,  se  ne  mori  in  età  di 
37  anni,  l' istesso  di  che  nacque.  »  Che  vi  fossero  trattative  di  matrimonio 
con  questa  nipote  del  Bibbiena,  è  accertato  anche  dalla  lettera  di  Raffaello 
allo  zio  Simone  Ciarla,  ma  essa  mori  prima  di  lui.  Tutto  il  resto,  compreso 
la  speranza  di  diventar  Cardinale  ripetuta  anche  dal  Vasari,  è  voce  senza 
fondamento. 

'  Le  notizie  di  Raffaello  del  Giovio  trovansi  in  appendice  al  Tirabo- 
scHi,  Storia  letteraria:  si  trovano  anche  ristampate  nelle  Appendici  del  Pas- 
savant,  e  nelle  note  dello  Springer. 

*  Vedi  la  lettera  di  Marcantonio  Michiel  di  Ser  Vettor  ad  Antonio  di 
Marsilio  a  Venezia,  ristampata  anche  recentemente  nella  pubblicazione  ro- 
mana pel  centenario  di  Raffaello  1883. 

5  Fabio  Chigi,  che  fu  poi  Alessandro  VII  papa,  scrìsse  latinamente  es- 
sendo giovanetto  nel  1618  i  Commentari  della  sua  oasa.  La  parte  che  riaguarda 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X.  443 

per  ciò  non  si  può  dedurne  conferma  di  sorta.  Un  annotatore 
ignoto  del  testo  di  Vasari,  nella  seconda  metà  del  secolo  xvi, 
scrisse  in  margine  del  libro  u  questa  donna  si  cKiamava  Mar- 
gherita n  ma  senza  aggiungervi  nulla  di  più.  '  Finalmente  che 
fosse  figlia  di  un  fornaio,  e  perciò  detta  la  Fornarina,  è  questa 
una  leggenda  creata  verso  la  fine  del  secolo  scorso,  della  quale 
prima  non  si  scopre  alcuna  traccia. 

Pertanto  la  severa  critica  è  fondata  a  dubitar  dell'esattezza 
del  Vasari,  tanto  più  che  è  noto  come  trattandosi  di  pittori 
vissuti  fuori  di  Toscana  egli  raccolse  quanto  gli  veniva  scritto 
dagli  amici  senza  troppo  vagliarne  la  veracità,  e  purtroppo  dopo 
la  morte  di  Raffaello  è  lecito  credere  che  1*  invidia  di  qualche 
suo  emulo  spargesse  voci  maligne  sul  suo  conto.  *  Ciò  che  può 
dirsi  verosimile,  e  che  la  tradizione  ha  per  dir  cosi  confermato, 
è  che  amasse  fervorosamente,  e  facesse  della  donna  amata  uno 
o  più  ritratti.  E  qui  diventa  credìbile  testimonio  il  Vasari  perchè 
narra  cose  da  lui  stesso  vedute,  u  Raffaello,  dice  egli,  donò  le 
u  stampe  di  Marcantonio  al  Baviera  suo  garzone,  che  aveva  cura 
u  d'una  sua  donna  la  quale  Raffaello  amò  sino  alla  morte  e  di 
w  quella  fece  un  ritratto  bellissimo  che  pareva  viva  e  vera;  il 
u  quale  è  oggi  in  Firenze  presso  il  gentilissimo  Matteo  Botti, 
u  mercante  fiorentino  amico  e  familiare  d'ogni  persona  virtuosa, 
u  e  massimamente  dei  pittori;  tenuto  da  lui  come  reliquia  per 
u  l'amore  ch'egli  portò  all'arte  e  particolarmente  a  Raffaello.'  n 

Questo  ritratto  della  bella  di  Raffaello  che  Vasari  vedeva 
spesso  presso  il  suo  amico  Botti  in  Firenze,  esiste  esso  ancora? 
e  qua]  è  dei  tre  che  per  tale  s'  intitola?  Imperocchò  (sensa 
parlare  di  tante  ipotesi  vane)  tre  sono  i  ritratti  che  si  conten- 

Is  TÌta  dì  Agostino  fa  pabblicsts  ntAV Arckinio  iella  Sodata  Hcmama  di  Storia 
patria,  roì.  II,  pag.  GS,  eon  copiose  DOts  del  Cooiomi. 
<  V.  MoHTS  peg,  tSS. 

*  Sebastiano  del  Piombo  o^va  Bafieello  :  in  una  sua  lotter»  a  Miehe* 
langelo  lo  chisms  il  Primcipe  Mia  dba^nfa,  forse  alludrodo  al  codasso  di  sco- 
lari e  di  amici  che  raeeooipefnavaae,  ed  altra  volta  dice  che  farebbe  toccar 
eoa  HMno  al  eardioal  (iielio  de'  Medici  ebe  RaffMUo  mbava  al  Papa  al> 
meao  tre  ducati  al  fiorao  nel  Cu  ONtteie  oro.  (Archirio  Baonarl^)ti)  Oerri, 
Vita  di  iliekBUmgdo,  deeoeienti  11  e  12,  toI.  Il,  pag.  64  e  M  Bpp«ie  aea 
lo  accasa  ssei  dt  rka  seostunata,  e  nella  lettera  del  19  aprile  1A80^  sai  giosai 
dopo  la  morte  di  Uaffsello  acrìveado  a  Miebelanfele,  tace  delie  eegioai  aa|K 
poate  d»l  Vasari  e  dice  soltanto  :  •  Credo  cbe  avrete  saputo  eeoM  qad  povero 
di  lUffacllo  da  Urbino  é  oMrto,  di  cbe  ersdo  ebe  vi  abbi  di 
e  Dio  li  perdoni  »  Id.  ib.,  voi.  I,  pag.  132. 

*  Vababi,   Vita  di  liafaelU,  toL  Vili,  pag.  Sk 


444  RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X. 

dono  tal  vanto,  quello  della  Galleria  degli  Uffizi  in  Firenze, 
quello  di  casa  Barberini  in  Roma,  e  la  cobi  detta  Donna  velata 
del  Palazzo  ritti. 

Non  può  essere  certamente  quello  della  Galloria  degli  Uffici, 
perchè  il  quadro  si  trova  già  registrato  nell'inventario  di  casa 
Medici  del  1589,  come  opera  di  Raffaello,  mentre  nell'  inven- 
tario del  Botti  nel  1591  si  legge  che  era  tuttavia  da  esso  pos- 
seduto. '  Inoltre  qual  ragione  vi  sarebbe  di  averle  posto  in 
capo  una  corona  d'alloro?  Si  aggiunga  che  sagaci  critici  attri- 
buiscono quest'opera  a  Sebastiano  del  Piombo.  Che  se  vogliasi 
pur  tenere  di  Raffaello,  si  potrebbe  congetturare  piuttosto  essere 
il  ritratto  di  una  Beatrice  ferrarese  amata  da  Lorenzo  dei  Me- 
dici, e  che  certo  fu  da  Raffaello  dipinta;  ed  oggi  non  si  sa  se 
quel  quadro  più  esista.  * 

Il  ritratto  di  casa  Barberini  rappresenta  mezza  figura  di 
donna  seduta,  ignuda,  e  solo  coperta  di  un  legger  zendado 
trasparente  sotto  il  petto;  porta  in  testa  un  fazzoletto  avvolto 
a  guisa  di  turbante  e  nel  braccio  un  armilla  dove  sta  scritto  in 
lettere  d'oro  Raphael  Urhinas.  Un  ritratto  simile  a  questo  era 
posseduto  nel  1595  dalla  contessa  di  S.  Fiora,  ma  non  è  in  modo 
alcuno  dimostrato  che  sia  quello  del  Botti,  ne  come  venisse  in 
possesso  di  lei  nei  quattro  anni  che  scorsero  dal  1591  al  1595. 
La  figlia  di  questa  contessa  S.  Fiora  sposò  uri  Boncompagni,  e 
Fabio  Chigi  fa  del  quadro  espressa  menzione,  ^  ma  di  nuovo 
rimane  ignoto  come  passasse  in  casa  Barberini,  dove  esisteva 
già  nel  1642.  *  Veramente  alcuni  moderni  critici  pur  ricono- 
scendo questa  come  opera  di  Raffaello  e  ammirandone  la  ese- 
cuzione, si  meravigliano  che  vi  manchi  quella  dignità  e  quella 
grazia  che  paiono  quasi  a  lui  connatui'ate.   u  La  mano  di  Raf- 

1  Alfredo  di  Reumont.  Nota  sul  ritratto  della  Fomarina.  —  Archivio 
della  Società  Romana  di  Storia  Patria,  voi.  Ili,  pag.  233,  1880. 

*  Vasari,  Vita  di  Raffaello,  voi.  Vili,  pag.  44. 

*  Nel  1595,  il  vice  cancelliere  Coradusz,  scrìvendo  a  Rodolfo  II  impe- 
ratore, intorno  alle  pitture  esistenti  in  Roma,  dice  che  presso  la  contessa 
di  S,  Fiora  v'era  una  donna  nuda  ritratta  dal  vivo,  mezza  figura,  di  Raf- 
faello. —  Vedi  Memorie  di^W Archivio  di  Storia  Patria  Romana.  Nota  sopra 
citata  di  Redmont.  —  Fabio  Chigi  dice:  «  lUius  sane  meretriculae,  non  ad- 
«  modum  speciosam  tabulam  ab  ipso  effectam  vidimus  in  aedibus  ducis  Bon- 

•  compagni,  figura  iustae  magnitudinis,  revineto  sinistro  brachio  tenui  ligula, 

•  in  eaque  aureis  literis  descripto  nomine  Raphael  Urbinas.  » 

*  Nella  Nota  delti  Musei  di  Roma  del  1664  è  citata  come  Ritratto  del- 
rUmamorata  di  Raffaello.  Vedi  Reumont,  ivi. 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  3L.  445 

faello,  dice  uno  di  essi,  vi  è  ovunque  manifesta,  ma  il  pensiero 
ne  sembra  lontano,  v  '  Io  non  contraddico  che  questo  sia  un 
ritratto  dell'  innamorata  di  RaflFaello,  ma  oso  fortemente  dubitare 
che  sia  di  sua  mano.  JC  questo  dubbio  nasce  in  me  da  molte 
avvertenze:  che  l'attitudine  della  persona  non  è  punto  raffael- 
lesca, ne  il  naso  e  le  orecchie  hanno  quella  perfezione  che  si 
riscontra  in  altri  suoi  ritratti  ;  la  forma  delle  mani  e  la  positura 
loro  sono  al  tutto  diverse  dal  modo  da  lui  usitato;  la  stessa 
maniera  di  colorire,  sopratutto  guardata  nel  bianco  degli  occhi, 
non  par  sua,  ma  somiglia  a  quella  di  Giulio  Romano;  al  che 
aggiungendo  il  difetto  di  venustà  e  di  pudore,  pregi  che  non 
vennero  mai  meno  a  Raffaello,  e  la  strana  volgarità  di  avere 
scritto  nel  braccialetto  il  nome  suo  proprio,  cosa  di  cui  non  v'è 
altro  esempio  nei  ritratti  che  fece,  sarci  indotto  a  erodere  che 
sia  opera  posteriore  di  uno  scolaro  o  di  un  imitatore.  Parmì 
anzi  evidente  che  l'armilla  col  Raphael  Urbinas  sia  stata  aggiunta 
posteriormente,  e  potrebbe  addursene  ad  argomento  che  non  la- 
scia alcun  segno  né  rilievo  nella  carne  del  braccio  che  stringe. 
Resta  il  ritratto  che  ha  per  titolo  la  Donna  velata  e  che  si 
trova  nella  galleria  Pitti.  Qui  veramente  a  chi  ben  guarda  la 
man'era  di  Raffaello,  pare  evidente.  Suo  ò  il  modo  di  disegnare, 
di  colorire,  suoi  gli  occhi,  sue  le  mani.  E  sebbene  ella  sia  veatita 
signorilmente,  non  di  meno  il  tipo  è  tale  romano,  quale  ancor  si 
vede  oggi  nelle  donne  del  popolo  di  questa  città.  Potrebbe  ta- 
luno forse  trovare  fra  essa  e  il  ritratto  della  galleria  Barberini 
una  cotale  somiglianza.  Io  la  scorgo  piuttosto  colla  Maddalena 
che  è  nel  quadro  di  S.  Cecilia,  e  più  manìfostaimcnto  ancorai 
benché  sublimata  dal  8*  ì<>  divino,  nella  Madonna  di  S.Sisto. 

La  qual  somiglianza  ni'  i^cerne,  per  quanto  la  fantasia  dei 

dilettanti  si  sia  sforzata  di  ricercarvola,  confrontandola  colla 
Fomarina  di  casa  Barberini,  e  meno  ancora  confrontandola  colla 
donna  coronata  d'alloro  della  galleria  «logli  Uffizi.  Adunque  ci 
sia  lecito  il  credere  che  se  il  ritratto  dell'  innamorata  di  liaffaellu 
esiste  ancora,  esso  è  quello  della  Donna  vdataf  il  cui  tipo  nelle 

'  Gbutbb,  />  Portrait  dtla  Fomarina  par  Raphael.  Paria,  1877;  citato 
dal  Muats,  pag.  405,  il  qaaU  aoggiange:  «  Raphael  n'a  jninais  rmidu  avec 
tant  de  perfectioo  la  diìlieateaM  et  la  soaptesM  dea  chaira;  Jamaia  il  n'a 
tradait  avcc  un  «neeès  aamii  /'clataot  lea  manifeatationa  de  la  vie;  od  crott 
▼oir  circuler  le  aang,  on  croit  acntir  lea  battetneDta  da  potila;  auaai  le  por- 
trait Barl>orini  fomae-t'ìl  aans  ceaae  rótonnetnent  comme  le  deae^poir  deii 
vAriatfta  »  Ia)  SprÌDger  iiiTece,  pag.  251,  vi  tvova  parecchi  difetti. 


446  RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X. 

opere  posteriori  dell'autore  non  è  difficile  a  riconoscere;  che 
il  ritratto  di  casa  Barberini  possa  ben  essere  un  ritratto  della 
stessa  persona,  ma  non  fatto  da  Raffaello  medesimo,  bensì  dopo 
la  sua  morte,  sopra  un  disegno  lasciato  dal  maestro,  ovvero  an- 
che sul  vero,  e  forse  da  Giulio  Romano  ;  che  finalmente  la  donna 
coronata  d'alloro  alla  galleria  degli  Uffizi  probabilmente  non  sia 
di  Raffaello,  e  posto  che  il  fosse,  rappresenti  tutt' altra  persona 
che  la  sua  innamorata.  ' 

V. 

Ho  detto  che  il  tipo  della  Donna  velata  si  riscontra  nella 
Madonna  di  S.  Sisto.  Anche  essa  appartiene  a  questo  periodo 
(1515-1516),  come  pure  un'altra  insigne  opera  di  Raffaello,  lo 
Spasimo  di  Sicilia,  della  quale  Agostino  Veneziano  pubblicò  la 
stampa  nel  1517,  onde  di  necessità  il  quadro  precede  questo 
tempo.  Vasari  ne  racconta  le  vicissitudini  fortunose  :  u  Questa  ta- 
ti vola,  dic'egli,  fu  vicinissima  a  capitar  male  perciocché  secondo 
u  che  ci  dicono,  essendo  essa  messa  in  mare  per  essere  portata 
ti  a  Palermo,  una  orribile  tempesta  percosse  ad  uno  scoglio  la 
u  nave  che  la  portava,  di  maniera  che  tutta  si  aperse  e  si  per- 
u  derono  gli  uomini  e  le  mercanzie,  eccetto  questa  tavola  sola- 
ti mente,  che  cosi  incassata  com'era  fu  portata  dal  mare  in  quel 
u  di  Grenova,  dove  ripescata  e  tirata  in  terra,  fu  veduta  essere 
u  cosa  divina,  e  per  questo  messa  in  custodia,  essendosi  mantc- 
ti  nuta  illesa  e  senza  macchia  e  difetto  alcuno,  perciocché  sino 
u  alla  furia  del  vento  e  l'onde  del  mare  ebbero  rispetto  alla  bei- 
ti lezza  di  tale  opera,  della  quale  divulgandosi  poi  la  fama,  pro- 
ti cacciarono  i  monaci  di  riaverla,  e  col  favore  del  papa  essa  fu 
ti  renduta  loro,  n  *  Erano  questi  i  monaci  Olivetani,  i  quali  avo- 
vano  in  cura  la  chiesa  detta  S.  Maria  dello  Spasimo  a  Palermo. 
Ma  nel  secolo  posteriore  Filippo  IV  la  tolse  loro  e  la  volle 
nella  sua  galleria.  Quivi  rimasta  sino  a  che  le  armi  napoleoni- 
che la  trasportarono  al  Louvre,  fu  poi  ricondotta,  dopo  la  restau- 

'  Lo  Springer,  loc.  cit.,  ammira  assai  La  donna  velata,  né  dulaita  che  sia 
di  Raffaello,  anzi  dice  che  quella  immagine  doveva  essere  profondamente 
impressa  nella  sua  fantasia  :  non  gli  mancava  dunque  da  fare  che  un  sol 
passo  per  riconoscervi  la  sua  bella,  ma  il  vestiario  e  gli  ornamenti  gli  fanno 
credere  che  codesta  fosse  una  signora  appartenente  all'alta  società.  A  me 
tal  difficoltà  semhra  ben  lieve,  e  trovo  naturale  che  l'artista  dipingesse  la 
sua  bella  vestita  signorilmente. 

*  Vasabi,  voi.  Vni,  pag.  37. 


D 


RAFFAELLO    A   ROMA    >«.'iì.j    LEOME    X.  447 

razione  a  Madrid.  Rappresenta  Gesù  colla  croce  quando  salendo 
il  Calyario  incontra  le  pietose  donne;  e  fa  meraviglia  per  la 
quantità  e  la  varietà  delle  figure,  cosi  ben  disposte  e  collegate 
che  lungi  dal  far  ingombro,  anzi,  tutte  sembrano  necessarie, 
perchè  tutte  cooperano  all'azione,  e  si  veggono  distintamente. 
Gesù  caduto  in  terra  sotto  la  croce  mostra  il  dolore  fisico,  e 
insieme  la  mansuetudine  dell'animo.  Il  gruppo  delle  donne  al 
quale  egli  si  volge  esprime  la  pietà  nelle  diverse  sue  forme. 
La  madre  gittasi  innanzi  per  abbracciare  il  figliuolo ,  e  la 
soccorre  Giovanni  dei  discepoli  il  più  amoroso.  La  Maddalena 
p  ire  sorregge  la  madre,  ma  colla  faccia  intenta  al  suo  maestro  ; 
e  delle  altre  donne  questa  è  genuflessa,  quella  in  piedi  tutta 
smarrita  colle  mani  giunte.  Dall'  altra  parte  ha  aspetto  fiero 
ma  non  duro  il  Cii'eneo  che  solleva  la  croce  dalle  spalle  di 
Cristo  per  rivoltarla;  duro  ma  non  crudele  colui  che  lo  tiene 
per  la  fune;  crudelissimo  è  il  terzo  che  con  sorrioo  feroce 
cerca  di  pungere  Gesù  coli'  asta,  e  si  compiace  dei  suoi  tor- 
menti. Nel  secondo  piano  superiore  ;  dal  lato  di  codesti  mani- 
goldi è  un  vessillifero  indifferente  e  guarda  indietro  perchè  ia 
marcia  s'arresti.  Dal  lato  delle  danne  scorgonsi  a  cavallo  due 
uomini,  il  centurione  romano,  ed  un  Giudeo;  nel  volto  del 
centurione  si  legge  il  sentimento  di  chi  eseguisce  un  comando 
iniquo,  ma  senza  sua  colpa,  e  non  è  privo  di  compassione; 
nella  faccia  del  Giudeo  è  scolpita  la  perfidia  di  coloro  che 
appassionati  contro  la  santa  dottrina  e  la  innocente  vita  di 
Cristo,  ne  hanno  promosso  il  giudizio  e  voluta  la  morte.  Cosi 
nel  quadro  è  interpretata  la  storia,  e  la  condizione  del  paese 
ove  l'avvenimento  succede.  ' 

Se  questo  quadro  può  paragonarsi  ad  un  dramma,  la  Ma- 
donna di  H.  Sisto  invece  è  un  inno  alla  gloria  della  vergpne 
madre.  La  quale  poggiando  il  piede  sopra  il  globo,  circondato 
dalle  nubi,  par  che  d'improvviso  apparisca  e  presenti  all'uni- 
vèrso il  bambino  porche  lo  adori,  il  barobino  che  pur  nello  in- 
fantili fattezze  prcnunzia  il  salvator  del  mondo.  Lo  splendore 
di  queste  due  figuro  non  può  descriversi  adeguatamente  a  pa- 
role. Intorno  intorno,  qoasi  perduta  in  ombra  az/.urra,  la  gloria 
degli  angeli  le  attornia.  Ai  loro  piedi  inginocchiati  Ntanno  San 
Sisto  e  santa  Barbara,  pieno  di  maestà  il  primo,  e  di  can- 
dore la  seconda.  Nel  piano    inferiore   finalmente  due  angioletti 

>  PisTBO  OioBOAMi  Opere.  Ijo  «ftmkno  ài  8UUa  imta§Uato  4td  TotekL 


448  RAFFAELLO   A    ROMA    SOTTO    LEONE    X. 

appoggiati  ad  una  balaustrata  che  li  nasconde  sino  quaai  alle 
spalle,  volgono  gli  sguardi  al  cielo.  Con  queste  poche  figure 
l'artista  ha  conseguito  un  effetto  singolare,  avvegnaché  nell'  a- 
nimo  dello  spettatore  desti  un  sentimento  misto  di  venera- 
zione e  di  entusiasmo.  Ma  come  la  Spagna  ci  ha  rapito  lo 
Spasimo,  così  la  Germania  ha  potuto  aversi  questa  Madonna. 
I  frati  del  convento  di  S.  Sisto  a  Piacenza,  incuriosi  del  te- 
soro che  possedevano,  lo  vendettero  ad  Augusto  III  Elettore 
di  Sassonia  per  quarantamila  fiorini  e  meritarono  il  biasimo 
severo  dei  posteri  italiani. 

Prima  di  lasciare  questo  periodo  è  mestieri  che  io  dica  dei 
cartoni  fatti  per  i  panni  d'arazzo  ornativi  della  cappella  Sistina, 
che  Leone  X  fece  lavorare  in  Fiandra.  I  disegni  furono  comin- 
ciati nel  1515  e  finiti  nel  1516  '  poi  spediti  a  Bruxelles  e  i 
drappi  detti  d'arazzo  giunsero  per  la  maggior  parte  a  Roma  nel 
1519  e  furono  esposti  nella  cappella  Sistina  per  la  festa  di  santo 
Stefano  di  quel  medesimo  anno.  Sono  dieci  panni  rappresentanti 
atti  degli  apostoli,  ed  ebbero  anch'essi  vicende  varie  e  fortunose. 
Dopo  la  morte  di  Leone,  nella  penuria  di  danaro  furono  messi 
in  pegno  per  pagare  le  spese  del  conclave,  poscia  nel  sacco 
di  Roma  del  1527  manomessi  e  guasti,  parte  venduti  e  dispersi 
in  guisa  che  più  tardi  ne  furono  trovati  taluni  brani  fino  a 
Costantinopoli;  alla  fine  ritornarono  a  Roma  e  vi  rimasero 
sino  alla  venuta  dei  francesi  nel  1798.  Di  nuovo  usurpati,  ven- 
duti air  incanto,  trasportati  altrove,  alfine  per  cura  di  Pio  VII 
furono  riacquistati  e  rimessi  in  Vaticano  dove  oggi  si  ammi- 
rano. Quanto  ai  cartoni,  sette  rimasero  a  Bruxelles  dove  li  trovò 
Rubens  nel  1630,  il  quale  ne  fa  tanto  ammirato  che  a  sua  pre- 
ghiera furono  acquistati  da  Carlo  I  re  d' Inghilterra  che  li  tra- 
sportò nel  palazzo  di  Hampton-Court  *  ;  tre  andarono  perduti, 
dei  quali  uno  era  stato  rimandato  in  Italia,  e  dato  da  Raffaello 
al  cardinale  Grimani  nella  casa  del  quale  l'anonimo  del  Morelli 


'  Esìstono  due  ricevute  una  del  15  luglio  1515,  l'altra  a  saldo  del  20 
dicembre  1516.  V.  Passavant  voi.  Il,  p.  190.  Il  prezzo  dei  cartoni  fu  di  100 
ducati  l'uno.  La  spesa  di  ogni  arazzo  fu  di  1500  ducati.  L'opera  fu  eseguita 
a  Bruxelles  da  Pietro  Von.  Elst.  Sette  furono  esposti  nel  1519,  gli  altri  fu- 
rono consegnati  nel  1520.  V.  Mììntz  Ilistoire  de  la  tapisserie  italienne.  In 
Italia  si  chiamavano  arazzi  della  città  di  Arras  dove  fu  la  prima  fabbrica 
famosa,  ma  a  questo  tempo  era  già  decaduta,  e  primeggiava  invece  quella 
di  Bruxelles. 

'  Oggi  sono  al  Kensington  Museum  in  Londra, 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X.  449 

lo  vide  nel  1521.  Quanto  ai  cartoni  dei  fregi  rimasero  lungamente 
nella  fabbrica  e  furono  adoperati  poscia  anche  in  altri  lavori. 
E  sembrato  a  taluno  che  Raffaello  non  abbia  bastevolmente 
pensato  alla  natura  dei  dipinti  che  la  tappezzeria  consente  di 
imitare,  imperocché  essa  non  può  seguire  e  appuntino  ripro- 
durre la  finezza  del  disegno,  e  meglio  si  appropria  le  riqua- 
drature architettoniche,  i  lati  paesi,  le  figure  variamente  mosse, 
la  magnificenza  del  vestire,  lo  splendore  degli  ornamenti;  e 
perciò  accusano  Raffaello  di  aver  fatto  questi  disegni  come  se 
dovessero  servire  a  dipingere  freschi,  anziché  a  tessere  drappi.  ' 
Io  non  mi  sento  in  grado  di  dare  un  giudizio  sopra  di  ciò  ;  ma 
parmi  potersi  affermare  che  per  semplicità,  nobiltà,  e  grandezza 
di  componimento  i  cartoni  delle  tappezzerie  non  siano  inferiori 
ad  alcuna  delle  opere  più  eccellenti  che  Raffaello  facesse  mai. 
L'arte  a  mio  avviso  non  sali  in  altre  composizioni  a  maggiore 
altezza  e  perfezione  di  concetto,  di  espressione,  di  verità. 

Ho  detto  che  i  cartoni  rimasti  sono  sette:  il  primo   di   essi 
ippresenta  la  Pesca  miracolosa.'  Il  lago  di  Genesareth  ci  sta  di- 
nanzi stendendosi  fino  al  fondo  ove  si  perde,  e  le  sue  rive  sono 
coperte  di  selve,  di  villo,  e  frequenti  di  abitatori.  Due  barche  a 
poca  distanza  dal   lido;  nell'una  Cristo  che  benedice,  e  ai  suoi 
piedi  prostrato  in  atto  di  adorazione  e  di  gratitudine  S.  Pietro 
il  quale  avendogli  detto  poc'anzi  :  u  Maestro,  ci  siamo  affaticati 
tutta  la  notte  e  non  abbiamo  preso  nulla  n  ha  visto  ora  ad  un 
tratto  le  sue  reti  riempirsi  e  quasi  rompersi  per  soverchio  poso. 
K  ciò  ben  dimostrano  quei  pescatori  della  seconda  barca  che  a 
irran  fatica  sollevano  le  reti:  e  le  barche  stesso  che,  come  gra- 
dite, prendono  assai  più  dell'acqua  che  non  sogliano.  Termina 
il  quadro  dalla  parte  dello  spettatore  la  riva  abbellita  di  piante, 
di  fiori,  di  conchiglie,  di  uccelli  pieni  di  vivacità  e  di  vaghezza. 
Non  meno  semplice  e  bello  è  il  componimento  del  seoondo 
irtone  che  raffigura  quel  punto  nel  quale    Cristo  dopo  la  sua 
morte  npr-  '        ai  discepoli.  '  Qui  ancora  Pietro  è  inginocchiato 
li  piofli  <i  •   e    accolta  le  parole:  Pietro  mi  ami  tu?    Ed 

<"^\ì:  Signoro  tu  sai  il  tutto  e  conosci  che  ti  amo:  va  dunque, 
gli  diHKc  Orsù,  e  pasci  le  mio  pecorelle.  Chi  guarda  il  paese 
di  queiito  quadro  coi  suoi  monti,  coi  boschi,  coi  castelli,  vede  una 
•  lolle  più  belle   scene  che  si  posta  immaginare;  ohi  guarda  gli 

'  Marra,  op.  eit  psg.  28. 

•  8.  Loca,  cap.  V.  2,  7. 

*  B.  OioTAMHi,  cap.  XXI«  14,  17 


450  RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X. 

apostoli  discerné  nella  lor  faccia  e  negli  atti  quel'o  special  carat- 
tere che  dagli  evangeli  a  ciascun  di  loro  è  attribuito  diverso- 
li  terzo  componimento  è  preso  dall'istoria  degli  apostoli  '. 
Siamo  nel  tempio  di  Gerusalemme  e  alla  porta  chiamata  spe- 
ciosa e'  è  un  uomo  storpiato  dalla  nascita,  il  quale  a  Pietro  e 
Giovanni  entranti,  ha  chiesto  l'elemosina.  E  Pietro  gli  disse  :  «  Io 
non  ho  argento  né  oro,  ma  quello  che  ho  te  lo  dò;  nel  nome 
di  Cristo,  alzati  e  cammina;  e,  presolo  per  la  man  destra  lo 
alzò,  e  gli  si  consolidarono  gli  stinchi  e  le  piante  dei  piedi. 
Questo  è  il  momento  scelto  da  Raffaello.  La  dignità  di  san 
Pietro,  l'attitudine  compassionevole  di  S.  Giovanni,  l'attenzione 
e  la  meraviglia  di  tutti  gli  astanti  sono  cose  vive.  Da  una  parte 
una  donna  pur  riguardando  ciò  che  avviene  non  cessa  di  allat- 
tare il  bambino,  dall'altra  parte  una  giovine  si  affretta  portando 
sui  capo  una  cesta  con  offerte  al  tempio,  e  tiene  il  suo  fanciul- 
letto  a  fianco. 

Il  cartone  quarto  rappresenta  Anania  colpito  improvvisamente 
di  morte,  perchè  aveva  mentito  allo  Spirito  Santo  *.  Mentre 
Pietro,  ispirato  di  nobile  disdegno  gli  rimprovera  la  sua  men- 
zogna, Anania  cade  repente,  e  gli  spettatori  intorno  intorno  ten- 
gono gli  occhi  in  lui  rivolti,  e  nelle  fattezze  loro  leggi  i  senti- 
menti dai  quali  sono  commossi,  meraviglia,  dolore,  sgomento. 
Il  quinto  cartone  (stracciato  e  guasto)  effigiava  Elima  ac- 
ciecato  '.  Sopra  l'alto  seggio  sta  il  Proconsole,  e  Paolo  (rappresen- 
tato con  figura  analoga  a  quella  che  abbiamo  già  veduto  nella 
santa  Cecilia),  gli  spiega  la  parola  di  Dio.  E  poiché  il  mago 
Elima  gli  si  oppone.  Paolo  gli  risponde,  così:  o  uomo  pieno  di 
inganni,  ecco  la  mano  del  Signore  viene  sopra  di  te,  e  resterai 
cieco  senza  vedere  il  sole  per  un  tempo.  E  subitamente  (segue 
la  scrittura)  una  tenebrosa  caligine  cadde  sopra  di  lui  e  aggi- 
randosi intorno  cercava  chi  gli  desse  la  mano.  E  di  vero  non  è 
questo  un  cieco  già  di  gran  tempo  assuefatto  alla  sventura:  ma 
lo  diviene  in  quest'  ora,  e  brancola  a  caso,  e  nella  sua  faccia 
si  legge  l'inopinato  colpo  che  lo  percuote. 

Il  sesto  cartone  rappresenta  il  tempio  di  Sistra  \  Dinanzi 
all'ara  è  condotto  il  bue,  e  il  sacrificatore  sta  per  calare  la  scure 
sul  suo  capo.  Presso  all'ara  due  fanciulletti  soavissimi  uno  dei 

1  Atti  degli  Apostoli,  Gap.  Ili,  2-3. 
'  Atti  degli  Apostoli,  Gap.  V,  1-5. 
'  Atti  degli  Apostoli,  XIII,  6. 
'  Atti  degli  Apostoli,  XIV,  7-14. 


RAFFAELLO    A   ROMA   SOTTO   LEONE   X.  451 

quali  tiene  la  scatoletta  degli  incensi,  e  l'altro  suona  i  due  flauti 
impari.  Ma  la  plebe  che  si  accalca  vuole,  e  lo  mostra  con  gli 
atti,  che  non  a  Giove  si  bene  a  Paolo  si  sacrifichi  come  au- 
tore di  miracoli.  E  Paolo  dall'altra  parte  si  straccia  le  vesti  e 
grida:  non  a  noi  uomini  mortali,  ma  al  Dio  che  fece  il  cielo  e 
la  terra  è  dovuta  la  vostra  adorazione. 

Bellissimo  quasi  sopra  tutti  è  il  settimo,  quando  Paolo  con- 
dotto nell'Areopago  predica  al  popolo  e  ai  filosofi  che  l'accer- 
chiano. *  V  è  una  calma,  e  una  serenità  stupenda  in  questo 
quadro  dove  uno  solo  è  il  sentimento  di  tutti,  l'attenzione,  ep- 
pure espressa  nei  modi  più  svariati.  E  parti  d'adire  l'apostolo 
che  dice  :  Passando  io,  e  considerando  i  vostri  simulacri  ho  tro- 
vato un'ara,  sopra  la  quale  era  scritto  al  Dio  ignoto.  Quello 
dunque  che  adorate  senza  conoscerlo,  io  annunzio  a  voi.  Egli 
è  quel  Dio  nel  quale  viviamo,  e  ci  moviamo,  e  siamo.  Fra  le 
figure  di  questo  quadro  è  da  notare  quella  che  sta  a  sinistra 
subito  dietro  l'apostolo  e  porta  una  berretta  in  capo.  E  la  noto 
per  mostrare  che  Raffaello  non  isdcgnava  neppure  d'  imitare 
altrui,  imperocché  questa  figura  fu  immaginata  da  Alberto  Durerò 
nella  passione  piccola  ;  e  fu  poi  copiata  sovente  dai  veneziani  nei 
lor  quadri,  e  sopratutto  da  Bonifazio. 

Tre  altri  cartoni  sono  perduti  ma  come  in  parte  io  feci  por 
la  storia  di  Elima,  possiamo  giudicare  della  composizione  dagli 
arazzi  che  ne  rimangono  :  e  i  soggetti  sono  i  seguenti.  L' uno 
è  santo  Stefano  il  primo  martire  della  fede  cristiana  nel  mo- 
mento in  cui  è  lapidato.  Già  non  può  reggersi  ed  è  caduto 
sulle  ginocchia,  ma  volge  gli  occhi  al  cielo,  mentre  i  manigoldi 
gli  gittano  a  gara  i  sassi;  e  Paolo,  ai  cui  piedi  han  deposto  i  ve- 
stimenti del  giovinetto,  lo  guarda  senza  pietà,  egli  che  diverrà 
fra  breve  il  più  ardente  fra  i  suoi  imitatori.  '  La  conversione 
di  Paolo  V  rappresentata  nel  secondo  araszo  quando  un  lume 
dal  cielo  gli  sfolgoreggpò  di  contro,  ed  egli  caduto  da  cavallo 
udì  la  voo.c  che  lo  chiamava  a  salvazione.  '  Il  terzo  ^  S.  Paolo 
prigioniero.  E  si  vede  alla  cima  della  montagna  il  carcere,  e 
.1  pie  di  essa  per  ano  speco  aperto  an  gigante  che  la  scuote, 
onde  i  due  custodi  spaventati  fuggono,  di  che  questo  arazzo 
fu  volgarmente  denominato  il  terremoto.  E  per  la  qualità  del 
L  luogo  dove  andava  posto,  è  più  stretto  degli  altri,  e  poco  mag- 

I  AtH  degU  Apostoli,  X VII,  17   -  28. 
•  Atti  d^ffli  ApoMfoU,     VII,  57  —  W. 

'  Atti  (ir;/U  Ap-»(ni;.  L\,  3  —  6. 


452  RAFFAELLO  A  ROMA  HOTTO  LEONE  X.. 

giore  dei  pilastri.  I  quali  tramezzavano  l'uno  e  l'altro  drappo, 
ed  erano  tessuti  di  arabeschi  e  di  grottesche  a  colore.  Infine 
la  tappezzeria  aveva  un  fregio  o  zoccolo  a  chiaro  scuro,  e  questi 
zoccoli  rappresentano  due  serie  di  fatti;' gli  uni,  tratti  pur  essi 
dagli  Atti  degli  apostoli,  e  gli  altri  che  si  riferiscono  alla  vita 
di  Leone  X  ;  quando  fuggi  da  Firenze  pei*  la  sommossa  del  1494 
contro  i  Medici;  quando  era  legato  al  campo  e  si  trovò  alla  batta- 
glia di  Ravenna;  quando  venne  al  conclave;  quando  eletto  Papa 
ricevè  l'omaggio  dai  cardinali;  quando  come  Pontefice  ritornò  a 
Firenze  e  vi  fu  accolto  dal  Gonfaloniere  Ridolfi. 

Parve  a  taluno  che  questi  tre  arazzi  dei  quali  non  abbiamo  i 
cartoni  fossero  scadenti  al  paragone  degli  altri.  A  me  tal  giudizio 
sembra  erroneo,  e  nell'attitudine  di  S.  Stefano  e  dei  lapidatori 
e  nella  caduta  di  S.  Paolo  veggo  il  medesimo  genio  di  compo- 
sizione, e  quel  potente  disegno  che  dà  forme  adeguate  ad  ogni 
concetto.  Piuttosto  oserei  manifestare  un  altro  dubbio  :  in  talune 
di  queste  opere  mi  par  di  scorgere  qualche  figura  il  cui  atteg- 
giamento non  ha  più  quel  carattere  spontaneo,  e  naturale  che 
tanto  ci  attrae  nelle  sue  opere  precedenti;  si  direbbe  che  l'ar- 
tista r  ha  posta  11  coli'  intento  di  farla  ammirare  dagli  spetta- 
tori e  copiare  forse  dagli  artisti  che  verranno.  Questa  ricerca 
dell'appariscente,  del  difficile,  del  modello,  che  appena  può  dirsi 
in  Raffaello  essere  un  neo,  nei  suoi  imitatori  diventò  difetto 
gravissimo  e  specialmente  quando  all'  imitazione  di  lai  aggiun- 
sero anche  quella  di  Michelangelo.  Ed  un'  altra  osservazione 
mi  cade  nell'animo  confrontando  i  cartoni  coi  panni,  ed  ò  che 
sebbene  questi  siano  copiati  e  direi  quasi  calcati  su  quelli,  pur 
nondimeno  v'  ha  qualche  cosa  che  ti  fa  accorto  che  non  furono 
tessuti  in  Italia  ma  in  Fiandra;  perchè  non  solo  negli  alberi 
e  nelle  piante,  ma  nelle  persone  stesse  il  maestro  tessitore  v'ha 
introdotto  tal  fiata  un  non  so  che  di  peculiarmente  fiammingo, 
che  si  sente  più  che  possa  descriversi.  Pur  nondimeno  queste 
tappezzerie  formano  tutte  insieme  un  poema  mirabile,  e  ben  a 
ragione  potè  Paride  de'  Grassi  maestro  di  cerimonie  del  Papa, 
dire  che  quando  si  videro  per  la  prima  volta  esposte,  fu  univer- 
sale il  grido  nulla  esservi  di  più  bello  nel  mondo.  *  Quando  si 

'  Diario  di  Paride  de  Grassi  1519  (dal  manoscritto  esistente  nella  bi- 
blioteca comunale  di  Bologna).  <  In  die  Sancii  Stephani  jussit  Papa  appendi 
suos  pannos  de  Rassia  novos,  pulcherrimos,  pretiotos  de  quibus  tota  capella 
stupefacta  est  in  aspectu  illorum;  qui,  ut  fuit  universale  iudicium,  sunt  rea 
qua  non  est  aliquid  in  orbe  nunc  pulchrius. 


i 


RAFFAELLO  A  ROMA  SOTTO  LEONE  X.  453 

pensa  alle  cerimonie  splendidissime  di  Roma  sotto  Leone  X  cele- 
brate nella  cappella  Sistina,  la  cui  volta  era  dipinta  da  Michelan- 
gelo *  le  pareti  nella  parte  superiore  dai  migliori  artisti  del  quat- 
trocento; ^  e  sotto  di  esse  pendevano  gli  arazzi  di  Raffaello  si 
può  ben  dire  che  questa  è  gloria  dellanazioue  e  dell'umanità.^ 
Al  momento  della  narrazione  al  quale  siamo  giunti,  Raffaello 
è  al  colmo  della  grandezza.  Protetto  dal  Papa,  favorito  dai 
principi,  careggiato  dagli  amici,  adorato  dai  discepoli,  famoso 
già  per  tutta  Italia  e  fuori  mercè  le  stampe  di  Marcantonio,  a 
s'oli  33  anni  può  dirsi  la  delizia  di  Roma,  e  della  sua  età.  Da 
ogni  parte  gli  piovevano  commissioni,  e  mancandogli  il  tempo 
era  costretto  di  rifiutarle  non  solo  a  privati  ma  anche  a  signori 
potentissimi.  E  sappiamo  per  cagion  d'esempio  che  Alfonso  duca 
di  Ferrara  insistette  per  anni  ed  anni  a  mezzo  del  suo  legato 
(il  vescovo  Costabiii)  per  avere  da  Raffaello  un  quadro,  e  spesso 
montò  in  collera  degli  indugi,  e  lo  costrinse  persino  ad  accet- 
tare una  caparra  per  assicurarsi  del  lavoro;  e  nondimeno  la 
cosa  fu  si  a  lungo  protratta,  che  Riffaello  mori  senza  averlo 
neppure  cominciato.  *  Quei  lavori  medesimi  che  in  questo  ultimo 
periodo  di  sua  vita,  accettò  sìa  dal  Papa  Leone  sìa  da  altri, 
quasi  tutti  si  contentò  di  disegnarli  solo,  o  dì  farne  il  cartono, 
lasciandone  ai  suoi  scolari  la  esecuzione.  Laonde  pochissime 
sono  le  opere  che  di  sua  mano  rimangono  dal  1517  al  1520. 
Ogni  anno  si  venivano  cumulando  in  lui  gli  uffici  e  gli  incarichi, 
non  solo  rispetto  alla  pittura,  ma  eziandio  all'architettura  e 
alle  antichità  di  Roma,  sicché  a  mala  pena  s' intendo  corno 
egli  potesse  contemporaneamente  bastare  a  tante  occupazioni. 
Ma  il  diro  di  lui  come  architetto,  come  scultore,  come  anti- 
quario, il  descrivere  le  sue  opere  ultimo,  il  toccare  dei  saoi 
amici,  della  sua  morte,  del  suo  gonio,  sarà  tema  della  tersa 
parto  di  questo  lavoro.  j^^^^  MiNO.nn.. 

'  Il  giadlzio  onirerMle  ri  fti  dipinto  poi  nel  !584. 

*  Alessandro  Botttcelli,  Luca  Signorelli,  l'urugìno,  Pinturicchio  ed  nitri. 

*  ÌjA  aecooda  serie  delle  tappesserie,  che  rappresenta  tiiluni  fatti  della 
vita  di  Cristo,  non  appartiene  a  Baflhallo  ma  ai  suoi  scolari;  ol  case  sono  di 
gran  lunga  inferiori.  Forse  Raffaello  diede  il  primo  disegno  dell'  incorona- 
zione (iella  Vergine;  ma  il  disegno  ehe  gli  ò  attribuito  o  di  cui  si  vanta  la 
colleziono  di  tiigniariDgen  rappresentante  l'adoraaione  dei  Pastori,  sarebbe 
a  giudizio  di  sagace  critico  di  Baldassarre  Peruul. 

*  V.  notizie  cit.  dal  Campobi.  —  Raff^^ello  per  farsi  perdonare  l'indugio 
mandò  al  duca  Alfonso  il  cartone  deirarcangelo  UicbeU  dipinto  nel  1517 
per  Francesco  I  di  Francia. 


L'ISTRUZIONE  AGRARIA  E  LE  SCUOLE  RURALI 


IN     T  ^r  A^Tu  T  A. 


I. 

Per  quanto  si  sia  scritto  e  parlato  sulla  istruzione  agraria, 
per  quanto  il  Ministero  della  Agricoltura  e  del  Commercio 
—  entro  ai  limiti  troppo  angusti,  a  dir  vero,  del  bilancio,  — 
abbia  promosso  utilissimi  provvedimenti,  tuttavia  i  frutti  rac- 
colti non  corrisposero  fin  ora  alla  aspettazione.  Infatti  le  con- 
ferenze qua  e  là  istituite  dal  Governo  per  sbocconcellare  le  no- 
zioni più  indispensabili  d'agronomia  ai  maestri  elementari;  l'in- 
segnamento introdotto  nelle  scuole  normali,  i  Comizi  agrari  e 
le  stesse  scuole  pratiche  di  agricoltura,  rimasero  inferiori  alle 
speranze  e  al  bisogno. 

Le  cause  parzialmente  considerate  sono  molte  e  diverse,  e 
il  volere  qui  passarle  tutte  in  rassegna  è  forse  superfluo.  Non- 
dimeno voglio  menzionarne  le  principali,  cosi  come  mi  saltano 
alla  memoria,  senza  prendermi  la  briga  di  indagare  se  altri  le 
abbia  designate  agli  studiosi  dell'  economia  nazionale,  giacche 
mi  riserbo  per  ultimo  di  coordinare  poi  tutte  le  cause  parziali 
ad  una  d'ordine  generale,  d'importanza  capitalissìma,  che  è  come 
la  sorgente  prima  da  cui  scaturiscono  in  rivoli  diversi  e  mol- 
teplici tutte  o  quasi  tutte  le  altre. 

Tra  i  mezzi  proposti  e  tradotti  in  pratica  dal  Ministero,  per 
rendere  più  prospera  l'agricoltura,  dovrebbero  tornare  abbastanza 
utili  le  Conferenze  d'Agraria,  alle  quali  più  volte  vennero  in- 
vitati i  maestri  elementari  per  riportarne  attestati  di  abilitazione, 


l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali  in  ITALIA.        455 

onde  poi  travasare  nelle  teste  dei  contadini  le  nozioni  più  ac- 
concie e  più  necessarie.  Ma  quanti  maestri  elementari  vi  ac- 
corsero? quanti,  tornati  alle  loro  scuole,  le  praticarono  inse- 
gnando? Dalle  notizie  che  il  Ministero  d'Agricoltura  pubblicava 
sul  finire  del  1882,  si  rileva  che  l'insegnamento  agrario  nell'anno 
1878-79  venne  fatto  per  tutta  Italia  in  310  scuole  elementari 
maschili,  il  che  significa  che  310  maestri  si  trovarono  o  si  cre- 
dettero in  grado  d'impartirlo. 

E  che  sono  310  scuole  sopra  15  o  20,000? 

Ma  quel  che  più  importa,  quali  eflfetti  se  ne  ricavarono? 
Leggo  che  sulle  310  scuole,  18  se  ne  annoverano  nella  sola 
provincia  di  Modena.  Eppure  questo  fatto,  di  cui  avremmo  a 
rallegrarci,  passò  fra  noi  inosservato,  quasi  sconosciuto.  Non  si 
creda  che  io  voglia  mettere  in  dubbio  la  sincerità  e  l'esattezza 
delle  informazioni  trasmesse  ufficialmente  al  Ministro  :  dico  che  il 
sepolcrale  silenzio  onde  furono  qui  circondati  questi  insegnamenti 
potrebbe  essere  indizio  significante  della  loro  poca  importanza, 
sia  considerati  in  sé  stesai,  sia  per  la  qualità  di  coloro  a  cai 
furono  rivolti.  Infatti,  o  istruite  nell'agraria  i  giovanetti  della 
scuola  elementare,  e  sarà  fiato  sprecato  per  le  ragioni  che  verrÀ 
man  mano  esponendo;  o  chiamate  alle  lezioni  gli  adulti,  e  sul 
principio  spinti  dalla  novità  e  dal  desiderio  accorreranno  forse 
in  buon  numero;  ma  poi  a  poco  a  poco  diranno  addio  alla 
scuola  e  al  maestro;  giacché  la  gente  del  contado  soffre  quel 
famoso  difetto  che  si  attribuisce,  forse  temerariamente  a  San 
Tommaso,  e  cioè  non  crede  quello  che  non  tocca;  non  ha  grilli 
nò  fisime  pel  capo;  esige  le  cose  pratiche  e  piane;  e  quando 
veniva  chiamata  da  un  insegnante  elementare  alle  lesioni  di 
i/rl  oltura,  andava  dimandandosi:  O  comò  pretende  costui  di 
\ ol.  r  insegnare  a  noi,  quello  che  egli  non  ha  mai  fatto,  e  che 
noi  facciamo  da  si  gran  tempo?  Che  parolone  son  cotesto V 
Dov'è  il  podere  o  il  campiccllo  o  il  vivaio  o  la  stalla,  oro  le 
belle  parole  abbiano  una  conferma  nei  fatti?  Né  il  grossolano 
raziocinio  dei  conta<lini  è  senza  fondamento  di  ragione,  dap- 
poiché non  fu  possibile  mai  il  farsi  maestri  d'arta,  sema  ohe 
si  approfondisse  o  quella  data  arte,  o  quel  dato  mestiere;  né 
arti  e  mestieri  si  approfondiscono,  se  non  vi  si  dedicano  pa- 
recchi anni,  non  solo;  ma  se  non  si  viro  in  meszo  a  quull'aria, 
a  quel  clima,  a  quei  costumi,  a'  c^ii  bisogni  si  rivolge  e  si  ac- 
concia l'esercizio  dei  mestieri  e  delle  arti  stesso  :  fn  una  parola, 
le  teorie  di  un'arte  che  poggia  principalmente  sulla  pratica,  non 


456  l'istruzione  agraria  e  le  scdole  rurali 

approdano  a  nulla,  se  chi  si  fa  ad  apprenderle,  non  le  trasfonde 
in  sé  stesso  con  tirocinio  educativo. 

Or  chi  non  sa  quali  e  quante  attitudini  rechino  a  questo  i 
nostri  maestri  delle  scuole  rurali  in  generale?  Disposizioni  e 
abitudini  alla  vita  dei  campi,  no  davvero  ;  giacche  i  più  creb- 
bero nelle  città,  e  stettero  parecchi  anni  in  un  Convitto  Nor- 
male sospirando  il  giorno  di  uscirne,  studiando  attraverso  le 
vetrate  delle  bussole  e  delle  finestre  la  vita  delle  città  e  delle 
campagne,  senza  nemmeno  rilevarne  le  forme  superficiali  ;  — 
di  poi,  conseguito  il  diploma  e  postisi  a  caccia  di  una  scuola, 
tentarono  ogni  via  prima  di  accomodarsi  ad  una  scoluccia  di 
campagna,  retribuita  troppo  scarsamente,  amata  e  desiderata  da 
pochi  0  da  nessuno,  tollerata  dai  più,  frequentata  irregolarmente 
dai  contadinelli,  insufficiente  al  profitto  degli  allievi,  ai  bisogni 
della  popolazione  agricola,  e  a  quelli  dell'innegnante;  al  suo  pre- 
sente, al  suo  avvenire,  alla  sua  dignità  personale. 

Aggiungi  non  poco  difetto  nei  maestri  di  studi  preparatorii 
all'insegnamento,  non  dirò  dell'agronomia,  ma  delle  buone  pra- 
tiche agronomiche  ;  che  la  scuola  di  agronomia  introdotta  negli 
istituti  normali  sorvolava  spesso  le  essenzialissime  e  d'ordine 
più  generale,  aggirandosi  troppo  nel  campo  delle  teoiie,  sicché 
poteva  considerarsi  piuttosto  intesa  a  somministrare  qualche 
nuovo  elemento  di  quella  coltura  generale  che  si  richiede  nei 
maestri  elementari,  non  perchè  essi  diventino,  come  alcuno  vor- 
rebbe, piccoli  emporii  di  un'enciclopedia  mal  digerita  e  malsana, 
ma  perchè  non  accada  loro  quello  che  accadde  al  poeta  Pope 
e  a  due  suoi  sapientissimi  amici,  di  scambiare  una  spiga  di 
frumento  per  una  di  avena  o  di  segala.  Taccio  della  poca  o  ninna 
uniformità  d' indirizzo  degl'  insegnanti,  forse  non  sempre  bene 
penetrati  dello  scopo  :  del  materiale  manchevole  alle  esperienze, 
e  delle  scolaresche.  Infatti  nel  1878,  Aquila  diede  alunni  6; 
Caserta  5;  Palermo  18.  —  Nel  1879,  Forlì  16;  Urbino  16; 
Aquila  9;  Palermo  7.  —  Il  De  Sanctis  riordinò  poscia  questo 
insegnamento  e  lo  rese  obbligatorio  colle  modificazioni  30  set- 
tembre 1880  ai  Regolamenti  del  1860  e  del  1861.  Ma  basta 
osservare  i  brevissimi  cenni  che  nel  programma  didattico  ven- 
gono dedicati  a  questa  materia,  i  limiti  assai  indeterminati,  al- 
cuni incisi  troppo  eloquenti  nel  loro  laconismo,  e  le  pochissime 
ore  settimanali  prescritte  per  comprendere  che  la  povera  agro- 
nomia dimora  nelle  scuole,  come  que'  pigionali  che  sono  in  ar- 
retrato colle  quote  annuali. 


nf  ITALIA.  457 

II. 


Una  leva  potente  a  sollevare  l'agricoltura  nazionale  sareb- 
bero le  associazioni  private,  i  comizi,  le  società  agrarie,  in  quanto 
essi  meglio  assai  del  Governo,  conoscendo  appieno  lo  stato  delle 
terre  e  della  coltivazione  nelle  diverse  provincie,  i  bisogni  par- 
ticolari dell'  agricoltura  e  dell'  industria,  traggono  da  tutto  ciò 
impulso  e  vigore  a  promuovere  nei  proprii  territorii  i  necessari 
miglioramenti  agronomici;  i  comizi  sono  paragonabili  a  senti- 
nelle avanzate  che  vegliano  ai  terreni  nazionali  e  chiamano 
all'erta  e  i  possidenti,  e  i  comuni  e  le  provincie  e  il  Governo 
ogni  qualvolta  si  richiegga  l'opera  loro.  Chi  meglio  dei  comizi 
riuscirebbe  a  sradicare  le  viziose  pratiche  agrarie  che  a  guisa 
di  male  erbe  pullularono  nelle  nostre  campagne  ?  E  non  spet- 
terebbe ai  comizi  di  far  conoscere,  come  ebbe  a  dire  il  depu- 
tato Garelli  nella  tornata  del  19  gennaio  1883  alle  Camere  ed 
additare  i  sistemi  più  razionali  di  coltura,  gli  strumenti  perfe- 
zionati,  d'incoraggiare  i  miglioramenti,  di  promuovere  concorsi 
ed  esposizioni  e  di  raccogliere  e  somministrare  al  Oovemo  x  dati 
statistici  e  le  notizie  riguardanti  la  produzione  agricola  f  Questo 
è  lo  scopo  dei  comizi,  altissimo  e  utilissimo  davvero.  Ma  cia- 
scuno sa  come  vissero  e  comò  vivono  i  nostri  comizi,  o  quale 
opera  dessero  al  bene  pubblico.  Io  non  ignoro  come  in  gene- 
rale prestassero  qualche  utile  servigio,  segnatamente  per  quanto 
si  attiene  alle  nostre  193  stazioni  di  animali  bovini  riprodut- 
tori, che  in  grandissima  parte  vennero  affidate  alle  loro  cure  ; 
ma  pure  molte  di  queste  associazioni  morirono  in  culla,  altre, 
e  sono  la  maggior  parte,  tirano  innanzi  strascinandosi  a  stento 
anemiche  e  abbandonate;  pochisHime  tenuto  su  dalla  mano  yi- 
gorosa  di  qualche  Presidente  animoso,  combattono  la  cascaggine 
g'^nerale  che  minaccia  di  invcHtirlc  o  di  frollar  loro  lo  midolla. 

Vj  le  canse  di  tutto  ciò?  Le  eauso  immediate  possiamo  rias- 
Kiuncrle  in  due  principalmente  :  i  pochi  sussidi  concessi  loro 
dallo  Stato,  la  noncuranza  generale  dei  proprietari.  Infatti,  quanto 
all'aiuto  dello  Stato,  a  che  giovano  p.  e.  lo  58,000  Uro  inscritte 
nel  bilancio  del  Ministero  d'agricoltura  per  il  miglioramento 
della  razza  bovina  in  tutto  il  regno?  Questo  elemento  capita- 
lissimo  della  ottima  aratura,  e  di  tutti  gli  altri  lavori  agricoli  ; 
della  sana  nutrizione  nazionale,  dei  mercati  nostrani  e  stranieri, 
In  una  parola,  della  riccia'//»   LuMilìin,  nnn   Tinritava  davvero 

y«t«  XL,  Stf  •  li  —  1  AfMto  ISK;.  90 


458  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

sollecitudini  e  spese  maggiori  ?  Giacché,  se  come  purtroppo  dob- 
biamo riconoscere,  lo  spirito  d'associazione  rimane  fra  noi  tra 
i  ceppi  delle  viete  abitudini,  indifferente,  o  sospettoso,  tanto 
più  lo  Stato  educatore,  a  cui  spetta  di  scuotere  l'attività  dei 
privati,  più  che  di  sostituirsi  ad  essa,  dovrebbe  ridestarlo  non 
solo  colle  leggi  e  colle  circolari,  ma  più  specialmente  colle  sov- 
venzioni, coi  premi  e  colla  sapiente  sorveglianza. 

Molto  sarebbe  opportuno  ed  utile  penetrare  nelle  intime  ra- 
gioni del  perchè  in  Italia  non  si  apprezzino  ancora  i  vantaggi 
dell'associare  l' opera  e  i  capitali  ;  ma  io  non  saprei  farlo,  né 
lo  potrei  qui,  poiché  uscirei  dall'ordine  e  dalla  economia  di 
questo  studio.  Mi  basta  accennare  ad  uno  de'  gravissimi  osta- 
coli, e  forse  al  più  grave  di  tutti  (per  non  ricordare  le  enormi 
tasse  imposte  dal  Governo),  che  impedisce  la  cooperazione  in- 
telligente ed  attiva  dei  possidenti  all'intento  comune  della  pros- 
perità agronomica  industriale,  e  cioè  alla  mancanza  di  capitali 
e  di  credito,  mancanza  originata  in  gran  parte  dalle  forze  dis- 
gregate e  però  impotenti. 

u  Lo  Stato  lunge  dall'accrescere  la  tutela  amministrativa 
apra  un  vasto  campo  alle  iniziative  individuali  o  collettive  che 
sono  la  forza  di  un  libero  paese;  e  allora  tutte  le  industrie 
prospereranno,  n 

Così  dice,  e  con  ragione,  il  Galanti  nel  fascicolo  V  della 
Nuova  Antologia  del  corrente  anno.  Ma  è  pur  sempre  vero  che 
gli  agricoltori  non  riusciranno  né  ad  associarsi,  né  ad  altra  opera 
di  energica  iniziativa,  se  essi  non  avranno  fede  nella  scienza 
e  nell'arte  agronomica.  Né  acquisteranno  mai  questa  fede,  finché 
l'istruzione  non  avrà  allargato  dappertutto  le  sue  propaggini. 

Crassa  ignoranza  e  pratiche  errate  dominano  ancora  e  te- 
nacemente il  maggior  numero  dei  nostri  possidenti,  simili  in 
questo  quasi  del  tutto  alla  classe  dei  campagnuolì,  dalla  quale 
discendono  in  gran  parte,  ed  a  cui  appartengono.  E  per  toglierle 
affatto  non  solo,  ma  per  scemarle  sensibilmente,  gioverà  appunto 
l'istruzione,  e  in  particolare  maniera  la  scuola  di  agricoltura 
pratica  destinata  sopratutto  a  raccogliere  i  giovinetti  delle  fa- 
miglie campagnuole,  i  quali  nutriti  e  cresciuti  col  latte  di  una 
buona  cultura  agronomica,  dovranno  poi  fatti  adulti,  diffonderne 
gl'insegnamenti  nel  contado  e  promuoverne  le  applicazioni  nella 
coltivazione  dei  campi.  Il  commendatore  Berti  che  dirige  con 
tanta  solerzia  il  ministero  dell'agricoltura,  potè  annunciare  al  Par- 
lamento nel  gennaio  ultimo  scorso  come  solo  in  quest'anno  ve- 


IN    ITALIA.  459 

nissero  istituite  le  nuove  scuole  pratiche  di  Fabriano,  Eboli, 
Ascoli,  Brescia,  Cesena,  Portici,  Roma,  Firenze,  Bari,  S.  Ilario 
Ligure,  Imola,  Nulvi,  Rodi  e  Girgenti,  e  che  ciascuna  provin- 
cia del  Regno  godrà  di  questa  benefica  istituzione.  Ma  pure 
è  d'uopo  confessare  che  gli  eftetti  ottenuti  non  riuscirono  finqui 
pari  al  bisogno,  sia  pel  numero  degli  alunni  che  le  frequen- 
tarono, sia  pel  profitto  che  essi  ritrassero  dalla  istruzione  rice- 
vuta, e  più  particolarmente  per  l'influenza  troppo  limitata  che 
questi  istituti  diffondono  nel  ristretto  spazio  della  propria  cir- 
conferenza; giacché  a  voler  rendere  veramente  profittevole  e 
presto  l'opera  loro  occorrerebbe  che  in  ogni  circondario  fiorisse 
una  di  simili  scuole;  ma  d'onde  si  ricavano  i  professori  desti- 
nati a  condurle  ?  Le  scuole  superiori  di  agricoltura  di  Portici, 
di  Milano  e  di  Pisa  non  riescirebbero  in  breve  tempo  a  pre- 
pararne un  numero  sufficiente.  E  poi,  le  rendite  dove  si  tro- 
vano? E  le  famiglie  agricole  e  i  possidenti  fornirebbero  il 
intingente  di  alunni  necessario  per  alimentarle?  Tutte  que- 
ste riflessioni  mostrano  che  dobbiamo  procedere  sulla  via  intra- 
presa ;  ma  con  prudenza  e  con  raccoglimento  :  anzi  l'ultima  do- 
manda ci  costringe  a  riflettere  se  le  nostre  popolazioni  siano 
preparate  a  rispondere  con  pronta  ed  efficace  cooperazione  al- 
l'opera del  Governo  e  delle  provincìe.  Purtroppo  i  fatti  ci  pro- 
vano il  contrario.  E  qui  è  da  rinvenire  la  causa  principale  del 
modo  lento  ed  incerto  con  cui  per  necessita  anche  le  scaole 
agrarie  sorsero  e  si  consolidarono. 

Ed  eccomi  arrivato  al  punto  a  cui  volevo  pervenire;  ecco 
la  causa  principalissima  da  cui  scaturiscono  lo  altre  cau^e  par- 
ziali, onde  gl'insegnamenti  d'agronomia,  i  comizi,  lo  associa- 
/.ioni,  le  scuole  pratiche  fecero  prova  assai  manchevole,  voglio 
dire  la  poca  o  niuna  preparazione  dei  possidenti,  e  itpccio  delle 
<  lassi  agricole  a  comprendere  l'importanza,  i  bisogni,  i  necei- 
iiiiTi  ardimenti,  gli  utili  sag^fici,  i  futuri  e  non  lontani  vantaggi 
della  aisociar.iooe  nel  capitale  e  nel  lavoro,  dello  nuove  e  più 
illuminate  pratiche  nollu  coltivazione  dei  poderi.  Ma  questo  grave 
difetto  trovò  sin  ora  alimento  nella  educazione  dei  campagnuoli 
che  è  troppo  inferiore  alla  risorta  vita  nazionale,  nis  possiamo 
operare  di  vedere  fra  pochi  anni  mutate  le  clas^ii  agricole;  poi* 
che  l'ignavia,  la  diffidenza,  l'ostinazione  e  tutti  i  pregiudizi  che 
Hono  figli  legittimi  dell'ignoranza,  non  danno  indietro  che  len- 
t  imcntc  dinanzi  all'opera  continua  instancabile  del  tempo  e  della 
civiltà.  Le  abitudini  già  contratte  sono  opinioni  che  si  Tennero 


460  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

consolidando  nel  cammino  dei  secoli;  nel  succedersi  delle  ge- 
nerazioni ;  e  però  le  nuove  idee,  i  nuovi  studi  che  si  vengono 
propagando  per  opera  degli  uomini  più  sapienti  e  più  audaci 
non  arrivano  a  combatterle  e  a  distruggerle,  finché  non  si  siano 
tramutate  in  convinzioni  generali,  concordi  ed  operose. 

Questo  grande  bisogno  nazionale  non  isfuggi  alla  vista  acuta 
del  Ministro  Berti,  il  quale  nella  seduta  succitata  parlando  dei 
modi  spesso  contradditori,  coi  quali  taluni  pensavano  di  ordinare 
la  scuola  agraria,  diceva:  «  Quando  anche  avessimo  educato  40 
0  50  contadini  che  non  hanno  una  coltura  precedente)  non  avremmo 
efficacemente  migliorato  il  paese,  ne  perfezionata  l'agricoltura.  Ci 
vuole  pure  un  po'  di  coltura  generale.  —  Queste  quistioni  si  pre- 
sentano molto  complesse  e  difficili,  n 

E  indubitato  :  manca  la  coltura  generale  preparatoria,  ed  io 
aggiungo,  la  preparazione  della  mente  e  del  costume  nelle  po- 
polazioni agricole,  e  in  parte  anche  nei  possidenti  ;  in  una  parola 
manca  l'educazione.  Ma  poiché  la  buona  coltura  dell'  ingegno  è 
un  fondamento  essenziale  della  educazione  stessa,  e  poiché  le 
scuole  pubbliche  popolari  sono  destinate  a  porgere  gli  elementi 
di  tale  coltura,  noi  possiamo  asserire,  senza  tema  di  errore,  che 
la  scuola  pratica  di  agricoltura  e  qualunque  altro  provvedimento 
allo  stesso  scopo  non  daranno  i  frutti  desiderati,  finché  sussi- 
steranno le  scuole  elementari  rurali,  come  sono  presentemente 
ordinate. 

IH. 

L' insufficienza  delle  scuole  rurali  é  una  conseguenza  del  loro 
difettivo  ordinamento.  I  fanciulli  vi  entrano  di  6  o  7  anni  senza 
alcuna  preparazione  mentale,  avviluppati  ancora  nella  rete  tenace 
dei  muscoli  esuberanti,  sopraffatti  dai  bisogni  della  vita  animale, 
a  cui  la  rozzezza  delle  famiglie  li  abbandona  5  e  stanno  lì  grulli, 
intonsi,  quasi  storditi  senza  intendere  una  parola  del  signor 
maestro,  senza  saper  piegare  la  mente  alle  riflessioni  più  ele- 
mentari, al  giudizio  più  semplice.  Prima  adunqiie  di  metter  loro 
la  penna  in  mano  e  di  condurli  a  scrivere  e  a  leggere,  occor- 
rerebbe un  anno  di  esercizi  intuitivi  sopra  cose  concrete  per 
schiarirne  alquanto  la  torbida  intelligenza  e  condurli  dilettevol- 
mente ad  acquistare  qualche  abitudine  di  osservazione.  Se  l'asilo 
infantile  didatticamente  bene  organizzato  é  necessario  in  città 
come  il  primo  gradino  per  cui  si  accede  alla  scuola  elementare. 


IN    ITALIA.  461 

o  come  non  dovrebbe  essere  necessario  in  campagna,  ove  i 
bambini  raostransi  tanto  più  naturalmente  restii  all'  opera  edu- 
cativa ?  Ma  no  signori  ;  i  legislatori  affidarono  alle  scuole  rurali 
anche  questo  primo  dirozzamento.  Il  che  anderebbe  anzi  a  ca- 
pello, quando  la  scuola  fosse  disposta  per  bene,  con  due  o  tre 
maestri,  e  per  un  tempo  di  studio  obbligatorio  assai  maggiore; 
ma  cosi  com'  è  presentemente,  tale  sconcio  riesce  gravissimo. 
Infatti  la  legge  15  luglio  1877  non  prescrive  forse  ai  genitori 
di  mandare  i  figliuoli  a  scuola  fino  a  tutto  il  nono  anno  di  età? 
E  supponendo  che  i  fanciulli  si  presentino  tutti  al  sesto  anno 
(il  che  non  accade  sempre),  che  cosa  potranno  imparare  in  tre 
anni  d' insegnamento  ?  E  bisogna  anche  ricordare  che  le  nostre 
scuole  rurali  debbon  ricevere  gli  scolari  fino  ai  dodici  anni, 
raccogliendo  in  se  stesse  le  due  prime  classi  elementari;  cioè 
la  prima  ripartita  nella  sezione  inferiore  e  nella  superiore,  e  la 
seconda  classe  ;  —  cosicché  un  solo  maestro  deve  fare  contempo- 
raneamente quello  che  in  città  fanno  tre  maestri  in  camere  se- 
parate e  con  sezioni  o  classi  separate.  E  molto  spesso  in  città  pre- 
cede alla  sezione  inferiore  della  prima  classe  una  cosi  detta  Pre- 
paratoria, ove  i  fanciulletti  ricevono  la  prima  idea  sensibile  delle 
cose;  e  nelle  campagne  per  le  ragioni  sopra  dette,  la  seziono 
inferiore  rimane  poi  sempre  ripartita  in  due  :  in  una  inferiore 
propriamente  detta,  contenente  i  fanciulli  che  tennero  dietro  al 
maestro  nei  primi  esercizii  della  sillabazione  e  della  scrittura,  e 
in  una  preparatoria,  ove  si  affastella  tutta  la  turba  di  que'  pic- 
cini che  non  riuscirono  a  seguire  i  compagni,  e  che  ivi  aspet- 
tano, come  nel  Limbo,  la  grazia  di  penetrare  in  avvenire  entro 
la  prima  classe  inferiore.  —  Non  tre  sezioni  adunque,  ma  quattro, 
fli  voi^lia  o  non  si  voglia;  quattro  scuoio  ad  un  tempo  e  con  un 
maestro  solol  E  che  si  lia  poi  a  dire  delle  scuole  rurali  dette 
impropriamente  miste,  ove  una  sola  maestra  tiene  in  ore  diverse 
maschi  e  femmine,  ossia  olio  sestoni  por  lo  meno,  addossandosi 
così  sulle  spalle  l'opera  di  otto  maettrif 

Chi  non  è  addentro,  fortunatamente  per  lui,  alle  nostre  scuole 
elementari,  dubiterà  che  io  vo;;Iia  prendere  a  gabbo  gì'  inesperti 
o  gl'ingenui;  ma  chiunque  altro  non  ignaro,  mi  farà  ragiono. 
Infatti,  e  discendo  a  queste  minazio  per  convincere  gl'increduli, 
alle  quattro  sezioni  della  scolaresca  maschile  aggiungiamo  le  altre 
quattro  della  femminile,  ed  eccone  otto.  E  poiché  in  città  ci 
vorrebbero  quattro  maestri  per  le  prime  e  quattro  maestro  por  lo 
seconde,  la  maestra  della    scuola  mista   incorpora  in  so  stessa 


462  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

gli  uffici  di  otto  insegnanti.  0  come  può  una  maestra  durare  a 
tanta  fatica?  quale  stipendio  mai  varrà  a  compensarla?  Quanto 
alla  fatica,  ecco  qua:  La  legge  scolastica  e  i  municipi  trovano 
una  strada  piana  e  comoda  per  scemarla;  l'orario  consueto  della 
scuola  unica  rurale  è  di  cinque  ore  al  giorno  :  la  maestra  della 
scuola  mista  non  ne  abbia  di  più;  ma  faccia  in  questo  cinque 
un  taglio  sapiente  :  due  ore  e  mezza  alla  scolaresca  maschile,  e 
due  ore  e  mezza  alla  femminile.  Il  che  vuol  dire  in  sostanza 
metà  del  tempo  in  tutto  l'anno  per  la  istruzione  dei  maschi  e- 
delle  femmine;  e  però  metà  del  programma  d'insegnamento  e 
metà  del  profitto  ;  quando  si  ottenga  tutto  quello  che  si  avrebbe 
ad  ottenere.  —  Quanto  allo  stipendio,  oh  le  donne  sono  natural- 
mente così  modeste,  cosi  sobrie  nel  cibo,  nel  vestiario,  nella 
abitazione,  in  tutti  i  bisogni  della  vita,  che  i  municipi  a  ter- 
mini dell'art.  341  della  legge  13  novembre  1859,  potranno  tor 
via  una  terza  parte  sulle  600  lire  circa,  onde  per  lo  più  ven- 
gono retribuiti  splendidamente  i  signori  maestri  ;  talché  la  mag- 
gior parte  delle  nostre  educatrici  in  campagna  (e  dico  apposta 
educatrici  per  mettere  a  confronto  l'importanza  dell'ufficio  col 
modo  di  riconoscerlo  e  di  retribuirlo)  non  godono  di  stipendia 
più  di  400  lire;  ma  non  poche  di  quelle  che  danno  l'opera  di 
otto  maestri  debbono  contentarsi  di  366  lire  e  66  centesimi  ; 
ultimo  limite  a  cui  certi  comuni  si  lasciano  sdrucciolare,  sotto 
la  salvaguardia  delle  leggi!! 

IV. 

Ma  tornando  alla  scuola  rurale  così  detta  unica,  nuovamente 
mi  fo  a  domandare:  Che  cosa  vi  potranno  apprendere  i  fanciulli 
in  tre  anni  d' insegnamento,  e  cogli  impedimenti  lamentati  ?  Ap- 
pena a  scrivere  e  a  leggicchiare,  senza  capire  nulla  di  nulla.  E. 
dico  a  scrivere  e  a  leggicchiare  alla  meglio,  quando  vadano  a 
scuola  costantemente.  Ora  chi  non  sa  che  i  contadinelli  frequen- 
tano le  lezioni  colla  massima  irregolarità?  Al  che  in  parte  con- 
tribuiscono i  lavori  dei  campi,  e  i  piccoli,  eppure  necessari  servizi 
che  essi  rendono  ai  genitori  nella  economia  rurale,  le  case  sparse 
e  lontane  talvolta  dalla  residenza  scolastica,  le  strade  disagiate 
nella  cattiva  stagione.  Ma  più  ancora  vi  contribuiscono  le  cause 
che  sto  per  dire,  fra  le  quali  la  poca  o  ninna  disposizione  delle 
famiglie  ad  approfittare  della  istruzione:  grave  malanno  a  cui 
tentò  apportare  un  rimedio    salutare  la  legge    sulla    istruzione 


IN   ITALIA.  463 

obbligatoria;    quella    povera   legge   che    vide   sorgersi    incontro 
avversari  potenti,  accuse  e  condanne  d'ogni  sorta. 

Tutti  quelli  che  sono  di  facile  contentatura  e  che  stando  in 
panciolle  alla  finestra  colle  mani  in  mano  a  vedere  il  cammino 
delle  faccende  umane,  vanno  esclamando:  Lasciate  fare  alla  ci- 
viltà; lasciate  tempo  al  tempo;  l'esempio  di  chi  va  a  scuola, 
migliorando  se  stesso  intellettualmente  ed  economicamente,  si 
trascinerà  dietro  a  poco  a  poco  anche  i  meno  disposti:  Vohblìgo 
dichiarato  dalla  legge  è  un  nome  vano  senza  soggetto,  quando 
la  mala  voglia  e  l'impotenza  si  pongono  fra  la  legge  e  gli 
amministrati.  —  Le  parole  di  questi  pacifici  cittadini,  di  questi 
filosofi  speculativi  non  sono  senza  ragione.  Ma  la  natura  e  la 
storia  protestano  contro  chiunque  volesse  accettare  in  senso  as- 
soluto questa  comoda  teoria.  Certo,  esistono  ostacoli  d'  ordine 
materiale  e  morale;  ma  potete  voi  negarmi  l'indolenza  di  mol- 
tissime famiglie,  la  noncuranza  (e  talora  si  dovrebbe  dire  anche 
peggio)  di  moltissimi  municipi?  No  certamente. 

Or  dunque,  uno  stimolo  prudente  ed  energico  deve  discen- 
dere dalle  classi  più  civili  alle  più  rozze;  dallo  stato  che  mira 
dall'alto  la  vita  delle  minori  circoscrizioni  e  i  bisogni  di  eia- 
scuna,  e  intende  ad  eccitarne  la  maggiore  attività,  pur  rispet- 
tandone l'autonomia.  La  stessa  Inghilterra  ove  più  che  in  altri 
paesi  le  forze  individuali  si  univano  liberamente  in  opere  col- 
lettive a  beneficio  della  educazione  pubblica,  dava  inizio  colla 
legge  del  1870  presentata  alla  camera  dei  comuni  dal  signor 
Foster  all'intervento  più  diretto  dello  Stato  nella  istruzione  po- 
polare, proclamandola  obbligatoria  per  tutti  e  laica  nelle  scuole 
da  esso  fondate:  e  profondendo  milioni  in  loro  favore;  inter- 
vento che  poi  rese  più  completo  e  più  aperto  collo  legg^  del 
1876  e  1878. 

Informandosi  a  simili  concetti  sarebbe  arrivata  opportuna 
la  legge  15  luglio  1877,  condotta  in  porto  dal  Ceppino  in  messo 
a  difficoltà  d'ogni  specie,  quando  avesse  mirato  giusto  e  reciso 
al  suo  fine,  avralorandosi  di  tutti  i  sussidi  più  utili  a  raggiun- 
gerò r  intento.  Ma  promulgata  la  leggo,  e  levatosene  un  po'  di 
rumore,  non  andò  guari  che  rimase  quasi  dappertutto  sensa  ef- 
fetto, tanto  per  parte  di  chi  doveva  ubbidirvi,  quanto  per  chi 
vi  ubbidiva. 

£  perchè?  Istruzione  sufficiente  non  acquistarono  quelli  che 
andarono  a  scuola  fino  al  nono  anno,  per  lo  cose  sopra  esposte; 
non  ru>  npfjiuHtarono  punto  gli    ni»»-!  '•'"•  ne  stettero  lontani.  E 


464  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

questi  furono  la  maggior  parte.  Parlo  delle  campagne;  quanto 
alle  città,  non  abbisognava  ad  esse  in  generale  l'obbligo  della 
legge.  Sono  le  campagne  il  terreno  più  tenace  e  più  incolto  : 
vengono  di  là  quasi  tutti  que'  48,88  analfabeti  su  cento  coscritti 
che  l'Italia  negli  annali  di  statistica  offre  al  giudizio  del  mondo 
civile,  tenendo  il  13™"  posto  fra  i  14  stati  d'  Europa  messi  a 
raffronto*,  vengono  principalmente  di  là  quei  60  analfabeti  in 
media  su  cento  abitanti  pei  18  capo-luoghi,  di  cui  l'onorevole 
Martini  teneva  degnamente  parola  nella  relazione  alle  camere 
sul  bilancio  della  istruzione  pubblica.  Ed  è  cosa  da  spaventarcene, 
ove  queste  cifre  non  si  vogliano  ritenere  premature,  essendo  oggi 
prematura  una  ricerca  esatta  sulle  conseguenze  della  istruzione 
obbligatoria.  O  perchè  dunque  in  molti  casi  non  si  va  a  scuola? 
Perchè  l'obbligo  è  nella  legge,  ma  non  lo  si  eseguisce.  Moltissimi 
contadini  anche  agiati  preferiscono  tenersi  i  fanciulli  a  casa. 
Sentirono  parlare  nel  1878  d'obbligo,  di  ammonizioni,  di  multe, 
e  la  maggior  parte,  per  timore  di  dover  pagare,  si  affrettarono 
a  ubbidire.  Infatti  nel  1878  in  quasi  tutte  quelle  scuole  rurali, 
ove  risonò  per  la  voce  del  maestro  o  dell'ispettore  scolastico 
il  comando  e  la  minaccia  della  legge  nuova,  si  vide  aumentato 
il  numero  degli  alunni  ;  esempio  la  provincia  di  Modena.  —  Ma 
poi  a  poco  a  poco  i  nuovi  arrivati  si  dispersero  ;  anzi,  in  ge- 
nerale, scemò  anche  la  frequenza  antica,  giacché  non  pochi 
genitori  che  mandavano  a  scuola  i  giovinetti  fino  al  dodicesimo 
anno  di  età,  credendosi  obbligati  fino  a  quel  termine,  li  tolsero 
via  prima,  quando  seppero  che  la  nuova  legge  si  contentava  di 
averli  fino  ai  9.  In  generale  l' indifferenza  dei  possidenti  e  degli 
afiittaiuoli  concorre  deplorevolmente  a  mantenere  l' ignoranza 
dei  contadini.  Non  si  ha  un  concetto  giusto  sulla  importanza 
della  scuola  in  campagna,  e  tutti  noi  abbiamo  sentito  più  volte 
uomini  istruiti  e  non  senza  amore  di  patria,  dire  tra  la  beffa 
e  lo  scherzo:  Qualunque  scoluccia  va  bene  pei  contadini!  — 
Oppure:  quello  là  è  un  maestrucolo  asciutto  di  dottrina;  ma 
come  maestro  di  campagna,  è  anche  troppo  buono.  —  E  la 
stessa  opinione,  o  almeno  la  stessa  indifferenza  regna  nelle  rap- 
presentanze di  comuni  assai  ragguardevoli.  I  maestri  per  esempio 
giudicati  inetti  o  quasi  ad  insegnare  nelle  scuole  di  città  si 
tramutano  in  quelle  di  campagna;  gli  arredi  caduti  in  disuso, 
le  suppellettili  meno  buone,  alle  scuole  rurali;  ai  maestri  cosi 
detti  urbani  si  assegna  talvolta  uno  stipendio  superiore  al  mi- 
nimo legale  e  un  aumento    quinquennale   progressivo:  a  quelli 


IN    ITALIA.  465 

di  campagna  lo  stipendio  strettamente  legale,  nessun  aumento 
progressivo  \  tutt'  al  più  l'abitazione  gratuita.  E  perchè  questa 
diversità  di  retribuzioni  e  di  ricompense?  Non  deriva  essa  dalla 
poca  stima  che  si  fa  generalmente  della  educazione  rurale? 

Moltissimi  comuni  poi  non  solo  si  mostrano  indiflferenti,  ma 
sordidi,  ricalcitranti  alla  legge,  e  talvolta  solamente  disposti  a 
fare  la  volontà  propria,  in  odio  alle  leggi,  alle  scuole,  ai  mae- 
stri, e  agli  ispettori  governativi.  Se  non  temessi  di  suscitare 
scandali,  citerei  nomi  di  persone  e  di  luoghi.  In  questa  stessa 
provincia  di  Modena,  che  non  è  certo  da  annoverarsi  tra  le  più 
incolte,  il  sindaco  di  un  comune  montano  volendo  ad  ogni  costo 
eleggere  una  maestra  sen^a  patente  ricorreva  a  raggiri  d'ogni 
sorta,  ingannando  perfino  il  consiglio  comunale.  E  se  non  riusci 
neir  intento,  lo  si  dovette  all'opera  del  consiglio  scolastico  pro- 
vinciale. In  altro  posto  una  maestra  inviata  d'ufficio  dal  consi- 
glio stesso,  fu  costretta  a  patire  ogni  stento  per  alcuni  mesi, 
giacche  il  comune  si  rifiutò  di  pagare  lo  stipendio,  tanto  che 
essa  si  ritrasse  volontariamente.  Ha  non  pervenne  ad  essere 
pagata  del  servizio  prestato,  che  dopo  due  anni  e  più;  durante 
il  qual  tempo  la  interminabile  burocrazia  sciupava  chilogrammi 
di  carta  e  d'inchiostro  per  condurre  secondo  le  vie  legali  il 
ribelle  municipio  all'osservanaut  del  suo  dovere  ! 

Altrove,  per  consenso  del  comune,  i  fanciulli  erano  obbligali 
a  portare  alla  scuola  un  contributo  di  legna  pel  riscaldamento, 
mentre  il  comune  stesso  pagava  100  e  più  lire  alla  chiesa  par- 
rocchiale nel  giorno  della  santa  processione.  '  Che  dire  poi  dei 
locali,  delle  suppellettili  scolaBtichc  ?  Duo  anni  fa  un  grosso 
«omuno  di  pianura  teneva  la  scuola  maschile  in  una  cameruccia 
terrena  umida,  mal  sana,  senta  aria,  senza  luce,  attigua  ad  un 
altra  stanzaccia,  ove  si  depositavano  i  cadaveri  dei  defunti  in- 
chiodati nelle  rispettive  casse,  fin  che  poi  venivano  dai  pietosi 
confratelli  in  camiciotto  trasportati  al  cimitero.  —  Anche  a  questi 
giorni  in  un  paese  relativamente  agiato  non  lontano  da  una 
città  popolosa,  si  raccoglievano  65  fanciullo  entro  una  cameretta 
capace  di  contenerne  appena  venti  ;  e  non  piccola  parto  di  esse 
sedevano  o  per  terra,  o  sopra  sgabellucci  in  positure  cosi  di- 
sagiate che  era  una  pietà  a  vederle. 

Né  il  regio  prefetto,  né  il  regio  provveditore,  nò  il  consiglio 

'  Questa  comma  era  nel  bilancio  comunale  compresa  io  una  maficRÌor 
somma  lotto  il  titolo  oomplesairo  :  Bettauri  alta  chit$a  parroechiaU. 


466  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

Bcolastico  provinciale  stanno  colle  mani  in  mano,  e  a  poco  a 
poco  scomparvero  o  diminuirono  grandemente  tali  sconcezze.  Ma 
il  più  desiderabile  sarebbe  di  far  penetrare  entro  quegli  orga- 
nismi viziati  dalle  cattive  abitudini  un  soffio  salutare  di  vita 
nuova;  un  alito  di  quel  sentimento  che  spinge  in  ultimo  anche 
i  più  ritrosi  a  cercare  spontaneamente  il  pubblico  vantaggio, 
l'umanità  e  la  giustizia.  —  Se  non  che,  abbisogneranno  esempi 
e  stimoli  non  pochi  prima  di  toccare  questa  metà.  Ora,  ove 
regna  tanta  inerzia  e  tanta  avversione,  l'obbligo  scolastico  non 
è  certo  pianta  immatura  e  disutile.  Ma  possiamo  noi  prometterci 
l'osservanza  della  moltitudine,  quando  non  sia  avvisato  ai  modi 
più  atti  ad  ottenerla? 

E  imposto  ai  comuni  la  compilazione  del  censimento  dei  fan- 
ciulli obbligati  ogni  anno  al  riaprirsi  delle  scuole  ;  quanti  co- 
muni lo  preparano  in  tempo?  an^i  quanti  riescono  a  compilarlo? 
E  quanti  di  quelli  che  lo  preparano,  lo  compiono  con  esattezza, 
con  diligenza?  Quali  impiegati  speciali  destinano  i  municipi  alle 
faccende  amministrative  della  istruzione?  Come  sono  ordinati 
in  generale  gli  uffici  dello  stato  civile?  Non  è  forse  noto  ormai 
anche  alle  fruttivendolo  che  in  molti  siti  l'elenco  degli  alunni 
obbligati  viene  improvvisato  in  pochi  giorni  da  un  impiegato 
di  facile  immaginazione  e  di  mano  lesta,  che  manipola  le  cifre 
colla  sapienza  di  un  pasticciere  ?  Ma  questo  poco  importa  :  basta 
che  il  municipio  possa  dire  al  consiglio  scolastico  provinciale: 
Ecco  l'elenco  degli  obbligati.  —  Del  resto  nessuno  si  prende 
pensiero  di  questo  povero  elenco:  nessuno  lo  conosce,  nessuno 
lo  esamina  e  lo  studia.  I  maestri  manderanno,  sì,  puntualmente 
al  comune  i  nomi  di  que'fanciulli  che  fecero  più  di  7  od  8,  as- 
senze mensuali;  e  per  istigare  le  famiglie  parleranno  in  prin- 
cipio di  ammonizioni,  di  multe  ecc.  Ma  queste  ammonizioni, 
queste  multe  vengono  applicate  dai  sindaci  in  generale?  Nem- 
meno per  sogno.  Talché  i  contadini  finiscono  col  prendere  in 
canzonatura  i  lamenti  e  le  minaccio  del  signor  maestro,  e  quando 
sentono  a  parlare  d' istruzione  obbligatoria,  rispondono  :  I  figli 
sono  nostri,  e  nessuno  può  obbligarli  a  fare,  quello  che  non 
piace  a  noi. 

Cosi  pure  l'esperimento  finale  per  essere  prosciolti  dall'ob- 
bligo,  le  scuole  complementari  serali  e  festive,  ove  i  giovanetti 
dovrebbero  rassodare  le  cognizioncelle  acquistate,  ove  andarono? 
La  legge  ne  discorre,  ma  senza  dire  aperto  :  queste  scuole  com- 
plementari ci  saranno.  —  No,  no  5  gli  alunni  dovranno  frequen- 


IN   ITALU.  467 

tare  le  scuole  complementari  in  que'  com,uni,  ove  queste  saranno 
istituite.  Cosi  l'articolo  7**  della  legge;  cosi  il  regolamento;  onde 
poi  i  comuni  zitti  e  cheti  se  la  sgabellarono  col  non  far  nulla. 
E  mille  mille  altre  dimenticanze,  mille  altri  sconci.  Or  perchè 
tutto  ciò?  Perchè  lo  stato  creò  la  legge,  ma  non  avvisò  al  mezzo 
di  intromettere  a  tempo  il  proprio  intervento  costante  ed  ener- 
gico per  vederla  eseguita;  ebbe  lo  stato  la  mente,  ma  non  le 
braccia.  Infatti  potevano  riuscire  un  braccio  vigoroso  del  go- 
verno i  delegati  scolastici?  Poveri  delegati!  li  ritrtisse  bene 
colla  sua  solita  arguzia  il  Martini  nella  gazzetta  della  domenica, 
personificandoli,  senza  offendere,  s'intende,  le  poche  onorevoli 
eccezioni,  nel  delegato  Bile  e  nel  delegato  Giulebbe;  due  clas- 
sificazioni, una  delle  quali  comprende  il  buon  volere  e  l'igno- 
ranza, e  l'altra  la  coltura  superficiale  e  la  vanitosa  indolenza. 
Orbene:  tutto  si  domanda  a  costoro:  tutta  la  sorveglianza  da 
esercitarsi  snll'  esecuzione  della  legge  è  addossata  sulle  loro 
spalle.  C'è  bisogno  di  stimolare  il  comune  ad  istituire  la  scuola 
serale?  Il  delegato  deve  prendersi  questa  briga,  di  concerto  col 
consiglio  scolastico.  —  Si  apre  l'esperimento  finale  pei  giovani 
che  vogliono  essere  prosciolti  dall'obbligo?  Il  delegato  lo  pre- 
siede. —  Si  hanno  ad  eleggere  gl'insegnanti  per  le  scuole  au- 
tunnali? Il  delegato  deve  intromettersene  per  approvarli  o  no. 
A  questi  insegnanti  tocca  qualche  sussidio  in  ragione  del  nu- 
mero e  del  profitto?  Le  proposte  spettano  al  delegato.  Ci  ap- 
prossimiamo al  tempo  prescritto  ai  comuni  per  compilare  il 
censimento  dei  fanciulli  obbligati?  Il  delegato  scolastico  no 
prende  notizia  esatta  e  ne  informa  il  consiglio.  Si  hanno  ad 
istituire  e  conservare  nelle  scuole  priyate  i  registri  dei  fanciulli 
che  vi  ricevono  la  prima  istrusione?  Il  delegato  vi  appone  la 
propria  rispettabile  firma,  ponendo  mente  (scusate  se  ò  poco!) 
alle  assenze  di  ciascun  alunno.  L'elenco  dei  fanciulli  mancanti 
senza  giustificazione  alcuna  alla  scuola  deve  essere  fatto  di  ra- 
gione pubblica  nel  dicembre?  Una  copia  di  questo  elenco  fu 
trasmessa,  come  ruole  la  ì^ggtf  alla  podestà  scolastica  provin- 
ciale? Il  delegato  va,  prende  cognizione  di  tutto,  scrive,  se  oc- 
corre, e  riscrive.  Si  hanno  ad  inflìggere  lo  ammende  ai  genitori 
negligenti?  Il  delegato  scolastico  introduco  negli  uffici  comunali 
il  suo  occhio  di  lince;  se  abbisogna,  dà  una  risciacquatina  di 
capo  ni  Hignor  sindaco,  e  se  la  risciacquatina  non  giova,  so  no 
richiama  presso  l'autorità  scolastica  provinciale.  Lo  awsenze  degli 
alunni  vennero  registrate  dai  signori   maestri?  Furono  essi  dili- 


468  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

genti  nel  darne  avviso  al  genitore  e  nel  richiedere  le  giustifi- 
cazioni? Fuori  di  nuovo  noterelle,  quaderni  e  registri.  Ecco  il 
delegato  che  spoglia,  decifra,  esamina,  confronta.  Infine  si  pre- 
sentano fanciulli  che  prima  di  nove  anni  chiedano  di  essere  pro- 
sciolti dall'obbligo,  sottomettendosi  all'  esperimento  legale?  Il 
delegato  scolastico  compone  la  giunta  esaminatrice,  determina 
il  giorno  e  Torà  dell'esame,  ne  dà  avviso  ai  genitori,  sceglie  i 
temi  più  acconci,  sorveglia  il  procedimento  della  prova  orale  e 
scritta,  infox'ma  il  sindaco  dell'esito;  che  si  vuole  di  più?  Per- 
fino rilascia  un  certificato  ai  giovanetti  che  avranno  superato 
l'esame.  Insomma,  sempre  il  delegato  scolastico;  tutto  il  dele- 
gato scolastico;  egli  nella  scuola,  egli  sotto  ai  portici  alle  affis- 
sioni, egli  in  comune,  egli  nel  consiglio  scolastico  ;  da  Erode  a 
Pilato,  dal  tetto  al  tinello....  Ma  parliamoci  schiettamente  :  o  si 
può  trovare  davvero  un  uomo  di  senno  e  di  buon  volere,  e  però 
fuori  delle  classificazioni  ideate  dall'onorevole  Martini,  che  solo 
per  amore  della  istruzione  voglia  caricarsi  sulle  spalle  un  far- 
dello cosi  pesante?  Nemmeno  a  cercarlo  col  lanternino.... 


V. 

Ma  non  bisogna  disconoscere  che  la  poca  o  niuna  frequenza 
assai  volte  è  prodotta  dalle  angustie  economiche  dei  genitori  e 
dei  comuni.  In  tutte  quelle  provinole  ove  langue  l'agricoltura, 
e  specialmente  presso  ai  piccoli  possidenti  o  agli  aifittaiuoli  più 
poveri  e  più  taccagni,  che  retribuiscono  scarsamente  le  fatiche 
dei  contadini,  i  quali  spesso  non  sanno  come  rifarsi  delle  cattive 
annate  e  dei  debiti  contratti,  regna  la  miseria  in  tutto  il  suo 
squallido  impero.  Che  dire  poi  dei  braccianti,  i  quali  vanno  a 
lavorare,  ove  possono,  e  per  pochi  mesi,  ritraendo  dalla  gior- 
nata di  lavoro  una  lira,  novanta,  ottanta  centesimi?  Innumere- 
voli sono  le  famiglie  di  questi  poveretti  che  patiscono  il  freddo 
e  la  fame,  e  lasciano  i  fanciulli  nell'ozio  e  nel  sudiciume  laceri 
e  cenciosi  e  macilenti,  imbestialiti  dal  bisogno  e  dall'ignoranza. 
Orbene,  è  avvenuto,  sebbene  di  rado,  che  qualche  delegato  scola- 
stico più  zelante  abbia  chiamato  questi  padri  sollecitandoli  ad 
inscrivere  i  figliuoli  alla  scuola  comunale.  E  i  padri  disgraziati, 
un  po'punti  sul  vivo  di  apparire  senza  cura  verso  ai  figliuoli- 
un  po'tirati  all'amo  coll'esca  di  qualche  futuro  sussidio,  promi- 
sero solennemente  di  cedere  alle  istanze  del  signor  delegato.  E 


IN    ITALIA.  469 

le  madri  rattopparono  alla  meglio  le  sdrucite  vesticciuole  dei 
bimbi  e  li  mandarono  a  scuola.  Ma  senza  scarpe,  senza  libri, 
senza  quaderni,  senza  penne.  Allora  il  signor  maestro  manda  a 
dire  ai  genitori  che  non  può  e  non  vuole  riceverli  senza  calza- 
tura, perchè  la  decenza  e  il  buon  costarne  lo  vietano  ;  e  senza 
il  necessario  per  imparare  a  leggere  e  scrivere,  giacche  quando 
mancano  libri  e  quaderni  non  s'impara  nulla  e  si  disturbano 
gli  altri.  E  i  genitori  si  tengono  a  casa  i  fanciulli;  e  quando 
dal  delegato  o  dal  comune  sono  nuovamente  richiesti,  rispon- 
dono: dateci  scarpe,  libri,  quaderni  e  penne;  noi  si  guadagna 
appena  da  vivere  nell'estate:  nell'inverno  si  muore  di  fame: 
spesso  i  nostri  più  grandicelli  vanno  alla  limosina,  o  a  racco- 
glier sterpi  0  a  fare  qualche  servigio:  come  possiamo  dunque 
ubbidirvi?  Che  cosa  rispondere  alle  terribili  necessità  della  mi- 
seria? O  il  comune  viene  in  aiuto  di  questi  sfortunati,  e  potrà 
allora  pretendere  che  facciano  buon  uso  del  beneficio;  o  non 
ascolta  le  loro  preghiere,  e  in  questo  caso  è  forza  tollerare  che 
la  fame  sconfigga  la  scuola.  E  purtroppo  i  quaderni  e  i  libri  e 
le  penne  e  le  scarpe  e  i  sussidi  tutti  che  sarebbero  indispen- 
sabili a  popolare  le  scuole,  rimangono  una  bella  aspirazione  di 
chi  studia  il  mondo  sui  libri. 

Di  tutto  ciò  che  si  disse  nella  recente  discussione  al  p  ' 
mento  italiano  intorno  le  scuole  elementari  poco  o  nulla  rit 
di  veramente  pratico,  se  ne  togliamo  1*  ordine  del  giorno  pro- 
posto dall'onorevole  deputato  Ferdinando  Berti,  col  quale  il 
3IinÌBtro  della  pubblica  istruzione  è  invitato  a  presentare  una 
relaziono  annuale  sul  procedimento  della  istruzione  obbligatoria.' 
Questi  indagine  prudente  accurata  per  cui  sì  renderanno  p.il.  >i 
gl'impedimenti  che  ritardano  tanto  la  sua  applicazione  svilo- 
ranno  certamente  anche  rimpotenza  di  quei  comunelli,  che  si 
vanno  dibattendo  fra  gli  obblighi  imposti  dalla  leggo  e  la  po- 
vertà delle  proprie    rendite.  Ove  le  (amiglie  non  arrivano,  do- 

*  Il  Bonghi  proponeva  una  iacMest»  genarale  salle  Mnole  popoUri  in 
Italia.  Aagurìamoet  ohe  egli  la  riproponga,  e  ohe  le  Camere  la  protnaoTano 
con  quella  energia  e  quella  pradeasa,  ohe  icao  indftpeniabili  a  coudurla  a 
hwm  fine.  Ma  rinchieata  dati  fretti  sterilì,  se  il  paeae  non  sarà  preparato 
ad  aiatarla.  —  E  il  paese  sarà  preparato,  quando  la  eonrinsione  dei  pochi 
sulla  oeoeMÌtA  di  sciogliere  la  questione  della  scuola  popolare  diventi  con- 
TÌnzione  generale.  —  Tempo  dunque  e  oostansa.  —  Ma  il  tempo  direnterà 
più  brr-Tc,  quanto  più  la  pubblica  itampa  agiterà  l'importante  argr>'> 
e  saprà  chiamarvi  lopra  l'attensione  e  le  solledtndini  di  tutto  le  cU^ 
tadine. 


470 


L  ISTRUZIONE   AGRARIA   E   LE   SCUOLE   RURALI 


Trebberò  supplire  l'aiuto  caritatevole  del  municipio  ;  solo  cosi  si 
potranno  randere  responsabili  i  genitori  della  infrazione  alla  legge 
obbligatoria.  Ma  quando  anche  i  comuni  riescano  con  ogni  maggior 
sacrificio  a  soddisfare  appena  gli  obblighi  strettamente  imposti 
dalla  legge,  quale  speranza  rimane  di  rendere  efficace  la  scuola? 
Se  noi  considerassimo  particolarmente  le  condizioni  dei  nostri 
comuni  rurali  (per  tacere  di  molti  maggiori)  ci  sarebbe  da  trarne 
un  amaro  sconforto.  Infatti  non  rimane  ad  essi  altra  risorsa  fi- 
nanziaria che  di  aumentare  le  imposte  dirette  e  quasi  tutti  ado- 
perarono eroicamente  questo  spediente,  arrivando  a  tal  punto 
che  è  impossibile  andar  oltre.  Unisco  qui  un  piccolo  prospetto 
sulle  spese  che  alcuni  comuni  della  provincia  Modenese  sosten- 
gono per  la  istruzione,  e  sulla  sovraimposta  a  cui  si  sottoposero 
per  non  venir  meno  ai  pubblici  servigi. 


COMUNE 


Montese.  .  . 
Montecreto . 
Medolla.  .  . 
Cavezze.  .  . 
PavuUo .  .  . 
Pievepelago 
Carpi  *  .  .  . 


Ph 


5730 
1831 
3831 
4876 

10499 
4130 

18856 


Bilancio  preventivo  1883 


Spesa 

totale 

per 

l' istruz. 

pubblica 


5322.32 
2069.99 
4866.96 
6020  > 
7050.16 
3682.35 
39133.21 


Spesa 

parziale 

per  le  sole 

scuole 
elementari 


24063.21 


Spesa 

per 

ogni 

abitante 


0.928 
1.130 
1.270 
1.234 
0.671 
0.891 
2.076 


Somma 

pagata 

dal 
Comune 

in 
eccedenza 

alla 
sovraimposta 


11970.97 
3093.65 
14894.55 
11018.39 
19169.78 
3112.96 
18947.25 


<3^  .-; 


^J  s 


Ora  è  da  por  mente  che  la  somma  pagata  da  Montese  per 
sovraimposte  è  quasi  quattro  volte  superiore  alla  legale;  più 
del  doppio  quella  di  Montecreto  e  di  Medolla;  quasi  il  doppio 
quella  di  Cavezze.  Né  gii  altri  stanno  molto  al  disotto.  Eppure 
mentre  la  spesa  sostenuta  da  essi  per  ciascuno  dei  loro  abitanti 
non  rimane  inferiore  proporzionatamente  ai  Comuni  maggiori, 
ove  i  dazi  consumi,  il  focatico,  gli  spazii  pubblici  e  molti   altri 


IN    ITALIA. 


471 


cespiti  di  rendita  contribuiscono  alla  entrata  municipale,  non 
possono  oltrepassare  il  minimo  della  Legge  nel  retribuire  gl'in- 
segnanti, nel  provvedere  degnamente  ai  locali,  alle  suppellet- 
tili, all'arredamento  didattico,  come  sarebbe  richiesto  dall'  igiene 
e  dal  profitto  desiderevole  negli  studi  ;  molto  meno  poi  riescono 
a  venire  in  soccorso  delle  povere  famiglie,  per  imporre  loro 
coi  fatti,  e  non  colle  parole  l'obbligo  di  mandare  i  fanciulli 
alla  scuola.  Il  medesimo  può  dirsi  per  tutti  i  Comuni  italiani 
meno  popolosi.  Giova  ricordare  come  sopra  un  totale  di  8382 
Comuni,  solamente  174  oltrepassino  le  20,000  anime;  sicché  ne 
annoveriamo  8208  al  disotto  delle  20,000;  fra  questi  7971  con 
una  complessiva  popolazione  di  18,440,212  denominati  rurali, 
perchè  ciascuno  inferiore  ai  6000  abitanti.  Ora  è  fuor  di  dub- 
bio che  questi  7971  comunelli  lottano  coi  bisogni  quotidiani 
per  non  cascare  capofitti  nel  vortice  del  fallimento.  Quelli  poi 
che  non  raggiungono  le  1000  anime,  e  sono  2250  —  nientedi- 
meno !  —  si  trovano  coll'acqua  alla  gola. 

Vogliamo  noi  alcune  cifre  eloquenti  sulle  condizioni  gene- 
rali economiche  dei  municipi  italiani?...  Eccole  qui  appresso, 
desunte  dalla  relazione  Mazza  segretario  della  Commissione  par- 
lamentare sulla  Legge  31  maggio  1881:  ecco  come  i  707  milioni 
di  debiti  di  tutti  i  Comuni  venivano  ripartiti  per  abitanti  : 

Comuni  inferiori  a      500  abitanti  —  Per  ogni  lire  100  di  debito  L.     0,20 
da      500  a    2000        >  >  »  >         >      2,22 

da    2  00  a    8oOO       »  >  >  >         >     7,73 

da    8000  a  20000       >  »  »  >         >      8,71 

da  2ÌXXJ0  a  50000       >  >  >  >         >    10,92 

da  50000  in  più.  »  »  •  »         »    70,32 


L.  100,00 


ondimeno  i  Comuni  più  importanti  attesero  in  generalo  con 
Mollccita  cura  ad  accrescere  il  patrimonio  della  istruzione.  E  ne 
ottennero  effetti  osservabili.  I  frutti  che  si  raccolgono  nell'opera 
delia  educazione  pubblica  sono  per  massima  corrispondenti  alla 
spesa.  Inutilo  negarlo:  ove  la  civiltà  più  si  diffonde,  maggiori 
si  sostengono  sacri6ci  per  la  istruzione.  Il  che  si  verifica  in 
Italia,  e  più  ancora  presso  le  nazioni  più  ricche  e  più  rispettate:  * 

'  Tolgo  questa  notixia  délV TttUtUor»  ore  U  prof.  Scarpa  corregge  l'Un- 
garese  signor  Horoiii,  il  quale  in  una  certa  sua  statistica  riaMuitinva  la  spesa 
di  Torino  in  L.  5.50.  —  Lo  stesso  signore  attribuiva  L.  1,00  a  Venesia;  • 
L.  3,78  a  Bologna  I  Fidatevi  delle  sUtistiche  I 


472 


l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 


Torino,  per  esempio,  che  seppe  dare  alla  intera  nazione  cosi 
splendidi  esempi  di  virtù  civile,  solo  negli  edifici  scolastici  dal 
1872  al  1873  pagava  cinque  milioni  di  lire-,  oggi  sopra  una 
popolazione  di  250,000  abitanti  spende  in  ragione  di  L,  8,800 
per  ciascuno,  rivaleggiando  con  Trieste,  che  primeggia  fra  le 
città  più  animose  d'Europa  nel  promuovere  la  buona  istruzione 
popolare.  —  Offro  a'  miei  lettori  il  seguente  specchietto,  ove 
appaiono  le  spese  decretate  da  23  municipi  italiani  nel  corrente 
anno  per  la  istruzione,  trascegliendole  fra  certe  notizie  che  la 
Società  Magistrale  di  Modena  sta  raccogliendo,  coll'intento  di 
compilare  alcuni  confronti  statistici  sullo  stato  delle  scuole  e  dei 
maestri  elementari  in  Italia.  —  Le  notizie  vennero  gentilmente 
fornite  dagli  stessi  Comuni  al  Consiglio  direttivo  della  società. 

Bilancio  Comuuale  1883. 


1 
2 
3 
4 
5 
6 
7 
8 
9 

10 
11 
12 


COMUNE 


Genova  . 
Brescia.  . 
Bologna  . 
Imola.  .  . 
Verona.  . 
Vercelli  . 
Rovigo.  . 
Ferrara  . 
Piacenza. 
Treviso  . 
Urbino  . 
Venezia . 


Quota  per  ogni  ab.  sulla 

^3 
O 
T3 

spesa  tot. 

spesa  parz. 

13 

4  49 

i 
4  06 

4  85 

2  85 

14 

4  76 

2  14 

15 

4  29 

1  49 

16 

4  17 

2  57 

17 

3  95 

3  27 

18 

3  91 

1  06 

19 

3  71 

2  13 

20 

3  67 

2  14 

21 

3  67 

3  30 

22 

3  57 

1  32 

23 

3  28 

3  33 

COMUNE 


Parma  .... 
Mirandola .  . 
Eavenna.  .  . 
Faenza.  .  .  . 
Udine  .... 
Reggio  Emilia 
Modena  .  .  . 
Trapani  .  .  . 
Chieti  .... 
Volterra .  .  . 
Teramo  .  .  . 


Quota  per  ogni  ab.  sulla 


spesa  tot. 


3  27 
3  26 
3  22 
3  22 
3  21 
2  78 
2  61 
2  21 
2  14 
2  05 
1  91 


spesa  pan. 


1  66 

2  09 
1  96 
1  93 
1  90 
1  87 
1  67 
1  65 
1  31 
0  74 
0  98 


E  non  faccio  altre  citazioni,  perchè  queste  mi  sembrano 
bastevoli  a  confortare  con  una  certa  graduazione,  secondo  la  di- 
versa importanza   dei   municipi,  le   mie  affermazioni.   All'opera 


'  Parziale^  per  le  sole  scuole  elementari,  serali,  ecc. 


IN   ITALIA.  473 

diligente  dei  Comuni  più  popolosi  e  più  civili,  dobbiamo  poi  ag- 
giungere la  carità  privata,  che  in  essi  sorge  e  si  propaga  più 
spontanea  in  beneficio  della  scuola  e  dell'educazione;  e  mille 
esempi  potrebbero  recarsi  innanzi  di  Torino,  di  Milano,  di  Fi- 
renze, di  Venezia,  di  Bologna,  e  di  non  pochi  altri.  Ricordo  la 
lega  d'insegnamento  bolognese,  presieduta  dall'egregio  prof.  Bel- 
luzzi,  la  quale  instituiva  biblioteche,  scuole  [professionali,  premi 
d'incoraggiamento,  concorsi  onorevoli,  asili  infantili;  e  il  Comi- 
tato di  soccorso  instituito  a  Venezia  in  aiuto  ai  poveri  bambini 
delle  scuole,  dal  benemerito  professor  Combi  ;  comitato  che  nel 
1881  aveva  a  sua  disposizione  L.  7000,  raccolte  in  antecedenza, 
e  L.  11,484,  come  prodotto  di  1914  azioni  da  6  lire  l'una.  Ma 
i  comunelli  più  poveri,  nei  quali  si  rispecchia  la  miseria  dei  loro 
abitatori,  non  trovano  certo  l'aiuto  della  iniziativa  privata  ! 

Fuori  d'Italia  poi  potremo  spigolare  prove  ben  più  ammi- 
rabili delle  sollecitudini  dedicate  alla  istruzione  pubblica.  Non 
80  resistere  al  desiderio  di  riportare  qui  alcune  notizie  sui  Can- 
toni svizzeri,  scegliendo  a  preferenza  questo  popolo,  ove  la 
prosperità  e  il  buon  costume  civile,  raggiunsero  un  grado  emi- 
nente. '  Non  senza  un  grande  insegnamento  ad  altre  nazioni 
sventola  spesso  sulle  prigioni  di  Ginevra  la  bandiera  bianca, 
come  segnale  che  non  racchiudono  delinquenti  ! 

Nel  cantone  di  Vaud  alla  sola  istruzione  ed  educazione  À 
destinata  una  somma  maggiore  di  quelle  riunite  insieme  e  con- 
sacrate all'  amministrazione  in  generale  :  alla  milizia,  alla  giu- 
stizia, alla  polizia  ecc.  Lotanna,  capoluogo  del  Cantone  con 
22,000  abitanti,  aveva  3020  alunni.  Soli  20  non  comparvero  agli 
esami.  Tutti  i  giovani  dai  7  ai  16  anni  frequentarono  la  scuola. 
Nel  Cantone  di  Neuchatd  pel  1870  con  102  mila  abitunti,  su- 
birono gli  esami  nelle  scuole  elementari  l.%88!>  alunni.  Per  l'istru- 
zione si  spesero  L.  (>10,123,  oltre  L.  280,48r)  por  le  scuole  nio- 
die  e  superiori.  Ricchissima  di  musei  ed  istituti.  Nel  Cantone 
di  Urif  con  16,007  abitanti,  nel  1872  vi  erano  46  insegnanti 
di  ambo  i  sessi  con  2226  alunni.  Le  scuoio  vi  possedevano  un 
patrimonio  di  L.  181,214.  JiiutiUa,  littA  di  f>0,0(K)  abitanti  con- 
sacra air  istruzione  mezzo  milione  all'anno,  e  dà  L.  3000  di 
stipendio  ai  maestri  c>l(>mcntari.  Nel  1871-72  il  patrimonio  sco- 
lastico   in    fabbricati    e    capitali    ammontava    in    Isvizzera    a 

'  Vedi  CoLAiAVMi  Le  ùtUtuiimi  muntegli,  pagina  171  e  seg.  —  Roo- 
oEsr  L'autonomia  nelTopera  detta  edaoatione. 

YoL.  XL,  SarU  II  -  1  AffMlo  lUS,  Il 


474  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

L.  86,647,504  corrispondenti  per  l'Italia,  in  proporzione  di  po- 
polazione, a  circa  900  milioni  !  Quanto  al  rapporto  tra  il  bilan- 
cio totale  dei  Comuni  e  quello  speciale  dell'  istruzione,  giova 
osservare  che  i  nostri  Comuni  nel  1877  dedicarono  all'istruzione 
40,602,024  lire  e  le  provincie,  compresa  la  parte  straordinaria 
5,241,082  lire  sui  60,000,000  circa  di  spese  complessive  delle 
amministrazioni  locali,  ossia  nemmeno  il  dodicesimo  sul  bilancio 
generale.  E  nel  Cantone  di  Vaud  tutte  le  spese  dei  servigi  pub- 
blici compresa  la  milizia  e  la  giustizia,  non  arrivano  ad  ugua- 
gliare riunite  quella  destinata  all'istruzione  !  Una  parte  rilevante 
poi  della  somma  suddetta  va  a  profitto  delle  scuole  secondarie; 
e  vi  è  compreso  il  contributo  delle  Provincie  •,  sicché  l' istru- 
zione primaria  nel  1877  non  sarebbe  costata  ai  nostri  municipi 
che  30,000,000  circa;  vale  a  dire  la  diciottesima  parte  del  bi- 
lancio *.  Tutto  ci  induce  a  credere  che  oggi  ci  troviamo  press'a 
poco  negli  stessi  panni. 

VI. 

Un  altro  impedimento  alla  buona  frequenza  scolastica  si  ve- 
rifica non  di  rado  in  certi  lavori  manuali  che  regnano  in  alcune 
campagne  e  nei  quali  con  qualche  lucro  vengono  impiegati  i 
fanciulli  per  volontà  delle  famiglie.  Cito  anche  questa  volta  p.e. 
la  provincia  modenese,  ove  quasi  dappertutto  si  lavorano  le  trec- 
cie del  truciuolo  per  due  grandi  case  di  Carpi,  le  quali  ne 
fanno  uno  smercio  importante  sulle  piazze  all'estero  e  special- 
mente di  Francia  per  la  fabbricazione  di  cappelli  e  di  stuoie. 
Anche  in  questo  caso  è  principalmente  il  bisogno  che  induce 
le  famiglie  a  costringere  i  fanciulli  a  simili  lavori,  lasciando 
deserte  le  scuole,  contentandosi  di  guadagnarne  un  franco  o  due 
per  settimana.  Ma  se  certi  Comuni  invece  di  scrivere  circolari 
ai  maestri  o  ai  delegati  scolastici,  perchè  facciano, dei  sapienti 
predicozzi  ai  campagnuoli  sulla  utilità  dell'istruzione,  avessero 
potuto  0  voluto  assumersi  di  pagare  le  maestre  del  truciuolo 
nel  modo  più  conveniente,  concertando  un  orario  da  potersi  ac- 
cettare e  dalla  scuola  del  truciuolo  e  dalla  scuola  comunale, 
soccorrendo  in  pari  tempo  le  famiglie  dei  campagnuoli  più  bi- 
sognosi e  dei  braccianti  per  l'acquisto  delle  cose  necessarie  al- 


'  Manfrin  :  Il  comune   e   V  individuo,  pagina  158  e  seg.  —  Colaianni  ; 
174  e  seg. 


IN   ITALIA.  475 

l'insegnamento,  pochi  fanciulli  certamente  si  sarebbero  sottratti 
alle  prescrizioni  della  Legge  15  luglio  1877.  Oltre  a  ciò,  e  que- 
sto avviene  dappertutto,  i  parrochi  durante  il  periodo  quaresi- 
male vogliono  i  ragazzi  alla  chiesa  per  insegnar  loro  il  cate- 
chismo, che  bene  o  male  viene  pure  insegnato  dai  maestri  in 
iscuola.  E  i  parrochi  non  lo  ignorano,  e  quando  seppero  o  so- 
spettarono che  il  maestro  non  lo  insegnasse,  ne  sparlarono  in 
chiesa,  colle  famiglie,  coi  consiglieri  del  Comune.  Pretendono 
dunque  il  catechismo  nella  scuola  e  nella  chiesa  :  ma  circa  al- 
l'orario fanno  quello  che  più  loro  talenta,  ne  si  curano  di  strap- 
pare per  alcune  ore  ogni  giorno  i  fanciulli  alla  scuola  comunale. 
E  i  fanciulli  messi  cosi  alle  strette  fra  la  scuola  e  la  chiesa, 
piantano  in  asso  il  signor  maestro,  e  si  raccolgono  sotto  le  pie- 
tose ali  del  signor  Arciprete.  Kè  il  danno  all'  insegnamento 
pubblico  è  lieve,  continuando  questa  grave  sottrazione  all'orario 
scolastico  per  quasi  cinquanta  giorni!  Giustamente  lamentava 
il  Martini  la  noncuranza  dello  Stato  nella  questione  dell'  inse- 
gnamento religioso;  che  ove  nna  legge  inspirata  al  culto  della 
libertà  e  al  rispetto  di  tutte  le  associazioni,  avesse  restituito  al 
Sacerdozio  tutte  le  sue  funzioni  inerenti  al  dogma,  le  quali  nd 
esso  appartengono  esclusivamente  ',  sarebbe  stato  tolto  con  so- 
lenne dignità  nazionale  un  fomite  continuo,  sebbene  spesso  la- 
tente e  quasi  non  avvertito,  di  rappresaglie  e  d'invidie. 

Ma  io  non  voglio  e  non  posso  enumerare  qui  tutte  le  eause 
che  rendono  non  frequentate  le  scuole  rurali;  verrei  mono  però 
alla  verità  e  alla  coscienza,  se  non  dicessi  che  i  maestri  mo> 
desimi  molto  volte  vi  danno  origine,  certo  senza  volerlo.  Non 
parlo  delle  maestre  che  in  molto  maggior  numero  dei  maestri, 
particolarmente  nelle  regioni  settentrionali  e  centrali,  sono  sparso 
per  le  ville  d'Italia,  nelle  vaili  malinconiche  e  insalubri,  sui 
monti  aridi  o  nevosi,  dappertutto  ove  ponsa  echeggiare,  non 
senza  alta  carità  di  patria,  una  parola  di  amoro  o  di  fodo  sul- 
l'opera concorde  dell'uomo,  diretta  a  raggiungere  gli  ideali  più 
degni  della  civiltà. 

Nessuno  ignora  la  santa  anncgationo  di  questo  giovani 
donne,  che  paswwio  sconosciute  sulla  terra,  sopportando  sa- 
prifici  e  stenti  d'ogni  maniera,  figlie  e  sorelle  generoso,  che  di- 
vidono quasi  sempre  col  padre  impoteate  o  colla  vecchia  mamma 

'  II  Ratalu  lo  proponera  fino  dsl  1878  nel  tno  pregevole  libro:  Std 
'r>  'tdo  della  ùtnuione  §mbbUea  m  UaUa,  pag.  90  e  seg.  —  Modena, 


476  l'  istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

o  coi  piccoli  fratellini  lo  scarso  pane  guadagnato  con  tanto  su- 
dore, senza  scoraggiamento,  senza  lamenti,  contente  di  gettare 
nel  cuore  delle  nuove  generazioni  que'  germi  della  prima  edu- 
azione,  che  il  mondo  ingrato  dimentica,  e  che  pochi  apprez- 
zano degnamente. 

Così  pure  è  rilevante  il  numero  di  que'  maestri  rurali,  che 
senza  troppo  lamentarsi,  senza  parole  mordenti  o  inutili  vante- 
rie, con  zelo  indefesso,  con  sacrificio  grande  di  se  stessi,  e  d'ogni 
parca  agiatezza,  anzi  del  necessario  alla  vita,  martiri  oscuri  del 
dovere,  adempiono  mirabilmente  l'ufficio  loro. 

Ma  gli  uomini  hanno  animo  in  generale  più  gagliardo  delle 
donne,  e  brama  di  miglior  fortuna,  ne  si  acconciano  volentieri 
in  campagna  con  sì  magri  stipendi,  fra  disagi  e  sconforti  di 
ogni  fatta,  e  però  i  dotati  di  più  alacre  ingegno  e  di  maggiore 
coltura,  insofferenti  dell'  ingiusto  abbandono,  se  ne  vanno  al  più 
presto  ',  rimangono  in  generale  i  giovani  meno  colti  e  meno  pru- 
denti-, 0  quelli  che,  avendo  condotto  moglie,  gemono  sotto  il 
peso  di  una  famiglia  numerosa.  I  primi  sono  per  lo  più  sven- 
tati, vanitosi,  svogliati,  senza  regola  di  costumi,  senza  arguta 
consapevolezza  dei  sospetti  e  delle  diffidenze  che  li  circondano; 
senza  amore  intenso  all'alto  ufficio  che  esercitano,  senza  senti- 
mento profondo  della  propria  dignità  ;  talché  a  forza  di  negli- 
genze, di  soperchierie,  di  sventatezze  o  di  intrighi  o  di  pette- 
golezzi si  tirano  addosso  la  guerra  sorda  o  dei  preti  che  li  spiano 
attentamente,  o  del  sopraintendente  scolastico  che  soffre  mal 
volentieri  la  loro  vantata  superiorità  intellettuale,  o  del  maestro 
privato  che  si  aggira  per  le  case  dei  contadini  e  che  tenta  ogni 
via  per  tirar  l'acqua  al  suo  mulino  ;  e  non  ottengono  alcun  pro- 
fitto dal  loro  insegnamento,  e  si  alienano  la  fiducia  delle  fami- 
glie e  rendono  più  ancora  spopolate  le  scuole  ;  ne  giova  che  il 
comune  li  tramuti  da  un  sito  all'altro,  li  consigli  pel  bene,  li 
ammonisca  o  li  sottoponga  talvolta  alle  punizioni  del  Consiglio 
scolastico  :  dove  essi  mettono  piede,  nascono  i  malumori  e  le  la- 
gnanze, spariscono  gli  scolari,  la  virtù  educativa  della  scuola 
scade  maggiormente  dal  concetto  di  quelle  popolazioni,  che  do- 
vrebbero essere  attirate  verso  di  essa  coll'amore  e  colla  pazienza, 
colla  tolleranza,  colla  operosità  infaticabile,  con  ogni  gentile  ed 
onesto  accorgimento. 

Ne  alcuno  mi  accuserà,  spero,  di  temerità  e  d'ingiustizia; 
che  in  me  l'amore  della  verità  è  pari  a  quello  verso  le  scuole 
nostre  e  verso  gì'  insegnanti,  e  potrei  ripetere  coll'Ariosto,  quasi 


IN    ITALIA.  477 

parafrasando  quello  che  egli  diceva  alle  donne,  dopo  aver  censu- 
rato Gabrina: 

Per  qualcun  che  biasmar  cantando  ardisco 
Cbé  l'ordinata  istoria  cosi  vuole, 
Lodarne  cento  incontra  m'oflFerisco 
£  £ar  lor  virtù  chiara  più  che  il  sole. 

I  secondi  anche  allorquando  abbiano  ingegno  e  buon  volere, 
sopraffatti  dai  figli  crescenti  e  dagli  innumerevoli  bisogni,  non 
riuscendo  a  provvedere  alle  necessità  più  indispensabili  della 
vita,  debbono  cercare  qualche  altro  lucro  aggiungendo  qualche 
nuova  occupazione  all'  insegnamento.  Utili  richiami  degli  studi 
percorsi,  vantaggiose  e  dilettevoli  letture,  esercizi  ripetuti  e  pro- 
fittevoli di  lingua  o,  di  stile,  meditate  osservazioni  sugli  esem- 
plari più  comuni  della  storia  naturale  e  sui  fenomeni  fisici  o 
chimici,  sulle  vicende  delle  società  civili  e  dei  governi,  le  son 
tutte  cose  dell'altro  mondo;  quel  po' che  fu  appreso  sui  banchi 
della  scuola  normale  rimane  l'unico  capitale,  da  cui  si  toglie 
ogni  giorno  la  moneta  spicciola  dell'  insegnamento  ;  si  dà  alla 
«cuoia  il  tempo  strettamente  prescritto  dai  regolamenti  :  ogni 
minima  circostanza,  ogni  più  piccola  occasione  che  loro  si  pre- 
senti per  poter  spillare  anche  il  sussidio  più  minuscolo  o  dal 
,^^^-  Comune  o  dalla  Provincia  o  dallo  Stato,  la  si  coglie  di  volo:  se 
I^Hpm  moglie  soffre  di  mal  di  denti,  o  il  fanciulletto  piango  di  latti  me, 
ecco  una  domanda  commovente  al  ministro  col  relativo  certificato 
medico:  onde  poi  i  Consigli  scolastici  nuotano  in  un  diluvio  di 
istanze,  né  sanno  come  torsi  d' impaccio  e  corno  riuscire  ad 
esternare  coscienziosamente  il  loro  parure  al  Ministro  per  fa- 
cilitare più  o  meno  il  dimandato  sussidio.  Chi  ha  mano  in  pasta 
sa  bene  che  io  non  parlo  col  cervello  nello  nuvolo.  Vodomnio 
persino  maestri  trasformarsi  secondo  le  circostanze  e  il  bisogno 
in  campanari,  o  scaccini,  o  in  bettolieri,  o  in  sensali,  o  in  ca- 
merieri pubblici  o  servidori.  Altri  fabbricava  palloni  areosta- 
tici  andando  per  le  sagre  campestri  arallegraro  per  poche  lire 
i  contadini  in  festa;  altri  impugnava  sega,  pialla,  martello,  o 
costruiva  grossolani  ventagli  da  fornello,  o  trappolo  pei  topi. 
Tutto  ciò  offende  senza  dubbio  la  dignità  del  magistrato,  e  non 
raccomanda  la  scuola  o  l'azione  educativa  dell'  insegnante  allo 
famigli):  campagnuole;  ma  so  i  bisogni  imperiosi,  gli  stenti 
giornalieri  e  costanti,  i  figli  e  la  moglie  chu  dimandano  pano 
e  vestimenta  e  un   po'  di  legna  nell'  inverno,  costringono  questi 


478  .  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

sfortunati  a  così  umili  occupazioni,  e  li  rendono  meno  affezionati, 
alla  scuola,  talvolta  irascibili,  brontoloni,  invidiosi  della  ric- 
chezza, intolleranti  d'ogni  autorità,  potremo  noi  condannarli? 
Condanniamo  piuttosto  la  società  che  affida  nelle  loro  mani 
un'opera  cosi  delicata  e  grave,  mentre  ad  un  tempo  li  ferisce 
e  li  opprime  colla  più  intollerabile  delle  ingiustizie  sociali.  E 
non  s'accorge  che  ove  manchi  nel  cuore  delle  novelle  genera- 
zioni la  parola  calma,  serena  dell'educatore,  piena  d'amore  al 
culto  della  famiglia  e  di  Dio,  piena  di  fede,  nella  giustizia,  nel 
diritto,  nel  sapere,  nel  lavoro,  nell'ordine,  nella  libertà,  nel  pro- 
gresso civile,  manca  il  buon  seme  da  cui  germoglia  la  pianta 
delle  virtù  cittadine.  ' 

Bisogna  ricordare  come  i  comuni  classificati  nella  prima  ca- 
tegoria ^tenendo  dietro  al  solo  criterio  fondamentale  della  po- 
polazione; giacche  gli  altri  considerati  pure  dalla  legge  che 
sfuggono  alle  mie  indagini  non  possono  modificare  sensibilmente 
le  cifre  seguenti)  siano  26  ;  209  della  seconda  ;  tutti  gli  altri 
della  terza.  Ora  si  vede  che  la  grande  maggioranza  dei  maestri 
elementari  non  ricevono  uno  stipendio  sufficiente  ai  bisogni  più 
urgenti  della  vita.  Nelle  città  rimediano,  come  meglio  possono, 
al  danno,  togliendo  tutto  il  tempo  più  acconcio  al  riposo  e  alla 
coltura  di  se  stessi,  per  impiegarlo  in  lezioni  private  ai  propri 
alunni,  cosa  proibita  dalla  legge,  ma  per  sentimento  caritate- 
vole, tollerata  dalle  autorità  scolastiche.  E  in  campagna?...  Nel 
modo  accennato  più  sopra! 

Quanto  alle  pensioni  per  la  vecchiaia,  ecco  qua  appresso 
qualche  cifra  eloquente,  prendendo  per  base  alcuni  stipendi 
legali  e  le  norme  stabilite  dalla  legge  16  dicembre  1878,  in 
ragione  dell'età  e  degli  anni  di  servizio,  secondo  la  Tabella  A 
annessa  alla  legge  medesima.  Tralasciai  di  considerare  gli  sti- 
pendi di  L.  1320,  perchè,  come  si  vide,  questi  non  si  hanno 
che  nei  26  comuni  della  prima  categoria,  e  mi  attenni  solamente 
a  quelli  delle  diverse  categorie  e  dei  due  gradi  che  ci  offrono 
la  misura  più  generale  per  la  pluralità  degli  insegnanti.  Sup- 
posi ancora  che  queste  pensioni  dovessero  liquidarsi  ai  maestri, 

'  A  questo  capitolo  faccio  seguire,  insieme  ad  alcune  brevi  considera- 
zioni la  tabella  degli  stipendi  e  un  piccolo  prospetto  da  me  compilato  sugli 
effetti  generali  che  i  maestri  debbono  aspettare  dal  Monte  delle  pensioni; 
affinchè  si  abbia  un'  idea  abbastanza  esatta  del  come  oggi  provveda  la  legge 
al  loro  stato  economico  e  al  riposo  della  loro  vecchiaia. 


IN    ITALIA. 


479 


i  quali  avessero  impreso  ad  insegnare  a  20  anni,  durando  poi 
nelle  loro  fatiche  35  anni  di  seguito.  Quarant'anni  di  continuati 
servigi  sono  prescritti  per  ottenere  l' intera  pensione  5  ma  pochi 
toccheranno  questa  meta.  E  la  maggior  parte  non  arriverà  nem- 
meno a  poter  tenere  validamente  l'ufficio^  pei  35  anni  che  io 
supposi;  perchè  l'assegnamento  della  pensione  non  verrà  deter- 
minato dalla  impotenza  assoluta,  ma  dalla  impotenza  considerata 
nella  validità  dell'ufficio  didattico. 

Veggasi  senz'altro  il  seguente  prospetto. 

Stipèndi  dei  maestri  elementari  coW  aumento  di  un  decimo,  a  norma  della 
legge  9  luglio  1876,  secondo  la  categoria,  H  grado  e  la  classe  delle  scuole 
cui  sono  applicati. 


i 


Nella  Catboobia 

Nel  Gbaoo 

N 

ELLA  Classi 

Prima 

Seconda 

Tersa 

Urbane  

Barali 

Saperiore  .  .  .  .  L. 

Inferiore 

Saperiore 

Inferiore 

1320    • 
990    . 
880    > 
715    . 

1100    > 
880    > 

770    . 
605    > 

990    > 
770    » 
660    » 
560    > 

Stipendi  delle  maestre  eUmemtari  eoWtUÈmeiUo  di  «n  decimo,  a  norma  della 
logge  9  higlio  1876,  secondo  la  ealegoriaf  U grado  e  la  elasse  delU  scuole 
cui  sono  appUeale, 


Nella  Catboobia 


Urbane 


Rartli , 


Nel  Qbaoo 


Saperiore  .  . 
Inferiore.  .  . 


(  Saperiore 
(  Inferiore. 


NiLtA  Olamw 


Prim 


880  » 
660  • 
686  66 
476  66 


788  38 
586  66 
612  44 
408  89 


Torta 


660  > 
512  44 
440  • 
866  66 


480  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 


Stipendio 

L.  1,000 

>       880 

»       770 

»       586  66 

»      403  32 

»       366  66 

Contributo  4  0[0  annuo 
sullo  stipendio 


1100  X  4 
100 

880  X  4 
ÌOÒ 

770  X  4 
100 

586.66  X  4 
100 

403.82  X  4 

loo 

366.66  X  4 
100 


=  44 
=  35.20 
=  30.80 
=  23.46 
=  16.13 
=  14.66 


Quantità  per  Itqiale 
deve  mtltiplicarsi 

Pena 

il  contributo  (vedi 
Tabella  1  già  cit.) 

annua 

13.31 

585.64 

468.51 

409,94 

312.33 

214.72 

195.20 

meoBile 


48.80 


39.04 


34.16 


26.02 


17.89 


16.26 


Or"bene:  queste  cifre  nella  loro  desolante  espressione  non 
sembrano  davvero  uno  scherno  crudele?  Non  pochi  municipi, 
è  vero,  superarono  in  favore  dei  maestri  il  minimo  legale; 
ma  i  comunelli  più  poveri  fanno  sforzi  grandi  per  non  ri- 
manere al  disotto  del  minimo  ;  molti  invece  di  quelli  che  senza 
grave  sacrificio  potrebbero  varcarlo,  noi  fanno;  poiché  in  ge- 
nerale, all'opera  degl'insegnanti  elementari  non  si  attribuisce 
il  valore  meritato;  anzi  la  si  considera  spesso  al  disotto  degli 
uffici  sociali  più  umili.  Se  ne  potrebbero  apprestare  non  pochi 
esempi.  Valga  uno  per  tutti  gli  altri.  In  un  popoloso  e  fiorente 
comune  dell'Emilia,  capoluogo  di  Provincia,  i  maestri  rurali 
sono  pagati  con  L.  605  oltre  l'alloggio  gratuito,  le  maestre  ur- 
bane con  L.  600  in  media.  Il  portiere  di  primo  grado  della 
Residenza  Comunale  percepisce  L.  931,  più  il  vestiario,  la  cal- 
zatura, ecc.,  ecc.,  di  cui  pure  gode  il  facchino  municipale  che 
è  pagato  con  L.  735.  Il  caporale  delle  guardie  urbane  riceve 
L.  800,  vestiario,  biancheria,  calzatura  e  un  aumento  propor- 
zionale del  10  per  cento.  Il  capo  becchino  del  cimitero  pub- 
blico L.  1080.  Il  becchino  ordinario  L.  840  e  il  becchino  sup- 
plente L.  720.  E  si  paghino  pur  bene  i  becchini,  anche  quando 
essi  non  siano  sentenziosi  ed  arguti  come  quelli  di  Shakespeare; 
ma  si  dimostri  coi  fatti  di  non  ritenere  almeno  inferiori  le  fatiche 
dei  maestri  a  quelle  di  costoro. 


IN   ITALIA.  481 

vn. 

Ma  ormai  è  superfluo  continuare  la  enumerazione  delle  cause 
che  producono  gli  effetti  lamentati  nella  istruzione  delle  cam- 
pagne. Le  principali  si  possono  dunque  riassumere  nelle  se- 
guenti : 

1.  Il  difettoso  ordinamento  didattico  e  l'insufficiente  du- 
rata della  scuola. 

2.  La  mancata  istituzione  della  scuola  complementare. 

3.  La  niuna  applicazione  della  legge  obbligatoria,  già 
inefficace  per  se  stessa. 

4.  La  negligenza  di  molti  Comuni  e  di  molte  famiglie 
verso  l'istruzione,  negligenza  sussistente  tuttora  per  l'inefficacia 
suddetta. 

5.  La  miseria  economica  di  molti  altri  .Comuni  e  di 
molte  famiglie  campagnuole. 

6.  La  deplorevole  condiaùone  morale  ed  economica  degli 
insegnanti.  * 

Bisogna  avere  il  coraggio  di  confessare  la  dura  verità; 
il  proclamarla  al  cospetto  di  tutta  Italia,  invocando  i  rimedi  al 
male  è  carità  di  patria,  è  azione  onesta  e  lodevole.  Le  nostro 
scuole  rurali  là  dove  rimasero  ordinate  (il  che  significa  quasi 
dappertutto)  secondo  le  Leggi  scolastiche  vigenti,  non  diedero 
nessun  frutto  reale  e  duraturo,  u  Entrate  lietamente,  o  fanciulli, 
scriveva  il  Giordani,  sulla  scuola  che  il  Puccini  nel  1840  o  in 
quel  tomo,  istituiva  nella  sua  villa  presso  Pistoia: 

«  Entrate  UeCamente,  o  fanoialli, 

qui  s'inssfM,  doo  ti  tonnsnta; 

non  fittieherete  per  b^gis  o  vaniti; 

•ppssodsrste  oote  attll  psr  tslta  U  vita.  • 

Le  scuole  rurali  in  Italia,  e  specie  le  cosi  dette  misto, 
smentiscono  finora  solennemente,  per  nostra  vergogna,  l'arguto 
ed  alto  concetto  educativo  che  lo  scrittore  italiano  racchiudeva 
in  qucHta  bellissima  epi^afc;  giacché  so  i    fanciulli    non    sof- 

'  i>a  locietà  magistìiUa  di  Modena  tenera  qualche  tempo  fa  una  im* 
portante  disenssione  svilo  stesso  argosMoto  della  Utrusione  obbligatoria, 
venendo  prees'a  poeo  alle  condosioni  sopra  riassunte.  Sono  lieto  che  le  mie 
opinioni  ehhtono  eoel  ricevuta  SMggiete  autorità  dal  voto  di  un  consesso 
di  «salai  eowpelsntissémi, 


482  l'istruzione  agraria,  e  le  scdole  rurali 

frono  il  tormento  delle  percosse,  soffrono  l'altro  più  grave  an- 
cora della  immobilità  prolungata,  della  dissipazione  intellet- 
tuale, dello  spazio  angusto  e  viziato,  e  non  acquistano  il  più 
piccolo  capitale  da  poter  spendere  nei  bisogni  della  vita. 

u  L'insufficiente  durata  dell'insegnamento  effettivo,  scriveva  il 
prof.  cav.  Michele  Rosa  nella  sua  pregiata  relazione  sulle  scuole 
elementari  della  Provincia  di  Venezia,  basterebbe  a  spiegare 
come  giovanetti,  i  quali  hanno  frequentato  la  scuola  rurale,  non 
siano  in  grado  di  leggere  coerentemente  e  di  comporre  una 
facile  letterina;  e  giunti  poi  ai  20  o  22  anni  ricadano  nel  mare 
magno  degli  analfabeti,  n  Sì,  basterebbe  forse  l'insufficiente  du- 
rata dell'insegnamento  effettivo.  Ma  prima  ancora  dei  20  o  dei 
22  anni  dimenticano  i  giovani  campagnuoli  le  sterili  cognizion- 
celle  imparucchiate  alla  meglio,  e  ciò  per  le  cause  più  sopra 
esposte.  Ne  riuscirebbero  a  risanare  questa  piaga  l'orario  legale, 
i  sotto  maestri  nell'inverno,  la  soppressione  di  tutte  le  vacanze 
intersettimanali  o  abusive.  Creda,  egregio  signor  Rosa:  il  ne- 
mico capitale  sta  nel  fallace  ordinamento  delle  scuole  rurali  : 
il  vizio  d'origine  si  nasconde  nel  loro  organismo.  Ci  vuple  un 
ferro  salutare  e  una  mano  esperta  ed  ardita  per  estirpare  la 
radice  del  male. 

Ora  si  vede  più  chiaramente  come  anche  l'istruzione  agraria 
che  il  Ministero  di  Agricoltura  e  Commercio  s'ingegnò  di  spar- 
gere, per  quanto  era  possibile,  fra  le  nostre  popolazioni  agresti, 
vada  del  tutto  sommerso  in  questo  naufragio.  Che,  ove  pure  i 
maestri  avessero  l'autorità,  la  dottrina  da  ciò,  mancherebbe 
negli  alunni  la  preparazione  intellettuale.  Le  stesse  scuole  pra- 
tiche d'agricoltura  non  risponderanno  all'  aspettazione,  finche 
perdurano  gli  ostacoli  lamentati  ;  giacché  i  giovanetti  vi  saranno 
accolti  cosi  come  sono,  mancanti  quasi  affatto  delle  cognizion- 
celle  più  rudimentali  ;  ne  sembra  ufficio  delle  scuole  agrarie  di 
apprestare  ai  proprii  alunni  anche  queste.  E  quando  essi,  fatti 
adulti,  ne  usciranno  per  tornare  in  seno  delle  loro  famiglie,  o 
presso  ai  proprietari  in  qualità  di  fattori,  e  vorranno  persuadere 
la  moltitudine  ignara  delle  pratiche  più  razionali,  si  troveranno 
attorno  la  siepe  spinosa  e  folta  delle  menti  affatto  incolte  e 
degli  antichi  pregiudizi,  che  soffocherà  la  loro  voce.  Che  diresti 
tu  di  un  ammalato  per  anemia,  al  quale  si  mandassero  giù  per 
la  bocca  dei  buoni  cordiali  e  dei  bocconi  abbondanti  e  ghiotti, 
senza  ristorarne  tutte  quante  le  forze  col  moto,  coll'aria  sana, 
col  cibo  nutriente  e  regolato,  coU'acqua  ferrugginosa,  insomma 


IN   ITALIA.  483 

con  quel  metodo  di  cura  che  i  medici  chiamano  ricostituente, 
e  che  lo  mettono  a  poco  a  poco  in  grado  di  esercitare  valida- 
mente anche  le  funzioni  digestive? 

Io  non  voglio  dire,  no,  che  si  debbano  intanto  abbandonare 
tutti  gl'insegnamenti  di  agricoltura  nelle  nostre  campagne;  ci 
restino  e  si  diffondano;  anzi  non  va  mai  lodata  abbastanza 
l'opera  perseverante  del  Ministro  Berti.  Dico  che  nelle  campagne 
mancò  finora  l'educazione  più  acconcia  a  quegli  abitanti,  perchè 
mancò  e  manca  il  principale  fattore  dì  essa:  la  scuola  vera- 
mente educativa;  perchè  mancò  e  manca  l'unità  fondamentale 
di  questo  fattore  :  il  maestro  degnamente  preparato  alla  impresa, 
degnamente  retribuito  ;  il  quale  deve  essere  come  il  perno  della 
potente  leva  adoperata  per  spostare  ed  abbattere  il  grave  masso 
dei  pregiudizi  ;  come  il  punto  luminoso  a  cui  gli  occhi  debbono 
educare  la  pupilla  non  avvezza  alla  luce.  Insomma,  bisogna 
creare  nelle  campagne  la  scuola  educativa  che  rei^derà  veramente 
profittevole  anche  la  scuola  agraria. 

E  se  il  Ministro  d'Agricoltura  e  Commercio,  e  quello  della 
Istruzione,  e  gli  altri  uomini  più  egregi  sono  convinti  di  questa 
necesàità  imperiosa,  perchè  non  si  adoperano  a  provvedere  nel 
miglior  modo?  perchè  i  due  ministeri  non  istudiano  insieme 
l'arduo  problema,  avvisando  al  come  si  possa  riordinare  la  pre- 
sente scuola  rurale,  dirigendone  gl'insegnamenti  ai  bisogni  della 
vita,  alla  formazione  del  carattere  e  specialmente  a  quella  col- 
tura agraria,  che  è  tanta  parte  della  educazione  rurale?  Com- 
prendo quello  che  si  può  obbiettarmi,  e  ancora  mi  risuona 
all'orecchio  la  risposta  dell'egregio  Magliani  alle  generoso  pa- 
role dell'onorevole  Cavallotti,  colle  quali  domandava  intanto 
500  mila  lire  pei  maestri  più  poveri.  Ma  facendo  puro  ragione 
alle  operazioni  diffìcili  del  nostro  credito  e  allo  eBigenxe  delle 
finanze,  noi  crediamo  fermamente  che  la  rovina  morale  non 
sia  preferibile  alla  rovina  economie*,  e  che  uno  Stato  debba 
provvedere  con  sollecitudine  e  con  energia  a  tutti  i  grandi 
bisogni  della  propria  vita  per  non  affacciarsi  ad  ogni  momento 
il  terribile  problema  dell'Amleto.  Io  non  mi  caccio  nel  gine- 
praio della  quistiono  economica,  ma  non  temo  di  farmi  lapidare 
■e  mi  dolgo  che  l'ingordigia  delle  banche  divori  molta  parte 
delie  rendite  pubbliche,  e  che  si  concedano  appena  40  milioni 
al  bilancio  della  Istruzione,  mentre  so  ne  profondono  240  o  più 
per  quello  della  Guerra. 


484  L^  ISTRUZIONE   AGRARIA   E   LE   SCUOLE   RURALI 

Dovremo  noi  ripetere  oggi  il  lamento  di  Virgilio,  quando 
nel  libro  I  delle  Georgiche  esclamava; 

Non  ullus  aratro 
Dignus  honos:  squallent  adductis  arva  colonia, 
Et  curvae  rigidum  falces  conflantur  in  enaem? 

So  che  i  cannoni  e  i  fucili  sono,  specialmente  al  di  d'oggi 
in  cui  la  civilissima  Europa  inventò  il  generoso  e  leale  sistema 
della  pace  armata,  una  buona  salvaguardia  del  diritto  e  della 
dignità  nazionale;  ma  so  ancora  che  le  armi  non  approdano, 
ove  la  mente  che  le  dirige  e  la  mano  che  le  impugna  non 
siano  educate  alle  virtù  di  un  popolo  libero. 

Confesso  schiettamente,  che  mi  vergognerei  del  nome  ita- 
liano, ove  non  nutrissi  fiducia  di  veder  presto  il  nostro  Parla- 
mento tutto  occupato  a  gettare  le  basi  di  una  scuola  popolare  * 
che  prenda  il  fanciullo  dai  primi  anni  e  lo  conduca  fino  a  quel- 
l'età, in  cui  può  rendere  alla  famiglia  e  alla  patria  segnalati 
servigi  nell'ordine  e  nell'armonia  degli  ufiici  civili  ;  provvedendo 
cosi  alla  soda  coltura  delle  classi  popolari,  le  quali  fin  ora  tro- 
varono cognizioncelle  monche  e  staccate  e  del  tutto  insufiicienti 
nelle  scuole  elementari,  nelle  serali  e  nelle  festive,  coltura  oggi 
altamente  reclamata  anche  dalla  legge  22  gennaio  1882  e  7 
maggio  successivo,  la  quale  chiama  quasi  tutti  i  cittadini  all'e- 
sercizio del  suffragio  politico.  Ultimo  complemento  della  nuova 
istituzione  potrebbe  essere  allora  la  scuola  complementare  ideata 
con  altezza  d' intendimenti  dal  Ministro  Baccelli.  Ma  io  non 
voglio  qui  indagare  questo  generale  e  complesso  ordinamento; 
mi  attengo  all'istruzione  agraria  e  alla  scuola  rurale.  E  poiché 
mi  provai  ad  abbattere  questo  vecchio  e  traballante  edificio, 
mi  proverò  a  raccogliere  qualche  materiale  per  metter  mano  alla 
costruzione  del  nuovo. 

vm. 

Dissi  di  non  volere  entrare  nella  quistione  economica,  e 
non  c'entro;  ma  aggiungo  che   principalmente  questa  può  aiu- 

'  Un  bel  disegno  della  nuova  scuola  popolare  si  lesse  quattro  mesi  fa 
circa  sul  giornale  il  Diritto,  in  un  lungo  articolo  senza  nome  riprodotto  da 
altri  giornali;  disegno  dovuto  alla  dottrina  e  all'esperienza  dell'egregio  profes- 
sore cav.  Veniali,  Ispettore  centrale  presso  il  ministero  dell'  istruzione  pubblica. 


IN   ITALIA.  485 

tarci  a  ricostruire  l'edificio  della  scuola  rurale.  Infatti  vedemmo 
il  come  e  il  perchè  la  legge  sull'obbligo  riesca  quasi  del  tutto 
inefficace.  Nondimeno  ci  sta  sopra  minacciosa  e  insistente  la 
necessità  di  migliorare  le  condizioni  dei  maestri  e  di  rendere 
possibile  la  frequenza  degli  alunni  alla  scuola,  se  vogliamo  che 
il  suo  nuovo  riordinamento  e  gli  effetti  che  se  ne  attendono 
non  siano  una  vana  chimera.  Or  come  superare  questo  passo 
difficile?  Lo  stato  soltanto  può  rompere  il  circolo  vizioso,  sta- 
bilendo un  minimo  di  stipendio  ai  maestri  che  basti  ai  bisogni 
della  vita  e  alla  dignità  dell'  ufficio,  e  pagando  ai  comuni  più 
poveri  quel  tanto  che  mancasse  ad  essi  per  toccare  il  minimo 
obbligatorio.  Ma  questo  provvedimento  altamente  civile,  indi- 
spensabile per  noi,  richiederebbe  senza  dubbio  che  il  bilancio 
della  istruzione  pubblica  si  aggravasse  di  non  pochi  milioni  in 
favore  esclusivo  della  scuola  popolare.  La  relazione  della  com- 
missione parlamentare  dimostrava  come  in  questa  parte  il  nostro 
bilancio  rimanga  al  disotto  in  proporzione  a  quelli  del  Belgio, 
della  Svezia  e  Norvegia;  mentre  (e  non  a  torto  l'onorevole  Fer- 
rari se  ne  doleva)  le  spese  della  pubblica  sicurezza  superano 
di  60,000,000  quelle  della  Francia  e  dell'Austria-Ungarica.  Do- 
loroso fatto,  aggiungo  io,  ma  logica  conseguenza  del  primo, 
poiché  dove  l' ignoranza  regna,  si  cerca  inutilmente  1'  adempi- 
mento del  dovere.  Eppure  dal  1878  al  di  d'oggi,  lo  Stato  ita- 
liano attraversava  un  periodo  faticoso  nel  solenne  esperimento 
della  legge  sulla  istruzione  obbligatoria.  Nel  1878  furono  stan- 
ziate lire  2.3,388,795,20  per  1'  istruzione  ;  delle  quali  3,833,400 
soltanto  erano    dedicate    alle    scuole  elementari.  Ora  si   hanno 

complessivamente   nel    bilancio  29,4' »,  di  cui  4,031,790 

per  le  suddette  scuole.  Sicché  dal  7.^  ....  J  lo  scuole  popolari 
non  ebbero  che  un  aumento  di  1,798,373  lire.  Non  sembra  dav- 
vero che  questa  povera  cifra  sia  stata  messa  II  più  por  appa- 
ra '  per  altro?  Non  sembra  che  la  inetecuzione  della  legge 
I  la  e  il  numero  non  decrescente  degli  analfabeti  si 
'1<M<  k  attribairo  per  molta  parte  a  questa  ìndifTeronza  dello 
Stato  '  (  'on  molta  ragione  l'onorevole  Ferrari  diceva:  u  E  tempo 
<li  rÌKilvc-rc  una  buona  volta  il  problema;  di  pensare  che  le 
«onsidorazioni  finanziane  non  possono  avere  che  un  peso  molto 
relativo  in  argomento  di  al  vitale  importanza;  che  se  la  coltura 
'lei  popolo  ò  base  della  libertà,  non  ò  mai  antico  quel  dotto: 
•  -^Ncrc  una  nazione  molto  vicina  a  perdere  la  libertà,  quando 
«omincia  a  pensare  che  la  libertà  costa  troppo,  n  Forse  por  fa 


486  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

cilitare  allo  Stato  l'ardua  impresa,  tornerebbe  opportuno  imporre 

una  lieve  tassa  scolastica  alle  famiglie  facoltose?  '  L'idea  anche 
in  Italia  non  giungerebbe  nuova.  La  Scialoia  nel  1874;  il  Bon- 
ghi nel  1875;  il  Bertani  nel  1877  in  diverse  occasioni  e  in  varia 
misura  ne  facevano  proposta  alle  camere;  ma  i  disegni  di  legge, 
di  cui  erano  parte,  non  ottennero  il  favore  del  Parlamento  e  le 
proposte  caddero  con  essi.  Altri  studi  se  potesse  tentarsene 
l'esperimento,  ove  il  fisco  sfruttava  già  anche  troppo  le  rendite 
dei  cittadini,  ed  ove  moltissimi  genitori  sono  tirati  ad  inscrivere 
i  figliuoli  alle  scuole  pubbliche  solo  per  bisogno  del  risparmio, 
pronti  ad  affidarli  domani  alle  scuole  private  cattoliche,  quando 
li  colpisse  la  nuova  imposta.  La  Francia  volle  tentarla  per  al- 
cuni anni:  n'ebbe  effetti  assai  nocivi  all'educazione  nazionale. 
Ed  ora  l'aboliva;  ma  lo  stato  assegnava  in  pro'delle  scuole  quei 
20  milioni  di  lire,  che  si  ricavarono  dalla  imposta  suddetta. 
Sempre  dunque  la  quistione  economica!  Io  non  me  ne  spavento, 
e  ripeto  di  aver  fede  nella  generosità  e  nel  senno  dei  nostri 
deputati  e  del  governo,  e  credo  che  di  qui  a  pochi  anni  sarà 
provveduto  degnamente  a  questa  istituzione  nazionale. 

Fissato  il  minimo  suddetto,  attirati  cosi  i  giovani  di  svegliato 
ingegno  e  studiosi  alla  carriera  dell'insegnamento,  degnamente 
preparati  nella  coltura  e  nel  costume  entro  le  scuole  normali, 
in  quel  modo  che  si  avrà  per  migliore  (ne  io  qui  vi  accenno, 
che  uscirei  dai  limiti  impostimi  dal  tempo  e  dall'  argomento) 
nominate  persone  autorevoli  e  nel  numero  necessario  e  conve- 
nientemente retribuite  a  sorvegliare  la  esecuzione  dell'  istru- 
zione obbligatoria  e  l'andamento  didattico  e  morale  della  scuola, 
sussidiati  i  comuni  impotenti  perchè  arrivino  a  raggiungere  il 
minimo  degli  stipendi  non  solo,  ma  a  portare  aiuti  alle  fami- 
glie bisognose  per  potere  imporre  effettivamente  ai  fanciulli 
la  frequenza  scolastica;  abolito  (il  che  è  pure  grandemente  de- 
siderabile) gli  art.  13  e  14  della  legge  comunale  e  provinciale 
vigenti,  che  permette  la  riunione  di  più  comuni  limitrofi  solo  a 
que'centri  i  quali  raccolgono  meno  di  1500  abitanti,  e  concede 
loro  di  tenere  separato  il  proprio  bilancio;  e  cosi  resa  possibile 
la  costituzione  di    unità  amministrative    maggiori,  più  robuste, 

'  Molti  Stati  della  Germania  mantengono  ancora  una  tassa  scolastica, 
ora  generale,  ora  speciale;  presso  alcuni,  come  in  Prussia,  tutte  e  due  ad 
un  tempo.  La  generale  grava  tutti  i  cittadini;  la  speciale,  solo  i  facoltosi.  Stu- 
diando le  condizioni  etnografiche  e  civili  di  quella  nazione,  si  troverà  il 
perché  dì  questo  fatto  sociale. 


IN    ITALIA.  487 

più  vigorose,  noi  avremo  preparato  il  terreno,  ove  potrà  crescere 
rigogliosa  la  nuova  istituzione  della  scuola  rurale.  Lascio  di 
considerare  se  fosse  opportuno  o  no  il  passaggio  delle  scuole 
elementari  o  popolari  allo  Stato,  quistione  gravissima  e  da  trat- 
tarsi con  istudio  profondo  e  con  massima  prudenza.  Non  na- 
scondo però  la  mia  predilezione  verso  ad  un  sistema  meno  accen- 
tratoro e  meno  assoluto,  onde  mi  parrebbe  più  conveniente  che 
le  scuole  venissero  ripartite  e  raggruppate  secondo  la  circoscri- 
zione territoriale  delle  provincie.  Così  riofluenza  politica  che 
nei  sistemi  di  governo  rappresentativo  tende  facilmente  a  scen- 
dere dall'alto  preponderando  su  tutti  quelli  che  in  qualche  modo 
dipendono  dal  Governo,  non  avrebbe  esca,  e  sarebbe  forse  me- 
glio conservata  alle  provincie  una  certa  autonomia  per  dirigere 
l'istruzione  ai  proprii  bisogni  speciali.  Offrire  ai  maestri  il  mezzo 
di  passare  da  una  scuola  d'ordine  inferiore  e  meno  retribuita, 
ad  un'altra  di  grado  superiore  retribuita  meglio,  per  esempio 
da  un  comune  di  3'  classe,  ad  uno  dì  2'  o  di  1'  (che  i  muni- 
cipi, secondo  l'idea  dell'onorevole  Turbiglio,  potrebbero  essere 
appunto  classificati  per  Provincia  in  diverse  categorie,  affinchè 
più  facilmente  si  facesse  luogo  alla  promozione  dei  maestri  più 
degni)  ò  rispondente  al  carattere  della  natura  umana  e  della 
vita  sociale  ;  ma  aprire  un  campo  sconfinato  a  queste  legittimo 
aspirazioni,  e  travolgere  un  maestro  anche  a  titolo  di  promo- 
zione da  un  capo  all'altro  d'Italia,  recherebbe  spesso  grave 
danno  alla  scuola;  fatta  ragione  di  quella  corrispondenza  che 
il  tempo  e  gli  onorati  servigi  debbono  stabilire  e  rassodare  fra 
l'opera  del  maestro  e  la  fiducia  della  famiglia  ;  e  delle  abitudini 
e  del  ''  '  ■  «liversi  che  si  riscontrano  nelle  diverso  parti  d'Italia. 
La  cìi  /ione  provinciale  mi  parrebbe  dunque  campo  adattato: 

che  del  resto  si  deve  sopratutto  tendere  non  a  stuasicare  l'ambi- 
y.'ìonfi  del  maestro,  ma  a  rendergli  cara  la  scuola  e  lieta  la  dimora, 
provvedendogli  una  onesta  o  sufficiente  agiatessa  fino  agli  anni 
più  tardi  della  vecchiaia;  affinchè  sia  messo  in  grado  di  consoli 
dare  l'affetto  e  l'opera  educativa  dell'  insegnamento  pubblico  col- 
l'amore  della  famiglia  e  coU'austero  osercisio  delle  virtù  paterne.' 

'  Il  Minittro  BaecslU  pressotaTs  prima  dolls  ferìn  Pnnquali  alla  presi- 
denza della  camera  un  disegno  di  legge,  passato  poi  allo  studio  di  una  com- 
tnÌHtone  Rpeelale  per  rendere  meno  diiagiata  la  condizione  morale  dei  maestri 
elementari.  Ma  la  tirannia  del  liilancio  f^li  rietava  di  promuoTcrno  il  miglio. 
rameato  eccnonico!  Anche  il  Ik)nghi  raccomandara  al  l'arlamcntn  un  uno 
progetto,  per  aameatare  di  qualche  poco  lo  atipendio  degli  insegnanti  stessi- 


488  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

IX. 

Ma  tutti  questi  provvedimenti  cadrebbero  quasi  affatto,  quando 
la  scuola  rurale  continuasse  a  porgere  una  istruzione  scarsa  e 
infruttuosa,  sia  per  la  quantità  e  il  grado  delle  cognizioni,  sia  per 
la  durata.  Essa  pertanto  dovrebbe  accogliere  il  fanciullo  ancora 
nella  infanzia,  e  seguirlo  con  amorosa  sollecitudine  fino  al  limi- 
tare della  adolescenza  ;  giacche  se  nessuna  educazione  può  ugua- 
gliare quella  della  famiglia,  ove  in  essa  si  respiri  Tarla  ossige- 
nata della  buona  istruzione  e  del  corretto  costume,  nessun  er- 
rore supererebbe  quello  di  abbandonare  totalmente  i  bambini 
alle  famiglie  viziate  dalla  povertà,  dal  soverchio  numero  dei 
figli,  dalla  ignoranza,  dalle  malattie  ereditarie,  dai  perversi  co- 
stumi. A  tutti  noi  sono  note  certe  miserie  che  sussistono  e  sus- 
sisteranno ancora  per  molto  tempo,  là  dove  si  rannicchia  e  si 
agglomera  il  popolo  più  minuto  e  più  rozzo.  Non  già  che  la 
scuola  debba  sottrarre  i  fanciulli  del  tutto  alla  famiglia  e  alla 
vita  sociale;  il  bisogno  e  lo  stesso  dolore,  le  relazioni  naturali 
e  necessarie  e  la  quotidiana  esperienza  sono  per  se  stessi  stru- 
menti potentissimi  di  educazione  civile;  la  scuola  deve  gover- 
nare il  giovanetto  tutto  il  tempo  che  è  indispensabile  per  deter- 
minare un  salutare  equilibrio  tra  le  sue  facoltà;  per  imprimere 
indelebilmente  nella  sua  memoria  gli  elementi  del  sapere,  edu- 
cando il  sentimento  e  la  ragione  ad  osservare  i  fenomeni  della 
vita  umana  e  sociale  con  giusto  criterio  e  con  coscienza  della 
propria  responsabilità.  Dappertutto  fin  ora  si  levarono  lamen- 
tanze  sulla  inutilità  della  presente  scuola  obbligatoria  ;  l' ono- 
revole Zucconi  nella  più  volte  citata  discussione  alle  camere 
proponeva  al  Ministro  di  istituire  nelle  campagne  degli  asili 
rurali,  raccogliendo  in  essi  i  contadinelli  dai  quattro  agli  otto 
anni,  per  poi  affidarli  alla  scuola  elementare.  Alcuni  municipi 
provvidero  già,  come"  potevano  meglio,  a  tanto  bisogno,  e  fra 
questi  cito  il  municipio  di  Bologna,  ove,  sia  nell'  ordinamento 
delle  scuole  elementari  urbane,  sia  in  quello  delle  rurali,  si  ebbe 
una  felice  intuizione  della  scuola  popolare.  Infatti,  rispetto  alla 
istruzione  nel  forese,  fino  dal  1876  sorsero  a  Bologna  alcune 
classi  preparatorie  alle  rurali  uniche  o  miste,  accogliendovi  i 
bambini  d'ambo  i  sessi  (ora  insieme,  formando  cosi  una  prepa- 
ratoria mista,  ora  separati)  dai  cinque  ai  sette  anni,  acciocché 
quivi  ricevessero  la  prima  impronta  della    disciplina  scolastica 


IN    ITALIA.  489 

mediante  un  rudimentale  insegnamento  al  tutto  intuitivo,  fram- 
mischiato da  molti  e  dilettevoli  esercizi  di  ginnastica  e  di  canto. 
Non  andò  guari  che  il  comune  di  Bologna  ebbe  a  rallegrarsi 
del  saggio  esperimento,  tanto  che  questa  specie  di  asili  rurali 
si  vengono  moltiplicando,  affermandosi  e  pel  numero  e  per  l'im- 
portanza educativa  ed  economica  come  una  istituzione,  di  cui 
quella  solerte  amministrazione  ci  diede  con  lodevole  ardimento 
un  utile  esempio.  * 

Anche  fuori  d' Italia  troviamo  incoraggiamento  e  conforto  ad 
una  sostanziale  modificazione  della  scuola  elementare.  In  Fran- 
cia, per  esempio,  la  nuova  legge  scolastica  distingue  la  scuola 
in  materna  ed  in  primaria.  La  materna  sì  ripartisce  in  due  se- 
zioni, nella  prima  delle  quali  si  accolgono  i  bambini  dai  due 
ai  cinque  anni,  e  nella  seconda,  chiaiaata  classe  infantile,  dai 
cinque  ai  sette.  La  primaria  è  divisa  in  tre  corsi;  elementare 
pei  bambini  dai  sette  a  nove  anni;  media  dai  nove  agli  undici; 
superiore  dagli  undici  ai  tredici.  Ne  qui  sì  compie  intieramente 
r  istruzione  elementare  ;  perchè  in  que'  comuni  ove  si  annove- 
rano dieci  alunni  almeno  licenziati  dal  corso  primario,  è  insti- 
tuito  uno  «tudio  complementare  di  un  anno.  Là  dove  poi  (il  che 
si  verifica  generalmente  nei  comuni  rurali)  non  può  fondarsi  la 
scuola  materna,  si  sopperisce  con  una  classe  infantilo  prepara- 

^  Un  altro  esempio  lodevolistimo  ci  offre  Bologna  sul  modo  di  eleggere 
il  personale  insegnante  alle  scuole  rurali,  informandosi  cosi  al  concetto  da 
me  più  sopra  manifestato:  quello  cioè  di  creare  agli  insegnanti  uno  stato 
di  Butficient;  agiatezza  e  di  vita  riposata  <>  serena,  mettendoli  in  grado  di 
crearsi  ana  famiglia,  più  chf^  di  eccitarne  rambizionc.  In  quello  tìUo  o  sob* 
borghi  ore  hanno  sede  scuole  uniche  per  ambo  i  sossi,  Dotognf  nomina  a 
preferenza  dae  roniu?!:  anzi  non  seguo  direrso  criterio,  che  in  caso  di  as- 
solata  imp''  uore  poi  col  tempo  alla  scuola  di  clttÀ  o  a  quella 
dei  sobborgo  hi  ha  più  numerosa  fnmigliii,  e  si  rese  ad  un  tempo 
più  mcritcroie  della  promozione.  E  ciò  salva  anche  in  gran  parte  qoel  mu- 
nicipio daU'imporre  alle  maestre  l'obbligo  di  ottenere  11  suo  ■■- "  o  prima 

di  niarìtarnl;  come  intenderà  stabilire  pochi  meni  fa  il  mu  i  Udine, 

e  come  si  usa  presso  molti  comuni  disilo  Stato  auntriaco,  fni  (lut^ti  Trieste. 
I  nostri  giornaletti  didnttift  nndavano  poi  •troinbazr.Hdo  «-iio  Udine  proten- 
dc'Vii  jiroihire  il  matr  •  macntre!  Adir  vero,  altro  ó  porro  il  divieto 

assoluto  i>4>r   massim  i,  rì»ert>anii  un  diritto   che  non    contraddico  a 

un  certo  spirito  di  patema  nolivcitudine,  e  che  preserva  la  scuola  e  il  oo* 
mune  dai  perìcoli  della  liliortiV  iliìiuitata  mantenuta  alla  maestra  in  faceenda 
cosi  grave  da  quasi  tutti  i  municipi  italiani;  troppe  volte  et  diede  il  caso 
che  i  cattivi  costumi  d'<i  mariti,  e  la  nessuna  ripatatione  da  etti  godvta 
scemassero  la  stima  delle  famiglie  verso  la  ma«Mtra  stessa,  o  rendessero  la 
scuola  deserta. 

Vob.  XL,  ••ri*  Il  —  1  Ak  «lo  Iksa.  M 


490  l'istruzione  aoraiua  e  le  scuole  rurali 

toria  alla  scuola  primaria.  Precisamente  o  quasi  come  a  Bologna. 
L'Austria  stessa  che  poco  tempo  fa  vedeva  approvata  dalla  ca- 
mera dei  signori  la  legge  sull'  insegnamento  pubblico  già  pre- 
sentata dal  principe  Alois  Liechtenstein  il  5  febbraio  1880  e 
che  specialmente  col  §  48  riguardante  l'insegnamento  religioso, 
mostravasi  poco  tenera  della  bene  intesa  libertà  di  coscienza, 
non  poteva  sottrarsi  ad  un  bisogno  altamente  civile,  e  riconfer- 
mava l'obbligo  scolastico,  limitandolo  però  fino  a  tutto  il  tredi- 
cesimo anno,  e  non  più  al  quattordicesimo;  come  era  prima.  E 
questa  diminuzione  al  partito  liberale  sembrò  già  assai  perni- 
ciosa. Gli  oppositori  cattolici  vinsero  per  pochi  voti.  —  Più  re- 
cisamente la  Germania  tenne  fermo  or  ora  contro  le  esigenze 
di  un  gruppo  che  nel  Parlamento  chiedeva  la  diminuzione  del- 
l'obbligo scolastico  che  si  protraeva  e  si  protrae  fino  ai  15  anni. 
Trieste,  come  risulta  dal  suo  bellissimo  regolamento,  in  data 
30  settembre  1882,  informato  allo  spirito  e  alle  prescrizioni  di 
quelle  leggi  governative,  stabilisce  coll'art.  162  alcuni  corsi  di 
ripetizione  per  quei  giovinetti,  che  nelle  campagne  raggiunsero 
l'età  in  cui  cessa  l'obbligo  di  frequentare  la  scuola  popolare. 
Altro  eòcmpio  del  come  si  riconosca  universalmente  la  necessità 
che  i  giovani  contadini  completino  e  maturino,  quanto  più  si 
possa,  la  loro  coltura. 

Tutto  dunque  ci  consiglia  e  ci  sprona  ad  accrescere  il  pa- 
trimonio della  istruzione  rurale  e  delle  abitudini  educative,  ele- 
vando alquanto  il  grado  dell'insegnamento  e  piegandolo  più 
opportunamente  ai  bisogni  della  società  campestre,  aggiungendo 
parecchi  anni  al  corso  attuale  degli  studi  elementari.  Si  fondi 
una  scuola  preparatoria  o  infantile  dai  cinque  ai  sette  e  una 
scuola  elementare  propriamente  detta  dai  sette  agli  undici.  Nella 
prima  acquistino  i  fanciulli  l' idea  concreta  delle  cose  più  co- 
muni e  il  primo  corredo  del  linguaggio,  esercitando  gradevol- 
mente le  facoltà  dell'attenzione;  nella  seconda  i  primissimi  ele- 
menti della  coltura  generale,  e  l'istruzione  istrumentale.  Tutte 
e  due  occupino  i  fanciulli  la  maggior  parte  della  giornata. 
Segua  di  poi  un  grado  d'insegnamento  più  elevato  e  più  pra- 
tico, segnatamente  rivolto  a  far  conoscere  ai  giovinetti  i  do- 
veri della  famiglia  e  della  patria,  le  nozioni  più  indispensa- 
bili della  buona  coltivazione  e  degli  studi  che  giovano  a  ren- 
derla razionale  e  produttiva.  Questo  corso  più  elevato  di  studi 
(che  io  chiamerei  scuola  popolare)  potrebbe  andare  dagli  un- 
dici ai  quindici   o  ai  sedici  anni.  Ma  poiché  sarebbe  un  grave 


I 


IN   ITALIA.  491 

•errore  disconoscere  che  i  giovinetti  dagli  undici  o  dai  dodici 
anni  in  su  cominciano  a  rendere  qualche  utile  servigio  ai  con- 
tadini in  molte  faccende  della  campagna  e  in  particolare  nel 
governo  del  bestiame  minuto,  la  scuola  dovrebbe  chiedere  a 
questi  giovanetti  solo  quel  tanto  di  frequenza,  che  si  concilia 
col  bisogno  delle  sopradette  occupazioni.  Epperò  dagli  undici 
ai  tredici  basterebbero  due  ore  al  giorno  in  qUel  periodo  di 
tempo,  che  risponderebbe  maggiormente  agli  usi  dei  diversi  luo- 
ghi ;  dai  tredici  ai  quindici  nei  mesi  invernali  la  scuola  potrebbe 
aver  luogo  di  sera  e  nelle  domeniche,  per  diventare  poscia  esclu- 
sivamente festiva  nel  resto  dell'anno. 

Mi  verrà  obbiettato  che  sembra  soverchio  protrarre  l'obbliga 
della  scuola  fino  ai  15  o  ai  16  anni?  Ma  soverchio  non  ò,  quando 
non  si  domanda  cosa  impossibile  o  troppo  pesante.  E  mi  paro 
che  i  modi  qui  esaminati  e  proposti  giovino  a  facilitarlo.  Né  mi 
spaventa  la  voce  grossa  di  tutti  quelli  che  gridano,  fingendo  di 
non  intendere,  o  davvero  non  intendendo:  Non  comprimete: 
aiutate,  e  nient'altro  ;  i  quali  sono  poi  tutti  solleciti  a  ricono- 
scere per  necessari  e  a  tenere  per  sacrosanti  tutti  gli  altri  ob- 
blighi e  ben  più  gravosi  che  lo  Stato  senza  alcun  ritegno  im- 
pone ai  cittadini  per  la  propria  conservazione,  per  la  libertà  o 
per  l'ordino  pubblico,  come  quelli  della  forzata  espropriazione, 
delle  tasse,  della  leva  e  di  molti  altri.  Che  se  Io  Stato  può  strap- 
pare alla  famiglia  un  figlinolo,  anche  quando  sia  di  essa  il  so- 
stegno, ed  a^'^'inccrlo  per  alcani  anni  nei  legami  di  una  vita 
tutta  affatto  opposta  all'  indolo  e  al  carattere  della  famiglia  umana 
e  al  naturale  ordinamento  dei  consorzi  sociali,  o  porchò  si  do- 
vrebbe nel  caso  delle  scuole  respingere  l'imi'  '  '^'  ^>n  dovere 
che  trae  la  sua  origine  dalla  necessità  dell'i  .  :  ....  no  insita  nella 
natura  dell'uomo,  legittimata  dai  secoli  e  dalla  storia; 'specie 
quando  essa  imposizione  non  annulla  la  potestà  patema  e  non 
impedisce  ai  giovinetti  gli  utili  servigi  prf^^'^Y  di  essa  e  l'ap- 
prendimento di  un  mestiere? 

Dissi  che  le  nozioni  d'agraria  entrerebbero  nel  corso  degli 
-nidi  più  elevato,  ossia  nella  scuola  popolare  dagli  11  ai  15  anni. 
•Mi  anche  questo  insegnamento  dovrebbe  estere  ripartito  nei  duo 
periodi  di  essa,  e  distribuito  secondo  lo  sviluppo  e  la  graduata 
pfi  ■      ••       ,  ^|g  jJqJ  giovani.  Nel  primo  periodo  dagli 

11  alcune  nozioncine  di  storia  naturale,  come 

parte  essenziale  della  coltura  generale,  senza  tirar  dietro  a  clas- 
sificazioni scientifiche,  ma  attendendosi  agli  esemplari    o  ai  fo- 


492  l'istruzione  agraria  e  le  scuole  rurali 

nomeni  più  comuni,  e  fermandosi  segnatamente  alle  produzioni 
locali  delle  campagne.  —  Nel  secondo  periodo  dai  13  ai  15  o  16, 
quando  1'  insegnamento  raccoglie  gli  alunni  di  sera,  oltre  a  con- 
tinuare le  nozioni  sugli  animali,  sulle  piante  e  sui  minerali,  tor- 
nerebbe assai  acconcio  e  non  difficile  studiare  entro  giusti  confini 
alcune  proprietà  dei  minerali  stessi,  offrendo  ai  giovani  qualche 
pratica  cognizioncella  di  chimica  per  condurli  a  conoscere  ra- 
zionalmente, per  esempio,  la  natura  dei  terreni,  la  qualità  dei 
concimi  ecc.  ecc.  Quando  poi  le  lezioni  diventano  festive,  allora 
il  tempo,  il  luogo,  l'opportunità  il  bisogno  reclamerebbero  un 
insegnamento  del  tutto  agronomico,  esclusivamente  pratico  ;  giac- 
ché i  giovani  dovrebbero  essere  condotti  sui  terreni  meglio  col- 
tivati per  far  loro  toccar  con  mano  gli  effetti  dei  più  lodati 
sistemi  e  per  metter  loro  sott'  occhio,  mediante  l' esempio  tutte 
quelle  operazioni  che  richiedono  un  buon  fondamento  di  coltura 
generale,  sufficiente  corredo  di  studi  speciali  e  non  breve  espe- 
rienza. Non  s' insegnano  precetti  agrari  valendosi  per  le  dimo- 
strazioni solo  di  animali  di  gesso,  di  concimi  in  boccette,  di 
coltri  di  cartone,  o  di  campi  dipinti  ;  ma  è  nella  stalla,  nella 
concimaia  e  sul  podere  che  il  futuro  agricoltore  acquisterà  le 
conoscenze  occorrenti  all'arte  sua.  '  Altri  poi  vegga  se  riordinata 
la  scuola  rurale,  fosse  possibile  di  affidare  ai  maestri  l' insegna- 
mento non  solo  delle  nozioni  agronomiche  preparatorie,  ma  anche 
le  pratiche,  assegnando  loro  un  podere  modello,  come  s'usa  in 
Isvizzera  e  altrove,  o  almeno  un  orto,  come  a  Trieste  e  nell'Au- 
stria, secondo  l'ordinanza  ministeriale  in  data  2  settembre  1872. 
Oppure  se  tornasse  meglio  (come  io  penso)  di  chiamare  a. tenere 
le  conferenze  agrarie  o  lezioni  festive  i  professori  d'agraria  delle 
scuole  pratiche,  o  i  giovani  più  volonterosi  che  escono  da  esse. 
Io  ripeto  e  sostengo  che  l' indispensabile  tirocinio  di  prepara- 
zione mentale  :  il  necessario  fondamento  di  generale  coltura,  che 
oggi  manca  affatto  nelle  nostre  scuole  rurali,  noi  lo  acquiste- 
remmo col  sistema  sopra  accennato,  o  con  qualunque  altro  che 
s'inspirasse  ai  reali  e  grandi  bisogni  del  risorgimento  agrono- 
mico e  morale  d^lle  nostre  popolazioni  rurali.  Allora  la  scuola 
raggiungerà  il  suo  intento  educativo,  giacché  i  campagnuoli, 
aiutati  opportunamente  dallo  Stato  e  dai  comuni,  quando  versino 
in  povero  stato:  stimolati,  se  occorre,  dalla  legge  obbligatoria, 

^  CuppABT,  Sulla  istruzione  agraria.  —  Giornale  agrario  toscano  1861. 
Cabina,  Istruzione  primaria  e  industriale,  pag.  386. 


IN   ITALIA.  493 

finché  almeno  l'esempio  e  la  convincente  logica  dei  fatti  non  li 
abbia  tatti  soggiogati,  riconoscendola  a  poco  a  poco  veramente 
diretta  al  loro  bene,  imparando  ad  amare  e  stimare  quegli  uo- 
mini che  per  serenità  d'  intendimenti,  per  dignità  di  costumi, 
per  sufficiente  e  soda  dottrina,  per  zelo  costante  indefesso  nel- 
r  insegnamento,  mostreranno  di  meritare  appieno  la  pubblica 
fiducia,  la  renderanno  popolata  e  la  circonderanno  di  rispetto  e 
di  sollecitudine. 

È  questo  un  sogno  forse  ?  No,  no  :  non  lo  credo.  Io  ho  espresso 
con  intimo  convincimento  e  con  onesta  schiettezza  le  mie  opi- 
nioni e  le  mie  speranze;  avrò  errato  nei  giudizi;  ma  non  nei 
fatti.  Or  bene  :  non  basterebbero  questi  a  richiamare  ancora  una 
volta  l'attenzione  dei  valentuomini  sopra  un  argomento  che  si 
attiene  cosi  strettamente  all'  incremento  dell'educazione  rurale  e 
della  agricoltura  nazionale,  elemento  capitalissimo  della  prospe- 
rità pubblica?  u  I  bisogni  dell'agricoltura  sono  identici  ai  bi- 
sogni della  civiltà;  n  scriveva  a  questi  giorni  un  uomo  grande- 
mente benemerito  degli  studi  sociali.  *  Questa  sentenza  riassume 
tutto  il  mio  pensiero;  tutti  i  miei  voti. 

Giovanni  Fanti. 
1  O.  Ro«A,  Storia  deWagriooUmra  nella  dvatà.  Milano,  Qoadrio  1888. 


SCAVI  DI  ROMA 


IL  NUOVO  OBELISCO  I>EH^'  ISEO. 


Nel  penultimo  fascicolo  scrivemmo  un  rapido  annunzio  delie- 
scoperte  di  antichità  egiziane  avvenute  presso  l'abside  della 
chiesa  della  Minerva,  ma  furon  dette  appena  poche  parole  sulla 
più  importante  di  queste,  cioè  sull'obelisco,  perchè  allorquando 
si  pubblicarono  quelle  pagine,  il  monolite  stava  ancora  quasi 
tutto  sotterra. 

Annunciammo  bensì  che  nella  parte  bassa  del  monumento  si 
leggevano  i  cartelli  reali  del  Faraone  Ramses  II,  ma  non  si  poteva 
ancora  esaminare  la  iscrizione  geroglifica  perchè  quasi  tutta 
ancora  coperta  dalle  macerie.  Appena  poi  estratto  fuori  il  mo- 
numento avemmo  cura  di  fare  una  traduzione  delle  quattro  sue 
facce  che  apparve  nei  giornali  quotidiani  di  Roma  ;  ma  fu  questa 
una  sola  e  pura  traduzione  senza  entrare  in  osservazioni  scien- 
tifiche, giacché  solo  scopo  fu  quello  di  far  conoscere  al  pub- 
blico il  senso  di  quei  geroglifici. 

Ci  è  sembrato  quindi  necessario  di  completare  il  primo  arti- 
colo scritto  su  questo  periodico  dicendo  qualche  cosa  di  più  spe- 
ciale su  questo  obelisco  del  quale  si  è  tanto  parlato. 

Il  nome  obeliscus  è  un  diminutivo  adoperato  dagli  scrittori 
latini  del  termine  o^ikoc,  col  quale  i  greci  chiamarono  quei  mo- 
noliti di  forma  snella  ed  elegante  da  loro  ammirati  in  Egitto. 
Il  vero  nome  trovato  nei  geroglifici  è  Tekhen,  ed  era  un  monu- 
mento che  avea  certamente  relazione  con  il  culto  del  Sole,  culto 
che  formava  il  fondo  principale  della  religione  egizia.  Presso 
quel  popolo  il  grande  astro  del  giorno  era  la  manifestazione  pia 


SCAVI    DI   ROMA.  495 

bella  e  più  benefica  della  divinità,  e  le  varie  vicissitudini  del 
suo  corso  diurno  e  notturno  davano  il  nome  ai  diversi  numi 
solari.  Cosi  Horus  era  un  simbolo  del  sole  oriente,  Ra  del  sole 
nel  massimo  di  sua  forza,  Tura  dell'astro  che  tramonta  e  va  a 
\àsitare  le  regioni  sotterranee,  ed  Harmachis  od  Harmachutì 
rappresentava  il  passaggio  di  Horus  da  uno  all'altro  orizzonte. 
Ma  il  dio  misterioso  di  cui  tutte  queste  varie  apparenze  erano 
una  manifestazione  dicevasi  Ammon-Ra,  cioè  il  dio  nascosto  che 
si  rende  visibile  agli  uomini  sotto  la  forma  solare.  Al  sole  erano 
sacri  quasi  tutti  i  templi  egiziani,  e  dinanzi  ai  maestosi  pro- 
pilei di  quei  grandi  edifizi,  sorgevano  appunto  gli  obelischi  i 
quali,  secondo  Plinio,  simboleggiavano  con  la  forma  aguzza  il 
raggio  solare.  Ad  ogni  modo  certo  si  è  che  l'obelisco  era  vene- 
rato come  un  simbolo  divino,  e  questo  fatto  si  ricava  da  alcune 
iscrizioni  ed  anche  da  qualche  monumento  ove  si  vede  rappre- 
sentata l'adorazione  delVoheligco. 

Questi  monoh'ti  quasi  sempre  in  granito  sono  formati  di  duo 

parti,  cioè  la  prismatica  e  la  piramidale  che  la  sormonta  detta 

pure  il  Piramydionj  e  generalmente  sono  ricoperti  di  leggende 

geroglifiche  in  tutte  e  quattro  lo  facce  ed  anche  nella  cuspide. 

Queste  iscrizioni  che  si  leggono  dall'alto  al  basso  e  talora  sono 

di  una  sola  linea,  talora  di  parecchie  sopra  la  medesima  faccia, 

lon  vengono  apprezzate  molto  dagli  egittologi  perchè  non  hanno 

Il  genere  una  grande  importanza  storica,  ma  contengono  quasi 

«►cmpre  una  ripetizione  del  solito  formolario  ampolloso  e    tutto 

orientale  dei  titoli  religiosi  e  civili  che  si  davano  ai  re  d'Egitto, 

I  cordando    solo    la  edificazione  di  un  qualche  tempio,    la  ere- 

/.ione  stessa  dell'obelisco,  e  con  frasi  per  lo  più  assai  generali, 

lo  vittorie  ottenute  da  quel  Faraone  di  cui  portano  il  nome.  K 

•{ui  deve  oMervarsi  che  i  titoli  dati  al  monarca  sono  fondati  sul 

concrito  degli  egiziani  che  il  re  fosae  una  personificazione  vivente 

della  divinità  e  perciò  era  da  essi  chiamato  Se  Ra    (figlio   del 

sole),  St  Asar  (figlio  di  Oriside),  e  si  diceva  sempre  protetto  ed 

amato  da  qualche  divinità  cai  egli  professasse  un  culto  spccialo. 

Il  \nù  antico  obelisco  che  si  conosca  appartiene  al  re  Ougertesen  I 

della  12*  dinastia  e  trovasi  fra  le  rovine  di  Eliopoli.  Il  più  grande 

quello  della  regina  Hatasou  della  18*  dinastia  esistente  ancora 

i  Karnak  presso  Tebe  alto  33  metri,  e    subito    dopo   viene   il 

1. ostro  obelisco  lateranenso  del  tempo  di   Toiitmet  IV,  che  cede 

•olo  di  un  metro  in  altezza  al  grande  monolite  tebano. 

Le  iscrizioni  incise  sugli  obelischi  furono,  come  ognun    sn, 


496  SCAVI    DI    ROMA. 

un  mistero  fino  alla  grande  scoperta  di  Champollion,  e  basta 
leggere  i  vaneggiamenti  del  Kirclier  nel  suo  Oedipus  cngiptiacus 
per  convincersi  che  prima  di  essa  si  stava  assolutamente  fuori 
di  strada  in  quanto  alla  interpetrazione  dei  geroglifici.  Ma  deve 
dirsi  a  lode  del  vero  che  non  tutti  prestarono  fede  a  quei  sogni, 
e  che  nel  secolo  scorso  il  Zoega  scrisse  un  libro  pregevolissimo 
De  origine  et  usu  obeliscorum  nel  quale  espose  con  grande  dot- 
trina quanto  poteva  dirsi  ai  suoi  giorni  su  questo  argomento, 
ed  anzi  ebbe  il  merito  di  divinare  che  i  cartelli  tanto  frequenti 
nelle  iscrizioni  geroglifiche  contenessero  i  nomi  dei  re,  cosa 
dimostrata  poi  con  certezza.  Finalmente  un  lavoro  veramente 
scientifico  sugli  obelischi  di  Roma,  fu  scritto  poco  dopo  la  sco- 
perta di  Champollion  da  un  nostro  dotto  italiano  il  P.  Ungarelli 
il  quale,  per  ordine  del  pontefice  Gregorio  XVI  fondatore  del 
museo  egizio  vaticano,  pubblicò  accurati  disegni  di  tutte  quelle 
leggende  geroglifiche,  unendovi  una  traduzione  quanto  più  perfetta 
potevasi  nello  stato  in  cui  la  scienza  si  trovava  ai  suoi  giorni. 
Non  sarebbe  opportuno  che  io  stessi  qui  a  narrare  come  con 
l'aiuto  d'alcune  iscrizioni  bilingui  e  col  sussidio  della  lingua  copta 
siano  pervenuti  pian  piano  gli  egittologi  a  decifrare  oramai  qua- 
lunque iscrizione  geroglifica,  giacche  sono  cose  abbastanza  note 
anche  a  chi  non  si  occupa  in  modo  speciale  di  questi  studi  ;  ma 
voglio  solo  accennare  ciò  che  mi  servirà  per  l'interpretazione 
del  nuovo  obelisco,  che  la  scrittura  geroglifica  si  compone  di 
segni  di  natura  diversa.  Alcuni  di  questi  sono  ideografici  cioè 
rappresentativi  di  una  idea,  ed  altri  fonetici  ossia  esprimenti  un 
suono.  I  primi  si  chiamano  figurativi  o  simbolici,  secondo  che 
rappresentano  materialmente  disegnato  l'oggetto  che  si  vuole 
esprimere,  ovvero  che  ne  indicano  un  simbolo,  come  per  esempio 
un  vaso  di  libazione  per  significare  il  sacrifizio.  I  fonetici  poi  tal- 
volta esprimono  una  sillaba,  talvolta  una  sola  lettera,  e  spesso  la 
sillaba  o  la  lettera  con  la  quale  comincia  il  nome  rappresentato 
da  quel  dato  segno.  Vi  sono  poi  i  geroglifici  detti  determina- 
tivi, i  quali  non  si  pronunziano  nelle  iscrizioni,  ma  servono  ad 
indicare  con  più  chiarezza  a  quale  ordine  di  idee  appartiene  il 
nome  che  precede;  cosi  per  esempio:  le  figure  di  uomo  o  di 
donna  fanno  conoscere  che  il  nome  proprio  appartiene  ad  un 
uomo  0  ad  una  donna,  due  gambe  indicano  il  movimento,  una 
mano  avvicinata  alla  bocca  esprime  le  idee  di  parola  o  discorso, 
un  circolo  con  una  croce  nel  mezzo  indica  luogo  abitato  o  città, 
e  così  via. 


SCAVI   DI   ROMA.  497 

I  cartelli  poi,  come  ho  già  detto,  contengono  sempre  il  nome 
del  re,  perchè  i  cartelli  rappresentano  un  sigillo  il  quale  era 
simbolo  d'immortalità,  e  nelle  iscrizioni  son  sempre  doppi.  Il 
primo  contiene  il  prenome  del  re  cioè  quel  titolo  esprimente  una 
assimilazione  del  re  al  sole  e  che  può  chiamarsi  il  nome  sacro, 
ed  è  preceduto  sempre  dalla  frase  Re  dell'alto  e  del  basso  Egitto 
espressa  dal  gruppo  di  un  ramoscello  e  di  un'ape:  nel  secondo 
cartello  è  scritto  il  nome  proprio  di  ciascun  Faraone  come  per 
esempio:  Ramses,  Toutmes,  Amenhotep  ecc.,  e  dinanzi  a  questo 
va  sempre  l'altro  titolo  Se  Ra  figlio  del  sole,  cioè  un'oca  messa 
accanto  al  disco  solare. 

Non  tutti  gli  obelischi  con  iscrizioni  geroglifiche  sono  vera- 
mente egiziani,  come  già  accennammo  nell'articolo  precedente, 
ma  taluni  furono  fatti  all'epoca  della  dominazione  romana.  Questi 
poi  o  s'innalzavano  in  onore  di  un  imperatore,  il  cui  nome 
ridotto  alla  forma  egizia  s'incideva  nel  cartello  reale,  ovvero 
erano  una  copia  di  un  qualche  obelisco  antico  col  nome  di  un 
Faraone.  Ed  in  Roma  abbiamo  esempi  dell'uno  e  dell'altro  caso, 
giacche  gli  obelischi  della  piazza  Navona  e  del  monte  Pincio 
appartengono  rispettivamente  a  Domiziano  e  ad  Adriano,  mentre 
quello  della  Trinità  dei  Monti,  quantunque  abbia  i  cartelli  di 
Ramses  II,  pure  si  deve  riconoscere  come  lavoro  di  imitazione. 
Ed  il  carattere  distintivo  di  questa  imitazione  ò  la  rozzezza  dol 
taglio  nei  geroglifici  e  la  forma  non  compiuta  ed  esatta  dei  me- 
desimi che  accusa  una  mano  la  quale  copiava  quei  segni  senza 
intenderli.  Premesse  queste  indicazioni  veniamo  alla  descrizione 
del  nuovo  obelisco. 

Esso  è  in  granito  rosso  detto  8i<  nit<-  alto  metri  0,40  compreso 
il  piratnydion  e  largo  alla  base  m<-tri  <J,70;  ù  in  perfetto  stato 
dì  conservazione  meno  qoalche  piccola  scheggiatura  ad  uno 
degli  spigoli,  e  nella  baAc  presenta  un  foro  per  il  perno  metal- 
lico che  lo  dovea  collogarc  alio  zoccolo.  Il  piratnydion  poi  presso 
la  punta  ha  un  intacco  nel  quale  dorea  cortamente  adattarsi 
un  rivestimento  di  metallo  dorato,  assai  conveniente  ad  espri- 
mere il  raggio  solare  di  cui  l'obelisco  era  un  simbolo. 

Tutte  e  quattro  le  facce  sono  coperte  da  iscrizioni  gerogli- 
fiche disposte  in  di  una  sola  riga,  e  questo  sono  di  un  lavora 
cosi  eccellente  che  devono  riconoscersi  come  veramente  egiziano. 
Il  piratnydion  è  identico  in  tutte  le  facce  perchè  comincia  OOD 
il  disco  solare,  sotto  ha  lo  scarabeo,  simbolo  della  generazione 
divina,  e  poi  i  due  cartelli  reali  del  nome  e  del  prenome  col- 


498  SCAVI   DI   ROMA. 

locati  sopra  quel  segno  geroglifico  che  rappresenta  la  volta  ce- 
leste: e  questi  cartelli  portano  i  nomi  di  Ramses  II  del  quale 
poi  parleremo.  Le  iscrizioni  però  delle  faccie  sono  alquanto  di- 
verse l'una  dall'altra,  ma  tutte  ugualmente  contengono  ripetuti 
più  volte  i  cartelli  del  re  con  le  consuete  frasi  dell'ampollosità 
orientale.  Ognuna  delle  facce  a  partire  dall'alto,  comincia  con 
la  figura  del  vessillo  o  stendardo  sormontato  dallo  sparviero 
simbolo  del  dio  Horus  e  che  ha  sul  capo  lo  Pschent  cioè  il  dia- 
dema dell'alto  e  del  basso  Egitto,  e  nello  stendardo  è  scritta 
la  divisa  particolare  del  re  che  avea  però  qualche  variante  e 
nel  caso  nostro  ne  ha  tre  come  ora  vedremo. 

Quando  l'obelisco  sarà  alzato  potremo  indicare  le  facce  come 
negli  altri  chiamandole  settentrionale  meridionale  ecc.  ma  ora 
la  loro  indicazione  di  prima  o  seconda  è  arbitraria  e  quella  che 
io  seguo  è  basata  sopra  il  senso  delle  iscrizioni  e  sull'ordine 
nel  quale  io  credo  che  si  dovessero  leggere.  E  per  coloro  che 
desiderassero  riscontrare  questa  traduzione  sul  monumento  dirò 
che  io  chiamo  1*  faccia  quella  che  oggi  è  rivolta  verso  il  pa- 
lazzo Doria,  2*  quella  poggiata  in  terra,  3*  quella  che  guarda 
il  Collegio  romano,  e  4*  finalmente  la  orizzontale  *. 

(Prima  faccia)  :  Il  dio  Horus  sotto  forma  di  sparviero  sullo 
stendardo  reale. 

Nello  stendardo  :  Ka-nekt-meri  Ma.  (Toro  potente  amato  dalla 
Giustizia). 

Sotto  lo  stendardo  :  Suten  Sehet.  {Re  dell'alto  e  basso  Egitto). 

Cartello  :  (Ra-User-Ma-setep-en  Ra)  prenome  reale  che  può 
tradursi  così  :  {Sole  potente  di  giustizia  scelto  dal  Sole).  Poi  il 
titolo  Se-Ra  (figlio  del  sole). 

Secondo  cartello  del  nome  :  Rames-su-meri  Amun.  (Ramses 
amato  da  Ammone^ 

Quindi  prosegue  :  Tet  (conquistò)  e  vi  è  il  determinativo  delle 
azioni  di  forza  cioè  una  mano  armata.  Tai-nsbu  (i  paesi  tutti) 
em  neht-f  (con  la  sua  forza  o  potenza)  Neh  Taui  (Signore  dei 
due  paesi). 

Viene  poi  un'altra  volta  il  cartello  prenome  {Ra-User-Ma  Setep 
en  Ra)  e  finalmente  :  Meri  Hormakuti  (amato  da  Horus  dei  due 
orizzonti). 

^  Mentre  scrivo  l'obelisco  tratto  fuori  dallo  scavo  sta  giacente  sulla 
piazza  del  Collegio  Romano  non  essendo  ancora  deciso  il  posto  dove  sarà 
collocato. 


SCAVI    DI    ROMA. 


499 


(Seconda  faccia):  11  dio  Horus  come  sopra. 

Nello  stendardo  :  Ka  nektse  Tura  (Toro  potente  figlio  di  Tum). 

Al  di  sotto  :  Suten  Seket  {Re  dell'alto  e  basso  Egitto). 

Quindi  il  cartello  prenome  (Ra-User  ma  setejp  en  Ra)  e  poi 
ripete:  Se  Ra  (figlio  del  Sole). 

Il  cartello  del  nome  (Ra-mes-su-meri  Amun).  Menk  (perfetto) 
ma  Asar  (come  Osiride)  Neb-Kau  {Signore  delle  corone). 

Poi  nuovamente  il  cartello  del  nome  {Rames-su-meri  Amun) 
ed  infine  meri  Hormakuti  {amato  da   Horus  dei  dite   orizzonti). 

(Terza  faccia):  Il  dio  Horus  come  sopra. 

Nello  stendardo  :  Ka-Nekt-meri  Ma  {Toro potente  amato  dalla 
Giustizia). 

Sotto  lo  stendardo  :  Suten  Seket  (re  delValto  e  basso  Egitto). 

Cartello  prenome:  {Ra-User  Ma  setep  en  Ra):  poi  il  titolo 
reale  Se  Ra  (figlio  del  Sole) 

Cartello  del  nome  :  (Rames-m-meri  Amun) 

Quindi  :  Menk ....  Per  met-m  {compì  gli  edifizi  dei  padri 
suoi)  Xeb-Taui  (Signore  dei  paeti) 

Cartello  prenome:  {Ra-User- Ma- Setep  en  Ra),  ed  in  fine  come 
il  solito  Meri  Hormakuti. 

(Quarta  faccia):  Il  dio  Horus  com    s  ij)ra. 

Nello  stendardo  :  Ka-Nekt-meri-Rn  7'  / ./  potente  amato  da 
Ra  (SoU) 

Al  disotto  :  Suten  Seket  (re  dell'alto  e  basso  Egitto) 

Cartello  prenome:  {Ra-User-Ma-Setep  en  Ra)  e  poi  il  consueto 
titolo  Se  Ra  (figlio  del  sole) 

Cartello  del  nome  (RarneM-t^meri  Amun). 

Quindi  prosegue:  Rer  hotep  em  Hon  Xu-Ra.  {Circondò  di 
offerte  la  città  di  EUopoli  splendore  del  $oU). 

Neb-Kau.  (Signore  delle  Corone) 

Toma  quindi  il  cartello  del  nome  (Rames-su-meri  /lmi«n;,  e 
si  chiude  poi   con  una  frase  diversa  dallo  altre,  cioè: 

Meri  Tum  Neh  Hon,  {Amato  dal  dio  T\tm  signore  di  Eliopolt), 

Dai  cartelli  del  nome  e  del  prenome  li  ricava  con  sicurezsa 
(he  il  Faraone  cui  appartiene  il  nuovo  ohclisco  ò  precisamente 
Ramses  II,  della  19*  dinastia,  il  quale  regnò  secondo  lo  più  ne* 
ereditato  cronologie  dal  1311  al  1345  avanti  O.  C.  Fu  egli 
uno  dei  più  grandi  re  dell'Egitto  per  le  conquiste  da  lui  ripor- 
tate  e  per  gli  edifizi  sontuosi  che  inalzò  in  vario  città,  e  dalla 
greca  leggenda  fu  chiamato  Sesostri,  attribuendogli  immaginarie 


500  SCAVI   DI   ROMA. 

spedizioni.  Ma  anche  non  prestando  fede  alle  favole  formate  dai 
greci  e  stando  alla  storia  quale  risulta  dai  numerosi  monumenti  di 
questo  re,  egli  ci  apparisce  come  un  potente  e  felice  monarca 
.che  ebbe  un  lungo  e  prospero  regno,  un  Luigi  XIV  dell'Egitto. 
)La  sua  impresa  principale  fu  la  vittoria  sulla  potente  confede- 
razione asiatica  dei  Keta  che  comprendeva  gli  abitanti  dell'Asia 
minore,  della  Siria  e  della  Mesopotamia  ed  anche  gli  assiri 
(Rotennou)-^  fatto  eroico  celebrato  da  un  poeta  di  corte,  di 
nome  Pentahur,  il  cui  scritto  si  conserva  in  parte  nel  museo 
del  Louvre.  Egli  riempì  l'Egitto  dei  suoi  meravigliosi  monu- 
menti, e  per  soddisfare  alla  sua  ambizione,  oppresse  dispotica- 
mente il  popolo  ed  in  modo  speciale  i  giudei  che  erano  dive- 
nuti assai  numerosi,  e  li  fece  lavorare  nelle  città  da  lui  edificate 
di  Phitom  e  Rameses,  delle  quali  si  fa  menzione  nella  Bibbia.  * 
E  nei  giorni  della  grande  persecuzione  mossa  da  questo  tiranno 
al  popolo  ebraico  nacque  Mosè,  il  quale  poi  sotto  il  regno  del 
figlio  di  lui  e  successore  Menephta,  dovea  condurre  i  suoi  op- 
pressi fratelli  lungi  dalla  terra  straniera.  * 

Dalle  molte  iscrizioni  che  si  riferiscono  a  Ramses  II  ap- 
prendiamo che  egli  compì  e  restaurò  numerosi  edifizi  dei  suoi 
antenati,  e  specialmente  di  suo  padre  Seti  /,  e  che  non  vi  è 
luogo  dell'Egitto,  dove  egli  non  abbia  lasciato  monumenti  della 
sua  grandezza.  E  l'obelisco  recentemente  scoperto  conferma 
tutto  ciò,  giacche,  come  abbiamo  veduto,  nella  prima  faccia  si 
ricordano  le  sue  grandi  conquiste,  e  nella  terza  si  parla  dei 
monumenti  aviti  che  egli  restaurò  o  compì.  Nel  'quarto  lato 
però  troviamo  un'  indicazione  locale,  e  cioè  che  Ramses  circondò 
dì  offerte  la  città  di  Eliopoli  (in  egiziano  Hon),  e  queste  of- 
ferte a  me  sembra  che  debbano  riferirsi  a  parecchi  obelischi 
dei  quali  uno  fu  il  nostro.  E  ciò  combina  assai  bene  con  un 
celebre  monum'ento  dello  stesso  Ramses  II  che  abbiamo  in 
Roma,  cioè  il  grande  obelisco  della  piazza  del  popolo,  il  quale 
nella  sua  faccia  occidentale  fra  le  molte  cose  ricorda  pure  che  il 
re   u  Adornò  la  città  di  Eliopoli  con  gli  obelischi  v. 

E  così  in  Eliopoli  celebre  città  del  basso  Egitto  (oggi  Ma- 
tarie)  crediamo  che  stesse  questo  monolite  innanzi  al  tempio  del 
Sole,  insieme  al  suo  compagno  della  piazza  del  Pantheon  e 
forse  a  parecchi  altri  di  varie  gradezze,  e  che  da  Eliopoli  fosse 

'  Esodo,  I,  11 

'  Vedi  Brdgsch.  Geschichle  Aegyptens  unter  den  Pharaonen,  pag.  582. 


SCAVI    DI    ROMA.  ■       501 

tolto  all'epoca  della  dominazione  romana  per  adornare  uno  degli 
ingressi  dell'Iseo  campense. 

Fé  molti  furono  certamente  gli  obelischi  portati  dall'  Egitto 
e  collocati  dai  romani  dopo  la  conquista  innanzi  ai  propilei 
del  nostro  tempio  d'Iside  o  lungo  il  sacro  suo  oaóuLog,  giacche 
almeno  di  cinque  possiamo  esser  sicuri.  Tre  di  questi  sono 
ancora  visibili,  e  cioè  quello  del  Pantheon,  l'altro  della  Minerva, 
e  questo  or  ora  scoperto  :  di  altri  due  abbiamo  poi  notizia  posi- 
tiva dal  Kircher  che  li  vide  e  ne  die  un  disegno.  '  Uno  di  essi 
stava  ai  suoi  giorni  innanzi  alla  porteria  del  Collegio  romano 
e  fu  poi  trasportato  nell'  intemo,  e  l'altro  era  murato  presso  la 
cantonata  cujiisdam  pharmacopaei  in  quei  dintorni  :  ma  poi  am- 
bedue sono  finiti  fuori  di  Roma.  Anzi  osserverò  che  il  frammento 
del  Collegio  romano  ha  i  medesimi  cartelli  di  Ramses  II  come 
quello  ora  scoperto,  è  delle  stesse  dimensioni,  e  vi  è  pure  nomi- 
nata la  città  di  Eliopoli,  ed  è  perciò  naturale  che  gli  fosse  col- 
locato vicino  e  che  perciò  siasi  rinvenuto  presso  la  porticella 
della  Minerva.  Da  tale  circostanza  nasce  spontaneo  il  pensiero 
che  questo  sia  per  l'appunto  Vobelitco  piccolo  antico  veduto  da 
Lucio  lilauro  nel  1565  presso  la  porticella  della  Minerva,  obe- 
lisco che  a  tempo  del  Nardini  e  del  Kircher  (1666)  non  stava 
più  in  quel  luogo,  giacché  il  primo  dice  chiaramente  che  vi  si 
vedeva  a  tempo  del  Mauro.  *  E  si  potrebbe  pensare  che  tale 
frammento  (giacché  il  Mauro  non  dice  che  fosse  intero)  si  togliesse 
poi  da  quel  posto  allorché  nel  giubileo  dell'anno  1(>00  si  rifece 
la  porta  minore  della  chiesa  suddetta  come  attesta  un'apposita 
epigrafe,  e  si  trasportasse  allora  avanti  alla  porteria  del  Col- 
legio romano. 

Ho  voluto  accennare  questi  particolari  perchè  mi  aombra 
che  in  tal  modo  possa  spiegarsi  quel  passo  del  Mauro,  senza 
dire  che  egli  intendesse  di  pArlaro  di  quell'obelisco  che  oggi 
si  è  rinvenuto  come  ha  sappostn  il  eh.  prof.  Narducci  *,  la  quale 
opinione  ddl'egrcgio  letterato  non  ci  sembra  ammÌHHÌbil<>.  Infatti 
essendosi  trovato  quest'obelisco  a  qttattro  metri  di  profondità 
sotto  il  piano  stradale  (che  in  quel  punto  é  lo  stesso  di  quello, 
del  ìiìGh)  bisognerebbe  dire  o  che  ai  tempi  del  Mauro  vi  fosse 
un  cavo  ricoperto  posteriormente,  o  che  l'obelisco  sia  stato  poi 
sepolto    a   quella   profondità.    Non  si  può  ammettere   la  prima 

*  OAeUt0tf  (ugiptiaei  interpefratio,  Homs,  1666,  psg.  134. 

*  Roma  aniieaf  Uh,  VI,  capo  9. 

'  Vedi  0  gioniale  «  Capitan  Fraama  >  del  ti  fingno  1888. 


502 


SCAVI   DI   ROMA. 


ipotesi  perchè  inverosimile,  e  poi  il  Mauro  ne  avrebbe  fatto 
menzione  mentre  invece  egli  dice  u  sulla  'porta  piccola  si  vede 
in  terra  ecc.  n  ;  e  neppure  la  seconda  perchè  è  impossibile  che 
nello  scorcio  del  secolo  decimosesto  allorché  si  restauravano 
gli  obelischi  frammentati  e  si  innalzavano  sulle  piazze  di  Roma, 
si  seppellisse  poi  sotterra  questo  bellissimo  ed  integro  ;  e  vi  si 
seppellissero  insieme  anche  quelle  altre  antichità  che  vi  si  trova- 
rono unite,  cioè  i  due  cinocefali  e  la  candeliere  di  lavoro  romano. 
Quindi  comunque  si  vogliano  spiegare  le  parole  del  Mauro,  non 
si  può  ammettere  che  egli  parli  del  nuovo  obelisco,  il  quale 
caduto  forse  per  terremoto  dopo  molti  secoli  d'abbandono  nel 
medio  evo,  fu  poi  pian  piano  ricoperto  dalle  macerie,  ed  oggi 
soltanto  ha  riveduto  la  luce. 

Ed  ora  per  conchiudere  questi  cenni  ci  siano  permesse  due 
parole  sul  collocamento  che  dovrà  farsi  di  questo  bel  monolite 
in  una  delle  piazze  della  nostra  città.  Alcuni  hanno  già  pro- 
posto di  trasportare  1'  obelisco  ad  ornamento  dei  nuovi  quar- 
tieri, ed  altri  lo  correbbero  collocare  sulla  piazza  Magnanapoli 
presso  gli  avanzi  delle  mura  di  Servio.  Ma  le  piazze  dei 
nuovi  quartieri  sono  troppo  vaste  per  questo  piccolo  monu- 
mento e  la  forte  pendenza  di  Magnanapoli  non  ci  sembra  nep- 
pure adatta  oltre  che  non  avrebbe  significato  un  obelisco  sopra 
un  muro  di  recinto  dell'antica  città.  Perciò  crediamo  che  la  col- 
locazione debba  farsi  dipendere  non  solo  dall'estetica  ma  ezian- 
dio dal  concetto  archeologico  ;.  deve  cioè  farsi  in  modo  che  esso 
oltre  un  bel  monumento  sia  anche  più  istruttivo,  e  conservi 
per  quanto  è  possibile  la  destinazione  e  la  località  assegnata- 
gli dagli  stessi  antichi.  E  per  soddisfare  a  queste  condizioni  è 
necessario  lasciarlo  nei  dintorni  del  tempio  d'Iside  come  furono 
lasciati  gli  altri  due  del  Pantheon  e  della  Minerva,  affinchè 
ricordi  perpetuamente  ai  posteri  che  in  quel  luogo  sorgeva  il 
gran  santuario  del  culto  egizio,  il  quale  adorno  delle  spoglie 
d'Eliopoli,  di  Tebe  e  di  Menfi  era  un  monumen  Lo  insigne  delle 
vittorie  romane  sull'antico  paese  dei  Faraoni.  Ci  sembra  perciò 
che  il  luogo  più  adatto  alla  collocazione  dell'obelisco  sia  la 
vicina  piazza  di  Sant'Ignazio,  ove  farebbe  anche  bella  mostra 
di  sé  per  il  raccoglimento  del  luogo,  ed  avrebbe  innanzi  un'edi- 
fizio  monumentale  come  è  il  grandioso  tempio  eretto  dal  cardi- 
nale Ludovisi. 

Crediamo  opportuno  di  aggiungere  un  cenno  su  due  altri 
monumenti  che  sono  tornati  in  luce  dal  medesimo  scavo  dopo 


SCAVI   DI   ROMA.  503 

r  estrazione  dell'  obelisco.  A  poca  distanza  da  questo,  ma  ad  un 
livello  superiore,  si  trovò  un  tronco  di  colonna  in  granito  bigio 
lungo  4™  70,  del  diametro  di  1™  e  foggiato  presso  l' imoscapo  a 
forma  di  vaso.  Sopra  la  fascia  o  listello  che  recinge  superior- 
mente cotesto  vaso,  sono  scolpite  in  giro  intorno  al  fusto  otto 
figure  di  sacerdoti  isiaci  o  di  iniziati  ai  misteri  d' Iside,  le  quali 
formano  gruppo  due  a  due  e  sono  rivolte  Tuna  verso  l'altra. 
Ognuna  di  queste  figure  è  vestita  di  una  tunica  stretta  alla 
persona,  è  coronata  di  ulivo  e  stando  in  piedi  sopra  una  specie 
di  suggesto  0  sgabello  porta  in  mano  un  arnese  del  culto  egi- 
zio. Il  primo  gruppo  è  formato  da  due  sacerdoti  dei  quali 
quello  a  sinistra  regge  sopra  un  bastone  il  sacro  sparviero  sim- 
bolo del  dio  HoruSj  e  l'altro  a  destra  offre  a  quel  simbolico 
animale  due  fiori  di  loto.  Nel  secondo  gruppo  si  veggono  due 
ministri  con  lunghi  bastoni  terminati  nello  stosso  mistico  fiore 
ed  uno  di  essi  ha  pure  in  mano  un  vaso  di  purificazione.  Il  terzo 
ed  il  quarto  gruppo  infine  si  compongono  di  coloro  che  reggono 
con  ambe  le  mani  quei  vasi  così  detti  Canopici  terminati  nella 
testa  di  una  divinità:  questi  vasi  sono  rispettivamente  sormon- 
tati dalle  immagini  di  Osiride  con  lo  Pschent,  d'Anubi  con  VAtew, 
e  di  Iside  con  il  disco  solare  le  coma  di  vacca  e  le  penne. 
Dinanzi  al  sacerdote  che  regge  il  vaso  con  la  testa  d' Iside  è  poi 
scolpito  un  altro  che  sembra  presontnro  filla  dea  un  lungo  ramo 
di  palma. 

Questi  rilievi  rappresentano  senza  dubbio  alcuno  dello  sa- 
cre cerimonie  che  si  celebravano  noi  templi  isiaci,  e  dello  quali 
abbiamo  poche  notizie  dagli  antichi  scrittori,  e  si  potrebbe  Torso 
ricono-HCcrvi  una  solenne  esposizione  al  popolo  dei  sacri  sim- 
buli  delle  divinità.  La  colonna  però  non  è  an  monumento  votivo, 
come  taluno  ha  supposto,  perchè  non  fVi  isolata,  ma  un'altra 
identica  se  ne  trovò  negli  scaW  del  signor  Tranquilli  ed  e-  ancora 
visibile  nel  cortile  della  sua  casa:  anzi  si  ha  indizio  che  altro 
simili  sieno  ancora  sepolto  in  quei  dintorni.  Quindi  ò  corto  che 
la  colonna  ora  scoperta  o  faceva  parte  dei  portici  del  tempio 
d'Iside,  0  adomava  uno  dei  suoi  propilei. 

Finalmente  pochi  giorni  or  sono  proseguendo  gli  scavi  si 
giunse  al  piano  ant'co  del  tempio  o  dell'area  sacra  circostante, 
<  It"  si  trovò  lastricata  di  marmo  e  alla  profondità  di  metri  6 
dui  piano  stradale.  E  sulle  lastre  marmoree  si  rinrcnne  la  figura 
di  un  coccodrillo  scolpito  in  granito  rosso  orientalo,  lungo 
m.  l./O  e  mancante  solo  di  una  parte  della  bocca.  Il  coccodrillo 


504  SCAVI   DI    ROMA. 

simbolo  del  Dio  Sehek  era  un  animale  sacro  per  gli  egiziani  che 
però  essi  scongiuravano  con  alcune  formolo  magiche  come  rap- 
presentante r  elemento  malefico  dello  tenebre,  e  si  venerava 
specialmente  nella  città  di  Crocodilopoli  presso  il  Fayoum  dov'era 
il  celebre  lago  Meris.  Era  frequente  l'immagine  del  coccodrillo 
nei  sacri  edifizi  di  Egitto,  ed  alcuni  di  questi  animali  si  rin- 
vennero pure  nella  villa  tiburtina  di  Adriano  ove  si  volle  ri- 
produrre il  celebre  Canopo  alessandrino.  E  perciò  assai  proba- 
bile che  anche  nel  nostro  Iseo  Campense  ve  ne  fossero  parecchi, 
giacché,  come  si  è  veduto  dai  monumenti  fino  ad  ora  scoperti, 
il  tempio  romano  era  una  perfetta  imitazione  dei  grandi  edifizi i 
consacrati  ai  misteriosi  Dei  della  valle  del  Nilo. 

O.  Marucchi. 


IL  MALE  NEL  BENE 


I 


BOZZETTO  DAL.  VERO. 


In  ana  sera  di  maggio,  dell'anno  di  grazia  nel  quale  io  scrivo 
e  voi  leggete,  il  sor  Paride  Bindoni,  onesto  cittadino  e  friaore 
italiano  per  giunta,  come  diceva  la  scritta  della  sua  bottega,  stava 
aspettando  con  manifesta  impazienza  qualcuno,  o  qualche  cosa; 
e  per  dir  giusto,  l'uno  e  l'altra  insieme. 

Il  bravo  barbiere,  non  occorre  dirlo,  non  aveva  nulla  da 
dividere  col  greco  suo  omonimo  ;  e  quanto  alla  guerra  di  Troia, 
per  dato  e  fatto  di  quella  che  da  un  quarto  di  secolo  e  più 
aveva  la  sorto  di  es.scrgli  legittima  consorto  e  padrona,  non 
avrebbe  potuto  mai  divampare,  essendo  essa,  la  Caterina,  la 
più  brutta  e  la  più  casta  di  tutte  le  comari  di  fìorgo  la  Croce. 

Ed  era  appunto  por  questa  benamata  metà  eh'  egli  s' in- 
quietava, prima  che  per  so.  Sgomberavano.  La  povera  donna 
aveva  scavallato  e  sfacchinato  tutto  il  santo  di.  Molto  coso 
erano  a  posto,  molte  per  aria,  siccome  suole  in  simili  casi.  Ma 
il  letto  maritale,  che  pareva  una  piassa,  era  tuttavia  un  desi- 
derio. Nella  vecchia  caaa,  ospiti  non  invitati,  avevano  diviso  il 
ùÀtaa.0  col  nostro  Paride,  facendo  a  rovescio  della  storia;  ondo 
W  torole  che  reggevano  quella  gran  molo  di  i«acooni,  di  muto- 
raasi,  di  guanciali,  sulla  quale  i  coniugi  Dindoni  sentivano  pre- 
potente il  bisogno  di  stendenti,  eransi  fin  dui  mattino  dato  in 
cttra  al  maestro  legnaiuolo.  Il  Uicciolo,  tanto  onesto  o  discreto 
quanto  poco  perito  nell'arte  propria,  il  che  vale  onestissimo  u 
discretissimo,  dalla  vecchia    dimora    in   San  Friano,    donde  lo 

▼•b.  IL,  MrU  II  —  1  A«wto  UM.  U 


506  IL   MALE   NEL   BENE. 

aveva  levate,  aveva  promesso  di  riportarle  piallate  per  bene  e 
levigate  al  nuovo  nido,  forse  fra  un  par  d'ore,  certissimamente 
nella  giornata.  Ma  le  ore  si  succedevano  una  all'  altra  senza 
interruzione 5  il  sole,  a  poco  a  poco,  era  scomparso  dall'oriz- 
zonte; le  undici,  ohimè!  scoccavano  lente  e  fatali  all'orologio 
di  piazza,  e  non  v'era  ne  pur  1'  ombra  delle  tavole  di  salva- 
zione per  mettere  insieme  il  letto. 

Pel  Bìndoni  non  era  nulla,  che  anco  sul  pancaccio  avrebbe 
dormito  da  papa;  tuttoché  non  sia  veramente  e  indiscutibil- 
mente provato  se  i  papi  dorjnano  sempre  bene,  specie  dopo 
perduto  il  temporale.  Ma  è  provatissimo  invece  che  la  Caterina 
aveva  un  gran  debole  pel  suo  lettone;  e  se  non  se  lo  sentiva 
nella  monumentale  sua  altezza  sotto  le  membra  monumentali, 
non  le  pareva  neanco  di  essere  in  letto.  Ne  \i&.  punta  meravi- 
glia, che  il  letto,  pel  popolano,  è  1'  arredo  più  desiderato,  più 
curato,  più  gelosamente  amato  di  tutta  la  suppellettile  do- 
mestica; il  che  non  impedisce  a  moJti  di  dormire  sulla  nuda 
terra,  in  mancanza  di  più  soffice  sdraio.  E  desso  il  confidente 
de'  soli  godimenti  di  tutta  una  vita  di  fatiche,  di  sagrifizi,  di 
patimenti;  desso  l'amico  fidato,  che  offre,  in  ogni  tempo  ed  in 
ogni  evento,  il  riposo  bisognevole  ai  corpi  macerati  dal  "digiuno 
o  dal  lavoro';  desso,  infine,  il  lusso  della  povera  bicocca,  l'aspi- 
razione della  fanciulla,  l'orgoglio  della  maritata.  Per  la  Cate- 
rina poi  era  tutto  questo,  ed  anco  più.  Era  una  memoria  sto- 
rica, il  ricordo  del  cuore,  l' immagine  reflessa  de'  suoi  mag- 
giori, stendentisi  quotidianamente  sulla  amplissima  superficie  per 
lunga  serie  di  generazioni.  Era  li  finalmente,  e  proprio  li,  dove 
il  padre  e  la  madre  di  lei,  di  santa  memoria,  non  avevano 
avuto  requie,  finché  non  ebbero  chiamato  alla  luce  del  lumicino 
da  notte  quell'unica  e  dilettissima,  la  quale  rispose  poi  sempre 
al  nome  di  Caterina. 

Ed  ecco  il  perchè  e  il  percome  il  povero  Bindoni,  si  tribolava 
tanto.  In  quel  gioruo  egli  aveva  fatto  l'impossibile.  S'era  messo  in 
pezzi  per  servire  la  clientela  in  bottega,  dare  un  occhio  agli 
sgomberatori,  una  mano  all'assetto  de'  mobili.  E  con  tutto  ciò, 
presago  della  sventura,  era  corso  ben  tre  volte  lungo  il  giorno 
alla  bottega  del  Ricciolo,  da  Borgo  la  Croce  ai  Camaldoli  di 
San  Frediano:  chiama  e  rispondi!  E  pazienza,  se  con  tanta 
tribolazione  e  tanto  correre  gli  fosse  riuscito  almeno  di  parlare 
una  volta  sola  coli'  infido  legnaiuolo.  Ma  nossignori.  La  botte- 
guccia  del  Ricciolo    era    chiusa    sprangata,    e  della    gente   del 


IL   MALE   NEL   BENE. 


507 


vicinato  non  uno  l'aveva  veduto  o  sapeva  dire  dov'  eì  si  fosse 
cacciato. 

Col  rintocco  dell'undici,  cascarono  le  braccia  al  pover'omo. 
Ogni  speranza  era  svanita  oramai!  La  stessa  Caterina,  strana 
e  ghiribizzosa  qual'era,  dovette  fare  di  necessità  virtù.  Bron- 
tolando, imprecando,  sbofonchiando,  si  buttò  giù  per  disperata. 
3[a  tuttoché  la  fosse  stanca  rifinita,  ce  ne  volle  assai  prima  di 
chiuder  occhio.  Quando  Dio  volle,  nella  sua  misericordia  infi- 
nita, la  balena  prese  a  russare  come  un  mantice,  ed  era  tempo. 
Rivoltolandosi  furiosamente  or  su  un  fianco  or  su  l'altro  com'ella 
faceva,  aveva  messo  in  serio  pericolo  di  una  schiacciatura  il 
docile  compagno  che  le  giaceva  a  lato.  Non  . j;i  sarebbe  man- 
cato altro  davvero,  dopo  le  peripezie  della  giornata  e  le  mag- 
giori del  giorno  di  poi. 

Perchè  bisogna  sapere,  che  solo  al  terzo  giorno,  ed  anco 
avanzato,  potè  il  malcapitato  barbiere  raccapezzare  il  Ric- 
ciolo. Quando,  svoltando  il  canto,  sbirciò  il  suo  uomo,  ricurvo 
e  raggomitolato  in  un  angolo  estremo  della  bottega,  si  sentì 
tutto  rinfrancare  e  rinfocolare  insieme.  La  stizza  accumulata 
fece  ressa  di  dentro  ;  e  tuttoché  mite  per  natura  ed  abborrente 

querela  d'ogni  maniera,  egli  sentì  affollarsi  alle  labbra  una 
'<juantità  d' improperi  e  di  rimbrotti,  che  sarebbero  cascati  fra 

momento  come  una  valanga  sulle  spallo  del  povero  arti- 
ino.  Se  non  che  quando  gli  fu  di  fronte,  e  ne  vide  la  faccia 
abiancata  e  triste  ancor  più  del  consueto,  e  tutto  l'atteggiamento 
gli  parve  compunto  e  supplichevole,  un  sentimento  benigno 
d'indulgenza  si  sovrappose  allo  sdegno.  Il  buon  uomo  si  sentì 
ammollire  a  un  tratto.  Per  tutto  rimprovero,  non  seppe  se  non 
dimenare  ripetutamente  il  grosso  capo  rotondeggiante  e  doman- 
dargli ragiono  dell'  inqualificabile  ritardo,  come  da  altri  si  chie- 
derebbe :  che  ora  è  V 

Non  pertanto,  interrogazione  cosifTatta  foce  Mcjiltnro  l'intorro- 

f^ato;  quasi  l'innocente  parola  del  Bindoni  foinc  Htntn  per  lui  il  ferro 

•  he  ricerca  brofcamcnte  entro  piaga  sanguinante.  £  si  risaò  di 

"•>,  movendo  un  passo  verso  il  suo  interlocutore,  in  atto  come 

Minaccia,  e  oommcntando  la  mossa  con  un  moccolo  ereticale. 

Il  povero  Bindoni,  airaccoglienaa  strana,  arretrò  due  passi; 
a  ogni  peggior  oaso  e'  voleva  esser  vicino  all'  uscita.  Ma  non  fu 
altro.  L'ira  subitanea  del  giovinetto  si  smorzò  tosto;  e  parve 
anzi  ch'egli  cercasse  qualche  buona  parola  e  cortese,  che  11  per 
Il  non  gli  venne. 


508  IL   MALE  NEL   BENE. 

Rassicurato,  il  Bindoni  si  ravvicinò  a  lui  ;  e  per  la  vecchia 
amicizia,  che  erano  stati  più  anni  vicini  di  bottega  e  in  gran 
dimestichezza,  e  un  po' ancora  la  curiosità  di  conoscere  che  lui 
rendesse  così  stravolto  e  malcontento,  gli  fu  attorno  con  nuove 
e  più  insistenti  domande. 

E  queste  non  ebbero  la  sorte  della  prima  5  avvegnaché  il 
malcapitato  legnaiuolo  non  altro  desiderasse  e  volesse  in  quel 
momento,  se  non  che  un  paio  di  orecchi  disposti  ad  ascoltarlo. 
Prima  peraltro  di  dare  la  stura  alle  parole,  bonaccio  qual'era, 
senti  il  bisogno  di  giustificare  l'impeto  brutale  che  poco  innanzi 
lo  aveva  assalito  malgrado  suo;  e  stendendo  amorevolmente  la 
mano  al  BindonL; 

—  M'avete  a  scusare  —  disse  —  ma  voi  siete  venuto  a 
mentovare  a  un  tratto  quel  vostro  letto  benedetto  che  fu  ap- 
punto la  causa  di  tutto  il  guaio.  Grii  è  vero,  badate,  che  se  una 
disgrazia  deve  capitare,  se  non  è  uno  è  l'altro.  Ma  li  per  li  non 
ho  potuto  tenermi  e  mi  rincresce:  davvero,  mi  rincresce! 

La  curiosità  del  barbiere  divenne  più  che  mai  incalzante. 

—  Ora,  ora,  saprete  ogni  cosa  —  riprese  il  Ricciolo  con  un 
sospiro.  —  La  sarà  un  po'  lunghetta.  Grli  è  dunque  meglio  che 
vi  mettiate  a  sedere. 

E  accennatagli  una  panca  alla  parete,  gli  si  pose  dirimpetto 
addossando  le  reni  al  banco  da  lavoro,  e  incrociando  le  gambe 
una  sull'altra. 

—  Quando  fu  ?  Sicuro.  L' altra  mattina,  appena  appena 
aperto  bottega.  Viene  la  Diomìra;  la  stiratora  qui  difaccia,  e 
mi  porge  un  foglio  ripiegato  per  bene. 

—  O  che  è  egli  codesto  foglio  ?  —  chieggo  io.  Ed  ella  : 

—  So  dimolto,  io.  Lo  portarono  ieri  il  giorno,  che  avevate 
già  serrato  bottega.  Non  sapevano  a  chi  lasciarlo,  e  lo  diedero 
a  me  perchè  ve  lo  dessi. 

—  E  che  "dissero  ?    >_> 

—  E'  dissero  che  stamane,  a  ogni  mo'  dovevate  presentarvi 
al  tribunale,  come  sta  scritto  sul  foglio.  E'  vorranno  interro- 
garvi. 

—  Interrogarmi?!  E  di  che?  Grazie  a  Dio,  non  ho  ma'  avuto 
nulla  da  dividere  col  tribunale.  Basta;  sentiremo. 

—  E  poi  mi  direte...  Ora  me  ne  vo,  che  ho  tanti  panni  in 
casa  da  vegliare  sino  alle  due  dopo  la  mezza  notte,  e  bastasse. 
Se  farete  a  modo  mio,  Nanni,  anderete  subito  subito  a  since- 
rarvi della  cosa.  Levato  il  dente,  levato  il  dolore. 


IL   MALE   NEL   BENE.  509 

—  Vo'  dite  bene,  Diomira.  Metto  dentro  questa  roba,  e  vo 
via  difilato.  Intanto  grazie  della  premura. 

—  Di  gnente. 

In  un  batter  d'occhio  riposi  in  bottega  il  vostro  letto,  e  m'av- 
viai verso  il  tribunale. 

Lungo  la  via,  rimuginavo  nel  cervello,  che  potesse  mai  es- 
sere quella  chiamata,  e  non  mi  veniva  nulla.  Poi,  arzigogo- 
lando a  quel  mo',  mi  tornò  un  tratto  alla  mente  di  du'anni  fa, 
o  un  bel  circa,  in  che  io  ebbi  altre  chiamate  simili  :  ma  quella 
volta  fu  per  andare  dal  delegato. 

—  Me  ne  ricordo  anch'io  —  esclamò  il  Bindoni  —  Eravate 
tutto  smanioso  di  sapere  quel  che  si  volesse  da  voi  la  polizia  ; 
e  poi  era  per  un  parente  morto  non  so  più  dove,  ma  lontano 
lontano  assai.  E  voi  stavate  come  su'  pruni. 

—  Gli  è  verissimo.  Con  certa  gente  e  in  certi  posti,  me  la 
dico  pochino  pochino.  S'  i'  son  galantomo,  vo'  lo  sapete.  Il  do- 
vere r  ho  sempre  fatto  ;  e  quando  fu  la  sua  di  metterà  la  polle 
a  repentaglio,  i'  la  messi  senza  tanti  piacciadii  ;  prima  volontario 
e  po'  soldato  regolare,  per  la  bellezza  di  sette  anni  arditi.  E  non 
per  vantazione,  ma  nissuno  potè  mai  dir  un  ette  de'  fatti  miei, 
e  neppur  ora.  Nondimeno,  ve  l' ho  a  dire  ?  Qi^olla  gente  mi 
mette  sempre  una  grand'uggia  addosso,  e  se  mi  c'imbatto  muso 
a  muso  ci  sto  a  disagio  peggio  del  pi&  tristo  malandrino  colto 
in  sul  fatto.  Ognuno  alla  su'  maniera.  La  tu'  mamma  t' ha  fatto 
brutto?  0  mutala,  se  ti  riesce.  Per  venire  all'ergo,  di  quel 
passo  fui  in  tribunale.  M'affacciai  alla  porta,  col  mi'  bravo  fo- 
glio in  mano.  C  era  un  pieno  di  gente  che  andava  e  veniva 
e  chiacchierava  e  rideva  e  gestiva:  avvocati  e  '  "  *  n  can- 
cellieri, colla  palandra,  il  berrettone  e  lo  facciob-,  \  ino  da 
ogni  banda.  Io  non  sapeva  una  maledetta  dove  batter  del  capo, 
per  far  sapere  ch'ero  11,  se  mi  volevano. 

Mi  provai  a  parlare  a  (questo  e  quello.  O  non  mi  sapevan 
dir  nulla,  o  tiravan  via,  senza  danni  retta  punto  né  poco.  V  n'  ho 
pochi  dogli  spiccioli  ;  e  gik  sentivo  venirmi  caldo  agli  orecchi, 
quando  un  ometto  por  bene,  il  quale  pareva  fosso  U  per  pas- 
sare il  tempo,  se  non  appettava  qualcheduno,  data  un'  occhia- 
tina  al  foglio,  m'indicò  dove  andare^  E  fu  assai,  in  quel  bai- 
lamme. Tujtavia  mi  co  ne  volle  e  non  poco  a  raccapezzarmi  fra 
tanto  scale  e  scaletto,  od  anditi  e  sale  e  corri<loi.  Quando  Dio 
volle,  imbroccai  a  buono,  e  mi  trovai  In  una  stanza  dov'erano 
due,  seduti  a  due  banchi  da  scrivere,  uno  di   faccia   all'  altro. 


510  IL   MALE  NEL   PENE. 

Il  più  grasso  dettava  con  un  vocione  da  destare  i  morti;  rin- 
calzando ogni  tantino  gli  occhiali  sul  naso  gobbo,  fatto  a  mo'  di 
ventola  da  parare  il  sole  alle  gote  che  parevano  due  mezzi  co- 
comeri ;  mentre  V  altro  scriveva,  strisciando  il  suo  de'  nasi  sul 
foglio,  per  sbirciare  un  po'  meglio.  Entrando,  io  feci  naturalmente 
un  po'  di  rumore.  Ma  che  !  Continuarono  ben  e  meglio  il  loro 
mestiere,  come  fosse  entrata  una  mosca.  Io  restai  in  asso  in 
mezzo  alla  stanza,  non  sapendo,  se  avanzare  o  dar  indietro,  se- 
dere 0  stare  ritto.  Dopo  un  bel  pezzetto  di  questa  vernia,  quello 
dagli  occhiali,  voltò  la  ventola  dalla  mia  parte  e  mi  domandò 
col  suo  trombone  : 

—  Chi  siete  voi? 

—  Nanni  Ballori,  detto  il  Ricciolo,  per  servirla. 

—  Ah  !  ah  !  Ho  capito.  Va  bene.  Avanzatevi. 

E  si  mise  a  raspare  in  fretta  e  in  furia  dentro  un  monte 
di  fogliacci,  che  teneva  sullo  scrittoio,  e  non  trovava  nulla.  E 
si  rifece  daccapo*,  e  prese  a  mano  un  altro  monte;  poi  tornò 
al  monte  di  prima,  e  lo  buttò  all'aria  in  ogni  verso,  grattan- 
dosi la  zucca  pelata  e  lucente  e  rincalzando  gli  occhiali  una 
ventina  di  volte  almeno.  Bisogna  sentire  come  sudava  e  come 
sbuffava.  Pareva  proprio  un  toro  ferito:  e  dire  che  la  fu  una 
gran  fatica  indarno. 

Allora,  come  per  disperato,  si  voltò  al  collega,  allo  scrivano, 
a  quello  insomma  che  aveva  di  faccia,  e  gli  domandò: 

—  O  l'affare  Ballori? 

—  Eccolo  qua  —  rispose  tranquillamente  l'altro,  con  voce 
di  falsetto,  levando  a  mezz'  aria  certi  fogli  perchè  li  vedesse 
meglio. 

—  Bravo!  Li  ha  sottomano,  e  non  fiata  neppure! 

—  Ma  che  sapevo  io,  che  cercasse  per  1'  appunto  queste 
carte  ? 

E  si  levò  premuroso  e  andò  a  mettergliele  sotto  il  naso,  che 
fu  un  gran  bene  davvero. 

—  Bisogna  dire  che  dentro  il  capone  di  quel  bravo  signore 
e'  ci  stia  a  disagio  la  memoria,  come  gli  occhiali  sul  su'  naso. 
V  aete  a  figurare,  che  a  quell'  ora  e'  non  rammentava  più 
punto  il  mi'  nome  e  cognome.  E  non  ci  fu  verso,  dovetti  rifarmi 
daccapo  : 

—  Giovanni  Ballori,  del  fu  Antonio,  pe'  servirla,  lustrissimo. 

—  Di  Firenze? 

—  Gnorsie. 


IL   MALE    XEL    BENE.  511 

—  Vostra  madre  vive? 

—  L'è  a  Trespiano,  lustrissimo. 

—  Come  si  chiamava? 

—  Maria  Cartellini  ? 

—  Avete  fratelli;  sorelle? 

—  Lustrissimo,  no. 

—  Siete  voi  coniugato? 

—  Com'è  a  dire?  .    , 

—  Avete  moglie? 
I'  doverrei  averla,  e  da  un  pezzo,  se  a  questo  mondo  ci  fusse 

giustizia  e  buon  core;  e  vo' lo  sapete  quanto  me.  Ma  questo  lo 
pensai  drento:  al  giudice  risposi  secco  secco! 

—  Scapolo. 

—  Ricordate  che  vostra  madre  mentovasse  qualche  volta 
certo  parente  lontano  che  aveva  nell'Uraguai? 

—  De'  guai,  e'  v'  erano  pur  troppo,  senza  andar  lontano. 
Si  vede  che  non  avevo  inteso  a  dovere,  perchè  l'altro  scappò 

fuori  brusco  brusco. 

—  Che  c'entra  codesto  ?  Dovete  dirmi  so  Toetra  madre  par- 
lasse mai  de'  suoi  parenti. 

—  Sicuro:  la  parlava  spesso  di  parenti  che  aveva  qua  e  là 
pel  mondo  :  e  specie  d'un  su'  fratello  Qioaeppe,  che  gli  era  ito 
fuori  via  da  ragazzo,  e  non  se  n'era  più  saputo  nulla. 

—  Ed  ora  che  ne  sapete  voi? 

—  E'  mi  dissero,  saran  du'  anni,  che  gli  era  morto  anco 
lui,  non  so  più  dove.  Me  lo  dissero  nella  delegazione  di  S.  Friano, 
quando  mi  fecero  su  per  giù  le  medesime  int'^rrogazioni  di 
▼ossignoria. 

—  Infatti,  ecco  qui  :  <—  e  sfilò  una  carta  dal  mazzo  —  le  vostro 
dichiarazioni  d'allora,  combinano  perfettamente  con  quelle  di 
adesso.  Ora  dunque  stato  attento  a  quello  che  leggerà  ii  can- 
celliere. 

E  dette  di  mano  a  un  altro  foj^lio.  (Quella  K'"'"**'  ^''^  «vanti  a 
furia  di  scarabocchi.  Il  cancoUicr»-  ^i  iin>'-  .i  I-  l' _<  r--.  i  Im  pnrcv.i 
una  pentola  di  fagioli  in  bollore 

Come  potete  immaginare,  io  non  potrei  ripetere  parola  per 
parola  tutta  la  filastrocca.  Ma  il  sugo  lo  ritenni,  ed  era  corno 
qualmente  quel  tal  Giuseppe,  che  era  il  mi'  zio,  aveva  lasciato 
un  po'  di  ben  di  Dio;  che  s'era  domto  dividere  dal  tribunale 
di  quel  tal  paese  dov'ci  mori,  di  là  dai  mari,  fra  i  suoi  parenti, 
che  ce  n'era  un  visibilio;  e  a  me  pure  era  toccato  la  mi'  parte. 


512  IL   MALE   NEL  BENE. 

Man  mano  che  m' entrava  in  capo  il  negozio  come  gli  era, 
gli  occhi  cominciavano  a  lustrare  e  le  gambe  non  istavano  più, 
ferme.  Non  vedevo  l'ora  e  il  momento  che  quel  coso  finisse 
di  leggere,  per  conoscere  come  la  sarebb'ita'a  finire.  E  dav- 
vero la  non  poteva  finir  meglio  allora,  perchè  il  giudice  cavò 
di  tasca  un  chiavicina,  apri  bravamente  il  cassetto  dello  scrit- 
toio, e  con  due  dita,  come  se  fosse  qualche  cosa  facile  a  rom- 
pere, ne  tirò  fuori  un  quadruccio  di  carta  bianca  tutta  rabeschi, 
che  non  avevo  visto  mai  in  vita  mia,  e  lo  posò  un  poco  dalla 
mia  parte. 

—  E  codesto?  —  domandai,  sbarrando  gli  occhi,  fra  il  ti- 
more e  la  speranza. 

—  E  quanto  vi  viene  dell'eredità  Cartanini;  più  lire  18  e  70 
in  ispiccioli,  che  devo  trattenere  per  le  spese  dell'atto. 

—  E  quanto...  quanto  sarebbe? 

—  Non  vedete  ?  E  un  foglio  di  mille  lire  della  Banca  Nazionale. 
Dio  de'  dei  !  !  !  Mille   lire  quel   pezzuccio   di  foglio,  lercio  e 

cincischiato!!  Mille  lire  tutt'in  un  picchio,  piovute  dal  cielo! 
E  dire  che  dieci,  tutt'  insieme,  non  le  ho  mai  avute  in  vita 
mia;  neppure  quando  lasciai  la  compagnia,  che  ogni  cosa  andò 
nella  massa  e  rimasi  in  debito  di  qualche  soldo. 

Se  in  quel  momento  mi  avessero  levato  sangue,  non  ne  sarebbe 
uscito  nemmanco  una  stilla.  Sudavo  freddo  freddo.  Mi  sentivo 
le  gambe  che  parevano  tagliate  d'un  colpo;  e  i  goccioloni  agli 
occhi  mi  facevano  vedere  doppio.  Dovetti  reggermi  allo  scrittoio 
per  non  cadere.  Dovetti  fare,  se  mi  credete,  una  forza,  come 
sarebbe  alzare  un  gran  peso,  per  non  lasciarmi  scorgere.  Ma 
appena  mi  riuscì,  stesi  il  braccio  ad  agguantare  il  foglio. 

Il  giudice  invece  lo  ritirò  a  se,  e  lo  posò  dall'  altro  lato,  per 
tornare  alla  melanconia  de'  fogli  scritti. 

—  Prima  —  disse  —  dovete  mettere  qui  sotto,  ben  chiaro, 
il  vostro  nome  e  cognome,  e  scrivere  in  tutte  lettere  la  somma 
che  ricevete. 

—  Ma  io  non  so  scrivere,  lustrissimo. 

—  Be',  segnerete  con  la  croce. 

In  quel  momento  entrava  un  usciere  con  altre  carte.  Il  giu- 
dice lo  trattenne  acciò  facesse  da  testimone  insieme  col  can- 
celliere. Io  feci  un  gran  crocione  con  la  mano  che  mi  tremava 
forte,  e  fu  finita.  Con  la  stessa  mano  afferrai  il  foglio  che  il 
giudice  questa  volta  mi  porgeva  a  buono,  e  fatti  i  salamelecchi 
a  tutti,  scesi  gli  scalini  a  quattro  a  quattro. 


IL   MALE   NEL   BENE.  513 

Uscendo  dal  palazzo  del  tribunale,  rividi  l' omino  garbato, 
che  mi  aveva  dato  il  bandolo  poco  prima  per  trovare  il  fatto 
mio.  Stava  in  fondo  in  fondo  di  quel  salone  stempiato;  dal  lato 
opposto  all'uscita,  dov'io  era.  Discorreva  con  una  vecchia  si- 
gnora vestita  in  seta  nera,  e  non  s'accorse  neppure  eh'  io  ripas- 
sava di  li.  Volevo  salutarlo,  ringraziarlo.  In  quel  momento  mi 
sentivo  il  cuore  tenero  come  burro.  Tentai  dunque  di  tagliare 
per  traverso  fra  quella  gran  gente,  e  dovetti  stentare  non  poco, 
e  dare  e  ricevere  gomitate  dimolte  innanzi  di  arrivare.  Ma 
giunto  che  fui,  guarda  di  qua,  guarda  di  là,  1'  omino  era  sparito, 
e  nemmeno  la  vecchia  efsk  più  li.  L' avrà  accompagnata  da  qualche 
giudice,  come  voleva  fare  con  me.  Sarà  per  un'  altra  volta, 
pensai  allora:  le  montagne  stan  ferme  e  gli  uomini  s'incontrano. 
Ora  come  ora,  posso  dire  che  se  non  s'incontrassero  sarebbe 
meglio. 

3Ia  statemi  a  sentire,  che  ora  viene  il  bello.  Se  quel  biglietto 
da  mille  fosse  stato  di  fuoco  vivo,  non  mi  avrebbe  tanto  bru- 
ciato le  mani  ed  il  capo  come  essendo  di  foglio.  Si  comincia 
che  io  me  lo  teneva  stretto  stretto  in  mano,  fra  la  pelle  e  la 
camicia;  e  mi  pareva  che  tutti  dovessero  sapere  del  tesoro  che 
io  teneva,  e  tutti  volessero  portarmelo  via.  E  però,  uscito  ap- 
pena dal  tribunale,  presi  a  correre  come  un  matto,  o  per  lo  meno 
come  uno  che  sia  inseguito  da  chi  lo  voglia  morto.  Siccome  non 
si  sentiva  dietro  me  nessuna  voce  urlare:  al  ladro!  la  gente 
mi  lasciava  correre  a  mia  posta  e  non  se  ne  dava  per  intosa. 
Al  più  qualcheduno  si  voltava  un  tantino  a  riguardarmi,  e  poi 
avanti  per  la  sua  via.  £  continuai  a  sgambettare  di  questo  guato. 

Quante  miglia  misurassero  le  mie  povero  scarpe  bfondatc,  non 
saprei.  Ma  lo  dovettero  essere  parecchie;  giacché,  volgendo  il 
capo,  vidi  la  cupola  e  il  campanile  giù  giù  nella  valle.  Mi 
guardo  attorno.  Non  c'ò  anima  nata,  grazio  a  Dio:  soltanto  le 
cicale  cantano  lui  pali  dello  viti,  e  un  moscone  mi  ronza  negli 
orecchi.  A  duo  passi,  un  fossatcllo  mandava  fruacura  con  le  suo 
acqu»  chiare.  Benissimo  :  dico  tra  mo,  buttandomi  a  sdraio  presso 
la  sua  sponda  erbosa;  e  mi  prendo  un  po' di  riposo,  che  no 
avevo  proprio  bisogno  dopo  quel  gran  correrò. 

M'appisolai:  e  subito  la  fantasia  cominciò  a  lavorare.  E'  mi 
pareva  d'essere  imperatore,  con  una  gran  gente  di  ogni  sorta 
che  mi  si  stringeva  attorno  per  farmi  festa.  E  ce  n'era  a  perdita 
d'occhio;  ma  tanta,  che  in  fondo  non  si  vedevano  che  tosto, 
appiccicato  una  all'altra  corno  fossero  reste  di  fichi  socchi.  E  ogni 


514  IL   MALE   NEL   BENE. 

testa  aveva  una  faccia,  e  ogni  faccia,  guardando  un  po'  bene, 
dove  son  gli  occhi,  il  naso,  la  bocca,  aveva  gli  stessi  rabeschi 
che  erano  sul  biglietto  da  mille.  Ma  a  un  tratto,  in  mezzo  a 
tutte  quelle  strane  faccio,  se  ne  levava  una  che  io  ravvisavo 
subito  subito,  e  spingevo  in  avanti  il  petto  e  le  braccia  per 
trarla  a  me;  ed  essa  faceva  il  simile,  ma  non  ci  si  riusciva.  E  sen- 
tivo una  puntura  dalla  parte  del  core,  come  se  mi  stringessero 
tra  la  morsa  che  è  costì;  e  ci  portavo  la  mano  per  avere  un 
po'  di  refrigerio,  ma  non  c'era  verso  per  quanta  forza  io  facessi  ; 
fra  la  mia  mano  e  il  mio  core,  s'era  messo... 

—  Scommetto  che  indovino  ?  —  esclamò  il  barbiere.  Ci  s'era 
messo  il  babbo  della  Clorinda. 

Il  Ricciolo  sorrise  mesto,  affermando  vivamente  col  capo,  e  : 

—  Sicuro,  disse  —  E'  mi  pareva  proprio  lui  quel  bottaio 
cane,  "che  col  mazzapicchio  mi  premesse  le  costole,  e  la  su'figliuola, 
la  Clorinda,  l'era  quella  che  non  potevo  abbracciare. 

—  Ma  come?  Anco  dormendo  vo'  la  vedete,  quella  ragazza? 

—  Come  voi  a  occhi  aperti? 

—  E  non  ci  sarà  caso  ora  di  fare  il  pateracchio? 

—  Per  lei,  figuratevi.  La  mi  vuol  bene  quella  povera  dia- 
vola, ma  proprio  di  core.  Grli  è  lui,  che  pe'  quattro  soldi  eh'  ha 
nel  cassettone,  fatti  sa  Dio  come!  non  vuole  acconsentire  a 
nessun  patto.  O  che  vorrebb'  egli  un  principe  del  sangue  per  la 
su'  figliuola?  Gli  è  vero  che  io  mi  busco  pochino  dal  mestiere; 
ma  se  la  sposassi  sarebbe  un  altro  paio  di  maniche.  E  lui  a 
dire,  che  non  ho  arte  ne  parte,  che  non  son  buono  a  nulla . . . 
Ah,  Dio!.,  te  lo  fare' vedere  io  se  son  buono  a  qualche  cosa; 
non  foss' altro  a  sfondarti  quel  buzzo  lercio  pien  di  sugna... 

—  Via,  Nanni,  chetatevi.  Che  serve  arrabbiarsi  inutilmente  ? 
D'ora  in  là  le  cose  muteranno  in  meglio;  e  le  mille  lire  che 
avete  riscosse. . . 

—  Ah,  le  mille  lire?!!  Anch'io  ci  pensai  allora.  E  anzi, 
quando  mi  destai,  fu  il  primo  pensiero  che  mi  venne  ;  ed  ero  con- 
tento che  non  vi  so  dir  come.  E  tirai  quel  foglio  benedetto  .dallo 
sparato  della  camicia,  e  lo  spiegai  pian  piano  che  non  si  lace- 
rasse, e  lo  girai  e  rigirai  da  ogni  parte  per  vederlo  meglio. 
Quando  lo  posai  sull'  erba,  stetti  in  adorazione  cinque  minuti 
buoni,  come  davanti  al  sacramento. 

Ma  cosi  alla  lunga  non  poteva  durare.  E  m'avviai  lesto  lesto 
per  rientrare  in  città  e  tornare  a  bottega,  dove  m'aspettava  il 
vostro  letto. 


IL   MALE   NEL   BENE.  515 

Per  qaant'oro  al  mondo  non  avrei  voluto  mancare  di  parola, 
massime  con  voi  che  siete  una  perla  d'omo  e  un  buon  amico. 

Ritornando,  pensai  che  mi  mancava  la  colla  e  lo  spirito  e 
certe  altre  bricciche,  delle  quali  non  potevo  far  dì  meno  per 
lavorare;  pensai  ancora  che  non  avevo  mangiato  punto  dal 
giorno  innanzi,  e  non  avevo  in  tasca  un  becco  d'un  quattrino 
spicciolo  per  comperarlo.  E  debiti,  nulla;  per  la  buona  ragione 
che  da  un  pezzo  in  qua  non  mi  fanno  più  credenza.  Dunque, 
pensai,  bisogna  cominciare  per  barattare  il  foglio. 

Barattare  il  foglio,  si  dice  presto.  Ma  un  foglio  da  mille  lire 
è  un  affare  grosso  e  grosso  assai.  Quelli,  e  ce  ne  son  tanti,  che 
nuotando  nell'oro  a  mezza  gamba  contano  i  marenghi  con  la 
bilancia  ^  tengono  i  pacchi  da  mille  come  la  carta  straccia,  non 
si  figurano  neanco  per  sogno  quale  pena  sia  per  un  artigia- 
gianello,  povero  come  San  Quintino,  un  pezzo  da  mille  lire! 
Ma  io  so  bene,  perchè  li  provai,  quanti  dubbi,  quanti  timori, 
quante  decisioni,  quanti  pentimenti  mi  tribolarono  l'animo  prima 
di  risolvermi  a  disfarmi  di  quel  foglio,  prima  di  affacciarmi  a 
qualcuno  e  metterlo  a  parte  del  mio  segreto. 

Quando  fui  deciso  a  cambiare,  cominciò  per  me  una  tribola- 
zione nuova.  Da  chi  voltarmi?  Io  non  sapeva  nò  entrare  né 
uscire,  che,  non  m'ero  mai  trovato  in  caso  simigliantc.  Entrerò 
in  una  bottega.  In  una  bottega  dove  non  mi  conoscono  affatto, 
lontana  da'^miei  posti.  Ma  in  quale?  Dal  pizzicagnolo,  dal  dro- 
ghiere, dal  mesticatore,  dal  mereiaio?  BÌ8(tgnerà  comprare 
qualche  cosa.  Poca  male.  Ma  prima  converrà  vedere  che  sicno 
faccio  da  galantuomo.  E  se  mi  dessero  in  cambio  monete  false? 
Chi  lo  conosce?  Dio  me  la  mandi  buona.  Ad  ogni  modo  cam- 
biare bisogna.  Morir  di  fame  con  mille  lire  in  tasca,  sarebbe  da 
grullo;  o  poi  ci  sono  le  spese  da  fare  per  il  lavoro;  e  poi  bi- 
sognerà vedere  di  mettersi  indosso  de'  cenci  un  po'  meno  lerci 
e  laceri  di  questi.  Sicuro.  Ora  che  me  n'accorgo,  tutte  le  tasche 
sono  sfondate.  Son  tant'anni  che  non  ci  motto  nulla  dentro.  O 
come  farò  quando  avrò  barattato.  Doto  mettere  in  sicuro  il 
.^qmcchio  di  biglietti  che  mi  daranno  per  questo.  Vediamo  un 
|H>'.  Da  una  lira  saranno  per  lo  meno....  quanti  saranno...  cento, 

duecento,    trecento mille,  corto  saranno    mille;  e  da  due.... 

passa  quattrocento.  Ci  vogliono  tasche  buone.  Basta:  all'acqua  ci 
scalzeremo,  secondo  dice  il  proverbio. 

E  mi  posi  in  marcia,  e  passai  in  rassegna  tutto  le  botteghe 
e  la  gente  che  v'era  dentro.   Ma  non  mi  persuasi.  0  mi  pare» 


516  IL   MALE   NEL   BENE. 

vano  troppo  di  lusso,  o  troppo  povere;  qui  il  mercante  aveva 
una  faccia  proibita,  li  mi  aveva  aspetto  di  furbo  e  di  canzo- 
natore. Entriamo  qua.  E  infilai  risoluto  l'uscio  di  una  vendita 
di  pane  e  paste,  che  erano  il  bisogno  pili  stringente  eh'  io  avessi 
in  quel  momento. 

—  Che  desidera?  —  chiese  il  pastaio. 

Questa  sua  domanda  semplice  e  naturale,  mi  diacciò  il 
sangue,  e  fece  sfumare  tutte  le  mie  risoluzioni .  di  un  momento 
fa.  M'impappinai,  e  cercai  una  risposta  purché  fosse;  una  risposta 
che  non  veniva.  Alla  fine,  per  uscirne,  chiesi:  Che  mi  direbbe 
dov'è  la  via  Polverosa. 

—  Chiama  e  rispondi  —  esclamò  il  bottegaio,  rimettendosi 
alle  sue  faccende.  —  Bisogna  andare  sul  Prato;  e'  ci  sarà  un 
miglio  da  qui.  Prenda  a  sinistra  e  vada  sempre  diritto;  poi  do- 
mandi, e  gliene  diranno. 

Uscii  da  quella  bottega  che  mi  parve  d'aver  guadagnato  un 
terno.  Ma  tornarono  subito  a  galla  i  ragionamenti .  di  prima, 
e  io  di  nuovo  a  sbirciare  dentro  le  botteghe.  Venne  la  sua  del 
droghiere.  Um  bottegone  stempiato,  e  nel  banco  vicino  allo 
sporto  il  principale  che  contava  una  quantità  di  quattrini.  Mi 
fermai  a  guardare  l'operazione,  che  ei  faceva  con  una  sveltezza 
ammirabile.  Si  vede  che  c'era  avvezzo.  Aveva  dinanzi  monti- 
celli  di  scudi,  di  franchi  d'argento,  di  biglietti  di  \ario  taglio, 
e  contava  contava  sempre  e  ammontava.  Un  tratto,  volse  l'oc- 
chio alla  strada,  e  vide  me  impalato.  Che  gli  passasse  per  mente 
non  so  ;  ma  è  certo  che  con  la  coda  dell'occhio  mi  sbirciava 
spesso,  e  non  pareva  tranquillo  del  tutto  vedendomi  lì  in  quel- 
l'atteggiamento. Per  levare  il  vin  da'  fiaschi,  feci  animo  riso- 
luto, e  passata  la  soglia,  gli  domandai  chiaro  e  netto. 

—  Che  mi  vorrebbe  sbarattare  un  biglietto  da  mille  lire? 
Se  gli  avessi  detto  la  più  grande  sciocchezza  di  questo  mondo, 

la  cosa  più  falsa  ed  impossibile,  credo  gli  avrei  fatto  la  mede- 
sima impressione. 

Il  brav'  omo,  circondò  subito  con  tutt'  e  due  le  braccia  i 
suoi  quattrini.  Gli  era  entrata  di  certo  una  maledetta  paura  che  io 
glieli  sgraffignassi,  e  me  n'addiedi  all'  occhiata  di  sbieco  con 
la  quale  mi  squadrò  da  capo  a  piedi.  E  con  quell'atto  di  difesa, 
si  affrettò  a  borbottare: 

—  Che  che  che.  Qui  non  si  baratta.  Qui  non  si  baratta  — 
e  non  riprese  il  contare,  finche  non  m'ebbe  veduto  ben  bene 
uscito  dal  suo  negozio. 


IL   MALE    NEL    BENE.  517 

Non  vi  dirò  quante  altre  botteghe  io  tentai  senza  costrutto. 
La  sarebbe  una  lungagnata.  Chi  non  poteva  barattare;  chi, 
vedendo  questi  miei  cenci,  credeva  che  lo  canzonassi;  chi  non 
aveva  ;  chi  non  voleva  ;  e  qualcuno  vi  fu,  pratico  forse  quanto 
me,  che  pretendeva  ad  ogni  maniera  che  il  biglietto  fosse  falso. 
Certo,  esso  non  faceva  più  la  comparita  di  prima.  Imprigionato 
dentro  la  mano  parecchie  ore,  perchè  di  tasca  sana  dove  riporlo 
non  era  neppure  da  parlare,  un  po'  sgualcito  gli  era  doventato  ! 
Ma  falso?  Neanco  per  sogno. 

Tutti  questi  fiaschi,  m' mdispettivano  e  mi  contentavano  in 
una  maniera.  Perchè  po'  poi,  non  mi  dispiaceva  punto  che  il 
mi'  bel  foglio  di  mille,  stesse  con  me  il  più  lungo  tempo  possi- 
bile. E  però  lasciai  da  banda  i  più  grandi  negozi,  e  mi  voltai 
alle  botteguccie;  fra  queste  adocchiai,  una  merceria  piccina  pic- 
cina', ma  piena  zeppa  di  mercanzia.  H  mereiaio  era  gobbo,  e 
l'ebbi  per  malaugurio.  Ma  la  faccia  pareva  di  buono.  Infatti 
appena  entrai,  la  girò  verso  di  me,  sorridendo,  e  mi  salutò. 
Intanto  s'affrettava  a  servire  una  sartina,  che  aveva  davanti,  sul 
banco,  una  quantità  dì  scatole  e  di  pacchi.  Dietro  il  banco,  poco 
discosto  da  lui,  stava  una  bimbetta  dai  dieci  a'  dodici  anni  ;  la 
su' figliola,  forse!  Visto  che  la  sartina  andava  per  le  lunghe,  il 
mereiaio  passò  dalla  mia  parte,  e  domandò  quel  eh'  io  desiderassi. 

—  Vorrei  barattare  un  foglio  di  mille.  Che  mi  potrebbe 
fare  questo  favore  ?... 

E  perchè  non  ci  fossero  casi,  misi  il  morto  sulla  bara  ;  ovve- 
rossia,  gli  spiegai  il  mio  biglietto  davanti  agli  occhi. 

O  quegli  occhi!  Quegli  occhi!  Non  li  dimentico  più,  cam- 
passi mill'anni.  Parevano  duo  carbonchi  :  e  me  li  piantò  addosso 
api  ^bi  parlato,  come  fossero  trivelle  che   dovessero    cac- 

cia, i  carne  viva.  Che  diavolo  avesse  in  quegli  occhi,  non 

so;  ma  in  sull'atto  dovetti  volgere  i  miei  dall'altra  parte. 

Cionondimeno  non  mi  tenne  un'attimo  sulla  corda,  e  rispose 
pronto: 

—  Se  posso,  volentieri.  —  E  stesa  la  mano  al  foglio,  prese 
a  rigirarselo  fra  le  mani  più  volte,  e  lo  voltò  alla  luco,  e  lo 
guardò  daccapo  sul  rovescio,  e  poi  sul  diritto  :  e  senza  smettere 
tutto  quel  suo  gran  lavorio,  disse  bonariiunento,  un  po'  a  modo 
di  domanda,  un  po' come  se  lo  sapesse  lui: 

—  Qualcuno  ve  l'ha  dato  da  barattare. 

—  Nossignore  —  risposi  di  botto  —  son  io  che  voglio  barat- 
tare, perchè  l'è  mio. 


518  IL   MALE   NEL   BENE. 

Mi  fissò  di  nuovo  con  que'  suoi  occhi  maledetti,  ma  non  ag- 
giunse osservazioni  nò  domande.  Disse  solamente: 

—  Ora  vedremo  di  contentarvi.  —  E  sparì  da  un  usciolino 
nascosto  dietro  una  cortina  nella  scaffalatura  della  merceria.  Fu 
cosi  lesto  ad  andarsene,  che  anco  volendo  non  avrei  avuto  modo 
di  fermarlo.  Il  foglio  l'aveva  portato  seco;  e  a  me  non  restava 
se  non  aspettare  il  suo  ritorno.  E  aspettai.  I  minuti  mi  parvero 
ore.  Tenevo  gli  occhi  inchiodati  a  quella  tendina,  dalla  quale 
ei  doveva  sbucare  col  morto.  Ogni  tantino  domandavo  alla  pic- 
cina :  dove  fosse  ito  il  su'  babbo  ;  quanto  tempo  starebbe  a  ritor- 
nare ;  e  cento  altre  interrogazioni  simili.  Intanto  la  sartina 
aveva  finito  la  sua  scelta,  e  se  n'andava.  Fui  a  un  pelo  di 
trattenerla,  perchè  potesse,  in  ogni  caso,  testimoniare  che  il  mer- 
eiaio mi  aveva  rubato  il  foglio,  o  me  l'aveva  scambiato  con 
uno  falso  ;  perchè  ormai  io  ero  sicuro  che  una  delle  due  mi 
sarebbe  capitata.  M'ingannava.  Il  gobbo  finalmente  usci  dal 
suo  nascondiglio.  Teneva  in  una  mano  il  mio  foglio  spiegato, 
nell'altra  un  pugno  di  altri  fogli  d'ogni  colore.  Posò  ogni  cosa 
sul  banco,  mentr'io  sgranavo  gli  occhi  per  veder  meglio  5  e, 
dico  il  vero,  respirando  un  po'  più  libero  di  prima. 

—  Mi  spiace  —  disse  —  ma  non  ci  arrivo  del  tutto.  Manca 
una  cinquantina  di  lire  e  qualche  cosa.  Ma  ora  ripiegheremo. 
Va,  piccina,  dal  sor  Pietro,  difaccia,  e  digli  se  può  darmi  cin- 
quanta lire.  Intanto  contiamo  :  cento  e  cento,  dugento,  e  cin- 
quanta, dugencinquanta,  e  cinquanta,  trecento,  e  venti;  trecento- 
venti, e  cinquanta,  trecensettanta,  dico  trecensettanta,  e.... 

Mentr'egli  mi  sciorinava  dinanzi  tutto  quel  ben  di  Dìo,  del 
.  quale  non  c'era  pezzo  uguale  l'uno  all'altro,  la  piccina  tornò 
senza  il  denaro  domandato. 

Il  mereiaio  sospese  la  numerazione. 

—  Mi  rincresce  —  disse  —  di  non  potervi  servire,  a  meno 
che  non  vi  piacesse  di  ripassare  più  tardi,  0  domani,  a  pren- 
dere il  resto. 

—  No  no  —  mi  affrettai  a  rispondere.  —  Più  tardi  non  potrei. 
Debbo  partire. 

E  ripreso  il  mìo  biglietto,  uscii  che  non  mi  parve  vero.  Io  già 
temevo  che  la  carta  eh'  egli  voleva  appiccicarmi  fosse  falsa. 
Non  avevo  fatto  venti  passi,  e  volgendomi  a  caso,  vidi  il  gobbo 
sulla  bottega,  parlare  con  qualcuno  che  teneva  gli  occhi  verso 
di  me. 

Non  mi  feci  in  qua  né  in  la,  e  tirai  innanzi  per  la  mia  strada. 


IL   MALE   NEL   BENE. 


519 


ni) 


Ma  avevo  appena  svoltato  il  canto,  che  quello  sconosciuto  mi  rag- 
giunse di  buon  passo. 

—  Ohe,  quell'uomo!....  quel  giovane I.... 
Mi  rivolsi  a  quella  chiamata. 

—  Che  dice  a  me? 

—  A  voi.  Avete  un  biglietto  da  barattare,  non  è  vero? 

—  No...  cioè,  ce  l'averrei...  ma  non  vo'più  barattare...  per  adesso. 

—  Mostratelo. 

—  O  che  c'è  bisogno  di  mostrarlo  a  lei?  S'i'  le  dico  che  non 
mi  occorre  di  barattare 

—  E  io  vi  dico  che  voglio  vederlo. 

—  O  giuraddio!  Vorre'  vedere  anco  questa. 

—  Poco  chiasso  —  disse  secco'  secco,  ma  a  bassa  voce  quel 
tale  ;  e  mentre  parlava,  si  aprì  il  soprabito  e  lo  riabbotonò  sa- 
bito. Era  una  guardia  travestita,  un  ispettore  di  polizia,  o  qual- 
che diavolo  di  simile.  Il  gobbo  mereiaio  mi  aveva  servito  come  va! 

Bisognò  striderci,  e  cavar  fuori  il  biglietto,  e  darglielo,  e  ri- 
spondere a  tutte  le  domande  che  mi  fece.  Io,  com'è  naturaloi 
issi  la  verità  scria  scria.  Ma  alla  verità,  di  solito,  la  gente  non 
resta  fede;  e  m'accorsi  benissimo  che  egli  non  credette  una 
parola  di  tutto  quello  che  io  andava  dicendo.  Quando  n'ebbe 
abbastanza,  ripose  le  mille  lire  nel  portafogli,  come  fossero  sue, 
e  facendo  un  cenno  col  capo,  mi  disse: 

—  Bisogna  venire  con  me. 
Fu  come  una  secchia  d'acqua  diaccia.  Andare  non  avrei  voluto, 

che  a  un  bel  circa  me  Io  immaginavo;  lasciare  il  mio  in  quelle 
mani,  nemmeno.  Ma  libertà  non  v'era:  e  un  passo  avanti  l'altro, 
mi  trovai  in  questura,  e  chiuso,  per  peggio,  in  camera  di  custodia. 

Come  passai  quella  notte,  non  ri  posso  diro.  Correvo  in  su 
e  in  giù,  come  un  orso  nel  gabbione.  Provavo  a  gettarmi  sul 
pancaccio  :  era  come  so  tanti  rovi  mi  pun^^essoro  a  sangue.  Solo 
quando  non  ne  potei  proprio  più,  addentai  un  po'  <!'  '  i»ino 
che  mi  avevano  lasciato  ;  e  mandai  giù  due  sorsi  •  «  '  ;  Ift 
gola  andava  in  fiamme. 

U  giorno  di  poi,  che  il  sole  era  ben  alto,  vennero  a  libe- 
i.  Lo  stesso  uomo,  con  due  angoli  custodi  dietro,  mi  portò 
ai  confronti  in  tribunale,  per  l'identità  della  persona  o  che  so  io. 
E  senza  chieder  MngiUL  a  chicchessia,  mi  menarono  diritto  di- 
ritto nel  luogo  medesimo  dov'  ero  stato  il  giorno  innansi,  e  da* 
vanti  alle  stette  persone.  Con  mia  gran  meraviglia,  il  famoso 
biglietto  era  tornato  già  su  quello  scrittoio,  e  l'omone  grosso, 


520  IL   MALE   NEL   BENE. 

me  lo  riconsegnò,  sghignazzando  come  si  fosse  trattato  di  una 
celia. 

Mi  aprirono  l'uscio  e  mi  lasciarono  andare  pe'  fatti  miei. 

M'avessero  chiesto  almeno  scusa.  Ma  non  importa.  Non  ero 
io  certamente  che  avrei  voluto  trattenermi  a  chiacchiera  con 
que'  cosi. 

Scesi  gli  scalini;  a  due  a  due,  per  andarmene  più  presto. 
Stavo  per  oltrepassare  il  portone,  mentre  l'omettino  del  giorno 
innanzi  faceva  per  entrare.  E  mi  guardò  co'  suoi  occhi  dolci, 
e  mi  sorrise  un  tantino  del  suo  buon  sorriso,  che  parca  volesse 
dire  :  —  Ti  riconosco  :  sei  quello  di  ier  mattina  :  se  ti  occorre 
qualche  cosa  son  qua  tutto  per  te. 

Quella  faccia  m'andava  a'  fagiuolo  ;  e  in  quel  momento  sen- 
tivo più  che  bisogno,  necessità  di  sfogarmi  con  qualcuno.  Lo 
fermai,  e  riveritolo  come  si  deve,  presi  a  sfilare  la  corona  che 
parevo  pagato.  Più  il  racconto  avanzava  e  più  l'omino  ten- 
deva gli  orecchi  e  mostrava  di  gustarlo.  Com'ebbi  finito,  si 
scagliò  con  una  fitta  d'improperi  contro  la  gente  di  tribunale 
e  di  polizia,  contro  i  potenti  che  schiacciano  i  deboli,  contro  i 
ricchi  che  succhiano  il  sangue  de'  poveri.  E  io  a  fargli  coro, 
contentone  di  trovare  un  brav'uomo  che  la  pensava  come  me  e 
la  vedeva  alla  mi'  maniera,  e  si  prendeva  a  core  i  fatti  miei 
come  fossero  suoi  propri. 

Quella  sua  sfuriata  a  tutto  mio  benefizio,  crebbe  la  mia 
simpatia  per  lui  che  era  già  grande;  e  vi  aggiunse  altrettanta 
fiducia,  come  l'avessi  conosciuto  da  anni.  Onde,  quand'egli  si 
profferse  di  farmi  barattare  quell'infame  foglio,  non  mi  parve 
vero,  e  andai  seco  lieto  e  tranquillo. 

—  Vedete  ?  figliuolo  caro  —  mi  diceva  sempre  u  figliuolo  caro  n 
—  vedete,  che  è  cosa  da  nulla?  Voi,  vi  compatisco,  vi  manca 
la  pratica.  Ma  io,  che  sono  sempre  in  mezzo  a'  quattrini,  e  ne 
maneggio  in  capo  all'anno  le  centinaia  e  le  migliaia...  Ecco  qua, 
figliuolo  caro  ;  no'  siamo  arrivati.  Ma  il  foglio,  dove  l'avete  ? 

—  Eccolo  gua. 

—  Porgete. 

Ed  entrammo  insieme,  lui  davanti  col  foglio  ed  io  subito  die- 
tro, in  una  bottega  dove  pareva  che  non  ci  fosse  nulla  dentro. 
Si  aprì  una  finestretta  in  fondo:  c'era  uno  seduto  a  una  specie 
di  banchine.  Mi  disse  che  era  il  cambiavalute  ;  e  gli  porse  il 
foglio  da  barattare  in  oro.  L'altro  lo  guardò  appena  ;  lo  gettò 
da  un  lato  ;  andò  alla  parete    di    faccia,    dove  si   vedeva    uno 


IL    MALE    NEL    BEXE.  521 

sportellino  socchiuso.  Prese  da  una  ciotola  un  pugno  di  ma- 
renghi ;  e  venne  a  snocciolarli  dinanzi  alla  finestretta,  da  uno 
sino  a  cinquanta.  L'omino  guardò,  voltò,  rivoltò,  numerò,  am- 
monticchiò, arrotolò  in  un  quartuccio  di  carta,  e  poi  domandò: 

—  Quanto  si  deve  ? 

—  Mezzo  franco. 

Senza  neppure  rivolgersi  a  me,  che  ad  ogni  modo  non  avevo 
un  picciolo  disponibile,  gittò  un  mezzo  franco  sul  banchino,  e 
girando  sul  tallone  usci  con  gran  prosopopea  dal  cambiavalute. 

—  Avete  visto  come  si  fa  ?  —  esclamò  poi,  consegnandomi 
il  rotolo. 

E  perchè  nel  ringraziarlo  accennavo  ai  soldi  che  aveva  pa- 
gati per  me. 

—  Che  che  :  una  miscea.  Non  vale  la  pena  di  parlarne.  Me 
li  restituirete  quando  ci  rivedremo....  perchè  spero  che  ci  rive- 
dremo ?  Siete  un  bravo  giovinetto,  e  vi  voglio  bene.  Anzi  se 
voleste  fare  una  bella  cosa,  dovreste  tenermi  compagnia  a  man- 
giare un  boccone.  Cosi  la  nostra  conoscenza  divont'^r''  '^Ml>it«> 
amicizia. 

Feci  un  po'  di  complimenti;  ma  poi  mi  arresi.  Avevo  una 
fame  da  lupi  e  la  compagnia  mi  garbava. 

—  Dove  81  va?  —  chiesi. 

—  Vi  porto  io  in  una  trattoria  qui  vicino,  brutta  d'aspetto, 
ma  dove  si  mangia  benissimo  ;  e  c'è  un  vinetto  poi,  frìssante, 
arrubinato....  Altro  che  Brolio  I  Venite,  venite. 

—  3{a,  badiamo,  che  vo'  pagare  io. 

—  Ne  parleremo,  tigliuolo  caro....  ne  parleremo  bevendo. 
Qualcuno  di  certo  dovrà  pagare;  che  l'oste  è  buono,  ma  non  ro- 
gala nulla  a  noMuno. 

K  mangiai  e  bevvi;  e  bevvi  anco  più  che  non  mangiassi. 
Ma  a  un  certo  punto,  sentendomi  grave  e  un  po' balordo,  miti 
un  fermo;  per  qoanto  l'altro  mi  stimolaaso  in  tutti  i  modi  posti- 
bili.  Volle  pagare  lui,  che  non  ci  fu  verso  ;  anco  perchè —>  disse 
—  io  non  dovevo  cosi  pretto  manimettere  il  rotolo.  K  quando 
<«i  fu  fuori,  all'aria,  della  quale  sentivo  tanto  il  bisogno  in  quel 
inomento,  egli  camminandomi  a  lato  cominciò  a  darmi  contigli 
por  ben  custodire  il  mio  oro. 

—  Non  è  un  gran  che,  è  vero;  ma  per  voi  può  decidere 
attAÌ  l'averlo  o  non  l'avere.  Voi  non  siete  uso  a  maneggiar  denaro, 
e  il  mondo  è  pieno  di  birbanti.  Non  si  h  sicuri  ncanco  in  chiesa; 

difattl,  figliuolo  caro,    tentirete   aaco    voi  ogni  tantÌBo  che  i 

Vob.  ZL,  S«ri«  II     1  AffMto  M».  U 


52J  IL    MALE   NEL   BENE. 

giornali  parlano  di  rubamenti    commessi   nelle   chiese.  A  casa, 
vostra,  epero,  non  ci  sarà  paura  di  ladri. 

Gli  confessai  che  io  non  mi  fidavo  punto  della  gente  che 
stava  con  me;  giacché  dormivo  in  comune  in  una  specie  di 
stambergaccia,  dove,  a  quattro  soldi  per  notte,  si  vedevan  sempre 
faccie  nuove;  e  quali  faccie,  Dio  scampi  e  liberi. 

—  Vedete,  figliuolo  caro?  Ciò  non  mi  lascia  punto  punto 
tranquillo.  Anch'io  son  solo  al  mondo;  e  devo  vivere  spesso  con 
gente  nuova;  e  quanto  a  quattrini  ne  ho  sempre  assai  più  del 
bisogno.  Ma  io  ho  trovato  il  modo  di  assicurare  il  mio;  e 
neanco  il  diavolo  potrebbe  levarmelo  di  sotto. 

E  insistendo  io  per  saperne  di  più. 

—  Venite  —  disse  :  —  tanto,  una  camminata  non  vi  farà 
male  per  ismaltire  quello  che  s'è  mandato  giù  per  la  gola. 

E  camminò  lesto,  e  io  dietro,  che  non  si  finiva  più  di  cammi- 
nare. E  cammina  cammina,  fummo  alla  punta  delle  Cascine  che 
annottava. 

Io  non  sapevo  immaginare  dove  diavolo  si  andasse  a  parare; 
e  stavo  in  contemplazione  davanti  a  lui,  che  si  guardava  at- 
torno per  accertarsi  che  nessuno  ci  vedesse.  Non  c'era  anima 
viva,  ne  per  gli  stradoni,  ne  pei  viali,  ne  sui  prati  ;  ma  solo  cielo, 
terra  e  alberi,  che  parevano  già  una  gran  macchia  nera.  E  fra  que- 
sti alberi  egli  entrò,  facendomi  cenno  di  seguirlo.  E  camminava  in 
quel  semibuio,  come  fosse  slato  giorno  chiaro.  A  un  certo  punto 
si  fermò,  e  tratto  di  tasca  un  cerino,  lo  accese  e  mi  mostrò  un 
cespuglio  appiè  d'una  quercia.  Cacciò  una  mano  nel  cespuglio, 
fece  un  po'  di  largo;  poi,  alzato  un  mattone,  trasse  dalla  piccola 
buca  una  scatola  di  latta,  pesante  come  piombo,  e  me  la  porse. 

—  Apritela  !  —  disse,  con  aria  trionfante. 

L'aprii  a  fatica,  che  chiudeva  assai  bene;  e  la  vidi  ripiena 
di  rotoli,  come  il  mio. 

—  Vedete  ?  —  soggiunse  l' omino.  —  Qui  nessuno  s' imma- 
gina che  stieno  nascosti  parecchie  migliaia  di  napoleoni.  Quando 
ho  bisogno  di  danaro;  me  ne  vengo  di  sera  o  il  mattino  di 
buon'ora,  e  prendo  quanto  m'occorre:  poi  ricopro,  e  tutti  pari. 
L' albero  è  segnato  e  non  si  può  scambiare.  Q-uardate  qua,  figliolo 
caro,  due  croci  soprammesse  e  un  rigo  di  traverso  ;  non  si  può 
scambiare. 

Visto  che  la  cosa  faceva  eflfetto,  giacché  io,  bue  che  non  son 
altro,  mi  mostrai  incantato  di  questa  sua  trovata  semplicissima 
per  custodire  il  denaro,  soggiunse: 


IL    MAA1,E    NEL    BENE. 


523 


—  Se  per  questa  notte  voleste  approfittare  del  mio  ripo- 
stiglio, acciò  quel  po'  d' oro  che  avete  non  corra  altri  rischi,  io 
non  ho  difficoltà.  Mettete  il  rotolo  qua  dentro  con  gli  altri,  e 
domattina  tornerete  a  riprenderlo.  Anzi  ci  torneremo  insieme  ; 
e  per  non  farci  a  cercare  potete  stanotte  dormire  nella  stessa 
mia  locanda,  e  ci  starete  benissimo. 

Questa  mattina,  di  levata,  ho  cercato  del  compagno  del  giorno 
innanzi,  e  mi  dicono  che  era  uscito  la  sera  subito  e  non  s'era 
più  visto.  Un  colpo  di  fulmine!  Aspetto  un  bel  pezzo,  col  cuore 
sospeso  come  potete  immaginare.  Alla  fine,  non  potendo  più 
htare  alle  mosse,  me  la  svigno  dall'albergo,  insalutato  ospite; 
e  corro  alle  Cascine  fino  alla  punta.  Trova  il  boschetto,  trovo 
la  quercia,  il  cespuglio;  trovo  perfino  le  due  croci  soprammesse. 
Ma  la  terra  era  smossa,  e  la  scatola  di  latta  non  ci  stava  più 
di  casa!!! 

Ho  corso  tutta  la  giornata  come  un  cavallo.  Alla  questura. 
Al  tribunale.  Nessuno  ne  sa  nulla;  nessuno  ne  saprà  mai  nulla. 
Ed  ora  sono  qui,  più  povero  di  prima,  senza  altra  spcransa  di 
sposare  la  mi'  Clorinda,  e  col  vecchio  bottaio  che  mi  canzona 
a  tutto  spiano.  E  voi  che  ne  dite,  Bindoni?  Che  ne  pensate? 

—  r  penso  che  a  questo  mondo  anco  nel  bene  ci  può  es- 
sere il  male,  e  che  il  proverbio  u  l'abito  non  f»  il  nmnnr.ì  -  non 
è  sempre  giusto. 


Cesar!    D'^v^ti, 


IL  TERREMOTO  DI  CASAMICCIOU 


Una  nuova  sciagura  ha  colpito  l'isola  d'Ischia  la  sera  del 
28  luglio,  dopo  meno  di  2  anni  e  5  mesi  che  un  altro  feno- 
meno tellurico  ne  aveva  nella  stessa  guisa,  se  non  con  pari 
violenza  ed  estensione,  sconquassato  il  suolo,  ma  in  questo 
nuovo  urto  sismico  i  disastri  sono  così  tremendi  e  dolorosi, 
che  nessuno  potrà  accingersi  a  farne  una  giusta  descrizione. 

Le  notizie  che  ad  ogni  istante  il  telegrafo,  alcune  corrispon- 
denze' e  delle  persone  che  già  sono  ritornate  a  Roma  ci  recano, 
sono  piene  di  fatti  piìi  dolorosi  l'uno  dell'  altro,  e  tutti  sono  unanimi 
nel  dire  una  sola  cosa  :  Casamicciola,  questa  preziosa  gemma 
dell'isola,  è  completamente  distrutta  dalla  marina  al  colle  supe- 
riore che  si  distacca  dalle  falde  dell' Epomeo,  e  qualche  raro 
edificio  soltanto  è  restato  in  piedi  in  mezzo  a  tanta  rovina: 
sono  macerie  la  Casa  della  Misericordia,  uno  dei  fabbricati  più 
grandi  di  quel  luogo;  gli  stabilimenti  balneari  tutti,  eccettuato 
quello  Manzi,  le  locande  e  le  ville  più  sontuose;  e  l'orologio 
dello  stabilimento  Picsco  fatto  pure  un  monte  di  macerie,  segna 
r  ora  fatale  del  disastro,  le  ore  9,50. 

Eppure  Casamicciola  aveva  resistito  alle  ruine  dei  secoli,  e 
non  sembra  che  soffrisse  gravi  danni,  quando  nel  1301  lungo  il 
Cremate  od  Arso  si  rotolavano  quei  fiumi  di  roccie  incande- 
scenti, di  cui  sono  rimasti  degli  avanzi  nella  lunga  striscia  di 
scorie  che  rattrista  il  cuore  da  Fiaiano  al  mare.  Come  chia- 
mavasi  aUora?  Il  suo  nome  è  molto  contrastato  secondo  quanto 
scrivono  gli  storici  contemporanei  dell'isola  d'Ischia;  il  Solenandro 
chiamò  la  contrada  Casa-Mezula\  il  De  Siano  vuole  che  si  no- 
masse Casamice,  dalla  voce  mica  latina;  il  Giustiniani,  che  si 


IL    TERREMOTO   DI   CASAMICCIOLA.  525 

dicesse  Casamicio  e  Casaicciola\  altri  danno  più  strane  versioni . 
La  più  probabile  è,  che  il  primitivo  nome  fosse  Casanisula 
dalle  tre  parole  Casa  in  isula  o  casa  in  isola,  per  la  prima 
casa  ivi  costrutta. 

Ma  oltre  Casamicciola  è  pure  rimasto  quasi  interamente  distrutto 
Lacco  Ameno,  graziosissimo  paesetto  a  ponente;  Forio,  ridente  città 
e  molto  industriosa  è  fortemente  danneggiata,  e  i  villaggi  di 
Serrara-Fontana,  Moropane,  Barano  e  Testacelo,  costrutti  sul 
versante  opposto  e  meridionale  dell'  Epomeo,  hanno  altresì  sentita 
la  tremenda  scossa,  e  numerano  le  loro  vittime  a  centinaia. 

E  come  poteva  essere  altrimenti,  mentre  il  terremoto  apparve 
all'improvviso,  quando  ognuno  stanco  del  lavoro  della  giornata, 
stava  immerso  nel  più  profondo  sonno,  ed  i  bagnanti  in  mezzo 
alle  loro  feste,  ai  loro  balli,  ed  ai  loro  ritrovi,  o  sognando  lo 
delizie  di  un  nuovo  passatempo,  erano  quasi  tutti  ritirati  o  rac- 
colti nelle  casel 

Nessuno  è  in  caso  di  dire  come  il  fenomeno  sia  avvenuto; 
sappiamo  soltanto  che  questo  movimento  tellurico,  che  ha  du- 
rato non  più  di  15  lunghi  secondi,  ha  colpito  con  molta  mag- 
gior vigoria  e  colle  stesse  circostanze  gli  stossi  luoghi  che  già 
risentirono  gli  effetti  dell'  energia  endogena  nei  terremoti  del  1828 
e  del  188L 

Uno  studio  successivo  sarà  quindi  immensamente  facilitato 
da  questa  coincidenza  di  fatti,  e  l'attuale  maggior  intensità 
non  può  essere  dovuta  che  ad  una  maggior  azione  della  forza 
di  spinta  che  ha  agito  su  quella  disgraziata  zona  dell'  isola.  Ma 
ciò  che  v'  ha  di  assai  doloroso  egli  è,  che  dallo  notizie  ohe  alla 
spicciolata  e  da  tante  fonti  diverse  ci  arrivano,  risulta  che  si 
sono  ripetuti  gli  stessi  ed  identici  fenomeni  procursori  e  negli 
stessi  luoghi  che  furono  riconosciuti  nel  terremoto  del  1881,  e 
se  alcuno  li  avesse  svelati,  non  hì  lamonton^bboro  lo  vittime  che 
ora  si  contano  a  migliaia. 

Non  ò  qui  il  coso  di  studiare  {••  .  m  .  pi  (  n  |miiiiìi  (lei 
terremoti  lo  fontane  ed  i  pozzi  dcll<-  <  .i-.  Maii-»  ^  i-^<tti  a  mu- 
tare di  temperatura,  di  volume  dolio  acque,  ed  «  prosciugarsi, 
mentre  talvolta  vedoosi  da  esse  sfuggire  dot  gas  in  abbondanza. 
Di  questi  fatti  abbiamo  un  numero  grandissimo  d'esempi,  od 
erano  noti  agli  antichi  che  vedevano  nei  turromoti  dei  fenomeni 
straordinari.  Per  non  allontanarci  dal  nostro  toma,  diremo  sol- 
tanto che  nel  1881  si  rincaldarono  potcntomento  lu  acquo  dulia 
fontana  detta  la  Rita,  coii  che  una  donna  che   ivi   lolova    itn- 


52(i  IL    TERREMOTO    DI    CASAMICCIOLA. 

morgerc  il  suo  braccio  per  curarsi  di  un'antica  frattura  «l  polso, 
non  potendo  in  quel  mattino,  molte  ore  prima  della  scossa  resi- 
stere alla  straordinariamente  alta  temperatura  dell'  acqua,  sospese 
la  sua  cura,  e  timorosa  fuggì.  Ritornando  a  casa  verso  Forio, 
essa  era  arrivata  al  Calosirto  quando  sentì  la  terra  tremarle 
sotto  i  piedi  e  comprese  il  pericolo  a  cui  era  scampata.  Le 
fonti  di  Citara  presso  Forio  si  riscaldarono  in  quella  circostanza 
più  del  solito  qualche  tempo  prima,  e  questo  fenomeno  è  suffi- 
cientemente noto  nell'isola. 

Orbene  questo  fenomeno  si  è  ripetuto  di  nuovo  in  questa 
circostanza,  sì  che  da  alcuni  giorni  era  stato  avvertito  un  mag- 
gior riscaldamento  delle  acque  ;  ed  alcune  lievi  scosse  state  sen- 
tite ad  irregolari  intervalli,  e  di  cui  adesso  soltanto  dopo  la 
catastrofe  si  parla,  avrebbero  dovuto  mettere  in  allarme  coloro 
che  non  erano  ignari  di  queste  gravi  coincidenze.  Se  in  ogni 
stabilimento  termale  fosse  stato  posto  l' obbligo  di  avere  una 
tabella  che  segnasse  la  temperatura  normale  dell'acqua  alla  sor- 
gente e  quella  di  ogni  giorno  in  alcune  ore  diverse,  è  certo  che 
si  sarebbe  conosciuto  che  nelle  viscere  della  terra  si  preparava 
qualche  cosa  di  anormale  e  molte  vittime  sarebbero  state 
risparmiate. 

Il  doloroso  fenomeno  si  presentò  anche  questa  volta  cogli 
stessi  caratteri  e  colle  stesse  forme  che  suole  abitualmente 
mostrare. 

Una  forte  romba  si  sentì  di  lontano  come  di  un  lungo  con- 
voglio di  carri  di  una  strada  ferrata,  e  precisamente  come  nel 
doloroso  terremoto  che  il  4  marzo  1873  colpì  la  penisola  da 
Cosenza  a  Belluno,  secondo  il  racconto  allora  fatto  da  alcuni 
abitanti  dell'  Umbria,  e  come  allora  dopo  un  brevissimo  silenzio 
una  potente  scossa  sollevò  tutta  la  falda  settentrionale  dell'Epomeo, 
sulla  quale  si  elevavano  le  case  e  le  eleganti  ville  che  forma- 
vano il  paese  di  Casamicciola.  L' urto  ha  dovuto  essere  da  sud 
a  nord  e  quindi  da  nord  a  sud,  ma  rapidissimo,  ed  è  a  questa 
rapidità  di  movimento  ed  alla  potenza  di  spìnta  che  devesi 
attribuire  l'immensa  ruina.  Con  tutto  che  il  movimento  di  aper- 
tura della  terra  sia  stato  rapidissimo,  pur  tuttavia  i  vapori  acquei 
ebbero  tutto  il  tempo  di  esalare  ed  essi  spiegano  la  nebbia 
che  cosi  densa  oscurò  l'aria.  Stando  alle  notizie  che  giungono, 
pare  che  sia  stata  più  gravemente  colpita  quella  estesa  regione 
che  da  Montecito  (a  cui  fanno  corona  i  massi  di  Polletriello, 
di  dove   escono  con  forte  spinta  dei  vapori    d'acqua   alla  tem- 


IL    TERREMOTO    DI    CaSAMICCIOLA.  o2i 

per.alura  da  noi  stessi,  or  son  poche  settimane,  riconosciuta 
di  100  C.)  scende  al  mare  e  si  estende  a  ponente  lino  oltre  a 
Forio,  ed  a  levante  alle  propaggini  dei  monti  Buceto,  Rotaro 
e  Tabor.  Egli  è  sotto  di  questa  zona  assai  ristretta  di  terreno,  che 
ha  dovuto  trovarsi  il  focolare  di  quella  patente  spinta,  che  ha 
sollevato  quella  falda  del  monte  per  lasciare  un  libero  ed  im- 
mediato sfogo  ai  gas  ed  ai  vapori  d'acqua,  che  cercavano  una 
libera  uscita,  e  poi  immediatamente  si  chiuso  generando  quei 
due  rapidi  movimenti  di  sollevamento  e  di  abbassamento,  che 
hanno  rovinato  gli  accennati  edifizi,  e  lasciato  nella  maggior 
parte  di  coloro  che  ne  raccontano  i  fatti,  l'impressione  che  il 
terremoto  sia  stato  vorticoso.  Non  crediamo  all'  esistenza  di  ter- 
remoti vorticosi,  e  gli  effetti  di  tal  natura  che  si  osservano  sulla 
superficie  della  terra,  sono  il  prodotto  di  spinte  in  senso  opposto 
ed  in  momenti  diversi. 

Questo  terremoto,  i  cui  effetti  si  sono  estesi  su  di  una  zona 
molto  ampia,  ha  dovuto  avere  il  suo  focolare  assai  profondo: 
tutto  quanto  TEpomeo  ha  dovuto  tremare  sotto  la  forte  spinta 
che  avrà  ricevuto,  e  ce  Io  dicono  i  danni  sofferti  dai  villaggi  di 
Serrara- Fontana,  di  Moropone,  di  Barano  e  di  Testacelo,  ma 
non  quanto  la  zona  meridionale  formata  di  antichi  detriti  del 
monte,  di  un  terreno  leggero  e  facile  ad  essere  mosso  in  ogni 
senso,  la  quale  ha  dovuto  sollevarsi  per  dar  passaggio  dalle 
labbra  apertesi  della  fenditura,  ai  gas  ed  ai  vapori  che  hanno 
.cenerata  la  fatale  scossa.  Più  di  ogni  altra  cosa  ci  dice  che  il 
focolare  è  stato  profondissimo,  la  circostanza  che  il  terremoto 
fu  sentito  quasi  alla  stessa  ora  a  Napoli,  a  Capodiraonte  e  a 
Salerno. 

Successive  informazioni  diranno  quale  intervallo  di  tempo  è 
trascorso  nel  cammino  dell'onda  sismica  da  Casamicciola,  ove 
l'orologio  del  telegrafo  ha  dovuto  arrestarsi  al  momento  preciso 
della  rovina  del  fabbricato,  a  Capodimonto  oto  esiste  un  os- 
servatorio fornito  dì  delicati  strumenti  sismici  :  saremo  forse 
anche  ii«  condizione  di  conoscere  la  profondità  del  focolare  se  si 
riuscirà  ad  osservare  delle  traccio  di  fenditure  che  sreleranno 
la  direziono  della  scossa,  ed  allora  si  potranno  con  molta  pro- 
babilità determinare  delle  linee  convergenti.  Intanto  non  è  qai 
fuor  di  luogo  notare,  che  secondo  i  calcoli  di  Mallet,  la  pro- 
fondità mansinia  da  lui  ottenuta  della  sedo  d'un  focolare  sismico 
fu  di  circa  \ò,(HÀ)  metri;  per  23  scosse  essa  rimase  inferiore 
a   1.%(XX)  metri;  per  18  fu  di  10,000  o  più  cHattamentc  dì  1  e  V, 


— 

38,806  m. 

— 

— 

26.266  » 

— 

14,395  m. 

17,956  . 

21,592  m. 

5,045  » 

11,130  . 

17,214  . 

5,102  » 

10,667  » 

15,073  . 

528  IL    TERREMOTO    DI    CASAMICCIOLA. 

di  miglio  geografico.  La  profondità  minima  stata  trovata  fu  di 
circa  5,000  metri. 

Anche  Seebach  si  è  occupato  specialmente  dello  studio  della 
profondità  dei  terremoti,  ed  avrebbe  ottenuto  che  le  altezze 
furono  per 

Il  terremoto  renano  del  1846 

Id.  di  Sillein  del  1858    ...    . 

Id.  del  centro  della  Germania  1872 

Id.  di  Herzogeurath  del  1873  .     . 

Id.  di  Napoli  del  1857    .... 

Dall'estensione  a  cui  la  scossa  sismica  sarà  arrivata,  e  te- 
nendo conto  della  natura  del  terreno  che  avrà  percorso,  dal- 
l'angolo di  spinta  degli  oggetti  smossi,  si  potranno  stabilire  an- 
che in  questa  circostanza  dei  dati  di  non  lieve  importanza  per 
lo  studio  della  fisica  terrestre,  e  per  la  conoscenza  della  pro- 
fondità a  cui  si  preparano  i  terremoti  delle  regioni  meridionali 
della  penisola. 

In  queste  brevi  note  che  scriviamo  sotto  la  prima  impres- 
sione delle  notizie  che  troviamo  nei  periodici,  non  dobbiamo 
trascurare  di  avvertire,  che  il  Vesuvio  fu  in  questi  giorni  al- 
quanto attivo,  e  sapremo  più  tardi  se  la  sua  attività  cessò  di 
dimostrarsi  per  un  istante  al  momento  delia  terribile  catastrofe. 
Non  dubitiamo  in  verun  modo,  che  i  fenomeni  sismici  dell'isola 
d'Ischia  ed  i  vulcanici  del  Vesuvio  vicino,  debbano  essere  col- 
legati fra  loro,  come  possono  essere  collegati  quelli  di  Strom- 
boli, di  Vulcano  e  dell'  Etna,  ed  è  in  questa  nostra  certezza,  che 
mettiamo  la  speranza  che  altri  e  maggiori  danni  non  abbiano 
a  rinnovarsi. 

Gli  esempi  di  rapporti  reciproci  tra  l'azione  vulcanica  e  la 
sismica  abbondano,  e  per  non  allungarci  soverchiamente  diremo, 
che  all'epoca  del  nefasto  terremoto  del  5  febbraio  1783,  Strom- 
boli cessò  di  fumare  al  momento  della  scossa,  e  ricominciò  ad 
emettere  con  violenza  i  suoi  vapori  dopo  le  spinte  che  distrus- 
sero Messina.  E  nel  terremoto  ancor  pia  funesto  del  1**  no- 
vembre 1755,  il  Vesuvio  che  prima  lanciava  al  cielo  il  suo  alto 
pennacchio,  cessò  per  un  momento  di  emettere  i  suoi  densi  va- 
pori, ed  appunto  nel  tempo  in  cui  avveniva  la  terribile  scossa 
che  distrusse  Lisbona,  e  poco  dopo  riprese  il  suo  normale  an- 
damento. 

Sembra  questa  volta  che  il  mare  non  siasi  mosso,  almeno 
nessuno  accenna  ad  un  ritiro  delle  sue  acque  o  ad  una  anormale 


IL   TERREMOTO   DI    CASAMICCIOLA.  529 

agitazione.  Questa  circostanza  sarebbe  una  prova  che  il  terre- 
moto non  si  preparò  sotto  di  esso  come  pare  sia  avvenuto  in 
quello  di  Messina  già  accennato,  nel  quale  le  acque  si  ritirarono 
per  spingersi  dopo  con  un'  onda  di  20  metri  contro  la  spiaggia 
ed  ingoiare  quanto  su  di  essa  trovavasi. 

Non  è  tuttavia  improbabile,  che  un'  agitazione  insolita  sia 
avvenuta,  ma  quest'agitazione  sarà  stata  quasi  contemporanea 
al  momento  in  cui  il  terremoto  si  sarà  fatto  sentire  a  Casamic- 
ciola  ed  a  Napoli,  e  più  precisamente  potrà  aver  preceduto  di 
qualche  secondo  la  scossa  di  uno  di  questi  luoghi.  Qui  troviamo 
opportuno  aggiungere,  che  se  il  terremoto  di  Casamicciola  ha  pre- 
ceduto di  qualche  secondo  quello  di  Napoli  e  di  Capodimonte, 
la  cui  ora  precisa  sarà  stata  certamente  determinata  dagl'illustri 
professori  Palmieri  e  Pergola,  possiamo  fin  d'ora  stabilire,  che 
la  sede  si  trovò  sotto  l'isola  d'Ischia. 

Nel  terremoto  del  4  marzo  1881,  nel  quale  il  movimento 
non  arrivò  neppure  a  comunicarsi  alla  spiaggia  vicina  del  con- 
tinente napoletano,  il  focolare  non  dovette  trovarsi  molto  pro- 
fondo. La  circostanza  che  questa  volta  il  fenomeno  si  ripetè 
nello  stesso  luogo,  ma  con  maggior  violenza  ed  estensione,  offre 
la  certezza  della  profondità  grandissima  del  focolare  sismico,  ma 
con  questo  solo  dato  non  si  può  in  alcuna  guisa  dichiarare,  se 
altri  fatti  potranno  avverarsi  in  un  tempo  relativamente  breve. 
Se  sono  state  completamento  e^a^rita  le  forze  che  hanno  pro- 
dotto l'attuale  disgrazia,  se  sono  sfuggiti  i  vnpori  addensati 
nella  immensa  caldaia  sotterranei,  ogni  pericolo  di  futuri  scon- 
volg' menti  è  cessato;  ma  chi  può  assicurarlo? 

Ciò  che  crollamo  di  poter  dichiarare  egli  b,  che  se  l'isola 
fosse  stata  munita  di  sismometri,  qu<-ili  ora  esistono  in  tutti  gli 
Osservatori  meteorologici  più  imporUinti;  so  un  personale  adatto 
«resse  fatto  delle  speciali  osservazioni  dei  movimenti  minimi 
del  suolo,  che  debbono  sicuramente  aver  proceduto  la  fatale 
disgraziata;  se  si  fosse  tenuto  conto  dello  variazioni  di  tempera- 
tura e  di  emissione  dello  abbondanti  acque  termo-minerali  che 
hanno  tanto  concorso  a  costituire  la  ricchezza  dell'  isola,  sareb- 
bero sicuramente  state  risparmiato  dello  migliaia  di  vittime,  e 
non  si  verserebbero  tanto  lacrimo  quuntn  ora  versano  coloro 
che  piangono  la  morto  del  padre,  della  madre,  dei  figli  e  dei 
più  str  (li. 

I  t'      :io  di  quei  fenomeni    che   la   natura    prepara 

lentamente,    per   operare    i   cambiamenti  che  avvengono    sulla 


530  IL    TKRREMOT/    DI    CASAMICCIOLA. 

superficie  della  iìvvii  e  si  present.-ino  colla  nipiditù  del  ful- 
mine soltanto  per  coloro,  che  non  .sanno  apprezzare  i  «uoi 
costanti  avvertimenti.  Talvolta  questi  non  sono  seguiti  dagli 
scoppi  annunciati  ;  egli  è  perchè  i  gas  ed  i  vapori  che  cagio- 
nano questi  preavvisi,  riescono  a  trovare  qualche  sfogo,  senza 
che  succeda  alcun  danno,  ma  queste  circostanze  abbastanza 
frequenti  non  sono  dei  fatti  sufficienti,  perchè  siano  trascurate 
le  osservazioni,  che  lo  studio  della  geofisica  ha  indicate  con 
precisione,  per  conoscere  le  minacele  che  sovrastano  gli  abitanti 
della  terra. 

Ci  allungheremmo  troppo  se  entrassimo  nei  molti  particolari 
delle  disgrazie,  che  questo  terremoto  ha  fatto  provare  alla  sven- 
turata isola,  ed  a  chi  erasi  ivi  recato  colla  fiducia  di  riacqui- 
stare la  perduta  salute.  La  Piccola  sentinella  luogo  ameno  e 
ridente,  geniale  ritrovo  di  molti  bagnanti,  è  crollata  in  un 
baleno  alla  prima  scossa,  seppellendo  sotto  le  sue  rovine  coloro 
che  folleggiavano  nelle  sale  o  che  sui  suoi  terrazzi  stavano  con- 
templando quella  notte  splendida  e  stellata,  alla  vista  di  un 
mare  calmo  e  tranquillo  che  nessuna  brezza  turbava. 

La  Casa  della  Misericordia,  alto  palazzo  di  due  piani  di 
una  costruzione  solidissima,  che  aveva  resistito  ad  altre  scosse, 
è  caduta  come  nn  castello  di  carte;  pochi  e  rari  edifici  hanno 
resistito  e  forse  questi  lo  debbono  alla  felice  circostanza  di 
essere  stati  elevati  su  di  un  terreno  solido,  e  di  essere  stati 
orientati  in  modo,  da  presentare  gli  angoli  alla  fenditura  del 
suolo  che  si  apri,  per  dare  libero  sfogo  all'  espansione  dei  va- 
pori interni.  Coloro  che  si  sono  salvati,  non  sono  per  ora  in 
condizione  di  raccontare  con  qualche  precisione  i  particolari 
con  cui  la  disgrazia  avvenne  :  egli  è  con  tutte  le  notizie  che 
si  potranno  in  avvenire  lentamente  raccogliere  e  facendo  dei 
confronti  fra  di  esse,  che  si  sarà  in  condizione  di  riunire 
quella  quantità  di  dati  che  faranno  d'  uopo  per  scrivere  una 
storia  precisa  del  funesto  terremoto.  Saranno  allora  raccontati 
i  molti  atti  di  eroismo;  si  conosceranno  con  maggiori  partico- 
lari dei  fatti  commoventi  e  terribili;  si  saprà  di  chi  era  quel 
corpo  di  una  signora  elegante  di  cui  subito  non  fu  trovata  la 
testa  che  era  stata  strappata  dal  busto  ;  si  saprà  il  nome  di 
quel  marito  sepolto,  che  domandava  per  grazia  si  lasciasse  pur 
morire,  ma  fosse  salvata  la  moglie  che  egli  sosteneva  in  parte 
e  le  macerie  impedivano  che  si  muovesse,  ed  una  maggior  ro- 
vina seppellì  con  chi  tentava  di  salvarli  entrambi  ;  si  ritroverà 


IL   TERREMOTO    DI   CASAMICCIOLA. 


531 


quella  signora  di  cui  sporgeva  una  mano  inguantata  col  braccio 
carico  di  gioie,  ma  essa  non  avrà  più  vita  ed  il  suo  corpo 
cadrà  inerte  davanti  a  chi  tenterà  di  sollevarla.  Povera  gente, 
povere  mamme,  poveri  figliuoli!  Chi  potrà  descrivere  le  soffe- 
renze di  tante  persone  rimaste  sepolte  sotto  così  alte  macerie 
e  salvate  quasi  per  miracola  ;  chi  farà  conoscere  i  vani  gemiti, 
e  gli  urli  di  altri  a  cui  un  pronto  aiuto  avrebbe  ridata  la  vita  ? 
Il  racconto  di  tanti  dolori  concorrerà  a  sollecitare  la  carità 
cittadina,  che  in  Italia  ha  già  date  si  splendide  prove  del- 
l'amore di  fratellanza,  che  collega  i  popoli  delle  varie  regioni 
della  penisola. 

Roma,  31  loglio  1883. 


Capitano  L.  Gatta. 


UNA  CURIOSITÀ  BIBLIOGRAFICA 


L'Indice  delle  Eiviste  americane  ed  inglesi. ' 


Il  Disraeli,  parlando  nelle  sue  Miscellanee  letterarie  degli 
indici  e  della  loro  grande  utilità,  scriveva:  u  In  quanto  a  me 
io  venero  colui  che  ha  inventato  gli  indici,  e  non  so  a  chi  si 
debba  dare  la  palma,  se  ad  Ippocrate  che  vuoisi  sia  stato  il 
primo  ad  anatomizzare  il  corpo  umano,  o  a  quell'ignoto  operaio 
del  pensiero  che  per  il  primo  mise  a  nudo  i  nervi  e  le  arterie 
di  un  libro.  ;i 

Queste  parole  che  mettono  in  cielo  chi  trovò  l'arte  di  fare 
gli  indici,  mi  tornano  in  mente  nel  prendere  in  mano  il  reper- 
torio di  tutti  gli  scritti  sparsi  in  piìi  di  6000  volumi  di  Riviste 
americane  ed  inglesi,  pubblicato  ora  dal  signor  Poole,  perchè  le 
indicazioni  bibliografiche  sono  tante  da  metter  proprio  a  nudo 
i  nervi  e  le  arterie  di  queste  raccolte  periodiche. 

Sarebbe  davvero  tempo  perduto  voler  qui  dimostrare  l' impor- 
tanza letteraria  e  scientifica  che  possono  avere  gli  articoli  delle 
Rivibte,  come  pure  voler  raccontare  a  chi  studia,  quanto  sia 
talvolta  difficile  conoscere  l'esistenza  di  uno  scritto,  e  sapere  il 
volume  e  la  pagina  dove  sta  in  una  Rivista,  di  cui  forse  si 
ignora  persino  il  nome. 

Ma  se  questa  importanza  e  questa  difficoltà  sono  grandi  per 
noi,  sono  certo  maggiori  quando  si  tratta  delle  Riviste  ameri- 
cane ed  inglesi.  Il  numero  delle  Riviste  in  quei  paesi  è  molto 
grande,  e  i  migliori  scrittori  e  gli  uomini  di  Stato  più  illustri 
si  servono  di  queste  pubblicazioni    periodiche  come  del  mezzo 

•  An  Index  to  Periodical  Literature  hy  William  Frederick  Poole,  Li- 
brariaa  of  the  Chicago  Public  Library.  —  Boston,  1883,  in  8.°  gr. 


i 


UNA   CURIOSITÀ   BIBLKXHLVFK.A.  §®8 

più  sicuro  e  più  rapido  per  far  conoscere  e  diffondere  le  loro 
idee  e  le  loro  opinioni.  Non  corrono  così  il  rischio  di  vederle 
travolte  in  mezzo  agli  articoli^  alle  notizie,  alle  corrispondenze 
e  ai  telegrammi  dei  giornali  politici,  e  non  sono  costretti  ad 
aspettare  che  passi  tutto  il  tempo  di  cui  abbisogna  il  libro  o 
l'opuscolo  per  fare  la  sua  strada,  per  essere  conosciuto,  compe- 
rato e  letto.  Essi  sono  già  certi  di  trovare  negli  associati  alle 
Riviste  un  numero  ragguardevole  di  lettori,  che  aspetta  a  ter- 
mine fisso,  un  autorevole  parere  o  giudizio  sulle  questioni  lette- 
rarie, politiche  0  sociali  che  piìi  agitano  le  menti.  E  cosi  presso 
di  loro  non  è  più  possibile  fare  sul  serio  certi  studi  ignorando 
quello  che  è  già  stato  detto  e  scritto  nelle  Riviste. 

Da  tutto  ciò  risulta  evidente  la  grande  utilità  di  questo 
lavoro  bibliografico.  E  una  miniera  quasi  inesauribile  di  notizie 
preziose,  che  ora  è  scoperta  e  messa  a  disposizione  di  tutti. 

Si  capisce  che  per  noi  Italiani  molti  degli  scritti  registrati 
in  quest'indice,  perchè  troppo  speciali  all'America  e  all'Inghil- 
terra, hanno  scarso  interesse  ;  ma  ve  ne  sono  moltissimi  d' in- 
dole più  generale  che  possono  e  devono  interessarci;  e  non 
poca  importanza  hanno  per  noi  quegli  articoli  che  parlano  uni- 
camente di  cose  nostre. 

E  impossibile  dare  un'idea  delle  cose  contenute  in  un  libro 
come  questo;  dirò  soltanto  che  sfogliando  un  poco  il  volume 
ho  veduto  citati  21  articoli  di  Riviste  diverse  che  si  riferiscono 
air  Alfieri,  17  al  Manzoni,  15  al  Pellico,  9  al  Foscolo  e  9  «1 
Leopardi,  5  al  Monti,  2  al  Parini,  nessuno  al  Giordani  ;  20  scritti 
trattano  di  Vittorio  Emanuele,  34  del  conte  di  Cavour,  2  di 
Ricasoli,  1  di  Katlazzi  (due  della  signora  Kattaszii,  25  di  Mas- 
zini  e  48  di  Garibaldi. 

Non  parlo  degli  scriiu  i  >■•-  riguardano  uq  passato  ancor  più 
lontano  o  il  nostro  presente;  nò  di  quelli  che  si  occupano  dell* 
nostre  arti,  dei  nostri  monumenti,  delle  nostro  città  e  della  luru 
storia,  come:  Roma  antica,  Roma  cattolica,  Roma  moderna,  Vo- 
nezia,  F'irenze,  Napoli,  Milano,  Genova,  l'alermo,  Torìuo,  Pisa  e 
Bologna,  <;  di  cento  altri  soggettL 

Ali  fermo  qui  perchè  una  ricerca  Catta  saltando  qua  o  là  fra 
200,000  indicazioni  bibliografiche  non  approda  a  qualche  cosa 
di  serio  o  di  utile.  Quello  che  importa  è  di  far  sapere  elio  delle 
Rivista,  scritte  in  inglese  e  pubblicate  in  America  o  nel  Regno 
Unito,  esisto  ora  un  indico  copiosissimo  e  ben  fatto. 

Ma  se  dal  Iato  Icttcracio  qucuta,  pubblicacipiu^i  chu  acrva  di 


534  DNA    CURIOSITÀ    BIBLIOGRAFICA* 

guida  fedele  e  sicura  in  un  laberinto  tanto  vasto,  ha  un  valore 
inestimabile,  considerata  unicamente  come  lavoro  bibliografico 
ne  ha  uno  non  inferiore  di  certo,  essendo  la  compilazione  di 
quest'indice  il  primo  tentativo,  splendidamente  riuscito,  di  una 
vasta  collaborazione  formatasi  per  un  grande  lavoro  bibliogra- 
fico. E  una  segnalata  vittoria  del  metodo  cooperativo,  come  lo 
chiamano  al  di  là  dell'Atlantico. 

E  qui  occorre  fare  un  po'  di  storia. 

Questa  di  cui  parlo  è  la  terza  edizione  di  quest'indice.  La 
prima  compilata  35  anni  or  sono  con  ardor  giovanile,  e  mentre 
era  all'Università  di  Yale,  dal  signor  Federigo  Guglielmo  Poole, 
ora  bibliotecario  a  Chicago  e  uno  dei  più  distinti  bibliografi 
americani,  vide  la  luce  a  Nuova  York  nel  1848  col  titolo:  Index 
to  Subjects  treated  in  the  Reviews  and  other  Periodicals  to  which 
no  Indexes  have  been  puhlished. 

Era  un  volume  di  sole  154  pagine  in  ottavo  grande  e  con- 
teneva circa  28  mila  indicazioni  bibliografiche,  I  pochi  esem- 
plari furono  subito  venduti. 

Nel  1853,  e  nella  stessa  città,  egli  pubblicò  la  seconda  edi- 
zione, che  in  un  volume  di  523  pagine  comprendeva  un  mate- 
riale bibliografico  sei  volte  maggiore  della  prima,  raccolto  in 
quattro  anni  di  assiduo  lavoro.  In  queste  due  edizioni  il  Poole 
aveva  avuta  la  pazienza  e  la  costanza  di  spogliare  gli  scritti 
stampati  in  1468  volumi  di  circa  70  Riviste,  e  poco  dopo  la  stampa 
il  libro  era,  fra  i  moderni,  uno  dei  più  rari  a  trovarsi.  Il  Poole 
stesso  racconta  che  dopo  venti  anni  gli  fu  dato  rivederne,  con 
grata  sorpresa,  un  esemplare  a  Londra,  nel  British  Museum, 
tutto  logoro  e  consumato  dal  grande  .uso. 

Esaurita  la  seconda  edizione  egli  riceveva  di  frequente  e  da 
tutte  le  parti,  lettere,  esortazioni  e  preghiere  di  ristampare  e 
di  continuare  un'opera,  che  oramai  era  riconosciuta  da  tutti  ne- 
cessaria. 

Ma  come  fare?  Le  Riviste  aumentavano  sempre  di  numero 
e  i  fascicoli  e  i  volumi  si  succedevano  con  spaventosa  rapi- 
dità. Da  solo  non  poteva  più  reggere  e  rimanere  al  di  sopra  di 
questa  valanga  di  fascicoli  che  gli  si  rovesciava  addosso.  Cercò 
chi  lo  aiutasse,  ma  inutilmente.  Più  di  venti  persone  si  prova- 
rono. Grli  uni  spaventati  dalla  mole  del  lavoro  da  farsi  si  riti- 
rarono ;  gli  altri  erano  e  si  mostrarono  incapaci  a  simili  lavori. 
Avevano  creduto  fosse  cosa  molto  facile  a  farsi,  e  non  avevano 
preveduto  quanta  pazienza,  precisione  e  discernimento  occorrono 


UXA    CURIOSITÀ    BIBLIOGRAFICA.  535 

per  far  bene  un  indice.  Essi  ignoravano  quanto  savio  ed  arguto 
fosse  il  suggerimento  dato,  appunto  per  queste  ragioni,  da  un 
valente  bibliografo  spagnuolo,  non  ricordo  più  a  quale  illustre 
scrittore,  di  dare  a  fare  a  chicchessia  il  suo  libro,  ma  di  badar 
bene  di  compilarne  egli  stesso  l'indice. 

Fortunatamente  il  20  settembre  1876  vide  la  luce  a  Nuova 
York  il  primo  numero  del  Giornale  Americano  delle  Biblioteche, 
diretto  con  grande  abilità  da  Melvil  Dewey  e  da  Carlo  A.  Cutter, 
aiutati  dai  migliori  bibliotecari  degli  Stati  Uniti.  I  problemi 
più  ardui  e  più  intralciati  dell'ordinamento  delle  grandi  biblio- 
teche furono  da  quei  valenti  collaboratori  del  Giornale  Ameri- 
cano esaminati  e  studiati  con  amore  intelligente,  e  nel  risol- 
verli essi  diedero  prove  di  una  originalità  e  sapienza  pratica, 
quali  non  si  riscontrano  in  Europa.  Il  giornale  aveva  appena 
raccolto  intomo  a  sé  le  forze  sparse,  che  subito  propose  di  unirle 
saldamente  in  una  Società,  la  quale  giovasse  agli  interessi  delle 
biblioteche  esistenti,  facilitasse  la  fondazione  di  nuove,  stringesse 
in  amichevoli  rapporti  non  solo  tutti  coloro  che  consacrano  la 
loro  operosità  e  i  loro  studi  principalmente  all'incremento  e  al- 
l'ordinamento delle  librerie  pubbliche,  ma  anche  coloro  che  si 
dedicano  a  lavori  o  a  ricerche  bibliografiche. 

Fu  al  Congresso  tenuto  dai  bibliotecari  in  Filadelfia  il  4  ot- 
tobre 1876  che  la  Società  venne  costituita,  e  fra  i  molti  argo- 
menti trattati  e  discussi  in  quella  occasione  uno  dei  principali 
fa  quello  della  necessità  di  una  nuova  edizione  di  questo  Indice 
del  Poole.  Dimostrata  l' impossibilità  che  una  sola  persona  po- 
tesse faro,  con  sufficiente  rapidità,  questo  lavoro  che  da  un 
giorno  all'altro  cresce  di  mole,  si  fu  d'accordo  di  raccogliere  e 
di  riunire  tutte  le  forze  in  un'opera  comune,  di  cooperare  tutti 
al  medesimo  lavoro. 

Il  Poole  espose  il  metodo  ohe  egli  credeva  doversi  seguire, 
disse  come  si  poteva  e  doveva  ripartire  il  lavoro  fra  le  biblio- 
teche che  accettavano,  indicò  quali  regole  si  dovessero  da  : 
osservare,  e  da  ultimo  si  obbligò  non  solo  a  cooperare  «ilo  sp'  ^ 
delle  Riviste,  ma  ben  anche  a  fondere  il  lavoro  nuovo  con  quello 
già  fatto  per  le  edizioni  precedenti,  e  a  dirigere  e  sorvegliare 
la  stampa  di  tutto  l'indice. 

La  proposta  fu,  come  iu'*ritava,  unanimemente  approvata  dalla 
società.  Si  nominò  subito  una  commissione  della  quale  fecero 
parto  col  Poole,  Giustino  Winsor  che  per  molti  anni  come  bi- 
bliotecario aveva  dato  gran  lustro  alla  libreria  pubblica  di  Bo- 


536  UNA   CURIOSITÀ   BIBLIOGRAFICA. 

ston  e  che  ora  dirige  quella  della  Università  di  Harvard,  e  Carlo 
A.  Cutter,  bibliotecario  dell'Ateneo  di  Boston,  valentissimo  biblio- 
grafo. A  questa  commissione,  che  per  sapere,  abilità  ed  autorità 
avrebbe  difficilmente  potuto  riescire  migliore,  fu  affidato  l'inca- 
rico di  prendere  tutte  quelle  disposizioni  e  quei  provvedimenti 
che  giudicasse  indispensabili  per  mettere  ad  esecuzione  questo 
grandioso  disegno. 

Mentre  si  prendevano  gli  accordi  necessari,  un  anno  dopo, 
cioè  nell'ottobre  del  1877,  il  Poole,  con  altri  bibliotecari  ame- 
ricani, traversò  l'Atlantico,  si  recò  a  Londra  al  Congresso  in- 
ternazionale dei  bibliotecari,  e  là  eletto  vicepresidente,  espose 
di  nuovo  il  suo  disegno  e  domandò  1'  aiuto  e  la  cooperazione 
della  Società  dei  bibliotecari  del  Regno  Unito,  allora  creata  a 
somiglianza  di  quella  americana.  La  proposta  fu  cortesemente 
accolta,  ma  in  alcuni  sorse  il  dubbio  che  questo  lavorare  in 
molti,  questo  metodo  cooperativo,  non  resistesse  alla  prova  e  la 
riuscita  fosse  impossibile.  Ma  la  commissione  nominata  dal  Con- 
gresso internazionale  dichiarò  doversi  accogliere  la  domanda,  e 
così  fu  fatta  in  comune  la  nota  delle  Riviste  americane  ed  in- 
glesi delle  quali  si  doveva  fare  lo  spoglio,  escludendo  quelle 
particolarmente  consacrate  alla  giurisprudenza,  alla  medicina  ed 
alla  Storia  naturale,  perchè  per  alcune  di  queste  Riviste  spe- 
ciali serve  già  il  Catalogne  of  scientific  Papers  pubblicato  dalla 
Società  Reale  di  Londra,  e  perchè  per  le  altre,  o  per  tutte,  si 
sarebbe  potuto  poi,  nell'interesse  di  queste  scienze,  provvedere 
con  altre  pubblicazioni. 

Per  il  termine  fissato  tutto  il  lavoro  dei  bibliotecari  ameri- 
cani fu  pronto,  come  pure  gran  parte  di  quello  a-^segnato  alle 
biblioteche  inglesi.  Ma  di  alcune  Riviste  del  Regno  Unito  lo 
spoglio  non  era  ancora  ultimato,  e  per  la  malattia  e  morte  del 
compianto  Dott.  Coxe,  bibliotecario  della  Bodleiana  di  Oxford, 
mancò  quello  dell'^ccacZem?/,  àeìV  Athenaeum  e  della  Saturday 
Review. 

Per  questo  ritardo  il  Poole  non  volle  diffvrire  la  stampa. 
Egli  giudicò  indispensabile  che  questo  primo  esperimento  fosse 
portato  a  fine  entro  il  tempo  stabilito,  nella  certezza  che  questa 
puntualità  avrebbe  ispiralo  piena  fiducia  nell'avvenire  e  sarebbe 
stata  anche  la  migliore  e  più  sicura  garanzia  per  intraprendere 
altri  nuovi  lavori. 

Riprendendo  l'esame  di  questa  terza  edizione  dirò  che  le 
Riviste  delle  quali  si  è  fatto  l'indice  sono  232,  tutte  scritte  in 


^^  USA    CURIOSITÀ    BIBLIOGRAFICA.  537 

i^^      inglese  e  pubblicate,    dal  principio  di  questo  secolo  al  1°  gen- 
naio 1882,  in  6205  volumi. 

I  titoli  dei  diversi  articoli  inseriti  in  questi  volumi  sono  nel 
presente    indice    disposti    per   ordine    alfabetico,    pigliando  per 

[  norma  l'argomento  trattato,  il  fine  principale  di  questo  repertorio 

essendo  quello  di  far  trovare  agli  studiosi  gli  scritti  che  prima 
non  conoscevano. 

L'indole  di  questo  periodico  non  permette  di  parlare  delle 
regole  adottate  per  dare  rigorosa  uniformità  ad  un  lavoro  fatto 
da  tante  persone,  separate  le  une  dalle  altre  da  distanze  gran- 
dissime. Ma  si  deve  avvertire  che  furono  fatte  molte  indagini 
per  scoprire  gli  autori  degli  articoli  non  firmati,  registrandone 
quando  fu  possibile  il  nome,  e  che  saggiamente  fu  deciso  di 
non  valersi  degli  indici  già  pubblicati  isolatamente  da  alcune 
Riviste,  perchè  compilati  con  metodi  e  regole  difi'erenti. 

II  titolo  di  ogni  scritto  colla  citazione  molto  concisa,  ma 
chiara  ed  esatta,  della  Rivista,  sta  quasi  sempre  in  un  rigo  del- 
l'indice stampato  a  due  colonne.  Si  può  quindi  calcolare  che  le 
indicazioni  bibliografiche  sono  a  nn  di  presso  200,000.  L'indice 
è  compilato  molto  bene,  e  solo  talvolta  si  desidererebbe  che 
quando  il  medesimo  argomento  fu  trattato  in  molte  Riviste,  i 
diversi  scrìtti  fossero  disposti  fra  di  loro  più  scientificamente, 
e  non  secondo  l'ordine  alfabetico  rigoroso  come  si  fece,  benché 
a  farlo  in  tal  modo  sarebbe  stato  necessario  più  tempo  per  pre- 
pararlo. 

Quando  si  pensi  con  quanta  ardite/za  t>i  immaginò  di  poter 
fare  quest'indice,  con  quanta  rapidità  fu  condotto  a  termino, 
quale  e  quanta  è  la  sua  estensione,  allora  non  è  permotso  met- 
ter in  rilievo  qualche  svista,  come,  per  esempio,  quella  di  veder 
registrati  due  articoli  differenti  su  Niccolò  de  Lfijtt  uno  sotto 
}iàficolò  e  l'altro  fra  gli  scritti  diversi  che  si  riferiscono  a  Mas- 
simo d'Azeglio. 

Precede  l'indice  uni  ;  i.      !  .  I';  i    :a   111  l'ooio,  nella 

quale  tratta  «lei  modo  «  cui  » m  ■  ^i,^ll.  .  in^  il.iio  (|UC8to  reper- 
torio e  dà  agli  studiosi  le  avvertenze  necessarie.  Alla  prefazione 
fa  seguito  una  Nota  dello  biblioteeho  e  dolio  persone  che  coope- 
rarono a  questa  bibliografia,  come  pure  il  numero  dei  volumi 
da  ciaacuna  di  ette  spogliati.  Da  questa  nota  risulta  cho  i  col- 
laboratori furono  in  tutti  51  o  cho  appartenevano  a  48  biblio- 
teche. Fra  coloro  che  più  hanno  lavorato  occupa  naturalmente 
il  primo  posto  il  signor  Poole,  It  di  cui  energia    ed   operosità 

Tou  XL,  Swto  U  —  I  a«Mto  ISSS.  S5 


538  UNA    CURIOSITÀ   BIBLIOGRAFICA. 

sono  veramente  straordinarie  e  meravigliose.  Ai  1468  volumi  già 
registrati  nelle  due  edizioni  precedenti  ne  agg'unse  per  questa 
634,  per  modo  che  un  terzo  del  lavoro  fu  fatto  da  lui  solo,  e, 
quel  the  è  più,  dopo  le  ore  d'ufficio,  come  afferma  egli  stesso. 

Più  prossimo  a  lui  sta  Gu;^lielmo  I.  Fletcher  della  Libreria 
Watkinson  a  Harlfjrd,  che  fece  l'indice  di  516  volumi.  Ho  già 
detto  altrove  che  il  Puole  si  era  riserbato  il  compito  di  ordi- 
nare e  fondere  col  proprio  il  materiale  bibliografico  inviato 
dagli  altri  collaboratori,  e  di  dirigere  e  sorvegliare  la  stampa 
di  tutto.  In  quest'opera  faticosa  egli  ebbe  assiduo  compagno  il 
Fletcher,  ed  alla  operosità  di  entrambi  si  deve  se  questo  grande 
repertorio  fu  cosi  sollecitamente  stampato.  ' 

A  questa  Nota  succede  l'Elenco  delle  Riviste  col  nome  di 
chi  ne  ha  compilato  l'indice.  Per  noi  stranieri  questi  titoli  delle 
Riviste  sono  accennati  in  modo  troppo  sommario.  Si  capisce  che 
quelle  scarse  indicazioni  sono  più  che  sufficienti  a  chi  vive  in 
mezzo  a  questi  periodici,  ma  non  è  cosi  per  gli  altri.  Nel  Cata- 
logne of  scientlfic  Papers  della  Società  Reale  di  Londra  l'elenco 
delle  Memorie  e  degli  Atti  accademici,  come  pure  dei  giornali 
scientifici,  è  fatto  con  maggiore  larghezza.  Sarebbe  proprio  desi- 
derabile che  in  avvenire  si  togliesse  questo  difetto,  e  si  notassero 
con  preglsione  bibliografica  il  titolo,  l'editore,  il  formato  e  la 
periodicità  di  ogni  Ri  smista. 

Le  p:)che  pagine  che  servono  di  introduzione  terminano  con 
un  Prosp3tto  cronologico  ideato  con  molta  abilità.  In  esso  si 
scorge  chiaramente,  anno  per  anno,  quali  sono  i  volumi  delle 
232  Riviste  citate  che  videro  la  luce  contemporaneamente. 

Anche  dal  lato  tipografico  il  volume  merita  ogni  elogio. 
La  stampa  principiò  quando  tutto  il  manoscritto  era  pronto 
ed  ordIm,to,  comprendendovi  anche  gli  scritti  pubblicati  nel 
dicembre  1881,  e  nei  primi  mesi  di  quest'anno  il  grosso  volume, 

'  Gli  altri  collaboratori  principali  sono  i  signori  Mellen  Chambprlaìn, 
della  Libreria  pubblica  di  Boston,  ihe  spogliò  406  volumi;  Giustino  Winsor, 
che  ho  già  ricordato,  ne  registrò  2 '8;  Federico  Saunders,  della  Libreria 
Astor  a  Nuova  York,  199;  Carlo  A.  Cutter,  del  quale  ho  già  parlato,  16(5; 
Ain.worth  R.  Spofford,  della  Libreria  del  Congresso  a  Washington,  1G2; 
Alfredo  E.  Whitakf>r,  della  Libreria  mercantile  a  San  Francisco,  157;  Gu- 
glielmo S.  Biscoe,  dell'Università  di  Ainher-^t,  IIU;  Stefano  B.  Noyes,  d.  Ha 
Libreria  di  Brooklyn,  127;  P.  R.  Uh'er,  dell'Istituto  Peabody  a  Baltimore, 
117;  Felerico  Vinton.  dell' Uuiversit'i  di  New  Jersey  a  Princeton,  Ilo;  (Ja- 
l'olina  .VI.  Hewins,  della  Library  Assoeiatioi»  di  HirtforJ,  111,  e  Samuele  S. 
Green,  della  Libreria  pubblica  di  Worcester,  lOd,  ecc. 


UNA    CURIOSITÀ    BIBLIOGRAFICA.  539 

di  1450  pagine    in    ottavo    grande,  era    terminato    e    posto    in 
vendita. 

Il  fatto  che  quasi  cinquanta  pubblicha  biblioteche,  istituite 
per  fini  diversi,  varie  nel  loro  ordinamento,  le  une  dalle  altre 
indipendenti  e  disperse  su  di  un  immensi  territorio,  bagnato  a 
wSan  Francisco  dall'Oceano  Pacifico  e  a  Boston  dilTAtlantico,  si 
uniscono  volontariamente  fra  di  loro  stendendo  la  mano  ad  altre 
biblioteche  d'Inghilterra  e  di  Scozia  per  intraprendere  in  co- 
mune un'opsra  di  utilità  incontestab  la,  e  che  nessuna  di  esse 
isolatamente  sarebbe  stata  in  grado  di  fare,  è  un  fatto  de^ao 
di  menzione  e  che  non  ha  precedenti. 

E  ora  che  questo  primo  esperimento  mercè  la  concordia  e 
l'operosità  di  tanti  fu  coronato  di  eiito  cosi  felice,  qu<inti  altri 
grandi  lavori  bibliografici  si  velono  po8>ìbili,  mentre  prima 
sembravano,  per  la  loro  vastità,  sogni  fatti  di  qualche  proget- 
tista !  L'avvenire  nasconde  mi  suo  seno  altre  sorprese.  Si  sta 
già  esaminanda  e  studiando  quili  altri  lavori  si  potrebbero  e 
dovrebbero  fare.  S  irebbe  qua-tì  inutile  dire  che  si  pensa  alla 
continuazione  di  quest'indice.  Ognuno  vede  che  è  indiipensabìle. 
Il  signor  Poolc,  nella  sua  prulazionu,  nveva  promesso  che  ogni 
cinque  anni  si  darebbe  un  suppletuento.  Ma  cinque  anni  sono 
lun;;hi!  È  già  arrivata  la  notizia  che  i  Supp'eiiiontì  sar.inno  an- 
nuali, che  il  primo  verrà  pubblicato  ncH'aprile  del  18S4,  e  con- 
terrà gli  articoli  dulie  Rivinte  che  non  furono  spogliate  in  tempo, 
e  gli  scritti  stampati  durante  il   1882  e  il  1883. 

Mi  anche  il  dover  aspettare  un  anno  è  troppo!  E  p-^rciò  il 
signor  Fletcher,  in  compignia  di  molti  altri,  ha  deciso  di  pub- 
blicare ogni  mese  un  Elenco  de^li  seritti  più  importanti  che 
stanno  nelle  Riviiite  principali  d'America  e  d' In;^hiltorra.  Lo  in- 
dicazioni bibliogralichc  co«i  raccolto  •nriiino  poi  unito  a  quelle 
che  dovranno  formare  il  S  ipplctncuto  pronici-s)  dal  Pool». 

Ho  già  potuto  vedere  la  prima  puntata  di  questo  Elenco, 
nrdla  quale  »ono  registrati  gli  scritti  che  videro  la  luce  dal  gon- 
ii.'iio  alla  metà  di  aprile  del  1883.  Pi-rcorriMido  queste  poche 
[lagine  si  incontrano  subito  articoli  che  poxs  mo  destare  inte- 
resse in  noi  italiani,  come  per  esempio  quelli,  sulle  lettere  di 
Cristoforo  Colombo;  sui  suoi  ritratti,  e  rultn:  Dove  riposano  lo 
sue  ceneri?  quelli  su  M  cliel  Angelo;  su  UiiTullo;  su  Benye- 
nuto  Ctdiini;  sul  pittore  B.inozzo  0»zzoli;  su  Pico  della  Miran- 
dola; su  Tomtnaso  Sii  vini;  sui  recenti  sc:ivi  di  Roma;  su  Siena; 
Hitile  Commedie  della  Congrega  dei  Rozsi;  sui  restauri  del  Pa- 


540  UNA    CURIOSITÀ   BIBLIOGRAFICA. 

lazzo  ducale  di  Venezia;  su  quelli  della  Chiesa  di  San  Marco; 
e  per  finire  anche  quello:  Sugli  elementi  di  discordia  in  Italia! 

Certo  anche  per  noi  Italiani  un  indice  delle  nostre  Riviste, 
fatto  a  somiglianza  di  quello  del  Poole,  offrirebbe  agli  studiosi 
un  grande  ed  inaspettato  aiuto  alle  loro  ricerche. 

E  vero  che  per  il  numero  e  per  l'importanza  le  nostre  Riviste 
non  possono  reggere  al  paragone  con  quelle  inglesi  ed  ameri- 
cane. Ma  questo  numero  è  tutt'altro  che  scarso,  e  moltissimi 
degli  scritti  in  esse  sepolti,  non  meritano  l' ingiusto  oblio  in 
cui  gli  abbiamo  lasciati  cadere.  Chi  li  ricorda  tutti?  Chi  sa 
come  poterli  al  bisogno  trovare?  Siamo  noi  tanto  ricchi  da 
poter  lasciare  in  completo  abbandono  un  patrimonio  letterario 
e  scientifico  così  grande? 

E  con  tutto  ciò  è  raro  il  caso  che  qualche  nostra  biblio- 
teca faccia  tesoro  per  i  suoi  cataloghi  di  quello  che  si  trova 
inserito  nei  pochi  giornali  che  riceve.  Ed  è  così  poca  l'impor- 
tanza che  ufficialmente  si  dà  a  queste  pubblicazioni  periodiche, 
che  non  si  pensa  nemmeno  a  dare  alle  nostre  biblioteche  i  mezzi 
per  potersene  procurare  le  principali,  quelle  almeno  che  da 
tutti  si  giudicano  indispensabili. 

Una  sola  fra  le  biblioteche  italiane  ha  potuto  di  recente 
istituire  una  Sala  di  Lettura  per  le  Riviste  che  in  qualche  modo 
può  stare  a  confronto  con  una  Readìng-room  for  Periodìcals 
delle  grandi  biblioteche  americane.  E  anche  questa,  per  cause 
diverse,  non  è  in  grado  di  rendere  tutti  quei  servigi  che  pure 
dovrebbe.  * 

Taluno  forse,  vedendo  le  nostre  maggiori  biblioteche  nelle 
mani  del  Governo,  crederà  che  da  noi  dovrebbe  esser  cosa 
molto  più  facile,  che  non  in  America,  il  compilare  un  repertorio 
simile.  Ma  egli  si  ingannerebbe  grandemente.  Là  nessuno  aveva 
ed  ha  il  diritto  e  l'autorità  di  costringere  tante  biblioteche 
diverse  a  fare  in  comune,  e  con  norme  uniformi,  un  lavoro 
bibliografico  di  tanta  mole  ;  e  l'Indice  del  Poole  fu  fatto.    Noi 

'  Dalla  risposta  del  signor  Enrico  Stevens  alle  osservazioni  fatte  dal 
bibliotecario  di  Breslavia  signor  Dzìatzko,  Sulla  Biblioteca  e  sulla  Sala  di 
Lettura  del  British  Museum,  risulta  che  anche  in  questa  grande  biblioteca 
si  è  finalmente  riconosciuta  la  opportunità  e  la  necessità  di  aprire  una  Sala 
separata  per  la  lettura  delle  Eiviste,  e  di  mettere  a  disposizione  dei  lettori, 
quando  il  resto  della  biblioteca  deve  star  chiuso,  \\n  40,000  volumi  scelti, 
come  per  la  Biblioteca  Vittorio  Emanuele  il  R.  Commissario  senatore  Cre- 
mona aveva  creduto  si  dovesse  fare,  e  a  questo  fine  aveva  già  ordinati  e 
disposti  i  vecchi  e  i  nuovi  locali  nel  Collegio  Romano. 


UNA    CTRIOSITÀ    BIBLIOGRAFICA.  541 

Europei  col  nostro  accentramento,  del  quale  si  subiscono  gli 
inconvenienti  e  non  si  conoscono  ancora  i  vantaggi,  con  poca 
iniziativa,  perchè  aspettiamo  che  tutto  scenda  dall'alto,  non  siamo 
stati  e  non  siamo  capaci  di  farlo.  Le  ragioni  sono  molte,  e  non 
è  qui  il  luogo  dove  si  possano  esporre. 

Ma  per  chi  non  fosse  del  tutto  persuaso  mi  contenterò  di 
citare  un  esempio  che  fa  appuntino  al  caso  nostro. 

Nel  1863  il  nostro  Governo  pensò  di  pubblicare,  per  comodo 
degli  studiosi,  un  Annuario  hibliografico  italiano,  nel  quale 
dovevano  esser  registrati  i  libri  venuti  alla  luce  in  un  periodo 
di  tempo  cosi  breve.  A  circa  25  biblioteche  pubbliche  venne 
ordinato  di  inviare  al  Ministero  il  materiale  bibliografico  ne- 
cessario. Si  trattava  unicamente  dei  pochi  libri  che  ciascuna 
di  esse  riceveva,  e  che  naturalmente  doveva  poi  descrivere  con 
esattezza,  anche  per  registrarli  nei  propri  cataloghi. 

In  modeste  proporzioni  ed  entro  una  cerchia  molto  ristretta  fu 
dunque  fatto,  venti  anni  or  sono,  anche  in  Italia  un  tentativo  di 
collaborazione  simile  a  quello  di  cui  sopra  ho  parlato.  Ma  ben 
presto  si  vide  che  gli  strafalcioni  erano  troppi,  che  le  indicazioni 
bibliografiche  erano  incerte  e  monche,  che  il  metodo  di  cata- 
logare yariava  da  una  biblioteca  all'altra  tanto  da  non  poter  a 
quel  modo  tirare  innanzi.  Dopo  due  anni  di  prova  che  ebbe 
un  esito  cosi  infelice,  si  ebbe  la  savia  idea  di  impedire  che  la 
stampa  fosse  continuata  sotto  gli  auspici  del  Ministero. 

£  poiché  le  nostre  biblioteche  son  sempre  nelle  medesime 
condizioni  disgraziate  di  prima,  bisognerebbe,  secondo  me,  in 
nanzi  di  pensare  ad  un  simile  lavoro  bibliografico  cercare  e 
trovare  il  verso  di  avere  dei  buoni  cataloghi  dolio  opero  che 
stanno  già  negli  scaffali,  perchè  senza  cataloghi  ben  fatti  ò  im- 
passibile l'andamento  regolare  di  qualsiasi  biblioteca. 

Prima  di  occuparsi  di  un  indice  dallo  Riviste  bisogna  deter- 
minar bene  quale  debba  essere  il  carattere  e  Tufficto  di  ciascuna 
biblioteca,  affinchè  entro  i  limili  roepettivamente  assegnati  cia- 
Jicuna  possa  soddisfare  ai  bisogni  dei  suoi  lettori. 

Si  deve  poi  aver  presente  che  ai  nostri  giorni  le  scionie  natu- 
rali, seguendo  il  metodo  sperimentale,  per  progredire  hanno  aa- 
solato  bisogno  di  molte  osservazioni  ed  esperienze;  e  che  quette 
esperienze  e  questo  osservazioni  si  trovano  raccolto  nolle  Riviste 
e  noi  periodici  scientifici.  So  dunque  si  vuole  che  anche  fra  di 
noi  questo  scienze  proj^rnliHcin'),  e  eli  ?  tutti  p')*Hino  trar  pro- 
fitto dalle  loro  applicazioni  pratiche»  è  ncccsiarìo  di  dar  modo 


542  UNA    CURIOSITÀ    BIBLIOGRAFICA. 

a  chi  le  coltiva  di  poter  vedere  e  sapere  quello  che  fu  studiato 
e  provato  da  altri. 

Il  numero  straordinariamente  grande  delle  pubblicazioni 
periodiche  riconosciute  indispensabili,  è  una  delle  molte  cause 
che  hanno  altrove  profondamente  modificato  l'ordinamento  delle 
biblioteche  pubbliche,  mentre  noi  viviamo  ancora  tranquilla- 
mente e  poveramente  la  vita  di  un  secolo  fa. 

È  perciò  urgente  provvedere  delle  opere  e  delle  Riviste  man- 
canti le  nostre  biblioteche,  affinchè  non  servano  esclusivamente 
alle  dotte  ricerche  sul  nostro  passato,  ma  ben  anche  al  pensiero 
moderno,  alla  scienza  viva. 

Insomma,  prima  di  metter  mano  a  lavori  di  così  vasta  mole 
è  prudente  e  necessario  risolvere  questi  ed  altri  più  gravi  pro- 
blemi, se  si  vu(de  che  le  nostre  biblioteche  possano  giovare  ai 
buoni  studi,  e  riescire  di  vantaggio  e  di  decoro   alla   nazione. 

D.  Chilovi. 


RASSEGNA  DELLE  LETTERATURE  STRANIERE 


Nuovi  romanzi  francai.  —  />j  céléhrì'ét  con*^'ni>orain^.s.  —  L'éUtf.  dea  eontes 
da  tifar  etOimiUn.  —  Loìd»  XIV  e'  Guillattme  ITI.  —  />«  »alofu  de  con- 
vertati.n  au  dix  Imitième  t^de.  —  D^niièr^  annéet  de  Madama  d' Epinay , 
ton  salon  et  te»  a/itv.  —  Correspond/moe  inèdite  de  Conloreet  et  de  lurgot. 
—  he»  demiert  Bourbon». 


Incomincio,  per  le  assìHae  lettrici  di  romanzi,  con  rannuncio  degli 
ultimi  romanzi  che  ci  arrivano  dì  Francia:  Im  Fante  de  Oermnine  \tM 
Gerard,  con  Ta^^riunta  di  queste  altre  novelle:  La  But'sitonière,  Oer- 
trutle.  Le  Mariage  de  Mad-lrine  (Paris.  Culmann  Lévj);  La  Buche' 
ronne  par  Charles  E<Imond  (Paria,  Calmann  Lévy);  Mercèdex  Pepiti 
par  Emro  Denoj  (Paris,  Calmann  Lévj);  Robert  par  Clément  Richel 
(Paria,  Charavay  fr  )  ;  Le$  méìancoU'ex  tfun  joyeux  par  Armanl  Sil- 
▼eatre  (Paria,  Cbaravaj  fr.);  Valentia  par  Daniel  Starn  (Paris.  Cal- 
mann Lévjr;  ristampa  di  questa  novella  non  mai  stampata  a  parte,  alla 
quale  vennaro  pure  aggiunte  la  novelle  esaurite  ffervé,  Jutten  e  la 
Botte  auw  lettre»,  già  inserita  nella  Rer%te  Nationale^  col  proverbio 
inedito,  molto  elegante  e  spiritoso,  yinon  au  courent). 

L'editore  Quantin  prosegue  la  saa  bella  ed  assai  bene  accolta  Gal- 
leria delle  Célébrtti»  eontemporaine»  (s'intende  francesi);  sono  già 
ventitre  fiueiooleUi,  elegantemente  staroimti.  con  fac-simile  di  auto- 
grafi e  ritratti  soroiiiliantisiiimi  assai  bene  incisi.  Comprende  fliiqui  lo 
sejfuenti  biografie:  Victor  Hugo,  Emile  Augier,  Alexandre  Dumas  flis, 
Alphonse  Daudet,  Victoricn  Sarduu,  Octave  Feuillet,  Eumene  Labiclm, 
Bn  kiuann-Chntrian,  di  quel  brioso  s<TÌttore  che  e  Jules  CUretie;  lo 
steseo  JoJes  Caretie  del  Marquis  de  Clierville,  Jules  Orévj  di  Lucien 


544  RASSEGNA    DELLE    LETTERATURE    STRANIERE. 

Delabrousse,  Louis  Blanc  di  Charles  Edmond,  Leon  Gambetta  di  Hector 
Depasse,  Henri  Brisson  di  Hippolite  Stupuj,  De  Freycinet  di  Ector  De- 
passe, Émile  Zola  di   Guy  de    Maupassant,    Jules    Ferry    di    Édouard 
Sylvin,  Eugène  Clómenceau  di  Caraille   Pelletan,    Charles    Floquet   di 
Mario  Proth,  Ernest  Renan  di  Paul  Bourget,  Alfred  Naquet  di  Mario 
Proth,  Henri  Rochefort  di  Edmond  Bazire,  Paul  Bert  di   Hector    De- 
passe, F.  De  Lesseps  par  Albert  Pinard.  Altre  diciassette    si    annun- 
ciano, e  comprenderanno  SpuUer,  Sandeau,  Challemel-Lacour,  Vacquerie, 
Mac-Mahon,  Déroulède,  Simon,    Halévy,    il    Duca    d'  Auraale,    Verne, 
Broglie,  Coppée,  Pailleron,  Henri   Martin,    Il    Conte    di    Parigi,    Paul 
Meurice,  Rane,  Sarà  davvero  una  bella  Galleria,  che  non   si   fermerà 
probabilmente  a  questi  primi  quaranta  nomi. 
Ogni  biografia  occupa  32  paginette  di  stampa. 
E  un  letterato  illustre  che  gode  in  Francia  di  molte  meritate  sim- 
patie, il  signor  Claretie,  il  più  erudito  forse  de'  giornalisti    e    roman- 
zieri francesi,  che  trovò  fin  dalla  sua    prima    gioventù    un    bellissimo 
motto  alla  propria  vita  laboriosa:    Liber    libro    {libero  per  mezzo  del 
libro)  che  sembra  dare  l'intonazione  a  tutta  questa  raccolta,  ed  è  una 
intonazione  felice.  Avendo,  anzi  tutto,  cura  di  offrire  i  soli  ritratti    di 
uomini    veramente    celebri,  egli  non  ha  bisogno  di  que'  soliti  sforzi  ai 
quali  deve  ricorrere  il  biografo,  per  gonfiare  1  mediocri,  affinchè   tro- 
vando posto  fra  gli   uomini    più    insigni,   non   facciano    una   comparsa 
troppo  ridicola  ;  non  avendo  bisogno  di  ricorrere  all'iperbole  per  esaltare, 
egli  non  ha  neppure  bisogno  di  ricorrere  al  libello  per^deprimere,  e  può, 
senza  alcun  pericolo,  attenersi  ad  una  forma  quieta  e  moderata  di  giu- 
dizio, inspirato  da  benevolenza. 

Egli  è,  come  dice  il  suo  biografo  «  ni  naturaliste  acharné,  ni  idéa- 
liste quand  méme  ;  vivant  et  moderne^  voilà  son  mot  d'ordre.  »  Questa 
è  una  eccellente  condizione  pei*  un  biografo  degli  scrittori  contempo- 
ranei: «  Trop  de  terre,  scrive  giustamente  il  Cherville,  on  devient 
banal,  trop  de  ciel  leregard  humain  se  brouille.  Claretie  a  parfaitement 
profìtó  du  conseil.  Parisien  de  goùt,  attiré  par  toutes  choses,  par  trop 
de  choses,  peut-étre,  il  veut  désormais  se  mettre  tout  entier  dans  ses 
romans.  Il  a  fait  de  l'histoire,  de  la  causerie,  des  conférences,  il  s'est 
prodigué  sans  s'étre  cependant  dépensé.  »  Egli,  nel  vigor  della  sua  età 
(ha  quarantre  anni),  s'  è  aperta  una  via,  ha  un  pubblico  ed  ha  tempo 
ancora  a  riserbarci  molte  belle  sorprese.  Queste  biografie,  fra  tanto,  ap- 
paiono per  lui  un  semplice  passatempo  geniale  ;  si  direbbe  ch'egli  vi 
si  riposa,  tanto  agile  e  disinvolta  appare  la  mano  che   le  scrive.   E  il 


RASSEGNA    DELLE    LETTERATURE    STRANIERE.  545 

SUO  amico  Cherville  ha  ben  compreso  che  un  tale  biografo  meritava 
una  biografia;  le  ultime  linee  del  ritratto  ch'egli  ce  ne  offre  riescono 
simpaticissime,  e  mi  pia<!e  riprodurle  perchè  rimanga  ferma  anche  in- 
nanzi ai  lettori  italiani  l'immagine  d'uno  scrittore  che  si  è  composta 
la  vita  così  idealmente  :  «  Les  amitiés  dévouées  il  les  doit  sans  doute 
à  son  humeur  ouverte,  affable  et  pour  tous  bienveillante,  mais  bien  plus 
encore  à  l'élévation  de  ses  sentiments.  Il  est  de  ceux  dont  on  sent  le 
coeur  vibrer  à  toute  idée  noble  et  généreuse;  on  peut-étre  séduit  par 
son  esprit,  on  est  sùrement  conquis  par  son  honnèteté  et  sa  droiture  ; 
on  veut  lui  rester  óternellement  fidèle  quand,  admis  dans  son  intórieur, 
on  a  pu  en  admirer  la  sérénité.  Ce  brillant  écrivain,  ce  travailleur 
acharné  est  ancore  le  plus  tendre  et  le  plus  dóvoué  des  pòres  de  fa- 
mille.  On  reconnait  dans  son  amour  da  fojer  Tinfluence  de  la  femme 
supèrieure  qui  l'a  élevé.  À  tous  les  tapages  extèrìeurs,  il  préfére  une 
causerie  intime.  Jamais  il  ne  làche  pied  devant  l'ennuì  ou  la  fatigue 
de  ses  obligations  professionnells;  fHat,  premiòres  représentotìons,  il 
est  partout;  mais,  sojes-en  oertain,  jamais  ces  joies  brajantes,  janaais 
méme  les  bravos  jétés  à  son  nom  par  une  salle  entiòre  n'ont  vaia 
poar  lai  qnelque  soirée  paisible,  entre  sa  charmanta  femme,  le  petit 
gart^n  qaMl  adore  et  quelqaes  amis,  dans  son  salon  de  la  rue  de  Donai, 
ou  sous  les  saules  de  son  cottage  de  Viroflaj.  Ce  spectacle  da  bonheur 
parCait  d'un  esprit  qa'oa  aime,  d'nn  bomma  qu'oo  estima,  n'ast  point 
à  dédaigner  par  le  tamps  qui  court.  Ja  n'en  sais  pai  de  plus  récon- 
tortant.  »  Le  biografie  del  Claretie  sono  viraci,  briose,  attraentissime. 
Inr'^gno  carioso,  il  Claretie  va  in  cerca  delPaneddoto  inedito,  ma  sempre 
:•  l'aneddoto  caratteristico,  che  può  servire  meglio  di  un  luogo  studio 
a  darci  la  fisionomia  dell'autore  presentato.  Così,  per  an  esempio,  nella 
vita  del  libiche,  scopre  che  questo  vero  principe  del  riso  comico,  in- 
cominciò a  scrivere  drammi  Uorimosi,  •  che  il  primo  a  parlare  della 
randidalura  possibile  e  desiderabile  all' Accademia  Francese,  fa  quel 
Silvestro  di  Sacy,  al  qoale  U  Labicbe  doveva  suoosdsre  a  di  cui  doveva 
recitare  l'elogio.  QussU  dsstrsm  Dal  cogliere  il  punto  luminoso  d'una 
biografia  è  singolaritsima  osi  GUrsUa;  i  suoi  ritratti  biografici  non  hanno 
perciò  nalla  di  volgare,  e  riescono  sempre  molto  divertsoti  ed  istruttivi. 
Io  mi  m<)raviglio,  tuttavia,  assai  non  trovando  ancora  compreso  fra  Is 
quaranta  celebriti  francesi  un  Taine.  Il  Claretie  non  può  averlo  dimen- 
ticato, se  ciò  fosse,  ripari.  Morto  il  Littré,  il  Renan  e  il  Taine  riman- 
gono le  due  teste  francesi  meglio  conformate,  e  più  filosofiche  e  i  due 
scrittori  più  illustri  della  Francia.  La  biografia  dei  Renan  ci  è  data  da 


546  RASSEGNA   DELLE   LETTERATURE   STRANIERE.  ^ 

Paul  Bourget,;  cioè,  biografia  non  si  può  d  re  veramente  questo  studio 
sopra  la  vita  del  Renan,  nna  interpretazione  larga,  simpatica,  poetica 
di  una  grande  individualità.  I  Souvenirs  inspirarono  specialmente  il  fe- 
lice ritrattista,  clie  riesce  a  scaldare  più  d'una  pagina  del  suo  elegante 
lavoro.  Le  biografie  furono  affidate  tutte  ad  ammiratori  del  biografato; 
per  esse  non  sapremo  dunque  intiera  la  verità;  ma  possiamo  di  certo 
comprendere  in  che  modo  i  biografati  desiderano  venir  rappresentati 
innanzi  ai  posteri.  Così  il  Rochefort  presentato  da  E.  Bazire  ci  si  mostra 
in  tutta  la  sua  luce  simpatica.  Verranno,  senza  dubbio,  altri  biografi  a 
mostrarci  le  ombre;  e  da  questo  contrasto  di  luce  e  di  ombre  si  rica- 
verà un  giorno  intiera  la  verità.  Intanto  abbiamo  una  serie  di  ritratti 
sinnpatici  di  23  uomini  illustri,  parecchi  dei  quali  hanno  fra  loro  invin- 
cibili antipatie.  Il  Claretie  ebbe  buon  gusto  nello  scegliere  le  proprie 
biografie;  tenne  per  sé  il  Daudet  e  lasciò  lo  Zola  a  Guy  de  Monpassant; 
r  uno  e  r  altro  sono  veristi,  ma  il  Daudet  è  simpatico;  lo  Zola  è  un 
violento.  Il  Claretie  predica  il  vicino  avvenimento  del  Daudet  all'Acca- 
demia Francese;  ma  non  parmi  impossibile  che  ci  arrivi  un  giorno  anche 
l'autore  di  Nana.  Chi  avrebbe  detto  un  giorno  che  vi  sarebbe  entrato 
l'autore  della  Dame  aux  Camélias?  Ora  nessuno  si  meraviglia  che  il 
Dumas  ci  sia,  anzi  tutti  trovano  ch'egli  è  al  suo  posto.  L'Accademia 
del  resto  corregge  e  disciplina  molti  ingegni;  noblesse  ohlige;  saliti  a 
quel  seggio  accademico,  gli  scrittori  francesi  mirano  soltanto  più  a  di- 
venir classici. 

Intanto  intorno  ai  loro  classici,  i  francesi  forse  più  d'ogni  altra  na- 
zione prodigano  cure  infinite;  quanta  elegante  civetteria  in  quelle  loro 
nuove  edizioni  ad  imitazione  delle  antiche,  quanta  cura,  ne'  commenti, 
quanto  rispetto  per  tutto  ciò  che  possono  conservare  e  far  valere  di 
antico.  Ora  è  venuta  la  volta  àox-contes  del  sieur  éC  Owille  che  G. 
Brunct,  ristampa  con  prefazione  e  note,  sopra  l'edizione  di  Rouen  del 
1680,  divenuta  introvabile;  l'editore  è  il  Jouaust  ossia  la  Librairie  des 
Biblwphiles,  nota  per  il  buon  gusto  e  l'eleganza  delle  sue  edizioni.  Il 
primo  titolo  che  Antoine  Le  Motel  sieur  d'Ouville,  letterato  ed  inge- 
gnere del  secolo  decimosettirao  diede  alla  sua  raccolta  era  questo  : 
«  Les  Contes  aux  heures  perdues,  ou  Recueil  de  tous  les  bons  mots, 
reparties,  équivoques,  brocards,  simpficifés,  nawefés,  gasconnades  et 
autres  conies  facétieux  non  encore  imprimés.  »  Tovis  era  dir  troppo  '■> 
e  che  non  fossero  ancora  tutti  stampati  non  era  vero;  le  Facezie  dej 
Poggio,  del  homenichi,  ed  altre  raccolte  erano  state  saccheggiale  da 
sieur  d'Ouville;  ma  egli  le  aveva  rimaneggiate,    di  maniera  che,  sotto 


RASSEGNA   DELLE    LETTERATURE   STRANIERE.  547 

un  certo  aspetto  potevano  apparir  nuovi  ;  la  lingua  francese  aveva  poi 
acquistata  nei  confes  del  secolo  decimosesto  e  decimosettimo  una  grazia, 
una  facilità  elegante  non  priva  di  fascino;  e  però,  se  anche  non  pare 
che  il  sieur  d'Ou  ville  vi  mettesse  molto  di  suo,  per  essersi  mostrato 
limpido  e  schietto  novellatore,  si  leggono  i  suoi  curiosi  aneddoti  senza 
alcuna  stanchezza,  a  patto  che  non  lo  si  faccia  di  seguito,  ma  s'apra 
il  volume  a  caso.  Vi  è  molto  buon  umore;  ma  spesso  il  fare  dello  scrit- 
tore è  alquanto  grossolano;  alcuni  eontes  sono  licenziosissimi,  altri  ra- 
belesiani;  chi  conosce  i  motti  e  le  facezie  del  Piovano  Arlotto  e  del 
Poggio  può  avere  un'  idea  del  maggior  numero  dei  cosi  detti  eontes  del 
sieur  d'Ouville  La  prima  edizione  dei  confes  apparve  in  due  volumi 
nel  1611  e  1641;  si  ristampò  nello  stesso  secolo  a  Rouen,  e  nel  secolo 
passato  a  Lione,  all'Aya,  ad  Amsterdam;  l'ediiione  dell'Aja  del  1703, 
reca  già  il  titolo  di  Élite  des  Contes  du  sieur  d'Ouville. 

Altre  ristampe  ebbero  in  Olanda  i  Contes,  con  altri  titoli  e  taluna 
con  eleganti  incisioni.  L*  erudito  Brunet  ci  ha  dato  nella  sua  predizione 
una  critica  eccellente  del  libro  ch'egli  ripubblica,  alla  quale  mi  sembra 
che  si  possa  intieramente  sottoscrivere:  «  Nous  oonviendrons,  egli  dice^ 
qne  panni  lea  anecdotes  racontéd  par  d'Ouville  il  en  est  bon  nombre 
qui  sont  méJiocrement  spirituell^  et  qui  s'expoMnt  aa  reproche  de 
trivialitó.  parfuis  do  grcssiéretó;  mais  il  faut  observer  qu'à  l'ópoqua  do 
Louis  XIII  le  goùt  du  public  était  bien  loio  d'étre  éjmré;  on  voulait 
rire,  on  était  pea  difficile,  ponrvu  qu'on  fùt  amosé.  Des  expressions 
trop  crues  se  rencontrent  dans  les  Contes  que  nous  rcproduisons,  mais 
elles  ne  choquaient  alors  personne;  on  les  retrouve  mi^mo  dans  les 
sermons  que  pronon^AÌent  en  chaire  de  zólés  prtViieateura  et  qu'on  im- 
primait  pour  réjiflcation  des  fiddles.  Il  y  a  toat  lioa  de  eroine  que  parnii 
Ics  antM  dotas  de  tOQt  ganre  qui  furment  le  recueil  qui  nous  oecupe,  de 
nombreux  faits  réels  se  retrourent;  rion  n'était  comraun  à  oette  epoque 
que  les  ioors  do  flioa,  les  exploits  da  rolaurs.  Divers  écrivains  s'en 
étaient  déja  constito^s  les  historiens  spéHaox  D'Ouville  avalt  largoraent 
enipruntó  à  ses  devanciers;  Isa  oompiiatetirs  qui  soni  vcnus  aprds  lui 
et  qui  s^  sont  exereé«  dans  le  roéoM  genre  ont,  de  leur  còlè,  puisé  am- 
ptement  dans  oe  lunds  commun  de  gaillardises  et  de  Joycuseté  qu'on 
r.rf..iv  piftMut;  cn  en  aura  la  preuve  si  l'on  veut  bien  prendre  la 
p.-iiM.'  ile  fj^n Durir  la  Oiberière  de  Munte  {MSAA),  le  Courrier  faciiieux 
(1650),  Les  Dirertissemeìits  curieux  ou  le  Thrisnr  des  metlleurfs  rm- 
confres  et  mais  subtilt  (1654),  Les  Agréablen  Divertisnements  fy^ntfoin 
(1054):  Roger  Rontemps  en  belle  humeur:  r Enfant sans  souci {l^H2) 


548  RASSEGNA   DELLE   LETTERATURE   STRANIERE, 

et  bien  d'autres  voluraes  ejusdem  farinae^  qui  ne  sortaient  guère  de  la 
catégorie  des  livres  de  colportage  et  qui  sont  aujourd'hoi  l'objet  des 
convoitises  des  bibliophiles;  on  les  recouvre  de  maroquin,  et,  dans  les 
ventes  publiques,  ils  atteignent  des  prix  souvent  fort  élevós.  Il  serait 
sans  doute  inutile  de  se  livrer  à  un  long  exposé  des  sources  et  des 
imitations  des  contes  qu'a  recueillis  d'Ouville;  ce  travail  a  été  entrepris 
pour  des  productions  plus  iraportantes,  notamraent  pous  les  Ceni  Nou- 
velles  (nell'edizione  del  signor  Le  Roux  de  Lincy).  lei  ce  serait 
superflu.  Accompagner  d'un  long  commentaire  les  gaités  du  conipi- 
lateur  normand,  ce  serait  lui  faire  trop  d'honneur.  »  Questo  avverti- 
mento che  il  signor  Brunet  dà  per  V  Elite  des  contes  du  sieur  d^Ou- 
fille,  è  molto  utile  a  meditarsi  anche  in  Italia,  ove  da  alcun  tempo  in 
qua  è  una  smania  fra  i  giovani  eruditi  per  la  ricerca  delle  fonti,  onde 
talora  avviene  che  sopra  un  libro  di  nessuna  o  molto  scarsa  importanza 
si  compongono  intieri  volumi.  Ma  col  fare  un  libro  grosso  sopra  una 
materia  erudita  minuscola  s'acquista  riputazione  di  grande  dottrina,  e 
s' improvvisano  titoli  straordinari  di  benemerenza.  Ora  nulla  essendo  più 
comodo  e  più  facile  che  il  mettere  insieme  un  tal  li'oro,  troppo  spesso 
avviene  che  i  nostri  studenti  appena  entrati  nell'  università,  cessino  di 
studiare,  per  dedicarsi  tosto  a  comporre  l'opera  specialissima  che  sarà 
fondamento  della  loro  gloria  e  della  loro  fortuna.  È  una  speculazione  che 
frutta  agli  audaci  che  la  tentano  ed  agli  accorti  che  la  promuovono  ; 
ma  quanto  se  ne  vantaggi  la  serietà  degli  studi  nazionali  io  non  so  ;  e 
però  segnalo  il  pericolo,  perchè,  fin  dove  si  può  provvedere  al  rimedio, 
si  provveda. 

Intanto  siamo  liberati  dal  pericolo  di  un  libro  sulle  fonti  dei  contes 
di  Ouville,  perchè  lo  stesso  eruditissimo  letterato  francese  che  li  ripub- 
blica ha  l'onestà  di  confessare  che  non  ne  varrebbe  la  pena.  Il  libro  è 
curioso  ma  non  importante.  Non  è  destinato  al  gran  pubblico;  il  prezzo 
di  venti  lire  per  i  due  volumi  ha  poi  il  vantaggio  grande  di  allonta- 
nare dalla  lettura  di  esso  gli  scolari.  Gli  editori  francesi  che  coltivano 
la  letteratura  erotica  hanno  il  buon  senso  e  la  prudenza  di  curare 
edizioni  eleganti,  che  costino,  e  siano  perciò  accessibili  a  pochi.  Il  no- 
stro secolo,  che  si  giudica  tanto  più  corrotto  de'  secoli  passati,  per  questo 
rispetto  si  dimostra  più  pudico.  Non  c'è,  pur  troppo,  che  la  letteratura 
zolistica  la  quale  renda  facilmente  venale  la  letteratura  pornografica  ; 
questo  è  del  resto  uno  dei  frutti  della  democrazia;  furono  i  democratici 
del  fine  del  secolo  passato  i  primi  veri  divulgatori  di  una  tale  lettera- 
tura. Ne'secoli  passati  la  letteratura  galante,  anzi  erotica  era  quasi  cor- 


RASSEGNA    DELLE    LETTERATURE    STRANIERE.  549 

tigiana.  Dopo  che  una  regina  francese  avea  messo  in  voga  la  novella 
boccaccesca,  diveniva  quasi  una  necessità  delia  vita  elegante  il  sapere 
novellare  con  garbo  e  l'udire  una  novella  molto  spigliata  senza  arros- 
sirne. Un  salone  aristocratico  del  nostro  secolo  non  permetterebbe,  senza 
dubbio  più  che  vi  si  raccontase  un  conte  del  sieur  d'Ouville.  Già  nella 
seconda  metà  del  secolo  passato,  il  salone  aristocratico  francese  s'  era 
fatto  più  pudico:  alla  letteratura  erotica,  sottentrava  una  letteratura 
romantica;  e  quando  il  Diderot  aveva  Tinfelice  tentazione  di  comporre 
e  pubblicare  i  suoi  Bijoitx  indiscrets,  li  pubblicava  almeno  senza  il  suo 
nom«,  segno  che  egli  dovea  arrossirne  innanzi  a  quella  società,  che 
quantunque  democratico,  egli  frequentava  ;  e  se  credette  d'ottener  favore 
presso  di  essa  con  quel  suo  tristissimo  libro,  si  dovetto  ben  presto  ac- 
corgere del  suo  inganno;  chò  il  libro  fu  trattato  come  un'azione  da 
monello.  Malgrado  lo  strepito  che  aveano  fatto  le  belle  della  corte  di 
Luigi  XV,  lo  scandalo  che  dava  spesso  la  corte,  il  costume  pubblico  era 
decente;  il  secolo  di  Luigi  decimoqnarto  area  passato  alla  Francia  la 
sua  vernice,  e  quella  vernice  era  rimasta;  di  più  i  romanzi  della  Scu- 
dery  e  poi  le  opere  di  Roosseaa  e  degli  enciclopedisti  aveano  a[>erto 
uno  spiraglio  di  vita  nuova,  e  sostituito  al  classtoo  erotismo  un  po'  di 
sentimentalismo  romantico.  Le  amiche  presero  il  posto  delle  amanti  ; 
non  già  che  fossero  amiche  ideali,  ma  il  loro  amore  ora  AmJato  sopra 
un  sentimento  di  vera  e  durevole  amicizia. 

Famosa,  tra  le  altre,  l'amicizia  del  Qrimm  per  la  signora  d'Épinay. 
Ogni  dama  elegante  dovea  nel  secolo  passato  avere  per  amico  un  let- 
terato illustre.  Il  Voltaire  aveva  la  marchesa  del  CbAtelet,  Madame 
D'Houdetot  il  Saint- Lambert,  il  Diderot  mademoiselle  VuUand  (Sophie) 
e  coa'i  di  seguito,  come  nel  secolo  nostro  molte  signore  vollero  svero 
p<>r  loro  rapitore  un  grande  aKista  (lu  Saad  Chopin,  la  oonteisa  D'Agoolt 
Listz,  la  Sceremetieff  Dohler  che  sposò  ecc). 

B  non  vi  è  dubbio  che  se  tali  amicizie  non  possono  essere  appro- 
vfitp  né  dalla  Chiesa  nd  dal  Codice  Girile,  e  (knoo  alle  mogli  dei 
letterati  od  artisti,  posposte  ad  Aspasia  spiritose  •  seducenti,  ed  ai  ma- 
riti di  quelle  Aspasia  una  condiziune  punto  invidiabile,  non  tenuto  conto 
della  offetto  fatte  alla  l<^»;ge  <«  alla  religione  per  una  tal  forma  sedooMte 
di  bigamia,  la  nuova  furmu  di  diserzione  dalla  regola  matrimoniale  offre 
fure  grandi  vantaggi  por<  lid  mantiene  nimono  fra  i  due  beati  che  si 
aroano  senza  essere  marito  o  moglie,  ansi  a  dispetto  del  marito  e  della 
m<>(;l>e,  una  vera  •  v  lenza  ideale.  Ottima  cosa  sarebbe  che  il  primo 

:ui.;,>M    l'.'.-iiip,.  i  •  ttiri.fi;,.  f.,atfo  1!  marito,  e  l'amica  Idealo  del 


550  RASSEGNA    DELLE    LETTERATURE   STRANIERE. 

marito  fosse  la  moglie;  dovrebbe  esser  così  nel  migliore  de'  mondi  pos- 
sibile; ma,  poiché  un  tal  mondo  non  è  possibile,  quando  nel  matrimo- 
nio le  du«  parti  non  hanno  trovato  la  loro  piena  soddisfazione,  e  non 
b-.sta  all'uno  ed  all'altra  l'adempimento  de'  propri  doveri,  e  sì  sente  da 
una  delle  parti  il  bisogno    di    una  maggiore  espansione,  è   sempre  da 
preferirsi    una  calda  e  fida  amicizia  con  un  uomo  o  una  donna  che  si 
stimi  e  si  ami  ad  una  semplice  relazione  con  donne  o  uomini  che  of- 
frano solamente  sodisfazione   agli  appetiti    più    bassi  e  più  fugaci,  che 
sono  quelli  de'  sensi.  Chi  può  ora  interessarsi  alle  demoiselles  Les  Ver- 
rière,  presso  le  quali  il  signor  D'Épinaj  andava  soltanto  a  divertirsi  e  a 
rovinarsi  ?  I  D'Epinav  sono  infiniti  nel  cosi  detto  gran  mondo;  e  la  storia 
dei  loro  amori  ci  lascia  intieramente  indifferenti.;  noi  ci  interessiamo  al 
disastro    finanziario   del   D'Épinaj  cagionato    dalle   sue   orgie,  soltanto 
perchè  quando  il  fermier  general  a  cui  non  bastavano  per  sostenersi  cento 
mila  lire  annue  di  rendita,  precipita,  noi  vediamo  in  quella  rovina  uno 
de'  tanti  piccoli    indizi    delle    cause    che    doveano   preparare  la  rovina 
della  monarchia  francese,  e  molto  più  ancora  perchè,  quando  il  signor 
D'Épinay  perde  l'impiego,  noi  pensiamo  subito  a  quello  che  diverrà  sua 
moglie,  la  bella,  elegante,  spiritosa  amica  del  Grimm,  I  signori  Lucien 
Perey  e  Gaston  Maugras  che  ci  avevano  già  dato,  oltre  la  corrispon- 
denza del  Galiani,  un  volume  attraentissimo  sopra  La  Jeunesse  de  Ma- 
dame D'Épinoy  e  che  ci  promettono  un  nuovo  volume  che  sarà  letto 
con  molta  curiosità  sopra  Madame  U Iloudetot  et  Saint- Lambert^  ci  rac- 
contano ora  in  un  bel  volume  in  ottavo  pubblicato  presso  Calmann  Lévy, 
Les  dernières  années  de  Madame  D'Épinay.  I  lettori  della  Nuora  An- 
lologia  sentono  con  me  il  fascino  di  tutta  questa  nuova  letteratura  di 
carteggi  e  memorie,    che    nessun  critico  ha  forse  mostrato    meglio    di 
pregiare  che  il  Sainte-Beuve  e  non  si  meraviglieranno  quindi  se  io  tengo 
come  una  buona  fortuna  la  mia  ogni  qualvolta  in  queste  rapide  rasse- 
gne posso  fermarmi  sopra  uno  di  questi  libri  che  ci  fanno  rivivere  in 
mezzo  a  tutto  un  mondo  simpatico,  come  se  divenisse  nostro. 

E  fra  tutti  i  carteggi,  i  più  attraenti  son  quelli  dove  spira  l'anima 
d'una  donna  amante  ed  intelligente.  Io  oserei  dire  che  non  si  conosce 
bene  alcun  uomo  fin  che  non  si  può  sapere  che  cosa  egli  ha  saputo 
scrivere  ad  una  donna  da  lui  specialmente  amata  e  quello  che  la  donna 
da  lui  specialmente  amata  gli  scrisse.  La  donna  ha,  per  eccellenza,  il 
privilegio  d'ammansar  gli  orsi,  di  cavar  fuori  il  dolce  dui  caratteri  ap- 
parentemente più  ruvidi  ed  aspri  ;  essa  è  la  miglior  levatrice  ideale  che 
si  possa  immaginare.  Senza  la  D'Épinaj  non  si  può  dire  di  conoscere  il 


i 


RASSEGNA   DELLE   LETTERATURE   STRANIERE.  551 

Grimm.  Essa  ci  rivela  il  meglio  di  lui  Scrivendo  a  le»,  egli  mostra 
molte  qualità  simpatiche  che  potevano  rimanere  ignorate.  Dalle  memorie 
e  dalle  lettere  di  Madame  D'Éjiinay  viene  poi  fuori  senipre  più  mani- 
festo il  mostruoso  carattere  del  Rousseau,  l'uomo  forse  più  indegoo  dì 
essere  amato,  perchè  nessano  più  di  lui  seppe  mostrar-si  ingrato  agli 
amici  ed  alle  amiche. 

Già  il  Sainte-Beuve  aveva  preveduto  quello  che  il  libro  dei  signori 
Peiej  e  Mangra^j  mette  in  piena  evidenza,  quando  egli  scriveva:  «  On 
n'est  pus  ju'ite  pour  Grimm  ;  on  ne  prononce  jamais  son  nom  sans  y 
joiiidre  quelque  quuliiìcatiun  dé^obligeantc;  j'ai  moi-niéme  été  longtemps 
dans  cette  prévention  et  ni'en  suis  demandò  la  cause  ;  j'ai  trouvó  qu'elle 
reposait  uniquemeiit  sur  le  témoignage  de  J.  J.  Rousseau  dans  ses 
Confesxions.  Mais  Roiis-ìeaii,  tuutes  les  fois  que  son  amour-propre  et 
son  coin  de  vanite  malade  sont  en  j-^u,  ne  se  gène  en  rien  pour  mentir; 
et  j'en  suis  arri  ve  &  cette  conviction,  qu*a  l'égard  de  Grimm,  il  « 
élé  menteur.  » 

Non  meno  severo  verso  il  Rousseau,  il  Saint-Marc  Girardin  ne 
ava  questo  ritratto  poco  simpatico  ma  pur  troppo  evidente:  <  Rous- 
seau dit  qu'il  est  un  étre  a  pari;  il  a  raison;  oui,  il  est  a  part  non  pas 
seulement  pour  son  caractére  et  par  son  genie,  mais  par  sa  vie  et  par 
sa  condition.  Pauvre,  il  vivait  avec  des  riches,  chez  des  richeti  et 
n'oS'iit  pas  s*j  faire  servir  ...  Il  arceptait  tout  le  premier  j  jur,  servioea, 
bienfait<*,  carrosses;  il  était  prudigue  &  recevoir,  si  j'ose  ainsi  parler 
(in  verità,  Tespressione  e  audacissima  e  bisogna  osar  molto  per  ado- 
perai la);  mais,  des  le  lenlemain,  il  cominen^ait  à  faire  ses  eomptes  et 
tà^hait  de  s'arqnitter  par  le  méotmtentement.  Il  recouvrait  Tindépen- 
dimce  par  Tingratitude  ;  alurs  il  senlait  sa  pauvreté  et  tea  inconvé- 
nieiits.  mais  c'éiait  pour  s'en  fuire  des  griefs;  alos  il  parlait  tvco  em- 
piiate irgurìante  de  ses  soul  er4  qu'd  netfojrait  lui-méme  au  milieu  de 
vingt  doiutfstiques  qui  le  ««rvaient.  11  j  avait  rn  lui  toutat  let  sortes 
do  paiivr<*s;  le  pauvre  timide  et  e m barrasse,  le  (>auvre  envieux  et 
ingrat,  eoAn  le  pauvre  gouriné  et  dèdaroateur,  ce  qui  e^it  un  genre  de 
pauvre  tout  rérent  et  qui  pruce<le  beaucoup  de  Rousseau.  Ce  sont  tous 
ces  piiuvres  le  Imn  et  le  mauvais,  le  vrai  et  le  faux,  que  jo  retrouve 
dani  cette  lettre  à  Grimm,  qui  eat  à  la  fois  un  chef>d*oeuvre  d*élo- 
quen'^e  et  rringratitude.  » 

Noi  abbiamo  avuto  in  Italia  nn  uomo  di  grande  ingegno,  che,  pe| 
suo  r^anittere  (ma  con  (|iirlclio  linen  più  simpaticM)  ricorda  un  p(^o  il 
lloiis4eau  ;  chi  conosce  la  vita  dui  Foscolo  lo  avrà  già  nominato.  Sou- 


552  RASSEGNA   DELLE    LETTERATURE    STRANIERE. 

nioso  d'indipendenza,  eppure  obbligato  a  ricorrere  sempre  agli  altri  per 
campare  la  vita  e  mantenersi  in  quello  stato  che  ambiva;  dispiacente 
di  dover  confessare  i  suoi  obblighi,  e  persuaso  di  compensare  abbastanza 
i  suoi  benefattori  e  le  sue  benefattrici  con  la  gloria  della  sua  amicizia. 
Non  volle  un  solo  padrone  e  se  ne  diede  molti,  ma  tutti  i  freni  ch'egli 
si  diede,  morse  sdegnoso.  Ebbe  la  parola  alta  e  a  volte  magnanima  ; 
non  sempre  l'azione  le  corrispose;  senti  talora  l'invidia;  non  ebbe  mi- 
sura negli  odii  e  nelle  vendette  ;  tuttavia  si  ricordano  nella  sua  vita 
parecchi  movimenti  generosi  che  non  s'incontrano  nella  vita  del  Rous- 
seau; i  suoi  dispetti  sono  più  alti;  le  vie  di  lui  meno  subdole;  l'uomo 
Foscolo  vale  assai  più  dell'uomo  Rousseau.  II  Foscolo  potente  avrebbe 
forse  fatto  cose  grandi  ;  il  Rousseau  potente  avrebbe  sempre  mostrato 
quell'animo  basso,  che  la  natura  e  la  prima  educazione  gli  avevano 
formato;  egoisti  entrambi,  ma  l'egoismo  del  Foscolo  poteva  esser  be- 
nefico all'umanità.  La  testa  del  Rousseau  era  più  fertile  d'idee;  il  cuore 
del  Foscolo  più  caldo  e  più  capace  di  sentimenti  buoni;  scrittori  del 
resto  entrambi  eloquenti  ed  infelicissimi. 

I  documenti,  lettere  ed  appunti  offertici  dai  signori  Perey  e  Mau- 
gras  furono  scelti  con  molto  giudizio  ed  attissimi  a  mettere  in  rilievo 
il  carattere  e  gli  episodii  più  rilevanti  della  vita  de'  personaggi  che 
circondavano  la  signora  D'Epinay;  primo  appare  il  pedagogo  del  D'Epinay, 
il  pedante  Linant,  che  si  rivela  tosto  nella  sua  ridicola  pedanteria,  in  una 
lettera  al  Grimm,  che  al  suo  autore  dovette  parere  un  capolavoro.  In 
viaggio  la  signora  D'Epinay  era  stata  presa  da  un  male  convulso;  ecco 
in  qual  modo  il  pedagogo  ne  dà  l'annunzio  all'amico  della  signora  powr 
communiquer  avec  précaution  à  madame  dC Esclavelles,  madre  della 
D'Epinay.  «  Quelle  commission,  monsieur  que  celle  que  me  donne  notre 
belle  convalescente  et  son  cher  époux,  de  vous  tracer  l'horreur  de  la 
situation  dont  le  souvenir  giace  encore  mon  àme  d'effroi  et  suspend  le 
cours  de  ma  piume!  Je  le  dois,  cependant,  et  l'heureuse  délivrance  d'une 
personne  si  chère  me  rend  le  courage.  »  La  lettera  si  conchiudeva  con 
queste  parole  :  «  Nous  n'avons  plus  que  des  AlUluias  à  chanter  ;  nous 
continuons  la  route,  et  M.  D'Epinay  fait  à  la  prudence  le  sacrifìce  de 
sa  tendresse,  en  cédant  à  M.  Tronchin  (il  medico)  sa  place  dans  la 
chaise  à  coté  de  madame  son  épouse.  »  Alcuni  anni  dopo  lo  stesso 
pedante  fa  da  spia  in  casa  della  signora  D'Epinay,  e  finalmente  da 
suggeritore  negli  spettacoli  che  le  signorine  Les  Verrière  davano  ad 
una*''società  molto  allegra. 

La  signora  D'Epinay  recavasi  per  motivi  di  salute  a  Ginevra,  ove 


RASSEGNA   DELLE    LETTERATURE   STRANIERE.  553 

troravasi  allora  (1757)  il  Voltaire.  Le  convulsioni  di  Chàtillon  che  ave- 
vano messo  in  pericolo  la  sua  vita  le  avevano  pure  attirate  le  premure 
di  suo  marito,  che  essa  ricorda  con  una  certa  tenerezza  in  una  sua 
lettera  al  Grimm  :  <  À  neuf  heures  du  soir,  le  médecin,  que  M.  D'Epi- 
nay  était  allò  chercher,  arriva,  et  après  m'avolr  bien  examinée,  il  dit 
qu'il  me  trouvait  très-mal  en  effet,  mais  qu'il  allait  me  donner  un  re- 
mède  qui,  avant  deux  heures,  me  remettrait  dans  mon  état  naturel.  Il 
n'est  pas  possible  de  vous  rendre  le  transport  qui  s'empara  de  toutes  mes 
gens  à  ces  mots.  M.  D'Epinay  sauta  au  eoa  da  médecin,  et  toas  mes  dome- 
stiqaes  se  jetèrent  à  la  fois  à  ses  genoux.  Je  vous  avoue  que  mon  premier 
moavement  me  porta  à  ètre  encore  plus  aise  de  ces  marques  d'attachement 
que  da  bonheur  d'étre  rendue  à  la  vie.  >  Ma  oramai  sa  questo  ponto 
il  Grimm  era  rassicurato;  ciò  che  lo  tormentava  era  l'avere  inteso  che 
Tamica  sua,  nemica  d'ogni  pratica  religiosa,  si  fosse,  nella  sua  malat- 
tia, confessata.  Essa  racconta  il  caso  in  modo  evasivo,  come  sa  per  un 
lo  riguardo  verso  il  figlio,  essa  si  fosse  eonfessata:  «  Mais  je  rois 
qn'il  fant  venir  à  cette  confession  qui  voas  tourmente.  J'avais  entendu 
mes  gens  raisonner  entre  eax  sur  la  nécessité  de  me  {Mirler  des  sacre- 
menta.  Pea  de  temps  après,  Linant  voulat  en  impoeer  à  l'enfant  qui 
riait  et  polissonnait  aa  fond  de  la  chambre;  il  repondit  que,  si  j'eosso 
été  si  mal,  son  papa  m'aarait  fait  confesser;  et,  dans  nn  moment  qae 
t  le  mond  était  éloigné,  il  vint  prés  de  moia  et  me  confla  tout  bas 
M.  Tronchin  devait  amener  an  confeneor.  Alors,  ne  pouvant  plus 
tre  censée  Tignorer,  je  répondis  &  l'enfant  que  mon  intention  n'ótait 
pas  d^ttendre.  J'appelai  Linant,  et  le  priai  d'envojer  chorcher  le 
care  de  la  paroisse.  C^tait  an  pajsan.  Il  me  parut  ivre,  je  lui  parlai 
en  conséqucnce  de  son  état,  il  ro'exhorta  à  recevoir  les  t»acromenta,  ji> 
lai  représentai  qae,  romissant  lass  oatte,  je  ne  le  poavais  pas  en  ce 
moment.  On  me  pressa  snr  rExtrémeOnction  ;  jn  remi*  A  l'arriv^t^ 
(le  Tronchin,  et  on  n'osa  plas  m'en  parler.  » 

Questo  racconto  si  trova  tuttavia  alcun  poco  in  eontraddixione  con 
i:iò  che  la  stessa  signora  d*  Bpinaj  scrìveva  al  sao  padrino  d'Affry, 
annunciandole  che  Voltaire  1'  aveva  tosto  invitata  a  pranxo,  e  eh*  sasa 
aveva  ricasato:  «  J'étais  trop  fatignée;  d'ailleors  m'étant  oonfesaéeét 
ajant  re^a  la  oommonion  l'avant-veille,  je  ne  troavnis  pas  oonvcnable 
de  dfner  chez  Voltaire  deux  juurs  après.  >  I  signori  Perey  e  Maugras 
danno  di  questa  apparente  contradizione  la  spiegazione  più  probabile: 
*  Evidomment  elle  a  toc^uars  eo  ao  fond  de  l'Ame  des  sentlments  re> 
ligienx,  main  elle    n'osait  en   convenir  derant  des  sceptiques  tela  qu/ 

Voi^    Tt.     Nari*    Il   —   I    ArrxiA   IMI.  H 


554  RASSEGNA   DELLE    LETTERATURE   STRANIERE. 

Grimm  et  Diderot,  et,  sana  avoir  les  préjugés  d'une  dévotion  étroite, 
elle  attacha  un  grand  prix  à  ce  que  ses  enfants  accomplissent  leurs  de- 
voirs  religieux.  Elle  n'a  pas  tout  dit  dans  sa  lettre  a  Grimrn  ;  nous 
retrouvons  la  le  défaut  de  caractère,  dont  elle  s' accuse  dans  son  por- 
trait:  —  Je  suis  vraie,  sans  étre  franche.  »  Sotto  questo  aspetto,  le 
madame  d'Epinay  sono  numerose  anche  oggi  ;  e  non  solo  tra  le  donne 
ma  tra  gli  uomini  dell'età  nostra  accade  spesso  di  notare  simili  incoe- 
renze ;  secondo  1'  ambiente  in  cui  il  tale  o  la  tale  si  trova,  per  una 
specie  di  pudore  nel  trovarsi  solo  d'un'opinione  contraria,  si  sacrifica, 
con  un  po'  di  viltà,  il  proprio  vero  sentimento.  Ciò  proviene  un  poco 
dalla  elasticità  stessa  de'  sentimenti;  non  avendo  un  convincimento  ra- 
dicato e  profondo,  non  essendo  intieramente  sicuri  d'esser  nel  vero,  si 
abbandona  una  parte  di  quel  vago  convincimento  in  favore  dell'opi- 
nione comune  ;  il  timore  di  esser  derisi,  e  di  rimaner  troppo  soli,  trae 
spesso  ad  esprimere  con  qualche  mezza  parola  sentimenti  diversi  dai 
proprii.  Il  timore  d'  urtar  troppo  fa  sì  che  si  concede  troppo,  e  che  un 
credente  in  mezzo  agli  increduli  sorrida,  per  debolezza,  a  qualche  motto 
demolitore  di  tutto  ciò  eh'  è  sacro  ;  o  qualche  incredulo  trovandosi  in 
mezzo  a  persone  pie  mostri  anch'esso  un  po'  d'  unzione  religiosa.  Ciò  è 
un  gran  male;  ma  in  un  gran  numero  de'  casi  avviene  che  non  si  vuol 
negare  e  non  si  vuol  credere  assolutamente;  non  si  crede  e  si  vorrebbe 
credere;  questo  è  lo  stato  più  penoso,  nel  quale  si  trova  forse  il  mag- 
gior numero  delle  coscienze  odierne,  dico  delle  coscienze  non  degli 
uomini,  perchè  non  credo  finalmente  che  siano  molti  gli  uomini  che 
abbiano  una  coscienza  e  che  se  ne  lascino  guidare.  ^ 

Ma  la  signora  d'  Epinaj ,  se  ne  avesse  pure  avuto  la  voglia,  non 
avrebbe  scelto  il  miglior  posto  per  fare  la  sua  educazione  religiosa;  né 
il  suo  migliore  educatore  poteva  divenire  il  Voltaire,  che  di  vicino  di- 
venne presto  suo  famigliare,  non  amico,  perchè  il  Grimm,  che  era  fi- 
losofo ma  uomo,  non  avrebbe  rinunciato  facilmente  al  predominio  mo- 
rale su  quella  che  il  diabolico  Voltaire  chiamava  «  ma  belle  philosophe.  » 
Le  lettere  che  si  scambiavano  il  Grimm  e  madame  d' Epinay,  nel 
soggiorno  di  quest' ultima  a  Ginevra  sono  singolarmente  importanti;  e 
forse  pure  le  meglio  scritte;  valga,  per  un  esempio,  il  ritratto  che 
•essa  ci  offre  della  nipote  di  Voltaire: 

«  J'ai  été  passer  encore  une  journée  chez  Voltaire.  J'y  ai  été  récue 
avec  des  égards,  des  respects,  des  attentions  que  je  suis  assez  portée 
è,  croire  que  je  mèrito,  mais  auxquels,  cependant,  je  ne  suis  guère  ac- 
«outumée.  Il  m'a  fort  domande  de  vos  nouvelles,  de  celles  de  Diderot 


1. 


RASSEGNA   DELLE   LETTERATURE    STRANIERE.  555 

■et  de  tous  nos  amis.  Il  s'est  mis  en  quatre  pour  étre  aimable  ;  il  ne 
lui  est  pas  difficile  d'j  réussir.  Sa  nièce  est  à  mourir  de  rire;  e' est 
*ine  petite  grosse  femme  toute  ronde,  d'environ  cinquante  ans,  femme 
<»mnQe  on  ne  l'est  point,  laide  et  bonne  menteuse,  sans  le  vouloir  et 
sans  méchanceté  ;  n'ayant  pas  d'esprit  et  en  paraissant  avoir,  criant, 
décidant,  politiquant,  versifiant,  raisonnant,  déraisonnant,  et  tout  cela 
sans  trop  de  prétention  et  surtout  sans  choquer  personne,  ajant  par- 
dessus tout  un  petit  vernis  d'amour  mascolin,  qui  perce  à  travers  la 
retenu^  qu'elle  s'est  imposée.  Elle  adore  son  oncia,  en  tant  qu'oncle  et 
■en  tant  qu'homme;  Voltaire  la  chérit,  s'en  moque  et  la  ròvere.  En  un 
mot,  cette  maison  est  le  refuge  et  l'assemblage  des  contraires,  et  un 
spectacle  charmant  pour  les  spectateurs.  Voltaire  m'a  beaucoup  plai- 
santé  sur  ma  confession  de  Chàtillon;  il  prétend  que  cette  dóraarche  ne 
va  point  a  ce  qu'il  connait  de  rooi;  je  m'en  suis  assez  bien  tiróe  sans 
me  coropromettre,  ni  dévoiler  mes  véritables  sentiroents.  » 

In  breve  la  famigliarità  cresce,  e  li  può  argomentare  quanta  fosse, 
nel  leggere  la  seguente  letterina  che  Voltaire  diresse  da  Losanna  alla 
sua.  bella  amica,  per  lagnarsi  di  esser  dimenticato: 

<  Ma  belle  philosophe,  vous  étet  un  petit  monstre,  une  ingrate, 
line  friponne  ;  vous  le  savez  bien,  ce  n*est  pas  la  peine  de  vous  aimer. 
Je  ne  vous  reproche  rien,  mais  voas  savot  tout  ce  que  j'ai  à  vous  re- 
procber.  Venez  demain  concher  chez  nous,  si  vous  daignez  nous  faire 
-cette  bonneur  et  si  vous  Tosez.  Venez,  ma  cbarmante  philosophe!  Ahi 
Ah!  Cest  dono  ainsi  que...  flt  quel  infìlroe  procèdo.  Mille  respects.  » 
Non  si  può  scrivere  una  lettera  più  insolente  con  maggior  grazia;  la 
«ignora  d'Epinaj  osò,  e  ti  recò  subito  a  trovar  Voltaire,  allora  tutto 
occapato  intorno  al  suo  teatro. 

Intanto  che  Luisa  d*  Epinaj  si  diverta  a  Olnerra  e  a  LoMnna,  cu- 
randovi la  propria  salute,  e  vede  spesso  Voltaire,  l'amico  di  lei  Orlrom 
le  scrìve  :  «  Vous  avez  dono  dine  de  nonveau  chez  Voltaire  ;  je  ne  voii 
pai  pourquoi  tant  resister  à  set  invitations;  il  faut  tAcher  d'6tre  bien 
«▼ec  lai  et  d'en  tirar  paKi  oomme  de  l'homme  le  plus  séduisant,  le 
plos  agréable  et  le  plus  célabre  da  l'Europa;  pourvu  (|iio  voua  n'on 
vooliez  pas  faire  votra  ami  intima,  tout  ira  bien.  » 

Come  il  signor  d'Epinay  rimaneva  il  marito  titolare,  egli,  Grimm, 
voleva  rimaner  1'  amico  titolare  di  Luisa.  Egli  doveva  conoscer  tutto 
ciò  che  la  riguardava,  entrare  in  tutti  i  suoi  interessi,  a  magari  anche 
prender  sopra  di  sé  1*  incarico  di  far  delle  paternali  al  marito  dissipa- 
tore. Curioso  secolo   il   decimottavo!   curiosi   mariti!  curiosi  amici I  I 


55G        RASSEGNA  DELLE  LETTERATURE  STRANIERE. 

mariti  del  secolo  decimonono  né  si  prendono  né  concedono  più  tante 
libertà.  Ecco  in  qual  modo  incomincia  una  lettera  del  Grimm  alla  si- 
gnora d'  Epinay  :  «  Je  ne  vous  ai  point  dit,  ma  tendre  amie,  que  j'avais 
demandò  un  rendez-vous  à  madame  d'Epinay.  Voici  pourquoi;  lejour 
de  l'an,  me  trouvant  dans  une  maison  où  l'on  ignoro  l'intérét  que  je 
prends  à  vous,  on  y  dit  très-positivement  que  votre  mari  avait  donne 
quarante  mille  francs  de  diamants  pour  étrennes  aux  petites  Verrière. 
On  tenait  cette  nouvelle  de  l'ouvrier  méme  qui  les  avait  fournis.  On 
confirma  ensuite  une  autre  folle  dont  j'avais  d(^à  oui  parler,  e' est  qu'il 
avait  acheté  en  leur  nom  une  maison  de  vingt  mille  écus  on  il  avait 
déja  dépensé  près  du  doublé,  et  l'on  travaille  encore  à  l'embellir.  Ju 
l'ai  vu  hier  enfin.  Je  lui  ai  cité  tous  ces  faits  et  je  ne  lui  cachai  pas 
qu'ils  trouvaient  d'autant  plus  de  crédit  qu'il  avait  une  très-mau valse 
réputation.  Notre  conversation  a  dure  trois  heures.  Il  m'a  écouté  avec 
la  plus  grande  douceur,  niant  la  plupart  des  faits,  se  défendant  mal 
sur  les  autres,  et  me  faisant  des  aveux  faux  pour  ra'en  imposer  sur 
le  reste.  Il  m'a  fait  les  plus  belles  promesses,  mais  il  faut  s'attendre 
qu'il  n'en  sera  ni  plus  ni  moi  ns.  Il  m'a  domande  très-sérieusement  si 
moì,  qui  le  connais  depuis  longtemps,  j'ai  pu  le  croire  un  moment  ca- 
pable  de  tant  d'extravagances.  «  Si  j'avais  pu  en  étre  sur,  monsieur, 
lui  ai-je  dit,  je  ne  vous  en  aurais  pas  parie,  mais  j'en  aurais  prévenu 
madame  votre  belle-mère  et  madame  d'Epinay  afin  qu'elles  fissent  ce 
qu'elles  se  doivent  h  elles-mémes  et  à  vos  enfants.  »  Cela  l'étonna  sans 
l'humilier.  Il  m'a  juré  qu'il  ne  voyait  plus  ses  cféatures,  et  le  moment 
d'après,  il  est  convenu  d'y  avoir  soupé  la  velile.  C'est  un  homme  sans 
ressource,  car  nous  nous  sommes  quittés  les  meilleurs  amis  du  monde.  » 

Homme  sans  ressource  è  un  eufemismo  che,  nel  linguaggio  del  se- 
colo passato,  dovea  significare  uomo  senza  onore  e  senza  dignità.  Un 
gentiluomo,  in  vero,  che  può  lasciarsi  far  la  morale  a  quel  modo  dal- 
l' amico  di  sua  moglie,  e  non  solo  non  lo  mette  alla  porta,  ma  si  scusa 
innanzi  a  lui,  e  mente  come  uno  scolaretto,  deve  davvero  essere  un 
uomo  sans  ressource,  ossia  senza  possibilità  di  risorgimento  morale.  Si 
sarebbe  dunque  capito  l'allontanamento  della  signora  d'  Epinay,  ma  non 
si  capisce  invece  come  durino  i  loro  rapporti  e  come  il  Grimm,  pre- 
cisamente il  Grimm,  entri  ne'  fatti  loro  e  si  mescoli  ne'  loro  interessi,  e 
faccia  da  padre  nobile  in  quel  dramma  domestico  non  privo  d' incidenti 
comici. 

La  signora  d'  Epinay  scrive  da  lontano  al  marito  lettere  sempre 
più  aspre  ;  ma  intanto  essa  stessa  si  distrae  con  Voltaire,  che  la  mette 


EASSEGNA   DELLE    LETTERATURE   STRANIERE.  00  < 

spesso  di  buon  umore.  Ecco  un  brano  di  una  sua  lettera  birichina  al  Grimm 
scritta  con  una  vena  felicissima. 

«  On  n'a  le  temps  de  rien  faire  avec  ce  Voltaire;  je  n'ai  que  celui 
de  fermer  ma  lettre,  mon  ami.  J'ai  passe  une  journée  seule  avec  lui  et 
sa  nièce,  et  il  est  en  vérité  la  à  me  faire  des  contes,  tandis  que  je  lui 
ai  demandé  la  permission  d'écrire  quatre  lignes,  afin  que  tu  ne  sois  pas 
inquiet  de  ma  sante,  qui  est  bonne.  Il  m'a  demandé  permission  de  rester 
poar  voir  ce  que  disent  mes  deux  grands  yeux  noires,  quand  j'écris. 
.le  veux  te  dire  h  son  nez  que  je  fadore;  il  est  assis  devant  mei,  il 
tisoone,  il  rit,  il  dit  que  je  me  moque  de  lui  et  que  j'ai  Tair  de  faire 
ma.  critique.  Je  lui  réponds  que  j'écris  tout  ce  qn'il  dit,  paree  que  cela 
vaut  bien  toat  ce  que  je  pense...  Je  retourne  ce  soir  à  la  ville,  où  je 
répondrai  à  tes  lettres...  11  n'jr  a  pas  moyen  de  rien  faire  ici.  Quel 
liomme  !  Il  m'irapatiente,  mais  il  me  fait  rìre  cependant.  »  À  me  questa 
descrizione  improvvisa  sembra  un  capolavoro  di  grazia  femminina;  che 
)>el  soggettino  per  un  quadretto  di  genere!  Voltaire  che  guarda  mali- 
ziosamente negli  occhi  madame  d'Epioaj  che  scrive  sotto  il  naso  di 
lui  (si  dovrebbe  dire,  io  buon  italiano,  alla  barba  di  lui;  ma  Voltaire 
non  portava  barba!)  che  essa  adora  Qrimm.  Par  di  vedere  quelle  due 
lK>cche  maliziosamente  sorridenti:  quella  di  Luisa  dice:  iota  la  faccio; 
f| nella  di  Voltaire  risponde:  monella  1  Ed  ecco  ano  di  que'casi  ne'quali 
si  vorrebbe  poter  deporro  la  penna  e  prendere  il  pennello,  e,  invece  d'im- 
brattar carta,  fare  uscir  vive  vive  dalla  tela  due  figure  che  si  agitano 
già  nella  vostra  mente,  e  chiedono  soltanto  di  venir  fuori  e  di  par- 
lare. Avanti  Vinea,  Favretto,  DairOca,  Pastoris  e  quanti  mettete,  fra 
i  nostri  pittori,  dello  spirito  nelle  vostre  tele;  ecco  un  bel  soggetto  per 
voi;  il  quadro  ò  g^à  fatto;  animatelo  soltanto  col  vostro  brio,  con  la 
vostra  grazia,  coi  voctri  colorii 

La  storia  do*  saloni  latterarii  si  chiuse  in  Francia  con  la  morto 
«lolla  sempre  compianta  contossa  Maria  D'Agoult  (Daniel  Stern).  Por 
<|U0*  saloni  è  passata,  può  dirsi,  tutta  1*  intelligeuta  franooso,  corno  a 
traverso  rAccademia.  Ma  noirAecadenaia  6  una  posa  oratoria  cho  oi 
4iasconde  spesso  il  vero  earaitero  dogli  oratori  ;  no'  saloni,  invece,  ovo 
ossi  spendono  la  nìaggior  quantitA  di  spirito,  o  noi  colloqui  intimi,  oto 
sfogano  la  maggior  somma  di  seatimento,  gli  scrittori  si  offrono  nella 
condizione  più  vantaggiosa  per  moltore  in  evidenza  i  loro  pregi  e  i  loro 
difetti  ;  la  grazia  e  curiosità  della  donna  fanno  relTetto  della  vorghotta 
magica  di  nocciuolo,  battendo  la  quale  sul  suolo,  le  fate  ne  Canno  uscir 
fuori  tesori  nascosti.  La  donna  è  prosa  sposso  dall'  uomo  corno  suo  su' 


558  RASSEGNA   DELLE   LETTERATURE   STRANIERE. 

premo  confessore,  perchè,  se  è  abbastanza  fine  per  non  permettere  che- 
le si  taccia  nulla,  per  accorgersi  di  ogni  dissimulazione,  è  poi  anche  in- 
dulgente per  dare  1'  assoluzione  a  tutto  quello  che  le  si  confida  con  sin- 
cerità ed  abbandono.  È  con  essa  che  l'uomo  ha  la  maggiore  espansione 
di  sentimento  e  perciò  per  scrivere  la  storia  delle- anime  nessuna  antoriià 
è  più  sicura  ed  importante  che  il  ricordo  di  una  donna  la  quale  ha  ricevuto 
preziose  confidenze.  Per  avere  la  fisionomia  mor^le_. perfetta  dell'  uomo 
bisogna  sentire  quello  che  ne  pensa  la  donna  amabile,  evocatrice  dei 
nostri  sentimenti  più  riposti.  Così  noi  conosciamo  dalle  lettere  e  dalie- 
memorie  della  d'  Epinay  i  suoi  amici  Galiani,  Voltaire,  Diderot  e  Grimm^ 
e,  sotto  una  luce  sinistra,  il  Rousseau,  meglio  che  non  siansi  rivelati 
essi  stessi  ne'  loro  scritti  destinati  al  pubblico. 

Perciò  una  storia  dei  saloni  francesi  nel  secolo  decimottavo  e  de- 
cimonono può  avere  per  noi  un'attrattiva  singolarissima.  I  fratelli  Gon- 
court  ce  ne  avevano  fatti  conoscere  alcuni.  Altri  ci  vengono  ora  descritta 
dal  signor  Feuillet  de  Conches,  in  uno  spiritoso  ed  elegante  vohim  etto 
pubblicato  dagli  editori  Charavay,  e  intitolato:  Les  salons  de  conver- 
miion  au  dioc-huitième  siede-  Il  verso  del  Méchant  de  Gresset: 

L'esprit  qu'on  veut  avoir  gate  celai  qu'on  a 

citato  dal  Feuillet  de  Conches,  non  vuol  già  dire  che  tutto  lo  spirito 
dei  saloni  francesi  del  secolo  scorso  fosse  manierato;  ma  che  talora  se 
ne  faceva  troppo;  mentre  che  nei  coUoquii  intimi  si  mostrava  lo  spi- 
rito che  si  aveva,  appena  si  faceva  un  po'  di  pubblico  intorno  a  \\n 
uomo  di  spirito,  egli  diveniva  un  attore,  e  cessava  spesso  di  mani- 
festarsi nel  suo  stato  naturale.  Ciò  che  succedeva  allora,  accade  anche 
adesso.  Quanti  falsi  giudizii  si  fanno  tuttora  intorno  a  certi  uomini  che 
si  sono  incontrati  soltanto  in  conversazione,  e  si  ammirano  o  si  di- 
sprezzano secondo  il  linguaggio  che  essi  sogliono  tenere  in  quegli  ele- 
ganti ritrovi  quasi  pubblici  !  Si  crede  di  avere  la  fisionomia  dell'uomo,. 
e  si  ha  invece  soltanto  la  posa  dell'attore.  Ma  se  quell'uomo  sussurra 
una  parola  nell'orecchio  di  un'amica  intima,  che  non  è  sempre  una 
parola  maledica,  se  si  potessero  sorprendere  i  loro  discorsi  più  fami- 
gliari, quale  trasformazione,  quali  disinganni  o  quali  amabili  sorprese 
ci  sarebbero  riserbate.  E  il  motivo  per  cui  si  fa  mostra  e  si  fa  tut- 
tora, in  società,  di  uno  spirito  che  non  è  il  nostro,  è  precisamente 
quello  che  indica  il  signor  Feuillet  de  Conches,  il  timore  di  essere- 
classificati  tra  gli  esprits  notes.  «.  L'esprit,  scrive  l'autore,  était  deveni* 
une  aff"aire  d'escrime  et  de  tournois.  Et  comme  tout  le  monde   n'était. 


RASSEGNA  DELLE   LETTERATURE   STRANIERE.  559 

pas  pourvu  d'une  verve  d'humeur  native  toujours  diverse,  toajours 
nonvelle,  on  arrivait  bien  vite  à  se  savoir  par  coeur  les  uns  les  autres . 
Anssi  la  vieille  comtesse  de  Sandwich  avait  elle  surnommé  les  beanx 
esprits  de  l'hotel  de  Brancas,  des  esprit  notes.  Eq  effet,  aux  premières 
notes  de  leurs  gaietés,  on  devinait  sur  le  champ  la  gamme  du  reste. 
Qui  donc  aurait  cru  pouvoir  se  tirer  d'aflFaire  avec  son  esprit  de  tous 
les  joars?  Celui-ci  se  jetait  à  corps  perdu  dans  une  conversation  dont 
il  vonlait  garder  le  de.  Cet  antre  épiait  roccasion  de  piacer  un  mot 
à  effet.  On  se  battait  les  flancs  pour  épancher  sa  sensibiiiti,  pour  faire 
de  la  ppofondeur  et  de  la  fiamme  à  la  Jean-Jacques,  pour  s'envoler  À 
perte  de  vue  dans  la  haute  politique;  car  il  n'est  peut-étre  pas  de 
siècle  où  plus  d'idées  politìques  aient  été  remuées.  On  commentait  le 
Contrai  social  du  philosophe  de  Genève,  sans  se  douter  que  ce  serait 
un  jour  le  catechismo  des  Jacobins.  Mais,  en  revanche,  il  n'est  pas 
d'epoque  qui  ait  eu  moins  le  sentiment  politique,  si  Ton  considero  le 
ns  pratiqae  da  mot.  » 
In  que*  tornei  erano  qnasi  tatt«  finte;  si  menava  un  colpo,  non  per 
eolpir  giusto,  ma  perchè  ai  potesse  dire  dagli  altri  giostratori,  e  spe- 
cialmente dalle  dame  che  aggiudicavano  i  premi  ai  vincitori:  ò  stato 
nn  bel  colpo.  Quanto  pochi  sono  quelli  che  hanno  tanta  superiorità  di 
spirito  da  contentarsi  di  passare,  se  occorra,  anche  per  imbecilli,  in- 
nanzi a  una  società,  dove  non  si  iknno  altro,  con  lo  spirito,  che  fuochi 
artificiali,  fuochi  di  gala;  paghi  d*esser  compresi  da  nn  amico  o  da 
un'amica  di  una  intelligenza  superiore  che  li  comprenda,  e  comprenda 
pure  il  motivo  di  certe  reticente.  Io  ho  conosciuto  uno  scienziato  fran- 
cese che  s*era  fotto  un  crocchio  di  adoratrioi  in  un  salone,  non  pren- 
dendo  mai  alcuna  parte  ai  discorsi  che  sì  faoeTaoo,  ma  solo,  di  tempo 
in  tempo,  quando  gli  occhi  delle  dame  si  fissavano  OMggiormente  sopra 
di  lui,  atteggiando  le  sne  labbra  ad  nn  sorriso  ioofliUlo,  fine  e  signifi- 
cativo, on  po'  maligno,  nel  qoale  le  soe  adoratrìci  vedevano  ogni  cosa: 
<  ah!  qoel  diable  d'esprit!  »  e  pure  egli  non  aveva  aporto  bocca; 
alcuna  di  quelle  dame  mi  assicarava  che  ci  erano  in  quello  spirito 
«  des  profbodears  insoadablM  »  e,  poiché  sorridevo  alla  mia  volta, 
dicendo  che  anche  il  gran  Lama  taee  sempre  innanti  ai  profani,  mi 
lavano  confosa  e  mal  soddisfistto,  cobo  se  avessi  attentato  alla 
d'an  Dio. 
Ma  si  comprende  bene  che  con  tali  Laooni  non  vi  sarebbe  con- 
versazione né  salone  possibile.  La  socievolezza  porta  con  sé  natural- 
mente la  oonversasiooe,  e  nessun  popolo  nell'arte  della  eautirii  raperò 


560  RASSEGNA   DELLE   LETTERATURE   STRANIERE. 

il  francese,  specialmente  il  francese  del  tempo  di  Luigi  XV.  Gli  ele- 
ganti saloni  delle  piccole  Corti  italiane  del  secolo  decimosesto  si  erano 
allora  trasferiti  in  Francia. 

Il  signor  Feuillet  de  Conches  incomincia  col  farci  conoscere  in  un 
modo  un  po'  vago  e  confuso,  i  primi  saloni  letterarii  francesi.  Più  pre- 
cise notizie  ci  offre  l'autore  sopra  i  saloni  di  Madame  Du  Plessis,  di 
Madame  de  Sóvigné  e  di  Madame  de  La  Fayette.  Di  quest'ultima  che 
faceva  a  Parigi  la  politica  di  Casa  Savoia  combinata  coi  soli  interessi 
di  Francia,  saranno  gradite  qui  alcune  notizie: 

«  Marie-Madeleine  Fioche  de  La  Vergne,  mariée  en  1655,  au 
comte  de  La  Fayette,  avait  eu,  comme  Madame  de  Sóvigné,  Ménage 
et  le  pére  Rapin  pour  lui  enseigner  le  latin,  et  sa  sagacité  lui  avait 
róvélé  le  secret  d'un  passage  d'Horace  sur  lequel  ces  deux  savants 
n'ótaient  pas  d'accord.  De  plus.  Ménage  les  rendit  toutes  deux  fami- 
lières  avec  l'italien  et  l'espagnol.  Madame  de  La  Fayette  rfìcut  à  sa 
residence  de  la  rue  de  Vaugirard,  près  des  jardins  de  Luxembourg, 
une  sociétó  nombreuse  et  chosìe  d'hommes  de  cour  et  de  gens  de  let- 
tres,  parmi  lesquels  La  Fontaine,  qui  avait  dans  sa  destinée  de  pos- 
seder des  femraes  célèbres  pour  amies  et  pour  bienfaitrices,  était 
devenu  un  de  ses  fréquents  visiteurs.  Rien  de  plus  connu  que  l'extréme 
liaison  de  Madame  de  La  Fajette  avec  le  Due  de  la  Rochefoucauld, 
l'auteur  des  Maximes.  Elle  dura  vingt-cinq  ans,  et  la  mort  seule  y 
mit  fin,  en  1680.  «  Ils  étaient  nécessaires  l'un  à  l'autre  »  disait  Ma- 
dame de  Sévigné.  Madame  de  La  Fayette  ne  saurait  plus  que  faire 
d'elle-méme,  après  cette  mort.  «  Tout  le  monde  se  consolerà,  hormis 
elle,  ajoutait  le  marquise.  La  pauvre  femme  est  tellement  abattue  de 
la  porte  de  M.  de  La  Rochefoucauld  qu'elle  n'est  pas  reconnaissable.  » 
Elle  survécut  cependant  dix  années  à  cette  porte  et  se  livra  alors  à 
la  plus  fervente  et  austère  dévotion,  sous  la  direction  de  l'abbé  Duguet, 
de  Port  Royal.  Elle  répugnait  à  écrire  des  lettres;  mais  elle  causait 
avec  un  charme,  une  abondance  et  un  goùt  inexprimables  et  brillait 
parmi  les  hommes  de  lettres  qui  l'entouraient.  Son  cercle  était  un  des 
plus  aimables  de  son  temps.  Elle  avait  beaucoup  vécu  avec  la  première 
femme  du  frère  de  Louis  XIV  et  en  a  écrit  la  vie.  Elle  avait  aussi 
été  fort  liée  avec  Marie  de  Nemours,  qui  devint  femme  de  Charles 
Emmanuel  II  de  Savoie,  et,  après  la  mort  de  ce  prince,  régente  de 
Savoie,  en  1675  ;  son  fils  n' avait  que  neuf  ans.  Madame  de  La  Fajette 
finit  par  se  retirer  du  monde,  se  disant  toujours  fort  occupée  et  souf- 
frante.  Elle  était  en  effet  travaillée  de  nervosités  et  de  vapeurs.   Elle 


RASSEGNA   DELLE    LETTERATURE    STRANIERE.  561 

n'avait  pas  attenda  d'avoir  le  coeur  déchiré  pour  se  vouer  à  servir  la 
Régeote  de  Savoie  comme  agent  secret,  mieux  que  les  officiels.  Elle 
avait  depuis  longtemps  épousé  tout  entière  les  intérèts  de  cette  princesse. 
Il  est  difficile  de  se  figurer  une  femme  presque  toujours  alitée,  sortant 
d'elle-méme  poar  se  multiplier  avec  une  souplesse  incroyable  et  entrer 
dans  tous  les  détails  les  plus  niinutieux  des  afifaires  litigieuses  et  des 
intrigues  de  Madame  Rovale.  C'est  cependant  un  fait  dont  une  cor- 
respondance,  récemment  dé^ouverte  dans  les  archives  de  Turin,  con- 
firoaent  le  témoignage.  Madame  Rojale,  c'est  ainsi  qa*0Q  appelait  la 
Régente,  comme,  sous  le  règne  précedent,  on  avait  appelc  Christine,  la 
fille  de  Henri  IV,  rvgente  pendant  la  minorité  de  son  fils  Charles-Em- 
manuel II.  La  France  avait  alors  intérèt  à  pénétrer  les  secrets  de  la 
cour  de  Tunn.  Madame  de  La  Fajette  en  recueillait  directement  les 
confìdecens  et  les  transmettait  à  Louvois.  Ce  qu'il  v  a  de  curieux  c'est 
que,  pendant  la  régence  de  Christine  un  ministre  fran^ais,  Fuucquet, 
qui  aimait  à  se  glissar  partoat,  avait  ea  une  pareille  curìosité.  Il  avait 
établi  À  Turin  une  de  ses  ancieones  maìtrenea,  MAdemoiselle  de  Tró- 
ceeson,  nièce  de  Madame  Da  Pleaais  Bellière,  et  lai  avait  donne  de  sa 
main  des  instructions,  pour  qo'elle  épiàt  tous  les  agissementa  de  la 
cour  et  lui  en  rendit  compte.  Il  Tavait  fait  presentar  par  le  vieax 
Bmslon,  ancien  introducteur  des  ambassadeurs  à  la  ooar  de  Louis  XIII, 
qai,  envojé  à  celle  de  Turin  poar  organiser  les  oér^monies,  s*jr  était 
''oncilié  r*e  bienveillantea  relations.  La  reoommandati  >n  avait  été  ao- 
coeillìe  avec  bienveillance,  et  la  jeune  Tréoesson  s'était  insinuée  dans 
les  bonnes  graoes  de  Madame  Rojrale.  Poucqaet  était  convenu  d'un 
chiftre  poar  designar  let  personnages  des  deux  cours.  Le  Prisident, 
était  le  roi;  le  Conuiiler,  Mazarin;  le  Due  Charles*Emmanuel,  M.  Du 
Clos;  U  Régente  est  3iadame  Auòert;  Madimoitelle  Le  Boy  est  U 
princesse  Margaerite  da  Savoje,  sa  fille;  Madami  du  Rier  est  Mt- 
daaaeDa  Plessis;  MademoUelle  du  Del  ilù*  est  U  niéoe  da  eatte  dar- 
nière.  Mademoiselle  de  Tréoesson  ;  Moneteur  est  Colbert.  Les  noms  da 
lieux  sont  égalamant  dégaisés;  Cam  est  poor  Ljon;  Rouen  poar 
Paris;  La  Savoie  poor  8aiat>Maadé.  La  oorraspondance  da  Madame 
de  La  Pajette  avait  un  tout  aatre  caraotére  et  autrement  d'impor* 
tanoe.  Bile  avait  poar  ol^et  toas  Ims  événements  politiques,  le  mouve« 
roent  des  rélbrmas  qua  voulait  introdalre  le  jeune  due  et  qui  étaient 
ojotracarrés  par  sa  mère.  Un  agent  diplomatiqae  était*il  envo/é  A 
Paris,  il  venait  prendre  langue  auprte  de  la  comtessc  poar  ticher  de 
surprandra  saa  saorets,  mais  elle  demearait  boacbe  dose,  et  ne  disait 


562  RASSEGNA   DELLE   LETTERATURE    STRANIERE. 

que  ce  qu'elle  ne  voulait  point  taire.  Ce  n'est  pas  en  vain  qu'elle  avait 
été  surnommée  le  Brouillard.  L'agent  se  rendait  auprès  de  Louvois 
où  il  avait  toujours  été  devancé  par  Madame  de  La  Fayette  et  trouvait 
chez  le  ministre  une  opinion  arrétée.  Ainsi  la  politique  de  la  Savoie 
était  conduite  par  le  cabinet  de  Franco,  et  Madame  de  La  Fayette 
s'était  montrée  une  habile  diplomate.  » 

Nessuno  si  attenderebbe,  senza  dubbio,  a  trovare  una  pagina  così 
interessante  di  storia  sabauda  del  secolo  decimosettimo,  in  un  libro  de- 
dicato ai  saloni  francesi  del  secolo  decimottavo.  Ma  i  libri  de'  curiosi 
eruditi  riserbano  spesso  simili  sorprese  al  lettore.  Non  essendo  tuttavia 
probabile  che  alcuno  cerchi  del  libro  per  quella  sola  pagina  di  storia 
sabauda  che  non  può  immaginarsi  di  trovarvi,  ho  creduto  opportuno 
riferirla,  rinviando  il  lettore  al  libro  medesimo  per  quelle  parti  che 
maggiormente  lo  interessano,  od  ove  emergono  parecchie  figure  di 
donne  spiritose,  amabili  ed  intelligenti;  tra  le  altre  Madame  de  Vau- 
vray,  la  Duchesse  de  Luxembourg,  la  Marquise  de  Lambert,  Madame 
de  Tencin,  Madame  GeofFrin,  Madame  Du  DeflFand,  Mademoiselle  de 
Lespinasse,  Madame  de  Simiane,  Madame  Filleul,  Madame  de  Broglie» 
Madame  de  Bussy,  La  comtesse  de  Lamassais,  la  Marquise  de  Duras, 
la  Duchesse  de  la  Vallière,  la  Comtesse  de  Tessè,  La  Duchesse  de 
Kingston,  Madame  La  Poupelinière,  Madame  Helvetius,  Madame  de 
Graffigny,  Madame  Dupin,  Madame  Doublet,  Madame  Harenc,  Madame 
Necker,  Madame  de  Cheminot  ;  quale  splendida  galleria  di  Aspasie  se- 
ducenti, quanto  fuoco  divampò  in  que'  cuori,  quanti  lampi  di  luce  in 
quegli  occhi,  quanta  grazia  di  sorrisi  amabili,  quanta  somma  di  atten- 
zioni delicate,  di  motti  spiritosi,  quanto  fascino,  insomma,  esercitato 
da  donne  per  mezzo  dello  spirito,  della  grazia,  della  coltura  e  della 
bellezza!  Dopo  il  secolo  di  Pericle  ateniese,  il  secolo  decimosesto  ita- 
liano, le  Aspasie  non  avevano  trovato  alcuna  scena  più  splendida  che 
i  saloni  di  Parigi  nel  secolo  decimottavo;  que'  saloni  si  trasformarono 
in  templi  delle  grazie,  ove  si  raccoglieva  il  meglio  della  soc'età  fran- 
cese. Potrebbe  quasi  dirsi  che,  senza  que'saloni,  non  sì  potrebbe  fare 
la  storia  francese  del  secolo  passato.  Il  signor  Feuillet  de  Conches  è 
un  erudito  ed  un  curioso;  il  suo  libretto  offre  quindi  pascolo  alla  no- 
stra curiosità.  Non  può  dirsi  un  lavoro  storico;  gli  manca  un  po'  di 
afflato;  il  gran  numero  di  piccoli  fatti  che  egli  dovette  raccogliere,  gli 
vietò  di  abbracciare  il  suo  soggetto  dall'alto,  e  di  fondere  tutto  il  suo 
copioso  materiale  in  un  tutto  vivace  che  si  colleghi;  son  note  erudite  più 
che  non  sia  una  vera  storia.  Ma,  così  qual  è,  si  legge  pure  con  molto 


f 


RASSEGNA   DELLE    LETTERATURE   STRANIERE.  563 

frutto;  né  è  a  dispregiarsi  lo  stesso  effetto  che  produce,  cioè  il  desi- 
derio di  vedere  le  stesse  figure  di  donna  pia  largamente  illuminate  e 
rappresentate  in  un  quadro  più  vasto. 

Gli  stessi  editori  Charavay  che  ci  diedero  l'operetta  del  Feuillet  de 
Conches  pubblicarono  in  un  bel  volume  in  8.*,  ornato  di  un  ritratto, 
la  Correspondance  inedite  de  Condorcet  et  de  Turgot  (1770-79)  curata 
da  Charles  Henry,  sopra  gli  autografi  della  collezione  Minoret  ed  i  ma- 
noscritti dell'  Instituto.  Precede  una  introduzione,  forse  un  po'  troppo 
vaga,  sconnessa  e  generica  sopra  il  secolo  xvm;  il  signor  Henry  tradisce 
poi,  come  scrittore,  una  mano  ancora  alquanto  inesperta.  Egli  tenta  in 
essa  il  ritratto  biografico  e  critico  del  Turgot  e  del  Condorcet  ;  ma  non 
mi  pare  eh'  egli  sia  riuscito  ritrattista  felicissimo.  Quanto  alle  lettere 
dell'  illustre  scienziato  e  dell'  illastre  economista  e  nomo  di  Stato  sono 
veramente  importanti.  Esse  sono  253,  dirette  dal  Condorcet  al  Turgot  o 
dal  Turgot  al  Condorcet  ;  importanti,  non  belle,  né  scritte  con  molto 
garbo,  notiziarii  più  che  altro;  è  evidente  che  sono  scritte  dadoe  uomini 
occupatissimi;  ì  quali  non  han  tempo  di  farsi  troppi  convenevoli,  e  di  limar 
troppo  i  loro  discorsi,  ma  s'interessano  a  molte  cose,  al  di  fuori  delle  loro 
occupazioni  ordinarie.  Nelle  lettere  specialmente  del  Condorcet  al  Turgot 
si  trovano  parecchie  notitie  letterarie,  che  oggi  riescono  molto  curiose 
per  la  storia  letteraria  del  secolo  passato.  Vi  è  poi  una  confessione 
singolare  del  Condorcet  sopra  il  suo  modo  di  tradurre,  singrolare  dico 
per  la  sna  grande  sincerìtA  :  <  Je  suis  aossi  pea  content  quo  vous  de 
la  plupart  des  traductions,  et  sonrtout  de  celles  que  je  fais.  Je  suis 
trop  puresseux  pour  *tre  fort  exact,  et  je  ne  traduis  que  pareo  que  je 
sais  que  ma  tradoetion  ne  sera  vue  que  d'une  femroe  qui  ne  sait  pas 
le  latin.  Le  mot  propre  me  paratt  soavent  sussi  difflcilo  A  trouver 
qa*ane  équation  à  résoadre  ;  je  me  contente  d'un  équivalent  ;  et  au 
litn  d'sxaminer  s*il  est  exact,  j'assajo  sealemeni  sMI  ne  ftiit  pas  la 
mémé  imprstsion;  st,  s*!!  sa  troave  nn  endroit  que  je  n'entonds  pas^ 
je  le  puse.  »  Aloane  lettere  contengono  pare  formule  algebriche  e  lo- 
garitmi; degne  di  venir  segnalate  ai  matematici,  non  sono,  senza  dub- 
bio, le  più  divertenti  per  noi. 

Il  professor  Rejrnald,  ano  storico  già  favorevolmente  conosciuto* 
per  alcune  lodate  monografie,  pubblicò  testé  un  altro  carteggio  dei  più 
cariosi  ed  importanti,  cioè  le  lettere  che  Luigi  XIV  scrisse  relativa 
alla  saocaasione  di  Spagna,  lettere  lunghe,  che  gettano  molta  Inca 
sopra  il  secolo  che  presa  nome  dal  gran  re,  e  contengono  la  ohisva  di 
avvenimanti  sqccsssivi  che  hanno  avuto  specialmente  una  grande  im- 


564        RASSEGNA  DELLE  LETTERATURE  STRANIERE. 

portanza  per  V  Italia.  Le  lettere  di  Luigi  XIV,  del  re  Guglielmo  III, 
del  Portland  e  del  Tallard  rappresentano  una  serie  preziosa  di  docu- 
menti, sopra  i  quali,  dal  punto  di  vista  della  diplomazia  francese,  il 
Reynald  fece  un  lavoro  parallelo  a  quello  che  il  Goedeke  compose  già 
sopra  la  «  Politica  austriaca  nella  successione  spagnuola.  »  In  questi 
due  volumi  che  ci  mostrano  Luigi  XIV  intento  a  fare  da  sé  tutta  la 
sua  politica  imperiosa,  ambiziosa,  invadente,  troviamo  apprezzamenti 
curiosi  sopra  il  duca  di  Savoia,  e  scoperto  un  disegno  molto  ingenuo 
di  Luigi  XIV,  il  quale  non  potendo  prendere  ogni  cosa  per  sé,  quando 
gli  fu  oflferto  Napoli  con  la  Sicilia,  terreno  mal  fermo,  vulcanico,  ove 
gli  Angioini  e  Carlo  Vili  non  avevano  potuto  reggersi,  pensò,  per  un 
istante,  mandarci  Vittorio  Amedeo  II,  Duca  di  Savoia,  a  patto  che  que- 
sto cedesse  tutti  i  suoi  Stati  alla  Francia.  È  utile  il  conoscere  i  sogni 
di  Luigi  XIV,  poiché  una  parte  di  quei  sogni  dovevano  essere,  pur 
troppo,  realizzati  da  Napoleon3  III,  e  non  ci  farebbe  meraviglia  che 
altri  futuri  monarchi  francesi  tornassero  ad  ambire  Cuneo,  Saluzzo, 
Pinerolo,  Aosta  ed  Ivrea  ;  la  voglia  d'  allargarsi  al  di  qua  delle  Alpi 
non  è  mai  mancata  in  Francia;  speriamo  che  manchi  sempre  la  possi- 
bilità :  «  Il  est  du  bien  de  mon  service  »  scriveva  Luigi  XIV  da  Ver- 
sailles al  conte  Tallard  il  9  aprile  1700  «  de  vous  confier  une  vue 
que  j'ai,  mais  dont  il  n'est  pas  encore  tems  de  s'expliquer.  Aussitòt 
que  le  traité  sera  public,  je  prévois  qu'il  s' eleverà  beaucoup  de  mur- 
mures  en  Angleterre  et  méme  en  HoUande  sur  la  cession  qui  m'est 
faite  des  rojaumes  de  Naples  et  de  Sicile  et  des  places  de  la  cote  de 
Toscane  ;  l'union  de  ces  états  et  de  ces  places  à  ma  couronne  sera 
regardée  comme  la  perte  du  commerce  des  deux  nations  dans  la  Me- 
diterranée; le  pape  et  les  princes  d'Italie  verront  aussi  cette  cession 
avec  une  égale  peine;  enfin  jé  pourrais  trouver  de  grandes  difficultés, 
lorsqu'il  sera  question  de  me  rendre  maitre  du  rojaume  de  Naples  et 
de  celui  de  Sicile,  et  les  embarras  ne  seront  pas  moins  grands  pour 
conserver  l'un  et  l'autre  ;  on  peut  les  éviter,  òter  aux  Anglais  et  aux 
Hollandais  tout  sujet  de  craindre  pour  le  commerce  du  Levant,  ras- 
surer  les  princes  d'Italie  et  gagner  les  Napulitains  en  leur  donnant 
un  roi  particulier.  La  vue  que  j'aurais  pour  cet  effet  serait  de  traiter 
avec  le  due  de  Savoie,  de  lui  céder  les  royaumes  de  Naples  et  de 
Sicile,  et  les  places  des  cótes  de  la  Toscane,  de  recevoir  en  échange 
la  Savoie,  le  Piémont,  le  comtèe  de  Nice  et  généralement  ious  les  pays 
que  ce  prince  possedè  pi  ésentement.  La  disposition  du  Milanais  en 
faveur  du  due  de  Lorraine  ne  serait  pas  changée,  s'il  voulait  accepter 


RASSEGNA  DELLE  LETTERATURE  STRANIERE.        565 

ces  états  en  éehange  de  la  Lorraine,  ou  bien,  à  son  refus,  l'electeur 
de  Bavière  serait  appelé  conformément  à  se  qai  est  réjlé  par  le  traile. 
Il  n'est  pas  temps,  corame  je  vous  l'ai  marqué,  de  parler  de  cette  vue  ; 
il  fant  attendre  anparavant  que  les  ratifications  soient  échangées  ;  mais 
vous  pouvez  toujours  m'informer  de  ce  que  vous  jugez  à  peu  près  des 
dispositions  du  roi  d'Angleterre  sor  la  proposition  qui  lui  en  serait 
faite  et  cependant  vous  garderez  le  silence  sur  co  que  je  vous  com- 
muniqne  jasqu'à  ce  que  voas  ayez  reca  mes  ordres.  >  La  combina- 
zione era  senza  dubbio  bellissima  per  gli  interessi  della  Francia  e  dì 
Luigi  XIV;  ma  si  facevano  i  conti  senza  l'oste,  ch'era  il  Duca  di 
Savoia.  Il  Gran  Re  lo  temeva  impegnato  con  l'Imperatore;  si  trattava 
dunque  di  staccarlo  da  quell*  impegno,  facendogli  intravedere  cambi 
vantaggiosi,  ma  in  tal  modo  che  non  paresse  la  Francia  oflFrire,  ma 
consentire;  perciò  Luigi  XIV  torna  a  scrivere  al  Tallard  quando  il 
conte  de  la  Tour  arrivò  in  Olanda  a  trattare  per  Savoia:  «  Vous 
savez  que  je  consentirai»  à  Péchange  de  tous  les  ótats  de  ce  prince 
avee  les  rnjaomes  de  Naples  et  de  Sicilie,  si  les  choses  se  disposaient 
lo  manière  qu'on  vint  à  me  la  proposer.  Il  n'est  point  impossible  que 
né^ociation  da  corate  de  la  Tour  ne  prodaise  cet  effet;  miis  il  no 
doìt  jamais  paraìtre  que  voas  ajez  JesMein  d*j  oontribaer;  et  si  le 
cas  arrìvait,  il  faadrait  que  le  consentement  quo  je  donnerais  à  cet 
éehange  fut  regardó  corame  un  efTet  do  dósir  que  j'ai  do  maintenir 
la  tranquillilo  generale.  >  Quanta  doppiezza,  quanta  impostura;  così 
Napoleone  III,  cedendo  la  Lombardia,  si  pigliava  Nizza  e  Savoia,  e 
sembrava  ancora  averci  fatto  grazia,  e  pretendeva  anche  la  ricono- 
ioanza  non  solo  del  Piemonte,  non  solo  dei  principi  sabaudi,  pri- 
vati di  una  parte  del  loro  dorainio,  ma  di  tutta  l' Italia  unita,  che  a 
dispetto  di  Francia,  dell'Aostria  e  del  Papa,  per  TolontA  di  Cavoar,  di 
Vittorio  Emanuele,  di  Garibaldi,  a  di  tutti  gli  Italiani  s'è  costituita  in 
nna  sola  grande  nazione.  E  qoal  merariglia  che  i  principi  Sabaudi,  in 
messo  a  tanti  pericoli,  a  tante  insidie,  a  tanto  perAdi*),  dovessero  di 
continao  destreggiani.  Il  Tallard,  nel  vedere  ohe  il  conte  de  la  Tour 
trattara  direttamente  col  re  d' Inghilterra  •  spediva  continui  corrieri  ni 
suo  principe,  non  essendo  riosdto  con  la  sua  arte  diplomatica  a  sco- 
prire il  mistero  di  qoelle  trattative,  dava  al  Gran  Re  ossia  al  Torcy, 
un  consiglio,  che  lo  storico  Rajnald  dice,  con  ragione:  «  aussi  simple 
qoe  pea  scrupuleux.  Le  eoarrior  de  M.  de  la  Tour  traverserà  la  Franca  ; 
ce  serait  un  beaa  coup  d*  épóe  quo  de  fai  re  voler  le  courrier,  ou  de  le  Aiire 
enivrer  et  de  lui  enlever  ses  papiers.  Il  indique  méme  le  jour  06  pas- 


5C6  RASSEGNA   DELLE    LETTERATURE    STRANIERE. 

Sera  le  courrier  et,  corame  s'il  craignait  d'avoir  ótó  mal  compria,  i^ 
ajoute:  «  Un  horame  averti  en  vaut  deux,  et  jamais  lettre  n'a  rien 
valu  ou  eelle-ci  vaudra  de  i'argent.  »  Luigi  XIV  non  credette  oppor- 
tuno ricorrere  a  tale  estremo,  e  avrebbe  preferito  entrare  in  accordo 
col  Duca  di  Savoia;  tuttavia,  quando  per  un  momento  egli  spera  (va- 
nissima  illusione!)  che  il  Duca  di  Savoia  consentirebbe  al  trattato, 
scrive  subito,  per  ritirare  una  parte  delle  sue  promesse  :  «  Si  cette  pro- 
position  est  suivie  et  que  cet  échange  ait  lieu,  mon  intention  n'est  pas 
d'j  comprendre  les  places  do  la  còte  de  Toscane;  la  puissance  du  due 
de  Savoie  deviendrait  trop  considérable.  »  Così,  nel  1859,  l' intenzione 
di  Luigi  Napoleone  non  era  che  la  Toscana  si  desse  a  casa  Savoia,  ma 
che  si  costituisse  in  principato  ligio  alla  Francia  sotto  il  principe  Na- 
poleone. La  storia  ci  offre,  a  saperla  leggere,  occasione  di  preziosi 
riscontri.  In  un'altra  lettera,  Luigi  XIV  fa  sapere  che  egli  conserve- 
rebbe pure  per  sé  la  Sicilia. 

Il  Duca  di  Savoia  ebbe  notizia  di  questi  tentativi;  lasciò  dire;  la- 
sciò anche  che  si  credesse  possibile  il  cambio  ;  nel  vero,  non  fece  punto 
note  le  sue  intenzioni,  pago  d'accorgersi  che,  nel  trattato  definitivo,  egli 
pure  avrebbe  contato.  Luigi  XIV,  alfine,  si  ritirò  egli  stesso,  e  mutò 
disegno,  avendo  altre  ambizioni,  e  premendogli  sopra  ogni  cosa  di  stac- 
car Savoia  dagli  imperiali;  quindi  il  consenso  promesso  in  nome  della 
Francia,  di  cedere  al  duca  l'ambito  milanese. 

I  lettori  della  Nuova  Antologia  si  ricorderanno  forse  di  un  interes- 
sante opuscolo  di  Charles  Nauroj  qui  annunzialo  nell'anno  scorso  intito- 
lato :  Les  secrets  des  Bourbons.  Lo  stesso  autore  mise  insieme  un  altro 
volume  di  ricerche  storiche  curiose,  pubblicato  dagli  editori  Charavaj 
sotto  il  titolo  :  Les  derniers  Bourbons,  Le  Due  de  Berry  et  Louvel,  Les  fa- 
vor ites  de  Louis  XVIII  Ladernière  maitresse  du  cotnte  d' Artois,  La  Fem- 
me  du  Due d' Enghien.  Fatte  su  documenti  originali,  inspireranno  fiducia 
allo  storico  ;  al  pubblico  semplicemente  curioso  offrono  pagine  attraenti  ;  la 
storia  è  trattata  dall'autore  come  un  giudice  d' istruzione  tratta  gli  atti 
processuali;  fredda,  ma  in  quanto  i  documenti  sono  autentici^  esatta  e 
sincera  ;  veridica  poi,  è  un  altro  conto,  quando  i  documenti  più  autentici 
possono  essere  fra  loro  contradittori. 

Firenze,  15  luglio  1883. 

A.  Db  Gubernatis. 


RASSEGNA  DRA^DIATICA 


I  teatri  estivi  —  Le  tragedie  d'Alfieri  —  Le  novità  —  Il  Fante  di  tpade, 
dramma  del  signor  Moddobì  —  La  Marchesa  Aleardi,  d'aatore  anonimo 
—  So  tutto,  del  Salveatrì  —  L'eccezione  delle  vedove,  del  Sinimbergfai  — 
L'ultima  recita,  della  signora  Pierantoni-Hancini  —  La  Donna  palUda^ 
del  Castelveechio. 


Un  capo  ameno  ha  diviso  U  leiteratora  drammatica  in  due  cate- 
gorie: la  invernale  e  la  estiva.  Vi  sono  degli  autori  che  durante  rio- 
remo,  quando  sono  aperti  i  principali  teatri  di  proM,  invano  ti  affa- 
ticano per  ottenere  che  i  loro  figliuoli  aleno  tenuti  a  battesimo  da 
qualche  pietoso  ed  autorevole  capo-comico.  Quella  non  ò  stagione  da 
esperimenti,  e  col  pubblico  del  Manzoni  di  Milano  o  del  Valle  di  Roma 
non  si  8ch«n%.  L' avveduto  e  prudente  direttore  di  una  compagnia 
drammatica  non  vuol  compromettere  gì*  interessi  della  oa$$etta^  iisM 
lungi  da  sé  gli  autori  novellini  e,  salvo  rtre  •ooezioni,  non  rappreienU 
unn  novità  se  non  ha  la  oertesui  che,  nel  caso  sempre  possibile  d'  on 
fiasco^  la  sua  responsabilità  possa  ripararsi  dietro  il  nome  di  uno  scrit- 
tore già  altre  volte  favorevolmente  giudicato.  Questa  regola,  s'intende, 
viene  applicata  soltanto  agli  autori  italiani;  quanto  ai  francesi  è  nn 
altro  affare.  Tutti  i  drammi  e  tutte  le  commedie  ohe  giungono  diret- 
tamente da  Parigi,  tono  eapolavori  fino  a  prova  contraria.  Ansi,  di 
prove  se  ne  richiedono  parecchie  per  dimostrare  che,  a  ragion  d'esemplo, 
il  Romanzo  parigino  è  un  dramma  sbagliato,  e  Tite  de  linoite  una 
palcioellata  priva  di  sale. 

Agli  scrittori  italiani  che  muovono  i  pnnn  panai  sul  palcoscenico, 
rimane  il  conforto  della  canicola.  Quando  fa  caldo,  i  nostri  oàpoeomici 


568  RASSEGNA  DRAMMATICA. 

certi  dubbi,  certi  scrnpoli  pudibondi  non  li  hanno  più:  recitano  nelle 
arene  e  nei  teatri  dove  si  fuma  e  dove  il  pubblico  è  disposto  all'in- 
dulgenza. I  critici  sono  in  villeggiatura,  e  d'altronde,  col  terrnoraetro  a 
trenta  gradi  nessuno  avrebbe  il  coraggio  d'impegnarsi  in  una  polemica 
letteraria  col  pericolo  di  buscarsi  una  congestione  cerebrale.  Allora  in- 
comincia sulle  scene  italiane  la  più  strana  sfilata  di  aborti  che  si  possa 
immaginare;  allora  la  cronaca  teatrale  narra  le  sanguinose  gesta  dei 
Barbieri  e  degli  Anselmi,  e  non  vi  è  studentello  di  liceo,  a  cui  non 
sia  lecito  di  esporre  al  pubblico  il  frutto  de'  suoi  amplessi  colle  muse. 
A  Roma  questa  divisione  di  categorie  risponde,  più  che  altrove,  alla 
verità.  Si  ricorderà  per  lungo  tempo  il  diluvio  di  novità  drammatiche 
che,  qualche  anno  fa,  nei  mesi  di  luglio  e  di  agosto,  inondò  le  tavole 
del  vecchio  Quirino.  La  legione  degli  scribacchiatori  si  sbizzarrì  a  sua 
posta  e  un  cupo  dramma  del  sullodato  Barbieri,  Lo  spettro  del  Colosseo 
guidava  la  ridda  infernale.  Ora  il  Quirino  è  rinnovato,  ripulito,  ma 
non  ha  perduto  interamente  le  tradizioni  democratiche,  e  quando,  come 
quest'  anno,  vi  capita  qualche  discreta  compagnia  di  prosa,  si  stacca 
tosto  dal  Parnaso  la  solita  valanga.  Lo  stesso  avviene  all'Anfiteatro 
Umberto,  olim  Corea,  e  qualche  frana  va  pure  a  colpire  la  cupola 
del  Costanzi.  Abbiamo  dunque,  nell'  estate,  un  considerevole  movi- 
mento drammatico  sui  genens,  che  non  dev'  essere  lasciato  passare 
inosservato  da  chi  desidera  di  conoscere  bene  a  fondo  le  condizioni  e 
le  vicende  del  teatro  italiano.  E  noi  lo  riassumeremo  e  lo  esamineremo 
brevemente,  anche  perchè  qualcuno  di  questi  lavori  estivi  sarà,  a  parer 
nostro,  abbastanza  forte  e  robusto  ancora  fra  qualche  mese  contro  i 
rigori  del  freddo.  Si  badi  che  diciamo  fra  qualche  mese  e  non  fra 
qualche  anno,  perchè  la  longevità  è  privilegio  delle  opere  del  genio. 
L' indirizzo  del  teatro  si  muta,  nuove  scuole  sorgono,  il  pubblico  si 
lascia  sedurre  da  nuove  attrattive,  ma,  ciononostante,  tutte  le  manife- 
stazioni artistiche  che  hanno  un'  impronta  veramente  originale  pel  tempo 
in  cui  vennero  alla  luce,  e  che  esercitarono  un'  azione  diretta,  efficace 
sul  progresso  sociale  o  politico  di  un  popolo,  non  muoiono  mai  intera- 
mente, neanche  dopo  che  lo  scopo  al  quale  s' inspirarono  fu  da  un  pezzo 
raggiunto. 

Queste  considerazioni  ci  tornavano  alla  mente  non  ha  guari,  quando 
Alamanno  Morelli,  all'Anfiteatro  Umberto,  richiamava  all'  onor  delle 
scene  la  Virginia  di  Alfieri.  La  tragedia  sullo  stampo  alferiano  è,  senza 
dubbio,  una  forma  antiquata  dell'arte  drammatica.  Ma  quando  la  Vir- 
ginia, e  il  Satd,  e  i  Bruti,  e  V  Oreste  furono  scritti,  rispondevano  ad 


RASSEGNA  DRAMMATICA.  569 

nn  bisogno  del  tempo,  e  dalle  pastoie  della  tragedia  classica  prorompeva 
l'idea  patriottica  e  liberale,  o,  quanto  meno,  la  sdegnosa  protesta  contro 
l'oppressione  e  la  tirannia.  E  perciò  qaelle  tragedie  rimangono  ancora 
come  l'estrinsecazione  di  un  generoso  pensiero  e  di  un  forte  e  vigoroso 
ingegno  in  mezzo  alle  sdolcinature  dell'Arcadia.  Anche  quelle  parti  di 
esse  che  ora  ci  sembrano  para  rettorica,  erano  allora  necessarie  all'a- 
dempimento di  un  ufficio  altamente  civile.  Qaelle  tragedie  sono  circon- 
date e  difese  da  un'aureola  di  patriottismo  che,  per  quanto  si  faccia, 
non  si  riesce  a  distruggere.  Che  la  società  presente  non  debba  essere 
plasmata  sali' ideale  dell*  Alfieri,  si  capisce  facilmente;  ma  in  teatro 
dove  le  impressioni  del  pubblico  ingenuo  hanno  il  sopravvento  sui  ra- 
gionamenti del  filosofo  e  dello  statista,  l'Alfieri  esercita  sempre  un  fa- 
scino contro  il  qaale  è  pressoché  inatile  il  tentar  di  reagire.  Aggiun- 
gasi che,  data  quella  forma,  è  ingiusta  V  accasa  mossa  dalla  critica 
moderna  all'Astigiano,  di  non  aver  saputo  mettere  solK  scena  aomini 
vivi  e  veri,  di  carne  e  d*  ossa,  ma  soltanto  fantocci  mossi  da  un  filo 
grossolano  e  visibile  ad  occhio  nudo.  É  il  4>arattinaìo,  si  dice,  ò  Taa- 
tore,  che  parla,  non  gìh  il  personaggio;  quindi  nulla  di  amano  in 
qaelle  tragedie,  ma  tutto  convenzionale.  L'aspra  censura  ò  confutata  da 
due  fatti;  il  primo  che  le  tragedÌQ  dell' Alfieri,  convenientemente  rmp- 
[tresentate,  si  reggono  ancora,  la  qaal  cosa  dimostra  che  ìntareesano  e 
commuovono.  E  per  interessare  e  commuovere  Io  spettatore  si  richie- 
dono uomini  e  passioni  e  non  fantocci  e  fili.  Il  secondo,  che  alcuni  dei 
:  orsonaggi  delle  tragedie  alfleriane  sono  restati  come  tipi  perfino  nel 
linguaggio  comune;  e  questo  non  sarebbe  accaduto  se  qaei  personaggi 
non  futisero  che  automi.  Del  resto,  nun  intendiamo  d' intraprendere  qnì 
ano  studio  profondo  delle  tragedie  d'Alfieri;  abbiamo  volato  soltanto 
prender  nota  della  risurrezione  della  Virginia  sulle  some  romane  dalle 
qnali  per  molti  anni  era  stata  bandita,  e  riferirne  il  lieto  suooetso 
■piegandone  sommariamente  le  ragioni.  Nella  Virginia  oggi  ancora  si 
ammirano  pregi  teatrali  di  prìm'ordine;  l'impeto,  la  rapidità  dell*a- 
/  one,  l'arte  di  t(>ner  sospesa  rattentioae  dell'oditore.  E  di  uguali  quulitA 
nono  nncor  più  ricche  altre  tragedie  dell* Astigiano  ;  il  Saul  por  esempio 
rir  A  il  suo  capolavoro,  e  sotto  on  altro  aspetto  la  Mirra,  eh'  è  la  più 
ardita  di  tutte  e  si  avvicina  alla  grandezza  della  tragedia  grtoa. 

Se  veramente  si  ha  da  formare  un  repertorio  italiano,  se  una  volta 
o  l'altra  si  effettuerà  il  sogno  di  ona  compagnia  permanente,  sarà 
inevitabile,  a  nostro  avviso,  che  questa  ritomi,  con  nna  certa  miaora 
e  colle  dovuta  cautele,   anche   al    nostro   antico   teatro   tragico.   Non 

ToL    ZI.,  ««rto  II  -   I  AfoaM  1SS&  IT 


570  RASSEGNA   DRAMMATICA. 

perchè  questo  debba  oggi  esser  preso  a  modello,  ma  perchè  è  parte 
nobilissima  e  preziosa  del  patrimonio  artistico  e  letterario  della  nazione. 
E  con  Alfieri,  non  ne  dubitiamo,  risaliranno  a  galla  anche  il  Pellico, 
che  ha  scritto  tragedie  migliori  assai  della  Francesca  da  Rimini,  e  il 
Marenco  padre  che  ha  dato  alle  scene  un  Buondelmonte  di  gran  lunga 
superiore  alla  Pia  de'  Tolomei,  e  fors' anche  il  Niccolini...  più  assai  col 
Giovanni  da  Precida  che  coW Antonio  Foscarini. 

Ma  è  tempo  oramai  di  chiudere  la  digressione  e  di  ritornare  al- 
l'argomento principale  della  nostra  rassegna,  la  quale  più  che  al  pas- 
sato 0  all'  avvenire,  suol  tenere  lo  sguardo  rivolto  al  presente.  La 
compagnia  Morelli,  una  delle  più  antiche  e  rispettabili,  durante  la  sua 
breve  dimora  all'Anfiteatro  Umberto,  oltre  alla  riproduzione  della  Vir- 
ginia^  ha  posto  in  iscena  alcune  novità,  che  non  tutte  però  meritano 
di  venir  qui  rammentate.  La  più  importante  di  esse,  quella,  se  non 
altro,  che  schiuse  più  vasto  campo  alle  discussioni  dei  giornali,  fu  un 
dramma  del  signor  Monnosi,  Fante  di  Spade.  Il  Monnosi,  giornalista 
e  critico  teatrale,  ha  in  tale  qualità  menato  la  sferza  sulle  spalle  degli 
autori  novellini  ed  anche  dei  provetti.  Il  critico  che  dal  pian  terreno 
corazzato  del  suo  giornale  ha  il  coraggio  di  salire  sulle  tavole  del  pal- 
coscenico e  darvi  battaglia,  si  espone  necessariamente  a  vendette  e 
rappresaglie  feroci.  È  quasi  superfluo  il  dire  che  il  Fante  di  Spade 
non  solo  non  vinse  la  partita,  ma  procurò  all'autore  un  cappotto  in 
piena  regola.  Sarà  un  errore,  ma,  sovratutto  in  Italia,  il  critico  che, 
alla  sua  volta,  interroga  con  un'  opera  d"  arte  il  giudizio  degli  altri 
critici  e  del  pubblico,  ha  l'obbligo  di  mostrarsi  superiore  a  tutti  co- 
loro che  da  lui  furono  più  o  meno  severamente  giudicati.  E  questa, 
per  avventura,  è  una  delle  cause  del  discredito  nel  quale,  a  ragione 
0  a  torto,  ò  caduta  la  critica  nel  nostro  paese.  Se  1'  ufficio  di  critico 
è  un  impedimento,  un  ostacolo  a  misurare  le  forze  del  proprio  ingegno 
in  qualunque  altra  parte  o  forma  dell'  arte,  ne  viene  di  conseguenza 
che,  di  regola  generale,  vi  si  consacrino  soltanto  coloro  i  quali  si 
sentono  impotenti  a  raccogliere  altra  messe  di  allori  artistici  o  let- 
terari. Di  qui  la  scarsa  autorità  del  critico  in  Italia,  mentr'essa  è  assai 
più  considerevole  là  dove  questo  pregiudizio  non  esiste.  E  d'altra  parte 
è  pure  un  errore  gravissimo  il  credere  che,  in  ogni  caso,  condizione 
indispensabile  del  giudicar  rettamente  sia  il  saper  fare  meglio  di  ogni 
altro  ciò  che  si  è  chiamati  a  giudicare.  Per  i  due  uffici  si  domandano 
qualità  diverse,  che  qualche  volta  si  trovano  riunite,  ma  non  sempre; 
sovratutto    quanlo    trattasi    delle    arti    e   delle    lettere    nelle  quali  ha 


RASSEGNA   DRAMMATICA.  571 

grandissima  parte  l' invenzione,  dono  a  pochi  concesso  e  negato  a  molti 
di  coloro  che,  per  altro,  sono  in  grado  di  esaminare  un'  opera  letteraria 
o  artistica  sotto  l'aspetto  storico  e  critico.  In  altri  termini,  le  qualità 
del  critico  e  quelle  dell'autore  sono  diverse  fra  loro,  possono  esistere 
e  risplendere  separatamente,  ma  nulla  vieta  che  si  trovino  riunite  nella 
medesima  persona. 

Non  ricercheremo,  pertanto,  qual  valore  abbiano  gli  articoli  di  cri- 
tica scritti  dal  signor  Monnosi  in  parecchi  giornali  ;  nel  Fante  di  Spade 
rappresentato  all'Anfiteatro  Umberto  sta  davanti  a  noi  solamente  i'au- 
torfc  diammatico,  contro  il  quale  fu  pronunziata  dal  pubblico  una  severa 
sentenza.  Il  Fante  di  Spade  porta  l' impronta  di  una  scuola  che  ritiene 
[>oter8Ì  impunemente  recare  sulla  scena  tutti  i  fenomeni  della  vita  reale, 
compresi  i  più  mostruosi,  i  più  ributtanti.  Nel  dramma  del  signor 
MoDDoai  abbiamo  un'amore  incestuoso...  che  non  è  una  novità  sui  teatro. 
Citammo  più  sopra,  per  incidente  la  Mtrra  d'Alfieri;  potremmo  ram- 
mentare la  Fedra  e  tntvare  parecchi  altri  esempi  nel  teatro  antico  e 
moderno.  Noi  siamo  aaiai  larghi  circit  la  scelta  del  soggetto,  mm  fu 
osserTato  giustamente  che  quanto  più  esso  ò  scabroso,  tanto  maggiori 
dercno  essere  le  cautele  dell'autore  per  Cirio  accettare  dal  pubblico.  La 
scuola  invece  di  cui  parliamo,  professa  U  dottrina  che  la  situazione 
arrischiata  debba  essere  crudamente  esposta.  Non  sappiamo,  in  Terità, 
fin  dove  si  possa  giungere  con  questo  sistema.  Ad  ogni  modo  gli  scrit- 
tori francesi,  che  più  frequentemente  lo  mettono  in  pratica,  hanno  ca- 
teche  bisogna  attenuarne  gì*  inconvenienti  colla  rapidità  fulminea 
dell'azione.  Si  conquista  il  pubblico  per  sorpresa,  s*  impone  sìlenaio,  ai 
suoi  scrupoli,  o,  per  dir  meglio,  non  gli  si  dà  il  tempo  di  scenderò  nella 
propria  cotcienta.  Eppure  l'artificio  noo  sempre  rieio«;  lo  sa  il  Dumas 
Aglio,  che  pure  non  si  è  accinto  mai  ad  una  irapreta  oosk  ardoa  coma 
luella  bene  o  male  compiuta  dal  signor  Monnosi. 

Nel  Fa$Ue  di  Spade  si  svolge  nienteuMBO  che  questa  situazione: 
il  figlio  naturale  di  ooa  sigoont,  ignorando  eh*  essa  è  sua  madre, 
s' innamora  perdatàmenie  di  lei.  E  sapete  qual*  è  la  scena  capitale  del 
dramma  ?  È  proprio  quella  della  dìehianuùooe  d'amore  che  questo  buon 
figlinolo  fa  a  sua  madre.  E  il  poTeretto  seguita  ad  incalsare  fino  a  ohe 
la  signora  non  gli  dice:  ma  bada  ohe  sei  mio  figlio!  Tutto  ciò  Tiene 
o^ìOiU»  senza  pfeparatiooe  alcuna,  brutamente.  Anzi  questa  brutalità 
(ci  ni  consenta  il  Tocab(^)  è  un  merito  per  la  scuola  alla  quale  evi- 
dentemente  il  signor  Monnosi  appartiene.  Il  pubblico  dell'  Anfiteatro 
''mberto  —  pubblico  che  ordinariamente  bere  grosso  —  ti  è  fortemente 


572  RASSEGNA    DRAMMATICA. 

S'Jegnato  contro  l'autore  e  ha  fischiato  di  santa  ragione  la  famosa  scena 
e  tutto  il  rimanente  del  dramma.  Dobbiamo  conchiudere  che  il  signor 
Monnosi  sia  stato  colpito  da  una  sentenza  d' incapacità  assoluta  a  scri- 
vere pel  teatro?  Nemmeno  per  sogno.  Toglietelo  dall'ambiente  in  cui 
volontariamente  si  è  posto,  ed  egli  vi  darà  forse  una  commedia  vivace 
spigliata,  brillante  come  quella  del  Gherardi  del  Testa.  Anche  il  Mon- 
nosi è  toscano,  il  che  equivale  a  dire  che  maneggia  il  dialogo  con 
somma  facilità  e  che  ha  il  frizzo  garbato  e  spontaneo.  La  parte  mi- 
gliore del  suo  dramma  è  quel  po'di  comico  ch'egli  vi  ha  messo.  Il  Mon- 
nosi è  uno  dei  tanti  peccatori  ai  quali  non  dobbiamo  stancarci  di  pre- 
dicare il  ravvedimento  e  la  conversione.  Egli  ha  un  solo  mezzo  di  ri- 
scattare le  proprie  colpe:  scrivere  una  schietta,  buona  e  gaia  commedia. 

Non  è  vero  che  la  commedia  non  piaccia  più  al  nostro  pubblico 
Abbiamo  la  prova  del  contrario  nel  fatto  che,  in  mancanza  di  commedie 
corre  alle  operette,  o  si  contenta  magari  di  qualche  farsa  francese  di- 
luita in  tre  aiti  come  Lo  Slrafagemma  di  Arturo.  E  basterebbe  a 
rimuovere  ogni  dubbio  il  successo  ottenuto  da  alcune  nuove  com- 
medie in  uno  u  due  atti  al  teatro  Quirino,  dove  la  compagnia  Pasta 
tenne  il  campo  per  più  di  un  mese,  con  grandissimo  onore.  Anche  fra 
le  novità  italiane  rappresentate  dal  Pasta  troviamo  un  truce  dramma, 
La  marchesa  Aleardi,  che  giunse  a  stento  sino  al  fine  delia  rappresen- 
tazione. Non  turberemo  le  ceneri  di  questo  dramma  e  tanto  meno  quello 
dello  sventurato  suo  autore,  il  quale  benché  anonimo  sul  manifesto  del 
Quirino  pure  si  seppe  ch'era  uno  scrittore  di  belle  speranze,  morto  non 
ha  guari  nel  fiore  degli  anni.  Più  fortunate  della  Marchesa  Aleardi 
furono  le  tre  commedie  So  lutto  del  Salvestri;  V Eccezione  delle  vedove 
del  Sinimberglii  e  V  Ultima  recita  della  signora  Pierantoni-Mancini, 
gentile  scrittrice  ben  nota  ai  lettori  della  Nuova  Antologia. 

Il  Salvesfri  non  è  più  un  esordiente  e  va  stimato  sovratutto  perchè 
non  è  di  quelli  che  invidiano  le  glorie  d'  Icaro.  Gli  son  riusciti  bene 
alcuni  tentativi  di  commedia  leggiera  ed  egli  è  rimasto  fedele  a  questo 
genere  di  lavori  teatrali.  Nelle  sue  coramediole  le  fila  dell'intreccio  si 
annodano  e  si  sciolgono  sempre  piacevolmente.  Lo  studio  dei  caratteri 
è  alquanto  superficiale  e  non  sappiamo  se,  fra  qualche  anno,  del  Sal- 
vestri e  del  suo  repertorio  resterà  traccia  o  memoria.  Ma  intanto  ci 
sollevano  di  quando  in  quando  dal  peso  delle  tesi  e  d^Ue  discussioni 
sociali  sul  palcoscenico.  So  ty^ito  è  una  bizzarria  comica  che  diverte  il 
pubblico  per  un'oretta.  E  a  rigor  di  termini  e'  è  anche  in  questa  com- 
media la  sua  brava  tesi,  giacché    insegna    che  chi  dice  di  saper  tutto 


RASSEGNA   DRAMMATICA.  573 

finisce  per  saper  davvero  quello  che  non  sa,  e  qualche  volta  anche  ciò 

che  non  desidererebbe  di  conoscere.  Ma  la  lezione  è  data  in  forma 
amena,  per  quanto  paradossale. 

Un  altro  giovine  che  palesa  una  singolare  attitudine  a  scrivere  pel 
teatro,  ma  finora  non  ha  dato  saggio  di  sé  in  lavori  di  gran  lena,  è  il 
Sinimberghi  romano.  Anch'egli,  come  i!  Salvestri,  possiede  la  così  detta 
'is  comica;  è  per  avventura  meno  fine,  meno  compassato,  ma,  in 
compenso,  gli  accade  spesso  di  promuovere  la  più  schietta  ilarità  non 
collo  spirito  del  dialogo,  non  colle  frasi  a  doppio  senso,  ma  con  la  eo- 

nicità  (se  cosi  possiamo  esprimerci)  della  situazione.  Questo,   a   parer 

tre,  è  il  carattere  del  vero  autore  comico;  la  sostituzione  del  dialogo 

;iii     utuazione  è  un  sotterfugio  a  cui   ricorrono  coloro    che  non  sanno 

nvc  are  ed  intrecciare  una  favola  e  trarne  effetti  comici.  Lo  spirito 
■'■■I.  'I  qo  nelle  commedie  si  può  paragonare,  in  molti  casi,  alle  tiraU 
e  alle  d  'amazioni  rettoriche  in  certi  drammi  storici,  nei  quali  razione 
procede  fi     ra,  stentata,  slegata. 

Non  ci  "herebbe  meraviglia  che  il  Sinimberghi  fosse  inconsape- 
vole della  prò  '-ia  forza.  Ne  vediamo  un  indizio  nei  suoi  frecjuenti  e 
intempestivi  oo..  *i  per  andare  in  traccia  del  frizzo  che,  secondo  lui, 
<leve  rialzare  le  orti  della  commedia  a  procurargli  gli  applausi  del 
l'ubblico.  In  questi  oi  tentaMvi  di  rado  è  felice.  Mancando  1*  oppor- 
tunità di  essi  è  chiaro  '  e,  la  maggior  parte  delle  volte,  non  raggiungono 
lo  scopo,  senza  contar*,  ooi  che  il  Sinimberghi,  il  quale  ó  tanto  abile 
nel  trovare  e  porre  in  L  '  il  punto  comico  di  una  scena,  non  sa  sempre 
guardarsi  nel  dialogo,  dagi  «cherzi  triviali  anziché  nò  che  indispongono 
il  colto  pubblico  invece  di  r    egrarlo. 

Questi  sono  pure  i  difatti  Ila  Eccezione  delle  vedove^  la  quale  ha 
.vnto  un  gran  Mccesso  a  Roma,  ma  potrebbe  averlo  minore  o  anche 
'  ide-e  altrove  se  Tautore,  non  tog  me  dal  dialogo  tutte  le  piante  pa- 
r  aaaite  eb«  vi  ha  lasciato  germogliar.  Il  soggetto  della  commedia,  non 
riQovistimo,  dà  loogo,  perft,  ad  una  •*>.  e  di   loene   gaie  e  divertenti. 

.'Eccesione  delle  vedove  è  noa  giovine  Ignora  che,  perduto  il  primo 
marito,  ha  giarato  di  non  passare  a  modi.  3  notxe.  Ma  sopraggiunge 
l' inevitabile  cugino,  e  la  vedovella,  persuasa  che  soltanto  il  matrimonio 
;  nò  salvarla  dagli  strali  delle  male    lingue,    prende  m^trito  la  seconda 

olta.  Il  lato  veramente  comico  di  qneeto  breve  scherso  sta  in  ciò  che 
l'er  la  leggiadra  vedova,  oltre  il  cogino,  spasima  pure  un  vecchio  im* 
becille  e  che  tutti  i  ragionamenti  per  trarla  a  violare  il  giuramento 
son  fatti  da  quest'ultimo,  il  quale,  credendo  di  lavorare  per  tè,  lavora 


574  RASSEGNA    DRAMMATICA. 

invece  pel  rivale.  E  l'effetto,  secondo  noi,  sarebbe  ancor   maggiore    se 
il  vecchio  ganimede  non  rasentasse  troppo  spesso  la  caricatura. 

kìV  Ultima  recita  della  signora  Pierantoni-Mancini  non  si  può  ne- 
gare, in  primo  luogo,  il  merito  di  una  favola  ingegnosa  e  simpatica. 
Una  giovine  attrice  il  cui  matrimonio  con  un  bravo  giovinotto  è  fie- 
ramente contrastato  dai  parenti  di  lui,  si  finge  vecchia,  e  recita  per 
l'ultima  volta  una  scena  di  sua  invenzione  che  le  assicura  la  mano 
del  fidanzato.  Le  commedie  di  questa  fatta  si  reggono  in  gran  parte 
per  l'abilità  dell'artista  a  cui  ne  è  affidata  l'esecuzione.  Del  buon  suc- 
cesso deW  Ultima  recita  ha  dunque  un  po'  di  merito  anche  la  signora 
Campi,  il  che  non  toglie  che  la  commedia  per  sé  stessa  abbia  pregi 
non  comuni  d'invenzione  e  di  stile,  e,  in  essa,  pari  all'eff'etto  teatrale 
sia  il  valor  letterario. 

Partiti  da  Roma  il  Morelli  e  il  Pasta,  son  loro  succeduti  il  Monti 
e  il  LoUio.  La  compagnia  diretta  da  Luigi  Monti,  che  recita  all'Anfi- 
teatro Umberto,  ha  passato  finora  in  rassegna  un  repertorio  stantìo.  La 
compagnia  LoUio,  che  ha  piantato  le  tende  sul  vastissimo  palcoscenico 
del  Costanzi,  procura  di  allettare  il  pubblico  coi  drammi  clamorosi.  Ne 
ha  una  considerevole  provvista,  con  la  quale  potrebbe  intraprendere  il 
giro  delle  Arene  drammatiche  del  mondo  intero.  Di  questo  formidabile 
bagaglio  fa  parte  anche  la  Donna  pallida  di  Riccardo  Castel  vecchio, 
applauditissiraa  qualche  mese  fa  a  Milano  ed  accolta  con  favore  anche  a 
Roma,  dove  però  il  successo  è  stato  più  tranquillo  e  al  tempo  stesso 
meno  proficuo  pel  capocomico,  giacché  della  Donna  pallida  non  furono 
date  al  Costanzi  che  due  o  tre  rappresentazioni.  Scomparsi  dalla  scena 
del  mondo  il  Giacoraetti  e  il  Gherardi  del  Testa,  Riccardo  Cast^lvecchio 
è  forse  il  decano  dei  nostri  autori  drammatici.  E,  ad  ogni  modo,  è  un 
veterano  del  teatro  italiano.  La  Cameriera  astuta,  felicissima  imita- 
zione goldoniana,  La  polvere  negli  occhi  riduzione  in  versi  di  una 
commedia  francese,  il  Foscolo,  vigoroso  dramma  storico,  sono  i  suoi 
principali  titoli  di  benemerenza  verso  la  drammatica.  Ma  ha  scritto 
assai  più  e  lunga  sarebbe  la  lista  de'  suoi  lavori  dimenticati,  oppure 
che  di  rado  fanno  capolino  sulle  scene.  Il  Castelvecchio  possiede  in 
sommo  grado,  come  si  suol  dire,  la  pratica  del  teatro  e  delle  sue  esi- 
genze. Nessuno  meglio  di  lui  sa,  nei  momenti  difficili,  somministrare 
al  capocomico  ciò  che  gli  é  necessario  per  salvarsi  da  una  crisi.  Si 
dirà  che,  in  tal  guisa,  l'arte  diventa  mestiere,  ma  probabilmente  il  Ca- 
stelvecchio non  ha  mai  avuto  in  animo  di  esercitare  un  alto  sacerdozio 
e  di  assidersi  fra  i  sommi  pontefici  della  drammatica.  Egli  incominciò 


RASSEG^'A   DRAMMATICA.  575^ 

a  scrivere  quando  ben  pochi  tenevano  gli  sguardi  rivolti  a  certi  ideali 
che,  per  verità,  non  furono  raggiunti  neanche  dopo.  Il  Castelvecchio, 
uomo  coltissimo,  ha  dato  prove,  a  più  riprese  di  non  essere  un  volgare 
scribacchiatore.  Anche  ne'  suoi  lavori  meno  felici  si  vede  V  impronta 
del  letterato.  Ma,  al  tempo  stesso,  V  autore  della  Donna  pallida  fu 
sempre  ed  è  ancora  uno  di  quegli  scrittori  che  si  adattano  ai  bisogni 
delle  compagnie  nomadi  e  degli  artisti  ai  quali  sta  quasi  esclusivamente 
a  cuore  di  dar  saggio  della  propria  abilità.  In  generale  i  comici  amano 
gli  scrittori  che  vivono  la  loro  vita  e  si  adoperano  a  soddisfare  la  loro 
vanità,  i  loro  pregiudizi.  Convien  pure  riconoscere  che  il  Castelvecchio 
si  piega  a  queste  debolezze  con  un  certo  garbo.  Dal  soggetto  della 
Donna  pallida  il  sanguinario  Barbieri  avrebbe  tratto  fuori  un  dramma 
trace,  pieno  di  tradimenti,  di  morti,  di  diavolerie.  Il  Castelvecchio,  e 
di  questo  va  lodato,  ha  lasciato  neir  ombra  la  parte  spettacolosa  del- 
l'argomento, mettendo  in  luce  gli  affetti  gentili  e  riuscendo,  a  più  ri- 
prese, a  commuovere  gli  spettatori.  Si  è  osservato  che  il  primo  atto 
della  Donna  pallida  ricorda  Frov-frou;  a  noi  parrebbe  più  giusto  il  dire 
che  il  punto  di  partenza,  da  cui  prese  le  mosse  il  Castelvecchio,  è  quasi 
identico  a  quello  del  Suicidio  di  Paolo  Ferrari.  Nel  Suicidio  è  il  marito 
che,  rimasto  miracolosamente  in  vita,  ricerca  dopo  molti  anni  ciò  ch'è 
avvenuto  della  sua  famiglia;  nella  Donna  pallida  è  la  moglie  che, 
polta  viva,  e  uscita  per  un  prodigio,  dalla  tomba,  ritroTa  dopo  un 
ungo  tratto  di  tempo  il  marito  e  la  figlia.  Ma  qui  finisce  la  somiglianza 
Imperocché  nel  dramma  del  Ferrari  il  protagonista  giunge  in  buon 
punto  a  restituire  la  pace  a*  suoi  cari,  mentre  l'eroina  del  Castelvecchio 
turba,  colla  sua  risurrezione,  la  felicitA  del  marito  e  a  questa  è  mestieri 
che  si  sacrifichi. 

Comunque  sia  nella  Donna  pallida  l'autore,  più  che  un'opera  d'arte, 
ha  voluto  darci  un  lavoro  commerciale  e  commerciabile,  e,  per  ciò, 
darebbe  inutile  il  chiedere  ragione  di  parecchie  iarerisi migliarne  che 
ri  notano  nello  itolgimento  di  esso,  come  pure  di  esaminare  fino  a 
<iaal  punto  sia  esatta  la  pittura  dei  ooetaroi  inglesi,  poichò  la  soen* 
avviene  in  Inghiitcrra.  Il  Castelveoehio  risponderebbe  che,  intendendo 
rivolgersi  al  grotto  pubblico  delle  Arene,  a  queste  Inetie  non  ha  cre- 
duto oeoetiArio  di  badare. 

fi  inflitti  non  ci  hanno  badato  neanche  gli  spettatori.  R  se  il  suo- 
cetso  di  Roma,  come  abbiamo  detto,  è  stato  meno  entusiastico  di  quello 
di  Milano,  dò  va  attribuito  alla  qualità  del  teatro,  essendo  il  Costanti 
meno  adatto  alle  rappresentazioni  drammatiche.  Io  quell'immenso  pai- 


576  KASSKUNA    DUAMMATICA. 

coscenico  le  voci  e  le  persone  degli  attori  si  perdono  quasi  interamente , 
e  il  pubblico  delle  gallerie  dura  fatica  a  seguire  le  peripezie  dell'azione. 
Manca  a  Roma  un  vero  teatro  popolare  per  la  prosa,  un  teatro  come 
il  Gerbino  di  Torino  o  il  Fossati  di  Milano,  dove  il  dramma  e  la  com- 
media si  possano  udire  comodamente  e  con  tenue  spesa.  E  sarebbe  utile 
che  a  colmare  questa  mancanza  si  provvedesse.  I  teatri  popolari  muo- 
vono una  salutare  concorrenza  alle  taverne,  e  i  drammi,  anche  quando 
sono  cattivi  e  offendono  le  ragioni  dell'arte,  sono  da  preferirsi  al  giuoco 
della  passatella  e  alle  tragedie  domestiche  che  insanguinano  i  tri  vii 
della  capitale. 


RASSEGNA  POLITICA 


Le  polemiche  sol  Ministero  —  Il  Parlamento  a  novembre  —  Le  elezioni 
politiche  e  le  elezioni  amministrative  —  D  nuovo  canale  di  Suez  —  Il 
Gabinetto  inglese  —  Il  signor  Gladstone  e  l'opposizione  —  Il  re  Cetti- 
vajo  —  Le  relazioni  tra  la  Francia  e  l'Inghilterra  —  II  Parlamento 
francese. 


D  disastro  di  Casamicciola  ha.  da  da«  giorni,  imposto  sileniio  ai 
piccoli  garriti  della  politica  quotidiana.  Davanti  alla  terribile  immensità 
di  quella  sventura,  in  mezzo  alle  grida  disperate  delle  morenti  vittime  • 
nessuno  presta  ascolto  alle  garrule  voci  ohe  piatiscono  intorno  al  tra- 
sformismo, o  su  argomenti  di  non  maggiore  entità.  Quando  da  Napoli 
giunsero  le  prime  notizie  della  sciagura  che  ha  riscontro  solamente  nel- 
l'ecatombe di  Pompei,  la  stampa  italiana  era  appunto  infervorata  in 
una  di  quelle  polemiche  bisantine,  che  solleticano  la  facile  vena  dei 
pubblicisti,  quando  i  calori  estivi  li  distolgono  daireiame  di  qnettioni 
più  importanti  e  più  utili,  nella  pratica,  agi'  interessi  del  paese.  Si 
discuteva,  cioò,  da  parecchi  dtarii  autorevoli,  circa  la  maggiore  o  minor 
vitalità  del  Ministero.  Se  come  sostiene  qualche  giornale,  aTesso 
bisogno  di  rafforzarsi,  potrebbe  fkrio  ora  che  il  Parlamento  è  chiuso! 
A  quali  criterii  dorrebbe  informarsi  aoa  modifloaiicoe  parziale  del 
Qabinettof  E  qoesU  medesima  neoeesità  di  una  modifloasione,  se  Tera- 
mente  esiste,  non  dev'essere  dimostrata  e  posta  in  luce  da  una  situa- 
zione parlamentare  bea  chiara  e  determinata?  Vale  a  dire  da  una 
.situazione  che  non  ha  modo  di  manifestarsi  dorante  lo  vacanze?  Per 
quanto  assennate  fossero  queste  considerazioni  poste  innanzi  da  qualche 
>male  autorevole,  esse  non  riuscirono  a  troncare  o  a  far   rinviare  a 


578  RASSEGNA    POLITICA. 

tempo  più  opportuno  la  controversia.  La  quale  risorgerà  e  riprenderà 
vigore  non  appena  avrà  incominciato  ad  affievolirsi  l'eco  dolorosa  della 
distruzione  di  Casaraicciola.  Bisogna  aggiungere,  però,  che  la  battaglia 
non  esce  dai  confini  della  stampa  periodica,  e  non  vi  [partecipano  per 
ora,  gli  uomini  parlamentari,  i  quali  sanno  benissimo  che  soltanto  alla 
riapertura  del  parlamento  si  potrà  aspettare  qualche  frutto  da  siffatte 
discussioni. 

E  neanche  noi  ci  fermeremo  sovr'esse  più  di  quanto  ci  è  imposto  dal 
nostro  dovere  di  fedeli  cronisti.  Solo  noteremo,  come  un  sintomo  per 
l'avvenire,  che  i  più  accaniti  a  domandare  che  l'on.  Depretis  si  liberi 
da  un  paio  de'  suoi  colleghi,  sono  i  giornali  che  rappresentano  le  idee 
e  le  aspirazioni  del  centro.  Già  nell'ultima  crisi  avevano  imposto  con- 
dizioni che  solo  in  parte  furono  soddisfatte  dall'on.  Presidente  del  Con- 
siglio. Parvero  allora  quietarsi,  e,  invero,  il  momento  era  male  scelto 
per  mostrarsi  soverchiamente  esigenti.  Ora  ritornano  all'assalto,  e  quasi 
intimano  all'on.  Depretis  di  allontanare  dal  Ministero  gli  onorevoli 
Acton  e  Baccelli,  minacciando  che,  in  caso  contrario,  il  centro  passerà 
all'opposizione  senza  tener  conto  della  presenza  di  qualche  suo  amico 
nel  gabinétto.  Di  questa  specie  à!' ultimatum  pubbMcato  da  qualche  gior- 
nale non  ci  preoccupiamo  gran  fatto,  perchè  ricordiamo  che  il  centro, 
anche  prima  del  voto  del  19  maggio,  nella  passata  legislatura  ha  votato 
costantemente  in  favore  dell'on.  Depretis.  I  giornali  dell'antica  destra 
su  questo  punto  si  sono  divisi.  Alcuni  di  essi  si  uniscono  risolutamente 
alla  stampa  del  centro  per  chiedere  che  l' Acton  e  il  Baccelli  siano  allon- 
tanati; altri  ritengono  almeno  premature  siffatte  domande,  e  confermando 
la  propria  fiducia  nell'on,  Depretis  lo  lasciano  giudice  di  ciò  che  gli 
converrà  fare  nel  prossimo  novembre  pur  mantenendosi  ligio  al  voto 
del  19  maggio  e  al  programma  di  Stradella.  Costoro  rappresentano, 
checché,  se  ne  dica,  il  più  autorevole  gruppo  dell'antico  partito  moderato, 
ed  anche  il  più  compatto. 

Quanto  a  noi,  non  crediamo  che  il  Parlamento  possa  riaprirsi,  a 
novembre,  in  condizioni  molto  diverse  da  quelle  in  cui  si  è  chiuso.  La 
verità  si  è  che  nessun  ministero,  il  quale  non  fosse  presieduto  e  capi- 
tanato dall'on.  Depretis  troverebbe  nella  Camera  una  maggioranza  suf- 
ficiente per  governare.  L'opposizione  non  vincerebbe  altrimenti  che 
amalgamando  i  più  disparati  elementi,  e  questi  dopo  la  vittoria  non 
seguiterebbero  certamente  a  restare  uniti.  L'on.  Depretis  non  ha  bisogno 
della  sua  proverbiale  avvedutezza  per  conoscere  questo  stato  di  cose, 
palese  e  manifesto  a  chiunque  non  sia  ignaro  delle  vicende  parlamentari. 


RASSEGNA   POLITICA.  579 

La  forza  del  Presidente  del  Consiglio  continua  a  risiedere  nella  possi- 
bilità di  appoggiarsi  all'uno  o  all'altro  dei  gruppi  parlamentari  per 
tenere  a  freno  gli  altri.  Non  diremo  che  questo  sia  l'ideale  del  regime 
parlamentare,  ma  tali  sono  senza  dubbio,  le  condizioni  delia  nostra 
Camera.  E  siccome,  d'altro  canto,  è  pur  presumibile  che  Fon.  Presidente 
non  intenda  scostare  dal  programma  di  Stradella,  cosi  non  ci  turba 
punto  la  diceria  ch'egli  sia  disposto  a  piegar  nuovamente  verso  la 
sinistra  storica,  rompendo  l'alleanza  stretta  il  19  maggio  coi  centri  e 
con  una  parte  considerevole  della  destra.  Solamente  è  da  prevedere  che 
per  tener  ferma  quest'alleanza,  egli,  come  non  accettò  in  passato,  così 
non  accetterà  nell'  avvenire  alcun  vincolo  riguardo  alla  scelta  de'  suoi 
colleghi  nel  gabinetto.  Questo  ci  pare  di  poter  desumere  dalle  dichia- 
razioni della  stampa  ministeriale.  E  con  ciò  non  affermiamo  che  sia 
esclusa  qualunque  possibilità  di  modificazioni  ministeriali  a  novembre. 
Ma  neir  ipotesi  ch'esse  si  avverino,  saranno  modificar.ioni  volute  dal- 
Ton.  Depretis  ma  non  imposte  da'  suoi  amici.  Non  dobbiamo  dimenticare 
che  vota  ancora  colla  maggioranza  una  parta  dell'antica  sinistra,  la 
quale  immediatamente  si  separerebbe  dall'on.  Depretis  se  potesse  sap- 
porre od  immaginare  ch'egli  fosse  interamente  in  balia  della  destra  e 
de'  centri. 

Del  resto,  queste  polemiche  non  ci  sembrano  giuatiflcate  neanche  dai 
risultati  delle  ultime  elezioni  parziali  che,  prese  in  oompletso,  non  mu- 
tano le  relazioni  e  le  proporzioni  do'partiti  nella  Camera.  Esse  hanno 
ancora  ona  volta  poeto  in  evidenza  che.  in  aJcane  provincia,  solo  uno 
sforzo  di  concordia  del  partito  monarchico  liberale  vale  a  sconfiggere 
i  radicali.  Cosi  ò  avvenuto  a  Bologna  dove  il  Panzaechi  ha  vinto  per 
opera  di  moderati  e  progressisti  insieme  collegati,  o  cosi  sarebbe  avve- 
nuto anche  a  PeMro  m  il  partito  liberale  monarchico  si  fotte  recato 
piò  numeroso  alle  urne. 

In  tale  stato  di  cote  è,  per  lo  meno,  poco  prudente  il  minaooìare 
teismi  a  cagione  di  ano  o  dot  ministri,  il  cai  ritiro  non  volontario  ma 
imposto,  significherebbe  prevaiansa  di  ona  parte  della  maggioranza  sulle 
altre.  Ad  ogni  aiodo,  nna  polemica  nal  prtMate  momento  non  serve  che 
ad  inasprire  gli  animi  a  a  limitare  tempra  più  la  liberta  di  aziono 
dell'on.  presidente  del  Consiglio.  E  noi  siamo  d'avviso  che  qaeata  li- 
bertà d'azione  sia  indispensiibile  per  raccoglierà  tutti  i  frutti  ch'è  la- 
rito  di  a^pottare  ragionavo) menta  dal  voto  del  10  maggio.  'Si  dirà  che 
in  tal  guisa  noi  propugniamo  una  specie  .li  dittatura  personale  deU'ono» 
revole  Depratit.  Alla  quale  affermazione  facilmente  si    risponda  oba 


580  RASSEGNA    l'OLiTlGA. 

nulla  essendovi  di  pronto  e  di  stabile  da  sostituire  a  questa  dittatura, 
essa  è  ancora  il  minor  male  nelle  condizioni  presenti  del  paese  e  del 
parlamento.  Evidentemente  siamo  in  un  periodo  transitorio  della  nostra 
storia  parlamentare,  e  può  darsi  che  fra  qualche  tempo  i  partiti  si  dividano 
e  si  determinino  meglio  e  più  chiaramente.  Ma  oggi,  nello  stato  di  con- 
fusione in  cui  ci  troviamo,  dobbiamo  contentarci  d'avere  le  necessarie 
guarantigie,  di  ordine  di  tranquillità  e  di  rispetto  alle  istituzioni.  Su 
questa  base  si  è  formata  la  maggioranza  del  19  maggio,  la  quale  non 
potrebbe  sciogliersi  senza  rimettere  in  questione  tutti  i  benefici  effetti 
del  voto  medesimo. 

Il  paese,  da  qualche  tempo,  non  si  appassiona  più  gran  fatto  per  le 
lotte  politiclie.  Ne  abbiamo  una  prova  nello  scarso  numero  degli  elet- 
tori che  prendono  parte  alla  lotta,  e  che  a  stento  raggiungono  il  numero 
legale,  moltiplicando  in  tal  modo  i  ballottaggi  che,  con  la  nuova  legge, 
dovrebbero  essere  vere  eccezioni.  Egli  è  che  in  fondo,  come  abbiamo 
detto,  vera  lotta  politica,  nella  maggior  parte  dei  collegi,  non  vi  è, 
salvo  dove  intervengono  numerosi  i  radicali.  Le  ragioni  di  questa  indif- 
ferenza sono  molteplici,  né  qui  lo  spazio  ci  consente  di  intraprendere 
intorno  alle  medesime  un  lungo  e  diligente  studio.  Noteremo  però  che, 
sovratutto  nelle  grandi  città,  la  si  osserva  del  pari  nelle  elezioni  ammi- 
nistrative, che  di  rado  sono  fatte  da  più  del  terzo  degli'  elettori.  E 
mentre  nei  maggiori  centri  si  combatte  nelle  elezioni  politiche  fra  i 
costituzionali  e  i  radicali,  nelle  amministrative  accade  invece  che  i  più 
potenti  avversari  del  partito  liberale  monarchico  sono  i  clericali.  Questi 
prevalsero  in  alcune  delle  città  più  importanti  come,  per  esempio,  non 
ha  guari,  a  Genova,  ed  anche  in  gran  parte  a  Venezia,  La  ragione  di 
questa  diversità  sta  essa  unicamente  nella  diversa  estensione  del  suf- 
fragio riguardo  alle  elezioni  politiche  e  alle  amministrative  ?  oppure 
va  ricercata  nella  maggior  propensione  dei  clericali  ad  entrare  ne'  consigli 
amministrativi  che  non  nelle  assemblee  politiche?  Il  partito  clericale 
nelle  elezioni  politiche  non  suole  affermarsi  con  un  candidato  proprio, 
mentre  nelle  amministrative  pubblica  liste  e  le  sostiene  strenuamente. 
A  questo  dovrebbero  rivolgere  la  loro  attenzione  coloro  che  domandano 
l'allargamento  del  suffragio  elettorale  amministrativo.  Forse  non  è  giusto 
il  timore  che  questo  allargamento  giovi  unicamente  ed  esclusivamente  ai 
clericali.  Giova  ad  essi  quando  le  forze  conservatrici,  come  avviene  or- 
dinariamente nelle  elezioni  politiche,  rimangono  in  disparte  ;  ma  dove 
scendono  in  campo  e  fanno  sentire  la  propria  azione,  mutano  tosto  le 
condizioni  della  battaglia.  Non    è   tacile  prevedere   ciò  che  accadrebbe 


RASSEGNA   POLITICA.  581 

in  Italia  se  il  partito  conservatore  entrasse  a  bandiera  spiegata  nella 
vita  pubblica, 

E  ancora  incerto  se  prima  del  novembre  il  ministero  chiuderà  la 
sessione  parlamentare,  oppure  se  le  Camere  verranno  convocate  con- 
tinnando  la  sessione  presente.  Probabilmente,  neanche  nelle  regioni  g-o- 
vernative  si  è  decisi  sul  da  fare.  Del  resto  a  parer  nostro,  come  ab- 
biamo detto  altra  volta,  la  questione  non  ha  una  grande  importanza, 
poiché; salvo  la  formalità  di  dover  ripresentare  nella  nuova  sessione  i 
progetti  di  legge  rimasti  in  sospeso,  la  conclusione  non  produce  altri 
effetti  relativamente  ai  lavori' parlamentari.  Quindi  non  si  spiega  nep- 
pure l'acrimonia  della  controversia  che  si  agita  ne'  giornali  a  tale 
proposito;  e  meno  ancora  s'intende  che  alle  risoluzioni  del  ministero 
sa  questa  materia  in  uno  anziché  in  altro  senso,  si  attribuisca  un  s  gni- 
ficato  ch'esse  non  possono  avere.  Noi  ci  siamo  già  mostrati  favorevoli 
alla  chiasnra,  senza  però  fame  questione  capitale.  La  conseguenza 
principale  di  essa  sarebbe  la  necessità  di  an  discorso  della  Corona.  M.-\ 
la  '  -^  o  minore  opportunità  di  far  intervenire  la  parola  del  Re  di- 

po: >  stato  e  dalle  esigente  della  politica  airinterno  ed  all'estero, 

esigenze  e  stato  che  prima  del  novembre  possono  ancora  modificarsi. 

Per  ora  la  quiete  regna  in  ogni  parte  d'Italia,  o  chi  dicesse  che  presso 
di  noi  nei  mesi  di  estate  la  vita  pubblica  è  quasi  toepesA,  non  andrebbe» 
lungi  dal  vero.  Appena  ci  commuove  l'eco  delle  gravi  questioni  che  si 
discutono  negli  altri  Stati,  e  che  dimostrano  quanto  sia  precaria  la  paco 
europea.  Le  relazioni  tra  la  Francia  e  l'Inghilterra  continuano  mi  es- 
sere tutt'altro  che  cordiali,  quantunque  ci  sembrino  as^ai  remote  le  pro« 
babilità  di  un  conflitto.  Oli  uomini  più  aatorevoli  che  non  si  lns(\iftnA 
dominare  da  malvagie  passioni,  «msì  in  Francia  come  in  Inghilterra, 
sentono  che  una  guerra  fra  queste  due  nazioni  sarebbe  un  disastro  per 
Tamanità.  Ma  il  volgo  non  ragiona  a  questo  modo,  e  nel  volgo  com- 
prendiamo tutte  quelle  persone  di  mediocre  coltura  che  non  unno  sol- 
levarsi sovra  i  risentimenti  prodotti  da  pamiygere  cagioni.  E I  è  il  Tolgo 
che  io  molti  casi  osorpa  l'ufficio  deiropinione  pubblica  e  spinge  i  go- 
verni in  una  via  diversa  da  quella  che  Torrebbero  seguire.  Ne  abbiamo 
avuto  un  esempio,  recentemente,  a  proposito  della  Conventiono  pel  nuovo 
Canale  di  Snez.  Il  aignor  Oladstone,  fin  da  quando  lo  truppe  inglesi 
occaparono  l'Egitto,  dichiarò  che  l'Inghilterra,  non  ambiva  una  posizione 
privilegiata  a  Suez.  Disse  a  più  riprese  che  il  iCanalo  era  una  via  com- 
merciale nella  quale  erano  impegnati  gl'interessi  di  parecchie  potarne 
europee  e  che  perciò  doveva  rimaner  libera  e  aicura  sotto  il  patrocinio 


582  RASSEGNA   POLITICA. 

di  tutte  e  non  solamente  di  taluna  di  esse.  Queste  dichiapazioni  ottennero 
il  plauso  generale,  e  non  si  ha  alcuna  ragione  di  porre  in  dubbio  che  il 
signor  Gladstone  le  facesse  sinceramente.  Ma  in  Inghilterra  non  parve 
che  esse  rispondessero  esattamente  alle  speranze  che  l'occupazione  del- 
l'Egitto aveva  suscitato.  Che  cosa  si  era  andati  a  fare  ad  Alessandria 
e  al  Cairo?  Impadronirsi  dell'Egitto  significava  innanzi  tutto  assicurare 
le  comunicazioni  inglesi  colle  Indie  e  sottrarle  alla  tutela  e  al  controllo 
delle  altre  potenze.  Si  aggiungevano  due  altre  questioni  non  lievi  :  la 
prima  che  il  Canale  già  aperto  era  insufficiente  ai  bisogni  del  com- 
mercio ;  la  seconda  che  le  tariffe  della  Compagnia  di  Suez  parevano 
eccessive  per  gl'inglesi. 

Il  Governo  inglese  seppe  resistere  alle  pressioni  di  coloro  che  lo 
avrebbero  voluto  spingere  a  spodestare  illegalmente  Y  attuale  Compa- 
gnia. E  vista  l'inutilità  degli  sforzi  che  si  erano  fatti  in  questo  senso, 
incominciò  ed  ottenne  favore  in  Inghilterra  l'idea  di  aprire  un  nuovo 
canale  parallelo,  ma  indipendente  da  quello  già  esistente.  Il  nuovo  Ca- 
nale aveva  ad  essere  un  canale  essenzialmente  inglese.  E  in  breve 
aumentò  il  movimento  dell'opinione  pubblica;  a  tal  uopo  s'iniziarono 
sottoscrizioni,  e  i  capitali  inglesi  affluirono  alla  gigantesca  impresa. 

A  questo  punto,  però,  fece  udire  la  propria  voce  il  signor  di  Lesseps. 
E  disse  chiaramente  che  la  concessione  ottenuta  dalla  Compagnia  non- 
comprendeva  solamente  il  canale  esistente,  ma  si  estendeva  a  qualunque 
altro  canale  che  si  fosse  voluto  aprire  a  Suez.  E  per  verità  i  termini 
del  firmano  erano  espliciti.  Il  signor  di  Lesseps,  con  quella  cortesia  che 
non  esclude  la  fermezza,  fece  osservare,  pertanto,  che  quella  impresa 
per  cui  tanto  si  agitavano  gl'interessi,  inglesi  non  avrebbe  potuto  com- 
piersi senza  la  cooperazione  della  Compagnia.  E  il  Gladstone  venne  a 
trattative  con  lui.  I  negoziati  alla  lor  volta  condussero  ad  una  conven- 
zione la  quale  in  sostanza  stabiliva:  P  Che  la  Compagnia  del  Ca- 
nale di  Suez  ne  avrebbe  aperto  uno  nuovo  ;  20  Che  nell'amministrazione 
della  Compagnia  stessa  si  sarebbe  data  una  parte  più  ragguardevole 
all'elemento  inglese  ;  3°  Che  nella  questione  delle  tariffe  avrebbero 
ricevuto  soddisfazione  le  giuste  domande  del  commercio  in  generale  o 
del  commercio  inglese  in  particolare.  Il  Lesseps  credeva  con  ciò  di  aver 
raggiunto  l'estremo  limite  delle  concessioni.  A  lui  bastava  di  aver  sal- 
vato il  carattere  internazionale' 'della  via  di  Suez,  e  sovratutto  di  aver 
rimosso  il  pericolo  che  questa  cadesse  sotto  l'esclusivo  dominio  dell'In- 
ghilterra. E  il  signor  Gladstone,  al  quale  pareva  d'aver  provveduto  agli 
interessi  commerciali   del   proprio  paese,  avendo  dato  al  tempo  stesso 


RASSEGNA   POLITICA.  583 

un  grande  e  nobile  esempio  di  moralità  politica  e  di  rispetto  ai  diritti 
acquisiti,  presentò  senz'altro  la  convenzione  al  Parlamento. 

È  noto  che  la  condotta  del  ministero  destò  un  fermento  indescri- 
vibile in  Inghilterra.  A  buon  conto  la  convenzione  era  una  rinunzia 
esplicita  e  solenne  allo  scopo  che  l'inglesi  avevano  avuto  in  animo  di 
conseguire  col  progetto  del  nuovo  canale.  Piovevano  le  proteste  e 
nel  Parlamento  si  preparò  una  formidabile  opposizione.  L' esistenza 
stessa  del  ministero  fu  posta  in  pericolo  ed  il  signor  Gladstone  cercò 
un  mezzo  per  uscire  da  questo  grave  imbarazzo.  Accorse  in  suo  aiuto 
il  signor  di  Lesseps  restituendogli  la  parola  data.  Poiché  le  nostre  in- 
tenzioni, egli  disse,  sono  male  interpretate,  sia  come  non  avvenuto  Tac- 
cordo  conchiuso.  Però,  nella  medesima  lettera  al  ministro  inglese,  il 
signor  di  Lesseps  soggiunge  che  la  Compagnia  trovasi  in  grado  di  aprire  il 
nuovo  canale  e  di  ribassare  le  tariffe  anche  senza  il  contributo  dell'Inghil- 
terra. In  altre  p3role  se  l'impresa  verrà  posta  ad  esecuzione  sarà  opera 
doTuta  airiniziativa  francese,  e  il  naovo  canale  si  troverà  in  condizioni 
identiche  a  qaelle  dell'antico. 

Questa  solazione  non  ha  soddis&tto  Toplnione  pubblica  in  Inghil- 
terra. Tuttavia  ha  servito  almeno  a  liberare  il  Ministero  da  ogni  re- 
sponsabilità, quantunque  esca  pur  sempre  indebolito  da  qaesto  incidente. 
Lo  si  accusa  di  fiacchezza  nella  politica  estera  e  di  non  saper  trarre 
profitto  dalle  propizie  occasioni  che  all'Inghilterra  si  tono  presentate. 
Qual  compenso,  si  domandt,  avranno  i  sacrifizi  sostenuti  per  Y  Egitto, 
se  il  eanale  di  Suet  non  diventa  proprietà  inglese?  Il  signor  Oladstone 
è  mono  da  alti  ideali  che  contrastano  con  gli  interessi  pratici  ed  im- 
mediati. La  qoal  cosa  gli  concilia  la  simpatia  degli  altri  popoli,  ma  lo 
compromette  spesso  e  lo  danneggia  presso  il  popolo  inglese.  E  non  di 
rado  alle  sue  buone  intenzioni  non  corrispondono  gli  effetti.  Cosi  egli 
volle  rimettere  sul  trono  degli  Zola  il  Re  Cettirajo.  Fu  atto  geoeroso 
ma  imprudente,  giaoehd  Cotti  va  jo  ritornato  fra  i  snoi  sudditi  sotto 
il  I  l'Inghilterra,  trovò  che  altri  aveva  preso  il  suo  posto  e, 

con. ._  .„. insorrezione,  perde  miseramente  la  vita. 

Pare  eziandio,  in  Inghilterra  che  il  goTei;no  non  si  opponga  con 
•afflciente  energia  alle  oonqaiste  coloniali  della  Francia.  Finora  il  go- 
Temo  francete  non  ba  dato  alcuna  soddisfazione  per  le  offese  recate 
al  console  e  ad  altri  todditi  intrlesi  a  Tamatava.  E  sì  che  di  quello 
offese  il  signor  Oladstone  aveva  reso  conto  al  Parlamento  con  parole 
risentite  !  Non  diremo  che  i  giorni  dsl  ministero  liberalo  diano  contati , 
ma  è  pur  troppo  manifesto  che   ha   perduto  terreno.  Non   ha  upnto, 


584  RASSEGNA   POLITICA. 

all'estero,  abbandonare  interamente  il  programma  de'  conservatori  che 
nel  congrèsso  di  Berlino  avevano  dato  un  grande  impulso  agli  ingran- 
dimenti territoriali  e  al  prestigio  morale  del  vasto  impero;  ma  pur 
seguendo  in  parte  quel  programma,  il  signor  Gladstone  non  lo  ha 
spinto  alle  sue  logiche  conseguenze,  e  si  è  lasciato  dominare  da  an 
sentimentalismo  politico  dal  quale  dovrebbero  attentamente  guardarsi 
gli  uomini  di  governo.  Questa  è  la  colpa  principale  che  viene  rimpro- 
verata al  gabinetto  liberale.  Ad  accrescere  la  irritazione  si  è  aggiunta 
la  notizia  che  il  governo  intendesse  ritirare  fra  breve  le  sue  truppe 
dall'Egitto.  Non  sappiamo  qual  fondamento  abbia  questa  voce,  e  cer- 
tamente se  l'Inghilterra  richiamasse  i  suoi  soldati,  l'occupazione  vio- 
lentemente eseguita  non  lascerebbe  alcuna  traccia  di  sé,  salvo  la  me- 
moria de'  danni  cagionati  dalla  guerra.  L'Egitto  sarebbe  di  nuovo  un 
campo  aperto  alle  ambizioni  e  alla  cupidigia  di  tutte  le  potenze.  Tutto 
fa  credere,  adunque,  che  quella  voce  sia  stata  diffusa  ad  arte  dai  ne- 
mici del  gabinetto  Gladstone.  Tuttavia  non  ci  recherebbe  meraviglia 
che  se  ne  prendesse  occasione  o  pretesto  per  riaccendere  la  questione 
egiziana  in  Parlamento,  e  da  essa  estendere  la  discussione  a  tutta  la 
politica  del  Ministero. 

Sarebbe  intempestivo  il  far  previsioni  intorno  alla  eventuale  caduta 
del  ministero  liberale.  Nell'interesse  della  pace  europea  è  da  augurare 
che  il  signor  Gladstone  rimanga  ancora  lungo  tempo  alla  direzione 
della  cosa  pubblica.  Un  ministero  conservatore  inasprirebbe  maggior- 
mente le  relazioni  tra  l'Inghilterra  e  la  Francia,  contrastando  con  mag- 
gior vigore  a  quest'ultima  l'effettuazione  de'  suoi  disegni.  Per  verità 
il  governo  francese  non  ha  progredito  gran  fatto  nelle  sue  conquiste. 
A  Tamatava  non  ha  incontrato  resistenza,  ma  nel  Tonkino,  seb- 
bene sieno  giunte  notizie  di  strepitose  sortite  e  di  brillanti  vittorie, 
non  risulta  ancora  che  le  condizioni  de'  Francesi  grandemente  mi- 
gliorino. Continua  pure  l' incertezza  sulle  disposizioni  della  China.  — 
Mentre  il  governo  francese  dice  di  aver  ricevuto  da  questa  assicura- 
zioni pacifiche,  si  sa  d'altra  parte  che  le  truppe  chinesi  seguitano  a 
riunirsi  al  confine.  Conoscendo  le  abitudini  del  Celeste  Impero  non  è 
fuor  del  caso  che  una  vera  e  propria  dichiarazione  di  guerra  non  ci 
sia,  ma  che,  pur  manifestando  sentimenti  di  pace  verso  la  Francia,  il 
governo  Chinese  aiuti  efficacemente  gli  annamiti.  In  materia  di  diritto 
internazionale,  la  China  segue  principii  alquanto  diversi  da  quelli  che 
Fono  in  onore  presso  gli  Stati  aperti  alla  civiltà  moderna. 

Quasi  non  bastassero  le  gravi  preoccupazioni  per  le  questioni  estere. 


RASSEGNA    POLITICA.  585 

la  Francia  trovasi  presentemente  in  un  periodo  di  difficoltà  interne. 
La  malattia  del  conte  di  Ghambord  è  st  .zionaria,  e  tolto  il  pericolo 
di  una  catastrofe  imminente  si  vengono  affievolendo  anche  i  com- 
menti intorno  alle  possibili  conseguenze  della  sua  morte.  Ma  intanto 
sono  sopragginnti  nuovi  incidenti  e  nuovi  fatti  a  turbare  V  opinione 
pubblica.  Alludiamo  agli  scandali  avvenuti  nella  Camera  de*  deputati 
dove  fu  parlato  di  turpi  contratti.  Il  Laisant,  che  si  era  fatto  il  por- 
tavoce di  queste  accuse,  invitato  a  dare  le  spiegazioni  richieste  dalla 
Camera,  non  seppe  indicare  nomi  né  fotti  precbi.  E  )a  questione  pareva 
terminata  quando  venne  alla  luce  la  lettera  del  giornalista  belga 
Boland,  il  quale  narrava  di  aver  pagato  per  conto  di  una  Società 
finanziaria  belga,  sedicimila  lire  a  due  deputati  francesi  affinchè  ser- 
vissero d'intermediari  in  una  operazione  che  poi»  senza  loro  colpa,  non 
potè  conchiudersi  Osservava  però  il  Boland  che  questo  non  tornava  a 
disdoro  di  que'  deputati  e  tanto  meno  della  Camera,  giacché  queMepu- 
tati  avevano  prestato  Topera  loro  onestamente.  La  testimonianza  del 
Boland  pare  sospetta  ed  ora  da  tatti  si  domanda  che  vengano  pa- 
lesati i  nomi  de'  deputati  che  ebbero  parte  in  quest'affare.  L'agitazione 
prodotta  da  queste  rivelazioni  ha  distolto  l'attenzione  dalle  diseassioni 
importanti  del  Parlamento  francese,  compresa  quella  sulle  convenzioni 
colle  Compagnie  ferroviarie  che  alle  parole  del  Laisant  porse  pretesto. 
Il  regime  parlamentare  in  Francia  ò  informo,  e  certo  queste  plateali 
contese  non  gli  restituiranno  la  saluto 

Soma,  81  loglio  1888. 


'•«.   IL,  ••.  !•  Il  -  1  AgM«*  IMS 


BOLLETTINO  FINANZIARIO  DELLA  QUINDICINA 


Un  addio  alle  riserve  metalliche  delle  Banche  Italiane  e  alla  Rassegna  — 
Mercato  monetario  e  situazione  delle  principali  Banche.  —  Appunti 
sul  modo  di  pubblicazione  delle  situazioni  delle  Banche  Italiane  e  note 
sul  dividendo  della  Banca  Nazionale.  —  Movimento  delle  borse. 


Per  debito  di  cortesia  rispondiamo  brevi  parole  alla  Rassegna.  Di- 
ciamo per  debito  di  cortesia,  perchè  crediamo  che  non  è  il  caso  di  fare 
polemica  qui. 

Accennando  alle  esagerazioni  e  confusioni  fatte  da  alcuni  nel  trat- 
tare la  questione  delle  riserve  metalliche,  noi  non  abbiamo  alluso  punto 
alla  Rassegna,  ma  ad  altri.  Poiché  essa  dichiara  dì  proseguirci  della 
sua  costante  attenzione  e  benevolenza,  avrebbe  dovuto  accorgersene 
alla  prima;  pure  glielo  ripetiamo.  Peraltro,  a  ben  riflettere,  un  pochino 
di  quella  taccia  avrebbe  potuto  toccare  non  temerariamente  ancora  a 
lei;  poiché  essa  pure  non  è  scevra  di  avere  allargata  la  questione 
senza  alcun  bisogno,  portandola  nel  campo  dell'andamento  della  circo- 
lazione delle  Banche  rispetto  ai  limiti  fattivi  dalla  legge  del  30  aprile 
1874.  Nessuno,  almeno  finora,  ha  inteso  né  di  toccare  a  quei  limiti  ne 
di  violare  le  prescrizioni  che  la  legge  ha  imposte  nei  casi  eccezionali 
di  aumento  della  circolazione  produttiva  delle  Banche. 

Avvertito  questo  di  passata,  torniamo  a  dire  per  conto  nostro  che  non 
ci  siamo  accorti  che  i  provvedimenti  proposti  per  rinvigorire  le  riserve 
metalliche  delle  Banche  abbiano  suscitato  tutto  quel  diavoleto  al  quHle 
la  Rassegna  accenna,  e  persistiamo  nel  ritenere  che  essi,  veduti  negli 
effetti,  avranno  l'approvazione  del  commercio  e  quella  del  Parlamento. 


BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA.  587 

Creda  a  noi  la  Rassegna  e  Io  creda  senza  alcun  sospetto  per  essa  :  le 
oche  hanno  potuto  salvare  il  Campidoglio  solttnto  una  volta.  Ora,  anche 
nelle  questioni  bancarie,  il  senso  non  batte  più  la  ragione,  come  in 
nitri  tempi  non  molto  discosti. 

Frattanto  vorremmo  sinceramente  averla  d'accordo  con  noi,  ma  se 
questo  non  può  accadere  adesso,  speriamo  che  avverrà  poi,  quando'ver- 
ranno  in  campo  altre  questioni  di  maggior  conto. 

In  riguardo  al  biglietto  speciale,  al  quale  la  Rassegna  parve  tenere, 
le  risposte  di  essa  alle  obbiezioni  fattele  non  ci  hanno  convinto.  Non 
indaghiamo  se  i  biglietti  già  consorziali  faranno  o  non  faranno  a^io  ; 
per  noi  sta  che  la  circolazione  di  questa  specie  ha  ora  ufficii  diversi 
dal  biglietto  di  banca  e  non  è  punto  da  confondere  con  quella  bancaria. 
Come  rimane  fermo  che  questa  non  può  vanta^arsi  in  alcun  modo 
da  un  tipo  speciale  che  l'altererebbe  nella  base. 

E  qui  la  nostra  egregia  contradittrir>e  ci  permetta  di  soggiungere 
che  la  eccezione  fiitta  da  ooi  al  suo  biglietto  in  riguardo  al  sistema 
monetario,  al  quale  siamo  vincolati  insieme  agli  altri  stAti  ohe  bom- 
pongono  la  I^a  latina,  non  è  tanto  nuova  di  zecca,  quanto  a  lei 
pare  Ciò  vuol  dire  che  le  idee  pellegrine  in  questo  campo  non  ci  se- 
ducono adatto.  Rammenti  la  Rassegna  che  un  linguaggio  non  molto 
diverso  dal  nostro  è  stato  tenuto  dallo  stesso  on.  Magliani  alla  Ca- 
mera durante  la  discuisione  dflla  leggo  del  7  aprile  1881,  quando  al- 
cuoi  avrebbero  voluto  condurlo  a  roodiflcare  incidentalmente  il  sistema 
monetario  stabilendo  una  proporzione  fra  l'oro  •  l'argento  delle  riserve 
metalliche  delle  Banche. 

Appunto  allora  l'un.  Ministro  si  espresse  in  questi  termini:  <  Non 
consento  che  le  Banche  vengano  obbligate  ad  una  riserva  per  2\3  in 
oro  e  1|3  in  argento,  perchè  credo  che  questo  provvedimento,  con  la 
legislazione  monetaria  attuala,  non  sarebbe  possibile;  e  che  sarebbe 
anche  pericoloso,  perchè  ci  condurrebbe  all'accettazione  dell'unico  tipo 
oro  ».  E  ancora:  «  Rispondo  all'on.  Luzzatti  che  la  legge  del  1862  è 
sempre  legge  dello  Stato;  che  l'argento  ha  virtù  liberatrice  come  l'oro; 
che  non  o*è  nesrana  limitazione  nel  corso  legale,  e  che  il  farla  ora 
modificherebbe  sostanziai  munte  quella  ieg;(e  e  sarebbe  l'adozione  del- 
l'unico tipo  di  oro  ». 

Del  resto  anche  Io  stesso  oa.  Luzzatti,  ciie  fu  uno  dei  fnutori  e 
sostenitori  strenui  di  quella  proposta,  dichiarò  tolto  il  dissidio  dietro 
alla  semplice  inibizione  alle  Bancho  di  alienare  il  loro  oro  o  di  con- 
vertirlo in  argento;  e  aacha  nel  propugnare  quello  assunto,  poiché  egli 


588  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DKLLA    QUINDICINA. 

ha  idee  chiare  o  non  si  lascia  in  certe  questioni  tpascinare  alle  acca- 
demie, non  dimenticò  che  le  Banche  di  emissione  debbono  fare  asse- 
gnamento sopra  una  larga  riserva  più  volte  oziosa,  ma  decisiva  nei 
giorni  di/Rcili  che  nessuno  può  impedire. 

Se  non  che  la  questione  sollevata  dall'on.  Luzzatti  fu  determinata 
sopratutto  da  una  considerazione  di  opportunità  in  quanto  al  tempo 
dell'abolizione  del  corso  forzoso;  poiché  è  noto  che  egli  e  l'on.  Min- 
ghetti  avrebbero  preferito  di  farla  dopo  la  scadenza  della  convenzione 
internazionale  per  aver  agio  di  regolarci  sulla  sorte  che  sarà  serbata 
all'argento. 

Ma  ora,  a  cose  stabilite,  anche  per  rispetto  al  voto  espresso  dalla 
Commissione  permanente,  queste  considerazioni  e  altre  che  si  potrebbero 
fare  divengono  oziose.  Perciò  noi  non  diremo  di  più. 

Tornando  alla  questione  vera,  confessiamo  che  non  ci  comprendiamo 
punto  dell'apparente  antitesi  fra  i  biglietti  che  saranno  emessi  con 
una  .certa  proporzione  fra  l' oro  e  l' argento  nelle  casse  degli  istituti 
emittenti  e  il  cambio  di  essi  in  argento;  e  non  ce  ne  comprendiamo 
appunto  perchè  siamo  fermi  nel  credere,  essere  un  bene  che  l'oro  si 
accentri  nelle  casse  delle  Banche  e  che  esse,  di  regola,  cambino  in 
argento. 

E  ci  è  piaciuto  il  vedere  che  la  Rassegna^  polemizzando  con  1'  Opi- 
nione, abbia  porto  occasione  a  questa  di  raddrizzarle  alcune  idee  rap- 
porto a  quel  che  fanno  le  Banche  di  altri  paesi.  Così  diremo  in  ag- 
giunta, che  anche  la  Banca  Nazionale  belga,  nò  paga  in  oro  general- 
mente, né  sconta  cambiali  stipulate  in  oro,  e  che  le  Banche  svizzere, 
le  quali  hanno  un  fondo  metallico  composto  per  circa  3(5  d'oro,  cambiano 
i  loro  biglietti  esclusivamente  in  scudi  d'argento  e  non  sanno  alla  loro 
volta  che  cosa  sieno  le  cambiali  pagabili  in  moneta  aurea. 

Questa  osservazione  ci  porta  all'altra,  la  quale  viene  a  dire  che  la 
nostra  contradittrice  ha  sbagliato,  e  di  molto,  anche  nel  giudizio  dato 
intorno  alla  circolazione  di  altri  paesi.  Secondo  essa,  la  circolazione 
metallica  della  Francia,  nonostante  il  metodo  di  cambio  tenuto  da 
quella  grande  Banca,  dovrebb'essere  satura  d'oro,  o  poco  meno.  Ora 
ciò  non  è.  Le  coniazioni  per  cento  della  Francia,  esaminate  dall'anno 
1832  all'anno  1879,  danno  il  rapporto  di  57,25  por  1'  oro  e  di  42,75 
per  l'argento  in  scudi  da  5  lire.  Ma  bisogna  por  mente  che  la  inchiesta 
ordinata  dal  Ministro  delle  finanze  francesi  sul  modo  di  composizione 
della  circolazione  metallica  in  Francia  dietro  alla  Conferenza  mone- 
taria internazionale  del  1878,  ha  posto  in  sodo  che  in  un  dato  giorno 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QDI^'DICINA.  589 

l'oro  raccolto  (si  noti  bene)  nelle  casse  ammontava  a  fr.  10,878,740, 
contro  fr.  6,067,030,  importo  della  esistenza  in  scudi  d'argento.  Ciò 
dimostra  che  nella  circolazione  effettiva  il  metallo  bianco  prevale  a 
quello  aureo;  ed  è  così  di  fatto,  poiché  altrimenti  l'oro  in  certi  casi 
non  farebbe  premio.  E  non  basta.  Poiché  la  Rassegna  ha  detto  di  leg- 
gerci, avrebbe  potuto  ricordare  che  anche  prima  d'ora,  tenendo  noi 
dietro  per  quanto  possibile  all'andamento  del  mercato  monetario  gene- 
rale, avemmo  occasione  di  addurre  in  questa  stessa  sede  notizie  e  dati 
che  avvalorano  le  dichiarazioni  fotte  in  qaesta  contingenza. 

Nel  bollettino  comparsa  nel  fascicolo  del  15  giugno  scrivemmo  quel 
che  segue: 

<  Il  corso  relativamente  alto  del  cambio  di  Parigi  su  Londra  fece 
credere  ad  alcuni  che  un  invio  d'oro  al  di  là  della  Manica  divenisse 
?sai  probabile;  anzi  vi  fu  chi  lo  annunziò  come  incominciato.  Ma  pare 
e  tanto  l' una  cosa  quanto  T  altra  siano  state  del  pari  inesatte.  Dal 
mandare  Toro  in  Inghilterra  la  speculazione  non  trarrebbe  alcun  ran- 
ggio,  perchè  essa  non  ha  modo  di  procacciarsi  le  verghe  e  perchè  i 
zzi  da  20  franchi  in  circolazione  hanno  un  peso  insudiciente  (6  gr. 
32).  La  Banca  possiede  pezzi  che  pesano  0  gr.  451,  ma  non  vuol  se- 
pararsene, o  lo  fa  molto  a  malincuore  e  a  •tento.  Invece  essa  cerca  di 
dar  fuori  quelli  di  peso  inferiore  e  ooeha  i  pezzi  da  10  e  5  franchi, 
rho  non  possono  servire  per  le  rimesse  all'  estero.  Si  aggiunge  che  in 
borsa  I  napoleoni  di  qualunque  peso  fanno  I  per  mille  di  premio  ». 

Per  fermo,  varrebbe  la  pena  di  portare  un  po'  d'ordine  o  un  poco 
di  luce  anche  nelle  cose  francesi! 

Consenta  adunque  la  Ratsfffna  che  il  metodo  invalso  in  Italia,  il 
quale  ha  dato  alla  prova  buoni  frutti,  continui;  e  non  insista  nel  vo- 
l«'re  che  una  riserva  d'oro  raccolta  con  ogni  maniera  di  accorgimenti, 
e  che  è  nonostante  insidiata  da  molte  parti,  venga  sperperata  in  pochi 
giorni  per  la  smania  di  vedere  l'abbonJanta  dell'oro  in  piaua;  proci- 
oiimente  per  quella  che  Ai  (emuta  un  giorno  e  dalla  quale  il  pubblico 
tenersi  immune  con  universa  lode.  Tempo  verrà  che 
.eia  internazionale,  intraveduta  assai  prima  d'ora  dal 
genio  italiano,  non  sarà  più  un  desiderio  di  pochi  eletti;  ma  per  in- 
tanto accetti  i  fatti  come  sono  e  non  presuma  di  volgerli  e  oontoroerll 
a  Huo  prò  soltanto  perche  le  piace  di  non  volerli  in  quel  modo  o  noo 
ruolo  intenderli. 

I-'  con  Ciò  diamo  un  addio  alle  rtforre  motalliche  d'alio  Banche  ita- 
liane e  alla  Rattegna. 


590  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DKLLA    QUINDICINA. 

Il  mercato  monetario  americano  presenta  ora  un  aspetto  assai  più 
rassicurante  di  quindici  giorni  fa.  La  situazione  delle  banche  associate 
di  New-York  al  21  corrente  denota  una  forte  posizione,  tanto  rispetto 
alla  quindicina  scorsa,  quanto  a  un  anno  addietro.  Il  fondo  metallico 
è  aumentato,  nelle  due  settimane  ultime,  di  dollari  1,800,000,  toccando 
la  cifra  di  64,600;000,  la  quale  eccede  di  300,000  dolUri  quella  al  22 
luglio  1882.  Gli  impieghi  segnano,  nel  primo  confronto,  la  diminuzione 
di  dollari  300,000;  nel  secondo,  quella  di  1,800,000.  La  circolazione 
ha  variato  di  poco,  ma  è  minore  di  dollari  2,600,000  a  quella  dell'anno 
passato.  1  depositi  segnano  l'aumerto  di  dollari  3,900,000  nella  quin- 
dicina e  quello  di  3,300,000  nell'annata.  Quindi  la  riserva,  che  il  7  luglio 
eccedeva  di  dollari  6,625,000  il  limite  legale  del  25  per  cento  dei  depo- 
siti, venne  a  sorpassarlo  nel  giorno  21  di  9,550,000,  mentre  li  22 
luglio  1882  l'eccedenza  fu  di  8,175,000. 

Il  notevole  rinforzo  dei  mezzi  delle  Banche  dimostra  come  fossero 
fondate  le  notizie  circa  l'attitudine  di  esse  e  del  Tesoro,  e  come  questo 
e  quelle  abbiano  ottenuto  l' intento  di  aumentare  i  mezzi  atti  ad  affron- 
tare i  bisogni  autunnali.  Il  denaro  continua  ad  abbondare.  Un  dispaccio 
del  26  da  Washington  (Agenzia  Reuter)  annunzia  che  il  Tesoro  ha 
invitato  al  riscatto  tutti  i  bonds  3  1{2  per  cento  che  non  sono  stati  pro- 
sentati al  eambio  contro  titoli  al  3  per  cento.  Poiché  la  rimanenza 
del  3  1|2  per  cento  non  barattato  ammonta  a  dollari  32,082,600,  si 
può  sperare  che  il  mercato  sarà  anche  nei  prossimi  tempi  fornito  in 
abbondanza.  Frattanto  i  prestiti  brevi  sono  ottenuti  al  2  per  cento 
circa,  mentre  lo  sconto  per  le  cambiali  a  2  firme,  con  scadenza  da  2 
a  3  mesi,  è  segnato  al  4  1]2  per  cento. 

11  cambio  della  sterlina,  che  avevamo  lasciato  a  4.84  a  60  giorni, 
è  disceso  nel  primo  giro  di  questa  quindicina  alla  parità,  ossia  a  4,83  li2  ; 
e  in  ultimo,  a  4,82  3{4,  che  corrisponde  al  cambio  a  vista  di  4,86,  e 
a  uno  e  mezzo  per  mille  contro  Londra. 

Anche  riguardo  all'Inghilterra  dobbiamo  avvertire  uno  stato  di  cose 
alquanto  migliore.  La  situazione  della  Banca  al  25  è  più  favorevole  di 
quanto  si  aspettava,  giacché  la  proporzione  della  riserva  agl'impegni, 
già  di  42  1|4  per  cento,  è  salita  a  44  li4  per  cento.  Questa  proporzione 
ai  26  di  luglio  1882  era  di  39  3i8  per  cento  solamente.  La  Banca  ha 
introitato  dall'estero  cospicue  partite  d'oro  che  hanno  aumentato  il 
suo  fondo  metallico  di  329,658  sterline.  I  conti  correnti  dello  Stato  e 
dei  particolari  sono  cresciuti  rispettivamente  di  103,228  e  488,758 
sterline.  Il  portafoglio  è  diminuito  di    190,079.  Il   ritorno   dei   biglietti 


BOLLETTINO   PINANZLAJUO    DELLA    QUINDICINA.  591 

dalle  Provincie  ha  causato  nella  circolazione  dei  biglietti  la  diminuzione 
di  442,135  sterline,  che,  unite  all'aumento  del  fondo  metallico,  ci  danno 
una  differenza  in  più  di  771,793  sterline  per  la  riserva.  Con  tutto  ciò 
la  somma  di  quest'ultimo  capitolo  non  varia  sensibilmente  da  quella  alla 
data  corrispondente  dell'anno  passato.  Nell'ultimo  bilancio  essa  è  segnata 
a  12,418,306;  il  26  luglio  1882  essa  era  di  12,403,529.  Anche  il  confronto 
per   il   fondo   metallico   ad    anno    è   meno    soddisfacente,    giacché    esso 
adegua  alla  prima   data  la  somma  di  22,576,486,  alla  seconda  quella 
di  23,344,419  sterline.  Adunque,  la  Banca  non  ha,  in  sostanza,  maggiori 
risorse  di  un  anno  fa,  e  il  miglioramento  della  proporzione  fra  la  riserva 
e  gl'impegni  è  in   massima  parte   occasionato   dalle  diminuzioni    della 
eircolazione  e  del    portafoglio.   Un    anno  addietro  questo  capitolo  ade- 
guava   la   somma    di  37,063,380,  ora  esso  tocca  quella  di  33,558,883; 
ma  allora  correva  il  saggio  officiale  del  3  per  cento,  mentre  dal  9  mag- 
gio 1883  funziona  quello  del  4.  Oltre  a  ciò,  da  circa  tre  mesi,  la  Banca 
non  si  presta  più  a  fornire  i  mezzi  alla  speculazione  dei  piccoli  sensali 
i  sconto.  Per  conseguenza  non  ere  'iamo  che  si  appongano  bene  coloro 
quali,  esagerando  la  efficacia  relativa  del  saggio  al  4,  ritengono  che 
non   sia   probabile   nn   rialzo   prima  della  fine  dell'anno.    Non   bisogna 
dimenticare  che  tutto  dipende  dall'Am^'rica.  Abbiamo  veduto  che  le  cose 
stanno  colà  abbastanza  bene,  per  ora,  ma  il  movimento  del  cambio  non 
è   troppo   rassicurante.  A   ciò  si   aggiunge   che,   sebbene   continui    ad 
affluire  Toro  all'Inghilterra  e  ciò  possa  ritardare  fino  verso  la  fine  del- 
l'autunno il  rialzo  del  saggio,  tutto  indica  che   le  settimane   vegnenti 
recheranno  maggiori  domande  alla  Banca. 

Nel  mercato  dello  sconto  i  saggi  hanno  continuato  a  mantenersi 
ftrmi  nonostante  la  maggior  abbondanza  del  danaro,  mentre  le  transa- 
zioni non  sono  state  troppo  numaroM.  La  carta  a  3  mesi  è  stata  alti- 
nuunente  negoziata  a  3  7|8  per  cento.  Anche  nel  giorno  del  regolamento 
allo  Stock  Eaxhange  la  domanda  di  danaro  non  è  stata  molta.  I  pre- 
stiti vennero  oiienati  a  3  e  3  1(2  per  cento. 

Dal  12  al  26  corrente,  la  situazioni  della  Banca  li  Francia  recano 
la  diminuzione  di  fr.  1.741,825  nel  fondo  in  oro  e  qu<lla  di  1.157,755 
nel  fondo  in  argento;  di  21,4-38,808  nel  porUfogllo,  di  13,002.408  nelle 
aatioipazioni  e  di  26.035,055  nella  circolazione.  Il  conto  corrente  del 
Teaoro  è  cresciuto  di  41,8iO,338;  quelli  dei  particolari  sono  soemati 
li  34.929,814  franehi.  L'aaroento  del  conto  corrente  del  Tesoro  dimostra 
che  questo  prepara  i  fondi  neoessarii  al  pagamento  dell'ultimo  tagliando 
del  5  per  cento.  Nell'insieme  «i  ha  una  situazione  alquanto  migliore  di 


592  HOLLETIINO    FINANZIARIO    DELLA    QDINDICINA. 

quella  data  nella  quindicina  trascorsa,  ma  un  anno  fa  la  posizione  della 
Banca  era  più  forte.  11  fondo  metallico  era  maggiore  di  107  3(4  mi- 
lioni ;  gl'impieghi  e  la  circolazione  erano  minori  rispettivamente  di  49  e 
294  milioni.  Questa  considerazione  e  quelle  della  scarsità  del  danaro 
nel  mercato  dello  sconto  e  dei  cresciuti  bisogni,  prodotti  dalla  fine  del 
mese,  i  quali  hanno  causata  la  diminuzione  nei  conti  correnti  privati, 
hanno  dato  origine  ad  alcune  voci  di  un  rialzo  del  saggio.  Ma,  a  meno 
che  la  Banca  d'Inghilterra  ne  dia  l'esempio,  e  ciò  per  il  momento  ò 
allontanato,  non  erodiamo  temibile  un  rialzo  dall'altra  parte. 

Sebbene  il  danaro  sia  stato  abbondante  per  i  riporti  in  Borsa,  pure 
è  durato  scarso  per  gli  sconti,  e  le  transazioni  della  specie  sono  state 
insignificanti.  Il  saggio  per  le  firme  di  alta  banca  è  segnato  a  2  5[8; 
quello  per  la  carta  bancaria  e  d'alto  commercio,  a  2  3[4  per  cento. 

Le  banche  svizzere  non  offrono  variazioni  notevoli  nei  loro  bilanci 
dal  7  al  21.  Avvertiamo  gli  aumenti  di  franchi  200,720  nel  fondo  in  oro 
e  di  261,243  in  quello  in  argento,  e  le  diminuzioni  di  350,500  nella 
potenza  di  emissione  e  di  2,278,750  nella  circolazione.  Il  fondo  metal- 
lico eccede  di  franchi  18,267,789  il  limite  di  40  per  cento  della  cir- 
colazione. 

Prima  di  lasciare  le  banche  svizzere  vogliamo  rilevare  alcune  os- 
servazioni del  corrispondente  ginevrino  del  Times,  il  quale  trova  che  la 
nuova  legge  bancaria  federale  dà  luogo  a  scrii  inconvenienti.  Dopo 
avere  lamentato  il  provvedimento  che  ordina  il  ritiro  dei  biglistti  in- 
feriori ai  50  franchi,  egli  constata  che  le  banche  preferiscono  di  tenere 
la  riserva  legale  del  40  per  cento  della  circolazione  in  oro  piuttosto 
che  in  scudi;  che  l'oro  già  fa  un  piccolo  premio  e  che  i  commercianti 
si  vedono  talvolta  costretti  ad  eseguire  i  loro  pagamenti  cogli  scudi 
emessi  dalle  Banche.  A  noi  pare  che  questi  pretesi  serii  inconvenienti 
sieno  proprii  di  tutti  i  paesi  della  Unione  monetaria  latina. 

Relativamente  alla  Banca  dell'Impero  germanico,  premettiamo  che 
la  penultima  settimana  di  luglio  reca  quasi  invariabilmente  un  rinforzo 
della  riserva  metallica  e  una  diminuzione  della  circolazione  e  degli 
impieghi.  Quest'anno  il  fenomeno  è  anjihe  più  marcato  dell'anno  scorso. 
Dal  7  al  23,  l'aumento  del  fondo  metallico  è  stato  di  marchi  6,229,000. 
In  pari  tempo  il  portafoglio  e  le  anticipazioni  sono  diminuiti,  1'  uno 
di  34,757,000,  le  altre  di  21,726,000  marchi.  Anche  la  circolazione  ò 
scemata  di  marchi  56,260,000.  Nell'insieme  la  situazione  ultima  viene 
a  dimostrare  che  la  domanda  di  danaro  è  modestissima  e  che  rimpetto 
al  basso  saggio  dello  sconto  libero,  le  presentazioni  di  sconti  alla  Banca 


li 


BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA.  593 

sono  relativamente  poche.  Aggiungiamo,  per  chiarire  meglio  lo  stato  pre- 
sente delle  cose,  che  dal  30  giugno  ultimo  il  portafoglio  della  Banca  ò  di- 
sceso da  marchi  410,437,000  a  355,508,000,  mentre  al  30  giugno  dell'anno 
scorso  la  cifra  degli  sconti  importava  marchi  397,361,00)  e  il  23  luglio 
«juella  di  364,057,000.  Un  anno  fa  il  saggio  officiale  era  di  4  per  cento 
e  lo  sconto  fuori  Banca  da  3  1  [2  a  3  HjS;  per  contro  ora,  collo  stesso 
saggio  officiale  del  4,  lo  sconto  nel  mercato  libero  è  a  3  1[8  per  cento. 
Riguardo  ai  eonti  correnti,  essi  sono  aamcntati  nella  quindicina  di 
10,530,000  marchi  e  anche  ciò  dimostra  l'abbondanza  del  danaro.  L'ul- 
tima settimana  di  luglio,  in  vista  della  liquidazione,  produce  di  solito 
una  maggiore  domanda  alla  Banca;  in  quest'anno  si  può  prevedere  Io 
stesso  procedere,  quantunque  per  ragioni  attinenti  al  mercato  monetario 
e  alla  Borsa,  la  domanda  dovrebbe  essere  di  minore  entità  del  consueto. 
La  situazione  al  23  corrente  della  Banca;  aastro-ungarica  differisca 
assai  da  quella  al  7;  essa  reca  una  forte  diminuzione  degli  impieghi  e 
della  circolazione  II  portafoglio  ó  scemato  di  fiorini  16,785,463;  le  an- 
ticipazioni, di  1,519,600;  la  circolazione,  di  13,891,200.  ai  quali  si  può 
aggiungere  l'aumento  di  fi.  5,499,039  nei  biglietti  di  Stato.  L'anao 
scorso  questi  movimenti  sono  stati  di  assai  minoro  entità.  La  maggior 
parte  degli  incassi  della  Banca  cade  a  Vienna;  la  Sede  dì  Budapest  e 
le  succursali  vi  contribuiscono  pochissimo.  Aggiungiamo  che,  astra- 
zione fatta  dagli  impieghi,  la  Banca   austro-ungarica    va  mobilizzando 

suoi  mezzi,  giacché  nell*  ultima  settimana  ha  realizzato  circa  1  mi- 
lione e  mezzo  di  fiorini  in  divise  estere  e  altrettanto  in  titoli.  Mercè 
il  rilevante  decremento  delia  circolazione,  la  situazione  della  Banca  ap- 
;  ire  assai  più  favorevole  di  prima.  Il  portafoglio  e  le  anticipazioni  sono 
a  quasi  al  livello  di  un  anno  Ca,  mentre  ii  fondo  metallico  «ooeda  nel 
•  unfìronto  di  fi.  17,380,33?.  £:  però  probabile  che  cessi  qui  la  dimina- 
ziono  della  circolazione,  giacché  l'esperienza  insegna  ohe  1'  ultima  sei- 

imana  di  luglio  comincia  a  portare  un  aumento  delle  domando  alla 
Banca  Ma  ci  toma  di  avvertire  che  nella  seduta  tenuta  il  'J6  dal  Con- 
siglio generale  della  Itan  a,  il  segretario  generale  signor  Loonhard  ha 
annunziato  che  sono  stati   prosi  provvedimenti  per  soddisfare  le  mag- 

i(»ri  domande  prevedute,  acciò  non  s'abbia  a    verificare  la  carestia  di 

I  .o    !u>  sopravvenne  nell'anlunno  1882. 

ir.itr  into  il  prezzo  del  danaro  è  venuto  salendo  nel  mercato  dello 

sconto.  Lo  oltime  oolizie  recano  che  la  carta  di  prim'ordine  a  3  masi 

vieoa  aeontata  da  4  a  4  li8;  la  bancaria   a  la  commerciale,  da  4  Ifl 

a    *  %^ 


594  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

La  Banca  Neerlandese  ha  continuato  anche  in  questa  quindicina  a 
perdere  dell'oro.  Una  parte  considerevole  del  prezioso  metallo  entrato 
alla  Banca  d' Inghilterra  è  provenuta  da  Amsterdam,  Dal  7  al  21  luglio 
corrente  il  fondo  in  oro  ha  avuto  la  diminuzione  di  fiorini  2,118,472; 
all'ultima  data  ammontava  a  43,478,349  contro  93,923,191  fiorini  in 
argento.  Rirapetto  a  questo  fondo  metallico  la  circolazione  ascendeva  a 
186,912,160.  Cominciamo  a  sorprenderci  un  poco  che  la  Banca  Neer- 
landese, nonostante  l'esperienza  fatta,  non  combatta  l'esportazione  del- 
l'oro al  primo  suo  apparire,  per  difendere  lo  stock  acquistato  per  mezzo 
di  un  prestito  all'estero.  Tanto  più  che  ciò  potrebbe  screditare  la  va- 
luta olandese,  nonostante  la  ricchezza  di  quel  paese.  L'anno  scorso 
l'Olanda  ha  dovuto  pagar  caro  assai  la  falsa  sua  politica  di  sconto,  e 
però  reca  maraviglia  che  si  ricada  colà  nel  medesimo  errore  e  si  con- 
tinui a  lasciare  uscire  l'oro  per  comodo  dell'  Inghilterra.  Visto  l'indi- 
rizzo delle  cose,  non  saremmo  sorpresi  se  fra  poco  la  Banca  Neerlandese 
cominciasse  la  serie  dei  rialzi  autunnali  del  saggio. 

Nelle  situazioni  della  Banca  Nazionale  belga  nulla  troviamo  di  par- 
ticolare entità.  I  mutamenti  principali  avvenuti  dal  12  al  16  corrente 
sono  le  diminuzioni  di  circa  2  milioni  di  franchi  nel  portafoglio,  di  1 
nei  conti  correnti  dei  privati  e  di  3  e  mezzo  nella  circolazione  ;  inoltre 
l'aumento  di  un  milione  e  mezzo  nel  conto  del  Tesoro,  Nel  con- 
fronto colla  situazione  al  27  luglio  1882,  il  portafoglio,  alla  data  più 
recente,  è  minore  di  8  e  mezzo  milioni  circa;  tutti  gli  altri  capitoli  da 
noi  esaminati  sono  maggiori.  Le  eccedenze  rispettive  sono  di  oltre  2  mi- 
lioni per  il  fondo  metallico,  di  9  milioni  per  le  anticipazioni,  di  2  e 
mezzo  per  la  circolazione  e  di  1  e  mezzo  per  il  conto  corrente  elei  Tesoro. 

Venendo  all'Italia,  avvertiamo  con  piacere  che  anche  V  Opinione., 
accennando  alle  situazioni  degli  Istituti  di  emissione,  ha  avvertito  la 
pubblicazione  saltuaria  e  irregolare  che  ne  è  fatta;  ma  ci  duole  nello 
stesso  tempo  che  essa  abbia  soggiunto  semplicemente  che  questo  modo 
singolare  di  eseguire  i  regolamenti  e  di  trattare  il  pubblico,  sia  stato 
lamentato  invano  da  altri.  L'autorevole  diario,  poiché  vi  era  entrato, 
avrebbe  potuto  dire  di  più.  Per  esempio,  avrebbe  potuto  osservare  che 
certi  desiderii  sono  cosa  vana  soltanto  in  Italia,  e  che  ciò  dipende  sia 
dal  poco  interesse  che  il  pubblico  in  generale  mette  a  certe  cose,  che 
pure  ne  hanno  tanto  in  sé,  sia  dalla  poca  vigilanza  esercitata  da  quelli 
che  vi  sono  preposti,  o  dalla  scarsissima  eflScacia  di  essa.  Con  tutto  ciò 
non  disperiamo  di  venirne  in  fondo,  essendo  convinti  che  al  Ministero 
di  Agricoltura,  Industria  e  Commercio  dev'essere  inteso,  come  altrove, 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  595 

e  più  che  in  qaalunqae  altro  luogo,  il  bisogno  di  regolare  per  davvero 
la  pnbblicazione  delle  situazioni  delle  Banche  di  emissione,  in  modo 
che  questa  sia  unica  e  riesca  fatta  ad  una  stessa  data  per  tutte,  e  in 
tempo.  Così  solamente  il  pubblico  potrà  interessarvis:  come  deve  e  fare 
i  SDoi  riscontri,  e  le  situazioni  potranno  e^ere  nn  libro  aperto  a  chiunque. 

L' ultima  situazione  della  Banca  Nazionale  italiana  è  quella  al  20  lu- 
glio. Risalendo  alla  situazione  al  30  giugno,  che  è  stata  1'  ultima  esa- 
minata, si  hanno  i  dati  seguenti  :  Il  fondo  in  oro  nell'  importo  di  Lire 
83,547,247,  è  aumentato  di  L.  2.115,160;  quello  in  argento,  nella  somma 
di  L.  74,539,861,  è  diminuito  di  L.  605,030;  quello  nei  biglietti  già 
consorziali  e  di  Stato,  nello  importo  di  L.  48,684,203,  è  cresciuto  di 
oltre  2  milioni  di  lire.  II  portafoglio  ò  scemato  di  circa  24  milioni;  le 
anticipazioni  sono  diminuite  di  oltre  un  milione;  la  circolazione,  a 
L.  461,319,763,  è  decre^iciata  di  circa  10  milioni. 

Paragonando  T  ultima  situazione  al  20  luglio  con  T  altra  a  pari  data 
deiranno  scorso,  le  differenze  nei  capitoli  esaminati  in  antecedenza 
sono  di  maggiore  entilÀ.  La  situazione  d*  ora  sorpassa  V  altra  di  L.  47 
milioni  nel  fondo  in  oro  e  di  L.  23  milioni  nel  fondo  in  argento,  ed 
é  minore  di  28  milioni  nei  biglietti  già  consorziali.  L'ammontare  del 
portafoglio  eccede  quello  delfanno  scorso  di  8  milioni;  TimpoKo  delle 
anticipazioni  é  minore  di  2;  la  circolazione  ò  ■oemata  di  circa  11  milioni. 

Per  deliberazione  presa  dal  Consiglio  Superiore  della  Banca  Nazio- 
nale, gli  azionisti  di  questo  Istituto  hanno  conseguito  pel  primo  seme- 
stre un  dividendo  di  L.  4.5  per  azione,  compresi  gl'interessi  ;  e  il  fondo 
di  riserva  è  sUto  aumenUto  da  L.  32,610,000  a  L.  33.?80,000. 

I>a  Borsa  ha  accolto  la  prima  delibcrazìono  con  segni  che  nou  sono 
atati  al  certo  né  di  soddisfiuione  né  di  simpatia,  ma  crediamo  che  nella 
corta  al  ribtMO  sia  stata  poco  misurata,  tanto  poco  da  cre<Iere  che  vi  si 
sia  data  come  inoonscìa.  A  noi  pare  che  il  sentimento  di  un  dividendo 
minore  del  solito  doveva  essere  nella  ootdenu  di  molti,  certamente 
in  qnelU  di  tutti  coloro  1  quali  potevano  riflettere  che  le  operazioni 
straordinarie  ooeaaiooate  dal  corto  forteto  erano  cetsate,  e  che  le  spese 
derivanti  dairtptrtnra  del  eambio  erano  state  di  qualche  entità.  Oltre 
a  ciò  la  situazione  al  30  giugno,  venuta  fuori  in  ox)incidenza  col  divi- 
dendo,  non  era  rimasta  muta.  Reta  avea  dato  un  totale  di  utili  di 
L.  15,06(}.056,  contro  L.  18,018,955,  importo  di  quelli  segnati  nella 
situazione  oorrirpondente  dell'anno  scorto. 

Qui  dunque  non  avrebbe  dovuto  aver  luogo  alcuna  sorpresa.  Ma. 
«erondo  noi,  non  vi  è  molto  da  ridire  neanche  in  riguardo  al   merito. 


596  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

A  buon  conto  il  dividendo  stanziato  ragguaglia  il  12  0[0  all'anno  sul 
capitale  versato  che  è  di  L.  750  per  azione,  come  tutti  sanno. 

È  vero  che  le  azioni  della  Banca  di  Francia  e  quelle  di  altre 
Banche,  allo  stesso  ragguaglio,  rendono  di  più;  ma  noi  pur  troppo 
non  possiamo  paragonarci  in  questo  ad  altri  paesi  nei  quali  lo  sviluppo 
dei  commerci  e  delle  industrie  è  incomparabilmente  maggioro  di  quello 
che  si  ha  per  ora  nel  nostro, 

Contuttociò  teniamo  a  dire  che  anche  la  pratica  inglese  addinoo- 
stra  che  l'interesse  dev'essere  calcolato  a  preferenza  sul  capitale  ver- 
sato, e  non  secondo  altra  ragione,  e  che  gli  azionisti  del  nostro  mag- 
giore Istituto  non  hanno  a  dolersi  troppo  del  dividendo  conseguito  nel 
primo  semestre,  anche  perchè  in  esso,  di  solito,  gli  utili  sono  minori 
di  quelli  che  vengono  ottenuti  nel  secondo.  Frattanto  quelli  ricavati 
dalle  operazioni  principali  crescono  di  anno  in  anno.  Noi  speriamo  che 
le  stesse  operazioni,  allargata  opportunamente  la  base  dell'  Istituto, 
cresceranno  sempre  più. 


La  quindicina  passata  registra  nel  suo  bilancio  attivo  un  avveni- 
mento, il  quale  avrebbe  dovuto  bastare  per  sé  solo  a  scuotere  dal  le- 
targo le  borse,  quella  di  Parigi  specialmente,  che  ha  in  esso  tanto  e 
cosi  diretto  interesse. 

La  discussione  delle  convenzioni  ferroviarie  è  avvenuta,  e  queste, 
ancorché  contrastate  nella  Camera  e  fuori  da  opposizioni  di  ogni  ma- 
niera, sono  state  da  essa  approvate.  Come  suole  accadere  d'ordinario,  la 
speculazione  avrebbe  dovuto  a  quest'ora  scontare  una  eventualità  nella 
quale  é  riposta  la  salvezza  delle  pubbliche  finanze  cosi  gravemente 
compromesse,  senza  che  vi  si  possa  dare  in  altro  modo  aiuto  efficace. 
Fenomeno  stranissimo,  e  purtroppo  indizio  evidente  della  condizione 
angustiata  di  quel  mercato,  é  che,  malgrado  ciò,  nitin  moto  di  risve- 
glio negli  affari  si  fece  manifesto  e  che  la  speculazione  rimase  colle 
mani  incrociate,  impassibile  e  inerte  a  qualsisia  eccitamento. 

V'hanno  disgraziatamente  troppe  cose  colà  che  fanno  ostacolo  al 
risorgere  di  essa,  anche  non  tenendo  conto  della  stagione  cosi  impro- 
pria a  qualunque  attività  di  transazioni.  Le  convenzioni  approvate 
daranno  luogo  indubbiamente  ad  emissioni  enormi  di  obbligazioni,  che 
affaticlieranno  il  mercato,  di  già  sotto  il  peso  di  masse  di  rendita,  che 
la  conversione  ha  dislocate,  e  per  le  quali  il  capitale  d'  impiego  pare 
solo  ora  inchinevole  a  raccoglierne  qualche  piccola  parte. 


BOLLETTINO    FLNANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  597 

E  non  mancarono  in  questo  frattempo  altre  cause  di  disgusto  e  di 
apprensioni  per  quella  Borsa,  Si  credeva  che  co'la  convenzione  stabi- 
lita tra  il  governo  inglese  e  il  signor  di  Lesseps,  ogni  screzio  tra  la 
compagnia  del  canale  di  Suez  e  gli  armatori  inglesi  fosse  stato  ri- 
mosso; invece  le  contrarietà  per  parte  del  pubblico  inglese  sorsero  più 
aspre  che  mai,  per  modo  che  il  signor  Gladstone,  veduta  la  mala  pa- 
rata che  gli  si  preparava,  desistette  dal  proposito  dì  presentare  la 
convenzione  al  Parlamento. 

Se  non  che  gli  azionisti  della  Compagnia  non  ne  furono  addolorati, 
giacché  essi,  soltanto  a  malincuore,  avrebbero  accettato  un  patto  che 
dava  all'Inghilterra,  mercè  il  soccorso  finanziario  che  essa  forniva  alla 
nuova  impresa,  un  diritto  di  continuo  e  quasi  preponderante  inter- 
vento. Anche  la  Borsa  di  Parigi,  scossa  a  prima  giunta  da  questa 
mutata  situazione,  vi  trovò  argomento  a  compiacersene.  Cosi  le  azioni 
Suez  ebbero  maggiori  richieste  che  ne  rialzarono  i  corsi.  Le  dichiara» 
zioni  fatte  dal  signor  Gladstone  alla  Camera  dei  Comuni,  nel  ritirare 
il  progetto  della  convenzione  pattuita,  vennero  a  consacrare  di  nuovo 
il  diritto  esclusivo  per  parte  della  Compagnia;  ciò  Talee  a  rassicurare 
il  mercato  francese  che  oramai  le  pretensioni  degli  armatori  si  sareb- 
t>ero  acquetate,  tanto  più  che  il  signor  di  Lesseps,  anche  searaDdo  per 
suo  conto  il  nuovo  canale,  acconsentiva  di  soddisfare  le  loro  esigente, 
lasciando  sussistere  tuttavia  la  clausola  della  conventione  relativa  alla 
diminuzione  proporzionale  e  graduale  delle  tariffe.  Io  qoetto  modo  la 
supremazia  francese  rìprendeva  i  suoi  diritti;  naturalmente  la  Borsa  di 
Parigi  fece  plauso  alla  buona  notizia. 

Peraltro  il  signor  Gladstone,  poiché  fu  sedotto  forse  da  tooceMÌve 
obbiezioni,  foce  sorgere  con  nuove  dichiarasioni  altre  dubbiezze.  Infatti, 
mentr'egli  ripetè,  non  esse  e  contrastabile  il  diritto  eeclosivo  della 
Compagnia  di  esercitare  il  Canale  attuale,  osservò  non  potersi  rite- 
nere provato  che  ad  essa  sola  spettaste  il  diritto  di  ecaTarno  uno 
nuovo,  al  di  fuori  de*  soci  propri  terreni.  Come  si  Tede  la  questione 
rimane  tuttora  insoluta  e  non  si  sa  coma  e  quando  potrà  essere  de> 
cisa,  perehd  l'essere  stata  respinta  ora  a  maggioranza  considerevole  la 
mozione  di  str  Staflurd  Northcute  non  riesce  a  toglierò  la  lacuna  che 
le  reticenze  del  signor  Gladstone  hanno  prodotto.  Le  azioni  del  Canale 
ribsMarono  di  nuovo,  e  il  ribasso  di  atte  determinò  quello  delle  ren* 
dite  e  dei  Tal:)ri 

Il  linguaggio  della  stampa  inglese,  espressione  fedele  dei  sentimenti 

inanti  a  Loadra,  attesta  aireTidenta  che  ninn  aooordo  può  ritenersi 


598  BOLLETTINO    FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA. 

possibile,  dacché  il  fine  a  cui  si  mira  colà  è  quello  di  togliere  alla 
Compagnia  del  Canale  qualunque  preponderanza,  o  piuttosto  di  spode- 
starla affatto.  Gl'inglesi,  anche  facendo  atto  di  riconoscere  la  legitti- 
mità dei  diritti  della  Compagnia,  sapranno  ben  trovare  il  mezzo  di 
rendere  impossibile  o  dificilissima  la  applicazione  di  essi,  spaventando 
i  capitali  sui  quali  il  signor  di  Lesseps  fa  assegnamento  [^ev  iscavare 
il  secondo  canale.  Il  sig.  Waddington,  andato  ambasciatore  a  Londra, 
riuscirà  a  sventare  la  trama  che  si  ordisce  colà  contro  gli  interessi 
francesi  ?  Lo  si  vedrà  tra  poco. 

Le  notizie  che  giungono  dall'Egitto  a  riguardo  del  Cholera  hanno 
contribuito  ad  aumentare  il  generale  malessere. 

Postò  ciò,  non  è  da  maravigliare  che  la  Borsa  di  Parigi  non  sia 
tratta  a  spiegare  negli  affari  un'azione  che  valga  a  dare  un  po'  di  vita 
e  di  movimento  alle  transazioni.  I  corsi  delle  rendite  rimasero  abba- 
stanza fermi;  ed  è  tutto  quello  che  può  essere  augurato  nel  momento. 
Frattanto  pare  a  noi  che  l'astensione  dei  ribassisti,  mentr'essi  potreb- 
bero avvalersi  dell'atonia  del  mercato  per  fare  qualche  tiro  ad  uso  loro, 
sia  qualche  cosa. 

Lo  Stock- Exchange  non  ha  preso  gran  parte  a  queste  inquietudini 
del  mercato  francese,  ma  si  ò  mostrato  alla  sua  volta  'poco  propenso 
agli  affari,  per  quanto  esso,  in  questi  ultimi  giorni  specialmente,  sia 
stato  abbastanza  provveduto  di  numerario. 

All'approssimarsi  della  liquidazione  di  fine  mese,  lo  scoperto  continna 
a  pesare  sui  valori,  allo  scopo  di  indurre  i  compratori  dei  premi  ad 
abbandonarli,  e  di  mantenere  nei  più  la  sfiducia,  onde  i  prezzi  di  com- 
pensazione riescano  a  suo  vantaggio 

Tutte  queste  cause  ora  accennate  furono  d'ostacolo  a  qualunque 
serio  movimento  di  transazioni  nella  Borsa  di  Parigi,  e  lo  furono  anche 
nei  mercati  nostri,  quantunque  nessuna  di  quelle  cause  li   riguardasse. 

La  rendita  italiana  non  ha  più,  da  qualche  tempo  in  qua,  sul  mer- 
cato di  Parigi  quel  favore  che  vi  godette  in  passato,  e  ciò  ha  servito  a 
togliere  dai  nostri  mercati  qualunque  animazione.  Anche  qui,  come  in 
Francia,  si  aspetta  che  le  convenzioni  ferroviarie  facciano  mirabilia, 
perchè  è  invalsa  nei  più  la  credenza  ferma  che  l'approvazione  di  esse 
darà  principio  ad  un'era  nuova  di  attività  e  di  benessere.  Auguriamo  che 
questa  credenza  non  riposi  sopra  speranze  inspirate  più  dall'interesse 
che  dalla  ragione. 

Colla  fine  del  mese  prossimo  verrà  staccato  dal  5  0[0  francese  con- 
vertito, l'ultimo  vaglia  trimestrale  in  ragione  di  5  0[0  all'anno;  potrebbe 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  599 

darsi  che  ciò  producesse  ribasso  sul  titolo.  Se  questo  avvenisse,  torne- 
rebbero in  campo  le  ragioni  che  favorirono  per  lo  passato  la  rendita 
italiana,  quando  essa  servi  di  contropartita  nelle  operazioni  d'arbitrag- 
gio col  titolo  convertito.  Infrattanto  dobbiamo  dire  che  se  la  rendita 
nostra  noe  è  dal  capitale  francese  cosi  ricercata,  com'era  allora,  vien 
tenuta  sempre  nel  dovuto  rispetto,  e  segue  con  vece  pari  la  rendita 
francese. 

In  Italia  i  corsi  del  5  0\)  nostro  variarono  nel  principio  della  quin- 
dicina tra  90,32  e  90,05;  nella  seconda  settimana  scesero  da  89,95 
a  89,90  con  un  ripo*^  da  35  a  40  centesimi  per  fine  agosto. 

I  prestiti  cattolici  seguirono  presso  a  poco  Tandaroento  della  rendita  ; 
perciò  il  Blount,  negoziato  sul  principio  a  91,60,  scese  a  91,30  e  quindi 
a  91,15;  il  RoihschUd  rimase  sempre  fermo  a  94  e  chiuse  a  questo 
prezzo;  i  certificati  del  Tesoro,  emissione  1860-64,  salirono  da  93,70 
«  94,  poi  scesero  a  93.85. 

II  Consolidato  turco  ebbe  sulla  Borsa  di  Napoli  qualche  transaiione 
a  11.50  e  a  11.10. 

Il  mercato  dei  valori  bancari  rìiucì  in  generale  piuttosto  inerte  ; 
per  alcuni  fu  anche  sfavorevole  manifestamente.  Le  asioni  della  Banca 
italiana  ebbero  per  la  prima  volta  la  sfortuna  di  non  dare  on  divi- 
dendo corrispondente  al  desiderio  degli  azionisti,  giacché  esso  venne 
limitato  a  L.  45,  mentre  questi  facevano  assegnamento,  quantunque  con 
poco  fondamento,  sopra  una  somma  maggiore.  Così  accadde  che  i  corsi 
di  questi  titoli  precipitarono  da  2365  a  2145.  Peraltro  la  rìpr  sa  6 
stata  rapida  come  fu  rapido  il  ribasso,  poichò  risalirono  a  2175,,  quindi 
a  2170  ex  coupon-^  oggi  io  chiusura  sono  a  2145. 

La  Banca  Romana  oscillò  a  stento  tra  995  e  1000. 

La  Banca  Oenerale  esordì  al  prezzo  di  531,  ma  non  si  reose  a  lungo 
perehè  declinò  sempre  fino  a  toccare  II  prezzo  di  521.  50.  Negli  ultimi 
giorni  si  riebbe  alquanto  e  risalì  a  535,  60  e  p«-r  ultimo  a  526,  50. 

La  azioni  d 'Ila  Banca  di  Torino,  iMgosiaie  nei  primi  giorni,  a  681 
^bbero  negli  ultimi  poco  danaro  a  623  •  a  622. 

Il  mobiliare  italiano  risentì  viTameote  gli  effetti  dei  ribassi  toooAti 
alle  azioni  della  Banca  italiana  e  scese  da  703  a  765.  Risalì  poi  a  770, 
ma  ricadde  a  775.  La  reazione  è  attribuita  da  alcuni  all'imminente 
liqaidazione,  la  quale  fk  presagire  ohe  dovrà  essere  venduta  una  grossa 
[tartita  di  questi  valori. 

I  titoli  forroviari  ebbero  un  movimento  di  poca  entità  ;  le  solo  a- 
zioni  della  sodata  delle  Meridionali  vennero  trattate  con  qualohe  ani- 


600  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

raazione,  ma  senza  che  esso  potessero  sottrarsi  alla  corrente  sfavore- 
vole dominante.  Le  lasciammo  ben  sostenute  al  prezzo  di  480,  ma  nella 
seconda  metà  del  mese  esse  caddero  a  473.  50;  poi  risalirono  a  476. 
Oggi  chiusero  a  475.  Le  obbligazioni  relative  oscillarono  tra  274  e 
273,  50  ;  i  Boni  rimasero  invariati  a  533, 

Ebbero  prezzi  quasi  sempre  nominali,  le  Palermo-Trapani,  prima 
emissione,  a  287;  quelle  di  seconda,  a  285  ;  le  Centrali  Toscane,  a  455  ; 
le  Pontebbane,  a  440;  le  Meridionali  Austriache,  a  291;  le  Azioni 
Romane,  a  133;  le  Sarde,  serie  A,  272,  75;  quelle  della  Serie  B 
a  269,  75  ;  le  nuove  a  271,  75;  le  sarde  di  preferenza,  a  225. 

Le  cartelle  fondiarie  vennero  segnate  ai  seguenti  corsi  :  Milano 
504;  Napoli  478;  Torino  482,  50;  Palermo  487,  50;  Siena  472;  Bo- 
logna 473;  Roma  433,  50;  Cagliari  422. 

Pei  valori  Romani  questa  seconda  metà  di  mese  non  è  stata  guari 
propizia,  poiché  il  mercato  si  curò  poco  di  essi.  Le  azioni  del  Gas  fu- 
rono lasciate  quasi  sul  nominale  di  1033  ;  le  azioni  dell'acqua  marcia 
da  822  a  823  circa  ;  le  azioni  del  banco  di  Roma,  in  ribasso  da  562  a 
550  ;  le  Condotte  a  473  ;  le  Complementari  a  220. 

I  cambi  non  hanno  presentato  variazioni  rilevanti  ;  essi  rimasero 
ad  un  saggio  favorevole  all'Italia.  Gli  chequcs  su  Francia  variarono 
tra  99,  95  e  99,  90  ;  la  divisa  di  Londra  a  vista  tra  25.  26  e  25.  28. 
L'oro  al  prezzo  nominale. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


bEHERATURA  E  POESIA. 

Storia  universale  della  letteratura.  —  Voi.  I,  Storia  del  teatro  dram- 
matico ;  voi.  II,  Florilegio  drammatieo  ;  rol.  IH,  Storia  della  poena 
lirica;  voi.  IV,  Florilegio  lirico^  per  Amoklo  Db  Oubbbkatm.  —  Ulrico 
Uoepli,  Milano- Napoli-Pisa,  1883. 

Quando  fa  annantiata  daireditore  Hoepli,  nel  marzo  dell'  ottanta- 
due,  una  Storia  Universale  d*ogni  letteratura,  divisa  in  tre  serie,  di 
sci  volumi  ciascuna,  da  pabblicarsi  possibilmente  entro  due  anni,  per 
cura  del  conte  prof.  De  Qnbernatis,  anche  coloro  che  (come  i  lettori 
àeWAntoloffia)  conoscono  a  prova  Tingevo  meravigliosamente  vasto, 
agile  ed  operoso  dell*  illustre  scrittori),  dubitarono  se  sarebbe  stato 
possibile  condurre  a  termine  sì  gigantesca  impresa,  non  ancora  tentata 
in  alcuna  lingua.  Eppure,  or  è  di  poco  trascorso  un  anno  ;  e  già  Tau- 
tor«  ha  rittoriosamente  risposto  coi  fatti  ai  malevoli  e  superato  pur 
anco  Teapettatira  dei  benevoli.  Ci  stanno  dinanzi  i  due  volami  del- 
l'arte drammatica,  e  i  due  della  lirica  (e  il  secondo  è  sempre  suddiviso 
in  due);  quelli  dell'epica  sono  9otto  il  torchio;  e  debbono  inoltre  esser 
composti  anche  i  primi  della  2*  serie  che  tratteranno  della  leggenda 
e  delle  novelline  popolari,  giacché  il  prof.  De  Qul)ernatis  ne  trasse 
argomento  ad  una  feri*  di  applandite  lettore  straordinarie,  noll'Istitato 
degli  studi  superiori  di  Pirente.  Altri,  senta  dubbio,  in  questo  perio* 
dico,  ragionerà  colla  dovuta  larghezza,  di  un'opera  così  nuova  e  ma- 
uMstrale  di  Weltltteratur,  la  quale,  per  la  mole  e  V  importanza,  può 
I  affrontarsi  alla  celebre  Storia  l/m'vertale  del  Cantò,  mentre  poi  la 
vince  di  gran  lunga  par  la  geniale  e  serena  obiettività  dello  spirito 
i  cui  6  ìnfNinaU.  Ma  non  Togliamo  indugiare  a  dare  un  rapido  an- 
nunzio dei  volami  usciti  alla  lo<«. 

Teu  XL,  (torU  11     1  Agma  IU$.  »$ 


602  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

Il  primo  è  una  storia  dfìll'arte  drammatica;  dopo  una  nobilissima 
dedica  al  Principe  di  Napoli  ed  un  succoso  proemio  intorno  all'  ori- 
gine e  all'uflScio  del  dramma,  l'autore  discorre  in  meno  di  600  pagine, 
del  teatro  di  tutti  i  popoli.  La  parte  da  cui  prende  le  mosse  e  che 
svolge  più  largamente  è  quella  del  teatro  indiano  ;  il  quale,  a  suo 
giudizio  sta  da  se,  nò  ebbe  azione  suU'  arte  europea  ;  ma  serba  pure 
una  fisonomia  originale,  che  non  gli  può  esser  negata,  nemmeno  se 
si  creda  aver  esso  desunto  dai  Greci  il  presente  ordinamento  delle 
rappresentazioni  sceniche.  Esposto  il  soggetto  e  la  natura  dei  princi- 
pali capolavori  sanscriti,  e  dato  un  cenno  dei  moderni  spettacoli  hin- 
dustanici  (ad  alcuno  dei  quali  egli  stesso  forni  alimento  col  suo  Savitri), 
il  prof.  De  Gubernatis,  viene  a  parlare,  dietro  la  scorta  di  A.  Chodzko, 
del  teatro  persiano  ;  e  più  rapidamente  dell'  ebraico,  dell'  arabo  e  del 
turco,  per  fermarsi  quindi  maggiormente  sull'  arte  della  Cina  e  del 
Giappone.  Altre  informazioni  sulle  rappresentazioni  dei  Tolteki  del- 
l'America centrale,  degli  Azteki  messicani  e  degl'  Inca  peruviani,  som- 
ministrategli dall'ab.  Brasseur  de  Bourbourg  e  dal  viaggiatore  Markham 
chiudono  la  prima  parte  del  volume.  La  seconda  è  interamente  dedi- 
cata al  teatro  greco  e  latino  ;  e  1'  A.  non  solo  si  giova  de'  migliori  e 
più  moderni  studi,  ma  v'intreccia  osservazioni  originali,  qual  è  il  dubbio 
che  la  Mandragola  del  Machiavelli  sia  imitazione  o  parafrasi  della 
Mandragoregyiata  d' Alessi,  commedia  oggi  perduta  (salvo  alcuni  fram- 
menti) ma  di  cui  il  segretario  fiorentino  può  aver  conosciuto  almeno 
l'argomento,  grazie  a  qualche  amico  umanista.  Il  teatro  sacro  cri- 
stiano è  il  soggetto  della  terza  parte,  dove  l'autore  espone  il  frutto 
delle  belle  ricerche  del  Magnin,  Montmerqué  et  Michel,  D'Ancona, 
Monaci  ecc.;  egli  non  crede  che  le  rappresentazioni  sacre,  presso  di 
noi,  sien  tutte  derivate  dalle  devozioni  e  dalie  laudi,  ma  pensa  che 
possano  essersi  svolte  direttamente  dal  dramma  liturgico,  come  negli 
altri  paesi  europei,  od  anche  essersi  modellate  senz'  altro  sopra  pie 
leggende.  Nella  quarta  parte  (teatro  moderno)  si  dilunga  specialmente 
intorno  al  teatro  italiano  con  molti  giudizi  sugli  antichi  nostri  e  sui 
contemporanei,  non  che  sulle  vicende  e  sulla  teorica  dell'arte,  che  me- 
ritano di  esser  meditati  dai  cultori  della  drammatica.  Notevole  è  pure 
il  capitoletto  del  teatro  greco  moderno,  e  i  due  che  seguono  sullo 
spagnuolo  e  il  portoghese.  Ma  la  tirannia  dello  spazio  obbliga  l'  A.  a 
ristringere  assai  quel  che  spetta  ai  teatri  di  Francia,  d' Inghilterra  e 
di  Germania,  avvertendo  egli  che  già  sono  conosciuti  in  Italia  per 
opera  dei  traduttori.  Gli  ultimi  capitoli,  tutti  piuttosto  brevi,  illustrano 


m 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO.  (303 

i  teatri  ulaiidese,  scandinavo,  russo,  ruteno,  polacco,  bulgaro,  serbo, 
boemo,  rumano,  ungherese.  Di  ciascuno  di  questi  teatri  (eccettuati 
soltanto  l'arabo,  il  giapponese,  il  bulgaro  e  il  rumano)  si  trovano 
esempi,  più  o  meno  lunghi,  nel  Florilegio,  ripartito  in  due  sezioni 
(antica  e  moderna)  che  sono  due  volumi.  Per  questi  saggi  il  prof.  De 
Gubernatis  ha  ricercato  le  migliori  traduzioni  che  ha  potuto  avere  ;  ed 
è  stato  per  lo  più  felice  nella  scelta,  salvochè  non  v'era  ragione  per 
preferire,  la  non  bella  traduzione  di  Plauto  del  Donini,  all'  altra  del 
Rig'-itini  e  del  Gradi,  ottima  pel  primo  e  buona  pel  secondo.  In  oltre 
certi  frammenti  troppo  brevi  non  ci  paro  che  diano  un'  idea  compiuta 
d'uno  scrittore  e  della  sua  maniera  :  avremmo  amato  meglio  l'analisi  d'una 
sola  commedia  o  tragedia,  tramezzata  da  larghe  citazioni,  soprattutto 
quando  il  lavoro  stesso  è  appena  nominato  nel  testo  della  storia.  Ma 
questa  osservazioni  od  altre  che  altri  potrebbe  fare,  nulla  detraggono 
al  valore  della  grande  opera  la  quale  ha  per  fine  di  allargare  il  campo 
delia  coltura  nazionale,  e  di  diffondere  in  ogni  dove  nozioni  di  storia 
letteraria  universale. 

Col  medesimo  concetto  e  col  medesimo  ordine  sono  composti  la 
storia  ed  il  florilegio  della  poesia  lirica,  su  cui  dobbiamo  contentarci 
di  dire  appena  una  parola.  Qui  la  distinzione  fondamentale  ò  tra  la 
poesia  popolare  e  l'individuale  o  letteraria  che  dir  si  voglia.  Dell'  una 
e  dell'altra  1'  A.  espone  la  storia  e  quindi  reca  gli  esempi  nelle  due 
sezioni  del  florilegio.  In  quest'ultimo  i  lirici  moderni  vincono  forse  un 
I'»' troppo  la  mano  agli  antichi;  e  qualche  critico  spigolistro,  il  cui 
gusto  non  s'accordi  con  quello  del  raccoglitore,  troverà  pur  da  ridire 
sia  sugli  eletti  sta  sai  reietti.  Ma  avrA  torto;  poichò  n  '  °  uMudizi, 
il  prof  De  Gul>ernatis  non  é  mai  guidato  da  (Missione  ;  n;  onde 

:>orita  che  sia  rispettata  la  libertà  del  tuo  sentimonto.  E  veramente 
dinanzi  a  si  vasto  ediflzio  6  giusto  di  non  badar  tanto  olle  minuzie,  e 
di  guardare  invece  io  grandi  lince  e  l'effetto  complessivo  dei  mona- 
:i  onto,  la  cai  geniul<>  ispirai^one  torna  a  grande  onore  dei  coraggioso 
architetto. 

8agerlo  di  ana  nuova  ediaione  delle  Satire  di  Peralo,  dichiarate  da 
Amtomio  FkAiruo.  —  Piidora,  tipogr.  del  Suminarìo,  1888,  (pog.  85). 

Il  terzo  gran  satirico  latino,  Aulo  Persio  d  poco  noto  fra  noi«  e 
pur  meritereblio  di  esserlo  molto;  se  non  altro,  per  la  sana  morale, 
predicata  con  zelo  e  con  sincerità,  che  nelle  sue  satiro  ni  ritrova.  Ciò 
!  riva  specialmente   dal   mancare  un  buon  commento  italiano,  che  ne 


604  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

spieghi  le  molte  difficoltà  ed  oscurezze  di  concetto  e  di  frase.  Ora  il 
s  ignor  Antonio  Franco,  che  abbiam  ragione  di  credere  giovanissimo, 
ce  ne  ofi're  un  saggio,  dandoci  copiosamente  annotata  la  satira  2*  a 
Macrino,  Il  suo  modo  di  annotare,  attinto  a'  suoi  vari  studi,  più  che 
fondato  sui  commentatori  precedenti,  e  pieno  d'  un  erudizione  un  po' 
affettata,  ci  ricorda  le  Osservazioni  sopra  Orazio  del  Vannetti.  Si 
vede  per  altro  che  il  sig.  Franco  si  è  giovato  generalmente  parlando, 
dei  libri  recenti,  e  che  non  trascura,  per  quanto  entra  ne' suoi  studi, 
né  la  linguistica,  né  la  scienza  della  mitologia.  Fa  poi  molto  bene  a 
tenere  nel  debito  conto  un'  opera  non  apprezzata  quanto  merita,  spe- 
cialmente da  noi  italiani,  cioè  la  Storia  cC Italia  antica  del  Vannucci, 
che,  ampliata  com'  è  nell'  ultima  edizione,  contiene  tanta  parte  d'ar- 
cheologia romana  ed  italica.  Noi  lodiamo,  nell'insieme,  questo  saggio 
e  il  nobile  scopo  che  l'autore  si  è  proposto  (pag.  Il  in  fine).  L'esor- 
tiamo bensì  a  sfrondare  un  po'  quella  minuta  erudizione,  ad  esser  più 
parco  di  citazioni,  e  insomma  a  disciplinare  e  ordinare  in  modo  più 
chiaro  ed  acconcio  quella  quantità  di  materiali,  che  egli  ha  in  pronto 
per  la  continuazione  del  suo  commento. 

STORIA. 

Roma  nella  memoria  e  nelle  immaginazioni  del  Medio  Evo,  di 
Artdro  Graf.  —  Torino,  Loescher,  1882-83.  —  Due  volumi  (pag  XV, 
460,  599). 

«  Nelle  pagine  che  seguono  io  discorro  delle  leggende  e  delle  imma- 
ginazioni d'ogni  maniera  cui  diedero  argomento  nel  medio  evo  Roma 
antica  e  la  sua  storia  indimenticabile.,..  Le  finzioni  onde  il  medio  evo 
venne  popolando  la  storia  di  Roma  mi  sono  sembrate  non  indegno  ar- 
gomento di  studio,  e  non  immeritevole  dell'altrui  attenzione.  In  esse 
vive  e  si  palesa  lo  spirito  di  quell'età  inquieta  e  fantastica  cui  trava- 
gliarono ideali  eccedenti  fuor  d'ogni  misura  le  condizioni  della  vita  reale; 
ed  io  esponendole,  commentandole,  illustrandole,  non  ho  creduto  far  al- 
tro se  non  aggiungere  alla  storia  di  quell'età  un  capitolo  nuovo....  Chi 
ha  qualche  pratica  di  così  fatti  lavori,  intenderà  di  leggieri  quale  fa- 
tica mi  sia  costata  quest'opera.  Le  mie  ricerche  dovevano  estendersi 
sopra  libri  d'ogni  generazione,  stampati  e  manoscritti,  e  che  in  nessuna 
biblioteca  del  mondo  si  potevano  trovare  insieme  riuniti.  Quindi  la  ne- 
cessità di  ripetuti  viaggi  e  di  più  o  meno  lunghe  dimore,  non  solo  nelle 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  605 

principali  biblioteche  d' Italia,  ma  in  quelle  ancora  della  rimanente 
Europa.  ..  Se  nel  riferire  passi  di  scritture  edite  o  inedite  ho  largheg- 
giato, non  credo  di  dovere  per  ciò  invocar  l'indulgenza  dell'erudito  let- 
tore. In  poesia  e  in  istoria  leggendaria  i  testi  sono  fatti,  e  nulla  v'è 
che  possa  farne  adeguatamente  le  veci....  La  storia  certa  della  citta 
regina,  nel  tempo  antico,  nell'età  presente,  fu  scritta  per  modo  che  poca 
speranza  può  rimanere  ad  altri  di  meglio  :  in  questa  parte  io  nulla  po- 
teva dare  ;  ma  un  libro  delle  sue  leggende  io  tentai  di  comporre,  e  a 
questo  godo  di  potere  scrivere   in    fronte   il   nome  venerato  dì    Roma 

STERNA    » 

Abbiamo  qui  compendiato  la  parte  più  importante  della  prefazione, 
perchè  meglio  non  si  potevano  dichiarare  gì'  intendimenti  dell'autore,  e 
le  cure  da  lui  messe  nel  compilare  quest'opera  laboriosa.  La  quale  non 
attinge  soltanto  a  lavori  sintetici  (come  la  Kaiserchronik  edita  dal 
Massmann)  né  a  monografie  particolari  (come  il  Virgilio  del  Compa- 
retti),  ma  anche  e  principalmente  si  vale  di  fonti  originali,  e  di  docu- 
menti e  croniche  speciali;  onde  non  poche  sono  le  testimonianze  inedite 
0  rare,  portate,  sia  nelle  copiose  note,  sia  nelle  appendici.  L'opera  com- 
prende a  larghi  tratti  tutto  il  vastissimo  argomento,  cominciando  dalle 
leggende  che  si  collegano  colla  cittÀ  statsa,  venendo  poscia  a  quelle 
numerosissime  che  risguardano  gl'imperatori  da  Giulio  Cesare  a  Oiu- 
liano  l'Apostata,  iodi  a  quelle  circa  i  grandi  poeti  e  letterati  più  fa- 
mosi nel  medio  evo,  poi  a  quelle  degli  Dei,  e  terminando  colle  leggende 
di  Roma  Cristiana  e  della  distruzione  della  città  a'  tempi  dell'Anticri- 
sto. Le  quali  ultime  ricevono  compimento  in  una  erudita  appendice  sulla 
leggenda  di  Qog  e  Magog.  Chiunque  abbia  qualche  pratica  di  questa 
ricchissima  storia  leggendaria,  che  si  mostra  di  quando  in  quando  in 
tutti  gli  scrittori  non  par  del  medio  evo,  ma  anche  dei  primi  secoli 
del  Rinascimento,  rimarrà  atterrito  nel  pensare  all'ardua  impresa  as- 
sunta dal  prof.  Oraf,  e  non  farà  colpa  all'antere  di  quel  poco  o  molto 
che  in  tante  varietà  di  fatti  paò  avere  omesso  o  solo  percorso  di  fuga. 
Certo  in  una  seconda  edizione  egli  troverà  ebe  aggiungere  o  rettificare, 
e  lo  mostrano  fin  d'ora  le  aggiunte  e  correzioni  copiose  fatto  al  primo 
volume.  Ma  ciò  non  toglie  menomamente  che  questo  libro  non  sia  una 
ricca  miniera  di  leggende  importantissime  a  conoscersi,  con  riscontri 
svariati,  e  con  erodiiioiM  scelta  ed  opportuna.  Nò  può  farne  a  meno, 
chiunque  voglia  ben  comprendere  gli  autori  del  trecento,  e  Dante  me- 
desimo, il  grande  ammiratore  di  Roma,  le  cui  opinioni  risguardanti  la 
città  eterna  o  gì'  imperatori   hanno  ampia  illustrazione  in  quest'opera, 


eoo  BOLLETTINO   BIBLI03RAPIC0. 

come,  ad  esempio,  l'idea  della  vendetta  di  Cristo  compiuta  da  Tiberio, 
ricordata  più  volte  duU'Alighieri,  e  qui  largamente  illustrata  in  un  ca- 
pitolo a  parte  (voi.  I,  cap.  II)  e  in  un'appendice.  L'uso  di  quest'opera, 
difficile  a  leggersi  tutta  di  seguito,  per  i  tanti  documenti  che  contiene, 
è  agevolata  da  un  indice  alfabetico,  che  però  vorremmo  più  copioso, 
avendovi  cercato  invano  Dante  Alighieri,  Fazio  degli  liberti,  ed  altri 
autori  nostri  che  pure  il  Graf  ricorda  non  di  rado  nel  corso  del  suo 
lavoro. 

PEDAGOGIA. 

Manuale  teorico-pratico  di  Morfologia  greca  ad  uso  dei  ginnasi  com- 
posto dal  Dott.  Grio VANNI  Zenoni.  —  Venezia,  tipografia  Emiliana,  1883, 

Compendio  di  Sintassi  latina  ecc.,  per  cura  del  Dott.  Giovanni  Zenoni 

—  Venezia,  tipografia  Emiliana,  1883. 

Non  è  da  tutti  saper  fare  buoni  libri  scolastici,  perchè  oltre  alla 
molta  scienza,  si  richiede  molta  pratica  dell'  insegnamento.  Ambedue 
queste  doti  si  riuniscono  nell'egregio  Zenoni,  professore  di  lett-^re  greche 
e  latine  nel  R.  Liceo  Foscarini  di  Venezia,  e,  quando  non  lo  mostras- 
sero, altre  sue  pubblicazioni,  basterebbero  quelle  notate  qui  sopra. 

Ognun  sa  come  la  Grammatica  greca  del  Curtius,  per  quanto  ec- 
cellente nei  fondamenti  su  cui  posa,  non  sia  di  gran  lunga  la  più  age- 
vole per  le  scuole,  sì  per  l'ordine  troppo  scientifico,  sì  pel  modo  stesso 
d'esprimersi.  Fra  le  riduzioni  che  della  parte  morfologica  di  essa  si  sono 
fatte  in  Italia  per  comodo  de'  discenti,  non  ne  conosciamo  una  più  sem- 
plice e  chiara  di  questo  Manuale  del  sig,  Zenoni.  Esso  ha  destinato  il 
suo  lavoro  alle  due  classi  superiori  del  Ginnasio,  che  vi  trovano  quanto 
bisogna,  senza  la  necessità  d'altri  libri.  Contiene,  aggruppato  nel  modo 
più  comodo  per  l'insegnamento,  tutto  quanto  si  riferisce  alla  Morfolo- 
gia del  dialetto  attico,  aiutandosi  anche  con  altre  grammatiche  ante- 
riori e  posteriori  al  Curtius,  e  colla  propria  esperienza  ;  e  questo  forma 
la  prima  parte.  La  seconda  metà  del  volume  comprende  esercizi  di 
traduzione  dal  greco  in  italiano,  e  reciprocamente  dall'  italiano  in  greco; 
alcune  favole  Esopiane,  e  pochi  brani  di  storia  ;  infine  due  dizionaretti. 
I  richiami  continui  alla  grammatica  e  le  sobrie  noterelle  sono,  ci  pare, 
molto  a  proposito,  per  tutta  questa  seconda  parte.  In  complesso,  il 
Manuale  ci  pare,  anche  rispetto  alla  nitidezza  della  stampa,  un  bello 
acquisto  pe'  nostri  Ginnasi. 


BOi-LETTRsO   BIBLIOGRAFICO.  607 

Il  Compendio  della  Sintassi  Latina  è  un  estratto  della  parte  teo- 
rica, elle  si  trovava  sparsa  nel  Manuale  Teorico-Pratico  della  Sintassi 
Latina  del  medesimo  autore  ;  aggiuntovi  un  elenco  alfabetico  de'  verbi 
e  delle  costruzioni  più  notevoli,  e  una  serie  graduata  di  esercizi  di 
versione  dall'  italiano.  Così  il  libretto  contiene  in  piccola  mole  le  re- 
gole più  importanti  della  Sintassi  Latina;  e  anche  qui  i  precetti  sono 
acconciamente  aggruppati  insieme  come  nelle  vecchie  grammatiche,  ma 
secondo  la  semplicità  e  il  rigore  delle  nuove.  Nello  scorrer  qua  e  là 
questo  compendio,  abbiam  vedalo  che  a  pag.  53  si  danno  come  facol- 
tativi certi  costrutti  latini,  che  altri  grammatici  danno  come  necessari 
per  chi  voglia  serbare  la  proprietà  della  lingua.  Tale  è,  per  esempio, 
l'uso  del  presente  indicativo  possum,  debeo  ecc.,  per  tradurre  il  nostro 
potrei,  dovrei  ecc.  Veda  l'egregio  autore  se  per  avventura  egli  sia  stato 
troppo  indulgente,  o  forse  poco  esatto  nell'espressione.  Ma  in  generale 
ci  pare  anche  questo  nn  libretto  prezioso,  sia  per  la  facilità,  sia  per  la 
semplicità,  sia  per  Tordine  e  la  chiaresxa. 


RACCONTI. 

In  Provi  noia  di  Mabio  Pbatui.  —  Firente,  Barbera,  1888. 

Sotto  questo  titolo  il  signor  Pratesi  ha  raccolto  alcune  narrazioni, 
che,  diciamolo  sobito,  si  leggono  con  interesse  e  con  diletto. 

Le  dne  prime  intitolate  Tuna  un  ragabondo  e  l'altra  Iniisurtn, 
sono  le  più  lunghe  e  rivestono  proprio  il  carattere  ed  hanno  gli  anda- 
menti della  norella.  L^  altre  narrazioni  che  segnono  e  che  sodo  :  Padre 
Anacleto  da  Caprarola^  Un  ballo  nel  conrento,  Sorema^  Vn  corvo 
tra  I  selvaggi.  Il  tignar  Diego,  il  dottor  FebOy  Dopo  una  lettura  del 
Cantico  dei  cantici,  Da  Fanciulla^  sodo  ioYece  botxetti  più  o  meno 
luDghi,  ai  quali  noD  fanno  certo  difetto  le  grazie  dello  stile  e  della 
lingua,  assai  pura  eome  6  beo  naturale  in  chi  cerne  il  signor  Pratesi 
ha  la  fortuDA  di  essere  daìo  e  di  abitare  ìd  TosesDa. 

La  novella  che  apre  il  libro  e  che  è  intitolata  (Jn  vagabondo,  ci 
narra  i  casi  pietosi  d'un  povero  diavolo  cui  le  circostanze  hanno  ri- 
dotto a  fare  l'accompagnatore  di  un  cieco,  il  colono,  il  servo,  o  che 
Tiene  salvato  da  (kre  il  brigante  dal  sentimento  innato  dell'onestà,  e 
dall'affetto  che  egli  nutre  per  una  bella  e  brava  ragatza  di  lui  com- 
pagna di   servizio  in   una   casa  signorile.    La   novella   ha    dei   punti 


♦  )08  BOLLE«'TINO    BIBLIOGRAFICO. 

commoventi,  è  condotta  con  un  certo  fare  disinvolto,  ed  i  fatti  vi  si  con- 
catenano con  un  certo  nesso;  ma  vi  è  il  difetto  del  soverchio  affastel- 
lamento di  casi,  il  che  dà  talvolta  al  racconto  una  pesantezza  che 
nuoce  assai  all'effetto  dell'insieme.  Migliore,  e  certo  la  più  bella  del 
libro,  è  la  seconda  novella  intitolata  Belisario,  in  cui  si  narra  di  un 
popolano  innamoratosi  d'una  ragazza  civettuola  che  un  bel  giorno  lo 
pianta  in  asso  per  seguire  un  ricco  signore.  Belisario  trova  la  morte 
in  una  rissa,  e  la  di  lui  innamorata  rimane  nel  palazzo  del  signore. 
La  figura  di  Belisario  è  veramente  ben  tratteggiata  come  vi  è  colia 
dal  vero  la  vita  popolana.  Direnando  che  la  novella  è  bellissima  ove 
non  la  guastasse  in  ultimo  un  concetto  statovi  messo  dall'  autore,  non 
perchè  il  concetto  in  sé  non  sia  buono,  ma  perchè  non  iscatta  fuori 
naturale  dalle  viscere  dell'  argomento,  ma  appare  studiato  e  messo  li 
a  bella  posta  non  si  sa  perchè. 

Delle  narrazioni  che  seguono,  di  cui  abbiamo  riscritti  i  titoli,  è 
difficile  rifare  i  soggetti:  non  vi  è  intreccio,  sono  più  che  altro  fan- 
tasie, ma  si  leggono  pressoché  tutte  volentieri.  Citiamo  ad  esempio 
Soverna,  in  cui  si  manifesta  la  facoltà  descrittiva  dell'  autore,  e  le  me- 
morie deir  amico  Tristano,  con  cui  si  chiude  il  volume,  dove  è  pro- 
fuso a  piene  mani  un  sentimento  dolcemente  melanconico  che  fa  pensare. 

In  conclusione  questo  del  Pratesi  è  un  bel  libro,  di  cui  rendono 
gradita  la  lettura  la  vivacità  del  dialogo,  la  lingua  castigata,  e  la  di- 
pintura dal  vero  dei  costumi  del  contado  Toscano. 

Mondo  Sereno  di  Raffaello  Barbieba.  —  Cesena,  Ettore  Gargano  edi- 
tore, 1883. 

Il  signor  Raffaello  Barbiera  ha  raccolto  in  questo  volume  parecchi 
schizzi  letterari  e  biografici,  gran  parte  dei  quali  venne  già  da  lui  pub- 
blicata su  giornali  letterari,  ed  ha  dato  alla  raccolta  il  titolo  di  Mondo 
Sereno,  afiBne  di  mostrare,  come  egli  afferma  nella  prefazione-dedica, 
che  anche  lui  s' apre  talvolta  un  mondo  sereno  nel  quale  la  mente 
riposa  ed  ammira.  L'autore  afferma  pure  che  prima  di  riunire  questi 
suoi  scritti  in  un  volume,  egli  li  rivide  con  diligenza  e  con  coscienza, 
e  ne  rifece  di  pianta  alcuni. 

Questi  articoli  del  signor  Barbiera,  i  quali  s'aggirano  intorno  a 
prosatori  ed  a  poeti  affatto  moderni,  non  hanno  perduto  nulla  ad  essere 
uniti  in  volume.  Se  tutti  i  giudizi  che  dà  il  Barbiera  degli  scrittori 
di  cui  tratta,  non  si  possono  accettare  quale  oro  di  coppella,  egli  è  certo 
però  che  lo  studio  delle  loro  opere,  della  loro  indole  letteraria  è  fatta 


p 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  609 

con  cura,  e  con  conoscenza  di  causa,  e  che  il  giudizio  è  sempre  im- 
prontato ad  una  certa  serenità,  che  non  fa  certo  parere  bugiardo  il 
titolo  del  libra  Qualche  volta  nelle  sue  opinioni  l' autore  colpisce  giusto 
e  sa  abilmente  trovare  la  nota  caratteristica  di  un  libro,  il  concetto 
dominante  d'un' intiera  vita  artistica.  Ci  porterebbe  troppo  in  lungo 
riferire  i  titoli  di  tutti  gli  schizzi  che  compongono  il  presente  volume  ; 
saremo  quindi  paghi  di  citare  quelli  intitolati  Arpe  meridionali,  in 
cui  sono  presentati  alcuni  poeti  del  mezzogiorno  d*  Italia  poco  noti  alle 
restanti  parti  della  penisola  Indicheremo  pure  come  assai  ben  fatto 
lo  schizzo  biografico  intitolato:  Una  vita  di  avventure^  in  cui  sono  de- 
scritte le  fortunose  vicende  di  Temistocle  Solerà,  quegli  che  scrisse 
molti  dei  libretti  delle  opere  del  Verdi,  e  la  cui  vita  sembra  proprio 
nn  romanzo. 

Il  libro  del  Barbiera  a  cui  auguriamo,  perchè  se  lo  merita,  molti 
lettori,  termina  con  uno  studio  su  due  lirici  francesi,  Enrico  Murger 
e  Jules  Breton,  studio  che  ò  fatto  con  acume  e  con  diligenta. 

BELLE  ARTL 

Bernardo  Celentano.  —  Notizie  e  lettere  intime  pabblicate  nel  reotMÌmo 
anniversario  della  sua  morte  dal  fratello  Lutot.  —  Roma,  Tipografia 
Bodoniana,  1883. 

Il  fascicolo  del  15  gennaio  1882  della  iVuoro  ^n/o/o^ia  contiene  ano 
stadio  accurato  del  nostro  collaboratore,  prof.  0.  Molmenti,  suU*  illu- 
stre pitiore  napoletano  morto  immataramente  a  Roma,  or  fa  an  ren- 
tennio.  Il  prof.  Molmenti  fino  da  allora  aveva  avuto  agio  di  esami- 
nare l'epistolario  del  Celentano,  raccolto  od  ordinato  con  amorosa  sol- 
lecitudine dal  fratello  Luigi,  nell'intendimento  di  renderlo  a  sao  tempo 
di  pubblica  ragione  e  di  ionaliare  per  tal  modo  an  imperituro  mona- 
mento  alla  memoria  del  carissimo  Bernardo,  che  insieme  al  Paraffini 
e  al  Frscatsini  —  morti  ancb'eesi  gioTaoiisimi  —  contribuì  sì  effica- 
cemente a  qaella  trasformazione,  cb*  reta  potsibili  gli  ultimi  progretii 
dell'arte  moderna. 

Il  prof  Molmenti  narrò  nel  sao  articolo  come  e  perchò  il  signor 
Luigi  Celentano  li  fosse  indotto  a  raooogliere  le  lettere  del  fratello  e 
no  pubblicò  l'indice  particolareggiato,  diviso  in  nove  serie  nelle  quali 
ooationti  U  storia  delle  varie  vicissitudini  della  vita  artistica  del  pit- 
tore, dal  r>  v'mtrno  1860,  epoca  in  cui  e^li  si  recò  a  Firanza  ad  aliar- 


010  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

pare  i  suoi  orizzonti  in  quella  Atene  rVItalia,  fino  alla  vigilia  della 
morte,  Clii  dunque  volesse  avere  una  esatta  idea  del  valore  e  della  im- 
portanza di  questa  pubblicazione  che  costituisce  un  avvenimento  nella 
bibliografia  artistica  della  quindicina,  non  ha  a  far  altro  che  rileggere 
la  nostra  rivista,  volume  XXXI,  pagine  224  e  seguenti,  ove  del  libro 
ancora  inedito,  è  reso  più  ampio  conto  di  quello  sogliasi  abitualmente 
fare  in  questi  bollettini. 

Se  non  che  fra  l'epistolario  esaminato  mesi  indietro  dal  prof.  Mol- 
menti  e  la  recente  pubblicazione  dell'avvocato  Luigi  Celentano,  v'  ha 
una  differenza  che  merita  esser  notata. 

In  quest'ultimo  il  fratello  superstite  con  una  eloquenza  calda,  pas- 
sionata ha  reso  conto  di  una  quantità  di  fatti  quanto  interessanti  al- 
trettanto istruttivi  per  i  giovani  artisti,  i  quali  potranno  —  consul- 
tandoli —  accertarsi  anche  una  volta  della  verità  dell'assioma:  Ad 
augusta  per  augusta. 

Bisogna  leggere  nelle  lettere  di  Bernardo  le  ansie,  i  dubbi,  le  lotte 
che  lo  travagliano;  bisogna  leggere  nei  commenti  di  Luigi  la  descrizione 
dei  palpiti,  dei  sudori,  degli  studi  che  costò  al  fratello  elevarsi  suUa 
schiera  volgare  dei  coetanei,  svincolarsi  dalle  pastoie  accademiche,  for- 
marsi uno  stile  proprio. 

La  simpatica  figura  deirartista  ci  appare  costantemente  in  guerra 
con  una  serie  di  diflScoltà,  affrontate  con  coraggio,  superate  con  sa- 
viezza, vinte  collo  studio  e  colla  perseveranza.  Persino  la  lettera  che 
il  giorno  precedente  alla  morte  indirizza  a  Luigi,  è  un  insieme  di  dubbi 
e  di  speranze,  di  sconforti  e  di  confidenze  sulla  riuscita  del  suo  qua- 
dro: Tasso  infermo  clt  mente  a  Bisaecio. 

Oh!  quanto  i  cultori  novellini  delle  arti  belle  hanno  da  apprendere 
da  quelle  lettere  piene  di  modeste  espansioni,  nelle  quali  rilevasi  senza 
orgoglio,  senza  convenzioni,  l'anima  nobile  e  candida  del  pittore  na- 
poletano. 

Il  quale  ha  colle  sue  lettere,  scritto  inconsciamente  una  pagina 
interessantissima  di  storia  d'arte,  che  sarà  consultata  con  grande  pro- 
fitto da  chi  dovrà  in  avvenire  discorrere  del  rinnovamento  artistico 
degl'  Italiani  dopo  il  1860. 

La  morte  inattesa  del  Celentano  fu  un  lutto  per  l'arte.  —  Vogliamo 
qui  riprodurre  un  documento  obbliato,  l'annuncio  cioè  con  cui  un  amico  e 
collega  di  Bernardo,  il  eh.  pittore  Guglielmo  Desanctis,  il  giorno  stesso 
della  morte  (28  luglio  1863)  partecipava  l' infausta  nuova  : 

«  Agli  amici  di  Bernardo  Celentano  pittore. 


^"bollettino  bibliografico.  611 

<  Morte  inesorabile  e  crudele  ce  lo  ha  rapito  stamane,  mentre  egli 
attendeva  a  dar  compimento  al  suo  quadro,  il  Tasso  Non  un  segno  di 
malattia,  non  un  lamento  di  dolore,  ha  fatto  presentire  l'acerba  fine  del 
nostro  giovane  amico,  il  quale,  per  contrario,  godeva  florida  salute,  e 
poco  avanti  d'essere  colpito  da  morte,  cantava  come  di  consueto,  lieta- 
mente. Ma  quel  canto  fu  l'ultima  sua  parola;  che  posati  ad  un  tratto 
tavolozza  e  pennelli  e  preso  da  vertigine  e  innanzi  che  tutta  gli  si  fosse 
oflfuscata  la  mente^  voltò  il  suo  lavoro,  geloso  com'egli  era  di  non  mo- 
strare ad  alcuno  le  sue  opere  prima  di  averle  portate  a  termine  :  l'arte 
fu  l'ultimo  suo  pensiero  !  Cadde  quindi  privo  di  sentimenti  e  con  i  segni 
di  congestione  cerebrale. 

€  Sventuratamente  a  nulla  valsero  il  pronto  soccorso  dei  medici  e  le 
cure  degli  amici.  La  vita  che  gli  rimale  per  due  ore  e  mezzo,  non  fu  che 
la  lotta  tra  la  fierezza  del  morbo  e  il  rigoglio  delia  giovinezza  avendo  egli 
appena  compiuto  il  yentesimo  settimo  anno  di  sua  etÀ.  Non  vi  fu  pure 
un  istante  in  che  desse  segno  di  conoscenza;  e  in  questo  la  morte  si 
mostrò  pietosa,  risparmiando  alla  sua  vittima  gli  aitimi  e  tremendi 
strazi  morali.  Ahi  !  che  dolore  sarebbe  stato  pel  povero  Bernardo,  ve- 
dersi in  quell'estremo  momento  circondato  da  solo  genti  a  cui  da  poco 
aveva  aperto  Tanimo  all'amicizia!  Il  padre,  l'adorata  sua  madre,  la 
morella,  i  fratelli,  l'amico  suo  più  intimo,  erano  lontani  da  lui  :  invano, 
Il  vano  avrebbe  cercato  l'ultimo  loro  bacio!  Avrebbe  conosciuto  ezian- 
dio, come  in  un  punto  Ttnira  strappato  al  suoi  geniali  studt  e  alla 
gloria  che  già  osava  sperare,  e  che  non  eU  sarebbe  mancata  intiera, 
purché  avesse  avuto  il  tempo  di  tutto  svelare  se  stesso. 

e  II  nome  di  Bernardo  Celentano,  so  non  era  giunto  ancora  a  ren- 
dersi noto  all'universale,  era  però  onorato  e  caro  tra  gli  artisti  tutti 
d'Italia,  che  appartengono  alla  scuola  della  moderna  pittura  ;  e  i  suoi 
lipinti,  il  Coniiglio  de'  Dieci  e  il  Dante  giovane,  mostrarono  come 
mirasse  a  ricondurre  l'arte  imbattardita  dagli  insegnamenti  delle  acca- 
demie, ad  UDO  studio  coscienzioso  del  vero,  ti  nflla  forma  come  nelle 
espressioni  varie  degli  affetti.  E  in  questo  giunse  a  cogliere  sentimenti 
nuovi  e  felici  ;  onde  potevasi  presagire  di  lui,  c?ie  sarebbe  stato  il  p\ù 
valoroso  campione  a  difenderci  dai  biasimi  ohe  ci  danno  gli  stranieri, 
esser  noi  al  presente^nelt'arte  bastardi  e  convenzionali. 

4  In  verità  egli  è  morto  come  sul  campo  di  battaglia;  nel  suo  sta- 
dio, in  mezzo  ai  suoi  lavori,  agli  attrezzi,  a  dovizia  di  stoffe  e  di  co- 
stumi, che  egli  soleva  di  per  sé  con  grande  cura  adattare  ai  modelli, 
ricorcando  sino  allo  scrupolo  il  carattere  storico  di  ogni  più  piccola  cosa. 


612  HOLLETTINO    BIHIJOGRAFICO. 

Quivi  niente  lo  circondava  che  non  servisse  allo  scopo  dell'arte  sua. 
Era  veramente  un  campo  di  battaglia,  ove  ogni  giorno  si  rinnovi  la 
mischia. 

«  Tutta  quanta  la  sua  giovane  vita  fu  una  continua  ricerca  del  me- 
glio. Assidue  fatiche,  privazioni,  lunghe  solitudini,  lontananze  dalla  pro- 
pria famiglia,  tutto,  tutto  sopportò  per  raggiungere  il  suo  alto  fine. 
Morte,  è  vero,  lo  colse  nel  suo  glorioso  cammino,  ma  non  sì  che  di  lui 
non  rimanga  onorata  ricordanza,  quale  fervido  e  potente  ingegno  ed 
anima  appassionata  all'amore  del  bello  e  del  vero. 

«  Il  compianto  onde  è  stata  accolta  la  notizia  della  sua  miseranda 
fine  è  solenne  testimonianza  della  stima  che  egli  si  aveva  acquistata, 
non  solo  come  artista,  ma  come  cittadino  e  come  uomo  di  un  forte 
sentire  nelle  amicizie,  nelle  quali  se  fu  talvolta  diflScile  fu  però  sempre 
costante, 

€  Preghiamo  pace  per  lui.  » 


NOTIZIE 


Il  Comitato  esecutÌTO  per  l'espoBixione  generale  italiana  di  Torino  ha 
deliberato  di  promuorere  altresì  nna  speciale  esposizione  per  le  scuole  te- 
cniche, indastriali  e  professionali  A  questa  gara  solenne  sono  inritati  a  pren- 
der parte  tatti  gì'  latitati  italiani,  maschili  e  femminili,  che  srarìatissimi  dì 
forma,  e  di  grado  mirano  allo  scopo  di  addestrar  la  giorentù  nelle  discipline 
tecniche  commerciali  e  professionali.  È  intenzione  del  Comitato  di  acoartare 
qaale  ricchezza  abbia  l'Italia  in  questo  ramo  di  cirile  cultura.  Ogni  istituto 
dere  far  conoscere  la  sua  natura,  il  suo  assetto;  se  ha  oompiato  lavori  d'im- 
portanza esporli,  se  ha  insegnanti  riputati  indicarli,  se  nelle  sue  scuole  assi- 
stono giovani  d'ingegno  peregrino  o  di  singolare  periata,  pronunciarne  il  nome. 

—  I  Successori  Le  Mounier  di  Firense  hanno  dato  mano  ad  una  BibUottea 
per  le  giovanette  la  quale  conterrà  lavori  letterari  e  scientifici.  Oli  editori 
dichiarano  che  avranno  a  cuore  che  gli  scrìtti  in  esaa  compresi  conservino 
una  forma  semplice,  modesta  ^  schiettamente  italiana;  e  che  siano  tali, 
sotto  ogni  rispetto,  da  preparare  le  noetre  giovanette  ad  essere  buone 
madri,  buone  cittadine  e  brave  donne  da  casa.  Sappiamo  che  fra  i  primi 
volami  legati  elegantemente,  con  incisioni  ed  al  massimo  boon  presso,  vi 
sono  dei  nuovi  Raocooti  della  aignora  Rosalia  Piatti,  della  sigaora  Ida  Bae- 
dni  ed  altre  egregie  scrittrici  ItalianA. 

—  Il  Comitato  per  il  monomeoto  a  Oio:  Battista  Niocolini  si  adunò  a 
Ptrense  sotto  la  preeidenaa  del  eoa:  Ubaldbo  Peroaai,  il  21  corrente,' dele- 
gando i  aignori  mawheM  Ldgi  e  Giorgio  Nieeolini  perché  in  unione  al 
segretario  signor  DckIì  Albini,  signor  e  ingegnere  Del  Moro  provvedano  al 
eollooamento  del  Monumento  in  Santa  Croce,  il  prossimo  SO  settembre,  von- 
tidnesimo  anniveraario  della  morte  del  soeuno  poeta. 

—  A  Torino  si  é  eoedtnito  nn  Gomitato  promotore  per  l' erosione  di  un 
boato  in  onore  del  compianto  sen.  Ercole  Ricotti 

—  Si  attende  fra  poco  la  relaiione  che  il  Cornane  di  Roma  fari  pah» 
blieare  snlle  recenti  scoperte  di  antiehiti  egisiane  avvenute  presso  la  cbieaa 


614  NOTIZIE. 

di  S.  Mai'ia  sopra  Minerva.  Sappiamo  che  detta  relazione  conterrà  uno  studio 
topografico  del  Comm.  Lanciani  sul  tempio  d'Iside  e  quindi  alcuni  artìcoli 
speciali  di  altri  collaboratori  sopra  l'obelisco,  la  sfinge  ed  i  due  cinocefali, 
e  sarà  corredata  di  tavole  in  fototipia. 

—  Nell'ultimo  fascicolo  del  periodico  romano,  Studi  e  documenti  di  Storia 
e  diritto  si  è  pubblicata  una  dotta  illustrazione  che  il  eh.  Con)m.  Descemet 
ha  fatto  di  alcuni  monumenti  Assiri  conservati  nella  biblioteca  vaticana,  e 
fino  ad  ora  inediti.  Sono  alcuni  marmi  mandati  in  dono  al  papa  Pio  IX  da 
un  ricco  signore  di  Mossul  (presso  l'antica  Niuive)  contenenti  bassirilievi 
di  varie  divinità,  e  di  cerimonie  religiose,  ed  uno  fra  questi  ha  una  spe- 
ciale importanza  perché  rappresenta  l'assedio  di  una  città  fortificata.  Vi 
sono  pure  tre  iscrizioni  cuneiformi. 

—  L'editore  Luigi  Battei  di  Parma  stampa,  tradotti  dall'inglese,  i  due 
lavori,  la  democrazia  e  il  Viaggio  in  Russia  di  Antonio  Gallenga. 

—  La  tipografia  Righi  di  Firenze  pubblica  un  libro  del  Can.  Federigo 
Bargilli  intitolato.  La  Cattedrale  di  Fiesole.  In  questo  lavoro  si  descrivono 
a  lunghi  tratti  le  vicende  artistiche  del  monumento,  eh'  è  dei  più  antichi 
6  conta  non  meno  di  nove  secoli. 

—  Il  signor  G.  C.  Sansoni  ha  pubblicato  le  Lettere  Familiari  di  Niccolò 
Machiavelli  nella  massima  parte  inedite. 

—  La  Ditta  di  G.  Brigola  di  G.  Ottino  e  comp.  pubblica  il  prìm^  vo 
lume  degli  Scritti  editi  ed  inediti  di  Giuseppe  Guerzoni,  raccolti  sotto  il 
titolo  di  Lettere  ed  armi.  Questo  primo  volume  conterrà  i  Discorsi  e  le  Conferenza 


Georges  Duruy  pubblica  presso  l'Hachette  un  volume  assai  lodato,  sotto 
il  titolo  Le  Cardinal  Carlo  Carafa. 

—  Jean  Fleury  ha  raccolto  in  un  volume  edito  dal  Maisonneuve  la 
Littératùre  orale  de  la  basse  Normandie. 

—  Ch.  Alexandre  amico  e  segretario  di  Lamartine  prepara  i  Souvenirs 
de  Lamartine. 

—  Coquelin  (padre)  attende  ad  un  volume  su  Leon  Gambetta. 

—  La  figlia  di  Paul  de  Saint-Victor  pubblica  un'  opera  postuma  del 
padre  su   Victor  Hugo. 

—  Ernesto  Renan  ha  pubblicato  l' Indice  generale  della  sua  Histoire 
des  origine  da  Christianisme,  cou  una  carta  sulla  diflFusione  del  cristiane- 
simo verso  l'anno  180:  è  edito  dal  Calmann  Lévy. 

—  Lucien  Perey  et  Gaston  Maugras  pubblicano  presso  gli  stessi  edi- 
tori un  volume  sopra  Les  dernieres  années  de  Madame  d' Épinoy. 

—  Il  grande  premio  biennale  di  20,000  fr.  dell'  Institut  fu  assegnato 
al  prof.  Paul  Meyer  per  le  sue  diligenti  ricerche  e  pubblicazioni  di  vecchi 
manoscritti. 

—  L'Académie  fran^aise  ha  assegnato   il   primo  premio   Monthyon  di 


NOTIZIE. 


615 


2500  fr.  a  M.  Larroumet,  per  il  suo  lavoro   su   Marivaux  pubblicato  dal- 
l' Hachette. 

—  Tra  i  recenti  romanzi  francesi,  notiamo  Le  supplice  de  Lovelaee  di 
Adolphe  Eicot  (Dentu):  Mademoiselle  de  Poncin  di  Paul  Gaulot  (OUen- 
dorfiF)  :  Le  Bigame  di  Alfred  Sirven  (RouflF  et  C). 


Li' Edimbarffh  Beview  di  luglio  sotto  il  titolo  The  rural  population 
of  Italy  contiene  un  articolo  sull'Inchiesta  Agraria  Italiana  e  specialmente 
sulla  relazione  dell'  on.  Morpurgo.  Deplora  le  tristi  condizioni  dei  conta- 
dini del  Veneto  e  le  imposte  oppressive.  Lo^a  assai  i  lavori  dell'  In'  niesta 
ed  i  materiali  da  essa  accumulati,  pure  osservando  che  devono  ancora 
venir  sistemati  e  sintetizzati. 

—  Dr.  Edward  Miiller  ha  pubblicato  presso  il  Trflbner  un  volume 
illustrato  di  Ancient  Inscriptions^in  Ceylon  raccolte  per  incarico  del  GrO- 
vemo. 

—  Sir  Arthur  Gordon  è  ritornato  da  Fiji  con  molti  materiali  sui  co- 
stumi, le  tradizioni  popolari,  ecc.,  degli  abitanti  di  qacH'  isola.  É  probabile 
li  raccolga  in  un'opera. 

—  La  vita  di  Lutero  di  Julìos  Rdatlin  sarà  tradotta  in  inglese  e  pub- 
blicata dal  Longmans. 

—  C.  I>.  Eastlake  conservatore  della  Gallerìa  Naxlonale  dì  Londra 
pubblica  il  Boo  terso  volume  di  note  artistiche  presso  il  Longroana  Esso 
riguarda  la  pinacoteca  antica  di  Londra. 

—  Trattasi  da  qaalebe  tempo  di  fondare  ad  Atene  una  scuola  inglese. 

—  Gli  editori  Wilson  e  M'  Connick  di  Glascovia  pubblicano  una  nuova 
edizione  delle  Lea/ce»  of  Ortus  del  poeta  amencano  Walt  Whitman. 

—  Presso  Williams  e  Norgate  sta  per  uscire  una  seconda  edisione 
dei^i  Outline»  of  Oerman  LitenUme  di  Gostwìck  «d  Uarrìson. 

—  Il  curioso  libro  Stmfy  «md  StùmUanta  di  Arthur  Beade  é  gìA  alla 
seconda  edizione.  Sarà  pubblicata  dal  Simpkin  di  Londra. 

—  L'Àcademy  dichiara  che  i  Po«m$  ond  Lyric»  of  tkt  Joy  of  Earth 
di  George  Meredith  (Londra:  Macmillan)  sono  il  miglior  libro  di  poesia  ohe 
siasi  pubblicato  in  Inghilterra  in  questi  ultimi  anni. 

—  Guy  ì^  Strange  sta  completando  il  dizionario  della  lingua  persiana 
che  il  prof.  Paloter  lasciò  incompioto  alla  sua  morta.  Sarà  pubblicato  dal 
Triibner. 

—  Ladj  Eastlake  sotto  il  titolo  Ffae  great  painter$  stampa  presso  il 
I»ugmans  un  volume  di  saggi  su  Leonardo,  Michelangeb,  Tisiano,  Raf- 
fiuMf  ed  Alberto  Ddrer. 

—  La  Contemporamy  Beview  del  Luglio  pubblica  un  articolo  su  Lutero 
Kroude, 

—  Tra  i   migliori    romanzi    notiamo   Anne   di    Comtanee   Fanimore 


6ì(ì  NOTIZIE. 

Woolson  edito  da  Sampson  Low.  Il  Longmans  annunzia  due  nuovi  ro 
m  anzi  :  Thicker  than  water  di  James  Payn  e  In  thtt  Carquinez  Wood«  di 
Bret  Harte. 

—  Dicesi  che  John  Russell  Young,  Ministro  d'America  a  Pekino,  pre- 
pari dei  materiali  per  una  Storia  della  China. 

—  A  New   York  fu   fondata   una   Società    Ugonotta   per  raccogliere 
materiali  sulla  storia  e  genealogia  degli  Ugonotti  in  America. 

—  Ij' Atlantic  Monthly    d'Agosto    conterrà  un    racconto  intitolato:  A 
Boman  Singer  del  romanziere  F.  M.  Crawford. 

—  Nei  primi  di  questo  mese  si  aprirà  a  Vienna  l'Esposizione  intema- 
zionale d'Elettricità,  che  a  quanto  se  ne  può  fin  d'ora  sapere,  riuscirà 
splendidissima. 

Si  ha  da  Cracovia  che  colà  è  morto  il  28  corr.  lo  scrittore  polacco  La- 
dislao Anczyc  noto  pe'  suoi  lavori  letterari. 

—  Il  giornale  ufficiale  di  Copenaghen  reca  una  biografia  dello  scultore 
Jerichan,  allievo  di  Torwaldsen.  Era  nato  ad  Assens,  nell'isola  di  Fionia, 
nel  1818,  ed  aveva  65  anni.  Fra  le  migliori  opere  di  lui  si  citano  la  Pene- 
lope, V  Ascensione,  che  ottenne  il  gran  premio  proposto  dal  principe  Alberto 
di  Prussia,  ed  il  gigantesco  gruppo  di  Ercole  ed  Ebe.  Altri  gruppi  suoi  di 
marmo  fierurarono  nelle  Esposizioni  di  Parigi,  di  Vienna,  di  Berlino,  di 
Firenze  e  e. 

—  Mori  a  Dresda,  in  età  di  73  anni,  Giulio  Emilio  Léonard,  noto  com- 
positore di  musica  insegnante  al  Conservatorio. 

—  La  Società  geografica  di  Roma  riceveva  giorni  sono,  la  notizia  della 
morte  del  cav.  Lucioli,  quell'italiano  di  Macerata,  che  visse  trent'anni  in 
mezzo  agli  indiani  dell'America  equatoriale.  Venuto  tempo  fa  in  Italia,  e 
prima  di  partire  dall'Europa,  donava  una  preziosa  collezione  etnografica 
al  museo  preistorico  di  Roma. 

—  É  morto  in  Roma  la  sera  del  31  lus^lio  l' abate  Enrico  Fabiani  in  età 
di  68  anni,  valente  archeologo  ed  orientalista.  Lascia  molti  lavori  sulle 
antichità  assire,  egizie  ecc.,  e  ultimamente  pubblicò  il  famoso  codice  Biblieo- 
Vaticano  con  dotti  commenti. 


Prof.  Fr.  PROTONOTARI,  Direttore. 


Davi»  MABCHioNNTt  Besponeabile. 


EPISODI  STORICI  FIORENTINI  DE  SECOLO  XV 


NARRATI  DA  UN  POPOLANO 


Diffidente,  e  non  del  tutto  a  torto,  l'età  nostra  della  storia 
solenne,  che  sotto  le  pieghe  del  classico  paludamento  bene 
spesso  nasconde  o  dissimula  il  vero,  più  mostrasi  desiderosa  e 
pili  si  appaga  delle  Ricordanze,  dei  Diarj,  delle  Cronache,  che, 
a  frammenti,  ma  con  esatteaza,  ci  fanno  conoscere  i  fatti,  e  ci 
permettono  di  ricostruirli  poi  nella  loro  integrità,  scevri  dalle 
passioni  contemporanee.  Non  già  che  cotali  scritture  non  abbiano 
in  sé  l'impronta  del  vario  sentire  di  chi  le  scrìsse,  e  perciò 
delle  opinioni  e  parti  a  cui  l'autore  fu  addetto,  e  non  sia  perciò 
necessario  l'usarne  con  cautela,  raffrontandone  insieme  più  d'una; 
ma  le  passioni  vi  si  palesano  almeno  senz'artifìcio;  e  se  talora 
fanno  velo  a  chi  detta,  non  sono  volte  ad  ingannare  chi  legge; 
e,  ad  ogni  modo,  oltre  una  quasi  costante  sicurezza  delle  date, 
ci  danno  una  cosi  viva  e  spontanea  impressione  degli  avveni- 
menti, che  ci  par  quasi  di  esser  testimonj  allo  svolgersi  dei 
medesimi,  dappoiché  certi  particolari  che  la  stona  disdegna  e 
trasanda  comunicano  a  documenti  siffatti  calore  ed  eflScacia.  Di 
tal  sorta  ò  il  Diario  fiorentino  di  Luca  Landucci;  *  della  cui 
pubbli <  dobbiamo  oMere  grati  al  signor  Del  Badia,  che 

lo  ha  ;  ,  inamente  illustrato,  contenendo  esso  preziosi  rag- 
guagli della  storia  di  Firenze  dal  1450  al  1516  :  vale  a  dire, 
4t  va  peri  '  MortantiHsimo,  in  che  le  arti  furono  recata  al 
IO  b^..  ..:  :c,  la  cultura  si  svolse  maravigliosamente,  ma 


*  Loca  Lawoooci,  Diario  fiorentiiM  dal  14tiO  al  Ì5t6  eontinuato  da  un 
Ammimo  timo  al  154'J,  pubblicato  soi  codici  della  Comunale  di  Siena  • 
delta  Narocelliana,  eoo  annotasioai  di  Jodoeo  Del  Badia.  —  Fbreose,  Saa- 
•oni,  1888. 

V«u  XL,  Swto  U  —  IS  A«Mt*  IMS.  4S 


618  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

gli  ordini  dello  Stato  si  rimutMrono  di  conlumo,  per  discordie 
interne  ed  impulsi  di  fu'iri,  ed  il  Comune  provò  ogni  maniera 
di  reggimenti,  dalla  dittatura  temperaa  ereditaria  alla  demo- 
crazia mistica  del  Savonarola,  e  da  qufsta  al  gonfalonierato  a 
vita  sull'esempio  veneto,  per  finire  da  ultimo  col  principato 
assoluto. 

Spettatore  e  narratore  di  sì  diverse  vicissitudini  della  patria, 
è  un  uomo  buono  e  alla  buona;  non  veramente  partigiano,  ma 
desidenso  della  gloria,  potenza  e  buono  stato  di  Firenze:  fa- 
cile ad  accomodarsi  ai  tempi,  ma  in  cuor  suo  proclive  alle 
vecchie  forme  della  civile  libertà:  non  di  gran  levatura,  ma 
che  nito  e  cresciuto  in  quel  m'rabde  iìorimento  d'ogni  maniera 
di  civiltà,  che  rese  sì  grande  Firenze  nel  secolo  xv%  mostra 
naturale  acume  e  spontanea  inclinazione  al  buono  e  al  bello. 
Di  professione  fu  speziale:  e  certo  la  bottega  sua  era,  come 
sempre  avvenne,  ritrovo  di  molte  persone,  e  spaccio  non  solo 
di  dioj^he,  ma  di  novelle  d'ogni  paese  e  d'ogni  genere:  e  lo 
stendere  il  suo  Diario  non  gli  dovette  pere  ò  riuscire  molto 
arduo.  Evi  lenteraente  ei  ne  dettò  li  maggi(;r  porzione  via  via 
che  i  fatti  avvenivano  :  se  non  che  poi,  rileggendo,  aggiunse 
qualche  glossema;  e,  ricopiando,  nel  testo  introdusse  le  postille: 
come  a  paff.  88  ove  sembra  certo  che  le  parole  u  in  questo 
temp  )  n  sirno  state  poste  più  tardi,  e  a  pag.  98  ove  si  anti- 
cipino  i  fatti,  scrivendo  «come  si  vedrà  per  l'avvenire;  n  e 
così  iu  qualche  altro  luogo. 

Anshe  r  introduzione,  che  si  riferisce  a'  casi  della  fanciul- 
lezza, fu  probabilmente  composta  quan  lo  le  ricordante  prese 
volta  per  volta  dovettero  dare  al  Landucci  1'  idea  di  compi- 
larne un  Diario.  Ma  nella  maggiore  e  miglior  parte  deUa  sua 
scr"ttura  si  può  dire  che  si  senta  la  nota  giornaliera,  l'impres- 
sione fresca  ed  immediata  degli   eventi. 

L'ani  no  del  L  inducci,  dicevamo,  era  naturalmente  buono 
e  mite.  (Jrli  fu  ferito  sconciamente  il  figlio,  forse  per  scambio: 
ed  egli  all'ignoto  teritore  p.-rdona  u  liberamente,  n  soggiungendo: 
u  E  priego  I  Idio  che  gli  perdoni,  e  per  questo  n'.n  gli  dia 
r  inf  rno.  '  n  Br-ici  itagli  la  casa  colle  masserizie,  e  in  essa  panni 
e  i  libri  del  figlio,  maestro  Antonio  medico,  u  che  valevano  più 
di  25  ducali,  n  ne  fa  mesto  ricordo,  ma,  quasi  correggendosi: 
u  Io  accetto  l'avversità  come  la  prosperità,  e   cosi    dico    gran 

'  Pag.  93. 


M>ISODI   STORICI  FIORENTINI.  619 

mercè  dell'una  come  dell'altra  al  Signore.  *  n  Quanto  a  cose  di 
Stato  e  a  gare  civili,  sopratutto  professava  o  Hare  le  divisioni 
e  parti.  Vedeva  a  pochi  passi  da  Firenze  la  triste  condizione 
a  che,  per  causa  de'  Panciatichi  e  de'  Cancellieri,  era  giunta 
Pistoia,  u  dove  si  faceva  alla  palla  co'  ca:pi  degli  uomini,  *  n 
e  Firenze  esser  impotente  a  frenare  quegli  animi  inrelloniti, 
tanto  che  unico  partito  restasse  lasciirgli  u  rompere  il  c>«po 
da  loro:  n  ch'e'  u  sono  vaghi  di  sangue.  *  n  Vedeva  u  le  povere 
città  di  Romagna  n  che  u  ogni  di  anno  riv(duziuni  e  non  si 
possono  riposare;  *  n  e  aliro  destino  augurava  a  Firenze;  ansi 
una  volta  sperò  che  potesse  fìnalm'^^^nte  posare  in  tranquil.o 
stato  con  bontà  di  costume.  Ma  si  rammaricava  vedendo  che 
tanto  vi  potessero  gli  odj  pirtigiani,  da'  q  lali  eri  lieto  di  sen- 
tirsi esf-nte:  u  Io  sono  sanza  pHssi<me  di  parte  o  di  stati,  e  non 
desidero  se  non  la  volontà  di  Do.  *  n  Spiacevagli  che  dapper- 
tutto si  attendesse  soltanto  u  a  vers^ire  il  sangue  di  Cristo 
contro  a  ogni  carità  di  tante  miserie  di  poveri  popoli  afflitti  e 
dilaniati  della  povera  ludia;  *  n  e  in  ciò,  njn  volendo  credere 
alla  umana  perversità,  vedeva  l'opera  dei  u  nemico  ddl'umana 
natura:  n  specialmente  in  quell'incessante  u  ammazzare,  rubare, 
ardere  le  case,  menar  via  le  vergini  al  postribolo,  tag'iire  le 
vigne,  tagliare  tanti  mirabili  frutti  che  manda  Iddio  all'uomo, 
e  guastar  grani  e  biade.  *  n  Le  miserie  dei  piccoli  pia  occu- 
pavano l'animo  suo  che  non  il  fasto  e  le  venture  dei  gr^in  li| 
e  parlando  dei  fatti  di  Lombardia  dell'Sd,  no  fa  do^cr-zione 
pietosa  e  non  priva  d'efficacia:  u  £  in  questo  tempo  per  paura 
della  fame  e  della  guerra  grande  di  Lombardia  si  partiva  di 
là  molte  famiglie.  Passavano  di  qua  molto  faiuiglin  e  andavano 
in  quel  di  Koma  a  M)  e  100  per  volta,  intanto  che  furono  pa- 
recchi ragliata  ;  e  anche  per  la  Romagna  ne  passava  assai  o 
d'altri  paesi.  Diiiesi  che  furono  più  di  30  mila  pursoae.  Era 
grande  compassione  a  vedere  passare  Unte  p  ivi-rià,  con  uno 
asinuzzo,  colle  loro  miserie  d'un  pajoluszo,  una  padella  e  si- 
milo  povertà,  in  modo  che  facevano  lacrìmaro  chi  gli  vedeva 
scalzi  e  ignudi.  E  questo  coso  fanno  lo  raaladette  guerre!  *  n 
Co'  mali  della  guerra  deplorava  snchu  la  corruzione  degli  or- 
dini militari,  u  L'ordino  dei  nostri  soldati  d'Italia  si  ^  questo: 
tu  attendi  a  rubare  di  costà,  e  noi  faremo   di    quM.  n    Ed    ag- 


•  Psf.  S88.  —  •  psf .  981.  —  «  psg.  288.  -  *  pH  MS.  -  *  psf .  «90. 

--  •  psg.  89U.  —  »  pag.  «i9.  -  •  psg.  46. 


620  EPISODI    STORICI    FIORENTINI. 

giungeva  minaccioso  insieme  e  pauroso  :  «  Bisogna  venga  uno 
di  di  quelli  'Tramontani,  che  v'  insegnino  fare  le  guerre  !  *  r, 
E  gli  oltramontani  vennero  :  vennero  i  u  Franciosi  bestiali  :  *  v 
ì  u  Franciosi  bestiali  e  pazzi  :  '  w  u  uomini  barberi,  che  godono 
imbrodolarsi  del  sangue  umano  ;  *  n  e  insegnarono  la  loro  fe- 
rocia agli  Italiani,  che  prima  usavano  que'  modi  di  guerra  onde 
andò  celebre  la  battaglia  di  Anghiari,  nella  quale,  a  sentire  il 
Machiavelli,  uno  solo  mori  «  non  di  ferite  o  d'altro  virtuoso  colpo, 
ma  caduto  di  cavallo  e  calpesto,  n  Un  primo  saggio  della  nuova 
scuola  potè  il  Landucci  avvisare  nel  fatto  d'arme  di  Ponsacco 
del  1495,  dove  furono  tagliati  a  pezzi  settanta  francesi,  u  E  nostri 
come  uomini  non  'Taliani  ma  barberi,  e  inparato  da  loro,  si  di- 
lettarono d'amazzargli  e  tagliargli  tutti  a  pezzi,  perchè  de'  'Ta- 
liani si  trova  de'  crudeli  e  tristi.  *  n  Non  è  perciò  a  dire  quanto 
godesse  vedendo  instaurata  nel  1505  1'  Ordinanza  del  Machia- 
velli, e  quanto  si  esaltasse  al  mirare  quei  contadini  col  «  far- 
setto bianco,  un  paio  di  calze  alla  divisa,  e  le  scarpette,  e  un 
petto  di  ferro,  e  le  lance,  e  a  chi  scoppietti  n  far  la  lor  mostra 
in  Piazza:  che  u  fu  tenuto  la  più  bella  cosa  che  si  ordinassi 
mai  per  la  città  di  Firenze;  ^  n  e  quanto  si  rammaricasse  poi 
nel  12,  del  non  essersi  adoperate  cotesto  u  diciassette  migliaia 
di  uomini  v   contro  gli  invasori  spagnuoli.  " 

Un'aurea  mediocrità  nella  vita  privata  e  la  pace  civile  con- 
giunta alla  potenza  del  Comune,  erano  ciò  ch'egli  maggiormente 
desiderava  e  lodava.  La  morte  di  Pandolfo  Petrucci  signore  di 
Siena  gli  porge,  tra  l'altre,  occasione  a  rivelarci  intero  l'animo 
suo.  u  Oh  quanto  è  più  senno  a  stare  basso  che  volere  sopra- 
stare agli  altri!  è  manco  pericolo  all'anima  e  al  corpo.  Se  gli 
uomini  grandi  e  ricchi  fussono  savi,  e'  fuggirebbono  il  voler 
dominare  quello  che  à  esser  comune  a  ogniuno,  perchè  si  tiene 
con  troppo  odio,  e  che  si  stessono  con  la  loro  ricchezza,  e 
stare  contenti  al  bene  comune,  e  farsi  grande  nelle  mercanzie 
e  nello  onesto  vivere  da  cristiani,  e  dare  molti  guadagni  ai 
poveri  di  Dio,  e  amare  la  sua  patria  con  retto  cuore.  *  n  La- 
voro, adunque,  padre  dell'agiatezza,  carità  del  prossimo,  devo- 
zione al'a  patria,  formano  tutto  il  catechismo  morale  e  civile 
del  buono  speziale.  Ne  ei  volle  mai  partecipare  allo  Stato  :  salvo 
quando,  ormai  vecchio,  gli  amici  e  padroni  ve    1'  obbligarono  : 

'  Pag.  24.  —  »  pag.  89.  —  '  pag.  213.  —  *  pag.  142.  —  5  pag.  113- 
—  «  pag.  273.  —  '  pag.  323.  —  »  pag.  317. 


EPISODI    STORICI   FIORENTINI.  621 

u  come  volle  alcuni  miei  amici  con  mia  poca  volontà;  ma  per 
fare  a  modo  dei  signori  :  A  laude  di  Dio  !  '  n  Esclamazione  che 
si  direbbe  accompagnata  da  un  profondo  sospiro.  Fino  a  quel 
momento  si  era  contentato  di  badare  al  negozio,  alla  famiglia, 
al  suo  poderetto  di  Mugello  e  alla  Compagnia  degli  speziali, 
della  quale  gloriavasi  di  aver  riordinato  gli  statuti.  Fu  cosi 
uno  di  que'  tanti,  che  anche  in  mezzo  a'  più  fieri  trambusti 
civili,  quietamente  attendono  alle  cose  proprie  :  desiderando  il 
bene  comune,  purché  procurato  dall'altrui  operosità  e  solleci- 
tudine: guardando  gli  eventi  che  occorrono,  sopratutto  nei  loro 
effetti:  e  perciò  attissimi  a  dame  ragguaglio  senza  svisarli  con 
acerbità  di  passioni. 

Fedele  ritratto  di  ciò  che  era  la  parte  di  cittadinanza  in  mezzo 
alla  quale  era  nato  e  viveva,  di  quel  popolo  grasso,  che  colla 
sua  industria  e  il  suo  buon  senso  e  certa  acutezza  d' intelletto 
diede  a  Firenze  ricchezza  e  potenza  e  civiltà,  il  Landucci  non 
sovrastava  punto  a'suoi  pari,  per  certe  che  si  direbbero  angustie 
di  mente  e  di  costume.  Ciò  si  vede,  fra  le  altre,  dal  registrare 
ch'ei  fa,  quasi  fatterelli  del  giornale  maggiore,  ma  non  però  da 
trasandarsi,  tutti  i  prodigj,  o,  come  dicevasi,  segni:  gli  avveni- 
menti cioè  più  strani  che  allora  occorrevano,  e  che  la  voce  pub- 
blica ripeteva,  e  spargevansi  di  bocca  in  bocca.  La  superstiz'one 
e  l'ignoranza,  ma  più  che  altro  la  natura  torbida  e  incerta  dei 
t  iiipi  dava  a  quelli  una  signiBcazione  recondita  e  paurosa.  Ma 
ino  vorrà  gravare  di  credulità  soverchia  il  Landucci,  se  il 
Machiavelli  stesso,  filosofando  sulla  storia  romana  e  contempo* 
ranea,  scriveva:  u  Dond'e'  si  nasca  non  so,  ma  si  vede  per  gli 
antichi  e  per  gli  moderni  csempj,  che  mai  non  venne  alcuno  g^ave 
accidente  in  una  città  o  in  una  provincia,  che  non  sia  stato  da 
indovini  o  da  revelaaioni  o  da  prodigj  o  da  altri  sogni  celesti 
prodetto.  '  n  £  per  provare  la  verità  di  tal  sua  sentenza,  il  So- 
grctario  fiorentino  rammenta  lo  genti  d'arme  veduto  o  aentito 
azzuffarsi  insieme  in  aria  sopra  Arexzo,  poco  innanzi  la  venuta 
di  Carlo  Vili.  Del  che  nulla  dico  il  Nostro;  ma  dtd  1504  rife- 
risce una  cosa,  che  dapprima  gli  pare  u  da  non  la  scrivere:  n 
poi,  perchè  u  si  diceva  OHpressamente  raolti  di,  tanto  o  da  molti  n 
si  risolve  a  dirla  :  e  u  qucst'  è,  che  gli  era  veduto  da  molti  ap- 
parire in  su  nn  prato  presto  a  Bolognia  molta  gionte  d'arme  : 


I'ii«.  884. 

Tìiàrorti,  I .   M . 


622  EPISODI   STORICI  FIORENTINI. 

e  mandindo  raesser  Giovanni  (Bentivogli)  a  sapore  quello  che 
volt!\  ano,  uno  andò  a  loro  e  lasciò  gli  altri.  Fu  veduto,  come 
giunse,  tagliarlo  a  pezzi  :  e  poco  stante,  colui  tornare,  e  dire 
non  avere  veduto  nulla.  E  chi  vedeva,  vedevano  d'  un  bosco 
uscir  piiina  un  trombetto,  e  poi  la  fanteria  e  poi  la  gente  d'arme: 
e  giunti  in  sul  prato  s'azzuffavano  e  morivavi  di  molla  giunte: 
di  poi  tornavano  nel  bosco:  di  poi  uscire  di  quel  bosco  molte 
carrette  e  ricoglievano  e  morti  e  portavan;^^  al  bosco.  Questo 
vedeva  di  molte  giente  discosto  una  occhiata:  e  come  andavano 
presso,  non  vedevano  nulla:  e  quello  fu  veduto  più  volte.  Si 
disse  che  significava  grande  uccisione  di  coltivilo.  *  »  E  noli'  8 
si  dissero  apparsi  fuochi  e  cavalli  e  gente  d'arme  sulla  mon- 
tagna pistoJHse:  ma  questa  volta  il  Nostro  fa  l'incredulo,  dicendo: 
u  Non  ci  dò  fede  a  queste  cose.  '  n  Ricorda  anche  al  luogo  ci- 
tato il  Machiavelli  la  saetta  che  colpì  S.  Maria  del  Fiore  prima 
della  morte  del  Magnifico,  e  di  questo  appunto  ci  informa  il 
Landucci,  notando  che  fu  a'  5  di  aprile  1492,  e  tre  giorni  ap- 
presso morì  Lorenzo  :  u  e  dissesì  che  sentendo  lui  le  nuove  del- 
l'effetto della  saetta,  cosi  ammalato,  dimandò  donde  era  cascata 
e  da  che  lato.  Fugli  risposto,  e  fugli  detto;  e  che  disse:  Orbe, 
ch'io  8»  no  morto,  eh' è  cascata  verso  la  casa  mia  (cioè  verso  i 
Servi).  E  forse  non  ne  fu  nulla,  ma  pure  si  diceva.  *  n  Ed  an- 
che qui  abbiamo  l'uomo,  che  pur  volendo  essere  o  parere  da 
più  del  voliijo,  serba  un  cantuc>5Ìo,  un  recesso  dell'anima  sua 
alle  superstiziose  credenze,  succiate  col  latte.  Senza  che,  d'ogni 
altra  novella  che  si  andasse  divulgando,  di  nascimenti  mostruosi,* 
di  grandi  tempeste,  di  fatti  fuori  dell'ordinario,  prèndeva  nota 
il  buon  Luca,  talvolta  con  pieno  assenso  tal'  altra  mostrando 
animo  forte,  ma  in  fondo  ammettendo  come  il  Machiavelli,  che 
u  si  vede  così  essere  la  verità,  e  che  sempre  dopo  tali  acci- 
denti sopravvengono  cose  istraordinarie  e  nuove  alle  Provin- 
cie.* »  El  ora  è,  come  informavalo  il  compir  suo  Matteo  Pal- 
mieri, un  fanciullo  o  u  mostruo  n  nato  a  Volterra  col  capo  di 
bue  e  i  piedi  di  leone;  '  o  altro  u  mostruo  n  apparso  a  Venezia 
con  un  corno  in  testa  u  ch'era  la  natura  n  e  la  coda  d'animale  : 
e  in  Padova  un  altro  ancora  con  due  mani  e  due  teste:  tutti 
se^ni,  ei  dice,  che  u  significano  grandi  tribulazioni  alle  città  dove 
vengono.  '  n  E  veramente,  dopo  uno  di  tali  mostri  nato   a  Ra- 

*  Pasr.  270.  —  8  pag.  285.  —  3  pag.  64. 

*  Discorni,  I,  56. 

B  Pag.  13.  —  6  pag.  57. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI  623 

venna,  col  solito  corno  in  fronte  e  per  braccia  due  ali  dì  pipistrello, 
e  alla  cintola  due  serpi  e  il  pie  d'aquila,  '  la  città  fu  presa  e 
crudelmente  s  iochef|j:d  ita.  u  Vedi,  grida  il  Lan  lucci  colla  sod- 
disfazione della  credulità  giustitieata,  vedi  se  il  mostro  indovi- 
nava loro  qualche  gran  cosa  !  n  e  così  u  intervenne  anche  a 
Volterra,  che  andò  a  sacco,  e  poco  innanzi  vi  nacque  un  simile 
mostro.  *   n 

Altravolta  è  una  donna,  che  apparisce  a  un  pecoraio   là  Wìì 
Reame,  e  lo  incarica  di  andare   al   Papa  ad  annunziargli   gran 
peste,  e  che  si  facci»  peniti  nza;  *  come  più  tardi  si  mostrò,  chia- 
rendosi per  la  Vergine,  in  Arezzo    ad   una  fanciulla    di  conta- 
dini. *  Altra  coda  udì  ridersene  n   ma  che  pur  ei  dirà  u  poiché 
sì  diceva  da  per  tutto,  n  è  che  a  Milano  nel  95  apparve  il  Duca 
ucciso  nel  76,  e  consegnò  a  un  tale   una  lettera    dicendogli    di 
portarla  al  signor  Ludovico,  e    questi    l'aprì  e  restò    ammirato 
un  pezzo,  poi  disse   al    laesso   che   attendeva   risposta  :  u  EITè 
fatta  !  *  T)  Altra  volta  ancora  sono  pioggie  di  sangue  a  Siena  ;  e 
a   Viterbo  una   donna   che    diceva    esaerci    a    Firenze    il    ver^ 
profeta,  e  u  lo    scrivo    perchè    si    dice    di  queste  pizie;'   n  e 
un  bue  di  rame  dissotterr  to  a  Murano,  con  una  città  in  cj«po 
e  una  banderuola  con  la  croce  nella    znmpa    dritta  e  tre  cam- 
pane a    rovescio,    e   di    dietro    un    calice   coli'  ost-a,    e    non    so 
quante  altre  cose,  ta^te  visibili  n^l  disegno  che  il  Lnnlucci  ebbe 
fra  mano:  ed  era  voce  che  fosse  u  un  segno  n  p(  1  Papa.  Que- 
sto veramente  fa  il  ^Signore:  ma  u  tant'ò  che  il  mondo  è  troppo 
gravido   di  peccnt*.  '  n    Kell'll    due    saette    caduto    sul    palagio 
della  Sisrnoria    davano  da  pensare  al  popolo  :  l'una  che  guastò 
l'arme  de'  gitrli  fu  tenuta  u  tri^tto  sognio  per  il  re  di  Francia,  n 
e  avrebbe  potuto    prendersi   anche   per  ma'augurio  a  Firenze  : 
l'altra  u  ismosse  tre  nicchi  n  e  questo  significava  u  qualche  in- 
comodo   della    Chiesa.  *  n   D- 1  re^to,  come  il   Linducci  osserva 
altrove  giuiliziosaropnte,    racconti  siffatti  hì  moliiplicavaiiO  e  si 
ripetevano  u  perchè  il  mondo  era  •  illevato  a  apcttHre  gran  cose 
da  Dio:  'ne  invero  in  momenti  di   grandi  commozioni,  o  che 
le    precedono,  O' tutti  quati    butano   per  l'aria   qualche    novità, 
gli  uomini,  o  «e  '1  tendano  per  sicuro  gli  tpiriti  furti  e  i  liberi 
pmtsatorif  sono  dispo-iti  a  credere  ogni  cesa,  a  sljrigliar  la  fan- 
tasia e  trovare  soprannaturale  anche  il  naturale.  E  per  intcrrom- 

1  Psff.  814.  —  •  pag  816i  —  »  psg.  190.  —  «  pait.  844.  —  •  psg.  121. 
—  •  pag.  129.  —  »  pag.  216.  —  •  pag.  812.    -  »  pag.  64. 


624  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

pere  queste  memorie  di  età  remota  con  qualche  reminiscenza 
recente  e  personale,  e'  mi  ricorda  ancora  come  là  verso  il  marzo 
del  1849,  quando  già  si  presagiva  imminente  la  rovina  delle 
cose  italiane,  un  giorno  in  Piazza  del  Duomo,  verso  il  canto  di 
via  de' Martelli,  vidi  un  capannello  di  gente  col  viso  in  su.  In 
mezzo  c'era  un  uomo  nò  giovane  né  vecchio,  alto  e  grasso,  con 
abiti  un  po'  logori,  e  che  parlando  con  non  fiorentino  accento, 
asseriva  vedere  una  stella:  ed  era  quasi  il  mezzogiorno.  Quelli 
che  gli  stavano  attorno  dicevano:  veggo;  non  veggo;  c'è;  non 
c'è;  e,  che  cosa  sarà?  Ma,  per  non  parer  minchioni,  i  più  con- 
fessavano di  veder  la  stella  :  quando  tra  il  serio  e  il  burlevole, 
ad  uno  scappò  detto  :  Sarà  la  stella  della  libertà  !  Alla  qual  cosa 
i  più  sembrarono  acquetarsi,  lieti  che  in  cielo  apparisse  ancora 
quella  luce,  che  omai  stava  per  oscurarsi  in  terra  : .  e  il  cerchio 
si  sciolse,  portando  seco  un  confortevole  presagio.  Questo  nel 
49,  al  tempo  del  Guerrazzi:  ma,  tre  o  quattro  secoli  addietro, 
quell'uomo  poteva  passare  per  santo,  e  quella  stella,  che  i  più 
ammettevano  di  scorgere,  per  un  segno  celeste. 

Fuor  d'ogni  dubbio  era  pel  Landucci  che  la  Vergine  Maria 
proteggesse  Firenze,  sebbene  i  fiorentini  ciechi  non  sempre  se 
n'avvedessero.  Nel  96  si  portò  in  città  la  tavola  di  Nostra  Donna 
dell'  Impruneta,  e  intanto  giunse  nuova  della  rotta  di  certe  galee 
nemiche  a  Livorno  u  che  fu  opera  di  Dio  per  la  gran  divozione 
che  fu  di  Nostra  Donna.  Giunse  tal  novella  appunto  quando  fu 
diliberato  di  mandar  per  lei,  che  in  quel  dì  si  mossone  le  navi 
da  Marsiglia,  e  quando  fu  disposta,  giunsero  in  porto  a  Livorno. 
E  fu  tenuto  che  veramente  la  Vergine  Maria  voleva  aiutar  Fi- 
renze, e  che  quello  fussi  un  saggio.  E  videsi  chiaramente  il 
miracolo  espresso  :  n  tanto  più  che,  poco  dopo,  l' Imperatore, 
che  voleva  entrare  in  Pisa  a'  danni  de'  fiorentini,  non  vi  riusci 
e  perse  una  nave,  e  pressoché  la  vita:  sicché  se  n'andò  via: 
a  che  non  manco  fu  questo  miracolo  che  quelli  del  testamento 
vecchio  :  ma  molti  ingrati  fiorentini  non  l'anno  stimato,  ma  ben  è 
vero  che  una  buona  parte  d'uomini  buoni  e  savi,  che  sentono  bene 
delle  grazie  e  meraviglie  di  Dio,  lo  stimano  assai,  e  danno  laide 
a  Dio.  '  V  Altro  gran  miracolo  fece  la  stessa  immagine  nel  99, 
perchè  passando  ella  sotto  un  ulivo,  un  ramicino  se  ne  appiccò 
al  mantello,  né  fu  potuto  spiccare  :  onde  si  concluse  che  fosse  un 
gran  segno,  dappoiché   la   venuta  della  Tavola  in  Firenze  era 

1  Pag.  140. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  625 

perchè  si  ottenesse  vittoria  nell'  imminente  assalto  di  Pisa  :  e 
popolarmente  si  disse  :  a  questo  è  buono  pronostico  ;  ella  porta 
l'ulivo  a  Firenze.  *  :?  Poco  stante  però  si  seppe  che  invece  il 
campo  era  stato  levato,  sicché  ognuno  u  si  meravigliava  n  e 
u  si  dubitò  di  tradimento,  n  Soltanto  nel  1509  si  giunse  al  ter- 
mine della  lunga  guerra,  non  per  assalto  ma  per  accordi  :  e 
intanto  che  i  Signori  erano  a  consiglio  per  trattar  de'  patti,  una 
colomba  entrò  per  la  porta  e  girò  tutta  la  corte  e  intorno  ai 
Dieci,  finche  cadde  a'  piedi  del  Proposto,  che  potè  prenderla, 
ma  non  tenerla,  u.  Fu  giudicato  buon  segno....  benché  molti  dis- 
sono, cose  naturali.  Nondimeno  fu  pure  gran  cosa  ch'andassi  ai 
Dieci  che  facevano  l'accordo,  e,  piìi  forte,  in  mano  del  Propo- 
sto: e  non  è  niuno  che  n'abbi  veduto  andar  più  in  quel  pa- 
lazzo, in  quel  modo.  Gli  uomini  buoni  dissono  ch'era  da  Dio.  *  » 
Ed  altri  avvenimenti  che  parevano  miracolosi  vide  e  notò  il 
Landucci  :  la  figura  di  Nostra  Donna  di  S.  Michele  Bertoldi, 
che  girava  gli  occhi,  certo  per  disapprovare  le  disonestà  che 
si  commettevano  in  una  stufa,  o  bagno,  che  l'era  dirimpetto;  * 
e  uno  Spagnaolo,  che  entrava  in  un  forno  caldo,  e  si  metteva 
moccoli  e  torcie  accese  in  bocca,  e  si  lavava  lo  mani  coirolio 
bollente,  vendendo  frattanto  corle  sue  orazioni  :  e  io  dico,  scrive 
il  diarista,  u  che  fra  tutte  le  cose  che  io  ho  mai  vedute,  non 
ò  veduto  il  maggior  miracolo  che  questo,  se  miracolo  è.  ^  n 
Miracolo  però  non  gli  appariva  il  fatto  che  due  volto  registra,' 
di  uomini  impiccati,  i  quali,  spiccati,  apparvero  tuttora  vivi  : 
uno  de'  quali  poi  mori,  '  l' altro  sopravvisse,  ma  perché  par- 
lava di  far  certe  vendette,  gli  Otto  deliberarono  di  farlo  im- 
pendere di  nuovo,  e  u  così  fu  impiccato  la  seconda  volta,  n 
K  che  a  lui  e  ad  altri  questi  fatti  non  sembrassero  miracolosi, 
può  sembrar  strano,  chi  pensi  che  in  sul  bel  principio  dei  Mira- 
roti  dsUa  Vergine,  libro  divulgatissimo  a  qae'  tempi,  occorre  il 
CASO  di  un  ladro  stato  tre  giorni  impcso  senza  morire,  perchè 
u  sustentato  n  da  Maria  in  persona,  cui  egli,  in  mozzo  ai  suoi  mi- 
sfatti, serbava  particolar  divozione,  più  volte  il  giorno  salutan- 
dola. Il  fatto  di  un  impiccato  vivo  si  riprodusse  anni  fa  in  Torino, 
Hicchè  l'Accademia  di  medicina  fu  chiamata  a  iporimentare  sa 
rane  e  conigli  e  cani  il  miglior  modo  e  più  sicuro  di  evitare 
Mcherzi  di  questa  fatta:  ma,  a  que'  tempi,  un  impiccato  risorto 

'  PHP.  199.  -  •  pag .  994.  -  »  pag.  «79.  -  «  psg.  800  -  »  psg.  » 
e  56. 


626  EPISODI    STORICI    FIORENTINI. 

doveva  ingenerare,  più   che    compassione,  terrore,    se    pur  non 
facesse  pensare  a  prodigio. 

Il   Machiavelli  al  luog.)  già  citato,  oltre  i  àe^m,  ricorda  u  gli 
indovni  e  le  revelazioni  »  accennando  particolarmente  alle  pro- 
fezie d  .1  Savonarola  per  la  venuta  del  re  di  Francia.  Né  il  Mo- 
stro tace  di  ({ueste  cose,  e  vedremo  più  oltre  un  po'  distesamente 
che  cosa  ei  pensasse  dil  frate  da  Ferr  ira.   Frati   ed  eremiti  in 
quel  teiiip  ),  sebbene  non  mancassero  contraddittori  ed  avversarj, 
nelle  moltitudini  a'meno  avevano  credito    ed    autorità,  ed  ogni 
loro  parola  era  ascoltata  e  commentata    Gli  uomini  di  stato  ta- 
lora prendevano  provvedimi-nti  contro  i  predicatori  che   si   im- 
pacciassero di   cose  pubbliche,  e  tal'altra  per  impotenza  lascia- 
vano correre;   tìn^-liè,    come    nccadde    appunto   col   Savonarola, 
non  giungesse  il   momento  opportuno  alla  rivincita;  ma,  fra  la 
plebe,  la  voce  di  un  povero   t'ralicello  trovava  sempre   la  via  del 
cuore  e  della  fantasia.  Ne  abbiamo  più  d'una  prova  nel  Diario. 
A  dì  7  febbra'o  1478,  u  ci  venne  un  certo  romito  a  predicare,  e 
minacciava  di  molti  mali.   Era  stato  in  quello  di  Volterra  a  ser- 
vire uno  spedale  di  lebbrosi.  Era  giovanetto  di  24  anni,  scalzo, 
con  un  saccaccio  in  dosso;  e  diceva  che  gli  era  apparito  S.  Gio- 
vanni e  l'anijìolo  Raffaello.    E  una  mattina  sali  sulla  ringhiera 
de' Sij^nori   per  predicare:    gli    Otto   lo  mandorono  via.    E  cosi 
tutto  '1  giorno   'veniva  tal  cose.  '  n    Poco  appresso,  nell'80,  ca- 
pitò in  CMsa  del  Magnifico  a  Poggio  a  Cajano  a  un  certo  romito: 
e  fam'g'i   lo   pres^no  e  comincio rono  a  dire  che  voleva  amazare 
Lorenzo,  e  mandòrolo  al  Bargiello  e  dettogli  di  molta  fune  :  n 
poi,,  pe'  molti   martorj,  morì,  e  di  tal  cosa  a  non  s'intese  il  vero, 
s'egli  era  peccatore  o  no:  chi  diceva  sì  e  chi  no  *.  n  Anche  dopo 
l'arsione    del  Sivonarola,  i  frati  non  si   stancarono   di  muovere 
il  popolo,  annunziando  flagelli    ed    esortando   a   penitenza.    Nel 
lóUS    «  c'era    molti  predicatori,   che  la  maggior  parte  gridorno 
grande  trit)ulazione,    e    la   novazione    della    Chiesa,   e  molto  si 
parlava    dedo  'inperadore.  '  n    Medesimamente  nel   13   un  fran- 
cescano   predicava    in    S    Croce   u  molte  tribulazioni,    e  tutto  '1 
populo  correva  alle  sue  prediche,  perchè  egli  era  in  fama  e  te- 
nuto   santo,  perchè  era   uno    omuccino   molto   abietto,   con    una 
cappa  sola  corta,  a  mezza  gamba   e  misera.   Chi    lo    vedeva  si 
meravigliava  che  potessi  vivere  per  taH  freddi.*  rt  Dove  è  da  os- 
servare che  nelle  p'ebi,  vuoi  cristiane  vuoi  buddistiche  o  musul- 

1  Pag.  30.  —  »  pag.  36.  —  3  pag.  285.  —  *  pag.  343. 


EPISODI   STORICI  FIORENTINI.  627 

mane,  nell'antichità  o  ne'  tempi  moderni,  sempre  un  u  omuccino 
abietto,  n  che  nulla  possieda  e  nulla  chieda,  né  d'altro  sembri 
curante  che  dell'altrui  bene,  solo  per  la  esteriore  sordidezza, 
senza  si  badi  al  fine  ch'ei  possa  voler  conse^juire,  sarà  o  un 
profeta  o  un  amico  del  popolo,  secondo  i  casi  :  perchè  la  plebe 
d'ogni  tempo  per  credere  ad  un  uomo,  n  n  vuole  ch'ei  la  sol- 
levi a  se,  ma  scenda  a  lei,  ed  anche  più  giù. 

Cuore  ed  intelletto  di  popolo,  e  non  maggiore  altezza  di 
giudizj  e  di  sentimenti,  trovansi  anche  nelle  considerazioni  ond'è 
inframmezzato  e  cosparso  il  racconto  quotidiano  del  nostro  cro- 
nisti :  salvo  che  non  bisogna  mni  dimenticare  che  lo  speziale 
quattrocentista,  discendeva  da  quei  popolani,  che  già  da  oltre 
due  secoli  avevano  strappato  dalle  mani  dei  feudatarj  e  magnati 
ghibellini  le  redini  del  reggimento,  e  gdi  generazione  in  gene- 
razione, se  non  la  dottrina  teorica,  avevano  trasmesso  una  sa- 
gace pratica  del  maneggio  degli  affari,  e  un  equo  e  temperato 
giudizio  delle  faccende  umane.  Ovvj  generalmente  sono  i  giudizj 
del  L  in  lucci  sopra  i  fatti  occorrenti  e  sopra  i  personaggi  po- 
litici :  ma  appunto  perchè  tali,  sembrano  fornirci  argomento  del 
termine  me  Jo,  ove  convenivano  le  sentenze  dell'universale. 
Accogliamo  pertanto  alcune  delle  sue  riflessioni  e  dui  giudizj. 
Notevole  è  il  primo  in  che  ci  imbattiamo,  sul  fatto  del  Lam- 
pugnani  e  dell'OIgiati.'  u  Feciono,  ci  d'ce,  come  Scevola  romano, 
ch'arino  messa  la  vita  per  la  vita.  Molto  tardi  si  truova  simili 
uomini.  E  questo  credo  che  conduchino  e  peccati  per  permis- 
sione divini:'  n  dove,  anche  negli  avvolgimenti  della  sentenza, 
yedesi  quella  confusione  di  sensi  pagani  e  cristiani,  de  può 
pnrer  strana  solo  a  chi  non  pensi  le  condizioni  della  civiltà  in 
quel  tempo,  e  in  generalo  la  natura  italiana,  mezza  antica  e 
mezza  nuova,  m<>zza  romana  e  mezza  evangelica,  e  l'efficncia 
degli  csempj  e  della  cultura  classica,  non  mai  interrotta  in  Ita- 
lia, e  più  che  nella  scuola,  superstite  e  gagliarda  nella  vita  e 
nel  costume.  Coticchè,  quando  ad  esempio,  il  Ho«coli,  condan- 
nato a  morte  per  la  coniriura  del  13  contro  i  Medici,  diceva 
al  suo  confortatore  :  u  C  iVAtcmi  dalla  tosta  Bruto,  acciocché  io 
faccia  questo  paaao  interamente  da  cristiano.  *  n  mostrava  con 
sincerità  di  morente  quel  conflitto  e  disHidio  della  coscienza  o 
dell'educazione,  che  è  continuo  e   profondo  nell'uomo   italiano 

»  P.g  IR. 

■  Area  Stor.,  voi.  I. 


628  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

(lei  risorgimento,  e  che  si  riconferma  nel  testamento  di  quello  che 
può  dirsi  se  non  l'ultimo,  uno  degli  ultimi  fiorentini  di  cotesta 
stampa:  di  Filippo  Strozzi,  chiedente,  prima  d'uccidersi,  a  Dio 
misericordioso  che  all'anima  sua  dia  il  luogo  serbato  a  Catone 
uticense.  Cristiano  invece  del  tutto  è  il  giudizio  che  porta  il 
Nostro  di  due  tirannelli  di  Romagna,  u  Furono  due  uomini  cru- 
deli. Sogliono  capitare  male.  E  piatosi  non  capitòrono  mai  male. 
Così  si  leggio  nella  Santa  Scrittura.  *  v  Ma  sentenza  classica, 
in  doppio  modo  volgarizzata,  perchè  discesa  al  volgo  e  resa 
nel  suo  linguaggio,  direbbesi  quella  che  gli  viene  sotto  la  penna 
parlando  delle  dissensioni  dei  baroni  romani,  u  Per  le  quistioni 
di  questi  grandi  ne  patisce  tutto  el  popolo  :  *  r>  che  è  il  quidquid 
delirant  reges  ecc.  La  morte  dei  potenti  gli  fa  fare  devote  con- 
siderazioni: come  di  Lorenzo  de'  Medici,  che  era  u  secondo  il 
mondo  il  più  glorioso  uomo  e  '1  più  ricco  e  '1  maggiore....  Ogniuno 
lo  predicava  che  governava  l'Italia,  e  veramente  era  una  savia 
testa,  e  ogni  suo  caso  gli  riusciva  a  bene.  E  al  presente  aveva 
condotto  quello  che  per  gran  tempo  ninno  cittadino  l'aveva  sa- 
puto fare  :  avere  condotto  el  suo  figliuolo  al  cardinalato.  E  non 
tanto  à  nobilitato  la  casa  sua,  ma  tutta  la  città.  E  con  tutte 
queste  cose  non  potè  andar  più  là  un'ora,  quando  venne  el  punto. 
E  però:  uomo,  uomo  qual  cosa  abbiano  noi  da  insuperbire  ?  « 
E  seguita  di  quest'andare  un  pezzo,  per  concludere  che  u  Dio 
perdoni  al  sopradetto  morto.  *  n  Né  altrimenti  ei  va  filosofando 
divotamente  e  pedestremente  sulla  morte  del  conte  di  Urbino  e 
di  Roberto  Malatesta,  *  del  duca  di  Calabria,  ^  del  Valentino,  ® 
per  la  decapitazione  di  Bernardo  del  Nero  e  consorti,  ''  per  la 
cacciata  di  Pier  de'  Medici,  "  per  la  rotta  de'  francesi  nel  reame.  * 
per  le  crudeltà  e  saccheggi  degli  spagnuoli  e  dei  francesi,  ** 
pei  rivolgimenti  fiorentini  in  favore  dei  Medici,  "  e.  per  ogni 
altro  fatto  d'importanza:  che  se  è  doloroso,  si  chiude  invaria- 
bilmente con  la  formola:  è  pe'  nostri  peccati}  e 'se  è  dubbio,  con 
un  a  laide  di  Dio  !  Che  se  poi  un  male  prossimo  e  minaccioso 
non  si  verificò,  fu  tutta  bontà  divina:  come  quando  si  dileguò 
la  paura  di  una  discesa  di  Turchi,  che  u  Iddio  non  volle  tanto 
male  alla  povera  Italia.  '^ 

La  semplice  bontà  del  cuor  suo  lo  faceva  detestare  le  guerre 
e  i  loro  effetti,  ma  l'amor  di  patria  gli  faceva  sentire  e  giudi- 

*  Pag.  25.  —  2  pag.  41.  —  3  pag.  65.  —  ■»  pag.  422.  —  5  pag.  70.  — 
fi  pag.  59.  —  7  pag.  157.  —  »  pag.  114.  —  9  pag.  266.  —  io  pag.  317.  — 
"  pag.  329.  —  12  pag  201. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  629 

care  altrimenti  quando  trattavasi  di  imprese  fiorentine.  Curioso 
è  in  proposito  un  episodio  ch'ei  narra  della  guerra  di  Pisa, 
doye  umanità  e  patriottismo  stanno  a  contrasto,  e  che  d'  alti'a 
parte  è  terribile  testimone  dell'odio  feroce  fra  le  due  città. 
Racconta  adunque  il  Landucci  che  nel  1509,  poco  innanzi  la 
capitolazione  per  fame,  venne  al  campo  de'  fiorentini  u  una 
donna  di  Pisa  con  due  suoi  figliuoli,  e  andò  innanzi  al  com- 
missario dicendo  che  si  moriva  di  fame,  e  aveva  lasciata  sua 
madre  in  Pisa  che  stava  male  dalla  fame:  e  'l  commissario 
comandò  che  le  fussi  dato  del  pane  per  sé  e  per  la  mad»  e 
figliuoli  ;  e  tornando  col  pane  in  Pisa  ne  dette  a  sua  madre 
che  stava  già  male,  e  quella  vecchia  vedendo  quel  pane  bianco 
disse:  che  pane  è  questo f  e  la  figliuola  gli  disse  che  1'  aveva 
avuto  di  fuori  da'  fiorentini  :  ond'ella  gridò  e  disse  :  Portatelo 
via  el  pane  de'  maladetti  fiorentini,  voglio  prima  morire  :  e  non 
ne  volle.  Pensa  quanto  odio  portavano  le  povere  persone  a 
questa  città,  trovandosi  a  cosi  dura  sorte  senza  lor  colpa. 
O  quanto  gran  peccato  a  ordinare  le  guerre!  Guai  a  chi  la 
causa!  Iddio  ci  perdoni:  benché  questa  nostra  impresa  ò  presa 
lecitamente:  pensa  che  peccato  fa  chi  la  piglia  inlecitamente !  '  - 
Comoda  distinzione,  che  ogni  violento  usurpatore  dell'altrui  suol 
fare  !  vecchia  parabola  della  festuca  e  della  trave  !  Il  Landucci 
credeva  come  a  vangelo  all'onestà  della  politica  fiorentina,  al 
buon  dritto  del  suo  Comune;  ed  era  anzi  persuaso  che  u  Iddio 
ci  ha  sempre  aiutati,  perchè  le  nostre  guerre  sono  lecite,  ma 
non  cosi  quelle  degli  ambiziosi  ed  invidiosi  vlniziani.  *  n  Da 
buon  fiorentino,  credeva  egli  che  non  solo  la  Vergine,  della 
quale  infine  de'  conti  ogni  città  aveva  una  qualche  immagino 
miracolosa  quanto  quella  dell' Impnineta,  ma  Dio  stesso,  padre 
comune,  avesse  Firenze  in  special  patrocinio,  u  Puro,  notava 
egli  in  un  momento  dubbio,  puro  Iddio  ha  sempre  aiutata 
questa  città!  '  n  Tanto  più,  con  tal  persuasione,  lo  stomacava 
la  politica  vigliacca  de'  suoi  concittadini,  che  troppo  spesto 
compravano  a  danari  la  loro  salvezza  con  scapito  della  ripu- 
tazione. Quando  al  duca  di  Calabria  ncli'HO  si  mandarono  'M) 
mila  fiorini,  gli  parve  atto  di  troppa  arrendevolezza:  <  ogniuno 
che  viene;  a'  danni  nostri,  scriveva,  quand'egli  ha  disfatto  el 
contado  e  rubato,  e  Fiorentini  anno  per  un  savio  uso  di  dare 
danari  per  pagamento  di  quel  danno  ci  anno  fatto.    E    non    ò 


•  Ptg.  292.  —  <  pag.  185.  —  >  pag.  215. 


630  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

solo  una  volta  stato,  ma  sarà  ancora  per  l'avvenire.  Chi  vuole 
danari  dai  fiorontini,  ci  veniva  a  fare  male.  '  n  II  tempo  del 
sacco  aireraiio  d.  Firenze  fu  quello  assai  lungo  della  guerra 
pisana:  quando  e  re  e  imperatore  e  papa  e  veneziani  e  s^a- 
gnuoli  e  condottieri  amici  e  nemi.^i  si  burlavano  dei  fiorent  ni 
e  a  gara  li  mungevano,  pascendoli  a  belle  speranze  e  ricat- 
tandoli con  minaccie:  i  francesi  e  il  re  loro  peggio  degli  alJri, 
sebbene  per  u  amore  n  di  quest'ultimo  e  devozione  alla  sua 
autorità,  i  fiorentini  fossero  divcntat'  u  nimici  di  tutta  Italia.  *  « 
Il  Qfird  naie  di  S.  Malo  venne  per  dar  loro  Pisa,  e  fu  accolto 
a  grand'onore:  ma  se  ne  partì  sen^a  concluder  nula,  portan- 
dosi però  via  22  mila  fiorini.  *  Poi  venne  a  nome  del  re 
uno  che  u  si  chiamava  Lincia  in  pugno  :  n  andò  anch'  egli  a 
Pisa,  fu  preso  da'  pisani  e  poscia  rilasciato;  e  «  a  questo  modo 
eravamo  uccellati,  n  *  Indi,  fu  la  volta  dell'arcivescovo  d'Aix,  che 
prometteva  non  solo  restituzione  del  vecchio,  ma  anche  accre- 
scimenti di  territorio  a  nome  di  Carlo:  u  e  sempre  da  lui  avemo 
queste  buone  pjirole,  ma  non  fatti.  Ci  fu  sempre  molto  ingrato. 
Ma  Firenze  si  lasciò  sempre  uccellare  come  gli  ignoranti,  n  •  E 
veramente  la  doppiezza  francese  passava  il  se^no:  ma  i  fioren- 
tini erano  incrollabili  nella  lor  fede.  Il  castellano  u  francioso  n 
anziché  ad  essi,  consegnava  S  irzana  e  Sarzanello  a'  genovesi: 
e  qui  la  pazienza  scappa  al  diarista:  u  Chi  non  si  sarebbe  ri- 
bellato a'  re  di  Francia  ?  Veramente  si  può  dire  i  fiorentini 
essere  al  re  di  Francia  stati  e  p  ù  fc^bli  e  ubidienti  uomini 
ch'abbia  el  mondo,  e  lui  non  pare  che  l'abbi  mai  conosciuto,  n  * 
Quello  che  i  fi'.rentini  mai  non  conobbero,  neanche  al  tempo 
della  loro  ultima  rovina,  fu  l'ingannatrice  politica  di  Francia: 
neanco  quando  Francesco  I  li  vendè  a  Carlo  V,  e  gli  oratori 
della  repubblica  correv  »no  dietro  al  re  senza  mai  raggiungerlo. 
Solo  dopo  la  caluta,  il  N  ir«li  ebbe  a  dire  che  la  città  fu  mal 
compensata  dell'esser  rimasta  u  ossequiosa  e  ferma  ntll'amicizia 
dei  francesi;  n  ^  e  il  Pitti  neW Apologia  dei  Cappucci:  u  Va  fi- 
dati ora  dei  francesi  !  »  *  P  r  tener  fermo  il  re  di  Francia,  ogni 
industria  provarono  i  fior»  nt  ni;  e  il  Nostro  regisra  che  gli 
mand  rono  anche  due  Lioni  in  gabbia:  u  né  ci  giovò  nulla  con 
lui  :  n  •    ed    egli    intanto    fingeva  di    credere  e  si  lagnava  che 

'  Pag   35.  —  »  pag.  112.  —  3  pag.  102. 
4  Pag    118—5.  pag,   132.  —  6  pag    127. 
'  Slnrin^  v.  h9. 
«  Arch.  Stor.,  II,  parte  2.-9  pag.  130. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  631 

non  fossero  a  sua  amici  :  '  n  e  ne  moveva  rimbrotto  agli  ora- 
tori. Cosi  bene  sapeva  il  Crist  anissimo  recitare  la  commedia! 
Kè  a  meno  vergognose  strette  si  trovò  il  comutie  qunndo  il 
territorio  fu  proditoriamente  invaso  dal  Valentino  nel  i501;  che 
i  governanti  ebber  paura  e  lasciar»  no  disertare  il  contado, 
comprando  vilmente  a  tal  prezzo  l'incolumità  della  cerchia 
cittadina:  u  eh' è  da  ver^^ognarsi,  sclama  iroso  il  Landucci,  di 
essere  fiorentino:  avere  a  far  compromesso  delle  cose  sue  in 
uno  che  non  valeva  tre  quattrini.  *  n  Gli  eccessi  di  quello  sfre- 
nate soldatesche  sdeiijn-vno  il  diarista,  e  molti  dovevano  pen- 
sarla come  lui,  e  è  ne  andava  di  mezzo  la  reputazione  della 
città:  u  ma  a  me  non  è  nuovo  quello  sanno  fare  i  nostri  citta- 
dini... E  questo  s'  è  veduto  p  ù  volte,  potere  vincere  e  avere 
un  grand'onore:  non  aver  viduto.  *  n  Cosi  era  perduto  non  solo 
il  contado,  grande  incremento  di  Firenze  e  pomario  e  granaio 
suo,  ma  anche  l'onore:  e  gli  animi  nella  vdtà  si  riiii|>icciolivano 
tanto,  che,  passata  poi  ih  burrasca,  u  Firenze  era  ripiena  di 
maninconia,  e  pareva  s'affiga-i^i  in  un  bicchiere  d'acqua.  ^  n  e 
che  i  fiorentini  u  avesiiero  le  "budella  in  un  catino.  O^niuno  vi- 
cino sì  rideva  de'  fiorentini,  '  n  prendendo  ardire  ad  inipune- 
_  mente  offenderli. 

^H^P  Ma  l'animo  del  Landucci  sembra  risollevarsi  alla  riforma 
deho  stato  e  alla  elezione  del  gonfaloniire  a  vita  fatta  nel  .502. 
Fu  scelto,  com'  è  noto,  il  Sodtrini  u  uomo  vah-nte  e  buono. 
£  quanto  bene  fu  assunto  a  questa  dignità,  e  quanto  bene  d^iu- 
dicò  il  maggior  consiglio!  Veraniente  fu  da  Dio  tal  opera.  '  n 
Mi  perchè  nella  politica  teorica  e  pratica  del  buon  spazialo, 
Dio  c'entra  sempre,  e'  v'entra  anche  quando  quel!'  uomo  u  va- 
lente e  buono  n  fu  cacciato  di  seggio  e  se  n'andò  u  picitìc»- 
mente  e  d'accordo,  perchè  lui  disse  non  volere  ensen-  di  scMn- 
dolo  al  suo  popolo,  e  ch'era  contento  a  tutto  quello  eh'  rra  la 
volontà  di  Dio...  e  di  poi  te  n'  andò  con  Dio  di  fuori.  *  n  II 
Machiavelli  o  chi  altri  sia  l'autore  del  noto  epigramma,  giudicò 
invece  il  gonfaloniere  per  tal  sua  sciocchosKa  degno  d*  1  u  limbo 
de' bambini;  n  e  forse  non  a  torto:  ch'egli  avrebbe  dovuto  e 
potuto  resistere,  o  cader  meglio. 

Assestate  intanto,  ma  per    troppo  breve  tempo,  le  coso  del 
comune  coli' istituzione    del   gonfalonicrato  a  vita,  il  L  inducci 

•  Fag.  142.  —  *  paK-  '^23.  —  <  pag.  V«/&.  —  4  psg  328.  —  »  psg.  245. 
—  •  pag.  250.  —  '  pag.  825. 


632  EPISODI   STORICI    FIORENTINI. 

riprendeva  animo  anche  contro  i  nemici,  che  sì  a  lungo  avevano 
impunemente  oltraggiato  Firenze.  Nel  1508  i  lucchesi  toccano 
botte:  gli  sta  bene,  avendo  essi  aiutato  i  pisani:  u  e  poveretti 
si  sono  andati  cercando  il  male,  sempre  tenendo  la  parte  pisana 
e  aiutatogli:  dovevano  pensare  che  Marzocco  era  atto  a  far  loro 
male.  '  n  E  /juando  giunse  il  mal  tempo  pe'  veneziani  dopo  la 
lega  di  Cambray,  il  buon  fiorentino  si  frega  le  mani  :  u  O  po- 
veri viniziani  !  che  farete  voi  ?  avete  il  campo  in  quattro  luoghi  ! 
Non  credo  vi  ridiate  più  de'  fiorentini  quando  anno  avuto  le 
loro  tribulazioni,  e  anche  pensate  più  a  sostener  Pisa!  *  n  E 
gode  che  sieno  u  balordi  e  sbigottiti,  vedendosi  aver  contro 
tutte  le  potenze.  '  v  Ad  uscir  del  mal  passo  u  bisognerà  loro 
la  cava  dell'oro...  *  Dovrebbero  ricordarsi  quando  si  ridevano 
de'  fiorentini,  e  quando  vennero  a  campo  insino  a  Bibbiena,  e 
come  tenevano  mano  di  torre  loro  Pisa,  e  sempre  la  tennono 
confortata  che  non  tornasse  sotto  e  fiorentini:  ora  va  per  ad- 
verso  :  chi  la  fa  l'aspetti  !  "  n  Tanto  bene  si  volevano  fra  loro 
gli  stati  e  i  popoli  d' Italia  ! 

Negli  ultimi  anni  della  vita,  il  Lan ducei  che  mai  non  era 
stato  troppo  caldo  nelle  passioni  di  parte,  e  lasciava  far  gli 
altri  e  la  Provvidenza,  disingannato  forse  da  tanti  casi  successi 
sotto  i  suoi  occhi,  mostrasi  ancor  più  tepido,  non  nell'amore  al 
comune,  ma  nella  preferenza  alle  forme  di  governo.  Pendeva 
certamente,  come  dicemmo,  a  parte  popolana:  ma  lo  splendor 
nuovo  che  a  Firenze  veniva  dal  pontificato  di  un  suo  concit- 
tadino, abbagliò  lui  pure  e  lo  accostò  ai  Medici.  Né  certo  ei 
dovette  essere  il  solo  allora  che  modificasse  l'interno  modo  di 
sentire:  e  ciò  ch'ei  nota  di  un  episodio  della  mutazione  del  12 
non  dovè  esser  provato  da  lui  soltanto.  Instaurato  adunque 
il  nuovo  reggimento,  fu  guastata  la  sala  del  Maggior  Consiglio 
e  il  suo  addobbo  di  belle  spalliere,  che  era  u  cosa  di  grande 
riputazione  della  città  avere  si  bella  residenza.  Quando  veniva 
una  ambasci eria  a  visitare  la  Signoria  faceva  stupire  chi  la  ve- 
deva, quando  entravano  in  sì  magna  residenza  e  in  sì  grande 
cospetto  di  Consiglio  di  cittadini,  n  Come  più  tardi  fu  distrutta 
la  campana  di  Palagio,  acciocché,  dice  il  Davanzati  u  non  po- 
tessimo più  sentire  il  dolce  suono  della  libertà,  n  così  adesso 
tutta  la  sala  del  Savonarola  fu  manomessa,  e  fabbricate  invece 
«   camerette    da    soldati,   n    Tuttavia  nota  il  Nostro  che  di  ciò 

1  Pag.  289.  —  «  pag.  291.  —  '  pag.  293.  —  *  pag.  296.  —  5  pag.  343, 


li 


EPISODI    STORICI    FIORENTINI.  633 

u  dolse  a  tutto  Firenze  :  non  la  mutazione  dello  stato,  ma  quella 
bella  opera  di  legniamo  di  tanta  spesa...  Sia  sempre  a  laude  e 
o-loria  di  Dio  ogni  cosa!  '  n  E,  a  laude   di   Dio  diremo  anche 
noi  :  ma  ben  si  scorge  che  gli  uomini  e  i  tempi  in  breve  volger 
di  anni  erano  mutati  non  poco.  Se    fosse    stato    men    vecchio, 
forse  a  questo  punto  il  Landucci,  con  tutta  la  sua  flemma,  non 
avrebbe    risparmiato    uno    de'   soliti  predicozzi.  Ma  s'  egli  era 
vecchio,  Firenze  anch'essa  ormai  era  stanca  di  tante  mutazioni, 
e  il  diarista  pativa  del  mal  comune.  Colui  che  continuò  i  Ricordi 
del  nostro  Luca,  facendo  ad  essi  una  scarsa  appendice  dal  1516 
al  24,  notò  che  nel    32    appunto    si    lasciò  u   la  portatura  dei 
cappucci  n  e  in  scambio  si  portarono  a  berrette  e  cappegli,  n  e 
vennero  in  uso  le  calze  di  più  pezzi    col   ta£fettà,    che  u   fassi 
uscire  per  tutti  i  tagli,  n  quando  prima  erano  di  un  sol  pezzo  ; 
e  che  si  u  mozzarono  e  capegli,  che   prima  ognuno  li  portava 
lunghi  insino  a  le  spalle,  e  non  si  trovava    pur    un    solo   sen- 
z'essi :  n  e  cominciossi  u  a  portare  la  barba,  che  prima  non  si 
trovava  persona  che  portassi  barba,  eccetto  che  due  in  Firenze, 
ci  Corbizo  e  uno  de'  Martegli  :  *  n  curiosi  particolari  di  cangiato 
costume  esteriore,  che  sono  causa  o  effetto,  e  certamente  indizio 
di  modificazione  intema  e  più  profonda.  Così  tutto  venivasi  ri- 
mutando  a  poco  a  poco  in  Firenze,  dagli  animi  alle  fogge.  La 
stanchezza  di  tanti    rivolgimenti    aveva   generato    V  amore  del 
quieto  vivere    e    V  indifferenza    delle    forme  politiche,   e   dalle 
parole  del  Landucci,  quasi  senza  intenzione   sfuggite,  vediamo 
che  sino    dal  12   all'  universale   spiaceva   più   la  distruzione  di 
una  bell'opera  d'arte,  che  non  quella  dogli  ordini  liberi.  E  sono 
fatti  non  rari  nella  vita  de'  popoli,  che  non  impunemente   ven- 
gono tenuti  in  perenni  commozioni  ed  agitazioni  :  sicché  a  ciò 
meglio    dovrebbero    por    mente  i  vagheggiatori    di    riforme  ab 
imi»  fundamentùt  ed  i  mestieranti  di  rivolu£Ìoni  ;  e  Dio,   qui  è 
proprio  il  caso  di  invocarlo,   Dio   preservi    l' Italia    dall'  opera 
demolitrice  dei  meno,  come  dalla  fiacchezza  e  sazietà  dei  più  ! 
La  prima  parte  del  Diario  comprende  invoce  tempi  di  ben 
altra  natura,  agitati  da  passioni  e  ricchi  di  grandi  avvenimenti  : 
e  questi   sono    specialmente  la  venata  di  Carlo  Vili  e  la  pre- 
dicazione del  Savonarola.  Su  l'uno  e  su  l'altro  di  questi  fatti  il 
Landucci  ci  offre  particolari  non  solo  nuovi,  ma  esposti  con  gran- 
d'  efficacia  e  vivezza.  Tocchiamo   perciò   qualche  cosa  di  questi 

'  Pag.  333.  —  »  pag.  371. 

V«i..   XL,  n«rl«  II  —  15  AgwU  UM.  «1 


634  EPISODI    STORICI    FIORENTINI. 

due  importanti  episodj  della  storia  di  Firenze,  valendoci  delle 
parole  stesse  del  nostro  diarista. 

Momento  assai  dubbioso  fu  quello  della  venuta  di  Carlo  Vili; 
che  non  ben  sapevasi  quali  disegni  covasse.  Amico  e  collegato 
dicevasi  a  parole  :  a'  fatti,  sarebbesi  veduto.  La  Signoria  intanto, 
appressandosi  l'esercito,  ordinava  che  u  ogniuno  fussi  ubrigato 
mostrare  la  sua  casa  per  alogiare  e  franciosi  n,  e  comandava  che 
u  non  si  toccassi  ne  cavassi  nulla  di  casa,  n  II  Landucci  è  come 
interprete  del  sentir  comune  osservando  che  il  bando  dava  segno 
di  poca  fiducia:  «  non  piacque  a  molti,  perchè  mostravano  di 
avere  più  pagura  che  non  bisognava:  che  toccava  a  loro  (ai  fran- 
cesi) ad  avere  pagura  se  si  fussi  cominciato,  ancora  che  fussi 
male  per  noi.  '  n  Gli  animi  adunque  erano  disposti  a  ben  acco- 
gliere i  francesi,  ma  non  a  sopportare  angherie,  se  anche  ne 
fossero  doventi  nascere  contrasti,  ne' quali  la  forza  indisciplinata 
delle  turbe  avrebbe  dovuto  cedere  a  quella  ordinata  delle  sol- 
datesche. Vennero  intanto  i  mandatarj  del  Re  a  segnare  col  gesso 
le  case  per  gli  alloggiamenti  :  onde  la  celebre  frase  che  l'Italia 
fu  allora  conquistata  col  gesso  :  frase  che  ricorda  l' altra  men 
nota  di  Simone  del  Pollaiolo  detto  il  Cronaca  in  una  lettera  a 
Lorenzo  di  Filippo  Strozzi  a  proposito  della  seconda  spedizione 
di  Napoli  nel  1501:  u  E  Franciosi  passano  come  donzelle  n.  Cosi 
poca  resistenza  gli  stranieri  trovarono  l'una  volta  e  l'altra!  Poi 
giunse  l'avanguardia;  e  per  la  solita  burban-zja  francese,  e  per- 
chè ad  uso  militare  mangiavano  senza  pagare,  ci  fu  un  po'  di 
disordine,  non  però  grave.  Non  toccarono  tuttavia  le  donne,  * 
e  ciò  piacque  alla  cittadinanza:  ma,  con  tutta  la  spensieratezza 
della  natura  francese,  non  però  mostravano  di  sentirsi  al  tutto 
sicuri,  u  Tutta  la  città  fu  occupata  per  ogni  luogo  :  che  quelle 
(case)  che  non  erano  segnate,  quando  giunsono  le  gente  del- 
l'arme e  la  fanteria,  occuporono  tutti  e  borghi  e  vie  che  trova- 
vano drente,  dicendo  :  Apri  qua  :  e  non  cercavano  s'era  povero 
o  ricco.  Davano  ad  intendere  di  volere  pagare:  pochi  furono 
che  pagassino.  E  se  pure  pagava  qualche  cosa,  pagava  le  corna 
e  mangiavasi  il  bue.  E  fu  anche  maggior  cosa,  che  fussono 
pochi  che  levassino  le  donne  di  casa:  eccetto  che  le  fanciulle, 
che  furono  mandate  a'  munisteri  e  a'  loro  parentadi,  dove  non 
erano  alloggiati.  Ed  invero  furono  molto  onesti,  che  non  fu  solo 
uno  che  parlassi  una  parola  disonesta  a  femina.  Avevano  pure 

'  Pag.  71.  —  •  pag.  226. 


EPISODI    STORICI   FIORENTINI.  635 

in  segreto  una  grande  paura:  tutto  '1  giorno  dimandavano  quanta 
gente  può  fare  Firenze:  e  intesono  come  Firenze,  a  un  suono  di 
campana,  centomila  persone  tra  dentro  e  fuori.  E  '1  vero  era 
questo,  che  gli  erano  venuti  coli' animo  di  mettere  a  sacco  Fi- 
renze :  e  'ì  re  l'aveva  loro  promesso  :  ma  non  vidono  el  giuoco 
pure  intavolato,  non  che  vinto.  E  tutto  fece  el  Signore  onnipo- 
tente. '  n 

Così  vivamente  descrive  il  cronista  la  nuova  condizione  della 
città,  donde  intanto  i  Medici  erano  cacciati  a  furia  di  popolo:  e 
il  Landucci  vide  u  el  povero  cardinale,  giovanetto,  alle  sue  fi- 
nestre colle  mani  giunte,  ginocchioni,  raccomandandosi  a  Dio. 
Quando  lo  vidi,  m'  inteneri'  assai,  e  giudicai  che  fusse  un  buon 
giovane  e  di  buona  ragione.  *  n  Ma  nella  città  sollevata  e  con- 
fusa seguitavano  a  venire  armati:  u  entrava  tanti  franciosi,  svixoH 
e  tanta  ciurma,  in  modo  eh'  era  grande  confusione  e  spavento 
e  sospetto  a  ogni  condizione  di  giente.  Pensi  ogn<uno  che  cosa 
era  avere  quella  ciurma  per  le  case,  e  non  avere  levato  dì  casa 
nulla,  e  trovarsi  colle  donne,  e  avere  a  servigli  di  ciò  eho  bi- 
sognava con  grandissimo  disagio.  '  »  Non  s'intralasciavano  tut- 
tavia grandi  apparati  per  la  prossima  solenne  entrata  del  re: 
u  e  fecesi  spintegli  e  giganti  e  trionfi...  e  el  difìcio  della  Nunziata, 
con  tante  gale  e  armi  di  Francia  per  tutto  Firenze.  *  n  L'en- 
trata che  accadde  il  17  novembre  del  94,  è  cosi  descritta  dal 
Nostro  :  «  Ogniuno  gridava,  piccoli  e  grandi  e  vecchi  e  giovani, 
tutti  d'  un  animo  vero,  senza  adulazione.  E  vedutolo  a  piedi 
parve  al  popolo  un  poco  diminuita  la  fama,  perchò  invero  ora 
molto  pìccolo.  Nondimeno  non  era  niuiio  che  nollo  amassi  di 
buon  cuore  e  da  dovere.  Cosi  fussì  stato  agievolo  a  dagliene  a 
intendere  ch'ogniuno  ha  el  corpo  pieno  di  gigli,  o  che  ogniuno 
gli  va  in  verità:  in  tanto  che  dovrebbe  amaro  noi  singuUr 
mento  e  fidarsi  di  noi  d'ogni  e  qualuncho  cosa.  E  questa  ò  cosa 
vera,  e  vedrallo  per  l'avvenire  la  gran  fedo  de'fioruntiui.  *  n  La 
picciolezza  del  re  colpi  ognuno:  chìj  anche  allora,  e  più  che 
mai,  il  popolo  si  figurava  un  gran  signoro  come  un  uomo  grande» 
come  quella  donna  lombarda  del  Bonii 

|.  Che  credeva  che  '1  papa  non  fuss'aomo 

Ir  Ma  un  drago,  una  montaf^a,  una  lombarda, 

h  £  vedendolo  anriare  a  reapro  in  Duomo 

Si  fece  croce  per  la  maraviglia. 

'  Pag  72.  —  «  pag.  76.  -  »  pag.  79.  -  «  pag.  79.  —  »  psg.  80. 


i 


636  EPISODI    STORICI    FIORENTINI. 

Altrettanto  si  maravigliò    il    popolo  di    Firenze,    quando  vide 
dappresso  il  gran  re  di  Francia.  Anche  il  curiosissimo  raggua- 
glio che  ci  dà  il  veneziano  Marin  Sanudo    di    quest'entrata  di 
Carlo    in  Firenze  si  ferma  a  notare  la  piccola  persona   di    lui. 
u  Venne,  ei  scrive,  in  su  uno  bello  cavallo,  et  havea  indosso  una 
gabanella  de  broccato  d'oro  tirato,  et  di  sopra  una  sbernia   di 
raxo  azurro,  et  un  cappellazzo  bianco  sottile  in  capo,  che  non 
parca  fusse  niente  su  quello  cavallo  se  non  uno  capo,  per  la  gran- 
dezza del  cappellazzo;  uno  homicino  aliegro  in  viso  con  uno  gran- 
dissimo naso  et  il  viso  longo.  n  Fatta  l'onoranza  al  potente  colle- 
gato, i  Fiorentini,  sebbene  avessero  i  gigli  in  corpo  —  frase  che 
fa  venire  a  mente  la  risposta  di  un  granduca  mediceo  ad  un  am- 
basciator  francese,  e  che  honestatis  caussa  basta  ricordare,  e  non 
dirla  —  si  posero  in  guardia,  diffidenti  com'erano  su  due  punti: 
che  la  città  fosse  destinata  al  sacco,  e  che  il  re  volesse  rimetter 
Piero.  Bisognava  dunque  vigilare  alla  salvezza  della  città  e  a 
quella  della  libertà.  Si  adunò  consiglio,  e  fu  deliberato  di  non  do- 
versi lasciar  soverchiare:  e  a  chiunque  mostrasse  volere  usare  pre- 
potenza, si  rispondesse  :  «  Se  il  re  à  20  m.  persone,  noi  n'aremo 
50  m.  de'  nostri  proprj  drente  :  *  n  preludio  o  variante  del  fa- 
moso detto  di  Pier  Capponi.  Il  sospetto  però    era   da  ambe  le 
parti,  e  i  francesi  erano  capitati  in  mal  punto,  dacché  gli  animi 
erano  tuttavia  sollevati,  e  gagliarde  le  forze  ;  e  la  prima,  la  cac- 
ciata de'  Medici,  era  andata  bene.  «  Si  stava  in  grande  timore, 
scrive  il  diarista,  e  quasi  ismariti  :  e  massime  di  avere  le  case 
piene   di   franciosi.  *  La  giente  del   re   s' insignoriva   più  della 
città,  non  lasciavano  arme  a'  cittadini  di  di  ne  di  notte,  che  le 
toglievano,  e  davano  bastonate  e   coltellate;  e   niuno  non  par- 
lava  nò   andava   fuori  da  l'ave  maria  in  là  ;  e  spogliavano    la 
notte,  e  le  lor  guardie   andavano   tutta    la   notte    per   la   città. 
Ogniuno  era  avilito  e  con  grande  timore.  Come  vedevano  uno 
che  portassi  sassi,  o  chi  portava   ghiaia,  facevano  pazie,  e  da- 
vano. '  n    La  domenica  Carlo  non  entrò  in  chiesa,  quantunque 
vi  si  desse  ad  onor  suo  una  sacra   rappresentazione:   u  giunto 
alla  porta,  non  vi  volle  entrare....  Molti  dissono    ch'egli  aveva 
paura  e  non  si  voleva  rinchiudere,  e  questo  ci  mostrava  ch'egli 
aveva  pili  paura  di  noi:   e   guai   a   lui,  Se  cominciava,  benché 
vi  fussi  anche  el  nostro  gran  pericolo.  ^  n  II  dì  appresso,  il  24, 
i  sospetti  si  aggravarono  ancora:  u  ogniuno  attese  questa  mat- 


»  Pag.  82.  —  «  pag.  82.  —  »  pag.  83.  —  *  pag.  84. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 


63*; 


li 


tina  a  riempiere  le  case  di  pane  e  d'arme  e  di  sassi  e  afforzarsi 
in  casa  quanto  era  possibile,  con  propositi  e  animi  ognuno  vo- 
lere morire  co  l'arme  in  mano,  e  ammazzare  ognuno,  se  bi- 
sognassi, al  modo  del  vespro  ciciliane.  '  n 

Fermiamoci  un  momento  a  questa  locuzione,  che  ha  dato 
occasione  a  curiose  ricerche  di  Michele  Amari.  Il  quale  in  una 
conferenza  tenuta  a  Palermo  il  31  marzo  1882,  indagò  la  Ori- 
gine della  denominazione  Vespro  Siciliano.  *  Potè  egli  avverare 
che  il  nome  comunemente  dato  alla  sommossa  del  1282  non  si 
trova  in  nessun  autore  contemporaneo  al  fatto,  né  in  quelli  che 
ne  trattarono  nel  secolo  seguente,  come  neppure  nei  compila- 
tori di  storie  della  prima  metà  del  400.  Nella  seconda  metà  in- 
vece, tre  scrittori  fanno  se  non  altro  accadere  la  strage  a  suono 
di  campane  :  un  quarto  poi  scrive  espressamente,  che  i  fran- 
cesi furono  uccisi  al  primo  squillo  di  vespro,  a  e  di  qui  nacque 
il  proverbio  di  Vespro  Siciliano,  che  ancora  si  usa.  ^  E  questi 
Pandolfo  Collenuccio,  che  morì  strangolato  nel  1504.  Di  poi  la 
locuzione  entra  nella  storia  e  nella  lingua,  i  dizionarj  della 
quale  la  registrano  in  due  significati  :  di  strage  premeditata, 
'om'è  nel  Davanzali,  e  di  strage  improvi'isa,  com'è  nel  Lasca  e  in 
litri.  Mostra  acutamente  l'ÀmaH  ch'essa  non  potè  nascer  nell'isola 
-  perchè  quell'aggiunta  di  Siciliano  non  sarebbe  mai  stata  fatta 
da  siciliani  a'  quali  bastava  dire  il  Vespro  ;  n  e  conclude  che 
u  la  verosimiglianza  ci  porta  a  supporre  nato  l'adagio  nel  grande 

ccitamento  dell'opinione  pubblica,  che  si  destò  alla  passata  di 
'  arlo  Vili.  Fu  allora  che    Pier  Capponi    pronunsiò   di   faccia 

I  conquistatore  il  famoso  detto  :  Suonate  le  vostre  trombe  e 
noi  suoneremo  le  nostre  campane.  Chi  sa  se  allora  si  pensò  alla 
campana  del  Vespro  di  Palermo,  che  faoea  si  bene  al  caso,  e  si 
'  oniò  il  proverbio  ?  71  Questa  congettura  doll'illustre  storico  ha 
nuovo  rincalzo  dal  passo  del  Landucci,  il  quale,  vivendo  fra  il 
popolo,  nulla  seppe  del  detto  del  Capponi  e  non  lo  registra: 
ma  riferisce  invece  i  minacciosi  discorsi  del  popolo  nella  forma 
stessa  in  che  allora  suonavano.  La  frase  proverbialo  non  è  an- 
cora ferma  e  compiuta,  e  tien  tuttavia  forma  di  paragone  :  al 
modo  del  Vespro  cicìliano;  ma  ormai  nella  venuta  di  questi 
francesi  la  fantasia  popolare  si  è  ricordata  che  altra  volta  Pa- 
lermo si  levò  a  gridar  mora  mora  contro  altri  francesi  nell'ora 

I  '  Pf.  ». 

r  *  Palermo,  Tip.  dello  Ststuto. 


638  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

di  un  vespro  famoso,  e  la  reminiscenza  dà  vita  ad  un  modo  pro- 
verbiale e  insieme  ad  una  designazione  storica,  che  ormai  non 
morrà  più.  Ed  or.a  torniamo  in  carreggiata. 

I  sospetti  andavano  sempre  più  crescendo  da  una  parte  e 
dall'  altra.  La  porta  di  S.  Friano  era  stata  occupata  dai  fran- 
cesi u.  per  potersene  andare  a  lor  posta;  '  n  ma  il  timore  da 
essi  concepito  fu  u  permissione  divina  n  e  u  causa  che  muta- 
rono l'animo  loro  cattivo  inverso  di  noi,  che  l'avevamo  buono. 
Ognuno  può  vedere  che  Iddio  non  abbandonò  Firenze.  '  n  Final- 
mente, fermati  i  patti,  il  re  si  parti  il  28  dopo  desinare  u  e 
dissesi  che  fra  Girolamo  da  Ferrara,  famoso  nostro  predicatore, 
andò  al  re  e  dissegli  che  non  faceva  la  volontà  di  Dio  allo 
stare,  e  che  dovessi  partire,  '  n  Quel  che  ne  venne  a  Firenze 
da  questa  passata  del  re,  fu  d'aver  perduto  Pisa,  pagato  buona 
somma  di  danaro,  congiunte  le  proprie  sorti  con  quelle  instabili 
della  politica  francese  di  qua  dall'Alpi  :  e  per  soprassello,  u  le  bolle 
franciose,  ch'era  come  un  vajuolo  grosso,  e  non  si  trova  medicina  *:n 
le  quali  bolle  colpivano  maschi  e  femmine,  e  più  gli  adulti,  e 
u  non  ne  periva  molti,  ma  stentavano  con  molte  doglie  e  schi- 
fezze. "  ri  L'apparizione  del  morbo  in  Firenze  è  notata  dal  Lan- 
iducci  al  28  maggio  1496,  e  di  nuovo  riconfermata  dopo  l'8 
luglio;  e  in  tanta  incertezza  di  fatti  e  discordia  di  autori,  que- 
sto intanto  è  un  dato  nuovo  e  una  data  sicura,  da  aggiungersi 
a  quelle  del  pisano  Portoveneri,  che  ne  parla  solo  all'aprile  del 
97,  '  e  del  perugino  Matarazzo,  che  ne  tratta  genericamente, 
sebbene  cronoloo^icamente  il  discorso  suo  cada  nel  95,  come  di 
cosa  allora  manifestatasi.  '  Ognuno  capisce  di  che  male  si  tratti; 
quanto  alla  denominazione,  che  c'è  da  scegliere  tra  francese, 
napoletano,  spagnuolo,  turco,  persiano,  polacco,  secondo  i  lìioghì 
ove  infierì  e  donde  passò  altrove,  o  anche  di  S.  Giob,  di  S.  Rocco, 
di  S.  Evagro,  ecc.,  il  Nostro  s^gue  quella  che  gli  fu  data  più 
generalmente  in  Italia,  e  che  ha  anche  presso  inglesi  e  tedeschi, 
di  morbo  gallico,  u  Et  perchè,  dice  il  Matarazzo,  li  franciose  erano 
venute  novamente  in  Italia,  se  credevano  li  italiani  che  fusse 
venuta  tale  malattia  de  Francia:  et  li  franciose  se  credevano 
che  fusse  una  malattia  consueta  in  Italia,  perchè  ancora  loro  ne 
ac  |UÌstaro  la  parte  loro  :  et  li  italiani  ne  chiamavano  lo  mal  fran- 
cioso, et  li  franciosi  dicevano   lo   male  italiano,  del  quale  por- 

1  Pag.  82,  —  s  pag.  86.  —  3  pag.  87  —  4  pag,  132, 134.  —  5  pag.  141. 
6  Cron.  pis.  (in  Arch.  Sfor.)  voi.  II,  338. 
'  Cron.  perug.  (in  Arch.  Stor.)  voi.  II,  32. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  639 

taro  il  seme  in  Francia.  Et  molti  lo  chiamano  de  le  ciriraba- 
cole,  da  le  bucciole  tanto.  Et  fu  cominciato  a  dire  che  que*to 
era  el  male  de  S.  Job.  '  n  Se  non  che  il  male  esisteva  anterior- 
mente, e  il  Portoveneri  quando  lo  osservò  in  Pisa,  concord  indo 
col  Landucci  nel  descriverlo  come  u  un  certo  vajuolo  grosso,  n 
diceva  che  era  già  u  per  tutta  la  Franza  e  la  Provenza  e  la 
Catelonia  e  altri  luoghi;  v  e  fra  le  Ordonnances  des  rois  de 
France,  della  collezione  del  Laurière,  trovasi  un  documento  del 
25  marzo  93  che  lo  riguarda  ;  ma  anteriormente  non  era  stato 
ben  osservato  né  studiato  dai  medici,  né  divenuto  epi  lemico  e 
comune.  Quei  grandi  commovimenti  di  milizie  e  fughe  di  popoli 
e  stragi  crudelissime,  che  si  avverarono  in  Italia  alla  discesa  di 
Carlo,  congiunti  colle  intemperie  di  quegli  anni,  in  che  più 
volte  strariparono  o  ghiacciaronsi  i  fiumi,  e  nel  91  perfino  l'estua- 
rio veneto  e  nel  93  il  mar  ligure,  e  coincidenti  con  carestie  ed 
altri  malanni,  *  e  con  la  venuta  dei  Marrani  e  Giudei  cacciati 
di  Spagna,  de'  quali  ben  170  mila  squallidi  e  nudi  npprodnrono 
a  Genova,  a  Napoli  e  sulle  coste  romane,  diffbnden  lovi  la  peste 
da  loro  detta  man'anica;  tutto  ciò,  se  non  diede  origino,  comunicò 
almeno  incremento,  come  in  altre  consimili  ooc:i8Ìonl,  ai  morbo, 
Tecchio  già  di  più  tempo,  latente  o  poco  sparso  fino  ni  ora,  ma 
allora  scoppiato  con  violenza,  complicandosi  anche  dei  sintomi 
proprj  alla  lebbra,  e  al  tifo  campale  e  navale  dei  fuggiaschi  dalla 
penisola  iberica. 

Della  uscita  del  re  da  Firenze  è  dal  Landucci  dito  merito 
a  fra  Girolamo  Savonaroli,  che  da  ora  innanzi  comincia  a  pri- 
meggiare nella  storia  del  comune,  corno  nel  Ditrio  del  nostro 
•peziale.  Il  re  gli  diede  ascolto,  o  il  popolo  fioranti  no  gli  fa 
riconoscente  u  perché  detto  frate  Girolamo  in  questo  tompo  era 
in  oppenìone  degli  aomini  che  fusti  profeta  e  di  nanta  vita,  in 
Firenze  e  per  tutta  Italia.  '  n  Questa  opin  one  univen^ile  do- 
v'iva poi  io  molti  modificarsi,  e  ancho  il  Landucoi  non  vi  si 
tenne  fedele  :  anzi  la  frase  stessa  ha  tutta  V  appirnnza,  come 
già  notammo,  di  eiscr  stata  scritta  dopo  la  eatnsirofo  dol  frale. 
Ila  Ti*i\  1494  mA  ascoltarne  le  prmlicho  assistevano  u  qua-ti  setO' 
prò  13  0  14  migliaja  di  persone,*  n  essendo  tuttavia  il  più  spesso 
escluso  le  donne,  e  nei  di  non  festivi  :  cho  ò  maggior  cosa;  * 
ed  il  Savonarola  u  predicava  tutta  volta  intorno  al    (atto  dello 

'  Crnn.  pn-ug.  (in  Areh.  ttor.t,  voi  II,  M. 

*  V.  GoBB«oi,  ÀimaU  'ielle  epUUme,  toI  I.  psf.  841  e  ssg. 

•  Psg.  88.  —  «  psg.  94.  —  •  psg.  U7,  14&. 


640  EPISODI   STORICI    FIORENTINI. 

stato,  e  che  si  dovessi  amare  e  temere  Iddio  e  amare  el  bene 
comune  e  che  niuno  non  volessi  più  levare  el  capo  e  farsi 
grande:  sempre  favoriva  el  popolo,  e  tattavolta  diceva  che  non 
si  facessi  sangue,  ma  punissesi  per  altra  via.  '  n  La  nuova 
forma  di  reggimento  u  che  pare  a  ogniuno  che  vole  vivere 
bene  e  senza  passione  el  più  degno  governo  eh'  abbia  avuto 
mai  Firenze  *  n  e  della  quale  ragionando  u  ognuno  si  accordava 
che  fussi  el  vero  modo  del  vivere  popolare  fiorentino,  più  che 
fussi  mai,  ^  n  era  principalmente  dovuta  al  Savonarola.  Ma 
qaeW  ognuno  del  diarista  va  inteso  discretamente  :  perchè  «era 
grande  controversia  fra'  cittadini,  in  modo  che  ogniun  di  si 
stava  per  sonare  a  parlamento  ^  n  e  sempre  u  dubitavasi  di 
qualche  scandolo  *  n  per  parte  di  coloro  che  non  amavano  le 
nuove  forale,  u  II  povero  frate,  sclama  quasi  sospirando  il  Lan- 
ducci,  aveva  tanti  nemici  !  *  n  Costoro  andavano  sussurrando  : 
a  questo  frataccio  ci  fa  capitar  male  ^  n  e  gridavano  di  notte 
intorno  a  S.  Marco  :  u  Questo  porco  di  questo  frataccio  si  vuole 
arderlo  in  casa;  '  n  con  forme  e  modi  che  se  non  altro  atte- 
stano nella  gentil  Firenze  esser  di  remota  origine  il  becerume. 
Più  tardi  u  la  notte,  per  dispetto,  entrorno  in  chiesa,  e  per 
forza,  spezzando  la  porta  eh'  è  del  campanile,  e  entrorno  sul 
pergamo  e  quello  vituperosamente  imbrattarono  di  sporcizie  ; 
in  modo  s'ebbe  a  piallare  quando  ebbe  a  montare  in  pergamo. 
E  predicando  questa  mattina,  aveva  detto  e  due  terzi,  fu  fatto 
certo  remore  in  verso  el  coro,  che  dettone  co'  'na  mazza  in 
una  cassetta...  E  si  levò  immediate  un  remore,  gridando  tutti 
Griesù.  E  questo  per  che  '1  popolo  stava  sollevato,  aspettando 
scandoli  da'  cattivi.  ®  ri  Ben  cercavano  i  rettori  che  gli  animi 
posassero,  e  mandarono  fuori  ordini,  u  che  non  si  ragionassi 
di  stato  0  di  re  0  di  frate  :  '"  n  ma  troppo  le  passioni  erano 
vive,  e  troppo  ardua  cosa  fu  sempre  togliere  a'  fiorentini  la 
libertà  del  parlare,  o,  com'  e'  dicono,  del  ragionare  su  le  cose 
occorrenti.  Nelle  spesse  mutazioni  della  Signoria  accadeva  però 
che  venissero  al  potere  anche  gli  avversar]  del  frate,  e  che 
i  nemici  di  lui  ripigliassero  animo,  e  alle  prove  di  devo- 
zione altri  eccessi  si  alternassero  di  sfrenatezza  e  mal  costume. 
Nel  maggio  del  97  nota  il  Landucci  che  u  a  questo  tempo  di 
questi  Signori  e  Otto  si  dette  ognuno  a'  giuochi  e  a  largare  la 

1  Pag.  92.  —  2  pag.  107.  —  *  pag.  110.  —  *  pag.  93.  —  5  pag.  93.  — 
6  pag.  138.  —  7  pag.  97.  —  »  pag.  122.  —  »  pag.  147.  —  «•  pag.  122. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  641 

vita  a  ogni  male,  e  aprire  el  Frascato  e  taverne  n  *.  Si  ripre- 
sero i  palj,  donde  l'autorità  del  Savonarola  aveva  sviato  i  fio- 
rentini :  ma,  essendovi  «  questa  Signoria  deliberònno  di  correre 
e  no'  stare  più  al  detto  del  frate,  dicendo  :  Risucitiamo  un  poco 
questo  populo:  abbiano  noi  a  diventare  tutti  frati?  *  n  Certo 
doveva  essere  curioso  spettacolo  quello  che  allora  ofifriva  Fi 
renze  :  la  città  delle  mascherate,  dei  trionfi,  dei  canti  carne- 
scialeschi,  degli  artisti,  delle  pompe,  ridotta  dall'efficace  parola 
del  Ferrarese  al  raccoglimento,  alla  devozione,  alla  preghiera, 
e  quasi  ad  un  silenzio,  interrotto  soltanto  da  fervoroso  salmeg- 
giare. Uno  dei  momenti  più  strani  della  storia  di  Firenze  è 
questo  per  certo,  in  che  la  gaia  città  appare  quasi  un  gran 
chiostro,  e  la  viva  indole  della  cittadinanza  è  mortificata  in- 
sieme ed  esaltata  da  una  specie  di  monomania  ascetica.  Il  Sa- 
vonarola fece  certamente,  se  altri  gli  si  vogliono  contrastare, 
un  gran  miracolo,  traendosi  dietro  quelli  che  allora  ehiamavansi 
u  i  fanciulli  :  n  i  monelli  fiorentini,  pieni  di  insolenza  e  di  brio, 
sfrenati  e  spesso  feroci,  dei  quali  il  Laoducci  pochi  anni  in- 
nanzi ricorda  le  gesta  sul  deforme  cadavere  di  Jacopo  dei 
Pazzi  *  e  u  l'animo  che  presono  contro  gli  ebrei  ^  n  dopo  una 
predica  di  fra  Bernardino  da  Feltre,  e  altrove  lo  ire  contro 
un  manigoldo,  che  non  tormentava  abbastanza  a  lor  grado 
colle  tanaglie  roventi  tre  condannati  al  supplizio.  *  Ora,  per- 
sino u  i  fanciulli  n  erano  dalla  sua.  Essi  colla  lor  solita  petu- 
lanza levavano  di  dosso  alle  donne  i  troppo  vistosi  ornamenti,  * 
disturbavano  i  giuochi  di  zara,  e  bastava  apparissero  perchè 
gridandosi  :  u  £k;co  i  fanciugli  del  frate,  ogni  giucatoro,  quan- 
tunque bravo  fussi,  si  fuggiva.  ^  n  Quando  poi  andavano  a  pro- 
cessione u  pareva  di  vedere  quelle  turbe  di  Qierusalem,  ch'an- 
davano innanzi  e  dietro  a  Cristo  la  domenica  d'  ulivo.  *  n  E 
tanto  ora  il  loro  fervore,  che  u  non  si  poteva  tenere  nel  letto 
la  mattina  niun  fanciullo:  tutti  correvano  innanzi  alla  lor  ma- 
dre alla  predica.  *  - 

Il  Landucci  fu  fautore  del  Savonarola  «*  (ielle  muo  riformo, 
non  solo  per  buon  zelo  di  cittadino,  ma  por  ardore  di  crirttiano. 
Oli  pareva  che  fosse  tornato  un  u  tanto  tempo  n.  So  non  che, 
soggiungeva  poi,  u  fu  piccolo  :  anno  potuto  più  e  tristi  oh'  e 
buoni  ^.  Tuttavia,  ripi'^liavn,  a  kìa  Inurluto  Idio,  da  poi  oh'  i'  vidi 

»  PtLg.  149.  —  t  pag.  162.  -  :  psg.  21.  —  «  psg.  68.  —  •  pgg.  919. 
-  «  p«f.  188.  -  »  |M4^.  IM.  -  •  psg.  186.  -  »  pg.  128. 


G42  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

quel  piccolo    tempo  santo  '  n  e   u  mi    trovai    presente,  e  vidi... 
e  sentii  tale  dolcezza  spirituale   *  v  Ricordava  con  compiacenza 
che  anche  i  suoi  tÌL^iiuoli  u  furono  in  fra  le  benedette  e  pudiche 
schiere  *  n  dei  fanciulli  oavonaroliani.    Ma,    con    tanto    fervore 
quant'ei  ne  attenta  pel  frate,  quando    seppe    che    era  scomuni- 
cato, si  astenne  dal  frequentarne  le  prediche:  u    molto    si  par- 
lava di  lui...    e   molti  mancarono  d'andarvi    per    temenza  della 
scomunica  dicendo:    giusta  vel  ingiusta  timenda  est.  Io  fui    di 
quegli  che  non  v'andivo  *  n.  L'animo  suo  era  combattuto  fra  la 
fede  nel  frate  e  l'ossequio  al  papa:   u  ancora  che  gli  credessi... 
non  volli  mai  mettermi  a  pericolo  andare  a  udirlo:  *  n  tuttavia, 
gli  dava  che  pensare  il  vedere  che  il  Savonarola  non  desisteva 
dall'opera  sua.    u  Pareva  cosa    meravigliosa  che  il   papa    nollo 
potesse  far  star  cheto  e  cpssire  dal  predicare:  e  molto  maggiore 
era  che  lui  stessi  pure  forte  e  non    cessassi  dal    predicare.  *  n 
Ma,  com'è  noto,  i  moniti  romani  avevan  reso  vigore  ai  nemici 
del  frate:  u  si  fece,  registra  il  Nostro,  una  certa  cena  di  Oom- 
paj^nacci,  tutti  tiepidi  che  vorrebbono  vedere  le  cose  un  poco 
più  larghe,  e  non  tanto  riprendere  e  peccati,    e    avere  licenza 
di  vivere  all'epicura.  '  n  Cominciarono  le  beffe,  sempre  efficaci 
sulle  volgari  fantasie.  «  E  nota  che  in  questi  tempi  (nel  98)  si 
facevano  beffe  di  queste  cose  spirituali  :  si  trovava  per  la  terra 
tale  infedele  gente  alla  sfrenata,  che  toglieva  moccoli  e  andava 
cercando,  cosi  accesi,  e  dicevano:  Io  cerco  della  chìavicina  ch*à 
perduto  el  frate...    Chi  pigliava   1*    giente    e    facevagli   inginoc- 
chiare a  una  lanterna  accesa,  e  diceva:  Adora  il  vero  lume:  chi 
ardeva  finestre  impannate  e  altri  spregi:  perchè  cifrate  aveva 
usate    dette    parole^    la  chiavicela,    e    che    la    novazione    della 
Chiesa  sarebbe  el  vero  lume.  E  questi  erano  una  gente  di  gio- 
vanaglia  di  poco  spirito.  *  n    II   che  vuol    dire,    nel    linguaggio 
del  tempo,    che    ciano  di   poca    devozione  :    ma    intendendo  la 
locuzione  alla  moderna,    non    era    senza    finezza    contraffare  a 
quel  modo  le  frasi  proferite  del  sacro  oratore. 

E  coi  Compagnacci  e  gli  Arrabbiati  ripigliavano  forze  i 
frati  di  altri  ordini,  fraternamente  avversi  al  domenicano.  A 
Roma,  dove  quelle  ire  avevano  più  libero  sfogo,  fra  Mariano 
da  Genazzano  dal  pulpito  chiamava  u  ubriacone  n  il  Savo- 
narola, e  rivaleggiando  col   Vanni  Fucci   dantesco  u  venne   in 

'  Pag.  124.  —  5  pag.  137.  —  3  pag.  125.  —  «  pag.  162,  —  *  pag.  163.  — 
pag.  164.  —  '  pag.  164.  —  «  pag.  165. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  643 

tL\nta  insania,  che  nella  predica  dov'  era  più  cardinali...  disse: 
Alessandro,  se  non  fussi  la  reverenza  tua,  io  ti  farei  due  fiche  agli 
occhi;  e  attualmente  fece  con  mano  simile  lordura  in  pergamo.  '  n 
In  Firenze  un  frate  di  S.  Spirito  cavava  fuori  epistole  u  molto 
vituperose  contro  a  frate  Girolamo:  '  n  ed  era  probabilmente 
quel  fra  Lionardo,  dalla  bocca  del  quale  il  18  giugno  del  97  il 
Landucci  senti  leggere  in  S.  Spirito  dal  u  pergamo  in  coro,  in 
fra  due  torchi  accesi  e  piiì  frati  »  la  scomunica  inviata  da  Roma, 
e  contemporaneamente  promulgata  anche  in  S.  Maria  Novella, 
in  S.  Croce,  nella  Badia  e  a'  Servi.  *  Ed  era  pure  cotesto  frate, 
che  fino  dal  marzo  dell'anno  innanzi  aveva  fatto  un  primo  e 
lontano  accenno  alla  prova  del  fuoco,  dicendo  che  se  il  .ferrarese 
volesse  «  istare  un  terzo  d'ora  nel  fuoco,  che  vi  starebbe  lui  una 
mezza  ora.  ^  »  D'allora  in  poi,  cotesta  pazzia  dell'aversi  per  tal 
modo  a  certificare  della  santità  o  non  santità  del  frate,  dovette 
far  la  sua  via  ne'cerveili  soverchiamente  agitati  e  commossi  dei 
fiorentini.  Chi  ne  facesse  la  prima  formale  proposta  non  ò  ben 
chiaro.  Secondo  il  Landucci,  fra  Domenico  da  Poscia,  frate  di 
S.  Marco,  avrebbe  in  una  predica  invitato  un  francescano,  e  pre- 
cisamente fra  Francesco  da  Puglia,  u  a  entrare  nel  fuoco...  e 
andorno  parecchi  cittad'ni  a  S.  Croce  per  ambasciatori  :  *  n  e  ciò 
sarebbe  avvenuto  il  27  marzo  del  98.  Sostiene  invece  il  Villarì, 
che  la  prima  mossa  fosse  data  dal  francescano,  o  che  il  dome- 
nicano accettasse  incautamente  e  per  soverchio  scio,  prima  che 
il  Savonarola,  che  certo  non  era  ne  pazzo  nò  sciocco,  avesse 
potuto  pensare  a  metterci  rimedio.  Ho  memoria  di  aver  avuto 
Bott'occhio  ano  dei  tanti  scrittarcllì  polemici  di  quegli  anni,  in 
che  è  pur  lontanamente  accennato  all'utilità  di  ricorrere  a  tale 
strano  espediente  per  esser  chiari  del  vero,  e  quietare  s)  grande 
discordia  e  turbaziono  degli  animi.  Prima  adunque  di  giungere 
da  quel  vago  accenno  del  predicatore  di  S.  Spirito  alla  formale 
proposta  e  al  cimento,  dovè  ragiuncvolmcnte  passar  tempo  non 
poco:  sicchò  ciò  che  potrebbe  parere  uscita  improvvisa  e  fan- 
tastica di  un  frate  fanatico,  fu  piuttosto  frutto  nAtunlo  e  ma- 
turo di  discorsi  e  vanti  e  sfide,  che  a  lun;;o  doycttoro  correre 
fra  mezzo  alla  cittadinanaa  e  alle  fazioni  avverso.  Quel  motto 
del  frate  agostiniano  passando  di  bocca  in  bocca,  ampliato,  com- 
mentato dall'una  parte  o  dall'altra,  di  vaotasione  generica  ch'era 

'  IV   166.  -  «  psfT.  J5I.  -  •  pag.  Ifta. 
*  ViLLARi,  O.  Savonarola^  I,  899. 
»Pag.  16«. 


044  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

dapprima,  dovette,  discorrendovi  su,  mutarsi  in  qualcosa  di  con- 
creto e  di  positivo;  ed  i  Piagnoni,  che  credevano  ai  miracoli, 
ed  i  Compagnacci,  che  nulla  credevano,  convertirlo  in  vera  sfida 
e  prova  risolutiva:  gli  uni  pensando  che  il  Savonarola  ne  usci- 
rebbe illeso,  gli  altri  che,  accettando,  perirebbe,  non  accettando, 
si  screditerebbe  :  sicché,  o  dai  pergami  di  S.  Croce  o  da  quelli 
di  S.  Marco,'  V  incauta  parola  venne  gettata  seguendo  più  il 
sentimento  dell'universale,  che  non  una  individuale  audacia  e 
sconsideratezza.  Tale  del  resto  è  il  processo  naturale,  che  nella 
vita  e  nella  storia  vediamo  seguire  i  più  pazzi  ed  inconcludenti 
disegni,  co' quali  talvolta  si  sciolgono  gli  umani  litigj.  Quale 
poi  dovesse  essere  l'esito  dell'esperimento,  anche  ai  più  esaltati 
era  ignoto:  dacché  il  Nostro  afferma  che  il  giorno  appresso, 
il  25,  u  il  predicatore  di  S.  Croce  disse  in  pergamo  volere  en- 
trare nel  fuoco,  e  accettò  lo  'nvito,  e  disse:  Io  credo  bene  ar- 
dere, ma  sono  contento  per  liberare  questo  popolo  ;  e  disse  :  se 
lui  non  arde,  credetegli  come  vero  profeta.  *  n  Dall'altra  parte, 
fra  Domenico  disse  al  popolo  raccolto  in  S.  Marco,  che  sarebbe 
entrato  nel  fuoco,  che  altri  suoi  frati  avrebbero  fatto  il  simile, 
e  u  volgendosi  verso  le  donne  :  Ancora  di  queste  donne  faranno 
questo;  e  fu  tanto  l'empito  dello  spirito,  che  molte  si  levarono 
ritte  dicendo  :  Io  sono  di  quelle  ;  *  n  ed  altr'a  volta,  predicando  il 
Savonarola,  a  si  rizzò  tutto  '1  popolo  gridando  e  offerendo  la  vita  per 
quella  verità.  *  n  E  forse  nella  mente  stessa  del  mistico  capopo- 
polo dovette,  giunto  ch'ei  fu  al  cospetto  di  questo  atto  finale, 
balenare,  come  dice  il  Capponi,  u  la  speranza  di  un  prodigio  *.  n 
Secondo  le  idee  del  Savonarola,  scrive  il  Villari,  u  non  era  strano 
e  neppure  difficile,  che  il  Signore  volesse  per  mezzo  d'un  mira- 
colo confondere  gli  Arrabbiati  e  provare  la  verità  della  sua  dot- 
trina. "  ?i 

Compiono  mentre  io  scrivo  quattrocentoquindici  anni,  dacché 
Firenze  vide  alzarsi  sulla  piazza  de'  Signori  quel  palco  u.  lungo 
braccia  .50  e  largo  braccia  10  e  alto  braccia  4  n  suvvi  una  ca- 
tasta u  di  braccia  2  1[2,  ®  n  con  scope  e  fascine  e  olio  e  acqua 
arzente  e  ragia,  che  doveva  servire  all'  esperimento  :  divisa  la 
cittadinanza  in  diversi  affetti;  una  parte  fiduciosa  che  il  fuoco 
non  arderebbe,  e  l'altra  sperante  eh'  e'  farebbe  il  naturai  ufficio 
suo.  Come  la  cosa  finisse  è  ben  noto;  e  così  anche  l'assalto  a 

1  Pag.  167.  —  s  pag.  167.  —  3  pag.  168. 

4  Storia  della  Repubblica  Fior.,  1»  ediz.,  II,  245. 

5  II,  120.  —  *>  pag.  168. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  645 

S.  Marco  e  la  cattura  del  frate.  ìsel  convento  con  altri  credenti 
stava  anche  il  nostro  diarista,  e  corse  pericolo  di  esser  mano- 
incòso.  «  E  io  mi  trovai;  e  se  non  fussi  che  del  chiostro  usci  'e 
andane  inverso  la  porta  di  S.  Gallo,  rimaneva  forse  morto.  *  n 
Ma  ei  non  fu  martire  :  anzi  neppur  confessore.  Rimase  dapprima 
sbigottito  del  subito  rovescio,  e  del  sentire  che  popolarmente 
gridavasi  al  i^  ladro  e  traditore  :  *  v  poi  la  sua  fede  cominciò  a 
vacillare. 

Per  le  scrupolose  indagini  del  Villari  è  ben  noto  come  fosse 
condotto  il  processo  del  frate,  col  quale  sopratutto  avevasi  in  mira 
di  fargli  perdere  il  favor  popolare:  ciò  che  narra  il  Landucci  prova 
che  vi  si  riusci  :  u  A  di  19  di  aprile  si  lesse  in  consiglio,  nella  sala 
grande,  il  processo  di  frate  Girolamo,  eh'  egli  aveva  scritto  di 
sua  mano,  el  quale  noi  tenevamo  che  fussi  profeta,  el  quale 
confessava  no'  essere  profeta,  e  non  aveva  da  Dio  le  cose  che 
predicava:  e  confessò  molti  casi  occorsi  nel  processo  delle  sue 
Il  predicazioni  essere  al  contrario  dì  quello  ci  dava  ad  intendere. 
E  io  mi  trovai  a  udire  leggere  tale  processo  :  onde  mi  mara- 
vigliavo e  stavo  stupefatto  e  in  ammirazione.  E  dolore  sentiva 
l'anima  mia,  vedere  andare  per  terra  un  si  fatto  edificio,  per 
avere  fatto  tristo  fondamento  d'  una  sola  bugia.  Aspettavo  Fi- 
renze una  nuova  Gierusalemme,  donde  avessi  a  uscire  le  leggi 
•■  lo  splendore  e  l'esempio  della  buona  vita,  e  vedere  la  nova- 
zione della  Chiesa,  la  conversione  degli  infedeli  e  la  consola- 
zione de'  buoni  ;  e  io  sentii  il  suo  contrario,  e  di  fatto  presi  la 
medicina  :  in  volontate  tua,  Jomin«,  omnia  sunt  posila.  *  n  Quanta 
schietta  sincerità!  E  invero,  s6  è  ineffabilmente  angoscioso  lo 
assistere  alla  caduta  di  una  causa,  servita  con  lealtà  di  cuore 
e  arder  d' intelletto,  o  vedere  la  morte  deiruomo  che  quella  in 
sé  riassuma  ed  incarni,  ben  più  triste  cosa  è  ancora  dover  rin- 
negare quella  causa  o  quell'uomo,  e  contemplare  nell'animo 
proprio  le  rovine  dell'u  edificio  n  con  tanto  entusiasmo  inalzato. 
Tale  fu  il  caso  del  Louiducci,  e  con  lui,  cortamente,  di  molti 
altri  fiorentini,  a' quali  avrebbersi  potuto  dire  quclh;  parole,  ter- 
rìbili nella  loro  mitezza:  tncdicoé  fidtiy  quare  dubitaètif  Ma  le 
apparenze  stavano  tutte  contro  il  maestro,  o  l'ultimo  colpo  alla 
fede  dei  discepoli  fu  dato  il  dì  del  supplizio,  quando  i  tre  do- 
menicani morirono  u  senza  parlare  mai  niuno  di  loro,  che  fu 
tenuto  grande  miracolo,  massime  che  ognuno  stimava  di  vedere 


■  Fag.  170.  -  «  pag.  171.  -  »  pag.  178. 


646  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

segni,  e  ch'egli  avesse  confessato  la  verità  in  quel  caso  al  po- 
polo :  massime  la  buona  gente,  la  quale  disiderava  la  grolia  di 
Dio  e  '1  principio  del  ben  vivere,  la  novazione  della  Chiesa,  la 
conversione  degli  infedeli:  onde  non  fu  sanza  loro  amaritudine; 
né  fece  scusa  veruna,  né  niuno  di  loro.  Molti  caddono  della 
loro  fede.  '  n  Allo  svanire  di  questo  sogno,  misero  compenso  sarà 
che  nelle  scritture  del  frate,  richieste  per  arderle  dal  manda- 
tario del  papa,  non  si  trovassero  eresie,  *  o  che  all'  apparire 
di  certi  bruchi,  che  avevano  u  viso  umano  con  gli  occhi  e  '1 
naso,  e  pareva  avessino  una  corona  in  testa  e  intorno  al  viso 
come  un  diadema...  e  tra  la  corona  e  la  testa  una  crocellina,  n  * 
la  superstizione  volgare  li  battezzasse,  facendovi  su  certi  suoi 
ragionamenti,  per  u  e  bruchi  del  frate  Girolamo.  «  Ormai  Fi- 
renze era  in  mano  dei  Compagnacci,  che  con  mille  scede  si 
sfogavano  contro  l'odiata  memoria  del  frate  e  de'  suoi  assertori: 
tanto  che,  fra  1'  altre,  il  dì  di  S.  Giovanni  posero  in  su  una 
girandola,  u  un  porco  e  giganti  e  cani...  e  dicevano  el  porco 
essere  il  frate,  e  '1  gigante  morto  Francesco  Valori,  e  simili 
pazzie.  E  trascinando  quel  gigante  che  cadde,  sempre  dicendo: 
quel  porco  del  frate,  e  simili  cose  da  sciocchi.  *  n  L!  empietà 
gavazzava  liberamente:  né  l'anno  era  finito,  che  imbrattamenti 
e  sfregj  triviali  si  commettevano  nelle  chiese,  sui  fonti  batte- 
simali e  pe'  pergami.  '  I  costumi  u  larghi  n  che  i  Compagnacci 
patrocinavano,  avevano  cosi  pieno  trionfo  dopo  la  lunga  qua- 
resima savonaroliana.  Firenze  tornava  la  città  degli  spassi, 
delle  pompe,  delle  arti,  del  lieto  vivere.  La  maggior  parte  della 
cittadinanza,  salvo  alcune  anime  pie,  dovette  fare,  rispetto  al 
profeta  e  raarUre,  come  il  Landucci  :  o  scordarselo,  o  serbarne 
amara  rimembranza.  Guai,  del  resro,  ai  caduti!  Che  poi  il  frate 
potesse  riuscire,  non  dirò  alla  conversione  degli  infedeli  o  alla 
novazione  della  Chiesa,  ma  pur  soltanto  alla  riforma  del  costume 
in  Firenze  e  allo  stabilimento  della  libertà  popolare,  è  assai 
dubbio:  e  forse  egli  aveva  suscitato  una  espettazione,  e  destato, 
a  così  dire,  una  fiamma,  che  doveva  immancabilmente  consu- 
marlo, prima  che  il  rogo  gli  ardesse  le  membra,  infiacchite  dalle 
veglie  e  rotte  da'  tormenti.  E  forse  egli  voleva  troppo  più  che 
gli  uomini  e  i  tempi  potessero  concedergli:  ma  ad  ogni  modo 
è  sua  gloria  l'aver  mirato  sì  alto  e  l'aver  suggellato  la  propria 
fede  col  sacrificio    della  vita.    Quanto  a  Firenze-  ella  era  pre- 

1  Pag.  177.  —  «  pag.  178.  —  »  pag.  IStt  —  *  pag.  180.  —  6  pag.  190. 


EPISODI   STORICI   FIORENTINI.  647 

parata  da  tutta  la  sua  storia  anteriore  più  che  alle  mortifica- 
zioni del  Savonarola,  agli  splendori  del  pontificato  di  Leone. 
Il  Diario  del  Landucci  può  dirsi  appunto  si  chiuda  con  le 
pompe  che  allegrarono  Firenze  nell'entrata  del  figlio  di  Lorenzo. 
Fu  come  una  festa  dell'arte;  e  il  Nostro  si  compiace  in  descri- 
verla e  giudicarne  con.  quel  senso  squis'to,  che  è  proprio,  o 
allora  più  che  mai,  dei  fiorentini.  Del  resto  l'educazione  artistica 
del  Landucci  si  era  fatta  a  poco  a  poco,  e  come  naturalmente, 
in  mezzo  a  quel  nascere  e  grandeggiare  dell'arto  fiorentina  nel 
secolo  XV.  Aveva  egli  assistito  ai  primordj  e  ai  progressi  di 
Donatello,  di  a  Dis'dero  iscultore  n  e  del  Rossellino:  a  un  uomo 
molto  Piccolino,  ma  grande  in  iscoltura;  n  e  a  quelli  di  u  mae- 
stro Andreine  degl'  Inpiccati,  di  maestro  Domenico  da  Vinegia, 
pittori,  di  maestro  Antonio  e  Piero  suo  fratello,  che  si  chia- 
mava del  Pollaiolo,  orafi,  scultori  e  ^pittori  ;  '  -  fra  i  ricordi 
della  sua  infanzia  c'er^  quando  u  si  coiuincìò  la  laiiterna  della 
cupola  di  S.  Maria  del  Fiore  e  '1  palagio  di  Cosimo  de'  Medici, 
e  S.  Lorenzo  e  S.  Spirito  e  la  Bidia  d'  andare  a  Fiesole.  *  n 
Neil' 89  aveva  veduto  dalla  sua  bottega  del  canto  de'Torna- 
quinci  cavare  le  fondamenta  e  innalz<re  quel  palazzo  degli 
Strozzi  che  u  durerà  quasi  in  eterno,  n  '  e  ricordava  il  «  gran 
numero  di  maestri  e  manovali,  ch'erano  occupato  tutto  le  vie 
intorno  di  montagne  di  sassi  e  di  caloinicci  e  di  muli,  d'asini 
che  portavano  via  e  recavano  ghiaia:  per  modo  che  con  ditli- 
cultà  di  chi  passava  por  questo  vie;  e  noialtri  artedci  stavamo 
continuamente  nella  polvere  e  nulli  uuja  della  giente  che  si 
f  rmava  per  vedere,  e  chi  per  non  potere  passare  colle  bestie 

>  Pag  a.  A  questo  laof^o  il  Luniuccì  rìconU  «Uri  uomini  insigni  delU  cittsdU 
nanzs  fiorentina,  oltrf  gli  artisti:  <  H  in  (|ue«ti  toinpi  vivevano  quoati  nobiii  e 
valenti  oomini:  l*Mciv<eovo  Antonino,  cli«  u«et  di  4.  Mareo,  frate,  e  nndò 
sempre  vestito  come  frst«  di  qwU' ordine  di  8w  DonMnioo,  al  qualit  si  può 
dire  boato;  inesser  Bartoloin<^»  dt'  I^paeoi,  veaeovo  e  pn)ilicat<»re  rect'llen- 
tissìmo  «opra  tatti  gli  altri  ne'  DO«tn  d);  ni«««tro  l'ai;olo  melico,  filosofo 
e  astrolago  e  di  santa  vita;  Cosimo  di  Giovanni  de'  Mndici,  el  quale  ai 
chiamava  da  tatto  'I  mutndu  «t  graa  wisraaaie.  ch'aveva  le  ragioni  pnr  tutto 
l'abitato;  non  si  potova  far*  anggiote  conpitritsione  ihe  dire:  K'  ti  par 
ssssw  GosioM»  de'  Medici,  quasi  dicendo  che  non  si  poteva  trovare  el  mag> 
giora  rieoo  e  piò  famneo..  Il  estro  Antonio,  sonatore  d'organi,  cb^  passò 
ne'saa  di  ognuno;  maestro  Antoni'»  di  Oui  lo,  cantatore  hiproviso,  che  ha 
Passato  ognuno  ia  qoell'  arle....~  Maestro  Mariano  che  'nsegnava  1'  sbeeo  : 
Calandro,  msastco  «Tlassf  sre  l'absoo  •  «omo  molto  buoao  e  eoetuiaalo, 
che  fu  mio  raesetwk  • 

«  Pag.  2.  -  »  peg.  69. 


V 


648  EPISODI    STORICI   FIORENTINI. 

cariche.  '  w  Ma,  con  tutta  la  noja  della  polvere  e  degli  ingombri 
ei  vedeva  Firenze  farsi  ogni  dì  più  bella  e  sontuosa,  e  ne  go- 
deva, u  E  in  questi  tempi  si  faceva  tutte  queste  muraglie  ; 
1'  Osservanza  di  Samminiato  de'  frati  di  S.  Francesco  :  la  sa- 
crestia di  S.  Spirito  :  la  casa  di  Giuliano  Gondi,  e  la  chiesa 
dei  frati  di  S.  Agostino  fuori  della  Porta  a  S.  Gallo.  E  Lorenzo 
de'  Medici  cominciò  un  palagio  al  Poggio  a  Cajano,  al  luogo 
SUO;  dove  ha  ordinato  tante  belle  cose,  le  Cascine.  Cose  da 
signori!...  E  molte  altre  case  si  murava  per  Firenze,  per  quella 
via  che  va  a  S.  Caterina,  e  verso  la  porta  a  Pinti,  e  la  via 
nuova  de'  Servi  a  Cestello,  e  dalla  porta  a  Faenza  verso  San 
Bernaba,  e  in  verso  S.  Ambrogio,  e  in  molti  luoghi  per  Fi- 
renze. Erano  gli  uomini  in  questo  tempo  atarentati  al  murare, 
per  modo  che  c'era  carestia  di  maestri  e  di  materia.  *  v  Altro 
spettacolo  artistico  vide  nel  1504  quando  u  si  trasse  dell'opera 
el  gigante  di  marmo  :  n  il  Davide  di  Michelangelo,  u  E  andava 
molto  adagio,  cosi  ritto  legato  che  ispen/.olava,  che  non  toccava 
co'  piedi  ;  con  fortissimi  legni  e  con  grande  ingegno  :  e  penò  4 
dì  a  giugnere  in  piazza...  aveva  più  di  40  uomini  a  farlo  an- 
dare: aveva  sotto  14  legni  unti,  e  quali  si  mutavano  di  mano 
in  mano.  *  tì  Viveva  così  in  mezzo  alle  meraviglie  dell'arte  :  ogni 
giorno  un  quadro,  una  statua,  un  palagio  nuovo  da  ammirare. 
Se,  fenomeno  non  comune  in  Firenze,  cadeva  neve,  della  neve 
caduta  si  facevano  bizzarre  immagini  :  *  n  e  il  popolo  andava 
attorno,  e  guardava  e  giudicava;  nel  1511  la  neve  u  alzò  in 
Firenze  in  molti  luoghi  un  braccio  :  e  fecesi  molti  lioni  di  neve 
molto  begli  e  da  buon  maestri  :  in  fra  gli  altri  se  ne  fece  uno 
dal  campanile  di  S.  Maria  del  Fiore,  grandissimo  e  molto  bello, 
e  a  S.  Trinità  ;  e  molte  altre  figure  fu  fatto  al  canto  de'  Pazzi, 
igniudi,  da  buoni  maestri  ;  e  in  Borgo  S.  Lorenzo  si  fece  città 
con  fortezze  e  molte  galee,  e  questo  fu  per  tutto  Firenze.  '  v 
Così  r  industria  e  la  piacevolezza  dei  fiorentini  cangiava  anche 
l'intemperie  in  pubblico  diletto!  Gofia,  cosa  doveva  essere  invero 
il  regalo  che  dalle  sponde  semibarbare  del  Tago  mandava  nel  13 
il  re  di  Portogallo  a  Leon  X,  cioè  u  un  papa  di  zucchero  con 
dodici  cardinali  tutti  di  zucchero,  grandi  come  uomini  natu- 
rali :  *  n  ma  altra  cosa  dovevano  essere  quei  leoni,  quegli  ignudi 
fatti  dai  buoni  maestri  fiorentini.    Aggiungi,  ad  affinare  coll'e- 

1  Pag.  58.  —  «  pag.  59.  ~  '  pag.  265.  —  ♦  pag.  217.  —  *  pag.  306.  — 
«  pag.  343. 


EPISODI    STORICI   FIORENTINI.  610 

sercizio  il  gusto,  le  annuali  feste  di  S.  Giovanni  cogli  edificj  e 
gli  spiritelli  e  i  giganti,  *  e  i  trionfi,  come  quel  di  Camillo  nel 
14,  che  fu  «molto  magna  cosa:*  n  e  si  capirà  come  un  popo- 
lano fiorentino,  a  siffatta  scuola  pratica,  s' intendesse  di  arte  e 
ìa  sentisse,  più  che  un  moderno  professore  d'estetica. 

«  Dironne  qualche  particina  *  n  scrive  il  Nostro,  giungendo 
col  suo  Diario  alle  feste  del  novembre  1515  per  1'  entrata  di 
papa  Leone.  E  trapassando  ciò  eh' e' nota  degli  sfoggi  negli 
abiti  dei  cittadini  e  nell'addobbo  delle  chiese,  in  livree,  caval- 
cature, baldacchini  e  luminarie,  ch'erano  pompe  usuali  in  Fi- 
renze, o  com'  e'  dice  :  u  infino  a  qui  è  uno  ordinario,  *  n  racco- 
glieremo alcun  che  delle  cose  u  ismisurate  n  che  allora  si  fe- 
cero. E  procedendo  per  ordine,  ricorderemo  prima  le  u  4  co- 
lonne grandissime  di  16  braccia  alte  e  grossissime,  darientate, 
con  più  altre  colonne  v  ch'andavano  alte  sino  a  certi  taberna- 
coli u.  con  figure  in  tutti  e  quadri  e  vani,  tutti  di  mano  di  buoni 
maestri...  a  similitudine  di  storie  magne  »  alla  Porta  di  S.  Pier 
Gattolini.  A  S.  Felice  in  piazza  un  arco  trionfale,  con  a  in- 
torno 8  colonne  tonde  grandi...  co'  molte  colonne  piane...  e 
quivi  era  ancora  molte  figure  di  mano  tutte  di  principali  mae- 
stri... in  modo  che  tenevano  l'uomo  a  badare  per  intendere  a 
loro  significati  e  bellezza  n.  Al  ponte  a  S.  Trinità  un  arco  di 
sì  gran  bellezza  e  che  u  contentava  tanto  l'occhio,  n  da  far  giu- 
dicare che  Firenze  avesse  u  tanti  degni  architettori  e  molti, 
che  più  non  si  può  trovare  al  mondo  n.  In  piazza  S.  Trinità 
ventidue  colonne,  che  facevano  u  un  certo  tondo  come  un  ca- 
stello n,  e  ne'  vani,  panni  d'arazzo.  In  Piazza  du'  Signori  al 
canto  del  Lione  u  un  certo  quadro  ch'avea  quattro  archi  trion- 
fali, che  solo  questo  dificio  sarebbe  difficile  a  cittA  verun.'i 
farlo  n.  Al  palagio  del  Podestà  ventiquattro  colonne  u  molto 
gientile  cosa  n.  Al  canto  de'  Bi«cherì  Tentuette  colonne  piane, 
con  orn  imenti  d'oro  e  festoni  dì  meU^prano  e  pino  e  iigure 
buone  u  che  facevano  baiare  or«  intorno  a  queste  cose  n.  A 
8.  Maria  del  Fiore,  dodici  colonne  alto  eoa  magni  archi  trion 
fall  e  quadri  e  ornamenti;  co«a,  tanto  u  superba  e  signorile  ^ 
che  ognuno  si  augurava  non  si  disfacesse,  m%  restasse  per  mo- 
dello a  far  la  facciata.  Al  canto  do'  Carnesecchi,  un  magno  arco 
trionfile  con  quattro  colonne  tonde  e  sci  pime,  con  figure  di 
buoni   maestri.  Altro  arco    all'  entrar    di    via    della   Scala,  con 


'  Pa<5.  28.  —  t  pag.  845.  -  *  p««.  862.  —  <  puf,-    iif)! 


050  EPISODI   STORICI   FIORENTINI. 

cornicione  alto  quanto  le  case.  In  S.  Maria  Novella  una  specie 
(li  andito  tutto  a  colonne,  otto  grandi,  ventisei  piane,  dodici 
piccole,  in  modo  che  le  case  erano  tutte  mascherate  e  nascoste, 
con  figure  e  ornamenti  tali,  che  u  chi  si  poneva  a  guatargli 
si  smarriva  n,  perchè  u  non  erano  cose  da  uomini  grossi  e  goffi, 
ma  tutte  perfette  figure,  e  poste  tanto  bene  a  proposito  da  va- 
lentuomini n.  E  in  mezzo  alla  piazza  u  un  cavallo  grande  isfre- 
nato...  levato  a  correre:  n  e  in  altre  piazze,  guglie  e  colonne 
e  giganti  :  delle  quali  talune  furono  giudicate  belle  opere,  altre 
«  cose  sciocche  n.  E  intanto  per  più  di  un  mese,  di  dì  e  di 
notte,  nei  giorni  feriali  e  nei  festivi,  le  chiese  erano  ingom- 
brate e  gli  ufficj  sacri  celebravansi  alla  meglio,  fra  mezzo  a 
romori  di  legnajuoli,  dipintori,  muratori,  segatori,  di  oltre  a 
due  mila  operaj,  che  lavoravano  sotto  la  direzione  di  Jacopo 
di  Sandro,  di  Baccio  da  Montelupo,  del  Tasso,  del  Granacci, 
di  Aristotile  da  S.  Gallo,  del  Rosso,  di  Jacopo  Sansovino,  di 
Baccio  Bandinelli,  di  Andrea  del  Sarto  e  di  altri  insigni  arte- 
fici, con  spesa  di  «  settanta  migliaja  di  fiorini  e  più.  *  n  Tali 
le  pompe  artistiche  di  Firenze  quando  pontefice  sommo  dei 
cristiani  e  supremo  monarca  nei  regni  dell'  arte  era  Giovanni 
de' Medici:  u  e  non  credere,  dice  a  ragione  il  Landucci,  che 
ninna  altra  città  o  signoria  del  mondo  avessi  potuto  o  saputo 
fare  tale  apparecchiamento.  *  n 

Più  e  più  cose  ancora  potremmo  qua  e  là  spigolare  da 
questo  Diario  :  fedele  e  lucido  specchio  dell'antica  vita  fioren- 
tina, se  questo  non  bastasse,  come  ci  pare,  a  darne  sufficiente 
idea.  Come  del  resto  si  ascolta  con  diletto  un  vecchio  che  ra- 
gioni della  gioventù  sua,  e  ne  ponga  innanzi  agli  occhi  casi  e 
costumi  di  altra  età,  cosi  sarà  forse  piaciuto  l'udire  la  candida 
parola  di  un  antico  che,  quasi  risorgendo  da  una  sepoltura  di 
quattro  secoli,  efficacemente  ci  rappresenta  la  condizione  di 
Firenze,  quand'  eli'  era  nel  maggior  culmine  della  prosperità  e 
potenza,  e  della  gloria  sua  letteraria  ed  artistica. 

Alessandro  D'  Ancona. 

1  Pag.  352-59.  —  «  pag.  353. 


LA  QLiESTlONE  DEI  POSSEDIMENTI  COLONIALI 


LA  GRAN  BRETTAGNA. 

I. 

Nessuno  storico  avrebbe  potato  prevedere  clie  nel  secolo  de- 
rimonono  sarebbe  risorta  in  Earopa,  per  guisa  da  imporsi  al- 
l'atten/cione  generale  e  minicciar»}  i  buoni  accordi  fra  le  Po- 
tenze, la  questione  delle  colonie.  Prevalevano  ormai  nel  giure 
delle  genti,  in  cotcsta  materia,  p'.ù  umani  e  giusti  principii; 
imperocché  si  riteneva  bensì  che  una  nazione  avesse  il  diritto 
iVì  esplorare  e  colonizzare  per  mezzo  del  suo  governo  o  dei  suoi 
cittadini  qualHiasi  territorio  non  compreso  nei  confini  territo- 
riali di  una  nazione  civile,  ma  si  aggiungeva,  che  i  continenti 
'l'Europa,  d'Asia  e  d'America  sono,  in  ciascuna  lor  parto  sotto 
Il  sovranità  di  un  governo  stabilito,  e  non  soggetti  in  alcuna 
loro  parte  a  colonizzazione  senza  il  consento  del  governo  da 
4-ui  dipendono.  Che  anzi  aggiungevasi  anche,  nel  caso  una  gente 
selvaggia  avesse  un  governo  stAbilito,  questo  si  dovesse  rispet- 
tare dalle  nazioni  civili  almeno  nel  senso  di  cercare  anzitutto 
1^  l'avviamento  di  buoni  rapporti  cogli  abitanti  per  mezzo  del  go- 

ji  verno  loro,  e  chiedere  a  questo  risarcimento  dei  danni  che  quelli 

avessero  fatti.  *  In  tutti    gli  Stati  era  ormai  riconosciuta,  colle 
.'litro  libertà,  anche  quella  dello  emigrare,  ed  a  ciascun  cittadino 

'  Gabdvbb'i,  Imlituta,  pag.  24,  |  12.  —  PiiiLLMoas't,  In»em.,  Lair 
.  ccxi.itt.  —  IkuMTBciiti,  DroU.  itU.  eo4^  H  280-281.  —  Do  Dlst  Fibld, 
J'rojct  d'un  Cod.  int.,  77-7P. 


G52  LA    QUESTIONE    DEI    POSSEDIMENTI    COLONIALI. 

era  lecito  andare  oltre  i  confini  della  patria,  vicino  o  lontano, 
per  ritornare  o  dandole  un  eterno  addio,  tra  gente  selvaggia  o 
nei  più  attivi  focolari  della  civiltà.  Ma  appunto  a  cotesto  modo 
si  fondavano  libere  consociazioni,  colonie  commerciali,  fondachi, 
pili  spesso  i  nuovi  venuti  si  confondevano  alle  estranee  genti 
signoro  della  terra,  ma  nessuno  Stato  pensava  più  "a  gittar  pro- 
paggini nuove  oltre  ai  mari,  ad  accrescere  il  proprio  dominio 
coloniale.  Parevano  venute  meno  quasi  tutte  le  ragioni  che  ave- 
vano spinto  in  altri  tempi  cittadini  e  governi  alla  fondazione 
di  colonie.  La  ricchezza  generale  cresceva  con  rapido  moto  ;  la 
libertà  era  dovunque  ammessa  come  un  patrimonio,  come  un 
diritto  dell'uomo,  o  come  la  sua  più  preziosa  conquista;  ed  a 
tutte  le  nazioni  era  aperto  il  campo  dei  commerci  ed  aperte  le 
vie  del  mare,  per  guisa  da  competere  liberamente,  dovunque. 
S'ai2^giungano  gli  insegnamenti  dell'  esperienza,  la  quale  aveva 
mostrato  la  difficoltà  di  fondare  e  governare  bene  le  colonie, 
con  profitto  loro,  della  madrepatria  e  della  civiltà  generale, 
senza  distinguere  sovente  gli  errori  di  metodo  dalle  conseguenze 
del  diverso  carattere  dei  fondatori.  Per  lo  che  gli  anglosassoni 
venivano  reputati  quasi  ì  soli  adatti  a  tale  altissimo  ufficio  sto- 
rico ed  economico,  mentre  la  caduta  degli  imperi  coloniali  del 
Portogallo  e  della  Spagna,  le  perdite  dell'Olanda  e  della  Fran- 
cia, ma  specialmente  gli  ultime  dispendiosi  tentativi  di  questa 
venivano  additati  come  un  salutare  ammonimento. 

Ciascuna  nazione  aveva  poi  ragioni  sue  particolari  per  non 
ritentare  le  antiche  prove,  per  tener  chiuso  l'animo  a  nuove  am- 
bizioni. Chi  più  ne  considerava  le  interne  condizioni  era  tratto 
ad  affermare  che  la  civiltà  avrebbe  ormai  tenuto  altre  vie  per 
penetrare  tra  le  genti  selvaggie,  più  degne  dei  suoi  nobilissimi 
intenti.  L'Inghilterra  aveva  già  tania  p  irte  del  mondo  sulle  brac- 
cia da  reggere  appena  al  gran  peso.  I  suoi  coloni  non  basta- 
vano a  reggere,  non  che  a  popolare,  i  dominii  vastissimi;  tutte 
le  cure  del  governo,  tutti  i  mezzi  dei  quali  il  suo  largo  bilan- 
cio poteva  disp  )rre  parevano  appena  sufficienti  a  raffermare 
coi  beneficii  di  civili  opere  la  soggezione  dell'impero  indiano  ; 
e,  come  nei  gloriosi  tempi  di  Roma,  anche  ai  cittadini  di  Lon- 
dra non  veniva  fatto  di  tener  chiuso  un  anno  solo  il  tempio  di 
Giano.  La  Francia,  prima  dd  1870,  aveva  i  duri  ammaestra- 
menti del  Messico,  e  dopo  Sedan,  la  Comune  e  i  cinque  miliardi, 
nessuno  poteva  credere  avrebbe  cercato  in  nuove  intraprese  co- 
loniali un  conforto,    un    compenso,  od   una  distrazione   purché 


LA    QUESTIONE    DEI    POSSEDIMENTI    COLONIALI.  653 

fosse.  Le  altre  nazioni  che  avevano  possedimenti  oltremare, 
l'Olanda,  la  Spagna,  il  Portogallo,  la  Danimarca,  duravano  troppa 
evidente  fatica  e  conservarli,  e  non  avevano  destato  neanche 
il  sospetto  di  ambizioni  nuove,  e  la  Svezia  aveva  venduta  la 
sua  piccola  colonia  di  San  Bartolomeo,  per  togliersene  aftatto 
il  sopraccapo.  La  Germania  vedeva  bensì  a  malincuore  centi- 
naia di  migliaia  dei  suoi  cittadini  perdersi  lontano,  fra  altre 
genti,  ma  non  pareva  proclive  a  gittare  propaggini  di  là  dei 
mari  per  suo  conto,  né  certo  il  suo  gran  ministro  vi  aveva  pen- 
sato mai  ;  l'Austria-Ungheria  non  vi  poteva  pensare,  non  fosse 
altro  per  il  modo  come  è  costituita,  e  in  Italia  la  fondazione  di 
colonie  oltremarine,  sebbene  caldeggiata  da  qualche  spirito  au- 
lace,  non  aveva  le  simpatie  dell'opinione  popolare,  ne  quelle 
iella  gente  colta.  Solo  la  Russia,  dopo  i  brevi  raccoglimenti  di 

<  'rimea,  andava  innanzi  passo  passo,  senza  rumore,  tra  le  diverse 
j^enti  asiatiche,  allargando,  cosi  da  non  parere,  i  confìni  del- 
1  impero. 

La  reazione  che  segni,  ed  acecnna  a  farsi  ognor  più  vasta 

•  d  acuta,  ci  pare  un  problema  degno  dello  studio  più  attento, 
nei  suoi  più  minuti  particolarari.  Qiova  seguirne  le  vicende,  ri- 
cercarne le  cagioni,  esaminarle  imparzialmente,  trarre  le  regole 
della  condotta  che  dobbiamo  tenere  noi,  o  additare  al  governo, 
.-idoperandoci  perchè  prevalga  nella  pubblica   opinione  cosi  da 

•  ■sscrgli  imposta.  Il  problema,  ognuno  comprende,  può  qui  essere 
.ippena  accennato,  per  la  mole  e  più   per   la  gravità  sua  e  le 

le  attinenze  economiche,  sociali  e  politiche.  Ognuno  dei  fatti, 
clie  giova  ridurre  a  brevissima  sintesi,  meriterebbe  speciale  con- 
siderazione; ognuna  delie  cagioni  che  li  determinarono  e  delle 
influenze  che  dettano  loro  norma  potrebbe  formare  toma  di  di- 
■stinte   ricerche.  Pur  anche  riassumendo  brovcmento  ogni  cosa, 

<  i  pare  sia  possibile  trarre  qualche  utile  conclusionn,  qualche 
regola  di  condotta,  la  quale  da  più  sottili  e  dotte  ricerche  potrà 
cHsere  piuttosto  confermata  che  contradetta. 

Qiovorà,  se  non  altro,  fcrm'iro  l'attenzione  ad  una  questione 
1^  4lolle  più  vaste  e  complesse  dell'epica  nostra,  che  è  pur  di  quello 

f  «'he   più  facilmente  h  >x\h\  ni  nostro  esame,  ovvero  sontono 

più  po^o  l'impero  dei  |  !  ^  ./a.  In  nessun  altro  argomento  è  forse 
maggiore  la  necessità  dì  mettere  da  parte  qualsiasi  idea  cre- 
sciuta nei  silenzi  solitari  della  mente,  ed  attenersi  ai  fatti,  allo 
cifre,  alle  esperienze;  in  nessuno  ò  più  difiìuilo  computare  esat- 
tamente, per  la  parte  che  loro  spetta,  i  fattori  diversi  del  problema. 

l\ 


054  I,A    QUESTIONE    DEI    POSSEDIMENTI    COLONIALI. 

IL 

Giova  innanzi  tutto  un  esatto  inventario  dei  possedimenti 
che  le  potenze  dell'Europa  nostra  hanno  fuori.  Non  si  possono 
dire  tutte  colonie  :  per  la  Russia  i  possedimenti  asiatici  sono  una 
parte  dell'impero,  e  per  l'Italia  Assab  non  è  piìi  che  una  sta- 
zione, un  fondaco,  una  speranza  d'  avvenire.  Non  si  parla  della 
Turchia,  la  quale  è  principalmente  asiatica,  e  non  può  tardare 
secoli  ad  essere  ricacciata  nell'Asia  materna  tutta  quanta. 

La  Gran  Brettagna  tiene  il  primo  posto  e  lascia  tutte  le  altre 
potenze  ad  immensa  distanza.  Come  già  cantava  Felicia  Hemaus, 
dirsi  può  di  cotesti  moderni  Romani 

Foresta  o  mar  non  mormora 

Dove  non  posin  d'Albion  gli  spenti, 

e  non  v'è  parte  del  mondo  dove  non  signoreggino  o  non  ab- 
biano gittate  robuste  propaggini  di  repubbliche  e  d' imperi. 

Neil'  Europa  stessa  l' Inghilterra  possiede  tre  stabilimenti 
militari,  su  terre  geograficamente  tedesche,  Ispane,  italiane; 
Heligoland,  Gibilterra,  Malta,  uno  scoglio  di  seicento  metri  in 
quadro,  una  punta  di  promontorio  di  5  chilometri  di  superficie, 
un'  isola  di  323  :  in  tutto  328  chilometri  quadrati  di  terra  con 
175,186  abitanti. 

In  Asia  la  Gran  Brettagna  possiede  anzitutto  il  grande  impero 
indiano,  che  supera  i  dugento  milioni  d'abitanti:  l'India  ne 
novera  198,441,000  su  2,253,252  chi!,  di  superficie  :  Ceylan 
2,638,540  su  63,976  chilometri  quadrati.  Fanno  corona  all'  im- 
menso dominio,  pel  quale  la  Gran  Brettagna  ha  cure  ognor  più 
grandi,  quasi  temesse  sempre  di  perderli,  i  possedimenti  dello 
Stretto,  con  Singapore,  che  accolgono  423,384  abitanti  su  3,742 
chil.  quad.;  Hong-kong  con  160,402  su  3,000  chil.  q.;  i  possedi- 
menti nel  settentrione  dell'isola  di  Borneo,  con  limiti  a  bella 
posta  indeterminati  ma  non  inferiori  a  57,000  chil.  q.  e  forse 
150,000  abitanti,  e  poi  Labuan,  le  Nicobare,  le  Andamane,  Perui, 
Mosha,  Kamaran,  le  isole  di  Kurda-Muria  e  quelle  di  Keeling: 
sulla  via  trovansi  Cipro  con  186,084  abitanti,  ed  Aden  con 
22,702.  Sì  che  nel  complesso  la  Gran  Brettagna  possiede  in 
Asia  2,396,276  chilometri  quadrati  di  terra,  e  stende  il  suo  im- 
pero su  202  milioni  di  abitanti. 


LA    QUESTIONE    DEI   POSSEDIMEXXl    COLONIALI. 


655 


L'Oceania  può  dirsi  quasi  tutta  sua.  Inglese  è  interamente 
r  Australia  eolle  sue  diverse  colonie  :  Nuova  Galles  del  Sud  con 
751,168  abitanti  su  800,730  chilometri  q.;  Vittoria  con  862,346 
su  227,610;  la  Queenslandia  con  213,525  su  1,729,052;  1'  Au- 
stralia meridionale  col  territorio  del  Nord  279,865  su  2,349,775; 
la  Tasmania  con  115,705  su  68,309.  In  quest'ultima  isola  gli 
indigeni  sono  tutti  scomparsi,  ma  nel  continente  vicino  bisogna 
aggiungere  alla  popolazione  censita  55  o  60  mila,  che  errano 
randagi,  nudi,  ischeletriti  nell'interno.  Viene  poi  la  Nuova  Ze- 
landa con  489,691  abitanti,  oltre  a  44,000  Mavri  indigeni.  A 
queste  grosse  colonie  s'aggiungono  le  isole  Figi  con  121,884 
abitanti  su  20,801  chil.  quadrati;  le  Chatam  con  242  su  1,627 
e  le  isole  di  Norfolk,  di  Rotumah,  d'Auckland,  di  Lord  Howe, 
Caroline,  Starbuck,  Malden,  Famming.  Complessivamente  la 
Gran  Brettagna  ha  nell'Oceania  2,968,190  sudditi  sparsi  su  poco 
meno  di  otto  milioni  di  chilometri  quadrati. 

In  Africa  la  Gran  Brettagna,  se  non  può  dirsi  ancora  paci- 
fica signora  dell'  Egitto  e  dei  vastissimi  territori  intemi  che  le 
stanno  per  cosi  dire  sottomano,  possiede  721,350  chil.  quadrati 
di  terre  con  2,717,921  abitanti,  la  Colonia  del  Capo,  la  Cafreria 
Britannica,  il  paese  dei  Basuto,  il  Griqualand,  i  distretti  oltre 
il  Rai,  il  Natal,  la  baia  delle  Balene,  Sierra  Leona,  la  Garabia, 
la  Costa  d'Oro,  Lagos,  e  le  isole  Sant'  Elena,  Maurizio,  Ascen- 
sione, Tristan  da  Cunta,  San  Paolo  e  Nuova  Amsterdam. 

In  America  è  inglese  il  Canada  con  4,324,810  abitanti  sopra 
una  superfìcie  che  dà  due  chilometri  quadrati  a  ciascuno  di  ossi; 
la  Giammaica  con  580,804  abitanti,  su  10,8.59  chil.  quadrati, 
Terranova  con  179,509  su  110,670;  le  Bormudc  con  13,948  su 
.50;  l'Honduras  con  27,452  su  19,585;  le  isole  di  Bahama  con 
•-  '_'l  su  13,900;  le  isole  minori  di  Ture,  Caicos,  Cayman  con 
:  i  8,(X)0  abitanti  su  1,159;  le  isole  Lceward  con  119,546  su 
1,827;  le  Windward  con  312,686  tu  2,150;  laTriniU  con  155,128 
4U  4,.544,  la  Gujana  inglese  con  248,110  su  2*M,243;  lo  isole 
Falkland  con  1,553  su  12,532,  e  per  ultimo  lo  desorto  isolo  degli 
Stati;  in  tutto  6  milioni  dì  abitanti,  su  8,700,082  chil.  quadrati. 

Ed  ecco  come  si  compone  un  impero  coloniale,  che  ab- 
braccia 214  milioni  di  sudditi,  sparsi  sopra  poco  meno  che 
20  milioni  di  chilometri  qundrntf,  dove  1'  Inghilterra  capirebbe 
forse   mille  volt*-. 

Viene    Mecon<iii     l.i     i   r  :;:' m.    cÌm'     uvrobho    poco     più    di    s.  if,- 

milioni  di  abitanti,  ><    1-     >n«*    ^^taiisticho  non  vi  aggiuiig<  ssi k» 


056  LA   QUESTIONE    DEI   POSSEDIMENTI    COLONIALI. 

tre  prrosse  cifre  per  conto  del  Tonchino,  del  Madagascar  e  di 
Tunisi,  dove  il  dominio  francese  non  è  peranco  pacifico. 

La  Francia  possiede  anzitutto  1'  Algeria  con  2,867,626  abi- 
tanti sopra  una  superficie  di  430,000  chilometri  q.;  in  Africa 
possiede  inoltre  il  Senegal  colle  sue  dipendenze,  il  Gabon,  la 
Costa  d'Oro,  e  le  isole  Riunione,  Majotte,  Nosli-Bè,  Santa  Ma- 
ria con  altri  423,078  abitanti  so).ra  256,145  chil.  q.  S  aggiunga 
la  Tunisia,  che  bene  o  male  fa  parte  dei  dominii  della  Repub- 
blica, e  dove  gli  abitanti  si  computano  a  3  milioni  su  118,400 
chilometri  q.  Ve  chi  mette  già  in  conto  il  Madagascar  con 
5,000,000  di  abitanti  su  692,000  chil.  q.;  ma  ne  riparleremo. 
In  America  la  Francia  possiede  la  Guyana,  la  Martinica,  la  Gua- 
dalupa,  colle  sue  dipendenze,  e  San  Pietro  con  Miquelon  : 
390,539  abitanti  sopra  124,502  chilometri  q.  Neil'  Oceania  pos- 
siede la  Nuova  Caledonia  e  Tahiti  con  le  isole  minori  che  dipen- 
dono da  questi  due  gruppi,  109,956  abitanti  sopra  28,338  chilo- 
metri q.  Nell'Asia  sarebbe  il  più  vasto  dominio  francese,  chi 
computi  i  15  milioni  dì  abitanti  del  Tonchino  sopra  200,000 
chilometri  q.  Senza  dei  quali  la  Francia  possiede  la  Cocincina,  i 
possedimenti  dell'  India  ed  ha  in  tutela  il  Cambodge,  3,382,035 
abitanti  sopra  143,826  chilometri  quadrati.  Ecco  adunque  un 
impero  coloniale  di  1,564,113  chil.  quadrati,  nel  quale  vivono 
27,305,608  abitanti.  Ma  giova  ripetere  che  il  Journal  O/ficiel 
del  31  luglio  1882,  nel  dare  queste  cifre,  non  solo  computava 
le  pretese,  ma  ancora  esagerava  alcune  cifre:  ingrandiva,  per 
esempio,  il  Madagascar  di  100,000  chilometri. 

La  Russia,  già  s'è  detto,  piuttosto  che  colonie  ha  in  Asia 
una  parte  dell'  impero.  La  quale,  se  è  molto  al  disotto  dell'  Eu- 
ropea a  ragione  d'abitanti,  la  supera  d' immenso  tratto  per  la 
superficie.  E  poiché  tali  possedimenti  danno  alla  Russia  tutti  i 
vantaggi  delle  colonie,  giova  tenerne  conto,  come  fossero  tali. 

Il  Caucaso  comprende  il  Caucaso  settentrionale  con  3  go- 
verni, la  Transcaucasia  con  9,  l'Armenia  con  2,  ed  il  territorio 
d'  olire  il  Caspio  non  ordinato  a  regolare  governo;  in  tutto 
5,750,000  abitanti  sopra  799,734  chilometri  q.  La  Siberia  com- 
prende otto  governi,  provincie  o  territori  con  3,911,200  abitanti 
sopra  12,495,109  chilometri  q.  I  9  governi  dell'  Asia  centrale 
con  le  porzioni  di  territorio  annesso  hanno  una  popolazione  di 
5,036,000  abitanti  sopra  3,017,760  chilòmetri  q.  Sono  dunque 
in  tutto  15,839,938  con  14,696,754  abitanti  contro  83,659,351 
abitanti  sopra  5,427,124  chilometri  della  Russia  europea. 


LA    QUESTIONE   DEI   POSSEDIMENTI   COLONIALI.  657 

Due  delle  altre  grandi  potenze  europee,  l'Austria-Ungheria 
e  la  Germania,  non  possiedono  alcuno  stabimeuto  fuori  d'  Eu- 
ropa; r  Italia  ha  accennato  ad  una  politica  coloniale  pigliando 
possesso  di  Assab,  ed  incoraggiando  e  sussidiando  imprese  de- 
stinate ad  allargare,  per  ora,  il  dominio  economico  della  prima 
e  modesta  colonia. 

Fra  le  potenze  di  secondo  ordine  tiene  il  primo  posto  1'  O- 
landa,  la  quale  possiede  ancora  un  impero  coloniale  che  potrebbe 
bastare  a  più  di  una  grande  potenza.  Nelle  Indie  occidentali 
l'Olanda  possiede  Giava  e  Madura,  131,733  chilometri  quadrati, 
con  19,298,804  abitanti.  La  cifra  della  popolazione  indigena 
degli  altri  possedimenti,  Sumatra,  Borneo,  Celebcs,  le  Molucche, 
Nuova  Guinea,  Timor,  Bali,  ecc.,  che  hanno  una  superficie  di 
1,728,000  non  è  conosciuta  esattamente,  ma  si  valuta  a  8,400,000 
abitanti.  Gli  europei,  cinesi,  arabi,  ecc.,  sono  396,437. 

Nelle  Indie  eccidentali  l'Olanda  po&siede  la  colonia  di  Suri- 
nam  o  Guyana  olandese,  con  117,321  chilometri  q.  e  69,476  abi- 
tanti, e  la  colonia  di  Curacao  colle  altre  minori  Antille  oland<si, 
1,130  chilometri  quadrati  con  42,530  abitanti.  E  complessiva- 
mente 1,980,184  chilometri  quadrati,  sui  quali  vivono  28,207,247 
abitanti. 

La  Spagna,  che  ebbe  già  uno  dei  più  vasti  imperi  coloniali, 
ne  possiede  appena  i  frantumi,  Cuba  e  Portorico  in  America,  e 
insidiata  per  giunta  dagli  Stati  Uniti,  con  2,178,952  abitanti 
Mopra  128,148  chilometri  q.;  in  Asia  le  Filippine,  colle  minori 
isole  Caroline,  Marianne  e  PaUos,  6,344,665  abitanti  sopra 
298,772  chilometri  quadrati.  In  Africa  rimangono  alla  Spagna 
soltanto  i  piccoli  stabilimenti  di  Fernando  Po,  Corisa,  Hobey, 
Annobon  e  il  territorio  di  Sin  Q  io  vanni,  35,000  abitanti  sopra 
2,203  chilometri  q.  Sommando  cotesto  cifre  abbiamo,  dunque,  la 
ricchezza  coloniale  della  Spagna  rappresentata  da  429,123  chilo- 
metri quad.  di  superficie  con  ^(,558,627  abitanti. 

La  Danimarca  possiede  vasti  territori  nel  Mar  Glaciale  o  sulle 
Hoglìc  di  esso,  una  parte  del  QrOnland,  l'Island^t,  le  isole  Faoroe, 
dove  vivono  93,659  abitanti,  disseminati  su  194,218  chilometri 
quadrata  Possiede  p  ti  in  America  tre  piccole  isolo  dello  Antille, 
Santa  Croco,  San  Tommaso  e  Sun  Giovanni,  dove  vivono  33,763 
abitanti  su  359  chilometri  q.;  e  in  tutto  127,400  ubibinti  su 
194,577  chilometri  quadrati. 

Altrettanto  dee  dirsi  del  Portogallo,  al  quale  restano  1,825,252 
,|,;|, ...... fri   M    ,r...   :'.  ',''.'1  700  abitanti.  11  maggior  numero  ò   in 


058       LA  QUESTIONE  DEI  POSSEDIMENTI  COLONIALI. 

Africa,  dove  il  Portogallo  possiedo  le  isole  del  Capo  Verde,  la 
Senegambia  con  Bissao,  Cacheo,  Bolama  ed  altri  tratti  della 
Guinea,  le  isole  di  San  Tommaso  e  del  Principe,  con  134,000 
abitanti  sopra  5,035  chilometri  quadrati,  ma  estende  altresì  la 
sua  sovranità  su  forse  due  milioni  di  abitanti  nei  distretti  di 
Loanda,  Mossamedes  e  Benguela,  e  per  altri  350,000  nei  di- 
stretti del  Mozambico,  che  misurano  insieme  1,801,550  chilo- 
metri quadrati.  In  Asia  e  nell'  Oceania  possiede  ancora  Goa, 
Salcete,  Bardez,  l'isola  d'Angedine,  Damao,  Gogola  e  l'isola  di 
Deu,  con  alcune  recenti  conquiste,  3,355  chilom.  q.  con  481,467 
abitanti;  e  possiede  inoltre  Macao,  Taipa  con  Colovane  e  Timor 
con  Cambons,  cioè  16,312  chilometri  q.  con  368,086  abitanti. 

Il  Belgio,  la  Svizzera,  la  Svezia  e  la  Norvegia,  la  Grecia 
e  gli  altri  Stati  della  penisola  Balcanica  non  hanno  possedimenti 
fuori  di  Europa,  sebbene  di  loro  colonie  siano  sparsi  gli  altri  con- 
tinenti, e  specialmente  la  Grecia  abbia  oltre  i  confini,  su  tutti  ì 
lidi  del  Mediterraneo  orientale  e  dei  mari  che  mettono  in  esso 
sparsi  gl'industri  suoi  figli. 

La  ricchezza  coloniale  delle  diverse  potenze  europee  è  rap- 
presentata, adunque,  dalla  seguente  tabella,  dove  non  si  com- 
prendono nei  possedimenti  britannici  Malta,  Gibilterra,  Heligo- 
land,  e  nei  portoghesi  le  Azzore  e  Madera  ;  ma  si  tien  conto  di 
tutti  i  protettorati  della  Francia,  delle  Canarie  per  la  Spagna: 

Gran  Brettagna  chil.  q.     19,806,701  abitanti    213,751,000 

Francia    ...  »  1,994,113  »  30,173,234 

Olanda     ...  »  1,980,184  »  27,810,810 

Eussia.     ...  »  16,312,600  »  14,696,780 

Spagna     ...  *  436,747  »  8,839,115 

Portogallo    .     .  »  1,825,252  »  3,333,700 

Danimarca  .     .  »  88,459  »  43,763 

Italia  ....  »  632  »  1,193 

III. 

Non  riuscì  così  difficile  a  Paride  assegnare  il  pomo  della  bel- 
lezza alle  tre  vaghissime  Dee,  come  dichiarare  qual  sia  fra  le  tre 
maggiori  potenze  coloniali  la  più  agitata  dall'ambizione  di  più 
vasti  dominii.  Ciascuna,  per  ragioni  diverse,  merita  il  primato, 
sì  che  giova  seguirle  nell'ordine  ch'esse  occupano  al  presente,  il 
quale  da  nessuna  conquista,  per  grande  che  sia,  fra  le  ambite, 
potrà  essere  di  leggieri  alteralo. 


LA   QUESTIONE    DEI    POSSEDIMENTI    COLONIALI.  650 

Fra  le  molte  idee  convenzionali,  che  molti  avevano  accolto 
nel  continente  pel  governo  e  la  costituzione  inglese,  era  altresì 
quella  che  i  due  grandi  partiti  parlamentari  suoi  differissero 
sostanzialmente  nello  indirizzo  della  politica  estera.  I  liberali 
preferivano  la  pace,  i  conservatori  l' impero  ;  quelli  non  ama- 
vano le  conquiste,  quando  non  fosse  per  rivendicare  altri  popoli 
in  libertà,  ed  avevano  piuttosto'a  cuore  la  sorte  dei  soggetti;  a 
questi  premeva  invece  sopra  ogni  cosa  accrescere  l'influenza  e 
l'azione  dell'Inghilterra  nel  mondo.  Contrapposto  troppo  semplice 
e  spiccato  per  essere  esatto.  Ed  infatti,  riscontrato  agli  avveni- 
menti che  seguirono  specialmente  negli  ultimi  anni,  questi  non  ri- 
spondono punto  all'accennato  contrasto,  come  non  risponde,  del 
resto,  la  politica  interna  a  quello  che  era  pure  sembrato  di  no- 
tare in  essa  prevalente.  Varie  le  cause  :  il  genio  multiforme  dei 
due  uomini  che  combattendosi,  ma  anche  imitandosi,  ressero, 
dopo  la  morte  di  lord  Palmerston,  i  destini  dell'Inghilterra;  la 
scomparsa  o  Io  scoloramento  successivo  di  certe  distinzioni,  di 
certi  articoli  di  fede  che  costituivano  il  programma  degli  opposti 
partiti,  si  che  è  aumentato  il  patrimonio  di  idee  e  di  promesso 
comune;  le  necessità  finalmente,  della  politica  generale,  lo  quali 
si  impongono  ad  un  uomo  di  Stato  fosso  il  più  partigiano  e 
temperano  la  condotta  del  partito  più  esclusivo,  quando  sia  di 
Governo. 

Può  dirsi  tuttavia  che  per  qualche  tempo  prevalesse  nella 
polìtica  dei  due  grandi  uomini  di  Stato  quell'opposto  indiri 
Gladstone  venuto  al  potere  nel  1860  ratifica  il  trattato  di  r 
mercio  colla  Francia  dando  il  più  fiero  colpo  al  protezionismo; 
volge  ogni  sua  cura  all'assetto  del  bilancio,  e  procura  special 
mente  alle  classi  meno  abbienti  sollievi  considerevoli  ;  propara 
la  seconda  riforma  elettorale.  Disraeli,  che  gli  sottontra  nt  1 
1^67,  prima  con  lord  Derby  e  poco  appresso  capo  dp|  gabinottn, 
rivela  subito  il  nuovo  indirizzo  compiendo  nell'India  una  grand<> 
riforma,  per  verità  necessaria  dopo  l'ultima  insurrezione.  Abo- 
liti i  privilegi  della  Compagnia,  all'azione  di  essa  venne  sosti- 
tuita quella  più  efficace  del  Governo.  I^  discunsiono  dogli  af- 
fari correnti  venne  affidata  ad  un  consiglio  legislativo  nominato 
dal  Governatore,  riservando  al  Parlamento  ed  al  Ministero  del  In 
Indio  la  diro/  -  'oneralo.  Poco  appresso  la  spedizione  d'Abin- 
•inia,  dove  ,  ^i  vendicarono   colla  morto  di  re  Teodoro  c« 

la  presa  di  Magdala  l'oltraggio  di  alcuni   loro  concittadini,  ma 
non  rimasero  nel  paese  né  gl'imposero  alcun  sacrificio  tcrrito- 


OGO  LA    QUESTIONE    DEI    POSSEDIMENTI    COLONIALI. 

riale,  forse  perchè  non  vi  trovarono  alcun  tornaconto.  Quando 
Gladstone  gli  succedette,  vohe  esclusivamente  il  pensiero  al- 
l'abolizione della  Chiesa  ufficiale  in  Irlanda,  a  spezzare  e  ren- 
dere facilmente  accessibili  le  grandi  proprietà  in  quel  disgra- 
ziato paese,  a  sviluppare  l'educazione  del  popolo,  a  migliorare 
l'amministrazione  della  giustizia. 

Sottentratogli  di  bel  nuovo,  nel  1874,  j'on.  Disdraeli,  trovò 
il  paese  saturo  di  riforme,  l' Irlanda  tranquilla,  il  bilancio  in 
attivo,  e  fece  subito  manifesta  la  sua  inclinazione  per  i  colpi 
di  scena,  per  le  avventure  clamorose,  e  mostrò  il  desiderio  di 
restituire  all'Inghilterra  una  influenza  preponderante  nel  mondo. 
Diede  un  primo  saggio  delia  nuova  politica  comperando  inopi- 
natamente dal  Kedive  176,000  azioni  del  canale  di  Suez.  L'In- 
ghilterra si  era  opposta  alla  sua  costruzione,  era  stata  vinta,  e 
adesso,  profittando  dei  bisogni  del  Kedive  e  con  un  audace  colpo 
di  mano,  se  ne  preparava  il  dominio.  Poco  appresso  volse  il 
pensiero  a  stabilire  nell'Africa  australe  una  vasta  confederazione 
sotto  la  protezione  dell'Inghilterra,  e  contemporaneamente  mandò 
il  principe  di  Galles  nell'India,  per  sfoggiarvi  la  ricchezza  e  la 
potenza  dell'Inghilterra  e  strìngere  più  intimi  rapporti  coi  so- 
vrani amici  o  vassalli.  Ne  pago  di  ciò  l'on.  Disdraeli  volle  che 
la  Regina  avesse  titolo  d'Imperatrice,  almeno  fuor  dell'Inghil- 
terra, per  accrescere  agli  occhi  dei  sudditi  il  suo  prestigio. 
Poco  appresso  una  spedizione  contro  gli  Ascianti  accresceva  il 
dominio  britannico  sulla  Costa  d'oro. 

Scoppiava  intanto  la  guerra  in  Oriente  e  lord  Beaconsfìeld, 
dopo  aver  trattenuta  colla  sua  abile  politica  la  Russia  e  rese 
poco  men  che  vane  le  sue  vittorie,  mutando  in  quel  di  Ber- 
lino il  trattato  di  S.  Stefano,  fece  sapere  di  aver  ottenuta  per 
l'Inghilterra  l'isola  di  Cipro,  prezzo  della  protezione  che  aveva 
risparmiato  al  sultano  perdite  di  gran  lunga  maggiori.  Né  pago 
di  ciò  lord  Beaconsfìeld,  proseguiva  poco  appresso  una  guerra 
nell'Africa  australe  contro  Cettivajo  e  gli  zulù,  ed  un'  altra 
nell'Afganistan.  L'Inghilterra  mirava  ad  attuare  nell'Africa  il 
suo  progetto  di  confederazione,  ad  assicurare  nell'Afganistan 
al  suo  impero  indiano  una  frontiera  scientifica  ;  senonchè  l'una 
e  l'altra  guerra  riuscirono  piuttosto  fatali  alla  sua  potenza, 
perchè  da  ambe  le  parti  si  sparse  molto  sangue,  gl'inglesi  su- 
birono gravi  sconfitte,  e  dovettero  concludere  la  pace  salvando 
poco  più  dell'onore,  e  compromettendo  più  assai  non  accre- 
scessero il  loro  prestigio.  11  tentativo  di    conquistare  il  Trans- 


LA   QUESTIONE    DEI    POSSEDIMENTI   COLONIALI.  661 

vaal  li  gettò  in  una  guerra  lunga  ed  incerta,  e  nell'Afganistan 
non  riuscirono  a  suddividere  il  paese  mandando  dovunque  loro 
rappresentanti  a  dirigerne  la  politica. 

Gladstone,  tornato  al  potere  nel  1880,  accennò  da  principio 
a  mutar  via,  fedele  alla  sua  politica  pacifica  e  riformatrice.  Ri- 
nunciò all'occupazione  dell'Afganistan,  come  alla  conquista  del 
Transvaal,  strinse  con  quelle  popolazioni  rapporti  di  amicizia 
e  di  alleanza,  e  riusci  ad  ottenere  l'esecuzione  del  trattato  di 
Berlino  su  quasi  tutti  i  punti.  Ma  poco  appresso  la  rivolta  di 
Araby  pascià  contro  Tewfik  kedive  d'Egitto  costrinse  l' Inghil- 
terra ad  intervenire  nella  questione  egiziana,  ed  in  pochi  giorni 
sir  Garnett  Wolselej  disperse  l'esercito  dei  ribelli  e  ristabilì 
l'autorità  del  kedive,  non  più  sovrano,  ma  pupillo  del  governo 
di  Londra.  Il  quale  avrebbe  dovuto  togliere  di  là  le  truppa 
appena  ristabilito  l'ordine  pubblico,  ma  ve  le  tenne  invece,  la- 
sciando mettere  innanzi  il  progetto  di  un  secondo  canile,  che 
iiarebbe  esclusivamente  inglese  e  darebbe  un  pretesto  per  non 
lasciare  l'Egitto  nelle  condizioni  dì  prima,  assicurando  la  portai 
dell'impero  indiano.  Così  Gladstone  compie  nel  nome  della  li- 
bertà i  disegni  che  il  rivale  di  lui  ha  iniziati  nel  nome  dell'im- 
pero, ed  i  possedimenti  britannici  si  estendono,  nel  decennio, 
nell'Africa  australe  e  nell'India,  a  Cipro  ed  in  Egitto. 

Coleste  imprese  suscitarono  più  di  una  ardente  discussioni) 
nelle  Camere  e  nel  paese,  ma  l'opinione  generale  rimase  sempre 
piuttosto  favorevole  aiIa  fondazione  di  nuove  coionio  ed  allo 
sviluppo  delle  presenti.  Sono  vive  nella  memoria  di  tutti  la  sen- 
tenza di  Stuart  Miti  —  la  fondazione  dello  colonie  h  il  mi- 
glior affare  nel  quale  si  possano  mettere  i  capitali  di  un  vec- 
chio e  ricco  p^ese  —  e  le  p  irolo  di  lord  Derby,  che  dichiarava 
ai  Lordi  esHore  l'impero  coloniale  la  maggior  fortuna  dill'In- 
ghilterra,  sovratatto  per  lo  sfogo  che  apro  nireccoASO  della  sua 
popolazione.  E  g^ova  rammentare  che  questa  potensa  colo- 
niale h  tutta  del  nostro  secolo.  Nel  xvii  rAraerìca  spagnuoU 
brillava  di  una  luce  che  eclissaya  i  modesti,  sebbene  solidi  e 
contintii  progressi  dell'America  in^lfse,  comò  la  prospt^rità  mo 
ravigliosa,  Kobbene  effimera  della  Compagnia  delle  Indio  olan 
desi  distoglieva  l'attenzione  dai  pazienti  cforzi  degli  inglesi  per 
stabilirsi  r^  "  T  '  ntan.  Nel  secolo  xviii  gli  avventurieri  fran 
cesi  sul  M  ,0  sui  grandi  laghi  come  sulle  rive  del  Qmge 

0  lo  sviluppo  di  S.  Domingo  parevano  assicurare  alla  Francia 
la  supremazia  coloniale;  mentre  un'ombra  sinistra    proicttarasi 


Gt32  LA    QUESTIONE    DEI    POSSEDIMENTI    COLONIALI. 

sulla  colonizzazione  inglese  e  gli  spiriti  più  fermi,  commossi 
per  la  perdita  delle  provincie  della  Nuova  Inghilterra,  ne  da- 
vano il  più  severo  giudizio.  Ma  ai  perduti  imperi  l'Inghilterra 
seppe  sostituirne  altri;  moltiplicò  la  popolazione,  la  coltura,  la 
ricchezza  dei  suoi  possedimenti,  e  in  pochi  anni,  in  continenti 
quasi  sconosciuti  e  disprezzati  dagli  altri  popoli,  improvvisò  so- 
cietà regolari,  dotate  d'una  forza  di  sviluppo  e  di  una  attività 
produttrice  senza  precedenti.  Ma  anche  nelle  colonie  l'Inghil- 
terra mostrava  quelle  eminenti  facoltà  che  le  assicurarono  il 
posto  che  occupa  nella  storia,  e  compieva  quei  progressi  gra- 
duali, quelle  successive  riforme,  che  la  guidano  a  studiare  senza 
sosta  le  sue  istituzioni  e  le  sue  leggi,  a  rilevarne,  senza  atte- 
nuarle, senza  esagerarle,  le  imperfezioni  e  i  difetti,  a  non  la- 
sciarsi abbagliare  mai  da  un  falso  amor  proprio  nazionale  sugli 
errori  commessi,  a  modificare  continuamente  i  congegni  sociali  e 
politici  e  i  provvedimenti  economici  che  l'esperienza  condanna. 
Anche  negli  ultimi  anni  l'Inghilterra  usò  verso  i  suoi  pos- 
sedimenti coloniali  la  maggiore  larghezza,  sì  che  le  colonie 
d'Australia,  per  esempio,  si  possono  dire  poco  meno  che  indi- 
pendenti, ed  affrontarono  già  la  questione  della  formazione  di 
un  esercito  coloniale  e  dell'armamento  di  una  flotta  per  la  loro 
difesa.  Grandi  progressi  materiali  furono  compiuti  nell'India, 
grazie  ai  quali  furono  sottratte  alle  frequenti  carestie  ed  alle 
minacce  degli  agenti  tellurici  fitte  e  numerose  popolazioni,  e 
l'atttuale  viceré  dell'  India,  ha  già  manifestata  l' intenzione  di  dare 
all'impero  alcune  istituzioni  rappresentative,  affidando  a  uomini 
competenti  lo  studio  di  una  riforma  che  si  presenta  colà  sotto 
forme  più  complesse  e  nuove,  a  cagione  della  diversità  della  col- 
tura, degli  interessi,  delle  razze,  delle  religioni.  * 

1  II  progetto  che  venne  per  tale  oggetto  sottoposto  al  consiglio  vice- 
reale divide  il  terrritorìo  in  gruppi  di  villaggi,  ciascuno  dei  quali  gruppi 
affiderebbe  quind'innanzi  i  suoi  interessi  ad  una  assemblea  deliberante  ed 
elettiva,  composta  per  due  terzi  di  notabili  e  di  commercianti,  e  per  l'altro 
terzo  di  membri  nominati  dai  rappresentanti  del  governo  centrale,  e  che 
sarebbero  in  qualche  modo  una  specie  di  prefetti. 

Al  disopra  di  queste  assemblee,  che  corrisponderebbero  ai  consigli  mu- 
nicipali europei,  si  creerebbero  dei  corpi  elettivi  superiori,  simili  ai  con- 
sigli provinciali. 

Insomma  gli  indiani  godrebbero  della  autonomia  locale  come  essa  si  in- 
tende in  Inghilterra,  ma  con  questa  restrizione,  che  i  rappresentanti  del 
governo  centrale  eserciterebbero  un  certo  controllo  sulle  deliberazioni  delle 
assemblee  locali,  con  facoltà  di  potere  in  taluni  casi  revocarle. 


LA   QUESTIONE    DEI    POSi>EDlXIENTI   COLONIALI.  6Ga 

Lo  spirito  colonizzatore  degli  inglesi  si  trasmette  naturalmente 
ai  loro  coloni;  basterebbe  narrare  in  qual  modo  venne  successi- 
vamente e  occupata  l'Australia,  divisa  già  per  quasi  mezzo  secolo 
tra  galeotti  e  aborigeni,  e  costituita  adesso  ad  immagine  della 
madrepatria,  cosi  che  l'anglosassone  può  cercarvi  fortuna  quasi 
.senza  lasciarla,  rimanendo  cittadino,  con  tutti  i  suoi  diritti  e  i 
suoi  doveri.  E  ben  lungi  dal  pensare  a  distaccarsi  da  essa  gli 
ustraliani  deplorano  che  sia  troppa  inavvertita  la  tutela,  mi- 
rando piuttosto  a  successivi  frazionamenti  delle  colonie,  i  quali 
porgono  loro  l'agio  di  meglio  governarle,  ed  a  gittare  intorno 
nuove  propaggini. 

Cosi  non  desta  alcuna  meraviglia  se  alcuni  coloni  del  Queen- 
sland  meditano  da  alcuni  anni  Tannessione  della  Nuova  Guinea 
o  d'una  parte  di  essa,  e  tennero  poco  meno  che  per  un  affronto 
il  rifiuto  opposto  loro  di  recente  dal  governo  di  Londra  di  con- 
sentire a  siffatta  occupazione. 

I  lettori  non  avranno  dimenticato  come  Leone  Maria  d'Al- 
bertis  si  incontrasse  nella  Nuova  Guinea  con  una  spedizione  di 
missionari  inglesi,  ed  avesse  ogni  maniera  d'aiuti  da  questi  e 
dal  governatore  della  Nuova  Galles  del  Sud.  Appunto  costui  gli 
affidò  la  NevOf  sulla  quale  il  nostro  viaggiatore  potò  nel  1876 
compiere  il  maggiore  suo  viaggio  sul  fiume  Fly,  sino  al  centro 
dell'  isola  alle  falde  dei  monti  Vittorio  Emanuele.  Dull'Auslra- 
liftì  e  specialmente  dal  Queesland,  mossero  spedizioni  di  ven- 
turieri per  la  Nuova  Guinea  sin  dal  1875,  per  fondare  stazioni 
commerciali,  o  per  cercare  l'oro  che  Michele  Maclay  e  Moresby, 
dopo  il  nostro  Cerruti,  supposero  esistesse  noli'  interno  del» 
r  isola,  e  del  quale  Lawos  e  Goldie  trovarono  tracco  presso 
la  stazione  fondata  dai  missionari  a  Port  Morosby.  Sebbene  la 
proporzione  dell'oro  fosse  cosi  scarsa  da  non  compensare  l'estra- 
zione, parve  a  Sydney  che  nelle  alluvioni  dei  fiumi  lo  si  sarebbe 
scoperto  in  proporzioni  maggiori.  E  nel  1878  una  nuova  spe- 
dizione mosse  per  alla  volta  di  Port  Moresby  e  penetrò  nello 
intemo  per  otto  chilometri,  costretta  a  tornare  senza  alcun  ri- 
sultato da  febbri  micidiali  e  da  sanguinosi  conflitti  coi  nativi. 
h'auri  $acra  favies  non  poteva  però  arrestarsi  ad  un  primo  in- 
saccesso,  e  dopo  alcuno  altre  spedizioni  parve  al  governo  del 
Qaeensland  che  non  si  dovesse  tardare  più  a  lungo  ad  affer* 
mare  il  predominio-  dell'Inghilterra  sulla  parte  orientalo  del» 
l'isola.  Gli  australiani  non  dubitarono  un  solo  istante  della  pot- 
l  sibilità  di  occupare  tutto  il  territorio  dell'isola  ad  occidente  del 


664  LA   QUESTIONE   DEI   POSSEDIMENTI   COLONIALI. 

140°  long,  ovest  da  Green;  non  dirò  senza  suscitare  il  malcon- 
tento, ma  certo  senza  dare  fondato  motivo  di  protesta  ad  alcun 
governo  europeo  ;  ed  appena  il  governo  del  Queensland  ebbe 
sentore  o  sospetto  che  altre  potenze  volessero  impadronirsi 
della  Nuova  Guinea,  ne  fece  prendere  possesso  in  nome  della 
regina  d'Inghilterra.  Poco  appresso  Vittoria,  insieme  alle  altre 
amministrazioni  coloniali,  faceva  pratiche  presso  il  governo  im- 
periale per  l'annesione  delle  Nuove  Ebridi,  delle  isole  Salomone 
e  di  altri  gruppi  del  Pacifico.  E  pare  che  fino  dal  1875  le  auto- 
torità  coloniali  australiane  facessero  proposte  del  medesimo  ge- 
nere, e  che  fra  le  isole  od  arcipelaghi,  il  possesso  delle  quali 
è  giudicato  necessario  alla  sicurezza  dell'Australia,  comprendes- 
sero non  solo  la  Nuova  Guinea,  le  Nuove  Ebridi  e  le  isole 
Salomone,  ma  l'arcipelago  della  Nuova  Bretagna,  la  Nuova  Ir- 
landa, nonché  i  gruppi  di  isole  situati  ad  oriente  della  Nuova 
Guinea,  dall'isola  di  Bougainville  fino  all'isola  di  Saint  Christophe, 
l'arcipelago  Mallicolo  e  le  isole  Sandwich  colle  minori  vicine. 

Seguì  uno  scambio  di  corrispondenze,  le  quali,  colla  premura 
consueta  del  Gabinetto  di  San  Giacomo,  vennero  presentate  al 
Parlamento  verso  la  fine  di  luglio.  Da  esse  appari  che  il  go- 
verno britannico  chiese  alle  altre  potenze  se  esse  avessero  in- 
tenzioni coloniali  sulla  Nuova  Guinea.  Il  signor  Ferry  dichiarò 
che  la  Francia  non  pensava  affatto  all'annessione  della  Nuova 
Guinea;  il  conte  Hatzfeld  rispose  che  in  Germania  si  stava 
formando  una  Compagnia  per  la  colonizzazione  della  Nuova 
Guinea,  ma  che  essa  aveva  un  carattere  afi*atlo  privato.  Anche 
il  governo  italiano  confessò  che  v'erano  progetti  privati,  ma 
che  il  governo  non  li  divideva  e  non  era  disposto  a  prenderli 
in  tutela  altrimenti  che  con  qualche  buona  parola,  la  quale  non 
turbasse  affatto  i  suoi  rapporti  colle  potenze  coloniali. 

Lord  Derby  diede  allora  al  governatore  del  Queesland,  Sir 
A.  H.  Palmer,  una  risposta  piuttosto  severa.  Le  apprensioni  di 
lui  non  erano  fondate,  perchè  nessuna  potenza  aveva  inten- 
zioni ostili.  Ma  se  anche  ci  fosse  stata  per  davvero  una  minaccia 
di  annessione,  sarebbe  stato  agevole  informarne  il  Gabinetto  di 
Londra  per  telegrafo,  e  sarebbe  stato  anche  più  corretto,  non 
potendo  i  governatori  recedere  i  confini  delle  rispettive  giuris- 
dizioni territoriali. 

u  II  governo  della  regina,  continuava,  è  inoltre  persuaso, 
che  se  anche  fosse  necessario  di  esercitare  l'autorità  imperiale. 
il  proclama  del  governo  del  Queensland  non  saprebbe  avere  la 


LA    QUESTIONE   DEI    POSSEDIMENTI   COLONIALI.  665 

portata  che  gli  si  è  voluta  attribuire.  L'interno  dei  territori   è 
popolato  da  parecchi  milioni  di  indigeni,  intomo  ai  quali  nulla 
o  quasi  nulla  si  sa.  L'annessione  di  queste  tribù  o  dei  loro  territori 
meriterebbe  da  sola  un  serio  esame,  prima  che  l'Inghilterra  si 
avventurasse  a  togliere  sotto  la  sua  giurisdizione  delle  razze  che 
non  ne  vogliono  sapere,  e  che  nulla  hanno  da  guadagnarvi...  Il 
governo    di    S.    M.    avrebbe    ad    ogni    modo    serie    obiezioni 
a    che    esso    facesse    parte    del    Queensland...    Verrà,    spero, 
prossimo  il  t^mpo    in    cui    le    colonie    australiane    opereranno 
di  concerto  ed  applicheranno  a  loro   spese  le  deliberazioni  poli- 
tiche che  avranno  sancite  ed  il  governo    inglese    avrà    appro- 
vate :  frattanto  il  Gabinetto  inglese  crede  dover    suo    rifiutarsi 
all'annessione  di  vasti  territori  adiacenti  all'Australia,  finché  la 
loro  annessione  non  sarà  giustificata  da  ragioni  indiscutibili    o 
da  fatti  bene  determinati,  n 

Queste  dichiarazioni  lord  Derby  citava  già,  prima  che  fos- 
sero pubblicate,  in  Parlamento  ;  ma  nel  Blue  Brock  seguono  nella 
nota  stessa  ed  in  altre  successsive  alcuni  consigli,  più  conformi 
alla  tradizionale  politica  britannica  e  ben  più  inquietanti  per 
le  altre  potenze.  Il  Queensland,  dice  in  sostanza  lord  Derby, 
ottenga  che  le  altre  colonie  dell'  Australia  si  uniscano  a  lui  per 
chiedere  l'annessione  della  Nuova  Guinea,  per  sopportare  le 
spese  di  amministrazione  dell'isola  e  per  reprimere,  quando 
sia  necessario,  qualunque  ribellione  degli  indigeni  o  toner  fronte 
ad  una  potenza  estera,  allora  ci  si  potrà  intendere.  £  noi  con- 
tsi  >  >  anche  ad  aumentare  la  nostra  squadra    nello    acque 

i.ii  .  M'i,  in  modo  che  lo  navi  si  trovino  con  maggioro  fre- 
quenza in  quei  paraj^gi  e  si  stabilisca  insensibilmento  un  pro- 
tettorato sulla  costa  della  Nuova  Guinea.  A  dir  breve,  si  rifiu- 
tava rannetsione  ^c  et  nunc,  ma  la  si  preparava  per  Tav venire, 
dando  con  una  mano  quello  che  si  toglieva  coli' altra. 

I  fatti  seguirono  presto  presto  ai    consigli.    Lo    coionio    di 

(Vittoria  e  di  Sud  Australia  dichiararonsi  pronto  ad  unirti  al 
eeniland,  ed  il  Parlamento  di  Vittoria  deliberò  in  massima 
di  concorrere  alla  spesa  dell'annessione  e  dell'amministrazione 
della  Nuova  Guinea.  Se  qualche  altra  potenza  nutrisse  effetti- 
vamente dei  progetti  sull'isola,  se  qualche  altra  bandiera  fosse 
da  yenturicri  piantata  sulle  sue  coste,  la  sua  annessione  ai  do- 
inii  britannici  sarebbe  presto  un  fatto  compiuto.  K  vi  segui - 
bbo  presto  quella  di  tutte  le  isolo,  di  tutti  gli  arcipelaghi  del 
Pacifico  che  sono  ancora  rei  nu/ZtW,  per    modo    che    l'inghil- 

Tm.  XL,  Sotì*  U  —  1»  AfM««  IMI.  M 


666  LA  QUESTIONE   DEI   POSSEDIMENTI   COLONIALI. 

terra  si  porrebbe  dire  non  solo  signora  del  grande  Oceano,  ma 
non  vi  avrebbe  a  temere  lo  svilupgo  di  alcuna  incomoda  ri- 
valità. 

Non  verranno  meno  per  questo  difficoltà  d' altra  natura,  le 
quali  riescono  alla  stessa  Inghilterra  assai  malagevoli,  come 
ciascuno  può  constatare  per  esempio  nel!'  Africa  australe.  Siamo 
ancora  lontani  dalle  a  Nuove  Indie  n  vagheggiate  da  Cameron 
e  da  altri  esploratori.  Quasi  tutti  i  nativi  intorno  intorno  ai 
confini  britannici  sono  in  armi.  Il  paese  dei  Basuto,  abbando- 
nato in  seguito  ad  una  deliberazione  del  Parlamento  di  Capo- 
to wn  è  tutto  agitato  da  intestine  discordie,  cosi  da  compro- 
mettervi non  solo  1'  '"nfluenzi  inglese,  ma  i  suoi  stessi  interessi 
economici;  noia  Zululandia  il  re  Cettivajo,  appena  ristabilito 
sul  tnn  s  contro  i  consigli  del  commissario  inglese  muove  a 
rivt'n  licare  le  terre  assegnate  ad  altri  capi  e  cade  vinto  in 
battaglia  lasciando  il  paese  in  preda  ad  un  capo  vittorioso  ed 
all'anarchia;  il  Transvaal  si  consuma  in  fieri  litigi  coi  vicini 
e  si  agita  per  modificare  la  convenzione  conclusa  nel  1841  col- 
l' Inghilterra,  secondo  le  deliberazioni  del  suo  Volksraad,  mentre 
l'Inghilterra  rinuncia  già  col  fatto  al  suo  diritto  di  intervento; 
il  che  non  può  f;»re  riguardo  al  a  repubblica  d' Grange,  eh' essa 
si  è  impegnata  a  difendere  contro  gli  indigeni  onde  è  adesso 
più  che  mai  minacciata.  Anche  sulla  costa  di  Sierra  Leona> 
dove  l'Inghilterra  aveva  preso  definitivamente  possesso  di  tutto 
il  litorale  sino  ai  confini  della  repubblica  di  Liberia,  parecchie 
tribù  strette  contro  il  comune  nemico  mossero  contro  alle  sue 
deboli  forze  e  ad  onta  degli  aiuti  mandati  da  Londra  non  sono 
ancora  chetate.  Frattanto  non  è  possibile  che  il  governo  in- 
glese si  disinteressi  dagli  altri  conflitti  che  divampano  sulle  rive 
del  Congo,  nel  Madagascar,  nel  Tonkino,  mentre  l' Afghanistan 
accenna  a  nuove  insurrezioni,  e  parecchi  Stati  interni  dell'  Asia 
si  dovrebbero  punire  per  le  deferenze  usate  alla  Russia.  L*  im- 
pero romano  non  ebbe  mai  sulle  braccia  cosi  diversi  nemici, 
non  si  trovò  certo  mai  a  capo  di  così  vaiti  interessi,  quanti 
ora  deve  curare  l'impero  britannico.  Per  esso  la  questione  delle 
coImiÌc  è  veramente  essenziale,  s'impone  al  g  verno,  all'opi- 
nione colta,  al  p  ese;  è  in  breve  una  questione  di  vita  o  di 
nioru',  perchè  s  nza  i  suoi  visti  pos.sedi menti  l' Inghilterra  sa- 
rebbe presto  cancellata  dal  novero  delle  grandi  potenze. 

(Continua). 

Attilio  Bruni  alti. 


LA  MENTE  DI  MICHELANGELO 


1  PROPOSITO  DI  RECENTI  PUBBLICAZIONI 


I. 


Sebbene  le  proporzioni  della  figura  storica  di  Michelangelo 
siano  veramente  grandiose,  tuttavia  essa  è  una  delle  meno  dif- 
ficili a  essere  ritratta. 

Michelangelo  fu  uno  di  que'  pochi  uomini  privilegiati  in  cui 
la  virtualità  della  mente  non  fu  impedita  nel  suo  estrinsecarli, 
e  il  pensiero  non  si  scompagnò  dall'azione;  anzi,  per  dirla  con 
una  frase  moderna,  Vinsisienzn  delT  individuo  superò  sempre  la 
retùtenzrt  della  materia  e  dell'ambiente. 

Quindi  è  possibile  abbracciarlo  in  tutta  la  sua  singolarità. 
Solo  non  bisogna  perdersi  a  ricercare  lo  colleganze  che  può 
avere  la  sua  arte  insigne  con  le  tcuole  anteriori  :  ò  più  oppor- 
tuno ricordarsi  che  egli  va  per  vU  mun  ealpéMtaté  e  $oUf  e  lo 
cagioni  dell'arte  sua  le  si  ritrovano  nell'indole  dell'uomo  modi- 
ficata dai  tempi  in  cui  si  svolge. 

E  si  «vedrà  che  un  concetto  lo  domina:  quello  di  disciplinare 
gli  allettamenti  esterni  dell'arte  in  potenti  manifestazioni  d'idee 
morali. 

L' Italia,  in  quella  grande  evoluzione  dello  spirito  umano  che 
fu  il  Rinascimento  non  vide  compiersi,  colla  redenzione  intel- 
lettuale, anche  quella  etica,  e  Michelangelo,  in  cui  —  come  ben 

*  Datid  Livi,  La  Mtmie  di  MiokelamgekK  —  G.  Ottino,  MUaao,  1888. 


668  LA   MENTE    DI    MICHELANGELO. 

nota  il  Barzellotti  '  —  splendeva  nell'austerità  delle  forme  re- 
pubblicane lo  stile  della  scuola  fiorentina,  quale  doveva  ispi- 
rarsi ai  fieri  costumi  dei  coetanei  di  Dante,  battaglianti  per  le 
vie  e  per  le  piazze  asserragliate  innanzi  ai  tabernacoli  dipinti 
da  Giotto  e  da  Cimabue,  sentiva  entro  sé  prepotente  il  bisogno 
di  scuotere  la  patria  dai  mali  che  la  travagliavano,  e,  direi,  di 
darle  in  quel  tragico  periodo  la  coscienza  dell'esser  suo.  Onde 
il  Dumesnil  *  disse  che  quel  sovrano  artista  fu  egli  stesso  la 
coscienza  d' Italia. 

Se  non  che  questo  concetto  cosi  di  per  sé  potrebbe  sem- 
brare inesatto.  Il  Rinascimento  infatti  fu  un  disquilibrio  tra  la 
intelligenza  e  la  coscienza,  ed  è  noto  quanto  profonda  fosse  la 
scissura  che  esisteva  tra  la  ragione  ed  il  sentimento,  tra  l' in- 
gegno e  il  carattere,  tra  la  morale  e  la  vita,  tra  l' individuo  e 
la  patria. 

E  di  tutto  ciò  Michelangelo  non  fu  certamente  il  rappre- 
sentante. 

Ma  il  Rinascimento  fu  anche  ritorno  all'antico,  allo  studio 
del  vero  ;  fu  separazione  dell'  individuo  dalle  corporazioni,  della 
morale  dalla  teologia,  delle  arti  dai  ripieghi,  dal  lusso,  dalla 
confusione,  della  ragione  dal  servilismo,  dell'ideale  dalle  asfissie 
di  una  corrompente  realtà.  In  questo  senso  solo  il  Gran  Ribelle 
fu  la  coscienza  del  suo  tempo.  Egli  aveva  messo  nell'  arte  il 
sentimento,  l'aspirazione  all'alto,  la  rivendicazione  del  diritto. 

Da  ciò  si  capi  che  per  comprender  l'artista  bisognava  stu- 
diare essenzialmente  il  cittadino  e  il  pensatore,  cioè  vedere 
quali  dottrine,  quali  uomini,  quali  avvenimenti  diedero  forma 
al  suo  ingegno. 

Questo  è  lo  studio  che  ha  intrapreso  il  vecchio  patriotta  e 
poeta  David  Levi  di  Torino,  autore  di  quel  poema,  Il  Profeta, 
che  uscito  in  Italia  in  tempi  di  generosi  aneliti,  pareva  aspi- 
rasse a  riannodare  il  rinascimento  classico  al  rinnovamento  po- 
litico dell'età  moderna. 

L'intento  avuto  dallo  scrittore  fu  uno  solo:  interpretare  il 
concetto  svolto  col  suo  pennello  di  ferro  da  Michelangelo  nella 
Cappella  Sistina. 

Ma  avviene  a  quelli  che  si  avvicinano  a  cosi  alte  e  geniali 
individualità,  ciò  che  accade  al  fanciullo  che  approssima  l'oc- 

.     ^  G.  Barzellotti,  DeW animo  di  Michelangelo.  —  Firenze,  Tip.  Carne- 
secchi,  1875. 

•  DuiusKU.,  L'Art  italieuy  vii,  Michel-Ange.  —  Paris,  1854. 


I 


il 


LA   MENTE   DI    MICHELANGELO.  669 

chio  al  caleidoscopio:  non  so  ne  sa  staccare,  finché  non  ha 
viste  tutte  le  vaghe  combinazioni  di  colori,  tutte  le  varietà  dei 
disegni. 

Così  ha  fatto  il  Levi,  e  dietro  alla  Cappella  Sistina  ha  stu- 
diato San  Pietro,  e  dopo  non  ha  potuto  non  riguardar  1'  uomo, 
come  figlio  e  cittadino,  poi  1'  amante,  poi  il  pensatore  e  1'  ere- 
siarca dell'  arte,  poi  di  nuovo  l'artista  nella  Sistina,  là  intento 
ancora  a  dar  forma  e  figura  al  suo  grandioso  concetto. 

Questo  volume  che  vien  dopo  i  lavori  del  Duppa,  dell'  Har- 
ford,  del  Dumesnil,  del  Michelet,  del  Grimm,  del  Rio,  del  Taine, 
del  Vi  Ilari,  del  Berti,  del  Guerzoni,  del  Barzellotti,  del  Guasti, 
del  Gotti,  del  Campori,  non  può  certamente  apportare  messe 
nuova  di  documenti.  Esso  è  piuttosto  —  in  gran  parte  —  il  rie- 
pilogo degli  studi  storici  fatti  in  proposito,  ma  divenuti  succo 
e  sangue  in  lui,  nella  vasta  mente  di  questo  buon  vecchio,  cosi 
ervido  ancora  d'entusiasmi  per  le  grandi  personalità  storiche, 
pei  caratteri  forti,  per  le  alte  idealità. 

La  Cappella  Sistina  —  ha  detto  bene  Michelet  —  è  un  libro 
sibillino,  che  non  si  sa  in  qual  ordine  studiarlo.  Questo  però 
bisogna  concedere,  che  il  significato  civile  dell'  arte  michelan- 
giolesca diventa  ogni  giorno  più  comprensibile,  col  progrosso 
degli  studi  storici  non  solo,  ma  anche  col  completarsi  del  sen- 
timento della  libertà,  col  delinearsi  della  coscienza  religiosa, 
coU'affrancarsi  dello  spirito. 

In  antico  »  era  ammirata  precipuamente  la  forma. 

Tutti  nella  Cappella  Sistina  ben  si  avvedevano  che  quello 
figure  erano  unite  da  un'alta  idea,  da  un  pensiero  dominante... 
Ma  quale  era  quel  pensiero? 

Dal  Niccolini  al  Taine,  la  critica  —  attraverso  le  pagine  al- 
tamente poetiche  del  Michelet  e  severamente  profonde  del 
Orimm  —  aveva  fatto  progressi  considerevoli,  sia  nel  metodo 
dell'  indagine,  sia  nell'  interprotasiono  dei  personaggi  della  volta 
e  del  Giudizio,  u  Ogni  classe  —  dice  il  Levi  —  di  persone,  ogni 
razza,  ogni  popolo  vi  ayeva  rinvenuto  alcuna  parte  di  sé,  un 
riflesso  del  suo  pensiero,  riverbero  dell'anima  sua.  n  Si  era  in- 
toso il  pregio  dell'originalità  dell'artista,  la  saa  tendensa  a  di- 
pingere col  cervèllo,  il  bisogno  di  esaminare  conformemente  ai 
dettami  della  libera  filosofìa  i  principii  della  Bibbia,  di  trarre 
profitto  di  tatto  lo  forze  fornitegli  dall'  ambiente  por  avere  in 
arte  an  metodo  suo,   di    rìngioranire   colla   baldansa  della  stta 


670  LA   MENTE   DI   MICHELANGELO. 

forte  immaginazione  i  soggetti  antichi,  cercando  in  essi  quella 
suprema  ispirazione  e  q  ell'alto  obbietto  civile  che  i  corrotti 
costumi  non  potevano  apprestargli. 

Ma  se  si  eccettua  Michelet  —  che  del  resto  s'è  giovato  più 
della  fantasia  che  della  filosofia  nell'  interpretazione  —  nessuno 
si  era  proprio  di  proposito  messo  alla  ricerca  del  concetto  che 
informa  l'opera  e  ne  crea  l'unità  che  padroneggia  le  parti. 

Che  ci  fosse  un  significato  allegorico  nei  freschi  della  Cap- 
pella, già  fino  dal  decimosesto  secolo  lo  sì  era  capito.  Intanto 
fin  d'allora  era  fuori  di  dubbio  questo  :  il  proposito  del  Buo- 
narroti di  aprirsi  sempre  vie  nuove  e  inesplorate  ;  il  sentimento 
profondo  che  ebbe  delle  sventure  del  suo  secolo,  rivelato  e  in 
altre  opere  allegoriche  e  in  alcune  mordaci  risposte  ai  pontefici 
e  in  parecchie  lettere  e  rime  ;  la  sua  intrinseca  amicizia  con 
coloro  che  avevano  operato  la  risurrezione  del  mondo  ellenico 
e  biblico  u  in  cui  David  tentava  più  di  Gesù,  e  i  Profeti  più 
dei  Santi,  v  On'de  se  altri  non  ce  lo  avesse  ancora  detto,  già 
basterebbe  guardare  le  forme  e  lo  stile  delle  varie  sue  figure 
e  delle  sue  opere  per  capire  come  sotto  le  linee  del  disegno 
concitato  frema  e  si  agiti  sempre  un'  idea  fissa. 

Il  Condivi  sin  d'allora  sapeva  come  il  Poliziano  —  fra  gli 
altri  —  fornisse  all'  artista  di  tanto  in  tanto  qualche  soggetto 
pe'  suoi  primi  lavori,  e  come  Pico  e  i  Pitagorici  gliene  dichia- 
rassero la  favola.  Vero  è  che  dalle  prediche  del  Savonarola 
traeva  argomento  di  religiose  ispirazioni  e  di  mistiche  subli- 
mità, ma  è  anche  vero  che  nella  persona  del  frate  egli  vedeva 
agitarsi  lo  spirito  degli  antichi  Profeti,  e  completava  il  concetto 
religioso-morale  di  quello  col  concetto  civile  di  Dante  e  quello 
filosofico  dell'Accademia  platonica  di  Careggi. 

Già  il  Berni  dopo  aver  visto  qualche  suo  lavoro    scriveva  : 

Ho  visto  qualche  sua  composizione; 
Sono  ignorante  e  pur  direi  d'arelle 
Lette  tutte  nel  mezzo  di  Platone; 

e  l'Aretino  —  tanto  timorato  di  Dio!  —  rimproverava  il  Fioren- 
tino cosi:  u  Dunque  quel  Michelangelo,  stupendo  in  la  fama, 
quel  Michelangelo,  notabile  in  la  prudenza,  ha  voluto  mostrare 
alla  gente  non  meno  empietà  di  irreligione  che  perfezione  di 
pittura?...  E  possibile  che  voi,  che  per  esser  divino  non  degnate 
il  consorzio  degli  uomini,  abbiate  ciò  fatto...  nella  più  gran 
cappella  del  mondo?...  Saria  men  vizio  voi  non   credeste,   che 


i 


LA   MENTE  DI   MICHELANGELO.  671 

in  tal  modo  credendo,  scemate  la  credenza  in  altri...  n  —  E  il 
Dolci  nel  suo  Dialogo  sulla  Pittura  concludeva:  u  Parrebbe  che 
egli  avesse  imitato  quei  gran  filosofi  che  nascondevano  sotto  il 
velo  di  poesia  misteri  grandissimi  della  filosofia  umana  e  divina, 
aflSne  che  non  fossero  intesi  dil  volgo...  Perchè  Michelangelo 
non  vuole  che  le  sue  invenzioni  vengano  intese  se  non  da  pochi 
e  dotti,  e  non  vuol  gettare  ai  porci  le  margherite,  n 

Tendenza  questa  del  resto  che  era  allora  nell'  aria,  e  che 
meglio  si  direbbe  necessità  di  coprire  col  velo  dell'  allegoria 
certe  verità,  che  il  pensiero  ribelle  alle  ipocrisie,  agli  intrighi, 
al  tornaconto  della  decrepita  Chiesa,  aveva  —  precursore  della 
riforma  —  intravvedute  e  proclamate. 

Cosi  addivenire  a  contrabbandiere  d'idee  n  secondo  una  frase 
di  Romagnosi,  era  stato  pur  necessario  anche  a  Michelangelo, 
per  sottrarre  in  parte  i  pensamenti  suoi  alla  tristizia  dei  tempi 
e  ai  sospetti  della  Curia  Romana. 

Solo  gli  artisti  che  si  appagarono  delle  esteriorità,  e  i  teo- 
logi e  i  critici,  che  furono  o  troppo  soggettivi  o  paurosi,  vol- 
erò sempre  vedere  nei  dipinti  della  Sistina  semplici  storie  e 
ggende  bibliche,  non  riuscendo  però  bene  a  spiegarsi  gli 
trappi  fatti  dal  pittore  al  Cristianf^HÌmo  ortodosso  e  alla  liturgia 
Cattolica,  né  la  miscela  dei  soggetti  biblici  con  quelli  mitologici. 
E  buon  per  noi  del  resto  che  le  cose  siano  andate  cosi,  che  a 
rn;;ione  il  Levi  si  domanda  cosa  sarebbe  di  quelle  opere,  di 
fronte  all'intolleranza  cieca! 

Herman  Qrimm  noi  ricercarvi  l'unità  del  concetto,  che  pa- 
droneggia le  parti,  dopo  essersi  spiegata  1'  affinità  dell'  arto  di 
Michelangelo  con  quella  di  Dante  nel  disciplinare  la  materia, 
nell'amore  al  terribile,  nella  rivendicazione  dei  diritti  dell'indi- 
viduo, nel  ritorno  a  un  passato  che  non  poteva  risorgere,  viene 
;i  interpretare  una  per  una  le  principali  figure  della  volta,  ed 
«•st^lama:  u  Di  fronte  ai  grandi  capdavori  artistici  lo  spiogasioni 
)c  più  semplici  valgono  quanto  l' intelligenza  che  pretende  pe- 
ri' trarne  il  senso  più  profondo,  mentre  al  confronto  del  pcn- 
H  ro  dell'artista  stesso,  non  penetrano  più  addentro  che  nello 
viscere  della  terra  le  miniere  le  più  profonde,  che  a  mala  pena 
ne  perforano  la  crosta  superficiale,  n  * 

Ora  sia  detto  col  dovuto  rispetto,  ciò  non  potrà   a<l    alcuni 

'  VUa  et  MOeMangelo,  ps«.  S99. 


672  LA    MENTR    DI    MICHELANOKLO. 

parere    esatto.    Il    pensiero    che    si  agita  in  una  granfie  oprerà 
d'arte  non  è  mai  assolutamente  un  enigma. 

Indubbiamente  il  Grimm  ha  ragione  quando  si  tratta  di  per- 
scrutare certi  atteggiamenti,  certi  moti,  certe  sinuosità  —  dirò 
cosi  —  del  concetto  primo,  o  certe  formo  di  componimento^che 
possono  essere  bizzarrie  o  moti  incoscienti  e  inespliciti  —  come 
diceva  Goethe  —  dell'animo  che  crea  :  indubbiamente  ogni  in- 
terprete ha  tendenza  a  voler  vedere  l'invisibile  e  a  non  sceve- 
rare abbastanza  sé  dal  soggetto.  Ma  la  critica  che  studia  nel- 
r  artista  1'  uomo  e  le  corrispondenze  eh'  egli  ha  col  suo  tempo, 
questa  critica  si  addenti'a  nel  pensiero  di  lui  più  che  non  faccia 
l'operaio  nella  crosta  superficiale  del  terreno  che  raspa. 

Chi  saprà  dire  —  se  il  Dio  che  nella  volta  della  Cappella 
stende  la  mano  ad  Adamo  .sia  in  atto  di  dargli  un  consiglio 
ovvero  un  aiuto,  come  crede  il  Grimm?  Chi  saprà  indovinare 
se  l'uomo  che  parla  all'orecchio  del  bambino  rappresenti  un  epi- 
sodio qualunque,  o  se  è  Michelangelo  che  svela  il  suo  segreto 
alle  generazioni  che  verranno,  come  vuole  il  Levi? 

Qui  la  spiegazione  più  semplice  vale  forse  la  più  profonda 
e  ingegnosa.  Ma  non  così  se  investighiamo  la  coscienza  e  il  con- 
cetto dell'artista  nell'  insieme  di  una  grande  opera,  come  quando 
a  mo'  d'esempio  scolpisce  1'  Ercole  e  il  Centauro. 

Questo  è  il  lavoro  da  cui  il  Levi  prende  le  mosse  perchè 
insieme  ai  dipinti  della  volta  della  Sistina  rappresenta  il  periodo 
della  giovinezza  di  Michelangelo,  periodo  che  egli  chiama  filo- 
sofico, mentre  il  secondo,  che  si  svolge  tra  le  lotte  per  le  cit- 
tadine libertà,  ed  in  cui  freme  ancora  lo  spirito  di  Firenze  re- 
pubblicana, si  riflette  nel  David,  nel  Bruto,  nel  Deposito;  e  il 
terzo,  che  corrisponde  al  momento  più  fortunoso  d' Italia,  si 
epiloga  nell'Apocalisse  del  Giudizio  Universale.  A  questi  poi 
aggiunge  il  periodo  della  vecchiezza  in  cui  questo  Titano  dà 
l'ultima  mano  al  Mosè  e  u  solleva  la  mente  all'infinità  dei  cieli  n 
concependo  la  Basilica  di  S.  Pietro. 

Tendendo  l'A.  a  mostrare  Michelangelo  come  la  più  potente 
espressione  dell'arte  del  Rinascimento,  senza  prender  le  mosse  da- 
gli incunaboli,  ma  giovandosi  degli  studi  del  Villari  e  del  Berti, 
delinea  l'ambiente  specialmente  filosofico  e  politico  in  cui  visse 
il  Fiorentino,  e  determina  l' influenza  esercitata  su  lui  dalle 
tristi  condizioni  della  sua  patria,  e  dai  consigli    e    dalle    opere 


LA    MENTE    DI   MICHELANGELO.  673 

del  Poliziano,  del  Pico,  del  Firino,  dagli  eruditi  insomma  e  dai 
commentatori  delle  antichità  ebraiche,  della  Cabala,  della  filo- 
sofia rabinica,  del  Testamento  antico,  di  cui  quelli  rivelavano 
al  Buonarroti  il  pensiero  classico  e  greco,  come  il  Savonarola 
poi  gli  spiegava  il  concetto  religioso  e  morale. 

La  Cappella  Sistina,  a  chi  l'ammira  per  la  prima  volta,  ge- 
nera un  senso  di  sbalordimento.  Quale  è  lo  spirito  che  alita  in 
quelle  figure?  E  l'evocazione  del  passato  o  la  divinazione  del 
futuro  ?  —  Si  è  detto  :  vi  sono  raflSgurate  le  principali  scene 
dell'  antico  Testamento.  Ma  perchè  è  cosi  storicamente  imper- 
fetta la  rappresentazione?  E  quel  Testamento  è  poi  il  vecchio 
od  il  nuovo?  Segue  od  oltrepassa  la  Bibbia  ebraica?  '  E  perchè 
una  Cristologia  senza  Cristo,  senza  uno  dei  suoi  riti,  dei  suoi 
simboli,  dei  suoi  fasti  ? 

Qui  tutto  è  perturbazione  e  terrore  :  non  redenzione,  non  pace. 

Tre  figure  dominano  la  scena  :  Aman,  il  Serpente  di  bronzo 
e  Giona,*  tre  fatti  isolati  della  storia  biblica,  stranieri  alla  ge- 
nealogia di  David,  alle  origini  del  Cristianesimo. 

Che  significano  essi?  E  il  Levi  giovandosi  dei  libri  cabali- 
stici, delle  tradizioni  ebraiche,  dei  libri  dei  SS.  Padri,  vede  nel 
primo  —  in  Aman  —  il  falso  Cristo,  o  come  dicevano  i  Gno- 
stici, il  genio  del  malo  che  ha  preso  il  posto  del  Cristo  vero, 
del  genio  del  bene...  Quali  ne  saranno  le  conseguenze? 

E  l'artista  adombrando  in  parte  l'allegoria  del  32°  canto  del 
Purgatorio,  dipinge  il  Serpente  di  bronzo,  a  cui  uomini  e  donne 
stendono  le  braccia  credendolo  il  serpe  della  saluto,  e  ne  re- 
stano vittima.  E  la  trasformazione  e  la  corruzione  che  mutò  la 
r'Yiiesa  santa  nella  profana,  dice  l'autore. 

Tutte  le  figure  poi  che  stanno  attorno,  tutti  gli  atti  diversi 
d'orrore,  di  pietà,  di  sgomento,  chindono  in  lontananza  il  quadro 
spaventevole.  Dietro  Aman,  regine,  sacerdoti  banchettano  lieti 
del  tradimento  e  deirusurpasiono  compiuta,  e  intomo  sugli  ar- 
chi, sullo  lunette,  figure  arruffate,  atterrito,  deluso  per  la  tri- 
stezza che  reg^a,  per  l'oppressione  che  grava,  pel  male  che  dura. 

Talvolta  vedi  un  fanciullo,  ora  in  fasce,  ora  sollevato  Hulle 
braccia  materno.  E  l'umanità  —  dice  il  Levi  —  ohe  si  rinnova 
e  ti  rafforza  e  si  ricorda  le  parole  del  Profeta  :  a  Nulla  è  con- 
sumato ancora:  attendi  il  giorno  della  redenzione,  n  —  E  la  re- 


'  MiCHSLBT,  Renaiétamee. 
*  QsiHii,  loc.  ctt. 


674  LA   MENTE  DI   MICHELANGELO 

denzione  e  la  salute  comincia  da  Giona,  che  è  la  seconda  parte 
del  poema  simbolico,  come  il  Giudizio  ne  sarà  la  terza. 

Giona  nel  simbolismo  cristiano,  come  nel  rabinico,  rappre- 
senta l'umanità  che  si  svincola  dall'errore  e  dall'idolatria,  ossia 
dal  ventre  dell'Orco  ove  stava.  Col  dito  pollice  alzato  accenna 
all'unità  divina.  La  donna  che  dietro  di  lui  si  leva  bella  e  forte 
(noi  la  vedremo  poi  ripetuta  sotto  le  stesse  sembianze  nel  Giu- 
dizio) raffigura  la  Chiesa  nuova.  Intorno  a  Giona,  nei  nove  com- 
partimenti della  volta,  svolgonsi  i  più  noti  fatti  biblici  riferen- 
tisi  al  primo  periodo  dell'  umanità  liberata  dall'  idolatria,  desi- 
gnando così  una  nuova  genesi,  ispirata  forse  alle  idee  di  Pico. 
Frapposti  poi  ai  compartimenti,  tra  pilastro  e  pilastro,  i  Profeti 
e  le  Sibille,  esseri  giganteschi  che  compendiano  —  come  dice 
Castelar  —  i  dolori  dei  popoli  e  le  loro  speranze,  usciti  dalla 
prima  feracità  del  nostro  pianeta,  apoteosi  del  corpo  umano  ri- 
generato. 

Esseri  più  alti,  più  solenni,  più  eloquenti  dei  giganti  della 
Bibbia  e  della  poesia  classica... 

Opportuno  e  attraente  sarebbe  stato  il  ricercare  quanto  Mi- 
chelangelo abbia  tolto  dagli  altri,  e  quanto  preso  da  se  in  queste 
figure.  Ma  il  Levi  non  ha  credulo  di  farlo,  sebbene  per  la  sua 
vasta  coltura  fosse  uomo  a  ciò.  Egli  si  è  limitato  ad  interpre- 
tarli, e  così  in  Geremia  vede  il  dolore  senza  conforto  per  l'in- 
giustizia che  regna,  per  la  libertà  che  si  viola....  u  0  paese,  o 
•paese,  o  paese....  n  e  il  pittore  che  sente  ripercuotere  entro  al 
suo  cuore  d' italiano  quel  grido,  compendia  in  Geremia  i  dolori 
che  da  secoli  s' aggravano  sull'  umanità.  Dietro  evvi  la  Chiesa 
futura  che  si  leva  raggiante  quasi  per  dirgli  :  spera  ;  tutto  non 
è  finito!... 

Ezechielle  appresso  s'agita  sul  suo  seggio.  Nel  volume  che 
tiene  fra  le  mani  studia  il  problema  se  u  la  ingiustizia  regnerà 
sempre  e  sarà  premiata;  se  i  figli  risponderanno  delle  colpe 
paterne.  '  v 

La  Sibilla  Eritrea  mira  la  fiaccola  della  speranza  che  spe- 
gnesi,  ed  è  stanca  di  aspettare  e  di  leggere,  mentre  la  notte 
le  si  addensa  attorno.  Il  fanciullo  (raffigurante  sempre  1'  uma- 
nità) passa  oltre  e  riaccende  la  lampada.  —  Ed  ecco  David  che 
simboleggia  la  libertà  politica  e  l' amore  d' indipendenza  :  Giu- 
ditta che  rappresenta  la  Giudea,  la  libertà  del  pensiero,  la  ri- 

Ezechielle. 


LA    MENTE   DI   MICHELANGELO.  675 

bellione  ad  ogni  giogo:  Zaccaria  che  medita  il  disegno  e  la  mole 
del  nuovo  tempio  che  dovrà  sorgere:  Isaia  colle  Sibille  Delfica 
è  Cumea,  afiermanti  il  concetto  della  conciliazione  dei  popoli, 
lo  spirito  del  Rinascimento,  la  comunanza  dei  desiderii  e  delle 
speranze  della  Giudea,  della  Grecia  e  dell'Italia:  Israele,  che 
levate  le  briccia  vaticina  i  giorni  di  libertà:  Daniele  signifi- 
cante Giustizia  di  Dio,  che  scrive  e  nota,  mentre  altri  o  av- 
volge all'arcolaio  il  filo  dell'età,  od  affila  nel  silenzio  il  coltello 
nascosto,  aspettando  il  giorno  della  vendetta. 

Qui  è  tutta  la  storia  del  passato  che  vi  si  simboleggia,  è  tutto 
il  Messianismo  futuro  che  si  presenta. 

La  Bbbia  rappresentava  tutto  questo,  e  Michelangelo  che 
vi  si  ispirava,  che  accoglieva  in  se  l'  alta  idealità  del  sopran- 
naturale biblico,  armonizzandola  col  sentimento  civile  repubbli- 
cano, creava  l'epopea  dei  tempi  nuovi,  quella  che  fu  poi  detta 
l'epopea  del  presentimento. 

Come  nelle  Sibille  vedeva  i  tipi  delle  nazionalità,  nei  Pro- 
feti ritrovava  i  grandi  tipi  del  genere  umano,  e  riepilogava 
questa  lotta  dell'uomo  col  tempo  e  colle  force  brutali  della  na- 
tura, e  le  Bue  aspirazioni  inappagate,  e  le  sue  secolari  battaglie 
pel  trionfo  della  giustizia,  nel  gruppo  di  Giona,  che  esce  dalle 
tenebre  coi  segni  d<  Ila  vittoria,  prototipo  dì  un'  arte  che  è  la 
sintesi  dì  un  mondo.  E  con  vero  compiacimento  esclama  1'  au- 
tore :  invano  qui  cercherete  un  segno  del  Cristianesimo  ufficiale, 
del  Figlio  di  Mirìa,  del  Dio  dei  teologi.  Qui  vi  è  il  Dio  del- 
l' intelligenza,  il  Dio  della  forza  morale,  il  Dio  liberatore. 

Io  certo  non  dirò  che  il  Levi  sia  riuscito  a  diradare  og^ì 
dubbio  in  proposito.  Egli  stesso  lo  confessa:  è  entusiasta  di  Mi- 
chelangelo, e  p«*rciò  a  luì  {non  chiedete  un  esame  minur.ioso, 
calmo  e  soprattutto  completo  dì  ogni  parto  della  Cappella  Si- 
stina. Interpretatone  le  primarie  figure  col  sussidio  dello  teorie 
rabinìchc,  coordinatone  i  vari  significati  e  impadronitosi  della 
unità  del  concetto,  egli  corre  via  libero  pe'campi  drlla  fantasia. 
Né  alcuno  deve  fargliene  rimprovero.  Non  sarebbero  bastate 
quelle  teorie  fredde  (dalle  quali  però  egli  sa  trarre  molto  saga- 
cemente profitto)  per  intendere  questa  prima  parte  u  d«d  forte- 
mente pensato  poema,  n  * 

Non  ò  forse  vero  che  la  fantasia  ch(;  vi  regna  fu  altrettanto 
possente  quanto  l'arte  lAw  no  sepp^  incarnare  lo  idee?... 

'  ToMMMBO,  BtUema  «  OMUà. 


676  LA    MKNTK    DI    MIOHBLANGKL  >. 


II. 


Vent'anni  erano  scorsi  (non  trenta,  come  forse  inavveduta- 
mente fu  scritto  dal  Levi)  dallo  scoprimento  della  volta  ai  la- 
vori del  Giudizio  Universale.  Michelangelo  che  aveva  assistito 
ai  subiti  mutamenti  del  suo  tempo,  che  aveva  sperato,  quando 
l'erudizione  preparava  la  nuova  scienza  e  1'  arte  la  nuova  ci- 
viltà, contemplava  adesso  disilluso  l'ingrandirsi  e  il  rinnovellarsi 
degli  Stati  di  Europa,  mentre  nella  sua  cara  patria  si  indebo- 
liva lo  spirito  di  libertà,  scioglievansi  i  legami  che  univano 
l'individuo  al  Comune,  acuivansi  le  insidie  e  le  ire  di  parte, 
corrompevansi  sempre  più  le  coscienze.  Intanto  l'Italia  è  aperto 
campo  alle  ingordigie  di  tutti  i  conquistatori  :  intanto  Giulio  II 
dà  l'ultimo  colpo  alle  aspirazioni  dei  patriotti  uccidendo  Ve- 
nezia ad  Agnadello.  Più  tardi  anche  Firenze  è  prostrata  e  cade 
con  lei  l'ultimo  baluardo  delle  italiane  libertà.  La  riforma  an- 
nunziata da  Savonarola  prorompeva  impetuosa  nella  Germania, 
scuoteva  l'Europa  e  inferociva  le  guerre  politiche,  mentre  poi 
la  politica  e  la  spada  puntellavano  quel  dominio  che  la  fede 
non  valeva  più  a  sostenere. 

Michelangelo  tutto  ciò  notava  e  sentiva,  •e  quel  cumulo  di 
sciagure,  di  codardie,  di  delitti,  destavano  in  quell'  anima  fiera  e 
taciturna  una  tempesta  di  dolori  e  di  sdegni,  che  traboccando  dal 
cuore  versò  coli'  impeto  del  suo  grand'animo  nel  Giudizio  Uni- 
versale. 

La  volta  —  dissi  —  fu  il  presentimento  del  mondo  messiaco, 
annunziato  da  Joachim  da  Flora  e  poi  dai  Platonici  :  il  Giudizio 
invece  è  la  sentenza  e  la  condanna  del  falso  Cristianesimo  e  il 
preludio  della  sua  caduta.  Il  Cristo  forte  e  severo  che  vi  cam- 
peggia è  un  Cristo  già  trasformato:  i  putti  della  volta  si  sono 
mutati  qui  in  uomini  raccolti  dintorno  a  lui  :  la  Madonna  gli 
siede  dietro,  non  bella  come  quella  del  Raffaello,  non  di  sol 
vestita,  non  mite,  ma  smarrita,  pensosa  e  in  tutto  donna.  Dopo 
Cristo  spicca  tra  gli  altri  S.  Pietro  che  gli  si  presenta  per  es- 
sere giudicato,  u  Queste  due  figure  —  dice  il  Levi  —  sono 
tutta  una  rivelazione*,  terribile  rivelazione  che  domina  il  gran 
poema  e  ne  spiega  il  pensiero,  ti  II  Vicario  peritoso  e  turbato 
offre  a  Cristo  le  chiavi  :  questi  le  respinge  con  orrore.  Intorno 
un'accozzaglia  di  esseri  umani  ma  volgari  ed  ignobili,  armati  di 


LA    MENTE    DI    MICHELANGELO.  677 

Strumenti  di  tortura.  Possono  eglino    esser  Santi    cosi   stravolti 
cosi  paurosi  f 

Questo  si  domanda  1'  A.  e  crede  di  ben  intendere  il  con- 
cetto michelangiolesco  vedendo  in  essi  gli  aguzzini  e  gli  inqui- 
sitori che  hanno  arsi  gli  eretici.  Le  scene  terribili  e  feroci 
tratteggiate  qua  e  là  completerebbero  il  quadro. 

Sotto  S.  Pietro  le  due  donne  (simiglianti  —  dice  il  Levi  — 
a  quelle  dipinte  dietro  Giona)  che  precipitano  nell'averno  reli- 
giosi e  religiose  e  reprobi,  raffigurerebbero  la  Chiesa  futura^ 
ed  entro  quell'antro  di  avemo  (i  Ghibellini  chiamavano  cosi  il 
Vaticano)  vi  è  Ser  Biagio,  custode  appunto  del  Vaticano. 

Ma  a  sinistra  lo  spettacolo  muta.  Ecco  la  risurrezione  dei 
beati  e  di  coloro  che  sempre  ebbero  fede  e  soffrirono  sperando; 
e  attratti  da  forze  arcane  al  cielo,  s' inalzano  alcuni  ischele- 
triti, altri  poderosi  di  muscoli,  reggendosi  Tun  l'altro,  come  a 
simbolo  di  concordia  e  di  meritata  salvazione.  In  alto  poi  evvi 
u  la  parte  celestiale  della  vasta  epopea,  n  seoipre  senza  rito  li- 
turgico, senza  nota  ufficiale.  Ma  per  tutto  il  concetto  dell'antico 
domma  che  tramonta  e  del  nuovo  che  si  leva;  la  vittoria  sulle 
influenze  mortificatrici,  del  Cristianesimo  col  trionfo  del  nudo; 
da  per  tutto  la  morbosa  scuola  della  falsa  pietà  che  cede  il 
passo  alia  virtù  vera;  il  culto  dei  rancori  sostituito  da  quello 
dell'amore,  il  sensuxlismo  snervante  dalla  realtii  sana  e  forte. 

Michelangelo  che  in  quel  periodo  cercava  le  sue  ispirasioni 
specialmente  nell'affetto  alla  patria  e  alla  donna,  voleva  in  quei 
freschi  stigmatizzare  un  presente  doloroso  e  spregevole,  ed  in- 
dicare ai  posteri  una  meta  migliore,  per  raggiunger  la  quale 
se  fosse  stato  necessario,  io  credo,  di  combatterò  una  batta- 
glia, Michelangelo  ne  sarebbe  stato  l'eroe:  non  potendolo,  la  di- 
pingeva. E  mentre  Machiavelli  si  sforzava  di  diiciplinnro  in  unità 
di  itato  le  disperse  energie,  Ruonarrotti  tentava  di  raccogliere  le 
poche  ribellioni  della  coscienza  latina  in  potenti  croasioni  artì- 
stiche. Cosi  la  parete  della  Sistina  u  è  la  giustizia,  ò  la  rivolu- 
zione, la  gran  catastrofe  che  chiude  un'epoca,  cancella  una  g^e- 
razione  per  suscitarne  un'altra  n  ;  cosi  1'  arte  riproduco  1'  ideale 
della  storia  e  lo  concreta;  cosi  nella  storia  stessa  persisto  quel- 
l'aspirazione all'infinito,  che  l'artista  impresse  sotto  diverte  forma 
nelle  sue  opere.  Valga  per  tutto  S.  Pietro. 

E  il   Levi   ragionando  di   essa  trova  clic  nella  vastità  della 
mole,  nella  purezaa  delle  lineo,  nell'  efficacia  di  quel  Vaeuo  ra- 
cbe  arrestò  —  dice  Tacito   —   Pompeo  sullo  soglie  del 


678  LA   MENTE   DI   MICHELANGELO. 

tempio  di  Gerusalemme,  l'architetto  voile  pur  dar  vita  allo  stesso 
concetto,  deiraffrancazione  dello  spirito  dal  servilismo  del  Medio 
Evo,  della  sua  aspirazione  all'alto,  della  sublimazione  della  ma- 
teria. B'-n  lontano  dalle  ubbìe  delle  accademie  e  delle  scuole, 
nemico  di  o^ni  ripìeg  »,  di  ogni  sforzo,  d'  ogni  equivoco,  vide 
—  come  già  il  Brunelleschi  —  che  l'architettura  del  tempio 
gotico  asserviva  le  altre  arti  e  le  amalgamava,  rispondendo  a 
un  sistema  teologico,  che  abbisognava  di  puntelli,  di  sostegni 
mascherati,  di  fronzoli  appariscenti;  a  un'idea  religiosa  in- 
somma che  aveva  ormai  fatto  il  suo  tempo.  E  seguace  dell'ar- 
chitettura di  Roma  repubblicana,  ideò  un'opera  chiara,  lumi- 
nosttf  isolata  a  torno  ove  non  fossero  nascondigli  e  cupezze, 
adatte  u  ad  infinite  ribalderie  n  com'egli  diceva. 

Essa,  è  vero,  fu  guasta  assai  dal  barocco,  quando  mancò  ne- 
gli animi  il  sentimento  religioso:  ma  ancora  sotto  quelle  volte 
il  genio  di  Michelangelo  si  aggira  e  le  riempie  di  se.  La  va- 
stità del  pensiero  di  lui  vi  domina  ancora,  e  il  Levi  trova  a 
ragione  in  quella  mole  un  aiuto  e  un  invito  al  pensiero  ad 
elevarsi.  «  È  il  Pantheon  antic  >  sovrapposto  come  a  coronare 
il  tempio  moderno  n;  sono  i  concepimenti  religiosi  e  parziali 
del  mondo  pagano,  accolti  qui  e  convocati  alla  contemplazione 
del  Dio  infinito. 

Quella  gran  cupola  è  un  simbolo  :  è  la  profezia  della  nuova 
religione  e  della  nuova  morale. 


in. 

Le  altre  parti  del  lavoro  non  hanno  a  dir  vero  novità  di 
vedute,  ne  importanza  di  documenti,  onde  io  mi  limiterò  a 
darne  brevemente  i  concetti  sostanziali^  Come  il  segreto  del- 
l'arte di  Michelangelo  sta  tutto  nell'idea  che  egli  aveva  in  sé, 
ed  incarnava  ne'  suoi  lavori,  così  per  intender  l'artista  era  ne- 
cessario, come  già  si  di -se,  studiai*  l'uomo  come  fi'/lio  e  come 
cittadino.  Michelangelo  uomo  fu  la  più  splendi  la  personifica- 
zione della  rettitudine  di  e  irattere  e  dell'  equilibrio  delle  fa- 
coltà, onde  fu  detto  il   Divino  dai  contemporanei. 

In  età  di  coscienze  pervertite,  in  cui  i  vincoli  della  fami- 
glia erano  rilassiti  e  rotti,  egli  l"u  una  eccezione,  egli,  tìglio 
amorevolissimo,  immeiu»  r-;  di  sé,  iterale  cogli  altri,  utile  al 
padre,  ai  fratelli,  ai  nipoti  di  aiuti  d. sinteressati    e  di  consigli 


LA   MENTE   DI   MICHELANGELO.  679 

efficaci  per  condurre  tranquilla  la  vita  fra  le  pareti  della  fa- 
miglia, tra  le  vicissitudini  dei  partiti,  tra  gli  abusi  della  libertà. 
Fiero  e  indipendente  coi  grandi,  temuto  dagli  stessi  potelici,  è 
una  viva  protesta  contro  la  servilità  degli  artisti  e  dei  letterati, 
contro  la  bassa  ed  evirata  cortigianeria,  fatta  ausiliatrice  di 
prestigio  e  di  successo.  Tra  la  riconoscenza  dell'artista  favorito 
e  il  dovere  di  libero  cittadino;  tra  le  forme  religiose  e  i  con- 
vincimenti del  riformatore;  tra  le  necessità  sociali  e  la  sua 
coscienza;  fra  il  tornaconto  e  il  bisogno,  seppe  sempre  serbare 
la  indipendenza  all'  uomo  e  all'arte  la  libertà.  Sebbene  amante 
della  sua  patria  infelice  fino  ad  esserne  continuamente  preoc- 
cupato e  angoscioso,  la  calunnia  pur  lo  raggiunge  e  lo  colpi- 
sce... Ma  la  sua  grande  figura  era  tale  che,  a  riabilitarla,  ba- 
stava l'intuito  meglio  della  deduzione,  il  documento  umano  più 
dello  storico,  il  poeta  prima   dell'  archivista!...  * 

Rivendicatore  della  libertà  oppressa,  compie  il  DejtositOf  o 
nell'euritmia  delle  linee,  nella  perfezione  del  nudo,  nell' espres- 
sione della  maestàf  insegna  all'  Italia  in  quei  marmi  di  morte 
ad  aspirare  alla  vita,  ad  aver  fede  nella  risurrezione  che  se- 
jrnirà  i  periodi  di  sonno,  di  vergogna  e  di  avvilimento. 

Come  amante  egli  riceve  lume  e  rilievo  dall'  affetto  per 
V  ittoria  Colonna.  La  conobbe  quando  già  aveva  varcato  di 
molto  l'età  delle  illusioni  e  degli  amori  che  tediano  e  sfibrano, 
ed  era  entrato  nella  seconda  fase,  quando  cioè  il  senso  si  eleva 
a  sentimento,  e  uno  spirito  cerca  di  completarsi  intellettiva- 
mente nell'altro,  e  avviene  ciò  che  Cicerone  chiamava  u  con- 
gluttnatto  animarum.  n  L'  aveva  incontrata  quando  già  aveva 
prediletto  con  tanto  operoso  entusiasmo  l'arte  e  la  patria,  onde 
cercava  in  lei  il  riposo  e  il  sollievo  alle  tempesto  dell'animo. 
Le  sue  rimo,  che  risentono  nella  forma  del  Petrarca,  ma  nella 
sostanza  deirAlighiert,  non  furono  quindi  solo  e  sempre  voci 
di  amore;  ma  nella  loro  scabrosità  marmorea  nelle  penombre 
in  cui  si  atteggia  il  pensiero,  rivelano  le  profondità  di  un'anima 
agitata,  gli  involgimenti  di  un  cuore  chiuso  in  sé  e  la  retti- 
tudine d«dle  sue  nH|>inizi(ini 

K  Vitt'»rìa  riempie  di  »ò  l'Olimpo  del  poeta.  Essa  ò  il  tipo 
—  dice  l'autore  —  della  donna  del  Rinascimento,  della  donna 
forte,  rispondente   in  tutto  all'ideale    di  Michelangelo,  che  v«- 

t  V«di  il  Capitolo  nono  MV Assedio  di  Firmss  di  F.  D,  Gubbsabsi,  e 
U  Dots  qtMttordicflsiin*  sppostavL 


680  LA   MENTE   DI    MICHELANGELO. 

gheggiava  non  mistiche,  non  seduttrici,  non  candide  bellezze, 
raa  la  donna  che  è  il  riflesso  di  una  bellezza  intcriore,  u  d'una 
passione,  d'una  idea  che  prorompe  dall'interno  dell'essere  n;  tipo 
indimenticabile  e  vigoroso;  forse  povero  di  femminilità,  ma 
saturo  di  alte  energie. 

Tutta  la  vita  di  Vittoria  è  tracciata  nelle  sue  fasi  dall'  au- 
tore, e  tutta  la  passione  dell'  artista  è  studiata  nelle  rime  con 
l'amorosa  cura  di  chi,  dubitoso  di  alterare  i  contorni  della 
grandiosa  figura,  lascia  che  si  rilevi  all'occhio  quasi  da  se  me- 
desima. 

Un  capitolo  però  avrebbe  dovuto  destare  uno  speciale  inte- 
resse storico;  quello  che  riguarda  le  idee  religiose  di  lei.  Dopo 
la  Memoria  di  G.  Campori  *  il  quale  crede  che  u  ne  dalle  sue 
azioni  ne  dai  suoi  scritti  si  può  ritrarre  indizi  in  lei  di  vacil- 
lamento e  meno  ancora  di  consenso  alle  dottrine  che  si  veni- 
vano disseminando  e  discutendo,  n  era  prezzo  dell'  opera  svol- 
gere maggiormente  le  obbiezioni  sollevate  da  E.  Masi  nella 
Rassegna  Settimanale  in  proposito  *.  Invece  il  Levi  si  ferma 
qui  solo  a  raccogliere  gli  indizi  soliti  e  a  far  notare  le  rela- 
zioni di  lei  con  Bernardino  Ochino,  con  Reginaldo  Polo,  col 
Carnesecchi,  con  coloro  insomma  della  congrega  di  Valdes,  che 
non  solo  si  erano  uniti  ai  protestanti,  ma  li  oltrepassavano  *. 
Bisogna  qui  ben  ricordarsi  —  dice  il  Masi  —  delle  tre  diverse 
tendenze  che  scaturirono  dai  prodromi  del  moto  riformista  ita- 
liano :  quella  di  Valdes,  di  cui  si  è  detto  ;  la  seconda  che  senza 
separarsi  dal  cattolicismo  tenta  una  conciliazione  e  finisce  con 
una  sconfitta;  e  la  terza  che  dà  mano  a  rafforzare  la  Chiesa 
e  trionfa  coi  gesuiti,  col  Concilio  di  Trento  e  coli'  Inquisi- 
zione. 

Il  libro  si  dilunga  a  delineare  le  relazioni  amichevoli  dei 
due  amanti,  anziché  accertare  la  influenza  che  in  materia  re- 
ligiosa uno  può  aver  esercitato  sull'altro.  Nelle  poesie  della  Co- 
lonna non  trova  V  A.  vestigia  di  quelle  lotte  e  di  quelle 
irrequietezze   che  travagliarono  Michelangelo.  I  problemi  della 

'  Giuseppe  Campobi,  Vittoria  Colonna.  Atti  e  memorie  della  R.  L.  De- 
put.  di  storia  patria  dell'Emilia.  Voi.  ni,  parte  ii,  nuova  serie.  —  Modena, 
Vincenzi,  1878. 

»  Voi.  Ili,  N.  56,  pag.  68. 

'  K.  Benzath,  Ueber  die  Quellen  der  italienisehen  Reformations-geschi- 
ehte.  Bonn,  1876.  —  Bernardino  Ochino,  von  Siena.  Leipzig,  1875.  (Ci- 
tati dal  Masi.) 


LA    MENTE    DI    MICHELANGELO.  681 

"ita  e  della  fede  la  agitarono  assai  meno,  egli  aflferma.  Ma  a 
questa  conclusione,  in  parte  vera,  concorreranno  coloro  che 
sanno  come  Vittoria  si  frammischiava  alle  riunioni  a  cui  inter- 
venivano e  il  Contarini,  e  il  Morone,  e  il  Fregoso,  e  il  Giberti, 
e  il  Friuli,  e  il  Bonfadio,  e  il  Soranzo,  e  il  Flamminio  ?  E  non 
è  Vittoria  che  scrive  all'eretica  Giulia  Gonzaga,  ringraziandola 
d'averle  fatto  avere  in  Orvieto  un'  opera  del  Valdes  «  eh'  era 
molto  desiderata,  et  più  da  me  che  n'  ho  bisogno  f  n 

In  fine,  ritornando  sul  suo  soggetto,  l' A.  studia  ancora 
i  artista,  il  pensatore,  l'eresiarca  dell'arte.  Michelangelo  a  Marco 
Vigerio  aveva  scritto:  a  Si  dipinge  col  cervello  e  non  colla 
mano,  e  chi  non  può  aver  cervello  si  vitupera,  n  e  queste  pa- 
role porgono  qui  occasione  di  biasimare  quella  scuola  che  molte 
.olte  dissimula  l'aridità  del  cuore  e  il  vuoto  del  cervello  col- 
! 'abbarbaglio  della  formola  l'arte  per  l'arte. 

Certo  che  anche  il  Buonarroti  fu  realittaj  ma  non  fu  pittore 
del  volgare,  del  triviale,  del  piccolo  realitmo.  La  sua  forte  e 
vigorosa  natura  lo  spingeva  ad  amar  ruomo  —  com'  egli  dice 
nelle  sue  lettere  —  sia  l'uomo  individuo,  sia  1'  uomo  umanità. 
Però  il  suo  antropomorfismo  non  è  armonico  come  quello  dei 
rreci:  più  della  forma  è  seguace  dell'  idea,  e  nello  studio  della 
natura  non   separa  il  corpo  dallo  spirito,  il  senso  dal  jtaiho». 

Anche  l'ambiente  in  cui  visse  ve  lo  costrinse.  Egli,  pensa- 
tore profondo,  costretto  a  comprimere  i  segreti  pensieri  del- 
'  animo,  non  rinunziò,  in  un  mondo  di  sole  ipocrisie  e  d'ido* 
Mtrie  vane,  ad  essere  la  sincerità,  In  virtù,  la  forza  che  si 
fferma,  portando  da  per  tutto,  nella  pittura,  nella  scultura, 
iella  poesia,  il  movimento  e  l'idea.  Onde  fu  detto  T eresiarca 
!1  irte...  E  perchè  no?...  Nella  vita,  egli  aveva  avuta  una 
i^ione  sua  individuale,  che  fu  diversamente  intrawistn  dagli 
scrittori,  pei  quali  Michelangelo  ora  è  detto  pUtonico  e  pitta* 
gorico,  ora  cattolico  romano,  ora  luterano  annacquato,  ora  ere- 
tico e  libero  pensatore. 

Il  Levi  che  esamina  a  sua  volta  la  questiono  della  fedo 
langìolesca,  cre<lc  a  ragione*  che  ben  fosse  scisso  dalla 
...  e,a  e  avciise  abbandonato  il  Cristianesimo  jeratico  e  leggen- 
dario, egli  che  cogli  eruditi  italiani  aveva  già  presentita  e  pre- 
corsa la  riforma;  ma  che  non  foste  staccato  dal  Cristianesimo 
ideale  e  morale,  cioè  dal  Cristianesimo  u  coiiu'  as|  '  ic  verso 

li  giusto,  verso  un  vero  assoluto,  eterno,  non  co:'  o  pas- 

Vu..    XL,  S«r1«  II  -  la  Affotla  IIM.  « 


682  LA    MENTE    DI    MICHELANGELO. 

seggero...  verso  un  bello  perfetto  che  parla  allo  sguardo  e   al- 
l'intelletto. " 

Era  naturale  quindi  che  in  arte,  sdegnando  l'orpello,  il  ri- 
piego, le  ambiguità,  vestisse  di  forme  originali,  quasi  perfette, 
il  suo  ideale  della  religione  dell'umanità,  i  grandi  concetti  dei 
filosofi,  dei  riformatori,  e  così  fosse  un  vero  a  artista-sacerdote  n 
che  parla  agli  animi  il  linguaggio  della  verità  e  della  conci- 
liazione, e  che  nella  pienezza  della  sua  vita  interiore  vuole  in- 
tegrare il  concetto  della  u  evoluzione  v  con  quello  dell'  u  ele- 
vazione n  della  vita,  inauspicando  al  rinnovamento  moderno, 
alla  libertà  nell'arte,  cjme  Lutero  nel  pensiero,  combattendo 
il  convenzionalismo  ed  il  domma. 

Pur  troppo  questa  sua  riforma  artistica  e  morale  u  egli  potè 
iniziarla  appena:  l'Italia  è  lontana  ancora  dal  comprenderlo  e 
dall' apprezzarlo  degnamente...  Però  la  sua  mano  ha,  possiamo 
dire,  rinnovata  e  ricreata  Roma  artistica  moderna:  la  sua  grande 
figura  basterebbe  a  rialzare  e  ricreare,  appo  un  popolo  ener- 
gico e  sano,  la  Roma  e  l'Italia  politica  e  morale,  n 

E  r  augurio  dell'  A.  trovi  eco  in  tutti  coloro  che,  deside- 
rando giorni  migliori  alla  patria,  intendono  il  bisogno  che  essa 
ha  di  una  generazione  sana  appunto  e  operosa,  ricca  di  carat- 
teri virili. 

Il  Levi  insiste  specialmente  su  questo  —  egli,  uomo  di  altri 
tempi,  amico  ed  entusiasta  di  Niccolini  e  di  Gruerrazzi  —  e  spera 
che  i  popoli,  lasciate  le  inutili  questioni  di  forma  e  di  culto, 
si  affratelleranno  nella  religione  del  vero,  del  hello  e  del  buono, 
nei  princìpii  di  quel  Cristianesimo,  che  s'innesta  sul  tronco 
ebraico,  e  mira  a  diffondere  le  massime  della  carità,  della  so- 
lidarietà, del  dovere. 

Tale  è  lo  scopo  —  in  parte  almeno  —  di  questo  libro,  che 
comunque  lo  si  giudichi  letterariamente,  resta  sempre  una  buona 
azione.  Qualcuno  non  troverà  forse  accettabili  alcune  interpre- 
tazioni, fin  che  vuoisi,  del  resto,  ingegnose,  come  quella  del- 
l'Aman  che  è  disposto  metà  in  una  superficie  e  metà  in 
un'altra  della  volta,  per  indicare  che  le  violoize  e  gli  errori  del 
paganesimo  si  sono  continuati  nei  secoli  cristiani;  o  1' altra  del 
personaggio  del  Giudizio  che  ha  la  pelle  in  mano  per  indicare 
non  già  S.  Bartolomeo,  ma  un  inquisitore  colla  veste,  col  velo 
dell'ipocrisia,  ecc.  E  cosi  altri  non  approverà  il  modo  concai 
fu  fatto  il  libro,  che  ideato  nelle  proporzioni    di    una    introdu- 


LA   MENTE   DI   MICHELANGELO.  683 

zione  ad  un  lavoro  poetico,  fini  coli'  essere  un  volume,  ma  con 
iscapito  dell'  ordine  e  della  concisione,  che  qua  e  là  sonovi  ri- 
petizioni che  pur  vorrebbero  approfondire  meglio  il  concetto 
precipuo  del  libro,  ma  spesso  riescono  solo  a  stemprarlo  e  a 
fargli  perder  rilievo. 

Invece  troverà  lodevole  che  il  Levi  abbia  preso  il  documento, 
già  noto  allo  studioso,  e  lo  abbia  interpretato  collo  studio  psi- 
cologico, completando  l'elemento  positivo    coli' elemento    etico. 

Convincerà  egli  gli  increduli  ?  E  la  generazione  che  il  Duprè 
aspettava  (V.  Ricordo  al  Popolo  Italiano),  la  quale  avrebbe  po- 
tuto fissare  lo  sguardo  nelle  profondità  michelangiolesche,  è 
sorta  ancora?  Ogni  dubbio  sarà  dileguato? 

Ciò  io  non  affermerò  certamente,  giacché  ancora  alcune 
delle  figure  non  poterono  essere  intese,  e  sarà  necessario  rie- 
saminarle nella  beila  incisione  che  ne  sta  preparando  il  Di  Bar- 
tolo con  uno  studio  paziente  dell'originale  e  col  confronto  di 
incisioni  antiche;  né  la  critica  potè  trovare  tutte  Jle  relazioni 
che  passano  tra  T  animo  dì  un  uomo  e  i  tempi  in  cui  si  svolge. 

Ma  io  credo  che  intanto  si  sia  fatta  tanta  luce,  quanta  basti 
a  non  far  più  di  quei  dipinti  a  un  libro  sibillino  n  se  si  con- 
sidera specialmente  nel  caso  nostro  che  accanto  ai  yoli  di  fan- 
tasia del  poeta  rifulge  l' occhio  profondo  del  crìtico,  che  non 
conosce  difficoltà  insuperabile,  che  vuol  condurre  la  critica  non 
mai  ad  appagarsi  della  forma  vuota,  ma  perscrutare  intima- 
mente il  pensiero  di  una  rappresentazione  artistica  ;  che  dico 
cose  mentre  altri  dice  parole.  Egli  abbraccia  il  suo  titanico  sog- 
getto e  se  ne  innamora,  non  per  altro  fine  che  per  dare  s  a 
un'Italia  che  voglia  sorgere  a  dignità  di  oasione  maschia,  ri- 
spettata e  libera  n  un  esempio  di  grandeisa  ;  efficace  a  rige- 
u  orarla. 

AUQU8TO  Setti. 


GLI  EBREI  IN  UNGHERIA 


TISZA-ESZLAK. 


I. 


In  Tisza-Eszlar,  un  piccolo  villaggio  di  223  abitanti  nel 
comitato  di  Szabolcs  in  Ungheria,  sulle  sponde  della  Theiss, 
viveva  una  vedova,  Solymosi,  con  molti  figliuoli  e  poco  denaro. 
Una  sua  figliuola  Esther,  di  quattordici  anni  e  qualcosa,  l'aveva 
allogata  presso  una  sua  parente  fittavola^  ora,  questa  che  vo- 
leva ridipingersi  la  casa,  il  1"  aprile  1882,  mandò  la  giovinetta 
dallo  speziale,  a  comperare  il  colore,  lontano  due  chilometri  dal 
podere.  E  la  giovinetta  non  tornò  ne  fu  più  vista.  Che  n'era 
stato  di  lei  ? 

S'era  vicini  a  Pasqua.  In  Tisza-Eszlar  v'è  dei  giudei  e  una 
sinagoga.  Poiché  s'aveva  a  trovare  a  una  ragione  una  tale  scom- 
parsa, parve  subito  la  più  probabile  quella  ch'era  addirittura  im- 
possibile. O  non  dovevano  essere  stati  gli  Ebrei  ?  Le  più  sapute 
del  villaggio  la  intesero.  Il  pregiudizio  che  del  rito  di  quelli 
faccia  parte  un  sacrificio  umano,  o,  a  dirla  più  spiccia,  un  as- 
sassinio, è  antico  nelle  plebi  cristiane  ;  e  un  professore  tedesco, 
un  dotto  tedesco,  il  Rohling  di  Munster,  da  parecchi  anni  sostiene 
-  che  cosa  non  sostengono  quando  ci  si  mettono  !  -  che  egli  ha  la 
convinzione  profonda  che  l'assassinio  ci  sia,  quantunque  di  ciò  una 
prova  perfetta  non  si  possa  dare.  Le  donnicciuole  di  Tisza-Eszlar 
avevano  l'onore  d'essere  del  parere  del  dotto  professore  senza 
saperlo.  I  giudei,  che  sentirono  come  si  spandesse  contro  di  loro 


GLI   EBREI   IN   UNGHERIA.  685 

una  voce  cosi  bugiarda  e  minacciosa,  e  ne  cominciavano  anche 
a  sentire  gli  effetti  sulle  loro  spalle,  si  strinsero  a  consiglio  e 
credettero  che  il  miglior  espediente,  per  dissiparla,  era  che  sì 
riuscisse  a  sapere  qualcosa  di  codesta  giovinetta  scomparsa  così 
a  sproposito.  Proposero  un  premio  a  chi  ne  desse  notizia.  Non 
l'avessero  mai  fatto  !  Il  18  giugno,  alcuni  barcaiuoli  o  zatterai, 
che  accompagnavano  un  carico  di  legna  disceso  dai  Carpazii, 
urtarono  a  Tisza-Dada,  a  20  chilometri  in  giù  d'Eszlar,  in  un 
cadavere  d'una  giovinetta.  Era  Esther?  Era  vestita  come  questa, 
il  giorno  che  scomparve.  Cosi  dissero  la  madre,  e  quanti  l'a- 
vevano vista  quel  giorno.  Ma  al  viso  e  alla  persona,  chi  di- 
ceva di  riconoscerla  e  chi  no.  Sei  persone  affermarono  di  si,  e 
una  di  esse  mostrò  a  prova  nella  gamba  destra  del  cadavere 
la  cicatrice  d'un  calcio,  che  Esther  aveva  ricevuto  due  anni  in- 
nanzi da  una  vacca.  Ma  la  madre  e  altri  testimoni  scelti  dalla 
madre  e  dal  giudice  d'istruzione  del  posto  dissero  che  non  era 
dessa.  La  madre  non  si  risolveva.  I  periti  nominati  dal  tribunale 
pretesero  che  il  cadavere  era  d'  una  sconosciuta  ;  ma  tre  pro- 
fessori di  Pest  dichiararono  che  niente  impediva  fosse  quello 
di  Esther.  In  somma,  se  ne  rimase  in  dubbio.  £  poi  il  cadavere 
non  diceva,  che  morte  fosse  stata  la  sua.  Era  stata  uccisa  ?  S'era 
gittata  nel  fiume  ?  V'era  caduta  ? 

Ma  dove  i  fatti  non  aiutavano,  cominciaruiio  <>  .^a|>piiic  lo 
fantasie;  e  queste  non  hanno  bisogno  che  le  si  nutriscano;  si  pa 
scolano  da  se  medesime,  ed  ecco  come  supplirono.  La  torà  stessa 
del  giorno  della  scomparsa,  la  madre  d' Esther  s'era  incontrata 
in  Giuseppe  Scharf,  un  calzolaio,  e  di  giunta  sacristano  della 
sinagoga.  Ora  pensate  che  discorso  questi  aveva  tenuto  alla 
madre  ?  Grli  aveva  detto,  che  a  Jfadju-Natuu  era  scomparso  un 
f.-inciullo,  e  anche  li  se  n'era  data  colpa  a'^udoi;  ma  dopo  qual- 
che ora  s'era  ritrovato.  O  perchè  lo  Scharf  era  entrato  in  questo 
discorso?  Per  consolare  la  madre  e  calmare  lei  e  gli  altri  in 
que'  lor  sospetti  contro  i  suoi  correligionarii  ?  Oibò.  Por  sviare 
gl'indizi  ;  e  ce  n'era,  oh  !  se  ce  n'era.  S'oran  sentite  le  grida 
della  vittima.  Dove?  Quando?  Prima  si  disse  nella  casa  dello 
►Scharf,  che  s'era  trovato  con  quel  discorso  d'aver  indicato  sé 
per  il  bjia  ;  poi  nella  sinagoga  stessa.  Le  grida,  una  donna  le 
aveva  sentite  al  mattino  ;  un'altra  dopo  mezzogiorno.  E  la  madr»- 
si  persuase  ancora  che  i  giudei  gli  avevan  tolta  la  figliuola;  oh  ! 
come  lo  sapeva  ?  Che  volete  ?  Lo  sentiva  qui  ed  era  la  voce 
di  Dio. 


686  GLI   EBREI   IN    UNGHERIA. 

Si  trovò  un  giudice  d'istruzione,  il  signor  Bary,  che  questa  voce 
l'aveva  sentita  anche  lui.  Egli  prese  ad  adempiere  la  sua  incom- 
benza, col  proposito  non  di  cercare  il  vero,  ma  di  provare  quella 
persuasione  che  s'era  formata  in  cuor  suo  del  vero  anticipata- 
mente. E  bisogna  dire  quello  che  è  ;  una  volta  risoluto  a  ciò, 
non  si  smarrì  per  via.  Egli  scelse  persone  e  mezzi  adatti.  Le 
persone  furono,  1'  una  un  Andrea  Recski,  un  commissario  di 
polizia,  che  vuole  che  gl'imputati  rivelino;  e  se  non  rivelano, 
hanno  a  fare  con  lui  ;  vi  mette  tanto  zelo,  che  n'è  stato  persin 
castigato  dai  suoi  superiori,  i  quali  non  son  lesti  a  punire  in 
casi  simili  ;  l'altra  valeva  meglio  ;  che  Koloman  Peczely,  il  cancel- 
liere, nella  discussione  pubblica  s'è  scoperto,  avere  a  venticinque 
anni  amoreggiato  colla  moglie  d' un  borghese  di  Miskolcz,  e 
colto  sul  fatto  dal  marito,  non  essersi  perso  d'animo,  ma  averlo 
strangolato  coll'aiuto  della  ganza,  e  tagliato  in  pezzi  e  chiuso 
in  un  sacco  e  gittate  sacco  e  uomo  nel  fiume.  La  sua  fedina 
è  questa:  u  uomo  senza  costumi,  di  cattivo  nome,  incriminato  più 
volte  per  furto.  Il  tribunale  di  Kaschau  lo  condannò  per  quel 
casette  a  quindici  anni  di  detenzione;  gli  fu  fatta  la  grazia 
nel  1867,  e  poi,  per  troppa  grazia,  davvero,  impiegato  ap- 
punto in  un  tribunale,  certo,  perchè  ci  aveva  avuto  a  che  fare. 
Se  ne  vedono;  e  soprattutto  se  ne  sentono!  Poiché  vogliamo 
sperare,  che  questa  in  Italia  non  si  vedrebbe.  Al  piìi,  un  uomo 
di  tanta  bravura  sarebbe  scelto  a  sindaco,  se  ha  avuta  molta 
parte  nell'elezione  di  un  deputato  a  modo;  e  con  questo  si  fosse 
fatto,  di  certo,  più  merito  verso  la  patria,  che  non  s' era  fatto 
demeriti  verso  uno  o  più  privati  col  furto  o  l'omicidio;  che  non 
pare  levino  nulla  o  facciano  macchie  al  patriottismo! 

Ora,  a  costoro  occorreva  trovare  un  testimone  che  avesse 
visto,  e  degno  di  fede.  Non  si  poteva  aspettare  che  non  l'avreb- 
bero trovato  ;  ma  così  acconcio,  così  degno  di  fede,  così  terri- 
bile, confessiamolo,  ci  volevan  loro.  Giuseppe  Scharf  aveva  un 
figliuolo,  Maurizio,  su'  tredici  anni.  Interrogato  dal  signor  Bary 
sin  dal  secondo  giorno  di  ciò  che  in  sua  casa  o  nel  tempio 
avesse  visto  il  1  aprile,  egli  rispose  niente  a  proposito;  come 
a  tutti  gli  altri  testimoni  che  non  s'eran  potuti  concertare,  gli 
era  sfuggito  tutto  quello  a  cui  il  giudice  soprattutto  voleva 
che  avesse  posta  attenzione.  A  ogni  modo  e  per  ogni  buon  fino 
fu  cacciato  in  carcere;  e  il  commissario  di  polizia,  perchè  stesse 
più  ad  agio,  lo  condusse  in  sua  casa;  e  perchè  non  mancasse  di 
compagnia,  condusse  seco  il  Peczely.  Ed  ecco  che  a  mezzanotte 


GLI   EBREI   IN   UNGHERIA.  687 

il  ragazzo  sapeva  tutto  quello  che  alle  otto  ignorava.  Se  non  che 
neir  intervallo  i  servi  del  Recski  asseverano,  che  gli  si  facesse 
patire  la  fame,  e  si  trattasse  invece  a  schiaffi  e  sferzate.  Se  non 
vogliamo  esagerare,  questa  non  si  può  chiamare  tortura. 

Ed  ecco  quello  che  questa  disciplina  gì'  inspirò.  Il  1"  aprile, 
suo  padre,  trattasi  in  casa  Esther  Solymosi,  l'aveva,  accompa- 
gnata da  un  mendicante,  mandata  alla  sinagoga.  Questo,  Mau- 
rizio l'aveva  visto:  poi  aveva  sentito  un  grido  ed  era  natu- 
rale che  volesse  continuare  a  vedere.  Messo,  adunque,  l'occhio 
al  buco  della  serratura  del  tempio,  vede  appunto  Esther  distesa 
per  terra  e  tre  uomini  tenerla  per  le  braccia,  per  le  gambe, 
per  il  capo;  ne  sapeva  i  nomi  e  gl'indico.  Intanto  un  beccaio, 
Salomone  Schwartz,  gli  faceva  un  taglio  profondo  alla  gola  con 
un  coltello  un  po'  più  grosso  d'un  coltello  di  cucina.  Se  ne  rac- 
colse il  sangue  in  due  piatti,  e  fu  poi  versato  in  un  vaso.  Però 
del  cadavere,  Maurizio  non  sapeva  che  cosa  se  ne  facesse. 
Come  credere  che  questo  racconto  gli  fosse  stato  imboccato  da: 
due,  e  i  patimenti  sofferti  lo  inducessero  a  ripeterlo  per  suo , 
s'  egli  non  solo  firmò  il  processo  verbale,  ma  v'aggiunse  di  suo 
pugno:  u  Ho  confessato  tutto  ciò  senza  che  mi  si  facesse  vio- 
lenza di  sorta?  n  I  due,  poiché  ebbero  ottenuta  una  cosi  intera  e 
schietta  confessione,  ne  avvertirono  il  giudice  Bary  eh'  era  lon- 
tano, ammonendolo  di  venire  in  fretta,  senza  aspettare  sino  al 
mattino,  per  paura,  scrivevano,  che  nel  frattempo  l'affare  pren- 
desse un  altro  avviamento.  E  il  signor  Bary,  da  quel  diligente 
uomo  eh'  egli  è,  si  precipitò  ;  e  alle  due  dopo  mezzanotte  egli  era  in 
casa  del  Recski  a  sentire  dal  ragazzo  il  racconto  veritiero  non 
variato  di  una  virgola. 

Ma,  adunque,  il  cadavere  ritrovato  a  Tisza-Dada,  nou  era 
quello  d'Esther?  Quello  non  aveva  nessun  taglio  alla  gola.  E 
un  tàglio  ci  voleva,  perchè  insomma,  i  giudei  non  uccìdono  oo- 
tcste  creature  a  Pasqua,  se  non  perchè  gliene  serve  il  sangue 
per  impastare  i  pani.  Dov'era  il  cadavere  col  taglio?  Oh  chi 
Io  sa!  Ma  che  importa.  Il  cadavere  da  cui  s'ora  tratto  il  sangae, 
i  giudei  l'avevano  nascosto.  E  degli  abiti,  che  erano  certamente 
quelli  d'  Esther,  era  stato  vestito  un  altro  cadavere,  e  gettato 
nel  fiume.  Uno  studente  di  medicina  scelto  a  perito,  e  due  medici 
che  bazzicavano  nel  castello  di  un  sig.  Onody,  un  nemico  giu- 
rato de'  giudei,  attestarono  che  infatti  qudl  cadavere  non  po- 
teva esser  di  quella.  Oli  zattera!  furono  interrogati  ;  se  si  fosso 
potato  sapere  da  essi,  che  il   cadavere,    anziché    ritrovato    nel 


688  GLI   EBREI    IN    UNGHERIA. 

fiume,  era  stato  lor  consegnato  da'  giudei,  cotesto  niruvwmento 
infelice,  che  sconcertava  gì'  indizii  raccolti  dalla  bocca  ingenui, 
di  Maurizio,  sarebbe  diventato  la  miglior  prova  esso  stesso. 
Pure,  gli  zatterai  rispondevano  d'averlo  trovato  e  di  non  sa- 
perne altro.  Ma  avevano  a  fare  coi  due  !  Si  sarebbe  visto  so 
avrebbero  sino  infine  continuato  a  mentire.  Chi  fu  messo  a  di- 
morare in  una  stia,  chi  in  un  porcile  ;  1'  uno  forzato  a  ingozzare 
acqua  e  poi  acqua;  chi  a  guardar  fiso  il  sole,  se  già  avev:- 
ammalato  gli  occhi.  Il  commissario  di  Dada  possedeva  verghe 
e  manette  e  le  offeriva. 

u  Qualcuno  resistette  sino  all'  ultimo.  L'  uno  di  essi,  un  israe- 
lita, di  debole  complessione  e  di  meschina  apparenza,  si  com- 
portò da  eroe.  Il  giudice  d' istruzione,  non  potendo  cavarne  nulla, 
gli  azzeccò  uno  schiaffo,  e  chiamò  i  suoi  staffieri.  Si  minacciò 
di  bastonarlo  5  rispose  che  ciò  che  si  voleva  eh'  egli  dicesse  era 
falso,  eh'  egli  aveva  ventiquattro  testimoni  a  citare.  Grli  si  as- 
sestarono quattro  colpi  sulla  mascella;  usci  sangue.  Ricusò  di 
confessare.  Gli  si  fece  ingoiare  tanta  acqua,  che  si  gittò  a  terra 
per  recerla,  e  quando  l'ebbe  mandata  fuori,  gli  si  dettero  a  bere 
tre  bicchieri  d'acqua  salata.  Ricusò.  Gli  si  legarono  le  mani 
dietro  le  spalle,  e  il  commissario  lo  prese  per  una  ciocca  di 
capelli  e  uno  degli  assistenti  per  un'altra,  e  tanto  tirarono 
che  rimasero  loro  nelle  mani.  Ricusò.  Fu  spogliato,  fu  disteso 
sulla  paglia,  fu  minacciato  che  lo  si  appiccherebbe  per  i  piedi. 
Poi  fu  forzato  a  correre  fino  a  Eszlar  davanti  al  cavallo  d' una 
guardia  di  polizia.  Si  soffocava  dal  caldo;  non  ne  poteva  più; 
ricusò.  Infine,  fu  chiuso  in  una  camera  oscura;  vi  stette  tre 
settimane;  vi  cadde  ammalato  gravemente,  chiedendo  sempre 
che  ^7  udissero  i  suoi  testimoni,  senza  che  nessuno  consentisse, 
a  udirli.  *  Questo  brav'uomo  si  chiama  Anschel  Vogel. 

Pure  non  tutti,  com'è  naturale,  tennero  duro  del  pari.  Pa- 
recchi finirono  col  dire  quello  che  si  voleva.  Uno,  per  trarsi 
d' impaccio,  dichiarò  che  per  lo  appunto  il  cadavere  era  stato 
lor  consegnato  da  due  ebrei  d'  Eszlar.  Da  chi?  Schieratigli  da- 
vanti tutti  gli  ebrei  d'Eszlar,  ne  prese  due  a  caso,  che  non  aveva 
mai  visti  e  disse  :  questi.  —  E  il  suo  nome  anche  è  bene  saperlo 
lankel  Smilovics.  Ma  così  questi,  appena  come  gli  altri,  tornati  a 
casa,  andarono  subito   a  dichiarare  davanti  al  sindaco  di  Szek- 

1  Son  parole  del  Valbert,  che  ha  scritto  su  questo  soggetto  uella  Revue 
des  deux  Mondes  del  1'  agosto. 


•jLI    ebrei    in    UNGHERIA.  68^ 

lencze,  d  avere  sfacciatamente  mentito  per  essere  stati  birbone- 
scamente torturati.  Un  solo  scelse  un  altro  partito  ;  persi- 
stette in  quello  che  aveva  detto;  ma  aggiunse,  che  quando  la 
consegna  del  cadavere  ebbe  luogo,  egli  era  ubbriaco. 

Codesti  son  tutti  fatti  chiariti  durante  la  discussione  pub- 
blica. Il  processo  è  stato  dibattuto  avanti  alla  corte  di  Nyire- 
ghiaza,  il  capoluogo  del  comitato.  La  causa  del  vero  ha  tro- 
vato un  potente  avvocato  nell'  Edtvòs.  Ma  come  avvocati  ce 
n'è  per  ogni  cosa,  un  altro,  Szalay,  avvocato  della  madre,  che 
s'è  fatta  rappresentare  in  giudizio  come  parte  civile,  ha  persi- 
stito sino  all'ultimo  a  sostenere,  che,  sissignore,  era  parte  del 
rito  giudaico  un  assassinio  pio  di  questo  genere.  CJitava  in 
prova  il  Talmud,  e  come  gli  si  opponeva  un  breve  d'  un  papa, 
Innocenzo  —  del  terzo  o  di  quale?  —  che  aveva  già  cinque  se- 
<oli  fa  ^dichiarata  calunniosa  la  voce,  non  si  sgomentò,  ma  ri- 
pose, che  il  Papa  era  stato  corrotto  dagli  ebrei  per  averne 
avnito  danaro  a  prestito.  Quanta  lace  la  discussione  abbia  messo 
nel  caneto  di  presunzioni  false  che  il  Bary  aveva  piantato  e  cre- 
sciuto, n'è  prova,  che  sin  dal  primo  giorno  lo  Szeiffert,  sostituto 
lei  procurator  generale,  confessò  che  l'istruzione  era  stata  con- 
lotta in  modo  biasimevole,  e  dopo  avere  in  tutto  il  corso  del 
processo  manifestato  la  nausea  che  parecchi  testimoni  gli  cagio 
nuvano,  ha  finito  coH'abbandonare  l'accasa.  Pure  s'è  rimasti  sino 
alla  ultima  ora  in  dubbio  se  il  giurì  di  Nyireghiaza  avrebbe 
assoluto  i  giudei.  Ed  è  stato,  per  vero  dire,  un  gran  conforto 
a  quelli  che  in  ogni  parte  di  Europa  mettono  qualche  inte- 
resse, a  che  non  si  perda  fede  nella  giustizia,  il  sentire,  che 
:;li  hanno  assoluti. 

Il  dubbio  era  molto  naturale.  Noi  leggiamo,  da  che  l'asso- 
luzione è  stata  pronunciata^  l'effetto  ch'essa  ha  fatto  in  più 
luoghi  d'  Ungheria.  Quello  che  si  chiama  il  popolo,  non  finisce 
*li  far  chiasso  contro  gli  assoluti,  di  rompere  i  vetri  delle  fino 
stre  delle  case,  in  cui  quelli  si  son  rifuggiti,  di  minacciarli 
-iella  lor  vita.  Bisogna  sperare,  che  almeno  in  questo  caso  la 
■  oce  del  popolo  non  sia  la  voce  di  Dio;  però,  durante  il  pro- 
■esso  non  gridava  meno,  anzi  più.  Vi  si  era  convenuto  da  ogni 
parte  del  paese,  come  alla  prima  serata  della  rappresentazione 
Tun  dramma  di  un  autore  di  grìdo.  Signori  e  sopratutto  si- 
gnore, di  piccola  e  gran  nobiltà,  erano  accorsi.  Nò  questo  pub 
Mico  elegante  o  influente  se  ne  stava  zitto,  o  aveva  soltanto 
;>remurri  che  giustizia  si  facesse.  La  giustizia,  esso  sapeva  già 


690  GLI    EBREI   IN    UNGHERIA. 

che  cosa  era  :  condannarli,  cotesti  ebrei.  Come  l'EOtvSs  l'ha  corag- 
giosamente detto,  s' era  costituita  a  Nyiregyhaza  un'  agenzia, 
col  fine  d' intimidire  i  testimoni  a  discarico,  d' insegnare  a  par- 
lare a  quelli  a  carico. 

Una  giovinetta  che  dichiarò  d'aver  visto  Esther  conversare  con 
sua  sorella  due  ore  dopo  che  gli  ebrei  erano  dalla  sinagoga 
usciti  tutti,  fu  bastonata  a  sangue  da'  suoi  parenti  come  testi- 
mone falsa.  Una  vecchia  arriva  tutta  smarrita  a  deporre 
contro:  gli  si  dimanda  chi  l'ha  fatta  venire,  risponde:  E 
corsa  a  Eszlar  la  voce,  che  gli  ebrei  avrebbero  guadagnato  il 
loro  processo  ;  son  corsa  per  salvarmi  l' anima.  È  adunque  un 
sentimento  generale  in  tutto  un  paese,  non  proprio  di  alcune 
classi,  o  delle  infime;  ma  di  tutte,  di  giù  in  su.  E  quello  che 
mi  par  più  straordinario,  è  ch'esso  abbia  resistito  allo  spetta- 
colo di  quei  testimoni  che  dicevano  e  disdicevano,  che  appa- 
rivano evidentemente  indettati  o  almeno  allucinati  ;  che  dico, 
ha  resistito  a  questo  ?  ha  fatto  peggio  ;  non  s'  è  lasciato  smuo- 
vere dallo  spettacolo  di  quel  ragazzo  di  13  anni  che  accu- 
sava suo  padre;  e  non  solo  appariva  menzognero  al  modo 
in  cui  recitava  la  sua  testimonianza  e  s' intrigava  nelle  ob- 
biezioni che  gli  eran  fatte,  ma  si  lasciava  uscire  di  bocca, 
eh'  egli  sapeva ,  non  avere  più  bisogno  dei  suoi  parenti , 
né  volere  più  conoscerli  ;  che  persone  di  altissimo  grado  pren- 
devano interesse  a  lui,  che  avrebbe  mangiato  tutta  la  sua 
vita  pan  bianco.  Un  giorno  fu  sentito  dire  :  u  Io  non  voglio 
essere  ebreo,  perchè  mi  si  è  accertato  che  in  breve  gli  ebrei 
saranno  cacciati  di  Ungheria...  n  Egli  era  stato,  per  vero  dire, 
il  più  abilmente  addestrato  dei  testimoni.  Dal  giorno  che  gli 
s'era  tratto  di  bocca  il  falso  racconto,  non  era  stato  più  la- 
sciato padrone  di  se.  Contro  le  leggi,  l'avevano  tenuto  in  car- 
cere sotto  sorveglianza  di  polizia.  Un  prete  s'  era  occupato  a 
convertirlo,  e  a  insegnargli  a  disprezzare  il  padre  di  diversa 
fede.  Così,  una  natura  fiacca  per  sé  era  stata  abilmente  finita 
di  guastare.  E  son  cristiani? 


II. 

Le  considerazioni  a  cui  questo  processo  dà  luogo,  sono  va- 
rie, e  possono  pur  esser  tutte  di  gran  valore.  Una  istruzione, 
in  un  paese  in  cui  la  giustizia  sia  amministrata  bene,  non  può 


GLI    EBREI   IN    UNGHERIA.  691 

esser  fatta  a  quel  modo.  Se  tra  gli  ufl&ciali  della  giustizia  en- 
trano persone,  come  il  commissario  e  il  cancelliere  nominati, 
vuol  dire,  che  in  cotesto  paese  v'  ha  qualcosa  che  zoppica  nel 
governo.  Se  tanti  testimoni  mentiscono  e  non  sentono  punto  la 
santità  e  il  valore  della  lor  parola,  cotesta  è  una  piaga  anche 
peggiore  della  istruzione  mal  fatta  e  dei  due  cattivi  impiegati. 
Se  ci  si  permette  che  i  testimoni  sieno  influiti  a  quel  modo  e 
dentro  dell'  aula  del  tribunale  e  fuori,  non  si  può  disconoscere 
che  di  questa  libertà  un  popolo  veramente  civile  farebbe  a  meno. 
Ma  tutte  queste  considerazioni  e  altre  dello  stesso  genere  per- 
dono valore  innanzi  al  sentimento  di  odio  contro  gli  ebrei,  che 
è  comune  a  tutta  la  cittadinanza,  si  che  diventa  ragion  di  lode 
e  segno  di  coraggio  il  non  lasciarsene  dominare,  e  il  mantenere 
rispetto  a  esso  non  solo  l'animo,  ma  la  ragione  libera. 

Strana  cosa  e  una  delle  tante  inaspettate  !  Era  stato,  è  tut- 
tora uno  dei  capi  principali  della  dottrina  liberale  questo  ;  che 
non  debba  la  differenza  di  religione  avere  nessuno  effetto 
né  nelle  relazioni  sociali  delle  persone,  né  nei  lor  diritti  civili 
o  politici.  E  prevalendo  questa  dottrina,  le  disuguaglianze  tra 
cittadino  e  cittadino,  che  da  siffatte  differenze  eran  nato,  sono 
state  cancellate  dalle  legislazioni  quasi  dappertutto  :  in  Un- 
gheria, per  esempio,  la  costituzione  non  lo  ammette.  Non 
solo  si  sperava,  ma  si  contava,  che  gli  odii,  i  quali  avevano 
avuto  radice  in  coteste  disuguaglianze  e  se  ne  erano  alimen- 
tati, sarebbero  scomparsi  con  esse.  Ora,  ecco,  che,  a  prendere 
la  generalità  dei  cittadini,  l'Europa  si  divide  oggi  in  questo 
rispetto,  in  due  parti  ;  nei  paesi  latini  e  in  Inghilterra,  eh'  ì- 
per  metà  latina,  questi  odii  si  possono  dire  poco  meno  che 
spenti  o  certo  attutiti  ;  ma  nei  germanici  e  negli  davi,  dove  un 
quìndici  anni  fa  erano  o  parevano  spenti,  o  certo  orano  ricoperti 
di  cenere,  riardono.  E  la  qualità  della  legislazione  non  fa  di- 
vario. O  che  questa  già  abbia  agguagliato  gli  ebrei  agli  altri 
cittadini  in  tutto,  come  in  Prtusia,  poniamo,  o  no»  l'nbbin  anoor 
fatto  e  non  intenda  farlo,  è  tutt'uno. 

E  un  fenomeno  certo  dei  più  curioHÌ,  f  tlie  vorrcbb' <'s-,<  n 
studiato  con  cura.  Se  non  ha  ragioni  vere,  ha  causo  non  leggi  n 
e  eccessivamente  complesse.  Ne  ha  di  economiche,  di  nazionali, 
di  religio«e.  Ne  badi  proprie;  no  ha  di  comuni  a  tutto  con 
mutamento  succeduto  nell'indirizzo  morale  delle  monti  in  Eu- 
ropa soprattutto  dal  1870  in  qua.  Ne  ha  di  antiche,  nelle  legi- 
slazioni o  nelle  consuetudini  anteriori  degli  Stati  in  questa  ma 


()92  GLI    EBREI    IN    UNGHERIA. 

teria;  ne  ha  di  recenti,  anzi  di  presenti.  Ne  ha  ancora  di 
quelle  nello  quali  gli  Ebrei  stessi  non  son  senza  colpe;  e  ne  ha 
di  quelle  onde  hanno  colpa.  Mi  piacerebbe  dipanare  tutta  que- 
sta matassa.  Sarebbe  di  grandissimo  interesse  il  farlo.  Ma  mi 
deve  bastare  qui  aver  accennato  tutti  questi  capi,  sto  per  dire, 
di  ragioni  diverse  ;  lo  svilupparle  non  può  essere  oggi  di  questo 
luogo. 

Pure  una  osservazione,  una  sola  osservazione  la  voglio  fare. 
Il  movimento  contro  gli  Ebrei,  in  un  ordine,  in  ispecie  di 
persone,  none  solo,  come  parrebbe,  tutto  cristiano;  non  è  un 
rinnovamento  di  ardore  cristiano  contro  di  essi  :  anzi  non  è 
meno  antiebraico  che  anticristiano.  Tra  le  molte  opposizioni, 
le  quali  lacerano  lo  spirito  moderno,  ve  n'ha  una,  e  non  la 
più  temibile,  ma  neanche  la  meno  profonda,  contro  l' Iddio 
semita.  Bisogna  salvare  oramai  noi  Ariani  —  poiché  Ariane 
sono  le  civili  nazioni  di  Europa  —  dall' incubo  di  cotesto  Id- 
dio, nato  tra  le  tribù  Arabe,  nell'  infinito  dei  deserti,  che 
pesa  sullo  ali  nostre,  e  le  impedisce  dal  prendere  l'ultimo 
volo,  e  dal  porre  1'  uomo  più  alto  che  cotesto  Iddio  non  sia 
stato  mai!  Cosi  dicono.  Ora,  dello  Iddio  semita,  l'Ebraismo 
non  solo  è  altrettanto  colpevole,  che  il  Cristianesimo,  ma  più, 
perchè  gliel'  ha  dato.  La  guerra  contro  quello,  quindi,  è  non  un 
preludio,  ma  un  accompagnamento  della  guerra  contro  questo, 
E  vuol  esser  feroce;  perchè  l'Ebraismo  è  tenace,  e  ha  nella 
società  moderna  una  influenza  non  proporzionata  al  numero 
delle  persone  che  ancora  lo  professano,  ma  di  molto  maggiore. 
Le  quali,  d'altra  parte,  hanno  usata  di  questa  loro  influenza  il  più 
comunemente  in  favore  dei  governi  e  dei  principii  liberali,  dai 
quali  aspettavano  e  hanno  anche  avuta  la  loro  liberazione.  Onde 
tutta  una  schiera  diversa  anzi  opposta  di  uomini  sorge  a  com- 
batterli, tutti  quelli  ai  quali  i  principii  liberali  sono  stati  cagione 
di  danno  o  son  tuttora  di  avversione.  I  quali  poi  danno  la 
mano  a  quell'altra  schiera  che  è  la  più  numerosa,  e  che  s'ar- 
ruola soprattutto  nelle  classi  infime  e  nell'  ecclesiastiche-  delle 
diverse  sette  cristiane,  nei  cui  animi  possono  le  tradizioni  an- 
tiche della  ostilità  fatale  e  originaria  delle  religioni  rispettive. 
Se  non  che  questi  ordini  di  motivi  sono  affatto  estranei  a  co- 
loro che  pur  s'associano  alla  stessa  guerra,  perchè  gli  Ebrei, 
parte  per  la  lor  virtù,  e  parte  per  il  segregarsi  che  fanno  e  per 
il  contrapporsi  al  rimanente  della  popolazione,  paion  loro,  di 
buona  o  di  mala  fede,  di  rimanere  un  elemento  estraneo  a  que- 


GLI   EBREI    IN    UNGHERIA.  693 

sta,  di  sposar  j  interessi  proprii  e  diversi,  di  esser,  quindi,  pe- 
ricolosi: e  senza  questo  e  con  questo,  di  esercitare  sulla  con- 
dizione economica  della  società,  nel  cui  seno  s'  annidano,  una 
influenza  perturbatrice  e  deleteria. 

Delieta  majorum  immentiis  lues,  si  può  dire  all'ebreo  d'oggi, 
ma  nessuno  continuerebbe  la  citazione  :  donec  tempia  refecerìs. 
Forse  il  chiuso  dei  tempii  è  quello  che  genera  cotesto  complesso 
di  sentimenti  e  di  consuetudini,  donde  non  gli  ebrei  o  i  cristiani 
soli,  ma  soffrono  le  società  stesse  in  cui  essi  convivono.  Il  che  non 
vuol  dire,  che  i  tempii  s'hanno  a  distruggere,  poiché  rispondono 
a  un  gran  bisogno  e  a  un  alto  ideale  dello  spirito  umano,  ma 
vogliono  intomo  a  sé  un  vivo  moto  di  pensiero  libero.  Nel  leggere 
la  fandonia  germogliata  nella  mente  delle  pettegole  di  Tisza- 
Eszlar,  e  accolta  con  tanto  e  cosi  caparbio  favore  da  gran  parte 
delle  signore  d'Ungheria,  io  mi  son  ricordato  di  un'altra  fan- 
donia per  lo  appunto  simile,  che  non  sole  le  pettegole  ebree, 
ma  i  Rohling  ebrei  del  primo  secolo  del  cristianesimo  spande- 
vano contro  i  cristiani.  Dicevano  che  queiti  nell'  iniziazione 
dei  loro  discepoli  procedevan  cosi:  a  Un  fanciullo,  coperto 
di  farina  perchè  inganni  gl'incauti,  è  imbandito  a  colui,  che 
deve  essere  imbevuto  della  religione.  Cotesto  fanciullo,  dal  di- 
scepolo, che  la  superficie  di  farina  quasi  provoca  a'colpi  innocui, 
è  ucciso  da  ferite  cieche  ed  occulte.  E  di  questo,  orrendo  a  dire, 
lambiscono  il  sangue,  di  questo  si  ripartiscono  le  membra  a 
gara,  su  questa  vittima  stringono  lega,  in  questa  coscienza  di 
delitto  s'obbligano  a  un  mutuo  silenzio,  n  Ciò  narra,  che  si  di- 
cesso Minucio  Felice  con  quel  suo  stile  colorito.  I  greci  lo  chia- 
mavano il  festino  di  Thicste  de'  cristiani;  e  invece  nella  mento 
di  alcuno  popohizioni  cristiane  vive  il  pregiudìzio  che  cotesto 
festino  lo  faccian  gli  ebrei!  La  calunnia  ha  tradizioni,  e  nessuna 
ne  ha  più  lunghe  della  settaria,  e  tra  le  settario,  quella  dello 
sette  religione  è  la  più  vivace.  Cambia  posto,  ma  non  muore.  Se 
non  che  ci  ha  qualcosa  di  più  rilevante  anche.  Nel  rito  attri 
buito  a'cristiani  dagli  ebrei  e  a  questi  da  quelli  c'è  un  sentimento 
comune;  ed  è  l'efficacia  del  sangue  umano  nel  forzare  una  volontà 
di%'ina  che  s'immagina  prosieda  agli  umani  destini,  e  ancora  lo 
volontà  umane  che  stringano  patti  tra  di  loro  a  tenerli.  Il  san- 
gue dell'  uomo,  si  crede,  ha  un  valore,  che  oltrepassa  la  per- 
sona, dalla  quale  è  tratto.  È  il  più  antico  progiu<lizi(),  forse,  e  il 
più  radicato,  il  più  vecchio  e  il  più  indomito.  Donde  ò  nato?  Il 
de  Maistre,  ricordo,  ne  scrive  a  «no  modo  alcune  belle  e  miste- 


694  OLI    EBREI   IN    UNGHERIA. 

riose  parole  nelle  serate  di  S.  Pietroburgo.  Esso  ha  ramificazioni 
infinite,  nel  diritto  pubblico,  nelle  consuetudini  sacre,  nella  ma- 
gia. 0  Canidia,  per  richiamare  l'amante,  non  ebbe  bisogno  d'un 
corpo   impubere  di  fanciullo. 

Quale  possen,  impia 
moUire  Thracum  pectora 

e  della  midolla  asciutta  e  dell'  arido  fegato  di  lui,  piantato  in 
una  fossa?  La  superstizione,  qui,  se  alquanto  diversa,  è  tutt'una; 
G  credo  che  qua  e  là  duri  tuttora. 

Quanto  dell'uomo  vecchio,  vecchissimo,  dell'  uomo  che  noi 
c'immaginiamo  finito  da  un  pezzo,  è  vivo  tuttora  e  vegeto!  A 
Casamicciola  nessuno  pensava,  che  rovina  e  al  ridente  borgo, 
e  agli  abitanti  allegri  dell'  affluenza  dei  forestieri,  e  ai  forestieri 
sicuri  di  ritrovare  tutto  il  vigor  giovanile,  e  d' affacciarsi  all'  in- 
verno prossimo  pieni  di  volere  e  di  salute,  che  rovina,  dico, 
apparecchiasse  il  fuoco  sotterraneo  e  segreto  !  Tutta  la  natura 
davanti  agli  occhi  non  solo  nascondeva,  ma  negava  quella  che 
era  nascosto  agli  occhi.  Così  come  nelle  cose,  succede,  pare, 
negli  uomini.  Mentre  viviamo  sicuri,  che  son  diventati  tutti  di- 
versi da  se  medesimi  ;  che  la  luce  della  civiltà  gli  ha  illuminati 
e  penetrati  e  trasformati  tutti,  a  un  tratto,  a  uno  dei  terremoti 
piccoli  e  grandi,  che  spezzano  la  crosta  di  questa  società  no- 
stra, ci  accorgiamo,  che  la  pasta  è  tuttora  quella  e  l'apparenza 
che  ci  dava  diversa,  è  effetto  d'un  colore  disteso  su  una  super- 
ficie appena  indurita.  Laboremus  !  Forse  riusciremo  ad  alte- 
rarla. A  ogni  modo,  lo  sforzarcisi,  lo  sforzarcisi  di  molti,  di 
sempre  più,  è  già  caparra,  che  se  il  reale  resiste  e  sta  basso, 
l'ideale  s'eleva  e  lo  trarrà  pure  a  se. 

Bonghi. 


IN  CALABRIA  ^ 


FRA  OLI  ALBANESI. 


Era  un  vecchio  desiderio,  vedere  gli  Albanesi  in  casa  loro, 
coi  loro  costami,  i  loro  abiti  splendenti  d'oro,  le  loro  antiche 
e  immutate  tradizioni  orientali. 

Una  gran  dama,  di  sangue  principesco,  col  cuore  di  donna 
e  colla  mente  di  filosofo  aveva  richiamato  le  simpatie  dell'Eu- 
ropa e  del  mondo  su  quella  povera  e  dispersa  nazione.  EMa 
sapeva  tutte  le  lingue  vive  e  se  ne  serviva  come  d'una  tastiera 
forte  e  pietosa  per  commoverc  i  cuori  delle  nazioni  felici  e 
indipendenti  o  per  sollevare  quelle  che  piangevano  o  si  dibat- 
tevano sotto  il  giogo  straniero  o  sotto  la  sfersa  dei  tiranni. 

Dora  d'Istria  nei  giorni  della  nostra  gioventù,  giovanissima 
casa  pure,  ci  aveva  rivelate  le  glorie  e  le  speranze  dell'orìeiite 
europeo  e  singolarmente  degli  Albanesi,  di  questo  popolo  forse 
nomade,  forse  vagabondo,  ma  forte  e  antico,  che  avcra  dato  al 
banchetto  di  Baldassarc  il  suo  Man»,  Ucktl,  pkare»,  minaccioso 
allora  por  quel  tiranno  libertino  nel  suono  caldeo-ebraico,  come 
ogi^i  ne' canti  albanesi  della  numerosa  colonia  che  si  eetande 
dall'Abruzzo  alla  Sicilia,  e  ci  areva  invogliati  di  saperne  i 
segreti. 

E  la  nostra  fantasia  di  fanciulli,  il  nostro  cuore  di  patrioti 
che  rìflpondeva  alla  corda  della  nazionalità  di  fresco  proclamata 
l'aspetto  della  vecchia  Europa  e  del  mondo,  venivano  ecoit*ti 

Vedi  fMcioolo  <tel  l*  ì^fOo. 


696  IN    CALABRIA. 

e  commossi  dal  racconto  di  Giorgio  Castriota,  che  quattrocento 
anni  prima  aveva  guidati  alla  riscossa  i  suoi  connazionali  contro 
la  mezzaluna  invadente,  guadagnandosi  il  nome  di  Skanderbegh, 
grande  Alessandro. 

La  poesia  orientale  mescolandosi  alle  tradizioni  inalterate  di 
quel  popolo,  che  nel  spttrarsi  al  giogo  turco,  aveva  chiesta  e 
ottenuta  ospitalità  alle  nostre  terre  meridionali,  quel  non  so  che 
di  avventuroso  che  li  circondava  ingrandito  dalla  nostra  imma- 
ginazione giovanile,  pronta  a  riscaldarsi  e  ad  entusiasmarsi  per 
ogni  nobile  idea,  avevano  lasciato  attecchire  e  crescere  in 
silenzio,  ma  fortemente,  il  desiderio  di  vedere  e  di  conoscere 
queste  genti  straniere  all'Italia,  le  quali  pure  avevano  parteci- 
pato coi  loro  figli  alle  guerre  della  nostra  indipendenza  e  vi 
avevano  portato  quel  fondo  di  battagliero  e  di  fatalismo  che  li 
faceva  soldati  e  volontari  pieni  di  ardire  e  di  fierezza.  E  na- 
turalmente, arrivata  nella  Calabria  Citra,  dove  forse  più  che 
in  altra  provincia  si  mantengono  intatte  quelle  costumanze, 
per  essere  quel  popolo  quasi  chiuso  dalla  Sila  e  dalla  catena 
del  Pollino,  volli  avventurarmi  fino  ad  uno  dei  villaggi  al- 
banesi. 

Inutile  dire  il  suo  nome,  il  quale  ne  vale  un  altro.  Del 
resto  noi  sappiamo  che  gli  Albanesi  che  vennero  in  Italia  a 
stabilirsi  in  colonia,  e  in  genere  tutti  quelli  che  forse  erronea- 
mente si  chiamano  italo-greci  si  estendono  sopra  una  vasta 
estensione  di  paese,  passando  per  l'Abruzzo  Ulteriore,  Terra 
d'Otranto,  la  Capitanata,  Basilicata,  le  tre  Calabrie,  fino  in 
Sicilia,  dividendosi  sopra  circa  settanta  villaggi  montanini  senza 
comunicazione  fra  di  loro,  e  suppergiù  mantengono  le  stesse 
costumanze,  meno  certe  inavvertite  modificazioni  dovute  all'am- 
biente, o  forse  più  che  altro,  alle  diverse  provincie  da  cui 
emigrarono. 

Essi  non  si  possono  confondere  colle  tribù  greche  antiche 
viventi  specialmente  nella  Calabria  Ultra,  sopra  le  montagne 
di  Reggio,  le  quali  parlano  il  greco  d'Omero  nel  condurre  le 
capre  al  pascolo.  Oli  Albanesi  e  gli  emigranti  da  diverse  delle 
Provincie  della  Grecia  si  stabilirono  successivamente  nell'Italia 
meridionale  dal  1440  al  1736  per  concessioni  dei  re  e  viceré 
di  Napoli  fino  a  Carlo  III  che  ne  favorì  gl'interessi  al  punto 
di  istituire  un  episcopato  e  un  collegio  greco.  Essi  sono  catto- 
lici col  rito  greco-unito,  e  fu  detto  da  un  ardente  e  convinto 
albanese  che  il  loro  poema  popolare,  di  cui  si  conservano  splen- 


IN    CALABRIA.  697 

didi  frammenti,  viene  ad  empiere  il  tempo  che  da  Dante  a 
Petrarca,  scorre  insino  all'Ariosto.   ' 

La  loro  lingua,  di  cui  potrebbero  i  filologi  uccuparsi  con 
molto  vantaggio  della  scienza,  è  forse  Tepirotica,  in  alcuni 
luoghi  più  vicini  all'abitato  mescolata  di  calabrese  e  d'italiano  ; 
secondo  le  diverse  circostanze  di  luogo  e  di  tempo  della  loro 
immigrazione  fra  di  noi,  è  divisa  in  dialetti  a  cui  i  conoscitori 
danno  il  nome  di  mirdita,  liapo,  tosco  e  sciamurOj  con  qualche 
elemento  anche  di  greco  e  di  arabo,  ed  è  semplicemente  par- 
lata, non  fonetica  in  alcun  luogo,  neppure  nella  madre  patria. 

Popolo  disperso  e  quindi  avendo  la  tradizione  dello  smem- 
bramento fino  al  suo  giungere  in  Italia,  e  non  essendo  poi  emi- 
grato in  una  volta  sola  ma  durante  quasi  tre  secoli,  non  ha 
sentito  il  bisogno  di  stabilire  fra  le  sue  diverse  tribù  alcuna 
comunicazione,  benché  la  colonia  sia  numerosa  di  quasi  novan- 
tamila anime,  secondo  le  più  recenti  statistiche,  fra  cui  è  note- 
vole quella  del  Correnti;  ogni  villaggio  è  una  tribù  a  sé,  uguale 
ad  un'altra  o  press'a  poco,  colle  tradizioni  della  loro  nazionalità 
mandate  a  memoria,  specialmente  dalle  donne,  che  di  madre  in 
figlia,  chiuse  in  casa  alTuso  orientale  e  caricate  dei  lavori  più 
faticosi,  8Ì  tramandano  le  leggende  piene  di  poesia,  i  canti  me- 
ravigliosi e  la  storia  di  Skanderbegh ,  il  vendicatore  dei  loro 
diritti,  che  sorgerà  dall'avello  a  riunirli  in  nazione,  quando  il 
cane  turco  sarà  cacciato  dalle  loro  belle  contrade.  La  solita 
leggenda  dei  popoli  divisi,  che  ò  in  sé  una  storia  e  una  spe- 
ranza; il  passato  e  l'avvenire  della  loro  patria  o  schiava  o 
lontana. 

Questo  isolamento  in  cui  vivono  colla  loro  lingua  senza  eco 
e  colla  loro  storia,  straniera  alla  storia  del  paese  in  cui  abitano, 
dà  a  queste  popolazioni  un  aspetto  particolare  e  un  modo  di 
vivere  speciale,  che  meriterebbe  dagli  etnografi  ano  studio  dili- 
gente e  paziente,  più  che  non  si  è  fatto  sin  qui,  per  ricercarne 
le  primitive  origini,  le  quali  potrebbero  portare  molta  luce  sullo 
razze  ariane  immigranti  nell'occidente.  So  ne  arricchirebbe  spe- 
cialmente la  filologia  a  cui  sta  davanti  viva  e  espressiva,  ardente 
e  antica  una  lingua  senz'alfabeto,  parlata  in  piena  Italia  e  rive- 
latrice del  lontano  oriente  nelle  nozze,  nei  funeri,  nel  culto, 
nelle  cerimonie  natalizie,  in  cai  si  osservano  le  leggi  dei   più 

*  Anpelo  Basili,  che  raccolse  dalla  Tira  Toce  della  colonia  albanese 
parte  dei  canti,  tradotti  poi  dal  D«  Bada,  t  aditi  da  Niccolò  Jeno  dei 
Coronei. 

▼gu  XV,  8*rU  II  -  ìi  AfMto  IISS.  45 


698  IN    CALABRIA. 

remoti  avi;  se  ne  arricchirebbe  la  storia  e  le  scienze  affini  e 
più  di  tutto  la  poesia  che  riscontrerebbe  nei  canti  la  maniera 
splendida  dei  libri  orientali,  collo  stesso  fascino  di  immagini 
lussureggianti;  qualche  cosa  che  si  confonde  colla  musica  pri- 
mitiva e  colle  poetiche  rivelazioni  del  popolo  eletto. 

Avevo  studiato  amorosamente  le  rapsodie  d'un  poema  alba- 
nese raccolto  nelle  colonie  della  bassa  Italia,  felicemente  tra- 
dotto dal  De  Rada  e  edito  con  prefazione  da  Niccolò  Zeno 
de' Corone! ,  due  albanesi  che  inneggiano  alla  patria  divisa  e 
dispersa,  ma  una,  come  dice  il  Dorsa,  altro  albanese  di  Fras- 
sineto, che  ne  ha  anche  illustrato  i  costumi.  '  In  quei  fram- 
menti staccati  l'uno  dall'altro  i  traduttori  vedono  un  poem.i 
intero,  in  parte  non  ancora  ordinato,  in  parte  dimenticato  da 
quei  popoli,  e  tale  loro  opinione  darebbe  forse  ragione  a  chi 
pensa  non  essere  infine  la  poesia  popolare  che  un  solo  poemn 
ridotto  a  frammenti,  come  le  perle  d'una  sola  collana  a  cui  .s' 
è  tolto  il  filo  che  le  teneva  raccolte:  ma  al  profano  non  senj- 
brano  la  stessa  cosa.  Sembrano  piuttosto,  come  in  quasi  tutti 
i  libri  orientali,  canti  indipendenti  ciascuno  dall'altro  e  tali  da 
poter  stare  da  se,  e  messi  poi  insieme  o  dalla  tradizione  che 
li  accumula,  o  dall'uomo  che  vuole  pur  vedere  in  ciò  che  ne 
riguarda  gli  affetti,  i  sentimenti,  i  costumi,  la  storia  e  il  culto, 
un  tutto  insieme  inscindibile,  l'unità  direttiva  del  pensiero  in 
una  razza.  Ma  comunque  e  qualunque  sia  la  soluzione  dell'arduo 
problema,  i  frammenti  raccolti  dal  De  Rada  con  alfabeto  italo- 
greco  e  segni  grafici  per  indicare  la  pronunzia  e  tradotti  in 
linguaggio  poetico  degno  dell'altezza  del  poema,  mi  avevano 
riscaldata  la  mente,  invogliata  anche  più,  se  era  possibile,  di 
vedere  da  vicino  questi  Albanesi  tentatori  che  stavano  alla 
portata  della  mia  mano;  e  un  bel  giorno,  lasciando  ire  gli 
scrupoli  di  viaggiar  sola  in  contrade  nuove,  straniere  in  Italia, 

'  Vedi  :  Rapsodìe  d'un  poema  Albanese  raccolte  nelle  colonie  d^l  Napo- 
letano tradotte  da  Girolamo  De  Rada,  e  per  cura  di  lui  e  di  Niccolò  Jbno 
Dk' CoRONEi  ordinate  e  messe  in  luce.  —  Firenze,  1866;  Tipografia  Bencini. 

Sa  gli  Albanesi,  ricerche  e  pensieri  di  Vincenzo  Dobsa,  coli'  epigrafe  : 
«  Heureux  l'écrivain  qui  eleve  un  monument  à  son  pays  !  »  —  Napoli,  Tipo- 
grafia Trani,  1847. 

Vedi  anche  le  interessanti  notizie  che  dà  specialmente  su  Dora  d'Istria 
il  P. .  missionario  Leonardo  De  Martina  dei  Minori  osservanti,  attualmente 
in  Albania,  nel  suo  volume  di  poesie  —  L'arpa  d'un  Italo-Albmvse,  con 
canti  originali.  —  Venezia,  1881,  e  i  Canti  originali  tradotti  di  Gtiusbppe 
Sbebmbe,  Cosenza,  1883. 


IN   CALABRIA.  699 

mi  arrampicai  sui  monti  della  Calabria  Citr»,  e  armata  solo  del 
mio  ombrellino  di  tela  greggia^  arrivai  in  un  paesotto  di  circa 
mille  e  settecento  abitanti,  da  cui  si  vede  la  marina  di  Cori- 
gliano  e  si  distende  ai  piedi  la  pianura  malsana  su  cui  sorgeva 
un  tempo  Sibari  crudele  e  voluttuosa. 

Di  fronte  a  me  ergevasi  gigantesca  la  catena  del  Pollino  col 
-algemma  di  Lungro  nelle  viscere  misteriose,  pur  popolate  da 
Albanesi;  e  più  in  là  s'indovinava  Castrovillari ,  popolazione 
incrociata,  ma  in  cui  il  calabrese  puro  vince  e  primeggia. 

Avevo  in  tasca  numerose  lettere  pei  primati  di  quel  borgo; 
gente  cordiale  ed  italiana  nell'animo,  con  ospitalità  all'an- 
tica, senza  sottintesi  e  senza  riserve,  fieri  della  loro  origine 
come  d' una  vecchia  nobiltà  che  obbliga  alla  gentilezza  cor- 
diale e  aperta.  Guidata  dalla  curiosità  e  dall'amore,  io  era 
montata  con  ansia  febbrile  sul  carrettino  che  portava  la  posta 
dalla  stazione  ferroviaria  al  paese,  in  cui  un  calabrese  di  Cosenza 
che  aveva  sposata  un'albanese,  mi  trattava  come  un  gran  per- 
•onaggio  preceduto  dalla  fama  e  dal  titolo  di  studiosa  dei 
costumi. 

Io  ardevo  di  vedere  gli  abiti  d'oro  e  di  broccato,  di  sentire 
le  cadenze  melodiose  d'un  canto  lento  e  soave  che  avevo  indo- 
vinato e  immaginato  nel  leggere  alcuni  csnti  albane^ii  e  nel 
ontire  parlare  la  lingua  armoniosa  e  dolcissima  da  alcuni  cit- 
tadini che  erano  venuti  ad  invitarmi.  Quella  musica  doTeva 
sere,  secondo  me,  come  quella  degli  Ebrei  nel  deserto,  come 
uella  dei  Lombardi  alla  prima  crociata,  mesta  e  solenne; 
almeno  le  parole  erano  le  stesse  e  lo  stesso  era  il  sentimento 
<-he  lo  aveva  dettate:  u  Oh!  addio,  trrra  nostra,  ti  saluto;  perchè 
io  t'abbandono  e  non  ho  da  vederti  più  mail  Nò  io  ho  pioso  in 
cui  andare,  nÀ  città  ove  io  possa  fermarmi,  senxa  una  essa  OTe 
io  mi  ritiri!  Questi  ramoscelli  e  questi  fiorì,  avvizzirnnno  nllor 
chéti  saranno  lontani:  y^  ninna  cosa  sarà  a  Di'*  f<>1''<  ìì  <!'»•! 
derio  di  te.   r- 

E  un  altro  ancora  più  HiTettuoso  diceva  co»l:  u  O  bella 
Morca,  dacché  ti  ho  lasciata  p'ù  non  ti  vidi!  Quivi  ho  io  la 
«ignora  mia  madre,  quivi  ho  io  mio  fratello,  ivi  ho  io  il  ni^nore 
mio  padre  coperto  sotto  terra;  oh!  bella  Morca,  daccbò  ti  ho 
lasciata  più  non  ti  vidi,  n 

Questi  canti  dolorosi  dell'esule,  che  ancora  lo  donne  cantano 
lucila  prìmavera  sui  colli  che  dominano  il  ionio  col  viso  Tolto 


700  IN    CALABRIA. 

a  Oriente,  con  tanta  gentilezza  di  forma  e  di  pensiero,  avevano 
tolto  ogni  mia  diffidenza  e  incertezza.  Un  popolo  che  canta 
così  non  può  essere  un  popolo  selvaggio  né  barbaro.  E  non 
pensai  neppure  che  impressione  potesse  fare  a  quella  gente 
poverina  e  ingenua  l'andata  in  casa  loro  d'una  donna  sola, 
contro  i  loro  statuti  che  tengono  la  donna  chiusa  tra  quattro 
mura  se  ricca;  se  povera,  confinata  nel  campo  a  dividere  col 
giumento  le  faticose  opere  dell'agricoltura,  a  portare  sul  dorso 
il  barile  coli' acqua  e  col  vino,  o  la  gerla  entro  cui  dorme  il 
bambino  lattante,  al  quale  porge  la  poppa  sulla  spalla,  intanto 
che  fi^la  la  lana  o  il  lino  colla  lunga  conocchia  greca,  nel  gui- 
dare le  capre  al  pascolo.  Nel  linguaggio  degli  antichi,  di  cui 
questa  colonia  è  un  monumento  vivente,  chi  dice  schiavo  dice 
donna,  secondo  la  sapiente  formola  del  nostro  gran  Vico;  e  io 
avrei  dovuto  rifletterci  un  pochino;  ma,  come  dissi,  non  ci 
pensai,  e  non  feci  grande  attenzione  alle  insistenze  di  un  ospite 
cortese  che  mi  sconsigliava  dall' uscir  sola  a  gironzolare  per 
via;  mi  parevano  gentilezze  di  uomo  ospitale  che  si  credesse  in 
obbligo  di  mettersi  a' miei  ordini  e  di  perdere  una  giornata  di 
tempo  per  seguire  le  mie  fantasticherie  di  curiosa  senza  co- 
strutto. 

E  uscii  di  casa  frettolosamente,  quasi  saltellando,  felice  di 
trovarmi  nella  bella  Morea  sotto  il  sole  d'Italia  saettante,  ma 
sopportabile,  all'ombra  della  croce  di  Savoia  che  sfolgorava 
sulla  porta  del  municipio,  davanti  a  cui,  in  quel  meriggio 
estivo  stavano  giocando  a  carte  dei  cittadini,  i  quali  evidente- 
mente erano  fra  i  più  distinti  del  villaggio. 

Mi  guardarono  curiosi  e  sospesero  il  gioco,  ma  la  loro  giacca 
nera  comune,  il  loro  cappello  di  paglia  a  larghe  falde  ancora 
più  comune,  la  loro  lingua  d'un  greco  molto  scismatico  non 
mi  attrassero  punto  :  tirai  via  alla  ricerca  delle  vesti  d'oro  e 
dei  canti  soavi.  —  Il  villaggio  povero  e  lurido  meno  una  via 
principale,  e  in  cui  battono  le  spighe,  benché  sia  giorno  festivo, 
le  spigolatrici  le  quali  mostrano  meraviglia  al  vedere  i  miei 
occhiali  neri,  sta  sul  cocuzzolo  d'un  colle  coronato  d'ulivi  e  di 
castagni  :  vi  sono  tre  o  quattro  chiese  ufficiate  col  rito  latino 
un  po'  misto  di  greco-cattolico:  qualche  uomo  sta  addormentato 
sui  gradini  vestito  in  una  foggia  calabrese  corrotta,  col  cono 
del  cappello  alto  quattro  dita  e  grosso  poco  più  d'un  pugno 
coperto  dei  soliti  vellutini  che  ricadono  a  fiocco  sulla    piccola 


IN   CALABRIA.  701 

faida:  qualche  altro  sta  seduto  in  terra  fumando  con  una  cat- 
tiva pipa  da  mezzo  soldo  e  mi  guarda  con  occhi  imbambolati; 
ma  nessuno  attrae  la  mia  attenzione. 

Intanto  che  si  pranzava  è  piovuto  e  i  viottoli  si  son  solcati 
di  rigagnoli  capricciosi,  di  cui  tentano  la  navigazione  fangosa 
bamboli  d'ogni  età  e  sesso  seminudi,  con  ^amicie  che  son  di- 
ventate pianete,  con  calzoncini  spaccati  da  cima  a  fondo,  con 
guamellini  rialzati  e  raggruppati  al  di  dietro  e  col  riccio  della 
camicia  a  sbrendoli  sul  giupponcino  a  toppe,  e  tutt' insieme  si 
di^ddono  la  cuccagna  con  neri  (come  si  chiamano  con  frase 
educata  i  maiali  in  certi  paesi  di  Calabria)  che  si  rivoltolano 
nel  brago. 

La  bella  Morea  mi  faceva  provare  un  crudele  disinganno. 
Per  la  strada  nessuno  :  nelle  case  povere  sulle  finestrelle  in 
cui  fiorivano  i  garofani  e  fruttificava  il  fico  d'India,  visi  curiosi, 
d'una  curiosità  non  scevra  d»  inquietudine  :  sulle  soglie  scon- 
neue  di  camerette  senza  impiantito,  che  sono  ad  un  tempo 
camera,  cucina,  stalla  e  pollaio,  nuvoli  di  donne  senza  busto 
né  pettino  secondo  il  loro  costume,  con  un  giubbetto  sens* 
maniche,  il  Hccio  (merletto)  aperto  a  cuore  sul  seno  ricadente 
e  velato  da  una  semplice  camicia;  fanciulli  cogli  occhi  fissi  e 
intenti  e  monelli  nei  soliti  costumi  più  o  meno  primitivi  spiano 
i  miei  passi  dicendosi  delle  parole  strane  sotto  il  velame  d'un 
accento  straniero  all'Italia. 

Io  fo  l'Inglese  e  guardo  tutti  con  una  benevolenza  che  maì- 
grado  i  loro  sorrisi  non  mi  pare  ricambiata:  afferro  una   frase 
che  ripetono  tutti  e  che   credo  un   saluto,   ripromettendomi   di 
farmelo  spiegare  dal  mio  ospite:  r^ti  yst    burr,  chti   yti    burr, 
a  cui  io  rispondo  con  bontà:  buon  giorno,  cari,  buon    giorno! 
Se  sapessi  l'albanese  non  risponderei  cosi  e  mi  rimpiatterei 
r:  casa;  sventuratamente  non  lo  so,  e  l'imprudenza  di   lionio 
he  si  legò  il  campanello  dei  monatti  al  piede,  mi  doveva  essere 
na  lozione:    ma  è  scritto,    non  so  più    dove,  che  rcsperienia 
egli  altri  non    giova    punto  a  noi  per    imparare  a  vivere.  •— 
ella  svolta  d'un  vicolo  pieno  di  pozzanghere  fangoso^  mentre 
sollevo  il  mio  abito,  por  saltare  an  rigagnolo  che  pare  un  fot- 
satello,  moMtro  gli  stivali    bianchi,    grossi  e  ferrati    della   viag- 
giatrice, i  quali    non    sono    un    modeUo    di    eleganza,  come  ti 
comprende  benissimo,  e  che  mi  movono  contro  mille  ingiuriosi 
Mospetti.  Dalla  casetta  di  rimpetto  dove    stan    ciarlando  accoc- 
colato   una   decina  di  donne  e  altrettanti    monelli,  mi  viene  la 


702  IN   CALABRIA. 

solita  voce:  cidi  yat  hurr,  chii  yst  hurr,  e  io  risaluto.  Allora 
una  donna  mi  fa  un  cenno  colla  mano,  e  m'invita  ad  entrare 
in  casa  con  un  italiano  misto  di  calabro-albanese,  il  quale  mi 
fa  capire  che  son  curiose  di  sapere  da  dove  vengo,  chi  sono, 
e  sopratutto  dove  vado  cosi  solicella  solicella,  senz'alcuno  che 
m'indichi  la  via  intricala  del  loro  villaggio,  entro  senz'alcun 
sospetto  curiosa  anch'io  la  parte  mia  di  sapere  qualche  cosa 
de'  fatti  loro,  delle  loro  costumanze,  delle  loro  cerimonie,  delle 
loro  abitudini  casalinghe. 

Ma  appena  entrata  le  donne  non  son  più  dieci,  non  son  più 
quindici,  son  trenta,  sono  quaranta,  con  altrettanti  monelli  e 
ragiizzotti  che  fan  ressa  al  di  fuori  e  che  io  intravedo  dal- 
l'alto della  mia  persona  lunga  e  ossuta  al  disopra  delle  loro 
madri  e  sorelle  che  mi  han  spinta  dolcemente  nel  fondo  della 
stamberga. 

In  verità  mi  cominciò  a  preildere  una  tal  quale  inquietu- 
dine, e  confesso  che  in  quel  momento  avrei  pagato  qualche 
cosa  di  bello  a  non  trovarmi  li.  Cosa  mai  vorranno  da  me? 
pensavo.  Dei  soldi?  delle  notizie?  —  Ero  coraggiosamente 
pronta  a  somministrar  loro  e  l' una  cosa  e  l'altra,  senza  discus- 
sione: ed  esse  intanto  mi  guardavano  cogli  occhi  fissi  e 
cristallini  e  borbottavano  non  so  che  malie,  gesticolando  e 
riscaldandosi  tra  di  loro  con  una  maniera  più  turca  che  cri- 
stiana, in  cui  il  chii  yst  hurr  da  una  parte  e  delle  vive  dene- 
gazioni dall'altra  tra  un  vocio  assordante,  avevano  il  primato. 
Dovetti  persuadermi  allora  che  quelle  tre  parole,  le  quali  mi 
avevano  perseguitata  per  la  prima  metà  della  giornata,  non 
erano  niente  di  lusinghiero  e  di  affettuoso  per  me  :  stavo  pronta 
ad  ogni  evento  con  apparenza  sicura  e  tranquilla,  ma  facendo 
giuramento  e  voto  segreto  e  solenne  che  non  sarei  più  tornata 
nella  bella  Morea  a  costo  dell'immortalità. 

Quando  potei  parlare,  rivolsi  loro  il  mio  più  dolce  e  bene- 
volo sorriso,  chiesi  conto  delle  cose  loro  e  seppi  con  una  specie 
di  sollievo  che  la  maggior  parte  dei  loro  mariti  erano  emigrati 
neW America.  Almeno  da  questa  parte  potevo  rassicurarmi.  Ed 
esse  per  bocca  d' una  che  era  appunto  la  padrona  di  casa  e 
che  dalle  mosse  e  dai  dinieghi  durante  la  lunga  discussione 
pareva  mi  proteggesse,  vollero  sapere  di  me,  del  paese  che  io 
abitava,  se  ero  italiana  e  via  via  nel  che  le  contentai  o  mi 
parve.  Ma  un  punto  non  le  persuase. 

—  E  che  sei  venuta  a  fare? 


IN    CALABRIA.  703 

Era  difficile  di  spiegarsi  ;  tanto  più  difficile  in  quanto  alcuni 
^^iorni  prima  un  albanese  d'Albania  aveva  fatto  un  giro  in  tutta 
!a  colonia  per  destare  le  simpatie  sui  fratelli  della  madre  patria, 
ed  era  stato  accolto  col  terrore  pazzo  dei  popoli  primitivi  e 
classificato  quindi  per  spione.  Ombra  di  Skanderbegh  chi  te  lo 
avesse  detto  quando  passavi  i  turchi  a  fil  di  spada! 

Io  che  sapevo  questo,  non  mi  sentivo  un  grande  entusiasmo 
per  questa  specie  di  qualifica.  Cosa  dovevo  rispondere?  Forse: 
-on  venuta  per  vedervi,  per  sapere  come  vi  vestite,  come  can- 
tate, per  sentirvi  cantare  e  vedervi  ballare?  —  £ran  cose  a 
cui  quelle  semplici  creature  non  avrebbero  creduto,  e  chissà 
rhe  non  mi  avessero  presa  per  qualche  maga  o  fattucchiera, 
(li  cui  sono  popolate  le  loro  vecchie  leggende  orientali.  Rimasi 
interdetta  e  credetti  uscirne  rispondendo: 

—  Son  venuta  a  vedere  certi  amici. 

—  Sola? 

—  Sola,  come  vedete. 
Una  pausa  poca  rassicurante  accolse  te  raì^  risposte. 

—  Sei  maritata  o  sei  schietta? 

—  Son  maritata. 

—  E  tuo  marito? 

—  E  a  casa. 

—  Lontano  lontano? 

—  Lontano  lontano,  aflfermai. 
Nuova  pausa,  in  cui  quelle  megere  confabularono  tra    loro. 

—  Levati  il  cappello,  mi  disse  finalmente  quella  che  •  ■^-^v 
mi  difendesse  da  certe  accuse  incomprensibili. 

Cominciai  a  temere,  ma  obbedii  senza  mostrare  alcuna  dif- 
fidenza. Due  donne  s'avanzarono  dal  semicerchio  ohe  s'era 
(ormato  davanti  a  me:  io  le  attesi  di  piò  fermo,  guardandomi 
le  spalle  contro  una  scaletta  di  legno  che  saliva  alla  soffitta, 
nera  e  affumicata  come  le  pareti  coperte  d'immagini  di  santi, 
«li  testi  rotti,  di  amuleti,  di  rami  d'ulivo  che  in  quel  giorno 
non  attrassero  la  mia  attenzione  :  il  fucilo  del  marito  assente  e 
un  pistolone  vecchio  e  irrngginito  stavano  al  capezzale  del 
lotto. 

Non  nascondo  che  quei  santi  protettori  mi  facevano  un  ef- 
'"etto  spaventevole.  Con  un  piccolo  fremito  mi  lasciai  porro  le 
mani  sul  capo  e  tirare  leggermente  i  capelli  senza  giungere 
ancora  a  compn^nderc.  Intanto  un'altra  mi  ordinA  di  levarmi  i 
guanti. 


704  IN   CALABRIA. 

—  Levati  questi,  mi  accennò:  e  io  vilmente  obbedii.  Tro- 
varono la  mano  piccola  e  si  guardarono  ancora  interrogativa- 
mente, mentre  la  mia  protettrice  assumeva  un'aria  trionfale 
accennando  gli  anelli    fra  cui  quello  nuziale. 

—  E  dici  dunque  che  sei  maritata,  seguitò  quella  dei  guanti, 
la  più  feroce  e  la  più  incredula  di  tutte. 

—  Sicuro. 

—  Mah!...  fece  essa  alzando  le  spalle  con  incredulità  e 
scoppiando  in  una  risataccia  stridula  e  ironica. 

—  Non  lo  crédi? 

—  I  nostri  uomini  partono,  non  lasciano  partire  le  donne. 
Tu  non  sei  maritata. 

Cominciavo  a  perdere  la  pazienza:  il  circolo  s'era  ristretto 
e  le  mie  persecutrici  stendevano  ancora  le  mani  sul  mio  capo, 
alzandosi  in  punta  di  piedi  per  tirarmi  i  capelli.  Quando  le  vidi 
avanzarsi  non  dirò  minacciose,  ma  in  preda  ad  un  certo  esalta- 
mento fanatico,  stesi  le  mani  con  impeto: 

—  Cosa  volete  da  me  !  Non  toccatemi,  gridai,  non  toccatemi. 

—  Non  ti  vogliono  fare  alcun  male,  mi  disse  la  mia  amica 
frammettendosi.  Vuoi  sapere  cosa  vogliono?  Dicevano  che  eri 
un  uomo  vestito  cosi,  ma  mo  si  son  persuase.  Sciogliti  i  capelli  : 
non  aver  paura,  signora! 

Feci  tutto  quel  che  volevano. 

Piccole,  tarchiate,  grosse,  col  grembo  lordo  e  porgente,  il 
seno  cascante  senza  freno  e  la  persona  molle  e  ondeggiante 
propria  d'una  razza  esotica  e  orientale  che  si  move  lentamente 
e  quasi  sonnecchiando,  non  avendo  mai  veduto  una  donna  fore- 
stiera girar  sola,  né  forse  una  statura  come  la  mia,  né  un  per- 
sonale cosi  angoloso  e  rigido,  a  cui  non  accresceva  grazia  il 
lungo  mantello  di  tela  greggia  che  mi  copriva  da  capo  a  piedi 
come  un  prete  greco,  al  sentire  la  voce  grossa,  coll'accento 
forestiero,  specie  dopo  il  precedente  dell'albanese  considerato 
spione  o  chissà  che  cosa  d'altro,  colle  loro  fantasie  riscaldate  e 
primitive  alla  vista  dell'insolito  fenomeno  si  erano  spaventate 
e  il  chii  yst  hurr  che  io  non  comprendeva  allora,  non  voleva 
dir  altro  se  non  che  —  costui  è  un  uomo!  —  Non  c'è  da  dire: 
la  grammatica  parlata  di  que'  popoli  non  accordava  neppure  un 
costei  al  mio  povero  io,  e  bisogna  confessare  che  ciò,  se  era 
giusto  riguardo  alle  concordanze,  era  assai  poco  lusinghiero  per 
la  donna. 

In  quel  momento  compresi  il  capitano  Cecchi   davanti   alla 


IN    CALABRIA.  705 

regina  di  Ghera^  e  gli  esploratori  europei  davanti  al  re  Menelik  : 
lai  abbandonò  l'amore  dell'arte  e  quello  della  scienza  e  ripensai 
con  una  certa  tenerezza  a' luoghi  lontani  pieni  di  pace  e  di 
affetti. 

L'antro  scuro,  illuminato  solo  dalla  porticina  aperta  da  cui 
il  riflesso  giallastro  del  sole  sulla  via  fangosa  entrava  insieme 
al  puzzo  umido  della  pioggia  recente,  mi  faceva  una  specie  di 
terrore  indistinto;  a  cui  i  fiali  molteplici  e  le  esalazioni  delle 
carni  sudaticcie  delle  donne  e  la  luridezza  dei  bamboli  accre- 
scevano l'oppressione  e  il  malessere.  Intravedevo  qualche  uomo 
curioso  al  di  fuori  che  cercava  di  entrare:  allora  ebbi  una 
sublime  idea,  nata  come  forse  tutte  le  idee  grandiose  da  una 
{,o\Taeccitazione  dell'animo.  Mi  era  restata  in  tasca  una  lettera 
^^a  recapitare  per  uno  de'  maggiorenti  del  paese,  già  colonnello 
in  Garibaldi  e  compagno  di  carcere  e  di  esilio  col  Poerio  e  il 
settembrini.  La  cavai  di  tasca  e  la  sollevai  in  alto  come  una 
bandiera  o  un  amuleto  salvatore. 

—  Chi  di  voi  sa  dirmi  dove  sta  di  casa  il  colonnello  ***  ?  — 
Quel  nome,  che  non  ripeto  qui  come  non  scrivo  il  nome  del 
vi"  teatro  del  mio  piccolo  dramma  avventuroso,  fece  l'ef- 

i'  i  verga  di  Mosc  sul  mar  rosso.  Io  aveva  pronunciato 

senza  volere  un  nome  magico:  e  seppi  dopo  che  il  generale 
Garibaldi  era  pur  passato  una  volta  di  là  come  Io  dice  una 
lapide  in  marmo,  e  che  anch'esso  era  stato  oggetto  d'una  dimo- 
strazione curiosa  da  parte  di  quelle  povere  donne. 

Il  mio  pubblico  si  divise  come  per  incanto  e  io  m' inoltrai 
con  passo  fermo  e  rapido  in  mczso  a  loro  senza  aggiunger  sil- 
laba, ma  col  piglio  di  uno  che  pensa:  te  posso  uscirne!  Cara 
bella  Morea  non  mi  rivedi  più...  almeno  in  Italia' 

Ma  fu  un  giuramento  da  marinaio,  come  dirò  un'altra  volta. 

Arrivata  alla  porta  della  ricca  casa  albanese  del  colonnello 
garibaldino  dove  mi  attendeva  l'ospitalità  più  larga  e  cortese, 
mi  rivoltai  alla  monelleria  che  mi  seguiva  per  strada  con  atto 
tra  il  comico  e  il  minaccioso.  Essi  compresero  la  seconda  p  trte 
più  che  la  prima,  e  corsero  via  urlando  un  certo  grido  parti- 
colare, come  uno  stormo  di  passerotti  appollaiati  ohe  sentono 
d'iroprovviiio  echeggiare  la  fucilata  del  cacciatore  insidioso. 

Rimessa  da  quello  sbalordimento  confortata  o  rallegrata 
dalle  cortesie  di  que'  Signori  ritomai  a  casa  del  primo  ospito 
gentile  che  già  sapeva  il  grande  avvenimento  delia  giornata  e 
i:he  si  era  dato  attorno  a  tutt'uomo  per    ripararlo.    Nel    brere 


706  IN    CALABRIA. 

tratto  di  strada  che  divideva  le  due  case,  io  affidata  a  persone 
autorevoli  e  gagliarde,  che  mi  guardavano  coU'autorità  del  loro 
nome  e  colla  loro  influenza,  senza  esagerarmi  l' importanza  del 
fatto,  spingevo  l'occhio  in  qua  e  in  là  con  curiosità  diffidente,  e 
pensava  tra  me  col  mio  cervello  sedizióso  come  e  quanto  sia 
bello  fare  delle  leggi  e  delle  discussioni,  stando  seduti  su  scanni 
di  velluto  in  una  gran  città,  per  applicarle  poi  a  popoli  come 
quelli  che  io  andava  visitando  da  un  mese  sulle  montagne  cala- 
bresi. Tutta  quell'accademia  dei  diritti  dell'uomo,  tutte  quelle 
grandi  frasi  sull'uguaglianza  civile  e  politica  dei  popoli,  tutto 
quell'anfanamento  sull'istruzione  obbligatoria  e  sul  suflfragio  uni- 
versale mi  riapparivano  una  dopo  l'altra  in  nebulosa  come  un 
lungo  rosario  in  cui  si  girano  le  pallottoline  meccanicamente, 
intanto  che  il  pensiero  vola  chissà  dove,  e  mi  facevano  un  effetto 
singolare  tra  quei  viottoli  tortuosi  sotto  quelle  finestrelle  qua- 
drate a  cui  si  affacciavano  dei  visi  stupidi  di  donna. 

Avevo  veduto  molti  altri  villaggi  non  albanesi,  ma  la  curio- 
sità e  l'agitazione  erano  state  le  stesse  meno  l'equivoco  sulla 
mia  identità.  Ora  io  pensavo  mettendo  la  mano  sul  busserello 
della  porta  del  mio  ospite,  che  cosa  significavano  per  tanta  parte 
di  popolo  italiano  certi  discorsi  coronati  da  applausi  che  avevo 
ascoltati  in  circostanze  difficili  e  che  facevano  figurare  le  diverse 
Provincie  d'Italia  come  tanti  mattoncini  fatti  con  uno  stampo 
medesimo,  cotti  al  medesimo  fuoco,  sformati  nel  medesimo  giorno 
colla  stessa  solidità  e  temperatura. 

In  vero  la  conclusione  di  Abramo  Ebreo  quando  andò  a 
Roma  e  si  fece  cristiano,  trovò  una  sanzione  non  dubbia  anche 
in  quel  villaggio  perduto  tra  i  monti  calabresi.  E  stavo  proprio 
persuadendomi  che  se  le  cose  d'Italia  vanno  discretamente  anche 
malgrado  certe  leggi,  vuol  dire  che  è  fatale  o  provvidenziale 
che  vadano  cosi,  quando  mi  trovai  in  mezzo  a  un  circolo  nume- 
roso di  donne  vestite  in  costume  albanese  che  il  mio  ospite 
aveva  radunate  intorno  a  sé  per  cancellare  l'impressione  sinistra, 
che  secondo  lui  dovevo  aver  provata. 

Il  colpo  d'occhio  era  stupendo:  stavan  sedute  in  circolo  in 
una  camera:  le  vecchie  da  un  lato  le  giovani  dall'altro,  pronte 
ad  alzarsi  e  a  ballare  una  loro  ridda  festosa,  la  vaia,  il  che 
fecero  al  mio  apparire.  Si  presero  per  la  mano  e  girarono  alle- 
gramente, intanto  che  una  vecchia  grinzosa  nel  mezzo  dava  il 
la  a  una  musica  soave  e  diceva  piano  un  verso  a  tre  donne 
mature  che  intonavano  il  canto.  E  a  quel  canto  mesto  e  lento, 


IN    CALABRIA. 


707 


proprio  come  io  lo  aveva  immaginato,  giravano  compostamente 
ripetendo  alternativamente  le  maritate  e  le  fanciulle  per  tre 
volte  il  verso  che  la  vecchia  sussurrava  nella  lingua  materna. 

—  u  Fiore  che  in  aprile  nacque,  quando  gioisce  cielo  e  terra  : 
è  grazioso  veramente,  talché  rallegra  tutto  il  mondo.  Labbro 
dolce  come  uva  passa,  a  questo  cuore  mi  ti  sei  legato,  nu  ti 
sei  fatto  nodo  e  non  ti  sei  sciolto  :  cintura  raccolta  come  car- 
ciofo, il  tuo  labbro  è  un  garofano,  hai  la  sembianza  d'una 
regina.  '  v 

C'era  da  rimanere  incantati.  Il  canto  era  improvvisato  in 
mio  onore  e  accompagnava  il  loro  ballo,  la  vola  che  in  italiano 
mi  fu  tradotto  come  ballo  tondo  o  catena,  già  notata  dal  Byron 
nel  suo  pellegrinaggio  fra  i  suliotti.  Se  non  che  fra  gli  albanesi 
d'Italia  tanto  il  canto  alterno  improvvisato  come  il  hallo  tondo 
pare  sia  rimasto  in  taluni  luoghi  esclusivamente  alle  donne. 

La  ridda  finì  in  un  urlo  lungo  e  roco  che  ubcì  dal  petto 
della  vecchia  saltellante  nel  mezzo,  che  faceva  scoppiettare 
fortemente  le  dita  scarne  e  adunche:  eppoi  mi  vennero  incon- 
tro lietamente,  vollero  ad  una  ad  una  stringermi  le  mani  e  mi 
fecero  l'onore  di  riconoscermi  per  loro  uguale  sussurrandosi 
l'un  l'altra  in  albanese  e  ripetendolo  a  me  in  italiano  abba- 
stanza corretto  :  u  Sei  una  donna  come  noi  :  solo  che  porti  il 
busto  come  le  italiane.  E  dov'è  l'avvenenza  col  busto?  n 

Finalmente  dopo  tante  peripezie  io  potei  vedere  l'abito  al- 
banese tessuto  d'oro  e  di  seta:  era  un  fulgore.  Potei  entrare 
nei  loro  segreti,  sentire  le  immaginose  espressioni  dei  loro  af- 
fetti, i  mesti  e  lugubri  lamenti  pei  loro  morti  e  i  loro  lontani. 
Una  fidanzata  mi  si  presentò  cogli  abiti  che  indosserà  il  giorno 
Ielle  nozze  ;  una  sposa,  che  ha  il  marito  in  America,  colle  trec- 
ie  divise,  intrecciate  di  rosso  e  rotolate  intomo  al  capo,  e  una 
_'iovnnn  nposa  colla  chioma  pizzuta  vale  a  dire  raccolta  sulla 
involta  in  una  fettuccia  bianca  stretta  strettii,  ohe  non 
Icrc  neppure  una  ciocca  di  capelli  :  una  vedova  col 
'    .  ;•  rto  d'un  panno  nero  che  non  si  leverà  mai  più. 

La  giovane  fidanzata,  che  a  quest'ora  si  sarà  forse  fattii 
iposa,  di  occhi  neri  e  lunghi,  colla  tinta  olivastra  e  la  pelle  li 

*  Debbo  alla  cortesia  e  alla  Talentia  del  tignor  Amoilo  Nooiti.  ealabro- 
albanewf,  la  tradasion«  dei  canti  e  U  ipiegusioDe  di  certi  riti  che  veagooo 
deaentii  appreseo.  Egli  ha  acche  ooaipilato  oon  molta  diligcnxa  •  sapere 
UD  Tocatiolario  e  uo4  grammatica  italo-albanese,  tuttora  inediti,  ma  ebe 
«arebbero  di  moltÌMÌma  utilità,  ■pecialmente  per  le  acoole  di  quelle  colonie^ 


708  IN    CALABRIA. 

scia,  di  fìsonomia  piacente  e  strana,  aveva  una  gonna  di  raso 
rosso  a  pieghe  spesse  e  raccolte  fino  al  lembo,  orlata  da  un 
largo  gallone  d'oro  :  e  sopra  questa  un'  altra  gonna  della  me- 
desima stoffa  più  scura,  la  zoca  *  pure  a  pieghe  e  con  merletto 
d'oro  al  fondo,  sollevata  nel  davanti  con  grazia  fin  sopra  le 
ginocchia  e  ricadente  nel  di  dietro  con  ampio  nastro.  Un 
giuppone  dello  stesso  colore  della  zoca  con  gallone  pure  d'  oro 
e  lustrine  e  ricami  alla  greca,  con  piccolo  pettine,  lasciava 
scorgere  la  camicia  ricamata  e  col  merletto  trapunto  d'argento, 
aperta  a  cuore  fino  alla  metà  del  seno  :  e  su  di  esso  un  con- 
certino (assetto)  di  catene  d'oro  con  ciondoli  e  fermagli  1'  uno 
sopra  l'altro  come  un  altare.  Sul  capo  la  chesa,  un  piccolo  ber- 
rettino di  seta  rossa  ricamata  d'oro  e  d'argento  che  copre  la 
chioma  pizzuta  ravvolta  nel  nastro,  e  sopra  a  tutto  un  lungo  velo 
bianco  di  seta  con  fili  d'argento  fermato  alla  chesa  con  uno  spillo 
d'  oro  in  forma  di  colomba.  Le  fioccaglie  (orecchini)  lunghe  di 
perle  e  rubini  le  giungevano  fino  alla  clavicola  e  alle  dita  sfol- 
goravano ventotto  anelli  di  ogni  forma,  senza  alcun  distintivo 
all'infaori  di  due  o  tre  vecchi  di  casa,  che  presentavano  il  ca- 
rattere della  orificeria  barbaresca  a  filagrana  sopra  oro  mas- 
siccio. 

Ne  qui  stava  tutto  :  sposa  portava  il  velo  :  sposata  un  co- 
pertoro  o  zendale,  o  vangale  come  si  chiama  in  Calabria  una 
specie  di  manto  che  la  donna  albanese  e  in  gran  parte  la  ca- 
labrese si  mette  sul  capo  nelle  funzioni  di  chiesa  per  nascon- 
dersi, come  vedremo  in  altro  tempo,  ma  questo  ordito  d'oro, 
tramato  di  seta  rossa  era  ornato  con  ampio  gallone  d'  oro  in- 
torno e  aveva  la  fodera  di  taffetano  o  levantina  rossa. 

Poi  in  un  gran  cesto  potei  ammirare  il  corredo,  sottane  a 
pieghe  di  castoro  rosso  con  nastri  verdi  in  fondo,  giupponi  di 
velluto  in  seta  verde  ricamati  e  gallonati  d'oro,  o  di  panno 
nero  con  galloni  d'argento  tempestati  di  lustrine  sfolgoranti  : 
camicie  coperte  di  ricami,  calzette  di  seta  ricamate  d'oro  e  di 
colori  vivaci  kputz  (scarpe)  con  nastri  variopinti. 

La  sposa  era  ricca,  vale  a  dire  portava  tutta  la  sua  dote 
addosso,  un  sette  o  ottocento  ducati,  e  conservava  in  tutto  e 
per  tutto  tradizioni  orientali.  L'uomo  invece  è  meno  conserva- 

'  Noto  per  semplice  curiosità  un  riscontro  di  questo  nome  indicante 
Guarnello,  nei  dialetti  emiliani  :  Soca  per  veste  si  dice  dal  contado  par- 
mense verso  il  Po.  L'uomo  che  corre  troppo  dietro  alle  donne,  che  è  schiavo 
della  gonnella  o  soggetto  alla  moglie,  sì  chiama  socajon. 


IN    CALABRIA.  709 

tore  come  dappertutto  :  veste  un  costume  calabrese  corrotto, 
quando  pure  Io  conserva,  col  cervone  (da  acervos  quasi  cumulo) 
cappellino  a  cono  più  piccolo  degli  altri  luoghi,  i  calzoni  corti 
affibbiati,  il  giubbetto  frastagliato  con  mostreggiature  e  bottoni 
lucenti  :  nei  paesi  che  mantengono  di  più  le  avite  usanze,  ri- 
dotti ormai  a  pochissimi,  porta  una  berretta  specie  di  fez  di 
lana  con  fiocco  di  colore,  e  sopra  al  farsetto  un  mantello  con 
fregi  di  velluto  nel  fondo  che  ricordano  un'  aquila  bicipite,  e 
il  petto  scoperto  in  ogni  stagione  dell'anno. 

Cominciavo  a  riconciliarmi  colla  Morea  e  a  prenderci  gusto, 
stavo  attenta  e  annotavo  con  amore  fra  l' immensa  e  insaziata 
curiosità  di  quel  numeroso  stuolo  di  donne,  le  loro  cerimonie 
nuziali,  specie  quelle  di  cui  parlavano  le  vecchie  una  dopo 
l'altra,  liete  dello  stupore  che  si  dipingeva  sul  mio  viso  in> 
tento  per  sentirle  parlare.  E  a  quando  a  qusmdo  si  guardavano 
e  parlavano  fra  di  esse  e  mi  chiedevano  :  e  tu  non  hai  fatto  cosi  ? 

Quelle  cerimonie  che  ancor  si  conservano  qaa  e  là,  special- 
mente nella  parte  montuosa  e  in  Sicilia,  vanno  modificandosi 
lentamente  nei  luoghi  pia  vicini  alle  città  come  è  naturale  : 
ne  conservano  però  i  canti  e  i  simboli  più  caratteristici,  che 
ricordano  come  due  goccie  d'acqua  le  nozze  e  i  riti  del  Mon- 
tenegro,  dipinte  stupendamente  dal  vivace  ingegno  di  Charles 
Yriarte.  Infatti  i  Monti  Neri,  come  chiamano  essi  quelle  re- 
gioni, confinano  coU'Albania  nativa  :  ton  forse  rami  dello  stesso 
albero,  fiori  fecondati  dallo  stesso  polline  :  nò  ci  farebbe  mera- 
viglia se  i  canti  e  le  sentenze  fossero  i<lentiche,  come  sono 
identiche  certe  consuetudini  di  doni  e  di  riti,  che  vediamo  in- 
dicate per  le  nozze  montcnogrine. 

La  canzone  della  fidanzati*,  la  quale  sì  fa  risalire  ai  tempi 
bizantini,  alludo  all'offerta  dello  duo  corone  che  la  sposa  dà 
allo  sposo  e  sono  appese  per  sempre  al  talamo,  u  In  questa 
sera  piena  di  gioia  stava  la  bella  sulla  porta,  dove  guardava 
il  sole,  fino  a  che  scese  al  tramonto.  Prode  quindi  la  falce  ed 
entrò  nel  giardino  per  mietere  delle  rose,  delle  rose  e  dei  gigli 
onde  acconciare  morbido  letto  al  uuo  cnro  signore.  E  vi  sparse 
ne'  guanciali  lo  rose,  nel  mosso  del  letto  le  violo,  ne'  piedi  i 
gigli.  Si  diede  poscia  a  tessere  due  corone  e  le  appose  al  capo 
del  letto,  simbolo  di  giorni  e  di  anni  felici,  n  ' 

^  TradasioDS  del  prof.  Viaosasa  ab.  Dossi,  più  volte  oiUto  •  ooltors 
opcrodsdHM  •  valsots  M  riti  sibaassi. 


710  IN    CAf-AHRIA. 

Alla  vigilia  delle  nozze  la  donna  albanese  ai  alza  di  buon 
mattino  e  atende  nella  stanza  tutto  il  suo  corredo  perchè  venga 
ammirato  dalle  parenti  e  dalle  comari  :  poi,  in  presenza  delle 
donne  che  cantano  cori,  la  fanciulla  impasta  una  stiacciata  che 
si  chiama  petta  con  lievito  ova  e  miele,  su  cui  vengono  raffi- 
gurati grossamente  uomini,  serpenti  e  piante  col  sole  e  la  luna 
al  sommo.  E  cosi  si  fa  in  casa  della  fidanzata  dove  interven- 
gono uomini,  donne  e  fanciulli,  conservando  le  nozze  albanesi 
tutti  i  caratteri  di  una  festa  pubblica. 

Al  mattino  delle  nozze  i  giovani  che  debbono  accompagnare 
lo  sposo  a  rapire  la  fanciulla,  poiché  è  sempre  la  stessa  figura 
del  ratto  in  ogni  luogo  e  in  ogni  tempo,  che  qui  si  rinnova, 
vanno  in  casa  sua  e  lo  acconciano  essi  stessi  cantando  lieta- 
mente, u  O  pettine  gentile  del  fidanzato,  acconcia  bene  la 
chioma  o  io  t'infrangerò  e  ti  butterò  a  terra  calpestandoti  col 
piede  insultatore.  " 

Appena  acconciato  esce  di  casa  collo  stuolo  dei  giovani  e 
col  parentado  dopo  aver  avuto  la  benedizione  dei  genitori  :  e 
siccome  s'intenerisce  e  piange,  il  coro  lo  circonda  e  canta  per 
consolarlo,  u  Guarda  !  Una  gocciolina  d'acqua  o  lagrima  gli 
bagna  l'occhio  bello  :  è  il  dolce  affetto  del  padre  e  della  ma- 
dre che  gli  sgorga  dal  cuore,  v  ' 

Poi  s' incamminano  a  casa  della  sposa  piano  e  in  silenzio. 
La  casa  della  sposa  è  chiusa  e  di  dentro  si  è  cominciato  a  la- 
vare con  vino  la  testa  della  fanciulla,  da  numerose  donne  che 
cantano:  u  T'  assidi  o  sposa  avventurata:  è  giunta  1'  ora  che 
vassene  sposa  questa  signora  a  lato  d'un  signore,  ad  allumare 
una  casa  novella,  n 

Risponde  un  altro  coro  di  donne  che  son  li  a  farle  ono- 
ranza :  u  Voi  quindi  compagne  e  vicine  pettinate  bene  la  trec- 
cia, intessetela  morbidamente  e  annodatela  a  palla:  che  non  le 
torciate  un  capello  a  infastidirla  a  quest'ora,  n 

La  donna  più  scelta  del  coro  che  rappresenta  la  maestra  di 
cerimonia  si  avv^icina  e  le  pone  sulla  chioma  pizzuta  la  chesa 
ricamata  d'  oro  e  d'  argento,  distintivo  delle  sole  donne  coniu- 

'  Il  Rbgaldi  ha  tradotto  in  versi  questo  canto: 

Ve',  goccia  d'acqua  o  lagrima 
Gli  bagli»  la  pu  il  la! 
Non  goccia  d'acqua  o  lagrima 
Dagli  ocelli  suoi  distilla. 
De'padi'i  è  il  dolce  affetto 
Obe  sgorga  dal  suo  putto. 


IN    CALABRIA. 


711 


gate,  e  il  primo  coro  delle  donne  intona  di  nuovo  il  canto  : 
i  Sai  tuo  trono  di  principessa  or  vagamente  intrecciate  le 
chiome  con  chesa  fulgida,  orgoglio  del  signor  tuo,  o  decoro 
delle  vergini,  levati  che  ti  sei  trattenuta  assai,  t) 

Secondo  coro  delle  donne:  l  Non  ha  già  tardato  altri,  ma 
indugiò  sua  madre  a  comperarle  la  zoca,  sicché  troppo  ratta 
non  le  volasse  via  di  casa:  or  che  volete  affrettarla  in  questa 
ultima  ora?  E  appena  alzato  il  sole,  r 

Terzo  coro  da  parte  della  sposa:  u  Poi  io,  come  li  colsi  qua 
e  là  feci  i  fiori  a  mazzetti  a  mazzetti,  e  a  tutti  i  congiunti  li 
mandai,  ri 

Quasi  la  sposa  voglia  dire  che  indugia  perchè  i  parenti 
non  son  tutti  convenuti  in  casa  sua. 

Primo  coro  di  donne  u  O  sposa,   fanciulla  sì    semplice,  per 
Ili  sei  tu  melo  non  da  altri  piantato  e  hai  gettale  le  tue  radici 
-enza  terreno?  —  n  % 

Terzo  coro  di  donne  che  risponde  per  la  spo>>a  —  u  Me  nes- 
'ino  ha  inaffiato,  da  perse  mi  è  fiorita  l'avvenenza:  essa  ò  il 
>le  che  hammi  abbellita.  ^ 

Intanto  è  arrivato  lo  sposo  circondato  da  numerosa  schiera 
i  uomini  e  donne,  avendo  a' suoi  lati  due  cerimonieri,  che  un 
egregio  illustratore  delle  cerimonie  nuziali  albanesi  chiama  pa- 
raninfi. '   Trovata  la  porta  chiusa  secondo  il  rito  è  obbligato  a 
fermarsi,  e  con  coro  d'uomini  canta  dolcemente  —  a  O  rondine 
•al  bianco  collo,    apri    senza    ritardo    e  mostrati  a   mo,  che  fr 
<.*nuto  il  tuo  Dio  alla  porta  —  r^. 

Risponde  al  di  dentro  un  coro  di  donne  —    e  Tacete  com- 
•agni  ch'ella  è  impedita:  abbiamo  ì  panni  al  bucato,  abbiamo 
!  pani  nel  forno:  appena  li  caviamo  essa  verrà  —  i^. 

Coro  d'uomini  al  dì  fuori,  che  incoraggia  lo  sposo  al  r^pi 
lento  —  u  Ma  tu  Signore  e  sposo  non  andare  or  timido  chò 
on  vai  a  combattere,  ma  vai  por  rapirò  la  vergine  dal  volto 
omo  mela  e  di  fianchi  raccolti  v  delicati  —  **  Intanto  un  coro  di 
ionne  al  di  dentro  canta  nello  stesso  tempo:  u  Dacché  ti  ò  TO- 
uta  l'ora  e  avviati  :  sii  a  tutti  decorosa  suora  mia,  siccome  il 
iole  quando  Oj^cc,  sìrrnme  il   vino  nello  tnz;^o.   sicrnmr  la  jirfM 


\./KnAllK     tJAKi^ti;    ii't'o 

:iti  sono  tutti  tolti,  m»no  p 
ha  (mu  il  lic  tulli:  o  i 
fneritc  d*tfl  (Jjil   I)or*.i  •• 
vipra  dtsti. 


I      l'Hiii  I     iiiii    ri|K)i  • 

'    ^  tr!i(luKÌotio  cito  ne 

mi    furono    coriOM- 

li  e  dui    De  Hiktì*  più 


712  IN    CALABRIA. 

sulla  mensa.  Ecco  il  di  fuore  ti  si  chiude,  il  di  fuori  è  tutto 
il  mondo  estraneo.  Come  colomba  de'  cieli,  con  1*  amore  del 
compagno  tuo,  sii  tu  felice  sotto  alla  pioggia  —  v. 

A  questo  punto  viene  sparato  da  uno  del  corteggio  un 
colpo  di  fucile  e  si  finge  di  forzare  la  porta  che  viene  spalan- 
cata al  di  dentro.  Lo  sposo  coi  due  cerimonieri  entra  osten- 
tando violenza;  prendono  per  mano  la  sposa  che  si  trova  se- 
duta, circondata  dalle  congiunte  e  dai  cori  delle  donne,  coperta 
dal  velo  nuziale.  La  sposa  commossa  e  confusa,  dolente  del- 
l'imminente distacco  si  mette  a  piangere. 

Primo  coro  da  parte  della  sposa  —  u  Che  ti  feci  io  madre 
mia,  che  mi  scacci  dal  tuo  seno,  dal  tuo  seno  e  dal  tuo  foco- 
lare ?  n 

Coro  di  donne  da  parte  dei  genitori  —  u  Abbiti  la  benedi- 
zione tu  figlia,  come  da  Dio  pur  da  noi.  Smetti  i  costumi  che  hai 
e  prendi  quelli  che  troverai  :  checché  tu  faccia  ti  aggiunge  de- 
coro ;  i  nomi  nostri  ne'  tuoi  figli  ripetuti  s' illustrino,  n 

Intanto  la  sposa  in  mezzo  ai  due  paraninfi  vien  condotta 
alla  chiesa  :  e  lo  sposo  colla  brigata  d'uomini  e  di  donne  del  suo 
parentado  la  segue  a  breve  distanza. 

Coro  degli  uomini  —  u  Là  sopra,  là  sulla  montagna,  là  era 
un  piano  spazioso  ove  pascolavano  le  pernici;  slanciossi  ivi 
un'  aquila,  la  più  bella  si  scelse  e  portossela  in  alto  pei   cieli,  v 

Coro  di  donne  —  u  O  aquila  sovrana  delle  aquile,  lasciami 
la  pernice  ;  ecco  ella,  perchè  la  tieni,  con  troppe  lagrime  inonda 
il  seno  —  n 

Coro  degli  uomini  —  u  Ei  non  la  libera  né  la  rilascia  per- 
ciocché la  brama  per  sé  —  v. 

Intanto  entrano  in  Chiesa  e  tutti  tacciono  raccolti  :  gli  sposi 
son  coronati  coi  serti  che  saranno  appesi  al  capezzale,  e  escono 
tenendosi  per  mano,  intanto  che  le  due  schiere  ai  loro  lati 
cantano. 

Coro  delle  donne  —  u  Apriti,  monte  e  fa  in  te  strada  onde 
passi  questa  pernice,  e  cotest'  aquila  dalle  ali  d'argento  :  fa  per 
posarsi  e  non  ha  dove  si  posi  —  n. 

Coro  degli  uomini  —   u  Cade  alla  porta  della  suocera  v. 

I  cori  uniti  —  u  O  tu  signora  e  melagrana  matura,  esci  in 
via  a  incontrarli:  stendi  drappi  di  seta  sotto  ai  lor  piedi;  la 
zona  tua  aurea  gitta  ai  loro  colli  —  v. 

In  mezzo  a  questi  canti  e  a  queste  invocazioni  la  vergine 
deve  subire  una  nuova  violenza,  e  questa  volta  da  parte  della 


IN    CALABRIA. 


713 


sposo  che  la  vede  impedita  da'suoi  a  entrare  nella  nuova  casa. 
Egli  le  grida  altamente  che  ogni  resistenza  è  inutile,  che  egli 
l'ha  conquistati,  che  la  donna  è  sua:  non  volendo  il  corteo 
consegnarla  egli  si  lancia  a  ghermirla  fra  lo  sparo  dei  moschetti 
e  una  pioggia  di  granelli  e  legumi  o  confetti  che  cade  dalle 
finestre  sotto  cui  il  corteo  passa,  e  la  porta  alla  casa  dove  la 
madre  li  accoglie  benedicendoli  e  li  lega  insieme  con  una  fet- 
tuccia di  seta  attirandoli  poi  amendue  al  seno,  intanto  che  le 
donne  si  legano  in  catena  e  ballano  la  vaia  cantando  dei  precetti 
morali  a  nome  della  madre  dello  sposo. 

—  «  Sposa  gentile  se  ti  è  cara  la  virtù  lascia  l'antico  tuo 
dolce  costume  :  qui  tu  devi  apprendere  cose  nuove  per  te  :  spri- 
maccia il  letto  al  tuo  signore  :  le  piume  siano  un  cumulo  di  rose 
olezzanti  —  n. 

Al  banchetto  si  assidono  conservando  l'ordine  in  cui  sono 
andati  :  e  prima  di  tutto  mangiano  gli  sposi,  spezzando  col  ti- 
rarle ciascuno  dal  lato  suo  le  pette  rituali  o  tagliandole  in  parti 
uguali,  forse  per  indicare  la  comunanza  della  vita  avvenire, 
come  nelle  Marche  si  spezza  la  ciambella  e  si  beve  nello  stesso 
T'I'^'chiere.  Intanto  tutti  i  convitati  cantano: 

d  Chi  ha  fatta  la  mensa?  Fccela  il  pane  e  il  vino,  d'  ava 
rubiconda  e  di  malvasia,  e  carne  di  ariete  e  di  cinghiale  sel- 
vaggio. La  menai  d'un  principe  che  manda  sposa  la  figlia  sua. 
1  nappi  d'argento,  le  forchette  d'oro,  e  vestite  di  zoohe  cilcstri 
le  signoro  maritate,  con  agli  orecchi  vezzi  di  perle,  e  le  gusnco 
lucenti  al  dì  lieto  e  sereno.  Viene  la  pernice  da'  monti,  viene 
«■on  le  ali  carche  di  neve  :  dimena  e  scuote  le  ali  e  m'  emp^e 
le  tazze,  davanti  alla  sposa  bianca  in  volto  e  con  pensieri  con- 
fusi,  n 

Levate  le  mense  si  ricomiqcia  la  vaia,  in  cui  gli  sposi  hanno 
il  primo  posto  e  intrecciano  la  pittoresca  catena  nel  mozzo  del 
villa^'gio  che  li  accoglie  festante,  cantando  la  canzone  rituale 
di  Costantino  l'adoUscenU,  la  quale  risale  a'  tempi  dell'  imporo 
greco,  e  che  parla  di  amori,  di  sospiri,  di  nozze  e  di  fedeltà. 

Tutto  ciò  è  ben  pittoresco  e  straordinario  in  Italia:  ò  un  mondo 
vecchio,  nascosto  nei  monti,  celato  agli  occhi  dei  profani,  igne 
rato  dui  più  e  intraveduto  per  caso  da  qualche  curioso  ch<^ 
stanco  della  vita  prosaica  di  ogni  giorno,  corca  qualche  cosa 
d'insolito  per  rompere  la  monotonia  d'un'cpoca  fiacca  leoza  poesia 
e  senza  virtù. 

L' ignora  l'artista  che  potrebbe  riedificare  la  vita  orientale 

Tw.  XL,  Sw4«  U  —  I*  AfMM  IMI.  M 


714  IN    CALABRIA. 

co'  suoi  fascini  misteriosi,  colle  sue  tinte  smaglianti,  co'  suoi 
abiti  pieni  di  fulgori  :  l'ignora  quasi  del  tutto  l'etnografo  che 
si  dibatte  a  cercare  il  perchè  di  certi  pelasgì  o  ariani  di  cui 
forse  la  chiave  è  in  casa  nostra:  nò  lo  curano  abbastanza  il 
filosofo  e  il  mitologo  che  potrebbero  attingere  a  queste  fonti 
tesori  inapprezzabili  per  la  scienza  e  la  filosofia  :  non  lo  conosce 
neppure  il  legislatore  che  rappresenta  nei  parlamenti  e  nel  go- 
verno quel  popolo  vergine  e  primitivo,  il  quale  come  non  può 
non  aver  irradiato  una  civiltà  tutta  sua  per  grande  spazio  di 
paese  sulle  popolazioni  limitrofe,  non  può  non  avere  da  parto 
sua  risentito  dell'ambiente  in  cui  vive  e  non  essersi  giovato  delle 
abitudini,  degli  usi,  dei  costumi  de'  suoi  vicini. 

Nelle  sue  danze,  ne'  suoi  riti,  nel  suo  linguaggio,  nei  lutti 
profondi  e  intensi,  perpetui  quasi  come  risulta  dai  loro  canti 
soavissimi,  delle  cerimonie  funebri  in  cui  le  donne  si  tagliano 
le  treccie  sul  feretro,  colle  prefiche  che  piangono,  colle  canzoni 
lamentose  improvvisate  in  cui  si  fa  l'apoteosi  del  morto  calato 
in  terra  colle  sue  vesti  nuziali  più  sfolgoranti,  nelle  cerimonie 
natalizie  in  cui  si  cantano  i  destini  dei  neonati  e  si  profetiz- 
zano gli  amori  e  le  battaglie;  nel  modo  di  vestire  di  portare  i 
pesi  non  sul  capo  ma  sul  dorso,  diversamente  dalle  popolazioni 
indigene,  e  fino  nella  lunga  conocchia  greca  fissata  al  fianco, 
mentre  le  donne  calabresi  l'hanno  alla  pompeiana  breve  e  mo- 
bile nella  mano  sinistra,  nell'enfasi  delle  loro  immagini  che  tal- 
volta ricordano  il  Cantico  dei  Cantici,  talvolta  gli  ebrei  nel  de- 
serto, talvolta  i  salmi  lamentosi  di  Davidde  contro  SauUe,  in 
ogni  cosa  che  li  riguarda,  lo  studioso  dei  costumi  troverebbe 
sorgenti  inesauribili   di  sapere  e  di  poesia. 

L'attività  e  l'ingegno  umano  nel  campo  del  lavoro  artistico 
e  filosofico  non  hanno  più  speranze  di  trovare  cose  nuove:  an- 
che quelle  che  le  sembrano  nelle  loro  più  grandi  e  sublimi  ma- 
nifestazioni non  sono  forse  altro  che  vermene  rigogliose  inne- 
state  sul  vecchio  tronco  d'un  passato  chissà  quanto  remoto. 

Le  scienze  morali  come  le  rscienze  fisiche  dipendono  forse 
tutte  da  una  formola  sola  che  l'uomo  non  ha  ancora  trovata, 
da  un  solo  sapientissimo  ordine  ;  ma  il  passato  ci  ha  rivelate 
tutte  le  prime  lasciando  all'avvenire  tutte  le  seconde  :  e  poiché 
alcune  delle  scienze  morali  sono  si  vecchie  che  sembrano  nuove, 
sarebbe  opera  grande  è  utilissima  per  sciogliere  i  problemi  re- 
centi cercare  i  primi  termini  che  si  perdono  nell'oscurità  dei 
tempi  :  e  segnatamente  cercarli  negli  ultimi  avanzi  dell'Oriente 


IN   CALABRIA.  715 

europeo,  dove  avrà  fatta  la  prima  sosta  quella  razza  ariana,  da 
cui  pare  rifulga  il  più  grande  splendore  dell'umana  civiltà. 

Senza  tentare  queste  sublimi  altitudini,  vedendone  scintil- 
lare soltanto  in  nebulosa  le  cime  inaccessibili,  guidata  dall'istinto 
avventuroso  di  dilettante  senza  pretese,  io  mi  sentiva  lieta  in 
quel  giorno  della  mia  impresa  che  era  stata  o  mi  parve,  corag- 
giosa. Intanto  che  quello  stuolo  di  donne  si  sedeva  ancora  in 
giro  nella  camera  che  il  mio  ospite  mi  aveva  assegnata  consa- 
crandola colla  frase  cordiale  :  è  la  vostra:  io  tutta  presa  di  quel 
lac'cino  insolito  mi  riprometteva  di  scrivere  la  mia  avventura 
collo  stesso  entusiasmo  che  allora  m'inspirava.  Mi  pareva  allora 
che,  se  io  avessi  potuto  ridare  alle  mie  parole  il  colore  e  l'im- 
pronta di  quei  sentimenti,  avrei  invogliato  i  cultori  delle  scienze 
nuove  a  correre  il  palio  laddove  io  avevo  provato  a  movere  il 
piede  fra  laltrui  e  la  mia  diffidenza  per  la  lingua  sconosciuta 
e  per  la  differenza  dei  costumi,  fra  quel  non  so  che  di  pauroso 
che  nasce  in  cuore  a  chi  si  sente  solo  in  mezzo  a  genti  stra- 
niere. 

La  heUa  Marea  mi  aveva  riconquistato  pienamente,  e  la  can- 
zone lieta  che  il  mio  ospite  mi  traduceva  man  mano  che  U  vec- 
chia improvvisava,  mi  empiva  il  cuore  d'una  strana  melanco- 
nia, non  priva  d'  una  certa  tenerezsa. 

Io  non  avrei  più  veduto  quello  donne,  non  avrei  più*  visitati 
quei  luoghi,  non  avrei  più  ascoltati  quei  canti  cosi  nuovi  e  pioni 
di  insolite  attraenze.  E  nel  darmi  l'addio  di  quella  giornata  per 
esse  e  per  me  straordinaria  e  faticosa  pareva  volessero  impri 
mere  al  loro  canto  un  tal  qual  accento  più  mesto  e  affettuoso 
e  quasi  desolato,  u  0  tu  cuore,  o  tu  desiderio  :  la  tua  treccia 
è  un  filo  d'oro  forestiero,  mostacciolo  sul  pastiere  !  Andiamo  di- 
rette a  questa  strada  che  ci  conduce  verso  l'aurora  :  fioro  bianco 
più  che  la  neve  sui  monti,  faccia  fina  più  che  la  carta,  più  che 
l:i  carta  fina  sai  tavolino,  splendi  come  mela  nel  giardino,  n 

Quando  montai  nella  carrettella  che  doveva  condurmi  alla 
stazione  più  prossima  della  ferrovia,  fui  circondata  dai  soliti 
monelli  Mcminudi  che  dicevano  ancora  chii  y$t  burr  !  chii  ytt 
hurr  !  ma  non  ne  ebbi  più  sgomento.  Mi  seguiva  l'armonia  del- 
l'ultimo canto  soave,  il  profumo  del  moatacciolo  sul  pcuttere,  lu 
splendore  del  Jilo  d'oro  forestiero.  E  rincantucciata  nel  carroz- 
zone del  treno,  passando  nel  vallo  malsano  del  Grati,  respirando 
l'acre    odore  delle  piante  acquatiche,  ripensavo    con    piacere  a 


716  IN    CALABRIA. 

que'  poveri  orientali  che  si  ricorderanno  fino  alla  morte  della 
strana  apparizione  di  quel  giorno  nel  loro  villaggio  e  narre- 
ranno in  versi  e  ballando  la  vaia  ai  loro  nipoti  il  chii  yst  burr 
che  li  ha  tanto  agitati;  intanto  che  l'orecchio  sentiva  ancora 
l'eco  di  quella  musica,  di  cui  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  suona. 


Caterina  Pigorini-Beri. 


IL  CANALE  DI  SUEZ 


La  questione  egiziana  richiamerà  ancora  por  lungo  tempo 
l'attenzione  degli  àStati  europei.  Non  convién  credere  che  l'oc- 
cupazione inglese  l'abbia  chiusa  definitivamente.  Per  noi,  che 
siamo  spettatori  vicini  degli  avvenimenti  svolgentisi  in  Egitto, 
l'occupazione  inglese  non  è  che  un  episodio.  In  questo  paese 
c'è  ancora  tanta  forza  di  vitalità  da  mettere  a  dura  prova 
chiunque  tentasse  d' impadronirsene  e  di  trattarlo  a  modo  dì 
conquista.  Rammentiamo  che  V  Egitto,  negli  ultimi  cinquant'anni, 
era  entrato  francamente  nella  via  della  [civiltà,  o,  per  meglio 
dire,  vi  erano  entrati  i  suoi  viceré  da  Mehemod*Ali  ad  Ismail. 
L'Egitto,  quando  avvennero  gli  ultimi  fatti,  ora  dunque  in 
un  periodo  di  trasforumzionc,  dovuta  in  massima  parto  agli 
egiziani  stessi,  indipendentemente  da  qualsivoglia  azione  eu- 
ropea. Si  può  anzi  dire  che  l' intervento  europeo  distrusse  qui 
o  almeno  ritardò  gli  oflctti  della  iniziativa  naaionale.  L' Inghil- 
terra è  riuscita  con  poca  fatica  a  oorapiere  un'occupazione  mi- 
litare contro  la  quale  malo  avrebbero  potuto  lottare  le  scarte 
e  disordinate  forse  degli  egiziani.  Eppure  ossa  non  si  sonte 
padrona  dell'Egitto,  e  quando  il  signor  Qladstone  dichiara 
in  pieno  Parlamento,  che  il  suo  supremo  scopo  è  di  rostituiro 
l'Egitto  agli  egiziani,  siamo  disposti  a  credere  che  parli  in  buona 
fede,  giacché  un  uomo  di  Stato  del  suo  valore  non  può  non 
aver  capito  che  l'Egitto  non  è  l'India,  che  lo  si  può  aiutare  a 
risorgere  politicamente  ed  economicamente,  ma  non  soggiogarlo 
colla  violenza,  e  che  infine  l' Inghilterra  potrà,  per  avventura, 
imporre  agli  egiziani  dui  vincoli   di    gratitudine,    ma    non    già 


718  IL    CANALE    DI    SUEZ. 

sottoporli  interamente  al  suo  dominio.  Costituire  in  Egitto  un 
governo  regolare,  ordinato,  favorevole  alle  idee  di  progresso,  ed 
esercitare  su  questo  governo  una  benefica  autorità  morale,  ecco 
quale  dovrebbe  essere  lo  scopo  del  governo  inglese  —  e  pro- 
babilmente sarebbe  questo  l' ideale  del  signor  Gladstone,  se  non 
avesse  egli  pure  da  lottare  coi  pregiudizi  e  con  le  cupidigie 
della  propria  nazfone. 

Con  r  Egitto  e  le  sue  condizioni  si  connette  strettamente  la 
questione  del  canale  di  Suez,  della  quale  tanto  si  parla  da  qualche 
tempo.  L'Inghilterra  non  avrebbe  bombardato  Alessandria,  ne 
matidato  le  sue  truppe  al  Cairo,  se  non  ve  l'avesse  spinta  la 
necessità  di  sottrarre  il  canale  di  Suez  al  dominio  di  qualunque 
altrar  potenza.  Non  v'  ha  dubbio,  il  canale  interessa  il  commercio 
di  tutto  il  mondo,  ma  per  l' Inghilterra  è  divenuto  la  via  delle 
Indie,  la  quale  deve  essere  aperta  in  ogni  tempo  al  commercio 
inglese  e  posta  al  riparo  da  qualsivoglia  pericolo  di  conflitti 
che  la  chiudano,  sia  pure  per  breve  tempo,  alle  navi  britan- 
niche. Allorquando  si  dice  in  Inghilterra  che  l' opinione  pubblica 
vuole  il  dominio  del  canale  di  Suez,  bisogna  intendere  questa 
volontà  nel  senso  da  noi  espresso.  Il  popolo  inglese  si  preoc- 
cupa delle  complicazioni  che  possono  nascere  in  Oriente,  dei 
conflitti  che  necessariamente  ne  seguirebbero,  delle  rappresaglie 
alle  quali  vi  sarebbe  ragione  di  temere  che  dessero  occasione. 
Nessuna  meraviglia  pertanto  che  in  Inghilterra  si  sia  formato 
un  partito  numeroso  e  fortissimo,  il  quale  nelle  condizioni  del 
canale  di  Suez  vuole  assolutamente  veder  chiaro,  e  non  am- 
mette neanche  la  più  lontana  possibilità  che  le  navi  inglesi  non 
percorrano  liberamente  ed  a  bandiera  spiegata  il  cammino  sca- 
vato dal  genio  del  signor  di  Lesseps. 

Eppure,  come  tutti  ricordano,  l'apertura  del  canale  fu  lun- 
gamente avversata  dagl'  inglesi,  e  il  signor  di  Lesseps  l'ha  com- 
piuta a  loro  dispetto.  Dobbiamo  noi  dire  eh'  essi  non  fossero 
persuasi  degli  effetti  della  grandiosa  impresa  e  non  ne  cono- 
scessero l'utilità?  A  nostro  avviso  la  conoscevano  troppo  bene, 
ma  intendevano  al  tempo  stesso  che  l'apertura  del  canale  im- 
poneva all'Inghilterra  nuovi  e  gravissimi  doveri,  e  che  i  be- 
nefizi recati  al  commercio  avrebbero  dovuto  essere  compen- 
sati con  una  politica  vigilante,  assidua  ;  che  in  altre  parole,  ot- 
tenuti quei  benefizi,  il  governo  inglese  avrebbe  avuto  l'obbligo 
di  premunirsi  contro  qualunque  fatto  che  valesse  a  distruggerli 
o  sospenderli.  Quando  si  videro  off'rire  una  nuova  e  più  rapida 


IL    CANALE   Di   SUEZ.  719 

via  commerciale  per  le  Indie  da  un  francese,  ripeterono  il  vol- 
garissimo  detto  Timeo  Danaos,  e  non  solamente  negarono  i 
loro  capitali,  ma  suscitarono  al  progetto  ostacoli  d'ogni  maniera. 
Basti  il  dire  che  il  eanale,  la  cui  spesa  era  preventivata  in 
duecento  milioni  di  franchi,  ne  costò  invece  quattrocento,  quasi 
duecento  dei  quali  furono  inghiottiti  non  dalle  opere  del  canale 
stesso,  ma  dalle  spese  indispensabili  per  vincere  le  resistenze  e 
l'^  opposizioni  all'effettuazione  del  gigantesco  progetto  del  signor 

Lesseps. 

L'apertura  del  canale  venne  ciononostante  condotta  a  ter- 
mine, e  furono  del  pari  compiute  le  opere  accessorie.  Chi  di 
noi  ha  dimenticato  le  feste  e  gli  entusiasmi  per  V  inaugurazione 
di  quel  passaggio,  che,  por  molti  anni,  era  stato  riputato  un 
sogno  di  mente  inferma?  Questo  immenso  servizio  era  stato 
reso  alla  causa  della  civiltà  da  due  Stati  molto  diversi  fra  loro 
per  ricchezza  e  potenza  :  dalla  Francia  e  dall'  Egitto,  indipen- 
dentemente da  qualsivoglia  cooperazione  inglese.  Ma  non  tardò 
ad  avverarsi  ciò  che  il  signor  Lesseps  aveva  costantemente  pro- 
nosticato. Fra  gli  Stati  d'Europa,  quello  che  naturalmente  trasse 
maggior  profìtto  dall'apertura  del  canale  di  Suez  fu  l' Inghil- 
terra. Nel  pa&saggio  di  Suez  la  sua  bandiera  fu  dal  primo  anno 
in  grande  prevalenza.  E  gì'  inglesi  da  gente  pratica  accetta- 
rono i  fatti  compiuti,  fecero  buon  viso  ai  vantaggi  che  ne  ri- 
traevano, e  da  quel  giorno  tutto  il  loro  studio  fu  rivolto  a  im- 
pedire che  quei  vantaggi  andassero  perduti.  Da  allora  si  fece 
più  viva  la  intromissione  dell'  Inghilterra  negli  affari  dell'Egitto, 
tinche,  sotto  il  ministero  di  lord  Beaconsfield,  i  capitalisti  in- 
glesi trovarono  modo  d' impadronirsi  di  una  parte  considcrcvolo 
delle  azioni  del  canale.  Si  esagerò  però  graodemente  Tìm- 
|xirtanza  di  quella  operazione,  in  quanto  che  essa  non  mo- 
dificò sostanzialmente  il  carattere  della  compagnia  di  Suez,  la 
quale  continuò  ad  essere  una  compagnia  francese^  segui- 
tando A«l  esserne  (VanccKÌ  anche  gli  amministratori.  Il  trat- 
tato del  1A76  ha  regolato  le  relazioni  internazionali  della  com- 
pagnia, ma  non  ha  dato  all'  Inghilterra  un  sopravvento  che  con 
quelle  relazioni  sarebbe  ntato  in  aperta  contrnddiziono.  Anzi,  è 
appunto  invocando  il  trattato  del  1870  che  oggi  ancora  si  c<im- 
battono  le  pretese  deiropinione  pubblica  dell'  Inghilterra,  dallo 
quali  protene  ebbero  origine  gli  ultimi  incidenti. 

La  questione  interessa  in  alto  grado  anche  V  Italia,  e  ciò 
che  ora  accade  giustifica  la  premura  con  cui  i  nostri    plenipo- 


720  IL    CANALE    DI    SUEZ. 

tenziari;  nella  conferenza  per  gli  affari  d'Egitto,  domandarono  che, 
in  ogni  caso,  il  canaio  fosse  dichiarato  neutrale  e  sottoposto 
alla  tutela  di  tutte  le  potenze  interessate.  E  se  ne««uua  deli- 
berazione ben  chiara  e  determinata  venne  presa,  se  la  pro- 
posta del  governo  italiano  fu  considerata  come  un  desideratum 
comune,  anziché  come  una  mozione  sulla  quale  la  conferenza 
dovesse  imprescindibilmente  deliberare,  non  è  men  vero  che 
tutti  i  rappresentanti  delle  potenze  si  palesarono  favorevoli  a 
quell'ordine  d' idee  e  che  la  stessa  Inghilterra,  non  volendo  in 
quel  momento  accrescere  gratuitamente  le  difficoltà  che  attra- 
v^.rsavano  l'occupazione  dell'  Egitto,  dichiarò  ripetutamente  e 
nel  modo  più  esplicito,  che  anch'essa  intendeva  la  questione  di 
Suez  a  quel  modo,  e  che  non  solamente  il  canale  non  era  mo- 
nopolio pili  dell'una  che  dell'  altra  potenza,  ma  doveva  es- 
sere pure  esclusa  ogni  più  remota  eventualità  che,  in  caso  di 
guerra,  il  canale  noti  avesse  a  servire  al  suo  scopo  esclusiva- 
mente commerciale. 

L'Inghilterra,  tenendo  quel  discorso,  parlava  nel  proprio  in- 
teresse, o,  per  essere  più  esatti,  nell'interesse  del  proprio  com- 
mercio, che  più  d'ogni  altro  sarebbe  stato  danneggiato  da  una 
chiusura  del  canale.  Ad  ogni  modo  è  spiacevole  che  la  propo- 
sta dell'Italia  non  abbia  dato  luogo  ad  una  risoluzione  cate- 
gorica che,  certamente,  avrebbe  dissipato  molti  dubbi  e  molti 
timori.  E  si  ebbe  torto  allora  di  trattar  leggermente  anche  in  Italia 
il  passo  fatto  d.al  ministro  Mancini  verso  le  altre  potenze  per 
lo  scopo  teste  accennato.  Qualche  cosa  però  rimase  di  quella 
iniziativa  del  governo  italiano,  la  quale,  se  non  altro,  porse  oc- 
casione, come  abbiamo  notato,  al  gabinetto  britannico  di  respin- 
gere, in  via  diplomatica,  il  sospetto  che  ambisse  una  ingiusta 
supremazia  sul  canale. 

E  mestieri  render  giustizia  alle  intenzioni  del  signor  Glad- 
stone,  qhe  in  tutte  le  controversie  relative  all'Egitto  mostrò, 
non  solo  con  le  parole,  ma  più  ancora  coi  fatti,  di  non  voler  sa- 
grificare  esclusivamente  agli  interessi  inglesi  quelli  dell'Egitto 
stesso  e  delle  altre  potenze.  Sventuratamente  queste  sue  inten- 
zioni non  furono  sempre  rettamente  interpretate  in  Inghilterra, 
dove  si  è  formata  una  forte  corrente  in  favore  di  un'  azione 
più  vigorosa,  e' per  domandare  che  dalla  occupazione  dell'Egitto 
si  pensi  a  ritrarre  una  maggior  somma  di  utili. 

Questa  breve  esposizione  storica  era  indispensabile  per  bene 
intendere  e  giudicare    i    fatti    che  ebbero  origine,  quest'  anno, 


IL    CANALE    DI    SUEZ.  721 

dalla  questione  del  canale  di  Suez.  Importava  sovratutto  di 
far  conoscere  lo  stato  dell'opinione  pubblica  in  Inghilterra,  e 
come  gli  apprezzamenti  del  popolo  inglese  abbiano  fin  da 
principio,  differito  alquanto  da  quelli  de'  suoi  ministri  in  una 
materia  tanto  delicata.  Poco  per  volta  la  corrente  di  cui  ab- 
biamo parlato  poc'anzi  è  venuta  ingrossando,  e  si  è  fatta  sem- 
pre più  palese  in  Inghilterra  l'ostilità  al  signor  di  Lesseps  e 
alla  compagnia  di  cui  egli  è  a  capo.  Alla  qual  cosa  hanno  pure 
contribuito  le  diffidenze  suscitate  dalla  Francia  colla  sua  poli- 
tica coloniale.  Scomparsa  1'  enterite  cordiale,  e  rinvigorito,  in- 
vece, l'antico  antagonismo  tra  la  Francia  e  l'Inghilterra,  era 
naturale,  o,  per  lo  meno,  inevitabile  che  il  popolo  inglese  guar- 
dasse con  sospetto  qualunque  intromissione  diretta  o  indiretta 
della  Francia  negli  affari  suoi.  Francese  ò  il  Lesseps,  francese 
la  compagnia  da  lui  capitanata.  Ciò  è  sufficiente  per  far  cre- 
dere agi'  inglesi  che  la  via  di  Suez  sia  in  potere  della  Fran- 
cia, e  che  questa  possa,  eventualmente,  recar  danni  gravissimi 
al  commercio  colle  Indie.  Accettiamo  pure  che  siffatti  timori  sieno 
privi  di  fondamento  o  esagerati  ;  non  si  può  negare  che  esistono 
e  che  il  signor  Gladstone,  con  la  sua  nobile  cquanimitti,  non 
è  riuscito  a  dissiparli.  Il  commercio  inglese  sta  come  sotto  un 
incubo  dal  quale  vuol  liberarsi  ad  ogni  costo.  E  cosi  è  nat;i 
r  idea  di  contrapporre  al  canale  francete  un  canale  inglese, 
cioè  di  scavare  un  secondo  canale  di  Suez  con  capitali  inglesi 
el  escludendo  l'ingerenza  degli  altri  Stati. 

II  progetto  di  scavare  un  secondo  canale  di  Suez  non  ò 
nuovo.  K  stata  sempre  riconosciuta  anche  dalla  compagnia 
r  insufficienza  del  canale  attuale  quando  il  traffico  annuo  abbia 
raggiunto  10,000,000  di  tonnellate.  Siamo  ancor  lontani  da 
questa  cifra;  la  statistica  dell'anno  1882  ci  dà  un  paesaggio  di 
3,198  navi  con  7,122,125  tonnellate.  Tuttavia,  va  tenuto  conto 
dei  costanti  e  rapidi  progressi  dal  1870  n  questa  parte.  Quali 
sieno  stati  questi  progressi  lo  sì  duduco  da  una  statistica  che  fa 
parlo  della  relazione  presentata  dal  signor  Lesseps  all'ultima 
assemblea  generalo  della  società.  Risulta  da  ossa  che  i  proventi 
della  navigazione  che  nel  1870  erano  stati  di  franchi  .'*"  '"'7 
e  22  contosimi,  ascesero  noi  1881  alla  cifra  di  franrhi  51, 
e  centesimi  05,  e  nel  1882  a  franchi  60,r>45,882  e  contosimi  08. 
Nell'anno  1882  vi  è  stato  in  "confronto  del  1881  un  aumonto  dol 
17,27  Ojo  sul  numoro  dello  navi,  del  22,91  0|()  sul  ii'i>n.-nH|rgi„ 
e  del   18,08  0|q  sull'ammontare  dei  proventi. 


722  IL    CANALE    DI    SUEZ. 

Come  si  vede,  pertanto,  l' ipotesi  che  fra  qualche  anno  si 
ubbìa  ad  avverare  un  traffico  di  10  milioni  di  tonnellate  non  è 
priva  di  fondamento.  La  prima  questione  però  sta  nel  vedere, 
se,  avverandosi  quell'  ipotesi,  sia  indispensabile  un  canale  nuovo 
o  possano  ritenersi  sufficienti  i  lavori  d' ingrandimento  e  di  mi- 
glioramento del  canale  esistente.  I  quali  lavori  stabiliti  dalla 
convenzione  del  1876,  e  che  qui  non  è  inutile  enumerare,  sono 
i  seguenti  : 

1.  Ingrandimento  del  bacino  Israail  a  Porto  Said; 

2.  Allargamento  dell'ingresso  del  canale  a  Porto  Said; 

3.  Nuova  stazione  a  Toussoum; 

4.  Miglioramenti  per  assicurar  le  navi  nelle  stazioni  e  nelle 
curve  ; 

5.  Opere  minori  nel  canale  d'accesso; 

6.  Nuovo  ancoraggio  a  Porto  Said; 

7.  Nuovo  bacino  a  Porto  Said; 

8.  Allargamento  del  canale  nei  piccoli  laghi  Amari  ; 

9.  Prolungamento  della  stazione  di  Kantara; 

10.  Continuazione  dell'  allargamento  di  5  metri  del  canale 
fra  Suez  e  il  chilometro  152; 

11.  Ingrandimento  della  stazione  d' Ismailia; 

12.  Ingrandimento  della  stazione  del  chilometro  133; 

13.  Rettificazione  della  curva  e  della  stazione  di    Timsah; 

14.  Rettificazione  della  curva  sud  dei  piccoli  laghi; 
1.5.  Rettificazione  della  curva  nord  di  El  Gruisr; 

16.  Rettificazione  della  curva  di  Toussoum; 

17.  Allargamento  del  canale  davanti  a  Porto  Tewfik. 
Questi  e  altri  lavori  che  in  complesso  importeranno  una  spesa 

di  30  milioni,  non  solamente  furono  già  deliberati  dalla  società, 
ma  trovansi  in  parte  in  corso  d'esecuzione. 

Che  fossero  reputati  sufficienti  ad  un  traffico  di  10  milioni 
di  tonnellate  è  fatto  manifesto  da  una  deliberazione  presa  dalla 
commissione  dei  lavori  e  fatta  pubblicare  nel  Bollettino  della 
società  fin  dal  22  gennaio  scorso.  Di  quella  deliberazione  è  op- 
portuno riprodurre  il  testo,  perchè  vale  a  dimostrare  come  la  com- 
missione stessa,  sin  da  quel  tempo,  si  preoccupasse  dell'agita- 
zione che  si  manifestava  per  un  nuovo  canale  e  qual  giudizio 
essa  recasse  intorno  alla  maggiore  o  minor  necessità  del  mede- 
simo. Essa  è  nei  seguenti  termini  : 

u  La  commissione  avendo  esaminato  il  progetto  della  Dire- 
zione fondato  sugli  atti  di  concessione  e  sui  poteri  conferiti  al 


IL    CANALE    DI    SUEZ.  723 

consiglio  dall'  assemblea  degli  azionisti,  come  pure  il  progetto 
di  stabilire  una  doppia  via  marittimaj  crede  che  il  progetto  della 
Direzione  soddisfaccia  ai  bisogni  della  navigazione  per  un  traf- 
fico di  10  milioni  di  tonnellate  e  permetta  le  successive  esten- 
sioni che  possano  venir  richieste  da  uno  sviluppo  ancor  più 
considerevole  della  navigazione.  Per  ciò  che  riguarda  il  progetto 
di  un  secondo  canale,  esso  meriterebbe  di  essere  seriamente  stu- 
diato. Senza  parlare  dei  compensi  che  quel  progetto  renderebbe 
necessari,  in  ragione  dei  gravi  sagrifizi  che  imporrebbe  alla 
compagnia  la  commissione  constata  principalmente f  che  l'esten- 
sione dei  terreni  di  cui  essa  dispone  in  vista  del  suo  esercìzio 
non  sarebbe  sufficiente  per  lo  stabilimento  di  una  doppia  via  e 
per  l'ingrandimento  dei  porti.  Questa  considerazione  implicando 
la  necessità  di  trattative  le  quali  dovrebbero  precedere  uno 
studio  più  profondo  della  questione,  la  commissione  in  tali 
condizioni  non  può  presentemente  far  altro  che  accettare  in 
massima  quest'ordine  d' idee  come  un  onere  davanti  al  quale 
non  converrebbe  [indietreggiare,  se,  essendone  riconosciuta  la 
utilità  maggiore  pel  '  commercio  universale,  si  presentasse  con 
.giusti  compensi  ;  la  commissione  riconosce,  inoltre,  esser  tale  la 
importanza  degli  interessi  della  marina  inglese  nella  navigazione 
del  canale,  che  la  compagnia  non  potrebbe  accìngersi  ad  intra- 
prendere negoziati  a  questo  riguardo  salvo  col  consento  e  con 
Vappoggio  del  governo  britannico,  n 

Molte  parole  e  molte  frasi  di  questa  deliberazione  vanno 
ben  pesate,  se  si  vuol  giudicare  imparzialmente  la  contesa  fra 
l'opinione  pubblica  in  Inghilterra  e  la  compagnia  di  Suez. 

Le  intenzioni  del  signor  di  Letseps  e  della  compagnia  o,  per 
Io  meno,  dei  suoi  mandatari  tecnici,  nello  scorso  gennaio,  non 
potrebbero  ossero  più  evidenti. 

Essi  pensavano  cho  per  un  traffico  di  10,000,000  di  tonnel- 
late non  fosse  neccMarìo  un  secondo  canale,  ma  fosse  sufiì- 
riento  il  canale  osintfntc,  con  gli  opportuni  ingrandimenti  r 
miglioramenti;  che  per  iscavare  un  secondo  canale  la  compa- 
gnia non  poMedesse  la  estensione  di  terreno  indispensabile,  e 
finalmente  che,  in  previsione  di  un  ulteriore  sviluppo  del  traf- 
fico, hì  dovesse  studiare  la  quostion*)  del  secondo  canale,  ma  nes- 
suna trattativa  si  potesse  intrapr<»nd('n'  «cnza  il  consenso  o 
l'appoggio  dell'  Inghilterra. 

Vedremo  fra  breve  che  il  liii;;ii.i;:;4Ìo  tenuto  dai  signor  di 
Les^epfl  all'issembloa  generale  «lei    l*^s.{fu  alquanto  diverso. 


724  IL    CANALE    DI    8DKZ.    \ 

Intanto  l' idea  di  aprire  un  canale  esclusivamente  inglese 
accanto  e  parallelamente  al  canale  dovuto  all'iniziativa  e  agli 
«forzi  del  signor  di  Lesseps,  faceva  cammino.  E  fu  tanto  creduta 
praticamente  attuabile,  che  in  Inghilterra  piovvero  le  adesioni 
e  i  capitali  per  effettuarla.  I  promotori  di  essa  partivano  dalla 
persuasione  che  il  diritto  di  scavare  il  secondo  canale  spet- 
tasse a  chiunque,  pel  primo,  fosse  in  grado  di  valersene.  Come 
anni  fa  si  era  formata  una  società  essenzialmente  francese,  cosi 
ora  poteva  formarsene  una  esclusivamente  inglese.  Da  chi  aveva 
avuto  la  concessione  il  signor  di  Lesseps?  Dall'  Egitto.  Ma  es- 
sendo questo,  secondo  che  essi  dicevano,  venuto  in  potestà  degli 
inglesi,  era  naturale  che  essi,  indipendentemente  da  qualunque 
impegno  anteriore  del  governo  egiziano,  si  attribuissero  una 
nuova  concessione,  magari  a  scapito  dell'antica.  Certo  essi  non 
ignoravano  i  termini  della  prima  concessione  che  investiva  il  si- 
gnor di  Lesseps  del  diritto  e  della  facoltà  di  aprire  non  uno 
solo,  ma  più  canali  ;  ma  ritenevano  quel  diritto  perento  in  con- 
seguenza degli  ultimi  avvenimenti.  Il  signor  Gladstone  capi 
che  si  stava  per  commettere  un  grave  sopruso.  D'altronde, 
aveva  più  volte  protestato  di  non  voler  sostituire  in  tutto  o  per 
tutto  l'autorità  dell'  Inghilterra  a  quella  del  Ktdive,  che  anzi 
lo  scopo  era  di  rafforzare  e  assicurare  quest'ultimo.  Ammesso 
poi  ciò  che  non  era,  che  l' Inghilterra  si  fosse  sostituita  al 
Kedive,  solo  un  caso  di  forza  maggiore  avrebbe  potuto  esimere 
i  nuovi  dominatori  dall' obbligo  di  rispettare  gl'impegni  formal- 
mente assunti,  mediante  contratto,  dai  loro  predecessori.  Il  savio 
ministro,  resistendo  alle  pressioni  che  gli  venivano  fatte  dai 
suoi  connazionali,  sottopose  la  questione  ai  giureconsulti  della 
Corona,  i  quali,  porgendo  un  chiaro  esempio  di  giustizia  serena 
ed  imparziale,  decisero,  visto  il  primo  atto  di  concessione,  che 
il  diritto  di  aprire  un  secondo  canale  appartenesse  al  signor  di 
Lesseps,  e  che  perciò  nessuna  nuova  società,  in  Inghilterra  o 
altrove,  potesse  formarsi  a  tale  scopo  e  accingersi  a  quell'  im- 
presa senza  essersi  posta  previamente  d'accordo  con  lui  e  i  suoi 
aventi  causa. 

L'accordo  fra  il  ministero  inglese,  e  il  signor  di  Lesseps  non 
fu  difficile  da  conseguire,  poiché  il  signor  di  Lesseps,  lieto  che 
il  suo  diritto  fosse  riconosciuto  e  posto  al  riparo  da  qualunque 
offesa  e  prepotenza  futura,  fu  larghissimo  nelle  concessioni.  La 
convenzione  conchiusa  fra  lui  e  il  signor  Gladstone  dava  soddisfa- 
zione a  tutti  i  legittimi  interessi  dell'Inghilterra,  attribuiva  agli 


IL    CANALE    DI    SUEZ.  72r> 

inglesi  una  parte  convenientf^  nell'amministrazione  della  com- 
pagnia, risolveva  equamente  la  questione  delle  tariffe  che  al 
coraraercio  inglese  preme  tanto,  e  al  tempo  stesso  sanciva  ancora 
una  volta  il  carattere  internazionale  della  via  di  Suez.  Al  signor 
Gladstone  parve  di  aver  provveduto  abbastanza  a  far  .tacere  le 
lagnanze  e  le  diffidenze,  e  presentò  la  convenzione  al  Parlamento. 
Ma  si  era  ingannato  nelle  sue-  previsioni.  Quegli  accordi  de- 
starono una  opposizione  S'irà,  violenta,  colla  quale  era  impossi- 
bile intendersi.  In  fondo  il  signor  Glastone  e  i  suoi  oppositori 
partivano  da  due  punti  opposti.  Il  primo,  forte  come  abbiamo 
detto  del  parere  dei  giureconsulti  della  Corona,  voleva  rispet- 
tare i  diritti  del  signor  di  Lesseps;  i  secondi  li  negavano  nel 
modo  più  assoluto.  Al  ministero  pareva  di  aver  conseguito  molto 
ottenendo  che  si  aprisse  una  nuova  via,  con  la  partecipazione 
dell'Inghilterra  e  sotto  l'egida  delle  convenzioni  intemazionali; 
gli  avversari  suoi  sostenevano,  invece,  che  nulla  si  era  ottenuto, 
che  anzi  si  andava  contro  Io  scopo  dell'Inghilterra,  il  quale  era 
che  questa  si  aprisse,  per  proprio  conto,  una  via  per  le  Indio 
di  cui  fosse  assoluta  padrona,  senza  dipendere  da  alcun'altru 
potenza,  e  tanto  meno  dal  signor  di  Lesseps. 

Il  signor  Qladstone,  avvertito  dai  clamori  della  folla,  vide  il 
pericolo  imminente  di  una  crisi  polìtica.  A  ritirarsi  in  buon  or 
dine  fu  aiutato  dal  signor  di  I^sseps,  il  quale  generosamente 
gli  restituì  la  parola  data,  e  dichiarò  per  lettera  di  considerare 
come  non  avvenuta  la  convenzione  conchiusa  col  ministro  inglese. 
Errerebbe  però  chi  credesse  che,  lacerata  la  convonzione,  h» 
cose  sicno  ritornate  precisamente  al  punto  in  cui  erano  prima 
di  essa.  Come  suol  avvenire  dopo  nn  lentatiTO  fallito  di  con- 
ciliazione, la  soluzione  della  controversia  si  ò  fatta  più  difficile. 
Da  un  lato  il  signor  Qlndstone,  per  non  essere  rovesciato  dai 
suoi  avversari  e  salvare  il  gabinetto  pericolante,  fu  costretto 
a  fare  delle  dichiarazioni  poco  conformi  alla  sua  procedente 
condotta,  e  dopo  aver  presentato  la  convenzione  in  omaggio  al 
parere  manifestato  dai  giureconsulti  della  (Corona  intomo  ai  di- 
ritti più  volte  rammentati  del  signor  di  Lcsseps,  parve  mettere  in 
dubbio  questi  diritti,  e  affermò  di  non  voler  pregiudicare  in  nessun 
modo  la  qu'^stione  ne  una  società  inglese  potesse  aprire  un  nuovo 
canale.  Dal  suo  canto  il  signor  di  I^esseps,  prevedendo  proba- 
bilmente che  la  buona  volontà  del  signor  Gladstono  si  sarebbe 
infranta  contro  la  corrente  dell'opinione  pubblica,  aveva  avuto 
cura  di  confermare  nell'assemblea  generale  del  4  giugno  la  facoltà 


726  IL    CANALK    IJI    SUEZ. 

spettante  esclusivamente  alla  sua  compagnia  di  scavare  il  nuovo 
canale.  E  ribadì  più  fortemente  il  chiodo  nella  lettera  al  signor 
Gladstone. 

Il  signor  di  Lesseps,  che  come  abbiamo  visto  aveva  rico- 
nosciuto, nella  citata  deliberazione  dello  scorso  gennaio,  che  la 
compagnia  non  disponeva  di  una  sufficiente  estensione  di  ter- 
reno per  aprire  il  secondo  canale,  e  che,  in  ogni  caso,  tenuto 
conto  degli  interessi  inglesi  preponderanti,  nessuna  trattativa  si 
sarebbe  potuta  iniziare  senza  il  consenso  e  l'appoggio  del  go- 
verno britannico,  scriveva  poi  egli  stesso  nella  sua  relazione  del 
4  giugno  le  seguenti  parole: 

u  Noi  ora  proseguiremo  energicamente  i  miglioramenti  del 
canale  marittimo  già  previsti,  fino  alla  concorrenza  della  spesa 
di  30  milioni  di  franchi  da  voi  approvata.  E  proseguiremo  si- 
multaneamente lo  studio  della  seconda  via  marittima  con  la 
ferma  intenzione  di  eseguirla  e  compierla  prima  che  lo  sviluppo 
del  traffico  l'ahhia  resa  necessaria. 

u  Questo  secondo  canale  potremmo  eseguirlo  unicamente  colle 
nostre  proprie  forze,  sui  nostri  terreni  ;  ma  dagli  studi  che  ab- 
biamo fatto  risulta  che  il  secondo  canale,  deciso  in  massima, 
potrebbe  venire  eseguito  in  migliori  condizioni  pel  commercio, 
e  accresciuto  forse  di  lavori  accessori,  specialmente  nei  porti, 
se  aveste  maggiore  spazio  a  vostra  disposizione  e  otteneste  i  le- 
gittimi compensi  per  i  sacrifici  che  v'imporreste.  A  tale  scopo,  e 
col  leale  concorso  dei  rappresentanti  della  Regina  nel  consiglio, 
iniziammo  studi  speciali:  abbiamo  la  soddisfazione  di  potervi 
dire,  d'accordo  coi  nostri  colleghi  inglesi,  che  quegli  studi  e  le 
combinazioni  che  ne  seguiranno  promettono  una  soluzione  favo- 
revole, n 

Dunque  il  4  giugno  l'estensione  de'terreni  non  era  più  insuffi- 
ciente come  nel  gennaio,  ma  solo  si  desiderava  uno  spazio  mag- 
giore per  opere  accessorie,  potendo  pure,  però,  nella  peggiore 
ipotesi,  farne  a  meno.  Dunque  l'accordo  con  l' Inghilterra,  che  nel 
gennaio  era  condizione  sine  qua  non,  nel  giugno  diventava  sol- 
tanto un  mezzo  per  agevolare  l'impresa  che  la  compagnia  era 
in  grado  di  compiere  colle  proprie  forze  ! 

E  ancor  più  esplicito  fu  il  signor  di  Lessaps,  quando,  vistosi 
costretto  a  rinunziare  alla  convenzione  col  governo  inglese, 
scrisse  la  nota  lettera  al  signor  Gladstone.  In  essa  è  chiara- 
mente significato  che  la  compagnia  penserà  da  se  ad  aprire  il 
nuovo  canale,  e  non  è  punto  fatto  cenno  delle  difficoltà  previste 


IL    CANALE    DI    SUEZ. 


72- 


nella  deliberazione  del  gennaio  e  neppure  delle  poche    riserve 
mantenute  ancora  nella  relazione  del  giugno. 

La  questione  trovasi  presentemente  a  questo  punto.  Si  af- 
fretterà la  compagnia  a  provvedere  i  mezzi  per  intraprendere 
i  lavori  del  secondo  canale?  Quando  il  signor  di  Lesseps 
aflfermò  che  questo  non  era  urgente,  aveva  ragione.  —  Crediamo 
anche  noi  che  con  i  miglioramenti  del  primo  canale  già  decre- 
tati e  in  corso  di  esecuzione,  saranno  soddisfatte  per  alcuni 
anni  ancora  le  esigenze  del  traffico,  a  .che  ammesso  il  suo  pro- 
gressivo sviluppo.  Ma,  ormai,  la  condotta  del  signor  di  Lesseps 
e  della  compagnia  assai  più  che  dalle  esigenze  del  traffico  è 
determinata  da  considerazioni  di  altro  genere.  —  È  mestieri  che 
essi  iniziino  senza  indugio  gli  studi  e  i  lavori  se  non  vogliono 
essere  prevenuti  dai  capitalisti  inglesi.  —  Certiimentc  finche  ri- 
marrà al  potere  il  signor  Gladstone,  i  diritti  della  compagnia 
saranno  rispettati,  quantunque,  come  abbiamo  osservato,  nelle 
ultime  discussioni  parlamentari  V  illustre  ministro  si  sia  mo- 
strato meno  persuaso  che  prima  non    paresse,   della   solidità   e 

eirintangibilità  dei  medcs.mi.  Ma  il  gabinetto  inglese  non  t* 
tanto  saldo  che  un  soffio  di  vento  non  valga  a  rovesciarlo,  e, 
da  qualche  mese  a  questa  parte,  le  sue  condizioni  sono  alquanto 
peggiorate.  —  Un  gabinetto  conservaiorc  avrebbe  minori  riguardi, 
considererebbe  sotto  un  altro  aspetto  V  occupazione  dell'  Egitto 
e  probabilmente  rivendicherebbe  a  Suez  una  posizione  privile- 
giata quand'anche  non  osÀssc  arrogarvisi  un'  assoluta  supre- 
mazia. E  ad  una  società  inglese,  che,  indipendentemente  da  qua- 
lunque partecipazione  del  signor  di  Lesseps,  si  disponesse  |td 
aprire  una  nuova  via,  non  opporrebbe  ostacoli. 

Interverrebbe  l'Europa  a  tutelare  il  signor  di  Lesseps  e  la  sua 
compagnia?  È  malagevole  il  far  congetture  a  questo  proposito. 
L'Europa  non  si  è  mossa  efficacemente  finora,  ita  lasciato  al- 
l' Inghilterra  in  Egitto  la  più  ampia  libertà  d'aziono  e  bisojj^na 
esser  grati  al  signor  Gladstone  che  non  oc  ha  abusato.  — 
Quanto  al  canale  di  Suez,  si  ebbero  mozioni  rimasto  in  sospOHo, 
<•  dichiarazioni  platoniche  d' internazionalità,  che  non  sappiamo 
quanto  varrebbero  alla  prova  dei  fatti;  dello  quali  delibera- 
zioni, non  ne  dubitiamo,  sarebbe  larghibsimo  anche  un  mini- 
stero conservatore  che  lacerasse  l'atto  di  concessione  rilasciato 
dal  Kedive  al  signor  di  Lesseps,  oppure  autorizzasse  V  Apertura 

di  un  nuovo  canale  in  odio  alla  compagnia  attualo. 

Del  resto,  siamo  giusti,  la  neutralità  del  passaggio  di  8uu£, 


728  IL    CJ.NALK    DI    SDEZ. 

qualunque  trattato  intervenga  fra  le  Potenze,  gara  Bompre  una 
parola  vuota  di  senso,  in  caso  di  guerra,  fincliè  l' Inghilterra 
rimarrà  di  fatto,  padrona  dell'  Egitto.  Il  primo  suo  atto,  scop- 
piate le  ostilità,  sarebbe  di  occupare  militarmente  il  canale. 

Esposte  le  vario  vicende  della  questione,  non  abbiamo  duopo 
d' insìstere  sui  pericoli  che  suscita  per  l'avvenire.  Il  canale  di 
Suez  può  esser  causa  di  nuovi  conflitti.  Esso  che  fu  il  prodotto 
di  una  civiltà  pacifica  pare  destinato  a  diventar  l'origine  di  guerre 
sanguinose.  Ma  come  abbiamo  detto  sin  da  principio  e  ripetuto 
più  volte  nel  corso  del  presente  scritto,  la  questione  di  Suez 
è  strettamente  connessa  con  quella  dell'  Egitto,  L'  errore  mas- 
simo dell'  Europa  fu  il  credere  che  queste  due  questioni  po- 
tessero scindersi,  separarsi,  cosicché  il  canale  di  Suez  conti- 
nuasse a  servire  gli  interèssi  di  tutto  il  commercio,  mentre  si 
ammetteva  che  l'Egitto  potesse  diventare  preda  del  primo  oc- 
cupante. 

Noi  rendiamo  giustizia  al  signor  Gladstone  e  ripetiamo  che 
non  mettiamo  in  dubbio  la  sua  buona  fede  quando  afferma  di 
voler  restituire  l' Egitto  agli  egiziani  e  contentarsi  di  un  auto- 
rità morale.  Ma  è  questo  un  programma  più  facile  da  esporre 
che  da  eseguire.  E  temiamo  forte  che  nessun  ministro  inglese 
abbia  il  coraggio  di  compierlo. 

Eppure,  non  esitiamo  a  confermarlo,  sarebbe  questo  il  solo 
programma  che  assicurerebbe  per  molti  anni  la  tranquillità  e 
la  prosperità  dell'  Egitto,  e  a  un  tempo  efficacemente  difende- 
rebbe contro  qiialunque  sorpresa  i  gravi  interessi  commerciali 
che  il  canale  di  Suez  è  chiamato  a  soddisfare.  Sappiamo  che 
la  nostra  opinione  ha  molti  contradittori,  i  quali  ricordano 
come,  assai  prima  della  occupazione  inglese,  la  tutela  dell'E- 
gitto sia  stata  una  necessità  imposta  dalla  sua  cattiva  ammi- 
nistrazione. E  non  lo  neghiamo;  ma  questa  tutela  si  sarebbe 
potuta  esercitare  in  modo  liberale,  benefico,  mentre  invece 
aveva  assunto  il  carattere  di  un'  aggressione.  E  d' altra  parte 
V  Egitto  stava  all'  avanguardia  della  civiltà  in  Oriente  ;  era  un 
campo  aperto  a  tutti  i  progressi,  a  tutte  le  attività,  e  non  deve 
pavere  strano  che,  in  quel  ridestarsi  di  un  popolo,  il  male  si  sia 
più  volte  frammisto  al  bene,  le  spese  abbiano  superato  le  en- 
trate, e  alcuni  avventurieri  abbiano  indegnamente  spogliato  il 
governo  arricchendosi  alle  spalle  sue.  Ma  verso  gli  errori  com- 
messi era  utile,  onesto,  generoso  mostrarsi  indulgenti,  tenendo 
conto  dell'immenso  cammino  che  questo  popolo  aveva  in  breve 


IL   CANALE    DI    SUEZ.  720 

tempo  percorso.  Bisognava  stendergli  amichevolmente  la  mano, 
guidarlo,  eccitarlo  senza  togliergli  la  libera  disposizione  di  sé 
stesso. 

I  progressi  che  l'Egitto  aveva,  da  gran  tempo  incominciato 
a  compiere  per  conto  proprio  e  per  propria  iniziativa,  si  sono 
arrestati.  Si  rimetterà  il  popolo  egiziano  in  carreggiata?  Ri- 
prenderà la  via  nella  quale  si  era  felicemente  inoltrato?  Op- 
pure alla  civiltà  che  era  opera  degli  egiziani  si  sostituirà  la 
civiltà  inglese?  A  questi  quesiti  non  rispondiamo  perchè  ci 
trarrebbero  troppo  lungi  dal  nostro  assunto.  Ma  l'Europa 
avrebbe  1'  obbligo  di  esaminarli  seriamente,  se  non  per  amore 
degli  egiziani,  almeno  per  i  gravi  interessi  che  ha  impegnati 
nel  canale  di  Suez,  il  quale,  lo  diciamo  ancora  una  volta,  non 
potrà  mai  considerarsi  come  interamente  separato  e  indipen- 
dente dall'  Egitto. 

E  perciò  conchiuderemo  unendoci  a  coloro  i  quali  lamentano, 
a  buon  diritto,  che  il  campo  della  contesa  si  sia  ristretto  tra 
l'Inghilterra  e  il  signor  di  Lesseps,  o  per  meglio  dire,  tra 
l'Inghilterra  e  la  Francia,  mentre  la  soluzione  di  essa  do- 
vrebbe essere  cercata  di  comune  accordo,  e  nel  comune  inte- 
resse da  tutte  le  potenze. 

Un  Italiano  in  Egitto. 


▼m.  XL,  Swto  n  —  15  A«MI%  IMH  47 


FANTASIA  ' 


I. 


Matilde  Serao  è  sovrattutto  poeta.  Ha  il  sentimento  profondo 
della  realtà  e  un  singolare  spirito  di  osservazione;  ma  in  lei 
r  immaginazione  prevale  e  predomina.  O  esprima  un  senti- 
mento, o  dipinga  un  ritratto,  o  colorisca  un  paesaggio  ;  parli  di 
teatri,  di  mode,  di  bambini,  di  quadri;  ci  faccia  sorridere  o  ci 
faccia  piangere  ;  sentiamo  nella  sua  calda  e  vivente  parola  quel 
non  so  cbe,  quell'  incanto  magnetico  che  si  subisce  e  non  si 
può  esprimere  né  analizzare  ne  discutere  :  quel  fàscino  insomma 
di  cui  solo  i  veri  poeti  hanno  il  segreto.  Solo  un  poeta  poteva 
descrivere  V  ultimo  incontro  di  Marcello  e  di  Lalla  al  campo- 
santo di  Napoli  in  Cuore  infermo  :  solo  un  poeta  trovare  quelle 
parole  di  Beatrice  al  marito  pentito:  u  Son  io,  la  tua  Beatrice, 
la  tua  sposa  ;  ho  la  mia  veste  bianca:  t'  amo.  n  Solo  un  poeta 
descrivere  il  torneo  di  scherma,  le  scene  dell'  educandato,  il 
parco  di  Caserta,  i  Bagnòli,  nel  nuovo  romanzo  Fantasia. 

Ma  r  immaginazione  che  fa  la  forza,  è  anche  il  debole  di 
certe  pagine  della  signorina  Serao:  l'immaginazione  le  nuoce 
talvolta  alla  precisione  dell'analisi,  allo  studio  dei  caratteri,  alla 
naturalezza  del  dialogo.  Il  dialogo  in  Fantasia  è  raro  e  scarso  : 
e  di  ciò  va  fatta  lode  piuttosto  che  rimprovero  all'autore;  il 
lungo  dialogo  annoia.  Ma  in  Fantasia,  come  già  in  Cuore  in- 
fermo, anche  quando  parlano  i  personaggi  meno  artificiosi,  vi 
è  qualche  cosa  di  artificioso  nel  loro  linguaggio  —  e  il  dialogo 

'  MA.TaDE  Serao,  Fantasìa,  romanzo.  —  Torino,  Casanova,  1883. 


FANTASIA.  731 

non  giova  quasi  mai  alla  descrizione  e  allo  sviluppo  dei  carat- 
teri, come  nei  romanzi  di  Thackeray  e  di  Giorgio  Eliot. 

Le  due  prime  parti  nelle  quali  è  descritto  lo  strano  carat- 
tere di  Lucia  Altimare  in  collegio,  la  fervente  amicizia  fra  lei 
e  la  buona  e  mite  Caterina,  le  torture  del  professor  Galimberti 
innamorato  dell'esaltata  scolara,  il  torneo  di  scherma  al  San- 
nazzaro  di  Napoli,  dove  Lucia  comincia  a  invaghirsi  del  forte 
e  prosaico  marito  della  sua  amica,  fino  ai  primi  segni  d' intel- 
ligenza e  di  passione  fra  loro  —  queste  due  parti  son  trattate 
da  mano  maestra. 

La  parte  ultima,  da  quando  i  due  adulteri  decidono  ai  Ba- 
<gn(jli  la  loro  fuga,  fino  alle  scene  finali  del  suicidio  di  Cate- 
rina, è,  sotto  ogni  aspetto,  ammirabile. 

Ma  la  terza  e  la  quarta  parte,  la  storia  cioè  dell'  adultero 
amore  fra  Andrea  e  Lucia,  ha  molte  inverosimiglianze  e  troppa 
monotonia.  Data  questa  combinazione  —  una  donna  tutta  arti- 
ficio, morbosa  fantasia  ed  egoismo  —  un  uomo  buono  e  schietto 
per  natura,  innamorato  de'la  propria  moglie,  con  poca  o  nes- 
suna coltura,  amante  piti  di  fucili  e  di  fioretti  che  di  libri  e  di 
giornali,  un  colosso  dalla  testa  leonina,  gran  cacciatore  e  scher- 
midore —  r  interesse  poteva  e  doveva  nascere  da  una  diligente 
analisi  delle  gradazioni  per  cui  un  carattere  come  quello  di 
Andrea,  sedotto  da  una  donna-sirena,  diventa  un  ipocrita  e  uno 
sdolcinato  galante.  Invcoe  qui,  tolto  un  accenno  nella  gita  a 
Roma,  non  e'  è  nessuna  lotta,  nessun  rimorso,  ne^uuu  grada- 
zione. La  trasformazione  è  improvvisa,  radicale,  contpleta:  tanto 
che  questo  Andrea,  più  che  irritarci,  ci  fa  sorridere  quondo 
parla  e  quando  agisce,  perchè  non  possiam  faro  a  meno  di  pa- 
ragonarlo a  quell'altro  Andrea  descrittoci  in  principio  del  libro; 
e  il  contrasto  è  cosi  violento,  che  talvultJi  diventa  comico. 

Egli  passa  le  notti  a  meditare  i  piani  per  dare  i  suoi  bi- 
gliottini  a  Lucia  protenti  la  moglie  ed  Alberto,  a  combinare 
falso  domande,  false  uscite,  discorsi  a  doppio  senso  —  passa 
delle  ore  intere  a  schersaro  col  ventaglio  e  col  fazzoletto  di 
Lucia,  a  u  contarle  i  cerchiolini  del  jtorUhonheur...  n 

Il  suo  linguaggio  è  talora  anche  più  précieux  di  quello  di 
Lucia  stessa;  egli  le  dirà  per  esempio:  <*  tu  nei  il  cuore  mio. 
la  mia  dolcezza,  il  mio  profumo,  r 

Quest'uomo  di  cui  anche  ora,  in  ju         |  ii<',  i  auton  (  i 

dice  che  u  amava  Lucia  e  la  voleva,  ut  t  •  i.i  .m  i.niciullo  8<*ii/..i. 
.•ottigliezie  metafisiche  e  senza  morbidezze  sensuali  n  quest'uomo 


732  FANTASIA. 

che  sale  gli  scalini  a  quattro  a  quattro  scuotendo  i  ricci  della 
criniera  leonina,  chiude  gli  occhi  estatico,  quando  Lucia  gli  porge 
sulla  punta  del  coltello  uno  spicchio  di  pera  in  cui  prima  essa 
ha  dato  un  morso  coi  suoi  dentini...  e  si  leva  di  notte  per  af- 
facciarsi al  balcone  e  mormorare  una  parola  d'  amore  a  Lucia 
che  dal  balcone  vicino  gli  getta  la  sua  sciarpa;  e  tornato  a 
letto,  li  accanto  alla  pura  sua  moglie  che  dorme  inconsapevole, 
passa  smaniando  la  notte,  e  si  avvolge  al  collo  e  alle  mani  le 
trine  di  quella  sciarpa,  e  se  la  tiene  sugli  occhi,  e  la  morde... 

Simili  cose  ci  appaiono  verosimili  se  logicamente  preparate, 
e  possono  interessarci  quando  le  fa  un  giovane  come  Roger 
nella  Fanny  di  Feydeau;  ma  in  un  carattere  come  quello  che 
l'autore  ci  aveva  descritto  di  Andrea,  o  disgustano  o  annoiano. 

Lucia,  che  ci  è  presentata  nella  prima  parte  del  romanzo 
come  una  natura  fantastica,  stravagante,  di  una  morbosa  sensi- 
bilità, e  che  è  così  vera  e  vivente  —  nella  parte  intermedia  del 
libro  passa  all'  esagerazione  di  tipo  convenzionale  e  di  carica- 
tura ;  e  parla  un  linguaggio  che  non  fu  mai,  ne  potrà  mai  esser 
parlato  da  nessuna  donna  su  questa  terra,  sia  pure  quanto  si 
voglia  fantastica  ed  esaltata. 

Dopo  che  nel  giardino  inglese,  presso  il  laghetto  di  Venere, 
ha  scambiato  parole  appassionate  con  Andrea  —  dopo  avergli 
detto  in  tono  di  funebre  presentimento  è  la  fatalità  ;  nell'atto 
di  separarsi  esclama:  u  0  cielo  lontano,  o  nuvole  che  passate, 
0  alberi  che  stormite,  voi  siete  testimoni  che  la  verità  io  gliela 
ho  detta.  0  salice  doloroso,  o  acque  immobili,  o  fiori  delle  acque, 
voi  avete  udite  le  mie  parole.  O  Venere  madre,  o  Venere  dea^ 
io  gli  ho  detto  l'avvenire.  O  Natura  che  non  mentisci,  vedi  che 
io  non  ho  mentito  :  è  lui  che  ha  voluto,  ri 

E  egli  possibile  che  un  uomo  di  buon  senso  come  Andrea, 
per  innamorato  e  inebriato  che  fosse,  ascoltasse  senza  ridere 
questa  quadruplice  apostrofe?  E  egli  possibile  che  restasse  serio 
sentendosi  dire  :  u  0  Andrea,  il  fuoco  è  migliore  della  neve,  il 
tormento  è  più  squisito  della  gioia,  il  morbo  è  pili  poetico  della 
salute?  n 

Anche  nei  momenti  più  scabrosi  del  colpevole  amore,  Lucia 
continua  le  sue  pratiche  religiose.  E  un  lato 'caratteristico,  stu- 
diato e  reso  bene  in  tutto  il  corso  del  romanzo,  della  morbida 
fantasia  d'una  italiana  meridionale.  Ma  nessuna  donna,  sia  pure 
fantastica  e  mistica  quanto  volete,  può  aver  mai  domandato  alla 
Vergine,  come  fa  Lucia:  u  ditemelo  voi.  Madonna  santa,  debba 


Fantasia.  733 

io  darmi  ad  Andrea?  n  —  Xè,  dopo  un  colloquio  nel  quale  è 
decisa  la  fuga  dei  due  amanti,  e  il  vile  abbandono  di  un  mo- 
ribondo e  di  una  innocente,  nessuna  femmina,  se  non  impazzata 
addirittura,  avrebbe  detto  come  dice  Lucia  trovando  chiusa  la 
porta  di  una  chiesa  dove  voleva  entrare  :  u  Dunque  anche  Dio 
lo  vuole.  O  Signore,  ricordatevene  nel  giorno  dell'  eterno  giu- 
dizio !  n 

E  se  l'esaltazione  della  fantasia,  un  po'  naturale  un  po'  col- 
tivata artificialmente,  può  bastare  a  spiegarci  le  raffinate  sedu- 
zioni, il  linguaggio  figurato  e  fiorito,  le  civetterie  lascive  e  cru- 
deli di  Lucia,  e  il  doppio  adulterio  e  la  fuga;  —  quando  però 
essa,  nell'atto  di  abbandonare  la  casa,  si  presenta  tutta  abbru- 
nata al  marito,  coperta  da  un  mantello  di  pelliccia  sotto  cui  na- 
scondeva le  mani  ;  e  interrogata  risponde  che  lì  sotto  ha  il  libro 
delle  preghiere,  il  velo  «  il  rosario  per  andare  a  far  la  comu- 
nione; e  sappiamo  che  ci  aveva  invece  lo  scrignetto  di  bril- 
lanti appartenuti  alla  sua  suocera...  allora  questa  donna  diviene 
troppo  odiosa:  il  disprezzo  uccide  ogni  interesse  :  e  la /an/a«ta 
non  basta  né  a  spiegare,  né  ad  attenuare  simili  infamie.  Questa 
è  una  donna  perfida  più  che  fantastica:  e  la  sua  strana  fisono- 
mia  ritratta  con  tanta  abilità  e  carezzata  con  tanta  compiacenza 
d'artista  in  tutto  il  volume,  prende  un'aria  sinistra,  da  vera 
corte  d'assise. 

Ma  se  Lucia  è  un  tipo,  una  incarnazione  simbolica,  un  ar- 
senale di  fantasie  e  di  perfidie  d'ogni  colore,  meglio  che  una 
vivente  creatura  umana;  se  Andrea  è  un  carattere  inverosimile 
e  illogico  nella  miracolosa,  improvvisa  fusione  di  due  nature 
contradittorie  —  le  due  figure  di  Caterina  e  d'Alberto  son  am- 
mirabili per  vita  e  per  verità.  Alberto  Sanna  è  una  creazione. 
H  uno  dei  più  viventi  caratteri  del  romanzo  contemporaneo. 


IL 

Nella  lunga  narrazione  •  nei  molteplici  e  troppo  consimili 
«pisodi  di  questo  amore,  tutto  fantasia  da  una  parte  e  tutto 
sensualità  dall'altra,  l'autore  ha  voluto  serbarsi  obiettivo,  calmo 
e  impassìbile,  e  non  interviene  mai  fra  i  suoi  personaggi  o  il 
lettore.  £  di  ciò  molti  gli  daranno  gran  lodo.  Io  noto  però  ohe 
alcune  pitture  son  talora  troppo  caldo,  troppo  arrischiate,  e  che 


734  FANTASIA. 

l'autore  sembra  insistervi  con  troppo  evidepte  compiacenza 
d'artista.  Le  descrizioni  di  raffinate  coquetteries,  di  mode  capric- 
ciose, son  troppe.  La  signorina  Serao  mi  rammenta  Balzac 
quando  si  diverte  a  vestire  e  spogliare  cento  volte  la  sua  per- 
fida e  bella  MarnefFe.  Ma  anche  Balzac,  è  tutto  dire,  finisce 
col  suo  guardaroba  di  cocotte  per  annoiare  il  lettore. 

William  Thackeray  che  ha  più  volte  descritto  caratteri  dr 
donne  capricciose,  fantastiche,  egoiste,  del  genere  di  quelli  di 
Lucia  —  Bianche  Amory,  per  citarne  una,  —  ha  qualche  volta 
un  cenno,  una  reticenza,  una  parola  umana  di  ironia  e  di  con- 
danna che  esclude  ogni  dubbio  di  complicità  e  di  approvazione- 
e  appaga  e  fa  bone  all'animo  del  lettore.  Questo  cenno,  questa 
parola,  non  mi  dispiacerebbe  di  trovarli  in  qualche  pagina  di 
Fantasia.  Sì  :  vorrei  trovarvi  espressa,  o  sottintesa,  ma  risultante 
dai  fatti,  l'idea  della  coscienza  e  della'responsabilità  umana: 
vorrei  escluso  affatto  il  sospetto  che  le  azioni  umane,  virtù  o 
delitto,  siano  dei  prodotti  come  il  vetriolo  e  lo  zucchero  ;  e  che 
la  libertà  umana  sia  una  favola...  ma  forse  tutte  queste  belle 
cose  che  io  vorrei,  l'autore  le  ha  a  bello  studio  evitate. 

Il  metodo  che  la  signorina  Serao  predilige  di  descrivere 
tutti  i  particolari  di  una  scena,  se  ha  dei  vantaggi,  ha  anche 
spesso  dei  gravi  inconvenienti.  La  sua  penna  si  arresta  troppo 
spesso  a  copiare  minuzie  e  curiosità  insignificanti  che  stancano, 
impazientiscono,  e  nocciono  all'effetto  totale:  talvolta  accade 
che  la  figura  su  cui  in  certi  momenti  dovrebbe  essere  concen- 
trata tutta  la  nostra  attenzione  è  offuscata  dalla  troppa  luce  e 
dal  soverchio  rilievo  dato  agli  oggetti  secondari. 

La  insistenza  descrittiva,  il  tener  conto  e  registrare  tutti  * 
moventi  esteriori,  mal  si  scusano  da  taluni  con  la  teoria  del 
metodo  sperimentale  applicato  al  romanzo. 

Romanzo  speìnmentale  son  due  parole  che  non  hanno  senso^ 
sono  un'assoluta  contradizione.  Perchè  una  vera  esperienza  fosse 
possibile,  bisognerebbe  che  il  romanziere  potesse  disporre  a  suo- 
talento  di  tutti  i  personaggi,  mettere  degli  esseri  umani  nelle 
condizioni,  nelle  disposizioni,  nei  luoghi  che  a  lui  paresse, 
quando,  quanto  e  come  a  lui  piacesse;  come  fa  lo  scienziato- 
nel  suo  laboratorio  sulla  materia  di  oggetti  passivi.  E  neppur 
questo  basterebbe.  Perchè  quand'anche  riuscisse,  cosa  impossi- 
bile, a  far  tutto  ciò,  non  riuscirebbe  mai  a  tenersi  strettamente 
entro  i  confini  della  osservazione  scientifica,  né  gli  basterebbe 


I 


FANTASIA.  735 

aver  foggiato  a  suo  modo  i  suoi  personaggi  —  perchè  il  modo 
col  quale  procederanno  sarà  sempre  un  modo  subiettivo  \  sarà 
sempre  1'  autore  che  prepara  il  campo  della  sua  esperienza,  e 
sostituisce  inevitabilmente  il  preconcetto  della  sua  mente  al- 
l'obiettivo esperimento  dei  fenomeni  che  si  manifestano.  Il  ro- 
manzo ha  per  base  non  l'esperienza  ma  l'osservazione  dell'uomo 
nelle  molteplici  varietà  della  vita  sociale. 

Cosi  nel  caso  nostro  quello  a  cui  bisognava  aver  dato  mag- 
giore importanza  era  il  momento  psicologico  della  trasformazione 
di  Andrea.  Descriverci  invece,  con  arte  singolare  e  molte  volte 
veramente  ammirabile,  tutte  quelle  scene  d'amore  diurne  e  not- 
turne, non  aggiunge  interesse  al  dramma.  H  continuo  annoia 
nella  vita  e  nei  libri.  Ciò  spieghi  la  irreparabile  caduta  della 
Education  sentimentale  del  Flaubert,  nonostante  tante  stupende 
pagine. 

Né  vi  è  in  natura  un  carattere  cosi  nettamente  delineato, 
cosi  preciso  e  assoluto,  che  parli  e  agisca  sempre  con  continua 
coerenza  e  monotona  somiglianza.  Uno  dei  grandi  pregi,  forse 
il  più  grande,  che  mette  i  romanzi  di  George  Eliot  incompa- 
rabilmente al  disopra  di  tutti  i  romanzi  naturalisti  contempo- 
ranei, è  la  mistura,  1'  armonica  fusione  nei  caratteri  dei  suoi 
personaggi  —  Silas  Mamer,  TulUver,  Deronda,  Adam  Bede, 
Maggie,  e  sopra  tutti  Grandcoar.  Anche  fra  i  più  famosi  per- 
sonaggi di  Dickens  p  di  Balzac  ve  ne  sono  alcuni  troppo  uni- 
formi, troppo  eguali  a  sé  stessi,  tutti  d'un  pezzo,  che  passano 
allo  stato  di  tipo  e  di  timholo.  W  lettore  può  indovinar  presso 
a  poco  che  cosa  diranno  o  faranno  tutto  le  volte  che  entrano  in 
scena.  —  Lucia  Altimare  è  mi  po'  parente  di  questa   famiglia. 


III. 

u  ...  Vi  concedo  che  la  trasformazione  di  Andrea  HJa  troppo 
subitanea,  ma  il  romanzo  ò  trattato  da  main  de  maUre  et  main 
de  /emme.  Solo  nna  donna  di  genio,  rimasta  donna,  poteva  de- 
scrivere certi  intimi  sentimenti  con  si  acuta  finesxa,  con  una 
delicatezza  così  squisita.  I  ritratti  respirano  ;  i  paesaggi  vivono 
in  questo  romanzo.  La  fine,  veramente  tragica,  è  cosa  indimen- 
ticabile. Vorrei  far  conoscere  la  Serao  a  Parigi:  non  v'  è  oggi 
scrittrice  in  Francia  che  la  valga.    Fantaiia  ò  paragonabile  ai 


736  FANTASIA. 

migliori  romanzi  francesi,  e  mi  pare  il  meglio  composto  e  il 
più  completo  romanzo  italiano  di  questi  ultimi  anni...  n 

Cosi  mi  scriveva  uno  dei  più  competenti  e  credibili  giudici 
ch'io  conosca  di  letteratura  contemporanea  —  e  benché  dalle 
sue  parole  traspiri  un  po'  di  fanatismo,  pure,  fatte  le  debite 
riserve  (e  io  ne  ho  fatto  anche  troppe)  sottoscriverei  a  quel 
giudizio. 

L'architettura  del  romanzo,  la  unità  e  semplicità  del  dramma, 
sono  ammirabili.  Il  colorito  e  la  vita  dello  stile,  la  originale 
poesia  che  anima  moltissime  pagine,  la  grazia  e  la  freschezza 
idillica,  la  verità  e  la  efficacia  di  tante  descrizioni  campestri  e 
domestiche,  il  patetico  ed  il  grottesco  fusi  con  si  felice  ardire 
e  con  si  magistrale  abilità  nell'  ultima  parte,  compensano  ì  di- 
fetti e  bastano  a  confermar  quel  giudizio. 

Se  dovessi  indicare  le  pagine  dove  Matilde  Serao  meglio  ci 
rivela  i  suoi  singolari  pregi  d'artista,  rammenterei  quelle  sulla 
vita  di  collegio,  il  torneo  di  scherma,  il  salotto  di  Lucia,  il  pa- 
lazzo di  Caserta,  i  Bagnòli...  Vi  sono  pagine  dov'  essa  breve- 
mente, incisivamente,  descrive,  scolpisce  una  situazione  —  e 
illumina  con  poche  parole,  talora  con  un  epiteto  solo,  certi  la- 
birinti, certi  abissi  del  cuore  umano.  Valga  un  esempio.  Lucia 
vorrebbe  illuder  sé  e  gli  altri  e  si  ligura  decisa  a  partire,  a 
guarire.  Va  a  dire  addio  a  Andrea  e  a  Caterina  che  non  sa 
nulla  e  soflfre  per  questa  separazione.  Lucia  fa  la  solita  comme- 
dia, dice  le  solite  frasi  vaporose  ed  imbellettate,  e  scappa  via 
singhiozzando. 

u  Marito  e  moglie  rimasero  soli,  1'  uno  in  faccia  all'  altra. 
D'improvviso  la  casa  parve  deserta  e  le  stanze  parvero  fossero 
diventate  immense.  Un  freddo  vi  piombava.  Caterina  si  chinò 
a  raccogliere  qualche  cosa  di  bianco  :  era  il  fazzoletto  di  Lucia; 
e  su  quel  fazzoletto  Caterina  si  mise  a  piangere,  chetamente, 
con  certi  lamentìi  di  bambino  a  cui  hanno  tolta  la  madre.  An- 
drea si  sedette  accanto  a  lei,  sul  divano,  le  appoggiò  la  testa 
sulla  spalla,  come  nel  tempo  antico,  e  pianse  anche  lui.  Due 
sole  lacrime:  bollenti,  brucianti,  sacrileghe,  n 

Questo  sacrileghe  dice  più  di  due  pagine  di  analisi  —  è  un 
epiteto  rivelatore. 

La  parte  più  notevole,  più  ammirabile  di  Fantasia  ai,  me 
pare  sia  l'ultima.  Quelle  ottanta  pagine  son  le  più  belle,  le  più 
vere,  certo    le  più  potenti,    che  Matilde  Serao  abbia  scritto  fi- 


FANTASIA.  737 

nora.  I  difetti  che  spesso  scemano  efficacia  al  suo  stile,  la  mi- 
nuzia nella  descrizione,  la  ricercatezza  della  frase,  certe  lun- 
gaggini, qui  sono  spariti.  Qui  tutto  è  preciso,  semplice,  vero,  e 
ogni  parola  ha  il  suo  esatto  valore  e  colpisce  giusto  nell'animo 
del  lettore.  I  più  minuti  particolari  acquistano  tutti  vera  im- 
portanza dalla  intensità  tragica  dei  sentimenti.  Una  mesta  e 
funebre  gravità,  un'aura  solenne  di  coro  greco,  accompagna  la 
povera  Caterina  in  tutti  i  preparativi  della  volontaria  sua  morte. 

Lucia  stessa  con  un  biglietto  le  ha  svelato  tutta  1'  orribile 
verità,  u  O  Caterina,  pietà  di  me,  o  Caterina,  abbi  compas- 
sione. —  Sono  un'  infelice.  Parto  con  Andrea.  Sono  una  crea- 
tura sventurata,  non  mi  vedrai  più.  Soffro,  spasimo,  parto, 
muoio.  Abbi  pietà  !  —  Lucia,  n 

La  grande,  suprema  difficoltà,  data  questa  situazione,  era 
di  conservar  la  verosimiglianza  nelT  analisi  dei  sentimenti  e 
nella  descrizione  dogli  atti  di  Caterina:  di  mantenere  questa 
mite  creatura  tutta  fede,  ordine  e  quiete,  eguale  a  sé  stessa  nel 
tumulto  della  tempesta,  evitando  il  declaro» torio,  il   teatrale. 

L'autore  ha  superato  trionfalmente  questa  difficoltà.  Con  un 
maraviglioso  intuito  di  poeta  e  di  donna,  essa  ha  visto  real- 
mente ciò  che  ha  descritto  —  Io  ha  visto  netto  e  distinto  come 
alla  luce  d'un  lampo;  e  però  lo  incide  incancellabilmente  nel 
cervello  e  nel  cuore  dei  lettori. 

Letta  la  lettera,  tre  e  quattro  volte,  Caterina  prova  per 
prima  cosa  un  senso  di  stupefazione  :  va  per  alzarsi  —  ma  il 
pavimento  le  ruota  sotto  i  piedi  :  cresce  il  capogiro,  le  fischian 
gli  orecchi,  una  luce  sfolgorante  l'abbaglia.  Le  par  di  morire... 

Aveva  ricevuto  poc'anzi  un  bigliettino  del  povero  Alberto 
che  in  modo  misterioso  ma  assoluto  la  supplicava  di  andar  su- 
bito da  lui.  La  carrozza  è  pronta,  ed  essa  vi  andrà.  Ripone  in 
tasca  la  lettera,  va  in  camera,  al  baio,  prendo  cappello  e  scialle, 
ma  non  §e  li  mette.,,  gli  porta  in  mano  anche  in    anticamera... 

—  Tornato  presto,  signora?  —  le  domanda  la  cameriera. 
Essa  la  guarda  trasognata  e  risponde: 

—  Si,  credo... 

Come  tutte  le  animo  rerginali,  cesa  h  stata  sempre  sobria  di 
parole:  ha  sempre  avuta  l'alta  virtù  del  silenzio  —  e  ora,  dalla 
lettura  del  biglietto  di  Lucia  al  momento  in  cui  si  distonde  sul 
letto  per  morire,  il  suo  linguaggio  si  fa  anche  più  conciso;  quasi 
monosillabico,    lia  og^i  sua  parola  ha  un  profondo  significato, 


738  FANTASIA. 

e  sottintende  un  mondo  di  cose  che  il  lettore  indovina.  Senza 
che  il  silenzio  esterno  sia  rotto,  quante  cose  l'infelice  dice  a  se 
stessa  !  Si  sente,  si  vede  il  tumulto  di  quell'  anima  finora  cosi 
tranquilla;  tutto  s'agita  e  parla  tempestosamente  dentro  di  lei, 
mentre  le  sue  pure  labbra  restano  immobili. 

Durante  il  tragitto  da  casa  sua  alla  casa  d'Alberto,  essa  ri- 
legge il  foglio  fatale. 

u  Aveva  posato  lo  scialle  e  il  cappello  dirimpetto  a  se,  e 
seduta  in  punta  al  cuscino,  senza  appoggiarsi,  teneva  ancora  la 
mano  sulla  lettera  in  saccoccia.  Dai  cristalli  abbassati  delle  por- 
tiere entrava  1'  aria  rigida Non  potè  resistere,  e  al  chiarore 

fugace  dei  lampioni  a  gas  rilesse  per  la  sesta  volta  le  parole  di 
Lucia.  Pel  moto  della  carrozza,  per  le  ombre  subitanee  che  suc- 
cedevano alle  luci,  le  parole  scritte  balzavano  avanti,  indietro, 
sotto,  sopra;  e  Caterina  se  le  sentiva  balzare  dentro  la  testa, 
urtando  la  fronte,  urtando  la  nuca,  battendo  alla  tempia  destra, 
battendo  alla  tempia  sinistra...  n 

Vien  fatta  passare  nella  camera  del  povero  tisico.  Dapprima 
è  un  silenzio  profondo,  u  Un  acuto  odore  di  medicine  saliva 
nell'aria,  n  Caterina  si  avanza  verso  il  letto  —  u  Alberto  vi 
giaceva  lungo  disteso  supino,  appoggiando  la  testa  e  le  spalle 
a  una  pila  digradante  di  cuscini.  Era  vestito,  ma  aveva  la  ca- 
micia lacerata  sul  petto  e  le  gambe  avvolte  in  uno  scialle  da 
donna.  Accanto  a  lui,  sul  tavolino  da  notte,  boccette,  ostie,  sca- 
toline rosse  di  pillole,  pacchetti  di  cartine  di  medicamenti  sven- 
trate. Spuntando  di  sotto  il  guanciale,  un  fazzoletto,  il  fazzoletto 

bianco  dove  lui  sputava Aveva  la  bocca  semiaperta  da   cui 

esciva  un  respiro  corto  e  lieve. 

Quando  vide  Caterina  gli  si  gonfiarono  gli  occhi  di  la- 
crime che  discesero  lente  per  le  guance  sparute  e  caddero  sul 
collo,  n 

—  Volete  un  pezzettino  di  neve?  —  gli  domanda  la  came- 
riera. 

Prende  il  pezzetto  di  neve,  congeda  la  donna,  —  e  i  due 
traditi  rimangon  soli,  faccia  a  faccia. 

—  Venite  più  vicina...  io  non  posso  alzar  la  voce...  potrebbe 
prodursi  una  nuova  emottisi. 

Ella  prende  una  sedia  e  gli  siede  di  contro,  con  le  mani 
incrociate  in  grembo. 

—  Avete  saputo,  eh? 


FANTASIA.  73^ 

A  lei  batterono  le  palpebre  due  o  tre  volte,  ma  non  trovò 
nulla  da  dirgli. 

E  qui,  nel  suo  egoistico  dolore  di  malato,  egli  versa  un  di- 
luvio di  loquaci  lamenti,  e  strazia  il  cuore  della  infelice  con  le 
più  spietate  rivelazioni. 

Lucia  ha  portato  via  i  brillanti  della  madre  di  lui,    ma  ha 

dimenticato  il  suo  giornale e  lì    Alberto    ha    letto    tutta    la 

cronaca  ignominiosa  del  tradimento,  e  tutta  la  propria  ver- 
gogna. 

—  Vi  dirò  tutto  :  ve  lo  racconterò  pian  piano.  11  medico  mi 
ha  raccomandato  di  non  sprecare  il  fiato.  Quando  mi  vedete 
troppo  eccitato  fermatemi. 

Uno  smarrimento  si  dipinse  sul  volto  della  donna  che  lo 
ascoltava:  ma  egli  non  ci  pensava. 

Ed  egli  le  naira  tutto,  provando  una  specie  di  voluttii  in 
questa  vergognosa  confessione. 

Ma  un  nodo  di  tosse  gli  impedisce  di  continuare,  u  Ansava, 
con  due  macchie  di  un  rosso-mattone  sui  pomelli.  t> 

Essa  tace.  Il  muto  dolore  della  dolce  creatura  è  come  una 
musica  senza  parole  di  Beethoven  :  e  1'  agonia  di  Alberto,  nel 
quale  l' istinto  di  conservazione  e  la  paura  della  morte  son  più 
forti  dell'amore,  del  dolore  e  della  gelosia,  di  questo  povero  ti- 
sico avviluppato  in  quello  scialle  da  donna,  fra  lo  boccette  e  le 
pìllole,  è  un  misto  di  paUtico  e  di  grottetco  di  una  straordina- 
ria efficacia. 

—  Che  pensate  di  fare,  voi,  signora  Caterina? 
Essa  si  riscosse,  maravigliata. 

—  Vi  chiedevo  che  cosa  farete,  voi. 

—  Niente  —  pronunziò  essa  gravemente. 

La  parola  desolata  si  allargò  nella  stanca  e  la  fece  parcrr' 
immensa. 

—  Credete  che  torneranno? 

—  No  —  disse  Caterina  rizsandosi  in  piedi  —  essi  non  tor- 
neranno mai  più. 

Quel  niente,  questo  no,  detti  in  tal  momento,  da  tal  dnTuii 
a  tal  uomo,  sono  dì  un'alta  belloxza  morale. 


740  FANTASIA. 


IV. 


Tornata  a  casa,  nella  deserta  sua  camera,  Caterina  sente 
u  un  insistente  bisogno  di  ombra  in  cui  cbinar  la  faccia  e  pen- 
sare, n  Smorza  il  lume  senza  spogliarsi.  Malgrado  l'oscurità,  vede 
il  biancore  del  letto  che  le  fa  spavento... 

Seduta,  l'una  mano  su  l'altra,  essa  riepiloga  tutto  il  passato 
in  una  rassegna  e  in  un  giudizio  inesorabilmente  precisi.  Come 
tutti  i  moribondi,  essa  vede  la  realtà  delle  cose  con  una  nuova 
e  terribile  chiaroveggenza. 

La  lunga  meditazione  di  questa  veglia  angosciosa  ci  dà  la 
chiave  dell'intero  romanzo. 

Caterina  ha  già  lo  sguardo  al  di  là  della  tomba,  e  perciò 
giudica  tutto  e  tutti  con  una  imparzialità  e  superiorità  infalli- 
bili. Ripensa  la  sua  infanzia,  la  vita  di  collegio,  l'incontro  con 
Lucia,  il  matrimonio,  gli  ultimi  avvenimenti.  —  Tutto  quello 
che  essa  aveva  amato  e  ammirato  nell'amica  e  nel  marito,  tutto 
quello  che  essa  aveva  non  inteso  o  scusato,  ora  le  ricomparisce 
in  una  limpidissima  luce  di  spaventosa  realtà.  Capisce  ora  tutti 
gli  artifici,  le  ipocrisie,  lo  spietato  egoismo  di  Lucia.  Ripensa 
al  suo  amore  per  Andrea,  amore  così  puro  e  cosi  tranquillo,  ai 
primi  giorni  felici  del  matrimonio,  alle  sue  lettere  di  casta  sposa, 
senza  declamazioni,  senza  frasi,  che  cominciavano  sempre  caro 
Andrea  e  finivano  semplicemente  la  tua  affezionatissima  moglie. 
Rifa  la  storia  del  tradimento  iniquo,  dal  fazzoletto  gettato  da 
Lucia  ad  Andrea  sul  palco  del  Sannazzaro  al  biglietto  annunziante 
la  fuga.  Rivede  e  giudica  le  quotidiane  simulazioni,  le  doppiezze, 
le  perfidie  di  lei  e  di  lui.  La  precisione  analitica,  geometrica, 
di  queste  pagine  è  una  delle  cose  più  notevoli  di  tutto  il  romanzo. 

Dopo  questa  meditazione,  dopo  questo  esame,  si  sente  che 
Caterina,  senza  un  aiuto  sovrumano,  non  potrà  sopravvivere.  Essa 
deve  sentirsi  come  insudiciata,  ammorbata  dal  contatto  dì  quei  due 
esseri,  che  pur  furono  le  due  persone  da  lei  più  amate  e  stimate! 
Essa  deve  avere  orrore  di  una  terra  dove  si  commettono  tali  infa- 
mie, dove  tali  onte  sono  possibili,  dove  l'amore  puro  e  innocente 
è  destinato  a  esser  deriso  o  tradito,  dove  le  donne  come  Cate- 
rina annoiano,  e  dove  trionfano  le  donne  come  Lucia. 

Decide  di  morire.  La  morte  sarà  la  sua  protesta  e  la  sua 
vendetta.  E  il  lettore  capisce  che  accanto  al  cadavere  di  Ca- 
terina sorgerà  Nemesi  vendicatrice... 


FANTASIA.  741 

u  Quando  spuntò  l'alba,  e  alla  luce  scialba  del  mattino  essa 
vide  il  letto  bianco,  teso  e  freddo,  mandò  un  grido  straziante 
che  non  parve  umano.  Si  buttò  a  braccia  aperte  dove  Andrea 
dormiva  sempre  e  pianse  sti  quella  tomba,  n 

Sistemate  tutte  le  faccende  domestiche  con  l'abituale  suo 
ordine  e  puntualità  (e  forse  in  tal  momento  le  sistemazioni  sono 
un  po'  troppe)  essa  u  staccò  dal  muro  di  cucina  dov'era  sospeso 
fra  le  casseruole  lucide  il  braciere  di  rame  dai  piedi  di  ottone 
foggiati  a  zampe  di  gatto.  Pesava:  per  poco  ella  non  si  arro- 
vesciò indietro.  Lo  posò  a  terra...  r»  —  e  qui  son  descrìtti  con 
fotografica  precisione  tutti  gli  atti,  tutti  i  movimenti  dell'infe- 
lice nel  trasportare  in  camera  e  riempir  di  carbone  il  braciere  — 
la  terribile  diligenza  con  la  quale  essa  dispone  i  tizzi  per  faci- 
litare l'accensione  —  le  cautele  con  cui  tura  ogni  spiraglio  della 
stanza  per  intercettar  l'aria.  In  questo  solenne  momento  ogni 
minuto  particolare  acquista  importanza  e  c'interessa  vivamente. 

Fatti  tutti  i  preparativi,  essa  prega.  Dice  le  sue  divozioni 
alla  Madonna  come  ha  fatto  tutte  le  sere  fin  da  bambina  —  una 
preghiera  lunga,  tranquilla,  senza  sussulti  o  trasalimcnti...   e  poi 

—  acceso  il  braciere,  e  sentita  la  prima  percettìbile  pesantezza 
alla  testa  —  spenge  il  lume  e  si  corica  sul  letto,  tirandosi  la 
tendina,  stendendosi  dove  sempre  dormiva,  ma  questa  volta  per 
non  destarsi*  più. 

La  narrazione  dei  preparativi  e  della  esccnziono  del  suici- 
dio di  Caterina  mi  rammenta  nella  sua  nuda  e  potente  efficacia 
certe  pagine  dei  primi  volumi  dei  Mùérablea  e  gli  tiltimi  capi- 
toli di  Oliver  Twist  e  di  Hard   Timet. 

La  descrizione  del  cadavere  è  semplice  e  pietosa,  u  Dietro  le 
tendine  bianche  era  distesa  la  piccola  morta.  Vestita  di  nero,  i 
piedi  distesi  e  uniti,  pareva  diventata  più  piccola,  una  bambina...  i 

Peccato,  che  la  descrizione  finisca  e  il  libro  si  chiuda  con 
queste  parole  :  u  Intorno  alle  mani  terreo,  dallo  dita  violacee, 
azzurreggiava  un  rosario  di  lapislazzuli    per  metà   spezzato,  n 

—  Il  lettore  rammenta  il  rosario  spezzato  in  duo  e  diviso  in  pe- 
gno di  etema  amicizia  fra  Lucia  o  Caterina  in  collegio.  Ora,  che 
la  infelice  si  addormenti  nel  sonno  eterno  con  quel  rosario  fra 
le  mani,  non  mi  pare  nò  naturalo  nò  bello.  Non  naturalo,  per- 
chè dopo  gli  ultimi  avvenimenti,  Caterina  dovea  aver  orrore  di 
ogni  ogge.,to  che  lo  ricordasse  l'amanto  di  suo  marito;  non  bello, 
perchè  quel  mezzo  rosario  ha  l'aria  di  essere  appiccicato  li  per 
un  «ffetto  finale. 


742  FANTASIA.. 

Se  l'autore  avesse  voluto  dire  con  questo  rosarino  messo  fra 
le  dita  della  morta,  che  Caterina  aveva  mantenuto  il  giuramento 
scambiato  con  Lucia  all'altare  della  Madonna  di  u  esser  pronte 
ciascun^  a  sacrificare  la  propria  felicità  per  quella  dell'amica, 
e  a  morire  l'una  per  l'altra  n  sarebbe  più  inverosimile.  Né  Ca- 
terina può  aver  pensato  a  commuovere  o  colpire  il  cuor  di  Lucia 
con  quest'ultimo  segno  :  essa  la  conosceva  ormai  e  la  disprez- 
zava troppo,  per  poterle  consacrare  l'ultimo  pensiero  e  l'ultimo 
atto  della  propria  vita. 

E  stato  anche  detto  e  scritto  che  una  donna  come  Caterina 
ò  incapace  di  uccidersi  a  quel  modo  —  che  il  suicidio  ripugna 
troppo  ai  caratteri  calmi  e  miti  come  quello  di  lei. 

Io  non  convengo  in  questo  giudizio  :  e  credo  anzi  che  fa- 
cendo la  statistica  dei  suicìdi  di  giovani  donne,  si  vedrà  che  il 
maggior  numero  è  di  quelle  che  si  distinguevano  p3r  mite  dolcezza 
d'animo  e  per  abituale  silenzio.  Le  romanzesche,  le  fantastiche, 
dicono  di  ammazzarsi  —  le  donne  come  Caterina  si  uccidono. 

Io  mi  ricordo  di  una  giovinetta  fiorentina  di  diciassette  anni, 
una  biondina  che  pareva  una  Madonna  dell'Angelico,  mite,  mo- 
desta, timida,  silenziosa,  la  quale,  abbandonata  iniquamente  dal- 
l'amante, ebbe  il  coraggio  di  levarsi  di  notte,  uscire  di  casa, 
traversare  la  città  e  andare  a  gittarsi  in  Arno  dal  ponte  alle 
Grazie  —  in  una  notte  di  novembre,  burrascosa,  in  cui  il  fiume 
gonfio  muggiva  e  ruggiva  contro  le  pile  del  ponte,  in  vortici 
spaventosi. 

Concludendo,  i^awtosia  a  me  pare  un  progresso  vero  dopo 
Cuore  infermo,  per  l'armonia  della  composizione,  la  unità  e  sem- 
plicità della  favola,  la  fisonomia  ed  il  rilievo  di  due  caratteri 
viventi  e  veramente  umani. 

La  lingua,  se  non  è  sempre  lodevole,  è  incomparabilmente 
migliore  che  in  Cuore  infermo:  lo  stile  è  più  sobrio,  e  in  ge- 
nerale è  più  franco  e  più  italiano  che  nel  primo  romanzo. 

Augusto  Franchetti  scriveva  nella  Nuova  Antologia,  a  pro- 
posito di  un  altro  romanzo,  che  u  la  lingua  italiana  e  la  vita 
italiana  sono  i  due  massimi  scogli  cosi  del  teatro  come  del  ro- 
manzo cont'^mporaneo.  Sia  lecito  credere  che  col  provare  e  ripro- 
vare, assai  meglio  che  col  discutere,  si  perverrà  a  superarli,  v 

Se  in  Fantasia  la  lingua  italiana  lascia  qualche  volta  a  de- 
siderare per  la  purezza,  è  però  sempre  viva  ed  efficace:  e  la 
vita  italiana  meridionale,  la  vita  napoletana,  vi  è  dipinta  con 
studio  accurato  e  con  abilità  straordinaria  d'artista. 


FANTASIA. 


743 


Insomma,  benché  Fantasia,  considerato  nel  suo  insieme,  non 
possa  dirsi  addirittura  un  capolavoro,  e  nonostante  i  difetti  dei 
quali  ho  diffusamente  parlato  in  questo  mio  studio,  a  me  pare 
che  sia  il  più  originale  e  il  meglio  architettato  fra  i  romanzi 
italiani  pubblicati  in  questi  ultimi  anni. 


Enrico  Nencioni. 


KASSEGNA  POLITICA 


Dimostrazione  di  simpatia  all'  Italia  —  Discussioni  a  proposito  del  disastro 
dell'isola  d'Ischia  —  L'insurrezione  spagnuola -^  Crisi  ministeriale  in 
Francia  —  L' Inghilterra  e  il  Madagascar  —  Il  richiamo  dell'ammiraglio 
Pierre  —  Il  Conte  di  Chambord  —  La  lettera  del  signor  Grevy  al 
Papa  —  La  questione  danubiana. 


Per  quanto  la  mente  nostra  cerchi  di  rivolgersi  ad  altri  argomenti, 
ancora  udiamo  i  gemiti  dei  feriti  e  de'  morenti  nella  catastrofe  del- 
l' Isola  d' Ischia,  e  ci  turba  la  vista  de'  superstiti  che  lottano  con  la 
miseria.  Ci  conforta  però  lo  slancio  della  carità  che  irresistibile  si  ma- 
nifesta ed  opera  prodigi  non  solamente  in  Italia,  ma  si  può  dire,  in 
tutto  il  mondo  civile,  dobbiamo  rallegrarci  delle  prove  di  simpatia  rac- 
colte in  questa  dolorosa  occasione  dal  nostro  paese.  Significano  esse  che 
davanti  ad  una  grande  sventura  cessano  gli  antagonismi,  e  i  rancori  che 
dividono  i  popoli  ne'giorni  felici.  Significano  che  la  pietà  non  è  virtù 
tanto  ignota  al  nostro  secolo  come  taluno  afierma.  Significano  finalmente 
che  r  Italia  riceve  anche  da  un  caso  sciagurato  una  solenne  conferma 
della  propria  nazionalità.  È  notevole  all'estero  questa  nobile  gara  per 
aiutarci  e  soccorrerci.  Ma  chi  ben  consideri  vede  sotto  questa  gara 
medesima  il  desiderio  vivo  ed  intenso  di  stringere  con  noi  più  saldi 
vincoli  d'amicizia.  Tolga  il  cielo  che  noi  diamo  un  aspetto  di  torna- 
conto politico  a  queste  premure  per  alleviare  i  danni  di  un  disastro.  I 
popoli,  al  pari  degli  uomini,  cedono  più  spesso  che  non  si  crede  agli 
impeti  della  generosità.  Ma  soddisfatto  questo  bisogno  del  cuore,  i  po- 
poli al  pari  degli  uomini,  si  preoccupano  necessariamente  degli  effetti 
della  buona  azione  compiuta,   e    collocano   questa    nella  bilancia  delle 


RASSEGNA   POUTICA.  745 

relazioni  internazionali.  Commovente  è  l'anione  di  tatti  i  partiti  in 
Francia  per  raccogliere  sottoscrizioni,  ordinare  feste,  valersi  di  tutti  i 
mezzi  e  gli  artifici  che  la  carità  suggerisce.  E  non  meno  importanti 
sono  le  manifestazioni  della  Germania  e  dell' Austria-Ungheria  dove  le 
Case  imperiali  e  i  governi  hanno  dato  esempio  di  magnanima  filantro- 
pia, contribuendo  per  somme  egregie  e  ponendosi  a  capo  de' comitati  e 
procurando  in  ogni  modo  che  questi  si  moltiplichino. 

Nella  larga  partecipazione  ufficiale  della  Germania  e  dell'  Austria- 
Ungheria  nei  soccordi  ai  danneggiati  dell'  Isola  d' Ischia,  è  impossibile 
non  vedere  una  novella  prova  delle  strette  relazioni  politiche  che  esi- 
stono fra  quelle  Potenze  e  l'Italia,  delle  quali  relazioni  abbiamo  discorso 
tante  volte  e  cosi  ampiamente,  che  oggi  ci  parrebbe  superfluo  tornarci 
sopra.  Solo  ci  piace  di  notare,  perchè  fu  avvertito  anche  da  altri, 
che  le  dimostrazioni  di  que'  Sovrani  e  di  que*  governi  in  favor  nostro 
coincidono  col  convegno  degli  Imperatori  Guglielmo  e  Francesco  Giu- 
seppe a  Ischi.  —  E,  quanto  meno,  possiamo  desumere  indirettamente 
da  esse,  che  a  Ischi  non  solamente  si  ò  rafTorxata  1'  alleanza  austro- 
germanica,  ma  fu  preso  nuovamente  atto  dell'adesione  dell*  Italia. 

Ma  non  altrettanto  confortante  (perchò  tacerlo?)  ò  ciò  che  avviene 
nel  nostro  paese,  dove  la  immensità  della  sciagura  da  cui  fummo  col- 
piti avrebbe  dovute  ravvÌTare  la  concordia  degli  animi  e  non  gìÀ  ina- 
sprire la  passioni  e  porgere  pretesto  a  polemiche  nelle  quali,  por  quanto 
si  cerchi  di  allontanarla,  vi  ò  pur  sempre  pericolo  che  si  mescoli  la 
partigianeria  politica.  Molto  si  discute  intomo  ai  provvedimenti  che 
furono  presi,  sovratatto  ne*  primi  giorni,  per  riparare  al  disastro.  Fu- 
rono inviati  abbastanza  tcllecitamente  e  in  numero  suffl^Monte  i  soc- 
corsi  ?  E  se  si  ebbero  a  lamentare  i  dannosi  ritardi,  se  nei  primi  mo- 
menti furono  grandi  rinoertessa  e  la  confusione  di  chi  è  la  colpa?  del* 
le  autorità  militari  o  delle  autorità  politiche  f  E  il  noto  ordine  delPono* 
revule  Ministro  de*  lavori  pubblici  di  sparger  la  caloe  su  CasamiocioU 
fu  bene  q  male  interpretato?  Su  questi  ed  altri  cosi  fatti  argomenti  ti 
disrute  acremente,  mentre  nell*  Isola  d*  Ischia  continuano  ancora  le 
scosse,  e  1*  Bpomeo  si  squarcia  e  gli  abitanti  sbigottiti  dormono  al- 
Farla  aperta  aspettando  ad  ogni  istante  un  cataclisma.  Non  entreremo 
anche  noi  in  questa  controversia,  intorno  alla  quale,  a  cose  quiete,  si  potrà 
fare  Itf  luce.  La  gravità  della  oatastroib  fu  tale  da  superare  ogni  umana 
previsione,  e  a  noti*  venire  In  niente  ohe  ricevutene  le   primo 

notizie  le  autorità  •!  -,  abbiano  dato  prova  di  negligenza.  In  tale 
caso  la  negligtrnta  dovrebbe  dirsi  cinismo.  La  questione  a  nostro  avTiso 

▼m..  XL.  twto  II  —  tS  A«orto  issa  4S 


746  RASSEGNA   POLITICA. 

sta  unicamente  nel  sapere  se  i  mezzi  che  avevano  a   loro    disposizione 
fossero  adeguati  all'uopo.  E  pare  che    su  questo   si  sia  tutti   d'accordo 
nel  riconoscere  che  erano  insufficienti;  ma  di  questa  insufficienza  di  ri- 
medi pronti,  numerosi,  energici   v'  è  qualcuno  che  debba  rispondere  al 
tribunale  dell'opinione  pubblica.  A  questa  domanda  si  potrà  rispondere 
a  tempo  opportuno.  E  lo  stesso  potrebbe  dirsi   dell'  incertezza  e   della 
confusione  che  regnarono    da   principio  e  che  erano  quasi    inevitabili 
prima  che  le  autorità  giunte  sul  luogo  del  disastro,    avessero  proso  i 
necessari  accordi  per  istabilire  quell'unità  di  direzione  che  sola  poteva 
dare  un  indirizzo  efficace  ed  utile  ai  lavori  di  salvataggio.  Comunque 
sia  ed  ammesso  che  tutto  non   abbia  proceduto  nel  modo  migliore,  si 
oltrepassa  certamente  il  segno,  quando    dai    deplorati  inconvenienti,  si 
vogliono  ad  ogni  costo  ritrarre  prove  contro    il   presente   ordinamento 
dell'esercito,   e  tristi  previsioni  per  la  sua   facoltà  di  mobilizzazione  e 
di  concentramento  in  caso  di  guerra.  Le  autorità  militari  si  difendono 
vigorosamente  su  questo  terreno,  ed  hanno  ragione  di  protestare  con- 
tro sospetti    che    spargerebbero    la   sfiducia  nel   paese    e  nell'  esercito 
stesso.  Però  se  a  noi  fosse  lecito  di  esprimere   un  voto  e   di  dare  un 
consiglio  diremo  che  forse  i  sospetti  sono  nati  dagli  scorsi  esperimenti 
di  mobilitazione  che  si  fanno  in  Italia,    dove  si  ha,  per   avventura,  il 
torto  di  non  mettere  più  spesso  alla  prova  gli  ordinamenti  militari  per 
vedere  se  tutti  i   congegni  de' medesimi  rispondano  al   proprio  ufficio. 
Non  sappiamo  se  le  accuse  da  noi  udite  in  questi    giorni,  avranno 
eco  in  Parlamento.  Ma  non  è  probabile   che,  a  novembre,  gli  uomini 
politici  se  ne  giovino  contro  il  Ministero,  il  quale  facilmente  respingerà 
gli  assalti.  La  polemica  che  si  è  impegnata  nella  stampa  non  avrà,  a 
parer  nostro,  conseguenze  parlamentari,  ma  lascia  dietro  di  sé  un  ma- 
lessere, un  malcontento,  una  irritazione   che   stranamente    contrastano 
con  i  prodigi  operati  dall'abnegazione  e  dalla  carità,  e  de'  quali  si  eb- 
bero saggi  luminosi  in  tutti  gli  ordini  della  società  incominciando   dal 
Capo   dello    Stato,  che  fedele  alle    tradizioni   della   sua  dinastia    volle 
essere  partecipe  de'  dolori  e  de'  pericoli  del   suo   popolo,    e    scendendo 
fino  ai  più  umili  gregari  della  forza  pubblica. 

Mentre  da  ogni  parte  d'Italia  sorgeva  un  grido  di  angoscia  e  di 
compianto  sulle  rovine  dell'  Isola  d' Ischia,  i  socialisti  e  i  democratici 
si  riunivano  a  Ravenna,  a  Bologna  e  nel  Veneto.  Ma  la  riunione  dei 
socialisti  convocata  a  Ravenna  fu  immediatamente  sciolta  dall'autorità, 
e  quantunque  abbia  tentato  di  raccogliersi  nuovamente  l' indomani, 
pure  non   riusci  allo   scopo  desiderato    dai    promotori    di  essa.  Questo 


RASSEGNA   POLITICA.  747 

congresso  doveva  condurre  alla  eonciliazione  fra  le  varie  sette  de' so- 
cialisti, fra  quelli  che  predicano  1'  evoluzione  e  quelli  che  il  trionfo  del 
loro  partito  invocano  solamente  dalla  rivoluzione.  Costoro,  si  disse,  dis- 
sentono (;uanto  ai  mezzi,  non  circa  il  fine,  il  quale  è  unico  e  comune  : 
rovesciare  non  solo  il  governo  esistente,  ma  distruggere  le  fondamenta 
del  presente  ordinamento  sociale.  Era  evidente  che  il  governo  aveva 
il  diritto  di  sciogliere  un'assemblea  che  si  riuniva  con  un  programma 
Siffatto.  E  poco  importava  che  i  socialisti  per  respingere  l' intervento 
della  polizia,  asserissero  di  tenere  una  riunione  privata,  poiché  il  loro 
programma  era  pubblico,  e  gì'  inviti  si  distribuivano  pure  pubblica- 
mento  a  chiunque  li  volesse.  È  lecito  dubitare,  però,  che  la  concilia- 
zione fra  gli  evoluzionisti  e  i  rivoluzionari  si  potesse  facilmente  con- 
seguire. Le  divisioni  che  travagliano  non  solamente  i  socialisti  ma 
r  intero  partito  che  comprende  tatti  i  nemici  delle  istituzioni,  si  sono 
fatte  pia  palesi  nel  congresso  democratico  di  Bologna,  il  quale,  come 
indicava  il  sao  titolo,  era  stato  convocato  per  raccogliere  in  un  fascio 
tutte  le  forze  della  democrazia  senza  distinzioni  di  grappi  o  di  chiese. 
Ma,  in  primo  luogo,  costoro  incominciano  dal  restringere  il  significato 
della  parola  democrazia,  eoUegando  necessariamente  qaesta  con  la 
forma  repubblicana  del  governo,  ed  esdadendo,  por  conseguenza  tatti 
coloro,  e  sono  molti  in  It^Uia,  che  reputano  conciliabili  le  conquiste 
della  democrazia  eoo  la  forma  monarchica  rappresentativa.  E  poi  vi 
sono  I  mazziniani  pari  che  serbano  incontaminati  gli  antichi  ideali,  • 
pure  inneggiando  alla  concordia  non  si  mescoleranno  mai  francamente 
ai  torbidi  elementi  che  della  S'Jci'^tA  politica  e  civile  hanno  un  concotto 
molto  diverso  da  quello  che  il  Mazzini  proclamava.  Nò  maggiori  sono 
le  affinità  tra  parecchi  altri  gruppi,  di  alcuni  de'  quali  basterebbe  dire 
che  discutono  senza  speranza  d*  intendersi,  sovra  un  punto  essenziale, 
se  cioè  sia  da  preferire  la  propaganda  lenta  oppure  l'azione  immediata. 
La  maggior  parte  delle  rappresentanze  intervenute  al  congresso  gene- 
rale di  Bologna  erano  romagnole,  e  quantunque  non  siamo  in  grado 
di  precisare  il  numero  di  questi  variopinti  democratici  che  confondono 
le  loro  divisioni  e  i  loro  rancori  nell'  odio  comune  della  Monarchia  di 
Casa  Savoja,  tuttavia  crediamo  di  non  andar  lungi  dal  vero  affcr- 
man^Io  che  per  due  terzi  appartengono  alle  Romagne.  Quivi  è  il  loro 
«jimrtier  generale,  quella  6  la  regione  d' Italia  dove  il  governo  ha  l'ob* 
bligo  di  dare,  con  sari  provvedimenti,  un  più  utile  indirizzo  alla  vigo> 
rosa  attività  de'  cittadini. 

Del  retto  gli  offett;    '  •'  ^  ngresio  bolognese  non    n 


748  RASSEGNA   POLITICA. 

da  ravvivare  le  inquietudini.  Esso  non  riesci  ad  altro  che  alla  nomina 
di  un  triumvirato  del  qual«  furono  chiamati  a  far  parte  il  Cavallotti, 
il  Bovio,  il  Costa.  I  (lue  primi  non  hanno  mai  dato  prova  di  sapere 
ordinare  e  {guidare  un  partito,  nonché  una  turha  così  irrequieta  come 
quella  dèi  deniocrafici  italiani  —  Sono  essi  i  retori,  ed  i  poeti  della 
democrazia,  e  certamente  le  loro  idee,  nel  campo  d"lla  pratica  non  si 
accordano  interamente  con  quelle  dell'  on.  Costa.  Quest'  ultimo  è  più 
abile  ordinatore,  ma  da  che  ha  consentito  ad  entrare  in  Parlamento  e 
ad  esercitare  il  proprio  man  'ato  senza  promuovere  scandali  e  tumulti^ 
ha  [lerduto  una  parte  dell'autorità  che  prima  esercitava  sopra  i  suoi 
correligionari,  presso  i  quali  l'aureola  dell'ammonito  aveva  maggior 
prestifjio  che  non  la  medaglia  del  deputato. 

Una  delle  cause  che  si  oppongono  ai  progressi  del  partito  repub- 
blicano in  Italia,  va  cercata  nella  cattiva  prova  fatta  dalla  forma  re- 
pubblicana presso  gli  altri  popoli  di  razza  latina.  Non  parliamo  della 
repubblica  dell'  America  spagnola,  dove  la  guerra  civile  è  lo  stato 
quasi  permanente,  ma  le  condizioni  della  repubblica  francese  non  sono 
invidiabili,  e  i  veri  liberali  non  possono  a  meno  di  biasimare  aspra- 
mente i  mezzi  adoperati  dai  repubblicani  in  Ispagna.  Non  abbiamo 
mai  creduto  che  la  penisola  iberica  fosse  terreno  propizio  alle  istitu- 
zioni schiettamente  liberali.  La  causa  delle  pubbliche  libertà  vi  si  con- 
fonde, troppo  spesso,  per  antica  consuetudine,  con  quella  delle  ambi- 
zioni personali  che  prima  traevano  profitto  dai  conflitti  dinastici  e  ora 
si  giovano  eziandio  delle  aspirazioni  repubblicane.  Il  metodo  rivolu- 
zionario in  Ispagna  è  sempre  lo  stesso.  I  mutamenti  di  governo  non 
sono  promossi  o  determinati  lalla  volontà  popolare,  ma  vengono  im- 
posti da  una  parte  dell'  esercito.  L'  esercito  portò  sul  trono  il  re  Al- 
fonso, l'esercito  tenta  di  rovesciarlo.  La  questione  è  di  sapere  in  quali 
proporzioni  il  popolo  spagnuolo  aderirà  al  movimento  e  quanti  reggi- 
menti insorgeranno. 

Il  ministero  Sagasta  si  è  lasciato  cogliere  alla  sprovveduta;  è 
certo  oramai  che  l' insurrezione  si  veniva  preparando  da  gran  tempo, 
le  impazienze  di  taluno  ne  aff'rettarono  imprudentemente  lo  scoppio,  e 
questa  sarà  forse  la  ragione  per  cui,  mancando  la  simultaneità  degli 
sforzi,  il  governo  riescirà  a  domarla.  Vasta  ad  ogiii  modo  era  la  con- 
giura che  si  estendeva  a  un  '  numero  ragguardevole  di  truppe  disse- 
minate in  vari  punti  della  penisola.  Il  governo  nulla  sapeva,  e  fu  sor- 
preso dal  pronunciamenio  di  Badajoz  come  da  un  colpo  di  fulmine. 
Il  re  si  preparava    ad    un    viaggio    in  Germania,  i  ministri    erano,  la 


RASSEGNA   POLITICA.  749 

maggior  parte  in  villeggiatura.  Se  il  minist<»ro  Sagasta  soffocherà  nel 
sangue  la  ribellione,  non  perciò  sarà  salva  la  sua  responsabilità.  Do- 
vrà rendere  stretto  conto  della  imprevidenza  rimpetto  ai  pericoli  che 
minacciavano  lo  Stato.  Il  re  Alfonso  aveva  profufato  di  avviare  la 
Spagna  all'esercizio  delle  libertà  costituzionali  I  primi  anni  del  suo 
r^no  furono  felici,  ed  ebbero  l'impronta  di  una  savia  p  )litica.  Il  mi- 
nistero conservatore  presieduto  dal  signor  Canovas  del  Castillo  seppe 
riparare  a  molti  mali  e  condurre  la  cosa  pubblica  con  mano  ferma. 
Giova  qui  rammentare  che  non  venne  rovesciato  da  un  voto  parla- 
mentare. Si  disse  un  giorno  che  il  Re,  in  omagjrio  alla  opinione  pub- 
blica sacrificava  i  suoi  ministri,  ma  l'opinione  pubblica  non  si  era  ma- 
nifestata in  alcuno  de' modi  legali  consentiti  dalla  costituzione.  Così, 
per  cause  che  rimasero  sempre  oscure,  i  conservatori  furono  costretti  a 
cedere  il  posto  al  partito  che  oggi  ancora  è  al  potere  II  sig.  Sagasta 
dal  quale  l' Italia,  ebbe  in  più  occasioni,  prove  di  amicizia,  commise 
l'errore  comune  a  un  gran  numero  di  liberali  doUrinari  di  erodere  alla 
possibilità  di  fare  entrare  nell'orbita  delle  istituzioni  i  ridicali  e  i  re- 
pubblicani. É  noto  che  qualche  mese  fa  si  parlava  di  unn  riconcilia- 
zione generale  e  se  ne  discutevano  perfino  i  termini.  I  fatti  di  Ba- 
<1ajoz,  di  Seu  d'Urge!,  di  Barcellona  distruggono  questo  illusioni,  quan- 
tunque una  pat1e  de'  repubblicani  dica  di  ditapprovarli.  La  qual  cosa 
prova  soltanto  che  anche  in  Ispagna  il  partito  repubblicano  è  diviso,  e 
■e  vinceste,  le  sae  discordie  si  farebbei^)  ancor  più  pHl**«ii.  I  Caittelar,  | 
Ruiz  Zorilla  dissenzienti  fra  loro  sarabbert}  in  breve  cotnbattuti  e  pro- 
babilmente sopraffatti  dai  socialisti  e  dagli  inturnazionalisti  assai  più 
forti,  in  Ispagna,  dei  repubblicani  puri.  Né  p«itrebbero  più  fare  asse 
gnaroente  sull'esercito  al  qaale,  affinchè  insorgesse  contro  il  Re  Al- 
fonso, si  ò  fatto  credere  che  il  primo  atto  d«lla  repubblica  dovesse  ea- 
•ere  l'abolizione  del  servizio  militare.  È  superfluo  il  dire  che  il  trionfo 
passeggero  degl'  internazionalisti  sarebbe  tosto  seguito  da  una  sfrenata 
reazione,  e  che  i  carliiti,  vinti  non  domi,  sarebtH-ro  sempre  pronti  a  oom- 
pierla,  o,  per  dir  meglio,  a  fiuvM*  gli  strutnenti  fino  a  che,  alla  lor 
volta,  non  venissero  scacciati  da  una  nuova  rivoluzione. 

Questo  sarebbe  l'avvenire  della  Spagna  se  il  movimento  presenta 
avesse  il  sopravvento  Finora  le  notizie  giungono  scamo  ed  incerta, 
aaaendo  il  telegrafo  nelle  mani  del  Governo,  che  ha  intereme  a  celare 
una  parte  della  verità.  Tutta  l'Europa  civile  fa  v<iti  afllnchè  il  re 
Alfonso  vinca  la  insurrezione.  Ma  chiunque  essa  vinHtore  da  quaato 
«onflitto  ne  va  di  mezzo  il  eredito  della  Spagna,  la  quale  perde  mise- 


750  RASSEGNA    POLITICA. 

ramente  in  pochi  giorni  i  frutti  acquistati  in  alcuni  anni  di  pace  e  di 
tranquillità.  Essa  aveva  domandato  di  essere  nuovamente  iscritta  nel 
libro  d'oro  delle  grandi  potenze,  e  pare  che  questo  fosse  lo  scopo  del 
viaggio  del  re  a  Berlino.  Molto  probabilmente  si  sarebbe  pure  aggiunta 
alla  lega  stretta  fra  la  Germania,  l'Austria- Ungheria  e  l'Italia.  Ora 
difficilmente  la  sua  nobile  ambizione  verrà  soddisfatta.  Si  pregia  dalle 
grandi  potenze  l'amicizia  dell'Italia  per  la  compattezza  e  la  disciplina 
del  suo  esercito,  vero  difensore  delle  leggi;  ma  che  cosa  può  speraro 
la  Spagna  che  nell'esercito  ha  solamente  l'autore  principale  delle  per- 
turbazioni che  la  sconvolgono  e  la  indeboliscono?  Molti  anni  dovranno 
passare  prima  che  l'impressione  e  gli  effetti  di  questi  sciagurati  pro- 
nunciamenti si  dileguino,  e  la  Spagna  riacquisti  la  fiducia  che  da 
molto  tempo  aveva  incominciato  ad  ispirare. 

Il  progetto  del  re  Alfonso  di  recarsi  in  Germania  ha  fatto  sorgere 
una  voce  a  prima  giunta  inverosimile,  cioè  che  ne'  preparativi  dell'in- 
surrezione spagnuola  abbiano  avuto  parte  i  repubblicani  francesi  per 
impedire  appunto  che  la  Spagna  venisse  accolta  nell'alleanza  dei  due 
imperi  e  dell'Italia.  La  lunga  permanenza  del  signor  Ruiz  Zorilla  a  Parigi 
ha  accreditato  queste  dicerie  che  a  noi  sembrano  sogni.  Comunque 
sia  la  Francia  dev'essere  lieta  che  diminuiscano  le  probabilità  di  un 
accordo  fra  la  Spagna  e  la  Germania,  e  non  aumentino,  in  tal  guisa, 
le  difficoltà  che  da  ogni  parte  la  circondano  poiché  è  chiaro  che  la 
Spagna  avrebbe  tentato  di  rivendicare,  tardi  o  tosto,  una  parte  del 
territorio  africano  e  di  ritornare  alla  sua  antica  politica  coloniale. 
Ma  posto  che  la  Francia  abbia  da  rallegrarsi  di  questo  pericolo  scam- 
pato, non  si  può  dire  che  un  notevole  cambiamento  sia  avvenuto  nelle 
sue  relazioni  colle  altre  potenze.  Dopo  l' impresa  di  Tunisi,  tutte  le 
altre  conquiste  da  lei  tentate  le  imposero  gravi  sacrifizi  di  uomini  e 
di  denaro  che  non  furono  compensati  da  alcun  frutto.  Un  indizio  degli 
ostacoli  che  le  rimangono  da  superare ,  lo  si  ha  nelle  dimissioni  del 
signor  Brun  dal  ministero  della  marina.  Il  signor  Brun,  assicurasi,  si 
è  ritirato  perchè  riteneva  indispensabile  pel  Tonkino  e  pel  Madagascar 
nuovi  crediti  che  i  suoi  colleghi  del  gabinetto  non  ebbero  il  coraggio 
di  chiedere  al  Parlamento.  Ma  accanto  a  questo  motivo  apparente  se 
ne  vuole  trovare  uno  recondito  e  ancor  più  delicato.  L'ammiraglio 
Pierre  che  comandava  la  spedizione  francese  al  Madagascar  e  contro  il 
quale  per  il  trattamento  inflitto,  durante  l'occupazione  di  Tamatava,  ad 
alcuni  sudditi  inglesi,  aveva  fatto  serie  rimostranze  il  signor  Gladstone, 
è   stato    costretto    a   ritornare   in    Francia  sotto  pretesto  di  malattia. 


RASSEGNA   POLITICA.  751 

Nessun  dubbio  che  il  Governo  francese  abbia,  col  suo  richiamo,  con- 
cesso al  gabinetto  inglese  la  chiesta  soddisfazione.  Poteva  restar  in 
ufficio  il  ministro  della  marina  che  aveva  pubblicamente  approvato  e 
lodato  l'ammiraglio  Pierre?  Noi  non  intendiamo  di  smarrirci  in  queste 
ricerche.  Il  ministero  francese  vive  una  vita  stentata,  né  certamente  gli 
giovano  le  concessioni  fatte  ai  radicali  con  la  funesta  legge  sulla  ma- 
gistratara,  che  può  dirsi  una  legge  di  proscrizione.  Si  avrà  dunque  una 
ecatombe  di  magistrati  per  assicurare,  dicesi,  l'avvenire  della  repub- 
blica, quasiché  questi  giudici  rimossi  dal  loro  ufficio  non  avessero  invece 
ad  accrescere  il  numero  de' suoi  nemici. 

Questo  continuo  a^annarsi  per  temute  insidie  é,  secondo  noi,  una 
prova  della  debolezza  delle  istituzioni  repubblicane  in  Francia,  le  quali 
pia  che  dalla  segreta  ostilità  di  qualche  magistrato  ricevono  danno 
dalle  poco  liete  condizioni  della  politica  estera.  La  repubblica  dovrà 
ora  superare  un'altra  prova.  La  morte  del  conte  di  Chambord,  rite- 
nuta imminente  mentre  scriviamo,  ridace  a  dae  le  dinastie  che  ambi- 
scono il  dominio  della  Francia.  Ma  i  bonapartisti  sono  più  che  mai 
dirisi,  mentre  gli  Orleans,  divenuti  eredi  legittimi  del  trono,  anche 
secondo  i  fautori  del  diritto  divino,  acquistano  T appoggio  di  tutto  il 
partito  legittimista,  e  quello  eziandio  di  molti  imperialisti,  i  quali  dispe- 
rando del  trionfo  del  bonapartismo  a  cagione  delle  sue  discordie,  si  con- 
tentano che,  per  opera  degli  Orleans,  si  ritorni  ad  una  politica  relati- 
vamente conservatrice.  Sotto  la  bandiera  degli  Orleans,  morto  il  conte 
di  Chambord,  ti  schiera  anche  il  clero,  quantunque  le  relazioni  fra  il 
governo  repubblicano  e  la  Santa  Sede  accennino  a  perdere  un  pò*  di 
«lUoH'asprezza  che  sverano  assunto  negli  ultimi  tempi.  Il  presidente 
(ire\y  ha  risposto  alla  lettera  indirizzatagli  dal  pontefice,  ma  pare 
ieciso  che  né  Tuno  nò  l'altro  di  questi  docomenti  verrA  fatto  di  pub- 
blica ragione.  Si  aasieora  però  che  la  risposta  presidenziale,  pur  dioh'a- 
rando  di  voler  mantenere  fermi  i  diritti  dello  Stato,  ha  un  tono 
«limesso  e  maoifesta  il  desiderio  di  non  inasprire  la  lotta  firn  lo  Stato 
medesimo  e  la  Chiesa.  Il  che  è  eonforaie  sU'indole  mite  del  Orevjr, 
ma  non  ha  una  grande  importanza,  per  chi  consideri  che  scarta  ò  la 
autorità  del  presidente,  il  quale  per  non  inimicarsi  una  parte  ragguar- 
devole del  partito  repubblicano,  ha  acconsentito  più  volte  t  transazioni 
che  gli  ripugnavano.  Il  signor  Qrevjr,  per  tsempio,  non  avrebbe  toc- 
cato la  magistratara,  ed  oggi  ancora  non  ha  promnlgato  la  legge  vo- 
tata dalle  Camere,  ma  la  promulgherà,  perché  al  punto  in  eoi  stanno 
le  cote  non  può  Ikre  altrimenti.  E  coti  pare  non  ò  in  poter  suo  il  fare 


752  RASSEGNA    POLITICA. 

notevoli  concessioni  nella  questione  religiopa,  per  quanto  egli  sia  per- 
suaso che  il  presente  stato  di  guerra  con  Roma  indebolisce  la  repub- 
blica, allontanando  sempre  più  da  lei  il  partito  cattolico,  numerosissimo 
in  Francia. 

Un'altra  questione  assai  più  grave,  perchè  d'indole  europea,  è  causa 
in  questi  giorni  di  preoccupazioni.  È  noto  che  furono  regolata  diplo- 
maticamente le  condizioni  della  navigazione  sul  Danubio,  ma  alle  de- 
cisioni prese  dai  rappresentanti  delle  potenze  riunite  a  Londra  non  ha 
mai  aderito  la  Rumenia  Ora  la  conferenza  di  Londra  è  stata  nuova- 
mente convocata  per  rendere  esecutive  le  già  prese  deliberazioni.  Si 
contenterà  la  Rumenia  di  protestare  prò  forma  e  riservando  i  suoi 
diritti,  ovvero  si  opporrà  colla  forza,  come  aveva  minacciato,  alla  so- 
luzione che  le  viene  imposta  dalle  potenze  ?  Non  crediamo  probabile 
che  si  appigli  a  quest'ultimo  partito,  per  quanto  essa  confidi  nelle  sim- 
patie di  qualche  Stato  che  volentieri  la  spingerebbe  a  risoluziuni  estreme. 
La  Rumenia  non  ne  dubitiamo,  cederà  anche  su  questo  punto,  come  ha 
ceduto  su  molti  altri.  Non  esiste  pertanto,  il  pencolo  di  un  conflitto  im- 
mediato per  la  controversia  danubiana.  Rimane,  ad  ogni  modo,  il  lie- 
vito di  passioni  male  spente,  e  la  questione  del  Danubio  va  ad  accre- 
scerne il  numero  di  quello  che  imperfettamente  risolute  tengono  vivo 
il  malcontento  in  Oriente  e  possono  rifarsi  vive  appena  se  ne  presenti 
l'occasione.  Per  ora  la  sanzione  che  si  dà  alle  deliberazioni  della  Con- 
ferenza è  una  nuova  vittoria  della  politica  orientale  dell'Austria  calda- 
mente appoggiata  dalla  Germania  e  favorita  anche  dall'  Italia,  che  in 
questa  delicata  questione  non  si  è  punto  scostata  dalle  sue  alleate,  ed 
ha  acquistato  in  tal  guisa,  un  nuovo  titolo  alla  loro  benevolenza. 

Roma,  15  agosto  1883. 

X. 


BOLLETTINO  FIN1N71\R10  DELU  QUINDICINA 


I>a  Banca  poptolare  di  Milano.  Sua  orìgine  e  srilappo  '— '  Mercato  monetario 
e  situazione  delle  principali  Banche.  Il  ribasso  dello  sconto  presso  il 
Banco  di  Sicilia  —  Movimento  delle  borse. 


E  ora  an  salato  ali*  Istitnto  principe  delle  Banche  popolari. 

La  Banca  popolare  di  Milano  sorse  col  nobile  intetfto  di  contri- 
baìre  a  redimere  le  classi  lavoratrici  col  mezio  del  credito  e  del  ri- 
sparmio.  Essa  cominciò  le  proprie  operazioni  li  25  gennaio  1860  con 
on  capitale  di  lire   Ventuette  mila. 

Un  grave  fatto  venne  a  darla  fino  dal  principio  un  vigoroso  im- 
palso.  Fa  Tav  veni  mento  del  corso  fortoso,  il  qaale  porse  occasione 
alla  Banca  di  mobiliuare  una  parte  dei  depositi  mediante  la  emissione 
di  buoni  di  casta  di  piccolo  taglio.  Questi  buoni,  nolla  maneansa  di 
biglietti  pìccoli  a  corso  fortato,  incontrarono  molto  favore  e  furono  un 
vero  benefizio.  La  stessa  Qiunta  municipale  di  Milano  stabilì  di  acoet- 
tarli  nelle  casse  civiche  fino  a  L.  50  (:er  ciascun  versamento. 

I  vantaggi  derivati  da  questa  deliberazione  aumentarono  il  credito 
della  Banca  e  la  fooero  conoioere  leropre  meglio.  I  soci  triplicarono  ; 
le  operazioni  crebbero  notevolmente  per  numero  e  per  impoKo. 

La  crisi  delPanno  1866  e  quella  degli  anni  1870-71  la  lasciarono 
incolume.  La  Banca  supero  (dlicemente  pur  quella  del  187.'),  derivata 
dalle  ebbrezze  della  speculazione  e  dai  deliri  del  credito,  ohe  sconvol- 
sero le  menti  più  calme  ed  aasennate.  E  fu  merito  de*  suoi  ammini- 
stratori i  quali  si  opposero  virilmente  ed  efflcacemonte  a  quelli  che 
tentarono  di  attrarre  i  titoli  della  Banca  nei  Tortici  della  Borsa. 


754  BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA. 

Il  rapido  sviluppo  della  Banca  e  la  entità  del  capitale  e  dei  depo- 
siti raccolti  da  essa  in  pochi  anni,  fecero  nascere  in  alcuni  l' idea  di 
promuovere  un  consorzio  a  responsabilità  limitata  fra  le  Banche  popo- 
lari italiane,  mettendovi  a  capo  una  Banca  centrale,  con  lo  scopo  del 
reciproco  aiuto  e  di  render  possibile  alle  Banche  l'assunzione  di  affari 
che,  restando  isolate,  non  avrebbero  potuto  intraprendere  per  ristret- 
tezza di  mezzi. 

L' idea  fu  accolta  in  massima,  ma  nell'attuazione  incontrò  difficoltà 
che  non  poterono  essere  superate. 

In  questo  stato  di  cose  la  Banca  popolare  di  Milano  volse  l'animo 
a  conseguire  quell'  intento  almeno  in  parte  agevolando  ed  estendendo 
i  rapporti  fra  essa  e  le  altre  Banche  consorelle.  Questa  idea  sorti  buon 
esito.  Gli  affari  con  le  Banche  corrispondenti  aumentarono  di  anno  in 
anno.  Da  un  giro  di  5  milioni  (1871),  andarono  man  mano  fin  oltre  i 
100  milioni  (1874);  poi  crebbero  sempre  più.  Nell'anno  scorso  il  giro 
degli  affari  giunse  fino  a  L.  216,663,996.  Nell'anno  1881  i  corrispon- 
denti con  la  Banca  erano  203,  così  ripartiti  :  Lomhai'dia,  31  ;  Veneto^  33; 
Piemonte  e  Liguria  44  ;  Italia  Centrale  60;  Provincie  Napoletane  17; 
Sicilia  5;  Sardegna  6;  Estero  5.  Nell'anno  1882  aumentarono  ancora 
al  numero  di>228.  1  corrispondenti  sono  quasi  tutti  Banche  popolari. 

La  Banca  concentra  ad  un  tempo,  e  sotto  unico  nome,  un  sodalizio  di 
mutualità,  una  cassa  di  risparmio  e  un  istituto  di  credito. 

Ma  le  rilevanti  somme  accumulate  presso  la  Banca  sotto  la  forma 
di  depositi  la  condussero  in  breve  ad  operazioni  che  non  furono  e  non 
sono  quelle  della  mutualità.  Non  mancarono  le  critiche;  anzi  abbiamo 
avuto  occasione  di  rileggerne  alcune  anche  di  recente.  Se  non  che 
l'Amministrazione  ha  risposto  che  «  le  grandi  combinazioni  s' impo- 
sero alla  Banca  come  una  necessità,  »  e  ha  dimostrato  che  fu  una 
necessità  benefica,  perchè  i  lucri  ricavati  da  esse  abilitarono  l' Istituto 
a  largire  il  fido  a  miti  condizioni  anche  negli  affari  di  tenuissimo  im- 
porto,, e  valsero  ad  elidere  le  perdite  delle  piccole  operazioni. 

La  Banca  non  ha  voluto  uscire  mai  dalla  sua  sede  di  origine.  Ma 
per  comodo  dei  soci,  per  favorire  il  risparmio  e  per  allargare  mag- 
giormente le  sorgenti  del  credito  ha  fondato  due  agenzie;  l'una  nel 
quartiere  di  Porta  Ticinese,  l'altra  in  quello  di  Porta  Garibaldi.  Esse 
vennero  aperte  li  14  marzo  1881  e  dipendono  in  tutto  e  per  tutto 
dalla  Sede  centrale. 


BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA.  755 

Amministrat,ione.  —  Potere  supremo  è  l'aduaanza  dei  soci  che  av- 
viene ordinariamente  in  ciascun  anno,  nella  prima  metà  di  febbraio. 
Ciascun  socio  ha  diritto  ad  un  sol  voto,  senza  riguardo  alla  quantità 
delle  azioni  possedute. 

L' Amministrazione  della  banca  è  deferita  ad  un  Consiglio  com- 
posto di  un  Presidente,  di  un  Vice-presidente  e  di  diciotto  Consiglieri 
eletti  fra  i  soci.  Essi  dorano  in  carica  due  anni. 

Un  Comitato  di  cinque  Sindaci  veglia  alla  stretta  osservanza  dello 
Statuto  e  dei  regolamenti. 

Un  altro  Comitato  composto  di  40  membri,  i  quali  funzionano  di 
tre  in  tre  per  turno  settimanale,  coadiuva  il  Consiglio  nelle  operazioni 
ordinarie  di  sconto. 

Alle  operazioni  straordinarie,  come  il  risconto  ad  altre  banche  ecc.. 
che  vengono  talvolta  chieste  anche  per  telegrafo,  provvedono,  occor- 
rendo, il  Direttore  e  il  Consigliere  di  turno,  regolandosi  sul  ca- 
stelletto. 

Per  le  contestazioni  che  possono  sorgere  fra  i  soci  e  l'ammiristra- 
zione  havvi  un  Comitato  di  tre  probiviri,  od  arbitri,  eletti  dall*  adu- 
nanza generale  dei  soci  e  rinnovabili  in  ciascun  anno. 

Uno  speciale  Comitato  di  50  membri  scelti  dal  Consiglio  fra  le  rap- 
presentanze delle  diverse  SocietA  di  matuo  soccorso  cittadino  attende 
all'esame  delle  domande  per  concessione  dei  prestiti  saironore. 

Presso  le  due  agenzie  della  Banca  in  Milano  stanno  due  speciali 
Comitati  scelti  dal  Consiglio,  i  quali  hanno  rincarìco  di  dare  notizie 
intorno  ai  recapiti  cambiarii  presentati  sia  all'una  sia  all'altra. 

La  esecuzione  delle  deliberazioni  dell'adunanza  dei  soci  e  del  Con- 
siglio ò  affidata  ad  un  Direttore.  Il  quale  ranoresenta  la  lìanca  noi 
rapporti  coi  terzi. 

Soci —  ((,,  ,(i  capitale  r  riserva.  —  Le  persone  ammesso  come 
azionisti  dalla  .liit.i  .IclT  impianto  a  tutto  l'anno  IH82  furono  N.  LM.IOO 
per  N.  157,832  azioni. 

Fino  al  1870  l'aromiMiono  dei  soci  dipese  unicamente  dall'  appro. 
razione  del  Consiglio.  Ma  nel  febbraio  1877,  l'Adunanza  degli  azionisti, 
redola  la  straordinaria  sottoscrizione  di  azioni  da  parte  di  persone 
mosse  soltanto  dal  desiderio  di  Uuti  dividendi,  eseloie  da  essa  i  mino- 
renni, gì'  interdetti  e  gì'  inabilitati. 

A  rimuovere  i  seni  imbarazzi  che  potevano  derivare  alla  Banca 
da  un  rapido  aumento  del  capitale  furono  presi  dai  soci  varii  prorve- 


756  BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA. 

diraenti.  Nell'adunanza  del  4  febbraio  1872  venne  stabilito  che  non  si 
avessero  a  concedere  più  di  5  azioni  all'anno  per  persona;  poi,  nell'adu- 
nanza del  9  febbraio  1873,  la  sottoscrizione  alle  azioni  venne  linoitata 
ad  una  sola  azione  all'anno  per  persona.  E  poiché  neppur  ciò  valse  al- 
l'intento r  Adunanza  del  26  maggio  1878  votò  la  norma  ancora  vi- 
gente, secondo  la  quale  nessuno,  socio  o  non  socio,  può  ottenere  diret- 
tamente dalla  Banca  più  di  un'azione  ogni  cinque  anni. 

Furono  anche  posti  vincoli  al  concentramento  delle  quote  sociali,  e 
istituite  diverse  categorie  di  titoli,  ma  tutte  col  diritto  allo  stesso  di- 
videndo. Così  vi  hanno  azioni  le  quali,  salvi  i  casi  di  eredità,  assegno 
giudiziale  e  fallimento,  non  possono  essere  ced'ite  se  non  dopo  cinque 
anni  da  quello  della  emissione. 

Il  valore  originario  delle  azioni  fu  quello  nominale  di  L.  50.  Dopo 
il  1871,  compito  il  fondo  di  riserva,  il  prezzo  dell'azione  fu  di  L.  71 
pagabili  anche  in  rate  mensili  non  minori  di  una  lira. 

Alla  fine  del  primo  anno  di  esercizio,  il  capitale  della  Banca  venne 
segnato  nell'importo  di  L.  217,700.  Alla  fine  dell'anno  1882  adeguò 
la  somma  di  L.  7,780,250.  Il  fondo  di  riserva  crebbe  da  L.  7,902  18 
fino  a  L.  3,314,472.  Di  queste,  L.  1,935,000  appartennero  alla  riserva 
ordinaria  e  L.  1,379,472  a  quella  straordinaria,  fatta  per  i  rischi 
eventuali  della  operazione  dei  buoni  fiduciari  e  mantenuta  fino  a  tutto 
l'anno  1880  agli  effetti  della  legge  del  30  aprile  1874.  Compita  la 
prescrizione  dei  buoni  non  presentati  al  rimborso,  gli  utili  derivanti 
dai  buoni  dispersi  vennero  ripartiti  a  metà  fra  la  Banca  e  il  pubblico 
Erario.  Ma  l'amministrazione  e  gli  azionisti  deliberarono  concorde- 
mente che  la  parte  degli  stessi  utili,  rimasta  alla  Banca,  dovesse  an- 
dare ad  aumento  della  riserva,  anche  per  la  convenienza  di  mantenere 
alto  il  credito  acquistato.  Cosi,  al  presente,  la  riserva  ragguaglia  la 
metà  del  capitale  sociale. 

Alla  fine  dell'anno  1880  i  soci  aventi  diritto  alla  sottoscrizione  di 
un'azione  nel  quinquennio  1881-85  erano  n.  12,771.  Ciò  viene  a  dire 
che  la  sottoscrizione  di  nuove  azioni  nello  stesso  tempo  non  potrà  in 
verun  caso  oltrepassare  la  cifra  massima  di  n.  12,771  azioni. 

L'importo  medio  delle  azioni  possedute  da  ciascun  socio  alla  fine 
dell'anno  1882  fu  di  10  e  mezzo  circa,  che  rappresenta  la  comparteci- 
pazione media  al  capitale  ed  alla  riserva-  di  L.  745  97. 

Operazioni  ammesse.  —  La  Banca  incominciò  con  tre  operazioni  : 
far  'prestiti  ai  soci  —  scontarne  le  cambiali  a  scadenza    di    non  oltre 


BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA.  757 

3  mesi,  ricevere  depositi  aprendo  un  conto  corrente.  Poi  vi  aggiunse 
la  mobilizzazione  dei  depositi  mediante  buoni  fiduciari,  remissione  di 
assegni  sulle  principali  banche  popolari  e  il  servizio  dei  depositi  a 
custodia. 

Furono  anche  ammesse  le  sovvenzioni  con  pegno  su  valori  pub- 
blici e  su  obbligazioni  di  società  commerciali  ed  industriali,  e  gli 
sconti  di  cambiali  aventi  una  scadenza  fino  a  tei  mesi.  Nel  novem- 
bre 1871  venne  ammessa  una  nuova  categoria  di  depositi  in  numera- 
rio rappresentati  da  buoni  fruttiferi  a  scadenza  fissa. 

Le  operazioni  dovevano  esser  fatte  con  i  soli  soci,  ma  le  forti  gia- 
cenze di  cassa  e  la  impossibilità  d*  impiegarle  nelle  operazioni  con  i 
soli  soci,  condussero  l'adunanza  degli  azionisti  a  deliberare  che  «  le 
somme  esuberanti,  dopo  sodisfatte  le  operazioni  principali  della  Banca, 
potessero  essere  impiegate  in  sconti  di  cambiali  anche  di  non  soci  di 
notoria  solidità,  aventi  almeno  due  firme  ed  una  scadenza  di  non  ol- 
tre tre  mesi;  c<  me  pure  nell'acquisto  di  buoni  del  Tesoro  e  Munici- 
pali. La  deliberazione  fu  presa  nel  dicembre  1871. 

Nell'anno  1875  vennero  inaugurate  queste  altre  operazioni  :  remis- 
sione di  mandati  con  cedola,  quella  de*  libretti  a  risparmio  al  porta- 
tore o  nominativi  e  quella  dei  depositi  amministrati. 

La  prima  operazione  non  incontrò  nelle  simpatie  del  pubblico  ed 
ebbe  ostacoli  inaoperabili  nella  disposizioni  della  legge  del  30  apri- 
le 1874.  La  terza  per  il  forte  lavoro  e  i  perìcoli  che  recava  alla 
Banca,  venne  in  breve  lasciata  da  parte.  La  seconda  soltanto  ebbe  un 
esito  fortunato. 

Nello  stesso  anno  1875  fa  pure  stabilito  che  la  Banca  assameiee 
r  incarìco  éeìV acquisto  e  della  vendita  di  titoli  di  credito  per  conto 
di  terti  verso  una  provvisione  ;  e  aooettasee  cambiali  per  V  etatiotu 
anche  se  presentate  da  non  soci. 

Neir  anno  successivo  vennero  ammeaie  le  operazioni  di  sconto  e 
sovvenzione  dette  note  di  pegno  (warrants). 

Finulmente  nell*  anno  1878.  furono  aggiunte  allo  altre  operazioni  i 
mutui  ipotecari  fino  al  quarto  del  capitale  sociale  e  le  anticipaxioni  sa 
titoli  inluntrinli  e  so  merci  e  derrate. 

Venne  anche  la  propoeta  dt^lle  operazioni  di  ca8to<lia  delle  sete  e 
dolio  sovvenzioni  su  questa  merce;  ma  la  mancanza  di  locali  adatti, 
lo  forti  >«|.  •  (\AV  impianto  e  i  pericoli  creati  alla  validità  AA  pegno 
duU'ur  t  r^.',5  del  C<>«iice  di  Commercio  perraasero  il  Consiglio  di  procra- 
stinarne Tattuaiione. 


758  BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA  QUINDICINA. 

Gl'impedimenti  legali,  com'è  noto,  sono  stati  tolti;  ma  non  sap- 
piamo che  r  amministrazione  abbia  preso  altra  deliberazione  su  ciò. 

Le  operazioni  della  Banca  sono  ordinarie  e  straordinarie.  Le  prime 
vengono  fatte  unicamente  con  i  soci  ;  le  seconde  sono  quelle  che  la 
Banca  fa  con  i  non  soci  per  non  lasciare  inoperose  le  esuberanze  dei 
capitali. 

La  disposizione  di  non  concedere  un  fido  maggiore  di  L.  5000,  at- 
tuata due  volte,  fu  altrettante  volte  revocata.  La  Commissione  di  sconto 
non  ha  verso  i  soci  altre  norme  all'  infuori  di  quelle  suggerite  dalla 
prudenza. 

Le  operazioni  straordinarie  di  sconto  sono  soggette  a  limiti  di  per- 
sone e  di  cifre.  Il  risconto  è  conceduto  solamente  alle  Banche  popolari 
0  ad  altre  istituzioni  di  credito,  oppure  a  persone  o  ditte  le  quali  sieno 
inscritte  nel  castelletto  della  Banca, 

Il  castelletto,  o  assegnazione  di  fido,  è  deliberato  da  una  speciale 
Commissione  di  15  membri  scelti  dalla  Presidenza  in  seno  al  Consiglio 
ed  al  Comitato  di  sconto. 

Operazioni  fatte  a  tutto  Vanno  1882.  —  Prestiti  e  sconti.  Dall'anno 
1866  a  tutto  l'anno  1882,  i  prestiti  e  sconti  fatti  dalla  Banca  a  soci 
e  non  soci  ammontarono  a  L.  1,017,502,546.49. 

Prima  del  1866  i  recapiti  cambiari  di  tenue  importo  non  trovavano 
il  risconto  presso  i  banchieri  più  onesti  se  non  ad  un  saggio  fra  il  6 
e  il  9  0[0,  oltre  una  provvisione  che  lo  faceva  ascendere  bene  spesso 
al  10  ed  anche  al  15  OjO. 

È  merito  della  Banca  lo  avere  per  la  prima  fatto  sparire  ogni  dif- 
ferenza nelle  condizioni  dello  sconto,  pareggiando  sotto  questo  riguardo 
i  recapiti  di  minore  importo  a  quelli  che  rappresentano  somme  cospicue. 

Ma  gli  atti  dai  quali  togliamo  questi  cenni  ricordano  con  beneme- 
renza anche  il  benevolo  e  costante  appoggio  che  la  Banca  popolare  ha 
trovato  nella  Banca  Nazionale.  Questa,'riscontando  i  recapiti  della  prima 
quasi  in  limite  di  scadenza,  fa  a  vantaggio  della  Banca  popolare  un 
vero  servizio  di  cassa,  non  scevro  di  pericoli,  il  quale,  le  procaccia  il 
risparmio  di  spese  non  indiflferenti. 

Il  saggio  fatto  per  i  prestiti  e  per  lo  sconto  è  variato  fra  un  mas- 
simo del  7  0[o,  praticato  nel  primo  esercizio  della  Banca,  ed  un  mi- 
nimo del  4  1^2  che  è  stato  il  saggio  praticato  nel  triennio  1879-1880- 
1881  fino  agli  11  di  novembre  dell'  ultimo  anno.  Ma  dopoché  venne 
ammesso  lo  sconto  dei  recapiti    con    scadenza  fino  a  6  mesi    (febbraio 


BOLLETTINO   FINANZLVRIO   DELLA   QUINDICINA.  759 

1671)  furono  adoperati  due  saggi;  l'ano  pei  prestiti  ai  soci  e  per  le 
cambiali  fino  a  4  mesi,  l'altro  per  i  recapiti  da  4  a  6  mesi,  che  sor- 
passarono il  primo  di  1|2  0[0  e  anche  soltanto  di  1^4.  Dacché  gli  Isti- 
tuti di  emissione  portarono  lo  sconto  al  5  0|q.  il  saggio  fatto  dalla 
Banca  venne  stabilito  nella  ragione  del  5  lj4  o  del  5  1|2  secondo  la 
s-^adenza. 

Le  perdite  sofferte  dalla  Banca  nelle  openizioni  fatte  non  sono 
state  di  molta  entità.  Nel  corso  di  15  anni  ha  perduto  L.  116,963.39 
che  ragguagliano  centesimi  14  per  ogni  mille  lire  di  credito  largito. 
Nell'anno  1881  la  perdita  è  stata  di  L.  21,437,  in  ragione  di  circa 
21  centesimi;  nel  1882  il  ragguaglio  ò  salito  a  circa  41  centesimi. 

Recapiti  alCincasso,  —  I  recapiti  presentati  alla  Banca  per  la  esa- 
zione dai  soci  e  non  soci  ammontarono  a  L.  116,(561,968.26. 

Sovvenzioni  contro  pegno.  —  Le  sovvenzioni  contro  pegno  ascesero 
a  L.  109,300,497.26. 

La  ragione  dell'interesse  d  variata  fra  un  massimo  del  7  1|2  nei 
momenti  di  maggior  crisi  ed  od  minimo  del  4  0{q. 

Depositi  a  custodia.  —  Il  movimento  dì  qnMti  depositi  dall'anno 
1870  all'anno  1882  adegoò  l'importo  di  L.  166,528.718.79.  La  Ranca 
accetta  depositi  aperti,  depositi  chinsi  e  depositi  con  cassette.  Questi 
aitimi  offrono  speciali  agevolezze  ai  depositanti  ^  tendono  in  sostanza 
ad  escludere  gl'involti  che  vanno  soggetti  inevitabilmente  ad  alterazioni. 

Depositi  in  x  >.  Conti  correnti.  —  Il  conto  corrente  mobilizzato 

dall'assegno  par  aato  a  fiir  divenire  quest'ultimo  il  vero  titolo  fidu- 

ciario delle  Banche  popolari.  Ma  questo  8co[>o,  in  riguardo  al  passato, 
fu  oonsegoito  solamente  in  parte,  avendovi  fatto  ostacolo  anche  la  ra- 
gion fiscale  che  tolse  all'assegno  la  qualità  di  essere  trasmesso  per  gi- 
rata. La  legge  del  7  aprile  1881  e  le  disposizioni  saooessive  hanno  va- 
riata questa  condizione  di  cose;  perciò  è  da  desiderare  ohe  l'uso  dello 
assegno  si  estenda,  e  che  questo  posta  essere  adoperato  nelle  diverse 
forme  nelle  quali  serve  mirabilmente  presso  le  nazioni  più  avanzate 
nel  movimento  bancario. 

La  Banca  adunque  sostitn't  l'assegno  con  una  ricevuta  che  fa  ann 
;  rodozione  del  rrr^itsé  francese. 

Al  versamento  dello  somme  in  conto  corrente  non  fu  ini|>osto    mai 


760  BOLLETTINO   FINANZIARIO    DELLA   QUINDICINA. 

alcun  limite  ;  invece  i  rimborsi  furono  regolati  con  speciali  norme.  Quelli 
a  vista,  dal  marzo  1874  in  poi,  possono  essere  chiesti  fino  a  L.  500O; 
ma  se  lo  stato  delle  casse  Io  consente,  possono  essere  accordati  anche 
per  somme  per  le  quali  sia  necessario  un  preavviso.  Questa  specie  di 
depositi  è  stata  ammessa  col  principio  dell'anno  1882  anche  presso  le 
Agenzie  ;  ma  i  prelevamenti  a  vista  su  queste  ultime  sono  consentiti 
fino  a  L.  2000. 

I  depositi  fatti  dall'anno  1866  a  tutto  l'anno  1882  furono  n.  194,099, 
per  L.  688,448,059.15.  con  una  media  di  circa  L.  3500.  I  rimborsi  fu- 
rono n.  283,079,  per  L  672.525,9^9,  con  una  media  di  L.  2300  circa. 

Le  rimanenze  annuali  sono  avvenute  come  segue: 


1866--67 

L.    341,521.63 

1874 

L. 

12,883,472.13 

1867-68 

670,150.69 

1875 

12,549,929.66 

1868 

»   1,022,143.42 

1876 

13,481,854.41 

1869 

»   1,420,693.14 

1877 

17,040,137.60 

1870 

»   2.903,471.56 

1878 

18,470,198.77 

1871 

»   8,096,843.93 

1879 

14,462,511.01 

1872 

»  10,226,339  22 

1880 

13,547,851.32 

1873 

»   8,451,065.16 

1881 

14,988,059.89 

1882 

16,922,118.95 

Questo  stato  dimostra  che  il  numero  dei  depositi  ha  avuto  un  con- 
tinuo aumento. 

Depositi  a  risparmio.  —  I  depositi  a  risparmio  incominciarono  con 
l'anno  1873.  D'allora  in  poi  furono  n.  380,372,  per  L.  462,470,042.  La 
media  di  questi  depositi  dall'anno  187S  a  tutto  il  1880  adeguò  l'importo 
di  L.  1301.37;  nell'anno  successivo  fu  di  L.  14,620;  nell'anno  1882,  di 
L.  16,038. 

I  rimborsi  sugli  stessi  dppositi  furono  N.  380,372,  per  L.  427,051,044, 
con  una  media,  fino  a  tutto  il  I8;i0,  di  L.  973,44.  L'importo  medio, 
relativo  all'anno  1881,  fu  di  L.  13,233,79;  quello  relativo  all'anno 
appresso  fu  di  L.  13,789.  La  rimanenza  dei  depositi  per  l'ultimo  anno 
fu  di  L.  26.236,033;  la  media  annuale  dei  libretti  adeguò  l'importo  di 
L.  1,858,20. 

I  libretti  rappresentativi  dei  depositi  sono  di  due  specie  ;  Y  una  è 
dei  libretti  pagabili  al  portatore,  l'altra  è  dei  libretti  pagabili  al  solo 
titolare.  Fruttano  l'interesse  di  li2  percento  oltre  quello  stabilito  per 
le  somme  versate  in  conto  corrente. 


I 


mane 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.   .  761 

La  Banca  favorisce  anche  una  classe  di  depositi  denominati  di 
iceolo  risparmio,  ai  quali  è  accordato  un  interesse  eccezionale.  In 
meno  di  due  anni  i  versamenti  ascesero  a  L.  2,956,875.87  e  i  rimborsi 
a  sole  L.  1,348,095.  Nell'anno  1882  i  versamenti  della  specie  ammon- 
tarono a  L  4,109,501,  contro  circa  2  milioni  nell'anno  antecedente  ;  i 
rimborsi,  a  L.  1,873,547  contro  L.  1.298,714  nell'anno  1881.  I  libretti 
in  corso  al  31  dicembre  1882  erano  N.  9748.  Di  questi,  N.  2157  rap- 
presentavano r  importo  da  L.  la  L.  20  ;  N.  86  rappresentavano 
quello  da  L.  5001  in  più.  La  rimanenza  di  questi  depositi  alla  suddetta 
lata  ascendeva  a  L    4,574,879. 

Buoni  fruttiferi.  —  I  buoni  fruttiferi  ebbero  vita  magra  e  sten- 
.  L' Amministrazione  avrebbe  voluto  emetterli  pagabili  nel  giorno 
"snocessivo  a  quello  della  presentazione  e  fruttiferi  l'interesse  di  L.  2.50 
all'anno;  ma  la  considerazione  delle  difficoltà  fiscali,  che  non  sarebbero 
mancate,  ne  la  dissuase.  Piuttosto  emise  buoni  alCordine  a  scadenza 
ad  imitazione  di  quelli  del  Tesoro.  Se  Don  che  il  ricevitore  del 
>llo  ostacolò  nell'anno  1877  anche  questo  ripiego,  pretendendo  che  i 
oni  fossero  assoggettati  alla  tassa  delle  cambiali. 
Da  ciò  lo  scarso  movimento  di  oasi.  Dall'anno  1872  a  tutto  1'  anno 

!S82  ne  furono  emessi  N.  5,236  per  L    41,260,151.    La   rimanenza  al 

k,.^  laao  „„„„„„  .,   r     ov»i  'i*? 


Interesse  sui  depositi.  —  •  L*int«re«e  sai  depositi  in  conto  corrente 
:'  '  tra*  il  5  e  il  3  I|4  per  cento.  Al  predente  è  al  3  1(4. 
'j        '  sui  depositi    a    ri.Hparniit»    é   variato  fra  il  4    e  il  3  It4  per 
•)nto.  Ora  é  al  4. 

1/  interesse  dei  buoni  fruttiferi  e  stato  e  riroane  fra  il  3  1|2  e  il 
4  per  conto  secondo  la  scadenza. 

Rapporti  con  le  Banche  —  Dai  rapporti  con  altri  Istituti  la  Banca 
•  ubo  un  giro  di  nlTari  che  si  eleva  nel  complesso  a  L.  1, 736,500,* "r 

Tengono  il  primo  posto  ^li  sconti;  quindi  vengono  gli  a»»*,.»,,  ..> 
esazione  dei  recapiti  a  le  altre  operazioni  di  minor  conto.  Il  fl«lo  allo 
banche  non  socie  non  può  oltrepassare  l'impttrto  del  capitale  versato 
e  della  riserva  Hi  ciascuna  Banca.  L*  iro|K>rto  degli  sconti  nel  1882 
ascese  a  L.  52,502,851,  con  una  media  di  L.  1,83VM8;  quello  degli 
assegni  emessi,  a  L.  19^571,12:^,  con  ana  media  di  L.  1.704;  quello 
degli  sssegni  pagati,  a  L.  60,834,837.70,  con  una  media  di  L.  I,2I2.'^D. 

Vm..  ZL,  Sn<«  Il  -  IS  A(MU  ISSI.  M 


762  HOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

Movimento  di  cassa.  —  Oli  introiti  dall'anno  1866  a  tutto  il  1882 
furono  L    7,492,615,719.38.  I  pagamenti,  L.  7,492,548,837,52. 
Da  ciò  il  movimento  complessivo  di  L.   14,985,164,556  90. 

Impiego  dei  capitali.  —  La  proporzione  fra  il  capitale,  la  riserva 
e  i  depositi  cumulati  insieme  e  l' impiego  fattone  dalla  Banca  nei  primi 
15  anni  di  esercizio,  riesce  allo  medie  seguenti  : 

Per  ogni  100  lire  di  capitale,  riserva  e  depositi  figurarono, 

in  cassa,  o  disponibili  a  vista L.     4,38 

in  prestiti  o  sconti »    35,22 

in  buoni  del  Tesoro  e  municipali »    13,47 

in  sovvenzioni »    11,17 

in  effetti  pubblici ,  »  25,39 

in  impieghi  diversi »  10,37 

Gli  effetti  pubblici  vengono  segnati  in  bilancio  al  prezzo  di  costo. 
Essi  formano  un  monte  carte  che  ha  una  contabilità  propria.  I  lucri 
o  le  perdite  vengono  passate  all'attivo  o  al  passivo  a  operazione  ter- 
minata per  vendita  0  per  rimborso. 

Durante  l'anno  1881  lo  stock  delle  carte  pubbliche  di  ragione  della 
Banca  ha  subito  una  diminuzione  di  L.  1,763,835.84  per  effetto  del 
rimborso  delle  obbligazioni  dell'Asse  ecclesiastico  e  della  estrazione  di 
altri  valori.  Per  contro  la  Banca  ebbe  una  compartecipazione  di  4  mi- 
lioni nel  prestito  di  644  milioni 

Imposte  e  spese  di  amministrazione.  —  Le  imposte  e  tasse  pagate 
dalla  Banca  a  tutto  l'anno  1882  ammontarono  a  L.  1,676.247.22;  ma 
questa  somma  rappresenta  soltanto  una  parte  del  contributo  della  Banca. 
Tutto  calcolato,  la  partecipazione  dell'Erario  nei  lucri  dell'azienda  so- 
ciale, ragguaglia  il  20  0[Q  circa. 

Le  spese  di  amministrazione  riuscirono  a  L.  1,975.582.57.  Esse  stanno 
nella  proporzione  di  L,  1.60  per  ogni  cento  lire  di  utili. 

Utili  —  Gli  utili  netti  ammontarono  a  L.  12,324,693.38.  Gli  utili 
maggiori  furono  conseguiti  uell'anno  1881,  nell'importo  di  L,  1,294,181.30; 
ma  i  proventi  straordinarii,  dipendenti  nella  maggior  parte  da  rimborsi 
di  carte  pubbliche,  vi  figurarono  per  L.  100,469.59. 

Fino  al  1871,  gli  utili  vennero  ripartiti  nel  modo  seguente  :  il  70  Ojq 
agli  azionisti;  il  20  0[0  al  fondo  di  riserva;    il   10  0[0  agli  impiegati 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  TGo 

ed  alle  beneficenze.  S accessi vamente  cessò  qualunque  assegnazione  al 
fondo  di  riserva  e  la  partecipazione  degli  impiegati  fu  limitata  al  5  li2 
per  cento  della  totalità  Jegli  utili. 

I  dividendi  agli  azionisti  hanno  variato  fra  un  minimo  di  L.  5  e 
un  massimo  di  L.  7.60  per  azione. 

Fondo  di  previdenza  per  gl'impiegati.  —  La  Banca  ha  un  fondo 
di  previdenza  per  gf  impiegati  che  assicura  a  questi,  o  ai  loro  eredi, 
una  quota  formata  da  risparmi  resi  continuamente  produttivi.  Il  fondo 
è  modellato  sulla  Caisse  de  Prévoyance  proposta  in  Francia  dal  signor 
Alfredo  De-Courcy. 

Presiiti  sulPonore.  —  I  prestiti  sull'onore,  succedanei  ai  prestiti 
ordinari,  furono  iniziati  fino  dal  1878.  Questi  prestiti  hanno  il  carattere 
di  vero  afiare  :  si  presta,  non  si  dona;  anzi  il  sovvenuto  deve  corri- 
spondere un  interesse.  La  somma  da  erogarsi  nelle  operazioni  di  questa 
specie  è  stabilita  in  ciascun  anno  dall'adunanza  dogli  azionisti  sopra 
proposta  del  Consiglio  di  amministrazione.  I<a  somma  erogabile  nell'anno 
corrente  ascende  a  L.  40,000.  Le  perdite  sono  state  contenute  finora 
dentro  stretti  limiti. 

L'amministrazione  sta  studiando  il  mo  lo  di  attuare  una  nuova  forma 
di  piccoli  prestiti  con  l'intervento  delle  Società  di  mutuo  soccorfo.  per 
provvedere  ni  bisogni  minati  e  più  urgenti,  dei  loro  soci. 

Ecco  adunque  un  Ulituiu  cnc  lia  stato  modestissimo  o  rai.^cito,  no 
corto  giro  di  17  anni  di  esercizio*  a  scrivere  nel  suo  bilancio  la  somma 
cospicua  di  11  milioai  di  Uro  fra  capitale  e  riserva,  a  raccogliere  Uà- 
positi  per  oltre  51  milioni  e  ad  avere  un  movimento  conpleasivo  di 
cassa  che  da  circa  11  milioni  ò  salito  man  mano  fino  alla  somma  rile- 
vaute  di  1700  milioni. 

Questi  risultamenti  ottenuti  con  la  oooperaaione  fra  operai,  impia- 
gati u  piccoli  industriali,  sono  olir»  ogni  dire  sptandidi;  ma  non  for- 
mano il  solo  titolo  di  beoemereosa  deirisiìtuto.  Le  benemerente  della 
Banca  p(»|)ular*i  sono  molte  é  diverse,  appunto  come  i  servisi  che  osta 
ha  roso  o  rende  alla  classe  lavoratrice,  e  come  le  cure  che  ha  posto  e 
pone  noi  {>ortozionarli  e  nello  estenderli. 

Ivi  Hiuica  p<)[>olare  di  Milano  è  un  prodigio  di  operosità  e  preri- 
donza  in  una  città  che,  esemplata  in  tutto  alle  cose  granriì,  ha  saputo 
dare  al  mondo  il  miracolo  stupendo  della  Gassa  di  risparmio.  Sappiamo 


764  BOLLETTINO    FIN  ANZI  AUlO    DELLA    QUINDICINA. 

che  non  tutti  vedono  di  buon  occhio  queeti  fatti,  ma  quelli  che  li 
criticano  e  deplorano  fanno  opera,  al  nostro  parere,  di  denaocrazia  sba- 
gliata. I  grandi  istituti  sono  il  nostro  ideale  ogniqualvolta  irraggia  da 
essi  la  vita  che  anima  gli  altn. 

Però,  ben  a  ragione  il  giuri  della  ultima  nnostra  nazionale  venne 
conferendo  alla  Banca  la  massima  delle  onorificenze,  il  diploma  di 
onore.  Già  la  storia  ne  avea  segnato  a  caratteri  d'oro  il  nome  fra 
i  più  benemeriti  del  credito  popolare  e  l'avea  additata  al  paese  e  fuori 
come  una  delle  più  belle  glorie  della  nazione. 

Ma  saremmo  immemori  se,  accennando  a  questi  fatti  e  a  queste 
benemerenze,  dimenticassimo  gli  uomini  che  hanno  portata  la  Banca 
a  tanta  altezza,  e  specialmente  l'egregio  comm.  Luzzatti  che  ne  è 
stato  l'iniziatore  e  lo  ispiratore.  Questo  ricordo  dovea  esser  fatto  qui 
a  doppio  titolo  :  e  perchè  gli  stessi  azionisti  della  Banca,  approvando 
il  bilancio  per  l'anno  1881,  vollero  dargli  splendida  testimonianza  dei 
sensi  della  gratitudine  sociale,  e  perchè  egli,  apostolo  in  fati  cab  le  delle 
istituzioni  create  in  Italia  dietro  al  suo  impulso  e  col  suo  concorso  ha 
saputo  illustrarle  anche  testé  nel  congresso  internazionale  di  previ- 
denza tenuto  a  Parigi,  mostrandole  come  un  perfezionamento  di  quelle 
patrocinate  e  sorrette  dal  benemerito  Schultze-Delitzch  e  un  esempio 
assai  ingrandito  dell'opera  di  lui.  Su  ciò  potemmo  leggere  non  senza 
grande  compiacimento  queste  parole  :  «  C'est  ce  que  M.  Luzzatti  a 
exprimé  au  congrès  avec  une  abondance  de  preuves,  une  clarté  lurai- 
neuse  et  une  eloquenco  qui  lui  ont  valu  le  succès  le  plus  légitime.  » 

Spetta  ora  alla  Banca  il  mantenere  l'altezza  conseguita,  e  la  terrà 
per  certo  se  avrà  presenti  sempre  il  suo  scopo  e  la  sua  origine  e  i 
doveri  che  le  ne  derivano. 

L'amministrazione,  pubblicato  il  nuovo  Codice  di  commercio,  ha 
modificato  lo  Statuto  della  Banca  nelle  parti  che  potevano  nort  corri- 
spondere ancora  in  tutto  alle  disposizioni  recate  da  esso,  e  gli  azio- 
nisti, approvandolo,  hanno  dichiarato  di  voler  sottoporre  la  stessa 
Banca  alle  norme  del  nuovo  Codice  intorno  alle  Società  cooperative. 
Così  oggi  la  Banca  popolare  di  Milano  ha  aggiunto  al  primo  titolo  la 
qualità  di  Società  anonima  cooperativa. 


Le  notizie  del  mercato  monetario    americano    non    sono  gran    cosa 
diverse  da  quelle  che  abbiamo  dato  quindici  giorni  fa. 

L'andamento  delle  Banche  associate  di  New  York^  nel  tempo  tra- 


BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA.  765 

scorso  dal  21  luglio  al  4  agosto,  al  quale  giunge  l'ultima  situazione  a 
noi  nota,  presenta  le  differenze  che  seguono.  Il  fondo  metallico  è  di- 
raioaito  di  1,400,000  dollari  ;  gli  sconti  e  le  anticipazioni  sono  sce- 
mate di  1,600,000  ;  i  depositi  netti,  di  2,200,000.  La  circolazione  e  la 
eccedenza  della  riserva  sul  limite  legale  offrono  qnasi  le  stesse  cifre. 
Soltanto  i  valori  legali  danno  un  aumento  di  500,000  dollari. 

Ma  il  confronto  deirultima  situazione  al  4  agosto  con  quella  alla 
data  del  5  nell'anno  scorso  addimostra  die  lo  stato  delle  cose  ò  ora 
migliore  di  quello  di  un  anno  fa.  Così  abbiamo  che  il  fondo  metallico 
alla  prima  data  eccede  Taltro  di  4  milioni  e  mezzo  di  dollari  ;  che  gii 
sconti  e  le  anticipazioni  sono  minori  di  8  milioni  e  mezzo  ;  che  la 
circolazione  ò  deficiente  di  2,700,000;  che  i  valori  legali  aumentano 
di  3  milioni;  i  depositi  netti  crescono  di  circa  4  milioni  e  la  ecce- 
denza della  riserva  sorpassa  l'altra  di  oltre  6  milioni  e  mezzo. 

Questo  stato  di  cose  sarebbe  un  buon  sintomo,  ma  non  ò  giunto 
ancora  il  tempo  nel  qnale  si  possa  cantare  vittoria. 

Frattanto  estendendo  l'esame  anche  ad  altri  punti,  com'è  nostro 
costume,  aggiungeremo  che  i  Hsuitamenti  del  commercio  ostemo  degli 
Stati  Uniti  durante  l'anno  fiscale  ch'uso  li  30  giugno  ultimo,  danno  a 
vedere  che  le  esportazioni  dei  prodotti  del  suolo  e  della  industria,  lo 
r)uali  hanno  raggasgliato  il  valore  di  dollari  833,805,819,  eccedono  le 
importazioni  di  100,683,153  dollari,  e  che  quello  dei  metalli  preziosi 
campite  nella  somma  di  31,480,000  sorp.'issano  1*»  imporlnr'oni  di  nitro 
:{  milioni  di  dollari. 

In  riguardo  ai  raccolti,  le  ultime  notizie  son  buone,  particolarmente 
I>el  granturco.  Le  previsioni  sul  grano  farebbero  credere  una  diminu- 
zione rimpctto  all'anno  1883  di  butheh  106,620,000;  ma  si  spera  che 
il  raccolto  del  granturco  coinpenMrà  in  gran  parte  questa  deflcenza. 

Il  danaro  ò  abbondante  ;  il  faggio  elevato  dello  sconto  a  Londra 
restringe  la  negoziazione  delle  tratte  sall'ostero.  Tutto  quello  che  viene 
offerto  in  questo  senso  ò  volto  facilmente  a  sodisfare  i  bisogni  della 
iiiipurtaziune. 

Il  cambio  della  sterlina,  lasciato  a  4,82  3|4,  e  risalito  a  4,83,  poi 
è  eoeto  di  nuovo  a  4,82  1|4,  che  corrisponde  si  cambio  a  vista  di 
4,85  I|2  e  a  2I|4  per  mille  cóntro  Londra.  Pare  che  nelle  ultime  due 
settimane  la  ricerca  dei  d.'naro  sia  stata  pid  viva,  giacché  i  saggi  delio 
■conto  per  la  carta  a  3  meai  con  due  firme  hanno  aumentato  di  circa 
metto  per  cento. 

All'ultima  o  a  apprendiamo  che  nel  giorno  di  sabato  li  il  mercato 


ICA]  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

andò  soggetto  ad  un  forte  ribasso,  il  quale  colpi  tutti  i  titoli  ferroviari, 
e  che  questo  mutamento  di  cose  ò  durato  anche  dopo.  La  stampa  lo 
attribuisce  alla  esagerazione  della  produzione  americana  a  alla  crea- 
zione di  mercati  artificiali,  conseguenza  della  politica  di  protezionismo 
a  oltranza. 

Le  situazioni  della  Banca  d' Inghilterra  vanno  dal  25  luglio  al  di 

8  agosto.  Esse  riescono  nel  complesso  ad  un  aumento  di  circa  265,000 
sterline  nel  fondo  metallico  e  di  431,000  nella  circolazione,  e  offrono 
nel  resto  le  diminuzioni  che  seguono  :  250,000  sterline  nei  conti  cor- 
renti dello  Stato  ;  855,000  m  quelli  dei  privati  ;  854,000  nel  portafo- 
glio e  168,000  nella  riserva.  Con  tutto  ciò  quest'ultima,  nelle  due  si- 
tuazioni al  di  1  e  al  di  8  agosto,  è  rimasta  intorno  all'importo  di 
12,250,000  sterline. 

Il  confronto  fra  anno  e  anno  rende  la  situazione  presente  ancora 
migliore.  Infatti  il  fondo  metallico  è  in  aumento  di  773  mila  sterline, 
e  la  riserva  lo  è  di  1,557,000.  Per  contro  la  circolazione  e  il  porta- 
foglio sono  in  diminuzione  ;  l'una  di  sterline  784,000,  l'altro  di  circa 
4  milioni. 

La  proporzione  fra  la  riserva  e  gl'impegni,  che  lasciammo  a  44  1[4 
per  cento,  è  salita  a  45  3i8  per  cento.  Sotto  questo  rispetto  la  posi- 
zione della  Banca  è  assai  più  soddisfacente  di  un   anno    fa,  giacché  il 

9  agosto  1882  là  proporzione  accennata  adeguava  soltanto  il  36  SjS 
per  cento;  la  riserva  era  di  10,691,833  sterline  e  il  saggio  officiale 
raTguagliava  il  3  per  cento.  Ma  se  torniamo  più  indietro,  la  cosa 
cambia  aspetto.  Infatti  li  10  agosto  1881,  col  saggio  a  2  1|2  per  cento, 
la  riserva  ammontava  a  13  milioni  e  la  proporzione  fra  questa  e 
gl'impegni  era  di  43  1[8  per  cento.  Li  11  agosto  1880,  col  medesimo 
saggio  ofl3ciaie,  la  riserva  oltrepassava  i  16  milioni  e  adeguava  il  51 
per  cento  degl'impegni.  Ciò  viene  a  confermare  che,  sebbene  il  saggio 
relativamente  elevato  del  4  per  cento  abbia  operato  bene  e  recato  una 
posizione  migliore  dell'anno  scorso,  pure  la  riserva  si  trova,  in  prossi- 
mità dell'autunno,  assai  più  meno  forte  negli  anni  18ò0  e  1881,  mentre  il 
saggio  è  già  molto  più  alto.  È  vero  che  l'oro  continua  ad  affluire  dal 
di  fuori  alla  Banca  d'Inghilterra,  e  che  i  cambi,  sempre  più  favorevoli 
a  Londra,  tendono  a  far  durare  la  importazione  ;  è  vero  eziandio  che 
le  domande  dall'America,  stando  alle  previsioni  sui  raccolti  in  quella 
parte,  potranno  essere  minori  ;  ma  crediamo  che  il  presagire,   come  fa 

10  Statisi,  che  non  si  sentirà  più  il  bisogno  a  Londra  di  un  rialzo 
dello  sconto,  sia  correre  troppo.  Per  giunta  vi  è  da  riflettere  che  dal- 


I 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  767 

r  ultima  settimana  in  poi,    non  tutto  -roro    che  affluisce    a    Lontìra    vi 
rimane. 

TI  mercato  londinese,  sopratutto  dopo  i  versamenti  fatti  alla  Banca 
in  conto  dei  Buoni  del  Tesoro  recentemente  emessi,  si  ò  trovato  scarso 
a  mezzi  ;  se  ne  ha  un  segno  anche  nella  diminuzione  nei  conti  cor- 
renti particolari.  Dietro  a  ciò  lo  sconto  è  stato  trattato  fermissimo  a 
3  7]  8  per  la  carta  a  tre  mesi  e  a  4  e  4  l[4  per  cento  per  quella  a 
sei  mesi.  I  prestiti  brevi  sono  stati  ricercati  a  3  li2  percento.  L'ele- 
vatezza dei  saggi  londinesi  rimpetto  a  quelli  del  continente  ò  condi- 
zione essenziale  dell'afflusso  dell'oro  alla  Banca  ;  perciò  il  mercato  ha 
interesse  di  mantenerli  alti.  Il  disaccordo  fra  il  saggio  ufficiale  e  quello 
del  mercato  libero  è  un  continuo  attentato  alla  riserva  del  paese  ;  ciò 
è  stato  dimostrato  esuberantemente  anche  nello  scorso  anno.  Ma  di  ri- 
basso di  saggi,  per  ora,  non  è  da  parlare  ;  gli  stessi  bisogni  della  cir- 
colazione interna  concorreranno  a  mantenerli  al  saggio  odierno.  La  li- 
quidazione in  borsa  ò  avvenuta  facilmente  e  r^olarmente.  I  riporti 
«ODO  sfati  trattati  ai  saggi  del  4  If?  e  5  OfO- 

Le  situazioni  della  Banca  di  Francia  dal  ?6  luglio  al  9  agoeto 
non  offrono  variazioni  notevoli.  Il  fondo  in  oro  è  diminuito  di  4  mi- 
lioni di  franchi;  quello  in  argento,  di  uno  e  mezzo.  Il  portafoglio  è 
scemato  di  circa  2?  milioni  ;  i  conti  correnti,  presi  noi  complesso,  sono 
aomentati  di  circa  6  milioni  ;  la  circolazione  ò  diminuita  di  oltre  S8 
milioni. 

Da  anno  ad  anno,  la  situazione  al  *.•  a;;  >!«tt>  o  miooit'  di  7  milioni 
nel  fondo  in  oro;  di  circa  122  in  quello  in  atr^otitu;  di  ,07  nel  conto 
corrente  del  Tesoro  e  di  circa  85  nei  <*onti  correnti  particolari.  È  mag- 
giore di  31  milioni  nel  portafoglio  e  di  286  nella  circolazione. 

La  sìtaazionedel  mere'  "  ^oonto  6  riuscita  nella  prima  tetlimana 
del  mete  quello  che  fu  m  v  di  luglio.  I  prenditori    di    carta  ri- 

masero molto  rari;  poterono  attere  &tte  soltanto  alcune  operazioni  su 
firme  di  alta  banca  a  2  ì\2  0|o;  1«  acoettazioni  di  banca  e  i  valori 
doiralto  commercio  ebbero  prezio  a  2  3|4  0|o.  Detto  questo,  è  da  ag- 
i^i ungere  che  i  prenditori  ti  mottrarono  pretto  soddisfatti  e  ohe  ciò  rete 
lo  sconto  fra  uaachieri  quati  nullo.  Nella  seconda  settimana  il  mercato 
d<>llo  sconto  fra  banchieri  ha  avuto  un  leggero  miglioramento.  Avven- 
nero transazioni  a  2  1|2  per  l'alta  Banca  e  •  2  5|K  pel  retto.  Il  da- 
naro non  è  apparso  troppo  abbondante,  ma  il  disponibile  è  bastato  ai 
bisogni  della  piazza  che  furono  molto  limitati.  Al  giorno  d'oggi  il  sag- 
pi<»  dello  sconio  è  a  2  5|8.  Quello  officiale  rimane  al  3  0|0. 


768  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

Lo  cheque  su  Londra  è  stato  durante  le  due  settimane  piuttosto 
alto.  Nella  prima  chiuse  a  25.30;  nella  seconda  u  25.31.  Ultimamente  ha 
fatto  25,34.  Ma  convien  pur  mente  che  anche  nell'intervallo  potò  salire 
a  corsi  più  elevati,  perchè  ciò  die  luogo  all'invio  di  un  po'  di  naonete 
straniere  a  Londra.  Su  questo  punto  possiamo  aggiungere  due  partico- 
larità che  a  qualche  nostro  osservatore  parranno  abbastanza  curiose. 
Eccole.  I  pezzi  d'oro  in  circolazione  (è  il  Pars  Boif^se  che  parla)  son 
relativamente  pochi;  affinchè  fossero  spediti  a  Londra,  bisognerebbe 
che  il  cambio  salisse  a  25.40. 

Queste  avvertenze  possono  valere  anche  per  un  certo  assiduo  che 
il  nostro  osservatore  conosce;  il  quale  ha  fatto  in  questi  giorni  la  sco- 
perta della  statistica  internazionale  delle  Banche  di  emissione  per  con- 
trapporla alla  nostra  tesi  della  prevalenza  dell'  argento  all'  oro  nella 
circolazione  della  Francia,  e  del  proposito  invalso  in  quella  Banca  di 
fare  i  pagamenti  in  argento.  L'  accorto  interlocutore  ha  citato  i  bilanci 
settimanali  del  grande  Istituto  e  il  passo  di  una  relaziono  sull'  eserci- 
zio 1879,  certamente  per  dimostrare  che  la  Banca  dà  oro. 

A  costo  di  essere  inumani,  dobbiamo  dire  che  egli  è  un  assiduo 
molto  in  ritardo  e  che  l'esempio  della  sua  vacca  rossa  non  arride  punto 
al  nostro  caso.  Sa  dirci  quando  è  incominciata  1'  esportazione  dell'oro 
per  l'America?  Ne  conosce  gti  effetti?  Sa  come  la  Banca  di  Francia 
ha  potuto  ricostituire  la  sua  riserva  aurea?  Probabilmente  nulla  sa; 
perciò  segniamo  e  passiamo.  Questa  trovata  è  da  mjtterj  precisamente 
con  l'altra  diretta  a  far  credere  ai  monocoli  che  lo  Stato  italiano  per- 
cepisca dalle  Banche  per  tasso  meno  di  quello  che  viene  percepito  nello 
stesso  campo  da  altri  Stati  ! 

Relativamente  alle  Banche  svizzere  di  emissione  abbiamo  le  situa- 
zioni dal  21  luglio  al  4  agosto.  In  questo  intervallo  il  fondo  in  oro  è 
aumentato  di  franchi  148,636;  quello  in  argento  è  diminuito  di  248,124. 
Mentre  la  potenza  d'emissione  è  cresciuta  di  franchi  6.940,  la  circola- 
zione è  scemata  di  831,590.  All'ultima  data  l'eccedenza  del  fondo  me- 
tallico sul  40  per  cento  della  circolazione  adeguava  franchi  18,500,937. 
Il  5  agosto  1882  il  fondo  metallico  era  minore  di  7,390,588. 

A  Berna,  Ginevra  e  Basilea,  lo  sconto  officiale  è  al  2  1(2  ;  a  Zu- 
rigo, San  Gallo  e  Losanna,  al  3  per  cento. 

La  situazione  della  Banca  dell'Impero  germanico  al  31  luglio  non 
ha  corrisposto  a  quella  degli  altri  anni  nello  stesso  tempo.  Le  domande 
soddisfatte  dalla  Banca  in  quest'anno  sono  state  minori  del  solito.  Ciò 
è  derivato  dalle  diverse  condizioni    del    mercato,  le  quali  meritano  di 


<H|; 


BOLLETTINO    FLNANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  769 

eaece  avvertite.  L'uso  degli  assegni  e  dei  conti-giro,  sempre  più  svi- 
luppato, e  l'apertura  a  Berlino  di  una  stanza  di  compensazione  per  ^i 
titoli,  hanno  reso  minóre  di  molto  il  bisogno  di  mezzi  per  i  pagamenti. 
Per  conseguenza  anche  il  saggio  dello  sconto  nel  mercato  libero  è  stato 
più  basso  dell'ordinario. 

La  situazione  al  7  agosto,  che  ò  l'ultima  conosciuta,  attesta  il  ri- 
torno alla  banca  di  una  parte  delle  somme  sottrattele  alla  fine  luglio 
e  una  diminuzione  nella  circolazione  dei  biglietti.  Anche  il  fondo  me- 
tallico e  i  conti  correnti  sono  scemati  ;  ma  la  cosa  è  stata  di  poca 
entità. 

Paragonando  la  stessa  situazione  al  7  con  quella  a  pari  data  del- 
l'anno scorso,  si  ha  che  la  po8ÌKÌone  della  Banca  in  quest'anno  è  molto 
più  fjrte.  Il  fondo  metallico  è  maggiore  di  oltre  53  milioni  di  marchi; 
i  conti-giro  presentano  una  eccedenza  di  circa  36  milioni.  All'opposto 
il  portafoglio,  le  anticipazioni  e  la  circolazione  sono  minori  :  il  primo 
capitolo,  di  marchi  4  milioni;  il  secondo  di  11,  il  terzo  di  7. 

Saggio  officiale,  4  per  cento.  Saggio  nel  mercato  libero  alle  ultime 
date.  3  Ojq  circa.  A  Francoforte  2  7(8. 

Le    situazioni    della    Banca   atutro-ungarica    tra  il  23  luglio  e  il 
agosto  non  presentano  movimenti  che  si    possano    dire    rilevanti.  Il 

do  metallico  è  aumentato  di  circa  3  milioni  di  fiorini;  il  portafoglio 
di  circa  7;  la  circolazione  di  circa  3.  I  higlietti  di  Stato  sono  diminuiti 
di  un  milione  circa. 

Da  anno  ad  anno,  la  situazione  del  7  agosto  corrente  è  alquanto 
migliore  in  riguardo  al  fondo  metallico,  che  offre  una  eccedenza  di  oltre 
19  milioni,  e  meno  elastica  in  riguardo  al  resto.  Inflitti  il  portafoglio 
offre  un  aumento  di  circa  5  milioni  di  fiorini  e  la  circolazione  ne  pre- 
senta un  altro  di  13. 

Il  saggio  officiale  e  del  4  per  oeato.  Lo  sconto  fuori  banca  è  rimatto 

,  lasi  invariato.  La  carta  di  prim'ordine,  a  3  3(4;  quella    bancaria,  da 

7|8  a  4  per   cento;   le   accettazioni    commerciali,    da  4  a  4  li8  per 

<  -nto.  Per  la  liquidazione  il  danaro  è  stato    facile;    le    Banche    hanno 

riporti  al  4  1|2  per  cento. 

L'esodo  delKoro  dall'Olanda  non  è  cessato.  Ne  sono  prova  le  sitaa- 
/  oni  della  Banca  neerlandfse  dal  21  luglio  al  dì  11  agosto,  dallo  quali 
.•ppare  che  il  fondo  in  oro  durante  il  suddetto  tempo  è  scemato  di 
oltre  9  milioni  di  fiorini.  La  impassibilità  dell'Istituto  dinanzi  a  questo 
•>to  6  «tata  ed  ò  ancora  Toggetto  di  osservazioni  e  critiche  da  parte 
'  'Ila  stampa  «tera;  alle  quali  non  abbiamo  veduto  dare  sin  qui  alcuna 


770  BOLLETTINO    FINAN/.IAIUO    l'hJ.l.A    yl;i.Nui(.iNA. 

risposta  che  si  possa  dire  concludente.  A  spiegazione  della  condotta  del- 
l'Istituto è  stato  addotto  che  lo  stock  d'argento  monetato  delia  Banca 
ha  corso  quanto  la  moneta  d'oro  e  che  questo  metallo  esce  dall'Olanda 
non  per  effetto  del  cambio,  ma  per  la  elevatezza  del  saggio  a  Londra 
rimpetto  a  quello  di  Amsterdam.  Non  pare  che  ciò  escluda  le  obbie- 
zioni fatte.  L'argento  monetato  può  valere  per  le  transazioni  interne,  e 
per  gì'  impegni  della  Banca,  ma  non  serve  agli  scambi  internazionali. 
Se  consideriamo  la  somma  della  circolazione  della  Banca  al  di  11  agosto  e 
quella  dello  stock  d'argento  monetato  alla  stessa  data  e  le  confrontiamo 
insieme,  la  condotta  dell'Istituto  è  corretta  e  inoppugnabile.  L'una  somma 
sale  a  fiorini  180,814,215;  l'altra  a  fiorini  93,374,464  che  basterebbero 
a  cuoprire,  in  cifra  tonda,  circa  230  milioni  d'impegni.  Senza  dubbio 
il  margine  è  largo.  Intendiamo  ancora  che  il  primo  dovere  della  Banca 
è  quello  di  mantenere  nel  paese,  colla  sua  offerta  di  crediti,  il  saggio 
più  basso  possibile  e  che  il  rialzo  dello  sconto  per  conservare  l'oro  può 
trovarsi  in  opposizione  con  altri  interessi  nazionali;  ma  dacché  questo 
metallo,  o  per  una  ragione  o  per  un'altra,  tende  ad  emigrare,  non  sap- 
piamo come  la  Banca  non  debba  fare  ogni  opera  per  conservarselo. 

Se  non  che  bisogna  soggiungere  che  per  quanto  il  portafoglio  della 
Banca  apparisca  aumentato  di  oltre  4  milioni  e  mezzo  di  fiorini,  pure  da 
anno  ad  anno  è  in  diminuzione  di  15,  e  che  lo  stock  d'oro  monetato  alla 
data  del  di  11  agosto  sorpassa  di  15  milioni  quel'o  che  la  Banca  possedeva 
al  12  agosto  dell'anno  scorso.  Può  dunque  darsi  che  la  direzione  del- 
l'Istituto, tutto  considerato,  non  abbia  creduto  giunto  ancora  il  tempo 
di  un  provvedimento  capitale  come  quello  del  rialzo  dello  sconto.  Del 
resto  anche  lo  stato  della  legislazione  monetaria  interna  vi  ha  la  sua 
parte. 

Saggio  in  corso.  Per  le  lettere  di  cambio  3  1(2  per  cento.  Per  i 
biglietti  all'ordine  4.  Per  le  anticipazioni  su  titoli  nazionali,  3  li2  per 
quelle  su  titoli  stranieri,  4  per  cento. 

In  riguardo  alla  Banca  nazionale  belga  abbiamo  l'andamento  solito. 
L'esame  della  situazione  di  questo  Istituto  dal  26  luglio  al  9  agosto  ci 
dà  l'aumento  di  ciica  2  milioni  di  franchi  nel  fondo  metallico;  quello 
di  oltre  8  milioni  e  mezzo  nel  portafoglio  e  quello  di  circa  11  milioni 
nel  conto  corrente  del  Tesoro.  Le  anticipazioni  e  la  circolazione  sono 
in  diminuzione;  le  une  di  circa  4  milioni,  l'altra  di  circa  2.  Nell'anno 
scorso,  alla  data  del  9  agosto,  il  fondo  metallico  era  minore  di  un 
milione;  il  portafoglio  di  quasi  2;  le  anticipazioni,  di  circa  4  milioni. 
La  circolazione  differiva  in  meno  di  quasi  mezzo  milione. 


BOLLETTINO    FINANZL\R10   DELLA    QUINDICINA.  771 

Saggio  oflSciale  3  li2  per  cento. 

Sotto  l'impressione  del  voto  della  Camera  che  respinse  l'imposta 
sulle  transazioni,  il  mercato  belga  si  mostrò  rinato  e  animatissimo;  ma 
le  notizie  di  Spagna  impedirono  ad  esso,  come  agli  altri,  di  andare 
innanzi. 

La  situazione  della  Banca  di  Spagna  al  31  luglio  in  confronto  con 
quella  al  30  giugno  riesce  alle  variazioni  che  seguono.  L'attivo  metal- 
lico e  il  portafoglio  offrono  diminuzione:  l'uno  di  pesetas  48  milioni, 
Taltro  di  circa  3  milioDi.  Per  contro  le  anticipazioni  sa  titoli,  i  conti 
correnti  e  la  circolazione  presentano  aumento  :  le  prime  di  circa  5  mi- 
lioni ;  i  conti  correnti  di  4,600,000;  e  la  circolazione  di  circa  19  milioni. 

Nella  situazione  al  30  giugno  i  profitti  e  ìe  perdite  figuravano  per 
15,347,653;  in  quella  al  31  luglio  sono  segnati  nella  somma  di  2,516,00{>. 
La  differenza  deriva  dall'eseguito  riparto  di  40  pesetas  a  ciascuna  delle 
300.000  azioni  emesse. 

È  corsa  voce  che  il  ministro  delle  finanze  possa  eseguire  prima 
dell'autunno  la  negoziazione  dei  Pngarès  dei  beni  nazionali  ;  ma  non 
vi  si  crede  Invece  i  più  prudenti  pensano  che  egli  ricorrerà  a  questo 
mezzo  soltanto  all'ultima  estremità,  per  non  a^rt^are  la  situaxione 
della  Banca.  Peraltro  ì  casi  sciagurati  ai  quali  assistiamo  in  questo 
pnnfo  rischiano  di  dar  ragione  alle  voci,  piottosto  che  al  ragionamento. 
\.~-\  avvengono  mentre  i  raccolti  magnifici  rendevano  probabile  un 
miglioramento  generale  nelle  condizioni  finanziarie  ed  economiche  del 
paese.  Lo  sconto  presso  la  Banca  è  al  5. 

Per  l'Italia  abbiamo  le  situazioni  della  Banca  Sasionale  italiana 
dal  20  al  31  luglio.  L'ultima  citata  in  confronto  con  la  prima  pre- 
senta i  movimenti  che  seguono.  L'aumento  dì  3,720,000  nel  fondo  in 
oro,  salito  a  87  milioni,  e  quello  di  circa  2  milioni  nei  biglietti  già 
ronsorziali  e  di  Stato,  che  wwo  scritti  in  bilancio  nella  somma  di 
r>0  milioni  e  mezzo.  U  fondo  in  argento  è  rimasto  quasi  invariato  nel- 
l'importo di  74  milioni.  Il  portafoglio  segna  una  diroinusione  di  poche 
centinaia  di  mila  lire;  le  anticipazioni  pretentano  un  aumento  analogo  ; 
la  rirrolazione  a  463  milioni  è  cresciuta  di  circa  2  milioni  di  lire. 

«Confrontando  la  situazione  al  31  con  quella  a  pari  data  dell'anno 
-  :  ..  (il  mio  per  la  prima  l'aumento  di  51  milioni  nel  fondo  in  oro 
<•  'ju'  ll<i  li  L'.l  nel  fondo  in  argento.  Per  contro  essa  prosenta  le  dimi- 
nuzioni seguenti  :  quella  di  26  milioni  nei  biglietti  già  consorziali;  di  dae 
nel  portafoglio;  di  due  e  mezzo  nelle  anticipazioni  .e  quella  di  circa 
l.">  nella  circolazione. 


772  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DEF,LA    QUINUICINA. 

Vediamo  con  piacere  che  man  mano  che  si  approssima  la  stagione 
autunnale  la  situazione  della  Banca  italiana  si  rafforza  sempre  più. 

Avendo  appreso  dagli  avvisi  dei  giornali  finanziari  che  la  stessa 
Hanca  viene  aumentando  il  numero  dei  suoi  corrispondenti,  abVjiamo 
chiesto  e  potuto  ottenere  di  conoscerne  il  movimento  a  tutt'oggi. 

Al  31  dicembre  1882  i  corrispondenti  ammontavano  a  n"  33  che 
operavano  in  47  piazze.  Nell'anno  corrente  ne  aumentarono  13  e  ne 
cessarono  2.  Cosi  al  10  agosto  i  corrispondenti  effettivi  ascendevano 
a  n°  44,  Le  piazze  rese  bancabili  a  questa  stessa  data  erano  77,  Ma 
ci  è  stato  avvertito  che  si  potevano  tenere  in  conto  altri  4  corrispon- 
denti operanti  in  19  piazze  diverse.  Così  il  numero  degli  uni  ammon- 
terà in  breve  a  48  e  quello  delle  altre  a  96.  Questi  risultamenti,  otte- 
nuti in  meno  di  un  anno,  non  sono  di  piccola  entità;  per  essi  ciascun 
stabilimento  della  Banca  viene  abilitato  a  fare  sconti  sopra  167  piazze. 
I  centri  secondari,  resi  bancabili  con  questo  mezzo,  sono  29  nel  Pie- 
monte; 27  in  Lombardia;  3  nel  Veneto;  4  nella  Liguria;  10  nell'Umbria: 
6  nelle  Puglie;  9  in  Sardegna;  1  in  Sicilia;  il  resto  in  altre  regioni. 

Lo  sconto  presso  la  Banca  e  presso  la  maggior  parte  degli  Istituti 
di  emissione  è  tuttavia  al  5.  Ma  il  Banco  di  Sicilia  fa  eccezione.  Questo 
Istituto,  a  cominciare  dal  giorno  11  agosto,  ha  ribassato  il  saggio  dello 
sconto  al  quattro  e  mezzo  e  quello  delle  anticipazioni  al  cinque.  Fau- 
tori della  libertà  dello  sconto,  non  intendiamo  punto  di  combatterla 
nell'uso  fattone  dal  Banco;  ma  ci  permettiamo  di  credere  che  il  par- 
tito preso  ex  se  da  questo  Istituto  non  sia  stato  molto  opportuno. 
Dall'altra  parte  ignoriamo  interamente  quale  criterio  possa  avercelo 
condotto  e  soltanto  sappiamo  che  esso  tenderebbe  a  variarlo  di  fre- 
quente secondo  le  proprie  convenienze.  Ora  in  ciò  noi  vediamo  un 
concetto  erroneo  e  un  ostacolo  o  almeno  un  disturbo  all'andamento 
delle  transazioni,  che  dovrebb'essere  evitato  con  cura,  specialmente  nei 
tempi  che  corrono.  Aggiungiamo  che  l'ultima  situazione  pubblicata  dal 
Banco  non  ci  dà  alcun  lume;  anzi  presenta  dati  che  al  nostro  parere 
avrebbero  dovuto  consigliargli  piuttosto  di  non  fare  alcuna  novità.  Al 
20  luglio  il  rapporto  fra  il  capitale  e  la  circolazione  era  di  uno  a 
2,976,  e  quello  fra  la  riserva,  la  circolazione  e  gli  altri  debiti  a  vista 
era  di  uno  a  2,547.  Il  portafoglio,  alla  stessa  data,  ammontava  a 
22.807,000,  ossia  quasi  alla  stessa  rimanenza  segnata  nel  bilancio  del 
31  dicembre  1882. 


~  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  773 

Hr         A  che  ne  siamo  dopo  quindici    giorni    trascorsi    dall'ultima    nostra 
rassegna,  e  quale  è  stata  la  entità  degli  scambi  in  questo  tempo? 

Uno  sguardo  sui  listini  quotidiani  delle  Borse  che  ne  registrarono 
i  fatti  ci  fa  presto  avvertiti,  che  non  ci  siamo  molto  dilungati  dal 
punto  dal  quale  prendemmo  le  mosse  e  che  il  movimento  degli  affari 
non  ebbe  significazione  notevole. 

I  corsi  delle  rendite  francesi  a  principio  della  quindicina,  furono 
questi:  per  rispetto  al  5  per  cento,  ora  4  lj2  per  cento,  108.80 
ex  coupon;  pel  3  per  cento  perpetuo,  79.40;  per  Tammortizzabile,  81.05. 
Oggi  14,  il  4  lj2  per  cento  segna  109.15;  il  3  per  cento,  80,30; 
Tammurtizzabile,  82.07. 

II  G>n8oiidato  italiano,  alla  data  del  primo  agosto,  era  negoziato 
a  Parigi  a  90.30;  a  Londra  a  89  Ì\S;  a  Berlino  a  91.  Ora  lo  tro- 
viamo nella  prima  piazza  a  90.80;  nella  seconda  a  89  5|8;  nella  terxa 
a  91.10. 

Codeste  cifre  bastano  a  dare  an*idea  chiara  del  movimento  ehe 
ha  avuto  luogo  in  qoesto  intervallo,  e  delle  disposizioni  e  deiraltività 
del  mercato.  Ma  si  domanda:  Erano  questi  i  risaltaroenti  che  i  più 
s'attendevano  al  principio  del  mese?  Lo  cause  sulle  quali  si  faceva 
assegnamento  per  isperare  ana  condizione  di  cose  che  rìspondesso 
alla  migliorata  situazione  politico-finanziaria  furono  per  avventura 
frainte«e,  ovv  •'•■  «nnon»  nmitnilizzate  da  nuovi  fatti  che  torsero  ino- 
pinataraenf*  '. 

Se  prc  ndiamo  ad  esame  la  TÌcende  varie  di  questa  prima  metà  del 
■se,  non  sappiamo  come  rispondere  a  questo  domande,  se  non  ripor- 
'  nJoci  col  pensiero  alla  particolare  situazione   della    Borsa  di  l^arigi. 
che  toglie  a  questa  presentemente  di  sentire  gli  efletti  del  mutamento 
venuto. 
La  li  rst     I   l'iingi  può  assomigliarsi  ad   una    macchina  da   lungo 
•  rii|'o  Miiwiitaia.  Per  quanto  si  possa  supporre  che  i  congegni   si   tro- 
no in  buono  stato,  il  rimetterli  insieme  e  in  accorilo  tra  turo  affinchè 
t)o.^-«aiio  rutizì'riaro  a  dovere,  non  è  opera  facile  e  pronta.  Non  bisogna 
ditueuUiuru  >  lic  dal  famoso  krach   del  gennaio  1882  Io  funzioni  orga- 
niche di  quel  mercato  non  furono  più  ristaurate  e  che  l'opera  di  ripa- 
/ione  e  ancora  al  primo   stadio.  E<1  in  vero,  se  ciò  non  fosse,  come 
-iccadere  che  II  v   '      '  '     dal   Pari.  "  '    . 

non  pro<lu«»88fl  •■  ^a  un  riv    ^;  ■- 

co  nelle  sue  manifestazioni,  dacché  essa  nt  aveva    fatta    per   tanto 
ipo  la  condizione   naeessarfa  si  suo   risvegliof   I^  merco  di  questo 


774  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

voto  scoraparvero  le  ombre  tetre  che  avviluppavano  le  pubbliche  finanze 
e  ne  contrastavano  il  sospirato  equilibrio:  soltanto  per  questo  riguardo 
un  segno  di  ripresa  negli  affari  doveva  essere  immancabile. 

Non  vogliamo  passare  che  qualche  lampo  se  ne  ebbe.  Dal  modo  col 
quale  venne  compita  la  liquidazione  di  fine  luglio,  parve  che  l'ora  de- 
siderata fosse  giunta,  perchè  i  corsi  delle  rendite,  per  un  giorno  o  due, 
e  quelli  dei  valori  ebbero  una  certa  spinta,  e  questa  fu  avvalorata 
dalle  ricompre  affrettate  dei  venditori  di  premio  e  dallo  scoperto.  Ma 
tutto  questo  si  dileguò  presto;  il  moto  si  arrestò  e  le  Borse  successive 
furono  vacillanti  e  senza  transazioni  di  qualche  entità. 

Cosi  il  risparmio,  il  quale  allettato  dai  bassi  corsi  e  lusingato  dal- 
Taver  creduto  che  le  cause  produttive  del  ribasso  fossero  state  in  buona 
parte  rimosse,  si  era  mostrato  inclinevole  agli  impieghi,  tornò  alla  ri- 
servatezza usata  dacché  vide  che  la  speculazione  non  era  con  esso,  e 
questa  alla  sua  volta  si  ritrasse  al  ritrarsi  di  quello.  Non  valsero  le 
buone  notizie  di  Londra  per  riguardo  al  Canale  di  Suez;  non  le  altre 
relative  alla  spedizione  francese  nell'estremo  Oriente,  lo  quali  davano 
fidanza  che  le  differenze  nate  tra  Francia  ed  Inghilterra  sarebbero  state 
tolte.  La  inazione  e  la  nullità  degli  affari  tornarono  ad  essere  le  note 
dominanti  del  mercato,  e  i  maggiori  operatori  non  dimostrarono  alcuna 
voglia  d'infondergli  un  po'  di  vita. 

Con  tutto  ciò  avvennero  due  fatti  de'  quali  conviene  tener  conto. 
Ci  fu  un  mig'ioramento  dei  corsi,  ottenuto  gradatamente,  e  nessun  atto 
del  partito  al  ribasso  che  ricordasse  le  reazioni  brusche  alle  quali  ci 
aveva  abituati  da  lungo  tempo.  Se  nulla  avesse  disturbato  questo  anda- 
mento di  cose,  l'attitudine  del  mercato  parigino  avrebbe  influito  util- 
mente sugli  altri,  anche  su  quello  di  Londra,  che  si.  volle  distinguere 
per  un'ostinata  persistenza  al  ribasso,  e  i  varii  mercati,  francheggian- 
dosi l'un  l'altro,  avrebbero  preparato  un  autunno  passabile. 

Ma  i  moti  di  Spagna  che  trovarono  il  mercato  di  Parigi  e  quello 
di  Londra  impegnati  assai  neìV Esteriore  e  nei  titoli  ferroviari  spagnuoli, 
mutarono  la  situazione  di  un  tratto;  e  per  quanto  le  notizie  posteriori 
sien  venute  attenuandoli  e  abbiano  addimostrata  una  certa  energia  in 
quel  governo  nel  combatterli,  e  lo  Stock-exchange  in  primo  luogo,  con 
un  voltafaccia  spiegabile,  abbia  fatto  grandi  sforzi  per  rialzare  i  corsi 
e  diminuire  le  differenze  alla  vigilia  della  liquidazione,  e  gli  altri  mer- 
cati vi  abbiano  tenuto  dietro,  pure  dubitiamo  che  gli  affiiri  potranno 
essere  rianimati.  Mentre  scriviamo,  notizie  sopraggiunte  mettono  in 
forse  che  i  moti  spagnoli  sieno  stati  sedati,  e  quelle  attinenti  alle  borse 


■ii- 


BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA.  775 

ci  fanno  credere  che,  compita  la  liquidazione,  il  bel  tempo  aumenterà 
il  vuoto. 

Il  ribasso  dominato  a  Londra  colpi  anche  i  consolidati  ;  ma  un  fatto 
speciale,  del  resto  non  nuovo,  giovò  a  rialzai  li.  Un  disegno  di  legge 
approvato  dalla  Camera  in  seconda  lettura  stabilisce  un  nuovo  fondo  di 
ammortamento  del  debito  pubblico  inglese,  il  quale  avrà  T effetto  di 
ussottigjiare  vie  più  la  massa  de' consolidati  già  molto  rarefatta  e  in 
gran  parte  immobilizzata  e  di  preservare  il  titolo  da  nuove  coaversioni. 

I  mercati  italiani,  posti  alla  loro  volta  dentro  la  sfera  di  attività 
de'  maggiori  mercati  d'Europa,  iecero  come  gli  altri.  Perciò  questa 
prima  metà  del  mese  e  trascorsa  anche  per  essi  poco  fruttuosa. 

La  rendita  venne  negoziata  alla  stregua  de*  corsi  di  Parigi,  de'  quali 
s^QÌ  fedelmente  le  evoluzioni,  incominciò  al  prezzo  di  90.45  per  fine 
agosto;  poi  crebbe  fino  a  90.92.  Dietro  ai  ribassi  di  Parigi  p^egO  a  90.65; 
quindi  risali  a  91  e  chiuse  a  90.90.  Il  3  OfO  ebbe  soltanto  poche  trao> 
sazioni  al  prezzo  Hi  54  75  e  a  quello  di  53.45  ex^coupon  senoestralo. 

I  prestiti  cattolici  furono  tenuti  mcr'-  J-"i  rendita,  quantunque 
l'attività  delle  transazioni  sia  stata  per  >  to  scarsa.  Il  prestito 
Fìlount  da  91.15  si  elevò  a  91 .00  e  chiase  a  questo  pp»zio;  il  RothtchHd 
variò  da  94  a  9.').05;  i  Certificati  del  Tesoro,  eroisiione  1800-64,  mos- 
^•'^ro  da  94  a  94.80. 

II  Consolidato  Turco  segai  presso  a  poco  i  corsi  Tenuti  di  Francia 
I  ebbe  pochi  affari.  Oscillò  tra  il  prezzo  di  11  e  11.30. 

I  valori  bancari    esperimontarono   cosUotemonte   un  mercato  poco 

propenso  alla  specalasiona ;  i  più  ebbero  prezzi  nominali.  Le  azioni  della 

lidoca  italiana,  alle  quali  non  mancarono  transazioni,    potarono   essere 

•piote  fino  a  2165,  che  fu  il  loro  prezzo   massimo   dopo   che   per  più 

^'iomi  aveanu  avuto  quello  di  2145  a  2155;  in  chiusura  tornarono  a  210'i. 

I.'*  azioni  della   Banca  Romana,   domandate    raramente   e   anchn   poco 

tferto,  si  aggirarono  sol  principio  intomo  a  1<X)5;  poi  scesero  a  997.50; 

n  fine  chiusero  a  10(K).    Quelle    delia    Banca    Qenf*rale    non    poterono 

iiadagnare  mai  nn  corso  ohe  si  potesse  dir  solido  e  ispirato  a  flduoia 

miglioramento.   Esordirono  a  529.50  e  to<v«rono  il  prezzo  di  530; 

i  ricaddero  a  528.75  e  chiusero  a  629. 

;  La  Borsa  di  Milano  segnò  le  azioni  delia  H'inca  omonima  ai  |>r>v.^i 

'èi  000  e  5^R  e  forni  qualche  danaro  alle  azioni  industriali.  Quolln  del 

L.iniflcio  ebbero  prezzo  a  992  e  99i3;  quelle  del  Linificio  a  305;  quelle 

del  r^tonifl'^io  a  330.  I^  azioni  Kubattino  tornarono  a  582;  le    azioni 


776  BOLLETTINO    FINANZIARIO    DELLA    QUINDICINA. 

della  Società  ligure  lombarda  per  la    raffineria    degli    zaccheri,  a  378 
e  380. 

Torino  segnò  le  Tiberine  a  308;  la  Unione  banche  a  251;  la  Car- 
tiera a  280.  Le  azioni  della  Banca  omonima  oscillarono  a  stento  tra 
624  e  621. 

Genova  negoziò  le  azioni  della  Cassa  Sconto  a  905;  quelle  della  Cassa 
Generale  a  415. 

Le  transazioni  nelle  azioni  della  Regìa  tabacchi  furono  poche  e  al 
prezzo  di  584  e  582.50.  Il  Mobiliare  italiano  variò  da  779  a  781  per 
fine. 

I  valori  ferroviari  in  generale  ebbero  qualche  domanda  ;  le  obbliga- 
zioni in  specie  furono  anche  accompagnate  da  transazioni  di  una  certa 
entità.  Le  azioni  della  Società  delle  ferrovie  meridionali  si  aggirarono 
tra  478  e  480;  le  obbligazioni  relative,  tra  274  e  276.50,  anche  per 
effetto  della  loro  ammissione  alla  Borsa  di  Berlino.  I  Boni  meridionali 
rimasero  nominali  a  533  circa.  Le  Palermo-Trapani,  tipo  oro,  ebbero 
richieste  e  negoziazioni  a  287.12  e  290;  le  altre,  tipo  carta,  a  280.50 
e  288.  Le  Sarde  serie  A  vennero  segnate  a  274.50  ;  quelle  della  serie 
B  a  269.75  e  271;  le  nuove  a  271.50  e  274.  Le  azioni  delle  ferrovie 
Romane  figurarono  nei  listini  fra  132  e  133.  A  proposito  di  questo 
titolo  dobbiamo  aggiungere  che  il  Tribunale  di  Firenze,  con  sentenza 
del  20  luglio,  pubblicata  li  6  del  mese  corrente,  riunite  le  cause  mosse 
dai  fondatori  dell'antica  Società  Pio  Centrale  contro  quella  delle  strade 
ferrate  romane,  respinse  tutte  le  domande  degli  attori  e  disse  nulle 
tutte  le  opposizioni  fatte  da  essi  alla  libera  consegna  alla  Commissione 
liquidatrice  del  prezzo  del  riscatto.  Probabilmente  anche  questa  sentenza 
sarà  appellata  ;  ma  è  ancora  più  probabile  che  avrà  lo  stesso  esito  del- 
l'altra. Perciò  si  può  sperare  che  il  prezzo  del  riscatto  andrà  per  intero 
alla  sua  naturale  destinazione.  L'accennata  sentenza  è  una  riuscita  splen- 
dida dello  zelo  adoperato  dalla  solerte  Commissione  liquidatrice  nella 
difesa  del  buon  diritto. 

Le  Cartelle  fondiarie  conservarono  i  prezzi  già  conseguiti.  Milano 
le  negoziò  a  504;  Torino  a  482;  Napoli  a  478;  Palermo  a  494.50; 
Siena  e  Bologna  a  473;  Roma  a  440;  Cagliari  a  425. 

I  valori  proprii  della  Borsa  di  Roma  non  ebbero  da  es?a  molto 
favore;  rimasero  il  più  del  tempo  a  prezzi  nominali.  Le  azioni  dell'acqua 
Marcia  oscillarono  stentatamente  tra  823  e  827;  le  Condotte  d'acqua 
variarono  da  473  a  477;  le  complementari  a  220;  le  azioni  e  obbliga- 


BOLLETTINO   FINANZIARIO   DELLA   QUINDICINA.  777 

TToni  immobiliari  rimasero  invariate,  le  une  a  500,  le  altre  a  470.  Le 
azioni  del  Gaz  romano  per  quanto  durassero  ferme  tra  10-33  e  1040  non 
poterono  avere  scambi  di  qualjhe  entità.  Quelle  del  Banco  di  Roma 
rimasero  invariate  e  intrattate  a  550. 

Il  cambio  si  mantenne  costantemente  favorevole  all'Italia.  Gli  che- 
ques  su  Francia  si  aggirarono  con  lievi  oscillazioni  tra  99.95  e  99.80  ; 
la  Londra  a  vista  tra  25.28  e  25.29;  quella  a  3  mesi  tra  25.04  e  25.02. 


-T»'  I    IH^J. 


w 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


LETTERATURA  E  POESIA. 

Un  preoarsore  del  Metastasio  N.  Campakini.  —  Reggio-Emilia,  Tipog. 
Bondavalli,  1883. 

Le  nostre  storie  letterarie  o  non  ricordano  affatto  o  non  tengono 
nel  debito  conto  un  poeta  italiano,  che  pure  diede  opera  insieme  con 
Apostolo  Zeno  alla  riforma  del  Melodranima,  e  che  quindi  si  può  ri- 
guar  are  come  il  primo  precursore  del  Metastasio.  Fu  questi  Pietro 
Giovanni  Panati  nato  a  Reggio  di  Modena  il  1665,  chiamato  a  Vienna 
come  poeta  cesareo  il  1714,  e  morto  in  quella  città  già  vecchio  il  1732, 
circa  tre  anni  dopoché  in  quell'ufficio  gli  venne  sostituito  Apostolo 
Zeno,  Abbandonata  la  nativa  Reggio  dove  per  suoi  mali  portamenti  e 
per  arti  di  nemici  era  stato  tenuto  per  ordine  del  duca  Rinaldo  IV,  in 
dura  prigione;  non  potè  più  rivedere  la  patria.  Ricoveratosi  a  Venezia 
divenne  intimo  delio  Zeno,  e  con  lui  scrisse  parecchi  drammi  recitati 
al  S.  Cassiano  e  ad  altri  teatri  di  quella  città.  Lo  Zeno  non  dissimula 
l'aiuto  che  il  Parlati  gli  prestò,  e  ne  fa  spesso  onorata  menzione.  Il 
Ciro  esposto  dal  Parlati  nel  1709,  gli  valse  l' invito  di  recarsi  alla 
corte  di  Vienna.  Questo  studio  del  chiarissimo  Campanini  è  un  lavoro 
diligente  e  completo,  come  quello  che  non  si  appaga  di  quanto  del 
Parlati  avea  scritto  il  Tiraboschi  nel  volume  IV  della  Biblioteca  Mo- 
denesej  ma  ricerca  e  pone  a  profitto  i  documenti  e  le  notizie  del  tempo, 
e  sopra  vi  ritesse  con  facile  vena  la  storia  del  poeta  e  de' suoi  drammi, 
onde  il  libro  riesca  di  lettura  molto  attraente.  Un  rapido  sguardo  ma 
esatto  sul  melodramma,    dalle    sue   origini    fino  al   Parlati,    introduce 


m. 


BOLLETTINO    BIBLICO RAFICO. 


onciamente  l' autore  a  parlare  del  relativo  marito  dei  principali 
drammi  di  lui,  dei  quali  analizza  a  parte  a  parte  Y  Amleto  e  V  Ales- 
sandro in  Sidone  composti  insieme  collo  Zeno  ;  mostrando  che  essi 
nello  scrivere  il  primo,  non  tolsero  alcuna  ispirazione  dalla  grande 
opera  del  tragico  inglese,  la  quale  forse  non  conobbero.  Esamina  quindi 
il  Don  Chisciotte,  opera  quasi  interamente  del  Pariati  e  il  primo  me- 
lodramma giocoso  che  meriti  lode.  In  ultimo  considera  il  Pariati  come 
poeta  lirico  nel  qual  genere  €  nulla  ha  lasciato  onde  la  sua  fama  si 
accresca  >  non  ostante  che  levasse  bella  nominanza  l' ode  pubblicata  a 
Parma  nel  1690  per  le  nozze  Famese-Moburgo.  Curiosa  è  Y Appendice 
che  contiene  alcuni  sonetti  del  Pariati,  da  lui  scritti  ce*  muri  della 
sua  carcere;  sonetti  che  quantunque  abbondino  di  luoghi  comuni  e 
conforme  al  gusto  del  tempo  siano  un  po'  verbosi,  non  mancano  però 
di  certa  vivacità  poetica.  Seguono  &\Y Appendice  e  chiudono  questo  im- 
portante volumetto  alcuni  documenti,  cioè  le  lettere  del  Dini  inviato  del 
duca  a  Madrid,  nelle  quali  si  narrano  largamente  i  fatti  che  diedero 
motivo  alla  prigionia  del  Panati;  e  una  stipplica  del  poeta  ai  duca,  da 
cui  risalta  quanto  lunga  e  cradele  fosse  quella  detenzione.  Continui  il 
signor  Campanini  ad  illustrare  la  storia  letteraria  della  sua  provincia 
con  iscritture  pari  a  questa,  dove  si  rivela  tanta  attitudine  e  aggiusta- 
tezza di  criterio  pei  genere  di  cai  tratta. 

Ombre  e  figrore.  —  Saggi  crìtici  di  G.  Ghtabttvt.    —  Romat  Sommaroga, 
18jì3. 

Il  prof.  Chiarini  non  è  di  quei  critici  ohe  aeeattano  il  facile  plauso 
del  volgo  con  imouigini  sfaccettate,  con  abbaglianti  antitesi,  con  paro- 
Ioni  sesquipedali,  sotto  a  etri  non  si  trova  nulla.  Ogni  tuo  lavoro  è 
frutto  di  pazienti  indagini  e  reca  in  mezzo  giudizi  originali  e  sagaci  : 
dediè  ha  importanza  non  effimera  ed  è  documonto  prezioso,  or*  e  poi, 
al  cultori  delie  diacipline  letterarie.  Ejfli  ha  ancora  il  merito  non  co- 
rnane di  innestare  alle  roigiiori  tradizioni  della  tcaola  italiana,  a  cai 
fo  «ducato,  lo  itadio  delle  letterttort  straniere,  non  superflciale  e  di 
feconda  mano,  ma  attinto  alle  fonti.  Così  il  presente  volume,  el(*gan- 
tornente  impresso  dal  Sommaruga,  è  diviso  in  duo  libri.  Nel  primo, 
ragiona  della  vita  e  della  poesia  dHlo  Sheltor  (mosso  da  un  santo 
•degno  contro  on  recente  e  pessimo  traduttore);  quindi  fa  un  ritratto 
dcUo  Swinburne  che  difende  contro  alcune  censure  del  Rossetti  o  raf- 
firoota  col  Cardocci;  prendendo  occasione  da  an  articolo  d«llo  Zannila, 
ne  rileva  alcani  falsi  giudizi  sul  Orajr,  sul  Wordsworth  «d  altri  poeti 


780  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

inglesi  moderni;  e  8nalmente,  in  altri  due  scritti,  analizza  il  soggetto 
e  spiega  il  significato  di  due  poemetti  satirici  dell'Heine;  U Atta  Troll 
e  il  Deutschland ;  il  che  fa  con  quella  sicura  intelligenza  che  c'era  da 
aspettarsi  dal  migliore  interprete  italiano  del  poeta  tedesco.  Il  secondo 
lihro  è  intieramente  dedicato  al  Leopardi,  al  Foscolo  e  al  Carducci.  In 
un  primo  frammento  esamina  alcuni  fatti  della  vita  del  Recanatese  e 
le  sue  relazioni  col  Giordani  e  soprattutto  col  Ranieri,  per  conchiudere 
che  qualche  critico  si  è  troppo  affrettato  a  pronunziare  sentenza  contro 
la  sincerità  e  la  bontà  di  quel  grande.  Del  quale  torna  a  parlare  in 
un  secondo  frammento  rappresentandolo  come  iniziatore  in  Italia  della 
poesia  della  scienza  e  del  vero.  In  altro  articolo  poi  mette  in  luce,  con 
pari  dottrina  ed  acume,  i  pregi,  i  difetti  e  l'importanza  della  Cantica 
sull'appressamento  della  morte  e  le  due  elegie  che  il  Poeta  compose, 
quella  nel  1816  e  queste  nel  17.  Il  Chiarini  è  benemerito  editore  e  conosci- 
tore del  Foscolo  quanto  del  Leopardi,  e  più;  egli  meglio  d'ogni  altro  potrebbe 
dare  alle  nostre  lettere  una  vita  compiuta  e  imparziale  del  Poeta  delle 
Grazie.  Qui  prende  le  mosse  dalla  Teresa  dell'  Ortis;  e  riandando  i 
due  principali  momenti  di  concezione  ed  elaborazione  del  celebre  ro- 
manzo, dimostra  come  alla  prota ironista  della  Vera  Storia  (scritta  nel 
1798  e  ispirata  dal  Werther)  servisse  da  modello  la  Costanza  Monti  ; 
e  come  essa  poi,  neW  Ortis  del  1802,  assumesse  la  figura  dell'  Isabella 
Rondoni.  Per  ultimo  narra  col  sussidio  di  nuovi  documenti,  le  vicende 
di  due  tra  le  passioni  che  maggiormente  accesero  il  cuore  del  volubile 
Poeta,  quella  per  la  Giovio  e  quella  per  la  Bignami,  una  delle  ispi- 
ratrici delle  Gì-azie.  Due  studi  sul  Carducci  {avanti  e  dopo  il  69) 
chiudono  il  volume:  l'A.  dice  di  voler  parlare  più  da  storico  che  da 
critico;  ma,  per  ambedue  i  rispetti,  egli  illustra,  dalla  giovinezza  alla 
virilità,  l'ingegno  del  nostro  maggior  lirico  contemporaneo,  a  cui  è  le- 
gato da  fraterna  amicizia  e  per  cui  ha  ammirazione  non  servile.  Ab- 
biam  dato  poco  più  che  un  indice  del  volume;  ma  bisognerebbe  ripro- 
durlo tutto  a  far  vedere  qual  tesoro  vi  si  raccolga  di  notizie  esatte,  e 
di  acute  osservazioni  letterarie  e  psicologiche,  di  sana  critica  e  di  utili 
ammaestramenti  esposti  con  bel  garbo  e  in  forma  prettamente  italiana. 

La  Buccolica  di  Publio  Virgilio  Marone.  Vera  one  poetica  italiana  di 
A.  B.  Costantini.  —  Torino,  stamperia  reale  Paravia,  lob3. 

Chi  si  mette  oggi  a  tradurre  dal  greco  o  dal  latino,  dopo  tante  pre- 
cedenti versioni,  belle  o  mediocri,  che  se  ne  hanno;  deve  cercare  di 
superar  gli  antichi,  cse  non  per  eleganza,  almeno  per  più  profonda  in- 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  781 

telligenza  del  senso  e  per  maggiore  naturalezza,  e  quasi  per  una  certa 
intimità  con  l'autore;  doti  alle  quali  gli  studi  critici  dell'  età  nostra 
hanno  certo  agevolato  la  via.  Questa  versione  del  signor  Costantini, 
mentre  non  manca  di  pregi  nella  forma,  quali  sono  semplicità  e  spiglia- 
tezza di  verso,  fluidità  e  dolcezza  di  stile,  e  insomma  vena  non  cattiva 
di  poesia,  non  si  addentra  abbastonza  nello  spirito  del  testo,  e  pecca 
non  di  rado  di  poca  fedeltà.  Per  darne  qualche  esempio,  quel  verso 
(Ed.  I,  27)  Liberta^,  quae  sera  tamen  respexit  inertem^  è  tradotto: 
La  libertà  che,  ancor  che  fosse  tardi.  Mi  vide  inerte  :  il  vide  non 
rende  qui  il  respexit  che  vale  «  mi  volge  uno  sguardo,  prese  cura  di 
me  >  e  per  giunta  porta  equivoco,  perchè  queir  inerte  sembra  retto 
dal  verbo  vedere,  il  che  non  è.  Poco  appresso  il  Postquam  nos  Ama- 
ryllis  habet  Gahitea  reliquit  resta  falsato  o  indebolito,  nel  modo  ita- 
liano, ed  Amarillide  mi  tolse  E  Galatea  lanciai,  perchè  quel  tolse 
non  ha  che  fare  coli'  habet,  e  il  lasciato  fu  il  poeta,  non  Galatea.  Nel 
V.  45  della  stessa  Ecloga,  Pascite,  ut  ante,  bores,  pueri,  è,  non  si 
sa  perché,  mutato  il  plurale  nel  singolare;  Pascola,  o  figlio,  come 
pria^  le  vacche;  oltre  alla  sconvenienza  di  fare  che  quel  tal ^ Dio 
ctwami  Titiro  figlio.  Nei  versi  47-50  è  falsato  arbitrariamente  1'  ordina 
de'  concetti.  Nel  v.  56  alta  sub  rupe  è  tradòtto  dalla  collina,  mentre 
vuol  dire,  come  spiega  lo  Strocchi,  a  pie  d  un'  alta  balza. 

Neil' al  timo  verso  dell'  Egloga  Mty'oresque  eadunt  altis  de  montibus 
umbrae,  che  vnol  dire  le^omòre  cadono  maggiori,  cioè  più  lunghe, 
vien  tradotto  cadono  le  maggiori  ombre  dai  monti,  divenendo  attri- 
buto quello  che  nel  testo  ò  predicato  a  si  rifanaee  a  eadunt.  Che  pili  t 
neir  Eoi.  Ili  e.  93  i  pueri  che  raccolgono  fiori  a  fragole,  sono  cambiati 
di  sesso,  e  diventano  fanciulle  da  le  trecce  bionde.  Potremmo  segui* 
tare,  ma  basti  questo  poco  per  giustificare  quanto  abbiamo  detto  sul!a 
poea  fedeltà  ed  esattezza  di  questa  ▼jrsione.  Arremmo  anche  da  osser. 
vare  circa  rarroonia.  Per  et  Tarai  oome  questi  :  Mentre  tanto  tumulto 
tutte  intomo  l*  campagne  sconvolge  —  Suaderà  soave  sonno  eoe.  pa- 
iono fatti  apposta  per  lacerar  Torecchie.  Ma  in  generale  U  Teraeggia- 
tara  è  buona  e  franca  Ci  p«»rdonl  dunque  il  traduttore,  ae  lo  consi- 
gliamo ad  psiter  più  esatto,  ad  entrar  meglio  nella  forza  e  n^l  senti- 
m<>nto  del  t''Sto,  80|)rattutto  in  qu«lla  proMima  pubblicazione  che  qui  ci 
annunzia,  della  Oeorgira  tradotta;  opera  tanto  più  perfetta  della  Bue- 
colica,  e  che  meno  tollera  una  versione  la  quale  non  passi  la  me- 
diocrità. 


~>--'J  BOLLKTTDCO    BIBLIOORAFICO. 

STORIA. 

Documenti  e  notizie  intorno   agli  artisti   Vercellesi  per  Giuseppe 
Colombo  —  Vercelli,  Tipografia  Guidetti  Francesco,  1883. 

In  questa  medesima  rivista  abbiamo  altra  volta  ricordato  che  l'Italia 
non  possied<j  ancora  una  storia  completa  e  veridica  delle  sue  arti,  e 
rivolto  parole  d'incoraggiamento  a  quei  pazienti  cultori  di  studi  sto- 
rici, i  quali  rovistando  archivi,  disseppellendo  monumenti,  raffrontando 
questi  al  lume  di  una  sana  critica,  arricchiscono  la  bibliografia  italiana 
di  nuovi  materiali,  da  servire  alla  compilazione  d' una  storia  scevra  di 
pregiudizi  e  senza  lacune.  ' 

Siamo  quindi  assai  lieti  di  render  conto  di  questo  volume,  edito  a 
spese  dell'istituto  di  Belle  Arti  di  Vercelli  e  dovuto  alle  sapienti  ri- 
cerche di  due  monaci  barnabiti,  il  chiarissimo  P.  Bruzza  e  il  suo  con- 
fratello P.  Giuseppe  Colombo. 

Dell'esistenza  d'una  scuola  pittorica  vercellese  non  sospettarono  gli 
storici  passati;  di  artisti  di  quella  regione  neppure  fecero  menzione  i 
signori  Crowe  e  Cavalcasele  nella  loro  storia  della  pittura  italiana; 
solo  per  incidenza  ne  parlò  recentemente  un  dotto  scrittore,  che  si  na- 
sconde sotto  il  pseudonimo  di  Lennolieff,  unici  ad  occuparsene  con  onore 
furono  il  Resini  e  il  conte  Roberto  D'Azeglio.  Eppure  il  Piemonte  non 
potrebbe  darsi  vanto  di  possedere  anch'  esso  una  propria  scuola  di  pit- 
tura, ove  non  additasse  Vercelli,  la  quale  dando  ospitalità  ad  una  folla 
di  artisti,  mantenne  accesa  la  fiamma  del  bello,  intanto  che  le  città 
consorelle  del  regno  preferivano,  come  osserva  il  Colombo,  le  aspre  ten- 
zoni della  guerra  o  le  lucrose  cure  dell'  industria  e  del  commercio. 

La  pubblicazione  dei  documenti  è  preceduta  da  un  interessante  ca- 
pitolo storico  che  ha  per  tii;olo  —  V  arte  in  Vercelli  dal  secolo  VI  fino 
a  Gaudenzio  Ferrari  —  nel  quale  si  ragiona  dottamente  dei  monu- 
menti vercellesi  fino  dalla  primitiva  epoca  cristiana.  Ivi  ti  dà  conto  di 
pitture,  di  musaici,  e  di  edifici  dedicati  al  culto,  i  quali  abbellivano 
un  tempo  quella  nobile  città,  e  si  tien  proposito  degli  Oldoni,  dei  Larino, 
dei  Giovenone,  tre  famiglie  di  artisti  vercellesi  che  precedettero  Gau- 
denzio Ferrari  il  restauratore  dell'  arte  in  Vercelli,  del  quale  ha  scritto 
la  vita  il  medesimo  P,  Colombo. 

A  rendere  il  volume  più  completo,  l'istituto  vercellese  che  ne  fu 
•ditore,  volle  che  fosse  riprodotto  infine  uno  studio  del  P.  Luigi  Brazza, 


i 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO.  7So 

già  stampato  nel  primo  tomo  della  miscellanea  di  Storia  italiana  col 
titolo  *  notizie  intorno  alla  patria  e  a*  primi  studi  del  pittore  Giovan 
Antonio  Bazzi  detto  il  Soddoroa,  illostrate  con  nnovi  docamenti  >  nelle 
quali  il  dottissimo  Barnabita  rivendica  a  Vercelli  la  gloria  di  aver  gì 
dato  i  natali. 

Nell'insieme  è  questo  un  volume  bene  ordinato,  benissimo  edito. 
ohe  riescirà  di  onore  ai  compilatori  e  agli  editori,  come  sarà  per  tor- 
nare di  grande  utilità  agli  studiosi  delle  glorie  artistiche  della  patria 
nostra. 

Cronaca  di  tra.  Salimbene.  parmigiano,  dell'ordine  de'  Minori,  vol- 
garizzata da  Cablo  Cantarelli.  —  Volume  secondo.  Parma,  Luigi 
Bottei,  1883. 

Del  primo  volume  di  questa  traduzione  fu  fatto  cenno  nel  fescicolo  del 
15  ottobre  1882.  Il  secondo,  che  qui  annunziamo,  comprende  tutto  il  resto 
della  Cronaca,  oltre  ai  Frammenti  d'un  libro  intitolato  il  Prelato,  che  è 
in  sostanza  una  fierissima  accusa  di  frate  Elia;  e  di  più  uc  indice  ge- 
nerale delle  materie  eonteonte  nella  Cronaca;  prezioso  qnest*  altimo, 
per  le  tante  e  importanti  curiosità  storiche,  le  quali  si  possono  oo«\ 
rintrac<;iare  o  ritrovare  in  un  libro,  difficile  a  ritenersi  oel  suo  insieme. 
Non  abbiamo  sott'occhio  l'originale  latino,  onde  non  ponsinmo  dar  giu- 
•lizio  sulla  fedeltà  della  versione.  Leggendola  così  sola,  l'abbiam  tro- 
vata gustosa,  chiara  ed  agevole:  tanto  agevole,  che  ci  par  troppo:  oi 
pare  cioè  che  pigli  oaa  forma  del  tutto  moderna,  da  far  sospettare  di 
|K>ea  fedeltà  al  testo;  a  se  giudichiamo  dai  canti  qua  e  là  insarìti,  di 
cui  si  riporta  anche  l'originale  latino,  il  nostro  sospetto  oresee,  poiché 
quelle  smilze  poesie  latine,  sono  parafrasata  ccn  soverchia  libertà  e 
con  ao'eleganza  di  (Ssnoe  ehe,  se  non  erriaino,  ne  falsa  il  carattere. 
Ma  certo  il  libro  in  questa  veste  riasoe  di  assai  piacevoi  lettura. 

l'EDAdOGIV 

A  Vanioek.  Orammntica  elementare  delU  lingua  latina,  rerat«  dal  tede- 
li-Mo  in  italiano  da  Emilio  F*B>tABo.  —  Torino,  ditta  Paravia  1888. 

Il  Vanicek,  dotto  filosofo  di  Germania,  pabblicò  nel  IHriO  e  poi  ri- 
prodofsa  corretta  ed  ampliata  nel  1873  una  sua  grammatica  latina  ala- 
mantare,  collo  scopo  precipuo  di  adottara  alla  lingua  del  Lazio,  par 
quanto  fossa  possibile,  quel  metodo  razionala  e  scientifico,  che  il  Cur- 


7h4  bollettino  kihliograpico. 

tius,  con  tanto  p'anso,  ha  usato  nella  sua  grammatica  greca.  Donde  na- 
sceva il  vantaggio  che  i  discepoli  potessero  avere  per  lo  due  lingue  un 
metodo  conforme.  Né  risparmiò  tempo  e  fatica  per  ridurre  il  suo  lavoro 
in  guisa  che  i  dotti  dovessero  approvarlo,  cosa  che,  in  parte  almeno, 
ha  ottenuto.  Avendo  ora  preso  piede  anche  in  Italia  la  grammatica  greca 
del  Curtius  ed  essendo  in  quasi  tutte  le  scuole  adottata,  ed  anche  chi 
non  adotta  propriamente  quella,  usandone  altre  che  poco  ne  differiscono 
per  il  metodo,  doveva  facilmente  venire  in  pensiero  che  fosse  espediente 
introdurre  anche  nello  studio  del  latino  una  grammatica  trattata  scien- 
tificamente, qual  sarebbe  appunto  quella  che  annunziamo.  Da  ciò  mosso 
il  prof.  Ferrare  ce  la  porge  tradotta  con  molta  fedeltà  e  chiarezza,  se 
non  che  (e  non  ce  ne  sappiamo  spiegar  la  ragione)  egli  include  nella  Morfo- 
logia il  trattato  delle  preposizioni  e  delle  oongiunzioni,  che  l'autore,  con- 
forme al  metodo  del  Curtius  e  conforme  anche  alla  miglior  convenienza, 
avea  incluso  nella  Sintassi  :  e,  cosa  più  strana,  nulla  dice  interno  a  ciò 
nella  prefazione,  anzi  non  accenna  nemmeno  su  quale  edizione  tedesca 
sia  condotta  la  sua  versione,  che  pure  in  tutto  il  resto  ci  sembra  con- 
forme a  quella  del  1873.  Checché  sia  di  ciò,  si  può  discutere  circa  l'uti- 
lità d'introdurre  nei  nostri  ginnasi  questo  nuovo  metodo.  Non  neghiamo 
il  vantaggio  della  conformità  messa  in  vista  fra  le  due  lingue,  nò  quello 
della  cognizione  ragionata  di  tante  forme,  che  si  apprendon  ora  solo 
empiricamente.  Ma  per  introdurre  nelle  scuole  applicato  al  latino  il 
metodo  filologico,  ci  sono  due  difficoltà;  primo,  che  il  latino  si  comincia  ad 
insegnare  più  presto  del  greco,  dunque  a  menti  più  tenere,  che  esercitano 
la  memoria  in  ragione  inversa  del  raziocinio;  secondo  che  il  latino  non 
serba,  come  il  greco,  visibili  e  marcate  le  tracce  del  suo  organismo,  ma  le  ha 
cosi  involute  e  nascoste,  che  per  iscoprirle  bisogna  ricorrere  quasi  sempre  a 
forme  arcaiche  o  suppositizie.  Per  esempio,  accanto  al  verbo  greco  contratto 
ó?(3  si  usa  ugualmente  la  forma  intera  ópàu,  quindi  la  prima  ci  resta 
ben  chiara  ;  ma  nel  latino  amo  chi  sospetterebbe  la  suppositizia  omao  ? 
Il  raddoppiamento  de'  perfetti  greci  è  regolare  e  comune  (poche  eccezioni 
fatte);  mentre  in  latino,  raro  com'è,  e  il  più  delle  volte  nascosto  sotto 
la  quantità,  ha  pochissima  importanza  e  richiede,  in  molti  casi,  dei  ra- 
gionamenti lunghi  e  complicati,  senza  granfie  utilità.  E  di  questi  esempi 
ne  potremmo  citare  moltissmii.  A  tutto  ciò  si  aggiunga  che  il  latino  è 
tanto  simile  all'  italiano,  che  l'analogia  fra  le  due  lingue  ce  ne  rende 
l'apprenilimento  molto  più  facile,  che  dal  greco,  quinli  c'è  meno  bisogno 
di  aiutar  la  memoria  col  raziocinio.  Concludiamo  che,  secondo  il  nostro 
debole  parere,  si  deve  si  trasportare  anche  nell'insegnamento  del  latino 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO.  785 

quel  tanto  di  razionale  e  di  metodico  che  la  mente  dei  giovani  può 
comprendere,  ma  solo  per  indiretto  e  come  un  accessorio  ;  e  del  resto 
rimanere  sulle  antiche  basi,  come  fanno  la  più  parte  delle  grammatiche 
anche  tedesche  e  moderne,  e  affidarsi  principalmente  alla  memoria.  Ve- 
nuti poi  i  giovani  al  liceo  potranno,  magari  nel  terzo  coreo,  riandare 
con  piacere  e  con  vera  utilità  le  leggi  della  lingua  che  già  conoscono, 
ridotte  a  logica  semplicità  ;  e  in  questo  valersi  del  bel  libro  del  Vanicek. 

Breve  teoria  dello  stile  latino,  esposta   da   Antonio   Cima     —  Torino, 
Paravia,  1883. 

Questo  trattatello  dello  Stile  latino,  pubblicato  or  sono  due  anni, 
ricomparisce  in  nuova  e  più  corretta  forma,  a  vantaggio  degli  studenti 
di  Liceo.  Il  Prof.  Cinoa,  giovandosi  delle  opere  di  N&jelsbach,  Klotz, 
Drilger  ed  altri  molti  dotti  alemanni,  ha  fetto  un  perpetao  raffronto 
tra  il  modo  di  esprimere  il  concetto  in  latino,  e  quello  di  esprimerlo 
in  italiano,  cominciando  dai  concetti  semplici  compresi  cioè  in  un  vo- 
cabolo 0  in  una  frase,  e  passando  poi  alla  proposizione,  al  periodo, 
alle  metafore,  e  al  ritmo  della  prosa.  SegaoDo  dae  Appendici^  V  una 
sulla  distinzione  fra  le  lingue  d'ordine  analìtico  e  lingue  inversive  ; 
Taltra  sulla  struttura  del  periodo  latino,  secondo  gli  schemi  del  Nftyd- 
sbacb.  Parlando  in  generale,  ci  sembra  che  egli  abbia  raggiunto  le 
doti  della  precisione,  della  semplicità,  della  chiaretsa,  per  quanto  con- 
cerne la  dichiarazione  delle  y  *  latine.  Meno  pratico,  e  forse 
troppo  indulgente,  si  mostra  e;.  u  intomo  alla  proprietà  della 
nostra  lingua.  Ne  citiamo  due  etempi.  Egli  ammette  come  buone,  o 
almeno  come  tollerabili,  certe  forme,  aflktto  barbare,  di  gergo  scienti- 
fico, solite  usarsi  oggi  da  qnelli  scrittori  che  non  sanno,  o,  sapendo, 
non  vogliono,  trovar  lo  forme  schiette  e  semplici  dell*  italiano,  corno 
(e  VI,  nota)  gTìdealitmì  snervanti  e  infecondi^  femanashne  morale 
della  cirilfà,  la  npirituale  irradiasione  de"  popoli  eoe.  Non  un  aiteg» 
giarsi  del  pensiero  moderno  divarsamante  dall*  antico  noi  vediamo  in 
queste  frasi,  ma  un  modo  di  esprimersi  del  tatto  falso  •  convenzio- 
nale, che  ci  auguriamo  debba  passar  di  moda.  In  secondo  luogo  egli 
dà  come  regolare  e  necessario  a  ritrarre  certe  frasi  latine  il  noto 
costrutto  francese  Fu  ad  Arbela  che  Aleuandro  rime,  potendosi  dire 
italianameote  eoo  maggior  fona  Ad  Arbela  Alettandro  viiue  Dario. 


Tm.  xl,  Boti*  ir—  is  Aftm  ttss.  •» 


786  BOLLETTINO    HIHLIOQRAFICO. 


BELLE  ARTI. 


La  Cattedrale  di  Fiesole  per  Fedebioo   Canonico   Baeoilli.  —  Firenze, 
Tipografia  Righi  1883. 

Il  più  insigne  e  vasto  tempio  dell'antichissima  Faesulae  è  la  cat- 
tedrale sacra  a  S.  Romolo,  incominciata  nel  1020  dal  vescovo  Iacopo 
il  Bavaro  e  terminata  nella  prima  metà  del  XIII  secolo 

Sull'esempio  della  famosa  basilica  di  S.  Miniato  al  Monte,  il  duomo 
di  Fiesole  è  uno  dei  migliori  tipi  d'arte  romanda,  gentile  innesto  di 
vari  stili  architettonici,  con  prevalenza  di  elemento  classico  romano,  al 
quale  il  sentimento  cristiano,  impresse  un  carattere  di  severa  maestà 
e  d'interno  raccoglimento,  come  si  conveniva,  volendo  trasformare 
l'antica  basilica  ove  adunavansi  i  mercanti,  in  tempio  sacro  al  Dio 
Spirito. 

Il  governo  italiano  classificò  la  cattedrale  fiesolana  fra  i  monumenti 
nazionali. 

Le  tristi  condizioni  dell'edificio  invocavano  urgenti  riparazioni  e  i 
Canonici  ebbero  l'avvedutezza  di  rivolgersi  all'on.  Mantellini,  il  quale 
colla  sua  autorevole  interposizione,  troncò  gli  indugi  doUa  burocrazia, 
per  modo  che  il  restauro  della  cattedrale  fiesolana,  incominciato  nei 
primi  di  ottobre  del  1878,  fu  condotto  a  termine  nella  meta  di  giugno 
del  1883. 

L'opera  di  restauro  die  occasione  al  libro  del  canonico  Bargilli  — 
come  egli  stesso  narra  nella  prefazione  :  «  Appena  fu  messo  mano  al 
restauro  di  questa  cattedrale,  nel  sentire  che  indarno  si  richiedevan 
notizie  intorno  alla  storia  di  lei,  mi  entrò  addosso  una  tale  smania  di 
fare  in  proposito  delle  ricerche,  che  non  ebbi  pace,  finché  non  corsi  a 
rovistare  biblioteche  e  frugare  archivi.  »  E  il  risultato  di  queste  inda- 
gini è  un  bel  volume  di  250  pagine,  nel  quale  si  narrano  non  pur  le 
vicende  della  basilica,  ma  anche  la  storia  dei  vescovi  fiesolani  e  spe- 
cialmente di  quelli  che  ebbero  parte  nella  sua  costruzione  o  ne'  suoi 
abbellimenti. 

Nella  prima  parte  del  libro,  l'autore  tenta  di  scoprire  quale  fos^e 
la  forma  primitiva  del  tempio  e  dimostra  che  esso  quale  è;  fu  npora 
di  due  tempi  e  prese  più  vaste  dimensioni  nel  secolo  XIII,  epoca  in 
cui  fu  costruita  altresì  la  svelta  torre  che  gli  sorge  da  un  lato. 


I 


BOLLETTI^^O    BIBLIOGRAFICO.  787 

Nella  seconda,  è  narrato  il  restauro  fattovi  dal  vescovo  Andrea 
•Corsini  nella  prima  metà  del  XIV  secolo. 

Nella  terza  si  discorre  dei  lavori  eseguiti  a  vantaggio  del  tempio 
dal  vescovo  Francesco  Cattani  da  Diacceto. 

Nella  quarta,  del  grande  restauro  eseguito  dal  governo  italiano  — 
essendo  vescovo  Monsignor  Luigi  Corsani  —  restauro  che  importò  la 
cifra  tonda  di  lire  lOO.tOO,  delle  quali  81.000  pagò  il  governo,  12000 
il  capitolo,  7.000  il  vescovo. 

I  restauri  architettonici  furono  principalmente  studiati  dal  benemerito 
Bongiovanni,  ispettore  dei  monumenti  medioevali  presso  il  ministero 
di  pubblica  istruzione  e  parvero  tali  da  appagare  le  giuste  esigenze 
degli  artisti  e  degli  archeologi. 

I  restauri  degli  affreschi  furono  condotti  parte  dal  prof.  Gaetano 
Bianchi;  parte  dal  signor  Pietro  Pozzati.  Il  primo  si  occupò  special- 
mente di  riattare  la  cappella  Salutati  —  il  più  prezioso  gioiello  della 
cattedrale.  Leopoldo  Cicognara  nella  sua  storia  della  scultura  parlando 
degli  artisti  fiesolani  narra  che  Mino  fece  nel  duomo  di  Fiesole  :  «  quel- 
l'altarino  così  elegante  ove  le  diverse  figure  scolpitevi  sono  grazioso  e 
morbidissime  di  tal  modo,  che  marmo  non  fa  mai  meglio  trattato  da 
toscano  scalpello.  Se  gli  scaltori  più  im.-iginoii  nelP  inventare  e  più 
dotti  nel  comporre  avessero  portato  a  un  tal  grado  di  eseouzi  ^ne  le 
opere  loro,  forse  nulla  sarebbe  mancato  per  giungere  ali*  eccellenza. 
Quest'opera  fu  fatta  eseguire  in  marmo  finissimo  da  quel  fHm<»8o  ve- 
scovo e  giureconsulto  Leonardo  Salutato  ivi  sepolto.  »  E  più  innanzi. 
«  Nel  deposito  di  Leonardo  Salutato  si  vede  la  testa  di  lui  pC'l|*ira 
dallo  stesso  Mino  con  tanta  veritA  che  non  marmo,  ma  si  direhbo 
essere  materia  molle  ». 

Riuscito  il  lavoro  di  scultura  di  somma  soddisfiuione  del  v«>s'H)Vo 
Salutati,  questi  pensò  di  decorare  la  cappella  con  dipinti  in  iiffr-'ii'^n^ 
che  gì' int4>lligenti  attribuiscono  alla  scuola  di  Andrea  d«>griiu|Mfìouti 
(del  Castagno)  e  più  specialmente  a  Piero  Pollnjolo,  in  gniiiirt  d-  tl& 
grande  rssioroiglianza  di  questi  affi^srhi  cogli  altri  dal  m*'d.i>ÌMio  pit- 
tore eseguiti  nella  cappella  del  oanlinale  di  Portogallo  nella  iMiitetSriil» 
di  S    Miniato. 

All'anzidetti  cappella  fanno  corona  nello  Mtesso  tempio  1>«  np  r  •  dt 
Andrea  e  Nicomede  Ferrucci,  di  Luca  della  Robbia,  di  Pi««irt»  P.-ru- 
gino,  di  Benedetto  da  Gubbio,  dell'Allori  e  dei  fiimusi  fabbri  seni**! 
Francesco  e  Petruccio  Betti. 

II  lavoro  dell'erudito  canonico  Rargilli  ó  corrodati!  da  pn-rinti   ilo- 


788  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO. 

cumenti  inediti,  dalla  raccolta  delle  epigrafi  che  sono  o  che  furono  nella 
cattedrale  e  di  altre  che  trovansi  fuori  di  essa;  dal  catalogo  dei  Pa- 
stori fìesolani,  da  S.  Romolo  ordinato  vescovo  da  S.  Pietro,  e  da  lui 
inviato  a  Fiesole  circa  gli  anni  60  di  G.  C.  e  martirizzato  circa  30  anni 
dopo,  fino  all'attuale  Ordinario,  monsignor  Luigi  Corsani. 

Chiude  il  libro  una  guida  sommaria  del  vetuslo  tempio  che  potrà 
essere  consultata  con  profitto  da  chiunque  ascenderà  il  famoso  colle, 
ove  Catilina  si  rifugiò  coll'angoscia  della  fallita  congiura,  ove  la  Pam- 
pinea del  Decamerone  guidò  a  sollazzarsi  le  allegre  novellatrici  per 
dimenticare  la  peste  del  1348,  ove  Pico  della  Mirandola  scrisse  VHepta- 
plo,  ove  Lorenzo  de'  Medici  raccolse  l'Accademia  platonica,  fondata  dal 
vecchio  Cosimo,  e  donde  discesero  a  Firenze  l'Angelico,  Andrea  e 
Mino,  Giuliano  e  Benedetto  da  Majano,  Desiderio  da  Settignano,  pit- 
tori, scultori,  architetti,  coll'aureola  della  fede  e  del  genio  a  rivelarvi 
i  più  splendidi  misteri  dell'arte  cristiana  del  rinascimento. 

La  funzione  sociale  dell'arte  per  Albeeto  Zorli.  —  Ravenna,  Tipogra- 
fia Calderini  1883. 

Non  immagini  il  lettore  che  questo  sia  un  grosso  e  pesante  volarne, 
come  il  titolo  potrebbe  far  credere,  è  invece  un  piccolo  lavoro  d'occa- 
sione, è  un  discorso,  cioè,  letto  nel  luglio  del  1882  nelle  sale  dell'Ac- 
cademia di  belle  arti  in  Ravenna,  nel  di  della  solenne  distribuzione  dei 
premi  agli  allievi  dell'Accademia  stessa. 

Gli  studi  speciali  ai  quali  il  sig,  Zorli  ha  dedicato  il  suo  intelletto,, 
lo  condussero  a  considerare  l'arte  dal  lato  dei  bisogni  ai  quali  è  desti- 
nata a  servire,  quindi  delle  funzioni  che  essa  esercita  nell'organismo 
sociale. 

Secondo  l'autore,  le  condizioni  indispensabili  alla  vita  dell'arte,  sono 
tre:  impressionabilità  nel  pubblico;  intelligenza  nell'artista;  ricchezza 
nel  pubblico  pel  quala  lavora  l'artista. 

Egli  prova  la  verità  di  questa  sua  teoria  con  esempi  tolti  dalla 
vita  dei  popoli  selvaggi  e  civilizzati,  dalla  storia  degli  antichi  e  dei 
moderni. 

Ma  r  indole  del  suo  scritto  lo  tiene  avvinto  a  semplici  accenni  e- 
gì'  impedisce  di  dare  alle  sue  idee  un  largo  sviluppo. 

Nondimeno  esamina  di  sfuggita  le  odierne  tendenze  dell'arte,  rile- 
vando come  essa  corra  al  realismo,  benché  non  siasi  ancora  intera- 
mente liberata  dalle  buccio  del  romanticismo. 

Il  signor  Zorli  osserva  altresì  che  nelle  epoche  nelle  quali  l'arte  era. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO.  789 

la.  preoccupazione  di  tutti  ed  innalzava  quei  monumenti  che  onorano  il. 
genio  delle  nazioni,  i  popoli  si  contentavano  di  monare  una  vita  parca 
e  frugale,  dedicando  gran  parte  delle  loro  ricchezze  alla  soddisfazione 
dei  bisogni  estetici.  Oggi  tutte  le  classi  amano  i  comodi,  il  lusso,  i  pia- 
ceri della  mensa,  quindi  l'arte  si  ò  dovuta  riparare  sotto  le  ali  della 
sorella  più  ricca,  l'industria.  —  «  Perciò,  egli  dice,  le  arti  grafiche  si 
son  poste  al  servizio  delle  industrie  manifatturiere.  Valenti  pittori  si 
«ono  rifugiati  nelle  fabbriche  di  ceramiche,  di  tessuti  di  lusso,  di  carte 
<l*apparato.  L'ebanisteria  impiega  artisti  in  bassorilievo  di  molto  pregio 
-e  così  di  seguito.  »  Anche  la  scultura,  malgrado  l'epoca  monumento- 
roane,  è  costretta  a  fare  statuette  di  bronzo  e  figurine  di  marmo  da 
collocare  sui  mobili  del  salotto. 

Queste  osservazioni  pronunciate  innanzi  agli  alunni  di  un'Accademia 
<li  belle  arti  parranno  ad  alcuno  poco  opportune,  ma  hanno  il  merito 
biella  verità. 

Così  possano  aver  consigliato  i  mediocri  a  ritrarsi  dairesercitio 
della  grande  arte,  per  dedicarsi  alle  industrie  che  l'arte  ingentilisce  e 
nobilita,  verso  le  quali  si  volgono  ogni  giorno  più  lo  tcndenzo  e  i  desi- 
deri d'una  società  borghese. 


STATISTICA. 


StatiBtioa  elettorale  poliiloa,  Eletioni  generali  politiche  29  ottobre  e  5 
novembre  1882.  —  Roma,  tipografia  Ebevirìana,  1888. 

La  direzione  generale  di  statistica  (Ministero  di  agricoltura  e  oom- 
niercio)  ha  pubblicato  sulle  elezioni  generali  del  1882  un  importante 
iavoro,  del  quale  riproduciamo  alcane  notizie. 

Oli  elettori  inscritti  nel  1883,  io  forca  della  nuova  legge,  furono 
2,040,461,  mentre  nel  1880,  coll'^ntica  legge  non  erano  che  OS  1,801). 
Nell'antica  legge  prevaleva  il  censo,  n»'lla  nuova  provale  la  rapacità; 
gli  elettori  iscritti  dopo  la  nuova  legge  pel  titolo  della  capacità  sono 
65  su  oento,  e  fra  questi  troviamo  in  numero  considerevole  gli  elet- 
tori divenuti  tali  per  l'articolo  100,  i  quali  sono  rappn'scntati  nella 
autistica  dalla  cifra  di  37  su  cento  e  tono  in  tutto  700,?80. 

Nelle  elezioni  di  primo  scrutinio  del  1882  1  votanti  furono  nella 
proporzione  di  GÌ  su  cento,  nel  1880,  coU'antica  logge  erano  stati  50 


790  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO. 

SU  cento.  Le  più  alte  proporzioni    fra    i   votanti    e  gli  inscritti  furono 
nelle  provincie  meridionali,  le  |iiù  basse  nel  Veneto,  dove   però,  è  da 
osservare    che    le    inondazioni    impedirono  a  molti  elettori  di   recarsi 
alle  urne. 

I  ballottaggi  nel  1882  non  furono  che  quattro,  mentre  quando  era 
in  vigore  l'antica  legge  rappresentavano  sempre  il  quarto  od  anche  di 
più  'lei  numero  totale  delle  elezioni.  La  origini-  della  differenza  è  nota. 
Coll'antica  legge  si  richiedeva,  per  essere  eletti  a  primo  scrutinio,  più 
del  terzo  dei  voti  del  numero  totale  degli  elettori  del  collegio,  e  più 
della  metà  dei  suffragi  dati  dagli  elettori  intervenuti  all'adunanza. 
Colla  nuova  basta  raccogliere  un  numero  di  voti  uguale  all'ottavo  più 
uno  degli  elettori  inscritti  nel  collegio. 

La  statistica  testé  pubblicata  stabilisce  pure  un  confronto  fra  l'Ita- 
lia e  parecchi  altri  Stati  in  materia  elettorale.  Ecco  le  proporzioni  fra 
gli  elettori  iscritti  e  il  numero  degli  abitanti. 

Francia  26,85  per  cento.  Svizzera  22,55,  Germania  20,09,  Dani- 
marca L5,46,  Gran  Brettagna  8,8.*^,  Italia  6,97,  Svezia  6,15,  Austria 
5,88,  Spagna  5,74,  Norvegia  5,18,  Paesi  Bassi  3,15,  Belgio  1,53. 

"Vediamo  ora  il  numero  dei  votanti  in  confronto  con  quello  degli 
inscritti. 

In  Francia  si  ebbero  69  votanti  su  100  inscritti,  in    Germania  56,. 
in  Spagna  65,  in  Svizzera  5S.  nei  Paesi  Bassi  58,   in    Danimarca  47, 
in  Austria  36,  in  Svezia  24,  in  Italia  come   abbiamo  detto    più    sopra 
61,  nel  Belgio  81,  in  Norvegia  72. 

Le  notizie  pubblicate  dalla  Direzione  generale  della  statistica  fu- 
rono raccolte  con  grandissima  cura  e  saranno  preziosi  elementi  per 
istudiare  ed  apprezzare  in  avvenire  la  nostra  legge  elettorale.  Ora- 
dopo  un  solo  esperimento  sarebbe  prematuro  il  voler  fare  ciò.  Ma 
l'ufficio  della  statistica,  consiste  appunto  nel  raccogliere,  man  mano 
che  si  presentano  le  notizie  di  fatto.  Quando  queste  sono  in  numera 
sufficiente,  spetta  poi  all'uomo  di  stato  il  trarne  le  logiche  conseguenze-. 
Va  dunque  dato  lode  alla  operosissima  Direzione  della  statistica,  che 
mostra  d'intendere  egregiamente  il  proprio  mandato,  e  non  meno  bene 
lo  adempie,  preparando  vastissima  materia  alle  considerazioni  del  pub- 
blicista e  legislatore. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO.  791 

Qnatrième  congrès  international  d'hygiène  et  de  démographie  a 
Genève  (ou  4  au  9  septembre  1882).  Comptes  rendus  et  mémoires  pu- 
bHé3  par  M.  le  D.  P.  L.  Dukaitt,  professeur,  secrétaire  general,  avec 
le  concours  de  M.  M.  les  Secrétaires  adjoints  et  secrétaire  de  sections. 
—  Genève,  H.  Greorg,  libraire  éditeur,  1883. 

Gli  atti  di  questo  congresso,  testò  pubblicati,  offrono  ricca  e  inte- 
ressante materia  di  stuiio  ai  cultori  della  demografia.  Il  signor  Giu- 
seppe Kòròsi,  direttore  dell'Ufficio  comunale  di  statistica  di  Buda-Pest 
vi  trattò  del  posto  spettante  alla  demografia  fra  le  altre  scienze  e  dei 
limiti  che  sono  ad  essa  tracciati,  e  propose  un  sistema  un'co  pel  cen- 
simento della  popolazione  in  tutti  i  paesi  ;  il  signor  Bertillon  juniore 
svolse  un  programma  d'insegnamento  della  demografia,  riferi  intorno 
all'organizzazione  dei  congressi  aventi  per  oggetto  il  progresso  di  que- 
sta scienza,  ed  espose  i  principii  di  un  nuovo  metodo  per  valutare  la 
frequenza  dei  matrimoni  misti  ;  il  signor  M.  E.  Cbejsson,  vice  presi- 
dente della  SocietA  di  statistica  di  Parigi,  descrisse  Tordinamento  dei 
consigli  superiori  di  statistica  nei  vari  paesi  d'Europa  ;  il  signor  D. 
Ladnme  die  conto  di  alcune  sue  osservazioni  sulle  nascite  yiegittimo 
nella  Svizzera  ;  il  prof.  L.  Bodio,  direttore  generale  della  statistica  ita- 
liana presentò  e  commentò  alcuni  tiereogrammi  di  demografia,  o  rap- 
present^nzioni  a  tre  assi  dei  fenomeni  statistici  della  popolazione,  espo> 
nendo  quinci  i  risultati  di  alcuni  studi  sulla  statistica  ;  il  sig.  Kinkeliu 
fece  alcuno  proposte  per  la  divisione  del  tempo  nei  lavori  statistici; 
il  signor  Kummer  riferì  intomo  a  certe  tavole  di  mortalità  da  lui 
calcolate  e  ad  alcuni  suoi  studi  circa  al!a  mortalità  nelle  diverse  prò- 
fessidni  II  signor  MUhlemann  offerse  alcuni  interessanti  confronti  fra 
il  prezzo  dei  viveri  e  il  movimento  della  popolazione;  il  signor  Jaus- 
M<ri>«  (>r -xentò  la  propoeta  di  an  bollettino  uniforme  di  statistica  sani- 
taria; il  signor  M.  Dovrer  eepoM  on  calcolo  di  mortalità  dei  bambini 
iltirantc  il  prìmo  anno  dalla  nascita;  il  signor  dott  Texier,  direttore 
della  ^  tidld  di  medicina  d*  Algeri  parlò  di  alcune  sue  ricerche  sulla 
lon^'Mvita  all'oMpir.io  di  Dovera.  nell'intento  di  portare  qualche  nuovo 
contributo  ali»  studio  delle  attitudini  delle  popolazioni  europee,  ad  ac- 
climatarsi nell'Africa  settentrionale;  il  signor dutt.  Sormani,  profetMore 
d'igiene  a  Pavia  parlò  dell'influenza  delle  stagioni  sulla  distribuzione 
dei  sessi  nelle  nascite  e  nelle  morti  ;  il  dott.  Pagliani,  professore  d'I- 
giene all'Università  di  Torino  presentò  uno  studio  sullo  sviluppo  della 


792  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO. 

famiglia,  basato  su  dati  raccolti  dal  dott.  Bianco,  medico  ispettore  dei 
neonati  in  quella  città. 

Il  solo  elenco  dei  lavori  demografici  intorno  ai  quali  fu  riferito  al 
congresso,  parecchi  dei  quali  di  capitale  importanza,  dimostra  come 
non  si  possa  pretendere  di  renderne  in  questo  bollettino  il  contenuto, 
sia  pure  per  sommi  capi  ;  basti  qui  l'indice  ad  ingenerare  negli  stu- 
diosi delle  scienze  statistiche  la  brama  di  scorrere  le  200  pagine  che 
nella  pubblicazione  qui  annunziata  sono  specialmente  dedicate  alla  de- 
mografìa ;  e  di  riconoscere  de  visu  quale  onorevolissimo  posto  abbia 
tenuto  in  quel  congresso  la  scienza  italiana. 


NOTIZIE 


D  governo  austro-ungarico,  fino  dall'anno  1854,  fondava  presso  l'uni- 
versità di  Vienna,  un  Istituto  per  le  ricerche  di  storia  aiutriaoOj  nell'  inten- 
dimento di  dare  impulso  agli  studi  storici  del  popolo  austrìaco. 

Il  direttore  dell'  Istituto,  prof.  Sickel  denderoeo  di  dare  al  medesimo 
un  maggiore  sviluppo,  ottenne  dal  governo  del  suo  paese  che  foese  fondata 
Boma  una  scuola,  la  quale  facendo  tesoro  dei  nostri  archìvi,  delle  nostre 
iblioteche,  dei  nostri  musei,  venisse  in  aiuto  alla  istituzione  viennese.  Supe- 
rate molte  difficoltà  d'ordine  finanziario  e  amministrativo,  V Istituto  aiutriaeo 
di  studi  storici  in  Roina^  sarà  inaugurato  nell' anno  1883,  ed  avrÀ  sede  nel 
pali*  zzo  di  Venezia.  Vi  saranno  accolti  giovani  austrìaci  sovvenuti  dallo 
stato,  i  quali  siensi  dedicati  allo  studio  della  storia  pel  Medio  Evo  e  mo- 
derna del  Rinascimento  (storia  politica,  ecclesiastica;  storia  della  cultura* 
del  diritto  e  dell'arte),  e  vogliano  concorrere  al  progresso  dei  lavori  scien- 
tifici, i  quali  più  che  altrove  trovano  largo  campo  in  Roma. 

—  In  questi  giorni  é  corsa  pei  giornali  la  notizia  che  il  Oav.  Ab.  Anziani 
avesse  rinvenuto  nella  Biocardiana  di  Firenaei  della  quale  h  direttore,  un 
nuovo  Codice  di  Benvenuto  Cellini.  É  facile  intendere  come  una  tale  no- 
tìzia dentasse  nella  classe  dei  dotti  e  dei  bibliofili  una  certa  sensazione;  in- 
vece  una  indagine  più  accurata  ha  distratto  le  illusionL  Trattasi  di  un 
codice  di  Bartolomeo  Ammannato  oontaaente  appunti,  ricordi,  e  qualche 
problema  geometrico,  aritmetico,  trigonometrico,  insieme  a  vari  abbozzi  e 
disegni  architettonici,  i  quali  del>l>ono  aver  servito  nella  costruzione  del 
palazzo  di  Luca  Pitti.  Il  codice  fu  attribuito  a  Benvenuto  per  aver  letto 
erroneamente  le  parole  Celi.  Fior,  scritte  nel  libro  ove  doveva  leggersi 
CoLL.  Futa,  e  tener  conto  di  questa  che  seguono:  Socl  Jmu.  oatal.  msoairs 
vale  a  dire  ColUgii  Flartntini  m  Sooittati»  Jetu  catalogo  imsoriptti». 

—  A  Mantova  é  stato  puMilicatu  coi  tipi  dui  Mondovl  1'  Album  virgiliano 
del  XIX  centenario  della  nascita  di  Virgilio,  celebrato  il   17  set- 
tembre 1888.  Il  volooM,  stampato  in  soli  200  esemplari,  e  che  attesta  dei  prò- 


794  NOTIZIE. 

gressi  dell'arte  tipografica  in  Italia,  contiene  un  gran  nunero  dì  acritti  notevo- 
lissimi e  di  chiari  autori,  fra  i  quali  Massarani,  Mancini,  Zanella,  Bernardi , 
Bertinaria,  Barbiera  Carcano,  Mominsen,  ecc.  ecc. 

—  Il  26  verri  inaugurato  a  Palermo,  in  San  Domenico,  il  monumento 
al  chiaro  storico  Isidoro  La  Lumia. 

—  É  stato  approvato  dalla  Commissione  governativa  il  progetto  del 
nuovo  edifìcio  che  dovrà  servire  al  nuovo  Convitto  nazionale  in  Roma  Im- 
porta una  considerevole  spesa  che  verrà  ripartita  fra  il  governo,  la  provincia 
e  il  municipio,  e  per  la  quale  occorrerà  una  deliberazione  del   Parlamento. 

—  Il  23  settembre  verrà  inaugurato  a  Firenze  il  primo  Congresso  na- 
zionale per  la  istruzione  dei  ciechi.  Le  discussioni  avranno  luogo  nei  giorni 
24,  25  e  26  e,  se  occorrerà,  anche  nei  giorni  successivi.  I  manoscritti  dovranno 
essere  mandati  non  più  tardi  del  31  agosto.  Il  congresso,  benché  nazionale, 
accoglierà  con  gratitudine  gli  stranieri  che  vorranno  onorarlo  e  coadiuvarlo 
con  la  loro  presenza. 

—  É  comparso  coi  tipi  di  Luigi  Pedone  Lauriel  di  Palermo  un  nuovo 
volume  della  Biblioteca  delle  tradizioni  popolari  siciliane  per  cura  di  Giu- 
seppe Pitré.  Il  detto  volume  trsitta.  de^  giìtochi  fanciulleschi  con  dieci  tavole 
a  fototipia,  quattro  a  litografia  ed  alcune  a  stampa. 

—  L'editore  Gr.  Regina  di  Napoli  ha  pubblicato  una  seconda  edizione 
ampliata  della  Storia  degli  abusi  feudali  di  David  Winspeare  seguita  da 
una  monogx'afia  importante  sulle  origini  del  regime  feudale  di  Fustel  de  Cou- 
langes  che  vide  la  luce  nella  Revue  des  deux  Mondes. 

—  La  tipografia  Bernardoni  di  C.  Rebeschini  e  C,  ha  pubblicato  in 
nitidissima  edizione  le  letture  fatte  dall' avv.  Cesare  Norsa  all'Istituto  Lom- 
bardo sul  tema:  Il  telefono  e  la  legge. 


La  lilreria  L.  Hébert  di  Parigi  ha  pubblicato  una  nuova  e  magni- 
fica edizione  delle  Opere  complete  di  Molière,  in  sette  volumi  con  incisioni, 

—  Presso  r  editore  Ghio  è  venuto  alla  luce  un  Essai  sur  la  condition 
des  fe.mmes  en  Europe  et  en  Amerique,  di  autore  anonimo. 

—  La  libreria  Calman  Lévy  di  Parigi  ha  posto  in  vendita  il  15"  vo- 
lume dei  discorsi  del  signor  Thiers.  Questo  volume  comprende  il  periodo 
dal  1872  al  1877.  Contiene  gli  ultimi  discorsi  parlamentari  del  celebre  ora- 
tore sulle  attribuzioni  dei  poteri  pubblici,  sulla  politica  interna,  sulle  nuove 
fortificazioni  di  Parigi,  non  che  le  sue  deposizioni  sui  fatti  del  4  settembre, 
della  difesa  nazionale  e  della  Comune,  e  il  manifesto  elettorale  che  fu  il 
suo  testamento  politico. 

—  Lo  stesso  editore  ha  pubblicato  una  traduzione  del  romanzo  Outana 
del  poeta  polacco  Kraszewski,  del  quale  si  è  tanto  parlato  recentemente  a 
cagione  del  suo  arresto. 

—  In  questi  giorni  ebbero  luogo  ad  Annonay  le  feste   pel    centenario 


NOTIZIE.  795 

dei  fratelli  Mongolfier  creatori  della  areonaatica.  Si  inangnrò  in  quell'  occa- 
sione il  grappo  di  bronzo  in  cui  sono  raffigurati  con  grande  fedeltà  i  due 
eroi  della  scienza. 

—  Gli  eminenti  scienziati  francesi  Pasteur  e  Bréat  sono  stati  nominati 
dottori  (honoris  causa)  dell'  Università  di  Zurigo. 


rer;i  u 
.^^^AdEi 
I^Hktta 


In  tutte  le  città  e  i  yillaggi  della  Germania  protestante  regna  una 
grande  attività  per  la  celebrazione  del  quarto  centenario  di  Lutero,fì  ssata 
da  un  Messaggio  imperiale  pei  giorni  10  e  11  del  prossimo  novembre.  Il  Prin- 
cipe ereditario  e  suo  figlio  ass  steranno  alla  cerimonia  che  avrA  luogo  ad 
Eisleben.  Il  10  novembre  si  scoprirà  quivi  la  statua  in  bronzo  del  Rifor- 
matore fatta  dal  professore  Seimering.  Una  storica  processione  ricorderà  il 
ricevimento  di  Lutero  presso  il  conte  di  Mansfeld.  Ad  Eisenach  si  inaugu- 
rerà un  altro  monumento  ed  ad  Halle  si  cantera  l'oratorio  «  Liitero  a  Worms  * . 
Erfurt  si  farA  pure  una  processione  storica  rappresentante  1'  accoglienza 
a  Lutero  da  quella  Università  e  da  quel  municipio  quando  egK  vi 
per  recarsi  a  Worms.  Nel  tempo  stesso  ad  Erfurt  e  a  Magdeburgo 
si  inaugureranno  due  altri  monumenti.  A  Berlino  il  municipio  ha  dato  i 
fondi  per  una  processione  di  tutti  gli  alunni  delle  scuole  protestanti  in 
numero  di  80,000.  per  la  pubblicazione  di  una  strenna  luterana,  per  pubbli- 
che letture  sulla  vita  di  Lutero,  ed  ha  fatto  un  assegno  di  l.V),i)(X>  marchi 
a  V>enefìcio  degli  allievi  del  clero  protestante.  Ad  Amburgo  s'è  costituito  un 
comitato  per  la  fondazione  di  una  Chiesa^  per  1*  quale  si  raccolsero  già 
90t>,000  marchi.  A  Lipsia  finalmente  si  scoprirà  un  grandioso  monumento 
portante  le  statue  di  Lutero  e  di  Melanton«>,  operA  del  profossore  Schilling. 

—  A  MesMkirch,  piccola  città  del  Ducato  di  Baden,  venne  ioalsata  una 
statua  a  Corradino  Kreutzer,  autore  della  TÀhiuta,  della  Cord»  Ita,  della 
Notte  di  Granata^  del  Dusipatorr,  opere  municuli  che  un  tempo  corsero  ap- 
plaudite tutti  i  teatri  della  Germania.  Il  Kroutcer  che  mori  a  Riga  il  14 
dicembre  1849,  nacque  a  Measkirch  il  83  novembre  17(30. 

—  '^.  comparso  testé  a  Gottinga  uu  opuscolo  del  sig.  F.  C.  t.uka»  di 
Vienna  in  cui  si  fanno  alcune  considerali  odi  critiche  sul  progetto  di  leggo 
italiano  per  la  pensioni  civili  e  militari,  presentato  alla  Camera  dal  mi- 
nistro Mariani. 

—  té' Archi»,  far  da»  aiwìiitm  dtr  neu^r^n  Spraehen  und  lÀlteraturrn 
(fase.  84)  ha  un  articolo  molto  favorevole  al  libro  del  Morandi  su  Shak"- 
tp^are,  liarelti  e   Vitlfaire. 

•—  La  Drufschc  Mili'ar  lÀttratur  Zeitung  di  Berlino  esamina  e  rac 
manda  la  S'oria  d^Ua  marina  militare  italiana  antica  di  Franoesoo  Co> 
zzini.  Dice  che  l'autori;  benché  non  sia  uomo  di  mare,  seppe  collo  studio 

dei  clas«ici  sopperire  a  tale  mnncwnta,  e  soggiunge  che,  ad  onta  di  alcuno 

mende,  questa  Storia  é  lavoro  di  considerevole  valore. 


71)6  NOTIZIE. 

—  L'editore  Harthleben  di  Vienna  ha  pi-ogettata  una  grandiosa  biblio- 
teca elettro-tecnica  a  quattro  franchi  il  volume.  Essa  abbraccierA,  una  ven- 
tina di  volumi,  e  tratterà   di    tutte   le   più   svariate  forme  di  applicazione 
dell'elettricità.  Il  XX  volume  conterrà  una  bibliografia  delle  scienze    elet 
triche  dal  1860  sino  al  giorno  d'oggi,  compilata  da  Gastav  May. 

—  Il  Congresso  annuale  dei  naturalisti  tedeschi  avrà  luogo  queat'  anno 
a  Freiburg  dal  18  al  21  settembre. 

—  A  Monaco  di  Baviera,  sulla  Maximilianplatz  fu  inaugurato  coli' in 
tervento  dei  rappresentanti  di  quasi  tutte  le  università  della  Germania,  il 
monumento  eretto  in  onore  al  grande  chimico,  naturalista  Justus  Liebig, 
che  tenne  quella  città  come  una  seconda  sua  patria  e  ne  fu  anche  cittadino 
onorario. 

Shapira  di  Gerusalemme,  noto  libraio  e  negoziant  5  d'  antichità,  ha 
portato  da  Londra  dodici  strisele  di  cuoio,  di  pelle  di  pecora,  su  cui  è 
scritta  in  quaranta  pieghe  ed  in  caratteri  arcaici  una  parte  dell'Antico  Te- 
stamento e  soprattutto  il  Decalogo,  di  cui  conterrebbe  una  nuova  versione. 
Si  assegna  il  nono  secolo  avanti  Cristo  come  la  data  probabile  di  questi 
manoscritti,  cosicché  sarebbero  di  circa  sedici  secoli  anteriori  al  testo  più 
antico  che  si  possegga,  ed  avrebbero  non  meno  di  2ò00  anni.  Essi  furono 
depositati  al  British  Museum,  dove  il  dott.  Ginsburgh,  autore  dell'  importante 
opera  su  «  Massorah,  »  attende  a  decifrarli  e  ad  indagare  se  sono  dessi 
genuini  od  arteftitti.  Il  prezzo  chiesto  dal  Shapira  è  di  un  milione  di  lire 
sterline, 

—  B,  F.  Stevens  ha  scoperto  e  pubblica  un  libro  di  note  del  generale 
Howe,  che  durante  la  guerra  d'indipendenza  americana  comandava  Boston 
contro  il  generale  Washington.  Sarà  un'  importante  aggiunta  alla  storia  di 
quel  periodo. 

—  Leader  Scott  pubblica  presso  il  Sampson  una  biografia  di  Luca 
della  Robbia. 

—  Henry  Elliot  Malden,  sotto  il  titolo  Vienna  1683  pubblica  presso 
Chapman  and  Hall  una  commemorazione  della  sconfitta  dei  Turchi  dinanzi 
a  Vienna  per  opera  di  Sobieski  il  12  settembre  1683. 

—  Presso  gli  stessi  editori  è  uscito  un  volume  di  A.  K.  Connell  sopra 
The  economie  revolution  of  India:  vi  tratta  soprattutto  della  questione  dei 
lavori  pubblici. 

—  Il  senatore  Vitelleschi  pubblica  nella  Nineteenth  Century  d'agosto 
un  articolo   «  sulla  politica  italiana  in  Oriente.  »    , 

—  È  da  tutti  lodatissima  la  nuova  opera  di  Frederic  Seebohm  The 
English  Village  Community  examined  in  its  relations  io  the  Manorial  and 
Tribal  Systems  and  to  the  Common  or  open  Field  Systtm  of  Ilusbandry, 
testé  uscita  presso  il  Longmans.  Essa  occuperà  un  degno  posto  accanto  alle 
pregiate   ricerche  di    Sir    Maine,  e  completa  le  indagini   sull'antica   storia 


NOTIZIE.  797 

inglese,  raccolte  da    Henry  Charles    Coote    nella    sua    opera    The   Romans 
of  Brifain  edita  dal  Xorgate. 

—  I  due  nuovi    volumi    della    biblioteca    del    cittadino  pubblicata  dal 
Macmillan,  hanno  per  titolo  India  di  J.  S.  Cotton,  e  The  Colonies  di  E.  J.  Payne. 

—  Sinners  and  Saints  è  il  titolo  di  un  viaggio  nel  paese  dei  Mormoni 
di  Phil.  Robinson,  edito  dal  Sampson. 

—  L'editore    Hodges    di    Dublino    annunzia    una    nuova    edizione   del 
Giacomo  Leopardi  di  0.  O'  Ryan 

—  Presso  il  Douglas  di  Edimburgo  è  uscita   un'edizione   inglese  degli 
Italian  Jourrmfs  dell'americano  Howells. 

—  Il  Prof.  A.  W.  Ward  di  Manchester  prepara  una  memoria  del  com- 
pianto econombta  W.  Stanlej  Jevons. 

—  Stanley  Lane-Poole,  autore  di  un  lavoro  sull'Egitto,  ha  in  pronto 
nn  nuovo  volume  sullo  stesso  paese,  sotto  il  titolo  Social  li/e  in  EgypU 

—  Il  Dott  Coppinger   pubblicherà  quanto  prima  presso  Sonnenschein 
'e  C.  una  relazione  illustrata  del  viaggio  àéìV AlerU 

—  Una  commissione  dell'  Unione  Ornitologica  britannica  pubblica  presso 
il  Van  Voorst  a  List  of  brUi$h  bird». 


Teodoro  Angusto  Joly,  antico  professore  di  geografia  neirAteneo  reale 
di  Bruxelles,  nato  a  Valenciennes  nel  1805  morto  il  21  luglio  u.  s. 

—  Stefano  za  Putliz,  professore  d'economia  |>olitica  ncH'  UnivorsitiV  di 
Derlino,  morto  in  età  di  28  anni. 

—  W.  Arnold,  professore  nella  Facoltà  di  diritto  dell' UniversitV  di 
Marbourg,  morto  il  3  loglio  nell'età  di  57  anni 

—  Moriva  il  giorno  2  eorr.  in  Napoli  il  dottor  Pedicino  nell'età  di  anni 
45;  era  profesuore  di  botanica  ali'  Università  di  Roma  e  direttore  dell'  orto 
botanico  dì  Panispema. 

—  É  morto  in  Roma  il  giorno  7  corr.,  in  età  di  83  anni»  il  valente 
pittore  tcdpsco  Augnato  Riedel,  consigliere  delI'Aceademin  di  San  Luca  e 
di  altri  Intituti  artisticL 


pRor.  Pr.  PROTONOTART,  Direttore. 


Daviu  MjUKmiOMirif  Beyowsaòflc 


Avvisi  delia  NUOVA  ANTOLOGIA 


SOCIETÀ   ANONIMA   L'UNIONE    TIPOGEAFICO-EDITRICE   TORINESE 
33,  Via  Cablo  Alberto,  33 

BOaiA  II  NAPOLI 

Piazza   San   Silvestro,  75,  piano  primo  ||  Ittrada  S.  Anna  de' Lombardi,  86,  p*  1* 

Capitale  sociale  L.  750,000  versato. 


BIBLIOTECA  DI  SCIENZE  POLITICHE 


SCELTA  COLLEZIONE 

delle  più  importanti 
OPERE  MODERNE  ITALIANE  E  STRANIERE 

dì 

SCIENZE  POLITICHE 

DIRETTA   DA 

ATTILIO  BRUNIALTI 

Professore  di  Diritto  costituzionale  nell'  Università  di  Torino 
Deputato  al  Parlamento 


CONDIZIONI  D'ASSOCIAZIONE 

aL  Tìihlìofeca  di  Scienze  politiche  sarà  compresa  in  dodici  volumi 
di  circa  10)0  pagine  cadauno. 

Si  pubblicheranno  a  dispense  di  cinque  fogli,  cioè  di  pagine  80, 
in   ragione  di  due  o  tre  dispense  al  mese. 

Ogni   dispensa  costa  Lire  1,  50. 

TjC  jissocinzioni  si  ricevono  dalla  Società  Editrice  in  Torino,  Via 
Car'o  Alberto,  N.  33  —  in  Roma,  S.  Silvestro,  N.  75,  piano 
]»rimo  —  in  Napoli,  Strada  Sant'Anna  dei  Lombardi,  N.  36, 
))iano  primo  —  e  presso  i  principali  Librai  distributori  del 
]»re.sciite  Programma. 

Il  jtriito  volume  si  è  cominciato  a  publicare  nell'aprile  e  con- 
tiene: 

Bruni ^i,Ti,  Prefazione:  La  Democrazia  antica  e  la  Democrazia 
moderna.  —  Erskine  May,  Storia  della  Democrazia  in  Eu- 
ropa. —  Toqueville,  La  Democrazia  in  America. 


INDICE  DEL  VOLUME  QUARANTESIMO 


(seconda  serie) 


Fascicolo  Xin  —  1  Luglio. 


ToBMuao  Errico  Boekto  •  U  mw  Stori*  dell*  elTiiià.  —  P    Vuajlu Pa(.       $ 

Ufo  B*MTÌlle  *  Uom»  — w^o  !•  ■lllm*  pBbbltp*sl«al.  —  O    Bo«UBTTt S6 

la  C*I*bri*  -  P*aMffi*l«.  —  Oatmum*  Piao*iai-BBU .    .   .     U 

I  GbiAcei  pol*ri    —  A    Stoptavi .  .     7« 

L*  ReKsldin*  -  R*eeoato    —  Nkbka 91 

L*  Politica  >eel— i>«tie*  àmììm  PraMt*.  —  R.  Boasn .    1>S 

II  Tea  pio  d' laida  pnaao  U  Misarv*  a  la  raeaatl  nepirta.  —  O.  Masccchi 160 

B*«M-cD*  polltic*  —  Ia  tea  dal  Urorl  pmrtammmtmri  la  full*  -  I  partiti  -  Pr«p*rallTl  a 

tenUtiTt   di   appaalaloaa  -  La  eaaaaaMraslaaa  di  Oaribaldi  *  P*riff{  •  La    ral*tioat 
dall'  tuli*  eoa  rAaatrU  a  U  OaraMaU  -  Praaaaal  la  Praael*  -  AaareSial  a  elarlMll  - 

La  lattata  dal  Papa  al  praaMaala  Ora^  -  FraaaU  a  Ghia*.  —  X I<7 

Botlettiaa  iaaMlarla  dalla  fuladMaa .   ìTt 

Bollettlaa  MMiecnifle»  —  LcMaralani  a  pacata  •  Starla  -  nioaofl*    .    .                                 .    IM 
Kot.«U  t06 


FmoìooIo  XIV  —  15  Luglio. 


Ilaary  Wadiwarth  Loa«filla«r  -  TnMMBla  -  Iiplraatoal   ItalUaa  -  BsaaUlor.  •>  r   Mo- 

DaiauKS Pag.   WW 

Uaa  Moaaaa  dal  Cla^aaaaala  •  Saar  Fallaa  Baapaal.  —  A    Baadoaaaai Mft 

La  Aaatcaraalaai  aaatre  I  daaal  a  aalU  ^i*  dall'  aoaia  a  II  aaavo  C«dl«a  di  romwarala 

lUilano.         A.  •••>■* .KM 

I.«  K.  «al  Una  .  RaaMaio.  —  Naaa*  ...  .   M4 

Ovai^iatMl  ■llltarl  dalla  Olaa.  —  a  B«aATiaai KW 

niMn  Barali  wapirta  aal  Palaaaa  dai  Oaaaarvaiarl  la  CaoipUncllo.  -    R   BHcst.Bi.   MI 
latlararU  -  Oli  Stadi  m  Daala  par  R.  raraariari.  —  A.  P*«acBaTTi tM 

Saaaataa  pelitk-a  —  La  pranca  dalla  Sai«l>aa  •  La  aklaaar*  -  Ma*  attilla  •  l.a  oImIodì 
dal  Ift  tacilo  -  La  qaaaUaaa  dalla  ^aaraalaaa  •  RapprwMglla  -  I^^i  rrUil-ai  ira  la 
FraaaU  a  l' lacklllafra  -  I  Calti  di  Taaauva  -  La  dU»B— laae  aal  Touklao  .  Spa- 
raaaa  da'aMaarakM  -  n  Uoata  41  Ckaaikard  -  La  I«m«  aaalaalaatlia  lu  PriiMi*.—  Z.  M9 

•attatHaa  laaMiarla  dalla  ^alndlrla* ITO 

BallaUlaa  MMIagrataa  ~  l«uar*iar*  a  pwMla  •  Padacafl*  -  Raoeaatl  -  tLuìm  arti  •  Sia- 


INDICI-:    DEL    VOLUMI-:    QUARANTESIMO. 


Fasoloolo  XV  —  1  Agosto. 

Paralleli  letterari  -  Percy-Bysshe  Shelley  e  Giacomo  Leopardi.  —  G.  Zàbei-la    .   .    Pag.    iO'J 

Raffaello  a  Roma  sotto  Leone  X.  —  M.  Minqhetti <ifO 

L' Istruzione  agraria  e  le  Scuole  rurali  in  Italia.  —  G.  Farti 454 

Scavi  di  Roma  -  Il  nuovo  Obelisco  dell'  Iseo,  —  O.  Maruccui 40* 

Il  Male  nel  Bene  -  Bozzetto  dal  vero.  —  oT>o\ati 505 

Il  Terremoto  di  Casamicciola,   —  Capitano  L.  Gatta .024 

Una  Curiosità  bibliografica  -  L'indico  dello  Riviste  americane  ed  ingipsi.  —  D.  Cnii>ovi    .'»:i2 

Rassegna  delle  letterature  straniere  —  Nuovi  romanzi  francesi  -  Tei  céUlritéa  eontemp'.- 

raines  -  L^édìU  dea  conles  du  sieur  d^Ouville  -  Louis  XIV  et  Guillaume  III  -  Le*  ta- 

lons   de    eonversation   au   dix-huitième  siede  -  Dernières  annéea  de  Madame  d'' Epinay , 

«•n  salon  et  ses  amis  -  Corre 'pond ance  inèdite  di  Condorcet  tt    de    lurgot  -  Lea   der- 

niera  Bourbona.  —  A,  Db  Gubeiìnatis 543 

Rassegna  drammatica  —  I  teatri  estivi  -  Le  tragedie  d'Alfieri  -  Virginia  -  Le  novità  - 
Il  Fante  di  spade,  dramma  del  signor  Monnosi  -  La  Marchesa  Aleardi,  d'  autore  ano- 
nimo -  So  tutto,  del  Salvestri  -  L'  eccezione  delle  vedove,  del  Sinimberghi  -  X,'  ultima 
recita,  della  signora  Pierantoni-Mancini  -  La  Donna  pallida,  del  Castelvecchio. —  •*•  567 
Rassegna  politica  —  Le  polemiche  sul  Ministero  -  Il  Parlamento  a  novembre  -  Le  elezioni 
politiche  e  le  elezioni  amministrative  -  Il  nuovo  canale  di  Suez  -  Il  Gabinetto  inglese 
-  Il  signor  Gladstone  e  l'opposizione  -  Il  re  Cettivayo  -  Le  relazioni  tra  la  Francia 

e  l'Inghilterra  -  Il  Parlamento  francese.  —  X 577 

Bollettino  finanziario  della  quindicina 586 

Bollettino   bibliografico  —  Letteratura  e   poesia  -  Storia  -  Pedagogia  -  Racconti  -  Belle 

arti -601 

Notizie 613 


Fascicolo  XVI  —  15  Agosto. 

Episodi  storici  fiorentini  del  secolo  xv  narrati  da  un  popolano.  —  A,  D'Ancoha    .      Pag.    (517 
La  Questione  dei  possedimenti  coloniali  —  I.  La  Gran  Brettagna.  —  A.  Brunialti  .    .   .    651 

La  Mente  di  Michelangelo,  a  proposito  di  recenti  pubblicazioni.  —  A.  Setti 667 

Gli  Ebrei  in  Ungheria  —  Tisza-Eszlar.  —  R.  Bonghi 684 

In  Calabria  —  Fra  gli  Albanesi.  —  Caterina  PiaoRiHi-BERi 695 

Il  Canale  di  Snez.  —  Un  Italiano  in  Egitto ' 717 

Fantasia.  —  E.  Nencioni 730 

Rassegna  politica  —  Dimostrazione  di  simpatia  all'  Italia  -  Discussioni  a  proposito  del 
disastro  dell'  isola  d' Ischia  -  L' insurrezione  spagnuola  -  Crisi  ministeriale  in  Fran- 
cia -  L'Inghilterra  e  il  Madagascar  -  Il  richiamo  dell'ammiraglio  Pierre  -  Il  Conte 
di  Chambord  -  La  lettera  del  signor  Grevy  al  Papa  -  La  questione  danubiana.  —  X.    744 

Bollettino  finanziario  della  quindicina 753 

Bollettino  bibliografico  —  Letteratura  e  poesia  -  Storia  -  Pedagogia  -  Belle  arti  -  Statistica .    778 
Notizie 793 


I 


AP 
37 
N8 
V.70 


Nuova  antologia 


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