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NUOVA ANTOLOGIA
Sboonda Serib - Volume XL.
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Proprietà letteraria.
NUOVA
ANTOLOGIA
DI
SCIENZE, LETTERE ED ARTI
SECONDA SERIE
VOLUME QUARANTESIMO
DILLA RACCOLTA VOLUME LXZ
ROMA
DIBEZIONE DELLA NUOVA ANTOI/XIIA
VU del Corw>, N. iW
d'I
m
Tipografia Bodoniana.
TOMMASO ERRICO BUCKLE
£ T^A. SUA. SXORXA. I>£:i^r.ik OI VJXiXA. '
La stona di qucst'aomo e di questo libro inerita d'essera
ricordata. Nel destino dell'ano o dell'altro v'è qualche cosa di
aasai tristo, quasi di tragico. Un uomo che forma da so solo
la propria educazione; che concepisce un Tasto disegno, e per
eseguirlo deve, in tutta la vitn, combattere contro una saluto
debolissima; che lotta ancora qunndo la sfelute lo ha affatto ab-
bandonato, ed è morta coltri in cui i suoi affetti »'< >ncon-
trati; un uomo che si trova infclic-iisimo in me^sso ai ^ la con-
quistata col proprio ingegno, e muore Istcisndo U suo grande
lavoro appena inoominciato; quest'uomo desta di certo lo nostro
simpatie più vivo. Un'opera la quale, quando no esce il primo
Tolume, h dichiarata in Inghilterra, in Germania, in America,
una delle principali nel nostro «ecolo, destinata a produrre una
grande rivo.uzione nelle f ' - 'nli e morali, e poi ad un
trstto, per un mutamento . , della pubblica opinione,
rione da piò parti severamente giudicata, * e si cerca in millo
modi demolirla; on« tale opera offre di certo materia a molto
riflessioni.
* HsssT T T>((Kt.i, llU'ory <,f the Cmliéotinn éi JS^^tewt Lottdoa,
ime s 1861 I - Auriii. il. lIoTH, Li^ mmi Writif ^ JKmry
Thcma, BmMm. Lovioa, IIM», Two Voi.
* Uno dsi piò severi, troppo ssveto tnrf, nrl f^iodirars qaesi' opera, tn
il prof. I>rojrMu in Oermaaia. I'i& lardi 'ono la critiche in Inghil-
terra ed aaa delle oUglkm 4 di eerto qoniw imm* da Alfred W. lieno.
6 TOMMASO ERRICO BDCKLE
I.
Il Buckle nacque a Lee, presso Londra, l'anno 1821. Suo
padre era un negoziante abbastanza ricco; sua madre veniva
dal Yorksliire, ed aveva una salute debolissima, che fu poi ere-
ditata dal figlio. A cagione di questa salute mal ferma lo fecero
studiar tardi e poco. Fino ad otto anni non sapeva ancora leggere.
Ma allora incominciò ad imparare, e subito il Don Chisciotte, le
Mille ed una Notti, il Pellegrinaggio del Bunyan, i drammi
dello Shakspeare furono la sua continua, avida lettura. Andò
in una scuola privata, con l'espressa condizione di studiare solo
ciò che voleva. Vi restò fino ai quattordici anni, e profittò molto
nelle matematiche. Ma quando il padre gli domandò che premio
desiderava, rispose : essere menato via dalla scuola. E l'ottenne.
A diciassette anni il padre lo volle agli afifari, ed egli v' andò
di malissima voglia, perchè già si sentiva nato alle lettere.
Pure come al Gibbon giovò d'essere stato soldato, per meglio
conoscere gli eserciti romani, al Grote l'essere stato deputato,
per meglio conoscere la politica dei Greci, cosi al Buckle giovò
l'essere stato negli affari, per conoscere praticamente l'economia
politica, che nella sua opera doveva avere una parte principa-
lissima.
Nel 1840 egli aveva appena 18 anni, quando gli mori il padre,
lasciandogli una fortuna, di 1500 sterline l'anno, che lo rende-
vano non ricco ma indipendente. E abbandonò subito gli affari,
per fare un viaggio sul continente, con la madre. Non aveva
ancora alcuna inclinazione o tendenza determinata. Era uno dei
primi giocatori di scacchi in Europa, e ciò solo richiamava nella
società l'attenzione sopra di lui. S'aggiungevano una passione
febbrile per la lettura, che gli faceva divorare i libri con una
rapidità appena credibile ; una memoria portentosa, che supe-
rava quella tanto celebrata del Macaulay. Poteva ripetere a me-
moria lunghi brani letti una volta, e non solo di poeti, ma anche
di prosatori. Né minore era la sua facilità nell'apprendere le lin-
gue, senza alcun aiuto di maestro. Il suo viaggio in Italia, in
Francia, in Germania gli offriva a ciò una grande opportunità.
Poco visitava le gallerie e musei d' arte, minor gusto ancora
aveva per la musica. Osservava sopra tutto le condizioni eco-
nomiche, sociali, scientifiche dei paesi in cui si trovava.
E due furono le principali conseguenze di queste sue esser-
E LA SUA STORTA DELLA CIVILTÀ.
vazioni. Aveva lasciato l'Inghilterra tory, assai conservatore
in politica ed in religione, vi tornavi radicale ed anti-clerìcale.
Le dottrine del Proudhon, dei socialisti francesi e di altri pen-
satori del continente avevano mutalo le sue idee. Ma vi tornava
ancora con un pensiero che doveva essere l'occupazione di tutta
la sua vita. Paragonando tra loro i vari piesi, aveva concepito
l'idea di scrivere una storia della civiltà in Europa. Doveva
essere un'opera di circa venti grojsi volumi, nella quale sareb-
bero esp )8te le leggi che producono la civiltà e ne regDlano
il cammino. Era un' impresa colossale da spaventare qualunque
ingegno più orig'nale e qn ilunqne più vigorosa salute. Il Baeklo
era invece malato, non aveva avuto un vero tirocinio scolastico,
non aveva ancora dato saggio del proprio ingegno. Ma il suo
nuovo pensiero era ormai più forte di lui; egli aveva un'energia
indomabile di volontà, un bisogno febbrile di lavoro, una grande
.a*- ' -' ne letteraria, ed in fmdo della sua coscienza sentivasi
e. > ad essere il Oalilei, il Newton delle scienze morali.
In una condizione di spirito non molto diversa, Agostino
Thierry aveva osservato, che questa passione dello studio
ha, come ogni altra, bisogno di un e : <'. E il Buckh\ cho
pareva un uomo melodico, freddo, cnlcolaturo, punto entusiasta,
confidò con la madre, la qunle si esaltò più di lui per Kar-
lito disegno, e cominciò a desiderarne l'attuazione con una im*
pazienza non minoro di quella del figlio. Presero a Londra una
casa, in Oxford Terrscc, N. 59, ei ivi si chiusero. V'era una
l^n sala illuminata di sopri, che divenne la biblioteca, nella
quale furono a poco a poco raccolti 22,000 volumi. Ed il bio-
g^fo del Buckle aflerma ohe questi potè legg«>rli o percorrerli
quasi tutti: l'aveva visto divorare in un giorni due o tre vo«
lumi in ottavo, pigliinlo appunti, ricordando tutto ciò che v'era
di h04tanKÌale.
In quella casa restò quattordici ' ^ la-
vor.indo sempre da 9 ft 10 ore il ^i i a , 1 a; a ■ i . novo
lingue, sette delle quali poteva parlare e s^irivero. Studiava
re mirali, nitur.ili. storio politiohe e lottorario di tutti i
I, pij^liando continui appunti por la sua opera, ricusando
ogni altra occupazione, anche qunn'lo una Rifiata inglese gli
offri cinque lire stisrlinn a pagina. Persuaso che la formi ò un
elemento indi ■ - ' u ^ diffondere lo idee, a dare immortalità
allo o|>cre d , fece un continuo studio dei classici
per migliorare il suo stile; lesse il dizionario d<'l Johnson per
Ai
.-ali.
8 TOMMASO ERRICO BUCKLE
arricchire il suo linguaggio. Di tanto in tanto la salute cedeva,
e bisognava smettere. Ma il suo sistema nervoso, eccitabile
ed eccitato, rifaceva ben presto le forze perdute, ed egli, dopo
qualche breve gita, era di nuovo all'opera. A colezione man-
giava allora pane e frutta, perchè la digestione in lui assai
penosa, non interrompesse il lavoro. E di questa lotta giorna-
liera non v' era che un solo confidente, la madre, alla quale
ogni sera egli esponeva il resultato delle sue ricerche, ed essa
ascoltava con sempre maggiore avidità e con la fiducia d'un
grande resultato. Più debole del figlio, travagliata da un male
che ogni giorno la conduceva più vicino alla tomba, essa gli
nascondeva il proprio stato, per non fermarlo nel lavoro. Un solo
pensiero la tormentava più del male insidioso e della morte
vicina, il pensiero che forse non sarebbe stata in tempo a ve-
dere pubblicati almeno i primi volumi dell'opera, ed assistere
cosi alla gloria, al trionfo sicuro di Errico. — Pure io spero, essa
diceva qualche volta in segreto agli amici, che la Provvidenza
non vorrà meco esser tanto crudele. —
Sin dal 1850 il Buckle aveva cominciato a scrivere il suo
lavoro, procedendo in sul principio assai lentamente. Ogni ca-
pitolo era concertato, discusso, letto la sera alla madre, che
era divenuta la seconda coscienza del figlio, il quale senza di
lei non sapeva ormai ne pensare, ne scrivere. Quando più tardi
egli non poteva più lavorare, ed era solo nel mondo, diceva,
ricordandosi u del tempo felice nella miseria : ?7 — Ho passato
quattordici anni d'una felicità ssrbata a pochi su questa terra. —
Ed aveva ragione. Fissare con disinteresse lo sguardo nel vero, e
consumando le proprie forze, essere convinto di lavorare per
l'amanita; sentirsi dimenticato, sconosciuto, ignoto al mondo; ma
avere dinanzi a se due occhi che, scintillando di gioia ad ogni
verità da voi trovata, vi ricordano, vi fanno sentire che il vero
si trasforma in bene, certo è questa una ben rara felicità. Le
ore, i giorni, gli anni volano inavvertiti. Importuno riesce il
bisogno di riposo e di sonno. La gloria stessa sembra un pen-
siero volgare. Non occorre compenso di sorta, non c'è neces-
sità alcuna d'essere riconosciuti, d'essere lodati o ricordati. La
gioia che emana spontanea da quei due occhi disinteressati, i
quali riflettono la vostra coscienza e vi sembrano riflettere la
coscienza del genere umano, vi basta. — E se si spegnessero? —
A questo il Buckle non osava pensare, perchè gli pareva che
con essi si sarebbe oscurata la sua ragione, spenta la sua vita.
E LA SUA STORIA. DELLA CIVILTÀ. 9
Nel 1856 il primo volume era finito, ed egli scriveva ad un
editore per pubblicarlo; ma dovette pai decidersi di farlo a proprie
spese. La madre sempre più ammalata, era però viva ancora, e
trepidava all'idea di vedere finalmente il volume stampato e legato.
Quando Io ebbe finalmente fra le mani, Io aprì subito, e sulla
prima pagina vide le sole parole che non le erano state prima
già lette: — A mia madre, questo primo volume d^lla mia prima
opera. — L'agitazione della sua gioia fu tale e tanta, che si
dovè quasi temere per lei. u II giorno dopo, cosi scrive un'amica,
nel mostrarmi il volume, ancora non poteva per la commozione
parlare. E col dito accennava, tremando, a quelle poche parole,
in cui erano concentrate tutta la gratitudine e l'affetto del figlio, n
La rapida fortuna di quel volume fu divvero prodigiosa, e
rispose in tutto all'aspettativa della madre. Una seconda edizione
di 2000 esemplari, portò al Buckle 500 sterline. Poi seguirono le
altre. Era venuto alla luce poco prima dell'opera del Darwin
L' Oriijini delle specie, o levò allora anche un più gran romore.
Il Buckle lavorava al second> volume, quando dovette provare
il maggior dolore della sua vita. Il 1* aprile 1859, egli scriveva
nel suo Diario: u Alle ore 9 1|2 parti la mia angelica madre,
icificamcnte e senza dolore, n Lasciò Londra per qualche tempo,
laaodo ritornò nella deserta casa a riprendere il lavoro, non
Sxh più mettere il piede nel salotto, là dovo EUa ana volu
sedeva, o dove egli aveva passato lo ore della sua maggiore
felicità. Una sola volta, in tutto il resto della sua vita, v'entrò
p«-r cerciie un libro, ma ne usci in fretta. Di lei non pirlava
più adesco. Un giorno però fu da un amico trovato solo che
piangeva dirottamente nello studio, e allora gli disse: — Ahi voi
non potete sip^rc, che cosa ò stata per me la perdita di mia
madre. — F •■ ' ♦ tuttavia forza al ' » - ■ alla salute che rapida-
mente lo a lava, il 15 ma;: •> avttva finito il io-
condo volume, che fu dedicato: Alia msmoria di Ui {io htr
memori/).
La fortuna del secondo volume non fu punto minore di
quella del p imo. Intiero, discussioni, articoli, critiche piovevano
da ' L'opera veniva subito tradotta in Oormania, e
la I tu più volto riitampata '; venne poi tradotta in
Francia. Un Inglese stabilito in America, scriveva al Buckle,
dicendogli che lo sapeva malato, e temendo che ciò poteste
' Nel 1874 osci la qoUiU edlsioM
10 TOMMASO ERRICO UUCKLE
ritardare o impedire la continuazione d'un libro tanto utile al-
l'umanità, 8Ì oif'eriva pronto a vendere quanto possedeva colà,
per venire in Inghilterra a fargli da amanuense, o cosi dimi-
nuirgli la fatica materiale. Molte lettere d'ignoti vennero ppecial-
niente dalla Scozia, di cui pure esso aveva detto gran male. Ma
a che giovava ora la gloria? Egli era uno dei primi uomini del-
l'Inghilterra, ed uno dei più infelici nel mondo. 11 suo stato
di salute era tale, che non gli psrinetteva più di lavorare. Perchè
soffrire? E sopra tutto per chi soffrire ora che Ella non c'era
più sulla terra? A lui non restava ormai che una sola speranza,
certo come egli era della immortalità dell' anima; ritrovarla
presto in un'altra vita. E così 1' animo desolato invocava quel
giorno.
Dalla morte della madre tutto era mestizia e dolore per lui.
La stessa fede che aveva una volta nutrita pei grandi resultati
della sua opera, non era più quella. Di ciò si vedono i segni
già nel secondo volume. Da un pezzo egli s'era avvisto d'avere
intrapreso un lavoro troppo gigantesco, superiore alle forze di
un uomo solo, ed aveva modificato il suo disegno. Non si trat-
tava più di scrivere una storia della civiltà in Europa, ma solo
una grande e generale Introduzione su di essa, seguita poi da
una storia della civiltà in Inghilterra. Ma ora dubitava che
anche questo gli" potesse riuscire, e che le leggi della civiltà
si potessero davvero, in una forma o l'altra, scientificamente,
compiutamente scoprire, come aveva una volta sperato. Nel ca-
pìtolo IV del secondo volume, egli descrive la lotta che sostiene
lo scrittore il quale lavora senza conforto alla conquista del
vero, alla scoperta delle grandi leggi della natura e della storia.
u Forse egli consumerà le sue forze nell'aspro cammino, perchè
la mente umana non è ancora matura. Non avrà allora ne sim-
patie, né aiuti, e lascerà incompiuto ciò che invano aveva spe-
rato di condurre a termine. Ormai, così egli continuava, pas-
sando dal caso generale al suo caso particolare, anche per me
le illusioni sono passate, ed io vedo che piccola parte dell'opera
immaginata potrò condurre a termine. Forse le mie speranze
erano vane e presuntuose : vorrei tuttavia poterle richiamare
in vita, perchè mi restituissero la passata felicità... Ma pur
troppo mi sembrano adesso simili più alle illusioni d'una mente
disordinata, che alla realtà. E duro confessarlo, ma io sento
che non potrò mantenere tutto quello che ho promesso, n E potè
mantenere anche meno di quello che sperava allora. Col se-
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ. 11
condo volume non era finita neppure la Introduzione generale,
ed il terzo non potè mai esser cominciato.
Si risolvette a fure un viaggio in Oriente, per curare la salute
e vedere gli avanzi delle gran li civiltà antiche. E subito s'esaltò
per modo in quest'idea, che nell'ottobre del 1881 scriveva alla
signora Grote: u Io addirittura soflFro pel grande eccitamento
che provo al pensiero di vedere gli avanzi di quella grande ed
imperfetta civiltà dell' Egitto, che è stata sempre come un sogno
della m"a vita. 77 II 20 di quel mese (non aveva allora che
39 anni) parti in compagnia di due giovanetti, figli d'un amico,
il ma^rg'ore dei quali aveva 14 anni e divenne poi il suo
biografo. I bambini furono la seconda delle sue passioni, e
'però OTA, che non aveva più la madre, li desiderava intorno a sé.
Durante il vitggio si levava alle sci, dava loro una lezione,
dirigeva le loro if'tture e leggeva egli stesso la storia dei paesi
che visitava. Passarono tre settimane sul Nilo in uno dei
migliori battelli che si potevano nllora avere, con un cuoco
eccellente, perchè voleva esser sicuro di cibi sani. Vide
Alrssandria, il Cairo, Tebe, le Cateratte del Nilo, la Nubia.
Traversò poi il deserto per andare al Sinai. Erano tre compsgnio
di 15 persone in tutto, con una scorta di 110 armati. Faceva
«•ette ore il giorno di cammino a cavallo, riposando Ire ore sott >
tcndtu Vc«tiva abiti di lana come a Londra, credendo d'imi
tare i beduini nel difander^i cosi dal callo. Sperava con tutti
^ti suoi accori^menti che U salato dovo^rso ntistere sino
fine del viaggio. Aveva in vero fatto già gran cammino,
aveva molto visto e molto lotto, raccolto antichità e manoscritti
che inviava a Londr*, e nessuna malattia era sopravvenuta.
Al Sinai però giunge addirittura esausto di forse. Puro continuò
di luo^o in luogo la via prestabilita. Fece l' asccni'ono del
rlfonto Hor; ma quando fu sulla cima, non ne poteva più, e
dis4c ridendo: — Non mi maraviglio che il |)Ovcro Aronne mori
quando lo menarono quassù. — Era ridotto a non poter man-
iare altro che riip;)a e latte, perchò altro non digeriva. Puro
idavA oltre, e il \.\ aprilo erano a Geruiatemme, dove fu fona
lormire in un cattivo albergo. Quivi pare che pigliasse Ìl germe
d'una febbre tifoidea, la quale covò lentamente primi di scop-
J' > E tutuvia andarono oltre. Il 21 erano a
^' ' i'-ro il Mare Morto e Nszaret, dovo il Bucklo
dovè cedere la prima volta al male insidioso. Fu in letto con
febbre e dolor di gola. Pure non si arrese, e pretto riparti
12 TOMMASO ERRICO BUCKLE
per compiere il suo giro. Il 14 maggio era a Beirut, di dove
scrisse la sua ultima lettera, indirizzata ai parenti dei suoi
piccoli compagni di viaggio. Ragguagliò del buono stato delia
loro salute, e indicò il luogo dove si sarebbero incontrati in
Europa, tornando dal viaggio. A vederlo faceva però spavento,
tanto era mal ridotto ; ma andava oltre. Volle ascendere il
Monte Hermon. Giunto alla cima guardò la terra sottoposta,
in cui scorre il Giordano. Ai piedi del monte vide Damasco :
era una vista veramente stupenda. Egli non sentiva quel giorno
che la mano inesorabile della morte era già sul suo capo, e
dimentico delle sofferenze lungamente patite, contemplando
estatico, esclamò: — Oh! questo spettacolo sublime compensa
certo tutto quello che mi è costato. — E gli costò la vita,
osserva qui il suo biografo.
Discendendo a Damasco, contro il suo solito cominciò a
parlare della madre, quasi come di persona viva. A un tratto
proruppe : — La sua morte è stata la fine d'ogni mia felicità sulla
terra. — Arrivati all'albergo, il male scoppiò in tutta la sua
violenza. La febbre salì assai alto; cominciò il delirio. Forse
ancora poteva essere guarito, se fosse stato presente un buon
medico; ma un telegramma ritardato lo fece arrivare quando
non v' era più speranza di salvezza. Appena tornava in se,
chiamava i bambini per baciarli e confortarli. La sera del 28
li fece chiamare di nuovo, e dopo averli baciati, disse : — Poveri
bimbi! — Furono le sue ultime parole. La mattina del 29,
alle 10 e mezzo, era morto. Aveva appena 40 anni. La sera
stessa lo seppellirono nel piccolo camposanto protestante. As-
sistevano il medico, il console inglese, un missionario protestante.
Il sole ardente della Siria mandava i suoi ultimi raggi, illu-
minando le cime dei monti.
La notizia di questa morte arrivata a Londra, quando era
colà aperta la grande Esposizione Universale del 1862, fu sen-
tita come una grande calamità nazionale. Pareva che in quel
momento 1' Inghilterra avesse perduto il suo più gran pensa-
tore del secolo. Come è mai avvenuto che ora nella stessa
Inghilterra, si pensa così diversamente? Perchè l'opera tanto
una volta esaltata, è ora tanto acerbamente criticata? Dove e
quale fu l'inganno? Per rispondere a queste domande, è me-
stieri far prima un minuto esame del libro stesso, che certo
merita di essere studiato.
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ. 13
II.
Il Buckle, come abbiam visto, fu uno di quegli uomini che
gl'Inglesi chiamano self-made^ quali ve ne sono molti colà,
quale fu tra gli altri J. S. Mill, suo contemporaneo. Senza an-
dare ne a ginnasi, ne a licei, ne ad università, si formano stu-
diando da sé, leggendo, viaggiando, discutendo liberamente in
una libera società. Ma \\ Mill ebbe un padre dotto, d'un ca-
rattere fermissimo, che sin dai primi anni lo sottopose ad una
severa disciplina classica e scientifica, la quale gli fu di guida
sicura per 1' avvenire. Nella sua autobiografia reca mara/iglia
non piccola il vedere come egli non dica una parola sola della
madre, quasi per lui non fosse mai esistita. Il Buckle sembra,
invece, non aver nella vita avuto che la madre, la quale fu
certo la sua seconda coscienza, ma non potè dargli una severa
disciplina intellettuale. In sostanza egli percorse quasi tutto lo
scibile, restando però sempre un gran dilettante in ogni disci-
plina. Pure i dilettanti hanno anch'essi compiuto qualche volta
di cose sul mondo. V'è egli riuscito?
Che cosa s'era proposto di fare? Dare alla storia una forma
scientifica, scoprire e dimostrare rigorosamente le leggi ohe
regolano la successione dei fatti sociali, che de* no il
progresso della civiltà. A che serve, egli diceva, ac >o de-
scrizioni di costumi e di battaglie, aneddoti biografici; racco-
;lJero fatti alla rinfusa per mettere iotieme una narrazione più
meno dilettevole, ma dalla quale nulla ti può imparare di
TWMBente utile? In queato modo ogni ingegno più mediocre
può con alcuni libri scriveme un altro, e chiamarlo poi storia,
la vera storia è ben altro che biografia, essa non devo
oparsi di fatti individuali, né di aneddoti piacevoli, ma di
fatti sociali e delle loro leggi. Bisogna finalmente vedere te
^ ni della natura sottoposti aleggi^
licamentc. In ciò sta veramente
la stori.-i.
Il Hif-Uli- N ijM \ a 1m Ili hitno rlw l:i Holur.ioiM* d'un taio pro-
blema era siala Iculala la allri. Avrebbe quimli dovuto parlarci
del Vico, dcir Herder, dell' Hegel, del Cumto; giudicare le loro
. opere, e dirci so etti erano o no riusciti, come e perchè. Ma
egli s'ora talmente persuaso di esaminare il problema sotto un
L nuovo aspetto, di entrare in una via affatto inesplorata, cho non
14 TOMMASO ERRICO BDCKLE
&i fermò punto a discorrere de'suoi prò Icccssori. Vi sono o non
vi sono lejrgi della storia? Ecco la sua prinna domanda.
Molti ne dubitano, perch?} in os^a o vedono tutto sottoposto
ad un cieco fato, o tutto abbandonato al capriccio od al caos.
u Forse, egli aggiunge, di ciò sono derivate le due dottrine, una
delle quali nei fatti della storia non ve le che 1' opera della
Provvidenza, l'altra invece non vi vede che l'opera capricciosa
di un libero arbitrio, che non può essere sottopoito a le^gi. n
Qui c'ò veramente una gran confusione d' idue, espresse in un
modo non meno confuso ed incerto. Dal fato alla Provvidenza,
dal caos al libero arbitrio, il passaggio non è cosi agevoLi. Bi-
sognava 0 spiegarsi o non parlarne ; ma l'autore si contenta di
dirci, che queste due dottrine non sono che due ostacoli alla
soluzione del problema, e bisogna quindi rimuoverli per aprirsi
la strada al vero. Chi può mai credere Iddio, un essere infi-
nitamente potente e buono, autore di tutti i mali, di tutti i de-
litti commessi sulla terra? E che cosa vuol dire questo arbitrio
libero da ogni legge? Vi sono forse azioni che non abbiano
antecedenti e conseguenze inevitabili? E se le hanno, la rela-
zione che passa fra loro non costituisce una legge storica?
Basta paragonare una società barbara con una che entri
appena nella civiltà, perchè si veda subito comparir 1' ordine
nella successione dei fatti. Il selvaggio aspetta il suo cibo dal
caso, l'uomo che appena incomincia ad uscire dalla birbarie
semina piriodicamente in una stagione, per raccogliere periodi-
camente in un'altra. Dacché la statistica è divenuta una scienza,
non è pili possibile dubitare, che i fatti umani e sociali siano
Bottopoàti a leggi. Essa ci hi chiaramente dimostrato che le
azioni buone, cattive, indifferenti, quelle che più sembrano di-
pendere dal caso, dal l.bero arbitrio, da una risoluzione istan-
tanei, imprevista o imprevedibile, si succedono con una rego-
larità maravigliosi. Basta non fermarsi ai soli casi individuali,
Sf^mpre mutabili, ma esaminare la somma, l'insieme dei fatti
sociali, come appunto fa la statistica, e deve fare la storia, per
veder subito che tutto segue con ordine, secondo una legge co-
stante. La statistica, per citare qualche esempio, ci dice che dal
1826 al 1841, in tutta la Francia, vi ha ogni anno un numero
di delitti ugua'e presso a poco al numero dei nati in Parigi.
E se i dilitti si dividono in diverse categorie, si avrà la stessa
regolarità, lo stesso ordine nella loro successione. Ogni anno
cioè si avrà lo stesso numero di omicidi, di percosse, di
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ. 15
ferimenti. Perfino 1' arma di cui si fa uso è la stessa : tanti si
valgono dtl fucile o della p'stola, tanti del colttllo o del ba-
stone, tanti degli arnesi del loro mestiere. Data una società,
aveva già detto il Quetelet, son dati il numero e la qualità dei
delitti, u Si direbbe che sia essa che ponga il coLello in mano
dell'assassino, il quale ci apparisce solo come un suo docile
strumento, n C'è nulla, continua il Buckle, che sembri dipen-
dere dalla volontà personale e libera dell'uomo più del suicidio?
Pure la statistica ci dimostra che ogni arno v' è a Londra un
numero coatante di persone che pongono fine ai loro giorni. Lo
stesso segue nel numero dei matrimoni, dei figli illegittimi.
V è nulla di più accidentale, di più casuale che il dimenticarsi
di mettere V indirizzo sopra una lettera, che si manda alla po-
sta? Eppure la statistica dell'ufficio postale di Londra dimostra
che ogni anno lo stesso numero di persone è soggetto a tale
dimenticanza. Non appena dunque che noi facciamo della sta-
tistica base della storia, questa manifesta subito il sao carat-
tere scientifico.
Non v'ha dubbio alcuno che siffatte osservazioni hanno
molto valore, ed esse sono esposte dal Buckle con una granie
evidenza, che spesso è anche assai eloquente. Ma è certo del
piri che egli s'è fatto delle grandi illusioni sul valore della
statistica e sopra tutto delle relazioni che essa ha con U itoria.
ndo noi sappiamo che ci sodo nel mondo, come afferma il
ickle, 20 donne per ogni 21 maschi, che il numero dei sui*
cidi a Londra oscilla ogni anno fra i 213 e i 266, che un nu-
B|i mero determinato di perione dimentica di mettere l'indiiixzo
^ sulle lettere che imposta, tutto ciò ò un fatto, non è ancora una
legge, come a lui sembra, e molto meno poi una leggo storica.
Egli ha dimenticsto che la statistica è una sciensa recente, la
quale ha fatto le sue osservazioni sopra una parte aisai piccola
della società umana, sopra un perìodo di tempo at^ai ristrcit).
Non posniumo quindi sapere in che modo i fatti da ctia rao*
colti mutarono col mutare della società e dei tempi.
Ma v' è di più. La statistica ci dice quanti omicidi seguono
in una data società, e quanti ne furono commessi col fucile, colla
pistola, col coltello. Ma poco o nulla si diici dclli paMÌune,
dclh stato d'animo in cui fu commesto il delitto, l'oirà dirci
al più se fu premeditato o no. I figli naturali di cui registra
Kro sono innanzi alla sua aritmetica ugrali, ed essa non
9 alcuna differenza tra U passione cui cedette Lucrezia
I
piri
H| stati
■■■Bue]
I
16 TOMMASO ERRICO BUOKLE
Borgia e quella cui cedette Francesca da Rimini. Ciò che ad
uno stesso fatto materiale può dare un valore morale assai di-
verso, ciò che lo rende umano è quello che sempre le sfugge e
che costituisce invece l'essenza della storia, la quale s' occupa
di fatti certamente, e però la statistica le è utile, anzi necessaria;
ma non in quanto sono semplici fatti, bensì in quanto sono
fatti umani, morali, e però la sola statistica è insufficientissima.
Innanzi a questa una frase si distingue da un'altra solo pel nu-
mero delle parole, delle sillabe, delle lettere che la compongono.
Innanzi alla storia una frase può essere un suono vuoto, che si
confonde con milioni di altri, o può invece rivelare un carat-
tere, decidere i destini di un uomo, di un popolo. Quando a
Calatafimi, nel momento in cui il nemico sembrava prevalere,
il generale Garibaldi disse : — Bixio qui si fa l' Italia una o si
muore, — egli per la statistica non fece che pronunziare dieci
parole. Per la storia egli decise la battaglia, che doveva com-
piere i destini d'Italia. E solo perciò quelle parole furono sto-
riche. Quando è che noi possiamo dir veramente che un fatto è
storico ? Quando esso ci rivela il carattere, la potenza morale
d'un uomo, d'un popolo; quando diviene causa d'altri fatti im-
portanti. Le parole con cui Piero Capponi rispose all'insolenza
di Carlo Vili sono un fatto storico, perchè ci fanno conoscere
quell'uomo perchè ci manifestano il sentimento di tutta la citta-
dinanza fiorentina, perchè fecero partire il superbo re di Francia
col suo poderoso esercito. Le mille azioni che Dante o altri poeti,
pensatori, politici compierono ogni giorno, al pari di tutti i più
oscuri mortali, non fanno parte della loro storia, la quale è com-
posta di quei fatti solamente, in cui la loro anima ed il loro
ingegno risplendono immortali.
Al Buckle sembra che i fatti individuali abbiano poco valore
per la storia, la quale deve secondo lui occuparsi solo di fatti
generali, quasi che questi non derivino da quelli, quasi che, a
lor volta, i fatti individuali non siano assai spesso la personi-
ficazione dei generali. Ma perchè il passato, che ninno potrà
mai più far rivivere, desta in noi cosi vivo interesse? Certo
non solamente per ciò che può esservi in esso di più o meno dram-
matico. La storia non è poesia. E come mai abbiamo la po-
tenza di farlo idealmente rinascere e quasi renderlo presente?
A che fine tanto affaticarsi intorno a ciò ? Il vero è che noi
siamo un resultato del passato, il quale, sotto una o un'altra
forma, vive ancora in noi, e possiamo perciò evocarlo e tra-
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ.
17
sferirci in esso. Studiandolo, studiamo noi stessi, gli elementi
di cui si compone il nostro spirito. Se non ci fossero stati i
Greci ed i Romani, noi non saremmo quello che siamo, perchè
parte del loro spirito vive in noi, e però qualche volta ci
sembra quasi evocar la scoria del loro passato dalla nostra
propria coscienza. Se quindi isoliamo i fatti della storia dalla
catena ideale di cut fanno parte, dall' atmosfera in cui vivono
e da cui ricevono il loro essere, dalla relazione che hanno con
noi, essi possono avere ancora un significato per la statistica, m i
non ne hanno più alcuno per la storia. Ed è questo appunto che
troppo spesso ha dimenticato il Buckle, il quale crede qualche
volta aver trovato le leggi della storia, quando l' ha invee-
distrutta.
In lui e' è un errore fondamentale, di cui egli stesso ci scopre
la prima origine. Suo stadio prediletto era stato sempre l'eco-
nomia politica. Questa, come aveva osservato il Mill, era la
sola, fra le scienze morali, che fosse riuscita ad assumere una
vera forma scientifica, ed a far quindi sicuri e rapidi pro-
gressi. Come v'era riuscita? Isolando il fenomeno della ric-
chezza da tutti gli altri, per coti esaminarlo senza che venisse
alteiato o nascosto d» alcuna azione perturbatrice di altri fe-
nomeni sociali. Bisognava quindi nella storia seguire l'esompio,
e semplificare il problema, separando i vari fenomeni sociali,
per studiarli gli uni indipendentemente dagli altri. In fatti il
Buckle nella sua opera esamina l'Aziono della natura sull'uomo
senza tener conto dello leggi proprio dolio spirito umano, e
passa poi allo studio di queste leggi» e dell' azione dell' uomo
sulla natura, senza tener più conto dell'aziono che la natura n
sua volta esercita suU' uomo, disamina le qualità morali, sepa-
randele affatto dalle intellettuali, per seguir poi con queste il
mr ' - metodo, e cosi via discorrendo. K non s'avvedi < '
in t , l'uomo diviene un'asUraaìone, e la storia scompm
come non si avvede che nelle sue pagine migliori e più elo-
qii '< praticamente contraddice alle suo teorie. Che cosn
far ini il quale, per esaminare ed intendere la Madonna
della Seggiola, si ponesse a separare i colori con cui fu dipinta,
per rimetterli sulla tavolozza, gli uni accanto agli altri ? Nò più
nò mono che distruggere affatto l'opera dell'artista. Eppure clii-
micamente v'ò sulla tavolozza tutto ciò ohe costituittcu il capo
lavoro di liaffaello. E cosi, quando il Buckle decompone noi
|Suoi elementi i fatti socialii cmi peteono serbare ancora un va
fot. XL, %mU II - I LmìU issi t
18 TOMMASO ERRICO BUCKLE
lore statìstico, ma hanno di certo perduto il loro valore storico.
L' economia politica potè isolare il fenomeno della ricchezza
perchè di questa solamenle voleva occuparsi. Partì dal concetto
d'un uomo occupato solo e sempre d'aumentare la propria fortuna,
perchè in realtà tutti gli uomini la desiderano, e, potendo, l'au-
mentano. Pure, dopo i primi e rapidi progressi, l'economia ha visto
sorgere nella via intrapresa una difficoltà nuova ed inaspettata.
Quest'uomo, dominato sempre da una sola e medesima passione,
non esiste nella realtà, è un' astrazione della nostra mente, e
la scienza che si fonda su di esso corre il rischio di venire
smentita dai fatti. Mille passioni diverse, inseparabili dalla no-
stra natura; la varietà non minore dei caratteri nazionali, delle
condizioni storiche e sociali modificano tutto 1' uomo, tutta la
società, e quindi anche le leggi economiche, cosa di cui a torto
non sì era voluto tener conto. Se l'economia politica adunque
vuol davvero essere una scienza, così si è detto recentemente,
deve tener conto della natura reale dell'uomo ; rimettere il fe-
nomeno della ricchezza in relazione con tutta la società e con
la storia; deve formar parte della scienza sociale, adottando
anch' essa il metodo storico. Allora solamente potrà conoscere
le leggi della ricchezza, quali si manifestano davvero nella va-
rietà dei tempi e dei luoghi. Or se questa scienza, che s'occupa
d'uno solo dei mille fenomeni sociali, deve, per non errare, tener
conto anch' essa delle molteplici relazioni che un tal fenomeno
lia cogli altri, come potrà mai esimersi da simile obbligo la storia,
il cui soggetto è la società intera?
Se non che, quando scriveva il Buckle, gli economisti an-
cora non avevano dubbi sul valore del metodo adottato. La così
detta scuola di Manchester si trovava nel suo apogeo. La sua
dottrina fondamentale era che tutto il progresso economico risulta
dalla iniziativa ed energia degl' individui, lasciati liberi a se
stessi, perchè ciascuno conosce e promuove i propri interessi
meglio d'ogni altro. Dal loro libero conflitto nascono naturalmente
l'armonia economica ed il vero benessere sociale. Al Governo
non rimane quindi altro ufficio che quello di rimuovere gli osta-
coli, garentìre la piena libertà: u esso, così aveva detto ancora
il Fichte, deve cercare di rendersi inutile, n Una tale dottrina
rispondeva mirabilmente al carattere energico, intraprendente e
libero del popolo inglese. E rispondeva non meno ai bisogni
d'un tempo e d'una società, nella quale s'erano accumulate forze
industriali e sociali di gran lunga superiori alle leggi antiquate.
E LA SUA STOMA DELLA CITILTA.
19
che mantenevano in vigore ostacoli e privilegi che dovevano
aolo essere aboliti, perchè una grande prosperità nazionale ne
seguisse necessariamente.
Questo era quello che la scuola di Manchester raccoman-
clava in Inghilterra, e quando le sue previsioni s' avverarono
rapidamente, le dottrine formulate dalla scienza, parvero con-
fermate dalla esperienza. Non è quindi da meravigliarsi, se esse
si diffusero allora per modo che, come giustamente osservò il
Benn, sembrarono immedesimarsi con la coltura di quel paese,
e penetrarono profondamente in tutta la sua letteratura. Il pic-
colo volume scrìtto da J. S. Mill Stilla libertà, è interamente
fondato sul concetto, che la iniziativa individuale e libera è la
causa d' og^i vero progresso sociale, e fu perciò chiamato in
Inghilterra V Evangelo del secolo xix. Fattosi in tutte le sue
opere banditore dello stesso princìpio, il Mill divenne per qual-
che tempo la guida intellettuale del popolo inglese. Lo Spencer
si fece anch'esso apostolo della privata iniziativa. La celebre
opera del Darwin L* Origini dslU «pecte, fu come dichiarò lo
stesso autore, ispirata dalle dottrìne economiche, e più spe-
cialmente da quella del Ifalthos sulla popolazione. In fatti la
legge della evoluzione non è altro che la legge secondo cui i
più forti individui prevalgono nella battaglia della vita, e l'or-
dine nella natura nasce da questa lotta che essi liberamente
combattono fra loro. E come tanti altn il Buckle cedette allora
anch'esso a questa medesima tendenza, che in veritA informa
tutto il Boo libro, e che, unita al mento del suo stile, fu causa
non ultima della sua temporanea, ma grande popolarità.
Il tuo concetto fondamentale è semplicemente questo: ap-
plicare alla storia il metodo dell'economia politica. Esaminare
quindi, come già dicemmo, i fenomeni sociali, separandoli non
solo gli uni dagli altri, ma separando anche, qu4nJo b possibile,
i rari elementi che li compongono. Con quetto metodo l'autore
arriva alla conclusione prestabilita, che ogni progregto deriva
dalla libera iniziativa della ragione individti-* - — ■ rtiale dagli
ostacoli che ad essa si oppongono. Basta ri. i ostacoli,
perchè subito incominci il progresso. Egli ostacoli principali sono
due: la natura est( r ho assai spesao opprimo l'uomo, mas*
Simo nei paesi tropp i governi e le religioni, che per voler
sempre proteggere e guidare, finiscono coll'arrestare il cammino
della società. Solo quando l'indiv' ' me segue in
i , ' **' forte abbsttanza per soggiogare I.t n ria«cf), mn*
20 TOMMASO ERRICO BUCKLE
diante il dubbio filosofico, a liberarsi dai pregiudizi religiosi e
politici, solo al. ora noi abbiamo un vero progresso. Si potrebbe
domandare: — Ma l'uomo non è un prodotto della natura? Come
dunque essa gli è nemica? I governi e le religioni non sono un
prodotto dello spirito umano, come dunque gli fanno questa con-
tinua guerra ? — Il Buckle ha però separato nella sua mente la
natura, i governi, le religioni e l'uomo, ed anche quando studia
le relazioni che passano fra loro, esamina ogni cosa in sé, come
separata, indipendente affatto dalle altre. Animato sempre dal
proposito di dimostrare, che le libere forze intellettuali dell'uomo
sono la sorgente d'ogni bene sociale, egli intraprende il suo lungo
viaggio ideale. Con quella fiaccola in mano, divenuto apostolo
di libertà, crede di poter come illuminare di nuova luce elettrica
tutta la storia.
Due sono i soggetti principali di cui deve occuparsi una
scienza della storia : la natura e 1' uomo» La natura modifica
l'uomo ed in alcuni paesi lo soggioga; in altri però esso reagi-
sce, la sottomette, e può allora svolgere liberamente le proprie
forze. Bisogna quindi esaminare da un lato le leggi della natura
e la loro azione sull'uomo, dall'altro le leggi dello spirito umano.
Incominciando dalla natura, il Buckle nega subito, senza alcuna
ragione sufficiente, ogni importanza alle differenze di razza,
che chiama ipotetiche. Forse il fenomeno è troppo complesso,
perchè possa col suo metodo di separazione riuscirgli intelli-
gibile. Certo nella storia primitiva dell'uomo v'è un periodo in
cui l'importanza delle razze è massima, né mai essa sparisce del
tutto. Il nostro autore esamina invece l'azione che hanno sulla
civiltà il cibo, il suolo, il clima, l'aspetto della natura. La fer-
tilità del suolo, egli dice, porta abbondanza di cibo, ottenuto
con poco lavoro; il clima caldo mantiene le forze dell'uomo con
piccola quantità di legumi, che la terra produce facilmente. Al
lavoratore non è necessaria la carne, per aver la quale è me-
stieri esporsi agli esercizi, ai pericoli della caccia. La prima
conseguenza che risulta da tutto ciò è un rapido aumento della
ricchezza, base necessaria d' ogni civiltà. La popolazione sì mol-
tiplica del pari, e la moltitudine delle braccia che si offrono
al lavoro abbassa il salario, dando così origine ad una classe
di ricchi proprietari da una parte, e dall'altra ad una assai più
numerosa di proletari, che poi diventano schiavi. La ricchezza
rapidamente cresciuta vien divisa con grande disuguaglianza, e
questa è la seconda conseguenza del suolo fertile e del clima
r
p
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a
I
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ. 21
aldo. Tutto ciò segue presso i tropici, dove la civiltà incomincia
subito, ma s'arresta ad un tratto e non va piìi oltre. Nei paesi
freddi, invece, occorre maggiore quantità di cibo animale, mag-
giore energia per procurarselo: il suolo meno fertile richiede
più arduo e regolare lavoro. Meno rapido è ivi l'aumento della
popolazione, minor numero di braccia s'offrono al lavoro, più
alto è il salario, e quindi la ricchezza non si accumula facil-
mente in pochi. Questi paesi sono perciò democratici, come aristo-
cratici sono i paesi caldi presso i tropici. E cosi il Buckle crede
aver u. scoperto in un modo finora sconosciuto n la relazione
e passa fra il mondo fisico ed il morale. Infinite sono, egli
dice, le applicazioni di questa u nuova legge n alla storia, come
infinite sono le prove che si possono addurre della sua verità.
Per vedere che grande influensa abbiano il clima ed il suolo
sulla forma della società, basta gnai^*rc &> Tartan. Fino a
che essi rimasero nel piano centrale dell'Asia non poterono
mai uscire dalla vita nomade. Appena che discesero nelle pia-
nure fertili del mezzogiorno, accanto ai grandi fiumi, comin-
ciarono subito a fondare le città e gì' imperi, e si formò la
j^nde disngoaglianza delle classi. L'Africa resta fuori della
-civiltà pel cb'ma troppo avverso, pel taolo troppo infecondo.
Ma nella vallata del N lo dove il terreno b fertile, pii^ mite
il clima, dove il dattero ed il lotus offrono cibo abbondante
ad una popolazione che vive con poco, si formò subito una
grande civiltà, la quale ebbe tutto le qualità che derivano da
queste condizioni. Le grandi piramidi attestano infatti Tasi «tenia
di lina tale civiltà, ma attcstano anche il lavoro di migliaia di
hcliiavi. Il mite clima, il suolo fertile e rabbondaosa prodi-
l^'io-.'i di granturco nell'America centrale portano le stesse oon-
^f•;:ll• n/''. Kd in vero solamente nel Perù e nel Messico gli
scopritori doll'America trovarono gli avanzi di antiche civiltà.
Ma ivi ancora i monumenti che furono opera di molto e molto
migliaia di operai, i quali dovettero lavorare per moltissimi anni,
attestano l'esistenza del proletariato e degli schiavi In India i
grandi fiumi, il clima caldo, il suolo fert le e l'abbonilanza del
riso, che basta a sostentare il lavorante, de^ro i medesimi re-
•aitati. 8e vi s'aggiunge la grande potenxa oella natura, che coi
•«oi giganteschi fenomeni spaventa, opprime l'uomo, si avrà la
causa d'una religione di terrore, d'un olerò potentissimo, d'un*
letteratura esagerata e fantastica.
E dopo avere aocomalato un numero Infinito di altri fntti per
I
22 TOMMASO ERRICO BUCKLE
provare la sua tesi, il Buckle osserva: tutto ciò non segue in
Europa dove la natura è meno potente, e l'uomo riesce a sot-
tometterla. Qui esso può svolgere perciò liberamente le sue
forze, secondo le leggi proprie del suo spirito. Basta guardare
alla Grecia, tanto vicina all'Asia, e pur cosi diversa per la confor-
mazione geografica, pel suolo e pel clima. L'uomo in essa trionfa
finalmente sulla natura che non teme, ma studia ed osserva.
Egli ritrova adesso la indipendenza del proprio spirito. Gli Dei
della Grecia non sono più mostruosi, ma hanno forma umana.
L'arte e la scienza incominciano a risplendere di viva luce,
sebbene l' immaginazione abbia ancora, secondo il Buckle, troppa
grande predominio; la libertà è fondata; il vero progresso in-
comincia.
Nessuno certo può mettere in dubbio l'azione del clima,,
del suolo e del cibo sulla umana società. Di ciò molti avevano
parlato, ed il Ritter lasciò osservazioni di gran valore su quella
che egli chiamava la « funzione storica dei continenti, n Ma
altro è dire che queste condizioni sono più o meno favorevoli
o avverse alla civiltà, e che in diverse guise la modificano,
altro è dire che la civiltà non europea è conseguenza esclu-
siva di esse, senza tener conto degli uomini diversi che nei di-
versi paesi si ritrovarono. Più d'una volta il Buckle sembra
voler derivare la civiltà indiana dal riso, quella dell'Egitto dal
dattero, quella del Messico dal granturco. E ciò è assurdo. Se
quando le popolazioni turaniche si mossero per venire nell'Asia
meridionale, invece di essere già nella vita nomade di tribù
erranti, si fossero trovate ancora nella vita di caccia e di pesca,
si sarebbero nel nuovo clima avute le medesime conseguenze
storiche e sociali? Chi non riconosce la grande importanza che
ebbero per la; storia della Grecia la sua geografica formazione,
il suo clima? Ma ciò è ben altro che voler far nascere la sua
civiltà da queste condizioni. Quando le popolazioni ariane, dopo
avere in Asia fondata una società, una letteratura, una reli-
gione e una civiltà, vennero in Grecia, si deve supporre che
tutto quello che esse avevano prima fatto ed appreso, non abbia
avuto alcuna importanza nel determinare la nuova forma dì
società e di civiltà i^he andarono a formare, e che essa sia
stata conseguenza solamente del nuovo clima e del nuovo cibo ?
Se vi fossero venute invece le popolazioni turaniche dell'Asia
centrale sarebbe stato lo stesso? La mitologia, la lingua, la let-
teratura, la società greca non sono una evoluzione naturale e
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ.
23
più feconda della primitiva società ariana? Questa evoluzione
fu di certo resa agevole dalle nuove condizioni del clima e del
suolo ; ma i Tartari non ci avrebbero dato Fidia ed Omero.
E pure fino a questo punto del suo libro il Buckle ha preteso
di cavar le leggi della storia dalle sole condizioni geografiche
dei popoli.
Ma qui si muta strada. La storia, secondo il Buckle si di-
vide, come vedemmo, in europea e non europea. Nella prima
l'uomo non è più oppresso dalla natura, ma la vince, e quindi
la scoperta delle leggi della civiltà moderna in Europa (dell'antica
egli non parla) si muta in una scoperta delle leggi dello spirito
umano. La geografia è d'ora innanzi qua»i affatto dimenticata.
Questa scoperta però non si può fare col metodo metafisico, che
è a priori, e stadia ruomo individuo ; bisogna farla col metodo
statistico, che è a poateriori e si occupa della società, dei popoli.
In essi le mutabili o infinite varietà dell' individuo si equilibrano,
si neutralizzano, e cosi solamente è possibile la costansa delle
l^gi storiche, che negl' individui si cercherebbe invano. Ma non
basta aver prima separato ruomo dalia natura e poi l' individuo
dalla società, è necessario andare più oltre ancora.
Noi dobbiamo adcMO cercare nell' uomo la sorgente del
progresso. Le sue facoltà si dividono in morali ed intellettuali.
Quali sono dunque la vera causa, le prime o le seconde? E
qui abbiamo una delle teorie fondamentali del Buckle, quella
che più di tutte ha dato origine a discussioni ed a dispute, in
pur quella a cut egli annetteva maggiore importanea. Il ca-
rattere, le facoltà morali dell'uomo non possono in alcun modo
essere la causa del progresso. La morale ò immutabile, come
potrebbe ella mai essere la sorgente d'un continuo mutamontu?
La morale dei Greci è ben poco diversa dalla nostm, la quale
è compendiata nel Vangelo, che è antico di molti secoli. Anche
le attitudini morali dell'uomo sono, presso a poco, sempre le
stesse; quelle d'un fanciullo nato in una società barbara, cosi
afferma il Buckle, non differiscono punto da quelle d'un altro ohe h
nato in una società civile. Se poi essi operano assai diversamente,
ciò nasce dalle diverse condiaioni sociali in cui si ritrovano,
ed è perciò che bisogna cercare altrove le cause del progresso
o regresso di queste condisioni. Certo che c'ò una gran diffe-
renza fra un uomo onesto ed un uomo disonesto. Chi non Io
vede? Ma la diversità morale è grandissima negl'individui,
minima nelle società. In esse il male che fanno gli uni viene
24 TOMMASO ERRICO BUCKLE
equilibrato dal bene che fanno gli altri: la crudeltà o l'ava-
rizia di uno desta la pietà o la generosità di un altro, e cosi
la somma totale del bene e del male sociale, più o meno, è
sempre la stessa. Ora la storia non è biografia, deve quindi
occuparsi della società e non dell'individuo. Ma dove è dunque
la causa, la sorgente del mutamento e del progresso? Non può
essere che nella intelligenza, la quale accumula ogni giorno
cognizioni nuove, e muta così rapidamente la società e la ci-
viltà. I primitivi cristiani avevano la stessa nostra morale nel
Vangelo; ma quanto non eran diverse le loro cognizioni, e
quindi la loro civiltà? Che cosa può esser causa del mutamento
e del progresso, ciò che muta o ciò che è immutabile? Il bene
che si fa agli uomini, per quanto sia grande, osservò giusta-
mente il Couvier, è sempre passeggiero; le verità che loro
si lasciano sono eterne. L'aumento continuo di queste verità,
scoperte dalla scienza, è la vera, la sola causa del progresso.
E questa idea divenne il domma fondamentale del Buckle.
L'intelligenza è la causa della libertà, la sorgente del benes-
sere, del progresso, della felicità umana: i cultori della scienza
sono i veri sacerdoti dell' umanità. Questa fede animò la sua
vita, la sua eloquenza; formò la felicità sua e di colei che solo
per lui e per vedere il trionfo della fede che egli le aveva
ispirata, non voleva abbandonare la terra.
Che cosa ha recato il più grave danno al progresso sociale?
La persecuzione religiosa. Essa ha non solo torturato, bruciato
centinaia di migliaia di vittime innocenti; ma ha creato un
numero assai maggiore d'ipocriti, che, per 'salvare la vita, fin-
sero di credere quello che non credevano, ed ha distrutto più
volte la libertà della scienza e della coscienza. Chi erano i
persecutori? Assai spesso uomini buoni, che vivevano in un
grande errore, pieni di sincera fede, persuasi di fare il bene,
di salvare la società dalla rovina, dalla perdizione. Chi perse-
guitò più di tutti il Cristianesimo? Alcuni dei migliori impe-
ratori, come Marco Aurelio e Griuliano, mentre alcuni dei più
depravati, quali Commodo ed Eliogabalo, furono, al paragone,
indulgenti e tolleranti, perchè della nuova fede non s' occupa-
rono punto. Qui ci sarebbe da chiedere al Buckle : quali erano
più colti, più intelligenti, i primi o i secondi? Ma egli si
guarda bene dal fare a se stesso questa importuna domanda e
prosegue: gli storici della più crudele Inquisizione nella Spagna
sono più volte costretti a riconoscere che gl'Inquisitori eran
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ. 25
quasi tutti gente buona ed onesta. Anzi, osserva qui il nostro
autore, era la loro bontà appunto che li rendeva cosi perni-
ciosi. Se fossero stati dissoluti, venali, falsi o ambiziosi, ci sa-
rebbe stato modo di renderli meno feroci. Le loro stesse passioni
li avrebbero deviati qualche volta dal perseguitare ; avrebbero
aperto una via a poterli corrompere. Ma chi può mai fermare
nella loro sanguinosa ferocia uomini profondamente disinteres-
sati e convinti d'obbedire alla voce di Dio, torturando, bru-
ciando gli eretici? Che cosa si può immaginare di peggio?
K che cosa potrà mai mettere un argine a tanta calamità? Non
certo il miglioramento morale di uomini che già son buoni, e
che anzi fanno il male in conseguenza della loro cieca bontà.
Il rimedio sta solo nell'illuminare la loro intelligenza traviata,
nel far loro capire tutto il male che fanno senza sapere. La
storia infatti ci dimostra che non fu la cresciuta virtù, ma il
progresso della cultura ciò che rese per sempre impossibile la
persecuzione religiosa.
Un'altra delle grandi calamità sociali è la guerra, né il senso
morale potè mai diminuirla. I barbari sanno bene il male che
fanno ai loro vicini, ma ciò non impedisce mai ohe siano in
continue lotte fra loro. L'invenzione della polvere ridusse la guerra
ad un mestiere, e creò una classe militare contro cui s'oppose
una classe intelligente, amica della scienza e della pace. K cosi
a poco a poco la nazione in cui l' intelligenza ebbe più potere,
maggiore autorità, fu quella che divenne più amica doila paco.
È inutile fermarsi a discutere la verità di queste osservazioni,
e domandare se l'esistenza d'una elasse militare non fece assai
spesso nascere un bisogno artificiale di guerra, e chiedere anche,
come mai un magf^ore progresso nella scienza e nella civiltà
abbia oggi condotta l'Kuropa al Hcrrizio militare obbligatorio,
cioè ad armare di nuovo tutta la nazione. Potremmo anche ri-
cordare, che i Tedeschi, i quali sono gli autori di questo nuovo
sistema militare, sostengono invoce che quando tutta la nazione
è obbligata a sopportare i pericoli e i mali della guerra, essa
diviene di necessità più amica della JMC«. Osserveremo piuttosto
che il Buckle ha ragione quando aggiunge che il raperò, le
"^ i popoli, e sopra tatto V economia poli-
|f là e la necestità di questa relazioni, resero
assai meno frequenti le guerre. Adamo Smith, egli dice, fu col
suo libro sulla r « dflio nazioni un grande apostolo di pace.
Ed anche quesi . ro, ed è certo un effetto della scienza.
26 TOMMASO ERRICO BUCKLE
In tutto ciò il Buckle ha per modo mescolato il vero col
falso, che non è sempre troppo facile, ne giova poi molto il fer-
marsi lungamente per dividere l'uno dall'altro. Importa, invece,
anche qui fermarsi a ricercare la sorgente principale e più ge-
nerale dei suoi errori. Quando egli ci dice che la morale dei vari
popoli, nei diversi tempi, è sempre la stessa, e che il figlio di
un selvaggio ha le stesse attitudini morali del figlio d'un Fran-
cese 0 di un Inglese, l'errore è così evidente che non merita
neppure d'essere confutato. Nondimeno egli vi persist*^. con una
singolare tenacità, e ripete sempre che la difi'erenza è solo fra
gl'individui, come se le società non fossero composte d'indi-
vidui, e non avessero con essi una stretta relazione. Il Buckle
non potè mai concepire la società come un organismo vivente,
con una personalità, una coscienza, un carattere proprio. Pure
noi non possiamo formarci un concetto chiaro d'un popolo, di
un secolo, d'una società, se non ce li rappresentiamo sotto una
forma umana. L'Italia del Cinquecento, l'Inghilterra del Seicento,
la Francia del secolo decimottavo, sono per noi un mistero se
non arriviamo a capire prima che cosa furono l'Italiano, l'In-
glese, il Francese di quei tempi, anzi l'una cosa è poco meno
che la traduzione dell'altra. Questo è un processo naturale,
spontaneo della nostra mente, tanto è poco rispondente al vero
la distanza, quasi la contraddizione, che il Buckle vorrebbe
vedere fra l'individuo e la società. Egli ha visto che c'è una
differenza, dunque non c'è una relazione. E qui s'è ingannato.
Come e' è diversità fra la morale degli individui, cosi ce n' è
fra quella delle nazioni, le quali non si capisce perchè dovreb-
bero tanto differire per cultura e per intelligenza, tanto poco
poi, anzi punto, per morale.
Ed il Buckle non si è contentato di separare affatto l'indivi-
duo dalla Società; ma ha voluto anche separare nell'individuo
le qualità morali dalle intellettuali, per vedere in queste solamente
la causa d'ogni benessere, d'ogni progresso. Veramente gli si po-
trebbe, per citar qualche esempio, chiedere come mai l'Italia del
Rinascimento era la più eulta, la più intelligente nazione del
mondo; maestra all'Europa nelle arti, nelle lettere e nelle scienze,
e pure la più debole di tutte, condannata ad inevitabile deca-
denza, ad essere preda del primo venuto? Dove si troverà la
causa principalissima se non nella sua morale corruzione? Perchè
la Grecia tanto più eulta e intelligente di Roma, era tanto più
debole militarmente e politicamente? Il fatto è che il Buckle
E LA SDA STORIA DELLA CIVILTÀ.
27
ha messo fra la morale e la intelligenza una divergenza che
non esiste. L'uomo non sarebbe un essere morale se non fosse
un essere razionale. La ragione ci fa vedere alcune verità che
determinano un certo modo di condursi. Questa condotta, ripe-
tendosi, diviene consuetudine; si trasmette per eredità, per edu-
cazione civile o religiosa, e forma il carattere individuale, il
carattere nazionale, che sono il resultato d'un lungo processo
intellettuale precedente, sono quasi intelligenza accumulata e
trasformata. Questo carattere può trasmettersi e trovarsi poi
anche in uomini di corta intelligenza. Molte volte in fatti av-
viene d' imbattersi in persone che hanno una grande finezza e
squisitezza di sentire, che avvertono mirabilmente differenze
morali, di cui la loro intelligenza appena saprebbe render conto.
£ vi sono popoli disciplinati, onesti, che nelle lettere e nelle
scienze vengono superati da altri indisciplinati e corrotti. Ciò
non toglie però che il carattere morale, senza un lavoro intel-
lettuale, non si potrebbe formare, e che sar«ibbe impossibile tro-
varlo in esseri irragionevolL Una data quantità di moto si tras-
forma in ana data quantità di calore e viceversa. Sarebbe assurdo
negare ogni relazione che passa tra loro, come sarebbe assurdo
D^^e ogni differenza. La meccanica e la teoria del calore sono
due scienze aasai diverse. Ma più strano ancora sarebbe, per
negare il valore e gii effetti del calore, affaticarsi a provare
che son solo e sempre effetti del moto. Questo significherebbe
volersi avvolgere in un grande equivoco di parole, ed f ciò che
ha fatto il Buckle nel caso di cui parliamo. Egli prima separa
affatto il carattere dalla intelligenza, e poi attribuisce a questa
tutto ciò che è oons^gvansa dall'alaiDento intellettoale, ohe forma
parte costitutiva del canMmf. Ma eiò non toglie ohe eoel gl'in*
dividui come i popoli peeeeao avere più intelligvnsa che carat-
tere 0 viceversa, e che il carattere abbia nella storia degP in-
dividui e dei popoli un grandissimo valore. Spesso anzi vetlianio
l'intelligenza restare impotente per mancanza di carattere. Le
più grandi iooperte scientifiche non si compierono mai sonsa
abnegazione, senza perseveranza e forza di volontà. Una nazione
assai eulta e moralmente eorrotta paò giovare al progreteo dello
altre, senza salvare tè •tessa dalla rovina, come avvenne al*
l'Italia del Rinaenimento. E ben a ragione, a questo proposito,
il Mill oeeervò ueora, che m se le forse intellettuali portano
nella eocictà le eooMgMiiM maggiori, non è perchè esse siano
28 TOMMASO ERRICO BUCKLE
per sé stesse di gran lunga superiori alle altre, ma perchè ope-
rano sempre colle forze riunite di tutta la società, n
Né poi è vero che le buone, le eroiche azioni siano sempre
passaggiere e non lascino traccia durevole, mentre le verità che
si scoprono sono eterne. La memoria dei trecento di Sparta
non è tuttavia una fonte perenne di educazione e di patriot-
tismo al genere umano? E quale non dovette essere l'efFetto
permanente del loro esempio sul carattere del popolo greco?
Non diciamo noi tutti in Italia, che il sangue dei martiri fa
germogliare la libertà? E non ne abbiamo avuta la prova?
E se i trecento non avessero resistito, non sarebbe la Grecia
stata invasa dalla società asiatica, e non se ne risentirebbero
anche oggi le conseguenze lontane ? Presto finisce la buona
azione, e passa con essa il suo effetto più appariscente ed im-
mediato; ma la forza misteriosa, che si svolge in colui che
compie ed in colui che riceve il benefizio, non modifica in
nulla mai il loro carattere, non si trasmette per eredità, in con-
seguenza dell'esempio dato? E proprio il caso di dire, che vi
sono nella storia più misteri che non ne suppone la filosofia
del Buckle. Ma non c'è da fermarlo mai nella sua via. Il pro-
gresso è per lui conseguenza della intelligenza, nasce solo dalle
cognizioni, che vengono accumulate come si accumula la ric-
chezza. Egli non si arresta neppure ad osservare che e' è una
grande diff'erenza fra le merci accumulate in un magazzino e
le cognizioni aumentate nella nostra mente, la quale viene da
esse e da altre condizioni sociali sostanzialmente ogni giorno
modificata. E pure in queste modificazioni, delle quali il Buckle
tiene così poco conto, sia la storia vera dell'uomo e della so-
cietà. Senza rendersene conto, tutto diviene una serie di pro-
blemi inesplicabili.
Ed è ciò appunto che segue a lui assai spesso. Un popolo
vive nella superstizione e ciò impedisce il progresso. Un bel
giorno esso incomincia a dubitare, la potenza del clero diminuisce,
la ragione è più libera, la scienza risorge ed accumula nuove
cognizioni, il progresso va rapido. Ecco dimostrata da capo la
verità della teoria. Ma non è dimostrato nulla. Perchè quel po-
polo incominciò allora a dubitare a un tratto, ad entrare in una
nuova disposizione d'animo ? Questo è il problema, di cui non
si dice una sola parola. Nulla è più singolare del capitolo sulle
cause della rivoluzione francese. Tutto si riduce ad una storia
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTI.
29
dei progressi che fecero allora le scienze, specialmente le scienze
naturali. Quasi che allora non si apparecchiasse invece una lotta
gigantesca di passioni, di nuovi interessi, di tradizioni, di vecchie
e nuove istituzioni. Eppure il fatto era noto ed il fenomeno già
molte volte studiato. Ma il Buckle afferma, invece, che egli ha
dato finalmente la sola, la vera spiegazione, e ciò in conseguenza
del suo metodo scientifico, che solo conduce alla verità sto-
rica. — E come mai Galileo e tutta l'Accademia del Cimento
non valsero in Italia, nel secolo xvii, a produrre nulla che pur
da lontano somigliasse alla Rivoluzione ? Mistero.
La formola sacramentale rimane sempre questa : il progresso
risulta da tre cause, che in fondo si riducono ad una : 1. Dalle
scoperte scientifiche e dalle cogn'zioni accumulate; 2. Dall'ap-
plicazione pratica di queste cognizioni; 3. Dalla loro diffusione.
Dovendo scegliere un popolo, per studiare più particolarmente
questa legge di progresso, il Buckle dice che, dopo avere nella
Introduzione parlato di tutta l'Europa, si fermerà a fare la storia
del popolo inglese, come il popolo tipo, quello in cui tutto lo
condizioni richieste si verificano a preferenza. La Germania, egli
osserva (ilimenttc«ndo quanto colà più che in Inghilterra era
diffusa allora l' istruzione elementare), è un paese in cui molte
sono le r- " • '-ani nelle classi elevate, ma poco diffuso nel
popolo. >. > rica sono molto diffusa^ ma non c'è una classe
scientifica supcriore, che le scopra e le accumuli. In Francia
^ , si trovano le due condizioni richieste, ma essa ò troppo sog-
--^''-gett'i all'azione intellettuale dei popoli vicini, dai quali la sua
cultura rien continuamente modificata. In Inghilterra inrece lo
spirito nazionale si svolge liberamente, secondo lo proprio l<*ggi,
senza subire alcuna modificazione dall'estero. Per lungo tempo,
egli dice, gli stranieri renivano assai di hmIo nella nostra isola,
e noi viaggiavamo il'mondo solo per affari, senza avere alcun
intimo contatto cogli altri popoli. — È curioso l'osservare come
il Gttizot ed il Comte trovino non meno validi gli argomenti
opposti, per dare il primato alla Francia, la quale, appunto
pcrchò in reiasione con tutti i popoli dell' Europa, A, secondo
loro, il gran centro dolla civiltà. E quanto ai Tedeschi, osmì
appena mettono io discuisione il loro primato nella civiltà
europea, ' ' ' imano addirittura cristiano-germanica. Noi pos-
siamo al> ira siffatte diipute, ohe hanno la loro sorgente
nel patriottismo e non nella scienza, dinanzi alla quale il solo
popolo tipo è l'amanita. Dobbiamo però OMorrare che questa
30 TOMMASO ERRICO BUCKLE
filosofia della storia non deve ancora aver raggiunto un gran
rigore scientifico, se trova argomenti validi per sostenere così
diverse opinioni. Certo l'isolamento dell'Inghilterra, che in realtà
ha largamente preso da tutti i popoli, da tutte le letterature e
civiltà, è una esagerazione del Buckle. Non si capisce poi come
nella storia di Francia egli faccia cominciare il progresso delle
relazioni che essa ebbe coll'Inghilterra, mentre questa invece
avrebbe cavato così gran benefizio dal non ricever nulla mai da
nessuno, e come non veda che la civiltà, massime nell' Europa
moderna, nasce dal mescolarsi dei popoli e delle idee, che cia-
scuno di essi assimila al suo carattere nazionale.
E qui il Buckle viene a combattere alcuni che chiama grandi
pregiudizi, e assai diffusi. Moltissimi credono che causa prin-
cipale di progresso siano le religioni, le letterature, i governi.
Nessun errore più grande di questo. Se la religione nasce spon-
tanea in un popolo, essa è conseguenza, non causa della sua
preesistente civiltà, e ne piglia la forma. Se invece è trasmessa
da un popolo all'altro, è costretta allora a modificarsi per adat-
tarsi alla nuova civiltà in cui entra. In India la religione fu un
ammasso di brutali superstizioni, perchè così richiedeva quella
società. Quando il Cristianesimo s'avanzò nell' Impero romano,
s'alterò profondamente, accettando le forme e le superstizioni
pagane, anche più contrarie alla sua natura, perchè doveva adat-
tarsi, sottomettersi alla società in cui entrava. Quando più tardi
la cultura dei popoli cristiani era cresciuta, la religione dovette
modificarsi e venne la Riforma, che, fondata sul libero esame e
sulla tolleranza, smise molte delle vecchie superstizioni. Essa
parve una causa, ma era invece una conseguenza della progre-
dita civiltà. Infatti, penetrata nella Scozia, non potè impedire
che quel popolo continuasse ad essere uno dei più superstiziosi,
bigotti e intolleranti. Invece il Cattolicismo, rimasto in Francia,
non potè impedire che questo popolo più colto e civile divenisse
più tollerante e meno superstizioso degli Scozzesi.
Lo stesso può dirsi della letteratura, la quale non fa altro
che dare una forma elegante, esteriore alle cognizioni esistenti
nella società, e da esse riceve il proprio valore. Quando infatti
la letteratura è superiore alle condizioni d'un popolo, non per que-
sto le modifica punto. A che cosa valse agli uomini del Medio
Evo, dal V al X secolo, la grande letteratura dei classici latini
che pure avevano dinanzi ? Si può dire che se si fosse allora
perduto l'alfabeto, sarebbe stato anche meglio, perchè si leg-
E LA SOA STORIA DELLA CIVILTÀ.
31
gè vano solo libri pieni delle più assurde favole e superstizioni.
— Ma se questo è vero, non si applica cosi alle lettere come
alle scienze, e allora dove è più la vera causa del progresso?
Qui anzi abbiamo la prova evidente che il Buckle, non tenendo
conto del processo storico dello spirito umano e delle sue tras-
formazioni, riesce assai spesso a rovinar colle proprie mani l'edi-
fìcio che ha costruito^ Quando i Romani cominciarono la loro
inevitabile decadenza, non avevano una grande coltura, che anzi
per qualche tempo ancora continuò a progredire ? Senza am-
mettere che erano mutate le condizioni sociali e con esse le con-
dizioni morali del loro spirito, nulla si spiega.
Ma il Buckle va oltre e dice : quanto ai governi è anche
più generale, non però meno errato che il pregiudizio che attri-
buisce ad essi la causa principale del progresso, mentre invece
il più delle volte riuscirono solo ad impedirlo. Un governo è
anch'esso un resultato delle condizioni del paese, e nessuna
grande riforma fa veramente opera propria dei governanti, che sodo
creature del loro tempo, obbediscono solo alla forza della pub-
blica opinione, creata dalla scienza. Le principali riforme furono
opera dei grandi pensatori, che le roforo necessarie, inevitabili,
facendone sentire il bisogno nel paese, obbligando cosi i go-
verni H proclamarle. Quante lodi non furono prodigato al go-
verno inglese per 1' abolizione delle leggi sui cereali ? Eppure
questa salutare riforma fu sanzionata da ministri che avevano
passato la loro vita a combatterla, e dovettero finalmente ce-
dere alla forza della pubblica opinione. Fu l'economia polìtica
che dimostrò tutti i danni cho recavano al commercio ed al
benessere sociale le leggi sai cereali, le qua!i avevano portato
un effetto contrario a quello per cui erano state proclamate.
Quando questa convinzione divenne generale, allora il governo
dovè piegarsi, e fu chiamato autore della riforma che non aveva
potuto impedire. L'opera saa si ridusse a rimuovere finalmente
quegli ostacoli al benessere, che omo solo aveva croati. K tutte
le grandi riforme non sono altro ohe remozioni di barriere messo
dai governi al naturalo e libero iTolgimento della società. Non
si tratta mai di far nulla di nuovo, si tratta solo di demolire
l'opera propria quasi sempre dannosa. Che cosa sono Io libertà
della stampa, della parola, del commercio, queste grandi riforme
del nostro secolo, ae non un restituire all' uomo i suoi più na-
turali diritti, che i governi gli avevano tolti col pretesto di
proteggerlo? Le mille leggi per promuovere il commercio ter-
32 TOMMASO ERRICO BUCKLE
virono solo ad incepparlo per modo che non è assurdo l' affermare^
che più d'una volta esso potè essere salvato solo dal contrab-
bando, grande calamità, la quale i governi avevano resa ne-
cessaria. Tutto il bene che essi possono fare si restringe in
sostanza al mantenimento dell' ordine, ad impedire che i potenti
opprimano i deboli. Ciò è molto, di certo, ma altro non possono.
Farli autori di civiltà e di progresso è assurdo. Vollero pro-
teg'^ere le verità religiose, e lasciarono sulla terra centinaia di
migliaia di vittime, crearono milioni d' ipocriti. Fecero leggi
contro l'usura, e riuscirono solo a far crescere l' interesse sul
capitale imprestato. Vollero proteggere il commercio e lo rovi-
narono. Posero tasse sulla comunicazione delle idee e del pen-
siero. Tutto ciò che ora si chiede da loro è che disfacciano
l'opera edificata dai loro predecessori. E debbono farlo, perchè
la scienza s'è ormai impadronita della pubblica opinione, e non
si può pili resistere alla forza del vero.
Ogni volta che il Buckle entra su questo argomento princi-
palissimo nella sua opera, la potenza cioè della scienza e della
libertà individuale, il suo animo s'esalta, la sua eloquenza cresce,
le migliori qualità del suo ingegno e del suo animo risplendono.
L'esagerazione però non scomparisce mai del tutto. Egli non
ammette che la protezione dei governi alle lettere ed alle scienze
abbia fatto o possa mai fare altro che male. La produzione let-
teraria e scientifica deve essere determinata dal bisogno, dalla
richiesta che ne fa la società. Aumentarla artificialmente sarebbe
come aumentare le botteghe di macellaio, senza potere aumen-
tare il numero di coloro che hanno bisogno della carne. — Ma
non s'è mai saputo che un aumento di verità faccia indigestione,
o che non possa giovare ai posteri, agli altri popoli vicini, se non
sanno valersene coloro in mezzo a cui esse furono trovate. E
dire oggi che l'opera dei governi è stata e sarà sempre dannosa
alle lettere ed alle scienze, e che per esse non debbono far nulla,
neppur per le scienze naturali, nessuno certo vorrà crederlo.
Forse, se il Buckle avesse avuto lunga vita, avrebbe dalla
storia contemporanea appreso, che l'uomo, abbandonato a s è
stesso, è capace non solo di molto bene, ma anche di molto
male. Avrebbe visto che dalla libera iniziativa individuale, in-
vece dell'armonia economica possono nascere anche la Comune,
l'Internazionalismo, l'anarchia, il caos sociale, e che in questi
casi l'opera dei governi non solo non è dannosa, ma è la sola
capace di rimettere la società in condizioni normali. E di ciò
E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ. 33
si sarebbe anche più facilmente persuaso nel vedere, che lo
stesso governo del suo paese si trovò costretto a mutare strada,
intervenendo, costrioi^en lo, proteggendo con la istruzione obbli-
gatoria, con le leggi sociali, con le leggi agrarie ed altre non
poche, che le teorie ancora prevalenti condannavano, e la pra-
tica esperienza rendeva necessarie. Ma forse la Provvidenza gli
fu pietosa, perchè quan lo egli di ciò si fosse persuaso, avrebbe
visto mancar la base al suo elifizìo, e avrebbe capito quanto
v' era di effimero nella prodigiosa popolarità che allora godeva.
Dire che le religioni, le letterature, i governi sono il resul-
tato delle condizioni 80t-iali d' un popolo, non significa punto che
una volta sorti, non possano esercitare alcuna benefica azione sul
po|jolo da cui 8uno nati. E chi ci d ce che le leggi le quali oggi
si debbono demolire perchè dannose, furon sempre tali? La siuna
non ci dimostra invece che 1^ migliori istituzì< ni, le leggi più
opportune furono assti spesso c.nusa di uno stato progredito di
^società, il quale per pro^reJire ancora più, ebbe p<.'i bisogno
di demolire quelle leggi, e quelle Istituzioni appunto di cui era
stato necessaria «onscguenza. Una tarìdTa doganale può proteg-
ere un'industria e farla pr - -ro. Ma quando questa sarà
gorosa in modo da poter ( i «> con tutti i vicini, la pro-
tezinne diverrà dannosa, e bisognerà sopprìmerla perchè non
manchi " ' " ì/.intiva.
La 1< <i «tato sociwle, si vaio dello
idee che già trova esistenti nella •oci<>tà, ed alle quali dà nuova
fonili. E sia pire. Ma dire che perciò ohah nulla pro«luco e
nulla etUcacomebto opera, è un altro errore o non dei meno
gravi. Come il Buckle ha divido la nioruld della tciensa per dar
tutto il merito a questa, C4>si ha diviso la r • diilla iin-
nia^^ina/.ionH, per negare alla poesia, all'arto «v... . .;icaou asiono
F^ull incivilimento. M.i riinin.iginac one e la riHis«iono sono duo
lati della melctimi intolligepxa e do! pan necessarie alla sua
«•istenza. K p ù d'una volta ò stato os^' ^ ' ' -li altri
anche dal iiuckle, che a ere ire alcune i m mc una
forza d' imma4(ina/ioii« poco minore di quella che venne adopcrat*
, A creare 1" Iliade e VOlitHri. Non h i> ' .{«^ dei dotti
/che, a formare l'educazione d'un uo .. .. . ..., nulla val^a
quanto on buon tirocinio classico? La letteratura stimola, au-
m-nta, prò luce quilche villa la forza ii i e creatrice di
i hi Hcienza Ìì% bino^no. Ed in ogni cu Itveva slu^rgiro
Buckle, che alla (litru.«i »ne dello cuu . tanto secondo
ToL. XL, S«rte II ~ t L4i(ll« ISSS. S
84 TOMMASO ERRICO BDCKLE E LA SUA STORIA DELLA CIVILTÀ.
lui nocesòaria al progresso, nulla può al pari della letteratura
contribuire. Tinor così poco conto delle lettere, e non parlare
• punto dell'arte in una storia della civiltà, dimostra che il Buckle
non aveva un chiaro concetto ne dello spirito umano, ne della
vera natura della società.
E così noi siamo sempre alla medesima conclusione. L'uomo
è separato dalla natura e messo in opposizione con essa, l'indi-
viduo è separato affatto dalla società, la morale dal. a intelligenza,
l'immaginaz'one dalla riflessione, mentre la storia dell'uomo e
della società risulta dall' armonica un'one di questi elementi,
dalla azione e reazione continua degli uni sugli altri. Tutti questi
studi si fanno per conoscere che cosa è l'uomo, secondo quali leggi
si trasforma, si modifica, ed il Buckle, invece, dopo aver de-
composto r uomo e la società nei loro elementi, si occupa solo
del modo in cui le cognizioni si producono, s'accumulano, si propa-
gano, quc«si fossero una merce che s' importa e che si esporta,
quasi che la società potesse continuamente progredire senza che
progredissero del pari la morale, l' intelligenza, tutto 1' essere del-
l'uomo, quasi che c'importasse tanto conoscere la storia del pas-
sato e le sue leggi, se non servissero a farci conoscere il piii
grande prodotto della storia, che è appunto l'uomo.
Tale è il libro del Buckle. Certamente è uno spettacolo do-
loroso vedere un uomo che dopo aver lottato eroicamente contro
mille ostacoli, incomincia con febbr.le entusiasmo ad innalzare
un editìzio colossale, e quando al suo entusiasmo sembra rispon-
dere l'entusiasmo del mondo civile, cade esausto dal lavoro e
dal dolore, e su di lui precipita subito una parte non piccola
della gigantesca mole che aveva innalzata. Rimane tuttavia eterna
la memoria del suo purissimo amore al vero ed alla libertà, della
sua straordinaria fermezza di volontà. E queste sue doti morali
traspariscono nel libro, il quale resterà perciò sempre un mirabile
esempio di perseveranza, di lavoro e di eloquenza, quantunque
sulle basi che l'autore ha poste, non si potrà mai innalzare alcun
solido edifizio. Esso è quasi una protesta permanente contro
l'errore d'aver voluto troppo esaltare l'intelligenza a spese di
quel carattere morale che costituiva la miglior parte dt 1 suo
autore, come costituisce la miglior parte del genere umano.
P. VlLLARL
UGO BASSVILLE A ROMA
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI*
I.
K
Se non fosse della nota Cantica del Monti, chi in Italia ri-
corderebbe ancora il nome di Ugo Bassvilie? Né il valor sao
personale, né l'importanza della carica che rivestiva lo avrebbe
raccomandato alla posteriik Egli dovette questa fortuna al bi-
^gno che sentì il poeta amico suo di ingrasiursi i suoi superiori
« farsi da essi perdonare con nna splendida palinodl i quella
simpatia passei^gera che con pochi altri romani aveva man ifoitata
per le novità francesi. Cosi nacque la liaMBvUliana, Però Bassvilie
era in Roma il rappresentante della dipi •mazin gì icobina, la quale
non fu una delle manifeitaxioni politiche meno curiose della gran
rivoluzione. In questo rispetto la personalità sua ci intereaaa; i
d ^ — 'i poi e le notizie che intorno a lui contiene l'opera tette
p .1 dal signor Masson, mostrandoci come venne a Roma
il Baaiville, che missione aveato • come se ne diilmpegnasse,
danno tratti precisi e ben delineati a que'la fisonomia che fin
ora non ci era apparsa che nella luro inciTta e leggendaria dalla
Cantica Montiana.
' F. Mamov, Lm éiptomaim de U BhcUliom^ Plsrls, ehas Charavaj
FrérM. ÌH»L
L. Viix,-«', Vinof^tao ifonti, le kthtf • la poUUoa in Italia dal 1750
al ÌHHO. Fftensa, tip. Conti, lo79.
David (ìiltaok. La Oorfe e lm 9om*tà romm» mei Mcoti XVIII $ XIX,
tip. della Oaamta d'ItaUa, lotti.
36 UGO BASSVILLE A ROMA
Ho detto che il Bassville ora uno dei rappresentanti della
diplomazia giacobina. Ma un giacobino che è? Non tutti Bono
d'accordo nel definire quest'essere. Per Victor Hugo egli è un
poderoso atleta. Il poeta ne taglia, per cosi dire, la figura in
blocco e gli dà profilo e tratti che hanno quasi le propor-
zioni colossali della gran rivoluzione della quale è artefice. Per
il Taine invece, un giacobino non è che un miscrabi e sofista,
che posto in faccia ad una casa in demolizione non ha per
riedificarla che uno stucchevole manuale di ciancia e di vuote
frasi. Mancandogli larghezza e comprensività di vedute vi so-
stituisce la violenza dalle frasi, l' affermazione dogmatica, la
volontà imperiosa e tirannica, l'audacia di sopprimere gli osta-
coli. In politica, dove tutto è un calcolo di probabilità, egli
sopprime l'impossibile.
Possiamo immaginarci quali erano gli agenti che i giacobini
sceglievano per rappresentare la loro politica all'estero. Più che
araldi di pace e leali mediatori, la facevano da intromettitori
e da padroni. Prendiamo Bernadotte. Quantunque nel 1798 i
giacobini fossero scomparsi dalla scena politica, il loro spirito
domina ancora. Bernadotte è scelto dal Direttorio a rappresen-
tare la Francia a Vienna. A Parigi non si è neanche pensato
di domandare se è gradito o no nella capitale austriaca. Il Di-
rettorio non si ferma a queste minuzie. Egli vuole che la Francia
sia rappresentata a Vienna perchè esige che l'imperatore Fran-
cesco mandi un suo rappresentante a Parigi, in quel centro
rivoluzionario dove è stata pochi anni prima immolata sua
zia Maria Antonietta. Bernadotte non pensa neanche a mu-
nirsi dei passaporti d' uso. Però alla frontiera si guardano
bene di arrestarlo. A Vienna, anzi, è subito ricevuto con pre-
mura dell' imperatore. Se egli è inviato di un governo regi-
cida, si sa però che è anche un generale del vincitore di
Arcole. Bernadotte fa le sue prime prove a Vienna domandando
che non si permetta agli emigrati francesi di portare distinzioni
monarchiche e alla figlia di Capeto di figurare col titolo di
regina negli almanacchi austriaci. Nello stesso tempo chiede
punizioni rigorose contro chi insulta le coccarde tricolori e chi
le porta. Al teatro, quando la scena ha il grido di : Viva il re!
gli ufficiali e tutto il seguito di Bernadotte si pongono a fi-
schiare e danno luogo a tumulti e a scene violente. Bernadotte
tiene col ministro Thugut un liiiguaggio da giacobino, come se
fosse al Direttorio. Parlando dello czar, lo qualifica dì tiranno
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
37
del Nord, tigre dalla faccia d' uomo. Il suo palazzo è il luogo
di riunione di tutti i rivoluzionari austriaci che cospirano contro
l'impero e di tutti i polacchi che vogliono lo smembramento
dell'Austria e la ricostituzione dell'antico regno di Polonia. Poi
finisce per provocare una insurrezione di popolo per volere ad
ogni costo innalzare alla porta del palazzo dell' ambasciata la
ban iera tricolore e gli stemmi repubblicani, quegli emblemi
che significano per i buoni viennesi una sfida politica e l'ami-
liazione del paese.
Ma questo scritto è consacrato a Bassville. Torniamo dunque
a lui. Bassville era tutt'altr'uomo di fìemadotte; questi era un
uomo di guerra; quello un letterato. Tutt' e due però erano
animati dallo stesso spirito. Come tutti gli altri agenti diploma-
tici della Convenzione, credevano la rivoluzione onnipotente e
che essa segnasse la fine di tutte le vecchie istituzioni politiche.
Essi erano gli atleti che venivano a dare l'ultimo colpo al ca-
dente edifizio. Ma il Bassville, come vedremo, si ruppe le coma.
I documenti che pubblica il signor Masson ci permettono di
ricostruire da capo a fondo il dramma del 13 gennaio 1793,
dando aspetto di storia a quella che, come s' è detto, non ci
tira apparsa fin qui che come una leggenda.
II.
Verso la metà del 1792 le relasiont diplomatiche fra la
Corte di Roma e la Francia erano del tatto cessate; non già
però nel rao lo ordinario per effetto di una rottura formale, ma
per un tacito consenso, determinato da atti che orano ravvisati
incompatibili colla continasziono di quelle relazioni.
Troppe C040 il Pspt aveva da rimproverare ai rivoluzionari
francesi. La costituzione civile del clero, il giuramento civico
imposto ai preti corno a tutti i pubblici funzionari, lo persectt-
zion* contro i sacerdoti che non Tolevano giurare, rinvasiono
dì Avignone e l'annessione del contado Vono«ino, gli insulti
fatti a Parigi all'effigie di Pio VI e gli altri non pochi recati
l'^ftlle insegne pontificie in diverse città della Francia, senza che
10 niun caso il governo | > avesse potuto ottenere ripa-
razione: tutto questo ave 1 inmo grado indisposti gli animi
''% Roma contro la repubblica francese. Il Nunzio del Papa a
Parigi, roons gnor Dugnani, s'era visto costretto a chiedere i
38 UGO BASSVILLE A ROMA
suoi passaporti fin dal luglio del 1791, e aveva lasciato va-
cante quel posto.
A Roma la sospensione delle relazioni diplomatiche aveva
avuto luogo in modo anche più marcato. Il cardinale de Bernis,
che aveva, con quel fasto che tutti sanno, rappresentato la Francia
a Roma per vent'anni consecutivi, non avendo voluto prestare il
prescritto giuramento, dovette dimettersi. Il suo successore, signor
de Ségur che lo aveva prestato, non fu alla sua volta, appunto per
quel motivo, voluto ricevere dal Papa. Per tal modo dal 16
marzo 1791, giorno in cui il cardinale Bernis presentò al Papa
le sue lettere di richiamo, a rappresentare la Corte di Francia
a Roma, non v'era rimasto che un incaricato d'affari interinale,
il signor Bernard, che era stato addetto per vent' anni in qualità
di segretario del cardinale Bernis. Bernard aveva prestato il
giuramento. Malgrado questo, il governo di Roma lo aveva ac-
cettato nella detta qualità, senza però riconoscere in lui alcun
carattere ufficiale. Per ordine del suo governo Bernard tolse dalla
porta del palazzo dell'ambasciata le insegne della Francia e con-
tinuò a rimanere in Roma, ma in qualità di semplice agente,
senza titolo ne qualità ufficiale.
Però se la politica francese non era più rappresentata in
Roma, continuavano a rimanervi intatti certi uffici e istituzioni
pubbliche, le quali in mancanza di un' ambasciata, ebbero a
rappresentare una parte più o meno notevole nel periodo dram-
matico nel quale stiamo per entrare. Vi esisteva un ufficio di
posta francese che era diretto da un francese, Giuseppe Digne,
il quale rivestiva nello stesso tempo la qualità di console di
Francia. Inoltre un banchiere, di nome Moutte, il quale s'era
da qualche tempo stabilito in Roma e aveva ottenuto la qua-
lità di agente del commercio francese. Infine, oltre a molte
cariche e istituzioni ecclesiastiche con fondi e amministrazioni
francesi, la Francia aveva a Roma un grande stabilimento ar-
tistico, la cui porta era, come quella del console Digne, ornata
dall'emblema colle armi di Francia. Quello stabilimento era
l'Accademia di Francia, istituita da un secolo, e che nel 1792
era diretta dal signor Ménageot.
Se non che nessuno dei varii titolari che stavano a capo
degli indicati uffizi, aveva autorità e influenza bastante presso
i suoi connazionali per impedire i disordini e i conflitti che
nelle condizioni in cui allora Roma si trovava, non erano che
troppo probabili. V'erano in quel tempo in detta città molti
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
39
emigrati francesi, specialmente preti, che erano accorsi a Roma,
come ad un asilo naturale; pi molti gentiluomini, che per la
loro età avanzata o la poca salute, non si sentivano in grado
di andare a servire di Condé. Tutti costoro facevano capo al
palazzo dell'ambasciata di Francia, dove alloggiavano le zie
del re Luigi XVI, ma^lama Adelaide e madama Vittoria, con
un numeroso corteggio di ufficiali e di servitori. Faceva vivo
riscontro a questo centro realista l'Accademia dì Francia, che
era nel palazzo Mancini e dove solevano riunirsi i francesi
fautori della rivoluzione. EIran questi quasi tutti artisti venuti
a Roma per studiare, o antichi premiati che vi erano rimasti
per terminare i loro studi e la loro artistica educazione. Fra
gli altn v'erano Merimée, padre di Prospero Merimée, Fabre,
l'amico della contessa d'Albanj, e Wicar che pò dipinse un
quadro rappresentante l'asiassinio di Bassville. Nel 1702 questi
artisti erano ancora piti di un centinaio. Tutti erano, come s'ò
detto, più o meno caldi fautori della rivoluzione. Però da essi
Bon erano quasi da temersi escandescenze e disordini. Si do-
vevano invece temere da gente che s'erano data la qualità di
artisti per potere sotto l'egida di quella qualità etser^ più fa-
cilmente ammeast in Roma. Infatti fin dai primi mesi del 1792
'alcuni di costoro erano venuti a conflitti colla popolsaione, e
n'erano seguiti arresti ed cspuUioni. Era stato un affare più
g^ave l'arresto dello scultore Chinard e del pittore Rattor, ac-
cusati di mene rivoluzionarie, essendosi di più nello studio del
primo trovato un gruppo rappre«entante II fanatitmo abbattuto
dalla ragione^ non che coccarJe coi colorì nazionalifrancesi. Tutti
e due erano stati presto liberati, per l'interposizione però di
nn diplomatico licenziato dalla repubblica, cioè del cardinal
Beniis, che si trovava sempre a Roma.
Casi e conflitti simili, o peggiori di quelli avvenuti, |< - .tuo
aspettarsi da un momento all'altro. I francesi dimoranti m 1; ni i,
che prendevano la carola d'ordine al palasse Mancini, a fatica
si astenevano da manifestazioni y -he e non facevano
eco agli avvenimenti di Parigi che t .: ..isavano di furore ri-
voluzionario; e dal suo canto la popolazione romana, sobbillata
da'prcti e incapace, per langa servitù, di libere aspirazioni, spiava
attenta, per reprimerla, ogni manifostaaione di quegli stranieri
che suonasse sfida e insulto al goveroo papale. Il Vicchi ' rac-
' Op. tiuu, p«g. 61.
40 UGO BASSVILLE A ROMA
conta che un giorno si fu a I un pe'o di verl^-re dalla plebe,
invasa l'Accadutnia di Francia e malmenati gli artisti francesi,
solo perchè era corsa voce che questi avevano abbattuti i busti
dei re francesi e dei cardinali protettori che erano in quel pa-
lazzo, e che vi si ballava intorno alla statua di <jiunio Bruto,
Si trovò un diplomatico il quale si propose di volgere a suo
profitto questa situazione anormale in cui era la rappresen-
tanza della Francia a Roma e che metteva al ogni istante a
cimento la sicurezza e gli interessi di molti distinti francesi.
Fu questi il signor di Mackau, che era minstro della repub-
blica presso la corte di Napoli. Il signor di Mackau, quantunque
avesse servito la monarchia in diverse legazioni, non era per
questo meno un personaggio degno di figurare nella eollezione
dei diplomatici della rivoluzione. Questi, come s'è già accen-
nato più sopra, pili che a mantener leali relazioni coi varii
paesi sulla base delle consuetud ni e del diritto, miravano ad
esercitare una propaganda terrorista negli Stati presso i quali
erano accreditati, e a crear proseliti alla repubblica a danno
anche dei governi esistenti. Si comprende che dovesse nascere
in qualcuno la tentazione di provarsi a cozzare, come verseggiò
il Monti, contro u l' immobil fato di Roma n contro quel g »verno
cioè che, solo fra tutti quelli d« Ha penisola, s'ostinava a non volere
riconoscere la repubblica. Però l'intento del signor di Mackau
non era interamente patriottico. Egli era ambizioso e sognava di
diventare il direttore della politica francese in Italia; aveva anche
un fine pù personale e interessato, ed era di liberarsi del se-
gretario di legazione che gli aveva imposto Dumouriez, e che
era Nicola Ugo de Bassville, per poter far dare quel luogo a un
Fitte de Soucj suo nipote, che voleva avviare in modo splen-
dido nella carriera diplomatica. Fu in questo modo che nacque
la missione di Ugo Bassville a Roma. Egli ebbe per incarico
dal governo della repubblica di u prendere informazioni precise
intorno alle intenzioni e le idee dil governo pontificio, allo
stato delle co^e e degli animi in Roma è allo stato del ca-
stello di Sant' Angelo, della fortezza di Civitavecchia e dei
legni di guerra papalini che vi erano ecc. ecc.... n * Natural-
mente egli non era munito di lettere di credito, né rivestito
di qualità ufficiale, ma andava a Rjma come semplice viaggia-
tore con incarico di vedere, osservare e riferire, missione questa
' Masson, Les diplomates de la Revolution, pag. 29.
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
41
che, stante la rottura fra la Francia e il Papa, aveva i suoi
pericoli.
III.
Il Monti è stato anch'egli tratto in inganno nel dare all'uomo
Della francese libertà mandato
Sol Tebro a suscitar le ree scintille
il nome di Ugo Bassville. L'eroe del poema montiano si chia-
mava semplicemente Niccola Giuseppe Hugou, come risulta
dall'atto di battesimo che il Vicchi si diede la pena di procu-
rarsi. Egli nacque ad Abbéville da parenti poveri; suo padre
esercitava l'arte del tintore. Fa più tardi, quando ebbe acqui-
stato qualche nome nelle lettere che quest'Hugou, seguendo
le consuetudini della maggior parte dei letterati suoi contem-
po^nei, aggiunse al suo nome quello di Ba^isville. £gli Aveva
ricevuto una buona ii«truzione in un collegio, dove godeva
di una pensione gratuita. Ne usci abate ed ebbe subito ona
cattedra di teologia nella sua citti nativa di Abbéville. Ma la
sua inclinazione erano le lettere. Perciò, lasciata la tua cattedra
di scienze ecclesiastiche, si recò a Parigi dove pubblicò nel
1784-1786 alcune opere di mitologia, biografia e storia* che il
Massnn giudica di scars sslmo valore.
Niccola Hugou era uno di quegli m-ntton chr li iim > l>i^o
g^o di mecenati per mettere in giro la loro merce 1< !irr e i i. l'in
dal 1785 lo vediamo agli stipendi del prìncipe di Con i • <> ii>
bibliot cario. Egli dedicò a quel principe il suo libro su Lctort,
il quale non fn giudicate, in sosumaa, che una specie di cambiale
che r Hugou traeva sulla fr<*nerosità dello csar Paolo u figlio,
come ITI 'immortale Caterina, giovane ero«,
degno i.^.. . ,.. .^A che por le sue grandi qualità
va posta accanto ai nostri re pia illustri, n Però V Hugou non
era stxuBionario nelle sue simpatie e modificava volentierì Un-
* Eeeo la bibUesraaa dalle opera 41 Nlsoola OiMspps Hugon de Bassvttle
raeeapenatc dal VÌa«M ed alla q««ls U Massoo aoo acffiange alvo:
1* EUm»mi$ de mifk>logÌ0>, I. voi. in 9> 17iM. - S* MéUn^ éftipm «I
kùioriqatÈ OH Ut mmrtm pò HmmrM d'mn isiiiiwii pMiétm par mm eiiny^m et
Popko», 1784, I. voL in !<*• — y Priei» mtUviei» Frantoi» I^ort, !7d6
1. voi. — 4* Memoirtt dt Madmm» fTarsw, 17(M. 1 voi. — &• L« «rtf tfc
k mtion à tt$ PaiH, 178», t. voi. ~ » Mimalrm kiUtrifmm, erMqmi ti
poUUqmi de (a Xéoohdiom froofmitt, 1790, vot 4.
42 UGO BASSVILLE A ROMA
guaggio a seconda dei tempi e delle circostanze. All'alba della
rivoluzione, egli abbandonò il principe di Condé suo protettore
per gittarsi nell'arena politica. Si fece collaboratore del Mer-
curio politico^ dove scrivevano la signorina di Kcralio, Maclet
e Carra, e segui quel giornale in tutte le sue diverse trasfor-
mazioni. Fu al Mercurio, che nella sua ultima evoluzione si
intitolava giornale politico dell' Europa, e che dal 6 luglio 1791
era diventato proprietà di Lebrun, il futuro ministro degli af-
fari esteri, che Dumouriez venne a cercare Hugou per farne un
segretario di legazione. L' Hugou accettò e fu mandato, come
s'è visto, a Nnp di. La fortuna aveva tardato un poco a venire
per il nostro Hugou — nel 1792 egli aveva quarant' anni —
ma infine era venuta. Egli godeva una pensione di 3000 franchi
annui datagli dall'americano Morris, al quale aveva educato i
figli, ed ora aveva un posto promettente in diplomazia. Il figlio
del povero tintore di Abbéville non se ne poteva lagnare.
Del resto, V Hugou doveva senza dubbio gran parte di qiltsto
favore della fortuna anche alle sue qualità personali, che pare
fossero attraenti ; perocché anche il Monti, che gli fu amico,
scrisse di lui che u per ardita e naturale eloquenza e per molta
significanza di volto 1' Hugou seduceva, trascinava, n Qualità
proprie e speciali per entrare in diplomazia l' Hugou certo non
ne aveva. Ma badavano forse a questo i rivoluzionari francesi?
L'essenziale per essi era che i loro uomini fossero, anche solo
a parole, patriotti. Era questo un passaporto e una garanzia suffi-
ciente per qualsiasi carica pubblica.
Arrivato a Napoli, 1' Hugou, che, secondo l'ambiente e le
persone alle quali parlava e scriveva, era solito semplicemente
chiamarsi con questo suo vero nome, o aggiungervi il motto
ci-devant de Bassville, oppure con quello di Hugou de Bassville,
che certo lusingava maggiormente la sua vanità, non tardò a dar
prova del suo zelo patriottico e del suo ardore rivoluzionario.
Egli non era avaro di lettere a Lebrun, ministro degli esteri, che
era stato suo caro collega nel Mercurio politico. Pochi giorni
dopo il suo arrivo egli gli scriveva: a Ciò che ho visto a Na-
poli mi dimostra che le cose andranno a dovere, n Una delle
prime cure che avevano i diplomatici della rivoluzione, nei
luoghi dove erano accreditati, era di far fare coccarde e dipin-
gere emblemi repubblicani nei loro stemmi. Non deve recar
meraviglia questa premura in rappresentanti di un popolo che
ha tanto amore per i gingilli. Quegli emblemi e quelle effigie
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
43
della libertà e della repubblica, lusingavano la loro vanità e il
loro orgoglio nazionale. Bernadette non aveva trovato in tutta
Vienna un pittore abbastanza abile, 9 suo avviso, per dipin-
gere una repubblica e ne aveva fatta una questione col suo
ministro di ricorrere a Parigi per questo. L' Hugou non rima-
neva indietro a nessuno in questa preoccupazione per i gingilli.
In attpsa di fare su questo capo migliori e più complete prove
a Roma, ecco cosa scrive da Napoli il de Bassville al suo mi-
nistro : u Dans le moment où je vous écris, un peintre à mes
cótés pe'nt sur le tableau cu ci-devant brillaient troia ileurs de
Ij8 la belle Minerve avec sa piqué et le bonnet sacre de la
liberté que j'ai trouvé sur le cachet de votre dernière dépèche
que nos urgus n'ont ni brisé ni gardé. Dera»in, elle sera pendue
et je sa' 8 d'avance que ce sera une fete pour bien dea gens qui
viendront exprés se promener dans notre quartier et ju compte
aussi faire voir mon uniforme de garde mitional au théatre
Saint-Obarles. Ce sera la première fois qu'ii aura été vu à
Naples et peut étre méne dans Tltalie. n
Però il Bascville pensava anche al sodo, non soltanto a
queste esteriorità. Egli e il suo capo, signor de Mackau, si
trovisvano d'accordo in ciò, che questi non ce lo voleva, e al
Bassville non piaceva stare a Napoli. Non era ancora scorso un
mese che era giunto in quella città e il Basville già scriveva a
Lebrun: u Je me flatte, mon cher camarade, que vous ne me
ÙABcrez pas longtemps secrétaire do légation et qu'à mérite égal
ree un concurrent, mon expérience, mon &ge et, j'ose dire: mei
servicea, me voudront une préfOrence... n Pochi giorni dopo
ripeteva la sua domanda, soggiungendo: u Je suis un ancien du
corpa diplomatique depuis qu'il est régénéré. n Egli fu contentato
presto, perocché il suo desidorio era appoggiato anche dal Mackau,
che, come a' è visto, Io voleva agente a Roma. Qui infatti egli
fu inviato e vi giunse il 13 novembre 1793, colle bollo atti-
tudini, che si sono potute argomentare di lui per la diplomasi»,
e vi giungeva accompagnato da una «ionna por nome Caterina
Colson, ch'egli faceva paaaare per sua moglie e dalla quale aveva
ftTuto un 6glio.
IV.
Quando giunse a Roma il Baaavillo, il papa e il Sacro Col-
legio erano terrorizzati dall'annunzio della partenza dolU flotta
francese da Tolone, la quale aveva, sospetta vasi, l'incarico di
44 UGO BASSVILLE A ROMA
infliggere nel suo passaggio una punizione alla corte di Roma.
Pretesti per questo certo non mancavano, non ultimo l'arresto
che si è sopra menzionato degli artisti francesi Ratter e Cliinarrl,
per manifestazioni patriottiche. La punizione della flotta poteva
andare fino ad uno sbarco e ad una scorrazzata nelle terre della
Chiesa colla peggio delle pubbliche proprietà. Era un pensiero
terribile questo per il papa. Questo stato degli animi in corte
di Roma fece la fortuna del Bassville. Il papa, allo scopo di in-
graziarsi i francesi, o almeno di disarmarne p scibilmente l'ostilità,
fece togliere all'ingresso del Bassville in Roma tutte quelle diffi-
coltà che solevano opporsi in generale ai fiancesi. Egli entrò
senza passaporto e senza che neanche sì sottoponesse il suo
legno alle solite visite; entrò insomma da trionfatore. Nella popo-
lazione romana poi e nella colonia francese, l'arrivo del Bassville
in Roma produsse impressioni divers'ssime, secondo i diversi
umori. Egli s'installò, come abbiamo dal Silvagni, * presso il ban-
chiere Moutte, che allora fungeva da console, e la cui abitazione,
che era al palazzo Palombara dietro Montecitorio, soleva essere
il ritrovo di tutte le teste calde indigene e forestiere che spasi-
mavano per le novità di Francia. Per costoro l'arrivo del Biss-
ville, che si poteva considerare come il rappresentante della
rivoluzione, era una fortuna insperata. Il Moutte diede in suo
onore un gran pranzo, " al quale invitò molti signori romani, fra
i quali vediamo figurare il banchiere Torlonia, la Chiaveri, che
poi diventò sua moglie, Bischi e sua moglie Vittoria, notissimi per
la loro influenza e per le loro dilapidazioni sotto Clemente XIV ;
^ Opera citata, pag. 408.
* A quel pranzo furono fatti molti calorosi brindisi e si distribuirono
coccarde tricolori. In relazione ad esso l'abate Berardi improvvisò quella
sera stessa al caffé del Veneziano il seguente sonetto, che è riportato dal
Silvagni nella sua opera.
Otto coccarde dispensò Bassville
Fra Torlonia, Moutie e quattro sceme,
Spera che sian della discordia seme
£/ sian di libertà laute faville.
Più d'un Tersile già si crede Achille
E! di libero orgoglio avvampa e freme,
là ' quattro matte d'alta gloria han speme
Quasi sian quattro vergini Cammille.
Di si scelto drappel superbo ed ebbro
Già Bissville minaccia onte e strapazzi
Al Danubio, al Tamigi al Reno, aH'Bbro :
E scrive alla Repubblica di pazzi
Che per seguaci ritrovò sul Tebro
Quattro fetide f ... e quattro e ...
L SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI. 45
^B il signor Matera, che fu più tardi compili ian te della guardia
nazionale; gli av-vocati CosUin'ini e G.\glieffi, due futuri tribuni;
ii conte Accorimboiii, la signora Vullaiubrini, Camillo Massimi;
il prÌQcipe di Santa Croce, figlio dell'amica intima del cardinale
Bjrrois; p>i i francesi Bisivdle, Fl:)tte, de Bure de Villiers e
Araaury Duval. Anche per i francesi alieni dnlla politica, viag-
g atori oì artisti, TarriTo del Baosville era una fortuna, perchè
speravano da lai protezione nei casi che potevano sorgere. Per
gli emigrati poi il sa> arr vo era stAto il segnale di un vero
terr.)re; credevano di vedc-e al suo seguito^ la rivoluzione; essi
preparavano le 1 >ro valigie per mettere al sicuro le loro per-
sone e le sostanze, e facevano lo stesso principi romani e car-
I dina i che invaiava un egnal terror**.
Il Biissville vide subito io che f ivorevole posizione si trovava
e 8»?ppe tram? profitto. (' •• visto, egli non aveva nessuna
qualità ufficiale; non eri j che di una lettera di ringra-
ziamento del Mackaa al segretario di Slato 2^lada, por la
libi-rtÀ accordata ai frinc««i Ratter e Chìnard. Il BassviUe ai
prt-^t'ntò al cardinale*. •' ■•■■ tle avrebbe potuto benissimo non
ri • erto; ma ne n« . !>enc. Il faniastna dt^'lla flotta fran-
cese era on terribile spauracchio ia corte di Roma. Bsasvillo
' • y ' « ' t. ,^j^ come Mmplice
:;» eterna. Agjpunso
però quilche accenno politico; ^li fece notare che lo difficoltà
" " trio
-- -. :.. -. -- ... i ---.4- :.--:.. i.^i. ,..u'SO
che que<t'f>s«emaionu reni-ae romonicala al Papa, a cosa che
• ta nel caso che la Dazione
Qurat'uliimo ncccMino n«>n « va latto a caso. Ilastville credeva
che in corte di Itinta n«n ti aagurasee di meglio che di rodere
•i ^' - - r ,.^g|,^ Il quii|„ fo4,^ come aoa
i^ ' ,^>io di ostilità; e dal suo oanlo
il Ba^evìHe, che agognava per ai qtiol posto, cotninoiava sin
•1' • ■ i tupenori
'•• * -- , , '-' '■ «rrogame,
il tQfie ehe I rivoluzionari francesi u«>ino per mh e impongono
are lo ra^oni|
• •• '. • • ' avenirnae,
ni .l.roro, A II Utilità; l»odir«. Un
frane- M - h arrestato? lUssvilie uè eeifa la liberazione e scrive
46 UGO BASSVILLE A ROMA
a Zelada: « Prcnez garde aux crimes des subalternes qui am-
plifient Oli exécutent d' une infinière indecente les ordres qui
ils re^oivent des rainistres de Sa Sainteté. n Un altra volta Bass-
ville fa a Zelada u l'historique de^ fourberies d'Acton, n il primo
ministro delle Due Sicilie. Poi esige che si noghi il soggiorno
in Roma al barone Talleyrand, ex ministro francese a Napoli:
u La présence, scrive Bassvilla al suo ministro Lebrun, des mau-
vais citoyens, ne doit pas souiiler la vue des fonctionnaires
publics. n Altra volta esige l'espulsione di questo o quell'emi-
grato. Si diverte anche a tormentare le « signorine Capet n che
abitavano, il palazzo dell' ambasciata di Francia, subornando
contro di esse il loro seguito e la loro gente di servizio.
Nel con lursi a questo modo p3rò il Bassville non solo non
andava oltre, ma stava piuttosto indietro alle istruzioni che ri-
ceveva da Parigi. Ecco in che stile il ministro Lebrun, a pro-
posito dell'affare Ratter e Chinard scriveva jil cardinale Zelada:
u Je congois que tourmentés pir la crainte que les peuples
que vous teuez assarvis sous le joug de li superstition, de l'igno-
rance et du fanatismo ne soient tentés de faire l'essai des dou-
ceurs de la liberto, il entre dans vos principes d'anéanfr tous
ceux qui ont le courage de détester les dospotes et le despo-
tisrae, mais cotte morale des tyrans ne peut jamais étre celle
di un peuple libre, n Lebrun esige adunque la liberazione di
Ratter e Cliinird; se no u la République se fera just ice à elle
mème en déployant la force des armes et en portant le fer et
la fiamme dins un terre où les hommes ne regoivent depuis
trop longtemps que des outrages. n
Alla Convenzione di Parigi e nella stampa di quella capitale
il linguaggio, che non ha bisogno di freno ufficiale, è naturalmente
più violento. Prudhomme scrive nel suo giornale che bisogna
andare a Roma: «Il n'est pas contro le droit des gens d'aliar
nous emparer de la personne du Pontife et sur sa haquenée de
lui faire prendre le chem'n de la France. Pie VI assisterà
Louis XVI à ses derniers moments. Ce serail un spectacle édi-
fiant et digne de la Revolution qu' un Pape servant de confes-
seur à un roi sur l'échafaud. n Altri giornali che seguono la
corrente, dicono p'ìi e peggio.
Questa corrente è impossibile non seguirla; se no, si rimane
travolti. Bassvi le lo sa. Qualcuno sussurra a Parigi u qu' il
n'est pas à li hauteur de la situation n monitorio terribile in
quei momenti ; ma Bassville non tarda cogli atti suoi a dissi-
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI. 47
pare ogni sospetto e a rassicurare i rivoluzionari. Egli chiede
ed ottiene ogni cosa a Roma: la liberazi ine di questo, l'incar-
cerazione di que'lo, rivocazioni di decreti e di sentenze, pas-
saporti per chi vuole e quanti vuole. Il papa interdisce i diver-
timenti carnevaleschi e prescrive invece degli esercizi religiosi
e delle prediche? Ecco Bassville che l'a ammonire dal cardinal
Zelada i predicatori — che il Bassv Ile chiama charlatans en
surplis — di guardarsi bene dal lanciare attacchi alla Repub-
hlica: — Si non, le ma*elot8 de la flotte pourraient bien deman-
der à leurs officiers la permtssion de venir au sermon. Minaccia
terribile e di sicuro effetto! I predicatori sono avvertiti. Bass-
ville fa mettere in libertà persino certi avignonesi, come il mar-
chese de la Foncega, il che da parte del governo pontificio
costituisce un quasi abbandono dei suoi diritti di sovranità su
quel contado. Fa cacciare da Roma Talleyrand, la sua bestia
nera, e chiudere le porte della città al conte di Narbonnc Fritz-
lar, l'eroe della guerra dei setti anni, nipote del cardinale Ber-
nis, il quale desiderava di trovare in Roma an asilo e un pane
che ^i era venuto m/incando. BaM^ille non incontra più nessun
ostacolo; la Corte di R^tma si fe^ a tutto. Il fantasma della
flotta francese nelle acque del Tirreno poteva tanto su di
lei da farle perdere ogni sentimento dì fierezza e della dignità
propria.
V. ^
Ma le cose doroTano presto cambiare. Verso il fine di di-
cembre arrivò in Roma da Napoli il cittadino de Flotte, mag-
giore di vascello, portatore di nil^ circolaro del ministro della
marina, Monge, U quiile prescrireva ai consoli di sostituire so-
pra le porte dei Itro uffici, allo stemma coi gigli, un'insegna col-
l'efTì ' "a Repubblica. Digne, che disimpegnava in quel tempo
le t di console francese in Rims, avrebbe voluto aspet-
tare a dare eseciuione a quell'ordine, tanto più che il ministro
soggiungeva nella circolare di tener calcol i in questo delle con-
renienae o delle ragioni di opportunità. Su non eho Biissvillo,
che aveva continuamente alle funi il de Flotte, il quale era una
testa anche più calda di lui e che quaii a sfidi dello autorità
papali aveva fatto un ingnsto teatrale in Roma al suono della
marsigllrso e colla coccarda tricolore al cappello, non volle sa*
pere di dilazioni. Egli fu subito da "ZuLida a informiirlo della
48 UGO PASSVILLE A ROMA
novità che si voleva eseguire, invitandolo marcatamente u k
prendre les precautions nécessaires pour que le canaille sacerdo-
tale fit respecter le signe sacre de notre régénération. n Al Corso
e perfino in Vaticano, con gran scandalo del Papa e dei Car-
dinali, Bassville, Flotte e il loro seguito si presentavano sempre
incoccardati. All'Accademia francese Flotte aveva fatto abbat-
tere la statua di Luigi XIV e sostituirvi il busto di Bruto.
Bassville si vantava, nelle lettere al suo ministro, di tutte
queste novità come di un gran servizio che rendeva al governo
della Repubblica. Inoltre gli sottoponeva un progetto di spedi-
zione colle truppe del re di Napoli contro Roma, che avrebbe
avuto per quadro finale l'arresto del Papa e il suo invio a Parigi
u per consolare gli ultimi momenti di Luigi XVI, come desiderava
l'amico Prudhomme. n E a completare l'opera sua preparava,
come egli si vanta, d' accordo con un nucleo di romani, la
rivoluzione nella città eterna.
Se non che, ecco che l'S gennaio Bassville riceve per mezzo
del cavalier d' Azara, inviato spagnuolo, un promemoria della
cancelleria pjntificia per il console di Francia in Roma, nel
quale il governo del papa, dopo di avere fatto l'enumerazione
di tutti i torti e oltraggi ricevuti dai rivoluzionari francesi, se-
gnatamente quella degli stemmi dei consoli pontifici, abbattuti
e vilipesi in molte città della Francia, finisce con dire che si
oppone risolutamente a che si innalzino in Roma gli stemmi della
così detta Repubblica francese. Digne, che era il console, al quale
il Pro-memora poìitificio era rivolto, e che per naturale pru-
denza, 0 per la nessuna fede ch'egli aveva nelle disposizioni
rivoluzionarie dei romani, sconsigliiva le progettate novità, non
fu voluto ascoltare da Bassville. Egli informò immediatamente
della cosa il ministro Lebrun e il de Mackau.
Mackau, presa la cosa sotto la sua responsabilità, approvò in-
teramente ciò che avevano fatto a Roma Flotte e Bassville. Anzi
rimandò immediatamente a Roma il Flotte, che si trovava al-
lora in Napoli, munendolo di due lettere, una per Digne e l'altra
per il cardinal Zalada. Colla prima, Mackau ord nava peren-
toriamente a quel console di innalzare entro ventiquatt'ore lo
stemma della libertà. Se mai esso veniva abbattuto dalla forza,
egli doveva lasciare subito Roma e rifugiarsi a Napoli.
La lettera del Mackau, della quale il Masson * sostiene,
* Appendice all'opera citata, pag. 261.
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
del tenore
40
contro il Vìcchi, la perfetta autenticità, era
guente :
u Naples, le lOjanvier 1793, an II de la République fran9aise.
u Monseigneur, j'avais donne à Votre Eminence des preuves
de sentiments pacifiques; je suis fàché qii'elle me force à leiir
donner un autre caractère. Au nom de la République et sur
ma responsahilité, j'ordonne au Consul de France de piacer,
dans les vingts quatre heures, l'écusson de la liberté. Si on ose
j mettre opposition, si un fran9ais est outragé, je vous promets
la vengeance de la République. Je tiens toujours parole, mon-
seigneur, et la confiance dont mon pays m'honore, sera toujours
employé par moi à son bien comme à sa gioire, n
Oltre a queste due lettere, il Flotte ne portava una terza
per Baasville, che il Masson dice di non aver potuto trovar,
ma della quale si può facilmente immaginare il tenore. BaaevìlK
fece subito chiamare a se quattro fra i pittori francesi (he si tro-
vr.vano ancora a Roma e li incaricò di " re in giornata lo
stemma repubblicano per metterlo il gi' : . pò sulla porta del
consolato francese. Poi lai e il de Flotte furono dal Zelada a
informarlo della risoluzione pre^a e a dirgli : u qae si l'on vou-
lait apportcr quelquo obstacle à l'érection du nouvel écosion
• il en coótcrait à Rome une guerre, qui eerait ioutenne par une
nombreuse armée et qui aurait pour conséquence nécessaire la
destruction de Rome dont il ne resterait plus picrro sur pierro '.n
Zelada rispose con grandissima moderazione, limitandosi a diro
che Roma era aotto la protezione di Dio; egli oppose il diritto
delle genti, la volontà della nasiono e rimandò Flotto e Basa-
villo al 14 gennaio, che in quel giorno soltanto avrebbe potuto
▼edere il papa e informarlo della cosa. Intinto doveva rimanere
fermo il tenore del l^romemorta pontificio che suonava proibi-
zione assolata di inalaare gli stemmi della Repobblica.
Cos'era venato a determinare nella Corte di Roma questa
inaspettata resistenza iu luogo della arrendcvolesxa di prima V
Egli è che una violenta tempesti
èva poco prima, il 17 di-
cembre, sorpresa e dispersa la flotta francese comandata dal
contrammiraglio I^touche che si trovava dinanzi al golfo di
Napoli in via verso Cagliari, dove doveva raggiungere la divi-
sione del contrammiraglio Truguet. Alcuni legni, fra i quali il
' Dalla Belstione pontificia, eh* é in quenta parte psrfBttsments eoo-
foriM a qasUs dM raeeoata 11 Flotte stssso asl sao G»syle>r«MlH à tÀt-
mmblU tMtfMMir, Paris, Oifooarl
Vo«.. XL, SOTto 11 — t Laglto IMS i
50 UGO BASSVILLE A ROMA
Languedoc, che era sotto il comando dello stesso maggiore Flotte,
nostra conoscenza, ne erano stati così malconci da non potere
pia per qualche tempo tenere il mare. La gioia — e si capisce
il motivo — era stata grandissima in Corte di Roma e in tutti
i circoli della città avversi alle novità francesi. Per alcun tempa
almeno, la tempesta di Napoli aveva colla flotta disperso anche
il fantasma di uno sbarco francese a Civitavecchia, e in Vati-
cano si poteva di nuovo mostrare coraggio e alterezza.
V'ha di più. Quella tempesta avvenuta proprio al momento
che le prepotenze francesi a Roma erano al colmo, non poteva
non essere riguardata come un segnale della Provvidenza. Il
grido: al miracolo! sparso ad arte dai preti trovò un'eco potente
in mezzo al popolo, il quale s'immaginò allora essere più facile
e doveroso fiaccar l'orgoglio e gli insulti dei francesi dal mo-
mento che questi erano evidentemente segnati all'odio e alla
collera di Dio. Fin qui, all'infuori di casi isolati, non erano
avvenuti scrii conflitti in città; ma da qualche tempo fermen-
tava nel basso popolo contro i francesi un sordo malcontento
foriero di ben più tragici casi. A poco a poco le pretese dei
delegati francesi a proposito degli stemmi erano venute a co-
gnizione del pubblico, e non era che troppo temibile che av-
venisse in Roma ciò che era succeduto a Civitavecchia, in
Ancona e in altre città pontificie, dove il popolo insorto aveva
abbattute le bandiere e gli stemmi della Repubblica. Per pes-
simo (jhe sìa un governo, esso non manca mai di aderenti in
questa o in quella classe del popolo quando si tratta di difen-
derlo contro le prepotenze dello straniero. Nel nostro caso, tutta
fa pretaglia, l'infinito sciame di servitori ch'essa si traeva dietro,
e i caporioni di Trastevere, sempre pronti a mettere a prezzo
la loro mano in un fatto di sangue, erano per il Papa contro
i francesi. Le incaute parole di : guerra e 8terminio a Roma! che
Flotte e Bassville pronunziarono nelle anticamere del Vaticano,
uscendo dall'udienza del cardinal Zelada, riportate e diffuse
dal servi dorame che le ascoltò, nel basso popolo, vi scatenarono
l'odio e la sete della vendetta. Della materia infiammabile se
n'era sparsa anche troppa e una catastrofe era vicina.
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
VI.
5t
L'udienza, nella quale Bassville aveva dichiarato al cardinal
Zelada che entro ventiquattro ore avrebbe fatto innalzare al
Consolato francese il nuovo stemma della Repubblica^ areva
avuto luogo il 12 gennaio. Il 13 seguente si annunziava adunque
come un gran giorno. La notizia del fatto che si preparava
era stata diffusa nel popolo, il quale sapeva che i nuovi stemmi
si preparavano all'Accademia di Francia e che verso sera sa-
rebbero stati trasportati di colà per collocarli alle porte del
Consolato. Epperò già fin dalle tre pomeridiane gran quantità
di basso popolo armato di pietre e di bastoni prendeva la via
di Trinità dei Monti. Giunti alla porta deirAccademia, fona-
rono l'ingresso, e fu fortuna se gli artisti francesi che vi lavo-
voravano poterono andarne colle persone salve.
Ma accadeva di peggio in altra parte della città. Baatville,
accompagnato da quel suo mal genio del Flotte, da Amaurjr
Duval, suo segretario, dalla cittadina Bassville e da un tuo
piccolo bimbo, usci in vettura scoperta da una scuderia proMO
il Quirinale per una paMeggiata sul Corto. Meno Bassville,
che la relazione francete del signor Mackau sostiene aaai che
non fosse alla passeggiata, ma in casa Moutt<*, tutti erano ri-
stosamente incoccardati compreso il bambino Bassville, ohe te-
peva in mano una bandiera repubblicana, cho però, secondo
qualcuno, non sarebbe stato cho il fazzoletto di sua madre. La
folla in quell'ora al Corso era molta, e non in attoggiameBlo
benevolo verso i francesi. Pare però ch'essi abbiano potalo
fare tranquillamente un tratto di Corto. Ma a misura che la
carrozza avanzava, il brontolio nella folla si faceva vivo; poi
vennero parole di scherno, fitohi tenori e testate. Giunti in
Piazza Colonna, il tumulto e il pericolo diventarono maggiori.
Diw {)rctuc>oli che colà si trovavano sì misero, quasi ve ne
fo85c stato bisogno, ad aizzare la folla, gridando: AmmatMa,
ammana questi cani di franeui! ' Flotte avrebbe voluto rifare
> La relssioa« pontiflda. ossia Pro0tftmoria per ii CamtoU di iVaiMte
orca »! fatto d^l 18 gennaio /7M, «kt fa stampata in qatll' aaae sCasio
par ordiM dalla Corta di Berna, tssUtiis elM i fraaetsi iht erana atUa
eerrooM spararono, giwti kt piatta Ctloaas, ■■ eo^ 41 pititla sella
Mia. Httaado 0 Maekae (atUa lelttioee M tee aiyoit Fitte ielsret a
qad Iktto) qeei eol^ di pistola secebbt stoto la rttposto ad «a altte ohe
52 UGO BASSVILLE A ROMA
il Corso, ma il cocchiere che era giunto all'imboccatura della
via che conduceva a casa Moutte, meglio avvisato, vi infilò i
cavalli. La vettura fu seguita dalla folla, che vi scaricò sopra
una tempesta di sassi; però nessuno fu colpito. La vettura potè
penetrare nella porta dì casa Moutte che fu immediatamente
sbarrata in faccia al popolo infuriato.
Con questo però il pericolo non era cessato. La folla, ri-
masta lungamente urlante e minacciosa fuori di casa Moutte,
senza che la forza pubblica, o fosse impotenza, o, come è più
probabile, malvolere, intervenisse in tempo a imporle freno,
aveva finito per forzare ad abbattere le porte, e rovesciarsi
assetata di sangue e di vendetta negli appartamenti alle grida
di: Viva S. Pietro! Viva il papa! Viva il re di Francia!
Abbasso le coccarde! Morte ai Giacobini! Gli incidenti tutti
poi del dramma che avvennero entro quelle pareti riesce im-
possibile conoscerli con precisione. Questo solo è accertato,
che il de Flotte fin dal principio, abbandonando Bassville al
suo destino, s'era fatto calare per mezzo d'una corda da una
finestra in un cortile sottostante, dove se ne stette tappato per
sette ore angosciosissime senza trovare un mezzo di uscita. Il
Bassville che non aveva voluto seguire Flotte in quella discesa,
credendola un tentativo di salute inutile, era rimasto con Duval
in una camera, dove cercava di barricarsi alla meglio. Ma era
stata una vana fatica ; la folla irruppe abbattendo la barricata.
Duval e i domestici si salvarono, chi fuggendo di stanza in
stanza e chi buttandosi anch'essi per la fune. Bassville, che
volle, pare, difendersi, fu ferito mortalmente ai basso ventre
da uno della folla, poi trascinato seminudo per le scale e per
le vie a lubidrio del popolo. *
un romano aveva tirato sul cocchiere. Però Duval, che, come s'è visto, si
trovava anche lui nella carrozza, nega « dinanzi a Dio e agli uomini > il
fatto, non avendo né lui, né alcuno dei suoi amici, arma da fuoco in tasca.
Come venire in chiaro della verità in mezzo a cosi opposte asserzioni ? Sembra
però più credibile l'asserzione del Duval, il quale avrebbe avuto interesse
ad allegare una provocazione da parte della folla; non vi saranno stati
spari di pistole né da una parte né dall'altra.
' In questa narrazione concordano, in fondo, le relazioni Fitte e Duval
che intorno a questo punto sono credibilissime.
Ben più difficile è il conoscere la verità intorno alle peripezie alle quali
andò in quelle ore angosciose soggetta la signora Bassville e suo figlio
Flotte dice che avrebbe voluto morire difendendola, ma che non lo potè
fare perchè aveva trovata chiusa la porta dove suo marito l'aveva nasco-
SECONDO LK RECENTI PUBBLICAZIONI.
53
Ma con che arma fu ferito Bassville e chi fu il suo assas-
sino? Anche qui la difficoltà di conoscere il vero si presenta
pressoché insuperabile. Il console Digne dice che Bassville fu
ferito con un a colpo di rasoio r? al basso ventre; Varon, con
un colpo di baionetta assestatogli da un soldato. Amaury Du-
val, che abbiam visto fuggente di stanza in stanza per sottrarsi
alla furia della plebaglia, riferisce che la ferita dì Bassville
era di baionetta, senza aggiungere che l'autore ne sia stato un
soldato. La relazione della Curia romana, che il Vicchi copia,
dice — cauta ed evasiva anche in questa minuzia importante
— che fu un colpo di arma bianca. Il Fitte, che doveva subire
l'ispirazione del Mackau, di cui era segretario, dice anch' egli che
Bassville fa ferito da un soldato con un colpo di baionetta.
Quest'ultima versione dovrebbe essere la vera, tanto più che
l'ispezione della ferita fatta dal dottor Bussanì, che curò il Bass-
ville, la farebbe credere appunto effetto di un colpo di quel-
l'arma. Si aggiunge anche che il Bassville stesso morente ebbe a
confessare di essere stato ferito di baionetta da un soldato, quan-
tunque sia da sospettarsi che questa sua confessione possa essere
un'aggiunta del Fitte, avendo il Bassville precedentemente di-
chiarato di non voler nominare il sno assassino per non fargli
del male e perchè voleva morire perdonando.
E pure, sapere chi sia stato l'assassino del Bassville, varrebbe
sapere con fondamento in qual misura la Curia e la Segreteria di
•t&. Fu allora che pensò a mettere in salvo so stesao. La relaxione Pitta-
SoacjT dire che la cittadina Baasrille eritò la morte gettaudoai in masso ai
•noi aaaaaalni col bambino In braeda Essa sUva per essere immolata,
quando aoo di easi, per noa ai sa qnal ragione, grida: • 8e la lasciate
nacire non ne saremo più padroni. » Ed eeeo che viene rieondotta in un
granaio dove aapetta il auo destino in compagnia del figlio. Dice a un di
presso lo steMo il de Flotte nella sua reiasione in baae a notiiie che dlsae
r'^Tnministratigli da alenai «fieialL Ma eeeo eke, a sentire la testimoaiansa
Il cameriera sterna dalla signora Bassrille, tutta qneaCa iragiea mmwi an-
W9 In fnmo. Qnalla eameriera rilM ehe « In meno a tu'' lisor
. Moatte ebbe il coraggio di naseondere qaaUe due ivent < me in
loogo dove gli saia nini non potessero penetrare; giunU I* sera ti travesti-
rono le due donne da soldati e si salvarono In quecto mml» «lai furore del
popolo. • Ed ecco infine una ralasione diveraisaima dalle altre, e pia at-
traente e romansesea di tutte. Essa è del Console Digne. Egli raooociU
ebe l'infeUee dttadina Biaaville si (sttA a' piedi del popolo per imptorars
ita par eaaa e per il ano bambino. Il popolo rispose ch^ egli non ne
> -A né a deaoe ni a bambini, ma aolamenle al franeed, e aopratutto a
li ehe erano veanti a portare II diaordine e la dÌMorrli» in Koma. Ora
^1 it» m aetmere il varo in sMsao a varsionl essi disoerdanti.
54 UGO BASS VILLE A ROMA
■tato furono complici in queirassassinio. Però non è questo
un punto di importanza assoluta avendosi indizi e prove suflS-
cienti di quella complicità se non nell'eccidio del Bassville al-
meno nella sommossa che lo determinò. Las Casas, che non vuole
essere annoverato fra i detrattori della Corte di Roma, scrive a
d' Entraigues, il 26 gennaio: u A l'arrivée de Flotte, le 12, le
Pape fttt averti des ordres de Mackau dont il était porteur. *
Le Pape prit son parti, et il fut tei que jusqu'à présent aucuh
souverain n'a songé à s'en servir. Ce fut d'empécher que les
armes ne fussent placées, mais non de l'empécher par l'usage
de ses forces, mais bien de se servir pour cela d'une insurrec-
tion populaire. Dès qu'on en eut vent, le 13 à midi, on fut
lui représenter les inconvenients de sa décision; il fut persuade;
il donna des ordres pour que les troupes agissent cotte nuit-là
dans un sens plus conforme aux prescriptions que doit donner
un souverain, mais ce fut tard, le branle était déjà donne et
la machine agit avant le temps. n
Questa accusa del Las Casas fu poi ripetuta da altri scrit-
tori, i quali l'accentuarono più o meno vivamente a carico di
determinate persone. Ugo Foscolo * incolpa apertamente dell'as-
sassinio del Bassville u qualcuno dei più audaci ministri di
Pio VI, i quali non potevano soffrire di vedere quel giacobino
propagare in Roma i principi rivoluzionari, n Lo stesso Monti,
che pieghevole sempre, insofferente della rea, alla buona for-
tuna, non credette di seguire in quei giorni il Gianni, il Ce-
racohi e molti altri fautori delle idee del Bassville, sulla via
dell'esilio, in poche tenere terzine consacrate u al cener sacro
di Bassville trafitto n mette chiaramente in colpa dell'assassinio
i preti. Egli fa dire al morente Bassville:
Fuggi, fuggi, che barbare e infedeli
Son queste terre, e d'uman sangue intrise
L'are di Cristo e chiusi gli Evangeli.
Di là mosse la turba, che commise
Feroce in me la man comprata e schiava:
Vedi la piaga che il tuo fido uccise.
Il Gianni, noto antagonista del Monti, e autore di un poema
intitolato: Bonaparte in Italia, rende complici dell'assassinio
del Bassville il cardinale Zelada, l' abate Beltrani, 1' alfiere Pa-
' Cioè, di innalzare gli stemmi repubblicani.
' Saggi dì crìtica «toricchletteraria. — Firenze, Le Mounier 1862.
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
55
lini, riconosciuto da tutti per aver dato il colpo di baionetta
al Bassville e che di lì a poco fu, appunto per questo, promosso
sergente ; monsignor Barberis, monsignor Passeri vice-gerente e
i prelati Albani e Malvasia, il primo, uditore di Camera. Nel Ter-
mometro politico della Lombardia, che cominciò a pubblicarsi nel
1796 si trova la stessa accusa a carico delle stesse persone. In
un numero del detto giornale si parla anche di un certo Evange
listi ex-impiegato alla segreteria di Stato del cardinale Zelada e
che avrebbe avuto colle nominate persone ed altri romani delle
conferenze allo scopo di assassinare il Bassville. Finalmente,
— non spregievole indizio a carico della Caria — sul Corso e a
poca distanza della casa del Moutte venne, a perpetuare la
memoria dell' assassinio, posta poco dopo il fatto l' iscrizione
sotto un immagine di Madonna: Per te ab inimici^ nostrts li-
berati $uimu$f iscrizione che non fu mai tolta, quantunque il
papa passaiae spesso in quella via, sia a piedi sia in vettura.
Da tutto questo non risulta ancora la prova della complicità diretta
delia Curia nell'assassinio del Bassville, ma, checché dicano in
contrario il Vicchi e il Masson, ve n'è più che a sufficiensa per
mettere in sodo la sua complicitit morale in quell'eccidio. Egli
è che nei delitti politici la complicità non risulta solamente
dalla cooperazione più o meno efficace di uno o più individui
all'atto che si incolpa, ma anche dal malvolere o della sem-
plice trascuranza da parte del governo dei provvedimenti propri
ad impedirlo. Nel caso del Bassville, anche non tenendo conto
dell'accusa del I^as Casas, che, cioè. Pio VI abbia egli stesso
AÌsaata la plebe contro i francesi, rimane fermo che non solo
il governo pontificio non prese nessun provvedimento per ov>
viare ai tumulti da tutti preveduti, ma non si diede nessun pensiero
di reprimerli quando scoppiarono e lasciavano temere il peggio.
In quei momenti il cardinal' Zelada, se si deve credere a
qualche scrittore, invece di essere al suo posto alla segreteria
di Stato, si sarebbe trovato in compagnia di alcuni abati e
monsignori in via dell' Impresa, in una casa in prossimità di
quella del Moutte, per eetere cosi in fcrado di saper meglio e
più presto ciò che avveniva e si sapeva che doveva avvenire.
Quando si è cosi lasciato libero corso alle più feroci passioni
della plebaglia, a quelle passioni che istigava da parecchio
tempo il motto d'ordino: mortt ai francéti! diramato a tutta la
pretaglia di Roma, vi hft egli buona graaia a parlare, a discoi pa
della Curia romana, delle premure del papa por il ferito BmmvìHc
56 UGO BASSVIU^E A ROMA
e per la sua famiglia, della disapprovazione dell' eccidio fatta per
pubblico editto e dell'ordine di inquirere severissimamente contro
i colpevoli, cosa questa, del resto, che non venne mai seriamente
fatta? Gì si venga a parlare della ignoranza e della ferocia
della plebe e della tristizia dei tempi che non permetteva alla
Curia romana di serbare un resto di dignità di fronte agli in-
trighi e alle prepotenze veramente intollerabili del Bassviile e
de' suoi agenti; tutto questo potrà attenuare, ma non cancellare
hi complicità della Curia nell'eccidio del .Bassviile.
Ora torniamo a Bassviile. La ferita ch'egli aveva ricevuta
come s'è visto, al basso ventre, era così larga che ne uscivano
gli intestini ; pure il suo miserando stato non indusse a pietà
gli assassini. Un branco di soldati — è il Fitte che lo rac-
conta, e, testimonianza più autorevole della sua, il pittore Me-
rimée, il quale vide il fatto dalle finestre di una casa vicina,
dov'orasi rifugiato presso alcuni buoni e sicuri amici suoi —
presolo pei capelli, lo trascinarono per le vie in mezzo a una
grandine dì sassi e di pedate e bruciandone il volto con tizzoni
ardenti •, fatti questi confermati poi nella relazione del dottore
curante Bussani, che constatò il corpo e il volto del Bassviile
tutto contusioni e bruciature. Il buon Masson chiama scioccherie
(sottises) queste prodezze dei soldati papalini. Felice lui! Il
Bassviile, così malconcio, fu portato in un corpo di guardia in
via Frattina, dove fu curato alla meglio dal detto Bussani e
dal farmacista Meli, il quale poi si ebbe per questo le perse-
cuzioni della Curia. Si trovò subito sul luogo un prete Fischer,
tedesco, parroco di S. Lorenzo in Lucina, il quale lo confessò
e gli amministrò i sacramenti. Ci venne anche il dottor Flajani,
chirurgo del papa, mandatovi, premurosamente — dice la rela-
zione pontificia — da Sua Santità, e molti abati e monsignori,
non si sa bene se per buoni motivi. Il povero Bassviile, fra gli
spasimi che gli cagionava la progrediente cancrena e in mezzo
all'orrore del luogo tutto pieno di scherni, di mali trattamenti e
dalle urla e minaccio della plebaglia che era fuori in strada,
spirò il giorno dopo dell'assassinio alle 7 di sera.
Ve qualche incoerenza in ciò che disse e fece il Bassviile
in quest'ultimi momenti, secondo almeno le versioni dei diversi
narratori, incoerenze, del resto, facilmente spiegabili negli ago-
nizzanti. Il povero Bassviile era un po' anch'egli nel caso del
marito di madama Schwerdtlein, il quale mentre dice, nel ran-
tolo dell'agonia, di perdonare alla moglie, trova modo però di
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
57
mandare nello stesso tempo al suo indirizzo un sacco d' in-
giurie "". Bassville, adunque, disse di voler perdonare ai suoi
assassini, e bisogna pure che lo abbia detto se il preto Fischer
lo assolvette dandogli i sacramenti compresa l'estrema unzione.
Ma eccoti che quando il Bassville si trova solo col medico
Bussani, la natura coi suoi istinti e colle sue passioni prende
il dì sopra; egli dimentica le promesse fatte e invoca ven 'letta
sui preti, dicendo al dottore: Mon chtr docUuVy il in a fallu
etre victime d' une cabale infame de» pretree. Con altri Bassville
cambia intonazione di pensiero. Al prete che l'assisteva, egli
mormorava vaneggiando: Je $ui* la victhM d'un fou, quan-
tunque per verità avrebbe potuto anche servirsi del plurale,
perocché erano matti tatti e due, Mackaa e de Flotte, ad uno
dei quali quelle parole certamente si riferiscono. Del resto
Bassville fece testamento in piena regqla, manifoitando senti-
menti cristiani. Abiurò, seconda che aasìcara il padre Fischer,
i dogmi repubblicani, cosa che crede anehe il Masson, e il Vicchi
no, per qual ragione non si ul Tutti però credono, tuILi fede
della relazione pontificia, che Baasville mori pentito reemplannmiU
de'tuoi peccatif e Io credette anche il Monti, il quale verseggia
che a Bassville, appunto in grasia di qaetto «no pentimento
Fu rìmeMO dal eielo ofnt peccato,
.... o almeno il Monti /n«e di crederlo; il che, in fondo, toma
lo stesso; perchè già si sa che U finsiono ò la realtà dei poeti.
Bassville fu la sola vittima in quella sommossa del giorno 18,
se si eccettua qualche sfregio fatto ad altri francesi e qualche
bastona'"-' h'a agli ebrei, contro i quali la popò Iasione aveva
anche i: . perchè li sospettava favorevoli al Haatville e
alle novità franoesi. Duval e do Flotte — quett'ultimo a gran
fatica — riuscirono a salvarf'. Coti pare la signora Bassville
e U sua camerista, che esoirono da caaa Moutte travetti te da
soldati. Emì partirono poi tutti per Napoli, dove Maokau li
aspettava con molti altri franco «i a braecia aperto e dove la
cittadina BaasTÌUr si consolò di II a poco della morte del ano
compagno «potando, non ricordo bene ae canonicamente o no,
il segretario di Mackau, Fitto, autore della relasiono più volto
citata. Fr.i 1u plcìii("1i!t rnrnntii fu riguardato come una grande
• V. H dialogo frm UvIittnUU e MarU SekverdUela osila seeoa del
58 UGO BASSVILLE A ROMA
prodezza il Vespero del 13 '. I tumulti e le minaccie contro i
francesi continuarono ancora per parecchio tempo, ravvivate
specialmente dopo la miseranda fine del re cristianissimo. I fran-
cesi furono obbligati a lasciare Roma tutti fino all'ultimo recan-
dosi chi a Napoli e chi a Firenze. Soltanto allora si ripristina-
rono l'ordine e la calma.
VII.
Bassville deve in gran parte incolpar se stesso del triste fatto
che lo incolse. Nel diportarsi com'egli faceva in Roma, sfidando
in unione al de Flotte col contegno e cogli atti il Governo e
la popolazione romana, egli andava oltre alle intenzioni e alle
precise prescrizioni del suo stesso Governo. Il ministro Lebrun,
pur lodando il suo zelo, gli raccomandava però continuamente
di usar prudenza e di non compromettersi. Nell'afifare capitale
poi degli stemmi repubblicani voluti innalzare malgrado l'op-
posizione della Curia, Lebrun disapprova recisamente l'operato
di Bassville, come si vede dalla seguente nota giunta in Roma
il 23 gennaio, dieci giorni dopo che la tragedia aveva avuto
luogo. Lebrun scrive a Bassville :
u L'événement qui a donne lieu à l'envoi de votre courrier
était facile a prévoir. Le Pape n'ayant pas reconnu la Répu-
blique fran9aise, il a dù lui paraitre extraordinaire qu'on sub-
stitua brusquement aux anciennes armes de Franco les signes
caractéristiques de la République. Avant de prendre ce parti,
on aurait peut-étre dù pressentir l'opinion du Cardinal Segrétaire
' Il Diario di Roma non disse una parola sulla sommossa del 13. Però
se tacquero i giornali, piovvero i sonetti. Il Silvagni ne cita molti nella
sua opera. Son tutti notevoli per un tono selvaggio e per trivialità di espres-
sioni. Il grido àxviva la religione! vi è sempre associato a quello di: morte
ai francesi ! Eccone uno dei più caratteristici.
L'atnbasciator speziai Monsiù Maco,
Che in Napoli con fasto se ne sta,
Un lavativo a Roma destinò
Di coccarde francesi in quantità.
Roma un tal lavativo rifiutò
Percliè bisogno di cristier non ba,
E per provarlo così ben cacò
Che TAccaderaia e il pensionato il sa
Di gennaio il di tredici, oh che di!
Bassville sventurato prese in sé
Un purgante per cui se ne mori.
La Flotte poi se la passò da re ;
Dal Gallinaro mio se ne fuggi.
Vieni, Maco, che ce n'è anche per te.
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI.
09
d'Etat. Cette démarche, que les convenances et la prudence com-
mandaient, était nécessaire pour ne pas compromettre la di-
gnité et la sùreté des Fran9ais établis à Rome.... n
E Lebrun finiva con dire che era prossimo l' invio di un
nuovo rappresentante francese a Roma^ che era il Cacault, e
che al suo arrivo, lui, Bassville, avrebbe dovuto far ritomo al
suo posto a Napoli.
Come si vede la disapprovazione del ministro è chiara e
decisa, ed egli la ripete nelle istruziomi che dà al successore
di Bassville, Cacault. Né si può dire che le istruzioni del mi-
nistro sieno venute a cose fatte. Lebrun, come ho detto, aveva
già in più incontri raccomandata la prudenza a Bassville. Del
resto, intomo all'affare degli stemmi vi erano le disposizioni
precise del ministro della marina, Monge, il quale diceva nella
circolare da lui inviata al console Dii^e, che la sostituzione
dei nuovi agli antichi stemmi, doveva essere u subordonnée
aux temps et aux circostances. n In caso di opposizione della
Curia, il console doveva limitarti a redigere u nne proteatation
en forme n e in neasun caso doveva permettersi di innalzare
M lea noQveaox emblèmea par la force ou par dea monvemenla
convolsifa. « Ma il Baaaville istigato dal de Flotte, e malgrado
i conaigli insistenti che gli dava in 'contrario il console Digne,
volle prender d'assalto la piazza e si ruppe le coma.
La posizione del Baaaville in Roma era già molto irregolare,
la prudenza e la moderazione non sarebbero che stato più ne-
cessarie. Quantunque il Bassville già praaao a morire insista nel-
l'attribuirsi la qualità di incaricato d' affari e il Governo fran-
cese nella vertenza coi il suo eccidio diibde luogo costantemente
glie la attribuisca, pare in realtà non gliela ai può ammettere.
Egli era staio ricevuto dal cardinale ZeUda «d areva trattato con
lai di intereaai intemasionali ; però queato era arrenoto in via
afTatto BOfioiaie RaaayilU ateaao nel primo ooUoqaio oim ebbe
col Zelada avera detto ch'era Tenuto a Boma come viaggiatore
e studioso delle belle arti, né era atato mai ricevuto dal Papa.
Del resto, regolare o irregolare che fosse la sua carica, ò cosa
nuova che un rappresentante straniero abbia o si prenda la
misiiiooe di portare la rivoluzione nel paese dov'à accreditato.
Questo lo fanno apesao gl'ingleai nell'Asia, ma ne vanno qualche
volta a capo rotto, come nel caso della missione del maggiore
Cavagnari a Cabul. D'altra parte si dove anche dire che un
geremo che aizza le paasioni popolari per liberarsi da uno stra-
co UGO BA.SSVILLE A ROMA
niero che non gli fa comodo, è un governo che merita, come
quello di Shcre-Ali, di sparire dalla faccia del globo.
Quando giunse a Parigi la notizia dell'eccidio di Basaville,
fu uno scatenamento generale di invettive, di contumelie e di
minaccio accesissime contro la Curia di Roma. Nessuno più pensò
che da parte dell' inviato francese vi potesse essere stato in
qualche modo torto. Non si vide più in lui che il rappresentante
di un Governo che aveva bandita la libertà nel mondo, immo-
lato nella città, centro dell' ignoranza, dell' ipocrisia, del sanfe-
dismo e della duplice tirannia politica e sacerdotale. In tutti
gli atti del Governo francese, quasi sempre notevoli per uno
stile pomposo e declamatorio, a Bassville vien sempre data la qua-
lità ufficiale di rappresentante della Repubblica a Roma ed as-
severato che la fine sua fa una violazione del diritto delle genti.
La Convenzione nazionale adottò subito come suo il figlio Bass-
ville ed accordò alla vedova una pensione di 1500 lire. Poi
ingiunse al Comitato esecutivo di prendere immediatamente i
provvedimenti opportuni per una vendetta esemplare. Lebrun,
che aveva cosi vivamente disapprovato la condotta di Bassville,
ora lo vediamo cedere alla corrente e tutto infervorarsi anche
lui per vendicare coi mani del suo agente la dignità della Fran-
cia. Egli scrive al Bernard, l'ex-segretario del Cardinale Bernis,
che nello scompiglio della Legazione francese a Roma, continuava
ad essere il rappresentante più autorizzato del suo paese : u La
vengeance du peuple fran9ais ne pourrait étre suspendue que par
l'empressement qu'on mettrait à prevenir l'effet du juste ressen-
timent de la République en allant au devant de toutes les de-
mandes qu'elle est en droit de faire à titre de réparation d'un
attentat qui appello sa vengeance, n — E chiudeva colla mi-
naccia : u C'est à Rome méme et les armes à la main que nous
irons demander au Pape satisfaction de cet outrage. n Se par-
lava così il Governo, immaginate cosa potevano dire la stampa
e i cìuhs. Essi bandivano ogni giorno la crociata dell'umanità
e della libertà contro Roma,
Ma per allora non era tanto facile andare a Roma e avere
ragione dal papa. Si compilò un ultimatum terribile, che avrebbe
portato il nuovo inviato Cacault nella città eterna ; ma se ne do-
vette smettere il pensiero, perocché non si sapeva, in caso che
il papa lo respingesse, a che mezzi ricorrere per farlo rispet-
tare. Cacault venne in Italia per vedere di organizzare una
spedizione contro Roma; ma Biron che comandava l'esercito
p
SECONDO LE RECENTI PUBBLICAZIONI. : 61
delle Alpi e che egli in proposito interpellò, gli dichiarò che le
sue troppe potevano appena mantenersi sulla difensiva, non che
intraprendere una spedizione contro Roma. Allora si immaginò
una spedizione di filibustieri nella campagna romana, ma la si
trovò subito una cosa non seria e ineseguibile. Ultimo mezzo
era di trascinare le corti di Firenze e di Napoli a'danni del papa.
Per allcttarle in quest'idea si prometteva loro qualche lembo
degli Stati del Papa: se non che il governo di Firenze si rifiutò
assolutamente di escire dalla sua politica di neutralità; e dal-
l'Acton, Mackau non potè mai cavare nulla che suonasse assenso
alle idee sue e del suo governo.
La Curia di Roma, che teneva dietro con grande attenzione
a quelle vicende, poco prospere, della politica francese in Italia,
se ne sentì rassicurata e cominciò a fare animo baldo e lieto.
Essa rifiutò di ricevere il naovo inviato francese Cacault. Ma
furono baldanze e gioie passeggere. Nel 1796, il generalo
Boniparte vittorioso in Piemonte, non dimenticava la« tragedia
del 13 gennaio. In un proclama alle truppe del 7 floreale, anno
rV, egli diceva u Le ceneri dei vincitori dei Tarquinii sono
ancora calpestate dagli assassini di Bassville. n La Curia comin-
ciò a sabodorare che vi era tempesta in aria. Scorsero pochi mesi
e dopo una campagna ridicola, il Papa doveva firmare il trat-
tato di Tolentino, il quale all'art. XV^III diceva: u Sa Saintetó
fera dé^tavouer pur son ministre k Paris Tassassinat commis sur
la persone da secrétaire do lógation Bassvillc. Il fera payer
dans ie courant de l'annéo la somme de trois cent mille livros
pour 6tTf3 repartie entro ceux qui ont soufTcrt de cct attcntat. ry
Non ci fa verso ; bisognò pagare e mandare a Parigi il marchese
Massimi a chiedere scasa. Ma il Papa aveva appena pagato che
gli cascò sullo spalle un affare ben più grosso. Il 6, 7 e 8
nevofo 1798 scoppiò a Roma la sommossa nella quale lasciò
la viu il generalo Duphot II 23 di detto mese se no ebbe la
notizia a Parigi. L'inviato romano fu subito messo sotto buona e
feicura guardia; quindi fu mandato un corriere a Berthier a Mi-
lane che gli ordinava di sndare a vendicare i mAni di Dupliot.
Il 9 pluvioso le truppe francasi entrarono in Ancona; il 27 Bcrthior,
generale dell'esercito francete, montò sul Campidoglio e in nome
dulia Repubblica francese riconobbe l'indipondenaa della Repub-
blica romana. Che volger di fortuna in cosi breve tempo!
G. BOOLIBTTI.
IN CALABRIA
PASSEGGIATE.
Quando per la via Adriatica, dopo aver traversato l' im-
menso e sfolgorante tavoliere di Puglia colle sue bianche case
sparse nella ridente e sterminata pianura, e quasi direi deca-
pitate dai terrazzi che fanno ad esse da tetto, si giunge a Rocca
Imperiale, la sentinella avanzata della Calabria Citeriore, la
quale specchiandosi nel mare colle sue rovine pare un enorme
teschio di gigante sdentato pieno di luci e di tenebre miste-
riose, il cervello del viaggiatore affaticato dalla lunga traver-
sata; prova come un risveglio insolito e trepidante e il cuore
batte confusamente di paure e di speranze. È la Calabria che
ci apre le sue braccia, la Calabria popolata di leggende pau-
rose e di immani fantasmi colle sue vergini foreste, i suoi bri-
ganti e avventurieri, i suoi eroi e le sue iettature, dove da
Spartaco a Garibaldi, dalla Sila ad Aspromonte si son rivelate
le indomite e forti tempre degli animi.
Abbiamo lasciato alle nostre spalle Taranto, la Venezia del
Jonio, l'antica rivale di Roma colle sue memorie di capitale^
della Magna Grecia e le sue rovine, col suo mar piccolo, ricco
di ogni fior di mare, le sue tarantelle morbose guarite dal suon
di lira, che poi diventano l'arte coreografica dei popoli meri-
dionali ' : e nel traversare quelle terre sull'ali del vapore, ab-
^ Tarantella è una danza di carattere gaio clie si balla in tutta l' Italia
inferiore, che ha una somiglianza grandissima colla friulana o furlana e collo
sp'tnta-piè o saltarello duU' alta e della media Italia, e che come tutti i
p,
IN CALABRIA. 63
biamo veduto i grossi ulivi, le opulenti ficaie e i mandorli im-
prudenti che fanno a fidanza colle tiepide aure del mezzogiorno,
fra le siepi dei rosmarini spontanei, e dei leandri variopinti
nati nei letti dei fiumi e nelle steppe inaridite delle spisiggie
marine. I fichi d' India spinosi colle foglie striscianti in questo
sfondo di mare turchino più del cielo e in quella profonda ver-
dura delle messi immature, par vogliono cingere delle loro
braccia mostruose le roccie rossastre: e in quella innumerevoh
d'erbe famiglia dalla quercia al castagno, dal cedro al pino,
tutto lascia indovinare una potenza straordinaria di fecondità
latente, a cui non manca che la dinamica del lavoro e la leva
irresistibile dell' idea, perchè una civiltà nuova erompa e pa-
droneggi quella da cui è dominata.
Neil' internarci in terra e nello spingerci attraverso le pia-
nure dove il Grati porta le. sue acque morte e stagnanti fra
balli di costume é castissinio lasciando 1' uomo e la donna ballare cia-
»cuno da sé.
Il nome di tarantella dere avere la soa orìgine in etò «he «na specie
di ragno, a eoi Taranto diede eridentemente il nome di Isnmtela, quaado
prodnee eonrolaioni che gli antichi credevano di poter gvarìre
Bvsiea, e obUigmado ! tarantola ti a lialUre furìoeameote.
Franeeeeo Sedi ne'raoi mimai* vitienti, afferma infatti a' tempi saoi
,^he il tartnUolÌ0mo è «na malattia vera o iromaginarìa che consiste in una
Ita passione per saltare e daasare e che si dice prodotta dalla
^morsicatura della taraatola. — Non avendo dato alemt afgno di tarmUo-
lUmo fa tnwrt per fermo ohe la UtrantoUt a non fotte veIraoMi. E nelle
Origini totoan* lo steaeo Rodi te n'é occupato por dire che : — La tarantola
di Paglia 4 una epooio di ragno e non tri é dabbìo che sia eoel detto dalla
cittÀ di Taranto.
II Bemi neir Orlando innmnoTaào eompteta II eoneotlo del tiallo p«{
morsi delle tarantole :
€■■■ la Vagito tà (s »■■»■ si »<l— »
■ «Ms—a il la ral«M iMwilslML
e Jacopo Soldaai nolle oatkf
rtém» la raglU «k* I larasMaU
Otmm ibs MM al — ■■■m m1«N«
OmMMM* si MlWir «WM* MIMMÉ
Vm fétUmm pmé tatti si !■««»••
O «1 «MtfMta «M«.
Tarantella poi chiamasi anche la cantata sulla ehiiarrm òo/lmlp, eolia
■■■pogna o Md tnaUttollo. oho 4 na ommmo daleliiima di umoi% di
laaonto o di proghlora, nna serenata amorosa eome si & nalU Mareho e In
Toecaoa.
64 IN CALABRIA.
la paura della febbre e della malaria, la vegetazione è pur là
strapotente : ò una guerra di bene e di male come nella vita,
dove le canne palustri sembrano pioppi e i giunchi sembrano
gomene di bastimenti: è una guerra furiosa in cui s'indovi-
nano due giganti che lottano con forze uguali alternamente
vincitori l'uno dell'altro, senza tregua e rinascenti sulle loro
rovine.
E la pallida e impotente civiltà che pianta intorno intorno
a questa lotta per l'esistenza i suoi mesti eucalipti nel piano
di Buffnlona fino a Cosenza, fa pensare a qu He cure omeopa-
tiche che lasciano il tempo che trovano, e al maestro di Gii
Blas, il quale credeva essere i debilitanti un rimedio contro le
malattie acute.
}<e!la vasta pianura paludosa cominciano a spuntare i conici
cappelli calabresi, coperti di vellutini fino al vertice, i quali
ricadono in abbondanti fiocchi sulle falde, e che tropr o strette
nel giro della testa son raccomandati ad un laccio legato sotto
il mento. 11 giubbetto corto, tagliato militarmente di grosso
saio filato, tinto, torto e tessuto in casa dalle donne del con-
tado e colle mostre e i rivolti con una certa pretesa militare
e i bottoni lucidi, soprastanno ad una specie di panciotto .ri-
gidamente abbi ttonato fin dove cominciano i calzoni, tenuti su
da una larga cinghia di cuoio affibbiato o da una ciarpa rossa
0 scozzese a larghe righe di colori vivaci : e i calzoni a due
pezzi che o si rovesciano sulla coscia o ricalali giù come ghette
sulle calze di lana nera naturale, lasciano vedere intere i cal-
zari, le porcine, pezzi di pelo concio di capra o di bue, allac-
ciati capricciosamente da rozzi e pelosi cordoni di lana nera
che si aggirano sulle gambe poderose. Le calzette son prive di
soppiede: hanno il cappelletto per poter star fermi e tirati,' ma
il calcagno e la pianta si scorgono nudi nella rozza e selvaggia
calzatura. Portano in mano un alto e nodoso bastone dal grosso
pomo rozzamente intagliato o sulla spalla ad armacollo la ca-
rabina pericolosa del calabrese, che coglierebbe una mosca a
cento passi di distanza. Questi uomini che fan capolino nelle
stazioni ferroviarie colla lor pipa in bocca e la faccia scura e
mesta. emigrano : vanno neW America, come dicono essi a cer-
carvi fortuna e lavoro. P( polo avventuroso e ardito che non
trova nulla a casa sua, che trova piccino il suo campo e che
ha bisogno di varcare gli spazii per sentir di vivere, parte
senza guardarsi indietro : le donne piangono, i bambini guar-
IN CALABRIA.
65
dano a piangere e l'uomo li abbraccia uno dopo l'altro cogli
occhi asciutti, quasi obbedendo ad un fato tradizionale che
vuole il calabrese avventuriero o soldato o brigante, o accat-
tone, non importa che cosa, purché sia libero.
La Calabria si spopola fra le sue messi lussureggianti: si
spopola malgrado il numero stragrande de' suoi nati, la fe-
condità patriarcale delle sue famiglie, che si moltiplicano come
le arene del mare e le stelle del firmamento. Essa nella sua
forza espansiva, colla tradizione delle sue vicende fortunose,
nella impazienza quasi de' suoi confini naturali, lotta per la sua
esistenza: e siccome crede che la terra non basti più a' suoi
figli, i suoi figli partono.
Quando ritornano, se ritornano, son poveri come prima, più di
prima: ma son rimasti calabresi col loro accento tronco e stringato,
il gesto energico e pittoresco, lo sguardo fiero e ardente. Qualche
volta nelle lunghe traversate del ritorno, cacciati nel loro nido
dalla nostalgia che li consuma, dalle fatiche e dalla povertà che
han limato la loro esistenza, muoiono a bordo del bastimento.
Una lettera del capitano annunzia alla sposa che essa è vedova,
ai figli che sono orfani, alle famiglie che uno dei loro dorme
i sonni etemi nel fondo misterioso e pauroso dell'Oceano. £
allora le famiglie si raccolgono al focolare per schiatte, per di-
nastie, per tribù: e vanno alla chiesa a parlare con Dio, a rac-
contargli le virtù del morto, le pene del cuore, le immense mi*
serie della vita, le speranze deluse, i sogni fatti su colui che
non è ritornato, e i rimorsi perchè non l' hanno amato abba-
stanza; parole che son salmi, che sono inni, qualche cosa d'in*
•olito e di spontaneo, come debbono diro le popolazioni vergini
e primitive, che non hanno ancora imparato a dare una forma
al doloro e a frenare U veemenza nel manifestarlo.
Non l- ancora il requie che prega pace, non la bestemmia
che impreca, non U ditperasìone ohe travolge : è U vcoe del-
l'anima semplice e spontanea come le ine cansoni amoroee, come
le suo voci di gaerra nelle foresto sitane' come il canto a la-
teia e piglia nelle serenate all'innamorata sulla chitarra batt^nUf
0 sul tamburello o sulla tampogna. — Tutto ò semplice e vero;
il duolo come l'allegrezza hanno il carattere della spontaneità
più sincera e più primitiva.
La famiglia campagnuola in Calabria presenta il tipo più
perfetto delle antiche tribù nomadi che vivevano sotto la tenda
o nella capanna fabbricata alla meglio per difondcmi dall'ar-
VOL. XL, UiU n - I LagtU IMS. S
6G IN CALAIilUA.
dorè del sole o dal freddo della notte. La casa campagnuola,
la torre come si chiama, che noi siam soliti a figurarci nera e
affumicata, è invece generalmente almeno nel versante occiden-
tale del Grati, bianca e abbastanza linda al di fuori. Il iorricre,
0 contadino, sente per istinto che il bianco respinge gl'infuocati
raggi del suo sole : ma tanto è bianco di fuori tanto è scuro,
cinereo, brullo e infelice nel di dentro.
Vi si ascende per una lunga scala che dà adito alla cucina
affumicata, quasi sempre piccola, e ingombra di sgabelli zoppi,
di sedie spagliate, di orci rozzi a due manichi fatti al torno,
che ricordano le antiche anfore e che trasudando dai pori l'acqua
delle fonti, la tengono fresca per molte ore fra la caldura di
quell'ambiente. Il soffitto è un dimezzato di canne o di vimini
che tiene in conserva le loro derrate, qualche volta i bachi da
seta di cui sono cultori attivi e gelosi, fino a impedire l'entrata
allo straniero che potrebbe fare il malocchio, e le loro ciarpe
meno in uso : poi vi ha una camera, qualche volta due, dove
dormono tutti insieme uomini, donne, e fanciulli, celibi e co-
niugati.
Il visitatore, cosi detto civile prova nell'entrare in quelle
stamberghe un senso di meraviglia commista a pietà. — Ma
essi non comprendono i nostri sentimenti : non si figurano che
si possa vivere diversamente di cosi, non pensano e non sup-
pongono neppur di lontano, che l'uomo civile è travagliato da
gravi problemi morali; per lui, povero torriere che è si felice
di vivere come han vissuto i suoi padri nascendo, amando e
morendo in una camera comune a due a tre a quattro genera-
zioni, che vivono,* dirò così, secondo natura.
Egli ti accoglie sorridendo cavandosi il suo cappellino a cono
e tenendoselo appuntato al petto finche non lo forzi a riporselo
sul capo e ringraziando la grazia vostra di quella gran degna-
zione. — Ti fa entrare nel suo tugurio colla cordialità monta-
nina e coll'orgoglio d'un re, quando però non è troppo povero:
e se gli lodi alcuna cosa, o alcuna persona o lui stesso^ egli ti
dice : è vostro, è al tuo servizio, è alla grazia tua.
Chissà, forse avrà posto prima nello sèrico (bachi da seta)
l'olio e il sale per allontanare lajettatura, pel /o?'a fascino: forse
avrà appuntato verso terra l'indice e il mignolo della mano della
mano destra borbottando sotto-voce o dentro di se il consacrato
otto nove, per allontanare la malìa, ma di fuori uno non se
n'accorge; la fisonomia cordiale dell'ospite non ti lascia tempo
IN CALABRIA.
67
né modo di pensare allo scongiuro : eppoi per poco che ti fermi
con lui, per poco che ne acquisti la confidente espansione, egli
ti racconterà tutti i suoi segreti, ti mostrerà tutti i suoi tesori,
ti offrirà tutto quello ch'ei possiede, con adorabile e ingenua
spontaneità.
Poiché il calabrese é sopratutto ospitale : ospitale al punto
che il padrone di casa se ti smarrisci per via o non puoi par-
tire alla notte da casa sua, egli ti fa padrone del suo letto: o
per meglio dire lo divide con te: e qualche volta lo divide cosi
che in quel letto tu ti trovi con una famiglia intera : nel qual
caso colui che fosse scrupoloso o avesse della civiltà un con-
cetto diverso dal suo e titubasse, mostrerebbe una piccola co-
noscenza delle cose umane e una defìcenza completa di studi
filosofici.
Kè "il contadino, il terriere calabrese potrebbe avere un con-
cetto diverso del modo di alloggiare i pellegrini, se nei centri
più popolosi della Bassa Italia, nelle città stesse, una sola ca-
mera che ò parecchie volte la bottega e l'officina e l'asilo d'un&
intera famiglia e apre la sua porta per ricevere luce e enlore
vento o pioggia e aria sulla pubblica via.
Anzi vi ha di più. In alcuni luoghi della Basilicata, per cscm>
pio le case sono affittate a muro; vale a dire addossate ad un
muro abita una famiglia, al muro rimpetto un'altra famiglia:
qualche fittolo piantato in mezzo alla camera segna i confini
naturali, la linea di dotnarcuzione dei due potentati, né v'ha
mai ragione di liti per turbato possesso, da quel che ne ho
sentito diro : in Cosenza invece si aaiocinno, por etonipio, due
donne, lavorano insieme, cuociono le loro vivande allo stesso
fornello: qualche volta c'è un figlio o una figlia dell'una o del-
l'altra o di tutte e due, ma la pace non vi è mai turbata: e
questa associazione quasi sempre Titatixin, tfiulisionale e spon-
tanea fa chiamare le consocio le comunfinti.
■ iitrai una mattina in una di qao«to oasuocie posta presso
.[ i; nitrito, là dove la tradltiono dico ohe fu sepolto Alarico, il
<!r.in morto di PUtcn '.
I.c acque gorgogliavano tra i sassi e pareva volessero tcen-
doro sotterrai a cercarvi le spoglie del re Goto per obbedirò al
* La ir»(lixioi>fl raceoDta ohe nella foce dei liusento, cbo si vena nel
Crati, i (ioti »e|>p«lliroDo Alarico con tetti i sooi tesori, scavando un nuovo
letto ai due fiumi Vedi U ballaU del Platse norarifliosaaente voltaU in
italiano dal Cardncci.
e 8 IN CALABRIA.
comando del poeta di recarlo da mare a mare. A destra del
Busento rapido, scendea lento, grasso e pigro il Grati a portare
l'aiuto delle sue acque morte e stagnanti, e nella china dei
valloni profondi scendevano gli ulivi contorti e d'un verde quasi
caldo in quel grande meriggio di luce, muti depositarii di quel
gran segreto, che i Goti non vollero lasciare all'aquila romana.
La leggenda d'Alarico mi trottava nel cervello eccitato da-
vanti a quell'orgia di tinte, a quel folgorio di sole che si spec-
chiava nelle acque gorgoglianti : e ripensavo a quell'altra gran
leggenda alemanna del tedesco imperatore che uscirà di sotterra
colla barba rossa e l'armatura d'oro, quando sarà sciolto il voto
della grande famiglia tedesca; e alla leggenda slava sul Natisene
che r imperatore, il re dei re, uscirà dalla sua montagna di
pietra, quando il panslavismo avrà rotto le dighe che gli uo-
mini e i fati han posto tra i fratelli : e in tutte queste leggende
che si confondevano nella mia mente colla romanza * del mago
e del mostro raccontatami qualche ora prima da una giovanotta
calabrese, io cercava il nesso, il perchè, il come, coli' impazienza
del raccoglitore, che vede sulla cima inaccessibile del monte il
flore per completare l'erbario, e sente l' impossibilità di giun-
gervi coi soli mezzi che 1' arte e la natura gli han posto in
mano.
Stavo lì sui due piedi incerta davanti alla porticina aperta
delle due comunanti che mi guardavano con curiosità mista di
rispetto: di quel rispetto molle insieme e pauroso che ha il po-
polino calabrese delle signore e dei galantuomini *, coi quali
non ha ancora preso alcuna confidenza, sentendo ancora in se
malgrado la fierezza dell'indole, come una rimembranza di libertà
colla tradizione della servitù.
Una era sulla soglia della porticina aperta e filava del co-
tone con un fuso particolare pesante e velocissimo, munito di
un uncino di ferro su cui vien raccomandato il fragile stame,
formato a sfera di legno al sommo e terminando a bastoncello
al fondo 5 e tirava giù la bambagia rapidamente da una conoc-
chia breve, fatta di due pezzi di canna in croce su cui era av-
voltolata; l'altra era giù dalla scaletta da cui si scendeva in una
' Romanze sì chiamano in Calabria le fiabe che nell' inverno raccontano
le vecchie al focolare: vi è viva e popolare quella della Cenerentola la quale
presenta delle varianti interessantissime colle altre cenerentole d'Italia e fuori.
* Sì chiamano galantuomini i signori, e in genere le persone ben vestite,
è vesiito da galantuomo ; un galantuomo vi cerca, ecc., ecc.
IN CALABRIA.
69
cantina a cui si dà il tìtolo ampolloso di casa e cardava la lana
per filare e per tesserne poi il classico saio calabrese di lana
naturale o per fame le calzette pei calzoni corti.
Mi guardavano e io sentii la domanda in quegli sguardi
ansiosi.
— Te ne vai cosi solicella solicella, mi disse quella che fi-
lava il cotone sulla soglia nel suo pittoresco dialetto calabrese
serrato e forte ; ti abbisogna alcuna cosa ?
Mi scossi e — vorrei entrare, dissi, se però me lo permetti,
donnina.
— Alla grazia vostra, mi rispose la donna, entra pure ec-
cellenza ma la povertà è tanta!
E io : — povertà non guasta gentilezza, risposi non sapendo li
per li trovare del mio una risposta degna alla urbanità delle
sue maniere. Mi toccò la veste e si baciò la mano : atto di ri-
spetto che non mancano di fare nelle grandi occasioni della vita:
ed io discesi nel sotterraneo.
La vecchia comunante che cardava s'alzò e mi fece il sa
luto ossequente del bacio sulla mano : io stesi le mie che strin--
sero entrambe con effusione, sorridendo d'una tal maniera straor-
dinaria in cui si vedeva la maraviglia vincere il piacere. Due
letti, 0 dirò meglio, due canili sui trespoli stavano nel fondo
coi rami d'ulivo e molte immagini di santi polverosi e affumicati,
amuleti di sai gemma di Longro, e cenci neri appiccicati al ca-
pezzale. È un s^no di lutto che la vedova non toglie so non
si rimarita, e che ad ogni lontano parente si attacca al muro di
casa e vi si lascia tutto il tempo che una loro leggo ordina in
un modo perentorio e imprescindibile. Il telaio piccolo e antico
per tessere, che non manca in alcuna casa né in alcuna iorre
era in un angolo ozioso colle me spole e l'aspo: un rastrello
di piatti scompagni di Lecce sopra uno Mtipo nero come le pa-
reti, un fornello che è ad un tempo il focolare e il simbolo
della cucina, i soliti orci rovesciati e alla rinfusa negli ang^>H;
e nello pareti tappezzate di ragnatele annose, padelle e tosti
sai barbacani scomposti. Una sacca, cuccuxza, da cai han le-
vato la polpa e i semi che han mangiato come una ghiottoneria,
ridotta a utensile tradizionale che utilizzano per una quantità
innumerevole di usi, mi colpi sul capo, avvenimento che colmò
di mortificazione le due comunanti, le quali ripulirono il mio
cappello colle loro mani sospette di non avere troppa intimità
coll'acqua tlellj Miotico HuM^'iito, e col loro grciiiliiulc di pcUu
70 IN CALABRIA.
frastagliato e impresso ch'esse chiamano, lo maniero o mantisinOf
forse Vantesinum dei latini.
Mi raccontarono la loro storia : una era vedova di un faii-
cante (bracciante) che mori nell'America: la felice memoria del
marito le aveva lasciato un figlio che dormiva con lei nel letto,
rotolato per pulizia sulle panche malferme 5 l'altra non era mai
stata maritata; d'origine albanese, venuta nei pressi di Cosenza
a servire un gran barone, nei tempi della sua gioventù, ne era
all' ultimo uscita poverella come vi era entrata e s'era conser-
vata nubile e pura malgrado le seduzioni da cui era stata cir-
condata nella sua età più bella. — Costei conservando il co-
stume del suo villaggio nativo aveva lo pizzietto (la froppa)
della camicia a spesse crespe rovesciata sul collo e sul seno
nella scollatura finita a cuore a metà del petto. 11 corpetto
senza maniche di panno scuro, orlato di rosso coi bottoncini
lucenti si chiudeva sul pettino rosso; e la gonnella di vecchio
castoro pure rosso col bordo verde a spesse pieghe all' ingiro
nel di dietro che scendevano giù fino al fondo, rovesciata al-
l' insù sul davanti e pittorescamente legata di dietro, lasciava
vedere la pannella (seconda gonna) più cupa di colore colla
fascia nera in fondo, ugualmente pieghettata che toccava il
collo del suo piede nudo. I capelli spartiti in due treccie dietro
alle orecchie in cui passava un nastro turchino (il nastro rosso
nelle treccie è delle maritate) e giranti intorno al capo erano
coperti da un fazzoletto legato stretto alla foggia montanina
che lasciava scorgere il volume delle treccie.
Il costume albanese di cui avremo ad occuparci un' altra
volta, non era conservato nella sua integrità, ma si staccava
da quello dell' altra comunante che era vestita di grosso saio
di lana naturale e portava il corpetto chiuso sul davanti.
Queste albanesi del cui linguaggio si occuparono insigni fi-
lologi, fra cui il D'Ascoli, non han nulla a fare colle popola-
zioni greche che adagiandosi per così dire, sulle indigene ai
tempi della grandezza romana, vi stabilirono la tradizione gre-
co-latina illustrata dall'abate Vincenzo Dorsa con tanto vantaggio
del mitologo, dell'etnografo e dello storico ^ questa colonia al-
' La tradizione greco-latina nei dialetti della Calabria Citeriore, per
Vincenzo Dobsa, Cosenza, 1876. — La tradizione greco-latina negli usi e nelle
credenze popolari della Calabria Citeriore, Cosenza 1879. — Il prof. Dorsa
contìnua alacremente i suoi studi e speriamo di vedere presto ampliate e
ristampate le sue dotte monografie.
IN CALABRIA. < i
banese che si estende sulle montagne lungo le provincìe di
Puglia, di Basilicata e delle tre Calabrie fino a Reggio e che
hanno mantenuto il linguaggio, i costumi, le credenze e i riti
del loro paese nativo, son forse coloro che fuggirono dall'Al-
bania nel secolo xv per sottrarsi al dominio turco. Trapiantati
in Calabria non si fusero coi calabresi: ci sono villaggi in una
lunga striscia di paese che si incatenano, come un fiume che
corre pel suo letto fra le due sponde: quando parlano il dia-
letto dell'ospite contrada lo fanno con accento perfettamente
diverso: il suono ne è meno rapido, meno tronco, meno ener-
gico, le immagini più semplici benché egualmente poetiche,
l'abito è più ricco, più sfolgorante, colle loro fioccaglie agli
orecchi cariche di perle, simbolo del loro Oriente lontano, mentre
le donne calabresi le hanno d'oro ad ampi anelloni barbareschi,
e li chiamano orecchini.
Delle due comunanti io capivo più Talbanesc che la cala-
brese pura, la quale però suppliva colla mimica espressiva del
suo paese: e stendeva le mani, le raggruppava in pu^i, le
rifregava toccandosi il mento, per dire non me ne importa :
stringeva le dita in punta per chiedere; le giungeva per pre-
gare; le storceva per indicare la sua povertà; allargava le
braccia perchè vedessi la miseria del suo aliog^o, baciava la
palma per dirmi che ammirava il mio gran sapere e si com-
piaceva della mia curiosità. E quando dopo un lungo chiedere
da parte mia e un lungo spiegare cogli occhi, colla lingua, con
tutta la persona da parte sua, arrivavo a comprendere qualche
cosa, la poverina per vezzeggiarmi guardava la comunanU e
diceva Cchi ammazzata ! — E questa è una forma tutta cala-
brese per mostrare ammirazione del sapere d'una persona, come
che volesse dire che accorta, che fino, che furba!
In un angolo al disopra della porticina c'era attaccato un
ferro di cavallo: gli soprastavaoo due corna dipinte e sotto c'e-
rano notiiti i due numeri fatati Vetta o il novr per allontanare
la iettatura. Volli rit»»ntnr<» l'esame sul grave problema: — E
perchè questo? chiesi
E la vecchia — IVI loru ijisctno, lignorìna.'
— E che cosa i il fascino?
— Ah ! fece la vecchia puntando 1* indice e il mignolo A terra:
ah! otto nove, otto novo!
' lì /ora-Zueimo, come lo Indie* in otctM paroU ó lo sfascinsre, lo scanUr
l'occhio dei marafaifiaBi, eoi qvaH I ealabrtsi Imo eomanl moltlsrfme er«denae.
72 IN CALABRIA.
— Ma perchè otto nove?
— Eccellenza: le streghe dicono sei e sette.
Era una spiegazione che ne valeva un'altra: forse la sola
che posson dare con quel terrore che ispira ai meridionali la
malia a cui prestan fede non soltanto i volghi: era infine una
cosa nova rompere il sette, il famoso sette cabalistico che per-
seguita l'umanità da seimila anni di storia umana, col numero
che vien presso : infine la comunante m' aveva detto qualche
cosa più degli altri, mi aveva data una ragione purchessia del
f ora-fascino, e io non me ne potevo lagnare. Uscii di là bene-
detta e baciata per aria dalle due femminuccie che mi accom-
pagnarono fin sulla soglia : la lista civile destinata al popolino
segnò nel suo bilancio un' uscita insolita; le comunanti non
avevano perduto la loro giornata.
Ritto davanti a una botteguccia lì presso con una berretta
celeste, il cui fiocco rosso ricadeva sull'orecchio sinistro, stava
un fiero garzone a guardarmi curiosamente, piantato a gambe
larghe sull'uscio, in maniche di camicia, una camicia straordi-
nariamente linda per quei paraggi. Spacciava vino e faceva il
tintore, perchè due matasse di bavella dai colori sfolgoranti rosso
e verde soliti agli albanesi, stavano appiccicate al di fuori come
insegna della doppia industria.
Una donna giovane e bella che era evidentemente sua mo-
glie coi grandi anelloni alle orecchie, carichi di piccole pallot-
toline tremolanti, lavorava la calzetta calabrese di lana nera con
un grosso gatto sulle ginocchia.
— Desideri alcuna cosa, signorina? mi chiese il giovane
colla domanda convenzionale del popolo. Risposi con un' altra
domanda dopo aver data una rapidissima occhiata al di dentro
della botteguccia : — Non hai qui il tuo letto come gli altri ?
— Oh! no signorina. Il letto l'abbiamo in casa: questa è
la bottega, fece egli con un piglio di industriale educato, che
si meraviglia a sentirsi a fare certe domande indiscrete.
— Scusami: tu dunque sei stato soldato!...
— Caporale dei bersaglieri a servirvi, signorina, esclamò
con solennità il giovane facendo il saluto militare come se si
fosse trovato davanti al comandante.
— Che bravo! gli dissi e gli tesi la mano ch'egli strinse
dopo di aver ripassata la sua sotto la piega del ginocchio.
Egli non aveva né Votto e nove, né il ferro di cavallo, né
le corna dipinte: egli non aveva il letto nella bottega, non
IN CALABRIA. ed
aveva la cuccuzza, non aveva gli amuleti di sale di Longro in
alcun luogo: la sua stessa sorpresa a sentirsi apostrofare sul
letto, quell'aria di baldanza onesta nel rispondere di essere
stato caporale dei bersaglieri, denotava che in lui si svolgeva
il periodo d'una civiltà nuova la quale s' infiltra insistente,
acuta, irresistibile e che rapidamente trasformerà le forze brute
d'una gagliarda regione in una forza intelligente e poderosa.
In mezzo a questo rinnovellarsi di gente, di tendenze e di
attitudini, nel cancellarsi di tutta un'epoca e di tutta una civiltà,
in mezzo a molte cose che sono o a noi sembrano fallaci, scom-
pariranno molti usi, molti costumi, molte credenze che oggi
danno il tipo d'un carattere fiero e antico pieno di forza e di
poesia. — La civiltà livellatrice cancellerà i simboli caratteri-
stici di un popolo intiero che studiato sulle roccie aspre e sel-
vaggie o nelle paludi o nei colli lussureggianti, colla lingua
mescolata, colle tradizioni autoctone, colle credenze e coi co-
stumi, darebbe forse la chiave di molti problemi d'indole scien-
tifico, dalla cui soluzione siamo ancora ben lontani. Ohimè! io
pensava davanti al caporale emerito dei bersaglieri, intanto ch'oi
mi parlava dei luoghi veduti, delle città ammirate, delle costu-
manze ch'ei si vantava d'imitare per uguagliarle e forse per
vincerle: ohimè! fra pochi anni non avremo più calabresi in
Calabria! Già il conico cappello coi vellutini a fiocco coperti
di spilli dalle capocchie lucenti, vanno cedendo il posto ai cap-
pelli a larghe tese, tutti simili da un capo all'altro della vecchia
Europa, da un capo all'altro della nuova America! — Qià lo
porcine artistiche e legate come gli antichi calzari di cui ci
parlano le leggende dei trapassati, van cedendo il posto ai lunghi
stivali e alle scarpe cogli occhiellini d'ottone: già lo storico
farsetto che ancora luccica co'suoi bottoni e si pavoneggia colla
vivace mostreggiatura, si nasconde sotto la giacca antiartisca
che atteggia tutti gli uomini In nn modo solo; già impallidi
scono le pompe funebri e le natalizio, e lo nozze e le aro van
perdendo il loro carattere gaio e scìntlUumi. Aliìinr.» V.m «uni
sono più calabresi in Calabria!
Non dissi i mici pcnAieri al caporale emerito, il quale segui-
tava a guardarmi con una corta curiosità insoddisfatta pel mio
silenzio, che egli avrà interpretato forse sfavorovolroonto : tanto
è vero che voleva persuadermi di essere meno calabrese di
tutti; nel che io co' miei gusti non potevo dargli ragiono. K
tirai via fantasticando fino al vallone di Hovito dove un sasso
74 IN CALAimiA.
e una croco ricordano una tragedia pietosa e insieme terribile,
una pagina di storia italiana, uno dei primi bagliori della nostra
libertà, che rifulgerà nel buio de'secoli come la face d'un'ara e
come una stella.
Nel profondo d'una valle misteriosa, che nell'inverno diventa
un fiume, fra due colline congiunte da un ponte cupo e mesto,
di fronte alla città che a guisa d'anfiteatro bianchiccio, colle
case addossate le une alle altre, si adagia sul colle fino al Grati,
dove le lavandaie sbattono furiosamente i panni lavati, e dove
si tien mercato durante la state, nel seno d' una collina uber-
tosa caddero i fratelli Bandiera coi loro compagni gloriosi. —
Dall'alto del castello che sovrasta alla città per fulminarla, i
prigionieri politici di que' tempi nefasti sentirono l'eco di quei
colpi nel loro cuore ; ed essi morirono là mandando ai loro com-
pagni e all'Italia il loro estremo saluto.
Sotto un ciriegio annoso che ancor stende, i suoi rami lus-
sureggianti al disopra del vallone, fra le viti cariche di grap-
poli ben promettenti caddero davanti alla città esterrefatta e ai
montanini fuggenti all'immane spettacolo: caddeio nella polve
di quel vallone profondo mentre le vie si disertavano di popolo,
mentre si chiudevano le finestre e le botteghe, come usiamo di
chiuder gli occhi per non vedere un fatto orrendo o un pericolo
minaccioso.
Melanconico pellegrinaggio è questo che fa piegare il gi-
nocchio davanti al simbolo di un gran martirio rinnovato per
l'amor della patria : il pastore passa di là borbottando un requie,
e facendosi il seguo della croce, il torriere in ritardo presso le
ventiquattro, allunga il passo quasi temendo di vedervi errare
fantasmi non placati e si leva religiosamente il suo cappellino
con reverente pietà.
Una lagrima cade dall'occhio del cittadino e del cristiano
quando il torriere vi dice che al giorno della traslazione di
quelle ceneri gloriose, la città e i villaggi per cui passò il fu-
nebre convoglio, dove le strade erano troppo strette per quel
gran carro trionfale, que' popoli atterrarono i muri delle loro
case e le coprirono di drappi neri per dissimularne le rovine.
Nessuna regione come la Calabria, che ha nel sangue e nella
tradizione l'istinto dell'indipendenza che ha combattuto con Spar-
taco la prima guerra servile, e con Garibaldi 1' ultima guerra
della libertà, che ha avuto un brigantaggio politico e un bri-
gantaggio avventuroso pieno di fascini, poteva comprendere cosi
IX CALABRIA.
iO
pienamente i fratelli Bandiera che nelle foreste della Sila ave-
vano avuto comuni con essi come tenda il cielo, come letto la
terra e come testimonio Iddio.
Mi correvano alla niente le strofe affettuose del Chiodi '
tolte forse alle canzoni pittoresche delle montagne calabresi e
ripetevo tra me, seduta ai piedi della croce di ferro, come una
preghiera e come un voto.
Fior d'erba amara
Ahi ! mesta come l'ora della eera
É la memoria di cotesta bara.
Fiorìn di lino
Troppo gentil vi fé' di Dio la mano
Che nasceste e moriste in un mattino.
Fior di cipresso
Nel Vallon di Rovito manca an saaso
Ma vi ricorda il cittadino oppresso.
£ intanto sall'alto del colle un giovinetto calabrese sonava
la zampogna: vicino a lui pascolavano le capre affettuose e lo
pecorelle ingenue: egli era sedato sopra un tronco d'ulivo rove-
sciato e stendeva le sue gambe onde penxoloni sul vallo. Vicino
a lui un altro cantava : forse la selvaggia civetteria dei giova-
netti che avevano odorato la forestiera a' piedi della croce era
rimasta eccitata e volevano attrarre la mia attenzione. La me-
lodia mesta e lunga giungeva a me con le parole incerte e con-
fuse del dialetto: la zampogna rauca e nasale con il suo ventre
pieno d'aria accompagnava il dolcÌ88Ìnio canto:
Janoa cchiu de la carta diiicata
Rossa eome lo mito de la riemo :
La naama cbe ti fioe fa na fiua
E ti mantenae de booao eavienio:
Ti fiee sta vccoeda iggrssiata
Chi sette OMle e maana astate o ricmo
81 sta meenna toa fbrrie raeiata
N'anima caoeeHs de intra la'aflemo.
Gettai dei soldi agli artisti sotto il ctriegio che vide rosseg-
:->ro le glebe del sangue de' martiri fratelli, colsi lo marghe-
.<; ivi nate eome il nujoBoti» di <|ucllu tombe, e risalii me-
stamente in Cosenza.
Caterina PiooRiNi-BKRr.
* Queste strofe eoo stampate seosa il none dell' aatore In una raceolta
▼erti di molti egregi patrioti eoeentini nei giorni in cai fonmo disamate
e traalMtc in Vencsia le ceneri dei fratelli Ikndicra, e Domeoieo Moro.
I GHIACCI POLARI '
III.
Influenza della temperatura annuale sullo sviluppo
delle due ghiacce polari.
1. Problema della sproporzione — 2. Probabile uguaglianza della media
temperatura ne'due emisferi — 3. Eccessi del clima boreale e uniformità
dell' australe — 4. Teri-e magellaniche — 5, Regioni circumpolari —
6. Il mare australe non gela — 7. La sproporzione delle due ghiacce
non dipende dal freddo o dal caldo — 8. Supposta influenza delle cor-
renti marine — 9. Circolazione marina nell' emisfero boreale — 10.
Correnti artiche — 11. Circolazione antartica — 12. L'oceano artico è
certamente più caldo — 13. Valore minimo di una tale influenza nel
proposto problema.
1. L'articolo precedente ci ha posto di fronte un problema
il quale, per la speciale accentuazione e la grandiosità del fe-
nomeno che lo costituisce, va indubbiamente annoverato tra i
pili importanti per la fisica terrestre e per la geologia. Quale
sia la sproporzione tra le due ghiaccie polari l' abbiamo già
detto. S'allarghino o si restringano i suoi limiti, secondo i dati,
sempre approssimativi, da cui ciascuno volesse partire, q\iella
sproporzione rimarrà sempre enorme. Io ho creduto di poter
assegnare per limite medio alla calotta artica, coperta più o
meno stabilmente di ghiacci, il 75° parallelo, e il 55° alla ca-
lotta antartica : avremmo adunque, come si è già detto, tra le
rispettive aree glaciali il rapporto di 9 a 46 milioni di chilo-
' Continuazione, vedi fascicolo del 1° Giugno.
m
I GHIACCI POLARI. 77
I
metri quadrati (più esattamente di 8,870,477 a 45,914,187); il
che vuol dire che la ghiaccia antartica occupa un' area quasi
cinque volte maggiore di quella occupata dall'artica.
Prego il lettore a non volersi stillare il cervello nell'esame
0 nella critica di queste cifre, avendo io già ammesso che a
costituirle c'entra per qualche parte anche l'approssimativo e il
convenzionale, come appare dai particolari esibiti nei precedenti
capitoli. Ma badi bene che lo scopo di questo scritto non è
quello propriamente di fissare l'estensione e la potenza rispet-
tiva delle due ghiacce. Quali sieno o possano ritenersi quelle^
la sproporzione di queste è e sarà sempre enorme. Qui sta la
questione. Questa sproporzione e' è già calcolando all' ingrosso
la sola relativa estensione; ma e' è ben dell'altro, se ci facciamo
ad indovinare, come meglio si possa, il relativo spessore e la
massa delle due ghiacce polari. Nel calcolo della relativa esten-
sione naturalmente abbiamo sommate insieme tanto le aree ma-
rine coperte di ghiacci quanto le terrestri. Ora, ammessa la
esistenza del mar polare artico, avremmo la calotta artica entro
il 70** di latitudine, occupata per la maMÌma parto dal mare,
coperto di una ghiaccia avventizia, ed anche assai probabil-
mente libero, almeno nella stagione estiva. Entro lo stesso pa-
rallelo a Sud dobbiamo collocare invece, come credo d' avere
con tutta certezza dimostrato, un continente ; e questo tutto co-
perto di uno strato di ghiaccio, al quale dobbiamo assegnare
parecchie centinaia ed anche migliaia di metri di spessore. 11
volume della ghiaccia antartica su queir area soltanto dev' es-
sere adunque due, tre ed anche quattro volto maggioro di
quello della ghiaccia artica sull'area corrispondente a Nord. I
mari intemi di ghiaccio, sotto i quali éono sepolte le terre bo-
reali, lasciano allo scoperto, durante l'estate, una sona littorale
che si eleva fino a considerevole allessa. Il gran mare di ghiaccio
che ricopro il continente antartico, è invece tutto d' un pesso,
discendendo costantemente fino al livello del vero mare, sicché
non lascia scoperto neppure il più piccolo lembo di lido. Qui
insomma Vltdandeit non si separa dai ghiacciai, ai quali sol-
tanto nelle regioni artiche è concesso di raggiungere il mare.
Si aggiunga che la ghiaccia continentale antartica si distende
in genere molto al di qua del 75* parallelo. Se il Rois, nel
▼iaggio alla Terra Vittoria, incontrò la barriera di ghiaccio
verso il 70* di 1 • Biseoe se la trovò invece di fronte
al (**f^*, e pot»' coa! ,.^ ...« essa l>arrìe'ra, ossi» «1 '"••^finente an-
78 I GHIACCI POLARI.
tartico (come non dubita di esprìmersi in proposito Dumont
D'Urville) dal 100» fino al 170" di longitudine Ovest. I ghiacci
galleggianti, sotto forma di montagne, isole o campi di ghiaccio,
tra il 50" e il 70" di latitudine Sud, sono in genere più radi
di quelli tra il 75° e 1' 83" di latitudine Nord: ma, per com-
penso, sono anche considerevolmente più grossi e smisurata-
mente più estesi.* Anche le terre più avanzate verso l'equatore
nell'emisfero australe sono tutte coperte fino al mare di nevi e
di ghiacci, e circondate da terribili banchi di ghiacci galleg-
gianti. La Terra di Graham, per esempio, tra il 64" e il 67"
di latitudine, basta a darci un' idea dell' enorme sviluppo dei
ghiacci antartici. Tutta quella terra (così si legge nel viaggio
di Dumont D' Urville) ad eccezione dei due capi che si proiet-
tano a Nord, era coperta di nevi e di ghiacci, che si levavano
a picco sul mare, talora fino ad altezze di 2000 ed anche di
3000 piedi. Il mare, scatenandosi furioso contro l' invincibile
barriera, ne staccava enormi pezzi, che se ne andavan via gal-
leggiando sul mare. Soltanto verso Sud-Ovest la Terra di Gra-
ham si mostrava spoglia di nevi, sopra una lunghezza di 20
miglia, oltre le quali vedevasi un grande ghiacciaio discendere
da un monte di 2000 piedi d'altezza, e presentare al mare una
fronte colla solita forma di una muraglia di ghiaccio. Anche le
isole Schetland, poste verso il 63" di latitudine, sono descritte
dal Weddell come formate di monti altissimi, coperti dalla testa
fino ai piedi di nevi e di ghiacci. Nelle stesse condizioni si
trova nelle parti più elevate, sopra vastissime estensioni, la
Terra del Fuoco, anche secondo la recentissima descrizione
fattane dal Bove. * Non si dimentichi che la Terra del Fuoco
si trova verso il 55" di latitudine Sud, dove cioè sorgono a
grandi altezze nell'opposto emisfero le montagne della Scozia.
Non mi arrischio a far calcoli ; ma, dopo tutto questo mi pare
che si possa senza paura assegnare ai ghiacci antartici, in con-
II Weddell a 58° di latitudine incontra 5 grandi isole di ghiaccio. Verso
il 60° lo troviamo già nel cuore dei ghiacci galleggianti. Tra il 60° e il 61°
attraversa una smisurata catena di isole di ghiaccio. Queste si fanno cosi
numerose verso il 69» da rendere molto difficile il navigarvi nel mezzo. Ne
conta su breve tratto 66. A 61° nel ritorno verso Nord, incontra un campo
di ghiaccio, e lo costeggia per 20 miglia senza trovarne la fine. Tra il 63*
e il 61° è una lotta continua tra infiniti ghiacci galleggianti e centinaia di
enormi isole di ghiaccio. Palmer, Powell e Brausfield sono arrestati da
banchi di ghiaccio tra il 60" e il 64» di latitudine.
' Eapporto del tenente Giacomo Bove, Genova, 1883.
m
I GHIACCI POLARI. 79
I
I
fronto cogli artici, uno sviluppo, ossia una potenza complessiva,
non solo di 5, ma di 10 ed anche di 15 volte masrsiore.
*OD'
2. Come va dunque questa faccenda, se (ripetiamo quello
che abbiamo già detto nel primo capitolo) le condizioni dei due
emisferi, nei rapporti astronomici, cioè di fronte alla grande,
anzi unica sorgente di calore che è il sole, sono le stesse?
Quando l'ultimo raggio saluta il polo che si sommerge nel buio
di una notte di sei mesi, già il primo sorride all'altro polo che
ne emerge, per bearsi di sei mesi di giorno. Cosi una notte e
un giorno, di sei mesi ciascuno, si alternano con assidua vece
sulle due estremità dell'asse del globo. È vero che il semestre
di giorno è nell' emisfero boreale alquanto più lungo che nel-
l'australe. Sappiamo però che quella piccola quantità di calore
in più di cui il primo potrebbe, per questa circostanza, fruirò
è poi elisa dalla maggiore distansa a cui si trova il pianeta
dalla fonte calorìfera, quando il sole passa a Nord dell' equa-
tore. La differenza in ogni caso è tanto minima, che non si
saprebbe assegnarle un valore qualunque. In nltima analisi
ciascuno dei due emisferi ha, con egual misura ripartiti, i suoi
soli, i suoi tepori di primavera, e i suoi bollori d'estate, come
i suoi freddi invernali. Come va adunque, ripeto, che tra lo due
ghiacce polari si verifichi una sproporzione cosi colossale? Se
il cielo ci nega recisamente qualunque ragione del fatto di cui
cerchiamo la spiegazione, è giuocoforza cercarne alla terra. Non
sappiamo già forse come sotto gli stessi soli, nelle stosse lati-
tudini, ci sono tanti climi diversi, secondo le altexze, l'esposi-
zione, là natura del suolo ecc. ecc.
Alcuni, come abbiamo già detto, ammettono senz'altro che
australe dev'essere più freddo del boreale. È vero
.j..c^v./ i.»ito? — Gioverà accertarcene fn modo che non ' i'
manga più nessun dubbio sul si o sul no.
Non e' h fenomeno più complesso di quello della distribu-
zione del calore sulla superficie del globo. Io sono profouda-
racnto convinto che, stante TaccennaU identità dei rapporti tra
i due emisferi e la fonto calorifera che è il sole, la media tem-
peratura dev'essere per l'uno e per l'altro molto approssimati-
vamente la stessa. Il nolo, ripeto, largisce con egualo misura
ài due emisferi i suoi raggi vitali. Non c'è nessuna ragiono che
lo spin-a a guardare con occhio più benigno quello piuttosto
che qucBto. La ra;^ione adunquj della sproporzione tra lo ghiao-
80 I GHIACCI POLARI.
eie polari deve dipendere dalle condizioni speciali degli emisferi
medesimi, come dipende dalle diverse condizioni dei terreni se,
sotto lo stesso sole, uno è sterile l'altro fecondo.
3. In ogni caso, per riguardo a certi fenomeni, ed a quello
nominatamente di cui ci occupiamo, l'efficacia maggiore va at-
tribuita non tanto alle medie, quanto alle massime ed alle mi-
nime temperature che si verificano nei diversi punti della su-
perficie terrestre, secondo le diverse stagioni. Non possiamo
troppo dilungarci nella dimostrazione di questa tesi, la cui ve-
rità fu luminosamente messa in sodo dalla geografia botanica.
Mi appoggerò dunque soltanto ai fatti che nessuno può igno-
rare. È noto quali enormi distanze si verifichino tra i massimi
e i minimi di temperatura nelle zone fredde o temperate del
nostro emisfero, specialmente sulle rive dell'Atlantico. Ai calori
sahariani di New-York e a quelli quasi sahariani che ci si fanno
sentire annualmente anche ai piedi delle Alpi, si oppongono
tali geli d' inverno, da farci credere talvolta trasmigrati sulle
rive dell' Obi. La differenza tra 1' estate e l' inverno è ancora
più spiccata nelle regioni polari, dove, se il termometro discende
fino a 46 ed anche talvolta fino a 56 gradi sotto zero nei mesi
del freddo, non si dimentica però di salire nei mesi del caldo
fino ad 11 gradi sopra.
Le cose camminano ben diversamente nell'emisfero australe
dove il clima è da lungo tempo segnalato per la sua, relativa
sì, ma spiccatissima uniformità, e conseguentemente per la sua
mitezza. Della Nuova Zelanda, per esempio, si parla come d'un
paradiso terrestre, tanta è la bontà, e specialmente l'uniformità
del suo clima. Non parliamo dell'isola a Nord, che spiega tutta
la pompa di un clima tropicale, ma si trova anche sotto lati-
tudini corrispondenti a quelli della Sicilia e di Malta. Il sin-
golare è quello che si osserva nella grande isola a Sud, la quale
sta neir opposto emisfero quanto alle latitudini, in corrispon-
denza colla regione dei due versanti delle Alpi. Là, come ho
già accennato, dove pur discendono i ghiacciai dalle cime di
una catena altissima di montagne fino a soli 500 metri sul li-
vello del mare, il clima è così temperato, che agli stessi ghiac-
ciai fanno cornice, fino a grande altezza, vergini foreste, com-
poste delle essenze più delicate, di felci arboree, di Aralia, di
Dracoena, le quali, al dire di Ch. Martins, non potrebbero sop-
portare il clima della Provenza.
r
I GHIACCI POLARI. SI
4. Ma nulla può darci un'idea adeguata di quel genere di
clima, che può dirsi sconosciuto affatto alle regioni a Nord del-
l'equatore, meglio delle terre che costeggiano lo stretto di Ma-
gellano. Son esse le terre più meridionali abitate da uomini
civili, e quasi possiam dire anche da popoli selvaggi. Una co-
lonia che ormai può dirsi florida è quella di Punta-Arenas,
a .óó** di latitudine sud. Devo i seguenti particolari, non difformi
del resto da altri riportati dagli autori, all' Ing. Francesco Gior-
dano, che li raccolse durante il suo viaggio di circumnavigazione,
e precisamente nell'ottobre del 1875.
Il clima della costa ovest del Chili, così mi scrive.» n l.mì-
dano, specialmente nella regione degli stretti Magellanici, è molto
singolare per certi fenomeni e certi contrasti, massimamente
per riguardo alle temperature medie ed estreme. Mentre, per
esempio, vi regna un clima assai temperato ; mentre il mare non
vi gela mai in nessun punto, né il termometro discende di molto
sotto lo zero; mentre vi sono boschi assai folti in riva al mare,
composti in genere d'una flora temperata, e vi abbondano pap-
pagalli *, mentre, dico, si osserva tutto questo, si vedo d'altra parte
molto bassa la linea delle nevi perpetue, la quale oscilla a circa
650 metri sul livello del mare, e non pochi ghiacciai discendono
fino al mare anche prima del 50* di latitudine. Ma colla linea
delle nevi perpetue cosi bassa, coi ghiacciai che discendono
no al mare, la media della temperatura annuale delle terre
agellaniche è di 7* cent., e la minima assoluta non giunge mai
a — 7* cent Tuttavia anche la massima estiva non si eleva mai
molto alta. Insomma il clima di quelle terrò non può «ì
un clima freddissimo, se si guarda all'inverno, nò u i
caldo, se si guarda all' estate. Cosi nello folto foreste dove
domina il Fagu» Aniarticay il quale perde le foglio d' i
vidi delle f\idm4 (dice il Giordano) ed altri arbo&..... ;.i
climi assai caldi. Con questo elima né caldo, nh freddo, non
farà meraTÌgUa quest'altra circostanza notata dal Giordano,
cioè che su quelle terre, e precisamente a Punta- Aromis
(5.^ di latitudine), i cereali ri crescono benissimo, ma poi, per
difetto di alti calori estivi, non tempre vi giungono a maturitA.
Ci dice invece benissimo il pascolo, il quale non teme altro. >i
può dire, che i grandi calori; e ci dice per conseguenxa bcm^
timo il bestiame bovino, che stante la raitosrji doli' inverno può
starvi tutto l'anno all'aperto. Anche il mare nello Stretto è assai
temperato. Nell'ottobre (cioè alla fine dell' InTemo por quei poitìX
T*b. XL, S«rl« Il — 1 L««1U IMI
82 I GHIACCI POLARI.
segnava una temperatura di 6 gradi e mezzo sopra zero. Ci
vivono delle conchiglie di specie affini a quelle dei mari più
temperati. — Possiamo noi nel nostro emisfero formarci un'idea
di un clima cosi uniforme? Lo potremmo massimamente sotto le
nostre latitudini tra il 40° e il 55*, cioè tra la media Italia e
la Scozia?...
Più in là dello Stretto di Magellano saranno certamente meno
miti gli inverni. Se leggete la descrizione della Terra del Fuoco,
dataci dal Bove in uno degli ultimi fascicoli della Nuova An-
tologia, e a parte nelle pubblicazioni del Comitato per la Spedi-
zione Antartica, nulla di certo v' inviterà a seguirlo su quelle
coste disastrose, a pie di quei monti, coperte da cima fondo di
nevi e di ghiacci, e continuo bersaglio delle più atroci tempeste.
Nulla però vi lascia l' impressione di quei freddi, che, sotto
uguali latitudini a Nord, coprono annualmente d'una crosta di
ghiaccio il mare nelle Baie d'Udson e di Foundi. Vediamo i
Fueghini accontentarsi del loro mantello di guanaco, che in
istile classico panneggia i nudi corpi, e molto spesso farne a
meno se occorre. I loro Wigam sono semplici mucchi di fascine
piuttosto che capanne. Dell' Isola degli Stati, estrema appendice
dell'America meridionale verso Est, cosi scrive il Bove: u Po-
vero clima che è quello di tale remota contrada! Umido e
freddo, i due più terribili nemici dell'umana struttura, non
danno tregua, ri Ma poi tosto soggiunge che, « anche nelle gior-
nate più calde dell'estate, il termometro s'innalza dificilmente
sui 12 gradi,e non raro è dato vedere, durante l'estate, le cime
delle montagne {alte soltanto da 500 a 800 metri) coprirsi di
neve *. n Dunque freschissima, per non dir fredda, è 1' estate.
Altro non manca se non che sia mite F inverno : e che lo sia
(sempre relativamente parlando) lo dicono i folti boschi di piante
d'alto fusto che rivestono i monti fino a 300 o 400 metri d'al-
tezza, e la mancanza di nevi persistenti sopra montagne che si
«levano fino all'altezza di 800 metri. Questa assenza di nevi
perpetue è fenomeno veramente maraviglioso, in quella località,
dove nevica talvolta anche d'estate, e dove l'acqua cade, come
ne assicura il Bove, in prodigiosa abbondanza. Tanto più ma-
raviglioso quando si riflette che ci troviamo almeno di un grado
più a sud dello Stretto di Magellano, dove abbiam visto le nevi
perpetue non arrestarsi che all' altezza di 600 metri sul livello
' Bove, Patagonia, ecc., Genova, 1883.
I GHIACCI POLARI.
83
del mare. Qualche cosa di più positivo circa la mitezza del clima
invernale nella Terra del Fuoco ce lo dà lo stesso Bove nel
seguente periodo, dove parla dell' inverno passato nel canale di
Beagle, a Non eravamo che al principio di maggio e già l'in-
Temo annunziavasi sotto cosi cattivi auspici. Fortunatamente non
fu questo che un falso allarme, e più mite inverno di quello
da noi speso nel canale di Beagle, mi si disse non essere ricor-
dato a memoria di uomo. In sole due o tre occasioni fummo
visitati dalla neve, ed in cosi piccola quantità che dopo pochi
giorni essa era completamente sparita. I mesi di giugno e di
luglio, il cuore dell' inverno, furono straordinariamente belli; per
giorni e giorni non un alito di vento, non una nuvola che mac-
chiasse un cielo limpidissimo, si che più volte mi domandai
se quelle erano le stesse terre che Fitz Boy e Darwin dipin-
sero con si tristi colori. Ma, ripeto, il nostro fu un anno ecce-
zionale, n Si pigli pure l'eccezione come eccezione; ma non
dobbiamo dimenticarci di essere al 55* di latitudine, dove cioè
nell'opposto emisfero troviamo i! Labrador, le Aleuzie, il Kam-
sciatka ed altre terre famose per rigori invernali, e quali inverni
si passino sotto le stesse latitudini anche nel Nord Europa,
benché goda, in via tanto eccesionale, dei favorì della corrente
del Golfo.
b. Ma ']':n 'i iiu'iei pure, sulla via dei più arditi navi<;aton,
fino al pi- '1<- <1>11 i muraglia di ghiaccio che segna i confini tra
il grande Oceano e il Continente Antartico, cioè tra il 68* e il
78* di latitudine Sud. Qià sulle coste delle Orcadi del Sud, verso
il 00* di latitudine, navigando col Weddell, vedremo il ghiac-
cio formarsi nelle baie durante l'invomo. Esso tuttavia si scio-
;_']i- d'estate. Appena all'aperto poi il mare, tutto all' ingiro di
<|u<;llc ìhoIc, benché infestato dai ghiacci galleggianti, si man-
tiene sempre liquido anche sotto ai massimi rigori invernali, e
sulle isole stesse, quando toma la calda stagione, verdeggiano
i pia-li, viiiitati da stormi infiniti d'urcclli. Oltre quello torre,
dove tuttavia il Wcddoll ammirò gli sterminati ghiacciai, trovò
che il clima si raddolciva invece di farsi più freddo. Fin oltre
il G4* il termometro all'ombra segnava 2*,78, e al sole 8*,49, e
la temperatura delle acque 0*,66. Questa temperatura del mare
cresceva poi fino a 1*,11, mantenendosi tale con singolare co-
stanza, sicché era ancora la stessa a 66*,26, di latitudine, dove
'|ii< Ila dell'aria era dÌHcesa n 1*.67. La stoHaa temperatura del
84 I GHIACCI POLARI.
mare lo accompagna nel suo viaggio tra il 70° e il 73" di la-
titudine, durante il quale navigò sul libero mare, dove non ap-
l.^ariva quasi nemmeno un briciolo di ghiaccio.
Lasciamo il Weddell, per farci dappresso a Dumont D'Ur-
ville, per seguirlo nel suo felicissimo viaggio fino alla Terra
Adelia. Anch'egli trova il clima mitissimo a Sud del capo Horn :
i minimi segnati dal termometro sono di — 1° a — 3°, non
mai inferiori a 6° sotto lo zero. Infine la temperatura più bassa,
di cui io abbia trovato farsi menzione finora nelle regioni cir-
cumpolari antartiche è quella di — 12° centigradi, esperimentata
il 2 febbraio del 1839 da Ross, sotto l'estrema latitudine finora
raggiunta, che è quella di 78°,4 di latitudine australe. E vero
che le celebri spedizioni di Weddell, Ross e Dumont D'Urville
furono eseguite nella stagione estiva, la quale già per sé doveva
essere benigna di mite temperatura : è vero che, in apparante
contraddizione con quello che vogliamo dimostrare, sta il fatto
già ammesso, che l'estate è larga alle regioni polari artiche, di
caldi maggiori di quelli trovati dai nominati viaggiatori nelle
antartiche. Cominceremo però a notare che nelle artiche regioni
(come anche nelle temperate a Nord) vi sono sovente tali sbalzi
di temperatura che vi riconducono l'inverno nel cuore dell'estate.
Basta leggere infatti il viaggio dell'Hayes, per vedere di quali
freddi sia capace anche l'estate nelle regioni circumpolari ar-
tiche. In ogni caso, se dalle temperature invernali provate in
latitudini già molto alte, come quelle della Terra del Fuoco e
delle Orcadi del Sud, è permesso di conchiudere a quelle delle
regioni antartiche più prossime al polo, non potremo mai nem-
meno supporre che nell'emisfero australe possa discendere a
— 45°, e fino a 67°,55 come avviene talvolta in Siberia appena
oltre il 60° di latitudine. Tanto ci basta, perchè non ci sia più
permesso di attribuire ad un freddo maggiore il maggiore svi-
luppo dell'antartica ghiaccia. Del resto, nel difetto di dati po-
sitivi, valga, tra le altre autorevoli testimonianze che potrei ci-
tare in favore della mitezza e uniformità del clima australe,
quella del tanto celebre quanto coscienzioso navigatore, il quale,
forse più d'ogni altro, si trattenne nei mari australi, percor-
rendo in lungo e in largo la mobile zona smisurata degli an-
tartici ghiacci. — L'esperienza, così si legge nel viaggio di
Dumont D'Urville, ci conduce ad ammettere che le medie sono
quasi uguali, sotto uguali latitudini, nei due emisferi. Ma il fatto
caratteristico del clima australe è la su» molto maggiore uni-
I GHIACCI POLARI.
85
formità, quindi l'assenza di quegli estremi di freddo e di caldo,
che caratterizzano invece il clima boreale. Le linee isotermiche,
che oscillano cosi sentitamente tra paralleli posti a distanza di
decine di gradi l'uno dall'altro a Nord, sono molto più regolari
a Sud, girando ciascuno quasi in perfetta coincidenza col ris-
pettivo parallelo. — La sintesi di quanto abbiam detto la tro-
viamo in questo periodo del Grange, che scrisse la parte fisica
del viaggio di Duraont D' Urville, conchiudendo cosi : u Dana
l'hémisphère austral la temperature varie très-peu dans les dif-
férentes saisons, en sorte que les voyageurs soni étonnés d'y
trouver des étés très-frais et des hivers tempere», n
6. Questo tenersi del clima antartico sempre lontano dagli
estremi mi persuade sempre più che sia un fatto quello che mi
parve d' intravedere in quel tanto delle spedizioni antartiche che
mi fu dato di leggere, senza mai trovarvi nò una affermazione, nò
una negazione in proposito. Il fatto sarebbe questo che l'Oceano
australe, almeno al largo, non geli mai, anche nel cuore del*
l'inverno. Leggendo per esempio il viaggio di Dumont D'Urvillc,
non m'incontrai in nessun panto dove si dicesse che egli abbia
veduto gelarsi il mare immediatamente, o incontra' ' perto
da una crosta di ghiaccia che dovesse dirsi in ionie
formata dal suo immediato congelamento. Ansi il tanto discu-
tere che si fece allora tra gli stessi compagni di Dumont d'Ur-
ville, poi delle opero e dei giornali di quell'epoca, sull'origine
della cosidctta banqui§e, esclude positivamente il fatto d'essersi
veduti formare dei campi di ghiaccia marina pel congelamento
del mare. Se lo avessero veduto, quelli che sostenevano essere
la ghiaccia antartica, non già una terra, ma un peno di mare
gelato, non avrebbero mancato di mettere in campo almeno
questo che poteva dirsi argomento di fatto. Anche quelli che
volevano la hanquise, ossia la ghiaccia mobile, formata dal mare,
confessano però sempre che essa consta di pexsi di ghiaccio
insieme saldati. Bisogna dunque coneludere che il mare antar-
tico non gela, a meno che ciò non avvonga in casi eooesionali,
come quando nell'opposto emisfero si son visti gelare il BaU
tico, il Mar Nero, ed altri pczai di mare, che ordinarìam«Bte
non vanno soggetti al gelo invernale. Perchò infatti gelereb-
bero gli antartici mari? Sappiamo già che ci vuole un gran
freddo perchò il mare geli anche nelle baie. Bastano forse i 14,
i '>n .rrfi,.]; notte zero, che si verificano sovente d'iuTomo an-
86 I GHIACCI POLARI.
che da noi, perchè si congelino anche per poco, nelle rispet-
tive baie, l'Adriatico, il Mediterraneo, e i mari che bagnano
le coste dell'Inghilterra e della Scozia ? Appena è se si conge-
lano tra il 55" e il 65° di latitudine i golfi poco profondi di
Botnia e di Fidlannia. Al largo poi è un caso, come s'è visto,
se può congelarsi anche il mare Artico, nelle latitudini piìi inol-
trate verso il polo. La ragione è chiara. Un corpo d'acqua com'è
il mare, che anche nella latitudine più elevata verso il polo
discende ben difficilmente un grado sotto zero; un corpo di
acqua in continuo moto, continuamente rimescolato dai venti
e dalle correnti marine, le quali di continuo riversano le acque
fredde dei poli verso l'equatore, e le acque calde dell'equatore
verso i poli; un tal corpo d'acqua, dico, ha ben di che resi-
stere all'influenza di una temperatura atmosferica anche di 30'
a 40' gradi sotto zero. Per ciò appunto abbiam visto l'Oceano
circumpolare artico rimaner libero al largo anche nei massimi
rigori del verno. Dal momento che la Vega si trovò il 28 set-
tembre presa nella ghiaccia, formatasi lì per li in vicinanza
della terra sotto il 67° di latitudine, la temperatura, dice il Nor-
denskjdld si mantenne, dall'ottobre al maggio, sempre al disotto
di — 20'. Si può stabilire adunque che ci vuole una tempera-
tura almeno di — 20' perchè il mare si congeli in vicinanza
delle terre: sempre inteso che non basteranno alle volte nem-
manco 40' gradi .sotto [zero perchè geli al largo. Ciò vale in
ispecial modo per l'Oceano antartico, tutto libero, tutto d'un
pezzo, dove si riversano continuamente le correnti marine, i
bollenti Oceani Indiano e Pacifico. Concludo perciò essere al-
meno molto probabile che l'Oceano antartico, dove certe estreme
temperature non si verificano mai, non si congeli durante l' in-
verno, salvo forse, in via eccezionale, sulle coste di quelle rade
isole che rompono l' immensa uniformità dell' Oceano australe.
7. In ultima conclusione poi tutto ci porta ad ammettere che
il clima invernale sia nell' emisfero australe sensibilmente più
mite che nel boreale. Commetterebbe dunque un errore gros-
solano chiunque affermasse doversi ripetere da un freddo più
intenso o più diuturno il maggiore sviluppo dei ghiacci an-
tartici, in confronto degli artici; mentre invece, quanto alla
temperatura delle due calotte polari, ci sarebbe tutta la ragione
del contrario; la ragione cioè di uno sviluppo maggiore degli
artici che degli antartici.
I GHIACCI POLARI.
87
Quello che è certo intanto è questo, che tanto le terre cir-
cumpolari artiche, quanto le antartiche (queste anzi assai più)
sono coperte di neve. Vi è dunque nell'uno e nell'altro emisfero
un freddo sufficiente, perchè i vapori che si concentrano in
seno all'atmosfera si convertano in neve, tanto d'inverno, quanto
(almeno a certe altezze) d'estate. Questo ci basta. Data co-
desta condizione, la questione della temperatura relativa dei
due emisferi si può lasciare decisamente da parte, almeno
per ciò che riguarda la formazione della ghiaccia terrestre, per
cercare invece quali possano essere le ragioni per cui, data
nell'uno e nell'altro emisfero una temperatura sufficiente pel
congelamento dei vapori atmosferici, ossia per la loro trasfor-
mazione in neve, venga a cadérne una quantità maggiore sulla
calotta artica che sull'antartica. Infatti dalla quantità maggiore
0 minore di neve cadente dipenderà naturalmente lo sviluppo
maggiore o minore dei ghiacci terrestri, e quindi lo sviluppo
maggiore o minore dei ghiacci galleggianti che ricoprono i mari.
Prima però di lasciare affatto a parte la questione della
temperatura, si può far questione se, non avendo essa inflaenza
sullo sviluppo della ghiaccia terrestre, non lo possa avere di-
rettamente sulla ghiaccia marina, tantoché positivamente o ne-
gativamente n'abbiano ragione di maggiore o minor sviluppo di
ghiacci le due calotte.
8. Oli effetti che può produrre la temperatura atmosferica
in ordine alla formazione dei ghiacci, sono molto diversi da
qu^'IIi che può produrvi la temperatura marina. Abbiamo ac-
cennato più innanzi che quella, nel caso concreto delle due
ghiacce polari, dovrebbe influire piuttosto nel senso di diminuire
che di accrescere o mantenere la sproporzione tra le due ghiacce,
essendo la media temperatura dei due emisferi approssimativa-
mente la stessa. Che se vi è differensa tra il clima artico e
l'antartico per parte della temperatura atmosferica, questa, con-
trariamente a ciò che si osserva di fatto, farebbe tutta in fa-
vore dell'antartica, ed in favore dell'artica ghiaccia. Ha della
temperatura marina non so se ii possa dire Io stesso, mentre
ci sono dei fatti ch'io potrei citare in prova di una tempera-
tura più alta nella regione artica che nell'antartica. L'influenza
che può esercitare la temparatora marina sullo sviluppo dello
due ghiacce non è positiva, ma negativa. Non è positiva perchè
in nessun mare (praecindeiido dalla superficie ad immediato
88 I GHIACCI POLARI.
contatto coll'atmosfera) si trovò mai una temperatura così bassa,
cioè di — 2° a — 3° da bastare a produrne il congelamento.
È invece negativa, in quanto quella temperatura, sempre più
0 meno calda anche d'inverno, può, secondo il grado di calore
che possiede, affrettare o ritardare lo scioglimento della ghiaccia
superficiale, d'origine terrestre, quindi nuocere o giovare al suo
relativo sviluppo.
Colpito, or son già molti anni, da codesto fenomeno del-
l'enorme sproporzione tra le due ghiacce polari, avevo pensata
e messa fuori fin dal 1865 ' una teoria che mi pareva proprio
vera e da regger salda contro ogni attacco. Credo, ad ogni
modo, d'esser io stesso il primo ad attaccarla. In questa mia
teoria attribuivo il fenomeno della suddetta sproporzione alla
influenza delle correnti marine.
9. E noto come tutte le acque dell'oceano si rimutino in
due direzioni opposte, dall'equatore ai poli e dai poli all'equa-
tore, con una circolazione continua. L'acqua, riscaldata dalla
vampa del sole nella zona equatoriale, tende, per la sua leg-
gerezza, a rovesciarsi a Nord e a Sud sull'acqua fredda delle
zone temperate e glaciali, la quale per l'opposto, stante la àua
pesantezza, tende continuamente a discendere verso l'equatore.
Supposto che il mare coprisse tutto il globo con uno strato
d'acqua d'eguale profondità dovunque, il sistema della circola-
zione marina dovrebb'essere della massima semplicità nel suo
impianto. Consisterebbe in un semplice va e vieni del mare
universale, che si volge, come corrente superiore verso 1' uno
e l'altro polo, e ritorna dall'uno e dall'altro, come corrente in-
feriore, verso la zona torrida. È facile immaginare però come
l'esistenza dei continenti e delle isole, e la diversità orografica
delle coste e del fondo abbiano per effetto di modificare pro-
fondamente codesto sistema di generale circolazione, riducendolo
dalla sua massima semplicità ad una tale complicazione da
rendere assai difficile il formarsene un'idea. La duplice fiumana
oceanica si accosterà per conseguenza all'ideale delle correnti
terrestri, costrette a torcersi, a dividersi e suddivìdersi, secondo
che più vizioso, più sparso di sassi e di rupi sporgenti è il
loro letto. Basta dare un'occhiata sul planisfero per vedere come
l'oceano, essendo già diviso in parziali bacini, dovrà già per
' Vedi note. Corso di Geologia. Voi. I, cap. IX.
p
I GHIACCI POLARI.
89
questo dividersi in tante parziali correnti, ossia in tanti circoli
parziali, ciascuno dei quali alla sua volta sarà diviso e suddi-
viso, secondo che incontra più fitte o più rade le isole, le pe-
nisole, i capi, le maniche, gli stretti. Che dire specialmente
dell'emisfero boreale, dove sono attualmente condensate le terre,
sicché l'oceano non trova più altro che un labirinto aperto alla
sua circolazione? Fermiamoci ad osservare che debba avvenire
delle acque equatoriali, riscaldate dai calori tropicali, che si
avviano per quel labirinto verso l'artico polo.
10. E presto veduto come quelle provenienti dai grandi
oceani Indiano e Pacifico debbano, ancora ben lontane dalla
meta, arrestarsi contro l'insormontabile barriera che gli fanno
i continenti. Lungo tutta la linea infinita delle coste dal Capo
di Buona Speranza allo stretto di Behring, e dallo stretto di
Beh ring al Capo Hom non e' è, prescindendo dal medesimo
Stretto di Behring, nessun pertugio, per cui le acque provenienti
(lall'equatore possano farai strada per giungere al polo.
L'antico ed il nuovo mondo, cioè l'Asia e l'Africa colle loro
coste Sud- Est, e l'America colle sue coste Sud-Ovest, congiu-
rano a formare una specie di imbuto, entro il quale le acque
equatoriali s'ingolfano, per essere necessariamente respinto di
nuovo verso l'equatore. Lo Stretto di Behring, che si apre al
vertice dell' imbuto, è tanto angusto, che non può permettere
la via del polo che ad una quantità di acqua relativamente
affatto insignificante. Un» corrente calda vi entra difatti, e
questa deve già necessariamente esercitare, per quanto piccola,
un'influenza negativa sullo sviluppo degli artici ghiacci, scio-
gliendo una parte di quelli che fanno perenne ingombro agli
interni canali dell'arcipelago artico. Quett* corrente calda venne
già indicata difatti dal tenente Hotsebue nel 181&. Nel suo
viaggio dal Capo Horn allo Stretto di Behrng, entratovi veno
il principio d'agosto, non trovò traccia nh di nevi né di ghiacci,
tanto sulla terra quanto sulle acque dal lato dcH'Amcrica, dove
sereno era il cielo, e tepida T atmosfera. La stossa corrente e
gli stessi effetti furono verificati in aeguito da quanti ebbero
la fortuna di passare lo Strotto, fino al bravo « fortunatÌMÌmo
capitano della VegOf il quale notò precisamente che luogo le
spiagge americane del Pacifico fino allo Stretto di Behring
rrente calda, che vi rende da quella parte assai
i di Muanto fi oaimrva sullo prospicienti regioni
90 I GHIACCI POLARI.
dell'Asia. Pare che quella corrente, la quale per la sua picco-
lezza non può esercitare una grande influenza sul clima delle
regioni polari, non faccia che attraversare l'Arcipelago ameri-
cano artico, e versarsi nella Baia di Baffin, per ritornare all'e-
quatore, anzi certamente a' suoi mari, per la via dell'Atlantico.
E un fatto che si raccolsero dai navigatori nell' Atlantico pro-
dotti dell'Oceano Pacifico, i quali non potevano esservi discesi
che per la via dello Stretto di Behring allo Stretto di Davis.
Mentre, come abbiamo detto, gli oceani Indiano e Pacifico
si arrestano contro la barriera continentale, e non possono man-
dare altro che un piccolo saggio delle loro acque negli artici
mari, il solo Atlantico s' inoltra verso l'artico polo. Fu da lungo
tempo osservato che quest' oceano ha la figura, e certamente
anche le funzioni di una gran valle, per cui le acque possono
salire e discendere dall'equatore al polo e dal polo all'equatore.
L'Atlantico è veramente, letteralmente una gran valle. Il Gulf-
Stream (corrente del golfo) è, dice Maury, un vero fiume, che
scorre nel mare ; è un fiume di acqua calda, scorrente in un
letto d'acqua fredda; un fiume d'acqua salata, in un letto di
acqua salmastra ; ud fiume, la cui portata è migliaia di volte
superiore a quella del Mississipi e del Rio delle Amazzoni. Questa
grande corrente ha le sue sorgenti sul!' equatore. Volgendosi
dapprima verso la gran foce del Rio delle Amazzoni, si ripiega
bruscamente verso il mare Caraibico e il Golfo del Messico.
Per uscire dal Golfo attraversa, come impetuoso fiume, lo Stretto
della Florida, e si ripiega verso il gran banco di Terra Nova,
dove, ripiegandosi un'altra volta verso Nord-Est, e sempre più
allargandosi, in guisa da trascinare, direbbesi, tutto l'Oceano
nella sua foga, attraversa l'Atlantico, e va a rompere sulle coste
dell'Europa, pigliando quasi di mira le isole Brittanniche.
10. Tutto questo costituisce, direi, la parte più apparente
della grande fiumana, ma non tutta la sua realtà. Il suo conato
è, e dev'essere, quello di spingersi fino al polo. Se, giunta al
60^ di latitudine, il banco di Terra Nova, quindi la Groenlandia,
l'Islanda e l'Europa ne formano una specie di barriera, contro
la quale la corrente è obbligata a infrangersi e a torcersi cir-
colarmente sopra sé stessa, ciò non toglie che lo Stretto di
Davis da una parte, e il Nord-Atlantico dall' altra, 1' uno per
angusto, l'altro per assai più largo sentiero, non la invitino a
proseguire il suo cammino fino al fissato ritrovo, cioè fin verso
I GHIACCI POLARI. 91
0, donde le acque rifluiranno veramente verso l'equatore.
Gulf-Stream, dovrebbe adunque dividersi in due rami, l'uno
ccolo che sale verso il polo per la Baia di Baffin, l'altro assai
più grande per cui tende a salirvi per la via del Nord- Atlan-
tico. Esistono questi due rami ?
Sull'esistenza di un ramo o di più rami Nord-Est per cui le
acque calde equatoriali rimontano verso il polo artico non esiste
più nessun dubbio. Il Nordenskjold trovò difatti che fra il Porto
Dickson e l' Isola Bianca passa una grande corrente diretta da
Sud a Nord, con deviazione verso Est In prossimitÀ delle co-
ste, a 74° di latitudine constatò una temperatura marina di
-f- 8 a -f- 9 centigr ' Il Gttlf-Stream si fa sentire benissimo fin
oltre il 76** sulle coste della Nuova Zemlja. La temperatura vi
sale fino a 10,° e una quantità di oggetti vi è portata tanto
dall'America quanto dalla Norvegia, oltre pomici d' Islanda. Del
resto a farci avvertire la presenza della corrente calda, baste-
rebbero le nebbie fitte e ostinate che ingombrano il littorale
della Siberia occidentale tra il mar di Kara e il capo Celjusekin,
non che quello della Nuova Zemlja. La forzata odiuea del
Tegetthof mostra 1' esistenza d' una corrente ascendente anche
dalla parte dello Spitzberg, per cai quella nav^ presa nei ghiacci
'JK 76,** 22 di latitudine, andò derivando, cioè lasciandosi trasci-
nare dalla corrente, costantemente verso Nord-Est II 2 ottobre
1872 si trovava già oltre il 77'; nel febbraio a 78M5; il 19
agosto 1873 a 79«21, e finalmente il 30 agosto a 79* 43. Se vi
sono correnti ascendenti da quella parte, è ben inteso che ci
debbano essere anche le discendenti. Nota di fatti il Nordenskjìild,
che alla corrente ascendente sulle costa dell'Asia corrisponde
una controcorrente inferiore, la quale è fredda, e si tiene a così
poca profondità sotto la prima, che nelle tempeste l' acqua
fredda e la calda facilmente ti mescolano. È questa oomnte
inferiore che, scorrendo da Nord a Sud con deriasione rerto
Ovest, spinge, durante l'esUte, i ghiacci galleggianti sulle coste
orientali della Nuova Zemlja, doTe si sciolgono quasi compie*
Umcnte d'autunno. Quanto ad un'altra corrente discendente nel
Nord-Atlantico, più verso la parte della Groenlandia, ne abbiamo
la t^Dtimonianza in quell' altra forzata odissea dell' equipaggio
dfir IIan$a, trascinato per si lungo cammino verso Sud dalla
famosa zattera di ghiaccio.
Ma la via più diretta, la via regia, direi, per andare al
polo, è lo Stretto di Davis, che ok conduce per la Baia di Baffin
92 I GHIACCI POLARI.
e il canale di Kennedy fino al mar Polare Artico. Ma una cor-
rente ascendente non si vede punto alla superficie, dov'è invece
troppo distinta, troppo nota quella gran corrente polare discen-
dente, la quale fu notata da Baffin già fin dal 1615, nella sua
famosa spedizione oltre lo Stretto di Hudson. Come la corrente
del golfo si può definire un efflusso del mare equatoriale verso
Nord, cosi la corrente della Baja di Baffin si può dire un efflusso
del mar glaciale verso Sud. Quanti hanno viaggiato dopo Baffin
nelle regioni artiche ci vennero a dire che tutto il mar glaciale
coi ghiacci galleggianti, e colla ghiaccia che lo incrosta, si
muove verso Sud. La corrente polare è fredda, ed occupa si
può dire letteralmente tutta quella gran manica di mare tra le
coste occidentali della Groenlandia e quelle del Canada. Uscita
appena dallo Stretto di Davis si volge verso il Banco di Terra
Nova, stringendosi specialmente contro le coste degli Stati-Uniti
dove prende l'aspetto di un gran fiume, il quale va poi a per-
dersi sotto il Grulf-Stream, che rimonta lo stretto della Florida.
Un altro ramo della stessa corrente discendente incrocia la
corrente del golfo, e sotto di essa ugualmente si perde, presso
il Banco di Terra Nova. È questo il motivo per cui i ghiacci
galleggianti formano quel convoglio formidabile, per cui i ghiacci
polari può dirsi che si prolungano, dalla parte dell' Abrader,
in via aff'atto eccezionale, fin verso il 55" grado di latitudine
Nord.
Qui abbiamo adunque nella corrente polare discendente la
principalissima rappresentante dell'acqua, la quale, dopo essere
salita fino al mar polare artico, ne ritorna, scendendo verso
l'equatore. A quella corrente discendente deve naturalmente,
necessariamente corrispondere una corrente ascendente. Se ciò
non fosse i mari polari sarebbero presto vuoti, che a nessuno
verrà in mente di certo di ricorrere alla piccola corrente dello
Stretto di Behring, perchè supplisca allo spaventoso efflusso del
mare verso l' equatore. Se quella corrente ascendente e calda
non esiste come corrente superiore, esisterà come inferiore. Qui
non c'è da eccepire. Per tale scambio di acque superiori e in-
feriori, che fu verificato ormai in tanti luoghi da non costituire
più altro che un fenomeno volgarissimo, non manca di certo lo
spazio. Gli scandagli eseguiti da Kane sull' ingresso dello Stretto
di Davis, tra l'Islanda e Terra-Nova, diedero profondità di 3400
piedi (1104 metri). Ecco come la corrente inferiore e la supe-
riore hanno tutto l'agio di rimutarsi e di svolgersi su centinaia
I GHIACCI POLARI. 93
ed anche migliaia di metri di profondità ciascuna, senza di-
sturbarsi l'una coll'altra.
Sarebbe troppo lungo, ed anche inopportuno il riportare qui
gli argomenti di fatto che dimostrano l'esistenza di quella cor-
rente inferiore ascendente, e le ragioni, per cui essa si man-
tenga inferiore, benché sia calda, e l'altra superiore, benché
sia fredda. I fatti e le ragioni ho già compendiati altrove* pi-
gliandoli specialmente dalla celebre opera. Geografia del mare
del Maury. Quello che qui importa è di ammettere come di-
mostrato che, comunque e da qualunque lato avvenga la cosa,
le correnti che discendono da ÌJord a Sud, quella specialmente
che percorre tutta la via dal mar Polare Artico fino all'Atlan-
tico pel canale di Kennedy e la Baia di Baffin, dicono neces-
aariamente esistere un pari efflusso di acque da Sud a Nord,
cioè dalle zone equatoriali e temperate dall' Atlantico fino al
mare del polo. Dobbiamo ammettere inoltro che queste acque
ascendenti non hanno che uno spazio relativamente breve da
occupare, la ctii estensione in largheasa e lunghezza è presto
misurata sommando insieme la largheama e la lunghezsa dei
due mari che si diramano dall' Atlantico ad Est e ad Ovest
della Groenlandia.
il. Le cose camminano molto diversamente nell'Oceano An-
tartico. Le correnti marino vi furono notato, ed anche deli-
neate, ma a tratti molto incerti. Nulla di certo vi esiste che
possa, nemmeno da lontano, paragonarsi né al Qulf-Streum,
nò alla corrente polare artica. La icarseisa delle terre sotto le
zone torrida e temperata, e l'assenaa qaasi totale di esse nella
zona fredda, accosta Temisfero Sud all'ideale di una terra tutta
ricojtcrta dal mare, dove non ci sarebbe ragione del determi-
narsi di parziali correnti, mentre il mare stesso fluirebbe e ri-
I fluirebbe tra l'equatore e il polo come una sola corrente. Pare
si possa dire infatti che, in seno a qnell' immenso spasio che
separa lo appendici austr'- '- r^ ' ontinentl dalla barriera
di ghiaccio che segna il uonte antartico, il mare
fluisca e rifluisca come farebbe l'acqua entro un libero bacino
la quale, spinta verso il messo in tutti i Bvmii, ritornerebbe in
tutti i sensi alla periferia. Lo mostra ad ovidcnsa (sensa voler
negare per ciò il determinarsi qua e là di parziali correnti) la
* O9r$0 di geologia, parta I, | 80M06.
94 I GHIACCI POLARI.
zona circolare dei ghiacci galleggianti, quali, condotti dal ri-
finsso dell'Oceano dal circolo polare verso l'equatore, disegnano
come una grand'iride, di cui il continente antartico è la pu-
pilla; come una grand'aureola, dì cui il continente medesimo
è la testa.
12. Premessi questi fatti, ecco com'io ragionavo: — Nel
sistema della circolazione marina la gran zona equatoriale è
l'enorme caldaia che riversa una quantità determinata di acqua
calda tanto a Sud come a Nord, destinata naturalmente a sosti-
tuire altrettanta acqua fredda che da Sud e da Nord ritorna
all'equatore, ossia (il che vale lo stesso) destinata a riscaldare
gli oceani polari artico e antartico. L'estensione di mare entro
i due tropici è uguale ad un dipresso tanto a Sud quanto a
Nord dell'equatore; per cui uguale ad un dipresso è la quan-
tità di acqua calda che la zona equatoriale versa nei mari
temperati o freddi dell'uno e dell'altro emisfero. Ma quella stessa
quantità d'acqua calda che verso Sud va a perdersi nell'im-
mensità dell'oceano antartico, a Nord invece, piuttosto che di-
sperdersi, si raccoglie, si concentra sempre più nei seni rela-
tivamente angusti, di cui si compone, stretto fra le isole e i
continenti, l'oceano artico. Gli è come si versasse un ettolitro
d'acqua bollente in un tino che contiene 10 ettolitri d'acqua
gelata, e un altro ettolitro in un tino che ne contenga 20.
L'oceano artico rappresenterebbe un primo tino, e l'antartico
un secondo. Quello pertanto ' risulterà più caldo ; questo più
freddo. Ultima conseguenza sarà che i ghiacci artici saranno
distrutti più presto e in maggior copia che i ghiacci antartici,
e quelli pertanto presenteranno costantemente uno sviluppo
minore di questi. —
Io non credo nemmen oggi che questa vecchia mia teoria
sia da mettersi tra gli scarti. Se si bada principalmente al
fatto che l'acqua calda dell'Atlantico, la quale compone la grande
corrente del golfo, va tutta a ingolfarsi nei due rami che s'in-
sinuano verso il polo ; e specialmente in quella strozzatura della
Baia di Baffin che sembra destinata a portare direttamente le
acque calde al mar polare interno; se si bada, dico, a questo
fatto, non si potrà non conchiuderne che debbano subirne una
ben sentita influenza i ghiacci che ingombrano quelle porzioni
di mare relativamente cosi anguste. Anzi tutto vi troveremmo
la ragione più immediata di quel libero mare che abbiamo am-
I GHUCCI POLARI.
95
messo, non senza buoni argomenti, disteso sul polo artico. La
corrente calda inferiore che rimonta indubbiamente la Baia di
Baffin e il Canale di Kennedy, rappresenterebbe come la canna
di una gran stufa, che va a sboccare nel libero mare del polo,
dove l'acqua calda, sorgendo a galla, diventerebbe corrente
superiore di ritorno; quella precisamente che si vede conti-
nuamente discendere pel Canale di Kennedy e la Baia di Baffin,
per far ritorno alla zona equatoriale atlantica, da cui, come
corrente calda era partita. Non è senza ragione certamente
che il Morton, compagno di Kane, trovò sul margine del libero
mare intemo, oltre r82'* di latitudine, l'acqua ad una tempe-
ratura di 4*. In codesto afflusso immmediato della calda acqua
equatoriale al mar polare artico, si troverebbe anche la ragione
più immediata di quella sensibile diminuzione del freddo che
si verifica salendo dal cosi detto polo del freddo (66',30 di la-
titudine d'estate, circa 62* o 63* di latitudine d'inverno) alle
più elevate latitudini, anzi con tutta probabilità, fino al polo.
La prestezza con cui, al cessare dei rigori invernali, si rompe
0 si scioglie la smisurata ghiaccia del Canale di Kennedy, sa-
rebbe anch'essa da attribuirsi a codesto ingolfamento delle acque
calde entro quel canale. È molto naturale anche di attribuire
in parte all'influenza delle correnti calde noi due rami del Nord
Atlantico il fenomeno abbastanza singolare di quella sona lit-
torale dove, come abbiam visto, non mancano di spogliarsi e
di verdeggiare, anche sotto le più elevate latitudini, lo terre
polari.
14. Dopo tutto questo però è pure un fatto che tutu l'in-
fluenza esercitata dalle correnti calde ascendenti non impedisco
che il maro si copra di una bella erotta di ghiaccio durante
l'inverno ; che l'atmosfera discenda a temperature cosi estreme,
che sono affatto sconosciute ai mari antartici ; che insomma la
terre polari, che sono sempre infino la matrice e la culla dei
ghiacci costituenti di seconda mano la ghiaccia marina, non
■iano, per rapporto alla temperatura invernale, in condizioni
assai peggiori dello terre polari antartiche; il che crediamo di
avere più che saiBoientemente dimostrato. Sta sempre adunque
il fatto che la temperatura invernale sarebbe molto più faro-
revole allo sviluppo della ghiaccia artica che a quello dell'an-
tertica. Quanto all'influenza benefica delle correnti ascendenti
▼erse il polo artico non la negheremo di certo; ma ci accon-
tenteremo di poter dire che, soppresse quelle correnti, se ora
96 I GHIACCI POLARI.
la va male in quelle orride contrade, l'andrebbe peggio. Ma ci
vuol ben altro per dar ragione di quell' enormi sproporzioni tra
le due ghiacce polari. C'è sempre il rapporto tra i 9 e i 46 mi-
lioni di chilometri quadrati di ghiaccio : c'è sempre che il va-
lore dei 46 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio può,
guardando alle masse rispettive, duplicarsi e triplicarsi. Né si
dimentichi mai come questa sproporzione, se esiste tra i ghiacci
marini, esiste prima tra i ghiacci terrestri, da cui i ghiacci
marini hanno unicamente origine, e sui quali la temperatura
del mare non ha che pochissima influenza. Infine la maggior
quantità di calore, che si deve condensare per effetto della
corrente ascendente nel Nord atlantico, verso il mar glaciale
artico, è un coefficiente troppo meschino nel calcolo, quando le
differenze in più o in meno hanno un valore del sestuplo, del
decuplo, ed anche molto di più.
Venisse mai in mente al lettore che dall'estensione maggiore
0 minore delle terre circumpolari, nell'uno e nell'altro emisfero,
dipendesse la quantità maggiore o minore di neve e quindi lo
sviluppo maggiore o minore dei ghiacci. Supposto che la quan-
tità di neve che cade sulle due opposte calotte polari sia uguale,
uguale sarebbe sempre la quantità di ghiaccio che ne può ri-
sultare. L'obbiezione dunque è ridicola.
No; qui non c'è altro rifugio che nell'ipotesi che al polo
artico nevichi meno, e al polo antartico più; anzi che nelle
regioni polari artiche nevichi sei, dieci, venti volte meno, e
nelle regioni polari antartiche sei, dieci, venti volte più. Ciò
vorrebbe dire poi che il clima artico deve essere nelle stesse
proporzioni meno umido del clima antartico. Se noi possiamo
dimostrare che l'ipotesi è un fatto, il problema è sciolto; se
no, mistero... Ma l'ipotesi appunto è un fatto; e un fatto in-
negabile, luminosissimo, e si può sinteticamente esprimere così.
— La regione polare artica è una regione estremamente se-
rena ed asciutta. La regione polare antartica è invece una
regione estremamente nubolosa ed umida.
(Continua).
Antonio Stoppani.
LA REGALDINA
vn.
Era trascorso da poco tempo il giorno dei morti e sul largo
viale che a nord-est del paese conduce al cimitero, la schiera dei
mesti devoti cominciava a diradare il quotidiano pellegrinaggio.
Ippolito se ne tornava solo dall'aver visitata la tomba della
madre. Cogli anni il suo dolore aveva acquistata quella dolcexza
inefTabile che invita a trattenersi volentieri col pensiero dei cari
estinti; e a lui questa dolcezza tornava più soave ancora por
la fusione di un altro pensiero fatto oramai suo compagno in-
divÌHÌhile.
Alla sua vita così povera di gioie era bastata fino ad ora
ebbrezza ideale di un amore nutrito in segreto; ma col pro-
ire della passione crescevano i desiJerii e gli ora pe-
noso quel dover tacere sempre e qoaai nascondersi agli occhi
di colei che egli amava. D'altra parte, come spiegarsi? E a
qual prò? La sua misera condizione non gli permetteva di
creare una famiglia; la sua giusta dignità d'uomo gli fiftceva
uno scrupolo di associare altri esseri alla sua povertà. Lo stesso
suo carattere inclinovole alla mestizia lo rendeva diffidente di
se stesso, quasi pauroso dell'avvenire.
Egli invidiava qualche volta la spensierata gaiesaa dei gio-
vani che vanno leggermente incontro all'amore, come i fanciulli
van dietro alle farfalle. Ma dell'amore egli aveva un troppo
alto concetto e l'eccesso stesso del sentimento lo paralizzava.
Tuttavia nel cuore accarezzava suo malgrado la dolce spe-
' CoatisaasioaSi Tedi CmoIooIo prsoedsots.
98 LA REOALDINA.
ranza; egli voleva pure battere a tutte le porte prima di darsi
per vinto. Chi sa? — Forse con un lavoro assiduo, con una
economia rigorosa che gli permettesse di mettere da parte
una certa somma, avrebbe potuto aspirare a una posizione mi-
gliore, e allora...
Tale lontana lusinga lo cullava quella sera più del consueto.
Fissando lo sguardo sulla catena di monti che cinge l'orizzonte
dietro al cimitero, parvegli gli venisse da quello spazio di cielo
una più ampia speranza; si sentiva quasi felice.
Giunto alla sua casetta, chiese della sorella; Matilde non
c'era. Non poteva essere dai Regaldi, perchè la zia e la nipote
dovevano appunto quella sera assentarsi, però il caso non era
tanto strano da sorprendere Ippolito; egli pensò alla signora
Luigia, 0 a qualche altra vicina, e siccome aveva del lavoro
d'ufficio molto urgente, accese la lucernetta, e si pose a
scrivere.
Vicino a lui due figure di donna gli sorridevano; quelle due
figure che lo accompagnavano sempre, che gli parlavano, l'una
colla dolcezza dei ricordi, l'altra colla soavità della speranza.
E vedeva il serio profilo della madre allontanarsi tratto tratto,
quasi per lasciarlo più solo nell'ebbrezza del suo casto amore,
e sentiva due labbra innocenti rispondere al bacio che gli tre-
mava sulle labbra.
— La signorina non è ancora rientrata; disse afiacciandosi
all'uscio la vecchia domestica.
Ippolito arrossì, vergognoso di essersi lasciato cogliere in un
momento di debolezza.
— Non è andata dalla signora Luigina ?
— Non credo, perchè ho visto poco fa la signora Luigina che
tornava dalla benedizione.
I sogni rosei svanirono d' un tratto. Un pensiero inquieto
corrugò la fronte del giovane.
— E non sapete dove possa essere?
La vecchia si strinse nelle spalle e atteggiò il volto a un
sorriso ambiguo che fini di togliere a Ippolito ogni calma.
La domestica non si moveva dalla soglia; pareva volesse
dire qualcos'altro ma aspettava di essere interrogata.
— E singolare ! — mormorò Ippolito.
Allora ella si attaccò a questa esclamazione per soggiungere :
— Non tanto singolare.
■ — Come?
LA REGALDINA.
99
Padrone e domestica si avvicinarono con un movimento si-
multaneo.
— La signorina è scomparsa tante altre sere, quando lei
scriveva nella sua camera...
In un minuto Ippolito si rifece padrone e freddamente in-
terruppe :
— Basta. Mia sorella può assentarsi come e quando le piace ;
non le mancano amiche nel paese. Anzi penso ora ch'ella m'a-
veva parlato della figlia del dottore; è là certamente.
Si levò in piedi, asciugò la penna, chiuse e riunì le sue
carte; una macchia di inchiostro era caduta fresca fresca sul
tappeto del tavolo; egli stracciò un pezzetto di carta assorbente
e ne tolse la parte più grossa. Sembrava perfettamente tranquillo.
Disse alla domestica di non spegnere la lucerna perchè tor-
nava subito, essendo il dottore a due passi. Calcò il cappello
in testa e osci.
In fondo alla corte la porticina del giardino era aperta e
sul sentiero bianco battuto dalla luna un' ombra correva stri-
sciando contro la siepe.
— Matilde!
Ella si fermò di botto tentando nascondersi, ma il giovane
raggiunse e prendendola per un braccio ripeta:
— Matilde!
Non aveva voce ; quel nome gli usci strozzato dall ugola.
Lei fu più forte.
— Sei già tornato? chiese fingendo indifforensa.
— E tu dove sei stata?
— Lo vedi; in giardino.
— A quest'ora?
— Gusti!
Era coperta da uno sciallo nero che le nascondeva la faccia.
Ippolito le prese la mano e •• la pose sotto il braccio —
tremava leggermente.
— Le sere incominciano a farsi freddo: <•.
Lui non rispose: tanta audacia lo confondt .
La domestica che avera udito le loro voci si feco sulla
porta con un lume in mano.
— Andate pure a letto: disse Ippolito.
Entrarono nel salottino dove ardeva ancora la lucerna. Ma-
'*' sempre ravvolta nel suo scialle^
immobile.
100 LA REGALDINA.
Ippolito fece qualche passo intorno al tavolo, si fermò, tentò
(lue o tre volte di parlare ma sentiva quel nodo nella strozza ;
iinalmentc prese coraggio dal suo stesso dovere, sedette accanto
alla sorella e con accento dolce, con tenerezza di padre mista
all'indulgenza d'un amico:
— Eri sola in giardino? — chiese.
Un lungo silenzio precedette la risposta di Matilde, che
non fu poi una risposta.
— Che te ne importa?
— Dimmi qualunque cosa, Matilde ma non chiedere che
cosa mi imporla di te. Ho io bisogno di ripetere che ti con-
sidero più che sorella, figlia mia? Quante volte ho desiderato
di poterti ispirare quella fiducia che fonde due cuori in un
cuor solo?
— I nostri caratteri sono troppo opposti ; non mi puoi com-
prendere.
— C'è l'afifetto che fa comprendere tutto.
— Allora mettilo alla prova.
Ella parlava con durezza, conoscendo la timidità del fra-
tello, trovandosi molto contrariata dall'andamento grave del
dialogo,
— Senti, Matilde, parliamoci come se ci fosse presente la
nostra povera mamma. Io faccio per te quello che posso; ti
sarò sempre appoggio, conforto, difesa nell'orfana vita che ti
ha preparata il destino-, io rinuncio per te ad ogni sogno giova-
nile, io sono disposto a qualunque sacrificio, ma ho bisogno
della tua confidenza. Se mai, un giorno, il mio affetto non ti
bastasse più, se altro orizzonte si schiudesse a' tuoi pensieri,
Matilde, sii sincera col tuo unico fratello, colla sola persona,
forse, che ti ama profondamente. "
Il respiro di Matilde, un po' ansante, tradiva una forte emo-
zione; teneva ostinatamente la testa abbassata ma un tremito
l'agitava tutta. Ippolito confermandosi nel sospetto e sentendo
crescere co'suoi doveri i suoi diritti le si avvicinò più ancora,
tanto da prenderle le mani e tenerle ferme sui suoi ginocchi.
— Tu soffri, mi nascondi qualche cosa; oh! vorrei avere
la penetrazione e la delicatezza di una donna per indovinare
il tuo segreto. In questo momento, Matilde, vorrei essere tua
madre! Ma guardami, parla, tu piangi?....
Sì, Matilde piangeva vinta dalla dolcezza del fratello, in-
capace di dominarsi più a lungo. Lo scialle scivolato per terra,
■«.
LA REGALDINA. 101
ciava scoperta la sua faccia orribilmente pallida, solcata in
tomo agli occhi da due cerchi bruni. Il suo pianto era così
disperato, così violento che Ippolito la prese fra le braccia;
ma ella si svincolò e volgendosi verso il muro coperse col faz-
zoletto la bocca fatta umida da una schiuma biancastra.
— Dio mio che avvenne?
Ippolito gelato dal terrore, prese la lucerna e l'avvicinò al
volto della sorella; i loro sguardi si incontrarono e nel raggio
di quelle pupille sofferenti gli si svelò il triste mistero.
— Matilde, Matilde che hai tu fatto ?
Cadde, come fulminato. Lei esaltata, gli si prostrò ai gi-
nocchi singhiozzando, come una pazza, abbandonandosi a tutte
le violenze del suo temperamento nervoso.
Ma per lungo tempo Ippolito non diede sogno di vita; ac-
casciato colla fronte fra le mani sembrava impietrito dal dolore.
Quando sollevò la faccia torse istintivamente gli sguardi dalla
sorella; ella se ne accorse e riprese a singhiozzare pia forte.
Tutta la sua baldanza era dileguata.
— Perdonami, perdonami! — gemeva stringendosi a lui,
sentendo in quel momento la propria debolezza.
Perdonarle 1 Non era di perdono ch'egli avrebbe voluto mo-
strarsi generoso. Non c'era nessuna ira in lui, nessun pensiero
di vendetta. Era preso da un dolore immenso e senza nome.
Non le disse nulla, non le fece alcun rimprovero, non si
lagnò, non maledl; ma il suo silenzio angoscioso parlava più
che qualunque espressione. Un momento solo, nella fiera tem*
pesta del suo animo, Ippolito vide passare come una meteora
luminosa le due care visioni che egli amaTa, e allora una la-
grima non vista cadde anche dai sooi occhi, braciandogli le
gnancie.
— Ippolito, Ippolito, dimmi qualche coaa! Era lei che ro*
leva parlare; era lei che si faceva umile, dolce; ora lei che
pregava. Parole soonneate uscirono dalle sue labbra miste ai
singhiozzi ; era sempre in ginocchio, per terra, colla fronte
china sulle mani del fratello.
Ippolito, scuotendosi e tornando in so come uno che caduto
fieramente riprende i sensi, vide quella non più fanciulla ma
donna prostrata davanti a lui e sì senti invaso da una pro-
fonda compassione. La rialzò, spingendola dolcemente sulla poi*
troncina e facendo uno sforzo supremo:
— Chi è? — disse: non altro.
102 LA REGALDINA.
In quella scena muta, terribilmente espressiva, si intende-
vano quasi senza parlare. Nella grande delicatezza del suo cuore
Ippolito aveva evitato tutte le spiegazioni, tutti i dettagli inu-
tili che non avrebbero servito ad altro che a far crescere il
rossore sulla fronte d'entrambi. Ma questa domanda breve, de-
cisiva, egli non poteva ometterla: chi è?
Matilde esitò, e solamente dopo la seconda interrogazione
rispose a voce bassa :
— Rodolfo Regaldi.
Anche allora Ippolito non fece interrogazione di sorta. li
come, il quando, il perchè erano questioni secondarie che scom-
parivano davanti all' importanza enorme del fatto.
— Il peggio — soggiunse Matilde mordendo un lembo del
suo scialle — è che egli non può sposarmi subito.
Ippolito balzò in piedi, livido.
— Non può?... lo deve e lo farà!
La sua fisionomia di giovane timido era trasfigurata 5 gli àr-
deva negli occhi una fiamma omicida.
Matilde ebbe paura.
— Calmati — disse — usiamo prudenza ; se la Tatta se ne
accorgesse, se Daria....
Questo nome dolcissimo caduto in mezzo a tanta procella
risvegliò più acuto in Ippolito il senso dei dolore, ma valse pure
a frenare lo sdegno. Riprese in un momento la sua corazza di
impassibilità e osservando che Fora della notte era molto avan-
zata, consigliò Matilde di andarsi a riposare.
Il loro saluto fu mesto assai ; né Ippolito rimasto solo pensò-
a coricarsi, che troppo affanno gli stringeva il cuore. Stette li
su quella medesima sedia, a quello stesso tavolo dove poche ore
prima gli era parso di essere felice ; vi stette finche i primi
bagliori dell'alba, facendo impallidire la fiamma della lucerna, lo
avvertirono che era tempo di mettersi all' opera.
Vili.
La vecchia Tatta mettendosi la cuffia accanto alla finestra
vide Ippolito che passeggiava avanti e indietro, e volgendosi a
Daria che rassettava la camera:
— E forse per te che questo signore viene cosi di buon mat-
tino a prendere l'aria nella nostra contrada? Affé mia ch'é più
LA REGALDINA. 103
i
brutto del solito; ha una faccia scombussolata che pare abbia
dato il capo nella luna.
Daria era avvezza a queste bruscherie, né vi fece caso; si
affacciò ella pure ai vetri e fu sorpresa nel vedere il giovane
fermo davanti alla porta, come chi aspetta qualche cosa o qual-
cuno. Non c'era anima nata in tutta la lunghezza della via; Daria
sospettò subito che fosse accaduto qualche cosa di straordinario,
ma si frenò per la presenza della burbera vecchia, la quale su-
biva a riguardo di Ippolito tutte le cattive prevenzioni che si
avevano in paese e malignava anche lei volentieri sul suo conto,
sobbillata dalle donnicciuole, mal disposta dal carattere muto e
freddo del giovane che essa attribuiva a ipocrisia — gelosa forse
a sua insaputa per l'amore che portava alla fanciulla — del tacito
accordo che esisteva fra lui e Daria.
Di li a poco essendo scesa la domestica per levare il cate-
naccio alla porta, Daria la segui e senti Ippolito che la inter-
rogava :
— £ ancora a letto il signor Rodolfo?
La voce del giovane era alterata, quasi tremante.
— 11 signor Rodolfo non c'è — rispose lesta la senrett* —
partito ieri sera per la caccia delle anitre selvatiche e non
tornerà che fra due o tre giorni.
A traverso la fessura dell' imposta Daria vide il pallore che
queste parole fecero sorgere sulla faccia del suo amico e non
potendo più resistere all'ansia che la tormentava si mostrò im-
provvisamente.
Soliti a intendersi cogli occhi più che collo parole i loro
•guardi erano sempre lunghi e intensi ; ma questa volta Ippolito
ahinò le palpebre cosi confuso, coti tmarrito che l'angotcia di
Dina invece di calmarti crebbe. Ed egli non aveva bitogno in
quel momento di •entasioni affettnoee. Venuto per compiere un
dovere tristissimo si era armato dell'oltraggio fatto alla sorella
ed era tale tcudo da renderlo inaccessibile.
— Signor Ippolito — ella incominciò colla sua dolce voce,
reta ancor più dolce dal terrore — che avvenne?
— Oh ! nulla... — balbettò lui, fatto cauto dalla pretanxa della
domestica.
Daria te ne accorse:
— Klla voleva parlare con mio cugino nevvcroV* l'antri, la
prego; o Pierino o la zia...
Coti dicrndo aveva ammiccato alla torretta che te ne an-
104 LA REOALDINA.
classe e tratto Ippolito in un cantuccio della corte, bandito il
convenzionale ritegno che troppo pesava alla sua gagliarda fran-
chezza :
— C'è una disgrazia! — esclamò. — Io la sento.
Ippolito, muto, teneva costantemente gli occhi a terra.
— Me la dica signor Ippolito, ne la prego; sono forte.
— Non è a lei che devo dirla.
— Perchè non a me ? Mi crede... indegna delle sue con-
fidenze?
— Oh ! — fece il giovane con un pronto gesto di negativa ;
ma la sua faccia era cosi seria che Daria non si accontentò.
Allora per procedere lentamente ella chiese :
— Matilde viene oggi? Ma non compi la frase perchè al nome
di Matilde un vivo rossore imporporò la fronte del giovane ;
quel rossore mise Daria in sospetto e guidata dal segreto istinto
femminile balzò subito a Rodolfo dicendo:
— Credevo che sua sorella lo avesse avvertito della gita di
mio cugino.
Com'era da aspettarsi Ippolito si rannuvolò maggiormente ;
Daria stava sulle bragie, ma ad ogni parola guadagnava terreno
e senza rendersi un conto preciso del fatto (troppo brutale per
presentarsi alla sua vergine immaginazione), intuì qualche cosa
della verità. Allora con un rapido esame della situazione senza
falsa modestia che non avrebbe giovato a nulla, ella vide in se
stessa e in Ippolito i veri rappresentanti delle due famiglie. Li,
in quella medesima corte, quasi allo stesso posto un morente le
aveva ceduto lo scettro morale della casa; sentiva che di tut*i
i Regaldi la più forte era ancora lei, povera fanciulla ; e fre-
nando l'ultimo ritegno di ritrosia, dimentica affatto di ogni preoc-
cupazione personale :
— Signor Ippolito, vi sono di quelle cose che il labbro si
rifiuta a dire, ma i cuori si intendono sempre.
Egli ebbe uno slancio di infinita tenerezza; avrebbe voluto
prenderle la mano e baciarla, la coraggiosa che veniva in aiuto
alla sua timidezza. Non fece nulla però. Colla fronte china, in
apparenza impassibile domandò :
— Lei sa qualche cosa?
— No; ma credo si tratti di mio cugino e di...
Non pronunciò il nome di Matilde.
— È dunque noto a tutti? — chiese Ippolito con vero
terrore.
LA REGALDINA. 105
— Al contrario, nessuno lo sospetta. Io stessa non avrei
indovinato se la sua visita a quest'ora insolita e il suo turba-
mento non mi avessero richiamate alla mente tante piccole
circostanze, delle inezie che sfuggono al momento, ma che poi
confrontate con altre illuminano all' improvviso e danno la
certezza.
Daria parlava con calma, seriamente, da persona che com-
prende la gravità del momento e non vuol perdersi in vane
esclamazioni ; i suoi occhi però, sollevati e aperti in uno sguardo
di completa purezza, mostravano come fosse ancora lontana
dalla bruita realtà, e Ippolito soffriva crudelmente al pensiero
di dovergliela svelare.
ì Si trovavano al piccolo cancello che lungo la Regaldina
conduceva attraverso prati e frutteti al giardino della casa
bianca. Daria piegò da quella parte per sfuggire alla sorve-
glianza della servetta che andava e veniva nella corte; il
giovane fece con lei alcuni passi sul sentiero coperto di brina.
— Certamente — continuò la fanciulla — Rodolfo ò ancora
troppo giovane e per la saa condizione e più ancora per la sua
ioperatezza non è io grado di accasarsi cosi presto.
Tacere era impossibile. Ippolito, con uno schianto che gli
strozzava la voce in gola intfrruppe :
— È necessario.
Daria si fermò guu < o suoi begli occhi innocenti,
colpita dairiuilessionc iH' i di quelle parole, o sentendo
rinascere a un tratto tutta la delicatezza femminile arrossi nel
di' ' finte che comprese.
K . arrossi davanti a quella donna nel cui petto arerà
consacrato un culto di purissimo amoro, e stettero tutti e due
muti, confusi, curvati sotto la vergogna di una colpa che non
era la loro.
Al di là della liegaldina, sulla strada fiancheggiata dagli
alberi che norembro sfrondava, un uomo ed una donna venendo
dal mercato carichi di provviste, adocchiarono la giorane coppia
e la donna (che era la iiignora Ernesta) diede una forte gomi-
tata al signor Giacomo Rossetti, il quale redondoci poco striz-
zava le palpebre; e finalmente risero insieme, dondolandosi sugli
enormi fianchi, facondo traballare U pancia obesa.
- Kh! signor Giacomo, che ne dico? Quonta sera raccon-
tei lon Paochia che lo abbiamo veduto l'albero dello pere.
> ano ancora afTruttantlo il paiiMo. fucrrido fminnl coin-
I tro
Ir
106 LA REGALDINA.
menti, quando Ippolito con un sospiro che gli veniva dal fondo
dell'anima mormorò :
— Dio sa quale strazio io provo in questo momento! A lei...
a lei non chiedo altro che perdono.
Daria gli stese la piccola mano ch'egli toccò appena; sof-
friva immensamente.
— Non a caso dissi che i cuori si comprendono anche quando
i labbri non possono parlare. Abbia fede in me signor Ippolito...
ora più che mai la sua causa è la mia.
Questa vereconda e schietta confessione gli cagionò una
gioia immensa che il lampo degli sguardi tradì per un minuto
secondo; tornato subito in se e represso il tumulto del cuore
rispose :
— Io sono un disgraziato; ma la disgrazia di mia sorella
mi fa un dovere di non occuparmi che di lei.
— La prego a credere — soggiunse Daria con nobiltà —
che la via della giustizia è quella che io scelgo sempre e su
tutte le altre. Se c'è una macchia sul nome dei Regaldi i Re-
galdi la cancelleranno.
Nell'ardore che la infiammava Daria sembrava ingrandita;
la vesticciuola del mattino misera e succinta non palliava nes-
suna delle sue grazie giovanili, pure aveva l'imponenza di una
matrona e nella fierezza degli occhi neri ed aperti ben si leg-
geva la tempra bronzina del suo carattere.
— Daria! Daria ! — gridò in quel momento la voce della Tatta.
— Zitto — fece la giovinetta ponendosi un dito sulle lab-
bra — che nessuno sappia nulla fino all'arrivo di mio cugino.
Di qui a allora... coraggio !
— Ne avrò pensando a lei.
Fu la prima frase significativa che Ippolito ardì pronunciare
a voce bassa, tremando un poco.
E si separarono così, rapidamente, senza stringersi la mano;
oppressi entrambi dallo stesso dolore, ma portando in cuore la
dolcezza ineffabile di un grande amore tacitamente ricambiato.
IX.
Verso la metà di novembre una notizia inaspettata si pro-
palò per tutto il paese.
Rodolfo Regaldi aveva chiesto la mano di Matilde; e a ta-
luno cui questo matrimonio sembrava spuntato un po' troppo in
LA REGALDINA. 107
fretta, la signora Luigina aveva l'incarico di far sapere che la
cosa era già combinata da un pezzo tra le due famiglie, ma che
per avversione alla pubblicità si era tenuta nascosta.
Questa versione falsa, per contrappeso di tante vere che non
sono credute, ottenne un pieno successo e circolò di casa in
casa, provocando soltanto un po' d'invidiuzza nelle ragazze da
marito e facendo crollare il capo alle mamme che dicevano :
Quel Regaldi è un poco di buono, non ha voglia di lavorare.
A questo proposito una insinuazione partita dall'osterìa trovò
subito alloggio in titte le bocche. Si mormorava piano e forte:
u £ stato quella gatta morta del rosso, che per liberarsi della
sorella l'ha appioppata al primo venuto; così — soggiungeva la
la signora Ernesta dandosi l'aria di persona bene informata —
egli si troverà liberamente colla sua monachina infilza. -^
— Se è vero — chiese una volta una persona ingenua —
che il signor Ippolito fa all'amore colla signora Daria, perchè
non la sposa?
— Giusto ! — tuonò allora la signora Emesta — perchè non
sposa ? Perchè è un impostore, ecco, perchè ci trova il suo
>maconto a pelare la gallina senza farla gridare, perchè vuole
le castagne senza pungersi coi ricci. Oh! parlatemi del matri-
monio, alla buon'ora ; questo è un sacramento e il signor Rodolfo
leno si mette in regola con Dio prima di tentare il demonio.
Matilde non restò a lungo sotto l'impressione dolorosa della
scena avuta col fratello. Lo stesso giorno che si pubblicarono
le nozze ella riprese la sua audacia provocante, ricevendo a
piede fermo i complimenti e le allusioni non sempre dolicaie
che le venivano facendo in paese.
Per provvedere a questo collocamento Ippolito aveva dovuto
fare un debito di qualche migliaio di lire. Matilde sola lo ta-
P*^*» ®K^> no" n« aveva parlato con nessuno, nemmeno con
Daria, quantunque una profonda malinconia lo struggesse tutto
le volte che la fanciulla fissava in lui quei bellissimi occhi chie-
denti amore — ed egli abbassava i propri quasi annientandosi
nella angoscia estrema della sua impotenza. Apparteneva per
sua sventura a quella classe di persone soverchiamente deli-
cate che, per legge di contrasto sembrano tante volto mancanti
di cuore; piuttonto che alimentare in lei u nmza lenta
nissiroa e forse impossibile a realizzarsi egli j i mostrarsi
freddo, lasciandolo piena liberta d'azione e di destini. Teneva
per sé la parte più ingrata, ma più nobile: soffrire tacendo.
108 LA REG ALDINA.
Ai primi di dicembre, un giovedì mattina, Rodolfo e Ma-
tilde si sposarono senza pompa e senza fasto, seguiti dai soli
parenti e dalla signora Luigina che spargeva lagrime silenziose
in un ampio moccichino di giaconetto, orlato a giorno e rica-
meto in tutti e quattro gli angoli, leggermente insaldato.
Per fare da testimonio in chiesa era venuto Pierino, che
da un mese circa si trovava a Milano impiegato in una casa di
commercio.
Quando furono tutti inginocchiati e che il prete prendendo
l'anello di Rodolfo lo pose in dito alla sposa, Daria chinò gli
occhi sulle sue mani dove all'anulare della destra, il cerchietto
color di sangue rosseggiava cupamente. Matilde trionfava. L'eb-
brezza dello scopo raggiunto le brillava negli occhi e riusciva
a nascondere l'alterazione che aveva subito da qualche tempo
il suo viso. Portava un vestito semplice, di colore oscuro, ma
in mezzo al seno il velo era puntato con un mazzolino di fiori
d'arancio, freschi, ch'ella fiutava tratto tratto con una disinvol-
tura insolente.
La vecchia Tatta non aveva voluto venire allo sposalizio
adducendo per scusa che i vecchi stanno bene in casa. Questa
assenza fece un po' di impressione in paese, poi non vi si badò
più pensando che la bizzarra zitellona ne aveva fatte ben altre.
Popò la cerimonia vi doveva essere una piccola refezione,
affatto intima, nella casa bianca; ma tutta questa parsimonia
fece arricciare il naso agli amici di Rodolfo che lo andavano
punzecchiando perchè in tale circostanza li facesse stare un poco
allegri. Rodolfo si schermiva dicendo che suo cognato era un
orso e che non si poteva ridere con lui.
Il signor Giacomo Rossetti che ciondolava già da un'ora in-
torno agli sposi, accostò Rodolfo in sacrestia e dandogli un forte
pizzicotto in una coscia :
— Eh ! — disse — non lo abbiamo a fare un brindisi per
la vostra felicità ?
Due altri amici si avvicinarono per salutare Piero, dando-
gli la baia che era diventato cittadino. — E tu quando la fai
la corbelleria ? — gli domandarono, nicchiando.
Pierino rispose con un gesto espressivo, appoggiando il pol-
lice al naso.
— Olà ! — interruppe il signor Giacomo Rossetti, preso su-
bitamente dagli scrupoli — siamo in chiesa, ragazzi.
Rodolfo stretto intorno, affollato di domande, un po' stufo e
LA REGALDIXA.
109
moltissimo annoiato li accomiatò tutti dicendo : — Venite questa
sera da me. Xe beveremo un bicchiere alla buona.
Un'ora dopo, intanto che gli sposi si trovavano in casa di Ippo-
lito e che i curiosi un po' qua un po' là si erano tutti dispersi,
una persona girava ancora, rasentando il muro della casa bianca,
fermandosi sotto alle finestre. Era il signor Giacomo Rossetti
che fiutava gli odori della cucina per sapere che razza di trat-
tamento il rosso offriva a' suoi ospiti.
Voltando l'angolo battè il naso contro il tricorno del prete
Pacchia che ronzava anche lui per lo stesso motivo — e si fer-
marono, un po' grulli, seccati dalla sorpresa.
— Eh ? — cominciò il Rossetti — mi pare che si faccia di
magro ; poveri sposi non è con questa colazione che ....
Ne disse una grossa.
Don Pietro crollò le spalle, indifferente alla cosa, e tirò dritto
dopo avere alzato il naso per un solo momento.
In causa della cattiva stagione (aveva detto su tutti i canti
la signora Luigina) non si faceva il viaggio di nozze. Tran-
quilla, tranquilla la sposa passò dalla casa materna alla casa
dei Regaldi; e fa di non poco imbarazso per la Tatta e per
Daria rannuncio che Rodolfo aveva invitato gente per la sera.
— Sai bene che non abbiamo bicchieri! — disse subito la
vecchia ruvidamente.
Daria le fece cenno di frenarsi in riguardo a Matilde che
non doveva essere molto lieta di quegli auspici ; ma Matilde,
disinvolta, cambiava il posto a duo piccoli vasetti di porcellana
e soltanto quando la Tatta tornò a dire qualche cosa a propo-
sito di quegli infelici bicchieri, ella interruppe sorridendo :
— Mandi da Ippolito a prenderne ; oramai siamo una fami-
glia sola.
La frase parvi.* n tmii molto C' n 1 i':\ i. !!'> ; 'Il . .(\\ 'i
natosi a som moglie, le strinse il i^an ■ < m < iia 1 iii'ii<< < il
medio.
— Spero che andcremo d'accordo, Tilde.
•— Speriamo puro ; è il meglio che ci resta a fare ora. Por
parte mia lo desidero e aggiungo anche, farò il possibile.
La signora Luigina intenerita da questa scena coniugalo lo
chiese il permesso di abbracciarla e poi volta alla Tatta disse :
— È un angelo.
La Tatta le diede una occhiataccia che le smorzò subito gli
entusiasmi; si ritirò nel suo angolo modesto, a fianco del cuc&
no LA REGALDINA.
tenendosi in grembo il moccichino di giacoiietto piegato a frec-
cia, al quale ricorreva di tanto in tanto per asciugare una la-
grima furtiva.
In fondo in fondo era una giornata noiosa. Le donne, in
vista della circostanza eccezionale, non lavoravano; Rodolfo
non osava mostrarsi in paese; se ne stava sdraiato sul divano
bigio fumando e sbadigliando un poco; la Tatta poi faceva il
muso, Daria era malinconica; la sola Matilde sembrava trovarsi
a pieno suo agio, già fatta padrona della situazione e della
casa, investita dei pieni poteri di donna maritata. Stette un
paio d'ore di sopra, nella sua camera, a collocare la biancheria
nei cassettoni; chiamò cinque o sei volte la servetta per farsi
portare dell'acqua, un ago, un lume acceso, un posapiedi.
Verso le sette discese, con un fiore nei capelli e un paio
di guanti chiari che le salivano fino al gomito sul braccio nudo.
Alle sette e mezzo incominciò a capitare qualcuno. L'uso
generale del paese conservava il pranzo a mezzogiorno; i più
avanzati desinavano alle quattro; tutti dunque erano pronti e
in poco più di mezz'ora la saletta dei Regaldi era piena di
gente. Matilde fece accendere un lume nel vestibolo.
— Avete lo schic innato, cognatina mia, — le bisbigliò
all'orecchio Piero.
Ella si voltò sorridente, guardandolo dall'alto al basso con
una occhiata elittica, rapidissima.
Rodolfo circondato dagli amici, beveva e versava da bere
non occupandosi d'altro.
Daria e la Tatta facevano gli onori, quantunque in modo
ben differente; secondando l' una il suo carattere irascibile,
frenandosi l'altra più che poteva nell'immensa mestizia.
Ippolito se ne stava in disparte, muto, pensieroso, offeso
nella sua intima delicatezza dal contegno spavaldo di Matilde;
contrariato da tutta quella gente che ciarlava e ride.va a voce
alta, sofferente per la sofferenza di Daria. Ella gli venne dap-
presso un momento col pretesto di domandargli un dettaglio
di famiglia, e sedette vicino a lui. Avevano da dirsi mille cose,
ma nel guardarsi dimenticarono il resto.
— Si è fatto un bel giovane vostro cugino Piero — disse
Ippolito.
— Sì — rispose Daria.
E poi tacquero, sorpresi dal suono delle loro voci, esauriti
per Io sforzo fatto di occuparsi di cose indifferenti.
1^
»
LA REGALDINA. Ili
Matilde venne a raggiungerli; si fermò in piedi davanti a
loro e guardando un ritrattino appeso al muro, proprio al di-
sopra della testa di Daria, esclamò :
— Era destino !
H ritratto rappresentava il primo fratello Regaldi. Daria si
morse le labbra e chinò il capo intanto che Matilde soggiun-
geva con leggerezza : ^
— Se non fosse morto cosi presto mi avrebbe sposata anche
quello li; cioè, intendiamoci, o l'uno o l'altro...
Si allontanò ridendo chiamata dal signor Giacomo Rossetti
che, avendo bevuto più del dovere, si sentiva in vena di ga-
lanteria. Daria era pallida come un cadavere.
— Cara — fece Ippolito dimenticando in quel punto la sua
freddezza e prendendole la mano.
Ma una forte esclamazione della Tatta richiamò l'attenzione
generale sulla signora Luigina, che era stata dimenticata com-
pletamente e che giaceva svenuta sulla sua sedia, di fianco
al cucù.
Due uomini presero delicatamente la povera sitella e la
portarono sul letto della Tatta, non senza celiare, strada facendo,
a proposito di questo singolare svenimento. Daria la segui su-
bito e non si fece più vedere in sala, divorando meglio lo proprie
rime al capezzale della vecchia amica.
Giù gli amici di Rodolfo si fermarono fin oltre la messa-
notte, schiamazzando. Alla fine erano tutti un po' brilli, com-
preso lo sposo. Il signor Giacomo Rossetti cantò: Padre santo
ai vostri piedi: e poi si fece a raccontare la sua prima gior-
nata di matrimonio, dando a Rodolfo dei consigli. Improvvisa-
mente si ricordò che era passata la measanotte e che si trovavano
in giorno di venerdì. Salutò tutti, prese il cappello, serio, preoc-
cupato dei peccati commessi ; ma passando vicino a Matilde gli
occhi gli luccicarono ancora d'un pensiero lascivo:
— Mi raccomando, neh?... giudisio!
K sparve.
'- É capace di andare a mattutino — disse Piero.
X.
La iii;;!.>r.i I.!i .-i' .i ;-r;i.i' . .itoripi .|iir' nuoi occhi
scoloriti, rt|';i\ intuii -l'iii^tif^ <.' <]a ^.i i -<|i;i\ < n !.il . elio inni por
lo spettacolo che aveva dato alla compagnia.
112 LA REG ALDINA.
— Oh ! avrei fatto molto meglio a non venire ; lo sapevo
che le emozioni mi fanno male!... questa poi!,..
Daria la consolò alla meglio, consigliandola a starsene tran-
quilla e procurare di dormire.
Difatti non andò alla lunga; emesse una dozzina di sospiri,
alti, bassi e bassissimi, come un esercizio di vocalizzo e chiuse
le palpebre su una scala semitonata di ron ron che provarono
essersi i suoi affanni calmati sotto l'influenza benefica del sonno.
Daria vegliava, colla fronte nelle mani pensando a tante
cose del passato e del presente, affrontando coraggiosa i misteri
del futuro che le si presentava torbido e pieno di guai.
Partiti gli ospiti la Tatta venne a raggiungerla.
— Finalmente tutto è finito; sarà poi quel che sarà.
— Perchè dici cosi, zia? Speriamo.
— Non è frutto della mia età cotesto ; ben sta a te lo spe-
rare... chi vive sperando muore cantando.
A Daria non sfuggì l'allusione.
— Parla piano zia; la signora Luigina si è addormentata
appena adesso.
— Un' altra, quella lì !
Era sarcastica, pungente; diede un' occhiata all'amica co-
ricata nel suo letto e sembrandole poco coperta si levò uno
sciallo che aveva sulle spalle e glielo buttò sopra.
— Aspetta che andrò a prendere una coltre.
Senza rispondere, la Tatta entrò bruscamente nell'argomento
che le stava a cuore :
— Ed ora cosa farete? — chiese a bruciapelo, fissando nella
fanciulla i suoi occhi arditi, neri come carbonchi.
Daria abbassò il capo.
— Egli si occupa ad ammogliare gli altri, pare, ma per se
stesso non ci pensa.
— Lo sai che non può! — esclamò la ragazza scoppiando
in singhiozzi.
— E se non può perchè ti tiene sulla corda?
— Ma egli non mi ha mai detto nulla.
La Tatta parve colpita da questa osservazione ; riflettè che,
a ben guardare, Ippolito non faceva la corte a sua nipote e
se tutto il mondo lo sapeva e lo diceva è perchè amore e
scabbia non la cela chi se l'abbia. Mosse le labbra in silenzio,
quasi parlasse a sé stessa o rifacesse una storia vecchia per-
duta nella sua memoria.
LA REGALDrNA. 113
Daria riprese:
— Non mi ha mai parlato d'amore, mai; non mi ha mai
parlato nemmeno delle sue condizioni di famiglia, ma io vedo
e capisco ogni cosa.
— E lo ami.
— E lo amo. È tanto nobile! tanto onesto!
— Pure cosi non la può durare.
— Perchè?
— Bisogna decidersi. Se egli non ti sposa converrà pure
che tu ne accetti un altro.
— Non ne vedo la necessità.
■jji — Vorresti sacrificare la tua gioventù, il tuo avvenire? Pensa
"^ che non sei ricca, che morta io dovrai sobbarcarti alle esigenze
de' tuoi cugini, lavorare per loro, servirli; se capitano dei ra-
gazzi lì avrai sulle braccia...
— Ma zia...
— So cosa vuoi dire. Anch'io ho fatto così, ma ero indi-
pendente; l'ho fatto per mìa elezione, l'ho fatto...
Cercando un buon motivo la vecchia si ingarbugliò. Daria
ttandole le braccia al collo disse:
— È inutile zia, non sai mentire! Anche to ti sei sacrifi-
cata per affetto della tua famiglia, anche tu hai dedicato la tua
giovinezza a' tuoi nipotini, anche tu forse avevi in cuore...
— No ! — interruppe la zitellona.
E nella fermezza del suo sguardo si leggeva la fermess* di
un cuore che non aveva vacillato mai.
— Ebbene se tu non conosci amore, sai però cosa vuol
dire sacrificio e non puoi meravigliarti del mio e non puoi vie-
tarmelo perchè per noi donne quando la vita non può essere
ebbrezza di felicità è ebbrezza di martirio; non conosco messe
misure, non accetto consolazioni moschine. Camminerò dritta
al mio scopo e sul mio sentiero, dovesse condurmi alla mag-
giore delle infelicità.
La vecchia tacerà; rìconoscevs il suo sangve e ne gioiva
nell'intimo dello Tiscere. Alla fine disse :
— Tu hai forse ragione, e come dici sia. Desidero almeno
che l'uomo da te scelto sia degno di questo sacrificio.
Daria hIsò la fronte raggiante di fede:
— È il migliore degli uomini!
Su queste parole pronunciate un po' forte la signora Luigina
si svegliò, e il suo primo sentimento fu di confusione ; tornò a
Tot.. ZI., swto II -. 1 uigu* issa t
■
w^
114 Li REQALDINA.
profondersi in scusO; a dire che l'emozione l'aveva vinta, che
ora però si sentiva meglio e poteva levarsi.
Erano le due del mattino. La Tatta l'obbligò a starsene in
letto tranquilla, che quanto a lei e a Daria non avevano nes-
suna voglia di porsi a dormire.
— Ah! Maddalena (era questo il nome della Tatta) sono
passati trent'anni, ma mi pare soltanto ieri !
La Tatta crollò la testa; mentre Daria che non capiva il
senso di quelle parole, le guardava entrambe con muta inter-
rogazione.
— Cara ragazza — la signora Luigina in quel momento di
debolezza aveva ad ogni modo bisogno di uno sfogo — cara
ragazza, tu non conosci la mia storia; se sapessi quanto ho
sofferto !
Questa confessione sorprese moltissimo Daria che 1' aveva
sempre veduta incerta e paurosa, scolorita come un'ombra, in-
genua come un bambino, e che non la giudicava suscettibile di
decidere la più semplice quistione, nemmeno quella di soffrire
0 di godere.
— Non credi? Domandalo a tua zia.
— Andiamo pazza, quando la finirai di pensare a queste cose
che sono pili vecchie del tabarro del diàvolo?
Ma comodamente distesa nel letto la signora Luigina si
sentiva in vena di confidenze; una specie di agitazione nervosa
le accelerava le parole in bocca; perfino i suoi pallidi occhi
avevano dei riflessi quasi luminosi,
— Sì, si, continua pure ad agitarti e farai come tua cugina
Petronilla.
Positivamente la signora Luigina doveva conoscere sua cu-
gina e sapere quello che le era accaduto agitandosi; non rispose
e incominciò adagio adagio a levarsi gli spilli dalle treccie.
Però dopo un momento riprese, volgendosi verso Daria.
— Sarebbe pur utile alla gioventù il sapere a quali passi
conduce la troppa sensibilità del cuore!
Daria le strinse la mano in silenzio; intanto che la Tatta ve-
dendo spuntare la storia ch'ella conosceva come il pater nostro
si accomodava alla meglio sulla sedia e chiudeva gli occhi.
— Mi sono trovata anch' io col velo in testa e coi fiori
d'arancio !
Dicendo così la signora Luigina era patetica, di un patetico
comico non privo di interesse.
LA REG ALDINA.
115
— Come, ella fu sposa?
— Si ragazza mia; andai quasi fino all'altare.
Ella raccontava a spizzico, fermandosi ad ogni frase per
pigliare coraggio.
— Ebbi la disgrazia di innamorarmi di un giovine che....
di un giovane.... un po' discolo; ma ero sola al mondo, ine-
sperta.... credetti....
— La famiglia però ti aveva avvisata — interruppe la Tatta
aprendo gli occhi.
— Sicuro, sicuro; ma credetti... Aspettai quattr'anni, final-
mente egli mi diede promessa formale di sposarmi entro un anno.
Si fermò ancora arrossendo.
— Quell'anno lo passai sempre in casa lavorando al mìo
corredo. All'alba ero in piedi ; la notte mi trovavo davanti alla
lucemetta coH'ago in mano. Cucii e ricamai trentaquattro ca-
mice, venti sottane, feci venticinque paia di calze... Non uscivo
che alla domenica per sentir messa; l'inverno fu rigidissimo,
mi si gelavano le dita intomo ai ricami fini. A furia di lavorare
giorno e notte la vista mi s'indebolì; in prìmavera stetti a
letto un mese con una oftalmia; appena guarita tomai da capo
a lavorare. Egli diceva che mi avrebbe sposata in autunno;
l'autunno passò, venne l'inverno. Il mio corredo chiuso in tre
grandi casse empiva la camera: avevo speso tutti i mio! ri-
sparmi, mi ero sciupata la vista e la salute.... Fissò il giorno
in aprile, il dodici. Ero vestita, pronta, mancava mezz'ora alla
cerimonia quando vennero ad annunciarmi che egli era andato
in America..
Questo raccontf) sempiico o cnniinDvmt'' l.i rti;^'ii->r.i l.ui;^ina
Io aveva fatto colla sua voce monotona il.-tllo (-h<1<'ii/.i> mno/zato;
quand'ebbe finito si asciugò gli occhi col fazzoletto ri( .minto
— unico ayanso forse del tao corredo.
Daria contemplava impietosita quella donna che portava d«
trent'anni il lutto delle più care illusioni, senza che un lamento,
un rimpianto, una imprecazione avessero alterato mai la ras-
segnata umiltà del suo sorriso; e quella povera zitella che le
era sembrata tante volte ridicola, le appariva adesso sotto le
spoglie di una martire gentile — la vedeva giovane, felice,
bella forse, in attesa del diletto fidanzato e si immaginava lo
strazio orribile dell'abbandono, e capiva ohe in quell' istante
'•; tutto doveva essersi spento in lei, gioyinezzM, coraggio,
i . . Il corpo solo era sopravvissuto alla morte dell'anima.
116 LA REGALDINA.
— Se non avessi avutq questa cara amica — continuò la
signora Luigina indicando la Tatta — s'ella non m'avesse sot-
tratta allo scherno del paese e alla disperazione di me stessa....
— Ora la storia è finita — interruppe la Tatta con furia
— hai voluto far sapere le tue sciocchezze e basta; tienti per
avvisata che a nozze io non ti invito più.
Brillava una lagrima in fondo agli occhi neri della vecchia
irosa? A Daria parve.
La signora Luigina non replicò nulla; stettero ancora un
po' di tempo in silenzio tutte e tre. Dopo una notte così agi-
tata non potevano dormire, ma verso l'alba si sentirono prese
da leggeri brividi di stanchezza.
— ^ Va a riposarti — disse la zia a Daria. La fanciulla ne
aveva gran bisogno ; tante emozioni l'avevano prostrata.
Si ritirò nella sua cameretta e si buttò mezzo vestita sul
letto; mille pensieri la seguirono in forma di visione, di fan-
tasmi, di memorie, di paure ; il ricordo di suo cugino morto si
confondeva nella sua mente col fidanzato della signora Luigina
fuggente in America. L'anello di corniola, Matilde, Rodolfo, lo
nozze, tutto le passava davanti turbinando come una gran ridda
fantastica. Finalmente si quotò : una sola immagine cara, tran-
quilla usci dal caos della sua fantasia agitata; un solo nome
le restò sulle labbra. Chiuse gli occhi e si addormentò dolce-
mente cullandosi nella musica di quel nome ripetuto all'infinito.
Al di là della Regaldina, nei silenzi dei campi, le campane
del Santuario suonavano i primi rintocchi dell' Avemaria del
mattino.
XI.
Matilde inaugurò la sua vita di sposa come se lo fosse già
da dieci anni. Prese subito il suo posto nel -salotto bigio, vicino
all'uscio che dava sulla corte; vi stabili una poltroncina che
fece discendere dalle camere superiori e volle che Rodolfo le
comperasse una pelle d'agnello nero per appoggiarvi sopra i
piedi ; cosi il suo dominio si trovò subito stabilito.
Sdraiata sulla poltroncina ella ricamava qualchevolta, qual-
chevolta leggeva, più spesso non faceva nulla o arrotolava fra
le dita una sigaretta, canticchiando, lontana col pensiero da
quella modestissima camera. Con Daria e colla Tatta aveva un
contegno educato ma indifferente; con suo marito tentava la
LA REGA.LDINA. 117
'bminazione, ora per via di blandizie, ora minacciandolo auda-
cemente. Quando furono palesi i sintomi esterni della sua gra-
vidanza ella ne parlò con disinvoltura, si fece servire, si fece
compiangere, posò a donnina delicata e sofferente ; ebbe mille
capricci, i nervi, l'isterismo, i vapori. Rodolfo sulle prime fu
paziente, poi incominciò a stancarsi ed avendo assistito a due
o tre scene di convulsioni, prese il partito di farsi vedere
di -rado.
Allora Matilde si lagnò di isolamento, di trascuratezza, parlò
di illusioni svanite, di aspirazioni incomprese. Disse che la sua
salute soffriva in quella monotomia continua e fece quattro o
cinque gite a Milano.
^|l Quando tornava dalla città era sempre animata e per p»-
^* recchi giorni la casa se ne risentiva. Ella cambiava posto ad
ogni cosa, faceva una quantità di innovazioni ardite, bizzarre,
provocando i sarcasmi della Tatta e gli ooh! meravigliati e
dubbiosi della signora Luigina.
Una volta portò da Milano un corredino [elegantissimo per
neonato; delle camicioline di batista, delle cufBette di trina,
una coperta di velo con trasparente di seta rosa... Daria e la
Tatta non poterono tacere che qaelle cose le si sarebl><>ro fatte
in famiglia con molta maggiore economia.
In quel giorno la signora Luigina, vergognosa davanti a
tante meraviglie, nascose un giubbcttino all'uncinetto ch'ella
stava lavorando di nascosto.
Matilde dichiarò che le cose brutte non le piacevano.
Sul finire della primavera ella era diventata molto grossa
e passava le giornate semicoricata, ravvolta in un lungo ac-
cappatoio celeste, coi capelli sciolti rattenuti appena sulla naca
da un nastro di velluto. Tutti aspettavano il parto con impa-
zienza e stanchexsa infinita; Rodolfo d«^iderava un maschio
Wkl bello e robusto come lui, da fame an buon cacciatore.
La signora Emesta che arerà fermato una domenica Ma-
I tilde all'uscire di messa le preconizzò, coU'orchio divinatore
I dell'esperienza, ohe arrebbe una bambina,
fc Matilde si strìngeva nelle spalle, informandosi con premura
■ 46 è proprio rero che nel parto si perdono i capelli. E anche
I qui la signora Emesta, sempre in base all'esperìonsa, le disse
di si, ma soggiunse per confortarla che c'era un rimedio infal-
^_ libile nella pelle d'anguilla appena scorticata.
118 LA REO ALDINA.
come una mano, meschina meschina, con sommo dispetto di
Rodolfo che si sentiva offeso nel suo amor proprio di genitore.
Corse subito la voce che era una settimina, naturalmente,
e allora parve anche giusto che fosse così grama.
Matilde si riebbe presto, e per rifarsi di tutti i mesi pas-
sati in veste da camera si fece mandare da Milano una corazza
nera, detta Jersey aderente al corpo come una maglia. Ma
questa volta Rodolfo si risentì un poco; aveva già avute le
spese del battesimo, cosi non si poteva andare avanti ; nessuno
guadagnava in famiglia e le rendite erano più che modeste.
— Una volta — disse Matilde, ironica — non mi parlavi
delle tue rendite e parlavi invece molto delle mie corazze.
— E naturale — rispose Rodolfo brutalmente — allora non
le pagavo io.
Marito e moglie non s' incontravano nei gusti ; lui campa-
gnuolo nato, un po' rozzo, affatto materiale come lo erano del
resto tutti i suoi amici e compaesani, come li faceva il genere
di vita bestiale, le tradizioni, l'esempio, l'ozio, la mancanza
assoluta di un ideale intelligente; lei sensibile, nervosa, cor-
rotta nell'immaginazione, sensuale essa pure ma di un sensua-
lismo elegante e raffinato. Aveva un sorriso sprezzante quando
lui tornando dalla caccia, stanco e inzaccherato la incaricava
di cucirgli il carniere e di rimettere il tirante alle sue uose
coperte di mota — e lui non vedeva il sorriso, non compren-
deva lo sprezzo; se ne sarebbe meravigliato altamente, poiché
le donne in genere e le mogli in ispecie sono fatte appunto
per questo. Credeva anzi di darle una prova di tenerezza ri-
volgendosi a lei piuttosto che a Daria. Nel suo semplice cri-
terio gli pareva che Matilde dovesse stimarsi fortunata; non
era egli stato galantuomo? non l'aveva sposata? le mancava
nulla? Allattasse dunque in pace la sua marmocchietta e im-
parasse una buona volta a cucinare le anitre come piacevano
a lui !
Matilde allattò quindici giorni, poi non ebbe piìi latte, la
bambina piangeva sempre, balie non se ne trovavano ; venne
in scena il poppatoio, e allora tutte erano nutrici, Daria per
la prima, la Tatta e fin anco la signora Luigina che posandosi
in grembo la bimba con tutte le precauzioni immaginabili, sen-
tiva fondere la sua rigida durezza di zitellona in una calda
ondata d'amor materno.
La piccina crebbe cosi piuttosto bene che male, stentatina,.
LA REG ALDINA. 119
ma vispa e intelligente. Di li a qualche mese Matilde accusò
delle forti emicranie per cui il pianto della bimba le riusciva
molesto, sopratutto la notte ; e Daria se la portò nella sua ca-
meretta incaricandosi di tutte le cure che esigeva quella per-
soncina.
Nell'entrare dell'inverno ammalò; ebbe febbri acutissime,
tosse, minacciò due o tre volte di morire ; Daria vegliò le notti
intere colla sua calma serena di donna forte e quando l'ebbe
risanata le parve che un vincolo di più l'unisse alla innocente
creatura, già la piccina la riconosceva in mezEO a tutti, le fa-
ceva festa sorridendo e tendendo verso lei ie manine, e in quei
teneri amplessi Daria dimenticava ogni pena avuta.
— Lei ama molto i bambini a quel che si vede.
— Si: rispose Daria semplicente.
Qneate parole venivano scambiate colla moglie del dottore
che 81 trovava in visita di gala per il capo d'anno. Qià da un
po' di tempo le visite di questa signora spe«seggiavano avendo
di mira Daria specialmente. In quel giorno si trovavano ap-
punto soie.
— L'amore per i ragassì è nna buona dispo«isione al ma-
trimonio.
Qui Daria non si credette obbligata a rispondere per cai
l'altra soggiunse :
— Lei è troppo bellina per fare la mamma ai figli degli
altri. Conosco qualcuno che sarebbe ben felice di metterla a
capo di una famiglia sua.
— Io non penso a maritarmi.
— Qià una brava nigassa come lei non ci pensa mai, ma
quando vi pensano gli altri, e questi altri h an buon giovino....
— In tal caso sarei dolente per la persona che mi onora
delia sua prefercnaa....
— Come sarebbe a dire?
— > Che non ho intensione di prendere marito.
— Sul serio?
— Sul serio.
Un'ombra di tiia|)< u<> pasto negli occlu >!< Ihi hi^tuiru;
— Chiunqìu fuH»o 11 corcatoro? — doiimuil.* o<.m uiuli/iu.
— Chiunque.... per ora.
Questo diaeorao faceva male a Daria; ella era pallida o
eercava insano di nascondere la sua contrarietà accarcaaando
la bambina che teneva in collo.
120 LA REGALDINA.
— Mi lasci darle un consiglio, sa, non si lasci sfuggire le
buone occasioni; se ne troverà pentita.
— Non credo.
— Gli sposatori in giornata sono rari — continuò la signora
accalorandosi — il mondo è pieno di giovani senza cuore che
si divertono a pigliare a gabbo le ragazze per ridere poi alle
loro spalle.
— La cosa non mi riguarda — disse Daria con dignità.
E si levò in piedi per far muovere la bambina.
— Dunque rifiuta assolutamente?
— Si.
— Senza conoscere il nome dell' individuo ?
— È affatto inutile.
La moglie del dottore si accomiatò su queste parole. Daria
la condusse fuori dell'uscio che metteva in corte e proprio in
quel momento vide Ippolito che dal cancello interno del giar-
dino veniva alla sua volta.
Non aveva tempo di ricomporsi; il suo volto, i suoi sguardi, un
leggero tremito che l'agitava tutta colpirono subito il giovane
che le chiese con premura se si sentiva male.
Daria disse di no, poi avrebbe voluto dire di sì, perchè sa-
rebbe stato il modo più spiccio di troncare le interrogazioni ;
ma era troppo commossa. Rientrò nel salottino e si pose a rav-
viare la cuffietta della bimba dicendo: Eh! Lena saluta lo zio,
da' un bacio allo zio Ippolito.
Ippolito avvicinò il volto a quello della piccina, ma non era
tanto lontano dal volto di Daria che non sentisse il calore feb-
brile della sua pelle. Il giovane si ritrasse con un brivido ; tornò
a guardare la giovinetta e disse:
— Ma davvero lei ha qualche cosa; è uscita adesso la mo-
glie del dottore... che le disse? che avvenne?
.' — Nulla. — Pronunziando questa parola la voce di Daria
era colma di pianto.
— Daria — diss'egli tanto teneramente che nessuna dichia-
razione d'amore avrebbe potuto superare la dolcezza di quel
nome in bocca sua — io ho pur versato il mio dolore nel suo
cuore quand'ella me ne richiese.... Ora chiedo la mia parte nel
dolore che la affligge.
Colla testa china ella continuava ad accarezzare la Lena,
baciandola lieve, lieve sui capelli e sulle manine, cullandola in-
sensibilmente.
u
LA REGALDINA. 121
— Un presentimento mi dice che io c'entro per qualche
cosa nel suo affanno; forse la moglie del dottore... non so ve-
ramente cosa possa dire di me, ma infine....
— No, non mi ha parlato di lei.
— E allora?
Ippolito era incalzante, guardandola ansioso coli' interesse
che dà il vero affetto.
Proprio nulla — fece Daria tentando di mostrarsi disin-
olta — quella signora voleva... voleva niente insomma ; voleva
'**inari tarmi.
La fronte di Ippolito si contrasse dolorosamente.
— Ma io le diasi che non voglio — soggiunse Daria con pron-
tezza — ed ecco.
Si guardarono. H bel sorriso di Ippolito spuntò sui suoi labbri
mentre mormorava :
— E vero che io non c'entro per nulla!
Fu un raggio celeste quel sorrìso.
Ella gli stese una mano mentre coU'altra teneva la bambina,
ippolito la strìnse ardentemente, avvicinandosi a lei con uno
ncìo d'ebbrezza; ma furono forti tutti e dae. Dana rìssò in
edi la piccina tendendogliela tutta tremante. Egli sensa levare
gli sguardi dalla sua diletta, baciò e rìbaciò intensamente U
testina dell'angelo che stava in messo a loro.
Ippolito voleva parlare, quando entrò Rodolfo in cerca del
o fucile per pulirlo ; ma il cane non gìuocava bene e pensò
e era meglio mandarlo dall'armaiolo ; allora si buttò a traverso
del divano dicendo a Darìa di fargli vedere le prodesse di quella
bambolina; egli era meravigliato che non camminasse ancora.
Dopo una notte di insonnia affannosa Ippolito scrisse a Daria :
u L'amico che ha tanta stima di lei e che desidera la sua
felicità la prega di ponderare seriamente il rifiuto dato, e se ha
un po' d'affetto per lui, in nome di questo affetto medesimo la
sapplica di pensare al suo avvenire. ••
Daria rispose:
li Grazie; sono immutabile, n
Nbkra.
LA POLItlCA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA
I.
Prima del 1860, non v' era Stato di Europa del quale la
Chiesa si chiamasse più contenta che della Prussia. Il 18 ot-
tobre 1861, re Guglielmo, nel giorno della sua incoronazione
solenne, diceva: u È di sodisfazione al mio animo il sapere, che
nel giro di tutto il mio Stato le condizioni della Chiesa cat-
tolica sono bene ordinate dalla storia, dalle leggi e dalla co-
stituzione, n Due principali fondamenti aveva quest'ordine pa-
cifico e sicuro: l'uno la bolla de salute animarum del 17 lu-
glio 1821 , che insieme col breve dello stesso giorno aveva
riordinata la Chiesa nel regno di Prussia, 1' altro, la costituzione
del 31 gennaio 1850. In quella bolla e in quel breve Pio VII
coir assenso del governo di Federico Guglielmo — assenso di
cui in quei due atti non era fatta menzione, ma che era espli-
citamente espresso in un'ordinanza di gabinetto del 23 agosto
— aveva, ricostituendo le diocesi del regno, restituito i capitoli
nel diritto d'elezione dei vescovi; ma prescritto anche: — u Si
apparterrà a voi lo scegliere persone, che oltre alle altre qualità
prescritte dal diritto ecclesiastico, sappiate reputate per lode di
prudenza, e grate al serenissimo Re, delle quali cose curerete
di essere certificati innanzi di celebrare, conforme a' canoni,
l'atto solenne dell'elezione n. * La costituzione d'altra parte gua-
' « Vestrarum partium erit, eos adsciscere, quos, praeter qualitates pra-
dentiae insuper laude commendari , nec serenissimo regi niinus gratos esse
noveritis, de quibus antequam solennem electionis actum ex canonun regulis
rite celebretis, ut vobis constet, curabitis. » Queste parole non son nella bolla,
ma nel breve.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
123
rentiva la libertà della confessione religiosa, dell'associazione
religiosa, del culto in comune domestico e pubblico (art 12);
dichiarava che la Chiesa evangelica e la Romana-cattolica al pari
di ogni altra comunità religiosa, avrebbero ordinato e ammini-
stiato i loro affari di per sé, autonome (selbstilndig), e sarebbero
rimaste in possesso e godimento degl' instituti, delle fondazioni
e dei fondi, destinati ai lor fini di culto, d' insegnamento e di
beneficenza (art. 16); lasciava libero e senza ostacolo il commercio
tra le associazioni religiose e i lor capi, non assoi^gettando la
pubblicazione dell'ordinanze ecclesiastiche se non alle sole li-
mitazioni, alle quali soggiacessero tutte le altre pubblicazioni
(art 16); e abrogava ogni diritto che appartenesse allo Stato,
di nomina, proposta, elezione o conferma (art. 18).
Era naturale, che, cosi consigliata a vivere in armonia col
Governo, e d' altra parte non impedita in nessun suo moto o
impresa, la Chiesa cattolica prosperasse molto nel rfgao di
Prussia. Io non so, se negli anni scorsi dal 1821 al 1860 il
numero dei suoi credenti crescesse; ma crebbe, di certo, l'ade-
renza dei credenti stessi tra di sé e eoli' autorità religiosa ohe
li guidava; crebbe la dottrina e la ricchezza; e soprattutto pre-
sero le corporazioni religiose, e in ispecie quella dei gesuiti,
— cosi grande spauracchio agli uni e speranza agli altri, — una
diffusione maggiore forse che in ogni altro Stato di Europa.
II.
Più ragioni andarono a poco a poco turbando un eo§\ npotato
e coti belio vivere. La Chieda cattolica rappresenta un complesso
d'influenze sociali e morali, un complesso di direzioni intellettuali,
che combattate sempre, hanno ancora più aspra guerra nei tempi
in cui lo spirito umano si risente, e concepisce in sé fiducie non
solo grandi, ma smisurate, e s' aspetta ehe ogni verità si debba
schiudere avanti a' suoi occhi, e disdegna o|pii pensiero, ogni
atto, ogni preaente, ogni avrenire che non 4i|X)ii*la <!* omo.
Trr^:' fatti sono atati e sono i nostri. Sicché in ossi l'ostilità
al umo é naturale, e tanto più si arrovella, quanto più
pare che lo sue radici si allunghino e si sprofondino. A quosto
motivo, eoa! necessario e cori profondo, di gelosie e paure via
ria crescenti dei partiti liberali contro la Chieaa, se n' aggiun-
sero parecchi, più accidentali, più passeggeri, ma non meno
efficaci.
124 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
E tra questi, noi italiani, siamo stati uno dei maggiori. Non
ho da giudicare o da esaminare qui il pregiudizio dei cattolici,
che alla buona costituzione della lor Chiesa non solo conferisca,
ma sia necessaria, non dico l'indipendenza del Pontefice, ma una
sovranità temporale con cui quella sia indissolubilmente con-
nessa. A ogni modo, è certo che vi possono bene essere cat-
tolici illuminati, i quali sanno separare V indipendenza nell'e-
sercizio dell' autorità spirituale dalla sovranità temporale : e son
persuasi, che, se la loro congiunzione fosse indissolubile, il pro-
blema sarebbe disperato, poiché il fare ora e il mantenere so-
vrano un capo di religione è affatto impossibile nella condizione
presente delle società civili; ma i più dei cattolici né possono
né vogliono entrare in un siffatto ragionamento, e gliene é di
giunta chiusa la via dall' autorità stessa del Pontefice e di tutta
la gerarchia che consente con luì. Ebbene, il moto italiano
dai suoi primi passi mostrò ch'esso sarebbe riuscito pernicioso
e deleterio per la sovranità temporale del Pontefice, che già
nel 1860 restrinse in così brevi confini. Sicché sin d'allora fu
guardato di mal occhio dal Clero cattolico in Prussia e altrove ;
seguito in ciò come nel rimanente, dalla molta maggior parte
del laicato cattolico, quando non si debba dir tutto. Ora il
Governo prussiano che fu da principio dei meno favorevoli e
dei più sospettosi verso l' Italia, anzi fu esso quello che colla
minaccia di unire il suo esercito all'austriaco, fermò al Mincio
l'imperatore dei francesi e il re di Piemonte, le s'accostò a mano
a mano che nella mente del conte di Bismark, diventato il ministro
dirigente della Prussia nel 1862, si andò facendo più chiara la
convinzione che si potesse e dovesse dare al suo re il posto
principale nella confederazione germanica, e cacciare l'Austria
da questa , e che a ciò 1' alleanza dell' Italia sarebbe servita.
Se non che a mano a mano , che questa sua politica apparì,
il Clero e il laicato cattolico di Germania cominciarono ad
alienarsi da lui e ad entrare in paura dell' indirizzo del Governo.
Né solo doleva loro il ravvicinamento all'Italia, ma altresì l'al-
lontanamento dall'Austria; e l' intento di dar la prevalenza
nella confederazione a una potenza protestante e rimodellarla
sotto r egemonia di questa , abbassandovi 1' autorità sinallora
prevalente d' una potenza cattolica , anzi cacciandonela fuori
a dirittura. Pure, il 1866 fu appunto vista la Prussia in guerra
coir Austria e alleata coli' Italia; l'Austria, fuor d'ogni aspetta-
zione, vinta e disfatta; la Prussia non solo a capo della confe-
1^^ Ac
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
125
derazione germanica, ma accresciuta e arrotondata di territorio
a danno degli stati protestanti e cattolici di Germania, che le
sì erano dichiarati contrari,
E fu peggio, quando quattro anni dopo alla Francia toccò
la stessa sorte dell' Austria, e la seconda potenza cattolica andò,
come il Bismarck s'espresse, per la stessa via della prima. Fu
calunnioso il dire che i tedeschi cattolici mostrassero spiriti poco
nazionali nella guerra; e fossero dal sentimento religioso preoc-
cupati per modo, che quello della patria parlasse nei loro animi
non meno chiara e forte voce che non facesse ne' lor concittadini
protestanti. Gli uni combattettero non meno valorosamente degli
altri; e con pari rabbia e successo. Ma è d'altra parte sover-
chio il credere, che il risaltato ultimo della guerra, — la pre-
valenza della Prussia, non solo in Germania ma in tutta Eu-
ropei, e il distacco di due provincie da una potenza cattolica
per incorporarle a una protestante — questo risultato, dico, pia-
cesse alle autontà ecclesiastiche in Roma ed altrove. Certo era
una mutazione nell'equilibrio delle fonse rispettive degli Stati,
della quale la Curia romana non si poteva aspettare nulla di
bene. E di fatti fa accompagnata dalla ruina totale del potere
temporale del Pontefice, il 20 settembre del 1870; ruina che
non si può dire, piacesse al governo Prossiano, anzi ne fece
riserve maggiori forse di qualunque altro governo, ma a ogni
modo mancò cosi di porvi ostacolo come di darvi riparo.
Che non volesse né impedirla né ripararla, le ragioni fu-
rono molte; ma tra le altre e non ultima la proclamazione fatta
sppoim d\u; mesi prinu, nel concilio Vaticano, il 18 luglio 1870,
della infallibilità del Pontefice. Sarà bene ricordare in quali ter-
mini fosse: tt II romano Pontefice, pronunciava, quando parla eoo
cathedra — cioè qaando, adempiendo l'ufficio di pastore di tutti
i cristiani, in virtù della suprema autorità sua, definisco, per
l'asiiitftcnza divina promessagli nel beato Petro, una dottrina
circa U fede o i costumi che debba OMer tenuta dall'universa
chiesa, — possiede quella infallibilità, di cui il divin Redentore
volle che la Chiesa sua fosso fornita nel definire la dottrina
circa U fede e 1 costumi; e perciò, le definizioni del Pontefice
Romano fono per sé, non già per il consenso della chiesa, irrefor-
mabili. So alcuno presuma di contradire a questa nostra defini*
aione, il che Iddio tolga, sia anatema. ' Ora, nell'aspottasione che
* Eoooae il tosto Utino: Nos trsditioni a fide! eàrisliaiMM szof^io pei^
•tpU« fidcliur inhaereado sd dd 8al?atoris nostri glorissa rsUgioBii cs
126 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA
una definizione siflfatta, o qualche altra simile, nociva alla buona
intelligenza tra i governi e la sede Pontificia, dovesse uscire dal
Concilio, già i governi erano stati in non piccolo allarme; però
alla proposta venuta dalla Baviera di prendere qualche concerto
(9 aprile 1869), il conte di Bismarck aveva risposto: u che gli
ammonimenti e le rimostranze dei sìngoli governi a Roma sareb-
bero bastati a inclinarla a moderazione, e del rimanente, almeno
nella Germania settentrionale, s' avevano armi sufficienti {durch-
schlagende Waffe) contro ogni ingiusta usurpazione della potestà
spirituale m. Era d'altra parte, o si credeva, una guarentigia sicura
contro ogni simile esorbitanza, la disposizione d'animo deli' Epi-
scopato tedesco che le si chiariva contrario nell' interesse dello
Stato e della chiesa, col dire, — eh' è la solita forma — di non cre-
dere neanche che la proposta si sarebbe fatta, anzi essere calun-
nioso il diffondere la voce, che il farla e il vincerla fosse il
proprio fine del concilio (Lett. pastorale del 6 settembre 1869).
E in verità nel concilio la maggioranza dei vescovi tedeschi,
anzi dei forestieri la combattettero quando all' improvviso fu-
rono chiamati a deliberarne; e infine, per non votarle contro
dinanzi agli occhi stessi del Pontefice, se ne andarono via.
Ora, i teologi protestanti, gli uomini politici e il governo di
Prussia commisero in questa circostanza più errori di giudizio.
Credettero che la definizione della infallibilità pontificia dovesse
avere nella condotta della Curia Romana più efficacia, che dav-
vero non ebbe; e desse alle sue risoluzioni o ordinanze una
maggiore e più assoluta forza di prima. Immaginarono, che per
via di tali definizioni, i governi sarebbero stati alla mercè del
Pontefice; e che questi avesse voluto quella definizione per in-
traprendere appunto contro i governi laici una guerra, nella
quale non si potesse fermarlo. Ora, né questa era l' intenzione
del Pontefice , né se fosse stata , la definizione d' un Concilio
tboHcae exaUationem et christianorum populorum salutem sacro approbante
concilio docemus et divinitus revelatum dogma esse definimus: Romanum
Foutifìcem cum ex cathedra loquitur, idest, cum omnium Christianorum pa-
storis niunere fungens prò suprema sua apostolica auctoritate doctrinam
de fide vel moribus ab universa Ecclesia tenendam definit per assistentiam
divinam ipsi in beatro Petro promissam, ea infallibilitate poUere, qua di-
vintis Redemptor Ecclesiam suam in definienda doctrina de fide vel moribus
iustructam essa voluit ; ìdeoque eiusmodi Romani Ponteficis definitiones ex
sese, non autein ex consensu Ecclesiae irreformabiles esse. Si quis autem
buie nostrae definitioni contradicerct quod Deus arertat* praesumperit, aua-
thema sit.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
127
sarebbe bastata o servita ad effettuarla. Gli uomini peccano nel
dare, quando troppo, quando troppo poco valore alle influenze
prettamente morali nel corso delle società umane.
L'altro errore fu il credere, che l'opposizione fatta dall'Epi-
scopato germanico alia definizione dell' infallibilità, prima che
fosse pronunciata, sarebbe continuata dopo; e aiutata dalla osti-
nazione propria dello spirito tedesco nelle opinioni che crede
fondata nella scienza e soprattutto nella scienza sua, si sarebbe
convertita in una durevole scissura della chiesa cattolica. Il che,
certo, al governo pruss'ano sarebbe piaciuto ; poiché non gli
gioirà l'avere una pirte non piccola della sua popolazione di-
pendente da un'autorità forestiera, e di p^nsiera difforme da
quello che penetra tutta la sua esistenza politica.
Se non che, nelle cond'zioni della chiesa, non solo attuali, ma
quali sono da qualche secolo, una simile scissura era inverisimile,
o piuttosto impossibile. Il clero ha potuto tibra mostrare qual-
che opposizione alla sede Pontificia e persistervi. Ma quando?
Quando si è sentito sicuro di trovare nei governi o nei laicati
un appoggio, dipendente non solo da inter^Mse politico, ma
da simiglianza di convinzione religiosa. Questa sicurezza, il
clero oggi non solo non l'ha, ma ha la contrtrii; cioè che se*
irato dal contro suo, dtlla base «aa, oh'è U chiesa di Roma,
troverebbe in breve abbandonato da ogni parte o cadrebbe
per terra. Ed è quello, che sfuggi altresì a un partito, ohe non
senza speranza dell'aiuto del governo, procurò di macero, vivere,
prosperare nell'interno «Ioli i chiesa cattolici, acctUtiindone quasi
ogni altro domma da quello dell' infalli bilit.'i in fuori. Il campo
in cai germogliò, era il più cattolico di Oj''m\nia, la Baviera:
l'u ino, che se ne mise a cipo, il più dotto e riputato teologo
<.i:i ilico di Qermsnia, il Dollinger. Niento d'umano mancava
perchè cotesto scismi riuscisse; nh la ragiono, né la scienaa, né
il favore di molti ven'^nnli uomini. Pure, come ora un orrore
il credere, che l'opposi /.i me dell' Episcopato sarobbe persistita,
cosi fu un errore non minore il far fondamento nell'avve-
niri liei Vecchio rnHolìcitmi, e nell'aiuto ohe, in una guerra
contro la Chiesa liomant, se ne sarebbe potuto atip<^ttare. Vi
bisogna maggiore fede e maggior ardore di fede che non si
trova oggi, per trarsi dietro molta gente, coir«dditarlo soltanto
in un credo vecchio la mntssiono di un punto di dottrina da
chi si suppone chr non avesse il diritto di fi<rla. Pure, il go-
verno prassiuno, che aveva commesso il primo errore, commise
128 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
altresì il secondo 5 e si mise per una via, nella quale è rimasto
in fine poco meno che solo, nella persuasione che l'avrebbe bat-
tuta in gran compagnia.
Però questi due errori di giudizio non sarebbero forse di-
ventati un errore pratico, se il Conte di Bismarck non fosse stato
incitato, ripeto, a commetterlo dal contrasto che l'opinione cattolica
osò, come tale e perchè tale,fai'gli nel Parlamento germanico e nel
prussiano. Ora, già nella sessione del 1871, si vide come il sentimento
religioso dei cattolici era abbastanza eccitato per creare di per
sé solo un partito, che si reggesse soprattutto sopra esso, obli-
terando ogni altra differenza di opinione; e come gli venisse forza
e numero dalla Germania meridionale, specialmente dalla Baviera.
Tale, di fatti, fu il partito chiamato del u centro n. Si manifestò
nella discussione dell'indirizzo sul finire del marzo di quell'anno,
respingendone il testo adottato dalla maggioranza liberale, in
ispecie perchè v'era detto : u I giorni della ingerenza nella vita
intima dei popoli non torneranno, noi speriamo, sotto nessun pre-
testo e in nessuna forma n. V'ha occasioni, dicevano i deputati
del centro, nelle quali può occorrere ancora l' ingerirsene, nelle
quali la violazione dei trattati è tanta e di tal natura, che non
si può lasciarla senza rimedio ; e una occasione "siffatta essi ve-
devano nella nostra occupazione di Roma, e nella spogliazione
del Papa. Ebbene, una siffatta opposizione riusci al Conte di
Bismarck particolarmente irritante e noiosa. Gli elementi che le
venivano da provincie soggette alla Prussia da poco e di mala
voglia, gliela facevano ritenere pericolosa all'unità recente e fre-
sca dell' impero, u Quando io venni di Francia, diceva egli, nella
seduta del 30 gennaio 1872, io era nell'impressione e nella cre-
denza che noi avremmo ritrovato nella Chiesa cattolica un appog-
gio per il governo, un appoggio incomodo, forse e di cui si sarebbe
dovuto usare con prudenza; ma fui maravigliato di vedere appunto
il contrario n; e qui continuava, mostrando quanta ostilità e pas-
sione fossero apparse, a suo detto in ogni parola e atto, durante
l'elezioni e poi, per parte di questa accolta di uomini nella Ca-
mera, e de' molti che li seguivano nel paese. Un uomo della sua
natura non doveva né tollerare nella sua via trionfale un osta-
colo siffatto, ne volerlo vincere altrimenti che d' assalto e per
forza. E vi si sentiva indotto dalla condizione in cui era, nel
parer suo, la Chiesa cattolica, e dalla persuasione cosi ragione-
vole in apparenza e pur così poco fondata, che una parte della
influenza propria di quella Chiesa si sarebbe separata da Roma.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
129
Cosi e da tante parti il governo prussiano fu avviato alla
politica ecclesiastica nella quale entrò nel 1872, si confermò
nel 1873, òi ostinò nel 1874, continuò sino al 1880 con molta
risoluzione, e s'arrestò nel 1881 per retrocedere nel seguente e
forse abbandonarla in tutto nell'anno che corre. Essa nacque e
crebbe in un miscuglio d'influenza liberale, di necessità parla-
mentare, di generale direzione politica, di esorbitanza ecclesia-
stica e di tenacità tedesca. Non mai politica è riuscita meno ; si
può dire di non avere raggiunto nessuno a dirittura de' fini che
a' era proposta. (1)
m.
Né è a dire, che la sua mala riuscita avesse ragione o nella
^oca dottrina con cui la legislazione inspirata da questa po-
litica fu compilata o nella poca costansa e sincerità con cui fa
messa in atto. Quella legislazione, invece, è la più adatta allo
scopo che si pjssa pensare ; ò fratto di stadio accarato e sa-
gace. Dalia prima legge che propriamente le appartiene, qaella
deiril maggio 1873, sulla educationé e la nomina dei sacerdoti
IO all' ultima del 7 giugno 1876, circa il diritto d'ispezione
dio Stato sull'amministrazione dei beni nMe diocesi cattoliche,
si sviluppa con molta coscienza un sistema di messi inteso a
contenere la vita delia Chies:i nei limiti dell'aziono dello Stato,
ad associarla con questo, a penetrarla degl' interessi o delle
vedute di esso, a spogliarla d'ogni mezzo o sussidio d' opposi-
zione, anzi di moto suo proprio ed indipendente, a restringerne
il potere si verso il clero si verso il laicato che le appar-
tiene, a soggettarne la giurisdisfooo alla gtarisdisiono suprema
dello Stato. Se questa mota, nella società nostra, b possibile a
conseguire, le sole vie che ci menino, sjno pur quollo, che
questa logislazioae diiogoa; la quale non si può diro maestra
di esse sole, ma benil ancora di tutti gli espedienti propri! a
Tire ogni contrasto attivo o passivo, ogni contrasto che
i -....itta nell'attacco o nella disobbeJionza. Non À possibile
andare più oltre eh' essa non sia anlata. Basta ricordare
in questo rtipetto dae bggi solo: qaella impsriilo dot 4 mag-
gio 1874, e l'altra prussiana del 22 aprile del 1875. Colla
prima, un sacerdote, il qaale, condannato in uno dogli Stati
dell' impero por avere celebrato atti spiritatili scnxn nsinre
nello condizioni volute dallo leggi anteriori, fusso scoparto a
Voo XI.. S«rto ll-l L«g|to ISHb t
130 LA POLITICA ECCLESIASTJCA DELLA l'IlUSSIA.
celebrarne ancora, come se tuttora gli competesse l'ufficio, che
il giudizio ha dichiarato non gli competere, può avere dall'au-
torità di polizia del paese assegnato il posto in cui stare o quello
in cui gli sia impedito di stare : anzi, quando l' atto cele-
brato da lui contenga un'espressa occupazione dell'ufficio o
ne importi un effettivo esercizio, o egli ricalcitri all' assegna-
zione di dimora fattagli dall'autorità di polizia, egli può essere
dall'amministrazione centrale (Centralbehorde) dello Stato cui
appartiene, dichiarato decaduto dalla cittadinanza o cacciato via
dall'intero territorio della Confederazione. Basta, ci pare ; il con-
fessare, il dir la messa, il battezzare in qualità di curato, il
cresimare, sono atti punibili col domicilio coatto, col bando,
coll'esilio, colla perdita della cittadinanza, se son celebrati da
chi non ha dallo Stato riconosciuta la sua competenza a celebrarli.
L'altra legge del 1876 prende per fame i sacerdoti e i vescovi,
che non s'obblighino per iscritto a obbedire le leggi dello Stato;
sinché questa dichiarazione non sia fatta, sono sospesi tutti i
redditi dei vescovati, degl'istituti che loro appartengono, dei
sacerdoti, i quali provengano dall'erario pubblico o da fondi
particolari, stabilmente amministrati dallo Stato. Il che vuol
dire abbandonare, non già più il mantenimento dell' ufficio
— poiché questo, é tolto ogni modo di tenerlo — ma il man-
tenimento della persona alla carità dei fedeli, e spogliare la
Chiesa cattolica di tutto quanto lo Stato gli ha dato in ricambio
di quei beni suoi proprii , che il soffio delle rivoluzioni ha
spazzato via. Il sistema, dunque, di questa legislazione preven-
tivo e repressivo si può dire perfetto; e non ha lacune. Un
pensiero compiuto , vigile , ostinato la penetra mirabilmente
tutta quanta.
E il Governo l'ha eseguita con mano di ferro dal dicembre
1870, che mantenne maestro di religione nel ginnasio di Braun-
sberg il Wollman, cui questo insegnamento era stato inter-
detto dal Vescovo, poiché si rifiutava a includervi il domma
della infallibilità, sino alla primavera del 1878, che il sacerdote
Kuskiewicz, dopo essere stato due interi anni in prigione, per
avere accettato l'ufficio di vicario in un villaggio del circolo di
Pleschen dall'arcivescovo di Posen, in opposizione delle leggi,
fu mandato in esilio nelF isola di Zingst presso Strai sund tra
protestanti, tra' quali non aveva modo, non ch'altro, di guada-
gnare la vita; e che una signora di Kosten fu multata di più
di 20000 marchi per essersi ricusata di far da testimone contro
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
131
un sacerdote che a in opposizione alle leggi n (gesetzwidrìg)
avea detto messa. Che resta a un Governo per assicurare l'ob-
bedienza alle leggi, altro che il patibolo ?
xsè si può dire che una cosi industriosa legislazione e una
cosi rigida esecuzione rimanessero prive di effetti, u La Chiesa
cattolica in Prussia, confessa uno scrittore degno di fede e cat-
tolico , non s' è mai vista a peggiori termini di quelli in cui ,
a riguardare le sue condizioni esteriori, si ritrovò nel 1877. I
vescovi, a eccezione dei pastori supremi di Kulm, Elrmland,
Osnabruck e Hildesheim, morti o in esilio. Numerose parroc-
chie eran prive di cura di anime; si calcolava vicino al mo-
mento, in cui gli ultimi u sacerdoti belligeri n sarebbero stati
portati via dalla morte. 61' instituti di educazione del clero
chiusi; i conventi soppressi; le associazioni più operose soffo-
cate ; tutto a nome della legge di difesa della u anica sovra-
nità dello Stato, n E di giunta la mano dello Stato premeva
senza ostacolo sulle scuole, e sulla edncaaìone della generazione
avvenire. La legge d'ispezione scolastica aveva sbandito il clero
da quelle ; le nuove disposizioni suiriosegnamento si propo-
nevano per tutu le scuole del paese Tunica meta della educa-
zione nazionale. Neanche l'insegnamento della religiono doveva
rimanere alla Chiesa. Con paurosa chiarezza il ministro del
culto aveva dichiarato : u L' insegnamento di religione ood-
forme al programma è dato sotto V ispeziono dello Stato da
persone a ciò chiamate o licenziate da esso, n A' sacerdoti ora-
mai non sarebbe stato conceduto d'insognaro la verità della ro-
di ' HO non quando il consiglio scoLostico non vi avesse fatta
oì> ' , e il sacerdote avos^io seguito gli ordini delio Stato
rispetto a' temi da usare e alla 'ripartizione dello materia. Per-
sino il privato insegnamento r ' «a' fanciulli obbligati alla
sriK.Ia era tenuto in conto •... - , .mibile usurpazione di un
' pubblico, n II pia alto tribunale del paeae aveva con
Uigliente rigidità posto il principio; che u dritto in Prussia sia*
che l'insegnamento religioao conforme al programma nullo scuole
popolari potesse essere commesso a' msostri e allo maestre in-
dipen lite d%)la missio ennontca. Cosi era affatto nelle
mani ••• n.. .xato , il trarre il popolo a' suoi fini; alla Chios»
secondo diritto non rimaneva nulla. K i ponitori soggiacevano
a una violenza, che rendeva pressoché impossibile l'educazione
dei fanciulli fuori dello scuole governative s.
So questi erano i fini che il Governo si ora proposti ; su
132 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
l'intento suo era lo stremare di forze, il dissanguare la sua ini-
mica, che cosa poteva sperare di meglio? Non doveva credere
vicina una vittoria intera o una allegra vendetta? Basta un dato
solo: i cattolici contano in Prussia 8,711,535 anime; a' cui bi-
sogni spirituali supplivano nel 1873, 4627 parroci, 3812 coadiu-
tori. Ora nel 1881 mancavano di quelli 1125, di questi 645. Si
poteva scorgere non lontano l'avvenire, in cui l'azione della
legge avrebbe per se sola tolto di mezzo il rimanente dei primi
e dei secondi.
IV.
Ma quello non era il fine che il principe di Bismarck
s'era proposto nell'entrare in questa guerra. Non aveva cessato
di dire che il suo fine era appunto l'opposto e gli si può cre-
dere. Nessun uomo di stato vede senza paura il giorno in cui
una gran parte di popolazione ch'egli governa o che altri go-
vernerà dopo lui, rimanesse turbata nella sua credenza religiosa
e priva di quella sulla quale posava da secoli, non fosse in
grado di acquetarsi in nessun altra. Peggio, se, la credenza
rimanendo, alla popolazione vengano meno soltanto o sieno sot-
tratti i mezzi coi quali quella compie presso di essa il suo ufficio
spirituale. Il suo ufficio di appagamento in questa e di conforto
e fiducia in una vita di là. Alcuni pregiudizi o passioni che si
chiamano liberali possono trarre taluni uomini di stato per una
via cosi arrisicata, ma non senza esitazione; non si poteva con-
tare, che fosse del lor numero il principe di Bismarck, inclinato
da tutta la sua educazione, se non a pregiare aopra tutte la
forma cattolica del cristianesimo, a dar pure alle influenze so-
ciali di questo un gran peso e valore. S' egli s' era cacciato in
una tal guerra, v'era stato spinto dal desiderio di liberare il
nuovo impero dal pericolo che, secondo lui, l' organizzazione
del cattolicesimo, la sua storia, le sue affinità naturali creavano.
Y'era in questo suo timore del fantastico, ma anche qualcosa
di reale. Ed ecco ora si toccava con mano che la politica
-jidottata da lui accresceva un tale pericolo, s« e' era stato prima,
o lo creava se non e' era. L' alienazione dei cattolici cresceva.
In questa alienazione crescente la resistenza persistente del
clero trovava il suo fomite e il suo appoggio. La speranza
già nutrita da lui di avere aiuto dal di dentro del cattolice-
simo si era dileguata via via. Di cattolici non ultramontani
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
133
s'era sentita qualche voce in principio; ma a mano a mano
s' era spenta. L' episcopato germanico aveva mostrata tanta ri-
pugnanza ad accettare il domma della infìiUibilìtà prima che
fosse pronunziato, quanta ostinazione mostrava a mantenerlo
dopo. Il vecchio-cattolicismo si chiariva privo d'ogni vigore. La
legge del 4 luglio 1875 che aveva determinato i diritti delle
parrocchie vecchio-cattoliche sulla sostanza ecclesiastica, era
rimasta vuota d'effetto. L'Imperatore, religioso dì sua natura,
non era contento, che tanta parte dei suoi sudditi fosse turbata
nella sua coscienza. L'attentato del 13 luglio 1874 contro il
principe di Bisraarck era stato voluto interpetrare come uno
scoppio d' ira cattolica contro di lui ; la palla destinata a colpir
la sua fronte era rimbalzata, si disse, sul cuore del papato in
Germania e l'aveva ferito a morte. Ma gli attentati dell' 11 maggio
e del 2 giugno 1878 contro l' Imperatore stesso ebbero diversa
interpretazione. Si senti, che sarebbe giovato il rafforzare l'in-
flusso religioso sugli animi delle moltitudini. Nell'assemblea del-
l' Impero fu espresso apertamente il desiderio, che la chiesa fosse
adoperata a combattere lo perversioni sociali e democratiche.
E la principal mira del principe di Bismarck non era oramai
più quella, ma queste.
L'entusiasmo, con cui la parto liberale aveva salutato la
guerra contro la chiesa, andava via via sfumando. Si sa il nomo
che l'era stato dato: Kulturkampf. Ne abbiamo ancora intro-
nate le orecchie. Ora è esagerato l'additare il cattolicisiuo corno
a dirittura il nemico della cultura. Ila avuto troppa parte il
cristianesimo in ogni saa forma all'avanzamento della cultura
stessa, perche ad alcuno delle sue forme possa spettare il so>
pranDotne di antagonista di essa. Vi sono, in realità, e vi sono
state alcune direzioni nella cultura moderna cui il cattolicismo
s' oppon<^, altro cui s' oppone il erìstianosimo, altre cui s'opponn
ogni religione, ma cotesto direzioni sono appunto ancora *m^
judice. Non si può nemiche disconoscere, che parecchie dellti
scienze, il cui rigoglio oggi è più potente e promettonto, sono
stato riguardate con sospetto dall'autorità ecclesiastica nei Ior<>
principii ; ma bisogna dire, da una parto, che queste scienso
nei loro principii supponevano e«se stesso di dovor portare
nel sistema delle ideo religioie e cristiano un maggior turba-
mento che non hanno poi fatto, dall'altra che ora molto natu-
rale, che i custodi di quello idee se no mostrassero alla prima
sgoinrnt;, e anche solo si «ontissoro disagiati di csior chiamati
134 LA «POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
a ricoinciderle e a riordinarle. E anche vero, che il cattoli-
cismo s' è posto in contradizione con tutto il moto d' idee libe-
rali moderne, e tutti gli effetti loro nella costituzione politica
e sociale; e ha mantenuto contro esse uno spirito conser-
vativo del vecchio, con più costanza che non abbia fatto nessun
altra instituzione. Ma qui è pur necessario di aggiungere,
che alcune almeno di coteste idee liberali sono tutt' altro che
assicurate ora della verità loro ; e parecchi dei loro effetti
appaiono misti di molto male. Sicché si può dire vero ufficio
della cultura non già sposare quelle o queste con una ostina-
zione cieca, ma mantenere lo spirito libero e aperto a discuterle,
convinti, che ciò che giova a progredire, non è' già l' imma-
ginarsi d'aver trovato, ma il persistere a ricercare.
Ma checche di ciò sia, è bene sentire come ora parlano di
questo celebratissimo Kulturkampf, quelli stessi che più lo
vantavano. L' Hahn, uno scrittore che ha raccolto i documenti
di tutta qaesta guerra ecclesiastica nell' intendimento di pro-
vare, come il governo prussiano fosse stato sempre mosso dal
desiderio della conciliazione, scrive così: u In un programma
elettorale progressista fu per la prima volta usato il nome
Kulturkampf (nel 1874). Il governo e gli organi del governo
per molti anni non hanno applicato questo nome apertamente
perchè essi non riconoscevano il concetto del Kuliurkampfy
che era diretto contro la chiesa cattolica stessa. Soltanto, dopo
che i cattolici ebbero adottato la parola, per lo più scriven-
dola tra virgolette, essa è stata usata qua e là, come deno-
minazione tecnica, nei discorsi dei rappresentanti del governo v.
E un deputato liberale, il Cuny, nella discussione della legge,
presentata il 5 giugno e non ancora votata dalla Camera dei
Signori, ha nella tornata del 22 esclamato : a Al centro e anche
da altri lati — chi può ora contare i nostri nemici di tutti i
partiti — si pretende che noi desideriamo il Kulturkampf. No! v
Questa è la presente fortuna d' un grido, che parve qualche
anno fa quello dello spirito moderno stesso, e della parte più
illuminata della nazione che passa oggi per la più colta di
Europa. Nessuno vuole che gli si attribuisca.
Ed è naturale che cosi succedesse; il Kulturkampf non aveva
altro effetto se non di rendere ogni giorno più ardenti a combat-
tere e più fiduciosi di vincere i nemici che voleva spegnere.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
135
V.
^ella tornata del 10 marzo 1873, quando si discuteva alla
Camera dei signori il diségno di legge del 3 aprile 1873, inteso
a modificare gli articoli 15 e 18 della costituzione del gennaio
1850, dei quali ho discorso più su, perchè si potesse procedere
innanzi nella nuova legislazione ecclesiastica senza violarli, il
principe di Bismarck si espresse cosi : u Non si tratta , come
s'è fatto credere a'nostri compaesani cattolici, della lotta di una
dinastia evangeli(ìd contro la chiesa cat^lica; non si tratta della
lotta tra la fede e la incredulità ; si tratta dell' antichissimo
conflitto di forze tra il potere regio e il sacerdotale, del con-
flitto ch'è dimolto più antico che la venuta del redentore nostro
in questo mondo. La lotta del potere sacerdotale col regio,
la lotta, nel caso nostro, del Pontefice coll'imperatore tedesco,
come noi l'abbiamo vista nel medio evo, è da giudicare come
ogni altra lotta; ha le sue alleanze, le sue paci, le sue soste,
le sue tregue. V'ò stato Papi pacifici. Adunque questa lotta sog-
giace alle stesse condizioni di ogni altra lotta politica; ed ò
ano spostare la quistione, col fine di fare impressione sulle per-
sone senza criterio, il rappresentarla, come se si trattasse di
opi ' •■ della chiesa. Si tratta della difesa dello Stato, si
tra: limite in cui il potere de'sacerdoti e 11 potere del Re
vi si devono estendere, e questo dev'esser posto per modo che
lo Stato dalla sua parte vi possa stare n.
Il che è vero : ma nella foga della lotta il principe di Bis-
marck non avera considerato se il limite scelto dalle leggi prus-
siane fosse d'altra parte tale, che vi potesse stare la Chiesa.
Ora certo la Chiesa cattolica non ci poteva stare. Tutto l'errore
di questa legislazione nel suo processo consisteva nel credere che
la Chiesa non già non vi poUsie, ma non vi voUt§é stare. Bi-
sognava, quindi, domare questa volontà ' ribelle. Ora la Chiesa
si sarebbe lasciata spossare, non piegare. E lo spessarla non
era nelle intenzioni dell' invitto principe. Il Cattolicismo può
avere torti parecchi ; ma ha questo merito, sopra tutte le setto
cristiai.e; che ha mantenuto meglio di tutte quante il principio,
cosi proprio del CriHtianeeimo rispetto al Paganesimo, che la vita
delia coHcicnz:! rcli^^'osa & autonoma o non soggetta alla mano
dello Stato; principio, che b la più profonda railico della libertà
umana, ed h il carattere più distinto della società moderna.
13G LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
L'organizzazione stessa del Cattolicismo, la costituzione a stato
temporale del potere spirituale clic lo dirigeva, possono essere
state il mezzo e la causa, perchè esso aderisse a questo prin-
cipio cosi fermamente. I Pontefici Romani possono nel rappre-
sentarlo avere errato ed ecceduto; l'indole può avere tratto, anzi
ha tratto l'uno e l'altro di essi più in là del dovere; ma se l'orrore
e l'eccesso non ha portato ruina, si deve al valore intimo, al
vigore divino del principio che invocavano nelle loro rimostranze
e persino nelle loro usurpazioni, anche quando 1' applicazione
eccedeva. Giova, quindi, che il Pontefice sia pacifico d'indole;
ma non si potrà trarre frutto da ciò, se non a patto che non
gli si chieda cosa, che ucciderebbe nella sua fonte la religione
di cui è guida. Se venuto un siffatto Pontefice, il governo avesse
receduto alquanto dalla sua parte, si sarebbe potuta concludere
se non una pace, almeno una tregua.
E il Pontefice venne nel febbraio del 1878. Pio IX non
si può dire, che avesse l'animo battagliero ; ma era uomo sem-
plice, a scatti e schivo di prudenza. Invasato dall'idea dell'uffi-
cio, di cui si credeva, nel cuor suo, investito per volere immediato
dì Dio, trovava in questa sua persuasione la ragione e l'obbligo
di combattere a viso aperto ogni tendenza del secolo che appa-
risse o fosse inimica del magistero suo. Sui principii della lotta
ecclesiastica in Prussia, il 7 agosto 1873 scrisse all'imperatore
con una ingenuità davvero mirabile, a Parlo, diceva, con fran-
chezza, giacche la verità è la mia bandiera, e parlo per esaurire
un mio dovere, il quale m' impone di dire a tutti il vero, e anche
a chi non è cattolico, giacché chiunque è battezzato, appartiene
in qualche parte, e in qualche modo, che non è qui il luogo a
spiegare, appartiene, dissi, al Papa, v Son parole che lo dipin-
gono al naturale ; e sono scritte a un principe, capo, si può
dire, e rappresentante d'una setta cristiana che non ammette la
supremazia del Papa. In un'altra occasioae, discorrendo a te-
deschi, usò la similitudine infelice del sassolino che abbatte il
colosso; ed ebbe gran pena a difendersi dall'interpretazione,
molto naturale che vi fu data. In una allocuzione del 23
dicembre 1873, accusa il nuovo impero Grermanico di volere
distrutta da' fondamenti la religione cattolica, non occultis tantum
machinationibus sed aperta vi: e mentre mostrava chiaro que-
sta intenzione, di sostenere svergognatamente, impudenter, di
non volerle apportare nessun danno; anzi aggiungendo la ca-
lunnia e la derisione all' ingiuria accagionare ai cattolici della
r
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA. lo»
persecuzione con cui infieriva contro essi; parole, che se
anche vere, non potevano essere appropriate se non a rinfoco-
lare gli animi dei cattolici di Germania ; e non eran vere, perchè
esageravano e svisavano le intenzioni di quelli dei quali il Pon-
tefice si doleva. Leone XIII entrò in tutt'altra via. Appena fu
assunto al Pontificato, ne dette partecipazione, il 20 febbraio 1878
air imperatore di Germania con parole degne di Benedetto XIV
si volgeva alla magnanimità sua, perchè fosse restituita la pace
a il riposo delle coscienze a tanta parte di sudditi suoi, ri-
cordando insieme a questi che la stessa loro religione prescri-
veva di essere rispettosi e fedeli al principe: e invocava Iddio,
perchè volesse unir questo a lui coi vincoli della più perfetta
carità cristiana: espressioni aggiustatissime che è bene parago-
nare con quelle più su di Pio IX per intendere la differenza tra i
due. L' imperatore rispondeva il 24 marzo, e il Principe di Bìs-
marck contrassegnava la risposta; però insìsteva solo sulla
obbedienza dovuta dai cattolici alle leggi dello Stato, congra-
tulandosi che il Pontefice ne proclamasse e paresse disposto
a inculcarne il dovere. L'equivoco che rimaneva in questo pa-
role, il Pontefice procurò di dileguarlo con una sua replica del
17 aprile, che non è stata pubblicata; ma il cui senso si può
ritrarre dalla ri<)po8ta fattagli dal principe ereditario di Prussia,
il 10 giugno, poiché il padre ammalato non poteva. Il Ponte-
fice doveva avere osservato, che qualcosa però nello leggi si
doveva mutare, se non si voleva, che l'obbedienza dei cattolici
equivalesse a rinnegare la prò, ria coscienza; poiché il Prìncipe
risponlcva che al desiderio espresso da S. Santità di mutare la
costituzione e le leggi di Prussia secondo la dottrina della Chiesa
romana cattolica nessun monarca di Prussia avrebbe potuto dar
soddisfazione u giacché la indipendenzs della monarchia, la cui
custodia incombe presentemente a me, come ad erede dei mici
padri e come un dovere verso il mio paese, patirebbe una di-
minuzione, quando il libero movimento della sua Icgislaxione
dovesse essere soggetto ad una potonsa ch'è in fuori di ossa. »
Pure scartando qualunque tentativo d'intondarsi sulla questiono
ài pi ' ■ . il Prìncipe offriva di trattare le difficoltà presenti
nell Ila pace e dulia conciliaaione. Non v'era qui nessuna
baie di trattative sicura: ma v'era quell' addolcimento d'animo
tra die conti^ndfmti, che h la migliore preparazione a mutare
le religioni in cui stanno.
Parve che l'ora dì mutarlo in una maniera effettiva suo-
138 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
nasse già il 27 luglio dì quell'anno stesso quando si senti che
il Nunzio Masella era giunto in Kissingen due giorni dopo il
principe di Bismark e conferivano insieme Ma non pare appro-
dassero a nulla, quantunque il Bisraarck ne partisse con l'im-
pressione, che il cardinal segretario di Stato, Franchi fosse di-
sposto a concessioni notevoli e si sarebbe considerata come tale,
la ripresa delle relazioni diplomatiche. Il Cardinale, a ogni modo,
morì poco dopo; e il cardinal Nina che gli successe, quantunque
il Pontefice gli desse pubblicamente istruzione di procurare una
pace stabile colla Germania (27 agosto), o non seppe o non
volle. Ma la spinta alla pace veniva oramai anche da altra
parte.
VI.
Nessun punto del soggetto che tratto, è più notevole di
quello che mi conviene toccare ora. Quel partito del centro, di
cui ho fatto cenno al principio, non s'era mai lasciato ne smuo-
vere ne intaccare in tutti questi anni. Aveva mantenuto, mal-
grado tutti, salda la sua base confessionale. Più volte i suoi
avversarii, il governo stesso aveva tentato di diffondere la yoce,
che il Pontefice ne censurasse 1' opposizione, la credesse nociva
alla Chiesa. Ma ne la voce era vera: ne se fosse stata vera,
il centro avrebbe mutato, sino a che la legislazione ecclesiastica
rimaneva quello che era, la sua condotta. Un uomo abilissimo,
oratore dalla parola pronta , arguta, dal pensiero preciso, lo
conduceva, il Windthorst; ma non era egli il solo uomo note-
vole del partito ; lo Schorlemer, il Reichensperger vanno segna-
lati anch'essi. Nella Camera dell'Impero e nella Prussiana, nelle
quali le divisioni di partiti sono così recise e molteplici quanto
son confuse e pallide nella nostra, la parte conservativa prote-
stante conveniva in più punti col centro ; ma non sempre erano
andati d'accordo, e del resto, il centro manteneva la libertà dei
suoi movimenti nella quale era la sua forza. L'elezioni generali,
che s'erano rinnovate durante questi anni, non ne avevano dimi-
nuito il numero , anzi accresciuto. Quando il 24 maggio 1878
la Camera dell'impero fu sciolta per avere respinto il progetto
contro le tendenze socialiste, nell' elezioni del 30 luglio gli
uomini della u opposizione a ogni costo t) tornarono più nu-
merosi. Tutte le grandi città cattoliche di Germania furono
rappresentate da deputati di parte loro. Ora due leggi preme-
LA POLITICA ECCLESIASTICA DEU.A PRUSSIA. 139
%-ano soprattutto al Principe di Bismarck, quella già detta, e
l'altra che introduceva in tutto l' impero il monopolio del ta-
bacco. H centro non stette con lui ne nell'una ne nell'altra. E
mantenne rispetto alla prima con grande risoluzione e chia-
rezza il punto di veduta suo ; non voleva accrescere nelle mani
del governo il potere di polizia contro le rÌTinioni, le associa-
zioni, la stampa. La legge era, diceva il Windthorst, una legge
di eccezione, e terribile (schreiendes) legge, u. Chi, come noi, ag-
giungeva lo Schorlemer, s'è trovato e ha sofferto sotto leggi dì
eccezione , quegli non voterà mai per enei. Volere arginare i
corsi dei fiumi, dove sì versano nel mare, è fatica Tarn, inu-
tile: bisogna risalire sino alla sorgente. Stato e società dove-
vano di nuovo prendere la legge di Dìo a loro suprema regola r».
Poiché il Bismarck non potette ottenere il monopolio del
tabacco, dovette prendere altra vìa per raggiungere la meta
che a' era proposta ; un bilancio dell' impero non dipendente
dalle convenzioni degli Stati particolari. E questa fu la riforma
dei dazii, che vuol dire l'abbandono di quelle dottrine liberali,
che avevano.govemato la legislazione commerciale della Germania
dal trattato colla Francia in poi. Ora, qui fu trovato un punto
di conciliazione tra lui e il centro, e per contrario un nuovo
punto di separazione tra lui e la parte liberale, che l'aveva già
sorretto nella guerra contro quello. Parecchi dei dazii nuovi
non passarono so non col voto d' una maggioranza, di cui ì
conservatori e il centro facevano il nerbo. E con questa mag-
gioranza passò ancl-e il sistema, ora vigente, rispetto al modo
di distribaire tra l' Impero e gli Stati 1' entrata dei diutii, di
cui il Frankenstein, un deputato del centro, si foce atpotitorc,
e che quantunque, secondo le idee del partito, mantenesse di
r all'Impero l'autonomia degli Stati, fu dal fìismnrck
);.....; alle scarse concessioni cui i liberali avrebbero tìnito
coir acconsentire. Il Frankenstein stesto fu eletto a far parte
della presidenza della Camera il 24 maggio 1879; era la prima
volta, che ci» a un drputato di centro aeeadora ; più tiinii un
altro, rilceremann, fu fatto vice-presidente. La situazione par-
lamentare era dunque variata. Un deputato liberalo di Ram-
bcrger diceva amaramente: che non fosse già il cèntro passato
al Gran Cancelliere, ma il Gran Cancelliere al centro.
Tutto, dunque, s'avviava verso una mutazione nelle rela-
'zioni tri Berlino n Himn. E nn fu ancora segno il congodo
dol Fall;, cir ori st ito il ministro del KuUurltiinyf. Il Rei-
140 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
chensperger gli aveva già detto, che il più. gran servizio, ch'egli
potesse oramai rendere allo Stato, era quello di p.egire S. M,
di dargli un successore. Egli stosso senti, che non avrebbe po-
tuto essere il ministro d'una situazione nuova. Il 14 luglio del 1879
cessò d' essere a capo del Culto; e gli fu surrogato il Puttkammer,
il quale, se è vero che, secondo s'espresse ii Blsmarck, avrebbe
filato lo stesso filo, soltanto d'un altro numero, è vero altresì,
che andò preparando la mutazione del filo stesso.
VII.
Le leggi del maggio e le modificazioni della costituzione
avevano dato un grido al Centro: Abolizione di quelle e di
queste; ritorno alla costituzione del 1850. Ma a ciò e il Falk e
il Puttkammer — e s'intende il Bismarck — si ricusavano. Alle
buone disposizioni dell'una parte e dell'altra occorreva una base
di negoziati. Il Centro d'altra parte assicurava, che qualunque
fossero state le concessioni che il Pontefice avesse fatte, anche
se gli fossero parse troppe, non avrebbe recalcitrato. Forse per
difetto d'una base siffatta, anche l'abboccamento del Principe di
Bismarck col cardinale lacobini, nell'autunno a Grastein, rimas3
senza effetto. Leone XIII si risolvette a determinarne una nella
lettera del 24 febbraio 1880 all'arcivescovo di Colonia; dove, dopo
confermata la sua intenzione di por fine alla discordia religiosa in
Grermania, aggiungeva ch'egli avrebbe tollerato, che innanzi alla
instituzione canonica si fossero mostrati al governo prussiano, i
nomi di quei sacerdoti, che gli ordinarii delle Diocesi avessero
scelti per il governo delle anime a parte delle loro cure '. Qui fu
il principio delle trattative, che seguirono in Vienna dal marzo al
maggio 1880 tra l'ambasciatore di Prussia, Principe von Reuss
e il cardinale lacobini, trattative di cui non si ha per parte della
sede Pontificia nessuna informazione, e per parte del governo
prussiano una informazione imperfetta e monca. Ciò che si può
dire è questo, che esse non giunsero a nissun risultato chiaro
0 definitivo. Nelle parole del Pontefice era ben detto, che la
notificazione dei nomi dei candidati non si sarebbe accordata
^ No3 huju3 concordiae maturandaa catisa pascuros ut Beru33Ìco gubernio
ante canonicam inatitutionem nomina exhibeantur sacerdotutn illoruna quoa
ordinarii Dioeesium ad gerendam animarum curam in partem suae sollecitu-
dinis vocant.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA. 141
se non per quelli, a' quali il conferimento dell'ufficio importava
una istituzione canonica ; ma al governo prussiano importava di
essere chiarito su questo, e soprattutto che 1' obbligo della no-
tificazione s' estendesse a tutti gli altri sacerdoti , che o per
mancanza del parroco o per veLÌrgli in aiuto, potessero sotto
diversi nomi di vicari, di coadiutori, di cappellani — desservants,
come i francesi dicono, — essere mandati dai vescovi al governo
delle parrocchie e revocati poi ad arbitrio, ad nutum, da loro.
Ma un altro punto era per il Principe di Bismarck di viemag-
giore importanza. Il 5 maggio il Principe di Hohenlohe scri-
V èva a nome di lui al Principe di Bismarck : — Se il Papa non
ha in realità nessuna influenza sul Centro, di che aiuto può mai
essere al governo laico un accordo, che contenti il Papa? — Ciò
vuol dire che il Principe di Bismarck voleva da un accordo
col Papa trarre il vantaggio d'una più sicura situazione parla-
mentare; cavare il frutto che il partito del Centro diventasse
ministeriale, a Son sei mesi, diceva 1* 8 maggio, che la frazione
— questo nome gli si dà — con poca discussione e po^a spesa
di argomenti, ha votato senza eccezione sempre contro il governo n.
£ in un dispaccio, che doveva ettere letto al Nunzio in Vienna,
aggiungeva: II partito cattolico che si dichiara pubblicamente
a' servizi del Papa, ha attaccato il governo su tutti i punti: ogni
tendenza contraria all' impero, esso la prende sotto la sua tutela;
di dovunque la muova, da'socialisti, da' polacchi, dalla fronda
guelfa, il sistema rimane costantemente il medesimo; combattere
validamente il governo dello Stato. Nel suo parere u non si po-
teva alla condotta del partito pensare altro motivo, che l'influenza
dei confessori sugli uomini e soprattutto sullo donne, una parola
del Pspa 0 dei vescovi l'avrebbe mutata. '^
Ora, non bisognerebbe lasciar passare neanche in Ittilia
— e per più ragioni — questa condotta del centro senza con-
siderazione. 11 partito, solidamente costituito, non si ò lasciato
mai smuovere né nllentare dalla lusinga, che la compiacenza
al governo au alcuni punti avrebbe agevolato l'intento suo prin-
cipale. Esso ha creduto, che il rimanergli fermo di contro, e
il non abbandonare in nulla il suo carattere, ssrebbc stato il
mezzo più certo di mantenere a so la propria forza. K ha avuto
ragione. Non è stato il minor motivo dulia riputu/iono sua, non
solo mantenuta, ma accresciuta durante tanti anni. Mei disgre-
jpunonto •! " -ti politiche, generale dappertutto, e più no-
evole ch< ., in (Jermania, un gruppo di cinquatiUi o
142 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
sessanta deputati bene unito insieme dal vincolo di una idea
accetta ad una parte non piccola della popolazione e chiara, è
sicuro di trovare prima o poi l'occasione di prevalere. Ma se
si discioglie 0 si confonde, non è piìi sicuro di nulla. Ora ciò
è inteso e dal partito e dal Papa. E mettiamo che il Papà
non lo intendesse, e che preoccupato soprattutto da un inte-
resse presente della Chiesa, volesse chiuder la bocca a quel
complesso d' interessi che un partito politico rappresenta, non
vi riuscirebbe; gli si direbbe, con molto rispetto, che ol-
trepassa il potere suo e non si consiglia bene. Da coloro, i
quali non guardano molto addentro nella vita presente della
società cattolica, s'esagera a vicenda in più e in meno il potere
del Papa sopra di essa. Ora, questo potere, che i governi li-
berali hanno creduto bene di sciogliere da ogni vincolo con
essi, ne è stato naturalmente e necessariamente condotto a con-
trarne uno più stretto coi credenti stessi e con quel tutto,
misto di spirituale e di terreno, che forma la lor condizione,
che dà loro un posto nei diversi paesi ai quali appartengono.
Questo vincolo se non appare in istituzioni che diano al laicato
una maggiore ingerenza nel governo della Chiesa, come ciò
succedeva negli antichi tempi, non è meno manifesto in una
azione e reazione continua, che per meati sottili, passa tra la
società retta e il Papa che la regge ; sicché quella e questi sono
guidati e guidano insieme.
Vili.
Il Principe di Bismarck dovette, quindi, rinunciare a cer-
care in un accordo col Papa il discioglimento del centro. Ma
non per ciò l'andamento delle cose mutò. La necessità di al-
terare ]a direzione seguita sino allora nella politica ecclesiastica
aveva ragione nella condizione generale dello Stato e del Par-
lamento. Nel dispaccio ultimo del 21 maggio 1880 il Gran Can-
celliere aveva conchiuso: u Noi cercheremo di dare effetto ai
nostri intendimenti colla legislazione, senza ottenere o anche
aspettare dalla Curia un ricambio di concessioni, unicamente
nell'interesse dei sudditi cattolici di S. M. il Re. n E a questa
decisione si conformarono i due disegni del 14 luglio 1880, e
poi più tardi quello del 21 maggio 1882. La prima e la se-
conda erano leggi di facoltà date al governo d'usare mitezza
nell'applicazione delle leggi del 1873 e del 1874; e la seconda,
LA POLITICA ECCLESL^STICA DELLA PRUSSIA.
143
oltre all'estendere i casi di questa larghezza d'applicazione, ne
prolungava la durata sino al 1 aprile 1884, mentre la prima
l'aveva ristretta al 1 gennaio del 1882. Sarebbe uggioso e lungo
l'entrare nei particolari di queste facoltà; basti dire, che il
governo ne aveva modo di dar sodisfazione ai bisogni spiri-
tuali più urgenti dei cattolici, lasciando ritornare i Vescovi
nelle diocesi, i Parroci nelle parrocchie, o provvedere queste
di sacerdoti, senza ottemperare a quelle prescrizioni delle leggi
di maggio, contro cui il Clero aveva resistito a ogni patto. Senza
il centro queste nuove leggi, di certo, non sarebbero state vinte;
ma esso non le votò senza mostrare la sua ripugnanza ad ac-
cordare poteri discrezionali al governo e senza ripetere che le
leggi di maggio, non si doveva dare facoltà al governo di non
osservarle, bensì rivocarle. A ogni modo le nuove leggi levavano
il nerbo alle antiche ; e poi in una materia in cui può tanto
l'opinione, facevano apparire che questa si era voltata contro
la legislazione sin allora prevalsa, anche per parte di quelli da
cui era stata salutata con tanta speranza. Le leggi di maggio
erano infette di questo principale vizio, che abbisognavano per
essere eseguite del concorso di qualche clero cattolico; e il clero
cattolico, fuori che ad una, ayeva ricusato a tutte le altre ogni
maniera di concorso*; aveva anzi promesso ogni maniera di op-
posizione e tenuta la parola.
Pure, nell'intervallo tra le due leggi erano occorsi alcuni
fatti, che non giova dimenticare. Nei prìncipii del 1882, il Wind-
thorst aveva proposto nella Camera Prussiana che derogando
alla legge dell' 11 maggio 1873, la somministrazione dei sacra-
menti fosse immune da pena; e la proposta era stata respinta.
La stessa sorto era toccata a un'altra proposta sua, che la leggo
della sospensione dei redditi della Chiosa dai fondi dello stato
fosse levata ; anzi fu respinta senza discUesiono, in silenzio. Se
non che il governo, che anch'esso tacque, chiese nella logge
del 21 maggio 1882 la facoltà cosi di non castigare la som-
ministrazione dei sacramenti fatta da sacerdote non abilitatovi
dalla legge, come di levare quella sospensione. E a ciò credo
influisse la diversa sorte che nella camera dell' imporo toccò
all'altra proposta del Windthorst del 12 gennaio 1882, cho
fosso abrogata quella feroce legge del 4 maggio 1874 cho cac-
ciava in bando o mandava a domicilio coatto i sacerdoti cho
avcsHoro contrawinuto n1)e sentonso emanate contro di osti. La
144 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
proposta fu accolta a gran maggioranza, quantunque il consiglio
dell' impero non le desse seguito.
Ancora il 14 gennaio dello stesso anno, l'imperatore di Germa-
nia nel suo discorso del trono al Parlamento Prussiano, dopo di-
chiarato con gran suo compiacimento e conforto, che la legge
del 14 luglio 1880 avea dato modo di restaurare un ordine
regolare di cose in molte diocesi e parrocchie, aveva aggiunto :
u Le relazioni amichevoli col presente capo della chiesa catto-
lica ci pongono in grado di tener conto dei bisogni degli affari
e di riprendere quindi le relazioni diplomatiche con la curia
Romana. Vi saranno a ciò chiesti i fondi, n Erano rimaste in-
terrotte sin dal 1872, cioè da quando Pio IX non aveva ag-
gradito in qualità d'ambasciatore il cardinale Hohenlohe.
Sul finire dell'anno il nuovo ambasciatore di Prussia, Schlozer,
uomo di molto e sottile ingegno, giungeva in Roma. L'imperatore,
nel discorso del trono tenuto sulla fine del 1882, s'era congra-
tulato seco e col paese che le relazioni diplomatiche fossero
ripristinate. Ora, questa cortesia di parole non fu lasciata senza
ricambio da Leone XIII 5 e tra lui e l'imperatore ebbe luogo
una corrispondenza, (2) che consolidò le buone intenzioni delle
due parti, e portò il frutto dell'ultima legge votata pur ora e
presentata il 5 giugno.
Delle tre lettere, in cui la corrispondenza consiste, la prima
del 3 dicembre 1882, è del Pontefice, ed esprime in generale
il suo contento per l' avviamento sempre più sicuro a una
pace, ch'era il più ardente desiderio del cuor suo. La seconda
del 22 dicembre è dell' imperatore, controfirmata dal principe
Bismarck ; e ciò che vi si chiede al Papa, è questo solo : la
notificazione al governo delle nomine ecclesiastiche. La terza,
ancora del Pontefice, è. del 30 gennaio 1883; e determina bene
il pensiero di lui. Giova il riprodurla:
u Maestà, La lettera che l'imperiale reale Maestà Vostra ci ha
fatto rimettere nel dicembre u. s. per le mani del signor Schlozer,
inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Prussia,
presso la Santa Sede, ha confermato in noi la speranza lunga-
mente nutrita, di vedere risolute con un completo accordo le
vertenze religiose nel regno di Prussia. L' augusta parola di
Vostra Maestà che si mostra disposta a prestar la sua mano per
una revisione dell' attuale legislazione ecclesiastica, ci fa scor-
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA. 145
gere non lontana la conclusione dell' accordo. Per tale favore-
vole disposizione ci dichiariamo alla Maestà Vostra grati e sod-
disfatti.
u In seguito di ciò abbiamo fatto scrivere dal Cardinale
nostro segretario di Stato al signor Schlozer una nota, che cre-
diamo sia già stata portata a cognizione del governo di Vostra
Maestà. In essa abbiamo voluto che nuovamente si assicurasse
il R." Governo della ferma Nostra volontà, anche altre volte
manifestata, di permettere ai vescovi la notifica dei titolari da
nominarsi ai benefici parrocchiali. E per avvicinarsi il più pos-
sibile alle viste e ai desideri della Maestà Vostra abbiamo fatto
conoscere anche la disposizione in cui siamo di non attendere
la completa revisione delle leggi vigenti per provvedere con la
richiesta notifica le parrocchie, attualmente vacanti.
u Abbiamo però domandato contemporaneamente che ven-
gano a modificarsi le misure che ora vincolano V esercizio del
potere e del ministero ecclesiastico, l' istruzione e V educazione
del clero, giacché tali modificazioni crediamo indispensabili per
la vita stessa della chiesa cattolica.
tt Essa esige che i vescovi abbiano facoltà d' istruirò e di
^ formare sotto la loro vigilanza e conforme agli insegnamenti e
mllo spìrito della stessa Chiesa i sacri ministri. Lo Stato non
potrebbe richiedere meno di questo pei suoi funsionari.
u Parimenti c> elemento essenziale di vita una ragionevole
libertà nell'esercizio del potere e del minisioro ecclesiastico pel
bene delle anime. Sarebbe indamo ch« si nominassero alle par-
rocchie i nuovi titolari, se questi si trovassero poi impediti di
agire in conformità dei doveri che impone l'ufficio pastorale.
u Stabilito l'accordo sa questi punti, sarà facile, mediante
il reciproco buon volerò, l' intendersi anche sulle altre condi-
zioni necessario per assicurare una pace Torà e durov- V ^ropo
finale dei comuni nostri desideri.
. Intanto preghiamo la Maestà Vostra di accogliere la rei-
terata esprennione dei fervidi voti, cb« non cessiamo di fare
per k piena prosperità della stCMa Maestà Vostra e dell' I. U.
Famiglia.
a Dal Vaticano, 30 gennaio 1883.
u UuPP.XlU T,
uA tSun }f'iéyf'ì Iinjnriiiìr li,nle (invilii luto I
u Imvfrnfnii' ili (imii'tiiKt /,', ili /'rituni't.
▼ou XL, Stria II» i r icM > i"r 10
146 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
Ora, come bene è detto nella nota dello SchlcJzer del 5
maggio 1883 già dall'art. 3 della legge del 31 maggio 1882
era stata virtualmente abolita la condizione dell'esame di stato
scientifico per la nomina d'un sacerdote in un ufficio ecclesiastico;
e gli alunnati di fanciulli erano stati riaperti a Fulda e a Paderborn
secondo il diritto comune*, e si eran lasciati riaprire senza
ostacolo i seminari ecclesiastici per perfezionamento pratico.
L'ultima legge s'è ancora conformata al pensiero del Pontefice
in ciò che ha sciolto da ogni obbligo di notificazione le nomine di
sacerdoti, non investiti stabilmente dell' ufficio, non inslituiti
canonicamente. E oltre questo, essa ha altresì tolto ogni so-
stanziale competenza al regio tribunale per gli afì'ari ecclesia-
stici, non chiamandolo più a risolvere sugli appelli contro l'op-
posizione del governo a nomine che si fosse ancora in obbligo
di notificargli. E per ultimo, questa opposizione nella forma che
la legge è stata rifatta dalla Commissione e votata dalla Ca-
mera, non ha più per motivo la mancanza nel candidato di
una cultura scientifica secondo richiedeva la legge dell' 11 mag-
gio 1873. E ciò che più preme, è; che il governo aveva man-
tenuto questo motivo di opposizione ; e invece la Camera, non
ostante i liberali nazionali e i liberali conservatori, — giacche v'ha
gli uni e gli altri — col voto dei conservatori e del centro
l'ha respinto. Il che vucrl dire che il governo non anticipa
sul presente movimento degli spiriti nel paese e nella camera,
ma lo segue.
IX.
L'edificio delle leggi del maggio 1873 e 1874 non è stato
voluto dal governo rifare di capo. Il principe di Bismarck s'è
ricusato a ragione di affermare apertamente la mutazione della
sua politica ecclesiastica, proponendo alla Camera l'abrogazione
delle leggi nelle quali questa s' era espressa. Forse, neanche a
lui sarebbe riuscita. Ma le tre ultime leggi del 1880, del 1882
e del 1883 le hanno coi fatti distrutte; e ora non è possibile,
quando gli accordi sieno conclusi, di non ridare in qualche
maniera un assetto alla legislazione ecclesiastica della Prussia,
chiarendo con una legge nuova il poco che è rimasto e il molto
che è sfumato delle vecchie.
Già un anno e più fa, io scrissi in questa stessa rivista, che
gli accordi si sarebbero fatti, perchè e 1' una e 1' altra parte
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
147
aveva interesse a farli, come, già son parecchi anni, sostenni
che la politica del 1873 e del 1874 non era buona e non si
sarebbe potuta reggere. Non vedo dove ora potesse intoppare
la conclusione d'un accordo definitivo; giacché non è possibile
che il Pontefice si ricusi oramai a concedere al governo Prus-
siano quel dritto di notificazione delle nomine ecclesiastiche a
uffici stabilì, ch'egli stesso ha più volte offerto, e che faceva,
si può dire, parte del diritto pubblico ecclesiastico Prussiano sin
dal 1821. Quando il Pontefice in ciò si mutasse ora, perderebbe
ogni lode di lealtà e di prudenza; e non è tra i probabili ch'egli
la voglia perdere. Oltre che spingerebbe il governo Prussiano
non già a ritornare sui suoi passi, ma per una via che ripugna
più d'ogni altra alla Curia Romana; per quella di lasciarla
affatto a se e sciolta da ogni vincolo collo Stato, da ogni ga-
ranzia dello Stalo, da ogni sussidio dello Stato, pur circondan-
done la vita da quei freni che gli paressero necessari a salvare
gì' interessi dello Stato. Giacché esso ha ragione in quella nota
del 5 maggio, citata più su; se lo Stato non deve sapere, quali
persone sono elette agli uffici ecclesiastici stabili, e non ha di-
ritto di non accettarvi quelle che gli paiano poter tornare no-
cive alla pace pubblica, meglio che le due institusioni spezzino
ogni relazione, ed aspettino, rassegnate, l'ora dei supremi con-
trasti che pur giungeranno. Giacché né lo Sta<x) è privo di
vita morale sua, né la Chiesa prescinde ora o prescinderà mai
da ogni influenza o potere terreno.
Alla ultima legge é stata fatta, nella discussione, questa Gen-
itura che i Vescovi, non avendo obbligo di notificasione, quando
provvedano alle cure d'animo con Moerdoti revocabili ad nuium,
« obbligati invece a notificare al governo quando si tratti di
sacerdoti investiti stabilmente dell'ufficio, preferiranno il primo
modo al secondo. Già, si dice, v' é questa inclinazione nella
Chiesa cosi contraria a quella che prevale nello società civili ;
mettervi i Vetcori nelle mani del Papa, i parroci nelle mani dei
Vescovi; volgerla tutta a monarchia e a monarchia assoluta, in
cui la decisione del Pontefice infallibile non trovi ostacolo in
nesdun ufficio attraverso tutto il suo reg^o, per la natura del
t.t..L. (.f,\ qualo *'■ tenuto da chi n'é investito, e la tutela cho
148 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
gliene è data, dal diritto stesso canonico. Certo nella Chiesa
questa inclinazione e' è, come si vede in Francia, ed è perni-
ciosa. Cosi qui come in tanti altri casi, la politica ecclesiastica
dei cosi detti liberali, per la poca perizia e per i molti pregiu-
dizi di quelli che la dirigevano, ha portato l'effetto contrario a
quello cui si mirava; ha accresciuto il potere del Papa sul-
r alto Clero e la dipendenza del Clero basso dall'alto e lo sti-
molo in basso e in alto al parteggiare, anziché scemare quello e
questa. E non è anche a negare, che il pericolo nella legge
Prussiana c'è; e la tentazione può diventare grossa, se, sta-
bilito r accordo, il governo pretendesse esercitare con molto
rigore il diritto che consegue dalla notificazione, cioè di accet-
tare 0 no le persone indicate dall'autorità ecclesiastica. Ne sa-
rebbe un rimedio il limitare il tempo, durante il quale un sacer-
dote rivocabile ad nutum può esercitare un ufficio, e dev'essere
surrogato da uno investito stabilmente ; perchè se l'autorità ec-
clesiastica trascurasse di farlo, chi ve l'obbligherebbe, e come
la si obbligherebbe? Né alla durata, certo, né alla bontà del-
l'azione della Chiesa nelle società civili giova l'inclinazione
che dicevo; ma per mutarla bisognerebbero governi che nella
legislazione ecclesiastica sapessero quello che fanno, e Pontefici,
che avessero l'occhio piuttosto all'avvenire lontano della Chiesa,
che al comodo presente del proprio arbitrio. Ma di quei governi
non pare che ce ne sia, e che Leone XIII sia dei secondi,
non se n' è avuto ancora una intera prova. A ogni modo la
stabilità delia pace che si conclude colla Prussia, dipenderà cer-
tamente dalla sincerità, colla quale F obbligo di notificazione
sarà imposto ai Vescovi rispetto ai parroci, ai Capitoli rispetto
ai Vescovi; dalla temperanza con cui il governo eserciterà il
diritto di aggradire o no, che ne risulta; e dalla convinzione
che si forma nell'autorità dirigente della Chiesa, che non giovi
di ordinare questa a modo di esercito mobile e fazioso.
XI.
Dicevo che i cosi detti liberali sono singolarmente poveri
nella loro inventiva rispetto alle relazioni colia Chiesa. S' è visto
anche nella discussione della ultima legge Prussiana dalla pro-
posta del Virchow, che mi pare non consistesse in altro, se non
nello sciogliere da -ogni pena la negligenza nell' autorità eccle-
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSLA.
149
siastica di nominare alle cure vacanti in conformità della legge,
e nel punire con sole pene ecclesiastiche, e non già con multe,
il sacerdote , che avesse celebrato atti spirituali , come se n'a-
vesse titolo. Il che equivaleva al mantenere una legislazione odiosa
in principio, e privarla in realtà d'ogni forza. I liberali, rispetto
alla Chiesa cattolica, bisogna che si ricordino, ch'essa è una
forza soprattutto morale, e non scordino d'altra parte, come le
forze morali si combattono. A' tempi nostri, soprattutto, scattano
col premerle, né v' è altro modo di guerra contro esse, che il
contrapporgliene altre. L'immaginare che la legge abbia da sola
diritto e modo a piegarle e comprimerle, è peggio che una illusione.
La sovranità della legge non è nelle società moderne assoluta ;
e non è diventata tale per ciò solo, che i poteri che la fanno,
hanno origine popolare anziché presunta divina. E una sovranitii
anch'essa costituzionale, cioè circondata d'ostacoli, di limiti, di
freni. Dovunque la legge impone obblighi contro i quali forte-
mente resiste la coscienza di quelli che sarebbero chiamati ad
udempierli, oltrepassa i suoi confini legittimi e bisogna che
s'aspetti a esservi ricacciata prima o dopo a forza. L'unità di
potere nello Stato sta bene; ma se non si vuole, che trovi un
contrasto, avanti a cui si debba speszare, é necessario che que-
sto Stato non presuma di esercitare il poter suo, dove la natura
morale di ciascun cittadino ha diritto di rimaner libera da ogni
suo influsso o domanda, oon tutte frasi pericoloso che empiono
la bocca e accendono la fantasia di chi le pronuncia ; e diven-
tano causa principalissima di legislazione vana e torbida por
parte degh' Stati, come frasi diverse, ma non meno false diven-
tano causa di legislazione simile per parto della Chiesa.
xn.
Un deputato, il Zedlitz, voleva mantenuto un articolo pro-
posto dal Governo e cancellato dalla coromÌMÌone, per il quale
si spiegava per quali motivi il Governo potesse fare opposizione
alle nomine e tra questi y' era il difetto nel sacerdote dì una
educazione conformo alle leggi. Fra le altre osservazioni suo
v' è questa, nelle suo proprie parole : u Senza correr pericolo di
lasciarHi prendere da paure fantastiche — non si deve poi
neanche a modo dello strozzo nascondere la testa per non ve-
dere — noi ci troviamo in questa condizione; che a' nostri tempi
150 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
il movimento clericale è in contìnuo progresso, che l'onda cleri-
cale di giorno in giorno sale di più, ed attrae nel suo movimento
qualità di persone, che sinora n'erano rimaste esenti, sicché non
si sa più dove o come si possa far sosta, n Simili aspettative,
a giudicare dall' Italia, paiono esagerate. Ma non si può negare
che anche in Italia, quantunque in molto minor misura per ora,
e' v' è un ritorno al sentimento religioso, e soprattutto alla per-
suasione, che senza la dottrina e la speranza di una religione
le società non stanno. E naturale che il cattolicismo profitti
non solo per la sua parte, ma anche più che non sarebbe la sua
parte, di questo ritorno, poiché esso è ora la più forte e tenace
affermazione d' un sistema religioso e cristiano. Ma quel povero
articolo, che il deputato voleva mantenere, non è punto un ri-
medio ne piccolo né grande contro un pericolo simile. Se è un
male cotesto ritorno, bisogna cercarne le cause e scansarle. Ora,
esso ha ragione nella falsità di parecchie delle dottrine liberali,
si in materia politica, sì in materia economica, che parevano
trenta anni or sono inconcusse; nel disordine che ne è nato, cosi
nelle relazioni degli Stati verso la Chiesa, come nell' azione della
Chiesa stessa; negli effetti che se ne vedono, tra le sette d'ogni
natura, che, lusingando il desiderio del benessere naturale a ogni
uomo, mostrano immagini false di bene alle moltitudini, e le
seducono a sovvertire gli ordini che esistono, nella illusione di
crearne altri che, in immaginazione, accontenterebbero tutti nel-
r avvenire, ma in realità rovinerebbero tutti nell' avvenire e nel
presente. In questa confusione paurosa di tendenze opposte e
perniciose, una religione che temperi i desiderii colla carità
quaggiù e colla speranza in uno al di là, pare a molti quello
che è al naufrago una tavola, che galleggia sulle onde scosse
dalla tempesta. D'altra parte i nemici del cattolicismo e del
cristianesimo non sono stati in grado di ferirli colla sola arma
che sentirebbero, un sistema religioso diverso. Poiché é un er-
rore il credere, che la scienza o qualunque attività intellettuale
o morale umana possa tenere il luogo di quello ; la religione ha
campo suo a parte e proprio. L' uomo vuole avere risposte chiare
e certe, tali che la sua coscienza se ne soddisfaccia, a dimande,
a cui la scienza più è savia e più sì nega a rispondere; ma che
non perchè essa ne tace, sono rese o dal suo silenzio o dai
suoi dinieghi meno vivaci e meno insistenti.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
151
XIII.
r
Ltone XIII si serve certamente di questo ritorno degli animi,
così nelle sue controversie colla Prussia come con ogni altro
Stato. Non si può negare, ch'egli vi metta molta prudenza ; virtù
che consiste nel riconoscere, che se qualcosa favorisce nel mo-
mento attuale l'azione del Papato, vTia anche molto che gli fa
guerra, e bisogna reggersi su quel favore con molta modera-
zione, se non si vuole accrescere l'impeto dei molti elementi
contrari. Gli rende men difficile questa prudenza la libertà grande
della Curia Eomana nel negoziare; poiché essa ha bensì delle
relazioni dello Stato colla Chiesa un ideale che non altera né
abbandona, per quanto a noi paia falso, ma dì cui effettua in
pratica quel tanto che può, in ciascuna società civile, secondo
gli umori e le circostanze. Perciò nessuna diplomazia é più
tenace e più duttile della sua; più ferma in alcuni principiì,
che sono come i germi dai quali, in un mutato ambiente, tutto,
si spera, potrebbe rinascere ; più duttile nelle applicazioni e negli
usi che riconosce o sopporta. Una potenza, che deriva la sua
autorità immediatamente da Dio, è anche la più attenta, — quando
'non si trovi essere alle mani d'un santo, cioè come spiega il cardinal
.Pallavicino, di un uomo privo, nel governo del mondo, di senno
comune, — più attenta, dico, al valore e al peso delle forze e
influenze reali, sulle quali può contare. Essa ragiona allrimonti
colla Prussia che colla Francia; altrimenti con questa che culla
Russia: perché sa che le sue condizioni di forza e d'influenza
pratica sono diverse nei tre paesi; e non ne intende la ttoria
passata o l'azione chi si maraviglia che essa non ripete dapper-
tutto lo stesso discorso e allo ttetso modo.
Gl'Italiani che hanno igoardo lungo e sicnro, non si derono
dolere che Leone XIII riesca a porre ordino nelle relazioni della
Chiesa coi diversi Stati d' Europa ch'egli ha trovato, nel sno
avvenimento al trono, mirabilmente turbate da quell'entusiasmo
(li Pio IX, pieno d'una bonarietà irritata e dispettosa. Noi non
abbiamo nessuno interesse, che la Chiosa, in guerra dappertutto,
agiti nel seno della patria nostra l'inquietudine sua; non ab-
biamo nessuno interesse, che la Chiesa aggiunga alla società
forestiera e alla nostra un fomite di contrasto e di disordino ,
anziché, come pure potrebbe, una ragione di appngnmrnto e di
tranquillità. Certo non é troppo ardito il congetturare die I^o-
152 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
ne XIII, il quale si mantiene, rispetto all' Italia presente, non
meno nemico del suo predecessore, trovi in questa sua politica
di conciliazione e di moderazione verso gli altri Stati il vantag-
gio di non vedersi di contro che il nostro. Ma in ciò erra. Do-
vrebbe nella sua natura d' Italiano intendere meglio i compa-
triotti suoi. Il lungo e diverso spettacolo della Chiesa Romana,
visto da vicino per tanti secoli, non ha reso in genere gl'Ita-
liani schivi d'ogni religione, ne alieni dalla cattolica, ma gli
ha resi capaci di tollerare in pace, più a lungo di qualunque
altra nazione, la nemicizia politica del suo capo. Anch'essi, vec-
chi come sono e pratici, "sanno calcolare le forze e le influenze
reali; e quanto ripugnerebbero a un Groverno, che commovesse
i cattolici col negare all'autorità ecclesiastica i diritti e le libertà,
che, nel suo parere, le occorrono per amministrare la Chiesa,
quanto sono stati pronti ad ammettere, che la Chiesa abbia ed
eserciti nella lor patria, nel campo della direzione degli spiriti,
maggiori diritti e libertà che non ha in nessun' altra parte di
Europa, quanto sono indifferenti alla negligenza, con cui i mi-
nistri si servono persino di quelle poche cautele, che la legge
ha pur lasciate allo Stato, altrettanto sono poco atti a impaurirsi
d'un papato, che nella presente condizione di Europa o in qua-
lunque altra che si possa prevedere oggi, speri di rifarsi uno
Stato, che spezzi, sciolga, menomi la unità italiana. Gl'Italiani
sanno, che quando il Papa si fosse riconciliato con tutti gli altri
Stati e restasse nemico solo allo St^to italiano, non avrebbe
perciò in quelli nessuno aiuto o incoraggiamento a tentare di
vincere o sopraffare questo in una quistione d' indole affatto
diversa", e Leone XIII dovrebbe sentire egli stesso quanto gli
Italiani hanno ragione, poiché vede coi proprii occhi allearsi
col Groverno italiano, dichiarargli si amici, volergli essere amici
quegli stessi governi che pure mettono una grande importanza
a dare un assetto, d' accordo con lui, alle cose della Chiesa
cattolica nei proprii Stati.
E veda in che contradizione egli si dibatte ! Non cessa di
gridare a' Cattolici che il Sovrano Pontefice non è libero; e
che libertà d'esercizio dell'autorità sua non si può dare se non
gli si rende una sovranità temporale, ed egli non viva in una
città sua. Il * Principe di Bismarck non è neanche lui parso
mai in tutto persuaso, che il Papa senza sovranità temporale
possa stare. Ma mentre il Papa crede che senza questa egli non è
libero, il Principe di Bismarck ha mostrato di credere che
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
153
senza questa egli è troppo libero. A lui bisognava, che cotesto
spirito, direttore di spiriti, avesse qualche rivestimento di carne,
in cui pizzicarlo. Se il Papa fosse tuttora possessore di Civitavec-
chia, forse una flotta prussiana avrebbe aggiunto qualche nuovo
argomento a' molti coi quali egli ha tentato più volte d'ottenere
dal Papa, che consigliasse il Centro a smettere. La mancanza
di una cosa cosi volgare, come V aspettativa di un colpo di
cannone, non è, nel parer suo — e in verità nel parere di
tutti — senza efficacia nelle cose umane. Quest' efficacia, egli
non abituato a trascurar nulla, onde può avere aiuto alla effet-
tuazione dei suoi disegni, non 1* avrebbe assai probabilmente
lasciata inoperosa nella contingenza presente. Ma a Civitavecchia
oggi non v'ha il Papa, bensì il Re d'Italia; e questi è amico
dell'imperatore di Germania, il quale sa di giunta che il Re d'Italia
è anche meno di lui in grado di persuadere il Papa o d' influire
sopra di lui o di condurlo, per diritto o per traverso, alle suo vo-
glie. Sicché il principe spirituale, rimasto in tutto spirituale, è
stato dovuto combattere nei campo suo con armi sue ; e in questo
campo, con queste armi, il Principe spirituale, ha, si può dire,
vinto. Non che essere, dunque, più debole per la perdita del
poter temporale il potere spirituale si è trovato di tanto più
forte, di quanto era il peso che sulle sue ali gittava, la paura
che il temporale avrebbe potuto esser messo a pericolo dal so-
verchio ardire e dalla schietta rìsolaxione con cui il capo della
Religione avesse assunto la difesa della coscienza religiosa affidata
alla sua guida. E la storia non dice, che questo peso è stato in
più casi gravissimo?
XIV.
Nella tornata del 14 mano 1872, il Principe di Bismarok,
proposito del diniego della Curia Itomaoa d'accettare ad am-
DMciatoro il cardinale Iluhenloho, discorrendo dei varii modi
di vivere in pace con Roma, espresse il parere, che un Con-
cordato non era un messo da tentare, poiché sarebbe bisognato
che il potere regio avesse accordato troppo, e aggiunse: uA
Canossa noi non andremo, n La frase felice e immaginosa
girò tutta Europa ed ò tuttora viva nella memoria del mondo ;
ma, come suole talora succedere alle frasi troppo 1'
invece di chiarire il pensiero di lui, lo abbuiò,
avverti che quella frase fu segata da questo parole: > I
154 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
governi dell'Impero tedesco cercano con zelo, cercano con tutta
quella cura che devono a' lor sudditi cosi cattolici come evan-
gelici, i mezzi coi quali, nella maniera più amichevole possi-
bile, uscire da una condizione di conflitto ed entrare in una
pili pacata e accettabile v ; e finì il suo discorso cosi : u II go-
verno deve a' nostri concittadini cattolici, di non stancarsi di
cercare la via, nella quale si possa ritrovare il regolamento dei
limiti tra la potestà spirituale e la laica, del quale noi nel-
l'interesse della nostra pace interna abbiamo assoluto bisogno,
nel modo il più temperato e confessionalmente il meno ur-
tante, n La strada nella quale si mise il 1873, e si lasciò con-
durre dal suo collega del Culto, si chiari, dopo sei anni, non
solo incapace di menarlo alla meta proposta, ma anche non
propria se non a menarlo alla opposta. Ed egli la mutò, non
precipitosamente, ma a passo a passo ; però con risoluzione e
chiarezza, e senza venir meno alla tutela della dignità dello
Stato, profondamente persuaso, che al buono assetto di questo
e alla sua durata sicura non giovava il tener sollevate e nemiche
le coscienze di una gran parte della cittadinanza. Qui è vera
forza e vero senno. Alla Camera e fuori da'suoi amici di prima
diventati i nemici di ora, e dai suoi nemici di prima, diventati
quasi gli amici di ora, gli si è gridato : " Siete andati a Canossa
e come! v II grido è falso. Lo Stato non ha perso nessuno dei
diritti suoi e non gli ha ceduto in omaggio alla Chiesa. Ne
Enrico IV v' ha da una parte ne Gregorio VII dall' altra. Se
Leone XIII si scambiasse col suo predecessore, il che non è
probabile, penerebbe poco a scorgere che l'imperatore Guglielmo
non è punto esposto a commettere lo stesso sbaglio. Il Principe
di Bismarck con una lealtà, a cui il Papa risponderà di certo,
ha scelto una via diversa allo stesso fine, poiché quella battuta
da prima, invece di avvicinarvelo, ne lo allontanava. La verità
semplice che 1' ha diretto , è delle più incontestabili nella con-
dotta delle nazioni, una verità che anche gli uomini politici
italiani dovrebbero avere a mente, se la scordano altri : u I con-
flitti, ha egli detto, in fin dei conti, non sono istituzioni, n
Bonghi.
NOTE.
(1) Leggi pttbbUeeUe Minora nel eomfiiUo ecdetioMUeo ìVmmmuo.
Febbraio 1872 — Le^e sulla ispezione delle scuole.
Giugno 1872 — Legge per la espulsione ^f^ll' Impero Glermanico dell'or-
dine dei gesuiti e delle coaigragasioni collegate o simili ad esso.
5 aprile 1873 — Legge concernente la modificazione degli articoli 15
e 18 della costituzione Prosmana del 18 gennaio 1850.
11 maggio 1873 — Legge suU' edaeasione degli Eoelesiastici e sulle lor
Bomine agli uffici ecdesiasticL
12 maggio 1873 — Legge sol potere cUfciplinare eecleeiastico e sulla
creazione d'una Corte ragia per gli affari eodeaiastici
13 maggio 1873 — Legge ini limiti dell'oso dei meni di punizione e
correzione eeelenaatid.
14 maggio 1873 — Legge sall'iucita della Chiesa.
4 mano 1874 — Legge sullo stato e il matrimonio dr ile.
4 mag^o 1874 — I-'Cgge dell'impero eoneemente il domicilio coetto e
per ' ligeoato nei leoerdoti che hanno eeercitato funzioni
ecclesì < vensione delle leggi dello Stato. '
20 maggio 1874 — '-«egge sull'amministrazione dei rescorati cattolici
vacanti.
21 maggio — Legge dichiaratira della Legge dell' 11 maggio 1873.
22 aprile 1875 — Legge eoneemente U soepeoMone de'redditi provenienti
dai fondi dello Stato a'veeeovftti e MeerdoCi Boaumo-CattoUci. *
81 maggio 1875 — Legge eoneemente gli erdini religioei e le eongre*
gasioni consimili della Chiesa cattoUea.
4 luglio 1875 — Legge eoaeemenfes i diritti delle parrocchie reeehio-
cattoliche sui beni eccleslasticL
7 giagno 1876 — Legge eoneemente i diritti d^TÌgilansa dello Stato
sull'ani 'ione dei beni nelle diocesi eatioUehe.
It ^iO •- Legfe intesa a introdarre alami cambiamenti nelle
Lsggi eecieaiaatteoiwUti^a.
81 maggio 1888 — Legge iatssa a btrodnm alcuni eambiamenti nelle
Leggi eeelesisstieo-politiche.
I^ proposta del Windthorst di riToeare questa Legge, &tta nella
4 niiM rn l'ruMiaoa il 15 febbraio 1881, fti respinta dalla Camera sansa di*
scusnione.
* 1^ proposta del Windthorst, fatta nell'assemblea dellMmperOi il 7 mar*
so 1882, di nrociire qiirvta legge, fu vinta a gran maffioraasa.
156 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA.
(2) Testo del Gtoveeno.
Art. 1.
L' obbligo dei superiori spirituali di designare il candidato per un ufficio
spirituale, come altresì il diritto di opposizione dello Stato, cessano :
1. Per il conferimento di uffici di cure d' anime, i cui titolari possono
essere rivocati ad nutum.
2. Per la provvisione d'una supplenza o d'una coadiutoria in un ufficio
spirituale.-
Art. 2.
Non s'applica la disposizione dell'art. 1 ad economi (amministratori,
provveditori, ecc.) d'un ufficio parrocchiale.
Art. 3.
Cessa la competenza delgfTribunale Regio per gli affari ecclesiastici
nella decisione degli appelli contro la dichiarazione di opposizione dello Stato
in caso di:
1. Conferimento di un ufficio spirituale (§ 16 della Legge dell'll maggio
1873). '
* Art. 16. L' opposizione può esser fatta nei casi seguenti :
1. Se le condizioni legali per essere investito d' un ufficio ecclesiastico
mancano al candidato.
2. Se il candidato è stato condannato o è processato per un crimine
0 delitto, che il codice penale tedesco punisce della prigione o della perdita
dei diritti onorifici del cittadino o della privazione degli uffici pubblici.
3. Se v'ha contro il candidato fatti che autorizzano a credere, ch'egli
contravverrà alle Leggi dello Stato e all' ordinanze emanate dall' autorità
dello Stato nei limiti della sua competenza, o ch'egli turberà la pace pubblica.
I fatti dai quali avrà motivo l'opposizione devono essere enunciati.
Dalla dichiarazione di opposizione può esser fatto appello nei trenta
giorni alla Corte Regia per gli affari ecclesiastici, e sino a che questa Corte
non sia instituita, al ministro degli affari ecclesiastici.
La sentenza resa in questo appello è definitiva.
2. Nomina di un maestro per la vigilanza della disciplina negli insti-
tuti ecclesiastici, che servono all'educazione dei sacerdoti (§ 12 della Legge
dell' 11 maggio 1873). ' .
* Art. 12. Le disposizioni dei §§ 15 a) e 17 6) , che regolano l'opposi-
zione che può esser formata contro la nomina degli Ecclesiastici, trovano
un' applicazione corrispondente per l' opposizione contro la nomina agli uffici
qui sopra specificati, g)
a) Art. 15. I superiori ecclesiastici sono obbligati a designare nomina-
tivamente al supremo presidente della provincia il candidato al quale deve
essere conferito un ufficio ecclesiastico, e specificando quale in questo ufficio.
La stessa dichiarazione deve esser fatta nel caso di conferimento di nuovo
ufficio a un ecclesiastico già provveduto di un altro o della mutazione di
una nomina a titolo revocabile in nomina a posto fisso.
Nei trenta giorni, che seguiranno questa designazione del candidato,
opposizione può esser fatta contro la nomina.
Appartiene al Presidente supremo di fare questa opposizione.
b) Art. 17. La nomina a un impiego ecclesiastico che sia in contraddi-
zione al § 1 a) o che abbia luogo prima che sia spirato il termine nel § 15
per formare opposizione, è nulla e non avvenuta.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRUSSIA. 157
a) Art. 1. Un uflScio ecclesiastico non può essere conferito, in una delle
Chiese cristiane, se non a un Tedesco, il quale in primo luogo abbia fatto la
sua educazione scientifica conforme alle prescrizioni della presente Legge,
e contro la cui nomina, in secondo luogo, non vi sia elevata nessuna op-
posizione per parte del governo dello Stato.
e) Art. 10. Negl' insti tuti menzionati di sopra (quelli per l'educazione
primaria degli Ecclesiastici) non può essere nominato come professore o per
r osservanza della disciplina, se non un tedesco che abbia accertata la sua
capacità scientifica secondo le prescrizioni del § li e contro la cai nomina
non sia stata fatta nessuna opposizione dal governo dello Stato. Le prescri-
zioni dei §§ 2 e 3 (3) trovano qui una applicazione corrispondente.
§ 11. Per essere nominato all'uno di questi ufficiiin un seminario di fan-
ciulli o in una comunit\ di fanciulli, è necessaria la capacità richiesta da una
nomina corrispondente in un ginnasio prussiano ; e per essere nominato in un
instituto destinato all'educazione primaria scientifica in teologia, bisogna
avere la capacità d'' insegnare in una Università dello Stato tedesco la sciensa
speciale per la quale la nomina ha luogo. I candidati agli uffici della Chiesa
(cattolica o protestante) devono possedere l'educazione primaria prescritta
per gli ecclesiastici. Questa educazione basta per avere un impiego negli
instituti destinati all' edacaxione primaria teologico-pratica.
^) Art. 2. Le prescrizioni del § 1 sono applicabili del pari, sia che l'im-
piego debba ess«*r" "■-:'■ rito come posto fisso o a titolo revocabile, sia che
non ei tratti se i impiego di supplente o di una funzione di coadiu-
tore in cotesto u.i ^-'l caso in cui un ritardo (del confierìmento dell'of-
fieio) sarebbe pregiudicievole. un impiego dì soppleiite o di eoadiatore può
«■sere instituito provvisoriamente e sotto rìawra della oppocisione del go*
verno dello Stato.
Art. 3 Le prescrizioni del { 1 sodo altresì applicabili, sotto riserva delle
dir del $ 26, se un ecclesiastico già in officio (f 9) è investito di
un ' ncio nella Chiesa o se una nomina a titolo revocabile è motata
in una nomina a posto fisso.
(Le riserve del § 26 si riferiscono alle persone già in nfficin prima dclln
promulgazione della Legge ovvero esentate dal ministro).
3. Esercizio di diritti o funzioni vescovili in vescovati catt niti
{i 3 della Legge del 20 maggio 1874). *
* Art 3. Nei dieci giorni dopo ricevuta questa comunicazione d; il Pre-
sidente supremo può formare opposizione contro l'esercizio, a cni hI t.ri>t< mi.-
dei diritti o funzioni di vescovo designati nel | 1 e). Per ì't>\
formare, le pr<m nr.ioni del f 16 /) dell* Lene dell' U maggio I
la loro Hp|i' n qvesta misura che 1 appello avanti alla < eli
affari e4-cl<- >n può esser fatto sa non nel termine di <i mi.
Se nessuna opposisione è formata, o se Topposlsione è rigettata dalla
Corte per gli affiuri ecclesiastici, l'oDbUgo par gtoramaato prescritto nel | 8
é preso innansi al preiMdeate o imuuut a «■ commissario nominato da lui.
' "' ■: " > che voola essreitars i diritti episcopali o le funzioni
e[ tura é indicata ad | l, deve dlrifere por iscritto al
prv^i<4ciitc ■ijprf;mo della proviacia, in cui d trova la* sedo del vescovato
vacante, «na oomMaicsiiooo a (passio riguardo, speeifioaade rostooslono dol
dir"= '^- • -^sore ooerr ♦ ♦■ coltre, prsssntaro il dooreto ooolosia'
"t> rasmesso, le provo eh'ogU possiede lo qualità
pe(<^— •> «•••^ ■{«••i la Legifu <i^<i >• maggio 1873 fa aipendero la oolla-
ilooo d'un ttfldo ocolosiastioo. Egli ha nello stosso tempo a diehiarare d'os-
sero pronto a preadore Timpeno, eoo gioramonco, d'esser Molo o obbodlooto
al Ke e osservare lo Leggi dolio Slato.
f) Art 1 In un veseovato eattolieo, di eul la lolo sia vaoanto« i dU
158 LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRU8SLA.
ritti e le funzioni inerenti all'ufficio episcopale, insieme o separatamentct
insin dove queste funzioni non concernono l' amministrazione dei beni, non
sono esercitati, sino all'installamento di un vescovo riconosciuto dallo Stato,
se non conforme alle disposizioni seguenti della presente Legge.
/) Vedi n. 1.
Art. 4.
L'art. 16 * della Legge dell' 11 maggio 1873 è surrogato dalla seguente
disposizione :
L'opposizione ha luogo, quando ha causa da ciò, che il sacerdote da
installare non sia appropriato al posto per motivi di diritto civile o pub-
blico, in ispecie se la sua educazione non risponde alle prescrizioni di questa
Legge.
I motivi di opposizione debbono esser enunciati.
Contro la dichiarazione di opposizione può elevarsi gravame, nel ter-
mine di trenta giorni, presso il ministro degli affari ecclesiastici, la cui deci-
sione è definitiva.
Art. 5.
La disposizione dell'art. 5 ^ nella Legge del 14 luglio 1880 intomo al-
l'impunità della celebrazione di atti d'ufficio spirituale in parrocchie vacanti
o tali il cui titolare sia impedito nell'esempio dell'ufficio, s'applica a tutti
gli uffici spirituali, e senza distinzione, se l'ufficio abbia o no il suo titolare.
Art. 6.
Le disposizioni contrarie a quelle dell'articolo 1 e 3 di questa Legge
delle Leggi dell' 11 maggio 1873, del 20 maggio 1874 e del 21 maggio 1874
sono abrogate.
Tbsto della. Commissione.
Art. 1.
L' obbligo dei superiori spirituali di designare il candidato per un uf-
ficio spirituale, come il diritto di opposizione dello Stato, cessano:
1. Per il conferimento di uffici di cura d'anime, i cui titolari possono
essere rivocati ad nutum.
2. Per la provvisione d'una coadiutoria o d'una supplenza in un ufficio
spirituale, eccettoché nel caso che questa consista nella nominazione del-
l'economo di un ufficio spirituale (Amministratore, provveditore). *
Sono abrogati i due ultimi paragrafi del § 16 della Legge dell' 11 mag-
gio 1873. 6
* Proposta del Wirchow e compagni:
€ Nel caso che all' obbligo legale della designazione del candidato per un
ufficio spirituale non sia soddisfatto per parte dei superiori spirituali, il sa-
cerdote, rispetto al quale l' obbligo non sia stato adempiuto, rimane escluso
dalle funzioni spirituali del suo ufficio, in instituti dello Stato o d'un consorzio
politico, da ogni ccfmpenso sui mezzi dello Stato {von alien Bezugen aus
Mitteln dea Staates) o d' un consorzio politico, dal far per parte del governo
della Chiesa, e da ogni altro privilegio e immunità, che al sacerdote appar-
tenga per parte dello Stato.
Art. 2.
Identico all'art. 3.
Art. 3.
Identico al quinto.
LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA PRDSSIA.
159
Art 4.
La pena inflitta del § 4 ^ nella Legge del 20 maggio 1874 non ha appli-
cazione alla celebrazione di singoli atti di consacrazione per parte di vescovi
riconosciuti dallo Stato in diocesi vacanti.
Art. 5. Identico al sesto.
* Vedi numero 1.
s Art. 5 Alle pene inflitte dalle leggi dell' 11 maggio 1873 e del 21 mag-
gio 1874 non soggiacciono gli atti di ufficio spirituale che da sacerdoti le-
galmente installati sìeno celebrati in Parrocchie vacanti, o in tali i cui titolari
sieno impediti nell' esercizio del loro ufficio, senza avere con ciò l'intenzione
di rivestire colà un ufficio spirituale.
^ Art. 4. Chi prima dell'obbligo con giuramento eserciti diritti o fun-
zioni vescovili della natura indicata nell' art. 1 ^) é punito con prigione da
sei mesi sino a 2 anni.
La stessa pena tocca al rappresentante personale o incaricato d' un ve-
scovo (vicario generale, officiale, ecc.), che dopo la vacanxa d'una sede ve-
scovile continua a esercitare diritti o funzioni vescovili, seiua avere d'al-
tronde conseguito il diritto d'esercitarli conforme agli articoli 2 e 3. A)
g) Tedi nota ».
h) Vedi noU p.
IL TEMPIO D'ISIDE PRESSO LA MINERVA
E LE RECENTI SCOPERTE
Per apprezzare l' importanza della scoperta dei monumenti
egiziani che in questi giorni medesimi si è fatta dietro l'abside
della chiesa di s. Maria sopra Minerva, e che ha vivamente im-
pressionato gli amatori delle antichità, è necessario premettere
un qualche cenno sulla storia del culto egizio in Roma e sul
tempio consacrato a siffatto culto, presso il quale si sono rin-
venuti i monumenti accennati.
Già fin dal secolo sesto di Roma, allorquando la civiltà ro-
mana era venuta a contatto con l'Oriente e con la Grecia par-
ticolarmente, cominciarono ed insinuarsi furtivamente nella rozza
religione del Lazio i culti misteriosi dell'Asia, e quelli dell'Egitto
allora grecizzante sotto i Tolomei. Ma il Senato romano riguardava
come straniere ed intruse queste religioni, e così sappiamo da
Valerio Massimo che il console Paolo Emilio nell'anno 565 di Roma
atterrò di sua mano il primo tempio d'Iside che fosse edificato
fra i sette colli '. Però nel seguente secolo settimo tornò a ri-
vivere in Roma la religione egiziana, ed anche allora incontrò
l'inimicizia dei fieri Quiriti, e fu condannata di nuovo come turpis
super stitio *. Ma ad onta di ciò durante il primo triumvirato il
numero degli adepti a questa superstizione dovè divenire assai
grande, e quindi non senza un intendimento politico i triumviri
stessi edificarono un tempio ad Iside ed a Serapide, come ci
1 Val. Max. I, 3, 4.
' Tertulliano Apol., "VI.
IL TEMPIO D ISirE PRESSO LA MINERVA ECC.
161
attesta Dione ': ed Aiip^usto dopo che ebbe ridotto a provincia
l'antico re^no dei Faraoni, o ne fé' costruire un altro o restaurò
ed ingrandì quello eretto già ai tempi di Cesare.
I nuovi signori dell'Egitto cominciarono a spogliare dei loro
monumenti i tempi e le tombe di Menfi e di Tebe per ador-
narne gli edifizi di Roma, e come prima i capilavori dell'arte
ellenica erano stati tolti alla Grecia ed alle greche città del-
l'Asia, cosi allora gli obelischi, le statue, e le misteriose divinità
dell' Egitto, dalle valli del Nilo furono portate sul Tebro per
soddisfare l'oziosa curiosità dei padroni del mondo.
Augusto per il primo volle portare come trofei di vittoria
due grandi obelischi, e cioè quello di Ramses II che pose nel
Circo massimo e che oggi ammiriamo nella magnifica Piazza del
Popolo, e l'altro di Psammetìco II che collocò come gnomone nel
Campo Marzio, e sta ora innanzi al palazzo del Parlamento.
Egli stesso tolse ancora altri monamenti all' Egitto, ed il suo
esempio fu seguito dai successori e specialmente da Adriano
# che tanto viaggiò per tutte le provi ncie dell'impero.
L'ultimo Cesare infine che recasse a Roma il tributo dei
monumenti egiziani fu Costanzo, il quale vi fece trasportare il
grande obelisco di Toutmfs IV, che poi Sisto V tolse dalle ro*
vine del Circo massimo per collocarlo dinanzi al venerando
edifizio del Latcrano. *
II culto egizio eccitò in sommo grado l;i curiosità dei ro-
mani, quantunque essi ne schernissero il simbolismo senza com-
prenderlo, derìdendo la credula gente cui nascevano negli orti
le divinità. Ma il mistero stesso di quei simboli assai piaceva
ai nuovi padroni dell'Egitto, cosicché gli imperatori furono va-
ghi di fare eseguire numerose imitazioni di quei strani monu-
menti. Cosi Domiziano fece innalzare in suo onore un obelisco
ricoperto d'iscrizioni geroglifiche dove il suo nomo é inciso nel
cartello reah* corno quello di un Faraone •, e Adriano segui il
suo esempio facendo scrivere in geroglifici sopra un altro obe-
lisco il nome suo e quello della consorte Sabina *.
Che anzi questo medesimo principe nella magnifica sua villa
tiburtina vello riprodurre il famoso canale di Canopo presso
Alessandria, e lo adomò di statue in parte egiziane e in parte
di romana imitazione.
' XLVII, 16.
* ObelSsoo di pissza NsTona.
* Obeliseo d«l Pindo.
Tm, XL, Swto II -. 1 Lagll* IMS.
Il
162 IL TEMPIO d' ISIDE PRESSO LA MINERVA
Né si creda che coteste imitazioni consistessero solo nel fare
iscrizioni romane con i caratteri geroglifici e con le frasi egi-
zic; giacché talvolta si riprodussero anche antiche epigrafi de-
dicate ai Faraoni, come lo dimostra l'obelisco della Trinità dei
Monti che è certamente lavoro romano e contiene i cartelli di
Bamses IL
Alcuni di questi monumenti sia genuini che di imitazione
stavano nei circhi, nelle piazze e nelle ville, ma la maggior parte
dovevano esser posti come è naturale in quei tempi che erano con-
sacrati in Roma al culto delle egiziane divinità. Questi edifizi
erano sacri alla gran dea Iside e vi era unito anche il culto di
Serapide, che indica la trasformazione subita dall'antico culto
egiziano nell'epoca dei Tolomei. Infatti il nome di Serapide è
una confusione fatta dai Greci dell' Osor Api, cioè del titolo che
si dava ad ogni bue Api dopo la sua morte allorché diveniva
Osiride. Il Serapide poi fu dai greci e dai romani assomigliato
al Giove inferno cioè a Plutone.
Questi tempi adunque si chiamarono Iséi e Serapéi, ed in
Roma ve ne erano due principali : uno sull' Esquilino che die
il nome alla regione 3' di Augusto Isis et Serapis, e l'altro nel
Campo Marzio e precisamente nel posto occupato poi dal convento
della Minerva, presso il quale sono avvenute le recenti scoperte.
Non conosciamo da chi quell'ultimo fosse edificato, ma è molto
probabile che ciò avvenisse a tempo di Augusto dopo le con-
quiste dell' Egitto. Sappiamo solo con sicurezza che esso esisteva
già ai tempi di Vespasiano e Tito giacché Giuseppe Flavio rac-
conta che questi due imperatori vi pernottarono la sera innanzi
al grande trionfo giudaico. '
E che VIséum del Campo Marzio fosse veramente in quel
luogo lo deduciamo dai documenti che ne fanno ricordo, e poi
jinche dagli avanzi della sua decorazione che in diversi tempi
sono tornati alla luce in questi dintorni.
Infatti il catalogo regionario indica l' Iseo ed il Serapeo fra
il portico degli Argonauti ed il tempio di Minerva, e quel por-
tico stava presso la piazza di Pietra, ed il tempio di Minerva
era collocato dove sorge la chiesa che ha conservato questo nome.
Di più Giovenale ce ne indica la posizione presso i Sepia cioè
presso il recinto degli antichi comizi centuriati, * e questo è noto
^ Guerra giudaica Lib. VII. e. 17.
' Satira VI, v. 527.
E LE RECENTI SCOPERTE. 163
che si estendeva fra s. Ignazio ed il Collegio romano. Infine
Dione Cassio parlando dell'incendio dell'anno 80 dell' e. v., no-
mina il tempio d' Iside fra i Sepia ed il Pantheon. '
Queste testimonianze ci portano concordemente all'area del
convento della Minerva, ma le scoperte che aopra ho accennato
pongono il suggello alla dimostrazione e ci fanno certissimi che
ivi sorgesse quel celebre tempio del culto egiziano.
Presso questo luogo infatti si trovarono i due obelischi che
oggi stanno sulle piazze del Pantheon e della Minerva. Quello del
Pantheon con i cartelli di Ramses II tornò forse in luce fin dal
secolo XIV, e stette poi lungamente avanti la chiesetta di San
Macuto, donde Clemente XI lo trasportò dove oggi si vede ; e
quello della Minerva con i cartelli di Hofre o Apriet, si rin-
venne nel giardino dei Domenicani ai tempi di Alessandro VII
ed allora il Bernini lo innalzò sul famoso elefante.
Presso la Minerva si trovarono pure nel secolo xvi i ma-
gnifici leoni di basalto col nome del re Nektanebo II, V ul-
timo dei Faraoni, che oggi si ammirano nel museo Vaticano:
ed anche gli altri leoni che ora stanno ai piedi del Campidoglio.
Nello stesso luogo venne alla luce nel 1719 la celebre Ara
Isiaca che si conserva nel museo Capitolino, la quale però è di
lavoro romano e ne moittra la assimilazione dell' Anubi egizio
con V Iltrme» dei greci, e la strana trasformazione di Oro fan-
ciullo cioè Har-pa-Krat, in Arpocrate preteso dio del silenzio.
Un altro gruppo di monumenti egiziani apparve pure già da
lun^'o tempo presso la vicina chiesa di s. Stefano del Cacce
dove il sollevamento del suolo indica l'esistenza di grandi ro-
vine; e qui si trorarono secondo l'AIdroandi le due statue colos-
ili del Nilo e del Tevere, la prima delle quali sta al Vaticano
l'altra a Parigi, e qui si vedora pure la statua di un Cino-
cefalo che die il nome di gopra Cocco alla menzionata chiMa
di s. Stefano *.
Da questi fatu ..• {^ttcva intanto dedurre che V Iseo ed il
Serapéo del Campo Marzio comprendessero un'arca abbastansA
vasta, e cioè dalla chiesa testé nominata fino alla via del Se>
minarlo dove finisce il fabbricato della Minerva.
Ma anche ulteriori scoperte hanno sempre più confermato
questa opinione degli archeologi. Il signor Tranquilli proprietario
» LXVI, 21.
* DrlU Statue antiche. Veoetis, 1691, Mg. 116.
164 II. TEMPIO d'iside presso la minerva
di una casa nella via che conduce alla piccola porta della Mi-
nerva, facendo alcuni lavori nel suo fondo circa il 1858 vi rin-
venne alcuni pregevoli monumenti egiziani che vale la pena di
accennare. Egli vi trovò una sfinge, un pastof oro, una statua della
vacca Haihor allattante un Faraone, ed una colonna con figure
a rilievo.
La sfinge di eccellente lavoro porla nell'iscrizione il prenome
di Toutmes III della 18* dinastia, ed è opinione del distinto
egittologo signor barone Barracco, attuale possessore del monu-
mento, che rappresenti la regina Ilat-shepu sorella maggiore di
quel re e reggente del regno durante la sua minorità.
Il pastoforo rappresenta un gran dignitario del periodo Sai-
tico di nome Uah-ah-ra ed oggi sta nel museo egizio di Firenze;
e nello stesso museo si trova la sacra vacca Hathor che ha il
cartello del re Horemheh, ultimo della 18* dinastia (1400 av.
Gr. C). — Finalmente la colonna che ancora sta presso il Tran-
quilli, è di proporzioni gra,vi come si addice allo stile egiziano ;
e nel fusto intorno intorno porta scolpite le figure di alcuni sa
cerdoti del culto isiaco, i quali tengono in mano i vasi cosi detti
canopici sormontati dalle teste di varie divinità. Questa colonna
appartenne certamente al tempio ed è eseguita nello stile di
imitazione.
Dopo tante e cosi insigni scoperte era ben naturale che i
dintorni della chiesa della Minerva fossero riguardati sempre
con attenzione dagli archeologi, e per questo si fu che il valente
nostro topografo comm. Rodolfo Lanciani propose testé alla com-
missione archeologica comunale di aprire uno scavo nella via
di s. Ignazio dietro l'abside della Minerva, e precisamente in-
nanzi alla casa Tranquilli dove erano già avvenute tante sco-
perte. L'esito fortunato di questo scavo ha superato come è già
noto l'espettazione di tutti, ed eccomi a dare un cenno dei mo-
numenti che ne sono tornati alla luce.
Per prima cosa come si giunse alla profondità di circa cinque
metri dal suolo moderno, si trovò una bellissima sfinge in ba-
salto nero di grandezza quasi naturale e che fu subito traspor-
tata nel museo capitolino. Questo animale simbolico con il corpo
di leone e la testa umana è di eccellente lavoro, e sta accovac-
ciato avendo il capo ricoperto dalla consueta acconciatura egizia
in mezzo alla quale dovea spiccare VurèiLs o serpente sacro di-
stintivo dei re d' Egitto; il suo petto è ricoperto da una ricca
collana, e sotto di questa entro un riquadro sono incise tre righe
E LE RECENTI SCOPERTE.
165
di se^i geroglifici. L' iscrizione è in gran parte cancellata da
mano antica, ma pure oltre i soliti titoli vi sì riconoscono i
due cartelli reali del prenome cioè e del nome del re Amasi
(Ah-mes-se-neit) della 26' dinastia saitica (569-525 av. G. C).
La sfinge adunque rappresenta il ritratto di questo Faraone,
giacche è noto che questi mitici animali esprimevano la per-
sona del re, nel quale doveano riunirsi la forza e la intelligenza
simboleggiate dal corpo leonino e dalla testa umana.
L'importanza speciale però di questo monumento consiste
nell'abrasione dell'epigrafe e nella rottura violenta di una parte
della figura. Infatti noi sappiamo dalla storia egizia che Atiuux
usurpò il trono ad Apries, e che dopo averlo fatto uccidere regnò
gloriosamente per 44 anni : ma dopo la sua morte avvenne la
invasione dei persiani, i quali sconfitto il figlio di lui Psammé-
nito s'impadronirono dell'antico regno dei Faraoni. Cambise se-
condo Erodoto entrò in tSah già residenza di Amasi, e ne dece
bruciare il cadavere per vendicare la morte del suo predeces-
sore. Ecco adunque che nella sfinge recentemente tornata in luce
noi vediamo la prova materiale delle devastazioni persiane in
Fgitto, e della memortae damnatio del re Amasi.
Dopo alcuni giorni da questa scoperta facendosi un altro
•«cavo a poca distanza dal primo e presso a poco alla stessa pro-
fondità, apparve l'estremità inferiore di un'obelisco in sicnite che
nelle due facce visibili era coperto di iscrizioni geroglifiche;
esso è ancora in gran parte sotterra mentre sto scrivendo, ma
fra pochi giorni sarà intieramente estratto e vedremo quindi so
è Intiero o frammentato. — Intanto i geroglifici fino ad ora
visibili ci fanno leggere i cartelli del prenome e del nome del
re Ramaes II ( Rnmea - gu - m«ri - nmun) ( fia - U$er • Ma • uetep - en
Ila) della 19* dinastia c\W' del secolo xiv avanti Cristo. K questo
quel glorioso monarca conquistatore che sottomiac all' Egitto
molti paesi, e che fu dai gr> ' ' ' unato Seso$trÌM, nome de'ì'tt»
da un'altra delle sae appella/. jÙ u Setura. n ; e si nminciie
ora corouncmcute dagli orientalisti che egli sia il gran perse-
cutore d(>l popolo ebreo, mentre il suo figlio e successore sa-
rebbe stato il Faraone dell' Esodo. A questo re appartiene l'obe-
lisco che sorgo in piazza del popolo, ed i suoi cartelli si tro-
vano pure in quello tanto minore che sta innanzi al Pantheon.
Qià dissi che qucHt'ultimo proviene dal tempio d'Iside, e sembra
fino ad ora che ad e»»o gemello sia l'altro rinvenuto recento-
mente, e che si sta ora scavando.
L
166 IL TEMPIO d'iSIDE PRESSO LA MINERVA ECC.
Dopo queste due scoperte ì desideri della Commissione ar-
cheologica comunale erano abbastanza soddisfatti, ma pure la
fortuna ha voluto continuarci i suoi favori, e due altri monu-
menti anch'essi di qualche importanza sono tornati alla luce. —
Sono questi due grandi cinocefali in granito accovacciati con
le mani sulle ginocchia, ai quali però manca la testa che asso-
migliava alquanto a quella di un cane. Questa specie di scim-
mie, che si trova ancora nell'Abissinia, era sacra al Dio Thoth
e figurava nella mitologia egizia nella scena del giudizio, e pre-
cisamente sulla bilancia ove si pesano le azioni del defunto.
I cinocefali (in egiziano aani) erano anche geni consacrati
all'adorazione del Sole, quindi molti di essi si veggono rappre-
sentati con le braccia alzate, e forse in questa qualità di geni
solari si ponevano nei sacri edifizi. Si consideravano poi anche
come purificatori delle anime, e come tali erano invocati nel
capitolo 126 del libro dei morti, dicendosi che essi sedevano in-
nanzi la barca di Ra cioè del Sole.
I cinocefali teste scoperti sono di buon lavoro e di accurata
esecuzione specialmente nelle mani e nei piedi : di più nel
plinto hanno una iscrizione geroglifica che salvo alcune va-
rianti è identica nell'uno e nell'altro. I cartelli reali benché in
parte danneggiati pure si riconoscono per quelli del re NekJit-
har-neh della trentesima dinastia sebennitica (381-363 av. G. C),
il terz'ultimo dei sovrani indigeni dell' Egitto. In ambedue le
iscrizioni è disegnato il determinativo del cinocefalo col disco
sul capo come genio solare, e in una di esse gli è sottoposto
il geroglifico significante lo scriba (An) appunto per la sua
relazione con Thoth dio della scrittura e delle lettere.
Questi sono i monumenti egizi trovati fino ad ora presso il
tempio d'Iside nel Campo Marzio, ma chi sa quanti e quanti
altri, forse di maggiore importanza, giacciono ancora sotterra in
quei dintorni, e specialmente sotto il monticello artificiale di
s. Stefano del Cacco. Sembra infatti che questo grandioso edi-
fizio del culto isiaco contenesse un vero museo di antichità
egiziane trasportate in tempi diversi dai principali santuari del
misterioso paese del Nilo.
È da sperare perciò che gli scavi così bene inaugurati pro-
seguano alacremente, e che Roma per tal modo possa ognor
più arricchirsi di nuovi e preziosi tesori.
25 giugno 1883.
O. Marucchi.
RASSEGNA POLITICA
La fine dei lavori pariamentarì in Italia — Progetti di legge rotati dalla
Camera — I partiti — Preparatici e tentatiri di opposizione — La
commemorazione di Garibaldi a Parigi — Le relazioni dell' Italia con
l'AuBtria e la Germania — Processi in Francia — Anarchici e clericali
— La lettera del Papa al Preàdeote Grerj — Francia e China
La CaoMra de* Deputati ha lospato quest'anno i suoi larorì prima
ancora del consueto: il che non ha inapedito che neirultima settimana
si accumulassero i progetti importanti, alcuni dei quali avrebbero per
avventura richiesto una più ampia discoMione. Mn la lunga controversia
delle tariffe doganali aveva esaurito le forse dell* assemblea, a i de-
putati erano, la maggior parte, invasi da quella fretta di flnire e di
tornarsene alle loro caie, che suol maelfeetarti dopo alenai mesi di
Msidue fatiche. Aggiungasi che il sorteggio de* deputati aveva profon-
dameate tarbato la Camera. Da ogni parie s'imprecò alla sorte deca
che eitrMw dairoma i nomi di ptreeehi Ara gli uomini parlamentari
più autorevoli e eompetenti. Quasi tutti fiMevano parte di qualche •am-
missione, alcuni erano relatori, e una parte ooniìderevole del lavoro
legislativo si arenò per TimproTrisa manoania dì coloro ohe in certe
materie spedali erano meglio in grado d'illuminare e guidare i ed-
leghi. Sui danni della legge soUe ineonpatibiliU si è ormai tutti d'ae-
eordo. Dopo l'ultimo sorteggio d è ganemlmente rioonoeciuta la ne-
esisiU di modifloarla, di temperarne gli effetU. d* Impedire ohe al
Parlamento venga meno la oooperaiione di elette intelligente. In ft>odo
la libertà degli elettori è por sempre da anteporre a cerU edgwae
che possono parse giuate in teoria, ma che ndla pratloa si paleaaao
168 RASSEGNA POLITICA.
funeste alla cosa pubblica. Senza contare che le categorie, alle quali si
applica presentemente rincompatibilità, non danno guarentigie d' indi-
pendenza minori di quelle che vengono somministrate a cagion d'esempio,
dai deputati schiavi degli interessi locali. Queste ed altre osservazioni
abbiamo udito a fare da coloro stessi che in passato avevano più ar-
dentemente propugnato la legge delle incompatibilità. Un parlamento
di piccoli possidenti e di piccoli industriali, come lo aveva desiderato
l'Azeglio, non sarebbe governato che da piccole idee e non tenderebbe
che a piccoli scopi. Per la soluzione de' grandi problemi fa mestieri
del sussidio della scienza e dell'esperienza de' pubblici affari. Scienza
ed esperienza che vengono appunto escluse da una legge d' incom-
patibilità troppo rigorosa.
Il cumulo delle proposte di legge in sui finire delle sessioni è un
inconveniente più volte lamentato, ma che si eviterebbe facilmente se
i deputati fossero assidui negli uffici, compissero in tempo il lavoro
preparatorio delle leggi che ora procede con grande lentezza, e sovra-
tutto non esagerassero nelle discussioni pubbliche 1' importanza e la
gravità di questioni che toccano solamente limitati interessi. Certo
non esìste la dovuta proporzione fra i lunghi discorsi fatti da qualche
deputato intorno alla tariffa sui tonni, e la rapidità con cui venne
votata una legge sulle irrigazioni che riguardava numerose provincie.
E si spiegherebbe l'incidente sorto a tale proposito e si giustificherebbe
eziandio il vivace linguaggio dell'onorevole Zanàrdelli, se questi non
avesse rivolto i suoi rimproveri unicamente al Governo, del quale fino
a pochi giorni prima aveva fatto parte, ma si fosse indirizzato alla
Camera. Alcune delle leggi che vennero discusse ed approvate preci-
pitosamente nell'ultima settimana, erano state presentate dal ministero
in tempo utile, e tutt'al più, gli si sarebbe potuto muovere il rimpro-
vero di non averne sollecitato abbastanza l'esame. Non è men vero,
però, che la principale responsabilità di questi fatti spetta alla Camera.
Fra le leggi ultimamente votate dobbiamo notarne due che riguar-
dano Roma e la provincia romana : quella relativa all' imprestito del
municipio della Capitale, e l'altra pel bonificamento deir agro romano.
La seconda non incontrò ostacoli, quantunque si trattasse di materia
che, a parer nostro, avrebbe domandato uno studio più esteso per non
correre il pericolo di fare una legge poco efficace. Ma la guarentigia
governativa dell'imprestito incontrò fieri oppositori, non perchè la si
giudicasse troppo grave per il Governo, ma perchè in un piccolo gruppo
di deputati prevale ancora il concetto che a Roma si debba applicare
F
Li
RASSEGNA POLITICA. 169
il trattamento delle altre città, né più né meno; dimenticando così le
condizioni speciali della nostra Capitale, dove ai bisogni della civiltà
moderna si aggiunge il peso delle memorie antiche, tenute vive dalla
permanenza di un potere e d'istituzioni che, di continuo, si contrappon-
gono all'opera del nuovo Governo. Qui adunque la questione municipale
è questione altamente politica, che va decisa con criteri politici e non
semplicemente amministrativi. Un altro progetto va pure menzionato
perchè apre la serie delle riforme sociali proposte dall'onorevole Mi-
nistro d'Agricoltura industria e commercio; ed è quello per la fonda-
zione di una cassa nazionale di assicurazione per gì' infortuni degli
operai sul lavoro. Ci auguriamo che pure le altre riforme sociali che
a questa fanno seguito, vengano diacoaM MDia soverchio indugio alla
ripresa de' lavori parlamentari. Non entriamo nel merito di esse, e
ammettiamo di buon grado che l'onorevole Ministro debba prestarsi ad
emendare in molte parti i suoi progetti, ma si hanno in essi ad ogni
lo, le basi di namerosi provvedimenti legislativi atti a rimuovere,
per lungo ieiùp&i i periooli sociali che minaeeiano la maggior parta
degli Stati d' Eliropa e che altrove noo farooo superati e vinti sansa
^raviasima acòsse.
Alcune votaaionì avvenute negli ultimi giorni hanno sparso de' dubbi
sulla compifc^teaia della nuova maggioransa ministeriala. Nelle nomina
di alcuni eonnniiiari i candidati ministeriali vinaaro di qualche voto
i loro competitori. E anche qualche progetto di lagg^ coma ad eaampio
quello solle irrigazioni, ebbe un ooBtfiriamvola àamero di voti oootrari.
Non crediamo che da questo (atto sia lociio trarre la oonaagaanta che
si sia indebolita la posizione del ministaro. Inaansi tatto conviene oi-
nrare che, negli aitimi giorni, era scarsiasimo il numero dei deputati
prssanti, coaioohé gli avvaraari dal Oabinatto avevano buon gioooo par
preparare nao dt quei Toti di sorprsaa cha Don bastano punto a proTira
un mutamento nella sitaaaiona parlamantara. B inoltre rimana par
sempre il fatto, cba il Ministaro, banobè non fossa preparato a questi
as«lti, tuttavia li ha rsapinti oon notavola vantaggio. Dal resto non
è alla vifilia dalla vaeaaaa eha ai poò aparara di promuovere una orlai.
Evideotamaata, agli avversari del gabinetto premeva soltanto di dar
aegno di vita a fiMv'aoeha di gattara la fondamaota di qualche aeoordo,
1 col affetti si avrebbero a Tadara nal proaaloM) norambre. La qaal eoia
diciamo parahé a noi pare obbligo di rifirire da fedeli a eoaelauiod
cronisti le voci ebe sono eorse in proposito. Si è parlato di trattative
e di inteUigansa fira alooai da*priaoipali otpi dall'antica sinistra, ma noa
170 RASSEGNA POLITICA.
si è saputo ancora bene determinare quali di essi abbiano stretto l'al-
leanza offensiva destinata a sgominare le file della maggioranza e a
rovesciare l'onorevole Depretis.
Secondo alcuni, gli onorevoli Cairoli, Zanardelli, Baccarini e Nico-
tera a quest'ora si sarebbero già uniti per la grande impresa, e l'ono-
revole Crispi sarebbe con essi in ispirito, quantunque sia costretto a
maggiori riguardi. Secondo altri, fra gli onorevoli Cairoli e Zanardelli
sarebbe sorta qualche nube e l'ex ministro di Grazia e Giustizia ten-
terebbe di agire da sé facendo a meno dell'aiuto dell'ex presidente del
Consiglio. Naturalmente e a più forte ragione, l'onorevole Zanardelli la-
scerebbe in disparte l'onorevole Nicotera. E, prosegue la cronaca par-
lamentare, già qualche indizio di divisione si noterebbe pure nel centro,
che malcontento della soluzione dell'ultima crisi, riputata insuflBciente,
si sarebbe scisso e non si manterrebbe più come in passato, ligio tutto
quanto all'onorevole Depretis, Si avrebbe in tal guisa una nuova. setta
di trasformisti nel seno del trasformismo.
In mezzo a tutto questo armeg^are di partiti turbolenti e di am-
bizioni insoddisfatte, si vorrebbe attribuire all'onorevole Sella la parte
del deus ex machina^ ed ha avuto origine la diceria diffusa^'-^atìa^li-
ficata in alcune corrispondenze di giornali, che il Presidente de' Lincei
intenda far ritorno alla vita politica militante e diventare, per così dire,
il centro di; una coalizione nella quale si raccoglierebbero i più dispa-
rati elementi. Così^ nella fervida fantasia de' novellieri si vengono pre-
parando parecchie combinazioni che tutte però fanno capo al Sella, di-
ventato una specie di uomo politico di gomma elastica da potersi
allungare o ristringere a piacimento.
Possiamo noi fare a queste ipotesi l'onore di discuterle seriamente?
Ci saremmo anche dispensati dalla cura di accennarle, se, ripetiamo, in
questi giorni non avessero somministrato materia a polemiche, che una
rassegna la quale voglia riassumere la vita politica del paese non può
lasciar passare inosservate. E d' altronde in tale confusione di uomini,
d' idee e di partiti, nulla si ha il diritto di dichiarare impossibile a
priori; i fatti più improbabili si avverano quando meno lo si aspetta;
si son visti i più strani, i più mostruosi connubi. Tuttavia, nulla
nella condotta passata e presente dell' on. Sella ci autorizza a prestar
fede alle voci che si fanno correre sul suo conto. Può darsi che nel
presente Ministero egli non abbia una fiducia così piena e intera come
quella dimostrata da alcuni suoi amici politici, ma d' altro canto, è pur
da osservare che in alcune recenti votazioni non si è punto separato da
RASSEGNA POLITICA.
171
quel groppo dell' antica Destra che ora appoggia l'on. Depretis. Nes-
suna pubblica manifestazione egli ha fatto che palesi l' intenzione per
parte sua di porsi a capo di una fornaidabile opposizione. Prese la pa-
rola per domandare V istituzione del telegrafo alpino, che non è un 8Ìm>
bolo antiministeriale, tanto piò dopo le parole dell'onorevole Ministro
dei lavori pubblici, il quale fece plauso ai sentimenti professati dall'ono-
revole Sella per le Alpi e gli Alpinisti.
Con ciò non intendiamo affermare che la costituzione di una nuova
maggioranza iniziata dall'on. Depretis si possa dire compiuta. La nuova
situazione parlamentare deve svolgersi naturalmente, a convien pure
apprezzare le difficoltà contro le quali l'on. Presidente del Consiglio ha
da lottare. Sappiamo anche noi che nel prossimo novembre sarà ne -
.eetsario di fare un nuovo passo il quale confermi la deliberata volontÀ
^ì proseguire nella via intrapresa, se non si vuole che nella Camera
ripullulino i managgi e le congiure per distroggere i risultati già ottenuti.
^Nessun fatto però e intervenuto che abbia mutato lo stato di cose stabilite
dal voto del IO maggio, o accennato ad un pentimento dell'on. Depretis o
di coloro che 1* aiutarono nell'ardua impresa. La maggioransa si ò formata
piovra un complesso dì quistioni di ordine intemo e di politica «itra.
Per dividerla sarebbe indispensabile che aorgsase qualche nuova qui-
stione gravissima sulla quale i partiti poteasero ordinarsi diversamente.
Ora non vediamo la probabilità cha qualcuna di siffatte quistioni si
presenti in un tempo più o meno prossimo. La neoeasità di separare
r azione del Governo da quella de* radicali si & sempre più manifesta,
soprattutto dopo La commeiiioraiioiM di Oarìbaldi arTeonta a Parigi,
dove i radicali italiani inalsarono francamente la bandiera repubblicana
come pegno di amieixia fra l' Italia e la Francia. La presenta di un
vice presidente della Camera italiana a qn^e riunioni può aver sor-
preeo solamente ehi non eonoeoe eoo quanta larghetsa nel noeiro Par-
lamento si dia poeto a tutte le opinioni. Ma aeropra più diventa chiaro
eome il Governo e i radicali in Italia procedano per vie diverse, e come
^per qoeeti ultimi le quistioni eetere non siano che un preteeto per eom-
rWttere le istituzioni mooarehiehe. Quindi la politica del Ministero an-
tiradicale all' intemo, impegnata e vincolata dalla triplice alleanta al-
l'eetero, non paò eaeere avversata aa questo terreno ohe in non* di
^dottrine e di prindpii intorno al quali ci (tre difBdle che nella Oa-
si raccolga una maggioranza guidata da uomini sinceramente
Bhid e devoti ai veri intereeei della patria.
Rimangono le queetioni d'ordine amministrativo ed economico, e
172 RASSEGNA POLITICA.
prima fra tutte quella delle ferrovie. La questione dell' esercizio gover-
nativo e dell' esercizio privato ha superato il periodo acuto. Indiretta-
mente il Ministero 1' ha risoluta rassegnandosi e adattandosi alla deli-
berazione delle Meridionali che respinse la proroga del riscatto. Con
ciò si è ammesso definitivamente per una vasta rete di ferrovie l'eser-
cizio privato e male si spiegherebbe la disparità ili trattamento per
altre reti e per altre provincie. La causa dell'esercizio governativo è
stata profondamente vulnerata dai risultati dell' inchiesta ed ha perduto
molti proseliti anche in quella parte dell' antica Destra che cadde, con
essa e per essa, il 18 marzo 1876. Non crediamo che l'on. Sella voglia
rialzare quella bandiera intorno alla quale si riunirebbe un piccolo ma-
nipolo di prodi, ma non mai, nelle condizioni attuali della questione,
un esercito di combattenti. Nessun sicuro pronostico siamo in grado
di fare su ciò che accadrà nel prossimo novembre, quando la Camera
riprenderà le sue sedute, ma se teniamo conto della situazione parla-
mentare come ora si presenta, e come, salvo casi impreveduti, si ri-
presenterà nel novembre, non sappiamo in verità, prevedere una crisi
che abbia per motivo e per conseguenza un cambiamento d' indirizzo
politico e governativo. E grave ci parrebbe la responsabilità di coloro
che gettassero il paese in un mare di nuove incertezze, unicamente per
il gusto di conseguire un mutamento di persone ne' consigli della Co-
rona. È giusto, è desiderabile che il Ministero, se occorre, si rafforzi
ed anche si riordini nel modo indicato dalla maggioranza; non s'intende,
però, che venga rovesciato da una opposizione la quale non potrebbe essere
mossa che da uno di questi due intendimenti : o richiamare in vita gli
antichi partiti storici, o far prevalere le antipatie e le ambizioni per-
sonali sovra gli interessi della cosa pubblica.
Né meno prive di fondamento ci sembrano le dicerie che si riferi-
scono ad un raffreddamento delle nostre relazioni con l'Austria e la
Germania. Il governo austriaco ha molto saviamente, fatto grazia della
vita al Sabbadini condannato per complicità nell'attentato dell'Oberdank.
È tolto così un pretesto a nuove dimostrazioni e agitazioni degl' irre-
dentisti in Italia ; le quali agitazioni e dimostrazioni avrebbero costretto
il nostro governo a nuovi provvedimenti di rigore. Del resto alle mani-
festazioni antimonarchiche di Parigi si sono contrapposte in questi giorni
le più schiette dimostrazioni di affetto e di devozione del popolo ita-
liano alla dinastia che ebbe tanta e sì gloriosa parte nel compimento
de' suoi destini. La visita della Regina e de' Principi di Portogallo, il
varo del nuovo incrociatore Savoja, furono propizie occasioni per la
RASSEGNA POLITICA. 173
manifestazione di questi sentimenti dinastici della nazione, e certo non
si sarebbe potato desiderare una più solenne protesta contro i di-
scorsi pronunziati, ci duole il dirlo, da italiani nelle riunioni demago-
giche parigine. Ed essendo la triplice alleanza confusa dalla demagogia
italiana con le istituzioni monarchiche, ne consegue necessariamente
che la politica interna e la politica estera si collegano sempre più, della
qual cosa si è persuasi a Vienna e a Berlino non meno che a Roma.
Noi non siamo di quelli che sovrappongono, in ogni caso, gli interessi
dinastici agli interessi nazionali, ma in Italia non si possono disgian*
gere gli uni dagli altri; e non potrebbe essere altrimenti in un passe
dove la forma monarchica e la dinastia sono condizioni indispensabili
dell'unità.
Neanche al governo francese devono ri uscir gradite le dimostrazioni
anarchiche e demagogiche, se dobbiamo gìndieare dal rigore di cai ha
dato prova, in questi aitimi tempi, contro i perturbatori dell'ordine pub-
Uieo. Il ministero Ferry haoommeaso molti errori, ma non gli si può
negar la lode che merita per aver cercato di ristabilire ali' interno la
quiete e il rispetto della legge gravemente compromessi da'sooi prede-
>ri. Il processo di Laisa Miefael terminò con ana severa condanna
»* principali accosat', ai quali fa inesorabilmente applicata la pena della
reclusione, considerandoli rei di furto e di saoeh^gio aozichò di reati
politici. Se qaeste condanne inflitte dalla Francia repubblicana agli au-
tori de' tumulti ed ai nemici del governo esistente, si paragonano a qoelie
che nell'Italia monarchica colpiscono chi mette a repentaglio la quiete
pubblica e perfino le relazioni intemazionali, non si può a meno di con-
fsssareche in Italia più che in Francia fioriscono tutte le libertà, com-
presa quella di (are il maU. B siocoine nessoa uomo di senno ardirà
MMfirs ebe la giustizia fiwiosse abbia eoesdato 1 suoi poteri, così se ne
ime esiandio ebe, qualunque sia la forma del governo, al principio di
"MrtorHA spetU il diritto della legitiima diCmà, e i rep«bbUo«ii e i ra-
OOB hanno ragione di ÌApvmni d«l (rovemo italiane che al difende
così mite misura.
In Francia i partiti anarchici non si danno ancora per vinti e la
condanna di Luisa Michel e del suo complice li ha vie più inaspriti.
Ead domandano eoa alte grida ebe gli effetti della sentenza Tsagaoo
imediatamento riparati e si conceda ai oooduinàti 1* amnistia in oe-
dalla prossima (asta naaicnale. E già si minaeciaoo oomisl, e
ri torbidi, e terribili vendette. É da prevedere ebe qoànto più
174 RASSEGNA POLITICA.
forti saranno i clamori, tanto maggiore sarà la resistenza del governo
pel quale il domare gli anarchici è questione di vita-
Ma le difficoltà della repressione non parranno lievi a chi consideri
che il governo del signor Grevy è costretto a lottare contro un potere
regolarmente costituito che assumo apertamente il patrocinio delle dot-
trine più sovversive ed è pronto a rinnovare da un momento all'altro
i fasti della comune. Questo potere è il consiglio municipale di Parigi,
emanazione diretta de'comunardi e che con questi ha pur sempre comuni
le aspirazioni. Le libertà municipali di Parigi sono conciliabili con la si-
curezza del governo e il mantenimento dell'ordine? Ecco il problema
che la terza repubblica, scostandosi dalle tradizioni de' governi che
l'hanno preceduta, tentò di risolvere affermativamente, senza però
raggiungere il nobilissimo intento, anzi mettendo sempre più in luce che
a Parigi un Consiglio municipale liberamente eletto non può essere che
un governo entro il governo, un nemico ora occulto ora palese che
insidia di continuo e tenta di usurpare i poteri politici legalmente con-
cessi dalia Costituzione al presidente della repubblica, ai ministri e al
Parlamento.
Sventuratamente il governo della repubblica non è obbligato sola-
mente a premunirsi contro le fazioni anarchiche. Presentemente trovasi
fra due fuochi: gli anarchici da una parte, i clericali dall'altra. Si po-
trà discutere sulla opportunità di alcuni provvedimendi presi dal go-
verno francese contro il clero, e forse avrebbe fatto meglio di aste-
nersene per non accrescere il numero di coloro che apertamente in-
sorgono contro la repubblica. Ma d'altro canto è pur vero, che nessuno
di que' provvedimenti oltrepassa le facoltà attribuite al governo dal
concordato e che alcuni di essi sono in vigore, da gran tempo in molti
paesi cattolici che non hanno, come la Francia, un clero salariato. Il
governo francese sopprimendo o sospendendo lo stipendio ai curati che
offendono deliberamente e sistematicamente le leggi, si vale di un' arma
che non esce dai confini delle sue attribuzioni. I vescovi rispondono
sopprimendo addirittura il culto là dove furono soppressi o sospesi gli
stipendi. Grande è la perturbazione che queste rappresaglie recano prin-
cipalmente nelle campagne, e certo non ci guadagna il credito della
repubblica impotente a ristabilire l'esercizio del culto là dove per or-
dine dei vescovi fu abolito.
La Curia romana non ha tralasciato di trarre vantaggio da questo
conflitto per piegare ai suoi voleri il Governo, non solo nella questione
Il
RASSEGNA POLITICA. 175
de' carati stipendiati, ma io altre parecchie e segnatamente in quella
delle corporazioni religiose. La lettera scritta dal Santo Padre al Pre-
sidente Grevy è an fatto del qaale si cerca invano di dissimulare la
gravità. Leone XIII non ignora certamente che i poteri del signor
Grevy sono diversi da quelli dell'Imperatore Guglielmo o del Principe
di Bismarck, e che rivolgendosi a lui, non s'indirizzava ad un monarca
come l'Imperatore di Germania, in certo modo superiore agli altri po-
teri pubblici, ma unicamente al capo di uno Stato democratico, a un
Presidente sottoposto a tutte le esigenze del regime parlamentare. Non
ignorava ciò, diciamo, eppure ciononostante pensò che lo scrivere al
signor Grcvy anziché al ministero fosse il mezzo più sicuro per fare
impressione sui Francesi, che, in mezzo a ripetuti conati, per conqui-
stare tutte le libertà, conservano più d'ogni altro popolo quelle tradi-
zioni autoritarie che ripudiano a parole e nei Catti sabisoono. Il Go-
verno franceee non ha pabblicato la lettera del Pontefice, limitandosi a
dire che, essendo essa indirizzata 'al signor Grevj, non la si poteva
considerare che eoroe un documento privato. Ma in verità non l'ha pub-
blicata perchò ha temuto d'aocratoere la forza ed il prestigio del Clero,
non badando che in tal guisa n esponeva al rimprovero di pusillani-
mità, e i clericali ne avrebbero tratto argomento a nuovi atti di bal-
danza. Leone XIII non dispera di venire ad ob componimento amiche-
vole col Governo francese come già si è àggiottàto, almeno in parte,
colla Germania e colla Russia, proseguendo eotà il suo piano di paci-
ficazione della Chiesa con tutti gli Stati fncrehè con l'Italia.
Frattanto però, la quesiiona «edesiastica soscita nuovi imbarazit al
ministero Ferrj già mono dà tante altre eàute e in specie dalle com-
plicazioni nelle quali ha gettato la Frància là tua politica coloniale. 8«
al Madagascar non ha trovato, almeno finora, gravi ostàcoli, altrettanto
non può dirsi del Tonkino. Le notizie intomo alle trattative fra il Go-
verno francese e la China moo sooo molto chiare. Pare tuttavia, ftàndo
alle più accreditate noCisIà, ehà là mlàsiooe del signor Trirou sia fkl-
lita. Era oursa la voce che là China aveiàa invocato la mediatione
della Russia, ma si è tosto ioggiaoto ch« là Roasia aveva declinato
l'incarico. Ciò che pare non poàsa nMttani ia dubbio si è che In China
sarebbe disposta a fkre qoàlche ooMiitioBe alla Frauda a coodiiione
che si rieoaoieem il protettorato dnese soU'Annam. vale a dire ti
tomààse al trattalo eoBchiofo dal iigsor Boarrée • che il Governo fran-
eeM àon volle ratlileàM. Ifà il protettorato cìimm soU'Annam sarebbe
ià aperta eontradisioae con la politica ob« il gabinetto Ferr/ ha an-
176 RASSEGNA POLITICA.
nunziato di voler seguire in quelle regioni ed alla quale non potrebbe
rinunziare senza sentire la umiliazione di una nuova sconfitta diploma-
tica aggravata da una sconfitta militare come quella di Hanoi. La China
non desidera la guerra ma vi si prepara, raccoglie truppe ai confini del
territorio già occupato dai francesi, e si provvede di navi, di armi e di
munizioni. Una guerra fra la Francia e la China finirebbe non ne du-
bitiamo, con la peggio della seconda. Ma la Francia dovrebbe inviare
in quei lontani paesi la parte migliore delle sue forze, e fors'anche sguer-
nire di truppe i suoi possedimenti africani, o, certamente rinunziare ad
esercitare qualsivoglia azione in Europa. E non ci reca meraviglia che
il gabinetto Ferry sia discorde sulla risoluzione da prendere ed esiti
ad assumere una responsabilità di tal fatta.
Roma, 30 giugno 1883.
X.
BOLLETTINO F1NAN7L\R10 DELLA QUINDICINA
La Società delle Strade ferrate meridionali. Sno andamento dorante l'anno
1882, e saa attitudine al presente. La questione del riscatto dinanzi agli
Azionisti e dinanzi alla Camera. — Mercato monetario e sitaasione delle
principali Banche di emissione. — Accenni alla questione delle riserye
metalliche delle Banche italiane. Una risposta al Diritto, — Morimento
delle Borsa
Non essendo ancora pubblicata in relaziono sulle operazioni fatte
dalla Banca Toscana di Credito neiranno •corso, dobbiamo interrom-
pere U raMegna intrapresa degli IsUtati di emissione operanti in Italia;
ma speriamo di poterla continuare e oltiraare nel bollettino yenturo.
Frattanto gli incidenti sorti dalfultima deliberazione degli Azionisti
delle Ferrovie Meridionali e la nuova situazione che questa delibera-
zione ha creato, ci hanno avvertita la opportunità di dire qualche cosa
sulPattitudine aasonta dalla Società e anche quella di accennare con
brevi tratti all'andamento della ioa amministrazione.
Incominciando da quest'ultima, ci riferiamo spedalmento alle no-
tizie date da essa intomo alla gestione dell'anno 1883.
La sitaasione finanziaria della Soeietà (alla data del primo gen-
naio 1883 era U tegnente: emi presentàTa un attivo di cassa e por-
tafoglio di L. 13;242.461.84 e varii crediti per L. 31,8^7,481,20;
quindi un totale in attivlu di L. 45/)00,U4d.04. DaU'altra parte le
spese presunte per Tanno corrente a titolo d* imposte, d' intaretsl e
ammortamenti e di ooetrnsioni t altro, ammontavano a L. 06,800,000 ;
e da ciò si aveva il fit-bisogno per lo stesso anno di L. 21,790,066.00.
determinato dai lavori e dalle provviite che oooorreranno per la oostru-
sioM delle nuore linee.
Voi. ZL, §mÌ9 n - 1 LmIU MS. Ifl
178 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
A termini della convenzione del 28 aprile 1881, la Società fra un
minimum di mesi 25 e un maoctmum di mesi 50, a datare dal primo
gennaio 1881, doveva compiere e tener pronte per l'apertura al pub-
blico esercizio le varie sezioni dei tronchi Benevento-Campobasso, Ter-
moli-Campobasso e Aquila-Rieti-Terni. Ora la relazione ci apprende
che parte di queste sezioni sono già ultimate e che le nuove linee in
generale si troveranno portate a fine, nella quasi totalità, molto tempo
innanzi del termine stabilito. I lavori più difficili sono quelli della linea
Aquila-Rieti nella quale, tra Rocca di Cerno e Ponte Santa Marghe-
rita, s'incontrano <juattordici gallerie che misurano nell'insieme la lun-
ghezza di oltre cinque chilometri, parecchi viadotti e tre ponti sul
Velino. Ma lo zelo spiegato dalla Direzione dei lavori ci assicura che
le promesse fatte nella relazione saranno adempite. A ciò si aggiunge
che l'Amministrazione ha anche accudito con pari alacrità ad altri
lavori sulle linee in esercizio, ha intrapreso e spinto assai innanzi quelli
di riordinamento della stazione di Pescara a destra del fiume ed ha
messo mano ai lavori della stazione definitiva di Taranto.
Le spese di costruzione per le nuove linee Aquila-Rieti e Termoli-
Campobasso-Benevento ascesero nel corso dell'anno, escluso il materiale
mobile, a L. 17,127,954.45. Questo importo e un'altra partita aggiun-
tavi per differenze derivanti da giudizi arbitrali, portarono la spesa
totale di costruzione a L. 408,527,670.97,
Per i nuovi tronchi aperti nell'anno passato, la lunghezza della rete
cresceva da chilometri 1450,68 a chilometri 1550,48. GÌ' introiti che
stanno in relazione colla sovvenzione governativa ammontavano a
L 25,107,596.09; quelli pei trasporti speciali fuori sovvenzione, a
L. 267,254.13. La sovvenzione dello Stato, accertata nella somma di
L. 24,237,360.15, e l'utile netto ricavato dalla linea lombarda, ceduta
in esercizio alle Ferrovie dell'Alta Italia, nell'importo di L. 1,455,075.94,
ascendevano nel complesso a L. 25,692,436.09 e davano una differenza
in più a favore dello scorso anno di L. 2,744,671.04. Così, fra sov-
venzioni e prodotti, la entrata della Società durante l'anno 1882 am-
montava a L. 51,067,286.31 contro quella di L. 47,817,366.83, ottenuta
nell'anno antecedente.
Esaminando gli stati posti a corredo della relazione si vede che
l'aumento conseguito nell'anno 1882 deriva per intero dal movimento
dei viaggiatori, e che le eccedenze più notevoli sono state date dalla
linea Napoli-Eboli-Castellammare, da quella Castelbolognese -Ravenna e
dalla linea Foggia-Napoli.
w
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 179
Per conti'o, nelle linee Bari-Taranto e Foggia-Bari, la concorrenza
fatta ad esse dalla linea di Potenza ha determinato anche nello scorso
anno nna diminazione.
Il numero dei viaggiatori è cresciuto per tutte le classi, eccetto che
per la quarta a prezzo intero, e per la terza e quarta a prezzo ridotto.
Intorno alle mercanzie trasportate la relazione avvertiva che i prin-
cipali aumenti caddero nei cereali, nei combustibili vegetali, nei mate*
riali da costruzione, nei metalli lavorati e nelle merci diverse. La
distanza media del trasporto per ciascuna tonnellata di merce a tariffa
ordinaria fu di chil. 135, con una diminuzione rìmpetto all'anno 1881
del 4,93 per cento.
Del movimento complessivo di merci a piccola velocità avvenuto
nell'anno scorso, il 66.84 per cento rappresenta il traffico fra stazioni
sociali; il 20.31 per cento, il traffico di esportazione dalle linee so-
ciali ; il 12.13 per cento, il traffico d'importazione, e finalmente il 0.72
per cento, il traffico di transito dall'Alta Italia e dalle Calabro-Sicule
alle Romane e viceversa.
I trasporti del bestiame hanno continaato ad emwé in aumento. I
capi di grosso bestiame ammontarono a 166,618 • di«d«ro una diffe-
renza in più di 3,434 ; quelli di piccolo bestiame atoetaro a 326,074 e
diedero unn differenza in meno di 058. Neil' insieme i maggiori tras-
porti caddero sul piccolo bestiame, a piccola velocità.
II movimento di scambio fra la rete meridionale e le altre reti
crebbe notevolmente, tanto nella esportazione, quanto nella importazione
Ciò neir insieme. Nelle particolarità, lo stato che lo dimostra segna una
diminuzione di quintali 16,420 nelle esportazioni verso l'Alta Italia,
determinato in special modo dall' avveonta diminuzione nei trasporti
degli zolfi.
Nel servizio Intemazionale le Importazioni sono rimaste pressoché
stazionarie; le esportazioni, in grazia delle spedizioni di vino per la
Fhancia da BarletU, Molfetu. Bari e Bisoeglie, sono erssoiaU del 62.21
fer cento.
Le spese totali d* esercizio ddU reto meridionale ascesero a lire
19,826,123 82, eontro lire 17,602,723 23, importo delle stesse spsM
neir anno 1881. Pertanto 1* utile netto, tenendo conto dei prodotti del-
l'esercizio o dcgl* introiti diversi nella somma di lire 26,4(W,264 47,
ammontò a lire 5,577,130 66. Confrontandolo con l'utile netto ottenuto
neir anno 18SI. si ba una diminuzione a carico dell' anno scorso di
ire 1,8 )0,821 53, la quale « derivata dalle maggiori spese per lavori
180 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
di ampliamento e miglioramento delle stazioni, per consolidamenti delle
linee e per altro.
L'entrata della rete Calabro-Sicula ri usci a lire 12,359,764 90 nel
complesso, dedotte le imposte erariali, e a lire 9,212 23 per chilometro»
Ciò diede un aumento del 6. 83 per cento suU' insieme, e del 3. 62 per
cento per chilometro. Hanno contribuito all' aumento tutte le categorie
di trasporti e segnatamente quelli a piccola velocità che sono avvenuti a
ragguaglio di 83. 38 per cento.
Le spese ordinarie di esercizio sono ammontate a lire 12,576,690 58
sul complesso e a lire 9,399.61 per chilometro. Quelle straordinarie
ascesero a lire 6,179,002 61. Con ciò le spese eccedettero sui prodotti
di lire 6,395,928 29.
La relazione chiudeva esprimendo la convinzione che la situazione
della Società era buona, che le costruzioni procedevano bene e che il
traffico aveva un regolare sviluppo. E di vero questa è anche la conclu-
sione alla quale deve venire chiunque legge. La Società delle Meridionali
è la sola che dopo venti anni d' indefesso lavoro e di prudente ammi-
nistrazione, può dire di essere riuscita ad estendere e consolidare il suo
credito all' interno e all' estero e a far pregiare i servigi che essa ha
reso e può rendere al paese.
Alle linee in corso di costruzione verranno aggiunte quelle di Ca-
serta-Cancello-Ottajano-Castellammare-Gragnano, con diramazione ai
porti di Torre Annunziata e Castellammare. Saranno una nuova spinta
data al traffico e un degno premio alla operosità di luoghi industri e
fiorenti.
E ora eccoci alla grossa questione del riscatto.
Mediante la convenzione del 28 aprile 1881, approvata con la legge
del 23 luglio dello stesso anno, il Governo acquistava il diritto di ri-
scattare la rete delle ferrovie meridionali alle condizioni che seguono :
« Si prenderà per base del riscatto delle azioni il prezzo di lire 25
di rendita per ognuna, se si tratta di riscatto puro e semplice ; si pren-
derà invece per base il prezzo di lire 24 di rendita per azione, se con-
temporaneamente alla convenzione di riscatto ne sarà stipulata colla
Società una nuova per l'esercizio di una delle reti che fossero affidate
all' industria privata.
« Per le nuove azioni che alla Società occorresse di emettere in
corrispondenza agli impegni assunti colla presente convenzione, il ri-
scatto si opererà sulla base del prezzo di emissione calcolato in una
somma non superiore a lire 450. »
BOLLETTINO FINANZLIRIO DELLA QUINDICINA. 181
Il riscatto, fermi stanti questi patti, poteva accadere fino a tatto il
31 dicembre 1882, con la facoltà della proroga di altri sei mesi dietro
a domanda del Governo o della Società. Questa proroga, come tutti
sanno, f^he effetto.
A questi patti, che determinarono i rapporti giuridici fra il Governo
e la Società, gli azionisti ne aggiunsero altri, consentanei, in riguardo
alla esecuzione della convenzione nella parte accennata, che furono 1 se-
guenti :
« É data facoltà al Consiglio di Amministrazione di aumentare il
capitale sociale emettendo fino a centomila azioni nuove di lire 500 cia-
scuna, al portatore.
< Le nuove azioni saranno emesse a lire 450 ciascona, prezzo al
quale saranno rimborsate dal Governo qualora avvenga il riscatto. Fino
a quel giorno le nuove azioni avranno diritto a^i stessi reparti di
utili che saranno fatti alle vecchie azioni in proporzione oerò dei ver-
samenti e del tempo decorso mii medesimi.
< Quando il Governo non usi della facoltà del rùcatto, le nuove
azioni liberate di lire 450 saranno in tutto equiparate a quelle già m
circolazione costituenti il capitale primitivo della Società e saranno
rimborsate al prezzo nominale di lire 500 T una entro il termine in
cui e nei modi coi quali si opera Vestinzione di quelle costituenti il
primitivo capitale sociale.. >
Questi e gli altri patti divennero un patto anioo per effetto della
clausola della convenzione che la rendeva definitiva e valida soltanto
quando fosse stata approvata dall* adunanza generale degli asionisti
della Società e approvata per legge.
Nessuna obbiezione è stata fotta, per quello che ne sappiamo, circa
al modo d* intenderli ; perciò, dietro alU domanda del Oorsmo ptr OM
nuova proroga, oltre V ultima al 90 giugno 1888, la qosstione fu ridotta
al punto di saper* sa la Società avesse il diritto di consentirla, • ss,
consentendola, potasse andare immnna da qualunque danno.
I considerando premessi alla deliberaaiona della quale è stato me-
nato tanto rumore, coma sa fosse stata una enormitA od una aoointri-
citA, rispondono, al oostfo parare, nel modo più asplleito e preeiso, a
tutte queste domanda. BmI dtoooo, sansa akmn paoaiaro soCUnisiO,
he la convenzione del 28 aprile 1881 ha stabilito speciali diritti a flit*
vere di una eatefforìa di asionisti; che qualunque deliberazione sulla
proroga del termine pel riseatto, senta il preventivo conaeaso di essi,
avrebbe ecceduto le facoltà daU*adnnansa; che la proposta a dalibara-
182 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
zioni relative al tempo e modo del riscatto della Società avrebbero-
potuto essere materia d' interesse comune soltanto quando tutte le azioni
fossero divenute di egual natura e di eguale condizione giuridica, e
che finalmente la concessione di un' altra proroga, mancando il consenso
dei nuovi azionisti, avrebbe esposto la Società ad una serie di liti e
alle conseguenze derivanti da esse. La Società delle Romane informi !
Adunque sopravvenendo la scadenza del 30 giugno 1883, senza che
tutte le condizioni del patto fra il Governo e la Società fossero state
adempite, si capisce come l'accordo dei vari! interessi, esistito fino a
quel punto, dovesse necessariamente degenerare in conflitto. Dall'una
parte era la domanda di proroga pura e semplice, fatta dal Governo
per servire a convenienze parlamentari, o di altra natura, che veni-
vano a ledere l'interesse degli Azionisti. Dall'altra sorgeva l'alternativa
per la Società o di sobbarcarsi ad un grave sacrifizio pecuniario per
far largo a quelle convenienze e dirimere qualunque conflitto fra azio-
nisti e azionisti, o di scindersi. In verità noi intendiamo che in casi
eccezionali, e per ragioni altissime di ordine pubblico, una società ita-
liana possa sorpassare su qualche particolare interesse; ma non inten-
diamo che debba fare sacrifizio di sé a dirittura solamente per lasciare
che il governo, il quale ha ondeggiato fin qui fra partiti diversi, trovi
il tempo e il comodo di stabilire quando che sia che cosa gli convenga.
Per queste considerazioni noi ci separiamo affatto da coloro i quali,
trovandosi a stremo di buone ragioni, gridano contro la Società delle
Meridionali e i suoi Amministratori e accusano questi e quella di deli-
berazioni prese per dispetto o per ostilità al Governo, All'opposto noi
pensiamo che il partito vinto nell'adunanza straordinaria del 19 giugno
sia stato il solo razionale e possibile e il solo che nel modo come sta-
vano le cose abbia potuto salvare ancora tutti gl'interessi.
Di ciò ci hanno persuaso pure le dichiarazioni fatte all'uopo dal-
l'on. Ministro dei lavori pubblici, per dimostrare che il Governo con
l'abbandono del riscatto nel termine convenzionale non recava allo Stato
alcun pregiudizio. Esse a giudizio nostro non potevano essere né più
esplicite né più precise.
Il Governo — egli ha detto — rinunziando alla facoltà del riscatto,
riacquista la sua piena libertà d'azione e non pregiudica nulla ; non la
forma dell'esercizio, non l'assetto delle reti. E all'on. La Porta che gli
ricordava le deliberazioni della Commissione d'inchiesta e gli affacciava
dei dubbi sull'abbandono del riscatto, sia in rapporto alla situazione fu-
tura della Società delle Meridionali, sia in riguardo all'ordinamento
BOLLETTINO FINANZLUUO DELLA QUINDICINA. 183
delle due reti longitudinali e alla libertà d'azione del Governo nella
questione defle tariffe, ha risposto ripetutamente nei termini che se-
guono. « Poteva io, riscattando le strade ferrate meridionali e dichia-
randomi addirittura partigiano delle Società di esercizio, vincolarmi
a trattare con la società delle Meridionali dell'esercizio stesso, scegliendo
una delle due forme che la legge tassativamente impone al governo
per il riscatto ? Poteva io fere il riscatto puro e semplice ì E sarebbe
opportuno di emettere ora molti milioni di rendita pubblica ? »
E più innanzi : < Non riscattando oggi, il Governo non a" impegna
non si attira sulle braccia strade che non saprebbe come esercitare
non s'impegna a dovere necessariamente trattare con la Società delle
Meridionali, mentre può affrontare in migliori condizioni il problema.
Esso è più vasto di quelle che non si presentò nel 1877, e noi ab-
biamo bisogno di tutta la libertÀ nostra per poterlo risolvere come
richiedono gl'interessi generali del paese. >
E. per ultimo : < Ora non soltanto si deve stabilire la form a del-
l'esercizio delle strade costmite, ma si tratta anche di provvedere al la
costruzione ed all'esercizio delle strade naove. È questa una delle ra-
gioni che m'impediscono di risolvere l'i, su due piedi, la questione delle
strade ferrate. Ma la deliberazione del Goyemo non pregiudica a nalla,
nemmeno alla divisione delle due reti longitadinali, giacchd questa di»
visione, questo aggruppamento di reti potrà essere ottenoio benissimo
ad onta che non ni faccia oggi il riscatto. »
Ritenuto tutto questo, a noi pare che della discussione fetta alla
Camera nella tornata del 23 giugno e della deliberazione degli axionisU
della Società delle meridionali, si possa dire in conclusione: contenti
tatti I E forse questa è la verità vera, sebbene pel colore dato alla
cosa da nna delle parti contendenti possa sembrare una burla.
Per conto nostro, poiché abbiamo dello Stato un'idea molto diversa
da quella che porta la moda, sebbene i feutori dello Stato proprie-
tario e quelli dello Stato ooetmttore ed esercente rischino di trovarsi
a sostenere, come arviene spesso in Italia, idee tmtmt aaebe dalla
democraxia francese, didamo che le due deliberasiotti «oeennate sono
state un vero benefizio, perchè qui o*è da temere più dal non avere
i nostri governanti di nessun partito, che dal vederne loro prendere uno
qualunque. Al tempo ohe fe, dallo stato proprietario di tutte le linee
saremmo scivolati allo Stato esercente senza avvedercene.
Frattanto non dobbiamo sorpMsare ohe fra mexzo alle dichiarazioni
avvertite e ad altre che omettiamo per brevità, scattò qualche minse-
184 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
eia e giunse al Governo e alla Camera l'ammonimento di non dimen-
ticare, e fu alla società delle Meridionali rimproverato il poco cortese
e giustificato diniego. Ma ci affrettiamo a soggiungere che la tempera-
tura era piuttosto alta in quel punto e che il testo officiale ne ara-
maestra che le cose non andarono fin- dove vennero portate dai resoconti
riferiti da alcuni giornali, e ne siamo lieti, perchè non sappiamo che
le critiche appassionate abbiano giovato mai né al prestigio dei Parla-
menti nò al mantenimento del credito.
Senza dubbio il problema è grave e complesso; ma appunto per
questo, elevandoci ad intendimenti più alti, ci richiamiamo, per una
parte, piuttosto che ad uno dei patti stipulati con la convenzione del
28 ottobre per l'esercizio delle Calabro-Sicule e ad una delle disposi-
zioni della legge di concessione delle Meridionali, come ad armi offen-
sive nelle mani del Governo, all'art. 4 della legge memoranda del 1876
e alle dichiarazioni fatte intorno a questo articolo dall'illustre e bene-
merito Uomo di Stato barone Ricasoli. Vale la pena di tornarvi, e di
meditarvi! Dall'altra parte, piuttosto che a fini reconditi e a dispetti
muliebri che contrastano troppo con la fama di serietà e regolarità di
un'amministrazione indicata ad esempio per lunghi anni, torniamo con
piacere ai propositi manifestati dalla Società delle Meridionali nello
stesso punto nel quale era tratta a dare voto non favorevole alla pro-
roga del riscatto.
« La società è salda nella determinazione :
«1. Di secondare gl'intendimenti del governo per l'assetto delle
strade ferrate italiane in quel modo che egli giudicherà più vantaggioso
alle nostre industrie ed ai nostri commerci.
« 2. Di prestarsi a tutto quanto possa conciliare con le condizioni
del pubblico erario gl'interessi generali del paese e quelli particolari
della società nostra. »
Solamente in questo modo e con questi intendimenti il grosso pro-
blema potrà essere risoluto con reciproco vantaggio delle parti. Ma im-
porta che gl'indugi sieno troncati, che lo Stato, il primo, intenda che
tutti gli interessi devono essere rispettati, e che il Governo abbia fi-
nalmente una politica ferroviaria palese e concorde.
L'ultima situazione delle Banche associate di New- York, a noi nota
in questo punto, è quella alla data del 23. Dal 9 giugno a quest' ul-
tima data, il fondo metallico è cresciuto di dollari 1,600,000 eia ecce-
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 185
denza sulla riserva è aumentata di 150,000. Cosi il primo è salito a
dollari 63,200,000 e la seconda ha toccato la somma di 8,925,000. Pa-
ragonando l'ultima situazione con quella alla data del 24 giugno del-
l'anno scorso, si ha che la situazione odierna sorpassa l'altra in amendue
i capitoli; nel fondo metallico di dollari 4,200,000 e nella eccedenza
di 450,000. Ciò è molto in riguardo al presente, ma è poca cosa nei
rispetti dell'avvenire poichè,|da più parti vien confermata la probabilità che
le Banche possano prima dell'autunno perdere buona parte del loro fondo
di cassa. Nell'anno scorso, alla fine di agosto, nel luogo della eccedenza
d'ora, la situazione delle Banche segnava già deficienza.
Il cambio su Londra rimasto per qualche tempo quasi al punto del-
l'oro, è caduto da 4,85 li2 a 4,84 1|2, che ò il corso nel quale dura
dal giorno 26. 1 banchieri hanno riflettuto molto probabilmente che una
esportazione d'oro in questa stagione, rimpetto alla qaksi certezza di
un movimento opposto fra doe o tre mesi, sarebbe stato un partito
inopportuno. Il prezzo del danaro è assai basso. L* offerta di capitali
oltrepassa di gran lunga la domanda. Si calcola che questo stato di
cose possa durare fino a loglio inoltrato.
Deir Inghilterra, stando eaclusivamente ai risultaroenti dai bilance
della Banca, abbiamo notizie che sono discrete. Il fondo in oro è au-
mentato di sterline 1,611,771 e la riserra totale di 2,771,091. Ciò di-
nota che la situazione della Banca ò migliorata per i bisogni presenti
e imminenti; ma non lo ò ancora quanto basta per quelli che possono
«opravvenire. So questo punto anche il Times ò venuto rinnovando
i dubbi che noi abbiamo espresso e confortati con buone ragioni nei
bollettino antecedente. Frattanto il confronto fra l'ultiou sitoasiona al
27 con quella al 28 giugno dell'anno soofso, oonfarma la MoessitA per
la Banca di rinvigorirsi ancora, giaeehè il fondo metallico « sampra
minore di sterline 1,042,188 a la risenra di si. 1,315,238. Si noti che
nella settimana dal 20 al 27 la itaasa riaanra è diminuiU di st. 32,353.
I cambi esteri non hanno mosso maggiormaota io favore di Londra.
rcrcìo, sparita la speranza di attrarrà Toro sia dall' America, sia da
altri centri, come la Francia a la Germania, il mercato londinese pad
contare solamente sullo importasioni dall'Australia, a queste sono yia
più ristretto. Cosi l'avvenire non si presenta sotto Taspetto più soddi-
sfacente. A questo si aggiunga che aall'ultima settimana la ciroolaiiona
della Banca « aumentata di starlina 377.020 a cita essa può aomantare an»
Cora più. come negli anni andati in questo lampo. Un aumento fomiglianta
determinerebbe oaaasnriaiuaata una nuova diminuiiuno dalla riserva.
186 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Malgrado ciò, non sembra che i prezzi del danaro debbano essere
molto alti. Alla vigilia della liquidazione i prestiti brevi facevano 3 l[l
e la carta a 3 naesi variava da 3 3(8 a 3 I{3 per 100. Peraltro convien
por mente che le Banche del Joint-Stock, cedendo come di consueto
alla smania di farsi vedere ben fornite nella imminenza del pagamento
dei dividendi, devono aver chiuso i loro conti oggi stesso 30, e che, in-
cominciando da lunedi prossimo cureranno il ritiro delle somme antici-
pate ai sensali di cambio. Ciò potrà produrre qualche rialzo nei prezzi,
per quanto i corsi accennati debbano essere attribuiti alla mancanza
completa di affari.
Le situazioni della Banca di Francia dal 7 al 28 giugno presentano
la diminuzionei di circa 5 milioni nel fondo in oro, l'aumento di circa
76 milioni nel portafoglio, che va a carico esclusivamente della situa-
zione al 28, e la diminuzione di 8 milioni nella circolazione. I conti
correnti sono in aumento. Da anno ad anno, l'ultima situazione eccede
quella al 29 giugno 1882 di oltre 32 milioni nel fondo in oro e di
circa 228 nella circolazione; negli altri principali capitoli vi sta al.
disotto. E noto che la Banca ha stabilito un dividendo di franchi 120
al netto dell' imposta su ciascuna azione di 5290.
Nel mercato libero durano gli effetti dell'aumentato saggio dei Buoni
del Tesoro, che rese il denaro piuttosto scarso, e incominciano a farsi
sentire quelli determinati dal pagamento dei dividendi. Ma le transa-
zioni sono state e sembrano ancora limitatissime. Lo sconto fnori banca
vien segnato nominale a 2 1]2. Lo cheque su Londra ha oscillato tra.
25.31 e 25.29.
Intorno alle Banche di emissione svizzere abbiamo la situazione al
23 corrente, la quale segna il fondo metallico legale di fr. 57,015,449,
una potenza di emissione di 103,472,610 e una circolazione di 90,811,585.
Paragonando queste cifre con quelle della situazione al 26 maggio, si-
ha che il fondo metallico e la potenza di emissione sono diminuiti, e
«he la circolazione è cresciuta ; ma queste differenze sono di poco ri-
lievo. Il fondo metallico eccede ora di franchi 20,690,815 il 40 per cento
della circolazione, e le Banche possono emettere ancora biglietti per la
somma di fr. 12,661,925.
Il saggio dello sconto presso le Banche, nelle varie piazze della Con-
federazione, è rimasto quale era.
Le previsioni espresse da noi, quindici giorni or sono, relati vamente-
alla Banca dell'Impero germanico, hanno avuto finora piena conferma
nei fatti. L'aumento negl'impieghi è stato sensibilissimo; il portafoglio
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 187
è cresciuto di marchi 34 milioni ; le anticipazioni sono aumentate di 7.
In conseguenza, anche la circolazione è salita a marchi 42 milioni.
All'opposto sono diminuiti : il fondo metallico, di oltre 4 milioni; i bi-
glietti di Stato, di 912 mila, e i conti correnti di 7 milioni di marchi.
Le variazioni più rilevanti sono avvenute nella scorsa settimana ; in
quella che si chiude oggi, che ò Tultima del semestre, ne accadranno
in proporzioni anche maggiori. Nell'anno passato 1' aumento negli im-
pieghi fu di 23 milioni dì marchi per la terza settimana di giugno e
di 96 per la quarta; in quest'anno l'aumento corrispondente nella terza
settimana è stato di circa 45 milioni. Ma pel nuovo semestre, come
dicemmo giÀ, si prevede un continuo decremento. Frattanto aggiun-^
giamo che la 8ÌtU:>zione al 23 ò assai migliore di quella dell'anno scorso
a pari data, nella quale il fondo metallico era minore di 40 milioni di
marchi.
Le spedizioni d'oro in Inghilterra sembrano definitivamente cessate.
É vero che le ultime notizie recano che il danaro, rimasto lungo tempo
a 3 5(8 per cento, fuori Banca, ò salito a 3 3(4, e che il prezzo pei
riporti in liquidazione è andato in ultimo al 5 1(2 e anche al 6 per
cento. Ma nell' insieme nulla indica che la Banca debba ricorrere
ad un rialzo del saggio officiale, nemmeno in vista (lell'aamento degli
impieghi.
Nell'ultimo bollettino abbiamo esaminata la situazione della banca
Austro-Ungarica al 7 giugno; ora ci troviamo lott'occhi l'ultima pub-
blicata, che è quella del 23. I mutamenti avvenuti fra questa date ca-
dono ancor qui sulla settimana passata, per i bisogni del pagamento
degl' interessi di luglio. Cosi vediamo che il fondo metallico e i biglietti
di Stato sono diminuiti, l'uno di fiorini 1,434,000, gli altri di 243 ralla.
Sono invece aumentati : il portafoglio, di fiorini 7 milioni ; le anticipa-
zioni, di 802;000; la cirooUtioM, di 5 miliooi. Nell'anoo soorao a pari
data, la sitoasiooa era alquanto divaria, giacché praaantava una dimi-
nuzione tanto nella circolazione, quanto nel portafoglio. Nal confronto
da anno ad anno, vediamo che tutti i capitoli accennati sono ora in
aumento; il fondo maUllico, di 13 1(2 milioni; il portafoglio, di circa
8 milioni; le antieipaziooi, di quasi 2, a la circolazione, di 12 1(2
circa.
Dalla cifra aspoata appare quanto sta sensibile nel mercato viannaaa
la scartità dal danaro. Oià fin dai primi di maggio la Direziona dalla
Banca evitò di acontara al disotto del saggio ofildala, pravadando con
ragiona che i bisogni sarabbaro divenuti più forti alla fine del lame-
188 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
atre. Frattanto è da aspettarsi un aumento negli impieghi pure per la
settimana prossima. Nel corso del mese di luglio le somme ora acca-
parrate, ritornando al mercato, vi ricondurranno senza dubbio maggior
facilità; ma prevale la credenza che nell'autunno una certa carestia
sarà inevitabile. La Direzione della Banca terrà certamente conto di
ciò per sovvenire il mercato ne' suoi bisogni.
Nel mercato libero non si è più scontato al di sotto del saggio of-
ficiale; il danaro è rimasto piuttosto scarso con viva richiesta, da 4 a
4 1{2 per cento.
; La situazione al 23 della banca Neerlandese segna una nuova di-
minuzione del capitale operante. Nel confronto colla situazione al 26
maggio, che è quella esaminata nell' ultimo bollettino, il portafoglio è
decresciuto di fiorini 7 milioni; le anticipazioni sono diminuite di oltre 11.
All' opposto, il fondo metallico ha avuto un ulteriore aumento, ben-
ché di poco rilievo; esso è di fiorini 54,000 pel fondo in oro e di 75,000
per quello in argento. La circolazione è scemata di fiorini 11,583,000.
Comparando la situazione al 23 con quella al 24 giugno 1882, vediamo
che la prima è assai più soddisfacente, giacché, mentre la circolazione
tocca quasi la stessa cifra così nell' una come nell' altra, il fondo me-
tallico é maggiore di oltre 27 1|2 milioni di fiorini e gli impieghi sono
minori di circa 11. Data la buona situazione della Banca e 1' abbon-
danza del danaro nella piazza di Amsterdam, il saggio di quel mercato
monetario, che é da 4 a '4 1|2 per cento per le anticipazioni su titoli,
può parere un poco elevato.
La Banca Nazionale Belga presenta una situazione abbastanza fa-
vorevole. Dal 7 giugno al 21, tutti i principali capitoli sono diminuiti
salvo quello dei conti correnti particolari, che offre un aumento. Le
differenze in meno sono di fr. 4,339,000 pel fondo metallico, di 374,000
pel portafoglio, di circa 4 milioni per le anticipazioni, di oltre 5 per
la circolazione e di 4 e mezzo milioni per i conti correnti del Tesoro.
L'aumento nei conti correnti ascende ad oltre un milione. La propor-
zione tra gli impegni a vista e le disponibilità è di 41 per cento, men-
tre la Banca è tenuta al 33 per cento solamente. Nell'anno passato, al
22 giugno, il fondo metallico e i conti correnti particolari erano mag-
giori; il primo, di franchi 3,885,000; i secondi di 1,624,000. Per contro,
il portafoglio e le anticipazioni erano minori, distintamente, di circa 9
milioni; la circolazione di 2 e i conti del Tesoro di circa 14 milioni.
Oltre a ciò vediamo che gli sconti, i quali adeguano ora la cifra dì
205 milioni, toccavano alla data corrispondente dell' anno passato 235
BOU.ETTINO FINANZIAiaO DELLA QUINDICINA. 189
milioni, sebbene il saggio dello sconto fosse allora più alto dì uno per
cento. Da ciò le voci corse di un prossimo ribasso del saggio della Banca
Nazionale, la quale lo tiene al 3 1|2 per cento dal febbraio ultimo.
Nulla si ha dalla Spagna che riguardi al soggetto di questa ras-
segna. È noto che le situazioni di quella Banca sono mensuali.
Da Atene è venuta la notizia che il governo ha contratto all'estero
un prestito di 130 milioni in oro a modico interesse, per volgerlo alla
abolizione del corso forzoso ; ma non ne conosciamo esattamente le par-
ticolarità. Secondo la versione di qualche diario, pare che la Banca
Nazionale dovrebbe avere di quella somma circa 72 milioni e che il
resto verrebbe impiegato nella conversione di prestiti per lavori pub-
blici. Frattanto ò da avvertire che la circolazione della Banca ascende
a 100 milioni di dramme e che il valore del napoleone d'oro in Grecia
6 salito a 24 franchi.
L'esame delle situazioni della Banca Nazionale italiana dal 31 maggio
al 20 giugno offre l'aumento di circa 9 milioni nel fondo in oro e di
circa nn milione in quello in argento, e una diminuzione di 4 milioni
nei biglietti consorziali. Ciò per la riserva e cassa. Il portafoglio segna
l'aumento di poco più di un mezzo milione; la iDticipazioni a la cir-
colazione segnano una diminuzione, la quale ò, per le una, di circa un
milione e per l'altra di ciroa 7 milioni. Pertanto la droolationa affet-
tiva all'ultima data ammontava a L. 417 milioni. Comparando la si-
tuazione al 20 giugno cadente con quella alla staasa data dell* anno
passato si ha per la prima l'aumento di oltre 41 milioni nel fondo in
oro a di circa 24 nel fondo in argento, e la diminutione di oltre 18 mi •
lioni nei biglietti già consorziali. Negli altri capitoli, occattoato il
portafoglio, si ha diminuzione. Tutti questi dati dimostrano che la
situazione odierna dalla Banca è, sott'ogni rispetto, dvoravolistima.
In quest'ultinui saitimaaa dal maaa sono incominciati i grossi mer-
cati dai bozzoli. È ormai noto eha il tempo, nonostante la sua stra-
vaganza, ci ha consentito an buon raocolio. Il prtuo par la qualità mi-
gliori ha adagnato quello di lira 3.60 par ohilogramma. In oonsagoanu
la domanda di ioooto sono stata imponanii ; aasa hanno assorbito totta
la somma dispoaibili dai banchieri a dai varii latitati di Credito ad
asiandio qoaUa dalia Banca Nasionala, la quali, coma abbiamo vadoto,
arano larghtaiiiBa. E ooo ea Da dogliamo davvero, sabbana aio abbia
potuto rastrìngara la diapooibilità par i riporti nella Borsa, perchè
questo fortunato movimento «salcora naova importazioni d* oro eha
aamantanuino la ciroolaiioDa nonauria dal nostro paaaa.
190 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Intorno al provvedimento pendente per abilitare le Banche di
emissione a rinvigorire le loro riserve metalliche, nessun passo. Ma
questa è un'osservazione che riguarda esclusivamente all'attitudine del
Governo.
Invece, dall'ultimo bollettino in poi, nella stampa, è avvenuto qualche
cosa. Mentre noi avevamo accennato alla questione e alle considera-
zioni fattevi da.\V Opinione in favore, sopraggiungeva un nuovo articolo
dello stesso reputato diario, inteso ad esporre alcuni dubbi sorti nel-
animo di qualcheduno sulla convenienza del provvedimento considerato
sotto l'aspetto di una probabile invasione dell'argento; e un altro del
Pungolo di Napoli, guardando la cosa sotto l'aspetto esclusivo di un
aumento della circolazione cartacea, confondeva e alterava stranamente
idee e fatti. Frattanto veniva, terzo interlocutore, il Diritto, al quale
pungeva sopratutto il dubbio che il provv^edimento invocato potesse
riuscire a vantaggio di uno o due Istituti soltanto, ma senza che
dall'insieme delle sue considerazioni si avesse a concludere che egli vi
fosse avverso senz'altro.
Ora V Opinione in un articolo "recente, ma non suo, che risponde a
quei dubbi, e il Diritto ancora, per impulso avutone da quest' ultima,
son tornati alla questione, ma in quanto diverso modol
Riassumiamo. L'articolo comparso nel primo diario toglie via lo
spauracchio che dal provvedimento invocato possa venire un'invasione
del metallo bianco. Infatti esso dimostra che la facoltà chiesta per le
Banche può avere il solo effetto di spostare la massa metallica che
esiste in paese; non di aumentarla e non di diminuirla. E su ciò non
c'è altro da dire.
L'articolo del Diritto si duole che il polemista ospitato deiW Opinione
gli abbia attribuito il pensiero di osteggiare il provvedimento proposto
solamente perchè questo non profitterebbe fuorché ad un Istituto o a
due al massimo. Avverte che i suoi dubbi sono andati e vanno ancora
più in là, perchè il provvedimento può avere conseguenze gravissime. E
qui, naturalmente, ce ne ha da essere di tutte le specie,
Senta il Diri/io, ma non si turbi. Quando una questione non è in-
tesa 0 non si vuole intendere, novantanove su cento, la si dice grave;
{)0Ì, ponzandola e gonfiandola via via, la si viene a dire gravissima, e
si mette a dormire. Ma anche le bolle di sapone ingrossano, poi di
un tratto spariscono. E questa tinta nera prodigata ad un provvedi-
mento di per sé tanto chiaro e utile, se non è precisamente una bolla
di sapone, la somiglia.
BOLLETTINO FINANZLA.RIO DELLA QUINDICINA. 191
Credete, si o no, utile al paese e specialmente al commercio che le
Banche abbiano una riserra ben provvista ? Ritenete, si o no, che
abolito il corso forzoso, non si ha più da fare tanto con i gruppi e i
sotto-gruppi del Parlamento, ma un zinzino anche con i mercati
esteri ? Volete lo sconto alto nel caso di burrasca e il turbamento che
questo produce, o preferite lo sconto a un saggio comportabile e dì
giusta difesa ? A queste domande non si risponde né con riserve né
con indugi ; e, se temete ancora, fuori adunque le conseguenze gra-
vissime !
Oltre a ciò il Diritto^ che vuol aver tempo per meditare, nega che
il provvedimento annunziato possa essere preso per decreto reale e du-
bita che la Commissione permanente lo concederebbe. Noi primi ab-
biamo messa fuori la idea del provvedimento in quel modo ; perciò non
dispiaccia al noetro confratello che rispondiamo alle osservazioni fatte
da lai sa essa. Di rinunzia, di abdicazione dei diritti del Parlamento
in favore di an Ministro o di an altro, non parliamo per l'amor di
Dio; è roba che non c'entra. Esamini il Diritto tutto quello che dicono
gli articoli 19 e 24 della legga del 7 aprile 1881 ; poi giudichi se è il
caso di parlare, proprio ora, di abdicazione dei diritti del Parlamento.
Anche noi, non nuovi alla scienza politicn, crediamo al principio della
separazione dei poteri; ma apponto per questo non giangiamo ad in-
tendere che al governo possa essere negato sai seno l'afflcio di svol-
gere l'applicazione delle leggi fino al limite che esse gli consentono.
Del resto il nostro confratello sa essere di buon amore anche negl^
ozi speculativi, e questo ò un compenso, e Qaando la Banca Nazionale
— son sae parole — avesse sul mercato, non presso a poco metzo mi-
liardo, come ora, ma più di un miliardo di biglietti proprii, sarebbe
resa più freile la solosioiM del grande problema bancario t •
Noi d guarderemmo bane di fluo oaa somiglianie Ipotesi, se prima non
avessimo sooperta una miniera d'oro o d'argento in Italia per nostro
conto; ma poiché il Diritto Tha posta, non vogliamo respingerla. Po-
trebbe essere ana v«« malignità a' suoi cechi.
Però rispondiamo: sotto quel rispetto, altro che fkcilet Quando una
Banca qualanque avesse osato di commettere la enormità di raddoppiare
la propria drooJaiione rimettendo nelle sue casse tanto oro e argento,
qaanto ne carerebbe fuori di biglietti (che questo è proprio il caso del
proTTedimento pendente) allora il ristringerla sarebbe affare per Tap-
pnnto di una operazione a rovescio. Questa banca singolare a cui
pesasse V oro nelle casse, non avrebbe ohe a buttarlo fuori in laogo dei
1192 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
biglietti. Ma quanto questo metodo gioverebbe al pubblico interesse,
lasciamo dire a quelli che potessero esser chiamati a consigliarlo.
E basti, perchè altri argomenti ci sospingono.
La cronaca della Borsa non avrebbe avuto di che dolersi dell' an-
damento delle cose riferentesi alla quindicina ora trascorsa, se negli ul-
timi giorni non fosse venuto sui mercato di Londra e su quello di
Parigi un vento malefico che ha paralizzato le migliori disposizioni.
Queste erano sorte fino dal principio e aveano durato, come si disse,
quasi sino all'ultimo della quindicina. Imperocché se l'attività degli af-
fari lasciava sempre da desiderare, se nulla attestava che un ritorno
di operosità potesse sperarsi prossimo, pure sembrava rientrata negli
animi un po' di calma ed era nata la speranza che il male avesse rag-
giunto l'ultimo limite.
La liquidazione quindicinale aveva avuto effetto senza incidenti no-
tevoli; e per quanto essa non toccasse il vivo delle posizioni, poco
impegnate nei valori, pure i facili riporti e il buon prezzo del denaro
furono indizio che le forze del mercato non si trovavano stremate e
che un ritorno al bene poteva ritenersi con ragione non impossibile.
Le convenzioni colle compagnie ferroviarie non erano più un pro-
blema. L'accordo dello Stato colle compagnie era stato stabilito e man-
cava solamente che le Camere vi consentissero. Oltre a ciò la neces-
sità de' bilanci straordinari si imponeva alla considerazione de' rappre-
sentanti della nazione e pareva si potesse credere che essi non avreb-
bero posto inciampi alla definizione della grossa pendenza dalla quale
dipende il ristauro delle pubbliche finanze.
Nell'ordine politico suff'ragavano le ultime notizie in riguardo alla
spedizione francese al Tonkino, fatte migliori, e il linguaggio più mo-
derato della stampa inglese, il quale lasciava sperare che la questione
sorta non dovesse uscire dai limiti de' negoziati diplomatici, e che i
cannoni dell'ammiraglio Pierre non avrebbero tuonato chopper salutare
la fine del dissidio.
Conseguenza della migliorata condizione morale del mercato fran-
cese, determinata dalle cause avvenute, fu che le rendite non ebbero
a soff'rire ulteriormente dal ribasso e che le vendite da parte de' pos-
sessori del 5 0(0 convertito ebbero una sosta; che qualche voglia di
riacquisti si manifestò da parte di quelli che avevano venduto ; che
il risparmio incominciò a pensare se non gli fosse convenuto di prò-
BOLLETTINO FlNANZLlRIO DELLA QUINDICINA. 193
fittane de' buoni prezzi per rientrare, come si suoi dire, nel titolo,
e cho finalmente la speculazione insofferente delPozio si mostrò meno
sfiduciata dell'opera sua.
Tutto ciò non significava certo che l'ora del rialzo e di una ripresa
vera degli affari fosse prossima a sponare, ma rivelava che gli elementi
a determinarla esistevano, e che passato il tempo della stagione morta
essi avrebbero potuto svolgersi e portare un mutamento salutare nella
situazione del mercato.
Eliminata la grande questione delie ferrovie, ristabilito l'equilibrio
ne' bilanci, 1' alta Banca che di proposito deliberato si tenne fin qui
estranea da ogni atto di vita operativa, avrebbe contribuito, alla sua
ora, a ristaarare le forze del* mercato francese, a regolarle per modo
che il ritorno agli bffdH fosse cosa seria e non il portato di una spe-
culazione efSmera ed inconsulta. InfratUinto esja stava alle vedette
aspettando che le si desse mo«lo di assicurare sé stessa che tanto nel
campo politico, quanto nel finanziario, erano eliminati gli inciampi che
^▼eano resa rtlat tante a prestare l'opera sua.
Ma, come accennammo in principio, allorché la quindicina toccara
il suo termine, e proprio quagdo la liqaidaz'one di fine mese batteva
alle porte, tanto la bor«a di Parigi, quanto quella di Londra ebbero il
malgradito annunzio dello scoppio del chuiera in E.;itto e ne furono im-
pressionato prorondumf>nte. A questo sì aggiunse un discorso del signor
Qladstone in un senso non favorevole alla Compagnia del Canale di
Suez, giacché egli disse che se in molli punti il governo inglese si
trovava d'accor<!o c<>lU Compignia, io altri e molto rilevanti ne dis-
sentiva. Questi fatti inaspettati turbarono vivami^nte il mercato dei
fondi egiziani e per contraccolpo ezian>tio quello degli altri rslori. eos\
allo Stock -Exchange eonne alla Borsa di Parigi. Puro, conte oggi
si vede, il ribalto noa ha pre*o le proporaioni che fui'ono temuta
e gli aitimi corsi venuti da Londra e da Parigi lasciano sperai'* che
non si abbia a prooetare più oltre nella china. Il rholera in Egitti è
piuttosto una malattia endemica, giacché é raro quell'anno nel quuia
non vi (accia la sua comparsa: da ciò la sparane t ohe non si propaghi
al difuori. E per riguardo alle dichiarazioni del signor Ola'istoha, essa
non es4>luduno la possibilità di trovare una base d'accordo anche sui
punti cl>e rimangono tuttavia controversi.
La oon lisione monetaria eontiou.» ad essere sofMisfacente dapper-
tutto; ra«peito dei raoo>»lti é dei pù lusinghieri. Por conseguenza è
permesso di aprir l'Aoimo alla speraasa elie le causo perturbatrici- del
Vm. ZI^ Sana II - I LagiU ISSI. 1*
li)4 ROLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
mercato non abbiano ad interrompere un avviamento di cose che parve
iniziarsi sotto ottimi auspici.
In riguardo agli afifar', dobbiamo ripetore che la nullità o la poca
importanza delle transazioni è la nota dominante alla quale nessun mer-
cato si sottrae e che ad essa soggiacciono a fortiori quelli italiani.
La deliberazione presa dalla Società delle meridionali, della quale
ci siamo occupati nella prima parte del bollettino, aveva un po' sovrec-
citata la speculazione tanto sui 1 itoli che riguardano la Società, quanto su
quelli che vi hanno interesse indiretto; ma fu un fuoco di paglia, che
perciò durò poco.
Invece, sulla rendita, gl'impegni vennero a mostrarsi piuttosto rile-
vanti. Così nella liquidazione di fine mese, qualche piazza, e special-
mente quella di Roma, ebbe a sperimentare difficoltà insolite e riporti
non lievi, senza che ciò si potesse attribuire a difetto di disponibilità. Il
riporto fu tenuto in generale intorno a 4f> centesimi: se in alcune piazze
si mostrò più caro e più difficile, egli è che in esse la speculazione aveva
varcato i limiti d- Ila moderatezza e subito gli effetti della legge eco-
nomica che regola inesorabilmente il rapporto tra IVfferta e la domanda.
Da varii giorni il mercato di Parigi non ha più per la rendita ita-
liana quella tendenza deferf^nte che ebbe nel tempo addietro, e bisogna
che gli italiani non se ne mostrino indiflferenti. Pare che il capitale
francese vada riconciliandosi colle rend.te proprie; perciò un rivolgi-
mento a nostro danno, per quanto ingiustificato (perchè il fondo di
Stato nostro non ha nulla da invidiare ai fondi stranieri) potrebbe ve-
rificarsi.
Sui mercati italiani i corsi della rendita si aggirarono tra 93.02 e
93.15 per quasi tutta la quindicina; soltanto in ultimo caddero a 92 62
e chiusero a 92.5'). Durante lo stesso temoo la Borsa di Parigi la tenne
tra 93.20 e 93.1^5; poi scese a 93 e a 92 95. Oggi chiuse a 92.2 >.
I prestiti cattolici rimasero quasi stazionari e poco trattati : il Blount
da 92 05 a 91.90; il Roihschild tra 93 e 92.85; i certificati del Tesoro,
emissione 1800-04, tra 93.50 e 9 ',60.
Le obbligazioni ecclesiastiche non diedero luogo che a rare transa-
2Ìoni al prezzo di 92.50.
Sui valori bancari non avvenne alcun movimento che si possa dire
importante. Le azioni della Banca italiana furono negoziate dapprima
a 2287 ; durarono su questo prezzo per qualche tempo, lo perdettero
dipoi e vennero a quello di 2275, e, in chiusurri, a 2272,
Le azioni della Banca Romana oscillarono sempre tra 1000 e 985,
BOLLETTINO FINANZLV.RIO DELLA QUINDICINA. 195
€on ritorno al primo prezzo, ma eoa affari inconcluilenti. Le azioni della
Banca Generale, per quanto la speculazione abbia tentato pia volte di
galvanizzarle, non hanno avuto miglior contegno. In principio ebbero
il prezzo di 539 e successivamente quello di 5^7; quindi risalirono
a 540.50, ma subito dopo caddero di nuovo a 536 50.
Il mobiliare italiano, il quale, pel fatto della deliberazione della So-
cietà delle meridionali, da 804 aveva toccato il prezzo di 820, piegò
di poi a 810 e a 805.
Degli altri vaici bancarii non è da far parola, perchè nessuno di
essi diede luogo a transazioni di qualche momento ; anzi per qualche
titolo è da aggiungere che incontro lo sfavore del mercato, come ad
esempio, le azioni della Unione Banche di Torino, causa i fAliiraenti
sciagurati di altre Banche dì Piemonte colle quali Y istituto si trova
impegnato, e qualche defezione interna.
Venendo al valori ferroviarii, ebbero un movimento insolito le axioni
delle ferrovie meridionali, per effetto unicamente della negata proroga
del riscatto alle condizioni prestabilite. Queste axioni vennero n^^>«
ziafe in principio di quindicina a 472; poi crebbero da 476 a 483.50.
Appreaso tornarono a 481. Le obbligazioni relative si aggirarono in-
tomo al presso di 271.75; i boni a 544. Degli altri valori non si fece
caso; essi rimasero ai prezzi indicati nella rassegna anteceilente.
Le cartelle fondiarie richiamarono poco o nulla l'attenzione del mer-
cato e mantennero per lo più i corsi conseguiti. •
Circa i valori pruprii della piazza di Roma, nò avvenne alcun mu-
tamento, né apparve maggiore propensione a negoziarli; perciò essi figu-
rarono quasi sempre nominali.
Ottimo e a noi sempre favorevole il eambio coIPestoro. Oli chequet
•n Francia si aggirarono tra OJ.sO e 01^70; la carta su Londra a ir«
mesi scete da 25 a 24.9J; Toro senza alterazione di prezzo.
BOLLETTINO BTBLIOGKAFICO
LETTERATURA E POESIA.
Un poeta politico in Germania, sul principio del secolo XIII. (Gual-
tiero di Vogelweide) saggio storico-letterario del Dott. Sigi8ìiondo Fbied-
MANN, Prof, incaricato di lett. ted. nella R, Accademia ecient. lett. di
Milano — Livorno, Francesco Vigo ed. 1883.
Gualtiero di Vogelweide primeggia tra i minnesinger, imitatori della
poesia provenzale, perchè il suo ingegno vigoroso varcò i confini del-
l'arte convenzionttle; né si restrinse a cantare versi d'amore, ma trattò
pur^ialtri argomenti, specialmente d'indole politica; onde ha singolare
importanza così nella letteratura tedesca, come nella storia generale del
medioevo. Ben fece dunque il signor Dott. Friedmann (che insegna
letteratura tedesca nell'Accademia di Milano e che con altri lavori, come
colla traduzione del Gaspary, si mostrò pienamente padrone delle due
lingue) di darci un accurato studio di quel vecchio Poeta, giovandosi
all'uopo delle ricerche de'più valenti eruditi germanici (Bartsch, Bur-
dach, Lexer, Lucae, Paul, Rieger, Pfeiflfer), ma vagliandone sempre le
affermazioni con critica sagace e originale. In sette capitoli discorre dei
primi anni del poeta fino al 1198, delle sue vicende sotto Filippo Ot-
tone IV, e Federigo II, che servi successivamente, delle sue idee po-
litiche, morali e religiose, e finalmente delle sue liriche d'amore. Nulla
si sa di certo della nascita e della morte di lui; e poco anche in-
torno alla vita ; ma i più notevoli documenti che ci rimangono sono
le poesie; e sovr'esse si trattiene più a lungo il nostro critico analiz-
zandole e illustrandole in relazione cogli avvenimenti politici ai quali
si collegano. La lotta fra l' Impero e la Chiesa dà occasione a varie
BOLLETTINO BIBLIOGRAl ICO.
197
invettive politiche di Gualtiero che il signor Friedmann raffronta op-
portanamente colle analoghe imprecazioni di Dante e del Petrarca. Per
questo periodo si serve più che altro della storia del Cherrier, ed è,
come in ogni rimanente, coscienzioso ed esatto. Appena si può appun-
tarlo d'una tenue improprietà, laddove dice che Innocenzo IH conside-
rava come feudo della chiesa il regno delle due Sicilie (Ì2Ì0). In cinque
appendici discorre poi dei rapporti fra Oualtiero e il suo illustre
predecessore Reinmar; e di alcune quistioni d'interpretazione filologica
e storica a cui porgono argomento i versi del Poeta. Una sesta ap-
pendice reca tradotte con bel garbo, in versi facili e armoniosi, per
opera del signor S. Menasci, una leggenda del Longfellow, che ha per
soggetto Valter von der Vpgelweide, e tre canzoni dello stesso Gual-
tiero. Il volume dedicato dall' A. al ProC Alessandro d'Ancona, con af-
fetto di discepolo, onora e l'uno • l'altro. É impresso con nitida ele-
ganza dall'ottimo editore cav. Vigo di Livorno: vi si desidera peraltro
nn in lice, non giA alfabetico delle materie (che par troppo non si usa
più, Demro«no dove sarebbe indispensabile sussidio) ma semplicemente
dei titoli dei capitoli.
Note atorlche e lett«r«urie di NAaoaas CkUTkmnt. B^ggio-Emilia — Luigi
BondavaUi, 1»83.
Sono fratto di ricerche &tt« dall'aatore per ana Storia thgìi ihdi
in Reggio. La prima intitolata Canzoni tnuticate del $ec. XVI dà ra-
gione di an libro assai raro messo in luce in Venezia da Angelo Oar-
dano; cioè delle canzonette a tre voci di Flaminio 7W«A' da Lodi
1583; il che gli porge oecafìone di discorrere del progresso della ma-
lica Della seconda metà del seo. XVI, e dairorigina del tnelodrmnma
che eeoondo Taatore, già si trova io germe nelle oanioni masicate« an-
teriori ai primi drammi moaieali. La seconda nota, il Mauritiano 0
Jaeo, illostni ooiraioto d'on rogito e d'un ìnTeotario non ancora oeeer-
vati, l'antica villa dei Malagaui« nella quile I^xlovieo Arioeto paseò
alcuni lieti anni della saa gioventù; e rettifica il B<>nso di quel verso
della Satira quinta Le tigne t i aolchi del fecondo Jaeo^ che dai oom-
mectatori fu mal iot'teo, vedendo essi il nome di BaoM (e in forma
•torpiaU) dove invece é paria d*nn' altra poeeeasione dei MUaguzzi :
ÌM terea nota. Un tretieo raggiano del teeolo XVt, dà notliia d*l rag-
giano Basilio Allabriti aoootato d'ereaia dall'inquisitore Jerottlmo Volta •
ponito, non ai sa in qnal modo, ai tempi di Paolo iV. Seguono doe
DoU tal Petnuva.' nell' ana ai (k la deeerixiooe di Selvapiaaa gradito
198 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO,
soggiorno a quel poeta, e si corregge l'errore di coloro che ce lo fe-
cero dimorare il 1347 invece del 1311, e clie indicarono quel paese
come vicinissimo a Parma, mentre ne dista, ben venticinque chilometri:
nell'altra, commentando la lettera in cui il Petrarca racconta una pe-
ricolosa avventura toccatagli nella sua fuga da Parma l'anno 1344,
ricerca qual fosse la strada tenuta da lui in quella fuga e trova in
quel fatto l'origine di alcune tradizioni rimaste fra i campagnoli. "Vn
poeta del sec. XV, oggi dimenticato dalle storie della letteratura, è sog-
getto alla nota sesta: si tratta di Giovanni Au-^elio Augurelli di Ri-
mini, umanista, amico del Bembo, e mediocre scrittore di versi latini:
e si illustra un codice, che contiene cose inedite di lui. Più importante
è il poeta di cui discorre la nota sesta, Ludovico Carbone, vissuto a
Ferrara nella seconda metà del sec. XV, e autore d'un poema latino,
ancora inedito, curioso per la descrizione'di Venezia e per certe notizie
intorno alla guerra di Lombardia dal 1439. L'ultima nota illustra il
motto cave canem solito scriversi dai latini nell' atrio dei ìoro palazzi
presso l'immagine d'un cane; discusse le varie opinioni circa la spiega-
zione di esso, e fattane come la storia, conclude che con tal formula
si volle « ammonire i ladri che si guardassero dall'offendere la presenza
del cane, ledendo l'altrui proprietà di cui egli era fido custode» ed
esprimere in sostanza la massima « non rubare. » Queste note del Cam-
panini scritte con diligenza e senza alcuna pretensione, hanno quanto
basti per trarre a sé l'attenzione degli eruditi, non ostante alcuni errori
che ne deturpano la stampa.
Canti DI Ettore Novelli. — Imola, tip. Galeati e figlio, 1883.
Chi legge questi Canti non sa credere a prima giunta che siano dello
stesso autore del Cromi. L'orditura di essi è larga e magnifica: in al-
cuni, come nel Fetonte, Psiche, Ero e Leandro v'ha qualche tratto di
ampiezza epica, mentre nel Cromi ciò che maggiormente si ammira
è la nervosa brevità del pensiero. Ma dopo un'attenta lettura ci ac-
corgiamo, che l'ingegno del Novelli per quanto sia versatile, non perde
mai di sua natura, eh' è una robusta immaginazione, molta novità di
espressioni ed accurata lindura di lingua,
Nellft Due Vite è raaravigliosa per forte colorito la pittura della
vita nell'Agro romano prima del 187U; come nella Psiche, nel Fetonte
e nel Leandro ed Ero è finissima l' arte con cui al mitico racconto
degli antichi sa intrecciare avvenimenti e pensieri moderni : arto che
dopo il Foscolo non conosco chi abbia usata meglio del Novelli. Ora
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 199
86 l'arte in Italia ha bisogno di ritemprarsi tornando agli antichi, credo
che pochi libri meglio di questi Canti possano giovare alla nosVa
gioventù.
STORIA.
Milano nei suoi momenti storici, di B. Bokfadiki. Velame primo. —
Fratelli Trevea editori, Milano, 1883.
La storia incomincia nella cronaca e Giuseppe Ferrari ebbe" per
necessario predecessore Giovanni Villani. Ciò che prima colpisce lo
scriUore nelfinfanzia di una società o di un popolo ò il fatto e Tindi-
Tiduo che agisce sulla scena del mondo, non che la data in cui il fatto
succede: la data che segna gli avvenimenti nel primo stadio della vita
dei popoli esercita un'impressiooe cosi forte nella coscienza popolare da
costituire cogli avvenimenti stesti ana cosa sola e da non avere questi
senza di quella quasi valore e realtà. Ma in proporzione che nna so-
cietà o un popolo progredisce e si sviluppa. Io scrittore vede sempre
più rapporti nell'ordine delle cose che succedono, e in fine finisce quasi
per perdere di vista (atti e individui per non tener d'occhio che all'idea
0 pioltosto alla corrente delle idee che li anima e della quale individui
e (atti sono come lo stroroento e Teepressione.
Il B infadìni vede o studia la stona da quest'ultimo punto di visto.
Vivi e parlanti sono i qnadri della storia di Milano ch'egli ci presenta
in questo primo volume. Però egli non ci sembra sempre felice nel ri-
trarre con una rappresentazione visibile an certo ordino di (atti e di
pensieri, nel che sta pure l'eccellenza dell'ariista, chd tale è in sommo
gr.iilo nurhe lo storico, ^'li, per esempio, ci paragona la repubblica ani-
brosian.i del 1 417 ad una fanciulla, alla quale ano zio d'America abbia
apiK)rtato una pin^^oe dote e che per questo si veda accorrere alterno
a diizzìne i pretendenti alla sna nano. Il paragone manca dì esattezza.
Non ero no la potenza e le ricchezze ammassatele dagli sii di America
politici rhe attiravano intomo alla città di Milano tanti oonoorrenti, ma
la sua d«*bolezza invece e lo stato di stremamento in coi era ridotta.
1 repubblicani milanesi, ap|iena inse<liati al governo, ebbero ricorso alle
antiche istituzioni p«*liticbe del Comune e cred<vttero in baona fedo
che bns(a<se pubblicarle per Csme rivivere lo spirito e ridare alla se-
conda repubblica la forza o la grandezza della prima. Ms si vide sa-
bito alla prova che quelle btitazioni per il lungo disuso in cui erano
Si
200 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
rimasto sotto i Visconti più non funzionavano a dovere I tempi erano
cambiati; v'era il nome della repub'ilica sulle boeclie di tutti; ma lo
spirito di essa del tutto mancava. Basti a provarle un fatto fra cento :
i militi per quante gride, e rigorosissime, si fice^tsero. non accorrevano
più sotto le bandiere, come due secoli e più [irima attorno al Carroccio,
per difendere la libertà o l'imlipendenza della citfà; e se accorrevano
non era per solito che per prendere il gaggio e poi disertare, oppure,
rimanendovi, per darsi alla preda e al sacco in terra di amici e di ne-
mici più che per fare il soldato.
Fra tutti quei pretendenti alla successiene dei Visconti v'era pure
— non dispiaccia all'egregio Bonfadini — la repubblica di Venezia. Il
Bonfadini pul)blica per dimostrare il contrario, e come per rivendicare
la calunniata onestà politica del Senato veneto, una deliberazione di
queirr.sserablea nella quale essa si mostra favorevole al governo repub-
blicano di Milano, promettendogli amicizia e appoi>eio. Senonchè tutto
questo da parte del Senato veneto non era che pi-ofondo e ben calco-
lato interesse. Non v'è ombra di generosità politica in quella determi-
nazione. La repubblica veneta non si metteva innanzi come successore
dei Visconti perohè sapeva che facendolo si sarebbe tirato addo.sso come
in altri tempi la coalizione di tutti gli Stati italiani. Essa però era bea
decisa a voUre un lembo di quella successione, e il mi'^lior mezzo per
averlo era di dichiararsi per il governo repubblicano, per quel governo
cioè che sarebbe stato necessariamente debole o che non avrebbe mai
potuto nutrire quei disegni d'ingrandimenti territoriali che aveano avuto
gli ultimi Visconti. Ciò si vide alla prova dei farti in quei tre anni che
durò la povera repubblica ambrosiana I loro amici veneti quando si
ebbero preso colle armi quella porzione di territorio che loro faceva nel
milanese, si allearono collo Sforza, il quale pur di vedere riconosciuta la
sua autorità dalla Repubblici avrebbe da parte sua volentieriri conosciute
le conquiste venete nel Milanese. In questo rispetto credo che la si-
tuazione della Repubblica ambrosiana di fronte a Venezia trova un per-
fetto riscontro nella situaz one dell'attuai repubblica francese di fronte
alla Germania. Anche Bismarck si mostra amicissimo della repubblica
francese, tanto amico da fare il viso dell'arme al minimo sospetto di
restaurazioni monarchiche. Ma di queste simpatie repubblicane del Bi-
smarck li mondo tutto conosce la ragione e il segreto.
L'ultimo dei quadri storici contenuti in questo primo volume del
Bonfadini ci rappresenta Cicco Simonetta e la Corte di Ludovico il
Moro. Avremmo amato meglio veder finire il volume col quadro prece-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 201
denfe che rappresenta la caduta della repubblica e l' insediamento di
Francesco Sforza in Milane. Esso chiude un'epoca per ricominciarne
nn'altra con fine, mezzi e fortuna diversissimi. Ma non è questo che
un difetto di forma del libro. Aspettiamo il Bonfandini al secondo volarne,
nel quale speriamo di poter pregiare come in questo la coscienza delle
ricerche e il raro criterio storico dell'autore.
Studi storici sul Contado di Savoia e Marchesato in Italia nella
età, di mezzo per 6. Alberto Gbrbaix db Sonhaz, Consigliere di le*
gazione. — Torino, presso Boaz e Favate, 1883.
In questo primo volume si contengono nuovi sludi sulle origini di
casa Savoia. L'autore fa -discendere questa illustre casa da una dinastia
di conti ereditarli che fiorivano nel X, secolo nella provincia ecclesia-
stica di Vienna e che portavano alternativamente i nomi di Umberto e
di Amedeo, nomi che dopo un millennio si sono conservati nella persona
dei due figli del Fondatore della unità italiana. L'aatore combatte l'o-
pinione dei Tariì scrittori che danno a Casa Savoia una nazionalità —
se pare ci ò lecito servirsi di questo tonnine. ~ Sassone, Longobardica
o Hosonìde É più probabile che ossa fosse di nationalità romana, o al-
meno celtica romanizzata Qoasta è pare Topinione che manifesti! il Me-
^H^k nabrea nell'opera: Le$ origines féodaUt dtuu let Alpet oociderUales
^" e il Carrutti nel sao: Conte Umòerto I Bianeamano,
L'opera dell'egregio Oerbaix de Sonnas è compilata su nuovi studi
e ricerche fclte negli archivi torinesi dall'autore e da molti illustri
amici suoi che lo aiutarono nell'ardua impresa di dire qualche cosa di
nuovo e di accertato intorno al difficile tema delle origini di Casa Sa-
voia. BgU marita lode a inooraggtameoto e siamo certi che la seconda
parte del volume che ci viene annunziata di prossima pubblicazione giusti»
ficborà anche più le aspettazioni nostre o del pubblico.
Storia del popolo Oemano da Ooman alla pace di Oarlo^Rrits, del
senatore Vibouso Eit^Aara Volume IL — Eoma, Forsani e C tipo-
grafi del Ssuto
Questo soooodo od ultimo volume della lodata opera del senatoro
Bmuito tìmm da Bi^id II (1481) alla pace di Carlowits, nel 1690,
per effetto della quale furono cedute all'AuBtria la Trantilvania e TUn-
gheria. Asof alla Russia, alla Polonia 'a Podolia e l'Ukrania^ai Vano*
ziani la Morsa, Santa Maura e lo isole adiacenti. Quella pao<« sognò
il rsfluisa del popolo Osmano; d'allora in poi omo ta rstrooodoodo Tino
202 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
l'Asia, che l'attende fra la sue braccia materne. Della grandezza del
nome Osmanico che rimane ora? Più nulla. Lo storico non ha più sot-
t'occliio che uno scheletro da studiare. Il senatore Errante ha rifuggito
da questo compito, ed ha preferito arrestarsi ad un epoca in cui il
nome ottomano avea ancora assai prestigio. Ce ne duole per quelli che
coltivano con umore gli studi storici. Essi certamente rimpiangeranno
come noi che l'autore non abbia proseguito l'opera sua fino al tempo
nostro. In questo secolo e mezzo che vien dopo la pace di Carluwitz
rirapero Osmano ha subito lotte e traversie oltremodo inter<»ssanti, che
sarebbe pregio dell'opera raccontare con verità e sapienza come ha
mostrato di saper fare il Senatore Errante.
FILOSOFIA.
La Physique moderne. É^udes historiques et philosophtques par Ebnest
Naville. — Paris, Germer Baillière, 1883.
È noto che prima di Galileo, di Bacone e di Newton la fisica non
aveva un dominio suo proprio, distinto da quello della filosofia. Il che
rilevasi non puro dagli scritti di Aristotele, ma anche dalle opere del
nostro naturalista e filosofo Andrea Cesai pino, degno precursore della
moderna filosofia naturale. Bensì, mentre i fondatori veri della fisica
moderna distinguevano ma non separavano aff'atto questa scienza dalla
filosofia, oggi per alcuni naturalisti dovrebbe essere più che separazione,
reciso e profondo antagonismo fra queste due vaste discipline.
L' insigne scrittore e filosofo E. Naville nel presente suo libro to-
glie a dimostrare, con gran copia di eletta erudizione scientifica e con
logica stringente, che la stessa fisica moderna non ha potuto né può
fare a meno della filosofia ('checché ne abbia detto C. Bernard), badando
anche a' suoi veri fondatori, e che a stabilirne i principi direttivi, oltre
che i principi filosofici non sono rimasta affatto straniere neppure le
credenze religiose. Ed invero, i princii»! di causalità, di costanza, di
semplicità, di armonia e di finalità son comuni tanto alla filosofia
quanto alla vera fisica. Essi principi si fondamentano in quest' altro
supremo, che la natura è regolata in un modo conforme alle leggi della
nostra intelligenza, ed hanno riscontro nella credenza razionale in Dio
creatore; e come tali sono stati riconosciuti e proclamati dai fondatori
della fisica moderna, cioè da Copernico, Keplero, Bacone, Galileo, Newton,
Leibnitz, Ampère, Liebig, Fresnel, Faraday, Mayer ed altri. Né si op-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 203
ponga per avventura che ben diverso è il programma compiuto della
fisica odierna, i cui caratteri scient;fici si riducono agli infrascritti:
natura meccanica dei fenomeni; unità della materia; trasformazione dei
nrioti ; conservazione dell'energia; spiegazione matematica dei fenomeni.
L'ultimo suo programma è di « arrivare alla determinazione della ne-
bulosa primitiva, della natura de' suoi elementi e delle leggi iniziali
del moto; poi, movendo da questi dati di fatto, dedurne, con sintesi
matematica, l'ordinamento del mondo materiale.» lm{>erocchè anche
questa parte più elevata e ardita del'a fisica odierna, mentre trova la
sua prima origine in un pensiero di Cartesio e poi nella teoria di Kant
e di Laplace, non può né deve condurre all'ateismo scientifico, vale a
dire alla negazione di Dio creatore e di quei principi che più sopra
abbiamo ricordati. Supposto, infatti, che il mondo fisico fosse dapprima
esistito sotto forma di materia diffusa, sparsa neli* universo, gli ele-
menti di questa materia sarebbero stati sottoposti alla legge di gravita-
zione. Poi il mondo larebbesì ordinato nella serie dei secoli per l'azione
immediata delle leggi di comanicazione e trasformazione del moto.
Ciò posto, noi possiamo idealmente concepire che an Intelletto, co-
noscendo la disposizione degli elementi della nebulosa e la totalità delle
leggi fisiche, avene vedoto il mondo attuale nel suo germe, oome un
IH! naturalista vede la pianta nel seme. Ora, la materia della nebulosa,
non potendo essere supposta com'etema, nò derivata dal nulla, richiede
una causa superiore e fuori di essa. Bl eccoci 4'itornati alla dottrina
della creazione prima, che non dev'essere scambiata con Ih teoria del*
l'evoluzione. Sotto questo rispetto noi potremmo accettare la sentenza, che
la Fitica moderna^ non già nel suo complesso, come aflbrma il NavitU,
ma nella sua parte più elevata e ardita, è una grande ipotesi in via
di conferma.
Il Naville, pertanto, considera la Fisica moderna nel più elevato
aspetto scentiflro e speculstivo, esaminandone i caratteri, l'origine, le
conseguenze filosofiche e morali. E pero il soo libro ^che oerto può dar
luogo a riserve, specie intorno al giudizio sulla fisica di Cartesio) me*
rita d'esser letto e ponderato dai fisici e dai flioeofi.
La Filosofia di Aristotele per le eoaole classiche Italiane compilata
e comiueutiita da A. AMsao«iai. Voi. I(. Logica. — lk>logna. Regia Tip.
Il prot Ambrosini si è proposto da qualche anno di (ar conoscere a
ehi s' inizia allo studio della filosofia una parte delle genuine dottrine
filosofiche di Aristotele, cioè la Psicologia, la I^ica e la Morale. Il
204 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
pensiero n'è lodevole, oggi specialnnente c-he si ritorna al connubio fra
gli studi classici e la filosofia. Ciò premosso, il libretto che abbiamo
sotto gli occhi tratta della logica Aristotelica. Al testo greco dei passi
principali di questa dottrina segue una fedele tradizi-.ine corredata di
mano in mano da brevi e piane osservazioni filosofiche. Il libro può
dunque tornare utilissimo agli studenti liceali, che finora apprendevano
gli Elementi di logica aristotelica nel compendio greco-latino del Tren-
delemburg e in quello italiano-latino del prof. Di Giovanni. Salvochè
il presente Manuale dell'Ambrosini può solo considerarsi come atto a
fare apprendere i genuini rudimenti logici di Aristotele e come prope-
deutica alla logica moderna, sia pure elementare. E però ci sarebbe pia-
ciuto che il lavoro dell'Ambrosini fosse stato più esteso e profondo,
avesse cioè trattato anche dello svolgimento della Logica moderna, quale
si ha da insegnare nelle nostre scuole liceali.
Confidiamo che a questa parte originale del lavoro consacrerà i suoi
studi l'erudito ed accurato prof. Ambrosini quanlo esporrà la Mcrale
Aristotelica, molto più che l'Etica ha, nella vita pratica e sociale, mag-
giore importanza della scienza logica.
NOTIZIE
I fratelli Bocca editori ecc. hanno messo in vendita nn naovo ed im-
portante v( lame delle Viti dkoli italumi ecc., «crUU da Makiamo d'àialà
e pubblicate per cura tU^ figli. Il volume che esce alla luce s'intitola gli ueeiti
dal com^ficf e contiene particolari importanti sula vita di molti benemeriti
cittadini che si sacrificarono per la redenxione della patria.
— La solerte Casa Treve* annunzia cinque nuovi volumi di reputati
e simpatici aostri scrittori. Easi sono: Per le vie, nov«*llti di G. Verga; Dal
primo piano alla tofi'ta, roautrao di Enrico Castelnuovo; — Il Oonoento,
racconto di A. C«ecianig%; — Càta altrui, racconto di Cordelia; ed un vo-
lume di nuove Storielle vane alle quali CHmillo Boito ha dato per titolo: Sento ^
— Il 30 u. s. fu inaugiirato in Campidoglio il busto di Luciano MunAra.
morto nel 1819 nella difesa di Roma.
— Si é pubblicata a Firente fier cura del aig. Lot|H Ventari, ed a scopo
di ben<«fieensa, ana Strenna degli ospizi marini in eontinuazionfi di qu«Ila
nota del pruC Barellai.
— L'editor* O. Morelli, d Ancona, ha pubblicato in un eleganta 16*:
Kmiotekda, ookitmta rmooa. Idillio di O. -f^odovieo Runenberir. prima veralono
italiana, con prefasione « note di D. Ciainpnii.
— Perla é il titolo di nn naovo romanio della gooUle •crittric- li'
rìca rSucrini. pubbliento dall'editore lìnttaasati di llikao.
— A Firenie, per eara dei «ig. UlisM Oiu*tl, fte collocata una lapide
•ommemerativa nella casa a. 8. piana 8. Bioioiia, dove Qiovanni Dupré
modellò Vàbel* n^ormle.
— I>alla Casa editrice Alfredo Hrigola e 0. di Milano «I A eomineiata
In rulibli.rasione in foglio doU'^tofa di ' riund, illoatrata da OmUvo
I>4iié É un'oprra di lune «oo caratt< > od incisioni Mperbo, • eba
fa molto onore all'editora. CouaCa di 80 quadri e U disegni, ed esce ia 10
diapente.
206 NOTIZIE.
— È uscito il 16" fascicolo della Enciclopedia Giuridica Italiana, edita
dal dottor Leonardo Vallardi e contiene le seguenti voci: Agente diploma-
tico (cont. e fine) G. L unonaco, id. di Cambio, ìd.\di Noleggio e id. Si<iurtà
id. Con'ahlle, della forza pubblica, id. Principale. Ager publicus-privatas E. De
Ruggiero,
— Un elegante volume dell'Hoepli contiene la traduzione del Zanella
del grazioso poemetto del Longfellow: Evangelina.
— L'editore Saldini accolse il concetto del Collegio degli ingegneri di
Milano di una grande pubblicazione avente per titolo: L'ingegneria alVE-
posizione di Milano del 1881: Venne divisa in tre volumi: 1* Le costru-
zioni dell'Esposizione (Vigoni ing. Giulio) 2° Le Macchine (Colombo, Sal-
dini, Ponzio, Carmagnola). 3° Appunti tecnici sull'ingegneria (una Commis-
sione del Collegio). Di questi tre volumi sono apparsi saltuariamente 16 fa-
scicoli ed uno di e3si, quello delle macchin'-, è ormai completato. Gli altri
due lo saranno presto.
Il conte Pajol, generale di divisione ha pubblicato il 2° volume del-
l'opera: «Lesguerres sous Louis XV» : va dal 174U al 1748 e riguarda le
campagne di Germania. È edito dal Firmin-Didot
— Augustin Filon pubblica presso l'Hachette un' Histoire de la Litté-
rature anglaise dalle sue origini sino ai tempi nostri.
— Gli editori Joseph Baer et Comp. di Parigi hanno intrapresala pub-
blicazione di un'enciclopedia generale, i cui articoli saranno scritti da com-
petenti specialisti.
— Sotto gli auspici della società di medicina e d'igiene, Napìas ed A. I.
Martin hanno pubblicato presso il Masson un volume sopra Uétude et le
progrès de Vhygiène en France de 1^78 a 1882.
— A la maison è un titolo di volume di stadi e di ricordi di Xavier
Marmier pubblicati dall'Hachette.
— I. L. Dutreuil de Rhins pubblica il suo giornale di viaggi sopra
Le royaume d'Annam et les Annamiles.
— E Rivière pubblica la p'-ima parte di lunghe ricerche intorno all'an-
tiquité de l'homme dans les Aìpes maritimfa. L'editore è il Bailliére di Parigi.
— Alfred Darimon, ex deputato della Senna prepara sotto il titolo
dì'IIistoire dea douze ann un libro di rivelazioni sul secondo impero.
— Paul de Raynal pubblica pre-^so il Calmann Lévy, sotto il titolo Lea
correspondants de J. Joubert un volume di lette e inedite di quel tempo.
— Il principe Rolando Bonaparte sta per pubblicare un volume di saggi
sull'antropologia.
— A. Weill pubblica alcuni Souvenirs intimea de Henri Heine.
— Tra i nuovi romanzi francesi, notiamo Jean Bernard di George de
Peyi-ebrune: Pauline Tardivau di Albert Dupuit: Ilistoire d'un pantouflard
di Henry Gréville.
Ift
NOTIZIE. 207
La Deiifsche Revue di giugno contiene un artìcolo del Prof. De-Guber-
natÌ3, sulle donne di Casa Savoia.
— L'Tenz von Ste-n ha pubblicato pwsso il Cotta di Stuttgart, Da»
BOdinufJiwesen, che forma la parte quinta della sua scienza dell'ammi-
nistrazione.
— Il premio offerto dalla Concordia di Praga per il miglior lavoro sul
tema « Wagners Bedeutung fur die nationale Kunst » fu vinto da Ludwig
Rohl di Heildelberg, biografo di Mozart ed editore delle lettere di Beethoven.
Assicuraci che Wagner durante gli ultimi anni della sua vita abbia dettate
alla moglie le proprie memorie, fatte piscia stampare a Basilea in tre esem-
plari: uoo per sé, uno per il figlio, ed il terzo per Liszt.
— Il 0 giugno fu collocata a Giessen nna Lapide sulla casa in cai
nacque Franz Diez, che iniziò gli studii della lingua e della letteratura
romanza. Erano presenti i due illustri professori di filologia, Forster di Bonn,
e Edrting di MQnster.
— Il professore Angusto Miiller di Ronigsberga prepara un manuale
di letteratura arabi su letture fatte su questo argomento a Lipsia dal de-
funto prof ssore rx>th.
— L'Uni vere t\ di Brcslavia ha posto m concorso il tema: quale influensa
il recente sviluppo dt-ireconomia nazionale acientifica abbia esorciuta sulla
legislazione dello Stato in Glermanio.
— Gli cdit iri Duncker ed Hnmblot di Lipsia pubblicano un volume
■opra Z?»e Vfrk^hnmi'-Ul in dm Vereinigfen S^aaten von Nord Atnerica, del-
Tingegnere Knpka, gi.\ noto per studii solle ferrovie ameneane.
— Presso il Frielrichson di Amburgo è uscita una monografia di IlQbbe
Schleiden sotto il titolo KoltmUation PuU'ik u$ui K"loni»aHi^wi Ttdmik. È ia
&vore di una politica coloniale attiva da parte della Germania.
— R^i<h pubblica presao il Bnuia a Min'^ea dne volumi sopra Die Abkàn-
gigheU der CivUitation von drr Pfnànliekkeit det U^nteh'^
— Il LUerarlmAet OniralUatf del SS gingDO loda gli «letnenti di ge»>
aMtrìa proiettiva deHiUastre prof. CroMNM, testé tradotti ia tadMWi,
Il Freeman ba pubblicata preiM il Trflbwr la mm />o^rw la Àmtriomt
AwUrnera, dìvÌM in daa parti, di cui Tana li rifiirlMC alla eostiittaiooa InglaM,
l'altra alle conMfoanze pratiche dalla storia gaaarale d'Europa.
— Williamn A ' -ri della opara dello Hpcaeer, pr^Mraao
un'opera in due % Maasej, intitolata The notmral gmiaU,
Tratterà dei oostaai a dallo sapenitisiooi dei popoli primitivi.
— 8. \V. Back, n> 'nnry ha scritto un volume sui
guanti, sotto il titolo • i è trattato sotto l'aspetto sto-
rico sociala ad iadwiriala. VI aaraaoo p«ft nolti diMfal di gvMiti. an-
tichi.
208 NOTIZIE.
— e. D. Field é autore d'una grossa opera sulle relazioni tra il pro-
prietario ed il coltivatore del suolo nei vari paesi.
— Il principe Louis Lucien Bonaparte lesse dinanzi alla Philological
Society una memoria sui nomi neo-latini dei rettili, aggiungendo di aver
raccolti materiali per più volumi su questo argomento.
Il Rev. Denis Murphy ha pubblicato presso il Gill a Dublino un dili-
gente lavoro su Crormoell in Ireland: a Hiatory of CromwclV a IrUh Cam-
paign, illustrato da piani e carte.
— Il Wills ha edito presso il Macmillan uno dei migliori viaggi nella
Persia moderna, sotto il titolo In the Land of the Lion and Sun.
— Il col. William H. Gilder ha raccolti i suoi ricordi di viaggio in
cerca della Icannette, sotto il titolo Ice-Pack and Tundra. Ne è editore il
Sampson.
Al Capo dì Buona Speranza è morto l'Arcivescovo Colenso, uno dei
missionari più illustri della Chiesa Anglicana. Scrisse ottimi manuali di ma-
tematica elementare e sollevò molto rumore per alcune opinioni da lui pro-
fessate in teologia.
— Si Edward Sabine, generale, mori a Richmond in età di 95 anni.
Nel 1861 fu Presidente della società Reale di Londra. Fece pregiati studii
sul magnetismo.
— William Spottiswoode, nato a Londra l'il gennaio 1825 attuale pre-
sidente della Società Reale distinto cultore delle scienze fisiche, mori il 27
del mese scorso.
— È morto a Firenze l'architetto prof. Emilio de Fabrìs. Era nato il
28 ottobre 1808.
Prof. Fr. PROTONOTARI, Direttore.
David MABCHioimit Responsabile.
HEHBY WADSWORTH LONGFELLOW
PARTE U.
Tramonto — Ispira/"^' '■•■-'^' — F^r
Il LoDgfellow aveva cunsc-guito tutto ciò che di bene nella
vita si può desiderare: la fama altissima e diffuBa per tatto il
mondo, il rispetto e l'aniorc de'suoi concittadini, una lieta corona
dì figli che poteva educare nell'agiatezsa, lo delizie del mond>
ideale nel quale si sollevava e ai tratteneva ogni giorno a suo pia-
cere. In mezzo a questa serenità, la mattliia del 9 luglio 1861 lo
C4>glie una spaventosa disgrazia: sua moglie ò presa dal fuoco
nelle vesti e muore dopo poche ore. Elgli era accorso alle grida
di lei e, abbracciandola strettamente, aveva soffocato da un lato
le fiamme, ne ora stato scottato egli stesso alle mani e ad una
guancia. — Parve impazsito dal dolore e, chiuso nella sua ca-
mera, andava ripetendo: u mia moglie! la mia bella moglie! r
I suoi amici dicono che dn quel giorno perdesse la sua fresca
e vivace virilità, e nel suo viso ni disegnsstero lo prime rugbo
della vecchiaia. Non fu mai udito ricordare il terrìbile avveni-
mento, e una sola volta si narra vi fncrsAc allusione dincorrondu
L'un un amico. Parlavano duWAnéUo di Policrate dello Schiller
n Cosi è aooadato a me, proruppe il I»ngfollow: mi figurerei
che gli l>ei m'invidiassero, so potessi credere alle divinità pa
' Ciwfia— stois, v«U fluMieoIo dei 15 giagm».
Vm il. Swte II - 16 LsgB» tSSS. U
210 HENRY WADSWORTH LONOFELLOW.
geme, n Ma vi fu invece la divinità tutelare dei poeti, l' idealità,
che lo confortò, come prima di lui aveva confortato Dante, Milton,
Cervantes, Manzoni. E lo sorresse anche la convinzione profonda
che una forza benefica governi ogni cosa, e dalla lotta e dai dolori
svolga i conforti e le energie che adducono l' umanità ad un
miglior avvenire. In uno de' suoi piccoli e preziosi inni egli aveva
scritto :
u Tutto è da Dio ! appena Egli muove la mano, si addensano
le nuvole e la tempesta si scatena furiosa ; ma jpoi eccolo ! con
mille raggi di luce, dalla nuvola fuggente Egli sorride alla terra
e al mare.* n
Il Longfellow si riebbe e ripigliò, circondato dai figli e da-
gli amici, le consuete occupazioni. La sua vena appare più pa-
cata, il pensiero più grave, la riflessione più concentrata. Nel-
l'anno 1863 pubblica: la Prima Giornata dei Racconti di una
Osterìa della Via Maestra, e il Secondo Volo degli Uccelli mi-
granti * : indi il Gitjlio ' insieme ad altre piccole composizioni,
fra cui un sonetto sul Campanile di Giotto e sei altri sulla Di-
vina Commedia, che allora appunto aveva finito di tradurre. Il
primo di questi sonetti merita di essere conosciuto.
u. Spesso ho veduto, alla porta di una cattedrale, un conta-
tadino coperto di polvere e di sudore deporre il suo fardello, ed
entrare con passo riverente, e fare il segno di croce, e inginoc-
chiarsi per recitare una corona di paternostri : i rumori del mondo
sono lontani, le vociferazioni della via si odono come uno schia-
mazzo confuso. Così ogni giorno, quando io entro in questo tem-
pio, lasciando alla porta il mio fardello, e mi genufletto pregando,
non vergognoso di pregare, il tumulto della vita sconsolata sva-
nisce per me in un indistinto mormorio, e l'eternità vigila ed
attende, v
Il tempio è la Divina Commedia e l'umile visitatore è il
Longfellow che, per più anni, ogni giorno ha aggiunto alcuni
versi alla sua traduzione. L' imagine è vigorosa e ci fa sentire
la maestà dell'opera di Dante e il culto del traduttore per lui.
Ma la descrizione della cattedrale metaforica, protratta poi in
altri quattro sonetti, diventa concetto troppo artifizioso di cui
il lettore segue a fatica i rabeschi. Nell'ultimo sonetto il poeta
' Uccelli migranti: Primo volo — I due Angeli. — Boston 1858.
* Tales of a Wayside Inn; First day: with Birda of Passale; Flight the
Second. — Boston 1863.
' Flower de Luce. — Boston 1866.
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 211
esce dalla cattedrale ed ha di nuovo un impeto d' ispira-
zione.
u Stella del mattino e della libertà! Apportatore della luce
che splende alta sopra gli Appennini precorritrice del giorno
che si appressa! Le voci delle città e del mare, le voci dei monti
e delle foreste ripetono il tuo canto; ne' tuoi versi, che suonano
familiari in ogni mente, si muove lo spirito deiritalia ! Da ogni
vetta eccelsa la tua fama risuona fìra tutte le nazioni, e un rombo
si leva, come d' un forte vento, e uomini di cuore, gente di Roma
estrania e discepoli nuovi, ascoltano nelle loro lingue la tua
parola maravigliosa, e molti stanno attoniti, e in molti si solleva
il dubbio, n La gente estrania è parte della popolazione di Roma,
devota per tradizione e per abitudine al papato; in essa, dice
il poeta, come in molti studiosi fuori d' Italia, il poema dantesco
è venuto sollevando dubbi sull' autorità della Chiesa.
Il Longfellow ha tradotto la Divina Commedia ' verso per
verso, quasi letteralmente ; e, per giungere a tanto, ha sagri fi-
cata la rima e ha adoperato nella frase e nel verso costrusioni
e inflessioni che non sono sempre familiari al lettore inglese.
Ha voluto rendere con scrupolosa fedeltà ogni più minuto tratto
dell'originale, ed è giunto ad esprìmere nella sua lingua l'at-
teggiamento proprio del pensiero dantesco. Fin le oscurità del
testo sono spesse volte oscure anche nella traduzione, come se
il Longfellow non si arbitrasse di scegliere fra le diverse in-
terpretazioni; e ne' luoghi dove il dubbio non è sull'interpre-
tazione di un passo, ma sulla preferenza da darsi ad una o ad
un'altra lezione, il Longfellow canta anche le più plausibili
quando paiono menomamente arbitrarie. Dire che qua e là, in
si lungo e difficil lavoro, non sia incorsa qualche inesatteaxa,
sarebbe lontano dal vero ; ma molti passi e de' più notevoli sono
resi con tale maestrìa ed efficacia, da dare alla lettura quasi
lo stesso senso di piacere e di ammirasione che si ha dall'ori-
ginale.
Questo lavoro del Longfellow sol poeta, nei versi del quale
tt muove lo $pirito dell' Italia^ mi richiama a dire della calda
simpatia ch'egli ebbe poi movimento italiano e che gli ispirò lo
stupendo EneUado, dove nel Titano ohe scuote 1' Etna è raffigu-
rata r Italia che si solleva contro i ìqoì oppressori. La tradu-
zione che il prof. MoMwdagHa, comiMttondo una delle suo pa-
* Damts's Divine Comedy. A tntnslatioo. — Tluee ?ol. Boston 1865-67.
212 HKNRY WA08W0RTH LONGFELLOW.
recchie e varie infedeltà alla Statistica e all'Economia politica,
ha fatto di questo poemetto, è bellissima. '
Nel 1868 il nostro poeta venne una quarta volta in Europa
e rimase a lungo in Italia. La sua fama era già diffusa fra noi,
e alcuni saggi di traduzione delle cose sue la venivano sempre
più divulgando Dappertutto i nostri uomini di lettere eie per-
sone colte gli fecero onorevole e cordiale accoglienza. Credo
ch'egli avesse veduto il Manzoni in uno de' suoi viaggi prece-
denti, ma so qualche particolare della visita che questa volta
gli fece a Milano nella storica casa di via del Morone. II Man-
jzom ottantenne, curvo, esile, calvo, con pochi bianchi capelli
in giro al capo, spirante dai tratti sottili del viso una fine be-
nevolenza, con quella sua espressione grave e raccolta, che ad
ogni vista piacevole pareva aprirsi a un sorriso, e all'occasione
aveva lampi di sottile ironìa: di fronte a lui il Longfellow, di
vent'anni più giovane, vigoroso e diritto della persona, pareva
alto di statura, sebbene superasse appena la media. I capelli
incanutiti gli scendevano lunghi e folti sulle spalle e la barba
grigia sul petto : nel viso mostrava la rigogliosa vitalità delle
forze intellettuali e fisiche fuse in una, e quella sicura confi-
denza di se che è dote eminente degli anglo-sassoni. Nelle
qualità dell' animo questi due uomini, sì diversi nell' aspetto,
hanno molte rassomiglianze. Come scrittori, ritraggono entrambi
il modo di sentire e le abitudini del popolo a cui appartengono;
' BiBDs op Passaqe; Fh'ght the Second. Enceladus. — Eccone le prime
quattro strofe, nella traduzione del prof. Messedaglìa:
Bncblado.
Kotto 1' Etna fumante è seppellito,
Non morto, ma sopito ;
Ad ora ad or per sollevarsi ei b' agita,
£ il ciel che gli sta sopra arde all' ingiro
Della fiamma che manda il suo respiro.
Confitto è al suol : sul petto « sulla fronte
Monte s' accalca a monte ;
Ma dell' aspre sue veglie il fiero anelito,
E il represso esalar del suo lamento
Fanno luoge sentir eh' ei non è spento.
Tutto all' intorno vegliano le genti
Con occhi avidi, intenti.
— Zitto ! È il giorno aspettato : ei sorge, Encèlado,
(Si bisbiglian fra loro in tuon sommesso)
Sarà forse dimao, forse oggi stesso. —
B i vecchi numi, i rigidi oppressori,
Della forza i signori.
Stanno stupiti e di sgomento lividi,
£ al rombo annnuziator delle mine
Mormoran tutti tremebondi : — È il fine !
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 213
ma il Longfellow è più popolare nei versi che nelle prose, a
rovescio del Manzoni che nei Promessi Sposi lo è assai più
che negli Inni e nei Carmi. Si accordano nel sommettere gli
impulsi della vita al sentimento religioso, come a forza diret-
trice e purificatrice; ma il processo delle due menti è notevol-
mente diverso. Nell'angloamericano prevale l'impulso dell'animo
sano, vivace, a cui spontaneamente, nell' esprimersi, sovviene
la forma poetica, che la riflessione seconda più che non cor-
;^ga. Nel Manzoni invece la riflessione domina tutta T attività
intellettuale, ne eccita e coordina ogni moto, ne elabora 1' e-
spressione.
Il Longfellow è più naturalmente poeta del Manzoni e io
supera nella spontaneità delle imagini, nella facilità e nel ritmo
della frase e del verso. Ha fatto venti volte più versi del Man-
zoni, la più parte felici, e molti improntati di tal sentimento
li tal bellezza, da correre sulle labbra di tutti, dal sommo
all'imo delle classi sociali, dappertutto dove si parla Tingiese.*
Nf-lle poche liriche del Manzoni invece il pensiero, strettamente
religioso e politico, non è imagine della vita popolare, non sca-
turìsce da essa: piuttosto che farcene sentire le pulsazioni ri-
percosse, come in un centro, nell' animo del poeta, osse ci di-
cono le convinzioni e le aspirazioni di lui verso ideali ch'egli
rebbe veder sorgere, o risorgere, nel suo paese.
Ma il Manzoni ^ assai più perfetto raccontatore che non m.ì
Longfellow. Osservatore acuto e paziente, ama trattenersi sai
minuti particolari che ordina e descrive con precisione. La po-
tenza analitica del suo ingegno è straordinaria e tiene strette
le briglie a ogni moto della fantasia. Indi la verità costante,
varia, ricchissima, perfetta dei quadri che egli ha delineati nei
Promessi Sposi, e che noi ci tratteniamo ad ammirare in ogni
minuta parte. Il Manzoni narra come uno storico e analisxa e
giudica da filosofo: ad ogni passo, leggendolo, ci accorgiamo
ebe. aomini e fatti, tatto ciò ch'egli descrive è riferito da luì
< Nel 1877 il LshMIov h ummmo sd aa*wll«ua naie a Windsor. I
nervi, quando ri Afbis nel palasu 0 nooM dal visltators, aeeorsero alle
anticamere, e dagli angoli ove non potevano oMsrs scorti attesero di rederln
iMcire. La regina ne h avrertita, e dalle interrogasioni «he dirssss ad
alcnoi, nppTCSS eon nwrarii^iia e oon piaesrs ebe la SMgglof parte de' snoi
■erri eonosofa I poaaU pia noti del Longlillow. Nessona persona aaHMssa
» WiiMboff aggfangeva la rsgfna nel hr qnesko meeonto, ha nuti sssrsUnlu
«oli» (cnnte di palano un'Htemiion» <Ji tal aatiirm^ — Kinksot, H'^rt/ W.
/.otifif^llote. p»tr 1h:j.
214 HENRY WADSWORTH LONOFELLOW.
ad un sistema, ad un tipo di perfezione, ad un fine ultimo e
sommo. Il Longfellow si contenta di trarre dalla storia motivi
di ballate e di canzoni ; e quando fa della critica, è sempre per
notare le forme e le maraviglie di questa vegetazione poetica
che, in ogni tempo ed in ogni paese, rampolla dalla vita delle
nazioni. Il suo ufficio di professore di lettere gli faceva un ob-
bligo di trattenersi in lavori di critica; ma non pare che l'in-
dole del suo ingegno vi si trovasse a suo agio. La critica era
per lui un mezzo piuttosto che uno scopo, uno strumento del
quale i procedimenti della creazione poetica potevano giovarsi.
Tornando al colloquio dei due poeti, il Longfellow ha risposto
in ottimo e spedito italiano al saluto che il Manzoni gli aveva
diretto in francese. Questi, che nel conversare aveva una sin-
golare predilezione per la politica, ha messo il discorso sulla
guerra di secessione e sulla questione della schiavitù, ed è
risalito in proposito fino ad Aristotile. Il Longfellow ha ricor-
date le disposizioni memorabili che Giorgio Washington lasciò
scritte, circa gli schiavi, nel suo testamento. Quando il Long-
fellow prese commiato, il vecchio gentiluomo lombardo lo ac-
compagnò, a capo scoperto, fino alla porta dov'era la vettura.
Da trent'anni il Manzoni non aveva pubblicato più nulla, e
quattro anni dopo questo colloquio moriva : il Longfellow invece
continuò a poetare fino agli ultimi suoi giorni.
Di questo suo viaggio in Italia noi ricordiamo con piacere
tre belle composizioni : Cadenahhia, Monte-Cassino e Amalfi.
Nessuna delle diverse chiese, che agli Stati-Uniti si dividono
gli abitanti di ogni piccolo comune, ebbe il Longfellow fra' suoi
fedeli: lo attestano parecchi suoi amici, l'ha lasciato intendere
il fratello nelle parole che pronunciò sulla sua bara. L'esistenza
nell'uomo di un principio immortale, continuamente attratto
verso un archetipo di bontà, di bellezza, di armonia infinita, è
il fondamento della sua religione: religione del sentimento e
dello spirito, che rifugge da ogni assolutismo di interpreti e di
formole. Dal suo punto di vista, è chiaro eh' egli avesse forti
ragioni per tenersi discosto dal cattolicismo di Roma ancor più
che dalle altre forme meno autoritarie del Cristianesimo. Né da
siffatta maniera di sentire egli si è allontanato nei sei anni dal
1 Sono comprese nel Quarto volo degli Uccelli migranti, pubblicati in-
sieme al Dramma di Pandora, — Boston 1875.
HENRY WAD6W0RTH LONGFELLOW, 215
1866 al 1872, sebbene dai soggetti delle opere a cui in questo
tempo attese, sembri potersi indurre che le sue idee si siano
più strettamente adattate nelle forme tradizionali della credenza
cristiana. Queste opere sono: Le Tragedie della nuova Inghilterra
la Tragedia divina e il Giuda Maccabeo. Le due prime : John
Endicott e Giles Corey, coltivatore di Salem * ci rappresentano
una lugubre fase della storia della colonia inglese, quando il
fanatismo settario e la superstizione delle fattucchierie la tur-
barono colle persecuzioni e la insanguinarono coi patiboli. Ma
entrambi i drammi ci offrono passioni e lotte a cui la fibra
umana da lungo tempo ha cessato di rispondere. Ve al solito
il pregio del pensiero e della dizione, ma l'arte del dramma-
turgo è insufficiente, come nella Leggenda aurea e nello Scolare
gjpagnuolo.
La Tragedia divina ', che è la leggenda di Cristo in una
successione di scene e di dialoghi, non può essere giudicata
alla stregua degli stessi criteri, perchè troppo lontana dal dramma
umano nella forma e nella sostanza. Fin dal sao apparire non
trovò chi le facesse buon viso : sgradita ai credenti che prefe-
riscono leggere la vita di Cristo nell'evangelo, e non meno sgra-
dita agli scettici che, se sono dotti di storia e di filosofia, stu-
diano i libri sacri per fame la critica. Eppure nell'opera del
Longfellow vi sono dei passi che si leggono con piacere, dei
raggruppamenti felici di situazioni e di personaggi, come nella
scena delle Nozze di Cana, dove il dialogo degli sposi, le ciarle
dei convitati, le parole di Cristo e di sua madre si alternano
e si mescolano, distaccandosi, come da un fondo musicale, dalle
strofe della Cantica di Salomone colle quali i cantori e l'orche-
stra accompagnano il banchetto. *
Insieme con queate opere progrediva la pubblicazione dei
Voli d'Uccelli migranti 6 dei Racconti d'un'Oeteria della via mum-
itra. Sotto il primo titolo, il Longfellow veniva raccogliendo,
ad intervalli, diverse piccole poesie, frutto d'ispirazioni momen-
Unee, come aveva già fatto quando pubblicò lo — Voci della
notte — e — In riva al mare e Accanto al fuoco. — I Racconti
dell'Osterìa sono una serie di ballate e «li brevi narrazioni metse
' Nem-Fniltmi Trofeiiee. - Boston 1868.
* Tke Dmlme Trwgeig. — BosToo 1871
* L'altiiM di qosiCl drammi, JmdaM Maooahem, é ooot«aato nsl volane
TVm Bmì» ef Song». — Boston I87S; é, pw Ofoi rifoardo, U atao st^
216 HENRY WAD8W0RTH LONftKELLOW.
in bocca del padrone della vecchia osterìa di Sudbury o di sei
amici : un letterato, un israelita di Spagna, un profugo siciliano,
un tedesco suonatore di violino, uno studente di teologia e un
poeta, convenuti a Sudbury per respirare una boccata d'aria di
campagna. L'osteria, si capisce, l'oste e i sei ospiti fanno qui
l'ufficio che farebbe, se si trattasse, non di novelle ma di statue
e pitture, una galleria fatta a posta per metterle in mostra. II
Boccaccio ha usato lo stesso artifi^iio nel Decamerone e, pochi
anni dopo di lui, l'ha adoperato Goffredo Chaucer nei Racconti
di Cantorbery: né gli imitatori mancarono in seguito; ultimo
il Longfellow lo rinnova e lo ringiovanisce. Egli ha riuniti in-
sieme sette narratori diversi di paese, di studi, di costumanze,
per aver più largo campo nella scelta delle narrazioni, e per
poter dare a ciascuna il sapore e l'accento propri del soggetto
e di chi la dice. Così dalla patria anglo-americana de'suoi giorni,
ci trasporta indietro nel passato al novellare gioviale degli italiani,
alle fantasticherie della ballata germanica, al misticismo biblico
degli ebrei, ai ricordi romanzeschi del medio-evo, alle passioni
religiose, acri e sanguinarie, del 16" secolo. Questa gran varietà,
e il carattere che il nostro poeta ha impresso in ciascun rac-
conto, gli danno il vantaggio sui suoi predecessori ; ma non lo
ha del pari per la naturalezza, ne ritrae, come essi fanno da
vicino la vita: nelle — Tre Giornate — egli è più che mai lo
studioso innamorato della leggenda, da lui stesso dipinto nel
Preludio della prima. Tra i sette novellatori, ve n' ha uno del
quale egli fa il ritratto seguente.
Vera un giovin dai modi queti e gravi,
di polverosi e vecchi libri amante,
conto d'ogni paese e d'ogni lingua,
ma del natio paese innamorato;
socievole e cortese, eppur solingo
volentieri, nel cuor di tutti e tutto
a penetrare acuto, ad amar pronto ;
ma di sottile incontentabil mente,
che il ben sognando, par disdegni il meglio.
Delizia erangli i libri, ed in sua casa,
nella stanza raccolta degli studi,
molti n'avea di preziosi e rari ;
grossi volumi di candido vello
vestiti e d'aurei fregi, rimembranxa
dolce dì Roma, di Firenze e Pisa.
Sommo diletto avea nella dubbiosa
luce dove la storia si smarrisce,
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 217
e la leggenda romanzesca soi^
con scintillar d'usberghi e d'elmi e lance.
e ondeggiar di bandiere, e suon di trombe,
e dame in sella che han sai pugno il &lco,
e temuti guerrier via di galoppo
nel vapor laminoso trascorrenti
dei secoli e del canto dei poeti.
Se dopo aver letto questa pittura, ci rimanesse qualche dub-
bio sull'intenzione dell'autore di metterv-i parecchi tratti di aè
stesso, l'attestazione degli amici, che la dicono rassomigliantis-
sima, basta a dissiparlo. Il Longfellow era di fatto modesto e
contegnoso, amava e rispettava gli artigiani e i contadini dai
quali era circondato, e la sua bontà e la sua gentilezza erano
proverbiali fra i domestici, gli operai e i poveri di Cambridge.
Ma le passioni tumultuose delle moltitudini non si ripercuote-
vano armonicamente nell'animo suo; e per questa sua tempe-
ranza nel conflitto dei partiti, fu accusato di insocievolessa, di
tiepidezza nell'amore del suo paese, di alterìgia. Il Longfellow,
come altri poeti e studiosi, ha potuto parer tale a gente che
non prova il bisogno di passare ogni giorno qualche or» a tu
per tu coi propri pensieri, né sa elevarsi al desiderio di vedere
gli nomini animati da un sentimento di socievolessa più sincero
e più fine di quello che ora sentono, e riscaldati da un amore
più illuminato del paese. L'accusa di alterigia è del retto co-
mune a parecchi uomini cek*bri, che contribuiscono ad attirar-
sela col lasciar trasparire l'irritazione che provano per le im-
portunità degli scioperati e dei curiosi. L'assedio degli importuni
è. come ce l'ha dipinto il Dickens ', tortura ferissima nella pa
tria del Longfellow dove, per una curiosa, ma non inesplicabile
combinazione, l'aziono dei poteri pubblici sull'individuo è mi-
nima ed è invece massima la tirannia delle moltitudini. Si ca-
pisce che in un tal paese il longfellow, p^r indole benevolo,
cortese, ospitale, dovesse apparire a molti sempre più freddo e
altero, a misura che cogli anni, insieme alla sua celebrità, cre-
sceva il numero dei curiosi che pretendevano parlargli o vole-
vano almeno averlo squadrato. Ma anche da questa parte del-
Atlantico gli venivano visitatori a sciupargli buona parto del
t' nipo. Fra i meno sgraditi, lo stMso Longfellow usava ricordare
• Vedansi le leUve del DUkMs sitate dal Foistor asUa viU di lui. dal
capitolo XVII al XXIV — Postna, Theiifeof Charim DUkens, TaMhails.
I^eipiig, 1872.
218 HENRY WADSWORTH LONGFELLOW.
un inglese che cominciò il suo discorso col dirgli : u Signore,
poiché nel vostro paese non vi sono rovine da visitare, ho pen-
sato di presentarmi qui per veder voi n e un gran signore
scozzese, ornitologo appassionato, che lo mise tutta una sera
in grave impaccio, chiedendogli i nomi degli uccelli che dalla
Craigie-house si sentivano cantare sugli alberi vicini, senza po-
tersi persuadere che lo scrittore delle scene naturali dell' Evan-
gelina e dello Hiawatha non distinguesse un fringuello da un
passero e un cotogno da un pero. Molti tratti della vita reale
sfuggivano al nostro poeta, come se la sua attenzione non po-
tesse fermarsi là dove non trovava alimento l'idealità propria
della sua natura. Ciò non toglieva che nel suo conversare si
sentisse quasi continua una vena di quel che in inglese chiamasi
humour, e che differisce dal buon umore, perchè nel humour,
sotto la parola arguta e scherzosa, non v' è una gaia disposizione
dell'animo, ma un fondo di pensieri seri. Ecco un esempio di
humour Longfelliano : un giorno un giovinetto che gli aveva
portato alcuni libri da parte d'un amico, mentre il poeta li os-
servava, raccolse dal cestino un foglietto dov'era un abbozzo di
pochi versi corretti e ricorretti, e gli chiese di poterselo tenere:
il Longfellow prese il foglio, vi scrisse — rifiuti sacrificati alla
fama — e gentilmente lo rese al giovane.
La bontà e la dolcezza del nostro poeta apparivano anche
più vive neir amore eh' egli aveva pei fanciulli : sapeva tratte-
nersi con loro, ciò che ai più degli uomini non è facile, e se
fra' suoi visitatori v'era un bambino, usava tenerselo presso, e
camminando lo conduceva per mano. I suoi versi, quando parla
di fanciulli, divengono più facili e più dolci, e fra le sue pic-
cole composizioni ve ne sono parecchie deliziose delle quali i
bambini sono l'oggetto. I ragazzi di Cambridge lo conoscevano
e recitavano a memoria: H fabbro del villaggio. La pioggia
d'estate, Il vecchio orologio dello scalone. La cavalcata di Paul
Revere, ed altre poesie che hanno il pregio di esser capite dai
grandi e dai piccoli, e di piacere a tutti. E dai ragazzi il Long-
fellow ebbe una delle più care soddisfazioni della sua vita. Nel
1878 le nuove costruzioni ed i rettifili di Cambridge vennero ad
urtare nel famoso castano descritto nel — Fabbro del villaggio —
e furono causa che lo si abbattesse. Il poeta non avrebbe vo-
luto e se ne doleva. Allora nelle scuole si aperse una sottoscri-
zione, alla quale tutti i bambini concorsero, contribuendo da 1
a 10 soldi ciascuno, e col legno dell'albero abbattuto si fece
HENRY "WADSWORTH LONGFELLOW. 219
jtruire uno splendido seggiolone da offrirsi al Longfellow.
Il 27 febbraio 1879, 72* anniversario della sua nascita, gli stessi
bambini vennero in folla ad offrirglielo *. Nessuna testimonianza
di onore gli andò mai piìi gradita al cuore, e pochi giorni dopo
egli pubblicò, diretti ai fanciulli di Cambridge, i versi che mi
sono provato a tradurre cosi
Il mio Skooiolonb.
Qaesto splendido s^gio è dunque mio?
perch'io vi sieda son io forse un re?
qaal dritto, qual ragion vantar poss'io
perché s'aspetti qaesto trono a me ?
Forse è il dritto divino del poeta;
perchè, n^li anni giovanili, uu dì
del castano le fronde e l'ombra lieta
lodar cantando il labbro mio s'odi.
De' suoi gran rami e della chioma folta
ben rammeoto la pompa ed il Tigor,
e di lotto U firaaea oaeora volta,
gradito achermo dall'eativo ardor.
La facina del fabbro era U preaao,
s'odian nell'aria tepida roncar
l'api sui bianchi fiorì, e nello speMO
fogliame il brulichio d'un alvear ;
e quando lo scotean d'autunno i venti,
acuto delle foglie uno stormir,
e dagli ispidi ricci al suol eadenti,
scoppiando, il frutto rìlueenta wdr.
IK quegli ignudi rami ora foggiato,
un alto seggio nel mio tetto sta
al focolar d'appresso, e del passato
le rtmembranae Wsbigiisndo tb.
Indarno il re dal mo «^erbo Crono
al mar di ritmr Venie «oaMmlfr;
io, dal mio ngsioi da* toM dnatl al aooa»,
l'oad* del tanpo rstroeedsr fo.
RWedo I 6orì « l'api • rirroapente
gaio, chiassoso, faneiollcseo staot;
odo il fisehio dal vesto ad il fraqoaata
andar dal fratto alM iafaUa 0 saol ;
vado naUa facina i feaki aniaoti,
santo gli ansanti naatid soAar,
i farri sairincodiae roventi
odo Q maglio sonante martellar.
* L'aatora di qoaato faggio, naDa AuasfM sMCmmmIs dtU* 8 gfaifM 1871,
raoeontò questo fatto a T'aggionaa alaona sommarla notiaia sul Lon^ftllow.
220 HENRY WADSWORTH LONOKELLOW.
Ilo settantaduc anni, il sangae è tardo
nelle mie vene, ed è rnen ratto il pie ;
ma torna un gioTanil soffio gagliardo
oggi, per voi, cari fanciulli, in me.
Il pensier pio del donator cortese
nel gentil don contesto io legger 305
come lucida gemma é a me palese,
fra i ricordi del cor lo serberò.
A queste spente fibre un'altra vita
danno i vostri pensieri, il vostro amor,
e sboccia dalla pianta inaridita,
colla nuova canzone, un altro fior.
Oltre al Seggiolone dei bambini il Longfellow possedeva nella
sua memoranda ed ampia casa, della quale aveva serbate intatte
le parti e la vecchia decorazione^ parecchie cose che mostrava
volentieri agli amici : la ricca libreria, alcuni busti, parecchi
quadri, un ritratto dell'abate Listz con un'aureola luminosa in-
torno al capo, prodotta dalla luce di un lume ch'egli tien alto
con la mano, una tazza di agata attribuita a Benvenuto Cellini,
eh' era stata di Samuel Rogers, il calamaio di Coleridge, una
scheggia della bara di Dante, il cestino di Tomaso Moore, assai
altri ninnoli avuti in regalo, e una raccolta di curiosità messe
insieme nel Griappone da suo figlio Carlo. Lo studio è a ter-
reno e da due lati guarda il giardino, che gira tutt' intorno alla
casa: ai fianchi vi sono due deliziose verande, e dinanzi al pro-
spetto, dov' è r ingresso, uno spazio aperto con alcuni grandi
alberi. Il fiume Charles disegna poco lontano i suoi meandri
che si scorgono dalle finestre del piano superiore. Anche il
giardino, nella sua folta e arruffata vegetazione, serba, come
la casa, le vecchie linee e la vecchia fisonomia, sì che non
occorre un grande sforzo d' imaginazione per figurarsi Lady
Washington in guardinfante che vi passeggia, e al suo fianco
la figura asciutta ed austera del Generale in giubba, coda e
manichini.
Noi ci contentiamo di figurarci il poeta colle tre figlie Editta,
Alice ed Allegra. La prima da alcuni anni è divenuta Mrs. Ri-
chard Henry Dana e dimora a Boston, ma viene spesso co'suoi
bambini a stare col padre. Così fa pure Ernesto che ha moglie.
Carlo, l'altro figlio, ch'è scapolo, ora è a casa, ora in viaggio.
I visitatori sono in troppo gran numero; ma il piccolo cerchio
dei fidi amici s'è venuto, ahimè! negli ultimi anni restringendo.
Charles Sumner, il celebre senatore, prediletto fra tutti, è marto ;
HEWRY WADSWORTH LONGFELLOW. 221
e Louis Agassiz, il grande naturalista, uno dei più cari, se n'è
pure andato ; rimangono Ralph Waldo Emerson, poeta meno
fortunato del Longfellow, ma forte pensatore, celebre pei suoi
saggi mistico-filosofici e morali ; Oliver Wendell Holmes, medico,
poeta e arguto scrittore di riviste; John Owen editore e in molte
ricerche letterarie collaboratore del Longfellow; Samuel Ward,
uomo d'affari, amante delle lettere, e scrittore a tempo perduto ;
Luigi Monti, un ribelle del re Bomba, scappato di Sicilia dopo
l'assedio di Palermo, ottimo stampo d'italiano, che il Longfellow
ci ha ritratto al vivo e di vena, in uno dei raccontotori del-
l'Osteria di Sudburj'.
I — Voli degli uccelli migranti — continuano; dal 1858 al 187H
ne appaiono cinque, le — Giornate dell'Osteria di Sudbury — sono
cresciute a tre; ma i lavori di maggior rilievo del vecchio poeta
sono: R dramma di Paiidorny ' Appiccar la catena al focolare^
Morituri SaUUanuu.* Il primo ha il pregio di mostrarcelo non
più trasportato dalla foga giovanile, ma pieno sempre la mente
d'armonia e di belle imagini, intento a colorire nelle forme della
poesia le più alte astrazioni a cui lo spirito umano si eleva. Pro-
meteo, personificazione del pensiero assiduo, acuto, inflessibile
nella ricerca del vero, insofferente d'ogni servitù e d'ogni dogma,
perseguitato dalla divinità, avverso agli dei, il Longfellow ce
lo ritrac in una nobilissima figura. Epimeteo altrettanto appas-
sionato e facile alle illusioni, quanto il fratello ^ calmo ed au-
stero, si lascia vincere dalle seduzioni di Pandora, che poi non
sa e non vuol ripudiare. Dopo che essa, contro il divieto fattole,
ha scoperchiato il misterioso vaso delle sciagure umane, egli le
dice u Io non ti amo meno, per ciò che è accaduto; la tua stessa
debolezza ti ha ravvicinata a me, e di qui innanzi il mio amore
sarà misto di un senso di pietà che gli torrà quello dall'adora-
zione che aveva finora, n Nelle strofe intitolate Epim«tK«utf colle
quali il Longfellow, parecchi anni prima, arerà chioso il — Primo
volo d'uccelli migranti — trovasi lo stcMO pensiero.
u Tu (Pandora) mi sei sempre più cara, mia sibilla! mia in-
gannatrice! tu mi ftchìnri.tci ciò che ò oecdro, •> In mota lon-
tana sembra avvicinarsi ({uando tu mi metti la tua febbre noi
cuore, llnaa dei doni e dolle grazie! i campi si spogliano in-
' Nel tasto é The Ma»^m^ o/ Pandora: ma la parola mta»qm o «MuJe è
talTolts usata tn faig)ese« « qu«sto è ano dei easi, m1 wnso di /tmiom ttmtiaa.
* Tkt JKssffw ^ Paaéora aad Otksr PbMMi Boston l(t75. — Afpiooar
ia eatrna al footHart k nel tstto ffamffiag of tke Orami,
222 HENRY WADSWORTH LONGFELLOW.
torno a noi; ma vi sono dominii e spazi più ampi, dove finora
piede umano non impresse vestigio ; volgiamo colà insieme, n —
Neir ultima pagina del dramma, a Pandora che, tormentata dal
rimorso, invoca la morte e chiede: « Che altro mi rimane? n
Epimeteo risponde : « La gioventù, la speranza, l'amore ; sulle
mine d'una vita erigerne un'altra, procacciarti un avvenire mi-
gliore del passato, si che il passato somigli un torbido sogno.
Or ora, attraversando il giardino, vidi per terra un nido rotto,
<jolmo di pioggia; ma sul mio capo gli uccelletti, senza metter
lamento, già attendevano a costruirne un nuovo, n Pandora si
persuade, e dice: « Solo per la sofferenza noi possiamo ricon-
ciliarci con gli Dei e con noi stessi, n Chiude il dramma un
coro delle Eumenidi che finisce colle parole: a II danno (negli
spiriti colpevoli) non sarà riparato, finche Elio non li avrà
purificati co' suoi fuochi celesti; allora sarà ricuperato ciò che
era perduto, e comincierà la nuova vita infiammata di più no-
bili passioni e di più puri desideri, n In questa Pandora, il
Longfellow ha tentato, alla sua volta, il dramma dell'umanità :
Epimeteo la personifica. Pandora rappresenta le passioni e le
illusioni. Prometeo la scienza e la filosofia; le forze della na-
tura, che determinano le condizioni della vita, sono presenti
nei cori delle Oreadi, delle Acque, delle Foreste, dei Venti;
le Eumenidi rabbonite hanno sentimenti da cristiane e parlano
di redenzione e di vita migliore. E curioso il senso che la let-
tura di questo poema ci rende: i due miti di Pandora, e del
fallo di Adamo e di Eva ravvicinati e fusi insieme, e le alle-
gorie poetico-morali del monda greco vedute attraverso diciotto
secoli di pensieri cristiani. Una celebre cantatrice amica del-
l'autore ebbe la bizzarra idea di rappresentare la Pandora
sulle scene di Boston, ma l'esito, come era a prevedersi, fu
infelicissimo. Un dramma piace quando l'azione rappresentata
giunge all'animo dello spettatore e se ne impossessa per la via
dei sensi che percuote ; la Pandora del Longfellow può solo es-
sere gustata dal lettore che riflette nella quiete della sua camera.
Appiccar la catena al focolare — è una visione ideale delle
gioie e delle pene della famiglia. Ai tempi dei nostri proavi
«he erano, in fatto di dimora, assai meno volubili di noi, quando
una famiglia si faceva una casa nuova, usavasi inaugurare con
una certa solennità, accompagnata da un banchetto, il nuovo
focolare, il dì che s'era appesa la catena al camino di cucina.
Di questa costumanza la lingua francese serba memoria nella
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 223
frase penare la cremailUre, e il Longfellow ha probabilmente
rintracciato l'usanza e la parola nei vecchi ricordi anglo-sas-
soni. H poemetto non ha più di duecento versi e si compone
di sette quadri della vita di famiglia, dal giorno che due gio-
vani sposi hanno cominciato a far casa, a quello in cui, cir
condati dai figli e dai nipoti, celebrano le nozze d'oro. Fu stam-
pato la prima volta nel New-York L^dger, che pagò all'autore,
per poterlo pubblicare, il prezzo di 4,000 dollari, cioè 20,000 lire
di moneta nostra, che si ragguagliano a 100 lire per ciascun
verso : cifra prodigiosa nella storia delle larghezze degli editori
verso gli autori.
Morituri Snlutamus — fu scritto dal Longfellow per l'adu-
nanza che, nel 1875, tennero a Bowdoin i superstiti di coloro
che nel 1825 vi erano stati allievi o maestri. È un carme della
vecchiezza, pieno d'idee, di ricordi, di sentimenti affettuosi e
malinconici, di serenità e di coraggio virile. Ne traduco gli
ultimi versi.
< Che danqae? SiedereiDO inoperoM
dicendo: è notte, tramontato è il solo?
No, non é notte «ncor; non ci distoglie
fin qui d&U'opra la men chiara Ince,
né dell'ingegno e della man lon cbiuM
per noi tutte le ìmpreae. Anche il Tetuito
albero può dar frutto, e M ci é tolto
di compor l'Ole greca, o dell' Edipo '
l'orrida tela, o il norellar giocondo
de' pellegrin dall'Osteria di Tabbard
una mattina usciti, * eh ! non importa,
altro farem, non ci trattenga il dubbio.
Al par di giovinessa ha le sue gesta
la tarda ctl* ma d'altra sorta e garbo;
e quando 11 re^ertin raggio tTaaiNt,
le stelle, ignote al di, ^landooo b eielo. »
La luca yetperttiui non ai è ancora dileguata per U natura
eletta e robusta dello scrittoro. Contemporaneamente al lavoro
della Pandora e del Morituri SahUamui, egli attendeva, col con-
corso di John Owcn, ad una grande compilaxione : Le pouié
dei luoghi, ' trentun volami di Tersi sui luoghi celebri per U
* SfaBoalde TfaMs a premio deOa poesia Urica a 80 aaal« e Sofode scrisse
V Sdipo t qaando li arerà oltrepassati.
* Ooàbedo Ghaneer s«isse la migiioca e la piò gaia della soe opera,
i HaaoomU di GsaIsrAsry, a fiO saaL
* Pom» 9Ì Plam. — Boston 187«-T9.
224 HENRY WADSWORTH I.ONGFELLOW.
loro bellezza o per qualche ricordo, scelti dalle opere dei poeti.
E questa non. era ancora tutta uscita, quando pubblicava Ke-
ramos^ o la canzone del vasaio, che termina colla strofa se-
guente u Fermati, fermati, mia ruota ! Presto, ahi ! troppo presto,
al mezzodì seguirà la sera, all'oggi il dimani : dietro di noi, sul
nostro sentiero, noi gettiamo i cocci del passato, e il tempo li
trita, e i piedi che li calpestano ne rifan della creta, v Poi
stampa un volumetto che intitola Ultima Thule, * e che non è
per lui l'ultima Thule, perchè scrive ancora Ermete Trisme()Ì8to *
• Keramos and Other Poems. Boston 1878.
» Ultima Thule. Boston 1880.
' Hermes Trismegistus. Pubblicato nel periodico The Century: Febbraio
1882. — Riferisco due lettere del Longfellow suH'argomento della vecchiaia,
notevoli per la semplicità e per la grazia della forma e del pensiero. La prima
è diretta a Mr. George W, Childs.
Cambridge, marzo 13, 1877.
Caro Signor Childs
Voi non sapete ancora che sia aver settant'anni. Io ve lo dirò, perchè
la cosa non vi sorprenda quando verrà la vostra volta. E come inerpicarsi
sulle Alpi. Arrivate a una vetta coronata di neve di dove, volgendovi in-
dietro, vedete la valle profonda che si protende per miglia e miglia, e guar-
dando innanzi, vedete altre cime più alte e più bianche della vostra, che
forse avrete forza di raggiungere, e forse no. Allora vi sedete e meditate, e
vi chiedete quale dei due casi avverrà.
Non v'è altro, per quanto vi s'argomenti su colla mente. Tutto si riassume
nel dire che la vita è opportunità di fare.
Settanta cordiali auguri agli abitanti di Walnut Street, canto della 22* via
Vostro sinceramente Heney W. Longfellotf.
La seconda lettera è diretta all'amico Samuel Ward.
Cambridge, 23 gennaio 1882.
« Mio caro Zio Tomaso. — I prediletti dei numi muoiono giovani, perchè
non diventano mai vecchi, se pur vivessero ottanta e più anni.
< Cosi dico io ogni volta che leggo le vostre graziose e amene fantasie
nei giornali che mi mandate o ch'io vi mando.
« Attendo l'ultimo, annunciato nella vostra lettera di ieri e non ancora
giunto.
« Perdonatemi se non sono sollecito e frequente nello scrivere. La mia
giornata è assai breve — visto che mi alzo tardi e mi corico presto — come
una giornata d'inverno al polo, quando il sole sta poche ore al disopra
dell'orizzonte.
« Sì, YErmete si stampa nel Century.
< Torno a ciò che dissi da principio, la gioventù perpetua di certuni.
Vi ricordate l'aneddoto di Dueis ? Avendo alcuno detto di lui — Il est
tombe en enfance — un amico corresse — Non, il est ventre en jeunesse. —
Ecco il garbo con cui certe cose vanno dette. Ma vecchio o. giovane,
« sempre vostro H. W. L. »
»
HENRY wadsworth longfellow. 225
e H torrente furioso]^ e fino agli ultimi giorni attende ad un
lavoro di lunga lena, che i figli pubblicarono dopo la sua morte:
una tragedia di cui è protagonista Michelangelo, e che da Mi-
chelangelo prende il titolo. — Cosi egli lascia la vita; così noi
ci separiamo da lui: l'ultimo studio nel quale egli ha raccolta
la sua mente ha per oggetto una delle nostre maggiori e più
care glorie. * Sulla fine del 1881 le sue forze vennero decadendo
senza che potesse riaversi; il 18 marzo 1882 il male l'obbligò
a porsi a letto, e sei giorni dopo spirava circondato dai figli,
dai fratelli, dall'intera famiglia.
Quali memorie e quali vivi desideri dell' Italia serbasse il
Longfellow nel suo iperboreo Massachussetts, appare dall'ultima
strofa àeW Amalfi', u A me rinserrato fra dune di neve, coll'in-
grato sibilo dell'aquilone nell'orecchio, un vasto paese avvolto
di bianco innanzi agli occhi, e il fiume serrato nel ghiaccio; a
me sovviene questa deliziosa memoria, questa visione di un pa-
radiso ove ho gioito, or è lungo tempo, nella terra al di là del
mare, n Le splendide e ridenti immagini dell' Italia ebbero, senzA
dubbio la loro parte nell' adescarlo a scrìvere il Michelangelo^
eppure il riflesso che noi troviamo in quest'opera del cielo lu-
minoso d'Italia e dei paesi e delle figure ch'esso avviva e co-
lora, non è tutto pura luce : vi si mescolano le ombre dell'animo
del poeta, divenuto grave, meditabondo, preoccupato più che
mai da solenni pensieri. Il soggetto li richiede o li desta nella
mente dell'autore; ma ci pare, leggendolo, di sentire nel Longfel-
low, più che la divinazione del poeta, una consonanza vera di
pensieri coi pensieri del vecchio Michelangelo, u La vita è or*
per me una scena vuota, spenti i lumi, muta l'orchestra, usciti
gli attori ; io solo siedo ripensando ai drammi del passato. Sono
oramai si vecchio, che la morto ip«sso mi tira pel gherone, in-
vitandomi a seguirla, e un giorno, come questa lucerna n gli
è caduta di mano un momento prima u io cadrò, e 1' ultimo
sprazzo di vita sarà spento in me: ahi! che tenebra desolata!
Si vicino alla morte, e ancor tanto lontano da Dio ! n Con questa
parole messe in bocca a Michelangelo il dramma finisce.
• Mail Rivrr. — l'uÒDiicKto dopo la biia morte wì\' A'Iin'i- M'u'ìil^f ilnl
magf^ìo 1HS2 ; iodi poco dopo, iiMÌ«ine allo Hermes Trii«iiH-^M:.tiiH •■ ni ali une
altre piccole poerie, In an Tolametts intitolato: In the IJarbor — N*i porto.
* Il MfìeManfftto d eonpone di tre parti, pubt»licate sueeeMiTamaata
Mi numeri di Gennaio, Febbraio e Mano 1883 àéU'ÀtlanUc Monlhly.
▼m. XU, S«r1« It — tft Laftto tSS& Il
226 HENRY WADSWORTH LONGFKLLOW.
Meno tetro è il soliloquio del protagonista sotto le querce
di Monte Luco a Spoleto, u Quale silenzio fra queste antiche
querce! L'alitare dell'atmosfera solleva i rami frondosi e li
lascia ricadere senza quasi un mormorio. Queste tranquille so-
litudini si affanno alla vecchiaia, queste querce enormi, secolari,'
che nella loro gioventù udirono forse le trombe dei cavalieri
del Barbarossa, si ridono della breve esistenza dell' uomo che,
con tutta la sua vantata potenza, non giunge a cento anni. La
piccola ghianda col suo turbante turchesco, che io spingo col
piede, può diventare una quercia che nutrirà del suo amaro
frutto il feroce cignale e cullerà nelle sue braccia i nidi gre-
miti di uccelletti, quando tutti gli uomini che ora abitano il
vasto universo, essi e i loro figli e i figli dei loro figli, saranno
polvere e muffa e null'altro. — Dagli interstizi fra le piante io
vedo, giù basso, la valle del Clitunuo co'suoi casolari e co' bianchi
buoi pascolanti all'ombra degli alti pioppi in riva al fiume. O na-
tura ! tenera madre, amorosa nutrice, io che non t' ho amata come
avrei dovuto, che ho consumati tutti i miei anni fra le mura
della città, e respirata sempre l'aria soffocante delle sue vie, io ora
cerco in te un rifugio, un conforto. Questa è pace. Ecco i pic-
coli romitaggi, sparsi come punti luminosi sul fianco del monte,
e il convento di S. Giuliano, come un nido ' attaccato alla rupe
battuta dal vento. Al di là dell' ampia, sconfinata pianura tra-
monta il sole, rosso come il disco d'Apollo che, sviato dal soffio
di Zefiro invidioso, colpi a morte Giacinto e macchiò la terra
del suo giovane sangue, che ricrebbe in forma di fiori. Ora in
luogo di quelle belle divinità, geni malvagi percorrono la terra, n
Così il poeta ha parafrasato un passo di una lettera del Miche-
langelo, dove egli, scrivendo al Vasari, appunto dopo un breve
soggiorno a Spoleto, si lamenta di non aver prima gustate le
bellezze della natura e la pace che ne viene all'animo.
Tutta la sostanza del poema è, come nel brano che ho ci-
tato, un tessuto dei pensieri di Michelangelo, che spesso è solo
sulla scena e parla con sé stesso, e che sentiamo, anche quando
conversa cogli altri, seguire il filo delle sue proprie idee, sor-
' Nel testo v'è a nest of eurlews — un nido di chiurli — ma l'ornitologo
appassionato che visitò il Longfellow alla Craigie-hoose, persuaso eh' egli
fosse dottissimo negli studi naturali, sarebbe qui, probabilmente, molto
sorpreso, poiché, a quanto mi fu assicurato, nessuna delle varietà del chiurlo
conosciute in Italia, vi nidifica, e nessuna delle varietà conosciute, in Europa
e fuori, affigge il nido a pareti od al fianco di rupi.
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 227
genti dalle forze creatrici dell'animo suo, non da ciò che gli
astanti dicono intorno a lui. Gli altri personaggi lo ascoltano
e gli si chinano dintorno: egli si regge da solo, e non segue
altra luce che quella della sua mente. Giudice severo, e animo
benevolo; sprezzatore di leggiadrie e di tenerumi, e amico af-
fettuosissimo ; sognatore di colossi e di titani, dei quali più e
più s'invaghiva, quanto più la scena del mondo e gli uomini
gli parevano piccoli, fiacchi e meschini. Il Longfellow mette
nel suo disegno di questa grande figura tutto ciò che dei pen-
sieri di Michelangelo ci è rimasto negli scritti di lui, nelle cro-
nache, nei ricordi che gli amici ne serbarono. V'è il profumo
del suo amore per Vittoria Colonna e l'amicizia per l'umile e
devoto Urbino, v'è il dolore della patria avvilita e ridotta in
servitù, e il ricordo del Savonarola, e l'animo che si rivolta al
contatto della corrotta Corte pontifìcia; v'è il fiero disdegno
provocato dagli intrighi dei rivali e dalle soperchierie dei
grandi che si attentano di dargli il calcio del signore.
li poeta gli fa esprimere la sua predilezione per l'Hinntta-
tura, che egli chiamava l'arte sovrana, e la preferenza che dava
alla scultura sulla pittura; ce lo fa udire quando spregia la
novità del colorire ad olio, che avrebbe rin ''ta l'arte, •
quando nota del Tiziano e dei Veneti, che . . reno alla im-
perfezione del disegno colla magìa del colorito. — Ahimè ! se
questi giudizi del sommo artista si dovessero portare da' suoi
tempi ai nostri, e alla loro stregua si giudicasse dell'urto mo-
derna! Chi parla più dell'architettura come dell'arte suprema,
e fu degli Hcultori e dei pittori i ministri dell'architetto? £ la
scultura che esprime nel marmo imagini e figure adatte alla
saldezza e alla nobiltà della materia, dov'è? E la pittura rim-
picciolita non solo dalle proponsioni del fresco a quello della
tela dipinta, ma via via rimpicciolito anche le telo fino ai nin-
noli e ai bijou del salotto! E la scorreziuuu dclj<r lini'i* non più
scusata colle armonie di un colorito sapiente, ma accultu senza
x< t'i|>oIi sotto l'artificio delle luci e delle ombre, dei rilievi e
• -a ' vaporosità, e di altri lenocini o lustre por cui i francesi
inventarono il nome di tromptV-oeuil! Chi volesse vilipendere
l'artr; moderna non potrebbe trovare un altro punto di vista
più di questo adatto al suo intento; ma bisogna riconoscere
ilie esso distorcc in una certa misura le iraagini delle cose,
e può trarci a giudizi esageratamente severi. Tuttavia l'arer
ricordate le sentenze micholangtolesche ci fa accorti di un enorme
■228 HENRY WADSWORTH LONGFELLOW.
spostamento che è avvenuto, in tre secoli, nei criteri e nell'av-
viamento dell'arte. Né, leggendo il poema del Longfellow, ci
sfugge che gli smisurati fantasmi della mente di Michelangelo
toccano da vicino all'esagerato, al convulso e al contorto degli
artisti che gli succedettero e si posero per la via dei suoi più
temerari ardimenti, senza avere la smisurata potenza del suo
ingegno. La scena del Colosseo, dove il poeta mette sulle labbra
del protagonista la famosa enfatica metafora della — gran rosa
marmorea di Roma — basta da sola a farci sentire che il barocco
è alle porte.
Intorno a Michelangelo si muovono e passano Sebastiano del
Piombo, Benvenuto Cellini, il Tiziano, il Vasari, che il Long-
fellow ritrae fedelmente dalle memorie che se ne hanno. RafiFaello
è già scomparso, ma lo spirito suo è rimasto e si sente negli
stessi ricordi che ne fa Michelangelo : Vittoria Colonna si con-
forta e lo conforta della sua amicizia; la vediamo morire e as-
sistiamo al muto dolore del vecchio che amava fortemente, come
pensava. Papa Giulio III copre della sua benevolenza l'archi-
tetto della cupola di san Pietro, e spunta le armi della persecu-
zione nelle mani dei cardinali Salvìati e Marcello. In gruppi
secondari appaiono la bella e avventurosa Giulia Gonzaga, Ip-
polito de'Medici cardinale a ventun'anno, fastoso, intraprendente,
avventato, morto di veleno a ventiquattro, Iacopo Nardi lo sto-
rico, Bindo Altoviti, Tommaso Cavalieri, Claudio Tolommei e lo
spagnuolo Valdès, che il Longfellow ha compreso nel quadro per
dar rilievo alla agitazione degli spiriti, propagatasi anche in
Italia e penetrata nell' atmosfera stessa della corte pontificia,
per le idee della Riforma. Il dramma si arresta allo scoramento
di Michelangelo, quando tentò nel gruppo della — Deposizione —
l'ultima prova del suo scalpello, ch'egli stesso, malcontento del-
l'opera sua, spezzò colle sue mani.
Così il poeta ci fa assistere, grado per grado, al tramonto di
una grande anima che scende, senza perdere i caratteri della sua
grandezza, verso l' orizzonte, finch' è presso a scomparire. Egli
sapeva di non comporre un dramma, eppure ha voluto dare al-
l'opera sua il titolo di tragedia : e tragedia invero è, solenne,
fatale, tristissima, tanto più cupa e dolorosa, in quanto il poeta
non lascia apparire nel suo eroe morente il senso della vita che
gli si prolunga nelle grandi opsre compiute, e non gli attribuisce
il conforto, efficacissimo negli animi vigorosi, di sentirsi, anche
nella morte, rinnovare intorno d'ogni parte la luce e la vita in-
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 229
finite, eterne. Si direbbe che lo stesso Longfellow fosse, nell'ul-
timo suo canto, preso dallo sgomento e dalla desolazione. In un
sonetto, premesso al Michelangelo, egli ci toglie da questo dubbio,
descrivendoci le disposizioni d'animo nelle quali lo ha scritto :
non ha rinunciato a'suoi ideali, ma agli occhi della sua mente
gli orizzonti luminosi della gioventù si sono tristamente velati.
u Nulla di ciò che esiste muore per]esser distrutto, muore sol-
tanto per rivivere in altre forme, come le nuvole rendono nella
pioggia i vapori della terra e del mare. Gli uomini costruiscono
le loro case colle macerie raccolte dalle tombe; le passioni e i
dolori di cuori che da un pezzo più non battono, durano e pal-
pitano in altri cuori adesso e nell'avvenire. Cosi io da vecchie
istorie dove, nella polvere, dormono nomi che risonarono già
famosi nel mondo, traggo la materia del mio poema, e i fiorì
del mio canto approfondano le loro radici fra le pietre scon-
nesse che vo ricomponendo al mio intento. — Al contatto delle
ossa del Profeta rìsuscitano i morti, t?
Di raro, per la morte di uno scrittore, il compianto è stato,
presso tutti i popoli civili, concorde ed alto come nel caso del
Longfellow ; e in vero le qualità del poeta furono in pochi, come
in lui, spontanee, facili, raccolte insieme sema squilibrio e senza
discordanze. Osserviamolo attentamente: egli è sempre tempo-
rato, rifugge da ogni espressione, imagìne, situazione che gli
sembri troppo violenta ; il convulso, il feroce, l' orrido non ri-
suonano sul suo strumento; non ha anatemi, non ha sarcasmi, non
•ente disperazione; il male, la colpa stessa destano sempre in
lui un misto di ribrezzo e di pietà; la nota dominante de' saot
scritti è un sentimento schietto, sano, benevolo ch'egli esprìme
semplicemente con linguaggio dolce, misto d'austerità, alternando
10 penembre della mestizia cogli splendori del bene e del bello.
11 Longfellow è di saa natura misurato: eppure quale alteas*
d'ispirazione nell' Excelsior ! quale ampiezza di pensiero nella
Pandora! come la delicatezza si unisce alla profondità del senti-
mento nel — Sandalphon — nella — Sfinitezza — negli — Uccelli
<li passaggio — 1 I vari aspetti della vita non gli sfuggono, ne
sorge le conneisioni e ne abbraccia l'insieme, e coH'animo in-
tento ne segue le fluttuazioni nel mare misterioso dell' infinito
cho li produco e li assorbe.
Per questa sua temperanza, per questa armonia delle facoltà
che gli è propria, il Longfellow non può giungere a certe enei>
230 HENRY WADSWORTH LONGFELLOW.
giche espressioni che ci sorprendono in altri poeti. Lasciamo
da parte gli altissimi : Dante, Shakespeare, Goethe. Fra i poeti
delle generazioni più presso alla nostra, lo Shelley ha fantasie
vertiginose sconosciute al Longfellow ; il Byron lo supera nello
scolpire il concetto e nel farlo risonare in versi che paiono
schiocchi di sferza o rintocchi di bronzo : lo Heine, fra gli scherzi
della sua musa beffarda, ha guizzi di lampo che ci rimescolano
il cuore più dei lamenti Acadiani. Non udiamo nei canti del
Longfellow le note acute, armoniose, dolorosissime ^el Leopardi ;
non sentiamo, come nel Burns, caldo, vivente, come se ci inve-
stisse, r anelito delle passioni popolari e plebee; non troviamo
in lui ne il fine sentimento della natura, ne la varietà e la per-
fezione delle modulazioni che ammiriamo nei versi di William
Cowper. Ma nessuno di questi grandi ha detto come lui, in versi
facili e melodiosi, con efficacia di parole e di immagini, i pen-
sieri e i sentimenti più cari, più sani, più nobili dell' uomo di
tutte le condizioni, in tutte le vicende della vita. Per questo gli
si tributa simpatia ed ammirazione da tutte le parti del mondo.
Già vedemmo come a' suoi concittadini dolga di non aver
trovato in lui il poeta nazionale anglo-americano, e dolga che,
cento anni dopo l'atto che li divise dalla corona d'Inghilterra,
la letteratura anglo-americana sia tuttora un ramo, null'altro
che un ramo, del vecchio tronco inglese. La giovane repubblica
è sì forte, sì prospera, sì gloriosa! la sua letteratura è sì riccaT
non si sa, davvero, se si debba più ammirare ne'suoi scrittori
la perspicacia e la prontezza dell'ingegno, o la freschezza e la
vivacità della forma: oh perchè si mantiene essa tributaria alle
ispirazioni della Vecchia Inghilterra ? perchè nelle sue vene l'an-
tico sangue anglo-sassone soverchia sempre ì succhi del feracis-
simo suolo natio ? La risposta invero non è difficile, e ovviamente
si scorge che questa gloria, tanto sospirata dagli americani, è
loro contrastata da un'altra gloria nobilissima che già possie-
dono, quella cioè di vivere della lingua e delle tradizioni let-
terarie di Shakespeare e di Milton, di Byron e di Walter Scott.
Non è facile rifarsi il nome e il blasone, quando si sono ere-
^ Nessun'altra nazione può contare una falange numerosa di scrittori
notevoli come gli Stati Uniti, nell'ultimo mezzo secolo. Nella maravigliosa
versatilità di attitudini di questo popolo, dove al più gran numero accade
di passare, senza disagio, dall'officina di stamperia e dall'ascia del boscaiuolo,
all' insegnamento, al pulpito, al tribunale, al Congresso, alle armi, vanno
comprese anche le lettere.
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 231
ditate glorie regali come queste, clie i secoli non oscurano. Forse
è vero che negli scritti di parecchi concittadini e contempo-
ranei del Longfellow si noti un più sensibile sapore di ame-
ricano che in lui. Lo si può dire di William Bryant ', John
Whittier *, Nathaniel Hawthorne ', James Lowell ", Henry Tho-*
reau ', Harriett Beecher-Stowe, Maria Cummings, e a maggior
ragione di Walt Whitman *, Bret Harte ^, Mark Twain ', meno
colti scrittori dei precedenti, ma improntati di forme originali
e di freschi aromi, che ricordano davvero ì terreni da poco dis-
sodati e la vicinanza delle foreste vergini. D'altronde nell'opera
del Longfellow bisogna far la parte dei suoi ampi e diligenti studi
sulle letterature europee. Da questi appunto gli venne quel carat-
tere di cosmopolitismo che gli si rimprovera come un difetto, e
che difficilmente poteva conciliarsi colle ispirazioni del poeta
anglo-americano per eccellenza, che i suoi concittadini vagheg-
giano da mezzo secolo. Ma non è vero che queste sue propen-
sioni cosmopolitiche siano tali da costituire nell'opera sua una
menda; sono anzi espressioni di nno schietto e generoso senti-
mento umano, non meno vero e non meno generoso, perchè non
proprio di un ramo della famiglia amana, ma sentito da tutti
i rami di essa; e perciò appunto più cospicuo. A questa qualità
del Longfellow gli anglo-americani devono attribuire la fama
mondiale del loro poeta, che da lui si rifletto sulla nazione.
Il Longfellow patriota ha scritto nella chiusa del poemetto
La costruzione della nave * i versi che seguono.
u E tu pure veleggia, nave maestosa! Unione! la grande,
la forte ! L'umanità agitata dai timori e dalle sperante dell'av-
venire, attende, col fiato sospeso, i tuoi destini! Ma noi sap-
piamo chi t'ha fatto la chiglia e chi t'ha eretto lo costole di
* Poeta osto nel 1794 usi Massaoboasetts, morto ael 1878 d'an eolpo
di sole artito airinaoganuioM del mowuneoto eretto a Giuseppe Massini
in New-York.
* PocU, nato nel 1806 o«l MassaehnsMtta
* Romansiere, nato nd 1804 nel Masaaehttssetta, morto nel 1864.
* Poeta, scrittore di m|^ e eritieo valente, prete a Ilarrard il posto
laMsUto (Ul LongfsOow. È nato a Cambridge del MasMehiuMtts, nel 1819.
' Uomo e scrittore originalissimo, nato a Concordia del Massaehossstts
nel 1817, morto nel 1862.
* Poeta, nato nel 1819 nello Stato di NnoTS-York.
' Romansiere e poeta, nato nel 1837 nello SUto di Nuova- York.
* Pteodooimo di Samael Clemena, icrìttore di racconti satirici e di ea-
rìcature; nato nel lOssoarì l'anno 1885.
* Bt ras Skaiiob akd thb Pibksiob — TV B^dmg qf tht Ship.
232 HENRY WADSWORTH LONGFELLOW.
acciaio e gli alberi e le vele e le gómene; e ricordiamo le in-
cudini e i magli e le fornaci ove furono temprate le àncore a
cui le tue speranze si affidano ; non temere di tuoni e di scosse ;
è l'urto dei flutti, non dello scoglio; è la vela sbattuta, non il
colpo di vento che la laceri; fra i cavalloni e il mugghiare
della tempesta e i fuochi ingannevoli della riva, corri e affronta
il mare ; i nostri cuori, le nostre speranze sono con te, i nostri
cuori, le nostre speranze, le nostre preghiere, le nostre lagrime,
la nostra fede, più forte dei nostri dolori, sono con te, con te,
con te. n
Al Longfellow poeta di tutte le nazioni dobbiamo 1' — Inno
della Vita — La Vita è una realtà; non bisogna pigliarla alla
leggera; operate, lottate col coraggio in cuore e il pensiero di Dio
nella mente; progredite di un passo ogni giorno; ne per ostacoli
o per indugi perdete di vista la vostra meta. — È l'inno di tutte
le genti, ed io voglio credere che gì' Italiani non ne sentano
meno degli altri l'incitamento.
E al Longfellow dobbiamo l'inno dell' umanità travagliata
nel suo penoso cammino e continuamente spinta da impulsi
misteriosi verso ideali sempre più alti, sempre più alti.
Excelsiob!
Del giorno cadente nei raggi dubbiosi,
d'alpestre declivo pel calle scheggiato,
un giovane ascende, sui gioghi nevosi
recando un vessillo col segno inusato:
ExceUior!
Ha grave la fronte, ma nella pupilla
di falce brandita gli sfolgora un raggio;
e in suon d'argentina purissima squilla,
un grido ha sul labbro d'ignoto linguaggio :
Excelsior !
Indarno lo allettan dal rustico tetto
la fiamma gioconda, gli onesti sembianti;
indarno il ghiacciaio dal livido aspetto,
qual torvo fantasma, gli sorge davanti:
Excelsior !
Il vecchio gli parla di duri cimenti:
— Il nembo, non vedi, pel cielo si stende ?
il rombo non odi dei gonfi torrenti? —
ma in note squillanti quel grido s'intende :
Excelsior !
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW. 233
La Tcrgin lo prega — su questo mio seno
lo stanco tuo capo, deh ! vieni, riposa —
il pianto gli offusca lo sguardo sereno,
sospira e bisbiglia con voce affannosa:
Excelsior !
— Al pino sfrondato mal fido è il pendio,
l'orrenda valanga sfuggir ti sia dato! —
tal'é del pietoso villano l'addio ;
ma un suon dalle cime risponde echeggiato :
ExeeUiort
In vetta del monte, coll'alba nascente,
i monaci accolti dintorno all'aitar...
ceasaron le preci^ che un grido repenta
per l'aria commossa s'intese sonar:
ExoeUior t
I cani sagaci, frugando la traccia,
in messo alle nevi trovaron ghiacciato
an giovin che stringe con rìgide braccia
on stranio vessillo col motto inosato:
Elxoelnort
AI pallido raggio del freddo mattÌDo
TeMuiime spoglia non sembra men bella,
e Mende sov'easa dal cielo axsarrino
un mistico appello, qoal fulgida stella:
Exeeltior!
Lo stesso Longfellow, scrivendo a Mr. Tuckermann ' doi pen-
•ieri che ebbe nel compor questi versi, dice:
u I monaci del S. Bernardo rappresentano le formo e i riti
religìoii, e la sua voce (del pellegrino) mescolandoti alle iterata
loro preghiere, dice loro che vi è qualche cosa di più alto
che le formo e i riti. Pieno di questo Mpirasioni, egli muore
senza giungere alla perfexiono ch'era ne' suoi voti; e la voce
che si ode nello spazio gli promette l'immortaliti e un continuo
elevarsi a sfere pia alte, n
Cosi pensava il nostro poet* nel comporre VExceUior; né
mai, nei quarantun anno che aegnirono, quando ebbe conosciuti
gli aspetti più tristi e più sconfortanti della vita, • al brìo e alla
luce della gioventù fu sottentrata nell'animo suo una austera ^
' Seritlora di Uografla • di siggi «itici Nato a Boston nel IBIS, sorto
nel 1871.
234 HENRY WADSWORTH LONaFELLOW.
pacata mestìzia, egli mostrò che la poetica sua fede nell' im-
mortalità e nella perfettibilità al di là della morte gli fosso
venuta meno. *
F. RODRIGUEZ.
' Non v'è altro luogo d' Europa ove la parola Excelsior abbia fatto for-
tuna come in Italia: fortuna curiosa e stranissima, che erapirebbe di mara-
viglia il barone Manno, se fosse ancor vivo e volesse farne un capitolo da
aggiungere alla sua opera La fortuna delle parole. L' hanno strappata giù
dalle sue alte regioni per confonderla colle cose volgari; l'hanno usata, per
dritto e per traverso, dopo che i parecchi traduttori dei versi di Longfellow
le ebbero dato corso in Italia, anche dove meno poteva stare; ed è andata
per le mani di molti che non hanno mai letto, né in inglese, né in italiano,
la poesia del Longfellow, fra i quali è di certo l'albergatore che ha scritto
— Excelsior — sull'insegna della sua locanda a Varese.
UNA MONACA DEL CINQUECENTO
SXJOX* FELXCE RASI*0>'I.
Io tei m*ì moimIo vargla* toralU;
B M la M*at« tu* bea «t rigaard»,
HoB Mi ti MUrà r«M«r piò MI*.
I.
La storia della Romagna nel cinquecento^ ò una storia tutta
insanguinata.
E tra le città romagnole la {)i<> -ii.t^.i.t.i in <^ut>gii anni <^
Ravenna, Ravenna dove i Ramponi, schiatta d'antichi condottieri
sassoni, invaghiti non si sa pia se dì dominio o di strage, ac-
catastarono nello spazio di circa ottant' anni tanti e tali delitti,
che oggi nemmeno un beccaio potrebbe leggere senza racca-
pricciare.
Ma anche tra' pruni naHcn talirn qualche fiore; e se non
•empre per li rami ritorgti V um'ina bontà, anche non sempre
nsorgono le cattività. D'una delle otto famiglie (nò certo la
meno numerosa e importante) nelle quali dÌNtln^uevasi nel se-
colo decimosesto la gente raspona, fu capo Teseo, vocato pii\
comunemente R*«pone, valoroso uomo d'arme, che militò con
onore nell'esercito di Prospero Colonna, e alTsssedio di Parma
fu de' primi a salire nulla breccia. Fazioso del resto e prepo-
potente al modo degli altri Rasponì; anch'esMO ni trovò alla no-
fitnda carneficina della Camera, quando Ostasio Rasponi, fece,
nella sala del consiglio cittadino scannare da' suoi cagnotti i
236 UNA MONACA DEL CINQUECENTO.
consiglieri che credeva avversari suoi. Raspone vide fredda-
mente cadérsi al fianco il buono e valente capitano Tombesi
col quale aveva militato, e s'erano giurati fratellanza d' armi.
Ma forse più di lui invasata di spiriti turbolenti e crudeli, più
tuffala in politiche triste e bieche, fa la moglie Giovanna Fabri
cui non alleai la fibra e non rese più mansueto l'animo l'aver
partorito a Raspone undici figliuoli. Certo è che per questi
ebbe e mostrò più cuore il padre che la madre. Ultimo di
quella copiosa e florida figliuolanza fu una femmina cui imposero
il nome di Felice. L'augurio del nome purtroppo non s'adempì !
Messa presso una nutrice u donna di bello ingegno, di gentil
maniere, e di buone persone nata n vi stette Felice fino dopo
la morte del padre, avvenuta mentre ella non era per anco
giunta all'età di tre anni.
Ammalatasi la nutrice, che anche mori di li a poco, dovè
la bambina ridursi a casa. Ma la fiera madre non l'amava e
non la voleva seco ; e la mise in un convento. Uscitane appena
seppe leggere e cucire, cominciò madonna Giovanna u a infe-
starla di farla monaca, n Mirava la vedova di Raspone a ridurre
ne' maschi e specialmente nel capitano Cesare le ricchezze della
casa, e sappiamo appunto che Cesare u segretamente teneva
coll'empia madre a monacarla, n Non cosi gli altri fratelli e la
sorella Giustina che tuttavia era in casa fanciulla da marito.
Ma la madre non era donna da smuoversi dalle sue volontà.
Avendo un giorno ardito Felice u sebbene tremante come
foglia al vento n risponderle che non voleva farsi monaca, la
indomita matrona la prese pe' capelli, e trascinatasela dietro,
attraverso molte stanze, in camera sua, per sì fatto modo la
percosse che la lasciò livida, sanguinosa e co' capelli strappati.
Ne si restrinsero a una volta sola queste fiere e sconce scene.
Più degli altri difensore della Felice contro le crudeltà materne
era il fratello Giulio. Il quale, risaputo delle battiture, ardita-
mente disse a madoina Giovanna essere sua intenzione che si
rispettasse la volontà paterna mostratasi sempre contraria che
le figliuole s'avessero a far monache. Ma di lì a poco Giulio fu
ucciso per mano d'uno dei Lunardi. E allora accadde quello
che doveva accadere, quello che probabilmente sarebbe acca-
duto, sebbene forse più tardi, anche non morendo Giulio u Non
così presto fu la cruda et non humana madre racconsolata della
morte del figliuolo, che senza fargliene parola, la fece accettar
monaca in questo maledetto convento, et poi fatti radunare i
UNA MONACA DEL CINQUECENTO. 237
parenti, et li altri convenevoli a tale effetto, le fece far carta
di fine, non sapend'ella quello si facesse; et la sera al tardi le
disse che o volesse o non, era dispostissima di farla monaca,
con parole spaventevole et arrogante, e che non vi volendo an-
dare ve la farebbe portare violentemente. I fratelli, fuor che 'I
capitano Cesare che di ciò era consapevole et aderiva alle ma-
terne voglie, pregamo, ma invano, non volesse forcìarla, ale-
gandovi molte ragioni. Ma lei facendo l'orecchia sorda, a tutti
dicendo voler fare a modo suo, fra tre giorni, una domenica
quasi all'alba, con la nutrice, ma non la vera, che, sapete howi
detto, era uscita di questa vita, l'inviò al monastero senz'altra
compagnia. Come lei si vide fuor dalla patema casa, volta a
colei che dietro le era, con amarissime lagrime più e più fiate
la pregò a menarla al fiume et ivi aniegarla, che giù mai con-
durla a quella dura et a lei spiacevol carcere; et la donna che
non meno havea intenerito il petto che gli occhi pregni di la-
grime, per pietà la confortava, ma invano ad obedire il coman-
damento materno, et giontA al tempio, ove un prete maledetto
l'attendeva aparato all'altare per vestirla, fa da esso fatta por
inginocchioni, et in tal stato vedutasi, se lo chiuse di maniera
il cuore, che senza poter formar parola fu vestita monaca, et
vi stette un anno con febre, né mai volle stare in letto, uè
mai fa chi la vedesse ridere né altiar gli occhi di terra, né a
fatica la sentisse parlare, ne mai le lagrime se le asciugavano
dagli occhi, dove a gran pietà moveva tutte le monache »»
li.
Chi scrive cosi è l'aatore del libro dal qaale ho di sopra
spigolato più frasi; appunto La Vita della madre donna Felice
Raeponi. * Chi scrive è una monaca stata • suor Felice com-
pagna, amica, serva devota affettuosissima. Appare scrivesse
vivente ancora la Rasponi, sebbene negli ultimi anni di questa.
Rimase questa Vita manoscritta sino a oggi, nota tuttavia al-
l'Armellini, al Oinanni e agli altri letterati ravegnani che se ne
gioviirono. Facile è immarrinarc quali riguardi e scrupoli n'abbiano
sempre impedito la pubblicazione. Sul manoscritto, di mano del
' « Vit« delU fn«dro Fcllco RMponi, ■rrìtta da ana monaca usi aoiix
e puhhlicntA dn Corrado Ricci. • nolo|rna, Zanirhelli, 1888. — EU priao
▼olum« d'aoa (MUtiam di emrioeità tturtehe e leUerttrie.
238 UNA MONACA DEL CINQUECEKTO.
padre Benedetto Fiandrini, diligente cultore delle memorie patrie,
leggesi scritto questo pio ammonimento : u Leggete ma non vi scan-
dalizzate. ?5 II Ricci Ila fatto benissimo a darlo in luce. Non tanto
perchè se ne avvantaggia la notizia di una donna, per molti
rispetti, non indegna d'esser meglio conosciuta, quanto perchè
è tal libro che fornisce nuovi e curiosi e importanti particolari
della vita, massime della vita intima, del cinquecento.
Pier Desiderio Pasolini nel suo bel saggio di storia delle
famiglie Rasponi, accennò a un suo dubbio che questa vita,
contrariamente alla lode di « molta esattezza n che le dà il
Ginannì, non sia piuttosto w una novella artefatta e romanze-
sca, alla quale facilmente potevano dar luogo la bellezza, le
sventure, 1' ingegno e la virtù di Felice, n ' Veramente la sua
forma e certe sue parti danno a questo libro un po' l'aria di
romanzo. Esso figura un dialogo tra due suore, suor Aurelia e
suor Serafina (secondo il Ricci, suor Serafina Majola; e quésta
sarebbe anche l'autore): la seconda è quella che veramente
narra la vita della Rasponi; l'altra di quando, in quando, se-
condo gli aspetti e le pause che piglia la narrazione, entra alla
sua volta a raccontare fatti o esempi analoghi, i quali potrebbe
ben anche darsi il caso che non fossero che altrettante no-
velle. Ma pure la parte che spetta a Felice e alle cose rave-
gnane è storia, e ne accerta il diligente editore che, avendo
ricercato nei documenti d'archivio ed in genere dove credeva
di poter trovare, la riprova di più cose narrate in questa Vita,
i documenti hanno sempre risposto confermando la narrazione.
Ma forse la esattezza minuta dei particolari, e nemmeno forse
la rigorosa cronologia de' fatti, non sono le due cose che diano
il pregio maggiore a questo libro; lasciando anche stare la
continua, evidente intenzione d'elogio troppo palese nello scrit-
tore a riguardo del suo personaggio. Quello che per me rende
prezioso questo libro sono certi tratti stupendamente figurativi
di quell'età, certi particolari di costume e di sentimento con
inconscia vivezza ritratti in certi periodi, in certe linee ani-
mate e balde che staccano dalla pesantezza d'una prosa d'ordi-
nario composta, ma pure qua e là calda e scalpitante di secen-
tismo prepostero. I cicalecci, i battibecchi del convento, le
ridicolaggini e le magagne di suor tale e di suor tal' alti-a,
oh come queste cose le son dette che non si potrebbe meglio!
^ Memorie storiche della famiglia Basponi, 177.
UNA MONACA DEL CINQUECENTO. 239
Come quella vita dei conventi italiani nei due primi terzi del
cinquecento ci si palesa schietta e vivace, colle sue risse, colle
sue libertà, colle sue facili e lunghe conversazioni alla grata
di chiesa, co' suoi amori, colle sue molteplici e multiformi rela-
zioni col di fuori, co' suoi scambi non troppo furtivi di doni,
di lettere e di madrigali!
Dalle finestre basse di strada escono i suoni dell'arpicordo,
cui la suora mesta e fantasiosa accompagna colla dolce voce
argentina; ed il solitario passeggiatore nella notte si ferma e
ascolta e si gode e vaga colla fantasia innamorata. Un lume
brilla ancora lassù a una finestra alta; è una suora che veglia
scrivendo un trattato tra l'ascetico e il platonico trafilato in una
larga forma di periodo che vorrebbe essere boccaccesco. Il Can-
zoniere del Petrarca e V Orlando Furioso sono sul tavolino da la-
voro. Ma dall'altra parte delle mura in vista austere, a un uscio
che dà su un vicoletto remoto e scuro, un'altra suora origlia e
par che aspetti. Un passo cauto e leggero rasenta il muro, l'uscio
cigola lievemente, poi tutto torna in silenzio. E domani il con-
vento si risveglierà chiaMoso e riprenderà il suo traino quoti-
diano. Verranno dalle case delle suore più ricche, provvisioni
e ambasciate, verranno monaci e preti, verrà il medico, verrà
il maestro di musica. Forse una brigata di gentiluomini mona-
chini, giunti in città e facendo il giro di tutti i conventi, verrà
con qualche conoscente per ammirare al parlatorio lo suore più
belle, e partiti, invieranno ne' dì successivi ricchi presenti di
cibarie, o gentili doni di fiori. Qualcuno forse parti innamorato
e a' fiori accompagna i versi che petrarchescamente gli facciano
da turcitnanni. Chi credesse che quotiti siano giochi o ricami
di fantasia, legga la vita di Felice Rasponi, e li disingannerà.
La buona e gentile figliuola di Rampone dorè menare una
vita tutt'aitro che felice in quel convento di S. Andrea, dove
ella entrò a quattordici anni e vi morì di cinquantasei; anche
senza creder noi in tutto e per tutto a quello che scrivo il '^
biografo di lei circa alle suore sue compagne: u delle insolente
parole di quella sciagurata doU'Elisabetta et puochi degni por-
1 UH' riti di quella ignorante della Cassandra et vigliacca della
M i ìmmI'.'i .t fì'lla pazza Kafadla et altre canoglie n desiderose
■' (-'-re e trancorrcnti alle risso, allo liti e (quello
' '' '•*' n'>i oggi sembra stranissimo in suore) alle bestemmio.
ìM» tant'è; anche suor Camilla, che fu badessa dopo suor Fe-
lice, ci i dipinta u pizza, di mala lingua, di prtisinw inmii
I
240 UNA MONACA DEL CINQUECENTO.
ubriaca, golosa, imprudente, leggiera come foglia, inconsiderata,
bestemmiatrice, et piena d'ogni vicio et mancamento, v C'erano
di curiose figure tra quelle suore! la Massimilla,' per esempio.
Piantata da due amorosi, de' quali il secondo era un frate
u figlio d'un fornaro, che don Federigo si nomava n s'inna-
morò d'uno u sgratiatello barbirolo. n E graziosissima la pit-
tura che di questo suo terzo amore fa l'autore della Vita u La
sgarbatazza s'innamorò di lui di maniera tale, che consentiva
che tre o quattro fiate il giorno elio andasse a parlarle, viven-
done pazza talmente che, portando lui una cappa et un saglio
tutto pelato, un par di calze stracciate, una beretta ove non
era pure un maledetto pelo per testimonio, et in conclusione
non havea pan da magnare, la leggerona dato in tutto di piglio
alla pazzia, incominciò a fargli pannicelli, scuffie, facciolletti et
altri simili presenti, et crescendo in lei l'amorose fiamme, gli
fece un paio di calze et lo vesti tutto di nuovo, e per farlo
più civile che potè gli comprò una beretta di velluto, et se
mentre era tutto straccioso non si contentava di vederlo una
fiata al giorno, allora che attillato e ribellito l'havea, non stava
mai in altro tutto il di che hor all'udienza et hor alla porta
a favellare con costui, et sovente da un' bora o due di notte
era a ragionamento seco alla sudetta porta, havendovi fatti certi
buchi, che si convennero serrare con lastrette di ferro n
Di amori monacali questo libro abbonda. Suor Benedetta
(pare fosse la portinaia) s'innamorò di un cavaliere bolognese
che veniva al convento a chiedere nuove di suor Felice amma-
lata, u Veggendolo attilatissimo, profumato, imperocché faceva
la nimpha et assai bello, s'accese di maniera dell'amor suo, che
ne viveva pazza, ne restava dargliene onesti segni, et egli av-
vedutosi di ciò se ne pigliava giuoco, dicendo che la bruttezza
di lei era tale che sol la forca in spalla le mancava per essere
affatto il diavolo, n E u la colei (il nome vero è così cambiato
sovra una abrasione del manoscritto) non s' innamorò ella del
fattore Giovanni da Vaio ch'era bruttissimo, di maniera che
tutte di casa se ne accorsero? E quando fu privo della fatto-
ria, non gli mandava ella presenti continuamente a casa? Et,
che è peggio, non faceva parimenti l'amore con mastro Antonio
muratore? Et prima di costoro, non fu lei più mesi innamorata
* Il Ricci delle suore ricordate in questa Vifa soltanto col nome, ha
rinvenuto i cognomi nelle carte del monastero di S. Andrea, esistenti nel-
l'archivio comunale di Ravenna.
DNA MONACA DEL CINQUECENTO. 241
di Girolamo castaido? E quando egli era, infermo gli mandava
bracciatelli et altre cose e fin il cocchiaro d'argento acciò con
esso mangiasse, e gli donava molti presenti. E suor Bona non
era ella impaccita di Ludovico Diedi, e pure è bruttissimo? Et
avendolo bisognato lasciare per timore di non perdere il gran
tributo di messer Cesare, non si è lei così smagrita che ben se
gli pare il dolore che n'ha sentito? Et che diremo dì quella
cagna della Vittoria?... Innamoratasi di Gioachino .... non po-
tendo ottenere il contento suo che egli la volesse amare, né po-
tendolo a voglia sua seguire, si dispose uscire dal convento, non
mirando d'esservi entrata di proprio volere contro la volontà del
marito, et d'haver più fiate fatto da' superiori ricercar il marito
per la dispensa per volersi monacare . . , . v
Del resto andrebbe errato chi credesse che la monaca che
scrisse queste cose fosse severa nell'articolo dell'amore, u non
essendo (ella osserva) comò ben sapete mai sempre in poter
nostro lo dififendersi dalle forze di Cupido... n Già:
Omnia vinci t smor et no* cedamna aoiorì.
E alla fin fine, perchè non l'avrebbe a riconoscere anche
una monaca?
m.
u Questa monaca... con molta esattezza tutto descrive n dice
Pietro Paolo Ginanni abate cassineso '. Ed io torno molto volon-
tìeri a dire che, in genere, egli ed il Rìcci credo ch'abbian ra-
gione. Mantengo nonpertanto le mie poche risi'rve. Recherò un
esempio togliendolo da certe rime del Caro che l'autore della
Vita afferma scritte p^r suor Felice.
Annibal Caro stette circa sette mesi col Guidiccìoni io Ro>
magna. Quel pazserellino di monsignor De' Caddi l'aveva pre-
stjito all'amico Presidente sol finire dtl 1539, ma alla metà di
marzo del l.')40 lo rivoleva. Il Caro lo pregava calorosamente
di concedergli di restare, u Supplico — scriveva ~ di fare al
signor Presidente qoesto comodo, e a me questo bene; n egli
si protestava che contentandolo, gli avrebbe fatto u beneficio
in più modi, n Tornato a Roma nel maggio, per vedere pur
d'aggiustarsi col Caddi che sempre e più strepitava, ebbe un
' iitmorie èt^rieo-criticke degU »mmH BmmmaU I, 87.
▼•U IL. ««rta II . U LmU* 1M>. lì
242 UNA MONACA DEL CINQUECENTO.
momento speranza di .ritornare per un anno ; onde avvertiva il
Guidiccioni : « Provvisto che sarò di cavalcature e fatte le visite,
me ne verrò subito a lei. n Ma poi come si fu allo stringere,
non credè di poter tornare, e non tornò; di che visse per
qualche tempo di molto mala voglia. Ai 20 di novembre di
quell'anno, scriveva a Mattio Franzesi: u La stanzia di Ro-
magna fini perchè le allegrezze del mondo durano poco. Tro-
vomi nella Marca al piacer vostro ed a mio dispetto, n
Non era, mi cred' io la bella vita che si menasse in Romagna
quello che al Caro faceva rimpiangere il soggiorno in un paese
dove, come egli stesso contava, la gente dava mano ad ammar-
zarsi subito che il Presidente volgeva le spalle. Il piacere di
convivere col dotto, buono ed amabile vescovo di Fossombruno
c'entrava certo per qualche cosa; e anche e forse più il desi-
derio d'avanzarsi sotto la protezione di quel prelato allora molto
ben visto e potente in corte, e la speranza che quello lo u do-
vesse arricchire, n Ma c'era probabilmente anche altra cosa,
pensa il Pasolini. Il Caro aveva conosciuta suor Felice in età
allora di diciott' anni e u certo non ultima fra le cause che
resero gradito al poeta il soggiorno di Ravenna dovette essere
la conoscenza di quella ragguardevole donna n *.
S' è sempre detto, ed è cosa molto verosimile, che il Caro
scrivesse versi per la Rasponi. Ora il Ricci con molte buone
ragioni dimostra che tali versi non poterono essere né due
dei tre sonetti che credè il Ferretti, né i tre che credè il Pa-
solini. *
Ma il guaio è che forse anche i tre, cui il Rìcci, fondato
sull'autorità dell'anonimo biografo, crede scritti dal Caro per
Felice, non sono forse scritti per lei neanche quelli, e furono
probabilmente composti essi pure per la Marchesa di Pescara,
tre anni almeno prima che il segretario del Guidiccioni cono-
scesse la bella monaca ravennate.
Scriveva il Caro al Varchi nell'agosto del 1536:
« Li vostri sonetti mi sono piaciuti, ma non mi paiono dei
più belli che voi abbiate fatti. Saremo con Carlo da Fano che
e tutto rostro e molto intrinseco della Marchesa e anche di
M. Giovanni della Casa; e parendogli di darli, li daremo.
Mattio mi dice avervi mandato tutti e tre li miei sonetti alla
Op. cit.., 176, 177.
Vita ecc. Note e documenti, 202.
USA MONACA DEL CINQUECENTO. 243
detta Marchesa che gli ho fatti ad imitazione delli tre fratelli
del Petrarca; voi non accusate se non uno e la risposta del-
l'Ombroso, qual è un sanese dell'Accademia degli Intronati,
segretario di Santa fiore che mi rispose invece della signora e
non me ne fece troppo piacere, perchè la signora aveva pro-
messo di rispondere ella. Avvisate quel che vi pare dì tutti
insieme e di ciascheduno da sé, che si disputa qual sia o meglio
o manco tristo di essi, n '
Anton Federigo Seghezzi vide nei sonetti qui accennati dal
Caro i tre riferiti nella Vita^ che sono appunto fatti ad imita-
zione dei tre fratelli del Petrarca, ossia de' tre notissimi sonetti
del Petrarca tes&uti colle stesse desinenze. E vero che del Caro
vi sono altri tre sonetti fatti collo stesso artifizio (anche quelli
dedicati alla Colonna); ma insomma i tre sonetti sui quali si
disputava dai contemporanei che li ebbero per bellissimi, che
l'Atanagi chiamò addirittura miracolosi, che Ludovico Antonio
Muratori esaltò, ultimo ammiratore, nella Perfetta poesia sono
proprio questi della Vita, molto artifiziosi, ai quali a me par
certo che accenni Annibale nella sua lettera al Varchi. L'er-
rore del biografo di Felice (so errore v'ò, come a me sembra)
nacque con molta probabilità da questo, che ei sapeva di tre
sonetti scritti dal Caro per la Rasponi (si sarà parlato di tre so-
netti belli, molto belli, bellissimi); non trovandoli fra le carte di
Felice, pescò, chi sa con che criteri ? nelle rime del Caro e trasse
fuori questi. O forse il criterio suo fu l'aversi fitto in mente che
i sonetti per suor Felice dovevano essere dei più belli della
raccolta, onde scelse questi tre che veramente, come abbiamo
detto sopra, furono tenuti bellissimi dai contemporanei e l'Ata-
nagi li chiamava addirittura miracolosi.
Forse i sonetti dal Caro indiriasatì a suor Felice sono i tre
che cominciano:
Fra U piò bella maao e il pi& bel Tolto.
Contro il vostro eortMe e gentil «so.
Press mmcn in fiur voi quanto mai foro.
In due di qaesti (il primo e il terzo) le allusioni allo Htato
monacalo della donna non mi sembrano neanche troppo difficili
a cogliere; per esempio il velo, lo spéeo, il bianeo pitto e il
nero manto (proprio l'abito dello benedettine). Nel primo sonetto,
' Caso, UtUrf ~ Bologna, Masi, 1819. Voi. V, 103, JOi.
244 DNA MONACA DEL CINQUECENTO.
che mi p'ace trascrivere infero è anche notabile l'artifizio, fnk~
molto usato presso certi antichi, di far uscire da una fra^e o
da una paiola qualsiasi il nome della signora.
Udite:
Fra la più bella mano e il più bel volto
De la più bolla <l«>iina Amore atteso
Al' ha quasi al varco ov'un bel velo é teso
Con b»'ll'>tite da !• i sparso e raccolto.
Ivi fu (m< ntre io mro e mentre ascolto
Un siumo, un lume, non mai vi io o 'nteso)
Disavedutamente il mio cor preso
Fra '1 bianco petto e 'I nero manto involto.
Ivi d'un nuovo boI nuova Fenice
In si gelato nido ardendo sempre
Di luce e di candor m'inebria e pasce.
, E sì come ne tragge m varie tempre
Ardore e pielo or misera or fp lite.
In mille guise il di more e rinasce.
Anche l'autore della Vita ricorda tra le lodi date alla bel-
lezza di Felice quelle sj ecìalraente degli occhi e delle mani
u più begli occti dei di lei veder non si potevano, ne la più
bell'aria, ne le più bellissime mani, n
E forse tra le rime di Caro ce n'è qualchedun' altra ispi-
rata da suor Felice: quando i poeti si mettono a cantare una
donna, non sogl'ono smettere cosi presto. Se non clie, è proprio
cerio che il Caro uia stato, come scrive il Ricci, innamoratis-
sinio della Ras^p mi ? Isiuna prova p; rnii, a dir vero, che resti
di un amore e >sì grande. Il biografo di suor Felice tra i non
pochi amori ispirati da quella, non ne narra alcuno le cui cir-
costanze ci faccian vedere che 11 si tratta del Caro, anzi la
descrizione a^sai parliool.'r' ggiata di ciascuno di quegli amori
mi sembra cscluflere esso Caro addirittura, sempre. Ne bisogna
tralasci- r di considerare che 1' ufficio stesso di segretario di
monsignor Guidiccioni, fieramente severo ai Rasponi, avrebbe
concesso a mcsser Ann baie una troppo spessa frequenza presso
una persona di quelli famiglia, fosse pure una s'gnora e una
monaca. E il Caro era tropp) fino, tropoo diplomatico, troppo
SRfjietario, per non dover oltrepiss^ir certe convenienze, por non
risicare, arche per un paio d'occhi bellissimi, di perdere il fa-
vore del padrone. E il tutto con molta prolabilità .i ridusse a
un poetico omaggio e presso nella forma tradizi male erotica,
corrisponvlcntc (questo non vo' certo negare) al sentimento di
ae
UNA MONACA DEL CINQUECENTO. 245
affettuosa ammirizione cui ispiravano il valore, la bellezza e la
grazia di suor Felice.
Amore di ben altra guisa, di ben altra forza ci mostrano
queste pagine dell'anonima scrittrice aver ispirato, 3 non a uno
solo, la Leila suora di S. Andrea.
Non avendo ella più di quattordici anni, s'accese di lei fie-
ramente il conte Giovan Francesco Roverella, bello e valoroso
giovane. Impetuoso di natura, come si inn\m')rò di repente,
così si mostra nell'amarla furibon lo. La segue, la perseguita,
l'assedia, vuole essere amato ad o^\ costo. Parte da Rivonnx,
va a N'p»Ii, torna, s'ammala, muore; e muore,' mandindole a
dire che muore per lei. Passiam olire a un'aff.'zione non ben dimo-
strata e forse non ben determinata di don Giulio Pignatti, arci-
diacono; sebbene non mancò chi ten asse ogni vi i per porlo in
grazia a Felice. Tien dietro un gentiluomo romano di gran
famigliai, di grandi aderenze e parentele cardinalizie il quale
vuole aposarla e dotarla di seimila scudi, e non vuol dote dai
fratelli. Anch'egli parte, va a Roma, torna, si reca in Francia,
sempre piiì che mai innamorato, sempre chiedente merco, chie-
dente almeno qualche piccolo ricordo (non ebbe che ano spil-
tto): all'ultimo giurando u di non voler mai più legarsi con
tra donna n per disperato si fa prete. Il terzo è un gentiluomo
logiieie gentilissimo, elegantissimo, tutto dato all'amorosa vita.
Conoscente di suor Vittoria, come giunge a vcdnr Felice, se ne
confessa vinto e preso, e la corteggia e la canti con riaie ne!Ie
quali la Vittoria serve da ichermo alla donna più caramente
desiderata. Pare che fini «so coli' innamorarsene da maledetto
senno. Egli era ammobiliato: le fece sipere u cho quando si
vuoleise risolvere di d irgli la fede di prendorlo per marito,
atto«icarebbe segretamente la moglie e ne pigliarebbe lei. n
Viste sdegnate e sprezzate queste suo prete 4t*v si levò di Ha*
venni, e, sendo gran servitore de! duca di Forense andò alla
guerra di Siena, n
Persino un presidente (il Ricci op'na foss') il piria) restò
preso alla bellessi di Felice e, u travestito da secolare n la
andò a visitare pii^ Tolto, in certe ore bruciate, richiedendola
'l'amore, ma sens'alcun frutto. Le inviò anche ricchi prosenti
che tutti furongli rimanditi indietro.
Kra medico del convento Giovanni Arrigoni uomo in quei
tempi di gran riputazione, grecista, latinista, filosofi, oratore;
ii'li t "v-dicina poi tenuto d^i primi. K piasicava anche di poeta,
246 UNA MONACA DEL CINQUECENTO.
come del resto er» nella bella creanza d'ogni gentiluomo in
allora. C'era del tenero tra l'Arrigoni e un'altra suora di
S. Andrea, suor Cassandra, ma avendo egli avuto occasione
(l'intrattenersi con donna Felice, affine di curarla e consolarla
per la morte del fratello di lei il capitano Lodovico (essa dalla
passione s'era ammalata) se ne invaghi fortemente. Il nostro filo-
sofo aveva de' propri meriti un concetto tutt'altro che mode-
stissimo, ed era uomo di non mezzano ardire o poca intrapren-
denza in amore. Pensò adunque di provare sua ventura, come
allora dicevanp. Cominciò col dichiararsi con u parole velate n
e coll'andar lodando la signora con tutti e dappertutto, lodan-
done il senno, le virtù, la grazia, le maniere, le gentili creanze,
la compita beltà. Capitata l'occasione si scoperse .. Ma è meglio
far parlare l'autore della Vita: è una delle più graziose pagine
del libro, u ... Essendo lei indisposta, il buon medico le pre-
sentava tutte le gentilezze, e parendoli di non più ragionare
in metafora, dopo averle sentito il polso, una mattina le prese
la mano e con un sospiro glie la strinse e, veggendo come
tutte s'erano partite fuor che la Vittoria, incomintiò con buon
modo a dirle ch'era innamorato del suo bellissimo intelletto,
del suo favellare et delle virtù et bellezze di lei, e che, se ben
conoscendosi amato dalla Cassandra, egli fingeva (per meglia
celare il suo desio) d'amarne lei, non era però vero egli po-
tessi mai amar donna brutta et inetta 5 et ivi le diede gran-
dissimi biasimi. La padrona mia arrossita in viso, con voce
tremante gli rispose che si teneva fortunatissima d'esser da
così raro et perfetto in ogni virtù gentiluomo amata, e da lui
oltre ogni di lei merito lodata, poscia ogni picciol lode d'un
saggio come lui le rendeva grandissima riputazione, e la face-
vano parer copiosa et abbondante di quelle gratie e doni di
che i cieli et natura le erano stati avari, et che ella aveva
mai sempre amato lui come maggiore, pel gran valore et infi-
nito suo merito, et che sempre l' havrebbe in quella veneratione
che la virtù di lui e cortesia meritavano. Cosi egli si partì et
incomintiò a fare grandissime carezze alla Vittoria, e a dirle:
La padrona essendo di tanta rarità, non? dover degnarsi di
lasciarsi veder da persona veruna, et che fuor di lui non era
chi fusse degno dell'amor di lei... Non vi dico poi come il
pazzo Arrigoni, quando favellava con lei (con suor Felice) si
lodava di perfetione sopra tutti i saggi del mondo in ogni
scientia et virtù e di bellezza di corpo sotto panni, mi do a
I
p
UNA MONACA DEL CINQUECENTO. 247
credere per accenderla nel di lui amore, ma egli cantava ai
sordi 7ì.
L'Arrigoni che era una pessima lingua, se ne vendicò cer-
cando d'offenderla in più modi colle sue ciarle. Povera filo-
sofia!...
I vagheggiatori e innamorati di suor Felice de' quali si fa
cenno nella Vita son molti, ma più sono, al dir dell'autore,
quelli che son taciuti, u Fora troppo lungo, se di tutti il nome
dir si volesse; bastivi sapere che desiavano farle servitù, ma
pestavano, come si suol dire, l'acqua nel mortaio. r>
IV.
Ma se Felice era rimasta fin qui inconcussa a tanti amorosi
assalti, se, oramai, non più giovane pensava con mesta com-
piacenza, che pentier gelati le avessero fatto intorno al cuore
un adamantino $maltOf all'effetto dovè accorgersi ch'ella s'in-
gannava. Amore ch'ella aveva vinto nella primavera si vendicò
di lei nell'autunno, e, come accade, si vendicò a misura di
carboni. Anch'essa amò; amò tardi, dia amò; breve e sfortu-
nato amore, ma
Boa Tentoni ha cimacun dal di che nsse«.
Circa air uomo da donna Felice amato, il biografo di lei è
ancor più oscuro e misterioso del solito: di lui, contrariamente
a quello che la scrittrice pratica per gli altri innamorati non
riferisce alcuna rima, scosandosi col dire che Felice serbava
quelle rime come cosa sacra e non voleva che fosser né viste
nò toccate. Dice solamente che si trattava d'un u nobilissimo,
valorosissimo e meritevolissimo gentiluomo, n e ch'egli avendo
avuto alle mani per impensato e strano caso certo lettere di
Felice, Ktapito d'un tal scrivere in donna, e giudicandola di
divino intelletto, se ne innamorò fieramente. Cominciò a man-
darle lettere e versi, e Felice che tante lettore, tanto rime
amorose, tante passionate dichiarazioni non avevano smossa
dp.Ua sua calma. Felice che aveva u vilipeso l'amore di tanti
gentiluomini n stavolta u contro ogni suo solito et volontà, si
compiacque di maniera delle cortese e dotte carte di lui, che
non se ne avcdcndo, di puoco in puoco se gli affetionò di maniera
che in capo ad otto mesi ella si conobbe aver per maggior
248 UNA MONACA DEL CINQUEBENTO.
sua voglia perduto affatto ogni di lei libertà, ne per scuotere
che si facesse puotè fir di non amare... n II fatto curioso, ma
non nuovo né strano è che per otto mesi il reciproco amore
si mantenne e crebbe, senza che gli amanti si fossero mai visti.
Non fu che dopo un bel spazio di tempo, e poi altre due volte
in trentadue mesi ch'essi alla ferriata poterono cogli occhi taci-
tamente pJesar l'uno all'altro il loro u ardentissimo amore n.
Per tre anni il gentiluomo fu amante vero e perfetto. Ella l'a-
dorava: quanto a sé, la si sentiva meno triste e u con più quiete
tollerava la sua violenta prigionia n. Ma l'amore nel gentiluomo
dopo quei tre anni cessò. Perchè? La narratrice ne incolpa
non altro che la solita incostanza degli uomini, e noi, se anche
non ci avessimo a contentare di una cagione così generica, non
ne abbiamo purtroppo altre, almeno accertate, da portare innanzi.
Forse mentre l'amore nella gentile benedettina divampò, dopo si
lunga comprossi'one, diU' intimo cuore, forse l'amore dell'ignoto
cavaliere non fu altro che una pissione di testa. E fors'anco
egli amò Felice un po' troppo a credenza, prima d'averla vista
e, vistala, quella bellezza ormai suLa quarantina non rispose
al tanto che ne aveva udito dire e ch'ei s'aspettava : ma gli
anni passano purtroppo per tutti ; anche per le belle s'gnore.
La derelitta u fu assalita da così fiero cordoglio che in lagrime,
sospiri e vigilie tutta si consumava, ne ammalò, e come della
persma così dell'animo non guari presto; dell'animo forse non
guarì compitamente mai più:
Ulcas vivescit et inveterascit alando.
L'amore, narra l'amica sua, u ha fatto nel di lei petto si
salde radici che non si può svellere, et prima finirà la vita
fuor che cessi d'amare quell'incostante... Ben vi dico ch'ella
ha fatto e fa fare voti e continuamente porge caldissime preci
ai cieli che le diano forza di non più amarlo; ma nulla le
giova v
Povera suor Felice ! Ella non sapeva u se non perfetta-
mente amare, n Vengono spontanei alla memoria i bei versi di
Alfredo De Musset:
Cloitres silencìeux, voùtea des monastéres,
C'est vous, aombres careaux, vous qui savez aimer!
UNA MONACA DEL CINQUECENTO. 249
H Ricci ha dito non pic3->1a prova di senso di. verità e
d'arguzia, dicendo che su -r F lici Risponi non vive altrove
che in questa Vita: in ques o libro tutti p'en;> delli sua bontà,
della sua bellezza, d He sue sventure. Che, qu-mto alla vantata
dottr'na di donna Felice, sebbene l' una delle operette sue in
prosa (Dalla cojnitione di Dio) non si rÌ33ce più a trovarl*,
basta l'altra DelV eccellenza dello ttato monicale per f irci chiari
quali e quante, voglio dire che misera c<'8\ fossero veramente
le sue cognizioni ar sfotelic'ie e p'atoniche. Lettala, vi trovate
aver letto una delle solite pelanterie ascetiche cui nemmeno
rifiorisce grascia alcuna di stile. E un dialogo tra una certa
Madonna Fulvia e un Mei-ter Quinzio sulla qu(>stIone: Quale
dei dud -stati il monacale o il secolare sia il migliore e il più
degno.
E inutile «g;iuni;nrt' ri >1 " !a soluzione che dà messer Quin-
zio del quesito: s'intend- 1" m < ],•■ U palma doveva n-stir h1!o
stato monastico. V'è an pisso, un pisso solo in q esto libretto
I^^che, a chi conosce la vita di H'autrice, riesce, nella sua incol-
se tezza, commovente, u Ditemi — domanda a un certo punto
Fulvia a messer Quinzio — essrnlo le cose violenti^ come dice
Aristotile, non dilettevoli e la violenza contro natura, ed ogni
necessità violenta è per natura contristovole, mi do a crederò
non porrete in così pjrf'tio stato le monache fatte a forza da
parenti loro, essendo che invece di contemplaxione gettano
amare lagrime e cocentissimi sosjiiri che rouovoni a pietà chiun-
que le vede: e cosi come il veli no va dritto al cuore e indi mai
non si parte, finché non abbia consumato tutti gli spi riti i quali
gli vanno dietro, e infrigidand » g'i estremi bva totalmente la vitAi
ogni fiata che qunlche esterior rimedio non gli si vada approaai-
mando; coti il dolore è dentro della mente aenxa mai partirti,
traendo a tè tutte le virtù e spirili, e M dal divino aiuto aoo-
corse non fossero, g'i leverebbe affatto la vita, tanta è la potonsa
e la violensa d'esso, ed è tanto miggiore quanto è più celato
e taciturno n
A che metter Quinsio risponde: s Sopra tal violenza dicovi... n
Ma a noi pico in «erìtà importa quidlo che dica questo signore:
noi sontiaino nelle purolo di Fulvia il grido incontcionto di do*
loro della figlia di Giovanna Fabri, delia infelice giovanttte
260 UNA MONACA DEL CINQUECENTO.
monaca per forza a quattordici anni; a noi basta questo : basta
alla nostra conoscenza e alla nostra pietà.
Il dialogo Dell' eccellenza dello stato monacale fu scritto dopo
che Felice contro ogni sua voglia, almeno al dire del suo bio-
grafo, fu innalzata al grado di badessa, vale a dire certamente
dopo il 1569 : la lettera di dedica alla nipote suor Giulia An-
gelica Rasponi, reca la data del 18 marzo 1572. Felice fu poi
abbadessa una seconda volta (essendo ancora in ufficio mori nel
1579) e tutto e due le volte intese a riformare sul serio il mal
regolare monastero, di che la generalità delle monache glie ne
volle tutt'altro che bene. Ma oramai a mettere in briglia le
suore giungeva di galoppo il Concilio di Trento, facendo chiu-
dere parlatorii, porte, usci e finestre, e spargendo a destra e a
sinistra gran minaccio di scomuniche, di confische e d'altre ga-
stigatoie. Un certo moto di riforma ci fu: si chiusero porte, si ri-
strinsero clausure, si alzarono le grate di chiesa (quelle famose
grate di chiesa !) al punto che le monache potesssero vedere il
Sacramento soltanto all'elevazione. E poi? Poi un po' alla volta,
salve, s'intende, meglio le apparenze, si tornò alla vita e alle
usanze di prima. Quello che in generale fossero ,r conventi nel
secolo scorso, non è necessario che lo diciamo noi qui. Riveniamo
a Felice.
Ch'ella scrivesse altri versi oltre il sonetto che solo ci resta
di lei:
Rossi gentil buono è sperar in Dio,
se la cosa non s'ofi'risse per se stessa probabilissima, ne avremmo
in prova qualche cenno per entro le rime de' suoi anonimi ado-
ratori riferite nella Vita. Pare che come ella era vaghissima di
leggere versi, e però accettava e leggeva quelli che le erano
inviati, così a coloro o a taluno di coloro che glieli inviavano,
non isdegnasse di rispondere, giostrando rimatamente con onestà
e cortesia. Il sonetto al Rossi ci dà indizio di colta e polita
rimatrice, non d'altro. Non ce ne meraviglieremo e tanto manco ne
faremo in qualsiasi maniera rimprovero a Felice. Il cinquecento
italiano formicola di verseggiatrici, delle quali, se togli alquanti
versi della povera Stampa, che rimane, di grazia, che resista
alla lettura ? Per me, non sarei troppo disposto a fare ecce-
zione nemmeno per Vittoria Colonna che mi pare sia stata sem-
pre troppo adulata, e nelle rime della quale quella continua
tensione di filosofismo e la interminabile sfilata di astrattezze
UNA MONACA DEL CINQUECENTO. 251
morali e astruserie platoniche mi pare che manifestino tutt'altro-
che schiettamente ed efficacemente l'affetto che pur dicono sen-
tisse ardentissimo pel marito e vivo e morto.
Non sono poche nella letteratura italiana le monache rima-
trici. Non ho certo la pretesa di darne qui il catalogo compito,
e mi basterà ricordare suor Umiltà da Faenza, vissuta nel se-
colo XIII, suor Diana degli Imbarcati, da Pistoia, suor Dea
de' Bardi da Firenze, suor Geronima (al secolo Batista Malatesti
da Pesaro), suor Caterina de' Vigri da Ferrara, tutte del se-
colo xv; suor Barbara da Correggio del xvi e quasi esattamente
contemporanea della nostra Felice, quella suor Beatrice del Sera
fiorentina monaca domenicana a Prato, ne' versi della quale (da
quel po' che ne diede il Trucchi) si sente troppo bene come
sotto la bianca tonaca palpita un cuore innamorato. Taccio di
Caterina de' Ricci, perchè non è ben provato se quelle laudi
che taluni vogliono sue, sieno sue propriamente. Ma Caterina
nata l'anno stesso o, al pi&, un anno prìm« di Felice, ha più
di una comunanza seco : anch'clla piena d' ingegno e coltissima,
amica d' artisti e letterati che le dedicarono volumi di versi ;
anch'ella trova un'amica (suor Maddalena Strozzi) che le scrìve
la vita, lei tuttora vivente, sebbene a dir la verità, con ben
altra grazia ed eleganza che non Tamica della Rasponi. La quale
amica e narratrice (quella della Rasponi) se, come il Ricci crede,
ed è assai probabile, fu suor Serafina Majola, eccovi un'altra
monaca rimatrice. Un sonetto suo d retto appunto a suor Felice
ò riferito dal Qinanni nelle rime d'autori ravennati. Non credo
di lei resti altro; che, in genere parlando, le rime d'argomento
non religioso o morale, o le suore stesse cercaTano non si di-
rulgassero troppo o anche, a certi tempi, le distruggerano, ov-
vero le furono distrutte dagli •cnipoli o dalla ipocrisia di quelli
a cai vennero in seguito allo mani.
Oh perchè non ci sono stati consenrati i versi che Felice
love puro aver scritti pel suo u incostante I » Certo, mi cred'io,
i mostrerebbero assai meglio che non i reni di molti suoi ado-
ratori bolognesi, romani, napoletani, imolesi, ferraresi e d'altre
parti d' Italia. Dacché suor Felice, per detto del suo biografo,
« w'u... molto conosciuta da maligni ravennati n destò princi-
palmente ammirazione e amore ne' « forastierì • che la conob-
bero o U videro, o anche solamente l'udirono celebrare o les-
sero scritti suoi. Qran quantità di quelle rimo sono riferito
adespote nella Vita e, fatta «coesione per pochissimo già noto,
222 UNA MONACA DEL CINQUECENTO.
escono oggi per la prima volta in luce. Esse non aggiungono
per fermo gran cosa al patrimonio poetico di una nazione che
ha sempre fatto troppi versi; anzi, se ne togli una certa inver-
niciatura d'estrinseca eleganza, non c'è in esse nulla da cogliere
né da stringere; dico nulla di nuovo, di sentito, di personal-
mente vero e passionato. Quella è sempre gente (intendo i piiì
de' rimatori cinquecentisti) che vive girando sul mercato i fondi
del Banco Francesco Petrarca. Il quale se, per impossibile,
avesse un bel giorno volato fare quello che oggi si chiama
una liquidazione... Misericordia! sarebbe stato un fallimento ge-
nerale. Ma chi non sa oramai queste cose? Così piuttosto serva
l'esempio ai nostri giovani poeti, i quali CGl'a bocca piena di
originalità (i cinquecentisti, bisogna loro rendere questa giustizia,
d'originalità non parlavano, anzi non ci pensavano neppure), ri-
fanno, e assai meno bene, con altri autori lo stesso giuoco che
quelli là facevano col Petrarca. Nil sub sole novum; e purtroppo
nemmeno la citazione è una novità!
VI.
Gli ultimi anni di Felice furono ancora più infelici del resto :
sembra un bisticcio, e non è altro che la verità espressa nel più
semplice modo. Costretta a forza a veder passare la sua gioventù
tra le mura di un convento, in mezzo a compagne invidiose e
nemiche, ella aveva nonpertanto ne' primi anni addolcito la sua
cattività colla musica, coi versi e nell'elegante conversazione di
d >tti e gentili visitatori. Ora fattasi oramai alla vita claustrale,
vinte (forse) le tardive illusioni d' amore, rassegnata forse in
tutto al suo destino, altre potenti cagioni di sofferenza le so-
pravvennero. La salute le si era da qualche tempo guasta, il
ripetersi e succedersi di svariati dispiaceri, l'avevano resa sog-
getta ad una sincope della quale non guari più: la sua stirpe
sempre a lei funesta le portò gli ultimi dolori. Dopo una specie
di sosta la rabbia bestiale dei Rasponi scoppiò di nuovo nel 1576.
La Romagna e l'Italia inorridirono nell'udire l'eccidio della fa-
miglia dei Diedi, immane e lagrimosa carneficina condotta in
persona da Girolamo Rasponi che nella notturna strage non
volle risparmiata nemmeno la nipote Susanna moglie a Bernar-
dino Diedi : l' infelice fu sgozzata nel letto, mentre aveva le
doglie del parto. La vendetta della legge e l'odio popolare si
DNA MONACA DEL CINQUECENTO.
253
levarono tremendi contro tutti i Rasponì. Felice mori di lì a
tre anni. Nessuno dei molti che avevano celebrato in rima la
sua bellezza, che avevano innamoratamente cantato le sue belle
mani e i suoi occhi bellissimi, scrisse un verso per la mort»
di lei. Meglio cosi! Nessuno di coloro avrebbe provato ed
espresso il sentimento vero che ispirano la vita e la morte
della povera suora^ nelle cui vene scorreva il sangue dei
Rasponi :
Te de la rea progenie
De gli oppressor discesa
Cai fu prodezza il namero,
Cui fa ragion l'offésa,
£ dritto il sangue, e gloria
Il non aver pietA ;
Te collocò la provvida
STentara in tra gli oppre^i.
Muori compianta e placida
8ceudi a dormir con omì
Adolfo Borooononi.
LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI E SULLA VITA DELL'UOMO
E IL NUOVO CODICE DI COMMERCIO ITALIANO
§ I. Le riforme e le proteste delle assicurazioni, — § II. Le questioni at-
tuali sulle assicurazioni. — § III. Lo stato economico delle assicura-
zioni sulla vita in Italia. — § IV. Cenno statistico sulle assicura •
zioni. — § V. Gli attuarii. — § VI. Le assicurazioni e la legislazione
estera. — § VII. La legislazione e le assicurazioni nel Regno d' Italia. —
§ VIII. Il Codice di commercio commentato nella parte attinente alle
assicurazioni ed il Regolamento (27 Dicembre 1882). — § IX. Con-
clusione e nota statistica particolareggiata.
§ I. Ragione del lavoro. — In un momento, in cui si sta
agitando una questione importante e vitale sulle Assicurazioni,
quando si teme che il nuovo Codice di commercio del Regno
d' Italia e il regolamento per la sua esecuzione, possano com-
promettere l'avvenire e la solidità delle Società nazionali, più
ancora che delle estere, non ci parve fuor di luogo, né senza
interesse, esporre al pubblico nel modo il più chiaro e il più
completo che ci fosse possibile, lo stato e lo svolgimento di
parecchie fra queste istituzioni in Italia, e di accennare anche
alle difficoltà che le nuove legislazioni presentano.
L'agitazione attuale interessa non solo il ceto numeroso e
ragguardevole degli assicuratori, ma degli assicurati, che sono
un pubblico infinitamente più numeroso di persone laboriose e
rpevidenti, i cui interessi il Governo vuole o deve voler tutelare.
LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI E SULLA VITA DELL'UOMO. 255
§ n. Le questioni attuali sulle Assicurazioni. — Perchè in
Italia non attecchirono, come all'estero, le Assicurazioni sulla
vita? Perchè fino ad ora se ne occuparono cosi poco il legis-
latore e lo scienziato? Quali sono le spiegazioni che a tale ri-
guardo possiamo dare?
Il 1 gennaio 1883 andò in vigore un nuovo Codice di com-
mercio, col quale, per la prima volta, si disciplinarono le Società
di Assicurazioni in Italia.
Quali ne saranno le probabili conseguenze? Il nuovo Codice si
avvicina, per avventura, alla vecchia legislazione, che, a tale pro-
posito, era, per lo passato, in vigore nell'ex regno Lombardo Ve-
neto? Quale è la condizione della Società d'Assicurazione in Italia
coll'attuale Codice di commercio? Vi sono ancora miglioramenti
da chiedere oltre di quelli espressi nel Regolamento? o misure
transitorie da adottare?
Ecco le varie questioni che vorremmo analizzare trattando
specialmente delle assicurazioni sulla vita.
Il nuovo Codice di commercio all'articolo 145 dice: che le
Società d'assicurazioni sulla vita e quelle amministratrici di
tontine, devono impiegare in titoli del debito pubblico dello
Stato un quartOf se sono nazionali, e la metà, se sono estere,
delle Bomme pagate per le assicurazioni e dei frutti ottenuti (jai
titoli medesimi. Il codice non volle però stabilire o determinare
i modi ed i termini di questo impiego e dei graduali tvincola-
menti, ma dichiarò che sarebbero stabiliti con regio decreto.
Il legislatore ha adoperato le parole Bomme pagate ed ha
sbagliato : doveva dire: premi rÌBC0BBÌ. Ciò è evidente, e non
di meno sarà utile che si spieghi, chiaramente, cuesto errore
di forma. Ma per quello che si riferisce a\V investimento in titoli
del debito pubblico il Codice non ammette incertesse: non po-
trebbe esprimersi con maggior chiaressa. Noi vorremo che tutti
si persuadessero che soltanto il potere legislativo potrebbe cam-
biare questa disposizione di legge. Alludiamo a quelli fra gli
stranieri che esercitando tra noi l'ufficio di assicuratori, si cul-
lano nella beata illusione che un decreto reale o una circolare
ministerialo valgano a contradire il nuovo Codice. Non viviamo
in uno Stato, nel quale ciò si farebbe impunemente. Conve-
niamo anche noi, che il Codice obbliga ad un determinato ini
piego di capitali, che è contro i buoni principii economici «mI
amminiHtrativi, perchè oltre i titoli del debito pubblico, ve no
sono altri meno alcatorii. e che meritano altrettanta fiducia da
256 LE ASSICURAZIONI CONTRO 1 DANNI
parte dei privati. Ma dura lex sed lex. Un Regolamento non
arrecherà nessun rimed'o a ciò. Invece possono essere cliiarite
da un nuovo Regolamento vare dubbiezze e alcune questioni.
Per es. : se una Società, la quale ha riscosso una data somma
di premii ed ha investito un quarto o più della somma riscossa
per dotazioni in rendita sii in regola col Codice (come noi
crediamo); oppure se si d bbrno considerare le dotazioni a
parte e non nel bilancio. Citiamo l'esempio clie sì riferisce ad
una R. Compagnia Italiana! Ciò ha sollevato non poche la-
gnanze, ed altro se ne aggiunsero anche per le disposizioni del
Regolamento, per le quali il legislatore non predispose nulla e
dovette accordare proroghe, emettere circolari^ che contraddi-
cevano alle proroghe concesse.
All'uopo di studiare la questione vi furono riunioni, nel
giugno di questo anno, prchiodute dal Ministro di agricoltura,
industria e commercio D. Berti e Jille quali intervennero gli
on. Simonclii, Maurogora^o, Se*8:nit-Doda, cons. Gia'0;nelli e
Mirone e il segretario cav. Padoa. Fu detto ' che il Governo
avrebbe invitate le dette Società ad eseguire il deposito delle
somme riscosse a tutto miggio 188-^, sino a che il Governo
potesse chiarire i dubbi s diovati specialmente dall' articolo 55
al -60 del Regolamento; cioè là dove è maggiore l'ingiustizia e
diremo pure la illegalità. Invero si poteva dire a chi compilò:,
il Regolamento : Surtout pas irop de zììle.
Infatti il Codice all'articolo 145 obbliga le Società a deter*
minati impieghi in titoli del debito pubblico dello Stato: il re-
golamento aggiunge in debito pubblico consolidato (!?) e ha
r ingenuità di citare l'articolo del Colico che gli dà torto.
Mentre il regolamento dovrà essere corretto, il Governo
stesso non adempie alle prescrizioni dell'articolo 58.
Perciò non fa gli accertamnti che gli sono imposti. Se li
facesse si accorgerebbe che sono scaduti ^ià due trimcs ri e che
società e ass )CÌaz!oni nan — se lo non obbedirono all' art. 145
del Codice, ma non lo hanno taciuto e meno anj^ora obbe lirono
all'art. 55 del Regolamento. Il Governo può punire fino a lire
50oO, salvo le maggioi pene comminate n^l Codice penale gli
inadempienti agli obblighi che abbiam) sopri enunciati.
Finora il Governo non se ne diede pensiero, ra i tanto per
le Società nazionali come per le estere è necessario che prenda
^ Cfir. r ottimo periodico La finanza di M^Iauo, 16 giagno 1883.
E SULLA VITA DELL'uOMO. 257
un partito e in luogo di assistere indifferente alla inosservanza
delle leggi, dia opera sollecita (come sembra voglia fare) perchè
avvenga la esecuzione della legge, riformando le disposizioni
arbitrarie del titolo 3' del Regolamento 27 Dicembre 1882.
Il Governo ha inoltre l'obbligo di mettere in relazione le
sue precedenti circolari e i decreti reali col Codice e col rego-
lamento. Se continuano le contraddizioni attuali accadranno
gravi disordini. Se il Governo ha obbligata (prima del nuovo
Codice) una fra le Società di assicurazioni sulla vita, ad impie-
piegare in rendita le dotazioni, perchè non imporrà ora il me-
desimo obbligo a tutte le Società che si propongono lo stesso
scopo? 0 perchè non libererà quell'una dalla suaccennata im-
posizione? Se esclude dal bilancio dell esercizio di una di queste
Società la gerenza delle associazioni per dotazioni, perchè non
fa lo stesso con gli altri bilanci delle istituzioni che hanno
pure esse questa gerenza?
Ora si dibatte la quistione se una compagnia italiana, che
abbia impiegato in rendita i fondi aMoóiaxùmi debba essere
obbligata nulladimeno, (col nuovo Codice) ad impiegare un
quarto dei premi riscossi^ che compariscono nel bilancio, in
rendita dello Stato. H Governo deve tener conto della severa
disposizione dell'articolo 145 del Codice, ma non esagerare
nella esecuzione della legge. Quando una Società (e prendiamo
per esempio la R. Compagnia Italiana in Milano di assicura-
zioni sulla vita) ha più di 5 milioni in rendita per i fondi di
associazioni di dotazioni: ha incassato un milione e mezzo
di premi e nel suo attivo vi è più di un milione investito in
rendita, non si può obbligarla ad invMtimenti maggiori in titoli
del debito pubblico dello Stato, sansa mettere a repentaglio la
sua solidità. Perchè lo Stato vuole rendere solidali a so le Im-
preso private ? Perchè, se la rendita fratta meno di cartello di
credito fondiario, di buoni di ferrovie, di obbligazioni di f- '
vie, di stabili, ecc., pretende che le Società rinuncino . j:.
danno degli azionisti e del pubblico) a questo maggioro inte-
resse ? Il commercio, l' industria, 'non devono essere sacriti
i titoli del debito pubblico non possono divenire un inv' ; -
mento a corso forsoso, specialmente da noi dove questo paroln
non mì vogliono nemmeno udirò a ripetere!
Ecco esposte imparzialmente le controversie, che oggidì si
dibattono, in Italia dopo il nuovo Codice, il quale, avendo mu-
VoL. ZL, SOTto n — 15 L«clU IMS. IT
258 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
tato, radicalmente, la condizione giuridica delle Società com-
merciali, ha influito, anche perciò, sui contratti di assicurazioni
contro i danni e sulla vita, per i quali, come diremo, si è occu-
pato nel titolo XIV del libro 1» dall'articolo 417 al 454.
§ III. — Lo $tato economico attuale delle assicurazioni in
Italia. — Noi abbiamo parlato, fino ad ora, della lotta legale
attenente alle assicurazioni e del Regolamento pel nuovo codice
di commercio italiano.
Ma, ci si potrebbe chiedere, era veramente necessaria per
l'Italia una nuova e particolareggiata legislazione commerciale.
Poteva essa dar prova di avere così grande copia di tali
istituzioni, da richiedere che il nuovo codice se ne occupasse
di proposito ?
A ciò risponderemo con la disamina di alcuni fatti.
1) Analizzeremo i risultati ottenuti dalle ultime Esposizioni.
2) Tenteremo, per i primi, di fare una critica, meno inesatta
di quelle che finora si pubblicarono, delle Assicurazioni.
3) Proveremo se il legislatore segui, di pari passo, la via
tracciata dalla nazione nel suo sviluppo economico.
La statìstica ha messa in bella luce la importanza delle Assi-
curazioni in Italia. Lo studio, che sopra di esse si è potuto
fare, a mezzo delle pubblicazioni, nelle quali la scienza ma-
tematica fu messa a contribuzione come la scienza sociale,
le tavole grafiche colorate, i diagrammi, i prospetti', le carte
geografiche indicanti la distribuzione degl' istituti di assicura-
zioni ecc., diradarono nel pubblico molti pregiudizi, diffusero
utili insegnamenti, anche per la pratica della vita e fornirono
argomento al pensatore di proporre ciò che manca finora nei
trattati scientifici italiani e nella legislazione, su tale argomento.
Ma rimase ancora da sciogliere un quesito. E progredita, in vero,
in Italia, l'abitudine della assicurazione come quella della pre-
videnza, del risparmio, delle mutualità, della cooperazione? 0
forse tale progresso è limitato ad alcuna specie di assicurazioni :
come per esempio all'incendio, alla grandine, ai trasporti, agli
accidenti, e non comprende le operazioni che riguardano 1' as-
sicurazione sulla vita? E ciò dipende dall' ignoranza del pub-
blico o dal cattivo ordinamento delle società? Ecco il quesito
che ci si affacciò alla mente nel soffermarci sopra le Statistiche
surricordate. E ci siamo persuasi che gli errori del codice di
E SULLA VITA DELL ' UOMO. 259
commercio, la poca sorveglianza delle autorità, le circolari mi-
nisteriali incomplete o erronee, insomma la mancanza di una
l)uona legislazione commerciale (come quella dei migliori fra gli
Stati moderni), contribuirono a ritardare lo svolgimento delle
ottime imprese assicuratrici, e per lo contrario ad agevolare quelle
che abusano della buona fede degli italiani.
Alla Esposizione di Milano il gruppo undecime, che risguar-
dava anche le Assicurazioni, nella classe 61 comprendeva le
istituzioni di beneficenza, assistenza, previdenza e cooperazione.
Questa classe si divideva in due sotto-classi, la sotto-classe 1" o la
sotto-classe 2*. La sotto-classe 1' comprendeva : a) Beneficenza.
h) Assistenza pubblica. La sotto-classe 2* abbracciava : a) Previ-
denza, b) Cooperazione.
L'Esposizione di Milano, per ciò che si attiene alle Assicura-
zioni fu studiata forse meglio all' estero che in Italia. Quel-
r ottimo periodico che è il Montteur de» A$8urance9 ' or sono
pochi giorni ne faceva argomento di uno studio speciale (t. XIV,
fascio. 169), intitolato: L'cusurance tur la vie à VExpo$ition
de Milan, ISSI. Esso diceva lodando l'Italia: u Nous avena,
eu en France, deux Expositions univervelles, en 1867 et en 1878;
quelle place l'assurance sur la vie j a-t-elle occapée? Par quels
documenta, par quels tableaux, par quelles brochures, par quel
enseignement s'y est-elle fait reprósenter? Quello attontion los
organisateurs de ces grandes aasises intemationalos et le public
lui-mémc lui ont-ils accordée? A peine pourrait-on citer, en
1867, de faibles indices d'une próoccnpation do cette nature,
pcrdus dans une esposition de librairie. Co n'eat paa ainai qu'on
Ta entendu, en Italie, à l'Expoaition de Milan, en 1881. Un
groupe a été forme, (comprenant lea aasarancoa).... n Dopo ciò il
Moniteur contino* a rivolgere l'attensione dei francoai au quoato
fatto, illustrando le geaU di una delle noatre Compagnie.
Noi invece diremmo di tutto le istituzioni che facevano bella
moatra di aò a Milano, indicandone i numeri del catalogo.
n n. 6596 ai riferiva allo Assicurazioni generali di Venesia
e dopo i quadri grafici, gli atatuti, i programmi, le tabelle di
eaaa, acguivano al n. 6r)97 le eapoaizioni dell' Aaaociasiono delle
Banche popolari italiane, delle Società operaie a cooperativo e
* In qoeato otiiao pariodfeo di eoi é dlrettora gwwta II aigaor Tbo-
■Mrmu, KrtroM t prineipali eeonoabti, stjitictici fraaoeal, e qualli, obe ai
oecapaao apeelahaenta dalle Aaaiearasioni. Sono già pnbblteatl qaattoitliei
volami (1868-1873) degai di molU lode.
260 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
di credito popolare e quindi le pubblicazioni in proposito di pri-
vati, di corpi morali e del Governo. Nei numeri seguenti erano
indicate non tutte le Società di assicurazioni, ma soltanto quelle
che avevano preso parte alla mostra. E di esse soltanto noi ci
occuperemo, incominciando dalle Assicurazioni generali di Vene-
zia.* Essa introdusse fra i rischi accessori quello delle conseguenze
dei danni d'incendio, in quanto si riferiscono alla interruzione
della rendita o dell'uso delle case o alla sospensione della pro-
duttività degli stabilimenti industriali. Ora 1' assicurato è fatto
sicuro di percepire integralmente, l'indennizzo della rendita che,
come conseguenza del sofferto incendio, gli verrebbe realmente
a mancare. Cosi tanto con la polizza vecchia come con quella
nuova la società potè il V gennaio dell'anno 1881 riconoscere
che aveva in vigore per le sole operazioni fatte in Italia, po-
lizze 130,141 rappresentanti una somma di capitali assicurati
della entità di lire 3,212,252,099. 00. Oltre alle operazioni del
ramo incendi e del ramo grandine la Compagnia si dedica a
quelle sulla vita.
Essa si adoperò a vincere grado, grado la ripugnanza del
pubblico contro le assicurazioni sulla vita.
A ciò hanno, anche, molto contribuito la Gresham e la Reale
Compagnia di Milano. Furono utili le riforme introdotte dalle
Assicurazioni Generali nelle condizioni delle polizze, di quelle
sopratutto in cui è elemento principale di contratto il caso di morte
dell'assicurato. Sull'esempio delle Compagnie inglesi si è tolto
dalle polizze le antiche severità, che moltiplicavano i casi di nul-
lità e di decadenza, e si facilitò la adesione dei padri di fami-
glia, specialmente ammettendo nuove combinazioni, mercè le quali
si può ottenere un dujilicato pagamento della somma assicurata.
Nel mese di Settembre 1882 vennero presentate 338 pro-
poste di Assicurazioni sulla Vita per una somma di L. 2,233,654.25
e vennero emesse 277 polizze per una somma di L. 1,752,419.20.
^ Nata nel 1831 la Società di Assicurazioni generali di Venezia, fin dalle
prime fu sulla via tracciata dalla Compagnia di Milano detta di Via del
Lauro, ma avanzò il passo e prudentemente volle poi sempre progredire.
Ebbe le sue rappresentanze a Napoli ed in Sicilia nel 1833, in Lombardia
nel 1834, nel Trentino nel 1835, in Toscana nell 856, nell' Emilia nel 183 7,
in Piemonte nel 1843, e si sostituì in altre provincie alla Privilegiata società
pontificia nel 1863.
La polizza progredì e migliorò essa pure col tempo, e migliorò le condi-
zioni dell'assicurato, dacché si iniziarono le operazioni in Piemonte, e ancor
più nel 1860, nel 1863 e nel 1866 allorquando si adottò il testo cbe vige ora.
E SULLA VITA DELL'UOMO. 261
Dal 1 Gennaio dell' anno 1882 il numero delle proposte
presentate ascese a 3448 per una somma di L. 24,049,804.40
e la somma delle nuove assicurazioni assunte [ammontò a lire
21,291,801.87 ripartite fra 2972 polizze, mentre i sinistri annun-
<;iati nello stesso periodo raggiunsero l'importo di L. 2,239,159,42.
Al 31 Dicembre 1881 lo stato del ramo Vita era il seguente.
Somma assicurata: L. 164,019,136.57 di capitali e L. 528,067.50
di rendite vitalizie sopra 37,649 polizze. — I danni pagati nel
1881 salirono a L. 2,490,104.12. E i danni pagati in tutti i rami
di assicurazione, dall'epoca della fondazione della Compagnia a
tutto il 1881 ammontano, come risulta dall'ultimo bilancio pub-
blicato, a L. 377,469,857.17.
Ecco al 31 dicembre 1881 le somme assicurate pel Ramo
Vita in Italia.
8orama assicurata in vigore al 31 Dio. 1881 L. 16,716,606.20
Rendite vitalizie n r» n 163,482,64
Premi annui n n n 631,909,01
Polizze relative suddivise in N. 214^, tutte assunte nel Regno
d' Italia.
Questi dati risguardano laiìiNita della Compagnia (Ramo
Vita) soltanto, come dicemmo, presso di noi.
Volendo dare notizie più recenti (per confrontarle con quello
sopraindicate) potranno riferirsi ai dati del maggio 1883.
Nel mese di Maggio 1883 vennero presentate 462 proposto
di Assicurazioni sulla VitA per una somma di L. 3,644,332,15
vennero emesse 384 polizze per una somma di L. 8,128,425,90,
Dal 1 Gennaio dell'anno corrente il numero delle proposto
presentate ascese a 2123 p«r una somma di L. 17,274,071,25
e la delle nvore assicurazioni assunte ammontò a
T<. 14,' ..,..■) ripartite fra 1770 polizze, mentre i vinistri an-
inciati nello steno periodo raggiunsero l'importo di Liro
1.284,157.90.
Al 31 Dicembre 1^82 lo sUto del ramo Vita era il se-
guente: Somma assicurata L. 177,055.514,55 di capitali e
L. 521,612,28 di rendite viulizic sopra 88,176 polizze. — I
^anni pagati nel 1882 salirono a L. 8,011,379.05. — E i danni
pagati in tutti i rami di assicurazione, dall' epoca della fonda-
zione della Compagnia a tutto il 1882 ammontano, ooroe risulta
^air ultimo bilancio pubblicato a lire 400,4.16.79.5.
AUrupo'^izioiin di Milano ciò che riguardavn rAHHicuraziono
262 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
sulla grandine divenne argomento della curiosità speciale del
pubblico, cosi per la storia, come per la statistica e per i dia-
gramma relativi.
Le assicurazioni contro la grandine cominciarono a prati-
carsi fin dall'anno 1836. Iniziate nelle provincie lombarde e
nelle venete e in una parte soltanto di quelle dell' Emilia, fu
cinque anni dopo che s'introdussero anche in Piemonte e poi nelle
altre regioni italiane. In breve cominciò la concorrenza, con una
associazione mutua in Lombardia, una in Piemonte, una mutua,
cremonese, e caddero tutte. Ma nel 1857 ebbe vita una mutua
lombarda, che, ampliata, oggi chiamasi, Società Italiana di
mutuo soccorso contro i danni della grandine e che meritamente
ottenne la medaglia d'oro. Dappoi sorsero una Mutua Estense,.
e pili tardi una Mutua Suzzarese.
Le compagnie straniere a premio fisso non vennero volentieri
nei primi tempi in Italia, per affari contro il rischio delle gran-
dini. E soltanto nel 1854 l' intrapresero regolarmente La Riu-
nione Adriatica di Sicurtà e la Nuova Società Commerciale nel
1855, ma questa cessò nel 1866 e l'altra continua per bene.
Diremo ora della Reale Compagnia Italiana alla Esposizione.
La Reale Compagnia Italiana di assicurazioni generali sulla
vita dell' uomo (sedente in Milano), fu costituita e abilitata ad
esercitare la sua industria con Reale Decreto 27 luglio 1862.
La storia della Reale Compagnia risultò dalle tavole gra-
fiche, dagli opuscoli, dal giornale e dai bilanci dei diciotto eser-
cizi dell'azienda sociale, decorsi dall'anno 1863 all'anno 1880'
inclusivi.
Nelle prime viene segnato lo sviluppo progressivo degli affari,
saliti ad ottantatre milioni e mezzo di lire, se si considerano le
proposte presentate, e a più di settantaquattro milioni, se si pone
mente ai soli affari accettati dalla Compagnia. Uno speciale
rapporto illustrativo risguarda le fasi di ciascun ramo della istitu-
zione.
Negli opuscoli e nel Bollettino vi è la storia degli sforzi
fatti dalla Reale Compagnia, per raggiungere i risultati che rile-
vansi dalle tavole suddette.
Dai bilanci si provò lo stato buono della Compagnia, avendo
essa disponibile fra capitale sociale o fondi rea izzati, un im-
porto di oltre diciassette milioni di lire, a cui si dovrebbero
aggiungere i premi futuri, dovuti dagli assicurati pel manteni-
mento dei loro impegni. Risultò di più che una formidabile
E SULLA VITA DELL'uOMO. 263
riserva è costituita dalla sola differenza, che emerge fra i prezzi
esposti in bilancio degli effetti pubblici ed industriali di pro-
prietà della Compagnia, e il valore che essi hanno in giornata.
S'introdussero articoli tendenti a rendere possibile e facile
l'emissione di duplicati di titoli smarriti o perduti, evitando
cosi i danni che derivano da una lacuna in alcuni codici, per
la quale non è valido un duplicato di titolo perduto.
È notevole che in tanti anni d'esercizio 16 presentano nei
sinistri verificati, una somma inferiore alle cifre presuntiv».
Eccetto il 1864 e 1872, negli altri anni il rischio presunto oscillò
fra 1.30 — 1.31 — 1.29 per cento, per gradatamente elevarsi
a 1.50 e fino a 1.67 per cento. Al 31 dicembre 1880 l'età media
degli assicurati pei contratti caso-morte per la vita intiera fu di
anni 49.40 ; per contratti temporari in caso di morte, fu di 48.40 ;
mentre per contratti misti, era di anni 41.33; pei contratti a
termine fisso, di anni 41.40; complessivamente l'età media risultò
di anni 44.56. Il limite 1.65 per cento circa, cui si giunse ra-
pidamente nell'anno 1877, fu mantenuto.
Neil' esercizio 1882 gli affari conclusi erano per oltre
41,200,000. Riassumendo il risaltato delle operazioni del 1882
si vede che l'aumento dei conti assicurazioni a premio e delle
gerenze delle associazioni per dotasioni fu complessivamente
di 2,398,314, dal quale defalcata la somma erogata per la ef-
fettuatasi liquidazione dell' associazione per dotazione XII di
436,071.
La prima società mutua italiana di tutela e di assicurazione
pel fido commerciale (il credito), iniziata a Milano nel 1880 da
400 soci fondatori era rappresentata all'esposizione.
L'associazione ha por iscopo : di propugnare la moralità nel
commercio e nell'industria, di tutelare il credito commerciale
col prevenire e reprimere i fallim<>nti, di patrocinare i soci col-
piti da fallimenti, o cessazione di pagamenti dei propri debitori,
e, quando ne facciano richietta, di assicurare i propri associati
contro i rischi del fido commerciale, verso compenso delle speso e
dei premi, che verraono stabiliti da regoUmento e tariffo apposite.
L'associazione vuole procurare ai soci, senaa garanzia pro-
pria, e dietro un compenso (giusta le tariffe sociali), colla mas-
sima sollecitudine, informazioni sulla solvibilità ed onorabilità
delle ditte commerciali ed industriali, cosi italiane che estere.
hUtA si propone di offrire agli industriali e commerciali il
modo di definire amichevolmente le eventuali loro questioni.
I
264 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
GÌ' intendimenti dell' impresa non potrebbero essere più de-
gni di ammirazione, ma nella pratica non abbiamo fede che
possano riuscire. Il fallito se non può pagare, non ha modo di
soddisfare al proprio impegno : se non è onesto, non vi è pre-
videnza che basti a salvarsi dalle sue male arti, non solo col
nostro nuovo codice di commercio, ma col migliore fra quanti
codici si possano immaginare. Il commerciante deve tenere gli
occhi aperti quando si mette con altri in attinenza di affari e
la sola cosa per la quale ci pare che l'Italia potrebbe tentare
(ciò che già fu progettato e discusso a Napoli come utile innova-
zione), riguarderebbe una società che si limitasse a dare infor-
mazioni (mediante pagamento di tassa), sullo stato finanziario
dei commercianti. *
All'Esposizione geografica internazionale in Venezia nel set-
tembre 1881 all'epoca del 3" Congresso nella classe 6* (geo-
grafia economica commerciale e statistica) vi erano molte im-
portanti pubblicazioni, studi interessanti per la attinenza delle
assicurazioni con la vita : specialmente era degna di ammira-
' Le esposizioni più complete (a Milano) furono quelle delle Assicurazioni
generali, e quindi si notavano le seguenti :
Credito. (Prima, Società Mutua italiana di tutela e di assicurazione II fido-
commerciale), Milano. — Schema — Statuto. — Relazione illustrativa circolare-
programma. — Scheda di adesione. Elenco di azionisti. — Bolletta dei versa-
menti a fondo perduto. Regia Compagnia Italiana di assicurazione sulla vita
dell' uomo Milano — Opuscolo, pubblicazioni ecc.
Società di Vicendevole Assicurazione contro i danni della grandine. Suz-
zara (Mantova) Statuto. — Resoconto.
Società Italiana di mutuo soccorso contro i danni della grandine, Milano.
— Statuti e statistiche della Società. — Quadri grafici a due albums.
Di alcune società delle quali il catalogo ufficiale dava il Jnome, come
p. e. il 6649, non solo mancavano completamente le notizie ma ci fu dichia-
rato che nemmeno vennero spedite all'Esposizione semplici Memorie.
Questo numero risguardava la Fondiaria, e dovendoci noi limitare a par-
lare delle società che hanno preso parte alla [esposizione di Milano, cosi a
malincuore dobbiamo tacere della Fondiaria, e di altre importanti assicura-
zioni, come la Riunione Adriatica ecc.
Oltre alle informazioni utili per gli uomini d'affari giovarono alla Espo-
sizione di Milano i quadri grafici, le carte e i diagrammi.
Il 1" quadro grafico riguarda le grandini nel decennio 1871-80 con in-
dicazione dei prodotti campestri assicurati e dei risarcimenti pagati per
ciascuna grandine e con due diagrammi, uno relativo allo stesso periodo
decennale e l'altro relativo a tutto il periodo 1836-1880. La ,2* carta di-
mostra le grandini dell'anno 1880.
E SULLA VITA DELL'uOMO. 265
zione la bellissima carta del cav. Marco Besso: si trattava di
una carta di Europa coi dati relativi alle Compagnie di assi-
curazioni che in Europa hanno vita.
Il municipio di Napoli espose il prospetto grafico di morta-
lità e di metereologia dell'anno 1873 al 1879 in sette quadri :
il ministero italiano di agricoltura, industria e commercio espose
due stereogrammi di statistica della popolazione ed album di
stereogrammi fotografici dei modelli della popolazione esistenti
presso la direzione di statistica generale del Regno e del clas-
sificatore delle schede per il censimento, ecc. ecc.
La direzione delle Assicurazioni generali in Venezia, espose
la carta d'Italia dimostrante l' ordinamento e la sfera d' azione
economico-industriale delle rappresentanze in Italia e ne' paesi
finitimi, che dipendono dalla direzione di Venezia. Questa carta
è tratta da quella geografica postale, ideata dal cav. Fr. Sal-
viette, capo-sezione della direzione generale delle Poste.
Come abbiamo accennato, il 1* quadro esposto dalle Assicu-
razioni generali in 3Iilano conteneva tre figure, che si riferivano, cia-
scuna, alle regioni in cui si sviluppò i'assicur&xione contro U
grandine. La prima rappresenta il capitale totale dell' assicu-
rato, per ogni prodotto ed i risarcimenti pagati per ogni prodotto
nel periodo 1871-1880. La seconda figura contiene, per ogni re-
gione, 3 diagrammi : il 1* rappresenta la linea funziono del ca-
pitale totale assicurato ogni anno e del tempo espresso in anni ;
il 2* la linea funzione del risarcimento totale annuo e del tempo
espresso in anni; il 3** la linea funzione del numero totale dei
danni e del tempo espresso in anni.
La figura terza è il riassunto di tutte lo operazioni sulla
grandine fatte dalla Societii, per tutti gli anni del suo esercisio
cioè dal 1836 a tutto il 1880.
Il secondo quadro si riferisce alle operasioiii fatte dalla
Compagnia nel 1880.
La carta è a colorì; la preralensa dell' un colore ' )
indica la prevalenza del prodotto assicurato in ogni pi ...a.
I mandamenti colpiti dalla grandino furono rapprosontati con
0 meno ampie, a seconda del numero
r, -; . ..a Kuperficie a cui queste si riforiscono; e
i vari settori indicano coi loro diversi colorì il mese in cui av-
vennero le gran
Delle grand ..* l 1880 le maggiori furono nel 29 maggio
e nel 24 giugno. Sopra quarantatre esercizi, sodici furono i più
266 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
colpiti da grandini, e fra questi principalmente quelli degli
anni 1855, 1866 e 1867, e dopo quelli degli anni 1856, 1860
e 1878.
Oltre a ciò si presentarono due quadri : — l'uno dei quali
rappresentava, mediante diagramma, il numero delle giornate in
cui caddero grandini, durante i sette mesi da aprile ad ottobre,
per ogni anno dal 1871-1880, più la media delle giornate stesse
nel decennio, l'altro rappresentava il numero delle giornate di
grandini per ogni mese e per ogni anno nel 1871-1880.
Da ciò risulta che il mese di giugno ha maggior numero di
grandini e maggiore entità dei danni, e l'agosto è il quarto
mese nell'ordine del numero delle grandini, per la gravità dei
danni.
Dopo avere cosi riferito sulla particolareggiata statistica
che fu oggetto delle esposizioni, darò in appendice alcune ta-
belle, che riguardano varie specie di assicurazioni.
Dovrei fare innanzi tutto un' avvertenza al lettore : di non
prendere alla lettera il significato delle operazioni dalle quali
le Società s'intitolano. Cosi, in generale, le Assicurazioni Marit-
time si propongono di fare anche operazioni commerciali per i
rischi dei laghi, fiumi, canali, ed in tal modo le considerava il
vecchio Codice di commercio (a. 449).
Simile avvertenza è da fare anche per quelle assicurazioni
che si chiamano terrestri. Non crediamo nemmeno qui che sia
sufiiciente di comprendere il vocabolo, per formarsi il concetto
degl'intendimenti dell'impresa. Si dicono assicurazioni terrestri
tutte quelle che non sono marittime?
Che cosa c'è di terrestre nelle assicurazioni contro la gran-
dine, che viene dall' alto ? La causa del danno viene dall' alto,
potete rispondere, ma il danno colpisce la Lerra, e l'assicura-
zione protegge i prodotti della terra. Il Codice, a ragione parla
a parte, delle assicurazioni sulla vita. Ma che direste quando
si chiamassero terrestri quelle sulla vita dell'uomo ?
Notiamo che quando pure egli viaggiasse, e sfidando nei più
lontani oceani le burrasche e le tempeste, e sopra una nave
passasse la più gran parte della sua esistenza, si continuerebbe
a chiamar terrestre e non marittima l'assicurazione sulla di
lui vita!
I
E SULLA VITA DELL'UOMO. 267
§ IV. — Cenno statistico sulle assicurazioni. — Riservandoci
di dare in nota maggiori particolari, riferiamo qui le notizie
statistiche che si poterono appurare con studi comparativi al-
l'esposizione internazionale di Venezia. (1881)
Le Società di assicurazioni in Italia allora erano 57, e
quindi in numero maggiore della Svizzera (39) del Belgio, della
Spagna, della Danimarca (26), per non dire della Russia (20)^
del Portogallo (12) della Grecia (9) della Romania (2) della
Turchia (3), che diedero minore aiuto alla previdenza ed al ri-
sparmio.
Ma questa maggioranza numerica non basta. Dobbiamo con-
fessare che, per quanto riguarda il giro degli affari, noi siamo
inferiori non solo agli Stati dei quali siamo inferiori numerica-
mente, ma anche al Belgio, alla Svizzera.
Vi è una delle operazioni che (come dicemmo) da poco tempo
attecchisce fra noi ed è quella del Ramo-Vita: ne sappiamo la
causa: che in una parola si riassume, cioè nel pregiudizio.
Notiamo ostacoli che fino ad ora furono maggiori qui che
all'estero, per lo sviluppo delle assicnraxioni, cioè la mancanza
di una legge sulle assicurazioni generali (che avemmo col nuovo-
ce) e la istituzione degli attuari.
rii.
V. — Gli attuarli e V utilità di taU iitituexone in Italia,
— Un buon esempio che ci vien dato dall'estero e che manca
nelle abitudini e nelle leggi italiane è quello degli attuari.
In Italia, attuario significa notaio pubblico, scrittore e cu-
Ktode di atti pubblici : in Inghilterra colla parola actuary si
comprende colui che si occupa, esclusivamente, dell'applicaziono
delle matematiche alle assicurazioni o più generalmente alln
questioni finanziarie.
I francesi adoperarono la parola acttiaire nel significato'
inglese.
In Inghiilcrr.'i ^'i'iiii|)i<7;.-iti :i<i(i( tti '.v\\<- compagnio di assi-
curazione, per calcolar*.- Ir lanli'-- e diriger»' le operazioni scien-
tificamente, ebbero il titolo di attuari. — Le compagnie di a«-
«icurazionc crescendo sempre in numero, la professione di at-
tuario cominciò ad essere conosciuta da tutti, e ben presto si
addivenne alla distinsione fra gli attuari residenti, 'cioè quelli
specialmente addetti ad una compagnia, e gli attuari consulenti.
Si riunirono in società con un Istituto, per dare in qualche
modo un regolamento alla loro professione. Ciò avvenne nel
'268 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
1848. Per consuetudine, non si è attuari, in tutta la forza della
parola, se non si è stati ricevuti nell' Istituto della Gran Bret-
tagna e dell' Irlanda o dalla Facoltà di Scozia, che è stata fon-
data sulle stesse basi.
È certo altresì che verun tribunale designerebbe come at-
tuario, in una causa, chi non fosse membro delle nominate società:
è la legge del 1870 che dispone dover ciascuna compagnia, a
determinate epoche, far esaminare la sua situazione da un actuary,
ed ha inteso indicare con ciò un attuario riconosciuto da quegli
Istituti.
In Inghilterra per esser ricevuto come attuario si devono
fare esami di capacità, ma si può esserne anco dispensati.
In Francia, sebbene la professione di attuario non abbia
tanti cultori come in Inghilterra, nel 1872 fu istituita una so-
cietà di attuari, che, prese il titolo di Cercle des Actuaires
Frangais, e per cura della quale si pubblica una rivista trime-
strale assai importante. In Italia non abbiamo veruna istituzione
di questo genere. Si è appunto pel desiderio di mostrare quanto
sìa degna la professione di attuario, che si tradusse anche in
italiano un lavoro del signor Spragne, vice-presidente del Cir-
colo degli attuari di Londra, letto da esso innanzi alla società
degli attuari di Edimburgo *.
Noi vorremmo che tale Istituzione si formasse pure in Italia,
che la pubblica opinione e anche il legislatore, se ne occupasse.
Allorquando ciò accadesse, molti degli inconvenienti che tuttora
si deplorano scomparirebbero dal nostro paese, per quanto si ri-
ferisce alle assicurazioni.
Dopo aver parlato sulle istituzioni e sulle riforme le più
necessarie per il buon andamento delle Società di assicurazioni
in Italia, riferiremo ciò che risguarda lo stato della legislazione.
Prima del nuovo Codice di commercio (1883) una sola parte
d' Italia avea una buona legge sulle assicurazioni cioè il Lom-
bardo-Veneto, ed è prezzo dell' opera di riferirne i particolari.
§ VI. Le Assicurazioni e la legislazione nell'ex regno Lombardo'
Veneto. — L'ex regno Lombardo-Veneto fu soggetto, come è noto,
' Journal of the Istituti of actuaries and Assurance Magazine, voi. 18,
n. xcviii. On the usufulness of Mathematica! studies to the actuaiy. An address
to the Actuarial Society of Edimburgh by the Honorary President T. B.
:Spragne M. A., Vice-President of the Istitute of actuaries.
E SULLA VITA DELl'UOMO. 269*
alle leggi austriache. ' Unite queste provincie al Regno d'Italia,
fu mantenuta, per la Venezia e Mantova, la legge austriaca sulla
lettera di cambio, ma non quanto riguardava le Assicurazioni.
Il Codice di commercio austriaco (che, in parte, si avvicina
al tipo della nostra nuova legislazione commerciale) fu attivato
in Austria e nelle provincie italiane da essa dipendenti, il 1 lu-
glio 1863. All'articolo 271 dice:
(n. 3*) ti Sono atti di commercio l'assunzione d'un assicurazione-
verso premio, n Alcuni deputati proposero di aggiungere al n. 3
le parole: u in quanto tali assicurazioni sono contemplate da, que-
sto Codice p perchè non ritenevano che tutte le assicurazioni
possano riguardarsi atti di commercio assoluti, ed in particolare
non credevano tali le assicurazioni contro i danni della gran-
dine ecc. perchè queste se anche assunte verso premio, sono
affatto estranee al commercio. Essi osservavano inoltre che vi
sono le assicurazioni reciproche, nelle quali l'assicurato paga
bensì un premio, ma la utilità depurata dalle spese, e derivante
dai premi incassati, va divisa fra gli stessi assi e t>r modo
che non può parlarsi in queste caso di una sp' ne mer-
cantile.
La maggioranza dei deputati respinse tale proposta.
In un'altra tornata (580) si propose di tiggi ungere all' a an-
che le parole u e cosi pure U cusicurationi muttu. » Conciò per
altro non si alludeva agli affari dei pubblici stabilimenti di assi-
curazioni T).
Tale proposta si giustificava colla considerazione, che il mo-
tivo per il quale si accolsero fra gli u atti di commercio assoluti n
le sole assicurazioni verso premio non può stare scir- '• — ionio
in ciò, che l'assicuratore intraprendo con esso una k] «ne,
perchè molti altri affari, che non sono annoverati in questo ar«
ti< ..Io si fanno per speculasiono. L' ulteriore e vero motivo h
{•roprìamcnte in ciò, che l'istituto dello asticurasioni si sviluppò
nel commercio e per il commercio, e che lo più importanti as-
sicurazioni, ed il maggior numero dolio stesso, riguardano merci,
0 mezzi di trasporto mercantili. Siccome poi imcbc !<• ummIcu-
* Cfr., fni -rori ehs {rabblicaroao le loro opera inrima Uolk prò.
mulgaziono d. ' li coininócio (1866), nella parte attUMote alle Amì-
curszioui :
('^•' ... fi. — / jrtrineipii del diritto eommereiaU secondo le Uggì
di fr. u Due SMUé, ed a Codice di Oommtroio per gU SMi sardi,
— CaUuia. ldtìl-68.
270 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
razioni reciproche verso premio, si sviluppano nel commercio
ed hanno per oggetto di favorirlo, cosi non vi era ragione di
non comprenderlo in questo articolo, fra gli atti di commercio.
Oltrt; a ciò osservavasi, che se ben si considera, le assicura-
zioni reciproche racchiudono, come le altre assicurazioni verso
premio, l'elemento della speculazione mercantile, perchè sebbene
ogni membro di una società di assicurazioni reciproche, assi-
curandosi con una società, voglia evitare un danno anziché con-
seguire un lucro, pure nella contemporanea sua qualità di assicu-
ratore, intraprende un atto di speculazione ed assume il rischio
■altrui, nella speranza di ottenere dai soci un proporzionato in-
dennizzo, per il caso che egli stesso avesse a soffrire un danno.
La riserva fatta, nella proposta pei pubblici stabilimenti di
assicurazione, appariva ai proponenti indispensabile, affinchè
non fossero trattati, come atti di commercio, gli affari di assi-
curazione reciproca che intraprende lo Stato.
Altri deputati però si opposero alla proposta aggiunta. Essi
osservarono in particolare, che quando la si accogliesse si di-
chiarerebbero atti di commercio tutte quelle piccole società di
assicurazioni reciproche, che s' istituiscono, ad esempio, nei pic-
coli contadi per il bestiame, ecc., e che non furono giammai,
né possono essere riguardate d'indole commerciale. Il distinguere
poi queste piccole società, da quelle che hanno un'estensione
maggiore, sarebbe impossibile, senza gravi inconvenienti, nella
pratica applicazione della legge.
Dopo ciò un deputato osservò, che vi sono alcune società
di mutua assicurazione, nello statuto delle quali è stabilito, che
gli azionisti debbano pagare un importo annuo come premio
di assicurazione, e fare anche ulteriori versamenti se il premio
di metodo non bastasse a coprire V importo dei danni assunti.
Nelle società, cosi costituite, è evidente la intenzione di guada-
gnare, perchè ognuno può toccare sicurtà coli' accedere alla
società, ed in tal guisa lucrare secondo 1' esito della gestione.
Egli è perciò che queste società trattano affari d' indole com-
merciale, anche nel senso dell? maggioranza; ma essendo ov-
via tale qualifica, non è mestieri l'assumere un'espressa men-
zione delle stesse, nella legge.
Con tali considerazioni e per questi motivi fu accolto il nu-
mero 3 nella sua forma attuale : e respinta quell'aggiunta, che
era stata proposta per comprendere le assicurazioni reciproche.
Nello stesso tempo fu respinta l'ulteriore proposta di contem-
E SULLA VITA DELL'uOMO. 271
piare le sole assicurazioni mariltime, perchè, sebbene le assi-
curazioni terrestri non sieno disciplinate dal Codice di Com-
mercio, pure non potrebbero sottrarsi alle disposizioni riguar-
danti gli atti di commercio, gli affari che esse conchiudono e
che, per l'indole loro, sono commerciali '.
Delle altre legislazioni estere (per le ragioni esposte in prin-
cipio) non è qui il luogo di occuparci. *
§ Vn. Le assicurazioni e la legislazione nel Regno d'Italia, —
L'Italia mancò fino al 1883 di una buona legge sulle assicura-
zioni e anche di opere scientifiche complete adatte all'importanza
di queste istituzioni. I lavori del Sacerdoti e del Romanelli sono
una eccezione. Se non che, per ragione di data, nessuno dei
due esamina il nuovo Codice di commercio, sicché le mie ri-
cerche hanno una qualche novità su tali scritti. — Ho espresso
al Congresso delle Camere di commercio (in Napoli 1871) alcune
idee intomo alla libertà delle assicurazioni marittime, le quali,
con piacere, vidi accolte, in parte, nel nuovo Codice surri-
cordato, e cosi parecchie fra lo idee che, intomo alle assicu-
* Dal Codice di eoimmerdo amttriaeo spiegato eo' processi verbali delle
conferente ecc. per il doU. O. Venturi. VeiMBÌa 186S.
* Nell'Austria eiileitaiui, perché una tocieti di aasieonsiom potM* fiire
quaUivoglUi operazione dorrà prorare che arri legale eaisteosa nello Stato
oye è lorta, che non si proponga scopo contrario alle leggi austriache, che
si obl)lìghi all'osservanza delle leggi e dei regolamenti dell'Impero, e che lo
Stato nel quale ebbe origine, accordi la reciprocità. L'ammissione può eesere
sottoposta a speciali condizioni rispetto al tempo* come riguardo all'esteoaione
delle operadoni. La soeietà deve nominare una rappr«seatansa composta di
una o pi& penona, la quale deve risiedere nel luogo dove é poeto l'ufficio prln«
cipale. Tutte le controrersie che riguardino sudditi austriaci o l'Amministra-
sione imperiale sono soggette al foro austriaca L'ansidetta rappresontansa
dere preseotare airantorìtà politica, osi primi 8 mesi di ogni anno, i ver
bali dslle assemblee gwierali cbo ebbero luogo, il bilaoeio generalo delia
soeietà ed U bilancio speeialo dsUe oporasiotti fstU in Austria ; questi bi-
lanci derono essere tsisudio pabblieati. I OMmbri della rappreeentansa
rispondono, persooatBMote, deH'ssstteita dal bilaad speciali. La concessione
é soggetta a reroea, quando lo Stato, da cui le società traggono origine, eessa
di accordare la reciprocità (Cfr. negli Annali dtW Industria • d«l Commeroiot
Roma 1879, la rslàsione del oonun. BomancUi Le Soeietà di tusiomrasioni :
ivi egli espose qoesti e suiggiori partieolari solle assicnraaioni).
In Austria oltf« ciò ebe ■• diec il Oodiee di Oomasercio ri é il decreto
imperiale, SU nor. 186», U legge Ì9 wkMno 1878, l'ord. 19 ag. 1880.
In Ungfa'via 0 Codiee di eomoMreio promulgato nel 187& ha dbpoei-
sioni qMeiali solle aasieorasioaL In Germania si attende ora ad una riforma.
Nell'Unione amerisana ogni Stato ha per le assiourasioni, leggi proprie.
272 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
razioni terrestri, — specialmente sulla vita — ho esposto nei
miei libri, si sono grado, grado, acquistato lo assentimento di
legislatori.
Da gran lunga, in Italia, si manifestava, dalle provincie che
erano governate da buone leggi, da autorevoli pubblicisti, da
membri del Parlamento e da ministri, il bisogno di avere
una completa, nuova legislazione sulle società commerciali, che
tenesse conto dei progressi moderni. Un progetto fu presen-
tato al Senato dal ministro di grazia e giustizia nel 1865 e
dal Senato venne, dopo discussione, approvato. Ma nella Ca-
mera dei deputati non si volle o non si potè occuparsene. Cosi
finora, tanto le società in generale come quelle di assicurazioni,
mancarono di una legge conveniente.
Nell'adunanza del 22 giugno 1879, il ministro di agricoltura,
industria e commercio faceva sottoporre all' esame del Consi-
glio del commercio e dell'industria, una serie di proposte rela-
tive alle società di assicurazioni, redatte dal comm. Romanelli
e che diedero motivo ad un'ampia e particolareggiata discussione.
Fra coloro che presero parte a questi lavori ricorderemo il
presidente senatore Boccardo, il comm. Ellena, il deputato Ca-
stellano, il deputato Boselli e i signori Franchetti, Nattini, il
deputato Maurogonato che metteva in chiaro il bisogno di una
legge.
§ V. — Le assicurazioni e il nuovo Codice di Commercio
italiano. — Il 1° gennaio 1883, come abbiamo accennato, andò
in vigore il nuovo Codice di Commercio. Noi ci occuperemo di
quella parte che ivi si riferisce alle assicurazioni terrestri e
sulla vita e non alle mutue che saranno argomento di un'altra
speciale monografia.
L'assicurazione vi si definisce : il contratto con cui l'assicu-
ratore si obbliga, mediante un premio a risarcire le perdite o
i danni che possono derivare all'assicurato da determinati casi
fortuiti 0 di forza maggiore, ovvero a pagare una somma di
danaro secondo la durata o gli eventi della vita di una o più
persone. *
Le associazioni di mutua assicurazione regolate dal titolo
^ Art. 417. Vedi verb. comm. min. n. 4, 85, 113, 129, 130, 372, 457,
462, 531 e 886. — Rei. Villa, pag. 7. — Rei. com. Dep. e LI e LII, p. 45.
E SULLA VITA DELL'uOMO. 273
sono soggette anche alle disposizioni del titolo delle Società e
delle Assicurazioni commerciali, in quanto non siano incom-
patibili colla loro speciale natura. *
Il contratto di assicurazione deve esser fatto per iscritto.
La polizza di assicurazione dev' essere datata e deve in-
dicare :
1. la persona che fa assicurare e la sua residenza o il
suo domicilio;
2. la persona dell'assicuratore e la sua residenza o il
suo domicilio;
3. l'oggetto dell'assicurazione;
4. la somma assicurata;
5. il premio di assicurazione ;
6. i rischi che l'assicuratore assume a suo carico e il
tempo da cui cominciano e in cui finiscono. *
Se non è dichiarato nella polizza, che l'assicurazione è con-
tratta per conto altrui o per conto di chi spetta, si reputa con-
tratta per conto proprio di chi fa assicurare. *
L'assicuratore può far assicurare da altri le cose che ha
assicurate. L' assicurato può far assicurare il premio della
assicurazione. La cessione dei diritti verso V assicuratore si
opera col trasferimento della polizza mediante dichiarazione
sottoscritta dal cedente, e dal cessionario e non ha effetto verso
i terzi se non è notificata all'assicuratore o da lui accettata
per iscritto. '
Il capo secoli,!.. .-,! rit. ri^c- air.!--!.:!!-:!/:- :;■ ■'■litro i danni:
nella sezione prima fMi-l'liTa i<- «ii--|t'.>.i/,ÌMiii ^ciii-rali.
Può far assicurare non solo il proprietario, ma anche il cre-
ditore che ha privilegio o ipoteca sulla cosa, ed in generalo
* Copiaodo la legge belga dell'I 1 giagno 1874 n commbe in qnesta
parte un errore. Ciò però non fa abbasUnia arTertito dalle varie eoamls-
sionL Vedi Prog. min. art 412. Prog. Ben. art. 414. » Verb. comm. min.
n. 2^. — Rd. eom. Dep. e LIT, pag. 46. — Verb. oomn. eoord. n. 91.
* Vedi Cod. oomm., art. 446, 447. -- Prog. preL, art 491. ~ Prog.
....ii., 413. — Prog. 8en.. 415. — Verb. conun. min., n. 536, 684, 626 e 627.
'- Rei. com. Dep. e Lll, peg. 46. — Verb. eomm. eoord., n. 98.
* Art 421 Cod. — Vedi Prog. prel., art 496. — Prog. min., art 414.
— Prog. 8«n, art. 416. — Verb. eomm. min^ n. 686 e 689. — Bel. com
Dfp. e LII, peg. 46.
* Cod. eomm., art. 466. • Vedi Prog. prel., art 496 e S18. — PMg.
min., art 415. — Prog. 8en., art 417. — Vedi rerb. comm. min., 689 e 643
— IM. Coru, art 41^ pag. 88. — Dìmom. Ben. 1880, pag. 121. — Rei.
com. Dep. e LII, pag. 46 e CXXIV, pag. 183. > Mod. red., art 417.
Vm. xl. §tu if — tfi Liriio iM>a »
274 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
chiunque ha un interesse reale e legittimo, o una responsabi-
lità per la conservazione di essa.
L'assicurazione contro i danni può essere fatta per tutto il
valore della cosa, per una parte di esso o per una somma de-
terminata. * Può anche farsi l'assicurazione di una parte aliquota
della cosa, di più cose congiuntamente o separatamente o di una
universalità di cose. Si possono assicurare i profitti sperati e i
frutti pendenti nei casi preveduti dalla legge. '
Se l'assicurazione contro i danni non copre che una parte
del valore della cosa assicurata, l'assicurato sostiene una parte
proporzionale dei danni e delle perdite.
Le cose assicurate per l'intiero valore non possono essere
nuovamente assicurate per lo stesso tempo e per gli stessi rischi.
Tuttavia la seconda assicurazione è valida:
1. se è condizionata alla nullità della precedente assi-
curazione o all'insolvenza totale o parziale del primo assicu-
ratore ;
2. se dei diritti derivanti dalla prima assicurazione è
fatta cessione al secondo assicuratore, o rinuncia al primo. *
Se l'intiero valore delle coje assicurate non è coperto dal
primo contratto, gli assicuratori posteriori rispondono per il
valore residuo, secondo l'ordine di data dei contratti.
Tutte le assicurazioni contratte nello stesso giorno si reputano
contemporanee, e sono valide fino alla concorrenza del valore in-
tiero, in proporzione della somma assicurata da ciascuna di esse.
L'assicurazione per una somma eccedente il valore delle cose
assicurate non produce effetto riguardo all'assicurato, se vi fu
dolo 0 frode da parte sua, e l' assicuratore di buona fede ha
diritto al premio.
Se non ci fu dolo ne frode da parte dell'assicurato, l'assicu-
razione è valida sino alla concorrenza del valore delle cose as-
sicurate; r assicurato non è tenuto a pagare il premio per la
«omma eccedente, ma deve soltanto un' indennità uguale alla metà
del premio e non maggiore del mezzo per cento della somma
assicurata. *
* Vedi Cod. comm., art. 449.
' Vedi Cod. proc. civ., art. 589, non si tratta dei frutti esistenti dei
quali ivi si parla. — Rei. com. Dep., n. LUI e XXV. — Verb. comm, coord.,
num. 93.
* Vedi Cod. comm., art. 473.
* Cod. com., art. 471 e 472. Per le ultime parole dell'ultima alinea si
darà luogo a diverse questioni. - - Vedi Rei. com. Dep. LII e CXXVI.
E SULLA VITA DELL'uOMO. 275
Qualunque dichiarazione falsa o erronea, e qualunque reti-
cenza di circostanze conosciute dall'assicurato; è causa di nullità
dell'assicurazione, quando la dichiarazione o reticenza sia di tale
natura, che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso al
contratto o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni, se
avesse conosciuto il vero stato delle cose.
L'assicurazione è nulla, sebbene la dichiarazione o reticenza
riguardi circostanze che in effetto non hanno influito sul danno
o sulla perdita delle cose assicurate.
Se da parte dell'assicurato vi è stata mala fede, l'assicura-
tore ha diritto al premio. *
L'assicurazione è nulla se l'assicuratore e l'assicurato o la
persona che ha fatto assicurare, conoscevano la mancanza o la
la cessazione dei rischi o l'avvenimento del danno. Se il solo
assicuratore conosceva la mancanza o la cessione dei rischi,
l'assicurato non è obbligato a pagare del premio; se la persona
che ha fatto assicurare sapeva che il danno era già avvenuto,
l'assicuratore non e tenuto all'adempimento non del contratto ma
ha diritto al premio. *
L'assicurazione si ha come non avvenuta, se la cosa assicurata
non è stata esposta a rischi, ma l'assicuratore ha diritto ad una in-
'lennità che si determina secondo la disposizione surriferita (Arti-
colo 428). •
L'assicuratore è liberato quando per fatto dell'assicurato, i
rischi vengano trasformati od aggravati col cambiamento di
una circostanza essenziale in guisa che l'assicuratore non avrebbe
lato il suo consenso o non lo avrebbe dato allo medesimo con-
dizioni, se al tempo del contratto fosse esistito questo nuovo
stato di cos<-.
Questa dispotiizionc non si applica se 1 assicuratore abbia
continaato ad eseguire il contratto dopo aver avuta notixia del
cambiamento. ^
Se l'assicurato f.ilIÌ8('c quando il riticliio non è ancora finito,
e l'assicuratore, non è pagato del premio, questi può chiedere
< auzione, oppure lo •cioglimento del contratto. L'assicurato ha
lo stcHso diritto se l'assicuratore fallisce o si metto in stato di
liquidazione.
' Vsdi Cod. comm , 463.
* Vedi ReL com. Dep , n. LIU. — Yttrb. omnia, eoord., a. 9ft.
* Ood. eooB^ art. 468. — R«L oom. Dep., n. LIIL
« QiMsIt disposhtooi sembrano troppo rifforoM. Vedi art 87, | IL
276 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
Sono a carico dell'assicuratore le perdite ed i danni, che
accadono alle cose assicurate, per cagione di casi fortuiti o di
forza maggiore, dei quali ha assunto ì rischi.
L'assicuratore non risponde delle perdite e dei danni, deri-
vanti da solo vizio inerente alla cosa assicurata, e non denun-
ciata ne di quelli cagionati da fatto o da colpa dell'assicurato
0 dei suoi agenti, committenti o commissionari.
Egli non risponde dei rischi di guerra e dei danni derivanti
da sollevazioni popolari se non vi è convenzione contraria.
Il Codice dice che il risarcimento del danno dovuto dall'as-
sicuratore si determina secondo il valore, che le cose asnicurate
avevano al tempo del sinistro.
Se all'assicurazione ha preceduto una stima accettata dall'as-
sicuratore, questi non può impugnarla che per frode, simula-
zione 0 falsificazione, senza pregiudizio di ogni altra azione,
anche penale.
Se non vi è stima accettata, il valore delle cose assicurate
può essere stabilito con tutti i mezzi di prova ammessi dalla legge.
Salve le disposizioni riguardanti le assicurazioni contro i
rischi della navigazione, l'assicurato non ha diritto di abban-
donare all'assicuratore le cose avanzate o salvate dal sinistro.
Il valore delle cose avanzale o salvate si deduce dalla somma
dovuta dall'assicuratore.
L'assicurato, entro tre giorni dacché avvenne il sinistro, o
dacché n'ebbe conoscenza, deve darne notizia all'assicuratore;
deve inoltre fare quanto sta in lui per evitare o diminuire i danni.
Le spese fatte a tale scopo dell'assicurato sono a carico del-
l'assicuratore, quantunque il loro ammontare aggiunto o quello
del danno ecceda la somma assicurata, e lo scopo non siasi ot-
tenuto, se non è riconosciuto che in tutto o in parte siano state
fatte inconsideratamente. '
Se l'assicurazione ha per oggetto i danni o la perdita di cose
mobili, il pagamento dell' indennità fatto all' assicurato libera-
l'assicuratore quando non siavi opposizione al pagamento. *
L'assicuratore, che ha risarcito il danno o la perdita delle
cose assicurate, è surrogato verso i terzi nei dritti che per
causa del danno competono all'assicurato. Questi è responsabile
di ogni pregiudizio da lui recato a tali diritti.
' Vedi Cod. com. 486, 492, 499.
' Rei, com. Dep. n. LUI.
E SULLA VITA DELL'uOMO. 277
Se il danno fu risarcito solo in parte, V assicurato e l'assi-
curatore concorrono insieme a far valere i loro diritti in propor-
zione di quanto ad essi è dovuto. * In caso di alienazione delle
cose assicurate, i diritti e le obbligazioni del precedente proprie-
tario non passano all'acquirente, se non è convenuto il contrario. '
La sezione II tratta, nel modo seguente, di alcune specie di
assicurazioni contro i danni.
Se il creditore ha fatto assicurare la solvibilità del suo de-
bitore, l'assicuratore prima di pagare la somma assicurata ha
diritto di esigere che il debitore sia escusso secondo le espres-
sioni degli art. 1908, 1909, 1910 Cod. civile.
L'assicuratore che paga la somma assicurata, è surrogato
nei diritti dell'assicurato verso il debitore, colla riserva indicata
nell'art. 438 in caso di risarcimento parziale. *
L'assicurazione contro i danni del fuoco comprende tutti i
danni cagionati dall'incendio prodotto da qualsiasi causa, esclusa
quella dipendente da colpa grave imputabile personalmente al-
lassicurato, ed esclusi i casi su indicati. ^
Comprendo pure i danni derivanti da vizio proprio dell' edi-
fìcio assicurato, ancorché non denunciato, se non si provi che
1 assicurato ne avesse conoscenza al momento del contratto. *
Sono parificati ai danni di incendio se non vi è convenzione
>ntraria:
1* i danni derivati alle cose assicurate dall' incendio av-
venuto in altro prossimo • ' ' ' . o dai mezzi impiegati por ar-
restare o per estinguerò i lio;
2' le perdite ed i dMini ATrenati per qualunque cauta
durante il trasporto delle cose aasicurate eseguito allo scopo di
sottrarle ai danni dell' incendio.
3* t danni derivati dalla demolizione dell' edificio assicu-
rato eseguita allo scopo d'impedirò o di arrestare T incendio.
4^ i danni prodotti dall'azione del fulmine, dallo esplosioni
<><1 altri simili accidenti, ancorché non ne sia derivato incendio.
• Qui occorre coosuItAre il cod. cìt. a 1S68. Per il risarcimonto pftnriito
(]i cai sopra li parU ni annlira ralin. 9*« art. 1954 cr><I. c-ìv. — TL^I eom.
I '. p n. XIII.
* Cosi si é voguit* III giuriB|irQdensa preTalsDtv. ^ . tii'i. com. i>ep.
II LUI. — Vcrb. comm. coord. n. 97.
' V<rb. coauB. coord. n. 96.
' V. ult eapOT. art. iSi.
^ V. RcL com. D^. n. LIV. — Verb. eoaun. coord. n. 99.
278 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
Il rischio dell'assicuratore contro i danni dell' incendio co-
mincia dal mezzodì del giorno successivo alla data della polizza^
se non ci è convenzione contraria. *
I danni prodotti dall' incendio di un edificio si determinano
col confronto del valore, che l'edificio aveva prima del sinistro^
col valore di ciò che resta dopo l' incendio. '
L'assicuratore del rischio locativo o del rischio del ricorsa
dei vicini, risponde soltanto dei danni materiali che sono con-
seguenza immediata e diretta del sinistro. *
Nell'assicurazione dei prodotti del suolo il risarcimento do-
vuto dall'assicuratore si determina secondo il valore, che i pro-
dotti avrebbero avuto al tempo della loro maturità, o al tempo
in cui ordinariamente si raccolgono, se il sinistro non fosse
avvenuto. ""
L'assicurazione delle cose trasportate può avere per oggetto
il valore di esse, colle spese occorrenti, fino al luogo di desti-
nazione, ed il profitto sperato per il maggior prezzo che avranno
nel luogo stesso.
Se il profitto sperato non è distintamente valutato nella po-
lizza non è compreso nell'assicurazione. "
II rischio dell'assicuratore di trasporti comincia dal momento
in cui le cose vengono consegnate per il trasporto, e contìnua
fino al momento in cui sono riconsegnate nel luogo di destina-
zione, se non vi è convenzione contraria.
La temporaria interruzione del trasporto e il cambiamento
della convenuta linea di viaggio, o dei modi di spedizione, non
liberano 1' assicuratore dal rischio quando siano necessari alla
esecuzione del trasporto.
A questi articoli del capo 2° e 3° del Codice di commercio
bisogna aggiungere l'articolo 145. Tale articolo era stato cosi
formulato nel progetto di legge presentato al Senato nella tor-
nata 18 giugno 1877 ! — u Gli amministratori delle Società
u nazionali ed estere di assicurazioni sulla vita ed amministra-
u trici di tentine devono impiegare nell' acquisto di obbligazioni
ti dello Stato, o d'altri titoli di credito, che saranno, a tale og-
u getto, designati con regio decreto, quella parte delle somme
• Eel. com. Dep. LIV.
* Ibidem.
' Cfr. art. 1578, 1589, 1590 cod. civ. ~ Vedi Eel. com. Dep. n. LIV.
' Rei. com. Dep. n. LIV.
5 Ibidem.
■il
E SULLA VITA DELL'uOMO. 279
u esatte durante ogni esercìzio sociale per le assicurazioni in
ti corso, 0 per gl'interessi delle somme precedentemente impio-
u gate, che è stabilita nell'atto costitutivo, e che non può essere
u. inferiore ai tre quarti delle fatte esazioni, depurate di quanto
u fu pagato per sinistri avvenuti e per spese d' amministrazione,
u I titoli devono essere ogni anno, o ad ogni chiusura dello
u. esercizio sociale vincolati a favore dei creditori della società,
« o depositati presso la cassa dei depositi e prestiti. I modi e
u i termini d'imposizione del vincolo e dei graduali svincolamenti
u saranno stabiliti col decreto suddetto. » *
n Senato non volle votare questo articolo per troppa seve-
rità e nell'erroneo timore di danneggiare il pubblico degli as-
sicuratori. Così dopo molte discussioni si ebbe il torto di intro-
durre nel Codice l'articolo 145 che abbiamo citato in principio
e che testualmente cosi è espresso : u Le società dì assicurazioni
sulla vita e le società amministratrici di tentine, nazionali od
estere devono impiegare in titoli del debito pubblico dello StatOf
vincolate presso la cassa dei depositi e prestitif un quarto se
sono nazionali, e la metà se sono estere, delle somme pagate per
le assicurazioni e dei frutti ottentUi dai titoli medesimi, I modi
ed i termini di questo impiego e dei graduali svincolamenti,
sono stabiliti con regio decreto, n
Per questo articolo che darà luogo a molte contestazioni
converrà consultare i vari progetti di codice e le relazioni pre-
sentate da' Ministri, quelle della Commissione del Senato, quelle
dell'altra Commissione della Camera dei Deputati, nonché le
discussioni importantissime che sono avvenute nel Senato nel
1875 e nel 1880. — Circa ai vari progetti voggasi quello mi-
nisteriale all'articolo 143, e intomo ai verbali si consulti ipe-
cialmente quello della Commistione ministeriale che ha compi-
!i • il progotto preliminare e che costitaiscono le parti 1,* 2*
>' degli Atti della Commissione incaricata di studiare le mo-
dificazioni da introdursi nel Codice (N. 70 e 518) per Io diicus-
«ioni del Senato del 1875, e veggasi la pagina lOOO; per quello
del 1880 la pagina GC a 08: per !a relazione della Comniin-
HÌone della Camera dei Deputati a relatori Mancini e Pasquali
vr>^;;aKÌ In pagina 116: per le modificazioni di reiasioni veggasi
l'articolo 144. '
< Articolo 143.
• Prog. prel., art liO; — Prog, Finali, art. 66; — Prog. ViglUni,
articolo 74 ; — Prof. Hen. toc., art 66 ; — Prog. Min., art 148 ; - Prog.
280 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
Il Regolamento per l'esecuzione del Codice di commercio
approvato con regio decreto 27 Dicembre 1882 — sarà modi-
ficato 0 chiarito dal Ministro di Agricoltuja, Industria e Com-
mercio.
§ XI. Conclusione. — Riassumendo le critiche che abbiamo
fatte e le proposte intorno al Codice e al Regolamento ed alle
istituzioni attenenti alle assicurazioni, ci sembra di poterle for-
mulare in questa maniera. *
1. Le garanzie si dovrebbero misurare in base al bilancio
tecnico attuale e non in ragione dei premi lordi.
2. Le società estere offrendo maggiore sicurezza al pubblico
perchè devono impiegare in rendita una somma maggiore delle
nazionali, saranne preferite dal pubblico : e se ne hanno già pre-
sentemente delle doglianze dalle Società nazionali.
3. E urgente che l'articolo 145 del Codice di commercio
(là dove parla delle somme pagate) sia interpretato esattamente:
e quelle parole sieno considerate come se indicassero premi
riscossi.
4. Il Governo deve ora, di nuovo, esplicitamente dichia-
rare se con le attuali leggi la gerenza delle associazioni per do-
tazioni delle Assicurazioni sulla vita sia da considerarsi nel
bilancio, e se l'obbligo dell'investimento, espresso nell' articolo
145 del codice si riferisca anche agi' investimenti dei fondi di
associazioni e sia da computarsi nel quarto della somma dei
premi riscossi da impiegarsi in rendita.
5. Il Regolamento per la esecuzione del Codice di com-
mercio deve essere rifatto dall'articolo 55 all'articolo 61. E
illegale l'articolo 55 che obbliga l'impiego in titoli del debito
pubblico consolidato in relazione coli' articolo 145 del Codice;
il quale non parla di consolidato, ma dice soltanto in titoli del
dehito puhhlico dello Stato. E necessario di provvedere con di-
sposizioni transitorie alle lacune del Regolamento.
Sen., art. 144. Verb. Comm. min., n. 70 e 518 ; — Rei. Lampertico, e. Vili,
pag. 10 ; — Discuss. Sen. 1875 ; pag. 1600 ; — Rei. Mancini, e. LXXXI,
pag. 333 ; — Rei. Corsi, e. VI, pag. 16 e 35 ; — Discuss. Sen. 1880, pa-
gina 76 e 78 ; — Rei. Cam. Dep., e. CXII, pag. 116 ; — Mod. red., art. 144.
Per queste e per le altre citazioni copio — Codice di commercio del
Begno d'Italia^ testo definitivo illustrato col richiamo dei lavori prepara-
tori e legislativi per cura di G. B, Ridolfi. Venezia, Naratovicli, 1882
^ Cfr. Il nuovo Codice di commercio volgarizzato dal prof. Alberto
Errerà. — Firenze, tipografia Pellas, 1883. Un volume.
E SULLA VITA DELL'UOMO. 281
Intanto non essendo state adempiute da tutte le Società le
prescrizioni degli articoli 55, 56 e 57 del Regolamento : non
avendo il Governo dal 1* Gennaio ad oggi fatti gli accerta-
menti dei quali avea facoltà ogni trimestre (art. 58 del Reg.)
è indispensabile far cessare quest'inconveniente, fosse pure con
disp'osizioni provvisorie, cercando di diminuire almeno in parte
le lagnanze che giustamente si muovono contro il modo col
quale è messo in esecuzione il Codice.
6. Avi'emo ancora molti inconvenienti : non si saprà come
e quando applicare le disposizioni speciali per le Assicurazioni
a premio e quelle che sono comuni con le Associazioni mutue.
Fin d' ora diciamo che è stato un errore del legislatore di
indicare come Società Commerciale le mutiUi, le quali non sono
commerciali, né quando si propongono lo scopo dolle assicu-
razioni, ne allorché hanno un altro intendimento.
7. Allorché avrà il legislatore adempiuto al proprio dovere
spetterà ai privati, alle istituzioni scìcotitìche di completare la
riforma delle Assicurazioni. Una buona iniziativa sarebbe quella,
d' istituire una scuola speciale degli attuari o di aggiungere
nelle scuole commerciali o negli istituti tecnici un qualche in-
segnamento, che avesse un particolare riferimento alle Assi-
curazioni.
I nostri regi laiuuii u ic accademie di scienze, lettore ed arti e i
corpi morali i quali mettono al concorso argomenti di economia,
di diritto, di amministrazione, dovrebbero imitare ciò cho si fa
all'estero per lo studio del problema delle assicurazioni. La bella
esposizione di Milano Borrirà ad eMi di eccitamento? Convinti
del progresso pratico dei nostri istituti, e della lacuna cho vi ò
nella ttcicnza di statistiche, di trattati completi sul! 'argomento,
potrebbero bandirò un concorso a premio, corno fecero alcune
Accademie estere.
L'accademia di tcienze morali o politiche di Parigi, ' mise
a '- ' 'intro proposta del Levasseur, per il promio Leone
Fa i O lire) la questione dello assicurazioni noi se-
guenti termini: u Los assurancet: étudier lours origines. Ics
u développcmcnts qu'ellos ont rc^us et qu'elles peuvent ro9ovoIr;
u les principos sur lesquels oUos reposent et Icm nvantuifcs
|u'cllos peuvent procurer à la socióté. *<
II }fnniUur de» asaurance» aggiunse al premio KM^K) lire, 6
< BedaU i norembre 188a
282 LE ASSICURAZIONI CONTRO I DANNI
la Librairie des assurances altre lire 1000, per l'autore che vin-
cerà il concorso e del quale essa stamperà l'opera!
Intanto facciamo voti che il nuovo Codice di Commercio
(malgrado le poche inesattezze che abbiamo notate) faccia ot-
tima prova in Italia e che gli esempi degli americani, degli
inglesi, dei tedeschi e dei francesi ecciti qualcheduno dei no-
stri illustri scienziati a scrivere un' opera sulle assicurazioni
degna di far riscontro a quelle che, da gran lunga, furono
ammirate all'estero.
Alberto Errerà.
NOTE STATISTICHE.
Ripartizione delle Società di assicurazioni in Italia
secondo le specie d'assicurazione (1 gennaio 1881).
Assicurazione incendi Società anonime 2
» > » mutue 4
Assicurazioni sulla vita .... > anonime 2
» » > mutue 3
Assicurazione sulla grandine . . > anonime —
» » » mutue 3
Assicurazioni sui trasporti ... » anonime 18
> > » mutue 8
Assicurazioni sugli accidenti . . » anonime —
» » » mutue 1
Assicurazioni miste e diverse . . » anonime 4
j> » > mutue 12
Totale delle Società anonime .26
Totale delle Società mutue 31
Istituti governativi —
Assicurazioni locali —
Totale generale . 57
E SULLA VITA DELL COMO.
283
NOTA delle Sedi e delle operazioni delle Compagnie di assicura-
zioni nazionali ed estere che operano in Italia (1 luglio 1883)
indicate nel Bollettino.
li.
il^F
Sede sociale Rami di opebazioke
Milano Incendi, Vita
Torino Incendi
Venezia e Trieste . . Incendi, Vita, Grandine, Tra-
sporti
Trieste Incendi, Vita, Grandine, Tra-
sporti
Milano Vita
Torino Incendi > • •
Genova Trasporti maritt., fluv. e terr.
Parigi Vita ."....
Parigi Incendio
Londra Vita. . ,
Parigi Vita.
Parigi Incendio
Parigi Incendi
Vienna Tn(<'ii'li, Grandine, Vita, Mar.
Parigi Iiicniiiio • .
Livrrpool Incendio
Vinterthur .... TVasporti
Parigi Incendio
Pe»t Incendio, Grandine, Trasporto
Firenze Inc<-ii(iio
Parigi Itu'ciKiio
Parigi Iiictiidio ......
Parigi Vita
JAverpool Trasporti .
Firenze Vita. ...
Torino Bestiame .......
Parigi Vita
BasìTea Trnsporfì ninrittlmi «> terrestri
Parigi
P*rigi .
Parigi .
Parigi
Parigi .
Parigi .
Capitale scoalb
5,200,000
1,500,000
13,125,370
8,250,000
6,250,000
4,000,000
8,000,000
20,000,000
6,000,000
2,500,000
15,000,000
12,000,000
20,000,000
2,500,000
10,000.000
20,000,000
5,000,000
10,000,000
7,600,000
40,000,000
6,000,000
9,000,000
30,000,000
S5/)UO.00O
25,000.000
1,000,000
4,000,000
5.000,000
12.000,000
10,000,000
10.000,000
12,000,000
10,000,000
3,000,000
N.B. — A
qii
Torino .
New- York .
Milano ...
Huzzara (Mantova^.
Milano . . . . .
Napoli .
Napoli .
•'^giungono Io segmenti società matuc:
Viu
Grandine
Grandine
Fido cnmroerciale (il eredito)
Incendio e Vii»
MatoA
LA REGALDINA '
XII.
Pierino era venuto a casa a passare le feste e con lui entrò
in famiglia un'aria mondana che Matilde respirava a pieni pol-
moni, assetata com' era di emozioni nuove. Uno scandaluccio
galante di cui la fama era giunta in paese lo mise subito sul
piedestallo di uomo alla moda. I giovinotti lo guardavano con
una certa curiosità mista ad invidia e cercavano di imitare il
suo modo di portare il cappello, di annodare la cravatta ; copia-
vano il taglio de' suoi pantaloni e il colore del suo panciotto.
Era capitato come un raggio di sole in un giorno piovoso.
Davanti al caminetto, Rodolfo, colle gambe allungate, faceva
asciugare al fuoco la suola de' suoi stivali; Daria cuciva; la
Tatta e la signora Luigina discutevano sul prezzo del burro.
Matilde moriva di noia, battendo i piedini impazienti sulla pelle
d'agnello nero, invocando una scossa qualsiasi che venisse a to-
glierla da tanta apatia. Una meta fissa non l'aveva ; desiderava
vagamente i trionfi della bellezza, della vanità, i motti piccanti,
le cortigianerie, le punzecchiature della tentazione ; sognava un
salotto tappezzato di raso, con specchi immensi e fiori a profu-
sione e vicino a lei una voce — non importa quale — cento voci
che le ripetessero parole lusinghiere. Quel tanto che conosceva
dell'amore non le bastava; la sua relazione con Rodolfo non era
stato altro che l' incontro patologico di due desideri latenti ;
Matilde presentiva altre gioie, scandagliava coli' immaginazione
* Continuazione e fine, vedi fascicolo precedente.
LA REGALDINA. 285
abissi di voluttà inesplorate; era agitata, fremente, e fu con un
impeto sincero che esclamò all'arrivo del suo cognato :
— Finalmente si vede qualcuno!
Lo assali subito di domande ; volle sapere le novità citta-
dine, il successo dell'opera e del romanzo nuovo, ma più ancora
quello del cappello Direttorio ; e poi gli chiese se si divertiva
a Milano, se andava a balli, a teatri.
Pierino era informato di tutto. Aveva preso uno spolvero di
giovinotto elegante, con un pizzico di audacia naturale che stavano
insieme magnificamente. L'antico birichino che faceva scherzi
alla innocua signora Luigina, si era mutato in un birichino di
miglior gusto, che sapeva all'occorrenza assumere anche un'aria
grandiosa tra l'artista e il gran signore.
— Girandole ! — brontolava la vecchia Tatta — Fumo negli
occhi !
Il primo giorno dell'anno verso le due pomeridiane Matilde
passeggiava nella corte, pestando i piedi per riscaldarsi ; aveva,
un lungo soprabito di panno verde guarnito d'astrakan con ala-
mari e cordoni all'ussera e in testa un tocco di velluto nero con
penne di gallo.
— La mia signora cognata ha freddo, a quanto pare?
— E il lignor cognato no? — fece Matilde con graxia ci-
vettuola, rispondendn - Plorino che l'aveva apostrofata dalla
finestra.
— Ho un preservativo infallibile, io.
— Davvero? Me lo insegni.
— Oh! cosi dall'alto al basso....
^latilde non gli fece caso ; tornò a paise^iare in su e in
giù, poi vedendo Pierino immobile alla finestra:
— Non potrebbe ui-endero anche lei? Andiamo, voniru. ni»
accompagni a fare quattro passi.
— \' ' iitieri.
>. tv. nono adagio adagio fuori del paese, i«ii! v;.i.. ,1,1
> t Ilario.
— Come deve annoiami in questi giorni ! disse Matilde.
— Perchè? L'ho fatta per tanti anni quonta vita.
^- 8), ma ora che ha provato a vivoro a Milano e che — lo-
pratutto — vi ha laaciato caro persono....
Perino rise, croi! ' M capo.
— Non dica di 1 Ma cosa che la sanno tutti; del resto
non c'è niente di malo.
286 LA REOALDINA.
Poi con un movimento di prontezza felina appoggiandogli
una mano sul braccio e guardandolo in fondo alle pupille:
— È bella? domandò.
Lui volle schermirsi; Matilde insistè:
— Peuh!... discreta. La bellezza d'altronde non è tutto nem-
meno in una donna; ci vuole lo spirito, la grazia, il brio.
— Ha ragione. È come negli uomini ; che valore ha un uomo
grande e grosso quando non sa far altro che fumare, bere e an-
dare a caccia?
Pierino finse di non capire"' 1' allusione. Ella, seguendo la
volubilità de' suoi pensieri, tacque un momento e poi disse :
— Oh ! io muoio d' inedia venti volte al giorno. Vorrei essere
un uccello per scappare subito subito a Milano. Si figuri che
qui non si parla altro che di cucina, di chiesa, di bucato e di
peccati del prossimo. Ho pregato tante volte Rodolfo di abbo-
narmi almeno a un giornale di mode, di quelli che narrano un
po' di cronaca elegante... ma si!
— Se non è che questo io posso soddisfare i suoi voti. Le
manderò un periodico che la terrà al corrente di tutto.
— Ah ! che piacere. Grazie, grazie.
Così dicendo gli si appendeva al braccio stringendolo.
— Ma che sciocchezza! — esclamò poi, ridendo — noi con-
tinuiamo a darci del lei come se fossimo forestieri.
— Già. A Milano non si usa tra cognati.
Provarono a darsi del tu, ma non vi riuscivano cosi subito;
tentarono il voi, ma anche questo non andava.
— Ci faremo a poco a poco. Mi dica intanto, è vero che tutte
le signore si tingono gli occhi a Parigi e molto anche a Milano?
Io sarei curiosa di conoscere come ; è una moda orientale di-
cono; il segreto della tintura perfetta lo hanno le odalische.
— Lo potete avere anche voi, quantunque i vostri occhi non
abbiano bisogno di questo. Prendete il turacciolo della prima
bottiglia che vi capita, lo affumicate alla fiamma di una can-
dela, lo fate scorrere leggermente sulle palpebre, levate quello
che c'è di troppo con un fazzoletto fino ed eccovi dipinta come
la sultana Valide; ma non ve lo consiglio perchè l'occhio perde
in freschezza quello che guadagna in colore.
— Oh ! io non voglio farlo ; è solamente per sapere.
— La smania della scienza! — esclamò Pierino ridendo.
— Voi potreste proprio insegnarmi tante cose — disse lei,
pensierosa, mordendosi le labbra.
LA REGALDINA. 287
— Non è certo la buona volontà che mi manca — rispose
egli con prontezza.
Ma il suo sguardo fu troppo ardito. Matilde si staccò di
qualche passo mormorando : — Non facciamo ragazzate.
Erano giunti fin quasi al Santuario. Sul piazzale deserto
spirava un vento freddo di tramontana.
— Vuol nevicare.
— Ho paura di si. Torniamo indietro.
E rifecero il viale silenziosi. Quando furono in vicinanza
del paese invece di entrare per la porta grande presero il sen-
tiero dei campi che costeggiava la gora.
— Quest'acqua ha per me un fascino particolare — disse
Matilde — quando siamo venuti a stabilirsi qui cojla mamma
io avevo otto o nove anni al più, ma mi ricordo ancora l'effetto
che mi fece e che pregai tanto la mamma di prendere una casa
sulla Roggia. Si ricorda lei quando siamo venuti qui?
— Mi ricordo il giorno del suo arrivo. Sapevo che la casa
bianca era stata affittata; Rodolfo ed io ci siamo arrampicati
sopra un fico per spiare; abbiamo visto una carrozza dalla
quale discese prima suo fratello, poi lei con un salto così irrì-
flessivo che a momenti si rompeva l'osso del collo...
— È vero!
— Portava un gran cappellone di paglia e aveva lo gam-
bette nude; questo particolare a Rodolfo e a me fece molta
impressione perchè non avevamo mai visto in paese delle ra-
gazzine eleganti colle gambe nube.
Matilde rise molto.
— £ mio fratello maggiore lo ha conosciuto newero? Se
ne ricorda?
— Oh si. Era amico di Ippolito.
— Come ò morto presto!
— Si. Non somigliava punto ai Regaldi.
— Per chi ò il complimento? — chiese Pierino con un po'
iV\ malizia.
Oh! per nessuno, o per tutti, eome vuole. Non avevo di
mira niente dicendo cosi ; è però un fatto che di tre fratelli non
vi assomigliate nessuno.
— Bene; torniamo al voi.
— Mi sono sbagliata.
— Sei adorabile.
— Oh!
288 LE REGALDINA.
— Perdono. Mi sono sbagliato anch' io.
Entrarono in casa spigliati ; Matilde aveva le guancie rosse
per il freddo, però la passeggiata le aveva fatto bene; era al-
legra, parlò e rise tutto il tempo del desinare.
Alle frutta si fecero dei brindisi -, Pierino in isbaglio rovescia
il biccbiere sul vestito verde di Matilde.
— Bisogna lavarlo subito.
— Al contrario, è meglio lasciarlo asciugare.
— Per togliere le macchie di vino ci vuole il latte.
— La benzina.
— Ma che benzina ! Acqua fresca.
— In mezzo al trambusto di tante opinioni discordi Pierino
disse con calma:
— Ve ne manderò un altro, e più bello; più alla moda so-
pratutto. Il verde è un po' vecchio, quest'anno la gran voga è
per il color testa di negro.
— Bravissimo il signor cognato. L' idea mi piace ; vedremo
se saprete ricordarvene.
Pierino rispose alla raccomandazione di Matilde con un gesto
convincente.
— Vorrei sapere (borbottò la vecchia Tatta guardando al
disopra degli occhiali) da quanto tempo quelle due teste balzane
sono entrate in tanta confidenza.
Il domani Pierino tornò in città, ma nella stessa settimana
Matilde ricevette l'abito color testa di negro.
Qualche giorno dopo arrivò il giornale di mode, e poi tratto
tratto, insieme al giornale, dei libri eleganti che portavano nel
silenzio dell'umile casa l'eco dei, rumori del bel mondo. Matilde
si faceva sempre più insofferente di quella vita ; ogni giorno
le crescevano i desideri, i bisogni. Con Rodolfo si bisticciava
spesso rimproverandolo di essere grossolano; gli chiedeva de-
nari che lui non aveva — allora si rinfacciavano a vicenda
il passato, coprendosi di vituperi], arrivando quasi all' insulto.
Verso il mese di giugno ella dichiarò recisamente che vo-
leva andare ai bagni; disse di aver venduto alcune gioie che
possedeva, e che se non bastava la somma, trattandosi della
salute, si poteva anche incontrare qualche debito. Ippolito volle
farle delle osservazioni; ma lei tagliò subito la strada dicendo
che la moglie dipende dal marito e non dal fratello.
La posizione di Daria in famiglia non le lasciava autorità
manifesta ; solo nei casi estremi la giovinetta imponeva a' suoi
LA REGALDINA. 289
cugini la via del dovere; del resto ella se ne viveva a parte,
lavorando, pensando e occupandosi molto della bambina che la
madre trascurava affatto.
Chi fece un buscherio indiavolato fu la Tatta, che cogli
occhi fuori dell' orbita dichiarò che Matilde era più pazza an-
cora della moglie di Tarantolino, la quale aveva divorato in un
anno due campi e una cascina — secondo le cronache di Pom-
ponesco.
Rodolfo, il solo che avrebbe potuto opporre una seria resi-
stenza, preferiva sfuggire la lotta — così Matilde parti — e la
sera stessa Rodolfo si ubbriacava all'osteria dei Tre mori, be-
stemmiando contro le donne, con gran divertimento della signora
Emesta e de' suoi amici.
xra.
Un altr'anno passò, monotono, senza portare nessun cam-
biamento visibile, ma lasciando cadere quotidianamente il suo
granello di sabbia come la clepsidra antica.
Era il mese di luglio. Il paese, cessata la gran faccenda dei
bachi, riposava nella sua calma sonnolente in mezzo ai prati
grassi che lo cfrcondano e ai campi di ravettone splendenti del
loro giallo intenso. Un caldo soffocante teneva tutte le case rin-
chiuse, e solo passando da qualche finestra terrena si sentiva
l'odore nauseabondo dei bozzoli ammonticchiati per la semente.
Sciami di mosche aleggiavano intorno rompendo il silenzio,
picchiettando i vetri delle botteghe, spingendosi attraverso lo
fessure nelle camere abitate, aggruppandosi sui muri bianchi
arsi dal sole. E al disopra delle case silenzioso, sullo vie de-
serte abbruciate dalla caldura, pesara un cielo grave come co-
perchio di piombo. Daria era aitata colla bimba a trovare la
signora Luigina, che da qualche tempo inferma, non si moveva
quasi più dalla camera. Da quella notte che ayeva ricevuto la
confessione de' suoi casi pietosi, Daria si sentiva maggiormente
trascinata ad amare, a comprendere, a compMiro la povera zi-
tellona. Dove gli altri non vedevano che il ridicolo di una
isterica donnicciuola, ella trovava le cicatrici di ferite profonde,
di dolori indimcntiodbilì; e forse pensava che lei stessa potrebbe
diventire cosi, isterilita nelle lotte contro un amoro inOlieo.
Ciò per altro non la scoraggiava; la sua pnssiuno l'aveva
elevata all'altezza di una fede. Doll'anlentc amplesso che lu ora
T«L. XL, SotU n — 15 Lsffll* ISSS. It
290 LA REGALBINA.
negato ella formava una ardente fiamma di pensiero e, certa di
essere ricambiata, viveva nella mente e nel cuore dell' uomo
che essa amava. Martiri entrambi della famiglia, riuniti nel
medesimo sacrificio, accettavano coraggiosi l'aspro dovere che
8Ì erano imposti, sostenendosi a vicenda.
Nell'ambiente corrotto in cui vivevano, la purezza delle loro
anime creava loro un oasi di riposo ; essi vi si rifugiavano nelle
ore dello sconforto, sfuggendo alle malignità crasse e volgari,
temprandosi alla virtù del perdono. Si sentivano generosi perchè
si sentivano grandi.
Di sé, del proprio amore, non parlavano quasi mai; esso
trapelava negli sguardi, nel suono della voce, nei rapidi muta-
menti del volto ; esso gemeva represso quando considera-
,vano la condotta di Matilde; sospirava malinconico vicino alla
bimba della quale poteva dirsi il vero padre e la vera madre ;
si univa, si fondeva in ogni loro azione facendosi nel medesimo
tempo soggetto ed oggetto, umile sempre, tenuto in freno da
una volontà potente e da una idea grandiosa del dovere.
Poche volte, qualche volta tuttavia, la loro virtù vacillava.
Si chiedevano allora quale compenso avrebbero di tanti
sacrifici e se proprio valeva la pena di soffocare come una colpa,
come un delitto quella passione che tutti gli altri ostentavano
con pubblica impudenza.
Quando l'ebbrezza dell'amore li prendeva alla sprovvista e
si trovavano tutti e due smarriti, confusi, colle mani avvinte,
cogli occhi perduti nella, infinita dolcezza del desiderio, una
voce mormorava ai loro sensi soggiogati : Perchè ? Perchè sof-
frire in mezzo al gaudio? Perchè resistere dove tutti cedono?
Perchè voler vincere? — E la natura rigogliosa mandava on-
d.ate di sangue caldo nelle loro membra che tremavano, e l'ob-
blio d'ogni cosa sfiorava, tentandole, quelle pure fronti. Uscivano
dalla lotta disfatti, pallidi; ma un sentimento potente reggeva
la loro debolezza. Quelle prove affermavano sempre più il loro
ideale divino, li faceva certi che la virtù non è un nome vano
che il dovere non è una larva, e ritemprati di nuova fede aspet-
tavano, sereni, nuove battaglie.
La loro prima giovinezza era trascorsa; si trovavano oramai
al meriggio e già 1' ombra grave di chi ha molto vissuto e
molto sofferto, palliava nei loro colloqui la vivacità del desiderio.
Le loro giornate passavano quasi eguali nel ritiro e nel la-
voro. Ippolito, che non aveva finito di pagare il debito con-
LA REGALDINA. 291
tratto per il matrimonio di Matilde, si levava alla mattina per
tempo; spesso anche alla sera Daria vedeva ardere per molte
ore il lume nella cameretta della casa bianca e lei pure ve-
gliava coll'ago in mano compiendo presso la culla della bam-
bina il sacrificio della sua gioventù, chiedendo alla pietà le
gioie che le negava l'amore.
La visita alla signora Luigina stava per finire e Daria l'af-
frettava avendo dato un appuntamento a Ippolito nella chiesetta
romita del viale. Ella era molto turbata perchè le cose che
doveva dire al suo amico le sembravano gravissime. Ma la
piccina non voleva abbandonare la camera della zitellóna dove
c'era una quantità di oggetti curiosi e bizzarri; fiori di cera,
di cannutiglie e perfino di droghe schierati sul caminetto sotto
le campane di vetro; panierini di cotone bianco fatti all'unci-
netto e insaldati; ornamenti di zucchero dipinto avanzati dalle
torte; stuzzicadenti traforati con pappagalli e pagode chinesi
appoggiati dentro a vasetti di vetro colorato; quadri ricamati
sul canovaccio dove le figure principali avevano gli occhi di
vetro e il naso formato con un chicco di riso. La piccola Lena
era felice in mezzo a questo mondo grottesco dai colori sma-
glianti e la signora Luigina avvezza da trent'anni a vivere sola
tremava ad ogni mossa imprudente, ad ogni strepito di quei
piedini irrequieti e di quelle manine che dovunque si posavano
mettevano la strage e la rovina.
Come avviene negli scavi delle città sepolte sotto la lava,
dove si trovano le persone ritte e intero fra gli utensili e gli
ornamenti che usavano in vita, la signora Luigina si era mum-
mificata co' suoi mobili, collo sue memorie e la voce argentina
della bimba squillando fra quello pareti risvegliava un'eco che
pareva di tomba.
Eppure la signora Laigina sorrideva, alxando la mano scarna
per accarezzare Ja fanciulletta.
— Snv%'ia andiamo! — disse Daria risolutamente prenden-
dosi in collo la Lena.
— Bada a non farti male — avverti la «ignorii I.u .,'iiia,
sempre spaventata — la piccina cresco e non ò più tanto Ic^'^'ira.
— Se tutti i peti fossero qaetti! — sospirò Daria e strin>
gcndo fra le braccia la sua figliuola adottiva, usci dalla casa
della zitellona e s'avviò alla chiesetta.
Ippolito era U ad aspettarla.
Gli sforzi fatti dalla povera ragazza per nascondere il sua
292 LA REGALDINA.
turbamento agli occhi dell'amico, cedettero sulla soglia della
chiesuola. Appena ella vide Ippolito gli corse incontro, e poi
mancandole a un tratto il coraggio continuò a correre fino al-
l'altare maggiore dove si fermò, agitata, non curandosi più di
nascondere le lagrime.
Ippolito la fece sedere e le prese la mano in silenzio. Era
la prima volta ch'ella gli dava un appuntamento, ne si poteva
nemmeno sospettare che fosse un appuntamento d' amore; tale
pensiero era affatto lontano dalla sua mente. Ma egli non l' a-
veva mai veduta in tanta agitazione e fu preso subito dal ti-
more di ana disgrazia.
— Si — rispose Daria all'interrogazione di lui — nuove
sventure, nuove colpe, nuovi obbrobri! in questa famiglia ma-
ledetta !...
Era strano che Daria parlasse cosi; i suoi occhi fiammeg-
giavano ; un rossore vivissimo le coloriva le guancie. Qualche
cosa della violenza della vecchia Tatta era rimasta anche a lei
e in quel momento disperato le saliva al cervello vincendo l'a-
bituale dolcezza. E però anche nell'eccitamento dello sdegno la
sua fronte era nobile, il suo sguardo puro ; Ippolito la contem-
plava con devota ammirazione.
Daria continuò, parlando a voce bassa e concitata:
— Si ricorda quel mattino di novembre, quando lei venne
in casa nostra a chiedere conto dell'onore di sua sorella?...
Ippolito impallidi cosi visibilmente che Daria ne ebbe com-
passione e passando dall'ira alla improvvisa tenerezza, strinse
la faccia sulle mani di lui in un atto d'amore insieme e di im-
mensa desolazione:
— O Ippolito, amico mio, mio unico amico, perdono. Il
dolore mi accieca. Ma perchè siamo noi condannati a tante
miserie?
Il pianto le troncò le parole in gola.
— Matilde?...
Egli osò pronunciare il nome di sua sorella, quel nome che
gli apriva una eterna ferita; ma non potè proseguire. Incapace
di abbandonarsi a uno sfogo di dolore si sentiva paralizzato
dalla gravità stessa della situazione ; le lagrime che non usci-
vano da'suoi occhi gli ricadevano ad una ad una sul cuore. Fi-
nalmente con uno sforzo disperato su se stesso, disse:
— So che ha fatto dei debiti...
— Non è tutto.
LA REGALDIXA. 293
Ad onta della sua freddezza Ippolito diede un balzo.
— Che c'è ancora?
Daria si era calmata. Seriamente, con accento sicuro, rispose :
-^ C'è di mezzo l'onore di Rodolfo.
— E impossibile! scattò Ippolito, quasi invertite le parti, la
violenza di Daria fosse passata in lui.
— Lo spero — disse Daria freddamente — ma le apparenze
sono tali. Fu vista parecchie volte a Milano insieme a Pierino ;
c'è anche chi assicura che l'anno scorso ai basrni eerli andava
sempre a trovarla. Da molto tempo, io che vivo in casa, ne avevo
il sospetto. Oh! Ippolito, è ben triste cosa dover parlare cosi
dei propri parenti ; ma a che servirebbe il silenzio con lei ? Non
è forse la sola persona alla quale io possa chiedere aiuto? Alla
zia, cosi violenta, no certo. Tutti i miei sforzi mirano a tenerle
nascoste queste brutture; quanto a Rodolfo nello stato in cui è
I caduto non si accorge di nulla...
^K Una vocina giuliva interruppe il grave colloquio. La bimba
che Daria aveva posta a sedere sui gradini dell' altare, aveva
scoperto tra le fessure dei mattoni una tribù di formiche e bat-
teva le manine ridendo, sorpresa di vedere tante creaturine più.
piccole di lei. La gioia innocente della Lena parve ai due af»
flitti un contrasto cosi atroce che ammutolirono; 'ma i loro
sguardi profondi si ricambiavano i medesimi pensieri.
La piccina continuava a baloccarsi sulla scalinata, presso la
balaustra di legno dipinta in celeste; e le ghirlando barocche
del soffitto le facevano una cornice graziosa, cui illuminava
biandemente la luce delle ogive, al di faorì delle quali tremo-
lavano i rami dei castagni.
Una quiete di chiostro rognava nella chiesetta dove i fron-
toni barocchi dell'altare e le pareti vetuste proiettavano delle
ombre molli, piene di raccoglimento e di mistero.
In mezzo a tanta pace la tempesta di quello due anime con-
tinuava rinchiusa, solitaria no, perchè non un tumulto dell'una
sfuggiva all'altro. Tutte le vergogne a cui assistevano forcata-
mente passavano sullo loro fronti lasciandovi una trnccia.
Ippolito si informò d'ogni particolare; volle conoscere fino
a quel punto poteva giungere colla speranza, ma sotto la tua
Iw^ calma forzata trapelava la disperazione del dubbio. Egli sentiva
H che nessuna forza, nessuna voce potrebbe arrestare Matilde, ••
■I non l'arrestava la voce della sua innocente bambina, se non In-
frenava la cosclcnz« imperiosa del dovere.
294 LA REGALDINA.
— Farò il compito mio — disse alla fine, avendo riacqui-
stato la padronanza dei propri sentimenti — qualunque cosa
accada lei sa che non mancherò.
Non aggiunse altro. Si levarono entrambi, magnanimamente
forti, e presa per mano la piccina uscirono dalla chiesa senza
più scambiare una parola. Quando si separarono Daria gli tese
la mano dicendo;
— Addio.
— Addio. — rispose Ippolito.
E in quel momento, in quel momento solo, un raggio d'a-
more temperò la profonda mestizia dei loro sguardi.
XIV.
Le precauzioni di Daria non bastavano a deludere l'astuta
accortezza della Tatta che, avvertita da un senso misterioso,
sorvegliava con sospetto la condotta della nuova nipote.
Dopo il colloquio con Daria, Ippolito aveva fatto chiamare
Matilde, e pare che le cose da lui dette alla sorella fossero
serie molto perchè Matilde usci dalla casa bianca tutta alte-
rata in volto e cogli occhi rossi.
La Tatta la vide attraversare la corte, salire rapidamente
nella sua camera e rinchiudervisi.
— Gatta ci cova — brontolò la Vecchia.
— Oh perchè? — fece Daria con naturalezza. Sai che tra
loro due vanno poco d'accordo ; il signor Ippolito è cosi severo,
così rigido e Matilde è viva....
— Vorresti concludere — interruppe la vecchia fissando
sulla giovinetta il suo sguardo acuto e sardonico — che il signor
Ippolito ha torto? Daria chinò il capo senza rispondere. ^
— I Regaldi — continuò la Tatta con impeto — sono forse
deboli, inetti e fannulloni, ma vivaddio sono onesti. E questa
civetta che si è fatta sposare per forza....
— Parla piano zia — implorò Daria — le finestre sono tutte
aperte.
— Non mi importa affatto. Non ho niente da nascondere
io, e se c'è qualcuno cui preme il silenzio peggio per lui, o per
lei, 0 per loro!
L'esplosione furiosa della Tatta terminò con un violento
sbattere dell'uscio. Daria rimasta sola pensava più che tutto ad
evitare uno scandalo che sarebbe ricaduto sull'intera famiglia
LA REGALDINA. 295
e sulla povera piccina che non sapeva nulla, che non doveva
mai saper nulla.
Se qualche volta il disgusto di vivere in quel paese e in
quella casa suggeriva a Daria la tentazione di andarsene via —
e la tentazione era forte perchè anche Ippolito la sentiva —
la sola immagine della Lena abbandonata la faceva tornare in
se e le ribadiva la catena. Sono legata qui — sospirava la po-
vera ragazza — chi sa — forse per sempre!
E intanto che rifletteva, a capo chino, colle mani abbando-
nate sui ginocchi, entrò Rodolfo e andò come il solito à get-
tarsi sul divano bigio. H bel giovane d' una volta era assai
mutato. Divenuto immensamente pingue e acceso in volto per
l'abuso del bere, aveva perduta ogni grazia giovanile 5 sembrava
vecchio di die«à anni. L'occhio aveva imbambolato, le labbra
cadenti ; la fronte, senza pensieri, muta e triste sotto 1' abbon-
dante capigliatura, nerissima ana volta, ora già brizzolata.
— È pronto il desinare ? — domando, sbadigliando.
— Non ancora ma....
Rodolfo cacciò faorì una bestemmia.
— Non c'è mai niente all'ordine in questa casa. Voglio che
il pranzo sia in tavola alle quattrcr, voglio. Sono o non sono il
padrone?
Per tutta risposta Daria gli indicò il quadrante del cucù
che segnava le tre e mezzo.
Egli si rabbonì.
— Non dico questo per te sai? Tu sei buona. Anzi voglio
dirti una cosa.
Si fermò un poco, grattandosi la testa cercando le parole.
— Se hai bisogno di me, Rodolfo, parla.
— Bisogno, bisogno, sicuro! Di tutto ho bisogno. Di denaro
ho bisogno.
— Oimè....
— Non ne hai nemmeno tu, lo so. Tutti spendono e nessuno
ne ha. Ma non saprt-'^ti trovar fimr! fjiiMlclio cosa... «•"■''<'1>"
cosa da vendere, qui '
•Si rizzò sul gomito gUHrdnnduMi attorno. N^ occor
Daria gli rispondesse. Lo stipo antico, la sola cosa bella . uim
che fosse rimasta in casa era già stato venduto. Al suo posto
la bambola della Lena aveva trovato un lettuccio provvisorio
•ttl gnanoialino dei conigli, e Quattrina diventata vecchia e pi-
gra ruspava li accanto.
296 LA REGALDINA.
Rodolfo si fermò a guardare quel posto e quella bamLola;
scosse il capo, tornò a grattarsi, sbuffò e ricadde pesantemente
sul divano.
Non disse più nulla.
Daria incominciò ad appparecchiare la tavola, in apparenza
tranquilla, ma con uno struggimento die le rodeva il cuore. Ad
ogni tratto le lagrime le facevano groppo in gola ed ella le
cacciava giù come un boccone amaro che è d' uopo ingollare
per forza. La sua famiglia le si sfasciava sotto gli occhi, an-
dava a rotoli ; ogni pena era stata inutile, ogni sacrificio sprecato.
Si fermò un momento davanti al ritratto del maggiore dei
Regaldi — l'onore della famiglia — come essa lo chiamava, e
le parve davvero che con lui ne fosse morta la parte più no-
bile. Rifece ancora colla mente l'ultimo loro dialogo, in riva
alla gora; ripensò alla fatalità che fin d'allora poneva Matilde
sul sentiero dei Regaldi, e l'avversione che le aveva sempre
destata, e le sue paure, le sue preghiere, finalmente il suo
trionfo dell'anello; povero trionfo che non era bastato a scon-
giurare il destino.
Continuando a frugare nel passato le venne il rimorso di
essere stata forse troppo pronta a favorire le nozze di Rodolfo
con Matilde e volle scrutare a vivo il proprio cuore per sapere
se l'amore di Ippolito avesse fatto traboccare la bilancia. Ma
dopo un esame coscienzioso, durante il quale ella si sentiva
disposta a tutte le espiazioni, rialzò la testa fieramente e disse:
No — ho fatto soltanto il mio dovere.
Questo pensiero consolante, l'unico che abbia la potenza di
rialzare un' anima abbattuta, colorì di un lieve incarnato le
guancie di Daria.
Ella posò i piatti, le quattro posate, e poi un piattino e un
cucchiaino. Rodolfo seguiva macchinalmente cogli occhi ogni
suo movimento.
— Dov'è lei? — domandò bruscamente.
Lei era Matilde, Daria si affrettò a rispondere in modo con-
ciliativo :
— È di sopra ; forse ripassa gli abitini di Lena.
Rodolfo fece un sogghigno incredulo, ma non aggiunse altro.
La tavola era pronta; la Tatta venne dalla cucina colla
zuppiera in mano e colla Lena attaccata alle gonne. Daria le
corse incontro, prese la piccina e la pose sul suo piccolo trono
davanti al piattino della pappa.
LA REGALDINA. 297
La vecchia girò intorno gli occhi.
— Vado a chiamarla — disse Daria rispondendo a quella
muta interrogazione.
E intanto che Rodolfo e la Tatta sedevano al desco ella
volò su per le scale fino all'uscio della camera di Matilde. •
La chiamò due o tre volte, invano; premette la molla, ruscio
era aperto, entrò. Matilde era seduta nel corsello colla faccia
sprofondata in mezzo ai guanciali ; aveva i capelli scarmigliati,
le vesti in disordine, tutte le apparenze di esserci abbandonata
a uno di quegli eccessi nervosi che in lei erano frequenti.
Sollevò la testa all'udire i passi di Daria e, sgarbatamente,
senza frenare l'impulso di una viva contrarietà gridò subito :
— Cosa vieni a fare qui ? Va via.
— Ti aspettano a desinare — disse la ragazza, fedele al
suo partito preso della calma.
— Non ho fame.
Daria esitò un momento; Matilde si era ricacciata colla fronte
nei guanciali, decisa a non muoversi. Ella le si avvicinò e acca-
rezzandole blandemente le treccie scomposte.
— Andiamo Matilde. Tuo marito è già a tavola; la Lena
chiama la mamma.... Ti senti male? Vieni, ti daremo qualche
cosa; non star qui tutta sola abbandonata ai cattivi pensieri.
— Bella pretesa di voler conoscere se i pensieri degli altri
sono buoni o cattivi.
— Tutti abbiamo dei momenti tristi....
— E a mettere insieme i momenti si fanno le ore — esclamò
Matilde con impeto irato — poi i giorni e gli anni, e le vite
intoro. Oh! va, lasciami.
— No, non ti lascio cosi. Tu «0011, sci afflitta, malcontenta,
inquieta.... *
— Come polso essere allegra e contenta se tutti fate a gara
per seccarmi, por tormentarmi ? Sono stanca, stanca, stanca. Vi
odio tutti. Va via.
Daria fu presa da nn singhio//" iJoloro.M; il cuorr !<> si
schiantava a vedere tanta ingratitii<iiii<'; pur.- .«-.l.-niio u*«u<)i
nobili impulsi di carità e di perdono disse: — Iddio sa, Matilde,
quanto ti mmo amica e come vorrei vederti tranquilla.
Klla lu interruppe con immensa collera :
— Tu peggio degli altri ! Tu sei una ipocrita che lavori ni
<• I» rio, tu ftiezi Uodolfo, tu travii mio fratello, tu mi togli
1 aiiKi.- di mia figlia per ornartene e fartene un vanto.
298 LA REGALDINA.
Alle prime parole di questa sfuriata Daria si era fatta pal-
lida; all'ultima accusa gettò un grido e incapace di frenarsi più
a lungo ruppe in un dirottissimo pianto.
— Mio Dio! Mio Dio! Mio Dio!
Daria non diceva altro, e si stringeva le tempie colle dita
perchè le pareva che la testa scoppiasse.
Era troppo.
Matilde invelenita continuò a ingiuriarla, trovando uno sfogo
impensjlto, esaltandosi al suono delle proprie parole, e così con-
traffatta nel viso e nella voce la si sarebbe presa per una furia.
Finalmente viepiù contrariata dal contegno passivo di Daria
e da quel pianto insistente, la prese per le spalle e tornò a
gridare :
— Va via, va via, va via.
Daria ebbe un momento di rivolta. Le balenò l'idea di gri-
dare anche lei, di ricacciarle in volto tutto il passato, tutto,
incominciando dall'anello di corniola; e dirle che soltanto in
grazia sua aveva trovato un nome onorato in quella famiglia
che essa ora trascinava alla rovina. Si voltò indietro, piena di
giusta alterezza, ma nel mirarla ravvisò sulla bocca di lei quella
linea che la faceva tanto rassomigliare a Ippolito e allora ebbe
vergogna della propria debolezza. Un altro ordine di idee venne
a sovrapporsi al bollore dello sdegno; riprese d'un tratto la sua
forza, la sua superiorità serena; dimenticò se stessa; e ferma
e dignitosa, s'avviò fuori dell'uscio dicendo con voce che non
era più tremante, ma che vibrava sotto l'ispirazione di un ideale
altissimo :
— Vado, poiché tu non mi conosci ancora.
Matilde balzò in piedi e lanciando l'ultima parola iraconda
chiuse a doppio giro la chiave dell'uscio. *
XV.
La pace era affatto scomparsa da casa Kegaldi. Matilde stava
chirfsa tutto il giorno nella sua camera ; non scendeva nemmeno
all'ora dei pasti. Qualche volta usciva, sola, girava per le cam-
pagne e nel rientrare passava davanti all'ufficio della Posta per
vedere se c'erano lettere.
Quando la lettera c'era Matilde sembrava più allegra, ma
anche quella allegria la teneva per se, la nascondeva gelosa-
mente come un ladro nasconde l'oro che ha rubato.
LA REGALDINA. 299
Non voleva vedere nessuno, nemmeno suo fratello. La Lena,
inviata da Daria, saliva una volta al giorno a trovarla e se Ma-
tilde era di buon umore l'abbracciava e la baciava. Una volta
le chiese se sarebbe partita volentieri con lei, per un paese lon-
tano lontano...
La piccina pianse e corse subito a raccontare la cosa a Daria.
Le persone benevoli dicevano che Matilde era presa da ec-
cessi isterici ; si vociferava anche qualcos'altro però ; e quando
se ne parlava nell'aula magna dei Tre mori, la signora Ernesta
stringendosi nelle spalle esprimeva l'opinione che quando si ma-
ritano le ragazze col solo scopo di sbarazzarsene bisogna essere
preparati a tutto. Del resto Rodolfo era un avventore assiduo
e la signora Emesta, per sistema, rispettava gli avventori.
L'osteria era diventata la vera abitazione di Rodolfo; egli
vi passava le giornate intere sdraiato sulle panche, in uno stato
di dormiveglia perenne; non parlava quasi mai; tratto tratto
bestemmiava, come se rispondesse a dei ragionamenti interni
fatti con tin interlocutore invisibile.
Nella vecchia casa nera le due povere donne layoravano e
piangevano; Daria aveva chiesto dei ricami in città per poter
sopperire alle spese della famiglia; Ippolito era il suo interme-
diario ; lavorava anch'egli segretamente per un avvocato e univa
il prezzo del suo lavoro a quello dell'amica lasciandole credere
che la sorgente fosse la stessa.
Fino allora i due giovani avevano nutrito qualche sperama,
vaga, repressa, dolce tuttavia. Ora non speravano più. Nelle
lotte continue, nelle continue sofferenze il loro amoro si era
spossato ; tutto ciò che era materia l' urto della vita lo aveva
infranto ; ma da quelle ceneri palpitanti, l'anima, retorna fenice,
si inalzavi a regioni divine. Quando il sentimento sopravvivo
all'istinto brutale, esso acquista una delicatasEa tomma, come un
anfora in cui sieno state chiose delle essenze, ma dove non resta
che il profumo.
àSoffriff; iinionif*, |M'ns:ir«', lavorar»* iii-rifin«;, rjH''st;i iii«livisi-
bilit'i d'o;^ni loro azion»' era la «ohi gioia conrossa n Ippolito o
a Daria; gioia serena, profonda che li corazsara contro ogni
attacco della sorte. E cosi in messo alle provo Io pii\ crudoli
bastava loro uno sguardo, una stretta di mano per sentirsi quasi
felici; il loro amoro li compensava di tatto, e lo averano messo
tanto alto che non temevano per osso nessun pericolo.
La btir1><r> Tatta non diceva più nulla a Daria su questo
300 LA REGALDINA.
soggetto ; la sua attenzione era tutta concentrata in Matilde con
una rabbia sorda, con an violento impeto d'odio verso quella
donna che aveva portata la sventura sotto il tetto dei Regaldi.
La zitellona austera e forte che non aveva mai saputo che
cosa fosse debolezza, piangeva come un bambino. Mai il salotto
bigio era stato cosi triste, cosi muto e deserto, colle sue tende
di percallo bianco che il tempo aveva ingiallite, colle sue spec-
chiere scrostate nelle cornici smunte. Presso al cucù il posto
della signora Luigina restava vuoto ; Ippolito sedeva qualche
volta a quel posto prendendosi sui ginocchi la Lena per mo-
strarle il pendolo che faceva tac tac ; e se la bambina rideva
nella sua inconscia gaiezza infantile, nessuno faceva eco — la
vocina si perdeva in un silenzio sepolcrale.
Da molto tempo Pierino non si lasciava vedere. Egli si era
lanciato in speculazioni grandiose, faceva carriera, rabidamente
appoggiato alla sua audacia e alle sue fortune di giovinetto alla
moda. Era vero che Matilde andava a trovarlo a Milano ] la dis-
graziata sentiva per lui un amore pazzo. Sulle prime' sembrava
che Pierino corrispondesse, poi era sopraggiunta la sazietà, in-
fine gli mancava il tempo per occuparsi di una relazione che
non gli rendeva nulla.
Ma Matilde lo tempestava di lettere, di preghiere, di mi-
naccie, di promesse. Ella aveva trovato in quel giovane elegan-
temente cinico, la realizzazione di un ideale covato lungamente
nelle veglie malsane, nei fantastici trasporti di una immagina-
zione corrotta ; ella si era data a lui coll'ardore di una belva
che ha trovato finalmente una belva della stessa razza.
Sulla fine di settembre, in seguito ad una lettera disperata
di Matilde, Pierino venne. Fu accolto freddamente da tutta la
famiglia in modo che Matilde rimase sconcertata. ,
— Sarai contenta — le surrurrò all'orecchio mentre si china-
vano insieme per raccogliere un oggetto che non era mai caduto.
— Voglio parlarti — rispose lei decisa a tutto.
Pierino si strinse nelle spalle.
Matilde fece il giro della stanza, aperse un tiretto, frugò in
un paniere, smosse alcuni libri; il tutto per aver agio di scrivere
su un pezzettino di carta: A mezzanotte qui: e glielo fece scivo-
lare in mano. Ma non era capace di frenarsi; la sua agitazione
avrebbe colpito un cieco. Pierino prese il cappello e usci di-
cendo che andava al caffè. A mezzanotte rientrava, un po' sec-
cato della scena che Matilde gli avrebbe fatta, promettendo a
LA REGALDINA. 301
se stesso che sarebbe l'ultima. Non era appena sulla soglia che
Matilde gli si buttò nelle braccia.
— Andiamo, non facciamo ragazzate.
Due anni prima, sul viale del Santuario, in una fredda gior-
nata d'inverno era stata lei a dire : Non facciamo ragazzate.
Matilde questa volta era ferita sul serio ; aveva portato in
questo amore colpevole il meglio di se stessa, tutto ciò che le
restava di memorie buone, di istinti gentili :
— Ti amo ! — disse stringendosi a lui con un movimento
umile, pieno di tenerezza e di deferenza.
Pierino aveva in bocca il sigaro ; lo levò a malincuore e
tenendolo fra le dita :
— Eppure mia cara è una vita impossibile questa. Sii ra-
gionevole. Tu hai marito, io devo farmi una posizione...
— Non dirmi di queste cose, Piero, o mi farai perdere la
testa, lo ti amo, ti amo, e non voglio saper altro.
Ella sedette sul divano bigio; era pallida, affranta dalle con-
tinue emozioni.
— Come va la salute ?
Nel farle questa domanda con accento affcttnoso Pierino le
si sedette accanto e le circondò la vita col braccio.
Matilde era incinta di due mesi.
— Quando ti vedo sto bene.
Si guardarono per un istante imbnrnz7.atì ; egli cercava un
argomento serio e capiva la difficoltà di farglielo accettare.
In questo silenzio altissimo rotto appena dal respiro affan-
noso di Matilde hì udi un rumore sulla acala.
Pierino balzò in piodi ; Matilde lo trattenne dicendo con in-
differenza :
— Oh, è liu lotto; .->,»•. liti. <v;li non entra qui.
Difatti il ruiuurc cluaò. Matilde riprese le tuo caresse rac-
contando lo squallore della sua vita e l'arrersione che provava
per quella famiglia. Improvvisamente si spalancò l'uscio che met-
teva in cucina e la vecchia Tatta, terribile, apparve. Aveva l'oc-
chio fiammeggiante, la fronte minacciosa sotto i bianchi capelli
scomposti. Con una vigoria singolare e che era il risultato di
un 0 straordinario si slanciò sui duo colpevoli in atto
di ] . uiu n«*l momento che levava la mano lo vene
della fronte e del collo le si fecero turgide, il braccio si irrigidi;
▼ni! ^ lina imprecazione violenta usci a mozxo dalle lue
lai* ■. il pcDMÌero di una atroce maledizione le si sve-
302 LA REGALDINA.
lava sul volto reso quasi pavonazzo ; brancicò ancora, ruggì,
cadde.
Pierino fu appena in tempo a sostenerla e a stenderla sul
divano al posto lasciato vuoto da Matilde, che, sbigottita, s'era ri-
fugiata in un angolo della stanza coprendosi gli occhi colle mani.
XVI.
La Tatta moriva.
Non avevano nemmeno pensato a trasportarla sul suo letto ;
moriva nel salottino bigio dove erano trascorsi trentanni della
sua vita operosa e modesta, divisa tra il lavoro e la beneficenza.
Daria, accorsa quasi subito, la teneva abbracciata sostenen-
dole la testa; Pierino ritto ai piedi del divano, colle braccia
conserte, sembrava una statua; difficile sarebbe stato il poter
leggere sulla sua faccia le interne emozioni.
Matilde restava dimenticata nel suo angolo; nessuno pensava
a lei, nessuno la cercava, benché ella fosse la causa principale
della disgrazia.
La povera vecchia cui un travaso di sangue aveva tolta la
facoltà di muoversi e di parlare, risensava momentaneamente
sotto le cure di Daria. Nella posizione in cui si trovava non
poteva vedere Matilde ; Daria accennò a Pierino di nascondersi
esso pure per non renderle troppo penosi quegli ultimi momenti.
Difatti girando attorno le pupille ella parve contenta di non ve-
dere altri che la giovinetta e le sorrise come se l'orribile scena
di poc'anzi fosse stata un sogno.
Daria la baciò appassionatamente ; la zitellona rispose a quel
bacio, forse per la prima volta, e tale abbandono di tenerezza
commosse Daria fino alle lagrime.
— Oh! mia zia, cara zia.... — esclamò gettandosele al collo,
sentendo che quella bell'anima stava per abbandonarla.
La vecchia mosse le labbra, ma la parola era ribelle ; final-
mente potè articolare a stento:
— Lascia questa casa infame.... va egli ti ama, egli ti se-
guirà. Sii felice.
— Grazie — mormorò Daria sempre piangendo, eppure
paga di vedere alfine riabilitato l'uomo eh' essa amava, di tro-
varlo, ultimo pensiero, suHe labbra di una morente.
Matilde nel suo cantuccio singhiozzava, repressa, essendosi
LA REG ALDINA. 303
lasciata cadere sui ginocchi colla persona tutta accasciata ; Pie-
rino in piedi appoggiato al muro dietro il capezzale della Tatta
non si muoveva. Questo silenzio dei due colpevoli era spietato ;
era come un abisso che li divideva, li esiliava dal resto della
famiglia senza che essi trovassero la forza di reagire nemmeno
con un lamento.
L'agonia fu breve. Neil' istante che la Tatta chiudeva gli
occhi per sempre si udi Rodolfo che tornava a casa. Egli at-
traversava la corte col suo passo pesante e malfermo, cantando
un'aria d'opera.
Daria si voltò a mezzo e fece cenno a Pierino, il quale uscì
tacitamente incontro al fratello, trattenendolo fuori per prepa-
rarlo in qualche modo. Quando rientrarono tutti e due un ri-
gido cadavere era steso sul divano.
Nessuno si coricò quella notte; nemmeno Rodolfo che cogli
occhi imbambolati guardava la Tatta, non potendo capacitarsi
che fosse stata colpita cosi all' improvviso. Pierino e Matilde
sapevano bene che Daria non avrebbe parlato, puro il tristo
segreto di quella morte aleggiava funereo nel salottìno; e pe-
sava grave come il rimorso sopra i due sciagurati che non
osavano scambiare né un motto, né uno sguardo.
Cosi li sorpresero le prime ore del mattino.
La servetta, senza averne avuto incarico dai padroni, fu
lesta a correre nella casa bianca a narrare l'accaduto e poco
dopo Ippolito comparve,- inaspettato, nella lugubre scena. Gli
si diede li per li una spiegazione improvvisata; ma egli era
troppo avvezzo a leggere negli occhi |di Daria e gli occhi di
Daria non sapevano mentire.
Fortunatamente le disposizioni che occorrevano per il decesso
copersoro il generalo imbarazzo. Pierino andò dal medico; Ma-
tilde iicomparve tacitamente, rotta dalla fatica e da tante scosso
avute. Ippolito allora si avvicinò a Daria e le chìoHo risoluta-
mente la verità.
— Più tardi — balbettò la giovane — più uirdi le dirò
tutto, a lei toh.
Kgli si accorse che stava per cadere e la cinse colle sao
braccia. Non aveva mai arrischiato una cosa simile, ma in quel
momento Mentiva il diritto di stringersela sul cuore perché la
poveretta non aveva più neisun protettore al mondo; egli lo
si affermò tutto sao, eternamente suo posandole le labbra sugli
occhi, bcvcndonf! In laLTunn. «
304 LA REGaLDINA.
Alle vive preghiere del suo amico, Daria acconsentì di ce-
dergli la custodia della morta ed ella si ritirò per riposare
un poco.
Il giorno seguente tutto il paese correva ai funerali della
Tatta; la maggior parte meravigliavano che una donna cosi
robusta avesse cessato di vivere repentinamente e in questa
occasione la signora Ernesta sentenziò che le persone forti sono
appunto quelle che muoiono più in fretta delle altre. Quando
il corteggio funebre passò sotto le finestre della signora Lui-
gina, fu vista la povera inferma rizzarsi contro i vetri e man-
dare baci e benedizioni a colei che le era stata più che amica,
sorella e benefattrice unica. Tutti furono d'accordo nel dire che
era una scena commovente.
Poi un po' alla volta il paese dimenticò la vecchia Tatta e
la sua memoria si ridusse nelle quattro pareti della casa nera,
compagna invisibile e costante alla solitudine di Daria.
C'era un'altra persona però che non dimenticava. Matilde,
dopo quella notte tremenda, si era affatto mutata. Non faceva
più bizzarrie, non si chiudeva nella sua camera fantastica e
svogliata; stava abbasso lavorando anche lei vicino a Daria,
si occupava un po' della bambina; sempre triste tuttavia, di
una tristezza concentrata e muta che faceva spavento.
I disturbi della gravidanza la tormentavano, dimagrava a
vista d'occhio, ma non si lagnava mai. Lei, prima così esigente,
accettava ogni cosa con una rassegnazione passiva, con un in-
differenza da maniaca. In tutto l' inverno non fu mai vista fuori
di casa, passava le giornate china sul lavoro, spiegando una
attività morbosa, trascurando le cure dell'abbigliamento ch'e-
rano una volta le sue predilette.
A chi l'interrogava rispondeva brevemente, con frasi asciutte,
con sorrisi che parevano piaghe spasmodiche.
Pierino non si era più lasciato vedere. Ippolito e Daria
avevano ogni motivo per credere che la relazione fosse termi-
nata e in questa credenza li confermava la taciturna malinconia
di Matilde.
Si aspettava il secondo bambino con grandi speranze, fidando
su di lui per un' era nuova di pace, di perdono e d'oblio.
Daria aiutava Matilde nella preparazione del piccolo corredo
e tentava per questa via di introdurre un raggio sereno in
famiglia.
Fra le pochissime persone che frequentavano i Regaldi vi
LA KEGALDINA. 305
era sempre la moglie del dottore, la quale venne un giorno a
raccontare la grande novità del paese, cioè che la signora Er-
nesta neve mesi giusti dopo aver maritata la figlia — e in-
tanto che si aspettava la gravidanza della sposina — aveva
messo al mondo il suo quattordicesimo figliuolo. Il fatto si pre-
stava moltissimo allo scherzo e la moglie del dottore non si
peritò a ricantarvi sopra delle variazioni; ma improvvisamente
e come ricordandosi di un altro argomento più importante
disse:
— Ed è vero poi che il signor Pierino prende moglie ?
Matilde ebbe una scossa così violenta che Daria sì affrettò
a rispondere :
— Noi non ne sappiamo nulla; è giovane ancora e forse
non vi pensa nemmeno.
— Oh ! si, oh ! si — riprese l'altra — mi hanno detto anche
il nome della sposa; è ricchissima, un matrimonio di conve-
nienza pare; eh! il signor Pierino ì> furbo. Sa ben lai che di
amore non si campa.
Daria si accingeva a troncare bruscamente il discorso, m»
Matilde sollevando la faccia pallidissima e seria domandò :
— Non se lo ricorda questo nome?
La moglie del dottore ci pensò un poco e dopo avome
sbagliati due o tre pronunciò finalmente un nome che disse as-
solutamente essere quello.
Mfltilde non chiese altro.
La sera stessa chiamò a parte la servetta e le consegnò
una lettera da mettere in posta.
Nei giorni seguenti nulla parve mutato; ella continuò a la-
vorare taciturna e pensierosa; solo a rari interyalli si poteva
osservare che un tremito nervoso l'agitava tutta e il pallore
intenso delle sue guancie, i solchi lividi dello occhiaie dicevano
che neppure nel sonno ella trovava pace.
XVII.
Daria ti era ben guardata dal seguire il consiglio della
Tatta; non aveva abbandonata la caia, ma continuava a ctor-
citarvi la sua missione d'angelo conciliatore.
Il contegno passivo di Matilde le lasciava ana completa
libertà d'asionc. Apparentemente le due cugino andavano dol
Voi. XL, S«rU II -> U Luflto ina M
306 LA REOALDINA.
massimo accordo, in fondo erano scisse da una assoluta diver-
sità di carattere e dì condotta, o quantunque n'Sfuna parola
venisse mai a far allusione al passato, Maiildti sentivi*, V infe-
riorità umiliante che la sua colpa le aveva creata.
Terminato l'inverno, quando ai primi t(p')ri d'aprile la na-
tura si ridestava e sulle sponde della Rt'^-ildina gli alberi in-
verdivano, tappezzando di fronde e di tìf»ri le ^et•cllie mura
della casa, Matilde non si moveva ancora dil cantuccio dove
aveva passata, la brutta stagiono, tutta cliiu.sa e quasi nascosta
in una sdruscita vestaglia come se niente più le importasse
del mondo.
A chi la osservava da vicino e assisteva a quel profondo
mutamento faceva pietà.
— Non ti vedrò dunque più a sorridere? - le chiese un
giorno suo fratello dopo aver tentato inutilmente di richiamare
la dì lei attenzione sui giuochi della Lena.
Ella strinse le labbra con una contrazione dolorosa dì tutto
il volto. Ippolito soggiunse:
— Sei troppo giovane per chiudere la tua vita e porvi fine.
Qualunque sìa stato il passato, alla tua età e' è ancora un
avvenire.
— Noi — disse Matilde con fiera audacÌD, — apparteniamo
ad una medesima razza e quando abbiamo scritto un nome in
fondo al cuore non c'è tempo, ne potere, ne ragione che arrivi
a cancellarlo.
Ippolito arrossì fino alla radice dei capelli.
— Nemmeno il dovere? — fece egli abbassando la voce.
Matilde diede un gran sospiro, si chiuse la faccia nelle mani
e non rispose, restando così immobile quasi a far conoscere
che ogni discorso era vano.
Tutte le sere la servetta, inviata furtivamente da Matilde,
andava alla Posta per vedere se c'erano lettere; ma la risposta
attesa con tanta impizienza tardava a venire. Matilde si faceva
ssmprc più triste, rifiutando anche le carezze della sua bam-
bina; non trovava sollievo che in una occupazione continua e
febbrile.
Il primo di maggio ella si ssntl mollo male; discese a co-
lazione ma poi tornò subito nella sua camera.
— Come sono stanca — disse a Daria che l'assisteva.
E si capiva che era una stanchezza d'ogni cosa.
Daria la confortò, la pose a letto, si diede a fare tacita-
LA RSQALDINA. 307
mente i preparativi per la circostanza. Nella notte venne al
mondo un'altra bambina, bella bella, più bella della Lena.
— Ancora una femmina! — borbottò Rodolfo.
Daria, tra seria e faceta disse :
— Datti pace; i maschi non portano fortuna in casa Re-
galdi. Sarà meglio cosi.
Matilde stava benino. Passò la giornata tranquilla; sorrise
a Daria che faceva dei complimenti alla neonata chiamandola
la bellezza della famiglia. Verso sera Daria preparò il velo li-
carnato, l'abito di seta rosa, la cuffiettina, il nastro rosa colla
medaglia benedetta, il guanciale guarnito di trine e tutto l'occor-
rente per il battesimo che si doveva fare alla mattina per tempo.
— Ora non ti occorre nulla? — domandò all'ammalata.
— Nulla; sto bene.
— Allora vado a mettere in letto la Lena.
Daria usci, e quasi subito comparve la servetta dandosi
l'aria importante di chi reca grandi notizie. Si avricinò in
anta di piedi e consegnò una lettera a Matilde, le cui pallide
oancie avvamparono di subitaneo ardore.
Vedendo l'agitazione della sua signora la servetta pensò che
aveva forse fatto malo a darle quella lettera, ma era troppo
tardi. Matilde, ritta a sedere sul letto, coU'occhio in fiamme e
il petto ansante divorava lo scritto; gettò un grido altissimo,
poi balzò a terra.
La ragazza spaventata corcò di trattenerla.
— I miei vestili — gridò Matilde — dammi i vestiti; devo
uscire, devo andare, presto, presto. Purchò sia ancora in tempo!
— Signora, per carità...
— I miei vestili! Dammeli. Questo matrimonio non si devo
fare. Non voglio! Non voglio!
Matilde nrmoggiava collo braccia prendendo e mettendosi
addosso quello che lo capitava esaltata, furente.
La servetta vedendo TinatilitÀ dello sue rimoslranse o to-
TAìwuUt Jiltt'rrita perchè aveva udito narrare di donno cui va
il pu'-to alla testa e diventano passo, si allontanò in furia a
cercare aiuto.
Ma la camera di Daria ora lontana; nella sua confusione
ella non aveva proso il lume, urtò parecchio volto negli angoli
dei mobili, rovesciò sedie, sbatto usci tifchò giunse tutta an-
sante e scarmigliata a narrare l'accsduto a Daria e allora via
di corsa tutte e duo con un batticuore, uno sgomento indicibile.
308 LA REGALDINA.
Entrano da Matilde; la camera è vuota.
Si precipitano sulla scala; nessuno.
— Matilde, Matilde!
Daria grida a perdifiato. Scende le scale in un baleno, at-
traversa il salottino e vede un' ombra bianca che si dirige
verso la corte.
— E lei! Mio Dio aiutatela.
L'ombra bianca corre in direzione della porta; vi si slancia
sopra, tenta aprirla, percuote invano.
— Matilde, fermati!
Ella non ode. Torna indietro costeggiando la sponda della
Regaldina. Daria spera di raggiungerla; affretta il passo con-
tinuando a chiamarla per nome.
Matilde finalmente si accorge di essere inseguita; fa due o
tre balzi, si ferma un momento, e ripigliando la corsa impetuosa
salta nel mezzo della gora dove l'acqua era più profonda.
Daria impietrita d'orrore vede galleggiare per pochi istanti
il suo corpo, poi sparire nelle onde cupe.
Sui veli della neonata che portarono a battezzare, un nastro
nero indicava che la poveretta era senza madre.
Ippolito e Daria rimasero soli accanto a due culle.
Si sposarono ? No. Erano troppo disillusi, troppo affranti
dalla lotta. Il loro amore giovanile pieno di ansie e di desideri
lo trasfusero in una viva fiamma di carità; educarono le due
orfanello, furono la provvidenza di tutti qucdli che piangono,
di tutti quelli che soffrono. Invecchiarono insieme tenendo ferrai
gli occhi nell'astro raggiante ch'era stato la guida della loro
vita, il loro sostegno, il loro conforto sempre — il dovere.
Neera.
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA
■
I.
Fino a pochi anni or sono la Cina era an mistero per noi.
Separata <la lanrle interminate, da eccelsi monti, svolse la sua
civiltà, chiusa in se metlesima, sensa la vita rigogliosa e forte
che viene dal contrasto con altre civiltà: lungo, difficile peri-
glioso era il cammino a traverso le steppe della Scythìa; im-
possibile il valico dei monti altissimi che servirono di culla al-
l'umanità; ignota la via di mare girando l'Africa e le Indie. I
romani ebbero appena sentore dell' immenso imporo, il quale già
quindici secoli prima della fondazione di Roma era giunto ad
un gradino elevato di incivilimento e dalla Siberia all' India spar-
geva dottrine morali mirabilmente consone ai sentimenti uma-
nitari moderni.
lioina, con quell'espansione di vita, ohe proveniva dalla si-
tuazione geografica e dall'istituzioni militari, si allargava in
Asia, mentre la Cina per l'altipiano di Pamir si spingeva fino
jtì Caspio. Sotto Traiano era imminente il cozzo dei due imperi
che si dividevano il mondo; ma quasi paurosi 1' uno dell'altro,
r guardarono al tempestoso Caspio senza passarlo. Roma si con-
tentò vagamento di chiamare Serica la regione donde veniva
la stoffa preziosissima che serviva a soddisfarne il lusso.
Mentre l'Occidente covava nel buio un nuovo ordine di cose,
mentre l'Islamismo precipitando dall'Arabia preparava una nuova
civiltà, la Cina toccava l'apogeo della sua potenza colle armi,
coll'iiftruzione largamente difTusn, colle scoperte che più tardi
tanto giovarono a noi. Ricordo solo che l' invenzione della stampa
310 LB CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA-
rimonta al 581 dopo Cristo. Allora i Cinesi si diedero al navi-
gare, favoriti dalla conoscenza della bussola, e visitarono tutti i
porti del seno Gangetico e del Mare Eritreo giungendo fino al
Mare Arabico; ma più tardi gli Arabi li vinsero per ardimento
e costanza.
E veniva poi condensandosi quella terribile burrasca dei Mon-
goli, che condotti da Gengiskan superarono (1209) la Grande
Muraglia, batterono Cinesi e Tongusi, raserò al suolo città e vil-
laggi e sulle sanguinanti rovine formarono un vastissimo im-
pero che dal mare del Giappone si stendeva al Mar Nero, dal
centro della Siberia e della Russia europea,al centro della Cina
e della Persia. Poco appresso i Mongoli si assisero con Cublai-
kan sul trono della Cina; ma ne assorbirono il fiaccante inci-
vilimento in guisa che un secolo appresso furono cacciati dai
Cinesi.
Chi all'Europa svelò molti segreti della Cina fu Venezia coi
suoi viaggiatori, sovra i quali Marco Polo come aquila vola e
non trova pur riscontro fra gli esploratori moderni. I Portoghesi,
tutti intenti al commercio, quasi nulla ci dissero dei loro viaggi
nella Cina e delle loro relazioni con Canton e Maccao. Gli Inglesi,
da prima poco fortunati, vinsero nel secolo scorso coli' importa-
zione dell'oppio e punto si curarono del paese inebetito.
Invece gloria pacifica italiana fu il missionario Matteo Ricci
di Macerata, il quale nel 1585 andò in Cina vestito da prete
buddista, acquistò grandissima influenza ed estese d'assai il
cristianesimo conciliandolo colla venerazione a Confucio e col
culto degli avi, in appresso proibiti dalla corte di Roma; e, con
larghezze di idee, corrispondenti alla grandezza del cuore, des-
crisse le cose vedute. Le missioni si succedettero, favorite dalla
tolleranza del governo, dall' indifferenza delle popolazioni per le
credenze religiose, dall'indole del cristianesimo, così accetto ai
Cinesi e cosi conforme alle dottrine di Confucio, dal contegno
stesso dei missionari in Cina, per forza di circostanze più acco-
modanti che altrove. *
Ma nel secolo presente la proibizione dell'oppio (1838) trasci-
nava l'Inghilterra alla guerra del 1840 per imporre a colpi di
* Eaccomando la lettura dell'opera del barone Richthopbn China, Er
gebnisse eigener Rtisen, della quale fino ad ora sono apparsi tre magnifici
volumi, pubblicati da Reimer a Berlino. Dei primi due off're ai lettori italiani
un sunto assai ben fatto il Prof. Pokena nei Bollettini della Società Geo-
grafica di ottobre, novembre, dicembre 1882.
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 311
fucile e di cannone il degradamento intellettuale e morale agli
infelici Cinesi; i quali dovettero aprire agli europei ed agli
americani oltre al porto di Canton, i porti di Araoy, Fu cìau,
Ning-po, Scanghai e cedere Hong Kong. * Gli stranieri furono
ovunque assai cortesemente accolti dai Cinesi, salvo dal viceré
di Canton, col quale più tardi si venne a conflitto. Canton fu
bombardata (1856), e i Cinesi in risposta bruciarono le fattorie
europee. Onde Francia ed Inghilterra, fatta causa comune, apri-
rono la ostilità contro la Cina. Ma tutto si ridusse a qualche
presa di navi cinesi, ad un altro bombardamento di Canton ed
all'occupazione di questa travagliata città.
Il 1858 passò in trattative d plomatiche : il nemico era troppo
lontano e difficile riesciva lo afferrarlo. Tuttavia si entrò colla
flotta nel golfo di Pe-ci-li e si occuparono i forti costrutti a
guardia dell' imboccatura del Pe-ho. Furono poi lasciati in se-
guito ad una convenzione che doveva essere ratificata a Pechino.
Ma gli ambasciatori, che si presentarono Tanno appresso^ tro-
varono sbarrata la via nello stesso posto. E la flotta inglese es-
sendosi messa a torre di mezzo gli ostacoli, fu presi n colpì di
fuoco, in guisa che dovette riparare a Scanghai.
Il prestigio era velato : bisognava riprendere la rivincila, e
la guerra fu decisa pel 1860.
Le potenze occidentali avevano un terribile alleato nell'in-
surrezione dei Taiping, che si orano impadi*oniti di Nanchino e
l'avevano da qualche anno fatta sede dell' impero ribelle. Di là,
lanciando scorrerie, mantenevano largamente il loro dominio
sulle popolazioni avverse alla dinastia regnante ed indifferenti
agli avvenimenti esterni. L'esercito era in parto disperso, in
parte unito ai ribelli: <utto era dissoluzione e rovina
Il corpo di spedizione francese contava circa 7000 uomini sotto
gli ordini del generale M ' m, l'inglese 12,000, in massima
parte soldati dello Indie < i, sotto gli ordini del generale
Grant Quasi tutto il materiale si dovette pigliare in Oriente.
^•"^ ' '' " luisto di cavalli da solla e da tiro. Egual-
^" I tendersi sul piano di campagna; essendo
le truppe inglesi prime sul posto ed avendo gli Inglesi per molti
rÌMpetti voglia di fare da so e mire speciali.
Napoleone Ili pose grandissima cura ai preparati., ^.-i ms
sicurare il servizio di sussistenza « di sanità. Jjn truppa fran-
h '^'■^ iirrtir a'^r mgi. c'itn Krteyr» tti40'4'S. Leipiig, Ih46.
312 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
cesi presero il mare verso la fine di dicembre 1859, e facendo
brevi soste a Teneriffa, al Capo di Buona Speranza, a Singa-
pore e a Hong-Kong, giunsero successivamente in maggio e
giugno 1860 a Scanghai e poi al porto di Ci-fu, presso l'entrata
del golfo di Pe-ci-li, a difesa del quale la natura ha schierato
una serie dì isolotti e di bassi fondi che sembrano sentinelle
avanzate della capitale verso il mar Griallo.
Ma nessuno pensò a resistere. Liberamente le navi alleate
mossero all'imboccatura del Pe-ho e poco al nord di essa, mal-
grado la bassezza del fondo e le difficoltà della riva, operarono
tranquillamente uno sbarco decisivo per l'esito della campagna
{1* agosto).
I primi giorni passano nel prendere piede sulla melmosa
riva: poi si procede all'attacco di un campo trincerato che non
può resistere alle armi europee. La difesa è stabilita sulle due
rive del fiume; ma senza ordine, senza sistema, con poche e
cattive armi come lancie, archi, vecchi arnesi d' ogni maniera
perfino cannoni di legno. Grli inventori della polvere, che prima
del mille avevano il segreto delle racchette, rimasta la scienza e
r arte bambine, non hanno di meglio che le armi dei barbari.
II 21 agosto gli alleati attaccano con due brigate una inglese
l'altra francese; le cannoniere, che rimontano il fiume, battono
ad un tempo due poveri forti. Alla sera il governatore della
provincia di Pe-cì-li mette basso le armi cedendo quattro forti,
500 cannoni e la via di Pechino ; 1000 Tartari giacciono sul
campo, mentre 200 Francesi e 250 Inglesi sono fuori di com-
battimento.
I Cinesi fuggono ai monti. Tutto sorride al vincitore: e
mentre in alcuni punti della costa intere famiglie si avvelenano
per non subire le vergogne ed il danno dell'invasione straniera,
molti indigeni, tristissimo contrasto che pur troppo si nota fra
quella popolazione rammollita da una fiacca civiltà ed invilita
dall'ansie del guadagno, vengono ai campi europei a fare mer-
cato d'ogni cosa.
I soldati, piccoli e deboli di costituzione, avevano mostrato
risolutezza e coraggio : parecchi piuttosto di sopravvivere alla
disfatta, colle cattive sciabole che portavano a lato, in vista del
campo nemico, s'erano aperto il ventre. Ma l'indecisione del go-
verno, le discordie dei capi, la sorpresa, il crollo morale che suole
tener dietro alla disfatta, avevano paralizzato ogni resistenza.
Una grande strada selciata con grosse pietre, somigliante
'le condizioni militari della CINA. 313
alle antiche vie romane, reliquia quasi abbandonata della ma-
gnificenza antica, congiunge la città di Tien-sin (400,000 abi-
tanti) alla capitale. Bisogna procedere lentissimamente. La base
di operazione è incerta, il paese povero d' acqua, varie e con-
traddittorie le notizie del nemico. Il settembre avanza e i Cinesi
mostrano velleità di resistenza in una località detta Palikao dinanzi
al ponte del canale, che congiunge il fiume Pe-ho alla capitale.
Infatti sono colà in grande numero schierati a macello. Si
avanzano all' attacco con spensieratezza e slancio. Ma sono
respinti dall'artiglieria, che poi si volge contro i villaggi e ne
abbatte le povere case. Inutile seguire le fasi del combattimento,
tanto più che abbiamo relazione di soli europei. Alla sera del
21 settembre : u tutti i cavalieri si ardenti il mattino n (dice la
relazione del generale Montauban) a erano scomparsi. Sovra il
ponte, monumento grandioso di una invecchiata civilizzazione,
i fanti riccamente vestiti, agitavano gli stendardi e risponde-
vano allo scoperto con tiri fortunatamente impotenti, al fuoco
dei nostri pezzi e delle nostre moschetterìe. Era il fiore dell'eser-
cito che si sacrificava per coprire una ritirata precipitosa. »
La vittoria non può essere dubbia. Il massacro ,è completo :
il ponte preso, la via di Pechino aperta. Pure prudenza esige
d'aspettare rinforzi, con i quali il 5 ottobre si riprende la marcia.
II 7, senza contrasto, si piglia possesso dello ville imperiali fuori
di città occupanti una superficie di 15 chilometri. Nessuno aveva
pensato di toglierne le ricchezze; gli dei d'oro e d'argento,
divengono gradito bottino ad ufiìciali e soldati cui la marcia
ha costato meno fatica di una grande manovra in Europa. Lo
ville furono poi bruciate per rappresaglia dagli Inglesi ed an-
cora ii(\<;i»o mostrano al viaggiatore le miserande rovine.
Il 17, giunti altri rinforzi, Io batterie d'assedio si sUibilÌHCono
a (30 metri dalla città; ma più por terroriizarla, bombardandola,
che per vincerne la resistenza. Oli Europei hanno Terso i popoli
deboli il costume di imporre loro il sentimento della inferiorità
colla distruzione e colla morte. Le armi della civiltà servono
a dominare colla barbarie e ad Ingrandire il prestigio dei soldati
europei^ in modo che pochi bastino a tenere in rispetto interi
regni. È il tristo destino dell' umanità: le conquiste della civi-
lizzazione hanno per base monti di cadaveri.
Povera Ci«a! Pechino ò salvato dall'incendio con pronte trat-
tative di pace che obbligano a dare 60 milioni di lire ni Fran-
cesi, il doppio agli Inglesi, oltre il già dato, e ad .npriro al
314 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
commercio europeo la città di Tien-sin sulle rive del Pc-ho,
a 100 chilometri da Pechino, la base di operazione migliore
contro il centro della vita cinese. '
II.
Dagli eccelsi Himalaia, dall'altipiano di Pamir, tetto del
mondo, cui lentamente degradando s'allacciano i Monti Celesti
e gli Aitai, al mare Cinese contornato di isole, si stende l'im-
menso impero sopra uno spazio che è la 33" parte della terra
ferma e la cui popolazione è quasi un terzo dell' umanità. A
mezzo giorno, la catena dell'Himalaia coi suoi eterni ghiacciai
lo isola dall' Indostan e lo separa dall'Indocina; a settentrione
i monti Saiani e l'Amur lo separano dalla Siberia ; dal .52° pa-
rallelo, che nel suo prolungamento ad occidente passa a tra-
verso la Polonia, la Prussia, l'Olanda, giunge al 20° che segna
a metà i deserti di Nubia ed il Sahara. Che varietà di climi,
di prodotti, di popolazione in questo spazio coprente circa due
milioni dì chilometri quadrat' più dell'Europa!
Ma è d'uopo distinguere fra la Cina propria ovvero politica
e gli Stati dipendenti ovvero annessi. La prima si adagia al
mare ed è percorsa dai grandi fiumi ; è la Cina della Muraglia,
della fittissima popolazione, della vecchia civiltà, dalle larghe
credenze religiose; i secondi sono vastissimi paesi che la circon-
dano, che la coprono, che formando intorno ad essa un semi-
cerchio, la dividono da tutto il rimanente dell'Asia.
La Cina propria, secondo gli ultimi dati, * comprende una
superficie di 4,024,690 chil. con 350,000,000 di abitanti, vale a
dire nutre una popolazione d'alquanto superiore a quella del-
l' Europa sopra uno spazio minore della metà. In alcune Provin-
cie, come nel Kiang-su, è fitta il doppio che nel Belgio (il paese
a popolazione più fitta d' Europa) nutrendo 364 abitanti per
chil. quadrato, mentre il Belgio ne nutre 188. Delle 18 pro-
vinole che compongono la Cina politica, l' Italia per fittezza di
popolazione sarebbe l'ottava. Unisco qui in calce una tavoletta
statistica dei dati ora più accettati, quantunque debbano essere
' Gli avvenimenti di questa guerra sono raccontati da parte dei Fran-
cesi dal Dépót de la guerre, e dallo storiografo delle guerre di Napoleone HI.
Bazancoort. (ParÌ8-1862) da parte degli Inglesi da Wosei.ey (London 1862).
* Bbhm und Wagner Die Dew'ólkerang der Erde-Gotha, 1882,.
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
315^
ben lontani dal ritenersi esatti in tanta contraddizione di studi. *
Sono gli ultimi ; sono battezzati dai periodici classici, è, quel
che è curioso , combinano quasi perfettamente con quelli che
ci ha dato Marco Polo, quando sei secoli or sono in Europa si
conosceva appena di nome la Cina.
Che formicolio di esseri viventi accatastati in immense cìttà^
accovacciati in tuguri, o sparsf in interminabili villaggi, sopra
flottiglie galleggianti o nelle caverne dei monti, sopra palafitte
come i popoli preistorici, o sotto tende erranti pei piani ster-
minati !
Colà si moltiplica a dismisura. L'amore che sorride ai più
miserabili; i costumi facili si, ma non degradati da innaturali
lascivie; i legami di famiglia più che altrove rispettati; la fe-
racità del suolo; la stessa parsimonia ed, in certe classi, la
promiscuità dei sessi tutto contribuisce alla meravigliosa
prolificazione, a petto della quale le condizioni di Europa fanno
erollare tristamente il capo.
ProTlael*
Okll.
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Pe-cìli
148,3,57
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Total» Cìim ;
4,024^090
860,000,000
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12,000,000
12
Mongolia
■'•*77.283
2,«i00,000
0.6
Tibet .
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6,0Oi),UOO
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Di:ingarìa ...
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13
Tarcbeatan oricntaln
l,ll»,713
580,000
0.5
Total» Stati loggetti
7,631,074
81.180,000
8
lapcto cia«M (aenu Korea; .
n,55&,764
871,200,000
82
316 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
Sacharoff, un russo che ha potuto leggere nei libri di sta-
tistica cincso ed ha fatto il più diligente lavoro in argomento
che si conosca, ed il più sicuro, sebbene rimonti a parecchi
anni addietro, ' crede che dal 1749 al 1812 la popolazione della
China sia cresciuta di 184,000,000 di abitanti. Ma terribili bur-
rasche attraversano quel paese e tratto tratto spazzano via le
esuberanze. Si vuole che la ribellione dei Taiping abbia co-
stato 40 milioni di vittime umane. Nelle provincie più prospere
ancora oggi si vedono i segni di desolazione : città ridotte a
mucchi di macerie, campi deserti in una regione dove a stento
solevasi trovare ricovero. Dal 1812 in poi v'è chi calcola, così
air ingrosso, per guerre e fame oltre 60,000,000 di vittime. Ma
non può essere mancato un corrispondente aumento; sicché,
malgrado le asserzioni di Kaltbrunner e di altri, i quali to-
glierebbero alla Cina un 100 milioni di abitanti o giù di li,
tutto pesato, studiato e vagliato dalla critica tedesca, bisogna
ancora tornare al viaggiatore veneziano e conchiudere che mal-
grado la fecondità delle donne cinesi, la natura coi suoi flagelli
gli uomini colle loro guerre, hanno mantenuto un certo equi-
librio.
Del rimanente l'equilibrio si mantiene ora più che mai col-
l'emigrazione, che ha destato timori seri negli Stati-Uniti, i quali
hanno dovuto ricorrere a leggi proibitive contro quel popolo di
lavoratori. La prolifica razza ci richiama alla memoria i tempi
appena rischiarali dai primi albori della storia, quando proprio
in mezzo all'ombelico dell'Asia, i popoli crescevano a dismisura
e si riversavano o pacifici, o colle lancìe in resta sulla groppa
dei loro cavalli, a conquistare il vecchio mondo.
Ed ora i Cinesi pare vogliano conquistare l'antico e il nuovo
mondo col lavoro e col risparmio. Le coste delle Indie sono invase.
Da Maccao si spargono per le due Americhe, nell' Oceania, in
Africa e già nell' Egitto hanno pure toccato il Mediterraneo.
Nessuno può far loro concorrenza perchè nessuno sa vivere
così parcamente, nessuno dura tanto alla fatica. Incredibilmente
basso è il prezzo di questi nuovi Negri, i quali nei contratti
pongono sempre la clausola di essere riportati morti alla patria ;
sicché molte navi ritornano periodicamente in Cina col triste
carico di cadaveri.
' Arbeitm der K. ruasiachen Geaandtschaft zo Peking iiòer China. —
IBerlin 1858.
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 317
Intorno intomo alla Cina propria, sopra uno spazio quasi
doppio della medesima, vivono 21,000,000 di abitanti, sogf^etti
al Celeste impero, sparsi fra monti e steppe. E una zona diffi-
cilmente penetrabile agli eserciti, che protegge la Cina, verso
terra, dagli attacchi della Russia pel Turchestan e la Siberia,
e dagli attacchi dell'Inghilterra per l'India.
Cominciando da Oriente abbiamo li Manciuria, cui segue
la triste Mongolia, traversata dal grande deserto di Gobi. L*
Manciuria costituisce il punto debole della Cina verso la Russia
perchè quivi la provincia russa dell'Amur pili 6Ì avvicina alla
frontiera della Cina; perchè la città di Blagowiesch suH'Amur,
sede di guarnigione relativamente importante, offre una discreta
base di operazione, potendosi ivi agevolm(nte riunire i presidi
dello Zabaikal ed i soccorsi da mare pel porto russo di Wal-
diwostok nel mare del Giappone, sulle frontiere della penisola
di Korca, vassalla alla Cina. Il terreno in Manciuria, sebbene
montuoso e qua e là deserto, non è difficile a percorrerei da
truppe siberiane le quali abbracciAno colte loro stazioni proprio
il paese di fronte e di fianco. Pechino, obbiettivo di ogni serio
attacco contro il Celeste Impero, è relativamente vicina alle
frontiere di Manciuria e vicina al mare. Onde le operazioni dì
terra potrebbero essere agevolate da attacchi di mare, cui baso
di operazione sarebbe il porto di Waldiwostok, che pel passo dì
Korea trovasi in diretta comunicazione col mar GìaIIo.
Nel 1870 la Russia, nel suo progressivo allargarsi e spingersi
verso la frontiera dell'India, aveva rimontato dal Turchestan la
valle dell'Ili sul versante settentrionale dei Monti Celesti e si
ora annessa la città di Culdscha, punto di qualche rilievo per
tonerò in rispetto la provincia asiatica del Scmiriotscon. Ma
allora i Cinesi erano molto occupati contro Jnkub-bcg, signore
dr;l Turchestan orientale, il quale, sebbene battuto in parecchi
scontri, av<;va dato assai noia alla Cina fino a tanto che nel
1878 i generali cinesi poterono far sventolare in tutta la Casga-
ria lo Htondardo d*l celaste impero.
Ma altro affare era cacciare i Kassi dal territorio di Culdscha^
dove stavano a loro agio contentando puro lo popolazioni l)un-
gano asRisc fra Mongolia e Siberia.
A Pechino, vista la lontananza dal teatro di operazione, le
gravi difficoltà dell'attacco a traverso ahi monti contro un eser-
cito fortemente Mtabilito ed i gravi pericoli minaccianti d ill'Amur,
si cercò di girare la posisione e fu inviato un ambasciatore a
318 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
Pietroburgo per combinare la recessione della valle d(;li'Ili,
grande p'ù assai della valle del Po colla Svizzera per giunta.
La Russia, che sa trattare a modo le cose di Asia, si mostrò
•cortese e promise di cedere porzione del territorio superiore,
pure di avere in compenso 5 milioni di rubli, parecchi vantaggi
commerciali ed un console residente. II povero ambasciatore
tornò a Pechino riferendo intorno alle condizioni ottenute; l3
quali piacquero tanto poco che egli dovette segarsi il ventre e
le trattative furono interrotte.
Tuttavia né alla Russia né alla Cina garbava la guerra;
non alla prima per non tirarsi sul fianco sinistro del auo lento
avanzare verso il mezzogiorno uno sterminato popolo come il
cinese, il cai esercito, quantunque male in arnese e poco atto
all'offensiva, pure nella difensiva aveva come alleati formidabili
le sorgenti inesauribili di uomini, le enormi distanze, le diffi-
coltà delle comunicazioni e la stoica indifferenza degli abitanti
per le fatiche, per le privazioni e per la morte ; non alla Cina
per le ragioni già dette e per la prostrazione nella quale si
trovava in seguito alle guerre ed alle rivoluzioni che da trenta
anni non le lasciano tregua.
Onde il 16 agosto 1881 si firmò una convenzione per la
quale la città di Caldscha ed il corso supariore dell'Ili veni-
vano restituite alla Cina, rimanendo pur sampre alla Russia una
larga zona del territorio arbitrariamente occupata ed un inde-
nizzo di 9 milioni di rubli per le spese militari dell' occupa-
zione di Culdscha. Da canto suo la Cina cedeva un tratto di
«territorio suU' Irtisch nero, dipendenza meridionale dei grandi
Aitai, Ambi i territori appartengono alla Diungiria.
Ora la Russia è in pienissimo accordo col Celeste Impero;
ne le conviene di guastarsi per nessun conto perchè le forze
della Cina aumentano di assai, specie nel Turchestan pacificato,
dove si può stabilire una buona base di operazione e dove dal
1870 fino agli ultimi avvenimenti sono rivolti l'attenzione e le
'Cure dei generali cinesi.
Dopo la Manciuria e la Mongolia viene, quale terzo stato
soggetto alla Cina, la Diungaria, li qunle col trattato del 1881
ha avuto un arrotondamento di 59,925 kilom. q. con circa 70,000
abitanti.
Al sud della Diungaria e dei monti Celesti largamente si
stende il Turchestan orientale, il cui centro ò occupato dui
'deserto di Gobi, regione chiusa, nella quale le acque si river-
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 319
sano, e vengono assorbite, dalla periferia al centro, abitato da
popoli nomadi e pastori. È il bacino <l< 1 Tarim, la culla dei
Cinesi, vicino alla culla degli Sciti e de ;1; Ari, quasi in vista al-
l'altipiano di Pamir, la culla deiruiuaiiirà.
Il Turchestan orientale è separato per mezzo della catena
dei Kun Lun dal quinto Stato soggetto alla Cina, cioè dal Tibet,
dove hanno sorgente gli immensi fiumi della Cina e dell'India,
intorno al quale, malgrado molti e recenti studi e scoperte, si
curvano tanti punti di interrogazione e dentro al quale il vuoto
delle carte indica le p?no3e incertezze della geograBa.
A questi Stati soggetti qualcuno aggiunge il regno di Korca,
costituito dalla montuosa penisola che dalla Manciurìa si lancia
verso il Giappone. Il re di nome è vassallo cosi alla Cina come
al Giappone; ma di fatto governa dispoticamente i suoi 10 o
12,000,000 di sudditi e mantiene un esercito relativamente ben
ordinato e disciplinato, che quando fosse alleato alla Cina potrebbe
renderle servizio, imperocché la penisola di Korea domina dai
suoi porti e dalle sue innumerevoli isole il mare Giallo. Il
paese è chiuso agli Europei. Nel 1866 il cattolioismo fu soffo-
calo nel sangue, onde i Francesi sbarcati, pigliarono e distrus-
sero la piccola città di Kamphoa; ma dovettero poi abbando-
narla, senza aver ricevuto soddisfazione di sorta.
111.
La Cina, n Ila espansione della sua vita in tanti secoli di
storia, si è venuta formando, verso il sud, alcuni Slati tributari
di fatto, di tradirono ovvero soltanto di nome: e touo il Nópal,
la Birmania, il regno di Siam, il ro^o di Annam.
11 N/jpal è la reliquia dì un impero caocÌAto dalla Compa-
gnia dell*} Indio colle vittorie dv\ 1816 dalle rive dorato del
n gli altissimi Himalaja, che quivi coli' Kvercrst, col Da-
,; , ci)l Cincin-Ingtt superano le più elevato cimo del globo.
Il paese in media ò un altipiano a 5 o 600D piedi, Rp'endidn
per vegetazione e per vita animale, dove fra i magnifici boiohi
li; 0 nello valli profondo, sulto quili si lanciano i vergini ghiaci'iii,
vivono, oltre tutti gli animali dei climi nostri, elefanti, li^ri, leo-
pardi, rinoceronti in un clima dolce quanto quello d'Italia. Il
Uiji di Nepal reggo di despota sopra i suoi 2,5 XJ,ODO abitanti ;
ma ogni cinque anni invia a Pochino un tributo in atto di
320 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
sorameBsìone, e deve pigliarsi in santa pace un residente inglese
con una compagnia di soldati. E un avvertimento ben tristo
dell'avvenire che gli spetta, perchè gli Inglesi sono potenti e
male tollerano uno Stato che può servire di focolare, di base o
di rifugio alle insurrezioni indiane.
La Birmania, lungo le sponde dell' Iravadi si stende fin quasi
al golfo del Bengala, dal quale, con grave danno suo, è sepa-
rata ed avvolta dalla Birmania inglese. E dolce di clima, ferace
di suolo , ricca per miniere d' ogni natura e per sabbie d' oro
e pietre rare condotte dai fiumi. Un porto sul mare la rende-
rebbe utilissima al commercio europeo. Ma gli Inglesi gelosa-
mente la custodiscono; onde, impauriti i Birmani, ordinano ed
armano le loro truppe, cercano costrurre fortificazioni e si vol-
gono alla Cina come tutrice naturale del paese loro.
La Birmania, che conta 4,000,000 di abitanti largamente
disseminati sopra un territorio grande quanto la Spagna, co-
munica colla Cina mediante i suoi fiumi che scorrono l' Indo-
Cina. Onde per essi si potrebbe esercitare influenza commer-
ciale e militare sulla provincia cinese del Yun-nan, ricchis-
sima a metalli, e comunicante per mezzo del fiume Si-kiang col
triangolo commerciale costituito da Maccao, Canton e Hon-
Kong. E una grande tentazione davvero per l' impero Anglo-
Indiano !
Il regno di Siam, lungo la valle del Cambodja si stende fino
alla base della penisola di Malacca, più caldo, più vasto, men
coltivato e fruttifero, della Birmania. Nutre 5,700,000 abitanti
sopra un territorio vasto due volte e mezzo l' Italia. Ha due
re, uno dei quali impera , 1' altro è circondato dalle cerimonie
più umilianti per 1' umanità. Anche Siam ora arma e si ac-
costa alla Cina perchè teme dei Francesi stabiliti in Cocin-
cina, i quali ne dominano il golfo, occupano la parte inferiore
del fiume Cambodja e ne minacciano la capitale colle ricche
isole della costa.
Ma i Francesi più minacciano l'altro stato tributario alla
Cina, l' impero d'Annam, che pure confina colla Cocincina e del
quale fa parte integrale il Ton-kin o Tonchino, prossimo alla fron-
tiera cinese ed ora scintilla che può fare scoppiare l'incendio
fra la Cina e l'Europa.
Il regno di Annam descrive una immensa S intorno alla
costa orientale dell'Indo-Cina, abbracciando colla curva superiore,
che sì salda alla Cina, l'ampio golfo di Ton-kin e girando colla
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 321
curva inferiore, alla cui estremità trovasi la Cocincina fran-
cese, nel mare della Cina meridionale.
Una lunga catena di monti paralleli alla costa lo accompagna
in tutto il suo sviluppo dalla frontiera cinese fino alle colline
dominati Saigon, la capitale della Cocincina francese, la base
di operazione della flotta francese contro le coste annamite e
specialmente contro il Ton-kin.
Gli abitanti appartengono al gruppo dei popoli indocinesi,
adorano Buddab e la classe colta venera Confucio. Notevoli sono
i loro traffici colla Cina, favoriti dalla natura della costa pon-
tuosa e solcata da fiumi fino ad un certo punto navigabili, dai
bisogni dei 10,000,000 di abitanti, dallo spirito commerciale dei
Cinesi, dal fertile suolo, dalle ricchezze celate nei monti. Tutto
vi è alla cinese : sistema di governo, istruzione nelle scuole, pesì^
monete e misure, ordinamento militare.
L'esercito conta per la guerra circa 100,000 uomini ; la flotta
qualche centinaio di battelli. Ma queste forze non hanno impe-
dito alla Francia nel 1862 di estendere la suprema signoria sul
territorio di Cambodja e su parte della Cocincina, e non ha im-
pedito recentemente l'occupazione di Ha-noi
La Francia da Saigon si vede cinta tutta intorno da coionio
inglesi ed olandesi, che sono guardate a dovero da pochissimo
truppe, che sono visitate dal commercio mondiale, che prospe-
rano e che inviano alla madre patria grandi ricchezze. E là
in quei mari, tanto frequentati, vede i suoi possedimenti ristretti
ad una punta di territorio, mal compensante i fastidi e le spese.
La politica coloniale la invita con tutte lo sue seduzioni ad
intraprese, che in altri tempi, con altri popoli e con altri in-
tendimenti, condussero all'odierna prosperità lo nazioni coloniali
europeo; ma ora, colle diffi<lenzo create e col sistema di sfrut-
tare indigeni e suolo, conducono a contraati ed a lotto peri-
colose.
Niente di più bello e di più utile che occupare il Ton-kin.
E paese assai fertile chn, giungendo a monti rÌccliÌ8HÌmi di me-
talli, raccoglie i traffici della Cina, che tocca allo frontiere dello
Siam e della Birmania, che offre facili approdi, che ò solcato
da un fiume navigabile, ' che abbraccia infine un golfo stupendo,
* V«gi;s«i la cjirtiria rRrenti»8Ìinatnoiito pubblicata a Parigi par Hikri
Maokb. — Carle dt Tongking dmtér d'apri* lf$ U levi$ et U§ doimmenU U»
plut rfrmU. Il fiomo Honnn t) scf^iiato Darigabile sin oltre alU frontiera eU
nese, e intomo intorno si accavalcano •accessiramente miniere di rame, di
Tot.. XL, S«rW II -. 1» Lar'io IWI. ti
322 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
protetto da una penisola e da un' isola cinese, prede assai pro-
babile negli avvenimenti futuri. E là, rimpetto alle Filippine,
a mezza via tra Saigon e Hong-kong, dove sulle carte mon-
diali un fascio di linee segna la rotta dei piroscafi che perio-
dicamente si recano alla Cina ed al Giappone. Quante combi-
nazioni fruttifere, quanti guadagni, che vasto campo di specu-
lazioni, che carriera alla fervida immaginazione degli affaristi!
Ma nell'occupazione di un paese, le vie di mezzo conducono
raramente allo scopo. 0 bisogna vincere accarezzando, o debel-
lando. Gli interessi materiali, il prestigio morale, l'indipendenza
conservata, gli usi rispettati... possono indurre popolazioni sner-
vale ovvero selvaggie a tollerare in pace l'ingerenza straniera:
sovratutto in ciò sovrana è la lunga consuetudine. Ma ci vo-
gliono riguardi infiniti, calma, prudenza, pazienza nello aspet-
tare. Non è questa la via abituale ai Francesi ; e d'altro lato
forse pochissimo avrebbe giovato su questi lidi, dove i carat-
teri sono mobili assai e dove la difiidenza ai Francesi è tenuta
viva dall'occupazione della Cocincina.
Rimaneva la via della forza ; ma all'uopo bisognava agire
energicamente; inviare navi e truppe da sgominare gli indigeni
e piantare la bandiera francese su fortilizi atti a servire come
perno di operazione offensiva ed a soffocare qualunque tentativo
di resistenza.
La spesa sarebbe stata soverchia: onde si stette paghi a
mandare alcune compagnie, per occupare con esse la principale
città, nella speranza che le cose si sarebbero accomodate ov-
vero che pochi Francesi avrebbero facilmente avuto ragione delle
turbe annamite. Non erano forse i Francesi entrati trionfalmente
in Pechino ?
Come le vittorie contro l'Austria nel 1859 hanno contribuito a
trascinare alla guerra del 1870, cosi la ricordanza della vittoria
di Palikao toglierà forse adesso valore ai consigli della pru-
denza che ammonisce di non impegnarsi in una guerra contro
la Cina.
Ma due parole intorno agli avvenimenti.
ferro, d'oro, d'argento, di piombo e proprio là presso, dove un'ancora indica
il principio della navigabilità, si trova il carbon fossile.
Per lo studio del regno di Annam e per seguire gli avvenimenti è utile
il libro di DoTREUiL de Rhins Le Boyaume d'Annam et les Annamltes —
Parigi 1833, ed utilissima la carta dello stesso autore (dalla quale si trag-
gono tutte le altre) Carte de V Indo-Chine orientale^ 5 fogli. Parigi 1880.
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CIN\. 323
Nel 1874 la Francia ha conchiuso un trattato col re di An-
nam per il quale questi si obbligava a non concludere alleanze
politiche con nessun altro Stato, a riconoscere l'intera sovranità
della Francia sulla Cocincina, a concedere l'entrata in alcuni
porti pel commercio, a ricevere nella capitale un ministro resi-
dente francese, infine ad aprire il fiume Rosso alla navigazione
europea.
Questa convenzione, per quanto umiliante ed onerosa, a con-
fessione stessa dei Francesi fu fedelmente rispettata dal re di
Annam '.
Ma ai Cinesi garbava poco l'ultima clausola, volendo sfrut-
tare essi il ricco commercio che dalla provincia meridionale di
Yun-nan pel fiume Rosso, attraversando nel suo bel mezzo la
conca del Ton-kin, scende al mare. Allora furono inviati ad
Ha-noi uomini di guardia francesi ed infine l'anno scorso fu
decisa la spedizione pacifica del comandante Rivière, come se
l'occupazione a mano armata potesse farsi pacificamente e con
deboli forze in un paese avverso per le patite soverchierie. E
questo paese trovasi alla frontiera della Cina, che vanta supre-
1 la sul Ton-kin, che possiede nel Yun-nan e nel Kuang-si
! I /<■ ragguardevoli, che ha una squadra rispettabile a guardia
di quella costa, che ha ogni interesse morale e materiale per
impedire l'occupazione.
Il paese è insorto; né sarà cosi facile domare il movimento.
Nei monti sconosciuti, detti i Dieci Mila, che tracciano all' in-
circa il confine fra la Cina ed il Ton-kin, errano gli avanzi
delle bande lasciate dalla terribile insurrezione dei Taiping, le
^uali vivono di commercio e di brigantaggio, per lunga con-
suetudine amano la guerra, ed ora, favorite dagli abitmti, sono
srnso verso il cuore della regione a combattere i Francesi. Ad
111. fazione della milizia cinese, si tono riuniti intorno a sten-
dardi di diversi colori.
n il!»' notizie provenienti di lau'-'in j'aiono prevalenti gli ar-
r , 111 Miito stendardi neri, forse pcrrht- il nomo lugubre più
ferisce la fantasia. Nessuno paò dire quanti sieno: la sorgente
di guerrieri fra quelle montagne formicolanti dì popolazione è
inesauribile. Saranno molti o pochi secondo iu circoMtanze, lo
occasioni di preda, la fiducia nei capi. A loro si uniranno di
' L' ExplortUion. Le protectorat frao^ais an Tong-King, teoondo
atre lb82.
S24 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
leggieri soldati annamiti o volontari del paese. Coraggio ne
hanno per recenti tradizioni di una lotta ferocissima, nella quale
le vittime si contano a decine di milioni, per costumanza di
vita, per ingenita non curanza della morte. Armi se le procu-
rano. Dalla costa cinese, dove si condensano i traffici europei
ed americani, pel Si-Kiang si arriva comodamente ai piedi delle
montagne che servono loro di recesso; gli scambi sono facili
per la naturale accortezza dei Cinesi e per l'interesse che hanno
di favorire i combattenti. Non parlo delle armi che si fabbri-
cano in Cina-, ma cosi dall'America come dall'Europa possono
giungervi fucili ; ne è meraviglia che le bande nere siano ar-
mate di Remington, di Mauser e perfino di Gras francesi.
Il paese rotto, frastagliato, a risaie ed a dighe, senza strade,
si presta mirabilmente ad una guerra di partigiani e scotta sotto
il piede dello straniero.
Per giungervi bisogna stabilire la base di operazione nella
Cocincina, malcontenta dei Francesi, perchè hanno disconosciuto
tradizioni e leggi paesane, disprezzati i costumi e religione,
maltrattati gli indigeni, e persino reso in quell'ambiente obbli-
gatorio il codice napoleonico. E il malcontento che la Cocincina
ha dimostrato nel 1872 potrebbe dimostrarlo ora che si tratta
di combattere contro i fratelli Toncinesi. Dalla base di opera-
zione , da Saigon , bisogna girare pel mare cinese meridionale
lungo il lido annamita per la bellezza di 1300 chilometri, guar-
dando il fianco sinistro delle imbarcazioni dagli attacchi che
probabilmente gli Annamiti vorranno lanciare dai loro porti ,
attacchi agevoli su quella costiera corrosa e coperta di isolotti.
Si giunge ad un buon punto di approdo sulla costa del
Tonchino; ma le imbarcazioni per accostarsi a terra devono
essere leggere; e lì presso sorgono le celebri isole dei Pirati
che stanno proprio in faccia al delta del Tai-bihn, costituente
nel suo sbocco a mare una delle porte principali del paese per
la quale si naviga fino a Bac-ninh, luogo considerevole nell'in-
terno. La spiaggia è solcata normalmente al mare da molti canali
perchè quivi su breve tratto defluiscono tutte le acque del bacino
formato dal fiume Rosso e dal Tai-bihn.
Alquanto al nord, proprio vicino alla spiaggia cinese, si
appiatta un labirinto di roccie, di banchi di sabbia, di stretti
e di canali, nei quali nessuno può inseguire i corsari che da
secoli esercitano il mestiere loro, sono cinesi ed alleati naturali
^icgli insorti. Gli scogli si accavalcano agli scogli, eternamente
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 325
SIfuti, corrosi e perforati dai flutti che vengono da Manilla.
Si drizzano allargandosi sopra Fonda cupa e rumoreggiante col
capo superbo per splendida vegetazione. Il mare sprofonda nelle
caverne buie e là in mezzo lo stridulo guaire degli uccelli da
preda si mescola ai tianti melanconici ed alle grida selvagge dei
pescatori annamiti e dei corsari cinesi.
Mal definito è su questo lido il confine fra la Cina e l'An-
nara. Da prima i Dieci mila monti, nome assai esprimente la
condizione delle cose, possono pigliarsi a limite fra i due Stati
sin presso al raare. Ma i covi marittimi, di cui ho detto sopra,
appartengono all'Annam, quantunque la terra ferma sia cinese.
E così si prolunga per mare il territorio annamita, poi prende
piede pure a terra ferma con un lembo che cinge una piccola
baia terminata dal capo Paklong. '
Dunque, se il governo annamita fiaccamente non cede, sarà
assai difficile ed assai dispendioso alla Francia occupare il
Tonchino; e per tenerlo dovrà lasciarvi di presidio permanente
per lo meno una divisione sul piede di guerra, sempre pronta
a venire alle pre^e, trincerata in località forti, ben provvista
di ogni cosa, perchè gli assedi saranno frequenti, la resistenza,
se non tenace, lunga ed i nemici incalcolabili.
Ed a quale prò, se questi stessa occupazione inaridirà le
sorgenti delle ricchezze, le quali invece di prendere dal Yun-nan,
la famosa via del fiume Rosso scoperta dal Dupuis, continue-
ranno per le solite vie, da un lato al mare della Cina e dal-
l'altro alla Birmania ed al regno di Siam?
IV.
L'Impero Cinese non ha un mare mediterraneo, non un golfo
chn si addentri buon tratto, non una penisola che si lanci ar-
ditamente fra le onde, non un'isola di grande rilievo. Tutto ò
chiuso, concentrato, raccolto; la natura dotta lo suo inesorabili
Ic^'i^i alla storia: di qui l'iiolamonto della civiltà cinese, isola-
m< lito che tende ad estero vinto daifo scopi^rto moderne; di
qui la millenaria unità dell'impero alla qnile si spoz/.arono come
lii >ntro gli scogli i popoli sterminati o lo tremende in'
f> . !li.
' /y UmUe$ du Tong-King fi de la Chine oii oap VcMong par Ch. La-
bari hl Bevme de Oiographie, mai 1883.
326 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
Dal Iato di terra la Cina è tutto intorno coperta da altis-
simi monti e da deserti: dal lato di mare tre grandi vie fluviali
conducono nel cuore del paese attraversando tutta o quasi la
Cina politica: e sono i tre fiumi Si-kiang, Jang-tse e Hoang-ho.
Il primo sbocca presso Maccao, e nei suoi pressi sorgono
gli empori del commercio mondiale di Cunton e Hong-Kong.
Lungo il secondo, stanno successivamente le città di Scan-
ghai, di Cin-kiang, di Chieu-kiang e di Han-keu aperte al com-
mercio americano ed europeo. Per condurre operazioni militari
lungo questi fiumi bisogna dunque cominciare dal pigliarsela
cogli Stati civili che hanno interessi di grandissimo rilievo da
tutelare. I bombardamenti ormai in quelle condizioni rovi-
nano le ricchezze non cinesi, senza giovare alle operazioni mi-
litari.
A che condurrebbe un attacco contro quelle parta della Cina
se non ad una guerra spicciolata in paesi rotti, frastagliati, po-
polatissimi; senza base stabile di operazione*, senza obbiettivo
determinato; senza probabilità di finire le operazioni con un
colpo sicuro che fiacchi moralmente e materialmente la resi-
stenza ? Quante linee successive di difesa formate dai monti che
si schierano mano mano paralellamente alla costa, o formate
dagli affluenti che ne seguono il piede e sono normali alle due
grandi arterie fluviali. Quanti agguati, quante insidie, quante
sorprese! Quali difficoltà a vivere ed à marciare!
Per giungere alla terza via, cioè alla foce dell' Huang-ho
(fiume Giallo), bisogna penetrare a traverso gli ostacoli che
difendono lo stretto di Pe-ci-ìi dei quali parleremo in appresso ;
ma una volta là dentro assai meglio vale dirigere l'attacco al-
l'imboccatura del Pe-ho che mena a Pechino.
Forse che si potrà assalire le provincie meridionali cinesi
dal Ton-kin?
Ma si avrà il perno di operazione in paese nemico, sulla
costa del quale dovranno sbarcare successivamente le truppe
sciogliendo gli intricati pn^blemi logistici onde si è già parlato.
Poi si darà di muso negli anfratti dei Dieci mila monti occu-
pati dagli stendardi gialli e neri. Come guardarsi fianchi e spalle^
come procedere oltre? La popolazione discende in massima
parte dai barbari originali, ed è in basso grado di civiltà:
quindi più bellicosa, anche perchè montanara; il paese è senza
strade, e i pochi sentieri si rompono facilmente; lontani sono
gli obbiettivi secondari o terziari di guerra, cioè le città in
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 327
posizione strategica tale da dominare un certo tratto di paese
all'intorno. Le conquiste sarebbero senza risultato pratico nella
decisione della guerra.
Ma altro che parlare di conquiste ! Sarà assai se su quella
plaga i Francesi potranno difendersi dai Cinesi. 1 quali col loro
numero sterminato, in paese loro, potranno mettere insieme pa-
recchi eserciti, e, mentre difendono la capitale nel nord, potranno
a loro volta attaccare dalle estreme provincie del mezzogiorno
i Francesi i:àl Ton-kin, i quali non avranno ritirata sicura in
quei paraggi se non appoggiandosi ad una poderosa . flotta.
Il punto vulnerabile della Cina non può essere che Pechino:
per terra e per maro da parte della Russia, per mare soltanto
da parte delle altre potenze.
L'attacco da mare non era prevedibile quando il grande
Cublai, che estese il suo dominio fino alla Birmania ed al Ton-
chino, creò dalle fondamenta la sua capitale, la più grande cìttìi
del mondo, e la pose nel punto strategicamente e politicamente
migliore per guardare i suoi Stati (an. 1280).
Siede Pechino, cinta a nord da una corona di montagne,
quasi al vertice settentrionale della pianura cinese; la qoalo
forma una specie di triangolo equilatero di circa 1200 chilo-
metri di lato che ò obliquamente tagliato dalle duo arterie flu-
viali della Cina: verso il mezzo dell' Uuang-ho, verso la base
dallo Jang-tse. Il lato orientale si adagia al mare, il lato occi-
dentale alla mont^igna, la base è segnata dalle estreme pendici
dei monti che venendo dal mezzodì bagnano il loro piede nello
acque dello Jang tse. Allora, al tempo della fondazione, duo
belle reti, una di strade e l'altra di canali navigabili, in mezzo
ai quali sovrano scendeva da Pechino sin presso Nanchino il
Grande Canale, ambedue le reti irradianti dal vertice alU bMO,
ponevano in comunicazione tutte le località importanti e per-
mettevano di dominare da Pechino la vasta pianura. La qaale
comprende ora, come allora, la metà dello 18 provincie della
Cina politica mentre un'altra provincia vi comunica da presso.
K coiti mì forma un gran tutto omogeneo e compatto, che costi-
tuisce una forza unitaria, di potenza sterminata perchè non solo hì
signoreggia il corso inferiore e lo sbocco a mare (loHTIuang-ho
e dello Jang Uè, ma eziandio i bacini meridionali, affluenti allo
I mgtse, di due grandi fiumi il Kia-kiang e lo Ilong-kiang, i
'inali pongono in comunicazione colle regioni monto***.
Coni dalla pianura si guarda la montagna: •'• ì- <it.«.
328 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
pericolo fino a che ribelli od invasori sieno calati in essa e
v'abbiansi distesi. Ma da Pechino si fa in tempo a concentrare
i necessari rinforzi sul punto minacciato ed, appoggiati a base
di operazioni che moltiplica le forze, a battere i nemici che scen-
dono frastagliati e divisi.
Le altre parti dell'Impero che circondano la pianura sono
pure separate da monti impervii, da fiumi profondi, da radicaKì
differenza di popoli, da enormità di spazi. Onde è difiicile
che sì accordino fra loro, mentre il leone sta al vertice della
grande sala e guarda tutte le entrate delle piccole stanze cir-
costanti.
L'insurrezione maomettana nello Yun-nan sui confini di Bir-
mania per tal guisa rimase isolata dall'insurrezione del Kan-su
sui confini di Mongolia, ed ambedue furono represse. E così lo
furono altri movimenti, che in quel pelago di popoli montano
come le tempeste. Ma quando le insurrezioni, come quelle dei
Nìan-fei e dei Taipìng negli ultimi trent'anni, guadagnarono la
pianura , le cose precipitarono ed a grande stento si giunse a
domarle.
Un'altra ragione strategica ha consigliato Cublai Kan a col-
locare Pechino dove trovasi attualmente : e questa fu per sbar-
rare la lìnea principale di invasione che dalla Manciuria mette
nella Cina e per tenere di pari passo in rispetto i Mongoli e
gli abitanti delle steppe. Non si scordi che in uno Stato dispo-
tico come la Cina tutte le forze si concentrano intorno alla di-
nastia, intorno alla capitale, e che da questa si diramano le
arterie delle offese e delle difese. Non si scordi che la difesa
tattica era allora incomparabilmente piìi agevole che ora e che
la Grande Muraglia, eretta già quindici secoli prima, date le
armi ed i mezzi di guerra di allora, possedeva un valore difen-
sivo di grandissimo rilievo; si aggiunga che nessun pericolo
si correva da mare ed apparirà chiaramente la grandezza del
concetto strategico del conquistatore cinese.
E quanto a difesa locale egli, pei suoi tempi, vi aveva prov-
veduto a dovere.
Enormi muraglie formano un quadrilatero che serra la città
manciìi imponendo agli abitanti, qui trasportati, la tirannia dello
spazio e della forma. Alla città manciù si unisce a mezzodì la
città cinese, di forma simile ma alquanto più larga, in guisa che
i suoi lembi estremi oltrepassano la prima. Le porte afforzate
con tutta l'arte dì allora sono sormontate da specie di caserme
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 329
e guardate da torri le quali pittorescamente interrompono la
monotonia delle larghe muraglie. *
Ma la gigantesca città va rovinando. I quartieri sono spopo-
lati ; le case cadenti ; il mirabile sistema dei canali è abbando-
nato ; dove regnava il lusso ed il fasto ora intristisce nel più
ributtante sudiciume la più squallida miseria. Eppure ai resi-
denti europei che vanno a passeggio sopra la muraglia di cinta,
dove le due città si uniscono, si presenta sempre un magico spet-
tacolo. Un mare di case con un arcipelago di giardini, dal quale
sorge il palazzo reale singolarissimo edificio : intorno intorno
bizzarramente elevano gli angoli dei tetti gialli o verdi ì templi
cinesi, incurvano le cupole bianche o lanciano gli svelti mina-
reti le moschee dei maomettani, mentre giù in fondo si scorgono
templi del sole e della terra, e il campanile della cattedrale i
cattolica.
E il pensiero corre a 3Iarco Polo, che stette alla corte del
gran Can dal 1275 al 1292 e che pieno di ammirazione descrisse
la grandezza di Cambaluc o città del Can, allora per un tratto
di potenza, solo esplicabile collo sterminato dispotismo orientale,
tratta dal nulla. La descrizione pare scrìtta ierì: vale la pena
di riprodurla oggi :
u Questa città è grande in giro da ventiquattro migliai cioò
sei miglia per ogni canto, ed è tutta quadra, che non è più
dall'uno lato che dall'altro; questa città è murata di terra, e
sono grosse le mura dieci passi e alte venti, ma non sono cosi
grosse di sopra, come di sotto; anzi vengono di sopra assetti-
^'li. ite tanto, che vengono grosse di sopra tre possi, e sono fatte
iiKtrlate e bianche; e quivi ha dieci porte e in su ciascuna
porta un gran palagio, sicché in ciascuno quadro ha tre porto
con palagi. Ancora in ciascuno quadro di questo muro hao un
granale palagio, ove stanno gli uomini che guardano la terra.
K sappiate che lo rughe della città sono si ritte, che V una
})arto vede l'altra e tutte quante incontrano cosi, n '
' VsggMt in Btonaom (opera citata) il capitolo intitolato Pekm wné
teim» Umgebumg. Vallumiom FuurMjt in Nord China. — Ksmmib Ptkmg
and tìtf Pekinrtr.
* Il Milione di ...'w... ; .>M/, testo di lingua dal secolo dcciinoterao, ora
per la prima vulta pubblicato «d illostrato dal oonte BAtuiNSLLi Firense
1827.
A proposito delle porte si goardi il disegno che ci presenta il signor
Yci.E nel tuo libro Tfù; Book of Ber Maroo Polo London 1875 che oor-
ri.-^jHjuilo (iiiruliiiiiiiiifc nlla descrtsìone del grande viaggiatore.
330 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
I superbi Veneziani si ribellarono allora all'idea che esi-
stesse in luoghi remotissimi, mai uditi menzionare, una città
più splendida della loro; e pochi vollero prestargli fede. Era
serbato alla nostra epoca di provare la scrupolosa esattezza
della narrazione, la quale può essere dimostrata ora parola per
parola sulla faccia dei luoghi.
Pechino conta 2 milioni di abitanti, dei quali 24,000 cristiani.
La sua popolazione nei secoli decorsi deve essere stata mag-
giore d'assai. Tutto vi deve essere portato dalle provincie del
mezzodì: vastissimi magazzini sempre ricolmi di riso provve-
dono in caso di bisogno. Tra gli edifizi d'ogni natura, noterò
soltanto, per l' indole del mio lavoro, le vastissime caserme ca-
paci di 80,000 uomini.
A dare unità, centralizzazione e forza alla Cina assai prima
della fondazione di Pechino aveva contribuito la Grande Mu-
raglia. E opera che stordisce per la sua grandiosità politica e
strategica.
Non posso entrare nel labirinto dei particolari, nel quale
del resto si rischia di perdersi e di dire cose inesatte. Questo
mi pare provato che la muraglia della Cina fu fatta costruire
dal gran re Tshing Tsin due secoli e mezzo prima di Cristo
per assicurare il paese dai nemici esterni a fine di procedere
gagliardamente contro i nemici interni. Era il tempo delle
emigrazioni di popoli verso luoghi più fertili, più dolci, più
ricchi ; bastava una diga per rompere il corso a quelle fiumane
e per indirizzarle altrove ; ed infatti i popoli delle steppe ripie-
garono verso occidente, e cosi la Muraglia della Cina esercitò
un' influenza incalcolabile sui destini di Europa.
Ma frattanto i dominatori della Cina poterono raccogliere
sotto un' unica direzione grandi masse di truppe colle quali
avanzando verso i monti estesero e consolidarono il loro do-
minio. Il quale in seguito, appunto perchè tutelato verso il
nord, potè uscire dai suoi confini ed estendere le conquiste
verso r Asia centrale. Era una sterminata base di operazione,
protetta alle spalle dal mare, nej. fianco pericoloso dalla Muraglia,
che permise alla Cina di raggiungere l'altissimo grado di esten-
sione e forza cui è pervenuta.
Ad imitazione della Grande Muraglia, la cui costruzione segna
epoca nella storia universale, altri principi costrussero altre for-
tificazioni. Ma la Grande Muraglia incomincia nella provincia
di Kan-su e per monti e valli, per burroni e dirupi, va verso
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 331
oriente con un'ampia e profonda insenatura a mezzodì. La sua lun-
ghezza olii dice di 3,000 chi 5,500 chilometri ; giunge per tal modo
fino al golfo di Pe-ci-li, donde si stacca il cosidetto Muro di
palizzate che va nella Manciuria verso nordest con diramazione
al sud. La muraglia è condotta in modo che sul dinanzi, al-
l'esterno, non ha se non difficili strette, mentre dall'interno vi
si giunge con dolci pendii. Tratto tratto è munita di torri fian-
cheggianti ed in alcuni punti si presenta doppia e perfino tri-
pla; in questo caso l'opera avanzata consiste in terrapieno, le
retrostanti in muraglia. La mediana altezza è di 11 metri, la
larghezza mediana è di metri 7,50 alla base, 3 alla sommità.
Le comunicazioni hanno luogo per mezzo di porte difese da torri.
Trasportiamoci a venti secoli addietro e pensiamo ai mezzi
di attacco onde erano muniti i popoli delle steppe, che face-
vano la guerra trascinandosi donne, figliuoli, masserìzie e che
non potevano sostare a lungo, senza correre rischio di perire di
fame, sai lembi dei deserti che si estendono a settentrione
della Gran Muraglia; e senza fatica dovremo conchiudere che
essa nell'epoca in cui fu costrutta, ha raggiunto il suo scopo.
Certamente ora, in gran parte rovinata, non potrebbe esser»-
nn ostacolo serio ad un esercito che dall' Amur calasse por
la Manciuria.
L.-i Grande Muraglia, seguendo l'avvicendarsi delle montagne
formanti il bacino ovw è la provincia di Pe-ci-li, cinge ad occidente
ed a settentrione questa testata della pianura cinese, che a<l
oriente è chiusa dal golfo di Pe-ci-li o mure Giulio intemo, a
mezzogiorno dal largo corso dell' Huang-ho ossia fiume Ginllo.
E un campo trincerato che coprirebbe metà della superficie
d'Italia e contiene un eguale numero di abitanti. Una volta era
]>erfettflmentc al sicuro; ora dalla parto di mare costituisco il
p" ' ' ' ' ' della Cina, come lo ha dimostrato la guerra
d« -rabilo so la Cina vuole essere vulnerata.
Mare Giallo, fiome Giallo non sono nomi casuali, ma vengono
cosi tinti dalle acque del fiume Giallo attraversanti uno strato
speciale di terreno, che ha una certa influenza nelle condizioni
milita^. E la formazione del USig, che sopra minore scala si
presrnta nella valle del Reno.
Non spetta a questa rapidissima rassegna ficrnrr I. s^uik.*»
nei segreti della geologia; basti notare che il L. :. jinnai di
leggieri si sfalda dal basso all'alto e per la sua struttura ca-
pillare prosciuga e dissecca prontamente il terreno. Il Kichthofcn
332 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA. CINA.
osserva che dovunque il Lòss è percorso da acque, queste si
sono profondamente incassate in molteplici direzioni-, onde il
paese è solcato da fossi, da trincee che rompono i movimenti
dell'assalitore e costituiscono linee coprenti di grande momento
pel difensore. Sono burroni, precipizi dalle pareti a piombo che
si sprofondano di parecchi metri per tratti di parecchi milometri;
sono muraglie naturali a picco contro le quali dando di cozzo
si è costretti a lunghissimi giri. Si aggiunga per lo straniero la
scarsezza di acque, la mancanza di ponti, le strade facilmente
distrutte, la vegetazione lussuriosa in suolo ferace, ed apparirà
chiaramente come la formazione geologica sia alleata dei Cinesi
nella difesa del loro territorio.
Uno sbarco sulle coste della Cina non potrebbe tentarsi con
speranza di buon successo sulle rive del mare Giallo esterno,
nell'insenatura che forma prima di penetrare nel golfo di Pe-ci-li,
perchè il corpo sbarcato avrebbe subito a superare i monti che
prolungandosi in penisola abbracciano il golfo di Pe-ci-li; poi
una zona di Loss, lungo la quale scorre il fiume Giallo ; poi
altre linee successive di difesa costituite da' fiumi a letti pro-
fondi, mentre il fianco sinistro della lunga linea d' operazione
basata sul mare sarebbe esposto a tutti gli attacchi provenienti
dai monti.
Non rimane che a penetrare nel santuario, nell'unico golfo
degno di tale nome che abbia la Cina. Ma la provincia di Scian-
tung esce fuori verso oriente e costituisce una barriera, la peni-
sola di Liao-tong o Schin-king viene giìi da settentrione e ne
innalza un'altra: sicché rimane una bocca non largane profonda,
rivolta ad oriente e ben munita di denti costituiti da tanti iso-
lotti e banchi di sabbia, preziosi per un sistema di difesa a tor-
pedini mobili 0 fisse, tanto più efficace quanto meglio appog-
giato a fortificazioni e ravvivato dalle mosse di una flotta. Ora
la punta meridionale della penisola di Liao-tcng va munendosi
di cannoni Krupp di grosso calibro che spazzano largamente lo
specchio delle acque.
I Cinesi dopo il 1860 hanno avuto tempo di riflettere e di
apparecchiarsi*, e lo hanno usufruito con accorgimento loro e
con energia europea. Dati i mezzi moderni, le opere locali ne-
cessarie per chiudere il golfo di Pe-ci-li, sono giocattoli da
bambini, rimpetto alla Grande Muraglia opera di giganti.
In conseguenza della terra trascinata dal corso delle acque a
traverso il friabile Loss, il golfo di Pe-ci-li si fa sempre meno prò-
m.
LE CONDIZIONI MILILARI DELLA CINA.
ondo mano mano che si viene a costa : onde nessun porto è capace
di grosse navi europee ed unico punto di sbarco è la foce del
Pe-ho nella quale tante difficoltà hanno incontrato gli alleati
nel 1860, quantunque nessuno vi fosse a difesa. Al presento
presso Ta-kù, luogo dello sbarco, già da qualche anno sor-
gono fortificazioni all'europea armate di eccellenti Krupp; ed
ora si sta costruendo un vasto campo trincerato intorno alla
città di Tien-sin, avanguardia di Pechino, a pochi chilometri
dallo sbocco del Pe-ho che ne forma il porto, posizione impor-
tantissima perchè nodo di comanicazioni terrestri e fluviali nella
Cina settentrionale. Il governatore del Pe-ci-li già da quattro
anni ha ordinato un 70,000 uomini di milizia territoriale e suc-
cessivamente è venuto armandoli con fucili all'europea: una
parte di essi serve ora al riordinamento delle forze cinesi. Ma
è tempo che ci occupiamo dell'esercìlo e della flotta.
V.
L'esercito cinese è in piena trasformazione. Gli avvenimenti
che dal 1860 in poi hanno travagliato la Cina, le insurrezioni
che l'hanno condotta vicina all'abisso, le umiliazioni patito...
ìmj^ hanno preparato gli studi per un serio ordinamento; i pericoli
di una guerra colla Russia lo hanno determinato.
Ormai stanno per essere ricordi storici Vetercito degli otto
Mtendardi, V esercito dello $1endardo verde^ istituiti duo secoli
addietro dalla dinastia Manciù; ed anche la giovane gu/irdia,
sta per discendere nel sepolcro senza gli onori di guerra. Questo
diyerso specie di milizie somministrano ora gli uomini por l'at-
tuale ordinamento, che collo spirito di imitazione cinese, colla
intelligenza chiara e coll'ahilitÀ di girare gli ostacoli, viene ac-
costandoti agli ordinamenti europei.
L'esercito degli otto stendardi ora composto in massima parto
di ^' •'. una razza di soldati, già conquistatori, nella quulo
il ! delle armi dura tutta la vita e si erodila di pitdro
in figlio. Formano ona specie di casta militare nella quale quaii
esclusivamente si ' o i matrimoni. Scrivo conio si trat-
tasse di cosa preso; , he, malgrado il dispotismo cinese, non
■i può con un tratto di penna distruggere radicato consuetudini
sociali. I Manciù potevano attendere ai loro nogozi, ma non
;ill(.nf:iiKirK; lìi.J ìnr.^r,. ,11 i.r. «I.ljo senza permesso. Persino nello
334 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
guerre recenti entrarono in campagna con donne e fanciulli.
Così si spiegano le carneficine che i Dungani e Jacub beg
hanno fatte di loro. È tale la differenza cogli altri abitanti del-
l'impero che in generale i quartieri delle città, loro assegnati,
sono indicati come quartieri tartari.
Li' esercito dello stendardo verde o milizia territoriale com-
prendeva un corpo per ciascuna provincia — dunque formava
insieme 18 corpi soggetti ai governatori. Gli ufficiali proveni-
vano generalmente dalla classe militare degli otto stendardi ed
arrivavano al grado mediante esami nel tirare di freccia e
di spada. Fino adesso erano tenuti in poco conto e pagati male;
i posti superiori venivano occupati da personaggi civili, cui si
voleva dare una distinzione od una sorgente di guadagno.
I soldati avevano pure meschinissima paga e talvolta un
pezzo di terreno, ma insufficiente a vivere, massime se cari-
chi di famiglia; onde parecchi venivano a patti cogli ufficiali,
pur essi bisognosi assai, e lasciavano a questi la incerta paga
per attendere ad ogni specie di mestiere o di industria mentre
quelli che rimanevano alle bandiere facevano il servizio di pu-
lizia.
Sono cose di ieri che, radicate da secoli, esercitano la loro
influenza sulle condizioni di oggi e l'eserciteranno per parecchio
tempo avvenire. Così all' ingrosso, qualche anno fa, si poteva
calcolare che l'esercito degli otto stendardi comprendesse poco
più di 200,000 uomini, che la milizia territoriale montasse ad
oltre 650,000 uomini, che nella giovane guardia fossero inscritti
circa 18,000 uomini; — sicché tutto sommato si aveva un 870,000
uomini, senza contare le popolazioni di Mongolia, che, ordinate
militarmente, potrebbero dare oltre 100,000 buoni soldati, for-
niti di maggiori virtù militari dei Manciù e dei Cinesi.
Ma non è certamente il numero degli uomini che manca alla
Cina; e neppure deve dare pensiero 1' introdurvi leggi di reclu-
tamento all'europea per avere col numero l'interesse nella di-
fesa nazionale.
Nei Cinesi manca bensì, o dorme, od è scomparsa la facoltà
creativa; ma possiedono una meravigliosa qualità imitativa, una
potenza di assimilazione tale da costituire un compenso e tal-
volta da dare un vantaggio. Assai probabilmente, pacificato
r impero all' interno, si procederà ad un nuovo sistema di re-
clutamento, il quale basato sulla salda ed ordinata amministra-
zione delle Provincie, favorito dallo spirito pratico nazionale e
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. ÓOO
dal bisogno di difendere gli interessi materiali, potrà dare ec-
cellenti frutti.
Xel considerare le cose di Oriente noi non dobbiamo fer-
marci alla superficie o restringersi nel breve periodo della storia
contemporanea. Per giudicare della vita e della forza di un
popolo bisogna ficcare lo sguardo a fondo e considerare un largo
periodo della sua storia. La Cina poco tempo addietro era con-
siderata morta come potenza e taluno la considera tale anche
adesso. Ma chi può asserire che le sventure toccate alle attuali
generazioni non sieno una crisi salutare, non indichino il periodo
della trasformazione, non segnino il principio di una nuova era
nella millenaria vita di quel saldissimo popolo?
Qualunque sia l'avvenire militare e politico della Cina, al
presente essa riforma attivamente il suo esercito e crea la sua
flotta.
Cogli uomini in diverso modo obbligati al servizio militare si
sono formati e si stanno meglio ordinando ed afforzando due
eserciti ben distìnti uno di operazione, l'altro di difesa,
II primo proviene in massima dall'esercito degli otto sten-
dardi ed è diviso in tre armate, cioè:
L,'annata di ^fanc^urxa, la quale in sui primordi non si com-
poneva se non di 30,000 uomini; or», secondo le ultime infor-
mazioni e secondo ci persuade la ragione dello cose, va affor-
zandosi con volontari mongoli. Trovasi scaglionato parto a Zi-
zicar, povera fortezza capitale della Manciuria settentrionale,
quasi ai confini di Mongolia, e parte a Mukden, capoluogo della
Manciuria meridionale (Schin-king) annessa alla provincia di
Pe-ci-li. a breve tratto dal golfo di Liao-Tong, che è il prolun-
gamento settentrionale del golfo di Pe-ci-li e che possiede un
buon porto, cioè Niu-cuan, aperto agli americani ed agli europei,
e in città vasta e ricca, in suolo ferace.
L'armata di Manciuria si batte con fucili tedeschi Mauser
'he disputano in Europa il primato ai francesi.
Nulla di meglio indovinato: reclutamento sotto mano di gente
più atta alla guerra offensiva cbo non sieno i Ctnosi propri ;
dislocazione (mi si permetta la parola) opportunissiroa. In&tti
pronto ed agevolo è il concontramento a sud intomo Mukden,
londe per terra e per mare si può pigliare di fianco uno sbarco
■ 111 spiaggia del golfo di Pe-ci-li, che miri a Pechino: una
!>• llisnima strada congiungo le due città. Pronto ed agevole è
il concentramento al nord intorno a Zizicar, dove si sbarrano
336 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
le vie di comunicazione più brevi tra la Russia e Pechino e si
fronteggia Blagoviesch, centro dei presidi rusni nell'Amur.
"L'armata del centro e raccolta presso Kalgang nelle mon-
tagne al nord di Pechino. Quivi si uniscono le strade che at-
traversano la Mongolia ed il deserto di Gobi e poi salgono al
passo montano, detto esso pure di Kalgang elevato a circa 1800
metri. Quivi la Grande Muraglia, coronando le cime dei monti
ed i bacini delle sorgenti, costituisce quasi un gigantesco campo
trincerato che spinge innanzi i suoi forti.
L'armata del centro si cerne fra gli arditi montanari di razza
guerriera e serve principalmente alla difesa attiva della capi-
tale. Verso il deserto, verso la Russia, all' avanguardia stanna
le truppe irregolari e nomadi della Mongolia; verso il mare,
verso il golfo di Pe-ci-li, sta la milizia territoriale in questi
ultimi anni attivamente riordinata dal generale Li-hung-hong. E
nel golfo stesso suole ormeggiare la flottiglia del Pe-ho. La
seconda armata, a quel che si assicura, ha ora una forza di
30,000 uomini, armati di fucili rigati a retrocarica non saprei
dire di quale modello. Le due armate di Manciuria e del centra
possono operare in perfettissimo accordo per linee concentriche
contro un nemico che sbarchi ad offesa di Pechino.
La terza armata è quella del Turchestan, raccolta principal-
mente nelle provincie interne e montuose del Kan-su, dove la
Grande Muraglia racchiude un campo trincerato per uno spazia
di forse 60,000 chilometri quadrati, cui da due lati serve di
fosso il fiume Giallo. Creata al tempo dei torbidi colla Russia,
suo scopo principale, come lo indica il nome, era la guardia
del Turchestan, verso il quale aveva anche spinto la maggior
parte delle sue forze. Contava da 40,000 uomini, abbastanza
bene in arnese ed agguerriti dalle campagne contro Jakub-beg.
Sebbene alquanto lontana, pure anch'essa può concorrere assai
facilmente ad operazioni campali nella Cina orientale, perchè
il paese ormai può essere lasciato a se medesimo e perchè il
tempo non farà mai difetto per contrastare uno sbarco od un
attacco la cui prima base di operazione trovasi in Europa.
Il Governo cinese non è chiuso , come una volta nel suo
immenso guscio, ma riceve informazioni da ministri e diploma-
tici intelligenti accreditati presso le principali Corti, ed i suoi
più autorevoli generali hanno avuto la loro educazione militare
negli stati più civili del mondo.
h' esercito di difesa o di presidio proviene dalla Milizia ter-
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 337
ritoriale fino da quando minacciavano le ostilità colla Russia.
In guerra si calcola sopra 700,000 uomini; ma le forze effet-
tive di pace, che hanno quadri sufficienti per numero se non
per qualità ed a quest' ora forse sono armate di fucili nuovi
a retrocarica , non oltrepassano i 200,000 uomini. Dei quali
metà sono destinati a guardia alle coste e metìi a tutelare l'or-
dine interno nelle grandi città e specialmente a Pechino.
Ciascuna provincia deve concorrere a mantenere quest'eser-
cito pagando lo stesso contributo che pagava dianzi; ma sic-
come in passato doveva nominalmente somministrare un nu-
mero di uomini triplo, così il contributo serve meglio a mante-
nere l'esercito ridotto al terzo. E il principio che si vuol far
prevalere nella Cina : minor numero, ma più scelto e meglio
armato.
In ciascuna provincia gli stendardi verdi dipendevano dal,
governatore, il quale li teneva a numero, li armava e faceva
istruire a piacere suo, secondo le circostanze, secondo i bisogni,
secondo la situazione stessa delle provincie od il pericolo di ve-
nire più 0 meno coinvolto in una guerra o in un' insurrezione.
Ed, a capriccio, chi osservava scrupolosamente le tradizioni, e
conservava archi e freccio cinesi; chi si lanciava nel pelago
delle innovazioni. I conservatori erano in maggior numero sta
perchè nei grandi dignitari cinesi è naturale l'avversione allo
riforme, sia perchè costava assai meno danaro, tempo e pen-
sieri l'attenersi al vecchio. I novatori si dividevano poi secondo
i gusti o le simpatie, molte volte strane o ridicole, come era
da aspettarsi da nomini che affatto digiuni di coso militari,
volevano applicare alle truppe oineti i ■istcmì europei.
I governatori tono tutti o qaa«i di carriera politica ed
amministrativa; ed in generale tengono in pochissimo conto la
carriera militare.
Attualmente a ciascun governatore di provincia è posto a
lato un generale, e tutte le truppe dipendono dal potere mili-
tare centrale che effettivamente sta nelle mani dell' accorto ed
energico generale Li-hung. I Cinesi hanno imparato a loro
spese : al disperdimento delle forzo è seguita una rigorosa cen-
tralizzazione, tanto più facile quanto più dispotico è il poterò
che l'imperatore concede al suo ministro della guerra. Il po-
tere militare poi non risiede a Pechino ; ma, per separarlo com-
pletamente dal potere amministrativo, e per imprimergli carat*
terc eminentemente militare, «i volle chv prondeise sede nella
Vou XL, S«ri« n — IS Latito IM). ti
338 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
città di Tien-sin, intorno alla quale ora soreje una cerchia di
forti; d )nde si ha pure il doppio vantaggio di guardare meglio
un punto strategico di primo ordine e di meglio dirigere la di-
fesa di mare e di terra, essendo Tien-sin porto sul Pe-ho ed aasai
vicino all' estuario del Pe-ci-li.
VI.
Le qualità morali del soldato cinese sono assai diverse; e
come potrebbe essere altrimenti in tanta ampiezza di spazio,
in tanta diversità di natura? Ma non sono così diverse come
potrebbe credersi a bella prima giudicando alla streg la dell'Eu-
ropa. Religione quasi in tutti buddisti, stato per eccellenza uni-
tario, educazione plasmata ad un modello, millenarie consuetu-
dini hfmno piallato molte differenze. Rimangono tuttavia
appariscenti le varietà prodotte dalla origine, dal clima, dalle
maniere di vivere.
I Manciù provenienti da popoli guerrieri, sebbene rammolliti
dai civili costumi della Cina, conservano tuttavia qualche tratto
di carattere bellicoso superiore alle popolazoni raffinate del
centro e del sud. I Mongoli, sempre in lotta colla povera na-
tura, rozzi, in clima aspro, contorniti da popolazioni nemiche,
sono anche più coraggiosi e gagliardi, ma n:)n sempre sicuri e
fedeli. Le popolazioni dei monti, per la vita dura che sono co-
strette a menare, in aria meglio corroborante, sono più robuste
di garetti, piìi acute d'occhio, più destre di mano, e nella cerchia
segnata dai monti del luogo natio, valgono p'ù. ;mche per amore
di patria, dei popoli della pianura alquanto indifferenti, sfibrati
e fiacchi.
Ma, presa in generale, la popolazione cinese, massime nel
cuore dell'impero, cioè nella Cina propria, è la meno guerresca
del mondo. Essa non conìprende la sanguinosa gloria delle armi
che solleva il carattere delle nazioni, le scuote, le sveglia, le
toglie dai meschini interessi e, malgrado il tristissimo codazzo
di flagelli, indica senipre n 1 mondo i p o.;rus.->i della civiltà.
For^e è quest'avversione alle armi, quest'a.-ssenza di spirito mi-
litare che ha più di ogni altra cosa contribuì. o a chiudere la
Cina nella sua immobilità.
Suprema gloria colà non è la spada: è la penna. Con questa
idea la Cina dovrebbe esserci maestra anche al g orno d'oggi,
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 339
se non vi fosse qualcosa più del calamaio che rende i popoli
civili ed influenti. La più volta millenaria storia dell'impero non
cita che un solo conquistatore cinese : è il fondatore della
Grande Muraglia; ma gli Annali non gli tributano gloria con-
degna e la sua memoria non ha conserv^ato presso il popolo ci-
nese prestigio di sorta.
L'attuale dinastia dei Manciù si è guadagnata il trono colla
spada; ma ben presto il suo spirito militare decadde sia perchè
addormentato dall'ambiente adiposo, sia perchè non occorreva
spiegare molte forze per tenere a freno gli indigeni, sia perchè
non minacciavano nemici esterni. Onde dal tempo dell'invasione
dei Manciù (1600) alla guerra inglese dell'oppio, gli ordinamenti
militari si corruppero come si corrompe l'acqua immobile di
uno stagno.
Pure il soldato cinese non è sprovvisto di valore, massime
colle armi e colla tattica moderne.
Se il suo coraggio non è brillante; pare è quieto e sereno
come suole manifestarsi in chi non tiene molto alla penosa esi-
stenza e vede oltre le stelle un avvenire migliore. 1 terribili
macelli nelle insurrezioni provano da un lato come le popola-
zioni si espongano ad ogni periglio ed anziché fuggire si U-
«cìno sgozzare, e dall'altro, come nell'esaltamento, il Cinese si
ubbriaclii di sangue e gavazzi nella strage. La vita umana vale
«ssai poco laggiù : franca solo la spesa di venderla a caro prezzo
vendicandosi.
Ma r accasciamento morale in un popolo non vile, il quale
non sia ravvivato dallo spirito militare, giungo a tale che in
Cica non è raro il caso di chi rivolga l'arma contro se medesimo
sentendosi impotente da ferire il nemico. Questo si ò visto nello
guerre contro gli europei quando ai fucili ed ai cannoni non si
aveva da contrapporre che freccie e «pade. Mutorii il registro
quando i Crnesi avranno armi egUAli agli avversari.
Queste armi poi, a quel che si può giudicare, le adopre-
ranno bene. Il genio inventiro dei Cinesi sembra osiurito da
secoli e secoli; rimane però loro un meraviglioso genio imita-
tivo, cosi nell'arte come nella guerra, che fa loro apprendere
facilmente il modo di combattere nostro e Io nostre manovre.
I molti ÌHtruttori europei, sebbene non sieno dei migliori, nh
dei più ammanierati e non conoscano per solito nò lin;;iia nò
costumi, riescono assai presto ad insegnare l'esercizio. In guerra
poi l'indole calma del soldato lo rende eccellente nel difendere
340 LE CONDir^IONI MILITARI DELLA CINA.
col tiro le posizioni che gli offre il suo terreno e nel valersi
dei pregi dell'arma a fuoco.
Nel combattimento spicciolo, in terreno insidioso e proprio,
fra fiumi, canali, avvallamenti, burroni, argini, siepi e muri può
giovargli assai il suo sapere trarre partito di ogni cosa; fin la
mancanza di slancio, di passione, data la natura e lo scopo di
una guerra, in paese suo, può preparargli la vittoria. Imperocché
non bisogna dimenticare che qui si tratta, non di guerra offen-
siva 0 di conquista in paese altrui, ma di difesa contro truppe
europee sbarcate e sempre in numero incomparabilmente minore;
le quali devono superare difficoltà infinite per stabilire la loro
base di operazione sul mare, per avanzare, per vivere, per for^
nirsi di munizioni, per guardarsi all'intorno.
Si aggiunga, circa le qualità del soldato, la sua sottomis-
sione, vorrei dire naturale, all' ufficiale in un paese dove la
gerarchia circondata da forme, che impongono alla folla, si eleva
potente sopra i suoi gradini successivi e tiene tutti nella più
reverente sommissione.
Forse ora come ora, questo prestigio non l'avranno intero
gli ufficiali ; ma coi nuovi ordinamenti, elevata l' istruzione ed
il contegno, migliorate le paghe, non sarà difficile agli uomini
intelligenti che reggono le cose dell'esercito in Cina, di farlo
crescere in un terreno che gli è tanto propizio.
La naturale sommissione dei Cinesi all' ordine gerarchico
può essere la base di un eccellente disciplina, che trasportata
dalle caserme in campagna, particolarmente cogli eserciti mo-
derni, è condizione imprescindibile di ccesioce e di vittoria.
Un' altra virtù militare hanno i Cinesi, cioè la sobrietà e
la tolleranza delle fatiche e degli strapazzi. Un pugno di riso
basta ad un soldato per l'esistenza sua: due lumache, che trova
dovunque, formano il suo companatico di lusso. Il soldato non
può essere diverso dal lavoratore : e di lavoratori come i Cinesi
ve ne sono pochi al mondo. Bisogna estirpare il vizio dell'oppio
che abbrutisce, specialmente gli ufficiali, vizio che tanto bene
ha servito agli Inglesi*, ma a ciò si procede con grandissimo
rigore ed, a quello che sì assicura e che si può indovinare, con
ottime conseguenze.
Gli ufficiali sono in gran parte molto ignoranti perchè in
passato nessuno si curava della loro coltura intellettuale, quan-
tunque la Cina sia sempre il paese degli eterni esami. Del ri-
manente a che avrebbero servito le lettere e le scienze se ogni
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 341
arte della guerra . consisteva a trarre d' arco ed a maneggiare
la lancia?
Il libro àeìVArte della Guerra cinese è un codice di mas-
sime morali, di proverbi, di sentenze filosoficlie, scritto pei
principi e pei generali supremi non per gli uflScialì minuti; i
quali non avevano al occupirsi di alcuna combinazione tattica.
Le bandiere variopinte andavano innanzi e servivono alla rac-
colta. La folla seguiva. Nessuna ripartizione per manovra tat-
tica: tutto si limitava allo stendardo, che può corrispondere se-
condo i tempi ed i governatori, ad una noitra divisione o ad
un nostro corpo di esercito, ogni altra suddivisione essendo di
carattere amministrativo.
Ora le cose sono mutate. Si è introdotto una distribuzione
di truppe non molto diversa dall'europea. L'unità tattica è for-
mata dalle Lianza o compagnia di 2.Ó0 uomini per la fanteria,
di 150 per la cavalleria. Si sono fondati e si vanno fondando
molte scuole pjr gli ufficiali, dei quali un certo numero va
all'c«tero per venire poi negli stati maggiori e percorrere la
carriera superiore. Il fondo di coltura popolare cinese, che in
Oriente è superata dal solo Giappone, le molte scuole di ogni
grado onde è seminata la Cina politica, il pregio nel quale
sono tenute le lettere e le scienze. Io studio man mano allarga-
tesi delle scoperte moderne,.... tutto contribuisce a preparare alla
Cina ufficiali relativamente istruiti in un' epoca nella quale
l'istruzione giova tanto all'incremento delle forze militari.
A Ticn-sin da qualche anno fu istituita una scuola degli
istruttori per dare unità di addestramento all'esercito con indi-
rizzo non dissimile da quello degli stati europei.
Il Giap{K>ne è vicino ed esercita uni continua influenza ;
gli stranieri nei molti porti e città aperti al commercio ammo-
niscono quotidianamente la Cina della necessità sua di essere
forte; le umiliazioni, i bombardamenti, gli incendi, le tasse di
guerra sono memorie recenti. Le distanse sono scomparse; il
mare più non diride ; bisogna provvedere alla propria sicurezsa.
Ecco ciò che vedono ora le classi dirigenti in Cina, le quali
esercitano una sterminata autorità.
Gli ultimi avvenimenti del Ton kin ed il contegno della
Francia devono necessariamente avere spinto i lavori e le prov-
^^viste con maggiore aUcrità
Si calcola che la Cina abbia speso in questi ultimi tiMupi
300 milioni ili lire l'anno par l'esercito e per la marineria
342 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
senza comprendervi il mantenimento delle truppe che va a ca-
rico delle Provincie. Eppure ha pagato quasi metà del prestito
di 100 milioni incontrato nel 1874. Dunque imbarazzi finan-
ziari non ne dovrebbe avere per il suo armamento.
La fabbrica Krupp in Essen le fornisce continuamente can-
noni da campagna e da fortezza. Due anni or sono erano già
più centinaia, ed ora si parla di una colossale provvista di can-
noni da costa. Anche di fucili, avendo adottato il Mauser, ne prov-
vede a iosa. Non voglio addurre cifre di periodici che possono es-
sere fallaci : questo è certo che molte armi dall'America e dal-
l'Europa pigliano la direzione della Cina; coiài fabbricanti fanno
sempre buoni affari ed, una volta avviata la corrente, non si
ferma cosi di leggieri, specialmente se il cielo si intorbida.
Ma la Cina non si contenta di provvedersi fuori di casa.
I suoi uomini di stato comprendono bene che una nazione per
assicurare solidamente la propria indipendenza, deve sapersi-
armare da se coll'industria propria, perchè il ricorrere ad altri,,
oltre a sperperare ricchezze e lavoro, oltre a scemare prestigio^
può essere sorgente nelle angustie del bisogno, di grossi guai.
Cosi la Cina ha eretto stabilimenti militari suoi ed incoraggia
industriali stranieri e cinesi ad erigerne per conto loro.
Attualmente la Cina possiede sette stabilimenti per la fab-
bricazione delle polveri e del materiale da guerra. A Canton,
v' è un antico arsenale : un arsenale è stato recentemente co-
strutto da un inglese nella più volte menzionata città ni Tien-
sin, perno delle difese del Pe-ci-li. Un altro arsenale, con fon-
deria e fabbrica d'armi, è stato fondato nel 1880 a Nanchino,
l'immensa città che per non essere esposta ad un colpo di mano-
in seguito a sbarco, viene ora fortificata, mentre si difende con
torpedini l'entrata dell'ampio canale formato dallo Jang-tse.
Lan-ceu, capoluogo della provincia di Kan-Su, sul fiume
Giallo, località notevole pel suo commercio colla Mongolia, dove
la Grande Muraglia forma il campo trincerato di cui ho detto
innanzi, si è fondata tre anni or sono una fabbrica d'armi.
A Fu-ciau, nel fiume Min, vicinissima al mare quasi in faccia
all'isola di Formosa, si trovano due stabilimenti d'artiglieria, nei
quali si costruiscono pure torpedini. E posizione buona perchè
alquanto dentro terra, tra lo sbocco a mare guardato da pa-
recchi isolotti ed i molti depositi inglesi, americani e tedeschi
la proteggono dal bombardamento.
li
I
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 343
VII.
I marinai cinesi sono relativamente migliori dei soldati. Si
fa la cerna nella fitta popolazione, che per una cosi lunga di-
stesa d' costa seminata di isolotti, vive quasi nel mare in con-
tinua lotta coi flutti. Dille bocche della Jang-tse fino a! golfo
di Ton-kin è un succedersi di minuti arcipelaghi sporadici, che
man mano quasi si attaccano al lido e formano qua corone, là
gruppi intorno ai seni capricciosi ed alle brevi rade; e lì in
mezzo si aggira e si contorce una moltitudine di canali, dì
stretti, di angusti estuari eternamente flagellati dai cavalloni
del grande Oceano, i quali a traverso i larghi spazi delle isole
Lieu-Chien, schierate come a battaglia tra la Formosa ed il
Giappone, penetrano nel mare della Cina.
Fra questi isolotti e la terra ferma, dalle larghe vie fluviali,
fra la Formosa e le Lieu Chieu cinesi, ha luogo un vivissimo
traflìco, che forma ed adle^tra coraggiosi ed esperti marmai
mentre alletta e nutre temuti corsari. L'età presente coi suoi
maggiori bisogni e colla crescente emigrazione allarga la cer-
chia di azione in g^isa che dovunque nei mari orientali si ve-
dono marinai cinesi.
Dicono che attualmente di occupati nel servizio della mari-
neria militare sieno 32,000; ma dì cotati cifre non v'è a fidarsi.
Fatto si è che la fonte ò buona ed abbon<lantc; basta sapersene
valere. A fare la cerna fra i marmai di professione pei bi-iogni
di guerra non si è alle strette come in Europa, dove i mari
facili e le basi di operazioni vicine esìgono difesa immediata.
Fanno difetto gli ufficiali cosi per numero come por qualità.
Le moderne nari richiedono macchinisti abili ed oARcìmIì istrutti ;
— e gli uni e gli altri mancano per ora alla Cina. Fino che
si tratta di condarre le grosse navi in lejrno, fornite di arti-
glieria alla meglio, servono gli ex capitani marittimi del com-
mercio e gli esperti timonieri; ma per condurre lo fregate, le
corvetto, ' (iiniere, le cannoniere a vapore, bisogna ricor-
rere ad . I ed * maoohinisti europei, i quali in caso di
guerra devono essere licenziati.
Siamo bensì in un periodo di transizione nel quale la Cina
colle scuole sta creando pure un personale indigeno. Q'tk di parec-
chi anni a Fa-ciau v'ò una scuola di macchinisti, che a quanto si
assicura, procede bene ed ha già dato eccellonta personale.
344 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
Il materiale della flotta, senza contare due corazzate; si può
dividere come segue:
1" Navi per il Pe-ho;
2' Squadra di Fu-ciau;
3° id. di Scanghal ;
4** id. di Canton.
Le navi del Pe-ho, destinate alla guardia delle coste intorno
alla capitale, comprendono due incrociatori e parecchie canno-
niere di prima classe le quali vanno tuttodì aumentando. A
capo d'anno 1883 si parlava di 13 cannoniere. Sono di acciaio
e di ferro armate in vari modi di Armstrong da 28 e da 32
centimetri e di mitragliere GratUng. È dal 1875 che si sta for-
mando la flottiglia : a quest' ora essa deve trovarsi in condi-
zioni tali da bastare allo scopo suo.
La squadra di Fu-cìau che piglia il nome da questo centro
della vita marittima cinese, ormeggia quasi a mezza via tra Scan-
ghai e Canton nelle acque settentrionali del canale di Formosa.
Proprio nel bel mezzo della costa cinese, alla sommità che
essa forma inoltrandosi in mare tra la gran baia di Han-ceu
ed il delta dello Jang-tse, trovasi la grande città di Scanghai,
cosi frequentata dagli europei. Da essa si nomina la seconda
squadra che annovera parecchie fregate (6 al principio dell'anno)
ed una cannoniera corazzata.
La terza squadra piglia il nome da Canton, si basa su quel-
l'amplissimo golfo, guarda le coste meridionali della Cina ed è
composta in massima parte di cannoniere. Si devono aggiun-
gere 10 battelli torpedinieri, di cui gli ultimi sei sono stati con-
segnati in questi giorni. '
' Ecco la situazione della flotta cinese secondo VAlmanach fur die K. K
Krtegsmarine 1883.
2 Corazzate (Ting-Yuen, Chen-Yuen).
Navi pel Pe-ho
2 Incrociatori (.Yang-Ouei, Tschao-Yong).
13 Cannoniere.
Squadra di Fu-ciau
2 Incrociatori (Yang-Ou ed uno in costruzione).
3 Cannoniere avviso.
2 Cannoniere.
13 Trasporti avviso.
3 Avvisi di flottiglie.
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 345
Fu-ciau, Scanghai e Canton possiedono arsenali marittimi.
Le due corazzate Ting-Yuen (Pace eterna) e Chen-Yuen
{Guardacoste) furono costrutte nel cantiere della società u il
Vulcano n a Bredow presso Stettino. Hanno uno spostamento
di 7,500 tonnellate, una forza di 6000 cavalli, una velocità di
14,5 nodi. Sono armate di cannoni Krupp da 35 cent, e di mi-
tragliere Hotchkiss a difesa contro le torpedini; ciascuna coraz-
zata poi possiede due grosse torpediniere dotate di maggiore
velocità della sua, che le servono di braccia nel combattimento.
Sono in costruzione nello stesso cantiere, una corvetta in
acciaio e 7 torpedinieri, delle quali 2, già consegnate, hanno
fatto buona prova presso Tien-sin.
In complesso la Cina ha già, o sta per avere nel corso del-
l'anno, una flotta assolutamente moderna di oltre 70 n&vì di ogni
dimensione, delle quali due fregate, che sebbene piccole a petto
^elle nostre grandi corazzate, pure rappresentano una ragguar-
devole forza. E queste navi, armato tra grandi e piccole di
oltre 350 cannoni nuovi, per le loro dimensioni sono adatte ai
bisogni, alla natura delle coste, al personale, al piano di
difesa adottato dai Cinesi, la preoccupazione principale dei quali
è ora la costruzione sollecita delle torpediniere.
Due altri incrociatori d' acciaio devono nel corso dell'anno
«sscre forniti da case inglesi ; due sono ordinati alla casa Howalt
in Kiel , sicché col materiale della marina si procede lestamente.
Ma è da dubitare che cosi lestamente si possa preparare il per-
sonale tecnico.
Ad ogni modo questo è indubitato che la iiKirmc-n.i
su quel litorale, tormentato dallo convulsioni tellurich< . i n
marosi dell'Oceano, con quei rifugi sempre aperti «ntro terra,
ad enorme distanza dalle grandi potenxe marittime, può guar-
dare serenamente in faccia agli avvenimenti nella fiducia di
trovarsi al coperto dai danni patiti alcuni anni addietro. Ma
fmrti' a; proreaieu
a.
Sqmadra di Cemton
Fregata (la mafKior jwrt^ d\ pror— i— m ifooU).
1 Cannoaien eorassau
Inn i'
1 Vaporo traa|>orto.
Vi tonu io<re lU canaontare.
340 LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA.
scemerebbe, specialmente sul mare, la sicurezza del Celeste
Impero e molta forza sarebbe paralizzata, se la Francia pren-
desse stabile piede al Ton-kin, dove col tempo e col lavoro po-
trebbe creare un' ottima base di operazione marittima contro
la Cina.
Ond' è che ragioni militari si uniscono alle commerciali per
spingere la Cina sulla via della resistenza ad ogni costo : nel
che le giova, rispetto al dritto, il tradizionale vassallaggio del
regpo di Annam, rispetto alla forza, il contegno degli Annamiti,
dei Toncinesi e delle Bandiere Nere.
Troppo lungi dallo scopo mi condurrebbe lo studio intorno
alle prevedibili contingenze di una guerra tra la Francia e la
Cina. Mi basta per ora di avere indicato cosi all' ingrosso la
forza di resistenza della seconda.
L'ardore col quale si procede nei preparativi di difesa ha
scosso la natura tarda del Cinese, cui in generale assai poco
importano gli interessi dello Stato. Ha troppo da pensare e da
fare a vantaggio suo individuale per crucciarsi della patria.
La quale del resto è cosi grande che non cape nel cuore suo.
Ed a che giova affannarsi per la patria quando patria pro-
priamente non esiste in un paese retto a dispotismo così asso-
luto? Tutto appartiene all'imperatore, tutto dipende dal suo
beneplacito. Nessuno, tranne i grandi, si occupa del governo
della cosa pubblica ; nessuno vive e sente come sentono i po-
poli europei anche meno progrediti nella via della libertà. L'in-
dividualismo compresso ed assorbito dallo Stato, si vendica alla
sua volta e scatta pensando e lavorando nella piccola cerchia
dell'esistenza sua, soltanto per se e per la propria famiglia. Le
offese inflitte dagli stranieri, le umiliazioni, l'invasione stessa
dello Stato possono sopportarsi con impassibilità tale da far
pena persino agli invasori. Ecco una delle ragioni per le quali
perdurava l'insurrezione mentre lo straniero saccheggiava i
palazzi imperiali e pigliava con poche migliaia di uomini la
capitale.
In tanto fluttuare di popoli, legati bensì al potere centrale,
da secolari abitudini, da forma geografica della regione, ma
non abbastanza uniti da evidenti interessi politici, sono possi-
bili quelle ribellioni che durano anni ed anni, che si estendono
ad intere regioni, che talvolta rovesciano dinastie, mai riformano
le leggi fondamentali. Provengono ordinariamente da fanatismo
LE CONDIZIONI MILITARI DELLA CINA. 347
religioso, quantunque il cinese sia piuttosto tiepido nelle cre-
denze religiose e tollerantissimo. Un fanatico o un mattoide-
affascina le turbe e le trascina ai voleri suoi, od a quelli del
Cielo. In Europa si fa presto a sbarazzarsene ; ma in C na, con
quell'ordinamento dello Stato, con quelle truppe di presidio, con
quel teatro di azione.... le cose procedono assai diverse. Dal
1849 al 1864 è durata l'insurrezione dei Taipingr, ed ha perfino
costretto il governo centrale a chiedere, per domarla, l' inter-
vento delle potenze occidentali. Il fanatismo religioso infiamma
ed esalta le moltitudini; ma sotto di esso, allo stato latente,
trovasi sempre la quistioae sociale, la quale sprigionandosi fa
guizzare lampi di fosca luce molto più in Cina che in Europa.
Forse l' immensa emigrazione è colà una valvola di sicu-
rezza. Ma la questione sociale avrà una grandissima influenza
nella questione militare.
Pt-r ora tutto ci induce a credere che la Cina, vincendo
r indifferenza proverbiale e l'amore soverchio al guadagno, si
prepari seriamente alla guerra. Lasciando da pirtu la grande
incognita sociale, che spesse volte anche in Europa tuT\>& il
sonno degli uomiai di Stato, è lecito conchiuderc dal fin qui
detto che la Cina può non solamente difendersi, ma preparare
alla Francia una situazione molto critica, attraendola nelle spire
di una guerra che per ineluttabile necessità, se mai scoppiasse,
ingoierebbe tesori di tempo, di uomini e di den<iro. Ciò mal-
grado nessuna ragione induce a credere che la Cina, qualunque
sia il riordinamento militare o politico che voglia adottare, posta
vincere la natura sua e gli ostacoli della posisìone geografica,,
possa slanciarsi poderosa sai mare, troTando in sé medesima il
fuoco, l'energia, la potenza di divenire a sua volta conquista-
trice, di far seguire alio umili turbe degli infiniti emigranti, le
truci schiere dei suoi soldati.
O. Baratibri.
LE PITTURE MURALI
SCOPERTE NEL PALAZZO DEI CONSERVATORI IN CAMPIDOGLIO
Nei primi dello scorso anno, adattandosi ad uso di sala dei
matrimoni, la Protomoteca capitolina nel pianterreno del Pa-
lazzo dei Conserv'atori, mentre spicconavasi il muro per accon-
ciare alcune finestre prospicienti il cortile, apparvero, sotto
l'intonaco delle costruzioni michelangiolesche, alcuni archi a
sesto acuto, sostenuti da colonne di granito, ornate di capitelli
di marmo con volute joniche.
L'amministrazione comunale, per suggerimento del commen-
-datore Augusto Castellani direttore dei Musei Capitolini, ordinò
saggiamente che gli archi rimanessero discoperti, essendo essi
le uniche vestigia dell'antico Palazzo, fatto costrurre da Ni-
cola V, se pure non appartengono a più vetusto edificio, come
indicherebbe lo stile architettonico e come è inclinato a cre-
'dere il signor Camillo Re nell'erudito lavoro, il Campidoglio e
le sue adiacenze nel secolo xiv, da lui edito nel n. II, anno 1882
del Bullettino della Commissione archeologica del Comune di
Roma. '
Quasi contemporaneamente, nell'interno delle sale si rin-
vennero sotto lo strato della tinta moderna, gli avanzi di alcuni
stemmi dipinti, talmente guasti e danneggiati da non potersene
trarre alcun utile, per modo che furono condannati a scompa-
rire di nuovo sotto il pennello degl'imbianchini.
Nella precedente settimana, eseguendosi nuovi ristauri in
' Roma, tipografia Salviucci, 1S82.
LE PITTURE MURALI ECC. 34Ì>
altra sala, occupata dagl'impiegati dello stato civile, sulla pa-
rete che prospetta la finestra, tornò alla luce una grande pit-
t^l^a murale che la riveste per intiero, fino all' imposta della
volta.
Si imagini una decorazione architettonica, composta d' una
cornice sostenuta da pilastri che divìdono la parete in tre spazi.
Nel primo, — di maggiori dimensioni, — è collocata la
Madonna in trono che sorregge sulle ginocchia il bambino di-
ritto in piedi. Il trono è decorato da due alberi di cipresso e
da due figure rappresentanti i principi degli Apostoli, San
Pietro e San Paolo ; presso i quali vedonsi. a sinistra San Se-
bastiano, a destra Sant' Omobono. Inutile dire che le teste
di tutte le figure sono adorne d'aureola. La pittura è chiusa
al di sotto da un alto fregio, ove in mezzo a ghirlande di lauro
Cc'impeggiava una serie di stemmi, dei quali avanzano solo due.
Il primo, vicino alla parete sinistra, reca un'aquila nera in campo
azzurro, il secondo uno scudo azzurro tagliato da nna banda
rossa, sulla quale poggia un corvo.
Nel basso della parete, sopra un piccolo festone rosso ter-
minante a semicircoli, ricorre un frammento d' iscrizione nel
quale leggesi :
o
Petrus. Ispanus, e Mieti liei lo. ^I
Nelle altre pareti della sala, solamente in quella di destra,
apparvero fin qui pochissimi avanzi della decorazione finale o
un altro stemma di forma diversa dagli altri, recante su fondo
azzurro un vaso d'oro, dove germoglia una pianta di garofani.
Nello spazio della parete opposta a quella dipinta, non si è
trovata che la decorazione finale, la quale lembra ricorra in
giro per tutta la sala. Forte qui la muraglia è rimasta bianca,
in attesa d'un benefattore che ordinasse all'artista di abbellirla
coi colori della sua tavolozza.
Abbiamo detto fin dal principio che in questo salo esiste-
vano i busti dogli uomini celebri, che solo da pochissimi anni
furono collocati in più acconcia sede nel primo piano d«'IIo stosuo
Palazzo dei Conservatori.
Chi avesse desiderio di sapere in qual modo e in che epoca
abbia avut/) origine la Protomoteca capitolina, non ha che a
\(\i\i(>w ìiomn nell'anno IHSS descritta da Antonio Kibby ' ove
' Parte prìina moderna. — Roma, tipografia delle Belle Arti 1A39.
350 LE PITTURE MURALI
è narrato che nella chiesa d- S. Maria ad Martyres (Pantheon)
u erano state collocate entro nicchie semisferiche le effigie in
busti di marmo degh artisti principali sepolti nel santuario, e
•di altri che si credette bene di riporvi a causa del loro merito.
Ma la ecclesiastica liturgia, non potendo permettere che in un
tempio santo si collocassero tanti ritratti d'uomini illustri si ma
pure profani, i quali di giorno in giorno andavansi accrescendo,
nel 1820 diedesi incarico al Marchese Canov^a di traslocarli
altrove, ed allora fu che il mag-.strato romano concesse alcune
sale terrene nel Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio, per-
chè ivi si erigesse una Protomoteca, da riporvi in onorevole
maniera le memorie degli illustri italiani, che lasciarono dopo
se chiara rinomanza sia nelle arti, sia nelle scienze, sia nelle
lettere, n
Per incastrare nei muri le msnsole destinate a sorreggere
i busti in marmo provenienti dil Pantheon, le pareti soggiacquero
a notevolissimi guasti, senza calcolare l'apertura di due porte
rese necessarie dalla mutata destinazione di quella parte ter-
rena del palazzo. Quindi è che sventuratamente delle pitture
scop'^rte non rimangono che alcuni frammenti offesi dal tempo
e dall'intonaco, i quali presentano anche traccie evidenti di re-
stauro antico.
In esse mentre S. Sebastiano conservasi quasi intatto, del
S. Pietro non è salva che la testa; alla Vergine manca la m^-tà
inferiore delle gambe, di S. Paolo e di S. Omobono è rimasta
appena mezza figura.
Ora resta a vedersi se il frammento d'iscrizione che lpgj:esi
in fondo al dipinto stia ad indie irne l'artista, come alcuno ere le,
o piuttosto ricordi il devoto personaggio a spese del quale fu
eseguito il lavoro.
Gli stemmi scoperti attualmente e gli altri apparsi nei re-
stauri dell'anno scorso, ci consiglierebbero a ritenere che questa
pittura sia stata eseguita per ordine d'una delle tante università
d'arti e mestieri de avevano stanza nel palazzo del Comune.
I due santi, posti lateralmente ai principi degli Apostoli, ci
fanno pensare alle maestranze dei balestrieri e dei sarti, dei
quali secondo gli agiografi, San Sebastiano e S mt'Oaiobono fu-
rono dichiarati patroni.
E agevo[e dimostrare che le università operaie nei tempi
■di me/.zo avevano in Campidoglio e nelle sue adiacenze la
loro sede.
SCOPERTE NEL PALAZZO DEI CONSERVATORI. 351
Per quanto la topografia di Roma in quell'epoca non sia
finora completamente accertata, è nondimeno faori dubbio che
nel medio-evo, il Campidoglio era il centro materiale della città,
intorno al quale per antiche tradizioni e per recenti speranze,
continuavano a far capo gl'interessi più elevati della vita po-
litica e amministrativa dei cittadini romani.
Una serie di documenti, compulsati dal signor Re, mostrano
che le università d'arti e mestieri avevano negli edifici del co-
mune apposite loggie, come una ne possedevano anche i con-
servatori nella quale sovente giudicavano delle liti insorte fra
le varie maestranze.
Le iscrizioni delle loggie di molte corporazioni, si leggono
ancora sotto il Palazzo dei Conservatori e sul iato sinistro della
scala per la quale ascendesi al portico del Vignola, come anche
su pei muri della scala medesima se ne veggono ancora infissi
gli avanzi delle insegne e degli emblemi.
Alcuni artisti autorevoli che hanno esaminato i dipinti della
sala dei Conservatori, non seppero trovare in essi alcuno dei ca-
ratteri che distinguono le opere di Giovanni detto lo Spagna,
al padre del quale taluno si piacque attribuirli
Nondimeno si fanno riconoscere per opera di un' artista del-
l'Umbria. Arieggiano alquanto alla maniera di Niccolò Alunno
e più ancora a quella di Benedetto Bonfigli che decorò con mi-
rabili affreschi il palazzo del popolo a Perugia. — Io ogni modo
sono opera di artisti umbri contemporanei di Pietro, ma non
potrebbero attribuirsi a Pietro, nò a quella pleiade di artisti
del rinascimento che uscirono dalla sua celebratissima scuola.
Clic le pitture del palazzo dei Conserratori sieno di maniera
umbra lo prora, per non dir altro, il manto della Vergine or-
nato ai lembi di frrgi d' oro, e la itella egualmente in oro che
lo sorregge, a guisa di fibula, sulla spilla sininistra.
Il professore Cesare M triani che l'amminiritrasione comunale
ha l'abitudine di consultare in tèli* le questioni d'arte, presie-
dette intieme al comm. CMStellani silo scopnraento dolio pitture.
Eglino hanno ordinato nuove esplorazioni sovra 1' imposta della
vòltxi, alle quali noli' iatorcMa dell'arte e di Roma, noi augu-
riamo di gran cuore il più Oauito successo.
R. Ercdlkl
NOTIZIA LETTERARIA
GLI STUDI DANTESCHI. ^
I cinque studi danteschi raccolti in un elegante volume dal profes-
sore Fornaciari non hanno nulla che vedere né colle arbitrarie fanta-
sticherie filosofiche né colle insetiologie filologiche (come le chiama il
Carducci), che sono più d' ingombro che d'aiuto all' intelligenza del Poeta.
Il nome dell'autore non ha bisogno di lodi, segnatamente per i lettori della
Nuova Antologia, i quali sanno come egli ravvivi ed avvalori con mo-
dernità di scienza e di critica le tradizioni del buon gusto che sono
quasi in lui patrimonio domestico. Di questi pregi egli dà nuova prova
in questi lavori, i quali, sebbene possano stare ciascuno da so, e i
primi quattro, sieno stati in fatti pubblicati sparsamente in periodici o
in atti di varie accademie, sono poi tutti ricollegati fra loro, non solo
per le attinenze degli argomenti trattati, ma anche per la qualità del
metodo costantemente seguito. Esso consiste ("dice l'Autore stesso nella
Prefazione) nel cercare V interpretazione di Dante per mezzo di Dante
medesimo^ non tanto studiato nella parola staccata, quanto in quel
generale sistema che in ogni parte delle opere di lui si svela e armo-
nizza con una mirabile unità.
Così prende a spiegare Vallegoria della Lucia, giovandosi d'un' opi-
nione espressa dal Ruth in quella sua opera, di non grossa mole, ma
di magistrale fattura, dove indagate e ordinate sistematicamente le vere
* Raffaello Fobnaciari, Studi su Dante editi e inediti ; Milano, E. Tre
visini, 1883.
NOTIZIA LETTERARU. OOÓ
dottrine di Dante, ne trae fuori con ragionevolissima induzione il
concetto fondamentale della Commedia. Il quale fa sostanzialmente
religioso, mirando il Poeta a richiamare nella lor via le due supreme
potestà, destinate da Dio a scorgere l'uomo alla sua doppia felicità spi-
rituale e temporale. Di qui la perpetua dualità di termini egregiamente
messa in luce dal dotto tedesco, tra vita attiva e vita contemplativa,
filosofia e teologia, impero e pontificato, civiltà latina e civiltà cristiana,
Lia e Rachele, Virgilio e Beatrice. Ma, come sopra Beatrice sta Maria,
che rappresenta la misericordia suprema, similmente sopra Virgilio è
posta Lucia a significare l'altro attributo divino della giitstisia^ Lucia
nimt'ca di ciascun crudele (cioè delle fazioni, dei tiranni, degli uomini
iniqui e violenti) la quale si muove per dare opera alla salute di Dante.
Tale è rinterpretazione del Ruth, disforme da quella degli autichi e dei
moderni, che sotto diversi nomi, vedono in Lucia una specie di lume
celeste, un'appendice e una prosecuzione della misericordia simboleg-
giata in Maria. Essa sarebbe in fatti la grazia prima o predestinaxione
per Benvenuto da Imola ; la grazia cooperante per Pietro Alighieri ;
l'illuminante e cooperante per l'Ottimo; l'illuminante pel Buti, per Quini-
forte delli Bargigi, pel Landino, pel Fraticelli, pel Lubin; la grazia senz'altro
pel Giuliani e per molti più; la verità pel Biagioli; la fede pel Balbo; la
carità illuminante pel Tommaseo..^. Ma uno studio profondo del pen-
siero dante^o e soprattutto il raffronto di due passi, l'uno del Convito^
dove Lucia è contrapposta a Maria, l'altro del Paradiso, dove essa
stessa apparisce raffigurata dall'aquila, segno della monarchia e della
giustizia, rendono probabilissima, per non dir certa, la congettura del
Ruth ; la quale vien qui dal nostro autore pienamente illustrata e sin-
golarmente avvalorata di salde ragioni e di nuovi riscontri con vari
luoghi del Posma e della opere minori. Meritano in spedai modo di
esser raccomandate ai dantofili le iaoeoee note aggiunte alla memoria
e quella, tra le altre, in cui dalla relazione (da lui dimostrata strettissima)
dell'allegoria di Lacia coll'idea dell'Impero, il prof. Furnaciari trae qual-
che lume a portare on gindisio sulla controversia, se nel mistico Veltro
sia profetato an Imperatore ovvero un Pontefice. Questa seconda opi-
nione fu ripresa a sostenere con novità di ricerche dal Pr. Del Lungo,
nelle illustrazioni dantesche poste in appendice alla Cronaca di Dino,
illustrazioni che tono di capitale Importania per la Tita del Poeta e
per Tintelligensa ttorioa del Poema. Bensì gli argomenti addotti dal
prof Furnaciari a difesa della comune dottrina, secondo la quale il Veltro
dovrebbe essere on grande Imperatore o forte nn sao Tioario, sono
Tm. XL, Serto II - 1& Lacllo ISSI. IS
r>54 NOTIZIA LETTERARIA.
COSÌ stringenti da dar da pensare: è prol)abile che il prof. Del Lungo non
si ristarà dal ribatterli; e ne nascerà una cortese polemica, che non
riuscirà infruttuosa pe'buoni studi.
Trattando poi della ruina che Dant« nomina, senza designarla al-
trimenti, nel secondo cerchio dell'Inferno, il nostro Autore riferisce e
fa sua la spiegazione datane dal Benassuti. di frana o scoscendimento ;
e ne prende occasione a ragionare delle altre rovine (prodotte tutte
dal tremoto che seguì la morte di Cristo), e ancora dell' architettura
dell'inferno dantesco, e del viaggio del Poeta. Con questo studio è stret-
tamente collegato il seguente dove egli esamina il mito delle furie;
e, fatte conoscere le principali interpretazioni che ne furono date, ne
indaga il vero significato in relazione colle altre figure mitologiclie
che si trovano negli altri otto cerchi infernali, sia fuori sia dentro alla
città di Dite, cioè Caronte, Minosse, Pluto, Flegias, il Minotauro, Ge-
rione, i Giganti, Conclude quindi che, per ragione di convenienza
con quelle, non che pei loro stessi attributi, le Furie debbono rappre-
sentare i peccati puniti nella palude Stigia, i quali ben si compendiano
ed hanno i adice nell'invidia, contrapposta all'amore del prossimo. E la
minaccia che fanno a Dante di chiamar Medusa, è una tentazione, un'in-
sidia ordita appunto per renderlo invidioso, estinguendo in lui il buono
amore, addormentandone la ragione, e così convertendolo in duro smalto,
funesto effetto dei piaceri mondani e delle false immagini di bene, se-
condo la dottrina e il linguaggio stesso di Dante e de'suoi contempo-
ranei. Ed invero il Boccaccio, nel suo commento a questo luogo, espo-
neva la medesima allegoria assimilando la Gorgone agli allettamenti e
alle vanità terrene; e nel medesimo senso il Petrarca scriveva: Medusa
e Verror mio mi han fatto un sasso. Fin qui il nostro Autore procede
sul sicuro ; e probabilissima è ancora la ragione che dà dell' avverti-
mento espresso da Dante colle parole, 0 voi che avete gl'intelletti sani,
affinchè ognuno ponesse mente al senso figurato né si fermasse al let-
terale che sembrerebbe ripugnante al concetto cristiano del Poema;
intendimento analogo a quello dei noti versi del Purgatorio: Aguzza
qui, lettor, ben gli occhi al vero. Ma più dubbia è l'opinione manife-
stata dal nostro autore intorno al messo celeste venuto ad aprire le
porte di Dite; nel quale egli ravvisa, non un Angiolo (per le ragioni
recate già dal Duca di Sermoneta) e nemmeno Enea, Ercole o Mercu-
rio (persone tutte di cui Virgilio non avrebbe fatto fatica a palesare il
nome), ma l'istesso Gesù Cristo, come quegli che pure altra volta vinse
ia resistenza dei Demoni e che Virgilio designa sempre con velate allu-
NOTIZIA LETTERARIA. 355
aioni. È una semplice congettura sopra uà punto che il Poeta volle proba-
bilmente apposta lasciare oscuro, come forse è altresì da dire ^i quanto si
riferisce al misterioso sia al Veltro sia al Dux (che è chiamato del pari
messo di Dio) ; ma sebbene a prima giunta appaia strana, esaminati più da
presso gl'ingegnosi argomenti eoo cui la sostiene il nostro A., sembrerà tut-
tavia più ragionevole delle altre che furono messeinnanzi dai commentatori.
I due studi sulla Ruina e sulle Furie erano stati pubblicati in questo
stesso periodico ; l'altro sopra Ulisse nella divina Commedia fu letto
cella solenne tornata dell'Accademia della Crusca del novembre del 1881 ;
ma qui l'A. r ha riordinato e ridotto in forma più didattica. Egli per il
primo ci ha dato illustrazione compiuta di queir episodio assai trascu-
rato fin qui dagli interpreti. Comincia dal notare come e perchè il Poeta
avesse per gli eroi greci molta minor benevolenza e simpatia che pei
latini (salvo s'intende la grande riverenza verso gli scienziati e gli ar-
tisti). Onde è tanto più notevole l'ammirazione che mostra per l'astuto
Itacense, tuttoché lo condanni alle pene eterne. Poi il nostro critico
indaga a quali tradizioni attingesse Dante nel suo racconto, sia^per la
parte conforme alle storie poetiche di Virgilio e di Ovidio, sia nel-
l'altra che immaginò con ardita e felicissima invenzione, pure ispirata
anch'essa dai testi classici e da certe credente e leggende diffuse nel
medioevo. Per ultimo chiarisce qual sia stato in ciò il fine morale pro-
postosi da Dante, spiegando come sia personificato in Ulisse l' ingegno
greco che ai doveri ili famiglia e di patria antepone Vardort a divenir
del mondo esperio, e per effettuare tal suo desiderio non rispetta i ter-
mini posti da Dio alla curiosità degli uomini; uocbe, giunto appena al
cospetto della terra misteriosa (che secondo la ooimografla dantesca
t.jiì poteva essere se non il monte del Purgatorio) il sao rolo apparve
folle, e il vec>;hio audace perì miseramente co'snoi compagni. «Il ten-
tativo d'Ulisse (dice terminando), nonostante la sua triste fine, mocbiu<1<>
nello stupendo episodio dantesco comi un'aura di baldanzosa spenuizi
per l'avvenire dell'umanità. Tu senti che e scritto dopo i Tiiggi «li
Marco Polo, e che il Poeta, affretta coi voti il tempo, in cui altri sart\
più fortunato dell' Itacense, come mostra anche quei chiudersi della nar-
razione col canto stesso, senza veruna osservazione o commento, qvasi
per lasciarne il giudizio al lettore. Quindi la narraxione di Dante dt>-
v<)va avere ed ebbe un'eoo potente; che non solo l'accolse il Petrarca.. ,
ma T. Tosto ne prese le mosse per celebrare... l' impres.i di Colombi).
1-on quei versi dei più sublimi e ispirati eh' egli abbia composto. > K
roolemamente il Tenn^-son ne tolse argomento ad un bollissimo canto
356 NOTIZIA LETTERARIA.
che il Fornaciari dà in appendice, giovandosi della facile tradazione di
Carlo Faccioli.
Anche più originale ed inaportante è il quarto di questi scritti, dove
il nostro A. tratta largamente nna grave questione discussa pure in
recenti lavori e con varia sentenza da critici valorosi, cioè del nesso
fra la Vita Nuova, il Convito, e la Commedia. In tale opere che co-
stituiscono quoUa che fu chiamata trilogia dantesca, trovasi narrato
0 ricordato, l'episodio della Donna gentile, la quale consolando Dante ad-
doloratissimo per la morte di Beatrice, suscitò involontariamente nel cuore
di lui un malvagio desiderio e una vana tentazione ; ma non senza no-
tevoli diversità; poiché quella che appariva persona reale nella Vita
Nuova, diventa figura allegorica nel Convito, e Beatrice stessa nel
Poema, mostrandosi a Dante, gli muove rimprovero di essersi stra-
niato da lei, dopo morta, in termini assai più aspri che non convenga
a quel breve traviamento presto espiato. Altre dubbiezze spuntano ad
ogni passo : sebbene l'Allighieri medesimo dica che non intende in
alcuna parte derogare alla Vita Nuova, col suo Convito, nella prima,
vede la Donna gentile poco più d'un anno (a quanto sembra) dalla
morte di Beatrice, nel secondo invece, dopo due anni (accennati coi
due giri del pianeta di Venere); nell'una, egli è preso per lei da un
desiderio vHissimo che dopo alquanti di è vinto dalla costanza della
ragione ; nell'altro, l'amore che essa ispira al Poeta, finisce col trion-
fare, dopo trenta mesi circa, accordandosi coli' antica fiamma ; ond'egli
detta sublimi canzoni ed eloquenti parole in lode di quella donna, che
è la nobilissima e bellissima filosofia, figlia dello imperadore delV Uni-
verso. La soluzione di queste difficoltà si collega colle più alte indagini
della critica dantesca, per esempio, quando sieno state composte tali due
opere, e se in uno o in più tempi; se la Beatrice e YaMra. geniildotma
sieno reali o simboliche, o 1' uno e l'altro insieme ; in che consistano
le colpe che Dante si fa rimproverare cosi acerbamente nel Para-
diso terrestre... Non basterebbe un volume a compendiare, sia pure
sommariamente, il molto che fu ricercato e congetturato sopra simili
argomenti. Il professor Fornaciari, fatta una lucida esposizione della
materia, si ristringe ad analizzare le opinioni dei più moderni ed au-
torevoli, il Dionisi, il Trivulzio, il Fraticelli, il Balbo, il P. Giuliani,
il Ruth, il Lubin, il Carducci, il D'Ancona, il Witte, il Wegele, il
Selmi, il Renier, il Bartolì, ai quali aggiunge il Biscioni (sebbene re-
lativamente antico) perchè studiò più accuratamente de' suoi predeces-
sori la Vita Nuova e può dirsi padre della dottrina che nega ogni
NOTIZIA LETTERARIA. 35
realtà a Beatrice, dottrina or rimessa io onore con singolare ingegno
dal prof. Adolfo Bartoli,
Dal coscienzioso esame dei diversi pareri egli desume alcane con-
clusioni che stima men soggette a controversia: cosi, rigetta la con-
gettura del Lubin e de' suoi seguaci che la parte prosastica della Vita
Nuova sia stata scritta o finita di scrivere solo nella primavera del 300,
ma preferisce tornare al Boccaccio che la pone duranti ancora le la-
crime della sua moria Beatrice e quasi nei ventesimo sesto anno del
Poeta, asserzione consonante colla testimonianza del Convito, dove sotto
il nome di libello composto dinanzi all'entrata della s%m gioventù a
da credere che si comprendano non le sole poesie ma anche le prose,
x;ioò l'opera intera. Né vi fa ostacolo il celebre passo del cap. 41 della
sa Vita A'Mora, dove sì accenna al pellegrinaggio di voto: In quel
tempo che molta gente andava per vedere quelCimmagine benedetta^ ecc. ;
acche i migliori Codici hanno va in lac^o di andava, e quando part>
volesse tenere quest'ultima lezione, non ne verrebbe per necessari;!
conseguenza che le parole citate si riferissero al giubileo del 1300; mentre
il fotte raccontato da Dante si ponesse in quell'anno, cioò dieci anni
iopo la morte di Beatrice, davvero non si capirebbe oom'ei si mera-
igliasse di vedere che i pellegrini non piangevano, e pensaste che non
conoscevano la sventura ond'era colpita la città dolente; per il che In
leso loro, dicendo: ella ha perduto la sva Beatrice. Le quali coso,
Affinchè sieno verosimili, bisogna immaginarle prossime a quella perdit i
luttuosa, e non già avvenute dieci anni dopo. La mirabile visione de-
scritta poi in sul finire della Vita Nuova rappresenta seosa dubbio uni
apparizione di Beatriee, ma non va confusa con quella della Divina
Commedia che arriene in beo diverse condizioni. Tutto il Convito,
prosa • poesia, è certamente postariore alla Vita Nuova: e neiroper.i
stessa ve n'ha chiari riscontri; poiché vi si accenna che la oanion**:
Voi che intendendo il terso del movete, venne composta trenta meu
circa dopo che il Poeta era andato là dove la (llotofla si dimostrava
nte; or, aggiunti a qaesto tempo i due anni trascorsi dalla
orto di Beatrice (di che si parla nel 2* cap. dol T Trattato) si giun-
agli ultimi mesi del 1201, avanti per altro alla morte di Carlo
Martello, il quale recita la canzone medesima nell'ottavo del Paradisi).
Ma come conciliare il ritomo a Beatrice con cui si chiude la Vita Nuova
il sooosnÌTO abbandono attestato dal Cburttof Secondo il prof. Forna-
, qoaUa prima conversione fa passeggiera, e. terminato il suo lavori
giovanile, Dante, non senza on certo contrasto, si volse daccapo all'amerò
358 NOTIZIA LETTERARIA.
e allo studio della filosofia. Giacché la donna gentile ò nel tempo stessa
persona viva e allegoria della scienza unaana; ma probabilmente nello
scrivere la Vita Nuova il Poeta ebbe soprattutto in mira il senso let-
terale, mentre poi nel Convito volle trattare piti virilmente quella
materia, senza derogare alla Vita Nuova, cioè, senza negare la verità
dell'amore provato per la sua confortatrice, né spiegò il significato che
eravi incluso. E sarebbe errore il vedere alcunché di malvagio o di
lascivo nell'affetto che dà argomento all'episodio della Vita Nuova.
Anzi dal contesto si rileva il contrario, come giustamente fu notato
anche dal prof, Renier nel suo bel saggio ciùtico sulla Vita Nuova e la
Fiammetta ; la tentazione fu vana, e vile il desiderio, rispetto a Dante,
nello stato in cui trovavasi; ma la donna era savia e gentile, e con lei
sarebbe stato nobilissimo amore; sicché essa poteva senza contradi-
zione venire assunta a simbolo della filosofia. Quanto alle altre canzoni,
d'ispirazione più sensuale (sulle quali il Carducci ragiona a lungo e
da par suo, nel bellissimo studio delle Rime di Dante), perché non
crederle indirizzate a donna diversa?
I rimproveri di Beatrice nella Commedia, contengono, per comune
sentenza, un doppio significato, letterale l'uno e simbolico l'altro : nel
primo, si riferiscono, senza dubbio, non alla sola tentazione ritratta
nella Vita Nuova, ma anche ai vari traviamenti amorosi del Poeta
che aveva prestato facile orecchio alle sirene, donne o pargolette che
fossero, onde morta Beatrice, si tolse a lei e diessi altrui (nelle quali
parole anche il prof. Bartoli, che nega a Beatrice ogni realtà storica,
ravvisa pure un'allusione a veri amori terreni) ; nel secondo poi, cioè nei
senso figurato, la scienza delle cose divine fa colpa a Dante di averle
preferita la scienza delle cose umane, che è la filosofia dominatrice
della vita attiva, e ciò seguendo, per via non vera, false immagini di
iene : giacché, secondo il concetto medievale del Poema (chiaramente
espresso in più luoghi e in ispecie nell'undecimo del Paradiso e nel
trentesimo e trentunesimo del Purgatorio) tutte le cure e gli studi dei
mortali sono insensati e difettivi, quando non abbiano ragione di mezzo
e non sieno scala per giungere al bene eterno, di là dal qual non è
a che s^aspiri. Ora la donna pietosa che nel Convito personifica, come
ivi è detto, la filosofia, sebbene in sé nobile e gentile e cara a Dio nel
regno e nello stato ad essa attribuiti, distolse nondimeno Dante dalla
contemplazione della pura bellezza celeste (la sua Beatrice) e da un lato
lo immerse nelle letture e nelle disputazioni filosofiche, come narra
nell'opera citata, dall'altro lo travolse nelle brighe politiche, onde do-
Sv^ii^.A LETTERARIA. 359
Tevano venirgli 'e amarezze del Priorato e dell'ambasciata a Roma,
Iella condanna e dell'esiglio.
Pertanto il soverchio ardore per la filosofia fa il sao primo passo
fuori della via diritta; il qual sentimento si ridestò in lui più vivo.
dopo il- fugace proposito, manifestato nella Vita Xuova, di tornare a
Beatrice che lo aveva rivocato a sé in sogno; ma poco a lui ne caìse;
e così egli, ingolfatosi nelle faccende mondane,
Tanto giù cadde che tatti argomenti
Alla salate eaa eran gìA corti,
Fuor che mostragli le perdute genti.
Qaesto lento ritorno (di cui può trovarsi un accenno anche nel famoso
sonetto Parole mie che per lo mondo siete, ove sembra che si licenti
dalla filosofia) è rappresentato dal mistico viaggio della Commedia, col
quale il peccatore pentito rifa dal basso in alto il cammino stesso che
aveva {«r^rorso calando neirabiaso. A tal fine egli riprende, le stesse
guide della vita attiva, indirizzate ora, per voler di Beatrice, a ricon-
durlo fino alle porte del Paradiso. E come in Virgilio e in Stazio è
rappresentata la scienza pagana, così in Matelda la filosofia scolastica ;
è questa l'interpretazione del Ooeschel, del Piochioni e del Notter, che
il Fornaoiari sostiene confortandola di nuovi argomenti, e mostrando
esser conveniente al sistema dantesco, che, non la vita attiva, ma la
dottrina che la governa, cioè la filosofia eristiana, compia l'opera dei
due poeti dell'antica Roma, meni il poeta deiritalia nuova nel Paradiso
terrestre, e, appiè dell'albero della scienza, lo faccia assisterò alle em-
blematiche visioni, incarnate in una donna beila per eccellenza e pia
verso Dante d'un aflietto quasi materno.
La conciliazione proposta dal Fomaciari fra le tr« parti dalla tri-
logia in alcuni punti, si conforma, come vedeai, alla dottrina del
(•rof. D'Ancona, che forte più profondamente d'ogni altro ha studiato la
ratura a il concetto della Beatrice di Dante. Questi infatti (nella me-
moria da lui scritta su tale argomento e ristampata come introduzione
alla sua edisione della Viut Suova), analiuando eoo fino acame le de-
viazioni del pensiero e del cuore del poeta dalla tua prima amante nt
r trovava tre; l'una avrebbe per oggetto la donna gentile della Vita
iVt4om, l'altra gli amori mondani, e piò la vita politica e settaria rin-
facciati al Poeta nel Paradiso terrestre, la terza gli studi scientifici di
cui »i ragiona nel Convito : le tre canzoni di quest'opera e le rime del
ii>*retto giovanile, sarebbero state oompoita con intendimenti diversi;
360 NOTIZIA LETTERARIA.
e solo posteriormente, nel commento prosastico, fatto dopo l' esiglio ,
Dante avrebbe identificato le due immagini, l'una reale, l'altra simbolica,
e dato un significato spirituale ad una passione momentanea, anzi ad un
principio di passione di cui sentiva vergogna. Ambedue lo avevano ef-
fettivamente allontanato da Beatrice: ma la filosofia è pur quella che ad
essa lo riconduce, cessato l'apparente contrasto, e poi Beatrice stessa,
simbolo deir idea, lo innalza alla contemplazione delle cose divine.
Quindi il prof. D'Ancona ravvisava nelle tre parti della trilogia, quasi
tre « anelli di una stessa catena, de' quali ciascuno promette il succes-
sivo e presuppone l'antecedente. La Beatrice della Vita Nuova è raffi-
gurata in modo da poter poi diventare la Beatrice della Divina Com-
media; e gli occhi suoi han virtù nuova di attrarre il Poeta di cielo
in cielo, solo perchè furono capaci qui in terra di farlo tremare di vero
ed innocente amore. Ma alla Vita Nuova sussegue un periodo di tempo,
di che si trovano le traccio nel Convito^ in cui le due immagini di per-
fezione che insieme dovranno formare la seconda bellezza di Beatrice,
sono ancora distinte fra loro, né si uniscono indissolubilmente altro che
nell'ultima parte del Poema. » Il prof. Fornaciari dal canto suo, tut-
toché lodi il sistema del suo predecessore, come quello che risolve
maggior numero di difficoltà^ gli fa appunto sia di scinder troppo ciò
che il Poeta volle unito nel rimprovero di Beatrice (del torsi a lei per
darsi altrui) sia di non distinguere abbastanza nel rimprovero stesso
ciò che può esserci di letterale e d'allegorico. In oltre non reputa che
il Convito possa dirsi un mezzo per ritrovare Beatrice, nò la donna
della Vita Nuova una deviazione fugace, separata affatto dal' e altre :
gli pare insomma che l'ingegnosa analisi difetti forse alquanto di sintesi.
La sintesi, a dir vero, del lavoro del prof. d'Ancona ritrovasi, nella
luminosa dimostrazione da lui data del proprio assunto, che era di pro-
vare, mediante uno studio psicologico, l' identità di Beatrice (donna,
personificazione e simbolo) a cui Dante consacrò il verso e l'affetto.
Ma da un'altra parte in queste ardue controversie (che appena si possono
sfiorare nei confini d'una modesta recensione bibliografica) il più grave
ntoppo sta nella cronologia delle opere minori. Or qui il nostro autore,
avendo già finito e in parte stampato il suo lavoro, ebbe la buona fortuna
che gli venissero alle mani gli scritti danteschi di Giuseppe Todeschini
raccolti in due volumi dal prof. Bressan; i quali, sebbene nominalmente
usciti alla luce in Venezia fin dal 1872, non sono diffusi né conosciuti
come meriterebbero ; anzi rimasero per molti anni sepolti, cosicché i
dantofili che ne vollero un esemplare dovettero quasi penar più che a
XOTIZIA LSTTERARIA. 361
procacciarsi un'edizione del 400. Nelle preziose Osservazioni e censure
alla vita di Dante del Balbo, e nella memoria pur troppo incompiuta
sulla cronologia della Vita Nuova, che stanno fra le opere di quel valen-
tuomo, il nostro critico fu lieto di trovare una notevole conferma della
sua opinione, sull'anno in cui va posta l'apparizione della donna pietosa che
fu il secondo amore del Poeta. Poiché il Todeschini, conciliando la te-
stimonianza della Vita Nuora e del Convito, spiega ed illustra colle
cognizioni astronomiche di quella età come le due fiate che Venere era
rivolta nel suo cerchio (delle quali si parla in quest'ultima opera) non
sono, secondo che si credette fin qui due riapparizioni del pianeta stesso»
fenomeno che avviene ogni 584 giorni, ma due rivoluzioni di esso nel-
l'orbita sua, cioè il doppio di 224 giorni e 1(5 ore. E tale spazio di poco
meno che quindici mesi dalla morte di Beatrice, corrisponde precisa-
mente air indicazione dell'altro libro dantesco, cioè alquanto tempo dopo
il giorno in cui si compira l'anno che Beatrice era fatta delle citta-
dine di vita etema; il che ci conduce al principiare del settembre dei
1291. Quindi, potendosi assegnare al 1392 la composizione delia Vita
Nuova, ne viene accertata la notizia del Boccaccio che il Poeta ora
allora quasi nel suo ventesimo anno; e più facilmente s'intende ooroe
egli stesso dicesse, nel Convito^ di averlo scritto dinanzi all'entrata di
sua gioventù ; il che significherebbe, secondo la distinzione che pone
tra adolescenza e gioventù, che lo cominciò prima di aver compito
venticinque anni. E sia lecito aggiungere che la parola entrata^ avendo
un sento assai largo, doveva comprendere non un giorno o un anno
solo, ma un periodo non breve di tempo.
Tatto ciò avverte il prof. Pornaciari in una annotasione che chiude
d^namente la serie dei suoi studi, dei quali, dopo l'analisi fattane,
non occorre dimostrare Timportanza, Basti OMenrare che la sobrietà
della forma sta in armonia colia severità della dottrina e del metodo.
Non vi s'incontrano ponti di quei fioretti o di quelle frasche ondt
Tanno spesso sopraccarichi, ma non adorni, certi scritti danteschi:
qui l'ammirazione verso il Poeta non si manifesta con frasi ampollose
e con smancerie retoriche; bensì con indagini pallenti e sagaci in-
torno alle opere sue» rivolte a interpretarne il pensiero, quale esso fu
in relazione colle dottrine e colle idee dominanti nella civiltà del 300
e non già secondo i gysti e le cognizioni del nostro secolo.
Chi dia un'occhiata alla bibliografia del Ferrazti, o semplicementi«
ai cataloghi de* librai o degli infelici raccoglitori, vedrà, anche dai soli
titoli pomposi e vuoti, quanta congerie di ciance sia stata scritta e
302 NOTIZU I>F,TTERARIA.
stampata, sotto pretesto di fare onore a Dante, segnatamente fra il 65
e il 70!
Ma v'è pur fra noi una schiera di coscienziosi eruditi, i quali recano
nello studio dell'opera dantesca i canoni e le norme della sana critica;
e procedendo ciascuno coi proprio passo e pur talvolta senza incontrarsi
nò accordarsi, battono ciò nondimeno la medesima strada. Il prof. For-
naciari appartiene a questa eletta compagnia, grazie alla quale si è
proceduto più innanzi da un lato nell'interpretazione dell'allegoria del
Poema e dall'altro nella conoscenza della vita di Dante e della storia
de' suoi tempi. Molto tuttavia rimane da fare, sia in queste due pro-
vince, sia nell'altra, non meno importante, della critica del testo, così
per la Commedia come per le opere minori. Possano raccogliersi in
questa impresa lo forze degli studiosi, che isolate e disseminate non
basterebbero a tanto, come è provato dallo stesso tentativo del Witte,
per tacere di altri benemeriti, fra i quali il Barlow ha un luogo emi-
nente. Già è noto che il prof. Adolfo Bartoli, coU'aiuto di valenti gio-
vani suoi discepoli, ha incominciato ad estrarre tutte le varianti dei
Codici fiorentini del Poema: ottimo lavoro preparatorio al quale con-
verrebbe aggiungere l'esame degli altri Codici, dopo averli tutti quanti
aggruppati e classificati, determinandone, per quanto si possa, l'età e
l'autorità e procedendo colle savie norme suggerite dal Mussafia; oltre
ai codici sarebbero da tenere a riscontro le primitive e migliori edizioni ;
con tale scorta e con quella di scritture sincrone dovrebbe ricostruirsi !a
grammatica di Dante, come fece il Caix per i poeti del Dugento. Ma
un uomo solo (giova ripeterlo) fosse pure un Muratori, riuscirebbe
impari a sì ponderosa fatica: bensì potrebbe accingervisi una associazione
potente per gagliardia d'ingegni operosi e per larghezza di sussidi
d'ogni maniera. E davvero sarebbe tempo che si costituisse anche fra
noi una società dantesca, simile a quella che fiorisce in Germania, sul
cui esempio (se è vero quel che fu annunziato) altre ne sorsero in
altri paesi e persino nella lontana America. Bene sta che il culto di
Dante sia universale: ma il principal tempio dovrebbe essergli dedi-
cato in patria, presso la casa dove nacque, presso il fonte dove ebbe il
battesimo.
Augusto Franchetti.
RASSEGNA POLITICA
La proroga della Sessione — La chiasura — Sua utilità — Le elezioni del
15 Luglio — La questione delle quarantene — Rappresaglie — Le re-
lazioni tra la Francia e l'Inghilterra — I fìitti di Tamatava — La
IdÌKonione sol Tonkino — Speranze de' monarchici — Il conte di
Chambord — I^ leene ecclesiastica in Prussia.
»
Un decreto pabblicato nella Gazzetta Ufficiale ha prorogato la soi-
sione del parlamento italiano. Di regola generale la proroga, in qaesia
forma, precede il decreto di chioiura della sessione. É quindi assai
probabile che fra qualche tempo la sessione Tenga chiusa, e così in
novembre si abbia un discorso della Corona. La stampa di opposizione
fa udire alti lagni per questa risointione, ma, in verità, ci pare ohe
le sue eensnre non abbiano serio fondamento. L' argomento più forte
contro la chiusura consiste nel dire che molti progetti di legge impor-
tantissimi sono rimasti in sospeto • che il doverli ripreientare nella
nuova senione eagioMrft una perdita di tempo. Ma è fitdle rispondere
che la nocva pretentasione si riduce ad una mera formalità, in quanto
che nulla impedirà alla Camera di rtoonfermare nel loro ufficio le com-
missioni che già avevano preso ad esaminarli e che potrebbero imme-
diatamente proseguire i propri studi. Non è, dunque, ragionevole il
timore ehe, per questa sola ragione, abbiano a soffrire indugio la pe-
requazione fondiaria, la riforma della legge provinciale e corounaU e i
progetti sodali dell'on. Berti. Oli indugi, se ve ne saranno, proverranno
dalle difficoltà intrìnseche delle materie alle quali questi progetti si
rifanaoooo, non mai dalla chiusura della sessione.
D'altro canto, questo darà modo al ministero di ripreseotare io
m
364 RASSEGNA. POLITICA.
forma alquanto diversa alcuni dei progetti che presentemente stanno
davanti al Parlamento. L' onorevole ministro dei lavori pubblici non
aveva ritirato il progetto di legge suU' esercizio delle strade ferrate
presentato dal suo predecessore. Ma è possibile oramai che la discus-
sione si apra sul progetto Baccarini ? Il rifiuto delle Meridionali di ac-
cettare la proroga del riscatto, ha mutato essenzialmente i termini della
questione. Il ministero, che di quel rifiuto ha accettato le conseguenze,
non può ora esimersi dall' entrare francamente nella via dell' esercizio
privato, che il progetto Baccarini, checché se ne dica, tende a rendere
impossibile. Ciò dovrebbe esser conforme anche alle idee dell'on. Genala
il quale è stato sempre dell'esercizio privato uno dei più ardenti pa-
trocinatori. Del pari potrà essere in qualche parte emendato il pro-
getto sulla perequazione fondiaria, che ora viene aspramente combat-
tuto dalla maggior parte dei deputati delle provincie meridionali. Non
vogliamo entrare, per incidente nell' ardua controversia ; accenniamo
soltanto alle preoccupazioni che il ministero deve avere a questo pro-
posito e che lo persuaderanno, forse, ad intraprendere nuove indagini
per rimuovere il pericolo che la perequazione fondiaria sia il pomo
della discordia fra le diverse regioni d'Italia.
Tutto ben considerato, pertanto, la chiusura della sessione non so-
lamente non meriterebbe biasimo, ma sarebbe necessaria per riordinare
il lavoro legislativo e dargli un indirizzo ben determinato. Certamente
l'on. Depretis cercherà di trarne profitto anche dal lato politico. Non
investigheremo quanto vi sia di vero nelle voci, che l'on. presidente
del consiglio intenda giovarsi della chiusura della sessione per raffor-
zare il ministero in Senato, chiamando alcuni deputati suoi amici a far
parte della Camera vitalizia. Non vediamo quale relazione esista fra
la chiusura della sessione parlamentare e la nomina di nuovi senatori,
la quale può essere fatta in ogni tempo. L' on. Depretis si rafforzerà
ben maggiormente nel Senato e nella Camera elettiva, se il discorso
d'inaugurazione della nuova sessione sarà l'affermazione delle condi-
zioni parlamentari sorte dal voto del 19 maggio. Se la sinistra storica
riuscirà a riordinarsi e a costituire una forte opposizione, l'on. presi-
dente del consiglio avrà l' obbligo di contrapporle una maggioranza
forte essa pure e compatta, alla quale darà le più ampie guarentigie
di voler perseverare nella via additata dal discorso di Stradella. In-
tanto non si può negare, che anche gli ultimi atti dell' onorevole
Depretis provano la sua ferma intenzione di serbarsi fedele a quel
programma. Le nomine dei segretari generali dei ministeri di grazia e
RASSEGNA POLITICA. 365
giustizia e di agricoltura e commercio rispondono esattamente alla nuova
situazione parlamentare. L'on. Solidati-Tiburzi appartiene alla sinistra
moderata, l'on. Vacchelli al centro. Né crediamo che si avranno a su-
perare gravi ostacoli per nominare gli altri segretari generali che an-
cora mancano. Si è parlato di offerte respinte da parecchi uomini
politici, ma, a nostro avviso, l'on. Depretis non è uomo proclive ad
offrire senza aver prima acquistato la certezza che l'offerta venga ac-
cettata. Rimane sempre la questione se non sarebbe meglio che i se-
gretari generali, anziché un carattere politico, avessero un carattere
meramente amministrativo, fossero, per dir così, i rappresentanti delle
tradizioni nelle amministrazioni dello stato. Ma per lungo tempo an-
cora nessun ministro in Italia oserà accingersi a questa riforma. Im-
perocché la distribuzione dei segretariati generali è un mezzo per otte-
nere proseliti e allargare la base parlamentare del gabinetto. Incomin-
ciano sventuratamente ad assumere un carattere politico anche i di-
rettori generali, e non sappiamo dove si andrà a finire di questo passo
Ma, purtroppo questi inconvenienti sono inseparabili dal regime par-
lamentare come è inteso e messo in pratica pv'esso di noi.
Oggi, mentre scrìviamo, molti collegi elettorali d'Italia sono conro-
rati per nominare i loro rappresentanti in sostituzione dei deputati sor-
teggiati. Se si volesse una prova della scarsa utilità ed efficacia della
legge sulle incompatibilità, e del conto in cui è tenuta dall'opinione
pubblica, lo si avrebbe nel fotto che la maggior parte dei deputati
sorteggiati si ripresentano agli elettori senta aver rinunziato all'ufflcio
che li costrinse ad uscire dalla Camera. E quasi tutti, o almeno il mag-
gior numero, saranno rieletti, quantunque sia quasi imponsibile che la
loro elezione sia convalidata. Oli ó che gli elettori non trovano altri
nomini autorevoli e competenti. In alcool collegi, all' antico deputato
Korteggiato si eootrappoogono ooovi candidati ohe anch'essi coprono offlti
pei quali difficilmente tara loro concesso di sedere Dell'assemblea. Insomma
colla speranza che l'importuno vinca l'avaro e che si faccia vacante
qualche posto nella cfttegoria degP impiegati, oppure che la Camera vinta
dairinsistenia degli elettori trovi modo d'interpretare più largamente
la legge, di qoeiU doo si iien conto e si procede alle elezioni come se
esM non esistesse. Tutti i partiti, oonpreso il radicale, procedono in
qoMta goisa. L'argeosa di riformare e modificare la legge solle incom-
patibilità si fk sempre più evidente, per confessione di coloro stessi che
a quella legge attribuivano virtù miracolose.
Da qoioto abbiamo esposto oasoe U peranaiioDe che queste elezioni
36(5
RASSEGNA POLITICA.
parziali, non muteranno gran fatto le condizioni dei partiti nella Ca-
mera. Alcune di esse saranno dichiarate nulle, e se non vi si provvede,
avremo in novembre un altra agitazione elettorale. È questo un male,
perchè l'esperienza dimostra come, anche coi suffragio allargato, eh
elettori siano restii all'adempimento dei loro doveri, e certo il costrin-
gerli a votare eosì frequentemente, non ne accrescerà la solerzia. Ci
asteniamo dall'entrare ne' particolari della lotta, perchè quando la pre-
sente rassegna verrà alla luce, già se ne conosceranno i risultati, e le
nostre congetture non avranno più alcun valore. Notiamo soltanto la
mancanza quasi assoluta di programma politici propriamenti detti. Pochi
sono i candidati che non promettono di appoggiare il ministero o quanto
meno, l'on Depretis. E queste promesse sono quasi sempre accompa-
gnate da tenere dichiarazioni d'affetto agli operai che ora, in forza del-
l'articolo 100, hanno acquistato una ragguardevole importanza nel mo-
vimento elettorale. Nei programmi elettorali le questioni sociali prendono
il sopravvento sulle politiche ed anche sulle amministaative. Che cosa
ne direbbe il conte di Cavour che, in una delle sue lettere testé pub-
blicate, manifestò la propria sfiducia intorno alla possibilità di risolvere le
questioni sociali altrimenti che col tempo, lentamente per gradi, e in-
sisteva sulla necessità di non solleticare i volgari pregiudizi?
A proposito di pregiudizi devon dirsi tali le paure che hanno invasa
tanta parte d'Italia dopo la comparsa del colera in Egitto? L'Inghilterra,
fedele alle sue consuetudini e sollecita principalmente di non danneggiare
i suoi interessi commerciali, reputa eccessive le precauzioni che talune
potenze prendono contro l'invasione del fatai morbo. Si discute se il co-
lera sia stato importato in Egitto dall'India, oppure se vi si sia sviluppato
spontaneamente. Nel primo caso, dicesi, io si dovrebbe alla studiata
negligenza del governo inglese che non si curò di sottoporre le pro-
venienze dall'India alla quarantena. Com' era da immaginare, l'Inghil-
terra ha trovato medici autorevolissimi, pronti a negare quell'importa-
zione. Ma ora la questione delle origini diventa oziosa. Il colera è in
Egitto e le potenze Europee intendono premunirsi. E siccome il governo
inglese non se ne dà per inteso, cosi in molti porti europei fu imposta
la quarantena alle provenienze inglesi.
Il lettore non si aspetterà da noi, che intavoliamo qui una polemica
sui caratteri dell' epidemia e sulla maggiore o minore efficacia dei mezzi
d'isolamento. Con lo sgomento delle popolazioni non si ragiona. In
Italia, per esempio, lo stabilire immediatamente quarantene di lunga du-
rata era una necessità imprescindibile per impedire che fosse turbato
RASSEGNA POLITICA. 36 7
Tordiae pubblico. La notizia che 1' Italia, la Spagna, la Francia, e la
Germania si fossero unite per muovere rimostranze in comune al go-
verno inglese è stata smentita ; non è men vero ad ogni modo che le qua-
rentene furono ordinate da tutte indistintamente le potenze continentali.
Di questo fatto non avi'emmo tenuto parola, se indirettamente non vi
si fosse immischiata la politica. L'Inghilterra ha provveduto per via
di rappresaglia, sovratutto contro la Francia, da lei accusata di avver-
sare sistematicamente gli interessi inglesi. Anche essa ha stabilito qua-
rantene per le provenienze, e da "paesi notoriamente immuni dal colera,
e queste quarantene ha aggravato per le navi partite da porti fran-
cesi. — La qual cosa ha servito ad inasprire sempre più le relazioni tra
r Inghilterra e la Francia, già tanto tese da qualche tempo.
Siamo lontani daWenfente cordiale che pareva indissolubile sotto
r impero di Napoleone III. Il linguaggio dei giornali Francesi non ò ora
meno aspro verso V Inghilterra che verso la Germania. E dal suo canto
la stampa inglese giudica molto severamente la politica coloniale della
Francia, alla quale pronoetica gravi disinganDÌ. Le recriminazioni sono
diventate più acri dopo il tatto di Tamatava.~doTe alcuni funzionari in*
glesi furono arrestati e maltrattati dalle truppe firanoasi di occupa-
zione. Il ministero brittannico se n*é lagnato pubblicamente in parìa-
mento, aggiungendo di aver chiesto spiegazioni al governo della Re-
pubblica e di attendere da questo una soddisfaaente risposta. Lastanapa
francese scherza su queste pretensioni e incoraggia il ministero Ferry
a resistere. Non intendiamo, con ciò, di affermar prossima una rottura
della relazioni fra i due governi, ma sono continue puntare di spillo che,
moltiplicandosi, possono tosto o tardi aprire una larga forita.
Finora la Francia non ha da rallegrarsi gran fatto dei frutti che
raccoglie dalla sua politica coloniale. La questione del Tunkino non ba
progredito di un passo, ma fu causa di scandali inauditi nella Camera
francese dei deputati. Il GasMgnao ha inveito siflattamente contro il Qo-
Teroo e particolarmente contro il Perrjr, da ouctringere il Presidente del-
rafsemblea a pronunciare contro di lui la censura e TallontanamMlo
per quindici giorni dall'aula. É da notare, però, che quel violentissimo
oratore, il quale assicurava di aTer le prove che la spedisione del Ton-
kino fosse stata determinata da ignobili speculazioni, non ha poi citato
un fatto 0 OD nome che raleue a confermare la sua osservazione. In fon'io
lo scopo di Cassagnae è, più che altro, quello di dimostrare TimpoMi-
biiità del regime parlamentare in Francia. Bgli ò innanzi tutto autori-
i!\r'.. V.n.in. ;i Konapartismo a cocdiziuoe che eaerciti il potere
368 RASSEGNA POLITICA.
luto e riconosca l'onnipotenza del Clero. Se il bonapartismo non si
impegna n far ciò, egli sarà lieto che lo tacciano gli Orleans, i quali,
però, non sembrano disposti a seguire fino a questo punto i suoi consigli,
Ritornando alla discussione sul Tonkino, osserveremo ancora che i
ministri francesi si sono adoperati, senza riescirvi interamente, a dissi-
pare le inquietudini intorno al contegno della China. Nulla prova che il
governo cinese si rassegni a perdere il protettorato suU'Annam. Fal-
lita la missione Tricou, dove e come furono riannodate le trattative ?
La controversia è sempre aperta, e, quel ch'è peggio, i francesi non
hanno ancora ripreso 1' offensiva nel Tonkino e sono constretti a di-
fendersi contro gli annamiti che li circondano da ogni parte. Si capisce
che questa condizione di cose non giovi al il prestigio della Repubblica
in Francia e accresca mille doppi l'audacia di coloro che spiano il mo-
mento opportuno per abbattere un governo che non seppe o non volle
dar guarentigie sufficienti ai fautori deirordine e della pace. La morte
ritenuta imminente del Conte di Chambord toglie uno degli ostacoli
principali al ristabilimento della monarchia. Se egli, come si assicura,
ha nominato erede al trono il Conte di Parigi, questi potrà ora agire .
assai più liberamente che in passato, per i legittimisti sarà il rappre-
sentante del diritto divino, mentre i buoni borghesi non vedranno in
lui che il nipote di Luigi Filippo, a cui la Francia deve diciotto anni
di quiete relativa e di prosperità economica. Assai minori sembrano
a noi le probabilità in favore del ristabilimento dell'Impero, sia perchè
è troppo recente la memoria dei disastri del 1870, sia perchè il prin-
cipe Napoleone non gode personalmente numerose simpatie, sia ancora
perchè i bonapartisti sono più che mai divisi fra loro.
Le condizioni della Francia sono, dunque, tutt'altro che liete e non
ci recherebbe meraviglia ch'essa avesse ad essere ancora fra breve il
teatro di gravi avvenimenti. Il ministero Ferry si regge unicamente
per la difficoltà di trovare nel partito repubblicano chi ne raccolga
l'eredità senza scendere fino ai radicali. E, ciononostante, v'è chi dubita
che possa uscire incolume dalla prossima discussione sulle convenzioni
delle strade ferrate.
L'Imperatore Guglielmo ha sancito la nuova legge ecclesiastica prus-
siana, senza tener conto dell'ultima nota della Curia romana la quale
pareva inviata a posta per ritardare la promulgazione di quella legge, che
d'altro canto, dai liberali è considerata come una concessione soverchia
alla Santa Sede. Ma il principe di Bismark, ha mantenuto la parola
di dar pegni di conciliazione, lasciando alla Curia romana la responsa-
RASSEGNA POLITICA. 369
bilità di non accettarli. Il testo della nota non venne pubblicato; il
governo prussiano non ha risposto ad essa uflScialmente, e si è con-
tentato di farla giudicare dai giornali ufficiosi.
Ora rimane soltanto a vedere se la legge ecclesiastica avrà gli ef-
fetti politici che il Gran Cancelliere se ne ripromette; vale a dire se
basterà a riavvicinare il partito del Centro al governo e a renderlo
benevolo ai progetti di riforma sociale che il principe di Bismark, con
la consueta sua tenacità, vuole ad ogni costo far approvare dal Par-
lamento.
Roma, 15 luglio 1883.
tm. xl. awi» n - u im^u iim.
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA
Le operazioni del Banco di Sicilia e della Banca toscana di credito nel-
1* anno 1882 e negli anni antecedenti — Ancora della questione dei
biglietti rappresentativi la valuta metallica. Obbiezioni e risposte —
Mercato monetario e situazione delle principali banche.
Possiamo oggi compiere la nostra rassegna degli istituti di emissione
operanti in Italia, essendo uscita or ora la relazione^ sulle operazioni
della Banca toscana di credito durante l'anno 1882.
Ma prima di occuparci di questo istituto, dobbiamo parlare del Banco
di Sicilia del quale ci siamo proposti di dar notizia contemporaneamente,
perchè 1' uno e 1' altro sono fra gli istituti di emissione i due minori
per capitale e operazioni fatte.
Il movimento di cassa, del Banco durante l'anno 18'^2 adeguò, fra
introiti ed esiti, la somma complessiva di 1,524,590,5)9. Gli scon'ti am-
montarono a L. 119,030,893 con una rimanenza al 31 dicembre di
L. 22,931,054. Le anticipazioni ragguagliarono l'importo di L. 18,022,955
e presentarono una rimanenza di L. 5,584,295. I conti con i corrispon-
denti del continente ebbero il movimento di L. 18S,9ci4,796: i conti
correnti infruttiferi presso le varie sedi e succursali del Banco asce-
sero a L. 28,119,666 con una rimanenza di L. 1,914,056. La circola-
zione dei biglietti al portatore adeguò l' importo medio di L. 33,092.540;
quella detta apodissaria, che si compone di fedi nominative, pulizzini e
polizze, ascese a L. 27,506,361. La prima presentò un residuo al 31
dicembre di L. 32,467,578 ; la seconda, di L. 27,085,47 1. Gli utili netti
ascesero a L. 1,072,332, dei quali L. 400,000 andarono ad aumento del
BOLLETTINO FINANZLIRIO DELLA QUINDICINA. 371
patrimonio del Banco, e L. 672,332 ad aumento della massa di rispetto.
Così l'uno rappresenta l'importo di L. 11, 6DD, 000, l'altra adegua quello
di L. 2,972,332 73. È noto che il Banco, per obbligo fattogliene dalla
legge del 30 aprile 1874, deve avere il patrimonio effettivo di lire 12
milioni.
Questo, in succinto, è il movimento del Banco nello scorso anno.
Venendo ai confronti si ha che il movimento delle casse, gli sconti, il
movimento dei corrispondenti e i conti correnti infruttiferi furono in
aumento, e che le soie anticipazioni sopra depositi di titoli ebbero una
•diminuzione.
L'aumento nel primo capitolo ammontò a L. 170,126,130; quello
nel secondo, a lire 23,408,0o6; quello nel terso (corrisoondenti) a
L. 73,770,782; quello 'nel quarto, a L. 3,634,721 nei versamenti, e a
L. 3,017.534 nelle restituzioni.
La diminuzione nelle anticipazioni adeguò l' importo di 6 milioni
circa.
È da por mente, in quanto agli sconti, che il portaiogiio rimase
formato in buona parte da effetti indiretti, che sono generalmente i più
sicuri; che la scadenza media di eiasean recapito fu di giorni 63; che
il valore medio di essi adeguò la somma di L. 9064, e che le cambiali
fino a L. 2000 ascesero a L. 22,002,054.
Risalendo ad un decennio, vediamo che il movimento dello casse
ha variato da un minimum di lire 951,412,240 a un maximum di
L. 1,524,590,509. La somma più bassa si riferisce «iranno 18ì7; quella
più alta appartiene, com' ò noto, allo scorso anno. La minor somma di
sconti è quella di L. 49,240,376, toocaU nell'anno 1878; lu somma
maggiore è quella di L. 131,498,076, che riguarda all'anno lò75. Le
anticipazioni hanno variato fra un minimum di L. 12,710,10), conse-
guito nell'anno 1877, e un maximum di L. 24,710,220, ottenuto nel-
l'anno 18bl. Circa i oorrispondeati del continente, il conto incomincia
dall'anno 1875. Esso dimostra un mmi'/num di I*. 35.8()U,Ull nell'anno
1876 e un wuuBimum di L. 188,W8 1,706 nell'anno ultimo.
L' importo medio della eiroolaziooe al portatore e ({uello d<>lla cir-
colazione aiKHiisearìa sono sUti sèmpre alti. Il minimum della prima
non e andato al di sotto di L. 30,809,848, fomma toeojita nell'unno
1881; quello della seconda ha rairguagliato l'importo di L. 1 1,224,»>0(),
somma segnata nell'anno 1876. Il mawimum della ciroolation»» al por-
tatore ascese a L. 34,8ti3,482 ; quello della cirrolazione aiiodiwnria,
ammontò a L. 29,8.ft H» 'tino fn conseguito nell'anno 1874; l'altro
372 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
nell'anno 1881. I conti correnti infruttiferi ebbero un minimum di
L. 21,484,915 nell'anno 1881 e un maximum eh L. 28,9i 7,530 nel-
l'anno 1873. Gli utili notti variarono fra un minimum di L. 4r?,839,
toccato nel 1876, e un maximum di L. 1,295.716, conseguito nel 1875
Il Banco fa nell' isola il servizio del pagamento delle cedole del
debito [ìubblico e tiene l'appalto di cinque ricevitorie provinciali. Ha
otto stabilimenti dei quali sette in Sicilia e uno in Roma.
Il saggio dello sconto per le cambiali a tre mesi è ragguagliato al
5 0[0 all'anno dal 13 luglio 1882; quello per le cambiali a 4 mesi, al
5 li2. L'interesse sulle anticipazioni ò del 6 0[0 all'anno dal 14 set-
tembre 1882.
L'andamento della Banca toscana di credito è stato il seguente: il
movimento di cassa nell'anno scorso ha ragguagliato l' importo di lire
105,177,090, con una differenza in meno rimpetto all'anno antecedente
di L. 374,267. I recapiti scontati furono 5892 per L. 23,613,119. 36,
con un aumento sull'anno 1881 di N. 296 recapiti e di L. 2,526,347.
Il capitale impiegato in queste operazioni venne ripartito come segue :
A possidenti, L. 3527,600. — A commercianti e industrianti, L. 4,816,366
— A banchieri, L. 4,702,604. — A stabilimenti diversi, L. 10,566,547.
Gli sconti sul portafoglio estero ammontarono a L. 227,591, che fu la
somma delle compre e vendite fatte per ordine e conto dei clienti. Le
anticipazioni contro pegno andarono soggette ad una diminuzione tanto
nella quantità, quanto nel valore. Furono N. 285 per L. 561,180,
contro N. 302 per L. 706,030 nell'anno 1881. I conti correnti con ga-
ranzia diedero un movimento di L. 20,510,735, il quale fu minore per
L. 5,328,993 a quello dell'anno antecedente.
I conti di banca ascesero a L. 24,044,757, verso L. 19,273,879
toccate nell'anno 1881. La circolazione media a fine di mese fu di lire
14,070,103; la circolazione media giornaliera in tutto l'anno adeguò
l'importo di L. 14,566,428.
Così il rapporto fra la circolazione e il capitale dì L. 5,000,000 fu
pel primo titolo quello di 1 a 2,93, e pel secondo, quello di 1 a 2,91.
11 rapporto fra la circolazione e la riserva media di L. 5,336,741, fii
nel primo caso quello di 1 a 2,7 1, e nel secondo quello di 1 a 2,73.
La spesa pel cambio ascese a L. 62,703; essa fu maggiore di L. ^7,l43
a qu'lla che la Banca dovette incontrare nell'anno antecedente. L'utile
netto distribuibile ammonio a L. 328,536. 79, d'onde si ebbe la rimu-
nerazione di 6 0(0 per ogni 100 lire di capitale versato.
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 373
Riandando anche per questo Istituto le operazioni fatte durante l'ul-
timo decennio, si ha che il movimento delle casse, in entrata e uscita,
ragguagliò Y importo complessivo di 1,233 milioni ; che gli sconti asce-
sero a L. 365 milioni con un minimum di L. 25 milioni nell'anno 1831
e un maximum di L, 47 milioni nell' anno 1873 ; che il portafoglio
estero variò fra un minimum di L. 227,591 nelfanno 1882 e un ma-
ximum di L. ó milioni nell'anno 1880; che i biglietti cambiati am-
montarono a L, 444,807,501 e diedero la spesa di L. 272,073, e che
i conti correnti con garanzia ebbero un movimento di L. 275,490,390
con un minimum di L. 19,273,879 nell'anno 1881 e un maximwn dì
L. 33,240,828 nell'anno 1878.
I maggiori dividendi furono quelli dati nel triennio 1873-1875 nel
<)aale variarono fra un minimum di L. 20 e un maximum di L. 32, 50.
Poi decrebbero man mano fino a L. 12. Negli ultimi due anni furono
di L. 15 per azione, al prezzo corrente di L. 550 V una, delle quali
L. 250, sono da versarsi.
II fondo di riserva della Banca ascende a L. 360,000. Il saggio
dello sconto e deirinteresse sulle anticipazioni raggnaglia il 5 O(0 al-
l'anno.
Questo Istituto incominciò le proprie operazioni dal 15 dlccmbra
1863. Venne alla luce con un programma largo che fu assai contra-
stato; ma gli effetti non vi hanno corrisposto. Sebbene la Banca abbia
avuto la facoltà di istituire delle case succursali e di collogarsi con
altri stabilimenti congeneri dell' Italia, pure non ò uscita mai dalla sua
sede originaria che ò a Firenze.
Nelle relazioni annuali che abbiamo discorso sono stato lamentato
spesso le difficoltà create dalla legge del 30 aprile 1874, la inoppor-
tunità del limite fisso delia circolazione, la enormità delle tasse che
portano via una parto cospicua degli utili, la soverchia ingerenza che
la legge vuole avere ralla viU degli Istituti bancari od eziandio le
opinioni che sembrano prevalenti in quanto all' ordinamento definitivo
di essi.
E cosa innCf.' li'M' .no m qu<'-*' , :i , . ; ntf di V'oro;
ma in riguanlu airuliimo in pard in ;ii ■ ; ■, ,i. \. ; .mid ripotuto
anche nella relazione sulle operazioni dell'anno scorso, sentiamo il bi-
sogno di fare qualche riserva.
Nel caso speciale della Banca toscana di credito, noi primi ammet-
tiamo con piarerc che essa è stato ed è ancora un modello di pra-
dcnza e di esattezza, ma questo considerazioni non possono darle titolo
374 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDCINA.
a regolarsi come le conviene. Poiché ancor essa è un Istituto di emis-
sione, bisogna che si adatti alle norme della legge generale e sappia
conformarvisi. Un Istituto di credito semplicemente può operare come
crede, salve le responsabilità cbe gli incombono; ma un Istituto di
emissione non lo può, E anche nel caso della Banca, dacché leggiamo
ne' suoi Statuti che essa è abilitata a prendere e dare a sconto cam-
biali o pagherò muniti almeno di due firme, di scadenza non maggiori
di cinque mesi, non possiamo escludere cbe la legge generale venga
a limitare questa facoltà.
Quello che noi crediamo ragionevole e necessario, poiché siamo
entrati in questo campo, è che molti degl' impedimenti creati per fre-
nare la circolazione cartacea durante il corso forzoso devono essere
rimossi, e cedere ad altri più consentanei alla situazione odierna ed
alle condizioni presenti del paese.
Un' altra osservazione e terminiamo. Pare che la relazione ultima
lamenti ancora che il Governo non abbia dato alle Banche una parte
del suo oro e che dal tenerlo esso inoperoso possa venire il rischio che
vi sia cercato impiego al di fuori. Noi non abbiamo inteso bene il con-
cetto che si racchiude in queste parole, e dall'altra parte non sappiamo
come, mentre la valuta «letallica è rinchiusa nelle casse possa essere im-
piegata in altro luogo.
In ogni modo ci sembra che il contegno tenuto dal Governo sia
stato e sia ancora quello migliore, salvo la misura, giacché si avrà
per esso la trasformazione desiderata della circolazione la quale non
poteva esser fatta di botto e soltanto può accadere, con effetti durevoli,
poco alla volta.
Dopo una viva discussione della quale si ebbero manifesti indizi
nelle dichiarazioni di alcuni giornali, la Commissione parlamentare isti-
tuita dalla legge del 7 aprile I88I per coadiuvare il Governo in tutte
le disposizioni necessarie alla esecuzione della stessa legge, ha ritenuto
che il Governo possa consentire che non si comprenda nel limite le-
gale della circolazione dejle Banche di emissione quella parte di circola-
zione che fosse rappresentata per eguale importo da un'eccedenza nella
riserv^a metallica nella proporzione di due terzi in oro e un terzo in
argento, o possa esonerare le Banche dal pagare su questa eccedenza
la enorme tassa imposta dall'art. 25 della legge del 30 aprile 1874.
La stessa commissione, se sono vere le notizie corse, ha anche la-
sciato al Governo la cura di stabilirne i modi.
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 375
Se noi pungesse il desiderio di menarne vanto, potremmo dire che
queste risoluzioni confermano l'aggiustatezza delle opinioni espresse ri-
petutamente da noi su questo punto; ma sarebbe cosa puerile. Quello
che importa più è la cosa,
E noi ora, come quando l'accennammo e sostenemmo, e adesso più
che mai dopo quel voto, persistiamo a credere che i vaghi timori messi
innanzi da alcuni e la conseguenze gravissime minacciate o intrave-
dute da alcuni altri, sono state l'effetto principalmente di un esamo
scarso e superficiale della questione. A buon conto noi abbiamo veduto
rispondere a quelle che furono dette nostre facezie, ma non abbiamo
letto alcuna risposta e nemmeno alcuna obbiezione sia aUe nostre do-
mande sia alle ragioni addotte per avvalorare quella proposta.
Cosicché non sappiamo davvero d' onde la Rassegna abbia potato
togliere che quest'ultima sia stata combattuta vivacemente da alcuni,
a meno che per combattimento non si debba intendere lo strazio che
ne renne fatto fin da principio da chi la esagerò e confuse.
Resta ora a vedere come il Governo prorvederà per Tat inazione;
ma SD ciò, pensando che il Ministro chianuto a dare le disposizioni
opportune è Ton. Magliani, siamo tranquillissimi. Egli ò vero che al-
cuni hanno detto che l'on. Magliani, iniziatore e artefice di ima cir-
colazione metallica a bcue cTorOy non paò sconvolgerla aprendo le
porte all'argento, e che alcuni altri, per «(Tetto di questa presunzione,
n di convinzioni particolari che vi si confermano, hanno chiesto, come
'omponimento, che la valuta metallica valevole alla eitonsione della
'^■ircolazìone cartacea, oltre il limite legale, debba essere esclusivamente
d'oro, e debba esser rappreriontata da un biglietto speciale
Ma, a queste idee, che tendono in sostanza a staccare l'Italia dai
suoi naturali alleati nel campo monetario, quali la Francia, il Belgio a
la Svizzera, la Commissione permaneote ha conceduto fin troppo. Per-
ciò crediamo che non ti anJrà oltre. B infatti una co«a é la circola-
zione metallica a base dCoro^ altra coaa è una circolacione nMtallìca con
iì-evalemn dell'oro. Idi prima non ci 6 permessa finche dura la Con-
■ unzione internazionale e finctie vige il nist(*roa munotario stabilito con
la legge del 1S^2. Cosi Tgo. Magliani non ha consentito cho nella leggo
del 7 aprilo 1881 venisse determinata una proporzione flxsa fra Toro
e l'argento della riserva normale delle banche ed ha conceduto «ola-
m«n;'» cho la legge inibisce a queste nltime di alienare l'oro allora irn*
m(jbi lizzato o di convertirlo In argento. E fu siivio consiglio, perchè
certe questioni, intorno alle quali si affatìcnno ds lunga mano gli uo-
.'576 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
mini più competenti del mondo, non possono essere risolute per in-
cidenza.
In questo stato di cose, la proporzione dell'oro e dell'argento im-
posta alle banche nel caso speciale può essere accettata senza grande
rammarico soltanto come una cautela ed una riserva per l'avvenire.
In quanto al biglietto speciale, confessiamo ingenuamente che non
siamo giunti ad intenderne, nella odierna questione, né la idea nò la con-
venienza. Sarebbe un di più nella nostra circolazione cartacea, già esube-
rante di tipi, di novità di forme e di colori, senz'alcun bisogno, e la
disturberebbe. Mentre la trasformazione è appena incominciata e nessuno
può quindi sapere a che cosa ci troveremo quando sarà compita in
fatto, e mentre il pubblico ha per non dubbi segni addimostrato di pre-
ferire il biglietto alla valuta metallica, la creazione di un biglietto
speciale a base d'oro sarebbe sotto alcuni rispetti un fuor d' opera,
sotto alcuni altri potrebbe valere solamente a deprezzare la massa ge-
nerale dei biglietti. Crediamo che nessuno vorrà giungere a questo.
Pertanto le osservazioni fatte da altri su questa materia riescono,
al nostro modo di vedere, in un vero anacronismo e sono postume.
Relativamente alla questione costituzionale, quelli che l'hanno sol-
levata già e gli altri che si son proposti di discorrerne a tempo avan-
zato, sol che vogliano tornare alquanto sul passato, possono rassicurarsi.
Con Decreto Reale è stato anche stabilito, poco prima dell'apertura del
cambio, che le Banche, nei luoghi dove questo non è fatto dalle Teso-
rerie dello Stato, possano, nel caso di domande rilevanti od eccedenti
la riserva ordinaria di cassa, differirne il soddisfacimento per il tempo
necessario al trasporto dei valori da un altro più vicino stabilimenlo
dello stesso istituto.
Questa, o volere o non volere, è stata in principio una limitazione
al diritto dei portatori di biglietti bancari ; eppure la commissione per-
manente vi ha consentito e il R. Decreto del 25 marzo 1883, inspi-
randosi giustamente a scopi di alti interesse, 1' ha conceduta. Perchè
adunque un altro Reale Decreto non avrebbe potuto, per rendere sempre
più effettiva l'abolizione del corso forzoso, provvedere in un senso che
non contrasta allo spirito delle disposizioni legislative esistenti e nella
parte sostanziale tenda vie più ad assicurare l' abolizione del corso
forzoso e ad allontanare le eventualità di un aumento nel saggio dello
sconto delle Banche ?
Noi primi avremmo preferito una legge sull'ordinamento bancario,
o anche una legge speciale sull'oggetto in esame, perchè questo metodo
BOLLETTINO F1NANZL4RI0 DELLA QUINDICINA. O l i
avrebbe potuto risolvere molte questioni in un punto solo, che soffrono
per soverchio indugio, o avrebbe potuto dare carattere di maggioro
stabilità a quella che ora ne occupa. Ma l'impossibile non può essere
preteso da nessun Parlamento e da nessun uomo. E se l'on. Magliani,
il quale prosegue la questione da lunga mano, ha considerato che il
protrarre la presentazione del suo disegno può giovare all'interesse
pubblico, perchè egli, offrendosi altre questioni che debbono essere ri-
solute subito e in tempo, o debbono essere abbandonate del tutto, avrebbe
dovuto rinunziarvi a dirittura?
Noi preghiamo i timorati e i morosi a ricordare che il settembre
innanzi viene. Qui sta il fondo della cosa. Possono a prima giunta non
andarne persuasi quelli i quali sembrano innamorarsi o comprendersi
di certe questioni soltanto quando esse capitano; ma siamo sicuri che
tutti quelli i quali o per istudio o per altro interesse tengono dietro
all'andamento del mercato monetario e ne iodagano i bisogni e ìie pre-
sentono le vicende, ne sono convinti anche troppo.
E se ciò non basta rimandiamo i dubbiosi a quello che segue.
Nell'ultimo bollettino abbiamo accennato alla prohabilitA che le
Banche associate di New- York potessero perdere buona parte dei loro
fondi prima dello autunno. La situazione al 7 luglio, che ò Tultima
pervenutaci, viene già a dar ragione alle nostre previsioni. Infatti ab*
biamo lasciato il fondo metallico alla data del 23 giugno a dol-
lari 63,230,0(X) e la eccedenza della riserva sul limite legale a dol-
lari 8,925/;00. Ora queste cifre sono molto ridotte; la prima ò soesa
a dollari 62,800,000; la seconda a 6,625,000. Queste diminuzioni hanno
avuto effetto in quest'anno prima del solito, giacché il di 8 luglio 1882
il fondo metallico delle Banche associate di New- York ammontava
u dollari 04,300,000 e la riserva eccedeva il lirdite Ivgale di 8,330,000,
e questi capitoli continuarono ad aumentare nel oono del mese, finché
i bisogni del raccolto vennero a sottrarre i fondi alle Banche.
L' indebolimento anticipato delle Banche associate di New* York
ha destato apprensioni così in America come a Londra. Lo Statiit^
trattanrlo la questione della probabilità di un esodo d'oro per l'Ame-
rica nel prossimo autunno, dopo aver chiarito che la bilancia commer-
ciale vi ha poca o nessuna iniluenta e che la cosa dipende dai bi-
sogni del mercato monetario degli Stati Uniti, rileva che stante la
insufll'ienza della riserva delle Banche associate di New- York per
fare le dumande che possono sorgere, il mercato americano dovrà
378 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
ricorrere nel caso di strettezza alle disponibilità del Tesoro degli
Stati Uniti 0 alla importazione d' oro dall' Europa. Frattanto dimostra
che i fondi disponibili del Tesoro, dedottone l' importo dei certificati
messi in circolazione contro deposito d' oro, sono notevolmente infe-
riori a quelli delle annate antecedenti, nelle quali la esportazione
d'oro fu una necessità, e che l' importo degli stessi certificati sarà
molto più ragguardevole in quest' anno per i maggiori bisogni prodotti
dall'accrescersi in numero e in ricchezza della popolazione e per la
continua diminuzione della circolazione delle Banche nazionali. Con-
clude che è probabilissimo che nell'autunno il mercato monetario ame-
ricano abbia a fare appello alle risorse dell'Europa.
D'altra parte le notizie di colà ci app endono che agli Stati Uniti
sono consci della situazione e che, incominciando dal Tesoro, tutti si
preparano per far fronte agli eventi. Le Banclie e il Tesoro cercano
di accumulare le loro attività disponibili e si aggiunge che per offrire
maggiori facilità al mercato, nello spazio di tre settimane, sono state
organizzate non meno di 26 Banche nazionali, con un capitale com-
plessivo di dollari 4,310.000.
Il cambio della sterlina è stato fino a questi ultimi giorni quasi
al punto da permettere invii d'oro a Londra: poi è sceso a 4.84. Ma
non è impossibile che le domande causate dal raccolto, le quali soprag-
giungono usualmente verso il mese di agosto, sorgano quest'anno prima
del solito; allora vedremmo il cambio scendere sempre più. Con tutto
ciò il danaro è rimasto abbondante e facile. Il Governo ha pagato
11 milioni di dollari per interessi sul debito federale e questi sono
venuti ad aumentare l'agiatezza del mercato. I saggi sono anche rimasti
moderati.
Le notizie dell'Inghilterra, per quanto riguarda alle situazioni della
Banca, non sono troppo 'soddisfacenti. Il fondo in oro è scemato di ster-
line 191,925; la riserva, che per effetto del rialzo del saggio officiale
al 4 per cento aveva potuto tornare a sterline 12,714,758 al 27 giugno,
è ora di nuovo a 11,646,513, nonostante che l'ultima situazione rim-
petto a quella al 5 abbia portato un aumento di sterline 29t5,918; 11
portafoglio segna una diminuzione di quasi 14 milioni. Gli altri capitoli
non offrono mutamenti rilevanti, salvo la diminuzione di oltre 4 milioni
di sterline nel conto corrente dello Stato. Adunque non essendo migliorata
la situazione, persistono più che mai i dubbi da noi affacciati or son quin-
dici giorni. Ad un ribasso del saggio, al quale alcuni hanno avuto il
coraggio di accennare, non è certo questo il momento di pensare.
BOLLETTIN'O FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 379
È d'uopo invece tener presente che la Banca va ora incontro alle so-
lite domande estive per le ferie e sopratutto per il raci^olto, che si
annunzia abbondante, e che la sua situazione è più debole dì un anno fa.
Al 12 luglio 18S2 il fondo metallico ammontava a sterline 23,677,541
e la riserva a 12,455,951; al di 11 corrente questi due capitoli pre-
sentano rispettivamente una differenza in meno di 1,430,713 e 809,438
sterline Già abbiamo detto come sia probabile che divenga necessaria
l'esportazione d'oro per l'America prima della stagione consueta, perciò
ripetiamo che la Banca è nella necessità di adoperare ogni mezzo per
rinforzare e aumentare le proprie risorse.
Gli scontisti Ipndinesi, i quali si rendono conto di questo stato
di cose, sono andati a^sai cauti nello acquisto di effetti, temecdo
sempre che la Banca rimetta in vigore l'antica usanza di non fare
anticipazioni su titoli o cambiali nelle sei settimane seguenti il piigamento
semestrale dei dividendi. Essi sono stati piuttosto disposti a vendere carta
che a comprarae. Ciò non ostante, e sebbene il danaro non abbia scar-
seggiato troppo nel mercato libero, i saggi non sono calati, e anche su
questo punto è confermato il nostro asserto. Stando alle notizie più re-
centi, i prestiti brevi sono stati trattati da 3 a 3 li4 per cento; la carta
a 3 mesi è scontata a 3 1(4 e 3 3(8 per cento.
Dal 23 giugno al 12 luglio, i bilanci della Banca di Francia se-
gnano un certo indebolimento prodotto dalle scadenze semestrali. Il fondo
in oro e quello in argento sono diminuiti di circa 11 milioni ciascun",
il conto del Tes ro ò scemato di 16, quelli dei privati sono diminuiti
di 40 milioni. Per contro hanno avuto aumento il portafoglio, di 70; le
anticipazioni di quasi 7, e la circolaziooo di oltre 105 milioni di franchi.
Nel confronto colla situazione al 13 luglio 1882, il fondo motallioo è ora
maggiore di 25 1(2 milioni; ma anche la circulaziooe sorpassa la cifra
dell'anno scorso di ben 274 li2 milioni; gli altri capitoli sono tutti in
diminuzionf>.
Durante la priiii.i settimana di questo mese, in consegoenu dei bi*
sogni del pagamento dei tagliandi a della liquidazione di Borsa, il mer>
cato si e trovato piuttosto corto di mezzi e gli sconti fra Imnchieri
1000 stati quasi nulli. In ultimo è tornata un po' più di facilità; le
acccttazioni di alta banca sono state trattate da 2 1(2 a 2 3|8 por conto ;
le lirriie b.inrarie e di alto oommereto hanno fatto i saggi di 2 3(4 o
2 5(8 \ter cento. Con tutto ciò gli affari in sconto sono rimasti sempre
scarsi .
Dal ..■> ^iii^iiu III I iiiKiiw II ìmkIo metallico delle Banche svizzero
380 BOLLETTINO FINANZIARIO 1>ELLA QUINDICINA.
di emissione ò alquanto variato. Il fondo in argento ha subito la di-
minuzione di franchi 2,219,7t>4; quello in oro, invece, ha avuto l'au-
mento di 169,287. Questo ammonta a 34,655,604; quello, a 20,y09,:J68.
La potenza d'emissione ò aumentata di poco e ragguaglia la cifra di
fr, 103,483,840, ma la circolazione è cresciuta sensibilmente e importa
fr. 95,176,615. L'eccedenza del fondo metallico sul 40 per cento della
circolazione è di 16,894,326; quindi la somma di biglietti che le Banche
potevano ancora emettere era ridotta a franchi 8,307,225.
Del resto le oscillazioni nei vari capitoli dei bilanci complessivi delle
29 Banche svizzere di emissione non sono quasi mai di grande entità.
Aggiungiamo che durante il semestre al 30 giugno ultimo la potenza
media di emissione è stata di fr. 10'^,674,000; la circolazione media è
ascesa a 92,307.000 e l'importo medio del fondo metallico è stato
di 56,678,000. Le cifre massime per questi capitoli furono rispettiva-
mente quelle di 104,027,000,98,854,000 e 58,642,000; le cifre minime
quelle di 103,182,000, 87,308,000 e 54,116,000. La circolazione media
ha ragguagliato a 89 per cento della potenza d'emissione ; il 6 gennaio
sali a 95, che fu il punto massimo; il 24 febbraio scese a 84, punto
minimo. 11 fondo metallico ha ecceduta sempre la proporzione legale del 40
per cento della circolazione. La proporzione media fu nello scorso seme-
stre di 61 per cento; toccò il maximum di 75 per cento li 24 feb-
braio e il minimum di 57 per cento li 6 gennaio e 28 aprile.
I saggi officiali dello sconto nelle principali piazze della Confedera-
zione elvetica sono i seguenti. Losanna, 4 per cento ; Berna, Basilea,
Ginevra e San Gallo, 3 per cento; Zurigo, 2 1[2 per cento.
Le situazioni della Banca dell' Impero germanico al 30 giugno e
al 7 luglio sono pienamente conformi alle nostre previsioni. 11 portafo-
glio, lasciato il 23 giugno a marchi 362,281,000, è salito nella settimana
seguente a 410,437,000, per ridiscendere nella prima settimana di luglio
a 390,265,000. Le anticipazioni, da marchi 42,287,000, aumentarono fino
a 80,287,000; poi diminuirono fino a 55,801,000. La circolazione tenne
la stessa via; toccò la cifra di 734,505,000 al 23 giugno, quella dj
820,428,000 al 30 e quella di 790,750,000 al 7 luglio. Nel confronto con
la situazione a quest'ultima data dell' anno scorso, la situazione d'ora
è più soddisfacente : il fondo metallico è maggiore di oltre 47 milioni
di marchi e la circolazione è minore di oltre 13 milioni.
Abbiamo sott'occhi anche il bilancio delle banche d'emissione della
Germania. Esse sono in numero di 18, compresa la Banca dell'Impero,
con un capitale complessivo di marchi 368,332,000. È noto che col
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 381
I gennaio 1891 tutte le banche di emissione in Germania cesseranno di
esistere, e cl>e resterà la sola Banca dell'Impero, col capitale di 120 mi-
lioni di marchi, semprechè il Governo non usi del suo diritto di riscat-
tarla. Rileviamo da questo bilancio che il fondo metallico delle banche
ascendeva al 30 giugno ultimo a marchi 694,585,000, mentre alla
stessa data dell' anno scorso era di soli marchi 650,359,000 ; e che i
biglietti di Stato ammontavano a marchi 23,892,000 contro 33,597,000
nel 1882. Il portafoglio e le anticipazioni, che nell'anno scorso avevano
adeguato rispettivamente le somme di 6t2,3l9,000 e 127,89^,000 raarchit
ascendevano in questo, l'uno a 680,441.000, le altre a 109,429,000. La
circolazione di biglietti toccava la somma di 1,011,815,000; i biglietti
non coperti, quella di 260,268,000 marchi. Al 30 giugno 1882 queste
due somme erano di 1,023,791 e 301.494,000 marchi. Ciò denota uno
stato di cose abbastanza soddisfacente.
Nel mercato monetario l'offerta ò venata man mano aumentando,
di modo che il paggio dello sconto fuori Banca, già a 3 Sii, è disceso
fino a 2 7(8 per cento. Ora è segnato a 3 per cento. In questa sta-
gione si verifica quasi sempre un forte riflusso del danaro alle banche
e alla Borsa. Ma la nullità degli affari fa parere sovrabbondante il da-
naro; da ciò la mitezza dei saggi.
Relativamente alla Banca austro- ungarica dobbiamo rilevare che
l'anmento negli impieghi da noi preveduto si è avrerato. Nelle due
settimane comprese fra il 23 giugno e il 7 luglio, il portafoglio è au-
mentato di oltre 13 milioni di fiorini e le anticipazioni di 1,275,000 ;
in conseguenza di ciò an:;he la circolazione ha avuto l'aumento di 18 mi-
lioni di fiorini. Il fondo metallico ò cresciuto di fi 317,044. Parago-
naodo la situazione ultima con quella al 7 luglio 1882. si ha che il
fondo metallico è ora maggiore di fiorini 03l,5i2 e che la circolazione
è minore di 19932.900. Per contro il portafoglio eccede nel confronto di
II milioni circa Ma si può attendere che questo oapltulo dimii.oirà n*lld
settimane vegnenti e che il mete di luglio raffjrxorA ancora senaibii mento
la situazione della Banca. Convien por mento cliu fra alcune settimane
i raccolti dell'Ungheria saranno mietuti e die il commercio dei cercali
larft sentire le sue domande nel niareato monetario. 5^ non avvcnissa
un forte riflusso di nomerarìo alla Banca nelle pros«ime settimane, tor-
nerebbe la carestia manifestatasi nell'anno scorso. Mu la Hanm, ntumne-
strata dall'esperienza, prenderà indubbiamente i provvediinriiii po-
lari.
Avvertiamo fratfiinto rhe il denaro è divenuto piò abbondanto nel
382 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
mercato libero. La carta bancaria è scontata a 3 3[4; quella commrticiale
da 3 7^8 a 4 per cento; in Borsa i riporti vengono negoziati al 4 per
cento senza grande ricerca.
I mutamenti avvenuti in questa quindicina nelle situazioni della
Banca Neerlandese non sono gran fatto importanti. Dal 23 giugno al
7 luglio il fondo in oro è scemato di fiorini 1,017, 383 e quello in ar-
gento di 916,876. Il portafoglio è aumentato di fiorini 4,423,9i)7; la
circolazione di 9,450,435 ; i conti correnti sono diminuiti di 6,927,231.
Nonostante questi movimenti poco favorevoli, la situazione della Banca
è incomparabilmente più forte di un anno fa, allorquando il fondo me-
tallico era minore di oltre 26 milioni di fiorini.
Le situazioni della Banca Nazionale belga dal 21 giugno al 5 lu-
glio danno il movimento che segue. La diminuzione di oltre un mi-
lione nel fondo metallico e quella di circa 5 milioni nel portafoglio;
l'aumento di circa un milione nelle anticipazioni e quello di oltre 11
nella circolazione. Il conto corrente del Tesoro e quelli dei privati sono
diminuiti; l'uno di fr. 14 milioni, gli altri di un milione circa. Nulla
di nuovo in quanto al saggio dello sconto, sebbene la diminuzione del
portafoglio continui.
II mese di giugno ha portato un grande miglioramento nella riserva
metallica della banca di Spagna, grazie all'operazione di 35 milioni col
credito mobiliare spagnuolo. Dal 31 maggio al 30 giugno l'esistenza di
numerario in cassa è salita da 116 nóilioni di pesetas a 165 milioni.'
Deducendo da questa somma 25 milioni di cambiali scadenti il 30 giugno
e 36 milioni di depositi in effettivo, resta un fondo attivo di 104 mi-
lioni, contro soli 66 3^4 nel mese antecedente. Inoltre la circolazione
della Banca, la quale ragguaglia la cifra di pesetas 344,909.000, segna
una diminuzione di quasi 9 milioni. Anche il portafoglio e le anticipa-
zioni sono scemati; l'uno di circa 6 milioni, le altre di circa 3, toccando
il primo la somma di pesetas 725,753,000, le seconde quella di 11,814,553.
In questo bilancio al 30 giugno figura al passivo l'anticipazione di 35
milioni fatta dal credito mobiliare spagnuolo.
Gli utili del semestre ascendono a 15,347,653. Dietro a ciò il con-
siglio della banca ha deliberato il pagamento di un dividendo di 40 pesetas
per ciascuna delle 300,000 azioni che segnano il corso di pesetas 292.
Passando all'Italia, abbiamo la situazione della Banca Nazionale
Italiana al 30 giugno scorso.
In relazione all'ultima data, che è stata quella al 20, la situazione
BOLLETTINO FINANZLA.R10 DELLA QUINDICINA. 383
nuova presenta una eccedenza di 2 milioni nel fondo in oro e una di-
minuzione di oltre 15 milioni nei biglietti già consorziali, d'onde si ha
nel capitolo riserva e cassa nna diminuzione di circa 12 milioni di
lire. Per contro essa offre un aumento di 37 milioni nel portafoglio,
determinato dalle domande del mercato serico; un aumento di circa
400 mila lire nelle anticìpazioM e un aumento di circa 54 milioni
nella circolazione.
Ma, più che al confronto fra le due ultime situazioni, conviene
badare, secondo noi, a quello fra la situazione al 30 giugno 1883 e
Taltra alla stessa data dell' anno sborso. Questo esame dà nn indìxio
abbastanza chiaro dell'andamento dell'Istituto.
Ci duole che il tempo e lo spazio non ci consentano an esame largo
della cosa, come sarebbe necessario; pure accenneremo i dati più ri-
levanti.
La situazione odierna presenta un aumento di circa 45 milioni nel
tordo in oro e quello di circa 50 nel fondo in argento ; poi dà una
diminuzione di ultre 26 milioni nell'argento divisionale, che dipende
dalle restituzioni fattene al tesoro dello stato a fronte del ritorno da
questo alla banca di una somma corrispondente in scudi d'argento, e
quella di oltre 31 milioni nei biglietti già consorziali. Calcolando
questi aumenti e queste diminuzioni, si Tede che il capitolo riserva
e cassa è cresciuto da un anno all'altro di circa 49 milioni, e che
questo maggior contingente ò derivato essenzialmente da maggiori ri-
fornimenti di valuta metallica. Il confronto fra il portafoglio arreca alla
situazione odierna un aumento di 22 milioni; quello delle anticipazioni
ie segna una diminuzione di 2 milioni; quello doiranticipazione statu-
laria al tesoro porta l'aumento all' ultima data di 24 milioni.
Il capitolo debitori diversi si «leva oggi a circa Mi milioni; a pari
data dell'anno scorso as'^endeva a olCre 115. Ma nella situaxiooe ultima
il capitolo dei fondi Buire««t4»ro figura per oltre 47 milioni. I fondi
pubblici e altri titoli di proprietà della Banea, comprendendovi quelli
della riserva, sono diminuiti di circa 28 milioni.
La circolazione e in aumento di oltre 8 milioni; i debiti a vista
sono cresciuti di circa 4.
Questa analisi, ancorché rapida, dimostra che la situacione della
Banca, consideraU nel compl<»8<»o, è ottima e capace di opporre Talida
resistenza anf'he ai turbamenti che nel pronimo autunno pote«ero re-
rilicarsi nel mercato mon«turio d* Kuropa.
384 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Le disponibilità nei nostri mercati sono piuttosto scarne; è da pre
vedere che la strettezza esistente durerà ancora per qualche tempo.
La quindicina passata lascia la borsa di Parigi sopra un terreno
meno angustiato di quello sul quale l'avevano condotta i primi giorni
di essa.
La liquidazione di fine giugno che ha avuto luogo il giorno 3 del
corrente ha recato nuovi e non lievi sacrifizi ai capitali. Dopo la ri-
sposta dei premi, dei quali la massima parte venne abbandonata, i corsi
di compensazione furono stabiliti in ribasso sensibile in confronto ai
prezzi di compensazione del mese antecedente. Il 5 Oiq compensato a
109 il 1" giugno non ebbe più al 2 luglio che il prezzo di 108,25, in
ragione cioè di 75 centesimi, il 3 0|0 perpetuo venne ridotto da
80,25 a 78,80, cupone staccato di 75 centesimi, l'ammortizzabile indie-
treggiò da una liquidazione all'altra da 81,40 a 80,30 cupone stac-
cato di 75 centesimi. Le operazioni impepnate a termine non ebbero
importanza che sul 3 0[0 perpetuo e sul 5 0[0 e questi furono i valori
più bistrattati. Tutto ciò mentre i riporti venivano offerti ad un saggio
più moderato. In tempi normali sarebbe stato questo un elemento
efficacissimo di rialzo, ma la borsa di Parigi si trovava proprio in quel
momento sotto l'incubo d'idee troppo nere perchè l'abbondanza del da-
naro e la facilità di ottenerlo potessero aver presa sopr' essa e gio-
varsene.
Correvano allora voci insistenti che le convenzioni colle compagnie
ferroviarie non sarebbero discusse innanzi le vacanze, locchè avrebbe
resa impossibile la presentazione de'bilanci. A ciò si aggiungeva il pro-
gresso del cholera in Egitto e il conseguente ribasso de'valori orientali.
L'agitazione inglese contro la compagnia di Suez era un' altra spina al
cuore di quella borsa, la quale si vedeva da ciò colpito quel valore che
tanto contribui-sce a mantener viva la speculazione sul mercato. Della
spedizione del Tonckino non si parlava più da qualche giorno, ma non
è da vedere che la si fosse posta nel dimenticatoio e che il pen-
siero di essa non avesse la sua parte nel malessere del mercato. Egli
è sotto questi influssi che la liquidazione di fine giugno venne a com-
pimento, e non deve meravigliare che in quella ricorrenza si sia visto
il 5 Oio cadere a 108,10 a termine e a 107,90 contanti, che è quanto
HOhLhlJl.Mi HNA.N/,ÌAKio ULLLA yUlNi)lClNA. " ^
di/t a 1/7 circa detratta' la cedola trimestrale che va ad essere uisììh-
cata col 1° agosto. Come sì vede la situazione minacciava di diventare
disasti osa, e forse la borsa di Parigi avrebbe avuta qaella crisi che
con tanti sforzi potè finora evitare, ove un rivolgimento istantaneo e
improvviso non si tosse verificato opportunamente nelle cause stesse che
la rendevano probabile non che possibile.
Per riguardo alle convenzioni ferroviarie, si apprese che il governo
era ben deciso di aggiornare le vacanze delle Camere fino a che non
fossero discusse; si aggiunse che la commissione incaricata a studiarle
si era atteggiata a migliori intendimenti, che il relatore era stato no-
minato e che la relazione di tutte cinque le convenzioni sarebbe stata
presentata non più tardi del sriomo 14 luglio ovvero subita) dopo la festa
nazionale.
A queste assicurazioni la borsa si sentì rincorata, poiché essa vide
nelle mutate disposizioni della commi^i^ione un sintomo da cui poteva
rip>*ometter8Ì eguali disposizioni per parte della camera, quindi un esito
felice delle discussioni che si andavano ad intraprendere e un affida-
mento a bene sperare nell*aTTdnire finanziario dello Stato.
Quasi contemporaneamente corse la buona novella che il signor de
I^esseps si era posto d*accordo col governo ingleee soUe basi di un nuore
Modus vivendi. Perciò le azioni Suez, come tocche da verga magica, si
rianimarono e con esse si rianimarono gli altri valori
Per riguardo al cholera le ansie vennero mano ujatm •ttnunudo
•lacchè si vide che il morbo non aveva tendenza ad uscire dal suo nido
e che i governi si erano accordati a sbarrargli la entrata ooi modi più
energici e più appropriati.
r'osta a fronte di un insieme di cote ooei prumetteati, la apeoulasione
francese credette giunto il monoento di OMÌre dal mare morto in cui
HI trovava impelagata da tanto t^mpo: il suo primo sforzo fa volto ad
arrestare il ribaaeo dalle reodite e a dart loro una spinta a salire.
Il risparmiot^qoaatonqod «Mai rimeMùmeote, ne eeooodò le rocete, e
ttuono o malgrado le «eeondò indirettamente anche lo looperto, il quale
scotso un pò* da quatte mutate dispoeitioni del mercato ti diede a
ricomperare parte del vendalo.
Era questa, pel venditore allo scoperto, una semplice misura di pre-
cauzione, non Teffetto di mutato convincimento, poiché tatto ciò ohe
aveva contribuito a dare alle ooae an aspetto un po' diverso da quali o
386 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
che avevano non bastava secondochè esso ne pensava a garantire che
un miglioramento sostanziale fosse avvenuto.
Ed invero chi può dire che le tante questioni, le quali fin qui fu-
rono d'impediiaento ad un ritorno normale ed attivo degli affari, siano
già state risolute o prossime a risolversi in guisa da soddisfare le co-
muni aspettazioni?
Le convenzioni ferroviarie, se gli ultimi fatti hanno la importanza
che si annette loro, verranno discusse innanzi le vacanze e forse ap-
provate; ma questa soluzione la quale ha il gran merito di scongiurare
la ruina delle pubbliche finanze e lo scompiglio gravissimo di una crisi
ministeriale ove la camera le respingesse, non è scompagnata dalla ne-
cessità di un prestito di 300 milioni di ammortizzabile e di una emis-
sione enorme di obbligazioni che verrà fatta dalle compagnie ferro-
viarie alle quali si dà il carico delle costruzioni.
D'altra parte l'agitazione inglese, che parve quietata in seguito agli
accordi intervenuti tra il signor Gladstone e il signor de Lesseps risorge
viva più che mai nei meeting e nelle proteste della camera di commercio
di Londra contro la convenzione stabilita. Il Parlamento inglese terrà
fermo contro queste opposizioni?
E il Madagascar, il Tonchino e la Cina, questioni che parvero so-
pite non daranno nuovamente a pensare e non potranno mettere in
forse i buoni rapporti or ora stabiliti tra la Francia e l' Inghilterra?
Come si vede l'orizzonte politico non è ancora sgombro affatto di
nubi e non è a meravigliare se la borsa di Parigi non ha durato
molto ne' suoi slanci e se lo scoperto non ha creduto che sia giunto
per esso ancora il momento di sacrificarsi sull'altare del rialzo.
La rendita 5 Oiq che la mercè di tanti sforzi era stata spinta al
corso di 109, scese di poi a 107.75 e ora si tiene a stento a 108.90.
Le azioni Suez arrivate anch''esse cosi risolutamente al rialzo ripie-
garono.
Il mercato di Londra d'ordinario tanto calmo e poco sensibile ai mali
influssi, è in preda ad un malessere insolito che si riverbera special-
mente sui consolidati, i quali hanno subito in questi ultimi giorni un
ribasso notevole. Forse vi hanno contribuito anche le divergenze sorte
tra il governo inglese e francese a riguardo del procedere singolare
dell' ammiraglio Perret inverso dei sudditi inglesi al Madagascar, e
crediamo che non ci sieno estranee affatto nemmeno le incertezze che
si hanno suU' avvenire del mercato monetario. Ma sieno queste od
BOLLETTINO FINANZLA.RIO DELLA QUINDICINA. 387
altre le cagioni delle mali disposizioni del mercato inglese, queste
esistono purtroppo e concorrono alla mala disposizione degli altri.
Come il movimento delle transazioni abbia potuto svolgersi durante
la quindicina passata sotto l'influsso di queste alterne vicende è agevole
il comprendere. Velleità molte di fare tentativi, di dare un po' di vita
al mercato; ma sempre senza effetto apprezzabile, per modo che ti-
rate le somme degli affari spettanti a questa quindicina ed all' altra i
risultati rispettivi quasi si bilanciano.
Quale a fronte di questo stato di cose è stato il contegno delle
Borse italiane in questo periodo di tempo ? Hanno esse avuto una
vita propria quale avrebbero potuto consentire loro le ottime condi-
zioni in cui versa il paese nostro tanto sotto il punto di vista politico,
quanto sotto il punto di vista finanziario ?
Duole il rispondere che noi ci tenemmo nella via percorsa dagli
altri, e come gli altri, ne provammo le asprezze.
La vera speculazione che ò indizio dell'esistenza di un vero mercato,
ha fatto sempre difetto; le transazioni che ebbero luogo si aggirarono
in nn circolo assai ristretto e poco importante. Tatto fu &tto a spinico
e sulla rendita e sui valori, e anche per questo modo fatto raramente.
Non pertanto le disposizioni durarono sempre buone; e se di Francia
si levasse un vento favorevole, il terreno qui sarebbe bene preparato
e una campagna vigorosa all'aumento verrebbe intrapresa con islancio e
con successo.
Il corso della rendita nostra a Parigi durante la quindicina variò
da 92 25 a 90. 45 ex coupon, poi ricadde a 90. 25. A Londra da 89 1^4
scese a 88 TfS e risalì a 89 li4. A Berlino da 91.90 cadde a 91.20;
risali a 91. 80 e piegò di nuovo a 91. dO.
In Italia la rendita venne negoziata a principio a 90. 40 , detratta
s'intende la cedola semestrale; poi sceie a 90. 25 e vi rimMe.
Tra i valori cattolici solo il BUnmt legal pretto a poco l'andamento
della rendita, aggirandoti tra 91.92 e 91.60. Il Rothschild inreot da
VS. 05 si elevò a 91; i certificati del Te^uro. «mÌMione 1860-^4, sa-
lirono da 93. 30 a 94.
Il Consolidato Turco non ebbe mercato degno di nota ; rimata tra
11.35 e 11.50.
Nei valori bancari si ebbero transazioni continuate talle azioni
della Banca italiana, ma non favorite molto dal lottegno. Infatti da
2275 scesero a 2265 e chioserò a questo prezzo.
388 BOLLETTINO IINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Le azioni della Banca romana diedero luogo a qualche scambio al
corso di 980 a principio, e a quello di 995 in ultimo.
La Banca Generale rimase piuttosto fredda sempre e venne segnata
a 532.60 ex coupon e a 530.75 in chiusura.
Il mobiliare italiano, negoziato ne' primi giorni a 782 ex dividendo,
salì a 789 e toccò un giorno il prezzo di 801, ma successivamente scese
a 793.
La Banca di Torino ebbe momenti favorevoli dopo che la Ciorte dj
Appfillo emanò la sentenza che conservava i diritti al rimborso della
Compagnia Guastalla, nella quale causa l'Istituto è interessato. Le azioni
salirono da 620 a 641 ; ma poco dopo reagirono a 630.
Passiamo sotto silenzio le vicende toccate alle Banche Piemontesi e
Milanesi perchè queste non diedero campo ad affari che debbano essere
ricordati.
I valori ferroviari ebbero qualche movimento. Ottennero scambi le
azioni delle ferrovie meridionali a 472 ex coupon, poi a 480 e 479. Le
obbligazioni relative vennero negoziate a 272,75 ; i boni a 530.
Le Sarde serie A tennero il prezzo di 271,50; quelle della Serie B
di 268.50, le nuove di 269.50. Le Palermo-Trapani di prima emissione
furono negoziate al corso di 286.50; le altre di seconda a 285. Rimasero
nominali le Centrali Toscane a 455; le Pontebbane a 340 ex coupon; le
meridionali austriache a 291.50 ex coupon; le azioni Romane a 135,
A Parigi le azioni Lombarde ebbero prezzo a 328.75 e a 33.625; le obbli-
gazioni relative a 293 ex coupon e a 292.50; le obbligazioni Vittorio
Emanuele a 290 e 292.50; le azioni delle Ferrovie Romane a 130. Le
azioni della Regìa dei Tabacchi rimasero abbastanza sostenute a 584
ex coupon e liberate al valor nominale di L. 500.
Le cartelle fondiarie non diedero luogo a scambi di qualche entità,
ma conservarono i soliti corsi: Milano a t02 e £03.50; Torino 482;
Napoli 478; Palermo 481: Bologna 471.50; Siena 473; Roma 439;
Cagliari 420.
1 valori proprii della Borsa di Roma rimasero in generale piuttosto
trascurati e in ribasso. Le azioni dell' acqua Marcia da 836 ex coupon
scesero a 823; le azioni del Banco di Rema, da 574 ex coupon a 565;
le Condotte da 481 ex coupon a 473; le Complementari da 247 ex
coupon a 220. Qualche scambio ebbero le fondiarie (incendi) ex coupon
a 495; le azioni immobiliari a 500 e a 4€6. 75; le relative obbliga-
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 389
zioni a 475. Le azioni Gaz, sola eccezióne, rimasero ferme a 1025 e
per ultimo a 1034.
I cambt rimasero deboli sempre e solo in ultimo accennarono a
qualche fermezza, specialmente la divisa su Londra. 1 cheques su
Francia si aggirarono tra 99. 75 e 99. 90; la Londra a vista tra 25. 23
e 25.27; quella a tre mesi tra 24.95 e 25.02. Nominale sempre il
pezzo da 20 franchi.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
LETTERATURA E POESIA.
Storia della letteratura in Italia ne' Hecoli barbari, per Euamuelr
Celesu. Voi. II. — Genova, Istituto Sordo-Muti, 1883.
Questo secondo ed ultimo volume dell'opera annunziata, contiene,
per la maggior parte, una materia più piana e più conosciuta general-
mente ; e molti profondi studi fatti recentemente in Italia e fuori, sopra
di essa, Tmnno agevolato all'autore la via. Ciò dicasi, per esempio, ri-
spetto ai capitoli Sulle leggende virgiliane, sui Goliardi, sulle Origini
della drammatica, su quelle della lingua, e su tutta la storia della
letteratura italiana de'primi secoli, dove il Celesia non ha avuto altra
fatica che di compendiare dalle opere del Comparetti, del D'Ancona,
del Bartoli, e d' altri parecchi. Né il compendio ci par sempre fatto
con giusta misura e proporzione, né con scrupolosa diligenza. L'au-
tore aggruppa in un capitolo troppe cose, e non le può digerire tutte
abbastanza ; in alcune si estende troppo, d'altre si passa troppo succin-
tamente. Nel capitolo sull'origine della lingua si dilunga, non sappiamo
con qual prò, rispetto ai limiti ed allo scopo del suo lavoro, sugli an-
tichissimi dialetti italici e fa sfoggio di erudizione osca ed etrusca, per
venir poi a concludere, colle teorie del Diez che la lingua nacque dal
latino rustico ; cosa che non aveva punto bisogno di quella prolissa in-
troduzione. Ma un maggior rimpinzamento di dati male ammassati, e
trattati con poca critica, non ostante l'apparenza d'avercene messa troppa,
è nel capitolo sulla Leggenda di Satana, che dal secolo vii nel quale,
secondo l'autore, Satana cominciò a mostrarsi, giunge fino al Milton,
e si spinge, niente meno, nell'avvenire, prevedendo la piena sconfitta
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 391
di qaesto mito per opera della scienza. 0 non si doveva intraprendere
una ricerca si difficile e complicata, o trattarla con altro metodo e con
altra serietà. Ma di questo modo che diremmo abborracciato e preten-
sionoso, non mancano tracce frequenti anche nel rimanente dell'opera.
Difetto che si avverte anche più, per aver l'autore trascurato, non
ostante che nel commiato voglia giustificarsene, di citar via via le
fonti principali a cui ha attinto, delle quali mal si può fare a meno
in materia di cui si disputa sì variamente, e intomo a fatti non sempre
bene accertati. Per esempio, su quale autorità appoggia l'autore quel-
l'ardita asserzione (pag. 208) che il canto di Giulio d'Alcamo sia uno
tra i pochi cimelii, rimasti da un ciclo poetico averroista o normanno^
anteriore all'influenza occitanica? bisognava che ce l'indicasse. E l'opi-
nione sulla non esistenza di Dante da Majano. benché questa volta l'au-
tore ce ne accenni la fonte, meritava d' essere abbracciata con tanta
sicnrezza, dopo il serio stadio del Novati, che distrale gli argomenti
di chi volle distruggere quell'antico poeta? B con qual coraggio, par-
lando l'antore della donna presso i diversi popoli, può asserire che ìa
tradizione semitica ìa maledisse, mentre abbiamo in quella tradizione
tanti esempi di donne venerabili e venerate? Qua e là ci è dato in-
nanzi anche qualche errore di f&UOy come a pag. 254, dove si pone nel
sec. XII Giovanni da Fabriano, che mori (vedi il Tiraboeohi, St. let.
ital. tom. V, lib. Il, cap. I, § XV) nel 1348! Rd a pag. 260, dove si fa
morire Guido Cavalcanti « intomo al 1300 • quasi oggi non si «apMte
con sicurezza la data precisa della sua morte (vedi Dino Compagni eoo.
per I. Del Lungo, Firenze, 1879, voi. II, pag. 98, noU 26). Ma, la-
sciando anche questi e simili difetti, crediamo* ehe il libro del signor
Celesia, non ostante il vantaggio di rionire molta notisie sparae in cen-
tinaia dì libri, non possa, neppare in quetU Moonda parte, appagare il
desiderio dei critici rigorosi e coecienzioei, e che non risponda al su-
perbo titolo postogli in fronte. Ciò non toglie per altro che ritornando
l'autore sul suo lavoro, non poesa utilmente rifonderlo dentro limiti più
ristrettì (giungendo, per eeempio, fino al secolo \m esclusive), o usare
un metodo pid scientifico, lontano da rettoriohe deoltmasioni e da luoghi
comuni.
La Beatrice di Dante. Studio erìtieo del Prof. Vimcbmso Tishimi Tai-
aoHA. — Catania, Martioes» 1888 (pag. 72).
Sostenere, come (a il Trigona, che la Beatrice dantesca sia un mero
simbolo e non uria ner*on:i ron\o rid.ittn a «imitolo; può aromeftorsi,
H02 BOI.LKTllNò Bini.IOQRAKrCO.
ma a patto che si riprenda la questione al punto cui é atrivat^, che
8i confutino le tante e, secondo noi, irrepui,'nabili ragioni contrarie, e
soprattutto che si dicano cose ragionevoli e non si facciano confusioni.
Egli tratta la questione come se cominciasse ora. Dante non nomina
mai Folco Portinari; dunque Beatrice non dev'essere sua figliuola
Beatrice è un simbolo della religione, perchè in lei cade sempre il nu-
mero nove; ma è stato giustamente osservato: perchè in questa cor-
rispondenza il poeta ammette varie eccezioni, e spesso il nove non e
completo, e spesso deve egli ricorrere a sottili e strani partiti, affinchè
in qualche modo si trovi il nove? perchè appunto egli aveva davanti
una cosa reale, e si sforzava di adattarla, o per fa& o per nefas^ ad
un ideale. Ma ti questo tace il Trigona. Vi è poi confusione nell'uni-
ficare la donna del Convito con Beatrice, mentre tutto il contesto
mostra che quelle due donne sono in opposizione, e il poeta non può
cantar dell'una, senza scordar l'altra, salva l' intenzione di ritornare,
quando che sia, alla prima. E il non badare a questo conduce l'autore
a confondere la filosofia colla religione in una persona medesima, scu-
sandosi col dire, che allora tutto il sapere faceva una cosa sola colla
religione. Il che prova troppo e prova nulla. Curiosa poi è la fran-
chezza con cui sono spiegati i passi più difficili. Ne diamo un saggio.
Nella prima visione che cos'è, secondo 1' autore, quell' amore che fa
mangiare a Beatrice il core ardente di Dante, e poi se ne va pian-
gendo? È il desiderio della scienza, che trova appagamento nella filo-
sofia (la Beatrice che lo mangia)^ e quindi muore e sparisce esso
stesso, perchè desiderio appagato non e più desiderio. E amore dunque
piange la propria morte. Ma, si potrebbe obbiettare, perchè questo
amore non muore poi mai nel seguito della narrazione, anzi è più vivo
di prima? Nello spiegare poi la donna dello achermo vi è una strana
confusione fra il senso letterale e l'allegorico; perchè l'autore suppone
che quella donna, veduta da lui veramente in chiesa, fosse causa d'un
amoretto reale per molti mesi, che lo distrasse dal suo studio per la
scienza. Vedete un po' che fecondità d'immaginazione! E le donne, fra
le quali Dante fu menato, le quali tutte in un luogo mostravano le
loro bellezze devono, secondo l'autore, essere rami della filosofia, perchè
se fossero state donne reali. Beatrice che era in mezzo a loro, si sa-
rebbe trovata a dirittura in un lupanare. D'altra parte crede l'autore
che il padre di Beatrice (pura idea) sia persona reale e, indovinate un
po' chi ? S. Tommaso d'Aquino. E sentitene una più curiosa. Il sommo
piacere che f alito a Dante per la morte di Beatrice è, secondo l'aa-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 393
tore, l'ultinio termine d'amore; mentre è chiaro che xommo piacere in
tal laogo significa bellezza suprema: e. più strano ancora, le membra
di Beatrice che ella lasciò in terra sparte, sono i ministri della reli-
gione corrotti, e però separati da quella. Ma basti questo poco a mo-
strare dove può condurre un metodo avventato e capriccioso.
Gli scritti inediti di Bartolomeo Corsini, preceduti dalla sua vita, e
annotati da GiusErps Baccini. — Firenze, Tip<^nnifi& Bencioi, 188S
(pagine cxxx-328).
Bartolomeo Corsini di Barberino del Mugello era noto ai letterati
per una versione d'Anacreonte (fra le prime che se ne fecero) e per
ano di que' poemi eroicomici, onde tanto si deliziò il secolo xvii. Ma
poco ne dicono, secondo il solito, le storie letterarie; T illustrarne meglio
la memoria toccava ad ano studioso suo compaesano, il sig. Giuseppe
Bacoinr. Mentr'egli sta preparando una naova edizione del Torracchione
desolato^ ricorretta sulfautografo, chVgli potò scoprire nella Biblioteca
del Seminario fiorentino, da un saggio de' suoi stadi sul poeta Barbe-
rinese, in questo volumetto, che contiene cose inedite di lui. Il Corsini
fu un poeta di fecondissima vena, piacevole di costumi, ma poco fortu-
nato, specialmente per la trista compagnia d'una moglir ptirversa, dalla
quale dovette separarsi. Si consolò de'suoi mali coll'arte delle muse, e
fra le poesie qui edite per la prima volta si trova appunto un libretto
di Epigrammi e poesie diverse contro la moglie, tanto più singolare
<|iianto no' poeti son più frequenti i versi che infiorano e adulano le
•ionne. Spiritosi assai sono alcuni di questi epigrammi, ed uno ve ne
iiH che analizza la parola uxor^ per ricavarne poi questa conclusione;
('he l'uomo che prende moglie, a pii veloce »en ra per rie ben
funf/he, e ben sicure — alla forca, alla croce alta rola^ alla acure.
\^ altre poesie lianno anch'esse quella facile, armuaiosa e leggiadra
vtiim, che e propria de' poeti «eoentisti. Notabili, fra le altre, ci sem-
brarono alcuni saggi AeWOdiuea, rifatta in burlesco, secondo l'uso di
quel secolo; che, se l'avessa terminata, supererebbe d'assai la poco
Kraziata Eneide del norcino I^lli. Ma di maggior rilievo sono le
ros", cioè gli Annali barberineti (dal ICttJ al 1049). con notizie sul-
)'orii2:ine di Barberino, sulle chiese, sulle persone illustri, sopra la isti-
tuzioni religiose, sopra certa rappresentazione sacra, e sopra fatti d'armi,
in cui furono infolti i Barbarioeai; oltre ad aneddoti diversi. Il signor
Barrì ni ha premesso a qnsate opere nn erudito e ben tessuto iti «corvo
394 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
sulla vita dell'autore e sugli scritti, principalmente sul Torracchione ;
ha illustrato poi con note e con documenti riguardanti il suo paese,
tuttociò che negli Annali meritava spiegazione. Vedansi, per esempio
le notizie sulla villa medicea di Cafaggiolo (pag. 250 e seg.), che con.
tengono la storia de' fondatori e degli uomini illustri che ivi dimorarono-
Un indice alfabetico in fine, raccoglie le cose più ricordevoli del volu-
metto, cui non si può negare una importanza, sia per la storia muni-
cipale, sia pure per la storia letteraria.
PEDAGOGIA.
La Pedagogia di Emanuele Kant con una nota di Angslo Yaldabnini.
— Roma tip. Bodoniana e ditta Paravia.
Il breve tratto pedagogico del filosofo tedesco venne pubblicato fino dal
1803, e si meritò in Germania il titolo di aureo non solo per i prin-
cipi elevati e peregrini che racchiude, ma ancora per le assennate e
pratiche osservazioni onde è cosparso, e per avere unito l'educazione
intellettuale e morale all'educazione fisica, la quale ultima fino ai tempi
di Kant ordinariamente era trascurata. Anzi è degno di nota che
mentre la stessa filosofia niorale di Kant appare molto discosta dalla
vita pratica sociale, a riscontro di altri sistemi morali ; invece la sua
pedagogia si fonda per lo più sull'esperienza e quindi torna essenzial-
mente pratica. Ma quali principi filosofici le danno vita? La diversità
di essenza e di fine tra l'uomo e il bruto; il vivo sentimento della per-
sonalità ed autonomia umana; il fine supremo dell'uomo e della società,
fine che non si restringe ai soli individui, a una o più nazioni, e a una
data epoca, ma che abbraccia tutta l'umanità consociata nella distesa del
tempo; la differenza profonda tra il dovere e l'onesto da un lato, il pia-
cere e r utile dall'altro : ecco i principi fondamentali a cui s' informa
la scienza e l'arte educativa di Kant.
Queste nobili e pratiche verità desunte dal trattato pedagogico Kan-
tiano, con acconce e proprie considerazioni sull'indirizzo vero della Pe-
dagogia, sono dal prof. Valdarnini messe in rilievo in una dotta e chiara
prefazione che precede la sua forbita versione, la prima che si abbia
in Italia. Se, come diceva Kant, Varte perfetta ritorna alla natura^
facciamo che la vera e compiuta scienza ed arte educativa riposi dav-
vero sulla natura e vi ritorni. A conseguire questo nobile intento con-^
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 395
fidiamo che gioverà assai la pedagogia di Kant : onde va lodato iì
prof. Valdarnini per avervi richiamata l' attenzione dei suoi conna-
zionali.
Herbert Spencer. — Educazione intellettuale, morale e fisica, traduzione
dall'inglese di Sofia Fortini Sahtarelli, 2* ed., Firenze G. Barbèra, 1883.
Sarebbe inutile ripetere le lodi della celebre operetta educativa dello
Spencer, che ebbe in Inghilterra nove ristampe, fu tradotta in tutte le
lingue, e in Francia pubblicata a spese dello Stato e distribuita nelle
scuole della Repubblica. Rallegriamoci piuttosto che anche fra noi sìa
già esaurita la prima edizione e che il solerte cav. Barbèra ce ne
dia una seconda, alla quale auguriamo ugual successo, pel vantaggio
della educazione nazionale. Giacché, sebbene si possa disapprovare qualche
idea deirA., e specialmente il poco pregio in cai tiene l'istruzione clas-
sica) lo spirito che informa il libro e gli eccellenti e pratici consigli
di cui è pieno, ne fanno una guida preziosa a tutti i genitori e a tutti
i maestri intelligenti. La signora Fortini Santarelli che già aveva dato
buona veste italiana ad uno tra i più importanti lavori dello Spencar
(f Introduzione alla Sociologia) meritandone gli encomi dell'A. stesso-
e di dotti critici, ha pur tradotto questo volumetto in una forma piana
e popolare che rende pienamente il pensiero del filosofo inglese e che si
fu leggere volentieri. Citiamo a dimostrarlo qualche linea, tolta dal primo
capitolo, intomo alle cognizioni a cui si attribuisce maggior valore :
« I viaggiatori dicono che le corone di chicchi colorati etl i gingilli rie-
scono molto più graditi alle tribù selvagge che i tessati e le stoffe. Sr
raccontano aneddoti curiosissimi su quel che fanno i selvaggi delle
camicie e degli abiti che vengono loro donati.... Insomma tutti i fstti
della vita aborigena sembrano indicare che il vestiario è nato dal gusto
deirornamento. >
RACCONTI.
Homol Luioi CAroAiA. — Milano, Brìgola 1888.
Il Gapoana è ano de* nostri più oosciensiosi a ingagnosi scrittori di
novelle e bouatti; a le sue qualità aKistiche si manifestano maggior-
mente io bravi pittare che io ona vasta tela da romanso. È naturalista
di tre cotta; ma non è vero "he sia (come fu detto) pedissequo aagoaoa
di latta la dottrine dello Zola, alcane delle quali ha ansi sbarUta, par
aaampio l'assurda idea d'nn romansn tperimentnle. Piuttosto agli, é«
390 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
al pari dello Zola stes^to, discepolo e continuatore del Balzac, che emala
anche nel faticoso studio d'uno stile efficace ed originale, senza reto-
rica. Non sempre felice riesce nella scelta de'suoi temi; poiché, i na-
turalisti hanno un bel dire; tutto non si può descrivere né raccontare,
e scegliere bisogna. Ora questa modernissima scuola ha il vezzo d'ap-
pigliarsi sopratutto al brutto e al triviale; e di tal pecca non va im-
mune il nostro novelh'ere, il quale peraltro si adopera ad essere almeno
gastigato nella forma, IJ impersonalità del racconto è pure un canone
dei naturalisti; ed in sé è rosa buona; ma non ne viene per conse-
guenza che il racconto stesso debba parere una fredda e spietata vivi-
sezione. Senza che si veda la mano dell' artefice, il fatto deve essere
esposto in modo da commuovere: il sentimento profondo che traspare
da molte pagine di Alfonso Daudet, dà loro un pregio che vince di gran
lunga l'afiettata aridità dello Zola. Peccato che alcuni dei nostri mi-
gliori, quali il Verga e il. Capuana, in ciò si accostino più volentieri
al secondo che al primo! Contuttociò il libro che annunziamo si legge
con piacere, perchè ognuno dei dieci quadretti che contiene è un finis-
simo lavoro d^arte. Non si possono analizzare, perchè il merito sta prin-
cipalmente nella forma, onde sono ritratte al vivo figurine d'uomini
e di donne, costumi di Milano o di Mineo, amori e gelosie, mostruosità,
raffinatezze di sentimento. I migliori sono, a nostro avviso Povero Dot-
tore, Don Peppantonio, Comparatico. Quest'ultima storia è riprodotta
in appendice nella forma datagli già dall'autore stesso il quale, valente
poeta com'è, l'aveva verseggiata or son dieci anni nel suo dialetto na-
tivo; ed il bravo Vigo l'aveva accolta e pubblicata tra i canti popolari
siciliani (Catania, 1870-74). Né fa meraviglia; poiché ha tutto l'an-
damento d'una leggenda popolare. Nello stile e nella lingua il Capuana
pone una cura non comune; si sente che ha abitato a lungo la Toscana,
■e si sente ancora lo sforzo che fa per dare un'impronta italiana sia al
parlare dei suoi interlocutori, sia a certe espressioni e locuzioni predi-
lette della scuola naturalistica.
BELLE ARTI
I Codici miniati con 20 tavole per l'Avv. Vinobnzo Padtassi. — Torino
Ermanno Loescher 1883.
Dell'arte nobilissima della miniatura, per la quale in tempi poco
propizi alle discipline del bello, si è conservata in Italia la tradizione
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 3i>7
e la tecaica della pittara, la nostra rivista si è più volte occupata, per
opera di scrittori valorosi e competenti. — Crediamo nondimeno riu-
scirà gradito ai cultori di questi studi geniali, che noi dedichiamo poche
osservazioni al libretto del signor Pautassi, rapito ai viventi prima che
riuscisse a veder la pubblicazione della sua monografia, alla quale aveva
atteso con tanto amore.
Veramente non potrebbe dirsi che il lavoro del Pautassi sia una
storia completa dell'arte del minio; — lo diremmo piuttosto un indice
ragionato, o una guida, per chi si volesse accingere ad opera di maggior
lena, e metterne in evidenza i t^?sori sparsi per le biblioteche pubblicha
e private.
Tutte le volte che ci è dato imbatterci dinanzi ad un codice mi-
niato, restiamo maravigliati nel veder la paziente perizia di quella
schiera di anime delicate, le quali infiorando il margine delle perga-
mene di figurine ingenue e bizzarre, chiudevano le loro estetiche vi-
sioni entro il poco spazio d'una lettera gotica, dove Parte par si affaooi
timida e paurosa fra il bagliore dell* oro e le ombre traiparenti e
leggere.
Ma di codesti artefici chi ooooeoe la storia?
Eppure «luesti uomini dimenticati ed oscuri, furono insieme ai mu-
saicisti, i veri fondatori dell' arte, e come bene osserva un elegante
scrittore,' diedero origine alle tre antiche scuole italiane: la fiorentina,
la seneHe, Tunibra.
Infatti, frate Mino da Turrita* i Cosmati, Iacopo <la Camerino pò*
polandu colle loro {grandiose figure musive le basiliche delle nostre dtt*
davano le prime ispirazioni alla scuola fiorentina ; — mentre Oderiiio
lionagiunta e Franco Bolognese, sottratti pietosamente all'oblio dal-
l'Alighieri e immortalati nel eatito XI del Purgatorio^ orearano una
serie di miniatori, donde uscì quella luce cha irradiò la tcoola eanesa
e umbra, le interpreti più rere e più nobili del casto ideale erisiiano.
E veramente da quei TÌrad eolori delle miniatore smaglianti d* oro,
dalla magia di quei tòni or» caldi ora languidi, da quelle graxiose te-
stine dipint« i-on tanto amore • eoo tanta vita, dallo studio diligsote
posto nella bellezza e nella varietà dei firegi e adomameati aoosssori,
nacquero le o|iore di pittnra dei quattrocentisti, ehe formeranno costan-
' H. KkiiirAiiBi.i.i (3iiM>. Sit^otò Àkmno e la tettola mnfna. — Ho mai ti-
pogrmfiA Kurhéni 187V.
398 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
temente Tadorazione di tutte le anime capaci di godere le soavi visioni
dell'arte pura.
L' autore discorre brevemente àAìa. miniatura presso gli antichi ; —
ricorda come le lettere e quest'arte trovassero ospitalità all'ombra dei
chiostri; come fosse in onore l'arte del calligrafo in un'epoca in cui la
stampa non era stata ancora inventata; — come venisse il desiderio
di adornare alcune pagine del libro ascetico con lettere a colori e su
fondo d'oro.
Il Pautassi rileva il valore artistico, archeologico e storico della
(pergamena.
Bisogna riconoscere che sovente i miniatori ecclissarono i dipintori
più insigni, furono i primi ad introdurre nei fondi i piccoli paesaggi,
dettero prova d'un potente e fecondo ingegno decorativo.
Le miniature ci pongono sotto gli occhi i costumi civili, religiosi,
militari del loro tempo, l'effigie dei personaggi più celebri, i riti reli-
giosi, le armi, i mòbili ed ogni sorta di monumenti, che talvolta sa-
ranno stati inventati, il più spesso copiati dal vero. Da ciò l'autore
trae ragione ad affermare, e crediamo con ragione, che la storia della
nostra pittura, per esser 'completa, dovrebbe incominciare dalla disa-
mina delle pergamene miniate, come anche le pinacoteche bene ordinate
dovrebbero esporre le più pregevoli opere di minio, specialmente quelle
eseguite dai precursori di Giotto.
L'autore rende conto di molti codici miniati esistenti nelle biblio-
teche di Napoli, di Montecassino, di. Roma, di Firenze, di Perugia, di
Siena, di Milano, di Verona, di Venezia e specialmente di Torino, e
dà in brevissimi tratti i cenni biografici dei più noti e celebri miniatori
del medio-evo e del rinascimento.
In breve, le 90 pagine di testo si leggono con piacere e utilità come
con piacere e utilità si scorrono le venti tavole contenenti disegni
inediti di lettere e fregi, tolti dai codici miniati esistenti nella biblioteca
nazionale di Torino, patria dell'autore.
Guida pei monumenti di Monreale per S. Giaconia, — Palermo, Tipo-
grafia del Giornale di Sicilia, 1883.
Il signor Salvatore Giaconia è ispattore per la conservazione dei
famoso monumentò benedettino, una delle glorie dell'arte normanna in
: Sicilia.
Gli studiosi e i dotti conoscono la splendida illustrazione di quel
BOLLETTINO BffiLIOGRAFICO. 399
tempio, compilata dal benemerito abate Gravina ', quindi il libriccino
del signor Giaconia non è per essi.
Ma come rilevasi dal titolo, egli ebbe in animo per comodo dei vi-
sitatori del monumento, restringere in pochissime pagine un sunto sto -
rico ed una descrizione della chiesa, della sagrestia, della badia e chio-
stro innalzati da Guglielmo li figlio di Guglielmo il Malo, secondo una
tradizione che merita essere ricordata.
Un giorno Guglielmo II, stanco dalla caccia, si addormentò in pros-
simità del castello di Monreale e in sogno gli apparve la Vergine che
indicogli un tesoro nascosto. Guglielmo destatosi, trovò in realtà il te-
soro e poiché era uomo pio e credente, volle con esso edificare il tempio,
mitigando così in parte la maledizione degli oppressi che gravavano la
memoria del defunto genitore.
I monumenti di Monreale sono famosi per le decorazioni di marmi
intagliati e di musaici e le loro porte sono dovute a Barisano da Trani
e a Bonanno di Pisa, famosissimi fusori in bronzo del XII secolo.
La breve guida del signor Giaconia si chiude con una conclusione
che merita esser segnalata agli egregi uomini, i quali presiedono alla
conservazione dei monumenti in Italia. Sembra all'autore che la spesa
di L. 22,000 annue stanziate nel bilancio per la conservazione del duomo
di Monreale non sieno sufficienti ad impedirne i continui guasti, i quali
potrebbero oggi esser facilmente riparati, ma col tempo diverrebbero
irreparabili.
Noi non possiamo entrare in questa controversia, ma per amor del-
l'arte vi richiamiamo l'attenzione di coloro cui la legge impone l'ob-
bligo di mantenere intatto il patrimonio artistico della Nazione.
STATISTICA.
AniiAU di ■tAtistioa [DirwioM ftMrmle della lUtistiea), serie Sa, voi. 4.
Saggio di bibliografia itatiattca italittaa. — Roma, Begia tipografia
D. Ripamoati, 1883.
Non ostante la difBoolU dell'impresa il eomm. Bodio, Direttore ge-
nerale della statistica, è riuscito a mettere insieme un elenco copioso
e metodico dei lavori statistici pubblicati in Italia. A questa ricca bi-
I n émtmo di Monreale illustrato e riprodotto in tavole cromO'litogra*
ielM da D. DeMaaioe*BtsKotTTo Gsatiiia abate Csssinsss. — Palenso sta-
blHmento tlpografieo di F. Lao 1669.
400 BOLLETTINO RIBLIOGRAFK^O.
blìografia l'illustpe autore ha premesso alcone pagine di introduzione,
nelle quali prefinisce i criteri direttivi che debbono esser segniti per la
compilazione di un catalogo bibliografico di statistica. La difficoltà prima
sorge dalla stessa varietà delle definizioni che si danno di questa scienza.
L'autore delinea perciò i limiti della statistica, distinguendo con ammi-
revole nitidezza la scienza del metodo. Rilevato come in Italia prevalga
un concetto della statistica più ampio, e più pratico, forse, che in altri
paesi, l'Autore avverte come pel saggio bibliografico la parola statistica
sia stata accettata nel suo significato più ampio e coi criteri più ecclet-
tici, a fine di apprestare le indicazioni più copiose e servire agli stu-
diosi sotto molteplici punti di vista. C3on tutto ciò il comm. Bodio non
presume di aver messo assieme un elenco bibliografico compiuto e inap-
puntabile, ma offre al pubblico questo saggio, proponendosi, so V aiuto
degli studiosi non gli venga meno, di arricchirlo successivamente e di
tenerlo a giorno con frequenti supplementi. Cosi mentre l'elenco biblio-
grafico offre una guida preziosa dei lavori di statistica dovuti ad autori
italiani, l'introduzione del comm. Bodio, in cui alla profondità della dottrina
si accompagna la più geniale semplicità della forma, aggiunge un nuovo
e brillante capitolo alla letteratura di questa scienza nel nostro paese.
Die Moralstatistik in ihrer Bedeutung fur eine Sooialethik von
AtExANDBK von Oettingen ; Dritte voUstèlndig uragearbeitet Auflage,
mit tabellari schem Anhaug. Erlangen. Verlag von Andreas Dechert. 1882
L'illustre autore ha ragione di dire che una nuova edizione di un
lavoro statistico, se voglia rispondere ai bisogni del tempo in cui è
data al pubblico, presenta una speciale difficoltà. Il materiale cresce,
muta, sovente, forma e significato a distanza di pochi anni. Bisogna
tener conto delle più recenti osservazioni e per ciò non basta sempre
aggiungere alle notizie vecchie qualche altra notizia di data più recente.
E questa difficoltà diventa anche più grave laddove si voglia studiare,
in certe manifestazioni della vita esteriore, l'organismo morule della
società. Di quanti elementi non conviene tener conto, quanta cautela
non convien porre nelle induzioni ; quanta conoscenza non conviene avere
del cuore umano ; quanto amore di verità non deve animare lo scienziato
che attende a questo genere di ricerche, in cui tanto facilmente agiscono
passioni o tendenze personali ! Ciò che l'Oettingen modestamente chiama
una nuova'edizione del lavoro, che lo ha reso celebre fra i cultori degli
studi statistici e morali, rappresenta per notevole parte 1' applicazione
tiel suo metodo di indagine a fatti nuovi ; offre riscontri ora appena resi
.i
BOLLETTINO BIBLI0GR-\F1C0. 401
possibili, per effetto dell'immenso svolgimento ch'ebbero negli ultimi anni
le ricerche statistiche ; porta nuovi contributi di esperienza alla solu-
zione di problemi filosofici e sociali. In sostanza, sotto certi rispetti, forse
all'opposto di quanto si costuma, questo libro dell'Oettingen è un'opera
nuova sotto sembiante antico.
Il libro è assai voluminoso. Conta 832 pagine in 8" di testo e
152 pagine di tabelle e d'indici. Il testo si divide principalmente in
tre parti, oltre l'introduzione. La prima parte riguarda la generazioìie
considerata come fenomeno delt organhìno sociale, la seconda e la
terza riguardano, l'una le manifestazioni della vita, l'altra il fenomeno
della morte nell'organismo medesimo. Il pensiero temperante dell'autore,
associa maestrevolmente nelle ricerche il metodo induttivo a quello de-
duttivo; lo studio è severo, le conchiusioni sono pratiche e persuasive.
Nò la teoria di un capriccioso atomismo, né quella di un determinismo
ferreo, che sopprima ogni arbitrio ed ogni responsabilitA dei singoli,
no dall'autore osclusivamente abbracciate. Dimostra l'esistenza di leggi
sociali, che agiscono sull'individuo e neli'istesso tempo si estrinsecano
per effetto di libere determinazioni individuali. Le forme mistiche di
cui talvolta l'autore veste i suoi concetti non tolgono nemmeno alla
parte più specialmente filosofica del lavoro V impronta di ano stadio
rigorosamente scientifico.
Dalle statistiche dell'emigraBione — Giotaxni Hobubtklm — Hoidn,
Forzani e C, tipografi del Senato 188;3.
L'autore studia quali rapporti intercedano fra l'emigrazione '• il mo-
▼imento socialista de* nostri giorni e non tempre trova i due fenomeni
così strettamente collegati come alcuni vorrebbero. Dimostra come il
problema dell'emigrazione vada però studiato, specie in Italia, sotto il
riguardo delle condizioni in cui versano le plebi agrarie. Fa quindi la
storia delle statistiche italiane dell'emigrazione, compiacendoai dei ri-
sultati che se ne otteBoero non ostante le grandi difficoltà che presen-
tano simili indagini. Valendosi dei dati delle statistiche ufficiali de-
termina quale influensa risenta l'aumento della nostra popolazione
dal fatto dell'emigrazione e studia il carattere di questa, i motivi che
prcvn' ' '-- ^^nte concorrono a determinarla. Trutta quindi in partico-
lare .raziona temporanea delineandone il carattere eoouoroico
e morale. Accenna alle diverse oondizioni in cui si trova 1' emigrantu
italiano nei vari paesi a cui si dirìge, trattenendoci più siieoialiuento
a parlare dell'emigrazione per rAm<»r<'-t r<M<-"""'pN misuro legislativo
VoL XL.. StrU li - L'i LuffUo iMS. V>
402 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
temperate e medie a favore degli emigranti, in cui questi trovino tu-
tela, senza lesione delle loro libertà.
È un libro che senza istituire un'analisi minuta dell'emigrazione ita-
liana, ne dipinge con una certa vigorìa di stile i tratti principali. È una
guida fatta con buon garbo dei temi da studiare, e delle fonti principali
a cui ricorrere per approfondire la conoscenza di si complesso problema.
NOTIZIE
Il raloroso capitano Bove è partito da Genova per Buenos Ajrw, donde
salperà con nave e sotto bandiera Argentina per un nuovo viaggio alla
Terra del Fuoco, onde studiare le difficoltà della navigazione in quei mari.
Il Capitano Bove si propone per il 1885 una spediiione italiana ai ghiacci
polari su di una nave costrutta appositamente e che si chiamerà l'iliitor-
lieo. A Milano ed in altre citt\ si sono gii costituiti comitati per raccogliere
fondi, e si spera nel concorso di tutti gli itAliani.
— David Levi ha pubblicato presso l'editore Brigola di Milano un vo-
lume sopra La Mente di Michelangelo. Esso i diviso in sei parti: La cap-
pella Sistina: L'uomo, il figlio e il cittadino: Vittoria Colonna: L'Artista:
Ìjc sue opere: II pensatore e l'eresiarca dell'arte.
— É stata nominata una Commissione mista, compoota di delegati dei
varii ministeri e dell'Accademia dei Lincei per l'csplorasione talaasografloa
del Me<Iiterraneo, in base alle proposte ed agli stndii del Cap. Magnaghi.
Essa si compone del Cap. Magnaghi, del Cap. Serra, del Comm. Baecarini,
del Prof. Targioni-Toxsetti, del Prof. Giglioli quali delegati dei Ministeri,
nonché dei Prof Coesa, Trinehe8e,'Taramelli, Pisat! e del Col. Ferrerò, quali
membri designati dall'Accademia dei Lincei. I^ campagna idrografica sarà
fatta in agosto dal Cap. Magnaghi col Waikk^ton,
— A Napoli ebbe luogo una solenne eomnemonulone di Romolo Oesai.
L'adunanza voti'j un invito al &fìnistro degli esteri di adoperarsi eolle altre
potenze per far ceMar* U tratta dei Negri nel Hudan.
— La Naova BibUotaea deirAgrìeoltora ediU dalla ditta Brigola di Mi-
lano pubblica una Monografia intitolata II Prato di Ottavio Ottavi, noto
per i suoi importanti scritti di cose agricole.
— Il dott Emesto Bchiaparelli ha pubblicato negli Atti dell'Aocademia
dei Lincei una memoria sopra le emlgrasioni degli antichi popoli dell'Asia
minore, studiate col raasidio dei monumenti egiziani. Eaea 4 tratta dalla
404 NOTIZIE.
sua prolusione al cor.so di egittologia presso l'Istituto di studi superiori in
Firenze.
— Il premio Riberi di L. 20000 fu dall'Accademia di medicina di To-
xùno aggiudicato al dott. Giulio Bizzozero professore a quella Università.
Il t«ma del concorso era la Fisiologia del Sangue,
— Sappiamo che la Casa Barbèra pubblicherà quanto prima in due vo-
lumetti, edizione Diamante, le Poesie di Ugo Foscolo (Poesie liriche e sa-
tiriche, Tragedie e Traduzioni) rivedute sulle stampe e con un discorso del
prof. Giovanni Mestica.
Geoi'ge Picot pubblica presso il Calman Levy un volume: M. Dafaure,
ea vie et sa discours.
— A quanto si dice il generale Le Fio già Ambasciatore di Francia a
Pietroburgo preparerebbe per la pubblicazione le sue memorie diplomatiche.
— James Darmesteter prepara presso la libreria Delagrave un volume
di'Essais de lìttérature anglaise.
— Gli editori Charavay ci presentano due volumi sul secolo XVIII: l'uno
di M. Feuillet de Conches sopra Les salons de conversation au XVIII siede:
l'altro di Honoré Bonhomme: Grandes dames et pécheresse au XVIII siede..
— Angustili Filon pubblica presso 1' Hachette un' Histoire de la Lille-
rature Anglaise,
— Juliette Lamber (nota sotto il nome di madame Adam) è autrice di
un nuovo volume Pdienne^ pubblicato dall'OUendorf. É preceduto da una
lettera ad Alessandro Dumas.
— Nella Bibliothèque Universelle del luglio, il conte Carlo Alfieri pubblica
uno studio sullo stato politico e sociale dell'Italia, combattendo il radica-
lismo. Seguendo le idee del Brioschi, del Desanctis ed il recente lavoro del
Turiello dimostra l'importanza e la gravità della questione sociale in Italia.
Nello stesso fascicolo il Marc Mounier conclude le sue piacevoli note di
viaggio pubblicate sotto il titolo Quinze Jours en Italie,
Oscar Lenz prepara presso il Brochkaus di Lipsia la narrazione dei
viaggi intrapresi per invito della Deutsche Afrikanische Gesellschaft. Avranno
per titolo Timbuìcta, Reise durch Marokko, die Sahara und den Sudan.
— Il Dr. A. Reményi ha intrapresa colla collaborazione di Deak, Jokai,
Vambery, ecc., un'opera sopra Das moderne Xlngarn.
— Schiller, sein Leben, und sein Streben è il titolo di un interessante
volume sul grande poeta, e di cui è autore Adelbert Kiihn di Weimar.
— I. Pohle ha pubblicato in tedesco una biografia di Angelo Secchi.
— Il noto Dr. Moritz Busch, pubblicherà quanto prima una nuova opera
sul principe Bismarck in relazione alla politica ed ai partiti tedeschi. Trat-
NOTIZIE. 405
t€rà pure della vita privata del Cancelliere. Se ne prepara eziandio iin 'edi-
zione inglese.
— Il Drugulin di Lipsia ha stampato un fac- simile della lettera di Martin
Lutero « An die Radherm aller stedte Deutsches Lands: das sie Christlielie
Schulen Aufrìchten und Halten soUen. "Wittenberg 1524».
— Otto Brahm pubblica presso l'Auerbach di Berlino uno stadio sul poeta
Gottfried Keller,
— I. Clarissa è autore, presso il Bertelsmann dì Gutersloh, di una uìo-
nografia su Dante.
— L'Hellwald ha iniziata presso Schmidt e Gunther di Lipsia una de-
scrizione illustrata: Amerika in Wort und Bild.
— Presso l'Hartleben a Vienna è uscita la seconda edizione del lavoro
del Wehle: DU Zeitung.
— n SchottISnder di Breslavia pubblica un romanzo di Rudolf Liuiliui,
Der Gast.
■— M. B. Lindaa é autore di una monografìa su Lncas Cranach, r*niioo
di Lutero : fu pnbUicata da Veit e C. di Lipaia.
Lft casa T. V. Whitte annunzia i seguenti nnori romansi: A fa$ktO'
nahle mariagf di Florence Marryat: On fortmg »oil di' M. Montf^mery
Campbell: Poppy di mrs. Beresford: ecc.
— Presso lo stesso editore, mrs. Houstoun, autrice del Rfeommmied (•*
Mrrey pubblica A tooman't tnemories of World-Knoten Men. Vi si parla di
Wordsworth, Croker, Th. Hook, Guglielmo IV Ainswortb ecc.
— Sampson e C. ci presentano due nuovi volumi di viaggi: ano del
Wilfred Powell, relativo alia nuova Guinea sotto il titolo Wandering» m a
rrild country: l'altro «ul Bengal del Florio HatchisAon, sotto il titolo di /V.t
and Ffncil Sk^tdtet.
— Edward A. Prtemamn pubblica preeso il Macmillan alcune rìcerclie
fltorìche illostrsle relative ad Engliak Town» 9wi Dùtriet».
■ - \J Atnèemg del 7 loda aswil gli fHnidi tm Lhnlrf del prof. Raffaello
l'irnaciari.
-• Th'' eronointe JitooliUion nj innta v ii titoio «ii un opera che A. K.
Connell prepara prewo U Kegaii. Sarà In parte una risposta al lavoro di «ir
trachey, Fimtmee» ami PMio Work» of India.
— L'ottima serie di manuali per il cittadino inglese conterrA fra breve
due nuovi fasciooli, ano di L S. Cotton tvWIndia, l'altro di K. I. Pajiic
sotto il titolo Coloni»» and Dependende».
— James Stevenson ha pubblicato an piccolo manuale illustrato dei fiumi
delI'AATrica intitolato Thr H'atn" Ilighvoay» of the InUrior of Africa,
— Il niackieood"» mayatinr del loglio contiene on articolo sol Rinaldo
•li Torquato Tasso.
406 NOTIZIE.
— Sono molto encomiati i saggi critici e letterari testé pubblicati dal
P. W. Myers presso il Macmillan.
— Mackenzie Wallace prepara presso il Macmillan, un volume intitolato
Egypt and the Egyptian Queation.
— Gli editori Kegan Paul annunciano un nuovo volume di Henry
Maudsley: Body and Will: un libro sul Giappone di Holtham, ed un volume
sul paese dei Zulù di Bertram Mitford.
— Presso Alien e C. è uscita una biografia di Alessandro II e di cui é
autore un anonimo e diligente studioso delle cose di Russia.
— L'Athaeneu.n del 7 corr. dedica un lungo artjpolo di lode al Machia-
velli del prof. Villari, di cui fu pubblicata una traduzione in inglese dal-
l'Americano Detmold.
Mary Morgaret Heaton autore d'opere relative alla Storia dell'arte mo-
riva in età di 47 anni.
— Il Barb direttore dell'Accademia orientale a Vienna moriva nell'età
di 47 anni.
— È morto a Vienna il prof, di ai'chitettura barone Ferstel costruttore
del Museo, e dell'Università.
— Monsignor Mirabelli chiaro latinista, professore nella R. Università
di Napoli cessava di vivere il 2 luglio.
— Il 10 luglio moriva in Firenze il professore Filippo Pacini professore
all'istituto di studi superiori (Sezione di medicina) uomo illustre e noto per
diverse scoperte in particolare per quella della respirazione artificiale.
Prof. Fr. PROTONOTARI, Direttore.
Davh) MABCuiONNif Responsahile.
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SOCIETÀ AXOMMA L'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE
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Il primo volume si è cominciato a publicarc nell'aprile o con-
tiene:
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moderna. — Er.skink May, Storia della Democrazia in Eu-
ropa,— ToQUKVlLi.K. La Dcmtjcrazui in Americo,
BERNARDO CEIENTANO
DUE SETTEMI NELLA PITfURA
NOTIZIE E LETTERE INTIME
PUBBMCATB
NKL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE
DAL FRATELLO LUIGI
EOMA
TIPOGRAFIA BODONIANA
1883
PARALLELI LETTERARI
PERCY BYSSHE SHELLEY e GIACOMO LEOPARDL
Molto si parlò delle cause che indussero il Leopardi a la-
sciare le vecchie credenze per le sconsolate dottrine, di cui sono
informate le sue prose e poesie. La filosofia francese dell'ultimo
secolo, le malattie, l'angustie famigliari, la solitudine di Recanati
e l'amicizia di Pietro Giordani si tenne che fossero i principali
motivi di questa trasformazione del suo animo e del suo ingegno.
Si parlò molto anche di quella scuola poetica, che fece suo
tema il dolore, il dolore mondiale, Weltschmerz, come lo chia-
mano i tedeschi : scuola, in cui sono illustri i nomi di Byron,
Shelley, Platon ed Heine ; ma per qual via questo spirito di
disperata tristezza entrasse nell'anima ingenua del giovine re-
canatese, non mi sembra abbastanza chiarito. In una dolio molte
prefazioni alle poesie del Leopardi ti dico eh' egli si aperse
innanzi una vìa dove non era vestigio prima di lui. Ciò non ^
vero: Byron e Shelley lo hanno preceduto; e Byron e Shelley
vivevano in Italia, quando l'ingegno di Leopardi metteva i
primi frutti. M' è nato quindi il sospetto che gli scritti di questi
due Inglesi siano stati conosciuti da lui; o almeno cho dai col-
loqnii col Giordani e con altri abbia preso ad ammirare e per
naturale parentela di spirito a seguire quella loro forma di poe-
tare. Verrebbe da ciò che la poesia leopardiana non sia cho In
continuazione dei canti del Conaro e della Rivolta ddl'hlnm, ma
con forma diversa, dirò anzi originalissima, secondo la smitarata
potenza dell' ingegno del Leopardi e l' indolo della nostra pocs'a.
l'arlorò dopo dello Shelley; ora dirò ;ilenna cosa del bo jiorn<
Tm. XL, Urta II— 1 AgMt* im.
410 PARALLELI LETTERARL
del Byron in Italia, e della opinione che di lui avevano il Monti
ed il Giordani, de' quali il Leopardi giovinetto venerava i
giudizii.
Lord Byron giunse a Milano circa la metà di ottobre 1816.
Veniva dalla Svizzera, ove avea passato qualche mese collo
Shelley attraversando que' laghi, salendo quelle montagne e vi-
sitando i luoghi resi famosi dalla dimora di Voltaire, di Gibbon e
della Stael. Frutto di questa peregrinazione furono il terzo canto
del Giovane Araldo e il Prigioniero di Chillon. Veniva in Italia
preceduto dalla fama grandissima, che in tutta Europa gli
aveano acquistata il Giaurro, la Sposa di Ahido, il Corsaro,
Lara e la Parisina. La sua gioventù, la bellezza, la forza cor-
porale di cui si narravano prove meravigliose; il mistero che cir-
condava le cause del suo divorzio e del suo esiglio dall'Inghil-
terra; e la splendida vita, che le sue grandi ricchezze gli per-
mettevano di condurre con fasto di servitori, di cavalli e di
medico proprio, non poteano non eccitare la meraviglia de' Mi-
lanesi caduti, dopo i gloriosi tempi del regno italico, nel sonno-
lento torpore della dominazione austriaca. Da Milano scriveva
a Londra al suo editore Murray sulla bellezza del Duomo e
sui tesori che si conservano nella biblioteca ambrosiana, fra i
quali nota con particolare interesse le lettere autografe di Pietro
Bembo e di Lucrezia Borgia, di cui sperava trar copia. Termina
la lettera con dire, che fra pochi giorni si sarebbe trovato col
Monti.
Enrico Beyle, più conosciuto sotto il nome di Stendhal, nella
sua Storia della pittura in Italia narra come nell' autunno del
1816 conoscesse in Milano il Byron ed il Monti. Traduco il
passo : « ho veduto Byron al teatro della Scala nel palco di
Lodovico di Breme. Fui colpito dallo splendore de' suoi occhi,
mentre ascoltava un sestetto nella Elena di Mayer. Non ho
veduto in vita mia niente di più vivo e parlante. Anche oggi
se penso quale espressione un pittore dovrebbe dare al genio,
quella testa sublime mi viene innanzi al pensiero. Preso d'en-
tusiasmo e dimenticando quella giusta ritrosia, che deve avere
ogni uomo di farsi presentare a un lord inglese, pregai il di
Breme che m' introducesse da lord Byron. Mi trovai il giorno
dopo a pranzo in casa di Breme con lui e col Monti, l'immor-
tale autore della Bassvilliana. Si parlò di poesia, e si venne a
chiedere quali fossero i più bei dodici versi che in questo ul-
timo secolo fossero scritti in francese, italiano ed inglese. Gli
i
i
PARALLELI LETTERARI. 411
italiani si accordarono in dire che i dodici primi versi della
Mascheroniana di Monti era quanto di più bello si fosse scritto
nella loro lingua da un secolo in qua. Il Monti consenti di
recitarli: io guardai lord Byron, che ne fu rapito. Ogni tratto
di alterigia, o piuttosto quell' aria di uomo che si dispone a
respingere un importuno, la quale deformava alquanto la sua
bella presenza, sparve suU' istante per dar luogo aHespressìonc
della gioia. Il primo canto della Mascheroniana, che Monti re-
citò quasi tutto, fra le acclamazioni degli uditori, cagionò vi-
vissima sensazione all'autore àeW Araldo. Io non dimenticherò
mai la divina espressione de' suoi lineamenti: era l'aria serena
della potenza e del genio; io credo che in quel momonto lord
Byron, non aveva affettazione alcuna da rimproyerarsi. n
Ugo Foscolo era esule in Londra; nò certo poteva lodarsi
ne del di Breme ne del Monti, come apparo dalla lunga e
bellissima lettera a Silvio Pellico 30 settembre 1818. 11 Byron
ed il Monti si trovarono spesso insieme, e so stiamo alle pa-
role dell'ultimo, pare che convenissero nelle loro dottrine poe-
tiche. Il Monti in una lettera a Tebaldi Forea del 30 norembre
1825, nella quale difende il suo famoso Sermone aulla MitolotjiOy
dice: u Ho trattato amichevolmente lord Byron nel suo sog-
giorno di quindici giorni a Milano. Sapete voi eh' egli fremea
di sdegno se alcuno per avventura, credendosi di onor-\rlo, en-
trava nelle lodi della scuola romantica? E nel senso che oggi
a* intende, nessuno fu romantico più di lui. Ma egli sdegnava
un tal nome per non trovarsi compagno all' infinita turba dogli
sciocchi che disonorano questa nobile scuola, n Lo stesse coso
avea detto all'annunzio della morto di Byron In una lettera a
T.i-liabò del 24 maggio 1824. u La morte di lord Byron è una
'^v.iì\ perdita por lo Muse. I romantici il voglion tutto loro. Ma
^■^\\ nutrito ne' gravi studii dtri classici greci o latini dotestaTa
la setta romantica, come la più frivola o pas»i di quante mai
7 ro in Elicona; o il suo ronnaDticismo è d'un genore cosi
. che Omero medesimo perdonerebbe, n
E nota r intima amicizia del Monti e del Giordani cho in
quell'anno IHlfJ con Broyslnk od Acerbi attendevano in Milano
mlhv compilazione della liiblioteca italiana. Duo unni dopo il
Giordani si trovava col Byron in Venezia, corno appare da
uesto brano di una sua lettera a Gaetano Dodici, 3 luglio
818: u un'altra mia conoscenza farà molta invidia. La danni
che tiene la più numerosa conversazione di Venezia, ti miao in
il 2 PARALLELI LETTERARI.
testa che dovessi parlare con lord Byron, che la frequenta, e
non vuol parlare con nessuno, fuorché con qualche inglese. Egli
dapprima ricusò come suole: poi condiscese, a patto che non
gli parlassi delle sue opere, non di poesia, peggio poi di ro-
mantici, ch'egli abbomina ! (e sai che essi l' hanno costituito lor
patriarca, anzi idolo). Io osservai i patti; e i nostri parlari fu-
rono poi sempre sì lunghi e intimi, che la conversazione nu-
merosa ne meravigliava e ne rideva. I nostri discorsi erano di
filosofia politica: odia con disprezzo i francesi che in 25 anni
han mutato 19 volte governo e opinioni : detesta il governo in-
glese, tiranno della sua nazione e del mondo; ne dispera affatto
del genere umano. Parlavamo dell' Italia : parlavamo de' suoi
viaggi. Fu due anni in Grecia, dove imparò l'italiano che parla
assai bene. Ha faccia rotonda e bella: dicono però che ora
sembra un altro ; e che la sua bellezza fu eccellentissima e
mutata da poco in qua. Nulla afi'atto trovai in lui dell'arroganza
d'un uomo in tale gioventù tanto famoso : nulla della superbia
inglese : nulla del disprezzo che ad alcuni pare che dimostri
universalmente. Più volte mi lasciò vedere il ritratto della Se-
gatti, veneziana già da lui amata (e cominciò dal soccorrerla
liberalmente assai nelle sue strettezze), donna semplice, e che
egli ha lasciata. Di sua moglie non gli avrei parlato ; e già
sapevo ch'è stranamente dotta, espertissima del greco e sempre
innamorata di lui: non so con quale occasione egli mi dicesse
una volta che non aveva potuto sopportare la sua troppa di-
vozione.
Più volte Dii esortò a stabilirmi in Venezia, acciocché po-
tessimo vederci spesso ; avendovi egli fermato l'appartamento
per tre anni. Grii parlai dell' Ellesponto passato a nuoto : mi
confermò con molta semplicità il fatto ; dicendomi che fu per
una scommessa; ma che era ben altra cosa avere passata la
foce del Tago, tanto più larga e pericolosa; ma non se ne fa
romore, perchè non ha fama dai poeti, n
E lord Byron, come si legge nelle sue Lettere e Giornali
raccolti da Tommaso Moore, diceva di Giordani : u Con letterati,
in genere, non vo d'accordo: non ch'io li disami; ma lodata
ch'io abbia a ciascuno di essi l'ultima sua opera, non mi so più
che dirgli. Eccettuo, per verità, parecchi; ma questi, o uomini
di società, quali lo Scott e il Moore ecc.; o visionari, fuori di
essa, come lo Shelley, ecc. L' ordinario letterato non fu mai
verso che ci accoppiassimo : massime se forastiero, che non ho
PARALLELI LETTERARI. 41
o
mai potuto soflfrlre; salvo il Giordani e... e... e... (in fede mia
non 80 nominare un altro), n
Due mesi dopo questi colloqui del Giordani col Byron nello
stesso anno 1818 il Giordani era a Recanati, ove rimase un
paio di settimane. Sino dall' anno innanzi il Leopardi era en-
trato in commercio di lettere coli' illustre Piacentino, al quale
sin dapprincipio non aveva nascoso l' infelice tenore della sua
vita. Nella lunga lettera del 30 aprile 1817 parlando di Reca-
nati gli dice: u ed io di diciotto anni potrò dire: in questa ca-
verna vivrò, e morrò dove son nato? le pare che questi desi-
deri si possano frenare? che siano ingiusti, soverchi, sterminati?
che sia pazzia il non contentarsi di Recanati? L'aria di questa
città r è stato mal detto che sia salubre. E mutabilissima,
umida, salmastra, crudele ai nenù e per la sua sottigliezza
niente buona a certe complessioni. A tutto questo aggiunga
l'ostinata, nera, orrenda, barbara malinconia che mi lima e mi
divora, e collo studio si alimenta e senza studio si accresce. So
ben io qual' è, e l' ho provata, ma ora non la provo più, quella
dolce malinconia che produce le belle cose, più dolce dell'al-
legria, la quale, se m'è permesso di dire così, è come il cre-
puscolo, dove questa è notte fittissima e orribile; è veleno,
com'ella dice, che distrugge le forze del corpo e dello spirito.
Ora come andarne libero non facendo altro che pensare, e vi-
vendo di pensieri senza una distrazione al mondo ? n Ed un
altra lettera dell' 8 agosto allo stesso Giordani : u Mi fa infelice
primieramente l'assenza della salute, perchè oltreché io non
sono quel filosofo che non mi curi della vita, mi vedo forzato
a star lontano dall'amor mio, eh' è lo studio. L'altra cosa che
mi fa infelice è il pensiero. Io credo che voi sappiate, ma spero
che non abbiate provato, in che modo il pensiero possa cru-
ciare e martirizzare una persona, che pensi alquanto diversa-
mente dagli altri, quando V ha in balia, voglio dire, quando la
persona non ha svagamento e distrasione, o solamente lo studio
il quale perchè fissa la mente • la ritiene immobile, più nuoce
di quello che giovi. A me il pensiero ha dato por lunghissimo
tempo e dà tali martiri, por questo solo che m' ha avuto sempre
e mi ha interamente in balia (o vi ripeto, senza alcun desiderio)
che mi ha pregiudicato evidentemente e mi ucciderà, se prima
io non muto condiziono. Abbiate per certissimo che io, stando
come sto, non mi posso divertire più di quello cho fo, che non
mi diverto niente. InBonima la solitudine non è fatta por quelli
414 PARALLELI LETTERARL
che si bruciano e si consumano da loro stessi, n E nella lettera
2 marzo 1818: u io mi sono rovinato con sette anni di studio
matto e disperatissimo in quel tempo, che mi si andava for-
mando e mi si doveva assodare la complessione. E mi sono
rovinato infelicemente e senza rimedio per tutta la vita, e ren-
dutomi l'aspetto miserabile e dispregcvolissima tutta quella parie
dell'uomo, eh' è la sola a cui guardino i più, e coi più bisogna
conversare in questo mondo ; e non solamente i più, ma chic-
chessia è costretto a desiderare, che la virtù non sia senza
qualche ornamento esteriore, e trovandonela nuda affatto, s'at-
trista e per forza, di natura che ninna sapienza può vincere,
quasi non ha coraggio di amare quel virtuoso, in cui niente è
bello fuorché l'anima. Questa ed altre misere circostanze ha
posto la fortuna intorno alla mia vita, dandomi una cotale aper-
tura d' intelletto, perch' io le vedessi chiaramente e mi accor-
gessi di quello che sono, e di cuore perchè conoscesse che a
lui non si conviene l'allegria e, quasi vestendosi a lutto, si to-
gliesse la malinconia per compagna eterna e inseparabile. Io
so dunque e vedo che la mia vita non può esser altro che in-
felice : tuttavia non mi spavento, e così potess'ella essere utile
a qualche cosa, com' io procurerò di sostenerla senza viltà, n
Tal' era la disposizione di spirito nel Leopardi quando nel
settembre del 1818 era visitato dal Griordani. Appare dalle let-
tere che ho citate, come i lumi ed i conforti della fede già gli
fossero dileguati dall'anima; e come le parole dell'amico non
possano avere avuta altra efficacia che di averlo confermato
nelle prese risoluzioni. Io non dubito che nelle lunghe passeg-
giate che fecero insieme per que' colli cantati così spesso dal
poeta, il Giordani non gli parlasse del Byron, di cui portava la
viva memoria di poche settimane innanzi. L' esempio di un
uomo famoso, che sotto lo sfarzo di una vita quanto romorosa
altrettanto dissipata, non era meno infelice di lui, deve avere
avuto grandissima forza sull'anima del giovane recanatese. La
corporale bruttezza, di cui si lagna nella lettera che ho citato,
era potentissimo sprone per aspirare alla gloria, come dice
nell'Appressamento della morte: « Fama quaggiù sol cerco e
fama attendo. r> Anche Byron intende di se, quando dice nel
Deforme trasformato', u la bruttezza è piena d'audacia: è dt
sua natura sorprendere l'umanità col cuore e coll'anima, e farsi
eguale anzi superiore al resto degli uomini. Ne' suoi passi di
zoppo v' ha uno sprone a divenire ciò che non possono essere
PARAXLELI LETTERARI. 415
gli altri per compensare V avarìzia, che ebbe dapprincipio con
lei la ma+rigna natura, n
Il Byron zoppicava leggermente. Questo difetto, che cercava
con ogni studio di coprire, lo irritava sino da fanciullo. Narra
il Moore, com'egli si sentisse preso di sdegno e di orrore quando
la madre in un accesso di stizza, lo chiamava : zoppo babbuino ;
soggiunge che ciò gli fu stimolo a cercare distinzione e gloria
nello studio. Lo stesso Bvron in una lettera a Leigh Hunt di-
chiara che la vocazione poetica è spesso un effetto d'una indispo-
sizione di spirito in una indisposizione di corpo, e soggiunge che
l'indisposizione o la deformità si accompagnarono spesso col-
r ingegno poetico ; porta in esempio i nomi di Collins, Chat-
terton, Cowper pazzi, di Pope gobbo e di Milton cieco. Il Goethe
ha detto che il genio del dolore ha dettato la poesia del Bjron;
fu un iroso dolore che lungi d'abbattere quell'anima superba e
sdegnosa, le diede armi terribili contro la società del suo tempo,
la quale non paga di rinfacciargli le vere sue colpe, lo perse-
guitava di paese in paese con le più strane e nere calunnie.
La vita solitaria del Leopardi lo salvò da queste collere contro
il genere umano: lo condusse invece a lagnarsi • sdegnarsi
della natura che lo avea creato al dolore. L' ira, se ben si
guarda, fu la musa dell'uno e dell' altro : più violenta nell' In-
glese, più contenuta nell' Italiano pe' maggiori freni dell'educa-
zione e dell'arte. Che i poemi del Byron siano stati letti dal
Leopardi io non so dubitarne. La lingua inglese si studiava e
si conosceva in quella gentile e colta famiglia. Io possiedo l'au-
tografo d'una versione dall' inglese di Lady Montagu fatta da
Carlo Leopardi, il prediletto fratello, giovanissimo. Devo il dono
prezioso alla cortesia della vedova di lui. Ho chiesto al conte
Giacomo, erede delle sostanze e della gloria della famiglia, se
nella biblioteca domestica esistesse opera alcuna del Byron, che
potesse essere stata letta in suo vivente dal zio. Mi rispose ohe
vi si trova una traduzione del Cor$aro fatta da un L. C. e
stampata in Milano nel 1820, che nella copertina porta scritto :
Libro di Paolina, per cui si può credere che sia uno di quei
molti libri che il poeta veniva mandando alla sorella nella sua
aatenxa dalla (amiglia. Soggiunge che lo opere del poeta inglese
^ possono essere state fatte conoscere dal suo cugino mar-
chese Giuseppe Antìci, uffiziale di Napoleone I, che avea veduto
molte parti di Europa e posto grande amore allo letterature
straniere. Del rimanente che i poemi del Pvr'^n '« nella loro
416 PARALLELI LETTERARI.
lingua 0 tradotti nella nostra corressero a que' giorni in Italia
abbiamo molte testimonianze; ne parla lo stesso Byron nelle
sue lettere all'editore Murray ; e Pellegrino Rossi, per non dir
d' altri, prima del 1819, in cui esule nella Svizzera cominciò
la sua gloria di profondo legista, diede tradotti in versi la
Parisina, il Corsaro ed il Giaurro.
Il Byron ed il Leopardi espressero nudamente e francamente
i loro pensieri, che contrastavano colle opinioni e credenze dei
più; li espressero collo stesso vigore, ma con forma diversa. Il
Leopardi mette innanzi se stesso : il Byron vive e si agita nei
personaggi de' suoi poemi; il Giaurro appiedi del frate, il Cor-
saro, che si stacca da Medora, Alp che guarda al passaggio
della nuvola, Manfredo chinato sul precipizio, Azzo, che giudica
Ugo e Parisina, Marin Faliero, Sardanapalo e Caino, sono sem-
pre il Byron colle sue passioni e rimorsi. L'Europa lo raffigurò
dietro il velo della favola; ne si tenne dal giudicarlo secondo
il valore morale delle sue creazioni poetiche ; il che non accrebbe
certamente l'onore del suo nome. Anche il Leopardi parlò qual-
che volta per bocca altrui : Bruto, Saffo e Consalvo non espres-
sero che i suoi dolori e la sua disperazione. Trovo nel Consalvo
leopardiano un' eco del Corsaro del Byron. Consalvo è il nome
del segretario del Corsaro ; e ciò che questi domanda nel canto
terzo a Gulnara, non è che il bacio che il Consalvo del Leo-
pardi domanda ad Elvira:
Yet even Medora might forgive the kiss
Thatask'd from so fair no more than this,
The first, the last that frailty stole from faith —
To lips were love had lavish'd ali his breath,
To lips — whose broken sights such fragrance fling,
Aa he had fano'd them freshly with his wing!
Anche i versi della Parisina dopo il bacio:
And what unto them is the world beside,
With ali ita change of time and tide?
chiamano alla mente que' del Leopardi :
Che divenisti allor? quali apparirò
Vita, morte, sventura agli occhi tuoi,
Fuggitivo Consalvo ?
Nel poemetto giovanile di Leopardi, 1' Appressamento della
Morte v'ha l'episodio di Ugo e di Parisina, tolto senza fallo
PARALLELI LETTERARL 417
dal Bjron, che avea pubblicato il suo poemetto un anno innanzi
nel 1815. La poesia di Leopardi si accusa di poca varietà, anzi
di monotonia. Io dirò che il Bjron per diverse che siano le
situazioni, in cui colloca i suoi personaggi, cioè se stesso, riesce
più uniforme del Leopardi nell'effetto sull'animo de' lettori. Il
Bjron, nato per la lirica e per la satira, volle essere dramma-
tico nel senso più largo della parola; ma non seppe molto va-
riare né la tela, né il colorito, come esige la drammatica. Anche
le sue donne, Aidea, Leila, Zulica, Medora e Gulnara sono
d'uno stesso tipo ; e posta l'una nelle condizioni dell'altra non
avrebbe operato in guisa diversa: né v'ha fra loro la distanza
che separa la Silvia e la Nerina àd^W Aspasia e àsW Elvira del
Leopardi ; il quale attenendosi alla forma lirica mostrò d'inten-
dere la natura del suo ingegno più che non fece il poeta bri-
tanno.
Più giovane di quattro anni del Byron e di sette più vec-
chio di Leopardi, Percy-Bisshe Shelley venne in Italia nel 1816,
ove rinnovò l'amicizia col cantore del Corsaro, già contratta
due anni innanzi sulle montagne e sui laghi della Svizzera. A
veder quella sua faccia infantile che, come di una verginella,
arrossiva di nulla: que' grandi occhi limpidi e pensosi, e quel
gracile corpo vestito strettamente di nero, non si avrebbe pen-
sato che sotto quelle spoglie albergasse uno spirito in aperta
ribellione con tutte le leggi, che governano l'umano consorzio.
Dirò nondimeno, che Shelley arditissimo nelle sue filosofiche
conclusioni, rispettava le regole del viver sociale ; e che dopo
le seconde sue nozz»i (questo odiatore del matrimonio fu marito
due volte), la sua vita fu ben lontana dalle tresche a cui s'ab-
bandonava il Byron in Venezia ed altrove. La sua giornata era
quella d'un eremita. Si levava per tempissimo, passeggiava e
leggeva alquanto prima dell'asciolvere che era frugalissimo;
studiava e scriveva la più parte della mattina; passeggiava e
leggeva di nuovo; pranzava di soli vegetabili, non avendo mai
gustato né carni né vino: la sera leggeva alU moglie sino alle
dieci ore ; poi andava a Ietto. I suoi libri prediletti erano Omero,
Platone, i Tragici greci e la Bibbia; era specialmente entusiasta
del Libro di Giobbe. Nel Nuovo Uetamento VEpitiola di San
Oiacomo ed il Sermone detta Montagna Io empievano di pro-
fonda ammirazione.
I^ poesia dolio Shelley, come quella del Leopardi, deriva
dalle dottrino degli antichi filosofi, ringiovanite da Montaigne,
418
PARALLELI LETTERARI.
Bacone, Locke e dai moderni sensisti. Il poeta britanno, come
il recanatese, hanno gettato sulla nudità di que'vecchi sistemi
la splendida veste della loro immaginazione, colla differenza che
nel primo sovrabbonda la fantàsia,nel secondo il ragionamento.
Lo Shelley nella introduzione alla Rivolta dell' Islam dice di
sé: «V'ha Tina educazione poetica, senza la quale il pensiero
ed il sentimento possono difficilmente manifestare la loro po-
tenza. Io la ebbi questa educazione; i casi della vita me l'hanno
procurata. Sino dall'infanzia io vissi nel seno delle montagne,
sovra i laghi, in faccia al mare, nella solitudine delle selve. Il
pericolo, che si dondola sull'orlo degli abissi, fu il mio compa-
gno di giuoco. Ho calcato i ghiacciai delle Alpi; sono vissuto
sotto lo sguardo del Monte Bianco. Ho percorsi, errante viag-
giatore, paesi lontani. Discesi le correnti dei fiumi : dalla barca,
ove ho passati i giorni e le notti, ho veduto levarsi e coricarsi
il sole e riempiersi il cielo di stelle. Nelle città popolose ho
seguito i moti tumultuosi della folla incostante. Passai sovra le
terre che la tirannia e la guerra aveano funestate; passai per
villaggi e città incendiate, dove la miseria affamata giaceva
ignuda sulle ruine delle annerite muraglie; conversai cogli in-
gegni viventi. La poesia greca, la romana e quella del mio
paese ebbero per me le -stesse lusinghe e le stesse rivelazioni,
ch'ebbe per me la natura. Tali sono le sorgenti, a cui ho ab-
beverato il mio spirito, n E chiaro che questa vita tanto variata
di strane avventure dovea imprimere all'ingegno dello Shelley
un movimento ben diverso, che la vita ristretta, uniforme, noiosa
di Recanati non impresse a quello del Leopardi. La poesia
dello Shelley si avvolge di un sottile ed abbagliante splendore
che dapprincipio offusca la mente de' lettori; poi sotto quel velo
a poco a poco si scoprono i suoi filosofici intendimenti che
sono : un'intima corrispondenza di affetto con tutto l'universo
sia della materia, sia dello spirito : un ardente desiderio di gio-
vare al genere umano: una sdegnosa impazienza d'ogni tirannia
e d'ogni superstizione ; ed un segreto dolore che le forze d'un
nomo non siano pari al desiderio; ne sia pari a tanto amore
l'accoglienza che gli vien fatta dagli uomini. Lo Shelley sde-
gnato della calcolatrice freddezza del secolo si getta nei campi
selvaggi della fantasia; ma nelle sue stesse più strane visioni,
come la Regina Mah e la Fata dell'Atlante, non dimentica mai
l'umana società, di cui flagella le colpe e vorrebbe sanare le
piaghe. Era un visionario, come l'ha detto il Byron ; un visio-
PARALTELI LETTERARI.
419
nano che da un lato toccava la sommità del genio, dall'altro la
follia. Questo uomo, che non tremava innanzi alle più spaven-
tose convulsioni della natura; che sovra un piccol legnetto, che
si era fatto costruire a Genova, affrontava imperterrito le burra-
sche del Mediterraneo, in cui finalmente periva, quest'uomo tre-
mava, impallidiva, sveniva a un racconto fantastico : i siti paurosi,
che aveva veduti una volta, ricordava con visibil raccapriccio ;
cadeva a terra come per accesso catalettico e la sua intelligenza
si sviava per campi misteriosi dietro i sogni dell' amore e la
sete dell'infinito.
Prima che il Leopardi appiè del Vesuvio scrivesse la sua
Ginestra, Shelley nel 1818 avea scritto le Stanze in tristezza
jpreato Napoli. La morte avvenuta in que'luoghi di una giovane
inglese che, pellegrina d'amore, avea seguito il poeta in tutti
i suoi /iaggi nel continente, gl'inspirò que'bei versi ne'quali al
sorriso di quel mare e di quelle nevose montagne imporporate
dal sole del mezzogiorno, oppone la nera melanconia che op-
primeva il suo spirito. Le do tradotte:
£ calda l'aria, cristallino il cielo
E l'acque del Tirren splendono in daaia:
Veste il merìggio di purpureo velo
Aanure itole e nevi in lontanansa,
Lango i oespogli ancor senza fragranaa
Lieve un'umida brezza agita il volo;
£ qual d'antiche gioie rìmembranza
U romor cittadino e l'usignuolo
L'ermo confin mi fan parer pia solo.
Veggo la riva inospitai del mare
Di Tcvdi e rubiconde alghe rìpieiia;
E veggo il flutto che sliiftvuige e pare
Uaa piogfia di staUe in MUl'areaa.
Siedo aolingo : la eretoente piena
Dell'Oceano intorno mi sfarilU;
E fuor dell'onde, che toq^inge e fiena
Alterno moviaiento, una traaqnilla
Mnaiea «Meode che l'oblio distilla.
Ahiaél Di ipenie e di saluto un raggio
Io pi& non ho : non dentro o di fuor calma :
Non ho la gioia, che derìva al saggio
Dalle sublimi indagini dell'alma,
Onde d'interna ineormttibii palma
Va coronato. A me lieta rentora
Mai non arrìse: ho onore inlenno e
Ride agl'sltri la vita: a me natura
Qoesto nappo colmò d'altra miMira.
420 PARALLELI LETTERARI.
Pur oggi é dolce lo sconforto istesso;
Cosi dolce é la brezza e dolce l'onda !
Come fanciullo da stanchezza oppresso
Singhiozzando io mi getto in sulla sponda,
E piango, piango l'aspra ed ingioconda
Soma che porto e porterò, se l'ale
Pria non apre la morte e non circonda
Sotto questo bel sol d'ombra il mio frale,
Né mi mormora il mar l'ultimo vale.
Il Leopardi nel Tramonto della Luna, più che nella Ginestra,
ha qualche cosa di questa accorata malinconia dello Shelley.
Anche il Tramonto della Luna fu scritto appiè del Vesuvio.
Che gli scritti dello Shelley fossero noti al Leopardi, io non
posso con certezza affermare, ma certi tratti e certa corrispon-
denza d'immagini per poco non m'inducono a crederlo. Lo Shel-
ley nell'ode alla Luna:
Art tha pale for weariness
Of climbing heaven, and gazingon the earth:
il Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia:
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni colli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
E nel secondo de' Paralipomeni :
Ma già dietro boschetti e coUicelli
Antica e stanca in ciel salìa la luna.
Shelley neìV JEpipsychidion.
Seraph of Heaven ! too gentle to be human,
Verling beneath that radiant form of Woman
AH that Ì3 insupportable in thee
Of ligth, and love and immortality!
I never though before my death to see
Youth's vision thus made perfect ....
There was a Being whom mi spirit oft
Met on its visioned wandering, far aloft ....
Il Leopardi nel Canto alla sua donna:
Cara beltà, che amore
Lungi m'ispiri, o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti....
PARALLELI LETTERARI. 421
—Viva mirarti ornai
Nulla speme m'avanza,
Se allor non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza
Verrà lo spirito mio
Se dell'eterne idee
L'ana sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l'eterno senno esser vestita,
0 se altra terra ne'superni giri
Fra mondi innumerevoli t'accoglie....
Lo Shelley nell'Inno alla Bellezza intellettuale si lagna, che
siasi dileguato dall'universo quello spirito della Bellezza, che
del suo divino colore tingeva tutte le cose. Eccone la mia ver-
sione :
IkITO alla BsLLEZZÀ urrBLLKTTVALE.
Di non visto poter l'ombra tremenda
Flattua fra noi: con fuggitive penne
Qaesta varia del mondo immensa scena
Visita e passa, come soffio estivo
Che va di fiore in fior: come di lana
Tremolo rargio dietro gli ardui pini
Della montagna: il fug^tivo sguardo
Getta ne'cuorì e nelle menti umane,
Pari a'colori di tranquilla sera
Ed alle nubi di stellata notte;
Pari al ricordo di cessati suoni;
Pari a quanto é quaggiù di più giocondo,
A cui grazia e valor cresca il mistero.
Spirito di Beltà, che col tao riso
Ogni pensiero e temi ed ogni forma
Sovra cai splendi, ove set tu? Le penne
Perché volgesti altrove e sconsolato
Al tedio, al pianto abbandonasti il mondo?
Io chiedo al ciel, perché del sole il raggio
Perpetna sona d'iridi non tesse
Sovra le spume di torrente alpino:
Per^é mente la solla e non matora
Qael dM dell'uomo vi geU& la mano;
Perehé sogni e terror, calle e sepolcri
Di tanto buio attristano le aurore
Del viver nostro; perché l'uom si muta.
Ama ed abborre, s'abbandona e spera.
Voee discesa da'supemi cieli
Al poeta non die. non diede al soft)
Cotal responno. Di lor vane inchieste
Moosmeato quaggiù vivono i nomi
422
PARALLELI LETTERARI.
Di genio e spirto: nebulosi miti
Che col linguaggio lusinghier non sanno
Scevrar da quanto l'uomo ode e contempla
L'acerbo dubbio ed il mutabil caso.
Sol la tua luce, come bianca falda
Di neve sovra l'alpe; o come suono
Che dalle corde d'invisibil arpa
Elice il vento della notte; o come
Raggio di luna in solitario fiume,
Dona grazia e splendore all'inquieto
Della vita mortai perpetuo sogno.
Amor, speranza e quel del proprio merto
Intimo senso, come rotte nubi
Vengono e vanno e non han posa un'ora.
D'eternità, d'onnipotenza il vanto
Nostro sarebbe, se tu, dia Bellezza,
Sconosciuta e terribile qual sei,
Col tuo corteggio glorioso un trono
Stabile avessi in noi. Tu messaggera
Del dolce foco, che s'aumenta e scema
D' innamorati giovani nel guardo :
Dell'umano pensier tu pia nutrice,
Come a morente laeapada la notte!
Quando vien l'ombra tua, con essa a lungo
Fra noi rimani : oh, non partir ! La vita
Senza i tuoi rai non è ch'uno sgomento
Ed una tomba illacrimata il mondo.
Ero fanciullo e per deserte sale,
Per antri e per mine interrogando
10 già l'ombre de'morti : in cupe selve.
Delle stelle al chìaror, con paurose
Orme seguiva indomita speranza
Di parlar co'defunti eccelse cose.
Sussurrava le magiche parole.
Che sono incanto a' fanciulleschi orecchi;
Ma l'ombre non m'udir, né spettro apparve.
Un di sedendo e meditando assorto
Sul destin della vita, al dolce tempo
Che l'aure amoreggiando ogni creata
Cosa tolgono al sonno, e degli uccelli
E delle rose annunziano il ritorno.
Repente l'ombra tua sovra mi cadde;
Misi uno strido e le man giunsi estatico!
Giurai, diva Beltà, tutte sacrarti
Le mie potenze. Non mantenni il giuro?
11 cor mi batte e nuotan gli occhi in pianto.
Mentre ti parlo e dalle mute tombe
Desto di mille e mille ore i fantasmi;
Fidi fantasmi, che con me vegliando
PARALLELI LETTERARL 423
In begli studi od in pensier d'amoie
Ingannarono il voi d'in vide notti.
Sanno ben essi che giammai di gioia
Sulle mie guance non trascorse un lampo,
Senza la speme, che per te disciolto
Da sue nere catene andrebbe il mondo ;
Che tu, diva Beltà, dato gli avresti
Quanto immagina il cor né il labbro esprime.
Quando varcata del meriggio è l'ora,
Kide più sgombro e più solenne il giorno:
Dopo la state, a'rai d'autonro, il cielo
S'ammanta d'un seren prima non visto,
E son le cose tuttequante al guardo
Un'armonia. La tua terribil possa,
Diva Beltà, che nel mio giovin core
Tanta tempesta sollevò d'afiètti,
A questo vespro della vita imparta
Durevol calma. Ascolta un che ti adora.
Che ti cerca, t'inchina ovunque splendi;
Un che di sé paventa e i>er le umane
Infelici prosapie arde d'amore.
Leopardi nel Canto alla Primavera deplora anch'cgli
La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunw
Innanzi tempo. Ottenebrati e spenti
Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno?
E neir Inno ai Patriarchi ' lamenta parimenti perduto Varano
error, le fraudi, il molle Pristino velo che nascondendo la dura
verità abbelliva dì lieti sogni la vita. Ciò mi chiama a parlare
d'un altro poeta ingleae, amico del Byron e dello Shelley vissuto
anch'esso qualche tempo in Italia e fondatore di una scuola poe-
tica, che ha ancora qualche seguace in Europa. Giovanni Kuats.
Fino al principio di questo secolo la mitologia greca e ro-
mana ebbe parte grandissima nelle composizioni poetiche. Fra
noi 8c no giovarono Foscolo o Monti ; né lo stesso Panni se
ne mostrò schivo. Ma l'uso che ne fecero, fu di solo ornamento;
' n professore B. Zuuibiui in un suo bellissimo studio sulla canione del
I^copardt, Alla Primaoera^ ba notata di volo questa analogia che corre fra
la poesia di Shelley e di Leopardi Nel canto Y Infinito di Leopardi v'ha
un passo, che mi par tolto di peso dalla ode A Night Piece di Wordsworts:
^ eomf U vento Odo etormir fra queste foglie, io quello Infinito eOenuio a
qmeta voce Vo comparando; e l' inglese: Me wimd ss m Me Irsr, IhU tke^
art eOmt (le stalle). QoesU ode di Wordsworts è del 1796.
424
PARALLELI LETTERARL
per non dire che la veste mitologica servi loro a nascondere
la pochezza o volgarità del pensiero. Caduto l'Olimpo e distrutto
il santuario di Apollo, furono per qualche tempo in onore le
leggende monastiche e 1' imprese eroiche dei tempi di mezzo,
non cosi però che qualche spirito nutrito dalle nmse greche e
latine non si dolesse della morte dei numi e non tentasse di
rialzare le statue di Venere e delle Grazie. Il Keats malato sino
dalla fanciullezza e nauseato della vita reale, credette di scor-
gere nella vita degli antichissimi Elleni, quale ci viene porta
da' poeti, quella felicità, che il mondo odierno non conosce; e
^creossi nella morbida immaginazione una specie di Eliso, ove
fossero perpetue le danz'ì, sempre giovani la bellezza e l'amore,
eterna la primavera, sempre verdi le piante e sempre fiorite le
campagne. Neil' Endimione, eh' è il più lungo de' suoi poemi.
Diana visita l'amato pastore durante il sonno : Endimione è lo
stesso poeta, che solo nel sonno, cioè nell' ora delle visioni,
trova la vita e l'amore. Il Keats non avea l'erudizione di Byron,
di Shelley e meno ancora di Leopardi, la quale regolasse i voli
della sua mente : non sapeva di greco ; apprese le antiche favole
un po' da Virgilio e dal Telemaco di Fenelon, il rimanente dai
dizionarii ; quindi il contrasto fra l'antico ed il nuovo; fra la
dorica semplicità dell'argomento e la giovanile esuberanza del
colorito moderno.
Ma la poesia del Keats richiamando in vita gli Dei d' Esiodo
e di Teocrito, non usci mai da' campi sereni dell'arte; né osò di
opporre il Giove ellenico al Dio della Bibbia, Pafo a Betlemme,
r Ida al Calvario. Se ricondusse fra i moderni le Grazie, non ne
sciolse la zona; i suoi versi pagani, come quelli di Virgilio, non
offendono il pudore ; né pongono sul labbro d'Apollo la bestem-
mia dell'ateo moderno. Conosceva il gentile poeta come l'arte
degli antichi coprisse d'un velo piacevole quanto ha di più crudo
e di più sozzo la vita; e però guardossi di contrapporre il mondo
ellenico al mondo cristiano, nel quale solo l'uomo e la donna
hanno tutta la grandezza e dignità loro. Ma dentro questi con-
fini richiesti dalla morale e dall'arte non si tenne Carlo Swin-
burne, che prese la religione pagana in sul serio, e delle favole
antiche si fece un'arma a combattere le austere verità del Cri-
stianesimo. Lo Swinburne vorrebbe che la vita fosse un pia-
cere, il piacere sensuale, anche macchiato di sangue; e perchè
Dio fece altrimenti, gli scaglia incontro le sue bestemmie ret-
toriche, e stende le braccia a Satana, come a migliore amico e
PARALLELI LETTERARI.
425
benefattore dell'uomo. Ma le condizioni della vita non mutano ;
e se lo Swinburne e seguaci possono respingere le divine spe-
ranze, che Cristo ha portate sulla terra, non possono svellere
dal cuore dell' uomo le spine, che durante lo stesso piacere dei
sensi, vi germogliano in copia. Ora questa scuola poetica ha
preso radice anche in Italia sempre disposta, ad imitiire quanto
di più bizzarro o di più reo ci danno le letterature straniere.
Marco Tabarrini nel suo Gino Capponi h.a queste gravi parole :
u quando dopo il 1850 sorse in Toscana una scuola di giovani di
ingegno e di studi, la quale proclamando il ritorno all'ellenismo
delle forme, non nascondeva i suoi fini anticristiani, il Capponi
vide subito il principio d'una letteratura empia e beffarda, che
avrebbe fatto tabula rasa d'ogni credenza e sovvertita la morale,
e sempre più deplorò la supina ignoranza di chi senza volerlo
0 saperlo, spingeva le nuove generazioni in quel precipizio, n
Il Leopardi, come il Keats, nel canto Alla Primavera e nel-
V Inno ai Patriarchi^ come ho notato, toma col desiderio all'in-
fanzia del genere umano e piange la perdita di quelle care il-
lusioni che abbellirono la vita do' primi mortali. Sospira il pas-
sato, quando
Vissero i fiori e l'erbe,
Vissero i boschi an di:
e quando :
Fa certo, fu (nò d'error vano e d'ombra
L'aonio canto e della fama il grido
Pasce l'arida plebe) amica un tempo
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Qaesta mìsera piaggia, ed aurea corse
Nostra caduca età.
Dimentico per un istante dei torti, cho altrovo si lagna di avero
ricevuto dalla matrigna natura, la salata e benedice con affetto
figliale:
Tu le core infelici e i fati indegni
Tu de' mortali asoolta.
Vaga natura, a la favilla antica
Rendi allo spirto min.
.... Oh contro il uoittru
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura! I lidi e gli antri
E le quiete selve apre l' inritto
Nostro furor: le rYolate genti
Al pellcf^rino affanno, agi' ignorati
I>esiri educa; e la fugace, ignuda
Felicit\ per l'imo sole incalsa.
V«u XL, •«ri* Il — t Ar>«te ÌUJ. M
426 PARALLELI LETTERARI.
In questa confessione, che i mali nostri provengono da noi
e non dalla natura, il Leopardi contraddice a se stesso, consente
collo Shelley sempre in pace colla natura e sempre in guerra
coir uomo. Abborrivano l'uno e l'altro il presente ; ma mentre
r Italiano cercava un conforto nei sogni di un passato, che pur
disperava potesse rinnovarsi, l'Inglese si pasceva dei sogni di
un avvenire altrettanto impossibile quanto meraviglioso. Imma-
ginava un avvenire, in cui più non fossero ne padroni, ne servi,
distrutti i troni, aperte le carceri, e l'amore unica legge e po-
tenza nel mondo. Nella tragedia Prometeo liberato Ercole spezza
le catene dell' antico Titano, simbolo dell'oppressa umanità : Pro-
meteo si leva raggiante ed immortalo, come il sole delle nuove
generazioni. Nel frammento, che ha per titolo II principe Ata-
nasio, Shelley descrive un giovine consumato dalla sete del bene,
errante sopra la terra, che si affligge ed irrita vedendo la forza
nelle mani de' cattivi, disconosciuta la giustizia, gli oppressori
senza rimorso, e senza ardimento gli oppressi. Nella Rivolta
deir Islam, v' ha un canto superbo sulle future vittorie della giu-
stizia, sulla disfatta dei tiranni e sulla eguaglianza degli uomini
che dice la, primogenita d'ogni cosa m,ortale ; e nella Regina Mah,
quando la fata mostra alla bella Jante l'uomo coronato, che nel
fondo della reggia sovra il suo letto di porpora è straziato dai
rimorsi ; quando all'ozio insolente dei ricchi oppone le fatiche
del povero e prega che cessino i privilegi inumani ed assurdi;
in tutte queste pagine ardenti di fede è trasfusa l'anima del poeta,
che anticipa a tutti gì' infelici della terra il canto liberatore.
Queste infinite speranze nel progresso della ragione e nel
finale trionfo dell'umana eguaglianza, che lo Shelley ebbe co-
muni co' più audaci novatori del suo tempo hanno chiamato più
volte il sorriso sul labbro del Leopardi, che nella Ginestra, nella
Palinodia e nei Paralipom^eni prese apertamente a schernirle.
E nondimeno chi legge attentamente i suoi versi sente uscirne
una voce gagliarda che invita alla speranza, anche quando il
poeta sembra più disperare delle sorti della patria e dell'uomo.
Lo Shelley co' suoi splendidi sogni di rinnovamento sociale può
rendere più gravi ed intollerabili i guai della vita, e spingere
a forsennate imprese i volghi sedotti : il Leopardi gettando sulla
natura la colpa delle nostre miserie, chiama gli uomini a col-
legarsi per combattere con più vantaggio il comune nemico, e
con ciò rende più forti e più cari i vincoli dell'umana famiglia.
Non credo che i versi dello Shelley abbiano acceso in Inghil-
PARALLELI LETTERARI. 427
terra tanto ^ore di patria, quanto que' del Leopardi ne acce-
sero in Italia; gì' Inglesi ebbero nello Shelley una gloria poetica,
gì' Italiani nel Leopardi una gloria nazionale.
Ora dirò qualche cosa di questi due ingegni come scrittori.
L'uno e l'altro conobbero profondamente la letteratura greca,
donde attinsero quelle grazie dello stile, che li distinguono da
tutti i poeti moderni. Ma prima che poeta, il Leopardi fu filo-
logo; quindi più temperata in lui la forza dell'immaginazione,
più misurato il pensiero e più sobria la parola. Lo Shelley
nelle poesie minori gareggia con quanto v'ha di più perfetto
nel Leopardi; il suo canto aìV Allodola non solo non teme il
paragone col Passero Solitario del Recanatese, ma credo che
sia il canto più spirituale, più etereo, più veramente poetico,
che possa uscire da labbro mortale. Ma nei lunghi poemi l'im-
maginazione di lui trascende i confini. I romanzi della Radcliffe,
VAhasvero di Schubart e la Leonora di BUrger, che lesse da
fanciullo; e lo studio della chimica, che lo condusse ai panteismo
e dal panteismo alla credenza che in ogni essere palpitasse uno
spirito, gli popolarono per tempo la mente di fantasmi grandiosi
e terribili che, come ho detto lo spaventavano nella atessa veglia
e spesso lo facevano cadere tramortito sul pavimento. Questo
eccesso della potenza fantastica è reso ancora più sensibile ai
lettori dal contrasto che ha colle dottrine filosofiche che sono
l'ordinario fondo de' suoi poemi ; cosicché manca in essi quel
temperamento dell'immagine colla idea e quell' armonia della
favola colla verità, che costituiscono la perfetta bellezza nell'arte.
Spesse volte div.'iga più che non sia concosso alla libertà dei
poeti; e se al Leopardi si rimprovera qualche ripetizione di
penHÌero e di sentimento, alio Shelley con più ragiono puossi
rimproverare la frequente ripetizione d'immagini tratte dall'aspetto
dell'universo e specialmente del mare. Ama inoltre lo Shelley
le grandi parole e si compiace degli ellenismi ; il Leopardi non
si scolta dal linguaggio comune ai nostri clJi^.si(•i «• licrti'.- più
efficace quanto più semplice.
Shflloy e L«!opnrdi! Morti entrambi innitu/.i leiiipo, prima
vAìc all'anima rosa dui dubbio e dalia disperazione si l(>vasso
il sole benefico della cristiana speransa. Verso il fine della viUi
Shelley piegava alle dottrine di Platone, dallo quali non sono
che pochi passi a Sant'Agostino ed alla dottrina evangelica.
Nella Retjina Mah e nel Prometeo liberato àShelley invoca un
divino Salvatore, che tolga alla schiavitù le umane gonerasioni.
428 PARALLELI LETTERARI.
Chi può dire, che dopo avere bestemmiata la vTttima divina
del Golgota, Shelley non sarebbe venuto ad adorarla come la
più magnifica immagine di quell'amore per l'uomo e di quel
sacrificio di sé stesso, che in ogni tempo aveano sedotta la sua
immaginazione e riscaldato il suo cuore ? Un anno prima che
morisse passeggiando sotto gli archi della cattedrale di Pisa
diceva all'amico Leigt Hunt : « qual divina religione, se si ap-
poggiasse non sul dogma, ma sulla carità! n Una mente come
quella di Shelley potea facilmente conoscere, che senza dogma
non v' ha religione, e che la stessa carità prende la sua forza
dal dogma. Quanto al Leopardi dalle lettere, che poco tempo
prima di morire scrisse al padre, si rileva che le memorie della
sua pia fanciullezza non erano affatto spente nel suo cuore.
Ambedue furono sedotti da falsi sistemi di filosofia, ma nel loro
errore furono almeno sinceri; espressero negli scritti il dubbio,
perchè realmente dubitarono ; scrissero non per secondare l'an-
dazzo dei tempi e buscarsi il nome di liberi pensatori; dubi-
tarono, errarono, ma candidamente ; ora dall'errore e dal dubbio
v'ha un ritorno alla verità ; dal nulla, che piace a molti mo-
derni, ne si trae la verità, né si ritorna. Morirono ambedue
giovani, come giovani morirono Byron e Keats, l'uno di tren-
tasei anni, l'altro di venticinque. Shelley aveva ventinove anni,
quando il giorno 8 luglio 1822 partito da Livorno ed avviato
per mare alla sua villa di Lerici presso la Spezia, sorpreso da
violenta tempesta affogava; la sua salma era abbruciata dal
Byron ed altri sulle rive del Tirreno; le sue ceneri furono
deposte nel cimitero de' Protestanti in Roma presso quelle di
Keats, che v'era stato sepolto l'anno innanzi, e di cui Shelley
aveva pianta la morte col più bello de' suoi canti, Adonais.
Sul fine di quell'anno 1822 il Leopardi era in Roma, e non è
incredibile che il caso dello Shelley e le stranissime esequie, di
cui parlarono tutti i giornali d'Italia, gli siano giunti ail'orec-
chio ed abbiano destato in lui il desiderio di conoscere gli scritti
del poeta, se prima non gli fosse conosciuto.
Ciò che sono venuto esponendo, forse non è che una sem-
plice congettura; ma se non ho potuto mostrare con evidenza
che la poesia leopardiana è una figliazione * della poesia di-
Byron, di Keats e di Shelley, mi basta avere mostrato che
questi ingegni tanto grandi, quanto infelici, sono fratelli; figli
tutti d'un secolo travagliato dalla più funesta delle malattie
sociali, il tedio, per non dir l'odio, d'ogni religione; e che
PARALLELI LETTERARI.
429
vissuti senza avere un' ora di pace, sempre anelando dietro
un bene che dileguavasi loro innanzi, mostrarono un' altra
volta al mondo quanto sia vero il detto di Sant'Agostino,
che il nostro cuore è inquieto, finche non trovi in Dio il suo
riposo.
Giacomo Zanella.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X '
(1513-151'?)
Giovanni De' Medici saliva sulla cattedra pontificia con gran-
dissima aspettazione di Roma, e del mondo. Figlio di Lorenzo
il Magnifico, alunno di Marsilio Ficino, del Pico, del Poliziano,
ingegnoso e dotto egli medesimo, aveva fama di esser prudente,
affabile, buono e generoso. Sapevasi generalmente che egli bra-
mava la pace, e ciò confortava gli animi stanchi dell' indole
battagliera del suo predecessore. E per verità non si può negare
che Leone avesse tutti quei pregi che gli erano attribuiti, ma
purtroppo non disgiunti da vizi opposti ; leggerezza, simulazione,
cupidigia, scialacquìo e talvolta anche crudeltà. E gli manca-
vano poi le parti più eccelse dell' intelletto e dell'animo 5 altezza
di pensieri, austerità di costume e fermezza di carattere. Per la
qual cosa sebbene il suo pontificato risplenda nell' istoria come
periodo felice e sia chiamato il secolo d'oro delle arti e delle
lettere, pure fu seguito poco dopo da una serie di calamità che
precipitarono l'Italia al fondo di ogni miseria.
' Vedi Nuova Antologia del 15 giugno 1883, « Raffaello a Roma sotto
Giulio II » . Ivi, a pagina 622, nota 2, è occorso un errore materiale. Par-
lando di due ritratti di Giulio II, e di un ritratto di Bindo Altoviti, dopo
aver detto che uno dei due primi è nella Galleria degli UflSzi, la stessa ci-
tazione fu ripetuta anche per quello di Bindo Altoviti, mentre doveva dirsi
Pinacoteca di Monaco dove fu portato da Re Lodovico I che lo acquistò
dalla famiglia Altoviti nel 1808.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 431
Vero è che quei tempi erano difficilissimi per un pontefice
e per un principe italiano. Già contro i vizi del elencato ro-
moreggiava la riforma protestante in Germania e due giovani
emuli occupavano il trono di Francia e di Spagna, minacciando
per l'ambizione e la rivalità loro di metter sossopra l'Europa.
Ma se i tempi erano difficili, Leone fu impari al suo compito.
Ad offuscarne l'antiveggenza, ed a far balenare i suoi pro-
positi si aggiungeva in luì una smaniosa brama dell' ingrandi-
mento della casa Medici, alla quale non bastando omai più il
dominio civile di Firenze, si voleva creare un regno.
E Leone X vagheggiò nel pensiero per suo fratello Giuliano
che diventasse signore di Napoli, e pel nipote Lorenzo volle fare
uno Stato nuovo di Parma, Piacenza, Modena e Reggio. Forse
anche sognò in qualche momento che casa Medici potesse pi-
gliarsi nelle mani tutta Italia sotto l'alta signoria della Chiesa ;
che se pur questo sogno non balenò al Pontefice, un altro poco dis-
simile potè esser creduto possibile dalla gran mente di Niccolò
Machiavelli e gli porse occasione a scrìvere il suo libro del
Prìncipe che primieramente doveva essere dedicato a Giuliano,
e lo fu poscia a Lorenzo. Imperocché Giuliano, forse il miglioro
dei Medici di suo tempo, mori il 17 marzo 1516. E Leone non
potendo dare a Lorenzo le agognate provincie dell'Emilia, con
lunga, e sleale guerra, discacciati i della Rovere da Urbino, ne
lo fece signore; ma per breve ora, perchè Lorenzo stesso mori
il 4 maggio 1519.
Ma questa smania di nepotismo, congiunta a un carattere
timoroso, fu in parte la origine della versatilo politica di Loono.
Imperocché quando Francesco I re di Francia ebbe vinto la
battaglia dì Marignano, Leone che sin qui erasi tenuto stretto
a patti con l' Imperatore, mutò d'un tratto, o fece alloanxa con
Francesco contro i suoi antichi anfTci. £ per riconfermare questa
alleanza non fsitò a mettersi in viaggio, o dopo aver passato
alcuni mesi a Firense, sceso a Bologna dove noi deccmbrc 1515
s'incontrò con Francesco I. Quivi fra loro convennero dei punti
seguenti : prima di tutto abolirono la prammatica sanzione che
regolava le materie ccclesiaMticho di Francia, usurpandosi e divi-
dendosi Re o Papa fra di loro, molte attribuzi-ni che spettavano
fino allora al clero e al popolo; in secondo luogo Leone rìoonoblo
a Francesco non solo il dominio di Milano e di Genova, ma
pur anche quello di Parma e Piacenza coniocchè a ciò n'indu-
cesse con rammarico. Infine Francesco prese sotto il suo patru-
432 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X,
cinio lo Stato ecclesiastico e la casa Medici. Ciò fatto, giura-
ronsi fede perpetua. Ma non eran trascorsi tre anni che con
l'usata doppiezza Leone s'accostò a Carlo V, e in sul principio
del 1519 conchiuse con esso un patto segreto e difensivo contro
la preponderanza francese; * il qual patto, nel marzo 1521, si
trasmutò in vera e aperta lega contro la Francia. Per essa fu
stabilito che Milano sarebbe tolto ai francesi e restituito all'im-
peratore, che il papa lo aiuterebbe a tal fine, come pure a
debellare i Veneziani, che coronerebbe Carlo imperatore e gli
darebbe la investitura di Napoli. E l'imperatore da sua parte,
scacciati i francesi dalla Lombardia, aggiungerebbe allo Stato
ecclesiastico Parma e Piacenza, assisterebbe Leone alla conqui-
sta di Ferrara, prenderebbe sotto il patrocinio suo Firenze e
la casa Medici, infine s' impegnerebbe a perseguitare con ogoi
possa tutti i nemici della fede cattolica e della Santa Sede.
A questo trattato seguì in breve la guerra si temporale che
spirituale, perchè il papa pronunciò la scomunica contro gli
avversari e assolse i sudditi loro dal giuramento di fedeltà.
Narra Guicciardini che il cardinale Giulio de' Medici, il quale
aveva avuto gran parte in quei negoziati (come generalmente
ebbe sotto Leone in tutto il governo delle cose sacre e profane)
il cardinale Giulio de' Medici adunque, conscio dei segreti del
papa, gli disse che Leone sperava u scacciato prima Francesco
u da Genova e dal ducato di Milano, potere poi facilmente cac-
ti ciare Cesare dal reame napoletano, vendicandosi quella gloria
ti della libertà d' Italia, alla quale prima aveva manifestamente
u aspirato 1' antecessore n. * Io non so se veramente il cardi-
nale de' Medici avesse udito queste cose dalla bocca di Leone,
ovvero se le interpretasse di suo capo, per scusarne la versa-
tilità. Certo è che il Guicciardini si mostra poco persuaso di
questi sentimenti; e lo stesso cardinale, divenuto pontefice più
tardi col nome di Clemente VII, ebbe ad accorgersi quanto
pericoloso fosse il giuoco di attirare gli stranieri in Italia, col-
legandosi or all'uno or all'altro, per tradirli a vicenda. Che se
papa Giulio II aveva anch'egli partecipato ai medesimi inganni
nella prima parte della sua vita avventurosa, nell'ultima invece
s'era posto alta e chiara una meta, e con fortissima volontà e
sforzo vi aveva inteso: ma le sue virtù mancavano a Leone,
1 Trattato segreto fra Leone e Carlo, pubblicato dal Capponi. Archivio
storico italiano, voi. I, pag. 379.
* GuicciABDiNi, Storia d'Italia, Capolago, 1833, v. 5, pag. 369.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 433
che perciò non saprebbe in guisa alcuna paragonarsi al terri-
bile suo predecessore.
Se la condotta di Leone X negli affari temporali tornò fu-
nesta all'Italia, non lo fu meno alla religione cattolica la sua
condotta spirituale; le quali due cose ai tempi che descriviamo
si connettevano strettamente l'una all'altra. Imperocché le spese
della guerra e la prodigalità di Leone furono una delle cagioni
precipue di rinnovellare con maggior ardore la vendita delle
indulgenze, col pretesto di concorrere alla edificazione della ba-
silica di San Pietro, ma in verità per supplire agli infiniti ed
insaziabili bisogni del papa e della Corte. E questa fu scintilla
onde un incendio divampò in Germania, della grandezza ed
estensione del quale Leone X non ebbe chiara conoscenza mai,
sebbene all'ultimo di sua vita sentisse la necessità di condannare
espressamente Lutero e di assicurarsi la difesa di Carlo V. Ma
i modi del suo pontificato furono fomite non piccolo dello scisma
più formidabile che abbia lacerato la Chiesa.
Questo è il tristo aspetto della vita di Leone, aggiuntavi la
immanità colla quale volle punire una congiara ordita contro
di lui, e la cupidigia colla quale ne spogliò gli autori facendo
strangolare un cardinale, e altri condannando a ricomprar 1»
vita con ingenti somme di denaro.
L'aspetto lieto e glorioso del suo regno è troppo noto, e fu
celebrato allora e poi dagli storici e dai poeti, anzi può dirsi
che pochi principi ebbero lodatori tanti e non di rado con
adulazione, quanti egli ne ebbe; ondo l'età aurea dello lettere
e delle arti prese da lui il nome. Veramente in quel momento
Roma ospitava uomini insigni d'ogni paeic, e Leone «.tutti era
mecenate, benigno ncll' intrattenerli, profusissimo nel premiarli.
Già dai primi giorni del pontificato la prosa di possesso fu
fatta con una pompa quale non s'era rista mai. Da 8. Pietro
fino al Laterano egli cavalcò per le vie adorne di arazzi olo-
gantissimi, passando sotto archi di trionfo in meizo a statue ora
dei santi, ora degli Dei pagani, qua fra gli emblemi di Cristo, U
fra quelli di Venere e di Fallade. Era attorniato non pur dai car-
dinali e dai vescovi, ma dai baroni di Roma, dai gentiluomini
di Firenze, dai prìncipi vasnalli della chiesa, e dagli ambascia-
tori dello potenze strrtìjicre. Splendida <• questa cavalcata, della
quale i contemporanei ci lasciarono minute descrizioni. Il duca
Francesco Maria d<lla Rovere che per la dignità sua di Pre-
fetto di Roma, in .•«egno d'onore, viene ultimo dei laici, e che
434 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
Oggi è careggiato ed onorato da Leone X, si vedrà fra pochi
anni, per opera dello stesso Leone, combattuto, spogliato, esule
dai suoi dominii, messo al bando della cristianità. E cagione *di
questa guerra sarà quel Lorenzo de' Medici che oggi, come ni-
pote del Papa, gli cavalca a fianco. Fra i cardinali che seguono
vedi orgoglioso il Petrucci, che sarà fra breve come capo della
congiura contro Leone, fatto strangolare in Castel S. Angelo, e
in vista reverendo il decano del sacro collegio cardinal Riario
che dovrà spogliarsi di ogni bene di fortuna per salvar la vita.
Risplende sopra gli altri Alfonso d'Este duca di Ferrara l'eroe
della battaglia di Ravenna, il marito di Lucrezia Borgia; astiato
già fieramente da Giulio IL Ora si confida vivere in pace colla
Santa Sede, ma non tarderanno guari gli odii a rinfocolarsi, e
la scomunica piomberà come fulmine sovra il suo capo.
Queste pompe magnifiche piacevano a Leone, e durante il
suo regno ad ogni tratto si videro processioni grandiose, ca-
valcate di cardinali, sontuosi ingressi di ambasciatori, e questi
spettacoli rinnovellavansi ovunque il papa si recasse. E così
il suo viaggio sino a Bologna per incontrarvi Francesco I fu
una serie di lieti trionfi, tanto nell'andata quanto nel ritorno, e
specialmente in Firenze per tutto il tempo di sua dimora. A
tali spettacoli si aggiungevano rappresentazioni sacre e profane,
come quella della Passione di Cristo al Colosseo e di gesti mi-
tologici al Campidoglio; e oltre le pubbliche rappresentazioni
v'eran le private in Vaticano, dove si recitavano tragedie e
commedie intramezzate di canti, di balli e di Moresche.^ Pigliava
Leone diletto della caccia e spesso andava alla Magliana ac-
compagnato da comitive di amici e di servi.. Amava i geniali
conviti, non già eh' ei fosse ghiotto e intemperante, ma voleva
che i banchetti venissero serviti con lusso di finissimi mangiari
e di delicatissimi beri, e rallegrati da canti e da suoni per molte
ore si prolungassero. Della musica era cultore appassionato, e
narra un suo biografo che ripetendo con sommesso mormorio le
note che ascoltava, parca talvolta venir meno dal piacere quasi
immemorD di sé. * Sopratutto dilettavasi di esser sempre circon-
dato da colti uomini e lieti. Laonde il Vaticano era un continuo
' Vedi la descrizione vivissima di una di queste, nella lettera del Pau-
lucci al duca di Ferrara. — Campori, Notizie inedite di Raffaello tratte dai
documenti dell'Archivio politico di Modena ecc. Modena, 1883, p. 18 e seg.
^ Vita anonima di Leone X riferita dal Roscoe nella sua Vita dì Leone
al N. CCXVIII Appendice.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 435
convegno di letterati, di artisti, di suonatori, di cantori ; e non
di rado anche d' improvvisatori e di buffoni eh' ei doveva lar-
gamente rimunerare comecché sovente si facesse di loro zim-
bello. Aveva agenti in tutte le parti del mondo che gli procura-
vano a gran prezzo manoscritti, favoreggiava la stampa (di corto
inventata) e non solo faceva ripubblicare i classici latini ed i
greci, ma eziandio libri di letteratura orientale. Fondava biblio-
teche, l'accademia romana proteggeva, faceva ampliare le loggia
vaticane e le abbelliva. Chiese, palagi sorgevano, poiché, ad
esempio del Pontefice i ricchi e i signori gareggiavano nel pro-
teggere le arti. Roma esultava, e il popolo pareva felice nella sua
letizia, u. Voleva, dice Gino Capponi nella sua storia, voleva il
tempo queste allegrie che sono accuse di spensieratezza, «e si
videro sempre venire innanzi alle calamità ultime e prepararle
con quella molle scioperataggine ch'esse inducono in fondo agli
uomini già prima guasti ed avviliti '. n
II.
Leone X commise a Raffaello di continuare gli affreschi della
stanza d' Eliodoro, della quale come dicemmo ' avea dipinto già
due pareti. Ed egli rappresentò nella terza san Leone papa che
incontra e raffrena Attila nelle sue invasioni. Vedesi in cielo
S. Pietro e S. Paolo con la spada affocata accorrenti a dcfen-
sione della Chiesa; vedesi in terra Attila come colpito dalla ce-
leste visione, e i suoi seguaci arretrarsi davanti al Pontefice che
inerme, seguito soltanto da cardinali, si avanza in atto di be-
nedire. E anche di questo quadro la composiziono è maraviglio-
samente semplice e viva. Forse il soggetto era già stato dato da
Giulio II, tantoché vi fu chi volle persino nelle fattezze di At-
tila raffi ;,'!! rare il ritratto di Luigi XII Redi Francia; certo fu
eseguito sotto Leone X, e nel pontefice è effigiato ; Leone, non
Giulio. Ma so questi poteva aver dato il soggetto di Attila, quello
della liberazione di san Pietro è certamente suggerito dal suo
sueccHsore; e fu destinato a simboleggiare un'altra liberasione,
quella di Leone stesso quand'era cardinale, da lui reputata mi*
racoloHa. Imperocché essendo legato al campo dei foderati fu
' *'^' r BepttbhUca di Firmg^, C. V. p. 81R.
^ ' ■ _ "I tatto Oimlio II. — Xuovn Antoltnla. IS lmu
gno l«s:j.
436 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
fatto prigioniero nella giornata di Ravenna dai francesi, i quali
nella ritirata sopra Milano, e poi verso le Alpi il trassero seco ;
ma nel passaggio del Po, riuscì a sottrarsi ai suoi custodi e a
fuggire. * Pertanto nella quarta parete, sopra ed intorno alla
finestra, Raffaello rappresentò S. Pietro in carcere incatenato,
al quale appare un angelo che spezzati i ceppi gli apre le porte,
e lo conduce in salvo felicemente. In questo fresco, fu infra le
altre cose molto ammirato l'effetto di tre luci, imperocché la luna
splende in cielo, un soldato fra i guardiani tiene in mano una fiac-
cola accesa, e finalmente l'angelo irradia di suo splendore tutta la
scena. Qui il Vasari esclama, u Si scorgono nell'arme le ombre,
gli sbattimenti, i riflessi, e le fumosità del color dei lumi, lavorati
con ombre, e sì abbacinati che in vero si può dire ch'egli fosse
il maestro degli altri, e per cosa che contrafaccia la notte, più
simile di questa la pittura non fece giammai questa è la
più divina sua opera e da tutti tenuta la più rara. * n
Tali sono le pitture delle pareti nella stanza di Eliodoro,
nella soffitta della quale stanza Raffaello conservò gli ornamenti
fatti da Baldassarre Peruzzi, aggiungendovi quattro quadretti
di sacra storia e sono i seguenti : Dio apparisce a Noè ; Il sa-
crificio di Abramo; Il sogno di Giacobbe; Mosè al roveto ar-
dente. Qui per la prima volta dicesi che Raffaello facesse lavo-
rare il suo discepolo Giulio Romano, e talune parti sono dagli
intendenti ad esso attribuite, cosicché per tal riguardo la stanza
dell' Eliodoro vien messa dopo quella della Segnatura nella
quale lavorò egli solo tutte le cose più importanti, mentre
invece qui si fece aiutare da altri. E ciò fece assai più larga-
mente nella terza stanza, che è quella dell'Incendio di Borgo,
dove come diremo poi lasciò ai suoi scolari la maggior parte
dell'esecuzione. Finalmente per la gran sala di Costantino la-
sciò morendo disegni, ma non toccò pennello. Ora per tornare
alla stanza d' Eliodoro, le cariatidi che formano basamento ai
quadri, e ì chiaroscuri di color verderognolo che tramezzano
ad essi, furono opera di Polidoro. Le porte e le finestre hanno
bellissimi intagli di legno, al disegno dei quali non fu estraneo
Raffaello, ma la esecuzione, appartiene a Giovanni di Verona e
al Barrili di Siena, nell'arte loro eccellenti.
La sala d'Eliodoro ha due date, l'una delle quali 1512 (sotto
1 GrREaoROvius — Storiu della città di Roma nel medio evo, voi. Vili
pag. 116.
* Vasaki, Vita di Raffaello, voi. Vili, pag. 26.
RAFFAELLO A RO>L\ SOTTO LEONE X. 437
GiuKo II), si riferisce ai primi due freschi, l'altra 1514 (sotto
Leone X), ne segna il compimento; ma sino a quel tempo non
erano cominciati ancora gli evenni guerreschi dei quali abbiamo
parlato innanzi, e che mutarono la polìtica di Leone X renden-
dolo amico ed alleato di Francesco I di Francia.
IIL
Or mi converrebbe parlare delle altre pitture fatte dall'Ur-
binate nel 1513 e nel 1514. Ma necessità mi sforza di trascor-
rere anche più innanzi nel tempo e comprendere in questo
periodo le opere del 1515 e del 1516. Determinare con pre-
cisione la data di un quadro di Raffaello, quando non vi sia
una iscrizione come nelle stanze vaticane, o altri documenti
precisi, è difficile assai. Ed è a notare ancora che non di rado
l'artista incominciava un lavoro che poi era costretto ad intra-
lasciare per Io sopravvenire di nuove e più argenti commis-
sioni, e lo riprendeva e lo finiva più tardi. Ora pare a me che
in mancanza di una data precisa, e volendo pur classi Hcare
una pittura secondo la cronologia, sia da tener conto dello stile
e della maniera dell'autore, e nell'induzione preferire il mo-
mento in cui il quadro fu coiuMMtito .i f|uollo nel quale ebbe
compimento.
Fin dal 1510 Agostino Chigi, banchiere e amico carissimo
di Raffaello, del quale avrò occasiono di parlare altrove, avea
ottenuto da Raffaello il disegno di due piatti che fece poscia
cesellare in bronzo da Cesarino Rosctti da Perugia ', quindi
volendo Agostino farsi una cappella gentilizia nella chiesa di
S. Maria del Popolo e quivi esser sepolto, pregò Raffaello che
non solo gli facesse il disegno dell'architettura, ma altresì dei
mosaici della cupoletta. Codesti mosaici furono compiti da Luigi
de Paco veneziano, fatto venire espressamente dal Chigi perchè
lavorasse sotto la direzione di Ilaffaello, e vi si leggono an-
cora le iniziali eolla data del 1510.* Risogna dunque che i di-
segni della cappella e dei moHaici risalgano a qualche anno
prima, anzi alcuni critici stimano che fossero fatti vivente
* Vedi noikie attorno a RaffaéUo Seuuio di Urbino, deirsTT. Oaslo Fba,
Roma, IH'i'i, pag. 81. Uno ichixxo di questi piatti ti trora all'Unfrersità di
Oxford, l'Hltro disogno nella raecollA di Drfynla.
' Le Inisiali sono L. D. P. V. F
438 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
Giulio II. * Nel mezzo della cappella delineò il Padre Eterno, e
nella fascia superiore la creazione del firmamento, dove si vede
l'ispirazione di Dante in ciò che ogni pianeta è mosso da un
angelo *. Che se Raffaello non pose mano allo scalpello, come
pur alcuni vogliono, disegnò certo quella statua di Giona che
nella cappella s'ammira.
Infine avendo il Chigi edificato una sua villa nella Lungara,
che dai successivi destini suoi fu chiamata la Farnesina, quivi
egli invitò i più insigni architetti e pittori a lavorare quasi in
gara, e a gran fatica ottenne che Raffaello vi dipingesse allora
sopra una parete Galatea, e gli promettesse eziandio che più
tardi gli avrebbe dato i disegni anche per la volta, siccome
poi fece.
Quando si pensa alla ispirazione mistica delle Madonne di
Raffaello, mal saprebbesi immaginare che quello stesso uomo
sia l'autore della Galatea, nella quale è trasfuso tutto lo spirito
del paganesimo, e quella spensierata gaiezza onde si abbella
la mitologia nelle sue parti più serene. Io intendo che gli uma-
nisti del suo tempo insinuassero nell'animo del giovine artista
il gusto della classica letteratura 5 intendo che la vista delle
antiche statue novellamente scoperte lo esaltassero, voglio anche
concedere che abbia preso la invenzione dalle stanze di messer
Angelo Poliziano che allora correvano per le bocche di tutti ';
ma bisognava che un genio divinatore della bellezza pagana ne
ricomponesse col pensiero gli sparsi elementi e sapesse effigiarli.
Che se tal pittura si vuol paragonare a qualche poesia antica,
bisognerebbe risalire all'aureo tempo della Grecia e di Roma. Ed è
1 Fra gli altri il Passavant. Vedi anche il Vasabi, voi. 8", p, 42, nota 3.
Questa cappella è descritta minutamente in un opuscolo pubblicato a Roma
nel 1839, con disegni.
2 Lo moto e la virtù dei santi giri,
Come dal fabbro l'arte del martello,
Da beati motor convien che spiri.
ParadUo, C. II, v. 128.
3 Due formosi delfini un carro tirano,
Sovr'esso è Galatea che il fren corregge,
E! quei notando parimenti spirano.
Ruotasi attorno più lascivo gregge
Qual le salse onde sputa e quai s'aggirano :
La bella ninfa con le suore fide
Di si rozzo cantar vezzosa ride.
Stanze di messer Angelo Poliziano cominciate per la giostra del ma-
gnifico Giuliano di Piero de' Medici. Lib. I. Stanza 118.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 439
a notarsi che Raffaello sino a quel tempo poco o nulla aveva
trattato soggetti pagani. Si cita il quadro delle Grazie, opera
giovanile, preso dal gruppo di Siena, il fresco c*he rappresenta
il Parnaso nella stanza della Segnatura e quivi ancora il quadretto
nella volta di Apollo e Marsia che facevan parte del concetto
generale della stanza, infine il disegno del giudizio di Paride
che servi a Marcantonio per la stampa, ma che non fu mai da
lui dipinto. La Galatea era il primo fresco propriamente mito-
logico al quale poneva mano; più tardi per la villa medesima
del Chigi delineò come aveva promesso la favola di Psiche.
Del favore onde la Galatea fu accolta in quel tempo si può
argomentare dalla lettera eh' egli stesso scrive a Baldassarre
Castiglione nella quale dice « della Galatea mi terrei un gran
u maestro, se vi fosse la metà delle tante cose che V. S. mi scrive,
u ma nelle sue parole riconosco l'amor che mi porta, e le dico
a che per dipingere una bella mi bisogneria veder più belle con
u questa condizione che V. S. si trovasse meco a far la scelta
tt del meglio. Ma essendo carestia di buoni giudici e di belle
tt donne, io mi servo di certa idea che mi viene alla mente. Se
u questa ha in sé alcuna eccellenza nell'arte io non so; ben mi,
a affatico di averla. V. S, mi comandi, n ' Panni che la Gala-
tea, anche pel testo di questa lettera, sia stata dipinta al prin-
cipio del 1514. Alquanto posteriori son le SibilUf intorno alla
data delle quali è molta incertezza, ma io le registro qui anche
per ciò che gli furono commesso dal medesimo Agostino Chigi,
e da lui almeno ideate in questo tempo. *
Agostino Chigi veramente non cessava di chiedere a liaffaollo
qualche sua opera e fra le altre cose volle che in S. Maria della
Pace dipingesse le quattro Sibille. Questo gr«ndio«o dipinto fu
sventuratamente cosi guasto e rifatto in apprortsn, che bisogna
indovinare l'originale sotto la coperta del restauro. E nondimeno
* QneiU lettera fb pabblicaU la prima ?olu da Bernardino Pino nella
nuova scelta di lettere. Venasia 158», T. II pag. 400 N.* 849. Veramente
lo Mtilo di questa lettera li diiinrensia totalmente da quella scritU nel tempo
incdeBiino a Simone Ciarla suo sic. Per repotarla autentica bisogna «ap-
porre che icrìTendo al conte, Rafiaello ennuee aaaai più la lingua e lo itile.
* Pauavamt voi. II. pag. 189, dA a qaesti larori la daU del 9* semestre
1514. SimibiMite il Monta, op cit, p. 511. Sprinfer, op. cit.. li pone prima
della Galatea In onUae di deaerìtione sansa dateminaro la data pag. 8S6.
Io inciinorei a credare che appartengano a un'epoca alquanto postarlora;
perù certo è che i Profeti furon fatti da Timoteo Viti, il quale rimasa a
Roma «in al 1 maggio 1515, e nan più oltre V. Pasaavant loco eitalo.
440 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
anche cosi deturpato, è una delle più belle opere sue che ci
rimangono. Qui però è d'uopo confessare che si mostra aperto
l'influsso di Michelangelo ' poiché Raffaello aveva già potuto
veder la volta della Sistina, e ammirarne la maniera grandiosa
e originale. Esso ne ritrasse alquanto in queste Sibille, e ne imitò
eziandio il concetto di aggiungere ad ogni Sibilla un angelo che
porta il testo della profezia, la quale aggiunta dà alla composi-
zione una varietà ed una vaghezza maggiore. Cosi Raffaello
avendo rappresentate le altre Sibille come giovani donne, vez-
zose e nobili, nella Tiburtina fece una vecchia austera, e vera-
mente michelangiolesca. E forse egli è perciò che il Vasari tanto
10 loda e dice: u che fu tenuta la miglior opera, e fra tante
« belle bellissima 77 e più oltre a quest'opera lo fa sfmare gran-
ii demente e vivo e morto per essere la più rara e la più ce-
ti celiente opera che Raffaello facesse in vita. * n
Due altre pitture io colloco di buon grado in questo tempo,
la Madonna del Pesce e la Santa Cecilia. La Madonna del Pesce
fu fatta per commissione del cardinale Riario e per la chiesa
di S. Domenico Maggiore di Napoli, donde fu usurpata nel
secolo posteriore dal viceré duca di Medina e spedita in Ispagna.
11 soggetto n'è il seguente: La Vergine seduta sul trono tiene
il bambino sulle ginocchia 5 entrambi bellissimi, anzi la Madonna
può reputarsi delle più soavi, e il bambino è di luce divina
radiante. L'angelo Raffaello gli si fa innanzi e gli presenta il
piccolo Tobia, dalle cui mani pende il pesce che ridonerà al
padre la vista, e da ciò il quadro prese in Ispagna il nome
presente. Gesù lo riguarda con dolcezza, e tiene la mano po-
sata sopra un libro che S. Girolamo sta leggendo, diritto in
piedi presso il trono col leone che gii giace ai piedi. Se la
Madonna e il bambino rifulgono di tanta vaghezza quanto mai
Raffaello seppe dipingerne, anche gli altri tre personaggi del
quadro non hanno minor pregio di convenienza all'indole e al
fine loro; nobilmente sereno l'angelo, semplice e timido il To-
biolo, austero il S. Girolamo. Ma perchè furono in una sola
tavola riuniti questi personaggi? La più semplice spiegazione
è che il quadro fosse destinato ad una cappella frequentata da
1 L'imitazione di Michelangelo apparisce anche nel profeta Isaia, che
dipinse nella chiesa di S. Agostino e fu fatto a petizione di Giovanni Go-
ritz, ma è assai più guasto e rifatto della Sibilla, sicché ormai dell'originale
non v'ha più nulla.
* Vasari, Vita di Raffaello, voi. 8, p. 46.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 441
nomini affetti di male degli occhi che andavano a invocare la
divina assistenza, onde torna opportuna la leggenda di Tobia ;
e S. Girolamo vi sarebbe posto per special divozione del com-
mittente secondo il costume, imperocché i committenti volevano
sempre effigiato nei quadri il santo loro patrono sia che egli
avesse o no attinenza col soggetto principale. Ma non manca-
rono altri i quali vollero trovarvi un'allegoria dell'accettazione
del libro di Tobia fra i libri canonici, alla qual cosa colla sua
traduzione contribuì fortemente S. Girolamo, ed è perciò, dicono
che il bambino Gesìi tien la mano sul libro come in atto di
approvarlo; ma io dubito forte che Raffaello si ingolfasse in
questi simboli. Aveva simboleggiato si negli affreschi della stanza
vaticana, ma in modo trasparente e piano, e non era conforme
al suo genio la sottilità teologica.
La Santa Cecilia gli fu commessa nel 1513 dal cardinal
Pucci per Elena Duglioli bolognese che fu poi beata, ed ei la
concepì allora, ma forse la fini più tardi e fu collocata solo sul
finir del 1510.* Ma in questo venustissimo quadro ò ancora quella
ingenuità che ricorda le prime sue opere, e il modo di comporre
e di aggruppare le figure dei quattrocentisti. La santa protettrice
della musica sta nel mezzo, ed ha cessato di suonare, perchè
r ha rapita una musica ben più soave che le fanno gli angeli
nel cielo. E però lasciando cader dalle mani l'organo, volge in sa
lo sguardo estatico, là dove i celesti cantano la divina melodia.'
Dall'una parte di S. Cecilia stanno S. Giovanni in vista affettuoso,
e S. Paolo appoggiato alla spada; figura severa e nobile, che
ci ricorda quella del Masaccio e fu da Raffaello stesso ripetuta
più tardi ; dall' altra parto S. Agostino meditabondo, e la bolla
Maddalena. In questa Maddalena, onestamente composta, la tra-
diziono vuole che il pittore raffigurasse le fattexse della donna
(la lui fiin.'ita.
' Fa collocati! m un Mltar« della chifsa di 8. Gioranni in Monto a Bo-
logna. T>a comico iuUttati«aiina o piena di eleganza, é ancora al «uo antieo
posto. La tanta Cojilia andò a Parigi, dove trasportata dalla tavola in (««la
ebbe a aiibire g'-avi ilaiioì dal reatauro. Ora é nella Pinacoteca a Bologna.
* Oli Rtrumcnti di moaica che giaeciono a pie della Santa furono dipinti
da Giovanni da Udine suo scolaro.
Voi.. XL, SarU li - l Agatto IMS «
442 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
IV.
E qui mi par tempo di toccare alcun poco del ritratto della
sua bella e comindierò dalla storiella che il Vasari ci ha tra-
mandato a questo proposito ed è la seguente : u Facendogli Ago-
« stino Chigi amico suo caro, dipingere nel palazzo suo la prima
u loggia dov'è Galatea, Raffaello non poteva molto attendere a
u lavorare per l'amor che portava a una sua donna: per il che
u Agostino si disperava di sorta che per via di altri o da se e
« di mezzi ancora, operò sì che a pena ottenne che quella sua
« donna venisse a stare continuamente in quella parte dove
u Raffaello lavorava: il che fu cagione che il lavoro venisse a
u fine '. -i Veramente questi amorosi ardori di Raffaello, ai quali
più tardi Vasari attribuì persino la precocità di sua morte, non
hanno altro fondamento di verità che la sua stessa assertiva, e
quella di Simone Fornari da Reggio. * Ma i biografi suoi con-
temporanei come il Giovio non ne parlano punto.^ E nelle let-
tere scritte lui vivente, o poco dopo la sua morte * o anche po-
steriori di alcun tempo, non se ne fa cenno veruno. Soltanto
nel principio del secolo successivo Fabio Chigi pronipote di
Agostino narrando le virtù del suo antenato, tradusse in latino
quasi letteralmente le parole dello storico aretino; " ma appunto
1 Vasari, voi. Vili, pag. 45.
' Nella Sposizione di M. Simone Fornari da Reggio sopra l'Orlando
Furioso, Firenze presso Torrentino 1549, al canto XXXIII pag. 514 si
legge di Raffaello mentovato dal poeta : « Il Cardinal Bibbiena il co-
strinse a prendere una sua nipote, ma egli non volle il matrimonio consu-
mare, perciocché aspettava il cappel rosso della generosa liberalità di Leone,
il quale li pareva per le sue fatiche e per le sue virtù averlo meritato. Ul-
timamente per continuar fuor di modo i suoi amori, se ne mori in età di
37 anni, l' istesso di che nacque. » Che vi fossero trattative di matrimonio
con questa nipote del Bibbiena, è accertato anche dalla lettera di Raffaello
allo zio Simone Ciarla, ma essa mori prima di lui. Tutto il resto, compreso
la speranza di diventar Cardinale ripetuta anche dal Vasari, è voce senza
fondamento.
' Le notizie di Raffaello del Giovio trovansi in appendice al Tirabo-
scHi, Storia letteraria: si trovano anche ristampate nelle Appendici del Pas-
savant, e nelle note dello Springer.
* Vedi la lettera di Marcantonio Michiel di Ser Vettor ad Antonio di
Marsilio a Venezia, ristampata anche recentemente nella pubblicazione ro-
mana pel centenario di Raffaello 1883.
5 Fabio Chigi, che fu poi Alessandro VII papa, scrìsse latinamente es-
sendo giovanetto nel 1618 i Commentari della sua oasa. La parte che riaguarda
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 443
per ciò non si può dedurne conferma di sorta. Un annotatore
ignoto del testo di Vasari, nella seconda metà del secolo xvi,
scrisse in margine del libro u questa donna si cKiamava Mar-
gherita n ma senza aggiungervi nulla di più. ' Finalmente che
fosse figlia di un fornaio, e perciò detta la Fornarina, è questa
una leggenda creata verso la fine del secolo scorso, della quale
prima non si scopre alcuna traccia.
Pertanto la severa critica è fondata a dubitar dell'esattezza
del Vasari, tanto più che è noto come trattandosi di pittori
vissuti fuori di Toscana egli raccolse quanto gli veniva scritto
dagli amici senza troppo vagliarne la veracità, e purtroppo dopo
la morte di Raffaello è lecito credere che 1* invidia di qualche
suo emulo spargesse voci maligne sul suo conto. * Ciò che può
dirsi verosimile, e che la tradizione ha per dir cosi confermato,
è che amasse fervorosamente, e facesse della donna amata uno
o più ritratti. E qui diventa credìbile testimonio il Vasari perchè
narra cose da lui stesso vedute, u Raffaello, dice egli, donò le
u stampe di Marcantonio al Baviera suo garzone, che aveva cura
u d'una sua donna la quale Raffaello amò sino alla morte e di
w quella fece un ritratto bellissimo che pareva viva e vera; il
u quale è oggi in Firenze presso il gentilissimo Matteo Botti,
u mercante fiorentino amico e familiare d'ogni persona virtuosa,
u e massimamente dei pittori; tenuto da lui come reliquia per
u l'amore ch'egli portò all'arte e particolarmente a Raffaello.' n
Questo ritratto della bella di Raffaello che Vasari vedeva
spesso presso il suo amico Botti in Firenze, esiste esso ancora?
e qua] è dei tre che per tale s' intitola? Imperocchò (sensa
parlare di tante ipotesi vane) tre sono i ritratti che si conten-
Is TÌta dì Agostino fa pabblicsts ntAV Arckinio iella Sodata Hcmama di Storia
patria, roì. II, pag. GS, eon copiose DOts del Cooiomi.
< V. MoHTS peg, tSS.
* Sebastiano del Piombo o^va Bafieello : in una sua lotter» a Miehe*
langelo lo chisms il Primcipe Mia dba^nfa, forse alludrodo al codasso di sco-
lari e di amici che raeeooipefnavaae, ed altra volta dice che farebbe toccar
eoa HMno al eardioal (iielio de' Medici ebe RaffMUo mbava al Papa al>
meao tre ducati al fiorao nel Cu ONtteie oro. (Archirio Baonarl^)ti) Oerri,
Vita di iliekBUmgdo, deeoeienti 11 e 12, toI. Il, pag. 64 e M Bpp«ie aea
lo accasa ssei dt rka seostunata, e nella lettera del 19 aprile 1A80^ sai giosai
dopo la morte di Uaffsello acrìveado a Miebelanfele, tace delie eegioai aa|K
poate d»l Vasari e dice soltanto : • Credo cbe avrete saputo eeoM qad povero
di lUffacllo da Urbino é oMrto, di cbe ersdo ebe vi abbi di
e Dio li perdoni » Id. ib., voi. I, pag. 132.
* Vababi, Vita di liafaelU, toL Vili, pag. Sk
444 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
dono tal vanto, quello della Galleria degli Uffizi in Firenze,
quello di casa Barberini in Roma, e la cobi detta Donna velata
del Palazzo ritti.
Non può essere certamente quello della Galloria degli Uffici,
perchè il quadro si trova già registrato nell'inventario di casa
Medici del 1589, come opera di Raffaello, mentre nell' inven-
tario del Botti nel 1591 si legge che era tuttavia da esso pos-
seduto. ' Inoltre qual ragione vi sarebbe di averle posto in
capo una corona d'alloro? Si aggiunga che sagaci critici attri-
buiscono quest'opera a Sebastiano del Piombo. Che se vogliasi
pur tenere di Raffaello, si potrebbe congetturare piuttosto essere
il ritratto di una Beatrice ferrarese amata da Lorenzo dei Me-
dici, e che certo fu da Raffaello dipinta; ed oggi non si sa se
quel quadro più esista. *
Il ritratto di casa Barberini rappresenta mezza figura di
donna seduta, ignuda, e solo coperta di un legger zendado
trasparente sotto il petto; porta in testa un fazzoletto avvolto
a guisa di turbante e nel braccio un armilla dove sta scritto in
lettere d'oro Raphael Urhinas. Un ritratto simile a questo era
posseduto nel 1595 dalla contessa di S. Fiora, ma non è in modo
alcuno dimostrato che sia quello del Botti, ne come venisse in
possesso di lei nei quattro anni che scorsero dal 1591 al 1595.
La figlia di questa contessa S. Fiora sposò uri Boncompagni, e
Fabio Chigi fa del quadro espressa menzione, ^ ma di nuovo
rimane ignoto come passasse in casa Barberini, dove esisteva
già nel 1642. * Veramente alcuni moderni critici pur ricono-
scendo questa come opera di Raffaello e ammirandone la ese-
cuzione, si meravigliano che vi manchi quella dignità e quella
grazia che paiono quasi a lui connatui'ate. u La mano di Raf-
1 Alfredo di Reumont. Nota sul ritratto della Fomarina. — Archivio
della Società Romana di Storia Patria, voi. Ili, pag. 233, 1880.
* Vasari, Vita di Raffaello, voi. Vili, pag. 44.
* Nel 1595, il vice cancelliere Coradusz, scrìvendo a Rodolfo II impe-
ratore, intorno alle pitture esistenti in Roma, dice che presso la contessa
di S, Fiora v'era una donna nuda ritratta dal vivo, mezza figura, di Raf-
faello. — Vedi Memorie di^W Archivio di Storia Patria Romana. Nota sopra
citata di Redmont. — Fabio Chigi dice: « lUius sane meretriculae, non ad-
« modum speciosam tabulam ab ipso effectam vidimus in aedibus ducis Bon-
• compagni, figura iustae magnitudinis, revineto sinistro brachio tenui ligula,
• in eaque aureis literis descripto nomine Raphael Urbinas. »
* Nella Nota delti Musei di Roma del 1664 è citata come Ritratto del-
rUmamorata di Raffaello. Vedi Reumont, ivi.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE 3L. 445
faello, dice uno di essi, vi è ovunque manifesta, ma il pensiero
ne sembra lontano, v ' Io non contraddico che questo sia un
ritratto dell' innamorata di RaflFaello, ma oso fortemente dubitare
che sia di sua mano. JC questo dubbio nasce in me da molte
avvertenze: che l'attitudine della persona non è punto raffael-
lesca, ne il naso e le orecchie hanno quella perfezione che si
riscontra in altri suoi ritratti ; la forma delle mani e la positura
loro sono al tutto diverse dal modo da lui usitato; la stessa
maniera di colorire, sopratutto guardata nel bianco degli occhi,
non par sua, ma somiglia a quella di Giulio Romano; al che
aggiungendo il difetto di venustà e di pudore, pregi che non
vennero mai meno a Raffaello, e la strana volgarità di avere
scritto nel braccialetto il nome suo proprio, cosa di cui non v'è
altro esempio nei ritratti che fece, sarci indotto a erodere che
sia opera posteriore di uno scolaro o di un imitatore. Parmì
anzi evidente che l'armilla col Raphael Urbinas sia stata aggiunta
posteriormente, e potrebbe addursene ad argomento che non la-
scia alcun segno né rilievo nella carne del braccio che stringe.
Resta il ritratto che ha per titolo la Donna velata e che si
trova nella galleria Pitti. Qui veramente a chi ben guarda la
man'era di Raffaello, pare evidente. Suo ò il modo di disegnare,
di colorire, suoi gli occhi, sue le mani. E sebbene ella sia veatita
signorilmente, non di meno il tipo è tale romano, quale ancor si
vede oggi nelle donne del popolo di questa città. Potrebbe ta-
luno forse trovare fra essa e il ritratto della galleria Barberini
una cotale somiglianza. Io la scorgo piuttosto colla Maddalena
che è nel quadro di S. Cecilia, e più manìfostaimcnto ancorai
benché sublimata dal 8* ì<> divino, nella Madonna di S.Sisto.
La qual somiglianza ni' i^cerne, per quanto la fantasia dei
dilettanti si sia sforzata di ricercarvola, confrontandola colla
Fomarina di casa Barberini, e meno ancora confrontandola colla
donna coronata d'alloro della galleria «logli Uffizi. Adunque ci
sia lecito il credere che se il ritratto dell' innamorata di liaffaellu
esiste ancora, esso è quello della Donna vdataf il cui tipo nelle
' Gbutbb, /> Portrait dtla Fomarina par Raphael. Paria, 1877; citato
dal Muats, pag. 405, il qaaU aoggiange: « Raphael n'a jninais rmidu avec
tant de perfectioo la diìlieateaM et la soaptesM dea chaira; Jamaia il n'a
tradait avcc un «neeès aamii /'clataot lea manifeatationa de la vie; od crott
▼oir circuler le aang, on croit acntir lea battetneDta da potila; auaai le por-
trait Barl>orini fomae-t'ìl aans ceaae rótonnetnent comme le deae^poir deii
vAriatfta » Ia) SprÌDger iiiTece, pag. 251, vi tvova parecchi difetti.
446 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
opere posteriori dell'autore non è difficile a riconoscere; che
il ritratto di casa Barberini possa ben essere un ritratto della
stessa persona, ma non fatto da Raffaello medesimo, bensì dopo
la sua morte, sopra un disegno lasciato dal maestro, ovvero an-
che sul vero, e forse da Giulio Romano ; che finalmente la donna
coronata d'alloro alla galleria degli Uffizi probabilmente non sia
di Raffaello, e posto che il fosse, rappresenti tutt' altra persona
che la sua innamorata. '
V.
Ho detto che il tipo della Donna velata si riscontra nella
Madonna di S. Sisto. Anche essa appartiene a questo periodo
(1515-1516), come pure un'altra insigne opera di Raffaello, lo
Spasimo di Sicilia, della quale Agostino Veneziano pubblicò la
stampa nel 1517, onde di necessità il quadro precede questo
tempo. Vasari ne racconta le vicissitudini fortunose : u Questa ta-
ti vola, dic'egli, fu vicinissima a capitar male perciocché secondo
u che ci dicono, essendo essa messa in mare per essere portata
ti a Palermo, una orribile tempesta percosse ad uno scoglio la
u nave che la portava, di maniera che tutta si aperse e si per-
u derono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola sola-
ti mente, che cosi incassata com'era fu portata dal mare in quel
u di Grenova, dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere
u cosa divina, e per questo messa in custodia, essendosi mantc-
ti nuta illesa e senza macchia e difetto alcuno, perciocché sino
u alla furia del vento e l'onde del mare ebbero rispetto alla bei-
ti lezza di tale opera, della quale divulgandosi poi la fama, pro-
ti cacciarono i monaci di riaverla, e col favore del papa essa fu
ti renduta loro, n * Erano questi i monaci Olivetani, i quali avo-
vano in cura la chiesa detta S. Maria dello Spasimo a Palermo.
Ma nel secolo posteriore Filippo IV la tolse loro e la volle
nella sua galleria. Quivi rimasta sino a che le armi napoleoni-
che la trasportarono al Louvre, fu poi ricondotta, dopo la restau-
' Lo Springer, loc. cit., ammira assai La donna velata, né dulaita che sia
di Raffaello, anzi dice che quella immagine doveva essere profondamente
impressa nella sua fantasia : non gli mancava dunque da fare che un sol
passo per riconoscervi la sua bella, ma il vestiario e gli ornamenti gli fanno
credere che codesta fosse una signora appartenente all'alta società. A me
tal difficoltà semhra ben lieve, e trovo naturale che l'artista dipingesse la
sua bella vestita signorilmente.
* Vasabi, voi. Vni, pag. 37.
D
RAFFAELLO A ROMA >«.'iì.j LEOME X. 447
razione a Madrid. Rappresenta Gesù colla croce quando salendo
il Calyario incontra le pietose donne; e fa meraviglia per la
quantità e la varietà delle figure, cosi ben disposte e collegate
che lungi dal far ingombro, anzi, tutte sembrano necessarie,
perchè tutte cooperano all'azione, e si veggono distintamente.
Gesù caduto in terra sotto la croce mostra il dolore fisico, e
insieme la mansuetudine dell'animo. Il gruppo delle donne al
quale egli si volge esprime la pietà nelle diverse sue forme.
La madre gittasi innanzi per abbracciare il figliuolo , e la
soccorre Giovanni dei discepoli il più amoroso. La Maddalena
p ire sorregge la madre, ma colla faccia intenta al suo maestro ;
e delle altre donne questa è genuflessa, quella in piedi tutta
smarrita colle mani giunte. Dall' altra parte ha aspetto fiero
ma non duro il Cii'eneo che solleva la croce dalle spalle di
Cristo per rivoltarla; duro ma non crudele colui che lo tiene
per la fune; crudelissimo è il terzo che con sorrioo feroce
cerca di pungere Gesù coli' asta, e si compiace dei suoi tor-
menti. Nel secondo piano superiore ; dal lato di codesti mani-
goldi è un vessillifero indifferente e guarda indietro perchè ia
marcia s'arresti. Dal lato delle danne scorgonsi a cavallo due
uomini, il centurione romano, ed un Giudeo; nel volto del
centurione si legge il sentimento di chi eseguisce un comando
iniquo, ma senza sua colpa, e non è privo di compassione;
nella faccia del Giudeo è scolpita la perfidia di coloro che
appassionati contro la santa dottrina e la innocente vita di
Cristo, ne hanno promosso il giudizio e voluta la morte. Cosi
nel quadro è interpretata la storia, e la condizione del paese
ove l'avvenimento succede. '
Se questo quadro può paragonarsi ad un dramma, la Ma-
donna di H. Sisto invece è un inno alla gloria della vergpne
madre. La quale poggiando il piede sopra il globo, circondato
dalle nubi, par che d'improvviso apparisca e presenti all'uni-
vèrso il bambino porche lo adori, il barobino che pur nello in-
fantili fattezze prcnunzia il salvator del mondo. Lo splendore
di queste due figuro non può descriversi adeguatamente a pa-
role. Intorno intorno, qoasi perduta in ombra az/.urra, la gloria
degli angeli le attornia. Ai loro piedi inginocchiati Ntanno San
Sisto e santa Barbara, pieno di maestà il primo, e di can-
dore la seconda. Nel piano inferiore finalmente due angioletti
> PisTBO OioBOAMi Opere. Ijo «ftmkno ài 8UUa imta§Uato 4td TotekL
448 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
appoggiati ad una balaustrata che li nasconde sino quaai alle
spalle, volgono gli sguardi al cielo. Con queste poche figure
l'artista ha conseguito un effetto singolare, avvegnaché nell' a-
nimo dello spettatore desti un sentimento misto di venera-
zione e di entusiasmo. Ma come la Spagna ci ha rapito lo
Spasimo, così la Germania ha potuto aversi questa Madonna.
I frati del convento di S. Sisto a Piacenza, incuriosi del te-
soro che possedevano, lo vendettero ad Augusto III Elettore
di Sassonia per quarantamila fiorini e meritarono il biasimo
severo dei posteri italiani.
Prima di lasciare questo periodo è mestieri che io dica dei
cartoni fatti per i panni d'arazzo ornativi della cappella Sistina,
che Leone X fece lavorare in Fiandra. I disegni furono comin-
ciati nel 1515 e finiti nel 1516 ' poi spediti a Bruxelles e i
drappi detti d'arazzo giunsero per la maggior parte a Roma nel
1519 e furono esposti nella cappella Sistina per la festa di santo
Stefano di quel medesimo anno. Sono dieci panni rappresentanti
atti degli apostoli, ed ebbero anch'essi vicende varie e fortunose.
Dopo la morte di Leone, nella penuria di danaro furono messi
in pegno per pagare le spese del conclave, poscia nel sacco
di Roma del 1527 manomessi e guasti, parte venduti e dispersi
in guisa che più tardi ne furono trovati taluni brani fino a
Costantinopoli; alla fine ritornarono a Roma e vi rimasero
sino alla venuta dei francesi nel 1798. Di nuovo usurpati, ven-
duti air incanto, trasportati altrove, alfine per cura di Pio VII
furono riacquistati e rimessi in Vaticano dove oggi si ammi-
rano. Quanto ai cartoni, sette rimasero a Bruxelles dove li trovò
Rubens nel 1630, il quale ne fa tanto ammirato che a sua pre-
ghiera furono acquistati da Carlo I re d' Inghilterra che li tra-
sportò nel palazzo di Hampton-Court * ; tre andarono perduti,
dei quali uno era stato rimandato in Italia, e dato da Raffaello
al cardinale Grimani nella casa del quale l'anonimo del Morelli
' Esìstono due ricevute una del 15 luglio 1515, l'altra a saldo del 20
dicembre 1516. V. Passavant voi. Il, p. 190. Il prezzo dei cartoni fu di 100
ducati l'uno. La spesa di ogni arazzo fu di 1500 ducati. L'opera fu eseguita
a Bruxelles da Pietro Von. Elst. Sette furono esposti nel 1519, gli altri fu-
rono consegnati nel 1520. V. Mììntz Ilistoire de la tapisserie italienne. In
Italia si chiamavano arazzi della città di Arras dove fu la prima fabbrica
famosa, ma a questo tempo era già decaduta, e primeggiava invece quella
di Bruxelles.
' Oggi sono al Kensington Museum in Londra,
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 449
lo vide nel 1521. Quanto ai cartoni dei fregi rimasero lungamente
nella fabbrica e furono adoperati poscia anche in altri lavori.
E sembrato a taluno che Raffaello non abbia bastevolmente
pensato alla natura dei dipinti che la tappezzeria consente di
imitare, imperocché essa non può seguire e appuntino ripro-
durre la finezza del disegno, e meglio si appropria le riqua-
drature architettoniche, i lati paesi, le figure variamente mosse,
la magnificenza del vestire, lo splendore degli ornamenti; e
perciò accusano Raffaello di aver fatto questi disegni come se
dovessero servire a dipingere freschi, anziché a tessere drappi. '
Io non mi sento in grado di dare un giudizio sopra di ciò ; ma
parmi potersi affermare che per semplicità, nobiltà, e grandezza
di componimento i cartoni delle tappezzerie non siano inferiori
ad alcuna delle opere più eccellenti che Raffaello facesse mai.
L'arte a mio avviso non sali in altre composizioni a maggiore
altezza e perfezione di concetto, di espressione, di verità.
Ho detto che i cartoni rimasti sono sette: il primo di essi
ippresenta la Pesca miracolosa.' Il lago di Genesareth ci sta di-
nanzi stendendosi fino al fondo ove si perde, e le sue rive sono
coperte di selve, di villo, e frequenti di abitatori. Due barche a
poca distanza dal lido; nell'una Cristo che benedice, e ai suoi
piedi prostrato in atto di adorazione e di gratitudine S. Pietro
il quale avendogli detto poc'anzi : u Maestro, ci siamo affaticati
tutta la notte e non abbiamo preso nulla n ha visto ora ad un
tratto le sue reti riempirsi e quasi rompersi per soverchio poso.
K ciò ben dimostrano quei pescatori della seconda barca che a
irran fatica sollevano le reti: e le barche stesso che, come gra-
dite, prendono assai più dell'acqua che non sogliano. Termina
il quadro dalla parte dello spettatore la riva abbellita di piante,
di fiori, di conchiglie, di uccelli pieni di vivacità e di vaghezza.
Non meno semplice e bello è il componimento del seoondo
irtone che raffigura quel punto nel quale Cristo dopo la sua
morte npr- ' ai discepoli. ' Qui ancora Pietro è inginocchiato
li piofli <i • e accolta le parole: Pietro mi ami tu? Ed
<"^\ì: Signoro tu sai il tutto e conosci che ti amo: va dunque,
gli diHKc Orsù, e pasci le mio pecorelle. Chi guarda il paese
di queiito quadro coi suoi monti, coi boschi, coi castelli, vede una
• lolle più belle scene che si posta immaginare; ohi guarda gli
' Marra, op. eit psg. 28.
• 8. Loca, cap. V. 2, 7.
* B. OioTAMHi, cap. XXI« 14, 17
450 RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X.
apostoli discerné nella lor faccia e negli atti quel'o special carat-
tere che dagli evangeli a ciascun di loro è attribuito diverso-
li terzo componimento è preso dall'istoria degli apostoli '.
Siamo nel tempio di Gerusalemme e alla porta chiamata spe-
ciosa e' è un uomo storpiato dalla nascita, il quale a Pietro e
Giovanni entranti, ha chiesto l'elemosina. E Pietro gli disse : « Io
non ho argento né oro, ma quello che ho te lo dò; nel nome
di Cristo, alzati e cammina; e, presolo per la man destra lo
alzò, e gli si consolidarono gli stinchi e le piante dei piedi.
Questo è il momento scelto da Raffaello. La dignità di san
Pietro, l'attitudine compassionevole di S. Giovanni, l'attenzione
e la meraviglia di tutti gli astanti sono cose vive. Da una parte
una donna pur riguardando ciò che avviene non cessa di allat-
tare il bambino, dall'altra parte una giovine si affretta portando
sui capo una cesta con offerte al tempio, e tiene il suo fanciul-
letto a fianco.
Il cartone quarto rappresenta Anania colpito improvvisamente
di morte, perchè aveva mentito allo Spirito Santo *. Mentre
Pietro, ispirato di nobile disdegno gli rimprovera la sua men-
zogna, Anania cade repente, e gli spettatori intorno intorno ten-
gono gli occhi in lui rivolti, e nelle fattezze loro leggi i senti-
menti dai quali sono commossi, meraviglia, dolore, sgomento.
Il quinto cartone (stracciato e guasto) effigiava Elima ac-
ciecato '. Sopra l'alto seggio sta il Proconsole, e Paolo (rappresen-
tato con figura analoga a quella che abbiamo già veduto nella
santa Cecilia), gli spiega la parola di Dio. E poiché il mago
Elima gli si oppone. Paolo gli risponde, così: o uomo pieno di
inganni, ecco la mano del Signore viene sopra di te, e resterai
cieco senza vedere il sole per un tempo. E subitamente (segue
la scrittura) una tenebrosa caligine cadde sopra di lui e aggi-
randosi intorno cercava chi gli desse la mano. E di vero non è
questo un cieco già di gran tempo assuefatto alla sventura: ma
lo diviene in quest' ora, e brancola a caso, e nella sua faccia
si legge l'inopinato colpo che lo percuote.
Il sesto cartone rappresenta il tempio di Sistra \ Dinanzi
all'ara è condotto il bue, e il sacrificatore sta per calare la scure
sul suo capo. Presso all'ara due fanciulletti soavissimi uno dei
1 Atti degli Apostoli, Gap. Ili, 2-3.
' Atti degli Apostoli, Gap. V, 1-5.
' Atti degli Apostoli, XIII, 6.
' Atti degli Apostoli, XIV, 7-14.
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 451
quali tiene la scatoletta degli incensi, e l'altro suona i due flauti
impari. Ma la plebe che si accalca vuole, e lo mostra con gli
atti, che non a Giove si bene a Paolo si sacrifichi come au-
tore di miracoli. E Paolo dall'altra parte si straccia le vesti e
grida: non a noi uomini mortali, ma al Dio che fece il cielo e
la terra è dovuta la vostra adorazione.
Bellissimo quasi sopra tutti è il settimo, quando Paolo con-
dotto nell'Areopago predica al popolo e ai filosofi che l'accer-
chiano. * V è una calma, e una serenità stupenda in questo
quadro dove uno solo è il sentimento di tutti, l'attenzione, ep-
pure espressa nei modi più svariati. E parti d'adire l'apostolo
che dice : Passando io, e considerando i vostri simulacri ho tro-
vato un'ara, sopra la quale era scritto al Dio ignoto. Quello
dunque che adorate senza conoscerlo, io annunzio a voi. Egli
è quel Dio nel quale viviamo, e ci moviamo, e siamo. Fra le
figure di questo quadro è da notare quella che sta a sinistra
subito dietro l'apostolo e porta una berretta in capo. E la noto
per mostrare che Raffaello non isdcgnava neppure d' imitare
altrui, imperocché questa figura fu immaginata da Alberto Durerò
nella passione piccola ; e fu poi copiata sovente dai veneziani nei
lor quadri, e sopratutto da Bonifazio.
Tre altri cartoni sono perduti ma come in parte io feci por
la storia di Elima, possiamo giudicare della composizione dagli
arazzi che ne rimangono : e i soggetti sono i seguenti. L' uno
è santo Stefano il primo martire della fede cristiana nel mo-
mento in cui è lapidato. Già non può reggersi ed è caduto
sulle ginocchia, ma volge gli occhi al cielo, mentre i manigoldi
gli gittano a gara i sassi; e Paolo, ai cui piedi han deposto i ve-
stimenti del giovinetto, lo guarda senza pietà, egli che diverrà
fra breve il più ardente fra i suoi imitatori. ' La conversione
di Paolo V rappresentata nel secondo araszo quando un lume
dal cielo gli sfolgoreggpò di contro, ed egli caduto da cavallo
udì la voo.c che lo chiamava a salvazione. ' Il terzo ^ S. Paolo
prigioniero. E si vede alla cima della montagna il carcere, e
.1 pie di essa per ano speco aperto an gigante che la scuote,
onde i due custodi spaventati fuggono, di che questo arazzo
fu volgarmente denominato il terremoto. E per la qualità del
L luogo dove andava posto, è più stretto degli altri, e poco mag-
I AtH degU Apostoli, X VII, 17 - 28.
• Atti d^ffli ApoMfoU, VII, 57 — W.
' Atti (ir;/U Ap-»(ni;. L\, 3 — 6.
452 RAFFAELLO A ROMA HOTTO LEONE X..
giore dei pilastri. I quali tramezzavano l'uno e l'altro drappo,
ed erano tessuti di arabeschi e di grottesche a colore. Infine
la tappezzeria aveva un fregio o zoccolo a chiaro scuro, e questi
zoccoli rappresentano due serie di fatti;' gli uni, tratti pur essi
dagli Atti degli apostoli, e gli altri che si riferiscono alla vita
di Leone X ; quando fuggi da Firenze pei* la sommossa del 1494
contro i Medici; quando era legato al campo e si trovò alla batta-
glia di Ravenna; quando venne al conclave; quando eletto Papa
ricevè l'omaggio dai cardinali; quando come Pontefice ritornò a
Firenze e vi fu accolto dal Gonfaloniere Ridolfi.
Parve a taluno che questi tre arazzi dei quali non abbiamo i
cartoni fossero scadenti al paragone degli altri. A me tal giudizio
sembra erroneo, e nell'attitudine di S. Stefano e dei lapidatori
e nella caduta di S. Paolo veggo il medesimo genio di compo-
sizione, e quel potente disegno che dà forme adeguate ad ogni
concetto. Piuttosto oserei manifestare un altro dubbio : in talune
di queste opere mi par di scorgere qualche figura il cui atteg-
giamento non ha più quel carattere spontaneo, e naturale che
tanto ci attrae nelle sue opere precedenti; si direbbe che l'ar-
tista r ha posta 11 coli' intento di farla ammirare dagli spetta-
tori e copiare forse dagli artisti che verranno. Questa ricerca
dell'appariscente, del difficile, del modello, che appena può dirsi
in Raffaello essere un neo, nei suoi imitatori diventò difetto
gravissimo e specialmente quando all' imitazione di lai aggiun-
sero anche quella di Michelangelo. Ed un' altra osservazione
mi cade nell'animo confrontando i cartoni coi panni, ed ò che
sebbene questi siano copiati e direi quasi calcati su quelli, pur
nondimeno v' ha qualche cosa che ti fa accorto che non furono
tessuti in Italia ma in Fiandra; perchè non solo negli alberi
e nelle piante, ma nelle persone stesse il maestro tessitore v'ha
introdotto tal fiata un non so che di peculiarmente fiammingo,
che si sente più che possa descriversi. Pur nondimeno queste
tappezzerie formano tutte insieme un poema mirabile, e ben a
ragione potè Paride de' Grassi maestro di cerimonie del Papa,
dire che quando si videro per la prima volta esposte, fu univer-
sale il grido nulla esservi di più bello nel mondo. * Quando si
' Diario di Paride de Grassi 1519 (dal manoscritto esistente nella bi-
blioteca comunale di Bologna). < In die Sancii Stephani jussit Papa appendi
suos pannos de Rassia novos, pulcherrimos, pretiotos de quibus tota capella
stupefacta est in aspectu illorum; qui, ut fuit universale iudicium, sunt rea
qua non est aliquid in orbe nunc pulchrius.
i
RAFFAELLO A ROMA SOTTO LEONE X. 453
pensa alle cerimonie splendidissime di Roma sotto Leone X cele-
brate nella cappella Sistina, la cui volta era dipinta da Michelan-
gelo * le pareti nella parte superiore dai migliori artisti del quat-
trocento; ^ e sotto di esse pendevano gli arazzi di Raffaello si
può ben dire che questa è gloria dellanazioue e dell'umanità.^
Al momento della narrazione al quale siamo giunti, Raffaello
è al colmo della grandezza. Protetto dal Papa, favorito dai
principi, careggiato dagli amici, adorato dai discepoli, famoso
già per tutta Italia e fuori mercè le stampe di Marcantonio, a
s'oli 33 anni può dirsi la delizia di Roma, e della sua età. Da
ogni parte gli piovevano commissioni, e mancandogli il tempo
era costretto di rifiutarle non solo a privati ma anche a signori
potentissimi. E sappiamo per cagion d'esempio che Alfonso duca
di Ferrara insistette per anni ed anni a mezzo del suo legato
(il vescovo Costabiii) per avere da Raffaello un quadro, e spesso
montò in collera degli indugi, e lo costrinse persino ad accet-
tare una caparra per assicurarsi del lavoro; e nondimeno la
cosa fu si a lungo protratta, che Riffaello mori senza averlo
neppure cominciato. * Quei lavori medesimi che in questo ultimo
periodo di sua vita, accettò sìa dal Papa Leone sìa da altri,
quasi tutti si contentò di disegnarli solo, o dì farne il cartono,
lasciandone ai suoi scolari la esecuzione. Laonde pochissime
sono le opere che di sua mano rimangono dal 1517 al 1520.
Ogni anno si venivano cumulando in lui gli uffici e gli incarichi,
non solo rispetto alla pittura, ma eziandio all'architettura e
alle antichità di Roma, sicché a mala pena s' intendo corno
egli potesse contemporaneamente bastare a tante occupazioni.
Ma il diro di lui come architetto, come scultore, come anti-
quario, il descrivere le sue opere ultimo, il toccare dei saoi
amici, della sua morte, del suo gonio, sarà tema della tersa
parto di questo lavoro. j^^^^ MiNO.nn..
' Il giadlzio onirerMle ri fti dipinto poi nel !584.
* Alessandro Botttcelli, Luca Signorelli, l'urugìno, Pinturicchio ed nitri.
* ÌjA aecooda serie delle tappesserie, che rappresenta tiiluni fatti della
vita di Cristo, non appartiene a Baflhallo ma ai suoi scolari; ol case sono di
gran lunga inferiori. Forse Raffaello diede il primo disegno dell' incorona-
zione (iella Vergine; ma il disegno ehe gli ò attribuito o di cui si vanta la
colleziono di tiigniariDgen rappresentante l'adoraaione dei Pastori, sarebbe
a giudizio di sagace critico di Baldassarre Peruul.
* V. notizie cit. dal Campobi. — Raff^^ello per farsi perdonare l'indugio
mandò al duca Alfonso il cartone deirarcangelo UicbeU dipinto nel 1517
per Francesco I di Francia.
L'ISTRUZIONE AGRARIA E LE SCUOLE RURALI
IN T ^r A^Tu T A.
I.
Per quanto si sia scritto e parlato sulla istruzione agraria,
per quanto il Ministero della Agricoltura e del Commercio
— entro ai limiti troppo angusti, a dir vero, del bilancio, —
abbia promosso utilissimi provvedimenti, tuttavia i frutti rac-
colti non corrisposero fin ora alla aspettazione. Infatti le con-
ferenze qua e là istituite dal Governo per sbocconcellare le no-
zioni più indispensabili d'agronomia ai maestri elementari; l'in-
segnamento introdotto nelle scuole normali, i Comizi agrari e
le stesse scuole pratiche di agricoltura, rimasero inferiori alle
speranze e al bisogno.
Le cause parzialmente considerate sono molte e diverse, e
il volere qui passarle tutte in rassegna è forse superfluo. Non-
dimeno voglio menzionarne le principali, cosi come mi saltano
alla memoria, senza prendermi la briga di indagare se altri le
abbia designate agli studiosi dell' economia nazionale, giacche
mi riserbo per ultimo di coordinare poi tutte le cause parziali
ad una d'ordine generale, d'importanza capitalissìma, che è come
la sorgente prima da cui scaturiscono in rivoli diversi e mol-
teplici tutte o quasi tutte le altre.
Tra i mezzi proposti e tradotti in pratica dal Ministero, per
rendere più prospera l'agricoltura, dovrebbero tornare abbastanza
utili le Conferenze d'Agraria, alle quali più volte vennero in-
vitati i maestri elementari per riportarne attestati di abilitazione,
l'istruzione agraria e le scuole rurali in ITALIA. 455
onde poi travasare nelle teste dei contadini le nozioni più ac-
concie e più necessarie. Ma quanti maestri elementari vi ac-
corsero? quanti, tornati alle loro scuole, le praticarono inse-
gnando? Dalle notizie che il Ministero d'Agricoltura pubblicava
sul finire del 1882, si rileva che l'insegnamento agrario nell'anno
1878-79 venne fatto per tutta Italia in 310 scuole elementari
maschili, il che significa che 310 maestri si trovarono o si cre-
dettero in grado d'impartirlo.
E che sono 310 scuole sopra 15 o 20,000?
Ma quel che più importa, quali eflfetti se ne ricavarono?
Leggo che sulle 310 scuole, 18 se ne annoverano nella sola
provincia di Modena. Eppure questo fatto, di cui avremmo a
rallegrarci, passò fra noi inosservato, quasi sconosciuto. Non si
creda che io voglia mettere in dubbio la sincerità e l'esattezza
delle informazioni trasmesse ufficialmente al Ministro : dico che il
sepolcrale silenzio onde furono qui circondati questi insegnamenti
potrebbe essere indizio significante della loro poca importanza,
sia considerati in sé stesai, sia per la qualità di coloro a cai
furono rivolti. Infatti, o istruite nell'agraria i giovanetti della
scuola elementare, e sarà fiato sprecato per le ragioni che verrÀ
man mano esponendo; o chiamate alle lezioni gli adulti, e sul
principio spinti dalla novità e dal desiderio accorreranno forse
in buon numero; ma poi a poco a poco diranno addio alla
scuola e al maestro; giacché la gente del contado soffre quel
famoso difetto che si attribuisce, forse temerariamente a San
Tommaso, e cioè non crede quello che non tocca; non ha grilli
nò fisime pel capo; esige le cose pratiche e piane; e quando
veniva chiamata da un insegnante elementare alle lesioni di
i/rl oltura, andava dimandandosi: O comò pretende costui di
\ ol. r insegnare a noi, quello che egli non ha mai fatto, e che
noi facciamo da si gran tempo? Che parolone son cotesto V
Dov'è il podere o il campiccllo o il vivaio o la stalla, oro le
belle parole abbiano una conferma nei fatti? Né il grossolano
raziocinio dei conta<lini è senza fondamento di ragione, dap-
poiché non fu possibile mai il farsi maestri d'arta, sema ohe
si approfondisse o quella data arte, o quel dato mestiere; né
arti e mestieri si approfondiscono, se non vi si dedicano pa-
recchi anni, non solo; ma se non si viro in meszo a quull'aria,
a quel clima, a quei costumi, a' c^ii bisogni si rivolge e si ac-
concia l'esercizio dei mestieri e delle arti stesso : fn una parola,
le teorie di un'arte che poggia principalmente sulla pratica, non
456 l'istruzione agraria e le scdole rurali
approdano a nulla, se chi si fa ad apprenderle, non le trasfonde
in sé stesso con tirocinio educativo.
Or chi non sa quali e quante attitudini rechino a questo i
nostri maestri delle scuole rurali in generale? Disposizioni e
abitudini alla vita dei campi, no davvero ; giacche i più creb-
bero nelle città, e stettero parecchi anni in un Convitto Nor-
male sospirando il giorno di uscirne, studiando attraverso le
vetrate delle bussole e delle finestre la vita delle città e delle
campagne, senza nemmeno rilevarne le forme superficiali ; —
di poi, conseguito il diploma e postisi a caccia di una scuola,
tentarono ogni via prima di accomodarsi ad una scoluccia di
campagna, retribuita troppo scarsamente, amata e desiderata da
pochi 0 da nessuno, tollerata dai più, frequentata irregolarmente
dai contadinelli, insufficiente al profitto degli allievi, ai bisogni
della popolazione agricola, e a quelli dell'innegnante; al suo pre-
sente, al suo avvenire, alla sua dignità personale.
Aggiungi non poco difetto nei maestri di studi preparatorii
all'insegnamento, non dirò dell'agronomia, ma delle buone pra-
tiche agronomiche ; che la scuola di agronomia introdotta negli
istituti normali sorvolava spesso le essenzialissime e d'ordine
più generale, aggirandosi troppo nel campo delle teoiie, sicché
poteva considerarsi piuttosto intesa a somministrare qualche
nuovo elemento di quella coltura generale che si richiede nei
maestri elementari, non perchè essi diventino, come alcuno vor-
rebbe, piccoli emporii di un'enciclopedia mal digerita e malsana,
ma perchè non accada loro quello che accadde al poeta Pope
e a due suoi sapientissimi amici, di scambiare una spiga di
frumento per una di avena o di segala. Taccio della poca o ninna
uniformità d' indirizzo degl' insegnanti, forse non sempre bene
penetrati dello scopo : del materiale manchevole alle esperienze,
e delle scolaresche. Infatti nel 1878, Aquila diede alunni 6;
Caserta 5; Palermo 18. — Nel 1879, Forlì 16; Urbino 16;
Aquila 9; Palermo 7. — Il De Sanctis riordinò poscia questo
insegnamento e lo rese obbligatorio colle modificazioni 30 set-
tembre 1880 ai Regolamenti del 1860 e del 1861. Ma basta
osservare i brevissimi cenni che nel programma didattico ven-
gono dedicati a questa materia, i limiti assai indeterminati, al-
cuni incisi troppo eloquenti nel loro laconismo, e le pochissime
ore settimanali prescritte per comprendere che la povera agro-
nomia dimora nelle scuole, come que' pigionali che sono in ar-
retrato colle quote annuali.
nf ITALIA. 457
II.
Una leva potente a sollevare l'agricoltura nazionale sareb-
bero le associazioni private, i comizi, le società agrarie, in quanto
essi meglio assai del Governo, conoscendo appieno lo stato delle
terre e della coltivazione nelle diverse provincie, i bisogni par-
ticolari dell' agricoltura e dell' industria, traggono da tutto ciò
impulso e vigore a promuovere nei proprii territorii i necessari
miglioramenti agronomici; i comizi sono paragonabili a senti-
nelle avanzate che vegliano ai terreni nazionali e chiamano
all'erta e i possidenti, e i comuni e le provincie e il Governo
ogni qualvolta si richiegga l'opera loro. Chi meglio dei comizi
riuscirebbe a sradicare le viziose pratiche agrarie che a guisa
di male erbe pullularono nelle nostre campagne ? E non spet-
terebbe ai comizi di far conoscere, come ebbe a dire il depu-
tato Garelli nella tornata del 19 gennaio 1883 alle Camere ed
additare i sistemi più razionali di coltura, gli strumenti perfe-
zionati, d'incoraggiare i miglioramenti, di promuovere concorsi
ed esposizioni e di raccogliere e somministrare al Oovemo x dati
statistici e le notizie riguardanti la produzione agricola f Questo
è lo scopo dei comizi, altissimo e utilissimo davvero. Ma cia-
scuno sa come vissero e comò vivono i nostri comizi, o quale
opera dessero al bene pubblico. Io non ignoro come in gene-
rale prestassero qualche utile servigio, segnatamente per quanto
si attiene alle nostre 193 stazioni di animali bovini riprodut-
tori, che in grandissima parte vennero affidate alle loro cure ;
ma pure molte di queste associazioni morirono in culla, altre,
e sono la maggior parte, tirano innanzi strascinandosi a stento
anemiche e abbandonate; pochisHime tenuto su dalla mano yi-
gorosa di qualche Presidente animoso, combattono la cascaggine
g'^nerale che minaccia di invcHtirlc o di frollar loro lo midolla.
Vj le canse di tutto ciò? Le eauso immediate possiamo rias-
Kiuncrle in due principalmente : i pochi sussidi concessi loro
dallo Stato, la noncuranza generale dei proprietari. Infatti, quanto
all'aiuto dello Stato, a che giovano p. e. lo 58,000 Uro inscritte
nel bilancio del Ministero d'agricoltura per il miglioramento
della razza bovina in tutto il regno? Questo elemento capita-
lissimo della ottima aratura, e di tutti gli altri lavori agricoli ;
della sana nutrizione nazionale, dei mercati nostrani e stranieri,
In una parola, della riccia'//» LuMilìin, nnn Tinritava davvero
y«t« XL, Stf • li — 1 AfMto ISK;. 90
458 l'istruzione agraria e le scuole rurali
sollecitudini e spese maggiori ? Giacché, se come purtroppo dob-
biamo riconoscere, lo spirito d'associazione rimane fra noi tra
i ceppi delle viete abitudini, indifferente, o sospettoso, tanto
più lo Stato educatore, a cui spetta di scuotere l'attività dei
privati, più che di sostituirsi ad essa, dovrebbe ridestarlo non
solo colle leggi e colle circolari, ma più specialmente colle sov-
venzioni, coi premi e colla sapiente sorveglianza.
Molto sarebbe opportuno ed utile penetrare nelle intime ra-
gioni del perchè in Italia non si apprezzino ancora i vantaggi
dell'associare l' opera e i capitali ; ma io non saprei farlo, né
lo potrei qui, poiché uscirei dall'ordine e dalla economia di
questo studio. Mi basta accennare ad uno de' gravissimi osta-
coli, e forse al più grave di tutti (per non ricordare le enormi
tasse imposte dal Governo), che impedisce la cooperazione in-
telligente ed attiva dei possidenti all'intento comune della pros-
perità agronomica industriale, e cioè alla mancanza di capitali
e di credito, mancanza originata in gran parte dalle forze dis-
gregate e però impotenti.
u Lo Stato lunge dall'accrescere la tutela amministrativa
apra un vasto campo alle iniziative individuali o collettive che
sono la forza di un libero paese; e allora tutte le industrie
prospereranno, n
Così dice, e con ragione, il Galanti nel fascicolo V della
Nuova Antologia del corrente anno. Ma è pur sempre vero che
gli agricoltori non riusciranno né ad associarsi, né ad altra opera
di energica iniziativa, se essi non avranno fede nella scienza
e nell'arte agronomica. Né acquisteranno mai questa fede, finché
l'istruzione non avrà allargato dappertutto le sue propaggini.
Crassa ignoranza e pratiche errate dominano ancora e te-
nacemente il maggior numero dei nostri possidenti, simili in
questo quasi del tutto alla classe dei campagnuolì, dalla quale
discendono in gran parte, ed a cui appartengono. E per toglierle
affatto non solo, ma per scemarle sensibilmente, gioverà appunto
l'istruzione, e in particolare maniera la scuola di agricoltura
pratica destinata sopratutto a raccogliere i giovinetti delle fa-
miglie campagnuole, i quali nutriti e cresciuti col latte di una
buona cultura agronomica, dovranno poi fatti adulti, diffonderne
gl'insegnamenti nel contado e promuoverne le applicazioni nella
coltivazione dei campi. Il commendatore Berti che dirige con
tanta solerzia il ministero dell'agricoltura, potè annunciare al Par-
lamento nel gennaio ultimo scorso come solo in quest'anno ve-
IN ITALIA. 459
nissero istituite le nuove scuole pratiche di Fabriano, Eboli,
Ascoli, Brescia, Cesena, Portici, Roma, Firenze, Bari, S. Ilario
Ligure, Imola, Nulvi, Rodi e Girgenti, e che ciascuna provin-
cia del Regno godrà di questa benefica istituzione. Ma pure
è d'uopo confessare che gli eftetti ottenuti non riuscirono finqui
pari al bisogno, sia pel numero degli alunni che le frequen-
tarono, sia pel profitto che essi ritrassero dalla istruzione rice-
vuta, e più particolarmente per l'influenza troppo limitata che
questi istituti diffondono nel ristretto spazio della propria cir-
conferenza; giacché a voler rendere veramente profittevole e
presto l'opera loro occorrerebbe che in ogni circondario fiorisse
una di simili scuole; ma d'onde si ricavano i professori desti-
nati a condurle ? Le scuole superiori di agricoltura di Portici,
di Milano e di Pisa non riescirebbero in breve tempo a pre-
pararne un numero sufficiente. E poi, le rendite dove si tro-
vano? E le famiglie agricole e i possidenti fornirebbero il
intingente di alunni necessario per alimentarle? Tutte que-
ste riflessioni mostrano che dobbiamo procedere sulla via intra-
presa ; ma con prudenza e con raccoglimento : anzi l'ultima do-
manda ci costringe a riflettere se le nostre popolazioni siano
preparate a rispondere con pronta ed efficace cooperazione al-
l'opera del Governo e delle provincìe. Purtroppo i fatti ci pro-
vano il contrario. E qui è da rinvenire la causa principale del
modo lento ed incerto con cui per necessita anche le scaole
agrarie sorsero e si consolidarono.
Ed eccomi arrivato al punto a cui volevo pervenire; ecco
la causa principalissima da cui scaturiscono lo altre cau^e par-
ziali, onde gl'insegnamenti d'agronomia, i comizi, lo associa-
/.ioni, le scuole pratiche fecero prova assai manchevole, voglio
dire la poca o niuna preparazione dei possidenti, e itpccio delle
< lassi agricole a comprendere l'importanza, i bisogni, i necei-
iiiiTi ardimenti, gli utili sag^fici, i futuri e non lontani vantaggi
della aisociar.iooe nel capitale e nel lavoro, dello nuove e più
illuminate pratiche nollu coltivazione dei poderi. Ma questo grave
difetto trovò sin ora alimento nella educazione dei campagnuoli
che è troppo inferiore alla risorta vita nazionale, nis possiamo
operare di vedere fra pochi anni mutate le clas^ii agricole; poi*
che l'ignavia, la diffidenza, l'ostinazione e tutti i pregiudizi che
Hono figli legittimi dell'ignoranza, non danno indietro che len-
t imcntc dinanzi all'opera continua instancabile del tempo e della
civiltà. Le abitudini già contratte sono opinioni che si Tennero
460 l'istruzione agraria e le scuole rurali
consolidando nel cammino dei secoli; nel succedersi delle ge-
nerazioni ; e però le nuove idee, i nuovi studi che si vengono
propagando per opera degli uomini più sapienti e più audaci
non arrivano a combatterle e a distruggerle, finché non si siano
tramutate in convinzioni generali, concordi ed operose.
Questo grande bisogno nazionale non isfuggi alla vista acuta
del Ministro Berti, il quale nella seduta succitata parlando dei
modi spesso contradditori, coi quali taluni pensavano di ordinare
la scuola agraria, diceva: « Quando anche avessimo educato 40
0 50 contadini che non hanno una coltura precedente) non avremmo
efficacemente migliorato il paese, ne perfezionata l'agricoltura. Ci
vuole pure un po' di coltura generale. — Queste quistioni si pre-
sentano molto complesse e difficili, n
E indubitato : manca la coltura generale preparatoria, ed io
aggiungo, la preparazione della mente e del costume nelle po-
polazioni agricole, e in parte anche nei possidenti ; in una parola
manca l'educazione. Ma poiché la buona coltura dell' ingegno è
un fondamento essenziale della educazione stessa, e poiché le
scuole pubbliche popolari sono destinate a porgere gli elementi
di tale coltura, noi possiamo asserire, senza tema di errore, che
la scuola pratica di agricoltura e qualunque altro provvedimento
allo stesso scopo non daranno i frutti desiderati, finché sussi-
steranno le scuole elementari rurali, come sono presentemente
ordinate.
IH.
L' insufficienza delle scuole rurali é una conseguenza del loro
difettivo ordinamento. I fanciulli vi entrano di 6 o 7 anni senza
alcuna preparazione mentale, avviluppati ancora nella rete tenace
dei muscoli esuberanti, sopraffatti dai bisogni della vita animale,
a cui la rozzezza delle famiglie li abbandona 5 e stanno lì grulli,
intonsi, quasi storditi senza intendere una parola del signor
maestro, senza saper piegare la mente alle riflessioni più ele-
mentari, al giudizio più semplice. Prima adunqiie di metter loro
la penna in mano e di condurli a scrivere e a leggere, occor-
rerebbe un anno di esercizi intuitivi sopra cose concrete per
schiarirne alquanto la torbida intelligenza e condurli dilettevol-
mente ad acquistare qualche abitudine di osservazione. Se l'asilo
infantile didatticamente bene organizzato é necessario in città
come il primo gradino per cui si accede alla scuola elementare.
IN ITALIA. 461
o come non dovrebbe essere necessario in campagna, ove i
bambini raostransi tanto più naturalmente restii all' opera edu-
cativa ? Ma no signori ; i legislatori affidarono alle scuole rurali
anche questo primo dirozzamento. Il che anderebbe anzi a ca-
pello, quando la scuola fosse disposta per bene, con due o tre
maestri, e per un tempo di studio obbligatorio assai maggiore;
ma cosi com' è presentemente, tale sconcio riesce gravissimo.
Infatti la legge 15 luglio 1877 non prescrive forse ai genitori
di mandare i figliuoli a scuola fino a tutto il nono anno di età?
E supponendo che i fanciulli si presentino tutti al sesto anno
(il che non accade sempre), che cosa potranno imparare in tre
anni d' insegnamento ? E bisogna anche ricordare che le nostre
scuole rurali debbon ricevere gli scolari fino ai dodici anni,
raccogliendo in se stesse le due prime classi elementari; cioè
la prima ripartita nella sezione inferiore e nella superiore, e la
seconda classe ; — cosicché un solo maestro deve fare contempo-
raneamente quello che in città fanno tre maestri in camere se-
parate e con sezioni o classi separate. E molto spesso in città pre-
cede alla sezione inferiore della prima classe una cosi detta Pre-
paratoria, ove i fanciulletti ricevono la prima idea sensibile delle
cose; e nelle campagne per le ragioni sopra dette, la seziono
inferiore rimane poi sempre ripartita in due : in una inferiore
propriamente detta, contenente i fanciulli che tennero dietro al
maestro nei primi esercizii della sillabazione e della scrittura, e
in una preparatoria, ove si affastella tutta la turba di que' pic-
cini che non riuscirono a seguire i compagni, e che ivi aspet-
tano, come nel Limbo, la grazia di penetrare in avvenire entro
la prima classe inferiore. — Non tre sezioni adunque, ma quattro,
fli voi^lia o non si voglia; quattro scuoio ad un tempo e con un
maestro solol E che si lia poi a dire delle scuole rurali dette
impropriamente miste, ove una sola maestra tiene in ore diverse
maschi e femmine, ossia olio sestoni por lo meno, addossandosi
così sulle spalle l'opera di otto maettrif
Chi non è addentro, fortunatamente per lui, alle nostre scuole
elementari, dubiterà che io vo;;Iia prendere a gabbo gì' inesperti
o gl'ingenui; ma chiunque altro non ignaro, mi farà ragiono.
Infatti, e discendo a queste minazio per convincere gl'increduli,
alle quattro sezioni della scolaresca maschile aggiungiamo le altre
quattro della femminile, ed eccone otto. E poiché in città ci
vorrebbero quattro maestri per le prime e quattro maestro por lo
seconde, la maestra della scuola mista incorpora in so stessa
462 l'istruzione agraria e le scuole rurali
gli uffici di otto insegnanti. 0 come può una maestra durare a
tanta fatica? quale stipendio mai varrà a compensarla? Quanto
alla fatica, ecco qua: La legge scolastica e i municipi trovano
una strada piana e comoda per scemarla; l'orario consueto della
scuola unica rurale è di cinque ore al giorno : la maestra della
scuola mista non ne abbia di più; ma faccia in questo cinque
un taglio sapiente : due ore e mezza alla scolaresca maschile, e
due ore e mezza alla femminile. Il che vuol dire in sostanza
metà del tempo in tutto l'anno per la istruzione dei maschi e-
delle femmine; e però metà del programma d'insegnamento e
metà del profitto ; quando si ottenga tutto quello che si avrebbe
ad ottenere. — Quanto allo stipendio, oh le donne sono natural-
mente così modeste, cosi sobrie nel cibo, nel vestiario, nella
abitazione, in tutti i bisogni della vita, che i municipi a ter-
mini dell'art. 341 della legge 13 novembre 1859, potranno tor
via una terza parte sulle 600 lire circa, onde per lo più ven-
gono retribuiti splendidamente i signori maestri ; talché la mag-
gior parte delle nostre educatrici in campagna (e dico apposta
educatrici per mettere a confronto l'importanza dell'ufficio col
modo di riconoscerlo e di retribuirlo) non godono di stipendia
più di 400 lire; ma non poche di quelle che danno l'opera di
otto maestri debbono contentarsi di 366 lire e 66 centesimi ;
ultimo limite a cui certi comuni si lasciano sdrucciolare, sotto
la salvaguardia delle leggi!!
IV.
Ma tornando alla scuola rurale così detta unica, nuovamente
mi fo a domandare: Che cosa vi potranno apprendere i fanciulli
in tre anni d' insegnamento, e cogli impedimenti lamentati ? Ap-
pena a scrivere e a leggicchiare, senza capire nulla di nulla. E.
dico a scrivere e a leggicchiare alla meglio, quando vadano a
scuola costantemente. Ora chi non sa che i contadinelli frequen-
tano le lezioni colla massima irregolarità? Al che in parte con-
tribuiscono i lavori dei campi, e i piccoli, eppure necessari servizi
che essi rendono ai genitori nella economia rurale, le case sparse
e lontane talvolta dalla residenza scolastica, le strade disagiate
nella cattiva stagione. Ma più ancora vi contribuiscono le cause
che sto per dire, fra le quali la poca o ninna disposizione delle
famiglie ad approfittare della istruzione: grave malanno a cui
tentò apportare un rimedio salutare la legge sulla istruzione
IN ITALIA. 463
obbligatoria; quella povera legge che vide sorgersi incontro
avversari potenti, accuse e condanne d'ogni sorta.
Tutti quelli che sono di facile contentatura e che stando in
panciolle alla finestra colle mani in mano a vedere il cammino
delle faccende umane, vanno esclamando: Lasciate fare alla ci-
viltà; lasciate tempo al tempo; l'esempio di chi va a scuola,
migliorando se stesso intellettualmente ed economicamente, si
trascinerà dietro a poco a poco anche i meno disposti: Vohblìgo
dichiarato dalla legge è un nome vano senza soggetto, quando
la mala voglia e l'impotenza si pongono fra la legge e gli
amministrati. — Le parole di questi pacifici cittadini, di questi
filosofi speculativi non sono senza ragione. Ma la natura e la
storia protestano contro chiunque volesse accettare in senso as-
soluto questa comoda teoria. Certo, esistono ostacoli d' ordine
materiale e morale; ma potete voi negarmi l'indolenza di mol-
tissime famiglie, la noncuranza (e talora si dovrebbe dire anche
peggio) di moltissimi municipi? No certamente.
Or dunque, uno stimolo prudente ed energico deve discen-
dere dalle classi più civili alle più rozze; dallo stato che mira
dall'alto la vita delle minori circoscrizioni e i bisogni di eia-
scuna, e intende ad eccitarne la maggiore attività, pur rispet-
tandone l'autonomia. La stessa Inghilterra ove più che in altri
paesi le forze individuali si univano liberamente in opere col-
lettive a beneficio della educazione pubblica, dava inizio colla
legge del 1870 presentata alla camera dei comuni dal signor
Foster all'intervento più diretto dello Stato nella istruzione po-
polare, proclamandola obbligatoria per tutti e laica nelle scuole
da esso fondate: e profondendo milioni in loro favore; inter-
vento che poi rese più completo e più aperto collo legg^ del
1876 e 1878.
Informandosi a simili concetti sarebbe arrivata opportuna
la legge 15 luglio 1877, condotta in porto dal Ceppino in messo
a difficoltà d'ogni specie, quando avesse mirato giusto e reciso
al suo fine, avralorandosi di tutti i sussidi più utili a raggiun-
gerò r intento. Ma promulgata la leggo, e levatosene un po' di
rumore, non andò guari che rimase quasi dappertutto sensa ef-
fetto, tanto per parte di chi doveva ubbidirvi, quanto per chi
vi ubbidiva.
£ perchè? Istruzione sufficiente non acquistarono quelli che
andarono a scuola fino al nono anno, per lo cose sopra esposte;
non ru> npfjiuHtarono punto gli ni»»-! '•'"• ne stettero lontani. E
464 l'istruzione agraria e le scuole rurali
questi furono la maggior parte. Parlo delle campagne; quanto
alle città, non abbisognava ad esse in generale l'obbligo della
legge. Sono le campagne il terreno più tenace e più incolto :
vengono di là quasi tutti que' 48,88 analfabeti su cento coscritti
che l'Italia negli annali di statistica offre al giudizio del mondo
civile, tenendo il 13™" posto fra i 14 stati d' Europa messi a
raffronto*, vengono principalmente di là quei 60 analfabeti in
media su cento abitanti pei 18 capo-luoghi, di cui l'onorevole
Martini teneva degnamente parola nella relazione alle camere
sul bilancio della istruzione pubblica. Ed è cosa da spaventarcene,
ove queste cifre non si vogliano ritenere premature, essendo oggi
prematura una ricerca esatta sulle conseguenze della istruzione
obbligatoria. O perchè dunque in molti casi non si va a scuola?
Perchè l'obbligo è nella legge, ma non lo si eseguisce. Moltissimi
contadini anche agiati preferiscono tenersi i fanciulli a casa.
Sentirono parlare nel 1878 d'obbligo, di ammonizioni, di multe,
e la maggior parte, per timore di dover pagare, si affrettarono
a ubbidire. Infatti nel 1878 in quasi tutte quelle scuole rurali,
ove risonò per la voce del maestro o dell'ispettore scolastico
il comando e la minaccia della legge nuova, si vide aumentato
il numero degli alunni ; esempio la provincia di Modena. — Ma
poi a poco a poco i nuovi arrivati si dispersero ; anzi, in ge-
nerale, scemò anche la frequenza antica, giacché non pochi
genitori che mandavano a scuola i giovinetti fino al dodicesimo
anno di età, credendosi obbligati fino a quel termine, li tolsero
via prima, quando seppero che la nuova legge si contentava di
averli fino ai 9. In generale l' indifferenza dei possidenti e degli
afiittaiuoli concorre deplorevolmente a mantenere l' ignoranza
dei contadini. Non si ha un concetto giusto sulla importanza
della scuola in campagna, e tutti noi abbiamo sentito più volte
uomini istruiti e non senza amore di patria, dire tra la beffa
e lo scherzo: Qualunque scoluccia va bene pei contadini! —
Oppure: quello là è un maestrucolo asciutto di dottrina; ma
come maestro di campagna, è anche troppo buono. — E la
stessa opinione, o almeno la stessa indifferenza regna nelle rap-
presentanze di comuni assai ragguardevoli. I maestri per esempio
giudicati inetti o quasi ad insegnare nelle scuole di città si
tramutano in quelle di campagna; gli arredi caduti in disuso,
le suppellettili meno buone, alle scuole rurali; ai maestri cosi
detti urbani si assegna talvolta uno stipendio superiore al mi-
nimo legale e un aumento quinquennale progressivo: a quelli
IN ITALIA. 465
di campagna lo stipendio strettamente legale, nessun aumento
progressivo \ tutt' al più l'abitazione gratuita. E perchè questa
diversità di retribuzioni e di ricompense? Non deriva essa dalla
poca stima che si fa generalmente della educazione rurale?
Moltissimi comuni poi non solo si mostrano indiflferenti, ma
sordidi, ricalcitranti alla legge, e talvolta solamente disposti a
fare la volontà propria, in odio alle leggi, alle scuole, ai mae-
stri, e agli ispettori governativi. Se non temessi di suscitare
scandali, citerei nomi di persone e di luoghi. In questa stessa
provincia di Modena, che non è certo da annoverarsi tra le più
incolte, il sindaco di un comune montano volendo ad ogni costo
eleggere una maestra sen^a patente ricorreva a raggiri d'ogni
sorta, ingannando perfino il consiglio comunale. E se non riusci
neir intento, lo si dovette all'opera del consiglio scolastico pro-
vinciale. In altro posto una maestra inviata d'ufficio dal consi-
glio stesso, fu costretta a patire ogni stento per alcuni mesi,
giacche il comune si rifiutò di pagare lo stipendio, tanto che
essa si ritrasse volontariamente. Ha non pervenne ad essere
pagata del servizio prestato, che dopo due anni e più; durante
il qual tempo la interminabile burocrazia sciupava chilogrammi
di carta e d'inchiostro per condurre secondo le vie legali il
ribelle municipio all'osservanaut del suo dovere !
Altrove, per consenso del comune, i fanciulli erano obbligali
a portare alla scuola un contributo di legna pel riscaldamento,
mentre il comune stesso pagava 100 e più lire alla chiesa par-
rocchiale nel giorno della santa processione. ' Che dire poi dei
locali, delle suppellettili scolaBtichc ? Duo anni fa un grosso
«omuno di pianura teneva la scuola maschile in una cameruccia
terrena umida, mal sana, senta aria, senza luce, attigua ad un
altra stanzaccia, ove si depositavano i cadaveri dei defunti in-
chiodati nelle rispettive casse, fin che poi venivano dai pietosi
confratelli in camiciotto trasportati al cimitero. — Anche a questi
giorni in un paese relativamente agiato non lontano da una
città popolosa, si raccoglievano 65 fanciullo entro una cameretta
capace di contenerne appena venti ; e non piccola parto di esse
sedevano o per terra, o sopra sgabellucci in positure cosi di-
sagiate che era una pietà a vederle.
Né il regio prefetto, né il regio provveditore, nò il consiglio
' Questa comma era nel bilancio comunale compresa io una maficRÌor
somma lotto il titolo oomplesairo : Bettauri alta chit$a parroechiaU.
466 l'istruzione agraria e le scuole rurali
Bcolastico provinciale stanno colle mani in mano, e a poco a
poco scomparvero o diminuirono grandemente tali sconcezze. Ma
il più desiderabile sarebbe di far penetrare entro quegli orga-
nismi viziati dalle cattive abitudini un soffio salutare di vita
nuova; un alito di quel sentimento che spinge in ultimo anche
i più ritrosi a cercare spontaneamente il pubblico vantaggio,
l'umanità e la giustizia. — Se non che, abbisogneranno esempi
e stimoli non pochi prima di toccare questa metà. Ora, ove
regna tanta inerzia e tanta avversione, l'obbligo scolastico non
è certo pianta immatura e disutile. Ma possiamo noi prometterci
l'osservanza della moltitudine, quando non sia avvisato ai modi
più atti ad ottenerla?
E imposto ai comuni la compilazione del censimento dei fan-
ciulli obbligati ogni anno al riaprirsi delle scuole ; quanti co-
muni lo preparano in tempo? an^i quanti riescono a compilarlo?
E quanti di quelli che lo preparano, lo compiono con esattezza,
con diligenza? Quali impiegati speciali destinano i municipi alle
faccende amministrative della istruzione? Come sono ordinati
in generale gli uffici dello stato civile? Non è forse noto ormai
anche alle fruttivendolo che in molti siti l'elenco degli alunni
obbligati viene improvvisato in pochi giorni da un impiegato
di facile immaginazione e di mano lesta, che manipola le cifre
colla sapienza di un pasticciere ? Ma questo poco importa : basta
che il municipio possa dire al consiglio scolastico provinciale:
Ecco l'elenco degli obbligati. — Del resto nessuno si prende
pensiero di questo povero elenco: nessuno lo conosce, nessuno
lo esamina e lo studia. I maestri manderanno, sì, puntualmente
al comune i nomi di que'fanciulli che fecero più di 7 od 8, as-
senze mensuali; e per istigare le famiglie parleranno in prin-
cipio di ammonizioni, di multe ecc. Ma queste ammonizioni,
queste multe vengono applicate dai sindaci in generale? Nem-
meno per sogno. Talché i contadini finiscono col prendere in
canzonatura i lamenti e le minaccio del signor maestro, e quando
sentono a parlare d' istruzione obbligatoria, rispondono : I figli
sono nostri, e nessuno può obbligarli a fare, quello che non
piace a noi.
Cosi pure l'esperimento finale per essere prosciolti dall'ob-
bligo, le scuole complementari serali e festive, ove i giovanetti
dovrebbero rassodare le cognizioncelle acquistate, ove andarono?
La legge ne discorre, ma senza dire aperto : queste scuole com-
plementari ci saranno. — No, no 5 gli alunni dovranno frequen-
IN ITALU. 467
tare le scuole complementari in que' com,uni, ove queste saranno
istituite. Cosi l'articolo 7** della legge; cosi il regolamento; onde
poi i comuni zitti e cheti se la sgabellarono col non far nulla.
E mille mille altre dimenticanze, mille altri sconci. Or perchè
tutto ciò? Perchè lo stato creò la legge, ma non avvisò al mezzo
di intromettere a tempo il proprio intervento costante ed ener-
gico per vederla eseguita; ebbe lo stato la mente, ma non le
braccia. Infatti potevano riuscire un braccio vigoroso del go-
verno i delegati scolastici? Poveri delegati! li ritrtisse bene
colla sua solita arguzia il Martini nella gazzetta della domenica,
personificandoli, senza offendere, s'intende, le poche onorevoli
eccezioni, nel delegato Bile e nel delegato Giulebbe; due clas-
sificazioni, una delle quali comprende il buon volere e l'igno-
ranza, e l'altra la coltura superficiale e la vanitosa indolenza.
Orbene: tutto si domanda a costoro: tutta la sorveglianza da
esercitarsi snll' esecuzione della legge è addossata sulle loro
spalle. C'è bisogno di stimolare il comune ad istituire la scuola
serale? Il delegato deve prendersi questa briga, di concerto col
consiglio scolastico. — Si apre l'esperimento finale pei giovani
che vogliono essere prosciolti dall'obbligo? Il delegato lo pre-
siede. — Si hanno ad eleggere gl'insegnanti per le scuole au-
tunnali? Il delegato deve intromettersene per approvarli o no.
A questi insegnanti tocca qualche sussidio in ragione del nu-
mero e del profitto? Le proposte spettano al delegato. Ci ap-
prossimiamo al tempo prescritto ai comuni per compilare il
censimento dei fanciulli obbligati? Il delegato scolastico no
prende notizia esatta e ne informa il consiglio. Si hanno ad
istituire e conservare nelle scuole priyate i registri dei fanciulli
che vi ricevono la prima istrusione? Il delegato vi appone la
propria rispettabile firma, ponendo mente (scusate se ò poco!)
alle assenze di ciascun alunno. L'elenco dei fanciulli mancanti
senza giustificazione alcuna alla scuola deve essere fatto di ra-
gione pubblica nel dicembre? Una copia di questo elenco fu
trasmessa, come ruole la ì^ggtf alla podestà scolastica provin-
ciale? Il delegato va, prende cognizione di tutto, scrive, se oc-
corre, e riscrive. Si hanno ad inflìggere lo ammende ai genitori
negligenti? Il delegato scolastico introduco negli uffici comunali
il suo occhio di lince; se abbisogna, dà una risciacquatina di
capo ni Hignor sindaco, e se la risciacquatina non giova, so no
richiama presso l'autorità scolastica provinciale. Lo awsenze degli
alunni vennero registrate dai signori maestri? Furono essi dili-
468 l'istruzione agraria e le scuole rurali
genti nel darne avviso al genitore e nel richiedere le giustifi-
cazioni? Fuori di nuovo noterelle, quaderni e registri. Ecco il
delegato che spoglia, decifra, esamina, confronta. Infine si pre-
sentano fanciulli che prima di nove anni chiedano di essere pro-
sciolti dall'obbligo, sottomettendosi all' esperimento legale? Il
delegato scolastico compone la giunta esaminatrice, determina
il giorno e Torà dell'esame, ne dà avviso ai genitori, sceglie i
temi più acconci, sorveglia il procedimento della prova orale e
scritta, infox'ma il sindaco dell'esito; che si vuole di più? Per-
fino rilascia un certificato ai giovanetti che avranno superato
l'esame. Insomma, sempre il delegato scolastico; tutto il dele-
gato scolastico; egli nella scuola, egli sotto ai portici alle affis-
sioni, egli in comune, egli nel consiglio scolastico ; da Erode a
Pilato, dal tetto al tinello.... Ma parliamoci schiettamente : o si
può trovare davvero un uomo di senno e di buon volere, e però
fuori delle classificazioni ideate dall'onorevole Martini, che solo
per amore della istruzione voglia caricarsi sulle spalle un far-
dello cosi pesante? Nemmeno a cercarlo col lanternino....
V.
Ma non bisogna disconoscere che la poca o niuna frequenza
assai volte è prodotta dalle angustie economiche dei genitori e
dei comuni. In tutte quelle provinole ove langue l'agricoltura,
e specialmente presso ai piccoli possidenti o agli aifittaiuoli più
poveri e più taccagni, che retribuiscono scarsamente le fatiche
dei contadini, i quali spesso non sanno come rifarsi delle cattive
annate e dei debiti contratti, regna la miseria in tutto il suo
squallido impero. Che dire poi dei braccianti, i quali vanno a
lavorare, ove possono, e per pochi mesi, ritraendo dalla gior-
nata di lavoro una lira, novanta, ottanta centesimi? Innumere-
voli sono le famiglie di questi poveretti che patiscono il freddo
e la fame, e lasciano i fanciulli nell'ozio e nel sudiciume laceri
e cenciosi e macilenti, imbestialiti dal bisogno e dall'ignoranza.
Orbene, è avvenuto, sebbene di rado, che qualche delegato scola-
stico più zelante abbia chiamato questi padri sollecitandoli ad
inscrivere i figliuoli alla scuola comunale. E i padri disgraziati,
un po'punti sul vivo di apparire senza cura verso ai figliuoli-
un po'tirati all'amo coll'esca di qualche futuro sussidio, promi-
sero solennemente di cedere alle istanze del signor delegato. E
IN ITALIA. 469
le madri rattopparono alla meglio le sdrucite vesticciuole dei
bimbi e li mandarono a scuola. Ma senza scarpe, senza libri,
senza quaderni, senza penne. Allora il signor maestro manda a
dire ai genitori che non può e non vuole riceverli senza calza-
tura, perchè la decenza e il buon costarne lo vietano ; e senza
il necessario per imparare a leggere e scrivere, giacche quando
mancano libri e quaderni non s'impara nulla e si disturbano
gli altri. E i genitori si tengono a casa i fanciulli; e quando
dal delegato o dal comune sono nuovamente richiesti, rispon-
dono: dateci scarpe, libri, quaderni e penne; noi si guadagna
appena da vivere nell'estate: nell'inverno si muore di fame:
spesso i nostri più grandicelli vanno alla limosina, o a racco-
glier sterpi 0 a fare qualche servigio: come possiamo dunque
ubbidirvi? Che cosa rispondere alle terribili necessità della mi-
seria? O il comune viene in aiuto di questi sfortunati, e potrà
allora pretendere che facciano buon uso del beneficio; o non
ascolta le loro preghiere, e in questo caso è forza tollerare che
la fame sconfigga la scuola. E purtroppo i quaderni e i libri e
le penne e le scarpe e i sussidi tutti che sarebbero indispen-
sabili a popolare le scuole, rimangono una bella aspirazione di
chi studia il mondo sui libri.
Di tutto ciò che si disse nella recente discussione al p '
mento italiano intorno le scuole elementari poco o nulla rit
di veramente pratico, se ne togliamo 1* ordine del giorno pro-
posto dall'onorevole deputato Ferdinando Berti, col quale il
3IinÌBtro della pubblica istruzione è invitato a presentare una
relaziono annuale sul procedimento della istruzione obbligatoria.'
Questi indagine prudente accurata per cui sì renderanno p.il. >i
gl'impedimenti che ritardano tanto la sua applicazione svilo-
ranno certamente anche rimpotenza di quei comunelli, che si
vanno dibattendo fra gli obblighi imposti dalla leggo e la po-
vertà delle proprie rendite. Ove le (amiglie non arrivano, do-
* Il Bonghi proponeva una iacMest» genarale salle Mnole popoUri in
Italia. Aagurìamoet ohe egli la riproponga, e ohe le Camere la protnaoTano
con quella energia e quella pradeasa, ohe icao indftpeniabili a coudurla a
hwm fine. Ma rinchieata dati fretti sterilì, se il paeae non sarà preparato
ad aiatarla. — E il paese sarà preparato, quando la eonrinsione dei pochi
sulla oeoeMÌtA di sciogliere la questione della scuola popolare diventi con-
TÌnzione generale. — Tempo dunque e oostansa. — Ma il tempo direnterà
più brr-Tc, quanto più la pubblica itampa agiterà l'importante argr>'>
e saprà chiamarvi lopra l'attensione e le solledtndini di tutto le cU^
tadine.
470
L ISTRUZIONE AGRARIA E LE SCUOLE RURALI
Trebberò supplire l'aiuto caritatevole del municipio ; solo cosi si
potranno randere responsabili i genitori della infrazione alla legge
obbligatoria. Ma quando anche i comuni riescano con ogni maggior
sacrificio a soddisfare appena gli obblighi strettamente imposti
dalla legge, quale speranza rimane di rendere efficace la scuola?
Se noi considerassimo particolarmente le condizioni dei nostri
comuni rurali (per tacere di molti maggiori) ci sarebbe da trarne
un amaro sconforto. Infatti non rimane ad essi altra risorsa fi-
nanziaria che di aumentare le imposte dirette e quasi tutti ado-
perarono eroicamente questo spediente, arrivando a tal punto
che è impossibile andar oltre. Unisco qui un piccolo prospetto
sulle spese che alcuni comuni della provincia Modenese sosten-
gono per la istruzione, e sulla sovraimposta a cui si sottoposero
per non venir meno ai pubblici servigi.
COMUNE
Montese. . .
Montecreto .
Medolla. . .
Cavezze. . .
PavuUo . . .
Pievepelago
Carpi * . . .
Ph
5730
1831
3831
4876
10499
4130
18856
Bilancio preventivo 1883
Spesa
totale
per
l' istruz.
pubblica
5322.32
2069.99
4866.96
6020 >
7050.16
3682.35
39133.21
Spesa
parziale
per le sole
scuole
elementari
24063.21
Spesa
per
ogni
abitante
0.928
1.130
1.270
1.234
0.671
0.891
2.076
Somma
pagata
dal
Comune
in
eccedenza
alla
sovraimposta
11970.97
3093.65
14894.55
11018.39
19169.78
3112.96
18947.25
<3^ .-;
^J s
Ora è da por mente che la somma pagata da Montese per
sovraimposte è quasi quattro volte superiore alla legale; più
del doppio quella di Montecreto e di Medolla; quasi il doppio
quella di Cavezze. Né gii altri stanno molto al disotto. Eppure
mentre la spesa sostenuta da essi per ciascuno dei loro abitanti
non rimane inferiore proporzionatamente ai Comuni maggiori,
ove i dazi consumi, il focatico, gli spazii pubblici e molti altri
IN ITALIA.
471
cespiti di rendita contribuiscono alla entrata municipale, non
possono oltrepassare il minimo della Legge nel retribuire gl'in-
segnanti, nel provvedere degnamente ai locali, alle suppellet-
tili, all'arredamento didattico, come sarebbe richiesto dall' igiene
e dal profitto desiderevole negli studi ; molto meno poi riescono
a venire in soccorso delle povere famiglie, per imporre loro
coi fatti, e non colle parole l'obbligo di mandare i fanciulli
alla scuola. Il medesimo può dirsi per tutti i Comuni italiani
meno popolosi. Giova ricordare come sopra un totale di 8382
Comuni, solamente 174 oltrepassino le 20,000 anime; sicché ne
annoveriamo 8208 al disotto delle 20,000; fra questi 7971 con
una complessiva popolazione di 18,440,212 denominati rurali,
perchè ciascuno inferiore ai 6000 abitanti. Ora è fuor di dub-
bio che questi 7971 comunelli lottano coi bisogni quotidiani
per non cascare capofitti nel vortice del fallimento. Quelli poi
che non raggiungono le 1000 anime, e sono 2250 — nientedi-
meno ! — si trovano coll'acqua alla gola.
Vogliamo noi alcune cifre eloquenti sulle condizioni gene-
rali economiche dei municipi italiani?... Eccole qui appresso,
desunte dalla relazione Mazza segretario della Commissione par-
lamentare sulla Legge 31 maggio 1881: ecco come i 707 milioni
di debiti di tutti i Comuni venivano ripartiti per abitanti :
Comuni inferiori a 500 abitanti — Per ogni lire 100 di debito L. 0,20
da 500 a 2000 > > » > > 2,22
da 2 00 a 8oOO » > > > > 7,73
da 8000 a 20000 > » » > > 8,71
da 2ÌXXJ0 a 50000 > > > > > 10,92
da 50000 in più. » » • » » 70,32
L. 100,00
ondimeno i Comuni più importanti attesero in generalo con
Mollccita cura ad accrescere il patrimonio della istruzione. E ne
ottennero effetti osservabili. I frutti che si raccolgono nell'opera
delia educazione pubblica sono per massima corrispondenti alla
spesa. Inutilo negarlo: ove la civiltà più si diffonde, maggiori
si sostengono sacri6ci per la istruzione. Il che si verifica in
Italia, e più ancora presso le nazioni più ricche e più rispettate: *
' Tolgo questa notixia délV TttUtUor» ore U prof. Scarpa corregge l'Un-
garese signor Horoiii, il quale in una certa sua statistica riaMuitinva la spesa
di Torino in L. 5.50. — Lo stesso signore attribuiva L. 1,00 a Venesia; •
L. 3,78 a Bologna I Fidatevi delle sUtistiche I
472
l'istruzione agraria e le scuole rurali
Torino, per esempio, che seppe dare alla intera nazione cosi
splendidi esempi di virtù civile, solo negli edifici scolastici dal
1872 al 1873 pagava cinque milioni di lire-, oggi sopra una
popolazione di 250,000 abitanti spende in ragione di L, 8,800
per ciascuno, rivaleggiando con Trieste, che primeggia fra le
città più animose d'Europa nel promuovere la buona istruzione
popolare. — Offro a' miei lettori il seguente specchietto, ove
appaiono le spese decretate da 23 municipi italiani nel corrente
anno per la istruzione, trascegliendole fra certe notizie che la
Società Magistrale di Modena sta raccogliendo, coll'intento di
compilare alcuni confronti statistici sullo stato delle scuole e dei
maestri elementari in Italia. — Le notizie vennero gentilmente
fornite dagli stessi Comuni al Consiglio direttivo della società.
Bilancio Comuuale 1883.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
COMUNE
Genova .
Brescia. .
Bologna .
Imola. . .
Verona. .
Vercelli .
Rovigo. .
Ferrara .
Piacenza.
Treviso .
Urbino .
Venezia .
Quota per ogni ab. sulla
^3
O
T3
spesa tot.
spesa parz.
13
4 49
i
4 06
4 85
2 85
14
4 76
2 14
15
4 29
1 49
16
4 17
2 57
17
3 95
3 27
18
3 91
1 06
19
3 71
2 13
20
3 67
2 14
21
3 67
3 30
22
3 57
1 32
23
3 28
3 33
COMUNE
Parma ....
Mirandola . .
Eavenna. . .
Faenza. . . .
Udine ....
Reggio Emilia
Modena . . .
Trapani . . .
Chieti ....
Volterra . . .
Teramo . . .
Quota per ogni ab. sulla
spesa tot.
3 27
3 26
3 22
3 22
3 21
2 78
2 61
2 21
2 14
2 05
1 91
spesa pan.
1 66
2 09
1 96
1 93
1 90
1 87
1 67
1 65
1 31
0 74
0 98
E non faccio altre citazioni, perchè queste mi sembrano
bastevoli a confortare con una certa graduazione, secondo la di-
versa importanza dei municipi, le mie affermazioni. All'opera
' Parziale^ per le sole scuole elementari, serali, ecc.
IN ITALIA. 473
diligente dei Comuni più popolosi e più civili, dobbiamo poi ag-
giungere la carità privata, che in essi sorge e si propaga più
spontanea in beneficio della scuola e dell'educazione; e mille
esempi potrebbero recarsi innanzi di Torino, di Milano, di Fi-
renze, di Venezia, di Bologna, e di non pochi altri. Ricordo la
lega d'insegnamento bolognese, presieduta dall'egregio prof. Bel-
luzzi, la quale instituiva biblioteche, scuole [professionali, premi
d'incoraggiamento, concorsi onorevoli, asili infantili; e il Comi-
tato di soccorso instituito a Venezia in aiuto ai poveri bambini
delle scuole, dal benemerito professor Combi ; comitato che nel
1881 aveva a sua disposizione L. 7000, raccolte in antecedenza,
e L. 11,484, come prodotto di 1914 azioni da 6 lire l'una. Ma
i comunelli più poveri, nei quali si rispecchia la miseria dei loro
abitatori, non trovano certo l'aiuto della iniziativa privata !
Fuori d'Italia poi potremo spigolare prove ben più ammi-
rabili delle sollecitudini dedicate alla istruzione pubblica. Non
80 resistere al desiderio di riportare qui alcune notizie sui Can-
toni svizzeri, scegliendo a preferenza questo popolo, ove la
prosperità e il buon costume civile, raggiunsero un grado emi-
nente. ' Non senza un grande insegnamento ad altre nazioni
sventola spesso sulle prigioni di Ginevra la bandiera bianca,
come segnale che non racchiudono delinquenti !
Nel cantone di Vaud alla sola istruzione ed educazione À
destinata una somma maggiore di quelle riunite insieme e con-
sacrate all' amministrazione in generale : alla milizia, alla giu-
stizia, alla polizia ecc. Lotanna, capoluogo del Cantone con
22,000 abitanti, aveva 3020 alunni. Soli 20 non comparvero agli
esami. Tutti i giovani dai 7 ai 16 anni frequentarono la scuola.
Nel Cantone di Neuchatd pel 1870 con 102 mila abitunti, su-
birono gli esami nelle scuole elementari l.%88!> alunni. Per l'istru-
zione si spesero L. (>10,123, oltre L. 280,48r) por le scuole nio-
die e superiori. Ricchissima di musei ed istituti. Nel Cantone
di Urif con 16,007 abitanti, nel 1872 vi erano 46 insegnanti
di ambo i sessi con 2226 alunni. Le scuoio vi possedevano un
patrimonio di L. 181,214. JiiutiUa, littA di f>0,0(K) abitanti con-
sacra air istruzione mezzo milione all'anno, e dà L. 3000 di
stipendio ai maestri c>l(>mcntari. Nel 1871-72 il patrimonio sco-
lastico in fabbricati e capitali ammontava in Isvizzera a
' Vedi CoLAiAVMi Le ùtUtuiimi muntegli, pagina 171 e seg. — Roo-
oEsr L'autonomia nelTopera detta edaoatione.
YoL. XL, SarU II - 1 AffMlo lUS, Il
474 l'istruzione agraria e le scuole rurali
L. 86,647,504 corrispondenti per l'Italia, in proporzione di po-
polazione, a circa 900 milioni ! Quanto al rapporto tra il bilan-
cio totale dei Comuni e quello speciale dell' istruzione, giova
osservare che i nostri Comuni nel 1877 dedicarono all'istruzione
40,602,024 lire e le provincie, compresa la parte straordinaria
5,241,082 lire sui 60,000,000 circa di spese complessive delle
amministrazioni locali, ossia nemmeno il dodicesimo sul bilancio
generale. E nel Cantone di Vaud tutte le spese dei servigi pub-
blici compresa la milizia e la giustizia, non arrivano ad ugua-
gliare riunite quella destinata all'istruzione ! Una parte rilevante
poi della somma suddetta va a profitto delle scuole secondarie;
e vi è compreso il contributo delle Provincie •, sicché l' istru-
zione primaria nel 1877 non sarebbe costata ai nostri municipi
che 30,000,000 circa; vale a dire la diciottesima parte del bi-
lancio *. Tutto ci induce a credere che oggi ci troviamo press'a
poco negli stessi panni.
VI.
Un altro impedimento alla buona frequenza scolastica si ve-
rifica non di rado in certi lavori manuali che regnano in alcune
campagne e nei quali con qualche lucro vengono impiegati i
fanciulli per volontà delle famiglie. Cito anche questa volta p.e.
la provincia modenese, ove quasi dappertutto si lavorano le trec-
cie del truciuolo per due grandi case di Carpi, le quali ne
fanno uno smercio importante sulle piazze all'estero e special-
mente di Francia per la fabbricazione di cappelli e di stuoie.
Anche in questo caso è principalmente il bisogno che induce
le famiglie a costringere i fanciulli a simili lavori, lasciando
deserte le scuole, contentandosi di guadagnarne un franco o due
per settimana. Ma se certi Comuni invece di scrivere circolari
ai maestri o ai delegati scolastici, perchè facciano, dei sapienti
predicozzi ai campagnuoli sulla utilità dell'istruzione, avessero
potuto 0 voluto assumersi di pagare le maestre del truciuolo
nel modo più conveniente, concertando un orario da potersi ac-
cettare e dalla scuola del truciuolo e dalla scuola comunale,
soccorrendo in pari tempo le famiglie dei campagnuoli più bi-
sognosi e dei braccianti per l'acquisto delle cose necessarie al-
' Manfrin : Il comune e V individuo, pagina 158 e seg. — Colaianni ;
174 e seg.
IN ITALIA. 475
l'insegnamento, pochi fanciulli certamente si sarebbero sottratti
alle prescrizioni della Legge 15 luglio 1877. Oltre a ciò, e que-
sto avviene dappertutto, i parrochi durante il periodo quaresi-
male vogliono i ragazzi alla chiesa per insegnar loro il cate-
chismo, che bene o male viene pure insegnato dai maestri in
iscuola. E i parrochi non lo ignorano, e quando seppero o so-
spettarono che il maestro non lo insegnasse, ne sparlarono in
chiesa, colle famiglie, coi consiglieri del Comune. Pretendono
dunque il catechismo nella scuola e nella chiesa : ma circa al-
l'orario fanno quello che più loro talenta, ne si curano di strap-
pare per alcune ore ogni giorno i fanciulli alla scuola comunale.
E i fanciulli messi cosi alle strette fra la scuola e la chiesa,
piantano in asso il signor maestro, e si raccolgono sotto le pie-
tose ali del signor Arciprete. Kè il danno all' insegnamento
pubblico è lieve, continuando questa grave sottrazione all'orario
scolastico per quasi cinquanta giorni! Giustamente lamentava
il Martini la noncuranza dello Stato nella questione dell' inse-
gnamento religioso; che ove nna legge inspirata al culto della
libertà e al rispetto di tutte le associazioni, avesse restituito al
Sacerdozio tutte le sue funzioni inerenti al dogma, le quali nd
esso appartengono esclusivamente ', sarebbe stato tolto con so-
lenne dignità nazionale un fomite continuo, sebbene spesso la-
tente e quasi non avvertito, di rappresaglie e d'invidie.
Ma io non voglio e non posso enumerare qui tutte le eause
che rendono non frequentate le scuole rurali; verrei mono però
alla verità e alla coscienza, se non dicessi che i maestri mo>
desimi molto volte vi danno origine, certo senza volerlo. Non
parlo delle maestre che in molto maggior numero dei maestri,
particolarmente nelle regioni settentrionali e centrali, sono sparso
per le ville d'Italia, nelle vaili malinconiche e insalubri, sui
monti aridi o nevosi, dappertutto ove ponsa echeggiare, non
senza alta carità di patria, una parola di amoro o di fodo sul-
l'opera concorde dell'uomo, diretta a raggiungere gli ideali più
degni della civiltà.
Nessuno ignora la santa anncgationo di questo giovani
donne, che paswwio sconosciute sulla terra, sopportando sa-
prifici e stenti d'ogni maniera, figlie e sorelle generoso, che di-
vidono quasi sempre col padre impoteate o colla vecchia mamma
' II Ratalu lo proponera fino dsl 1878 nel tno pregevole libro: Std
'r> 'tdo della ùtnuione §mbbUea m UaUa, pag. 90 e seg. — Modena,
476 l' istruzione agraria e le scuole rurali
o coi piccoli fratellini lo scarso pane guadagnato con tanto su-
dore, senza scoraggiamento, senza lamenti, contente di gettare
nel cuore delle nuove generazioni que' germi della prima edu-
azione, che il mondo ingrato dimentica, e che pochi apprez-
zano degnamente.
Così pure è rilevante il numero di que' maestri rurali, che
senza troppo lamentarsi, senza parole mordenti o inutili vante-
rie, con zelo indefesso, con sacrificio grande di se stessi, e d'ogni
parca agiatezza, anzi del necessario alla vita, martiri oscuri del
dovere, adempiono mirabilmente l'ufficio loro.
Ma gli uomini hanno animo in generale più gagliardo delle
donne, e brama di miglior fortuna, ne si acconciano volentieri
in campagna con sì magri stipendi, fra disagi e sconforti di
ogni fatta, e però i dotati di più alacre ingegno e di maggiore
coltura, insofferenti dell' ingiusto abbandono, se ne vanno al più
presto ', rimangono in generale i giovani meno colti e meno pru-
denti-, 0 quelli che, avendo condotto moglie, gemono sotto il
peso di una famiglia numerosa. I primi sono per lo più sven-
tati, vanitosi, svogliati, senza regola di costumi, senza arguta
consapevolezza dei sospetti e delle diffidenze che li circondano;
senza amore intenso all'alto ufficio che esercitano, senza senti-
mento profondo della propria dignità ; talché a forza di negli-
genze, di soperchierie, di sventatezze o di intrighi o di pette-
golezzi si tirano addosso la guerra sorda o dei preti che li spiano
attentamente, o del sopraintendente scolastico che soffre mal
volentieri la loro vantata superiorità intellettuale, o del maestro
privato che si aggira per le case dei contadini e che tenta ogni
via per tirar l'acqua al suo mulino ; e non ottengono alcun pro-
fitto dal loro insegnamento, e si alienano la fiducia delle fami-
glie e rendono più ancora spopolate le scuole ; ne giova che il
comune li tramuti da un sito all'altro, li consigli pel bene, li
ammonisca o li sottoponga talvolta alle punizioni del Consiglio
scolastico : dove essi mettono piede, nascono i malumori e le la-
gnanze, spariscono gli scolari, la virtù educativa della scuola
scade maggiormente dal concetto di quelle popolazioni, che do-
vrebbero essere attirate verso di essa coll'amore e colla pazienza,
colla tolleranza, colla operosità infaticabile, con ogni gentile ed
onesto accorgimento.
Ne alcuno mi accuserà, spero, di temerità e d'ingiustizia;
che in me l'amore della verità è pari a quello verso le scuole
nostre e verso gì' insegnanti, e potrei ripetere coll'Ariosto, quasi
IN ITALIA. 477
parafrasando quello che egli diceva alle donne, dopo aver censu-
rato Gabrina:
Per qualcun che biasmar cantando ardisco
Cbé l'ordinata istoria cosi vuole,
Lodarne cento incontra m'oflFerisco
£ £ar lor virtù chiara più che il sole.
I secondi anche allorquando abbiano ingegno e buon volere,
sopraffatti dai figli crescenti e dagli innumerevoli bisogni, non
riuscendo a provvedere alle necessità più indispensabili della
vita, debbono cercare qualche altro lucro aggiungendo qualche
nuova occupazione all' insegnamento. Utili richiami degli studi
percorsi, vantaggiose e dilettevoli letture, esercizi ripetuti e pro-
fittevoli di lingua o, di stile, meditate osservazioni sugli esem-
plari più comuni della storia naturale e sui fenomeni fisici o
chimici, sulle vicende delle società civili e dei governi, le son
tutte cose dell'altro mondo; quel po' che fu appreso sui banchi
della scuola normale rimane l'unico capitale, da cui si toglie
ogni giorno la moneta spicciola dell' insegnamento ; si dà alla
«cuoia il tempo strettamente prescritto dai regolamenti : ogni
minima circostanza, ogni più piccola occasione che loro si pre-
senti per poter spillare anche il sussidio più minuscolo o dal
,^^^- Comune o dalla Provincia o dallo Stato, la si coglie di volo: se
I^Hpm moglie soffre di mal di denti, o il fanciulletto piango di latti me,
ecco una domanda commovente al ministro col relativo certificato
medico: onde poi i Consigli scolastici nuotano in un diluvio di
istanze, né sanno come torsi d' impaccio e corno riuscire ad
esternare coscienziosamente il loro parure al Ministro per fa-
cilitare più o meno il dimandato sussidio. Chi ha mano in pasta
sa bene che io non parlo col cervello nello nuvolo. Vodomnio
persino maestri trasformarsi secondo le circostanze e il bisogno
in campanari, o scaccini, o in bettolieri, o in sensali, o in ca-
merieri pubblici o servidori. Altri fabbricava palloni areosta-
tici andando per le sagre campestri arallegraro per poche lire
i contadini in festa; altri impugnava sega, pialla, martello, o
costruiva grossolani ventagli da fornello, o trappolo pei topi.
Tutto ciò offende senza dubbio la dignità del magistrato, e non
raccomanda la scuola o l'azione educativa dell' insegnante allo
famigli): campagnuole; ma so i bisogni imperiosi, gli stenti
giornalieri e costanti, i figli e la moglie chu dimandano pano
e vestimenta e un po' di legna nell' inverno, costringono questi
478 . l'istruzione agraria e le scuole rurali
sfortunati a così umili occupazioni, e li rendono meno affezionati,
alla scuola, talvolta irascibili, brontoloni, invidiosi della ric-
chezza, intolleranti d'ogni autorità, potremo noi condannarli?
Condanniamo piuttosto la società che affida nelle loro mani
un'opera cosi delicata e grave, mentre ad un tempo li ferisce
e li opprime colla più intollerabile delle ingiustizie sociali. E
non s'accorge che ove manchi nel cuore delle novelle genera-
zioni la parola calma, serena dell'educatore, piena d'amore al
culto della famiglia e di Dio, piena di fede, nella giustizia, nel
diritto, nel sapere, nel lavoro, nell'ordine, nella libertà, nel pro-
gresso civile, manca il buon seme da cui germoglia la pianta
delle virtù cittadine. '
Bisogna ricordare come i comuni classificati nella prima ca-
tegoria ^tenendo dietro al solo criterio fondamentale della po-
polazione; giacche gli altri considerati pure dalla legge che
sfuggono alle mie indagini non possono modificare sensibilmente
le cifre seguenti) siano 26 ; 209 della seconda ; tutti gli altri
della terza. Ora si vede che la grande maggioranza dei maestri
elementari non ricevono uno stipendio sufficiente ai bisogni più
urgenti della vita. Nelle città rimediano, come meglio possono,
al danno, togliendo tutto il tempo più acconcio al riposo e alla
coltura di se stessi, per impiegarlo in lezioni private ai propri
alunni, cosa proibita dalla legge, ma per sentimento caritate-
vole, tollerata dalle autorità scolastiche. E in campagna?... Nel
modo accennato più sopra!
Quanto alle pensioni per la vecchiaia, ecco qua appresso
qualche cifra eloquente, prendendo per base alcuni stipendi
legali e le norme stabilite dalla legge 16 dicembre 1878, in
ragione dell'età e degli anni di servizio, secondo la Tabella A
annessa alla legge medesima. Tralasciai di considerare gli sti-
pendi di L. 1320, perchè, come si vide, questi non si hanno
che nei 26 comuni della prima categoria, e mi attenni solamente
a quelli delle diverse categorie e dei due gradi che ci offrono
la misura più generale per la pluralità degli insegnanti. Sup-
posi ancora che queste pensioni dovessero liquidarsi ai maestri,
' A questo capitolo faccio seguire, insieme ad alcune brevi considera-
zioni la tabella degli stipendi e un piccolo prospetto da me compilato sugli
effetti generali che i maestri debbono aspettare dal Monte delle pensioni;
affinchè si abbia un' idea abbastanza esatta del come oggi provveda la legge
al loro stato economico e al riposo della loro vecchiaia.
IN ITALIA.
479
i quali avessero impreso ad insegnare a 20 anni, durando poi
nelle loro fatiche 35 anni di seguito. Quarant'anni di continuati
servigi sono prescritti per ottenere l' intera pensione 5 ma pochi
toccheranno questa meta. E la maggior parte non arriverà nem-
meno a poter tenere validamente l'ufficio^ pei 35 anni che io
supposi; perchè l'assegnamento della pensione non verrà deter-
minato dalla impotenza assoluta, ma dalla impotenza considerata
nella validità dell'ufficio didattico.
Veggasi senz'altro il seguente prospetto.
Stipèndi dei maestri elementari coW aumento di un decimo, a norma della
legge 9 luglio 1876, secondo la categoria, H grado e la classe delle scuole
cui sono applicati.
i
Nella Catboobia
Nel Gbaoo
N
ELLA Classi
Prima
Seconda
Tersa
Urbane
Barali
Saperiore . . . . L.
Inferiore
Saperiore
Inferiore
1320 •
990 .
880 >
715 .
1100 >
880 >
770 .
605 >
990 >
770 »
660 »
560 >
Stipendi delle maestre eUmemtari eoWtUÈmeiUo di «n decimo, a norma della
logge 9 higlio 1876, secondo la ealegoriaf U grado e la elasse delU scuole
cui sono appUeale,
Nella Catboobia
Urbane
Rartli ,
Nel Qbaoo
Saperiore . .
Inferiore. . .
( Saperiore
( Inferiore.
NiLtA Olamw
Prim
880 »
660 •
686 66
476 66
788 38
586 66
612 44
408 89
Torta
660 >
512 44
440 •
866 66
480 l'istruzione agraria e le scuole rurali
Stipendio
L. 1,000
> 880
» 770
» 586 66
» 403 32
» 366 66
Contributo 4 0[0 annuo
sullo stipendio
1100 X 4
100
880 X 4
ÌOÒ
770 X 4
100
586.66 X 4
100
403.82 X 4
loo
366.66 X 4
100
= 44
= 35.20
= 30.80
= 23.46
= 16.13
= 14.66
Quantità per Itqiale
deve mtltiplicarsi
Pena
il contributo (vedi
Tabella 1 già cit.)
annua
13.31
585.64
468.51
409,94
312.33
214.72
195.20
meoBile
48.80
39.04
34.16
26.02
17.89
16.26
Or"bene: queste cifre nella loro desolante espressione non
sembrano davvero uno scherno crudele? Non pochi municipi,
è vero, superarono in favore dei maestri il minimo legale;
ma i comunelli più poveri fanno sforzi grandi per non ri-
manere al disotto del minimo ; molti invece di quelli che senza
grave sacrificio potrebbero varcarlo, noi fanno; poiché in ge-
nerale, all'opera degl'insegnanti elementari non si attribuisce
il valore meritato; anzi la si considera spesso al disotto degli
uffici sociali più umili. Se ne potrebbero apprestare non pochi
esempi. Valga uno per tutti gli altri. In un popoloso e fiorente
comune dell'Emilia, capoluogo di Provincia, i maestri rurali
sono pagati con L. 605 oltre l'alloggio gratuito, le maestre ur-
bane con L. 600 in media. Il portiere di primo grado della
Residenza Comunale percepisce L. 931, più il vestiario, la cal-
zatura, ecc., ecc., di cui pure gode il facchino municipale che
è pagato con L. 735. Il caporale delle guardie urbane riceve
L. 800, vestiario, biancheria, calzatura e un aumento propor-
zionale del 10 per cento. Il capo becchino del cimitero pub-
blico L. 1080. Il becchino ordinario L. 840 e il becchino sup-
plente L. 720. E si paghino pur bene i becchini, anche quando
essi non siano sentenziosi ed arguti come quelli di Shakespeare;
ma si dimostri coi fatti di non ritenere almeno inferiori le fatiche
dei maestri a quelle di costoro.
IN ITALIA. 481
vn.
Ma ormai è superfluo continuare la enumerazione delle cause
che producono gli effetti lamentati nella istruzione delle cam-
pagne. Le principali si possono dunque riassumere nelle se-
guenti :
1. Il difettoso ordinamento didattico e l'insufficiente du-
rata della scuola.
2. La mancata istituzione della scuola complementare.
3. La niuna applicazione della legge obbligatoria, già
inefficace per se stessa.
4. La negligenza di molti Comuni e di molte famiglie
verso l'istruzione, negligenza sussistente tuttora per l'inefficacia
suddetta.
5. La miseria economica di molti altri .Comuni e di
molte famiglie campagnuole.
6. La deplorevole condiaùone morale ed economica degli
insegnanti. *
Bisogna avere il coraggio di confessare la dura verità;
il proclamarla al cospetto di tutta Italia, invocando i rimedi al
male è carità di patria, è azione onesta e lodevole. Le nostro
scuole rurali là dove rimasero ordinate (il che significa quasi
dappertutto) secondo le Leggi scolastiche vigenti, non diedero
nessun frutto reale e duraturo, u Entrate lietamente, o fanciulli,
scriveva il Giordani, sulla scuola che il Puccini nel 1840 o in
quel tomo, istituiva nella sua villa presso Pistoia:
« Entrate UeCamente, o fanoialli,
qui s'inssfM, doo ti tonnsnta;
non fittieherete per b^gis o vaniti;
•ppssodsrste oote attll psr tslta U vita. •
Le scuole rurali in Italia, e specie le cosi dette misto,
smentiscono finora solennemente, per nostra vergogna, l'arguto
ed alto concetto educativo che lo scrittore italiano racchiudeva
in qucHta bellissima epi^afc; giacché so i fanciulli non sof-
' i>a locietà magistìiUa di Modena tenera qualche tempo fa una im*
portante disenssione svilo stesso argosMoto della Utrusione obbligatoria,
venendo prees'a poeo alle condosioni sopra riassunte. Sono lieto che le mie
opinioni ehhtono eoel ricevuta SMggiete autorità dal voto di un consesso
di «salai eowpelsntissémi,
482 l'istruzione agraria, e le scdole rurali
frono il tormento delle percosse, soffrono l'altro più grave an-
cora della immobilità prolungata, della dissipazione intellet-
tuale, dello spazio angusto e viziato, e non acquistano il più
piccolo capitale da poter spendere nei bisogni della vita.
u L'insufficiente durata dell'insegnamento effettivo, scriveva il
prof. cav. Michele Rosa nella sua pregiata relazione sulle scuole
elementari della Provincia di Venezia, basterebbe a spiegare
come giovanetti, i quali hanno frequentato la scuola rurale, non
siano in grado di leggere coerentemente e di comporre una
facile letterina; e giunti poi ai 20 o 22 anni ricadano nel mare
magno degli analfabeti, n Sì, basterebbe forse l'insufficiente du-
rata dell'insegnamento effettivo. Ma prima ancora dei 20 o dei
22 anni dimenticano i giovani campagnuoli le sterili cognizion-
celle imparucchiate alla meglio, e ciò per le cause più sopra
esposte. Ne riuscirebbero a risanare questa piaga l'orario legale,
i sotto maestri nell'inverno, la soppressione di tutte le vacanze
intersettimanali o abusive. Creda, egregio signor Rosa: il ne-
mico capitale sta nel fallace ordinamento delle scuole rurali :
il vizio d'origine si nasconde nel loro organismo. Ci vuple un
ferro salutare e una mano esperta ed ardita per estirpare la
radice del male.
Ora si vede più chiaramente come anche l'istruzione agraria
che il Ministero di Agricoltura e Commercio s'ingegnò di spar-
gere, per quanto era possibile, fra le nostre popolazioni agresti,
vada del tutto sommerso in questo naufragio. Che, ove pure i
maestri avessero l'autorità, la dottrina da ciò, mancherebbe
negli alunni la preparazione intellettuale. Le stesse scuole pra-
tiche d'agricoltura non risponderanno all' aspettazione, finche
perdurano gli ostacoli lamentati ; giacché i giovanetti vi saranno
accolti cosi come sono, mancanti quasi affatto delle cognizion-
celle più rudimentali ; ne sembra ufficio delle scuole agrarie di
apprestare ai proprii alunni anche queste. E quando essi, fatti
adulti, ne usciranno per tornare in seno delle loro famiglie, o
presso ai proprietari in qualità di fattori, e vorranno persuadere
la moltitudine ignara delle pratiche più razionali, si troveranno
attorno la siepe spinosa e folta delle menti affatto incolte e
degli antichi pregiudizi, che soffocherà la loro voce. Che diresti
tu di un ammalato per anemia, al quale si mandassero giù per
la bocca dei buoni cordiali e dei bocconi abbondanti e ghiotti,
senza ristorarne tutte quante le forze col moto, coll'aria sana,
col cibo nutriente e regolato, coU'acqua ferrugginosa, insomma
IN ITALIA. 483
con quel metodo di cura che i medici chiamano ricostituente,
e che lo mettono a poco a poco in grado di esercitare valida-
mente anche le funzioni digestive?
Io non voglio dire, no, che si debbano intanto abbandonare
tutti gl'insegnamenti di agricoltura nelle nostre campagne; ci
restino e si diffondano; anzi non va mai lodata abbastanza
l'opera perseverante del Ministro Berti. Dico che nelle campagne
mancò finora l'educazione più acconcia a quegli abitanti, perchè
mancò e manca il principale fattore dì essa: la scuola vera-
mente educativa; perchè mancò e manca l'unità fondamentale
di questo fattore : il maestro degnamente preparato alla impresa,
degnamente retribuito ; il quale deve essere come il perno della
potente leva adoperata per spostare ed abbattere il grave masso
dei pregiudizi ; come il punto luminoso a cui gli occhi debbono
educare la pupilla non avvezza alla luce. Insomma, bisogna
creare nelle campagne la scuola educativa che rei^derà veramente
profittevole anche la scuola agraria.
E se il Ministro d'Agricoltura e Commercio, e quello della
Istruzione, e gli altri uomini più egregi sono convinti di questa
necesàità imperiosa, perchè non si adoperano a provvedere nel
miglior modo? perchè i due ministeri non istudiano insieme
l'arduo problema, avvisando al come si possa riordinare la pre-
sente scuola rurale, dirigendone gl'insegnamenti ai bisogni della
vita, alla formazione del carattere e specialmente a quella col-
tura agraria, che è tanta parte della educazione rurale? Com-
prendo quello che si può obbiettarmi, e ancora mi risuona
all'orecchio la risposta dell'egregio Magliani alle generoso pa-
role dell'onorevole Cavallotti, colle quali domandava intanto
500 mila lire pei maestri più poveri. Ma facendo puro ragione
alle operazioni diffìcili del nostro credito e allo eBigenxe delle
finanze, noi crediamo fermamente che la rovina morale non
sia preferibile alla rovina economie*, e che uno Stato debba
provvedere con sollecitudine e con energia a tutti i grandi
bisogni della propria vita per non affacciarsi ad ogni momento
il terribile problema dell'Amleto. Io non mi caccio nel gine-
praio della quistiono economica, ma non temo di farmi lapidare
■e mi dolgo che l'ingordigia delle banche divori molta parte
delie rendite pubbliche, e che si concedano appena 40 milioni
al bilancio della Istruzione, mentre so ne profondono 240 o più
per quello della Guerra.
484 L^ ISTRUZIONE AGRARIA E LE SCUOLE RURALI
Dovremo noi ripetere oggi il lamento di Virgilio, quando
nel libro I delle Georgiche esclamava;
Non ullus aratro
Dignus honos: squallent adductis arva colonia,
Et curvae rigidum falces conflantur in enaem?
So che i cannoni e i fucili sono, specialmente al di d'oggi
in cui la civilissima Europa inventò il generoso e leale sistema
della pace armata, una buona salvaguardia del diritto e della
dignità nazionale; ma so ancora che le armi non approdano,
ove la mente che le dirige e la mano che le impugna non
siano educate alle virtù di un popolo libero.
Confesso schiettamente, che mi vergognerei del nome ita-
liano, ove non nutrissi fiducia di veder presto il nostro Parla-
mento tutto occupato a gettare le basi di una scuola popolare *
che prenda il fanciullo dai primi anni e lo conduca fino a quel-
l'età, in cui può rendere alla famiglia e alla patria segnalati
servigi nell'ordine e nell'armonia degli ufiici civili ; provvedendo
cosi alla soda coltura delle classi popolari, le quali fin ora tro-
varono cognizioncelle monche e staccate e del tutto insufiicienti
nelle scuole elementari, nelle serali e nelle festive, coltura oggi
altamente reclamata anche dalla legge 22 gennaio 1882 e 7
maggio successivo, la quale chiama quasi tutti i cittadini all'e-
sercizio del suffragio politico. Ultimo complemento della nuova
istituzione potrebbe essere allora la scuola complementare ideata
con altezza d' intendimenti dal Ministro Baccelli. Ma io non
voglio qui indagare questo generale e complesso ordinamento;
mi attengo all'istruzione agraria e alla scuola rurale. E poiché
mi provai ad abbattere questo vecchio e traballante edificio,
mi proverò a raccogliere qualche materiale per metter mano alla
costruzione del nuovo.
vm.
Dissi di non volere entrare nella quistione economica, e
non c'entro; ma aggiungo che principalmente questa può aiu-
' Un bel disegno della nuova scuola popolare si lesse quattro mesi fa
circa sul giornale il Diritto, in un lungo articolo senza nome riprodotto da
altri giornali; disegno dovuto alla dottrina e all'esperienza dell'egregio profes-
sore cav. Veniali, Ispettore centrale presso il ministero dell' istruzione pubblica.
IN ITALIA. 485
tarci a ricostruire l'edificio della scuola rurale. Infatti vedemmo
il come e il perchè la legge sull'obbligo riesca quasi del tutto
inefficace. Nondimeno ci sta sopra minacciosa e insistente la
necessità di migliorare le condizioni dei maestri e di rendere
possibile la frequenza degli alunni alla scuola, se vogliamo che
il suo nuovo riordinamento e gli effetti che se ne attendono
non siano una vana chimera. Or come superare questo passo
difficile? Lo stato soltanto può rompere il circolo vizioso, sta-
bilendo un minimo di stipendio ai maestri che basti ai bisogni
della vita e alla dignità dell' ufficio, e pagando ai comuni più
poveri quel tanto che mancasse ad essi per toccare il minimo
obbligatorio. Ma questo provvedimento altamente civile, indi-
spensabile per noi, richiederebbe senza dubbio che il bilancio
della istruzione pubblica si aggravasse di non pochi milioni in
favore esclusivo della scuola popolare. La relazione della com-
missione parlamentare dimostrava come in questa parte il nostro
bilancio rimanga al disotto in proporzione a quelli del Belgio,
della Svezia e Norvegia; mentre (e non a torto l'onorevole Fer-
rari se ne doleva) le spese della pubblica sicurezza superano
di 60,000,000 quelle della Francia e dell'Austria-Ungarica. Do-
loroso fatto, aggiungo io, ma logica conseguenza del primo,
poiché dove l' ignoranza regna, si cerca inutilmente 1' adempi-
mento del dovere. Eppure dal 1878 al di d'oggi, lo Stato ita-
liano attraversava un periodo faticoso nel solenne esperimento
della legge sulla istruzione obbligatoria. Nel 1878 furono stan-
ziate lire 2.3,388,795,20 per 1' istruzione ; delle quali 3,833,400
soltanto erano dedicate alle scuole elementari. Ora si hanno
complessivamente nel bilancio 29,4' », di cui 4,031,790
per le suddette scuole. Sicché dal 7.^ .... J lo scuole popolari
non ebbero che un aumento di 1,798,373 lire. Non sembra dav-
vero che questa povera cifra sia stata messa II più por appa-
ra ' per altro? Non sembra che la inetecuzione della legge
I la e il numero non decrescente degli analfabeti si
'1<M< k attribairo per molta parte a questa ìndifTeronza dello
Stato ' ( 'on molta ragione l'onorevole Ferrari diceva: u E tempo
<li rÌKilvc-rc una buona volta il problema; di pensare che le
«onsidorazioni finanziane non possono avere che un peso molto
relativo in argomento di al vitale importanza; che se la coltura
'lei popolo ò base della libertà, non ò mai antico quel dotto:
• -^Ncrc una nazione molto vicina a perdere la libertà, quando
«omincia a pensare che la libertà costa troppo, n Forse por fa
486 l'istruzione agraria e le scuole rurali
cilitare allo Stato l'ardua impresa, tornerebbe opportuno imporre
una lieve tassa scolastica alle famiglie facoltose? ' L'idea anche
in Italia non giungerebbe nuova. La Scialoia nel 1874; il Bon-
ghi nel 1875; il Bertani nel 1877 in diverse occasioni e in varia
misura ne facevano proposta alle camere; ma i disegni di legge,
di cui erano parte, non ottennero il favore del Parlamento e le
proposte caddero con essi. Altri studi se potesse tentarsene
l'esperimento, ove il fisco sfruttava già anche troppo le rendite
dei cittadini, ed ove moltissimi genitori sono tirati ad inscrivere
i figliuoli alle scuole pubbliche solo per bisogno del risparmio,
pronti ad affidarli domani alle scuole private cattoliche, quando
li colpisse la nuova imposta. La Francia volle tentarla per al-
cuni anni: n'ebbe effetti assai nocivi all'educazione nazionale.
Ed ora l'aboliva; ma lo stato assegnava in pro'delle scuole quei
20 milioni di lire, che si ricavarono dalla imposta suddetta.
Sempre dunque la quistione economica! Io non me ne spavento,
e ripeto di aver fede nella generosità e nel senno dei nostri
deputati e del governo, e credo che di qui a pochi anni sarà
provveduto degnamente a questa istituzione nazionale.
Fissato il minimo suddetto, attirati cosi i giovani di svegliato
ingegno e studiosi alla carriera dell'insegnamento, degnamente
preparati nella coltura e nel costume entro le scuole normali,
in quel modo che si avrà per migliore (ne io qui vi accenno,
che uscirei dai limiti impostimi dal tempo e dall' argomento)
nominate persone autorevoli e nel numero necessario e conve-
nientemente retribuite a sorvegliare la esecuzione dell' istru-
zione obbligatoria e l'andamento didattico e morale della scuola,
sussidiati i comuni impotenti perchè arrivino a raggiungere il
minimo degli stipendi non solo, ma a portare aiuti alle fami-
glie bisognose per potere imporre effettivamente ai fanciulli
la frequenza scolastica; abolito (il che è pure grandemente de-
siderabile) gli art. 13 e 14 della legge comunale e provinciale
vigenti, che permette la riunione di più comuni limitrofi solo a
que'centri i quali raccolgono meno di 1500 abitanti, e concede
loro di tenere separato il proprio bilancio; e cosi resa possibile
la costituzione di unità amministrative maggiori, più robuste,
' Molti Stati della Germania mantengono ancora una tassa scolastica,
ora generale, ora speciale; presso alcuni, come in Prussia, tutte e due ad
un tempo. La generale grava tutti i cittadini; la speciale, solo i facoltosi. Stu-
diando le condizioni etnografiche e civili di quella nazione, si troverà il
perché dì questo fatto sociale.
IN ITALIA. 487
più vigorose, noi avremo preparato il terreno, ove potrà crescere
rigogliosa la nuova istituzione della scuola rurale. Lascio di
considerare se fosse opportuno o no il passaggio delle scuole
elementari o popolari allo Stato, quistione gravissima e da trat-
tarsi con istudio profondo e con massima prudenza. Non na-
scondo però la mia predilezione verso ad un sistema meno accen-
tratoro e meno assoluto, onde mi parrebbe più conveniente che
le scuole venissero ripartite e raggruppate secondo la circoscri-
zione territoriale delle provincie. Così riofluenza politica che
nei sistemi di governo rappresentativo tende facilmente a scen-
dere dall'alto preponderando su tutti quelli che in qualche modo
dipendono dal Governo, non avrebbe esca, e sarebbe forse me-
glio conservata alle provincie una certa autonomia per dirigere
l'istruzione ai proprii bisogni speciali. Offrire ai maestri il mezzo
di passare da una scuola d'ordine inferiore e meno retribuita,
ad un'altra di grado superiore retribuita meglio, per esempio
da un comune di 3' classe, ad uno dì 2' o di 1' (che i muni-
cipi, secondo l'idea dell'onorevole Turbiglio, potrebbero essere
appunto classificati per Provincia in diverse categorie, affinchè
più facilmente si facesse luogo alla promozione dei maestri più
degni) ò rispondente al carattere della natura umana e della
vita sociale ; ma aprire un campo sconfinato a queste legittimo
aspirazioni, e travolgere un maestro anche a titolo di promo-
zione da un capo all'altro d'Italia, recherebbe spesso grave
danno alla scuola; fatta ragione di quella corrispondenza che
il tempo e gli onorati servigi debbono stabilire e rassodare fra
l'opera del maestro e la fiducia della famiglia ; e delle abitudini
e del '' ' ■ «liversi che si riscontrano nelle diverso parti d'Italia.
La cìi /ione provinciale mi parrebbe dunque campo adattato:
che del resto si deve sopratutto tendere non a stuasicare l'ambi-
y.'ìonfi del maestro, ma a rendergli cara la scuola e lieta la dimora,
provvedendogli una onesta o sufficiente agiatessa fino agli anni
più tardi della vecchiaia; affinchè sia messo in grado di consoli
dare l'affetto e l'opera educativa dell' insegnamento pubblico col-
l'amore della famiglia e coU'austero osercisio delle virtù paterne.'
' Il Minittro BaecslU pressotaTs prima dolls ferìn Pnnquali alla presi-
denza della camera un disegno di legge, passato poi allo studio di una com-
tnÌHtone Rpeelale per rendere meno diiagiata la condizione morale dei maestri
elementari. Ma la tirannia del liilancio f^li rietava di promuoTcrno il miglio.
rameato eccnonico! Anche il Ik)nghi raccomandara al l'arlamcntn un uno
progetto, per aameatare di qualche poco lo atipendio degli insegnanti stessi-
488 l'istruzione agraria e le scuole rurali
IX.
Ma tutti questi provvedimenti cadrebbero quasi affatto, quando
la scuola rurale continuasse a porgere una istruzione scarsa e
infruttuosa, sia per la quantità e il grado delle cognizioni, sia per
la durata. Essa pertanto dovrebbe accogliere il fanciullo ancora
nella infanzia, e seguirlo con amorosa sollecitudine fino al limi-
tare della adolescenza ; giacche se nessuna educazione può ugua-
gliare quella della famiglia, ove in essa si respiri Tarla ossige-
nata della buona istruzione e del corretto costume, nessun er-
rore supererebbe quello di abbandonare totalmente i bambini
alle famiglie viziate dalla povertà, dal soverchio numero dei
figli, dalla ignoranza, dalle malattie ereditarie, dai perversi co-
stumi. A tutti noi sono note certe miserie che sussistono e sus-
sisteranno ancora per molto tempo, là dove si rannicchia e si
agglomera il popolo più minuto e più rozzo. Non già che la
scuola debba sottrarre i fanciulli del tutto alla famiglia e alla
vita sociale; il bisogno e lo stesso dolore, le relazioni naturali
e necessarie e la quotidiana esperienza sono per se stessi stru-
menti potentissimi di educazione civile; la scuola deve gover-
nare il giovanetto tutto il tempo che è indispensabile per deter-
minare un salutare equilibrio tra le sue facoltà; per imprimere
indelebilmente nella sua memoria gli elementi del sapere, edu-
cando il sentimento e la ragione ad osservare i fenomeni della
vita umana e sociale con giusto criterio e con coscienza della
propria responsabilità. Dappertutto fin ora si levarono lamen-
tanze sulla inutilità della presente scuola obbligatoria ; l' ono-
revole Zucconi nella più volte citata discussione alle camere
proponeva al Ministro di istituire nelle campagne degli asili
rurali, raccogliendo in essi i contadinelli dai quattro agli otto
anni, per poi affidarli alla scuola elementare. Alcuni municipi
provvidero già, come" potevano meglio, a tanto bisogno, e fra
questi cito il municipio di Bologna, ove, sia nell' ordinamento
delle scuole elementari urbane, sia in quello delle rurali, si ebbe
una felice intuizione della scuola popolare. Infatti, rispetto alla
istruzione nel forese, fino dal 1876 sorsero a Bologna alcune
classi preparatorie alle rurali uniche o miste, accogliendovi i
bambini d'ambo i sessi (ora insieme, formando cosi una prepa-
ratoria mista, ora separati) dai cinque ai sette anni, acciocché
quivi ricevessero la prima impronta della disciplina scolastica
IN ITALIA. 489
mediante un rudimentale insegnamento al tutto intuitivo, fram-
mischiato da molti e dilettevoli esercizi di ginnastica e di canto.
Non andò guari che il comune di Bologna ebbe a rallegrarsi
del saggio esperimento, tanto che questa specie di asili rurali
si vengono moltiplicando, affermandosi e pel numero e per l'im-
portanza educativa ed economica come una istituzione, di cui
quella solerte amministrazione ci diede con lodevole ardimento
un utile esempio. *
Anche fuori d' Italia troviamo incoraggiamento e conforto ad
una sostanziale modificazione della scuola elementare. In Fran-
cia, per esempio, la nuova legge scolastica distingue la scuola
in materna ed in primaria. La materna sì ripartisce in due se-
zioni, nella prima delle quali si accolgono i bambini dai due
ai cinque anni, e nella seconda, chiaiaata classe infantile, dai
cinque ai sette. La primaria è divisa in tre corsi; elementare
pei bambini dai sette a nove anni; media dai nove agli undici;
superiore dagli undici ai tredici. Ne qui sì compie intieramente
r istruzione elementare ; perchè in que' comuni ove si annove-
rano dieci alunni almeno licenziati dal corso primario, è insti-
tuito uno «tudio complementare di un anno. Là dove poi (il che
si verifica generalmente nei comuni rurali) non può fondarsi la
scuola materna, si sopperisce con una classe infantilo prepara-
^ Un altro esempio lodevolistimo ci offre Bologna sul modo di eleggere
il personale insegnante alle scuole rurali, informandosi cosi al concetto da
me più sopra manifestato: quello cioè di creare agli insegnanti uno stato
di Butficient; agiatezza e di vita riposata <> serena, mettendoli in grado di
crearsi ana famiglia, più chf^ di eccitarne rambizionc. In quello tìUo o sob*
borghi ore hanno sede scuole uniche per ambo i sossi, Dotognf nomina a
preferenza dae roniu?!: anzi non seguo direrso criterio, che in caso di as-
solata imp'' uore poi col tempo alla scuola di clttÀ o a quella
dei sobborgo hi ha più numerosa fnmigliii, e si rese ad un tempo
più mcritcroie della promozione. E ciò salva anche in gran parte qoel mu-
nicipio daU'imporre alle maestre l'obbligo di ottenere 11 suo ■■- " o prima
di niarìtarnl; come intenderà stabilire pochi meni fa il mu i Udine,
e come si usa presso molti comuni disilo Stato auntriaco, fni (lut^ti Trieste.
I nostri giornaletti didnttift nndavano poi •troinbazr.Hdo «-iio Udine proten-
dc'Vii jiroihire il matr • macntre! Adir vero, altro ó porro il divieto
assoluto i>4>r massim i, rì»ert>anii un diritto che non contraddico a
un certo spirito di patema nolivcitudine, e che preserva la scuola e il oo*
mune dai perìcoli della liliortiV iliìiuitata mantenuta alla maestra in faceenda
cosi grave da quasi tutti i municipi italiani; troppe volte et diede il caso
che i cattivi costumi d'<i mariti, e la nessuna ripatatione da etti godvta
scemassero la stima delle famiglie verso la ma«Mtra stessa, o rendessero la
scuola deserta.
Vob. XL, ••ri* Il — 1 Ak «lo Iksa. M
490 l'istruzione aoraiua e le scuole rurali
toria alla scuola primaria. Precisamente o quasi come a Bologna.
L'Austria stessa che poco tempo fa vedeva approvata dalla ca-
mera dei signori la legge sull' insegnamento pubblico già pre-
sentata dal principe Alois Liechtenstein il 5 febbraio 1880 e
che specialmente col § 48 riguardante l'insegnamento religioso,
mostravasi poco tenera della bene intesa libertà di coscienza,
non poteva sottrarsi ad un bisogno altamente civile, e riconfer-
mava l'obbligo scolastico, limitandolo però fino a tutto il tredi-
cesimo anno, e non più al quattordicesimo; come era prima. E
questa diminuzione al partito liberale sembrò già assai perni-
ciosa. Gli oppositori cattolici vinsero per pochi voti. — Più re-
cisamente la Germania tenne fermo or ora contro le esigenze
di un gruppo che nel Parlamento chiedeva la diminuzione del-
l'obbligo scolastico che si protraeva e si protrae fino ai 15 anni.
Trieste, come risulta dal suo bellissimo regolamento, in data
30 settembre 1882, informato allo spirito e alle prescrizioni di
quelle leggi governative, stabilisce coll'art. 162 alcuni corsi di
ripetizione per quei giovinetti, che nelle campagne raggiunsero
l'età in cui cessa l'obbligo di frequentare la scuola popolare.
Altro eòcmpio del come si riconosca universalmente la necessità
che i giovani contadini completino e maturino, quanto più si
possa, la loro coltura.
Tutto dunque ci consiglia e ci sprona ad accrescere il pa-
trimonio della istruzione rurale e delle abitudini educative, ele-
vando alquanto il grado dell'insegnamento e piegandolo più
opportunamente ai bisogni della società campestre, aggiungendo
parecchi anni al corso attuale degli studi elementari. Si fondi
una scuola preparatoria o infantile dai cinque ai sette e una
scuola elementare propriamente detta dai sette agli undici. Nella
prima acquistino i fanciulli l' idea concreta delle cose più co-
muni e il primo corredo del linguaggio, esercitando gradevol-
mente le facoltà dell'attenzione; nella seconda i primissimi ele-
menti della coltura generale, e l'istruzione istrumentale. Tutte
e due occupino i fanciulli la maggior parte della giornata.
Segua di poi un grado d'insegnamento più elevato e più pra-
tico, segnatamente rivolto a far conoscere ai giovinetti i do-
veri della famiglia e della patria, le nozioni più indispensa-
bili della buona coltivazione e degli studi che giovano a ren-
derla razionale e produttiva. Questo corso più elevato di studi
(che io chiamerei scuola popolare) potrebbe andare dagli un-
dici ai quindici o ai sedici anni. Ma poiché sarebbe un grave
I
IN ITALIA. 491
•errore disconoscere che i giovinetti dagli undici o dai dodici
anni in su cominciano a rendere qualche utile servigio ai con-
tadini in molte faccende della campagna e in particolare nel
governo del bestiame minuto, la scuola dovrebbe chiedere a
questi giovanetti solo quel tanto di frequenza, che si concilia
col bisogno delle sopradette occupazioni. Epperò dagli undici
ai tredici basterebbero due ore al giorno in qUel periodo di
tempo, che risponderebbe maggiormente agli usi dei diversi luo-
ghi ; dai tredici ai quindici nei mesi invernali la scuola potrebbe
aver luogo di sera e nelle domeniche, per diventare poscia esclu-
sivamente festiva nel resto dell'anno.
Mi verrà obbiettato che sembra soverchio protrarre l'obbliga
della scuola fino ai 15 o ai 16 anni? Ma soverchio non ò, quando
non si domanda cosa impossibile o troppo pesante. E mi paro
che i modi qui esaminati e proposti giovino a facilitarlo. Né mi
spaventa la voce grossa di tutti quelli che gridano, fingendo di
non intendere, o davvero non intendendo: Non comprimete:
aiutate, e nient'altro ; i quali sono poi tutti solleciti a ricono-
scere per necessari e a tenere per sacrosanti tutti gli altri ob-
blighi e ben più gravosi che lo Stato senza alcun ritegno im-
pone ai cittadini per la propria conservazione, per la libertà o
per l'ordino pubblico, come quelli della forzata espropriazione,
delle tasse, della leva e di molti altri. Che se Io Stato può strap-
pare alla famiglia un figlinolo, anche quando sia di essa il so-
stegno, ed a^'^'inccrlo per alcani anni nei legami di una vita
tutta affatto opposta all' indolo e al carattere della famiglia umana
e al naturale ordinamento dei consorzi sociali, o porchò si do-
vrebbe nel caso delle scuole respingere l'imi' ' '^' ^>n dovere
che trae la sua origine dalla necessità dell'i . : .... no insita nella
natura dell'uomo, legittimata dai secoli e dalla storia; 'specie
quando essa imposizione non annulla la potestà patema e non
impedisce ai giovinetti gli utili servigi prf^^'^Y di essa e l'ap-
prendimento di un mestiere?
Dissi che le nozioni d'agraria entrerebbero nel corso degli
-nidi più elevato, ossia nella scuola popolare dagli 11 ai 15 anni.
•Mi anche questo insegnamento dovrebbe estere ripartito nei duo
periodi di essa, e distribuito secondo lo sviluppo e la graduata
pfi ■ •• , ^|g jJqJ giovani. Nel primo periodo dagli
11 alcune nozioncine di storia naturale, come
parte essenziale della coltura generale, senza tirar dietro a clas-
sificazioni scientifiche, ma attendendosi agli esemplari o ai fo-
492 l'istruzione agraria e le scuole rurali
nomeni più comuni, e fermandosi segnatamente alle produzioni
locali delle campagne. — Nel secondo periodo dai 13 ai 15 o 16,
quando 1' insegnamento raccoglie gli alunni di sera, oltre a con-
tinuare le nozioni sugli animali, sulle piante e sui minerali, tor-
nerebbe assai acconcio e non difficile studiare entro giusti confini
alcune proprietà dei minerali stessi, offrendo ai giovani qualche
pratica cognizioncella di chimica per condurli a conoscere ra-
zionalmente, per esempio, la natura dei terreni, la qualità dei
concimi ecc. ecc. Quando poi le lezioni diventano festive, allora
il tempo, il luogo, l'opportunità il bisogno reclamerebbero un
insegnamento del tutto agronomico, esclusivamente pratico ; giac-
ché i giovani dovrebbero essere condotti sui terreni meglio col-
tivati per far loro toccar con mano gli effetti dei più lodati
sistemi e per metter loro sott' occhio, mediante l' esempio tutte
quelle operazioni che richiedono un buon fondamento di coltura
generale, sufficiente corredo di studi speciali e non breve espe-
rienza. Non s' insegnano precetti agrari valendosi per le dimo-
strazioni solo di animali di gesso, di concimi in boccette, di
coltri di cartone, o di campi dipinti ; ma è nella stalla, nella
concimaia e sul podere che il futuro agricoltore acquisterà le
conoscenze occorrenti all'arte sua. ' Altri poi vegga se riordinata
la scuola rurale, fosse possibile di affidare ai maestri l' insegna-
mento non solo delle nozioni agronomiche preparatorie, ma anche
le pratiche, assegnando loro un podere modello, come s'usa in
Isvizzera e altrove, o almeno un orto, come a Trieste e nell'Au-
stria, secondo l'ordinanza ministeriale in data 2 settembre 1872.
Oppure se tornasse meglio (come io penso) di chiamare a. tenere
le conferenze agrarie o lezioni festive i professori d'agraria delle
scuole pratiche, o i giovani più volonterosi che escono da esse.
Io ripeto e sostengo che l' indispensabile tirocinio di prepara-
zione mentale : il necessario fondamento di generale coltura, che
oggi manca affatto nelle nostre scuole rurali, noi lo acquiste-
remmo col sistema sopra accennato, o con qualunque altro che
s'inspirasse ai reali e grandi bisogni del risorgimento agrono-
mico e morale d^lle nostre popolazioni rurali. Allora la scuola
raggiungerà il suo intento educativo, giacché i campagnuoli,
aiutati opportunamente dallo Stato e dai comuni, quando versino
in povero stato: stimolati, se occorre, dalla legge obbligatoria,
^ CuppABT, Sulla istruzione agraria. — Giornale agrario toscano 1861.
Cabina, Istruzione primaria e industriale, pag. 386.
IN ITALIA. 493
finché almeno l'esempio e la convincente logica dei fatti non li
abbia tatti soggiogati, riconoscendola a poco a poco veramente
diretta al loro bene, imparando ad amare e stimare quegli uo-
mini che per serenità d' intendimenti, per dignità di costumi,
per sufficiente e soda dottrina, per zelo costante indefesso nel-
r insegnamento, mostreranno di meritare appieno la pubblica
fiducia, la renderanno popolata e la circonderanno di rispetto e
di sollecitudine.
È questo un sogno forse ? No, no : non lo credo. Io ho espresso
con intimo convincimento e con onesta schiettezza le mie opi-
nioni e le mie speranze; avrò errato nei giudizi; ma non nei
fatti. Or bene : non basterebbero questi a richiamare ancora una
volta l'attenzione dei valentuomini sopra un argomento che si
attiene cosi strettamente all' incremento dell'educazione rurale e
della agricoltura nazionale, elemento capitalissimo della prospe-
rità pubblica? u I bisogni dell'agricoltura sono identici ai bi-
sogni della civiltà; n scriveva a questi giorni un uomo grande-
mente benemerito degli studi sociali. * Questa sentenza riassume
tutto il mio pensiero; tutti i miei voti.
Giovanni Fanti.
1 O. Ro«A, Storia deWagriooUmra nella dvatà. Milano, Qoadrio 1888.
SCAVI DI ROMA
IL NUOVO OBELISCO I>EH^' ISEO.
Nel penultimo fascicolo scrivemmo un rapido annunzio delie-
scoperte di antichità egiziane avvenute presso l'abside della
chiesa della Minerva, ma furon dette appena poche parole sulla
più importante di queste, cioè sull'obelisco, perchè allorquando
si pubblicarono quelle pagine, il monolite stava ancora quasi
tutto sotterra.
Annunciammo bensì che nella parte bassa del monumento si
leggevano i cartelli reali del Faraone Ramses II, ma non si poteva
ancora esaminare la iscrizione geroglifica perchè quasi tutta
ancora coperta dalle macerie. Appena poi estratto fuori il mo-
numento avemmo cura di fare una traduzione delle quattro sue
facce che apparve nei giornali quotidiani di Roma ; ma fu questa
una sola e pura traduzione senza entrare in osservazioni scien-
tifiche, giacché solo scopo fu quello di far conoscere al pub-
blico il senso di quei geroglifici.
Ci è sembrato quindi necessario di completare il primo arti-
colo scritto su questo periodico dicendo qualche cosa di più spe-
ciale su questo obelisco del quale si è tanto parlato.
Il nome obeliscus è un diminutivo adoperato dagli scrittori
latini del termine o^ikoc, col quale i greci chiamarono quei mo-
noliti di forma snella ed elegante da loro ammirati in Egitto.
Il vero nome trovato nei geroglifici è Tekhen, ed era un monu-
mento che avea certamente relazione con il culto del Sole, culto
che formava il fondo principale della religione egizia. Presso
quel popolo il grande astro del giorno era la manifestazione pia
SCAVI DI ROMA. 495
bella e più benefica della divinità, e le varie vicissitudini del
suo corso diurno e notturno davano il nome ai diversi numi
solari. Cosi Horus era un simbolo del sole oriente, Ra del sole
nel massimo di sua forza, Tura dell'astro che tramonta e va a
\àsitare le regioni sotterranee, ed Harmachis od Harmachutì
rappresentava il passaggio di Horus da uno all'altro orizzonte.
Ma il dio misterioso di cui tutte queste varie apparenze erano
una manifestazione dicevasi Ammon-Ra, cioè il dio nascosto che
si rende visibile agli uomini sotto la forma solare. Al sole erano
sacri quasi tutti i templi egiziani, e dinanzi ai maestosi pro-
pilei di quei grandi edifizi, sorgevano appunto gli obelischi i
quali, secondo Plinio, simboleggiavano con la forma aguzza il
raggio solare. Ad ogni modo certo si è che l'obelisco era vene-
rato come un simbolo divino, e questo fatto si ricava da alcune
iscrizioni ed anche da qualche monumento ove si vede rappre-
sentata l'adorazione delVoheligco.
Questi monoh'ti quasi sempre in granito sono formati di duo
parti, cioè la prismatica e la piramidale che la sormonta detta
pure il Piramydionj e generalmente sono ricoperti di leggende
geroglifiche in tutte e quattro lo facce ed anche nella cuspide.
Queste iscrizioni che si leggono dall'alto al basso e talora sono
di una sola linea, talora di parecchie sopra la medesima faccia,
lon vengono apprezzate molto dagli egittologi perchè non hanno
Il genere una grande importanza storica, ma contengono quasi
«►cmpre una ripetizione del solito formolario ampolloso e tutto
orientale dei titoli religiosi e civili che si davano ai re d'Egitto,
I cordando solo la edificazione di un qualche tempio, la ere-
/.ione stessa dell'obelisco, e con frasi per lo più assai generali,
lo vittorie ottenute da quel Faraone di cui portano il nome. K
•{ui deve oMervarsi che i titoli dati al monarca sono fondati sul
concrito degli egiziani che il re fosae una personificazione vivente
della divinità e perciò era da essi chiamato Se Ra (figlio del
sole), St Asar (figlio di Oriside), e si diceva sempre protetto ed
amato da qualche divinità cai egli professasse un culto spccialo.
Il \nù antico obelisco che si conosca appartiene al re Ougertesen I
della 12* dinastia e trovasi fra le rovine di Eliopoli. Il più grande
quello della regina Hatasou della 18* dinastia esistente ancora
i Karnak presso Tebe alto 33 metri, e subito dopo viene il
1. ostro obelisco lateranenso del tempo di Toiitmet IV, che cede
•olo di un metro in altezza al grande monolite tebano.
Le iscrizioni incise sugli obelischi furono, come ognun sn,
496 SCAVI DI ROMA.
un mistero fino alla grande scoperta di Champollion, e basta
leggere i vaneggiamenti del Kirclier nel suo Oedipus cngiptiacus
per convincersi che prima di essa si stava assolutamente fuori
di strada in quanto alla interpetrazione dei geroglifici. Ma deve
dirsi a lode del vero che non tutti prestarono fede a quei sogni,
e che nel secolo scorso il Zoega scrisse un libro pregevolissimo
De origine et usu obeliscorum nel quale espose con grande dot-
trina quanto poteva dirsi ai suoi giorni su questo argomento,
ed anzi ebbe il merito di divinare che i cartelli tanto frequenti
nelle iscrizioni geroglifiche contenessero i nomi dei re, cosa
dimostrata poi con certezza. Finalmente un lavoro veramente
scientifico sugli obelischi di Roma, fu scritto poco dopo la sco-
perta di Champollion da un nostro dotto italiano il P. Ungarelli
il quale, per ordine del pontefice Gregorio XVI fondatore del
museo egizio vaticano, pubblicò accurati disegni di tutte quelle
leggende geroglifiche, unendovi una traduzione quanto più perfetta
potevasi nello stato in cui la scienza si trovava ai suoi giorni.
Non sarebbe opportuno che io stessi qui a narrare come con
l'aiuto d'alcune iscrizioni bilingui e col sussidio della lingua copta
siano pervenuti pian piano gli egittologi a decifrare oramai qua-
lunque iscrizione geroglifica, giacche sono cose abbastanza note
anche a chi non si occupa in modo speciale di questi studi ; ma
voglio solo accennare ciò che mi servirà per l'interpretazione
del nuovo obelisco, che la scrittura geroglifica si compone di
segni di natura diversa. Alcuni di questi sono ideografici cioè
rappresentativi di una idea, ed altri fonetici ossia esprimenti un
suono. I primi si chiamano figurativi o simbolici, secondo che
rappresentano materialmente disegnato l'oggetto che si vuole
esprimere, ovvero che ne indicano un simbolo, come per esempio
un vaso di libazione per significare il sacrifizio. I fonetici poi tal-
volta esprimono una sillaba, talvolta una sola lettera, e spesso la
sillaba o la lettera con la quale comincia il nome rappresentato
da quel dato segno. Vi sono poi i geroglifici detti determina-
tivi, i quali non si pronunziano nelle iscrizioni, ma servono ad
indicare con più chiarezza a quale ordine di idee appartiene il
nome che precede; cosi per esempio: le figure di uomo o di
donna fanno conoscere che il nome proprio appartiene ad un
uomo 0 ad una donna, due gambe indicano il movimento, una
mano avvicinata alla bocca esprime le idee di parola o discorso,
un circolo con una croce nel mezzo indica luogo abitato o città,
e così via.
SCAVI DI ROMA. 497
I cartelli poi, come ho già detto, contengono sempre il nome
del re, perchè i cartelli rappresentano un sigillo il quale era
simbolo d'immortalità, e nelle iscrizioni son sempre doppi. Il
primo contiene il prenome del re cioè quel titolo esprimente una
assimilazione del re al sole e che può chiamarsi il nome sacro,
ed è preceduto sempre dalla frase Re dell'alto e del basso Egitto
espressa dal gruppo di un ramoscello e di un'ape: nel secondo
cartello è scritto il nome proprio di ciascun Faraone come per
esempio: Ramses, Toutmes, Amenhotep ecc., e dinanzi a questo
va sempre l'altro titolo Se Ra figlio del sole, cioè un'oca messa
accanto al disco solare.
Non tutti gli obelischi con iscrizioni geroglifiche sono vera-
mente egiziani, come già accennammo nell'articolo precedente,
ma taluni furono fatti all'epoca della dominazione romana. Questi
poi o s'innalzavano in onore di un imperatore, il cui nome
ridotto alla forma egizia s'incideva nel cartello reale, ovvero
erano una copia di un qualche obelisco antico col nome di un
Faraone. Ed in Roma abbiamo esempi dell'uno e dell'altro caso,
giacche gli obelischi della piazza Navona e del monte Pincio
appartengono rispettivamente a Domiziano e ad Adriano, mentre
quello della Trinità dei Monti, quantunque abbia i cartelli di
Ramses II, pure si deve riconoscere come lavoro di imitazione.
Ed il carattere distintivo di questa imitazione ò la rozzezza dol
taglio nei geroglifici e la forma non compiuta ed esatta dei me-
desimi che accusa una mano la quale copiava quei segni senza
intenderli. Premesse queste indicazioni veniamo alla descrizione
del nuovo obelisco.
Esso è in granito rosso detto 8i< nit<- alto metri 0,40 compreso
il piratnydion e largo alla base m<-tri <J,70; ù in perfetto stato
dì conservazione meno qoalche piccola scheggiatura ad uno
degli spigoli, e nella baAc presenta un foro per il perno metal-
lico che lo dovea collogarc alio zoccolo. Il piratnydion poi presso
la punta ha un intacco nel quale dorea cortamente adattarsi
un rivestimento di metallo dorato, assai conveniente ad espri-
mere il raggio solare di cui l'obelisco era un simbolo.
Tutte e quattro le facce sono coperte da iscrizioni gerogli-
fiche disposte in di una sola riga, e questo sono di un lavora
cosi eccellente che devono riconoscersi come veramente egiziano.
Il piratnydion è identico in tutte le facce perchè comincia OOD
il disco solare, sotto ha lo scarabeo, simbolo della generazione
divina, e poi i due cartelli reali del nome e del prenome col-
498 SCAVI DI ROMA.
locati sopra quel segno geroglifico che rappresenta la volta ce-
leste: e questi cartelli portano i nomi di Ramses II del quale
poi parleremo. Le iscrizioni però delle faccie sono alquanto di-
verse l'una dall'altra, ma tutte ugualmente contengono ripetuti
più volte i cartelli del re con le consuete frasi dell'ampollosità
orientale. Ognuna delle facce a partire dall'alto, comincia con
la figura del vessillo o stendardo sormontato dallo sparviero
simbolo del dio Horus e che ha sul capo lo Pschent cioè il dia-
dema dell'alto e del basso Egitto, e nello stendardo è scritta
la divisa particolare del re che avea però qualche variante e
nel caso nostro ne ha tre come ora vedremo.
Quando l'obelisco sarà alzato potremo indicare le facce come
negli altri chiamandole settentrionale meridionale ecc. ma ora
la loro indicazione di prima o seconda è arbitraria e quella che
io seguo è basata sopra il senso delle iscrizioni e sull'ordine
nel quale io credo che si dovessero leggere. E per coloro che
desiderassero riscontrare questa traduzione sul monumento dirò
che io chiamo 1* faccia quella che oggi è rivolta verso il pa-
lazzo Doria, 2* quella poggiata in terra, 3* quella che guarda
il Collegio romano, e 4* finalmente la orizzontale *.
(Prima faccia) : Il dio Horus sotto forma di sparviero sullo
stendardo reale.
Nello stendardo : Ka-nekt-meri Ma. (Toro potente amato dalla
Giustizia).
Sotto lo stendardo : Suten Sehet. {Re dell'alto e basso Egitto).
Cartello : (Ra-User-Ma-setep-en Ra) prenome reale che può
tradursi così : {Sole potente di giustizia scelto dal Sole). Poi il
titolo Se-Ra (figlio del sole).
Secondo cartello del nome : Rames-su-meri Amun. (Ramses
amato da Ammone^
Quindi prosegue : Tet (conquistò) e vi è il determinativo delle
azioni di forza cioè una mano armata. Tai-nsbu (i paesi tutti)
em neht-f (con la sua forza o potenza) Neh Taui (Signore dei
due paesi).
Viene poi un'altra volta il cartello prenome {Ra-User-Ma Setep
en Ra) e finalmente : Meri Hormakuti (amato da Horus dei due
orizzonti).
^ Mentre scrivo l'obelisco tratto fuori dallo scavo sta giacente sulla
piazza del Collegio Romano non essendo ancora deciso il posto dove sarà
collocato.
SCAVI DI ROMA.
499
(Seconda faccia): 11 dio Horus come sopra.
Nello stendardo : Ka nektse Tura (Toro potente figlio di Tum).
Al di sotto : Suten Seket {Re dell'alto e basso Egitto).
Quindi il cartello prenome (Ra-User ma setejp en Ra) e poi
ripete: Se Ra (figlio del Sole).
Il cartello del nome (Ra-mes-su-meri Amun). Menk (perfetto)
ma Asar (come Osiride) Neb-Kau {Signore delle corone).
Poi nuovamente il cartello del nome {Rames-su-meri Amun)
ed infine meri Hormakuti {amato da Horus dei dite orizzonti).
(Terza faccia): Il dio Horus come sopra.
Nello stendardo : Ka-Nekt-meri Ma {Toro potente amato dalla
Giustizia).
Sotto lo stendardo : Suten Seket (re delValto e basso Egitto).
Cartello prenome: {Ra-User Ma setep en Ra): poi il titolo
reale Se Ra (figlio del Sole)
Cartello del nome : (Rames-m-meri Amun)
Quindi : Menk .... Per met-m {compì gli edifizi dei padri
suoi) Xeb-Taui (Signore dei paeti)
Cartello prenome: {Ra-User- Ma- Setep en Ra), ed in fine come
il solito Meri Hormakuti.
(Quarta faccia): Il dio Horus com s ij)ra.
Nello stendardo : Ka-Nekt-meri-Rn 7' / ./ potente amato da
Ra (SoU)
Al disotto : Suten Seket (re dell'alto e basso Egitto)
Cartello prenome: {Ra-User-Ma-Setep en Ra) e poi il consueto
titolo Se Ra (figlio del sole)
Cartello del nome (RarneM-t^meri Amun).
Quindi prosegue: Rer hotep em Hon Xu-Ra. {Circondò di
offerte la città di EUopoli splendore del $oU).
Neb-Kau. (Signore delle Corone)
Toma quindi il cartello del nome (Rames-su-meri /lmi«n;, e
si chiude poi con una frase diversa dallo altre, cioè:
Meri Tum Neh Hon, {Amato dal dio T\tm signore di Eliopolt),
Dai cartelli del nome e del prenome li ricava con sicurezsa
(he il Faraone cui appartiene il nuovo ohclisco ò precisamente
Ramses II, della 19* dinastia, il quale regnò secondo lo più ne*
ereditato cronologie dal 1311 al 1345 avanti O. C. Fu egli
uno dei più grandi re dell'Egitto per le conquiste da lui ripor-
tate e per gli edifizi sontuosi che inalzò in vario città, e dalla
greca leggenda fu chiamato Sesostri, attribuendogli immaginarie
500 SCAVI DI ROMA.
spedizioni. Ma anche non prestando fede alle favole formate dai
greci e stando alla storia quale risulta dai numerosi monumenti di
questo re, egli ci apparisce come un potente e felice monarca
.che ebbe un lungo e prospero regno, un Luigi XIV dell'Egitto.
)La sua impresa principale fu la vittoria sulla potente confede-
razione asiatica dei Keta che comprendeva gli abitanti dell'Asia
minore, della Siria e della Mesopotamia ed anche gli assiri
(Rotennou)-^ fatto eroico celebrato da un poeta di corte, di
nome Pentahur, il cui scritto si conserva in parte nel museo
del Louvre. Egli riempì l'Egitto dei suoi meravigliosi monu-
menti, e per soddisfare alla sua ambizione, oppresse dispotica-
mente il popolo ed in modo speciale i giudei che erano dive-
nuti assai numerosi, e li fece lavorare nelle città da lui edificate
di Phitom e Rameses, delle quali si fa menzione nella Bibbia. *
E nei giorni della grande persecuzione mossa da questo tiranno
al popolo ebraico nacque Mosè, il quale poi sotto il regno del
figlio di lui e successore Menephta, dovea condurre i suoi op-
pressi fratelli lungi dalla terra straniera. *
Dalle molte iscrizioni che si riferiscono a Ramses II ap-
prendiamo che egli compì e restaurò numerosi edifizi dei suoi
antenati, e specialmente di suo padre Seti /, e che non vi è
luogo dell'Egitto, dove egli non abbia lasciato monumenti della
sua grandezza. E l'obelisco recentemente scoperto conferma
tutto ciò, giacche, come abbiamo veduto, nella prima faccia si
ricordano le sue grandi conquiste, e nella terza si parla dei
monumenti aviti che egli restaurò o compì. Nel 'quarto lato
però troviamo un' indicazione locale, e cioè che Ramses circondò
dì offerte la città di Eliopoli (in egiziano Hon), e queste of-
ferte a me sembra che debbano riferirsi a parecchi obelischi
dei quali uno fu il nostro. E ciò combina assai bene con un
celebre monum'ento dello stesso Ramses II che abbiamo in
Roma, cioè il grande obelisco della piazza del popolo, il quale
nella sua faccia occidentale fra le molte cose ricorda pure che il
re u Adornò la città di Eliopoli con gli obelischi v.
E così in Eliopoli celebre città del basso Egitto (oggi Ma-
tarie) crediamo che stesse questo monolite innanzi al tempio del
Sole, insieme al suo compagno della piazza del Pantheon e
forse a parecchi altri di varie gradezze, e che da Eliopoli fosse
' Esodo, I, 11
' Vedi Brdgsch. Geschichle Aegyptens unter den Pharaonen, pag. 582.
SCAVI DI ROMA. ■ 501
tolto all'epoca della dominazione romana per adornare uno degli
ingressi dell'Iseo campense.
Fé molti furono certamente gli obelischi portati dall' Egitto
e collocati dai romani dopo la conquista innanzi ai propilei
del nostro tempio d'Iside o lungo il sacro suo oaóuLog, giacche
almeno di cinque possiamo esser sicuri. Tre di questi sono
ancora visibili, e cioè quello del Pantheon, l'altro della Minerva,
e questo or ora scoperto : di altri due abbiamo poi notizia posi-
tiva dal Kircher che li vide e ne die un disegno. ' Uno di essi
stava ai suoi giorni innanzi alla porteria del Collegio romano
e fu poi trasportato nell' intemo, e l'altro era murato presso la
cantonata cujiisdam pharmacopaei in quei dintorni : ma poi am-
bedue sono finiti fuori di Roma. Anzi osserverò che il frammento
del Collegio romano ha i medesimi cartelli di Ramses II come
quello ora scoperto, è delle stesse dimensioni, e vi è pure nomi-
nata la città di Eliopoli, ed è perciò naturale che gli fosse col-
locato vicino e che perciò siasi rinvenuto presso la porticella
della Minerva. Da tale circostanza nasce spontaneo il pensiero
che questo sia per l'appunto Vobelitco piccolo antico veduto da
Lucio lilauro nel 1565 presso la porticella della Minerva, obe-
lisco che a tempo del Nardini e del Kircher (1666) non stava
più in quel luogo, giacché il primo dice chiaramente che vi si
vedeva a tempo del Mauro. * E si potrebbe pensare che tale
frammento (giacché il Mauro non dice che fosse intero) si togliesse
poi da quel posto allorché nel giubileo dell'anno 1(>00 si rifece
la porta minore della chiesa suddetta come attesta un'apposita
epigrafe, e si trasportasse allora avanti alla porteria del Col-
legio romano.
Ho voluto accennare questi particolari perchè mi aombra
che in tal modo possa spiegarsi quel passo del Mauro, senza
dire che egli intendesse di pArlaro di quell'obelisco che oggi
si è rinvenuto come ha sappostn il eh. prof. Narducci *, la quale
opinione ddl'egrcgio letterato non ci sembra ammÌHHÌbil<>. Infatti
essendosi trovato quest'obelisco a qttattro metri di profondità
sotto il piano stradale (che in quel punto é lo stesso di quello,
del ìiìGh) bisognerebbe dire o che ai tempi del Mauro vi fosse
un cavo ricoperto posteriormente, o che l'obelisco sia stato poi
sepolto a quella profondità. Non si può ammettere la prima
* OAeUt0tf (ugiptiaei interpefratio, Homs, 1666, psg. 134.
* Roma aniieaf Uh, VI, capo 9.
' Vedi 0 gioniale « Capitan Fraama > del ti fingno 1888.
502
SCAVI DI ROMA.
ipotesi perchè inverosimile, e poi il Mauro ne avrebbe fatto
menzione mentre invece egli dice u sulla 'porta piccola si vede
in terra ecc. n ; e neppure la seconda perchè è impossibile che
nello scorcio del secolo decimosesto allorché si restauravano
gli obelischi frammentati e si innalzavano sulle piazze di Roma,
si seppellisse poi sotterra questo bellissimo ed integro ; e vi si
seppellissero insieme anche quelle altre antichità che vi si trova-
rono unite, cioè i due cinocefali e la candeliere di lavoro romano.
Quindi comunque si vogliano spiegare le parole del Mauro, non
si può ammettere che egli parli del nuovo obelisco, il quale
caduto forse per terremoto dopo molti secoli d'abbandono nel
medio evo, fu poi pian piano ricoperto dalle macerie, ed oggi
soltanto ha riveduto la luce.
Ed ora per conchiudere questi cenni ci siano permesse due
parole sul collocamento che dovrà farsi di questo bel monolite
in una delle piazze della nostra città. Alcuni hanno già pro-
posto di trasportare 1' obelisco ad ornamento dei nuovi quar-
tieri, ed altri lo correbbero collocare sulla piazza Magnanapoli
presso gli avanzi delle mura di Servio. Ma le piazze dei
nuovi quartieri sono troppo vaste per questo piccolo monu-
mento e la forte pendenza di Magnanapoli non ci sembra nep-
pure adatta oltre che non avrebbe significato un obelisco sopra
un muro di recinto dell'antica città. Perciò crediamo che la col-
locazione debba farsi dipendere non solo dall'estetica ma ezian-
dio dal concetto archeologico ;. deve cioè farsi in modo che esso
oltre un bel monumento sia anche più istruttivo, e conservi
per quanto è possibile la destinazione e la località assegnata-
gli dagli stessi antichi. E per soddisfare a queste condizioni è
necessario lasciarlo nei dintorni del tempio d'Iside come furono
lasciati gli altri due del Pantheon e della Minerva, affinchè
ricordi perpetuamente ai posteri che in quel luogo sorgeva il
gran santuario del culto egizio, il quale adorno delle spoglie
d'Eliopoli, di Tebe e di Menfi era un monumen Lo insigne delle
vittorie romane sull'antico paese dei Faraoni. Ci sembra perciò
che il luogo più adatto alla collocazione dell'obelisco sia la
vicina piazza di Sant'Ignazio, ove farebbe anche bella mostra
di sé per il raccoglimento del luogo, ed avrebbe innanzi un'edi-
fizio monumentale come è il grandioso tempio eretto dal cardi-
nale Ludovisi.
Crediamo opportuno di aggiungere un cenno su due altri
monumenti che sono tornati in luce dal medesimo scavo dopo
SCAVI DI ROMA. 503
r estrazione dell' obelisco. A poca distanza da questo, ma ad un
livello superiore, si trovò un tronco di colonna in granito bigio
lungo 4™ 70, del diametro di 1™ e foggiato presso l' imoscapo a
forma di vaso. Sopra la fascia o listello che recinge superior-
mente cotesto vaso, sono scolpite in giro intorno al fusto otto
figure di sacerdoti isiaci o di iniziati ai misteri d' Iside, le quali
formano gruppo due a due e sono rivolte Tuna verso l'altra.
Ognuna di queste figure è vestita di una tunica stretta alla
persona, è coronata di ulivo e stando in piedi sopra una specie
di suggesto 0 sgabello porta in mano un arnese del culto egi-
zio. Il primo gruppo è formato da due sacerdoti dei quali
quello a sinistra regge sopra un bastone il sacro sparviero sim-
bolo del dio HoruSj e l'altro a destra offre a quel simbolico
animale due fiori di loto. Nel secondo gruppo si veggono due
ministri con lunghi bastoni terminati nello stosso mistico fiore
ed uno di essi ha pure in mano un vaso di purificazione. Il terzo
ed il quarto gruppo infine si compongono di coloro che reggono
con ambe le mani quei vasi così detti Canopici terminati nella
testa di una divinità: questi vasi sono rispettivamente sormon-
tati dalle immagini di Osiride con lo Pschent, d'Anubi con VAtew,
e di Iside con il disco solare le coma di vacca e le penne.
Dinanzi al sacerdote che regge il vaso con la testa d' Iside è poi
scolpito un altro che sembra presontnro filla dea un lungo ramo
di palma.
Questi rilievi rappresentano senza dubbio alcuno dello sa-
cre cerimonie che si celebravano noi templi isiaci, e dello quali
abbiamo poche notizie dagli antichi scrittori, e si potrebbe Torso
ricono-HCcrvi una solenne esposizione al popolo dei sacri sim-
buli delle divinità. La colonna però non è an monumento votivo,
come taluno ha supposto, perchè non fVi isolata, ma un'altra
identica se ne trovò negli scaW del signor Tranquilli ed e- ancora
visibile nel cortile della sua casa: anzi si ha indizio che altro
simili sieno ancora sepolto in quei dintorni. Quindi ò corto che
la colonna ora scoperta o faceva parte dei portici del tempio
d'Iside, 0 adomava uno dei suoi propilei.
Finalmente pochi giorni or sono proseguendo gli scavi si
giunse al piano ant'co del tempio o dell'area sacra circostante,
< It" si trovò lastricata di marmo e alla profondità di metri 6
dui piano stradale. E sulle lastre marmoree si rinrcnne la figura
di un coccodrillo scolpito in granito rosso orientalo, lungo
m. l./O e mancante solo di una parte della bocca. Il coccodrillo
504 SCAVI DI ROMA.
simbolo del Dio Sehek era un animale sacro per gli egiziani che
però essi scongiuravano con alcune formolo magiche come rap-
presentante r elemento malefico dello tenebre, e si venerava
specialmente nella città di Crocodilopoli presso il Fayoum dov'era
il celebre lago Meris. Era frequente l'immagine del coccodrillo
nei sacri edifizi di Egitto, ed alcuni di questi animali si rin-
vennero pure nella villa tiburtina di Adriano ove si volle ri-
produrre il celebre Canopo alessandrino. E perciò assai proba-
bile che anche nel nostro Iseo Campense ve ne fossero parecchi,
giacché, come si è veduto dai monumenti fino ad ora scoperti,
il tempio romano era una perfetta imitazione dei grandi edifizi i
consacrati ai misteriosi Dei della valle del Nilo.
O. Marucchi.
IL MALE NEL BENE
I
BOZZETTO DAL. VERO.
In ana sera di maggio, dell'anno di grazia nel quale io scrivo
e voi leggete, il sor Paride Bindoni, onesto cittadino e friaore
italiano per giunta, come diceva la scritta della sua bottega, stava
aspettando con manifesta impazienza qualcuno, o qualche cosa;
e per dir giusto, l'uno e l'altra insieme.
Il bravo barbiere, non occorre dirlo, non aveva nulla da
dividere col greco suo omonimo ; e quanto alla guerra di Troia,
per dato e fatto di quella che da un quarto di secolo e più
aveva la sorto di es.scrgli legittima consorto e padrona, non
avrebbe potuto mai divampare, essendo essa, la Caterina, la
più brutta e la più casta di tutte le comari di fìorgo la Croce.
Ed era appunto por questa benamata metà eh' egli s' in-
quietava, prima che per so. Sgomberavano. La povera donna
aveva scavallato e sfacchinato tutto il santo di. Molto coso
erano a posto, molte per aria, siccome suole in simili casi. Ma
il letto maritale, che pareva una piassa, era tuttavia un desi-
derio. Nella vecchia caaa, ospiti non invitati, avevano diviso il
ùÀtaa.0 col nostro Paride, facendo a rovescio della storia; ondo
W torole che reggevano quella gran molo di i«acooni, di muto-
raasi, di guanciali, sulla quale i coniugi Dindoni sentivano pre-
potente il bisogno di stendenti, eransi fin dui mattino dato in
cttra al maestro legnaiuolo. Il Uicciolo, tanto onesto o discreto
quanto poco perito nell'arte propria, il che vale onestissimo u
discretissimo, dalla vecchia dimora in San Friano, donde lo
▼•b. IL, MrU II — 1 A«wto UM. U
506 IL MALE NEL BENE.
aveva levate, aveva promesso di riportarle piallate per bene e
levigate al nuovo nido, forse fra un par d'ore, certissimamente
nella giornata. Ma le ore si succedevano una all' altra senza
interruzione 5 il sole, a poco a poco, era scomparso dall'oriz-
zonte; le undici, ohimè! scoccavano lente e fatali all'orologio
di piazza, e non v'era ne pur 1' ombra delle tavole di salva-
zione per mettere insieme il letto.
Pel Bìndoni non era nulla, che anco sul pancaccio avrebbe
dormito da papa; tuttoché non sia veramente e indiscutibil-
mente provato se i papi dorjnano sempre bene, specie dopo
perduto il temporale. Ma è provatissimo invece che la Caterina
aveva un gran debole pel suo lettone; e se non se lo sentiva
nella monumentale sua altezza sotto le membra monumentali,
non le pareva neanco di essere in letto. Ne \i&. punta meravi-
glia, che il letto, pel popolano, è 1' arredo più desiderato, più
curato, più gelosamente amato di tutta la suppellettile do-
mestica; il che non impedisce a moJti di dormire sulla nuda
terra, in mancanza di più soffice sdraio. E desso il confidente
de' soli godimenti di tutta una vita di fatiche, di sagrifizi, di
patimenti; desso l'amico fidato, che offre, in ogni tempo ed in
ogni evento, il riposo bisognevole ai corpi macerati dal "digiuno
o dal lavoro'; desso, infine, il lusso della povera bicocca, l'aspi-
razione della fanciulla, l'orgoglio della maritata. Per la Cate-
rina poi era tutto questo, ed anco più. Era una memoria sto-
rica, il ricordo del cuore, l' immagine reflessa de' suoi mag-
giori, stendentisi quotidianamente sulla amplissima superficie per
lunga serie di generazioni. Era li finalmente, e proprio li, dove
il padre e la madre di lei, di santa memoria, non avevano
avuto requie, finché non ebbero chiamato alla luce del lumicino
da notte quell'unica e dilettissima, la quale rispose poi sempre
al nome di Caterina.
Ed ecco il perchè e il percome il povero Bindoni, si tribolava
tanto. In quel gioruo egli aveva fatto l'impossibile. S'era messo in
pezzi per servire la clientela in bottega, dare un occhio agli
sgomberatori, una mano all'assetto de' mobili. E con tutto ciò,
presago della sventura, era corso ben tre volte lungo il giorno
alla bottega del Ricciolo, da Borgo la Croce ai Camaldoli di
San Frediano: chiama e rispondi! E pazienza, se con tanta
tribolazione e tanto correre gli fosse riuscito almeno di parlare
una volta sola coli' infido legnaiuolo. Ma nossignori. La botte-
guccia del Ricciolo era chiusa sprangata, e della gente del
IL MALE NEL BENE.
507
vicinato non uno l'aveva veduto o sapeva dire dov' eì si fosse
cacciato.
Col rintocco dell'undici, cascarono le braccia al pover'omo.
Ogni speranza era svanita oramai! La stessa Caterina, strana
e ghiribizzosa qual'era, dovette fare di necessità virtù. Bron-
tolando, imprecando, sbofonchiando, si buttò giù per disperata.
3[a tuttoché la fosse stanca rifinita, ce ne volle assai prima di
chiuder occhio. Quando Dio volle, nella sua misericordia infi-
nita, la balena prese a russare come un mantice, ed era tempo.
Rivoltolandosi furiosamente or su un fianco or su l'altro com'ella
faceva, aveva messo in serio pericolo di una schiacciatura il
docile compagno che le giaceva a lato. Non . j;i sarebbe man-
cato altro davvero, dopo le peripezie della giornata e le mag-
giori del giorno di poi.
Perchè bisogna sapere, che solo al terzo giorno, ed anco
avanzato, potè il malcapitato barbiere raccapezzare il Ric-
ciolo. Quando, svoltando il canto, sbirciò il suo uomo, ricurvo
e raggomitolato in un angolo estremo della bottega, si sentì
tutto rinfrancare e rinfocolare insieme. La stizza accumulata
fece ressa di dentro ; e tuttoché mite per natura ed abborrente
querela d'ogni maniera, egli sentì affollarsi alle labbra una
'<juantità d' improperi e di rimbrotti, che sarebbero cascati fra
momento come una valanga sulle spallo del povero arti-
ino. Se non che quando gli fu di fronte, e ne vide la faccia
abiancata e triste ancor più del consueto, e tutto l'atteggiamento
gli parve compunto e supplichevole, un sentimento benigno
d'indulgenza si sovrappose allo sdegno. Il buon uomo si sentì
ammollire a un tratto. Per tutto rimprovero, non seppe se non
dimenare ripetutamente il grosso capo rotondeggiante e doman-
dargli ragiono dell' inqualificabile ritardo, come da altri si chie-
derebbe : che ora è V
Non pertanto, interrogazione cosifTatta foce Mcjiltnro l'intorro-
f^ato; quasi l'innocente parola del Bindoni foinc Htntn per lui il ferro
• he ricerca brofcamcnte entro piaga sanguinante. £ si risaò di
"•>, movendo un passo verso il suo interlocutore, in atto come
Minaccia, e oommcntando la mossa con un moccolo ereticale.
Il povero Bindoni, airaccoglienaa strana, arretrò due passi;
a ogni peggior oaso e' voleva esser vicino all' uscita. Ma non fu
altro. L'ira subitanea del giovinetto si smorzò tosto; e parve
anzi ch'egli cercasse qualche buona parola e cortese, che 11 per
Il non gli venne.
508 IL MALE NEL BENE.
Rassicurato, il Bindoni si ravvicinò a lui ; e per la vecchia
amicizia, che erano stati più anni vicini di bottega e in gran
dimestichezza, e un po' ancora la curiosità di conoscere che lui
rendesse così stravolto e malcontento, gli fu attorno con nuove
e più insistenti domande.
E queste non ebbero la sorte della prima 5 avvegnaché il
malcapitato legnaiuolo non altro desiderasse e volesse in quel
momento, se non che un paio di orecchi disposti ad ascoltarlo.
Prima peraltro di dare la stura alle parole, bonaccio qual'era,
senti il bisogno di giustificare l'impeto brutale che poco innanzi
lo aveva assalito malgrado suo; e stendendo amorevolmente la
mano al BindonL;
— M'avete a scusare — disse — ma voi siete venuto a
mentovare a un tratto quel vostro letto benedetto che fu ap-
punto la causa di tutto il guaio. Grii è vero, badate, che se una
disgrazia deve capitare, se non è uno è l'altro. Ma li per li non
ho potuto tenermi e mi rincresce: davvero, mi rincresce!
La curiosità del barbiere divenne più che mai incalzante.
— Ora, ora, saprete ogni cosa — riprese il Ricciolo con un
sospiro. — La sarà un po' lunghetta. Grli è dunque meglio che
vi mettiate a sedere.
E accennatagli una panca alla parete, gli si pose dirimpetto
addossando le reni al banco da lavoro, e incrociando le gambe
una sull'altra.
— Quando fu ? Sicuro. L' altra mattina, appena appena
aperto bottega. Viene la Diomìra; la stiratora qui difaccia, e
mi porge un foglio ripiegato per bene.
— O che è egli codesto foglio ? — chieggo io. Ed ella :
— So dimolto, io. Lo portarono ieri il giorno, che avevate
già serrato bottega. Non sapevano a chi lasciarlo, e lo diedero
a me perchè ve lo dessi.
— E che "dissero ? >_>
— E' dissero che stamane, a ogni mo' dovevate presentarvi
al tribunale, come sta scritto sul foglio. E' vorranno interro-
garvi.
— Interrogarmi?! E di che? Grazie a Dio, non ho ma' avuto
nulla da dividere col tribunale. Basta; sentiremo.
— E poi mi direte... Ora me ne vo, che ho tanti panni in
casa da vegliare sino alle due dopo la mezza notte, e bastasse.
Se farete a modo mio, Nanni, anderete subito subito a since-
rarvi della cosa. Levato il dente, levato il dolore.
IL MALE NEL BENE. 509
— Vo' dite bene, Diomira. Metto dentro questa roba, e vo
via difilato. Intanto grazie della premura.
— Di gnente.
In un batter d'occhio riposi in bottega il vostro letto, e m'av-
viai verso il tribunale.
Lungo la via, rimuginavo nel cervello, che potesse mai es-
sere quella chiamata, e non mi veniva nulla. Poi, arzigogo-
lando a quel mo', mi tornò un tratto alla mente di du'anni fa,
o un bel circa, in che io ebbi altre chiamate simili : ma quella
volta fu per andare dal delegato.
— Me ne ricordo anch'io — esclamò il Bindoni — Eravate
tutto smanioso di sapere quel che si volesse da voi la polizia ;
e poi era per un parente morto non so più dove, ma lontano
lontano assai. E voi stavate come su' pruni.
— Gli è verissimo. Con certa gente e in certi posti, me la
dico pochino pochino. S' i' son galantomo, vo' lo sapete. Il do-
vere r ho sempre fatto ; e quando fu la sua di metterà la polle
a repentaglio, i' la messi senza tanti piacciadii ; prima volontario
e po' soldato regolare, per la bellezza di sette anni arditi. E non
per vantazione, ma nissuno potè mai dir un ette de' fatti miei,
e neppur ora. Nondimeno, ve l' ho a dire ? Qi^olla gente mi
mette sempre una grand'uggia addosso, e se mi c'imbatto muso
a muso ci sto a disagio peggio del pi& tristo malandrino colto
in sul fatto. Ognuno alla su' maniera. La tu' mamma t' ha fatto
brutto? 0 mutala, se ti riesce. Per venire all'ergo, di quel
passo fui in tribunale. M'affacciai alla porta, col mi' bravo fo-
glio in mano. C era un pieno di gente che andava e veniva
e chiacchierava e rideva e gestiva: avvocati e ' " * n can-
cellieri, colla palandra, il berrettone e lo facciob-, \ ino da
ogni banda. Io non sapeva una maledetta dove batter del capo,
per far sapere ch'ero 11, se mi volevano.
Mi provai a parlare a (questo e quello. O non mi sapevan
dir nulla, o tiravan via, senza danni retta punto né poco. V n' ho
pochi dogli spiccioli ; e gik sentivo venirmi caldo agli orecchi,
quando un ometto por bene, il quale pareva fosso U per pas-
sare il tempo, se non appettava qualcheduno, data un' occhia-
tina al foglio, m'indicò dove andare^ E fu assai, in quel bai-
lamme. Tujtavia mi co ne volle e non poco a raccapezzarmi fra
tanto scale e scaletto, od anditi e sale e corri<loi. Quando Dio
volle, imbroccai a buono, e mi trovai In una stanza dov'erano
due, seduti a due banchi da scrivere, uno di faccia all' altro.
510 IL MALE NEL PENE.
Il più grasso dettava con un vocione da destare i morti; rin-
calzando ogni tantino gli occhiali sul naso gobbo, fatto a mo' di
ventola da parare il sole alle gote che parevano due mezzi co-
comeri ; mentre V altro scriveva, strisciando il suo de' nasi sul
foglio, per sbirciare un po' meglio. Entrando, io feci naturalmente
un po' di rumore. Ma che ! Continuarono ben e meglio il loro
mestiere, come fosse entrata una mosca. Io restai in asso in
mezzo alla stanza, non sapendo, se avanzare o dar indietro, se-
dere 0 stare ritto. Dopo un bel pezzetto di questa vernia, quello
dagli occhiali, voltò la ventola dalla mia parte e mi domandò
col suo trombone :
— Chi siete voi?
— Nanni Ballori, detto il Ricciolo, per servirla.
— Ah ! ah ! Ho capito. Va bene. Avanzatevi.
E si mise a raspare in fretta e in furia dentro un monte
di fogliacci, che teneva sullo scrittoio, e non trovava nulla. E
si rifece daccapo*, e prese a mano un altro monte; poi tornò
al monte di prima, e lo buttò all'aria in ogni verso, grattan-
dosi la zucca pelata e lucente e rincalzando gli occhiali una
ventina di volte almeno. Bisogna sentire come sudava e come
sbuffava. Pareva proprio un toro ferito: e dire che la fu una
gran fatica indarno.
Allora, come per disperato, si voltò al collega, allo scrivano,
a quello insomma che aveva di faccia, e gli domandò:
— O l'affare Ballori?
— Eccolo qua — rispose tranquillamente l'altro, con voce
di falsetto, levando a mezz' aria certi fogli perchè li vedesse
meglio.
— Bravo! Li ha sottomano, e non fiata neppure!
— Ma che sapevo io, che cercasse per 1' appunto queste
carte ?
E si levò premuroso e andò a mettergliele sotto il naso, che
fu un gran bene davvero.
— Bisogna dire che dentro il capone di quel bravo signore
e' ci stia a disagio la memoria, come gli occhiali sul su' naso.
V aete a figurare, che a quell' ora e' non rammentava più
punto il mi' nome e cognome. E non ci fu verso, dovetti rifarmi
daccapo :
— Giovanni Ballori, del fu Antonio, pe' servirla, lustrissimo.
— Di Firenze?
— Gnorsie.
IL MALE XEL BENE. 511
— Vostra madre vive?
— L'è a Trespiano, lustrissimo.
— Come si chiamava?
— Maria Cartellini ?
— Avete fratelli; sorelle?
— Lustrissimo, no.
— Siete voi coniugato?
— Com'è a dire? . ,
— Avete moglie?
I' doverrei averla, e da un pezzo, se a questo mondo ci fusse
giustizia e buon core; e vo' lo sapete quanto me. Ma questo lo
pensai drento: al giudice risposi secco secco!
— Scapolo.
— Ricordate che vostra madre mentovasse qualche volta
certo parente lontano che aveva nell'Uraguai?
— De' guai, e' v' erano pur troppo, senza andar lontano.
Si vede che non avevo inteso a dovere, perchè l'altro scappò
fuori brusco brusco.
— Che c'entra codesto ? Dovete dirmi so Toetra madre par-
lasse mai de' suoi parenti.
— Sicuro: la parlava spesso di parenti che aveva qua e là
pel mondo : e specie d'un su' fratello Qioaeppe, che gli era ito
fuori via da ragazzo, e non se n'era più saputo nulla.
— Ed ora che ne sapete voi?
— E' mi dissero, saran du' anni, che gli era morto anco
lui, non so più dove. Me lo dissero nella delegazione di S. Friano,
quando mi fecero su per giù le medesime int'^rrogazioni di
▼ossignoria.
— Infatti, ecco qui : <— e sfilò una carta dal mazzo — le vostro
dichiarazioni d'allora, combinano perfettamente con quelle di
adesso. Ora dunque stato attento a quello che leggerà ii can-
celliere.
E dette di mano a un altro foj^lio. (Quella K'"'"**' ^''^ «vanti a
furia di scarabocchi. Il cancoUicr»- ^i iin>'- .i I- l' _< r--. i Im pnrcv.i
una pentola di fagioli in bollore
Come potete immaginare, io non potrei ripetere parola per
parola tutta la filastrocca. Ma il sugo lo ritenni, ed era corno
qualmente quel tal Giuseppe, che era il mi' zio, aveva lasciato
un po' di ben di Dio; che s'era domto dividere dal tribunale
di quel tal paese dov'ci mori, di là dai mari, fra i suoi parenti,
che ce n'era un visibilio; e a me pure era toccato la mi' parte.
512 IL MALE NEL BENE.
Man mano che m' entrava in capo il negozio come gli era,
gli occhi cominciavano a lustrare e le gambe non istavano più,
ferme. Non vedevo l'ora e il momento che quel coso finisse
di leggere, per conoscere come la sarebb'ita'a finire. E dav-
vero la non poteva finir meglio allora, perchè il giudice cavò
di tasca un chiavicina, apri bravamente il cassetto dello scrit-
toio, e con due dita, come se fosse qualche cosa facile a rom-
pere, ne tirò fuori un quadruccio di carta bianca tutta rabeschi,
che non avevo visto mai in vita mia, e lo posò un poco dalla
mia parte.
— E codesto? — domandai, sbarrando gli occhi, fra il ti-
more e la speranza.
— E quanto vi viene dell'eredità Cartanini; più lire 18 e 70
in ispiccioli, che devo trattenere per le spese dell'atto.
— E quanto... quanto sarebbe?
— Non vedete ? E un foglio di mille lire della Banca Nazionale.
Dio de' dei ! ! ! Mille lire quel pezzuccio di foglio, lercio e
cincischiato!! Mille lire tutt'in un picchio, piovute dal cielo!
E dire che dieci, tutt' insieme, non le ho mai avute in vita
mia; neppure quando lasciai la compagnia, che ogni cosa andò
nella massa e rimasi in debito di qualche soldo.
Se in quel momento mi avessero levato sangue, non ne sarebbe
uscito nemmanco una stilla. Sudavo freddo freddo. Mi sentivo
le gambe che parevano tagliate d'un colpo; e i goccioloni agli
occhi mi facevano vedere doppio. Dovetti reggermi allo scrittoio
per non cadere. Dovetti fare, se mi credete, una forza, come
sarebbe alzare un gran peso, per non lasciarmi scorgere. Ma
appena mi riuscì, stesi il braccio ad agguantare il foglio.
Il giudice invece lo ritirò a se, e lo posò dall' altro lato, per
tornare alla melanconia de' fogli scritti.
— Prima — disse — dovete mettere qui sotto, ben chiaro,
il vostro nome e cognome, e scrivere in tutte lettere la somma
che ricevete.
— Ma io non so scrivere, lustrissimo.
— Be', segnerete con la croce.
In quel momento entrava un usciere con altre carte. Il giu-
dice lo trattenne acciò facesse da testimone insieme col can-
celliere. Io feci un gran crocione con la mano che mi tremava
forte, e fu finita. Con la stessa mano afferrai il foglio che il
giudice questa volta mi porgeva a buono, e fatti i salamelecchi
a tutti, scesi gli scalini a quattro a quattro.
IL MALE NEL BENE. 513
Uscendo dal palazzo del tribunale, rividi l' omino garbato,
che mi aveva dato il bandolo poco prima per trovare il fatto
mio. Stava in fondo in fondo di quel salone stempiato; dal lato
opposto all'uscita, dov'io era. Discorreva con una vecchia si-
gnora vestita in seta nera, e non s'accorse neppure eh' io ripas-
sava di li. Volevo salutarlo, ringraziarlo. In quel momento mi
sentivo il cuore tenero come burro. Tentai dunque di tagliare
per traverso fra quella gran gente, e dovetti stentare non poco,
e dare e ricevere gomitate dimolte innanzi di arrivare. Ma
giunto che fui, guarda di qua, guarda di là, 1' omino era sparito,
e nemmeno la vecchia efsk più li. L' avrà accompagnata da qualche
giudice, come voleva fare con me. Sarà per un' altra volta,
pensai allora: le montagne stan ferme e gli uomini s'incontrano.
Ora come ora, posso dire che se non s'incontrassero sarebbe
meglio.
3Ia statemi a sentire, che ora viene il bello. Se quel biglietto
da mille fosse stato di fuoco vivo, non mi avrebbe tanto bru-
ciato le mani ed il capo come essendo di foglio. Si comincia
che io me lo teneva stretto stretto in mano, fra la pelle e la
camicia; e mi pareva che tutti dovessero sapere del tesoro che
io teneva, e tutti volessero portarmelo via. E però, uscito ap-
pena dal tribunale, presi a correre come un matto, o per lo meno
come uno che sia inseguito da chi lo voglia morto. Siccome non
si sentiva dietro me nessuna voce urlare: al ladro! la gente
mi lasciava correre a mia posta e non se ne dava per intosa.
Al più qualcheduno si voltava un tantino a riguardarmi, e poi
avanti per la sua via. £ continuai a sgambettare di questo guato.
Quante miglia misurassero le mie povero scarpe bfondatc, non
saprei. Ma lo dovettero essere parecchie; giacché, volgendo il
capo, vidi la cupola e il campanile giù giù nella valle. Mi
guardo attorno. Non c'ò anima nata, grazio a Dio: soltanto le
cicale cantano lui pali dello viti, e un moscone mi ronza negli
orecchi. A duo passi, un fossatcllo mandava fruacura con le suo
acqu» chiare. Benissimo : dico tra mo, buttandomi a sdraio presso
la sua sponda erbosa; e mi prendo un po' di riposo, che no
avevo proprio bisogno dopo quel gran correrò.
M'appisolai: e subito la fantasia cominciò a lavorare. E' mi
pareva d'essere imperatore, con una gran gente di ogni sorta
che mi si stringeva attorno per farmi festa. E ce n'era a perdita
d'occhio; ma tanta, che in fondo non si vedevano che tosto,
appiccicato una all'altra corno fossero reste di fichi socchi. E ogni
514 IL MALE NEL BENE.
testa aveva una faccia, e ogni faccia, guardando un po' bene,
dove son gli occhi, il naso, la bocca, aveva gli stessi rabeschi
che erano sul biglietto da mille. Ma a un tratto, in mezzo a
tutte quelle strane faccio, se ne levava una che io ravvisavo
subito subito, e spingevo in avanti il petto e le braccia per
trarla a me; ed essa faceva il simile, ma non ci si riusciva. E sen-
tivo una puntura dalla parte del core, come se mi stringessero
tra la morsa che è costì; e ci portavo la mano per avere un
po' di refrigerio, ma non c'era verso per quanta forza io facessi ;
fra la mia mano e il mio core, s'era messo...
— Scommetto che indovino ? — esclamò il barbiere. Ci s'era
messo il babbo della Clorinda.
Il Ricciolo sorrise mesto, affermando vivamente col capo, e :
— Sicuro, disse — E' mi pareva proprio lui quel bottaio
cane, "che col mazzapicchio mi premesse le costole, e la su'figliuola,
la Clorinda, l'era quella che non potevo abbracciare.
— Ma come? Anco dormendo vo' la vedete, quella ragazza?
— Come voi a occhi aperti?
— E non ci sarà caso ora di fare il pateracchio?
— Per lei, figuratevi. La mi vuol bene quella povera dia-
vola, ma proprio di core. Grli è lui, che pe' quattro soldi eh' ha
nel cassettone, fatti sa Dio come! non vuole acconsentire a
nessun patto. O che vorrebb' egli un principe del sangue per la
su' figliuola? Gli è vero che io mi busco pochino dal mestiere;
ma se la sposassi sarebbe un altro paio di maniche. E lui a
dire, che non ho arte ne parte, che non son buono a nulla . . .
Ah, Dio!., te lo fare' vedere io se son buono a qualche cosa;
non foss' altro a sfondarti quel buzzo lercio pien di sugna...
— Via, Nanni, chetatevi. Che serve arrabbiarsi inutilmente ?
D'ora in là le cose muteranno in meglio; e le mille lire che
avete riscosse. . .
— Ah, le mille lire?!! Anch'io ci pensai allora. E anzi,
quando mi destai, fu il primo pensiero che mi venne ; ed ero con-
tento che non vi so dir come. E tirai quel foglio benedetto .dallo
sparato della camicia, e lo spiegai pian piano che non si lace-
rasse, e lo girai e rigirai da ogni parte per vederlo meglio.
Quando lo posai sull' erba, stetti in adorazione cinque minuti
buoni, come davanti al sacramento.
Ma cosi alla lunga non poteva durare. E m'avviai lesto lesto
per rientrare in città e tornare a bottega, dove m'aspettava il
vostro letto.
IL MALE NEL BENE. 515
Per qaant'oro al mondo non avrei voluto mancare di parola,
massime con voi che siete una perla d'omo e un buon amico.
Ritornando, pensai che mi mancava la colla e lo spirito e
certe altre bricciche, delle quali non potevo far dì meno per
lavorare; pensai ancora che non avevo mangiato punto dal
giorno innanzi, e non avevo in tasca un becco d'un quattrino
spicciolo per comperarlo. E debiti, nulla; per la buona ragione
che da un pezzo in qua non mi fanno più credenza. Dunque,
pensai, bisogna cominciare per barattare il foglio.
Barattare il foglio, si dice presto. Ma un foglio da mille lire
è un affare grosso e grosso assai. Quelli, e ce ne son tanti, che
nuotando nell'oro a mezza gamba contano i marenghi con la
bilancia ^ tengono i pacchi da mille come la carta straccia, non
si figurano neanco per sogno quale pena sia per un artigia-
gianello, povero come San Quintino, un pezzo da mille lire!
Ma io so bene, perchè li provai, quanti dubbi, quanti timori,
quante decisioni, quanti pentimenti mi tribolarono l'animo prima
di risolvermi a disfarmi di quel foglio, prima di affacciarmi a
qualcuno e metterlo a parte del mio segreto.
Quando fui deciso a cambiare, cominciò per me una tribola-
zione nuova. Da chi voltarmi? Io non sapeva nò entrare né
uscire, che, non m'ero mai trovato in caso simigliantc. Entrerò
in una bottega. In una bottega dove non mi conoscono affatto,
lontana da'^miei posti. Ma in quale? Dal pizzicagnolo, dal dro-
ghiere, dal mesticatore, dal mereiaio? BÌ8(tgnerà comprare
qualche cosa. Poca male. Ma prima converrà vedere che sicno
faccio da galantuomo. E se mi dessero in cambio monete false?
Chi lo conosce? Dio me la mandi buona. Ad ogni modo cam-
biare bisogna. Morir di fame con mille lire in tasca, sarebbe da
grullo; o poi ci sono le spese da fare per il lavoro; e poi bi-
sognerà vedere di mettersi indosso de' cenci un po' meno lerci
e laceri di questi. Sicuro. Ora che me n'accorgo, tutte le tasche
sono sfondate. Son tant'anni che non ci motto nulla dentro. O
come farò quando avrò barattato. Doto mettere in sicuro il
.^qmcchio di biglietti che mi daranno per questo. Vediamo un
|H>'. Da una lira saranno per lo meno.... quanti saranno... cento,
duecento, trecento mille, corto saranno mille; e da due....
passa quattrocento. Ci vogliono tasche buone. Basta: all'acqua ci
scalzeremo, secondo dice il proverbio.
E mi posi in marcia, e passai in rassegna tutto le botteghe
e la gente che v'era dentro. Ma non mi persuasi. 0 mi pare»
516 IL MALE NEL BENE.
vano troppo di lusso, o troppo povere; qui il mercante aveva
una faccia proibita, li mi aveva aspetto di furbo e di canzo-
natore. Entriamo qua. E infilai risoluto l'uscio di una vendita
di pane e paste, che erano il bisogno pili stringente eh' io avessi
in quel momento.
— Che desidera? — chiese il pastaio.
Questa sua domanda semplice e naturale, mi diacciò il
sangue, e fece sfumare tutte le mie risoluzioni . di un momento
fa. M'impappinai, e cercai una risposta purché fosse; una risposta
che non veniva. Alla fine, per uscirne, chiesi: Che mi direbbe
dov'è la via Polverosa.
— Chiama e rispondi — esclamò il bottegaio, rimettendosi
alle sue faccende. — Bisogna andare sul Prato; e' ci sarà un
miglio da qui. Prenda a sinistra e vada sempre diritto; poi do-
mandi, e gliene diranno.
Uscii da quella bottega che mi parve d'aver guadagnato un
terno. Ma tornarono subito a galla i ragionamenti . di prima,
e io di nuovo a sbirciare dentro le botteghe. Venne la sua del
droghiere. Um bottegone stempiato, e nel banco vicino allo
sporto il principale che contava una quantità di quattrini. Mi
fermai a guardare l'operazione, che ei faceva con una sveltezza
ammirabile. Si vede che c'era avvezzo. Aveva dinanzi monti-
celli di scudi, di franchi d'argento, di biglietti di \ario taglio,
e contava contava sempre e ammontava. Un tratto, volse l'oc-
chio alla strada, e vide me impalato. Che gli passasse per mente
non so ; ma è certo che con la coda dell'occhio mi sbirciava
spesso, e non pareva tranquillo del tutto vedendomi lì in quel-
l'atteggiamento. Per levare il vin da' fiaschi, feci animo riso-
luto, e passata la soglia, gli domandai chiaro e netto.
— Che mi vorrebbe sbarattare un biglietto da mille lire?
Se gli avessi detto la più grande sciocchezza di questo mondo,
la cosa più falsa ed impossibile, credo gli avrei fatto la mede-
sima impressione.
Il brav' omo, circondò subito con tutt' e due le braccia i
suoi quattrini. Gli era entrata di certo una maledetta paura che io
glieli sgraffignassi, e me n'addiedi all' occhiata di sbieco con
la quale mi squadrò da capo a piedi. E con quell'atto di difesa,
si affrettò a borbottare:
— Che che che. Qui non si baratta. Qui non si baratta —
e non riprese il contare, finche non m'ebbe veduto ben bene
uscito dal suo negozio.
IL MALE NEL BENE. 517
Non vi dirò quante altre botteghe io tentai senza costrutto.
La sarebbe una lungagnata. Chi non poteva barattare; chi,
vedendo questi miei cenci, credeva che lo canzonassi; chi non
aveva ; chi non voleva ; e qualcuno vi fu, pratico forse quanto
me, che pretendeva ad ogni maniera che il biglietto fosse falso.
Certo, esso non faceva più la comparita di prima. Imprigionato
dentro la mano parecchie ore, perchè di tasca sana dove riporlo
non era neppure da parlare, un po' sgualcito gli era doventato !
Ma falso? Neanco per sogno.
Tutti questi fiaschi, m' mdispettivano e mi contentavano in
una maniera. Perchè po' poi, non mi dispiaceva punto che il
mi' bel foglio di mille, stesse con me il più lungo tempo possi-
bile. E però lasciai da banda i più grandi negozi, e mi voltai
alle botteguccie; fra queste adocchiai, una merceria piccina pic-
cina', ma piena zeppa di mercanzia. H mereiaio era gobbo, e
l'ebbi per malaugurio. Ma la faccia pareva di buono. Infatti
appena entrai, la girò verso di me, sorridendo, e mi salutò.
Intanto s'affrettava a servire una sartina, che aveva davanti, sul
banco, una quantità dì scatole e di pacchi. Dietro il banco, poco
discosto da lui, stava una bimbetta dai dieci a' dodici anni ; la
su' figliola, forse! Visto che la sartina andava per le lunghe, il
mereiaio passò dalla mia parte, e domandò quel eh' io desiderassi.
— Vorrei barattare un foglio di mille. Che mi potrebbe
fare questo favore ?...
E perchè non ci fossero casi, misi il morto sulla bara ; ovve-
rossia, gli spiegai il mio biglietto davanti agli occhi.
O quegli occhi! Quegli occhi! Non li dimentico più, cam-
passi mill'anni. Parevano duo carbonchi : e me li piantò addosso
api ^bi parlato, come fossero trivelle che dovessero cac-
cia, i carne viva. Che diavolo avesse in quegli occhi, non
so; ma in sull'atto dovetti volgere i miei dall'altra parte.
Cionondimeno non mi tenne un'attimo sulla corda, e rispose
pronto:
— Se posso, volentieri. — E stesa la mano al foglio, prese
a rigirarselo fra le mani più volte, e lo voltò alla luco, e lo
guardò daccapo sul rovescio, e poi sul diritto : e senza smettere
tutto quel suo gran lavorio, disse bonariiunento, un po' a modo
di domanda, un po' come se lo sapesse lui:
— Qualcuno ve l'ha dato da barattare.
— Nossignore — risposi di botto — son io che voglio barat-
tare, perchè l'è mio.
518 IL MALE NEL BENE.
Mi fissò di nuovo con que' suoi occhi maledetti, ma non ag-
giunse osservazioni nò domande. Disse solamente:
— Ora vedremo di contentarvi. — E sparì da un usciolino
nascosto dietro una cortina nella scaffalatura della merceria. Fu
cosi lesto ad andarsene, che anco volendo non avrei avuto modo
di fermarlo. Il foglio l'aveva portato seco; e a me non restava
se non aspettare il suo ritorno. E aspettai. I minuti mi parvero
ore. Tenevo gli occhi inchiodati a quella tendina, dalla quale
ei doveva sbucare col morto. Ogni tantino domandavo alla pic-
cina : dove fosse ito il su' babbo ; quanto tempo starebbe a ritor-
nare ; e cento altre interrogazioni simili. Intanto la sartina
aveva finito la sua scelta, e se n'andava. Fui a un pelo di
trattenerla, perchè potesse, in ogni caso, testimoniare che il mer-
eiaio mi aveva rubato il foglio, o me l'aveva scambiato con
uno falso ; perchè ormai io ero sicuro che una delle due mi
sarebbe capitata. M'ingannava. Il gobbo finalmente usci dal
suo nascondiglio. Teneva in una mano il mio foglio spiegato,
nell'altra un pugno di altri fogli d'ogni colore. Posò ogni cosa
sul banco, mentr'io sgranavo gli occhi per veder meglio 5 e,
dico il vero, respirando un po' più libero di prima.
— Mi spiace — disse — ma non ci arrivo del tutto. Manca
una cinquantina di lire e qualche cosa. Ma ora ripiegheremo.
Va, piccina, dal sor Pietro, difaccia, e digli se può darmi cin-
quanta lire. Intanto contiamo : cento e cento, dugento, e cin-
quanta, dugencinquanta, e cinquanta, trecento, e venti; trecento-
venti, e cinquanta, trecensettanta, dico trecensettanta, e....
Mentr'egli mi sciorinava dinanzi tutto quel ben di Dìo, del
. quale non c'era pezzo uguale l'uno all'altro, la piccina tornò
senza il denaro domandato.
Il mereiaio sospese la numerazione.
— Mi rincresce — disse — di non potervi servire, a meno
che non vi piacesse di ripassare più tardi, 0 domani, a pren-
dere il resto.
— No no — mi affrettai a rispondere. — Più tardi non potrei.
Debbo partire.
E ripreso il mìo biglietto, uscii che non mi parve vero. Io già
temevo che la carta eh' egli voleva appiccicarmi fosse falsa.
Non avevo fatto venti passi, e volgendomi a caso, vidi il gobbo
sulla bottega, parlare con qualcuno che teneva gli occhi verso
di me.
Non mi feci in qua né in la, e tirai innanzi per la mia strada.
IL MALE NEL BENE.
519
ni)
Ma avevo appena svoltato il canto, che quello sconosciuto mi rag-
giunse di buon passo.
— Ohe, quell'uomo!.... quel giovane I....
Mi rivolsi a quella chiamata.
— Che dice a me?
— A voi. Avete un biglietto da barattare, non è vero?
— No... cioè, ce l'averrei... ma non vo'più barattare... per adesso.
— Mostratelo.
— O che c'è bisogno di mostrarlo a lei? S'i' le dico che non
mi occorre di barattare
— E io vi dico che voglio vederlo.
— O giuraddio! Vorre' vedere anco questa.
— Poco chiasso — disse secco' secco, ma a bassa voce quel
tale ; e mentre parlava, si aprì il soprabito e lo riabbotonò sa-
bito. Era una guardia travestita, un ispettore di polizia, o qual-
che diavolo di simile. Il gobbo mereiaio mi aveva servito come va!
Bisognò striderci, e cavar fuori il biglietto, e darglielo, e ri-
spondere a tutte le domande che mi fece. Io, com'è naturaloi
issi la verità scria scria. Ma alla verità, di solito, la gente non
resta fede; e m'accorsi benissimo che egli non credette una
parola di tutto quello che io andava dicendo. Quando n'ebbe
abbastanza, ripose le mille lire nel portafogli, come fossero sue,
e facendo un cenno col capo, mi disse:
— Bisogna venire con me.
Fu come una secchia d'acqua diaccia. Andare non avrei voluto,
che a un bel circa me Io immaginavo; lasciare il mio in quelle
mani, nemmeno. Ma libertà non v'era: e un passo avanti l'altro,
mi trovai in questura, e chiuso, per peggio, in camera di custodia.
Come passai quella notte, non ri posso diro. Correvo in su
e in giù, come un orso nel gabbione. Provavo a gettarmi sul
pancaccio : era come so tanti rovi mi pun^^essoro a sangue. Solo
quando non ne potei proprio più, addentai un po' <!' ' i»ino
che mi avevano lasciato ; e mandai giù due sorsi • « ' ; Ift
gola andava in fiamme.
U giorno di poi, che il sole era ben alto, vennero a libe-
i. Lo stesso uomo, con due angoli custodi dietro, mi portò
ai confronti in tribunale, per l'identità della persona o che so io.
E senza chieder MngiUL a chicchessia, mi menarono diritto di-
ritto nel luogo medesimo dov' ero stato il giorno innansi, e da*
vanti alle stette persone. Con mia gran meraviglia, il famoso
biglietto era tornato già su quello scrittoio, e l'omone grosso,
520 IL MALE NEL BENE.
me lo riconsegnò, sghignazzando come si fosse trattato di una
celia.
Mi aprirono l'uscio e mi lasciarono andare pe' fatti miei.
M'avessero chiesto almeno scusa. Ma non importa. Non ero
io certamente che avrei voluto trattenermi a chiacchiera con
que' cosi.
Scesi gli scalini; a due a due, per andarmene più presto.
Stavo per oltrepassare il portone, mentre l'omettino del giorno
innanzi faceva per entrare. E mi guardò co' suoi occhi dolci,
e mi sorrise un tantino del suo buon sorriso, che parca volesse
dire : — Ti riconosco : sei quello di ier mattina : se ti occorre
qualche cosa son qua tutto per te.
Quella faccia m'andava a' fagiuolo ; e in quel momento sen-
tivo più che bisogno, necessità di sfogarmi con qualcuno. Lo
fermai, e riveritolo come si deve, presi a sfilare la corona che
parevo pagato. Più il racconto avanzava e più l'omino ten-
deva gli orecchi e mostrava di gustarlo. Com'ebbi finito, si
scagliò con una fitta d'improperi contro la gente di tribunale
e di polizia, contro i potenti che schiacciano i deboli, contro i
ricchi che succhiano il sangue de' poveri. E io a fargli coro,
contentone di trovare un brav'uomo che la pensava come me e
la vedeva alla mi' maniera, e si prendeva a core i fatti miei
come fossero suoi propri.
Quella sua sfuriata a tutto mio benefizio, crebbe la mia
simpatia per lui che era già grande; e vi aggiunse altrettanta
fiducia, come l'avessi conosciuto da anni. Onde, quand'egli si
profferse di farmi barattare quell'infame foglio, non mi parve
vero, e andai seco lieto e tranquillo.
— Vedete ? figliuolo caro — mi diceva sempre u figliuolo caro n
— vedete, che è cosa da nulla? Voi, vi compatisco, vi manca
la pratica. Ma io, che sono sempre in mezzo a' quattrini, e ne
maneggio in capo all'anno le centinaia e le migliaia... Ecco qua,
figliuolo caro ; no' siamo arrivati. Ma il foglio, dove l'avete ?
— Eccolo gua.
— Porgete.
Ed entrammo insieme, lui davanti col foglio ed io subito die-
tro, in una bottega dove pareva che non ci fosse nulla dentro.
Si aprì una finestretta in fondo: c'era uno seduto a una specie
di banchine. Mi disse che era il cambiavalute ; e gli porse il
foglio da barattare in oro. L'altro lo guardò appena ; lo gettò
da un lato ; andò alla parete di faccia, dove si vedeva uno
IL MALE NEL BEXE. 521
sportellino socchiuso. Prese da una ciotola un pugno di ma-
renghi ; e venne a snocciolarli dinanzi alla finestretta, da uno
sino a cinquanta. L'omino guardò, voltò, rivoltò, numerò, am-
monticchiò, arrotolò in un quartuccio di carta, e poi domandò:
— Quanto si deve ?
— Mezzo franco.
Senza neppure rivolgersi a me, che ad ogni modo non avevo
un picciolo disponibile, gittò un mezzo franco sul banchino, e
girando sul tallone usci con gran prosopopea dal cambiavalute.
— Avete visto come si fa ? — esclamò poi, consegnandomi
il rotolo.
E perchè nel ringraziarlo accennavo ai soldi che aveva pa-
gati per me.
— Che che : una miscea. Non vale la pena di parlarne. Me
li restituirete quando ci rivedremo.... perchè spero che ci rive-
dremo ? Siete un bravo giovinetto, e vi voglio bene. Anzi se
voleste fare una bella cosa, dovreste tenermi compagnia a man-
giare un boccone. Cosi la nostra conoscenza divont'^r'' '^Ml>it«>
amicizia.
Feci un po' di complimenti; ma poi mi arresi. Avevo una
fame da lupi e la compagnia mi garbava.
— Dove 81 va? — chiesi.
— Vi porto io in una trattoria qui vicino, brutta d'aspetto,
ma dove si mangia benissimo ; e c'è un vinetto poi, frìssante,
arrubinato.... Altro che Brolio I Venite, venite.
— 3{a, badiamo, che vo' pagare io.
— Ne parleremo, tigliuolo caro.... ne parleremo bevendo.
Qualcuno di certo dovrà pagare; che l'oste è buono, ma non ro-
gala nulla a noMuno.
K mangiai e bevvi; e bevvi anco più che non mangiassi.
Ma a un certo punto, sentendomi grave e un po' balordo, miti
un fermo; per qoanto l'altro mi stimolaaso in tutti i modi posti-
bili. Volle pagare lui, che non ci fu verso ; anco perchè —> disse
— io non dovevo cosi pretto manimettere il rotolo. K quando
<«i fu fuori, all'aria, della quale sentivo tanto il bisogno in quel
inomento, egli camminandomi a lato cominciò a darmi contigli
por ben custodire il mio oro.
— Non è un gran che, è vero; ma per voi può decidere
attAÌ l'averlo o non l'avere. Voi non siete uso a maneggiar denaro,
e il mondo è pieno di birbanti. Non si h sicuri ncanco in chiesa;
difattl, figliuolo caro, tentirete aaco voi ogni tantÌBo che i
Vob. ZL, S«ri« II 1 AffMto M». U
52J IL MALE NEL BENE.
giornali parlano di rubamenti commessi nelle chiese. A casa,
vostra, epero, non ci sarà paura di ladri.
Gli confessai che io non mi fidavo punto della gente che
stava con me; giacché dormivo in comune in una specie di
stambergaccia, dove, a quattro soldi per notte, si vedevan sempre
faccie nuove; e quali faccie, Dio scampi e liberi.
— Vedete, figliuolo caro? Ciò non mi lascia punto punto
tranquillo. Anch'io son solo al mondo; e devo vivere spesso con
gente nuova; e quanto a quattrini ne ho sempre assai più del
bisogno. Ma io ho trovato il modo di assicurare il mio; e
neanco il diavolo potrebbe levarmelo di sotto.
E insistendo io per saperne di più.
— Venite — disse : — tanto, una camminata non vi farà
male per ismaltire quello che s'è mandato giù per la gola.
E camminò lesto, e io dietro, che non si finiva più di cammi-
nare. E cammina cammina, fummo alla punta delle Cascine che
annottava.
Io non sapevo immaginare dove diavolo si andasse a parare;
e stavo in contemplazione davanti a lui, che si guardava at-
torno per accertarsi che nessuno ci vedesse. Non c'era anima
viva, ne per gli stradoni, ne pei viali, ne sui prati ; ma solo cielo,
terra e alberi, che parevano già una gran macchia nera. E fra que-
sti alberi egli entrò, facendomi cenno di seguirlo. E camminava in
quel semibuio, come fosse slato giorno chiaro. A un certo punto
si fermò, e tratto di tasca un cerino, lo accese e mi mostrò un
cespuglio appiè d'una quercia. Cacciò una mano nel cespuglio,
fece un po' di largo; poi, alzato un mattone, trasse dalla piccola
buca una scatola di latta, pesante come piombo, e me la porse.
— Apritela ! — disse, con aria trionfante.
L'aprii a fatica, che chiudeva assai bene; e la vidi ripiena
di rotoli, come il mio.
— Vedete ? — soggiunse l' omino. — Qui nessuno s' imma-
gina che stieno nascosti parecchie migliaia di napoleoni. Quando
ho bisogno di danaro; me ne vengo di sera o il mattino di
buon'ora, e prendo quanto m'occorre: poi ricopro, e tutti pari.
L' albero è segnato e non si può scambiare. Q-uardate qua, figliolo
caro, due croci soprammesse e un rigo di traverso ; non si può
scambiare.
Visto che la cosa faceva eflfetto, giacché io, bue che non son
altro, mi mostrai incantato di questa sua trovata semplicissima
per custodire il denaro, soggiunse:
IL MAA1,E NEL BENE.
523
— Se per questa notte voleste approfittare del mio ripo-
stiglio, acciò quel po' d' oro che avete non corra altri rischi, io
non ho difficoltà. Mettete il rotolo qua dentro con gli altri, e
domattina tornerete a riprenderlo. Anzi ci torneremo insieme ;
e per non farci a cercare potete stanotte dormire nella stessa
mia locanda, e ci starete benissimo.
Questa mattina, di levata, ho cercato del compagno del giorno
innanzi, e mi dicono che era uscito la sera subito e non s'era
più visto. Un colpo di fulmine! Aspetto un bel pezzo, col cuore
sospeso come potete immaginare. Alla fine, non potendo più
htare alle mosse, me la svigno dall'albergo, insalutato ospite;
e corro alle Cascine fino alla punta. Trova il boschetto, trovo
la quercia, il cespuglio; trovo perfino le due croci soprammesse.
Ma la terra era smossa, e la scatola di latta non ci stava più
di casa!!!
Ho corso tutta la giornata come un cavallo. Alla questura.
Al tribunale. Nessuno ne sa nulla; nessuno ne saprà mai nulla.
Ed ora sono qui, più povero di prima, senza altra spcransa di
sposare la mi' Clorinda, e col vecchio bottaio che mi canzona
a tutto spiano. E voi che ne dite, Bindoni? Che ne pensate?
— r penso che a questo mondo anco nel bene ci può es-
sere il male, e che il proverbio u l'abito non f» il nmnnr.ì - non
è sempre giusto.
Cesar! D'^v^ti,
IL TERREMOTO DI CASAMICCIOU
Una nuova sciagura ha colpito l'isola d'Ischia la sera del
28 luglio, dopo meno di 2 anni e 5 mesi che un altro feno-
meno tellurico ne aveva nella stessa guisa, se non con pari
violenza ed estensione, sconquassato il suolo, ma in questo
nuovo urto sismico i disastri sono così tremendi e dolorosi,
che nessuno potrà accingersi a farne una giusta descrizione.
Le notizie che ad ogni istante il telegrafo, alcune corrispon-
denze' e delle persone che già sono ritornate a Roma ci recano,
sono piene di fatti piìi dolorosi l'uno dell' altro, e tutti sono unanimi
nel dire una sola cosa : Casamicciola, questa preziosa gemma
dell'isola, è completamente distrutta dalla marina al colle supe-
riore che si distacca dalle falde dell' Epomeo, e qualche raro
edificio soltanto è restato in piedi in mezzo a tanta rovina:
sono macerie la Casa della Misericordia, uno dei fabbricati più
grandi di quel luogo; gli stabilimenti balneari tutti, eccettuato
quello Manzi, le locande e le ville più sontuose; e l'orologio
dello stabilimento Picsco fatto pure un monte di macerie, segna
r ora fatale del disastro, le ore 9,50.
Eppure Casamicciola aveva resistito alle ruine dei secoli, e
non sembra che soffrisse gravi danni, quando nel 1301 lungo il
Cremate od Arso si rotolavano quei fiumi di roccie incande-
scenti, di cui sono rimasti degli avanzi nella lunga striscia di
scorie che rattrista il cuore da Fiaiano al mare. Come chia-
mavasi aUora? Il suo nome è molto contrastato secondo quanto
scrivono gli storici contemporanei dell'isola d'Ischia; il Solenandro
chiamò la contrada Casa-Mezula\ il De Siano vuole che si no-
masse Casamice, dalla voce mica latina; il Giustiniani, che si
IL TERREMOTO DI CASAMICCIOLA. 525
dicesse Casamicio e Casaicciola\ altri danno più strane versioni .
La più probabile è, che il primitivo nome fosse Casanisula
dalle tre parole Casa in isula o casa in isola, per la prima
casa ivi costrutta.
Ma oltre Casamicciola è pure rimasto quasi interamente distrutto
Lacco Ameno, graziosissimo paesetto a ponente; Forio, ridente città
e molto industriosa è fortemente danneggiata, e i villaggi di
Serrara-Fontana, Moropane, Barano e Testacelo, costrutti sul
versante opposto e meridionale dell' Epomeo, hanno altresì sentita
la tremenda scossa, e numerano le loro vittime a centinaia.
E come poteva essere altrimenti, mentre il terremoto apparve
all'improvviso, quando ognuno stanco del lavoro della giornata,
stava immerso nel più profondo sonno, ed i bagnanti in mezzo
alle loro feste, ai loro balli, ed ai loro ritrovi, o sognando lo
delizie di un nuovo passatempo, erano quasi tutti ritirati o rac-
colti nelle casel
Nessuno è in caso di dire come il fenomeno sia avvenuto;
sappiamo soltanto che questo movimento tellurico, che ha du-
rato non più di 15 lunghi secondi, ha colpito con molta mag-
gior vigoria e colle stesse circostanze gli stossi luoghi che già
risentirono gli effetti dell' energia endogena nei terremoti del 1828
e del 188L
Uno studio successivo sarà quindi immensamente facilitato
da questa coincidenza di fatti, e l'attuale maggior intensità
non può essere dovuta che ad una maggior azione della forza
di spinta che ha agito su quella disgraziata zona dell' isola. Ma
ciò che v' ha di assai doloroso egli è, che dallo notizie ohe alla
spicciolata e da tante fonti diverse ci arrivano, risulta che si
sono ripetuti gli stessi ed identici fenomeni procursori e negli
stessi luoghi che furono riconosciuti nel terremoto del 1881, e
se alcuno li avesse svelati, non hì lamonton^bboro lo vittime che
ora si contano a migliaia.
Non ò qui il coso di studiare {•• . m . pi ( n |miiiiìi (lei
terremoti lo fontane ed i pozzi dcll<- < .i-. Maii-» ^ i-^<tti a mu-
tare di temperatura, di volume dolio acque, ed « prosciugarsi,
mentre talvolta vedoosi da esse sfuggire dot gas in abbondanza.
Di questi fatti abbiamo un numero grandissimo d'esempi, od
erano noti agli antichi che vedevano nei turromoti dei fenomeni
straordinari. Per non allontanarci dal nostro toma, diremo sol-
tanto che nel 1881 si rincaldarono potcntomento lu acquo dulia
fontana detta la Rita, coii che una donna che ivi lolova itn-
52(i IL TERREMOTO DI CASAMICCIOLA.
morgerc il suo braccio per curarsi di un'antica frattura «l polso,
non potendo in quel mattino, molte ore prima della scossa resi-
stere alla straordinariamente alta temperatura dell' acqua, sospese
la sua cura, e timorosa fuggì. Ritornando a casa verso Forio,
essa era arrivata al Calosirto quando sentì la terra tremarle
sotto i piedi e comprese il pericolo a cui era scampata. Le
fonti di Citara presso Forio si riscaldarono in quella circostanza
più del solito qualche tempo prima, e questo fenomeno è suffi-
cientemente noto nell'isola.
Orbene questo fenomeno si è ripetuto di nuovo in questa
circostanza, sì che da alcuni giorni era stato avvertito un mag-
gior riscaldamento delle acque ; ed alcune lievi scosse state sen-
tite ad irregolari intervalli, e di cui adesso soltanto dopo la
catastrofe si parla, avrebbero dovuto mettere in allarme coloro
che non erano ignari di queste gravi coincidenze. Se in ogni
stabilimento termale fosse stato posto l' obbligo di avere una
tabella che segnasse la temperatura normale dell'acqua alla sor-
gente e quella di ogni giorno in alcune ore diverse, è certo che
si sarebbe conosciuto che nelle viscere della terra si preparava
qualche cosa di anormale e molte vittime sarebbero state
risparmiate.
Il doloroso fenomeno si presentò anche questa volta cogli
stessi caratteri e colle stesse forme che suole abitualmente
mostrare.
Una forte romba si sentì di lontano come di un lungo con-
voglio di carri di una strada ferrata, e precisamente come nel
doloroso terremoto che il 4 marzo 1873 colpì la penisola da
Cosenza a Belluno, secondo il racconto allora fatto da alcuni
abitanti dell' Umbria, e come allora dopo un brevissimo silenzio
una potente scossa sollevò tutta la falda settentrionale dell'Epomeo,
sulla quale si elevavano le case e le eleganti ville che forma-
vano il paese di Casamicciola. L' urto ha dovuto essere da sud
a nord e quindi da nord a sud, ma rapidissimo, ed è a questa
rapidità di movimento ed alla potenza di spìnta che devesi
attribuire l'immensa ruina. Con tutto che il movimento di aper-
tura della terra sia stato rapidissimo, pur tuttavia i vapori acquei
ebbero tutto il tempo di esalare ed essi spiegano la nebbia
che cosi densa oscurò l'aria. Stando alle notizie che giungono,
pare che sia stata più gravemente colpita quella estesa regione
che da Montecito (a cui fanno corona i massi di Polletriello,
di dove escono con forte spinta dei vapori d'acqua alla tem-
IL TERREMOTO DI CaSAMICCIOLA. o2i
per.alura da noi stessi, or son poche settimane, riconosciuta
di 100 C.) scende al mare e si estende a ponente lino oltre a
Forio, ed a levante alle propaggini dei monti Buceto, Rotaro
e Tabor. Egli è sotto di questa zona assai ristretta di terreno, che
ha dovuto trovarsi il focolare di quella patente spinta, che ha
sollevato quella falda del monte per lasciare un libero ed im-
mediato sfogo ai gas ed ai vapori d'acqua, che cercavano una
libera uscita, e poi immediatamente si chiuso generando quei
due rapidi movimenti di sollevamento e di abbassamento, che
hanno rovinato gli accennati edifizi, e lasciato nella maggior
parte di coloro che ne raccontano i fatti, l'impressione che il
terremoto sia stato vorticoso. Non crediamo all' esistenza di ter-
remoti vorticosi, e gli effetti di tal natura che si osservano sulla
superficie della terra, sono il prodotto di spinte in senso opposto
ed in momenti diversi.
Questo terremoto, i cui effetti si sono estesi su di una zona
molto ampia, ha dovuto avere il suo focolare assai profondo:
tutto quanto TEpomeo ha dovuto tremare sotto la forte spinta
che avrà ricevuto, e ce Io dicono i danni sofferti dai villaggi di
Serrara- Fontana, di Moropone, di Barano e di Testacelo, ma
non quanto la zona meridionale formata di antichi detriti del
monte, di un terreno leggero e facile ad essere mosso in ogni
senso, la quale ha dovuto sollevarsi per dar passaggio dalle
labbra apertesi della fenditura, ai gas ed ai vapori che hanno
.cenerata la fatale scossa. Più di ogni altra cosa ci dice che il
focolare è stato profondissimo, la circostanza che il terremoto
fu sentito quasi alla stessa ora a Napoli, a Capodiraonte e a
Salerno.
Successive informazioni diranno quale intervallo di tempo è
trascorso nel cammino dell'onda sismica da Casamicciola, ove
l'orologio del telegrafo ha dovuto arrestarsi al momento preciso
della rovina del fabbricato, a Capodimonto oto esiste un os-
servatorio fornito dì delicati strumenti sismici : saremo forse
anche ii« condizione di conoscere la profondità del focolare se si
riuscirà ad osservare delle traccio di fenditure che sreleranno
la direziono della scossa, ed allora si potranno con molta pro-
babilità determinare delle linee convergenti. Intanto non è qai
fuor di luogo notare, che secondo i calcoli di Mallet, la pro-
fondità mansinia da lui ottenuta della sedo d'un focolare sismico
fu di circa \ò,(HÀ) metri; per 23 scosse essa rimase inferiore
a 1.%(XX) metri; per 18 fu di 10,000 o più cHattamentc dì 1 e V,
—
38,806 m.
—
—
26.266 »
—
14,395 m.
17,956 .
21,592 m.
5,045 »
11,130 .
17,214 .
5,102 »
10,667 »
15,073 .
528 IL TERREMOTO DI CASAMICCIOLA.
di miglio geografico. La profondità minima stata trovata fu di
circa 5,000 metri.
Anche Seebach si è occupato specialmente dello studio della
profondità dei terremoti, ed avrebbe ottenuto che le altezze
furono per
Il terremoto renano del 1846
Id. di Sillein del 1858 ... .
Id. del centro della Germania 1872
Id. di Herzogeurath del 1873 . .
Id. di Napoli del 1857 ....
Dall'estensione a cui la scossa sismica sarà arrivata, e te-
nendo conto della natura del terreno che avrà percorso, dal-
l'angolo di spinta degli oggetti smossi, si potranno stabilire an-
che in questa circostanza dei dati di non lieve importanza per
lo studio della fisica terrestre, e per la conoscenza della pro-
fondità a cui si preparano i terremoti delle regioni meridionali
della penisola.
In queste brevi note che scriviamo sotto la prima impres-
sione delle notizie che troviamo nei periodici, non dobbiamo
trascurare di avvertire, che il Vesuvio fu in questi giorni al-
quanto attivo, e sapremo più tardi se la sua attività cessò di
dimostrarsi per un istante al momento delia terribile catastrofe.
Non dubitiamo in verun modo, che i fenomeni sismici dell'isola
d'Ischia ed i vulcanici del Vesuvio vicino, debbano essere col-
legati fra loro, come possono essere collegati quelli di Strom-
boli, di Vulcano e dell' Etna, ed è in questa nostra certezza, che
mettiamo la speranza che altri e maggiori danni non abbiano
a rinnovarsi.
Gli esempi di rapporti reciproci tra l'azione vulcanica e la
sismica abbondano, e per non allungarci soverchiamente diremo,
che all'epoca del nefasto terremoto del 5 febbraio 1783, Strom-
boli cessò di fumare al momento della scossa, e ricominciò ad
emettere con violenza i suoi vapori dopo le spinte che distrus-
sero Messina. E nel terremoto ancor pia funesto del 1** no-
vembre 1755, il Vesuvio che prima lanciava al cielo il suo alto
pennacchio, cessò per un momento di emettere i suoi densi va-
pori, ed appunto nel tempo in cui avveniva la terribile scossa
che distrusse Lisbona, e poco dopo riprese il suo normale an-
damento.
Sembra questa volta che il mare non siasi mosso, almeno
nessuno accenna ad un ritiro delle sue acque o ad una anormale
IL TERREMOTO DI CASAMICCIOLA. 529
agitazione. Questa circostanza sarebbe una prova che il terre-
moto non si preparò sotto di esso come pare sia avvenuto in
quello di Messina già accennato, nel quale le acque si ritirarono
per spingersi dopo con un' onda di 20 metri contro la spiaggia
ed ingoiare quanto su di essa trovavasi.
Non è tuttavia improbabile, che un' agitazione insolita sia
avvenuta, ma quest'agitazione sarà stata quasi contemporanea
al momento in cui il terremoto si sarà fatto sentire a Casamic-
ciola ed a Napoli, e più precisamente potrà aver preceduto di
qualche secondo la scossa di uno di questi luoghi. Qui troviamo
opportuno aggiungere, che se il terremoto di Casamicciola ha pre-
ceduto di qualche secondo quello di Napoli e di Capodimonte,
la cui ora precisa sarà stata certamente determinata dagl'illustri
professori Palmieri e Pergola, possiamo fin d'ora stabilire, che
la sede si trovò sotto l'isola d'Ischia.
Nel terremoto del 4 marzo 1881, nel quale il movimento
non arrivò neppure a comunicarsi alla spiaggia vicina del con-
tinente napoletano, il focolare non dovette trovarsi molto pro-
fondo. La circostanza che questa volta il fenomeno si ripetè
nello stesso luogo, ma con maggior violenza ed estensione, offre
la certezza della profondità grandissima del focolare sismico, ma
con questo solo dato non si può in alcuna guisa dichiarare, se
altri fatti potranno avverarsi in un tempo relativamente breve.
Se sono state completamento e^a^rita le forze che hanno pro-
dotto l'attuale disgrazia, se sono sfuggiti i vnpori addensati
nella immensa caldaia sotterranei, ogni pericolo di futuri scon-
volg' menti è cessato; ma chi può assicurarlo?
Ciò che crollamo di poter dichiarare egli b, che se l'isola
fosse stata munita di sismometri, qu<-ili ora esistono in tutti gli
Osservatori meteorologici più imporUinti; so un personale adatto
«resse fatto delle speciali osservazioni dei movimenti minimi
del suolo, che debbono sicuramente aver proceduto la fatale
disgraziata; se si fosse tenuto conto dello variazioni di tempera-
tura e di emissione dello abbondanti acque termo-minerali che
hanno tanto concorso a costituire la ricchezza dell' isola, sareb-
bero sicuramente state risparmiato dello migliaia di vittime, e
non si verserebbero tanto lacrimo quuntn ora versano coloro
che piangono la morto del padre, della madre, dei figli e dei
più str (li.
I t' :io di quei fenomeni che la natura prepara
lentamente, per operare i cambiamenti che avvengono sulla
530 IL TKRREMOT/ DI CASAMICCIOLA.
superficie della iìvvii e si present.-ino colla nipiditù del ful-
mine soltanto per coloro, che non .sanno apprezzare i «uoi
costanti avvertimenti. Talvolta questi non sono seguiti dagli
scoppi annunciati ; egli è perchè i gas ed i vapori che cagio-
nano questi preavvisi, riescono a trovare qualche sfogo, senza
che succeda alcun danno, ma queste circostanze abbastanza
frequenti non sono dei fatti sufficienti, perchè siano trascurate
le osservazioni, che lo studio della geofisica ha indicate con
precisione, per conoscere le minacele che sovrastano gli abitanti
della terra.
Ci allungheremmo troppo se entrassimo nei molti particolari
delle disgrazie, che questo terremoto ha fatto provare alla sven-
turata isola, ed a chi erasi ivi recato colla fiducia di riacqui-
stare la perduta salute. La Piccola sentinella luogo ameno e
ridente, geniale ritrovo di molti bagnanti, è crollata in un
baleno alla prima scossa, seppellendo sotto le sue rovine coloro
che folleggiavano nelle sale o che sui suoi terrazzi stavano con-
templando quella notte splendida e stellata, alla vista di un
mare calmo e tranquillo che nessuna brezza turbava.
La Casa della Misericordia, alto palazzo di due piani di
una costruzione solidissima, che aveva resistito ad altre scosse,
è caduta come nn castello di carte; pochi e rari edifici hanno
resistito e forse questi lo debbono alla felice circostanza di
essere stati elevati su di un terreno solido, e di essere stati
orientati in modo, da presentare gli angoli alla fenditura del
suolo che si apri, per dare libero sfogo all' espansione dei va-
pori interni. Coloro che si sono salvati, non sono per ora in
condizione di raccontare con qualche precisione i particolari
con cui la disgrazia avvenne : egli è con tutte le notizie che
si potranno in avvenire lentamente raccogliere e facendo dei
confronti fra di esse, che si sarà in condizione di riunire
quella quantità di dati che faranno d' uopo per scrivere una
storia precisa del funesto terremoto. Saranno allora raccontati
i molti atti di eroismo; si conosceranno con maggiori partico-
lari dei fatti commoventi e terribili; si saprà di chi era quel
corpo di una signora elegante di cui subito non fu trovata la
testa che era stata strappata dal busto ; si saprà il nome di
quel marito sepolto, che domandava per grazia si lasciasse pur
morire, ma fosse salvata la moglie che egli sosteneva in parte
e le macerie impedivano che si muovesse, ed una maggior ro-
vina seppellì con chi tentava di salvarli entrambi ; si ritroverà
IL TERREMOTO DI CASAMICCIOLA.
531
quella signora di cui sporgeva una mano inguantata col braccio
carico di gioie, ma essa non avrà più vita ed il suo corpo
cadrà inerte davanti a chi tenterà di sollevarla. Povera gente,
povere mamme, poveri figliuoli! Chi potrà descrivere le soffe-
renze di tante persone rimaste sepolte sotto così alte macerie
e salvate quasi per miracola ; chi farà conoscere i vani gemiti,
e gli urli di altri a cui un pronto aiuto avrebbe ridata la vita ?
Il racconto di tanti dolori concorrerà a sollecitare la carità
cittadina, che in Italia ha già date si splendide prove del-
l'amore di fratellanza, che collega i popoli delle varie regioni
della penisola.
Roma, 31 loglio 1883.
Capitano L. Gatta.
UNA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA
L'Indice delle Eiviste americane ed inglesi. '
Il Disraeli, parlando nelle sue Miscellanee letterarie degli
indici e della loro grande utilità, scriveva: u In quanto a me
io venero colui che ha inventato gli indici, e non so a chi si
debba dare la palma, se ad Ippocrate che vuoisi sia stato il
primo ad anatomizzare il corpo umano, o a quell'ignoto operaio
del pensiero che per il primo mise a nudo i nervi e le arterie
di un libro. ;i
Queste parole che mettono in cielo chi trovò l'arte di fare
gli indici, mi tornano in mente nel prendere in mano il reper-
torio di tutti gli scritti sparsi in piìi di 6000 volumi di Riviste
americane ed inglesi, pubblicato ora dal signor Poole, perchè le
indicazioni bibliografiche sono tante da metter proprio a nudo
i nervi e le arterie di queste raccolte periodiche.
Sarebbe davvero tempo perduto voler qui dimostrare l' impor-
tanza letteraria e scientifica che possono avere gli articoli delle
Rivibte, come pure voler raccontare a chi studia, quanto sia
talvolta difficile conoscere l'esistenza di uno scritto, e sapere il
volume e la pagina dove sta in una Rivista, di cui forse si
ignora persino il nome.
Ma se questa importanza e questa difficoltà sono grandi per
noi, sono certo maggiori quando si tratta delle Riviste ameri-
cane ed inglesi. Il numero delle Riviste in quei paesi è molto
grande, e i migliori scrittori e gli uomini di Stato più illustri
si servono di queste pubblicazioni periodiche come del mezzo
• An Index to Periodical Literature hy William Frederick Poole, Li-
brariaa of the Chicago Public Library. — Boston, 1883, in 8.° gr.
i
UNA CURIOSITÀ BIBLKXHLVFK.A. §®8
più sicuro e più rapido per far conoscere e diffondere le loro
idee e le loro opinioni. Non corrono così il rischio di vederle
travolte in mezzo agli articoli^ alle notizie, alle corrispondenze
e ai telegrammi dei giornali politici, e non sono costretti ad
aspettare che passi tutto il tempo di cui abbisogna il libro o
l'opuscolo per fare la sua strada, per essere conosciuto, compe-
rato e letto. Essi sono già certi di trovare negli associati alle
Riviste un numero ragguardevole di lettori, che aspetta a ter-
mine fisso, un autorevole parere o giudizio sulle questioni lette-
rarie, politiche 0 sociali che piìi agitano le menti. E cosi presso
di loro non è più possibile fare sul serio certi studi ignorando
quello che è già stato detto e scritto nelle Riviste.
Da tutto ciò risulta evidente la grande utilità di questo
lavoro bibliografico. E una miniera quasi inesauribile di notizie
preziose, che ora è scoperta e messa a disposizione di tutti.
Si capisce che per noi Italiani molti degli scritti registrati
in quest'indice, perchè troppo speciali all'America e all'Inghil-
terra, hanno scarso interesse ; ma ve ne sono moltissimi d' in-
dole più generale che possono e devono interessarci; e non
poca importanza hanno per noi quegli articoli che parlano uni-
camente di cose nostre.
E impossibile dare un'idea delle cose contenute in un libro
come questo; dirò soltanto che sfogliando un poco il volume
ho veduto citati 21 articoli di Riviste diverse che si riferiscono
air Alfieri, 17 al Manzoni, 15 al Pellico, 9 al Foscolo e 9 «1
Leopardi, 5 al Monti, 2 al Parini, nessuno al Giordani ; 20 scritti
trattano di Vittorio Emanuele, 34 del conte di Cavour, 2 di
Ricasoli, 1 di Katlazzi (due della signora Kattaszii, 25 di Mas-
zini e 48 di Garibaldi.
Non parlo degli scriiu i >■•- riguardano uq passato ancor più
lontano o il nostro presente; nò di quelli che si occupano dell*
nostre arti, dei nostri monumenti, delle nostro città e della luru
storia, come: Roma antica, Roma cattolica, Roma moderna, Vo-
nezia, F'irenze, Napoli, Milano, Genova, l'alermo, Torìuo, Pisa e
Bologna, <; di cento altri soggettL
Ali fermo qui perchè una ricerca Catta saltando qua o là fra
200,000 indicazioni bibliografiche non approda a qualche cosa
di serio o di utile. Quello che importa è di far sapere elio delle
Rivista, scritte in inglese e pubblicate in America o nel Regno
Unito, esisto ora un indico copiosissimo e ben fatto.
Ma se dal Iato Icttcracio qucuta, pubblicacipiu^i chu acrva di
534 DNA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA*
guida fedele e sicura in un laberinto tanto vasto, ha un valore
inestimabile, considerata unicamente come lavoro bibliografico
ne ha uno non inferiore di certo, essendo la compilazione di
quest'indice il primo tentativo, splendidamente riuscito, di una
vasta collaborazione formatasi per un grande lavoro bibliogra-
fico. E una segnalata vittoria del metodo cooperativo, come lo
chiamano al di là dell'Atlantico.
E qui occorre fare un po' di storia.
Questa di cui parlo è la terza edizione di quest'indice. La
prima compilata 35 anni or sono con ardor giovanile, e mentre
era all'Università di Yale, dal signor Federigo Guglielmo Poole,
ora bibliotecario a Chicago e uno dei più distinti bibliografi
americani, vide la luce a Nuova York nel 1848 col titolo: Index
to Subjects treated in the Reviews and other Periodicals to which
no Indexes have been puhlished.
Era un volume di sole 154 pagine in ottavo grande e con-
teneva circa 28 mila indicazioni bibliografiche, I pochi esem-
plari furono subito venduti.
Nel 1853, e nella stessa città, egli pubblicò la seconda edi-
zione, che in un volume di 523 pagine comprendeva un mate-
riale bibliografico sei volte maggiore della prima, raccolto in
quattro anni di assiduo lavoro. In queste due edizioni il Poole
aveva avuta la pazienza e la costanza di spogliare gli scritti
stampati in 1468 volumi di circa 70 Riviste, e poco dopo la stampa
il libro era, fra i moderni, uno dei più rari a trovarsi. Il Poole
stesso racconta che dopo venti anni gli fu dato rivederne, con
grata sorpresa, un esemplare a Londra, nel British Museum,
tutto logoro e consumato dal grande .uso.
Esaurita la seconda edizione egli riceveva di frequente e da
tutte le parti, lettere, esortazioni e preghiere di ristampare e
di continuare un'opera, che oramai era riconosciuta da tutti ne-
cessaria.
Ma come fare? Le Riviste aumentavano sempre di numero
e i fascicoli e i volumi si succedevano con spaventosa rapi-
dità. Da solo non poteva più reggere e rimanere al di sopra di
questa valanga di fascicoli che gli si rovesciava addosso. Cercò
chi lo aiutasse, ma inutilmente. Più di venti persone si prova-
rono. Grli uni spaventati dalla mole del lavoro da farsi si riti-
rarono ; gli altri erano e si mostrarono incapaci a simili lavori.
Avevano creduto fosse cosa molto facile a farsi, e non avevano
preveduto quanta pazienza, precisione e discernimento occorrono
UXA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA. 535
per far bene un indice. Essi ignoravano quanto savio ed arguto
fosse il suggerimento dato, appunto per queste ragioni, da un
valente bibliografo spagnuolo, non ricordo più a quale illustre
scrittore, di dare a fare a chicchessia il suo libro, ma di badar
bene di compilarne egli stesso l'indice.
Fortunatamente il 20 settembre 1876 vide la luce a Nuova
York il primo numero del Giornale Americano delle Biblioteche,
diretto con grande abilità da Melvil Dewey e da Carlo A. Cutter,
aiutati dai migliori bibliotecari degli Stati Uniti. I problemi
più ardui e più intralciati dell'ordinamento delle grandi biblio-
teche furono da quei valenti collaboratori del Giornale Ameri-
cano esaminati e studiati con amore intelligente, e nel risol-
verli essi diedero prove di una originalità e sapienza pratica,
quali non si riscontrano in Europa. Il giornale aveva appena
raccolto intomo a sé le forze sparse, che subito propose di unirle
saldamente in una Società, la quale giovasse agli interessi delle
biblioteche esistenti, facilitasse la fondazione di nuove, stringesse
in amichevoli rapporti non solo tutti coloro che consacrano la
loro operosità e i loro studi principalmente all'incremento e al-
l'ordinamento delle librerie pubbliche, ma anche coloro che si
dedicano a lavori o a ricerche bibliografiche.
Fu al Congresso tenuto dai bibliotecari in Filadelfia il 4 ot-
tobre 1876 che la Società venne costituita, e fra i molti argo-
menti trattati e discussi in quella occasione uno dei principali
fa quello della necessità di una nuova edizione di questo Indice
del Poole. Dimostrata l' impossibilità che una sola persona po-
tesse faro, con sufficiente rapidità, questo lavoro che da un
giorno all'altro cresce di mole, si fu d'accordo di raccogliere e
di riunire tutte le forze in un'opera comune, di cooperare tutti
al medesimo lavoro.
Il Poole espose il metodo ohe egli credeva doversi seguire,
disse come si poteva e doveva ripartire il lavoro fra le biblio-
teche che accettavano, indicò quali regole si dovessero da :
osservare, e da ultimo si obbligò non solo a cooperare «ilo sp' ^
delle Riviste, ma ben anche a fondere il lavoro nuovo con quello
già fatto per le edizioni precedenti, e a dirigere e sorvegliare
la stampa di tutto l'indice.
La proposta fu, come iu'*ritava, unanimemente approvata dalla
società. Si nominò subito una commissione della quale fecero
parto col Poole, Giustino Winsor che per molti anni come bi-
bliotecario aveva dato gran lustro alla libreria pubblica di Bo-
536 UNA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA.
ston e che ora dirige quella della Università di Harvard, e Carlo
A. Cutter, bibliotecario dell'Ateneo di Boston, valentissimo biblio-
grafo. A questa commissione, che per sapere, abilità ed autorità
avrebbe difficilmente potuto riescire migliore, fu affidato l'inca-
rico di prendere tutte quelle disposizioni e quei provvedimenti
che giudicasse indispensabili per mettere ad esecuzione questo
grandioso disegno.
Mentre si prendevano gli accordi necessari, un anno dopo,
cioè nell'ottobre del 1877, il Poole, con altri bibliotecari ame-
ricani, traversò l'Atlantico, si recò a Londra al Congresso in-
ternazionale dei bibliotecari, e là eletto vicepresidente, espose
di nuovo il suo disegno e domandò 1' aiuto e la cooperazione
della Società dei bibliotecari del Regno Unito, allora creata a
somiglianza di quella americana. La proposta fu cortesemente
accolta, ma in alcuni sorse il dubbio che questo lavorare in
molti, questo metodo cooperativo, non resistesse alla prova e la
riuscita fosse impossibile. Ma la commissione nominata dal Con-
gresso internazionale dichiarò doversi accogliere la domanda, e
così fu fatta in comune la nota delle Riviste americane ed in-
glesi delle quali si doveva fare lo spoglio, escludendo quelle
particolarmente consacrate alla giurisprudenza, alla medicina ed
alla Storia naturale, perchè per alcune di queste Riviste spe-
ciali serve già il Catalogne of scientific Papers pubblicato dalla
Società Reale di Londra, e perchè per le altre, o per tutte, si
sarebbe potuto poi, nell'interesse di queste scienze, provvedere
con altre pubblicazioni.
Per il termine fissato tutto il lavoro dei bibliotecari ameri-
cani fu pronto, come pure gran parte di quello a-^segnato alle
biblioteche inglesi. Ma di alcune Riviste del Regno Unito lo
spoglio non era ancora ultimato, e per la malattia e morte del
compianto Dott. Coxe, bibliotecario della Bodleiana di Oxford,
mancò quello dell'^ccacZem?/, àeìV Athenaeum e della Saturday
Review.
Per questo ritardo il Poole non volle diffvrire la stampa.
Egli giudicò indispensabile che questo primo esperimento fosse
portato a fine entro il tempo stabilito, nella certezza che questa
puntualità avrebbe ispiralo piena fiducia nell'avvenire e sarebbe
stata anche la migliore e più sicura garanzia per intraprendere
altri nuovi lavori.
Riprendendo l'esame di questa terza edizione dirò che le
Riviste delle quali si è fatto l'indice sono 232, tutte scritte in
^^ USA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA. 537
i^^ inglese e pubblicate, dal principio di questo secolo al 1° gen-
naio 1882, in 6205 volumi.
I titoli dei diversi articoli inseriti in questi volumi sono nel
presente indice disposti per ordine alfabetico, pigliando per
[ norma l'argomento trattato, il fine principale di questo repertorio
essendo quello di far trovare agli studiosi gli scritti che prima
non conoscevano.
L'indole di questo periodico non permette di parlare delle
regole adottate per dare rigorosa uniformità ad un lavoro fatto
da tante persone, separate le une dalle altre da distanze gran-
dissime. Ma si deve avvertire che furono fatte molte indagini
per scoprire gli autori degli articoli non firmati, registrandone
quando fu possibile il nome, e che saggiamente fu deciso di
non valersi degli indici già pubblicati isolatamente da alcune
Riviste, perchè compilati con metodi e regole difi'erenti.
II titolo di ogni scritto colla citazione molto concisa, ma
chiara ed esatta, della Rivista, sta quasi sempre in un rigo del-
l'indice stampato a due colonne. Si può quindi calcolare che le
indicazioni bibliografiche sono a nn di presso 200,000. L'indice
è compilato molto bene, e solo talvolta si desidererebbe che
quando il medesimo argomento fu trattato in molte Riviste, i
diversi scrìtti fossero disposti fra di loro più scientificamente,
e non secondo l'ordine alfabetico rigoroso come si fece, benché
a farlo in tal modo sarebbe stato necessario più tempo per pre-
pararlo.
Quando si pensi con quanta ardite/za t>i immaginò di poter
fare quest'indice, con quanta rapidità fu condotto a termino,
quale e quanta è la sua estensione, allora non è permotso met-
ter in rilievo qualche svista, come, per esempio, quella di veder
registrati due articoli differenti su Niccolò de Lfijtt uno sotto
}iàficolò e l'altro fra gli scritti diversi che si riferiscono a Mas-
simo d'Azeglio.
Precede l'indice uni ; i. ! . I'; i :a 111 l'ooio, nella
quale tratta «lei modo « cui » m ■ ^i,^ll. . in^ il.iio (|UC8to reper-
torio e dà agli studiosi le avvertenze necessarie. Alla prefazione
fa seguito una Nota dello biblioteeho e dolio persone che coope-
rarono a questa bibliografia, come pure il numero dei volumi
da ciaacuna di ette spogliati. Da questa nota risulta cho i col-
laboratori furono in tutti 51 o cho appartenevano a 48 biblio-
teche. Fra coloro che più hanno lavorato occupa naturalmente
il primo posto il signor Poole, It di cui energia ed operosità
Tou XL, Swto U — I a«Mto ISSS. S5
538 UNA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA.
sono veramente straordinarie e meravigliose. Ai 1468 volumi già
registrati nelle due edizioni precedenti ne agg'unse per questa
634, per modo che un terzo del lavoro fu fatto da lui solo, e,
quel the è più, dopo le ore d'ufficio, come afferma egli stesso.
Più prossimo a lui sta Gu;^lielmo I. Fletcher della Libreria
Watkinson a Harlfjrd, che fece l'indice di 516 volumi. Ho già
detto altrove che il Puole si era riserbato il compito di ordi-
nare e fondere col proprio il materiale bibliografico inviato
dagli altri collaboratori, e di dirigere e sorvegliare la stampa
di tutto. In quest'opera faticosa egli ebbe assiduo compagno il
Fletcher, ed alla operosità di entrambi si deve se questo grande
repertorio fu cosi sollecitamente stampato. '
A questa Nota succede l'Elenco delle Riviste col nome di
chi ne ha compilato l'indice. Per noi stranieri questi titoli delle
Riviste sono accennati in modo troppo sommario. Si capisce che
quelle scarse indicazioni sono più che sufficienti a chi vive in
mezzo a questi periodici, ma non è cosi per gli altri. Nel Cata-
logne of scientlfic Papers della Società Reale di Londra l'elenco
delle Memorie e degli Atti accademici, come pure dei giornali
scientifici, è fatto con maggiore larghezza. Sarebbe proprio desi-
derabile che in avvenire si togliesse questo difetto, e si notassero
con preglsione bibliografica il titolo, l'editore, il formato e la
periodicità di ogni Ri smista.
Le p:)che pagine che servono di introduzione terminano con
un Prosp3tto cronologico ideato con molta abilità. In esso si
scorge chiaramente, anno per anno, quali sono i volumi delle
232 Riviste citate che videro la luce contemporaneamente.
Anche dal lato tipografico il volume merita ogni elogio.
La stampa principiò quando tutto il manoscritto era pronto
ed ordIm,to, comprendendovi anche gli scritti pubblicati nel
dicembre 1881, e nei primi mesi di quest'anno il grosso volume,
' Gli altri collaboratori principali sono i signori Mellen Chambprlaìn,
della Libreria pubblica di Boston, ihe spogliò 406 volumi; Giustino Winsor,
che ho già ricordato, ne registrò 2 '8; Federico Saunders, della Libreria
Astor a Nuova York, 199; Carlo A. Cutter, del quale ho già parlato, 16(5;
Ain.worth R. Spofford, della Libreria del Congresso a Washington, 1G2;
Alfredo E. Whitakf>r, della Libreria mercantile a San Francisco, 157; Gu-
glielmo S. Biscoe, dell'Università di Ainher-^t, IIU; Stefano B. Noyes, d. Ha
Libreria di Brooklyn, 127; P. R. Uh'er, dell'Istituto Peabody a Baltimore,
117; Felerico Vinton. dell' Uuiversit'i di New Jersey a Princeton, Ilo; (Ja-
l'olina .VI. Hewins, della Library Assoeiatioi» di HirtforJ, 111, e Samuele S.
Green, della Libreria pubblica di Worcester, lOd, ecc.
UNA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA. 539
di 1450 pagine in ottavo grande, era terminato e posto in
vendita.
Il fatto che quasi cinquanta pubblicha biblioteche, istituite
per fini diversi, varie nel loro ordinamento, le une dalle altre
indipendenti e disperse su di un immensi territorio, bagnato a
wSan Francisco dall'Oceano Pacifico e a Boston dilTAtlantico, si
uniscono volontariamente fra di loro stendendo la mano ad altre
biblioteche d'Inghilterra e di Scozia per intraprendere in co-
mune un'opsra di utilità incontestab la, e che nessuna di esse
isolatamente sarebbe stata in grado di fare, è un fatto de^ao
di menzione e che non ha precedenti.
E ora che questo primo esperimento mercè la concordia e
l'operosità di tanti fu coronato di eiito cosi felice, qu<inti altri
grandi lavori bibliografici si velono po8>ìbili, mentre prima
sembravano, per la loro vastità, sogni fatti di qualche proget-
tista ! L'avvenire nasconde mi suo seno altre sorprese. Si sta
già esaminanda e studiando quili altri lavori si potrebbero e
dovrebbero fare. S irebbe qua-tì inutile dire che si pensa alla
continuazione di quest'indice. Ognuno vede che è indiipensabìle.
Il signor Poolc, nella sua prulazionu, nveva promesso che ogni
cinque anni si darebbe un suppletuento. Ma cinque anni sono
lun;;hi! È già arrivata la notizia che i Supp'eiiiontì sar.inno an-
nuali, che il primo verrà pubblicato ncH'aprile del 18S4, e con-
terrà gli articoli dulie Rivinte che non furono spogliate in tempo,
e gli scritti stampati durante il 1882 e il 1883.
Mi anche il dover aspettare un anno è troppo! E p-^rciò il
signor Fletcher, in compignia di molti altri, ha deciso di pub-
blicare ogni mese un Elenco de^li seritti più importanti che
stanno nelle Riviiite principali d'America e d' In;^hiltorra. Lo in-
dicazioni bibliogralichc co«i raccolto •nriiino poi unito a quelle
che dovranno formare il S ipplctncuto pronici-s) dal Pool».
Ho già potuto vedere la prima puntata di questo Elenco,
nrdla quale »ono registrati gli scritti che videro la luce dal gon-
ii.'iio alla metà di aprile del 1883. Pi-rcorriMido queste poche
[lagine si incontrano subito articoli che poxs mo destare inte-
resse in noi italiani, come per esempio quelli, sulle lettere di
Cristoforo Colombo; sui suoi ritratti, e rultn: Dove riposano lo
sue ceneri? quelli su M cliel Angelo; su UiiTullo; su Benye-
nuto Ctdiini; sul pittore B.inozzo 0»zzoli; su Pico della Miran-
dola; su Tomtnaso Sii vini; sui recenti sc:ivi di Roma; su Siena;
Hitile Commedie della Congrega dei Rozsi; sui restauri del Pa-
540 UNA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA.
lazzo ducale di Venezia; su quelli della Chiesa di San Marco;
e per finire anche quello: Sugli elementi di discordia in Italia!
Certo anche per noi Italiani un indice delle nostre Riviste,
fatto a somiglianza di quello del Poole, offrirebbe agli studiosi
un grande ed inaspettato aiuto alle loro ricerche.
E vero che per il numero e per l'importanza le nostre Riviste
non possono reggere al paragone con quelle inglesi ed ameri-
cane. Ma questo numero è tutt'altro che scarso, e moltissimi
degli scritti in esse sepolti, non meritano l' ingiusto oblio in
cui gli abbiamo lasciati cadere. Chi li ricorda tutti? Chi sa
come poterli al bisogno trovare? Siamo noi tanto ricchi da
poter lasciare in completo abbandono un patrimonio letterario
e scientifico così grande?
E con tutto ciò è raro il caso che qualche nostra biblio-
teca faccia tesoro per i suoi cataloghi di quello che si trova
inserito nei pochi giornali che riceve. Ed è così poca l'impor-
tanza che ufficialmente si dà a queste pubblicazioni periodiche,
che non si pensa nemmeno a dare alle nostre biblioteche i mezzi
per potersene procurare le principali, quelle almeno che da
tutti si giudicano indispensabili.
Una sola fra le biblioteche italiane ha potuto di recente
istituire una Sala di Lettura per le Riviste che in qualche modo
può stare a confronto con una Readìng-room for Periodìcals
delle grandi biblioteche americane. E anche questa, per cause
diverse, non è in grado di rendere tutti quei servigi che pure
dovrebbe. *
Taluno forse, vedendo le nostre maggiori biblioteche nelle
mani del Governo, crederà che da noi dovrebbe esser cosa
molto più facile, che non in America, il compilare un repertorio
simile. Ma egli si ingannerebbe grandemente. Là nessuno aveva
ed ha il diritto e l'autorità di costringere tante biblioteche
diverse a fare in comune, e con norme uniformi, un lavoro
bibliografico di tanta mole ; e l'Indice del Poole fu fatto. Noi
' Dalla risposta del signor Enrico Stevens alle osservazioni fatte dal
bibliotecario di Breslavia signor Dzìatzko, Sulla Biblioteca e sulla Sala di
Lettura del British Museum, risulta che anche in questa grande biblioteca
si è finalmente riconosciuta la opportunità e la necessità di aprire una Sala
separata per la lettura delle Eiviste, e di mettere a disposizione dei lettori,
quando il resto della biblioteca deve star chiuso, \\n 40,000 volumi scelti,
come per la Biblioteca Vittorio Emanuele il R. Commissario senatore Cre-
mona aveva creduto si dovesse fare, e a questo fine aveva già ordinati e
disposti i vecchi e i nuovi locali nel Collegio Romano.
UNA CTRIOSITÀ BIBLIOGRAFICA. 541
Europei col nostro accentramento, del quale si subiscono gli
inconvenienti e non si conoscono ancora i vantaggi, con poca
iniziativa, perchè aspettiamo che tutto scenda dall'alto, non siamo
stati e non siamo capaci di farlo. Le ragioni sono molte, e non
è qui il luogo dove si possano esporre.
Ma per chi non fosse del tutto persuaso mi contenterò di
citare un esempio che fa appuntino al caso nostro.
Nel 1863 il nostro Governo pensò di pubblicare, per comodo
degli studiosi, un Annuario hibliografico italiano, nel quale
dovevano esser registrati i libri venuti alla luce in un periodo
di tempo cosi breve. A circa 25 biblioteche pubbliche venne
ordinato di inviare al Ministero il materiale bibliografico ne-
cessario. Si trattava unicamente dei pochi libri che ciascuna
di esse riceveva, e che naturalmente doveva poi descrivere con
esattezza, anche per registrarli nei propri cataloghi.
In modeste proporzioni ed entro una cerchia molto ristretta fu
dunque fatto, venti anni or sono, anche in Italia un tentativo di
collaborazione simile a quello di cui sopra ho parlato. Ma ben
presto si vide che gli strafalcioni erano troppi, che le indicazioni
bibliografiche erano incerte e monche, che il metodo di cata-
logare yariava da una biblioteca all'altra tanto da non poter a
quel modo tirare innanzi. Dopo due anni di prova che ebbe
un esito cosi infelice, si ebbe la savia idea di impedire che la
stampa fosse continuata sotto gli auspici del Ministero.
£ poiché le nostre biblioteche son sempre nelle medesime
condizioni disgraziate di prima, bisognerebbe, secondo me, in
nanzi di pensare ad un simile lavoro bibliografico cercare e
trovare il verso di avere dei buoni cataloghi dolio opero che
stanno già negli scaffali, perchè senza cataloghi ben fatti ò im-
passibile l'andamento regolare di qualsiasi biblioteca.
Prima di occuparsi di un indice dallo Riviste bisogna deter-
minar bene quale debba essere il carattere e Tufficto di ciascuna
biblioteca, affinchè entro i limili roepettivamente assegnati cia-
Jicuna possa soddisfare ai bisogni dei suoi lettori.
Si deve poi aver presente che ai nostri giorni le scionie natu-
rali, seguendo il metodo sperimentale, per progredire hanno aa-
solato bisogno di molte osservazioni ed esperienze; e che quette
esperienze e questo osservazioni si trovano raccolto nolle Riviste
e noi periodici scientifici. So dunque si vuole che anche fra di
noi questo scienze proj^rnliHcin'), e eli ? tutti p')*Hino trar pro-
fitto dalle loro applicazioni pratiche» è ncccsiarìo di dar modo
542 UNA CURIOSITÀ BIBLIOGRAFICA.
a chi le coltiva di poter vedere e sapere quello che fu studiato
e provato da altri.
Il numero straordinariamente grande delle pubblicazioni
periodiche riconosciute indispensabili, è una delle molte cause
che hanno altrove profondamente modificato l'ordinamento delle
biblioteche pubbliche, mentre noi viviamo ancora tranquilla-
mente e poveramente la vita di un secolo fa.
È perciò urgente provvedere delle opere e delle Riviste man-
canti le nostre biblioteche, affinchè non servano esclusivamente
alle dotte ricerche sul nostro passato, ma ben anche al pensiero
moderno, alla scienza viva.
Insomma, prima di metter mano a lavori di così vasta mole
è prudente e necessario risolvere questi ed altri più gravi pro-
blemi, se si vu(de che le nostre biblioteche possano giovare ai
buoni studi, e riescire di vantaggio e di decoro alla nazione.
D. Chilovi.
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE
Nuovi romanzi francai. — />j céléhrì'ét con*^'ni>orain^.s. — L'éUtf. dea eontes
da tifar etOimiUn. — Loìd» XIV e' Guillattme ITI. — />« »alofu de con-
vertati.n au dix Imitième t^de. — D^niièr^ annéet de Madama d' Epinay ,
ton salon et te» a/itv. — Correspond/moe inèdite de Conloreet et de lurgot.
— he» demiert Bourbon».
Incomincio, per le assìHae lettrici di romanzi, con rannuncio degli
ultimi romanzi che ci arrivano dì Francia: Im Fante de Oermnine \tM
Gerard, con Ta^^riunta di queste altre novelle: La But'sitonière, Oer-
trutle. Le Mariage de Mad-lrine (Paris. Culmann Lévj); La Buche'
ronne par Charles E<Imond (Paria, Calmann Lévy); Mercèdex Pepiti
par Emro Denoj (Paris, Calmann Lévj); Robert par Clément Richel
(Paria, Charavay fr ) ; Le$ méìancoU'ex tfun joyeux par Armanl Sil-
▼eatre (Paria, Cbaravaj fr.); Valentia par Daniel Starn (Paris. Cal-
mann Lévjr; ristampa di questa novella non mai stampata a parte, alla
quale vennaro pure aggiunte la novelle esaurite ffervé, Jutten e la
Botte auw lettre», già inserita nella Rer%te Nationale^ col proverbio
inedito, molto elegante e spiritoso, yinon au courent).
L'editore Quantin prosegue la saa bella ed assai bene accolta Gal-
leria delle Célébrtti» eontemporaine» (s'intende francesi); sono già
ventitre fiueiooleUi, elegantemente staroimti. con fac-simile di auto-
grafi e ritratti soroiiiliantisiiimi assai bene incisi. Comprende fliiqui lo
sejfuenti biografie: Victor Hugo, Emile Augier, Alexandre Dumas flis,
Alphonse Daudet, Victoricn Sarduu, Octave Feuillet, Eumene Labiclm,
Bn kiuann-Chntrian, di quel brioso s<TÌttore che e Jules CUretie; lo
steseo JoJes Caretie del Marquis de Clierville, Jules Orévj di Lucien
544 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
Delabrousse, Louis Blanc di Charles Edmond, Leon Gambetta di Hector
Depasse, Henri Brisson di Hippolite Stupuj, De Freycinet di Ector De-
passe, Émile Zola di Guy de Maupassant, Jules Ferry di Édouard
Sylvin, Eugène Clómenceau di Caraille Pelletan, Charles Floquet di
Mario Proth, Ernest Renan di Paul Bourget, Alfred Naquet di Mario
Proth, Henri Rochefort di Edmond Bazire, Paul Bert di Hector De-
passe, F. De Lesseps par Albert Pinard. Altre diciassette si annun-
ciano, e comprenderanno SpuUer, Sandeau, Challemel-Lacour, Vacquerie,
Mac-Mahon, Déroulède, Simon, Halévy, il Duca d' Auraale, Verne,
Broglie, Coppée, Pailleron, Henri Martin, Il Conte di Parigi, Paul
Meurice, Rane, Sarà davvero una bella Galleria, che non si fermerà
probabilmente a questi primi quaranta nomi.
Ogni biografia occupa 32 paginette di stampa.
E un letterato illustre che gode in Francia di molte meritate sim-
patie, il signor Claretie, il più erudito forse de' giornalisti e roman-
zieri francesi, che trovò fin dalla sua prima gioventù un bellissimo
motto alla propria vita laboriosa: Liber libro {libero per mezzo del
libro) che sembra dare l'intonazione a tutta questa raccolta, ed è una
intonazione felice. Avendo, anzi tutto, cura di offrire i soli ritratti di
uomini veramente celebri, egli non ha bisogno di que' soliti sforzi ai
quali deve ricorrere il biografo, per gonfiare 1 mediocri, affinchè tro-
vando posto fra gli uomini più insigni, non facciano una comparsa
troppo ridicola ; non avendo bisogno di ricorrere all'iperbole per esaltare,
egli non ha neppure bisogno di ricorrere al libello per^deprimere, e può,
senza alcun pericolo, attenersi ad una forma quieta e moderata di giu-
dizio, inspirato da benevolenza.
Egli è, come dice il suo biografo « ni naturaliste acharné, ni idéa-
liste quand méme ; vivant et moderne^ voilà son mot d'ordre. » Questa
è una eccellente condizione pei* un biografo degli scrittori contempo-
ranei: « Trop de terre, scrive giustamente il Cherville, on devient
banal, trop de ciel leregard humain se brouille. Claretie a parfaitement
profìtó du conseil. Parisien de goùt, attiré par toutes choses, par trop
de choses, peut-étre, il veut désormais se mettre tout entier dans ses
romans. Il a fait de l'histoire, de la causerie, des conférences, il s'est
prodigué sans s'étre cependant dépensé. » Egli, nel vigor della sua età
(ha quarantre anni), s' è aperta una via, ha un pubblico ed ha tempo
ancora a riserbarci molte belle sorprese. Queste biografie, fra tanto, ap-
paiono per lui un semplice passatempo geniale ; si direbbe ch'egli vi
si riposa, tanto agile e disinvolta appare la mano che le scrive. E il
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 545
SUO amico Cherville ha ben compreso che un tale biografo meritava
una biografia; le ultime linee del ritratto ch'egli ce ne offre riescono
simpaticissime, e mi pia<!e riprodurle perchè rimanga ferma anche in-
nanzi ai lettori italiani l'immagine d'uno scrittore che si è composta
la vita così idealmente : « Les amitiés dévouées il les doit sans doute
à son humeur ouverte, affable et pour tous bienveillante, mais bien plus
encore à l'élévation de ses sentiments. Il est de ceux dont on sent le
coeur vibrer à toute idée noble et généreuse; on peut-étre séduit par
son esprit, on est sùrement conquis par son honnèteté et sa droiture ;
on veut lui rester óternellement fidèle quand, admis dans son intórieur,
on a pu en admirer la sérénité. Ce brillant écrivain, ce travailleur
acharné est ancore le plus tendre et le plus dóvoué des pòres de fa-
mille. On reconnait dans son amour da fojer Tinfluence de la femme
supèrieure qui l'a élevé. À tous les tapages extèrìeurs, il préfére une
causerie intime. Jamais il ne làche pied devant l'ennuì ou la fatigue
de ses obligations professionnells; fHat, premiòres représentotìons, il
est partout; mais, sojes-en oertain, jamais ces joies brajantes, janaais
méme les bravos jétés à son nom par une salle entiòre n'ont vaia
poar lai qnelque soirée paisible, entre sa charmanta femme, le petit
gart^n qaMl adore et quelqaes amis, dans son salon de la rue de Donai,
ou sous les saules de son cottage de Viroflaj. Ce spectacle da bonheur
parCait d'un esprit qa'oa aime, d'nn bomma qu'oo estima, n'ast point
à dédaigner par le tamps qui court. Ja n'en sais pai de plus récon-
tortant. » Le biografie del Claretie sono viraci, briose, attraentissime.
Inr'^gno carioso, il Claretie va in cerca delPaneddoto inedito, ma sempre
:• l'aneddoto caratteristico, che può servire meglio di un luogo studio
a darci la fisionomia dell'autore presentato. Così, per an esempio, nella
vita del libiche, scopre che questo vero principe del riso comico, in-
cominciò a scrivere drammi Uorimosi, • che il primo a parlare della
randidalura possibile e desiderabile all' Accademia Francese, fa quel
Silvestro di Sacy, al qoale U Labicbe doveva suoosdsre a di cui doveva
recitare l'elogio. QussU dsstrsm Dal cogliere il punto luminoso d'una
biografia è singolaritsima osi GUrsUa; i suoi ritratti biografici non hanno
perciò nalla di volgare, e riescono sempre molto divertsoti ed istruttivi.
Io mi m<)raviglio, tuttavia, assai non trovando ancora compreso fra Is
quaranta celebriti francesi un Taine. Il Claretie non può averlo dimen-
ticato, se ciò fosse, ripari. Morto il Littré, il Renan e il Taine riman-
gono le due teste francesi meglio conformate, e più filosofiche e i due
scrittori più illustri della Francia. La biografia dei Renan ci è data da
546 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. ^
Paul Bourget,; cioè, biografia non si può d re veramente questo studio
sopra la vita del Renan, nna interpretazione larga, simpatica, poetica
di una grande individualità. I Souvenirs inspirarono specialmente il fe-
lice ritrattista, clie riesce a scaldare più d'una pagina del suo elegante
lavoro. Le biografie furono affidate tutte ad ammiratori del biografato;
per esse non sapremo dunque intiera la verità; ma possiamo di certo
comprendere in che modo i biografati desiderano venir rappresentati
innanzi ai posteri. Così il Rochefort presentato da E. Bazire ci si mostra
in tutta la sua luce simpatica. Verranno, senza dubbio, altri biografi a
mostrarci le ombre; e da questo contrasto di luce e di ombre si rica-
verà un giorno intiera la verità. Intanto abbiamo una serie di ritratti
sinnpatici di 23 uomini illustri, parecchi dei quali hanno fra loro invin-
cibili antipatie. Il Claretie ebbe buon gusto nello scegliere le proprie
biografie; tenne per sé il Daudet e lasciò lo Zola a Guy de Monpassant;
r uno e r altro sono veristi, ma il Daudet è simpatico; lo Zola è un
violento. Il Claretie predica il vicino avvenimento del Daudet all'Acca-
demia Francese; ma non parmi impossibile che ci arrivi un giorno anche
l'autore di Nana. Chi avrebbe detto un giorno che vi sarebbe entrato
l'autore della Dame aux Camélias? Ora nessuno si meraviglia che il
Dumas ci sia, anzi tutti trovano ch'egli è al suo posto. L'Accademia
del resto corregge e disciplina molti ingegni; noblesse ohlige; saliti a
quel seggio accademico, gli scrittori francesi mirano soltanto più a di-
venir classici.
Intanto intorno ai loro classici, i francesi forse più d'ogni altra na-
zione prodigano cure infinite; quanta elegante civetteria in quelle loro
nuove edizioni ad imitazione delle antiche, quanta cura, ne' commenti,
quanto rispetto per tutto ciò che possono conservare e far valere di
antico. Ora è venuta la volta àox-contes del sieur éC Owille che G.
Brunct, ristampa con prefazione e note, sopra l'edizione di Rouen del
1680, divenuta introvabile; l'editore è il Jouaust ossia la Librairie des
Biblwphiles, nota per il buon gusto e l'eleganza delle sue edizioni. Il
primo titolo che Antoine Le Motel sieur d'Ouville, letterato ed inge-
gnere del secolo decimosettirao diede alla sua raccolta era questo :
« Les Contes aux heures perdues, ou Recueil de tous les bons mots,
reparties, équivoques, brocards, simpficifés, nawefés, gasconnades et
autres conies facétieux non encore imprimés. » Tovis era dir troppo '■>
e che non fossero ancora tutti stampati non era vero; le Facezie dej
Poggio, del homenichi, ed altre raccolte erano state saccheggiale da
sieur d'Ouville; ma egli le aveva rimaneggiate, di maniera che, sotto
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 547
un certo aspetto potevano apparir nuovi ; la lingua francese aveva poi
acquistata nei confes del secolo decimosesto e decimosettimo una grazia,
una facilità elegante non priva di fascino; e però, se anche non pare
che il sieur d'Ou ville vi mettesse molto di suo, per essersi mostrato
limpido e schietto novellatore, si leggono i suoi curiosi aneddoti senza
alcuna stanchezza, a patto che non lo si faccia di seguito, ma s'apra
il volume a caso. Vi è molto buon umore; ma spesso il fare dello scrit-
tore è alquanto grossolano; alcuni eontes sono licenziosissimi, altri ra-
belesiani; chi conosce i motti e le facezie del Piovano Arlotto e del
Poggio può avere un' idea del maggior numero dei cosi detti eontes del
sieur d'Ouville La prima edizione dei confes apparve in due volumi
nel 1611 e 1641; si ristampò nello stesso secolo a Rouen, e nel secolo
passato a Lione, all'Aya, ad Amsterdam; l'ediiione dell'Aja del 1703,
reca già il titolo di Élite des Contes du sieur d'Ouville.
Altre ristampe ebbero in Olanda i Contes, con altri titoli e taluna
con eleganti incisioni. L* erudito Brunet ci ha dato nella sua predizione
una critica eccellente del libro ch'egli ripubblica, alla quale mi sembra
che si possa intieramente sottoscrivere: « Nous oonviendrons, egli dice^
qne panni lea anecdotes racontéd par d'Ouville il en est bon nombre
qui sont méJiocrement spirituell^ et qui s'expoMnt aa reproche de
trivialitó. parfuis do grcssiéretó; mais il faut observer qu'à l'ópoqua do
Louis XIII le goùt du public était bien loio d'étre éjmré; on voulait
rire, on était pea difficile, ponrvu qu'on fùt amosé. Des expressions
trop crues se rencontrent dans les Contes que nous rcproduisons, mais
elles ne choquaient alors personne; on les retrouve mi^mo dans les
sermons que pronon^AÌent en chaire de zólés prtViieateura et qu'on im-
primait pour réjiflcation des fiddles. Il y a toat lioa de eroine que parnii
Ics antM dotas de tOQt ganre qui furment le recueil qui nous oecupe, de
nombreux faits réels se retrourent; rion n'était comraun à oette epoque
que les ioors do flioa, les exploits da rolaurs. Divers écrivains s'en
étaient déja constito^s les historiens spéHaox D'Ouville avalt largoraent
enipruntó à ses devanciers; Isa oompiiatetirs qui soni vcnus aprds lui
et qui s^ sont exereé« dans le roéoM genre ont, de leur còlè, puisé am-
ptement dans oe lunds commun de gaillardises et de Joycuseté qu'on
r.rf..iv piftMut; cn en aura la preuve si l'on veut bien prendre la
p.-iiM.' ile fj^n Durir la Oiberière de Munte {MSAA), le Courrier faciiieux
(1650), Les Dirertissemeìits curieux ou le Thrisnr des metlleurfs rm-
confres et mais subtilt (1654), Les Agréablen Divertisnements fy^ntfoin
(1054): Roger Rontemps en belle humeur: r Enfant sans souci {l^H2)
548 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE,
et bien d'autres voluraes ejusdem farinae^ qui ne sortaient guère de la
catégorie des livres de colportage et qui sont aujourd'hoi l'objet des
convoitises des bibliophiles; on les recouvre de maroquin, et, dans les
ventes publiques, ils atteignent des prix souvent fort élevós. Il serait
sans doute inutile de se livrer à un long exposé des sources et des
imitations des contes qu'a recueillis d'Ouville; ce travail a été entrepris
pour des productions plus iraportantes, notamraent pous les Ceni Nou-
velles (nell'edizione del signor Le Roux de Lincy). lei ce serait
superflu. Accompagner d'un long commentaire les gaités du conipi-
lateur normand, ce serait lui faire trop d'honneur. » Questo avverti-
mento che il signor Brunet dà per V Elite des contes du sieur d^Ou-
fille, è molto utile a meditarsi anche in Italia, ove da alcun tempo in
qua è una smania fra i giovani eruditi per la ricerca delle fonti, onde
talora avviene che sopra un libro di nessuna o molto scarsa importanza
si compongono intieri volumi. Ma col fare un libro grosso sopra una
materia erudita minuscola s'acquista riputazione di grande dottrina, e
s' improvvisano titoli straordinari di benemerenza. Ora nulla essendo più
comodo e più facile che il mettere insieme un tal li'oro, troppo spesso
avviene che i nostri studenti appena entrati nell' università, cessino di
studiare, per dedicarsi tosto a comporre l'opera specialissima che sarà
fondamento della loro gloria e della loro fortuna. È una speculazione che
frutta agli audaci che la tentano ed agli accorti che la promuovono ;
ma quanto se ne vantaggi la serietà degli studi nazionali io non so ; e
però segnalo il pericolo, perchè, fin dove si può provvedere al rimedio,
si provveda.
Intanto siamo liberati dal pericolo di un libro sulle fonti dei contes
di Ouville, perchè lo stesso eruditissimo letterato francese che li ripub-
blica ha l'onestà di confessare che non ne varrebbe la pena. Il libro è
curioso ma non importante. Non è destinato al gran pubblico; il prezzo
di venti lire per i due volumi ha poi il vantaggio grande di allonta-
nare dalla lettura di esso gli scolari. Gli editori francesi che coltivano
la letteratura erotica hanno il buon senso e la prudenza di curare
edizioni eleganti, che costino, e siano perciò accessibili a pochi. Il no-
stro secolo, che si giudica tanto più corrotto de' secoli passati, per questo
rispetto si dimostra più pudico. Non c'è, pur troppo, che la letteratura
zolistica la quale renda facilmente venale la letteratura pornografica ;
questo è del resto uno dei frutti della democrazia; furono i democratici
del fine del secolo passato i primi veri divulgatori di una tale lettera-
tura. Ne'secoli passati la letteratura galante, anzi erotica era quasi cor-
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 549
tigiana. Dopo che una regina francese avea messo in voga la novella
boccaccesca, diveniva quasi una necessità delia vita elegante il sapere
novellare con garbo e l'udire una novella molto spigliata senza arros-
sirne. Un salone aristocratico del nostro secolo non permetterebbe, senza
dubbio più che vi si raccontase un conte del sieur d'Ouville. Già nella
seconda metà del secolo passato, il salone aristocratico francese s' era
fatto più pudico: alla letteratura erotica, sottentrava una letteratura
romantica; e quando il Diderot aveva Tinfelice tentazione di comporre
e pubblicare i suoi Bijoitx indiscrets, li pubblicava almeno senza il suo
nom«, segno che egli dovea arrossirne innanzi a quella società, che
quantunque democratico, egli frequentava ; e se credette d'ottener favore
presso di essa con quel suo tristissimo libro, si dovetto ben presto ac-
corgere del suo inganno; chò il libro fu trattato come un'azione da
monello. Malgrado lo strepito che aveano fatto le belle della corte di
Luigi XV, lo scandalo che dava spesso la corte, il costume pubblico era
decente; il secolo di Luigi decimoqnarto area passato alla Francia la
sua vernice, e quella vernice era rimasta; di più i romanzi della Scu-
dery e poi le opere di Roosseaa e degli enciclopedisti aveano a[>erto
uno spiraglio di vita nuova, e sostituito al classtoo erotismo un po' di
sentimentalismo romantico. Le amiche presero il posto delle amanti ;
non già che fossero amiche ideali, ma il loro amore ora AmJato sopra
un sentimento di vera e durevole amicizia.
Famosa, tra le altre, l'amicizia del Qrimm per la signora d'Épinay.
Ogni dama elegante dovea nel secolo passato avere per amico un let-
terato illustre. Il Voltaire aveva la marchesa del CbAtelet, Madame
D'Houdetot il Saint- Lambert, il Diderot mademoiselle VuUand (Sophie)
e coa'i di seguito, come nel secolo nostro molte signore vollero svero
p<>r loro rapitore un grande aKista (lu Saad Chopin, la oonteisa D'Agoolt
Listz, la Sceremetieff Dohler che sposò ecc).
B non vi è dubbio che se tali amicizie non possono essere appro-
vfitp né dalla Chiesa nd dal Codice Girile, e (knoo alle mogli dei
letterati od artisti, posposte ad Aspasia spiritose • seducenti, ed ai ma-
riti di quelle Aspasia una condiziune punto invidiabile, non tenuto conto
della offetto fatte alla l<^»;ge <« alla religione per una tal forma sedooMte
di bigamia, la nuova furmu di diserzione dalla regola matrimoniale offre
fure grandi vantaggi por< lid mantiene nimono fra i due beati che si
aroano senza essere marito o moglie, ansi a dispetto del marito e della
m<>(;l>e, una vera • v lenza ideale. Ottima cosa sarebbe che il primo
:ui.;,>M l'.'.-iiip,. i • ttiri.fi;,. f.,atfo 1! marito, e l'amica Idealo del
550 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
marito fosse la moglie; dovrebbe esser così nel migliore de' mondi pos-
sibile; ma, poiché un tal mondo non è possibile, quando nel matrimo-
nio le du« parti non hanno trovato la loro piena soddisfazione, e non
b-.sta all'uno ed all'altra l'adempimento de' propri doveri, e sì sente da
una delle parti il bisogno di una maggiore espansione, è sempre da
preferirsi una calda e fida amicizia con un uomo o una donna che si
stimi e si ami ad una semplice relazione con donne o uomini che of-
frano solamente sodisfazione agli appetiti più bassi e più fugaci, che
sono quelli de' sensi. Chi può ora interessarsi alle demoiselles Les Ver-
rière, presso le quali il signor D'Épinaj andava soltanto a divertirsi e a
rovinarsi ? I D'Epinav sono infiniti nel cosi detto gran mondo; e la storia
dei loro amori ci lascia intieramente indifferenti.; noi ci interessiamo al
disastro finanziario del D'Épinaj cagionato dalle sue orgie, soltanto
perchè quando il fermier general a cui non bastavano per sostenersi cento
mila lire annue di rendita, precipita, noi vediamo in quella rovina uno
de' tanti piccoli indizi delle cause che doveano preparare la rovina
della monarchia francese, e molto più ancora perchè, quando il signor
D'Épinay perde l'impiego, noi pensiamo subito a quello che diverrà sua
moglie, la bella, elegante, spiritosa amica del Grimm, I signori Lucien
Perey e Gaston Maugras che ci avevano già dato, oltre la corrispon-
denza del Galiani, un volume attraentissimo sopra La Jeunesse de Ma-
dame D'Épinoy e che ci promettono un nuovo volume che sarà letto
con molta curiosità sopra Madame U Iloudetot et Saint- Lambert^ ci rac-
contano ora in un bel volume in ottavo pubblicato presso Calmann Lévy,
Les dernières années de Madame D'Épinay. I lettori della Nuora An-
lologia sentono con me il fascino di tutta questa nuova letteratura di
carteggi e memorie, che nessun critico ha forse mostrato meglio di
pregiare che il Sainte-Beuve e non si meraviglieranno quindi se io tengo
come una buona fortuna la mia ogni qualvolta in queste rapide rasse-
gne posso fermarmi sopra uno di questi libri che ci fanno rivivere in
mezzo a tutto un mondo simpatico, come se divenisse nostro.
E fra tutti i carteggi, i più attraenti son quelli dove spira l'anima
d'una donna amante ed intelligente. Io oserei dire che non si conosce
bene alcun uomo fin che non si può sapere che cosa egli ha saputo
scrivere ad una donna da lui specialmente amata e quello che la donna
da lui specialmente amata gli scrisse. La donna ha, per eccellenza, il
privilegio d'ammansar gli orsi, di cavar fuori il dolce dui caratteri ap-
parentemente più ruvidi ed aspri ; essa è la miglior levatrice ideale che
si possa immaginare. Senza la D'Épinaj non si può dire di conoscere il
i
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 551
Grimm. Essa ci rivela il meglio di lui Scrivendo a le», egli mostra
molte qualità simpatiche che potevano rimanere ignorate. Dalle memorie
e dalle lettere di Madame D'Éjiinay viene poi fuori senipre più mani-
festo il mostruoso carattere del Rousseau, l'uomo forse più indegoo dì
essere amato, perchè nessano più di lui seppe mostrar-si ingrato agli
amici ed alle amiche.
Già il Sainte-Beuve aveva preveduto quello che il libro dei signori
Peiej e Mangra^j mette in piena evidenza, quando egli scriveva: « On
n'est pus ju'ite pour Grimm ; on ne prononce jamais son nom sans y
joiiidre quelque quuliiìcatiun dé^obligeantc; j'ai moi-niéme été longtemps
dans cette prévention et ni'en suis demandò la cause ; j'ai trouvó qu'elle
reposait uniquemeiit sur le témoignage de J. J. Rousseau dans ses
Confesxions. Mais Roiis-ìeaii, tuutes les fois que son amour-propre et
son coin de vanite malade sont en j-^u, ne se gène en rien pour mentir;
et j'en suis arri ve & cette conviction, qu*a l'égard de Grimm, il «
élé menteur. »
Non meno severo verso il Rousseau, il Saint-Marc Girardin ne
ava questo ritratto poco simpatico ma pur troppo evidente: < Rous-
seau dit qu'il est un étre a pari; il a raison; oui, il est a part non pas
seulement pour son caractére et par son genie, mais par sa vie et par
sa condition. Pauvre, il vivait avec des riches, chez des richeti et
n'oS'iit pas s*j faire servir ... Il arceptait tout le premier j jur, servioea,
bienfait<*, carrosses; il était prudigue & recevoir, si j'ose ainsi parler
(in verità, Tespressione e audacissima e bisogna osar molto per ado-
perai la); mais, des le lenlemain, il cominen^ait à faire ses eomptes et
tà^hait de s'arqnitter par le méotmtentement. Il recouvrait Tindépen-
dimce par Tingratitude ; alurs il senlait sa pauvreté et tea inconvé-
nieiits. mais c'éiait pour s'en fuire des griefs; alos il parlait tvco em-
piiate irgurìante de ses soul er4 qu'd netfojrait lui-méme au milieu de
vingt doiutfstiques qui le ««rvaient. 11 j avait rn lui toutat let sortes
do paiivr<*s; le pauvre timide et e m barrasse, le (>auvre envieux et
ingrat, eoAn le pauvre gouriné et dèdaroateur, ce qui e^it un genre de
pauvre tout rérent et qui pruce<le beaucoup de Rousseau. Ce sont tous
ces piiuvres le Imn et le mauvais, le vrai et le faux, que jo retrouve
dani cette lettre à Grimm, qui eat à la fois un chef>d*oeuvre d*élo-
quen'^e et rringratitude. »
Noi abbiamo avuto in Italia nn uomo di grande ingegno, che, pe|
suo r^anittere (ma con (|iirlclio linen più simpaticM) ricorda un p(^o il
lloiis4eau ; chi conosce la vita dui Foscolo lo avrà già nominato. Sou-
552 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
nioso d'indipendenza, eppure obbligato a ricorrere sempre agli altri per
campare la vita e mantenersi in quello stato che ambiva; dispiacente
di dover confessare i suoi obblighi, e persuaso di compensare abbastanza
i suoi benefattori e le sue benefattrici con la gloria della sua amicizia.
Non volle un solo padrone e se ne diede molti, ma tutti i freni ch'egli
si diede, morse sdegnoso. Ebbe la parola alta e a volte magnanima ;
non sempre l'azione le corrispose; senti talora l'invidia; non ebbe mi-
sura negli odii e nelle vendette ; tuttavia si ricordano nella sua vita
parecchi movimenti generosi che non s'incontrano nella vita del Rous-
seau; i suoi dispetti sono più alti; le vie di lui meno subdole; l'uomo
Foscolo vale assai più dell'uomo Rousseau. II Foscolo potente avrebbe
forse fatto cose grandi ; il Rousseau potente avrebbe sempre mostrato
quell'animo basso, che la natura e la prima educazione gli avevano
formato; egoisti entrambi, ma l'egoismo del Foscolo poteva esser be-
nefico all'umanità. La testa del Rousseau era più fertile d'idee; il cuore
del Foscolo più caldo e più capace di sentimenti buoni; scrittori del
resto entrambi eloquenti ed infelicissimi.
I documenti, lettere ed appunti offertici dai signori Perey e Mau-
gras furono scelti con molto giudizio ed attissimi a mettere in rilievo
il carattere e gli episodii più rilevanti della vita de' personaggi che
circondavano la signora D'Epinay; primo appare il pedagogo del D'Epinay,
il pedante Linant, che si rivela tosto nella sua ridicola pedanteria, in una
lettera al Grimm, che al suo autore dovette parere un capolavoro. In
viaggio la signora D'Epinay era stata presa da un male convulso; ecco
in qual modo il pedagogo ne dà l'annunzio all'amico della signora powr
communiquer avec précaution à madame dC Esclavelles, madre della
D'Epinay. « Quelle commission, monsieur que celle que me donne notre
belle convalescente et son cher époux, de vous tracer l'horreur de la
situation dont le souvenir giace encore mon àme d'effroi et suspend le
cours de ma piume! Je le dois, cependant, et l'heureuse délivrance d'une
personne si chère me rend le courage. » La lettera si conchiudeva con
queste parole : « Nous n'avons plus que des AlUluias à chanter ; nous
continuons la route, et M. D'Epinay fait à la prudence le sacrifìce de
sa tendresse, en cédant à M. Tronchin (il medico) sa place dans la
chaise à coté de madame son épouse. » Alcuni anni dopo lo stesso
pedante fa da spia in casa della signora D'Epinay, e finalmente da
suggeritore negli spettacoli che le signorine Les Verrière davano ad
una*''società molto allegra.
La signora D'Epinay recavasi per motivi di salute a Ginevra, ove
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 553
troravasi allora (1757) il Voltaire. Le convulsioni di Chàtillon che ave-
vano messo in pericolo la sua vita le avevano pure attirate le premure
di suo marito, che essa ricorda con una certa tenerezza in una sua
lettera al Grimm : < À neuf heures du soir, le médecin, que M. D'Epi-
nay était allò chercher, arriva, et après m'avolr bien examinée, il dit
qu'il me trouvait très-mal en effet, mais qu'il allait me donner un re-
mède qui, avant deux heures, me remettrait dans mon état naturel. Il
n'est pas possible de vous rendre le transport qui s'empara de toutes mes
gens à ces mots. M. D'Epinay sauta au eoa da médecin, et toas mes dome-
stiqaes se jetèrent à la fois à ses genoux. Je vous avoue que mon premier
moavement me porta à ètre encore plus aise de ces marques d'attachement
que da bonheur d'étre rendue à la vie. > Ma oramai sa questo ponto
il Grimm era rassicurato; ciò che lo tormentava era l'avere inteso che
Tamica sua, nemica d'ogni pratica religiosa, si fosse, nella sua malat-
tia, confessata. Essa racconta il caso in modo evasivo, come sa per un
lo riguardo verso il figlio, essa si fosse eonfessata: « Mais je rois
qn'il fant venir à cette confession qui voas tourmente. J'avais entendu
mes gens raisonner entre eax sur la nécessité de me {Mirler des sacre-
menta. Pea de temps après, Linant voulat en impoeer à l'enfant qui
riait et polissonnait aa fond de la chambre; il repondit que, si j'eosso
été si mal, son papa m'aarait fait confesser; et, dans nn moment qae
t le mond était éloigné, il vint prés de moia et me confla tout bas
M. Tronchin devait amener an confeneor. Alors, ne pouvant plus
tre censée Tignorer, je répondis & l'enfant que mon intention n'ótait
pas d^ttendre. J'appelai Linant, et le priai d'envojer chorcher le
care de la paroisse. C^tait an pajsan. Il me parut ivre, je lui parlai
en conséqucnce de son état, il ro'exhorta à recevoir les t»acromenta, ji>
lai représentai qae, romissant lass oatte, je ne le poavais pas en ce
moment. On me pressa snr rExtrémeOnction ; jn remi* A l'arriv^t^
(le Tronchin, et on n'osa plas m'en parler. »
Questo racconto si trova tuttavia alcun poco in eontraddixione con
i:iò che la stessa signora d* Bpinaj scrìveva al sao padrino d'Affry,
annunciandole che Voltaire 1' aveva tosto invitata a pranxo, e eh* sasa
aveva ricasato: « J'étais trop fatignée; d'ailleors m'étant oonfesaéeét
ajant re^a la oommonion l'avant-veille, je ne troavnis pas oonvcnable
de dfner chez Voltaire deux juurs après. > I signori Perey e Maugras
danno di questa apparente contradizione la spiegazione più probabile:
* Evidomment elle a toc^uars eo ao fond de l'Ame des sentlments re>
ligienx, main elle n'osait en convenir derant des sceptiques tela qu/
Voi^ Tt. Nari* Il — I ArrxiA IMI. H
554 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
Grimm et Diderot, et, sana avoir les préjugés d'une dévotion étroite,
elle attacha un grand prix à ce que ses enfants accomplissent leurs de-
voirs religieux. Elle n'a pas tout dit dans sa lettre a Grimrn ; nous
retrouvons la le défaut de caractère, dont elle s' accuse dans son por-
trait: — Je suis vraie, sans étre franche. » Sotto questo aspetto, le
madame d'Epinay sono numerose anche oggi ; e non solo tra le donne
ma tra gli uomini dell'età nostra accade spesso di notare simili incoe-
renze ; secondo 1' ambiente in cui il tale o la tale si trova, per una
specie di pudore nel trovarsi solo d'un'opinione contraria, si sacrifica,
con un po' di viltà, il proprio vero sentimento. Ciò proviene un poco
dalla elasticità stessa de' sentimenti; non avendo un convincimento ra-
dicato e profondo, non essendo intieramente sicuri d'esser nel vero, si
abbandona una parte di quel vago convincimento in favore dell'opi-
nione comune ; il timore di esser derisi, e di rimaner troppo soli, trae
spesso ad esprimere con qualche mezza parola sentimenti diversi dai
proprii. Il timore d' urtar troppo fa sì che si concede troppo, e che un
credente in mezzo agli increduli sorrida, per debolezza, a qualche motto
demolitore di tutto ciò eh' è sacro ; o qualche incredulo trovandosi in
mezzo a persone pie mostri anch'esso un po' d' unzione religiosa. Ciò è
un gran male; ma in un gran numero de' casi avviene che non si vuol
negare e non si vuol credere assolutamente; non si crede e si vorrebbe
credere; questo è lo stato più penoso, nel quale si trova forse il mag-
gior numero delle coscienze odierne, dico delle coscienze non degli
uomini, perchè non credo finalmente che siano molti gli uomini che
abbiano una coscienza e che se ne lascino guidare. ^
Ma la signora d' Epinaj , se ne avesse pure avuto la voglia, non
avrebbe scelto il miglior posto per fare la sua educazione religiosa; né
il suo migliore educatore poteva divenire il Voltaire, che di vicino di-
venne presto suo famigliare, non amico, perchè il Grimm, che era fi-
losofo ma uomo, non avrebbe rinunciato facilmente al predominio mo-
rale su quella che il diabolico Voltaire chiamava « ma belle philosophe. »
Le lettere che si scambiavano il Grimm e madame d' Epinay, nel
soggiorno di quest' ultima a Ginevra sono singolarmente importanti; e
forse pure le meglio scritte; valga, per un esempio, il ritratto che
•essa ci offre della nipote di Voltaire:
« J'ai été passer encore une journée chez Voltaire. J'y ai été récue
avec des égards, des respects, des attentions que je suis assez portée
è, croire que je mèrito, mais auxquels, cependant, je ne suis guère ac-
«outumée. Il m'a fort domande de vos nouvelles, de celles de Diderot
1.
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 555
■et de tous nos amis. Il s'est mis en quatre pour étre aimable ; il ne
lui est pas difficile d'j réussir. Sa nièce est à mourir de rire; e' est
*ine petite grosse femme toute ronde, d'environ cinquante ans, femme
<»mnQe on ne l'est point, laide et bonne menteuse, sans le vouloir et
sans méchanceté ; n'ayant pas d'esprit et en paraissant avoir, criant,
décidant, politiquant, versifiant, raisonnant, déraisonnant, et tout cela
sans trop de prétention et surtout sans choquer personne, ajant par-
dessus tout un petit vernis d'amour mascolin, qui perce à travers la
retenu^ qu'elle s'est imposée. Elle adore son oncia, en tant qu'oncle et
■en tant qu'homme; Voltaire la chérit, s'en moque et la ròvere. En un
mot, cette maison est le refuge et l'assemblage des contraires, et un
spectacle charmant pour les spectateurs. Voltaire m'a beaucoup plai-
santé sur ma confession de Chàtillon; il prétend que cette dóraarche ne
va point a ce qu'il connait de rooi; je m'en suis assez bien tiróe sans
me coropromettre, ni dévoiler mes véritables sentiroents. »
In breve la famigliarità cresce, e li può argomentare quanta fosse,
nel leggere la seguente letterina che Voltaire diresse da Losanna alla
sua. bella amica, per lagnarsi di esser dimenticato:
< Ma belle philosophe, vous étet un petit monstre, une ingrate,
line friponne ; vous le savez bien, ce n*est pas la peine de vous aimer.
Je ne vous reproche rien, mais voas savot tout ce que j'ai à vous re-
procber. Venez demain concher chez nous, si vous daignez nous faire
-cette bonneur et si vous Tosez. Venez, ma cbarmante philosophe! Ahi
Ah! Cest dono ainsi que... flt quel infìlroe procèdo. Mille respects. »
Non si può scrivere una lettera più insolente con maggior grazia; la
«ignora d'Epinaj osò, e ti recò subito a trovar Voltaire, allora tutto
occapato intorno al suo teatro.
Intanto che Luisa d* Epinaj si diverta a Olnerra e a LoMnna, cu-
randovi la propria salute, e vede spesso Voltaire, l'amico di lei Orlrom
le scrìve : « Vous avez dono dine de nonveau chez Voltaire ; je ne voii
pai pourquoi tant resister à set invitations; il faut tAcher d'6tre bien
«▼ec lai et d'en tirar paKi oomme de l'homme le plus séduisant, le
plos agréable et le plus célabre da l'Europa; pourvu (|iio voua n'on
vooliez pas faire votra ami intima, tout ira bien. »
Come il signor d'Epinay rimaneva il marito titolare, egli, Grimm,
voleva rimaner 1' amico titolare di Luisa. Egli doveva conoscer tutto
ciò che la riguardava, entrare in tutti i suoi interessi, a magari anche
prender sopra di sé 1* incarico di far delle paternali al marito dissipa-
tore. Curioso secolo il decimottavo! curiosi mariti! curiosi amici I I
55G RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
mariti del secolo decimonono né si prendono né concedono più tante
libertà. Ecco in qual modo incomincia una lettera del Grimm alla si-
gnora d' Epinay : « Je ne vous ai point dit, ma tendre amie, que j'avais
demandò un rendez-vous à madame d'Epinay. Voici pourquoi; lejour
de l'an, me trouvant dans une maison où l'on ignoro l'intérét que je
prends à vous, on y dit très-positivement que votre mari avait donne
quarante mille francs de diamants pour étrennes aux petites Verrière.
On tenait cette nouvelle de l'ouvrier méme qui les avait fournis. On
confirma ensuite une autre folle dont j'avais d(^à oui parler, e' est qu'il
avait acheté en leur nom une maison de vingt mille écus on il avait
déja dépensé près du doublé, et l'on travaille encore à l'embellir. Ju
l'ai vu hier enfin. Je lui ai cité tous ces faits et je ne lui cachai pas
qu'ils trouvaient d'autant plus de crédit qu'il avait une très-mau valse
réputation. Notre conversation a dure trois heures. Il m'a écouté avec
la plus grande douceur, niant la plupart des faits, se défendant mal
sur les autres, et me faisant des aveux faux pour ra'en imposer sur
le reste. Il m'a fait les plus belles promesses, mais il faut s'attendre
qu'il n'en sera ni plus ni moi ns. Il m'a domande très-sérieusement si
moì, qui le connais depuis longtemps, j'ai pu le croire un moment ca-
pable de tant d'extravagances. « Si j'avais pu en étre sur, monsieur,
lui ai-je dit, je ne vous en aurais pas parie, mais j'en aurais prévenu
madame votre belle-mère et madame d'Epinay afin qu'elles fissent ce
qu'elles se doivent h elles-mémes et à vos enfants. » Cela l'étonna sans
l'humilier. Il m'a juré qu'il ne voyait plus ses cféatures, et le moment
d'après, il est convenu d'y avoir soupé la velile. C'est un homme sans
ressource, car nous nous sommes quittés les meilleurs amis du monde. »
Homme sans ressource è un eufemismo che, nel linguaggio del se-
colo passato, dovea significare uomo senza onore e senza dignità. Un
gentiluomo, in vero, che può lasciarsi far la morale a quel modo dal-
l' amico di sua moglie, e non solo non lo mette alla porta, ma si scusa
innanzi a lui, e mente come uno scolaretto, deve davvero essere un
uomo sans ressource, ossia senza possibilità di risorgimento morale. Si
sarebbe dunque capito l'allontanamento della signora d' Epinay, ma non
si capisce invece come durino i loro rapporti e come il Grimm, pre-
cisamente il Grimm, entri ne' fatti loro e si mescoli ne' loro interessi, e
faccia da padre nobile in quel dramma domestico non privo d' incidenti
comici.
La signora d' Epinay scrive da lontano al marito lettere sempre
più aspre ; ma intanto essa stessa si distrae con Voltaire, che la mette
EASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 00 <
spesso di buon umore. Ecco un brano di una sua lettera birichina al Grimm
scritta con una vena felicissima.
« On n'a le temps de rien faire avec ce Voltaire; je n'ai que celui
de fermer ma lettre, mon ami. J'ai passe une journée seule avec lui et
sa nièce, et il est en vérité la à me faire des contes, tandis que je lui
ai demandé la permission d'écrire quatre lignes, afin que tu ne sois pas
inquiet de ma sante, qui est bonne. Il m'a demandé permission de rester
poar voir ce que disent mes deux grands yeux noires, quand j'écris.
.le veux te dire h son nez que je fadore; il est assis devant mei, il
tisoone, il rit, il dit que je me moque de lui et que j'ai Tair de faire
ma. critique. Je lui réponds que j'écris tout ce qn'il dit, paree que cela
vaut bien toat ce que je pense... Je retourne ce soir à la ville, où je
répondrai à tes lettres... 11 n'jr a pas moyen de rien faire ici. Quel
liomme ! Il m'irapatiente, mais il me fait rìre cependant. » À me questa
descrizione improvvisa sembra un capolavoro di grazia femminina; che
)>el soggettino per un quadretto di genere! Voltaire che guarda mali-
ziosamente negli occhi madame d'Epioaj che scrive sotto il naso di
lui (si dovrebbe dire, io buon italiano, alla barba di lui; ma Voltaire
non portava barba!) che essa adora Qrimm. Par di vedere quelle due
lK>cche maliziosamente sorridenti: quella di Luisa dice: iota la faccio;
f| nella di Voltaire risponde: monella 1 Ed ecco ano di que'casi ne'quali
si vorrebbe poter deporro la penna e prendere il pennello, e, invece d'im-
brattar carta, fare uscir vive vive dalla tela due figure che si agitano
già nella vostra mente, e chiedono soltanto di venir fuori e di par-
lare. Avanti Vinea, Favretto, DairOca, Pastoris e quanti mettete, fra
i nostri pittori, dello spirito nelle vostre tele; ecco un bel soggetto per
voi; il quadro ò g^à fatto; animatelo soltanto col vostro brio, con la
vostra grazia, coi voctri colorii
La storia do* saloni latterarii si chiuse in Francia con la morto
«lolla sempre compianta contossa Maria D'Agoult (Daniel Stern). Por
<|U0* saloni è passata, può dirsi, tutta 1* intelligeuta franooso, corno a
traverso rAccademia. Ma noirAecadenaia 6 una posa oratoria cho oi
4iasconde spesso il vero earaitero dogli oratori ; no' saloni, invece, ovo
ossi spendono la nìaggior quantitA di spirito, o noi colloqui intimi, oto
sfogano la maggior somma di seatimento, gli scrittori si offrono nella
condizione più vantaggiosa per moltore in evidenza i loro pregi e i loro
difetti ; la grazia e curiosità della donna fanno relTetto della vorghotta
magica di nocciuolo, battendo la quale sul suolo, le fate ne Canno uscir
fuori tesori nascosti. La donna è prosa sposso dall' uomo corno suo su'
558 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
premo confessore, perchè, se è abbastanza fine per non permettere che-
le si taccia nulla, per accorgersi di ogni dissimulazione, è poi anche in-
dulgente per dare 1' assoluzione a tutto quello che le si confida con sin-
cerità ed abbandono. È con essa che l'uomo ha la maggiore espansione
di sentimento e perciò per scrivere la storia delle- anime nessuna antoriià
è più sicura ed importante che il ricordo di una donna la quale ha ricevuto
preziose confidenze. Per avere la fisionomia mor^le_. perfetta dell' uomo
bisogna sentire quello che ne pensa la donna amabile, evocatrice dei
nostri sentimenti più riposti. Così noi conosciamo dalle lettere e dalie-
memorie della d' Epinay i suoi amici Galiani, Voltaire, Diderot e Grimm^
e, sotto una luce sinistra, il Rousseau, meglio che non siansi rivelati
essi stessi ne' loro scritti destinati al pubblico.
Perciò una storia dei saloni francesi nel secolo decimottavo e de-
cimonono può avere per noi un'attrattiva singolarissima. I fratelli Gon-
court ce ne avevano fatti conoscere alcuni. Altri ci vengono ora descritta
dal signor Feuillet de Conches, in uno spiritoso ed elegante vohim etto
pubblicato dagli editori Charavay, e intitolato: Les salons de conver-
miion au dioc-huitième siede- Il verso del Méchant de Gresset:
L'esprit qu'on veut avoir gate celai qu'on a
citato dal Feuillet de Conches, non vuol già dire che tutto lo spirito
dei saloni francesi del secolo scorso fosse manierato; ma che talora se
ne faceva troppo; mentre che nei coUoquii intimi si mostrava lo spi-
rito che si aveva, appena si faceva un po' di pubblico intorno a \\n
uomo di spirito, egli diveniva un attore, e cessava spesso di mani-
festarsi nel suo stato naturale. Ciò che succedeva allora, accade anche
adesso. Quanti falsi giudizii si fanno tuttora intorno a certi uomini che
si sono incontrati soltanto in conversazione, e si ammirano o si di-
sprezzano secondo il linguaggio che essi sogliono tenere in quegli ele-
ganti ritrovi quasi pubblici ! Si crede di avere la fisionomia dell'uomo,.
e si ha invece soltanto la posa dell'attore. Ma se quell'uomo sussurra
una parola nell'orecchio di un'amica intima, che non è sempre una
parola maledica, se si potessero sorprendere i loro discorsi più fami-
gliari, quale trasformazione, quali disinganni o quali amabili sorprese
ci sarebbero riserbate. E il motivo per cui si fa mostra e si fa tut-
tora, in società, di uno spirito che non è il nostro, è precisamente
quello che indica il signor Feuillet de Conches, il timore di essere-
classificati tra gli esprits notes. «. L'esprit, scrive l'autore, était deveni*
une aff"aire d'escrime et de tournois. Et comme tout le monde n'était.
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 559
pas pourvu d'une verve d'humeur native toujours diverse, toajours
nonvelle, on arrivait bien vite à se savoir par coeur les uns les autres .
Anssi la vieille comtesse de Sandwich avait elle surnommé les beanx
esprits de l'hotel de Brancas, des esprit notes. Eq effet, aux premières
notes de leurs gaietés, on devinait sur le champ la gamme du reste.
Qui donc aurait cru pouvoir se tirer d'aflFaire avec son esprit de tous
les joars? Celui-ci se jetait à corps perdu dans une conversation dont
il vonlait garder le de. Cet antre épiait roccasion de piacer un mot
à effet. On se battait les flancs pour épancher sa sensibiiiti, pour faire
de la ppofondeur et de la fiamme à la Jean-Jacques, pour s'envoler À
perte de vue dans la haute politique; car il n'est peut-étre pas de
siècle où plus d'idées politìques aient été remuées. On commentait le
Contrai social du philosophe de Genève, sans se douter que ce serait
un jour le catechismo des Jacobins. Mais, en revanche, il n'est pas
d'epoque qui ait eu moins le sentiment politique, si Ton considero le
ns pratiqae da mot. »
In que* tornei erano qnasi tatt« finte; si menava un colpo, non per
eolpir giusto, ma perchè ai potesse dire dagli altri giostratori, e spe-
cialmente dalle dame che aggiudicavano i premi ai vincitori: ò stato
nn bel colpo. Quanto pochi sono quelli che hanno tanta superiorità di
spirito da contentarsi di passare, se occorra, anche per imbecilli, in-
nanzi a una società, dove non si iknno altro, con lo spirito, che fuochi
artificiali, fuochi di gala; paghi d*esser compresi da nn amico o da
un'amica di una intelligenza superiore che li comprenda, e comprenda
pure il motivo di certe reticente. Io ho conosciuto uno scienziato fran-
cese che s*era fotto un crocchio di adoratrioi in un salone, non pren-
dendo mai alcuna parte ai discorsi che sì faoeTaoo, ma solo, di tempo
in tempo, quando gli occhi delle dame si fissavano OMggiormente sopra
di lui, atteggiando le sne labbra ad nn sorriso ioofliUlo, fine e signifi-
cativo, on po' maligno, nel qoale le soe adoratrìci vedevano ogni cosa:
< ah! qoel diable d'esprit! » e pure egli non aveva aporto bocca;
alcuna di quelle dame mi assicarava che ci erano in quello spirito
« des profbodears insoadablM » e, poiché sorridevo alla mia volta,
dicendo che anche il gran Lama taee sempre innanti ai profani, mi
lavano confosa e mal soddisfistto, cobo se avessi attentato alla
d'an Dio.
Ma si comprende bene che con tali Laooni non vi sarebbe con-
versazione né salone possibile. La socievolezza porta con sé natural-
mente la oonversasiooe, e nessun popolo nell'arte della eautirii raperò
560 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
il francese, specialmente il francese del tempo di Luigi XV. Gli ele-
ganti saloni delle piccole Corti italiane del secolo decimosesto si erano
allora trasferiti in Francia.
Il signor Feuillet de Conches incomincia col farci conoscere in un
modo un po' vago e confuso, i primi saloni letterarii francesi. Più pre-
cise notizie ci offre l'autore sopra i saloni di Madame Du Plessis, di
Madame de Sóvigné e di Madame de La Fayette. Di quest'ultima che
faceva a Parigi la politica di Casa Savoia combinata coi soli interessi
di Francia, saranno gradite qui alcune notizie:
« Marie-Madeleine Fioche de La Vergne, mariée en 1655, au
comte de La Fayette, avait eu, comme Madame de Sóvigné, Ménage
et le pére Rapin pour lui enseigner le latin, et sa sagacité lui avait
róvélé le secret d'un passage d'Horace sur lequel ces deux savants
n'ótaient pas d'accord. De plus. Ménage les rendit toutes deux fami-
lières avec l'italien et l'espagnol. Madame de La Fayette rfìcut à sa
residence de la rue de Vaugirard, près des jardins de Luxembourg,
une sociétó nombreuse et chosìe d'hommes de cour et de gens de let-
tres, parmi lesquels La Fontaine, qui avait dans sa destinée de pos-
seder des femraes célèbres pour amies et pour bienfaitrices, était
devenu un de ses fréquents visiteurs. Rien de plus connu que l'extréme
liaison de Madame de La Fajette avec le Due de la Rochefoucauld,
l'auteur des Maximes. Elle dura vingt-cinq ans, et la mort seule y
mit fin, en 1680. « Ils étaient nécessaires l'un à l'autre » disait Ma-
dame de Sévigné. Madame de La Fayette ne saurait plus que faire
d'elle-méme, après cette mort. « Tout le monde se consolerà, hormis
elle, ajoutait le marquise. La pauvre femme est tellement abattue de
la porte de M. de La Rochefoucauld qu'elle n'est pas reconnaissable. »
Elle survécut cependant dix années à cette porte et se livra alors à
la plus fervente et austère dévotion, sous la direction de l'abbé Duguet,
de Port Royal. Elle répugnait à écrire des lettres; mais elle causait
avec un charme, une abondance et un goùt inexprimables et brillait
parmi les hommes de lettres qui l'entouraient. Son cercle était un des
plus aimables de son temps. Elle avait beaucoup vécu avec la première
femme du frère de Louis XIV et en a écrit la vie. Elle avait aussi
été fort liée avec Marie de Nemours, qui devint femme de Charles
Emmanuel II de Savoie, et, après la mort de ce prince, régente de
Savoie, en 1675 ; son fils n' avait que neuf ans. Madame de La Fajette
finit par se retirer du monde, se disant toujours fort occupée et souf-
frante. Elle était en effet travaillée de nervosités et de vapeurs. Elle
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 561
n'avait pas attenda d'avoir le coeur déchiré pour se vouer à servir la
Régeote de Savoie comme agent secret, mieux que les officiels. Elle
avait depuis longtemps épousé tout entière les intérèts de cette princesse.
Il est difficile de se figurer une femme presque toujours alitée, sortant
d'elle-méme poar se multiplier avec une souplesse incroyable et entrer
dans tous les détails les plus niinutieux des afifaires litigieuses et des
intrigues de Madame Rovale. C'est cependant un fait dont une cor-
respondance, récemment dé^ouverte dans les archives de Turin, con-
firoaent le témoignage. Madame Rojale, c'est ainsi qa*0Q appelait la
Régente, comme, sous le règne précedent, on avait appelc Christine, la
fille de Henri IV, rvgente pendant la minorité de son fils Charles-Em-
manuel II. La France avait alors intérèt à pénétrer les secrets de la
cour de Tunn. Madame de La Fajette en recueillait directement les
confìdecens et les transmettait à Louvois. Ce qu'il v a de curieux c'est
que, pendant la régence de Christine un ministre fran^ais, Fuucquet,
qui aimait à se glissar partoat, avait ea une pareille curìosité. Il avait
établi À Turin une de ses ancieones maìtrenea, MAdemoiselle de Tró-
ceeson, nièce de Madame Da Pleaais Bellière, et lai avait donne de sa
main des instructions, pour qo'elle épiàt tous les agissementa de la
cour et lui en rendit compte. Il Tavait fait presentar par le vieax
Bmslon, ancien introducteur des ambassadeurs à la ooar de Louis XIII,
qai, envojé à celle de Turin poar organiser les oér^monies, s*jr était
''oncilié r*e bienveillantea relations. La reoommandati >n avait été ao-
coeillìe avec bienveillance, et la jeune Tréoesson s'était insinuée dans
les bonnes graoes de Madame Rojrale. Poucqaet était convenu d'un
chiftre poar designar let personnages des deux cours. Le Prisident,
était le roi; le Conuiiler, Mazarin; le Due Charles*Emmanuel, M. Du
Clos; U Régente est 3iadame Auòert; Madimoitelle Le Boy est U
princesse Margaerite da Savoje, sa fille; Madami du Rier est Mt-
daaaeDa Plessis; MademoUelle du Del ilù* est U niéoe da eatte dar-
nière. Mademoiselle de Tréoesson ; Moneteur est Colbert. Les noms da
lieux sont égalamant dégaisés; Cam est poor Ljon; Rouen poar
Paris; La Savoie poor 8aiat>Maadé. La oorraspondance da Madame
de La Pajette avait un tout aatre caraotére et autrement d'impor*
tanoe. Bile avait poar ol^et toas Ims événements politiques, le mouve«
roent des rélbrmas qua voulait introdalre le jeune due et qui étaient
ojotracarrés par sa mère. Un agent diplomatiqae était*il envo/é A
Paris, il venait prendre langue auprte de la comtessc poar ticher de
surprandra saa saorets, mais elle demearait boacbe dose, et ne disait
562 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
que ce qu'elle ne voulait point taire. Ce n'est pas en vain qu'elle avait
été surnommée le Brouillard. L'agent se rendait auprès de Louvois
où il avait toujours été devancé par Madame de La Fayette et trouvait
chez le ministre une opinion arrétée. Ainsi la politique de la Savoie
était conduite par le cabinet de Franco, et Madame de La Fayette
s'était montrée une habile diplomate. »
Nessuno si attenderebbe, senza dubbio, a trovare una pagina così
interessante di storia sabauda del secolo decimosettimo, in un libro de-
dicato ai saloni francesi del secolo decimottavo. Ma i libri de' curiosi
eruditi riserbano spesso simili sorprese al lettore. Non essendo tuttavia
probabile che alcuno cerchi del libro per quella sola pagina di storia
sabauda che non può immaginarsi di trovarvi, ho creduto opportuno
riferirla, rinviando il lettore al libro medesimo per quelle parti che
maggiormente lo interessano, od ove emergono parecchie figure di
donne spiritose, amabili ed intelligenti; tra le altre Madame de Vau-
vray, la Duchesse de Luxembourg, la Marquise de Lambert, Madame
de Tencin, Madame GeofFrin, Madame Du DeflFand, Mademoiselle de
Lespinasse, Madame de Simiane, Madame Filleul, Madame de Broglie»
Madame de Bussy, La comtesse de Lamassais, la Marquise de Duras,
la Duchesse de la Vallière, la Comtesse de Tessè, La Duchesse de
Kingston, Madame La Poupelinière, Madame Helvetius, Madame de
Graffigny, Madame Dupin, Madame Doublet, Madame Harenc, Madame
Necker, Madame de Cheminot ; quale splendida galleria di Aspasie se-
ducenti, quanto fuoco divampò in que' cuori, quanti lampi di luce in
quegli occhi, quanta grazia di sorrisi amabili, quanta somma di atten-
zioni delicate, di motti spiritosi, quanto fascino, insomma, esercitato
da donne per mezzo dello spirito, della grazia, della coltura e della
bellezza! Dopo il secolo di Pericle ateniese, il secolo decimosesto ita-
liano, le Aspasie non avevano trovato alcuna scena più splendida che
i saloni di Parigi nel secolo decimottavo; que' saloni si trasformarono
in templi delle grazie, ove si raccoglieva il meglio della soc'età fran-
cese. Potrebbe quasi dirsi che, senza que'saloni, non sì potrebbe fare
la storia francese del secolo passato. Il signor Feuillet de Conches è
un erudito ed un curioso; il suo libretto offre quindi pascolo alla no-
stra curiosità. Non può dirsi un lavoro storico; gli manca un po' di
afflato; il gran numero di piccoli fatti che egli dovette raccogliere, gli
vietò di abbracciare il suo soggetto dall'alto, e di fondere tutto il suo
copioso materiale in un tutto vivace che si colleghi; son note erudite più
che non sia una vera storia. Ma, così qual è, si legge pure con molto
f
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 563
frutto; né è a dispregiarsi lo stesso effetto che produce, cioè il desi-
derio di vedere le stesse figure di donna pia largamente illuminate e
rappresentate in un quadro più vasto.
Gli stessi editori Charavay che ci diedero l'operetta del Feuillet de
Conches pubblicarono in un bel volume in 8.*, ornato di un ritratto,
la Correspondance inedite de Condorcet et de Turgot (1770-79) curata
da Charles Henry, sopra gli autografi della collezione Minoret ed i ma-
noscritti dell' Instituto. Precede una introduzione, forse un po' troppo
vaga, sconnessa e generica sopra il secolo xvm; il signor Henry tradisce
poi, come scrittore, una mano ancora alquanto inesperta. Egli tenta in
essa il ritratto biografico e critico del Turgot e del Condorcet ; ma non
mi pare eh' egli sia riuscito ritrattista felicissimo. Quanto alle lettere
dell' illustre scienziato e dell' illastre economista e nomo di Stato sono
veramente importanti. Esse sono 253, dirette dal Condorcet al Turgot o
dal Turgot al Condorcet ; importanti, non belle, né scritte con molto
garbo, notiziarii più che altro; è evidente che sono scritte dadoe uomini
occupatissimi; ì quali non han tempo di farsi troppi convenevoli, e di limar
troppo i loro discorsi, ma s'interessano a molte cose, al di fuori delle loro
occupazioni ordinarie. Nelle lettere specialmente del Condorcet al Turgot
si trovano parecchie notitie letterarie, che oggi riescono molto curiose
per la storia letteraria del secolo passato. Vi è poi una confessione
singolare del Condorcet sopra il suo modo di tradurre, singrolare dico
per la sna grande sincerìtA : < Je suis aossi pea content quo vous de
la plupart des traductions, et sonrtout de celles que je fais. Je suis
trop puresseux pour *tre fort exact, et je ne traduis que pareo que je
sais que ma tradoetion ne sera vue que d'une femroe qui ne sait pas
le latin. Le mot propre me paratt soavent sussi difflcilo A trouver
qa*ane équation à résoadre ; je me contente d'un équivalent ; et au
litn d'sxaminer s*il est exact, j'assajo sealemeni sMI ne ftiit pas la
mémé imprstsion; st, s*!! sa troave nn endroit que je n'entonds pas^
je le puse. » Aloane lettere contengono pare formule algebriche e lo-
garitmi; degne di venir segnalate ai matematici, non sono, senza dub-
bio, le più divertenti per noi.
Il professor Rejrnald, ano storico già favorevolmente conosciuto*
per alcune lodate monografie, pubblicò testé un altro carteggio dei più
cariosi ed importanti, cioè le lettere che Luigi XIV scrisse relativa
alla saocaasione di Spagna, lettere lunghe, che gettano molta Inca
sopra il secolo che presa nome dal gran re, e contengono la ohisva di
avvenimanti sqccsssivi che hanno avuto specialmente una grande im-
564 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
portanza per V Italia. Le lettere di Luigi XIV, del re Guglielmo III,
del Portland e del Tallard rappresentano una serie preziosa di docu-
menti, sopra i quali, dal punto di vista della diplomazia francese, il
Reynald fece un lavoro parallelo a quello che il Goedeke compose già
sopra la « Politica austriaca nella successione spagnuola. » In questi
due volumi che ci mostrano Luigi XIV intento a fare da sé tutta la
sua politica imperiosa, ambiziosa, invadente, troviamo apprezzamenti
curiosi sopra il duca di Savoia, e scoperto un disegno molto ingenuo
di Luigi XIV, il quale non potendo prendere ogni cosa per sé, quando
gli fu oflferto Napoli con la Sicilia, terreno mal fermo, vulcanico, ove
gli Angioini e Carlo Vili non avevano potuto reggersi, pensò, per un
istante, mandarci Vittorio Amedeo II, Duca di Savoia, a patto che que-
sto cedesse tutti i suoi Stati alla Francia. È utile il conoscere i sogni
di Luigi XIV, poiché una parte di quei sogni dovevano essere, pur
troppo, realizzati da Napoleon3 III, e non ci farebbe meraviglia che
altri futuri monarchi francesi tornassero ad ambire Cuneo, Saluzzo,
Pinerolo, Aosta ed Ivrea ; la voglia d' allargarsi al di qua delle Alpi
non è mai mancata in Francia; speriamo che manchi sempre la possi-
bilità : « Il est du bien de mon service » scriveva Luigi XIV da Ver-
sailles al conte Tallard il 9 aprile 1700 « de vous confier une vue
que j'ai, mais dont il n'est pas encore tems de s'expliquer. Aussitòt
que le traité sera public, je prévois qu'il s' eleverà beaucoup de mur-
mures en Angleterre et méme en HoUande sur la cession qui m'est
faite des rojaumes de Naples et de Sicile et des places de la cote de
Toscane ; l'union de ces états et de ces places à ma couronne sera
regardée comme la perte du commerce des deux nations dans la Me-
diterranée; le pape et les princes d'Italie verront aussi cette cession
avec une égale peine; enfin jé pourrais trouver de grandes difficultés,
lorsqu'il sera question de me rendre maitre du rojaume de Naples et
de celui de Sicile, et les embarras ne seront pas moins grands pour
conserver l'un et l'autre ; on peut les éviter, òter aux Anglais et aux
Hollandais tout sujet de craindre pour le commerce du Levant, ras-
surer les princes d'Italie et gagner les Napulitains en leur donnant
un roi particulier. La vue que j'aurais pour cet effet serait de traiter
avec le due de Savoie, de lui céder les royaumes de Naples et de
Sicile, et les places des cótes de la Toscane, de recevoir en échange
la Savoie, le Piémont, le comtèe de Nice et généralement ious les pays
que ce prince possedè pi ésentement. La disposition du Milanais en
faveur du due de Lorraine ne serait pas changée, s'il voulait accepter
RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE. 565
ces états en éehange de la Lorraine, ou bien, à son refus, l'electeur
de Bavière serait appelé conformément à se qai est réjlé par le traile.
Il n'est pas temps, corame je vous l'ai marqué, de parler de cette vue ;
il fant attendre anparavant que les ratifications soient échangées ; mais
vous pouvez toujours m'informer de ce que vous jugez à peu près des
dispositions du roi d'Angleterre sor la proposition qui lui en serait
faite et cependant vous garderez le silence sur co que je vous com-
muniqne jasqu'à ce que voas ayez reca mes ordres. > La combina-
zione era senza dubbio bellissima per gli interessi della Francia e dì
Luigi XIV; ma si facevano i conti senza l'oste, ch'era il Duca di
Savoia. Il Gran Re lo temeva impegnato con l'Imperatore; si trattava
dunque di staccarlo da quell* impegno, facendogli intravedere cambi
vantaggiosi, ma in tal modo che non paresse la Francia oflFrire, ma
consentire; perciò Luigi XIV torna a scrivere al Tallard quando il
conte de la Tour arrivò in Olanda a trattare per Savoia: « Vous
savez que je consentirai» à Péchange de tous les ótats de ce prince
avee les rnjaomes de Naples et de Sicilie, si les choses se disposaient
lo manière qu'on vint à me la proposer. Il n'est point impossible que
né^ociation da corate de la Tour ne prodaise cet effet; miis il no
doìt jamais paraìtre que voas ajez JesMein d*j oontribaer; et si le
cas arrìvait, il faadrait que le consentement quo je donnerais à cet
éehange fut regardó corame un efTet do dósir que j'ai do maintenir
la tranquillilo generale. > Quanta doppiezza, quanta impostura; così
Napoleone III, cedendo la Lombardia, si pigliava Nizza e Savoia, e
sembrava ancora averci fatto grazia, e pretendeva anche la ricono-
ioanza non solo del Piemonte, non solo dei principi sabaudi, pri-
vati di una parte del loro dorainio, ma di tutta l' Italia unita, che a
dispetto di Francia, dell'Aostria e del Papa, per TolontA di Cavoar, di
Vittorio Emanuele, di Garibaldi, a di tutti gli Italiani s'è costituita in
nna sola grande nazione. E qoal merariglia che i principi Sabaudi, in
messo a tanti pericoli, a tante insidie, a tanto perAdi*), dovessero di
continao destreggiani. Il Tallard, nel vedere ohe il conte de la Tour
trattara direttamente col re d' Inghilterra • spediva continui corrieri ni
suo principe, non essendo riosdto con la sua arte diplomatica a sco-
prire il mistero di qoelle trattative, dava al Gran Re ossia al Torcy,
un consiglio, che lo storico Rajnald dice, con ragione: « aussi simple
qoe pea scrupuleux. Le eoarrior de M. de la Tour traverserà la Franca ;
ce serait un beaa coup d* épóe quo de fai re voler le courrier, ou de le Aiire
enivrer et de lui enlever ses papiers. Il indique méme le jour 06 pas-
5C6 RASSEGNA DELLE LETTERATURE STRANIERE.
Sera le courrier et, corame s'il craignait d'avoir ótó mal compria, i^
ajoute: « Un horame averti en vaut deux, et jamais lettre n'a rien
valu ou eelle-ci vaudra de i'argent. » Luigi XIV non credette oppor-
tuno ricorrere a tale estremo, e avrebbe preferito entrare in accordo
col Duca di Savoia; tuttavia, quando per un momento egli spera (va-
nissima illusione!) che il Duca di Savoia consentirebbe al trattato,
scrive subito, per ritirare una parte delle sue promesse : « Si cette pro-
position est suivie et que cet échange ait lieu, mon intention n'est pas
d'j comprendre les places do la còte de Toscane; la puissance du due
de Savoie deviendrait trop considérable. » Così, nel 1859, l' intenzione
di Luigi Napoleone non era che la Toscana si desse a casa Savoia, ma
che si costituisse in principato ligio alla Francia sotto il principe Na-
poleone. La storia ci offre, a saperla leggere, occasione di preziosi
riscontri. In un'altra lettera, Luigi XIV fa sapere che egli conserve-
rebbe pure per sé la Sicilia.
Il Duca di Savoia ebbe notizia di questi tentativi; lasciò dire; la-
sciò anche che si credesse possibile il cambio ; nel vero, non fece punto
note le sue intenzioni, pago d'accorgersi che, nel trattato definitivo, egli
pure avrebbe contato. Luigi XIV, alfine, si ritirò egli stesso, e mutò
disegno, avendo altre ambizioni, e premendogli sopra ogni cosa di stac-
car Savoia dagli imperiali; quindi il consenso promesso in nome della
Francia, di cedere al duca l'ambito milanese.
I lettori della Nuova Antologia si ricorderanno forse di un interes-
sante opuscolo di Charles Nauroj qui annunzialo nell'anno scorso intito-
lato : Les secrets des Bourbons. Lo stesso autore mise insieme un altro
volume di ricerche storiche curiose, pubblicato dagli editori Charavaj
sotto il titolo : Les derniers Bourbons, Le Due de Berry et Louvel, Les fa-
vor ites de Louis XVIII Ladernière maitresse du cotnte d' Artois, La Fem-
me du Due d' Enghien. Fatte su documenti originali, inspireranno fiducia
allo storico ; al pubblico semplicemente curioso offrono pagine attraenti ; la
storia è trattata dall'autore come un giudice d' istruzione tratta gli atti
processuali; fredda, ma in quanto i documenti sono autentici^ esatta e
sincera ; veridica poi, è un altro conto, quando i documenti più autentici
possono essere fra loro contradittori.
Firenze, 15 luglio 1883.
A. Db Gubernatis.
RASSEGNA DRA^DIATICA
I teatri estivi — Le tragedie d'Alfieri — Le novità — Il Fante di tpade,
dramma del signor Moddobì — La Marchesa Aleardi, d'aatore anonimo
— So tutto, del Salveatrì — L'eccezione delle vedove, del Sinimbergfai —
L'ultima recita, della signora Pierantoni-Hancini — La Donna palUda^
del Castelveechio.
Un capo ameno ha diviso U leiteratora drammatica in due cate-
gorie: la invernale e la estiva. Vi sono degli autori che durante rio-
remo, quando sono aperti i principali teatri di proM, invano ti affa-
ticano per ottenere che i loro figliuoli aleno tenuti a battesimo da
qualche pietoso ed autorevole capo-comico. Quella non ò stagione da
esperimenti, e col pubblico del Manzoni di Milano o del Valle di Roma
non si 8ch«n%. L' avveduto e prudente direttore di una compagnia
drammatica non vuol compromettere gì* interessi della oa$$etta^ iisM
lungi da sé gli autori novellini e, salvo rtre •ooezioni, non rappreienU
unn novità se non ha la oertesui che, nel caso sempre possibile d' on
fiasco^ la sua responsabilità possa ripararsi dietro il nome di uno scrit-
tore già altre volte favorevolmente giudicato. Questa regola, s'intende,
viene applicata soltanto agli autori italiani; quanto ai francesi è nn
altro affare. Tutti i drammi e tutte le commedie ohe giungono diret-
tamente da Parigi, tono eapolavori fino a prova contraria. Ansi, di
prove se ne richiedono parecchie per dimostrare che, a ragion d'esemplo,
il Romanzo parigino è un dramma sbagliato, e Tite de linoite una
palcioellata priva di sale.
Agli scrittori italiani che muovono i pnnn panai sul palcoscenico,
rimane il conforto della canicola. Quando fa caldo, i nostri oàpoeomici
568 RASSEGNA DRAMMATICA.
certi dubbi, certi scrnpoli pudibondi non li hanno più: recitano nelle
arene e nei teatri dove si fuma e dove il pubblico è disposto all'in-
dulgenza. I critici sono in villeggiatura, e d'altronde, col terrnoraetro a
trenta gradi nessuno avrebbe il coraggio d'impegnarsi in una polemica
letteraria col pericolo di buscarsi una congestione cerebrale. Allora in-
comincia sulle scene italiane la più strana sfilata di aborti che si possa
immaginare; allora la cronaca teatrale narra le sanguinose gesta dei
Barbieri e degli Anselmi, e non vi è studentello di liceo, a cui non
sia lecito di esporre al pubblico il frutto de' suoi amplessi colle muse.
A Roma questa divisione di categorie risponde, più che altrove, alla
verità. Si ricorderà per lungo tempo il diluvio di novità drammatiche
che, qualche anno fa, nei mesi di luglio e di agosto, inondò le tavole
del vecchio Quirino. La legione degli scribacchiatori si sbizzarrì a sua
posta e un cupo dramma del sullodato Barbieri, Lo spettro del Colosseo
guidava la ridda infernale. Ora il Quirino è rinnovato, ripulito, ma
non ha perduto interamente le tradizioni democratiche, e quando, come
quest' anno, vi capita qualche discreta compagnia di prosa, si stacca
tosto dal Parnaso la solita valanga. Lo stesso avviene all'Anfiteatro
Umberto, olim Corea, e qualche frana va pure a colpire la cupola
del Costanzi. Abbiamo dunque, nell' estate, un considerevole movi-
mento drammatico sui genens, che non dev' essere lasciato passare
inosservato da chi desidera di conoscere bene a fondo le condizioni e
le vicende del teatro italiano. E noi lo riassumeremo e lo esamineremo
brevemente, anche perchè qualcuno di questi lavori estivi sarà, a parer
nostro, abbastanza forte e robusto ancora fra qualche mese contro i
rigori del freddo. Si badi che diciamo fra qualche mese e non fra
qualche anno, perchè la longevità è privilegio delle opere del genio.
L' indirizzo del teatro si muta, nuove scuole sorgono, il pubblico si
lascia sedurre da nuove attrattive, ma, ciononostante, tutte le manife-
stazioni artistiche che hanno un' impronta veramente originale pel tempo
in cui vennero alla luce, e che esercitarono un' azione diretta, efficace
sul progresso sociale o politico di un popolo, non muoiono mai intera-
mente, neanche dopo che lo scopo al quale s' inspirarono fu da un pezzo
raggiunto.
Queste considerazioni ci tornavano alla mente non ha guari, quando
Alamanno Morelli, all'Anfiteatro Umberto, richiamava all' onor delle
scene la Virginia di Alfieri. La tragedia sullo stampo alferiano è, senza
dubbio, una forma antiquata dell'arte drammatica. Ma quando la Vir-
ginia, e il Satd, e i Bruti, e V Oreste furono scritti, rispondevano ad
RASSEGNA DRAMMATICA. 569
nn bisogno del tempo, e dalle pastoie della tragedia classica prorompeva
l'idea patriottica e liberale, o, quanto meno, la sdegnosa protesta contro
l'oppressione e la tirannia. E perciò qaelle tragedie rimangono ancora
come l'estrinsecazione di un generoso pensiero e di un forte e vigoroso
ingegno in mezzo alle sdolcinature dell'Arcadia. Anche quelle parti di
esse che ora ci sembrano para rettorica, erano allora necessarie all'a-
dempimento di un ufficio altamente civile. Qaelle tragedie sono circon-
date e difese da un'aureola di patriottismo che, per quanto si faccia,
non si riesce a distruggere. Che la società presente non debba essere
plasmata sali' ideale dell* Alfieri, si capisce facilmente; ma in teatro
dove le impressioni del pubblico ingenuo hanno il sopravvento sui ra-
gionamenti del filosofo e dello statista, l'Alfieri esercita sempre un fa-
scino contro il qaale è pressoché inatile il tentar di reagire. Aggiun-
gasi che, data quella forma, è ingiusta V accasa mossa dalla critica
moderna all'Astigiano, di non aver saputo mettere solK scena aomini
vivi e veri, di carne e d* ossa, ma soltanto fantocci mossi da un filo
grossolano e visibile ad occhio nudo. É il 4>arattinaìo, si dice, ò Taa-
tore, che parla, non gìh il personaggio; quindi nulla di amano in
qaelle tragedie, ma tutto convenzionale. L'aspra censura ò confutata da
due fatti; il primo che le tragedÌQ dell' Alfieri, convenientemente rmp-
[tresentate, si reggono ancora, la qaal cosa dimostra che ìntareesano e
commuovono. E per interessare e commuovere Io spettatore si richie-
dono uomini e passioni e non fantocci e fili. Il secondo, che alcuni dei
: orsonaggi delle tragedie alfleriane sono restati come tipi perfino nel
linguaggio comune; e questo non sarebbe accaduto se qaei personaggi
non futisero che automi. Del resto, nun intendiamo d' intraprendere qnì
ano studio profondo delle tragedie d'Alfieri; abbiamo volato soltanto
prender nota della risurrezione della Virginia sulle some romane dalle
qnali per molti anni era stata bandita, e riferirne il lieto suooetso
■piegandone sommariamente le ragioni. Nella Virginia oggi ancora si
ammirano pregi teatrali di prìm'ordine; l'impeto, la rapidità dell*a-
/ one, l'arte di t(>ner sospesa rattentioae dell'oditore. E di uguali quulitA
nono nncor più ricche altre tragedie dell* Astigiano ; il Saul por esempio
rir A il suo capolavoro, e sotto on altro aspetto la Mirra, eh' è la più
ardita di tutte e si avvicina alla grandezza della tragedia grtoa.
Se veramente si ha da formare un repertorio italiano, se una volta
o l'altra si effettuerà il sogno di ona compagnia permanente, sarà
inevitabile, a nostro avviso, che questa ritomi, con nna certa miaora
e colle dovuta cautele, anche al nostro antico teatro tragico. Non
ToL ZI., ««rto II - I AfoaM 1SS& IT
570 RASSEGNA DRAMMATICA.
perchè questo debba oggi esser preso a modello, ma perchè è parte
nobilissima e preziosa del patrimonio artistico e letterario della nazione.
E con Alfieri, non ne dubitiamo, risaliranno a galla anche il Pellico,
che ha scritto tragedie migliori assai della Francesca da Rimini, e il
Marenco padre che ha dato alle scene un Buondelmonte di gran lunga
superiore alla Pia de' Tolomei, e fors' anche il Niccolini... più assai col
Giovanni da Precida che coW Antonio Foscarini.
Ma è tempo oramai di chiudere la digressione e di ritornare al-
l'argomento principale della nostra rassegna, la quale più che al pas-
sato 0 all' avvenire, suol tenere lo sguardo rivolto al presente. La
compagnia Morelli, una delle più antiche e rispettabili, durante la sua
breve dimora all'Anfiteatro Umberto, oltre alla riproduzione della Vir-
ginia^ ha posto in iscena alcune novità, che non tutte però meritano
di venir qui rammentate. La più importante di esse, quella, se non
altro, che schiuse più vasto campo alle discussioni dei giornali, fu un
dramma del signor Monnosi, Fante di Spade. Il Monnosi, giornalista
e critico teatrale, ha in tale qualità menato la sferza sulle spalle degli
autori novellini ed anche dei provetti. Il critico che dal pian terreno
corazzato del suo giornale ha il coraggio di salire sulle tavole del pal-
coscenico e darvi battaglia, si espone necessariamente a vendette e
rappresaglie feroci. È quasi superfluo il dire che il Fante di Spade
non solo non vinse la partita, ma procurò all'autore un cappotto in
piena regola. Sarà un errore, ma, sovratutto in Italia, il critico che,
alla sua volta, interroga con un' opera d" arte il giudizio degli altri
critici e del pubblico, ha l'obbligo di mostrarsi superiore a tutti co-
loro che da lui furono più o meno severamente giudicati. E questa,
per avventura, è una delle cause del discredito nel quale, a ragione
0 a torto, ò caduta la critica nel nostro paese. Se 1' ufficio di critico
è un impedimento, un ostacolo a misurare le forze del proprio ingegno
in qualunque altra parte o forma dell' arte, ne viene di conseguenza
che, di regola generale, vi si consacrino soltanto coloro i quali si
sentono impotenti a raccogliere altra messe di allori artistici o let-
terari. Di qui la scarsa autorità del critico in Italia, mentr'essa è assai
più considerevole là dove questo pregiudizio non esiste. E d'altra parte
è pure un errore gravissimo il credere che, in ogni caso, condizione
indispensabile del giudicar rettamente sia il saper fare meglio di ogni
altro ciò che si è chiamati a giudicare. Per i due uffici si domandano
qualità diverse, che qualche volta si trovano riunite, ma non sempre;
sovratutto quanlo trattasi delle arti e delle lettere nelle quali ha
RASSEGNA DRAMMATICA. 571
grandissima parte l' invenzione, dono a pochi concesso e negato a molti
di coloro che, per altro, sono in grado di esaminare un' opera letteraria
o artistica sotto l'aspetto storico e critico. In altri termini, le qualità
del critico e quelle dell'autore sono diverse fra loro, possono esistere
e risplendere separatamente, ma nulla vieta che si trovino riunite nella
medesima persona.
Non ricercheremo, pertanto, qual valore abbiano gli articoli di cri-
tica scritti dal signor Monnosi in parecchi giornali ; nel Fante di Spade
rappresentato all'Anfiteatro Umberto sta davanti a noi solamente i'au-
torfc diammatico, contro il quale fu pronunziata dal pubblico una severa
sentenza. Il Fante di Spade porta l' impronta di una scuola che ritiene
[>oter8Ì impunemente recare sulla scena tutti i fenomeni della vita reale,
compresi i più mostruosi, i più ributtanti. Nel dramma del signor
MoDDoai abbiamo un'amore incestuoso... che non è una novità sui teatro.
Citammo più sopra, per incidente la Mtrra d'Alfieri; potremmo ram-
mentare la Fedra e tntvare parecchi altri esempi nel teatro antico e
moderno. Noi siamo aaiai larghi circit la scelta del soggetto, mm fu
osserTato giustamente che quanto più esso ò scabroso, tanto maggiori
dercno essere le cautele dell'autore per Cirio accettare dal pubblico. La
scuola invece di cui parliamo, professa U dottrina che la situazione
arrischiata debba essere crudamente esposta. Non sappiamo, in Terità,
fin dove si possa giungere con questo sistema. Ad ogni modo gli scrit-
tori francesi, che più frequentemente lo mettono in pratica, hanno ca-
teche bisogna attenuarne gì* inconvenienti colla rapidità fulminea
dell'azione. Si conquista il pubblico per sorpresa, s* impone sìlenaio, ai
suoi scrupoli, o, per dir meglio, non gli si dà il tempo di scenderò nella
propria cotcienta. Eppure l'artificio noo sempre rieio«; lo sa il Dumas
Aglio, che pure non si è accinto mai ad una irapreta oosk ardoa coma
luella bene o male compiuta dal signor Monnosi.
Nel Fa$Ue di Spade si svolge nienteuMBO che questa situazione:
il figlio naturale di ooa sigoont, ignorando eh* essa è sua madre,
s' innamora perdatàmenie di lei. E sapete qual* è la scena capitale del
dramma ? È proprio quella della dìehianuùooe d'amore che questo buon
figlinolo fa a sua madre. E il poTeretto seguita ad incalsare fino a ohe
la signora non gli dice: ma bada ohe sei mio figlio! Tutto ciò Tiene
o^ìOiU» senza pfeparatiooe alcuna, brutamente. Anzi questa brutalità
(ci ni consenta il Tocab(^) è un merito per la scuola alla quale evi-
dentemente il signor Monnosi appartiene. Il pubblico dell' Anfiteatro
''mberto — pubblico che ordinariamente bere grosso — ti è fortemente
572 RASSEGNA DRAMMATICA.
S'Jegnato contro l'autore e ha fischiato di santa ragione la famosa scena
e tutto il rimanente del dramma. Dobbiamo conchiudere che il signor
Monnosi sia stato colpito da una sentenza d' incapacità assoluta a scri-
vere pel teatro? Nemmeno per sogno. Toglietelo dall'ambiente in cui
volontariamente si è posto, ed egli vi darà forse una commedia vivace
spigliata, brillante come quella del Gherardi del Testa. Anche il Mon-
nosi è toscano, il che equivale a dire che maneggia il dialogo con
somma facilità e che ha il frizzo garbato e spontaneo. La parte mi-
gliore del suo dramma è quel po'di comico ch'egli vi ha messo. Il Mon-
nosi è uno dei tanti peccatori ai quali non dobbiamo stancarci di pre-
dicare il ravvedimento e la conversione. Egli ha un solo mezzo di ri-
scattare le proprie colpe: scrivere una schietta, buona e gaia commedia.
Non è vero che la commedia non piaccia più al nostro pubblico
Abbiamo la prova del contrario nel fatto che, in mancanza di commedie
corre alle operette, o si contenta magari di qualche farsa francese di-
luita in tre aiti come Lo Slrafagemma di Arturo. E basterebbe a
rimuovere ogni dubbio il successo ottenuto da alcune nuove com-
medie in uno u due atti al teatro Quirino, dove la compagnia Pasta
tenne il campo per più di un mese, con grandissimo onore. Anche fra
le novità italiane rappresentate dal Pasta troviamo un truce dramma,
La marchesa Aleardi, che giunse a stento sino al fine delia rappresen-
tazione. Non turberemo le ceneri di questo dramma e tanto meno quello
dello sventurato suo autore, il quale benché anonimo sul manifesto del
Quirino pure si seppe ch'era uno scrittore di belle speranze, morto non
ha guari nel fiore degli anni. Più fortunate della Marchesa Aleardi
furono le tre commedie So lutto del Salvestri; V Eccezione delle vedove
del Sinimberglii e V Ultima recita della signora Pierantoni-Mancini,
gentile scrittrice ben nota ai lettori della Nuova Antologia.
Il Salvesfri non è più un esordiente e va stimato sovratutto perchè
non è di quelli che invidiano le glorie d' Icaro. Gli son riusciti bene
alcuni tentativi di commedia leggiera ed egli è rimasto fedele a questo
genere di lavori teatrali. Nelle sue coramediole le fila dell'intreccio si
annodano e si sciolgono sempre piacevolmente. Lo studio dei caratteri
è alquanto superficiale e non sappiamo se, fra qualche anno, del Sal-
vestri e del suo repertorio resterà traccia o memoria. Ma intanto ci
sollevano di quando in quando dal peso delle tesi e d^Ue discussioni
sociali sul palcoscenico. So ty^ito è una bizzarria comica che diverte il
pubblico per un'oretta. E a rigor di termini e' è anche in questa com-
media la sua brava tesi, giacché insegna che chi dice di saper tutto
RASSEGNA DRAMMATICA. 573
finisce per saper davvero quello che non sa, e qualche volta anche ciò
che non desidererebbe di conoscere. Ma la lezione è data in forma
amena, per quanto paradossale.
Un altro giovine che palesa una singolare attitudine a scrivere pel
teatro, ma finora non ha dato saggio di sé in lavori di gran lena, è il
Sinimberghi romano. Anch'egli, come i! Salvestri, possiede la così detta
'is comica; è per avventura meno fine, meno compassato, ma, in
compenso, gli accade spesso di promuovere la più schietta ilarità non
collo spirito del dialogo, non colle frasi a doppio senso, ma con la eo-
nicità (se cosi possiamo esprimerci) della situazione. Questo, a parer
tre, è il carattere del vero autore comico; la sostituzione del dialogo
;iii utuazione è un sotterfugio a cui ricorrono coloro che non sanno
nvc are ed intrecciare una favola e trarne effetti comici. Lo spirito
■'■■I. 'I qo nelle commedie si può paragonare, in molti casi, alle tiraU
e alle d 'amazioni rettoriche in certi drammi storici, nei quali razione
procede fi ra, stentata, slegata.
Non ci "herebbe meraviglia che il Sinimberghi fosse inconsape-
vole della prò '-ia forza. Ne vediamo un indizio nei suoi frecjuenti e
intempestivi oo.. *i per andare in traccia del frizzo che, secondo lui,
<leve rialzare le orti della commedia a procurargli gli applausi del
l'ubblico. In questi oi tentaMvi di rado è felice. Mancando 1* oppor-
tunità di essi è chiaro ' e, la maggior parte delle volte, non raggiungono
lo scopo, senza contar*, ooi che il Sinimberghi, il quale ó tanto abile
nel trovare e porre in L ' il punto comico di una scena, non sa sempre
guardarsi nel dialogo, dagi «cherzi triviali anziché nò che indispongono
il colto pubblico invece di r egrarlo.
Questi sono pure i difatti Ila Eccezione delle vedove^ la quale ha
.vnto un gran Mccesso a Roma, ma potrebbe averlo minore o anche
' ide-e altrove se Tautore, non tog me dal dialogo tutte le piante pa-
r aaaite eb« vi ha lasciato germogliar. Il soggetto della commedia, non
riQovistimo, dà loogo, perft, ad una •*>. e di loene gaie e divertenti.
.'Eccesione delle vedove è noa giovine Ignora che, perduto il primo
marito, ha giarato di non passare a modi. 3 notxe. Ma sopraggiunge
l' inevitabile cugino, e la vedovella, persuasa che soltanto il matrimonio
; nò salvarla dagli strali delle male lingue, prende m^trito la seconda
olta. Il lato veramente comico di qneeto breve scherso sta in ciò che
l'er la leggiadra vedova, oltre il cogino, spasima pure un vecchio im*
becille e che tutti i ragionamenti per trarla a violare il giuramento
son fatti da quest'ultimo, il quale, credendo di lavorare per tè, lavora
574 RASSEGNA DRAMMATICA.
invece pel rivale. E l'effetto, secondo noi, sarebbe ancor maggiore se
il vecchio ganimede non rasentasse troppo spesso la caricatura.
kìV Ultima recita della signora Pierantoni-Mancini non si può ne-
gare, in primo luogo, il merito di una favola ingegnosa e simpatica.
Una giovine attrice il cui matrimonio con un bravo giovinotto è fie-
ramente contrastato dai parenti di lui, si finge vecchia, e recita per
l'ultima volta una scena di sua invenzione che le assicura la mano
del fidanzato. Le commedie di questa fatta si reggono in gran parte
per l'abilità dell'artista a cui ne è affidata l'esecuzione. Del buon suc-
cesso deW Ultima recita ha dunque un po' di merito anche la signora
Campi, il che non toglie che la commedia per sé stessa abbia pregi
non comuni d'invenzione e di stile, e, in essa, pari all'eff'etto teatrale
sia il valor letterario.
Partiti da Roma il Morelli e il Pasta, son loro succeduti il Monti
e il LoUio. La compagnia diretta da Luigi Monti, che recita all'Anfi-
teatro Umberto, ha passato finora in rassegna un repertorio stantìo. La
compagnia LoUio, che ha piantato le tende sul vastissimo palcoscenico
del Costanzi, procura di allettare il pubblico coi drammi clamorosi. Ne
ha una considerevole provvista, con la quale potrebbe intraprendere il
giro delle Arene drammatiche del mondo intero. Di questo formidabile
bagaglio fa parte anche la Donna pallida di Riccardo Castel vecchio,
applauditissiraa qualche mese fa a Milano ed accolta con favore anche a
Roma, dove però il successo è stato più tranquillo e al tempo stesso
meno proficuo pel capocomico, giacché della Donna pallida non furono
date al Costanzi che due o tre rappresentazioni. Scomparsi dalla scena
del mondo il Giacoraetti e il Gherardi del Testa, Riccardo Cast^lvecchio
è forse il decano dei nostri autori drammatici. E, ad ogni modo, è un
veterano del teatro italiano. La Cameriera astuta, felicissima imita-
zione goldoniana, La polvere negli occhi riduzione in versi di una
commedia francese, il Foscolo, vigoroso dramma storico, sono i suoi
principali titoli di benemerenza verso la drammatica. Ma ha scritto
assai più e lunga sarebbe la lista de' suoi lavori dimenticati, oppure
che di rado fanno capolino sulle scene. Il Castelvecchio possiede in
sommo grado, come si suol dire, la pratica del teatro e delle sue esi-
genze. Nessuno meglio di lui sa, nei momenti difficili, somministrare
al capocomico ciò che gli é necessario per salvarsi da una crisi. Si
dirà che, in tal guisa, l'arte diventa mestiere, ma probabilmente il Ca-
stelvecchio non ha mai avuto in animo di esercitare un alto sacerdozio
e di assidersi fra i sommi pontefici della drammatica. Egli incominciò
RASSEG^'A DRAMMATICA. 575^
a scrivere quando ben pochi tenevano gli sguardi rivolti a certi ideali
che, per verità, non furono raggiunti neanche dopo. Il Castelvecchio,
uomo coltissimo, ha dato prove, a più riprese di non essere un volgare
scribacchiatore. Anche ne' suoi lavori meno felici si vede V impronta
del letterato. Ma, al tempo stesso, V autore della Donna pallida fu
sempre ed è ancora uno di quegli scrittori che si adattano ai bisogni
delle compagnie nomadi e degli artisti ai quali sta quasi esclusivamente
a cuore di dar saggio della propria abilità. In generale i comici amano
gli scrittori che vivono la loro vita e si adoperano a soddisfare la loro
vanità, i loro pregiudizi. Convien pure riconoscere che il Castelvecchio
si piega a queste debolezze con un certo garbo. Dal soggetto della
Donna pallida il sanguinario Barbieri avrebbe tratto fuori un dramma
trace, pieno di tradimenti, di morti, di diavolerie. Il Castelvecchio, e
di questo va lodato, ha lasciato neir ombra la parte spettacolosa del-
l'argomento, mettendo in luce gli affetti gentili e riuscendo, a più ri-
prese, a commuovere gli spettatori. Si è osservato che il primo atto
della Donna pallida ricorda Frov-frou; a noi parrebbe più giusto il dire
che il punto di partenza, da cui prese le mosse il Castelvecchio, è quasi
identico a quello del Suicidio di Paolo Ferrari. Nel Suicidio è il marito
che, rimasto miracolosamente in vita, ricerca dopo molti anni ciò ch'è
avvenuto della sua famiglia; nella Donna pallida è la moglie che,
polta viva, e uscita per un prodigio, dalla tomba, ritroTa dopo un
ungo tratto di tempo il marito e la figlia. Ma qui finisce la somiglianza
Imperocché nel dramma del Ferrari il protagonista giunge in buon
punto a restituire la pace a* suoi cari, mentre l'eroina del Castelvecchio
turba, colla sua risurrezione, la felicitA del marito e a questa è mestieri
che si sacrifichi.
Comunque sia nella Donna pallida l'autore, più che un'opera d'arte,
ha voluto darci un lavoro commerciale e commerciabile, e, per ciò,
darebbe inutile il chiedere ragione di parecchie iarerisi migliarne che
ri notano nello itolgimento di esso, come pure di esaminare fino a
<iaal punto sia esatta la pittura dei ooetaroi inglesi, poichò la soen*
avviene in Inghiitcrra. Il Castelveoehio risponderebbe che, intendendo
rivolgersi al grotto pubblico delle Arene, a queste Inetie non ha cre-
duto oeoetiArio di badare.
fi inflitti non ci hanno badato neanche gli spettatori. R se il suo-
cetso di Roma, come abbiamo detto, è stato meno entusiastico di quello
di Milano, dò va attribuito alla qualità del teatro, essendo il Costanti
meno adatto alle rappresentazioni drammatiche. Io quell'immenso pai-
576 KASSKUNA DUAMMATICA.
coscenico le voci e le persone degli attori si perdono quasi interamente ,
e il pubblico delle gallerie dura fatica a seguire le peripezie dell'azione.
Manca a Roma un vero teatro popolare per la prosa, un teatro come
il Gerbino di Torino o il Fossati di Milano, dove il dramma e la com-
media si possano udire comodamente e con tenue spesa. E sarebbe utile
che a colmare questa mancanza si provvedesse. I teatri popolari muo-
vono una salutare concorrenza alle taverne, e i drammi, anche quando
sono cattivi e offendono le ragioni dell'arte, sono da preferirsi al giuoco
della passatella e alle tragedie domestiche che insanguinano i tri vii
della capitale.
RASSEGNA POLITICA
Le polemiche sol Ministero — Il Parlamento a novembre — Le elezioni
politiche e le elezioni amministrative — D nuovo canale di Suez — Il
Gabinetto inglese — Il signor Gladstone e l'opposizione — Il re Cetti-
vajo — Le relazioni tra la Francia e l'Inghilterra — II Parlamento
francese.
D disastro di Casamicciola ha. da da« giorni, imposto sileniio ai
piccoli garriti della politica quotidiana. Davanti alla terribile immensità
di quella sventura, in mezzo alle grida disperate delle morenti vittime •
nessuno presta ascolto alle garrule voci ohe piatiscono intorno al tra-
sformismo, o su argomenti di non maggiore entità. Quando da Napoli
giunsero le prime notizie della sciagura che ha riscontro solamente nel-
l'ecatombe di Pompei, la stampa italiana era appunto infervorata in
una di quelle polemiche bisantine, che solleticano la facile vena dei
pubblicisti, quando i calori estivi li distolgono daireiame di qnettioni
più importanti e più utili, nella pratica, agi' interessi del paese. Si
discuteva, cioò, da parecchi dtarii autorevoli, circa la maggiore o minor
vitalità del Ministero. Se come sostiene qualche giornale, aTesso
bisogno di rafforzarsi, potrebbe fkrio ora che il Parlamento è chiuso!
A quali criterii dorrebbe informarsi aoa modifloaiicoe parziale del
Qabinettof E qoesU medesima neoeesità di una modifloasione, se Tera-
mente esiste, non dev'essere dimostrata e posta in luce da una situa-
zione parlamentare bea chiara e determinata? Vale a dire da una
.situazione che non ha modo di manifestarsi dorante lo vacanze? Per
quanto assennate fossero queste considerazioni poste innanzi da qualche
>male autorevole, esse non riuscirono a troncare o a far rinviare a
578 RASSEGNA POLITICA.
tempo più opportuno la controversia. La quale risorgerà e riprenderà
vigore non appena avrà incominciato ad affievolirsi l'eco dolorosa della
distruzione di Casaraicciola. Bisogna aggiungere, però, che la battaglia
non esce dai confini della stampa periodica, e non vi [partecipano per
ora, gli uomini parlamentari, i quali sanno benissimo che soltanto alla
riapertura del parlamento si potrà aspettare qualche frutto da siffatte
discussioni.
E neanche noi ci fermeremo sovr'esse più di quanto ci è imposto dal
nostro dovere di fedeli cronisti. Solo noteremo, come un sintomo per
l'avvenire, che i più accaniti a domandare che l'on. Depretis si liberi
da un paio de' suoi colleghi, sono i giornali che rappresentano le idee
e le aspirazioni del centro. Già nell'ultima crisi avevano imposto con-
dizioni che solo in parte furono soddisfatte dall'on. Presidente del Con-
siglio. Parvero allora quietarsi, e, invero, il momento era male scelto
per mostrarsi soverchiamente esigenti. Ora ritornano all'assalto, e quasi
intimano all'on. Depretis di allontanare dal Ministero gli onorevoli
Acton e Baccelli, minacciando che, in caso contrario, il centro passerà
all'opposizione senza tener conto della presenza di qualche suo amico
nel gabinétto. Di questa specie à!' ultimatum pubbMcato da qualche gior-
nale non ci preoccupiamo gran fatto, perchè ricordiamo che il centro,
anche prima del voto del 19 maggio, nella passata legislatura ha votato
costantemente in favore dell'on. Depretis. I giornali dell'antica destra
su questo punto si sono divisi. Alcuni di essi si uniscono risolutamente
alla stampa del centro per chiedere che l' Acton e il Baccelli siano allon-
tanati; altri ritengono almeno premature siffatte domande, e confermando
la propria fiducia nell'on, Depretis lo lasciano giudice di ciò che gli
converrà fare nel prossimo novembre pur mantenendosi ligio al voto
del 19 maggio e al programma di Stradella. Costoro rappresentano,
checché, se ne dica, il più autorevole gruppo dell'antico partito moderato,
ed anche il più compatto.
Quanto a noi, non crediamo che il Parlamento possa riaprirsi, a
novembre, in condizioni molto diverse da quelle in cui si è chiuso. La
verità si è che nessun ministero, il quale non fosse presieduto e capi-
tanato dall'on. Depretis troverebbe nella Camera una maggioranza suf-
ficiente per governare. L'opposizione non vincerebbe altrimenti che
amalgamando i più disparati elementi, e questi dopo la vittoria non
seguiterebbero certamente a restare uniti. L'on. Depretis non ha bisogno
della sua proverbiale avvedutezza per conoscere questo stato di cose,
palese e manifesto a chiunque non sia ignaro delle vicende parlamentari.
RASSEGNA POLITICA. 579
La forza del Presidente del Consiglio continua a risiedere nella possi-
bilità di appoggiarsi all'uno o all'altro dei gruppi parlamentari per
tenere a freno gli altri. Non diremo che questo sia l'ideale del regime
parlamentare, ma tali sono senza dubbio, le condizioni delia nostra
Camera. E siccome, d'altro canto, è pur presumibile che Fon. Presidente
non intenda scostare dal programma di Stradella, cosi non ci turba
punto la diceria ch'egli sia disposto a piegar nuovamente verso la
sinistra storica, rompendo l'alleanza stretta il 19 maggio coi centri e
con una parte considerevole della destra. Solamente è da prevedere che
per tener ferma quest'alleanza, egli, come non accettò in passato, così
non accetterà nell' avvenire alcun vincolo riguardo alla scelta de' suoi
colleghi nel gabinetto. Questo ci pare di poter desumere dalle dichia-
razioni della stampa ministeriale. E con ciò non affermiamo che sia
esclusa qualunque possibilità di modificazioni ministeriali a novembre.
Ma neir ipotesi ch'esse si avverino, saranno modificar.ioni volute dal-
Ton. Depretis ma non imposte da' suoi amici. Non dobbiamo dimenticare
che vota ancora colla maggioranza una parta dell'antica sinistra, la
quale immediatamente si separerebbe dall'on. Depretis se potesse sap-
porre od immaginare ch'egli fosse interamente in balia della destra e
de' centri.
Del resto, queste polemiche non ci sembrano giuatiflcate neanche dai
risultati delle ultime elezioni parziali che, prese in oompletso, non mu-
tano le relazioni e le proporzioni do'partiti nella Camera. Esse hanno
ancora ona volta poeto in evidenza che. in aJcane provincia, solo uno
sforzo di concordia del partito monarchico liberale vale a sconfiggere
i radicali. Cosi ò avvenuto a Bologna dove il Panzaechi ha vinto per
opera di moderati e progressisti insieme collegati, o cosi sarebbe avve-
nuto anche a PeMro m il partito liberale monarchico si fotte recato
piò numeroso alle urne.
In tale stato di cote è, per lo meno, poco prudente il minaooìare
teismi a cagione di ano o dot ministri, il cai ritiro non volontario ma
imposto, significherebbe prevaiansa di ona parte della maggioranza sulle
altre. Ad ogni aiodo, nna polemica nal prtMate momento non serve che
ad inasprire gli animi a a limitare tempra più la liberta di aziono
dell'on. presidente del Consiglio. E noi siamo d'avviso che qaeata li-
bertà d'azione sia indispensiibile per raccoglierà tutti i frutti ch'è la-
rito di a^pottare ragionavo) menta dal voto del 10 maggio. 'Si dirà che
in tal guisa noi propugniamo una specie .li dittatura personale deU'ono»
revole Depratit. Alla quale affermazione facilmente si risponda oba
580 RASSEGNA l'OLiTlGA.
nulla essendovi di pronto e di stabile da sostituire a questa dittatura,
essa è ancora il minor male nelle condizioni presenti del paese e del
parlamento. Evidentemente siamo in un periodo transitorio della nostra
storia parlamentare, e può darsi che fra qualche tempo i partiti si dividano
e si determinino meglio e più chiaramente. Ma oggi, nello stato di con-
fusione in cui ci troviamo, dobbiamo contentarci d'avere le necessarie
guarantigie, di ordine di tranquillità e di rispetto alle istituzioni. Su
questa base si è formata la maggioranza del 19 maggio, la quale non
potrebbe sciogliersi senza rimettere in questione tutti i benefici effetti
del voto medesimo.
Il paese, da qualche tempo, non si appassiona più gran fatto per le
lotte politiclie. Ne abbiamo una prova nello scarso numero degli elet-
tori che prendono parte alla lotta, e che a stento raggiungono il numero
legale, moltiplicando in tal modo i ballottaggi che, con la nuova legge,
dovrebbero essere vere eccezioni. Egli è che in fondo, come abbiamo
detto, vera lotta politica, nella maggior parte dei collegi, non vi è,
salvo dove intervengono numerosi i radicali. Le ragioni di questa indif-
ferenza sono molteplici, né qui lo spazio ci consente di intraprendere
intorno alle medesime un lungo e diligente studio. Noteremo però che,
sovratutto nelle grandi città, la si osserva del pari nelle elezioni ammi-
nistrative, che di rado sono fatte da più del terzo degli' elettori. E
mentre nei maggiori centri si combatte nelle elezioni politiche fra i
costituzionali e i radicali, nelle amministrative accade invece che i più
potenti avversari del partito liberale monarchico sono i clericali. Questi
prevalsero in alcune delle città più importanti come, per esempio, non
ha guari, a Genova, ed anche in gran parte a Venezia, La ragione di
questa diversità sta essa unicamente nella diversa estensione del suf-
fragio riguardo alle elezioni politiche e alle amministrative ? oppure
va ricercata nella maggior propensione dei clericali ad entrare ne' consigli
amministrativi che non nelle assemblee politiche? Il partito clericale
nelle elezioni politiche non suole affermarsi con un candidato proprio,
mentre nelle amministrative pubblica liste e le sostiene strenuamente.
A questo dovrebbero rivolgere la loro attenzione coloro che domandano
l'allargamento del suffragio elettorale amministrativo. Forse non è giusto
il timore che questo allargamento giovi unicamente ed esclusivamente ai
clericali. Giova ad essi quando le forze conservatrici, come avviene or-
dinariamente nelle elezioni politiche, rimangono in disparte ; ma dove
scendono in campo e fanno sentire la propria azione, mutano tosto le
condizioni della battaglia. Non è tacile prevedere ciò che accadrebbe
RASSEGNA POLITICA. 581
in Italia se il partito conservatore entrasse a bandiera spiegata nella
vita pubblica,
E ancora incerto se prima del novembre il ministero chiuderà la
sessione parlamentare, oppure se le Camere verranno convocate con-
tinnando la sessione presente. Probabilmente, neanche nelle regioni g-o-
vernative si è decisi sul da fare. Del resto a parer nostro, come ab-
biamo detto altra volta, la questione non ha una grande importanza,
poiché; salvo la formalità di dover ripresentare nella nuova sessione i
progetti di legge rimasti in sospeso, la conclusione non produce altri
effetti relativamente ai lavori' parlamentari. Quindi non si spiega nep-
pure l'acrimonia della controversia che si agita ne' giornali a tale
proposito; e meno ancora s'intende che alle risoluzioni del ministero
sa questa materia in uno anziché in altro senso, si attribuisca un s gni-
ficato ch'esse non possono avere. Noi ci siamo già mostrati favorevoli
alla chiasnra, senza però fame questione capitale. La conseguenza
principale di essa sarebbe la necessità di an discorso della Corona. M.-\
la ' -^ o minore opportunità di far intervenire la parola del Re di-
po: > stato e dalle esigente della politica airinterno ed all'estero,
esigenze e stato che prima del novembre possono ancora modificarsi.
Per ora la quiete regna in ogni parte d'Italia, o chi dicesse che presso
di noi nei mesi di estate la vita pubblica è quasi toepesA, non andrebbe»
lungi dal vero. Appena ci commuove l'eco delle gravi questioni che si
discutono negli altri Stati, e che dimostrano quanto sia precaria la paco
europea. Le relazioni tra la Francia e l'Inghilterra continuano mi es-
sere tutt'altro che cordiali, quantunque ci sembrino as^ai remote le pro«
babilità di un conflitto. Oli uomini più aatorevoli che non si lns(\iftnA
dominare da malvagie passioni, «msì in Francia come in Inghilterra,
sentono che una guerra fra queste due nazioni sarebbe un disastro per
Tamanità. Ma il volgo non ragiona a questo modo, e nel volgo com-
prendiamo tutte quelle persone di mediocre coltura che non unno sol-
levarsi sovra i risentimenti prodotti da pamiygere cagioni. E I è il Tolgo
che io molti casi osorpa l'ufficio deiropinione pubblica e spinge i go-
verni in una via diversa da quella che Torrebbero seguire. Ne abbiamo
avuto un esempio, recentemente, a proposito della Conventiono pel nuovo
Canale di Snez. Il aignor Oladstone, fin da quando lo truppe inglesi
occaparono l'Egitto, dichiarò che l'Inghilterra, non ambiva una posizione
privilegiata a Suez. Disse a più riprese che il iCanalo era una via com-
merciale nella quale erano impegnati gl'interessi di parecchie potarne
europee e che perciò doveva rimaner libera e aicura sotto il patrocinio
582 RASSEGNA POLITICA.
di tutte e non solamente di taluna di esse. Queste dichiapazioni ottennero
il plauso generale, e non si ha alcuna ragione di porre in dubbio che il
signor Gladstone le facesse sinceramente. Ma in Inghilterra non parve
che esse rispondessero esattamente alle speranze che l'occupazione del-
l'Egitto aveva suscitato. Che cosa si era andati a fare ad Alessandria
e al Cairo? Impadronirsi dell'Egitto significava innanzi tutto assicurare
le comunicazioni inglesi colle Indie e sottrarle alla tutela e al controllo
delle altre potenze. Si aggiungevano due altre questioni non lievi : la
prima che il Canale già aperto era insufficiente ai bisogni del com-
mercio ; la seconda che le tariffe della Compagnia di Suez parevano
eccessive per gl'inglesi.
Il Governo inglese seppe resistere alle pressioni di coloro che lo
avrebbero voluto spingere a spodestare illegalmente Y attuale Compa-
gnia. E vista l'inutilità degli sforzi che si erano fatti in questo senso,
incominciò ed ottenne favore in Inghilterra l'idea di aprire un nuovo
canale parallelo, ma indipendente da quello già esistente. Il nuovo Ca-
nale aveva ad essere un canale essenzialmente inglese. E in breve
aumentò il movimento dell'opinione pubblica; a tal uopo s'iniziarono
sottoscrizioni, e i capitali inglesi affluirono alla gigantesca impresa.
A questo punto, però, fece udire la propria voce il signor di Lesseps.
E disse chiaramente che la concessione ottenuta dalla Compagnia non-
comprendeva solamente il canale esistente, ma si estendeva a qualunque
altro canale che si fosse voluto aprire a Suez. E per verità i termini
del firmano erano espliciti. Il signor di Lesseps, con quella cortesia che
non esclude la fermezza, fece osservare, pertanto, che quella impresa
per cui tanto si agitavano gl'interessi, inglesi non avrebbe potuto com-
piersi senza la cooperazione della Compagnia. E il Gladstone venne a
trattative con lui. I negoziati alla lor volta condussero ad una conven-
zione la quale in sostanza stabiliva: P Che la Compagnia del Ca-
nale di Suez ne avrebbe aperto uno nuovo ; 20 Che nell'amministrazione
della Compagnia stessa si sarebbe data una parte più ragguardevole
all'elemento inglese ; 3° Che nella questione delle tariffe avrebbero
ricevuto soddisfazione le giuste domande del commercio in generale o
del commercio inglese in particolare. Il Lesseps credeva con ciò di aver
raggiunto l'estremo limite delle concessioni. A lui bastava di aver sal-
vato il carattere internazionale' 'della via di Suez, e sovratutto di aver
rimosso il pericolo che questa cadesse sotto l'esclusivo dominio dell'In-
ghilterra. E il signor Gladstone, al quale pareva d'aver provveduto agli
interessi commerciali del proprio paese, avendo dato al tempo stesso
RASSEGNA POLITICA. 583
un grande e nobile esempio di moralità politica e di rispetto ai diritti
acquisiti, presentò senz'altro la convenzione al Parlamento.
È noto che la condotta del ministero destò un fermento indescri-
vibile in Inghilterra. A buon conto la convenzione era una rinunzia
esplicita e solenne allo scopo che l'inglesi avevano avuto in animo di
conseguire col progetto del nuovo canale. Piovevano le proteste e
nel Parlamento si preparò una formidabile opposizione. L' esistenza
stessa del ministero fu posta in pericolo ed il signor Gladstone cercò
un mezzo per uscire da questo grave imbarazzo. Accorse in suo aiuto
il signor di Lesseps restituendogli la parola data. Poiché le nostre in-
tenzioni, egli disse, sono male interpretate, sia come non avvenuto Tac-
cordo conchiuso. Però, nella medesima lettera al ministro inglese, il
signor di Lesseps soggiunge che la Compagnia trovasi in grado di aprire il
nuovo canale e di ribassare le tariffe anche senza il contributo dell'Inghil-
terra. In altre p3role se l'impresa verrà posta ad esecuzione sarà opera
doTuta airiniziativa francese, e il naovo canale si troverà in condizioni
identiche a qaelle dell'antico.
Questa solazione non ha soddis&tto Toplnione pubblica in Inghil-
terra. Tuttavia ha servito almeno a liberare il Ministero da ogni re-
sponsabilità, quantunque esca pur sempre indebolito da qaesto incidente.
Lo si accusa di fiacchezza nella politica estera e di non saper trarre
profitto dalle propizie occasioni che all'Inghilterra si tono presentate.
Qual compenso, si domandt, avranno i sacrifizi sostenuti per Y Egitto,
se il eanale di Suet non diventa proprietà inglese? Il signor Oladstone
è mono da alti ideali che contrastano con gli interessi pratici ed im-
mediati. La qoal cosa gli concilia la simpatia degli altri popoli, ma lo
compromette spesso e lo danneggia presso il popolo inglese. E non di
rado alle sue buone intenzioni non corrispondono gli effetti. Cosi egli
volle rimettere sul trono degli Zola il Re Cettirajo. Fu atto geoeroso
ma imprudente, giaoehd Cotti va jo ritornato fra i snoi sudditi sotto
il I l'Inghilterra, trovò che altri aveva preso il suo posto e,
con. ._ .„. insorrezione, perde miseramente la vita.
Pare eziandio, in Inghilterra che il goTei;no non si opponga con
•afflciente energia alle oonqaiste coloniali della Francia. Finora il go-
Temo francete non ba dato alcuna soddisfazione per le offese recate
al console e ad altri todditi intrlesi a Tamatava. E sì che di quello
offese il signor Oladstone aveva reso conto al Parlamento con parole
risentite ! Non diremo che i giorni dsl ministero liberalo diano contati ,
ma è pur troppo manifesto che ha perduto terreno. Non ha upnto,
584 RASSEGNA POLITICA.
all'estero, abbandonare interamente il programma de' conservatori che
nel congrèsso di Berlino avevano dato un grande impulso agli ingran-
dimenti territoriali e al prestigio morale del vasto impero; ma pur
seguendo in parte quel programma, il signor Gladstone non lo ha
spinto alle sue logiche conseguenze, e si è lasciato dominare da an
sentimentalismo politico dal quale dovrebbero attentamente guardarsi
gli uomini di governo. Questa è la colpa principale che viene rimpro-
verata al gabinetto liberale. Ad accrescere la irritazione si è aggiunta
la notizia che il governo intendesse ritirare fra breve le sue truppe
dall'Egitto. Non sappiamo qual fondamento abbia questa voce, e cer-
tamente se l'Inghilterra richiamasse i suoi soldati, l'occupazione vio-
lentemente eseguita non lascerebbe alcuna traccia di sé, salvo la me-
moria de' danni cagionati dalla guerra. L'Egitto sarebbe di nuovo un
campo aperto alle ambizioni e alla cupidigia di tutte le potenze. Tutto
fa credere, adunque, che quella voce sia stata diffusa ad arte dai ne-
mici del gabinetto Gladstone. Tuttavia non ci recherebbe meraviglia
che se ne prendesse occasione o pretesto per riaccendere la questione
egiziana in Parlamento, e da essa estendere la discussione a tutta la
politica del Ministero.
Sarebbe intempestivo il far previsioni intorno alla eventuale caduta
del ministero liberale. Nell'interesse della pace europea è da augurare
che il signor Gladstone rimanga ancora lungo tempo alla direzione
della cosa pubblica. Un ministero conservatore inasprirebbe maggior-
mente le relazioni tra l'Inghilterra e la Francia, contrastando con mag-
gior vigore a quest'ultima l'effettuazione de' suoi disegni. Per verità
il governo francese non ha progredito gran fatto nelle sue conquiste.
A Tamatava non ha incontrato resistenza, ma nel Tonkino, seb-
bene sieno giunte notizie di strepitose sortite e di brillanti vittorie,
non risulta ancora che le condizioni de' Francesi grandemente mi-
gliorino. Continua pure l' incertezza sulle disposizioni della China. —
Mentre il governo francese dice di aver ricevuto da questa assicura-
zioni pacifiche, si sa d'altra parte che le truppe chinesi seguitano a
riunirsi al confine. Conoscendo le abitudini del Celeste Impero non è
fuor del caso che una vera e propria dichiarazione di guerra non ci
sia, ma che, pur manifestando sentimenti di pace verso la Francia, il
governo Chinese aiuti efficacemente gli annamiti. In materia di diritto
internazionale, la China segue principii alquanto diversi da quelli che
Fono in onore presso gli Stati aperti alla civiltà moderna.
Quasi non bastassero le gravi preoccupazioni per le questioni estere.
RASSEGNA POLITICA. 585
la Francia trovasi presentemente in un periodo di difficoltà interne.
La malattia del conte di Ghambord è st .zionaria, e tolto il pericolo
di una catastrofe imminente si vengono affievolendo anche i com-
menti intorno alle possibili conseguenze della sua morte. Ma intanto
sono sopragginnti nuovi incidenti e nuovi fatti a turbare V opinione
pubblica. Alludiamo agli scandali avvenuti nella Camera de* deputati
dove fu parlato di turpi contratti. Il Laisant, che si era fatto il por-
tavoce di queste accuse, invitato a dare le spiegazioni richieste dalla
Camera, non seppe indicare nomi né fotti precbi. E )a questione pareva
terminata quando venne alla luce la lettera del giornalista belga
Boland, il quale narrava di aver pagato per conto di una Società
finanziaria belga, sedicimila lire a due deputati francesi affinchè ser-
vissero d'intermediari in una operazione che poi» senza loro colpa, non
potè conchiudersi Osservava però il Boland che questo non tornava a
disdoro di que' deputati e tanto meno della Camera, giacché queMepu-
tati avevano prestato Topera loro onestamente. La testimonianza del
Boland pare sospetta ed ora da tatti si domanda che vengano pa-
lesati i nomi de' deputati che ebbero parte in quest'affare. L'agitazione
prodotta da queste rivelazioni ha distolto l'attenzione dalle diseassioni
importanti del Parlamento francese, compresa quella sulle convenzioni
colle Compagnie ferroviarie che alle parole del Laisant porse pretesto.
Il regime parlamentare in Francia ò informo, e certo queste plateali
contese non gli restituiranno la saluto
Soma, 81 loglio 1888.
'•«. IL, ••. !• Il - 1 AgM«* IMS
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA
Un addio alle riserve metalliche delle Banche Italiane e alla Rassegna —
Mercato monetario e situazione delle principali Banche. — Appunti
sul modo di pubblicazione delle situazioni delle Banche Italiane e note
sul dividendo della Banca Nazionale. — Movimento delle borse.
Per debito di cortesia rispondiamo brevi parole alla Rassegna. Di-
ciamo per debito di cortesia, perchè crediamo che non è il caso di fare
polemica qui.
Accennando alle esagerazioni e confusioni fatte da alcuni nel trat-
tare la questione delle riserve metalliche, noi non abbiamo alluso punto
alla Rassegna, ma ad altri. Poiché essa dichiara dì proseguirci della
sua costante attenzione e benevolenza, avrebbe dovuto accorgersene
alla prima; pure glielo ripetiamo. Peraltro, a ben riflettere, un pochino
di quella taccia avrebbe potuto toccare non temerariamente ancora a
lei; poiché essa pure non è scevra di avere allargata la questione
senza alcun bisogno, portandola nel campo dell'andamento della circo-
lazione delle Banche rispetto ai limiti fattivi dalla legge del 30 aprile
1874. Nessuno, almeno finora, ha inteso né di toccare a quei limiti ne
di violare le prescrizioni che la legge ha imposte nei casi eccezionali
di aumento della circolazione produttiva delle Banche.
Avvertito questo di passata, torniamo a dire per conto nostro che non
ci siamo accorti che i provvedimenti proposti per rinvigorire le riserve
metalliche delle Banche abbiano suscitato tutto quel diavoleto al quHle
la Rassegna accenna, e persistiamo nel ritenere che essi, veduti negli
effetti, avranno l'approvazione del commercio e quella del Parlamento.
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 587
Creda a noi la Rassegna e Io creda senza alcun sospetto per essa : le
oche hanno potuto salvare il Campidoglio solttnto una volta. Ora, anche
nelle questioni bancarie, il senso non batte più la ragione, come in
nitri tempi non molto discosti.
Frattanto vorremmo sinceramente averla d'accordo con noi, ma se
questo non può accadere adesso, speriamo che avverrà poi, quando'ver-
ranno in campo altre questioni di maggior conto.
In riguardo al biglietto speciale, al quale la Rassegna parve tenere,
le risposte di essa alle obbiezioni fattele non ci hanno convinto. Non
indaghiamo se i biglietti già consorziali faranno o non faranno a^io ;
per noi sta che la circolazione di questa specie ha ora ufficii diversi
dal biglietto di banca e non è punto da confondere con quella bancaria.
Come rimane fermo che questa non può vanta^arsi in alcun modo
da un tipo speciale che l'altererebbe nella base.
E qui la nostra egregia contradittrir>e ci permetta di soggiungere
che la eccezione fiitta da ooi al suo biglietto in riguardo al sistema
monetario, al quale siamo vincolati insieme agli altri stAti ohe bom-
pongono la I^a latina, non è tanto nuova di zecca, quanto a lei
pare Ciò vuol dire che le idee pellegrine in questo campo non ci se-
ducono adatto. Rammenti la Rassegna che un linguaggio non molto
diverso dal nostro è stato tenuto dallo stesso on. Magliani alla Ca-
mera durante la discuisione dflla leggo del 7 aprile 1881, quando al-
cuoi avrebbero voluto condurlo a roodiflcare incidentalmente il sistema
monetario stabilendo una proporzione fra l'oro • l'argento delle riserve
metalliche delle Banche.
Appunto allora l'un. Ministro si espresse in questi termini: < Non
consento che le Banche vengano obbligate ad una riserva per 2\3 in
oro e 1|3 in argento, perchè credo che questo provvedimento, con la
legislazione monetaria attuala, non sarebbe possibile; e che sarebbe
anche pericoloso, perchè ci condurrebbe all'accettazione dell'unico tipo
oro ». E ancora: « Rispondo all'on. Luzzatti che la legge del 1862 è
sempre legge dello Stato; che l'argento ha virtù liberatrice come l'oro;
che non o*è nesrana limitazione nel corso legale, e che il farla ora
modificherebbe sostanziai munte quella ieg;(e e sarebbe l'adozione del-
l'unico tipo di oro ».
Del resto anche Io stesso oa. Luzzatti, ciie fu uno dei fnutori e
sostenitori strenui di quella proposta, dichiarò tolto il dissidio dietro
alla semplice inibizione alle Bancho di alienare il loro oro o di con-
vertirlo in argento; e aacha nel propugnare quello assunto, poiché egli
588 BOLLETTINO FINANZIARIO DKLLA QUINDICINA.
ha idee chiare o non si lascia in certe questioni tpascinare alle acca-
demie, non dimenticò che le Banche di emissione debbono fare asse-
gnamento sopra una larga riserva più volte oziosa, ma decisiva nei
giorni di/Rcili che nessuno può impedire.
Se non che la questione sollevata dall'on. Luzzatti fu determinata
sopratutto da una considerazione di opportunità in quanto al tempo
dell'abolizione del corso forzoso; poiché è noto che egli e l'on. Min-
ghetti avrebbero preferito di farla dopo la scadenza della convenzione
internazionale per aver agio di regolarci sulla sorte che sarà serbata
all'argento.
Ma ora, a cose stabilite, anche per rispetto al voto espresso dalla
Commissione permanente, queste considerazioni e altre che si potrebbero
fare divengono oziose. Perciò noi non diremo di più.
Tornando alla questione vera, confessiamo che non ci comprendiamo
punto dell'apparente antitesi fra i biglietti che saranno emessi con
una .certa proporzione fra l' oro e l' argento nelle casse degli istituti
emittenti e il cambio di essi in argento; e non ce ne comprendiamo
appunto perchè siamo fermi nel credere, essere un bene che l'oro si
accentri nelle casse delle Banche e che esse, di regola, cambino in
argento.
E ci è piaciuto il vedere che la Rassegna^ polemizzando con 1' Opi-
nione, abbia porto occasione a questa di raddrizzarle alcune idee rap-
porto a quel che fanno le Banche di altri paesi. Così diremo in ag-
giunta, che anche la Banca Nazionale belga, nò paga in oro general-
mente, né sconta cambiali stipulate in oro, e che le Banche svizzere,
le quali hanno un fondo metallico composto per circa 3(5 d'oro, cambiano
i loro biglietti esclusivamente in scudi d'argento e non sanno alla loro
volta che cosa sieno le cambiali pagabili in moneta aurea.
Questa osservazione ci porta all'altra, la quale viene a dire che la
nostra contradittrice ha sbagliato, e di molto, anche nel giudizio dato
intorno alla circolazione di altri paesi. Secondo essa, la circolazione
metallica della Francia, nonostante il metodo di cambio tenuto da
quella grande Banca, dovrebb'essere satura d'oro, o poco meno. Ora
ciò non è. Le coniazioni per cento della Francia, esaminate dall'anno
1832 all'anno 1879, danno il rapporto di 57,25 por 1' oro e di 42,75
per l'argento in scudi da 5 lire. Ma bisogna por mente che la inchiesta
ordinata dal Ministro delle finanze francesi sul modo di composizione
della circolazione metallica in Francia dietro alla Conferenza mone-
taria internazionale del 1878, ha posto in sodo che in un dato giorno
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QDI^'DICINA. 589
l'oro raccolto (si noti bene) nelle casse ammontava a fr. 10,878,740,
contro fr. 6,067,030, importo della esistenza in scudi d'argento. Ciò
dimostra che nella circolazione effettiva il metallo bianco prevale a
quello aureo; ed è così di fatto, poiché altrimenti l'oro in certi casi
non farebbe premio. E non basta. Poiché la Rassegna ha detto di leg-
gerci, avrebbe potuto ricordare che anche prima d'ora, tenendo noi
dietro per quanto possibile all'andamento del mercato monetario gene-
rale, avemmo occasione di addurre in questa stessa sede notizie e dati
che avvalorano le dichiarazioni fotte in qaesta contingenza.
Nel bollettino comparsa nel fascicolo del 15 giugno scrivemmo quel
che segue:
< Il corso relativamente alto del cambio di Parigi su Londra fece
credere ad alcuni che un invio d'oro al di là della Manica divenisse
?sai probabile; anzi vi fu chi lo annunziò come incominciato. Ma pare
e tanto l' una cosa quanto T altra siano state del pari inesatte. Dal
mandare Toro in Inghilterra la speculazione non trarrebbe alcun ran-
ggio, perchè essa non ha modo di procacciarsi le verghe e perchè i
zzi da 20 franchi in circolazione hanno un peso insudiciente (6 gr.
32). La Banca possiede pezzi che pesano 0 gr. 451, ma non vuol se-
pararsene, o lo fa molto a malincuore e a •tento. Invece essa cerca di
dar fuori quelli di peso inferiore e ooeha i pezzi da 10 e 5 franchi,
rho non possono servire per le rimesse all' estero. Si aggiunge che in
borsa I napoleoni di qualunque peso fanno I per mille di premio ».
Per fermo, varrebbe la pena di portare un po' d'ordine o un poco
di luce anche nelle cose francesi!
Consenta adunque la Ratsfffna che il metodo invalso in Italia, il
quale ha dato alla prova buoni frutti, continui; e non insista nel vo-
l«'re che una riserva d'oro raccolta con ogni maniera di accorgimenti,
e che è nonostante insidiata da molte parti, venga sperperata in pochi
giorni per la smania di vedere l'abbonJanta dell'oro in piaua; proci-
oiimente per quella che Ai (emuta un giorno e dalla quale il pubblico
tenersi immune con universa lode. Tempo verrà che
.eia internazionale, intraveduta assai prima d'ora dal
genio italiano, non sarà più un desiderio di pochi eletti; ma per in-
tanto accetti i fatti come sono e non presuma di volgerli e oontoroerll
a Huo prò soltanto perche le piace di non volerli in quel modo o noo
ruolo intenderli.
I-' con Ciò diamo un addio alle rtforre motalliche d'alio Banche ita-
liane e alla Rattegna.
590 BOLLETTINO FINANZIARIO DKLLA QUINDICINA.
Il mercato monetario americano presenta ora un aspetto assai più
rassicurante di quindici giorni fa. La situazione delle banche associate
di New-York al 21 corrente denota una forte posizione, tanto rispetto
alla quindicina scorsa, quanto a un anno addietro. Il fondo metallico
è aumentato, nelle due settimane ultime, di dollari 1,800,000, toccando
la cifra di 64,600;000, la quale eccede di 300,000 dolUri quella al 22
luglio 1882. Gli impieghi segnano, nel primo confronto, la diminuzione
di dollari 300,000; nel secondo, quella di 1,800,000. La circolazione
ha variato di poco, ma è minore di dollari 2,600,000 a quella dell'anno
passato. 1 depositi segnano l'aumerto di dollari 3,900,000 nella quin-
dicina e quello di 3,300,000 nell'annata. Quindi la riserva, che il 7 luglio
eccedeva di dollari 6,625,000 il limite legale del 25 per cento dei depo-
siti, venne a sorpassarlo nel giorno 21 di 9,550,000, mentre li 22
luglio 1882 l'eccedenza fu di 8,175,000.
Il notevole rinforzo dei mezzi delle Banche dimostra come fossero
fondate le notizie circa l'attitudine di esse e del Tesoro, e come questo
e quelle abbiano ottenuto l' intento di aumentare i mezzi atti ad affron-
tare i bisogni autunnali. Il denaro continua ad abbondare. Un dispaccio
del 26 da Washington (Agenzia Reuter) annunzia che il Tesoro ha
invitato al riscatto tutti i bonds 3 1{2 per cento che non sono stati pro-
sentati al eambio contro titoli al 3 per cento. Poiché la rimanenza
del 3 1|2 per cento non barattato ammonta a dollari 32,082,600, si
può sperare che il mercato sarà anche nei prossimi tempi fornito in
abbondanza. Frattanto i prestiti brevi sono ottenuti al 2 per cento
circa, mentre lo sconto per le cambiali a 2 firme, con scadenza da 2
a 3 mesi, è segnato al 4 1]2 per cento.
11 cambio della sterlina, che avevamo lasciato a 4.84 a 60 giorni,
è disceso nel primo giro di questa quindicina alla parità, ossia a 4,83 li2 ;
e in ultimo, a 4,82 3{4, che corrisponde al cambio a vista di 4,86, e
a uno e mezzo per mille contro Londra.
Anche riguardo all'Inghilterra dobbiamo avvertire uno stato di cose
alquanto migliore. La situazione della Banca al 25 è più favorevole di
quanto si aspettava, giacché la proporzione della riserva agl'impegni,
già di 42 1|4 per cento, è salita a 44 li4 per cento. Questa proporzione
ai 26 di luglio 1882 era di 39 3i8 per cento solamente. La Banca ha
introitato dall'estero cospicue partite d'oro che hanno aumentato il
suo fondo metallico di 329,658 sterline. I conti correnti dello Stato e
dei particolari sono cresciuti rispettivamente di 103,228 e 488,758
sterline. Il portafoglio è diminuito di 190,079. Il ritorno dei biglietti
BOLLETTINO PINANZLAJUO DELLA QUINDICINA. 591
dalle Provincie ha causato nella circolazione dei biglietti la diminuzione
di 442,135 sterline, che, unite all'aumento del fondo metallico, ci danno
una differenza in più di 771,793 sterline per la riserva. Con tutto ciò
la somma di quest'ultimo capitolo non varia sensibilmente da quella alla
data corrispondente dell'anno passato. Nell'ultimo bilancio essa è segnata
a 12,418,306; il 26 luglio 1882 essa era di 12,403,529. Anche il confronto
per il fondo metallico ad anno è meno soddisfacente, giacché esso
adegua alla prima data la somma di 22,576,486, alla seconda quella
di 23,344,419 sterline. Adunque, la Banca non ha, in sostanza, maggiori
risorse di un anno fa, e il miglioramento della proporzione fra la riserva
e gl'impegni è in massima parte occasionato dalle diminuzioni della
eircolazione e del portafoglio. Un anno addietro questo capitolo ade-
guava la somma di 37,063,380, ora esso tocca quella di 33,558,883;
ma allora correva il saggio officiale del 3 per cento, mentre dal 9 mag-
gio 1883 funziona quello del 4. Oltre a ciò, da circa tre mesi, la Banca
non si presta più a fornire i mezzi alla speculazione dei piccoli sensali
i sconto. Per conseguenza non ere 'iamo che si appongano bene coloro
quali, esagerando la efficacia relativa del saggio al 4, ritengono che
non sia probabile nn rialzo prima della fine dell'anno. Non bisogna
dimenticare che tutto dipende dall'Am^'rica. Abbiamo veduto che le cose
stanno colà abbastanza bene, per ora, ma il movimento del cambio non
è troppo rassicurante. A ciò si aggiunge che, sebbene continui ad
affluire Toro all'Inghilterra e ciò possa ritardare fino verso la fine del-
l'autunno il rialzo del saggio, tutto indica che le settimane vegnenti
recheranno maggiori domande alla Banca.
Nel mercato dello sconto i saggi hanno continuato a mantenersi
ftrmi nonostante la maggior abbondanza del danaro, mentre le transa-
zioni non sono state troppo numaroM. La carta a 3 mesi è stata alti-
nuunente negoziata a 3 7|8 per cento. Anche nel giorno del regolamento
allo Stock Eaxhange la domanda di danaro non è stata molta. I pre-
stiti vennero oiienati a 3 e 3 1(2 per cento.
Dal 12 al 26 corrente, la situazioni della Banca li Francia recano
la diminuzione di fr. 1.741,825 nel fondo in oro e qu<lla di 1.157,755
nel fondo in argento; di 21,4-38,808 nel porUfogllo, di 13,002.408 nelle
aatioipazioni e di 26.035,055 nella circolazione. Il conto corrente del
Teaoro è cresciuto di 41,8iO,338; quelli dei particolari sono soemati
li 34.929,814 franehi. L'aaroento del conto corrente del Tesoro dimostra
che questo prepara i fondi neoessarii al pagamento dell'ultimo tagliando
del 5 per cento. Nell'insieme «i ha una situazione alquanto migliore di
592 HOLLETIINO FINANZIARIO DELLA QDINDICINA.
quella data nella quindicina trascorsa, ma un anno fa la posizione della
Banca era più forte. 11 fondo metallico era maggiore di 107 3(4 mi-
lioni ; gl'impieghi e la circolazione erano minori rispettivamente di 49 e
294 milioni. Questa considerazione e quelle della scarsità del danaro
nel mercato dello sconto e dei cresciuti bisogni, prodotti dalla fine del
mese, i quali hanno causata la diminuzione nei conti correnti privati,
hanno dato origine ad alcune voci di un rialzo del saggio. Ma, a meno
che la Banca d'Inghilterra ne dia l'esempio, e ciò per il momento ò
allontanato, non erodiamo temibile un rialzo dall'altra parte.
Sebbene il danaro sia stato abbondante per i riporti in Borsa, pure
è durato scarso per gli sconti, e le transazioni della specie sono state
insignificanti. Il saggio per le firme di alta banca è segnato a 2 5[8;
quello per la carta bancaria e d'alto commercio, a 2 3[4 per cento.
Le banche svizzere non offrono variazioni notevoli nei loro bilanci
dal 7 al 21. Avvertiamo gli aumenti di franchi 200,720 nel fondo in oro
e di 261,243 in quello in argento, e le diminuzioni di 350,500 nella
potenza di emissione e di 2,278,750 nella circolazione. Il fondo metal-
lico eccede di franchi 18,267,789 il limite di 40 per cento della cir-
colazione.
Prima di lasciare le banche svizzere vogliamo rilevare alcune os-
servazioni del corrispondente ginevrino del Times, il quale trova che la
nuova legge bancaria federale dà luogo a scrii inconvenienti. Dopo
avere lamentato il provvedimento che ordina il ritiro dei biglistti in-
feriori ai 50 franchi, egli constata che le banche preferiscono di tenere
la riserva legale del 40 per cento della circolazione in oro piuttosto
che in scudi; che l'oro già fa un piccolo premio e che i commercianti
si vedono talvolta costretti ad eseguire i loro pagamenti cogli scudi
emessi dalle Banche. A noi pare che questi pretesi serii inconvenienti
sieno proprii di tutti i paesi della Unione monetaria latina.
Relativamente alla Banca dell'Impero germanico, premettiamo che
la penultima settimana di luglio reca quasi invariabilmente un rinforzo
della riserva metallica e una diminuzione della circolazione e degli
impieghi. Quest'anno il fenomeno è anjihe più marcato dell'anno scorso.
Dal 7 al 23, l'aumento del fondo metallico è stato di marchi 6,229,000.
In pari tempo il portafoglio e le anticipazioni sono diminuiti, 1' uno
di 34,757,000, le altre di 21,726,000 marchi. Anche la circolazione ò
scemata di marchi 56,260,000. Nell'insieme la situazione ultima viene
a dimostrare che la domanda di danaro è modestissima e che rimpetto
al basso saggio dello sconto libero, le presentazioni di sconti alla Banca
li
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 593
sono relativamente poche. Aggiungiamo, per chiarire meglio lo stato pre-
sente delle cose, che dal 30 giugno ultimo il portafoglio della Banca ò di-
sceso da marchi 410,437,000 a 355,508,000, mentre al 30 giugno dell'anno
scorso la cifra degli sconti importava marchi 397,361,00) e il 23 luglio
«juella di 364,057,000. Un anno fa il saggio officiale era di 4 per cento
e lo sconto fuori Banca da 3 1 [2 a 3 HjS; per contro ora, collo stesso
saggio officiale del 4, lo sconto nel mercato libero è a 3 1[8 per cento.
Riguardo ai eonti correnti, essi sono aamcntati nella quindicina di
10,530,000 marchi e anche ciò dimostra l'abbondanza del danaro. L'ul-
tima settimana di luglio, in vista della liquidazione, produce di solito
una maggiore domanda alla Banca; in quest'anno si può prevedere Io
stesso procedere, quantunque per ragioni attinenti al mercato monetario
e alla Borsa, la domanda dovrebbe essere di minore entità del consueto.
La situazione al 23 corrente della Banca; aastro-ungarica differisca
assai da quella al 7; essa reca una forte diminuzione degli impieghi e
della circolazione II portafoglio ó scemato di fiorini 16,785,463; le an-
ticipazioni, di 1,519,600; la circolazione, di 13,891,200. ai quali si può
aggiungere l'aumento di fi. 5,499,039 nei biglietti di Stato. L'anao
scorso questi movimenti sono stati di assai minoro entità. La maggior
parte degli incassi della Banca cade a Vienna; la Sede dì Budapest e
le succursali vi contribuiscono pochissimo. Aggiungiamo che, astra-
zione fatta dagli impieghi, la Banca austro-ungarica va mobilizzando
suoi mezzi, giacché nell* ultima settimana ha realizzato circa 1 mi-
lione e mezzo di fiorini in divise estere e altrettanto in titoli. Mercè
il rilevante decremento delia circolazione, la situazione della Banca ap-
; ire assai più favorevole di prima. Il portafoglio e le anticipazioni sono
a quasi al livello di un anno Ca, mentre ii fondo metallico «ooeda nel
• unfìronto di fi. 17,380,33?. £: però probabile che cessi qui la dimina-
ziono della circolazione, giacché l'esperienza insegna ohe 1' ultima sei-
imana di luglio comincia a portare un aumento delle domando alla
Banca Ma ci toma di avvertire che nella seduta tenuta il 'J6 dal Con-
siglio generale della Itan a, il segretario generale signor Loonhard ha
annunziato che sono stati prosi provvedimenti per soddisfare le mag-
i(»ri domande prevedute, acciò non s'abbia a verificare la carestia di
I .o !u> sopravvenne nell'anlunno 1882.
ir.itr into il prezzo del danaro è venuto salendo nel mercato dello
sconto. Lo oltime oolizie recano che la carta di prim'ordine a 3 masi
vieoa aeontata da 4 a 4 li8; la bancaria a la commerciale, da 4 Ifl
a * %^
594 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
La Banca Neerlandese ha continuato anche in questa quindicina a
perdere dell'oro. Una parte considerevole del prezioso metallo entrato
alla Banca d' Inghilterra è provenuta da Amsterdam, Dal 7 al 21 luglio
corrente il fondo in oro ha avuto la diminuzione di fiorini 2,118,472;
all'ultima data ammontava a 43,478,349 contro 93,923,191 fiorini in
argento. Rirapetto a questo fondo metallico la circolazione ascendeva a
186,912,160. Cominciamo a sorprenderci un poco che la Banca Neer-
landese, nonostante l'esperienza fatta, non combatta l'esportazione del-
l'oro al primo suo apparire, per difendere lo stock acquistato per mezzo
di un prestito all'estero. Tanto più che ciò potrebbe screditare la va-
luta olandese, nonostante la ricchezza di quel paese. L'anno scorso
l'Olanda ha dovuto pagar caro assai la falsa sua politica di sconto, e
però reca maraviglia che si ricada colà nel medesimo errore e si con-
tinui a lasciare uscire l'oro per comodo dell' Inghilterra. Visto l'indi-
rizzo delle cose, non saremmo sorpresi se fra poco la Banca Neerlandese
cominciasse la serie dei rialzi autunnali del saggio.
Nelle situazioni della Banca Nazionale belga nulla troviamo di par-
ticolare entità. I mutamenti principali avvenuti dal 12 al 16 corrente
sono le diminuzioni di circa 2 milioni di franchi nel portafoglio, di 1
nei conti correnti dei privati e di 3 e mezzo nella circolazione ; inoltre
l'aumento di un milione e mezzo nel conto del Tesoro, Nel con-
fronto colla situazione al 27 luglio 1882, il portafoglio, alla data più
recente, è minore di 8 e mezzo milioni circa; tutti gli altri capitoli da
noi esaminati sono maggiori. Le eccedenze rispettive sono di oltre 2 mi-
lioni per il fondo metallico, di 9 milioni per le anticipazioni, di 2 e
mezzo per la circolazione e di 1 e mezzo per il conto corrente elei Tesoro.
Venendo all'Italia, avvertiamo con piacere che anche V Opinione.,
accennando alle situazioni degli Istituti di emissione, ha avvertito la
pubblicazione saltuaria e irregolare che ne è fatta; ma ci duole nello
stesso tempo che essa abbia soggiunto semplicemente che questo modo
singolare di eseguire i regolamenti e di trattare il pubblico, sia stato
lamentato invano da altri. L'autorevole diario, poiché vi era entrato,
avrebbe potuto dire di più. Per esempio, avrebbe potuto osservare che
certi desiderii sono cosa vana soltanto in Italia, e che ciò dipende sia
dal poco interesse che il pubblico in generale mette a certe cose, che
pure ne hanno tanto in sé, sia dalla poca vigilanza esercitata da quelli
che vi sono preposti, o dalla scarsissima eflScacia di essa. Con tutto ciò
non disperiamo di venirne in fondo, essendo convinti che al Ministero
di Agricoltura, Industria e Commercio dev'essere inteso, come altrove,
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 595
e più che in qaalunqae altro luogo, il bisogno di regolare per davvero
la pnbblicazione delle situazioni delle Banche di emissione, in modo
che questa sia unica e riesca fatta ad una stessa data per tutte, e in
tempo. Così solamente il pubblico potrà interessarvis: come deve e fare
i SDoi riscontri, e le situazioni potranno e^ere nn libro aperto a chiunque.
L' ultima situazione della Banca Nazionale italiana è quella al 20 lu-
glio. Risalendo alla situazione al 30 giugno, che è stata 1' ultima esa-
minata, si hanno i dati seguenti : Il fondo in oro nell' importo di Lire
83,547,247, è aumentato di L. 2.115,160; quello in argento, nella somma
di L. 74,539,861, è diminuito di L. 605,030; quello nei biglietti già
consorziali e di Stato, nello importo di L. 48,684,203, è cresciuto di
oltre 2 milioni di lire. II portafoglio ò scemato di circa 24 milioni; le
anticipazioni sono diminuite di oltre un milione; la circolazione, a
L. 461,319,763, è decre^iciata di circa 10 milioni.
Paragonando T ultima situazione al 20 luglio con T altra a pari data
deiranno scorso, le differenze nei capitoli esaminati in antecedenza
sono di maggiore entilÀ. La situazione d* ora sorpassa V altra di L. 47
milioni nel fondo in oro e di L. 23 milioni nel fondo in argento, ed
é minore di 28 milioni nei biglietti già consorziali. L'ammontare del
portafoglio eccede quello delfanno scorso di 8 milioni; TimpoKo delle
anticipazioni é minore di 2; la circolazione ò ■oemata di circa 11 milioni.
Per deliberazione presa dal Consiglio Superiore della Banca Nazio-
nale, gli azionisti di questo Istituto hanno conseguito pel primo seme-
stre un dividendo di L. 4.5 per azione, compresi gl'interessi ; e il fondo
di riserva è sUto aumenUto da L. 32,610,000 a L. 33.?80,000.
I>a Borsa ha accolto la prima delibcrazìono con segni che nou sono
atati al certo né di soddisfiuione né di simpatia, ma crediamo che nella
corta al ribtMO sia stata poco misurata, tanto poco da cre<Iere che vi si
sia data come inoonscìa. A noi pare che il sentimento di un dividendo
minore del solito doveva essere nella ootdenu di molti, certamente
in qnelU di tutti coloro 1 quali potevano riflettere che le operazioni
straordinarie ooeaaiooate dal corto forteto erano cetsate, e che le spese
derivanti dairtptrtnra del eambio erano state di qualche entità. Oltre
a ciò la situazione al 30 giugno, venuta fuori in ox)incidenza col divi-
dendo, non era rimasta muta. Reta avea dato un totale di utili di
L. 15,06(}.056, contro L. 18,018,955, importo di quelli segnati nella
situazione oorrirpondente dell'anno scorto.
Qui dunque non avrebbe dovuto aver luogo alcuna sorpresa. Ma.
«erondo noi, non vi è molto da ridire neanche in riguardo al merito.
596 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
A buon conto il dividendo stanziato ragguaglia il 12 0[0 all'anno sul
capitale versato che è di L. 750 per azione, come tutti sanno.
È vero che le azioni della Banca di Francia e quelle di altre
Banche, allo stesso ragguaglio, rendono di più; ma noi pur troppo
non possiamo paragonarci in questo ad altri paesi nei quali lo sviluppo
dei commerci e delle industrie è incomparabilmente maggioro di quello
che si ha per ora nel nostro,
Contuttociò teniamo a dire che anche la pratica inglese addinoo-
stra che l'interesse dev'essere calcolato a preferenza sul capitale ver-
sato, e non secondo altra ragione, e che gli azionisti del nostro mag-
giore Istituto non hanno a dolersi troppo del dividendo conseguito nel
primo semestre, anche perchè in esso, di solito, gli utili sono minori
di quelli che vengono ottenuti nel secondo. Frattanto quelli ricavati
dalle operazioni principali crescono di anno in anno. Noi speriamo che
le stesse operazioni, allargata opportunamente la base dell' Istituto,
cresceranno sempre più.
La quindicina passata registra nel suo bilancio attivo un avveni-
mento, il quale avrebbe dovuto bastare per sé solo a scuotere dal le-
targo le borse, quella di Parigi specialmente, che ha in esso tanto e
cosi diretto interesse.
La discussione delle convenzioni ferroviarie è avvenuta, e queste,
ancorché contrastate nella Camera e fuori da opposizioni di ogni ma-
niera, sono state da essa approvate. Come suole accadere d'ordinario, la
speculazione avrebbe dovuto a quest'ora scontare una eventualità nella
quale é riposta la salvezza delle pubbliche finanze cosi gravemente
compromesse, senza che vi si possa dare in altro modo aiuto efficace.
Fenomeno stranissimo, e purtroppo indizio evidente della condizione
angustiata di quel mercato, é che, malgrado ciò, nitin moto di risve-
glio negli affari si fece manifesto e che la speculazione rimase colle
mani incrociate, impassibile e inerte a qualsisia eccitamento.
V'hanno disgraziatamente troppe cose colà che fanno ostacolo al
risorgere di essa, anche non tenendo conto della stagione cosi impro-
pria a qualunque attività di transazioni. Le convenzioni approvate
daranno luogo indubbiamente ad emissioni enormi di obbligazioni, che
affaticlieranno il mercato, di già sotto il peso di masse di rendita, che
la conversione ha dislocate, e per le quali il capitale d' impiego pare
solo ora inchinevole a raccoglierne qualche piccola parte.
BOLLETTINO FLNANZIARIO DELLA QUINDICINA. 597
E non mancarono in questo frattempo altre cause di disgusto e di
apprensioni per quella Borsa, Si credeva che co'la convenzione stabi-
lita tra il governo inglese e il signor di Lesseps, ogni screzio tra la
compagnia del canale di Suez e gli armatori inglesi fosse stato ri-
mosso; invece le contrarietà per parte del pubblico inglese sorsero più
aspre che mai, per modo che il signor Gladstone, veduta la mala pa-
rata che gli si preparava, desistette dal proposito dì presentare la
convenzione al Parlamento.
Se non che gli azionisti della Compagnia non ne furono addolorati,
giacché essi, soltanto a malincuore, avrebbero accettato un patto che
dava all'Inghilterra, mercè il soccorso finanziario che essa forniva alla
nuova impresa, un diritto di continuo e quasi preponderante inter-
vento. Anche la Borsa di Parigi, scossa a prima giunta da questa
mutata situazione, vi trovò argomento a compiacersene. Cosi le azioni
Suez ebbero maggiori richieste che ne rialzarono i corsi. Le dichiara»
zioni fatte dal signor Gladstone alla Camera dei Comuni, nel ritirare
il progetto della convenzione pattuita, vennero a consacrare di nuovo
il diritto esclusivo per parte della Compagnia; ciò Talee a rassicurare
il mercato francese che oramai le pretensioni degli armatori si sareb-
t>ero acquetate, tanto più che il signor di Lesseps, anche searaDdo per
suo conto il nuovo canale, acconsentiva di soddisfare le loro esigente,
lasciando sussistere tuttavia la clausola della conventione relativa alla
diminuzione proporzionale e graduale delle tariffe. Io qoetto modo la
supremazia francese rìprendeva i suoi diritti; naturalmente la Borsa di
Parigi fece plauso alla buona notizia.
Peraltro il signor Gladstone, poiché fu sedotto forse da tooceMÌve
obbiezioni, foce sorgere con nuove dichiarasioni altre dubbiezze. Infatti,
mentr'egli ripetè, non esse e contrastabile il diritto eeclosivo della
Compagnia di esercitare il Canale attuale, osservò non potersi rite-
nere provato che ad essa sola spettaste il diritto di ecaTarno uno
nuovo, al di fuori de* soci propri terreni. Come si Tede la questione
rimane tuttora insoluta e non si sa coma e quando potrà essere de>
cisa, perehd l'essere stata respinta ora a maggioranza considerevole la
mozione di str Staflurd Northcute non riesce a toglierò la lacuna che
le reticenze del signor Gladstone hanno prodotto. Le azioni del Canale
ribsMarono di nuovo, e il ribasso di atte determinò quello delle ren*
dite e dei Tal:)ri
Il linguaggio della stampa inglese, espressione fedele dei sentimenti
inanti a Loadra, attesta aireTidenta che ninn aooordo può ritenersi
598 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
possibile, dacché il fine a cui si mira colà è quello di togliere alla
Compagnia del Canale qualunque preponderanza, o piuttosto di spode-
starla affatto. Gl'inglesi, anche facendo atto di riconoscere la legitti-
mità dei diritti della Compagnia, sapranno ben trovare il mezzo di
rendere impossibile o dificilissima la applicazione di essi, spaventando
i capitali sui quali il signor di Lesseps fa assegnamento [^ev iscavare
il secondo canale. Il sig. Waddington, andato ambasciatore a Londra,
riuscirà a sventare la trama che si ordisce colà contro gli interessi
francesi ? Lo si vedrà tra poco.
Le notizie che giungono dall'Egitto a riguardo del Cholera hanno
contribuito ad aumentare il generale malessere.
Postò ciò, non è da maravigliare che la Borsa di Parigi non sia
tratta a spiegare negli affari un'azione che valga a dare un po' di vita
e di movimento alle transazioni. I corsi delle rendite rimasero abba-
stanza fermi; ed è tutto quello che può essere augurato nel momento.
Frattanto pare a noi che l'astensione dei ribassisti, mentr'essi potreb-
bero avvalersi dell'atonia del mercato per fare qualche tiro ad uso loro,
sia qualche cosa.
Lo Stock- Exchange non ha preso gran parte a queste inquietudini
del mercato francese, ma si ò mostrato alla sua volta 'poco propenso
agli affari, per quanto esso, in questi ultimi giorni specialmente, sia
stato abbastanza provveduto di numerario.
All'approssimarsi della liquidazione di fine mese, lo scoperto continna
a pesare sui valori, allo scopo di indurre i compratori dei premi ad
abbandonarli, e di mantenere nei più la sfiducia, onde i prezzi di com-
pensazione riescano a suo vantaggio
Tutte queste cause ora accennate furono d'ostacolo a qualunque
serio movimento di transazioni nella Borsa di Parigi, e lo furono anche
nei mercati nostri, quantunque nessuna di quelle cause li riguardasse.
La rendita italiana non ha più, da qualche tempo in qua, sul mer-
cato di Parigi quel favore che vi godette in passato, e ciò ha servito a
togliere dai nostri mercati qualunque animazione. Anche qui, come in
Francia, si aspetta che le convenzioni ferroviarie facciano mirabilia,
perchè è invalsa nei più la credenza ferma che l'approvazione di esse
darà principio ad un'era nuova di attività e di benessere. Auguriamo che
questa credenza non riposi sopra speranze inspirate più dall'interesse
che dalla ragione.
Colla fine del mese prossimo verrà staccato dal 5 0[0 francese con-
vertito, l'ultimo vaglia trimestrale in ragione di 5 0[0 all'anno; potrebbe
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 599
darsi che ciò producesse ribasso sul titolo. Se questo avvenisse, torne-
rebbero in campo le ragioni che favorirono per lo passato la rendita
italiana, quando essa servi di contropartita nelle operazioni d'arbitrag-
gio col titolo convertito. Infrattanto dobbiamo dire che se la rendita
nostra noe è dal capitale francese cosi ricercata, com'era allora, vien
tenuta sempre nel dovuto rispetto, e segue con vece pari la rendita
francese.
In Italia i corsi del 5 0\) nostro variarono nel principio della quin-
dicina tra 90,32 e 90,05; nella seconda settimana scesero da 89,95
a 89,90 con un ripo*^ da 35 a 40 centesimi per fine agosto.
I prestiti cattolici seguirono presso a poco Tandaroento della rendita ;
perciò il Blount, negoziato sul principio a 91,60, scese a 91,30 e quindi
a 91,15; il RoihschUd rimase sempre fermo a 94 e chiuse a questo
prezzo; i certificati del Tesoro, emissione 1860-64, salirono da 93,70
« 94, poi scesero a 93.85.
II Consolidato turco ebbe sulla Borsa di Napoli qualche transaiione
a 11.50 e a 11.10.
Il mercato dei valori bancari rìiucì in generale piuttosto inerte ;
per alcuni fu anche sfavorevole manifestamente. Le asioni della Banca
italiana ebbero per la prima volta la sfortuna di non dare on divi-
dendo corrispondente al desiderio degli azionisti, giacché esso venne
limitato a L. 45, mentre questi facevano assegnamento, quantunque con
poco fondamento, sopra una somma maggiore. Così accadde che i corsi
di questi titoli precipitarono da 2365 a 2145. Peraltro la rìpr sa 6
stata rapida come fu rapido il ribasso, poichò risalirono a 2175,, quindi
a 2170 ex coupon-^ oggi io chiusura sono a 2145.
La Banca Romana oscillò a stento tra 995 e 1000.
La Banca Oenerale esordì al prezzo di 531, ma non si reose a lungo
perehè declinò sempre fino a toccare II prezzo di 521. 50. Negli ultimi
giorni si riebbe alquanto e risalì a 535, 60 e p«-r ultimo a 526, 50.
La azioni d 'Ila Banca di Torino, iMgosiaie nei primi giorni, a 681
^bbero negli ultimi poco danaro a 623 • a 622.
Il mobiliare italiano risentì viTameote gli effetti dei ribassi toooAti
alle azioni della Banca italiana e scese da 703 a 765. Risalì poi a 770,
ma ricadde a 775. La reazione è attribuita da alcuni all'imminente
liqaidazione, la quale fk presagire ohe dovrà essere venduta una grossa
[tartita di questi valori.
I titoli forroviari ebbero un movimento di poca entità ; le solo a-
zioni della sodata delle Meridionali vennero trattate con qualohe ani-
600 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
raazione, ma senza che esso potessero sottrarsi alla corrente sfavore-
vole dominante. Le lasciammo ben sostenute al prezzo di 480, ma nella
seconda metà del mese esse caddero a 473. 50; poi risalirono a 476.
Oggi chiusero a 475. Le obbligazioni relative oscillarono tra 274 e
273, 50 ; i Boni rimasero invariati a 533,
Ebbero prezzi quasi sempre nominali, le Palermo-Trapani, prima
emissione, a 287; quelle di seconda, a 285 ; le Centrali Toscane, a 455 ;
le Pontebbane, a 440; le Meridionali Austriache, a 291; le Azioni
Romane, a 133; le Sarde, serie A, 272, 75; quelle della Serie B
a 269, 75 ; le nuove a 271, 75; le sarde di preferenza, a 225.
Le cartelle fondiarie vennero segnate ai seguenti corsi : Milano
504; Napoli 478; Torino 482, 50; Palermo 487, 50; Siena 472; Bo-
logna 473; Roma 433, 50; Cagliari 422.
Pei valori Romani questa seconda metà di mese non è stata guari
propizia, poiché il mercato si curò poco di essi. Le azioni del Gas fu-
rono lasciate quasi sul nominale di 1033 ; le azioni dell'acqua marcia
da 822 a 823 circa ; le azioni del banco di Roma, in ribasso da 562 a
550 ; le Condotte a 473 ; le Complementari a 220.
I cambi non hanno presentato variazioni rilevanti ; essi rimasero
ad un saggio favorevole all'Italia. Gli chequcs su Francia variarono
tra 99, 95 e 99, 90 ; la divisa di Londra a vista tra 25. 26 e 25. 28.
L'oro al prezzo nominale.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
bEHERATURA E POESIA.
Storia universale della letteratura. — Voi. I, Storia del teatro dram-
matico ; voi. II, Florilegio drammatieo ; rol. IH, Storia della poena
lirica; voi. IV, Florilegio lirico^ per Amoklo Db Oubbbkatm. — Ulrico
Uoepli, Milano- Napoli-Pisa, 1883.
Quando fa annantiata daireditore Hoepli, nel marzo dell' ottanta-
due, una Storia Universale d*ogni letteratura, divisa in tre serie, di
sci volumi ciascuna, da pabblicarsi possibilmente entro due anni, per
cura del conte prof. De Qnbernatis, anche coloro che (come i lettori
àeWAntoloffia) conoscono a prova Tingevo meravigliosamente vasto,
agile ed operoso dell* illustre scrittori), dubitarono se sarebbe stato
possibile condurre a termine sì gigantesca impresa, non ancora tentata
in alcuna lingua. Eppure, or è di poco trascorso un anno ; e già Tau-
tor« ha rittoriosamente risposto coi fatti ai malevoli e superato pur
anco Teapettatira dei benevoli. Ci stanno dinanzi i due volami del-
l'arte drammatica, e i due della lirica (e il secondo è sempre suddiviso
in due); quelli dell'epica sono 9otto il torchio; e debbono inoltre esser
composti anche i primi della 2* serie che tratteranno della leggenda
e delle novelline popolari, giacché il prof. De Qul)ernatis ne trasse
argomento ad una feri* di applandite lettore straordinarie, noll'Istitato
degli studi superiori di Pirente. Altri, senta dubbio, in questo perio*
dico, ragionerà colla dovuta larghezza, di un'opera così nuova e ma-
uMstrale di Weltltteratur, la quale, per la mole e V importanza, può
I affrontarsi alla celebre Storia l/m'vertale del Cantò, mentre poi la
vince di gran lunga par la geniale e serena obiettività dello spirito
i cui 6 ìnfNinaU. Ma non Togliamo indugiare a dare un rapido an-
nunzio dei volami usciti alla lo<«.
Teu XL, (torU 11 1 Agma IU$. »$
602 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
Il primo è una storia dfìll'arte drammatica; dopo una nobilissima
dedica al Principe di Napoli ed un succoso proemio intorno all' ori-
gine e all'uflScio del dramma, l'autore discorre in meno di 600 pagine,
del teatro di tutti i popoli. La parte da cui prende le mosse e che
svolge più largamente è quella del teatro indiano ; il quale, a suo
giudizio sta da se, nò ebbe azione suU' arte europea ; ma serba pure
una fisonomia originale, che non gli può esser negata, nemmeno se
si creda aver esso desunto dai Greci il presente ordinamento delle
rappresentazioni sceniche. Esposto il soggetto e la natura dei princi-
pali capolavori sanscriti, e dato un cenno dei moderni spettacoli hin-
dustanici (ad alcuno dei quali egli stesso forni alimento col suo Savitri),
il prof. De Gubernatis, viene a parlare, dietro la scorta di A. Chodzko,
del teatro persiano ; e più rapidamente dell' ebraico, dell' arabo e del
turco, per fermarsi quindi maggiormente sull' arte della Cina e del
Giappone. Altre informazioni sulle rappresentazioni dei Tolteki del-
l'America centrale, degli Azteki messicani e degl' Inca peruviani, som-
ministrategli dall'ab. Brasseur de Bourbourg e dal viaggiatore Markham
chiudono la prima parte del volume. La seconda è interamente dedi-
cata al teatro greco e latino ; e 1' A. non solo si giova de' migliori e
più moderni studi, ma v'intreccia osservazioni originali, qual è il dubbio
che la Mandragola del Machiavelli sia imitazione o parafrasi della
Mandragoregyiata d' Alessi, commedia oggi perduta (salvo alcuni fram-
menti) ma di cui il segretario fiorentino può aver conosciuto almeno
l'argomento, grazie a qualche amico umanista. Il teatro sacro cri-
stiano è il soggetto della terza parte, dove l'autore espone il frutto
delle belle ricerche del Magnin, Montmerqué et Michel, D'Ancona,
Monaci ecc.; egli non crede che le rappresentazioni sacre, presso di
noi, sien tutte derivate dalle devozioni e dalie laudi, ma pensa che
possano essersi svolte direttamente dal dramma liturgico, come negli
altri paesi europei, od anche essersi modellate senz' altro sopra pie
leggende. Nella quarta parte (teatro moderno) si dilunga specialmente
intorno al teatro italiano con molti giudizi sugli antichi nostri e sui
contemporanei, non che sulle vicende e sulla teorica dell'arte, che me-
ritano di esser meditati dai cultori della drammatica. Notevole è pure
il capitoletto del teatro greco moderno, e i due che seguono sullo
spagnuolo e il portoghese. Ma la tirannia dello spazio obbliga l' A. a
ristringere assai quel che spetta ai teatri di Francia, d' Inghilterra e
di Germania, avvertendo egli che già sono conosciuti in Italia per
opera dei traduttori. Gli ultimi capitoli, tutti piuttosto brevi, illustrano
m
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. (303
i teatri ulaiidese, scandinavo, russo, ruteno, polacco, bulgaro, serbo,
boemo, rumano, ungherese. Di ciascuno di questi teatri (eccettuati
soltanto l'arabo, il giapponese, il bulgaro e il rumano) si trovano
esempi, più o meno lunghi, nel Florilegio, ripartito in due sezioni
(antica e moderna) che sono due volumi. Per questi saggi il prof. De
Gubernatis ha ricercato le migliori traduzioni che ha potuto avere ; ed
è stato per lo più felice nella scelta, salvochè non v'era ragione per
preferire, la non bella traduzione di Plauto del Donini, all' altra del
Rig'-itini e del Gradi, ottima pel primo e buona pel secondo. In oltre
certi frammenti troppo brevi non ci paro che diano un' idea compiuta
d'uno scrittore e della sua maniera : avremmo amato meglio l'analisi d'una
sola commedia o tragedia, tramezzata da larghe citazioni, soprattutto
quando il lavoro stesso è appena nominato nel testo della storia. Ma
questa osservazioni od altre che altri potrebbe fare, nulla detraggono
al valore della grande opera la quale ha per fine di allargare il campo
delia coltura nazionale, e di diffondere in ogni dove nozioni di storia
letteraria universale.
Col medesimo concetto e col medesimo ordine sono composti la
storia ed il florilegio della poesia lirica, su cui dobbiamo contentarci
di dire appena una parola. Qui la distinzione fondamentale ò tra la
poesia popolare e l'individuale o letteraria che dir si voglia. Dell' una
e dell'altra 1' A. espone la storia e quindi reca gli esempi nelle due
sezioni del florilegio. In quest'ultimo i lirici moderni vincono forse un
I'»' troppo la mano agli antichi; e qualche critico spigolistro, il cui
gusto non s'accordi con quello del raccoglitore, troverà pur da ridire
sia sugli eletti sta sai reietti. Ma avrA torto; poichò n ' ° uMudizi,
il prof De Gul>ernatis non é mai guidato da (Missione ; n; onde
:>orita che sia rispettata la libertà del tuo sentimonto. E veramente
dinanzi a si vasto ediflzio 6 giusto di non badar tanto olle minuzie, e
di guardare invece io grandi lince e l'effetto complessivo dei mona-
:i onto, la cai geniul<> ispirai^one torna a grande onore dei coraggioso
architetto.
8agerlo di ana nuova ediaione delle Satire di Peralo, dichiarate da
Amtomio FkAiruo. — Piidora, tipogr. del Suminarìo, 1888, (pog. 85).
Il terzo gran satirico latino, Aulo Persio d poco noto fra noi« e
pur meritereblio di esserlo molto; se non altro, per la sana morale,
predicata con zelo e con sincerità, che nelle sue satiro ni ritrova. Ciò
! riva specialmente dal mancare un buon commento italiano, che ne
604 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
spieghi le molte difficoltà ed oscurezze di concetto e di frase. Ora il
s ignor Antonio Franco, che abbiam ragione di credere giovanissimo,
ce ne ofi're un saggio, dandoci copiosamente annotata la satira 2* a
Macrino, Il suo modo di annotare, attinto a' suoi vari studi, più che
fondato sui commentatori precedenti, e pieno d' un erudizione un po'
affettata, ci ricorda le Osservazioni sopra Orazio del Vannetti. Si
vede per altro che il sig. Franco si è giovato generalmente parlando,
dei libri recenti, e che non trascura, per quanto entra ne' suoi studi,
né la linguistica, né la scienza della mitologia. Fa poi molto bene a
tenere nel debito conto un' opera non apprezzata quanto merita, spe-
cialmente da noi italiani, cioè la Storia cC Italia antica del Vannucci,
che, ampliata com' è nell' ultima edizione, contiene tanta parte d'ar-
cheologia romana ed italica. Noi lodiamo, nell'insieme, questo saggio
e il nobile scopo che l'autore si è proposto (pag. Il in fine). L'esor-
tiamo bensì a sfrondare un po' quella minuta erudizione, ad esser più
parco di citazioni, e insomma a disciplinare e ordinare in modo più
chiaro ed acconcio quella quantità di materiali, che egli ha in pronto
per la continuazione del suo commento.
STORIA.
Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo, di
Artdro Graf. — Torino, Loescher, 1882-83. — Due volumi (pag XV,
460, 599).
« Nelle pagine che seguono io discorro delle leggende e delle imma-
ginazioni d'ogni maniera cui diedero argomento nel medio evo Roma
antica e la sua storia indimenticabile.,.. Le finzioni onde il medio evo
venne popolando la storia di Roma mi sono sembrate non indegno ar-
gomento di studio, e non immeritevole dell'altrui attenzione. In esse
vive e si palesa lo spirito di quell'età inquieta e fantastica cui trava-
gliarono ideali eccedenti fuor d'ogni misura le condizioni della vita reale;
ed io esponendole, commentandole, illustrandole, non ho creduto far al-
tro se non aggiungere alla storia di quell'età un capitolo nuovo.... Chi
ha qualche pratica di così fatti lavori, intenderà di leggieri quale fa-
tica mi sia costata quest'opera. Le mie ricerche dovevano estendersi
sopra libri d'ogni generazione, stampati e manoscritti, e che in nessuna
biblioteca del mondo si potevano trovare insieme riuniti. Quindi la ne-
cessità di ripetuti viaggi e di più o meno lunghe dimore, non solo nelle
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 605
principali biblioteche d' Italia, ma in quelle ancora della rimanente
Europa. .. Se nel riferire passi di scritture edite o inedite ho largheg-
giato, non credo di dovere per ciò invocar l'indulgenza dell'erudito let-
tore. In poesia e in istoria leggendaria i testi sono fatti, e nulla v'è
che possa farne adeguatamente le veci.... La storia certa della citta
regina, nel tempo antico, nell'età presente, fu scritta per modo che poca
speranza può rimanere ad altri di meglio : in questa parte io nulla po-
teva dare ; ma un libro delle sue leggende io tentai di comporre, e a
questo godo di potere scrivere in fronte il nome venerato dì Roma
STERNA »
Abbiamo qui compendiato la parte più importante della prefazione,
perchè meglio non si potevano dichiarare gì' intendimenti dell'autore, e
le cure da lui messe nel compilare quest'opera laboriosa. La quale non
attinge soltanto a lavori sintetici (come la Kaiserchronik edita dal
Massmann) né a monografie particolari (come il Virgilio del Compa-
retti), ma anche e principalmente si vale di fonti originali, e di docu-
menti e croniche speciali; onde non poche sono le testimonianze inedite
0 rare, portate, sia nelle copiose note, sia nelle appendici. L'opera com-
prende a larghi tratti tutto il vastissimo argomento, cominciando dalle
leggende che si collegano colla cittÀ statsa, venendo poscia a quelle
numerosissime che risguardano gl'imperatori da Giulio Cesare a Oiu-
liano l'Apostata, iodi a quelle circa i grandi poeti e letterati più fa-
mosi nel medio evo, poi a quelle degli Dei, e terminando colle leggende
di Roma Cristiana e della distruzione della città a' tempi dell'Anticri-
sto. Le quali ultime ricevono compimento in una erudita appendice sulla
leggenda di Qog e Magog. Chiunque abbia qualche pratica di questa
ricchissima storia leggendaria, che si mostra di quando in quando in
tutti gli scrittori non par del medio evo, ma anche dei primi secoli
del Rinascimento, rimarrà atterrito nel pensare all'ardua impresa as-
sunta dal prof. Oraf, e non farà colpa all'antere di quel poco o molto
che in tante varietà di fatti paò avere omesso o solo percorso di fuga.
Certo in una seconda edizione egli troverà ebe aggiungere o rettificare,
e lo mostrano fin d'ora le aggiunte e correzioni copiose fatto al primo
volume. Ma ciò non toglie menomamente che questo libro non sia una
ricca miniera di leggende importantissime a conoscersi, con riscontri
svariati, e con erodiiioiM scelta ed opportuna. Nò può farne a meno,
chiunque voglia ben comprendere gli autori del trecento, e Dante me-
desimo, il grande ammiratore di Roma, le cui opinioni risguardanti la
città eterna o gì' imperatori hanno ampia illustrazione in quest'opera,
eoo BOLLETTINO BIBLI03RAPIC0.
come, ad esempio, l'idea della vendetta di Cristo compiuta da Tiberio,
ricordata più volte duU'Alighieri, e qui largamente illustrata in un ca-
pitolo a parte (voi. I, cap. II) e in un'appendice. L'uso di quest'opera,
difficile a leggersi tutta di seguito, per i tanti documenti che contiene,
è agevolata da un indice alfabetico, che però vorremmo più copioso,
avendovi cercato invano Dante Alighieri, Fazio degli liberti, ed altri
autori nostri che pure il Graf ricorda non di rado nel corso del suo
lavoro.
PEDAGOGIA.
Manuale teorico-pratico di Morfologia greca ad uso dei ginnasi com-
posto dal Dott. Grio VANNI Zenoni. — Venezia, tipografia Emiliana, 1883,
Compendio di Sintassi latina ecc., per cura del Dott. Giovanni Zenoni
— Venezia, tipografia Emiliana, 1883.
Non è da tutti saper fare buoni libri scolastici, perchè oltre alla
molta scienza, si richiede molta pratica dell' insegnamento. Ambedue
queste doti si riuniscono nell'egregio Zenoni, professore di lett-^re greche
e latine nel R. Liceo Foscarini di Venezia, e, quando non lo mostras-
sero, altre sue pubblicazioni, basterebbero quelle notate qui sopra.
Ognun sa come la Grammatica greca del Curtius, per quanto ec-
cellente nei fondamenti su cui posa, non sia di gran lunga la più age-
vole per le scuole, sì per l'ordine troppo scientifico, sì pel modo stesso
d'esprimersi. Fra le riduzioni che della parte morfologica di essa si sono
fatte in Italia per comodo de' discenti, non ne conosciamo una più sem-
plice e chiara di questo Manuale del sig, Zenoni. Esso ha destinato il
suo lavoro alle due classi superiori del Ginnasio, che vi trovano quanto
bisogna, senza la necessità d'altri libri. Contiene, aggruppato nel modo
più comodo per l'insegnamento, tutto quanto si riferisce alla Morfolo-
gia del dialetto attico, aiutandosi anche con altre grammatiche ante-
riori e posteriori al Curtius, e colla propria esperienza ; e questo forma
la prima parte. La seconda metà del volume comprende esercizi di
traduzione dal greco in italiano, e reciprocamente dall' italiano in greco;
alcune favole Esopiane, e pochi brani di storia ; infine due dizionaretti.
I richiami continui alla grammatica e le sobrie noterelle sono, ci pare,
molto a proposito, per tutta questa seconda parte. In complesso, il
Manuale ci pare, anche rispetto alla nitidezza della stampa, un bello
acquisto pe' nostri Ginnasi.
BOi-LETTRsO BIBLIOGRAFICO. 607
Il Compendio della Sintassi Latina è un estratto della parte teo-
rica, elle si trovava sparsa nel Manuale Teorico-Pratico della Sintassi
Latina del medesimo autore ; aggiuntovi un elenco alfabetico de' verbi
e delle costruzioni più notevoli, e una serie graduata di esercizi di
versione dall' italiano. Così il libretto contiene in piccola mole le re-
gole più importanti della Sintassi Latina; e anche qui i precetti sono
acconciamente aggruppati insieme come nelle vecchie grammatiche, ma
secondo la semplicità e il rigore delle nuove. Nello scorrer qua e là
questo compendio, abbiam vedalo che a pag. 53 si danno come facol-
tativi certi costrutti latini, che altri grammatici danno come necessari
per chi voglia serbare la proprietà della lingua. Tale è, per esempio,
l'uso del presente indicativo possum, debeo ecc., per tradurre il nostro
potrei, dovrei ecc. Veda l'egregio autore se per avventura egli sia stato
troppo indulgente, o forse poco esatto nell'espressione. Ma in generale
ci pare anche questo nn libretto prezioso, sia per la facilità, sia per la
semplicità, sia per Tordine e la chiaresxa.
RACCONTI.
In Provi noia di Mabio Pbatui. — Firente, Barbera, 1888.
Sotto questo titolo il signor Pratesi ha raccolto alcune narrazioni,
che, diciamolo sobito, si leggono con interesse e con diletto.
Le dne prime intitolate Tuna un ragabondo e l'altra Iniisurtn,
sono le più lunghe e rivestono proprio il carattere ed hanno gli anda-
menti della norella. L^ altre narrazioni che segnono e che sodo : Padre
Anacleto da Caprarola^ Un ballo nel conrento, Sorema^ Vn corvo
tra I selvaggi. Il tignar Diego, il dottor FebOy Dopo una lettura del
Cantico dei cantici, Da Fanciulla^ sodo ioYece botxetti più o meno
luDghi, ai quali noD fanno certo difetto le grazie dello stile e della
lingua, assai pura eome 6 beo naturale in chi cerne il signor Pratesi
ha la fortuDA di essere daìo e di abitare ìd TosesDa.
La novella che apre il libro e che è intitolata (Jn vagabondo, ci
narra i casi pietosi d'un povero diavolo cui le circostanze hanno ri-
dotto a fare l'accompagnatore di un cieco, il colono, il servo, o che
Tiene salvato da (kre il brigante dal sentimento innato dell'onestà, e
dall'affetto che egli nutre per una bella e brava ragatza di lui com-
pagna di servizio in una casa signorile. La novella ha dei punti
♦ )08 BOLLE«'TINO BIBLIOGRAFICO.
commoventi, è condotta con un certo fare disinvolto, ed i fatti vi si con-
catenano con un certo nesso; ma vi è il difetto del soverchio affastel-
lamento di casi, il che dà talvolta al racconto una pesantezza che
nuoce assai all'effetto dell'insieme. Migliore, e certo la più bella del
libro, è la seconda novella intitolata Belisario, in cui si narra di un
popolano innamoratosi d'una ragazza civettuola che un bel giorno lo
pianta in asso per seguire un ricco signore. Belisario trova la morte
in una rissa, e la di lui innamorata rimane nel palazzo del signore.
La figura di Belisario è veramente ben tratteggiata come vi è colia
dal vero la vita popolana. Direnando che la novella è bellissima ove
non la guastasse in ultimo un concetto statovi messo dall' autore, non
perchè il concetto in sé non sia buono, ma perchè non iscatta fuori
naturale dalle viscere dell' argomento, ma appare studiato e messo li
a bella posta non si sa perchè.
Delle narrazioni che seguono, di cui abbiamo riscritti i titoli, è
difficile rifare i soggetti: non vi è intreccio, sono più che altro fan-
tasie, ma si leggono pressoché tutte volentieri. Citiamo ad esempio
Soverna, in cui si manifesta la facoltà descrittiva dell' autore, e le me-
morie deir amico Tristano, con cui si chiude il volume, dove è pro-
fuso a piene mani un sentimento dolcemente melanconico che fa pensare.
In conclusione questo del Pratesi è un bel libro, di cui rendono
gradita la lettura la vivacità del dialogo, la lingua castigata, e la di-
pintura dal vero dei costumi del contado Toscano.
Mondo Sereno di Raffaello Barbieba. — Cesena, Ettore Gargano edi-
tore, 1883.
Il signor Raffaello Barbiera ha raccolto in questo volume parecchi
schizzi letterari e biografici, gran parte dei quali venne già da lui pub-
blicata su giornali letterari, ed ha dato alla raccolta il titolo di Mondo
Sereno, afiBne di mostrare, come egli afferma nella prefazione-dedica,
che anche lui s' apre talvolta un mondo sereno nel quale la mente
riposa ed ammira. L'autore afferma pure che prima di riunire questi
suoi scritti in un volume, egli li rivide con diligenza e con coscienza,
e ne rifece di pianta alcuni.
Questi articoli del signor Barbiera, i quali s'aggirano intorno a
prosatori ed a poeti affatto moderni, non hanno perduto nulla ad essere
uniti in volume. Se tutti i giudizi che dà il Barbiera degli scrittori
di cui tratta, non si possono accettare quale oro di coppella, egli è certo
però che lo studio delle loro opere, della loro indole letteraria è fatta
p
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 609
con cura, e con conoscenza di causa, e che il giudizio è sempre im-
prontato ad una certa serenità, che non fa certo parere bugiardo il
titolo del libra Qualche volta nelle sue opinioni l' autore colpisce giusto
e sa abilmente trovare la nota caratteristica di un libro, il concetto
dominante d'un' intiera vita artistica. Ci porterebbe troppo in lungo
riferire i titoli di tutti gli schizzi che compongono il presente volume ;
saremo quindi paghi di citare quelli intitolati Arpe meridionali, in
cui sono presentati alcuni poeti del mezzogiorno d* Italia poco noti alle
restanti parti della penisola Indicheremo pure come assai ben fatto
lo schizzo biografico intitolato: Una vita di avventure^ in cui sono de-
scritte le fortunose vicende di Temistocle Solerà, quegli che scrisse
molti dei libretti delle opere del Verdi, e la cui vita sembra proprio
nn romanzo.
Il libro del Barbiera a cui auguriamo, perchè se lo merita, molti
lettori, termina con uno studio su due lirici francesi, Enrico Murger
e Jules Breton, studio che ò fatto con acume e con diligenta.
BELLE ARTL
Bernardo Celentano. — Notizie e lettere intime pabblicate nel reotMÌmo
anniversario della sua morte dal fratello Lutot. — Roma, Tipografia
Bodoniana, 1883.
Il fascicolo del 15 gennaio 1882 della iVuoro ^n/o/o^ia contiene ano
stadio accurato del nostro collaboratore, prof. 0. Molmenti, suU* illu-
stre pitiore napoletano morto immataramente a Roma, or fa an ren-
tennio. Il prof. Molmenti fino da allora aveva avuto agio di esami-
nare l'epistolario del Celentano, raccolto od ordinato con amorosa sol-
lecitudine dal fratello Luigi, nell'intendimento di renderlo a sao tempo
di pubblica ragione e di ionaliare per tal modo an imperituro mona-
mento alla memoria del carissimo Bernardo, che insieme al Paraffini
e al Frscatsini — morti ancb'eesi gioTaoiisimi — contribuì sì effica-
cemente a qaella trasformazione, cb* reta potsibili gli ultimi progretii
dell'arte moderna.
Il prof Molmenti narrò nel sao articolo come e perchò il signor
Luigi Celentano li fosse indotto a raooogliere le lettere del fratello e
no pubblicò l'indice particolareggiato, diviso in nove serie nelle quali
ooationti U storia delle varie vicissitudini della vita artistica del pit-
tore, dal r> v'mtrno 1860, epoca in cui e^li si recò a Firanza ad aliar-
010 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
pare i suoi orizzonti in quella Atene rVItalia, fino alla vigilia della
morte, Clii dunque volesse avere una esatta idea del valore e della im-
portanza di questa pubblicazione che costituisce un avvenimento nella
bibliografia artistica della quindicina, non ha a far altro che rileggere
la nostra rivista, volume XXXI, pagine 224 e seguenti, ove del libro
ancora inedito, è reso più ampio conto di quello sogliasi abitualmente
fare in questi bollettini.
Se non che fra l'epistolario esaminato mesi indietro dal prof. Mol-
menti e la recente pubblicazione dell'avvocato Luigi Celentano, v' ha
una differenza che merita esser notata.
In quest'ultimo il fratello superstite con una eloquenza calda, pas-
sionata ha reso conto di una quantità di fatti quanto interessanti al-
trettanto istruttivi per i giovani artisti, i quali potranno — consul-
tandoli — accertarsi anche una volta della verità dell'assioma: Ad
augusta per augusta.
Bisogna leggere nelle lettere di Bernardo le ansie, i dubbi, le lotte
che lo travagliano; bisogna leggere nei commenti di Luigi la descrizione
dei palpiti, dei sudori, degli studi che costò al fratello elevarsi suUa
schiera volgare dei coetanei, svincolarsi dalle pastoie accademiche, for-
marsi uno stile proprio.
La simpatica figura deirartista ci appare costantemente in guerra
con una serie di diflScoltà, affrontate con coraggio, superate con sa-
viezza, vinte collo studio e colla perseveranza. Persino la lettera che
il giorno precedente alla morte indirizza a Luigi, è un insieme di dubbi
e di speranze, di sconforti e di confidenze sulla riuscita del suo qua-
dro: Tasso infermo clt mente a Bisaecio.
Oh! quanto i cultori novellini delle arti belle hanno da apprendere
da quelle lettere piene di modeste espansioni, nelle quali rilevasi senza
orgoglio, senza convenzioni, l'anima nobile e candida del pittore na-
poletano.
Il quale ha colle sue lettere, scritto inconsciamente una pagina
interessantissima di storia d'arte, che sarà consultata con grande pro-
fitto da chi dovrà in avvenire discorrere del rinnovamento artistico
degl' Italiani dopo il 1860.
La morte inattesa del Celentano fu un lutto per l'arte. — Vogliamo
qui riprodurre un documento obbliato, l'annuncio cioè con cui un amico e
collega di Bernardo, il eh. pittore Guglielmo Desanctis, il giorno stesso
della morte (28 luglio 1863) partecipava l' infausta nuova :
« Agli amici di Bernardo Celentano pittore.
^"bollettino bibliografico. 611
< Morte inesorabile e crudele ce lo ha rapito stamane, mentre egli
attendeva a dar compimento al suo quadro, il Tasso Non un segno di
malattia, non un lamento di dolore, ha fatto presentire l'acerba fine del
nostro giovane amico, il quale, per contrario, godeva florida salute, e
poco avanti d'essere colpito da morte, cantava come di consueto, lieta-
mente. Ma quel canto fu l'ultima sua parola; che posati ad un tratto
tavolozza e pennelli e preso da vertigine e innanzi che tutta gli si fosse
oflfuscata la mente^ voltò il suo lavoro, geloso com'egli era di non mo-
strare ad alcuno le sue opere prima di averle portate a termine : l'arte
fu l'ultimo suo pensiero ! Cadde quindi privo di sentimenti e con i segni
di congestione cerebrale.
€ Sventuratamente a nulla valsero il pronto soccorso dei medici e le
cure degli amici. La vita che gli rimale per due ore e mezzo, non fu che
la lotta tra la fierezza del morbo e il rigoglio delia giovinezza avendo egli
appena compiuto il yentesimo settimo anno di sua etÀ. Non vi fu pure
un istante in che desse segno di conoscenza; e in questo la morte si
mostrò pietosa, risparmiando alla sua vittima gli aitimi e tremendi
strazi morali. Ahi ! che dolore sarebbe stato pel povero Bernardo, ve-
dersi in quell'estremo momento circondato da solo genti a cui da poco
aveva aperto Tanimo all'amicizia! Il padre, l'adorata sua madre, la
morella, i fratelli, l'amico suo più intimo, erano lontani da lui : invano,
Il vano avrebbe cercato l'ultimo loro bacio! Avrebbe conosciuto ezian-
dio, come in un punto Ttnira strappato al suoi geniali studt e alla
gloria che già osava sperare, e che non eU sarebbe mancata intiera,
purché avesse avuto il tempo di tutto svelare se stesso.
e II nome di Bernardo Celentano, so non era giunto ancora a ren-
dersi noto all'universale, era però onorato e caro tra gli artisti tutti
d'Italia, che appartengono alla scuola della moderna pittura ; e i suoi
lipinti, il Coniiglio de' Dieci e il Dante giovane, mostrarono come
mirasse a ricondurre l'arte imbattardita dagli insegnamenti delle acca-
demie, ad UDO studio coscienzioso del vero, ti nflla forma come nelle
espressioni varie degli affetti. E in questo giunse a cogliere sentimenti
nuovi e felici ; onde potevasi presagire di lui, c?ie sarebbe stato il p\ù
valoroso campione a difenderci dai biasimi ohe ci danno gli stranieri,
esser noi al presente^nelt'arte bastardi e convenzionali.
4 In verità egli è morto come sul campo di battaglia; nel suo sta-
dio, in mezzo ai suoi lavori, agli attrezzi, a dovizia di stoffe e di co-
stumi, che egli soleva di per sé con grande cura adattare ai modelli,
ricorcando sino allo scrupolo il carattere storico di ogni più piccola cosa.
612 HOLLETTINO BIHIJOGRAFICO.
Quivi niente lo circondava che non servisse allo scopo dell'arte sua.
Era veramente un campo di battaglia, ove ogni giorno si rinnovi la
mischia.
« Tutta quanta la sua giovane vita fu una continua ricerca del me-
glio. Assidue fatiche, privazioni, lunghe solitudini, lontananze dalla pro-
pria famiglia, tutto, tutto sopportò per raggiungere il suo alto fine.
Morte, è vero, lo colse nel suo glorioso cammino, ma non sì che di lui
non rimanga onorata ricordanza, quale fervido e potente ingegno ed
anima appassionata all'amore del bello e del vero.
« Il compianto onde è stata accolta la notizia della sua miseranda
fine è solenne testimonianza della stima che egli si aveva acquistata,
non solo come artista, ma come cittadino e come uomo di un forte
sentire nelle amicizie, nelle quali se fu talvolta diflScile fu però sempre
costante,
€ Preghiamo pace per lui. »
NOTIZIE
Il Comitato esecutÌTO per l'espoBixione generale italiana di Torino ha
deliberato di promuorere altresì nna speciale esposizione per le scuole te-
cniche, indastriali e professionali A questa gara solenne sono inritati a pren-
der parte tatti gì' latitati italiani, maschili e femminili, che srarìatissimi dì
forma, e di grado mirano allo scopo di addestrar la giorentù nelle discipline
tecniche commerciali e professionali. È intenzione del Comitato di acoartare
qaale ricchezza abbia l'Italia in questo ramo di cirile cultura. Ogni istituto
dere far conoscere la sua natura, il suo assetto; se ha oompiato lavori d'im-
portanza esporli, se ha insegnanti riputati indicarli, se nelle sue scuole assi-
stono giovani d'ingegno peregrino o di singolare periata, pronunciarne il nome.
— I Successori Le Mounier di Firense hanno dato mano ad una BibUottea
per le giovanette la quale conterrà lavori letterari e scientifici. Oli editori
dichiarano che avranno a cuore che gli scrìtti in esaa compresi conservino
una forma semplice, modesta ^ schiettamente italiana; e che siano tali,
sotto ogni rispetto, da preparare le noetre giovanette ad essere buone
madri, buone cittadine e brave donne da casa. Sappiamo che fra i primi
volami legati elegantemente, con incisioni ed al massimo boon presso, vi
sono dei nuovi Raocooti della aignora Rosalia Piatti, della sigaora Ida Bae-
dni ed altre egregie scrittrici ItalianA.
— Il Comitato per il monomeoto a Oio: Battista Niocolini si adunò a
Ptrense sotto la preeidenaa del eoa: Ubaldbo Peroaai, il 21 corrente,' dele-
gando i aignori mawheM Ldgi e Giorgio Nieeolini perché in unione al
segretario signor DckIì Albini, signor e ingegnere Del Moro provvedano al
eollooamento del Monumento in Santa Croce, il prossimo SO settembre, von-
tidnesimo anniveraario della morte del soeuno poeta.
— A Torino si é eoedtnito nn Gomitato promotore per l' erosione di un
boato in onore del compianto sen. Ercole Ricotti
— Si attende fra poco la relaiione che il Cornane di Roma fari pah»
blieare snlle recenti scoperte di antiehiti egisiane avvenute presso la cbieaa
614 NOTIZIE.
di S. Mai'ia sopra Minerva. Sappiamo che detta relazione conterrà uno studio
topografico del Comm. Lanciani sul tempio d'Iside e quindi alcuni artìcoli
speciali di altri collaboratori sopra l'obelisco, la sfinge ed i due cinocefali,
e sarà corredata di tavole in fototipia.
— Nell'ultimo fascicolo del periodico romano, Studi e documenti di Storia
e diritto si è pubblicata una dotta illustrazione che il eh. Con)m. Descemet
ha fatto di alcuni monumenti Assiri conservati nella biblioteca vaticana, e
fino ad ora inediti. Sono alcuni marmi mandati in dono al papa Pio IX da
un ricco signore di Mossul (presso l'antica Niuive) contenenti bassirilievi
di varie divinità, e di cerimonie religiose, ed uno fra questi ha una spe-
ciale importanza perché rappresenta l'assedio di una città fortificata. Vi
sono pure tre iscrizioni cuneiformi.
— L'editore Luigi Battei di Parma stampa, tradotti dall'inglese, i due
lavori, la democrazia e il Viaggio in Russia di Antonio Gallenga.
— La tipografia Righi di Firenze pubblica un libro del Can. Federigo
Bargilli intitolato. La Cattedrale di Fiesole. In questo lavoro si descrivono
a lunghi tratti le vicende artistiche del monumento, eh' è dei più antichi
6 conta non meno di nove secoli.
— Il signor G. C. Sansoni ha pubblicato le Lettere Familiari di Niccolò
Machiavelli nella massima parte inedite.
— La Ditta di G. Brigola di G. Ottino e comp. pubblica il prìm^ vo
lume degli Scritti editi ed inediti di Giuseppe Guerzoni, raccolti sotto il
titolo di Lettere ed armi. Questo primo volume conterrà i Discorsi e le Conferenza
Georges Duruy pubblica presso l'Hachette un volume assai lodato, sotto
il titolo Le Cardinal Carlo Carafa.
— Jean Fleury ha raccolto in un volume edito dal Maisonneuve la
Littératùre orale de la basse Normandie.
— Ch. Alexandre amico e segretario di Lamartine prepara i Souvenirs
de Lamartine.
— Coquelin (padre) attende ad un volume su Leon Gambetta.
— La figlia di Paul de Saint-Victor pubblica un' opera postuma del
padre su Victor Hugo.
— Ernesto Renan ha pubblicato l' Indice generale della sua Histoire
des origine da Christianisme, cou una carta sulla diflFusione del cristiane-
simo verso l'anno 180: è edito dal Calmann Lévy.
— Lucien Perey et Gaston Maugras pubblicano presso gli stessi edi-
tori un volume sopra Les dernieres années de Madame d' Épinoy.
— Il grande premio biennale di 20,000 fr. dell' Institut fu assegnato
al prof. Paul Meyer per le sue diligenti ricerche e pubblicazioni di vecchi
manoscritti.
— L'Académie fran^aise ha assegnato il primo premio Monthyon di
NOTIZIE.
615
2500 fr. a M. Larroumet, per il suo lavoro su Marivaux pubblicato dal-
l' Hachette.
— Tra i recenti romanzi francesi, notiamo Le supplice de Lovelaee di
Adolphe Eicot (Dentu): Mademoiselle de Poncin di Paul Gaulot (OUen-
dorfiF) : Le Bigame di Alfred Sirven (RouflF et C).
Li' Edimbarffh Beview di luglio sotto il titolo The rural population
of Italy contiene un articolo sull'Inchiesta Agraria Italiana e specialmente
sulla relazione dell' on. Morpurgo. Deplora le tristi condizioni dei conta-
dini del Veneto e le imposte oppressive. Lo^a assai i lavori dell' In' niesta
ed i materiali da essa accumulati, pure osservando che devono ancora
venir sistemati e sintetizzati.
— Dr. Edward Miiller ha pubblicato presso il Trflbner un volume
illustrato di Ancient Inscriptions^in Ceylon raccolte per incarico del GrO-
vemo.
— Sir Arthur Gordon è ritornato da Fiji con molti materiali sui co-
stumi, le tradizioni popolari, ecc., degli abitanti di qacH' isola. É probabile
li raccolga in un'opera.
— La vita di Lutero di Julìos Rdatlin sarà tradotta in inglese e pub-
blicata dal Longmans.
— C. I>. Eastlake conservatore della Gallerìa Naxlonale dì Londra
pubblica il Boo terso volume di note artistiche presso il Longroana Esso
riguarda la pinacoteca antica di Londra.
— Trattasi da qaalebe tempo di fondare ad Atene una scuola inglese.
— Gli editori Wilson e M' Connick di Glascovia pubblicano una nuova
edizione delle Lea/ce» of Ortus del poeta amencano Walt Whitman.
— Presso Williams e Norgate sta per uscire una seconda edisione
dei^i Outline» of Oerman LitenUme di Gostwìck «d Uarrìson.
— Il curioso libro Stmfy «md StùmUanta di Arthur Beade é gìA alla
seconda edizione. Sarà pubblicata dal Simpkin di Londra.
— L'Àcademy dichiara che i Po«m$ ond Lyric» of tkt Joy of Earth
di George Meredith (Londra: Macmillan) sono il miglior libro di poesia ohe
siasi pubblicato in Inghilterra in questi ultimi anni.
— Guy ì^ Strange sta completando il dizionario della lingua persiana
che il prof. Paloter lasciò incompioto alla sua morta. Sarà pubblicato dal
Triibner.
— Ladj Eastlake sotto il titolo Ffae great painter$ stampa presso il
I»ugmans un volume di saggi su Leonardo, Michelangeb, Tisiano, Raf-
fiuMf ed Alberto Ddrer.
— La Contemporamy Beview del Luglio pubblica un articolo su Lutero
Kroude,
— Tra i migliori romanzi notiamo Anne di Comtanee Fanimore
6ì(ì NOTIZIE.
Woolson edito da Sampson Low. Il Longmans annunzia due nuovi ro
m anzi : Thicker than water di James Payn e In thtt Carquinez Wood« di
Bret Harte.
— Dicesi che John Russell Young, Ministro d'America a Pekino, pre-
pari dei materiali per una Storia della China.
— A New York fu fondata una Società Ugonotta per raccogliere
materiali sulla storia e genealogia degli Ugonotti in America.
— Ij' Atlantic Monthly d'Agosto conterrà un racconto intitolato: A
Boman Singer del romanziere F. M. Crawford.
— Nei primi di questo mese si aprirà a Vienna l'Esposizione intema-
zionale d'Elettricità, che a quanto se ne può fin d'ora sapere, riuscirà
splendidissima.
Si ha da Cracovia che colà è morto il 28 corr. lo scrittore polacco La-
dislao Anczyc noto pe' suoi lavori letterari.
— Il giornale ufficiale di Copenaghen reca una biografia dello scultore
Jerichan, allievo di Torwaldsen. Era nato ad Assens, nell'isola di Fionia,
nel 1818, ed aveva 65 anni. Fra le migliori opere di lui si citano la Pene-
lope, V Ascensione, che ottenne il gran premio proposto dal principe Alberto
di Prussia, ed il gigantesco gruppo di Ercole ed Ebe. Altri gruppi suoi di
marmo fierurarono nelle Esposizioni di Parigi, di Vienna, di Berlino, di
Firenze e e.
— Mori a Dresda, in età di 73 anni, Giulio Emilio Léonard, noto com-
positore di musica insegnante al Conservatorio.
— La Società geografica di Roma riceveva giorni sono, la notizia della
morte del cav. Lucioli, quell'italiano di Macerata, che visse trent'anni in
mezzo agli indiani dell'America equatoriale. Venuto tempo fa in Italia, e
prima di partire dall'Europa, donava una preziosa collezione etnografica
al museo preistorico di Roma.
— É morto in Roma la sera del 31 lus^lio l' abate Enrico Fabiani in età
di 68 anni, valente archeologo ed orientalista. Lascia molti lavori sulle
antichità assire, egizie ecc., e ultimamente pubblicò il famoso codice Biblieo-
Vaticano con dotti commenti.
Prof. Fr. PROTONOTARI, Direttore.
Davi» MABCHioNNTt Besponeabile.
EPISODI STORICI FIORENTINI DE SECOLO XV
NARRATI DA UN POPOLANO
Diffidente, e non del tutto a torto, l'età nostra della storia
solenne, che sotto le pieghe del classico paludamento bene
spesso nasconde o dissimula il vero, più mostrasi desiderosa e
pili si appaga delle Ricordanze, dei Diarj, delle Cronache, che,
a frammenti, ma con esatteaza, ci fanno conoscere i fatti, e ci
permettono di ricostruirli poi nella loro integrità, scevri dalle
passioni contemporanee. Non già che cotali scritture non abbiano
in sé l'impronta del vario sentire di chi le scrìsse, e perciò
delle opinioni e parti a cui l'autore fu addetto, e non sia perciò
necessario l'usarne con cautela, raffrontandone insieme più d'una;
ma le passioni vi si palesano almeno senz'artifìcio; e se talora
fanno velo a chi detta, non sono volte ad ingannare chi legge;
e, ad ogni modo, oltre una quasi costante sicurezza delle date,
ci danno una cosi viva e spontanea impressione degli avveni-
menti, che ci par quasi di esser testimonj allo svolgersi dei
medesimi, dappoiché certi particolari che la stona disdegna e
trasanda comunicano a documenti siffatti calore ed eflScacia. Di
tal sorta ò il Diario fiorentino di Luca Landucci; * della cui
pubbli < dobbiamo oMere grati al signor Del Badia, che
lo ha ; , inamente illustrato, contenendo esso preziosi rag-
guagli della storia di Firenze dal 1450 al 1516 : vale a dire,
4t va peri ' MortantiHsimo, in che le arti furono recata al
IO b^.. ..: :c, la cultura si svolse maravigliosamente, ma
* Loca Lawoooci, Diario fiorentiiM dal 14tiO al Ì5t6 eontinuato da un
Ammimo timo al 154'J, pubblicato soi codici della Comunale di Siena •
delta Narocelliana, eoo annotasioai di Jodoeo Del Badia. — Fbreose, Saa-
•oni, 1888.
V«u XL, Swto U — IS A«Mt* IMS. 4S
618 EPISODI STORICI FIORENTINI.
gli ordini dello Stato si rimutMrono di conlumo, per discordie
interne ed impulsi di fu'iri, ed il Comune provò ogni maniera
di reggimenti, dalla dittatura temperaa ereditaria alla demo-
crazia mistica del Savonarola, e da qufsta al gonfalonierato a
vita sull'esempio veneto, per finire da ultimo col principato
assoluto.
Spettatore e narratore di sì diverse vicissitudini della patria,
è un uomo buono e alla buona; non veramente partigiano, ma
desidenso della gloria, potenza e buono stato di Firenze: fa-
cile ad accomodarsi ai tempi, ma in cuor suo proclive alle
vecchie forme della civile libertà: non di gran levatura, ma
che nito e cresciuto in quel m'rabde iìorimento d'ogni maniera
di civiltà, che rese sì grande Firenze nel secolo xv% mostra
naturale acume e spontanea inclinazione al buono e al bello.
Di professione fu speziale: e certo la bottega sua era, come
sempre avvenne, ritrovo di molte persone, e spaccio non solo
di dioj^he, ma di novelle d'ogni paese e d'ogni genere: e lo
stendere il suo Diario non gli dovette pere ò riuscire molto
arduo. Evi lenteraente ei ne dettò li maggi(;r porzione via via
che i fatti avvenivano : se non che poi, rileggendo, aggiunse
qualche glossema; e, ricopiando, nel testo introdusse le postille:
come a paff. 88 ove sembra certo che le parole u in questo
temp ) n sirno state poste più tardi, e a pag. 98 ove si anti-
cipino i fatti, scrivendo «come si vedrà per l'avvenire; n e
così iu qualche altro luogo.
Anshe r introduzione, che si riferisce a' casi della fanciul-
lezza, fu probabilmente composta quan lo le ricordante prese
volta per volta dovettero dare al Landucci 1' idea di compi-
larne un Diario. Ma nella maggiore e miglior parte deUa sua
scr"ttura si può dire che si senta la nota giornaliera, l'impres-
sione fresca ed immediata degli eventi.
L'ani no del L inducci, dicevamo, era naturalmente buono
e mite. (Jrli fu ferito sconciamente il figlio, forse per scambio:
ed egli all'ignoto teritore p.-rdona u liberamente, n soggiungendo:
u E priego I Idio che gli perdoni, e per questo n'.n gli dia
r inf rno. ' n Br-ici itagli la casa colle masserizie, e in essa panni
e i libri del figlio, maestro Antonio medico, u che valevano più
di 25 ducali, n ne fa mesto ricordo, ma, quasi correggendosi:
u Io accetto l'avversità come la prosperità, e cosi dico gran
' Pag. 93.
M>ISODI STORICI FIORENTINI. 619
mercè dell'una come dell'altra al Signore. * n Quanto a cose di
Stato e a gare civili, sopratutto professava o Hare le divisioni
e parti. Vedeva a pochi passi da Firenze la triste condizione
a che, per causa de' Panciatichi e de' Cancellieri, era giunta
Pistoia, u dove si faceva alla palla co' ca:pi degli uomini, * n
e Firenze esser impotente a frenare quegli animi inrelloniti,
tanto che unico partito restasse lasciirgli u rompere il c>«po
da loro: n ch'e' u sono vaghi di sangue. * n Vedeva u le povere
città di Romagna n che u ogni di anno riv(duziuni e non si
possono riposare; * n e aliro destino augurava a Firenze; ansi
una volta sperò che potesse fìnalm'^^^nte posare in tranquil.o
stato con bontà di costume. Ma si rammaricava vedendo che
tanto vi potessero gli odj pirtigiani, da' q lali eri lieto di sen-
tirsi esf-nte: u Io sono sanza pHssi<me di parte o di stati, e non
desidero se non la volontà di Do. * n Spiacevagli che dapper-
tutto si attendesse soltanto u a vers^ire il sangue di Cristo
contro a ogni carità di tante miserie di poveri popoli afflitti e
dilaniati della povera ludia; * n e in ciò, njn volendo credere
alla umana perversità, vedeva l'opera dei u nemico ddl'umana
natura: n specialmente in quell'incessante u ammazzare, rubare,
ardere le case, menar via le vergini al postribolo, tag'iire le
vigne, tagliare tanti mirabili frutti che manda Iddio all'uomo,
e guastar grani e biade. * n Le miserie dei piccoli pia occu-
pavano l'animo suo che non il fasto e le venture dei gr^in li|
e parlando dei fatti di Lombardia dell'Sd, no fa do^cr-zione
pietosa e non priva d'efficacia: u £ in questo tempo per paura
della fame e della guerra grande di Lombardia si partiva di
là molte famiglie. Passavano di qua molto faiuiglin e andavano
in quel di Koma a M) e 100 per volta, intanto che furono pa-
recchi ragliata ; e anche per la Romagna ne passava assai o
d'altri paesi. Diiiesi che furono più di 30 mila pursoae. Era
grande compassione a vedere passare Unte p ivi-rià, con uno
asinuzzo, colle loro miserie d'un pajoluszo, una padella e si-
milo povertà, in modo che facevano lacrìmaro chi gli vedeva
scalzi e ignudi. E questo coso fanno lo raaladette guerre! * n
Co' mali della guerra deplorava snchu la corruzione degli or-
dini militari, u L'ordino dei nostri soldati d'Italia si ^ questo:
tu attendi a rubare di costà, e noi faremo di quM. n Ed ag-
• Psf. S88. — • psf . 981. — « psg. 288. - * pH MS. - * psf . «90.
-- • psg. 89U. — » pag. «i9. - • psg. 46.
620 EPISODI STORICI FIORENTINI.
giungeva minaccioso insieme e pauroso : « Bisogna venga uno
di di quelli 'Tramontani, che v' insegnino fare le guerre ! * r,
E gli oltramontani vennero : vennero i u Franciosi bestiali : * v
ì u Franciosi bestiali e pazzi : ' w u uomini barberi, che godono
imbrodolarsi del sangue umano ; * n e insegnarono la loro fe-
rocia agli Italiani, che prima usavano que' modi di guerra onde
andò celebre la battaglia di Anghiari, nella quale, a sentire il
Machiavelli, uno solo mori « non di ferite o d'altro virtuoso colpo,
ma caduto di cavallo e calpesto, n Un primo saggio della nuova
scuola potè il Landucci avvisare nel fatto d'arme di Ponsacco
del 1495, dove furono tagliati a pezzi settanta francesi, u E nostri
come uomini non 'Taliani ma barberi, e inparato da loro, si di-
lettarono d'amazzargli e tagliargli tutti a pezzi, perchè de' 'Ta-
liani si trova de' crudeli e tristi. * n Non è perciò a dire quanto
godesse vedendo instaurata nel 1505 1' Ordinanza del Machia-
velli, e quanto si esaltasse al mirare quei contadini col « far-
setto bianco, un paio di calze alla divisa, e le scarpette, e un
petto di ferro, e le lance, e a chi scoppietti n far la lor mostra
in Piazza: che u fu tenuto la più bella cosa che si ordinassi
mai per la città di Firenze; ^ n e quanto si rammaricasse poi
nel 12, del non essersi adoperate cotesto u diciassette migliaia
di uomini v contro gli invasori spagnuoli. "
Un'aurea mediocrità nella vita privata e la pace civile con-
giunta alla potenza del Comune, erano ciò ch'egli maggiormente
desiderava e lodava. La morte di Pandolfo Petrucci signore di
Siena gli porge, tra l'altre, occasione a rivelarci intero l'animo
suo. u Oh quanto è più senno a stare basso che volere sopra-
stare agli altri! è manco pericolo all'anima e al corpo. Se gli
uomini grandi e ricchi fussono savi, e' fuggirebbono il voler
dominare quello che à esser comune a ogniuno, perchè si tiene
con troppo odio, e che si stessono con la loro ricchezza, e
stare contenti al bene comune, e farsi grande nelle mercanzie
e nello onesto vivere da cristiani, e dare molti guadagni ai
poveri di Dio, e amare la sua patria con retto cuore. * n La-
voro, adunque, padre dell'agiatezza, carità del prossimo, devo-
zione al'a patria, formano tutto il catechismo morale e civile
del buono speziale. Ne ei volle mai partecipare allo Stato : salvo
quando, ormai vecchio, gli amici e padroni ve 1' obbligarono :
' Pag. 24. — » pag. 89. — ' pag. 213. — * pag. 142. — 5 pag. 113-
— « pag. 273. — ' pag. 323. — » pag. 317.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 621
u come volle alcuni miei amici con mia poca volontà; ma per
fare a modo dei signori : A laude di Dio ! ' n Esclamazione che
si direbbe accompagnata da un profondo sospiro. Fino a quel
momento si era contentato di badare al negozio, alla famiglia,
al suo poderetto di Mugello e alla Compagnia degli speziali,
della quale gloriavasi di aver riordinato gli statuti. Fu cosi
uno di que' tanti, che anche in mezzo a' più fieri trambusti
civili, quietamente attendono alle cose proprie : desiderando il
bene comune, purché procurato dall'altrui operosità e solleci-
tudine: guardando gli eventi che occorrono, sopratutto nei loro
effetti: e perciò attissimi a dame ragguaglio senza svisarli con
acerbità di passioni.
Fedele ritratto di ciò che era la parte di cittadinanza in mezzo
alla quale era nato e viveva, di quel popolo grasso, che colla
sua industria e il suo buon senso e certa acutezza d' intelletto
diede a Firenze ricchezza e potenza e civiltà, il Landucci non
sovrastava punto a'suoi pari, per certe che si direbbero angustie
di mente e di costume. Ciò si vede, fra le altre, dal registrare
ch'ei fa, quasi fatterelli del giornale maggiore, ma non però da
trasandarsi, tutti i prodigj, o, come dicevasi, segni: gli avveni-
menti cioè più strani che allora occorrevano, e che la voce pub-
blica ripeteva, e spargevansi di bocca in bocca. La superstiz'one
e l'ignoranza, ma più che altro la natura torbida e incerta dei
t iiipi dava a quelli una signiBcazione recondita e paurosa. Ma
ino vorrà gravare di credulità soverchia il Landucci, se il
Machiavelli stesso, filosofando sulla storia romana e contempo*
ranea, scriveva: u Dond'e' si nasca non so, ma si vede per gli
antichi e per gli moderni csempj, che mai non venne alcuno g^ave
accidente in una città o in una provincia, che non sia stato da
indovini o da revelaaioni o da prodigj o da altri sogni celesti
prodetto. ' n £ per provare la verità di tal sua sentenza, il So-
grctario fiorentino rammenta lo genti d'arme veduto o aentito
azzuffarsi insieme in aria sopra Arexzo, poco innanzi la venuta
di Carlo Vili. Del che nulla dico il Nostro; ma dtd 1504 rife-
risce una cosa, che dapprima gli pare u da non la scrivere: n
poi, perchè u si diceva OHpressamente raolti di, tanto o da molti n
si risolve a dirla : e u qucst' è, che gli era veduto da molti ap-
parire in su nn prato presto a Bolognia molta gionte d'arme :
I'ii«. 884.
Tìiàrorti, I . M .
622 EPISODI STORICI FIORENTINI.
e mandindo raesser Giovanni (Bentivogli) a sapore quello che
volt!\ ano, uno andò a loro e lasciò gli altri. Fu veduto, come
giunse, tagliarlo a pezzi : e poco stante, colui tornare, e dire
non avere veduto nulla. E chi vedeva, vedevano d' un bosco
uscir piiina un trombetto, e poi la fanteria e poi la gente d'arme:
e giunti in sul prato s'azzuffavano e morivavi di molla giunte:
di poi tornavano nel bosco: di poi uscire di quel bosco molte
carrette e ricoglievano e morti e portavan;^^ al bosco. Questo
vedeva di molte giente discosto una occhiata: e come andavano
presso, non vedevano nulla: e quello fu veduto più volte. Si
disse che significava grande uccisione di coltivilo. * » E noli' 8
si dissero apparsi fuochi e cavalli e gente d'arme sulla mon-
tagna pistoJHse: ma questa volta il Nostro fa l'incredulo, dicendo:
u Non ci dò fede a queste cose. ' n Ricorda anche al luogo ci-
tato il Machiavelli la saetta che colpì S. Maria del Fiore prima
della morte del Magnifico, e di questo appunto ci informa il
Landucci, notando che fu a' 5 di aprile 1492, e tre giorni ap-
presso morì Lorenzo : u e dissesì che sentendo lui le nuove del-
l'effetto della saetta, cosi ammalato, dimandò donde era cascata
e da che lato. Fugli risposto, e fugli detto; e che disse: Orbe,
ch'io 8» no morto, eh' è cascata verso la casa mia (cioè verso i
Servi). E forse non ne fu nulla, ma pure si diceva. * n Ed an-
che qui abbiamo l'uomo, che pur volendo essere o parere da
più del voliijo, serba un cantuc>5Ìo, un recesso dell'anima sua
alle superstiziose credenze, succiate col latte. Senza che, d'ogni
altra novella che si andasse divulgando, di nascimenti mostruosi,*
di grandi tempeste, di fatti fuori dell'ordinario, prèndeva nota
il buon Luca, talvolta con pieno assenso tal' altra mostrando
animo forte, ma in fondo ammettendo come il Machiavelli, che
u si vede così essere la verità, e che sempre dopo tali acci-
denti sopravvengono cose istraordinarie e nuove alle Provin-
cie.* » El ora è, come informavalo il compir suo Matteo Pal-
mieri, un fanciullo o u mostruo n nato a Volterra col capo di
bue e i piedi di leone; ' o altro u mostruo n apparso a Venezia
con un corno in testa u ch'era la natura n e la coda d'animale :
e in Padova un altro ancora con due mani e due teste: tutti
se^ni, ei dice, che u significano grandi tribulazioni alle città dove
vengono. ' n E veramente, dopo uno di tali mostri nato a Ra-
* Pasr. 270. — 8 pag. 285. — 3 pag. 64.
* Discorni, I, 56.
B Pag. 13. — 6 pag. 57.
EPISODI STORICI FIORENTINI 623
venna, col solito corno in fronte e per braccia due ali dì pipistrello,
e alla cintola due serpi e il pie d'aquila, ' la città fu presa e
crudelmente s iochef|j:d ita. u Vedi, grida il Lan lucci colla sod-
disfazione della credulità giustitieata, vedi se il mostro indovi-
nava loro qualche gran cosa ! n e così u intervenne anche a
Volterra, che andò a sacco, e poco innanzi vi nacque un simile
mostro. * n
Altravolta è una donna, che apparisce a un pecoraio là Wìì
Reame, e lo incarica di andare al Papa ad annunziargli gran
peste, e che si facci» peniti nza; * come più tardi si mostrò, chia-
rendosi per la Vergine, in Arezzo ad una fanciulla di conta-
dini. * Altra coda udì ridersene n ma che pur ei dirà u poiché
sì diceva da per tutto, n è che a Milano nel 95 apparve il Duca
ucciso nel 76, e consegnò a un tale una lettera dicendogli di
portarla al signor Ludovico, e questi l'aprì e restò ammirato
un pezzo, poi disse al laesso che attendeva risposta : u EITè
fatta ! * T) Altra volta ancora sono pioggie di sangue a Siena ; e
a Viterbo una donna che diceva esaerci a Firenze il ver^
profeta, e u lo scrivo perchè si dice di queste pizie;' n e
un bue di rame dissotterr to a Murano, con una città in cj«po
e una banderuola con la croce nella znmpa dritta e tre cam-
pane a rovescio, e di dietro un calice coli' ost-a, e non so
quante altre cose, ta^te visibili n^l disegno che il Lnnlucci ebbe
fra mano: ed era voce che fosse u un segno n p( 1 Papa. Que-
sto veramente fa il ^Signore: ma u tant'ò che il mondo è troppo
gravido di peccnt*. ' n Kell'll due saette caduto sul palagio
della Sisrnoria davano da pensare al popolo : l'una che guastò
l'arme de' gitrli fu tenuta u tri^tto sognio per il re di Francia, n
e avrebbe potuto prendersi anche per ma'augurio a Firenze :
l'altra u ismosse tre nicchi n e questo significava u qualche in-
comodo della Chiesa. * n D- 1 re^to, come il Linducci osserva
altrove giuiliziosaropnte, racconti siffatti hì moliiplicavaiiO e si
ripetevano u perchè il mondo era • illevato a apcttHre gran cose
da Dio: 'ne invero in momenti di grandi commozioni, o che
le precedono, O' tutti quati butano per l'aria qualche novità,
gli uomini, o «e '1 tendano per sicuro gli tpiriti furti e i liberi
pmtsatorif sono dispo-iti a credere ogni cesa, a sljrigliar la fan-
tasia e trovare soprannaturale anche il naturale. E per intcrrom-
1 Psff. 814. — • pag 816i — » psg. 190. — « pait. 844. — • psg. 121.
— • pag. 129. — » pag. 216. — • pag. 812. - » pag. 64.
624 EPISODI STORICI FIORENTINI.
pere queste memorie di età remota con qualche reminiscenza
recente e personale, e' mi ricorda ancora come là verso il marzo
del 1849, quando già si presagiva imminente la rovina delle
cose italiane, un giorno in Piazza del Duomo, verso il canto di
via de' Martelli, vidi un capannello di gente col viso in su. In
mezzo c'era un uomo nò giovane né vecchio, alto e grasso, con
abiti un po' logori, e che parlando con non fiorentino accento,
asseriva vedere una stella: ed era quasi il mezzogiorno. Quelli
che gli stavano attorno dicevano: veggo; non veggo; c'è; non
c'è; e, che cosa sarà? Ma, per non parer minchioni, i più con-
fessavano di veder la stella : quando tra il serio e il burlevole,
ad uno scappò detto : Sarà la stella della libertà ! Alla qual cosa
i più sembrarono acquetarsi, lieti che in cielo apparisse ancora
quella luce, che omai stava per oscurarsi in terra : . e il cerchio
si sciolse, portando seco un confortevole presagio. Questo nel
49, al tempo del Guerrazzi: ma, tre o quattro secoli addietro,
quell'uomo poteva passare per santo, e quella stella, che i più
ammettevano di scorgere, per un segno celeste.
Fuor d'ogni dubbio era pel Landucci che la Vergine Maria
proteggesse Firenze, sebbene i fiorentini ciechi non sempre se
n'avvedessero. Nel 96 si portò in città la tavola di Nostra Donna
dell' Impruneta, e intanto giunse nuova della rotta di certe galee
nemiche a Livorno u che fu opera di Dio per la gran divozione
che fu di Nostra Donna. Giunse tal novella appunto quando fu
diliberato di mandar per lei, che in quel dì si mossone le navi
da Marsiglia, e quando fu disposta, giunsero in porto a Livorno.
E fu tenuto che veramente la Vergine Maria voleva aiutar Fi-
renze, e che quello fussi un saggio. E videsi chiaramente il
miracolo espresso : n tanto più che, poco dopo, l' Imperatore,
che voleva entrare in Pisa a' danni de' fiorentini, non vi riusci
e perse una nave, e pressoché la vita: sicché se n'andò via:
a che non manco fu questo miracolo che quelli del testamento
vecchio : ma molti ingrati fiorentini non l'anno stimato, ma ben è
vero che una buona parte d'uomini buoni e savi, che sentono bene
delle grazie e meraviglie di Dio, lo stimano assai, e danno laide
a Dio. ' V Altro gran miracolo fece la stessa immagine nel 99,
perchè passando ella sotto un ulivo, un ramicino se ne appiccò
al mantello, né fu potuto spiccare : onde si concluse che fosse un
gran segno, dappoiché la venuta della Tavola in Firenze era
1 Pag. 140.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 625
perchè si ottenesse vittoria nell' imminente assalto di Pisa : e
popolarmente si disse : a questo è buono pronostico ; ella porta
l'ulivo a Firenze. * :? Poco stante però si seppe che invece il
campo era stato levato, sicché ognuno u si meravigliava n e
u si dubitò di tradimento, n Soltanto nel 1509 si giunse al ter-
mine della lunga guerra, non per assalto ma per accordi : e
intanto che i Signori erano a consiglio per trattar de' patti, una
colomba entrò per la porta e girò tutta la corte e intorno ai
Dieci, finche cadde a' piedi del Proposto, che potè prenderla,
ma non tenerla, u. Fu giudicato buon segno.... benché molti dis-
sono, cose naturali. Nondimeno fu pure gran cosa ch'andassi ai
Dieci che facevano l'accordo, e, piìi forte, in mano del Propo-
sto: e non è niuno che n'abbi veduto andar più in quel pa-
lazzo, in quel modo. Gli uomini buoni dissono ch'era da Dio. * »
Ed altri avvenimenti che parevano miracolosi vide e notò il
Landucci : la figura di Nostra Donna di S. Michele Bertoldi,
che girava gli occhi, certo per disapprovare le disonestà che
si commettevano in una stufa, o bagno, che l'era dirimpetto; *
e uno Spagnaolo, che entrava in un forno caldo, e si metteva
moccoli e torcie accese in bocca, e si lavava lo mani coirolio
bollente, vendendo frattanto corle sue orazioni : e io dico, scrive
il diarista, u che fra tutte le cose che io ho mai vedute, non
ò veduto il maggior miracolo che questo, se miracolo è. ^ n
Miracolo però non gli appariva il fatto che due volto registra,'
di uomini impiccati, i quali, spiccati, apparvero tuttora vivi :
uno de' quali poi mori, ' l' altro sopravvisse, ma perché par-
lava di far certe vendette, gli Otto deliberarono di farlo im-
pendere di nuovo, e u così fu impiccato la seconda volta, n
K che a lui e ad altri questi fatti non sembrassero miracolosi,
può sembrar strano, chi pensi che in sul bel principio dei Mira-
roti dsUa Vergine, libro divulgatissimo a qae' tempi, occorre il
CASO di un ladro stato tre giorni impcso senza morire, perchè
u sustentato n da Maria in persona, cui egli, in mozzo ai suoi mi-
sfatti, serbava particolar divozione, più volte il giorno salutan-
dola. Il fatto di un impiccato vivo si riprodusse anni fa in Torino,
Hicchè l'Accademia di medicina fu chiamata a iporimentare sa
rane e conigli e cani il miglior modo e più sicuro di evitare
Mcherzi di questa fatta: ma, a que' tempi, un impiccato risorto
' PHP. 199. - • pag . 994. - » pag. «79. - « psg. 800 - » psg. »
e 56.
626 EPISODI STORICI FIORENTINI.
doveva ingenerare, più che compassione, terrore, se pur non
facesse pensare a prodigio.
Il Machiavelli al luog.) già citato, oltre i àe^m, ricorda u gli
indovni e le revelazioni » accennando particolarmente alle pro-
fezie d .1 Savonarola per la venuta del re di Francia. Né il Mo-
stro tace di ({ueste cose, e vedremo più oltre un po' distesamente
che cosa ei pensasse dil frate da Ferr ira. Frati ed eremiti in
quel teiiip ), sebbene non mancassero contraddittori ed avversarj,
nelle moltitudini a'meno avevano credito ed autorità, ed ogni
loro parola era ascoltata e commentata Gli uomini di stato ta-
lora prendevano provvedimi-nti contro i predicatori che si im-
pacciassero di cose pubbliche, e tal'altra per impotenza lascia-
vano correre; tìn^-liè, come nccadde appunto col Savonarola,
non giungesse il momento opportuno alla rivincita; ma, fra la
plebe, la voce di un povero t'ralicello trovava sempre la via del
cuore e della fantasia. Ne abbiamo più d'una prova nel Diario.
A dì 7 febbra'o 1478, u ci venne un certo romito a predicare, e
minacciava di molti mali. Era stato in quello di Volterra a ser-
vire uno spedale di lebbrosi. Era giovanetto di 24 anni, scalzo,
con un saccaccio in dosso; e diceva che gli era apparito S. Gio-
vanni e l'anijìolo Raffaello. E una mattina sali sulla ringhiera
de' Sij^nori per predicare: gli Otto lo mandorono via. E cosi
tutto '1 giorno 'veniva tal cose. ' n Poco appresso, nell'80, ca-
pitò in CMsa del Magnifico a Poggio a Cajano a un certo romito:
e fam'g'i lo pres^no e comincio rono a dire che voleva amazare
Lorenzo, e mandòrolo al Bargiello e dettogli di molta fune : n
poi,, pe' molti martorj, morì, e di tal cosa a non s'intese il vero,
s'egli era peccatore o no: chi diceva sì e chi no *. n Anche dopo
l'arsione del Sivonarola, i frati non si stancarono di muovere
il popolo, annunziando flagelli ed esortando a penitenza. Nel
lóUS « c'era molti predicatori, che la maggior parte gridorno
grande trit)ulazione, e la novazione della Chiesa, e molto si
parlava dedo 'inperadore. ' n Medesimamente nel 13 un fran-
cescano predicava in S Croce u molte tribulazioni, e tutto '1
populo correva alle sue prediche, perchè egli era in fama e te-
nuto santo, perchè era uno omuccino molto abietto, con una
cappa sola corta, a mezza gamba e misera. Chi lo vedeva si
meravigliava che potessi vivere per taH freddi.* rt Dove è da os-
servare che nelle p'ebi, vuoi cristiane vuoi buddistiche o musul-
1 Pag. 30. — » pag. 36. — 3 pag. 285. — * pag. 343.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 627
mane, nell'antichità o ne' tempi moderni, sempre un u omuccino
abietto, n che nulla possieda e nulla chieda, né d'altro sembri
curante che dell'altrui bene, solo per la esteriore sordidezza,
senza si badi al fine ch'ei possa voler conse^juire, sarà o un
profeta o un amico del popolo, secondo i casi : perchè la plebe
d'ogni tempo per credere ad un uomo, n n vuole ch'ei la sol-
levi a se, ma scenda a lei, ed anche più giù.
Cuore ed intelletto di popolo, e non maggiore altezza di
giudizj e di sentimenti, trovansi anche nelle considerazioni ond'è
inframmezzato e cosparso il racconto quotidiano del nostro cro-
nisti : salvo che non bisogna mni dimenticare che lo speziale
quattrocentista, discendeva da quei popolani, che già da oltre
due secoli avevano strappato dalle mani dei feudatarj e magnati
ghibellini le redini del reggimento, e gdi generazione in gene-
razione, se non la dottrina teorica, avevano trasmesso una sa-
gace pratica del maneggio degli affari, e un equo e temperato
giudizio delle faccende umane. Ovvj generalmente sono i giudizj
del L in lucci sopra i fatti occorrenti e sopra i personaggi po-
litici : ma appunto perchè tali, sembrano fornirci argomento del
termine me Jo, ove convenivano le sentenze dell'universale.
Accogliamo pertanto alcune delle sue riflessioni e dui giudizj.
Notevole è il primo in che ci imbattiamo, sul fatto del Lam-
pugnani e dell'OIgiati.' u Feciono, ci d'ce, come Scevola romano,
ch'arino messa la vita per la vita. Molto tardi si truova simili
uomini. E questo credo che conduchino e peccati per permis-
sione divini:' n dove, anche negli avvolgimenti della sentenza,
yedesi quella confusione di sensi pagani e cristiani, de può
pnrer strana solo a chi non pensi le condizioni della civiltà in
quel tempo, e in generalo la natura italiana, mezza antica e
mezza nuova, m<>zza romana e mezza evangelica, e l'efficncia
degli csempj e della cultura classica, non mai interrotta in Ita-
lia, e più che nella scuola, superstite e gagliarda nella vita e
nel costume. Coticchè, quando ad esempio, il Ho«coli, condan-
nato a morte per la coniriura del 13 contro i Medici, diceva
al suo confortatore : u C iVAtcmi dalla tosta Bruto, acciocché io
faccia questo paaao interamente da cristiano. * n mostrava con
sincerità di morente quel conflitto e disHidio della coscienza o
dell'educazione, che è continuo e profondo nell'uomo italiano
» P.g IR.
■ Area Stor., voi. I.
628 EPISODI STORICI FIORENTINI.
(lei risorgimento, e che si riconferma nel testamento di quello che
può dirsi se non l'ultimo, uno degli ultimi fiorentini di cotesta
stampa: di Filippo Strozzi, chiedente, prima d'uccidersi, a Dio
misericordioso che all'anima sua dia il luogo serbato a Catone
uticense. Cristiano invece del tutto è il giudizio che porta il
Nostro di due tirannelli di Romagna, u Furono due uomini cru-
deli. Sogliono capitare male. E piatosi non capitòrono mai male.
Così si leggio nella Santa Scrittura. * v Ma sentenza classica,
in doppio modo volgarizzata, perchè discesa al volgo e resa
nel suo linguaggio, direbbesi quella che gli viene sotto la penna
parlando delle dissensioni dei baroni romani, u Per le quistioni
di questi grandi ne patisce tutto el popolo : * r> che è il quidquid
delirant reges ecc. La morte dei potenti gli fa fare devote con-
siderazioni: come di Lorenzo de' Medici, che era u secondo il
mondo il più glorioso uomo e '1 più ricco e '1 maggiore.... Ogniuno
lo predicava che governava l'Italia, e veramente era una savia
testa, e ogni suo caso gli riusciva a bene. E al presente aveva
condotto quello che per gran tempo ninno cittadino l'aveva sa-
puto fare : avere condotto el suo figliuolo al cardinalato. E non
tanto à nobilitato la casa sua, ma tutta la città. E con tutte
queste cose non potè andar più là un'ora, quando venne el punto.
E però: uomo, uomo qual cosa abbiano noi da insuperbire ? «
E seguita di quest'andare un pezzo, per concludere che u Dio
perdoni al sopradetto morto. * n Né altrimenti ei va filosofando
divotamente e pedestremente sulla morte del conte di Urbino e
di Roberto Malatesta, * del duca di Calabria, ^ del Valentino, ®
per la decapitazione di Bernardo del Nero e consorti, '' per la
cacciata di Pier de' Medici, " per la rotta de' francesi nel reame. *
per le crudeltà e saccheggi degli spagnuoli e dei francesi, **
pei rivolgimenti fiorentini in favore dei Medici, " e. per ogni
altro fatto d'importanza: che se è doloroso, si chiude invaria-
bilmente con la formola: è pe' nostri peccati} e 'se è dubbio, con
un a laide di Dio ! Che se poi un male prossimo e minaccioso
non si verificò, fu tutta bontà divina: come quando si dileguò
la paura di una discesa di Turchi, che u Iddio non volle tanto
male alla povera Italia. '^
La semplice bontà del cuor suo lo faceva detestare le guerre
e i loro effetti, ma l'amor di patria gli faceva sentire e giudi-
* Pag. 25. — 2 pag. 41. — 3 pag. 65. — ■» pag. 422. — 5 pag. 70. —
fi pag. 59. — 7 pag. 157. — » pag. 114. — 9 pag. 266. — io pag. 317. —
" pag. 329. — 12 pag 201.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 629
care altrimenti quando trattavasi di imprese fiorentine. Curioso
è in proposito un episodio ch'ei narra della guerra di Pisa,
doye umanità e patriottismo stanno a contrasto, e che d' alti'a
parte è terribile testimone dell'odio feroce fra le due città.
Racconta adunque il Landucci che nel 1509, poco innanzi la
capitolazione per fame, venne al campo de' fiorentini u una
donna di Pisa con due suoi figliuoli, e andò innanzi al com-
missario dicendo che si moriva di fame, e aveva lasciata sua
madre in Pisa che stava male dalla fame: e 'l commissario
comandò che le fussi dato del pane per sé e per la mad» e
figliuoli ; e tornando col pane in Pisa ne dette a sua madre
che stava già male, e quella vecchia vedendo quel pane bianco
disse: che pane è questo f e la figliuola gli disse che 1' aveva
avuto di fuori da' fiorentini : ond'ella gridò e disse : Portatelo
via el pane de' maladetti fiorentini, voglio prima morire : e non
ne volle. Pensa quanto odio portavano le povere persone a
questa città, trovandosi a cosi dura sorte senza lor colpa.
O quanto gran peccato a ordinare le guerre! Guai a chi la
causa! Iddio ci perdoni: benché questa nostra impresa ò presa
lecitamente: pensa che peccato fa chi la piglia inlecitamente ! ' -
Comoda distinzione, che ogni violento usurpatore dell'altrui suol
fare ! vecchia parabola della festuca e della trave ! Il Landucci
credeva come a vangelo all'onestà della politica fiorentina, al
buon dritto del suo Comune; ed era anzi persuaso che u Iddio
ci ha sempre aiutati, perchè le nostre guerre sono lecite, ma
non cosi quelle degli ambiziosi ed invidiosi vlniziani. * n Da
buon fiorentino, credeva egli che non solo la Vergine, della
quale infine de' conti ogni città aveva una qualche immagino
miracolosa quanto quella dell' Impnineta, ma Dio stesso, padre
comune, avesse Firenze in special patrocinio, u Puro, notava
egli in un momento dubbio, puro Iddio ha sempre aiutata
questa città! ' n Tanto più, con tal persuasione, lo stomacava
la politica vigliacca de' suoi concittadini, che troppo spesto
compravano a danari la loro salvezza con scapito della ripu-
tazione. Quando al duca di Calabria ncli'HO si mandarono 'M)
mila fiorini, gli parve atto di troppa arrendevolezza: < ogniuno
che viene; a' danni nostri, scriveva, quand'egli ha disfatto el
contado e rubato, e Fiorentini anno per un savio uso di dare
danari per pagamento di quel danno ci anno fatto. E non ò
• Ptg. 292. — < pag. 185. — > pag. 215.
630 EPISODI STORICI FIORENTINI.
solo una volta stato, ma sarà ancora per l'avvenire. Chi vuole
danari dai fiorontini, ci veniva a fare male. ' n II tempo del
sacco aireraiio d. Firenze fu quello assai lungo della guerra
pisana: quando e re e imperatore e papa e veneziani e s^a-
gnuoli e condottieri amici e nemi.^i si burlavano dei fiorent ni
e a gara li mungevano, pascendoli a belle speranze e ricat-
tandoli con minaccie: i francesi e il re loro peggio degli alJri,
sebbene per u amore n di quest'ultimo e devozione alla sua
autorità, i fiorentini fossero divcntat' u nimici di tutta Italia. * «
Il Qfird naie di S. Malo venne per dar loro Pisa, e fu accolto
a grand'onore: ma se ne partì sen^a concluder nula, portan-
dosi però via 22 mila fiorini. * Poi venne a nome del re
uno che u si chiamava Lincia in pugno : n andò anch' egli a
Pisa, fu preso da' pisani e poscia rilasciato; e « a questo modo
eravamo uccellati, n * Indi, fu la volta dell'arcivescovo d'Aix, che
prometteva non solo restituzione del vecchio, ma anche accre-
scimenti di territorio a nome di Carlo: u e sempre da lui avemo
queste buone pjirole, ma non fatti. Ci fu sempre molto ingrato.
Ma Firenze si lasciò sempre uccellare come gli ignoranti, n • E
veramente la doppiezza francese passava il se^no: ma i fioren-
tini erano incrollabili nella lor fede. Il castellano u francioso n
anziché ad essi, consegnava S irzana e Sarzanello a' genovesi:
e qui la pazienza scappa al diarista: u Chi non si sarebbe ri-
bellato a' re di Francia ? Veramente si può dire i fiorentini
essere al re di Francia stati e p ù fc^bli e ubidienti uomini
ch'abbia el mondo, e lui non pare che l'abbi mai conosciuto, n *
Quello che i fi'.rentini mai non conobbero, neanche al tempo
della loro ultima rovina, fu l'ingannatrice politica di Francia:
neanco quando Francesco I li vendè a Carlo V, e gli oratori
della repubblica correv »no dietro al re senza mai raggiungerlo.
Solo dopo la caluta, il N ir«li ebbe a dire che la città fu mal
compensata dell'esser rimasta u ossequiosa e ferma ntll'amicizia
dei francesi; n ^ e il Pitti neW Apologia dei Cappucci: u Va fi-
dati ora dei francesi ! » * P r tener fermo il re di Francia, ogni
industria provarono i fior» nt ni; e il Nostro regisra che gli
mand rono anche due Lioni in gabbia: u né ci giovò nulla con
lui : n • ed egli intanto fingeva di credere e si lagnava che
' Pag 35. — » pag. 112. — 3 pag. 102.
4 Pag 118—5. pag, 132. — 6 pag 127.
' Slnrin^ v. h9.
« Arch. Stor., II, parte 2.-9 pag. 130.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 631
non fossero a sua amici : ' n e ne moveva rimbrotto agli ora-
tori. Cosi bene sapeva il Crist anissimo recitare la commedia!
Kè a meno vergognose strette si trovò il comutie qunndo il
territorio fu proditoriamente invaso dal Valentino nel i501; che
i governanti ebber paura e lasciar» no disertare il contado,
comprando vilmente a tal prezzo l'incolumità della cerchia
cittadina: u eh' è da ver^^ognarsi, sclama iroso il Landucci, di
essere fiorentino: avere a far compromesso delle cose sue in
uno che non valeva tre quattrini. * n Gli eccessi di quello sfre-
nate soldatesche sdeiijn-vno il diarista, e molti dovevano pen-
sarla come lui, e è ne andava di mezzo la reputazione della
città: u ma a me non è nuovo quello sanno fare i nostri citta-
dini... E questo s' è veduto p ù volte, potere vincere e avere
un grand'onore: non aver viduto. * n Cosi era perduto non solo
il contado, grande incremento di Firenze e pomario e granaio
suo, ma anche l'onore: e gli animi nella vdtà si riiii|>icciolivano
tanto, che, passata poi ih burrasca, u Firenze era ripiena di
maninconia, e pareva s'affiga-i^i in un bicchiere d'acqua. ^ n e
che i fiorentini u avesiiero le "budella in un catino. O^niuno vi-
cino sì rideva de' fiorentini, ' n prendendo ardire ad inipune-
_ mente offenderli.
^H^P Ma l'animo del Landucci sembra risollevarsi alla riforma
deho stato e alla elezione del gonfaloniire a vita fatta nel .502.
Fu scelto, com' è noto, il Sodtrini u uomo vah-nte e buono.
£ quanto bene fu assunto a questa dignità, e quanto bene d^iu-
dicò il maggior consiglio! Veraniente fu da Dio tal opera. ' n
Mi perchè nella politica teorica e pratica del buon spazialo,
Dio c'entra sempre, e' v'entra anche quando quel!' uomo u va-
lente e buono n fu cacciato di seggio e se n'andò u picitìc»-
mente e d'accordo, perchè lui disse non volere ensen- di scMn-
dolo al suo popolo, e ch'era contento a tutto quello eh' rra la
volontà di Dio... e di poi te n' andò con Dio di fuori. * n II
Machiavelli o chi altri sia l'autore del noto epigramma, giudicò
invece il gonfaloniere per tal sua sciocchosKa degno d* 1 u limbo
de' bambini; n e forse non a torto: ch'egli avrebbe dovuto e
potuto resistere, o cader meglio.
Assestate intanto, ma per troppo breve tempo, le coso del
comune coli' istituzione del gonfalonicrato a vita, il L inducci
• Fag. 142. — * paK- '^23. — < pag. V«/&. — 4 psg 328. — » psg. 245.
— • pag. 250. — ' pag. 825.
632 EPISODI STORICI FIORENTINI.
riprendeva animo anche contro i nemici, che sì a lungo avevano
impunemente oltraggiato Firenze. Nel 1508 i lucchesi toccano
botte: gli sta bene, avendo essi aiutato i pisani: u e poveretti
si sono andati cercando il male, sempre tenendo la parte pisana
e aiutatogli: dovevano pensare che Marzocco era atto a far loro
male. ' n E /juando giunse il mal tempo pe' veneziani dopo la
lega di Cambray, il buon fiorentino si frega le mani : u O po-
veri viniziani ! che farete voi ? avete il campo in quattro luoghi !
Non credo vi ridiate più de' fiorentini quando anno avuto le
loro tribulazioni, e anche pensate più a sostener Pisa! * n E
gode che sieno u balordi e sbigottiti, vedendosi aver contro
tutte le potenze. ' v Ad uscir del mal passo u bisognerà loro
la cava dell'oro... * Dovrebbero ricordarsi quando si ridevano
de' fiorentini, e quando vennero a campo insino a Bibbiena, e
come tenevano mano di torre loro Pisa, e sempre la tennono
confortata che non tornasse sotto e fiorentini: ora va per ad-
verso : chi la fa l'aspetti ! " n Tanto bene si volevano fra loro
gli stati e i popoli d' Italia !
Negli ultimi anni della vita, il Lan ducei che mai non era
stato troppo caldo nelle passioni di parte, e lasciava far gli
altri e la Provvidenza, disingannato forse da tanti casi successi
sotto i suoi occhi, mostrasi ancor più tepido, non nell'amore al
comune, ma nella preferenza alle forme di governo. Pendeva
certamente, come dicemmo, a parte popolana: ma lo splendor
nuovo che a Firenze veniva dal pontificato di un suo concit-
tadino, abbagliò lui pure e lo accostò ai Medici. Né certo ei
dovette essere il solo allora che modificasse l'interno modo di
sentire: e ciò ch'ei nota di un episodio della mutazione del 12
non dovè esser provato da lui soltanto. Instaurato adunque
il nuovo reggimento, fu guastata la sala del Maggior Consiglio
e il suo addobbo di belle spalliere, che era u cosa di grande
riputazione della città avere si bella residenza. Quando veniva
una ambasci eria a visitare la Signoria faceva stupire chi la ve-
deva, quando entravano in sì magna residenza e in sì grande
cospetto di Consiglio di cittadini, n Come più tardi fu distrutta
la campana di Palagio, acciocché, dice il Davanzati u non po-
tessimo più sentire il dolce suono della libertà, n così adesso
tutta la sala del Savonarola fu manomessa, e fabbricate invece
« camerette da soldati, n Tuttavia nota il Nostro che di ciò
1 Pag. 289. — « pag. 291. — ' pag. 293. — * pag. 296. — 5 pag. 343,
li
EPISODI STORICI FIORENTINI. 633
u dolse a tutto Firenze : non la mutazione dello stato, ma quella
bella opera di legniamo di tanta spesa... Sia sempre a laude e
o-loria di Dio ogni cosa! ' n E, a laude di Dio diremo anche
noi : ma ben si scorge che gli uomini e i tempi in breve volger
di anni erano mutati non poco. Se fosse stato men vecchio,
forse a questo punto il Landucci, con tutta la sua flemma, non
avrebbe risparmiato uno de' soliti predicozzi. Ma s' egli era
vecchio, Firenze anch'essa ormai era stanca di tante mutazioni,
e il diarista pativa del mal comune. Colui che continuò i Ricordi
del nostro Luca, facendo ad essi una scarsa appendice dal 1516
al 24, notò che nel 32 appunto si lasciò u la portatura dei
cappucci n e in scambio si portarono a berrette e cappegli, n e
vennero in uso le calze di più pezzi col ta£fettà, che u fassi
uscire per tutti i tagli, n quando prima erano di un sol pezzo ;
e che si u mozzarono e capegli, che prima ognuno li portava
lunghi insino a le spalle, e non si trovava pur un solo sen-
z'essi : n e cominciossi u a portare la barba, che prima non si
trovava persona che portassi barba, eccetto che due in Firenze,
ci Corbizo e uno de' Martegli : * n curiosi particolari di cangiato
costume esteriore, che sono causa o effetto, e certamente indizio
di modificazione intema e più profonda. Così tutto venivasi ri-
mutando a poco a poco in Firenze, dagli animi alle fogge. La
stanchezza di tanti rivolgimenti aveva generato V amore del
quieto vivere e V indifferenza delle forme politiche, e dalle
parole del Landucci, quasi senza intenzione sfuggite, vediamo
che sino dal 12 all' universale spiaceva più la distruzione di
una bell'opera d'arte, che non quella dogli ordini liberi. E sono
fatti non rari nella vita de' popoli, che non impunemente ven-
gono tenuti in perenni commozioni ed agitazioni : sicché a ciò
meglio dovrebbero por mente i vagheggiatori di riforme ab
imi» fundamentùt ed i mestieranti di rivolu£Ìoni ; e Dio, qui è
proprio il caso di invocarlo, Dio preservi l' Italia dall' opera
demolitrice dei meno, come dalla fiacchezza e sazietà dei più !
La prima parte del Diario comprende invoce tempi di ben
altra natura, agitati da passioni e ricchi di grandi avvenimenti :
e questi sono specialmente la venata di Carlo Vili e la pre-
dicazione del Savonarola. Su l'uno e su l'altro di questi fatti il
Landucci ci offre particolari non solo nuovi, ma esposti con gran-
d' efficacia e vivezza. Tocchiamo perciò qualche cosa di questi
' Pag. 333. — » pag. 371.
V«i.. XL, n«rl« II — 15 AgwU UM. «1
634 EPISODI STORICI FIORENTINI.
due importanti episodj della storia di Firenze, valendoci delle
parole stesse del nostro diarista.
Momento assai dubbioso fu quello della venuta di Carlo Vili;
che non ben sapevasi quali disegni covasse. Amico e collegato
dicevasi a parole : a' fatti, sarebbesi veduto. La Signoria intanto,
appressandosi l'esercito, ordinava che u ogniuno fussi ubrigato
mostrare la sua casa per alogiare e franciosi n, e comandava che
u non si toccassi ne cavassi nulla di casa, n II Landucci è come
interprete del sentir comune osservando che il bando dava segno
di poca fiducia: « non piacque a molti, perchè mostravano di
avere più pagura che non bisognava: che toccava a loro (ai fran-
cesi) ad avere pagura se si fussi cominciato, ancora che fussi
male per noi. ' n Gli animi adunque erano disposti a ben acco-
gliere i francesi, ma non a sopportare angherie, se anche ne
fossero doventi nascere contrasti, ne' quali la forza indisciplinata
delle turbe avrebbe dovuto cedere a quella ordinata delle sol-
datesche. Vennero intanto i mandatarj del Re a segnare col gesso
le case per gli alloggiamenti : onde la celebre frase che l'Italia
fu allora conquistata col gesso : frase che ricorda l' altra men
nota di Simone del Pollaiolo detto il Cronaca in una lettera a
Lorenzo di Filippo Strozzi a proposito della seconda spedizione
di Napoli nel 1501: u E Franciosi passano come donzelle n. Cosi
poca resistenza gli stranieri trovarono l'una volta e l'altra! Poi
giunse l'avanguardia; e per la solita burban-zja francese, e per-
chè ad uso militare mangiavano senza pagare, ci fu un po' di
disordine, non però grave. Non toccarono tuttavia le donne, *
e ciò piacque alla cittadinanza: ma, con tutta la spensieratezza
della natura francese, non però mostravano di sentirsi al tutto
sicuri, u Tutta la città fu occupata per ogni luogo : che quelle
(case) che non erano segnate, quando giunsono le gente del-
l'arme e la fanteria, occuporono tutti e borghi e vie che trova-
vano drente, dicendo : Apri qua : e non cercavano s'era povero
o ricco. Davano ad intendere di volere pagare: pochi furono
che pagassino. E se pure pagava qualche cosa, pagava le corna
e mangiavasi il bue. E fu anche maggior cosa, che fussono
pochi che levassino le donne di casa: eccetto che le fanciulle,
che furono mandate a' munisteri e a' loro parentadi, dove non
erano alloggiati. Ed invero furono molto onesti, che non fu solo
uno che parlassi una parola disonesta a femina. Avevano pure
' Pag. 71. — • pag. 226.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 635
in segreto una grande paura: tutto '1 giorno dimandavano quanta
gente può fare Firenze: e intesono come Firenze, a un suono di
campana, centomila persone tra dentro e fuori. E '1 vero era
questo, che gli erano venuti coli' animo di mettere a sacco Fi-
renze : e 'ì re l'aveva loro promesso : ma non vidono el giuoco
pure intavolato, non che vinto. E tutto fece el Signore onnipo-
tente. ' n
Così vivamente descrive il cronista la nuova condizione della
città, donde intanto i Medici erano cacciati a furia di popolo: e
il Landucci vide u el povero cardinale, giovanetto, alle sue fi-
nestre colle mani giunte, ginocchioni, raccomandandosi a Dio.
Quando lo vidi, m' inteneri' assai, e giudicai che fusse un buon
giovane e di buona ragione. * n Ma nella città sollevata e con-
fusa seguitavano a venire armati: u entrava tanti franciosi, svixoH
e tanta ciurma, in modo eh' era grande confusione e spavento
e sospetto a ogni condizione di giente. Pensi ogn<uno che cosa
era avere quella ciurma per le case, e non avere levato dì casa
nulla, e trovarsi colle donne, e avere a servigli di ciò eho bi-
sognava con grandissimo disagio. ' » Non s'intralasciavano tut-
tavia grandi apparati per la prossima solenne entrata del re:
u e fecesi spintegli e giganti e trionfi... e el difìcio della Nunziata,
con tante gale e armi di Francia per tutto Firenze. * n L'en-
trata che accadde il 17 novembre del 94, è cosi descritta dal
Nostro : « Ogniuno gridava, piccoli e grandi e vecchi e giovani,
tutti d' un animo vero, senza adulazione. E vedutolo a piedi
parve al popolo un poco diminuita la fama, perchò invero ora
molto pìccolo. Nondimeno non era niuiio che nollo amassi di
buon cuore e da dovere. Cosi fussì stato agievolo a dagliene a
intendere ch'ogniuno ha el corpo pieno di gigli, o che ogniuno
gli va in verità: in tanto che dovrebbe amaro noi singuUr
mento e fidarsi di noi d'ogni e qualuncho cosa. E questa ò cosa
vera, e vedrallo per l'avvenire la gran fedo de'fioruntiui. * n La
picciolezza del re colpi ognuno: chìj anche allora, e più che
mai, il popolo si figurava un gran signoro come un uomo grande»
come quella donna lombarda del Bonii
|. Che credeva che '1 papa non fuss'aomo
Ir Ma un drago, una montaf^a, una lombarda,
h £ vedendolo anriare a reapro in Duomo
Si fece croce per la maraviglia.
' Pag 72. — « pag. 76. - » pag. 79. - « pag. 79. — » psg. 80.
i
636 EPISODI STORICI FIORENTINI.
Altrettanto si maravigliò il popolo di Firenze, quando vide
dappresso il gran re di Francia. Anche il curiosissimo raggua-
glio che ci dà il veneziano Marin Sanudo di quest'entrata di
Carlo in Firenze si ferma a notare la piccola persona di lui.
u Venne, ei scrive, in su uno bello cavallo, et havea indosso una
gabanella de broccato d'oro tirato, et di sopra una sbernia di
raxo azurro, et un cappellazzo bianco sottile in capo, che non
parca fusse niente su quello cavallo se non uno capo, per la gran-
dezza del cappellazzo; uno homicino aliegro in viso con uno gran-
dissimo naso et il viso longo. n Fatta l'onoranza al potente colle-
gato, i Fiorentini, sebbene avessero i gigli in corpo — frase che
fa venire a mente la risposta di un granduca mediceo ad un am-
basciator francese, e che honestatis caussa basta ricordare, e non
dirla — si posero in guardia, diffidenti com'erano su due punti:
che la città fosse destinata al sacco, e che il re volesse rimetter
Piero. Bisognava dunque vigilare alla salvezza della città e a
quella della libertà. Si adunò consiglio, e fu deliberato di non do-
versi lasciar soverchiare: e a chiunque mostrasse volere usare pre-
potenza, si rispondesse : « Se il re à 20 m. persone, noi n'aremo
50 m. de' nostri proprj drente : * n preludio o variante del fa-
moso detto di Pier Capponi. Il sospetto però era da ambe le
parti, e i francesi erano capitati in mal punto, dacché gli animi
erano tuttavia sollevati, e gagliarde le forze ; e la prima, la cac-
ciata de' Medici, era andata bene. « Si stava in grande timore,
scrive il diarista, e quasi ismariti : e massime di avere le case
piene di franciosi. * La giente del re s' insignoriva più della
città, non lasciavano arme a' cittadini di di ne di notte, che le
toglievano, e davano bastonate e coltellate; e niuno non par-
lava nò andava fuori da l'ave maria in là ; e spogliavano la
notte, e le lor guardie andavano tutta la notte per la città.
Ogniuno era avilito e con grande timore. Come vedevano uno
che portassi sassi, o chi portava ghiaia, facevano pazie, e da-
vano. ' n La domenica Carlo non entrò in chiesa, quantunque
vi si desse ad onor suo una sacra rappresentazione: u giunto
alla porta, non vi volle entrare.... Molti dissono ch'egli aveva
paura e non si voleva rinchiudere, e questo ci mostrava ch'egli
aveva pili paura di noi: e guai a lui, Se cominciava, benché
vi fussi anche el nostro gran pericolo. ^ n II dì appresso, il 24,
i sospetti si aggravarono ancora: u ogniuno attese questa mat-
» Pag. 82. — « pag. 82. — » pag. 83. — * pag. 84.
EPISODI STORICI FIORENTINI.
63*;
li
tina a riempiere le case di pane e d'arme e di sassi e afforzarsi
in casa quanto era possibile, con propositi e animi ognuno vo-
lere morire co l'arme in mano, e ammazzare ognuno, se bi-
sognassi, al modo del vespro ciciliane. ' n
Fermiamoci un momento a questa locuzione, che ha dato
occasione a curiose ricerche di Michele Amari. Il quale in una
conferenza tenuta a Palermo il 31 marzo 1882, indagò la Ori-
gine della denominazione Vespro Siciliano. * Potè egli avverare
che il nome comunemente dato alla sommossa del 1282 non si
trova in nessun autore contemporaneo al fatto, né in quelli che
ne trattarono nel secolo seguente, come neppure nei compila-
tori di storie della prima metà del 400. Nella seconda metà in-
vece, tre scrittori fanno se non altro accadere la strage a suono
di campane : un quarto poi scrive espressamente, che i fran-
cesi furono uccisi al primo squillo di vespro, a e di qui nacque
il proverbio di Vespro Siciliano, che ancora si usa. ^ E questi
Pandolfo Collenuccio, che morì strangolato nel 1504. Di poi la
locuzione entra nella storia e nella lingua, i dizionarj della
quale la registrano in due significati : di strage premeditata,
'om'è nel Davanzali, e di strage improvi'isa, com'è nel Lasca e in
litri. Mostra acutamente l'ÀmaH ch'essa non potè nascer nell'isola
- perchè quell'aggiunta di Siciliano non sarebbe mai stata fatta
da siciliani a' quali bastava dire il Vespro ; n e conclude che
u la verosimiglianza ci porta a supporre nato l'adagio nel grande
ccitamento dell'opinione pubblica, che si destò alla passata di
' arlo Vili. Fu allora che Pier Capponi pronunsiò di faccia
I conquistatore il famoso detto : Suonate le vostre trombe e
noi suoneremo le nostre campane. Chi sa se allora si pensò alla
campana del Vespro di Palermo, che faoea si bene al caso, e si
' oniò il proverbio ? 71 Questa congettura doll'illustre storico ha
nuovo rincalzo dal passo del Landucci, il quale, vivendo fra il
popolo, nulla seppe del detto del Capponi e non lo registra:
ma riferisce invece i minacciosi discorsi del popolo nella forma
stessa in che allora suonavano. La frase proverbialo non è an-
cora ferma e compiuta, e tien tuttavia forma di paragone : al
modo del Vespro cicìliano; ma ormai nella venuta di questi
francesi la fantasia popolare si è ricordata che altra volta Pa-
lermo si levò a gridar mora mora contro altri francesi nell'ora
I ' Pf. ».
r * Palermo, Tip. dello Ststuto.
638 EPISODI STORICI FIORENTINI.
di un vespro famoso, e la reminiscenza dà vita ad un modo pro-
verbiale e insieme ad una designazione storica, che ormai non
morrà più. Ed or.a torniamo in carreggiata.
I sospetti andavano sempre più crescendo da una parte e
dall' altra. La porta di S. Friano era stata occupata dai fran-
cesi u. per potersene andare a lor posta; ' n ma il timore da
essi concepito fu u permissione divina n e u causa che muta-
rono l'animo loro cattivo inverso di noi, che l'avevamo buono.
Ognuno può vedere che Iddio non abbandonò Firenze. ' n Final-
mente, fermati i patti, il re si parti il 28 dopo desinare u e
dissesi che fra Girolamo da Ferrara, famoso nostro predicatore,
andò al re e dissegli che non faceva la volontà di Dio allo
stare, e che dovessi partire, ' n Quel che ne venne a Firenze
da questa passata del re, fu d'aver perduto Pisa, pagato buona
somma di danaro, congiunte le proprie sorti con quelle instabili
della politica francese di qua dall'Alpi : e per soprassello, u le bolle
franciose, ch'era come un vajuolo grosso, e non si trova medicina *:n
le quali bolle colpivano maschi e femmine, e più gli adulti, e
u non ne periva molti, ma stentavano con molte doglie e schi-
fezze. " ri L'apparizione del morbo in Firenze è notata dal Lan-
iducci al 28 maggio 1496, e di nuovo riconfermata dopo l'8
luglio; e in tanta incertezza di fatti e discordia di autori, que-
sto intanto è un dato nuovo e una data sicura, da aggiungersi
a quelle del pisano Portoveneri, che ne parla solo all'aprile del
97, ' e del perugino Matarazzo, che ne tratta genericamente,
sebbene cronoloo^icamente il discorso suo cada nel 95, come di
cosa allora manifestatasi. ' Ognuno capisce di che male si tratti;
quanto alla denominazione, che c'è da scegliere tra francese,
napoletano, spagnuolo, turco, persiano, polacco, secondo i lìioghì
ove infierì e donde passò altrove, o anche di S. Giob, di S. Rocco,
di S. Evagro, ecc., il Nostro s^gue quella che gli fu data più
generalmente in Italia, e che ha anche presso inglesi e tedeschi,
di morbo gallico, u Et perchè, dice il Matarazzo, li franciose erano
venute novamente in Italia, se credevano li italiani che fusse
venuta tale malattia de Francia: et li franciose se credevano
che fusse una malattia consueta in Italia, perchè ancora loro ne
ac |UÌstaro la parte loro : et li italiani ne chiamavano lo mal fran-
cioso, et li franciosi dicevano lo male italiano, del quale por-
1 Pag. 82, — s pag. 86. — 3 pag. 87 — 4 pag, 132, 134. — 5 pag. 141.
6 Cron. pis. (in Arch. Sfor.) voi. II, 338.
' Cron. perug. (in Arch. Stor.) voi. II, 32.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 639
taro il seme in Francia. Et molti lo chiamano de le ciriraba-
cole, da le bucciole tanto. Et fu cominciato a dire che que*to
era el male de S. Job. ' n Se non che il male esisteva anterior-
mente, e il Portoveneri quando lo osservò in Pisa, concord indo
col Landucci nel descriverlo come u un certo vajuolo grosso, n
diceva che era già u per tutta la Franza e la Provenza e la
Catelonia e altri luoghi; v e fra le Ordonnances des rois de
France, della collezione del Laurière, trovasi un documento del
25 marzo 93 che lo riguarda ; ma anteriormente non era stato
ben osservato né studiato dai medici, né divenuto epi lemico e
comune. Quei grandi commovimenti di milizie e fughe di popoli
e stragi crudelissime, che si avverarono in Italia alla discesa di
Carlo, congiunti colle intemperie di quegli anni, in che più
volte strariparono o ghiacciaronsi i fiumi, e nel 91 perfino l'estua-
rio veneto e nel 93 il mar ligure, e coincidenti con carestie ed
altri malanni, * e con la venuta dei Marrani e Giudei cacciati
di Spagna, de' quali ben 170 mila squallidi e nudi npprodnrono
a Genova, a Napoli e sulle coste romane, diffbnden lovi la peste
da loro detta man'anica; tutto ciò, se non diede origino, comunicò
almeno incremento, come in altre consimili ooc:i8Ìonl, ai morbo,
Tecchio già di più tempo, latente o poco sparso fino ni ora, ma
allora scoppiato con violenza, complicandosi anche dei sintomi
proprj alla lebbra, e al tifo campale e navale dei fuggiaschi dalla
penisola iberica.
Della uscita del re da Firenze è dal Landucci dito merito
a fra Girolamo Savonaroli, che da ora innanzi comincia a pri-
meggiare nella storia del comune, corno nel Ditrio del nostro
•peziale. Il re gli diede ascolto, o il popolo fioranti no gli fa
riconoscente u perché detto frate Girolamo in questo tompo era
in oppenìone degli aomini che fusti profeta e di nanta vita, in
Firenze e per tutta Italia. ' n Questa opin one univen^ile do-
v'iva poi io molti modificarsi, e ancho il Landucoi non vi si
tenne fedele : anzi la frase stessa ha tutta V appirnnza, come
già notammo, di eiscr stata scritta dopo la eatnsirofo dol frale.
Ila Ti*i\ 1494 mA ascoltarne le prmlicho assistevano u qua-ti setO'
prò 13 0 14 migliaja di persone,* n essendo tuttavia il più spesso
escluso le donne, e nei di non festivi : cho ò maggior cosa; *
ed il Savonarola u predicava tutta volta intorno al (atto dello
' Crnn. pn-ug. (in Areh. ttor.t, voi II, M.
* V. GoBB«oi, ÀimaU 'ielle epUUme, toI I. psf. 841 e ssg.
• Psg. 88. — « psg. 94. — • psg. U7, 14&.
640 EPISODI STORICI FIORENTINI.
stato, e che si dovessi amare e temere Iddio e amare el bene
comune e che niuno non volessi più levare el capo e farsi
grande: sempre favoriva el popolo, e tattavolta diceva che non
si facessi sangue, ma punissesi per altra via. ' n La nuova
forma di reggimento u che pare a ogniuno che vole vivere
bene e senza passione el più degno governo eh' abbia avuto
mai Firenze * n e della quale ragionando u ognuno si accordava
che fussi el vero modo del vivere popolare fiorentino, più che
fussi mai, ^ n era principalmente dovuta al Savonarola. Ma
qaeW ognuno del diarista va inteso discretamente : perchè «era
grande controversia fra' cittadini, in modo che ogniun di si
stava per sonare a parlamento ^ n e sempre u dubitavasi di
qualche scandolo * n per parte di coloro che non amavano le
nuove forale, u II povero frate, sclama quasi sospirando il Lan-
ducci, aveva tanti nemici ! * n Costoro andavano sussurrando :
a questo frataccio ci fa capitar male ^ n e gridavano di notte
intorno a S. Marco : u Questo porco di questo frataccio si vuole
arderlo in casa; ' n con forme e modi che se non altro atte-
stano nella gentil Firenze esser di remota origine il becerume.
Più tardi u la notte, per dispetto, entrorno in chiesa, e per
forza, spezzando la porta eh' è del campanile, e entrorno sul
pergamo e quello vituperosamente imbrattarono di sporcizie ;
in modo s'ebbe a piallare quando ebbe a montare in pergamo.
E predicando questa mattina, aveva detto e due terzi, fu fatto
certo remore in verso el coro, che dettone co' 'na mazza in
una cassetta... E si levò immediate un remore, gridando tutti
Griesù. E questo per che '1 popolo stava sollevato, aspettando
scandoli da' cattivi. ® ri Ben cercavano i rettori che gli animi
posassero, e mandarono fuori ordini, u che non si ragionassi
di stato 0 di re 0 di frate : '" n ma troppo le passioni erano
vive, e troppo ardua cosa fu sempre togliere a' fiorentini la
libertà del parlare, o, com' e' dicono, del ragionare su le cose
occorrenti. Nelle spesse mutazioni della Signoria accadeva però
che venissero al potere anche gli avversar] del frate, e che
i nemici di lui ripigliassero animo, e alle prove di devo-
zione altri eccessi si alternassero di sfrenatezza e mal costume.
Nel maggio del 97 nota il Landucci che u a questo tempo di
questi Signori e Otto si dette ognuno a' giuochi e a largare la
1 Pag. 92. — 2 pag. 107. — * pag. 110. — * pag. 93. — 5 pag. 93. —
6 pag. 138. — 7 pag. 97. — » pag. 122. — » pag. 147. — «• pag. 122.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 641
vita a ogni male, e aprire el Frascato e taverne n *. Si ripre-
sero i palj, donde l'autorità del Savonarola aveva sviato i fio-
rentini : ma, essendovi « questa Signoria deliberònno di correre
e no' stare più al detto del frate, dicendo : Risucitiamo un poco
questo populo: abbiano noi a diventare tutti frati? * n Certo
doveva essere curioso spettacolo quello che allora ofifriva Fi
renze : la città delle mascherate, dei trionfi, dei canti carne-
scialeschi, degli artisti, delle pompe, ridotta dall'efficace parola
del Ferrarese al raccoglimento, alla devozione, alla preghiera,
e quasi ad un silenzio, interrotto soltanto da fervoroso salmeg-
giare. Uno dei momenti più strani della storia di Firenze è
questo per certo, in che la gaia città appare quasi un gran
chiostro, e la viva indole della cittadinanza è mortificata in-
sieme ed esaltata da una specie di monomania ascetica. Il Sa-
vonarola fece certamente, se altri gli si vogliono contrastare,
un gran miracolo, traendosi dietro quelli che allora ehiamavansi
u i fanciulli : n i monelli fiorentini, pieni di insolenza e di brio,
sfrenati e spesso feroci, dei quali il Laoducci pochi anni in-
nanzi ricorda le gesta sul deforme cadavere di Jacopo dei
Pazzi * e u l'animo che presono contro gli ebrei ^ n dopo una
predica di fra Bernardino da Feltre, e altrove lo ire contro
un manigoldo, che non tormentava abbastanza a lor grado
colle tanaglie roventi tre condannati al supplizio. * Ora, per-
sino u i fanciulli n erano dalla sua. Essi colla lor solita petu-
lanza levavano di dosso alle donne i troppo vistosi ornamenti, *
disturbavano i giuochi di zara, e bastava apparissero perchè
gridandosi : u £k;co i fanciugli del frate, ogni giucatoro, quan-
tunque bravo fussi, si fuggiva. ^ n Quando poi andavano a pro-
cessione u pareva di vedere quelle turbe di Qierusalem, ch'an-
davano innanzi e dietro a Cristo la domenica d' ulivo. * n E
tanto ora il loro fervore, che u non si poteva tenere nel letto
la mattina niun fanciullo: tutti correvano innanzi alla lor ma-
dre alla predica. * -
Il Landucci fu fautore del Savonarola «* (ielle muo riformo,
non solo per buon zelo di cittadino, ma por ardore di crirttiano.
Oli pareva che fosse tornato un u tanto tempo n. So non che,
soggiungeva poi, u fu piccolo : anno potuto più e tristi oh' e
buoni ^. Tuttavia, ripi'^liavn, a kìa Inurluto Idio, da poi oh' i' vidi
» PtLg. 149. — t pag. 162. - : psg. 21. — « psg. 68. — • pgg. 919.
- « p«f. 188. - » |M4^. IM. - • psg. 186. - » pg. 128.
G42 EPISODI STORICI FIORENTINI.
quel piccolo tempo santo ' n e u mi trovai presente, e vidi...
e sentii tale dolcezza spirituale * v Ricordava con compiacenza
che anche i suoi tÌL^iiuoli u furono in fra le benedette e pudiche
schiere * n dei fanciulli oavonaroliani. Ma, con tanto fervore
quant'ei ne attenta pel frate, quando seppe che era scomuni-
cato, si astenne dal frequentarne le prediche: u molto si par-
lava di lui... e molti mancarono d'andarvi per temenza della
scomunica dicendo: giusta vel ingiusta timenda est. Io fui di
quegli che non v'andivo * n. L'animo suo era combattuto fra la
fede nel frate e l'ossequio al papa: u ancora che gli credessi...
non volli mai mettermi a pericolo andare a udirlo: * n tuttavia,
gli dava che pensare il vedere che il Savonarola non desisteva
dall'opera sua. u Pareva cosa meravigliosa che il papa nollo
potesse far star cheto e cpssire dal predicare: e molto maggiore
era che lui stessi pure forte e non cessassi dal predicare. * n
Ma, com'è noto, i moniti romani avevan reso vigore ai nemici
del frate: u si fece, registra il Nostro, una certa cena di Oom-
paj^nacci, tutti tiepidi che vorrebbono vedere le cose un poco
più larghe, e non tanto riprendere e peccati, e avere licenza
di vivere all'epicura. ' n Cominciarono le beffe, sempre efficaci
sulle volgari fantasie. « E nota che in questi tempi (nel 98) si
facevano beffe di queste cose spirituali : si trovava per la terra
tale infedele gente alla sfrenata, che toglieva moccoli e andava
cercando, cosi accesi, e dicevano: Io cerco della chìavicina ch*à
perduto el frate... Chi pigliava 1* giente e facevagli inginoc-
chiare a una lanterna accesa, e diceva: Adora il vero lume: chi
ardeva finestre impannate e altri spregi: perchè cifrate aveva
usate dette parole^ la chiavicela, e che la novazione della
Chiesa sarebbe el vero lume. E questi erano una gente di gio-
vanaglia di poco spirito. * n II che vuol dire, nel linguaggio
del tempo, che ciano di poca devozione : ma intendendo la
locuzione alla moderna, non era senza finezza contraffare a
quel modo le frasi proferite del sacro oratore.
E coi Compagnacci e gli Arrabbiati ripigliavano forze i
frati di altri ordini, fraternamente avversi al domenicano. A
Roma, dove quelle ire avevano più libero sfogo, fra Mariano
da Genazzano dal pulpito chiamava u ubriacone n il Savo-
narola, e rivaleggiando col Vanni Fucci dantesco u venne in
' Pag. 124. — 5 pag. 137. — 3 pag. 125. — « pag. 162, — * pag. 163. —
pag. 164. — ' pag. 164. — « pag. 165.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 643
tL\nta insania, che nella predica dov' era più cardinali... disse:
Alessandro, se non fussi la reverenza tua, io ti farei due fiche agli
occhi; e attualmente fece con mano simile lordura in pergamo. ' n
In Firenze un frate di S. Spirito cavava fuori epistole u molto
vituperose contro a frate Girolamo: ' n ed era probabilmente
quel fra Lionardo, dalla bocca del quale il 18 giugno del 97 il
Landucci senti leggere in S. Spirito dal u pergamo in coro, in
fra due torchi accesi e piiì frati » la scomunica inviata da Roma,
e contemporaneamente promulgata anche in S. Maria Novella,
in S. Croce, nella Badia e a' Servi. * Ed era pure cotesto frate,
che fino dal marzo dell'anno innanzi aveva fatto un primo e
lontano accenno alla prova del fuoco, dicendo che se il .ferrarese
volesse « istare un terzo d'ora nel fuoco, che vi starebbe lui una
mezza ora. ^ » D'allora in poi, cotesta pazzia dell'aversi per tal
modo a certificare della santità o non santità del frate, dovette
far la sua via ne'cerveili soverchiamente agitati e commossi dei
fiorentini. Chi ne facesse la prima formale proposta non ò ben
chiaro. Secondo il Landucci, fra Domenico da Poscia, frate di
S. Marco, avrebbe in una predica invitato un francescano, e pre-
cisamente fra Francesco da Puglia, u a entrare nel fuoco... e
andorno parecchi cittad'ni a S. Croce per ambasciatori : * n e ciò
sarebbe avvenuto il 27 marzo del 98. Sostiene invece il Villarì,
che la prima mossa fosse data dal francescano, o che il dome-
nicano accettasse incautamente e per soverchio scio, prima che
il Savonarola, che certo non era ne pazzo nò sciocco, avesse
potuto pensare a metterci rimedio. Ho memoria di aver avuto
Bott'occhio ano dei tanti scrittarcllì polemici di quegli anni, in
che è pur lontanamente accennato all'utilità di ricorrere a tale
strano espediente per esser chiari del vero, e quietare s) grande
discordia e turbaziono degli animi. Prima adunque di giungere
da quel vago accenno del predicatore di S. Spirito alla formale
proposta e al cimento, dovè ragiuncvolmcnte passar tempo non
poco: sicchò ciò che potrebbe parere uscita improvvisa e fan-
tastica di un frate fanatico, fu piuttosto frutto nAtunlo e ma-
turo di discorsi e vanti e sfide, che a lun;;o doycttoro correre
fra mezzo alla cittadinanaa e alle fazioni avverso. Quel motto
del frate agostiniano passando di bocca in bocca, ampliato, com-
mentato dall'una parte o dall'altra, di vaotasione generica ch'era
' IV 166. - « psfT. J5I. - • pag. Ifta.
* ViLLARi, O. Savonarola^ I, 899.
»Pag. 16«.
044 EPISODI STORICI FIORENTINI.
dapprima, dovette, discorrendovi su, mutarsi in qualcosa di con-
creto e di positivo; ed i Piagnoni, che credevano ai miracoli,
ed i Compagnacci, che nulla credevano, convertirlo in vera sfida
e prova risolutiva: gli uni pensando che il Savonarola ne usci-
rebbe illeso, gli altri che, accettando, perirebbe, non accettando,
si screditerebbe : sicché, o dai pergami di S. Croce o da quelli
di S. Marco,' V incauta parola venne gettata seguendo più il
sentimento dell'universale, che non una individuale audacia e
sconsideratezza. Tale del resto è il processo naturale, che nella
vita e nella storia vediamo seguire i più pazzi ed inconcludenti
disegni, co' quali talvolta si sciolgono gli umani litigj. Quale
poi dovesse essere l'esito dell'esperimento, anche ai più esaltati
era ignoto: dacché il Nostro afferma che il giorno appresso,
il 25, u il predicatore di S. Croce disse in pergamo volere en-
trare nel fuoco, e accettò lo 'nvito, e disse: Io credo bene ar-
dere, ma sono contento per liberare questo popolo ; e disse : se
lui non arde, credetegli come vero profeta. * n Dall'altra parte,
fra Domenico disse al popolo raccolto in S. Marco, che sarebbe
entrato nel fuoco, che altri suoi frati avrebbero fatto il simile,
e u volgendosi verso le donne : Ancora di queste donne faranno
questo; e fu tanto l'empito dello spirito, che molte si levarono
ritte dicendo : Io sono di quelle ; * n ed altr'a volta, predicando il
Savonarola, a si rizzò tutto '1 popolo gridando e offerendo la vita per
quella verità. * n E forse nella mente stessa del mistico capopo-
polo dovette, giunto ch'ei fu al cospetto di questo atto finale,
balenare, come dice il Capponi, u la speranza di un prodigio *. n
Secondo le idee del Savonarola, scrive il Villari, u non era strano
e neppure difficile, che il Signore volesse per mezzo d'un mira-
colo confondere gli Arrabbiati e provare la verità della sua dot-
trina. " ?i
Compiono mentre io scrivo quattrocentoquindici anni, dacché
Firenze vide alzarsi sulla piazza de' Signori quel palco u. lungo
braccia .50 e largo braccia 10 e alto braccia 4 n suvvi una ca-
tasta u di braccia 2 1[2, ® n con scope e fascine e olio e acqua
arzente e ragia, che doveva servire all' esperimento : divisa la
cittadinanza in diversi affetti; una parte fiduciosa che il fuoco
non arderebbe, e l'altra sperante eh' e' farebbe il naturai ufficio
suo. Come la cosa finisse è ben noto; e così anche l'assalto a
1 Pag. 167. — s pag. 167. — 3 pag. 168.
4 Storia della Repubblica Fior., 1» ediz., II, 245.
5 II, 120. — *> pag. 168.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 645
S. Marco e la cattura del frate. ìsel convento con altri credenti
stava anche il nostro diarista, e corse pericolo di esser mano-
incòso. « E io mi trovai; e se non fussi che del chiostro usci 'e
andane inverso la porta di S. Gallo, rimaneva forse morto. * n
Ma ei non fu martire : anzi neppur confessore. Rimase dapprima
sbigottito del subito rovescio, e del sentire che popolarmente
gridavasi al i^ ladro e traditore : * v poi la sua fede cominciò a
vacillare.
Per le scrupolose indagini del Villari è ben noto come fosse
condotto il processo del frate, col quale sopratutto avevasi in mira
di fargli perdere il favor popolare: ciò che narra il Landucci prova
che vi si riusci : u A di 19 di aprile si lesse in consiglio, nella sala
grande, il processo di frate Girolamo, eh' egli aveva scritto di
sua mano, el quale noi tenevamo che fussi profeta, el quale
confessava no' essere profeta, e non aveva da Dio le cose che
predicava: e confessò molti casi occorsi nel processo delle sue
Il predicazioni essere al contrario dì quello ci dava ad intendere.
E io mi trovai a udire leggere tale processo : onde mi mara-
vigliavo e stavo stupefatto e in ammirazione. E dolore sentiva
l'anima mia, vedere andare per terra un si fatto edificio, per
avere fatto tristo fondamento d' una sola bugia. Aspettavo Fi-
renze una nuova Gierusalemme, donde avessi a uscire le leggi
•■ lo splendore e l'esempio della buona vita, e vedere la nova-
zione della Chiesa, la conversione degli infedeli e la consola-
zione de' buoni ; e io sentii il suo contrario, e di fatto presi la
medicina : in volontate tua, Jomin«, omnia sunt posila. * n Quanta
schietta sincerità! E invero, s6 è ineffabilmente angoscioso lo
assistere alla caduta di una causa, servita con lealtà di cuore
e arder d' intelletto, o vedere la morte deiruomo che quella in
sé riassuma ed incarni, ben più triste cosa è ancora dover rin-
negare quella causa o quell'uomo, e contemplare nell'animo
proprio le rovine dell'u edificio n con tanto entusiasmo inalzato.
Tale fu il caso del Louiducci, e con lui, cortamente, di molti
altri fiorentini, a' quali avrebbersi potuto dire quclh; parole, ter-
rìbili nella loro mitezza: tncdicoé fidtiy quare dubitaètif Ma le
apparenze stavano tutte contro il maestro, o l'ultimo colpo alla
fede dei discepoli fu dato il dì del supplizio, quando i tre do-
menicani morirono u senza parlare mai niuno di loro, che fu
tenuto grande miracolo, massime che ognuno stimava di vedere
■ Fag. 170. - « pag. 171. - » pag. 178.
646 EPISODI STORICI FIORENTINI.
segni, e ch'egli avesse confessato la verità in quel caso al po-
polo : massime la buona gente, la quale disiderava la grolia di
Dio e '1 principio del ben vivere, la novazione della Chiesa, la
conversione degli infedeli: onde non fu sanza loro amaritudine;
né fece scusa veruna, né niuno di loro. Molti caddono della
loro fede. ' n Allo svanire di questo sogno, misero compenso sarà
che nelle scritture del frate, richieste per arderle dal manda-
tario del papa, non si trovassero eresie, * o che all' apparire
di certi bruchi, che avevano u viso umano con gli occhi e '1
naso, e pareva avessino una corona in testa e intorno al viso
come un diadema... e tra la corona e la testa una crocellina, n *
la superstizione volgare li battezzasse, facendovi su certi suoi
ragionamenti, per u e bruchi del frate Girolamo. « Ormai Fi-
renze era in mano dei Compagnacci, che con mille scede si
sfogavano contro l'odiata memoria del frate e de' suoi assertori:
tanto che, fra 1' altre, il dì di S. Giovanni posero in su una
girandola, u un porco e giganti e cani... e dicevano el porco
essere il frate, e '1 gigante morto Francesco Valori, e simili
pazzie. E trascinando quel gigante che cadde, sempre dicendo:
quel porco del frate, e simili cose da sciocchi. * n L! empietà
gavazzava liberamente: né l'anno era finito, che imbrattamenti
e sfregj triviali si commettevano nelle chiese, sui fonti batte-
simali e pe' pergami. ' I costumi u larghi n che i Compagnacci
patrocinavano, avevano cosi pieno trionfo dopo la lunga qua-
resima savonaroliana. Firenze tornava la città degli spassi,
delle pompe, delle arti, del lieto vivere. La maggior parte della
cittadinanza, salvo alcune anime pie, dovette fare, rispetto al
profeta e raarUre, come il Landucci : o scordarselo, o serbarne
amara rimembranza. Guai, del resro, ai caduti! Che poi il frate
potesse riuscire, non dirò alla conversione degli infedeli o alla
novazione della Chiesa, ma pur soltanto alla riforma del costume
in Firenze e allo stabilimento della libertà popolare, è assai
dubbio: e forse egli aveva suscitato una espettazione, e destato,
a così dire, una fiamma, che doveva immancabilmente consu-
marlo, prima che il rogo gli ardesse le membra, infiacchite dalle
veglie e rotte da' tormenti. E forse egli voleva troppo più che
gli uomini e i tempi potessero concedergli: ma ad ogni modo
è sua gloria l'aver mirato sì alto e l'aver suggellato la propria
fede col sacrificio della vita. Quanto a Firenze- ella era pre-
1 Pag. 177. — « pag. 178. — » pag. IStt — * pag. 180. — 6 pag. 190.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 647
parata da tutta la sua storia anteriore più che alle mortifica-
zioni del Savonarola, agli splendori del pontificato di Leone.
Il Diario del Landucci può dirsi appunto si chiuda con le
pompe che allegrarono Firenze nell'entrata del figlio di Lorenzo.
Fu come una festa dell'arte; e il Nostro si compiace in descri-
verla e giudicarne con. quel senso squis'to, che è proprio, o
allora più che mai, dei fiorentini. Del resto l'educazione artistica
del Landucci si era fatta a poco a poco, e come naturalmente,
in mezzo a quel nascere e grandeggiare dell'arto fiorentina nel
secolo XV. Aveva egli assistito ai primordj e ai progressi di
Donatello, di a Dis'dero iscultore n e del Rossellino: a un uomo
molto Piccolino, ma grande in iscoltura; n e a quelli di u mae-
stro Andreine degl' Inpiccati, di maestro Domenico da Vinegia,
pittori, di maestro Antonio e Piero suo fratello, che si chia-
mava del Pollaiolo, orafi, scultori e ^pittori ; ' - fra i ricordi
della sua infanzia c'er^ quando u si coiuincìò la laiiterna della
cupola di S. Maria del Fiore e '1 palagio di Cosimo de' Medici,
e S. Lorenzo e S. Spirito e la Bidia d' andare a Fiesole. * n
Neil' 89 aveva veduto dalla sua bottega del canto de'Torna-
quinci cavare le fondamenta e innalz<re quel palazzo degli
Strozzi che u durerà quasi in eterno, n ' e ricordava il « gran
numero di maestri e manovali, ch'erano occupato tutto le vie
intorno di montagne di sassi e di caloinicci e di muli, d'asini
che portavano via e recavano ghiaia: per modo che con ditli-
cultà di chi passava por questo vie; e noialtri artedci stavamo
continuamente nella polvere e nulli uuja della giente che si
f rmava per vedere, e chi per non potere passare colle bestie
> Pag a. A questo laof^o il Luniuccì rìconU «Uri uomini insigni delU cittsdU
nanzs fiorentina, oltrf gli artisti: < H in (|ue«ti toinpi vivevano quoati nobiii e
valenti oomini: l*Mciv<eovo Antonino, cli« u«et di 4. Mareo, frate, e nndò
sempre vestito come frst« di qwU' ordine di 8w DonMnioo, al qualit si può
dire boato; inesser Bartoloin<^» dt' I^paeoi, veaeovo e pn)ilicat<»re rect'llen-
tissìmo «opra tatti gli altri ne' DO«tn d); ni«««tro l'ai;olo melico, filosofo
e astrolago e di santa vita; Cosimo di Giovanni de' Mndici, el quale ai
chiamava da tatto 'I mutndu «t graa wisraaaie. ch'aveva le ragioni pnr tutto
l'abitato; non si potova far* anggiote conpitritsione ihe dire: K' ti par
ssssw GosioM» de' Medici, quasi dicendo che non si poteva trovare el mag>
giora rieoo e piò famneo.. Il estro Antonio, sonatore d'organi, cb^ passò
ne'saa di ognuno; maestro Antoni'» di Oui lo, cantatore hiproviso, che ha
Passato ognuno ia qoell' arle....~ Maestro Mariano che 'nsegnava 1' sbeeo :
Calandro, msastco «Tlassf sre l'absoo • «omo molto buoao e eoetuiaalo,
che fu mio raesetwk •
« Pag. 2. - » peg. 69.
V
648 EPISODI STORICI FIORENTINI.
cariche. ' w Ma, con tutta la noja della polvere e degli ingombri
ei vedeva Firenze farsi ogni dì più bella e sontuosa, e ne go-
deva, u E in questi tempi si faceva tutte queste muraglie ;
1' Osservanza di Samminiato de' frati di S. Francesco : la sa-
crestia di S. Spirito : la casa di Giuliano Gondi, e la chiesa
dei frati di S. Agostino fuori della Porta a S. Gallo. E Lorenzo
de' Medici cominciò un palagio al Poggio a Cajano, al luogo
SUO; dove ha ordinato tante belle cose, le Cascine. Cose da
signori!... E molte altre case si murava per Firenze, per quella
via che va a S. Caterina, e verso la porta a Pinti, e la via
nuova de' Servi a Cestello, e dalla porta a Faenza verso San
Bernaba, e in verso S. Ambrogio, e in molti luoghi per Fi-
renze. Erano gli uomini in questo tempo atarentati al murare,
per modo che c'era carestia di maestri e di materia. * v Altro
spettacolo artistico vide nel 1504 quando u si trasse dell'opera
el gigante di marmo : n il Davide di Michelangelo, u E andava
molto adagio, cosi ritto legato che ispen/.olava, che non toccava
co' piedi ; con fortissimi legni e con grande ingegno : e penò 4
dì a giugnere in piazza... aveva più di 40 uomini a farlo an-
dare: aveva sotto 14 legni unti, e quali si mutavano di mano
in mano. * tì Viveva così in mezzo alle meraviglie dell'arte : ogni
giorno un quadro, una statua, un palagio nuovo da ammirare.
Se, fenomeno non comune in Firenze, cadeva neve, della neve
caduta si facevano bizzarre immagini : * n e il popolo andava
attorno, e guardava e giudicava; nel 1511 la neve u alzò in
Firenze in molti luoghi un braccio : e fecesi molti lioni di neve
molto begli e da buon maestri : in fra gli altri se ne fece uno
dal campanile di S. Maria del Fiore, grandissimo e molto bello,
e a S. Trinità ; e molte altre figure fu fatto al canto de' Pazzi,
igniudi, da buoni maestri ; e in Borgo S. Lorenzo si fece città
con fortezze e molte galee, e questo fu per tutto Firenze. ' v
Così r industria e la piacevolezza dei fiorentini cangiava anche
l'intemperie in pubblico diletto! Gofia, cosa doveva essere invero
il regalo che dalle sponde semibarbare del Tago mandava nel 13
il re di Portogallo a Leon X, cioè u un papa di zucchero con
dodici cardinali tutti di zucchero, grandi come uomini natu-
rali : * n ma altra cosa dovevano essere quei leoni, quegli ignudi
fatti dai buoni maestri fiorentini. Aggiungi, ad affinare coll'e-
1 Pag. 58. — « pag. 59. ~ ' pag. 265. — ♦ pag. 217. — * pag. 306. —
« pag. 343.
EPISODI STORICI FIORENTINI. 610
sercizio il gusto, le annuali feste di S. Giovanni cogli edificj e
gli spiritelli e i giganti, * e i trionfi, come quel di Camillo nel
14, che fu «molto magna cosa:* n e si capirà come un popo-
lano fiorentino, a siffatta scuola pratica, s' intendesse di arte e
ìa sentisse, più che un moderno professore d'estetica.
« Dironne qualche particina * n scrive il Nostro, giungendo
col suo Diario alle feste del novembre 1515 per 1' entrata di
papa Leone. E trapassando ciò eh' e' nota degli sfoggi negli
abiti dei cittadini e nell'addobbo delle chiese, in livree, caval-
cature, baldacchini e luminarie, ch'erano pompe usuali in Fi-
renze, o com' e' dice : u infino a qui è uno ordinario, * n racco-
glieremo alcun che delle cose u ismisurate n che allora si fe-
cero. E procedendo per ordine, ricorderemo prima le u 4 co-
lonne grandissime di 16 braccia alte e grossissime, darientate,
con più altre colonne v ch'andavano alte sino a certi taberna-
coli u. con figure in tutti e quadri e vani, tutti di mano di buoni
maestri... a similitudine di storie magne » alla Porta di S. Pier
Gattolini. A S. Felice in piazza un arco trionfale, con a in-
torno 8 colonne tonde grandi... co' molte colonne piane... e
quivi era ancora molte figure di mano tutte di principali mae-
stri... in modo che tenevano l'uomo a badare per intendere a
loro significati e bellezza n. Al ponte a S. Trinità un arco di
sì gran bellezza e che u contentava tanto l'occhio, n da far giu-
dicare che Firenze avesse u tanti degni architettori e molti,
che più non si può trovare al mondo n. In piazza S. Trinità
ventidue colonne, che facevano u un certo tondo come un ca-
stello n, e ne' vani, panni d'arazzo. In Piazza du' Signori al
canto del Lione u un certo quadro ch'avea quattro archi trion-
fali, che solo questo dificio sarebbe difficile a cittA verun.'i
farlo n. Al palagio del Podestà ventiquattro colonne u molto
gientile cosa n. Al canto de' Bi«cherì Tentuette colonne piane,
con orn imenti d'oro e festoni dì meU^prano e pino e iigure
buone u che facevano baiare or« intorno a queste cose n. A
8. Maria del Fiore, dodici colonne alto eoa magni archi trion
fall e quadri e ornamenti; co«a, tanto u superba e signorile ^
che ognuno si augurava non si disfacesse, m% restasse per mo-
dello a far la facciata. Al canto do' Carnesecchi, un magno arco
trionfile con quattro colonne tonde e sci pime, con figure di
buoni maestri. Altro arco all' entrar di via della Scala, con
' Pa<5. 28. — t pag. 845. - * p««. 862. — < puf,- iif)!
050 EPISODI STORICI FIORENTINI.
cornicione alto quanto le case. In S. Maria Novella una specie
(li andito tutto a colonne, otto grandi, ventisei piane, dodici
piccole, in modo che le case erano tutte mascherate e nascoste,
con figure e ornamenti tali, che u chi si poneva a guatargli
si smarriva n, perchè u non erano cose da uomini grossi e goffi,
ma tutte perfette figure, e poste tanto bene a proposito da va-
lentuomini n. E in mezzo alla piazza u un cavallo grande isfre-
nato... levato a correre: n e in altre piazze, guglie e colonne
e giganti : delle quali talune furono giudicate belle opere, altre
« cose sciocche n. E intanto per più di un mese, di dì e di
notte, nei giorni feriali e nei festivi, le chiese erano ingom-
brate e gli ufficj sacri celebravansi alla meglio, fra mezzo a
romori di legnajuoli, dipintori, muratori, segatori, di oltre a
due mila operaj, che lavoravano sotto la direzione di Jacopo
di Sandro, di Baccio da Montelupo, del Tasso, del Granacci,
di Aristotile da S. Gallo, del Rosso, di Jacopo Sansovino, di
Baccio Bandinelli, di Andrea del Sarto e di altri insigni arte-
fici, con spesa di « settanta migliaja di fiorini e più. * n Tali
le pompe artistiche di Firenze quando pontefice sommo dei
cristiani e supremo monarca nei regni dell' arte era Giovanni
de' Medici: u e non credere, dice a ragione il Landucci, che
ninna altra città o signoria del mondo avessi potuto o saputo
fare tale apparecchiamento. * n
Più e più cose ancora potremmo qua e là spigolare da
questo Diario : fedele e lucido specchio dell'antica vita fioren-
tina, se questo non bastasse, come ci pare, a darne sufficiente
idea. Come del resto si ascolta con diletto un vecchio che ra-
gioni della gioventù sua, e ne ponga innanzi agli occhi casi e
costumi di altra età, cosi sarà forse piaciuto l'udire la candida
parola di un antico che, quasi risorgendo da una sepoltura di
quattro secoli, efficacemente ci rappresenta la condizione di
Firenze, quand' eli' era nel maggior culmine della prosperità e
potenza, e della gloria sua letteraria ed artistica.
Alessandro D' Ancona.
1 Pag. 352-59. — « pag. 353.
LA QLiESTlONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI
LA GRAN BRETTAGNA.
I.
Nessuno storico avrebbe potato prevedere clie nel secolo de-
rimonono sarebbe risorta in Earopa, per guisa da imporsi al-
l'atten/cione generale e minicciar»} i buoni accordi fra le Po-
tenze, la questione delle colonie. Prevalevano ormai nel giure
delle genti, in cotcsta materia, p'.ù umani e giusti principii;
imperocché si riteneva bensì che una nazione avesse il diritto
iVì esplorare e colonizzare per mezzo del suo governo o dei suoi
cittadini qualHiasi territorio non compreso nei confini territo-
riali di una nazione civile, ma si aggiungeva, che i continenti
'l'Europa, d'Asia e d'America sono, in ciascuna lor parto sotto
Il sovranità di un governo stabilito, e non soggetti in alcuna
loro parte a colonizzazione senza il consento del governo da
4-ui dipendono. Che anzi aggiungevasi anche, nel caso una gente
selvaggia avesse un governo stAbilito, questo si dovesse rispet-
tare dalle nazioni civili almeno nel senso di cercare anzitutto
1^ l'avviamento di buoni rapporti cogli abitanti per mezzo del go-
ji verno loro, e chiedere a questo risarcimento dei danni che quelli
avessero fatti. * In tutti gli Stati era ormai riconosciuta, colle
.'litro libertà, anche quella dello emigrare, ed a ciascun cittadino
' Gabdvbb'i, Imlituta, pag. 24, | 12. — PiiiLLMoas't, In»em., Lair
. ccxi.itt. — IkuMTBciiti, DroU. itU. eo4^ H 280-281. — Do Dlst Fibld,
J'rojct d'un Cod. int., 77-7P.
G52 LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
era lecito andare oltre i confini della patria, vicino o lontano,
per ritornare o dandole un eterno addio, tra gente selvaggia o
nei più attivi focolari della civiltà. Ma appunto a cotesto modo
si fondavano libere consociazioni, colonie commerciali, fondachi,
pili spesso i nuovi venuti si confondevano alle estranee genti
signoro della terra, ma nessuno Stato pensava più "a gittar pro-
paggini nuove oltre ai mari, ad accrescere il proprio dominio
coloniale. Parevano venute meno quasi tutte le ragioni che ave-
vano spinto in altri tempi cittadini e governi alla fondazione
di colonie. La ricchezza generale cresceva con rapido moto ; la
libertà era dovunque ammessa come un patrimonio, come un
diritto dell'uomo, o come la sua più preziosa conquista; ed a
tutte le nazioni era aperto il campo dei commerci ed aperte le
vie del mare, per guisa da competere liberamente, dovunque.
S'ai2^giungano gli insegnamenti dell' esperienza, la quale aveva
mostrato la difficoltà di fondare e governare bene le colonie,
con profitto loro, della madrepatria e della civiltà generale,
senza distinguere sovente gli errori di metodo dalle conseguenze
del diverso carattere dei fondatori. Per lo che gli anglosassoni
venivano reputati quasi ì soli adatti a tale altissimo ufficio sto-
rico ed economico, mentre la caduta degli imperi coloniali del
Portogallo e della Spagna, le perdite dell'Olanda e della Fran-
cia, ma specialmente gli ultime dispendiosi tentativi di questa
venivano additati come un salutare ammonimento.
Ciascuna nazione aveva poi ragioni sue particolari per non
ritentare le antiche prove, per tener chiuso l'animo a nuove am-
bizioni. Chi più ne considerava le interne condizioni era tratto
ad affermare che la civiltà avrebbe ormai tenuto altre vie per
penetrare tra le genti selvaggie, più degne dei suoi nobilissimi
intenti. L'Inghilterra aveva già tania p irte del mondo sulle brac-
cia da reggere appena al gran peso. I suoi coloni non basta-
vano a reggere, non che a popolare, i dominii vastissimi; tutte
le cure del governo, tutti i mezzi dei quali il suo largo bilan-
cio poteva disp )rre parevano appena sufficienti a raffermare
coi beneficii di civili opere la soggezione dell'impero indiano ;
e, come nei gloriosi tempi di Roma, anche ai cittadini di Lon-
dra non veniva fatto di tener chiuso un anno solo il tempio di
Giano. La Francia, prima dd 1870, aveva i duri ammaestra-
menti del Messico, e dopo Sedan, la Comune e i cinque miliardi,
nessuno poteva credere avrebbe cercato in nuove intraprese co-
loniali un conforto, un compenso, od una distrazione purché
LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI. 653
fosse. Le altre nazioni che avevano possedimenti oltremare,
l'Olanda, la Spagna, il Portogallo, la Danimarca, duravano troppa
evidente fatica e conservarli, e non avevano destato neanche
il sospetto di ambizioni nuove, e la Svezia aveva venduta la
sua piccola colonia di San Bartolomeo, per togliersene aftatto
il sopraccapo. La Germania vedeva bensì a malincuore centi-
naia di migliaia dei suoi cittadini perdersi lontano, fra altre
genti, ma non pareva proclive a gittare propaggini di là dei
mari per suo conto, né certo il suo gran ministro vi aveva pen-
sato mai ; l'Austria-Ungheria non vi poteva pensare, non fosse
altro per il modo come è costituita, e in Italia la fondazione di
colonie oltremarine, sebbene caldeggiata da qualche spirito au-
lace, non aveva le simpatie dell'opinione popolare, ne quelle
iella gente colta. Solo la Russia, dopo i brevi raccoglimenti di
< 'rimea, andava innanzi passo passo, senza rumore, tra le diverse
j^enti asiatiche, allargando, cosi da non parere, i confìni del-
1 impero.
La reazione che segni, ed acecnna a farsi ognor più vasta
• d acuta, ci pare un problema degno dello studio più attento,
nei suoi più minuti particolarari. Qiova seguirne le vicende, ri-
cercarne le cagioni, esaminarle imparzialmente, trarre le regole
della condotta che dobbiamo tenere noi, o additare al governo,
.-idoperandoci perchè prevalga nella pubblica opinione cosi da
• ■sscrgli imposta. Il problema, ognuno comprende, può qui essere
.ippena accennato, per la mole e più per la gravità sua e le
le attinenze economiche, sociali e politiche. Ognuno dei fatti,
clie giova ridurre a brevissima sintesi, meriterebbe speciale con-
siderazione; ognuna delie cagioni che li determinarono e delle
influenze che dettano loro norma potrebbe formare toma di di-
■stinte ricerche. Pur anche riassumendo brovcmento ogni cosa,
< i pare sia possibile trarre qualche utile conclusionn, qualche
regola di condotta, la quale da più sottili e dotte ricerche potrà
cHsere piuttosto confermata che contradetta.
Qiovorà, se non altro, fcrm'iro l'attenzione ad una questione
1^ 4lolle più vaste e complesse dell'epica nostra, che è pur di quello
f «'he più facilmente h >x\h\ ni nostro esame, ovvero sontono
più po^o l'impero dei | ! ^ ./a. In nessun altro argomento è forse
maggiore la necessità dì mettere da parte qualsiasi idea cre-
sciuta nei silenzi solitari della mente, ed attenersi ai fatti, allo
cifre, alle esperienze; in nessuno ò più difiìuilo computare esat-
tamente, per la parte che loro spetta, i fattori diversi del problema.
l\
054 I,A QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
IL
Giova innanzi tutto un esatto inventario dei possedimenti
che le potenze dell'Europa nostra hanno fuori. Non si possono
dire tutte colonie : per la Russia i possedimenti asiatici sono una
parte dell'impero, e per l'Italia Assab non è piìi che una sta-
zione, un fondaco, una speranza d' avvenire. Non si parla della
Turchia, la quale è principalmente asiatica, e non può tardare
secoli ad essere ricacciata nell'Asia materna tutta quanta.
La Gran Brettagna tiene il primo posto e lascia tutte le altre
potenze ad immensa distanza. Come già cantava Felicia Hemaus,
dirsi può di cotesti moderni Romani
Foresta o mar non mormora
Dove non posin d'Albion gli spenti,
e non v'è parte del mondo dove non signoreggino o non ab-
biano gittate robuste propaggini di repubbliche e d' imperi.
Neil' Europa stessa l' Inghilterra possiede tre stabilimenti
militari, su terre geograficamente tedesche, Ispane, italiane;
Heligoland, Gibilterra, Malta, uno scoglio di seicento metri in
quadro, una punta di promontorio di 5 chilometri di superficie,
un' isola di 323 : in tutto 328 chilometri quadrati di terra con
175,186 abitanti.
In Asia la Gran Brettagna possiede anzitutto il grande impero
indiano, che supera i dugento milioni d'abitanti: l'India ne
novera 198,441,000 su 2,253,252 chi!, di superficie : Ceylan
2,638,540 su 63,976 chilometri quadrati. Fanno corona all' im-
menso dominio, pel quale la Gran Brettagna ha cure ognor più
grandi, quasi temesse sempre di perderli, i possedimenti dello
Stretto, con Singapore, che accolgono 423,384 abitanti su 3,742
chil. quad.; Hong-kong con 160,402 su 3,000 chil. q.; i possedi-
menti nel settentrione dell'isola di Borneo, con limiti a bella
posta indeterminati ma non inferiori a 57,000 chil. q. e forse
150,000 abitanti, e poi Labuan, le Nicobare, le Andamane, Perui,
Mosha, Kamaran, le isole di Kurda-Muria e quelle di Keeling:
sulla via trovansi Cipro con 186,084 abitanti, ed Aden con
22,702. Sì che nel complesso la Gran Brettagna possiede in
Asia 2,396,276 chilometri quadrati di terra, e stende il suo im-
pero su 202 milioni di abitanti.
LA QUESTIONE DEI POSSEDIMEXXl COLONIALI.
655
L'Oceania può dirsi quasi tutta sua. Inglese è interamente
r Australia eolle sue diverse colonie : Nuova Galles del Sud con
751,168 abitanti su 800,730 chilometri q.; Vittoria con 862,346
su 227,610; la Queenslandia con 213,525 su 1,729,052; 1' Au-
stralia meridionale col territorio del Nord 279,865 su 2,349,775;
la Tasmania con 115,705 su 68,309. In quest'ultima isola gli
indigeni sono tutti scomparsi, ma nel continente vicino bisogna
aggiungere alla popolazione censita 55 o 60 mila, che errano
randagi, nudi, ischeletriti nell'interno. Viene poi la Nuova Ze-
landa con 489,691 abitanti, oltre a 44,000 Mavri indigeni. A
queste grosse colonie s'aggiungono le isole Figi con 121,884
abitanti su 20,801 chil. quadrati; le Chatam con 242 su 1,627
e le isole di Norfolk, di Rotumah, d'Auckland, di Lord Howe,
Caroline, Starbuck, Malden, Famming. Complessivamente la
Gran Brettagna ha nell'Oceania 2,968,190 sudditi sparsi su poco
meno di otto milioni di chilometri quadrati.
In Africa la Gran Brettagna, se non può dirsi ancora paci-
fica signora dell' Egitto e dei vastissimi territori intemi che le
stanno per cosi dire sottomano, possiede 721,350 chil. quadrati
di terre con 2,717,921 abitanti, la Colonia del Capo, la Cafreria
Britannica, il paese dei Basuto, il Griqualand, i distretti oltre
il Rai, il Natal, la baia delle Balene, Sierra Leona, la Garabia,
la Costa d'Oro, Lagos, e le isole Sant' Elena, Maurizio, Ascen-
sione, Tristan da Cunta, San Paolo e Nuova Amsterdam.
In America è inglese il Canada con 4,324,810 abitanti sopra
una superfìcie che dà due chilometri quadrati a ciascuno di ossi;
la Giammaica con 580,804 abitanti, su 10,8.59 chil. quadrati,
Terranova con 179,509 su 110,670; le Bormudc con 13,948 su
.50; l'Honduras con 27,452 su 19,585; le isole di Bahama con
•- '_'l su 13,900; le isole minori di Ture, Caicos, Cayman con
: i 8,(X)0 abitanti su 1,159; le isole Lceward con 119,546 su
1,827; le Windward con 312,686 tu 2,150; laTriniU con 155,128
4U 4,.544, la Gujana inglese con 248,110 su 2*M,243; lo isole
Falkland con 1,553 su 12,532, e per ultimo lo desorto isolo degli
Stati; in tutto 6 milioni dì abitanti, su 8,700,082 chil. quadrati.
Ed ecco come si compone un impero coloniale, che ab-
braccia 214 milioni di sudditi, sparsi sopra poco meno che
20 milioni di chilometri qundrntf, dove 1' Inghilterra capirebbe
forse mille volt*-.
Viene Mecon<iii l.i i r :;:' m. cÌm' uvrobho poco più di s. if,-
milioni di abitanti, >< 1- >n«* ^^taiisticho non vi aggiuiig< ssi k»
056 LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
tre prrosse cifre per conto del Tonchino, del Madagascar e di
Tunisi, dove il dominio francese non è peranco pacifico.
La Francia possiede anzitutto 1' Algeria con 2,867,626 abi-
tanti sopra una superficie di 430,000 chilometri q.; in Africa
possiede inoltre il Senegal colle sue dipendenze, il Gabon, la
Costa d'Oro, e le isole Riunione, Majotte, Nosli-Bè, Santa Ma-
ria con altri 423,078 abitanti so).ra 256,145 chil. q. S aggiunga
la Tunisia, che bene o male fa parte dei dominii della Repub-
blica, e dove gli abitanti si computano a 3 milioni su 118,400
chilometri q. Ve chi mette già in conto il Madagascar con
5,000,000 di abitanti su 692,000 chil. q.; ma ne riparleremo.
In America la Francia possiede la Guyana, la Martinica, la Gua-
dalupa, colle sue dipendenze, e San Pietro con Miquelon :
390,539 abitanti sopra 124,502 chilometri q. Neil' Oceania pos-
siede la Nuova Caledonia e Tahiti con le isole minori che dipen-
dono da questi due gruppi, 109,956 abitanti sopra 28,338 chilo-
metri q. Nell'Asia sarebbe il più vasto dominio francese, chi
computi i 15 milioni dì abitanti del Tonchino sopra 200,000
chilometri q. Senza dei quali la Francia possiede la Cocincina, i
possedimenti dell' India ed ha in tutela il Cambodge, 3,382,035
abitanti sopra 143,826 chilometri quadrati. Ecco adunque un
impero coloniale di 1,564,113 chil. quadrati, nel quale vivono
27,305,608 abitanti. Ma giova ripetere che il Journal O/ficiel
del 31 luglio 1882, nel dare queste cifre, non solo computava
le pretese, ma ancora esagerava alcune cifre: ingrandiva, per
esempio, il Madagascar di 100,000 chilometri.
La Russia, già s'è detto, piuttosto che colonie ha in Asia
una parte dell' impero. La quale, se è molto al disotto dell' Eu-
ropea a ragione d'abitanti, la supera d' immenso tratto per la
superficie. E poiché tali possedimenti danno alla Russia tutti i
vantaggi delle colonie, giova tenerne conto, come fossero tali.
Il Caucaso comprende il Caucaso settentrionale con 3 go-
verni, la Transcaucasia con 9, l'Armenia con 2, ed il territorio
d' olire il Caspio non ordinato a regolare governo; in tutto
5,750,000 abitanti sopra 799,734 chilometri q. La Siberia com-
prende otto governi, provincie o territori con 3,911,200 abitanti
sopra 12,495,109 chilometri q. I 9 governi dell' Asia centrale
con le porzioni di territorio annesso hanno una popolazione di
5,036,000 abitanti sopra 3,017,760 chilòmetri q. Sono dunque
in tutto 15,839,938 con 14,696,754 abitanti contro 83,659,351
abitanti sopra 5,427,124 chilometri della Russia europea.
LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI. 657
Due delle altre grandi potenze europee, l'Austria-Ungheria
e la Germania, non possiedono alcuno stabimeuto fuori d' Eu-
ropa; r Italia ha accennato ad una politica coloniale pigliando
possesso di Assab, ed incoraggiando e sussidiando imprese de-
stinate ad allargare, per ora, il dominio economico della prima
e modesta colonia.
Fra le potenze di secondo ordine tiene il primo posto 1' O-
landa, la quale possiede ancora un impero coloniale che potrebbe
bastare a più di una grande potenza. Nelle Indie occidentali
l'Olanda possiede Giava e Madura, 131,733 chilometri quadrati,
con 19,298,804 abitanti. La cifra della popolazione indigena
degli altri possedimenti, Sumatra, Borneo, Celebcs, le Molucche,
Nuova Guinea, Timor, Bali, ecc., che hanno una superficie di
1,728,000 non è conosciuta esattamente, ma si valuta a 8,400,000
abitanti. Gli europei, cinesi, arabi, ecc., sono 396,437.
Nelle Indie eccidentali l'Olanda po&siede la colonia di Suri-
nam o Guyana olandese, con 117,321 chilometri q. e 69,476 abi-
tanti, e la colonia di Curacao colle altre minori Antille oland<si,
1,130 chilometri quadrati con 42,530 abitanti. E complessiva-
mente 1,980,184 chilometri quadrati, sui quali vivono 28,207,247
abitanti.
La Spagna, che ebbe già uno dei più vasti imperi coloniali,
ne possiede appena i frantumi, Cuba e Portorico in America, e
insidiata per giunta dagli Stati Uniti, con 2,178,952 abitanti
Mopra 128,148 chilometri q.; in Asia le Filippine, colle minori
isole Caroline, Marianne e PaUos, 6,344,665 abitanti sopra
298,772 chilometri quadrati. In Africa rimangono alla Spagna
soltanto i piccoli stabilimenti di Fernando Po, Corisa, Hobey,
Annobon e il territorio di Sin Q io vanni, 35,000 abitanti sopra
2,203 chilometri q. Sommando cotesto cifre abbiamo, dunque, la
ricchezza coloniale della Spagna rappresentata da 429,123 chilo-
metri quad. di superficie con ^(,558,627 abitanti.
La Danimarca possiede vasti territori nel Mar Glaciale o sulle
Hoglìc di esso, una parte del QrOnland, l'Island^t, le isole Faoroe,
dove vivono 93,659 abitanti, disseminati su 194,218 chilometri
quadrata Possiede p ti in America tre piccole isolo dello Antille,
Santa Croco, San Tommaso e Sun Giovanni, dove vivono 33,763
abitanti su 359 chilometri q.; e in tutto 127,400 ubibinti su
194,577 chilometri quadrati.
Altrettanto dee dirsi del Portogallo, al quale restano 1,825,252
,|,;|, ...... fri M ,r... :'. ',''.'1 700 abitanti. 11 maggior numero ò in
058 LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
Africa, dove il Portogallo possiedo le isole del Capo Verde, la
Senegambia con Bissao, Cacheo, Bolama ed altri tratti della
Guinea, le isole di San Tommaso e del Principe, con 134,000
abitanti sopra 5,035 chilometri quadrati, ma estende altresì la
sua sovranità su forse due milioni di abitanti nei distretti di
Loanda, Mossamedes e Benguela, e per altri 350,000 nei di-
stretti del Mozambico, che misurano insieme 1,801,550 chilo-
metri quadrati. In Asia e nell' Oceania possiede ancora Goa,
Salcete, Bardez, l'isola d'Angedine, Damao, Gogola e l'isola di
Deu, con alcune recenti conquiste, 3,355 chilom. q. con 481,467
abitanti; e possiede inoltre Macao, Taipa con Colovane e Timor
con Cambons, cioè 16,312 chilometri q. con 368,086 abitanti.
Il Belgio, la Svizzera, la Svezia e la Norvegia, la Grecia
e gli altri Stati della penisola Balcanica non hanno possedimenti
fuori di Europa, sebbene di loro colonie siano sparsi gli altri con-
tinenti, e specialmente la Grecia abbia oltre i confini, su tutti ì
lidi del Mediterraneo orientale e dei mari che mettono in esso
sparsi gl'industri suoi figli.
La ricchezza coloniale delle diverse potenze europee è rap-
presentata, adunque, dalla seguente tabella, dove non si com-
prendono nei possedimenti britannici Malta, Gibilterra, Heligo-
land, e nei portoghesi le Azzore e Madera ; ma si tien conto di
tutti i protettorati della Francia, delle Canarie per la Spagna:
Gran Brettagna chil. q. 19,806,701 abitanti 213,751,000
Francia ... » 1,994,113 » 30,173,234
Olanda ... » 1,980,184 » 27,810,810
Eussia. ... » 16,312,600 » 14,696,780
Spagna ... * 436,747 » 8,839,115
Portogallo . . » 1,825,252 » 3,333,700
Danimarca . . » 88,459 » 43,763
Italia .... » 632 » 1,193
III.
Non riuscì così difficile a Paride assegnare il pomo della bel-
lezza alle tre vaghissime Dee, come dichiarare qual sia fra le tre
maggiori potenze coloniali la più agitata dall'ambizione di più
vasti dominii. Ciascuna, per ragioni diverse, merita il primato,
sì che giova seguirle nell'ordine ch'esse occupano al presente, il
quale da nessuna conquista, per grande che sia, fra le ambite,
potrà essere di leggieri alteralo.
LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI. 650
Fra le molte idee convenzionali, che molti avevano accolto
nel continente pel governo e la costituzione inglese, era altresì
quella che i due grandi partiti parlamentari suoi differissero
sostanzialmente nello indirizzo della politica estera. I liberali
preferivano la pace, i conservatori l' impero ; quelli non ama-
vano le conquiste, quando non fosse per rivendicare altri popoli
in libertà, ed avevano piuttosto'a cuore la sorte dei soggetti; a
questi premeva invece sopra ogni cosa accrescere l'influenza e
l'azione dell'Inghilterra nel mondo. Contrapposto troppo semplice
e spiccato per essere esatto. Ed infatti, riscontrato agli avveni-
menti che seguirono specialmente negli ultimi anni, questi non ri-
spondono punto all'accennato contrasto, come non risponde, del
resto, la politica interna a quello che era pure sembrato di no-
tare in essa prevalente. Varie le cause : il genio multiforme dei
due uomini che combattendosi, ma anche imitandosi, ressero,
dopo la morte di lord Palmerston, i destini dell'Inghilterra; la
scomparsa o Io scoloramento successivo di certe distinzioni, di
certi articoli di fede che costituivano il programma degli opposti
partiti, si che è aumentato il patrimonio di idee e di promesso
comune; le necessità finalmente, della politica generale, lo quali
si impongono ad un uomo di Stato fosso il più partigiano e
temperano la condotta del partito più esclusivo, quando sia di
Governo.
Può dirsi tuttavia che per qualche tempo prevalesse nella
polìtica dei due grandi uomini di Stato quell'opposto indiri
Gladstone venuto al potere nel 1860 ratifica il trattato di r
mercio colla Francia dando il più fiero colpo al protezionismo;
volge ogni sua cura all'assetto del bilancio, e procura special
mente alle classi meno abbienti sollievi considerevoli ; propara
la seconda riforma elettorale. Disraeli, che gli sottontra nt 1
1^67, prima con lord Derby e poco appresso capo dp| gabinottn,
rivela subito il nuovo indirizzo compiendo nell'India una grand<>
riforma, per verità necessaria dopo l'ultima insurrezione. Abo-
liti i privilegi della Compagnia, all'azione di essa venne sosti-
tuita quella più efficace del Governo. I^ discunsiono dogli af-
fari correnti venne affidata ad un consiglio legislativo nominato
dal Governatore, riservando al Parlamento ed al Ministero del In
Indio la diro/ - 'oneralo. Poco appresso la spedizione d'Abin-
•inia, dove , ^i vendicarono colla morto di re Teodoro c«
la presa di Magdala l'oltraggio di alcuni loro concittadini, ma
non rimasero nel paese né gl'imposero alcun sacrificio tcrrito-
OGO LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
riale, forse perchè non vi trovarono alcun tornaconto. Quando
Gladstone gli succedette, vohe esclusivamente il pensiero al-
l'abolizione della Chiesa ufficiale in Irlanda, a spezzare e ren-
dere facilmente accessibili le grandi proprietà in quel disgra-
ziato paese, a sviluppare l'educazione del popolo, a migliorare
l'amministrazione della giustizia.
Sottentratogli di bel nuovo, nel 1874, j'on. Disdraeli, trovò
il paese saturo di riforme, l' Irlanda tranquilla, il bilancio in
attivo, e fece subito manifesta la sua inclinazione per i colpi
di scena, per le avventure clamorose, e mostrò il desiderio di
restituire all'Inghilterra una influenza preponderante nel mondo.
Diede un primo saggio delia nuova politica comperando inopi-
natamente dal Kedive 176,000 azioni del canale di Suez. L'In-
ghilterra si era opposta alla sua costruzione, era stata vinta, e
adesso, profittando dei bisogni del Kedive e con un audace colpo
di mano, se ne preparava il dominio. Poco appresso volse il
pensiero a stabilire nell'Africa australe una vasta confederazione
sotto la protezione dell'Inghilterra, e contemporaneamente mandò
il principe di Galles nell'India, per sfoggiarvi la ricchezza e la
potenza dell'Inghilterra e strìngere più intimi rapporti coi so-
vrani amici o vassalli. Ne pago di ciò l'on. Disdraeli volle che
la Regina avesse titolo d'Imperatrice, almeno fuor dell'Inghil-
terra, per accrescere agli occhi dei sudditi il suo prestigio.
Poco appresso una spedizione contro gli Ascianti accresceva il
dominio britannico sulla Costa d'oro.
Scoppiava intanto la guerra in Oriente e lord Beaconsfìeld,
dopo aver trattenuta colla sua abile politica la Russia e rese
poco men che vane le sue vittorie, mutando in quel di Ber-
lino il trattato di S. Stefano, fece sapere di aver ottenuta per
l'Inghilterra l'isola di Cipro, prezzo della protezione che aveva
risparmiato al sultano perdite di gran lunga maggiori. Né pago
di ciò lord Beaconsfìeld, proseguiva poco appresso una guerra
nell'Africa australe contro Cettivajo e gli zulù, ed un' altra
nell'Afganistan. L'Inghilterra mirava ad attuare nell'Africa il
suo progetto di confederazione, ad assicurare nell'Afganistan
al suo impero indiano una frontiera scientifica ; senonchè l'una
e l'altra guerra riuscirono piuttosto fatali alla sua potenza,
perchè da ambe le parti si sparse molto sangue, gl'inglesi su-
birono gravi sconfitte, e dovettero concludere la pace salvando
poco più dell'onore, e compromettendo più assai non accre-
scessero il loro prestigio. 11 tentativo di conquistare il Trans-
LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI. 661
vaal li gettò in una guerra lunga ed incerta, e nell'Afganistan
non riuscirono a suddividere il paese mandando dovunque loro
rappresentanti a dirigerne la politica.
Gladstone, tornato al potere nel 1880, accennò da principio
a mutar via, fedele alla sua politica pacifica e riformatrice. Ri-
nunciò all'occupazione dell'Afganistan, come alla conquista del
Transvaal, strinse con quelle popolazioni rapporti di amicizia
e di alleanza, e riusci ad ottenere l'esecuzione del trattato di
Berlino su quasi tutti i punti. Ma poco appresso la rivolta di
Araby pascià contro Tewfik kedive d'Egitto costrinse l' Inghil-
terra ad intervenire nella questione egiziana, ed in pochi giorni
sir Garnett Wolselej disperse l'esercito dei ribelli e ristabilì
l'autorità del kedive, non più sovrano, ma pupillo del governo
di Londra. Il quale avrebbe dovuto togliere di là le truppa
appena ristabilito l'ordine pubblico, ma ve le tenne invece, la-
sciando mettere innanzi il progetto di un secondo canile, che
iiarebbe esclusivamente inglese e darebbe un pretesto per non
lasciare l'Egitto nelle condizioni dì prima, assicurando la portai
dell'impero indiano. Così Gladstone compie nel nome della li-
bertà i disegni che il rivale di lui ha iniziati nel nome dell'im-
pero, ed i possedimenti britannici si estendono, nel decennio,
nell'Africa australe e nell'India, a Cipro ed in Egitto.
Coleste imprese suscitarono più di una ardente discussioni)
nelle Camere e nel paese, ma l'opinione generale rimase sempre
piuttosto favorevole aiIa fondazione di nuove coionio ed allo
sviluppo delle presenti. Sono vive nella memoria di tutti la sen-
tenza di Stuart Miti — la fondazione dello colonie h il mi-
glior affare nel quale si possano mettere i capitali di un vec-
chio e ricco p^ese — e le p irolo di lord Derby, che dichiarava
ai Lordi esHore l'impero coloniale la maggior fortuna dill'In-
ghilterra, sovratatto per lo sfogo che apro nireccoASO della sua
popolazione. E g^ova rammentare che questa potensa colo-
niale h tutta del nostro secolo. Nel xvii rAraerìca spagnuoU
brillava di una luce che eclissaya i modesti, sebbene solidi e
contintii progressi dell'America in^lfse, comò la prospt^rità mo
ravigliosa, Kobbene effimera della Compagnia delle Indio olan
desi distoglieva l'attenzione dai pazienti cforzi degli inglesi per
stabilirsi r^ " T ' ntan. Nel secolo xviii gli avventurieri fran
cesi sul M ,0 sui grandi laghi come sulle rive del Qmge
0 lo sviluppo di S. Domingo parevano assicurare alla Francia
la supremazia coloniale; mentre un'ombra sinistra proicttarasi
Gt32 LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
sulla colonizzazione inglese e gli spiriti più fermi, commossi
per la perdita delle provincie della Nuova Inghilterra, ne da-
vano il più severo giudizio. Ma ai perduti imperi l'Inghilterra
seppe sostituirne altri; moltiplicò la popolazione, la coltura, la
ricchezza dei suoi possedimenti, e in pochi anni, in continenti
quasi sconosciuti e disprezzati dagli altri popoli, improvvisò so-
cietà regolari, dotate d'una forza di sviluppo e di una attività
produttrice senza precedenti. Ma anche nelle colonie l'Inghil-
terra mostrava quelle eminenti facoltà che le assicurarono il
posto che occupa nella storia, e compieva quei progressi gra-
duali, quelle successive riforme, che la guidano a studiare senza
sosta le sue istituzioni e le sue leggi, a rilevarne, senza atte-
nuarle, senza esagerarle, le imperfezioni e i difetti, a non la-
sciarsi abbagliare mai da un falso amor proprio nazionale sugli
errori commessi, a modificare continuamente i congegni sociali e
politici e i provvedimenti economici che l'esperienza condanna.
Anche negli ultimi anni l'Inghilterra usò verso i suoi pos-
sedimenti coloniali la maggiore larghezza, sì che le colonie
d'Australia, per esempio, si possono dire poco meno che indi-
pendenti, ed affrontarono già la questione della formazione di
un esercito coloniale e dell'armamento di una flotta per la loro
difesa. Grandi progressi materiali furono compiuti nell'India,
grazie ai quali furono sottratte alle frequenti carestie ed alle
minacce degli agenti tellurici fitte e numerose popolazioni, e
l'atttuale viceré dell' India, ha già manifestata l' intenzione di dare
all'impero alcune istituzioni rappresentative, affidando a uomini
competenti lo studio di una riforma che si presenta colà sotto
forme più complesse e nuove, a cagione della diversità della col-
tura, degli interessi, delle razze, delle religioni. *
1 II progetto che venne per tale oggetto sottoposto al consiglio vice-
reale divide il terrritorìo in gruppi di villaggi, ciascuno dei quali gruppi
affiderebbe quind'innanzi i suoi interessi ad una assemblea deliberante ed
elettiva, composta per due terzi di notabili e di commercianti, e per l'altro
terzo di membri nominati dai rappresentanti del governo centrale, e che
sarebbero in qualche modo una specie di prefetti.
Al disopra di queste assemblee, che corrisponderebbero ai consigli mu-
nicipali europei, si creerebbero dei corpi elettivi superiori, simili ai con-
sigli provinciali.
Insomma gli indiani godrebbero della autonomia locale come essa si in-
tende in Inghilterra, ma con questa restrizione, che i rappresentanti del
governo centrale eserciterebbero un certo controllo sulle deliberazioni delle
assemblee locali, con facoltà di potere in taluni casi revocarle.
LA QUESTIONE DEI POSi>EDlXIENTI COLONIALI. 6Ga
Lo spirito colonizzatore degli inglesi si trasmette naturalmente
ai loro coloni; basterebbe narrare in qual modo venne successi-
vamente e occupata l'Australia, divisa già per quasi mezzo secolo
tra galeotti e aborigeni, e costituita adesso ad immagine della
madrepatria, cosi che l'anglosassone può cercarvi fortuna quasi
.senza lasciarla, rimanendo cittadino, con tutti i suoi diritti e i
suoi doveri. E ben lungi dal pensare a distaccarsi da essa gli
ustraliani deplorano che sia troppa inavvertita la tutela, mi-
rando piuttosto a successivi frazionamenti delle colonie, i quali
porgono loro l'agio di meglio governarle, ed a gittare intorno
nuove propaggini.
Cosi non desta alcuna meraviglia se alcuni coloni del Queen-
sland meditano da alcuni anni Tannessione della Nuova Guinea
o d'una parte di essa, e tennero poco meno che per un affronto
il rifiuto opposto loro di recente dal governo di Londra di con-
sentire a siffatta occupazione.
I lettori non avranno dimenticato come Leone Maria d'Al-
bertis si incontrasse nella Nuova Guinea con una spedizione di
missionari inglesi, ed avesse ogni maniera d'aiuti da questi e
dal governatore della Nuova Galles del Sud. Appunto costui gli
affidò la NevOf sulla quale il nostro viaggiatore potò nel 1876
compiere il maggiore suo viaggio sul fiume Fly, sino al centro
dell' isola alle falde dei monti Vittorio Emanuele. Dull'Auslra-
liftì e specialmente dal Queesland, mossero spedizioni di ven-
turieri per la Nuova Guinea sin dal 1875, per fondare stazioni
commerciali, o per cercare l'oro che Michele Maclay e Moresby,
dopo il nostro Cerruti, supposero esistesse noli' interno del»
r isola, e del quale Lawos e Goldie trovarono tracco presso
la stazione fondata dai missionari a Port Morosby. Sebbene la
proporzione dell'oro fosse cosi scarsa da non compensare l'estra-
zione, parve a Sydney che nelle alluvioni dei fiumi lo si sarebbe
scoperto in proporzioni maggiori. E nel 1878 una nuova spe-
dizione mosse per alla volta di Port Moresby e penetrò nello
intemo per otto chilometri, costretta a tornare senza alcun ri-
sultato da febbri micidiali e da sanguinosi conflitti coi nativi.
h'auri $acra favies non poteva però arrestarsi ad un primo in-
saccesso, e dopo alcuno altre spedizioni parve al governo del
Qaeensland che non si dovesse tardare più a lungo ad affer*
mare il predominio- dell'Inghilterra sulla parte orientalo del»
l'isola. Gli australiani non dubitarono un solo istante della pot-
l sibilità di occupare tutto il territorio dell'isola ad occidente del
664 LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
140° long, ovest da Green; non dirò senza suscitare il malcon-
tento, ma certo senza dare fondato motivo di protesta ad alcun
governo europeo ; ed appena il governo del Queensland ebbe
sentore o sospetto che altre potenze volessero impadronirsi
della Nuova Guinea, ne fece prendere possesso in nome della
regina d'Inghilterra. Poco appresso Vittoria, insieme alle altre
amministrazioni coloniali, faceva pratiche presso il governo im-
periale per l'annesione delle Nuove Ebridi, delle isole Salomone
e di altri gruppi del Pacifico. E pare che fino dal 1875 le auto-
torità coloniali australiane facessero proposte del medesimo ge-
nere, e che fra le isole od arcipelaghi, il possesso delle quali
è giudicato necessario alla sicurezza dell'Australia, comprendes-
sero non solo la Nuova Guinea, le Nuove Ebridi e le isole
Salomone, ma l'arcipelago della Nuova Bretagna, la Nuova Ir-
landa, nonché i gruppi di isole situati ad oriente della Nuova
Guinea, dall'isola di Bougainville fino all'isola di Saint Christophe,
l'arcipelago Mallicolo e le isole Sandwich colle minori vicine.
Seguì uno scambio di corrispondenze, le quali, colla premura
consueta del Gabinetto di San Giacomo, vennero presentate al
Parlamento verso la fine di luglio. Da esse appari che il go-
verno britannico chiese alle altre potenze se esse avessero in-
tenzioni coloniali sulla Nuova Guinea. Il signor Ferry dichiarò
che la Francia non pensava affatto all'annessione della Nuova
Guinea; il conte Hatzfeld rispose che in Germania si stava
formando una Compagnia per la colonizzazione della Nuova
Guinea, ma che essa aveva un carattere afi*atlo privato. Anche
il governo italiano confessò che v'erano progetti privati, ma
che il governo non li divideva e non era disposto a prenderli
in tutela altrimenti che con qualche buona parola, la quale non
turbasse affatto i suoi rapporti colle potenze coloniali.
Lord Derby diede allora al governatore del Queesland, Sir
A. H. Palmer, una risposta piuttosto severa. Le apprensioni di
lui non erano fondate, perchè nessuna potenza aveva inten-
zioni ostili. Ma se anche ci fosse stata per davvero una minaccia
di annessione, sarebbe stato agevole informarne il Gabinetto di
Londra per telegrafo, e sarebbe stato anche più corretto, non
potendo i governatori recedere i confini delle rispettive giuris-
dizioni territoriali.
u II governo della regina, continuava, è inoltre persuaso,
che se anche fosse necessario di esercitare l'autorità imperiale.
il proclama del governo del Queensland non saprebbe avere la
LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI. 665
portata che gli si è voluta attribuire. L'interno dei territori è
popolato da parecchi milioni di indigeni, intomo ai quali nulla
o quasi nulla si sa. L'annessione di queste tribù o dei loro territori
meriterebbe da sola un serio esame, prima che l'Inghilterra si
avventurasse a togliere sotto la sua giurisdizione delle razze che
non ne vogliono sapere, e che nulla hanno da guadagnarvi... Il
governo di S. M. avrebbe ad ogni modo serie obiezioni
a che esso facesse parte del Queensland... Verrà, spero,
prossimo il t^mpo in cui le colonie australiane opereranno
di concerto ed applicheranno a loro spese le deliberazioni poli-
tiche che avranno sancite ed il governo inglese avrà appro-
vate : frattanto il Gabinetto inglese crede dover suo rifiutarsi
all'annessione di vasti territori adiacenti all'Australia, finché la
loro annessione non sarà giustificata da ragioni indiscutibili o
da fatti bene determinati, n
Queste dichiarazioni lord Derby citava già, prima che fos-
sero pubblicate, in Parlamento ; ma nel Blue Brock seguono nella
nota stessa ed in altre successsive alcuni consigli, più conformi
alla tradizionale politica britannica e ben più inquietanti per
le altre potenze. Il Queensland, dice in sostanza lord Derby,
ottenga che le altre colonie dell' Australia si uniscano a lui per
chiedere l'annessione della Nuova Guinea, per sopportare le
spese di amministrazione dell'isola e per reprimere, quando
sia necessario, qualunque ribellione degli indigeni o toner fronte
ad una potenza estera, allora ci si potrà intendere. £ noi con-
tsi > > anche ad aumentare la nostra squadra nello acque
i.ii . M'i, in modo che lo navi si trovino con maggioro fre-
quenza in quei paraj^gi e si stabilisca insensibilmento un pro-
tettorato sulla costa della Nuova Guinea. A dir breve, si rifiu-
tava rannetsione ^c et nunc, ma la si preparava per Tav venire,
dando con una mano quello che si toglieva coli' altra.
I fatti seguirono presto presto ai consigli. Lo coionio di
(Vittoria e di Sud Australia dichiararonsi pronto ad unirti al
eeniland, ed il Parlamento di Vittoria deliberò in massima
di concorrere alla spesa dell'annessione e dell'amministrazione
della Nuova Guinea. Se qualche altra potenza nutrisse effetti-
vamente dei progetti sull'isola, se qualche altra bandiera fosse
da yenturicri piantata sulle sue coste, la sua annessione ai do-
inii britannici sarebbe presto un fatto compiuto. K vi segui -
bbo presto quella di tutte le isolo, di tutti gli arcipelaghi del
Pacifico che sono ancora rei nu/ZtW, per modo che l'inghil-
Tm. XL, Sotì* U — 1» AfM«« IMI. M
666 LA QUESTIONE DEI POSSEDIMENTI COLONIALI.
terra si porrebbe dire non solo signora del grande Oceano, ma
non vi avrebbe a temere lo svilupgo di alcuna incomoda ri-
valità.
Non verranno meno per questo difficoltà d' altra natura, le
quali riescono alla stessa Inghilterra assai malagevoli, come
ciascuno può constatare per esempio nel!' Africa australe. Siamo
ancora lontani dalle a Nuove Indie n vagheggiate da Cameron
e da altri esploratori. Quasi tutti i nativi intorno intorno ai
confini britannici sono in armi. Il paese dei Basuto, abbando-
nato in seguito ad una deliberazione del Parlamento di Capo-
to wn è tutto agitato da intestine discordie, cosi da compro-
mettervi non solo 1' '"nfluenzi inglese, ma i suoi stessi interessi
economici; noia Zululandia il re Cettivajo, appena ristabilito
sul tnn s contro i consigli del commissario inglese muove a
rivt'n licare le terre assegnate ad altri capi e cade vinto in
battaglia lasciando il paese in preda ad un capo vittorioso ed
all'anarchia; il Transvaal si consuma in fieri litigi coi vicini
e si agita per modificare la convenzione conclusa nel 1841 col-
l' Inghilterra, secondo le deliberazioni del suo Volksraad, mentre
l'Inghilterra rinuncia già col fatto al suo diritto di intervento;
il che non può f;»re riguardo al a repubblica d' Grange, eh' essa
si è impegnata a difendere contro gli indigeni onde è adesso
più che mai minacciata. Anche sulla costa di Sierra Leona>
dove l'Inghilterra aveva preso definitivamente possesso di tutto
il litorale sino ai confini della repubblica di Liberia, parecchie
tribù strette contro il comune nemico mossero contro alle sue
deboli forze e ad onta degli aiuti mandati da Londra non sono
ancora chetate. Frattanto non è possibile che il governo in-
glese si disinteressi dagli altri conflitti che divampano sulle rive
del Congo, nel Madagascar, nel Tonkino, mentre l' Afghanistan
accenna a nuove insurrezioni, e parecchi Stati interni dell' Asia
si dovrebbero punire per le deferenze usate alla Russia. L* im-
pero romano non ebbe mai sulle braccia cosi diversi nemici,
non si trovò certo mai a capo di così vaiti interessi, quanti
ora deve curare l'impero britannico. Per esso la questione delle
coImiÌc è veramente essenziale, s'impone al g verno, all'opi-
nione colta, al p ese; è in breve una questione di vita o di
nioru', perchè s nza i suoi visti pos.sedi menti l' Inghilterra sa-
rebbe presto cancellata dal novero delle grandi potenze.
(Continua).
Attilio Bruni alti.
LA MENTE DI MICHELANGELO
1 PROPOSITO DI RECENTI PUBBLICAZIONI
I.
Sebbene le proporzioni della figura storica di Michelangelo
siano veramente grandiose, tuttavia essa è una delle meno dif-
ficili a essere ritratta.
Michelangelo fu uno di que' pochi uomini privilegiati in cui
la virtualità della mente non fu impedita nel suo estrinsecarli,
e il pensiero non si scompagnò dall'azione; anzi, per dirla con
una frase moderna, Vinsisienzn delT individuo superò sempre la
retùtenzrt della materia e dell'ambiente.
Quindi è possibile abbracciarlo in tutta la sua singolarità.
Solo non bisogna perdersi a ricercare lo colleganze che può
avere la sua arte insigne con le tcuole anteriori : ò più oppor-
tuno ricordarsi che egli va per vU mun ealpéMtaté e $oUf e lo
cagioni dell'arte sua le si ritrovano nell'indole dell'uomo modi-
ficata dai tempi in cui si svolge.
E si «vedrà che un concetto lo domina: quello di disciplinare
gli allettamenti esterni dell'arte in potenti manifestazioni d'idee
morali.
L' Italia, in quella grande evoluzione dello spirito umano che
fu il Rinascimento non vide compiersi, colla redenzione intel-
lettuale, anche quella etica, e Michelangelo, in cui — come ben
* Datid Livi, La Mtmie di MiokelamgekK — G. Ottino, MUaao, 1888.
668 LA MENTE DI MICHELANGELO.
nota il Barzellotti ' — splendeva nell'austerità delle forme re-
pubblicane lo stile della scuola fiorentina, quale doveva ispi-
rarsi ai fieri costumi dei coetanei di Dante, battaglianti per le
vie e per le piazze asserragliate innanzi ai tabernacoli dipinti
da Giotto e da Cimabue, sentiva entro sé prepotente il bisogno
di scuotere la patria dai mali che la travagliavano, e, direi, di
darle in quel tragico periodo la coscienza dell'esser suo. Onde
il Dumesnil * disse che quel sovrano artista fu egli stesso la
coscienza d' Italia.
Se non che questo concetto cosi di per sé potrebbe sem-
brare inesatto. Il Rinascimento infatti fu un disquilibrio tra la
intelligenza e la coscienza, ed è noto quanto profonda fosse la
scissura che esisteva tra la ragione ed il sentimento, tra l' in-
gegno e il carattere, tra la morale e la vita, tra l' individuo e
la patria.
E di tutto ciò Michelangelo non fu certamente il rappre-
sentante.
Ma il Rinascimento fu anche ritorno all'antico, allo studio
del vero ; fu separazione dell' individuo dalle corporazioni, della
morale dalla teologia, delle arti dai ripieghi, dal lusso, dalla
confusione, della ragione dal servilismo, dell'ideale dalle asfissie
di una corrompente realtà. In questo senso solo il Gran Ribelle
fu la coscienza del suo tempo. Egli aveva messo nell' arte il
sentimento, l'aspirazione all'alto, la rivendicazione del diritto.
Da ciò si capi che per comprender l'artista bisognava stu-
diare essenzialmente il cittadino e il pensatore, cioè vedere
quali dottrine, quali uomini, quali avvenimenti diedero forma
al suo ingegno.
Questo è lo studio che ha intrapreso il vecchio patriotta e
poeta David Levi di Torino, autore di quel poema, Il Profeta,
che uscito in Italia in tempi di generosi aneliti, pareva aspi-
rasse a riannodare il rinascimento classico al rinnovamento po-
litico dell'età moderna.
L'intento avuto dallo scrittore fu uno solo: interpretare il
concetto svolto col suo pennello di ferro da Michelangelo nella
Cappella Sistina.
Ma avviene a quelli che si avvicinano a cosi alte e geniali
individualità, ciò che accade al fanciullo che approssima l'oc-
. ^ G. Barzellotti, DeW animo di Michelangelo. — Firenze, Tip. Carne-
secchi, 1875.
• DuiusKU., L'Art italieuy vii, Michel-Ange. — Paris, 1854.
I
il
LA MENTE DI MICHELANGELO. 669
chio al caleidoscopio: non so ne sa staccare, finché non ha
viste tutte le vaghe combinazioni di colori, tutte le varietà dei
disegni.
Così ha fatto il Levi, e dietro alla Cappella Sistina ha stu-
diato San Pietro, e dopo non ha potuto non riguardar 1' uomo,
come figlio e cittadino, poi 1' amante, poi il pensatore e 1' ere-
siarca dell' arte, poi di nuovo l'artista nella Sistina, là intento
ancora a dar forma e figura al suo grandioso concetto.
Questo volume che vien dopo i lavori del Duppa, dell' Har-
ford, del Dumesnil, del Michelet, del Grimm, del Rio, del Taine,
del Vi Ilari, del Berti, del Guerzoni, del Barzellotti, del Guasti,
del Gotti, del Campori, non può certamente apportare messe
nuova di documenti. Esso è piuttosto — in gran parte — il rie-
pilogo degli studi storici fatti in proposito, ma divenuti succo
e sangue in lui, nella vasta mente di questo buon vecchio, cosi
ervido ancora d'entusiasmi per le grandi personalità storiche,
pei caratteri forti, per le alte idealità.
La Cappella Sistina — ha detto bene Michelet — è un libro
sibillino, che non si sa in qual ordine studiarlo. Questo però
bisogna concedere, che il significato civile dell' arte michelan-
giolesca diventa ogni giorno più comprensibile, col progrosso
degli studi storici non solo, ma anche col completarsi del sen-
timento della libertà, col delinearsi della coscienza religiosa,
coU'affrancarsi dello spirito.
In antico » era ammirata precipuamente la forma.
Tutti nella Cappella Sistina ben si avvedevano che quello
figure erano unite da un'alta idea, da un pensiero dominante...
Ma quale era quel pensiero?
Dal Niccolini al Taine, la critica — attraverso le pagine al-
tamente poetiche del Michelet e severamente profonde del
Orimm — aveva fatto progressi considerevoli, sia nel metodo
dell' indagine, sia nell' interprotasiono dei personaggi della volta
e del Giudizio, u Ogni classe — dice il Levi — di persone, ogni
razza, ogni popolo vi ayeva rinvenuto alcuna parte di sé, un
riflesso del suo pensiero, riverbero dell'anima sua. n Si era in-
toso il pregio dell'originalità dell'artista, la saa tendensa a di-
pingere col cervèllo, il bisogno di esaminare conformemente ai
dettami della libera filosofìa i principii della Bibbia, di trarre
profitto di tatto lo forze fornitegli dall' ambiente por avere in
arte an metodo suo, di rìngioranire colla baldansa della stta
670 LA MENTE DI MICHELANGELO.
forte immaginazione i soggetti antichi, cercando in essi quella
suprema ispirazione e q ell'alto obbietto civile che i corrotti
costumi non potevano apprestargli.
Ma se si eccettua Michelet — che del resto s'è giovato più
della fantasia che della filosofia nell' interpretazione — nessuno
si era proprio di proposito messo alla ricerca del concetto che
informa l'opera e ne crea l'unità che padroneggia le parti.
Che ci fosse un significato allegorico nei freschi della Cap-
pella, già fino dal decimosesto secolo lo sì era capito. Intanto
fin d'allora era fuori di dubbio questo : il proposito del Buo-
narroti di aprirsi sempre vie nuove e inesplorate ; il sentimento
profondo che ebbe delle sventure del suo secolo, rivelato e in
altre opere allegoriche e in alcune mordaci risposte ai pontefici
e in parecchie lettere e rime ; la sua intrinseca amicizia con
coloro che avevano operato la risurrezione del mondo ellenico
e biblico u in cui David tentava più di Gesù, e i Profeti più
dei Santi, v On'de se altri non ce lo avesse ancora detto, già
basterebbe guardare le forme e lo stile delle varie sue figure
e delle sue opere per capire come sotto le linee del disegno
concitato frema e si agiti sempre un' idea fissa.
Il Condivi sin d'allora sapeva come il Poliziano — fra gli
altri — fornisse all' artista di tanto in tanto qualche soggetto
pe' suoi primi lavori, e come Pico e i Pitagorici gliene dichia-
rassero la favola. Vero è che dalle prediche del Savonarola
traeva argomento di religiose ispirazioni e di mistiche subli-
mità, ma è anche vero che nella persona del frate egli vedeva
agitarsi lo spirito degli antichi Profeti, e completava il concetto
religioso-morale di quello col concetto civile di Dante e quello
filosofico dell'Accademia platonica di Careggi.
Già il Berni dopo aver visto qualche suo lavoro scriveva :
Ho visto qualche sua composizione;
Sono ignorante e pur direi d'arelle
Lette tutte nel mezzo di Platone;
e l'Aretino — tanto timorato di Dio! — rimproverava il Fioren-
tino cosi: u Dunque quel Michelangelo, stupendo in la fama,
quel Michelangelo, notabile in la prudenza, ha voluto mostrare
alla gente non meno empietà di irreligione che perfezione di
pittura?... E possibile che voi, che per esser divino non degnate
il consorzio degli uomini, abbiate ciò fatto... nella più gran
cappella del mondo?... Saria men vizio voi non credeste, che
i
LA MENTE DI MICHELANGELO. 671
in tal modo credendo, scemate la credenza in altri... n — E il
Dolci nel suo Dialogo sulla Pittura concludeva: u Parrebbe che
egli avesse imitato quei gran filosofi che nascondevano sotto il
velo di poesia misteri grandissimi della filosofia umana e divina,
aflSne che non fossero intesi dil volgo... Perchè Michelangelo
non vuole che le sue invenzioni vengano intese se non da pochi
e dotti, e non vuol gettare ai porci le margherite, n
Tendenza questa del resto che era allora nell' aria, e che
meglio si direbbe necessità di coprire col velo dell' allegoria
certe verità, che il pensiero ribelle alle ipocrisie, agli intrighi,
al tornaconto della decrepita Chiesa, aveva — precursore della
riforma — intravvedute e proclamate.
Cosi addivenire a contrabbandiere d'idee n secondo una frase
di Romagnosi, era stato pur necessario anche a Michelangelo,
per sottrarre in parte i pensamenti suoi alla tristizia dei tempi
e ai sospetti della Curia Romana.
Solo gli artisti che si appagarono delle esteriorità, e i teo-
logi e i critici, che furono o troppo soggettivi o paurosi, vol-
erò sempre vedere nei dipinti della Sistina semplici storie e
ggende bibliche, non riuscendo però bene a spiegarsi gli
trappi fatti dal pittore al Cristianf^HÌmo ortodosso e alla liturgia
Cattolica, né la miscela dei soggetti biblici con quelli mitologici.
E buon per noi del resto che le cose siano andate cosi, che a
rn;;ione il Levi si domanda cosa sarebbe di quelle opere, di
fronte all'intolleranza cieca!
Herman Qrimm noi ricercarvi l'unità del concetto, che pa-
droneggia le parti, dopo essersi spiegata 1' affinità dell' arto di
Michelangelo con quella di Dante nel disciplinare la materia,
nell'amore al terribile, nella rivendicazione dei diritti dell'indi-
viduo, nel ritorno a un passato che non poteva risorgere, viene
;i interpretare una per una le principali figure della volta, ed
«•st^lama: u Di fronte ai grandi capdavori artistici lo spiogasioni
)c più semplici valgono quanto l' intelligenza che pretende pe-
ri' trarne il senso più profondo, mentre al confronto del pcn-
H ro dell'artista stesso, non penetrano più addentro che nello
viscere della terra le miniere le più profonde, che a mala pena
ne perforano la crosta superficiale, n *
Ora sia detto col dovuto rispetto, ciò non potrà a<l alcuni
' VUa et MOeMangelo, ps«. S99.
672 LA MENTR DI MICHELANOKLO.
parere esatto. Il pensiero che si agita in una granfie oprerà
d'arte non è mai assolutamente un enigma.
Indubbiamente il Grimm ha ragione quando si tratta di per-
scrutare certi atteggiamenti, certi moti, certe sinuosità — dirò
cosi — del concetto primo, o certe formo di componimento^che
possono essere bizzarrie o moti incoscienti e inespliciti — come
diceva Goethe — dell'animo che crea : indubbiamente ogni in-
terprete ha tendenza a voler vedere l'invisibile e a non sceve-
rare abbastanza sé dal soggetto. Ma la critica che studia nel-
r artista 1' uomo e le corrispondenze eh' egli ha col suo tempo,
questa critica si addenti'a nel pensiero di lui più che non faccia
l'operaio nella crosta superficiale del terreno che raspa.
Chi saprà dire — se il Dio che nella volta della Cappella
stende la mano ad Adamo .sia in atto di dargli un consiglio
ovvero un aiuto, come crede il Grimm? Chi saprà indovinare
se l'uomo che parla all'orecchio del bambino rappresenti un epi-
sodio qualunque, o se è Michelangelo che svela il suo segreto
alle generazioni che verranno, come vuole il Levi?
Qui la spiegazione più semplice vale forse la più profonda
e ingegnosa. Ma non così se investighiamo la coscienza e il con-
cetto dell'artista nell' insieme di una grande opera, come quando
a mo' d'esempio scolpisce 1' Ercole e il Centauro.
Questo è il lavoro da cui il Levi prende le mosse perchè
insieme ai dipinti della volta della Sistina rappresenta il periodo
della giovinezza di Michelangelo, periodo che egli chiama filo-
sofico, mentre il secondo, che si svolge tra le lotte per le cit-
tadine libertà, ed in cui freme ancora lo spirito di Firenze re-
pubblicana, si riflette nel David, nel Bruto, nel Deposito; e il
terzo, che corrisponde al momento più fortunoso d' Italia, si
epiloga nell'Apocalisse del Giudizio Universale. A questi poi
aggiunge il periodo della vecchiezza in cui questo Titano dà
l'ultima mano al Mosè e u solleva la mente all'infinità dei cieli n
concependo la Basilica di S. Pietro.
Tendendo l'A. a mostrare Michelangelo come la più potente
espressione dell'arte del Rinascimento, senza prender le mosse da-
gli incunaboli, ma giovandosi degli studi del Villari e del Berti,
delinea l'ambiente specialmente filosofico e politico in cui visse
il Fiorentino, e determina l' influenza esercitata su lui dalle
tristi condizioni della sua patria, e dai consigli e dalle opere
LA MENTE DI MICHELANGELO. 673
del Poliziano, del Pico, del Firino, dagli eruditi insomma e dai
commentatori delle antichità ebraiche, della Cabala, della filo-
sofia rabinica, del Testamento antico, di cui quelli rivelavano
al Buonarroti il pensiero classico e greco, come il Savonarola
poi gli spiegava il concetto religioso e morale.
La Cappella Sistina, a chi l'ammira per la prima volta, ge-
nera un senso di sbalordimento. Quale è lo spirito che alita in
quelle figure? E l'evocazione del passato o la divinazione del
futuro ? — Si è detto : vi sono raflSgurate le principali scene
dell' antico Testamento. Ma perchè è cosi storicamente imper-
fetta la rappresentazione? E quel Testamento è poi il vecchio
od il nuovo? Segue od oltrepassa la Bibbia ebraica? ' E perchè
una Cristologia senza Cristo, senza uno dei suoi riti, dei suoi
simboli, dei suoi fasti ?
Qui tutto è perturbazione e terrore : non redenzione, non pace.
Tre figure dominano la scena : Aman, il Serpente di bronzo
e Giona,* tre fatti isolati della storia biblica, stranieri alla ge-
nealogia di David, alle origini del Cristianesimo.
Che significano essi? E il Levi giovandosi dei libri cabali-
stici, delle tradizioni ebraiche, dei libri dei SS. Padri, vede nel
primo — in Aman — il falso Cristo, o come dicevano i Gno-
stici, il genio del malo che ha preso il posto del Cristo vero,
del genio del bene... Quali ne saranno le conseguenze?
E l'artista adombrando in parte l'allegoria del 32° canto del
Purgatorio, dipinge il Serpente di bronzo, a cui uomini e donne
stendono le braccia credendolo il serpe della saluto, e ne re-
stano vittima. E la trasformazione e la corruzione che mutò la
r'Yiiesa santa nella profana, dice l'autore.
Tutte le figure poi che stanno attorno, tutti gli atti diversi
d'orrore, di pietà, di sgomento, chindono in lontananza il quadro
spaventevole. Dietro Aman, regine, sacerdoti banchettano lieti
del tradimento e deirusurpasiono compiuta, e intomo sugli ar-
chi, sullo lunette, figure arruffate, atterrito, deluso per la tri-
stezza che reg^a, per l'oppressione che grava, pel male che dura.
Talvolta vedi un fanciullo, ora in fasce, ora sollevato Hulle
braccia materno. E l'umanità — dice il Levi — ohe si rinnova
e ti rafforza e si ricorda le parole del Profeta : a Nulla è con-
sumato ancora: attendi il giorno della redenzione, n — E la re-
' MiCHSLBT, Renaiétamee.
* QsiHii, loc. ctt.
674 LA MENTE DI MICHELANGELO
denzione e la salute comincia da Giona, che è la seconda parte
del poema simbolico, come il Giudizio ne sarà la terza.
Giona nel simbolismo cristiano, come nel rabinico, rappre-
senta l'umanità che si svincola dall'errore e dall'idolatria, ossia
dal ventre dell'Orco ove stava. Col dito pollice alzato accenna
all'unità divina. La donna che dietro di lui si leva bella e forte
(noi la vedremo poi ripetuta sotto le stesse sembianze nel Giu-
dizio) raffigura la Chiesa nuova. Intorno a Giona, nei nove com-
partimenti della volta, svolgonsi i più noti fatti biblici riferen-
tisi al primo periodo dell' umanità liberata dall' idolatria, desi-
gnando così una nuova genesi, ispirata forse alle idee di Pico.
Frapposti poi ai compartimenti, tra pilastro e pilastro, i Profeti
e le Sibille, esseri giganteschi che compendiano — come dice
Castelar — i dolori dei popoli e le loro speranze, usciti dalla
prima feracità del nostro pianeta, apoteosi del corpo umano ri-
generato.
Esseri più alti, più solenni, più eloquenti dei giganti della
Bibbia e della poesia classica...
Opportuno e attraente sarebbe stato il ricercare quanto Mi-
chelangelo abbia tolto dagli altri, e quanto preso da se in queste
figure. Ma il Levi non ha credulo di farlo, sebbene per la sua
vasta coltura fosse uomo a ciò. Egli si è limitato ad interpre-
tarli, e così in Geremia vede il dolore senza conforto per l'in-
giustizia che regna, per la libertà che si viola.... u 0 paese, o
•paese, o paese.... n e il pittore che sente ripercuotere entro al
suo cuore d' italiano quel grido, compendia in Geremia i dolori
che da secoli s' aggravano sull' umanità. Dietro evvi la Chiesa
futura che si leva raggiante quasi per dirgli : spera ; tutto non
è finito!...
Ezechielle appresso s'agita sul suo seggio. Nel volume che
tiene fra le mani studia il problema se u la ingiustizia regnerà
sempre e sarà premiata; se i figli risponderanno delle colpe
paterne. ' v
La Sibilla Eritrea mira la fiaccola della speranza che spe-
gnesi, ed è stanca di aspettare e di leggere, mentre la notte
le si addensa attorno. Il fanciullo (raffigurante sempre 1' uma-
nità) passa oltre e riaccende la lampada. — Ed ecco David che
simboleggia la libertà politica e l' amore d' indipendenza : Giu-
ditta che rappresenta la Giudea, la libertà del pensiero, la ri-
Ezechielle.
LA MENTE DI MICHELANGELO. 675
bellione ad ogni giogo: Zaccaria che medita il disegno e la mole
del nuovo tempio che dovrà sorgere: Isaia colle Sibille Delfica
è Cumea, afiermanti il concetto della conciliazione dei popoli,
lo spirito del Rinascimento, la comunanza dei desiderii e delle
speranze della Giudea, della Grecia e dell'Italia: Israele, che
levate le briccia vaticina i giorni di libertà: Daniele signifi-
cante Giustizia di Dio, che scrive e nota, mentre altri o av-
volge all'arcolaio il filo dell'età, od affila nel silenzio il coltello
nascosto, aspettando il giorno della vendetta.
Qui è tutta la storia del passato che vi si simboleggia, è tutto
il Messianismo futuro che si presenta.
La Bbbia rappresentava tutto questo, e Michelangelo che
vi si ispirava, che accoglieva in se l' alta idealità del sopran-
naturale biblico, armonizzandola col sentimento civile repubbli-
cano, creava l'epopea dei tempi nuovi, quella che fu poi detta
l'epopea del presentimento.
Come nelle Sibille vedeva i tipi delle nazionalità, nei Pro-
feti ritrovava i grandi tipi del genere umano, e riepilogava
questa lotta dell'uomo col tempo e colle force brutali della na-
tura, e le Bue aspirazioni inappagate, e le sue secolari battaglie
pel trionfo della giustizia, nel gruppo di Giona, che esce dalle
tenebre coi segni d< Ila vittoria, prototipo dì un' arte che è la
sintesi dì un mondo. E con vero compiacimento esclama 1' au-
tore : invano qui cercherete un segno del Cristianesimo ufficiale,
del Figlio di Mirìa, del Dio dei teologi. Qui vi è il Dio del-
l' intelligenza, il Dio della forza morale, il Dio liberatore.
Io certo non dirò che il Levi sia riuscito a diradare og^ì
dubbio in proposito. Egli stesso lo confessa: è entusiasta di Mi-
chelangelo, e p«*rciò a luì {non chiedete un esame minur.ioso,
calmo e soprattutto completo dì ogni parto della Cappella Si-
stina. Interpretatone le primarie figure col sussidio dello teorie
rabinìchc, coordinatone i vari significati e impadronitosi della
unità del concetto, egli corre via libero pe'campi drlla fantasia.
Né alcuno deve fargliene rimprovero. Non sarebbero bastate
quelle teorie fredde (dalle quali però egli sa trarre molto saga-
cemente profitto) per intendere questa prima parte u d«d forte-
mente pensato poema, n *
Non ò forse vero che la fantasia ch(; vi regna fu altrettanto
possente quanto l'arte lAw no sepp^ incarnare lo idee?...
' ToMMMBO, BtUema « OMUà.
676 LA MKNTK DI MIOHBLANGKL >.
II.
Vent'anni erano scorsi (non trenta, come forse inavveduta-
mente fu scritto dal Levi) dallo scoprimento della volta ai la-
vori del Giudizio Universale. Michelangelo che aveva assistito
ai subiti mutamenti del suo tempo, che aveva sperato, quando
l'erudizione preparava la nuova scienza e 1' arte la nuova ci-
viltà, contemplava adesso disilluso l'ingrandirsi e il rinnovellarsi
degli Stati di Europa, mentre nella sua cara patria si indebo-
liva lo spirito di libertà, scioglievansi i legami che univano
l'individuo al Comune, acuivansi le insidie e le ire di parte,
corrompevansi sempre più le coscienze. Intanto l'Italia è aperto
campo alle ingordigie di tutti i conquistatori : intanto Giulio II
dà l'ultimo colpo alle aspirazioni dei patriotti uccidendo Ve-
nezia ad Agnadello. Più tardi anche Firenze è prostrata e cade
con lei l'ultimo baluardo delle italiane libertà. La riforma an-
nunziata da Savonarola prorompeva impetuosa nella Germania,
scuoteva l'Europa e inferociva le guerre politiche, mentre poi
la politica e la spada puntellavano quel dominio che la fede
non valeva più a sostenere.
Michelangelo tutto ciò notava e sentiva, •e quel cumulo di
sciagure, di codardie, di delitti, destavano in quell' anima fiera e
taciturna una tempesta di dolori e di sdegni, che traboccando dal
cuore versò coli' impeto del suo grand'animo nel Giudizio Uni-
versale.
La volta — dissi — fu il presentimento del mondo messiaco,
annunziato da Joachim da Flora e poi dai Platonici : il Giudizio
invece è la sentenza e la condanna del falso Cristianesimo e il
preludio della sua caduta. Il Cristo forte e severo che vi cam-
peggia è un Cristo già trasformato: i putti della volta si sono
mutati qui in uomini raccolti dintorno a lui : la Madonna gli
siede dietro, non bella come quella del Raffaello, non di sol
vestita, non mite, ma smarrita, pensosa e in tutto donna. Dopo
Cristo spicca tra gli altri S. Pietro che gli si presenta per es-
sere giudicato, u Queste due figure — dice il Levi — sono
tutta una rivelazione*, terribile rivelazione che domina il gran
poema e ne spiega il pensiero, ti II Vicario peritoso e turbato
offre a Cristo le chiavi : questi le respinge con orrore. Intorno
un'accozzaglia di esseri umani ma volgari ed ignobili, armati di
LA MENTE DI MICHELANGELO. 677
Strumenti di tortura. Possono eglino esser Santi cosi stravolti
cosi paurosi f
Questo si domanda 1' A. e crede di ben intendere il con-
cetto michelangiolesco vedendo in essi gli aguzzini e gli inqui-
sitori che hanno arsi gli eretici. Le scene terribili e feroci
tratteggiate qua e là completerebbero il quadro.
Sotto S. Pietro le due donne (simiglianti — dice il Levi —
a quelle dipinte dietro Giona) che precipitano nell'averno reli-
giosi e religiose e reprobi, raffigurerebbero la Chiesa futura^
ed entro quell'antro di avemo (i Ghibellini chiamavano cosi il
Vaticano) vi è Ser Biagio, custode appunto del Vaticano.
Ma a sinistra lo spettacolo muta. Ecco la risurrezione dei
beati e di coloro che sempre ebbero fede e soffrirono sperando;
e attratti da forze arcane al cielo, s' inalzano alcuni ischele-
triti, altri poderosi di muscoli, reggendosi Tun l'altro, come a
simbolo di concordia e di meritata salvazione. In alto poi evvi
u la parte celestiale della vasta epopea, n seoipre senza rito li-
turgico, senza nota ufficiale. Ma per tutto il concetto dell'antico
domma che tramonta e del nuovo che si leva; la vittoria sulle
influenze mortificatrici, del Cristianesimo col trionfo del nudo;
da per tutto la morbosa scuola della falsa pietà che cede il
passo alia virtù vera; il culto dei rancori sostituito da quello
dell'amore, il sensuxlismo snervante dalla realtii sana e forte.
Michelangelo che in quel periodo cercava le sue ispirasioni
specialmente nell'affetto alla patria e alla donna, voleva in quei
freschi stigmatizzare un presente doloroso e spregevole, ed in-
dicare ai posteri una meta migliore, per raggiunger la quale
se fosse stato necessario, io credo, di combatterò una batta-
glia, Michelangelo ne sarebbe stato l'eroe: non potendolo, la di-
pingeva. E mentre Machiavelli si sforzava di diiciplinnro in unità
di itato le disperse energie, Ruonarrotti tentava di raccogliere le
poche ribellioni della coscienza latina in potenti croasioni artì-
stiche. Cosi la parete della Sistina u è la giustizia, ò la rivolu-
zione, la gran catastrofe che chiude un'epoca, cancella una g^e-
razione per suscitarne un'altra n ; cosi 1' arte riproduco 1' ideale
della storia e lo concreta; cosi nella storia stessa persisto quel-
l'aspirazione all'infinito, che l'artista impresse sotto diverte forma
nelle sue opere. Valga per tutto S. Pietro.
E il Levi ragionando di essa trova clic nella vastità della
mole, nella purezaa delle lineo, nell' efficacia di quel Vaeuo ra-
cbe arrestò — dice Tacito — Pompeo sullo soglie del
678 LA MENTE DI MICHELANGELO.
tempio di Gerusalemme, l'architetto voile pur dar vita allo stesso
concetto, deiraffrancazione dello spirito dal servilismo del Medio
Evo, della sua aspirazione all'alto, della sublimazione della ma-
teria. B'-n lontano dalle ubbìe delle accademie e delle scuole,
nemico di o^ni ripìeg », di ogni sforzo, d' ogni equivoco, vide
— come già il Brunelleschi — che l'architettura del tempio
gotico asserviva le altre arti e le amalgamava, rispondendo a
un sistema teologico, che abbisognava di puntelli, di sostegni
mascherati, di fronzoli appariscenti; a un'idea religiosa in-
somma che aveva ormai fatto il suo tempo. E seguace dell'ar-
chitettura di Roma repubblicana, ideò un'opera chiara, lumi-
nosttf isolata a torno ove non fossero nascondigli e cupezze,
adatte u ad infinite ribalderie n com'egli diceva.
Essa, è vero, fu guasta assai dal barocco, quando mancò ne-
gli animi il sentimento religioso: ma ancora sotto quelle volte
il genio di Michelangelo si aggira e le riempie di se. La va-
stità del pensiero di lui vi domina ancora, e il Levi trova a
ragione in quella mole un aiuto e un invito al pensiero ad
elevarsi. « È il Pantheon antic > sovrapposto come a coronare
il tempio moderno n; sono i concepimenti religiosi e parziali
del mondo pagano, accolti qui e convocati alla contemplazione
del Dio infinito.
Quella gran cupola è un simbolo : è la profezia della nuova
religione e della nuova morale.
in.
Le altre parti del lavoro non hanno a dir vero novità di
vedute, ne importanza di documenti, onde io mi limiterò a
darne brevemente i concetti sostanziali^ Come il segreto del-
l'arte di Michelangelo sta tutto nell'idea che egli aveva in sé,
ed incarnava ne' suoi lavori, così per intender l'artista era ne-
cessario, come già si di -se, studiai* l'uomo come fi'/lio e come
cittadino. Michelangelo uomo fu la più splendi la personifica-
zione della rettitudine di e irattere e dell' equilibrio delle fa-
coltà, onde fu detto il Divino dai contemporanei.
In età di coscienze pervertite, in cui i vincoli della fami-
glia erano rilassiti e rotti, egli l"u una eccezione, egli, tìglio
amorevolissimo, immeiu» r-; di sé, iterale cogli altri, utile al
padre, ai fratelli, ai nipoti di aiuti d. sinteressati e di consigli
LA MENTE DI MICHELANGELO. 679
efficaci per condurre tranquilla la vita fra le pareti della fa-
miglia, tra le vicissitudini dei partiti, tra gli abusi della libertà.
Fiero e indipendente coi grandi, temuto dagli stessi potelici, è
una viva protesta contro la servilità degli artisti e dei letterati,
contro la bassa ed evirata cortigianeria, fatta ausiliatrice di
prestigio e di successo. Tra la riconoscenza dell'artista favorito
e il dovere di libero cittadino; tra le forme religiose e i con-
vincimenti del riformatore; tra le necessità sociali e la sua
coscienza; fra il tornaconto e il bisogno, seppe sempre serbare
la indipendenza all' uomo e all'arte la libertà. Sebbene amante
della sua patria infelice fino ad esserne continuamente preoc-
cupato e angoscioso, la calunnia pur lo raggiunge e lo colpi-
sce... Ma la sua grande figura era tale che, a riabilitarla, ba-
stava l'intuito meglio della deduzione, il documento umano più
dello storico, il poeta prima dell' archivista!... *
Rivendicatore della libertà oppressa, compie il DejtositOf o
nell'euritmia delle linee, nella perfezione del nudo, nell' espres-
sione della maestàf insegna all' Italia in quei marmi di morte
ad aspirare alla vita, ad aver fede nella risurrezione che se-
jrnirà i periodi di sonno, di vergogna e di avvilimento.
Come amante egli riceve lume e rilievo dall' affetto per
V ittoria Colonna. La conobbe quando già aveva varcato di
molto l'età delle illusioni e degli amori che tediano e sfibrano,
ed era entrato nella seconda fase, quando cioè il senso si eleva
a sentimento, e uno spirito cerca di completarsi intellettiva-
mente nell'altro, e avviene ciò che Cicerone chiamava u con-
gluttnatto animarum. n L' aveva incontrata quando già aveva
prediletto con tanto operoso entusiasmo l'arte e la patria, onde
cercava in lei il riposo e il sollievo alle tempesto dell'animo.
Le sue rimo, che risentono nella forma del Petrarca, ma nella
sostanza deirAlighiert, non furono quindi solo e sempre voci
di amore; ma nella loro scabrosità marmorea nelle penombre
in cui si atteggia il pensiero, rivelano le profondità di un'anima
agitata, gli involgimenti di un cuore chiuso in sé e la retti-
tudine d«dle sue nH|>inizi(ini
K Vitt'»rìa riempie di »ò l'Olimpo del poeta. Essa ò il tipo
— dice l'autore — della donna del Rinascimento, della donna
forte, rispondente in tutto all'ideale di Michelangelo, che v«-
t V«di il Capitolo nono MV Assedio di Firmss di F. D, Gubbsabsi, e
U Dots qtMttordicflsiin* sppostavL
680 LA MENTE DI MICHELANGELO.
gheggiava non mistiche, non seduttrici, non candide bellezze,
raa la donna che è il riflesso di una bellezza intcriore, u d'una
passione, d'una idea che prorompe dall'interno dell'essere n; tipo
indimenticabile e vigoroso; forse povero di femminilità, ma
saturo di alte energie.
Tutta la vita di Vittoria è tracciata nelle sue fasi dall' au-
tore, e tutta la passione dell' artista è studiata nelle rime con
l'amorosa cura di chi, dubitoso di alterare i contorni della
grandiosa figura, lascia che si rilevi all'occhio quasi da se me-
desima.
Un capitolo però avrebbe dovuto destare uno speciale inte-
resse storico; quello che riguarda le idee religiose di lei. Dopo
la Memoria di G. Campori * il quale crede che u ne dalle sue
azioni ne dai suoi scritti si può ritrarre indizi in lei di vacil-
lamento e meno ancora di consenso alle dottrine che si veni-
vano disseminando e discutendo, n era prezzo dell' opera svol-
gere maggiormente le obbiezioni sollevate da E. Masi nella
Rassegna Settimanale in proposito *. Invece il Levi si ferma
qui solo a raccogliere gli indizi soliti e a far notare le rela-
zioni di lei con Bernardino Ochino, con Reginaldo Polo, col
Carnesecchi, con coloro insomma della congrega di Valdes, che
non solo si erano uniti ai protestanti, ma li oltrepassavano *.
Bisogna qui ben ricordarsi — dice il Masi — delle tre diverse
tendenze che scaturirono dai prodromi del moto riformista ita-
liano : quella di Valdes, di cui si è detto ; la seconda che senza
separarsi dal cattolicismo tenta una conciliazione e finisce con
una sconfitta; e la terza che dà mano a rafforzare la Chiesa
e trionfa coi gesuiti, col Concilio di Trento e coli' Inquisi-
zione.
Il libro si dilunga a delineare le relazioni amichevoli dei
due amanti, anziché accertare la influenza che in materia re-
ligiosa uno può aver esercitato sull'altro. Nelle poesie della Co-
lonna non trova V A. vestigia di quelle lotte e di quelle
irrequietezze che travagliarono Michelangelo. I problemi della
' Giuseppe Campobi, Vittoria Colonna. Atti e memorie della R. L. De-
put. di storia patria dell'Emilia. Voi. ni, parte ii, nuova serie. — Modena,
Vincenzi, 1878.
» Voi. Ili, N. 56, pag. 68.
' K. Benzath, Ueber die Quellen der italienisehen Reformations-geschi-
ehte. Bonn, 1876. — Bernardino Ochino, von Siena. Leipzig, 1875. (Ci-
tati dal Masi.)
LA MENTE DI MICHELANGELO. 681
"ita e della fede la agitarono assai meno, egli aflferma. Ma a
questa conclusione, in parte vera, concorreranno coloro che
sanno come Vittoria si frammischiava alle riunioni a cui inter-
venivano e il Contarini, e il Morone, e il Fregoso, e il Giberti,
e il Friuli, e il Bonfadio, e il Soranzo, e il Flamminio ? E non
è Vittoria che scrive all'eretica Giulia Gonzaga, ringraziandola
d'averle fatto avere in Orvieto un' opera del Valdes « eh' era
molto desiderata, et più da me che n' ho bisogno f n
In fine, ritornando sul suo soggetto, l' A. studia ancora
i artista, il pensatore, l'eresiarca dell'arte. Michelangelo a Marco
Vigerio aveva scritto: a Si dipinge col cervello e non colla
mano, e chi non può aver cervello si vitupera, n e queste pa-
role porgono qui occasione di biasimare quella scuola che molte
.olte dissimula l'aridità del cuore e il vuoto del cervello col-
! 'abbarbaglio della formola l'arte per l'arte.
Certo che anche il Buonarroti fu realittaj ma non fu pittore
del volgare, del triviale, del piccolo realitmo. La sua forte e
vigorosa natura lo spingeva ad amar ruomo — com' egli dice
nelle sue lettere — sia l'uomo individuo, sia 1' uomo umanità.
Però il suo antropomorfismo non è armonico come quello dei
rreci: più della forma è seguace dell' idea, e nello studio della
natura non separa il corpo dallo spirito, il senso dal jtaiho».
Anche l'ambiente in cui visse ve lo costrinse. Egli, pensa-
tore profondo, costretto a comprimere i segreti pensieri del-
' animo, non rinunziò, in un mondo di sole ipocrisie e d'ido*
Mtrie vane, ad essere la sincerità, In virtù, la forza che si
fferma, portando da per tutto, nella pittura, nella scultura,
iella poesia, il movimento e l'idea. Onde fu detto T eresiarca
!1 irte... E perchè no?... Nella vita, egli aveva avuta una
i^ione sua individuale, che fu diversamente intrawistn dagli
scrittori, pei quali Michelangelo ora è detto pUtonico e pitta*
gorico, ora cattolico romano, ora luterano annacquato, ora ere-
tico e libero pensatore.
Il Levi che esamina a sua volta la questiono della fedo
langìolesca, cre<lc a ragione* che ben fosse scisso dalla
... e,a e avciise abbandonato il Cristianesimo jeratico e leggen-
dario, egli che cogli eruditi italiani aveva già presentita e pre-
corsa la riforma; ma che non foste staccato dal Cristianesimo
ideale e morale, cioè dal Cristianesimo u coiiu' as| ' ic verso
li giusto, verso un vero assoluto, eterno, non co:' o pas-
Vu.. XL, S«r1« II - la Affotla IIM. «
682 LA MENTE DI MICHELANGELO.
seggero... verso un bello perfetto che parla allo sguardo e al-
l'intelletto. "
Era naturale quindi che in arte, sdegnando l'orpello, il ri-
piego, le ambiguità, vestisse di forme originali, quasi perfette,
il suo ideale della religione dell'umanità, i grandi concetti dei
filosofi, dei riformatori, e così fosse un vero a artista-sacerdote n
che parla agli animi il linguaggio della verità e della conci-
liazione, e che nella pienezza della sua vita interiore vuole in-
tegrare il concetto della u evoluzione v con quello dell' u ele-
vazione n della vita, inauspicando al rinnovamento moderno,
alla libertà nell'arte, cjme Lutero nel pensiero, combattendo
il convenzionalismo ed il domma.
Pur troppo questa sua riforma artistica e morale u egli potè
iniziarla appena: l'Italia è lontana ancora dal comprenderlo e
dall' apprezzarlo degnamente... Però la sua mano ha, possiamo
dire, rinnovata e ricreata Roma artistica moderna: la sua grande
figura basterebbe a rialzare e ricreare, appo un popolo ener-
gico e sano, la Roma e l'Italia politica e morale, n
E r augurio dell' A. trovi eco in tutti coloro che, deside-
rando giorni migliori alla patria, intendono il bisogno che essa
ha di una generazione sana appunto e operosa, ricca di carat-
teri virili.
Il Levi insiste specialmente su questo — egli, uomo di altri
tempi, amico ed entusiasta di Niccolini e di Gruerrazzi — e spera
che i popoli, lasciate le inutili questioni di forma e di culto,
si affratelleranno nella religione del vero, del hello e del buono,
nei princìpii di quel Cristianesimo, che s'innesta sul tronco
ebraico, e mira a diffondere le massime della carità, della so-
lidarietà, del dovere.
Tale è lo scopo — in parte almeno — di questo libro, che
comunque lo si giudichi letterariamente, resta sempre una buona
azione. Qualcuno non troverà forse accettabili alcune interpre-
tazioni, fin che vuoisi, del resto, ingegnose, come quella del-
l'Aman che è disposto metà in una superficie e metà in
un'altra della volta, per indicare che le violoize e gli errori del
paganesimo si sono continuati nei secoli cristiani; o 1' altra del
personaggio del Giudizio che ha la pelle in mano per indicare
non già S. Bartolomeo, ma un inquisitore colla veste, col velo
dell'ipocrisia, ecc. E cosi altri non approverà il modo concai
fu fatto il libro, che ideato nelle proporzioni di una introdu-
LA MENTE DI MICHELANGELO. 683
zione ad un lavoro poetico, fini coli' essere un volume, ma con
iscapito dell' ordine e della concisione, che qua e là sonovi ri-
petizioni che pur vorrebbero approfondire meglio il concetto
precipuo del libro, ma spesso riescono solo a stemprarlo e a
fargli perder rilievo.
Invece troverà lodevole che il Levi abbia preso il documento,
già noto allo studioso, e lo abbia interpretato collo studio psi-
cologico, completando l'elemento positivo coli' elemento etico.
Convincerà egli gli increduli ? E la generazione che il Duprè
aspettava (V. Ricordo al Popolo Italiano), la quale avrebbe po-
tuto fissare lo sguardo nelle profondità michelangiolesche, è
sorta ancora? Ogni dubbio sarà dileguato?
Ciò io non affermerò certamente, giacché ancora alcune
delle figure non poterono essere intese, e sarà necessario rie-
saminarle nella beila incisione che ne sta preparando il Di Bar-
tolo con uno studio paziente dell'originale e col confronto di
incisioni antiche; né la critica potè trovare tutte Jle relazioni
che passano tra T animo dì un uomo e i tempi in cui si svolge.
Ma io credo che intanto si sia fatta tanta luce, quanta basti
a non far più di quei dipinti a un libro sibillino n se si con-
sidera specialmente nel caso nostro che accanto ai yoli di fan-
tasia del poeta rifulge l' occhio profondo del crìtico, che non
conosce difficoltà insuperabile, che vuol condurre la critica non
mai ad appagarsi della forma vuota, ma perscrutare intima-
mente il pensiero di una rappresentazione artistica ; che dico
cose mentre altri dice parole. Egli abbraccia il suo titanico sog-
getto e se ne innamora, non per altro fine che per dare s a
un'Italia che voglia sorgere a dignità di oasione maschia, ri-
spettata e libera n un esempio di grandeisa ; efficace a rige-
u orarla.
AUQU8TO Setti.
GLI EBREI IN UNGHERIA
TISZA-ESZLAK.
I.
In Tisza-Eszlar, un piccolo villaggio di 223 abitanti nel
comitato di Szabolcs in Ungheria, sulle sponde della Theiss,
viveva una vedova, Solymosi, con molti figliuoli e poco denaro.
Una sua figliuola Esther, di quattordici anni e qualcosa, l'aveva
allogata presso una sua parente fittavola^ ora, questa che vo-
leva ridipingersi la casa, il 1" aprile 1882, mandò la giovinetta
dallo speziale, a comperare il colore, lontano due chilometri dal
podere. E la giovinetta non tornò ne fu più vista. Che n'era
stato di lei ?
S'era vicini a Pasqua. In Tisza-Eszlar v'è dei giudei e una
sinagoga. Poiché s'aveva a trovare a una ragione una tale scom-
parsa, parve subito la più probabile quella ch'era addirittura im-
possibile. O non dovevano essere stati gli Ebrei ? Le più sapute
del villaggio la intesero. Il pregiudizio che del rito di quelli
faccia parte un sacrificio umano, o, a dirla più spiccia, un as-
sassinio, è antico nelle plebi cristiane ; e un professore tedesco,
un dotto tedesco, il Rohling di Munster, da parecchi anni sostiene
- che cosa non sostengono quando ci si mettono ! - che egli ha la
convinzione profonda che l'assassinio ci sia, quantunque di ciò una
prova perfetta non si possa dare. Le donnicciuole di Tisza-Eszlar
avevano l'onore d'essere del parere del dotto professore senza
saperlo. I giudei, che sentirono come si spandesse contro di loro
GLI EBREI IN UNGHERIA. 685
una voce cosi bugiarda e minacciosa, e ne cominciavano anche
a sentire gli effetti sulle loro spalle, si strinsero a consiglio e
credettero che il miglior espediente, per dissiparla, era che sì
riuscisse a sapere qualcosa di codesta giovinetta scomparsa così
a sproposito. Proposero un premio a chi ne desse notizia. Non
l'avessero mai fatto ! Il 18 giugno, alcuni barcaiuoli o zatterai,
che accompagnavano un carico di legna disceso dai Carpazii,
urtarono a Tisza-Dada, a 20 chilometri in giù d'Eszlar, in un
cadavere d'una giovinetta. Era Esther? Era vestita come questa,
il giorno che scomparve. Cosi dissero la madre, e quanti l'a-
vevano vista quel giorno. Ma al viso e alla persona, chi di-
ceva di riconoscerla e chi no. Sei persone affermarono di si, e
una di esse mostrò a prova nella gamba destra del cadavere
la cicatrice d'un calcio, che Esther aveva ricevuto due anni in-
nanzi da una vacca. Ma la madre e altri testimoni scelti dalla
madre e dal giudice d'istruzione del posto dissero che non era
dessa. La madre non si risolveva. I periti nominati dal tribunale
pretesero che il cadavere era d' una sconosciuta ; ma tre pro-
fessori di Pest dichiararono che niente impediva fosse quello
di Esther. In somma, se ne rimase in dubbio. £ poi il cadavere
non diceva, che morte fosse stata la sua. Era stata uccisa ? S'era
gittata nel fiume ? V'era caduta ?
Ma dove i fatti non aiutavano, cominciaruiio <> .^a|>piiic lo
fantasie; e queste non hanno bisogno che le si nutriscano; si pa
scolano da se medesime, ed ecco come supplirono. La torà stessa
del giorno della scomparsa, la madre d' Esther s'era incontrata
in Giuseppe Scharf, un calzolaio, e di giunta sacristano della
sinagoga. Ora pensate che discorso questi aveva tenuto alla
madre ? Grli aveva detto, che a Jfadju-Natuu era scomparso un
f.-inciullo, e anche li se n'era data colpa a'^udoi; ma dopo qual-
che ora s'era ritrovato. O perchè lo Scharf era entrato in questo
discorso? Per consolare la madre e calmare lei e gli altri in
que' lor sospetti contro i suoi correligionarii ? Oibò. Por sviare
gl'indizi ; e ce n'era, oh ! se ce n'era. S'oran sentite le grida
della vittima. Dove? Quando? Prima si disse nella casa dello
►Scharf, che s'era trovato con quel discorso d'aver indicato sé
per il bjia ; poi nella sinagoga stessa. Le grida, una donna le
aveva sentite al mattino ; un'altra dopo mezzogiorno. E la madr»-
si persuase ancora che i giudei gli avevan tolta la figliuola; oh !
come lo sapeva ? Che volete ? Lo sentiva qui ed era la voce
di Dio.
686 GLI EBREI IN UNGHERIA.
Si trovò un giudice d'istruzione, il signor Bary, che questa voce
l'aveva sentita anche lui. Egli prese ad adempiere la sua incom-
benza, col proposito non di cercare il vero, ma di provare quella
persuasione che s'era formata in cuor suo del vero anticipata-
mente. E bisogna dire quello che è ; una volta risoluto a ciò,
non si smarrì per via. Egli scelse persone e mezzi adatti. Le
persone furono, 1' una un Andrea Recski, un commissario di
polizia, che vuole che gl'imputati rivelino; e se non rivelano,
hanno a fare con lui ; vi mette tanto zelo, che n'è stato persin
castigato dai suoi superiori, i quali non son lesti a punire in
casi simili ; l'altra valeva meglio ; che Koloman Peczely, il cancel-
liere, nella discussione pubblica s'è scoperto, avere a venticinque
anni amoreggiato colla moglie d' un borghese di Miskolcz, e
colto sul fatto dal marito, non essersi perso d'animo, ma averlo
strangolato coll'aiuto della ganza, e tagliato in pezzi e chiuso
in un sacco e gittate sacco e uomo nel fiume. La sua fedina
è questa: u uomo senza costumi, di cattivo nome, incriminato più
volte per furto. Il tribunale di Kaschau lo condannò per quel
casette a quindici anni di detenzione; gli fu fatta la grazia
nel 1867, e poi, per troppa grazia, davvero, impiegato ap-
punto in un tribunale, certo, perchè ci aveva avuto a che fare.
Se ne vedono; e soprattutto se ne sentono! Poiché vogliamo
sperare, che questa in Italia non si vedrebbe. Al piìi, un uomo
di tanta bravura sarebbe scelto a sindaco, se ha avuta molta
parte nell'elezione di un deputato a modo; e con questo si fosse
fatto, di certo, più merito verso la patria, che non s' era fatto
demeriti verso uno o più privati col furto o l'omicidio; che non
pare levino nulla o facciano macchie al patriottismo!
Ora, a costoro occorreva trovare un testimone che avesse
visto, e degno di fede. Non si poteva aspettare che non l'avreb-
bero trovato ; ma così acconcio, così degno di fede, così terri-
bile, confessiamolo, ci volevan loro. Giuseppe Scharf aveva un
figliuolo, Maurizio, su' tredici anni. Interrogato dal signor Bary
sin dal secondo giorno di ciò che in sua casa o nel tempio
avesse visto il 1 aprile, egli rispose niente a proposito; come
a tutti gli altri testimoni che non s'eran potuti concertare, gli
era sfuggito tutto quello a cui il giudice soprattutto voleva
che avesse posta attenzione. A ogni modo e per ogni buon fino
fu cacciato in carcere; e il commissario di polizia, perchè stesse
più ad agio, lo condusse in sua casa; e perchè non mancasse di
compagnia, condusse seco il Peczely. Ed ecco che a mezzanotte
GLI EBREI IN UNGHERIA. 687
il ragazzo sapeva tutto quello che alle otto ignorava. Se non che
neir intervallo i servi del Recski asseverano, che gli si facesse
patire la fame, e si trattasse invece a schiaffi e sferzate. Se non
vogliamo esagerare, questa non si può chiamare tortura.
Ed ecco quello che questa disciplina gì' inspirò. Il 1" aprile,
suo padre, trattasi in casa Esther Solymosi, l'aveva, accompa-
gnata da un mendicante, mandata alla sinagoga. Questo, Mau-
rizio l'aveva visto: poi aveva sentito un grido ed era natu-
rale che volesse continuare a vedere. Messo, adunque, l'occhio
al buco della serratura del tempio, vede appunto Esther distesa
per terra e tre uomini tenerla per le braccia, per le gambe,
per il capo; ne sapeva i nomi e gl'indico. Intanto un beccaio,
Salomone Schwartz, gli faceva un taglio profondo alla gola con
un coltello un po' più grosso d'un coltello di cucina. Se ne rac-
colse il sangue in due piatti, e fu poi versato in un vaso. Però
del cadavere, Maurizio non sapeva che cosa se ne facesse.
Come credere che questo racconto gli fosse stato imboccato da:
due, e i patimenti sofferti lo inducessero a ripeterlo per suo ,
s' egli non solo firmò il processo verbale, ma v'aggiunse di suo
pugno: u Ho confessato tutto ciò senza che mi si facesse vio-
lenza di sorta? n I due, poiché ebbero ottenuta una cosi intera e
schietta confessione, ne avvertirono il giudice Bary eh' era lon-
tano, ammonendolo di venire in fretta, senza aspettare sino al
mattino, per paura, scrivevano, che nel frattempo l'affare pren-
desse un altro avviamento. E il signor Bary, da quel diligente
uomo eh' egli è, si precipitò ; e alle due dopo mezzanotte egli era in
casa del Recski a sentire dal ragazzo il racconto veritiero non
variato di una virgola.
Ma, adunque, il cadavere ritrovato a Tisza-Dada, nou era
quello d'Esther? Quello non aveva nessun taglio alla gola. E
un tàglio ci voleva, perchè insomma, i giudei non uccìdono oo-
tcste creature a Pasqua, se non perchè gliene serve il sangue
per impastare i pani. Dov'era il cadavere col taglio? Oh chi
Io sa! Ma che importa. Il cadavere da cui s'ora tratto il sangae,
i giudei l'avevano nascosto. E degli abiti, che erano certamente
quelli d' Esther, era stato vestito un altro cadavere, e gettato
nel fiume. Uno studente di medicina scelto a perito, e due medici
che bazzicavano nel castello di un sig. Onody, un nemico giu-
rato de' giudei, attestarono che infatti qudl cadavere non po-
teva esser di quella. Oli zattera! furono interrogati ; se si fosso
potato sapere da essi, che il cadavere, anziché ritrovato nel
688 GLI EBREI IN UNGHERIA.
fiume, era stato lor consegnato da' giudei, cotesto niruvwmento
infelice, che sconcertava gì' indizii raccolti dalla bocca ingenui,
di Maurizio, sarebbe diventato la miglior prova esso stesso.
Pure, gli zatterai rispondevano d'averlo trovato e di non sa-
perne altro. Ma avevano a fare coi due ! Si sarebbe visto so
avrebbero sino infine continuato a mentire. Chi fu messo a di-
morare in una stia, chi in un porcile ; 1' uno forzato a ingozzare
acqua e poi acqua; chi a guardar fiso il sole, se già avev:-
ammalato gli occhi. Il commissario di Dada possedeva verghe
e manette e le offeriva.
u Qualcuno resistette sino all' ultimo. L' uno di essi, un israe-
lita, di debole complessione e di meschina apparenza, si com-
portò da eroe. Il giudice d' istruzione, non potendo cavarne nulla,
gli azzeccò uno schiaffo, e chiamò i suoi staffieri. Si minacciò
di bastonarlo 5 rispose che ciò che si voleva eh' egli dicesse era
falso, eh' egli aveva ventiquattro testimoni a citare. Grli si as-
sestarono quattro colpi sulla mascella; usci sangue. Ricusò di
confessare. Gli si fece ingoiare tanta acqua, che si gittò a terra
per recerla, e quando l'ebbe mandata fuori, gli si dettero a bere
tre bicchieri d'acqua salata. Ricusò. Gli si legarono le mani
dietro le spalle, e il commissario lo prese per una ciocca di
capelli e uno degli assistenti per un'altra, e tanto tirarono
che rimasero loro nelle mani. Ricusò. Fu spogliato, fu disteso
sulla paglia, fu minacciato che lo si appiccherebbe per i piedi.
Poi fu forzato a correre fino a Eszlar davanti al cavallo d' una
guardia di polizia. Si soffocava dal caldo; non ne poteva più;
ricusò. Infine, fu chiuso in una camera oscura; vi stette tre
settimane; vi cadde ammalato gravemente, chiedendo sempre
che ^7 udissero i suoi testimoni, senza che nessuno consentisse,
a udirli. * Questo brav'uomo si chiama Anschel Vogel.
Pure non tutti, com'è naturale, tennero duro del pari. Pa-
recchi finirono col dire quello che si voleva. Uno, per trarsi
d' impaccio, dichiarò che per lo appunto il cadavere era stato
lor consegnato da due ebrei d' Eszlar. Da chi? Schieratigli da-
vanti tutti gli ebrei d'Eszlar, ne prese due a caso, che non aveva
mai visti e disse : questi. — E il suo nome anche è bene saperlo
lankel Smilovics. Ma così questi, appena come gli altri, tornati a
casa, andarono subito a dichiarare davanti al sindaco di Szek-
1 Son parole del Valbert, che ha scritto su questo soggetto uella Revue
des deux Mondes del 1' agosto.
•jLI ebrei in UNGHERIA. 68^
lencze, d avere sfacciatamente mentito per essere stati birbone-
scamente torturati. Un solo scelse un altro partito ; persi-
stette in quello che aveva detto; ma aggiunse, che quando la
consegna del cadavere ebbe luogo, egli era ubbriaco.
Codesti son tutti fatti chiariti durante la discussione pub-
blica. Il processo è stato dibattuto avanti alla corte di Nyire-
ghiaza, il capoluogo del comitato. La causa del vero ha tro-
vato un potente avvocato nell' Edtvòs. Ma come avvocati ce
n'è per ogni cosa, un altro, Szalay, avvocato della madre, che
s'è fatta rappresentare in giudizio come parte civile, ha persi-
stito sino all'ultimo a sostenere, che, sissignore, era parte del
rito giudaico un assassinio pio di questo genere. CJitava in
prova il Talmud, e come gli si opponeva un breve d' un papa,
Innocenzo — del terzo o di quale? — che aveva già cinque se-
<oli fa ^dichiarata calunniosa la voce, non si sgomentò, ma ri-
pose, che il Papa era stato corrotto dagli ebrei per averne
avnito danaro a prestito. Quanta lace la discussione abbia messo
nel caneto di presunzioni false che il Bary aveva piantato e cre-
sciuto, n'è prova, che sin dal primo giorno lo Szeiffert, sostituto
lei procurator generale, confessò che l'istruzione era stata con-
lotta in modo biasimevole, e dopo avere in tutto il corso del
processo manifestato la nausea che parecchi testimoni gli cagio
nuvano, ha finito coH'abbandonare l'accasa. Pure s'è rimasti sino
alla ultima ora in dubbio se il giurì di Nyireghiaza avrebbe
assoluto i giudei. Ed è stato, per vero dire, un gran conforto
a quelli che in ogni parte di Europa mettono qualche inte-
resse, a che non si perda fede nella giustizia, il sentire, che
:;li hanno assoluti.
Il dubbio era molto naturale. Noi leggiamo, da che l'asso-
luzione è stata pronunciata^ l'effetto ch'essa ha fatto in più
luoghi d' Ungheria. Quello che si chiama il popolo, non finisce
*li far chiasso contro gli assoluti, di rompere i vetri delle fino
stre delle case, in cui quelli si son rifuggiti, di minacciarli
-iella lor vita. Bisogna sperare, che almeno in questo caso la
■ oce del popolo non sia la voce di Dio; però, durante il pro-
■esso non gridava meno, anzi più. Vi si era convenuto da ogni
parte del paese, come alla prima serata della rappresentazione
Tun dramma di un autore di grìdo. Signori e sopratutto si-
gnore, di piccola e gran nobiltà, erano accorsi. Nò questo pub
Mico elegante o influente se ne stava zitto, o aveva soltanto
;>remurri che giustizia si facesse. La giustizia, esso sapeva già
690 GLI EBREI IN UNGHERIA.
che cosa era : condannarli, cotesti ebrei. Come l'EOtvSs l'ha corag-
giosamente detto, s' era costituita a Nyiregyhaza un' agenzia,
col fine d' intimidire i testimoni a discarico, d' insegnare a par-
lare a quelli a carico.
Una giovinetta che dichiarò d'aver visto Esther conversare con
sua sorella due ore dopo che gli ebrei erano dalla sinagoga
usciti tutti, fu bastonata a sangue da' suoi parenti come testi-
mone falsa. Una vecchia arriva tutta smarrita a deporre
contro: gli si dimanda chi l'ha fatta venire, risponde: E
corsa a Eszlar la voce, che gli ebrei avrebbero guadagnato il
loro processo ; son corsa per salvarmi l' anima. È adunque un
sentimento generale in tutto un paese, non proprio di alcune
classi, o delle infime; ma di tutte, di giù in su. E quello che
mi par più straordinario, è ch'esso abbia resistito allo spetta-
colo di quei testimoni che dicevano e disdicevano, che appa-
rivano evidentemente indettati o almeno allucinati ; che dico,
ha resistito a questo ? ha fatto peggio ; non s' è lasciato smuo-
vere dallo spettacolo di quel ragazzo di 13 anni che accu-
sava suo padre; e non solo appariva menzognero al modo
in cui recitava la sua testimonianza e s' intrigava nelle ob-
biezioni che gli eran fatte, ma si lasciava uscire di bocca,
eh' egli sapeva , non avere più bisogno dei suoi parenti ,
né volere più conoscerli ; che persone di altissimo grado pren-
devano interesse a lui, che avrebbe mangiato tutta la sua
vita pan bianco. Un giorno fu sentito dire : u Io non voglio
essere ebreo, perchè mi si è accertato che in breve gli ebrei
saranno cacciati di Ungheria... n Egli era stato, per vero dire,
il più abilmente addestrato dei testimoni. Dal giorno che gli
s'era tratto di bocca il falso racconto, non era stato più la-
sciato padrone di se. Contro le leggi, l'avevano tenuto in car-
cere sotto sorveglianza di polizia. Un prete s' era occupato a
convertirlo, e a insegnargli a disprezzare il padre di diversa
fede. Così, una natura fiacca per sé era stata abilmente finita
di guastare. E son cristiani?
II.
Le considerazioni a cui questo processo dà luogo, sono va-
rie, e possono pur esser tutte di gran valore. Una istruzione,
in un paese in cui la giustizia sia amministrata bene, non può
GLI EBREI IN UNGHERIA. 691
esser fatta a quel modo. Se tra gli ufl&ciali della giustizia en-
trano persone, come il commissario e il cancelliere nominati,
vuol dire, che in cotesto paese v' ha qualcosa che zoppica nel
governo. Se tanti testimoni mentiscono e non sentono punto la
santità e il valore della lor parola, cotesta è una piaga anche
peggiore della istruzione mal fatta e dei due cattivi impiegati.
Se ci si permette che i testimoni sieno influiti a quel modo e
dentro dell' aula del tribunale e fuori, non si può disconoscere
che di questa libertà un popolo veramente civile farebbe a meno.
Ma tutte queste considerazioni e altre dello stesso genere per-
dono valore innanzi al sentimento di odio contro gli ebrei, che
è comune a tutta la cittadinanza, si che diventa ragion di lode
e segno di coraggio il non lasciarsene dominare, e il mantenere
rispetto a esso non solo l'animo, ma la ragione libera.
Strana cosa e una delle tante inaspettate ! Era stato, è tut-
tora uno dei capi principali della dottrina liberale questo ; che
non debba la differenza di religione avere nessuno effetto
né nelle relazioni sociali delle persone, né nei lor diritti civili
o politici. E prevalendo questa dottrina, le disuguaglianze tra
cittadino e cittadino, che da siffatte differenze eran nato, sono
state cancellate dalle legislazioni quasi dappertutto : in Un-
gheria, per esempio, la costituzione non lo ammette. Non
solo si sperava, ma si contava, che gli odii, i quali avevano
avuto radice in coteste disuguaglianze e se ne erano alimen-
tati, sarebbero scomparsi con esse. Ora, ecco, che, a prendere
la generalità dei cittadini, l'Europa si divide oggi in questo
rispetto, in due parti ; nei paesi latini e in Inghilterra, eh' ì-
per metà latina, questi odii si possono dire poco meno che
spenti o certo attutiti ; ma nei germanici e negli davi, dove un
quìndici anni fa erano o parevano spenti, o certo orano ricoperti
di cenere, riardono. E la qualità della legislazione non fa di-
vario. O che questa già abbia agguagliato gli ebrei agli altri
cittadini in tutto, come in Prtusia, poniamo, o no» l'nbbin anoor
fatto e non intenda farlo, è tutt'uno.
E un fenomeno certo dei più curioHÌ, f tlie vorrcbb' <'s-,< n
studiato con cura. Se non ha ragioni vere, ha causo non leggi n
e eccessivamente complesse. Ne ha di economiche, di nazionali,
di religio«e. Ne badi proprie; no ha di comuni a tutto con
mutamento succeduto nell'indirizzo morale delle monti in Eu-
ropa soprattutto dal 1870 in qua. Ne ha di antiche, nelle legi-
slazioni o nelle consuetudini anteriori degli Stati in questa ma
()92 GLI EBREI IN UNGHERIA.
teria; ne ha di recenti, anzi di presenti. Ne ha ancora di
quelle nello quali gli Ebrei stessi non son senza colpe; e ne ha
di quelle onde hanno colpa. Mi piacerebbe dipanare tutta que-
sta matassa. Sarebbe di grandissimo interesse il farlo. Ma mi
deve bastare qui aver accennato tutti questi capi, sto per dire,
di ragioni diverse ; lo svilupparle non può essere oggi di questo
luogo.
Pure una osservazione, una sola osservazione la voglio fare.
Il movimento contro gli Ebrei, in un ordine, in ispecie di
persone, none solo, come parrebbe, tutto cristiano; non è un
rinnovamento di ardore cristiano contro di essi : anzi non è
meno antiebraico che anticristiano. Tra le molte opposizioni,
le quali lacerano lo spirito moderno, ve n'ha una, e non la
più temibile, ma neanche la meno profonda, contro l' Iddio
semita. Bisogna salvare oramai noi Ariani — poiché Ariane
sono le civili nazioni di Europa — dall' incubo di cotesto Id-
dio, nato tra le tribù Arabe, nell' infinito dei deserti, che
pesa sullo ali nostre, e le impedisce dal prendere l'ultimo
volo, e dal porre 1' uomo più alto che cotesto Iddio non sia
stato mai! Cosi dicono. Ora, dello Iddio semita, l'Ebraismo
non solo è altrettanto colpevole, che il Cristianesimo, ma più,
perchè gliel' ha dato. La guerra contro quello, quindi, è non un
preludio, ma un accompagnamento della guerra contro questo,
E vuol esser feroce; perchè l'Ebraismo è tenace, e ha nella
società moderna una influenza non proporzionata al numero
delle persone che ancora lo professano, ma di molto maggiore.
Le quali, d'altra parte, hanno usata di questa loro influenza il più
comunemente in favore dei governi e dei principii liberali, dai
quali aspettavano e hanno anche avuta la loro liberazione. Onde
tutta una schiera diversa anzi opposta di uomini sorge a com-
batterli, tutti quelli ai quali i principii liberali sono stati cagione
di danno o son tuttora di avversione. I quali poi danno la
mano a quell'altra schiera che è la più numerosa, e che s'ar-
ruola soprattutto nelle classi infime e nell' ecclesiastiche- delle
diverse sette cristiane, nei cui animi possono le tradizioni an-
tiche della ostilità fatale e originaria delle religioni rispettive.
Se non che questi ordini di motivi sono affatto estranei a co-
loro che pur s'associano alla stessa guerra, perchè gli Ebrei,
parte per la lor virtù, e parte per il segregarsi che fanno e per
il contrapporsi al rimanente della popolazione, paion loro, di
buona o di mala fede, di rimanere un elemento estraneo a que-
GLI EBREI IN UNGHERIA. 693
sta, di sposar j interessi proprii e diversi, di esser, quindi, pe-
ricolosi: e senza questo e con questo, di esercitare sulla con-
dizione economica della società, nel cui seno s' annidano, una
influenza perturbatrice e deleteria.
Delieta majorum immentiis lues, si può dire all'ebreo d'oggi,
ma nessuno continuerebbe la citazione : donec tempia refecerìs.
Forse il chiuso dei tempii è quello che genera cotesto complesso
di sentimenti e di consuetudini, donde non gli ebrei o i cristiani
soli, ma soffrono le società stesse in cui essi convivono. Il che non
vuol dire, che i tempii s'hanno a distruggere, poiché rispondono
a un gran bisogno e a un alto ideale dello spirito umano, ma
vogliono intomo a sé un vivo moto di pensiero libero. Nel leggere
la fandonia germogliata nella mente delle pettegole di Tisza-
Eszlar, e accolta con tanto e cosi caparbio favore da gran parte
delle signore d'Ungheria, io mi son ricordato di un'altra fan-
donia per lo appunto simile, che non sole le pettegole ebree,
ma i Rohling ebrei del primo secolo del cristianesimo spande-
vano contro i cristiani. Dicevano che queiti nell' iniziazione
dei loro discepoli procedevan cosi: a Un fanciullo, coperto
di farina perchè inganni gl'incauti, è imbandito a colui, che
deve essere imbevuto della religione. Cotesto fanciullo, dal di-
scepolo, che la superficie di farina quasi provoca a'colpi innocui,
è ucciso da ferite cieche ed occulte. E di questo, orrendo a dire,
lambiscono il sangue, di questo si ripartiscono le membra a
gara, su questa vittima stringono lega, in questa coscienza di
delitto s'obbligano a un mutuo silenzio, n Ciò narra, che si di-
cesso Minucio Felice con quel suo stile colorito. I greci lo chia-
mavano il festino di Thicste de' cristiani; e invece nella mento
di alcuno popohizioni cristiane vive il pregiudìzio che cotesto
festino lo faccian gli ebrei! La calunnia ha tradizioni, e nessuna
ne ha più lunghe della settaria, e tra le settario, quella dello
sette religione è la più vivace. Cambia posto, ma non muore. Se
non che ci ha qualcosa di più rilevante anche. Nel rito attri
buito a'cristiani dagli ebrei e a questi da quelli c'è un sentimento
comune; ed è l'efficacia del sangue umano nel forzare una volontà
di%'ina che s'immagina prosieda agli umani destini, e ancora lo
volontà umane che stringano patti tra di loro a tenerli. Il san-
gue dell' uomo, si crede, ha un valore, che oltrepassa la per-
sona, dalla quale è tratto. È il più antico progiu<lizi(), forse, e il
più radicato, il più vecchio e il più indomito. Donde ò nato? Il
de Maistre, ricordo, ne scrive a «no modo alcune belle e miste-
694 OLI EBREI IN UNGHERIA.
riose parole nelle serate di S. Pietroburgo. Esso ha ramificazioni
infinite, nel diritto pubblico, nelle consuetudini sacre, nella ma-
gia. 0 Canidia, per richiamare l'amante, non ebbe bisogno d'un
corpo impubere di fanciullo.
Quale possen, impia
moUire Thracum pectora
e della midolla asciutta e dell' arido fegato di lui, piantato in
una fossa? La superstizione, qui, se alquanto diversa, è tutt'una;
G credo che qua e là duri tuttora.
Quanto dell'uomo vecchio, vecchissimo, dell' uomo che noi
c'immaginiamo finito da un pezzo, è vivo tuttora e vegeto! A
Casamicciola nessuno pensava, che rovina e al ridente borgo,
e agli abitanti allegri dell' affluenza dei forestieri, e ai forestieri
sicuri di ritrovare tutto il vigor giovanile, e d' affacciarsi all' in-
verno prossimo pieni di volere e di salute, che rovina, dico,
apparecchiasse il fuoco sotterraneo e segreto ! Tutta la natura
davanti agli occhi non solo nascondeva, ma negava quella che
era nascosto agli occhi. Così come nelle cose, succede, pare,
negli uomini. Mentre viviamo sicuri, che son diventati tutti di-
versi da se medesimi ; che la luce della civiltà gli ha illuminati
e penetrati e trasformati tutti, a un tratto, a uno dei terremoti
piccoli e grandi, che spezzano la crosta di questa società no-
stra, ci accorgiamo, che la pasta è tuttora quella e l'apparenza
che ci dava diversa, è effetto d'un colore disteso su una super-
ficie appena indurita. Laboremus ! Forse riusciremo ad alte-
rarla. A ogni modo, lo sforzarcisi, lo sforzarcisi di molti, di
sempre più, è già caparra, che se il reale resiste e sta basso,
l'ideale s'eleva e lo trarrà pure a se.
Bonghi.
IN CALABRIA ^
FRA OLI ALBANESI.
Era un vecchio desiderio, vedere gli Albanesi in casa loro,
coi loro costami, i loro abiti splendenti d'oro, le loro antiche
e immutate tradizioni orientali.
Una gran dama, di sangue principesco, col cuore di donna
e colla mente di filosofo aveva richiamato le simpatie dell'Eu-
ropa e del mondo su quella povera e dispersa nazione. EMa
sapeva tutte le lingue vive e se ne serviva come d'una tastiera
forte e pietosa per commoverc i cuori delle nazioni felici e
indipendenti o per sollevare quelle che piangevano o si dibat-
tevano sotto il giogo straniero o sotto la sfersa dei tiranni.
Dora d'Istria nei giorni della nostra gioventù, giovanissima
casa pure, ci aveva rivelate le glorie e le speranze dell'orìeiite
europeo e singolarmente degli Albanesi, di questo popolo forse
nomade, forse vagabondo, ma forte e antico, che avcra dato al
banchetto di Baldassarc il suo Man», Ucktl, pkare», minaccioso
allora por quel tiranno libertino nel suono caldeo-ebraico, come
ogi^i ne' canti albanesi della numerosa colonia che si eetande
dall'Abruzzo alla Sicilia, e ci areva invogliati di saperne i
segreti.
E la nostra fantasia di fanciulli, il nostro cuore di patrioti
che rìflpondeva alla corda della nazionalità di fresco proclamata
l'aspetto della vecchia Europa e del mondo, venivano ecoit*ti
Vedi fMcioolo <tel l* ì^fOo.
696 IN CALABRIA.
e commossi dal racconto di Giorgio Castriota, che quattrocento
anni prima aveva guidati alla riscossa i suoi connazionali contro
la mezzaluna invadente, guadagnandosi il nome di Skanderbegh,
grande Alessandro.
La poesia orientale mescolandosi alle tradizioni inalterate di
quel popolo, che nel spttrarsi al giogo turco, aveva chiesta e
ottenuta ospitalità alle nostre terre meridionali, quel non so che
di avventuroso che li circondava ingrandito dalla nostra imma-
ginazione giovanile, pronta a riscaldarsi e ad entusiasmarsi per
ogni nobile idea, avevano lasciato attecchire e crescere in
silenzio, ma fortemente, il desiderio di vedere e di conoscere
queste genti straniere all'Italia, le quali pure avevano parteci-
pato coi loro figli alle guerre della nostra indipendenza e vi
avevano portato quel fondo di battagliero e di fatalismo che li
faceva soldati e volontari pieni di ardire e di fierezza. E na-
turalmente, arrivata nella Calabria Citra, dove forse più che
in altra provincia si mantengono intatte quelle costumanze,
per essere quel popolo quasi chiuso dalla Sila e dalla catena
del Pollino, volli avventurarmi fino ad uno dei villaggi al-
banesi.
Inutile dire il suo nome, il quale ne vale un altro. Del
resto noi sappiamo che gli Albanesi che vennero in Italia a
stabilirsi in colonia, e in genere tutti quelli che forse erronea-
mente si chiamano italo-greci si estendono sopra una vasta
estensione di paese, passando per l'Abruzzo Ulteriore, Terra
d'Otranto, la Capitanata, Basilicata, le tre Calabrie, fino in
Sicilia, dividendosi sopra circa settanta villaggi montanini senza
comunicazione fra di loro, e suppergiù mantengono le stesse
costumanze, meno certe inavvertite modificazioni dovute all'am-
biente, o forse più che altro, alle diverse provincie da cui
emigrarono.
Essi non si possono confondere colle tribù greche antiche
viventi specialmente nella Calabria Ultra, sopra le montagne
di Reggio, le quali parlano il greco d'Omero nel condurre le
capre al pascolo. Oli Albanesi e gli emigranti da diverse delle
Provincie della Grecia si stabilirono successivamente nell'Italia
meridionale dal 1440 al 1736 per concessioni dei re e viceré
di Napoli fino a Carlo III che ne favorì gl'interessi al punto
di istituire un episcopato e un collegio greco. Essi sono catto-
lici col rito greco-unito, e fu detto da un ardente e convinto
albanese che il loro poema popolare, di cui si conservano splen-
IN CALABRIA. 697
didi frammenti, viene ad empiere il tempo che da Dante a
Petrarca, scorre insino all'Ariosto. '
La loro lingua, di cui potrebbero i filologi uccuparsi con
molto vantaggio della scienza, è forse Tepirotica, in alcuni
luoghi più vicini all'abitato mescolata di calabrese e d'italiano ;
secondo le diverse circostanze di luogo e di tempo della loro
immigrazione fra di noi, è divisa in dialetti a cui i conoscitori
danno il nome di mirdita, liapo, tosco e sciamurOj con qualche
elemento anche di greco e di arabo, ed è semplicemente par-
lata, non fonetica in alcun luogo, neppure nella madre patria.
Popolo disperso e quindi avendo la tradizione dello smem-
bramento fino al suo giungere in Italia, e non essendo poi emi-
grato in una volta sola ma durante quasi tre secoli, non ha
sentito il bisogno di stabilire fra le sue diverse tribù alcuna
comunicazione, benché la colonia sia numerosa di quasi novan-
tamila anime, secondo le più recenti statistiche, fra cui è note-
vole quella del Correnti; ogni villaggio è una tribù a sé, uguale
ad un'altra o press'a poco, colle tradizioni della loro nazionalità
mandate a memoria, specialmente dalle donne, che di madre in
figlia, chiuse in casa alTuso orientale e caricate dei lavori più
faticosi, 8Ì tramandano le leggende piene di poesia, i canti me-
ravigliosi e la storia di Skanderbegh , il vendicatore dei loro
diritti, che sorgerà dall'avello a riunirli in nazione, quando il
cane turco sarà cacciato dalle loro belle contrade. La solita
leggenda dei popoli divisi, che ò in sé una storia e una spe-
ranza; il passato e l'avvenire della loro patria o schiava o
lontana.
Questo isolamento in cui vivono colla loro lingua senza eco
e colla loro storia, straniera alla storia del paese in cui abitano,
dà a queste popolazioni un aspetto particolare e un modo di
vivere speciale, che meriterebbe dagli etnografi ano studio dili-
gente e paziente, più che non si è fatto sin qui, per ricercarne
le primitive origini, le quali potrebbero portare molta luce sullo
razze ariane immigranti nell'occidente. So ne arricchirebbe spe-
cialmente la filologia a cui sta davanti viva e espressiva, ardente
e antica una lingua senz'alfabeto, parlata in piena Italia e rive-
latrice del lontano oriente nelle nozze, nei funeri, nel culto,
nelle cerimonie natalizie, in cai si osservano le leggi dei più
* Anpelo Basili, che raccolse dalla Tira Toce della colonia albanese
parte dei canti, tradotti poi dal D« Bada, t aditi da Niccolò Jeno dei
Coronei.
▼gu XV, 8*rU II - ìi AfMto IISS. 45
698 IN CALABRIA.
remoti avi; se ne arricchirebbe la storia e le scienze affini e
più di tutto la poesia che riscontrerebbe nei canti la maniera
splendida dei libri orientali, collo stesso fascino di immagini
lussureggianti; qualche cosa che si confonde colla musica pri-
mitiva e colle poetiche rivelazioni del popolo eletto.
Avevo studiato amorosamente le rapsodie d'un poema alba-
nese raccolto nelle colonie della bassa Italia, felicemente tra-
dotto dal De Rada e edito con prefazione da Niccolò Zeno
de' Corone! , due albanesi che inneggiano alla patria divisa e
dispersa, ma una, come dice il Dorsa, altro albanese di Fras-
sineto, che ne ha anche illustrato i costumi. ' In quei fram-
menti staccati l'uno dall'altro i traduttori vedono un poem.i
intero, in parte non ancora ordinato, in parte dimenticato da
quei popoli, e tale loro opinione darebbe forse ragione a chi
pensa non essere infine la poesia popolare che un solo poemn
ridotto a frammenti, come le perle d'una sola collana a cui .s'
è tolto il filo che le teneva raccolte: ma al profano non senj-
brano la stessa cosa. Sembrano piuttosto, come in quasi tutti
i libri orientali, canti indipendenti ciascuno dall'altro e tali da
poter stare da se, e messi poi insieme o dalla tradizione che
li accumula, o dall'uomo che vuole pur vedere in ciò che ne
riguarda gli affetti, i sentimenti, i costumi, la storia e il culto,
un tutto insieme inscindibile, l'unità direttiva del pensiero in
una razza. Ma comunque e qualunque sia la soluzione dell'arduo
problema, i frammenti raccolti dal De Rada con alfabeto italo-
greco e segni grafici per indicare la pronunzia e tradotti in
linguaggio poetico degno dell'altezza del poema, mi avevano
riscaldata la mente, invogliata anche più, se era possibile, di
vedere da vicino questi Albanesi tentatori che stavano alla
portata della mia mano; e un bel giorno, lasciando ire gli
scrupoli di viaggiar sola in contrade nuove, straniere in Italia,
' Vedi : Rapsodìe d'un poema Albanese raccolte nelle colonie d^l Napo-
letano tradotte da Girolamo De Rada, e per cura di lui e di Niccolò Jbno
Dk' CoRONEi ordinate e messe in luce. — Firenze, 1866; Tipografia Bencini.
Sa gli Albanesi, ricerche e pensieri di Vincenzo Dobsa, coli' epigrafe :
« Heureux l'écrivain qui eleve un monument à son pays ! » — Napoli, Tipo-
grafia Trani, 1847.
Vedi anche le interessanti notizie che dà specialmente su Dora d'Istria
il P. . missionario Leonardo De Martina dei Minori osservanti, attualmente
in Albania, nel suo volume di poesie — L'arpa d'un Italo-Albmvse, con
canti originali. — Venezia, 1881, e i Canti originali tradotti di Gtiusbppe
Sbebmbe, Cosenza, 1883.
IN CALABRIA. 699
mi arrampicai sui monti della Calabria Citr», e armata solo del
mio ombrellino di tela greggia^ arrivai in un paesotto di circa
mille e settecento abitanti, da cui si vede la marina di Cori-
gliano e si distende ai piedi la pianura malsana su cui sorgeva
un tempo Sibari crudele e voluttuosa.
Di fronte a me ergevasi gigantesca la catena del Pollino col
-algemma di Lungro nelle viscere misteriose, pur popolate da
Albanesi; e più in là s'indovinava Castrovillari , popolazione
incrociata, ma in cui il calabrese puro vince e primeggia.
Avevo in tasca numerose lettere pei primati di quel borgo;
gente cordiale ed italiana nell'animo, con ospitalità all'an-
tica, senza sottintesi e senza riserve, fieri della loro origine
come d' una vecchia nobiltà che obbliga alla gentilezza cor-
diale e aperta. Guidata dalla curiosità e dall'amore, io era
montata con ansia febbrile sul carrettino che portava la posta
dalla stazione ferroviaria al paese, in cui un calabrese di Cosenza
che aveva sposata un'albanese, mi trattava come un gran per-
•onaggio preceduto dalla fama e dal titolo di studiosa dei
costumi.
Io ardevo di vedere gli abiti d'oro e di broccato, di sentire
le cadenze melodiose d'un canto lento e soave che avevo indo-
vinato e immaginato nel leggere alcuni csnti albane^ii e nel
ontire parlare la lingua armoniosa e dolcissima da alcuni cit-
tadini che erano venuti ad invitarmi. Quella musica doTeva
sere, secondo me, come quella degli Ebrei nel deserto, come
uella dei Lombardi alla prima crociata, mesta e solenne;
almeno le parole erano le stesse e lo stesso era il sentimento
<-he lo aveva dettate: u Oh! addio, trrra nostra, ti saluto; perchè
io t'abbandono e non ho da vederti più mail Nò io ho pioso in
cui andare, nÀ città ove io possa fermarmi, senxa una essa OTe
io mi ritiri! Questi ramoscelli e questi fiorì, avvizzirnnno nllor
chéti saranno lontani: y^ ninna cosa sarà a Di'* f<>1''< ìì <!'»•!
derio di te. r-
E un altro ancora più HiTettuoso diceva co»l: u O bella
Morca, dacché ti ho lasciata p'ù non ti vidi! Quivi ho io la
«ignora mia madre, quivi ho io mio fratello, ivi ho io il ni^nore
mio padre coperto sotto terra; oh! bella Morca, daccbò ti ho
lasciata più non ti vidi, n
Questi canti dolorosi dell'esule, che ancora lo donne cantano
lucila prìmavera sui colli che dominano il ionio col viso Tolto
700 IN CALABRIA.
a Oriente, con tanta gentilezza di forma e di pensiero, avevano
tolto ogni mia diffidenza e incertezza. Un popolo che canta
così non può essere un popolo selvaggio né barbaro. E non
pensai neppure che impressione potesse fare a quella gente
poverina e ingenua l'andata in casa loro d'una donna sola,
contro i loro statuti che tengono la donna chiusa tra quattro
mura se ricca; se povera, confinata nel campo a dividere col
giumento le faticose opere dell'agricoltura, a portare sul dorso
il barile coli' acqua e col vino, o la gerla entro cui dorme il
bambino lattante, al quale porge la poppa sulla spalla, intanto
che fi^la la lana o il lino colla lunga conocchia greca, nel gui-
dare le capre al pascolo. Nel linguaggio degli antichi, di cui
questa colonia è un monumento vivente, chi dice schiavo dice
donna, secondo la sapiente formola del nostro gran Vico; e io
avrei dovuto rifletterci un pochino; ma, come dissi, non ci
pensai, e non feci grande attenzione alle insistenze di un ospite
cortese che mi sconsigliava dall' uscir sola a gironzolare per
via; mi parevano gentilezze di uomo ospitale che si credesse in
obbligo di mettersi a' miei ordini e di perdere una giornata di
tempo per seguire le mie fantasticherie di curiosa senza co-
strutto.
E uscii di casa frettolosamente, quasi saltellando, felice di
trovarmi nella bella Morea sotto il sole d'Italia saettante, ma
sopportabile, all'ombra della croce di Savoia che sfolgorava
sulla porta del municipio, davanti a cui, in quel meriggio
estivo stavano giocando a carte dei cittadini, i quali evidente-
mente erano fra i più distinti del villaggio.
Mi guardarono curiosi e sospesero il gioco, ma la loro giacca
nera comune, il loro cappello di paglia a larghe falde ancora
più comune, la loro lingua d'un greco molto scismatico non
mi attrassero punto : tirai via alla ricerca delle vesti d'oro e
dei canti soavi. — Il villaggio povero e lurido meno una via
principale, e in cui battono le spighe, benché sia giorno festivo,
le spigolatrici le quali mostrano meraviglia al vedere i miei
occhiali neri, sta sul cocuzzolo d'un colle coronato d'ulivi e di
castagni : vi sono tre o quattro chiese ufficiate col rito latino
un po' misto di greco-cattolico: qualche uomo sta addormentato
sui gradini vestito in una foggia calabrese corrotta, col cono
del cappello alto quattro dita e grosso poco più d'un pugno
coperto dei soliti vellutini che ricadono a fiocco sulla piccola
IN CALABRIA. 701
faida: qualche altro sta seduto in terra fumando con una cat-
tiva pipa da mezzo soldo e mi guarda con occhi imbambolati;
ma nessuno attrae la mia attenzione.
Intanto che si pranzava è piovuto e i viottoli si son solcati
di rigagnoli capricciosi, di cui tentano la navigazione fangosa
bamboli d'ogni età e sesso seminudi, con ^amicie che son di-
ventate pianete, con calzoncini spaccati da cima a fondo, con
guamellini rialzati e raggruppati al di dietro e col riccio della
camicia a sbrendoli sul giupponcino a toppe, e tutt' insieme si
di^ddono la cuccagna con neri (come si chiamano con frase
educata i maiali in certi paesi di Calabria) che si rivoltolano
nel brago.
La bella Morea mi faceva provare un crudele disinganno.
Per la strada nessuno : nelle case povere sulle finestrelle in
cui fiorivano i garofani e fruttificava il fico d'India, visi curiosi,
d'una curiosità non scevra d» inquietudine : sulle soglie scon-
neue di camerette senza impiantito, che sono ad un tempo
camera, cucina, stalla e pollaio, nuvoli di donne senza busto
né pettino secondo il loro costume, con un giubbetto sens*
maniche, il Hccio (merletto) aperto a cuore sul seno ricadente
e velato da una semplice camicia; fanciulli cogli occhi fissi e
intenti e monelli nei soliti costumi più o meno primitivi spiano
i miei passi dicendosi delle parole strane sotto il velame d'un
accento straniero all'Italia.
Io fo l'Inglese e guardo tutti con una benevolenza che maì-
grado i loro sorrisi non mi pare ricambiata: afferro una frase
che ripetono tutti e che credo un saluto, ripromettendomi di
farmelo spiegare dal mio ospite: r^ti yst burr, chti yti burr,
a cui io rispondo con bontà: buon giorno, cari, buon giorno!
Se sapessi l'albanese non risponderei cosi e mi rimpiatterei
r: casa; sventuratamente non lo so, e l'imprudenza di lionio
he si legò il campanello dei monatti al piede, mi doveva essere
na lozione: ma è scritto, non so più dove, che rcsperienia
egli altri non giova punto a noi per imparare a vivere. •—
ella svolta d'un vicolo pieno di pozzanghere fangoso^ mentre
sollevo il mio abito, por saltare an rigagnolo che pare un fot-
satello, moMtro gli stivali bianchi, grossi e ferrati della viag-
giatrice, i quali non sono un modeUo di eleganza, come ti
comprende benissimo, e che mi movono contro mille ingiuriosi
Mospetti. Dalla casetta di rimpetto dove stan ciarlando accoc-
colato una decina di donne e altrettanti monelli, mi viene la
702 IN CALABRIA.
solita voce: cidi yat hurr, chii yst hurr, e io risaluto. Allora
una donna mi fa un cenno colla mano, e m'invita ad entrare
in casa con un italiano misto di calabro-albanese, il quale mi
fa capire che son curiose di sapere da dove vengo, chi sono,
e sopratutto dove vado cosi solicella solicella, senz'alcuno che
m'indichi la via intricala del loro villaggio, entro senz'alcun
sospetto curiosa anch'io la parte mia di sapere qualche cosa
de' fatti loro, delle loro costumanze, delle loro cerimonie, delle
loro abitudini casalinghe.
Ma appena entrata le donne non son più dieci, non son più
quindici, son trenta, sono quaranta, con altrettanti monelli e
ragiizzotti che fan ressa al di fuori e che io intravedo dal-
l'alto della mia persona lunga e ossuta al disopra delle loro
madri e sorelle che mi han spinta dolcemente nel fondo della
stamberga.
In verità mi cominciò a preildere una tal quale inquietu-
dine, e confesso che in quel momento avrei pagato qualche
cosa di bello a non trovarmi li. Cosa mai vorranno da me?
pensavo. Dei soldi? delle notizie? — Ero coraggiosamente
pronta a somministrar loro e l' una cosa e l'altra, senza discus-
sione: ed esse intanto mi guardavano cogli occhi fissi e
cristallini e borbottavano non so che malie, gesticolando e
riscaldandosi tra di loro con una maniera più turca che cri-
stiana, in cui il chii yst hurr da una parte e delle vive dene-
gazioni dall'altra tra un vocio assordante, avevano il primato.
Dovetti persuadermi allora che quelle tre parole, le quali mi
avevano perseguitata per la prima metà della giornata, non
erano niente di lusinghiero e di affettuoso per me : stavo pronta
ad ogni evento con apparenza sicura e tranquilla, ma facendo
giuramento e voto segreto e solenne che non sarei più tornata
nella bella Morea a costo dell'immortalità.
Quando potei parlare, rivolsi loro il mio più dolce e bene-
volo sorriso, chiesi conto delle cose loro e seppi con una specie
di sollievo che la maggior parte dei loro mariti erano emigrati
neW America. Almeno da questa parte potevo rassicurarmi. Ed
esse per bocca d' una che era appunto la padrona di casa e
che dalle mosse e dai dinieghi durante la lunga discussione
pareva mi proteggesse, vollero sapere di me, del paese che io
abitava, se ero italiana e via via nel che le contentai o mi
parve. Ma un punto non le persuase.
— E che sei venuta a fare?
IN CALABRIA. 703
Era difficile di spiegarsi ; tanto più difficile in quanto alcuni
^^iorni prima un albanese d'Albania aveva fatto un giro in tutta
!a colonia per destare le simpatie sui fratelli della madre patria,
ed era stato accolto col terrore pazzo dei popoli primitivi e
classificato quindi per spione. Ombra di Skanderbegh chi te lo
avesse detto quando passavi i turchi a fil di spada!
Io che sapevo questo, non mi sentivo un grande entusiasmo
per questa specie di qualifica. Cosa dovevo rispondere? Forse:
-on venuta per vedervi, per sapere come vi vestite, come can-
tate, per sentirvi cantare e vedervi ballare? — £ran cose a
cui quelle semplici creature non avrebbero creduto, e chissà
rhe non mi avessero presa per qualche maga o fattucchiera,
(li cui sono popolate le loro vecchie leggende orientali. Rimasi
interdetta e credetti uscirne rispondendo:
— Son venuta a vedere certi amici.
— Sola?
— Sola, come vedete.
Una pausa poca rassicurante accolse te raì^ risposte.
— Sei maritata o sei schietta?
— Son maritata.
— E tuo marito?
— E a casa.
— Lontano lontano?
— Lontano lontano, aflfermai.
Nuova pausa, in cui quelle megere confabularono tra loro.
— Levati il cappello, mi disse finalmente quella che • ■^-^v
mi difendesse da certe accuse incomprensibili.
Cominciai a temere, ma obbedii senza mostrare alcuna dif-
fidenza. Due donne s'avanzarono dal semicerchio ohe s'era
(ormato davanti a me: io le attesi di piò fermo, guardandomi
le spalle contro una scaletta di legno che saliva alla soffitta,
nera e affumicata come le pareti coperte d'immagini di santi,
«li testi rotti, di amuleti, di rami d'ulivo che in quel giorno
non attrassero la mia attenzione : il fucilo del marito assente e
un pistolone vecchio e irrngginito stavano al capezzale del
lotto.
Non nascondo che quei santi protettori mi facevano un ef-
'"etto spaventevole. Con un piccolo fremito mi lasciai porro le
mani sul capo e tirare leggermente i capelli senza giungere
ancora a compn^nderc. Intanto un'altra mi ordinA di levarmi i
guanti.
704 IN CALABRIA.
— Levati questi, mi accennò: e io vilmente obbedii. Tro-
varono la mano piccola e si guardarono ancora interrogativa-
mente, mentre la mia protettrice assumeva un'aria trionfale
accennando gli anelli fra cui quello nuziale.
— E dici dunque che sei maritata, seguitò quella dei guanti,
la più feroce e la più incredula di tutte.
— Sicuro.
— Mah!... fece essa alzando le spalle con incredulità e
scoppiando in una risataccia stridula e ironica.
— Non lo crédi?
— I nostri uomini partono, non lasciano partire le donne.
Tu non sei maritata.
Cominciavo a perdere la pazienza: il circolo s'era ristretto
e le mie persecutrici stendevano ancora le mani sul mio capo,
alzandosi in punta di piedi per tirarmi i capelli. Quando le vidi
avanzarsi non dirò minacciose, ma in preda ad un certo esalta-
mento fanatico, stesi le mani con impeto:
— Cosa volete da me ! Non toccatemi, gridai, non toccatemi.
— Non ti vogliono fare alcun male, mi disse la mia amica
frammettendosi. Vuoi sapere cosa vogliono? Dicevano che eri
un uomo vestito cosi, ma mo si son persuase. Sciogliti i capelli :
non aver paura, signora!
Feci tutto quel che volevano.
Piccole, tarchiate, grosse, col grembo lordo e porgente, il
seno cascante senza freno e la persona molle e ondeggiante
propria d'una razza esotica e orientale che si move lentamente
e quasi sonnecchiando, non avendo mai veduto una donna fore-
stiera girar sola, né forse una statura come la mia, né un per-
sonale cosi angoloso e rigido, a cui non accresceva grazia il
lungo mantello di tela greggia che mi copriva da capo a piedi
come un prete greco, al sentire la voce grossa, coll'accento
forestiero, specie dopo il precedente dell'albanese considerato
spione o chissà che cosa d'altro, colle loro fantasie riscaldate e
primitive alla vista dell'insolito fenomeno si erano spaventate
e il chii yst hurr che io non comprendeva allora, non voleva
dir altro se non che — costui è un uomo! — Non c'è da dire:
la grammatica parlata di que' popoli non accordava neppure un
costei al mio povero io, e bisogna confessare che ciò, se era
giusto riguardo alle concordanze, era assai poco lusinghiero per
la donna.
In quel momento compresi il capitano Cecchi davanti alla
IN CALABRIA. 705
regina di Ghera^ e gli esploratori europei davanti al re Menelik :
lai abbandonò l'amore dell'arte e quello della scienza e ripensai
con una certa tenerezza a' luoghi lontani pieni di pace e di
affetti.
L'antro scuro, illuminato solo dalla porticina aperta da cui
il riflesso giallastro del sole sulla via fangosa entrava insieme
al puzzo umido della pioggia recente, mi faceva una specie di
terrore indistinto; a cui i fiali molteplici e le esalazioni delle
carni sudaticcie delle donne e la luridezza dei bamboli accre-
scevano l'oppressione e il malessere. Intravedevo qualche uomo
curioso al di fuori che cercava di entrare: allora ebbi una
sublime idea, nata come forse tutte le idee grandiose da una
{,o\Taeccitazione dell'animo. Mi era restata in tasca una lettera
^^a recapitare per uno de' maggiorenti del paese, già colonnello
in Garibaldi e compagno di carcere e di esilio col Poerio e il
settembrini. La cavai di tasca e la sollevai in alto come una
bandiera o un amuleto salvatore.
— Chi di voi sa dirmi dove sta di casa il colonnello *** ? —
Quel nome, che non ripeto qui come non scrivo il nome del
vi" teatro del mio piccolo dramma avventuroso, fece l'ef-
i' i verga di Mosc sul mar rosso. Io aveva pronunciato
senza volere un nome magico: e seppi dopo che il generale
Garibaldi era pur passato una volta di là come Io dice una
lapide in marmo, e che anch'esso era stato oggetto d'una dimo-
strazione curiosa da parte di quelle povere donne.
Il mio pubblico si divise come per incanto e io m' inoltrai
con passo fermo e rapido in mczso a loro senza aggiunger sil-
laba, ma col piglio di uno che pensa: te posso uscirne! Cara
bella Morea non mi rivedi più... almeno in Italia'
Ma fu un giuramento da marinaio, come dirò un'altra volta.
Arrivata alla porta della ricca casa albanese del colonnello
garibaldino dove mi attendeva l'ospitalità più larga e cortese,
mi rivoltai alla monelleria che mi seguiva per strada con atto
tra il comico e il minaccioso. Essi compresero la seconda p trte
più che la prima, e corsero via urlando un certo grido parti-
colare, come uno stormo di passerotti appollaiati ohe sentono
d'iroprovviiio echeggiare la fucilata del cacciatore insidioso.
Rimessa da quello sbalordimento confortata o rallegrata
dalle cortesie di que' Signori ritomai a casa del primo ospito
gentile che già sapeva il grande avvenimento delia giornata e
i:he si era dato attorno a tutt'uomo per ripararlo. Nel brere
706 IN CALABRIA.
tratto di strada che divideva le due case, io affidata a persone
autorevoli e gagliarde, che mi guardavano coU'autorità del loro
nome e colla loro influenza, senza esagerarmi l' importanza del
fatto, spingevo l'occhio in qua e in là con curiosità diffidente, e
pensava tra me col mio cervello sedizióso come e quanto sia
bello fare delle leggi e delle discussioni, stando seduti su scanni
di velluto in una gran città, per applicarle poi a popoli come
quelli che io andava visitando da un mese sulle montagne cala-
bresi. Tutta quell'accademia dei diritti dell'uomo, tutte quelle
grandi frasi sull'uguaglianza civile e politica dei popoli, tutto
quell'anfanamento sull'istruzione obbligatoria e sul suflfragio uni-
versale mi riapparivano una dopo l'altra in nebulosa come un
lungo rosario in cui si girano le pallottoline meccanicamente,
intanto che il pensiero vola chissà dove, e mi facevano un effetto
singolare tra quei viottoli tortuosi sotto quelle finestrelle qua-
drate a cui si affacciavano dei visi stupidi di donna.
Avevo veduto molti altri villaggi non albanesi, ma la curio-
sità e l'agitazione erano state le stesse meno l'equivoco sulla
mia identità. Ora io pensavo mettendo la mano sul busserello
della porta del mio ospite, che cosa significavano per tanta parte
di popolo italiano certi discorsi coronati da applausi che avevo
ascoltati in circostanze difficili e che facevano figurare le diverse
Provincie d'Italia come tanti mattoncini fatti con uno stampo
medesimo, cotti al medesimo fuoco, sformati nel medesimo giorno
colla stessa solidità e temperatura.
In vero la conclusione di Abramo Ebreo quando andò a
Roma e si fece cristiano, trovò una sanzione non dubbia anche
in quel villaggio perduto tra i monti calabresi. E stavo proprio
persuadendomi che se le cose d'Italia vanno discretamente anche
malgrado certe leggi, vuol dire che è fatale o provvidenziale
che vadano cosi, quando mi trovai in mezzo a un circolo nume-
roso di donne vestite in costume albanese che il mio ospite
aveva radunate intorno a sé per cancellare l'impressione sinistra,
che secondo lui dovevo aver provata.
Il colpo d'occhio era stupendo: stavan sedute in circolo in
una camera: le vecchie da un lato le giovani dall'altro, pronte
ad alzarsi e a ballare una loro ridda festosa, la vaia, il che
fecero al mio apparire. Si presero per la mano e girarono alle-
gramente, intanto che una vecchia grinzosa nel mezzo dava il
la a una musica soave e diceva piano un verso a tre donne
mature che intonavano il canto. E a quel canto mesto e lento,
IN CALABRIA.
707
proprio come io lo aveva immaginato, giravano compostamente
ripetendo alternativamente le maritate e le fanciulle per tre
volte il verso che la vecchia sussurrava nella lingua materna.
— u Fiore che in aprile nacque, quando gioisce cielo e terra :
è grazioso veramente, talché rallegra tutto il mondo. Labbro
dolce come uva passa, a questo cuore mi ti sei legato, nu ti
sei fatto nodo e non ti sei sciolto : cintura raccolta come car-
ciofo, il tuo labbro è un garofano, hai la sembianza d'una
regina. ' v
C'era da rimanere incantati. Il canto era improvvisato in
mio onore e accompagnava il loro ballo, la vola che in italiano
mi fu tradotto come ballo tondo o catena, già notata dal Byron
nel suo pellegrinaggio fra i suliotti. Se non che fra gli albanesi
d'Italia tanto il canto alterno improvvisato come il hallo tondo
pare sia rimasto in taluni luoghi esclusivamente alle donne.
La ridda finì in un urlo lungo e roco che ubcì dal petto
della vecchia saltellante nel mezzo, che faceva scoppiettare
fortemente le dita scarne e adunche: eppoi mi vennero incon-
tro lietamente, vollero ad una ad una stringermi le mani e mi
fecero l'onore di riconoscermi per loro uguale sussurrandosi
l'un l'altra in albanese e ripetendolo a me in italiano abba-
stanza corretto : u Sei una donna come noi : solo che porti il
busto come le italiane. E dov'è l'avvenenza col busto? n
Finalmente dopo tante peripezie io potei vedere l'abito al-
banese tessuto d'oro e di seta: era un fulgore. Potei entrare
nei loro segreti, sentire le immaginose espressioni dei loro af-
fetti, i mesti e lugubri lamenti pei loro morti e i loro lontani.
Una fidanzata mi si presentò cogli abiti che indosserà il giorno
Ielle nozze ; una sposa, che ha il marito in America, colle trec-
ie divise, intrecciate di rosso e rotolate intomo al capo, e una
_'iovnnn nposa colla chioma pizzuta vale a dire raccolta sulla
involta in una fettuccia bianca stretta strettii, ohe non
Icrc neppure una ciocca di capelli : una vedova col
' . ;• rto d'un panno nero che non si leverà mai più.
La giovane fidanzata, che a quest'ora si sarà forse fattii
iposa, di occhi neri e lunghi, colla tinta olivastra e la pelle li
* Debbo alla cortesia e alla Talentia del tignor Amoilo Nooiti. ealabro-
albanewf, la tradasion« dei canti e U ipiegusioDe di certi riti che veagooo
deaentii appreseo. Egli ha acche ooaipilato oon molta diligcnxa • sapere
UD Tocatiolario e uo4 grammatica italo-albanese, tuttora inediti, ma ebe
«arebbero di moltÌMÌma utilità, ■pecialmente per le acoole di quelle colonie^
708 IN CALABRIA.
scia, di fìsonomia piacente e strana, aveva una gonna di raso
rosso a pieghe spesse e raccolte fino al lembo, orlata da un
largo gallone d'oro : e sopra questa un' altra gonna della me-
desima stoffa più scura, la zoca * pure a pieghe e con merletto
d'oro al fondo, sollevata nel davanti con grazia fin sopra le
ginocchia e ricadente nel di dietro con ampio nastro. Un
giuppone dello stesso colore della zoca con gallone pure d' oro
e lustrine e ricami alla greca, con piccolo pettine, lasciava
scorgere la camicia ricamata e col merletto trapunto d'argento,
aperta a cuore fino alla metà del seno : e su di esso un con-
certino (assetto) di catene d'oro con ciondoli e fermagli 1' uno
sopra l'altro come un altare. Sul capo la chesa, un piccolo ber-
rettino di seta rossa ricamata d'oro e d'argento che copre la
chioma pizzuta ravvolta nel nastro, e sopra a tutto un lungo velo
bianco di seta con fili d'argento fermato alla chesa con uno spillo
d' oro in forma di colomba. Le fioccaglie (orecchini) lunghe di
perle e rubini le giungevano fino alla clavicola e alle dita sfol-
goravano ventotto anelli di ogni forma, senza alcun distintivo
all'infaori di due o tre vecchi di casa, che presentavano il ca-
rattere della orificeria barbaresca a filagrana sopra oro mas-
siccio.
Ne qui stava tutto : sposa portava il velo : sposata un co-
pertoro o zendale, o vangale come si chiama in Calabria una
specie di manto che la donna albanese e in gran parte la ca-
labrese si mette sul capo nelle funzioni di chiesa per nascon-
dersi, come vedremo in altro tempo, ma questo ordito d'oro,
tramato di seta rossa era ornato con ampio gallone d' oro in-
torno e aveva la fodera di taffetano o levantina rossa.
Poi in un gran cesto potei ammirare il corredo, sottane a
pieghe di castoro rosso con nastri verdi in fondo, giupponi di
velluto in seta verde ricamati e gallonati d'oro, o di panno
nero con galloni d'argento tempestati di lustrine sfolgoranti :
camicie coperte di ricami, calzette di seta ricamate d'oro e di
colori vivaci kputz (scarpe) con nastri variopinti.
La sposa era ricca, vale a dire portava tutta la sua dote
addosso, un sette o ottocento ducati, e conservava in tutto e
per tutto tradizioni orientali. L'uomo invece è meno conserva-
' Noto per semplice curiosità un riscontro di questo nome indicante
Guarnello, nei dialetti emiliani : Soca per veste si dice dal contado par-
mense verso il Po. L'uomo che corre troppo dietro alle donne, che è schiavo
della gonnella o soggetto alla moglie, sì chiama socajon.
IN CALABRIA. 709
tore come dappertutto : veste un costume calabrese corrotto,
quando pure Io conserva, col cervone (da acervos quasi cumulo)
cappellino a cono più piccolo degli altri luoghi, i calzoni corti
affibbiati, il giubbetto frastagliato con mostreggiature e bottoni
lucenti : nei paesi che mantengono di più le avite usanze, ri-
dotti ormai a pochissimi, porta una berretta specie di fez di
lana con fiocco di colore, e sopra al farsetto un mantello con
fregi di velluto nel fondo che ricordano un' aquila bicipite, e
il petto scoperto in ogni stagione dell'anno.
Cominciavo a riconciliarmi colla Morea e a prenderci gusto,
stavo attenta e annotavo con amore fra l' immensa e insaziata
curiosità di quel numeroso stuolo di donne, le loro cerimonie
nuziali, specie quelle di cui parlavano le vecchie una dopo
l'altra, liete dello stupore che si dipingeva sul mio viso in>
tento per sentirle parlare. E a quando a qusmdo si guardavano
e parlavano fra di esse e mi chiedevano : e tu non hai fatto cosi ?
Quelle cerimonie che ancor si conservano qaa e là, special-
mente nella parte montuosa e in Sicilia, vanno modificandosi
lentamente nei luoghi pia vicini alle città come è naturale :
ne conservano però i canti e i simboli più caratteristici, che
ricordano come due goccie d'acqua le nozze e i riti del Mon-
tenegro, dipinte stupendamente dal vivace ingegno di Charles
Yriarte. Infatti i Monti Neri, come chiamano essi quelle re-
gioni, confinano coU'Albania nativa : ton forse rami dello stesso
albero, fiori fecondati dallo stesso polline : nò ci farebbe mera-
viglia se i canti e le sentenze fossero i<lentiche, come sono
identiche certe consuetudini di doni e di riti, che vediamo in-
dicate per le nozze montcnogrine.
La canzone della fidanzati*, la quale sì fa risalire ai tempi
bizantini, alludo all'offerta dello duo corone che la sposa dà
allo sposo e sono appese per sempre al talamo, u In questa
sera piena di gioia stava la bella sulla porta, dove guardava
il sole, fino a che scese al tramonto. Prode quindi la falce ed
entrò nel giardino per mietere delle rose, delle rose e dei gigli
onde acconciare morbido letto al uuo cnro signore. E vi sparse
ne' guanciali lo rose, nel mosso del letto le violo, ne' piedi i
gigli. Si diede poscia a tessere due corone e le appose al capo
del letto, simbolo di giorni e di anni felici, n '
^ TradasioDS del prof. Viaosasa ab. Dossi, più volte oiUto • ooltors
opcrodsdHM • valsots M riti sibaassi.
710 IN CAf-AHRIA.
Alla vigilia delle nozze la donna albanese ai alza di buon
mattino e atende nella stanza tutto il suo corredo perchè venga
ammirato dalle parenti e dalle comari : poi, in presenza delle
donne che cantano cori, la fanciulla impasta una stiacciata che
si chiama petta con lievito ova e miele, su cui vengono raffi-
gurati grossamente uomini, serpenti e piante col sole e la luna
al sommo. E cosi si fa in casa della fidanzata dove interven-
gono uomini, donne e fanciulli, conservando le nozze albanesi
tutti i caratteri di una festa pubblica.
Al mattino delle nozze i giovani che debbono accompagnare
lo sposo a rapire la fanciulla, poiché è sempre la stessa figura
del ratto in ogni luogo e in ogni tempo, che qui si rinnova,
vanno in casa sua e lo acconciano essi stessi cantando lieta-
mente, u O pettine gentile del fidanzato, acconcia bene la
chioma o io t'infrangerò e ti butterò a terra calpestandoti col
piede insultatore. "
Appena acconciato esce di casa collo stuolo dei giovani e
col parentado dopo aver avuto la benedizione dei genitori : e
siccome s'intenerisce e piange, il coro lo circonda e canta per
consolarlo, u Guarda ! Una gocciolina d'acqua o lagrima gli
bagna l'occhio bello : è il dolce affetto del padre e della ma-
dre che gli sgorga dal cuore, v '
Poi s' incamminano a casa della sposa piano e in silenzio.
La casa della sposa è chiusa e di dentro si è cominciato a la-
vare con vino la testa della fanciulla, da numerose donne che
cantano: u T' assidi o sposa avventurata: è giunta 1' ora che
vassene sposa questa signora a lato d'un signore, ad allumare
una casa novella, n
Risponde un altro coro di donne che son li a farle ono-
ranza : u Voi quindi compagne e vicine pettinate bene la trec-
cia, intessetela morbidamente e annodatela a palla: che non le
torciate un capello a infastidirla a quest'ora, n
La donna più scelta del coro che rappresenta la maestra di
cerimonia si avv^icina e le pone sulla chioma pizzuta la chesa
ricamata d' oro e d' argento, distintivo delle sole donne coniu-
' Il Rbgaldi ha tradotto in versi questo canto:
Ve', goccia d'acqua o lagrima
Gli bagli» la pu il la!
Non goccia d'acqua o lagrima
Dagli ocelli suoi distilla.
De'padi'i è il dolce affetto
Obe sgorga dal suo putto.
IN CALABRIA.
711
gate, e il primo coro delle donne intona di nuovo il canto :
i Sai tuo trono di principessa or vagamente intrecciate le
chiome con chesa fulgida, orgoglio del signor tuo, o decoro
delle vergini, levati che ti sei trattenuta assai, t)
Secondo coro delle donne: l Non ha già tardato altri, ma
indugiò sua madre a comperarle la zoca, sicché troppo ratta
non le volasse via di casa: or che volete affrettarla in questa
ultima ora? E appena alzato il sole, r
Terzo coro da parte della sposa: u Poi io, come li colsi qua
e là feci i fiori a mazzetti a mazzetti, e a tutti i congiunti li
mandai, ri
Quasi la sposa voglia dire che indugia perchè i parenti
non son tutti convenuti in casa sua.
Primo coro di donne u O sposa, fanciulla sì semplice, per
Ili sei tu melo non da altri piantato e hai gettale le tue radici
-enza terreno? — n %
Terzo coro di donne che risponde per la spo>>a — u Me nes-
'ino ha inaffiato, da perse mi è fiorita l'avvenenza: essa ò il
>le che hammi abbellita. ^
Intanto è arrivato lo sposo circondato da numerosa schiera
i uomini e donne, avendo a' suoi lati due cerimonieri, che un
egregio illustratore delle cerimonie nuziali albanesi chiama pa-
raninfi. ' Trovata la porta chiusa secondo il rito è obbligato a
fermarsi, e con coro d'uomini canta dolcemente — a O rondine
•al bianco collo, apri senza ritardo e mostrati a mo, che fr
<.*nuto il tuo Dio alla porta — r^.
Risponde al di dentro un coro di donne — e Tacete com-
•agni ch'ella è impedita: abbiamo ì panni al bucato, abbiamo
! pani nel forno: appena li caviamo essa verrà — i^.
Coro d'uomini al dì fuori, che incoraggia lo sposo al r^pi
lento — u Ma tu Signore e sposo non andare or timido chò
on vai a combattere, ma vai por rapirò la vergine dal volto
omo mela e di fianchi raccolti v delicati — ** Intanto un coro di
ionne al di dentro canta nello stesso tempo: u Dacché ti ò TO-
uta l'ora e avviati : sii a tutti decorosa suora mia, siccome il
iole quando Oj^cc, sìrrnme il vino nello tnz;^o. sicrnmr la jirfM
\./KnAllK tJAKi^ti; ii't'o
:iti sono tutti tolti, m»no p
ha (mu il lic tulli: o i
fneritc d*tfl (Jjil I)or*.i ••
vipra dtsti.
I l'Hiii I iiiii ri|K)i •
' ^ tr!i(luKÌotio cito ne
mi furono coriOM-
li e dui De Hiktì* più
712 IN CALABRIA.
sulla mensa. Ecco il di fuore ti si chiude, il di fuori è tutto
il mondo estraneo. Come colomba de' cieli, con 1* amore del
compagno tuo, sii tu felice sotto alla pioggia — v.
A questo punto viene sparato da uno del corteggio un
colpo di fucile e si finge di forzare la porta che viene spalan-
cata al di dentro. Lo sposo coi due cerimonieri entra osten-
tando violenza; prendono per mano la sposa che si trova se-
duta, circondata dalle congiunte e dai cori delle donne, coperta
dal velo nuziale. La sposa commossa e confusa, dolente del-
l'imminente distacco si mette a piangere.
Primo coro da parte della sposa — u Che ti feci io madre
mia, che mi scacci dal tuo seno, dal tuo seno e dal tuo foco-
lare ? n
Coro di donne da parte dei genitori — u Abbiti la benedi-
zione tu figlia, come da Dio pur da noi. Smetti i costumi che hai
e prendi quelli che troverai : checché tu faccia ti aggiunge de-
coro ; i nomi nostri ne' tuoi figli ripetuti s' illustrino, n
Intanto la sposa in mezzo ai due paraninfi vien condotta
alla chiesa : e lo sposo colla brigata d'uomini e di donne del suo
parentado la segue a breve distanza.
Coro degli uomini — u Là sopra, là sulla montagna, là era
un piano spazioso ove pascolavano le pernici; slanciossi ivi
un' aquila, la più bella si scelse e portossela in alto pei cieli, v
Coro di donne — u O aquila sovrana delle aquile, lasciami
la pernice ; ecco ella, perchè la tieni, con troppe lagrime inonda
il seno — n
Coro degli uomini — u Ei non la libera né la rilascia per-
ciocché la brama per sé — v.
Intanto entrano in Chiesa e tutti tacciono raccolti : gli sposi
son coronati coi serti che saranno appesi al capezzale, e escono
tenendosi per mano, intanto che le due schiere ai loro lati
cantano.
Coro delle donne — u Apriti, monte e fa in te strada onde
passi questa pernice, e cotest' aquila dalle ali d'argento : fa per
posarsi e non ha dove si posi — n.
Coro degli uomini — u Cade alla porta della suocera v.
I cori uniti — u O tu signora e melagrana matura, esci in
via a incontrarli: stendi drappi di seta sotto ai lor piedi; la
zona tua aurea gitta ai loro colli — v.
In mezzo a questi canti e a queste invocazioni la vergine
deve subire una nuova violenza, e questa volta da parte della
IN CALABRIA.
713
sposo che la vede impedita da'suoi a entrare nella nuova casa.
Egli le grida altamente che ogni resistenza è inutile, che egli
l'ha conquistati, che la donna è sua: non volendo il corteo
consegnarla egli si lancia a ghermirla fra lo sparo dei moschetti
e una pioggia di granelli e legumi o confetti che cade dalle
finestre sotto cui il corteo passa, e la porta alla casa dove la
madre li accoglie benedicendoli e li lega insieme con una fet-
tuccia di seta attirandoli poi amendue al seno, intanto che le
donne si legano in catena e ballano la vaia cantando dei precetti
morali a nome della madre dello sposo.
— « Sposa gentile se ti è cara la virtù lascia l'antico tuo
dolce costume : qui tu devi apprendere cose nuove per te : spri-
maccia il letto al tuo signore : le piume siano un cumulo di rose
olezzanti — n.
Al banchetto si assidono conservando l'ordine in cui sono
andati : e prima di tutto mangiano gli sposi, spezzando col ti-
rarle ciascuno dal lato suo le pette rituali o tagliandole in parti
uguali, forse per indicare la comunanza della vita avvenire,
come nelle Marche si spezza la ciambella e si beve nello stesso
T'I'^'chiere. Intanto tutti i convitati cantano:
d Chi ha fatta la mensa? Fccela il pane e il vino, d' ava
rubiconda e di malvasia, e carne di ariete e di cinghiale sel-
vaggio. La menai d'un principe che manda sposa la figlia sua.
1 nappi d'argento, le forchette d'oro, e vestite di zoohe cilcstri
le signoro maritate, con agli orecchi vezzi di perle, e le gusnco
lucenti al dì lieto e sereno. Viene la pernice da' monti, viene
«■on le ali carche di neve : dimena e scuote le ali e m' emp^e
le tazze, davanti alla sposa bianca in volto e con pensieri con-
fusi, n
Levate le mense si ricomiqcia la vaia, in cui gli sposi hanno
il primo posto e intrecciano la pittoresca catena nel mozzo del
villa^'gio che li accoglie festante, cantando la canzone rituale
di Costantino l'adoUscenU, la quale risale a' tempi dell' imporo
greco, e che parla di amori, di sospiri, di nozze e di fedeltà.
Tutto ciò è ben pittoresco e straordinario in Italia: ò un mondo
vecchio, nascosto nei monti, celato agli occhi dei profani, igne
rato dui più e intraveduto per caso da qualche curioso ch<^
stanco della vita prosaica di ogni giorno, corca qualche cosa
d'insolito per rompere la monotonia d'un'cpoca fiacca leoza poesia
e senza virtù.
L' ignora l'artista che potrebbe riedificare la vita orientale
Tw. XL, Sw4« U — I* AfMM IMI. M
714 IN CALABRIA.
co' suoi fascini misteriosi, colle sue tinte smaglianti, co' suoi
abiti pieni di fulgori : l'ignora quasi del tutto l'etnografo che
si dibatte a cercare il perchè di certi pelasgì o ariani di cui
forse la chiave è in casa nostra: nò lo curano abbastanza il
filosofo e il mitologo che potrebbero attingere a queste fonti
tesori inapprezzabili per la scienza e la filosofia : non lo conosce
neppure il legislatore che rappresenta nei parlamenti e nel go-
verno quel popolo vergine e primitivo, il quale come non può
non aver irradiato una civiltà tutta sua per grande spazio di
paese sulle popolazioni limitrofe, non può non avere da parto
sua risentito dell'ambiente in cui vive e non essersi giovato delle
abitudini, degli usi, dei costumi de' suoi vicini.
Nelle sue danze, ne' suoi riti, nel suo linguaggio, nei lutti
profondi e intensi, perpetui quasi come risulta dai loro canti
soavissimi, delle cerimonie funebri in cui le donne si tagliano
le treccie sul feretro, colle prefiche che piangono, colle canzoni
lamentose improvvisate in cui si fa l'apoteosi del morto calato
in terra colle sue vesti nuziali più sfolgoranti, nelle cerimonie
natalizie in cui si cantano i destini dei neonati e si profetiz-
zano gli amori e le battaglie; nel modo di vestire di portare i
pesi non sul capo ma sul dorso, diversamente dalle popolazioni
indigene, e fino nella lunga conocchia greca fissata al fianco,
mentre le donne calabresi l'hanno alla pompeiana breve e mo-
bile nella mano sinistra, nell'enfasi delle loro immagini che tal-
volta ricordano il Cantico dei Cantici, talvolta gli ebrei nel de-
serto, talvolta i salmi lamentosi di Davidde contro SauUe, in
ogni cosa che li riguarda, lo studioso dei costumi troverebbe
sorgenti inesauribili di sapere e di poesia.
L'attività e l'ingegno umano nel campo del lavoro artistico
e filosofico non hanno più speranze di trovare cose nuove: an-
che quelle che le sembrano nelle loro più grandi e sublimi ma-
nifestazioni non sono forse altro che vermene rigogliose inne-
state sul vecchio tronco d'un passato chissà quanto remoto.
Le scienze morali come le rscienze fisiche dipendono forse
tutte da una formola sola che l'uomo non ha ancora trovata,
da un solo sapientissimo ordine ; ma il passato ci ha rivelate
tutte le prime lasciando all'avvenire tutte le seconde : e poiché
alcune delle scienze morali sono si vecchie che sembrano nuove,
sarebbe opera grande è utilissima per sciogliere i problemi re-
centi cercare i primi termini che si perdono nell'oscurità dei
tempi : e segnatamente cercarli negli ultimi avanzi dell'Oriente
IN CALABRIA. 715
europeo, dove avrà fatta la prima sosta quella razza ariana, da
cui pare rifulga il più grande splendore dell'umana civiltà.
Senza tentare queste sublimi altitudini, vedendone scintil-
lare soltanto in nebulosa le cime inaccessibili, guidata dall'istinto
avventuroso di dilettante senza pretese, io mi sentiva lieta in
quel giorno della mia impresa che era stata o mi parve, corag-
giosa. Intanto che quello stuolo di donne si sedeva ancora in
giro nella camera che il mio ospite mi aveva assegnata consa-
crandola colla frase cordiale : è la vostra: io tutta presa di quel
lac'cino insolito mi riprometteva di scrivere la mia avventura
collo stesso entusiasmo che allora m'inspirava. Mi pareva allora
che, se io avessi potuto ridare alle mie parole il colore e l'im-
pronta di quei sentimenti, avrei invogliato i cultori delle scienze
nuove a correre il palio laddove io avevo provato a movere il
piede fra laltrui e la mia diffidenza per la lingua sconosciuta
e per la differenza dei costumi, fra quel non so che di pauroso
che nasce in cuore a chi si sente solo in mezzo a genti stra-
niere.
La heUa Marea mi aveva riconquistato pienamente, e la can-
zone lieta che il mio ospite mi traduceva man mano che U vec-
chia improvvisava, mi empiva il cuore d'una strana melanco-
nia, non priva d' una certa tenerezsa.
Io non avrei più veduto quello donne, non avrei più* visitati
quei luoghi, non avrei più ascoltati quei canti cosi nuovi e pioni
di insolite attraenze. E nel darmi l'addio di quella giornata per
esse e per me straordinaria e faticosa pareva volessero impri
mere al loro canto un tal qual accento più mesto e affettuoso
e quasi desolato, u 0 tu cuore, o tu desiderio : la tua treccia
è un filo d'oro forestiero, mostacciolo sul pastiere ! Andiamo di-
rette a questa strada che ci conduce verso l'aurora : fioro bianco
più che la neve sui monti, faccia fina più che la carta, più che
l:i carta fina sai tavolino, splendi come mela nel giardino, n
Quando montai nella carrettella che doveva condurmi alla
stazione più prossima della ferrovia, fui circondata dai soliti
monelli Mcminudi che dicevano ancora chii y$t burr ! chii ytt
hurr ! ma non ne ebbi più sgomento. Mi seguiva l'armonia del-
l'ultimo canto soave, il profumo del moatacciolo sul pcuttere, lu
splendore del Jilo d'oro forestiero. E rincantucciata nel carroz-
zone del treno, passando nel vallo malsano del Grati, respirando
l'acre odore delle piante acquatiche, ripensavo con piacere a
716 IN CALABRIA.
que' poveri orientali che si ricorderanno fino alla morte della
strana apparizione di quel giorno nel loro villaggio e narre-
ranno in versi e ballando la vaia ai loro nipoti il chii yst burr
che li ha tanto agitati; intanto che l'orecchio sentiva ancora
l'eco di quella musica, di cui la dolcezza ancor dentro mi suona.
Caterina Pigorini-Beri.
IL CANALE DI SUEZ
La questione egiziana richiamerà ancora por lungo tempo
l'attenzione degli àStati europei. Non convién credere che l'oc-
cupazione inglese l'abbia chiusa definitivamente. Per noi, che
siamo spettatori vicini degli avvenimenti svolgentisi in Egitto,
l'occupazione inglese non è che un episodio. In questo paese
c'è ancora tanta forza di vitalità da mettere a dura prova
chiunque tentasse d' impadronirsene e di trattarlo a modo dì
conquista. Rammentiamo che V Egitto, negli ultimi cinquant'anni,
era entrato francamente nella via della [civiltà, o, per meglio
dire, vi erano entrati i suoi viceré da Mehemod*Ali ad Ismail.
L'Egitto, quando avvennero gli ultimi fatti, ora dunque in
un periodo di trasforumzionc, dovuta in massima parto agli
egiziani stessi, indipendentemente da qualsivoglia azione eu-
ropea. Si può anzi dire che l' intervento europeo distrusse qui
o almeno ritardò gli oflctti della iniziativa naaionale. L' Inghil-
terra è riuscita con poca fatica a oorapiere un'occupazione mi-
litare contro la quale malo avrebbero potuto lottare le scarte
e disordinate forse degli egiziani. Eppure ossa non si sonte
padrona dell'Egitto, e quando il signor Qladstone dichiara
in pieno Parlamento, che il suo supremo scopo è di rostituiro
l'Egitto agli egiziani, siamo disposti a credere che parli in buona
fede, giacché un uomo di Stato del suo valore non può non
aver capito che l'Egitto non è l'India, che lo si può aiutare a
risorgere politicamente ed economicamente, ma non soggiogarlo
colla violenza, e che infine l' Inghilterra potrà, per avventura,
imporre agli egiziani dui vincoli di gratitudine, ma non già
718 IL CANALE DI SUEZ.
sottoporli interamente al suo dominio. Costituire in Egitto un
governo regolare, ordinato, favorevole alle idee di progresso, ed
esercitare su questo governo una benefica autorità morale, ecco
quale dovrebbe essere lo scopo del governo inglese — e pro-
babilmente sarebbe questo l' ideale del signor Gladstone, se non
avesse egli pure da lottare coi pregiudizi e con le cupidigie
della propria nazfone.
Con r Egitto e le sue condizioni si connette strettamente la
questione del canale di Suez, della quale tanto si parla da qualche
tempo. L'Inghilterra non avrebbe bombardato Alessandria, ne
matidato le sue truppe al Cairo, se non ve l'avesse spinta la
necessità di sottrarre il canale di Suez al dominio di qualunque
altrar potenza. Non v' ha dubbio, il canale interessa il commercio
di tutto il mondo, ma per l' Inghilterra è divenuto la via delle
Indie, la quale deve essere aperta in ogni tempo al commercio
inglese e posta al riparo da qualsivoglia pericolo di conflitti
che la chiudano, sia pure per breve tempo, alle navi britan-
niche. Allorquando si dice in Inghilterra che l' opinione pubblica
vuole il dominio del canale di Suez, bisogna intendere questa
volontà nel senso da noi espresso. Il popolo inglese si preoc-
cupa delle complicazioni che possono nascere in Oriente, dei
conflitti che necessariamente ne seguirebbero, delle rappresaglie
alle quali vi sarebbe ragione di temere che dessero occasione.
Nessuna meraviglia pertanto che in Inghilterra si sia formato
un partito numeroso e fortissimo, il quale nelle condizioni del
canale di Suez vuole assolutamente veder chiaro, e non am-
mette neanche la più lontana possibilità che le navi inglesi non
percorrano liberamente ed a bandiera spiegata il cammino sca-
vato dal genio del signor di Lesseps.
Eppure, come tutti ricordano, l'apertura del canale fu lun-
gamente avversata dagl' inglesi, e il signor di Lesseps l'ha com-
piuta a loro dispetto. Dobbiamo noi dire eh' essi non fossero
persuasi degli effetti della grandiosa impresa e non ne cono-
scessero l'utilità? A nostro avviso la conoscevano troppo bene,
ma intendevano al tempo stesso che l'apertura del canale im-
poneva all'Inghilterra nuovi e gravissimi doveri, e che i be-
nefizi recati al commercio avrebbero dovuto essere compen-
sati con una politica vigilante, assidua ; che in altre parole, ot-
tenuti quei benefizi, il governo inglese avrebbe avuto l'obbligo
di premunirsi contro qualunque fatto che valesse a distruggerli
o sospenderli. Quando si videro off'rire una nuova e più rapida
IL CANALE Di SUEZ. 719
via commerciale per le Indie da un francese, ripeterono il vol-
garissimo detto Timeo Danaos, e non solamente negarono i
loro capitali, ma suscitarono al progetto ostacoli d'ogni maniera.
Basti il dire che il eanale, la cui spesa era preventivata in
duecento milioni di franchi, ne costò invece quattrocento, quasi
duecento dei quali furono inghiottiti non dalle opere del canale
stesso, ma dalle spese indispensabili per vincere le resistenze e
l'^ opposizioni all'effettuazione del gigantesco progetto del signor
Lesseps.
L'apertura del canale venne ciononostante condotta a ter-
mine, e furono del pari compiute le opere accessorie. Chi di
noi ha dimenticato le feste e gli entusiasmi per V inaugurazione
di quel passaggio, che, por molti anni, era stato riputato un
sogno di mente inferma? Questo immenso servizio era stato
reso alla causa della civiltà da due Stati molto diversi fra loro
per ricchezza e potenza : dalla Francia e dall' Egitto, indipen-
dentemente da qualsivoglia cooperazione inglese. Ma non tardò
ad avverarsi ciò che il signor Lesseps aveva costantemente pro-
nosticato. Fra gli Stati d'Europa, quello che naturalmente trasse
maggior profìtto dall'apertura del canale di Suez fu l' Inghil-
terra. Nel pa&saggio di Suez la sua bandiera fu dal primo anno
in grande prevalenza. E gì' inglesi da gente pratica accetta-
rono i fatti compiuti, fecero buon viso ai vantaggi che ne ri-
traevano, e da quel giorno tutto il loro studio fu rivolto a im-
pedire che quei vantaggi andassero perduti. Da allora si fece
più viva la intromissione dell' Inghilterra negli affari dell'Egitto,
tinche, sotto il ministero di lord Beaconsfield, i capitalisti in-
glesi trovarono modo d' impadronirsi di una parte considcrcvolo
delle azioni del canale. Si esagerò però graodemente Tìm-
|xirtanza di quella operazione, in quanto che essa non mo-
dificò sostanzialmente il carattere della compagnia di Suez, la
quale continuò ad essere una compagnia francese^ segui-
tando A«l esserne (VanccKÌ anche gli amministratori. Il trat-
tato del 1A76 ha regolato le relazioni internazionali della com-
pagnia, ma non ha dato all' Inghilterra un sopravvento che con
quelle relazioni sarebbe ntato in aperta contrnddiziono. Anzi, è
appunto invocando il trattato del 1870 che oggi ancora si c<im-
battono le pretese deiropinione pubblica dell' Inghilterra, dallo
quali protene ebbero origine gli ultimi incidenti.
La questione interessa in alto grado anche V Italia, e ciò
che ora accade giustifica la premura con cui i nostri plenipo-
720 IL CANALE DI SUEZ.
tenziari; nella conferenza per gli affari d'Egitto, domandarono che,
in ogni caso, il canaio fosse dichiarato neutrale e sottoposto
alla tutela di tutte le potenze interessate. E se ne««uua deli-
berazione ben chiara e determinata venne presa, se la pro-
posta del governo italiano fu considerata come un desideratum
comune, anziché come una mozione sulla quale la conferenza
dovesse imprescindibilmente deliberare, non è men vero che
tutti i rappresentanti delle potenze si palesarono favorevoli a
quell'ordine d' idee e che la stessa Inghilterra, non volendo in
quel momento accrescere gratuitamente le difficoltà che attra-
v^.rsavano l'occupazione dell' Egitto, dichiarò ripetutamente e
nel modo più esplicito, che anch'essa intendeva la questione di
Suez a quel modo, e che non solamente il canale non era mo-
nopolio pili dell'una che dell' altra potenza, ma doveva es-
sere pure esclusa ogni più remota eventualità che, in caso di
guerra, il canale noti avesse a servire al suo scopo esclusiva-
mente commerciale.
L'Inghilterra, tenendo quel discorso, parlava nel proprio in-
teresse, o, per essere più esatti, nell'interesse del proprio com-
mercio, che più d'ogni altro sarebbe stato danneggiato da una
chiusura del canale. Ad ogni modo è spiacevole che la propo-
sta dell'Italia non abbia dato luogo ad una risoluzione cate-
gorica che, certamente, avrebbe dissipato molti dubbi e molti
timori. E si ebbe torto allora di trattar leggermente anche in Italia
il passo fatto d.al ministro Mancini verso le altre potenze per
lo scopo teste accennato. Qualche cosa però rimase di quella
iniziativa del governo italiano, la quale, se non altro, porse oc-
casione, come abbiamo notato, al gabinetto britannico di respin-
gere, in via diplomatica, il sospetto che ambisse una ingiusta
supremazia sul canale.
E mestieri render giustizia alle intenzioni del signor Glad-
stone, qhe in tutte le controversie relative all'Egitto mostrò,
non solo con le parole, ma più ancora coi fatti, di non voler sa-
grificare esclusivamente agli interessi inglesi quelli dell'Egitto
stesso e delle altre potenze. Sventuratamente queste sue inten-
zioni non furono sempre rettamente interpretate in Inghilterra,
dove si è formata una forte corrente in favore di un' azione
più vigorosa, e' per domandare che dalla occupazione dell'Egitto
si pensi a ritrarre una maggior somma di utili.
Questa breve esposizione storica era indispensabile per bene
intendere e giudicare i fatti che ebbero origine, quest' anno,
IL CANALE DI SUEZ. 721
dalla questione del canale di Suez. Importava sovratutto di
far conoscere lo stato dell'opinione pubblica in Inghilterra, e
come gli apprezzamenti del popolo inglese abbiano fin da
principio, differito alquanto da quelli de' suoi ministri in una
materia tanto delicata. Poco per volta la corrente di cui ab-
biamo parlato poc'anzi è venuta ingrossando, e si è fatta sem-
pre più palese in Inghilterra l'ostilità al signor di Lesseps e
alla compagnia di cui egli è a capo. Alla qual cosa hanno pure
contribuito le diffidenze suscitate dalla Francia colla sua poli-
tica coloniale. Scomparsa 1' enterite cordiale, e rinvigorito, in-
vece, l'antico antagonismo tra la Francia e l'Inghilterra, era
naturale, o, per lo meno, inevitabile che il popolo inglese guar-
dasse con sospetto qualunque intromissione diretta o indiretta
della Francia negli affari suoi. Francese ò il Lesseps, francese
la compagnia da lui capitanata. Ciò è sufficiente per far cre-
dere agi' inglesi che la via di Suez sia in potere della Fran-
cia, e che questa possa, eventualmente, recar danni gravissimi
al commercio colle Indie. Accettiamo pure che siffatti timori sieno
privi di fondamento o esagerati ; non si può negare che esistono
e che il signor Gladstone, con la sua nobile cquanimitti, non
è riuscito a dissiparli. Il commercio inglese sta come sotto un
incubo dal quale vuol liberarsi ad ogni costo. E cosi è nat;i
r idea di contrapporre al canale francete un canale inglese,
cioè di scavare un secondo canale di Suez con capitali inglesi
el escludendo l'ingerenza degli altri Stati.
II progetto di scavare un secondo canale di Suez non ò
nuovo. K stata sempre riconosciuta anche dalla compagnia
r insufficienza del canale attuale quando il traffico annuo abbia
raggiunto 10,000,000 di tonnellate. Siamo ancor lontani da
questa cifra; la statistica dell'anno 1882 ci dà un paesaggio di
3,198 navi con 7,122,125 tonnellate. Tuttavia, va tenuto conto
dei costanti e rapidi progressi dal 1870 n questa parte. Quali
sieno stati questi progressi lo sì duduco da una statistica che fa
parlo della relazione presentata dal signor Lesseps all'ultima
assemblea generalo della società. Risulta da ossa che i proventi
della navigazione che nel 1870 erano stati di franchi .'*" '"'7
e 22 contosimi, ascesero noi 1881 alla cifra di franrhi 51,
e centesimi 05, e nel 1882 a franchi 60,r>45,882 e contosimi 08.
Nell'anno 1882 vi è stato in "confronto del 1881 un aumonto dol
17,27 Ojo sul numoro dello navi, del 22,91 0|() sul ii'i>n.-nH|rgi„
e del 18,08 0|q sull'ammontare dei proventi.
722 IL CANALE DI SUEZ.
Come si vede, pertanto, l' ipotesi che fra qualche anno si
ubbìa ad avverare un traffico di 10 milioni di tonnellate non è
priva di fondamento. La prima questione però sta nel vedere,
se, avverandosi quell' ipotesi, sia indispensabile un canale nuovo
o possano ritenersi sufficienti i lavori d' ingrandimento e di mi-
glioramento del canale esistente. I quali lavori stabiliti dalla
convenzione del 1876, e che qui non è inutile enumerare, sono
i seguenti :
1. Ingrandimento del bacino Israail a Porto Said;
2. Allargamento dell'ingresso del canale a Porto Said;
3. Nuova stazione a Toussoum;
4. Miglioramenti per assicurar le navi nelle stazioni e nelle
curve ;
5. Opere minori nel canale d'accesso;
6. Nuovo ancoraggio a Porto Said;
7. Nuovo bacino a Porto Said;
8. Allargamento del canale nei piccoli laghi Amari ;
9. Prolungamento della stazione di Kantara;
10. Continuazione dell' allargamento di 5 metri del canale
fra Suez e il chilometro 152;
11. Ingrandimento della stazione d' Ismailia;
12. Ingrandimento della stazione del chilometro 133;
13. Rettificazione della curva e della stazione di Timsah;
14. Rettificazione della curva sud dei piccoli laghi;
1.5. Rettificazione della curva nord di El Gruisr;
16. Rettificazione della curva di Toussoum;
17. Allargamento del canale davanti a Porto Tewfik.
Questi e altri lavori che in complesso importeranno una spesa
di 30 milioni, non solamente furono già deliberati dalla società,
ma trovansi in parte in corso d'esecuzione.
Che fossero reputati sufficienti ad un traffico di 10 milioni
di tonnellate è fatto manifesto da una deliberazione presa dalla
commissione dei lavori e fatta pubblicare nel Bollettino della
società fin dal 22 gennaio scorso. Di quella deliberazione è op-
portuno riprodurre il testo, perchè vale a dimostrare come la com-
missione stessa, sin da quel tempo, si preoccupasse dell'agita-
zione che si manifestava per un nuovo canale e qual giudizio
essa recasse intorno alla maggiore o minor necessità del mede-
simo. Essa è nei seguenti termini :
u La commissione avendo esaminato il progetto della Dire-
zione fondato sugli atti di concessione e sui poteri conferiti al
IL CANALE DI SUEZ. 723
consiglio dall' assemblea degli azionisti, come pure il progetto
di stabilire una doppia via marittimaj crede che il progetto della
Direzione soddisfaccia ai bisogni della navigazione per un traf-
fico di 10 milioni di tonnellate e permetta le successive esten-
sioni che possano venir richieste da uno sviluppo ancor più
considerevole della navigazione. Per ciò che riguarda il progetto
di un secondo canale, esso meriterebbe di essere seriamente stu-
diato. Senza parlare dei compensi che quel progetto renderebbe
necessari, in ragione dei gravi sagrifizi che imporrebbe alla
compagnia la commissione constata principalmente f che l'esten-
sione dei terreni di cui essa dispone in vista del suo esercìzio
non sarebbe sufficiente per lo stabilimento di una doppia via e
per l'ingrandimento dei porti. Questa considerazione implicando
la necessità di trattative le quali dovrebbero precedere uno
studio più profondo della questione, la commissione in tali
condizioni non può presentemente far altro che accettare in
massima quest'ordine d' idee come un onere davanti al quale
non converrebbe [indietreggiare, se, essendone riconosciuta la
utilità maggiore pel ' commercio universale, si presentasse con
.giusti compensi ; la commissione riconosce, inoltre, esser tale la
importanza degli interessi della marina inglese nella navigazione
del canale, che la compagnia non potrebbe accìngersi ad intra-
prendere negoziati a questo riguardo salvo col consento e con
Vappoggio del governo britannico, n
Molte parole e molte frasi di questa deliberazione vanno
ben pesate, se si vuol giudicare imparzialmente la contesa fra
l'opinione pubblica in Inghilterra e la compagnia di Suez.
Le intenzioni del signor di Letseps e della compagnia o, per
Io meno, dei suoi mandatari tecnici, nello scorso gennaio, non
potrebbero ossero più evidenti.
Essi pensavano cho per un traffico di 10,000,000 di tonnel-
late non fosse neccMarìo un secondo canale, ma fosse sufiì-
riento il canale osintfntc, con gli opportuni ingrandimenti r
miglioramenti; che per iscavare un secondo canale la compa-
gnia non poMedesse la estensione di terreno indispensabile, e
finalmente che, in previsione di un ulteriore sviluppo del traf-
fico, hì dovesse studiare la quostion*) del secondo canale, ma nes-
suna trattativa si potesse intrapr<»nd('n' «cnza il consenso o
l'appoggio dell' Inghilterra.
Vedremo fra breve che il liii;;ii.i;:;4Ìo tenuto dai signor di
Les^epfl all'issembloa generale «lei l*^s.{fu alquanto diverso.
724 IL CANALE DI 8DKZ. \
Intanto l' idea di aprire un canale esclusivamente inglese
accanto e parallelamente al canale dovuto all'iniziativa e agli
«forzi del signor di Lesseps, faceva cammino. E fu tanto creduta
praticamente attuabile, che in Inghilterra piovvero le adesioni
e i capitali per effettuarla. I promotori di essa partivano dalla
persuasione che il diritto di scavare il secondo canale spet-
tasse a chiunque, pel primo, fosse in grado di valersene. Come
anni fa si era formata una società essenzialmente francese, cosi
ora poteva formarsene una esclusivamente inglese. Da chi aveva
avuto la concessione il signor di Lesseps? Dall' Egitto. Ma es-
sendo questo, secondo che essi dicevano, venuto in potestà degli
inglesi, era naturale che essi, indipendentemente da qualunque
impegno anteriore del governo egiziano, si attribuissero una
nuova concessione, magari a scapito dell'antica. Certo essi non
ignoravano i termini della prima concessione che investiva il si-
gnor di Lesseps del diritto e della facoltà di aprire non uno
solo, ma più canali ; ma ritenevano quel diritto perento in con-
seguenza degli ultimi avvenimenti. Il signor Gladstone capi
che si stava per commettere un grave sopruso. D'altronde,
aveva più volte protestato di non voler sostituire in tutto o per
tutto l'autorità dell' Inghilterra a quella del Ktdive, che anzi
lo scopo era di rafforzare e assicurare quest'ultimo. Ammesso
poi ciò che non era, che l' Inghilterra si fosse sostituita al
Kedive, solo un caso di forza maggiore avrebbe potuto esimere
i nuovi dominatori dall' obbligo di rispettare gl'impegni formal-
mente assunti, mediante contratto, dai loro predecessori. Il savio
ministro, resistendo alle pressioni che gli venivano fatte dai
suoi connazionali, sottopose la questione ai giureconsulti della
Corona, i quali, porgendo un chiaro esempio di giustizia serena
ed imparziale, decisero, visto il primo atto di concessione, che
il diritto di aprire un secondo canale appartenesse al signor di
Lesseps, e che perciò nessuna nuova società, in Inghilterra o
altrove, potesse formarsi a tale scopo e accingersi a quell' im-
presa senza essersi posta previamente d'accordo con lui e i suoi
aventi causa.
L'accordo fra il ministero inglese, e il signor di Lesseps non
fu difficile da conseguire, poiché il signor di Lesseps, lieto che
il suo diritto fosse riconosciuto e posto al riparo da qualunque
offesa e prepotenza futura, fu larghissimo nelle concessioni. La
convenzione conchiusa fra lui e il signor Gladstone dava soddisfa-
zione a tutti i legittimi interessi dell'Inghilterra, attribuiva agli
IL CANALE DI SUEZ. 72r>
inglesi una parte convenientf^ nell'amministrazione della com-
pagnia, risolveva equamente la questione delle tariffe che al
coraraercio inglese preme tanto, e al tempo stesso sanciva ancora
una volta il carattere internazionale della via di Suez. Al signor
Gladstone parve di aver provveduto abbastanza a far .tacere le
lagnanze e le diffidenze, e presentò la convenzione al Parlamento.
Ma si era ingannato nelle sue- previsioni. Quegli accordi de-
starono una opposizione S'irà, violenta, colla quale era impossi-
bile intendersi. In fondo il signor Glastone e i suoi oppositori
partivano da due punti opposti. Il primo, forte come abbiamo
detto del parere dei giureconsulti della Corona, voleva rispet-
tare i diritti del signor di Lesseps; i secondi li negavano nel
modo più assoluto. Al ministero pareva di aver conseguito molto
ottenendo che si aprisse una nuova via, con la partecipazione
dell'Inghilterra e sotto l'egida delle convenzioni intemazionali;
gli avversari suoi sostenevano, invece, che nulla si era ottenuto,
che anzi si andava contro Io scopo dell'Inghilterra, il quale era
che questa si aprisse, per proprio conto, una via per le Indio
di cui fosse assoluta padrona, senza dipendere da alcun'altru
potenza, e tanto meno dal signor di Lesseps.
Il signor Qladstone, avvertito dai clamori della folla, vide il
pericolo imminente di una crisi polìtica. A ritirarsi in buon or
dine fu aiutato dal signor di I^sseps, il quale generosamente
gli restituì la parola data, e dichiarò per lettera di considerare
come non avvenuta la convenzione conchiusa col ministro inglese.
Errerebbe però chi credesse che, lacerata la convonzione, h»
cose sicno ritornate precisamente al punto in cui erano prima
di essa. Come suol avvenire dopo nn lentatiTO fallito di con-
ciliazione, la soluzione della controversia si ò fatta più difficile.
Da un lato il signor Qlndstone, per non essere rovesciato dai
suoi avversari e salvare il gabinetto pericolante, fu costretto
a fare delle dichiarazioni poco conformi alla sua procedente
condotta, e dopo aver presentato la convenzione in omaggio al
parere manifestato dai giureconsulti della (Corona intomo ai di-
ritti più volte rammentati del signor di Lcsseps, parve mettere in
dubbio questi diritti, e affermò di non voler pregiudicare in nessun
modo la qu'^stione ne una società inglese potesse aprire un nuovo
canale. Dal suo canto il signor di I^esseps, prevedendo proba-
bilmente che la buona volontà del signor Gladstono si sarebbe
infranta contro la corrente dell'opinione pubblica, aveva avuto
cura di confermare nell'assemblea generale del 4 giugno la facoltà
726 IL CANALK IJI SUEZ.
spettante esclusivamente alla sua compagnia di scavare il nuovo
canale. E ribadì più fortemente il chiodo nella lettera al signor
Gladstone.
Il signor di Lesseps, che come abbiamo visto aveva rico-
nosciuto, nella citata deliberazione dello scorso gennaio, che la
compagnia non disponeva di una sufficiente estensione di ter-
reno per aprire il secondo canale, e che, in ogni caso, tenuto
conto degli interessi inglesi preponderanti, nessuna trattativa si
sarebbe potuta iniziare senza il consenso e l'appoggio del go-
verno britannico, scriveva poi egli stesso nella sua relazione del
4 giugno le seguenti parole:
u Noi ora proseguiremo energicamente i miglioramenti del
canale marittimo già previsti, fino alla concorrenza della spesa
di 30 milioni di franchi da voi approvata. E proseguiremo si-
multaneamente lo studio della seconda via marittima con la
ferma intenzione di eseguirla e compierla prima che lo sviluppo
del traffico l'ahhia resa necessaria.
u Questo secondo canale potremmo eseguirlo unicamente colle
nostre proprie forze, sui nostri terreni ; ma dagli studi che ab-
biamo fatto risulta che il secondo canale, deciso in massima,
potrebbe venire eseguito in migliori condizioni pel commercio,
e accresciuto forse di lavori accessori, specialmente nei porti,
se aveste maggiore spazio a vostra disposizione e otteneste i le-
gittimi compensi per i sacrifici che v'imporreste. A tale scopo, e
col leale concorso dei rappresentanti della Regina nel consiglio,
iniziammo studi speciali: abbiamo la soddisfazione di potervi
dire, d'accordo coi nostri colleghi inglesi, che quegli studi e le
combinazioni che ne seguiranno promettono una soluzione favo-
revole, n
Dunque il 4 giugno l'estensione de'terreni non era più insuffi-
ciente come nel gennaio, ma solo si desiderava uno spazio mag-
giore per opere accessorie, potendo pure, però, nella peggiore
ipotesi, farne a meno. Dunque l'accordo con l' Inghilterra, che nel
gennaio era condizione sine qua non, nel giugno diventava sol-
tanto un mezzo per agevolare l'impresa che la compagnia era
in grado di compiere colle proprie forze !
E ancor più esplicito fu il signor di Lessaps, quando, vistosi
costretto a rinunziare alla convenzione col governo inglese,
scrisse la nota lettera al signor Gladstone. In essa è chiara-
mente significato che la compagnia penserà da se ad aprire il
nuovo canale, e non è punto fatto cenno delle difficoltà previste
IL CANALE DI SUEZ.
72-
nella deliberazione del gennaio e neppure delle poche riserve
mantenute ancora nella relazione del giugno.
La questione trovasi presentemente a questo punto. Si af-
fretterà la compagnia a provvedere i mezzi per intraprendere
i lavori del secondo canale? Quando il signor di Lesseps
aflfermò che questo non era urgente, aveva ragione. — Crediamo
anche noi che con i miglioramenti del primo canale già decre-
tati e in corso di esecuzione, saranno soddisfatte per alcuni
anni ancora le esigenze del traffico, a .che ammesso il suo pro-
gressivo sviluppo. Ma, ormai, la condotta del signor di Lesseps
e della compagnia assai più che dalle esigenze del traffico è
determinata da considerazioni di altro genere. — È mestieri che
essi iniziino senza indugio gli studi e i lavori se non vogliono
essere prevenuti dai capitalisti inglesi. — Certiimentc finche ri-
marrà al potere il signor Gladstone, i diritti della compagnia
saranno rispettati, quantunque, come abbiamo osservato, nelle
ultime discussioni parlamentari V illustre ministro si sia mo-
strato meno persuaso che prima non paresse, della solidità e
eirintangibilità dei medcs.mi. Ma il gabinetto inglese non t*
tanto saldo che un soffio di vento non valga a rovesciarlo, e,
da qualche mese a questa parte, le sue condizioni sono alquanto
peggiorate. — Un gabinetto conservaiorc avrebbe minori riguardi,
considererebbe sotto un altro aspetto V occupazione dell' Egitto
e probabilmente rivendicherebbe a Suez una posizione privile-
giata quand'anche non osÀssc arrogarvisi un' assoluta supre-
mazia. E ad una società inglese, che, indipendentemente da qua-
lunque partecipazione del signor di Lesseps, si disponesse |td
aprire una nuova via, non opporrebbe ostacoli.
Interverrebbe l'Europa a tutelare il signor di Lesseps e la sua
compagnia? È malagevole il far congetture a questo proposito.
L'Europa non si è mossa efficacemente finora, ita lasciato al-
l' Inghilterra in Egitto la più ampia libertà d'aziono e bisojj^na
esser grati al signor Gladstone che non oc ha abusato. —
Quanto al canale di Suez, si ebbero mozioni rimasto in sospOHo,
<• dichiarazioni platoniche d' internazionalità, che non sappiamo
quanto varrebbero alla prova dei fatti; dello quali delibera-
zioni, non ne dubitiamo, sarebbe larghibsimo anche un mini-
stero conservatore che lacerasse l'atto di concessione rilasciato
dal Kedive al signor di Lesseps, oppure autorizzasse V Apertura
di un nuovo canale in odio alla compagnia attualo.
Del resto, siamo giusti, la neutralità del passaggio di 8uu£,
728 IL CJ.NALK DI SDEZ.
qualunque trattato intervenga fra le Potenze, gara Bompre una
parola vuota di senso, in caso di guerra, fincliè l' Inghilterra
rimarrà di fatto, padrona dell' Egitto. Il primo suo atto, scop-
piate le ostilità, sarebbe di occupare militarmente il canale.
Esposte le vario vicende della questione, non abbiamo duopo
d' insìstere sui pericoli che suscita per l'avvenire. Il canale di
Suez può esser causa di nuovi conflitti. Esso che fu il prodotto
di una civiltà pacifica pare destinato a diventar l'origine di guerre
sanguinose. Ma come abbiamo detto sin da principio e ripetuto
più volte nel corso del presente scritto, la questione di Suez
è strettamente connessa con quella dell' Egitto, L' errore mas-
simo dell' Europa fu il credere che queste due questioni po-
tessero scindersi, separarsi, cosicché il canale di Suez conti-
nuasse a servire gli interèssi di tutto il commercio, mentre si
ammetteva che l'Egitto potesse diventare preda del primo oc-
cupante.
Noi rendiamo giustizia al signor Gladstone e ripetiamo che
non mettiamo in dubbio la sua buona fede quando afferma di
voler restituire l' Egitto agli egiziani e contentarsi di un auto-
rità morale. Ma è questo un programma più facile da esporre
che da eseguire. E temiamo forte che nessun ministro inglese
abbia il coraggio di compierlo.
Eppure, non esitiamo a confermarlo, sarebbe questo il solo
programma che assicurerebbe per molti anni la tranquillità e
la prosperità dell' Egitto, e a un tempo efficacemente difende-
rebbe contro qiialunque sorpresa i gravi interessi commerciali
che il canale di Suez è chiamato a soddisfare. Sappiamo che
la nostra opinione ha molti contradittori, i quali ricordano
come, assai prima della occupazione inglese, la tutela dell'E-
gitto sia stata una necessità imposta dalla sua cattiva ammi-
nistrazione. E non lo neghiamo; ma questa tutela si sarebbe
potuta esercitare in modo liberale, benefico, mentre invece
aveva assunto il carattere di un' aggressione. E d' altra parte
V Egitto stava all' avanguardia della civiltà in Oriente ; era un
campo aperto a tutti i progressi, a tutte le attività, e non deve
pavere strano che, in quel ridestarsi di un popolo, il male si sia
più volte frammisto al bene, le spese abbiano superato le en-
trate, e alcuni avventurieri abbiano indegnamente spogliato il
governo arricchendosi alle spalle sue. Ma verso gli errori com-
messi era utile, onesto, generoso mostrarsi indulgenti, tenendo
conto dell'immenso cammino che questo popolo aveva in breve
IL CANALE DI SUEZ. 720
tempo percorso. Bisognava stendergli amichevolmente la mano,
guidarlo, eccitarlo senza togliergli la libera disposizione di sé
stesso.
I progressi che l'Egitto aveva, da gran tempo incominciato
a compiere per conto proprio e per propria iniziativa, si sono
arrestati. Si rimetterà il popolo egiziano in carreggiata? Ri-
prenderà la via nella quale si era felicemente inoltrato? Op-
pure alla civiltà che era opera degli egiziani si sostituirà la
civiltà inglese? A questi quesiti non rispondiamo perchè ci
trarrebbero troppo lungi dal nostro assunto. Ma l'Europa
avrebbe 1' obbligo di esaminarli seriamente, se non per amore
degli egiziani, almeno per i gravi interessi che ha impegnati
nel canale di Suez, il quale, lo diciamo ancora una volta, non
potrà mai considerarsi come interamente separato e indipen-
dente dall' Egitto.
E perciò conchiuderemo unendoci a coloro i quali lamentano,
a buon diritto, che il campo della contesa si sia ristretto tra
l'Inghilterra e il signor di Lesseps, o per meglio dire, tra
l'Inghilterra e la Francia, mentre la soluzione di essa do-
vrebbe essere cercata di comune accordo, e nel comune inte-
resse da tutte le potenze.
Un Italiano in Egitto.
▼m. XL, Swto n — 15 A«MI% IMH 47
FANTASIA '
I.
Matilde Serao è sovrattutto poeta. Ha il sentimento profondo
della realtà e un singolare spirito di osservazione; ma in lei
r immaginazione prevale e predomina. O esprima un senti-
mento, o dipinga un ritratto, o colorisca un paesaggio ; parli di
teatri, di mode, di bambini, di quadri; ci faccia sorridere o ci
faccia piangere ; sentiamo nella sua calda e vivente parola quel
non so cbe, quell' incanto magnetico che si subisce e non si
può esprimere né analizzare ne discutere : quel fàscino insomma
di cui solo i veri poeti hanno il segreto. Solo un poeta poteva
descrivere V ultimo incontro di Marcello e di Lalla al campo-
santo di Napoli in Cuore infermo : solo un poeta trovare quelle
parole di Beatrice al marito pentito: u Son io, la tua Beatrice,
la tua sposa ; ho la mia veste bianca: t' amo. n Solo un poeta
descrivere il torneo di scherma, le scene dell' educandato, il
parco di Caserta, i Bagnòli, nel nuovo romanzo Fantasia.
Ma r immaginazione che fa la forza, è anche il debole di
certe pagine della signorina Serao: l'immaginazione le nuoce
talvolta alla precisione dell'analisi, allo studio dei caratteri, alla
naturalezza del dialogo. Il dialogo in Fantasia è raro e scarso :
e di ciò va fatta lode piuttosto che rimprovero all'autore; il
lungo dialogo annoia. Ma in Fantasia, come già in Cuore in-
fermo, anche quando parlano i personaggi meno artificiosi, vi
è qualche cosa di artificioso nel loro linguaggio — e il dialogo
' MA.TaDE Serao, Fantasìa, romanzo. — Torino, Casanova, 1883.
FANTASIA. 731
non giova quasi mai alla descrizione e allo sviluppo dei carat-
teri, come nei romanzi di Thackeray e di Giorgio Eliot.
Le due prime parti nelle quali è descritto lo strano carat-
tere di Lucia Altimare in collegio, la fervente amicizia fra lei
e la buona e mite Caterina, le torture del professor Galimberti
innamorato dell'esaltata scolara, il torneo di scherma al San-
nazzaro di Napoli, dove Lucia comincia a invaghirsi del forte
e prosaico marito della sua amica, fino ai primi segni d' intel-
ligenza e di passione fra loro — queste due parti son trattate
da mano maestra.
La parte ultima, da quando i due adulteri decidono ai Ba-
<gn(jli la loro fuga, fino alle scene finali del suicidio di Cate-
rina, è, sotto ogni aspetto, ammirabile.
Ma la terza e la quarta parte, la storia cioè dell' adultero
amore fra Andrea e Lucia, ha molte inverosimiglianze e troppa
monotonia. Data questa combinazione — una donna tutta arti-
ficio, morbosa fantasia ed egoismo — un uomo buono e schietto
per natura, innamorato de'la propria moglie, con poca o nes-
suna coltura, amante piti di fucili e di fioretti che di libri e di
giornali, un colosso dalla testa leonina, gran cacciatore e scher-
midore — r interesse poteva e doveva nascere da una diligente
analisi delle gradazioni per cui un carattere come quello di
Andrea, sedotto da una donna-sirena, diventa un ipocrita e uno
sdolcinato galante. Invcoe qui, tolto un accenno nella gita a
Roma, non e' è nessuna lotta, nessun rimorso, ne^uuu grada-
zione. La trasformazione è improvvisa, radicale, contpleta: tanto
che questo Andrea, più che irritarci, ci fa sorridere quondo
parla e quando agisce, perchè non possiam faro a meno di pa-
ragonarlo a quell'altro Andrea descrittoci in principio del libro;
e il contrasto è cosi violento, che talvultJi diventa comico.
Egli passa le notti a meditare i piani per dare i suoi bi-
gliottini a Lucia protenti la moglie ed Alberto, a combinare
falso domande, false uscite, discorsi a doppio senso — passa
delle ore intere a schersaro col ventaglio e col fazzoletto di
Lucia, a u contarle i cerchiolini del jtorUhonheur... n
Il suo linguaggio è talora anche più précieux di quello di
Lucia stessa; egli le dirà per esempio: <* tu nei il cuore mio.
la mia dolcezza, il mio profumo, r
Quest'uomo di cui anche ora, in ju | ii<', i auton ( i
dice che u amava Lucia e la voleva, ut t • i.i .m i.niciullo 8<*ii/..i.
.•ottigliezie metafisiche e senza morbidezze sensuali n quest'uomo
732 FANTASIA.
che sale gli scalini a quattro a quattro scuotendo i ricci della
criniera leonina, chiude gli occhi estatico, quando Lucia gli porge
sulla punta del coltello uno spicchio di pera in cui prima essa
ha dato un morso coi suoi dentini... e si leva di notte per af-
facciarsi al balcone e mormorare una parola d' amore a Lucia
che dal balcone vicino gli getta la sua sciarpa; e tornato a
letto, li accanto alla pura sua moglie che dorme inconsapevole,
passa smaniando la notte, e si avvolge al collo e alle mani le
trine di quella sciarpa, e se la tiene sugli occhi, e la morde...
Simili cose ci appaiono verosimili se logicamente preparate,
e possono interessarci quando le fa un giovane come Roger
nella Fanny di Feydeau; ma in un carattere come quello che
l'autore ci aveva descritto di Andrea, o disgustano o annoiano.
Lucia, che ci è presentata nella prima parte del romanzo
come una natura fantastica, stravagante, di una morbosa sensi-
bilità, e che è così vera e vivente — nella parte intermedia del
libro passa all' esagerazione di tipo convenzionale e di carica-
tura ; e parla un linguaggio che non fu mai, ne potrà mai esser
parlato da nessuna donna su questa terra, sia pure quanto si
voglia fantastica ed esaltata.
Dopo che nel giardino inglese, presso il laghetto di Venere,
ha scambiato parole appassionate con Andrea — dopo avergli
detto in tono di funebre presentimento è la fatalità ; nell'atto
di separarsi esclama: u 0 cielo lontano, o nuvole che passate,
0 alberi che stormite, voi siete testimoni che la verità io gliela
ho detta. 0 salice doloroso, o acque immobili, o fiori delle acque,
voi avete udite le mie parole. O Venere madre, o Venere dea^
io gli ho detto l'avvenire. O Natura che non mentisci, vedi che
io non ho mentito : è lui che ha voluto, ri
E egli possibile che un uomo di buon senso come Andrea,
per innamorato e inebriato che fosse, ascoltasse senza ridere
questa quadruplice apostrofe? E egli possibile che restasse serio
sentendosi dire : u 0 Andrea, il fuoco è migliore della neve, il
tormento è più squisito della gioia, il morbo è pili poetico della
salute? n
Anche nei momenti più scabrosi del colpevole amore, Lucia
continua le sue pratiche religiose. E un lato 'caratteristico, stu-
diato e reso bene in tutto il corso del romanzo, della morbida
fantasia d'una italiana meridionale. Ma nessuna donna, sia pure
fantastica e mistica quanto volete, può aver mai domandato alla
Vergine, come fa Lucia: u ditemelo voi. Madonna santa, debba
Fantasia. 733
io darmi ad Andrea? n — Xè, dopo un colloquio nel quale è
decisa la fuga dei due amanti, e il vile abbandono di un mo-
ribondo e di una innocente, nessuna femmina, se non impazzata
addirittura, avrebbe detto come dice Lucia trovando chiusa la
porta di una chiesa dove voleva entrare : u Dunque anche Dio
lo vuole. O Signore, ricordatevene nel giorno dell' eterno giu-
dizio ! n
E se l'esaltazione della fantasia, un po' naturale un po' col-
tivata artificialmente, può bastare a spiegarci le raffinate sedu-
zioni, il linguaggio figurato e fiorito, le civetterie lascive e cru-
deli di Lucia, e il doppio adulterio e la fuga; — quando però
essa, nell'atto di abbandonare la casa, si presenta tutta abbru-
nata al marito, coperta da un mantello di pelliccia sotto cui na-
scondeva le mani ; e interrogata risponde che lì sotto ha il libro
delle preghiere, il velo « il rosario per andare a far la comu-
nione; e sappiamo che ci aveva invece lo scrignetto di bril-
lanti appartenuti alla sua suocera... allora questa donna diviene
troppo odiosa: il disprezzo uccide ogni interesse : e la /an/a«ta
non basta né a spiegare, né ad attenuare simili infamie. Questa
è una donna perfida più che fantastica: e la sua strana fisono-
mia ritratta con tanta abilità e carezzata con tanta compiacenza
d'artista in tutto il volume, prende un'aria sinistra, da vera
corte d'assise.
Ma se Lucia è un tipo, una incarnazione simbolica, un ar-
senale di fantasie e di perfidie d'ogni colore, meglio che una
vivente creatura umana; se Andrea è un carattere inverosimile
e illogico nella miracolosa, improvvisa fusione di due nature
contradittorie — le due figure di Caterina e d'Alberto son am-
mirabili per vita e per verità. Alberto Sanna è una creazione.
H uno dei più viventi caratteri del romanzo contemporaneo.
IL
Nella lunga narrazione • nei molteplici e troppo consimili
«pisodi di questo amore, tutto fantasia da una parte e tutto
sensualità dall'altra, l'autore ha voluto serbarsi obiettivo, calmo
e impassìbile, e non interviene mai fra i suoi personaggi o il
lettore. £ di ciò molti gli daranno gran lodo. Io noto però ohe
alcune pitture son talora troppo caldo, troppo arrischiate, e che
734 FANTASIA.
l'autore sembra insistervi con troppo evidepte compiacenza
d'artista. Le descrizioni di raffinate coquetteries, di mode capric-
ciose, son troppe. La signorina Serao mi rammenta Balzac
quando si diverte a vestire e spogliare cento volte la sua per-
fida e bella MarnefFe. Ma anche Balzac, è tutto dire, finisce
col suo guardaroba di cocotte per annoiare il lettore.
William Thackeray che ha più volte descritto caratteri dr
donne capricciose, fantastiche, egoiste, del genere di quelli di
Lucia — Bianche Amory, per citarne una, — ha qualche volta
un cenno, una reticenza, una parola umana di ironia e di con-
danna che esclude ogni dubbio di complicità e di approvazione-
e appaga e fa bone all'animo del lettore. Questo cenno, questa
parola, non mi dispiacerebbe di trovarli in qualche pagina di
Fantasia. Sì : vorrei trovarvi espressa, o sottintesa, ma risultante
dai fatti, l'idea della coscienza e della'responsabilità umana:
vorrei escluso affatto il sospetto che le azioni umane, virtù o
delitto, siano dei prodotti come il vetriolo e lo zucchero ; e che
la libertà umana sia una favola... ma forse tutte queste belle
cose che io vorrei, l'autore le ha a bello studio evitate.
Il metodo che la signorina Serao predilige di descrivere
tutti i particolari di una scena, se ha dei vantaggi, ha anche
spesso dei gravi inconvenienti. La sua penna si arresta troppo
spesso a copiare minuzie e curiosità insignificanti che stancano,
impazientiscono, e nocciono all'effetto totale: talvolta accade
che la figura su cui in certi momenti dovrebbe essere concen-
trata tutta la nostra attenzione è offuscata dalla troppa luce e
dal soverchio rilievo dato agli oggetti secondari.
La insistenza descrittiva, il tener conto e registrare tutti *
moventi esteriori, mal si scusano da taluni con la teoria del
metodo sperimentale applicato al romanzo.
Romanzo speìnmentale son due parole che non hanno senso^
sono un'assoluta contradizione. Perchè una vera esperienza fosse
possibile, bisognerebbe che il romanziere potesse disporre a suo-
talento di tutti i personaggi, mettere degli esseri umani nelle
condizioni, nelle disposizioni, nei luoghi che a lui paresse,
quando, quanto e come a lui piacesse; come fa lo scienziato-
nel suo laboratorio sulla materia di oggetti passivi. E neppur
questo basterebbe. Perchè quand'anche riuscisse, cosa impossi-
bile, a far tutto ciò, non riuscirebbe mai a tenersi strettamente
entro i confini della osservazione scientifica, né gli basterebbe
I
FANTASIA. 735
aver foggiato a suo modo i suoi personaggi — perchè il modo
col quale procederanno sarà sempre un modo subiettivo \ sarà
sempre 1' autore che prepara il campo della sua esperienza, e
sostituisce inevitabilmente il preconcetto della sua mente al-
l'obiettivo esperimento dei fenomeni che si manifestano. Il ro-
manzo ha per base non l'esperienza ma l'osservazione dell'uomo
nelle molteplici varietà della vita sociale.
Cosi nel caso nostro quello a cui bisognava aver dato mag-
giore importanza era il momento psicologico della trasformazione
di Andrea. Descriverci invece, con arte singolare e molte volte
veramente ammirabile, tutte quelle scene d'amore diurne e not-
turne, non aggiunge interesse al dramma. H continuo annoia
nella vita e nei libri. Ciò spieghi la irreparabile caduta della
Education sentimentale del Flaubert, nonostante tante stupende
pagine.
Né vi è in natura un carattere cosi nettamente delineato,
cosi preciso e assoluto, che parli e agisca sempre con continua
coerenza e monotona somiglianza. Uno dei grandi pregi, forse
il più grande, che mette i romanzi di George Eliot incompa-
rabilmente al disopra di tutti i romanzi naturalisti contempo-
ranei, è la mistura, 1' armonica fusione nei caratteri dei suoi
personaggi — Silas Mamer, TulUver, Deronda, Adam Bede,
Maggie, e sopra tutti Grandcoar. Anche fra i più famosi per-
sonaggi di Dickens p di Balzac ve ne sono alcuni troppo uni-
formi, troppo eguali a sé stessi, tutti d'un pezzo, che passano
allo stato di tipo e di timholo. W lettore può indovinar presso
a poco che cosa diranno o faranno tutto le volte che entrano in
scena. — Lucia Altimare è mi po' parente di questa famiglia.
III.
u ... Vi concedo che la trasformazione di Andrea HJa troppo
subitanea, ma il romanzo ò trattato da main de maUre et main
de /emme. Solo nna donna di genio, rimasta donna, poteva de-
scrivere certi intimi sentimenti con si acuta finesxa, con una
delicatezza così squisita. I ritratti respirano ; i paesaggi vivono
in questo romanzo. La fine, veramente tragica, è cosa indimen-
ticabile. Vorrei far conoscere la Serao a Parigi: non v' è oggi
scrittrice in Francia che la valga. Fantaiia ò paragonabile ai
736 FANTASIA.
migliori romanzi francesi, e mi pare il meglio composto e il
più completo romanzo italiano di questi ultimi anni... n
Cosi mi scriveva uno dei più competenti e credibili giudici
ch'io conosca di letteratura contemporanea — e benché dalle
sue parole traspiri un po' di fanatismo, pure, fatte le debite
riserve (e io ne ho fatto anche troppe) sottoscriverei a quel
giudizio.
L'architettura del romanzo, la unità e semplicità del dramma,
sono ammirabili. Il colorito e la vita dello stile, la originale
poesia che anima moltissime pagine, la grazia e la freschezza
idillica, la verità e la efficacia di tante descrizioni campestri e
domestiche, il patetico ed il grottesco fusi con si felice ardire
e con si magistrale abilità nell' ultima parte, compensano ì di-
fetti e bastano a confermar quel giudizio.
Se dovessi indicare le pagine dove Matilde Serao meglio ci
rivela i suoi singolari pregi d'artista, rammenterei quelle sulla
vita di collegio, il torneo di scherma, il salotto di Lucia, il pa-
lazzo di Caserta, i Bagnòli... Vi sono pagine dov' essa breve-
mente, incisivamente, descrive, scolpisce una situazione — e
illumina con poche parole, talora con un epiteto solo, certi la-
birinti, certi abissi del cuore umano. Valga un esempio. Lucia
vorrebbe illuder sé e gli altri e si ligura decisa a partire, a
guarire. Va a dire addio a Andrea e a Caterina che non sa
nulla e soflfre per questa separazione. Lucia fa la solita comme-
dia, dice le solite frasi vaporose ed imbellettate, e scappa via
singhiozzando.
u Marito e moglie rimasero soli, 1' uno in faccia all' altra.
D'improvviso la casa parve deserta e le stanze parvero fossero
diventate immense. Un freddo vi piombava. Caterina si chinò
a raccogliere qualche cosa di bianco : era il fazzoletto di Lucia;
e su quel fazzoletto Caterina si mise a piangere, chetamente,
con certi lamentìi di bambino a cui hanno tolta la madre. An-
drea si sedette accanto a lei, sul divano, le appoggiò la testa
sulla spalla, come nel tempo antico, e pianse anche lui. Due
sole lacrime: bollenti, brucianti, sacrileghe, n
Questo sacrileghe dice più di due pagine di analisi — è un
epiteto rivelatore.
La parte più notevole, più ammirabile di Fantasia ai, me
pare sia l'ultima. Quelle ottanta pagine son le più belle, le più
vere, certo le più potenti, che Matilde Serao abbia scritto fi-
FANTASIA. 737
nora. I difetti che spesso scemano efficacia al suo stile, la mi-
nuzia nella descrizione, la ricercatezza della frase, certe lun-
gaggini, qui sono spariti. Qui tutto è preciso, semplice, vero, e
ogni parola ha il suo esatto valore e colpisce giusto nell'animo
del lettore. I più minuti particolari acquistano tutti vera im-
portanza dalla intensità tragica dei sentimenti. Una mesta e
funebre gravità, un'aura solenne di coro greco, accompagna la
povera Caterina in tutti i preparativi della volontaria sua morte.
Lucia stessa con un biglietto le ha svelato tutta 1' orribile
verità, u O Caterina, pietà di me, o Caterina, abbi compas-
sione. — Sono un' infelice. Parto con Andrea. Sono una crea-
tura sventurata, non mi vedrai più. Soffro, spasimo, parto,
muoio. Abbi pietà ! — Lucia, n
La grande, suprema difficoltà, data questa situazione, era
di conservar la verosimiglianza nelT analisi dei sentimenti e
nella descrizione dogli atti di Caterina: di mantenere questa
mite creatura tutta fede, ordine e quiete, eguale a sé stessa nel
tumulto della tempesta, evitando il declaro» torio, il teatrale.
L'autore ha superato trionfalmente questa difficoltà. Con un
maraviglioso intuito di poeta e di donna, essa ha visto real-
mente ciò che ha descritto — Io ha visto netto e distinto come
alla luce d'un lampo; e però lo incide incancellabilmente nel
cervello e nel cuore dei lettori.
Letta la lettera, tre e quattro volte, Caterina prova per
prima cosa un senso di stupefazione : va per alzarsi — ma il
pavimento le ruota sotto i piedi : cresce il capogiro, le fischian
gli orecchi, una luce sfolgorante l'abbaglia. Le par di morire...
Aveva ricevuto poc'anzi un bigliettino del povero Alberto
che in modo misterioso ma assoluto la supplicava di andar su-
bito da lui. La carrozza è pronta, ed essa vi andrà. Ripone in
tasca la lettera, va in camera, al baio, prendo cappello e scialle,
ma non §e li mette.,, gli porta in mano anche in anticamera...
— Tornato presto, signora? — le domanda la cameriera.
Essa la guarda trasognata e risponde:
— Si, credo...
Come tutte le animo rerginali, cesa h stata sempre sobria di
parole: ha sempre avuta l'alta virtù del silenzio — e ora, dalla
lettura del biglietto di Lucia al momento in cui si distonde sul
letto per morire, il suo linguaggio si fa anche più conciso; quasi
monosillabico, lia og^i sua parola ha un profondo significato,
738 FANTASIA.
e sottintende un mondo di cose che il lettore indovina. Senza
che il silenzio esterno sia rotto, quante cose l'infelice dice a se
stessa ! Si sente, si vede il tumulto di quell' anima finora cosi
tranquilla; tutto s'agita e parla tempestosamente dentro di lei,
mentre le sue pure labbra restano immobili.
Durante il tragitto da casa sua alla casa d'Alberto, essa ri-
legge il foglio fatale.
u Aveva posato lo scialle e il cappello dirimpetto a se, e
seduta in punta al cuscino, senza appoggiarsi, teneva ancora la
mano sulla lettera in saccoccia. Dai cristalli abbassati delle por-
tiere entrava 1' aria rigida Non potè resistere, e al chiarore
fugace dei lampioni a gas rilesse per la sesta volta le parole di
Lucia. Pel moto della carrozza, per le ombre subitanee che suc-
cedevano alle luci, le parole scritte balzavano avanti, indietro,
sotto, sopra; e Caterina se le sentiva balzare dentro la testa,
urtando la fronte, urtando la nuca, battendo alla tempia destra,
battendo alla tempia sinistra... n
Vien fatta passare nella camera del povero tisico. Dapprima
è un silenzio profondo, u Un acuto odore di medicine saliva
nell'aria, n Caterina si avanza verso il letto — u Alberto vi
giaceva lungo disteso supino, appoggiando la testa e le spalle
a una pila digradante di cuscini. Era vestito, ma aveva la ca-
micia lacerata sul petto e le gambe avvolte in uno scialle da
donna. Accanto a lui, sul tavolino da notte, boccette, ostie, sca-
toline rosse di pillole, pacchetti di cartine di medicamenti sven-
trate. Spuntando di sotto il guanciale, un fazzoletto, il fazzoletto
bianco dove lui sputava Aveva la bocca semiaperta da cui
esciva un respiro corto e lieve.
Quando vide Caterina gli si gonfiarono gli occhi di la-
crime che discesero lente per le guance sparute e caddero sul
collo, n
— Volete un pezzettino di neve? — gli domanda la came-
riera.
Prende il pezzetto di neve, congeda la donna, — e i due
traditi rimangon soli, faccia a faccia.
— Venite più vicina... io non posso alzar la voce... potrebbe
prodursi una nuova emottisi.
Ella prende una sedia e gli siede di contro, con le mani
incrociate in grembo.
— Avete saputo, eh?
FANTASIA. 73^
A lei batterono le palpebre due o tre volte, ma non trovò
nulla da dirgli.
E qui, nel suo egoistico dolore di malato, egli versa un di-
luvio di loquaci lamenti, e strazia il cuore della infelice con le
più spietate rivelazioni.
Lucia ha portato via i brillanti della madre di lui, ma ha
dimenticato il suo giornale e lì Alberto ha letto tutta la
cronaca ignominiosa del tradimento, e tutta la propria ver-
gogna.
— Vi dirò tutto : ve lo racconterò pian piano. 11 medico mi
ha raccomandato di non sprecare il fiato. Quando mi vedete
troppo eccitato fermatemi.
Uno smarrimento si dipinse sul volto della donna che lo
ascoltava: ma egli non ci pensava.
Ed egli le naira tutto, provando una specie di voluttii in
questa vergognosa confessione.
Ma un nodo di tosse gli impedisce di continuare, u Ansava,
con due macchie di un rosso-mattone sui pomelli. t>
Essa tace. Il muto dolore della dolce creatura è come una
musica senza parole di Beethoven : e 1' agonia di Alberto, nel
quale l' istinto di conservazione e la paura della morte son più
forti dell'amore, del dolore e della gelosia, di questo povero ti-
sico avviluppato in quello scialle da donna, fra lo boccette e le
pìllole, è un misto di paUtico e di grottetco di una straordina-
ria efficacia.
— Che pensate di fare, voi, signora Caterina?
Essa si riscosse, maravigliata.
— Vi chiedevo che cosa farete, voi.
— Niente — pronunziò essa gravemente.
La parola desolata si allargò nella stanca e la fece parcrr'
immensa.
— Credete che torneranno?
— No — disse Caterina rizsandosi in piedi — essi non tor-
neranno mai più.
Quel niente, questo no, detti in tal momento, da tal dnTuii
a tal uomo, sono dì un'alta belloxza morale.
740 FANTASIA.
IV.
Tornata a casa, nella deserta sua camera, Caterina sente
u un insistente bisogno di ombra in cui cbinar la faccia e pen-
sare, n Smorza il lume senza spogliarsi. Malgrado l'oscurità, vede
il biancore del letto che le fa spavento...
Seduta, l'una mano su l'altra, essa riepiloga tutto il passato
in una rassegna e in un giudizio inesorabilmente precisi. Come
tutti i moribondi, essa vede la realtà delle cose con una nuova
e terribile chiaroveggenza.
La lunga meditazione di questa veglia angosciosa ci dà la
chiave dell'intero romanzo.
Caterina ha già lo sguardo al di là della tomba, e perciò
giudica tutto e tutti con una imparzialità e superiorità infalli-
bili. Ripensa la sua infanzia, la vita di collegio, l'incontro con
Lucia, il matrimonio, gli ultimi avvenimenti. — Tutto quello
che essa aveva amato e ammirato nell'amica e nel marito, tutto
quello che essa aveva non inteso o scusato, ora le ricomparisce
in una limpidissima luce di spaventosa realtà. Capisce ora tutti
gli artifici, le ipocrisie, lo spietato egoismo di Lucia. Ripensa
al suo amore per Andrea, amore così puro e cosi tranquillo, ai
primi giorni felici del matrimonio, alle sue lettere di casta sposa,
senza declamazioni, senza frasi, che cominciavano sempre caro
Andrea e finivano semplicemente la tua affezionatissima moglie.
Rifa la storia del tradimento iniquo, dal fazzoletto gettato da
Lucia ad Andrea sul palco del Sannazzaro al biglietto annunziante
la fuga. Rivede e giudica le quotidiane simulazioni, le doppiezze,
le perfidie di lei e di lui. La precisione analitica, geometrica,
di queste pagine è una delle cose più notevoli di tutto il romanzo.
Dopo questa meditazione, dopo questo esame, si sente che
Caterina, senza un aiuto sovrumano, non potrà sopravvivere. Essa
deve sentirsi come insudiciata, ammorbata dal contatto dì quei due
esseri, che pur furono le due persone da lei più amate e stimate!
Essa deve avere orrore di una terra dove si commettono tali infa-
mie, dove tali onte sono possibili, dove l'amore puro e innocente
è destinato a esser deriso o tradito, dove le donne come Cate-
rina annoiano, e dove trionfano le donne come Lucia.
Decide di morire. La morte sarà la sua protesta e la sua
vendetta. E il lettore capisce che accanto al cadavere di Ca-
terina sorgerà Nemesi vendicatrice...
FANTASIA. 741
u Quando spuntò l'alba, e alla luce scialba del mattino essa
vide il letto bianco, teso e freddo, mandò un grido straziante
che non parve umano. Si buttò a braccia aperte dove Andrea
dormiva sempre e pianse sti quella tomba, n
Sistemate tutte le faccende domestiche con l'abituale suo
ordine e puntualità (e forse in tal momento le sistemazioni sono
un po' troppe) essa u staccò dal muro di cucina dov'era sospeso
fra le casseruole lucide il braciere di rame dai piedi di ottone
foggiati a zampe di gatto. Pesava: per poco ella non si arro-
vesciò indietro. Lo posò a terra... r» — e qui son descrìtti con
fotografica precisione tutti gli atti, tutti i movimenti dell'infe-
lice nel trasportare in camera e riempir di carbone il braciere —
la terribile diligenza con la quale essa dispone i tizzi per faci-
litare l'accensione — le cautele con cui tura ogni spiraglio della
stanza per intercettar l'aria. In questo solenne momento ogni
minuto particolare acquista importanza e c'interessa vivamente.
Fatti tutti i preparativi, essa prega. Dice le sue divozioni
alla Madonna come ha fatto tutte le sere fin da bambina — una
preghiera lunga, tranquilla, senza sussulti o trasalimcnti... e poi
— acceso il braciere, e sentita la prima percettìbile pesantezza
alla testa — spenge il lume e si corica sul letto, tirandosi la
tendina, stendendosi dove sempre dormiva, ma questa volta per
non destarsi* più.
La narrazione dei preparativi e della esccnziono del suici-
dio di Caterina mi rammenta nella sua nuda e potente efficacia
certe pagine dei primi volumi dei Mùérablea e gli tiltimi capi-
toli di Oliver Twist e di Hard Timet.
La descrizione del cadavere è semplice e pietosa, u Dietro le
tendine bianche era distesa la piccola morta. Vestita di nero, i
piedi distesi e uniti, pareva diventata più piccola, una bambina... i
Peccato, che la descrizione finisca e il libro si chiuda con
queste parole : u Intorno alle mani terreo, dallo dita violacee,
azzurreggiava un rosario di lapislazzuli per metà spezzato, n
— Il lettore rammenta il rosario spezzato in duo e diviso in pe-
gno di etema amicizia fra Lucia o Caterina in collegio. Ora, che
la infelice si addormenti nel sonno eterno con quel rosario fra
le mani, non mi pare nò naturalo nò bello. Non naturalo, per-
chè dopo gli ultimi avvenimenti, Caterina dovea aver orrore di
ogni ogge.,to che lo ricordasse l'amanto di suo marito; non bello,
perchè quel mezzo rosario ha l'aria di essere appiccicato li per
un «ffetto finale.
742 FANTASIA..
Se l'autore avesse voluto dire con questo rosarino messo fra
le dita della morta, che Caterina aveva mantenuto il giuramento
scambiato con Lucia all'altare della Madonna di u esser pronte
ciascun^ a sacrificare la propria felicità per quella dell'amica,
e a morire l'una per l'altra n sarebbe più inverosimile. Né Ca-
terina può aver pensato a commuovere o colpire il cuor di Lucia
con quest'ultimo segno : essa la conosceva ormai e la disprez-
zava troppo, per poterle consacrare l'ultimo pensiero e l'ultimo
atto della propria vita.
E stato anche detto e scritto che una donna come Caterina
ò incapace di uccidersi a quel modo — che il suicidio ripugna
troppo ai caratteri calmi e miti come quello di lei.
Io non convengo in questo giudizio : e credo anzi che fa-
cendo la statistica dei suicìdi di giovani donne, si vedrà che il
maggior numero è di quelle che si distinguevano p3r mite dolcezza
d'animo e per abituale silenzio. Le romanzesche, le fantastiche,
dicono di ammazzarsi — le donne come Caterina si uccidono.
Io mi ricordo di una giovinetta fiorentina di diciassette anni,
una biondina che pareva una Madonna dell'Angelico, mite, mo-
desta, timida, silenziosa, la quale, abbandonata iniquamente dal-
l'amante, ebbe il coraggio di levarsi di notte, uscire di casa,
traversare la città e andare a gittarsi in Arno dal ponte alle
Grazie — in una notte di novembre, burrascosa, in cui il fiume
gonfio muggiva e ruggiva contro le pile del ponte, in vortici
spaventosi.
Concludendo, i^awtosia a me pare un progresso vero dopo
Cuore infermo, per l'armonia della composizione, la unità e sem-
plicità della favola, la fisonomia ed il rilievo di due caratteri
viventi e veramente umani.
La lingua, se non è sempre lodevole, è incomparabilmente
migliore che in Cuore infermo: lo stile è più sobrio, e in ge-
nerale è più franco e più italiano che nel primo romanzo.
Augusto Franchetti scriveva nella Nuova Antologia, a pro-
posito di un altro romanzo, che u la lingua italiana e la vita
italiana sono i due massimi scogli cosi del teatro come del ro-
manzo cont'^mporaneo. Sia lecito credere che col provare e ripro-
vare, assai meglio che col discutere, si perverrà a superarli, v
Se in Fantasia la lingua italiana lascia qualche volta a de-
siderare per la purezza, è però sempre viva ed efficace: e la
vita italiana meridionale, la vita napoletana, vi è dipinta con
studio accurato e con abilità straordinaria d'artista.
FANTASIA.
743
Insomma, benché Fantasia, considerato nel suo insieme, non
possa dirsi addirittura un capolavoro, e nonostante i difetti dei
quali ho diffusamente parlato in questo mio studio, a me pare
che sia il più originale e il meglio architettato fra i romanzi
italiani pubblicati in questi ultimi anni.
Enrico Nencioni.
KASSEGNA POLITICA
Dimostrazione di simpatia all' Italia — Discussioni a proposito del disastro
dell'isola d'Ischia — L'insurrezione spagnuola -^ Crisi ministeriale in
Francia — L' Inghilterra e il Madagascar — Il richiamo dell'ammiraglio
Pierre — Il Conte di Chambord — La lettera del signor Grevy al
Papa — La questione danubiana.
Per quanto la mente nostra cerchi di rivolgersi ad altri argomenti,
ancora udiamo i gemiti dei feriti e de' morenti nella catastrofe del-
l' Isola d' Ischia, e ci turba la vista de' superstiti che lottano con la
miseria. Ci conforta però lo slancio della carità che irresistibile si ma-
nifesta ed opera prodigi non solamente in Italia, ma si può dire, in
tutto il mondo civile, dobbiamo rallegrarci delle prove di simpatia rac-
colte in questa dolorosa occasione dal nostro paese. Significano esse che
davanti ad una grande sventura cessano gli antagonismi, e i rancori che
dividono i popoli ne'giorni felici. Significano che la pietà non è virtù
tanto ignota al nostro secolo come taluno afierma. Significano finalmente
che r Italia riceve anche da un caso sciagurato una solenne conferma
della propria nazionalità. È notevole all'estero questa nobile gara per
aiutarci e soccorrerci. Ma chi ben consideri vede sotto questa gara
medesima il desiderio vivo ed intenso di stringere con noi più saldi
vincoli d'amicizia. Tolga il cielo che noi diamo un aspetto di torna-
conto politico a queste premure per alleviare i danni di un disastro. I
popoli, al pari degli uomini, cedono più spesso che non si crede agli
impeti della generosità. Ma soddisfatto questo bisogno del cuore, i po-
poli al pari degli uomini, si preoccupano necessariamente degli effetti
della buona azione compiuta, e collocano questa nella bilancia delle
RASSEGNA POUTICA. 745
relazioni internazionali. Commovente è l'anione di tatti i partiti in
Francia per raccogliere sottoscrizioni, ordinare feste, valersi di tutti i
mezzi e gli artifici che la carità suggerisce. E non meno importanti
sono le manifestazioni della Germania e dell' Austria-Ungheria dove le
Case imperiali e i governi hanno dato esempio di magnanima filantro-
pia, contribuendo per somme egregie e ponendosi a capo de' comitati e
procurando in ogni modo che questi si moltiplichino.
Nella larga partecipazione ufficiale della Germania e dell' Austria-
Ungheria nei soccordi ai danneggiati dell' Isola d' Ischia, è impossibile
non vedere una novella prova delle strette relazioni politiche che esi-
stono fra quelle Potenze e l'Italia, delle quali relazioni abbiamo discorso
tante volte e cosi ampiamente, che oggi ci parrebbe superfluo tornarci
sopra. Solo ci piace di notare, perchè fu avvertito anche da altri,
che le dimostrazioni di que' Sovrani e di que* governi in favor nostro
coincidono col convegno degli Imperatori Guglielmo e Francesco Giu-
seppe a Ischi. — E, quanto meno, possiamo desumere indirettamente
da esse, che a Ischi non solamente si ò rafTorxata 1' alleanza austro-
germanica, ma fu preso nuovamente atto dell'adesione dell* Italia.
Ma non altrettanto confortante (perchò tacerlo?) ò ciò che avviene
nel nostro paese, dove la immensità della sciagura da cui fummo col-
piti avrebbe dovute ravvÌTare la concordia degli animi e non gìÀ ina-
sprire la passioni e porgere pretesto a polemiche nelle quali, por quanto
si cerchi di allontanarla, vi ò pur sempre pericolo che si mescoli la
partigianeria politica. Molto si discute intomo ai provvedimenti che
furono presi, sovratatto ne* primi giorni, per riparare al disastro. Fu-
rono inviati abbastanza tcllecitamente e in numero suffl^Monte i soc-
corsi ? E se si ebbero a lamentare i dannosi ritardi, se nei primi mo-
menti furono grandi rinoertessa e la confusione di chi è la colpa? del*
le autorità militari o delle autorità politiche f E il noto ordine delPono*
revule Ministro de* lavori pubblici di sparger la caloe su CasamiocioU
fu bene q male interpretato? Su questi ed altri cosi fatti argomenti ti
disrute acremente, mentre nell* Isola d* Ischia continuano ancora le
scosse, e 1* Bpomeo si squarcia e gli abitanti sbigottiti dormono al-
Farla aperta aspettando ad ogni istante un cataclisma. Non entreremo
anche noi in questa controversia, intorno alla quale, a cose quiete, si potrà
fare Itf luce. La gravità della oatastroib fu tale da superare ogni umana
previsione, e a noti* venire In niente ohe ricevutene le primo
notizie le autorità •! -, abbiano dato prova di negligenza. In tale
caso la negligtrnta dovrebbe dirsi cinismo. La questione a nostro avTiso
▼m.. XL. twto II — tS A«orto issa 4S
746 RASSEGNA POLITICA.
sta unicamente nel sapere se i mezzi che avevano a loro disposizione
fossero adeguati all'uopo. E pare che su questo si sia tutti d'accordo
nel riconoscere che erano insufficienti; ma di questa insufficienza di ri-
medi pronti, numerosi, energici v' è qualcuno che debba rispondere al
tribunale dell'opinione pubblica. A questa domanda si potrà rispondere
a tempo opportuno. E lo stesso potrebbe dirsi dell' incertezza e della
confusione che regnarono da principio e che erano quasi inevitabili
prima che le autorità giunte sul luogo del disastro, avessero proso i
necessari accordi per istabilire quell'unità di direzione che sola poteva
dare un indirizzo efficace ed utile ai lavori di salvataggio. Comunque
sia ed ammesso che tutto non abbia proceduto nel modo migliore, si
oltrepassa certamente il segno, quando dai deplorati inconvenienti, si
vogliono ad ogni costo ritrarre prove contro il presente ordinamento
dell'esercito, e tristi previsioni per la sua facoltà di mobilizzazione e
di concentramento in caso di guerra. Le autorità militari si difendono
vigorosamente su questo terreno, ed hanno ragione di protestare con-
tro sospetti che spargerebbero la sfiducia nel paese e nell' esercito
stesso. Però se a noi fosse lecito di esprimere un voto e di dare un
consiglio diremo che forse i sospetti sono nati dagli scorsi esperimenti
di mobilitazione che si fanno in Italia, dove si ha, per avventura, il
torto di non mettere più spesso alla prova gli ordinamenti militari per
vedere se tutti i congegni de' medesimi rispondano al proprio ufficio.
Non sappiamo se le accuse da noi udite in questi giorni, avranno
eco in Parlamento. Ma non è probabile che, a novembre, gli uomini
politici se ne giovino contro il Ministero, il quale facilmente respingerà
gli assalti. La polemica che si è impegnata nella stampa non avrà, a
parer nostro, conseguenze parlamentari, ma lascia dietro di sé un ma-
lessere, un malcontento, una irritazione che stranamente contrastano
con i prodigi operati dall'abnegazione e dalla carità, e de' quali si eb-
bero saggi luminosi in tutti gli ordini della società incominciando dal
Capo dello Stato, che fedele alle tradizioni della sua dinastia volle
essere partecipe de' dolori e de' pericoli del suo popolo, e scendendo
fino ai più umili gregari della forza pubblica.
Mentre da ogni parte d'Italia sorgeva un grido di angoscia e di
compianto sulle rovine dell' Isola d' Ischia, i socialisti e i democratici
si riunivano a Ravenna, a Bologna e nel Veneto. Ma la riunione dei
socialisti convocata a Ravenna fu immediatamente sciolta dall'autorità,
e quantunque abbia tentato di raccogliersi nuovamente l' indomani,
pure non riusci allo scopo desiderato dai promotori di essa. Questo
RASSEGNA POLITICA. 747
congresso doveva condurre alla eonciliazione fra le varie sette de' so-
cialisti, fra quelli che predicano 1' evoluzione e quelli che il trionfo del
loro partito invocano solamente dalla rivoluzione. Costoro, si disse, dis-
sentono (;uanto ai mezzi, non circa il fine, il quale è unico e comune :
rovesciare non solo il governo esistente, ma distruggere le fondamenta
del presente ordinamento sociale. Era evidente che il governo aveva
il diritto di sciogliere un'assemblea che si riuniva con un programma
Siffatto. E poco importava che i socialisti per respingere l' intervento
della polizia, asserissero di tenere una riunione privata, poiché il loro
programma era pubblico, e gì' inviti si distribuivano pure pubblica-
mento a chiunque li volesse. È lecito dubitare, però, che la concilia-
zione fra gli evoluzionisti e i rivoluzionari si potesse facilmente con-
seguire. Le divisioni che travagliano non solamente i socialisti ma
r intero partito che comprende tatti i nemici delle istituzioni, si sono
fatte pia palesi nel congresso democratico di Bologna, il quale, come
indicava il sao titolo, era stato convocato per raccogliere in un fascio
tutte le forze della democrazia senza distinzioni di grappi o di chiese.
Ma, in primo luogo, costoro incominciano dal restringere il significato
della parola democrazia, eoUegando necessariamente qaesta con la
forma repubblicana del governo, ed esdadendo, por conseguenza tatti
coloro, e sono molti in It^Uia, che reputano conciliabili le conquiste
della democrazia eoo la forma monarchica rappresentativa. E poi vi
sono I mazziniani pari che serbano incontaminati gli antichi ideali, •
pure inneggiando alla concordia non si mescoleranno mai francamente
ai torbidi elementi che della S'Jci'^tA politica e civile hanno un concotto
molto diverso da quello che il Mazzini proclamava. Nò maggiori sono
le affinità tra parecchi altri gruppi, di alcuni de' quali basterebbe dire
che discutono senza speranza d* intendersi, sovra un punto essenziale,
se cioè sia da preferire la propaganda lenta oppure l'azione immediata.
La maggior parte delle rappresentanze intervenute al congresso gene-
rale di Bologna erano romagnole, e quantunque non siamo in grado
di precisare il numero di questi variopinti democratici che confondono
le loro divisioni e i loro rancori nell' odio comune della Monarchia di
Casa Savoja, tuttavia crediamo di non andar lungi dal vero affcr-
man^Io che per due terzi appartengono alle Romagne. Quivi è il loro
«jimrtier generale, quella 6 la regione d' Italia dove il governo ha l'ob*
bligo di dare, con sari provvedimenti, un più utile indirizzo alla vigo>
rosa attività de' cittadini.
Del retto gli offett; ' •' ^ ngresio bolognese non n
748 RASSEGNA POLITICA.
da ravvivare le inquietudini. Esso non riesci ad altro che alla nomina
di un triumvirato del qual« furono chiamati a far parte il Cavallotti,
il Bovio, il Costa. I (lue primi non hanno mai dato prova di sapere
ordinare e {guidare un partito, nonché una turha così irrequieta come
quella dèi deniocrafici italiani — Sono essi i retori, ed i poeti della
democrazia, e certamente le loro idee, nel campo d"lla pratica non si
accordano interamente con quelle dell' on. Costa. Quest' ultimo è più
abile ordinatore, ma da che ha consentito ad entrare in Parlamento e
ad esercitare il proprio man 'ato senza promuovere scandali e tumulti^
ha [lerduto una parte dell'autorità che prima esercitava sopra i suoi
correligionari, presso i quali l'aureola dell'ammonito aveva maggior
prestifjio che non la medaglia del deputato.
Una delle cause che si oppongono ai progressi del partito repub-
blicano in Italia, va cercata nella cattiva prova fatta dalla forma re-
pubblicana presso gli altri popoli di razza latina. Non parliamo della
repubblica dell' America spagnola, dove la guerra civile è lo stato
quasi permanente, ma le condizioni della repubblica francese non sono
invidiabili, e i veri liberali non possono a meno di biasimare aspra-
mente i mezzi adoperati dai repubblicani in Ispagna. Non abbiamo
mai creduto che la penisola iberica fosse terreno propizio alle istitu-
zioni schiettamente liberali. La causa delle pubbliche libertà vi si con-
fonde, troppo spesso, per antica consuetudine, con quella delle ambi-
zioni personali che prima traevano profitto dai conflitti dinastici e ora
si giovano eziandio delle aspirazioni repubblicane. Il metodo rivolu-
zionario in Ispagna è sempre lo stesso. I mutamenti di governo non
sono promossi o determinati lalla volontà popolare, ma vengono im-
posti da una parte dell' esercito. L' esercito portò sul trono il re Al-
fonso, l'esercito tenta di rovesciarlo. La questione è di sapere in quali
proporzioni il popolo spagnuolo aderirà al movimento e quanti reggi-
menti insorgeranno.
Il ministero Sagasta si è lasciato cogliere alla sprovveduta; è
certo oramai che l' insurrezione si veniva preparando da gran tempo,
le impazienze di taluno ne aff'rettarono imprudentemente lo scoppio, e
questa sarà forse la ragione per cui, mancando la simultaneità degli
sforzi, il governo riescirà a domarla. Vasta ad ogiii modo era la con-
giura che si estendeva a un ' numero ragguardevole di truppe disse-
minate in vari punti della penisola. Il governo nulla sapeva, e fu sor-
preso dal pronunciamenio di Badajoz come da un colpo di fulmine.
Il re si preparava ad un viaggio in Germania, i ministri erano, la
RASSEGNA POLITICA. 749
maggior parte in villeggiatura. Se il minist<»ro Sagasta soffocherà nel
sangue la ribellione, non perciò sarà salva la sua responsabilità. Do-
vrà rendere stretto conto della imprevidenza rimpetto ai pericoli che
minacciavano lo Stato. Il re Alfonso aveva profufato di avviare la
Spagna all'esercizio delle libertà costituzionali I primi anni del suo
r^no furono felici, ed ebbero l'impronta di una savia p )litica. Il mi-
nistero conservatore presieduto dal signor Canovas del Castillo seppe
riparare a molti mali e condurre la cosa pubblica con mano ferma.
Giova qui rammentare che non venne rovesciato da un voto parla-
mentare. Si disse un giorno che il Re, in omagjrio alla opinione pub-
blica sacrificava i suoi ministri, ma l'opinione pubblica non si era ma-
nifestata in alcuno de' modi legali consentiti dalla costituzione. Così,
per cause che rimasero sempre oscure, i conservatori furono costretti a
cedere il posto al partito che oggi ancora è al potere II sig. Sagasta
dal quale l' Italia, ebbe in più occasioni, prove di amicizia, commise
l'errore comune a un gran numero di liberali doUrinari di erodere alla
possibilità di fare entrare nell'orbita delle istituzioni i ridicali e i re-
pubblicani. É noto che qualche mese fa si parlava di unn riconcilia-
zione generale e se ne discutevano perfino i termini. I fatti di Ba-
<1ajoz, di Seu d'Urge!, di Barcellona distruggono questo illusioni, quan-
tunque una pat1e de' repubblicani dica di ditapprovarli. La qual cosa
prova soltanto che anche in Ispagna il partito repubblicano è diviso, e
■e vinceste, le sae discordie si farebbei^) ancor più pHl**«ii. I Caittelar, |
Ruiz Zorilla dissenzienti fra loro sarabbert} in breve cotnbattuti e pro-
babilmente sopraffatti dai socialisti e dagli inturnazionalisti assai più
forti, in Ispagna, dei repubblicani puri. Né p«itrebbero più fare asse
gnaroente sull'esercito al qaale, affinchè insorgesse contro il Re Al-
fonso, si ò fatto credere che il primo atto d«lla repubblica dovesse ea-
•ere l'abolizione del servizio militare. È superfluo il dire che il trionfo
passeggero degl' internazionalisti sarebbe tosto seguito da una sfrenata
reazione, e che i carliiti, vinti non domi, sarebtH-ro sempre pronti a oom-
pierla, o, per dir meglio, a fiuvM* gli strutnenti fino a che, alla lor
volta, non venissero scacciati da una nuova rivoluzione.
Questo sarebbe l'avvenire della Spagna se il movimento presenta
avesse il sopravvento Finora le notizie giungono scamo ed incerta,
aaaendo il telegrafo nelle mani del Governo, che ha intereme a celare
una parte della verità. Tutta l'Europa civile fa v<iti afllnchè il re
Alfonso vinca la insurrezione. Ma chiunque essa vinHtore da quaato
«onflitto ne va di mezzo il eredito della Spagna, la quale perde mise-
750 RASSEGNA POLITICA.
ramente in pochi giorni i frutti acquistati in alcuni anni di pace e di
tranquillità. Essa aveva domandato di essere nuovamente iscritta nel
libro d'oro delle grandi potenze, e pare che questo fosse lo scopo del
viaggio del re a Berlino. Molto probabilmente si sarebbe pure aggiunta
alla lega stretta fra la Germania, l'Austria- Ungheria e l'Italia. Ora
difficilmente la sua nobile ambizione verrà soddisfatta. Si pregia dalle
grandi potenze l'amicizia dell'Italia per la compattezza e la disciplina
del suo esercito, vero difensore delle leggi; ma che cosa può speraro
la Spagna che nell'esercito ha solamente l'autore principale delle per-
turbazioni che la sconvolgono e la indeboliscono? Molti anni dovranno
passare prima che l'impressione e gli effetti di questi sciagurati pro-
nunciamenti si dileguino, e la Spagna riacquisti la fiducia che da
molto tempo aveva incominciato ad ispirare.
Il progetto del re Alfonso di recarsi in Germania ha fatto sorgere
una voce a prima giunta inverosimile, cioè che ne' preparativi dell'in-
surrezione spagnuola abbiano avuto parte i repubblicani francesi per
impedire appunto che la Spagna venisse accolta nell'alleanza dei due
imperi e dell'Italia. La lunga permanenza del signor Ruiz Zorilla a Parigi
ha accreditato queste dicerie che a noi sembrano sogni. Comunque
sia la Francia dev'essere lieta che diminuiscano le probabilità di un
accordo fra la Spagna e la Germania, e non aumentino, in tal guisa,
le difficoltà che da ogni parte la circondano poiché è chiaro che la
Spagna avrebbe tentato di rivendicare, tardi o tosto, una parte del
territorio africano e di ritornare alla sua antica politica coloniale.
Ma posto che la Francia abbia da rallegrarsi di questo pericolo scam-
pato, non si può dire che un notevole cambiamento sia avvenuto nelle
sue relazioni colle altre potenze. Dopo l' impresa di Tunisi, tutte le
altre conquiste da lei tentate le imposero gravi sacrifizi di uomini e
di denaro che non furono compensati da alcun frutto. Un indizio degli
ostacoli che le rimangono da superare , lo si ha nelle dimissioni del
signor Brun dal ministero della marina. Il signor Brun, assicurasi, si
è ritirato perchè riteneva indispensabile pel Tonkino e pel Madagascar
nuovi crediti che i suoi colleghi del gabinetto non ebbero il coraggio
di chiedere al Parlamento. Ma accanto a questo motivo apparente se
ne vuole trovare uno recondito e ancor più delicato. L'ammiraglio
Pierre che comandava la spedizione francese al Madagascar e contro il
quale per il trattamento inflitto, durante l'occupazione di Tamatava, ad
alcuni sudditi inglesi, aveva fatto serie rimostranze il signor Gladstone,
è stato costretto a ritornare in Francia sotto pretesto di malattia.
RASSEGNA POLITICA. 751
Nessun dubbio che il Governo francese abbia, col suo richiamo, con-
cesso al gabinetto inglese la chiesta soddisfazione. Poteva restar in
ufficio il ministro della marina che aveva pubblicamente approvato e
lodato l'ammiraglio Pierre? Noi non intendiamo di smarrirci in queste
ricerche. Il ministero francese vive una vita stentata, né certamente gli
giovano le concessioni fatte ai radicali con la funesta legge sulla ma-
gistratara, che può dirsi una legge di proscrizione. Si avrà dunque una
ecatombe di magistrati per assicurare, dicesi, l'avvenire della repub-
blica, quasiché questi giudici rimossi dal loro ufficio non avessero invece
ad accrescere il numero de' suoi nemici.
Questo continuo a^annarsi per temute insidie é, secondo noi, una
prova della debolezza delle istituzioni repubblicane in Francia, le quali
pia che dalla segreta ostilità di qualche magistrato ricevono danno
dalle poco liete condizioni della politica estera. La repubblica dovrà
ora superare un'altra prova. La morte del conte di Chambord, rite-
nuta imminente mentre scriviamo, ridace a dae le dinastie che ambi-
scono il dominio della Francia. Ma i bonapartisti sono più che mai
dirisi, mentre gli Orleans, divenuti eredi legittimi del trono, anche
secondo i fautori del diritto divino, acquistano T appoggio di tutto il
partito legittimista, e quello eziandio di molti imperialisti, i quali dispe-
rando del trionfo del bonapartismo a cagione delle sue discordie, si con-
tentano che, per opera degli Orleans, si ritorni ad una politica relati-
vamente conservatrice. Sotto la bandiera degli Orleans, morto il conte
di Chambord, ti schiera anche il clero, quantunque le relazioni fra il
governo repubblicano e la Santa Sede accennino a perdere un pò* di
«lUoH'asprezza che sverano assunto negli ultimi tempi. Il presidente
(ire\y ha risposto alla lettera indirizzatagli dal pontefice, ma pare
ieciso che né Tuno nò l'altro di questi docomenti verrA fatto di pub-
blica ragione. Si aasieora però che la risposta presidenziale, pur dioh'a-
rando di voler mantenere fermi i diritti dello Stato, ha un tono
«limesso e maoifesta il desiderio di non inasprire la lotta firn lo Stato
medesimo e la Chiesa. Il che è eonforaie sU'indole mite del Orevjr,
ma non ha una grande importanza, per chi consideri che scarta ò la
autorità del presidente, il quale per non inimicarsi una parte ragguar-
devole del partito repubblicano, ha acconsentito più volte t transazioni
che gli ripugnavano. Il signor Qrevjr, per tsempio, non avrebbe toc-
cato la magistratara, ed oggi ancora non ha promnlgato la legge vo-
tata dalle Camere, ma la promulgherà, perché al punto in eoi stanno
le cote non può Ikre altrimenti. E coti pare non ò in poter suo il fare
752 RASSEGNA POLITICA.
notevoli concessioni nella questione religiopa, per quanto egli sia per-
suaso che il presente stato di guerra con Roma indebolisce la repub-
blica, allontanando sempre più da lei il partito cattolico, numerosissimo
in Francia.
Un'altra questione assai più grave, perchè d'indole europea, è causa
in questi giorni di preoccupazioni. È noto che furono regolata diplo-
maticamente le condizioni della navigazione sul Danubio, ma alle de-
cisioni prese dai rappresentanti delle potenze riunite a Londra non ha
mai aderito la Rumenia Ora la conferenza di Londra è stata nuova-
mente convocata per rendere esecutive le già prese deliberazioni. Si
contenterà la Rumenia di protestare prò forma e riservando i suoi
diritti, ovvero si opporrà colla forza, come aveva minacciato, alla so-
luzione che le viene imposta dalle potenze ? Non crediamo probabile
che si appigli a quest'ultimo partito, per quanto essa confidi nelle sim-
patie di qualche Stato che volentieri la spingerebbe a risoluziuni estreme.
La Rumenia non ne dubitiamo, cederà anche su questo punto, come ha
ceduto su molti altri. Non esiste pertanto, il pencolo di un conflitto im-
mediato per la controversia danubiana. Rimane, ad ogni modo, il lie-
vito di passioni male spente, e la questione del Danubio va ad accre-
scerne il numero di quello che imperfettamente risolute tengono vivo
il malcontento in Oriente e possono rifarsi vive appena se ne presenti
l'occasione. Per ora la sanzione che si dà alle deliberazioni della Con-
ferenza è una nuova vittoria della politica orientale dell'Austria calda-
mente appoggiata dalla Germania e favorita anche dall' Italia, che in
questa delicata questione non si è punto scostata dalle sue alleate, ed
ha acquistato in tal guisa, un nuovo titolo alla loro benevolenza.
Roma, 15 agosto 1883.
X.
BOLLETTINO FIN1N71\R10 DELU QUINDICINA
I>a Banca poptolare di Milano. Sua orìgine e srilappo '— ' Mercato monetario
e situazione delle principali Banche. Il ribasso dello sconto presso il
Banco di Sicilia — Movimento delle borse.
E ora an salato ali* Istitnto principe delle Banche popolari.
La Banca popolare di Milano sorse col nobile intetfto di contri-
baìre a redimere le classi lavoratrici col mezio del credito e del ri-
sparmio. Essa cominciò le proprie operazioni li 25 gennaio 1860 con
on capitale di lire Ventuette mila.
Un grave fatto venne a darla fino dal principio un vigoroso im-
palso. Fa Tav veni mento del corso fortoso, il qaale porse occasione
alla Banca di mobiliuare una parte dei depositi mediante la emissione
di buoni di casta di piccolo taglio. Questi buoni, nolla maneansa di
biglietti pìccoli a corso fortato, incontrarono molto favore e furono un
vero benefizio. La stessa Qiunta municipale di Milano stabilì di acoet-
tarli nelle casse civiche fino a L. 50 (:er ciascun versamento.
I vantaggi derivati da questa deliberazione aumentarono il credito
della Banca e la fooero conoioere leropre meglio. I soci triplicarono ;
le operazioni crebbero notevolmente per numero e per impoKo.
La crisi delPanno 1866 e quella degli anni 1870-71 la lasciarono
incolume. La Banca supero (dlicemente pur quella del 187.'), derivata
dalle ebbrezze della speculazione e dai deliri del credito, ohe sconvol-
sero le menti più calme ed aasennate. E fu merito de* suoi ammini-
stratori i quali si opposero virilmente ed efflcacemonte a quelli che
tentarono di attrarre i titoli della Banca nei Tortici della Borsa.
754 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Il rapido sviluppo della Banca e la entità del capitale e dei depo-
siti raccolti da essa in pochi anni, fecero nascere in alcuni l' idea di
promuovere un consorzio a responsabilità limitata fra le Banche popo-
lari italiane, mettendovi a capo una Banca centrale, con lo scopo del
reciproco aiuto e di render possibile alle Banche l'assunzione di affari
che, restando isolate, non avrebbero potuto intraprendere per ristret-
tezza di mezzi.
L' idea fu accolta in massima, ma nell'attuazione incontrò difficoltà
che non poterono essere superate.
In questo stato di cose la Banca popolare di Milano volse l'animo
a conseguire quell' intento almeno in parte agevolando ed estendendo
i rapporti fra essa e le altre Banche consorelle. Questa idea sorti buon
esito. Gli affari con le Banche corrispondenti aumentarono di anno in
anno. Da un giro di 5 milioni (1871), andarono man mano fin oltre i
100 milioni (1874); poi crebbero sempre più. Nell'anno scorso il giro
degli affari giunse fino a L. 216,663,996. Nell'anno 1881 i corrispon-
denti con la Banca erano 203, così ripartiti : Lomhai'dia, 31 ; Veneto^ 33;
Piemonte e Liguria 44 ; Italia Centrale 60; Provincie Napoletane 17;
Sicilia 5; Sardegna 6; Estero 5. Nell'anno 1882 aumentarono ancora
al numero di>228. 1 corrispondenti sono quasi tutti Banche popolari.
La Banca concentra ad un tempo, e sotto unico nome, un sodalizio di
mutualità, una cassa di risparmio e un istituto di credito.
Ma le rilevanti somme accumulate presso la Banca sotto la forma
di depositi la condussero in breve ad operazioni che non furono e non
sono quelle della mutualità. Non mancarono le critiche; anzi abbiamo
avuto occasione di rileggerne alcune anche di recente. Se non che
l'Amministrazione ha risposto che « le grandi combinazioni s' impo-
sero alla Banca come una necessità, » e ha dimostrato che fu una
necessità benefica, perchè i lucri ricavati da esse abilitarono l' Istituto
a largire il fido a miti condizioni anche negli affari di tenuissimo im-
porto,, e valsero ad elidere le perdite delle piccole operazioni.
La Banca non ha voluto uscire mai dalla sua sede di origine. Ma
per comodo dei soci, per favorire il risparmio e per allargare mag-
giormente le sorgenti del credito ha fondato due agenzie; l'una nel
quartiere di Porta Ticinese, l'altra in quello di Porta Garibaldi. Esse
vennero aperte li 14 marzo 1881 e dipendono in tutto e per tutto
dalla Sede centrale.
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 755
Amministrat,ione. — Potere supremo è l'aduaanza dei soci che av-
viene ordinariamente in ciascun anno, nella prima metà di febbraio.
Ciascun socio ha diritto ad un sol voto, senza riguardo alla quantità
delle azioni possedute.
L' Amministrazione della banca è deferita ad un Consiglio com-
posto di un Presidente, di un Vice-presidente e di diciotto Consiglieri
eletti fra i soci. Essi dorano in carica due anni.
Un Comitato di cinque Sindaci veglia alla stretta osservanza dello
Statuto e dei regolamenti.
Un altro Comitato composto di 40 membri, i quali funzionano di
tre in tre per turno settimanale, coadiuva il Consiglio nelle operazioni
ordinarie di sconto.
Alle operazioni straordinarie, come il risconto ad altre banche ecc..
che vengono talvolta chieste anche per telegrafo, provvedono, occor-
rendo, il Direttore e il Consigliere di turno, regolandosi sul ca-
stelletto.
Per le contestazioni che possono sorgere fra i soci e l'ammiristra-
zione havvi un Comitato di tre probiviri, od arbitri, eletti dall* adu-
nanza generale dei soci e rinnovabili in ciascun anno.
Uno speciale Comitato di 50 membri scelti dal Consiglio fra le rap-
presentanze delle diverse SocietA di matuo soccorso cittadino attende
all'esame delle domande per concessione dei prestiti saironore.
Presso le due agenzie della Banca in Milano stanno due speciali
Comitati scelti dal Consiglio, i quali hanno rincarìco di dare notizie
intorno ai recapiti cambiarii presentati sia all'una sia all'altra.
La esecuzione delle deliberazioni dell'adunanza dei soci e del Con-
siglio ò affidata ad un Direttore. Il quale ranoresenta la lìanca noi
rapporti coi terzi.
Soci — ((,, ,(i capitale r riserva. — Le persone ammesso come
azionisti dalla .liit.i .IclT impianto a tutto l'anno IH82 furono N. LM.IOO
per N. 157,832 azioni.
Fino al 1870 l'aromiMiono dei soci dipese unicamente dall' appro.
razione del Consiglio. Ma nel febbraio 1877, l'Adunanza degli azionisti,
redola la straordinaria sottoscrizione di azioni da parte di persone
mosse soltanto dal desiderio di Uuti dividendi, eseloie da essa i mino-
renni, gì' interdetti e gì' inabilitati.
A rimuovere i seni imbarazzi che potevano derivare alla Banca
da un rapido aumento del capitale furono presi dai soci varii prorve-
756 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
diraenti. Nell'adunanza del 4 febbraio 1872 venne stabilito che non si
avessero a concedere più di 5 azioni all'anno per persona; poi, nell'adu-
nanza del 9 febbraio 1873, la sottoscrizione alle azioni venne linoitata
ad una sola azione all'anno per persona. E poiché neppur ciò valse al-
l'intento r Adunanza del 26 maggio 1878 votò la norma ancora vi-
gente, secondo la quale nessuno, socio o non socio, può ottenere diret-
tamente dalla Banca più di un'azione ogni cinque anni.
Furono anche posti vincoli al concentramento delle quote sociali, e
istituite diverse categorie di titoli, ma tutte col diritto allo stesso di-
videndo. Così vi hanno azioni le quali, salvi i casi di eredità, assegno
giudiziale e fallimento, non possono essere ced'ite se non dopo cinque
anni da quello della emissione.
Il valore originario delle azioni fu quello nominale di L. 50. Dopo
il 1871, compito il fondo di riserva, il prezzo dell'azione fu di L. 71
pagabili anche in rate mensili non minori di una lira.
Alla fine del primo anno di esercizio, il capitale della Banca venne
segnato nell'importo di L. 217,700. Alla fine dell'anno 1882 adeguò
la somma di L. 7,780,250. Il fondo di riserva crebbe da L. 7,902 18
fino a L. 3,314,472. Di queste, L. 1,935,000 appartennero alla riserva
ordinaria e L. 1,379,472 a quella straordinaria, fatta per i rischi
eventuali della operazione dei buoni fiduciari e mantenuta fino a tutto
l'anno 1880 agli effetti della legge del 30 aprile 1874. Compita la
prescrizione dei buoni non presentati al rimborso, gli utili derivanti
dai buoni dispersi vennero ripartiti a metà fra la Banca e il pubblico
Erario. Ma l'amministrazione e gli azionisti deliberarono concorde-
mente che la parte degli stessi utili, rimasta alla Banca, dovesse an-
dare ad aumento della riserva, anche per la convenienza di mantenere
alto il credito acquistato. Cosi, al presente, la riserva ragguaglia la
metà del capitale sociale.
Alla fine dell'anno 1880 i soci aventi diritto alla sottoscrizione di
un'azione nel quinquennio 1881-85 erano n. 12,771. Ciò viene a dire
che la sottoscrizione di nuove azioni nello stesso tempo non potrà in
verun caso oltrepassare la cifra massima di n. 12,771 azioni.
L'importo medio delle azioni possedute da ciascun socio alla fine
dell'anno 1882 fu di 10 e mezzo circa, che rappresenta la comparteci-
pazione media al capitale ed alla riserva- di L. 745 97.
Operazioni ammesse. — La Banca incominciò con tre operazioni :
far 'prestiti ai soci — scontarne le cambiali a scadenza di non oltre
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 757
3 mesi, ricevere depositi aprendo un conto corrente. Poi vi aggiunse
la mobilizzazione dei depositi mediante buoni fiduciari, remissione di
assegni sulle principali banche popolari e il servizio dei depositi a
custodia.
Furono anche ammesse le sovvenzioni con pegno su valori pub-
blici e su obbligazioni di società commerciali ed industriali, e gli
sconti di cambiali aventi una scadenza fino a tei mesi. Nel novem-
bre 1871 venne ammessa una nuova categoria di depositi in numera-
rio rappresentati da buoni fruttiferi a scadenza fissa.
Le operazioni dovevano esser fatte con i soli soci, ma le forti gia-
cenze di cassa e la impossibilità d* impiegarle nelle operazioni con i
soli soci, condussero l'adunanza degli azionisti a deliberare che « le
somme esuberanti, dopo sodisfatte le operazioni principali della Banca,
potessero essere impiegate in sconti di cambiali anche di non soci di
notoria solidità, aventi almeno due firme ed una scadenza di non ol-
tre tre mesi; c< me pure nell'acquisto di buoni del Tesoro e Munici-
pali. La deliberazione fu presa nel dicembre 1871.
Nell'anno 1875 vennero inaugurate queste altre operazioni : remis-
sione di mandati con cedola, quella de* libretti a risparmio al porta-
tore o nominativi e quella dei depositi amministrati.
La prima operazione non incontrò nelle simpatie del pubblico ed
ebbe ostacoli inaoperabili nella disposizioni della legge del 30 apri-
le 1874. La terza per il forte lavoro e i perìcoli che recava alla
Banca, venne in breve lasciata da parte. La seconda soltanto ebbe un
esito fortunato.
Nello stesso anno 1875 fa pure stabilito che la Banca assameiee
r incarìco éeìV acquisto e della vendita di titoli di credito per conto
di terti verso una provvisione ; e aooettasee cambiali per V etatiotu
anche se presentate da non soci.
Neir anno successivo vennero ammeaie le operazioni di sconto e
sovvenzione dette note di pegno (warrants).
Finulmente nell* anno 1878. furono aggiunte allo altre operazioni i
mutui ipotecari fino al quarto del capitale sociale e le anticipaxioni sa
titoli inluntrinli e so merci e derrate.
Venne anche la propoeta dt^lle operazioni di ca8to<lia delle sete e
dolio sovvenzioni su questa merce; ma la mancanza di locali adatti,
lo forti >«|. • (\AV impianto e i pericoli creati alla validità AA pegno
duU'ur t r^.',5 del C<>«iice di Commercio perraasero il Consiglio di procra-
stinarne Tattuaiione.
758 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Gl'impedimenti legali, com'è noto, sono stati tolti; ma non sap-
piamo che r amministrazione abbia preso altra deliberazione su ciò.
Le operazioni della Banca sono ordinarie e straordinarie. Le prime
vengono fatte unicamente con i soci ; le seconde sono quelle che la
Banca fa con i non soci per non lasciare inoperose le esuberanze dei
capitali.
La disposizione di non concedere un fido maggiore di L. 5000, at-
tuata due volte, fu altrettante volte revocata. La Commissione di sconto
non ha verso i soci altre norme all' infuori di quelle suggerite dalla
prudenza.
Le operazioni straordinarie di sconto sono soggette a limiti di per-
sone e di cifre. Il risconto è conceduto solamente alle Banche popolari
0 ad altre istituzioni di credito, oppure a persone o ditte le quali sieno
inscritte nel castelletto della Banca,
Il castelletto, o assegnazione di fido, è deliberato da una speciale
Commissione di 15 membri scelti dalla Presidenza in seno al Consiglio
ed al Comitato di sconto.
Operazioni fatte a tutto Vanno 1882. — Prestiti e sconti. Dall'anno
1866 a tutto l'anno 1882, i prestiti e sconti fatti dalla Banca a soci
e non soci ammontarono a L. 1,017,502,546.49.
Prima del 1866 i recapiti cambiari di tenue importo non trovavano
il risconto presso i banchieri più onesti se non ad un saggio fra il 6
e il 9 0[0, oltre una provvisione che lo faceva ascendere bene spesso
al 10 ed anche al 15 OjO.
È merito della Banca lo avere per la prima fatto sparire ogni dif-
ferenza nelle condizioni dello sconto, pareggiando sotto questo riguardo
i recapiti di minore importo a quelli che rappresentano somme cospicue.
Ma gli atti dai quali togliamo questi cenni ricordano con beneme-
renza anche il benevolo e costante appoggio che la Banca popolare ha
trovato nella Banca Nazionale. Questa,'riscontando i recapiti della prima
quasi in limite di scadenza, fa a vantaggio della Banca popolare un
vero servizio di cassa, non scevro di pericoli, il quale, le procaccia il
risparmio di spese non indiflferenti.
Il saggio fatto per i prestiti e per lo sconto è variato fra un mas-
simo del 7 0[o, praticato nel primo esercizio della Banca, ed un mi-
nimo del 4 1^2 che è stato il saggio praticato nel triennio 1879-1880-
1881 fino agli 11 di novembre dell' ultimo anno. Ma dopoché venne
ammesso lo sconto dei recapiti con scadenza fino a 6 mesi (febbraio
BOLLETTINO FINANZLVRIO DELLA QUINDICINA. 759
1671) furono adoperati due saggi; l'ano pei prestiti ai soci e per le
cambiali fino a 4 mesi, l'altro per i recapiti da 4 a 6 mesi, che sor-
passarono il primo di 1|2 0[0 e anche soltanto di 1^4. Dacché gli Isti-
tuti di emissione portarono lo sconto al 5 0|q. il saggio fatto dalla
Banca venne stabilito nella ragione del 5 lj4 o del 5 1|2 secondo la
s-^adenza.
Le perdite sofferte dalla Banca nelle openizioni fatte non sono
state di molta entità. Nel corso di 15 anni ha perduto L. 116,963.39
che ragguagliano centesimi 14 per ogni mille lire di credito largito.
Nell'anno 1881 la perdita è stata di L. 21,437, in ragione di circa
21 centesimi; nel 1882 il ragguaglio ò salito a circa 41 centesimi.
Recapiti alCincasso, — I recapiti presentati alla Banca per la esa-
zione dai soci e non soci ammontarono a L. 116,(561,968.26.
Sovvenzioni contro pegno. — Le sovvenzioni contro pegno ascesero
a L. 109,300,497.26.
La ragione dell'interesse d variata fra un massimo del 7 1|2 nei
momenti di maggior crisi ed od minimo del 4 0{q.
Depositi a custodia. — Il movimento dì qnMti depositi dall'anno
1870 all'anno 1882 adegoò l'importo di L. 166,528.718.79. La Ranca
accetta depositi aperti, depositi chinsi e depositi con cassette. Questi
aitimi offrono speciali agevolezze ai depositanti ^ tendono in sostanza
ad escludere gl'involti che vanno soggetti inevitabilmente ad alterazioni.
Depositi in x >. Conti correnti. — Il conto corrente mobilizzato
dall'assegno par aato a fiir divenire quest'ultimo il vero titolo fidu-
ciario delle Banche popolari. Ma questo 8co[>o, in riguardo al passato,
fu oonsegoito solamente in parte, avendovi fatto ostacolo anche la ra-
gion fiscale che tolse all'assegno la qualità di essere trasmesso per gi-
rata. La legge del 7 aprile 1881 e le disposizioni saooessive hanno va-
riata questa condizione di cose; perciò è da desiderare ohe l'uso dello
assegno si estenda, e che questo posta essere adoperato nelle diverse
forme nelle quali serve mirabilmente presso le nazioni più avanzate
nel movimento bancario.
La Banca adunque sostitn't l'assegno con una ricevuta che fa ann
; rodozione del rrr^itsé francese.
Al versamento dello somme in conto corrente non fu ini|>osto mai
760 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
alcun limite ; invece i rimborsi furono regolati con speciali norme. Quelli
a vista, dal marzo 1874 in poi, possono essere chiesti fino a L. 500O;
ma se lo stato delle casse Io consente, possono essere accordati anche
per somme per le quali sia necessario un preavviso. Questa specie di
depositi è stata ammessa col principio dell'anno 1882 anche presso le
Agenzie ; ma i prelevamenti a vista su queste ultime sono consentiti
fino a L. 2000.
I depositi fatti dall'anno 1866 a tutto l'anno 1882 furono n. 194,099,
per L. 688,448,059.15. con una media di circa L. 3500. I rimborsi fu-
rono n. 283,079, per L 672.525,9^9, con una media di L. 2300 circa.
Le rimanenze annuali sono avvenute come segue:
1866--67
L. 341,521.63
1874
L.
12,883,472.13
1867-68
670,150.69
1875
12,549,929.66
1868
» 1,022,143.42
1876
13,481,854.41
1869
» 1,420,693.14
1877
17,040,137.60
1870
» 2.903,471.56
1878
18,470,198.77
1871
» 8,096,843.93
1879
14,462,511.01
1872
» 10,226,339 22
1880
13,547,851.32
1873
» 8,451,065.16
1881
14,988,059.89
1882
16,922,118.95
Questo stato dimostra che il numero dei depositi ha avuto un con-
tinuo aumento.
Depositi a risparmio. — I depositi a risparmio incominciarono con
l'anno 1873. D'allora in poi furono n. 380,372, per L. 462,470,042. La
media di questi depositi dall'anno 187S a tutto il 1880 adeguò l'importo
di L. 1301.37; nell'anno successivo fu di L. 14,620; nell'anno 1882, di
L. 16,038.
I rimborsi sugli stessi dppositi furono N. 380,372, per L. 427,051,044,
con una media, fino a tutto il I8;i0, di L. 973,44. L'importo medio,
relativo all'anno 1881, fu di L. 13,233,79; quello relativo all'anno
appresso fu di L. 13,789. La rimanenza dei depositi per l'ultimo anno
fu di L. 26.236,033; la media annuale dei libretti adeguò l'importo di
L. 1,858,20.
I libretti rappresentativi dei depositi sono di due specie ; Y una è
dei libretti pagabili al portatore, l'altra è dei libretti pagabili al solo
titolare. Fruttano l'interesse di li2 percento oltre quello stabilito per
le somme versate in conto corrente.
I
mane
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. . 761
La Banca favorisce anche una classe di depositi denominati di
iceolo risparmio, ai quali è accordato un interesse eccezionale. In
meno di due anni i versamenti ascesero a L. 2,956,875.87 e i rimborsi
a sole L. 1,348,095. Nell'anno 1882 i versamenti della specie ammon-
tarono a L 4,109,501, contro circa 2 milioni nell'anno antecedente ; i
rimborsi, a L. 1,873,547 contro L. 1.298,714 nell'anno 1881. I libretti
in corso al 31 dicembre 1882 erano N. 9748. Di questi, N. 2157 rap-
presentavano r importo da L. la L. 20 ; N. 86 rappresentavano
quello da L. 5001 in più. La rimanenza di questi depositi alla suddetta
lata ascendeva a L 4,574,879.
Buoni fruttiferi. — I buoni fruttiferi ebbero vita magra e sten-
. L' Amministrazione avrebbe voluto emetterli pagabili nel giorno
"snocessivo a quello della presentazione e fruttiferi l'interesse di L. 2.50
all'anno; ma la considerazione delle difficoltà fiscali, che non sarebbero
mancate, ne la dissuase. Piuttosto emise buoni alCordine a scadenza
ad imitazione di quelli del Tesoro. Se Don che il ricevitore del
>llo ostacolò nell'anno 1877 anche questo ripiego, pretendendo che i
oni fossero assoggettati alla tassa delle cambiali.
Da ciò lo scarso movimento di oasi. Dall'anno 1872 a tutto 1' anno
!S82 ne furono emessi N. 5,236 per L 41,260,151. La rimanenza al
k,.^ laao „„„„„„ ., r ov»i 'i*?
Interesse sui depositi. — • L*int«re«e sai depositi in conto corrente
:' ' tra* il 5 e il 3 I|4 per cento. Al predente è al 3 1(4.
'j ' sui depositi a ri.Hparniit» é variato fra il 4 e il 3 It4 per
•)nto. Ora é al 4.
1/ interesse dei buoni fruttiferi e stato e riroane fra il 3 1|2 e il
4 per conto secondo la scadenza.
Rapporti con le Banche — Dai rapporti con altri Istituti la Banca
• ubo un giro di nlTari che si eleva nel complesso a L. 1, 736,500,* "r
Tengono il primo posto ^li sconti; quindi vengono gli a»»*,.»,, ..>
esazione dei recapiti a le altre operazioni di minor conto. Il fl«lo allo
banche non socie non può oltrepassare l'impttrto del capitale versato
e della riserva Hi ciascuna Banca. L* iro|K>rto degli sconti nel 1882
ascese a L. 52,502,851, con una media di L. 1,83VM8; quello degli
assegni emessi, a L. 19^571,12:^, con ana media di L. 1.704; quello
degli sssegni pagati, a L. 60,834,837.70, con una media di L. I,2I2.'^D.
Vm.. ZL, Sn<« Il - IS A(MU ISSI. M
762 HOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Movimento di cassa. — Oli introiti dall'anno 1866 a tutto il 1882
furono L 7,492,615,719.38. I pagamenti, L. 7,492,548,837,52.
Da ciò il movimento complessivo di L. 14,985,164,556 90.
Impiego dei capitali. — La proporzione fra il capitale, la riserva
e i depositi cumulati insieme e l' impiego fattone dalla Banca nei primi
15 anni di esercizio, riesce allo medie seguenti :
Per ogni 100 lire di capitale, riserva e depositi figurarono,
in cassa, o disponibili a vista L. 4,38
in prestiti o sconti » 35,22
in buoni del Tesoro e municipali » 13,47
in sovvenzioni » 11,17
in effetti pubblici , » 25,39
in impieghi diversi » 10,37
Gli effetti pubblici vengono segnati in bilancio al prezzo di costo.
Essi formano un monte carte che ha una contabilità propria. I lucri
o le perdite vengono passate all'attivo o al passivo a operazione ter-
minata per vendita 0 per rimborso.
Durante l'anno 1881 lo stock delle carte pubbliche di ragione della
Banca ha subito una diminuzione di L. 1,763,835.84 per effetto del
rimborso delle obbligazioni dell'Asse ecclesiastico e della estrazione di
altri valori. Per contro la Banca ebbe una compartecipazione di 4 mi-
lioni nel prestito di 644 milioni
Imposte e spese di amministrazione. — Le imposte e tasse pagate
dalla Banca a tutto l'anno 1882 ammontarono a L. 1,676.247.22; ma
questa somma rappresenta soltanto una parte del contributo della Banca.
Tutto calcolato, la partecipazione dell'Erario nei lucri dell'azienda so-
ciale, ragguaglia il 20 0[Q circa.
Le spese di amministrazione riuscirono a L. 1,975.582.57. Esse stanno
nella proporzione di L, 1.60 per ogni cento lire di utili.
Utili — Gli utili netti ammontarono a L. 12,324,693.38. Gli utili
maggiori furono conseguiti uell'anno 1881, nell'importo di L, 1,294,181.30;
ma i proventi straordinarii, dipendenti nella maggior parte da rimborsi
di carte pubbliche, vi figurarono per L. 100,469.59.
Fino al 1871, gli utili vennero ripartiti nel modo seguente : il 70 Ojq
agli azionisti; il 20 0[0 al fondo di riserva; il 10 0[0 agli impiegati
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. TGo
ed alle beneficenze. S accessi vamente cessò qualunque assegnazione al
fondo di riserva e la partecipazione degli impiegati fu limitata al 5 li2
per cento della totalità Jegli utili.
I dividendi agli azionisti hanno variato fra un minimo di L. 5 e
un massimo di L. 7.60 per azione.
Fondo di previdenza per gl'impiegati. — La Banca ha un fondo
di previdenza per gf impiegati che assicura a questi, o ai loro eredi,
una quota formata da risparmi resi continuamente produttivi. Il fondo
è modellato sulla Caisse de Prévoyance proposta in Francia dal signor
Alfredo De-Courcy.
Presiiti sulPonore. — I prestiti sull'onore, succedanei ai prestiti
ordinari, furono iniziati fino dal 1878. Questi prestiti hanno il carattere
di vero afiare : si presta, non si dona; anzi il sovvenuto deve corri-
spondere un interesse. La somma da erogarsi nelle operazioni di questa
specie è stabilita in ciascun anno dall'adunanza dogli azionisti sopra
proposta del Consiglio di amministrazione. I<a somma erogabile nell'anno
corrente ascende a L. 40,000. Le perdite sono state contenute finora
dentro stretti limiti.
L'amministrazione sta studiando il mo lo di attuare una nuova forma
di piccoli prestiti con l'intervento delle Società di mutuo soccorfo. per
provvedere ni bisogni minati e più urgenti, dei loro soci.
Ecco adunque un Ulituiu cnc lia stato modestissimo o rai.^cito, no
corto giro di 17 anni di esercizio* a scrivere nel suo bilancio la somma
cospicua di 11 milioai di Uro fra capitale e riserva, a raccogliere Uà-
positi per oltre 51 milioni e ad avere un movimento conpleasivo di
cassa che da circa 11 milioni ò salito man mano fino alla somma rile-
vaute di 1700 milioni.
Questi risultamenti ottenuti con la oooperaaione fra operai, impia-
gati u piccoli industriali, sono olir» ogni dire sptandidi; ma non for-
mano il solo titolo di beoemereosa deirisiìtuto. Le benemerente della
Banca p(»|)ular*i sono molte é diverse, appunto come i servisi che osta
ha roso o rende alla classe lavoratrice, e come le cure che ha posto e
pone noi {>ortozionarli e nello estenderli.
Ivi Hiuica p<)[>olare di Milano è un prodigio di operosità e preri-
donza in una città che, esemplata in tutto alle cose granriì, ha saputo
dare al mondo il miracolo stupendo della Gassa di risparmio. Sappiamo
764 BOLLETTINO FIN ANZI AUlO DELLA QUINDICINA.
che non tutti vedono di buon occhio queeti fatti, ma quelli che li
criticano e deplorano fanno opera, al nostro parere, di denaocrazia sba-
gliata. I grandi istituti sono il nostro ideale ogniqualvolta irraggia da
essi la vita che anima gli altn.
Però, ben a ragione il giuri della ultima nnostra nazionale venne
conferendo alla Banca la massima delle onorificenze, il diploma di
onore. Già la storia ne avea segnato a caratteri d'oro il nome fra
i più benemeriti del credito popolare e l'avea additata al paese e fuori
come una delle più belle glorie della nazione.
Ma saremmo immemori se, accennando a questi fatti e a queste
benemerenze, dimenticassimo gli uomini che hanno portata la Banca
a tanta altezza, e specialmente l'egregio comm. Luzzatti che ne è
stato l'iniziatore e lo ispiratore. Questo ricordo dovea esser fatto qui
a doppio titolo : e perchè gli stessi azionisti della Banca, approvando
il bilancio per l'anno 1881, vollero dargli splendida testimonianza dei
sensi della gratitudine sociale, e perchè egli, apostolo in fati cab le delle
istituzioni create in Italia dietro al suo impulso e col suo concorso ha
saputo illustrarle anche testé nel congresso internazionale di previ-
denza tenuto a Parigi, mostrandole come un perfezionamento di quelle
patrocinate e sorrette dal benemerito Schultze-Delitzch e un esempio
assai ingrandito dell'opera di lui. Su ciò potemmo leggere non senza
grande compiacimento queste parole : « C'est ce que M. Luzzatti a
exprimé au congrès avec une abondance de preuves, une clarté lurai-
neuse et une eloquenco qui lui ont valu le succès le plus légitime. »
Spetta ora alla Banca il mantenere l'altezza conseguita, e la terrà
per certo se avrà presenti sempre il suo scopo e la sua origine e i
doveri che le ne derivano.
L'amministrazione, pubblicato il nuovo Codice di commercio, ha
modificato lo Statuto della Banca nelle parti che potevano nort corri-
spondere ancora in tutto alle disposizioni recate da esso, e gli azio-
nisti, approvandolo, hanno dichiarato di voler sottoporre la stessa
Banca alle norme del nuovo Codice intorno alle Società cooperative.
Così oggi la Banca popolare di Milano ha aggiunto al primo titolo la
qualità di Società anonima cooperativa.
Le notizie del mercato monetario americano non sono gran cosa
diverse da quelle che abbiamo dato quindici giorni fa.
L'andamento delle Banche associate di New York^ nel tempo tra-
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 765
scorso dal 21 luglio al 4 agosto, al quale giunge l'ultima situazione a
noi nota, presenta le differenze che seguono. Il fondo metallico è di-
raioaito di 1,400,000 dollari ; gli sconti e le anticipazioni sono sce-
mate di 1,600,000 ; i depositi netti, di 2,200,000. La circolazione e la
eccedenza della riserva sul limite legale offrono qnasi le stesse cifre.
Soltanto i valori legali danno un aumento di 500,000 dollari.
Ma il confronto deirultima situazione al 4 agosto con quella alla
data del 5 nell'anno scorso addimostra die lo stato delle cose ò ora
migliore di quello di un anno fa. Così abbiamo che il fondo metallico
alla prima data eccede Taltro di 4 milioni e mezzo di dollari ; che gii
sconti e le anticipazioni sono minori di 8 milioni e mezzo ; che la
circolazione ò deficiente di 2,700,000; che i valori legali aumentano
di 3 milioni; i depositi netti crescono di circa 4 milioni e la ecce-
denza della riserva sorpassa l'altra di oltre 6 milioni e mezzo.
Questo stato di cose sarebbe un buon sintomo, ma non ò giunto
ancora il tempo nel qnale si possa cantare vittoria.
Frattanto estendendo l'esame anche ad altri punti, com'è nostro
costume, aggiungeremo che i Hsuitamenti del commercio ostemo degli
Stati Uniti durante l'anno fiscale ch'uso li 30 giugno ultimo, danno a
vedere che le esportazioni dei prodotti del suolo e della industria, lo
r)uali hanno raggasgliato il valore di dollari 833,805,819, eccedono le
importazioni di 100,683,153 dollari, e che quello dei metalli preziosi
campite nella somma di 31,480,000 sorp.'issano 1*» imporlnr'oni di nitro
:{ milioni di dollari.
In riguardo ai raccolti, le ultime notizie son buone, particolarmente
I>el granturco. Le previsioni sul grano farebbero credere una diminu-
zione rimpctto all'anno 1883 di butheh 106,620,000; ma si spera che
il raccolto del granturco coinpenMrà in gran parte questa deflcenza.
Il danaro ò abbondante ; il faggio elevato dello sconto a Londra
restringe la negoziazione delle tratte sall'ostero. Tutto quello che viene
offerto in questo senso ò volto facilmente a sodisfare i bisogni della
iiiipurtaziune.
Il cambio della sterlina, lasciato a 4,82 3|4, e risalito a 4,83, poi
è eoeto di nuovo a 4,82 1|4, che corrisponde si cambio a vista di
4,85 I|2 e a 2I|4 per mille cóntro Londra. Pare che nelle ultime due
settimane la ricerca dei d.'naro sia stata pid viva, giacché i saggi delio
■conto per la carta a 3 meai con due firme hanno aumentato di circa
metto per cento.
All'ultima o a apprendiamo che nel giorno di sabato li il mercato
ICA] BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
andò soggetto ad un forte ribasso, il quale colpi tutti i titoli ferroviari,
e che questo mutamento di cose ò durato anche dopo. La stampa lo
attribuisce alla esagerazione della produzione americana a alla crea-
zione di mercati artificiali, conseguenza della politica di protezionismo
a oltranza.
Le situazioni della Banca d' Inghilterra vanno dal 25 luglio al di
8 agosto. Esse riescono nel complesso ad un aumento di circa 265,000
sterline nel fondo metallico e di 431,000 nella circolazione, e offrono
nel resto le diminuzioni che seguono : 250,000 sterline nei conti cor-
renti dello Stato ; 855,000 m quelli dei privati ; 854,000 nel portafo-
glio e 168,000 nella riserva. Con tutto ciò quest'ultima, nelle due si-
tuazioni al di 1 e al di 8 agosto, è rimasta intorno all'importo di
12,250,000 sterline.
Il confronto fra anno e anno rende la situazione presente ancora
migliore. Infatti il fondo metallico è in aumento di 773 mila sterline,
e la riserva lo è di 1,557,000. Per contro la circolazione e il porta-
foglio sono in diminuzione ; l'una di sterline 784,000, l'altro di circa
4 milioni.
La proporzione fra la riserva e gl'impegni, che lasciammo a 44 1[4
per cento, è salita a 45 3i8 per cento. Sotto questo rispetto la posi-
zione della Banca è assai più soddisfacente di un anno fa, giacché il
9 agosto 1882 là proporzione accennata adeguava soltanto il 36 SjS
per cento; la riserva era di 10,691,833 sterline e il saggio officiale
raTguagliava il 3 per cento. Ma se torniamo più indietro, la cosa
cambia aspetto. Infatti li 10 agosto 1881, col saggio a 2 1|2 per cento,
la riserva ammontava a 13 milioni e la proporzione fra questa e
gl'impegni era di 43 1[8 per cento. Li 11 agosto 1880, col medesimo
saggio ofl3ciaie, la riserva oltrepassava i 16 milioni e adeguava il 51
per cento degl'impegni. Ciò viene a confermare che, sebbene il saggio
relativamente elevato del 4 per cento abbia operato bene e recato una
posizione migliore dell'anno scorso, pure la riserva si trova, in prossi-
mità dell'autunno, assai più meno forte negli anni 18ò0 e 1881, mentre il
saggio è già molto più alto. È vero che l'oro continua ad affluire dal
di fuori alla Banca d'Inghilterra, e che i cambi, sempre più favorevoli
a Londra, tendono a far durare la importazione ; è vero eziandio che
le domande dall'America, stando alle previsioni sui raccolti in quella
parte, potranno essere minori ; ma crediamo che il presagire, come fa
10 Statisi, che non si sentirà più il bisogno a Londra di un rialzo
dello sconto, sia correre troppo. Per giunta vi è da riflettere che dal-
I
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 767
r ultima settimana in poi, non tutto -roro che affluisce a Lontìra vi
rimane.
TI mercato londinese, sopratutto dopo i versamenti fatti alla Banca
in conto dei Buoni del Tesoro recentemente emessi, si ò trovato scarso
a mezzi ; se ne ha un segno anche nella diminuzione nei conti cor-
renti particolari. Dietro a ciò lo sconto è stato trattato fermissimo a
3 7] 8 per la carta a tre mesi e a 4 e 4 l[4 per cento per quella a
sei mesi. I prestiti brevi sono stati ricercati a 3 li2 percento. L'ele-
vatezza dei saggi londinesi rimpetto a quelli del continente ò condi-
zione essenziale dell'afflusso dell'oro alla Banca ; perciò il mercato ha
interesse di mantenerli alti. Il disaccordo fra il saggio ufficiale e quello
del mercato libero è un continuo attentato alla riserva del paese ; ciò
è stato dimostrato esuberantemente anche nello scorso anno. Ma di ri-
basso di saggi, per ora, non è da parlare ; gli stessi bisogni della cir-
colazione interna concorreranno a mantenerli al saggio odierno. La li-
quidazione in borsa ò avvenuta facilmente e r^olarmente. I riporti
«ODO sfati trattati ai saggi del 4 If? e 5 OfO-
Le situazioni della Banca di Francia dal ?6 luglio al 9 agoeto
non offrono variazioni notevoli. Il fondo in oro è diminuito di 4 mi-
lioni di franchi; quello in argento, di uno e mezzo. Il portafoglio è
scemato di circa 2? milioni ; i conti correnti, presi noi complesso, sono
aomentati di circa 6 milioni ; la circolazione ò diminuita di oltre S8
milioni.
Da anno ad anno, la situazione al *.• a;; >!«tt> o miooit' di 7 milioni
nel fondo in oro; di circa 122 in quello in atr^otitu; di ,07 nel conto
corrente del Tesoro e di circa 85 nei <*onti correnti particolari. È mag-
giore di 31 milioni nel portafoglio e di 286 nella circolazione.
La sìtaazionedel mere' " ^oonto 6 riuscita nella prima tetlimana
del mete quello che fu m v di luglio. I prenditori di carta ri-
masero molto rari; poterono attere &tte soltanto alcune operazioni su
firme di alta banca a 2 ì\2 0|o; 1« acoettazioni di banca e i valori
doiralto commercio ebbero prezio a 2 3|4 0|o. Detto questo, è da ag-
i^i ungere che i prenditori ti mottrarono pretto soddisfatti e ohe ciò rete
lo sconto fra uaachieri quati nullo. Nella seconda settimana il mercato
d<>llo sconto fra banchieri ha avuto un leggero miglioramento. Avven-
nero transazioni a 2 1|2 per l'alta Banca e • 2 5|K pel retto. Il da-
naro non è apparso troppo abbondante, ma il disponibile è bastato ai
bisogni della piazza che furono molto limitati. Al giorno d'oggi il sag-
pi<» dello sconio è a 2 5|8. Quello officiale rimane al 3 0|0.
768 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
Lo cheque su Londra è stato durante le due settimane piuttosto
alto. Nella prima chiuse a 25.30; nella seconda u 25.31. Ultimamente ha
fatto 25,34. Ma convien pur mente che anche nell'intervallo potò salire
a corsi più elevati, perchè ciò die luogo all'invio di un po' di naonete
straniere a Londra. Su questo punto possiamo aggiungere due partico-
larità che a qualche nostro osservatore parranno abbastanza curiose.
Eccole. I pezzi d'oro in circolazione (è il Pars Boif^se che parla) son
relativamente pochi; affinchè fossero spediti a Londra, bisognerebbe
che il cambio salisse a 25.40.
Queste avvertenze possono valere anche per un certo assiduo che
il nostro osservatore conosce; il quale ha fatto in questi giorni la sco-
perta della statistica internazionale delle Banche di emissione per con-
trapporla alla nostra tesi della prevalenza dell' argento all' oro nella
circolazione della Francia, e del proposito invalso in quella Banca di
fare i pagamenti in argento. L' accorto interlocutore ha citato i bilanci
settimanali del grande Istituto e il passo di una relaziono sull' eserci-
zio 1879, certamente per dimostrare che la Banca dà oro.
A costo di essere inumani, dobbiamo dire che egli è un assiduo
molto in ritardo e che l'esempio della sua vacca rossa non arride punto
al nostro caso. Sa dirci quando è incominciata 1' esportazione dell'oro
per l'America? Ne conosce gti effetti? Sa come la Banca di Francia
ha potuto ricostituire la sua riserva aurea? Probabilmente nulla sa;
perciò segniamo e passiamo. Questa trovata è da mjtterj precisamente
con l'altra diretta a far credere ai monocoli che lo Stato italiano per-
cepisca dalle Banche per tasso meno di quello che viene percepito nello
stesso campo da altri Stati !
Relativamente alle Banche svizzere di emissione abbiamo le situa-
zioni dal 21 luglio al 4 agosto. In questo intervallo il fondo in oro è
aumentato di franchi 148,636; quello in argento è diminuito di 248,124.
Mentre la potenza d'emissione è cresciuta di franchi 6.940, la circola-
zione è scemata di 831,590. All'ultima data l'eccedenza del fondo me-
tallico sul 40 per cento della circolazione adeguava franchi 18,500,937.
Il 5 agosto 1882 il fondo metallico era minore di 7,390,588.
A Berna, Ginevra e Basilea, lo sconto officiale è al 2 1(2 ; a Zu-
rigo, San Gallo e Losanna, al 3 per cento.
La situazione della Banca dell'Impero germanico al 31 luglio non
ha corrisposto a quella degli altri anni nello stesso tempo. Le domande
soddisfatte dalla Banca in quest'anno sono state minori del solito. Ciò
è derivato dalle diverse condizioni del mercato, le quali meritano di
<H|;
BOLLETTINO FLNANZIARIO DELLA QUINDICINA. 769
eaece avvertite. L'uso degli assegni e dei conti-giro, sempre più svi-
luppato, e l'apertura a Berlino di una stanza di compensazione per ^i
titoli, hanno reso minóre di molto il bisogno di mezzi per i pagamenti.
Per conseguenza anche il saggio dello sconto nel mercato libero è stato
più basso dell'ordinario.
La situazione al 7 agosto, che ò l'ultima conosciuta, attesta il ri-
torno alla banca di una parte delle somme sottrattele alla fine luglio
e una diminuzione nella circolazione dei biglietti. Anche il fondo me-
tallico e i conti correnti sono scemati ; ma la cosa è stata di poca
entità.
Paragonando la stessa situazione al 7 con quella a pari data del-
l'anno scorso, si ha che la po8ÌKÌone della Banca in quest'anno è molto
più fjrte. Il fondo metallico è maggiore di oltre 53 milioni di marchi;
i conti-giro presentano una eccedenza di circa 36 milioni. All'opposto
il portafoglio, le anticipazioni e la circolazione sono minori : il primo
capitolo, di marchi 4 milioni; il secondo di 11, il terzo di 7.
Saggio officiale, 4 per cento. Saggio nel mercato libero alle ultime
date. 3 Ojq circa. A Francoforte 2 7(8.
Le situazioni della Banca atutro-ungarica tra il 23 luglio e il
agosto non presentano movimenti che si possano dire rilevanti. Il
do metallico è aumentato di circa 3 milioni di fiorini; il portafoglio
di circa 7; la circolazione di circa 3. I higlietti di Stato sono diminuiti
di un milione circa.
Da anno ad anno, la situazione del 7 agosto corrente è alquanto
migliore in riguardo al fondo metallico, che offre una eccedenza di oltre
19 milioni, e meno elastica in riguardo al resto. Inflitti il portafoglio
offre un aumento di circa 5 milioni di fiorini e la circolazione ne pre-
senta un altro di 13.
Il saggio officiale e del 4 per oeato. Lo sconto fuori banca è rimatto
, lasi invariato. La carta di prim'ordine, a 3 3(4; quella bancaria, da
7|8 a 4 per cento; le accettazioni commerciali, da 4 a 4 li8 per
< -nto. Per la liquidazione il danaro è stato facile; le Banche hanno
riporti al 4 1|2 per cento.
L'esodo delKoro dall'Olanda non è cessato. Ne sono prova le sitaa-
/ oni della Banca neerlandfse dal 21 luglio al dì 11 agosto, dallo quali
.•ppare che il fondo in oro durante il suddetto tempo è scemato di
oltre 9 milioni di fiorini. La impassibilità dell'Istituto dinanzi a questo
•>to 6 «tata ed ò ancora Toggetto di osservazioni e critiche da parte
' 'Ila stampa «tera; alle quali non abbiamo veduto dare sin qui alcuna
770 BOLLETTINO FINAN/.IAIUO l'hJ.l.A yl;i.Nui(.iNA.
risposta che si possa dire concludente. A spiegazione della condotta del-
l'Istituto è stato addotto che lo stock d'argento monetato delia Banca
ha corso quanto la moneta d'oro e che questo metallo esce dall'Olanda
non per effetto del cambio, ma per la elevatezza del saggio a Londra
rimpetto a quello di Amsterdam. Non pare che ciò escluda le obbie-
zioni fatte. L'argento monetato può valere per le transazioni interne, e
per gì' impegni della Banca, ma non serve agli scambi internazionali.
Se consideriamo la somma della circolazione della Banca al di 11 agosto e
quella dello stock d'argento monetato alla stessa data e le confrontiamo
insieme, la condotta dell'Istituto è corretta e inoppugnabile. L'una somma
sale a fiorini 180,814,215; l'altra a fiorini 93,374,464 che basterebbero
a cuoprire, in cifra tonda, circa 230 milioni d'impegni. Senza dubbio
il margine è largo. Intendiamo ancora che il primo dovere della Banca
è quello di mantenere nel paese, colla sua offerta di crediti, il saggio
più basso possibile e che il rialzo dello sconto per conservare l'oro può
trovarsi in opposizione con altri interessi nazionali; ma dacché questo
metallo, o per una ragione o per un'altra, tende ad emigrare, non sap-
piamo come la Banca non debba fare ogni opera per conservarselo.
Se non che bisogna soggiungere che per quanto il portafoglio della
Banca apparisca aumentato di oltre 4 milioni e mezzo di fiorini, pure da
anno ad anno è in diminuzione di 15, e che lo stock d'oro monetato alla
data del di 11 agosto sorpassa di 15 milioni quel'o che la Banca possedeva
al 12 agosto dell'anno scorso. Può dunque darsi che la direzione del-
l'Istituto, tutto considerato, non abbia creduto giunto ancora il tempo
di un provvedimento capitale come quello del rialzo dello sconto. Del
resto anche lo stato della legislazione monetaria interna vi ha la sua
parte.
Saggio in corso. Per le lettere di cambio 3 1(2 per cento. Per i
biglietti all'ordine 4. Per le anticipazioni su titoli nazionali, 3 li2 per
quelle su titoli stranieri, 4 per cento.
In riguardo alla Banca nazionale belga abbiamo l'andamento solito.
L'esame della situazione di questo Istituto dal 26 luglio al 9 agosto ci
dà l'aumento di ciica 2 milioni di franchi nel fondo metallico; quello
di oltre 8 milioni e mezzo nel portafoglio e quello di circa 11 milioni
nel conto corrente del Tesoro. Le anticipazioni e la circolazione sono
in diminuzione; le une di circa 4 milioni, l'altra di circa 2. Nell'anno
scorso, alla data del 9 agosto, il fondo metallico era minore di un
milione; il portafoglio di quasi 2; le anticipazioni, di circa 4 milioni.
La circolazione differiva in meno di quasi mezzo milione.
BOLLETTINO FINANZL\R10 DELLA QUINDICINA. 771
Saggio oflSciale 3 li2 per cento.
Sotto l'impressione del voto della Camera che respinse l'imposta
sulle transazioni, il mercato belga si mostrò rinato e animatissimo; ma
le notizie di Spagna impedirono ad esso, come agli altri, di andare
innanzi.
La situazione della Banca di Spagna al 31 luglio in confronto con
quella al 30 giugno riesce alle variazioni che seguono. L'attivo metal-
lico e il portafoglio offrono diminuzione: l'uno di pesetas 48 milioni,
Taltro di circa 3 milioDi. Per contro le anticipazioni sa titoli, i conti
correnti e la circolazione presentano aumento : le prime di circa 5 mi-
lioni ; i conti correnti di 4,600,000; e la circolazione di circa 19 milioni.
Nella situazione al 30 giugno i profitti e ìe perdite figuravano per
15,347,653; in quella al 31 luglio sono segnati nella somma di 2,516,00{>.
La differenza deriva dall'eseguito riparto di 40 pesetas a ciascuna delle
300.000 azioni emesse.
È corsa voce che il ministro delle finanze possa eseguire prima
dell'autunno la negoziazione dei Pngarès dei beni nazionali ; ma non
vi si crede Invece i più prudenti pensano che egli ricorrerà a questo
mezzo soltanto all'ultima estremità, per non a^rt^are la situaxione
della Banca. Peraltro ì casi sciagurati ai quali assistiamo in questo
pnnfo rischiano di dar ragione alle voci, piottosto che al ragionamento.
\.~-\ avvengono mentre i raccolti magnifici rendevano probabile un
miglioramento generale nelle condizioni finanziarie ed economiche del
paese. Lo sconto presso la Banca è al 5.
Per l'Italia abbiamo le situazioni della Banca Sasionale italiana
dal 20 al 31 luglio. L'ultima citata in confronto con la prima pre-
senta i movimenti che seguono. L'aumento dì 3,720,000 nel fondo in
oro, salito a 87 milioni, e quello di circa 2 milioni nei biglietti già
ronsorziali e di Stato, che wwo scritti in bilancio nella somma di
r>0 milioni e mezzo. U fondo in argento è rimasto quasi invariato nel-
l'importo di 74 milioni. Il portafoglio segna una diroinusione di poche
centinaia di mila lire; le anticipazioni pretentano un aumento analogo ;
la rirrolazione a 463 milioni è cresciuta di circa 2 milioni di lire.
«Confrontando la situazione al 31 con quella a pari data dell'anno
- : .. (il mio per la prima l'aumento di 51 milioni nel fondo in oro
<• 'ju' ll<i li L'.l nel fondo in argento. Per contro essa prosenta le dimi-
nuzioni seguenti : quella di 26 milioni nei biglietti già consorziali; di dae
nel portafoglio; di due e mezzo nelle anticipazioni .e quella di circa
l."> nella circolazione.
772 BOLLETTINO FINANZIARIO DEF,LA QUINUICINA.
Vediamo con piacere che man mano che si approssima la stagione
autunnale la situazione della Banca italiana si rafforza sempre più.
Avendo appreso dagli avvisi dei giornali finanziari che la stessa
Hanca viene aumentando il numero dei suoi corrispondenti, abVjiamo
chiesto e potuto ottenere di conoscerne il movimento a tutt'oggi.
Al 31 dicembre 1882 i corrispondenti ammontavano a n" 33 che
operavano in 47 piazze. Nell'anno corrente ne aumentarono 13 e ne
cessarono 2. Cosi al 10 agosto i corrispondenti effettivi ascendevano
a n° 44, Le piazze rese bancabili a questa stessa data erano 77, Ma
ci è stato avvertito che si potevano tenere in conto altri 4 corrispon-
denti operanti in 19 piazze diverse. Così il numero degli uni ammon-
terà in breve a 48 e quello delle altre a 96. Questi risultamenti, otte-
nuti in meno di un anno, non sono di piccola entità; per essi ciascun
stabilimento della Banca viene abilitato a fare sconti sopra 167 piazze.
I centri secondari, resi bancabili con questo mezzo, sono 29 nel Pie-
monte; 27 in Lombardia; 3 nel Veneto; 4 nella Liguria; 10 nell'Umbria:
6 nelle Puglie; 9 in Sardegna; 1 in Sicilia; il resto in altre regioni.
Lo sconto presso la Banca e presso la maggior parte degli Istituti
di emissione è tuttavia al 5. Ma il Banco di Sicilia fa eccezione. Questo
Istituto, a cominciare dal giorno 11 agosto, ha ribassato il saggio dello
sconto al quattro e mezzo e quello delle anticipazioni al cinque. Fau-
tori della libertà dello sconto, non intendiamo punto di combatterla
nell'uso fattone dal Banco; ma ci permettiamo di credere che il par-
tito preso ex se da questo Istituto non sia stato molto opportuno.
Dall'altra parte ignoriamo interamente quale criterio possa avercelo
condotto e soltanto sappiamo che esso tenderebbe a variarlo di fre-
quente secondo le proprie convenienze. Ora in ciò noi vediamo un
concetto erroneo e un ostacolo o almeno un disturbo all'andamento
delle transazioni, che dovrebb'essere evitato con cura, specialmente nei
tempi che corrono. Aggiungiamo che l'ultima situazione pubblicata dal
Banco non ci dà alcun lume; anzi presenta dati che al nostro parere
avrebbero dovuto consigliargli piuttosto di non fare alcuna novità. Al
20 luglio il rapporto fra il capitale e la circolazione era di uno a
2,976, e quello fra la riserva, la circolazione e gli altri debiti a vista
era di uno a 2,547. Il portafoglio, alla stessa data, ammontava a
22.807,000, ossia quasi alla stessa rimanenza segnata nel bilancio del
31 dicembre 1882.
~ BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 773
Hr A che ne siamo dopo quindici giorni trascorsi dall'ultima nostra
rassegna, e quale è stata la entità degli scambi in questo tempo?
Uno sguardo sui listini quotidiani delle Borse che ne registrarono
i fatti ci fa presto avvertiti, che non ci siamo molto dilungati dal
punto dal quale prendemmo le mosse e che il movimento degli affari
non ebbe significazione notevole.
I corsi delle rendite francesi a principio della quindicina, furono
questi: per rispetto al 5 per cento, ora 4 lj2 per cento, 108.80
ex coupon; pel 3 per cento perpetuo, 79.40; per Tammortizzabile, 81.05.
Oggi 14, il 4 lj2 per cento segna 109.15; il 3 per cento, 80,30;
Tammurtizzabile, 82.07.
II G>n8oiidato italiano, alla data del primo agosto, era negoziato
a Parigi a 90.30; a Londra a 89 Ì\S; a Berlino a 91. Ora lo tro-
viamo nella prima piazza a 90.80; nella seconda a 89 5|8; nella terxa
a 91.10.
Codeste cifre bastano a dare an*idea chiara del movimento ehe
ha avuto luogo in qoesto intervallo, e delle disposizioni e deiraltività
del mercato. Ma si domanda: Erano questi i risaltaroenti che i più
s'attendevano al principio del mese? Lo cause sulle quali si faceva
assegnamento per isperare ana condizione di cose che rìspondesso
alla migliorata situazione politico-finanziaria furono per avventura
frainte«e, ovv •'•■ «nnon» nmitnilizzate da nuovi fatti che torsero ino-
pinataraenf* '.
Se prc ndiamo ad esame la TÌcende varie di questa prima metà del
■se, non sappiamo come rispondere a questo domande, se non ripor-
' nJoci col pensiero alla particolare situazione della Borsa di l^arigi.
che toglie a questa presentemente di sentire gli efletti del mutamento
venuto.
La li rst I l'iingi può assomigliarsi ad una macchina da lungo
• rii|'o Miiwiitaia. Per quanto si possa supporre che i congegni si tro-
no in buono stato, il rimetterli insieme e in accorilo tra turo affinchè
t)o.^-«aiio rutizì'riaro a dovere, non è opera facile e pronta. Non bisogna
ditueuUiuru > lic dal famoso krach del gennaio 1882 Io funzioni orga-
niche di quel mercato non furono più ristaurate e che l'opera di ripa-
/ione e ancora al primo stadio. E<1 in vero, se ciò non fosse, come
-iccadere che II v ' ' ' dal Pari. " ' .
non pro<lu«»88fl •■ ^a un riv ^; ■-
co nelle sue manifestazioni, dacché essa nt aveva fatta per tanto
ipo la condizione naeessarfa si suo risvegliof I^ merco di questo
774 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
voto scoraparvero le ombre tetre che avviluppavano le pubbliche finanze
e ne contrastavano il sospirato equilibrio: soltanto per questo riguardo
un segno di ripresa negli affari doveva essere immancabile.
Non vogliamo passare che qualche lampo se ne ebbe. Dal modo col
quale venne compita la liquidazione di fine luglio, parve che l'ora de-
siderata fosse giunta, perchè i corsi delle rendite, per un giorno o due,
e quelli dei valori ebbero una certa spinta, e questa fu avvalorata
dalle ricompre affrettate dei venditori di premio e dallo scoperto. Ma
tutto questo si dileguò presto; il moto si arrestò e le Borse successive
furono vacillanti e senza transazioni di qualche entità.
Cosi il risparmio, il quale allettato dai bassi corsi e lusingato dal-
Taver creduto che le cause produttive del ribasso fossero state in buona
parte rimosse, si era mostrato inclinevole agli impieghi, tornò alla ri-
servatezza usata dacché vide che la speculazione non era con esso, e
questa alla sua volta si ritrasse al ritrarsi di quello. Non valsero le
buone notizie di Londra per riguardo al Canale di Suez; non le altre
relative alla spedizione francese nell'estremo Oriente, lo quali davano
fidanza che le differenze nate tra Francia ed Inghilterra sarebbero state
tolte. La inazione e la nullità degli affari tornarono ad essere le note
dominanti del mercato, e i maggiori operatori non dimostrarono alcuna
voglia d'infondergli un po' di vita.
Con tutto ciò avvennero due fatti de' quali conviene tener conto.
Ci fu un mig'ioramento dei corsi, ottenuto gradatamente, e nessun atto
del partito al ribasso che ricordasse le reazioni brusche alle quali ci
aveva abituati da lungo tempo. Se nulla avesse disturbato questo anda-
mento di cose, l'attitudine del mercato parigino avrebbe influito util-
mente sugli altri, anche su quello di Londra, che si. volle distinguere
per un'ostinata persistenza al ribasso, e i varii mercati, francheggian-
dosi l'un l'altro, avrebbero preparato un autunno passabile.
Ma i moti di Spagna che trovarono il mercato di Parigi e quello
di Londra impegnati assai neìV Esteriore e nei titoli ferroviari spagnuoli,
mutarono la situazione di un tratto; e per quanto le notizie posteriori
sien venute attenuandoli e abbiano addimostrata una certa energia in
quel governo nel combatterli, e lo Stock-exchange in primo luogo, con
un voltafaccia spiegabile, abbia fatto grandi sforzi per rialzare i corsi
e diminuire le differenze alla vigilia della liquidazione, e gli altri mer-
cati vi abbiano tenuto dietro, pure dubitiamo che gli affiiri potranno
essere rianimati. Mentre scriviamo, notizie sopraggiunte mettono in
forse che i moti spagnoli sieno stati sedati, e quelle attinenti alle borse
■ii-
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 775
ci fanno credere che, compita la liquidazione, il bel tempo aumenterà
il vuoto.
Il ribasso dominato a Londra colpi anche i consolidati ; ma un fatto
speciale, del resto non nuovo, giovò a rialzai li. Un disegno di legge
approvato dalla Camera in seconda lettura stabilisce un nuovo fondo di
ammortamento del debito pubblico inglese, il quale avrà T effetto di
ussottigjiare vie più la massa de' consolidati già molto rarefatta e in
gran parte immobilizzata e di preservare il titolo da nuove coaversioni.
I mercati italiani, posti alla loro volta dentro la sfera di attività
de' maggiori mercati d'Europa, iecero come gli altri. Perciò questa
prima metà del mese e trascorsa anche per essi poco fruttuosa.
La rendita venne negoziata alla stregua de* corsi di Parigi, de' quali
s^QÌ fedelmente le evoluzioni, incominciò al prezzo di 90.45 per fine
agosto; poi crebbe fino a 90.92. Dietro ai ribassi di Parigi p^egO a 90.65;
quindi risali a 91 e chiuse a 90.90. Il 3 OfO ebbe soltanto poche trao>
sazioni al prezzo Hi 54 75 e a quello di 53.45 ex^coupon senoestralo.
I prestiti cattolici furono tenuti mcr'- J-"i rendita, quantunque
l'attività delle transazioni sia stata per > to scarsa. Il prestito
Fìlount da 91.15 si elevò a 91 .00 e chiase a questo pp»zio; il RothtchHd
variò da 94 a 9.').05; i Certificati del Tesoro, eroisiione 1800-64, mos-
^•'^ro da 94 a 94.80.
II Consolidato Turco segai presso a poco i corsi Tenuti di Francia
I ebbe pochi affari. Oscillò tra il prezzo di 11 e 11.30.
I valori bancari esperimontarono cosUotemonte un mercato poco
propenso alla specalasiona ; i più ebbero prezzi nominali. Le azioni della
lidoca italiana, alle quali non mancarono transazioni, potarono essere
•piote fino a 2165, che fu il loro prezzo massimo dopo che per più
^'iomi aveanu avuto quello di 2145 a 2155; in chiusura tornarono a 210'i.
I.'* azioni della Banca Romana, domandate raramente e anchn poco
tferto, si aggirarono sol principio intomo a 1<X)5; poi scesero a 997.50;
n fine chiusero a 10(K). Quelle delia Banca Qenf*rale non poterono
iiadagnare mai nn corso ohe si potesse dir solido e ispirato a flduoia
miglioramento. Esordirono a 529.50 e to<v«rono il prezzo di 530;
i ricaddero a 528.75 e chiusero a 629.
; La Borsa di Milano segnò le azioni delia H'inca omonima ai |>r>v.^i
'èi 000 e 5^R e forni qualche danaro alle azioni industriali. Quolln del
L.iniflcio ebbero prezzo a 992 e 99i3; quelle del Linificio a 305; quelle
del r^tonifl'^io a 330. I^ azioni Kubattino tornarono a 582; le azioni
776 BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA.
della Società ligure lombarda per la raffineria degli zaccheri, a 378
e 380.
Torino segnò le Tiberine a 308; la Unione banche a 251; la Car-
tiera a 280. Le azioni della Banca omonima oscillarono a stento tra
624 e 621.
Genova negoziò le azioni della Cassa Sconto a 905; quelle della Cassa
Generale a 415.
Le transazioni nelle azioni della Regìa tabacchi furono poche e al
prezzo di 584 e 582.50. Il Mobiliare italiano variò da 779 a 781 per
fine.
I valori ferroviari in generale ebbero qualche domanda ; le obbliga-
zioni in specie furono anche accompagnate da transazioni di una certa
entità. Le azioni della Società delle ferrovie meridionali si aggirarono
tra 478 e 480; le obbligazioni relative, tra 274 e 276.50, anche per
effetto della loro ammissione alla Borsa di Berlino. I Boni meridionali
rimasero nominali a 533 circa. Le Palermo-Trapani, tipo oro, ebbero
richieste e negoziazioni a 287.12 e 290; le altre, tipo carta, a 280.50
e 288. Le Sarde serie A vennero segnate a 274.50 ; quelle della serie
B a 269.75 e 271; le nuove a 271.50 e 274. Le azioni delle ferrovie
Romane figurarono nei listini fra 132 e 133. A proposito di questo
titolo dobbiamo aggiungere che il Tribunale di Firenze, con sentenza
del 20 luglio, pubblicata li 6 del mese corrente, riunite le cause mosse
dai fondatori dell'antica Società Pio Centrale contro quella delle strade
ferrate romane, respinse tutte le domande degli attori e disse nulle
tutte le opposizioni fatte da essi alla libera consegna alla Commissione
liquidatrice del prezzo del riscatto. Probabilmente anche questa sentenza
sarà appellata ; ma è ancora più probabile che avrà lo stesso esito del-
l'altra. Perciò si può sperare che il prezzo del riscatto andrà per intero
alla sua naturale destinazione. L'accennata sentenza è una riuscita splen-
dida dello zelo adoperato dalla solerte Commissione liquidatrice nella
difesa del buon diritto.
Le Cartelle fondiarie conservarono i prezzi già conseguiti. Milano
le negoziò a 504; Torino a 482; Napoli a 478; Palermo a 494.50;
Siena e Bologna a 473; Roma a 440; Cagliari a 425.
I valori proprii della Borsa di Roma non ebbero da es?a molto
favore; rimasero il più del tempo a prezzi nominali. Le azioni dell'acqua
Marcia oscillarono stentatamente tra 823 e 827; le Condotte d'acqua
variarono da 473 a 477; le complementari a 220; le azioni e obbliga-
BOLLETTINO FINANZIARIO DELLA QUINDICINA. 777
TToni immobiliari rimasero invariate, le une a 500, le altre a 470. Le
azioni del Gaz romano per quanto durassero ferme tra 10-33 e 1040 non
poterono avere scambi di qualjhe entità. Quelle del Banco di Roma
rimasero invariate e intrattate a 550.
Il cambio si mantenne costantemente favorevole all'Italia. Gli che-
ques su Francia si aggirarono con lievi oscillazioni tra 99.95 e 99.80 ;
la Londra a vista tra 25.28 e 25.29; quella a 3 mesi tra 25.04 e 25.02.
-T»' I IH^J.
w
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
LETTERATURA E POESIA.
Un preoarsore del Metastasio N. Campakini. — Reggio-Emilia, Tipog.
Bondavalli, 1883.
Le nostre storie letterarie o non ricordano affatto o non tengono
nel debito conto un poeta italiano, che pure diede opera insieme con
Apostolo Zeno alla riforma del Melodranima, e che quindi si può ri-
guar are come il primo precursore del Metastasio. Fu questi Pietro
Giovanni Panati nato a Reggio di Modena il 1665, chiamato a Vienna
come poeta cesareo il 1714, e morto in quella città già vecchio il 1732,
circa tre anni dopoché in quell'ufficio gli venne sostituito Apostolo
Zeno, Abbandonata la nativa Reggio dove per suoi mali portamenti e
per arti di nemici era stato tenuto per ordine del duca Rinaldo IV, in
dura prigione; non potè più rivedere la patria. Ricoveratosi a Venezia
divenne intimo delio Zeno, e con lui scrisse parecchi drammi recitati
al S. Cassiano e ad altri teatri di quella città. Lo Zeno non dissimula
l'aiuto che il Parlati gli prestò, e ne fa spesso onorata menzione. Il
Ciro esposto dal Parlati nel 1709, gli valse l' invito di recarsi alla
corte di Vienna. Questo studio del chiarissimo Campanini è un lavoro
diligente e completo, come quello che non si appaga di quanto del
Parlati avea scritto il Tiraboschi nel volume IV della Biblioteca Mo-
denesej ma ricerca e pone a profitto i documenti e le notizie del tempo,
e sopra vi ritesse con facile vena la storia del poeta e de' suoi drammi,
onde il libro riesca di lettura molto attraente. Un rapido sguardo ma
esatto sul melodramma, dalle sue origini fino al Parlati, introduce
m.
BOLLETTINO BIBLICO RAFICO.
onciamente l' autore a parlare del relativo marito dei principali
drammi di lui, dei quali analizza a parte a parte Y Amleto e V Ales-
sandro in Sidone composti insieme collo Zeno ; mostrando che essi
nello scrivere il primo, non tolsero alcuna ispirazione dalla grande
opera del tragico inglese, la quale forse non conobbero. Esamina quindi
il Don Chisciotte, opera quasi interamente del Pariati e il primo me-
lodramma giocoso che meriti lode. In ultimo considera il Pariati come
poeta lirico nel qual genere € nulla ha lasciato onde la sua fama si
accresca > non ostante che levasse bella nominanza l' ode pubblicata a
Parma nel 1690 per le nozze Famese-Moburgo. Curiosa è Y Appendice
che contiene alcuni sonetti del Pariati, da lui scritti ce* muri della
sua carcere; sonetti che quantunque abbondino di luoghi comuni e
conforme al gusto del tempo siano un po' verbosi, non mancano però
di certa vivacità poetica. Seguono &\Y Appendice e chiudono questo im-
portante volumetto alcuni documenti, cioè le lettere del Dini inviato del
duca a Madrid, nelle quali si narrano largamente i fatti che diedero
motivo alla prigionia del Panati; e una stipplica del poeta ai duca, da
cui risalta quanto lunga e cradele fosse quella detenzione. Continui il
signor Campanini ad illustrare la storia letteraria della sua provincia
con iscritture pari a questa, dove si rivela tanta attitudine e aggiusta-
tezza di criterio pei genere di cai tratta.
Ombre e figrore. — Saggi crìtici di G. Ghtabttvt. — Romat Sommaroga,
18jì3.
Il prof. Chiarini non è di quei critici ohe aeeattano il facile plauso
del volgo con imouigini sfaccettate, con abbaglianti antitesi, con paro-
Ioni sesquipedali, sotto a etri non si trova nulla. Ogni tuo lavoro è
frutto di pazienti indagini e reca in mezzo giudizi originali e sagaci :
dediè ha importanza non effimera ed è documonto prezioso, or* e poi,
al cultori delie diacipline letterarie. Ejfli ha ancora il merito non co-
rnane di innestare alle roigiiori tradizioni della tcaola italiana, a cai
fo «ducato, lo itadio delle letterttort straniere, non superflciale e di
feconda mano, ma attinto alle fonti. Così il presente volume, el(*gan-
tornente impresso dal Sommaruga, è diviso in duo libri. Nel primo,
ragiona della vita e della poesia dHlo Sheltor (mosso da un santo
•degno contro on recente e pessimo traduttore); quindi fa un ritratto
dcUo Swinburne che difende contro alcune censure del Rossetti o raf-
firoota col Cardocci; prendendo occasione da an articolo d«llo Zannila,
ne rileva alcani falsi giudizi sul Orajr, sul Wordsworth «d altri poeti
780 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
inglesi moderni; e 8nalmente, in altri due scritti, analizza il soggetto
e spiega il significato di due poemetti satirici dell'Heine; U Atta Troll
e il Deutschland ; il che fa con quella sicura intelligenza che c'era da
aspettarsi dal migliore interprete italiano del poeta tedesco. Il secondo
lihro è intieramente dedicato al Leopardi, al Foscolo e al Carducci. In
un primo frammento esamina alcuni fatti della vita del Recanatese e
le sue relazioni col Giordani e soprattutto col Ranieri, per conchiudere
che qualche critico si è troppo affrettato a pronunziare sentenza contro
la sincerità e la bontà di quel grande. Del quale torna a parlare in
un secondo frammento rappresentandolo come iniziatore in Italia della
poesia della scienza e del vero. In altro articolo poi mette in luce, con
pari dottrina ed acume, i pregi, i difetti e l'importanza della Cantica
sull'appressamento della morte e le due elegie che il Poeta compose,
quella nel 1816 e queste nel 17. Il Chiarini è benemerito editore e conosci-
tore del Foscolo quanto del Leopardi, e più; egli meglio d'ogni altro potrebbe
dare alle nostre lettere una vita compiuta e imparziale del Poeta delle
Grazie. Qui prende le mosse dalla Teresa dell' Ortis; e riandando i
due principali momenti di concezione ed elaborazione del celebre ro-
manzo, dimostra come alla prota ironista della Vera Storia (scritta nel
1798 e ispirata dal Werther) servisse da modello la Costanza Monti ;
e come essa poi, neW Ortis del 1802, assumesse la figura dell' Isabella
Rondoni. Per ultimo narra col sussidio di nuovi documenti, le vicende
di due tra le passioni che maggiormente accesero il cuore del volubile
Poeta, quella per la Giovio e quella per la Bignami, una delle ispi-
ratrici delle Gì-azie. Due studi sul Carducci {avanti e dopo il 69)
chiudono il volume: l'A. dice di voler parlare più da storico che da
critico; ma, per ambedue i rispetti, egli illustra, dalla giovinezza alla
virilità, l'ingegno del nostro maggior lirico contemporaneo, a cui è le-
gato da fraterna amicizia e per cui ha ammirazione non servile. Ab-
biam dato poco più che un indice del volume; ma bisognerebbe ripro-
durlo tutto a far vedere qual tesoro vi si raccolga di notizie esatte, e
di acute osservazioni letterarie e psicologiche, di sana critica e di utili
ammaestramenti esposti con bel garbo e in forma prettamente italiana.
La Buccolica di Publio Virgilio Marone. Vera one poetica italiana di
A. B. Costantini. — Torino, stamperia reale Paravia, lob3.
Chi si mette oggi a tradurre dal greco o dal latino, dopo tante pre-
cedenti versioni, belle o mediocri, che se ne hanno; deve cercare di
superar gli antichi, cse non per eleganza, almeno per più profonda in-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 781
telligenza del senso e per maggiore naturalezza, e quasi per una certa
intimità con l'autore; doti alle quali gli studi critici dell' età nostra
hanno certo agevolato la via. Questa versione del signor Costantini,
mentre non manca di pregi nella forma, quali sono semplicità e spiglia-
tezza di verso, fluidità e dolcezza di stile, e insomma vena non cattiva
di poesia, non si addentra abbastonza nello spirito del testo, e pecca
non di rado di poca fedeltà. Per darne qualche esempio, quel verso
(Ed. I, 27) Liberta^, quae sera tamen respexit inertem^ è tradotto:
La libertà che, ancor che fosse tardi. Mi vide inerte : il vide non
rende qui il respexit che vale « mi volge uno sguardo, prese cura di
me > e per giunta porta equivoco, perchè queir inerte sembra retto
dal verbo vedere, il che non è. Poco appresso il Postquam nos Ama-
ryllis habet Gahitea reliquit resta falsato o indebolito, nel modo ita-
liano, ed Amarillide mi tolse E Galatea lanciai, perchè quel tolse
non ha che fare coli' habet, e il lasciato fu il poeta, non Galatea. Nel
V. 45 della stessa Ecloga, Pascite, ut ante, bores, pueri, è, non si
sa perché, mutato il plurale nel singolare; Pascola, o figlio, come
pria^ le vacche; oltre alla sconvenienza di fare che quel tal ^ Dio
ctwami Titiro figlio. Nei versi 47-50 è falsato arbitrariamente 1' ordina
de' concetti. Nel v. 56 alta sub rupe è tradòtto dalla collina, mentre
vuol dire, come spiega lo Strocchi, a pie d un' alta balza.
Neil' al timo verso dell' Egloga Mty'oresque eadunt altis de montibus
umbrae, che vnol dire le^omòre cadono maggiori, cioè più lunghe,
vien tradotto cadono le maggiori ombre dai monti, divenendo attri-
buto quello che nel testo ò predicato a si rifanaee a eadunt. Che pili t
neir Eoi. Ili e. 93 i pueri che raccolgono fiori a fragole, sono cambiati
di sesso, e diventano fanciulle da le trecce bionde. Potremmo segui*
tare, ma basti questo poco per giustificare quanto abbiamo detto sul!a
poea fedeltà ed esattezza di questa ▼jrsione. Arremmo anche da osser.
vare circa rarroonia. Per et Tarai oome questi : Mentre tanto tumulto
tutte intomo l* campagne sconvolge — Suaderà soave sonno eoe. pa-
iono fatti apposta per lacerar Torecchie. Ma in generale U Teraeggia-
tara è buona e franca Ci p«»rdonl dunque il traduttore, ae lo consi-
gliamo ad psiter più esatto, ad entrar meglio nella forza e n^l senti-
m<>nto del t''Sto, 80|)rattutto in qu«lla proMima pubblicazione che qui ci
annunzia, della Oeorgira tradotta; opera tanto più perfetta della Bue-
colica, e che meno tollera una versione la quale non passi la me-
diocrità.
~>--'J BOLLKTTDCO BIBLIOORAFICO.
STORIA.
Documenti e notizie intorno agli artisti Vercellesi per Giuseppe
Colombo — Vercelli, Tipografia Guidetti Francesco, 1883.
In questa medesima rivista abbiamo altra volta ricordato che l'Italia
non possied<j ancora una storia completa e veridica delle sue arti, e
rivolto parole d'incoraggiamento a quei pazienti cultori di studi sto-
rici, i quali rovistando archivi, disseppellendo monumenti, raffrontando
questi al lume di una sana critica, arricchiscono la bibliografia italiana
di nuovi materiali, da servire alla compilazione d' una storia scevra di
pregiudizi e senza lacune. '
Siamo quindi assai lieti di render conto di questo volume, edito a
spese dell'istituto di Belle Arti di Vercelli e dovuto alle sapienti ri-
cerche di due monaci barnabiti, il chiarissimo P. Bruzza e il suo con-
fratello P. Giuseppe Colombo.
Dell'esistenza d'una scuola pittorica vercellese non sospettarono gli
storici passati; di artisti di quella regione neppure fecero menzione i
signori Crowe e Cavalcasele nella loro storia della pittura italiana;
solo per incidenza ne parlò recentemente un dotto scrittore, che si na-
sconde sotto il pseudonimo di Lennolieff, unici ad occuparsene con onore
furono il Resini e il conte Roberto D'Azeglio. Eppure il Piemonte non
potrebbe darsi vanto di possedere anch' esso una propria scuola di pit-
tura, ove non additasse Vercelli, la quale dando ospitalità ad una folla
di artisti, mantenne accesa la fiamma del bello, intanto che le città
consorelle del regno preferivano, come osserva il Colombo, le aspre ten-
zoni della guerra o le lucrose cure dell' industria e del commercio.
La pubblicazione dei documenti è preceduta da un interessante ca-
pitolo storico che ha per tii;olo — V arte in Vercelli dal secolo VI fino
a Gaudenzio Ferrari — nel quale si ragiona dottamente dei monu-
menti vercellesi fino dalla primitiva epoca cristiana. Ivi ti dà conto di
pitture, di musaici, e di edifici dedicati al culto, i quali abbellivano
un tempo quella nobile città, e si tien proposito degli Oldoni, dei Larino,
dei Giovenone, tre famiglie di artisti vercellesi che precedettero Gau-
denzio Ferrari il restauratore dell' arte in Vercelli, del quale ha scritto
la vita il medesimo P, Colombo.
A rendere il volume più completo, l'istituto vercellese che ne fu
•ditore, volle che fosse riprodotto infine uno studio del P. Luigi Brazza,
i
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 7So
già stampato nel primo tomo della miscellanea di Storia italiana col
titolo * notizie intorno alla patria e a* primi studi del pittore Giovan
Antonio Bazzi detto il Soddoroa, illostrate con nnovi docamenti > nelle
quali il dottissimo Barnabita rivendica a Vercelli la gloria di aver gì
dato i natali.
Nell'insieme è questo un volume bene ordinato, benissimo edito.
ohe riescirà di onore ai compilatori e agli editori, come sarà per tor-
nare di grande utilità agli studiosi delle glorie artistiche della patria
nostra.
Cronaca di tra. Salimbene. parmigiano, dell'ordine de' Minori, vol-
garizzata da Cablo Cantarelli. — Volume secondo. Parma, Luigi
Bottei, 1883.
Del primo volume di questa traduzione fu fatto cenno nel fescicolo del
15 ottobre 1882. Il secondo, che qui annunziamo, comprende tutto il resto
della Cronaca, oltre ai Frammenti d'un libro intitolato il Prelato, che è
in sostanza una fierissima accusa di frate Elia; e di più uc indice ge-
nerale delle materie eonteonte nella Cronaca; prezioso qnest* altimo,
per le tante e importanti curiosità storiche, le quali si possono oo«\
rintrac<;iare o ritrovare in un libro, difficile a ritenersi oel suo insieme.
Non abbiamo sott'occhio l'originale latino, onde non ponsinmo dar giu-
•lizio sulla fedeltà della versione. Leggendola così sola, l'abbiam tro-
vata gustosa, chiara ed agevole: tanto agevole, che ci par troppo: oi
pare cioè che pigli oaa forma del tutto moderna, da far sospettare di
|K>ea fedeltà al testo; a se giudichiamo dai canti qua e là insarìti, di
cui si riporta anche l'originale latino, il nostro sospetto oresee, poiché
quelle smilze poesie latine, sono parafrasata ccn soverchia libertà e
con ao'eleganza di (Ssnoe ehe, se non erriaino, ne falsa il carattere.
Ma certo il libro in questa veste riasoe di assai piacevoi lettura.
l'EDAdOGIV
A Vanioek. Orammntica elementare delU lingua latina, rerat« dal tede-
li-Mo in italiano da Emilio F*B>tABo. — Torino, ditta Paravia 1888.
Il Vanicek, dotto filosofo di Germania, pabblicò nel IHriO e poi ri-
prodofsa corretta ed ampliata nel 1873 una sua grammatica latina ala-
mantare, collo scopo precipuo di adottara alla lingua del Lazio, par
quanto fossa possibile, quel metodo razionala e scientifico, che il Cur-
7h4 bollettino kihliograpico.
tius, con tanto p'anso, ha usato nella sua grammatica greca. Donde na-
sceva il vantaggio che i discepoli potessero avere per lo due lingue un
metodo conforme. Né risparmiò tempo e fatica per ridurre il suo lavoro
in guisa che i dotti dovessero approvarlo, cosa che, in parte almeno,
ha ottenuto. Avendo ora preso piede anche in Italia la grammatica greca
del Curtius ed essendo in quasi tutte le scuole adottata, ed anche chi
non adotta propriamente quella, usandone altre che poco ne differiscono
per il metodo, doveva facilmente venire in pensiero che fosse espediente
introdurre anche nello studio del latino una grammatica trattata scien-
tificamente, qual sarebbe appunto quella che annunziamo. Da ciò mosso
il prof. Ferrare ce la porge tradotta con molta fedeltà e chiarezza, se
non che (e non ce ne sappiamo spiegar la ragione) egli include nella Morfo-
logia il trattato delle preposizioni e delle oongiunzioni, che l'autore, con-
forme al metodo del Curtius e conforme anche alla miglior convenienza,
avea incluso nella Sintassi : e, cosa più strana, nulla dice interno a ciò
nella prefazione, anzi non accenna nemmeno su quale edizione tedesca
sia condotta la sua versione, che pure in tutto il resto ci sembra con-
forme a quella del 1873. Checché sia di ciò, si può discutere circa l'uti-
lità d'introdurre nei nostri ginnasi questo nuovo metodo. Non neghiamo
il vantaggio della conformità messa in vista fra le due lingue, nò quello
della cognizione ragionata di tante forme, che si apprendon ora solo
empiricamente. Ma per introdurre nelle scuole applicato al latino il
metodo filologico, ci sono due difficoltà; primo, che il latino si comincia ad
insegnare più presto del greco, dunque a menti più tenere, che esercitano
la memoria in ragione inversa del raziocinio; secondo che il latino non
serba, come il greco, visibili e marcate le tracce del suo organismo, ma le ha
cosi involute e nascoste, che per iscoprirle bisogna ricorrere quasi sempre a
forme arcaiche o suppositizie. Per esempio, accanto al verbo greco contratto
ó?(3 si usa ugualmente la forma intera ópàu, quindi la prima ci resta
ben chiara ; ma nel latino amo chi sospetterebbe la suppositizia omao ?
Il raddoppiamento de' perfetti greci è regolare e comune (poche eccezioni
fatte); mentre in latino, raro com'è, e il più delle volte nascosto sotto
la quantità, ha pochissima importanza e richiede, in molti casi, dei ra-
gionamenti lunghi e complicati, senza granfie utilità. E di questi esempi
ne potremmo citare moltissmii. A tutto ciò si aggiunga che il latino è
tanto simile all' italiano, che l'analogia fra le due lingue ce ne rende
l'apprenilimento molto più facile, che dal greco, quinli c'è meno bisogno
di aiutar la memoria col raziocinio. Concludiamo che, secondo il nostro
debole parere, si deve si trasportare anche nell'insegnamento del latino
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 785
quel tanto di razionale e di metodico che la mente dei giovani può
comprendere, ma solo per indiretto e come un accessorio ; e del resto
rimanere sulle antiche basi, come fanno la più parte delle grammatiche
anche tedesche e moderne, e affidarsi principalmente alla memoria. Ve-
nuti poi i giovani al liceo potranno, magari nel terzo coreo, riandare
con piacere e con vera utilità le leggi della lingua che già conoscono,
ridotte a logica semplicità ; e in questo valersi del bel libro del Vanicek.
Breve teoria dello stile latino, esposta da Antonio Cima — Torino,
Paravia, 1883.
Questo trattatello dello Stile latino, pubblicato or sono due anni,
ricomparisce in nuova e più corretta forma, a vantaggio degli studenti
di Liceo. Il Prof. Cinoa, giovandosi delle opere di N&jelsbach, Klotz,
Drilger ed altri molti dotti alemanni, ha fetto un perpetao raffronto
tra il modo di esprimere il concetto in latino, e quello di esprimerlo
in italiano, cominciando dai concetti semplici compresi cioè in un vo-
cabolo 0 in una frase, e passando poi alla proposizione, al periodo,
alle metafore, e al ritmo della prosa. SegaoDo dae Appendici^ V una
sulla distinzione fra le lingue d'ordine analìtico e lingue inversive ;
Taltra sulla struttura del periodo latino, secondo gli schemi del Nftyd-
sbacb. Parlando in generale, ci sembra che egli abbia raggiunto le
doti della precisione, della semplicità, della chiaretsa, per quanto con-
cerne la dichiarazione delle y * latine. Meno pratico, e forse
troppo indulgente, si mostra e;. u intomo alla proprietà della
nostra lingua. Ne citiamo due etempi. Egli ammette come buone, o
almeno come tollerabili, certe forme, aflktto barbare, di gergo scienti-
fico, solite usarsi oggi da qnelli scrittori che non sanno, o, sapendo,
non vogliono, trovar lo forme schiette e semplici dell* italiano, corno
(e VI, nota) gTìdealitmì snervanti e infecondi^ femanashne morale
della cirilfà, la npirituale irradiasione de" popoli eoe. Non un aiteg»
giarsi del pensiero moderno divarsamante dall* antico noi vediamo in
queste frasi, ma un modo di esprimersi del tatto falso • convenzio-
nale, che ci auguriamo debba passar di moda. In secondo luogo egli
dà come regolare e necessario a ritrarre certe frasi latine il noto
costrutto francese Fu ad Arbela che Aleuandro rime, potendosi dire
italianameote eoo maggior fona Ad Arbela Alettandro viiue Dario.
Tm. xl, Boti* ir— is Aftm ttss. •»
786 BOLLETTINO HIHLIOQRAFICO.
BELLE ARTI.
La Cattedrale di Fiesole per Fedebioo Canonico Baeoilli. — Firenze,
Tipografia Righi 1883.
Il più insigne e vasto tempio dell'antichissima Faesulae è la cat-
tedrale sacra a S. Romolo, incominciata nel 1020 dal vescovo Iacopo
il Bavaro e terminata nella prima metà del XIII secolo
Sull'esempio della famosa basilica di S. Miniato al Monte, il duomo
di Fiesole è uno dei migliori tipi d'arte romanda, gentile innesto di
vari stili architettonici, con prevalenza di elemento classico romano, al
quale il sentimento cristiano, impresse un carattere di severa maestà
e d'interno raccoglimento, come si conveniva, volendo trasformare
l'antica basilica ove adunavansi i mercanti, in tempio sacro al Dio
Spirito.
Il governo italiano classificò la cattedrale fiesolana fra i monumenti
nazionali.
Le tristi condizioni dell'edificio invocavano urgenti riparazioni e i
Canonici ebbero l'avvedutezza di rivolgersi all'on. Mantellini, il quale
colla sua autorevole interposizione, troncò gli indugi doUa burocrazia,
per modo che il restauro della cattedrale fiesolana, incominciato nei
primi di ottobre del 1878, fu condotto a termine nella meta di giugno
del 1883.
L'opera di restauro die occasione al libro del canonico Bargilli —
come egli stesso narra nella prefazione : « Appena fu messo mano al
restauro di questa cattedrale, nel sentire che indarno si richiedevan
notizie intorno alla storia di lei, mi entrò addosso una tale smania di
fare in proposito delle ricerche, che non ebbi pace, finché non corsi a
rovistare biblioteche e frugare archivi. » E il risultato di queste inda-
gini è un bel volume di 250 pagine, nel quale si narrano non pur le
vicende della basilica, ma anche la storia dei vescovi fiesolani e spe-
cialmente di quelli che ebbero parte nella sua costruzione o ne' suoi
abbellimenti.
Nella prima parte del libro, l'autore tenta di scoprire quale fos^e
la forma primitiva del tempio e dimostra che esso quale è; fu npora
di due tempi e prese più vaste dimensioni nel secolo XIII, epoca in
cui fu costruita altresì la svelta torre che gli sorge da un lato.
I
BOLLETTI^^O BIBLIOGRAFICO. 787
Nella seconda, è narrato il restauro fattovi dal vescovo Andrea
•Corsini nella prima metà del XIV secolo.
Nella terza si discorre dei lavori eseguiti a vantaggio del tempio
dal vescovo Francesco Cattani da Diacceto.
Nella quarta, del grande restauro eseguito dal governo italiano —
essendo vescovo Monsignor Luigi Corsani — restauro che importò la
cifra tonda di lire lOO.tOO, delle quali 81.000 pagò il governo, 12000
il capitolo, 7.000 il vescovo.
I restauri architettonici furono principalmente studiati dal benemerito
Bongiovanni, ispettore dei monumenti medioevali presso il ministero
di pubblica istruzione e parvero tali da appagare le giuste esigenze
degli artisti e degli archeologi.
I restauri degli affreschi furono condotti parte dal prof. Gaetano
Bianchi; parte dal signor Pietro Pozzati. Il primo si occupò special-
mente di riattare la cappella Salutati — il più prezioso gioiello della
cattedrale. Leopoldo Cicognara nella sua storia della scultura parlando
degli artisti fiesolani narra che Mino fece nel duomo di Fiesole : « quel-
l'altarino così elegante ove le diverse figure scolpitevi sono grazioso e
morbidissime di tal modo, che marmo non fa mai meglio trattato da
toscano scalpello. Se gli scaltori più im.-iginoii nelP inventare e più
dotti nel comporre avessero portato a un tal grado di eseouzi ^ne le
opere loro, forse nulla sarebbe mancato per giungere ali* eccellenza.
Quest'opera fu fatta eseguire in marmo finissimo da quel fHm<»8o ve-
scovo e giureconsulto Leonardo Salutato ivi sepolto. » E più innanzi.
« Nel deposito di Leonardo Salutato si vede la testa di lui pC'l|*ira
dallo stesso Mino con tanta veritA che non marmo, ma si direhbo
essere materia molle ».
Riuscito il lavoro di scultura di somma soddisfiuione del v«>s'H)Vo
Salutati, questi pensò di decorare la cappella con dipinti in iiffr-'ii'^n^
che gì' int4>lligenti attribuiscono alla scuola di Andrea d«>griiu|Mfìouti
(del Castagno) e più specialmente a Piero Pollnjolo, in gniiiirt d- tl&
grande rssioroiglianza di questi affi^srhi cogli altri dal m*'d.i>ÌMio pit-
tore eseguiti nella cappella del oanlinale di Portogallo nella iMiitetSriil»
di S Miniato.
All'anzidetti cappella fanno corona nello Mtesso tempio 1>« np r • dt
Andrea e Nicomede Ferrucci, di Luca della Robbia, di Pi««irt» P.-ru-
gino, di Benedetto da Gubbio, dell'Allori e dei fiimusi fabbri seni**!
Francesco e Petruccio Betti.
II lavoro dell'erudito canonico Rargilli ó corrodati! da pn-rinti ilo-
788 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
cumenti inediti, dalla raccolta delle epigrafi che sono o che furono nella
cattedrale e di altre che trovansi fuori di essa; dal catalogo dei Pa-
stori fìesolani, da S. Romolo ordinato vescovo da S. Pietro, e da lui
inviato a Fiesole circa gli anni 60 di G. C. e martirizzato circa 30 anni
dopo, fino all'attuale Ordinario, monsignor Luigi Corsani.
Chiude il libro una guida sommaria del vetuslo tempio che potrà
essere consultata con profitto da chiunque ascenderà il famoso colle,
ove Catilina si rifugiò coll'angoscia della fallita congiura, ove la Pam-
pinea del Decamerone guidò a sollazzarsi le allegre novellatrici per
dimenticare la peste del 1348, ove Pico della Mirandola scrisse VHepta-
plo, ove Lorenzo de' Medici raccolse l'Accademia platonica, fondata dal
vecchio Cosimo, e donde discesero a Firenze l'Angelico, Andrea e
Mino, Giuliano e Benedetto da Majano, Desiderio da Settignano, pit-
tori, scultori, architetti, coll'aureola della fede e del genio a rivelarvi
i più splendidi misteri dell'arte cristiana del rinascimento.
La funzione sociale dell'arte per Albeeto Zorli. — Ravenna, Tipogra-
fia Calderini 1883.
Non immagini il lettore che questo sia un grosso e pesante volarne,
come il titolo potrebbe far credere, è invece un piccolo lavoro d'occa-
sione, è un discorso, cioè, letto nel luglio del 1882 nelle sale dell'Ac-
cademia di belle arti in Ravenna, nel di della solenne distribuzione dei
premi agli allievi dell'Accademia stessa.
Gli studi speciali ai quali il sig, Zorli ha dedicato il suo intelletto,,
lo condussero a considerare l'arte dal lato dei bisogni ai quali è desti-
nata a servire, quindi delle funzioni che essa esercita nell'organismo
sociale.
Secondo l'autore, le condizioni indispensabili alla vita dell'arte, sono
tre: impressionabilità nel pubblico; intelligenza nell'artista; ricchezza
nel pubblico pel quala lavora l'artista.
Egli prova la verità di questa sua teoria con esempi tolti dalla
vita dei popoli selvaggi e civilizzati, dalla storia degli antichi e dei
moderni.
Ma r indole del suo scritto lo tiene avvinto a semplici accenni e-
gì' impedisce di dare alle sue idee un largo sviluppo.
Nondimeno esamina di sfuggita le odierne tendenze dell'arte, rile-
vando come essa corra al realismo, benché non siasi ancora intera-
mente liberata dalle buccio del romanticismo.
Il signor Zorli osserva altresì che nelle epoche nelle quali l'arte era.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 789
la. preoccupazione di tutti ed innalzava quei monumenti che onorano il.
genio delle nazioni, i popoli si contentavano di monare una vita parca
e frugale, dedicando gran parte delle loro ricchezze alla soddisfazione
dei bisogni estetici. Oggi tutte le classi amano i comodi, il lusso, i pia-
ceri della mensa, quindi l'arte si ò dovuta riparare sotto le ali della
sorella più ricca, l'industria. — « Perciò, egli dice, le arti grafiche si
son poste al servizio delle industrie manifatturiere. Valenti pittori si
«ono rifugiati nelle fabbriche di ceramiche, di tessuti di lusso, di carte
<l*apparato. L'ebanisteria impiega artisti in bassorilievo di molto pregio
-e così di seguito. » Anche la scultura, malgrado l'epoca monumento-
roane, è costretta a fare statuette di bronzo e figurine di marmo da
collocare sui mobili del salotto.
Queste osservazioni pronunciate innanzi agli alunni di un'Accademia
<li belle arti parranno ad alcuno poco opportune, ma hanno il merito
biella verità.
Così possano aver consigliato i mediocri a ritrarsi dairesercitio
della grande arte, per dedicarsi alle industrie che l'arte ingentilisce e
nobilita, verso le quali si volgono ogni giorno più lo tcndenzo e i desi-
deri d'una società borghese.
STATISTICA.
StatiBtioa elettorale poliiloa, Eletioni generali politiche 29 ottobre e 5
novembre 1882. — Roma, tipografia Ebevirìana, 1888.
La direzione generale di statistica (Ministero di agricoltura e oom-
niercio) ha pubblicato sulle elezioni generali del 1882 un importante
iavoro, del quale riproduciamo alcane notizie.
Oli elettori inscritti nel 1883, io forca della nuova legge, furono
2,040,461, mentre nel 1880, coll'^ntica legge non erano che OS 1,801).
Nell'antica legge prevaleva il censo, n»'lla nuova provale la rapacità;
gli elettori iscritti dopo la nuova legge pel titolo della capacità sono
65 su oento, e fra questi troviamo in numero considerevole gli elet-
tori divenuti tali per l'articolo 100, i quali sono rappn'scntati nella
autistica dalla cifra di 37 su cento e tono in tutto 700,?80.
Nelle elezioni di primo scrutinio del 1882 1 votanti furono nella
proporzione di GÌ su cento, nel 1880, coU'antica logge erano stati 50
790 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
SU cento. Le più alte proporzioni fra i votanti e gli inscritti furono
nelle provincie meridionali, le |iiù basse nel Veneto, dove però, è da
osservare che le inondazioni impedirono a molti elettori di recarsi
alle urne.
I ballottaggi nel 1882 non furono che quattro, mentre quando era
in vigore l'antica legge rappresentavano sempre il quarto od anche di
più 'lei numero totale delle elezioni. La origini- della differenza è nota.
Coll'antica legge si richiedeva, per essere eletti a primo scrutinio, più
del terzo dei voti del numero totale degli elettori del collegio, e più
della metà dei suffragi dati dagli elettori intervenuti all'adunanza.
Colla nuova basta raccogliere un numero di voti uguale all'ottavo più
uno degli elettori inscritti nel collegio.
La statistica testé pubblicata stabilisce pure un confronto fra l'Ita-
lia e parecchi altri Stati in materia elettorale. Ecco le proporzioni fra
gli elettori iscritti e il numero degli abitanti.
Francia 26,85 per cento. Svizzera 22,55, Germania 20,09, Dani-
marca L5,46, Gran Brettagna 8,8.*^, Italia 6,97, Svezia 6,15, Austria
5,88, Spagna 5,74, Norvegia 5,18, Paesi Bassi 3,15, Belgio 1,53.
"Vediamo ora il numero dei votanti in confronto con quello degli
inscritti.
In Francia si ebbero 69 votanti su 100 inscritti, in Germania 56,.
in Spagna 65, in Svizzera 5S. nei Paesi Bassi 58, in Danimarca 47,
in Austria 36, in Svezia 24, in Italia come abbiamo detto più sopra
61, nel Belgio 81, in Norvegia 72.
Le notizie pubblicate dalla Direzione generale della statistica fu-
rono raccolte con grandissima cura e saranno preziosi elementi per
istudiare ed apprezzare in avvenire la nostra legge elettorale. Ora-
dopo un solo esperimento sarebbe prematuro il voler fare ciò. Ma
l'ufficio della statistica, consiste appunto nel raccogliere, man mano
che si presentano le notizie di fatto. Quando queste sono in numera
sufficiente, spetta poi all'uomo di stato il trarne le logiche conseguenze-.
Va dunque dato lode alla operosissima Direzione della statistica, che
mostra d'intendere egregiamente il proprio mandato, e non meno bene
lo adempie, preparando vastissima materia alle considerazioni del pub-
blicista e legislatore.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 791
Qnatrième congrès international d'hygiène et de démographie a
Genève (ou 4 au 9 septembre 1882). Comptes rendus et mémoires pu-
bHé3 par M. le D. P. L. Dukaitt, professeur, secrétaire general, avec
le concours de M. M. les Secrétaires adjoints et secrétaire de sections.
— Genève, H. Greorg, libraire éditeur, 1883.
Gli atti di questo congresso, testò pubblicati, offrono ricca e inte-
ressante materia di stuiio ai cultori della demografia. Il signor Giu-
seppe Kòròsi, direttore dell'Ufficio comunale di statistica di Buda-Pest
vi trattò del posto spettante alla demografia fra le altre scienze e dei
limiti che sono ad essa tracciati, e propose un sistema un'co pel cen-
simento della popolazione in tutti i paesi ; il signor Bertillon juniore
svolse un programma d'insegnamento della demografia, riferi intorno
all'organizzazione dei congressi aventi per oggetto il progresso di que-
sta scienza, ed espose i principii di un nuovo metodo per valutare la
frequenza dei matrimoni misti ; il signor M. E. Cbejsson, vice presi-
dente della SocietA di statistica di Parigi, descrisse Tordinamento dei
consigli superiori di statistica nei vari paesi d'Europa ; il signor D.
Ladnme die conto di alcune sue osservazioni sulle nascite yiegittimo
nella Svizzera ; il prof. L. Bodio, direttore generale della statistica ita-
liana presentò e commentò alcuni tiereogrammi di demografia, o rap-
present^nzioni a tre assi dei fenomeni statistici della popolazione, espo>
nendo quinci i risultati di alcuni studi sulla statistica ; il sig. Kinkeliu
fece alcuno proposte per la divisione del tempo nei lavori statistici;
il signor Kummer riferì intomo a certe tavole di mortalità da lui
calcolate e ad alcuni suoi studi circa al!a mortalità nelle diverse prò-
fessidni II signor MUhlemann offerse alcuni interessanti confronti fra
il prezzo dei viveri e il movimento della popolazione; il signor Jaus-
M<ri>« (>r -xentò la propoeta di an bollettino uniforme di statistica sani-
taria; il signor M. Dovrer eepoM on calcolo di mortalità dei bambini
iltirantc il prìmo anno dalla nascita; il signor dott Texier, direttore
della ^ tidld di medicina d* Algeri parlò di alcune sue ricerche sulla
lon^'Mvita all'oMpir.io di Dovera. nell'intento di portare qualche nuovo
contributo ali» studio delle attitudini delle popolazioni europee, ad ac-
climatarsi nell'Africa settentrionale; il signor dutt. Sormani, profetMore
d'igiene a Pavia parlò dell'influenza delle stagioni sulla distribuzione
dei sessi nelle nascite e nelle morti ; il dott. Pagliani, professore d'I-
giene all'Università di Torino presentò uno studio sullo sviluppo della
792 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
famiglia, basato su dati raccolti dal dott. Bianco, medico ispettore dei
neonati in quella città.
Il solo elenco dei lavori demografici intorno ai quali fu riferito al
congresso, parecchi dei quali di capitale importanza, dimostra come
non si possa pretendere di renderne in questo bollettino il contenuto,
sia pure per sommi capi ; basti qui l'indice ad ingenerare negli stu-
diosi delle scienze statistiche la brama di scorrere le 200 pagine che
nella pubblicazione qui annunziata sono specialmente dedicate alla de-
mografìa ; e di riconoscere de visu quale onorevolissimo posto abbia
tenuto in quel congresso la scienza italiana.
NOTIZIE
D governo austro-ungarico, fino dall'anno 1854, fondava presso l'uni-
versità di Vienna, un Istituto per le ricerche di storia aiutriaoOj nell' inten-
dimento di dare impulso agli studi storici del popolo austrìaco.
Il direttore dell' Istituto, prof. Sickel denderoeo di dare al medesimo
un maggiore sviluppo, ottenne dal governo del suo paese che foese fondata
Boma una scuola, la quale facendo tesoro dei nostri archìvi, delle nostre
iblioteche, dei nostri musei, venisse in aiuto alla istituzione viennese. Supe-
rate molte difficoltà d'ordine finanziario e amministrativo, V Istituto aiutriaeo
di studi storici in Roina^ sarà inaugurato nell' anno 1883, ed avrÀ sede nel
pali* zzo di Venezia. Vi saranno accolti giovani austrìaci sovvenuti dallo
stato, i quali siensi dedicati allo studio della storia pel Medio Evo e mo-
derna del Rinascimento (storia politica, ecclesiastica; storia della cultura*
del diritto e dell'arte), e vogliano concorrere al progresso dei lavori scien-
tifici, i quali più che altrove trovano largo campo in Roma.
— In questi giorni é corsa pei giornali la notizia che il Oav. Ab. Anziani
avesse rinvenuto nella Biocardiana di Firenaei della quale h direttore, un
nuovo Codice di Benvenuto Cellini. É facile intendere come una tale no-
tìzia dentasse nella classe dei dotti e dei bibliofili una certa sensazione; in-
vece una indagine più accurata ha distratto le illusionL Trattasi di un
codice di Bartolomeo Ammannato oontaaente appunti, ricordi, e qualche
problema geometrico, aritmetico, trigonometrico, insieme a vari abbozzi e
disegni architettonici, i quali del>l>ono aver servito nella costruzione del
palazzo di Luca Pitti. Il codice fu attribuito a Benvenuto per aver letto
erroneamente le parole Celi. Fior, scritte nel libro ove doveva leggersi
CoLL. Futa, e tener conto di questa che seguono: Socl Jmu. oatal. msoairs
vale a dire ColUgii Flartntini m Sooittati» Jetu catalogo imsoriptti».
— A Mantova é stato puMilicatu coi tipi dui Mondovl 1' Album virgiliano
del XIX centenario della nascita di Virgilio, celebrato il 17 set-
tembre 1888. Il volooM, stampato in soli 200 esemplari, e che attesta dei prò-
794 NOTIZIE.
gressi dell'arte tipografica in Italia, contiene un gran nunero dì acritti notevo-
lissimi e di chiari autori, fra i quali Massarani, Mancini, Zanella, Bernardi ,
Bertinaria, Barbiera Carcano, Mominsen, ecc. ecc.
— Il 26 verri inaugurato a Palermo, in San Domenico, il monumento
al chiaro storico Isidoro La Lumia.
— É stato approvato dalla Commissione governativa il progetto del
nuovo edifìcio che dovrà servire al nuovo Convitto nazionale in Roma Im-
porta una considerevole spesa che verrà ripartita fra il governo, la provincia
e il municipio, e per la quale occorrerà una deliberazione del Parlamento.
— Il 23 settembre verrà inaugurato a Firenze il primo Congresso na-
zionale per la istruzione dei ciechi. Le discussioni avranno luogo nei giorni
24, 25 e 26 e, se occorrerà, anche nei giorni successivi. I manoscritti dovranno
essere mandati non più tardi del 31 agosto. Il congresso, benché nazionale,
accoglierà con gratitudine gli stranieri che vorranno onorarlo e coadiuvarlo
con la loro presenza.
— É comparso coi tipi di Luigi Pedone Lauriel di Palermo un nuovo
volume della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane per cura di Giu-
seppe Pitré. Il detto volume trsitta. de^ giìtochi fanciulleschi con dieci tavole
a fototipia, quattro a litografia ed alcune a stampa.
— L'editore Gr. Regina di Napoli ha pubblicato una seconda edizione
ampliata della Storia degli abusi feudali di David Winspeare seguita da
una monogx'afia importante sulle origini del regime feudale di Fustel de Cou-
langes che vide la luce nella Revue des deux Mondes.
— La tipografia Bernardoni di C. Rebeschini e C, ha pubblicato in
nitidissima edizione le letture fatte dall' avv. Cesare Norsa all'Istituto Lom-
bardo sul tema: Il telefono e la legge.
La lilreria L. Hébert di Parigi ha pubblicato una nuova e magni-
fica edizione delle Opere complete di Molière, in sette volumi con incisioni,
— Presso r editore Ghio è venuto alla luce un Essai sur la condition
des fe.mmes en Europe et en Amerique, di autore anonimo.
— La libreria Calman Lévy di Parigi ha posto in vendita il 15" vo-
lume dei discorsi del signor Thiers. Questo volume comprende il periodo
dal 1872 al 1877. Contiene gli ultimi discorsi parlamentari del celebre ora-
tore sulle attribuzioni dei poteri pubblici, sulla politica interna, sulle nuove
fortificazioni di Parigi, non che le sue deposizioni sui fatti del 4 settembre,
della difesa nazionale e della Comune, e il manifesto elettorale che fu il
suo testamento politico.
— Lo stesso editore ha pubblicato una traduzione del romanzo Outana
del poeta polacco Kraszewski, del quale si è tanto parlato recentemente a
cagione del suo arresto.
— In questi giorni ebbero luogo ad Annonay le feste pel centenario
NOTIZIE. 795
dei fratelli Mongolfier creatori della areonaatica. Si inangnrò in quell' occa-
sione il grappo di bronzo in cui sono raffigurati con grande fedeltà i due
eroi della scienza.
— Gli eminenti scienziati francesi Pasteur e Bréat sono stati nominati
dottori (honoris causa) dell' Università di Zurigo.
rer;i u
.^^^AdEi
I^Hktta
In tutte le città e i yillaggi della Germania protestante regna una
grande attività per la celebrazione del quarto centenario di Lutero,fì ssata
da un Messaggio imperiale pei giorni 10 e 11 del prossimo novembre. Il Prin-
cipe ereditario e suo figlio ass steranno alla cerimonia che avrA luogo ad
Eisleben. Il 10 novembre si scoprirà quivi la statua in bronzo del Rifor-
matore fatta dal professore Seimering. Una storica processione ricorderà il
ricevimento di Lutero presso il conte di Mansfeld. Ad Eisenach si inaugu-
rerà un altro monumento ed ad Halle si cantera l'oratorio « Liitero a Worms * .
Erfurt si farA pure una processione storica rappresentante 1' accoglienza
a Lutero da quella Università e da quel municipio quando egK vi
per recarsi a Worms. Nel tempo stesso ad Erfurt e a Magdeburgo
si inaugureranno due altri monumenti. A Berlino il municipio ha dato i
fondi per una processione di tutti gli alunni delle scuole protestanti in
numero di 80,000. per la pubblicazione di una strenna luterana, per pubbli-
che letture sulla vita di Lutero, ed ha fatto un assegno di l.V),i)(X> marchi
a V>enefìcio degli allievi del clero protestante. Ad Amburgo s'è costituito un
comitato per la fondazione di una Chiesa^ per 1* quale si raccolsero già
90t>,000 marchi. A Lipsia finalmente si scoprirà un grandioso monumento
portante le statue di Lutero e di Melanton«>, operA del profossore Schilling.
— A MesMkirch, piccola città del Ducato di Baden, venne ioalsata una
statua a Corradino Kreutzer, autore della TÀhiuta, della Cord» Ita, della
Notte di Granata^ del Dusipatorr, opere municuli che un tempo corsero ap-
plaudite tutti i teatri della Germania. Il Kroutcer che mori a Riga il 14
dicembre 1849, nacque a Measkirch il 83 novembre 17(30.
— '^. comparso testé a Gottinga uu opuscolo del sig. F. C. t.uka» di
Vienna in cui si fanno alcune considerali odi critiche sul progetto di leggo
italiano per la pensioni civili e militari, presentato alla Camera dal mi-
nistro Mariani.
— té' Archi», far da» aiwìiitm dtr neu^r^n Spraehen und lÀlteraturrn
(fase. 84) ha un articolo molto favorevole al libro del Morandi su Shak"-
tp^are, liarelti e Vitlfaire.
•— La Drufschc Mili'ar lÀttratur Zeitung di Berlino esamina e rac
manda la S'oria d^Ua marina militare italiana antica di Franoesoo Co>
zzini. Dice che l'autori; benché non sia uomo di mare, seppe collo studio
dei clas«ici sopperire a tale mnncwnta, e soggiunge che, ad onta di alcuno
mende, questa Storia é lavoro di considerevole valore.
71)6 NOTIZIE.
— L'editore Harthleben di Vienna ha pi-ogettata una grandiosa biblio-
teca elettro-tecnica a quattro franchi il volume. Essa abbraccierA, una ven-
tina di volumi, e tratterà di tutte le più svariate forme di applicazione
dell'elettricità. Il XX volume conterrà una bibliografia delle scienze elet
triche dal 1860 sino al giorno d'oggi, compilata da Gastav May.
— Il Congresso annuale dei naturalisti tedeschi avrà luogo queat' anno
a Freiburg dal 18 al 21 settembre.
— A Monaco di Baviera, sulla Maximilianplatz fu inaugurato coli' in
tervento dei rappresentanti di quasi tutte le università della Germania, il
monumento eretto in onore al grande chimico, naturalista Justus Liebig,
che tenne quella città come una seconda sua patria e ne fu anche cittadino
onorario.
Shapira di Gerusalemme, noto libraio e negoziant 5 d' antichità, ha
portato da Londra dodici strisele di cuoio, di pelle di pecora, su cui è
scritta in quaranta pieghe ed in caratteri arcaici una parte dell'Antico Te-
stamento e soprattutto il Decalogo, di cui conterrebbe una nuova versione.
Si assegna il nono secolo avanti Cristo come la data probabile di questi
manoscritti, cosicché sarebbero di circa sedici secoli anteriori al testo più
antico che si possegga, ed avrebbero non meno di 2ò00 anni. Essi furono
depositati al British Museum, dove il dott. Ginsburgh, autore dell' importante
opera su « Massorah, » attende a decifrarli e ad indagare se sono dessi
genuini od arteftitti. Il prezzo chiesto dal Shapira è di un milione di lire
sterline,
— B, F. Stevens ha scoperto e pubblica un libro di note del generale
Howe, che durante la guerra d'indipendenza americana comandava Boston
contro il generale Washington. Sarà un' importante aggiunta alla storia di
quel periodo.
— Leader Scott pubblica presso il Sampson una biografia di Luca
della Robbia.
— Henry Elliot Malden, sotto il titolo Vienna 1683 pubblica presso
Chapman and Hall una commemorazione della sconfitta dei Turchi dinanzi
a Vienna per opera di Sobieski il 12 settembre 1683.
— Presso gli stessi editori è uscito un volume di A. K. Connell sopra
The economie revolution of India: vi tratta soprattutto della questione dei
lavori pubblici.
— Il senatore Vitelleschi pubblica nella Nineteenth Century d'agosto
un articolo « sulla politica italiana in Oriente. » ,
— È da tutti lodatissima la nuova opera di Frederic Seebohm The
English Village Community examined in its relations io the Manorial and
Tribal Systems and to the Common or open Field Systtm of Ilusbandry,
testé uscita presso il Longmans. Essa occuperà un degno posto accanto alle
pregiate ricerche di Sir Maine, e completa le indagini sull'antica storia
NOTIZIE. 797
inglese, raccolte da Henry Charles Coote nella sua opera The Romans
of Brifain edita dal Xorgate.
— I due nuovi volumi della biblioteca del cittadino pubblicata dal
Macmillan, hanno per titolo India di J. S. Cotton, e The Colonies di E. J. Payne.
— Sinners and Saints è il titolo di un viaggio nel paese dei Mormoni
di Phil. Robinson, edito dal Sampson.
— L'editore Hodges di Dublino annunzia una nuova edizione del
Giacomo Leopardi di 0. O' Ryan
— Presso il Douglas di Edimburgo è uscita un'edizione inglese degli
Italian Jourrmfs dell'americano Howells.
— Il Prof. A. W. Ward di Manchester prepara una memoria del com-
pianto econombta W. Stanlej Jevons.
— Stanley Lane-Poole, autore di un lavoro sull'Egitto, ha in pronto
nn nuovo volume sullo stesso paese, sotto il titolo Social li/e in EgypU
— Il Dott Coppinger pubblicherà quanto prima presso Sonnenschein
'e C. una relazione illustrata del viaggio àéìV AlerU
— Una commissione dell' Unione Ornitologica britannica pubblica presso
il Van Voorst a List of brUi$h bird».
Teodoro Angusto Joly, antico professore di geografia neirAteneo reale
di Bruxelles, nato a Valenciennes nel 1805 morto il 21 luglio u. s.
— Stefano za Putliz, professore d'economia |>olitica ncH' UnivorsitiV di
Derlino, morto in età di 28 anni.
— W. Arnold, professore nella Facoltà di diritto dell' UniversitV di
Marbourg, morto il 3 loglio nell'età di 57 anni
— Moriva il giorno 2 eorr. in Napoli il dottor Pedicino nell'età di anni
45; era profesuore di botanica ali' Università di Roma e direttore dell' orto
botanico dì Panispema.
— É morto in Roma il giorno 7 corr., in età di 83 anni» il valente
pittore tcdpsco Augnato Riedel, consigliere delI'Aceademin di San Luca e
di altri Intituti artisticL
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moderna. — Erskine May, Storia della Democrazia in Eu-
ropa. — Toqueville, La Democrazia in America.
INDICE DEL VOLUME QUARANTESIMO
(seconda serie)
Fascicolo Xin — 1 Luglio.
ToBMuao Errico Boekto • U mw Stori* dell* elTiiià. — P Vuajlu Pa(. $
Ufo B*MTÌlle * Uom» — w^o !• ■lllm* pBbbltp*sl«al. — O Bo«UBTTt S6
la C*I*bri* - P*aMffi*l«. — Oatmum* Piao*iai-BBU . . . U
I GbiAcei pol*ri — A Stoptavi . . 7«
L* ReKsldin* - R*eeoato — Nkbka 91
L* Politica >eel— i>«tie* àmììm PraMt*. — R. Boasn . 1>S
II Tea pio d' laida pnaao U Misarv* a la raeaatl nepirta. — O. Masccchi 160
B*«M-cD* polltic* — Ia tea dal Urorl pmrtammmtmri la full* - I partiti - Pr«p*rallTl a
tenUtiTt di appaalaloaa - La eaaaaaMraslaaa di Oaribaldi * P*riff{ • La ral*tioat
dall' tuli* eoa rAaatrU a U OaraMaU - Praaaaal la Praael* - AaareSial a elarlMll -
La lattata dal Papa al praaMaala Ora^ - FraaaU a Ghia*. — X I<7
Botlettiaa iaaMlarla dalla fuladMaa . ìTt
Bollettlaa MMiecnifle» — LcMaralani a pacata • Starla - nioaofl* . . . IM
Kot.«U t06
FmoìooIo XIV — 15 Luglio.
Ilaary Wadiwarth Loa«filla«r - TnMMBla - Iiplraatoal ItalUaa - BsaaUlor. •> r Mo-
DaiauKS Pag. WW
Uaa Moaaaa dal Cla^aaaaala • Saar Fallaa Baapaal. — A Baadoaaaai Mft
La Aaatcaraalaai aaatre I daaal a aalU ^i* dall' aoaia a II aaavo C«dl«a di romwarala
lUilano. A. •••>■* .KM
I.« K. «al Una . RaaMaio. — Naaa* ... . M4
Ovai^iatMl ■llltarl dalla Olaa. — a B«aATiaai KW
niMn Barali wapirta aal Palaaaa dai Oaaaarvaiarl la CaoipUncllo. - R BHcst.Bi. MI
latlararU - Oli Stadi m Daala par R. raraariari. — A. P*«acBaTTi tM
Saaaataa pelitk-a — La pranca dalla Sai«l>aa • La aklaaar* - Ma* attilla • l.a oImIodì
dal Ift tacilo - La qaaaUaaa dalla ^aaraalaaa • RapprwMglla - I^^i rrUil-ai ira la
FraaaU a l' lacklllafra - I Calti di Taaauva - La dU»B— laae aal Touklao . Spa-
raaaa da'aMaarakM - n Uoata 41 Ckaaikard - La I«m« aaalaalaatlia lu PriiMi*.— Z. M9
•attatHaa laaMiarla dalla ^alndlrla* ITO
BallaUlaa MMIagrataa ~ l«uar*iar* a pwMla • Padacafl* - Raoeaatl - tLuìm arti • Sia-
INDICI-: DEL VOLUMI-: QUARANTESIMO.
Fasoloolo XV — 1 Agosto.
Paralleli letterari - Percy-Bysshe Shelley e Giacomo Leopardi. — G. Zàbei-la . . Pag. iO'J
Raffaello a Roma sotto Leone X. — M. Minqhetti <ifO
L' Istruzione agraria e le Scuole rurali in Italia. — G. Farti 454
Scavi di Roma - Il nuovo Obelisco dell' Iseo, — O. Maruccui 40*
Il Male nel Bene - Bozzetto dal vero. — oT>o\ati 505
Il Terremoto di Casamicciola, — Capitano L. Gatta .024
Una Curiosità bibliografica - L'indico dello Riviste americane ed ingipsi. — D. Cnii>ovi .'»:i2
Rassegna delle letterature straniere — Nuovi romanzi francesi - Tei céUlritéa eontemp'.-
raines - L^édìU dea conles du sieur d^Ouville - Louis XIV et Guillaume III - Le* ta-
lons de eonversation au dix-huitième siede - Dernières annéea de Madame d'' Epinay ,
«•n salon et ses amis - Corre 'pond ance inèdite di Condorcet tt de lurgot - Lea der-
niera Bourbona. — A, Db Gubeiìnatis 543
Rassegna drammatica — I teatri estivi - Le tragedie d'Alfieri - Virginia - Le novità -
Il Fante di spade, dramma del signor Monnosi - La Marchesa Aleardi, d' autore ano-
nimo - So tutto, del Salvestri - L' eccezione delle vedove, del Sinimberghi - X,' ultima
recita, della signora Pierantoni-Mancini - La Donna pallida, del Castelvecchio. — •*• 567
Rassegna politica — Le polemiche sul Ministero - Il Parlamento a novembre - Le elezioni
politiche e le elezioni amministrative - Il nuovo canale di Suez - Il Gabinetto inglese
- Il signor Gladstone e l'opposizione - Il re Cettivayo - Le relazioni tra la Francia
e l'Inghilterra - Il Parlamento francese. — X 577
Bollettino finanziario della quindicina 586
Bollettino bibliografico — Letteratura e poesia - Storia - Pedagogia - Racconti - Belle
arti -601
Notizie 613
Fascicolo XVI — 15 Agosto.
Episodi storici fiorentini del secolo xv narrati da un popolano. — A, D'Ancoha . Pag. (517
La Questione dei possedimenti coloniali — I. La Gran Brettagna. — A. Brunialti . . . 651
La Mente di Michelangelo, a proposito di recenti pubblicazioni. — A. Setti 667
Gli Ebrei in Ungheria — Tisza-Eszlar. — R. Bonghi 684
In Calabria — Fra gli Albanesi. — Caterina PiaoRiHi-BERi 695
Il Canale di Snez. — Un Italiano in Egitto ' 717
Fantasia. — E. Nencioni 730
Rassegna politica — Dimostrazione di simpatia all' Italia - Discussioni a proposito del
disastro dell' isola d' Ischia - L' insurrezione spagnuola - Crisi ministeriale in Fran-
cia - L'Inghilterra e il Madagascar - Il richiamo dell'ammiraglio Pierre - Il Conte
di Chambord - La lettera del signor Grevy al Papa - La questione danubiana. — X. 744
Bollettino finanziario della quindicina 753
Bollettino bibliografico — Letteratura e poesia - Storia - Pedagogia - Belle arti - Statistica . 778
Notizie 793
I
AP
37
N8
V.70
Nuova antologia
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